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Monday, January 3, 2022

GRICE ITALICVS XVI/XXII

 

Grice e Ceretti – filosofia italiana – Luigi Speranza (Intra). Filosofo. Grice: “I love Ceretti; and I wish Strawson would, too! Ceretti distinguishes three stages in the development of a communication system. The first is very primitive, obviously, and avoids the reference to ‘io’ and ‘tu’ as metaphysical – ‘hic’ and ‘nunc’ will do. The second stage he says may be all that some societies need – ‘green’ for this plant – The third stage involves the general concept of ‘plant’ and this is where a soul-endowed entity (animal) can refer to a plant or to an animal like himself or his companion – at this last stage, Ceretti speaks of ‘soul’ (anima), and the affectations of the mind being what is communicated – if that’s not Griceian, I do not know what is!” -- I suoi genitori, Pietro e da Caterina Rabbaglietti, di condizioni agiate, lo affidarono all'insegnamento privato di ecclesiastici e successivamente ai docenti del seminario di Arona dove si distinse per il suo carattere refrattario ai vecchi metodi didattici e ribelle alle rigide regole di disciplina. Quasi al termine degli studi si appassiona all'approfondimento della lingua latina e alla composizione di poesie che lo fecero conoscere come poeta a braccio. Frequenta come alunno esterno un collegio di gesuiti a Novara dove risulta primo in retorica tanto che il suo maestro lo spinse a comporre la tragedia “Il duca di Guisa” sulla base della Storia delle guerre civili di Francia di Davila. Soggiorna successivamente a Firenze dove ebbe modo di frequentare i membri del gabinetto Vieusseux.  Dedicatosi agli studi scientifici e storico-filologici e soprattutto a quelli filosofici, scrisse il poemetto incompiuto Eleonora da Toledo dove dà prova di penetrazione psicologica dei personaggi e di abile descrizione ambientale. Nello stesso periodo compose poesia a contenuto filosofico, il romanzo “Ultime lettere di un profugo” sul modello foscoliano, e infine le riflessioni “Pellegrinaggio in Italia”, nate a seguito di numerosi viaggi avventurosi per l'Europa in compagnia di zingari e vagabondi, che gli permisero di apprendere diverse lingue. Opere queste che mostrano la singolarità del suo mondo spirituale profondamente diverso e in contrasto con quello degli altri.  Soggiorna nella villetta "La Chaumière", presso Chambéry, dove lavora alla “Pellegrinaggio in Italia” dato alla stampe a Intra con lo pseudonimo di Alessandro Goreni. Trasferitosi alle Cascine a Firenze, pubblica “La idea circa la genesi e la natura della Forza”. Adere all'hegelismo, di cui tenta una revisione in senso soggettivistico in una grande opera in latino, “Pasaelogices Specimen”, che non riscosse alcun successo di pubblico. Decide quindi non pubblicare più nulla. Tuttavia continua a comporre una grande varietà di saggi filosofici. Si dedica esclusivamente alle meditazioni filosofiche espresse in numerose opere tra le quali i “Sogni e favole” (Torino), le Grullerie poetiche (Torino) e le Massime e dialoghi (Torino).  La sua opera è stata pressoché sconosciuta. Solo Gentile gli ha assegnato un ruolo di rilievo in “Le origini della filosofia contemporanea in Italia” (‘Ceretti e la corruzione dell'hegelismo’). A lui oggi viene riconosciuta una certa influenza sul pensiero filosofico della scuola torinese. e sulla formazione della filosofia di Martinetti. A lui è dedicata la Biblioteca di Verbania. Dizionario Biografico degli Italianim Piero Martinetti Pietro Ceretti. “La natura logica di tutte le cose” e pubblicata presso la UTET di Torino. Gentile. Cfr. G. Colombo, La filosofia come soteriologia, Milano, Vigorelli.  Dizionario biografico degli italiani,  Opera Omnia D'Ercole, 15 voll., Torino, Vittore Alemanni, Ceretti. L'uomo, il poeta, il filosofo, Hoepli, Pasquale D'Ercole, La filosofia della natura di Pietro Ceretti, UTET, Giuseppe Colombo, La filosofia come soteriologia, Vita e Pensiero, Fiorenzo Ferrari, Il filosofo di Intra. L'idealismo di Ceretti, in Verbanus, Vigorelli, Martinetti. La metafisica civile di un filosofo dimenticato, Milano, Bruno Mondadori. L'uomo vuol essere consideralo come l’ultimo frutto, ossia il massimo sviluppo psichico dell'animalità. Questo massimo sviluppo presuppone necessariamente i prossimi animali dello sviluppo minore, e cosi via discorrendo. L'uomo vuol essere, inoltre, considerato come il frutto più recente dell'albero zoologico. E qui nasce oggidi rispetto all’uomo una contestazione circa la sua produzione immediata o derivata da’ più prossimi animali inferiori. Questa contestazione non può ammettersi dalla speculazione, e neppure dalle discipline naturali empirico-induttive; ma la si agita sopra un terreno affatto estraneo a quello della speculazione, e della scibilità empirico-induttiva, fomentata da ogni sorta di passioni, partigiana di religiosità, di moralità, e così via. È assurdo supporre che una specie si tramuti in una nuova specie come tale; perocchè le specie sono mere distinzioni teoriche del nostro intelletto. La natura, come disse un sommo naturalista, non facit saltum; e conseguentemente la distinzione caratteristica che costituisce le specie “Homo sapiens” non risulta se non in quanto si prendono in considerazione termini sufficientemente lontani e si trascurano i termini intermedii. Infatti, se noi consideriamo gli animali superiori dell'albero zoologico, nei quali le differenze ci sono più sensibilmente manifeste, troveremo che le specie si suddividono in razze differenti fra loro sotto varii rapporti, e che le razze si suddividono in varietà differenti, e che dette varietà si suddividono in varii individui pur differenti fra loro. Inoltre, troveremo che queste differenze sono a noi tanto più evidentemente manifeste quanto più si salga alto nell'albero zoologico, ed a noi più vicina sia la specie che si prende a considerare. La vera trasformazione della specie perciò non si deve investigare nelle specie come tali, ma piuttosto nei minimi termini della specie, ossia nella variazione individuale del specimen. Questa variazione, tuttochè lentissima, modifica col volgere dei secoli le specie, così come la conchiglia microscopica, variando la propria natura, varia il terreno che ne risulta. Gli agenti che effettuano la suddetta progressiva variazione sono di tre ordini, vale a dire: planetarii, psichici, e spirituali. Questi agenti sono progressivamente tanto più efficaci quanto più si concretano nella efficacia spirituale. L’agenti del primo ordine planetario modifica semplicemente il corpo e l’organismo, e indirettamente, ma assai lentamente, la facoltà istintuale. E un agente puramente planetarii, p . es ., la natura del suolo e dell'aria, ossia generalmente il clima, la condizione geografica e topografica, e cosi via. L’agente planetario si possono chiamare elementare, perocchè opera su tutta l'animalità senza distinzione veruna, e sono presupposti dagli altri agenti succennati. Si può dire in tesi generale che gli animali inferiori non subiscono modificazione se non lentissima, e molte specie degli animali inferiori si sono spente, appunto perchè non hanno potuto subire le modificazioni necessitate dalle progressive variazioni dell'aria e del suolo. L’istinto delle specie animali inferiori e rigido e difficilmente modificabile, appunto perchè e un istinti poco variato, che non puo neutralizzarsi fra se in una ricca varietà di modificazione. L’agente del secondo ordine e psichico (e no ‘psicologico’ ma veramente psichico), epperciò più intimo nell’organismo, ossia più essenziale. Un agente psichico modifica l'animale nella sua intima facoltà, ossia una attitudine, assai più facilmente e più profondamente che non gli agenti naturali succennali. Questo secondo agente e nella sua essenzialità un maggiore sviluppo del primo agente naturale plantario, epperciò si manifesta nella generazione susseguente come una profonda modificazione dell’organismo e dell’sstintualità. Questa modificazione non e più mera variazione giusta una astratta affinità, per le quale, p. es ., una facoltà diventa minore di altra facoltà, vale a dire, si manifesta come una pura variazione quantitativa dell’istintualità. E una modificazione profonda che diventa la proprietà caratteristica dell'animale (un tigre che tigrizza) e qualche volta e affatto estranea e contra-dittoria o opposta, o contraria, alla facoltà della generazione pre-esistente. Allora si dice che una nuove specie (Homo sapiens) e venuta all'esistenza, e la vecchia si e spenta. La facoltà psichica si modifica sulla base di un istinto più svariato, il quale si neutralizza appunto fra loro tanto più facilmente quanto più svariati. L’istinto dell’animali inferiore e tanto più fermo e rigido  quanto meno molteplice e svariato. Questa modificazione causata da un fattore psichico modifica il sistema anatomico e fisiologico, perocchè non e possibile una modificazione psichica sulla base d'una invariabilità anatomico-fisiologica. E una modificazione profonde, la quale, se qualche volta poco modifica l'ordine anatomico-fisiologico sensibilmente manifesto, e però effettuata piuttosto nell’elementi anatomico, nel così detto ordine istologico. La modificazione psichica non spetta, come quelle generali, ad una specie o ad una razza, ma sono più profonde modificazioni dell’organismo e della corrispettiva istintualità. Essa rifletta piuttosto la mera individualità animale, epperciò e variabile indefinitamente. La condizione causale di questa modificazione e data dalla ciscostanza nella quale versa un certo individuo animale. Cosi non è solo la varia natura geografica e topografica del suolo e dell'aria in che vive, ma anche i varii vegetabili e animali con che vive; perocchè dette varia condizione e sufficiente a modificare l'anima (la psiche) dell'animale. Le delle varia circostanza costringe un certo individuo a esercitare preferibilmente una certa facoltà psichica, e per conseguenza a svilupparle preferibilmente. Data la ricca molteplicità e varietà della facoltà istintuale proprie della specie di “Homo sapiens”, questa facoltà variamente si combina e si neutralizza. L’istinto cosi neutralizzato, ossia radicalmente variato, si trasmette alla generazione veniente; e cosi le condizioni succennate, variando l’atttudini dell’anima individuale, preparano il terreno alla più ricca e più profonda azione del fattore veramente spirituale. Il fattore spirituale modifica quell’attitudine che appartene non alla specie, ma all'individuo animale, ed e un fattore che non più modifica l'anima senziente, ma lo spirito (animus, psiche, sofflo) ideante dell’animale. Tuttochè questo fattore, nel su concreto sviluppo, appartene allo spirito umano, pure gli animali superiori (p. es., una scimia antropomorfa) possegge un certo quale esercizio equivoco e parziale del suddetto fattore. Cosi la scimia impara dalla propria osservazione, epperciò gl’individui più vecchi sono assai più scaltri e periti dei più giovani. È questa la ragione per la quale l’animale non solamente si aggrega ma si organizza gerarchicamente giusta un certi statuto di un sentimento comune. È importante che un individuo animale possa profittare della proprie osservazione; perocchè dello profitto provoca una maggiore perizia pratica, la quale dal più vecchio è partecipata al più giovane e trasmessa alla generazione vegnente come una dialettica della categoria istintuale che più tardi si sviluppe in una vera mentalità. La categoria spirituale (spiritus, animus) funziona qui come sviluppata categoria psichica (psiche), epperciò la lingua, il linguaggio e la communicazione, nel suo amplo uso, vera sintesi e genesi manifesta della categoria spirituale, arriva all’esistenza come linguaggio no planetario o naturale, ma puramente psichico; o come linguaggio equivoco o misto, ossia psichico-spirituale; o come linguaggio assolutamente o puramente spirituale o oggettivato (communicazione proposizionale – la logica di tutte e cose). Qui non occorre accennare al terzo ed ultimo stadio, ossia al linguaggio puramente o assolutamente spirituale, proprietà *esclusiva* (alla Grice) dell'uomo o Homo sapiens sapiens, ma solamente al primo stadio (psichico) e al secondo stadio (misto) del linguaggio che nasce e si sviluppa nell’animalità sub-umana, pre-razionale. Il fattore caratteristico di questa crisi, ossia lo sviluppo dell’anima senziente inter-soggetiva nella spiritualità pensante proposizionale, è manifesto piuttosto dal linguaggio ‘muto’ o il gesto di una emozione del corpo e principalmente di quell’emozione della fisio-nomia. Quest’emozione formula un sistema comunicativo, in quantochè manifesta una definita emozione intima con una certa categoria, che, non essendo destinate alla mera soprevivenza o conservazione dello specimen o della specie, non si puo chiamare semplicemente psichica, ovverosia istintuale. L’animale sub-umano, p. es. , lussureggia per una mera sensualità erotica – omo-erotica, come Socrate ed Alcibiade --, la quale non può essere destinata in verun modo alla propagazione della specie dei Grecci! Così pure due specimen giovani di animale giocano (la lotta greco-romana) colla vivacità propria dell’età loro, la qualcosa può giovare, ma indirettamente, all’educazione e destrezza corporale dell’individualità . Così il padre non solo alimenta il suo figlio, ma l’educa e disciplina ad una pratica operazione requisita dalla propria specie, locchè dimostra che l’ingenita istintualità non puo bastare, ed abbisogna dell’ammaestramento dell’osservazione data a lui che ha già vissuto praticamente nella vita. Il linguaggio misto, o equivoco, ossia psichico-spirituale, è quel tale sistema di comunicazione che non consta semplicemente di questo o quello gesto, il quale segna non solo una definita emozione dell’animo, ma una certa anfi-bologica determinazione della ‘mente’ (mentatio, mentare, mentire). Così, per es., il cane, alla presentazione d'una cosa che altre volte fu nocivo, puo involuntariamente fuggire guaiolando. Il gesto segna naturalmente la paura. Qui certo v’ha una psichica emozione provocata da una simile cosa, ma quest’emozione del cane dev'essere legata alla *memoria* della *sensazione* originaria, la quale memoria appunto costituisce una determinazione *equivoca*, mista, psichica o mentale-spirituale. L’animale superiore possesse una facoltà che incluse un svariatissimo repertorio di questo o quello segno o gesto, mediante una modulazione combinatorial di questa equivoca determinazione. Quando l’animale arriva definitivamente alla soggettivazione della propria coscienza, ossia al suo “lo” distinto categoricamente dal “non-lo” (cfr. Grice, “Privazione e negazione), entra categoricamente nella coscienza spirituale – del spirito oggetivo. Questo passaggio costituisce la creazione o mutazione o trasmutazione o trassustanzazione (metaeousia) dell’uomo, Homo sapiens sapiens, e solamente questo passaggio colla propria manifestazione può segnare un soggetto umano che puo attuare in inter-soggetivita con un altro soggeto umano. Qui l’”umanismo” si manifesta categoricamente nel proprio caratteristico (la definita soggettivazione del ‘ego’ come ‘ego’ e del ‘tu’ come ‘tu’), e si manifesta colla parola (parabola) non certo col documento anatomico-fisiologico, che non puo bastare se non a certa ampla generalità della distinzione o del genus animale. Prima di entrare a caratterizzare questa crisi importantissima, ossia lo sviluppo dell’anima nello spirito, dobbiamo assumere la speculazione retro-spettiva della coscienza da un ordine uranico nel ordine planetario e nel ordine vegeto-animale. In un ordine uranico, la coscienza procede verso un’individuazione dalla nebulosa al cometa, al sole ed al pianeta. Il solo caratteristico essenziale dell'umanismo, assai più caratteristico di quell’antichissima vaga definizione dell'uomo ragionevole, animale rationale homo est, è senza dubbio la soggettivazione, e la manifestazione di questa soggettivazione è fatta con l’inezzo spiritualmente formolato. Conformemente a ciò, più innanzi, l’uomo (Homo sapiens sapiens) è designato anzi definito come coscienza inter-soggettivata. Quest’individuazione, qualunque la si voglia supporre, non può essere una soggettivazione; perocchè l'individuo (Erberto) non si distingue dalla specie (Homo sapiens sapiens), e le varie specie dei corpi celesti si confondono colle varie età di un solo individuo. Cosi pure, speculando in un ordine generalissimo, una specie animale e una età dell’animalità. Nella specie animale piu infima, l'individuo si distingue dalla specie (una rosa piu bella dall’altra). Nella specie animale superiore,  non solo lo specimen si distingue dalla specie, ma anche il soggetto dallo specimen ė progressivamente distinto. Cosi, p. es., il corpo di un animale consta d'innumerevoli individualità viventi aggregate ed organizzate fra loro, le quali, svolgendosi dall’una in altra fase, costituiscono l’organo (dell’organismo), l’apparecchio, e la funzione vitale dell’animale. Ma la coscienza resuntiva di questo individuo vivente è nell’organismo dell’animale concreto, e non negli animalcoli gregarii che lo costituiscono. L'animale resuntivo della propria soggettività costituisce lo svolgimento del senso del pensiero. Qui dobbiamo definire la distinzione del senso e del pensiero. Il senso non può supporsi astratto dalla coscienza; perocchè in questo caso sarebbe un senso che non sente (il senso non sente, l’animale sente), ma può supporsi astratto dalla *co-scienza* del senso; perocchè la co-scienza e il senso funzionano indistintamente. Finchè la co-scienza non si distingue categoricamente dal proprio oggetto. E una co-scienza identica alla sua forma esteriore, la quale è una sensibile esistenza. Quando però la co-scienza si distingue categoricamente dal proprio oggetto, allora dice: “Io sono e l'oggetto è” – “Io sono quello che sono, e l’oggetto quello che è, cioè l’ “lo” e il “non-lo” (p. es., il tu) *siamo* due termini distinti in relazione d’intersoggetivita. Quest’idea fondamentale che si percepisce un “lo” (pirothood) è la soggettività; ossia, la nascita dello spirito. Nascita dello spirito e nascita del pensiero, facendo consistere la spiritualità specialmente in questo. A conferma di ciò, si noti, primamente, che in questo paragrafo ei vuole fare appunto la distinzione di senso e pensiero; secondamente, che nel susseguente paragrafo, parlando dei momenti dello spirito, vi accoglie il principio sensitivo non come pura e semplice *sensazione*, ma come *sentimento*. Sulla predetta distinzione, del resto, ritorno nei paragrafi susseguenti. Lo spirito consta di tre fasi: il sentimento (aisthetikon), l’intelletto (noetikon) ed il concetto – il A e B – concetto soggetto, concetto predicato). Lo spirito nel sentimento è uno spirito immediato che poco si distingue dall’anima senziente. Ma quest’anima senziente appartiene allo spirito, perocchè si *percepisce* soggetto (un ‘lo’). Il sentimento consta di tre termini: l’attenzione (la risposta ad un stimolo), la memoria (il riflesso condizionato), e l’imaginazione (la risposta ipotetica o condizionale). La funzione più o meno complessa di questi tre termini crea la *soggettività*, che lentamente si svolge dal sensibile nel cogitabile (co-gitatum, cogito; ergo sum). L’attenzione deve funzionare nello spirito esordiente, e cosi lo spirito deve *sentire* *che* il senso della natura – ossia, l’istinto -- più non gli basta. Questo sentimento dell’insufficienza del proprio istinto l’avverte *che* necessita osservare ed imparare la pratica della vita. E la prima funzione della mentalità. Epperciò la lingua ariana conserva più la traccia della parentela del concetto di “manere” e “mens” -- quasichè pensare e fermarsi, ossia il soggeto ferma l’attenzione sopra un oggetto – che puo essere un altro soggetto --, siano due operazioni molto affini. Veramente, tuttochè sommamente dissomiglino queste operazioni, nella loro sensibile inanifestazione esteriore s’identificano in un fatto comune, quello dell’arrestarsi – la risposta ad un stimolo. La co-scienza che fissa l’attenzione sopra un oggetto (che puo essere un altro soggetto), cerca nell’oggetto qualcosa *oltre* il sensibile immediato, quando esso oggetto non sia la funzione di una mera sensazione immanente, ma la funzione di una sensazione trascendente. Una seconda funzione del sentimento è la memoria. Mediante la memoria, una sensazione o attenzione presente si può risuscitare quando non sia più presente. La co-scienza attentiva all'oggetto studia un oggetto esteriore ed abbisogna della presenza di esso oggetto per osservarlo. Ma la memoria contiene e conserva in sè stessa l’oggetto osservato (che puo essere il ‘lo’ – l’identita personale come memoria), epperciò si costituisce in-dipendente dalla presenza del medesimo oggetto. Una terza funzione del sentimento è la imaginazione. L'imaginazione non solo conserva l’oggetto osservato, ma *crea* l'oggetto possibile che non ha osservato. Questa funzione emancipa o libera la co-scienza, non solo, come la memoria, dalla presenza dell’oggetto (s’ricorda o imagina un oggetto assente), ma anche dalla sensibile esteriore realtà del medesimo oggetto, epperciò l’imaginazione può liberamente crearsi una propria oggettività, alla Meinong. Questa facoltà crea non solo l’oggetto composto (compesso combinato) di due oggetti (obble 1 e obble 2) osservati, ossia non crea solo la mera composizione, addizione o combinazione, ma puo creare un oggetto che non consta di questo o quello elemento osservato, ma un oggetto radicalmente imaginario (un circolo quadrato, un numero imaginario) , tuttochè le semplici categorie dello spirito e della natura debbano necessariamente fornire all’imaginazione se stesse per possibilitare questa creazione imaginativa o predittiva. Il passaggio dalla coscienza senziente alla cogitante, ossia dalla bestia all’uomo, è pure una progressiva distinzione della co-scienza in soggettiva ed intersoggetiva. Qui la distinzione de soggetivita e intersoggetivita è una mera distinzione generale dell'”io” dal “non-io” (il ‘tu’). L’ “io” si suppone vivente e pensante *altro* dal non-io (il tu, in combinazione, il noi), in sè stesso parimenti vivente e pensante. La natura si rivela come un *popolo*, popolazione, aggreggato, organismo sociale, di piroti viventi e di pensanti , non si suppone ancora l'altro dal vivente-pensante, ossia il non-vivente e il non-pensante. Si suppone semplicemente l’altro dal moio lo vivente e pensante. Perciò la natura uranica, la terrestre, stochiologica e minerale, la vegetabile o l’animale si suppone distinta dal mio io, non però distinta dall’io generalmente parlando, ossia si suppone possedere un loro io analogo a quello della mia co-scienza. Esaminate la radice, ossia gli antichissimi elementi della comunicazione e troverete ogni dove segnata l'universa natura (physis) come vivente e pensante analogicamente alla mia co-scienza. Non vi troverete mai la natura morta colla sua forza cieca, governata da necessità parimenti cieca, vale a dire, la natura della riflessione. Il sentimento esplicito dalla mia co-scienza soggettiva può essere comunicato dall'uno all'altro individuo. È questa comunicazione (o conversazione, nel senso biblico) la prima proprietà per cui una idea cogitabile è distinta da una mera sensazione per definizione non-condivisibile. Nessun sistema di comunicazione puo fornire una sensazione, se questa non sia stata data dal senso (il ‘dato del senso) come tale – nihil est in communicatione quo prius non fuerit in sensu). Potrò, p. es., parlare in qualsivoglia modo di un oggetti visibile. Ma un cieco nato non puo mai ne sentire ne comprendere che sia la visibilità. Se un soggetto abbia un tempo posseduta la facoltà visiva puo, parlando di un oggetto veduto, richiamarli alla memoria quasi visibilmente presente, ma non puo mai fare che tale visione sostituisca la concreta visibile realtà colla semplice imaginazione. La prima conseguenza della co-scienza senziente che si sviluppa nella cogitante è che, siccome l’idea o concetto come tale, ossia nella forma della co-scienza cogitante, può essere *trasmessa* (il trasmesso) dal l'uno soggeto all'altro soggetto, non può essere trasmesso il senso come tale, ossia nella forma della co-scienza senziente . Cosi un soggetto è abilitato a sapere quello che non egli, ma l’altro soggetto ha percepito col senso (“Una serpe!”), oppure quello che egli in altro tempo ha percepito col senso, oppure indurre un’idea da quello che presentemente percepisce col senso. Cosi, p. es., la pecora condotta al macello *vede* macellare la sua simile e fortunatamente non solo *non* induce che sarà ella stessa macellala, ma anche non percepisce che questa presente operazione segna un'uccisione; perocchè non possiede l'idea o il concetto della morte. Cosi il soggetto pensante o intellettivo può sapere quello che il senziente non può sapere, e questo sapere nasce dalla facoltà cogitativa o concettuale, per la quale da una sensazione si astrae un’idea generale o un concetto. Cosi, per es., il soggetto pensante vive nel passato colla memoria, e nell'avvenire (possibile o reale) coll'imaginazione; il soggetto senziente, o bestia, vive astrattamente nella sua sensazione presente. In virtù della sensazione che non può essere indotta in un’idea, egli non possiede, come il pensante, la distinzione di una natura predominante ed insubordinabile al soggetto e di una natura subordinabile e passibile del soggetto. Quest’idea prototipa della forza è un’idea cardinale dello spirito, è stata il primo germe del sacro. Osservate il sacro e lo troverete Dio, non perchè sommamente ragionevole, ma perchè onnipotente. Nella religione spiritualmente più adulta rimane tultavia l'idea dell'onnipotenza, piuttosto che quella della ragionevolezza, l’attributo eminentissimo del sacro. Mediante questa passibilità il soggetto può sapere la prima volta di essere nato, di essere stato lattante, di essere stato partorito, e cosi pure può sapere che OGNI soggetto, nessuno eccettuato, non vissi oltre una certa mnassima età, ma morirono in quella o prima di quella. Conseguentemente egli sa *che* il soggetto non solo nasce (si genera) e muore (corruption), ma può nascere in varie condizioni e morire in qualsivoglia momento della sua vita. La nozione della nascita e della morte del soggetto è un fenomeno della co-scienza realizzato la prima volta che la co-scienza senzienle si svolge nella pensante; perciò sapientemente nella “Genesi” è detto che l’uomo (Adamo) prima di peccare, ossia di gustare il frutto del bene e del male, non moriva, ed avendolo gustato dovrà morire. Veramente la co-scienza senziente non può sapere di nascere e di morire; perocchè questo sapere non si sa se non sia una nozione *trasmessa* (il trasmesso) da un soggeto ad altro soggetto, ovvero un'idea indotta dal fatto costante della morte. Questa crisi della co-scienza, ci manifesta che la co-scienza, dalla sensazione svolgendosi nella mentalità , procede in un sistema di distinzioni ideali o possibile o concettuali e astratte che non sono possibili nella mera sensazione. La mentalità, che nasce dalla sensazione, è prototipicamente *imitatrice* o inconica della sensazione, e porta seco nel suo sviluppo la *forma logica* della sensazione stessa , che progressivamente si trasforma in quella del pensiero. La mentalità è prototipicamente sentiment e funziona in tre caratteristiche funzioni -- attenzione, memoria, ed imaginazione . Da queste tre prototipiche funzioni del sentimento nascono tre forme rudimentali della mentalità. La mentalità non più vive nell’immediata sensazione ma crea il conflato temporaneo, e vive nella retrospettiva del passato, e nella prospettiva dell'avvenire. Questo conflato temporaneo possibilita un'esistenza ideale oltre l’immediato sensibile presente, e conseguentemente un'idealità inducibile dall'osservazione. Da quest’osservazione nasce una seconda idea elementare della mentalità, cioè d'una forza naturale che domina la nostra, e d'una forza subordinabile alla nostra. Di qui la mentalità si esercita per subordinare le forze predominanti, e da questa generale osservazione si percepisce come un fatto costante che l’uomo nasce e muore, e finalmente che *io*, come uomo, ma no come persona, sono nato e devo morire. L'idea della morte come necessità, tuttochè sembri un’idea comunissima, è lungi dall'essere tale. La co-scienza primitiva, come quella di certi selvaggi oggidi viventi, percepisce la morte come un fatto costante. Ma, come la riſlessione, non arguisce punto che questo fatto, tuttochè costante, sia necessario. Suppongono questi selvaggi che la natura umana o sovrumana abbia sempre ucciso l’uomo. Ma suppongono parimenti che quest'uccisione non sia una necessità, ma una sfortunata accidentalità. La co-scienza che dalla sensazione si svolge nella mentalità si sistematizza in un sentimento pressochè comune alla umanità. Il soggetto possiede la sua propria determinazione individuale. Ma proprie determinazioni non affettano un sistema generale della co-scienza umana, che perciò ſu chiamato senso comune. Mentre questo sistema generale della co-scienza è pienamente uniforme al senso comune, il soggetto è un soggetto comune e spiritualmente normale. Ma quando questo sistema si aliena dal senso comune in on sistema d'idealità più misteriosa, e trascende con un giudizio prestigioso i giudizi comuni degli uomini, allora si dice, che questo soggetto è inspirato, ossia profetico, taumaturgico, e così via. Generalmente parlando, questa co-scienza trascendente subordina la comune, come provano i varii sacerdoti della primitiva religiosità  romana ed etrusca. Quando il soggetto si aliena dal senso comune senza trascendere in un'idealità prestigiosa, ed esercita una pratica contradittoria o contraria o opposta a sè stessa, ovvero incompatibile colle esigenze generali della pratica oggettività, allora si dice che il soggetto è spiritualmente ammalato, ovverosia demente. L'alienazione vuol essere accuratamente distinta, se cioè sia alienazione dal mero senso comune ( in questo senso si può dire, che tutti gli uomini grandi furono alienati), ovvero se sia una alienazione dalle generali esigenze pratiche dell'oggettività naturale e spirituale (in questo senso gli alienati sono coloro che comunemente si chiamano pazzi). La co-scienza trascendentale, ossia la co-scienza dominata dall'idealismo, co-scienza essenzialmente poetica, è il polo opposto della co-scienza dominata dalla sensazione, co-scienza essenzialmente prosaica. A quella si devono tutte le organizza zioni primitive dell'umanità , a questa si deve preferibilmente la tecnica industrialità e la mercatura primitiva. Vedremo più oltre, che la Coscienza umana progredisce sulla base di quest'opposizione archetipica della sua storia. La funzione più essenziale e più generale della mentalità è la comunicazione (il trasmesso). Il primo stadio del trasmesso è l'uso di una radice designativa – de-segna – segna. Qui io non segno che una presentazione o un modo di una presentazione, e sempre si riduce alle semplici categorie dello spazio e del tempo. Il pronome personali non fu primitivamente io e tu, e così via, categorie troppo metafisiche, per servire a questo primo stadio della lingua , ma, “qui”, “là” (Bradley, this, that, and th’other, thatness, thisness), ecc. , categorie dello spazio. Un sistema di comunicazione che consta di radici semplicemente per la che io de-segno non può soddisfare alle esigenze più generali della mentalità , epperciò da questo primo stadio si sviluppa, per l'implicita esigenza della mentalità, il secondo stadio. Il secondo stadio consta della combinazione di una radice con la che de-segno con una radice pre-dicativa, ma tuttavia legate a una sensibile determinazione; cosi, p. es., per designare un oggetto , si sceglie l'attributo sensibile più esplicito in quel l'oggetto, p.es., il verde per designar la pianta, il bianco per designer la neve. Quest’attributo sensibile, sendo necessariamente variabile o contingente nell'oggetto, non può costituire una specie. In questo secondo stadio si trovano molte lingue dei selvaggi o barbari, i quali scelgono un attributo sensibile dell'oggetto per designarlo, e conseguentemente non possono arrivare a formolare le specie o il genus o l’universale, ma semplicemente oggetti in certe sensibili condizioni . Il terzo stadio usa la categoria propria della mentalità esplicita, la categoria metafisica, per designare l'oggelto; come, p . es . , define la pianta non l'individuo verde, ma l’individuo polare, i cui poli cospirano alla luce ed all'acqua. Questa proprietà generica comprende ogni pianta; perocchè la detta polarità è l'attributo cogitabile generale della pianta. Il gesto è posseduto da ogni animale come inezzo psichico di movimenti o di formalità; ma il gesto che caratterizza la soggettività è appunto il trasmesso psichico che si svolse nella spirituale. La prima radice segna una mera affezioni dell'anima e più tardi si svolse in un segnato meta-forico, per rispondere all'esigenze della progressiva mentalità. Il rapporto fra il canale fisico *espresso* dall'anima e l'anima esprimente (segnante) è quello stesso rapporto, ma più complesso, per il quale un animale segna con un certo definite gesto certa definite affezione della sua anima. L'uomo, sviluppando in sè stesso la propria mentalità e l’inezzo per segnarla, si conobbe come specie comune. Il primo sistema di comunicazione quasi naturale deve essere stato pressochè identico in ogni umano, come ogni pecora bela, ogni cani abbaia ed urla. Dovette essere un inezzo nato con lui e trasmesso senza il minimo bisogno di convenzionalismo e di pratica convivenza per essere capita. La communicazione è stata realmente uno degli argomenti più favoriti e più frequentemente trattati dal filosofo, il quale la conosceva, ed a fondo, in molte forme antiche ed in un numero ancora maggiore di forme moderne. Egli ne ha trattato, infatti , in molte sue opere. Ne ha accennato nel primo volume della sua grande opera, cioè  Saggio circa la ragione logica di tutte le cose “Prolegomeni,, Torino, pag. 43 e ss. ( confr. anche ibid ., pag. 291 e susseguenti). Ne ha accennato anche nelle seguenti opere già pubblicale in Torino, e cioè nella Proposta di riforma sociale, pag. 26 e seg.; nella Introduzione alla cultura generale (facente parte del predetto vol.) , pag. 120 e seguenti. Ne parla poi in parecchie altre opere ancora inedite. L'uomo che possedette questo sistema di communicazione visse nelle foreste in una aggregazione o società piuttosto fortuita, poco dissimili da quelle dei quadrumani, ma si armò per esercire la caccia e la pesca. La sua nudità lo facea più fragile degli altri animali, epperciò ha dovuto sopperire a questa nudità e debolezza colle armi artificiali, e sopratutto colla propria scaltrezza. Questo primo stato dell'uomo vuol essere qui accennato come quello dell'astratta soggettività abbandonata a sè stessa; perocchè l'uomo, cacciatore o vivente dei prodotti naturali della terra e del mare, può vivere solitario. Le aggregazioni o società di questi uomini sono mera accidentalità non necessità dello stato proprio. In questo primo stato la soggettività nascente è caratteristicamente manifestata dalla perversione di certi istinti essenzialissimi alla conservazione del soggetto e della specie. Così, p. es., nessuna specie animale s'alimenta del proprio simile, ma certi selvaggi mangiano indifferentemente i loro nemici, amici, consanguinei, figliuoli, ed alimentano le donne, affinchè ingrassino e siano buone a essere mangiate quando partoriscono più figliuoli da mangiare. Quest’enorme perversione d’un istinto cosi radicale (l’affezione alla progenitura) segna quanto sia profonda la crisi che svolge l'istintualità nella mentalità. Sono certo che la quasi totalità de’ filosofi non sarà d'accordo su questo puntoe riterrà l’associazione umana come una necessità e non già come un'accidentalità . Ma l'autore, per la vita solitaria e un po' misantropica da lui fatta, è stato come involontariamente tirato a generalizzare questo suo particolare carattere. E una mentalita che si manifesta come un'orribile perversione dell'istinto, ma è una mentalità volente, non un mero modo d'ingenita istintualità. Questo titolo è quello, che nonostante la massima perversione, può nobilitare l’uomo antropofago sopra la bestia istintualmente tutrice della prole. Cosi pure, relativamente al soggetto individuo, l'uomo selvaggio o barbaro in procinto di essere cattivato dai suoi nemici, può suicidarsi, la bestia non mai (penguino?). L'istinto della propria conservazione individuale è un istinto comune a tutti i viventi nella natura, come pure quello della conservazione della propria specie non offre eccezione veruna nel regno della natura. Le sole eccezioni a questo fenomeno generalissimo della vita si trovano fra gli animali pensanti come il penguino. Tuttochè qui dobbiamo parlare del soggetto della natura, astratto da qualsivoglia organizzazione necessitata dalla sua condizione, abbiamo parlato di tre stadii caratteristici della comunicazione, come quella che può essere comunicata da soggetto a soggett, senza convenzione, indipendentemente dall'organizzazione sociale fra soggetti o dalla nessuna organizzazione. La comunicazione appartiene cosi al soggetto solitario (il Deutero-Esperanto di Grice ch’inventa al bagno) come al soggetto socievole, e generalmente al soggetto solitario che profitta segnatamente delle occasioni dell’amore. L’uomo solitario pratica qualche volta questo rapporto colla femmina come un mero rapporto erotico occasionale. Abbandona la femmina alle conseguenze della fecondità, non conosce i suoi figliuoli che sono allattati, nudriti ed educati dalla madre. Ma la comunicazione, che persuase la copula dell'amore, è la medesima colla quale la madre educa i suoi figliuoli. Cosi la comunicazione può dirsi radicalmente una creazione della specie ed assume dignità ed ha il suo svolgimento nella storia universa della spiritualità. Si può dire in tesi generale che la comunicazione genera la storia nella sua più semplice elementarità; e dallo svolgimento della lingua si conosce lo svolgimento dell'umana mentalità e conseguentemente, delle gesta che ne sono conseguite.  Nel 1884 mi furono mandati a casa, in Torino, dal benemerito libraio Loescher tre grossissimi volumi intitolati Paselogices Spe cimen Theoo editum . Intri, etc. Un filosofo di nome Teofilo Eleutero era a tutti ignoto ; e non fu poca la mia mera viglia nel vedere come un'opera filosofica così voluminosa, scritta e stampata in latino, avesse potuto sfuggirmi; giacchè, come adesso ancora nella mia tarda età , specialmente allora ho sempre seguito con vivo interesse il movimento filosofico . La curiosità quindi di sapere chi egli fosse, e qual valore avesse, mi fe' tosto gittare gli occhi sul primo volume che portava la designazione di Prolegomena, e che, come subito vidi , era una Introduzione, o Propedeutica che voglia dirsi , a tutta l'opera. La mia meraviglia crebbe dopo la lettura delle prime pagine del volume, tanto più che ad essa si congiunse il sentimento del l'ammirazione: sentimento che col proseguimento della lettura di venne un vero entusiasmo. Io mi trovava dinanzi ad un hegeliano, e, per giunta, un hegeliano di alto ingegno e di larghi propo siti: i quali propositi erano nientemeno che quelli di una Riforma dell'hegelianismo mediante principii dell'hegelianismo stesso. Comunicai la mia impressione e il mio entusiasmo al signor Loescher, il quale m'informò che l'autore dell'opera era un intrese, di nome Pietro Ceretti , dalla cui figlia aveva ricevuto l'esemplare dell'opera che mandò a me per prenderne conoscenza. L'impres sione e l'entusiamo potettero ancora, per mezzo della figlia , essere comunicati al filosofo, che era già assai infermo e che poco di poi morì della malattia che da parecchi anni lo travagliava, la paralisi progressiva. Io continuai , naturalmente , a leggere e stu diare la preziosa opera , ed è di essa che accennerò maggiormente in questo ricordo del filosofo , essendo essa indubbiamente il maggior titolo del valore e della posizione filosofica del medesimo. Senonchè, a render meno incompiuto il ricordo, mi si conceda che rilevi alcuni altri particolari della sua complessa personalità . Per cio che concerne biografia e bibliografia mi limiterò alle poche notizie seguenti . Nato il 1823 , e assolti bene o male, anzi piuttosto male che bene, i primi elementi della sua istruzione, cominciò a trarre qualche profitto in un Collegio di Gesuiti a Novara , ove fu qualche tempo , uscendone il 1840. È una singo lare circostanza questa, che un uomo che ebbe sempre uno spirito non solo diverso, ma anche opposto a quello de' Gesuiti, avesse proprio da questi avuto il primo impulso e il primo profitto agli studi Ma un profitto maggiore e un vero inizio di studi serii IL FILOSOFO PIETRO CERETTI 29 furon da lui fatti a Firenze, ove si recò subito dopo, mettendosi in relazione cogli uomini del famoso Gabinetto Viessieux e con sacrandosi tutto agli studî' di lingue, lettere e scienze. Quanto a lingue, tra il tempo che fu a Firenze e gli anni che immediatamente seguirono , ne apprese parecchie tra antiche e moderne, allo scopo non solo di legger libri negli idiomi ori ginali, ma anche di viaggiare, per prender diretta notizia di uo mini e cose. Infatti, cominciò subito a viaggiare percorrendo in lungo e in largo non solo l'Italia, ma anche la Svizzera, la Francia, la Germania , l'Olanda e l'Inghilterra. Gli studî che fece nella prima giovinezza si allargarono e di vennero più intensi , quando dopo i viaggi si ritirò nella nativa Intra, nella quale accanto agli studi cominciò anche a scrivere opere di vario genere, segnatamente filosofiche. Nella sua carriera di scrittore passò per varie fasi, che io ( nella mia opera intitolata Notizia degli scritti e del pensiero filo sofico di Pietro Ceretti) ho designate e descritte come fase poe tica , fase filosofica in genere ed hegeliana in ispecie, fase di tran sizione, fase utopistica e riformativa della società civile , e fase ultima del pensiero cerettiano, la quale è quella del così detto si stema contemplativo. Ad ognuna di queste fasi corrispondono opere, e non poche, che si muovono nell’orbita del pensiero cerettiano gradatamente svolgentesi ed esprimentesi in essa. Le quali opere, se si consi dera il complesso di esse tutte, costituiscono una massa addirittura ingente , che versa su tutte le parti dello scibile. Ceretti , infatti, fu un pensatore e scrittore veramente universale. Tanto per dare una idea della predetta massa di scritti , ricor derò innanzi tutto quelli che si riferiscono alla fase poetica, la quale gli scaldò tanto la mente ed il cuore, che gli fe ' dire : Cari poeti, voi dell'alma mia Foste il primo verissimo Messia . Ad essa appartengono le opere poetiche (di genere romantico ): Eleonora di Toledo ; il Prometeo ; il Pellegrinaggio in Italia ; le Poesie liriche : inoltre, queste altre (di genere giocoso, satirico e filosofico e scritte anche in tempo posteriore alla giovinezza) , le Avventure di Cecchino, e le Grullerie poetiche. A queste opere scritte in versi se ne potrebbe aggiungere un'altra scritta in prosa e pur facente parte di questa prima fase , cioè quella intitolata Ultime Lettere d'un profugo e costituente un romanzo sul genere del Werther di Goethe e del Jacopo Ortis di Foscolo. Questa prima fase nella quale la mente del Ceretti è ancora incomposta ed in via di formazione – è caratterizzata dall'aspira zione di lui ad incarnare in sè stesso i pensieri e i sentimenti de' grandi uomini del suo tempo e di quello che immediatamente 30 COENOBIUM 1 lo precede. Il che egli stesso riepiloga ed esprime dicendo : « In giovinezza io fui innamorato e delirante alla Werther, patriota furibondo alla Jacopo Ortis, stravagante alla Byron , dolorante alla Leopardi , misantropico alla Rousseau , satanico alla Voltaire, ateo materialista alla La Mettrie, e finalmente miserabile alla mia propria maniera » . Alla seconda fase, che contiene il pensiero filosofico più emi nente e più compiuto del Ceretti , appartiene -- oltre ad un primo abbozzo di opera intitolata Idea circa la genesi e la natura della Forza — la grande opera latina predetta Pasælogices Specimen . Il pensiero filosofico di tal fase ha il fondo hegeliano, ma però da lui riformato. Le ultime fasi del pensier cerettiano costituiscono poi una ulteriore deviazione tanto dal pensiero hegeliano in genere, quanto dall'istesso pensiero hegeliano da lui riformato ed esposto in que st'ultima. Come prima deviazione e ad un tempo come transi zione alle fasi susseguenti si possono considerare la Sinossi del l'Enciclopedia speculativa ; le Considerazioni sul sistema della Na tura e dello Spirito ; l'Insegnamento filosofico : le quali opere hanno ancora spiccatamente il carattere di filosofia teoretica ed enciclopedica. La nota principale della suddetta deviazione è che al Logo assoluto, il quale nella grande opera latina diviene il principio cerettiano riformativo dell'Idea hegeliana, viene più de terminatamente e accentuatamente sostituito il principio della Co scienza assoluta, Coscienza, che , a dir vero, era già apparsa nella stessa opera latina . Quale ulteriore deviazione , ma specificamente appartenenti alla fase utopistica riformativa della società civile , vanno ricordate le opere intitolate Sogni e favole e Proposta di una riforma civile . Oltre ad esse, vanno ricordate anche queste altre , le quali però sono scritte in forma di romanzi, cioè , i Viaggi utopistici ; l'Inconclu dente ; Don Simplicio ; Don Gregorio ; il Protagonista , e qualche altra . La deviazione massima è in quegli altri scritti , che rappre sentano più spiccatamente l'ultima fase , nella quale il Ceretti per viene ad una specie di subbiettivismo nullistico, da lui designato, come è detto , col nome di sistema contemplativo. I pensieri di quest'ultima fase appaiono in parecchi altri scritti dell'ultimo tempo di sua vita , come per esempio, per nominarne alcuni , nella Vita di Caramella e nelle Memorie postume. Ma gli scritti mentovati delle diverse fasi , benchè già nuinerosi, non costituiscono neppur gli scritti tutti del filosofo d'Intra, es sendovene una quantità ancora notevole , che possono esser nomi nati scritti varii ed ai quali appartengono: Biografie, Autobio grafie (tra queste , notevolissima, La mia Celebrità ), Commedie, Novelle morali, ecc. e persino un Trattato d'Astronomia e un Trattato di Medicina. Come vede il lettore , quella che io chiamava una ingente IL FILOSOFO PIETRO CERETTI 31 massa di scritti , e versante sulla universalità dello scibile , non è una denominazione esagerata, ma interamente reale. E ciò basti a dare una idea sommaria degli scritti del filosofo intrese . Per cio che concerne il filosofo propriamente detto , egli va considerato rispetto al corso della filosofia in genere ed al periodo filosofico idealistico tedesco in ispecie , nel qual periodo si riat tacca alla maggiore manifestazione speculativa del medesimo, che è la hegeliana. Egli si apparecchiò a pigliare il suo posto in quest'ultima, con uno studio e conoscenza non comune, primamente delle varie discipline dello scibile, sopratutto di quelle concernenti la Storia universale e le Scienze positive e naturali d'ogni specie ; seconda mente, di quelle attinenti alla filosofia propriamente detta . Rispetto a quest'ultima, è veramente ammirabile l'opera del nostro filosofo, che – dopo i suoi profondi studi sui filosofi delle diverse età (non esclusa quella stessa della filosofia indiana ) e in genere ne' testi originali de ' medesimi ne ha dato un saggio no tevolissimo egli stesso nel primo volume della sua opera latina, cioè ne' mentovati Prolegomeni. Ma nella Storia della filosofia uno de' periodi che egli più ha studiato e conosciuto è il predetto periodo filosofico tedesco sì ne' filosofi massimi di essa, come Kant, Fichte, Schelling ed Hegel , si ne' secondarii e pur importanti del medesimo, come Herbart, Schopenhauer ed altri . In questo periodo era naturale che quello che massimamente attraesse e legasse il suo spirito fosse Giorgo Hegel , siccome quello che compendia in sè, primamente la Storia filosofica generale e, in secondo luogo, lo stesso speciale periodo tedesco. Hegel, in fatti, è da lui considerato come quello che ha raggiunta la più alta forma di speculazione nella scienza filosofica, sopratutto nella disciplina logica . Considerando il filosofo tedesco in tal modo, è naturale che egli nel complesso ne accogliesse le idee e si riattaccasse a lui . Senonchè, pur accogliendole, non le riteneva scevre di vizii o errori che voglian dirsi . In conseguenza di ciò egli si propose da una parte , di additare questi vizii , dall'altra, di correggerli . E la correzione, che costituiva per lui una riformazione dell'hegelianismo, non è poi altro che la filosofia cerettiana stessa , quale è conce pita ed esposta nella predetta grande opera latina. Ciò posto , seguiamo ora tal pensiero filosofico cerettiano ne suoi tratti fondamentali. Primamente, accogliendo l'hegelianismo come la predetta su prema manifestazione della coscienza filosofica, ei l'accoglie nel general fondo e pensiero del medesimo, fondo e pensiere, che ven gono da lui riassunti ne' seguenti principii generali : 1 ° L'assoluto è l'Idea ; 2 ° l'Idea concreta è lo spirito ; 3° l'essenza concreta ed asso luta dello Spirito è l'Idea logica. Inoltre, l'evoluzione dialettica del l'Idea , nella quale evoluzione consiste il processo metodico di 32 CENOBIUM quest'ultima , avviene e deve avvenire secondo la Nozione, ossia secondo il Concetto , come dice Hegel (dem Begriffe nach ). Rispetto a tali principii designati come hegeliani non che come veri e inoppugnabili, e quindi da lui stesso accolti, va però osservato, che di essi non può essere ritenuto come schiettamente e veramente hegeliano il terzo ; giacchè, secondo Hegel, l'essenza concreta ed assoluta dello Spirito non è l'Idea logica. Questa è per Hegel l’Idea pura e semplice soltanto, e però immediata ed astratta , non ancora dialetticamente esplicata e , mediante l'espli cazione, fatta concreta. L'essenza assoluta e concreta dello Spirito è per lui invece l’Idea che da puramente e semplicemente logica ( da Idea logica ) si è estrinsecata nella Natura (cioè si è fatta Idea naturale o Natura) , e, attraverso di questa , è giunta a coscienza di sè, ossia è divenuta spirituale , o, che vale lo stesso , è divenuta Spirito. In altri termini, l'essenza concreta assoluta dello Spirito è la Coscienza dell'Idea, ovvero è l'Idea conscia di sé, mentre l'Idea logica hegeliana è ancora inconscia. Per cio che concerne i mancamenti e vizii della dottrina he geliana, essi , secondo il Ceretti concernono l'evoluzione dialettica dell’Idea , o , che vale lo stesso, concernono l'Idea nel suo pro cesso ( esplicazione) dialettico. Un primo vizio generale in tale evoluzione è per lui quello che nella logica hegeliana concerne il Prius e il Risultato dell'Idea. Notoriamente per Hegel, benchè l'Idea sia , da una parte , il prin cipio universale assoluto, e, dall'altra il principio iniziale dell'evo luzione dialettica assoluta, principio iniziale che farebbe come il Prius ideale dialettico , pur non di meno pel filosofo tedesco il vero Prius dell'Idea non è questo iniziale , ma quello finale a cui l'Idea perviene come Risultato del processo dialettico , risultato finale che è propriamente lo Spirito, ossia l'Idea pervenuta a co scienza di sè. È per questo che Hegel sostiene che il vero Prius non è l'Idea logica, ossia l'Idea pura ed estratta , ma lo Spirito, che è l'Idea che col processo dialettico si è fatta veramente reale e concreta. Or questo Prius che Hegel pensa e pone come vero è invece dal Ceretti ritenuto falso, perchè pensato ed ottenuto secondo un procedimento dialettico prestigioso e sconforme al vero ordine lo gico , che deve avere e seguire il Logo ( Logo che, come tosto si vedrà , è il principio specifico assoluto cerettiano sostituito alla Idea hegeliana) . Accanto a questo vizio generale , egli trova e addita vizii particolari affettanti l'Idea come logica naturale e spi rituale. I vizii spettanti all'Idea logica e al corrispondente processo dialettico sono tre e da lui stesso brevemente indicati come segue: Il primo è che nell'esplicazione dialettica dell'Idea logica la genesi di questa sia « una genesi della Nozione dalla Non-Nozione » . Il secondo è che l'esplicazione dialettica dell' Idena logica è piut tosto un'astratta esplicazione delle categorie, anzichè un concreto IL FILOSOFO PIETRO CERETTI 33 un ri immanente processo di esplicazione ed implicazione. Il terzo è che il processo dialettico dell'Idea logica hegeliana è piuttosto un Logo astratto astrattamente esplicantesi e riassumentesi in sultato , anzichè la sanzione ( o affermazione) di sè stesso nella con creta immanente ed assoluta verificazione della propria posizione, dialettica e riassunzione ( 1 ) . Il primo de' tre vizii indicati, riproducendo il mentovato ge neral vizio del Prius, ei lo determina meglio designandolo come processo inconscio dell'Idea logica, processo che Hegel pensa appunto come inconscio ed il Ceretti pensa e vuole invece come conscio. E può dirsi che su tal coscienza dell'Idea logica poggia il punto cardinale della differenza dell'Idea hegeliana dal Logo cerettiano. Quanto al vizio concernente l'Idea naturale, esso è in grosso quello stesso dell'astrattezza, testè rilevato , o , che vale lo stesso , della non raggiunta realtà dell'Idea nel farsi naturale. Infatti, dice egli , l'Idea logica , estrinsecandosi e divenendo Natura, rimane in quello stato astratto e puramente e semplicemente ideale che ha come Idea logica, e non giunge a veramente naturarsi, com'ei dice , cioè a farsi vera realtà naturale. E finalmente, quanto allo Spirito , od Idea hegeliana spirituale, il filosofo intrese vi trova il vizio di quella stessa prestigiosità speculativa ( speculativa prestigiositas ), che ha trovata e rilevata per la Logica. Ed osserva, per giunta, che il general vizio in nanzi mentovato dell'Idea hegeliana, che cioè essa sia un Risul tato, diviene più specifico nello Spirito, in quanto questo , conce pito da Hegel come l'Idea che dal suo Esser-altro ( cioè dalla sua esistenza naturale ) ritorna a sè stessa , ha appunto il carattere speciale di essere un Risultato e non una realtà , a dir cosi , ori ginaria. Accanto ai predetti vizii fondamentali concernenti l'Idea nelle sue varie forme, logica , naturale e spirituale , ne rileva alcuni altri secondarii; ma noi , limitandoci alla indicazione de ' fonda mentali, passiamo ad indicare le corrispondenti emendazioni di essi . Preposto che alla Idea hegeliana egli in genere sostituisce il Logo, principio universale ed assoluto anch'esso, la prima generale emendazione, concernente il Prius ed il Risultato dell'Idea innanzi esposti , è fatta dal Ceretti nel senso che il Logo è oiginariamente conscio e non già tale per risultato. Rispetto ai tre vizii dell'Idea logica propone come emendazione ( 1 ) Mi piace di riferire colle stesse parole latine del Ceretti il predetto triplice vizio : cioè , « Hegelianæ logicæ tractationis defectuositas, in exitu prolegome norum designata , est primo, quatenus notionis a non-notione progenesis ; secundo, quatenus categoriarum abstracta explicativ, potiusquam concreta explicationis et implicationis immanens contraprocessuosilas ; tertio , quatenus abstractus er plicativce dialectica logus in abstracta resumptione, potiusquam in concreta positionis, dialectica et résumptionis immanente absoluta verificatione suun ipsum sanciens » . Pasael. Spec. vol . II , p. 6 . CENOBIUM , Vol. III, Anno II, Marzo - aprile 1908. 3 34 CENOBIUM e però riformazione, che il primo venga emendato mediante il principio della generale coscienza logica della Nozione od Idea hegeliana : il che importa che il Logo sia una Nozione ( Idea) che si genera dalla Nozione stessa e non già dalla Non-nozione ( No zione inconscia) . La emendazione di questo primo vizio coincide in grosso anche colla generale emendazione predetta del Prius e del Risultato. La emendazione del secondo vizio è dal nostro filosofo otte nuta col propugnare ed effettuare che la genesi delle categorie logiche non avvenga secondo un processo astratto di sola espli cazione , ma secondo un processo concreto di esplicazione ed im plicazione insieme : nel qual processo concreto i momenti astratti di esplicazione si negano come astrattamente tali ed affermano perciò la loro unità . Il terzo finalmente viene emendato, pensando e determinando il Logo assoluto in guisa che esso non rimanga un momento astratto di riassunzione ( risultato) , ma che divenga assoluta ed immanente affermazione (sanzione) di tutto il corso esplicativo , costituendo così un processo e controprocesso, in cui ogni mo mento è unità dell'astratto e del concreto. Quanto ai vizi relativi all'Idea naturale hegeliana , la emenda zione ( stata già implicitamente accennata nella critica fatta di essi ) consiste in quella che il Ceretti appella la naturazione del Logo. E cioè, mentre Hegel concepisce la Natura siccome l'Idea ritornante a sè stessa dal suo Esser- altro (dalla sua esternazione ed alterazione) , il Ceretti invece pensa che la Natura non è sol tanto ciò , ma è e dev'essere reale naturazione del Logo, ossia reale incarnazione ed obbiettivazione del medesimo. E da ultimo, quanto all'emendazione del vizio dell'Idea spi rituale, essa nel complesso è quella già rilevata nella critica fatta del vizio , e consiste nel concepir la medesima, ossia lo Spirito , siccome Logo originariamente conscio e non divenente tale per risultato d'un processo. Le predette generali e fondamentali emendazioni , accanto ad altre subordinate e secondarie , son quelle che nella esposizione ed esecuzione delle Idee filosofiche costituiscono la filosofia cerettiana riformativa della hegeliana , e filosofia riformativa che forma il contenuto della più volte mentovata grande opera del Ceretti , intitolata Saggio di Panlogica. Questo Saggio è un'opera veramente colossale ed è l'enciclo pedia filosofica cerettiana , modellata sulla nota corrispondente En ciclopedia hegeliana ( Encyclopädie der philosophischen duissen schaften) in tre volumi. Il Ceretti concepì la propria Enciclopedia vasto disegno da assolversi in otto volumi : il primo (i prolegomeni) come propedeutica a tutta l'opera, propedeutica che ad un tempo contenesse in germe il pensiere della stessa Enciclopedia ; il secondo contenente ( col nome di Esologia ) l'e sposizione della Logica e Metafisica ; il terzo, il quarto , ed il una con un IL FILOSOFO PIETRO CERETTI 35 quinto ( col nome di Essologia ) costituenti la trattazione ed espo sizione della filosofia della Natura nelle sue tre parti della Mec canica, della Fisica e della Biologia (od Organica) ; il sesto, il settimo e l'ottavo (col nome di Sinautologia ) designati a trattare la Filosofia dello Spirito, distinta anch'essa in tre parti denomi nate Antropologia, Antropopedeutica ed Antroposofia . Di questa vasta concezione ed esecuzione il principio fonda mentale ed assoluto è il Logo, che il lettore vede essere in fondo alla Esologia, Essologia e Sinautologia : Logo che, come si è detto , in Ceretti piglia il posto e la generale significazione del l'Idea di Hegel. Il Logo Cerettiano, come quest'ultima, è l'uni versa ed assoluta realtà , e realtà con preminente carattere ideale , comprendente in sè la realtà logica, la naturale e la spirituale. Per tal carattere anche la filosofia cerettiana è idealismo ; tanto più veramente assoluto , in quanto , non meno e forse ancor più dell'hegeliano, abbraccia in sè in complessiva unità tutte le forme di Idealismo apparse nel corso storico della filosofia, si in generale le antecedenti all'Idealismo tedesco , si in modo più speciale quelle di quest'ultimo , cioè gli Idealismi subbiettivi Kantiano e Fichtiano , l'Idealismo obbiettivo Schellinghiano , non che lo stesso Idealismo assoluto Hegeliano. Questo carattere di universalità ed assolutezza dell'Idealismo cerettiano è una delle cose più spiccanti , più notevoli ed anche più rilevate dell'Enciclopedia filosofica del filosofo intrese. Quanto al principio assoluto del Logo , va parimenti rilevato , che , per la natura conscia del medesimo innanzi additata, esso vien dal Ceretti designato anche come puramente e semplicemente Coscienza : per modo che Coscienza e Logo ricorrono quasi pro miscuamente nella Enciclopedia cerettiana ed anche in altre opere posteriori) come espressive e determinative del principio assoluto. È bene , inoltre, rilevare che tal principio assoluto e dal nostro filosofo anche puramente e semplicemente detto l'Assoluto, il quale corrisponde in tutto e per tutto al Logo e alla Coscienza consi derati come assoluti . Ciò fa intendere come pel Ceretti l'elemento conscio costitui sce il carattere essenziale del suo principio assoluto , ossia del suo Logo in tutto il suo ambito , mentre per Hegel l'elemento conscio è caratteristico e specifico dello Spirito propriamente detto, ossia dell'Idea giunta a coscienza di sé . Ciò farà, d'altra parte, pari menti intendere come il filosofo intrese ponga come riformativa dell'hegelianismo la proposizione : L'Assoluto è la Coscienza . Per cio che concerne la designazione del principio assoluto, rilevo ancora che, ad esprimere il predetto principio assoluto, egli adopera tante altre volte anche le parole Idea, Nozione, persin Pensiere , come Hegel. Ma, se le espressioni son varie, il senso e valore fondamentale del suo principio è quello del Logo pen sato come Logo conscio o Coscienza (assoluta). Conformemente a ciò ( e in grosso conformemente all'hegelia 36 CENOBIUM con nismo) il Logo vien pensato nella sua intrinseca natura e nel suo processo dialettico. Nella sua natura il Logo vien considerato in tre diverse forme di esistenza, cioè, quale è in sè, quale è per sè, e quale è in sè e per sè. La considerazione del Logo in sè stesso costituisce la predetta Esologia (da sis, és, dentro e hópos) , ossia la dottrina logico- metafisica del Logo ; quella del Logo fuori di sè costituisce la Essologia ( da few fuori, in latino Exologia) , ossia la dottrina ( filosofica ) della Natura ; e quella del Logo in sè e per sė, o come il Ceretti la dice , del Lago in sè e con sè, costituisce la Sinautologia ( da suv e autos, con stesso ), ossia la dottrina dello Spirito . Degno di rilievo è inoltre che il Logo in sè pel filosofo in trese è il Logo nella sua Subbiettività, il Logo fuori di sè è il Logo nella sua Obbiettività, e il Logo in sè e sè il Logo nella unità della sua Subbiettività e della sua Obbiettività, ossia è il Logo subbiettivobiettivo, che è poi il Logo assoluto. È bene parimenti rilevare che come il Logo per lui è per eccellenza il Logo conscio , il quale è poi lo Spirito o la Coscienza , così si de signano egualmente lo Spirito e la Coscienza nella loro Subbiettività, nella loro Obbiettività, e nell'unità della Subbiettività e dell'Ob biettività. Il predetto triplice modo di essere della natura del Logo soggiace ad un processo esplicativo , che costituisce il pro cesso dialettico , appellato anche metodo dialettico. Questo pro cesso metodico ha , tanto per Hegel quanto per Ceretti , tre mo menti anch'esso. Questi momenti, che il filosofo tedesco appella comunemente dell'in sè , del per sè e dell'in sè e per sè , dando loro il valore e significato di momento immediato o intellettivo ( della speculazione dell'Idea ), di momento mediato o razionale negativo , e di momento immediato e mediato insieme, o razionale positivo, vengono invece dal Ceretti appellati ( nel complesso però con valore e significato simili a quelli di Hegel) momenti della Posizione, Riflessione e Concezione. La posizione , come la parola stessa indica, ha il valore e significato di quella che comunemente ( in Fichte , Schelling ed Hegel) , ricorre come tesi , mentre la ri flessione ha significato e valore di contraddizione ( opposizione, an titesi ) e la Concezione significato e valore di conciliazione degli opposti, sintesi della tesi e dall'antitesi. La triplicità delle forme di esistenza del Logo ( quelle di Eso Jogo , Essologo e Sinautologo con le corrispondenti dottrine di Esologia, Essologia e Sinantologia) costituisce per Ceretti i tre Cicli di quest'ultimo. Cicli che , mentre son tre , pur ne costitui solo sotto triplice forma : costituiscono cioè il Logo assoluto unitrino . Un altro punto pur degno di rilievo e caratteristico è il modo come Ceretti determina la considerazione filosofica o speculativa de tre Cicli . La considerazione del primo, ossia dell'Esologia , è per lui il pensiero del Pensiero ( cogitatio cogitationis) quella del scono un IL FILOSOFO PIETRO CERETTI 37 ma secondo o dell'Essologia è il Pensiero del Pensato ( cogitatio cogi tatis ), e quella del terzo, o della Sinautologia, è il Pensiero del Pensante ( cogitatio cogitantis ). Anche nell'hegelianismo il Pensiero assoluto è identificato col l'Idea assoluta, in quella guisa che il Ceretti identifica parimenti il Pensiero assoluto col Logo assoluto. Però nella espressione e determinazione cerettiana la cosa ha un significato più specifico, e propriamente questo , che cioè l'Esologia è la considerazione del Pensiero in sè stesso , del pensiero puro hegeliano e potrei an che soggiungere, della ragion pura kantiana ; l'Essologia è la considerazione del Pensiero del Pensato , cioè del Pensiero non più in sè, puro ed astratto , del Pensiero estrinsecato ( fatto per sè ) , obbiettivato ; e la Sinautologia la considerazione del Pen siero del Pensante, cioè del pensiero come esistente ed esercitan tesi nel subbietto pensante. Potrei dire che la predetta triplice considerazione è quella del Pensiero puro e semplice, quella del Pensiero come obbietto di sè medesimo ( estrinsecatosi fuori di sè nella Natura ), e quella del Pensiero astratto ed operante come proprio subbietto ( nella Coscienza del pensiero stesso o nello Spirito ) . Dopo le antecedenti generalità , passiamo a considerare parte per parte il Logo nelle sue tre forme di esistenza nella logico metafisica ( Esogia) , nella naturale ( Essologia) e nella spirituale ( Sinautologia ). La dottrina logico -metafisica, conformemente alla hegeliana, è pur distinta in tre parti che anche per lui , come per Hegel , son quelle dell'Essere, dell’Essenza e del Concetto : solo che queste nel filosofo tedesco si susseguono nel modo indicato e nel filosofo intrese mutan posto , diventando primo il Concetto , secondo l'Es sere e terzo l’Essenza . Questo mutamento di posto nella serie porta poi naturalmente con sè un corrispondente mutamento nel processo dialettico. Le dottrine di queste tre parti così spostate hanno in Ceretti i nomi speciali di Prologia, Dialogia e Autologia . La prima con sidera il Logo esologico, o logico -metafisico, nella astratta iden tità del Pensiero , la seconda nella differenza di esso , e la terza nella unità sintetica dell'identità e della differenza del Pensiero stesso. Non credo che il nostro filosofo abbia avuto giusta ragione d'invertire l'ordine de' tre principii fondamentali predetti . Ma, checchè sia di ciò , è bene di allegare la ragione dell'invertimento da lui ritenuto razionale e necessario . La quale, a suo credere , è che per il Logo conscio, o che vale lo stesso, per la Coscienza il primo ( Prius) prologico ( cioè il primo con cui deve cominciar la logica) non dev'essere nè indeterminato , come sono l'Essere di Hegel e di Rosmini, nè determinato , come sono l'Io di Fichte e la predetta Ragione di Schelling , ma dev'essere lo stesso Prius, nel quale sieno implicitamente contenute tanto la indeterminazione 38 COENOBIUM quanto la determinazione. E un sì fatto Prius pel Ceretti è la Proposizione, che è il primo ed iniziale momento della sua Pro logia, il quale è più primitivo e più semplice del Giudizio che ne costituisce il secondo, al quale poi segue il terzo unitivo de' due primi, che è il Sillogismo. Quanto alla natura de suddetti momenti della Prologia, la Proposizione è la immediata ed indistinta coscienza logica, la quale , appunto per la sua indistinzione, non è nè subbiettiva nè obbiettiva . Il Giudizio invece è la coscienza logica, che dalla indistinzione od indifferenza si esplica e passa nella subbiettività ed obbiettività di sè medesima. E da ultimo il Sillogismo è la subbiettività della coscienza logica , la cui attività consiste nell'e splicare se stessa , esplicazione di sè stessa , che in fondo è poi una obbiettivazione della subbiettività. Dato tal concetto generale de' momenti della Prologia , il nostro autore passa a considerare e determinar ciascuno in se medesimo, ed inoltre secondo il predetto processo metodico trico tomico della Posizione , della Riflessione e della Concezione. Conformemente a ciò , distingue la Proposizione in posta, ri flessa e concepita ; e in posto, riflesso e concepito, distingue e de termina parimenti sì il Giudizio che il Sillogismo. La trattazione ed esposizione di ciò è amplissima, specialmente quella del Sillogismo ; ed è non solo amplissima, ma anche note volissima per le molteplici determinazioni logiche ed ontologiche non che illustrazioni ed applicazioni d'ogni genere alle diverse parti dello scibile e della stessa realtà . La trattazione è di tanto interesse che è degnissima di esser presa da ognuno in considerazione anche oggi alla distanza di una sessantina d'anni, dacchè fu pensata ed esposta . Non potendo entrare nelle particolarità a far intendere il pensiero cerettiano sì nella concezione de' momenti della predetta Prologia sì nel passaggio da questa alla Dialogia, allegherò un luogo nel quale l'autore lo riepiloga, e che è questo . « Il pen siero prologico ( 1 ) , uscito (passato) dalla sua generalità formale ( cioè dalla proposizione) colla particolarità formale della sua gene ralità ( cioè col giudizio) nell'unità formale della sua generalità e della sua particolarità ( cioè nel sillogismo ), si concepisce come sistema metodico della razionalità, ossia come forma assoluta delle forme. La forma sillogistica delle forme pensabili insegna che il pensiero è essenzialmente il sistema di sè, e non v'è sistema all'in fuori del sistema del pensiero, poichè l'altro del pensiero non può essere fatto (posto ) da altro che dal pensiero. Inoltre, insegna che il sistema assoluto del pensiero è il sillogismo giudicativo della proposizione, perciò l'Assoluto non può esser concepito altrimenti ( 1 ) Cosi a pag. 125 della Ragione Logica di tutte le cose , vol . II Esologia , nella versione dal Latino di Carlo Badini, Torino, 1890. IL FILOSOFO PIETRO CERETTI 39 che nella forma sillogistica ; questa concezione porta con sè la ne cessità logica di sè , poichè è la Nozione della Nozione. Il sillogi smo assoluto , come prologico , non è più che la formalità ( la forma assoluta del Logo, la quale invoca l'essenzialità assoluta di sè da esplicare in sè da sè stesso . Quindi il sillogismo passa dalla sua subbiettività assoluta ad esplicare la sua obbiettività im plicita assoluta ; questa obbiettività è la verità della subbiettività sillogistica assoluta » . Ciò posto , quella che ora effettua il passaggio e progresso dalla forma e dalla subbiettività del Pensiero alla essenzialità ed obbiettività del medesimo è la Dialogia, che per eccellenza è la dottrina delle categorie logiche del Pensiero. Corrispondendo la dottrina dialogica cerettiana alle dottrine logiche hegeliane dell'Essere e dell'Essenza prese insieme, ne segue che le categorie, onde qui è parola , sono in grosso quelle che ricorrono nelle predette due dottrine hegeliane. Quanto al concetto della categoria e alla funzione logica della categorizzazione, sono importanti queste parole del filosofo intrese : « La categoria , dic'egli ( 1 ), è propriamente la predicazione del Pensiere fondata dallo stesso pensiere come necessaria ; e la cate gorizzazione del Pensiere è l'atto più nobile della speculazione filo sofica e la più alta concezione dal Pensiere umano Nè meno im portanti in proposito sono gli additamenti ch'egli fa intorno alla evoluzione storica delle categorie presso i diversi filosofi e corri spondenti scuole che spiccano intorno ad esse . Per cio che concerne le categorie trattate e sviluppate nella Dialogia, le fondamentali son quelle dell'Essere, dell’Essenza, e del l'Esistenza, come costituenti la triplicità dialogica per eccellenza ; e da queste fondamentali se ne sviluppano altre costituenti mo . menti subordinati, ma non meno importanti. L'Essere, infatti, è da prima il Logo generale ed indeterminato (est Logus Conscentiæ generalis) , ma esso si particolarizza e de termina in sè medesimo in ulteriori principii categorici. Per esem pio, si distingue e particolarizza come qualitativo, quantitativo e modale, sorgendo così le categorie della qualità, della quantità e della modalità (misura ). Ed inoltre l'Essere nella sua stessa gene rità ( innanzi alla predetta particolarizzazione dunque) è essere , non essere e divenire ( esse , non - esse , fieri); come, d'altra parte , le categorie della qualità, quantità e modalità alla lor volta si distin guono e particolarizzano in altre. Chi conosce la logica di Hegel vede subito nelle predette ca tegorie cerettiane la simiglianza con le corrispondenti hegeliane ; ed è forse questa la parte , nella quale il Ceretti si tiene più da vicino a quello ; mentre in altre parti vi sono non poche dissi miglianze. ( 1 ) Nel predetto citato volume della Esologia , pag . 132 . 40 COENOBIUM ecc. Dall'Essere il processo dialogico conduce alla seconda cate goria fondamentale predetta, cioè alla Essenza la quale non è altro che la particolarizzazione dello stesso Essere ( Esse suam absolutam particolaritatem adeptum est Essentia ). Ciò che si è detto avvenire per la categoria fondamentale del l'Essere avviene anche per l’Essenza, che cioè anche questa , alla sua volta distinguendosi e particolarizzandosi in sè medesima, ne produce di ulteriori , come quelle del fondamento, della sostanza , della materia , ecc. E quanto alla terza categoria fondamentale, cioè l'Esistenza , essa è l'unità dell'Essere e dell'Essenza . Ognuno nella Existentia riconosce l'Esse come particolarizzato ; ma d'altra parte, nella particolarizzazione dell'Essere si specifica e manifesta anche l'E lemento dell'Essenza, per forma che l'Esistenza risulta siccome una manifestazione dell'Essenza ( Exsistentia est essentia manifesta ). E da ultimo l'Esistenza dà anch'essa origine ad altre categorie subordinate , come realtà, necessità , La terza parte della Logica ( o della Esologia ) cerettiana, cioè l'Autologia, si fonda, sviluppa e sistematizza in tre categorie fon damentali, che son quelle di Sapere, Volere, Agire, ( Scire, Velle, Agere ), le quali sono in corrispondenza di quelle che ricorrono nella terza parte della Logica hegeliana, e che sono l'Idea del conoscere (die Idee des Erkennens ), l'idea del bene ( die Idee des Guten ) e l'Idea assoluta ( die absolute Idee ). Va però osservato che il volere e l'agire che in Hegel si congiungono nella Idea del Bene , e costituiscono la Idea pratica , in Ceretti appariscono, al contrario , come momenti e categorie distinte . Questa terza parte della Logica del Ceretti è una delle più belle e ad un tempo una di quelle in cui il Ceretti è come più originale e più indipendente da Hegel . Il modo rome il filosofo intrese vede la distinzione, la relazione e la unificazione del Sa pere, del Volere e dell'Agire è qualche cosa di profondo, di stu pendo e di vero , e lo si vede più chiaramente e più determina tamente di quel che possa vedersi nel, pure grandissimo, filosofo tedesco . Ciò viene dal perchè i tre momenti, che in Hegel sono come ancora implicati e inviluppati, in Ceretti ricorrono come più sviluppati e ad un tempo più sistemati . Il pensiero cerettiano dell'Autologia è ( secondo che lo espressi nella mia Notizia degli scritti del pensiere filosofico del Ceretti) che « l'Assoluto è la Coscienza logica che si sistematizza in se stessa , per quindi sistemarsi fuori di sè ( 1 ) allo scopo finale di sistemarsi in sè e per sè come assoluta unità di sè stessa. L'Au tologia costituisce un sillogismo assoluto ( cioè una connessa tri plicità assoluta ), i cui termini sono i predetti di Sapere , Volere , Agire. Nella Coscienza assoluta il Sapere è l'essere del Volere, ( 1 ) Nel Volere c'è , infatti, esterîorazione del Saputo. IL FILOSOFO PIETRO CERETTI 41 il volere è l'essenza del Sapere, l'agire è l'esistenza del Volere ; e tutti e tre insieme costituiscono l'unitrinità della Coscienza » . Anche le tre predette categorie si distinguono e particolariz zano in altre . Il Sapere si svolge ne ' momenti subordinati (i quali son categorie anch'essi) di Sapere immediato, mediato, assoluto ; il Volere si distingue e particolarizza alla sua volta nelle forme ca tegoriche di Volere subbiettivo , obbiettivo e assoluto ; e l'Agire nelle sue corrispondenti di Agire attuoso ( agire come atto puro e semplice ), Agire volonteroso e Agire concettuale ( 1 ). Questo è in breve il concetto e disegno della prima parte della grande opera enciclopedica del nostro filosofo . La seconda parte, quella del Logo fuori di sè o del Logo nella sua obbiettivazione , cioè la Filosofia della Natura, ha avuta una estesissima trattazione ; e trattazione in cui il nostro filosofo si mostra non poco originale ed indipendente rispetto alla corri spondente parte della Enciclopedia hegeliana. Essa è per noi italiani tanto più importante, in quanto non vi è in Italia , neppure presso i nostri filosofi maggiori moderni, una sola opera che , prima di questa del Ceretti , meriti il nome di filosofia della Natura nel senso ampio, vero e moderno della parola. Io ho scritto su questa parte della grande opera cerettiana tre lunghissime Introduzioni ai tre volumi che vi si riferiscono, le quali, riunite insieme e pubblicate sotto il titolo di Filosofia della Natura di Pietro Ceretti, formano un'opera di ben 487 pagine; e in questa ho ampiamente chiarita e dimostrata la verità di tutto ciò . Quanto al cenno che posso farne qui, specialmente a cagione della vastità di trattazione che ha nel Ceretti , esso non può con sistere in altro se non nella pura e semplice indicazione del di segno, della materia e dell'andamento della trattazione stessa . Premessa la determinazione della posizione e del concetto della filosofia della Natura nel Sistema panlogico , egli passa alla considerazione di un punto importantissimo, quello cioè della evo luzione storica della concezione filosofica della natura , evoluzione che, secondo lui , passa per tre gradi e corrispondenti forme della coscienza filosofica , la forma estetico-teologica ( o sentimentale) la forma empirico -matematica ( o intellettiva e riflessiva ) e la forma speculativa propriamente detta ( o concetturale) . E fa in propo sito una stupenda rassegna storica di queste forme, giungendo all'ultima , ossia alla hegeliana, alla quale egli si riattacca, ulterior mente sviluppandola e riformandola in ciò che ha di difettivo . Procede quindi alla partizione della Filosofia della Natura, dividendola come abbiam detto in Meccanica , Fisica e Biologia , conformemente alla Natura distinta in sè stessa in meccanica , fi ( 1 ) Queste tre azioni (o funzioni ) categoriche dell’Agire il Ceretti le designa come Agere actum, Agere voluntatem e Agere notionem . 42 CENOBIUM sica e biotica ( vivente ). Carattere costitutivo della Natura mecca nica è la quantità, della fisica la qualità, e della vivente l'unità della quantità e della qualità, la quale unità è poi la modalità o la misura della medesima. Quanto all'unità inscindibile delle tre parti distinte e de' corrispondenti tre ' caratteri della natura , sono notevoli e riassuntive queste parole del filosofo intrese . Cioè : Il meccanismo é ove è la fisica ( la natura fisica ), e la fisica é ove è il meccanismo ; e se vi sono il meccanismo e la fisica, vi è anche la natura vivente » . Ad intendere meglio il rapporto ed il corrispondente concetto filosofico delle predette tre parti e de ' tre predetti corrispondenti caratteri , il nostro filosofo arreca un esempio illustrativo , che è bene di riprodurre anche qui . « Il meccanismo, dic'egli , suppone necessariamente l'esteriorità reciproca dei suoi termini ; quando questa esteriorità , passata nella sua interiorità , nella sua unità in separabile, trascenda sé a sè esteriore, non versa più in un piano ( campo) meccanico, il quale ammetta per sè alcuna intrinsecazione qualitativa della esteriorità meccanica, ma versa propriamente nella natura fisica del meccanismo ( in mechanismi physi ), la quale è la quantità passata nella sua qualità che deve esplicarsi. Così , ad esempio, in qualunque modo supponiamo il ferro, diviso, figurato, posto in movimento, ecc. , esso non cessa di essere ferro. E quando per azioni esterne, come ad esempio, per l'ossidazione, cessi di essere ferro, non consideriamo tali azioni come meccaniche, perchè due modi della materia (l'ossigeno e il ferro) sono divenuti un solo modo (neutrale), il quale non ammette più alcuna coalterio rità esterna ( 1 ) di fattori (essenzialissima al meccanismo, ma è in sè l'unità qualificata de' quanti , la natura fisica del meccanismo » . La quale unità è poi la vita, ossia , quel « principio , com'ei dice , grazie al quale l'alteriorità meccanica si neutralizza fisicamente , e la neutralità fisica si alteriora ( si fa altra ) meccanicamente : il che , in quanto è nella circoscrizione essologica ( naturale) , è la vita » . Ciò posto , egli , concependo la natura meccanica o il « mec canismo come il sistema della quantità » , passa alla reale consi derazione e corrispondente sistemazione filosofica di tutti i prin cipii (detti anche categorie naturali ) della medesima come spazio , tempo, moto , ecc. Conformemente a ciò , concependo la natura fi sica parimenti come il sistema della qualità » , svolge i principii o categorie naturali di essa, come etere ( o materia eterea) , luce calore, magnetismo, elettricità ecc. E s'intende che ciò che è detto della natura meccanica e della fisica, va detto anche della natura sivente, della quale, come unità concreta delle due antecedenti, si vvolgono, determinano e sistematizzano i corrispondenti principii e momenti. Questi principii , coi relativi sistemi vitali , sono nella loro generalità e progressività evolutiva la vita cosmica od uranica, la vita geologica e la vita fito -zoologica. ( 1 ) Per questa intende la predetta reciproca esteriorità de' termini . IL FILOSOFO PIETRO CERETTI 43 La vastità di conoscenza delle discipline naturali non che la forza speculativa ch'ei mostra nell'intenderne e collocarne i prin cipii nel suo vasto disegno del Sistema pantologico sono tali da fare del Ceretti una delle menti filosofiche più vaste e più profonde del nostro paese. Col terzo volume della Filosofia della Natura, che è il quinto della grande opera panlogica, questa rimase interrotta ; però se rimase interrotta, la iattura non è stata nè intera nè irreparabile. Giacchè i cenni e relativi concetti riformativi anche della terza parte del sistema panlogico già delineati primamente ne' Prole gomeni, poscia qua e là considerati negli stessi quattro susseguenti volumi , son tali e tanti da potersi fare un concetto chiaro e de terminato anche di esso. Ma, per giunta ed ulteriore integrazione di questa, l'autore ha lasciato in italiano due opere (scritte dopo dell'opera latina) , che concernono proprio questa terza parte, cioè le due già mentovate intitolate , l'una, Considerazioni sopra il si stema generale dello spirito ecc. ( Torino 1885), l'altra , Sinossi del l'enciclopedia speculativa ( Torino 1890, da me pubblicata e con mie note ed introduzione) . Un brevissimo cenno anche di questa terza parte è il seguente: Quanto al concetto , obbietto e partizione di essa, rappresen tando la prima parte la subbiettività del Logo o della Coscienza assoluta , e la seconda la obbiettività , questa terza rappresenta l'assoluta unità delle medesime : assoluta unità , che vien cosi ad essere la Coscienza subbiettiva obbiettivata e ad un tempo la Co scienza obbiettiva subbiettivata. Or questa Coscienza risultata tale è ciò che il Ceretti ( conformemente ad Hegel) appella comune mente anche Spirito, il quale è appunto l'obbietto di questa parte da lui denominata Sinautologia. Intanto , siccome lo Spirito , benchè già sorgente nella stessa animalità , pur non giunge alla sua reale manifestazione, esistenza e verità (1 ) se non nella umanità , così divien questa lo speciale obbietto della Sinautologia. La quale perciò è dal nostro filosofo , designata come speculante l'Uomo, primamente nella Subbiettività secondamente nella Obbiettività, e in terzo luogo nella Assolu tezza del medesimo : Assolutezza, che è l'unità della Subbiettività e dell'Obbiettività. Di questa triplice considerazione, o meglio speculazione, la prima costituisce ciò che egli chiama l'Antropolo gia, la seconda l'Antropopedeutica, la terza, l'Antroposofia. I lettori che conoscono la dottrina hegeliana vedranno tosto la simiglianza della dottrina cerettiana colla dottrina hegeliana dello Spirito, distinta in quella di Spirito subbiettivo, spirito ob biettivo e Spirito assoluto . Senonché, se c'è simiglianza nella ge nerale concezione, c'è anche una notevole differenza nella partico ( 1 ) L'uomo, dice il Ceretti , è la concreta verità dello Spirito ( Homo est spiritus concreta veritas ) . 44 CENOBIUM lare trattazione della medesima. Per dire ancora qualche cosa della concezione e partizione cerettiana della predetta Sinautologia rileverò che l'Antropologia considera l'Uomo come Subbietto gene rale . E come tal Subbietto consiste dell'elemento fisico o corporeo e dell'elemento metafisico ( come il Ceretti lo chiama) ossia ani mico , così essa è primamente Psicofisiologia ; indi considera nel generale subbietto umano l'elemento, dirò così specificamente umano, ossia la mente, ed è Noologia ; in terzo luogo , la mente, o l'attività teoretica , si realizza come attività pratica e allora l’An tropologia nel suo terzo momento è Prasseologia o dottrina del l'azione (spirituale) . La Psicofisiologia, la Noologia e la Prasseo logia hanno alla lor volta principii , ossia momenti subordinati , e vengono anche questi considerati , accolti e sistemati nella An tropologia L'Antropopedeutica, all'opposto della Antropologia che consi sidera l'Uomo subbiettivo, considera l'Uomo obbiettivo, ossia l'uomo nella obbiettivazione della propria subbiettività : la quale obbiettivazione costituisce , primamente, la dialettica mondiale u mana e produce ciocchè si appella la Storia ; è in secondo luogo « il Logo sistematico della dialettica obbiettiva » , che in senso lato è ciocchè si appella la Didattica ; e in terzo luogo è la « stessa obbiettività sistemata nel Subbietto » , che è quella che si designa col nome di Diritto. Che anche queste tre parti dell'Antropopedeutica (Storia, Di dattica, Diritto ), si sviluppino, particolarizzino e sistematizzino in ulteriori sfere, attività , principii , ecc. , lo s'intende da sè ; e cosi viene assolta anche questa parte della Sinautologia. E finalmente vien considerata e trattata l'ultima sfera di questa , cioè l'Antroposofia, la quale ha che fare coll'Uomo considerato nella sua assolutezza , ovvero nella sua Coscienza assoluta, e com prende la sua attività artistica , religiosa e filosofica. L'Arte è la contemplazione e produzione del bello, del buono e del vero me diante l'ispirazione estetica : la Religione e l'apprensione, rivela zione e culto del divino, e tramezza la manifestazione estetica e la concezione filosofica ; la Filosofia sviluppa la immediata ap prensione religiosa nella mediata concezione del pensiero assoluto. La triplice ed assoluta attività dello spirito , artistica , religiosa e filosofica costituisce l'ultimo e supremo sillogismo del Logo as soluto o della Coscienza assoluta , e con esso si chiude il Sistema panlogico. Tale è in nuce il vasto pensiere filosofico cerettiano e la vasta esecuzione del medesimo. Per ciò che è riferito in queste poche pagine rimando il let tore ai miei molteplici lavori intorno al Ceretti, specialmente alla « Notizia degli scritti e del pensiere filosofico » di Pietro Ceretti, non che alla « Filosofia della Natura » del medesimo. E sog giungo e annunzio qui volentieri che intorno a quest'uomo, che IL FILOSOFO PIETRO CERETTI 45 ha occupato due decenni di studi della mia vita , son presso a finire l'ultima mia opera : opera che consiste in una estesa e par ticolareggiata esposizione di tutto intero il suo Sistema panlogico , compresa la Sinautologia. Ho forse speso intorno a lui più tempo di quel che conveniva per i miei propri studî e lavori ; ma non me ne pento, non solo perchè egli è stato di giovamento a questi stessi , ma specialmente perchè ho contribuito a far conoscere un uomo, che fa onore grandissimo alla filosofia in genere e alla filosofia italiana in ispecie. ‘Alessandro Goreni’. Pietro Ceretti. Keywords: communication, convention, homo sapiens, pirothood, inter-subjective, animality, animalness, soul, psichico, psychic, psychical versus psychological, progression, pirotological progression. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ceretti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51773651469/in/dateposted-public/

 

Ceronetti – la lanterna – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo. Grice: “I like Ceronetti; he is a typicall Italaian philosopher; that is, a typically anti-Oxonian one; he thinks, like Croce and de Santis did, that philosophy is an infectious disease that some literary types catch! My favourite of his tracts is “Diognene’s torch”! Genial!” Per essere io morto all'Assoluto vivo come un innato parricida tra gente già di padre nata priva; pPer aver detto all'Inaccessibile addio da un cortiletto senza luce vergogna vorrei gridarmi ma resto muto. Tutto è dispersione, lacerazione, separazione, rotolare di ruota senza carro, e questo ha nome esilio, o anche mondo. Di vasta erudizione e di sensibilità umanistica, collabora con vari giornali. Tra le sue opere più significative vanno ricordate le prose di Un viaggio in Italia e Albergo Italia, due moderne descrizioni, moderne e direi dantesche, da cui vien fuori tutto l'orrore del disastro italiano, e le raccolte di aforismi e riflessioni Il silenzio del corpo e Pensieri del tè. Di rilievo la sua attività di saggista (Marziale, Catullo, Giovenale, Orazio). Diede vita al teatro dei Sensibili, allestendo in casa spettacoli di marionette. Le sue marionette esordivano su un piccolo palcoscenico, nel tinello di casa Ceronetti, ad Albano Laziale. Si consumavano tè, biscottini (i crumiri di Casale) e mele cotte." Nel corso degli anni vi assisterono personalità quali Montale,Piovene, e Fellini. Con la rappresentazione de La iena di San Giorgio, I Sensibili divenne pubblico e itinerante.  In Difesa della Luna, e altri argomenti di miseria terrestre, suo saggio d'esordio critica il programma spaziale da prospettive originali e poetiche. Il fondo Guido Ceronetti -- "il fondo senza fondo" -- raccoglie infatti un materiale ricchissimo e vario: opere edite e inedite, manoscritti, quaderni di poesie e traduzioni, lettere, appunti su svariate discipline, soggetti cinematografici e radiofonici. Vi si trovano, inoltre, numerosi disegni di artisti (anche per I Sensibili), opere grafiche, collage e cartoline. Con queste ultime fu allestita la mostra intitolata Dalla buca del tempo: la cartolina racconta.  Prese posizione a favore dell'eutanasia, con la poesia La ballata dell'angelo ferito. Beneficiario della legge Bacchelli, in quanto cittadino che ha illustrato la Patria e versante in condizioni di necessità economica. Robbe-Grillet, Moravia e Ceronetti al Premio letterario internazionale Mondello. Palermo Proposto dal controverso critico e politico Sgarbi come senatore a vita a Napolitano, declina subito l'invito. Attento alle tematiche ambientali, era noto per essere un acceso sostenitore del vegetarismo e per una pratica di vita estremamente frugale, quasi da moderno anacoreta.  Solo un vero vegetariano è capace di vedere le sardine come cadaveri e la loro scatola come una bara di latta. Un mangiatore di carne (non mi sento di scrivere un carnivoro perché l'uomo non è un carnivoro) neanche se lo chiudono nel frigorifero di una macelleria avrà la sensazione di coabitare con dei cadaveri squartati. C'è come un velo sulla retina dei non vegetariani, quasi un materializzarsi di un velo sull'anima, che gli impedisce di vedere il cadavere, il pezzo di cadavere cotto, nel piatto di carne o di pesce. Alcuni suoi articoli sull'immigrazione (disse che ha "un carattere preciso di invasione territoriale, premessa sicura di guerra sociale e religiosa") e il Meridione, pubblicati sui quotidiani La Stampa e Il Foglio, furono tacciati di razzismo, così come scalpore fecero alcune posizioni da lui espresse sull'omosessualità maschile, accusate di omofobia. In precedenza sull'argomento si era attirato gli strali dei cattolici per aver descritto don Bosco come un omosessuale represso. Intervistato nel  per Radio Radicale Come articolista, principalmente su La Stampa e il Corriere della Sera, si occupava spesso di letteratura, arte, filosofia, costume e cronaca nera (ad esempio scrivendo sul caso del delitto di Novi Ligure), analizzando il problema del male nel mondo odierno in una prospettiva gnostica; al contrario giudicava noiosi i processi di mafia. Notevoli discussioni suscitò, altresì, un suo intervento giornalistico a difesa del capitano delle SS Erich Priebke (che visitò in carcere e con cui ebbe uno scambio epistolare), condannato all'ergastolo per la strage delle Fosse Ardeatine ma che fu soltanto un mero funzionario esecutore, colpevole della "miseria di non essere un santo" (parafrasi del saggio di Bloy La tristezza di non essere santi), e creato Mostro delle Ardeatine, vittima di una giustizia dell'odio. Allo stesso modo, pur esprimendo sempre la sua simpatia per gli ebrei e per Israele, per convinzioni personali e la sua parentela acquisita con Giuliana Tedeschi, definì l'ergastolo inflitto a Hess, al processo di Norimberga, come un crimine politico. La sua posizione anticonformista pro-Priebke e pro-Hess fece scandalo essendo l'autore un noto filosemita, con moglie e suocera (superstite di Auschwitz) ebree nonché convinto filoisraeliano (scrisse articoli di fuoco contro Khomeini e il terrorismo palestinese).  Nel  fu insignito del premio "Inquieto dell'anno" a Finale Ligure. Ostile al fascismo nella seconda guerra mondiale e al comunismo poi, ma anche diffidente delle forme della democrazia, non prese mai parte politica attiva, a parte un brevissimo periodo in cui ebbe la tessera del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, fino al , quando intervenne al congresso dei Radicali Italiani, movimento liberale e libertario, e altre volte ai microfoni di Radio Radicale (era amico di Marco Pannella), anche se si considerava un "conservatore" e patriota del  Risorgimento (descrisse l'Italia come «una democrazia strangolata sul nascere da tre poteri con il verme totalitario, democristiano, comunista e sindacale»). Talvolta fu definito come un "reazionario postmoderno". «Sono sempre stato anticomunista. Il Mullah Omar e Osama Bin Laden sono modi dell'antiumano. Dietro di loro... l'ombra di Lenin, inviato della Tenebra, fondatore imitabile dell'universo concentrazionario, capostipite novecentesco di malvagie entità che non finiscono di manifestarsi.»  (Ti saluto mio secolo crudele) Nel  propose in un articolo su la Repubblica, ispirandosi al fenomeno delle assistenti sessuali per disabili, l'istituzione di un "servizio erotico volontario" rivolto agli anziani senza che dovessero rivolgersi a prostitute, per evitare "la barbarie di una vecchiaia senza sesso". Fece uso di vari pseudonimi, tra i quali Mehmet Gayuk, il filosofo ignoto (riferimento a Louis Claude de Saint-Martin, filosofo così chiamato), Ugone di Certoit (quasi l'anagramma di Guido Ceronetti) e Geremia Cassandri.  Morì nella sua casa di Cetona (SI) dopo un breve ricovero a causa di broncopolmonite. Come da disposizione testamentaria, dopo tre giorni e una cerimonia religiosa a Cetona, fu sepolto sulle colline tra Torino e il Monferrato, in una tomba a terra situata nel cimitero di Andezeno (Torino), il paese di origine dei genitori.  Disposizione da prendere. Non voglio donne in calzoni ai miei funerali. Cacciatele via. Almeno in questa pur insignificante occasione, ma per amore, siano insottanate come le ho sognate sempre, nella vita.»  Altre opere: “Difesa della luna e altri argomenti di miseria terrestre” (Rusconi, Milano); “Aquilegia, illustrazioni di Erica Tedeschi, Rusconi, Milano, con il titolo Aquilegia. Favola sommersa, Einaudi, Torino); La carta è stanca” (Adelphi, Milano); La musa ulcerosa: scritti vari e inediti, Rusconi, Milano); Il silenzio del corpo. Materiali per studio di medicina, Adelphi, Milano); La vita apparente, Adelphi, Milano); Un viaggio in Italia, Einaudi, Torino); Albergo Italia, Einaudi, Torino); Briciole di colonna. La Stampa, Torino); Pensieri del tè, Adelphi, Milano); L'occhiale malinconico, Adelphi, Milano); La pazienza dell'arrostito. Giornali e ricordi, Adelphi, Milano); D.D. Deliri Disarmati, Einaudi, Torino); Tra pensieri, Adelphi, Milano); Cara incertezza, Adelphi, Milano); Lo scrittore inesistente, La Stampa, Torino, Briciole di colonna. Inutilità di scrivere, La Stampa, Torino, La fragilità del pensare. Antologia filosofica personale Emanuela Muratori, BUR, Milano); La vera storia di Rosa Vercesi e della sua amica Vittoria, Einaudi, Torino, N.U.E.D.D. Nuovi Ultimi Esasperati Deliri Disarmati, Einaudi, Torino); Piccolo inferno torinese, Einaudi, Torino); Oltre Chiasso. Collaborazioni ai giornali della Svizzera italiana, Libreria dell'Orso, Pistoia, 2004, La lanterna del filosofo, Adelphi, Milano); Centoventuno pensieri del Filosofo Ignoto, La Finestra editrice, Lavis); Insetti senza frontiere, Adelphi, Milano); In un amore felice. Romanzo in lingua italiana, Adelphi, Milano, , Ti saluto mio secolo crudele. Mistero e sopravvivenza del XX secolo, illustrazioni Guido Ceronetti e Laura Fatini, Einaudi, Torino, , L'occhio del barbagianni, Adelphi, Milano, , Tragico tascabile, Adelphi, Milano, , Per le strade della Vergine, Adelphi, Milano, , Per non dimenticare la memoria, Adelphi, Milano, , Regie immaginarie, Einaudi, Torino,   Guido Ceronetti, Poesia Nuovi salmi. Psalterium primum, Pacini Mariotti, Pisa); La ballata dell'infermiere, Alberto Tallone Editore, Alpignano, Poesie, frammenti, poesie separate, Einaudi, Torino, 1968 Premio Viareggio; Opera Prima; Poesie: Corbo e Fiore, Venezia); Poesie per vivere e per non vivere, Einaudi, Torino, Storia d'amore ritrovata nella memoria e altri versi, illustrazioni di Mimmo Paladino, Castiglioni & Corubolo, Verona); Compassioni e disperazioni. Tutte le poesie, Einaudi, Torino, Disegnare poesia (con Carlo Cattaneo), San Marco dei Giustiniani, Genova, Scavi e segnali. Poesie inedited, Alberto Tallone, Alpignano, Andezeno, Alberto Tallone Editore, Alpignano, La distanza. Poesie, Edizione riveduta e aggiornata dall'Autore, BUR, Milano, Preghiera degli inclusi, Alberto Tallone Editore, Alpignano, senza data Francobollo, Alberto Tallone Editore, Alpignano (sotto lo pseudonimo Mehmet Gayuk), Il gineceo, Alberto Tallone, Alpignano, febbraio 1998; Adelphi, Milano, In memoriam di Emanuela Muratori, Alberto Tallone, Alpignano, Messia, Tallone, Alpignano, Adelphi, Milano, , [nella prima parte del libro] Tre ballate recuperate dalle carte di Lugano, Alberto Tallone, Alpignano, Tre ballate popolari per il Teatro dei Sensibili, Alberto Tallone, Alpignano; Pensieri di calma a bordo di un aereo che sta precipitando, Alberto Tallone, Alpignano; A Roma davanti al Tulliano Notte del 3 dicembre 63 a. C., Alberto Tallone, Alpignano, Con l'armata dell'Ebro morire oggi, Alberto Tallone, Alpignano; Invocazione al Dottor Buddha perché venga e ci salvi, Alberto Tallone, Alpignano; Le ballate dell'angelo ferito, Il Notes magico, Padova, Poemi del Gineceo, Adelphi, Milano, , [riedizione de Il gineceo  con inediti e nuova prefazione] Sono fragile sparo poesia, Einaudi, Torino, , Drammaturgia Furori e poesia della Rivoluzione francese. Carte Segrete, Roma, Alcuni esperimenti di circo e varietà. Teatro Stabile-Teatro dei Sensibili, Alberto Tallone Editore, Alpignano, Mystic Luna Park. Teatro Stabile-Teatro dei Sensibili, Alberto Tallone Editore, Alpignano, Mystic Luna Park. Spettacolo per marionette ideofore, ricordi figurativi di Giosetta Fioroni, Becco Giallo, Oderzo, 1988 Viaggia viaggia, Rimbaud!, Il melangolo, Genova, La iena di San Giorgio. Tragedia per marionette, Alberto Tallone, Einaudi, Torino); Il volto (Ansiktet), Teatro dei Sensibili, Alberto Tallone Editore, Alpignano, Le marionette del Teatro dei Sensibili, Aragno, Torino [contiene: I Misteri di Londra e Mystic Luna Park] Rosa Vercesi, un delitto a Torino negli anni Trenta, Teatro Strehler-Teatro dei Sensibili, Alberto Tallone, Alpignano, Rosa Vercesi, illustrazioni di Federico Maggioni, Edizioni Corraini, Mantova; Traduzioni e curatele Marziale, Epigrammi, introduzione di Concetto Marchesi, Einaudi, Torino, II ed. riveduta, Einaudi, Torino; nuova edizione con un saggio di G. Ceronetti, Einaudi, Torino; nuova ed. riveduta e nuova prefazione di G. Ceronetti, La Finestra Editrice, Lavis, I Salmi, Einaudi, Torino; nuova ed. riveduta, Einaudi, Torino; col titolo Il Libro dei Salmi, Adelphi, Milano, 1985, Catullo, Le poesie, Einaudi, Torino, Adelphi, Milano, . Maurice Blanchot, Il libro a venire (Le Livre à venir), trad. G. Ceronetti e Guido Neri, Einaudi, Torino; Il Saggiatore, Milano, . Qohelet o l'Ecclesiaste, Einaudi, Torino, Alberto Tallone Editore, Alpignano, nuova traduzione ; Qohelet. Colui che prende la parola, Adelphi, Milano,  Decimo Giunio Giovenale, Le Satire, Einaudi, Torino, La Finestra Editrice, Trento, Il Libro di Giobbe, Adelphi, Milano, Premio Monselice di traduzione, nuova ed. riveduta, Adelphi, Milano, Cantico dei cantici, Adelphi, Milano, Alberto Tallone Editore, Alpignano, nuova versione riveduta, . Il Libro del Profeta Isaia, Adelphi, Milano; nuova ed. riveduta e ampliata, Adelphi, Milano, Come un talismano. Libro di traduzioni, Adelphi, Milano, 1986. Konstantinos Kavafis, Nel mese di Athir, Edizioni dell'elefante, Roma. Konstantinos Kavafis, Tombe, Edizioni dell'Elefante, Roma, Giovenale, Le donne. Satira sesta, Alberto Tallone Editore, Alpignano, Nostradamus: annunciatore nel secolo 16. della Rivoluzione che durerà dal 1789 al 1999 / profezie estratte dalle Centurie di Michel de Nostredame, Alpignano, Alberto Tallone Editore, Tango delle capinere, Castiglioni & Corubolo, Verona. Due versioni inedite da Shakespeare e da Céline, Cursi, Pisa, Teatro dei sensibili, La rivoluzione sconosciuta. Pensieri in libertà per ricordare. Una scelta di testi Guido Ceronetti, Tallone, Alpignano, col titolo La rivoluzione sconosciuta, Adelphi, Milano, raccolta di 44 locandine teatrali a fogli sciolti dalla mostra-spettacolo di Dogliani] Henry d'Ideville, Oggi, Alberto Tallone, Alpignano, senza data. Constantinos Kavafis, Poesia, Alberto Tallone, Alpignano, senza data Georges Séféris, Poesia, Alberto Tallone, Alpignano, senza data. Sofocle, Edipo Tyrannos. Coro, Edizioni dell'Elefante, Roma (con Cristina Chaumont) Sura 99. Al Zalzala (Il tremito della terra) dal Corano, calligrafia di Mauro Zennaro, Edizioni dell'Elefante, Roma, Il Pater noster. Matteo 6, calligrafia di Mauro Zennaro, Edizioni dell'Elefante, Roma, Léon Bloy, Dagli ebrei la salvezza, con un saggio di G. Ceronetti, traduzione di Ottavio Fatica e Eva Czerkl, Piccola Biblioteca n. 330, Adelphi, Milano, Giorni di Kavafis. Poesie di Constantinos Kavafis, Officina Chimerea, Verona, Messia, Alberto Tallone Editore, Alpignano; Adelphi, Milano, .nella seconda parte del libro, Siamo fragili, Spariamo poesia. i poeti delle letture pubbliche del Teatro dei Sensibili , Qiqajon, Magnano, 2003 Tito Lucrezio Caro, I terremoti. De Rerum Natura. Alberto Tallone, Alpignano, Constantinos Kavafis, Un'ombra fuggitiva di piacere, Adelphi, Milano, Trafitture di tenerezza. Poesia tradotta, Einaudi, Torino, François Villon, I rimpianti della bella Elmiera, Alberto Tallone Editore, Alpignano, . Orazio, Odi. Scelte e tradotte da Guido Ceronetti, Adelphi, Milano, . Epistolari Guido Ceronetti e Giosetta Fioroni, Amor di busta, Milano, Archinto, Due cuori una vigna. Lettere ad Arturo Bersano, Prefazione di Ernesto Ferrero, Padova, Il Notes Magico, Guido Ceronetti e Sergio Quinzio, Un tentativo di colmare l'abisso. Lettere, Milano, Adelphi, . Spettacoli del Teatro dei Sensibili La Iena di San Giorgio. Tragedia per marionette (allestito in appartamento), prodotto dal Teatro Stabile di Torino, con Ariella Beddini,  Simonetta Benozzo, Paola Roman e Manuela Tamietti, regia di Egon Paszfory (Guido Ceronetti), scene e costumi di Carlo Cattaneo Macbeth (spettacolo per marionette allestito in appartamento) Lo Smemorato di Collegno (anni '70, spettacolo per marionette allestito in appartamento) Diaboliche imprese, trionfi e cadute dell'ultimo Faust (spettacolo per marionette allestito in appartamento); Fu interpretato al Festival di Spoleto da Piera degli Esposti, Paolo Graziosi e Roberto Herlitzka, con la regia, scene e costumi di Enrico Job I misteri di Londra (allestito in appartamento); prodotto dal Teatro Stabile di Torino, regia di Manuela Tamietti, con Patrizia Da Rold (Artemisia), Luca Mauceri (Baruk), Valeria Sacco (Egeria), Erika Borroz (Remedios) e le marionette del Teatro dei Sensibili. Furori e poesia della rivoluzione francese. Tragedia per marionette (allestito in appartamento); al Teatro Flaiano di Roma con i burattini di Maria Signorelli Omaggio a Luis Buñuel prodotto dal Teatro Stabile di Torino, Mystic Luna Park (prodotto dal Teatro Stabile di Torino), spettacolo per marionette ideofore con Armida (Nicoletta Bertorelli), Demetrio (Guido Ceronetti), Irina (Laura Bottacci), Norma (Paola Roman), Yorick (Ciro Buttari) La rivoluzione sconosciuta, mostra-spettacolo all'ex-convento dei carmelitani a Dogliani Viaggia viaggia, Rimbaud! (prodotto dal Teatro Araldo di Torino, in occasione del centenario della morte di Arthur Rimbaud), regia di Jeremy Cassandri (Guido Ceronetti) con Melissa (Manuela Tamietti), Norma (Paola Roman), Francisco (Gian Ruggero Manzoni), Yorik (Ciro Bùttari) e Zelda (Roberta Fornier) Per un pugno di yogurt, collage di poesie Les papillons névrotiques (al Cafè Procope di Torino) con la partecipazione di Corallina De Maria La carcassa circense, spettacolo per marionette, azioni mimiche, cartelli, organo di Barberia con Rosanna Gentili e Bartolo Incoronato Il volto, dedicato a Ingmar Bergman in occasione dei suoi ottant'anni Ceronetti Circus ovvero Casse da vivo in esposizione pubblica, letture di poesia, azioni sceniche mimiche e intermezzi musicali con Elena Ubertalli e Giorgia Senesi M'illumino di tragico, collage di testi e pantomime liriche; in tournée anche con il titolo I colori del tragico Rosa Vercesi (prodotto dal Piccolo Teatro di Milano), con Paola Roman, Simonetta Benozzo e Luca Mauceri Una mendicante cieca cantava l'amore (2006, prodotto dal Piccolo Teatro di Milano) con Cecilia Broggini, Luca Maceri, Elena Ubertali e Filippo Usellini Siamo fragili, spariamo poesia, collage di testi poetici, ballate e canzoni Strada Nostro Santuario (prodotto dal Piccolo Teatro di Milano) filastrocche, canzoni, ballate, azioni mimiche, happening e numeri di repertorio popolare La pedana impaziente (), repertorio di marionette e azioni sceniche mimiche Finale di teatro (, al Teatro Gobetti di Torino) con Fabio Banfo, Luca Mauceri, Valeria Sacco, Eleni Molos, Filippo Usellini Pesciolini fuor d'acqua (), con Luca Mauceri e Eleni Molos Quando il tiro si alzaIl sangue d'Europa (prodotto dal Piccolo Teatro di Milano, in occasione del centenario della prima guerra mondiale) con Eleni Molos, Elisa Bartoli, Filippo Usellini, Luca Mauceri e Valeria Sacco Non solo Otello (al Teatro della Caduta di Torino) Novant'anni di solitudine (, a Cetona in occasione dei novant'anni dell'autore), con Luca Mauceri, Filippo Usellini, Eleni Molos, Valeria Sacco, Fabio Banfo, Salvatore Ragusa e Elisa Bartoli Ceronettiade. Deliri e visioni di Guido Ceronetti (, a Cetona in occasione dell'anniversario della nascita dell'autore), con Luca Mauceri, Eleni Molos, Valeria Sacco, Filippo Usellini Cataloghi di mostre L'Atelier dei Sensibili a Dogliani, Michela Pasquali, Dogliani, Biblioteca civica Einaudi, (catalogo della mostra nell'ex Convento dei Carmelitani a Dogliani). Dalla buca del tempo: la cartolina racconta. I collages di cartoline d'epoca del Fondo Guido Ceronetti, cura di Diana Rüesch e Marco Franciolli, Archivi di cultura contemporanea, Museo Cantonale d'Arte Lugano, Poesia marionette e viaggi di Guido Ceronetti nelle visioni di Carlo Cattaneo, Paolo Tesi e Maurizio Vivarelli, Comune di Pistoia, Dare gioia è un mestiere duro: trent'anni più due di Teatro dei Sensibili di Guido Ceronetti, Andrea Busto e Paola Roman, fotografie di Mario Monge, Marcovaldo, Nella gola dell'Eone. Ti saluto mio secolo crudele. Immagini del XX secolo. Tutti i collages di immagini dedicati al ventesimo dell'era da Guido Ceronetti, Il melangolo, Genova, "Per le strade" di Guido Ceronetti, Omaggio allo scrittore, Diana Rüesch e Karin Stefanski, Cartevive, Biblioteca cantonale, Archivio Prezzolini-Fondo Ceronetti, Lugano, Opere audiovisive su Guido Ceronetti I Misteri di Londra. Tragedia per marionette e attori, regia di Manuela Tamietti, Teatro Stabile di Torino (riprese videografiche dello spettacolo, Torino). Sulle rotte del sogno. Parole musiche storie, di Luca Mauceri (cd e vinile EMA Records, Firenze ). Guido Ceronetti. Il Filosofo Ignoto, film documentario di Francesco Fogliotti e Enrico Pertichini (Italia'), prodotto con la collaborazione del Teatro dei Sensibili di Guido Ceronetti e dei Cinecircoli giovanili socioculturali. Guido Ceronetti nei mass-media Cura cinque Interviste Impossibili per la seconda rete radiofonica rai, in cui "intervistò" Attila (Carmelo Bene), Auguste e Louis Lumière (Alfredo Bianchini e Mario Scaccia), George Stephenson (Mario Scaccia), Jack Lo Squartatore (Carmelo Bene) e Pellegrino Artusi (Mario Scaccia). Il cantautore Vinicio Capossela, nella raccolta di brani dal vivo Nel niente sotto il soleGrand tour, ha inserito come incipit della seconda traccia (Non trattare)una registrazione di Guido Ceronetti che declama i primi versetti del Qoelet. Note  Ha usato per molti anni un sigillo con scritto "In esilio" : Capossela intervista Ceronetti. 6 febbraio .  Morto lo scrittore, in Corriere fiorentino, G. Ceronetti, Tra pensieri, Adelphi, Milano, p.11  Paolo Di Stefano, In morte. Raffaele La Capria, Ultimi viaggi nell'Italia perduta, Mondadori, Milano, .  Guido Ceronetti morto, ripubblichiamo la sua ultima intervista al Fatto: “Sono un patriota orfano di patria. Italia, regno della menzogna”  Nello Ajello, Ceronetti. Poesia in forma di marionette, La Repubblica, ricerca.repubblica/ repubblica/archivio/ repubblica ceronetti-poesia-in-forma-di-marionette.html  Samantha, lo spazio e il signor Freud  "Guido Ceronetti. L'inferno del corpo", in Cioran, Esercizi di ammirazione, Adelphi, Milano,   "Oggi una quantità delle mie carte è partita per Lugano dove tutto entrerà a far partedegli archivi della Biblioteca Cantonale." Per le strade della Vergine, Adelphi, Milano,«Urlate urlate urlate urlate. / Non voglio lacrime. Urlate. Idolo e vittima di opachi riti/ Nutrita a forza in corpo che giace / Io Eluana grido per non darvi pace Diciassette di coma che m'impietra Gli anni di stupro mio che non ha fine. Con Decreto del Presidente della Repubblica (pubblicato nella G.U.) gli è stato infatti attribuito un assegno straordinario vitalizio ai sensi della legge, l'aiuto della legge Bacchellila Repubblica, in Archiviola Repubblica. Edizione, "Il nostro meridionale è attaccato alla propria famiglia e nient'altro, qualsiasi abbominio, qualsiasi sfacelo pubblico non arrivino a toccargli la Famiglia non gli faranno il minimo solletico. Sono popoli incapaci di amare disinteressatamente qualcosa perché bello, al di sopra dell'utile. La loro vera patria la loro nostalgia prenoachide è il deserto e faticano da ubriachi a ritrovarlo". La pazienza dell'arrostito, Adelphi, Milano,  (comedonchisciotte. Org forum/ index.php?p=/discussion/ ceronetti-dal-mare-il- pericolo-senza-nome lessiconaturale/ migranti-e-prediche/)  (ilfoglio/preservativi/news/il-grande-pan-e-vivo)  (ilfoglio/cultura/news/far-torto-o-patirlo)  (ilfoglio/ preservativi/news/ deutschland-pressappoco-uber-alle, Sugli sbarchi in Sicilia l'europeista Ceronetti dice, come altri non oserebbero, che “hanno ormai un carattere preciso di invasione territoriale, premessa sicura di guerra sociale e religiosa", Ceronetti, nel dolore si nasconde una luce)  Mario Andrea Rigoni, Ma non bisogna confondere il nichilismo con il razzismo, Corriere della Sera, Guido Almansi, Le leggende di Ceronetti, la Repubblica, L'innocente Priebke L'invasione Africana; “Il male omosessuale” (Ceronetti dixit). Albergo Italia (Einaudi, Torino), capitolo "Elementi per una anti-agiografia",  Uno, cento, mille Ceronetti, Guido Ceronetti, Priebke. Alcune domande intorno a un ergastolo, la Stampa  Pietrangelo Buttafuoco, La pietas di Ceronetti per Priebke, il Foglio, Sono sempre stato anticomunista, sempre, Forse, subito dopo la guerra ho avuto una certa simpatia, però non mi sono iscritto al partito il giorno dopo aver visto La corazzata Potëmkin, come innumerevoli giovani. Antifascista non è neanche da dire, da quando ci si è risvegliati. Di quel periodo non ho voglia di parlarne, ero tra i soliti ragazzini stupidoni che andavano alle adunate, ma non c'è storia di anima o di pensiero o di famiglia che riguardi il fascismo. I miei non erano fascisti né antifascisti, erano bravi cittadini come tanti. (Corriere della sera). Si dice il responso delle urne. Come se un popolo di cretini potesse fornire oracoli (Per le strade della Vergine)  la mia America: “Un baluardo contro l’ideologia comunista”  XIII Congresso Radicali Italiani  ilfoglio/preservativi/ prttttt-in-una-sigla-tutto-pannella- impenitente-ottimista-e-visionario (corriere/ cultura/guido-ceronetti-in-un-amore-felice  Chi era, fustigatore dei vizi degli italiani  Riviste/ Su “Cartevive” omaggio, reazionario postmoderno  CERONETTI: ‘METTIAMO FINE ALLA BARBARIE DELLA VECCHIAIA SENZA SESSO: PER DISABILI E CARCERATI QUALCOSA SI È MOSSO MA PER I VECCHI MASCHI SI MUOVERÀ MAI QUALCUNO? LA PROPOSTA: UN SERVIZIO EROTICO VOLONTARIO PER GLI OVER 70! Abiterò per tre mesi al N. 4 di via Giolitti a Torino, per mettere in scena col Teatro dei Sensibili La Iena di San Giorgio. Sulla porta metto quest'altro mio nome: Geremia Cassandri. La pazienza dell'arrostito. Giornale e ricordi, Milano, Adelphi, Premio letterario Viareggio-Rèpaci, su premioletterario viareggiorepaci. I VINCITORI DEL PREMIO “MONSELICE” PER LA TRADUZIONE , su biblioteca monselice, Alberto Roncaccia, Guido Ceronetti. Critica e poetica (Bulzoni, Roma) Emil Cioran, Esercizi di ammirazione ( Adelphi, Milano, Guido Ceronetti. L'inferno del corpo) Giosetta Fioroni, Marionettista. Guido Ceronetti e il Teatro dei Sensibili secondo l'alchimia figurativa (Corraini, Mantova) Giovanni Marinangeli, Guido Ceronetti. Il veggente di Cetona (Fondazione Alce Nero, Isola del Piano) Fabrizio Ceccardi, Il Teatro dei Sensibili (Corraini, Mantova) Andrea De Alberti, Il Teatro dei Sensibili di Guido Ceronetti (Junior, Bergamo) Marco Albertazzi, Fiorenza Lipparini, La luce nella carne. La poesia (La Finestra Editrice, Lavis) Masetti, A. Scarsella, M. Vercesi , Pareti di carta. Scritti su Guido Ceronetti (Tre Lune, Mantova), Ortese, Le piccole persone (Adelphi, Milano). Lattuada, Frammenti di una luce incontaminata in Guido Ceronetti, La Finestra Editrice, Lavis,   Emil Cioran Gnosticismo moderno.  Ma io diffido dell'amore universale Guido Ceronetti, la Repubblica, Archivio. L’ultimo bardo gnostico che cantava il dolore per la bellezza perduta. Morto il più irregolare degli scrittori italiani. Ernesto Ferrero, La Stampa, V D M Vincitori del Premio Grinzane Cavour per la narrativa italiana V D M Vincitori del Premio "Città di Monselice" per la traduzione letteraria V D M Vincitori del Premio Flaiano per la narrative. Guido Ceronetti. Keywords: la lanterna, la lantern di Diogene, poesia latina, Catullo, Marziale, Orazio, Giovenale, il filosofo ignoto, la pazienza del … --. Aforismi. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ceronetti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51772990016/in/dateposted-public/

 

Grice e Cerroni – i hegeliani – filosofia italiana – Luigi Speranza (Lodi). Filosofo. Grice: “I like Cerroni; he is very Italian: what other philosopher – surely not at Oxford – would philosoophise on the precocity of Italian identity? But his more general philosophical explorations may interest the Oxonian who is not into “Italian studies”! – My favourites are his “Logic and Society,” which reminds me of my “Logic and Conversation.” Then he has a ‘dialectiics of feelings,’ which is what all my philosophy of communication is about; he has also philosophised on anti-contractualist philosophers like Benjamin Constant --!” Studia a Roma con Albertelli e si laurea in Filosofia del diritto.  Ottenne la libera docenza in Filosofia del diritto e l'incarico di Storia delle dottrine economiche e di Storia delle dottrine politiche all'Lecce.  Divenne professore di ruolo di Filosofia della politica e ha insegnato a Salerno e all'Istituto Universitario Orientale di Napoli. Ha insegnato per piùdi venti anni Scienza della politica nella Facoltà di Sociologia dell'Università "La Sapienza" di Roma. Sempre all'Università "La Sapienza" di Roma, era stato nominato professore emerito. Macerata gli conferisce la laurea honoris causa in Scienze politiche. Altre opere: “Problemi attuali di storia dell'agricoltura dell'U.R.S.S.” (Milano : Ed. Centro Per La Storia Del Movimento Contadino); “Il sistema elettorale sovietico” (Roma: Tip. dell'Orso); “Legge sull'ordinamento giudiziario dell'U.R.S.S.” (Roma : Ed. Associazione Italia-U.R.S.S, sezione giuridica (Tip. Sagra, Soc. arti grafiche riproduzioni artistiche) Recenti studi sovietici su problemi di teoria del diritto” Bologna); Sul carattere dei movimenti contadini in Russia nei secoli 17. e 18.” (Milano : Movimento Operaio); Studi sovietici di diritto Internazionale : A cura della sezione giuridica della associazione Italia-urss. [presentazione di Umberto Cerroni, Roma : Tip. Martore e Rotolo); La dottrina sovietica e il nuovo codice penale dell'URSS / Umberto Cerroni.S.l. (Bologna : STEB) Poeti sovietici d'oggi, Roma : Tip. Studio Tipografico, Per lo sviluppo degli studi storici sulla Russia, Bologna : STEB); Diritto ed economia : rilevanza del concetto marxiano di lavoro per una teoria positiva del diritto / Umberto Cerroni.Milano : Giuffrè); Idealismo e statalismo nella moderna filosofia tedesca, Milano : Giuffrè); Individuo e persona nella democrazia / Umberto Cerroni.Milano : Giuffrè); “Il problema politico nello Stato moderno / Umberto Cerroni.Milano : Giuffrè); Diritto e sociologia / Umberto Cerroni. Kelsen e Marx / Umberto Cerroni.Milano : Giuffrè); L'etica dei solitari / Umberto Cerroni.Milano : Giuffrè); Lenin e il problema della democrazia moderna : saggi e studi (Roma : NAVA) Parlamento e società / Umberto Cerroni. Edizioni giuridiche del lavoro); La prospettiva del comunismo / K. Marx, F. Engels, V.I. Lenin Roma : Editori Riuniti); Ritorno di Jhering: Edizioni giuridiche del lavoro, (Città di Castello : Unione arti grafiche) Sulla storicità della distinzione tra diritto privato e diritto pubblico Milano : Giuffrè); La critica di Marx alla filosofia hegeliana del diritto pubblico / Umberto Cerroni.Milano : Giuffrè); La filosofia politica di Giovanni Gentile / Umberto Cerroni. (Novara : Tip. Stella Alpina) La nuova codificazione penale sovietica / Umberto Cerroni. Edizioni giuridiche del lavoro); Concezione normativa e concezione sociologica del diritto moderno / Umberto Cerroni.S.l. : Edizioni giuridiche del lavoro); Diritto e rapporto economico / Umberto Cerroni.Milano : Giuffrè); Kant e la fondazione della categoria giuridica / Umberto Cerroni.Milano : Giuffrè); Marx e il diritto moderno / Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti); Teorie sovietiche del diritto / Stucka ...(et al.) ; Umberto Cerroni.Milano : Giuffrè); Saggi / Benjamin Constant ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma : Samonà e Savelli); Il diritto e la storia / Umberto Cerroni. Le origini del socialismo in Russia / Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti); Il pensiero politico dalle origini ai nostri giorni / Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti, 1966 Un ouvrage recent sur Marx et le droit : Umberto Cerroni , Marx e il diritto moderno, Rome, par Michel Villey.[Paris] : Sirey); Che cos'è la proprietà ?, o, Ricerche sul principio del diritto e del governo : prima memoria, Pierre-Joseph Proudhon ; prefazione, cronologia,  Umberto Cerroni.Bari : Laterza); Considerazioni sullo stato delle scienze sociali : relazioni sugli aspetti generali / Umberto Cerroni.[Milano : Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale,  (Milano : Tipografia Ferrari) La funzione rivoluzionaria del diritto e dello stato” (Torino : Einaudi); Il pensiero politico dalle origini ai nostri giorni” (Roma, Editori Riuniti); La rivoluzione giacobina / Maximilien Robespierre ; Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti); Discorso sull'economia politica e frammenti politici / Rousseau” (Bari : Laterza); La libertà dei moderni” (Bari : De Donato); Metodologia e scienza sociale” (Lecce : Milella); Problemi della legalità socialista nelle recenti discussioni sovietiche / Umberto Cerroni.Milano : A. Giuffrè); “Sulla natura della politica : utopia e compromesso” (Milano : Giuffrè); Considerazioni sullo stato delle scienze sociali”; Il metodo dell'analisi sociale di Lenin” (Bari : Adriatica); Il pensiero giuridico sovietico” (Roma : Editori Riuniti);  La questione ebraica” (Roma : Editori Riuniti); La società industriale e la condizione dell'uomo” (Lecce : ITES); “Sul metodo delle scienze sociali: una risposta” (Milano : Giuffrè); Principi di politica / Benjamin Constant ; Roma : Editori Riuniti); Strade per la libertà” (Roma : Newton Compton); Tecnica e libertà : conferenza tenuta al Lions club di Bari (Padova : Grafiche Erredici) Tecnica e libertà / Umberto Cerroni.Bari : De Donato); Lavoro salariato e capitale / Appunti sul salario e appendice di F. Engels ; Introduzione, cura e note filologiche di Umberto Cerroni.Roma : Newton Compton italiana,La societa industriale e le trasformazioni della famiglia / U. Cerroni.Milano : Giuffrè); Salario, prezzo e profitto / Karl Marx ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma : Newton Compton); Stato e rivoluzione / Vladimir I. Lenin ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma : Newton Compton italiana); Teoria della crisi sociale in Marx : Una reinterpretazione / Umberto Cerroni.Bari : De Donato); Strade per la libertà / Bertrand Russell ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma : Newton compton italiana); Discorso sull'economia politica e frammenti politici / Rousseau ; traduzione di Celestino E. Spada ; prefazione di Umberto Cerroni.Bari : Laterza); Caratteristiche del romanticismo economico / V. I. Lenin ; prefazione di Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti); Kant e la fondazione della categoria giuridica / Umberto Cerroni.Milano : Giuffrè); La libertà dei moderni / Umberto Cerroni.Bari : De Donato); Marx e il diritto moderno / Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti); Il pensiero di Marx / Antologia Umberto Cerroni , con la collaborazione di Oreste Massari e Anna Maria Nassisi.Roma : Editori Riuniti); Il pensiero politico dalle origini ai nostri giorni / Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti); Saggio sui privilegi : che cosa e il Terzo stato? / Emmanuel-Joseph Sieyes ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti); Lo sviluppo del capitalismo in Russia; Lenin ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti); In memoria del manifesto dei comunisti / Antonio Labriola ; Manifesto del partito comunista / Marx-Engels ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma : Newton Compton); La libertà dei moderni / Umberto Cerroni.2. ed.Bari : De Donato); Teoria politica e socialismo; Roma); Il pensiero di Marx / antologia Umberto Cerroni ; con la collaborazione di Oreste e Anna Maria Nassisi. 2. ed.Roma : Editori Riuniti); Teoria della crisi sociale in Marx : una reinterpretazione (Bari : De Donato); Teoria politica e socialismo” (Roma : Ed.Riuniti); Lavoro salariato e capitale / Karl Marx ; con appunti sul salario e appendice di F. Engels ; introduzione, cura e note filologiche di Umberto Cerroni.Roma : Newton Compton); Marx e il diritto moderno / Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti); Il marxismo e l'analisi del presente / Umberto Cerroni. Politica ed economia); Societa civile e stato politico in Hegel” (Bari : De Donato); Salario, prezzo e profitto” (Karl Marx” (Roma : Newton Compton italiana); Il lavoro di un anno : almanacco, Umberto Cerroni.Bari : De Donato); Il pensiero di Marx / Karl Marx ; Roma : Editori Riuniti); Il pensiero politico : dalle origini ai nostri giorni” (Roma : Editori Riuniti); Il rapporto uomo-donna nella civiltà borghese, ed.Roma : Ed. Riuniti); Scienza e potere / scritti di U. Cerroni ... <et al.>.Milano : Feltrinelli); Stato e rivoluzione / Vladimir I. Lenin” (Roma : Newton Compton); Lo sviluppo del capitalismo in Russia” (Roma : Editori Riuniti); La teoria generale del diritto e il marxismo / Evgenij Bronislavovic Pasukanis ; con un saggio introduttivo di Umberto Cerroni.Bari : De Donato); Introduzione alla scienza sociale, Roma : Editori Riuniti); Lavoro salariato e capitale / Karl Marx ; con appunti sul salario e appendice di F. Engels ; introduzione, cura e note filologiche di Umberto Cerroni.Roma : Newton Compton, Materialismo storico e scienza / Umberto Cerroni.Lecce : Milella); Il rapporto uomo-donna nella civilta borghese / Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti, Salario, prezzo e profitto / Karl Marx ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma : Newton Compton); Sulla storicità dell'eros : note metodologiche / Umberto Cerroni, Annarita Buttafuoco); Crisi ideale e transizione al socialismo / Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti); Scritti economici / V. I. Lenin ; Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti); Stato e rivoluzione / Vladimir I. Lenin ; introduzione di Umberto Cerroni.- Roma : Newton Compton); Carte della crisi : taccuino politico-filosofico / Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti, Crisi del marxismo? / Umberto Cerroni ; intervista di Roberto Romani.Roma : Editori Riuniti); Critica al programma di Gotha e testi sulla tradizione democratica al socialismo / Karl Marx ; Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti, Due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica / V. I. Lenin ; Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti, In memoria del manifesto / Antonio Labriola ; introduzione di Umberto Cerroni.2. ed.Roma : Newton Compton Editori); Che cos'è la proprietà ? : o ricerche sul principio del diritto e del governo : prima memoria, Pierre-Joseph Proudhon ; prefazione, cronologia, biografia Umberto Cerroni. 3. ed.Roma ; Bari : Laterza, Lavoro salariato e capitale / Karl Marx ; con appunti sul salario e appendice di F. Engels ; introduzione ... di Umberto Cerroni.Roma : Newton Compton); Lessico gramsciano / Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti); La prospettiva del comunismo, K. Marx, F. Engels, V. I. Lenin ; Umberto Cerroni.Roma : Editori riuniti); La questione ebraica e altri scritti giovanili / Karl Marx ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma : Editori riuniti); Saggio sui privilegi : che cosa e il terzo stato? Emmanuel-Joseph Sieyes ; introduzione di Umberto Cerroni : traduzione di Roberto Giannotti.Roma : Editori Riuniti, Strade per la liberta, Bertrand Russell ; introduzione di Umberto Cerroni ; traduzione di Pietro Stampa.Roma : Newton Compton); Teoria del partito politico (Roma : Editori Riuniti, I giovani e il socialismo, K. Marx, F. Engels, V. I. Lenin, A. Gramsci ; Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti); Introduzione alla scienza sociale, Roma; Storia del marxismo / Predrag Vranicki ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti, Quasi una vita... e anche meno, poesie di Italo Evangelisti ; prefazione di Umberto Cerroni” (Milano ; Roma); “Che cosa fanno oggi i filosofi? Milano); “Logica e società : pensare dopo Marx” (Milano : Bompiani, La democrazia come problema della società di massa; Principi di politica” (Roma : Editori Riuniti); “Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico” (Roma : Editori Riuniti); Il pensiero di Marx : antologia, con la collaborazione di Oreste Massari e Anna Maria Nassisi.III. ed. Roma : Editori Riuniti, Scritti economici” (Roma : Editori Riuniti); Teoria della società di massa” (Roma : Editori Riuniti); La rivoluzione giacobina” (Roma : Editori riuniti, Politica : metodo, teorie, processi, soggetti, istituzioni e categorie / Umberto Cerroni.Roma : NIS); La politica post-classica : studi sulle teorie contemporanee” (Taviano : Lit. Graphosette) Urss e Cina : le riforme economiche” Centro studi paesi socialisti della Fondazione Gramsci.Milano : F. Angeli, stampa, Che cosa è il terzo stato con il Saggio sui privilege” (Roma : Editori Riuniti, Democrazia e riforma della politica : Lo Statuto del nuovo PCI / Umberto Cerroni.Roma : Partito Comunista Italiano, Regole e valori nella democrazia : stato di diritto, stato sociale, stato di cultura” Roma : Ed. Riuniti, La cultura della democrazia / Umberto Cerroni.Chieti : Metis, Che cosa e il Terzo Stato? / Emmanuel-Joseph Sieyes ; Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti, La rivoluzione giacobina / Maximilien Robespierre ; Umberto Cerroni ; traduzione di Fabrizio Fabbrini; apparati biobibliografici di Grazia Farina.Pordenone : Studio Tesi, Manifesto del partito comunista / Karl Marx, Friedrich Engels ; nella traduzione di Antonio Labriola ; seguito da In memoria del manifesto dei comunisti di Antonio Labriola ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma: TEN,  Nazione/regione : i contributi regionali alla costruzione dell'identità nazionale / Andrea Battistini, Umberto Cerroni , Michele Prospero.Cesena : Il ponte vecchio, L'ambiente fra cultura tecnica e cultura umanistica : seminario svoltosi presso l'ANPA Umberto Cerroni ; A. Albanesi, M. Maggi e L. Sisti.Roma : Anpa, [Novecento : almanacco del ventesimo secolo, Cesena : Il ponte vecchio, Il pensiero politico italiano / Umberto Cerroni.Roma : Newton Compton, Il pensiero politico del Novecento / Umberto Cerroni.Roma : Tascabili economici Newton); “Le regole del metodo sociologico” (Roma : Editori Riuniti, 1996 Regole e valori nella democrazia : Stato di diritto, Stato sociale, Stato di cultura / Umberto Cerroni.Roma: Editori Riuniti, L'identità civile degli italiani / Umberto Cerroni.Lecce : Manni, L'ulivo al governo : come cambia l'Italia / interventi di U. Cerroni; Paola Piciacchia.Roma: Philos, stampa Politica / Umberto Cerroni.Roma : Seam, Confronto italiano : atti degli incontri di Cetona, Giovanni Bechelloni, Umberto Cerroni.Firenze : Ed. Regione Toscana, stampa (Firenze : Centro Stampa Giunta regionale); “L'identità civile degli italiani” (Lecce : Manni, Lo Stato democratico di diritto : modernità e politica / Umberto Cerroni.Roma : Philos, stampa, Habeas mentem : Scuola e vita civile :Umberto Cerroni.Rionero in Vulture (Pz) : Calice, Conoscenza e societa complessa : per una teoria generale del sensibile” (Roma : Philos, Ricordo di Marisa De Luca Cerroni / scritti di Umberto Cerroni ... et al.Lecce, stampa Confronto italiano : atti degli incontri di Cetona, Giovanni Bechelloni (Firenze : Ed. Regione Toscana, stampa  (Centro Stampa Giunta Regionale) Taccuino politico-filosofico / Umberto Cerroni.Roma : Philos, Precocità e ritardo nell'identità italiana, Roma, Precocità e ritardo nell'identità italiana, Roma : Meltemi, Taccuino politico-filosofico, Umberto Cerroni.Lecce : Manni, Le radici culturali dell'Europa, Umberto Cerroni.Lecce :Manni, Radici della civiltà europea, Lecce : Manni,Globalizzazione e democrazia, Lecce : Manni, Taccuino politico-filosofico, Lecce, Taccuino politico-filosofico Umberto Cerroni.San Cesario di Lecce : Manni, L'eretico della sinistra : Bruno Rizzi elitista democratico” (Milano : F. Angeli,  Taccuino politico-filosofico, Lecce; La scienza e una curiosita: scritti in onore di Umberto Cerroni / Cosimo Perrotta ; con la collaborazione di Mariarosa Greco” (San Cesario di Lecce : Manni, Manifesto del partito comunista / Karl Marx, Friedrich Engels ; nella traduzione di Antonio Labriola ; seguito da In memoria del Manifesto dei comunisti di Antonio Labriola” (Roma : Newton & Compton, Dialettica dei sentimenti : dialoghi di psicosociologia / Umberto Cerroni , Alberta Rinaldi.San Cesario di Lecce : Manni, [Taccuino politico-filosofico, Umberto Cerroni.[San Cesario di Lecce] : Manni, Ricordi e riflessioni : un dialogo con Giuseppe Vagaggini / Umberto Cerroni.Montepulciano : Le Balze. Umberto Cerroni. Keywords: i hegeliani, categoria giuridica, Trasimacco, Kelsen. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cerroni” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51773615049/in/dateposted-public/

 

Grice e Certani – il sacrificio – filosofia romana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Bologna). Filosofo. Grice: “I like Certani – but then in Italy they learn Hebrew at school, whereas we at Clifton separated Montefiore from the rest!” Grice: “Certani philosophised, like Kierkegaard later will, on ‘L’Abraamo,’ Insegna a Bologna. Opere: “Conclusioni di filosofia” e di teologia. Insegna a Cesena, Brescia, Milano e Bologna. Si laurea a Bologna. Altre opere: “Abramo: Caino ed Abele” (Venezia); “Francesco Saverio” (Bologna, Ferrosi); “La verità vendicata; cioè Bologna difesa dalle calunnie di Francesco Guicciardini. Osservazioni Istoriche dell'Abate Giacomo Certani Canonico Dott. Teologo Colleg. Filosofo, e nell'Bologna pubblico Professore di Filosofia morale. In Bologna per gli Eredi del Dozza); “Maria Vergine Coronata. Descrizione, e dichiarazione della divota Solennità fatta in Reggio per Prospero Vedrotti); “La Chiave del Paradiso; cioè, invito alla Penitenza alle Cavalieri” (Bologna per Giacomo Monti); “Il Gerione Politico, Riflessioni profittevoli alla vita civile, alle Repubbliche, e alle Monarchie” (Milano, Compagnini); “S. Patrizio Canonico Regolare Lateranense Apostolo, e Primate dell'Ibernia; descritta dall'Abate D. Giacomo Certani ec.” (Bologna nella Stamperia Camerale); “L'Isacco ed il Giacobbe” (Bologna, per il Monti); “La Santità Prodigiosa, Vita di S. Brigida Ibernese Canonichessa Regolare di S.Agostino Scritta dall'Ab. D. Giacomo Certani Canonico Regolare Lateranense Dott. Filosofo e Teologo Collegiato ec. per gli eredi di Antonio Pisarri); “La Susanna in versi, notata da Lorenzo Legati: nel suo museo Cospiano al fol.117 e la nota ancora Gregorio Leti nell'Italia Regnante parte III lib. II, pag. 118 ove parla di Questo soggetto. Oltre i sopraccennati ne parla ancora l'Orlandini negli Scrittori Bolognesi ec. Giacomo Cerretani. Jacopo Certani. Giacomo Certani. Keywords: il sacrificio, Il cavaliere penitente; ossia, la chiave del paradiso, chastita, maschile. Christian masculinity, Percival, The Holy Grail, the knight-penant, cavalier penitente. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Certani” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51773839345/in/dateposted-public/

 

Grice e Ceruti – Niso ed Eurialo; ovvero, dell’altruismo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Cremona). Filosofo. Grice: “Ceruti is a good one – he has philosophised on solidarity – and previously on altruism – these are VERY different concepts, as he notes – but also on ‘vinculum,’ a nice Latin word for what I’m into! – “A Griceian at heart!” --  Grice: “Only one T!”. Tra i filosofi protagonisti dell'elaborazione del pensiero complesso, è uno dei pionieri della ricerca contemporanea inter- e trans-disciplinare sui sistemi complessi.  La sua filosofia si produce all'intersezione di una pluralità di domini di ricerca: epistemologia (filosofia e storia della scienza, storia delle idee, noologia…), scienze della natura (fisica, biologia, cosmologia…), scienze dell'uomo (antropologia, sociologia, psicologia, storia…), scienze dell'organizzazione e del management. Si laurea in filosofia della scienza con Geymonat con “L'epistemologia genetica di Piaget” nella quale, attraverso l'analisi dell'epistemologia viene posto il problema del ruolo della biologia e delle scienze del vivente, nelle varie articolazioni disciplinari, come decisiva interfaccia fra le scienze fisico-chimiche e le scienze umane, in grado di favorire processi di circolazione concettuale e di traduzione reciproca fra vari e multiformi campi del sapere. Nei suoi studi ha affrontato le questioni del significato filosofico ed epistemologico delle maggiori rivoluzioni scientifiche del ventesimo secolo (teoria dei quanti, relatività, teoria dei sistemi, biologia molecolare) focalizzando le sue ricerche sui temi del cambiamento stilistico e delle relazioni fra stile e contenuto nella storia delle idee, nonché dello statuto conoscitivo dei risultati innovativi connessi alle rivoluzioni scientifiche. Una sintesi di queste ricerche è contenuta nell'opera Disordine e costruzione. Un'interpretazione epistemologica di Piaget. Assunto da Ginevra, presso la Facoltà di Psicologia e scienze dell'educazione fondata da Piaget, in qualità di assistant, svolgendo ricerche nel gruppo di lavoro coordinato da Munari. In questo periodo approfondisce le relazioni che connettono l'opera di Piaget a vari modelli e approcci del contesto scientifico a lui contemporaneo: alla termodinamica di non equilibrio di Prigogine, alle ricerche sul concetto e sui processi di auto-organizzazione e autopoiesi, all'embriologia di Waddington, ai nascenti dibattiti sul significato delle ricerche della biologia molecolare. Il tema chiave di queste convergenze disciplinari è la possibile delineazione di modelli generali del cambiamento, nonché del ruolo della discontinuità in questi modelli. L'approfondimento dei singoli filoni disciplinari gli consente di interrogarsi più estensivamente sul significato profondo e complessivo dei cambiamenti paradigmatici delle scienze alla fine del ventesimo secolo: dalla convergenza di varie discipline emerge la prospettiva di una scienza nuova, caratterizzata da precise assunzioni relativamente alla natura del cambiamento, alla relazione fra soggetto e mondo, al ruolo del tempo, della storia e della narrazione negli approcci scientifici. La nozione di complessità costituisce un'utile maniera sintetica di rapportarsi con tali assunzioni. Per ricostruire queste novità del contesto scientifico, imposta un programma di ricerca attorno al tema della epistemologia della complessità, parte integrante del quale è stata a partire l'organizzazione di convegni internazionali e di seminari, e la pubblicazione del volume La sfida della complessità. Ricercatore associato presso il Centre d'Etudes Transdisciplinaires, Sociolgie, Anthropologie, Politique diretto da Morin, centro di ricerca associato al CNRS e all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi, presso il quale dirige l'unità di ricerca di filosofia della scienza. In quegli anni approfondisce le problematiche dell'epistemologia genetica e della cibernetica, pubblicando Il vincolo e la possibilità e La danza che crea. Svolge inoltre ricerche sul ruolo giocato dalle scienze evolutive e dalla teoria dell'evoluzione di tradizione darwiniana nel più generale mutamento di prospettiva delle valenze cognitive e stilistiche del contesto scientifico, focalizzandosi sulle conseguenze epistemologiche e filosofiche dei modelli di cambiamento e delle relazioni fra continuità e discontinuità conseguenti alla teoria degli equilibri punteggiati di Gould e Eldredge, ai dibattiti sulle estinzioni di massa e sulle testimonianze paleontologiche, alle nuove forme di collaborazione fra evoluzionismo e genetica, alle relazioni fra approcci storici e approcci nomotetici nelle scienze del vivente. Ne deriva una serie di ricerche compendiate nel volume Origini di storie, in cui il tema del cambiamento discontinuo, e i connessi temi dell'evento, della contingenza e della sensibilità alle condizioni iniziali, vengono discussi all'interno di un ampio spettro disciplinare, che connette bio G. Bocchi, 1993), in cui il tema del cambiamento discontinuo, e i connessi temi dell'evento, della contingenza e della sensibilità alle condizioni iniziali, vengono discussi all'interno di un ampio spettro disciplinare, che connette bioogia evolutiva, cosmologia, fisica del caos, antropologia e storia delle idee. Gli interrogativi sul modo in cui dallo studio del radicamento naturale delle società umane possano scaturire nuovi strumenti di comprensione dei fenomeni sociali e culturali della nostra specie lo portano a entrare in contatto con le ricerche condotte in questi stessi anni dal Santa Fe Institute, volte all'individuazione di leggi generali della complessità e di modelli generali sul comportamento dei sistemi complessi. Una nuova linea di ricerca di filosofia della scienza, che approfondisce a partire dalla metà degli anni novanta, è lo studio dei modelli di cambiamento dell'evoluzione umana, in relazione alla teoria degli equilibri punteggiati, alla visione discontinuista della storia naturale, alle dinamiche ecologiche e ambientali. Una seconda linea di ricerca epistemologica, strettamente interrelata alla prima, è lo studio dell'importanza delle analisi genetiche per la ricostruzione dell'evoluzione e della storia umane, sia dei tempi lunghi della storia delle varie specie ominidi sia dei tempi medi della storia della nostra specie Homo sapiens. A partire da Solidarietà o barbarie. L'Europa delle diversità contro la pulizia etnica, imposta una serie di seminari e di ricerche di filosofia delle scienze biologiche, evoluzionistiche e storiche sul tema dei confini e sulle identità nazionali e culturali. Nel far ciò approfondisce una concezione evolutiva di tali identità, consonante con la prospettiva epistemologica costruttivistica, e convergente con i presupposti epistemologici, costruttivisti e antiessenzialisti propri della tradizione evoluzionistica darwiniana. In queste ricerche, viene affrontata anche la questione del significato della rivoluzione darwiniana nell'intera storia della tradizione scientifica occidentale. Un ulteriore studio dedicato a tali problematiche è il volume Educazione e globalizzazione, che traccia un bilancio epistemologico degli intrecci disciplinari fra storia, geografia, antropologia, scienze evolutive e naturali per comprendere il ruolo della diversità culturale nella storia della specie umana e le radici profonde degli attuali processi di globalizzazione. Insegna a Palermo, di Milano Bicocca, di Bergamo e a Milano, dove attualmente insegna e ricopre la carica di direttore del Dipartimento di Studi umanistici. Presidente della Società Italiana di Logica e Filosofia delle Scienze. Preside della Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università degli studi di Milano Bicocca. Preside della Facoltà di Scienze della Formazione dell'Bergamo. Direttore del Centro di Ricerca sull'Antropologia e l'Epistemologia della Complessità che comprendeva la Scuola di dottorato in Antropologia ed Epistemologia della Complessità a Bergamo.  Principali tematiche presenti negli studi di Ceruti: Antropologia Bioetica costruttivismo (filosofia); Epistemologia; Epistemologia della complessità; Epistemologia genetica; Evoluzionismo; Globalizzazione; Scienze cognitive; Scienze della formazione; Teoria dei sistemi. Membro della Commissione Nazionale di Bioetica della Presidenza del Consiglio dei ministri. Nominato, dal Ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni, Presidente della Commissione incaricata di scrivere le nuove Indicazione per il Curricolo per la Scuola dell'Infanzia e per il Primo Ciclo di Istruzione. Partecipa alla fase di fondazione del Partito Democratico, venendo eletto all'Assemblea costituente del partito e assumendo l'incarico di relatore della Commissione incaricata di redigerne il Manifesto dei Valori.  Alle elezioni politiche italiane della XVI Legislatura eletto al Senato della Repubblica nelle liste del Partito Democratico. È stato membro della Commissione permanente (Istruzione pubblica, beni culturali), della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi e della Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza. Non si è ripresentato alle elezioni della XVII legislatura. Altre opere: “Il tempo della complessità” (Raffaello Cortina Editore, Milano); “La fine dell'onniscienza” (Studium, Roma); “La nostra Europa” (Raffaello Cortina Editore, Milano); “Organizzare l'altruismo” (Laterza, Roma-Bari); “Una e molteplice: ripensare l'Europa” (Tropea, Milano); “Il vincolo e la possibilità” (Feltrinelli, Milano); “Origini di storie” (Feltrinelli, Milano); “La sfida della complessità” (Feltrinelli, Milano); “Le due paci. Cristianesimo e morte di Dio nel mondo globalizzato” (Raffaello Cortina Editore, Milano); “Educazione e globalizzazione, Raffaello Cortina Editore, Milano); “Formare alla complessità, Carocci, Roma); “Le origini della scrittura. Genealogie di un'invenzione, Bruno Mondadori Editore, Milano); “Le radici prime dell'Europa: gli intrecci genetici, linguistici, storici” (Bruno Mondadori Editore, Milano); “Epistemologia e psicoterapia, Raffaello Cortina Editore, Milano); “Pensare la diversità. Per un'educazione alla complessità umana, Meltemi, Roma); Evoluzione senza fondamenti” (Laterza, Roma-Bari); “Solidarietà o barbarie: l’Europa delle diversità contro la pulizia etnica” (Raffaello Cortina Editore, Milano, Prefazione di Edgar Morin, Il caso e la libertà, Laterza, Roma-Bari); Evoluzione e conoscenza, Lubrina, Bergamo); “L'Europa nell'era planetaria” (Sperling & Kupfer, Milano); “Turbare il futuro: un nuovo inizio per la civiltà planetaria” (Moretti & Vitali, Bergamo); “Che cos'è la conoscenza, Roma-Bari); “La danza che crea. Evoluzione e cognizione nell'epistemologia genetica, Feltrinelli, Milano, Prefazione di Francisco Varela, Lazlo E., Physis: abitare la terra, Feltrinelli, Milano); Dopo Piaget. Aspetti teorici e prospettive per l'educazione, Edizioni Lavoro, Roma); Modi di pensare postdarwiniani: saggio sul pluralismo evolutivo” (Dedalo, Bari); L'altro Piaget. Strategie delle genesi, Emme Edizioni, Milano  Bocchi G., Ceruti M. Disordine e costruzione. Un'interpretazione epistemologica dell'opera di Jean Piaget, Feltrinelli, Milano. Direttore delle riviste scientifiche:  La Casa di Dedalo (Casa Editrice Maccari, Parma); Oikos (Pierluigi Lubrina Editore, Bergamo); Pluriverso (Rcs, Milano). mauroceruti. Pagina nel sito del Senato, su senato. Ministero della Pubblica Istruzione, Nuove Indicazioni Nazionali per il Curricolo, su pubblica.istruzione. Presidenza del Consiglio dei ministri, Comitato Nazionale di Bioetica, su governo. Mauro Ceruti. Keywords: Niso ed Eurialo; ovvero, dell’altruismo, dal semplice al complesso, complesso proposizionale, discover the simple elements, philosophy as deconstructing the complex, solidarity, altruism, solideratieta, altruismo, sistema complesso, sistema semplice, etimologia di ‘complesso’. Filosofia della solidarieta, solidarieta: il semplice della solidarieta, il semplice dell’altruismo, Butler, amore proprio, amore improprio, altruismo, egoismo, self-love, other-love, benevolence, organizzare l’altruismo, abitare la complessita, multiple e diverso, unico e multiple. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ceruti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51773575194/in/dateposted-public/

 

Grice e Cerutti – il leviatano – filosofia italiana – Luigi Speranza (Genova). Filosofo. Grice: “Cerutti is into politics, like Hobbes, and it’s not surprising he philosophised on ‘il leviatano,’ as the Italians call it – and represent as a tortoise ridden by Jacob --,” -- “La globalizzazione dei diritti umani dovrebbe avere il suo culmine con il riconoscimento del diritto che ha il Genere Umano alla sopravvivenza»  Insegna a Firenze. La sua filosofia verte principalmente sul marxismo occidentale e la "teoria critica" propria della Scuola di Francoforte da cui, tra l'altro proviene. Lavora sulla filosofia politica delle relazioni internazionali ed affari globali, seguendo due diverse tematiche: la teoria delle sfide globali (armi nucleari e riscaldamento globale), e la questione dell'identità “politica” (non sociale o culturale) degli europei in relazione con la legittimazione dell'unione europea. Da ricordare la sua amicizia con Bobbio del quale Cerutti stesso si ritiene allievo. Altre opere: “Storia e coscienza di classe” (Milano); “Totalità, bisogni e organizzazione” (Firenze); “Marxismo e politica. Saggi e interventi, Napoli); “Gli occhi sul mondo. Le relazioni internazionali in prospettiva interdisciplinare, a cura di, Roma); “Sfide globali per il Leviatano. Una filosofia politica delle armi nucleari e del riscaldamento globale” (Milano, Vita e pensiero). Furio Cerutti. Keywords: il leviatano, lotta di classe, Lukacks, Marx, unione europea, identita culturale, identita sociale, identita politica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cerutti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51772091232/in/dateposted-public/

 

Cervi

 

Cesa

 

Grice e Cesarini – filosofia italiana – Luigi Speranza (Genzano di Roma). Filosofo. Grice: “Cesarini was more of a warrior than a philosopher, but I also fought in the North-Atlantic – in Italy, war trumps philosophy! He wrote a philosophical story of the war of Velletri – and liked to dress up as one of his ducal ancestors – a gentleman!” -- There are many philosophers with the name Sforza Cesarini. Figlio del III duca Lorenzo Sforza Cesarini. Convinto sostenitore del nuovo Regno d'Italia tanto da nascondere le armi degli insorti nel suo palazzo. Per questo motivo, il papa confisca tutte le sua proprietà che vennero loro restituite da Vittorio Emanuele II dopo il suo ingresso a Roma, reso possibile dalla presa di Porta Pia, accompagnato dallo stesso filosofo in veste di consigliere del re. Grice: “My mother loved him; but then every Englishman loved the Kingdom of Italy, or rather, every Englishman hated the Pope!” – Grice: “Sforza Cesarini should never be confused with Cesarini Sforza: Sforza Cesarini is under “C”; Cesarini Sforza, the jurisprudential philosopher, is under “S”. IV duca Sforza Cesarini. Francesco II Sforza Cesarini. Francesco Sforza Cesarini. Sforza Cesarini. Cesarini. Keywords: “Letters of my father, kingdom of Italy, anti-Popish, Palazzo di Roma. Patria, patriotism, nazionalismo. Il nuovo regno d’Italia, Vittorio Emanuele II, Porta Pia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cesarini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51772077672/in/dateposted-public/

 

Grice e Cherchi – implicatura sarda – filosofia sarda – filosofia italiana – Luigi Speranza (Oschiri). Filosofo. Grice: “Cherchi demonstrates that Jersey exists – if a philosopher is from Jersey we wouldn’t call him English – neither would he! Cherchi is from ‘Sardinia,’ and he philosophises mainly about that – which is very fun! My favourite of his tracts is one on the circle and the ellipse as it relates to Vinci’s ‘homo vitruviano.’ Anda a scuola al liceo Siotto Pintor a Cagliari. Placido Cherchi studiò a Cagliari con Ernesto De Martino e Corrado Maltese, interessandosi contemporaneamente di studi e problemi etno-antropologici e storico artistici. Come autore di importanti lavori sul pensiero di Ernesto De Martino e sui problemi dell'identità e della cultura sarda, fu un membro attivo della Scuola antropologica di Cagliari, dovuta alla presenza all'Cagliari di maestri come Ernesto de Martino e Alberto Mario Cirese, come pure di loro allievi quali Clara Gallini, Giulio Angioni e lo stesso Cherchi.  Morì nel  all'età di 74 anni a causa di un'emorragia cerebrale. Altre opere: “Paul Klee teorico, De Donato, Bari); Sciola, percorsi materici, Stef, Cagliari); “Pittura e mito in Giovanni Nonnis, Alfa, Quartu S.E.); Nivola, Ilisso, Nuoro); “Placido Cherci,  Ernesto De Martino: dalla crisi della presenza alla comunità umana, Liguori, Napoli); “Il signore del limite: tre variazioni critiche su Ernesto De Martino, Liguori, Napoli); “Il peso dell'ombra: l'etnocentrismo critico di Ernesto De Martino e il problema dell'autocoscienza culturale, Liguori, Napoli); “Etnos e apocalisse: mutamento e crisi nella cultura sarda e in altre culture periferiche, Zonza, Sestu); “Manifesto della gioventù eretica del comunitarismo e della Confederazione politica dei circoli, organizzazione non-partitica dei sardi , coautori Francesco Masala ed Eliseo Spiga, Zonza , Sestu); “Il recupero del significato: dall'utopia all'identità nella cultura figurativa sarda, Zonza, Sestu); “Crais: su alcune pieghe profonde dell'identità, Zonza, Sestu); “Il cerchio e l’ellisse. Etnopsichiatria e antropologia religiosa in Ernesto De Martino: le dialettiche risolventi dell’autocritica, Aìsara); “La riscrittura oltrepassante, Calimera, Curumuny); “Per un’identità critica. Alcune incursioni auto-analitiche nel mondo identitario dei sardi” (Arkadia. Silvano Tagliagambe:   Giulio Angioni, Una scuola sarda di antropologia?, in  (Luciano Marrocu, Francesco Bachis, Valeria Deplano), La Sardegna contemporanea. Idee, luoghi, processi culturali, Roma, Donzelli, , 649-663  Addio a Placido Cherchi, il ricordo di Giulio Angioni: "Fu ideologo del neo sardismo" Archiviato il 2 ottobre  in . Notizie.tiscali  È morto Placido Cherchi, vicepresidente della Fondazione Sardinia Fondazionesardinia.eu  Scuola antropologica di Cagliari Ernesto de Martino  Giulio Angioni, In morte di Placido Cherchi, sito "il manifesto sardo".il 6 ottobre . Roberto Carta, Che cosa è Placido Cherchi? Due o tre cose, per decidere di essere sardi Po arregordai a Placido CherchiEnrico Lobina, su enricolobina.org. Silvano Tagliagambe, L'eredità preziosa di Placido Cherchi. Placido Cherchi. Keywords: implicature sarda, filosofia sarda, etnos, etnicicita italiana, sardegna non e parte d’Italia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cerchi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51773531279/in/dateposted-public/

 

Grice e Chiappelli – academici – filosofia italiana – Luigi Speranza (Pistoia). Filosofo. Grice: “One of my most recent reflections is on the distinction and striking parallelisms I draw between the Athenian dialectic – best represented in Raffaello’s “La scuola di Atene” at Rome – and the Oxonian dialectic – but represented in those reeky meeting at the Philosophy Room at Merton – or better, my Saturday mornings at St. John’s with Austin! Chiappelli provides us with a most brilliant hermeneutic of the iconography in Raffaello’s painting – Strawson tried to emulate him with some caricatures of Austin, Grice, and the rest of the Play Group – but his doodlings ccouldn’t compare!” Figlio del fisiologo Francesco Chiappelli, zio del pittore omonimo, si laurea in lettere e filosofia all'istituto superiore di Firenze ed inizia la carriera universitaria a Napoli, dove è stato titolare della cattedra di storia della filosofia e incaricato dell'insegnamento di pedagogia e direttore dell'annesso museo. Ha inoltre insegnato storia delle chiese a Pisa, Bologna e Firenze. È stato membro della Società reale di Napoli, delle accademie dei Lincei di Roma, delle scienze di Torino, pontaniana di Napoli e della Crusca di Firenze. Consigliere comunale a Firenze è stato incaricato di una missione di ricerche e studi negli archivi e biblioteche di Firenze sull'arte fiorentina del Rinascimento e membro della commissione provinciale di Firenze per la conservazione dei monumenti e delle opere d'arte. Altre opere: “Della interpretazione panteistica di Platone, Firenze : Succ. Le Monnier); La dottrina della realtà del mondo esterno nella filosofia moderna prima di Kant” (Firenze, Tip. dell'arte della stampa); “Studi di antica letteratura cristiana, Torino, Loescher); “Darwinismo e socialismo, Roma, Forzani e C. Tipografi del Senato); Saggi e note critiche, Bologna, Ditta Nicola Zanichelli); “Il socialismo e il pensiero moderno, Firenze, Succ. Le Monnier); “Giacomo Leopardi e la poesia della natura” (Roma, Società editrice Dante Alighieri); “Leggendo e meditando. Pagine critiche di arte, letteratura e scienza sociale, Roma, Società editrice Dante Alighieri); “Nuove pagine sul cristianesimo antico, Firenze : succ. Le Monnier); “Pagine d'antica arte fiorentina, Firenze, Lumachi); “Dalla critica al nuovo idealismo, Torino, Bocca); “Pagine di critica letteraria, Firenze, Le Monnier); “Idee e figure moderne, 2 voll., Ancona, G. Puccini e figli). Dizionario biografico degli italiani. Crusca. Alessandro Chiappelli. Keyword: academici, Alcibiade, Gli Scipione, la dialettica romana, storia dela filosofia romana, Cicero, ambassiata Carneade, Kant, neo-Kantianismo, external world, internal world, the reality of the external world, iconography, detailed ecphrasis of “La scuola di Atene” – dialettica ateniense, dialettica romana. Grice: To Athens, via Rome.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Chiappelli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689429333/in/photolist-2mKBQvt-2mKBEmt-2mJ4GHU-2mGnP2f

 

Grice e Chiaromonte – parola – filosofia italiana – Luigi Speranza (Rapolla). Filosofo. Grice: “Problem with Chiaromonte is that he let things influence him too much! My favourite is his tract on ‘silenzio e parola’ – where as he explains, ‘parabola,’ as used by the Greeks meant conversazione, because among primitive people, it is all about ‘comparison,’ and that is what a parabole is – by comparison we may think of miaow-miaow and the bow-bow theory of meaning!”. Esponente antifascista, appassionato di filosofia (fu discepolo di Andrea Caffi) e di teatro, fondò con Ignazio Silone la rivista culturale indipendente "Tempo Presente".   Nacque a Rapolla, in Basilicata, da Rocco e Anna Catarinella. Il padre, medico, si trasferì con la famiglia a Roma, Sin dall'età di vent'anni si votò all'antifascismo, dopo una breve parentesi fra le file fasciste, entrando a far parte della formazione Giustizia e libertà e finendo esule a Parigi per evitare l'arresto della polizia. Fu in Spagna, combattente repubblicano nella guerra civile spagnola contro le armate franchiste nella pattuglia aerea di André Malraux (la figura di Chiaromonte è adombrata in quella del personaggio dell'intellettuale Giovanni Scali, del romanzo L'Espoir), poi abbandonò il fronte per contrasto con i comunisti. Allo scoppio del secondo conflitto mondiale, in seguito all'invasione tedesca della Francia, riparò a New York, facendosi notare nel gruppo dei cosiddetti New York Intellectuals.  Fu propugnatore del socialismo libertario che contrappose alle spinte trotzkiste della rivista politics di Dwight Macdonald, a cui pure si legò in un sodalizio di amicizia e di frequentazione intellettuale. Ebbe legami d'amicizia con filosofi come Hannah Arendt e Albert Camus, e scrittori come George Orwell, e collaborò con Gaetano Salvemini al settimanale italiano a New York, Italia libera.  Tornato in Italia una prima volta e una seconda, si sentì esule in patria, anche per il suo rifiuto a sottostare ai compromessi che volevano la cultura strettamente legata ai partiti politici; per un periodo tenne una rubrica di critica teatrale sulla rivista Il Mondo fondata da Mario Pannunzio.  Nel 1956, assieme allo scrittore Ignazio Silone, fondò "Tempo presente", rivista culturale indipendente, esperienza innovativa nell'Italia dell'epoca che portò avanti, nonostante qualche dissapore con Silone, con grande attenzione agli autori di notevole spessore che riempivano le pagine del mensile.  Le sue posizioni furono improntate all'anticomunismo ma, a differenza di Silone, fu senz'altro più utopico; vicino alle posizioni di Albert Camus, teorizzò «la normalità dell'esistenza umana contro l'automatismo catastrofico della Storia».  Nel testo La guerra fredda culturale. La Cia e il mondo delle lettere e delle arti (Fazi editore) della storica e giornalista inglese Frances Stonor Saunders, si sostiene che la rivista Tempo presente sia stata finanziata dalla CIA: la Saunders ne individua i fondatori come personaggi di punta del Congress for Cultural Freedom e principali destinatari dei finanziamenti della CIA per attività culturali in Italia.  Dal gennaio 1967 e fino alla morte, intrattiene una fitta corrispondenza con Melanie von Nagel Mussayassul, amichevolmente chiamata Muska, una monaca benedettina, sul tema della verità.  Opere La situazione drammatica, Milano, Bompiani, The Paradox of History, Londra, Le Paradoxe de l'Histoire, prefazione di Adam Michnik, introduzione di Marco Bresciani, Cahiers de l'Hôtel de Galliffet,  Credere e non credere, Milano, Bompiani; Collana Intersezioni, Bologna, Il Mulino, Scritti sul teatro, Introduzione di Mary McCarthy, Miriam Chiaromonte, Collana Saggi, Torino, Einaudi, Scritti politici e civili, Miriam Chiaromonte, Introduzione di Leo Valiani, con una testimonianza di Ignazio Silone, Milano, Bompiani, Il tarlo della coscienza (The Worm of Consciousness and Other Essays, Prefazione di Mary McCarthy), Miriam Chiaromonte, Collana Le occasioni, Bologna, Il Mulino, Silenzio e parole: scritti filosofici e letterari, Milano, Rizzoli, Che cosa rimane, Taccuini, Collana Saggi, Bologna, Il Mulino, Lettere agli amici di Bari, Schena, Le verità inutili, S. Fedele, L'ancora del Mediterraneo, La rivolta conformista. Scritti sui giovani e il 68, Una città, Forlì, Fra me e te la verità. Lettere a Muska, W. Karpinski e C. Panizza, Una città, Forlì, Il tempo della malafede e altri scritti, Vittorio Giacopini, Edizioni dell'Asino,  Albert Camus-Nicola Chiaromonte, Correspondance, Édition établie, présentée et annotée par Samantha Novello, Collection Blanche, Paris, Gallimard, Dizionario Biografico degli Italiani. Simone Turchetti, Libri: "Le attività culturali della Cia" Galileo, Cesare Panizza, Nicola Chiaromonte. Una biografia. Presentazione di Paolo Marzotto, prefazione di Paolo Soddu, Roma, Donzelli. Dizionario Biografico degli Italiani,  XXIV, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani, Filippo La Porta, Maestri irregolari, Bollati Boringhieri. Gino Bianco, Nicola Chiaromonte e il tempo della malafede, Lacaita, Manduria-Roma-Bari, Michele Strazza, Contro ogni conformismo. Nicola Chiaromonte, in "Storia e Futuro", Filippo La Porta, Eretico controvoglia. Nicola Chiaromonte, una vita tra giustizia e libertà, Bompiani. Bocca di Magra Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Nicola Chiaromonte  Nicola Chiaromonte, su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Nicola Chiaromonte, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Nicola Chiaromonte, .  Fotografie e documenti di Nicola Chiaromonte La cultura politica azionista. "Nuovo Partito d'Azione". Il fondo librario Chiaromonte. Nicola Chiaromonte. Keywords: parola, parabola. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Chiaromonte” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51773040238/in/dateposted-public/

 

Grice e Chiavacci – poetico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Foiano della Chiana). Filosofo. Grice: “Chiavacci is a good one; Italians tend to identify him with Miichelstaedter, but surely there is more to Chiavacci than an exegesis of Michelstaedter (especially to refute Gentile’s) – my favourite tracts are three: his ‘critique of poetical reason’ – a critique we were lacking! --, his little treatise on ‘man’ – and his ‘reality’ and not appearance, as Bradley would have it, but ‘illusion,’ which is related to Latin ‘ludus,’ game – His ‘philosophical studies’ cap it all!” Partecipe della stagione neoidealista italiana, fu tra i più innovativi interpreti ed eredi dell'attualismo gentiliano.   Nato a Foiano in provincia di Arezzo da Enrico Chiavacci e Annunziata Doni, ricevette l'istruzione primaria a Cortona, e quella secondaria nel liceo di Iesi. Frequentò la facoltà di lettere del Regio Istituto di Studi Superiori a Firenze, dove fu allievo di Guido Mazzoni, e conobbe tra gli altri il poeta filosofo Carlo Michelstaedter, di cui divenne grande amico, insieme ad Arangio-Ruiz, Cecchi, De Robertis, Lamanna, Facibeni. Si laureò con una tesi sul Decameron di Boccaccio, e l'anno seguente ottenne una cattedra di insegnamento per il ginnasio inferiore.  Con l'entrata dell'Italia nella prima guerra mondiale, Chiavacci combatté al fronte come capitano di artiglieria. Tornato all'insegnamento, nell'immediato dopoguerra vinse una cattedra per il ginnasio superiore, e iniziò nel contempo a frequentare la facoltà di filosofia a Roma, dove incontrò Giovanni Gentile, col quale si laureò con una tesi su Antonio Rosmini.  Dal 1924 cominciò a insegnare filosofia nei licei, e due anni dopo fu promosso a preside di varie scuole, tra cui Siena dove nacque suo figlio Enrico. Divenne professore universitario di pedagogia alla Scuola normale di Pisa, e insegnò filosofia teoretica a Firenze, anche la cattedra di estetica.  Entra a far parte dell'Accademia Roveretana degli Agiati. Gli verranno quindi elargiti diversi altri titoli accademici e riconoscimenti, come la medaglia d'oro ai benemeriti della scuola, della cultura e dell'arte. L'idealismo: tra Gentile e Michelstädter «Se mi domando [...] che cosa debba al pensiero filosofico di Gentile, quale mi sembri essere il nucleo più vitale della sua dottrina, non trovo, a voler tutto restringere in una parola, risposta più esatta di questa: la dottrina dell'atto puro.»  (Gaetano Chiavacci, L'eredità di Gentile, in «Giornale di metafisica». La filosofia di Chiavacci si muove tra l'idealismo attuale di Gentile da un lato, e l'anti-dialettica esistenziale di Carlo Michelstaedter dall'altro, conciliati in un'ottica spiritualista cristiana.  Dell'attualismo gentiliano egli intende rivalutare la portata atemporale dell'atto puro dello Spirito, a cui riconosce piena realtà, a differenza dell'attualità concepita come un presente situato storicamente tra un passato e un futuro illusori.  Riappropriandosi al contempo del criterio della persuasione di Michelstädter, Chiavacci ritiene che non si debba a sua volta fare dell'atto una teoria, una filosofia panlogista staccata dalla vita e dal suo stesso attuarsi, «perché deve essere essa la vita».  Gentile ha avuto il merito di elaborare una filosofia anti-intellettualistica che non si esaurisce nel concetto, ma è autoconcetto, mostrando come il mondo consista nell'autocoscienza dell'atto pensante, in cui vi è «assoluto possesso, realtà attuale immanente al suo farsi». Egli tuttavia non avrebbe compreso appieno le conseguenze di questo attuarsi dell'atto, e sarebbe rimasto a sua volta dentro un "concetto" dell'autoconcetto, cioè in una forma di mediazione logica, di costruzione intellettuale, in un logo astratto che supera e smarrisce la «fonte della verità».  L'atto invece, per Chiavacci, proprio perché non può essere ridotto a fatto, cioè ad oggetto, è un atto «che sfugge ad ogni metro di criterio preconcetto, e che, per comprenderlo, bisogna rivivere dal di dentro».  Tale consapevolezza interiore che «il soggetto ha di sè senza oggettivarsi», è per Chiavacci fondamentalmente un'intuizione, un sentimento, che permea la dialettica dell'atto pensante articolata nel soggetto e nell'oggetto. Essa bensì è anche un processo mediato, da cui risulta un logo "pensato" senza cui non si avrebbe coscienza formante della sua stessa origine intuitiva, ma un pensato che resterebbe vuota astrazione, «caput mortuum, se si distacca dalla sintesi di cui vuol rendere conto, da quella sintesi che gli dà un contenuto vivo e sempre nuovo, e che è l'intuizione costitutiva dell'attualità dell'io e che forse meglio si potrebbe dire sensus sui».  Essa è infine, negli esiti religiosi dell'ultimo Chiavacci, essenzialmente fede.  Opere Tesi di laurea: La Commedia nel Decamerone (Iesi, tipografia Fiori) Il valore morale nel Rosmini (Firenze, Vallecchi) Illusione e realtà. Saggio di filosofia come educazione (Firenze, La Nuova Italia), concepita come una traduzione in forma propositiva del tema della «persuasione» che era stata esposta nell'opera di Michelstaedter in maniera indiretta e non sistematica come contrapposizione alla «rettorica». Saggio sulla natura dell'uomo (Firenze, Sansoni), dove il conflitto michelstädteriano tra illusione e realtà diventa quello tra natura e ragione umana, superato dalla dialettica dell'atto spirituale. La ragione poetica (Firenze, Sansoni), divisa in due parti: Il momento dell'Indifferenza, che affronta il problema della discordanza tra natura e intelletto, ovvero tra fatti e concetti, e tra questi e valori; e Il momento della libertà, che assegna alla libera creatività di una ragione non logica ma poetica il fondamento di quei valori, attraverso le dimensioni dell'arte e della religione. Chiavacci ha inoltre curato l'edizione delle Opere di Michelstaedter (Firenze, Sansoni), oltre a redigere, su richiesta di Gentile, la voce "Michelstaedter" per l'Enciclopedia Italiana.  A lui si devono poi altri due saggi sul Rosmini:  Filosofia e religione nella vita spirituale di A. Rosmini (Milano, Bocca), e La filosofia politica di A. Rosmini (Milano, Bocca). Postume Quid est veritas? Saggi filosofici, A.M. Chiavacci Leonardi, introduzione di Eugenio Garin, Firenze, Olschki, GentileChiavacci. Carteggio, Paolo Simoncelli, Firenze, Le Lettere. Roberto Grita, Gaetano Chiavacci, su treccani. Antonio Russo, Gaetano Chiavacci, interprete di Michelstaedter, Trieste. Così Chiavacci ricorderà il suo primo incontro con la figura di Gentile: «Leggendo per la prima volta la Teoria generale dello spirito, ebbi un lampo di luce, pel quale intravidi la possibilità di comprender la vita, di potervi trovare quel valore senza del quale ogni altra cosa non ha pregio» (da una lettera di Chiavacci a Gentile, cit. in Gentile-Chiavacci: CarteggioSimoncelli, Firenze).  Scheda su Gaetano Chiavacci [collegamento interrotto], su agiati.org.  Cit. anche in G. Chiavacci, Quid est veritas? Saggi filosofici, A.M. Chiavacci Leonardi, Olschki. Gaetano Chiavacci, Il pensiero di Carlo Michelstaedter, articolo sul «Giornale critico della filosofia italiana». Chiavacci, Il centro della speculazione gentiliana: l'attualità dell'atto, in «Giornale critico della filosofia italiana», Gaetano Chiavacci, Il centro della speculazione gentiliana: l'attualità dell'atto, Gaetano Chiavacci, Quid est veritas? Saggi filosofici, A. M. Chiavacci Leonardi, Olschki, Gaetano Chiavacci, Quid est veritas? Saggi filosofici, Antonio Russo, Gaetano Chiavacci interprete di Michelstaedter. Eugenio Garin, Introduzione a G. Chiavacci, Quid est veritas? Saggi filosofici, Antonio Russo, Gaetano Chiavacci interprete di Michelstaedter, Gaetano Chiavacci, su sapere.  Gaetano Chiavacci, Michelstaedter Carlo, in «Enciclopedia Italiana»,  Roma. Gustavo Bontadini, Dall'attualismo al problematicismo, Brescia, La Scuola, Augusto Guzzo, Gaetano Chiavacci: la "Ragione poetica", in «Giornale di metafisica», Francesco Valentini, Recenti studi sull'attualismo, in «Rassegna di filosofia»,  Antonio Testa, Michelstaedter e i suoi critici, in «Rassegna di Filosofia», Gianfranco Morra, La scuola gentiliana e l'eredità dell'attualismo, in «Teoresi», Vito A. Bellezza, Gentile e l'attualismo nell'ultimo ventennio, in «Cultura e Scuola», Dario Faucci, L'«attualismo» di Gaetano Chiavacci, in «Filosofia»,  Antimo Negri, Giovanni Gentile: sviluppi e incidenza dell'attualismo, Firenze, La Nuova Italia, Antonio Russo, Gaetano Chiavacci (1886-1969) interprete di Michelstaedter, Sergio Campailla, in  La via della persuasione. Carlo Michelstaedter un secolo dopo, Venezia, Marsilio, Attualismo (filosofia) Giovanni Gentile Idealismo italiano Carlo Michelstaedter La Persuasione e la Rettorica Enrico Chiavacci  Gaetano Chiavacci, in Dizionario biografico degli italiani. Gaetano Chiavacci. Keyowords: poetico, critica della ragione poetica, illusion, allusion, ludo, la natura dell’uomo, carteggio con Gentile. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Chiavacci” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51772774831/in/dateposted-public/

 

Grice e Chiocchetti – prammatico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Moena). Filosofo. Grice: “I like Chiocchetti – a surname most Englishmen are unable to pronounce, but cf. Chumley! – For one, he exapanded, alla Croce on Vico as proposing ‘espressione’ as prior to ‘communicazione,’ as I do – but he went further – he studied the Latin-language author, and saint, Aquinas, and his ‘modi di significare’ – Lastly, he expanded on ‘pragmatism’ as the term of abuse it MUST be! Why are non-philosophers OBSESSED to keep miscalling me a ‘pragmaticist’ who is into ‘pragmatics’ – It’s totally anti-Oxonian – Oxford being the epitome of aestheticism – to do so! Chiocchetti also played with the abused term, ‘scolastic’: he thought there are two scolastics: the palaeo-scolastici, or scolastici simpiciter, and the ‘neo-scolastici,’ like his self! He wrote a little tract on Gentile, who ungently threw it onto the wastepaper basket!” --  Emilio Chiocchetti (Moena) filosofo. Nato a Moena, in Val di Fassa, vestì l'abito francescano nel 1896 e l'anno successivo concluse gli studi secondari a Rovereto. Durante il corso di teologia si appassionò agli studi biblici, anche se non gli venne concessa la possibilità di approfondirli presso l'Istituto biblico francescano di Gerusalemme e la Facoltà teologica di Vienna. Nel 1903 venne ordinato sacerdote.  Fino al 1908 studiò filosofia a Roma presso il Collegio internazionale di San Antonio. Tornò quindi a Rovereto per insegnare filosofia presso il liceo interno all'Ordine dei Minori e iniziò un'assidua collaborazione, su invito del padre Agostino Gemelli, alla Rivista di filosofia neoscolastica fin dalla sua fondazione (1909).  Tra il 1908 e il 1909 progettò uno studio sistematico sulla filosofia di Henri Bergson, interrompendolo definitivamente nel 1910 per approfondire ulteriormente la sua preparazione filosofica a Lovanio, centro degli studi neoscolastici. Subito dopo si recò in Germania, a Fulda, per ascoltare Konstantin Gutberlet, e successivamente a Vienna, dove frequentò come uditore le lezioni di psicologia di Wilhelm Wundt. Tornato all'insegnamento a Rovereto nel 1912, assunse la direzione della Rivista tridentina.  Note  Chiocchetti, Emilio, su siusa.archivi.beniculturali. 20 marzo .  G. Faustini, , Emilio Chiocchetti, Antonio Rosmini e la cultura trentina: un filosofo ladino tra Trentino ed Europa, Trento, Pancheri, 2008 G. Faustini, , Emilio Chiocchetti: un filosofo francescano di fronte alle sfide del Novecento: antologia, scritti di filosofia e cultura, Trento, Pancheri, 2006 Padre Emilio Chiocchetti un filosofo francescano tra il Trentino e l'Europa: atti del seminario di studio promosso dal Museo storico in Trento, svoltosi a Trento il 3 dicembre 2004, "Archivio Trentino", 1, 2005,  101–215 S. Pietroforte, Storia di un'amicizia filosofica tra neoscolastica, idealismo e modernismo: il carteggio Nardi-Chiocchetti (1911-1949), Firenze, Sismel Edizioni del Galluzzo, 2004 R. Centi, Un filosofo francescanoEmilio Chiocchetti, Trento, Gruppo culturale Civis, C. Coen, Chiocchetti Emilio, in Dizionario biografico degli italiani,  25, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1981 (Dizionario biografico degli italiani) G. Consolati, ,  diEmilio Chiocchetti filosofo trentino (Moena 1880-1951) rettore generale francescano e professore di storia della filosofia moderna alla Università cattolica del S. Cuore, Trento, Saturnia, Emilio Chiocchetti, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Emilio Chiocchetti, su siusa.archivi.beniculturali, Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Opere di Emilio Chiocchetti, .   Pubblicazioni di Emilio Chiocchetti, su Persée, Ministère de l'Enseignement supérieur, de la Recherche et de l'Innovation. Emilio Chiocchetti. Chiocchetti. Keywords: prammatico, Grice: “In Italy, just to know that a philosopher has a religion orientation disqualifies as a philosopher, and that is at it should. The keyword is: anti-Popish, Vico, Croce, estetica, Aquino, Gentile, Neo-Scolastica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Chiocchetti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51716695872/in/photolist-2mN2zUd-2mKCVsF/

 

Grice e Chiodi – esistenti – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Grice: “I like Chiodi; for one, he plays, somethings rather sneakily, with the Italian language as Heidegger played with the German language: Heidegger is able to play with Latinate versus Germanic words: tat (deed) versus fakt. The Italians only have ‘fatto’ and this leads Chiodi to restrict ‘fatto’ to ‘tat’ and invent ‘effetto’ for ‘fakt!’ – “But other than that he was a genius!” -- Pietro Chiodi (Corteno Golgi) filosofo.  Figlio di Annibale e Maria Romelli, frequentò le scuole elementari al paese natio e le medie inferiori e superiori a Sondrio sotto la guida del prof. Credaro, che lo avviò allo studio della filosofia. Dopo aver conseguito nel 1934 l'abilitazione magistrale si trasferì a Torino, dove si laureò il 27 giugno 1938 in pedagogia sotto la guida di Nicola Abbagnano. Nell'anno successivo ottenne la cattedra di storia e filosofia del liceo classico Giuseppe Govone di Alba, dove insegnò per 18 anni. Qui entrò in contatto col professore di lettere Leonardo Cocito, del quale divenne intimo amico, ed ebbe tra i suoi allievi lo scrittore Beppe Fenoglio. Questi ricorderà più volte nei suoi scritti i due insegnanti, con i loro nomi o con pseudonimi; Chiodi diventerà così, nel romanzo Il partigiano Johnny, il personaggio di Monti.  Grazie ai suoi contatti con Cocito, fervente comunista e antifascista, Chiodi entrò, Il 2 luglio 1944, a far parte di una formazione partigiana Giustizia e Libertà col nome di battaglia di “Piero”.  Il 18 agosto di quello stesso anno Chiodi venne catturato dalle SS italiane, assieme ai suoi compagni, e deportato in un campo di prigionia a Bolzano, quindi a Innsbruck. Aiutato dal comandante del lager e da un medico, ottenne il visto di rimpatrio. Il 30 settembre alle ore 07:30 era alla stazione di Innsbruck diretto a Verona. Il 3 ottobre, verso sera, giunse nell'albese. Qui riprese la sua attività di partigiano, ora sotto il nome di battaglia di Valerio, mettendosi a capo, nelle Langhe, di un battaglione della CIII Brigate Garibaldi intitolato al suo collega Cocito, impiccato dai tedeschi a Carignano (località pilone Virle) il 7 settembre 1944, insieme ad altri patrioti.  Nel 1946 narrò la propria esperienza di lotta, di prigionia e di guerra civile nel libro scritto in forma diaristica e pubblicato dall'ANPI, Banditi, uno dei primi memoriali di deportati politici italiani.  Dopo la liberazione di Torino nel 1945, Chiodi era tornato all'insegnamento ad Alba. Nel 1957 si trasferì come insegnante al Liceo di Chieri e poi al Liceo Vittorio Alfieri del capoluogo piemontese. Nel 1955 ottenne la libera docenza e dal 1963 fu incaricato e poi titolare della cattedra di Filosofia della storia alla Facoltà di Lettere e filosofia a Torino, insegnamento che ricoprì fino alla sua prematura morte nel 1970, affiancandolo all'incarico di Pedagogia. Nel 1961, l'Accademia Nazionale dei Lincei gli assegnò il premio del Ministero della Pubblica Istruzione per la filosofia e nel 1964 gli fu conferito il Premio Bologna.  Alla ristampa del 1961 di Banditi Chiodi premise questa avvertenza, poi conservata nelle edizioni successive: «La presente ristampa si rivolge particolarmente ai giovani, non già per far rivivere nel loro animo gli odi del passato, ma affinché, guardando consapevolmente ad esso, vengano in chiaro senza illusioni del futuro che li attende se per qualunque ragione permetteranno che alcuni valoricome la libertà nei rapporti politici, la giustizia nei rapporti economici e la tolleranza in tutti i rapportisiano ancora una volta manomessi subdolamente o violentemente da chicchessia».  Raccolse grande stima ed affetto tra suoi allievi, che ne conservano tuttora il ricordo di un grande Maestro, limpido esempio di tolleranza e serenità di giudizio.  Attività filosofica L'attività filosofica di Pietro Chiodi si concentrò specialmente sull'Esistenzialismo, riletto in chiave positiva. La maggior parte delle sue opere è dedicata a Martin Heidegger.  Egli fu il primo traduttore in Italiano di Essere e tempo, nel 1953, e il terzo in assoluto a realizzarne una versione in un'altra lingua, dopo il giapponese e lo spagnolo. Proprio a Chiodi si deve la definizione della terminologia heideggeriana in Italiano, divenuta poi abituale tra gli studiosi. Valga un caso per tutti: la traduzione del tedesco Dasein con l'italiano Esserci, capolavoro di sintesi ed efficacia, spesso e volentieri non ancora raggiuntain questo specifico casoin altre lingue. Al filosofo tedesco dedicò anche, ovviamente, diversi saggi: L'esistenzialismo di Heidegger (1947), L'ultimo Heidegger (1952), Esistenzialismo e fenomenologia (1963). Fu, inoltre, traduttore di L'essenza del fondamento (1952) e Sentieri interrotti (1968). A Immanuel Kant dedicò, invece, La deduzione nell'opera di Kant (1961) e ne tradusse nel 1967 la Critica della ragion pura e gli Scritti morali, usciti nella sua versione nel 1970. È infine da ricordare il suo interesse per Jean-Paul Sartre, del quale si occupò nel 1965 nell'opera Sartre e il marxismo.  L'esperienza partigiana rimase sempre una pagina fondamentale nella vita di Pietro Chiodi, per cui il valore della libertà occupò sempre il primo posto. Non è un caso che Fenoglio faccia rivolgere da parte di Monti, nel Partigiano Johnny, proprio questo ammonimento ai giovani partigiani di Alba: «Ragazziteniamo di vista la libertà». La sua breve e unica opera narrativa, Banditi, ricca di valore non solo storico e morale ma anche letterario, è stata definita da Davide Lajolo «Il libro più vivo, più semplice, più reale di tutta la letteratura partigiana» (L'Unità, 10 ottobre 1946) e da Franco Fortini «quasi un capolavoro [...]. Ci sono dei tratti straordinari, nel tragico come nel comico».  Opere Chiodi Pietro, Banditi, con introduzione di Gian Luigi Beccaria, Torino, Einaudi, 2002 [1961],  978-88-06-16322-8. Chiodi Pietro, Esistenzialismo e filosofia contemporanea, Giuseppe Cambiano, Pisa, Edizioni della Normale, 2007,  88-7642-194-7. Note   Deportati Politici Italiani, su restellistoria.altervista.org. Chiodi, Banditi, Torino, Einaudi, 1975V.  , Conoscere la Resistenza, Milano, Unicopli, 1994132.  Resistenza italiana Deportati politici italiani Esistenzialismo Martin Heidegger Opere di Pietro Chiodi, .  Biografia di Chiodi nel sito dell'Associazione nazionale partigiani d'Italia, su anpi. Centro Studi 'Beppe Fenoglio'CHIODI Pietro, su centrostudibeppefenoglio. V D M Antifascismo (1919-1943) Filosofia Filosofo del XX secoloPartigiani italiani 1915 1970 2 luglio 22 settembre Corteno Golgi TorinoBrigate Giustizia e LibertàDeportati politici italiani. Chiodi. Keywords: esistenti, nulla annhihila, Kant imperative, counsel of prudence, rule of ability, practical reason, existentialism, Heidegger, greatest philosopher, maxim universality, maxim universability. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Chiodi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51771911472/in/dateposted-public/

 

Grice e Chitti – filosofia italiana – Luigi Speranza  (Citanova). Filosofo. Grice: “I like Chitti; not so much for what he philosophised about – law and law and law – but the way he corresponded with Say – a French philosopher – on the lack of an adequate philosophical vocabulary in Italian to express Aristotle’s principles of oeconomia!” Fervor, temperanza e, ingegno finissimo fanno di lui uno di quegli filosofi che sono atti egualmente alla filosofia ed all'azione.  Figlio di Giuseppe, avvocato e giudice alla Gran Corte Criminale di Reggio e di Saveria Barbaro, nativa di Napoli.  Partecipa a Napoli, col padre ed i fratelli, alla rivoluzione. In seguito alla capitolazione del Forte Castel Nuovo, ripara in Francia. A Parigi, termina gli studi giuridici e strinse amicizia con molti patrioti del tempo.   Ferdinando I delle Due Sicilie Tornato a Napoli, esercita in città la professione di avvocato e difese Casalnuovo (l'odierna Cittanova) contro la feudataria del luogo, Maria Grimaldi-Serra, ultima principessa di Gerace, davanti alla regia commissione feudale. Fattosi un nome come avvocato, dopo la restaurazione ebbe la nomina di segretario generale al Ministero di Grazia e Giustizia del Regno.  A Napoli sposa la figlia di Emanuele Hipman, un capo dipartimento di uno dei Ministeri del Regno. Fu coinvolto nella rivolta contro Ferdinando I organizzata dai sottotenenti Morelli e Silvati, fu quindi privato della carica ed esiliato. Passa un periodo a Londra, e tenta di ritornare a Napoli, ma ebbe l'inibizione ufficiale a rientrare nella capitale. Anda a Firenze e di lì a poco, chiamato da amici, si recò a Bruxelles.  In Belgio da lezioni di diritto pubblico e di economia sociale, ottenne la carica di segretario della Banca Fondiaria e si fece un nome. Il governo belga gli conferì la licenza di professare Economia Sociale, e tenne quattro letture pubbliche nel Museo di Bruxelles. Le sue quattro letture furono intitolate da lui stesso «Corso di Economia sociale», compendio delle sue vaste vedute e della sua non comune cultura sull'argomento. Pubblica altre opere ed in seguito alla fama acquisita, il governo belga gli conferì la carica di Professore alla facoltà di diritto dell'Bruxelles. In Belgio pubblica la maggior parte dei suoi lavori e strinse amicizia con Gioberti, che lo definirà valente economico. Nonostante la revoca dell'esilio, non torna a Napoli ma rimase in Belgio ancora per parecchi anni fino a quando partì per il nuovo mondo.  In America, tenta  varie imprese commerciali, ma difficoltà sopravvenute gli fecero abbandonare presto i suoi progetti e si stabilì a New York. Altre opere: “Trattato di economia politica o semplice esposizione del modo col quale si formano, si distribuiscono e si consumano le ricchezze; seguito da un'epitome dei principi fondamentali dell'economia politica di Giovanni Battista Say” (Napoli, Stamperia del Ministero della Segreteria di Stato). Ermenegildo Schiavo, Four centuries of Italian-American history, Vigo Press. The New York Herald morning edition mercoledì. New York Daily Times pag. 4  Daily Free Democrat. The American almanac and repository of useful knowledge, Center for Migration Studies Special Issue: Four Centuries of Italian American History Wiley Online Library  Vincenzo De Cristo, Prime notizie sulla vita e sulle opere di Chitti Economista, Prem. Tip. e Lib. Claudiana, Dizionario biografico degli italiani,  25, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Luigi Chitti. Chitti. Keywords: economia sociale, economia politica, l’economia filosofica d’Aristotele. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Chitti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689157376/in/photolist-2mKArEy

 

Grice e Cicerone – Marc’Antonio – filosofia romana – Luigi Speranza – (Italia). Ciceronian implicaturum: Grice: “One has to be careful: an Italian philosopher might argue that Cicerone ain’t Italian, but Roman! – so the keywords: ‘filosofo italiano’ ‘filosofo romano’ – matter!” Grice: “However, whatever the discussion, provided Cicerone IS discussed by this or that undeniable *Italian* philosopher is enough to provide us with some nice secondary literature!” – Grice: “As an example, I would mention the two-volume of the ‘Storia della filosofia’ – if you check for the “Roman chapter,” it’s mainly all about Cicerone – with some footnote to Lucrezio and Aurelio!” – Grice: “Recall that Roman-Roman philosophy is pretty recent: due to the embassy by the three Greek philosophers who arrived in Rome in 183 a. u. c., and – philosophy then became the pastime of the leisurely class, notably the Scipioni!” --  Marcus Tullius, Roman statesman, orator, essayist, and letter writer. He was important not so much for formulating individual philosophical arguments as for expositions of the doctrines of the major schools of Hellenistic philosophy, and for, as he put it, “teaching philosophy to speak Latin.” The significance of the latter can hardly be overestimated. Cicero’s coinages helped shape the philosophical vocabulary of the Latin-speaking West well into the early modern period. The most characteristic feature of Cicero’s thought is his attempt to unify philosophy and rhetoric. His first major trilogy, On the Orator, On the Republic, and On the Laws, presents a vision of wise statesmen-philosophers whose greatest achievement is guiding political affairs through rhetorical persuasion rather than violence. Philosophy, Cicero argues, needs rhetoric to effect its most important practical goals, while rhetoric is useless without the psychological, moral, and logical justification provided by philosophy. This combination of eloquence and philosophy constitutes what he calls humanitas  a coinage whose enduring influence is attested in later revivals of humanism  and it alone provides the foundation for constitutional governments; it is acquired, moreover, only through broad training in those subjects worthy of free citizens artes liberales. In philosophy of education, this Ciceronian conception of a humane education encompassing poetry, rhetoric, history, morals, and politics endured as an ideal, especially for those convinced that instruction in the liberal disciplines is essential for citizens if their rational autonomy is to be expressed in ways that are culturally and politically beneficial. A major aim of Cicero’s earlier works is to appropriate for Roman high culture one of Greece’s most distinctive products, philosophical theory, and to demonstrate Roman superiority. He thus insists that Rome’s laws and political institutions successfully embody the best in Grecian political theory, whereas the Grecians themselves were inadequate to the crucial task of putting their theories into practice. Taking over the Stoic conception of the universe as a rational whole, governed by divine reason, he argues that human societies must be grounded in natural law. For Cicero, nature’s law possesses the characteristics of a legal code; in particular, it is formulable in a comparatively extended set of rules against which existing societal institutions can be measured. Indeed, since they so closely mirror the requirements of nature, Roman laws and institutions furnish a nearly perfect paradigm for human societies. Cicero’s overall theory, if not its particular details, established a lasting framework for anti-positivist theories of law and morality, including those of Aquinas, Grotius, Suárez, and Locke. The final two years of his life saw the creation of a series of dialogue-treatises that provide an encyclopedic survey of Hellenistic philosophy. Cicero himself follows the moderate fallibilism of Philo of Larissa and the New Academy. Holding that philosophy is a method and not a set of dogmas, he endorses an attitude of systematic doubt. However, unlike Cartesian doubt, Cicero’s does not extend to the real world behind phenomena, since he does not envision the possibility of strict phenomenalism. Nor does he believe that systematic doubt leads to radical skepticism about knowledge. Although no infallible criterion for distinguishing true from false impressions is available, some impressions, he argues, are more “persuasive” probabile and can be relied on to guide action. In Academics he offers detailed accounts of Hellenistic epistemological debates, steering a middle course between dogmatism and radical skepticism. A similar strategy governs the rest of his later writings. Cicero presents the views of the major schools, submits them to criticism, and tentatively supports any positions he finds “persuasive.” Three connected works, On Divination, On Fate, and On the Nature of the Gods, survey Epicurean, Stoic, and Academic arguments about theology and natural philosophy. Much of the treatment of religious thought and practice is cool, witty, and skeptically detached  much in the manner of eighteenth-century philosophes who, along with Hume, found much in Cicero to emulate. However, he concedes that Stoic arguments for providence are “persuasive.” So too in ethics, he criticizes Epicurean, Stoic, and Peripatetic doctrines in On Ends 45 and their views on death, pain, irrational emotions, and happiChurch-Turing thesis Cicero, Marcus Tullius 143   143 ness in Tusculan Disputations 45. Yet, a final work, On Duties, offers a practical ethical system based on Stoic principles. Although sometimes dismissed as the eclecticism of an amateur, Cicero’s method of selectively choosing from what had become authoritative professional systems often displays considerable reflectiveness and originality.  “Cicero = Tully” Grice: “Actually, ‘Cicero’ and ‘Tully’ mean different things! ‘Cicero’ is more of a description than a name!” La morte di Cicerone. Cicero proscribed by the triumvirate. Cicero killed by Marco Antonio, one of the three ‘vires’, along with Ottaviano. Cicero offered his hands, with which he had written the Filippiche. His head and hands were displayed at the Senate. The Romans never quite liked him because he was only a provincial nobility and never displayed courage. Grice: “Most English gentlemen knew Cicero via the Macmillan’s Loeb Classical Library, a book fit for the gentleman’s pocket! One at a time, since there are quite a few volumes dedicated to Cicero! Mr Chips makes fun of the revised pronounciation, /kikero/!” Grice: “Austin liked Cicero because he made ordinary Latin into extraordinary philosophese!” Cicerone – Keywords: Marc’Antonio, untranslatable, signans/signatum, signans, signatum. Cicerone, Cicero = Tully. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cicerone” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51773595825/in/dateposted-public/

 

Grice e Ciliberto – il principe – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo. Grice: “I like Cilberto; he philosophised on Machiavelli – in an interesting way: confronting his ‘reason’ with the ‘irrational’; myself, I have not explored the irrational, too much – but I suppose Strawson might implicate that everything I say ON reason is an implicature on the irrational – Ciliberto uses the vernacular for the ‘irratinal,’ to wit: pazzia!” – Uno dei massimi esperti del pensiero di Bruno. Si laurea a Firenze sotto Garin con “Machiavelli”. “Lessico Intellettuale Europeo”. Insegna a Trieste, Pisa. Istituto di Studi sul Rinascimento, Firenze. Dal 1998 è presidente di I. R. I. S. A. Associazione di Biblioteche Storico-Artistiche e Umanistiche di Firenze. Lince. Al centro della sua filosofia sono tre problemi: il rinascimento con speciale attenzione a Bruno e Machiavelli, la ‘tradizione’ no-analitica, no-continntale, ma la ‘tradizione italiana’ (Gramsci, Croce, Gentile, Cantimori, Garin); e la filosofia politica e in maniera specifica la crisi della democrazia rappresentativa.  Altre opere: “Il rinascimento. Storia di un dibattito” (Firenze, La Nuova Italia); “Intellettuali e fascismo” (Bari, De Donato); “Lessico di Bruno” (Roma, Edizioni dell'Ateneo & Bizzarri); “Come lavora Gramsci. Varianti vichiane, Livorno); “Filosofia e politica nel Novecento italiano. Da Labriola a «Società», Bari, De Donato); “La ruota del tempo. Interpretazione di Bruno, Roma, Editori Riuniti); Bruno, Roma-Bari, Laterza); Bruno, Roma-Bari, Laterza); “Umbra profunda” (Roma, Edizioni di Storia e Letteratura); “Implicatura in chiaroscuro” Roma, Edizioni di Storia e Letteratura); “Il dialogo recitato” “Preliminari a una nuova edizione del Bruno volgare, Firenze, Olschki); “La morte di Atteone”(Roma, Edizioni di Storia e Letteratura); “I contrari”; “Disincanto e utopia nel Rinascimento” (Roma, Edizioni di Storia e Letteratura); “Il teatro della vita” (Milano, Mondadori); “Il laico” “Il libero” dell'Italia moderna, Roma-Bari, Laterza); “Democrazia dispotica” – etimologia di dispotismo – (Roma-Bari, Laterza); “Intellettuale nel Novecento, Roma-Bari, Laterza), “Parola, immagine, concetto” (Edizioni della Normale, Pisa); “Croce e Gentile” “La cultura italiana e l'Europa, (direzione) Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani, . Rinascimento, Pisa, Edizioni della Normale; Il nuovo Umanesimo, neo-classicismo, neo-umanesimo”, classicism, neo-classicismo come ironia” (Roma-Bari, Laterza); “Pazzia e ragione” (Roma-Bari, Laterza); “Il sapiente furore” (Collana gli Adelphi, Milano, Adelphi) Michele Ciliberto, Lessico di Giordano Bruno. Michele Ciliberto. Keywords: il principe, intelletuale fascista, lessico, lessico di Bruno, lessico di grice, lessico filosofico europeo, umbra profunda, implicatura in chiaroscuro, i contrari, il laico, il libero, despotismo, immagine e concetto, parola, immagine, e concetto, il pazzo, il ragionato, istituto su studi sul rinascimento, la tradizione italiana, la tradizione filosofica italiana, democrazia rappresentativa, concetto di rappresentazione, Grice e Ciliberto sulla rappresentazione. Il primo ministro britannico ripresenta suoi costituenti. Il barone della camera alta del parlamento, parlamento ed implicamento, il team di cricket rippresenta Inghilterra: fa per Inghilterra quello che Inghilterra non puo fare: gioccare cricket. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ciliberto” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51772686966/in/dateposted-public/

 

Grice e Cimatti – fondamenti naturali della comunicazione – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Grice: “I like Cimatti – for one, he develops a biological semiotics, and he takes seriously the issue that man IS an animal -- -- and has thus philosophised on animality!” Si laureato sotto Mauro con “La communicazion animale” -- Insegna ad Arcavacata di Rende. Altre opere: “Linguaggio ed esperienza visive” (Rende, Centro Editoriale e Librario); “La scimmia che si parla. Linguaggio, autocoscienza e libertà nell'animale umano” (Bollati Boringhieri); “Nel segno del cerchio. L'ontologia semiotica di Giorgio Prodi, Manifestolibri La mente silenziosa. Come pensano gli animali non umani” (Editori Riuniti); “Mente e linguaggio negli animali. Introduzione alla zoosemiotica cognitiva” (Carocci); Il senso della mente. Per una critica del cognitivismo” (Bollati Boringhieri); “Mente, segno e vita. Elementi di filosofia per Scienze della comunicazione,Carocci); “Il volto e la parola. Per una psicologia dell'apparenza, Quodlibet,  Il possibile ed il reale. Il sacro dopo la morte di Dio” (Codice Edizioni); Bollettino Filosofico. Linguaggio ed emozioni” (Aracne); Lingue, corpo, pensiero: le ricerche contemporanee” (Carocci); Naturalmente comunisti. Politica, linguaggio ed economia” (Bruno Mondadori); “La vita che verrà. Biopolitica per Homo sapiens, , ombre corte, Filosofia della psicoanalisi. Un'introduzione in ventuno passi” (Quodlibet); Filosofia dell'animalità (Laterza); “Corpo, linguaggio e psicoanalisi” (Quodlibet); “A come Animale: voci per un bestiario dei sentimenti” (Bompiani); “Il taglio” “Linguaggio e pulsione di morte, Quodlibet);  Filosofia del linguaggio: storia, autore, concetto” (Carocci); “Psicoanimot, La psicoanalisi e l'animalità” (Graphe); “Lo sguardi animale” (Mimesis); “Per una filosofia del reale” (Bollati Boringhieri); “La vita estrinseca”; “Dopo il linguaggio” (Orthotes, Salerno); “Abbecedario del reale” (Quodlibet, Macerata); “La fabbrica del ricordo (Il Mulino). Grice: “I share a lot with Cimatti; we both believe that there’s a semiotic continuity, and more important that it’s psi-transmission that matters: a pirot perceives that the a is b, and communicates that the a is b to another pirot, who perceives the communicatum, ‘the a is b’ and comes to think that the other pirot thinks that the a is b – I use ‘think’ as dummy. ‘accept’ may do, to cover willing, since it’s willing that’s basic, though! Felice Cimatti. Keywords: fondamenti naturali della comunicazione, homo sapiens, storia innaturale, animale, bestia, linguaggio, segno, vita, zoosemiotica, prodi, corpo, codice, mente, cognitivismo, comunicazione, animale, soglia semiotica, mentalismo, storia innaturale, comunicazione giovenile, fundamenti naturali della comunicazione, percezione e comunicazione, comunicazione come percezione trasferita, psi-transfer. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cimatti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51772632281/in/dateposted-public/

 

Grice e Cione – ICARO – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo. Grice: “I love Cione; my favourite is “The age of Daedalus – which reminds me of Gilbert’s statuette and the Italian model who posed for him – the story of a failure!” Grice: “But Cione philosophised on various other subjects as well, such as Leibniz, and of course, Croce – in his case, first-hand knowledge! – and mysticism, and Mussolini, and the rest of them – He thinks there is a Neapolitan dialectic, and really is in love with his environs – his study of ‘romantic Naples’ reminds me of my rules of conversational etiquette! – especially the illustrations involving gentleman-lady interaction!” Di tendenze socialiste, e in un primo momento anti-fasciste, studia sotto Croce. Perseguitato della prima ora dal fascismo, viene rinchiuso nel campo di Colfiorito di Foligno e poi mandato al confino a Montemurro. Attratto dal nuovo indirizzo espresso dal Manifesto di Verona, aderisce alla Repubblica Sociale Italiana. Chiede e ottiene il consenso di Mussolini (il quale si rende esplicitamente concorde) per la costituzione di una formazione politica indipendente dal Partito Fascista Repubblicano, denominata in un primo momento Raggruppamento Nazionale Repubblicano Socialista e, in seguito, Partito Repubblicano Socialista Italiano. A tale formazione politica, su suggerimento dello stesso Mussolini, sarà concessa anche la pubblicazione di un quotidiano L'Italia del Popolo. Il Duce però non aveva nessuna fiducia né nell'uomo né nell'impresa, tanto che durante una conversazione con l'ambasciatore Rudolf Rahn preoccupato per una possibile apertura "a sinistra" del capo del fascismo ebbe a dichiarare:  «Per ingannare i nostri avversari ho lasciato, non appena ho pensato che il nuovo fascismo in Italia fosse abbastanza forte, che alcune contro-correnti dicessero la loro, tra l’altro ho permesso che si formasse un gruppo di opposizione sotto la guida di Cione. Non ha una gran testa, e non avrà successo. Ma la gente che ora sta cercando di crearsi un alibi si raccoglierà intorno a lui e quindi sarà perduta per il comitato di liberazione che è molto più pericoloso. Salvatosi dalle epurazioni partigiane nel dopoguerra, si costruirà una carriera politica nell’Italia repubblicana. Milita nel Fronte dell'Uomo Qualunque. Successivamente, quando il partito di Giannini si sciolse, entra nel Movimento Sociale Italiano e venne eletto consigliere e poi assessore della giunta di Achille Lauro. Si candida al Senato con la lista della fiamma nel colleggio di Afragola ma non fu eletto. Deluso dai missini, adiere alla democrazia cristiana, senza però svolgere una militanza attiva nel partito. Negli ultimi anni di vita cercò di conciliare il messaggio di papa Giovanni XXIII con le aperture di Nikita Kruscev oltre la cortina di ferro. Altre opere: “Valdés: la sua vita e il suo pensiero religioso con una completa  della sua opere e degli scritti intorno a lui” (Laterza editore); “Sanctis, Ed. Giuseppe Principato); “L'opera filosofica, coautore Franco Laterza, Laterza editore); “Napoli romantica” (Gruppo Editoriale Domus); “L'estetica di Sanctis” (Pennetti Casoni Editore); “Da Sanctis al Novecento” (Garzanti); “Nazionalismo sociale” “l'idea corporativa come interpretazione della storia” (Achille Celli Editore); “Napoli e Malaparte” (Editore Pellerano-Del Gaudio); “Storia della repubblica sociale italiana” (Ed. Latinità); “Croce, coll. "I Marmi", Longanesi); “Crociana” (Fratelli Bocca); “Sanctis” (Montanino); “Questa Europa” (M. Mele); “Fascino del mondo arabo: dal Marocco alla Persia, Cappelli Editore); “Croce” (Loganesi); “Fede e ragione nella storia: filosofia della religione e storia degli ideali religiosi dell'Occidente” (Cappelli Editore); “La Cina d'oggi, Filippine, Formosa, Giappone” (Ceschina); “Leibniz” (Libreria scientifica editrice); “Narrativa del Novecento, Istituto editoriale del Mezzogiorno); “L’eta di Dedalo”; “Un viaggio elettorale, Bompiani). Dizionario Biografico degli Italiani. Un ex allievo di Croce negli ultimi mesi di Salò crea un "partito contro" su suggerimento del ministro dell'Educazione Biggini di Silvio Bertoldi.Domenico Edmondo Cione. Keywords: ICARO, l’idea corporativa, corporativismo, storia del nazionalismo sociale, icaro, la caduta d’icaro, icaro caduto, dedalo e la civilta greco-romana, corporativa, principio corporativo, principio cooperative, corpotivismo, corporatismo, corporativismo, ideale corporativo, conservative as corporativo, ugo spirito, “pocca testa”. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cione” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51772827898/in/dateposted-public/

 

Grice e Civitella – filosofia italiana – Luigi Speranza (Montorio al Vomano). Filosofo. Delfico-de-Civitella (under Ser Marco). (Montorio al Vomano). Filosofo. Grice: “I love Delfico – while he wrote on Roman jurisprudence – Hart’s favourite summer read! – mine is his (Delfico’s, not Hart’s) little thing on the beautiful – we must remember that back in them days of Plato, ‘kallos, ‘pulchrum,’ or ‘bellum,’ is a diminutive of ‘bonus,,’ as in ‘bonello’ – the point is important for for Platonists, love (that makes the world go round) is desire for the ‘bello’ including the MORAL bello – so it is the key concept in philosophy – and not as Sibley and Scruton narrowly conceive it!” Civitella è giustamente ritenuto il Nestore della letteratura napoletano. Questo illustre autore di molte opere di storia e di una varietà di soggetti interessanti, unisce ad una vasta istruzione una accuratissima e profondissima conoscenza di ogni aspetto che interessa la sua terra; e possiede, ad un'età così avanzata, l'ancor più raro merito di saper comunicare le preziose esperienze acquisite con una amenità di maniere, una facilità e semplicità di espressione che le rendono più apprezzate a quelli che le ricevono. Figlio di Berardo e Margherita Civica, nacque nel castello feudale di Leognano, in provincia di Teramo. Le origini della sua famiglia risalivano almeno al secolo XVI quando Pir (o Pyr) Giovanni di Ser Marco, generalmente riconosciuto come il capostipite della famiglia, cambia il proprio cognome in “Delfico” e adotta il motto “eat in posteros Delphica Laurus”. Secondo alcuni, e tra questi Luigi Savorini, il cognome originario era “de Civitella”. All'interno della sua famiglia va individuato come Melchiorre III. Rimasto ben presto orfano di madre, fu dapprima affidato ad ecclesiastici ed in seguito inviato a Napoli,  per il completamento degli studi. Nella capitale del regno ebbe maestri insigni quali Genovesi per le materie filosofiche per l'economia, Rossi per le materie letterarie, Ferrigno per il diritto e Mazzocchi per l'archeologia.  Nella città partenopea si laureò in utroque iure sotto la direzione di Filangieri e redasse subito diverse memorie per il governo. Ha già indossato l'abito ecclesiastico, ma se ne spogliò subito per motivi di salute.  Nella prima parte della vita si dedica in particolare allo studio della giurisprudenza e dell'economia politica, scrivendo numerosi trattati che esercitarono un grande influsso nel miglioramento e l'abolizione di molti abusi.  Con il ritorno in patria si inizia un periodo fondamentale per la storia della città e dell'intero regno di Napoli. Intorno a loro si riunisce un importante gruppo di filosofi che crea le premesse per un profondo rinnovamento sociale, politico ed economico del territorio in cui agiscono. Tra questi troviamo Cicconi, Comi, Lattanzi, Nardi, Quartapelle, Tulli, Nolli, Orazio Delfico, il figlio di Giamberardino, che fu allievo di Volta e Spallanzani, e l'altro nipote, Michitelli, che fu architetto noto in tutto l'Abruzzo. Si appassiona al collezionismo, in particolare di libri antichi e monete di epoca romana e pre-romana. Nominato presidente del Consiglio Supremo di Pescara e poco dopo membro del governo provvisorio della Repubblica Partenopea.  Caduta la Repubblica Partenopea anda in esilio per sette anni nella Repubblica di San Marino che gli riconobbe la cittadinanza. Scrisse il saggio “Memorie storiche della Repubblica di San Marino”, prima storia organica dell'antica repubblica. La Repubblica del Titano ha emesso una serie di 12 francobolli e ha coniato una moneta d'argento dal valore nominale di 5 euro per commemorare il filosofo e ricordarne la permanenza sul proprio territorio.  Sotto Giuseppe Bonaparte, nominato re di Napoli, entra a far parte del Consiglio di Stato, ricoprendo varie cariche ministeriali.  Restaurato il governo borbonico, fu nominato presidente della commissione degli archivi e successivamente Presidente della Reale Accademia delle Scienze. Venne eletto deputato al Parlamento napoletano e fu chiamato alla presidenza della Giunta provvisoria di governo. Si stabilì definitivamente a Teramo. La famiglia di Melchiorre Delfico si estingue con Marina, sposata al conte Gregorio De Filippis di Longano, ando origine all'attuale famiglia dei conti De Filippis marchesi Delfico. La filosofia di Civitella si forge nel fermento culturale del Secolo dei Lumi e del diritto naturale, le cui idee gius-naturalistiche furono compiutamente esposte da un lato nell'opera di Locke, dall'altro in quella di Rousseau, nelle quali i principi del diritto naturale erano rappresentati dalle idee di libertà e di eguaglianza di tutti gli uomini. I fermenti culturali del periodo assunsero una valenza rivoluzionaria e contribuirono all'abbattimento di una struttura sociale logora ed invecchiata, che si reggeva ancora ai capricci bizantini dell'autorità invadente.  Proprio tali tesi gius-naturalistiche furono gli strumenti a cui si richiamò l'opera del Delfico, permeata dall'anti-curialismo, anti-Roma, dalla compressione della feudalità, dall'anti-fiscalismo e soprattutto dall'abbattimento del monopolio forense, ritenuto il baluardo principale del regime. Ciò che caratterizza la sua visione politica è una nuova concezione dello Stato, non più ispirato al predominio politico e svincolato dalle regole della morale corrente.  Come politico e come giurista, e eminentemente pratico, così da poter essere ricordato come uno dei più illuminati riformatori del suo tempo.  Al suo nome sono intitolati a Teramo il Convitto nazionale, il Liceo Classico e la Biblioteca provinciale che ha la propria sede nel Palazzo Delfico. Numerosi i comuni che hanno intitolato strade a filosofo. Altre a Teramo  e alla frazione di San Nicolò (nello stesso comune teramano), si segnalano Sant'Egidio alla Vibrata, Penna Sant'Andrea e Roseto degli Abruzzi in provincia di Teramo; Montesilvano, Pescara e Milano. È noto che esistono Logge massoniche intestate a Civittella, ma ci si chiedeva se lui stesso fosse stato massone.  Questo interrogativo è stato posto da parecchi storici ma non esisteva una risposta documentale. Esistono invece molte prove indiziarie relative alla sua appartenenza alla Massoneria, per le quali rimandiamo all'appendice del volume di Franco Eugeni, Carlo Forti, allievo di N. Fergola. I principali indizi si possono così riassumere:  I maestri ed amici di Civitella, come Genovesi, Pagano, Filangeri, furono tutti noti massoni;  In un diario del curato Crocetti di Mosciano appaiono notizie di una Loggia massonica esistente a Teramo. Assieme a Quartapelle, subisce due processi per miscredenza. Promuove un movimento culturale detto '’La Rinascenza'’ di chiaro stampo illuminista. Nella rinascenza militano tutti i filosofi del tempo: i Tulli, i Quartapelle, Comi, Pradowski ed altri; La poesia di Pradowski sembra proprio la descrizione di una Loggia. Manda il nipote Orazio Delfico, futuro Gran Maestro della Carboneria teramana, a studiare a Pavia da Spallanzani, Volta e Mascheroni, tre noti massoni del tempo.  Perrone pubblica un saggio basato sulla corrispondenza di Münter con noti massoni napoletani lo dà come sicuramente massone, anche se "il suo nome non s'incontra nelle logge razionaliste". Altre opere: “Saggio filosofico sul matrimonio” (s.n.tip. ma Teramo, Consorti e Felcini); Memoria sul Tribunal della Grascia e sulle leggi economiche nelle provincie confinanti del regno” (Napoli, presso Giuseppe Maria Porcelli); “Riflessioni su la vendita de’ feudi” (Napoli, presso Giuseppe Maria Porcelli); “Ricerche sul vero carattere della giurisprudenza romana e de' suoi cultori” (Napoli, presso Giuseppe Maria Porcelli); Pensieri sulla Istoria e su l'incertezza ed inutilità della medesima, Forlì, dai torchi dipartimentali Roveri); “Nuove ricerche sul bello” (Napoli, presso Agnello Nobile); “Della antica numismatica della città di Atri nel Piceno con un discorso preliminare su le origini italiche” (Teramo, Angeletti).  Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.   Il Palazzo Dèlfico, Edigrafita  Nico Perrone, La Loggia della Philantropia. Un religioso danese a Napoli prima della rivoluzione. Con la corrispondenza massonica e altri documenti, Palermo, Sellerio, Giacinto Cantalamessa Carboni, Sulla vita e sugli scritti del commendatore Malchiorre de' Marchesi Delfico, in Giornale arcadico di scienze, lettere ed arti,  Raffaele Liberatore, Melchiorre Delfico. Necrologia, in Annali civili del Regno delle Due Sicilie, Ristampato come Delfico (Melchiorre), in: De Tipaldo Biografia degli Italiani illustri, Venezia, Ferdinando Mozzetti, Degli studii, delle opere e delle virtù di Melchiorre Delfico, Teramo, Angeletti, Gregorio De Filippis-Delfico, Della vita e delle opere, Teramo, Angeletti, Raffaele Aurini, Delfico Melchiorre, in: Dizionario bibliografico della gente d'Abruzzo,  ITeramo, Ars et Labor, ora in Nuova edizione, Colledara (Teramo), Andromeda editrice, Vincenzo Clemente, Rinascenza teramana e riformismo napoletano, l'attività presso il Consiglio delle finanze, Roma, Edizioni di storia e letteratura, Vincenzo Clemente, Dizionario biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia italiana, Donatella Striglioni ne' Tori, L'inventario del Fondo Delfico. Archivio di Stato di Teramo, Teramo, Centro abruzzese di ricerche storiche, Gabriele Carletti, Melchiorre Delfico. Riforme politiche e riflessione teorica di un moderato meridionale, Pisa, Edizioni ETS,  Nico Perrone, La Loggia della Philantropia. Un religioso danese a Napoli prima della rivoluzione, Palermo, Sellerio. Treccani. Il dritto romano e sempre incerto ed arbitrario. Tale il suo carattere, poichè sebbene non gli mancassero ancora degli altri nei, pure quelle sole qualità (incertezza e arbitrarieta) sono bastanti per renderlo mostruoso e deforme. E di esse specialmente imprendo a trattare, come quelle che portarono a luce la vantata giurisprudenza romana. Ed accio questo ordinatamente si vegga, fiaci opportuno il seguir la storia che della nascita e de felici progressi di essa ci somministra i lumi i più importanti. Fra gli innumerevoli doccumenti tal oggetto riguardanti, prescelgo quello di cui tutti gli i filosofi si servirono, quasi di testo alle loro ricerche e commenti. Già si vede che io parlo delle opera del giureconsulto Sesto Pomponio, della quale si avvalsero i compilatori del dritto giustinianeo, rapportando nel titolo dell’origine del dritto, tuttocid che il nomato giureconsulto aveva raccolto su tal oggetto nel suo Manuale. E poichè Pomponio incomincia la storia del dritto dai re di Roma, dello stesso momento conviene seguirlo. In questa prima epoca abbastanza oscura non vi sarà pero materia di dispute, poichè Sesto Pomponio parlando conformemente alla ragione ed alla storia dice che Roma da principio visse con incerte lege gi e con dritto incerto e tutto dal regio arbitrio e governato. Ciocchè si deve intendere per quella parte che appartene al capo dell’aristocrazia nella qual forma Roma ebbe il suo incominciamento. Quindi Pomponio si espresse nelle precise parole. Populus sine lege certa, sine jure cento primúm agere instituit. Ne altrimenti doveva avvenire, poichè quella prima associazione essendosi formata di gente malatta al vivere socievole, e non avendo ancora positiva forma di società, doveva essere piuttosto regolata dalla forza del comando che da un stabilimento positivo. Ciascuno sa che Romolo per accrescere il numero de primi suoi compagni, prese l’espediente di aprire un asilo da era retto ve s9 ) da che si puo comprendere quali fossero i primi fondatori di Roma. I di lui favoriti furono i più valorosi briganti, e questi divennero i padri della patria, i forti, i primi quiriti, e formarono il senato come una Dopo questi primi tratti caratteristici relativi al le leggi Pomponio siegue a raccontare tradizione, che essendo cresciuta in qualche modo la città, Romulo divise il popolo in tante parti chiamate curie e col voto di esse prende. 9 va cura delle pubbliche cose, e fece in seguito la legge che si chiama legge curiata, come no , fecero ancora i re successivi, e tutte furono, raccolte da Sesto Papirio, il quale visse al tempo di Tarquinio il superbo, e dal nome dell'autore quella raccolta fu chiamato “dritto papiriano”. Non m'impegnerà nelle dispute istoriche e critiche delle quali si occuparono gl' interpreti di Pomponio, ma osservero che sebbene da principio parli dello stato informe di Roma e dell’autorità regia non modificata dalle legge, fa dindi vedere come fu data una forma, non una costituzione alla città nascente, e come dai re fu promulgata la legge curiata. Per due secoli e mezzo in circirca; quanto duro la regia signori , Roma non ebbe dunque che questa o quella legge occasionale, e la società fu mantenuta più col governo che colle legge. Prima intanto di passar oltre, e per la migliore intelligenza de’ tempi seguenti, non sarà inutile il presentare in poche parole lo stato politico del popolo romano sotto l’epoca dei re, e quale fosse l’indole della legislazione per tutto quel tempo. E poichè di cose che non ebbero autori contemporanei o vicini, non è possibile il ragionare con precisione ed esattezza; percio scortato dalla natura delle circostanze e dalle tradizioni pervenutaci, m’ingegnero di esporle nell’aspetto il più ragionevole. Fra l’oscurità delle origini romane possiamo rilevare che quella società incomincia da un adu namento di persone appartenenti a vari popoli non solo italici, ma greci e celtici ancora. Codesta tumultuaria associazione avendo Romulo per capo visse da principio di prede e di rapine, gusto che fece il perpetuo carattere della nazione, trasformato poi in quello di conquiste, come gli avol toi comparsi a Romolo nel prendere gli auguri furono poscia nobilitati in aquile vincitrici. In tale stato di cose non vi fu da principio bisogno di leggi, la legge, poichè non vi era proprietà, essendochè Roma fu fondata come Livio si esprime in fondo alieno, e le piccole private dispute erano decise dalla volontà del capo, come presso tutti i popoli barbari, e nelle società de’ briganti è sempre ava venuto. Avviene similmente che nel formarsi tali associazioni, si gittino i fondamenti dell'aristocrazia , e così avvenne di Roma. Il palagio di Romolo fu una succida capanna: il di lui trono quattro zolle che lo rialzavano dal suolo. Il Senato fu la scelta de’ commilitoni o complici delle sue rapine. I patrizi quelli che poterono vantare certezza di natali e qualche superiorità di ricchezze; e tutto il resto fu vile plebe o volgo profano. Questa è la divisione naturale dell’aristocrazie nascente. ‘Padre,’ ‘patrizio,’ ‘patrone’ furono nomi di versi appartenenti alle stesse persone secondo i va. rj rapporti ne' quali erano considerati, o di Senato consultivo, o di corpo aristocratico, o di superiorità immediata su le divisioni della plebe, la quale che che ne dicano i tardi autori della storia non ebbe alcuna parte di potere nè costituzionale nè amministrativo. Gli stessi autori dai fatti fanno scorgere questa verità alla quale contrariano colle parole. Festo il quale aveva trascritto le notizie dagli antichi autori, parlando dell’origine delle clientele si esprime in termini rappresentativi della verità, cioè come d’una divisione di gregge piuttosto che d'un popolo. Patrocinia appellari capra sunt cum plebs distribuia est inter paires. Ne si devono contare per un ordine intermedio di citetadini quegli equiri o celeri o i fossuli nominati fin dai principi di Roma, poichè non appartenevano allo stato politico ma al stato militare. Non è possibile il seguire i naturali progressi di quella società nascente, e vedere come a poco a poco si andasse a consolidare in quella forma nella quale da principio era stata abbozzata. Sotto il re Numa vediamo i primi passi di qualche civilizzamento, lo stabilimento della proprietà territoriale: la prima legge relativa alla religione ed al delitto, lo stabilimento dei ministri e degli interpreti della divinità; ed in somma un principio di governo teocratico, pel quale pare che sieno passate tutte le nazioni prima di portare su le cose civili le considerazioni proprie della ragione. Ma quello che specialmente riflettere dobbiamo è che sotto quel re teosofo ebbero i primi principi le scienze ancora della legge e del politico governo. Non si dee durar gran fatica per trovare de’ rapporti religiosi in tutti gli atti umani e farli nascere ancora in un popolo quanto ignorante tanto superstizioso. Così par che facesse Numa o per idea propria o per imitare i stabilimenti della sua nazione o pel natural corso del sociale andamento; cosi gitid i veri fondamenti di quell’aristocrazia sommamente poderosa poichè combina nello stesso corpo gl’interessi del sacerdozio e dell’impero, o le due aristocrazie, politica e sacerdotale. Su questo piano Roma crebbe successivament sotto i re. L’aristocrazia fu sempre salda contro le regie intraprese, e la storia ci mostra con quali mezzi crudeli e sacri seppe sostenersi. Massacrarono Romolo e ne fecero un dio. (Cristo). Tale idea pero del primo governo di Roma è stata generalmente sconosciuta, ed il primo per quanto io sappia a darne l’idea fu il nostro Gian Battista Vico, il quale riunendo alla multiplicità delle filologiche cognizioni la filosofia indagatrice delle origini sociali, fra le tenebre della rimota antichità, e fra le favole e le ricordanze degli antichi costumi seppe scoprire come un principio naturale politico, che nel comune corso delle nazioni la società primitiva comincia sempre dall’aristocrazia, la quale deve nascere dalla qualità delle circostanze, dall’ignoranza de’ dritti, e della compagna superstizione. Le luminose tracce di Vico furono poi seguite dal Duni e fermatosi particolarmente a considerare il governo romano, dimostra che Roma nacque aristocratica, che il re none che il capo dell’aristocrazia, che i soli patrizi ebbero la quarta di cittadini che furono in perfetto stato di combinazione l’aristocrazia politica e l’aristocrazia sacerdotale, e che il nome di ‘popolo’ ne’ primi tempi ai soli patrizi appartenne, come quelli che soli godevano del dritto della cittadinanza (cives polis), i quali poi furono gradatamente dalla plebe acquistati. Egli concilia luminosamente la contradizione in cui par che cadesse il giureconsulto Pomponio e fa vedere che il re non ha che una parte del governo o dell’amministrazione, ma che la somma dell’autorità , la vera sovranità, il potere legislativo, il dritto della pace e della guerra risedevano nel corpo de’ patrizi, come anche il dritto di eliggersi il loro re o principe. Furono essi i depositari delle leggi e delle medesime i (Duni Orig. del Citted. Romano . 1) ministri ed interpreti: e siccome per un’eterna verità l’aristocrazia non si sostiene che sull’appoggio della superstizione. Cosi dal corpo aristocratico si sceglievano i vari sacerdozi, e fra essi il corpo de’ pontefici fu specialmente destinato a dar i giudici alle divine cose ed umane. Quindi la conoscenza della legge e l’amministrazione delle medesima fu un dritto esclusivo e divenne una dottrina arcana, conservata con tutta la gelosia del mistero, dispensata solo a modo d’oracoli e strettamente custodita nell’ordine de’ patrizi. Codesta emanazione della prima teocratica idea non solo si conserva per quanto ebbe di durata il governo del re ma per quanto visse la Roma. Una repubblica, colla sola differenza pero che come crebbero le cognizioni ed i necessari riflessi della ragione, e da essi nacquero i sentimenti di libertà e di eguaglianza, così quelle idee si andiedero a poco a poco estenuando, finchè non ne rimasero che i soli simboli commemorativi, o il nome senza la cosa, o le cose senz’alcuna effettiva in Auenza. E necessaria questa breve esposizione, per cogoscere quale fosse lo stato della legge, dell' am ministrazione giudiziaria e della giurisprudenza ne’ primi tempi di Roma; e senza impegnarci nella particolari legge sotto il re emanata dal senato regnante, possiamo con sicurezza affermare che la legge fu minima, eventuale ed incerta, e che l’interpretazione delle medesine essendo stato un dritto di corpo o di ordine affidato ad alcuni individui, possiamo dire ancora che la giurisprudenza fu incerta, irregolare, arbitraria, e quale ad una nazione anco sa ignorante e superstiziosa poteva solo convenire: e per conseguenza esser stato pur vero ciocchè Pomponio scrisse, che sotto i re sine lege Gerta , sine jure certo vissero i romani. Lascio agli ambiziosi di glorie filologiche legali l’andar raggruzzolando I pochi superstiti frammenti della legge regia, poichè i stessi antichi giure consulti ne fecero poco conto e le lasciarono finalmente perire. Chi volesse però riconoscerle, troverebbe in esse la conferma di quelle idea superstiziosa caratteristiche della prima aristocratiche associazione. Espulso il re si crede comunemente che il governo di Roma cangiasse d’aspetto e da quel momento si cominciano a contare gli eroi della libertà. Ma chi - giudica senza prevenzione non vi troverà che gli eroi dell’aristocrazia . Anche quessti parlano di libertà; della propria libera però non della liberta pubblica, e per servirmi delle parole di Dionisio, della libertà propria e del dominio su gli altri. Quindi Roma non vide alero cangiamento che di due re invece di uno e la legge e l’amministrazione politica e civile rimasero nella stessa condizione. L'incertezza fu seguita dell'incertezza; l’arbitrio dall’arbitrio, ciocchè ci dà manifestamente ad intendere Pomponio dicendo: Exactis deinde regibus . .ae . iterumque cæpic populus Romanus incerto magis jure & consuetudine ali quam per latam legem, idque prope sexaginta annis passus est. L’aristocrazia era stata alquanto abbassata dall;ultimo re, per cui ebbe fine il suo governo, ma dopo la sya espulsione ritorno presto nel pria miero vigore. Quindi gli effetti dovevano essere conseguenti, e tutta la storia è una pruova dimostrativa. Infatti si sa che dall’anno fatale ai Tarquini, fino al tempo della leggi decemvirale, il potere legislativo ed il potere giudiziario furono privativi del corpo aristocratico. Troppo lungo sarebbe ora il seguire tutta la serie de dibattimenti intervenuti fra i patrizi ed i plebei, quando questi già stanchi dell’incertezza della leggi civile, della forma esclusiva di governo, e della schiavitù nella quale erano tenuti, tentarono de’ mezzi per alleviarsi in qualche modo dalle gravezze ond’erano oppressi. Ottenuto il tribunato si avvidero ben presto che esso era troppo debole ostacolo contro la tirannia de patrizi, la quale efforcivamente era annidata dentro la stessa legge e fortificata dallo spirito di corpo (sprit du corps) , che fieramente la difende. L’insurrezione, la secessione, soli mezzi che può escogitare un popolo schiavo ancora dell'opinione, furono più volte ripetute; ma le loro domande erano incerte, le loro querele generali, ed i loro desideri si riducevano ad essere considerari come uomini e come cittadini: Ut hominum ut civium numero simus . In questo stato compassionevole compresero finalmente che niun mezzo vi poteva essere migliore per ottenere l’intento che quello di formarsi una legislazione generale, poichè la sola legge puo stabilire la libertà e l’uguaglianza civile, potevano esser riguardati come uomini cittadini. Strano ed arrogante sembra al patrizio il desiderio della plebe, e strano parrà sempre al possessore del potere arbitrario il desiderio del ristabilimento della legge e della giustizia. Quindi il patrizio non lascia mezzo intentato per frastornare il plebeo dalla lodevole intenzione e persuaderli che i patri costumi erano sufficienti e che di nuova legge non vi era bisogno; mores patrios observandos, le ges ferre non oportere. Furono intanto inutili le persuasioni , e lo stato infelice nel quale il plebeo si trovava detta suo questo solo espediente. Non altrimenti che l’oracolo consultato da Locresi sul modo di sedare le civiche discordie rispose loro: fatevi la legge; i Romani plebei sentirono l’oracolo della ragione e della infelicità nella qua Je gemevano. Vollero quindi la legge, ma ciascuno sa, come tutte le arti aristocratiche furono messe in uso per ingannare quel popolo che spesso riposava colla più buona fede sopra i suoi naturali e costanti nimici. Si sa come i deputati i quali dovevano mandarsi in Atene e nelle altre Città della Grecia e dell'Italia a raccorre la legge per la nascente regina del mondo, si occulta rono in qualche luogo d'Italia , e la legge poi fu tirata dalle arche pontificali  e perchè nulla mancasse di condimento aristocratico, si fecero poi impastare e disporre da quell’Ermodoro esiliato da Efeso dal partito popolare. La storia relativa E 3 alla moeten alla legge delle dodeci tavole se fosse trattata con quell’accuratezza che pur le converrebbe, sarebbe un articolo sommamente istruttivo; ma questa ricerca veramente politica è stata molto trascurata. Il popolo domanda una legge della quale il console si dovesse servire e che non dovessero aver più in luogo di una legge il capriccio o la privata autorità; non ipsos libidinem ac licentiam pro lege habituros. Il patrizio risponde che di una nuova legge non fa mestieri, e che bastavano la usanza, no la legge. Il popolo adduce ragioni, il patrizio face parlare la religione, e questa spesso parla per bocca de buoi e di altri animali, del linguaggio de quali si fa un merito d'essere interprete. I plebei volevano che la legge si facessero dal popolo legitimamente e liberamente congregato. Il patrizi sostiene che non vi sarebbero stata altra legge, che quelle ch'essi stesse avrebbero fatte: darurum legem neminem, nisi ex parribus ajebant. Il popolo vuole una legge di uguaglianza. Il patrizio le promette in parole; sicuro di non essere nel fatto obbligati a mantener. Finalmente dopo tante vicende le dieci tavole furono pubblicate e successivamente le altre due come ci fa sapere la storia. La storia ci dice ancora che con esse ogni diritto e resi uguali: omnibus summis infimisque jura æquasse: e ci dice ancora che il popolo la esamino e la approvó solennemente. Ma la storia stessa ci dice che quel bravo legislatore a anche più bravo tiranno; che sconvolsero tuttol'ordine pubblico e secondo Livio nihil juris in civitate reliquerant, che per quella legge ogni consuetudine aristocratica e conservata, che la vantata uguaglianza resiò in parole; e che al primo momento di paragone il popolo riconobbe d' essere stato ingannato. La favola dell’invio de’ deputati in Grecia è stata pienamente scoverta da molti autori e specialmente dal Vico, da Bonamy e da Duni: la favola d;essere state leggi di uguaglianza e di giustizia, la può scoprire facilmente ognuno che voglia leggere con critica la storia •gli avanzi di quelle leggi . La scovri ancora il E 4 po . (Vico : Scienza nuova; Bonamy, Memoir. de litterar. de l' Accad. de Paris. Tom . XVIII; Duni : Dėl Cittad. Rom) popolo , quando ritornato in cal ma dopo l’abolizione del decemvirato potè tranquillamente esaminar la legge, ed invece di vederne tali che classificasse la gente come uomini e come cittadini, non trova che una legge civile, una legge criminale, una legge funeraria e una legge religiose, che punto o poco l'interessavano. Per essere classificati per uomini o per cittadini vi bisognavano una legge costituzionale che avessero ragguagliati i dritti, che li avesse egualmente interessati alla cosa pubblica, che li avesse ammessi ai suffragi. Niente di tutto questo; e la plebe resto delusa della sua troppo malfondata speranza. Vedremo in seguito come seppe rinnovare le giu ste sue pretenzioni ; ed in tanto senza voler fare l'analisi di que’miseri frammenti delle leggi decein virali , è pur giusto portarvi uno sguardo generale per vedere almeno, se meritano tutti gli elogi de' quali sono state ciecamente onorate dagli antichi é da moderni ; ed osservare in seguito, se ne pro venissero quegli effetti felici, ai quali produrre era no state destinate. Cicerone in più luoghi esaltan dole sopra tutte le leggi conosciute , non è poi molto felice nel darne le pruove ; così condanna Solone , per non aver imposto pera al parricidio , supponendolo impossibile , o volendolo supporre talo tale per onore dell'umana natura; ed elèva la seviezza della Romana legislazione per aver saputo inventare una pena orribile e crudele. O singola , sem sapientiam ! esclama egli dopo aver lungamen: te ragionato con Logica forense. Tale fu la sa viezza di que’ legislatori ne' varj rami di quelle leggi ; poichè se si riguardano per la parte crimi nale esse furono Aristocratiche , ingiuste , severe , é crudeli. Se per la parte del dritto pubblico, del la quale poch’indizi ci sono restati, andavano al la conservazione dell ' Aristocrazia : se per quella della Religione e de' funerali, corrispondevano ai superstiziosi concepimenti del tempo: se per ciò che riguarda l'ordine giudiziario, dovevano esser ana loghe alle leggi ed all' usanze : se per la parte te stamentaria , è facile il vedere, ch' esse contene yano la massima ingiustizia politica , per conser vare in forza gli Aristocratici dritti : della stessa indole furono le indegne leggi relative alla patria potestà ed alle altre relazioni domestiche nelle quali sempre campeggia lo spirito di famiglia. In quanto al contratto, la legge furono pur sempli ci , come devono essere in un popolo barbaro con pochi rapporti civili; ma le usure d'ogni spe cie furono terribili. Chiunque vorrà esaminar quel te leggi in buona fede , e misurarle secondo i vem ri rapporti che le leggi devono avere colla natura e collo stato civile , troverà senza fallo ingiusti ed irragionevoli gli encomj alle medesime attribui. ti . Ma forse neppur in Roma si pensò tanto favo revolmente di esse, poichè col tempo par che fos - sero del tutte néglette e dimenticate. Cicerone stesso riferisce che al suo tempo neppure erano ben intese , e sebbene egli nell'infanzia le avesse ap prese a memoria , era poi passato di moda tal co stume : discebamus enim pueri XII. ut carmen ne cessarium , quas jam nemo discit. Ed in seguito al riferir di Gellio erano cadute . in tale disprezzo ed obbllo, ch' erano derise come fossero le leggi dei Fauni e degli Aborigeni . Si può trovar intanto qualche motivo, pel quale si possono difendere gli antichi panegiristi delle leggi decemvirali ; poichè per quanto fossero selvatiche quelle leggi , godevam no pur dei dritti che danno l'opinione e l' anti chità; e paragonata la giurisprudenz'antica a quel la degli ultimi tempi della Repubblica, il paragone risultava in favore della prima. Ma che i Giure consulti moderni , e quelli specialmente della setta degli eruditi riguardino ancora lo studio dei mi peri frammenti superstiti come il più interessante per MC 75 per la conoscenza del giusto, e rincariscano su gli elogj degli antichi, cið non può essere che l'effetto d'un Letterario fanatismo Se Livio chiamo le leggi delle XII tavole fonté ogni equità fu troppo credulo alle espressioni ed alle promesse degl’iniqui decemviri. Qual nie fu infatti l’utilità pel popolo Romano? La severa ed ingiusta costi tuzione non fu cangiata , e da quella vantata ugua glianza la plebe neppure ottenne di acquistar la condizione desiderata . Per quel principio Teocrático , di sopra accen nato , ciò che distingueva in tutti gli effetti civili tanto pubblici che privati , il patrizio dal plebeo , era il dritto degli Auspicj . Era questo dritto che dava la vera qualità di cittadino negli affari sacri e ne'civili ; ed incominciando dal primo vincolo sociale , cioè dalle nozze ' , con i soli auspicj si produceva il connubio o nozze solenni, dalle qua li derivava il carattere di padre di famiglia , la patria potestà , e la facoltà di testare ; e questa specie di nozze era de' soli patriz; ; poichè gli al tri ridotti al matrimonio civile o naturale senza prevj auspicj non potevano godere delle stesse prerogative. Gli auspicj e propriamente gli auspi cj maggiori poi erano i soli mezzi per aver drito 1 ( 76 ) alle Magistrature , e far parte dell'ordine regnante dello stato. Or niun cangiamento fu fatto da quel le vantate leggi su di un articolo tanto importante in quella costituzione nella quale tutto era sacro ; e la Storia c'insegna, quanto poi costasse di tran quillità alla Repubblica, il voler introdurre in qual che modo l'uguaglianza. Sebbene si vänti l ' Oratoria e la giurisprudenza de' tempi più antichi di Roma , pure si può asse rire , ch ' esse non avessero propriamente la loro origine che dopo la pubblicazione delle XII tavole . Si crederà intanto che quel prezioso codice avendo acquistata due qualità principali, cioè d'eso ser pubblico e generale, avesse resa ceria e stabia le la legislazione. Autorizzato dal popolo , fisso nel foro e delle curie , ciascuno doveva trovarvi la certezza de' giudizj , la sicurezza de'suoi dritti la legittimità de' suoi dominj; ma su questa con seguenza ci fanno nascer gran dubbj gli antichi Autori e molti fatti conosciuti. Convien sempre ricordare che il principal carac tere delle prische Aristocrazie fu la misteriosa cu stodia delle leggi o consuerudini, e della religione, ciocchè formava il privilegio esclusivo, o la pri yatiya di quella sola sapienza che gode del bujo & del ( 77. Det ZE = ; pro ice e della pubblica ignoranza . Ma codasta sapienza Romana era fondata parte su l’ingiustizia , parte su l'errore : su questo , perchè la loro scienza saa cra ed arcana non consisteva nel celare al volgo i misteri della natura , l'origine della cose, l'enera gia della forza motrice, la fecondazione dell’universo, ed altri tali idee nascoste ai profani presso le altre nazioni : la loro scienza arcana si raggira va sul cantare o cibarsi dei polli , sul volo degl uccelli, sull'andamento del fumo su i tremori delle viscere , e simili cose , alle quali non pud appartener mai il nobile titolo di scienza o sapien . ma quello solo di vane osservanze . L'errore poi lo facevano servire all' ingiustizia , poichè con tali mezzi si mantenevano nell'assoluta disposizio ne delle leggi , facendole servire alla conservazione del preteso dritto del più forte, cioè alla soy version ne di tutte le idee del giusto. Or poichè quelle leggi qualunque fossero erano pur pubblicate , una parte della scienza arcana e dell' aristocratico potere sarebbe andato a svanire , se non si fosse trovato un modo col quale si ae vesse potuto riparare una perdita si grave. Ques sto si effetrul col conservare il potere giudiziario Dell'ordine de' patrizj , e col rendere inutili le lege es za 7 bid SSO rvi ti chi Tale Cu ne, ori ujo el gi ( 78 )* gi; se non fossero state avvalorate dalla doro re condita sapienza . Essi dovevano spiegarne il sen so ; essi conoscere qual dritto nasceva da una tal legge ; qual era l'azione che ne proveniva , quale il modo o la formola di proporla, quale l'eccezione che poteva impedirla ; e finanche si arrogarono come un mistero sapere i giorni ne' quali si poteva amministrar la giustizia senza offendere i Numi . Ecco insomma la giurisprudenza , ossia il mezzo di rendere inutile anzi dannoso alla società il beneficio d'una Legislazione. Essa vanta un ori gine Aristocratica , un origine che si confonde coll' errore , colla malizia , e colla prepotenza . Sebbene dunque la giurisprudenza fosse nata su bito che vi furono leggi incerte ed arbitrarie ; pu re non si confermd , estese e stabilì nelle forme , che dopo la pubblicazione delle XII . tavole ; dopo questo prezioso compendio dei dritti degli uomini e degli Dei. Pomponio conferma le mie parole. Dopo pubblicate (egli dice) le leggi delle XII tavole, come naturalmente avvenir suole , s'incominciò a desiderare per l'interpretazione delle medesime l'autorità de' giurisprudenti , e le ne by cessarie dispute del foro. Tali dispute e tal drit » to non scritto composto dai giurisperiti non ha s pes, 79 ) 9 ji però un nome proprio come le altri parti del dritto , ma con pocabolo comune è chiamato dritto civile. Quasi nel tempo medesimo da „ quelle stesse leggi si fecero nascere le azioni, colle quali si doveva discettare a litigare : ed sacciò non fosse in libertà di ciascuno il farne uso, si pensò a farle essere certe e solenni ' ; e que „ sta parte del dritto fu denominata azioni della legge , o sia azioni legittime E cosi quasi ad - un tempo nacquero queste ' tre specie di dritto cioè leggi delle XII. tavole ; dritta çivile deriva „ to da esse; ed azioni della legge, composte su i s dritti antecedenti , La scienza poi tanto delle » leggi quanta dell'interpretazione , e delle azioni %, stesse era riservata al collegio de Pontefici, quali in ogni anno destinavano persona che pre sedesse ai privati affari o litigi ; e con questa , consuetudine visse il popolo per cento anni in » circa , „ Quale orribile contradizione ! Appena pubblieata una legislazione tanto vantata per la sua perfezione, fu trovata cosi insufficiente, ch'eb be immediato bisogno di sostegni e di interpreta zioni . E codesto fu il codice superiore a tutte le biblioteche de’ filosofi? Ogni parola di Pomponio contiene una contradizione alle idee di leggi e le gis 80 ) gislazione che somministra il buon senso il più comune. Il dritto civile tanto encomiato non fu altro dunque che il risultato delle interpretazioni de'Giu. risprudenti e delle dispute forensi ? E qual razza di prudenti erano mai quelli! Ciascuno sa che quella fu l’epoca della più crassa ignoranza; la spada, la zappa, i polli e le usure erano le sole idee che fiorivano in quelle teste leggislatrici . Ma poichè col progresso del tempo , e colla frequenza de' giudizi qualunque fosse stato quel dritto con suetudinario poteva pur ridursi in massime o in principj di giustizia , e cosi divenire di comune. intelligenza e di un uso generale; si pensò il mo. do onde questo non avvenisse , e si mantenessero sempre le leggi nel bujo e nell'incertezza . Ne cið era sicuramente per una vanità dottorale , ma per conservare un potere ed una leggislazione arbitra sia , qual era il grande scopo dell' ordine Aristo, cratico . L'unico mezzo che essi viddero il più opportu 80, fu quello d'inventare le azioni , cioè delle for mole colle quali non solo si doveva agire o ecce pire in giudizio , ma secondo le quali si doveva no regolare i contratti e gli altri atti civili , accið por ve far potessero avere un effetto legale. Non bastò loro di aver la privativa de' giudizj ; poichè colle leg gi certe difficilmente avrebbero potuto abusarne : bisogno dunque inventare un nuovo dritto di esso e della nuova pratica una nuova legis lazione da surrogare all'antica scienza mistica delle leggi, per tenerle sempre in quella severá cu stodia, colla quale prima delle XII. tavole teneva no le antiche consuetudini . E perchè non si man casse di venerazione a tale straordinario stabili . mento, i Pontefici ne furono fatti depositarj egual mente e disponitori . Chi' può trovare in questa specie di legistazione altro carattere che di una volontà arbitraria diret ta non a dispensar giustizia , ma a conservare ľ Aristocratico dispotismo , darà segno , di non aver avuto mai idea di ciocchè costituisce il carattere delle leggi. Ma non si trattava già di fac leggi , si trattava solo di tener il popolo in schia vitù : perchè se avendo già esso acquistato i drit ti di privata cittadinanza avesse potuto godere anche quello d'Isonomia , cioè dell' eguaglianza delle leggi , qual'era stato il suo intendimento nel promuovere una pubblica leggislazione , avrebhe fatto un gran passo verso quella libertà che tanto F ambiva , ma che più sentiva che conosceva . Escla . md esso sovente contro quella specie di occulta o privala legislazione , dicendo, che la sua condizio de ea in questo assai peggiore di quella dei po poli vinti ; essendogli negato il poter sapere cioc che riguardava i più comuni affari çivili , e fino i giorni legali e feriali, ciocchè agli altri non era Ignoto : segno sicuro che l'aristocrazia romana era inolto più feroce o severa di quella delle altre città o popoli vicini. Il dottissimo Vico con gran proprietà d' intelli genza penso che quel notissimo motto di Solone: conasciti, fu piuttosto un précetto politico che mo rale . Pieno l'animo di tutti i sentimenti della ve ra giustizia Solone ricorda va con quel motto all' oppresso popolo di riconoscer se stesso , cioè di riconoscersi per uomini ed uguali ip dritto a colo ro che li opprimevano. Il popolo Romano non eb be un Solone , che gli desse così utili ricordi ; ne forse ne aveva bisogno , poichè abbastanza si ri conosceva , ed agli insulti de'Patrizi rispondeva , che non erano fioalmente essi ne discendenti do’ Dei , nè venu i giù dall' Empireo . Avrebbe perd avuto bisogno di un Solone , per aver lidea d'una costituzione , senza la quale arrivo si a distruge gero gere la maggior parte degli abusi del potere Ari „ stocratico, ma non giunse mai a formare una pere ferta Repubblica, fondata su i veri rapporti sociali e su i dritti primitivi della Giustizia naturale e positiva : per cui se Roma corse rapidamente alla grandezza dell'impero e delle ricchezze, cadde an che presto nella voragine del disporismo . Ma ritornando a quella Giurisprudenza che suc cedè immediatamente alle XII tavole, e che diede nascita a quel nuovo dritto così stranamente am ministrato, dirò , che sebbene da quanto semplice mente espone Pomponio, se ne possa giustamente fare il carattere; pure ad esuberanza aggiungerd, che l’illustre Gravina , tuttochè pieno d' entusiasmo per la Romana Giurisprudenza, non seppe nascon dere , quanto fosse infelice quella de' tempi de'qua. li abbiamo ragionato. Antiqua jurisprudentia nun. cupatur quæ statim post latas leges XII. tabularum prodiit : aspera quidem illa tenebricosa & tristis non tam in æquitate quan in verborum superstitione fundata. Se il Gravina rinunciando ai pregiu dizj Filologici, avesse voluto mettersi in grado Gray. de Ortu Tur. Civ. cap. 46. F 2 di giudicare giustamente , come riconobbe per tenebrosa l'antica giurisprudenza , avrebbe ricono sciute per arbitrarie e maligne le successive giuris prudenze dette media e nuova , ed avrebbe discon * fessato gl ' inopportuni encomj , che in generale yolle ad esse tributare . Per quanto perd si è finora ragionato , non ho toccato che leggermente la nequizia della giuris prudenza e della giustizia sacerdotale ; ma chiun que per poco abbia di buon senso converrà meco, che una delle tristizie maggiori in fatto d' Ammi nistrazione è il sottrarre le leggi del pubblico uso e conoscenza , e ridurle per vile ambizione e su dicio interesse ad arcani misteriosi . Nascondere le leggi, è nascondere la luce civile ', è precipitar gli uomini ne' vizj e nella corruzione. Le leggi con molta proprietà e verità d'espressione si chiamano la ragion civile , onde il celarle, il corromperle , val lo stesso che privare gl'individui del corpo po litico di quella ragione che loro deve servir di guida in tuui gli affari sociali. I patrizj giurispru. denti non lasciarono mezzo per tenere il popolo nell'oscurità , poichè non solo coll' inventare le azioni e farsene' una privativa di ordine, occultaro no le leggi e le guastarono ; ma de' nuovi stabili men ( 85 ) menti anche s'impossessavano per poterne disporre a loro talento. Livio n'è amplissimo testimone di cendo : institutum etiam ab iisdem coss. ( cioè Lo Valerio e M. Orazio ) ut Senatusconsulta in ædem Cereris ad ædiles plebis deferrentur , quia ante ato. bitrio Consulum supprimebantur vitiabanturque. Non fu però sufficiente questa legge, come vedre mo in altro luogo , e i giurisperiti seguitarono ad essere veri Monopolisti delle leggi . Dobbiamo credere però che i più virtuosi Ro mani avessero a vile codesto mestiere d'ingan no e di soverchieria ; e perciò . la storia ci pre senta sempre con elogj coloro i quali quasi senz’intervallo tornando dai campi di Marte cambiava no coglistrumenti rurali gli arnesi guerrieri , o coronavano l'aratro di allori trionfali . Si sa che Roma allora e per alui secoli non presentava al cuna occupazione che potesse allettare alla vita cittadinesca , la quale dalle belle arti , dalle scien ze, e dal prodotto da, esse spirito sociale si rende solo piacevole ; perciò chi non amava l'intrigo, nè la vita oziosa soffriva , in vece di darsi alla cabalistica (Livio) e viziosa giurisprudenza , si riparava nella esercizio dell'agricoltura sempre preferibile ad una mestiere cosi pernicioso. Infatti la storia ci pudo istruire , mostrandoci , che la famiglia la più in festa allo Stato , la perpetua persecutrice della li bertà popolare e della Giustizia pubblica fu una famiglia di giurisprudenti. Tale fu la Claudia ; e sempre si è veduto che dove dottori e forensi 80 no, la discordia prende il luogo della pace e della naturale tranquillità . Ma ritorniamo a Pomponio . Egli ci dice che quella mistica giurisprudenza si sostenne quasi per un secolo : la storia pero a gli altri autori dicono , ch' ebbe una durata eguana le a quella della Repubblica , toltene alcune diffe renze dalle quali non fu alterato il fondo del la cosa · Seguita dindi Pomponio a racconta re , come quelle formole ed azioni , essendo ri , dotte in forma da Appio Claudio , cotal mistico libro gli fu involato da Gneo Flavio figlio d'un libertino e scriba dello stesso Claudio : ed aver . , dolo pubblicato e fattone un dono al popolo , » questo gli fu si grato , che lo fece pervenire ad » esser Tribuno della plebe , Senatore , ed Edile „ Questo libro contenente quelle azioni delle quali > si è già parlato , dal nome dell'editore fu deno ( 87 ) Si po , mitato drino civile Flaviano , benchè egli nulla » vi aggiungesse del suo. Nel crescere poi in Romi la popolazione e nel multiplicarsi gli affari maticando alcune specie di formole , Sesto Elio non » guari dopo compose nuove azioni e ne pubblico co un libro chiamato Dritto Eliano , . trebbe" ragionevolmente pensare , che pubblicate le leggi e resa publica la scienza arcana , il dritto cívile , le ' azioni, la pratica, e le leggi stesse diven cassero di pubblica ragione; e che il popolo illua minato su i principj legali , sulla condotta degli affari , sul modo di amministrar la giustizia , . sulle ordine giudiziario , non avesse più bisogno della maduduzione de' patriaj per distinguere il giusto , e sapere i mezzi d'ottenerlo . Ma tuu ' al trimenti andiede la bisogna į poichè non volendo i patrizj perdere per alcun modo la custodia e la dispensazione di quella scienz'arcana , che forma va la base principale del loro ingiusto potere, tro* varono il'modo , onde far rimaner il popolo de fuso . E come nelle sette se si vengono a scopris se i segni mistici destinati al riconoscimento, pres stamente si cangiano , e de ' nuovi si surrogano , onde sia salvo it mistero ; cost i bravi Giurispe siti eseguirono , cost posero in salvo i pretesi F drica, dritti dell' ordine , e conservarono il grande arcano della Giurisprudenza . Le formole e le azioni furono cangiate , e forse in maggiori cifre involute onde potessero rimanere ancora lungo tempo nascoste ed inintelligibili allo sguardo plebeo . Ma ascoltiamone, Cicerone, il qua le ce ne dà il più distinto divisamento ; Erant in In igna potentia qui consulebantur : a quibus etiam dies, tamquam a Chaldæis petebantur. Inventus est scriba quidam Gn. Flavius qui cornicum oculos con Fixerit , & singulis diebus ediscendos fastos populo proposuerit  & ab ipsis cauris jurisconsultis coruin sapientiam compilarit . Itaque irati llli , quod sunt, veriti , ne , dierum ratione, pervulgata & cognita șine sua opera lege posset agi . notas quasdam com posuerunt, ut omnibus in rebus ipsi inieresseni Non fu di alcun utile dunque l'aver trafitti gli oc chj a quelle cornacchie poichè in breve tempo seppero rinnovarli e renderli migliori. Per quanto quindi prosiegue , la Storia troviamo sempre costantemente e già pel corso di quattro secoli gli stessi sentimenti , gli stessi principj , la 2 stes (Cic. pro Mur.) cha stessa condotta". La Giurisprudenza fu latente , in çerta , arbitraria , ignota al popolo ,, e privativa del solo ordine paurizio sacerdotale, il quale lungi da quella virtù che sola consiste nella beneficenza » da quella sapienza che cerca il vero , per render lo di comune demanio ; da quella Giustizia trova i principj nella ragione, e gli espansivi sens țimenti nel cuore ; da quella naturale benevolenza e da quel sentimento di pietà, che distinguono l'uo mo civilizzato ; da'veri sentimenti di patriotismą che non può essere mai scompagnato dalla Giusti, zia ; , lungi dico da tutte queste qualità e gli Eroi del Campidoglio non sembra che provassero altri sentimenti che quelli dettati dallo spirito di corpo, sempre contrario, anzi distruttivo de' sentimenti so ciali , dal vile interesse personale e pecuniario Fros, duttore di tutti i vizj , e dall'abuso di un illegiti mo potere. E pure questi furono i patriarchi della giurisprudenza ! Seguitando quindi Pompopio ad esporre i fonti del dritto Romano ci accenna l'origine de' plebi. - . sciti e de' senatusconsulti, specie di leggi dettate dal popolo o dal Senato , e delle quali in appressa, vedremo gli effetti ee'l'l valore , e soggiunge , che » nel tempo stesso anche dai Magistrati nacque » un' 1 el gobierno un' altra specie di dritto s poichè , tecid saw pessero i cittadini , di qual dritto i Magistrati in si sarebbero serviti intorno ai varj oggetti di giudicatura , & perchè vi andassero premuniti, pubblicarono degli editri , da quali si costitui il » Dritto onorario , cost detto perchè proveniya dall'onor del Pretore , • E dopo aver parlato finalmente dell'altra parte del dritto che nacque delle costituzioni de' Principi , cost riepiloga tutti i fonti che costituiscono il 'dritto Romano . ,, Nel la nostra Città dunque dice egli ) la legisla os zione è costituita del dritto" o sia legge ; da » quello che propriamente si chiama Dritto civile , che non è scritto , è consiste nella sola interpre mtazione de' prudenti : dalle azioni della legge » le quali contengono le formole di agire; dai plebisciti che furono fatti senza l'autorità del » Senato , dagli edini de'Magistrati,da' quali nasce il dritto onorario ; dai Senatusconsulti costituiti dal Senato senza legge particolare ; e finalmente , dalle costituzioni de' Principi , Ecco tutta la Storia seguita , che Pomponio ci ha lasciata del dritto Romano, ed intorno alla quale presso a poco gli autori tunti convengono . Abbiamo finora voduto quale fosse il dritto é la C 91 ) fa giurisprudenza Romana prima è dopo dello leggi decemvirali , e quindi come per quattro secoat li e più le leggi e la Giurisprudenza avessero 1 caratteri d'irregolarità , d'incertezza e di arbitrio i é non ostanteche la ragion popolare andasse ac quistando qualche dritto su l'Aristocrazia , puro questa sostenuta dal Sacerdozio , qnantunque per Necessità cedesse in qualche cosa de’dritti pubblici, fece perð ogni sforzo per tener recondite le leggi , e sotto le chiavi del mistero tutto quello che ri guardava l'anministrazione della giustizia. Conoba bero ben essi che nei stati di qualunque sorte, quel If anno veramente il massimo di potere effettivo cho possono disporre a loro modo delle leggi e della giu stizia , e che tanto più diventa tale autorità effica cé , quanto più le leggi sono oscure incerte ed ar bitrarie . Ma per vedere come questo continuassets e come la Giurisprudenza seguitasse ad esser sem pre della stessa indole , prima di venir a ragionia re de' plebisciti e de' senatusconsulti ch' ebbero di yerse fasi, ci fermeremo ad esaminare quel dritto; cui si volle dare il titolo di onorario , ma che ves dremo' non essere stato degno di alcun onore. Se si volesse parlare del la ridevolezza di quelle vantate formole , che costituivano la Romana Giurisprudenza , ci porterebbe a perdita di tempo , ma se i Romani di buon senso e Cicerone stesso le. deridevano e tenevano in altissimo disprezzo , cre do che dopo due mille anni potremo far noi al- , trettanto , e chiunque non sia un’ vero divoto , e cieco adoratore della Romana antichità e giurispru-, denza. Rifletterà solamente , che quando di cose sem. , plicissime si vogliono far misteri , allora dovendo vi aver luogo l'arte d'imporre , le idee semplici si devono involgere in un numero di parole non necessarie , e surrogare impropriamente le imma gini e le finzioni alla semplicità e realità delle co se e delle idee : specie di geroglifici che deve ace: compagnar sempre il mistero, e l'impostura Siccome non è mio intendimento però di fare la Storia del governo civile di Roma, mà solo indicare il corso infelice delle leggi e della giurisprudenza, cosi non m'impegnerò nelle lunghe dispute e di bauimenti fra la plebe e i patrizi, quando quella per acquistare i dritti di cittadinanza , e questi per allontanarli , facevano tuttogiorno rimbombare de loro schiamazzi il foro Romano; ma accennerò so , lamente ciocchè importa , per passare all'origine del dritto onorario . La forza dell' opinione non aveva più molio. scevano valore contro la forza reale ed effettiva ; per cuti essendo riusciti i plebei a partecipare ad alcuni di quegli officj che fin allora erano stati privativi de patrizi , come fu quello della questura e de' tria buni militari , non parve foro di aversi assicuraii i sospirati dritti , se non ottenevano la massima delle Magistrature , vale a dire il Consolato . E poichè già per lunga e dolorosa esperienza cono che sempre col manto della Religio ne i patrizj cercavano coprire le loro pretese , o tependone lungi il volgo profano , ailontanara lo da tutte le magistrature che de' sacri auspicj abbisognayano ; così i plebei videro che per farsi strada al Consolato, si rendeva necessario l ' ardi mento di entrar ne' sacri pene trali , ed andar an che essi a studiare e consultare un poco i libri Sibillini. Quindi fra le rogazioni che fecero cor rendo alla fine il quarto secolo di Roma , furo no queste cose combinate ; cioè che invece de' Duumviri addetti alle cose sacre si facessero de De. cemviri , e che di questi cinqué patrizj fossero ed altrettanti plebei : e che nella nuova elezione de Consoli l'uno fosse del loro ordine , e l'altro pae trizio . Invano Appio Claudio montà in tribuna per fare non arringa ma una predica Teologica contro le 94 et le nuove idee filosofiche sorte negli animi della plebe Romana : invano ricorse alle idee teocrati che già fatte obsolete ; invano minacciò d anate ma quel popolo , che potea far a lui più reali mi nacce : Roma ( diceva egli ) fu fondata cogli au spicj: futiociò che vi è di pubblico , di privato , di sacro , di profano , in guerra , in pace , in cae sa e fuori , tutto doversi cogli auspicj trattare : che i soli patrirj in esclusione de' plebei per inveterato costuma godevano del dritto degli auspicj: che niun magistrato plebeo fu mai creato cogli auspicjse che in fine canto era il creare i Consoli dalla ple. be , quanto il rovesciare interamente la religione , ed incorrere nell'ultima indignazione degli dei. Non ostantino però tante e si gravi rimostranze Lucio Sestio nel 387. ottenne finalmente il conso lato . Se questo colpo fosse doloroso a sostenere per i patrizi, è facile l'immaginare ; ma al male già accaduto non potendo portare alcun riparo ef ficace , si rivolsero ad escogitare qualche rinfranco , per non perdere intieramente quel privativo potere che dipendeva dal consolato . Pensarono dunque sta ( 12 ) Lir. lib. YI. cap. 36 mabilire una nuova Magistratura, che potesse con servare nell'ordine patrizio l'amministrazione del da Giustizia, il potere giudiziario , e tuttociò che riguarda l'esecuzione delle leggi civili. Quindi col pretesto che i Consoli erano quasi sempre fuori di città alla testa degli eserciti , onde non poteva no adempire agli ufficj della giudicatura , proposent to di stabilire un nuovo magistrato che adempisse & questa parte dell'Amministrazione , e fu ordinato che si traesse dai patrizj e si chiamasse Pretore . La pretura dunque fu stabilita per conservare nell'ordine de' padri eutto il sistema giudiziario o forense del quale avevano facto fin allora uno scempio cosi crudele . Le leggi e la Giurispruden za seguitarono ad essere malversate , ma per poia chi anni durd privativamente nelle mani de' patri zj la Pretura . Eccoci intanto al tempo nel quale si pud fissare veramente l' epoca di quella Giuris prudenza che passo di mano in mano fino agli ul. timi tempi ne' quali ebbero qualche celebrità il no . me Romano e l'Impero . Questa parte del dritto , come testè ci ha insegnato Pomponio , nacque da gli editti , che emanavano į Pretori nell'entrare in esercizio della loro Magistratura , ed essa façeva il maggior latifondio della Scienza forense . L'im para the S6 ) portanza dunque della medesima ci merte nel do vere di portarvi sopra uno sguardo particolare , seguendola brevemente nel corso della Storia' , ve derne in qualche modo l' uso , il carattere ; e gli effetti , Dopo lo stabilimento della pretura e della comu nicazione a tat officio delle plebe , e più dopo ese guito il censo di Fabio Massimo il governo di Roo ma perde la forma Aristocratica , benchè non ne perdesse lo spirito ; ed io non ardirei dire col cos mune de' dotti , che si trasformasse mai in quella forma costituzionale che si chiama Democrazia: La libertà popolare fu molta , e qualche volta ecces siva a segno che degenerd' in licenza , poichè essa non era limitata dalla legge ; ed il dritto de' suf fraggj ed il potere legislativo non ebbero mai quel la regolarità ed uniformità , che può rendere nel tempo stesso un popolo regnante e tranquillo . E non fu mai tale il popolo Romano, poichè la for ma del suo governo non fu costituita su d'un pia no antecedentemente ragionato nel quale dalla considerazione de' varj rapporti sociali si fosse ri montato alla necessaria divisione del pubblico po tere , e questo ripartito in modo che le varie par ti non si potessero nuocere fra loro , e non si po tes. → toa 97 ) tessero riunire ; ma per un nesso naturale tutte coordinatamente contribuissero al grande scopo della perpetua conservazione sociale . Non avremo perciò quind' innanzi frequente oco casione di parlare dei disordini dell' Aristocrazia patrizia o sacerdotale , poichè gittati i semi del disordine e della corruzione , essi si moltiplicarono dovunque trovarono suolo adattato alla facile germi nazione. Llibertà produsse i suoi necessarj vantag ki , non però tutti quelli che sarebbeo nati da una vera e legittima costituzione. Ma passiamo final mente a vedere quale fosse stato il fato della Giu risprudenza in questo nuovo ordine di cose. Fra i Scrittori che di proposito e più accurata , mente trattarono degli editti pretorj sono da distin guere il celebre Giureconsulto Eineccio ed il Sig. Bouchaud dell'Accademia delle Iscrizioni, i quali per trattare il più compitamente che fosse possibile questo importantissimo articolo relativo alla Storia politica ed alla Giurisprudenza Romana, non tralasciarono ricerca alcuna conducente al loa G TO ( 1 ) Heinec. Hist. Edict. ( 12 ) Memor. de l'Accadem . des Inscr. com. 72. ma 98 ) ro scopo . Trovarono che in Roma e per l'Impe , so ancora non solo quelli che propriamente Man gistrati erano detti , ma diverse altre cariche ed officj ancora che non avevano tal carattere , ebbe To pure il dritto o il costume di fare degli edinti Quante che fossero adunque le divisioni e suddi visioni del potere esecutivo o giudiziario , ed in quanti diversi rapporti fossero esse costituite, pren dendo un tal dritto , ebbero l'uso e la facoltà di straordinariamente comandare. Cosi , incominciando dai Pontefici e dai Tribuni della plebe , nè gli uni nè gli altri Magistrati , e passando ai Consoli e Pretori fino ai menomi Magistrati Civici tutti vol. lero avere il dritto di far editti , e godere di quel. Ja parte di potere che in tale facoltà o prerogativa era compresa . Fra tanti Magistrati perd che eb bero o si arrogarono cotale autorità , gli editti di maggiore celebrità , e che contribuirono a creare una nuova Giurisprudenza furono quelli de'Pretori. Abbiamo già detto di sopra che dai patrizj fu inventata e fatia stabilire questa nuova Magistraa tura a consolazione ed indennizzamento della per dita che avevano fatta d'un Consolato passato al la plebe ; e quindi ottennero , che il Pretore dal loro ordine dovesse essere prescelto Non durd mol , ( 99 molto intanto questo, privilegio poichè la plebe veggendo di quale importanza fosse la Pretura , non molti anni dopo cioè nel 417. volle anche para tecipare a tal carica , mentre ancora era unica e non divisa nei due Pretori Urbano e Peregrino ; ciocchè' avvenne circa un secolo dopo , cioè nel anno 510. Coll’andar del tempo si multiplicarono maggiormente , ed oltre dei due mentovati e dei Pretori Provinciali altri ve ne furono nella Città , de' quali alcuni erano addetti a rami di cause para ticolari, Ricordandoci ora di ciocchè abbiamo detto del la origine della Pretura , ciocchè ci viene attesta 10 da Livio e da altri , cioè che essa fu surro gata al potere giudiziario, che i Consoli esercita vano , si dovrebbe naturalmente pensare , che se i Pretori cagionarono alterazione nell'antica Giu risprudenza , e ne fecero nascere una puova , çið essere accaduto per effetto delle loro decisioni o decreti o sentenze , le quali avessero per la loro giustizia meritata la conferma della pubblica auto rità , e passate quindi in dritto consuetudinario Ma non fu certamente per tal motivo , nè si po trebbe facilmente immaginare , che essi a priori fossero autori di un nuovo dritto e d'una nuova Giu. 3 . G 2 ( 100 ) Giurisprudenza . Eppure non fu altrimente : essen do essi semplici giudici o ministri di giustizia , colla facoltà di fare degli editti seppero per tal modo usurpare l'autorità Legislativa , che il dritto fu cangiato , e gli editti più che le leggi furono osservati , e maggior uso ed autorità ebbero nel Foro . Ma se i Pretori non erano altro che Giudici cioè Magistrati di Giustizia , il loro officio era solo di applicare .la legge al caso particolare , o sia ve der i rapporti fra la legge e ' l fatto del quale si di. sputava. Un Giudice non può creare un dritto col le sue sentenze , poiché esse altro non sono che la dichiarazione del dritto medesimo ; cioè che la legge nel caso proposto si verifica per la tale azio ne o d'eccezione dedotta in giudizio. E se decidendo , cioè esercitando l'attualità della Magistra tnra non può crear un dritto , molto meno dee cid poter fare per la sola qualità di Magistrato o in forza della Magistratura. Gli editti pretorii dunque per i quali si alteravano , si cangiavano le leggi , e se ne stabilivano delle altre temporarie , ci pre sentano degli atti di autorità arbitraria , tempora ria , ed incerta che non possono formar mai una parte del dritto , il quale può solo emanare dalla - potestà legislativa , e dev'essere certo generale o perpetuo , fino a che non sia abrogato dalla stessa autorità. Quando dunque in una carica siriuniscos no contro tutti i principi della ragion pubblica quelle facoltà , che devono essere divise da limiti insurmontabili , si può dire che tal carica contenga almeno in potenza (come dicevano i Scolastici) i principj del disporisano , e dispotico si può chia mar il Magistrato che l'esercita . Nel crearsi la Pretura io voglio supporre che non s'intese produrre un mostro di tal fatta , ma come codesta carica fu surrogata al potere giudi zionario che avevano prima i Consoli , il quale era riunito al potere esecutivo , cosi' e per questo per quel grado d'autorità che prendevano dall ' or dine da cui erano tratti , non fu difficile il farvi passare di tali abusi . A considerar dunque giusta mente la cosa non nacque nella Pretura tale abuso dal semplice potere giudiziario , ma da quello di far gli editti . In fatti se si va all'origine di que sto dritto , ne troveremo la ragione: Edicimus (dicevano gli antichi) quod jubemtis fieri : espres sione tanto generale , che potrebbe comprendere l'esecuzione di tutte le potestà non esclusa la le gislativa ; e perciò fiequentemente le parole di G leggi e di editti furono di uso promiscuo : Ma Papiniano è quello che più nettamente ci ha la sciata la vera idea del dritto pretorio dicendo che fu introdotto a pubblica utilità , per adjuvare supplire, e corriggere il drilio civile . Jus prætorium adjuvandi, vel supplendi , vel corrigendi juris gratia propter publicam utilitatem introducium : Ecco dunque la vera origine del drixco Pretorio, e propriamente di quello che proveniva dal fare gli editti . Ajutare intanto indica debolezza , supplire , mancanza, cor reggere , errori . Si dice ch'è nell' ordine naturale delle idee di amministrazione , che quando al caso non si trovi alcun stabilimento di dritto , alcuna legge scritta , la volontà del Magistrato o di colo ro che governano supplisca a questo difetto che il loro piacere tenga luogo di legge questa volontà sia giusta o ingiusta , utile o noci va alla Repubblica ( 13) . Ma che altro è mai il Dispotismo , l'odio de' popoli czualmente e de' buoni regnanti : Se le leggi mancano, bisogna far le , e non solo il Ministro di giustizia , ma niun Magistrato è mai autorizzato non dico a fare alcu > o che na (13) Bouchaud Memoir. cit. tom. 72. ( 103 11 0 7 I na legge , ma nè a soccorrerle cadenti , nè a sup plirle difettose , nè a correggerle erronee , nè ad interpretarle oscure · Lascio le tre prime condizio ni o circostanze delle leggi , sopra le quali non pud cadere alcun dubbio , che il restituirle in qualun que modo non possa spettare ad altri che al So vrano ; ma in quanto all' interpretarle , . sopra di cui il probabilismo forense pare che abbia stabia lita la sua autorità , rifletterò che l'interpetra re o interpatrare da principio fu in Roma del so to ordine del patrizi , quando tutti i poteri e spe cialmente il legislativo erano ristretti nell' ordine "Aristocratico . Essi dunque che facevano le lega gi erano i soli che potessero interpretarle , uno e l'altro potere era illegitimamente stabilico ed abusivamente amministrato . Quando una leg ge è oscura , non vuol dir altro , che il non sa persi precisamente , ciocchè essa comandi o pre scriva ; lo spiegarlo deve venir dunque dalla stes sa autorità , che l'ha emanata , sola interprete le girima di se stessa . Ne i giudici dunque nè i giurisperiti possono arrogarsi un autorità illegittima della quale è tan 10 facile l'abusare ; e percid gli ottimi legislatori e Giustiniano stesso ogn'interpretazione proibiro G 4 ma l i 10 . ( 104 ) no . Le leggi bisognose di sussidj ed interpretazio. ni indicano abbastanza i loro difetti , de' quali di sopra abbiamo accennato il rimedio , ed il maggior male da esse prodotto fu d' aver fatta nascere la Giurisprudenza , ed in seguito la corruzione della giustizia : nel qual fatto osserva l ' Eineccio , che i Romani furono cogli Ebrei sotto lo stesso paral lelo (14 ) Or l'autorità data ai Pretori cogli editti prova visibilmente due punti: il primo che le leggi era no così incomplete , come sono quelle dei popoli bara bari ; e che i Romani lo furono a tal segno , che non seppero conoscere, quanto il confondere le po testà , ed il lasciar il poter arbitrario ai Magistrati fosse contrario alla Giustizia ed ai principi di ogni buon governo . Scuserò i pretori se ne abusarono, ma come scusare quel modello delle Repubbliche, quella Repubblica stabilità su la virtù , e che con nobbe più delle altre la libercà e l'uguaglianza ? Non togliamo a Roma gli onori che merita. Essa fu la prima inventrice degli editti, essa fu la sola Re. Heinec. De prohib. a Justin. interpret. facult. Cros bertan Repubblica per quanto si sappia , che li avesse in costume. A vedere quale era il dritto Pretorie lungi dal dover credere i Pretori Magistrati giudiziarj , do vremmo anzi prenderli per riformatori o corret . tori delle leggi . Tali furono in fatti , ma non per uno stabilimento autorizzato dalla potestà le gislativa : lo furono solo per abuso , vergogno so ai costituenti di sì strana Magistratura , e fer nicioso sommamente al popolo soggetto. Se Roma avesse conosciuti i difetti delle sue leggi , e l'in congruenza nella quale dovevano essere per la dif ferenza de' tempi , e per i politici cangiamenti ; ed avesse voluto imitar veramente le leggi ed i sta bilimenti di Atene , avrebbe trovato più oppor tuno mezzo ' a correggere e modificare la sua bar bara legislazione . Ciascuno sa che in Atene vera un Magistrato detto de’ tesmoreti , il quale propo neva annualmente i cangiamenti o correzioni da farsi nelle leggi , e queste erano poi approvate o riggettate dal potere legislativo . Non deve farci intanto molta meraviglia che la pretura s' introducesse con tali abusi e tant' auto rità straordinaria , se rifletteremo che quella. Magi stratura fu da principio stabilita privativamente per l’ordine patrizio, il quale la conservò in suo potere per trent'anni . Per sapere poi come quell'abusivo potere si esercitasse , devo ricordare , che vi erano quattro specie di editti , cioè Repentina : perpetuæ jurisdi fionis caussa : translaticia : nova . E senz' andar esponendo il valore di ciascuno , ciocche fino alla sazietà da molti autori è stato eseguito , mi ri stringerò ad alquante osservazioni più importanti. E primamente dirò , che quelli editti i quali do vevano contenere il sistema giudiziario attuale del la pretura , furono quelli appunto , da'quali deri varono maggiori abusi , cioè quelli perpetuæ jufts dictionis causa , pei quali il Pretore esponeva nell' albo le formole delle azioni , delle cauzioni, delle eccezioni, secondo le quali avrebbe fatto giustizia. Or avendo veduto che la Giurisprudenza anzi il dritto civile de' Romani in tali formole era com preso, chi era autore delle formole, lo era in con seguenza del dritto medesimo. Chiunque nell'agire in giudizio mancava a quelle formole per qualun que causa , cadeva dall ' azione , o rimaneva con inutile eccezione cioè perdeva la lite anche che intrinsecamente avesse avuta dal canto suo la giustizia e la disposizione delle leggi. Ecco dunque il Magistrato div enuto legislatore , ed arbitrario it sistema di giudicare. Dobbiamo però credere , che tuttociò fosse fatto senza principj , e che non aven do idee certe e generali de' principj del driito , fa cessero gli editti ciascuno secondo le proprie co gnizioni ed idee: poichè come le ultime deriva zioni e ramificazioni delle leggi si possono ritrar tutte della retta ragione e dalle idee di giustizia universale, cosi se i loro editti fossero derivati da tali fonti , non sarebbero stati prescrizioni annua li , ma avrebbero avuta una continuazione o vera perpetuità. Nè ci faccia illusione il nome di perpetuæ jurisdictionis , poichè quella perpetuità era ristretta ad un sol anno . Il Pretore o Pretori che succede vano alla carica , avevano il dritto assoluto di proporre nel nuovo albo un nuovo sistema giudi ziario , e cangiare a lor grado la formola ed i principj ; e sebbene questo non si fosse fatto sem. pre nè in tutto, poichè spesso i succes'sori conser vavano integralmente o parzialmente gli edirii an tecedenti , ciocchè diede il nome di translatixj agli editti di tal indole , era sempre però in liber tà de' nuovi Magistrati di farne di nuovo co nio , che perciò portarono il titolo di nova. Se maggiori irregolarità , incertezze ; ed arbitrj . si possono portare nell' ordine giudiziario e ne ! dritto , lo lascio giudicare agli amici della Giu stizia e della ragione. La Giustizia dipendeva solo dal capriccio pretorio , e gli attori in giudizio do vevano essere ben intrigati in variar le loro fora mole , e su di esse disputare ed argumentare , per trarre le disposizioni o le opinioni legali al loro partito. Questo portò col tempo , che fossero mol te le azioni per lo stesso giudizio , ciocchè faceva un nuovo intrigo , ed accresceva l'arbitrio de’ magistrati . Più anche dovette crescere quando i Pre tori furono varj , e vi era in Roma quasi una po polazione di Magistrati , poichè ciascuno a suo modo proponendo gli editri , quel ch'era giusto pres. so di uno , si trovava ingiusto presso un altro . La morale pubblica e quella delle leggi particolara mente era dunque così incerta, che non aveva per regola che le opinioni o il capriccio, e si dilatava o ristringeva , allungava o accorciava secondo le sublimi Teorie del probabile , le quali sorgono sem . pre dall' arbitrio e dalla corruzione . Se il Pretore fosse stato uno solo , se l' Ammi nistrazione giudiziaria fosse stata ristretta ad una sola specie di Magistratura , non avrebbe potuto 1 dirs ( 109 ) diffondersi tanto l'incertezza della Giustizia e la forza dell' arbitrio : ma gli ammiratori o visionarj della Sapienza Romana , trovano ragioni sufficien ti per ogni disordine . Il progressivo accrescimento della Città o della Repubblica porto secondo essi multiplicità e varietà di affari , per cui si doveano coerentemente multiplicare e variare le Magistra ture e le Giurisdizioni . Esempio pur croppo fune stamente imitato nei vari stati di Europa '! Nel progresso delle Società si aumenta è vero la po polazione o il numero degl' individui; ma non per questo crescono i rapporti naturali e necessarj che essi hanno collo stato , col governo, e fra se stessi . Non crescendo i rapporui non devono multi plicarsi e variarsi le leggi , le quali ne sono I espressione ; ne devono quindi" crescere e di versificarsi in varj generi e classi i Magistrati che ne sono i Ministri o dispensatori . Possono crescere in numero bensi ed in divisioni , ma de vono essere costantemente della stessa specie e con i stessi nomi. Quindi il dividere i giudizj crimi nali e civili in tante varietà , giurisdizioni , e le gislazioni differenti è il produrre volontariamente una confusione , e multiplicare gli abusi dell'arbi crario potere : ciocchè però non accade quando si vedono nettamente e con precisione i rapporti deb cittadino . In questo caso, la legislazione sarà uni voca , generale, uniforme ; i limiti del potere giu diziario resteranno distintamente marcati ; e le giurisdizioni , e le Maggistrature non saranno sta bilite e divise sopra rapporti immaginarj e fattizj . Più , non nascerà pelle Magistrature quello spirito di corpo per cui sono in continua contesa o guer. ra fra loro, e , per conseguenza col governo o collo stato. Lo spirito di corpo è in ragion inver sa della grandezza del corpo medesimo , onde più saranno piccoli , più avranno i difetti della piccio lezza , più saranno capricciosi , irragionevoli , ed abuseranno della forza e dei momenti favorevoli : . Un gran corpo di Magistratura ben costituito e con venevolmente diviso , senza gelosia e senza inte- , ressi contrarj avrà la dignità che deve aver la Magistratura , ma non ne avrà le follie . Per quanto però fosse ampio ed esteso il dritto o potere che i Pretori esercitavano , non sembro loro ad ogni caso sufficiente ; e poichè delle cari che non limitate o mal circoscritte dalla legge si . passa facilmente da abusi in abuşi , essi non fu sono contenti dover osservare i loro stessi princi pį idee e sistemi per quella perpetuità annua , ma , pensarono d'abbreviarne il termine a loro piacere Fenomeni di tal natura sono forse del tutto nuo vi nella storia ! Una magistratura costituzional mente arbitraria , si arroga anche il dritto di can . giar quelle norme legali divenute leggi per mezzo della pubblicazione , e farne delle nuove senza pre, vio esame , come, un corpo leggislativo farebbe , ma di propria volontà e piacere come un Despota potrebbe fare . Questo pur si faceva nel foro Ro mano , e spesso durante l'anno della Pretura si vedeva quasi magicamente scomparir l'albo espo sto , ed un altro a quello sostituito . Pensi chi vuole , che fosse quella una sublimità di condos. ļa , o la surrogazione d' idee più giuste ed al paba blico vantaggiose; io penserò cogli antichi , che i pretori, nol fecero per altro che per favore , per interesse e per altre tali cagioni , stimate ferite mortali per la Giustizia . Cosi penso anche l'Ei neccio, il quale benchè impa stato di vecchia giu risprudenza , pure abominò il dritto pretorio ed i più illegali abusi de' Pretori . Si erano essi accom modati talmente a cotal giuoco, che portandolo, ormai all'eccesso , e facendo vero scempio della giustizia , si svegliò finalmente un'anima virtuo sa compassioneyole per la pubblica disgrazia, la qua la en le tentò d'apportarvi riparo. Come infatti si pud vedere lo strazio che della giustizia fanno gli stes si di lei sacerdoti , e non sentirsi l' animo com mosso da pietà egualmente e da 'nobile disdegno. Paulo Emilio nudrito nelle semplici idee di quella véra sapienza che accoppia i doveri alla beneficenza, e l'umanità alla virtù , vedeva con orrore l ' amministrazione della giustizia Romana tanto nel la Città quanto nelle più infelici provincie . Vede va condannati gl'innocenti , i deboli oppressi , ed i Magistrati impuniti ; e questo' nell'epoca la più memorevole della Romana virtù . Sdegnò egli (co me rapporta Plutarco ) i studii che la nobile gio venid coltivava ai suoi tempi per giungere alle cariche : quindi non comparve mai nel foro , o a piatire innanzi ai Magistrati , o ad umiliarsi al po polo per ambizione ; ma corse libero la strada del la gloria e superò tutti i suoi contemporanei in virtù ed in valore . Nè vi vuol meno d’un tal carattere per attaccare i pregiudizj potenti , gli abu. 81 interessati , ed i sistemi di corruzione . Essendo infani pervenuto al Consolato non fu tardo a proporre le sue idee ajutatrici, e quali che fossero le generali opposizioni trionfo su la pub- . blica corruttela , stabilendo, che i Pretori non potesssero cambiare più i loro Editri = V. K. Apria lis . Fasccs penes Æmilium S. C. factum est , uti prætores ex suis perpetuis edictis jus dice teni. Paulo Emilio fu in dovere di partir subi . to per la Macedonia , dove ebbe più durevoli trion fi su i lontani nimici , che quelli ottenuti su i ne mici che Roma aveva dentro delle sue mura. Que. sii fecero infatii rimaner invalida la legge ; e non è raro che i nimici del bene pubblico riescano con mezzi di vittoria più efficaci. Da quest'anno cha fu il 585 di Roma i Pretori seguirono ad imbal danzire alle spese della Giustizia , e di quell' equirà medesima , che tanto vantavano nei loro editri a nella loro giudicatura . La Repubblica sempre in disordini correva già al suo termine per i vizi della casuale costituzio ne ; ma tra i disordini , la Giurisprudenza pretoria era giunta ad un punto insopportabile . A nulla valevano le accuse contro de ' Magistrati , poiché i mezzi di salvarsi erano molto conosciuti . Quello però a cui un Console non potè riuscire con ef fetto susseguente , riuscì un virtuoso Tribuno della plebe, con tuttocchè fosse stato contrariato dai suoi compagni . Questi fu C. Cornelio Silla il quale o tocco dai stessi sentimenti di Paulo Emilio, o scan H 1drlezzato specialmente dalle depredazioni di Verre e de' simili a lui , fra le altre utili leggi , propose la rinnovazione del Senatoconsulto per moderare la smodata cupidigia de' Pretori. Livio e Dion Cassio ed altri autori ci attestano in que' tempi non solo la sfrenatezza pretoria , « ma il grand' interesse de nobili specialmente a conservarsene il possesso; per cui la proposta del Tribuno eccitd tumulto tale ne' Comizj , che i fasci Consolari andiedero in pezzi , ed i sassi facendosi sentire più delle vo ci , convenne dimettere, o posporre la lodevole im, presa ad altro tempo più tranquillo . Infatti secon do Asconio Pediano la legge passò = Multis 12 mon invitis quæ res tum gratiam ambitiosis Prætoribus, qui varie jus dicere assueverunt , sustit lit. Gli oppositori della legge non avendo potuto impedirla , rivolsero lo sdegno loro contro l'autore accusandolo di Fellonia , e Cornelio fu debitore della sua salvezza alla facondia di Cice. rone : Troppo tardi perd pel popolo Romano vena ne quel beneficio ; la Repubblica era già spirante i disordini irreparabili , ed apparecchiati i ferri per le Ascon . in Orat. pro Cond . le nuove catene . Roma non godè mai della liber ' tà , non seppe conoscerla , nè conobbe mai i moa menti favorevoli , ne' quali avrebbe potuta ren : derla eterna , Se colla Repubblica però fini la grande autorità de' Pretori , e se nuova Legislazione , nuova Giu risprudenza e nuovo metodo giu diziario furono introdotti dal Dispotismo; la legislazione, la Give risprudenza , l' ordine giadiziario restarono perd perpetuamente infetti dagli usi o d'abusi, che l'ar te Pretoria figlia della vecchia Giurisprudenza in trodotti y aveva . Nuove parole ' , nuove azioni , nuovi atti legittimi ingombrava no le leggi e la giurisprudenza ; ma quello che poi fu il colmo dell' abuso , ridicolo per se stesso, e tristo assai per gli effetti, fu l'aver inventato un nuovo metoda di considerar in giudizio gli oggetti , .i rapporti e le azioni ; in sostanza le finzioni legali : Anche questo bel ritrovato lo dobbiamo alla Romana intelligenza . Senz'averè molta perizia nella Giuris. prudenza , basta la più semplice ragione per ve dere , che tali invenzioni furono i sussidi dell'igno tanza ed i sostegni della ingiustizia. Si possono perdonare ai Romani ; ma come perdonare a que' moderni Giureconsuli , i quali ancora dalla Ro se 1 mulea feccia pretendono far sacri libamenti alla Giustizia? Tale fu l’Alteserra, il quale offerendo al Sig. de Lamoignon l'opera de Fictionibus Juris , così s'espresse = quid enim aliud istæ fictiones , quam juris remedia et jurisprudenium supulua IC , qui bus difficiliores casus expediuntur , et aurræ claves quibus Jurisprudentiæ secreta aperiuntur ? = e peg gio altrove . Tale fu l'Eineccio ancora il quale nel la Dissertazione, De Jurisprudentia Heuremarica versd gran copia d'erudizione per giustificare le finzioni legali , e farne vedere la bellezza e l'im portanza. Chi sarà vago di conoscere quelle auree chiavi della Giurisprudenza , potrà consultare i cita ti autori e la maggior parte de' Giureconsulti erų - diti . lo aggiungero soltanto , che esse ebbero ori gine da ignoranza o da malizia. Per la prima av. venne , che nei progressi della civilizzazione can giandosi gli antichị barbarựci modi de' tesçamen tị , de contratti , de’ litigj , credettero quasi che fosse cangiata la realità , e chiamarono finzioni i modi che a queli furono surrogati . Per la secon da, le finzioni s'introdussero in fraude delle leggi, per eludere le loro prescrizioni, e per estenderle a que'casi, de'quali non avevano espressamente par Jato. Origini entrambe poco degne della Giustizia dottissimo Vico portando le sue perspicaci osservazioni su quelle strane usanze e richiamando, le ai loro principi, chiamò il vecchio dritto . Roma- , no un Poema serio , poichè le immagini si erano Sosti uite alla realità , e non si erano trovate poi espressioni più semplici e più adattate . „ In con „, fum tà di tali nature ( dice il lodato autore ) l'antica Giurisprudenza tutia fu Poetica , la qua . le fingeva i farti non facii , i non fatti, fatti, na y ti gli non nati ancora , mori i viventi , i morti vivere nelle loro giacenti eredilà : introdusse tan , te maschere vane senza subjenti , che si dissero , » jura imaginaria ; ragioni favoleggiate da fanta e riponeva tutta la sua riputazione in rim „ trovare sì fatte favole , che alle leggi serbassero y la gravità , ed ai fatti somministrassero la ragio talche tutte le finzioni dell’antica Giurism prudenza furono verità mascherate, e le formo , s le colle quali parlavano le leggi , per le loro circoscrit te misure di tante e tali parole , nè più, nè meno, nè altre si dissero carmina. Ed altrove ragionando della Giurisprudenza Eroica ciod . H 3 bara sia : 99 he : (Vico Princ. della Scien. Nuo.) barbara de' Romani , la paragona a quella della se . conda barbarie , dicendo , Cost a tempi barbari ,, ritornati la riputazion de' dottori era di trovar , cautele intorno a contratti , o ultime volontà red in saper formare domande di ragioni ed ar ticoli, che era appunto il cavere e de jure respon . dere de’ romani giureconsulti. Da tuttociò si rileva, che sebbene la RomanaRepub . blica progredisse in quanto allo stato politico verso la libertà , ed in quanto ai costumi verso la civiliz zazione, in quanto alle leggi però ad alla Giurisprus , denza i Romani erano rimasti in quello stato poetico, o barbaro , che caracterizza i primi passi sociali o lo stato (dirò cost) di necessaria Aristocrazia. Se di ciò si voglia indagar la cagione , si troverà facilmente ne' tardi progressi che fecero i Romani nel perfezionamento dello spirito o della Ragione ; poichè da questo solo possono essere migliorate le : costituzioni , le leggi politiche , e le civili . Mi dispenso volentieri, è credo ragionevolmente, di andar ragionando di tutte le novità, che i Pre cori introdussero nel dritto , se da quanto si è detto finora , la Giurisprudenza pretoria resta ab bastanza caratterizzata ; e chi volesse meglio istruir sene , può ricorrere agli autori che ne favellano. Se qualcuno sarà preventivamente infatuato del'no me di Roma , vi troverà cose maravigliose e pelle grine , compiangerà l'attuale barbarie , e gemerà su le ruine del Campidoglio : ma se sarà una persona ragionevole e senza prevenzione , riderà di molte fole , compiangerà coloro che ne sono restati illu si , e farà voti sinceri, accið tali memorie indegno di uomini ragionevoli passino ' nell ' obblio . Volendo dunque giudicare con principi di ra gione non adombrata dall'ammirazione e dai pre giudizi della infanzia , dovremo dire , che i Preto - ri poterono essere buoni o cattivi , come in tuli gl ' impieghi sociali accader suole ; e che perciò molti di essi si servirono in bene delle loro pre rogative ', riducendo all' equità , o sia alla giusti zia accompagnata all'umanità , le leggi troppo se vere. o barbare che allora esistevano . Ma dall' al tra banda dovremo pur confessare , che la maggior parte de pretori si abbandonarono ciecamente ai nobili istinti di tesaurizzare e signoreggiare , per cui , più che ministri o sacerdoti furono conculca tori della Giustizia . Riconosceremo nel tempo stes 50 , che questo nacque , dal non essere stata limi ta e legittimamente circonscritta la di loro autori tà o potere ; e per questo d'ogni arbitrio abusan н 4 do 1 do resero l'ordine de' giudizj arbitrario , la Giurise prudenza equivoca ed incerta' , e fecero nascere una nuova specie di dritto , che tali qualità tutte in se comprendeva ; e sebbene non autenticato da alcun atto del potere legislativo , divenne . pure . un dritto consuetudinario più esteso e più usato delle leggi , e durò con perpetua continuità insiem . me colla Repubblica e coll' Impero Romano . Non ci lasciamo dunque illudere dalla tanto vantata eruiià pretoria : l'equià ve a fu solo de' buoni , e quella specie di equità può solo valutarsi do ve la legislazione non è nè rispettabile nè giusta. Considerando le antiche azioni della leg gé , gli atti legittimi , e le finzioni legali , ci com parirà molto giusto che Giustiniano le chiami favo le cioè azioni Drammariche, poichè in sostanza erano delle vere scene che si rappresentavano innan zi ai Magistrati . Cosi tutte le azioni che si face Justin . In proem instit. = ur liccat vom bis prima legum cunabula non ab antiquis fabulis discere , sed ab imperiali splendore appetere, A cotal intrinseco difetto della Romana Repub . blica non parmi che si pensasse gianımai a pora, tar un vero rimedio . , per cui la vantata libertà che senza leggi non nasce ,nè si può sostenere, non sedè mai lieta su le sponde del Tevere , e fuggi . finalmente di mezzo a un popolo , che non la co nobbe , e non fu mai degno d'adorarla . Il latte della lupa si perpetuò nelle vene de' Romani , ne quina 7 vano per æs & libram , le rivindicazioni, le cré zioni , le manomissioni , le nunciazioni di nuove opere , le usutpazioni , le licitazioni , le antestazio lé elezioni & c. non solo erano faite conceptis verbis , dalle quali non si poteva trascendere , me con azioni e rappresentanze particolari , che rende. vanò comiche le processure giudiziarie . Questo però non significa altro , se non che, nei tempi d'ignorana ga si sostituisce il linguaggio d'azione all' espres sione naturale delle idee e de sentimenti ; e percið i simboli , i geroglifici, le gesticolazioni furono nei tempi barbari il supplemento della lingua parlata é divennero poi il linguaggio rituale solenne e sacro ; in che principalmente consisteya la Giurisprudonza Romana quindi conobbero mai i sentimenti di sociabilità , i piaceri della società , le regole che all'adempimen to di essi prescrive la Natura . Perciò e per effet to della loro barbarie ed ignoranza , si disputò , si discusse , si combatte , si decise sempre sopra idee particolari, nè mai seppero elevarsi a generalizza re i principi , che la ragione ci mostra per la buo na' costituzione de corpi sociali, Dai campi ai Co. mizj era quasi continuo l alternativo passaggio maquanto furono felici colla forza o colla frode altrettanto infelici furono nell'uso della ragione . Essi non ebbero mai sentimenti univoci , e se la plebe fu qualche volta superiore di fatto, l’aristocrazia conservò sempre la sua condotta , ne seppero far cessare il nome di plebe , che vergo gnosamen te li caratterizzava , e distingueva pre giudizievolmente il cittadino dal cittadino . Dell uguaglianza non ebbero mai la vera idea , e quindi non poterono averla della libertà , che sola per quella sussiste , ed il vantato censo , non diro quello di Seryio Tullio , ma quello stesso della Res pubblica non fu una invenzione sublime. Se cotali riflessioni potranno sembrare ad alcuno superflue in rapporto al soggetto della Giurispru denza Romana , rispondero , che tali non sono poic ( 123. Det poichè quando si parla delle leggi , convien neces sariamente avere le giuste idee del popolo che ne fu l'autore , dei suoi sentimenti , e della forma e condizione del potere legislativo. Or potrà sembrare strano il dire , che Roma era formata quasi di due stati l'uno nell'altro , e che il potere legislativo fosse diviso in due corpi o anche in tre , e che poi quelle leggi fossero di un uso generale . E pure tal fu di Roma nel tempo in cui fu più celebre e risplendente . $' egli è vero, che nella undecima delle dodici tavole fosse contenuto il Dritto pubblico de' Ro mani , dobbiamo pur riconoscere che fu la più negletta e la meno rammentata , poichè i fram menti o le quisquilie che di essa ci rimangono sono le più meschine . E quantunque io sia nell' idea , che quella tavola non contenesse che i prin cipali dritti dell' Aristocrazia , qual' era appunto la legge de'cornubj, tanto detestata dalla plebe , e ro versciata vittoriosamente da Canulejo ; pure in un frammento rimastoci , troviamo quale avrebbe dovuto esser il vero stabilimento del dritto Legisla tivo , cioè QUOD POSTREMUM POPULUS JUSSIT ID JUS RATUM E $ TO. Ma se vogliamo seguire, la ragioneyole interpretazione del Vico e del Duni, la parola popolo non fu ivi presa nel senso proprio ; e nel significato generale, per esprimere la collezio ne di tutti gl'individui componenti lo stato , ma di quelli soli che godevano il dritto , e meritava no il vero nome di Cittadini , quali erano i soli Patrizj. Quando poi la plebe gradatamente venne a partecipare alle qualità civiche , la parola po . " polo divenne generale , e non essendovi più di visione privilegiata d'ordini nello stato , ma solo di classi , ciocchè la cennata legge prescriveva , passò ad essere nel suo vero uso e valore , cioè , a far , sì che legge si chiamasse , ctocchè l'intiero popolo avea prescritto e comandato . Se tale è però il principio costitutivo delle Rear pubbliche, e secondo il Gravina il più convenien te ancora alla natura umana , vi devono esse re delle regole , accið lespressione della volon tà generale sia certa legittima libera ed uguale , onde ciascun cittadino senta essere una parte in tegrante del Sovrano , dello Stato , e della Patria : Tali sono le leggi costitu zionali , che riguardano il dritto del suffragio , o la maniera di communi care la propria volontà al corpo sociale , e fare che la volontà pubblica sia realmente il risultato del. le volontà particolari. Il Dritto di suffragio costi tui yang tuisce dunque principalmente la qualità di cittadi. no , e il modo di darlo , forina quasi una misura di graduazione del Cittadino mede simo . cioè che tanto più si è Gittadino , quanto più il dritto del suffragio è libero ed uguale . Troppo lungi mi porterebbe l'andare esaminan do particolarinence colla Storia , come questo drit to si stabilisse in Roma: , cioè nella formazione casuale di quella Repubblica , alla quale contribul molto più la natura o il corso naturale delle sa cietà , che i priacipj d'intelligenza e di ragione . Dirò solo , che quel popolo sempre rozzo ed ignorante fu tanto lontano dal conoscere l'importanza di queste idee , che şi conteniò di essere con vocato al suon d'un corno di bue alle grandi Assemblee de' Çomizj; e mandra od ovile fu chiamato quel luogo, dove si radunava , per compir l'atto il più degno , il più glorioso p er un popolo , cioè il dar leggi a se stesso . Ma cotai nomi ed usanze erano avanzi dell'antico stato Aristocrațico ; e pa stori e mandre sono correlativi necessarj. Delle tre maniere intanto nelle quali si diedero į suf ( 18) Dionys. Antiqu. Romanarum lib. z. ( 126 e i suffragj, quella de' Comizj tributi si può dire che fondasse veramente la libertà o la potestà del po polo , giacchè i Comizj delle Curie furono obblia ti , nè ebbero in effetto il potere legislativo ; ed i Comizj centuriati davano la preferenza o la pre ponderanza alle ricchezze . Vi fu inoltre il Senato, il quale sebbene non avesse altro dritto , che di esaminare o consultare , si arrogo pure in parte il potere legislativo . O la Nazione dunque radu nata per Tribd , o essa stessa convocata per Cen turie , o il Senato ebbero o in dritto o in fatto l'esercizio del potere legislativo . Le risoluzioni per tribù dette plebisciti , non ottennero che dopo molte contese la vera for za di leggi , cioè di obbligare tutti i cittadi ni , giacchè da principio non obbligavano che la plebe soltanto . Tanto è vero che i Patrizi si cre devano un altro popolo un altra Nazione ; che quelle leggi nelle quali non avevano potuto far prevalere, le loro idee e le loro volontà , per mol to tempo non le fecero valere per leggi. L'auto rità de' Senatusconsulti fu meramente abusiva , poichè nè per le leggi Decemvirali ne per al cun stabilimento posteriore, il Senato da se solo aveva in alcun modo la potestà legislasiva. ( 127 ) el 3 2 tiva . Quelle risoluzioni però che portarono parti colarmente il nome proprio di leggi, furono le de cisioni dei Comizi centuriati , delle quali non oc corre ripetere nè il metodo nelle proposizioni , nè quello della convocazione , nè quello delle deci sioni . Tuttocið fu vario nel corso della Repubbli. ca , e si può trovare presso mille autori , che del governo Romano anno ragionato . Ho voluto solo ricordare queste poche notizia per mostrare , come il potere legislativo fu stabie lito in Roma sotto varie forme, le quali influivano di molto su la realità , e come il dritto di suffra . gio, non fu lo stesso nè uguale nei diversi comizi. Nei centuriati la qualità di Cittadino era misus rata su le ricchezze , e non si può dire , che fosa se la volontà del maggior numero de' cittadini , che rappresentasse la volontà generale , come don vrebb' essere per natura . Și sa ancora quanti abu si vi s'introdussero per farle essere le decisioni del minor numero , e spesso la quarta o quinta parte del popolo aveva già decretata la legge, men tre la volontà di tutti gli altri rimaneva inutile e , delusa . Che quello fosse un sistema meraviglioso lo potranno dir solamente gli Entusiasti , ma non chi nel giudicare suol prendere per guida la ragione : Dirò di più , e ciò fu contro i principi di ogni regolare amministrazione , che quei comizj oltre al potere legislativo si arrogarono ancora la facoltà governativa' , ed in molte occasioni simil mente il potere giudiziario ; ciocchè indica , qua le idea essi avessero di un vero ' e buon Politico sistema . Fu sicuramente un effetto delle distinzioni sco lastiche dell' antica Roma il dire , che i Tribuni del popolo non fossero Magistrati , perchè non avevano nè imperio nè dritto di vocazione, nè giu risdizione , nè auspicj , ma in verità se non erano magistrati nominali , lo erano in effetto , ed eser citavano un potere amplissimo su la plebe , sul Senato , e sopra tutta la Repubblica : ad es si apparteneva il convocare i comizj tributi i quali secondo me formavano il vero corpo le gislativo , se in essi il dritto del suffragio ap parteneva egualmente ed integralınente ad ogni . cittadino . Il Cittadino vi figurava come Citra dino libero , e non era il rango o la ricchezza , che davano la preponderanza . E pure questa par te della legislazione non meritò mai il nome di legge , come l'ebbero le risoluzioni de'Comizj cen turiati . lo non decido pai se al paragone le leggi Orno proposte dại Tribuni fossero più giuste ed utili allo stato , che quelle proposte nei Comizj centu riati dai Magistrati maggiori . Possiamo però ri Aettere , che tutte le leggi riguardanti la costitu zione politica , o relative alla libertà ed al lo stato popolare , le quali si possono chiamare leggi di Umanità e di Giustizia uni versale , furono tutte o quasi tutte proposte dai Tribuni . Nè si pud dubitare che esse fossero leggi necessarie, poi che erano le leggi naturali della libertà , e quindi necessarie e costituzionali per un popolo che voleva essere libero , Nè è da imputar loro che non fos sero migliori ; giacchè la mancanza d'idee e di buone cognizioni era comune ai patrizi ed ai ple bei . Lo stesso Cicerone contuttoche fosse Aristo cratichissimo , non potè far a meno , di con fessare , che se si avessero voluti annoverare i misfatti de' Consoli, non sarebbero stati pochi , ma che toline i due Gracchi , non si potevano contare altri Tribuni perniciosi. Infatti, e varj plebisci ti furono salutarissimi alla Repubbiica , e le leggi an. (Do Leg.)anche civili dai Tribuni promosse furono effettiva. mente a pubblico vantaggio . La maggior parte però delle leggi , dei plebisciti, e de' Senatusconsulti furono una specie di leggi volanti o temporarie , essendo per lo più pro mosse per occasioni particolari ; ¢ sebbene si procurasse di dare ad esse tutta l'autenticità so. lenne , non si riducevano però in un corpo , che avesse l'autorità d'un codice di legislazione ; ne io credo, che ad uso pubblico sempre s' incidesse ro in ' tavole o lamine di bronzo , come pur ci vo . gliono far credere alcuni autori antichi . Sono in dotto a pensar cosi da varie testimonianze , e spes cialmente da una di Cicerone . Possiamo da esse raccogliere , che quando le leggi furono una scienza arcana de' Patrizj e de' Pontefici , si conservaro no e custodirono con gelosia e con mistero, trat tandosi quasi della loro proprietà più preziosa , e proprietà come abbiamo veduto molto dispo nibile . Il tempio prima di Cerere par che fosa se a ciò destinato, e poi il pubblico Erario , accid i Consoli'o i Senatori non le corrompessero o in volassero; ma quando le leggi divennero di ragion pubblica , gli antichi curatori non le curarono più , e funne generalmente negletta la custodia Al ( 131 ) si . Almeno cosi ci attesta Cicerone , assicurandoci , che per saperle , o per conoscerle , bisognava far capo dai Portieri e dai Copisti = Legum custodiam nullam habemus : itaque hæ leges sunt , quæ apparia tores nostri volunt ; a librariis petimus ; pubblicis literis consignaram memoriam publicam nullam ha bemus . Græci hoc diligentius , apud quos xquaquaames creantur : nec hi solum literas ( nam id quidem een iam apud majores nostros erat , sed etiam facta hominùm obsesvabant , ad legesque revocabant. E la credė egli così necessaria , che nel suo Co dice , legislazione stabilisce appunto nell'Erario la conservazione o custodia pubblica delle leggi Forse però i Romani si avvidero, che le loro leggi non meritavano tale attenzione ed onore. Ho avver che Tacito caratterizzò con molto favore le leggi Decemvirali , non perchè meritas sero elogj di equità e di giustizia , ma perchè, al meno in apparenza , avevano avuta una certa re golarità di formazione e di pubblicazione ; ed a causa delle leggi posteriori , prive di tali qualità . Qualunque fossero in facti le regole per convocare I 2 i co tito di sopra , 1 (Cic. de leg.)i comizi, per dare i suffra gj, per creare le leggi oltre la viziosa costituzione , è da credere ancora , che il disordine e la confusione sempre vi avesse ro luogo , e spesso vi avesse parte la violenza, la cerruzione , e tutti quegl' inconvenienti soliti a nascere da personalità , da privato interesse , e da spirito di vendetta . Cosi di fatti c'indica Tacito dicendo compositæ duodecim tabulæ , finis omnis æqui juris : nam sequuræ leges , etsi aliquando in maleficos ex delicto , sæpius tamen dissentione ordi hun , et adipiscendi inlicitos honores, aut pe'len di claros viros, aliaque ob prava , per vim taie sunt . ( 20) Questo fatto finalmente mette il colmo, a quan to abbiamo detto della irregolarità ed incertezza di quelle Leggi, che meritarono tanti encomiatori . Le espressioni della volontà generale d ' un popolo libero e giusto , avrebbero veramente meritate P adorazione , e l'accettazione della posterità , se stabilite secondo i principj della Natura e della ra. gione ci avessero presentato un archetipo degno d'imitazione . Ma colla scorta della Storia , e sce vri (Tac. Annal.) ba ia di 10 18 tie 1 vri della infantile prevenzione tutt'altro abbia - mo trovato . Se Dionigi d' Alicarnasso ci presen " ta Romolo come un legislatore Filosofo , ed in struito della storia degli alui stati ; la storia vera ce lo presenta come capo di un' Aristocrazia pri mitiva , cioè barbara e feroce , la quale risorin - geva nel suo ordine, tutte le qualità di uomo e di cittadino : ma la storia del primo Regno e de gli alııi successivi è quasi tutta incerta simbolica e favolosa , come si potrebbe provare su le poche tracce , che non sfuggono ai critici indagatori del le origini civili . In tutto quel tratto di an ni altro non veggiamo in risultato , che dopo una prima aggregazione di forti e di deboli, senza altre leggi che le consuetudini Aristocratiche , si co minciò a dare una forma alla nascenie società. Il re videro , che il loro potere era un nulla , se invece di esser capi de'patrizj , nol divenivano del la plebe o del popolo ; ma Romulo scompar ve per diventar Quirino ne' cieli , Servio fu tru cidato , ed il secondo Tarquinio espulso . In tanta incertezza di cose , come i storici assai posteriori parlarono dei tempi passati colle idee dei tempi loro , così si aprì la strada a credere , che le stes. se parole corrispondessero alle stesse idee in epo che di is ble che assai differenti e lontane; quindi i scrittori suse seguenti si tormentarono prima lo spirito in tante ricerche , e poi si distillarono il cervello per con cordare le contradizioni, che ad ogni passo incon travano fra le idee prima formatesi , ed i fatti che poi trovavano nella Storia. Quindi tante ricerche e tante dispute inopportune e difficili per la man canza di monumenti , ed inutili affatto ai progres si della ragione. La legge regia però non meri tando alcuna particolare attenzione, importava so lo al nostro assunto il vedere , che l' incertezza delle leggi cominciò col nome Romano , e porta rono questa marca vergognosa in tutte le epoche, e in tutta la durata della Repubblica . Tali poi furono anche il dritto civile , le azioni legitime , gli Editri de' pretori o sia il dritto onorario, e finalmente le leggi propriamente dette , le quali sempre più confusero e resero incerto il drit , to e le leggi antecedenti. Parmi dunque poter drittamente dai fatti con chiudere , che le leggi e la Giurisprudenza Roma na furono immeritevoli di quelle lodi colle quali sono state esaltate , ed indegne di reggere un po polo qualunque , mancando di quelle qualità che poteyano renderle pregey oli e sacre , cioè collo stabilire la regola eterna della giustizia, render P urmo suddito di esse , e non dipendente dall' arbitrio; ciocchè positivamente distingue la libertà del dispotismo , qualunque sia del resto la forma o la costituzione sociale . Se le specolazioni de' politici si fossero fermate principalmente su quest'articolo , avrebbero facil mente ravvisato , che Roma non cadde oppressa della sua grandezza , poichè per gli edifici mate riali o politici è essa anzi una cagione di resi stenza e di durata. Cadde quella mole immensa per mancanza di base , e per difetto di Architettum ia . La base della Società è sempre la Giustizia tanto nella legge e nel principio, quanto dell'amministrazione ed esecuzicne di esse. Che poi l'ossa tura politica fosse mal congegnata ed un prodotto progressivo del caso , credo averlo di sopra abba stanza dichiarato. La giustizia di Roma fir in principio quale può essere nella barbarie; d'indi qua le suol' essere nell'amministrazione arbitraria; e fi nalmente quale dev'essere nell’anarchia , nella confusione della legge e nella generale corruzione. Dell' origine dell'idea che abbiamo della Bellezza. Il Bello della Natura. Il Bello dell'arte , ossia della imitazione e del Bello ideale. La grazia. Il sublime. Il bello morale. Il gusto. Il carattere del bello. L’espressione. Lo stile e la regola del bello. Opere complete (Teramo, Fabbri). Indizi di morale. Il metodo della morale. Il sentimento morale. L’origine del sentimento morale. Lo sviluppo del sentiment morale. Divisione della morale. La libertà civile. L’eguaglianza. La proprietà. Lo vviluppo della morale nella diada sociale. Il senso morale. Il dovere morale. L’obbligazione morale. L’amor proprio (l’amore proprio – Butler – self-love). La virtù. La benevolenza – la benevolenza conversazionale. La giustizia. L’educazione. La felicità. La passione. Note agli "Indizj di Morale" di G. Pannella Ricerche sul vero carattere della giurisprudenza romana. La giurisprudenza romana dal tempo de' re fino all'estinzione della repubblica. Sequela dei carattere della giurisprudenza romana sotto gl'imperatori. I cultori della giurisprudenza. L’amministrazione della giustizia. Memorie storiche della Repubblica di S. Marino. La Situazione corografica della Repubblica di SAMMARINO e dei varii nomi dati successivamente al capoluogo dello Stato. L’origine della Repubblica di S. Marino, e prime sue memorie fino al secolo decimosecondo. Le memorie di S. Marino nel secolo decimosecondo, e nel seguente. Proseguimento delle memorie istoriche per tutto il secolo decimoquarto. Proseguimento delle memorie per rutto il secolo decimoquinto. Proseguimento delle memorie per tutto il secolo decimosesto. Proseguimento delle memorie pel secolo decimosettimo. Sequela del secolo decimottavo. Il governo politico della Repubblica di San Marino. Diplomi ed altri monumenti citati nell'opera. L’istoria, la sua incertezza ed inutilità. Ai dotti e agli studiosi delle scienze della natura. L’origine naturale della storia e dei progressi ed abusi della medesima. La storica incertezza. L’autorità degli storici contemporanei del cavalier Tiraboschi. L’inutilità della storia e dei pregiudizi derivati dalla medesima. Verificazione degli antecedenti principj con esempi tratti dalla storia della romana repubblica. I bello. Ai giovani educati. L'origine dell'idea che abbiamo del bello. Il bello della natura. Il bello dell'arte, ossia della imitazione e del bello ideale. La grazia. Il sublime. Il bello morale. Il gusto. Il carattere del bello. L’espressione. Lo stile e la regola del bello. L’antica Numismatica della città di Atri nel Piceno con alcuni opuscoli su le origini italiche.  Alla reale accademia ercolanese di archeologia e a S. E. reverendissima monsignor Rosini presidente della medesima e della R. Società Borbonica di Napoli. Le origini italiche. Le antiche monete della città di Atri nel Piceno. I pelasgi e I tirreni. Rischiaramenti ed alcune osservazioni fatte sull' opera della Numismatica atriana. Lettera a S. E. il sig. conte D. Giuseppe Zurlo. Antologia di Firenze. Articolo di G. Micali. Biblioteca Italiana. La Numismatica atriana ed agli altri opuscoli. AL. Sorricchio. Saggio istorico delle ragioni dei sovrani di Napoli sopra la città di Ascoli d'Abruzzo oggi nella Marca. Saggio filosofico sul matrimonio. Lo stabilimento della milizia Provinciale. La coltivazione del riso nella Provincia di Teramo. Elogio del marchese D. Francescantonio Grimaldi . Il tribunal della Grascia e sulle leggi economiche nelle, provincie confinanti del regno. La necessità di rendere uniformi i pesi e le misure del regno. Il tavoliere di Puglia e su la necessità di abolire il sistema doganale presente e non darsi luogo ad alcuna temporanea riforma. La vendita dei feudi umiliate a S. R. M. La tassa fondiaria. L’istruzione pubblica. La sensibilità imitativa considerata come il principio fisico della sociabilità della specie e del civilizzamento dei popoli e delle nazioni lette nella Reale Accademia delle scienze. La perfettibilità organica considerata come il principio fisico dell’educazione con alcune vedute sulla medesima letta nella R. Borbonica Accademia delle scienze. La perfettibilità organica considerata come il Principio fisico dell'educazione letta nella Reale Accademia delle scienze. Alcuni mezzi economici per supplire agli attuali bisogni dello stato. L’importanza di far precedere le cognizioni fisiologiche allo studio della filosofia intellettuale. Lo stabilimenti di umanità e di pubblica beneficenza. L’organizzazione dei tribunal. Un porto da costruirsi alla foce del fiume Pescara. A Berardo Quartapelle. A S. E. il sig. Duca di Cantalupo. Al Cav. sig. Pasquale Liberatore. Ai Capitani Reggenti la Repubblica di S. Marino. Al marchese Luigi Dragonetti (Aquila). Al signor Roberto Betti (Napoli). A Giacinto Cantalamessa Carboni in Ascoli. A Giuseppe M. Giovene (Molfetta). Ad Alberto Fortis. A Bernardino Delfico. Al Sig. Abate D. Cataldo Jannelli. Saggio di lettere indirizzate a Melchiorre Delfico Gaetano Filangieri a M. Delfico Pietro Borghesi a M. Delfico F. Neumann a monsieur l'Abbé Fortis. Spallanzani all'abate Fortis. Al medesimo Fortis in Napoli ..... pag. 138  Spallanzani a M. Delfico ..... pag. 140  Luigi Grimaldi a M. Delfico ..... pag. 141  Toaldo a M. Delfico ..... pag. 142  Spannocchi a M. Delfico ..... pag. 143  V. Comi a B. Q. [Berardo Quartapelle] ..... pag. 148  Michele Torcia a G. Berardino Delfico ..... pag. 148  Gaspare Mollo a M. Delfico ..... pag. 151  Alessandro Carli ..... pag. 152  F. Mùnter a M. Delfico ..... pag. 154  Mùnter a Delfico in Napoli ..... pag. 159  Mùnter a M. Delfico ..... pag. 160  Filippo Mazzocchi a M. Delfico ..... pag. 163  Gazola a M. Delfico ..... pag. 163  Giuseppe Micali a M. Delfico ..... pag. 170  L'abate Bertola a G. Bernardino Delfico ..... pag. 178  Il medesimo a M. Delfico ..... pag. 179  L. Brugnatelli a M. Delfico ..... pag. 179  Antonino Anutos a M. Delfico ..... pag. 180  Gio. Andrea Fontana a M. Delfico . Il Duca di Cantalupo a M. Delfico ..... pag. 183  Giuseppe Palmieri a M. Delfico ..... pag. 180  Tommaso Gargallo a M. Delfico in Teramo ..... pag. 190  Giuseppe M. Galante a M. Delfico ..... pag. 194  Giovanni C. Amaduzzi a M. Delfico ..... pag. 194  Mattia Ab. Zarillo a M. Delfico ..... pag. 195  Giuseppe M. Giovene a M. Delfico ..... pag. 197  C. Amoretti a M. Delfico . Francesco Soave a M. Delfico ..... pag. 203  Giovanni Acton a M. Delfico (Teramo) ..... pag. 205  Fortis a M. Delfico ..... pag. 205  Pietro Zannoni a M. Delfico ..... pag. 206  Bossi a M. Delfico ..... pag. 206  Tommaso Frantoni a M. Delfico ..... pag. 209  Daniele Felici a M. Delfico ..... pag. 209  G. Napoleone a. M. Delfico ..... pag. 212  G. Giacomo Trivulzio a M. Delfico ..... pag. 212  G. Melzi a M. Delfico ..... pag. 223  San Severino a M. Delfico ..... pag. 23  Il duca di Sant'Arpino a M Delfico ..... pag. 231  Tracy a M. Delfico . Antonio Canova a M. Delfico ..... pag. 240  Angelo Maria Ricci a M. Delfico ..... pag. 241  Donati Gioli a M. Delfico ..... pag. 243  Luigi Dragonetti a M. Delfico ..... pag. 243  Giuseppe Zurlo a M. Delfico ..... pag. 246  Michele Arditi a M. Delfico ..... pag. 249  Antonio Orsini a M. Delfico ..... pag. 250  G. M. Burini a M. Delfico ..... pag. 251  Taranto a M. Delfico ..... pag. 252  Francesco Sorricchio a Delfico ..... pag. 252  L. Cicognara a M. Delfico ..... pag. 258  F. Santangelo a M. Delfico ..... pag. 259  Sebastiano Ciampi a M. Delfico ..... pag. 260  Donato Tommasi a M. Delfico ..... pag. 261  Il Duca di Laurenzana a M. Delfico ..... pag. 262  Giuseppe Grimaldi a M. Delfico ..... pag. 264  N. Santangelo a M. Delfico ..... pag. 271  Lodovico Bianchini a M. D. ..... pag. 272  Carlo Filangieri a Melchiorre Delfico ..... pag. 272  G. B. Niccolini a M. Delfico ..... pag. 274  Giuseppe Rangone a M. Delfico ..... pag. 276  Leopoldo Pilla a M. Delfico ..... pag. 278  Il Duca di Gualtieri a M. Delfico ..... pag. 281  II Barone Poerio a M. Delfico ..... pag. 283  Leopoldo Armaroli a M. Delfico ..... pag. 283  G. Neroni a Leopoldo Armaroli ..... pag. 286  Francesco Fuoco a M. Delfico ..... pag. 287  Giuseppe Micali a Gregorio de Filippis ..... pag. 288  Aggiunta agli opuscoli. Fiera franca in Pescara ..... pag. 293  Al sig. Pasquale Borelli ..... pag. 307  Al sig. Antonio Orsini ..... pag. 313  Al sig. Conte Armaroli ..... pag. 315  Alessandro Volta a Orazio Delfico ..... pag. 317  Rapporto sull' Italia inviato a Napoleone, e attribuito a M. Delfico . Piemonte . Liguria . Regno D' Italia . Toscana ..... pag. 326  Stati Romani ..... pag. 327  Napoli . Memoria per la conservazione e riproduzione dei boschi nella provincia di Teramo ..... pag. 335  Discorso del Cav. Comm. Gian Berardino Delfico letto in occasione del solenne giuramento prestato a S. M. Giuseppe Napoleone Re di Napoli e Sicilia dalla Città e Provincia di Teramo ..... pag. 363  La famiglia e le opere di Melchiorre Delfico . I titoli nobiliari . Episodi della vita del Delfico . Opere ignorate del Delfico . Il contenuto delle opere . Catalogo per materia delle opere di M. Delfico . Lettere del Delfico e al Delfico . La Repubblica di S. Marino in onore di M. Delfico . M. Delfico a Gaspero Selvaggio . A Paolo D' Ambrosio M. Delfico. Il teramano Melchiorre Delfico (1744-1835) è uno dei più cosmopoliti e al tempo stesso dei più autenticamente provinciali tra i riformatori meridionali della seconda metà del Settecento (1). Durante il suo primo soggiorno a Napoli, interrotto dopo tredici anni nel 1768 perché malato di emottisi, il giovane intellettuale abruzzese segue le lezioni di Antonio Genovesi e frequenta il gruppo che si riunisce attorno alla cattedra dell'abate (2), che dal 1754 al 1769 costituisce il fulcro del movimento riformatore meridionale. Sarà questa scuola composta da Longano, Galanti, Palmieri, Grimaldi, Filangieri, Pagano ed altri, ad imprimere una «benefica scossa» (3) alla cultura napoletana e avviare negli anni successivi un serrato e articolato dibattito sui problemi più urgenti del Regno, suggerendo le linee di un possibile rinnovamento della società civile che non di rado contrasteranno con l'angusta politica del governo borbonico (4).  È soprattutto dalla rilettura del genovesiano Discorso sopra il vero fine delle lettere e delle scienze (5), considerato il manifesto dell'illuminismo napoletano, in cui viene rivendicato un uso pratico del sapere, che Delfico matura una nuova concezione della cultura e dell'intellettuale, la cui attività sia, come diceva Genovesi, «più pratica che teoria» (6), e la convinzione della necessità di un impegno politico più diretto. Un atteggiamento anticuriale e giurisdizionalistico, di ascendenza giannoniana (7) e di eredità genovesiana (8), egli manifesta nei due lavori, con i quali inaugura nel 1768 la sua attività di scrittore, in difesa dei diritti del Regno di Napoli sui territori di Benevento, dal 1077 sotto il dominio pontificio, e di Ascoli Piceno, anch'esso dal 1266 annesso allo Stato ecclesiastico (9). Nelle due Memorie denuncia le tendenze temporali dell'autorità ecclesiastica, dimostrando «false o insussistenti» le pretese giurisdizionali del pontefice su quei possedimenti, ottenuti non già per legittimi diritti di sovranità, ma con l'usurpazione, titolo «vergognoso» perché «prodotto per dolo o per frode» (10).  Sebbene notevole sia stata l'influenza di Genovesi sul movimento illuminista meridionale, non tutte le molteplici espressioni della cultura riformistica degli anni Settanta e Ottanta possono essere ricondotte alla sola riflessione del pensatore salernitano. Anche per i rappresentanti della corrente «più provinciale», «più tecnica e descrittiva»(11) della scuola genovesiana, l'insegnamento del Maestro non sempre costituirà l'unica matrice culturale. Lo stesso Delfico, sebbene riconosca il suo debito nei confronti dell'abate, non trova in lui il pensatore che la «propria ragione gli faceva desiderare» (12), bensì il pubblicista che ricerca e analizza i mali economici e sociali della sua terra. «La fortuna però - scriverà più tardi - avendomi fatto pervenir nelle mani le immortali opere di Loke [sic] e di Condillac, parve che il mio spirito prendesse una nuova modificazione, e quindi una inclinazione pel vero, ed un gusto particolare per i morali sentimenti» (13).  Già nel Saggio filosofico sul matrimonio, apparso a Teramo nel 1774, alcuni anni dopo il suo ritorno in provincia, s'intravede l'orientamento filosofico dello scrittore abruzzese basato su una visione tutta empiristica e sensistica dei rapporti umani, che indurrà la Congregazione del Sant'Uffizio a porre l'opuscolo nell'Index librorum prohibitorum il 19 gennaio 1776. L'opera è una vera e propria esaltazione sia dello stato coniugale che dell'amore, inteso come desiderio, come piacere fisico ma soprattutto morale. In polemica con Rousseau, Delfico considera il vincolo matrimoniale una fonte continua «di sensazioni e di sentimenti aggradevoli» (14) e sostiene, richiamandosi a Hume, che esso debba essere il più possibile completo e duraturo. La critica del celibato e più ancora del libertinaggio è l'occasione per un'attenta disamina della condizione della donna, di cui sostiene l'emancipazione e la rivalutazione nella famiglia e nella società, fino a rivendicare una legislazione sulla parità dei diritti e dei doveri fra i sessi.  Del 1775 sono gli Indizi di morale, interrotti per ordine dell'assessore Pietro Paolillo che ne dispone il sequestro mentre sono ancora in corso di stampa, i quali «svelano assai più a fondo e gl'ideali politici del Delfico e la sua cultura» (15). Sul piano filosofico infatti essi segnano una piena adesione all'empirismo e al sensismo di Locke e Condillac. Dalle idee filosofiche dei due pensatori il Teramano non si discosterà più, restando sino alla fine legato alla dottrina sensistica. Confesserà molti anni dopo ad un amico: «Dopoché il mio spirito soffrì la modificazione dal Trattato delle sensazioni, non l'ho turbato più perché mi vi sono trovato comodo, non trascurando però le successive osservazioni le quali hanno potuto migliorarlo» (16). Egli riconosce alla morale il fondamento empirico proprio delle scienze fisiche e riconduce l'origine dei sentimenti morali alle sensazioni. Poiché è nella società che gli uomini acquisiscono le prime nozioni di moralità e le loro azioni diventano utili o dannose, ne consegue che la sfera delle loro idee e con essa quella delle loro attività si dilatano soprattutto in quelle forme politiche in cui maggiormente cresce la possibilità di comprensione della qualità degli oggetti e gli individui sono messi nelle condizioni che meglio permettono la individuazione dell'amor proprio. «È nel passaggio dall'Aristocrazia allo stato popolare», scrive, che «le nazioni godono del colmo della virtù» e «nasce quella gara di Eroismo che è difficile a trovarsi nelle Monarchie» e che si verifica ogni qualvolta «l'interesse di tutti i particolari va a riunirsi col pubblico»(17) e i cittadini partecipano maggiormente alla sovranità e al potere.  L'affermazione non si concreta in una scelta della democrazia come forma di governo, né in una rivendicazione di ordinamenti politici alternativi a quelli in cui si incarna la monarchia borbonica. L'allusione alla repubblica resta in lui vaga, sottintesa e comunque priva di un reale contenuto politico-istituzionale, mentre egli non nasconde la propria simpatia per il despotisme éclairé (18). Vi è, da parte sua, una svalutazione della politica in quanto problema teorico, a favore di un impegno politico più immediatamente finalizzato alla soluzione di questioni politiche contingenti. Suo obiettivo principale è il perseguimento del bene pubblico, realizzato attraverso un'avveduta e coraggiosa politica di riforme. Un processo di trasformazione che miri innanzitutto all'uguaglianza politica e che non ha niente a che vedere con la «fatale» comunione dei beni, fomite di disordini e di eterne contese. Il problema dell'uguaglianza, di cui le garanzie politiche costituiscono una imprescindibile componente, consente a Delfico di condurre a fondo l'attacco contro la struttura feudale della società napoletana, in cui ancora assai diffusa e radicata è l'ineguaglianza sia essa generata dall'abuso del potere che da quello delle ricchezze. «Conosciuti i mali che provengono dall'ineguaglianza - afferma a conclusione del capitolo sulla proprietà - deve essere un canone politico quello di ravvicinare gli estremi, e non dar luogo ad altre ricompense che a quelle del merito personale e dell'industria» (19). Al contrario, il persistere dell'ineguaglianza non fa che produrre «lusso e corruzione» ed aggravare la già precaria condizione dei più miserevoli, privati della loro stessa dignità perché costretti a mercanteggiare persino «la vita, l'onore, la stima, la virtù, ed i più sacrosanti doveri» (20).  Dopo il sequestro degli Indizi di morale e la messa all'«Indice» del Saggio filosofico, Delfico incorre in un nuovo spiacevole episodio con le autorità provinciali. Soprattutto a causa del vescovo Pirelli e dell'assessore Giacinto Dragonetti, con cui pure aveva avuto rapporti di amicizia, è ingiustamente inquisito e condannato per la fuga di certe monache dal monastero di S. Matteo di Teramo (21). L'exequatur del Tribunale del capoluogo abruzzese (5 febbraio 1778) con il conseguente ordine di carcerazione, emesso nei confronti suoi e di altri «lajci seduttori» (22) presunti responsabili dell'insubordinazione, lo costringono ad allontanarsi dalla città e a recarsi a Napoli, dove rimarrà circa tre anni, fino alla conclusione della vicenda giudiziaria, giunta con l'indulto regio del 17 giugno 1780.  Questo secondo soggiorno partenopeo, avvenuto a dieci anni di distanza dalla fine del primo, si rivela assai fecondo per lo scrittore teramano che ha l'occasione di  rinsaldare i legami con gli ambienti riformatori della capitale e stringere rapporti con vari esponenti della cultura, quali tra gli altri i fratelli Di Gennaro e Grimaldi, Filangieri, Pagano, Torcia e Fortis. È anche il periodo in cui egli matura l'idea che la provincia possa imprimere, attraverso la denuncia dei mali prodotti dal sistema feudale, un nuovo e maggiore impulso alla politica governativa ed avverte la necessità di una ridefinizione del rapporto tra capitale e province, tra i centri periferici più sani e dinamici e quella Napoli corrotta ed inerte dalla quale tutti attendono una politica di riforme.  Ritornato a Teramo, Delfico pubblica nel 1782 il Discorso sullo stabilimento della milizia provinciale, che gli varrà, l'anno successivo (20 giugno 1783), la nomina ad Assessore militare della sua provincia. Lo scritto, dedicato all'amico Filangieri, inaugura un'intensa stagione che vede l'illuminista abruzzese farsi promotore di numerose riforme. Nel Discorso la questione militare acquista rilevanza politica, avendo intuito l'Autore l'importanza che una buona costituzione militare poteva assumere per la vita di uno Stato. Criticando lo «spirito di corpo» dei militari, quel «sentimento dissociale» che li porta a disprezzare la vita civile e che fa di loro una classe di privilegiati distinta dal corpo sociale, egli mira a riqualificare il ruolo del soldato all'interno della società, non soltanto in tema di sicurezza, ma anche, soprattutto, di progresso civile, riunendo, sull'esempio di Rousseau, la qualità di soldato a quella di cittadino (23), così che i due termini diventino sinonimi fra loro.  Ad alimentare la fiducia nei primi anni Ottanta che si potesse realizzare sul piano legislativo e amministrativo quanto si veniva sostenendo su quello dottrinario, contribuirono sia la istituzione della Reale Accademia di Scienze e Belle Lettere (che però tradì presto le attese suscitate) che quella del Supremo Consiglio delle Finanze. Sorto nel 1782, il Consiglio si prefiggeva di riformare gli antichi e perniciosi abusi del sistema e di restituire l'abbattuto vigore alla Nazione promuovendo i canali della ricchezza dei sudditi e dello Stato. Ad esso Delfico vorrebbe sottoporre la sua Memoria sulla coltivazione del riso nella provincia di Teramo, pubblicata a Napoli nel 1783. Considerato «forse il più limpido e ragionato» (24) dei numerosi suoi scritti economici di quegli anni, il testo è una dura requisitoria contro il persistere di pesanti imposizioni feudali e di certi abusi economici e politici, responsabili di mantenere tale coltivazione in uno stato di sottosviluppo (25). La risposta delficina è in favore di un ammodernamento della tecnica di produzione e della rimozione di tutti gli ostacoli, compresi i controlli e le restrizioni governative, che impediscono la realizzazione di un'economia di mercato.  Nell'estate dell'83 Delfico è di nuovo a Napoli, dove si fermerà fino alla fine dell'anno. Ma non sarà questa una permanenza piacevole. All'entusiasmo iniziale, infatti, subentrerà presto un sentimento di profonda amarezza per l'andamento della vita politica della capitale. Egli prende coscienza della incapacità dello Stato di dar vita ad un programma organico di risanamento dell'economia del Paese, messa di nuovo a dura prova dal terribile terremoto calabrese della primavera del 1783. La condotta della corte borbonica gli appare quanto mai improvvisata e piena di incertezze e di contraddizioni.  Ritornato a Teramo è raggiunto, nel febbraio del 1784, dalla notizia della scomparsa dell'amico Francescantonio Grimaldi, cui dedica, come ultimo tributo, un Elogio (26) che ne rievoca il pensiero e il valore. Dopo un rapido excursus delle opere giovanili (27), lo scrittore abruzzese si sofferma sulle Riflessioni sopra l'ineguaglianza tra gli uomini, pubblicate a Napoli in tre volumi tra il 1779 e il 1780. In esse l'Autore confuta le tesi roussoiane  sull'uguaglianza  tra  gli uomini,  correggendo quei «paradossi», scrive Delfico, che «fra molte vere e nobili osservazioni» (28) sono racchiusi nel Discours sur l'origine de l'inégalité. Contrariamente al Ginevrino, che ritiene l'ineguaglianza essere «presque nulle dans l'Etat de Nature» (29), Grimaldi ne afferma il principio dell'origine naturale, smentendo quanti sostenevano che gli uomini nascono eguali. Una particolare attenzione rivolge infine all'ultimo incompiuto lavoro di Grimaldi, gli Annali del Regno di Napoli. Sin da ora emerge chiara in lui l'idea di una storia non più concepita come piacevole passatempo per «gli oziosi e gli annojati», ma in funzione «d'un utile presente» (30) per l'umanità e, in particolare, per la nazione per la quale si scrive. Ciò che interessa non è più il nudo racconto di fatti isolati o di particolarità legate a circostanze del momento, bensì la conoscenza delle cause che stanno dietro i fenomeni e la vita morale delle nazioni.  Alla fine di giugno del 1785 Delfico si trasferisce di nuovo a Napoli, dove si trattiene, salvo una breve parentesi nella città natale nell'estate dell'86, fino alla metà del 1788. Risale a questo periodo l'incontro con il danese, di origine tedesca, Friedrich Münter, venuto in Italia nell'autunno del 1784 con l'incarico di propagandare l'Ordine degli Illuminati di Baviera (31). A Münter, con il quale visiterà assieme a Filangieri e allo storico tedesco Heeren le rovine di Pestum, egli si legherà da profonda amicizia, di cui è testimonianza una corrispondenza più che trentennale (32), accomunati dalla passione per l'archeologia e, soprattutto, per la numismatica.  A Napoli Delfico pubblica nel 1785 la Memoria sul Tribunal della Grascia (33), considerata, assieme a pochi altri testi, «il vangelo del liberismo napoletano» (34) dell'epoca. Lo scritto sferra un attacco contro il «terribile mostro» del Tribunale della Grascia, istituito lungo il confine tra l'Abruzzo e lo Stato pontificio e simile per alcuni versi a quello «più odioso dell'inquisizione», che impedisce ai due Stati pacifici di scambiarsi liberamente i prodotti, fomentando dovunque corruzione e violenza e lasciando quelle popolazioni in «un languore di dissoluzione» (35). Vi è nella Memoria l'affermazione del principio della libertà di commercio e dell'abolizione del sistema protezionistico, a proposito del quale vengono fatti i nomi di Verri, Genovesi, Filangieri e del celebre Smith, di cui il Teramano è uno dei primi in Italia a citare La ricchezza delle nazioni.  Nel 1788 vede la luce il Discorso sul Tavoliere di Puglia (36) in cui Delfico rivendica, dopo un'aspra requisitoria contro le concentrazioni latifondiste e il mantenimento delle rendite, la divisione di quelle terre in favore dei contadini e un diverso ruolo dell'agricoltura, non più limitata e subordinata alla pastorizia. In un Paese così «infelicemente» amministrato, dove regna una troppo marcata diseguaglianza e una «ripugnante ed infelice» contrapposizione tra ricchi e poveri, l'aumento dei proprietari è un obiettivo che risponde non soltanto a criteri di giustizia sociale, ma anche ad una necessità dello Stato. Tutti «i più savj governi - scrive - distinsero sempre la classe dei proprietarj, come quella che dava il vero carattere di cittadino» (37). La proprietà infatti è il primo e più saldo principio della società, poiché crea nei proprietari «sempre affezione» nei confronti dello Stato, a cui essi chiedono di riconoscere e tutelare i loro diritti, interessati come sono, più di ogni altra classe, al buon funzionamento delle sue istituzioni e alla corretta applicazione delle sue leggi. Della parte settentrionale della Puglia l'illuminista abruzzese si era occupato una prima volta nel 1784 nella pur breve ma incisiva ricognizione geografico-economica del tratto costiero «desolato» che va dal Fortore al Tronto (38), in cui denunciava le gravi «avarie» commesse dai governanti con la creazione di continue dogane che, ostacolando il libero scambio dei prodotti tra quelle popolazioni, finiva per immiserirle sempre più.  Si coglie in questi scritti non soltanto la totale adesione di Delfico al liberismo, ma anche la sua piena consapevolezza del ruolo che lo Stato è chiamato a svolgere in favore di un sistema economico imperniato sulla libertà di scambio. Un rapporto, quello tra Stato ed economia di mercato, che egli affronta anche nella Memoria sulla libertà di commercio della fine degli anni Ottanta (39), in cui esalta il principio del laissez-faire contro le regolamentazioni e i vincoli del sistema mercantile. Il rifiuto di «ogni coazione economica» si fonda sulla convinzione che la libertà (di produzione, di consumo, di commercio, di concorrenza) favorisca un progresso e uno sviluppo economico tali da recare benefici sia ai privati cittadini che allo Stato stesso. È solo attraverso la rimozione di tutti i controlli governativi che ostacolano l'allargamento del mercato e impediscono che le attività economiche si svolgano nei modi loro naturali che la scienza economica riesce a far fronte al suo duplice compito di mantenimento dello Stato e di accrescimento della ricchezza e del benessere individuali.  In quest'ultimo soggiorno napoletano prima dello scoppio della rivoluzione francese, Delfico si attiva non poco, presso le Segreterie della capitale, per sollecitare iniziative e soluzioni di problemi riguardanti le provincie del Regno. Ma le sue istanze non sempre trovano il riscontro desiderato (40). Ciò non fa che accrescere in lui un sentimento di sfiducia nell'azione riformatrice del governo. Un'insofferenza, quella nei confronti del potere politico partenopeo, che lo porterà nell'estate del 1788 ad allontanarsi da un ambiente dove gli era diventato penoso vivere, non prima però di aver presentato a Ferdinando IV il suo ultimo lavoro, Memoria per la vendita de' beni dello Stato d'Atri (41). Nello scritto condanna la giurisdizione feudale in nome dei principi roussoiani di indivisibilità e inalienabilità della sovranità fino a ritenere qualsiasi forma di alienazione o di usurpazione della sovranità stessa «non solo un atto nullo, ma anche ingiusto» (42).  La notizia della rivoluzione francese raggiunge Delfico lontano dal Regno napoletano, mentre si trova nel Nord Italia, dove si era recato nel novembre del 1788 per accompagnare a Pavia il nipote Orazio che studiava Scienze naturali sotto la guida di Volta e Spallanzani. Durante il suo soggiorno ha modo di frequentare gli ambienti riformatori milanesi ed entrare in contatto con Beccaria, il filosofo e pedagogista Francesco Soave, i fratelli Verri, Parini, il giurista senese Giovanni Bonaventura Spannocchi, lo studioso di scienze agrarie ed economiche Carlo Amoretti ed altri ancora, con alcuni dei quali manterrà un rapporto di amicizia. Sugli avvenimenti francesi non gli è difficile tenersi informato. È lecito credere anzi che, oltre a seguire, egli guardi con simpatia a quanto sta accadendo oltralpe. La rapidità e la determinazione con cui si conduce l'attacco contro l'Ancien Régime lo spingono a ritenere che la rivoluzione di Francia favorisca il progetto riformatore e rappresenti «un esempio favorevole per i Principi savj» (43) affinché non indugino più sulla strada delle riforme.  Rianimato da queste speranze, nel dicembre del 1789, dopo aver fatto da poco ritorno nella sua città natale (44), Delfico si trasferisce a Napoli, dove dà alle stampe, nell'estate del 1790, le Riflessioni su la vendita dei feudi (45) in cui, ispirandosi al dibattito costituzionale d'oltralpe, conduce un attacco più diretto ed esplicito contro il sistema feudale e la giurisdizione baronale in particolare. Nel 1791 pubblica le Ricerche sul vero carattere della giurisprudenza romana e de' suoi cultori (46), che rappresentano «la più forte manifestazione del pensiero illuministico italiano nei confronti del diritto romano» (47), cui viene negato ogni valore. Ad emergere è l'idea di un sistema legislativo nuovo, «uguale ed uniforme per tutti gl'individui» che, a differenza di quello vigente, troppo legato alla tradizione romana, risulti più inerente «all'indole delle nazioni e dei governi presenti» (48). Sull'esempio di quanto accade in Francia, lo scrittore abruzzese rivendica, accanto ad una legislazione stabile e regolare, una legittima costituzione che ne sia il presupposto e ne costituisca il necessario fondamento. Il sistema politico che egli predilige si fonda sull'uguaglianza delle leggi, sulla divisione dei poteri, sul conferimento dell'autorità legislativa al popolo, sulla rappresentanza politica senza restrizioni di rango o di censo e sul decentramento dell'amministrazione della giustizia attraverso lo stabilimento di magistrature locali e provinciali.  Da una soluzione di tipo monarchico-costituzionale Delfico non si allontanerà mai. Alla politica illuminata del sovrano restano per lui legate le condizioni di cambiamento della società meridionale. Nonostante tuttavia la sua predilezione per la monarchia, a partire dalla seconda metà del 1791 si ravvisa nel Teramano un conflitto tra l'ottimismo generato dalle vicende francesi, che lo spinge a credere ancora nell'intesa tra dinastia borbonica e intellettuali, e il crescente scetticismo nei confronti della volontà governativa di attuare un programma di rinnovamento. Deluso, decide di abbandonare la capitale dove si sorprende sempre più spesso «scontentissimo».  Il rientro a Teramo, nel dicembre del 1791, segna la fine di un periodo di grande impegno politico e letterario, al termine del quale egli vede svanire la possibilità che la rivoluzione francese imprima un nuovo impulso alla politica del governo napoletano. È, questo, un periodo di grande sconcerto e delusione per quanti, come Delfico, avvertono i limiti della politica ferdinandea. Alla fine del 1793 la consapevolezza che la grande stagione riformistica sia definitivamente conclusa è radicata nel suo animo. Essa segna l'inizio di una lunga interruzione della sua attività di scrittore, a conferma di come egli ritenesse allora non solo vano ma addirittura pericoloso farsi sostenitore di una politica di rinnovamento del Regno borbonico. La sfiducia diverrà pressoché totale durante il soggiorno nella capitale partenopea tra la primavera e l'autunno 1794. A Napoli s'imbatte in una città in preda alla più forte «agitazione». È l'epoca della scoperta della congiura giacobina che porta all'arresto e alla condanna di numerosi patrioti ed esponenti giacobini. Coinvolto è pure l'amico e concittadino Troiano Odazi (49) che egli considera innocente e spera invano venga presto scagionato.  L'accentuarsi del carattere reazionario della politica napoletana non determina tuttavia in Delfico, come in altri illuministi, il passaggio «da regalista in giacobino» (50) o repubblicano, anche perché egli, a differenza di molti di loro, non vede più nella Francia del '93-'94 concretarsi i suoi ideali riformistici. L'avversione per gli eccessi rivoluzionari lo porta ad anticipare un modulo storiografico che avrà fortuna negli anni successivi: la contrapposizione tra una prima fase della rivoluzione, l'89, con le sue idee di libertà e di uguaglianza, ed una fase successiva, il '93, caratterizzata da «tanti orrori».  Alla fine di ottobre del 1795 Delfico lascia di nuovo l'Abruzzo per compiere un secondo viaggio fuori del Regno, dapprima a Roma, restandovi per circa un mese, quindi in Toscana dove rimane fino alla primavera successiva ed ha modo di rivedere gli amici Giovanni Fantoni e Giuseppe Micali e legarsi al nobile fiorentino Neri Corsini e all'uomo di Stato francese André-François Miot (51). A spingerlo verso il Granducato è una certa simpatia politica per quello Stato, suscitata dalla mitezza del suo governo e dalla libertà che ancora vi regnava. Ritornato a Teramo agli inizi di maggio del 1796, lo raggiungono le notizie dell'avanzata francese in Piemonte e in Lombardia. Nessun dubbio nutre sulle mire espansionistiche di Napoleone, di cui disapprova non solo le condizioni gravose imposte alle città occupate, ma anche le innumerevoli requisizioni, ruberie e saccheggi dei suoi soldati.  Nella seconda metà del 1796 si riaccende nello scrittore teramano l'interesse per la Grande Nation, in quanto vede delinearsi nella vita politica del Direttorio la possibilità per la Francia di riprendere e consolidare quel processo di trasformazione avviato negli anni precedenti la parentesi giacobina; interesse che si manifesta anche attraverso il desiderio, mai realizzato, di compiere un viaggio transalpino (52). Ciò nonostante, appare poco probabile una sua partecipazione al concorso indetto dall'Amministrazione generale della Lombardia il 6 vendemmiaio anno V della Repubblica francese (27 settembre 1796) sul quesito Quale dei Governi liberi meglio convenga alla felicità d'Italia, di cui risulterà vincitore il piacentino Melchiorre Gioia (53).  Immutato è invece il giudizio sulla corte napoletana. Nonostante infatti nel corso del '97 egli accenni ad una ripresa di dialogo con il governo borbonico (54), non scorge alcun cambiamento nella sua politica. Sempre più, inoltre, dovrà guardarsi dalla gelosia dei suoi nemici, soprattutto nel 1798, quando verrà nominato portolano della città di Teramo, con responsabilità amministrative di rilievo. La situazione si aggraverà nell'estate di quell'anno, allorché alle trepidazioni per una probabile invasione straniera si uniranno quelle per il susseguirsi di infondate accuse di giacobinismo costruite ai suoi danni da parte di anonimi concittadini. Già nel 1793 era stato costretto a dare formale prova del suo lealismo monarchico in seguito a delazioni da parte di alcuni «malevoli di Napoli fra quali il Vescovo in unione colla magistratura» (55). Sempre più si alimenta il sospetto di una sua cospirazione antimonarchica, tanto che il 27 settembre 1798 è tratto in arresto, nel proprio palazzo, assieme a tutta la famiglia (56). Liberato l'11 dicembre successivo dall'arrivo a Teramo delle truppe francesi (57), è dapprima posto a capo della Municipalità della città e successivamente nominato presidente dell'Amministrazione Centrale dell'Alto Abruzzo. Il 12 gennaio 1799 è chiamato a presiedere a Pescara il Supremo Consiglio (58), l'organo politico più importante esistente in Abruzzo, che avrebbe dovuto fungere da raccordo tra il comando francese e i due nuovi organismi repubblicani - i Dipartimenti dell'Alto e del Basso Abruzzo - in cui il generale Duhesme, con il proclama del 28 dicembre 1798, aveva diviso il territorio regionale.  Non vi è dubbio che la collaborazione di Delfico con i Francesi, per quanto piena e convinta, vada vista come il tentativo di reinserirsi nel giro di quella politica attiva, nella quale egli da sempre confida. Tale partecipazione, tuttavia, non segna il passaggio dello scrittore teramano dalla prospettiva monarchico-riformistica a quella repubblicano-giacobina (59), dal momento che l'esperienza non provoca quella vera e propria «lacerazione» e «rottura» nella sua biografia intellettuale che è stata riscontrata invece nei riformisti meridionali passati alla rivoluzione (60). Tensioni ideali e finalità pratiche continuano ad essere, anche durante la parentesi repubblicana, le stesse che lo hanno animato in tante battaglie del passato. Persino il Piano di una amministrazione provvisoria di giustizia pei Tribunali dei Dipartimenti e Giudici dei Cantoni (61) del 24 piovoso anno VII (12 febbraio 1799), l'atto legislativo più importante del Consiglio Supremo pescarese col quale viene introdotto un nuovo ordinamento giudiziario e in cui maggiore è l'istanza egualitaria, non sembra discostarsi da certi suoi principi e aspirazioni precedentemente espressi. Il Piano, che si inserisce fra i provvedimenti di riforma del sistema giudiziario adottati dalla Repubblica napoletana, sanciva, in nome delle idee di libertà e di eguaglianza, il decentramento dell'autorità giudiziaria, prevedendo un giudice per ogni capoluogo di cantone e un tribunale per ogni capoluogo di dipartimento; l'amministrazione gratuita della giustizia e la corresponsione di uno stipendio ai giudici e a tutti coloro che collaboravano all'attività giudiziaria; l'assistenza gratuita ai poveri; la «prontezza» e «l'imparzialità» dei giudici nell'applicazione delle norme; l'abolizione della carcerazione per debiti, a meno che non venisse provata la «frode» del debitore; il controllo dell'attività giudiziaria nonché la possibilità di ricorrere in appello.  Volentieri egli si sarebbe portato nella capitale partenopea dove, il 23 gennaio 1799, era stato nominato membro del Governo Provvisorio dal comandante in capo Championnet. Ma a Napoli Delfico non potrà recarsi mai a causa delle insorgenze antifrancesi. Di qui il rammarico per non poter partecipare all'attività legislativa del Governo Provvisorio a cui muove l'accusa di aver non solo «abbandonato» ma addirittura «obliato» le province abruzzesi, lasciando che ovunque si verificassero «le più ferali tragedie» ad opera di briganti e di scorribande antifrancesi (62). Non è da escludere a questo punto che proprio durante il periodo pescarese Delfico abbia elaborato, secondo una prassi piuttosto diffusa in Italia nel triennio rivoluzionario, una Tavola dei Dritti e dei Doveri dell'uomo e del Cittadino (63). Il testo, che si ispira alle Dichiarazioni francesi dei diritti del 1789, del 1793 e del 1795, proclama l'uguaglianza davanti alla legge; riconosce i diritti inalienabili di libertà, sicurezza, proprietà, resistenza all'oppressione e i doveri inviolabili di subordinazione, benevolenza, giustizia e obbedienza alle leggi. Fa risiedere la sovranità nella Nazione, cui spetta, attraverso i suoi rappresentanti, emanare le leggi, stabilire le imposizioni, cambiare la costituzione e il governo. Ammette la possibilità di armarsi contro ogni forma di manifesta violenza e di tirannia e non esclude il ricorso all'insurrezione, ma solo in casi estremi, mentre condanna le rivolte e i perturbatori dell'ordine pubblico, per odio forse  delle sommosse che si stavano verificando agli inizi del '99 e di quanti sobillavano le masse contro le nuove istituzioni.  Il 28 aprile 1799, di fronte al crescente stato di abbandono delle province abruzzesi e alla partenza dei Francesi da Teramo, Delfico preferisce, prima ancora della caduta della Repubblica napoletana, lasciare Pescara e sotto il falso nome di Carlo Cauti riparare via mare nelle Marche, per poi raggiungere nel settembre successivo San Marino (64). Nella piccola Repubblica rimarrà fino al 1806, quando Giuseppe Bonaparte, divenuto re di Napoli, in giugno lo chiamerà al suo fianco con la carica di consigliere di Stato.  Durante il soggiorno sammarinese Delfico si interrogherà a lungo sulla «tempestosa crisi» di fine secolo di cui, come Cuoco (65), critica l'«immatura ed intempestiva» manifestazione, come pure il metodo rivoluzionario, ritenuto «distruttivo» (66). La confusione dei princìpi, l'eccesso di passioni assieme a mal fondati calcoli avevano fatto nascere delle idee politiche così «mostruose» che per i loro intrinseci difetti non avevano potuto a lungo sopravvivere. Fu la Francia, afferma, a far sorgere dei canoni politici «falsi e irregolari». L'Italia, «abbagliata ed attonita - scrive - non ebbe tempo a riflettere, che le confuse proclamazioni di libertà, benché le provenissero da quella nazione che aveva prodotti i più grandi filosofi politici del secolo, Montesquieu, Rousseau, Sieyès, pure non aveva mai essa veduta la libertà in propria casa, mai ne aveva avuta la pratica né la finezza del senso e il gusto per conoscerla, così non poteva avere le forze intellettuali e le qualità morali per effettuare una tale palingenesia» (67).  Dal ripensamento della vicenda rivoluzionaria Delfico trae l'indicazione della necessità di un recupero della tradizione storica nazionale: «Se si fosse consultata la storia d'Italia con qualche diligenza, si sarebbe trovato, che lo spirito di ragione e di moderazione fece dell'Italia il soggiorno o la sede della libertà nei secoli più remoti» (68). A questo senso di moderazione l'Italia deve continuamente richiamarsi e gli eventi recenti ed i fatti antichi devono persuaderla, che non vi è altro mezzo alla sua tranquillità e alla sua felicità. La critica delficina dell'esperienza rivoluzionaria si risolve, in definitiva, nella ricerca di una linea politica saggia e realistica che non miri alle magiche trasformazioni ma proceda per «proporzionate graduazioni» alla realizzazione di un programma costituzionale a cui è lecito aspirare. Tutta l'attenzione è rivolta alla individuazione di modi civili più adatti e convenienti all'umana convivenza i quali, più che nelle forme politiche stereotipe, egli ritiene realizzabili, riprendendo una definizione vichiana, nei governi umani, di cui proprio il piccolo Stato di San Marino, nonostante il suo processo di incivilimento avesse subìto arresti ed involuzioni, rappresentava un modello politico reale che, in modo non utopistico, «mostrava non essere impossibile alla specie umana una tal forma di società» (69).  Dalla piccola Repubblica Delfico uscirà diverse volte per riordinare la biblioteca pubblica della vicina Rimini, dove trascorrerà alcuni mesi nella casa del marchese Giovanni Maria Belmonte, la cui amicizia risaliva al 1784, o per andare a Bologna dal suo amico Alberto Fortis, in quel tempo prefetto della biblioteca nazionale della città. Da gennaio ad aprile del 1803 soggiornerà ad Ascoli Piceno dal fratello Giamberardino. Nel 1804 si porterà a Milano per seguire la stampa del suo libro sulla storia di San Marino. Nel capoluogo lombardo, dove sarà l'ispiratore della ristampa dei Principj della legislazione universale di Georg Ludwig Schmidt d'Avenstein, rivedrà Vincenzo Cuoco e stringerà nuove amicizie, tra cui quelle con Giuseppe Bossi, Pietro Custodi e Francesco Saverio Salfi. Ma, soprattutto, si legherà a Gian Giacomo Trivulzio, a Leopoldo Cicognara, grazie al quale entrerà in contatto con il celebre scultore Antonio Canova, e a sua moglie Massimiliana Cislago, donna assai colta e amica di Melchiorre Cesarotti, con il quale resterà, come con gli altri, in corrispondenza. Infine, dall'autunno all'inverno di quello stesso anno si fermerà di nuovo ad Ascoli, da suo fratello.  È, quello sammarinese, un periodo in cui Delfico, fuori dalla vita politica attiva, riprende gli studi e pubblica le Memorie storiche della Repubblica di S. Marino e l'opera sua più famosa, Pensieri su l'istoria e sull'incertezza ed inutilità della medesima che, usciti a Forlì nel 1808, vedono in poco tempo altre due edizioni (70). Lo studio della storia in stretta relazione con la realtà presente, già ricorrente negli scritti giovanili, trova nelle Memorie storiche diretta applicazione. Nonostante, infatti, l'Autore dichiari, nelle battute iniziali della prefazione, di non essere nell'opinione di coloro i quali riguardano la storia come «maestra della vita e dispensatrice della civile sapienza» (71), in realtà poi egli, attraverso una ricerca diligente e vasta, scrive una vera storia. In essa indaga le ragioni del «mito» di San Marino, di come cioè un piccolo stato abbia mantenuto nel tempo la propria libertas e serbato l'antica e prediletta forma repubblicana, tanto da assurgere a modello politico agli inizi del Seicento con Traiano Boccalini, Lodovico Zuccolo e Matteo Valli. Sotto tale aspetto dunque scrivere la storia della piccola Repubblica era tutt'altro che inutile, perché essa avrebbe mostrato le vicende di un popolo che poteva costituire «un esempio degno d'imitazione» (72). Questa «rivalutazione» dell'esperienza storica (73) appare quanto meno strana in un pensatore considerato da alcuni l'espressione più radicale dell'antistoricismo italiano (74).  Nei Pensieri Delfico affronta il problema della conoscenza storica in tutta la sua interezza ed estensione, per stabilire «se la scienza di ciò che fu, debba preferirsi a quella dell'esistenza» (75). Con quest'opera esprime l'esigenza, già manifestata nell'Elogio al Grimaldi, di una storia utile, che indaghi e interroghi il passato in funzione del presente. Ma perché questo avvenga è necessario ideare un nuovo modo di fare storia. Alla tradizione storiografica, infatti, egli rimprovera l'uso di sistemi metodologici inadeguati e parziali che sarebbe la causa della mancata conoscenza del passato. Come e più di Fontenelle, Voltaire, d'Alembert, Rousseau, Condorcet, Volney, delle cui Leçons d'histoire (76) risente la stesura dei Pensieri (77), nega che le ricostruzioni dei fatti fino ad allora condotte siano state in grado di riprodurre fedelmente la verità storica. E se priva di certezza, la storia non presenta alcuna vera utilità per il genere umano. Egli si pone principalmente il problema della manière d'écrire l'histoire, proprio della storiografia illuministica. A tal fine, denuncia deficienze e manchevolezze che ancora permangono negli studi storici e lamenta che la proliferazione incontrollata degli stessi abbia dato luogo ad una loro stagnazione piuttosto che a un ripensamento critico dei principi e dei criteri della pratica storiografica. Occorre distogliere l'analisi storica dal proporre il «secco e nudo racconto» di pochi avvenimenti, per indurla a valutare le circostanze nel loro complesso, ad indicare i rapporti che intercorrono tra gli effetti e le loro cause. Essa dovrebbe consistere in un'esposizione analitica di fatti gli uni dipendenti dagli altri, per scorgere come dai primi e più semplici siamo gradatamente giunti alle attuali positive cognizioni, di modo che «mostrandoci i due estremi c'indicherebbe più facilmente la strada da percorrere, per andare in cerca delle altre verità desiderose di venire alla luce» (78). Così concepita, l'indagine storica permetterebbe di recuperare positivamente l'eredità del passato, che cesserebbe di appartenere alla memoria per divenire una componente integrante del processo storico contemporaneo. Una convinzione, questa, che trova conferma in un successivo scritto delficino del 1824, Discorso preliminare su le origini italiche (79), in cui viene ribadita l'opportunità di interrogare il passato e «registrare i fatti del tempo» in funzione dei bisogni presenti. Quest'azione di cerniera tra il tempo andato e quello avvenire rappresenta l'aspetto più interessante della storia. Essa la pone su un piano di parità con le altre scienze a cui l'accomuna il merito di protendere al miglioramento fisico e morale dell'uomo. Ma perché la ricerca storica possa adempiere a queste funzioni conoscitive si richiede che essa sia «qual non esiste», cioè una disciplina nuova, ancora intentata, che Delfico chiama anche «storia delle scienze». Le cognizioni storiche perdono allora il carattere di sterile nozionismo, che hanno sempre avuto, e acquistano un valore intrinseco: «Sobriamente conoscendo quel che fu», afferma a conclusione della sua opera, «potremo facilitarci la strada a saper ampiamente quel che è» (80).  Un atteggiamento polemico egli assume anche nei confronti delle mitologie la cui origine sarebbe dovuta a superstizione, ad ignoranza o ad incapacità di fornire una spiegazione razionale a fenomeni naturali. È il caso degli incantatori di serpenti e del loro presunto potere antiofidico, contro cui egli insorge in una Lettera di poche pagine, senza titolo, inserita a guisa di nota nel VI tomo degli Annali del Regno di Napoli di Francescantonio Grimaldi (81) e rimasta a lungo sconosciuta agli studiosi (82). La dissertazione, che si colloca nel filone della letteratura illuministica di confutazione delle superstizioni, è una dura requisitoria contro gli «impostori» serpari, i quali spacciano per miracoli e portenti ciò che in realtà non avrebbe nulla di prestigioso ma sarebbe solo il risultato o di una conoscenza particolare delle caratteristiche dei serpenti o di effetti naturali.  Una diversa considerazione, invece, egli ha dei cosiddetti «favoleggiatori». Come il «virtuoso» Socrate e il «divino» Platone, Delfico tiene in grande considerazione il racconto allegorico. Quando ancora lo spirito umano, afferma nel Discorso sulle favole esopiane del 1792 (83), non aveva maturato le sensazioni e le esperienze necessarie per poter generalizzare le idee ed esprimerle con precisione e proprietà di linguaggio, fu naturale che i primi pensieri morali, il sentimento di giustizia, le nozioni di bene e di male e molti altri concetti fossero acquisiti attraverso gli apologhi, che divennero così «la morale dell'infanzia dell'umanità». La loro utilità non verrebbe meno neppure nei tempi moderni dal momento che gli apologhi, se convenientemente scelti, possono giovare non soltanto ai giovani ma anche a quella parte del popolo che, ancora vittima dell'«errore» e del «pregiudizio», si trova in uno stato «più infelice» (84) di quello dei secoli remoti.  Il ritorno a Napoli dei Francesi, nel febbraio del 1806, viene salutato come l'inizio di una nuova stagione politica. Esso rappresenta per lo scrittore teramano quell'inversione di rotta che «era ormai tempo che si facesse» (85) e che lo induce a riportarsi, nel giugno di quell'anno, dopo sette anni di esilio sammarinese, nella capitale partenopea dove farà parte, per quasi un decennio, della nuova amministrazione francese. Nell'età napoleonica egli intravede la possibilità di un recupero di quello «spirito di ragione e di moderazione», a cui riteneva necessario ricondurre la politica dopo la crisi di fine secolo e che costituiva l'unica via possibile di sviluppo, sia contro gli eccessi dei rivoluzionari, sia contro le intemperanze dei reazionari.  Nominato da Giuseppe Bonaparte consigliere di Stato (3 giugno 1806), Delfico viene assegnato alla sezione delle Finanze, per poi passare nel 1809 alla presidenza della sezione dell'Interno, divenendo uno dei quattro presidenti del Consiglio di Stato. Regge più volte ad interim il ministero dell'Interno, facendo parte delle Commissioni per le lauree, per le pensioni, per le riforme del Codice civile, per la procedura delle cause feudali in Cassazione, per la riforma della pubblica istruzione, per la ripartizione dei demani, per la vendita dei beni dello Stato. Presidente della Commissione degli Archivi generali del Regno, nominato commendatore dell'ordine delle Due Sicilie, nel 1815 viene insignito da Gioacchino Murat del titolo di Barone (86).  I numerosi incarichi di responsabilità non lo distolgono dalla tensione intellettuale, tutta incentrata sullo studio della fisiologia e di altre fisiche cognizioni. Evidente appare il suo debito nei confronti di Pierre-Jean-Georges Cabanis (1757-1808), sostenitore della sensibilità fisica quale fondamento dell'attività umana. Delle teorie dei Rapports du physique et du moral de l'homme (1802), l'opera più importante del filosofo francese, risentono soprattutto le Ricerche su la sensibilità imitativa considerata come il principio fisico della sociabilità della specie e del civilizzamento dei popoli e delle Nazioni del 1813 (87) e la Memoria su la perfettibilità organica considerata come il principio fisico dell'educazione con alcune vedute sulla medesima del 1814, cui segue, l'anno successivo, la Seconda memoria (88). Del 1818 sono, infine, le Nuove ricerche sul Bello (89), pubblicate a Napoli da Agnello Nobile.  Con la restaurazione dei Borboni, nel 1815, Delfico dirada il suo impegno nella vita politica. Ciò nonostante, all'indomani dello scoppio insurrezionale del 1820, Ferdinando I gli affida l'incarico di tradurre la Costituzione spagnola del 1812 e subito dopo, il 9 luglio 1820, lo nomina (assieme ad altri 14) membro della Giunta provvisoria di governo, chiamata a sostituire il Parlamento fino al suo insediamento. Successivamente sarà uno degli 89 deputati di quel Parlamento che, costituitosi il 1° ottobre 1820, vivrà solo fino al marzo 1821, quando Ferdinando I chiederà l'intervento austriaco per porre fine all'esperienza costituzionale e dar vita ad un nuovo governo reazionario. Deluso, decide di allontanarsi definitivamente dagli ambienti governativi.  Dopo il crollo del dominio francese in Italia, egli teme non soltanto la rivalsa delle forze reazionarie ma anche (soprattutto) che si interrompa quel processo di sviluppo economico e di trasformazione sociale, avviato dai Napoleonidi (90), che lentamente stava facendo risorgere il Paese. Nell'azione di ripristino dell'antico, che si svolge all'insegna della ricomposizione della vecchia alleanza tra trono e altare, il Teramano vede profilarsi la minaccia di rendere il mondo «stazionario» se non addirittura di farlo a grandi passi o salti «retrogradare». Un'ipotesi resa, a suo avviso, ancora più probabile da letture ideologicamente distorte di grandi autori, non ultimo Niccolò Machiavelli, che alimentano l'esistenza di pregiudizi dei quali ci si serve per sostenere fini politici particolari. Questo clima è per Delfico l'occasione (o forse soltanto il pretesto) per una rilettura del «gran politico pensatore», di cui in gioventù aveva subìto qualche influenza. Scrive così, agli inizi degli anni venti dell'Ottocento, le Osservazioni sopra alcune dottrine politiche del Segretario fiorentino (91), nate dall'esigenza di confrontarsi con Machiavelli intorno ad alcuni temi, come la religione, la libertà, il problema costituzionale, l'uguaglianza, per smascherare alcuni pregiudizi che si sarebbero formati sotto la sua «potente autorità» (92), senza tuttavia tralasciare alcune sue verità che potrebbero risultare ancora utili per le civili società. Da questo confronto fuoriescono talora divergenze più o meno accentuate o giudizi critici, ma anche affinità e valutazioni positive.  Dell'«illustre autore» Delfico sottolinea il realismo politico e l'aderenza alla realtà effettuale. Egli guarda il Principe non come un'astratta speculazione politica, bensì come uno scritto d'occasione contenente una particolare proposta operativa, in relazione ad un obiettivo politico contingente, qual è la rigenerazione dell'Italia. Senza farne a tutti i costi un precorritore del Risorgimento o un assertore dell'unità nazionale, secondo un'interpretazione del Fiorentino allora assai diffusa, egli ammira in lui la «viva passione», la disperata ricerca di soluzioni politiche capaci di porre fine alla grave crisi della società italiana del Cinquecento. Ma la condizione di immobilismo e di decadenza politica e civile dell'Italia, per la quale Machiavelli suggerisce la soluzione del Valentino quale liberatore degli Stati italiani, non porta lo scrittore teramano a condividere interamente tutte le tesi del Segretario fiorentino: «Se si possono giustificare le sue intenzioni, e la persona» afferma «questo non vale per le sue dottrine» (93). Infatti, se da un lato egli comprende le preoccupazioni di Machiavelli e fa proprie le sue speranze di una prossima rigenerazione, attuabile quest'ultima solo attraverso mezzi eccezionali, dall'altro manifesta più di una perplessità di fronte al suo realismo politico, non riuscendo di fatto ad accettare la dissociazione machiavelliana tra etica e politica e il principio che «per regnar tutto lice» (94).  Divergenze emergono anche dal tentativo che Delfico in seguito compie di ricondurre il pensiero machiavelliano ai tempi presenti per poi valutarlo sulla base delle proprie convinzioni ed esperienze storiche, politiche e culturali maturate tra il XVIII e il XIX secolo. Molte sono tuttavia le idee del Fiorentino che considera ancora valide e attuali, come l'identificazione dell'origine dei conflitti sociali con l'ineguaglianza giuridica ed economica, l'assoluta inconciliabilità tra gli «umori» del popolo e quelli dei grandi (95) o la condanna del ruolo antisociale dei «gentiluomini», di quegli uomini cioè che, «oziosi», vivono dei proventi dei loro ingenti possedimenti (96). Ma, soprattutto, riconosce a Machiavelli il merito di aver legato la «questione militare» alla «questione politica», di aver ritenuto la soluzione dell'una imprescindibile da quella dell'altra. Tale correlazione presuppone ed implica un nuovo rapporto tra governanti e governati basato sul reciproco impegno, da parte del popolo, di assicurare la propria «affezione» allo Stato, così da garantirgli una maggiore stabilità; da parte dei governi, di soddisfare le aspirazioni dei sudditi, migliorandone le condizioni. Lo sviluppo di questo vincolo, che con assoluta originalità Delfico fa derivare dal nesso tra dimensione militare e dialettica politica, è concepito all'interno di una monarchia costituzionale, considerata la forma più «conveniente all'Umanità ed ai veri bisogni sociali», la giusta soluzione tra rivoluzione e reazione. L'emanazione di una carta costituzionale, di cui aveva manifestato l'esigenza sin dai primi anni della rivoluzione francese, risponde soprattutto all'esigenza di assicurare l'uguaglianza politica e la tutela dei diritti individuali dei cittadini, garantendo loro la sicurezza reale e personale.  Nel maggio del 1822 Delfico torna a Teramo, ma nell'autunno successivo si reca di nuovo a Napoli dove rimane per alcuni mesi, fino alla primavera del 1823, quando lascia la Capitale per non farvi più ritorno. Nel capoluogo abruzzese, dove trascorre il resto della sua vita, senza mai più allontanarsi, l'anziano scrittore continua a studiare e a scrivere. Fra i lavori di questi anni (alcuni dei quali ancora inediti e, di questi, molti non terminati o soltanto abbozzati e frammentari) ricordiamo la memoria Della importanza di far precedere le cognizioni fisiologiche allo studio della filosofia intellettuale del 1823 (97), in cui ribadisce la sua concezione materialistica della conoscenza e concepisce la ragione come strumento critico e operativo, che non deve tuttavia ostinarsi ad indagare l'essenza delle cose e tutto ciò che non può realmente conoscere ma rivolgersi alle cose utili e necessarie al benessere e alla felicità del genere umano, e gli scritti sulla numismatica pubblicati a Teramo dai tipi Ubaldo Angeletti nel 1824 con il titolo Della antica Numismatica della città di Atri nel Piceno con un discorso preliminare su le origini italiche (98).  Non verrà meno neppure il suo impegno riformatore che lo porterà ad interessarsi di Pescara in due scritti, dal titolo Fiera franca in Pescara del 1823 e Breve cenno sul progetto di un porto da costruirsi alla foce del fiume Pescara del 27 aprile 1825 (99), con i quali si prefigge di rivitalizzare le attività produttive in questa zona ancora poco sviluppata del Regno. Decisivo gli appare a tal proposito un rilancio del commercio, considerato «la sola sorgente inesausta della ricchezza e floridezza delle Provincie» (100), non senza però aver prima creato le condizioni e le strutture necessarie per facilitarlo. Una di queste potrebbe essere la realizzazione di un grande emporio o fiera franca, che non solo ridurrebbe sensibilmente le frodi e il contrabbando, ma assicurerebbe un notevole afflusso di merci, di provenienza anche straniera, senza l'imposizione di alcun dazio di importazione, che eviterebbe ai negozianti, ai mercanti e a molti proprietari abruzzesi di rivolgersi, non senza grave danno, ai mercati dello Stato pontificio di Fermo, di Ascoli o a quello più grande e lontano di Senigallia. Tutto ciò non farebbe che ripercuotersi favorevolmente sul commercio che potrebbe così finalmente «divenir attivo» (101) e moltiplicare i capitali e far nascere nuove attività economiche o migliorare e accrescere quelle esistenti.  La creazione di uno moderno scalo marittimo alla foce del fiume Pescara costituisce l'oggetto della riflessione che Delfico conduce nel Breve cenno. L'idea che il «mare anziché separare riavvicini le Nazioni fra loro» (102), permettendo infinite comunicazioni tra i popoli, costituisce la determinazione dalla quale lo scrittore teramano muove per sostenere l'utilità che la creazione di un porto sicuro per i naviganti rivestirebbe per l'incremento del commercio e per lo sviluppo economico in generale. La scelta di Pescara quale centro di scalo portuale trova giustificazione nel fatto di avere la cittadina adriatica il fiume con la foce più ampia e di essere «punto centrale nel litorale degli Abruzzi», crocevia delle tre principali strade, l'una diretta verso Napoli, le altre, entrambe costiere, in direzione la prima verso lo stato pontificio, la seconda verso le province meridionali. Non solo, ma sarebbe anche l'unico porto ad avvalersi di una «piazza forte» che renderebbe sicuro il trasporto e la conservazione delle merci. Così il porto di Pescara potrebbe riacquistare quell'importanza che aveva avuto un tempo quando era conosciuto con il nome di Ostia Aterni e gli imperatori romani vi avevano fatto confluire le tre strade, la Claudia, la Flaminia e la Frentana per agevolarne gli scambi commerciali (103).  A metà degli anni Venti un libro anonimo, dal titolo La vérité sur les cent jours, principalement par rapport à la renaissance projetée de l'Empire Romain, par un Citoyen de la Corse (H. Tarlier, Bruxelles 1825), di cui uscirà nel 1829 una traduzione italiana incompleta dal titolo Delle cause italiane nell'evasione dell'imperatore Napoleone dall'Elba, con la falsa indicazione del luogo e dell'editore del testo originale, riferisce di una congiura che sarebbe stata ordita nel 1814 da alcuni italiani per affidare la corona d'Italia a Napoleone Bonaparte. Dei presunti cospiratori, rimasti anonimi nel libro, l'Autore fa il nome soltanto del conte Luigi Corvetto (1756-1821), «justement regardé comme un des meilleurs jurisconsultes de Gênes» e di Melchiorre Delfico, «un des hommes les plus vertueux de l'Italie», ritenendoli, erroneamente, entrambi deceduti. Al Teramano viene anche attribuita la stesura di un Rapport adressé à S. M. l'empereur Napoléon à l'île d'Elbe, par le principal émissaire en Italie, datato Napoli 14 ottobre 1814 (104), sulle condizioni politiche e morali dei vari Stati italiani, che sarebbe dovuto servire all'imperatore francese per meglio valutare le possibilità di successo dell'impresa. Ma nessuna conferma in proposito è mai venuta dalle carte delficine, né da successive ricerche, per cui ancora oggi l'ipotesi di una partecipazione del Nostro al progetto resta legata a quest'unica notizia.   Nel 1829 Delfico pubblica la lettera Della preferenza de' sessi (105) alla contessa Chiara Mucciarelli Simonetti in cui riprende i temi della condizione ed emancipazione della donna affrontati in gioventù nel Saggio filosofico sul matrimonio. Trascorre gli ultimi anni della vita continuando a coltivare i suoi interessi intellettuali. A questo periodo risalgono i suoi studi sulla scienza medica testimoniati da numerose pagine, ancora inedite, conservate presso il «Fondo Delfico» della Biblioteca Provinciale di Teramo, e la stesura di alcuni manoscritti di cui uno dal titolo Sugli antichi confini del Regno e un altro dal titolo Sull'origine e i progressi delle Società civili che invia al marchese aquilano Luigi Dragonetti, il quale ne caldeggia la pubblicazione, ma invano perché il suo autore intende «rivederlo» (106). Nel 1832 riceve la visita di Ferdinando II, in giro per le regioni del Regno, e viene insignito, l'anno successivo, dell'onorificenza di Commendatore dell'Ordine di Francesco I. Nel capoluogo abruzzese Delfico muore il 21 giugno 1835.  Dopo la notorietà di cui aveva goduto in vita, alla sua morte Delfico cade in un lungo e ingiustificato oblio. Uscito grazie a Giovanni Gentile (107) dal ristretto ambito locale, che lo aveva reso per tutto l'Ottocento un autore sostanzialmente sconosciuto, e proiettato in una dimensione più ampia, nazionale, Delfico è oggetto di una diversa considerazione a partire dal secondo dopoguerra. Una rivalutazione che si determina in coincidenza con il rinnovato interesse storiografico per la cultura e la storia del Settecento e, in particolare, per alcune esperienze intellettuali e politiche significative dell'illuminismo italiano (108). Merito di questa storiografia è quello di aver ricondotto e legato il riformismo delficino all'esperienza e al fervore culturale del movimento riformatore napoletano della seconda metà del XVIII secolo. Una lettura che ha privilegiato il Delfico «riformatore», la sua fase riformistica, contrapponendosi alle rivisitazioni critiche precedenti, sia della storiografia neoidealistica che del ventennio fascista (109). Di recente, nuove linee interpretative stanno approfondendo altre fasi fondamentali della biografia intellettuale di Melchiorre Delfico (alcune delle quali scarsamente scandagliate), come quella relativa al decennio rivoluzionario 1789-1799 o quelle che contrassegnano la sua evoluzione, agli inizi dell'Ottocento e durante gli anni della Restaurazione, da riformatore nutrito dell'illuminismo napoletano a filosofo della storia e della politica. (1) Era nato il 1° agosto 1744 in un paesino vicino Teramo, Leognano, dove i genitori, Berardo e Margherita Civico, si erano rifugiati durante l'invasione austriaca del Regno di Napoli. Morirà a Teramo il 21 giugno 1835, all'età di novantun anni. Per le notizie biografiche, la migliore fonte resta quella del nipote G. De Filippis-Delfico, Della vita e delle opere di Melchiorre Delfico. Libri due, Angeletti, Teramo 1836, arricchita di un'elencazione degli scritti editi ed inediti del Nostro (alcuni dei quali successivamente pubblicati), nonché di quelli non terminati e dei frammenti. Rimasta incompiuta, l'opera continuò sul «Giornale abruzzese di scienze lettere e arti», a.  col titolo Notizie intorno alle opinioni filosofiche ed alle opere di Melchiorre Delfico e, sempre sulla stessa rivista, col titolo Notizie sulla vita e sulle opere di Melchiorre Delfico.  (2) Molti degli amici e dei discepoli del Genovesi furono abruzzesi. Fra loro ricordiamo, oltre ai fratelli Giamberardino, Gianfilippo e Melchiorre Delfico, il teatino Romualdo de Sterlich, Tommaso Maria Verri di Archi, Giuseppe De Sanctis di Penne, l'aquilano Giacinto Dragonetti, Giovanni Alò di Roccaraso, il teramano Giammichele Thaulero e Troiano Odazi di Atri, che nel 1781 successe al Maestro nella cattedra di economia. Sulla presenza anche in Abruzzo di quello che è stato definito il «partito genovesiano», cfr. G. De Lucia, Abruzzo  borbonico. Cultura, società, economia tra Sette e Ottocento, Cannarsa, Vasto 1984, pp. 23-31 e 46-49; U. Russo,  Studi sul Settecento in Abruzzo, Solfanelli, Chieti 1990, pp. 25-31 e 53-63.  (3) F. Diaz, Dal movimento dei lumi al movimento dei popoli, Il Mulino, Bologna 1986, p. 317.  (4) Sul riformismo borbonico, cfr. F. Valsecchi, Il riformismo borbonico in Italia, Bonacci, Roma 1990, pp. 103-155;  I Borbone di Napoli e i Borbone di Spagna, a cura di M. Di Pinto, Guida, Napoli 1985, vol. I; E. Chiosi, Il Regno dal 1734 al 1799, in Storia del Mezzogiorno, vol. IV, t. II, Il Regno dagli Angioini ai Borboni, Edizioni del Sole, Roma 1986, pp. 373-467, e la sintesi di a. M. Rao, Il riformismo borbonico a Napoli, in Storia della società italiana, vol. 12, Il secolo dei lumi e delle riforme, Teti, Milano e la ricca bibliografia in essa contenuta.  (5) Lo scritto, dedicato a Bartolomeo Intieri e pubblicato assieme al Ragionamento sopra i mezzi più necessari per far rifiorire l'agricoltura dell'abate Ubaldo Montelatici colla Relazione dell'erba orobanche detta volgarmente succiamele e del modo di estirparla di Pier-Antonio Micheli, uscì a Napoli nel 1753.  (6) A. Genovesi, Lettere accademiche su la questione se sieno più felici gl'ignoranti che gli scienziati (Napoli 1764), Lettera XI, in Autobiografia, lettere e altri scritti, a cura di G. Savarese, Feltrinelli, Milano 1962, p. 497.  (7) Per una valutazione dell'influenza di Pietro Giannone sulla cultura napoletana del XVIII secolo oltre al lavoro sempre valido di L. Marini, Pietro Giannone e il giannonismo a Napoli nel Settecento. Lo svolgimento della coscienza politica del ceto intellettuale del regno, Laterza, Bari 1950, cfr. G. Ricuperati, L'esperienza civile e religiosa di Pietro Giannone, Ricciardi, Milano-Napoli 1970; Pietro Giannone e il suo tempo, a cura di R. Ajello, Jovene, Napoli 1980, 2 voll., sp. il contributo di E. Chiosi, La tradizione giannoniana nella seconda metà del Settecento, vol. II, pp. 744-780.  (8) Sulla posizione di Genovesi nei confronti dell'autorità temporale e dottrinale della Chiesa, cfr. E. Pii, Antonio Genovesi. Dalla politica economica alla «politica civile», Olschki, Firenze 1984, p. 158 sgg.; G. Galasso, La filosofia in soccorso de' governi. La cultura napoletana del Settecento, Guida, Napoli 1989, p. 383 sgg.  (9) Le due Memorie, dal titolo Intorno a' dritti sovrani di Napoli sulla città di Benevento e Saggio istorico delle ragioni dei Sovrani di Napoli sopra la città d'Ascoli d'Abruzzo oggi nella Marca, furono commissionate a Delfico dall'avvocato della Corona Ferdinando De Leon. Della prima, tuttora inedita, esiste una copia autografa presso l'Archivio di Stato di Teramo, «Fondo Delfico», b. 16, fasc. 178, dal titolo Del territorio beneventano. La seconda, invece, fu pubblicata la prima volta su «La Rivista abruzzese di scienze e lettere» nel 1890 (a. V, fasc. I, pp. 22-30; fasc. III-IV, pp. 142-168; fasc. V-VI, pp. 2), preceduta dalle Notizie di L. Volpicella sulle vicende del manoscritto. Il Saggio istorico è stato riedito nelle Opere complete, vol. III, Fabbri, Teramo 1903, pp. 9-80. La raccolta, che non esaurisce tutti gli scritti delficini (alcuni dei quali pubblicati successivamente, altri ancora inediti), esce a Teramo dal 1901 al 1904, in quattro volumi, a cura di G. Pannella e L. Savorini.  (10) M. Delfico, Del territorio beneventano, cit., p. 17.  (11) F. Venturi, Introduzione ai Riformatori napoletani, t. V degli Illuministi italiani, Ricciardi, Milano-Napoli G. De Filippis-Delfico, Della vita e delle opere di Melchiorre Delfico, cit., p. 11.  (13) M. Delfico, Memoria autobiografica, inedita, conservata presso la Biblioteca Provinciale di Teramo, fondo «Manoscritti Delfico», Misc. 3, n. 846.  (14) M. Delfico, Saggio filosofico sul matrimonio, in  Opere complete, cit., vol. III,  p. 126.  (15) A. Garosci, San Marino. Mito e storiografia tra i libertini e il Carducci, Edizioni di Comunità, Milano  (16) Lettera di Delfico a Luigi Dragonetti del 10 luglio 1826, in Spigolature nel carteggio letterario e politico del march. Luigi Dragonetti, a cura del marchese G. Dragonetti suo figlio, Uffizio della Rassegna Nazionale, Firenze La lettera è stata riedita nelle Opere complete, M. Delfico, Indizi di morale, in Opere complete, Sull'ambiguità concettuale di tale espressione cfr. M. Bazzoli, Il pensiero politico dell'assolutismo illuminato, La Nuova Italia, Firenze, Guerci, L'Europa del Settecento. Permanenze e mutamenti, Utet, Torino 1988, pp. 501-508.  (19) M. Delfico, Indizi di morale, cit.,  (20) Ivi, p. 47.  (21) Per una ricostruzione dell'intera vicenda rinvio a V. Clemente, Rinascenza teramana e riformismo napoletano (1777-1798). L'attività di Melchiorre Delfico presso il Consiglio delle Finanze, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1981, pp. 71-85.  (22) L'espressione è ricorrente nella Relazione di Mons. Luigi Pirelli alla Sacra Congregazione del Concilio del 14 febbraio 1778, in V. Clemente, Rinascenza teramana e riformismo napoletano, cit., pp. 86-99.  (23) Cfr. M. Delfico, Discorso sullo stabilimento della milizia provinciale, in Opere complete, F. Venturi, Nota introduttiva (a M. Delfico), in Riformatori napoletani, cit., p. 1168.  (25) Favorevole nel 1783 ad un più moderno sviluppo dell'attività risiera per una ripresa economica della sua provincia, Delfico assumerà alcuni anni più tardi un atteggiamento decisamente contrario alla risicoltura. Su tale mutamento, cfr. V. Clemente, Cronache della defeudalizzazione in provincia di Teramo: le risaie atriane in «Itinerari», M. Delfico, Elogio del marchese D. Francescantonio Grimaldi, presso Vincenzo Orsino, Napoli 1784, in Opere complete, cit., vol. III, pp. 222-260.  (27) Delfico ammira soprattutto la Vita di Ansaldo Grimaldi (Napoli 1769), poiché in essa l'Autore era riuscito a saldare la vicenda dell'uomo di Stato genovese con la storia politica dello Stato stesso e a far vedere come la mancanza di costituzioni e di leggi fondamentali tenesse lo Stato «in continua rivoluzione» (Elogio del marchese D. Francescantonio Grimaldi, cit., p. 235).  (28) M. Delfico, Elogio del marchese D. Francescantonio Grimaldi, cit., p. 245.  (29) J.-J. Rousseau, Discours sur l'origine et les fondements de l'inégalité parmi les hommes (1754), in Oeuvres complètes,  vol. III, Gallimard,  Paris 1964, p. 193.  (30) M. Delfico, Elogio del marchese D. Francescantonio Grimaldi, cit., p. 253.  (31) Su tale associazione, fondata il 1° maggio 1776 ad Ingolstadt da Adam Weishaupt, cfr. C. Francovich, Gli Illuminati di Baviera, in Storia della massoneria in Italia dalle origini alla rivoluzione francese, La Nuova Italia, Firenze 1974, pp. 309-334.  (32) Alcune lettere sono state pubblicate nel quarto volume delle Opere complete di Delfico, cit., pp. 154-162; altre sono apparse nel primo volume di Aus dem Briefwechsel Friedrich Münters. Europäische Beziehungen eines dänischen Gelehrten 1780-1830, herausgegeben von Ø. Andreasen, Erster Teil, P. Haasse, Kopenhagen-Leipzig 1944, pp. 215-220. Due di queste ultime sono state riprodotte in appendice al libro di A. Di Nardo, Storia e scienza in Melchiorre Delfico. (Studi e ricerche), Libera Università Abruzzese degli Studi «G. D'Annunzio», Facoltà di Lettere e Filosofia, Chieti 1978, pp. 154-155 e 157-160, il quale ha pubblicato altre lettere di Delfico a Münter, assieme ad alcune lettere di Delfico alla sorella del Danese Federica Brun (ivi, pp. 140-166). Altre, ancora inedite, sono conservate presso la Biblioteca Provinciale di Teramo.  (33) M. Delfico, Memoria sul Tribunal della Grascia e sulle leggi economiche nelle provincie confinanti del Regno, Porcelli, Napoli 1785, ora in Opere complete, cit., vol. III, pp. 265-323.  (34) G. Solari, Studi su Francesco Mario Pagano, a cura di L. Firpo, Giappichelli, Torino 1963, p. 201. Sullo stesso piano l'Autore pone l'altro scritto di Delfico, Memoria sulla libertà del commercio, e l'opera sull'Annona di Domenico Di Gennaro, duca di Cantalupo, pubblicata anonima a Palermo nel 1783.  (35) M. Delfico, Memoria sul Tribunal della Grascia, cit., p. 279.  (36) M. Delfico, Discorso sul Tavoliere di Puglia e su la necessità di abolire il sistema doganale presente e non darsi luogo ad alcuna temporanea riforma, Napoli 1788, ora in Opere complete, cit., vol. III, pp. 359-396.  (37) M. Delfico, Discorso sul Tavoliere di Puglia, cit., p. 370.  (38) Il testo è stato pubblicato da L. Tossini, Una lettera inedita di Melchiorre Delfico a Michele Torcia, in «Nord e Sud», a. XXIV (1977), terza serie, n. 31-32, pp. 191-199. La lettera è datata Teramo, 7 ottobre 1784.  (39) Scritta tra il 1789 e il 1790, su invito dell'Accademia di Padova agli scrittori italiani di occuparsi del problema della libertà di commercio, la Memoria fu stampata la prima volta nel 1805 a Milano, presso Destefanis, nel t. XXXIX della raccolta Scrittori classici italiani di economia politica, a cura di P. Custodi. L'opuscolo è stato recentemente riedito (De Petris, Teramo 1985) con un'introduzione di M. Finoia. Sul problema Delfico tornerà alcuni anni dopo con il Ragionamento su le carestie, in cui apporta alcune «modificazioni e moderazioni» al principio della libertà assoluta e illimitata di commercio, auspicando nel mercato l'intervento diretto dello Stato, cui riconosce il compito di prevenire il «terribile flagello» delle carestie e di altri simili avvenimenti. Il testo, letto il 1° dicembre 1818 nella Reale Accademia delle Scienze di Napoli e pubblicato nel 1825 negli Atti dell'Accademia stessa (vol. II, parte I, pp. 3-43), è stato riedito a Teramo nel 1985 assieme alla Memoria sulla libertà del commercio.  (40) Se, dopo varie insistenze, all'inizio del 1788 ottiene, come aveva richiesto due anni prima nella Memoria per il ristabilimento del Tribunale Collegiato nella Provincia di Teramo (in V. Clemente, Rinascenza teramana e riformismo napoletano, cit., pp. 255-257), il ripristino a Teramo di detto Tribunale, in luogo dei magistrati unici, più agevolmente portati all'abuso del potere, non altrettanta fortuna incontreranno invece le sue richieste sia di abolizione della servitù degli Stucchi, del 1786, sia di istituzione di una Università degli Studi a Teramo ad indirizzo «fisico» ed orientamento laico, avanzata agli inizi di maggio del 1788. Sugli sviluppi delle iniziative delficine si vedano R. Di Antonio, Stucchi e Doganelle nel teramano, Libera Università Abruzzese degli Studi «G. D'Annunzio», Facoltà di Scienze Politiche, Teramo 1978, pp. 7-24, la quale pubblica in appendice la Memoria sugli Stucchi e le Memorie su di un nuovo sistema per le Doganelle, e G. Carletti, Introduzione a M. Delfico, Una «piccola» Università a Teramo, Quaderni dell'Università di Teramo, Teramo 1999, n. 6, pp. 3-7.  (41) La Memoria è pubblicata in appendice al volume di a. M. Rao, L'«amaro della feudalità». La devoluzione di Arnone e la questione feudale a Napoli alla fine del '700, Guida, Napoli 1984, pp. 349-367.  (42) M. Delfico, Memoria per la vendita de' beni dello Stato d'Atri, cit., p. 354.  (43) Memoria delficina, rimasta interrotta e tuttora inedita, conservata presso la Biblioteca Provinciale di Teramo, fondo «Manoscritti Delfico», Ined., n. 402.  (44) In Lombardia Delfico si trattenne fino al mese di giugno del 1789 per poi trasferirsi prima a Verona, dove rimase due mesi, e in seguito a Vicenza, Padova, Venezia e Ferrara, finché nel novembre del 1789 rientrò in patria. Su questo viaggio e sui legami di amicizia che ebbe modo di stringere e di rinsaldare, cfr. G. De Filippis-Delfico, Della vita e delle opere di Melchiorre Delfico, cit., p. 25 sgg.  (45) Ora in Opere complete, cit., vol. III, pp. 403-431.  (46) L'opera, che provocò subito «molto chiasso», sia per le reazioni della classe togata, sia per gli elogi che ricevette da più parti, fu pubblicata a Napoli, presso Giuseppe Maria Porcelli, nel 1791 e fu ristampata a Firenze nel 1796 e una terza volta di nuovo a Napoli nel 1815.  (47) C. Ghisalberti, La giurisprudenza romana nel pensiero di Melchiorre Delfico, in «Rivista italiana per le scienze giuridiche», a. VIII (1954), vol. VII, parte II,  p. 432.  (48) M. Delfico, Ricerche sul vero carattere della giurisprudenza romana, in Opere complete, cit., vol. I, pp. 225 e 105.  (49) Troiano Odazi (1741-94), nativo di Atri, in provincia di Teramo, fu tra i maggiori economisti napoletani della seconda metà del Settecento. Allievo del Genovesi, nel 1768 ne curò l'edizione milanese Delle lezioni di commercio o sia d'economia civile. Nominato nel 1779 professore di Etica nel Reale convitto della Nunziatella, nell'ottobre del 1781 fu chiamato a ricoprire la cattedra di Economia e Commercio che era stata del Genovesi e rimasta vacante per diversi anni. Esponente della massoneria napoletana, fu coinvolto nel fatti del '94. Arrestato, morì suicida nelle carceri della Vicaria il 20 aprile di quell'anno. Sulla fine dell'Odazi, cfr. G. Beltrani, Don Trojano Odazi. La prima vittima del processo politico del 1794 in Napoli, in «Archivio storico per le province napoletane», a. XXI (1896), fasc. I, pp. 853-867.  (50) B. Croce, La rivoluzione napoletana del 1799, Laterza, Bari 19264, p. 24.  (51) Sulle tappe di questo viaggio, cfr. G. De Filippis-Delfico, Della vita e delle opere di Melchiorre Delfico, cit., pp. 38-46.  (52) Si veda la lettera di Delfico a Fortis del 9 gennaio 1797 da Teramo, in M.G. Riccobono, Contributo per l'epistolario di Melchiorre Delfico, in «Rassegna della letteratura italiana», a. 87 (1983), serie VIII, n. 3, p. 419.  (53) L'ipotesi di una partecipazione al concorso origina da De Filippis-Delfico, il quale riporta tra le opere delficine «non-terminate» (cfr. Della vita e delle opere di Melchiorre Delfico, cit., p. 122), un opuscolo di 26 pagine privo di intestazione e da lui intitolato Sul quesito: Quale sia il miglior de' governi per l'Italia?, anche se poi nessuna notizia, sia in merito a questo testo sia relativa al concorso, fornisce nella ricostruzione biografica dell'Autore. Su questo aspetto si veda G. Carletti, A proposito di un'anonima dissertazione. Note sulla presunta partecipazione di Melchiorre Delfico al concorso del 1796, in «Trimestre», a. XXXII (1999), n. 3-4, in corso di pubblicazione.  (54) Sono del 1797 le delficine Memoria per la Decima imposta al Regno; Memoria intorno a' danni sofferti nella provincia di Teramo dalla cattiva monetazione dello Stato pontificio, e de' mezzi opportuni da ripararli ed infine Osservazioni su la nuova monetazione dello Stato papale per rapporto al commercio delle provincie confinanti del Regno, ancora tutte inedite.  (55) Lettera di Delfico a Fortis del 7 novembre 1793, in M.G. Riccobono, Contributo per l'epistolario di Melchiorre Delfico, cit.,  pp. 415-416. Il vescovo a cui allude è Luigi Maria Pirelli (1740-1820), nobile di Ariano, religioso dell'Ordine dei Regolari teatini, vescovo di Teramo dal 1777 al 1804 e sin dal suo arrivo avverso alla famiglia Delfico. Nella Relazione risponsiva alle accuse, del 18 dicembre 1793 (pubblicata da L. Tossini, Autodifesa di un illuminista, in «Archivio storico per le province napoletane», terza serie, a. XVI (1977), pp. 86-97), egli era costretto a difendere la propria reputazione dinanzi al Supremo Consiglio a causa di «vaghe» e «calunniose imputazioni» di qualche delatore. La denuncia del '93, pur non avendo gravi conseguenze, riuscì tuttavia ad impedire che Delfico succedesse al fratello nella presidenza della Società Patriottica di Teramo. Nel 1794 una nuova denuncia anonima era stata all'origine del rifiuto del Supremo Consiglio di accogliere la richiesta del Teramano del titolo di conte. Non avrebbe ottenuto il titolo neppure in seguito, ma con decreto del 25 marzo 1815 Gioacchino Murat gli avrebbe conferito quello di barone.  (56) Il pretesto è fornito da alcune lettere «rivoluzionarie» sequestrate ad una loro domestica, da poco licenziata, mentre faceva ritorno ad Ascoli Piceno. Interrogata, la donna avrebbe affermato di averle ricevute da Alessio Tullj e da Eugenio Michitelli, entrambi frequentatori di casa Delfico. Si veda in proposito la Memoria della persecuzione subita dalla famiglia Delfico nel 1799, scritta presumibilmente da Giamberardino Delfico «allo scopo - è precisato in un'annotazione - di ottenere il dissequestro dei propri beni», dopo che, condannato dai Regi inquisitori nel processo contro «i rei di Stato» e trasferito nell'agosto del 1800 nei castelli di Puglia, era stato liberato in seguito all'indulto generale del 1° maggio 1801. Il testo è stato pubblicato da V. Clemente su «Storia e civiltà», a. IV (1988), n. 4, pp. 368-385 e a. V (1989), n. 1-2, pp. 39-56. L'episodio che portò all'arresto dei Delfico è a p. 375 sgg.  (57) I Francesi, al comando del generale Rusca, erano entrati in Abruzzo il 6 dicembre 1798. L'11 dicembre in 1500 arrivarono a Teramo. Messe in fuga dai rivoltosi, le truppe francesi riconquisteranno la città il 23 dicembre, per poi occupare Pescara, Sulmona e Penne il 24 e Chieti il 25. Per una ricostruzione di queste vicende, fondamentale resta l'opera di L. Coppa-Zuccari, L'invasione francese negli Abruzzi, voll. I e II, Vecchioni, L'Aquila 1928, voll. III e IV, Tip. Consorzio Nazionale, Roma 1939. Sull'arrivo e sulla permanenza dei Francesi a Teramo cfr. anche le tre cronache del periodo rivoluzionario, A. De Jacobis, Cronaca degli avvenimenti in Teramo ed altri luoghi d'Abruzzo 1777-1822 (in L. Coppa-Zuccari, L'invasione francese negli Abruzzi, cit., vol. III, pp. 38-440); G. Tullj, Minuta relazione dei fatti sanguinosi seguiti in Teramo dall'anno 1798 al 1814, con postille e con la continuazione del canonico Niccola Palma (pubblicata da V. Clemente col titolo Una cronaca inedita teramana (1798-1814), in «Storia e Civiltà», a. IX (1993), n. 3-4, pp. 269-285; a. X (1994), n. 1-2, pp. 93-116 e n. 3-4, pp. 148-172; a. XI (1995), n. 1-2, pp. 94-118 e n. 3-4, pp. 175-196; a. XII (1996), n. 1-2, pp. 58-86 e n. 3-4, pp. 171- 195); C. Januarii, Avvenimenti seguiti nel Teramano dal 1798 al 1809, Teramo 1999.  (58) Il Consiglio, di cui fecero parte, oltre a Delfico, i lancianesi Carlo Filippo De Berardinis e Antonio Madonna, entrò in funzione subito dopo e svolse la sua attività non oltre la fuga del suo presidente da Pescara avvenuta il 28 aprile successivo. Cfr., in proposito, M. Battaglini, Abruzzo 1798-1799. Una repubblica giacobina, in «Rassegna storica del Risorgimento», a. LXXV (1988), fasc. I, pp. 11-12, ora in La Repubblica napoletana. Origini, nascita, struttura, Bonacci, Roma 1992, pp. 188-189. Sull'esperienza pescarese di Delfico, cfr. anche F.  Masciangioli, Melchiorre Delfico e Pescara. Per una storia del rapporto tra intellettuali ed esperienze giacobine in Abruzzo, in «Trimestre», a. XX (1987), n. 1-2, pp. 41-69.  (59) Sullo spirito di moderazione di Delfico, interessato a trovare una mediazione tra eccessi rivoluzionari e intemperanze reazionarie, cfr. G. Carletti, Melchiorre Delfico. Riforme politiche e riflessione teorica di un moderato meridionale, ETS, Pisa 1996, p. 135 sgg.  (60) Cfr. G. Galasso, I giacobini meridionali, in «Rivista storica italiana», a XCVI (1984), fasc. I, p. 78 sgg., ora in La filosofia in soccorso de' governi, cit., p. 519  sgg.  (61) Il testo è stato pubblicato da R. Persiani, Alcuni ricordi politici nella massima parte abruzzesi al cadere del XVIII e principio del XIX secolo con documenti e note, in «Rivista abruzzese di scienze, lettere ed arti», a. XVII (1902), fasc. VII-VIII, pp. 435-439. Senz'altro meno importante è l'altro atto a firma di Melchiorre Delfico, Proclama sulla sicurezza pubblica del 15 ventoso anno VII (5 marzo 1799), con il quale venivano fissate alcune disposizioni per combattere il vagabondaggio. (Ivi, pp. 441-442). I due testi sono stati recentemente riediti assieme ad altri scritti delficini da G. Carletti, La «Pescara» di Melchiorre Delfico, Edizioni Tracce, Pescara 1999, pp. 51-55 e 57-58.  (62) Cfr. la lettera di Delfico al Governo Provvisorio, da Pescara, datata 7 germile an. 7 Rep. (27 marzo 1799), in Il Monitore Napoletano 1799, a cura di M. Battaglini, Guida, Napoli 1974, pp. 695-696. Sulle insorgenze nella regione, cfr. R. Colapietra, Le insorgenze di massa nell'Abruzzo in età moderna, in «Storia e politica», a. XX (1981), fasc. 1, pp. 1-46, e il più recente volume Per una rilettura socio-antropologica dell'Abruzzo giacobino e sanfedista, Edizioni Città del Sole, Napoli 1995.  (63) Per il testo cfr. G. Carletti, Melchiorre Delfico, cit., pp. 138-139.  (64) Sulla permanenza del Teramano nella Repubblica sammarinese, cfr. F. Balsimelli, Melchiorre Delfico e la Repubblica di San Marino, Arti Grafiche Della Balda, San Marino 1935.  (65) Cfr. V. Cuoco, Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, II ed. con aggiunte dell'Autore, Dalla Tipografia di Francesco Sonzogno, Milano 1806, p. 96 sgg.  (66) Si veda l'ormai nota Prefazione alle Memorie storiche della Repubblica di S. Marino (Milano 1804), in Opere complete, cit., vol. I, pp. 249-250.  (67) Ivi, p. 472.  (68) Ibidem.  (69) Ivi, p. 250.  (70) Il libro, il cui titolo originale era Esame della Storia, e dei suoi vantati pregi, vide la luce due anni dopo che Delfico l'aveva consegnato alla stamperia Roveri e Casali. La seconda e la terza edizione uscirono a Napoli nel 1809 e nel 1814.  (71) M. Delfico, Memorie storiche della Repubblica di S. Marino, cit., p. 249.  (72) Ivi, p. 246.  (73) Cfr. M. Agrimi, La vicenda rivoluzionaria e le riflessioni sulla storia: Melchiorre Delfico, in «Itinerari», a. XXIII (1984), n. 3, p. 94.  (74) Cfr. G. Gentile, Dal Genovesi al Galluppi, Edizioni della «Critica», Napoli 1903, p. 46 sgg., il quale afferma che nessuno prima di allora aveva negato la storia nel modo assoluto del Teramano. Un estremo radicalismo nell'«antistoricismo» delficino è stato rilevato anche da B. Croce, La storiografia in Italia dai cominciamenti del secolo decimonono ai giorni nostri: 1. Il «secolo della storia»  e  2. Il nuovo pensiero storiografico, in «La Critica», a. XIII (1915), rispettivamente fasc. I, pp. 16-18 e fasc. II, p. 95, poi rielaborati nel volume Storia della storiografia italiana nel secolo decimonono, Laterza, Bari 1921, e da G. De Ruggiero, Il pensiero politico meridionale nei secoli XVIII e XIX, Laterza, Bari 1921, pp. 158-165.    (75) M. Delfico, Pensieri su l'istoria e sull'incertezza ed inutilità della medesima, in Opere complete, cit.,  vol. II, p. 11.  (76) Il titolo per esteso dell'opera è Leçons d'histoire, prononcées à l'École Normale en l'an III de la République française, par C.-F. Volney, chez J.A. Brosson, Paris an VIII.  (77) Sull'affinità di vedute dei due autori, cfr. C. Rosso, De Volney à Melchiorre Delfico: l'histoire, une discipline aussi inutile que dangereuse, in L'héritage des lumières: Volney et les idéologues, Presses de l'Université, Angers 1988, pp. 345-356.   (78) M. Delfico, Pensieri su l'istoria e sull'incertezza ed inutilità della medesima, cit., p. 43.  (79) Ora in Opere complete, cit., vol. II, pp. 307-325.  (80) M. Delfico, Pensieri su l'istoria e sull'incertezza ed inutilità della medesima, cit., p. 174.  (81) Porcelli, Napoli 1781, Epoca I, pp. 329-338. Grimaldi si era rivolto all'amico teramano per avere notizie sull'esistenza nella Marsica moderna di antiche costumanze di carattere ofidico e su eventuali relazioni tra queste e i rituali moderni. La Lettera delficina venne ricordata alle pp. 18-21 della recensione al volume di Grimaldi apparsa nel fascicolo del febbraio 1784 del «Nuovo Giornale enciclopedico» per mano, molto probabilmente, del suo principale estensore Alberto Fortis.  (82) Per un esame critico del testo, riprodotto in appendice, cfr. G. Profeta, Una ignorata dissertazione di Melchiorre Delfico sugli incantatori di serpenti, in «Lares», a. XLV (1979), n. 1, pp. 5-53, ora anche nel volume Lupari incantatori di serpenti e santi guaritori nella tradizione popolare abruzzese, Japadre, L'Aquila-Roma 1995, pp. 79-138.  (83) Lo scritto, ideato e posto come prefazione alle ancora inedite Favole morali di Alessio Tullj, è stato pubblicato da A. Marino, in «Aprutium», a. IV (1986), n. 3, pp. 32-48.  (84) M. Delfico, Discorso sulle favole esopiane, cit., pp. 39-40.  (85) Lettera di Delfico a Teresa Onofri del 21 marzo 1806, in F. Balsimelli, Epistolario di Melchiorre Delfico. Lettere sammarinesi, Arti  grafiche Della Balda, San Marino 1934, p. 53.  (86) Sull'attività del Teramano nell'amministrazione francese, cfr. G. Palmieri, Melchiorre Delfico e il decennio francese (1806-1815), Edizioni del Gallo Cedrone, L'Aquila 1986, il quale riproduce in appendice alcuni scritti delficini del periodo; R. Feola, La monarchia amministrativa. Il sistema del contenzioso nelle Sicilie, Jovene, Napoli 1985, pp. 125-135.   (87) Ora in Opere complete, cit., vol. III, pp. 471-497.  (88) Ora in Opere complete, cit., vol. III, rispettivamente pp. 501-528 e pp. 531-550.  (89) Ripubblicate nelle Opere complete, cit., vol. II, pp. 187-294, le Nuove ricerche sul Bello sono state recentemente riedite a cura di A. Marroni, Ediars, Pescara 1999.  (90) Per un quadro d'insieme dell'attività amministrativa e dell'opera legislativa dei Napoleonidi nel Regno napoletano, oltre al volume, notevolmente arricchito e ampliato rispetto alla prima edizione del 1941, di A. Valente, Gioacchino Murat e l'Italia meridionale, Einaudi, Torino 1976, pp. 231-332, cfr. P. Villani, Il decennio francese, in Storia del Mezzogiorno, vol. IV, t. II, Il Regno dagli Angioini ai Borboni, cit., pp. 575-639. Spunti critici anche in Studi sul Regno di Napoli nel decennio francese (1806-1815), a cura di A. Lepre, Liguori, Napoli 1985.  (91) Rimasto inedito, il testo finale è tuttora irreperito ma di esso si conservano due stesure pubblicate da A. Marino, Scritti inediti di Melchiorre Delfico, Solfanelli, Chieti 1986, rispettivamente pp. 19-42 e 59-79.  (92) M. Delfico, Osservazioni sopra alcune dottrine politiche del Segretario fiorentino, cit., p. 20.  (93) Ivi, p. 67.  (94) Cfr. ivi, pp. 29 e 70.  (95) Cfr. N. Machiavelli, Istorie fiorentine, in Opere di Niccolò Machiavelli Cittadino e Segretario fiorentino, Italia 1813, vol. I, lib. II, cap. XII,  p. 79.  (96) Cfr. N. Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, in Opere, cit., vol. III, lib. I, cap. LV, p. 159.  (97) Ora in Opere complete, cit., vol. III, pp. 567-588.  (98) L'opera, notevolmente ampliata, fu ristampata a Napoli nel 1826, per i tipi di Angelo Trani, col titolo Dell'antica Numismatica della città di Atri nel Piceno con alcuni opuscoli su le origini italiche, ora in Opere complete, cit., vol. II, pp. 299-505.  (99) Pubblicati nelle Opere complete, vol. IV, pp. 293-305 e vol. III, pp. 631-644, i due testi sono stati riediti da G. Carletti, La «Pescara» di Melchiorre Delfico, cit., rispettivamente pp. 23-36 e pp. 37-50.  (100) M. Delfico, Breve cenno, cit., p. 37.  (101) M. Delfico, Fiera franca in Pescara, cit., p. 32.  (102) M. Delfico, Breve cenno, cit., p. 38.  (103) Cfr. ivi, pp. 47-49.  (104) Ora, tradotto, in Opere complete, cit., vol. IV, pp. 325-333, col titolo Rapporto sull'Italia inviato a Napoleone e attribuito a M. Delfico.  (105) M. Delfico, Della preferenza de' sessi. Lettera all'ornatissima signora contessa Chiara Mucciarelli Simonetti del 12 marzo 1827, pubblicata a Siena nel 1829 ed ora in Opere complete, cit., vol. IV, pp. 31-45.  (106) Cfr. la lettera di Delfico a Dragonetti dell'8 marzo 1834, in Spigolature nel carteggio letterario e politico del march. Luigi Dragonetti, cit., p. 156.  (107) Cfr. G. Gentile, Dal Genovesi al Galluppi, cit., pp. 18-87.  (108) Per un quadro d'insieme di queste esperienze, cfr. il volume di D. Carpanetto - G. Ricuperati, L'Italia del Settecento. Crisi, trasformazioni, lumi, Laterza, Roma-Bari 1993, e la ricca bibliografia in esso contenuta.  (109) Per una ricognizione degli studi delficini, cfr. G. Carletti, Recuperi, oblii e prospettive. Per una storia critica della storiografia delficina, in «Trimestre», a. XX (1987), n. 1-2, pp. 5-40. Il cavaliere Commendatore Melchiorre dei Marchesi Deflico. Melchiorre III Delfico de Civitella. Melchiorre Delfico. Civitella. Civitella. Keywords: giurisprudenza romana, sul bello, estetico, sensus, il vero carattere della giurisprudenza romana, suoi cultore,  benevolanza conversazionale, giustizia conversazionale, il principio di sensibilita imitativa, l’estetico, l’imitazione della natura, l’espressione. La storia romana, incertezza e unitilita – la giurisprudenza romana fino alla caduta della repubblica, aristocrazia versus benevolenza, benevolenza conversazionale tra iguali. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Civitella” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689415138/in/photolist-2mRRHVK-2mKLP2r-2mKBLhJ

 

Grice e Cocconato – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino).  Grice: “I like Coconato – I used to say that the first task for the historian of Italian philosophy, unless you are a member of La Crusca, is to decide on the surname – I like Cocconato! He spent some time in London, as I did – and he shows that the average Italian philosopher is a nobleman, or vice versa!” – Grice: “Venturi revived Cocconato, as did the re-issuing of his “Moral Discourses”!” -- “Manhood and unbelief” -- Alberto Radicati, conte di Passerano e Cocconato (Torino), filosofo. Libero pensatore, fu il «primo illuminista della penisola», secondo una definizione di Piero Gobetti. Cocconato matura il suo pensiero anti-clericale nel clima dell'anticurialismo sabaudo ben presente in alcuni settori della corte di Vittorio Amedeo II, re di Sardegna. S'ignora tutto della sua prima formazione, verosimilmente affidata a qualche ecclesiastico. Un infelice matrimonio precoce, combinato dalle famiglie, lo coinvolge ventenne, e già due volte padre, in una serie di penosi contrasti il cui significato travalica i conflitti coniugali. Mentre a prendere le parti della moglie si mobilita il partito devoto-clericale, Radicati trova sostegno a corte in chi appoggia il re sabaudo nei suoi conflitti giurisdizionali con la Curia romana.  Il grottesco-ironico racconto della sua «conversion pubblicato a Londra e ripubblicato con il titolo “A Comical and True Account of the Modern Cannibal's Religion” induce a datare intorno agli anni venti il precipitare della crisi della fede cattolica in cui il conte era stato cresciuto. Nell'opuscolo autobiografico presenta la sua personale vicenda come un caso emblematico di «uscita dalla minorità. Narra infatti come, a partire dal contrasto tra santoni bianchi e santoni neri monaci cistercensi e quelli agostinianisui presunti miracoli operati da un'immagine della Vergine, rinvenuta nel convento agostiniano, avesse cominciato a vacillare in lui la fede e come, verso i vent'anni, avesse cominciato anche in campo religioso “a far uso della mia ragione.”Importante per la sua ulteriore maturazione intellettuale è il viaggio compiuto nella Francia della "Reggenza" tin cui poté ampliare il raggio delle sue conoscenze e forse procurarsi testi libertine come La Sagesse di Charron, l'Hexameron rustique di Vayer o il Traité contre la Médisance di Brosse, in cui ricorrono motivi che troveranno eco e sviluppo nelle sue opere. Il suo scritto principaleI discorsi morali, storici e politici redatti su diretto incarico di Vittorio Amedeo II nel mutato clima conseguente alla ratifica del Concordato stipulato tra regno sabaudo e Benedetto XIII diverrà anche la ragione vera del suo esilio. Il conte, che da un riacquisito potere dell'Inquisizione a Torino deve temere per la sua libertà e per la sua stessa incolumità, lascia segretamente il Piemonte per dirigersi a Londra, dovendo poi subire per questa fuga non autorizzata dal sovrano il sequestro e la confisca dei beni.  A Londra pubblica con un discreto successo l'instant book che ricostruisce i retroscena della recente abdicazione di Vittorio Amedeo II mentre, al contempo, lavora alla stesura del più audace e radicale dei suoi scritti, “La Dissertazione filosofica sulla morte,” che, tradotta da JMorgan, uscirà dai torchi londinesi destando un enorme scandalo. Nella Dissertazione, che gli costa anche l'esperienza delle carceri della tollerante Inghilterra di Walpole, propugna il diritto al suicidio e all'eutanasia sullo sfondo di una esplicita filosofia materialistica che scorge nel Deus sive Natura spinoziano-tolandiano il suo unico grandioso orizzonte di senso. Nella sua meditazione sulla morte e sulla liceità del suicidio si inserisce in un dibattito che già Montesquieu aveva rilanciato nelle Lettere Persiane, riprendendo una discussione inaugurata nel Seicento da Donne con il suo Biothanatos. Interessato a proporre un progetto politico che esige come sua prima tappa essenziale una riforma radicale della cristianità occidentale, capace di affrancarla dal giogo clericale- o se si vuole, in termini più neutri dal potere pastorale- la scelta del tema del diritto individuale alla morte non è scelta casuale per quanto la meditazione sul suicidio non sia priva di elementi autobiografici. Le chiese cristiane di ogni confessione ritengono infatti un loro preciso dovere intervenire direttamente nella gestione del trapasso a quella che esse, in base alla loro fede, considerano la vera vita, quella ultraterrena. Del resto non solo il mondo cristiano, lo stesso ebraismo e l'islam, finendo con il recepire come un dogma l'interpretazione agostiniana del suicidio come omicidio di se stessi, per secoli hanno considerato la morte volontaria come il più grave e irreparabile dei peccati, suprema manifestazione di oltranza e ribellione alla volontà divina, mentre le autorità statali, dal canto loro, si distinguevano per la crudeltà inumana con cui trattavano i cadaveri dei suicidi e i beni dei loro eredi.  Se i Discorsi partivano dalla morale ricavata essenzialmente da una lettura pauperistico-comunistica dei Vangeli che faceva di Cristo, al pari di Licurgo, il grande critico dell'istituto familiare, nonché il fondatore di una democrazia perfetta in cui non esiste né il mio, né il tuo»per poi occuparsi di politica e concludersi in concrete proposte riformatrici, nella Dissertazione filosofica fornisce una risposta alla legittimità del suicidio muovendo da una concezione complessiva del mondo e dell'esistenza umana. Nonostante il suo titolo, la Dissertazione filosofica sulla morte non rinnega affatto l'istanza spinoziana che intende la filosofia quale gioiosa meditatio vitae, apertura mentale a una possibile transizione da una condizione di servitù a una condizione di più ampia libertà che è, simultaneamente, incremento della capacità del corpo di comporsi e ricomporsi con altri corpi per realizzare la sua potenza e ampliare la sua capacità di comprendere le cose.  Definisce l'individualità umana a partire dalle relazioni che essa intrattiene con il tutto. Per quanto grandezze infinitesimali noi siamo materia della materia che costituisce l'Universo nella sua indefinita immensità. La certezza che ci resta, quando ci liberiamo dall'ignoranza in cui nasciamo e dagli idola tribus, i pregiudizi con cui siamo allevati, è che noi siamo vicissitudini della materia. La materia a cui pensa tuttavia nel suo esilio londinese e poi olandese non è lo squalificato sostrato inerte che dai greci giunge fino a Cartesio che, limitandosi a identificare materia ed estensione, continua ad aspettarsi dal Dio creatore l'impulso motore e la creazione continua. Come per il Toland delle Lettere a Serena e del Pantheisticon, la materia pensata dal Radicati è la materia actuosa che reingloba nel meccanicismo moderno motivi provenienti dal naturalismo rinascimentale a cui ineriscono direttamente movimento e autoregolazione.  L'universo è un mondo infinito in perpetuo movimento: in esso nulla continua ad essere anche solo per un istante la stessa cosa. Le continue alterazioni, successioni, rivoluzioni e trasmutazioni della materia non incrementano né diminuiscono tuttavia il grande tutto, come nessuna lettera dell'alfabeto si aggiunge o si perde per le infinite combinazioni e trasposizioni di essa in tante diverse parole e linguaggi. La natura, mirabile architetta sa sempre come utilizzare anche il minimo dei suoi atomi. La fine della nostra individualità costituita dalla morte non è quindi fine assoluta, perché niente si annichila nella materia e il principio vitale che ci anima come non è nato con noi troverà sicuramente altre forme di esplicazione: come la nostra nascita non è avvenuta dal nulla, non sarà nel nulla che ci dissolveremo.-- è estranea ogni forma di lirismo e, tuttavia, una concezione non lontana dalla sua rifiorirà in una delle pagine finali di uno dei maggiori romanzi lirici della modernità, nell'Hyperion di Hölderlin che fa dire alla sua eroina, Diotima: “Noi moriamo per vivere: «Oh, certo, i miserabili che non conoscono se non il ciarpame arrabattato dalle loro mani, che sono esclusivamente servi del bisogno e disprezzano il genio e non ti venerano, o fanciullesca vita della natura, a ragione possono temere la morte. Il loro giogo è diventato il loro mondo, non conoscono niente di meglio della loro schiavitù: c'è forse da stupirsi che temano la libertà divina che ci offre la morte? Io no! Io l'ho sentita la vita della natura, più alta di tutti i pensierie anche se diverrò una pianta, sarà poi così grande il danno? Io sarò. Come potrei mai svanire dalla sfera della vita, in cui l'amore eterno che è partecipato a tutti, riunifica le nature? come potrei mai sciogliere il vincolo che riunisce tutti gli esseri?»  Opere Antologia di scritti, in Dal Muratori al Cesarotti. Politici ed economisti del primo Settecento, tomo V, F. Venturi, Milano-Napoli, Ricciardi, Dodici discorsi morali, storici e politici, T. Cavallo, Sestri Levante, Gammarò editori, Dissertazione filosofica sulla morte, T. Cavallo, Pisa, Ets Vite parallele. Maometto e Mosè. Nazareno e Licurgo, T. Cavallo, Sestri Levante, Gammarò editori, Discorsi morali, istorici e politici. Il Nazareno e Licurgo messi in parallelo, introduzione di G. Ricuperati (check); edizione e commento di D. Canestri, Torino, Nino Aragno Editore, Dissertazione filosofica sulla morte, F. Ieva, Indiana, Milano  Piero Gobetti, Risorgimento senza eroi. Studi sul pensiero nel Risorgimento, Torino, anche in Opere completeSpriano, Torino, Einaudi Franco Venturi, Adalberto Radicati di Passerano, Torino, Einaudi,  Franco Venturi, Settecento riformatore, I, Torino, Einaudi,  Silvia Berti, Radicati in Olanda. Nuovi documenti sulla sua conversione e su alcuni suoi manoscritti inediti, in «Rivista Storica Italiana», S. Berti, Radicali ai margini: materialismo, libero pensiero e diritto al suicidio in Radicati di Passerano, in «Rivista Storica Italiana», J. I. Israel, Radical Enlightenment. Philosophy and the Making of Modernity Oxford, Oxford University Press, passim Tomaso Cavallo, Introduzione a A. Radicati, Dissertazione filosofica sulla morte, Pisa, Ets, Tomaso Cavallo, Le divergenze parallele. Mosè, Maometto, Nazareno e Licurgo: impostori e legislatori nell'opera di Alberto Radicati, introduzione ad A. Radicati, Vite parallele. Maometto e Sosem. Nazareno e Licurgo, Sestri Levante, Gammarò, Vincenzo Sorella, Un partigiano della ragione umana, in «I Quaderni di Muscandia», G. Tarantino, “Alternative Hierarchies: Manhood and Unbelief in Early Modern Europe, in Governing Masculinities: Regulating Selves and Others in the Early Modern Period, ed. by S. Broomhall and Jacqueline Van Gent, Ashgate, ,TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere, M. Cappitti, Le Vite Parallele di Alberto Radicati su blog.carmillaonline. Se poca fortuna ebbe come uomo politico e consigliere di monarchi, non diversa fu la sua sorte di filosofo; e la sua filosofia che ha a tratti momenti di luce viva e che riuscirono a destare interessi e preoccupazioni persino nelli liberi circoli, giacquero come cose inanimate dopo la sua morte, come se questa le avesse private, come il loro autore, di quello spirito vitale che le fa palpitare. E l'oblio scese su di loro, crudele e inesorabile, facendo perdere la conoscenza di la sua filosofia. Infatti il Saraceno pubblicando il « Manifesto» e le due « Lettere » indirizzate, l'una a Vittorio Amedeo II, l'altra a Carlo Emanuele III e premettendo alla sua edizione alcune notizie di carattere biografico e bibliografico, limita, pur credendo di darne l'elenco completo la sua filosofia a quelli saggi da lui pubblicate e a quell'altre contenute nel Recueil edito a Rotterdam. Cat. del British Museum sotto il nome di Thomas Joseph Morgan, il suo traduttore. Più la “History” edita a Londra. Da quel momento, per quei pochissimi che del nostro s'interessarono, le parole del Saraceno furono vangelo, e la filosofia dimenticata scomparvero definitivamente, come non-esistente, dalla sua bibliografìa. La sensazione iniziale di una possibile lacuna nell’elenco della sua filosofia, divenuta certezza in seguito ad alcune notizie rinvenute nel carteggio diplomatico tra l’inviato piemontese a Londra e la Corte di Torino, in cui era fatta la sua parola, mi determinò alla ricerca di questa filosofia sperduta. Quasi del tutto infruttuose furono le ricerche in Italia -- due sole lettere rinvenni all'Ai-, di Stato di Torino --. Fortunate invece all'estero e precisamente alla Biblioteca Bodleiana di Oxford, al British Museum di Londra, ed alla Staats Preusische Bibliothek di Berlino, dimodoché tenendo conto dei nuovi materiali trovati, la sua filosofia risulta in una elencazione definitive. Manifesto di A. I. R. di P. (Archivio R. di P., Castello di Passerano. Lettera del P. a Vittorio Amedeo II. Memoria rilasciata al Marchese d'Aix. Lettera scritta dal conte A. R. di P. a S. M. il Re Vittorio Amedeo lì inserviente di prefazione ai discorsi da lui compilati e che intendeva dedicare alla prelodata Maestà sua. (Ardi. Stat. di Tor., Storia della Real Casa, Cat. terza, Storie pari). Lettera alla Contes. di S. Sebastiano. Lettera del P. a Vittorio Amedeo II. “Christianity set in a True Light” in “XII Discourses Political and Historical. By a pagan philosopher newly converted” (London. Printed for J. Peele at Lockes Head in Pater-noster-Row; and sold by the Booksellers of London and Westminster). “The History of the Abdication of Victor Amedeus II, Late King of Sardinia with his confinement in the Castle of Rivole, Shewing the real Motives, which indue'd that Prince to resign the Crown in Favour of his Son Charles Emanuel the present King, as also how be came to repent of his Resignation with the secret Reasons that urg’d him to attempt his Restauration. On a letter frorn the Marquis de T. . . a Piemonlais now at the Court of Poland; to the Count de C. in London. Printed and sold by A. Dodd without, Tempie-Bar; E. Mutt and E. Cooke, at the Royal. Dell'opera n. 9 ne fa recentemente parola il NATALI, Milano. Royal Exchange ; and by the Booksellers and Pamphletsellers of London and Westminster MDGCXXXII. “A phliosophical [sic] dissertation upon death composed for the consolation of the unhappy, by a friend to Truth” (London. Printed for and sold by W. Mears at the Lamb on Ludgate-Hill). Lettera a S. M. il Re Carlo Emanuele III0 colla quale supplica la prelodata S. M. di voler gradire la dedica della opera da lui composta e già presentata alla fu S. M. il Re Vittorio Amedeo IIC . (Arch. Slato Torino - Storia Real Casa - Cat. Ili - Storie particolari). Twelve discourses concerning Religion and Governement, Inscribed to all lovers of Truth and Liberty by Albert Comte de Passeran, Written by Royal Command, The second Edition” (London, printed for the Booksellers, and at the Pamplet shops in London ad Westminster). Recueuil de pieces curieuses sur les matieres les plus interessantes – Rotterdam, Chez la Veuve Thomas Johnson et Fils - contenente: Dedica a Don Carlos; Factum d'A. R. de P. parce quel on voit les motifs qui l'ont engagé a composer cet ouvrage. Douze Discours Moraux, historiques et politiques, preceduti da una Declaration de l'Auteur, Histoire abregée de la profession sacerdotal, ancienne et moderne a la tres illustre et tres celèbre secte des esprit-forts par un Free-Thinker Chrètien, Nazarenus et Licurgos mis en parallele par Lucius Sempronius neophyte, Epitre à l'Empereur Trayan Auguste, Recit fìdelle et comique de la religion des Cannibales modernes par Zelin Moslem, dans lequel l'auteur declare les motifs qu'il eut de quitter celte abominable Idolatrie, traduit de l'Arabe a Rome par M. Machiavel [sic] imprimeur de la Sacrée congregation de Propaganda fide, con prefazione dell'editore. Projet facile, équitable et modeste, pour rendre utile à la Nation un grand nombre de pauvres enfans, qui lui son maintenant fort à charhe, traduit de l'Anglois. Sermon perché [sic] dans la grande assamblé des Quakers par le fameux frere E. Elwall dit l'Inspirée, traduit de l'Anglois a Londres, au depens de la Compagnie. La religion Muhammedane comparée à la paienne de l'Indostan par Ali-Ebn-Ornar, Moslem epitre a C.inknin, Bramili de Visa - pour traduit de l'Arabe. A Londres au depens de la Compagnie. Notiamo, ora di queste opere le notizie e di caratteri più salienti. Fu edita dal Saraceno, nell'opera più volte citata. Il testo rimane nella sua grafia del tutto immutato, con le inconstanze di scrittura (et, ed; chino e hanno) caratteristiche del filosofo; alquanto mutata è invece la punteggiatura, e gli alinea, la prima più scorretta nel testo originale, i secondi inesistenti nel MS., che corre tutto di seguito. Questa lettera con la quale comunica a Vittorio Amedeo II il suo desiderio di fargli pervenire la cassetta e di cui abbiamo notizia sia dalla lett. del March. d'Aix, sia dalla risposta del March, del Borgo, che c'informa pure del suo contenuto, per quante ricerche abbia fatte all'Arch. di Stato di Torino, non mi è stata possibile trovarla. Questa Memoria inedita si trova all'Ardi, di Stato di Torino. Fu edita dal Saraceno ed è una copia della lettera originale andata perduta. Delle lettere comprese sotto questi due numeri abbiamo notizia da una lettera del Cav. Ossorio al March. Del Borgo e dalla risposta del Del Borgo. Ma non mi è stato possibile poterle rintracciare. Quest'operetta edita, in un elegante Vili0, dopo due anni di soggiorno in Inghilterra, doveva nella mente dell'Autore essere composta di dodici discorsi. Fu edita invece incompleta contenendo solamente un “Preliminary discourse in wich the Author gives a particular account of his conversion” e il Discourse I, “Of the Precepts and Life of Jesus Clirist”. Al primo di essi corrisponde alquanto mutato nella forma e nell'estensione il Recit, contenuto nel Recueil. Al secondo corrisponde invece esattamente il Discorso I. Cfr. Twelve Discourses riprodotto poi integralmente dal Discours, Des Preceptes et des Mrnurs de Jesus Christ, dei Douze Discours, moreaux ecc.editi nel Becueil „. Ritornando al Preliminary discourse abbiamo detto che questo discorso fu riprodotto nelle sue linee sostanziali dal Recit incluso nel Recueil, ma molte varianti, e alcune di valore capitale sussistono fra i due testi. Accenneremo, qui, da un punto di vista generale, le caratteristiche più salienti dei due testi, e la maggior importanza che può avere, da un punto di vista biografico, l'edizione inglese; e infatti, pur essendo quest'ultima mancante dell'introduzione che troviamo nel testo di Rotterdam. L'imprimeur au lecteur judicieux, e della apocrifa Bolla di Benedetto XtlI, le numerosissime note esplicative, che svelano luoghi, nomi e date, la rendono di una importanza capitale per la ricostruzione della vita del filosofo. Senza questa edizione, corredata di note e di avvertimenti, veramente preziosi, sarebbe stato impossibile, per qualsiasi biografo, fare risultare dal semplice testo le notizie importantissime documentanti la conversione del filosofo al calvinismo. L'assenza di note del Recit e l'espressione più attenuata, in taluni punti, del testo inglese costituiscono i caratteri differenziali fra le due edizioni. I titoli dei discorsi annunciati, ma non editi nellla Christianity sono i seguenti: Discourse II: Of the Doctrine and Manners of the Apostles and Primitive Christians. Discourse III: The Christian Religion to the Religion of Nature itself. Discourse IV: What were the Causes of the Corruption of the Christians. Discourse V. Of the Mischief done to Christianity by the great Number of Churches and Ecclesiasticks. Discours VI. By what Means the Bishop of Rome are become Souvereigns of that Capital of the world. Discourse VII: That neither the spiritual nor temporal power of priests is authorized by the Gospel. Discourse VIII. Of the claims, by which the Papal Monarchy has maintained, continues to maintain and will maintain itself, as long as it can make use of them. Discourse IX. Of the evils caused by priests to sovereigns and their states. Discourse X: Of Natural right: Of the origin ond Nature of Government. Discourse XI: Of Religion in General. That all authority Spiritual as well as Temporal belongs, de jure, to the Sovereign; and how Ecclesiastical Affair should be regulated. Discourse XII: Of the Advantage that will accrue to Sovereigns and States, from the Observance of the Rules. Come si può presumere dai titoli i discorsi mancanti non avrebbero dovuto essere altro che quelli contenuti nei “Twelve Discourses” come di fatto prova il primo discorso contenuto nella Christianity del  tutto analogo al primo di quelli contenut i nei “Twelve Discourses” cosa, del resto, ch e si può rilevar e facilmente confrontando rispettivamente i titoli delle due edizioni, che, pur essendo vi qualche tenue variante di espressione, sintettizzano reciprocamente un analogo contenuto. Copia di questa edizione l'ho trovata soltanto al British Museu m di Londra. Di quest’opera falsamente attribuita al Marchese Trivié o ad un certo Lamberti ma che già il Saraceno ed il Carutti avevan o rivendicat a al filosofo, furono fatte numerosissime edizioni. Citiamo quelle che abbiamo potuto rintracciare e confrontar e con l'edizione inglese che possediamo. Anecdotes de l'abdication du roy de Sardaigne Victor Amédée II, ou l'on trouve les vrais motifs qui ont engagé ce prince a resigner la couronne en faveur de son fils Charles-Emmanuel a présent roi de Sardaigne. Comment il s’en est repenti, avec les raisons et les intrigues secretes qui l'ont porte à entreprendre son rétablissement par le marquis de F*** piemontois, à present à la Gour de Pologne; en forme de lettres écrite au comte de G*** a Londres. S. 1. in Vili. Histoire de l'abdication de Victor Amédé e nel volumetto La politique des deux partis, ou Recueil de pièces traduites de l'anglois de Bolingbroke et des Frère s Walpole (la Haye). Con la stessa intitolazione: Génève contenente una seconda lettera da Ghambery, probabilmente pur essa de filosofo. Histoire de l'abdication de Victor Amédée, roi de Sardaigne, Paris, in 4°, erratament e attribuiti dall'Oettinger ad un Lamberti non meglio identificato. L'Oettinger dà una traduzione tedesca dell’Histoire edita a Francoforte. Histoire de l'abdication de Victor Amédée roi de Sardaigne, et de sa detention au Ghateau de Rivoli. Où l'on voit les veritables motifs qui obligerent ce prince d'abdiquer la couronne en faveur de Charles-Emmanuel, son fils, et ceux qu'il eut ensuite de s'en repentir et de vouloir la reprendre. Lettre écrite au Conte de C*** a Londres, par le marquis de Trivié, qui est à présent à la Gour du roi de Pologne, edita nel " Recueil de pièces qui regardent le gouvernement du royaume d'Angleterre, et qui ont rapport aux affaires présentes de l'Europe, traduit de l'Anglois, la Haye. Histoire de l'abdication de Victor Amédée, roi de Sardaigne, Genève, pure attribuita dall'Oettinger al Lamberti. Cfr. OETTINGER, Bibliographie biographique universale, Paris. Histoire de l'abdication de Victor Amédée roi de Sardaigne etc. de sa detention au Ghateau de Rivoli et des moyens qu'il s'est servi pour remonter sur le trone, à Turiu. De l'impremerie Royal. Anecdotes de l'abdication du Roi de Sardaigne Victor Amédée II,  Anecdotes de l'abdication du Roi de Sardaigne Victor Amédée II. Edita sotto il nome di Marchese di Fleury che il Qnerard ritiene pseudonimo di Marchese di Trivié. Histoire de l'abdication de Victor Amédée Roi de Sardaigne ecc. De sa detention au Ghateau de Rivole, et des moyens dont il s'est servi pour remonter sur le trone. Nouvelle édition sur celle de Turin de 1734-, a Londres, 1782. Non abbiamo creduto necessario per quanto il testo inglese rappresenti il testo originale redatto dal P. di annotare le poche varianti che esistono più di forma che di contenuto. N. 9 di questa operetta, che ho trovato solamente al British Museum, catalogata sotto il nome di Thomas Morgan (l'indicazione della bibliografia del B. M. è : " A philosophical dissertation upon Death - Composed for the consolation of the Unhappy (By A. Badicati Count di Passerano translated or edited by John, or rather Thomas Morgan? era data notizia tanto dal Cav. Ossorio, che ne espone in brevissime righe il contenuto e ci avverte che fu causa di prigionia per l'autore e il traduttore, quanto dal Lilienthals, dal Kahl e dall'Henke (1). Completamente dimenticata dai più recenti studiosi del R. compare citata dal Natali senza indicazione nè di data nè di luogo di stampa. Secondo quanto afferma l'Ossorio, l'operetta stesa in lingua italiana dal R. sarebbe stata tradotta da " un de ses compagnons „ " en bon Anglois „ e sotto il nome di questo traduttore, che si seppe più tardi essere, Thomas Morgan essa andò per alcun tempo. N. 10 fu edita dal Saraceno (4) ed è una copia della lettera originale andata smarrita. La scoperta di questa nuova edizione, ricordata in alcune opere Cfr. HENKE , op. cit. loco cit. LILIENTHALS , op. cit. loco cit. FREYTAG , op. cit. loco cit. VOGT , op. cit. loco cit. BAUER : op. cit. loco cit., WAHIUS , op. cit. loco cit. Cfr. NATALI: II settecento. Ove però compare come semplice elencazione bibliografica, senza indicazione nè di luogo di stampa, nè di data. quasi contemporanee, fa cadere l'affermazione che i " Discours „ siano stati stampati per la prima volta a Rotterdam nel " Recueil „, e che quindi sino al 1736 i " Discours „ medesimi siano rimasti manoscritti nelle mani del R. Risulta invece, (poiché posto che esista la primissima introvabile edizione in tutti i casi non la possiamo ammettere edita prima del 1733 per le ragioni stesse che giustificano l'edizione de! 1734) che il nostro si decise a dare alle stampe i " Discours „ dopo aver visto che non sarebbe mai riuscito a dedicarli a C. E. (3), e che di conseguenza dallo stampare o no quanto aveva inviato a V. A. non sarebbe più dipesa la possibilità di ritornare o meno in Piemonte. Comparve in tal modo l'edizione inglese dei " Discours „, la quale messa in confronto con quella di Rotterdam ha dato i seguenti risultati: Mancano nell'edizione inglese la " Dedica „ a Don Carlos (sedizione Rotterdam pag. Ili a pag. X) e il " Factum „ fonte di preziose notizie biografiche (edizione Rotterdam da pag. 1 a pag. 10). mentre che la Declaration de Vauteur „ contenente i motivi che hanno spinto alla compilazione dell'opera, e i criteri seguiti nel suo svolgimento, che nell'edizione londinese occupa dieci pagine (V-XV) e che sotto riproduciamo è ridotta nell'ediz. di Rot. ad una pagina e un terzo. TH E AUTHOR' S DECLARATION . Tho' prefaces are quite out of fashion, I yet hope the benevolent reader will forgive me for making a short declaration concerning the publication of this work , as follows. BAUMGARTEN : Narichten von einer Ilallischen Bibliothec, ENGEL : Bibliotheca selectissima seu catalogus librorum omni scientiarum genere rarissimorum - BERNAE, TRINIUS : Freydenken Lexicon. - Leipzig, und Bemberg, Erster Zugabe zu Freydenken Lexicon, Voi. I, pag. 1098 . MASCH I Beilriige zur Geschichte merkwiirdiger Biicher, Wismar, SCHROCK : Cristliche Kirchengeschichte seil deiReformation - Leipzig  SCHLEGELS : Kirchengeschichte des 18 Jahrunderts, Heidelberg. Il RENOUR D nel suo " Catalogne d'un Amateur  citato dal QUERARD. Les supercheries litteraires dévoillés, Paris, sotto il nome Ali-Ebn-Omar-Moslen) afferma parlando del P: Il n'existe de son Recueil que deux exemplaires sur grand papier, celui de la Bibliotheque du Roi, et le mien „ Di questa edizione, probabilmente in foglio o in 4° grande, (" sur grand papier „) non siamo però riusciti ad averne traccia nè notizia alcuna. Infatti la lettera indirizzata dal P. a CARLO EMMANUEI.E rimase senza risposta. Cfr. lettera, cit. In primis & ante omnia. I do declare that this Work was written at the Command of a great PRINCE, who would be plainly inform'd of all the matters contain'd in it : and as that PRINCE was then reputed to be one of the greatest Politicians of his Age, I was oblig'd to proportionate my Labour to his profound Capacity. So that if I have reveal'd some Religious or Civil Mystery, which had generally been conceal'd, I have methink given a suffìcient Reason for it: However, I have alter'd some Passages and soften'd some Expressions, to make them more intelligible and more agreeable to the Reader. I do solemnly declare, that in all this Work I had nothing in view but Truth, Equity, or Justice: In a word, the Good of Mankind in general; and I flatter my self that all who shall peruse it with candour, shall be convinced of the Rectitude of my Intentions. I do declare, that I have kept dos e throughout this Work to the Doctrine and Morality of our Saviour, occording to the best of my knowledge; and I hope I have not advanc'd anything without good authorities. I do protest before GOD and Men, that whatever is said in this Work concerning the Church or Clergy is to be understood of the Popish Church and Clergy only (who really have long since abandon'd and despis'd the most sacred Precepst of our Blessed LAWGIVER) and not of any other church whatsoever; whose Clergy and Prelates being very humble, vastly charitable, pious, and such utter Enemies to Grandeur and Riches; may justly be stiled the true and only Imitators of Crist's Disciples, and of those primitive good Prelates (*) instituted by the Apostles. (*) See the 54th page of this Book, and you will fìnd what their duty was, and with what Qualities they were endued. Item. I do declare, that I have not her e opposed the superstitious Tenets of the Popish Church ; for this has been so often done ever since the Reformation, and by so many Learned Divines, that it would be vain to attempt it. Besides, Popish Princes little regard at this time wha t is said against Transubstantiation, Purgatory, Confession, Invocation of Saints, and such like; as (pag. X ) things, which ways affect their temporal Interest : so, whethe r these opinions are well or ill-grounded ; whethe r they spring from Heaven, or from Huma n Malice, 'tis no matter. But wer e they to know how prejudicial the Popish Religion is to their AUTHORITY, and to the WELFARE of their several Countries; they then would undoubtedly think upon the proper Expedients to preserve themselves and their Subjects from Ruin ; and this is wha t I have endeavour'd (pag. XI ) to make evident in the ensuing Work . I tlierefore hope it will prove very beneficiai to such Princes, and even be of some service to this Country, particularly at this time, whe n " the Emissaries of Popery (as a worthy Divine (*) has observed) have increased their Diligence in gaining Proselytes, and are now more industriously employ'd in every Corner of our Metropolis than ha s been any time known in the present Age „. (*) Dr. Clarke' s Sermons, pag. 18,  LASTLY, ] declare that I have made use of ali the Reason and Understanding 1 ara master of, to discover (pag. XII ) the TRUTH S contained in the sacred Writings, so hidden and involv'd in Mysteries ; in order that by them TRUTH S I might procure my own Happiness and that of others. I presume I have found them, and for that reason 1 now publish them. But if I have unluckily fallen into any involuntary Error, as I know myself not to be infallible. I earnestly entreat ali the orthodox and eminent Divines of this happy Kingdom, to poiat them out to me, and to convince my Reason by Reason itself, that I may both retract and avoid them. (pag. XIII ) And I farther beg of our SPIRITUAL DIRECTORS that in case they, f'avour me with this salutary Advice, to do it not with Passion and Bitterness, but LAWGiVER ha s expressly commend (*). For nothing is paser, worlliy, and more scandalous; nay, mor e contrary to the very Principles of the Christian Religion, tlian to rad, calumniate, to load with odious Appellations, and persecute those who labour Day and Night to find out the TRUTH, buried as it is in the dark Abvss of Errors and Superstitions. (*) Matth, XVtlI, 21, ete. AFTER having made this plain Declaration, as I know myself to be wholly destituted of Freinds; I hope that the ALIGHTY GOD, whose Powe r is above ali Huma n Artifice and Malice, will protect me against those, that will certainly promote my Destruction, for having openly espoused the Cause of TRUTH and EQUITY. Il Discorso I (Ediz . lond . pag . 1-13 ; Ediz . Rot . pag . 15-26 ) è integralmente riprodotto nella edizione olandese: uniche varianti sono le seguenti : Pag . 2 - in not a Collins è qualificato : 0  great and goodman „ attribut i c h e mancan o nell'Ediz . de l 1736 . Pag . 11 - manc a la not a sul ministr o Jurie u ch e si trov a a pag . 2 4 dell'Edizion e di Rotterdam . Il Discors o II (Ediz . lond . pag . 14-25 ; Ediz . Rot . pag . 27-37 ) è pur e ess o integralment e riprodotto . Unich e varianti : pag . 21 - in not a su Bayl e (cfr. pag . 3 5 ediz . di Bot.) è aggiunt o " and 1 shall not be tought in the vrong for vanking him withe Heliogabalus „. Pag . 24-25 , nota , dop o le parol e " universally observed „ " généralement observées „ pag . 3 7 ediz . Rot.) ch e no n si trov a nell'edizion e del 1736 : " I say universally observed: for wer e there a Society or Republic, however great it might be, that should be inclined to observe the Laws of Gbrist, it would be obliged for their own preservation, to lay aside the laws of Christ, or suffer themselves to be destroyed by following them. - In a word, a Society of true Christians, wer e they as numerous as the whole Empire of China, could no more make head against a single Infide], who had a mind to plunder them, than a hundred thousand Rabbits could make head against a hungry  Lion, that should fall in among them. But if ali Men, without exception, were good Christians, it is most sure they would be exceding happy. For, being without Ambition, Envy and Revenge, nothing would be capable of di sturbing Iheir Quiet - Here on Gonsult - Bayle's Pensées diverses chap. 141 - continuation des Pensées - Ghap. 123 - 124 „. Il Discorso III (Ediz. lond. pag. 26-52 ; Ediz. Rot. pag. 38-60) ò invece del tutto diverso - Cfr. quindi il medesimo riportato in Appendice. Il Discorso IV (Ediz. lond. pag. 53 72; Ediz. Rot. pag. 61-76) è quasi del tutto riprodotto integralmente; però da pag. 63 (dopo le parole " le gouvernement de leur Eepublique „, pag. 69 dell'ediz. di Rot.) il testo prosegue con 2 pagine in più che qui appresso riproduciamo. But they wer e never practised, for, if we carni fully examine the Epistles of the Apostles, we shall find that in effect they ali agreed in acknowledging that the Christian Religion wa s the best, but differed excedingly as to the Principles of it For, Paul proposing to persuade Christians of the Trut h of that Religion, and shew them wherein it consisted, says expressly, and in so many words, that we ar e " not to boast of our good works, but of Faith alone in Jesus Ghrist, for that good works ncither justify, nor save (*); but to him, saith he, that worketh not, but believeth on him that justifieth the ungodly, his Faith is counted for Righteousness (**) and shall save him „. James, on the other hand, in a few words summing up the Essentials of Religion, and not amusing himself with vain disputes, as Paul did, tells us; that " Faith without good woorks will neither justify, nor save „ ; and gives us to' understand that " good works will save us independent of Faith”This Doctrine is highly just and reasonable, and more orthodox than Paul's. For wha t avails it for a man to bellieve that Ghrist dieci to save him, so long as he is cruel, covetous, revengful, and i*) Rom. IV. 5. (**) James II, etc. (***) Rom III. 26, 27, 28. See also Gal lì. 16 {pag. 64) proud? were he not better without that Belief, but good, charitable, and humble ? it is much better for a man to be a Christian in practice without speculation, than to be a Christian in speculation, without the practice; that is, it wer e better being a Savage, who. tho' without any Religion, stili practised the duties of a true Christian, who is resolved absolutely to obey none of the precepts of his Religion, tlio' he firmly believes in its mysterles. This notion, so agreeable to the Justice and Wisdom of God, and Intentions of Ghrist, would be of great advantage to Society, wer e it put in practice. Now it is indisputable that the Apostles, by building Religion upon various. and different foundations bave caused an infinite numbe r of Quarrels and Schisms to spring up in the Christian Gommon-wealth, by whieh it ha s been,  and will ever be tome asunder most assuredly, if it does not lay aside the mysterious, or incomprehensible speeulations of Divinity, and frx wholly to those most holy and simple Tenets, which Christ hath taught us, and are very easy to be observed, being the same as those of Nature, as he himself has told us, saying: " Come unto me, ali ye that labour, and are heavy laden, and I will give you Rest (*). Take my yoke upon you, and learn of me, for I am meek, and lowly in heart, and ye shall find rest unto (pag. 65) your Souls. For my yoke is easy, and my burden is light„, and not grievous and insupportable, like that of cruel and ambitious men. (*) Mat. Xt. 28, 29, 30. Il Discorso V (Ediz. lond. pag. 73-92; Ediz. Rot.) è riprodotto integralmente. Notiamo soltanto che a pag. 80, in nota su S. Cipriano dopo la parola " aucupari „, il testo segue: " Non in Sacerdotibus Religio Devota, non Ministris fides integra, non in operibns misericordia, non in moribus disciplina; sed ad decipienda corda simplicium callide fraudes, circumveniendis fratribus subdolae voluntates - Cyprian de Lapsis „, mentre è mutilo alla medesima parola “aucupari” nella Edizione di Rotterdam. Il Discorso VI (Ediz. lond. pag. 93-124; Ediz. Rot. pag. 95-123) è riprodotto nell'Edizione Olandese fedelmente. Il Discorso VII (Ediz. lond. ppg. 125-144; Ediz. Rot.) è riprodotto quasi del tutto integralmente. Uniche varianti sono: Pag. 129 nota (dopo le parole " alors soni fausses „ pag. 128 Ediz. Rot.): " See what Bayle Says in his Pensées diverses, eh. 49, et Contin. des Pensées diverses eh. 47. in arder to shew how ridiculous it is lo enquire whant a thind is, before we have examined whether it really exist „. Pag. 138 manca la nota della pag. 136 ediz. Rot. la parola “religion” è tradotta nelle due ultime righe di pag. 139 dell'Edizione Rot. con " Superstition „. Il Discorso Vili (Ediz. lond. pag. 145-164; Ediz. Rot.) è riprodotto nell'Ediz. Olandese fedelmente. Il Discorso IX (Ediz. lond. pag. 165-188; Ediz. Rot) è riprodotto quasi del tutto integralmente. Uniche varianti sono: Pag. 166 manca la nota Ediz. Rot. Pag. 186 manca la nota " cependant ces Emissaires „ di pag. 180 81 dell'Ediz. Rot. Il Discorso X (Ediz. lond.; Ediz. Rot.) ha subito una restrizione nelle pagine 189 a 200 ridotte nell'Ediz. Olandese a sole cinque; riproduciamo qui di seguito il testo inglese. By natural right (ius naturale), I mean the faculty given by nature to each individual, whereby each of them is forced or determined to act, according as he finds it necessary for the preservation of his own being. All animals are forced by nature to eat, drink, sleep, etc. Therefore it follows, that they eat, drink, and sleep of natural and absolute right, when they stand in need of them. In the same manner, fish being by nature determined to swim, and the greater to devour the smaller, consequently they enjoy water by natural right, and the greater by the same right devour the smaller. Thus, birds are determined by nature to fly, and by consequence possess the air by natural right, and birds of prey by the same right feed upon the tame. For it is most certain that Nature considered in the general, has an unlimited right over every part of herself: that is, this right extends as far as her power extends, so that every thing that she can do is lawful for her to do. For the power of nature is the very same as that of God, whose right is eternal, and consequently unalterable. Now as the power of nature is the same with that of every individual who make up that Nature, without exception, it follows, that the right of no one is limited, but extends as far as the strength and industry that nature has bestowed on them; and as it is a general law for all beings, that each of them in particular shall perpetuate his kind, as far as lies in his power, without regarding anything save his own preservation. it follows, that the natural right of every indivual is, to subsist and act to that end according to the power which nature has given him. In this state man is not to be distinguished from the rest of natural beings, no more than the words, reason, or wisdom, and folly; virtue, and vice; honest, and dishonest, just and unjust are, etc. Wherefore there is no difference between the wise and the foolish, the virtuous and vicious; for every individual has a right to act according to the laws of his constitution or organization. that is, according as he is determined by nature to such and such a thing, without being able to act otherwise. So that considering man under the empire of nature, as unacquainted with what philosophers call reason, or virtue; and not having acquired a habit of either, they have, I say, as much right to life in pursuing the dictates of their appetite, as they have that live according to the laws of reason, virtue, and justice, with which they have conneted their ideas. That is, that, as he who is called wise in society has a right to do any thing that is dictaded to him by reason, and to live according to the light of it; so the ignorant and foolish man in the state of nature has a right to every thing his appetite suggests, and to live according to its dictates. For, according to the apostle’s opinion before the law, or in the natural state of man, no man could sin. Rom. 4. V. 15.  It is not then the business of that reason, or justice, to regulate the right of nature, but of the desire or strength of every individual. For, so far is nature from determining us to live according to the law and rules of this reason, that, on the contrary, notwithstanding education, and the penalties appointed in order to natural impulses. Such is the power of nature. New as we are obliged, as far as in us lies, to preserve our natural being, so we cannot do it but by acting in obedience to the laws of appetite, since nature denies us the actual use of that reason, and none of us are more obliged to live according to the rules of good sense, introduced among us by the civilised part of mankind, than an ant is to live according to the nature of an elephant. From whence it follows that, in the state of mere nature, we have a lawful right (ius iudicatum) to all things whatever without exception, because nature has given all to every man, and may use it without a crime, if we can get it, whether by force, or cunning, by entreaties, or threats, so far as to look any one as enemy, who hinders, or endeavours to hinder us from satisfying our appetite. Therefore, by natural right, an animal may wish for whatever he pleases, and do whatever is in his power to support his own individual, or satisfy his inclination. However we are not to imagine that so unlimited a liberty can produce any great disorder amongst animals of the same kind, as many have thought, because nature has previded them necessaries in abundance; upon which foot, they can have none, no, not thel esst dissension among them, as I have Lions, Wolves with Wolves. Foxes with Foxes, Eagles with Eagles, and so all other species who are in the state of nature. It is to be owned indeed that *discord*, not con-cord, envy, and an implacable hatred reign between one species and another. And this would in reality be a great defect and imperfection in nature, if her wisdom consisted in making an animal happy for ever. For, upon such a supposition, the pidgeon would have reason to complain of nature for not bestowing upon him a sufficient strength to defend himself against the eagle. A hare mìght make the same complaint as to a wolf; and he again as to the lion. But each complaint would be unjust. For, Nature granted an animal his life but for a certain limited time, which is an effect of her infinite goodness, to the end that every being may succeed one another, and enjoy her benefits. Which could never be, if an animal, once alive, were to be immortal. Therefore, since he must necessarily die to make room for another, it imports little whether he dies in this or that manner. Nay more, I insist that a pidgeon that is the eagle's prey, and the wolf that is the lion’s, are happier than the eagle or lion that have devoured them. For his death is sudden, and his pain short, whereas the Eagle and Lion, languish and suffer long before they die, if they die a natural death. Besides, a Lion or an Eagle may at his death complain of nature's injustice, by making him the prey of innumerable and invisihle animals, that lodge in their bones, and throughout their whole bodies, which  feeding upon the best and finest substance in their blood, and wasting alt llieir animal spirit, kill him without mercy. For, those invisible animals that kill not only a lion, but a man too, and every beast that dies of a natural death has no more thought of the mischief they do in feeding upon their blood, than a lion or a man when he kills another animals for food without mercy, they having ali a power to do so by an absolute and natural right. An animal therefore, far from complaining, tough constantly to thank Nature for her infinite justice and goodnes to him, in giving them a limited life only. For, had she created him immortal, she had shewed herself exceeding cruel; considering we are all assured there is no condition of life, however happy, but what at last grows rneasy and burthensom. As we see by those, who having passed most of their time in the polite world, are desirous of retiring, and leading a private life in the country; so he that lives in solitude, often longs for the pleasures of the world; and lastly, he that has long enjoyed bolli, grows tired and out of humour with them, and wishes for a new life thro' death. Now since an animal is tired of life, he may be perpetually diversifying his pleasure, considering the short date of his life; what would it be, were they to live for ever, without ever varying the pleasures they (See the account of the Strulbrugs in Gulliver's Travels. Part 3) had tasted in the first fifty years of life? Nay, how justly might not they complain, who drag an uneasy languishiug life from the infirmities to which they are subjects, or who perpetually groan under the yoke of another animal, who makes himself no uneasiness in making him miserable, in order to gratifiy his appetite? Every animal therefore ought to look upon death as the most signal blessing he has received from the hands of Nature, and as the effect of her incomparable wisdom; Death putting an end to their pain, aud making them equal with his tyrant. What I have been now saying ought to surprise no man, since Nature is not confined within the bounds of reason, or the instinct of an animal; for the word Nature, of which an animal is but as so much a small point, means an infìnity of other things that relate to an eternal order, and that inviolable law, which gives being, life, and motion to all things. So that what seems ridiculous, unjust, or wicked to an animal, and above all to a man, appears such only because we know things but in part, and because we cannot have an exact idea of the ties and relations of nature, we not comprehending the immense extent of her wisdom and power. Whence it preceeds, that what reason sets before us as an evil, is far from it in regard to the order and laws of universal nature, but only in regard to those of our own. This supreme natural right, which every animal enjoy, exclude not moral good and evil, which is really to be found in the state of nature. I call “morally good” any action of an animal tending to the preservation and propagation of his own individual or his species, for he is then performing their duty, by aiming at the end, proposed by Nature in their Greation. On the contrary, I cali moral evil ali those actions of Animals, that are either in the whole, or in part contrary to those notions, or sensations that Nature has implanted in each of them, that they may perceive and know what is proper for their subsistance, and for perpetuating their Species as far as in them lies. Allwise Nature, the tender mother of ali Animals, not satisfied with impressing on their mind those notions, has always affixed a proporlional recompense to moral good, and a like punishment to moral evil, to the end that ali Animals may chuse the one, and avoid the other with pleasure. Not that she had any occasion to setlle such rewards and punishment in order lo be obeyed; for, as she is Almighty, she well knew she should be obeyed, as she is in fact by ali except one Species, which is Man. And it was for them se appointed them, because knowing they had several cavities in their brains fdled with animai spirits, which by a high fermentalion would so heat their imagination, as to make them fall into a sort of madness, on Delirium. Nature, I say, to bring them back from their wandring, has thought lil severely to punisti them, whenever they swerve from their duty and act agreeably to the false notions with whict that madnes inspires them, which notions tend to the destruction of their own individuai, and to make their Species unhappy. I will explain my self. It is well known, that ali Animals, except Man, act according to the notions infused into them by Nature, commonly called Instinct, for instance, knows its proper food, and the actions to be performed in order to live in health, and perpetuate its Species. Consequently to these notions it acts, by chusing at first such places as are agreable to it: some live in Marchs, some in the Fields, some in the Plains, and others on Hills; some swim, other crawl, and in short, some, called amphibious, live bo!h on Land, and in Water. Ali these Animals perceive what they are to do in order to subsist Wherefore they eat, drink, and make use of their females, when they have occasion ; mor did, or do, any one of them ever force itself to eat, or drilli or enjoy its females, when it was satisfied; nor did ever any of them ever voluntarily refuse to eat, drink, or make use of their females, whenever Nature required it; thus by denying themselves nothing necessary, and by never forcing themselves to do what is beyond their strength, they lead a healthy and a happy life. But this is not the case of Mankind. For, tho' they pretend to a greater share of wisdom and reason than other Animals, their actions shew they have less than the rest of them ; some thro' excessive folly eating and drinking when they are neither hungry, nor dry, so far as lo bring distemper upon  and kill Ihemselves; and forcing themselves upon venereal pleasure when they are exhausted, is so much as to destroy themselves : Others from a contrary madness, denying themselves meat, and drink, and the enjoyment o' Women, and dragging a miserable life, consume and pine away. Thus by not allowing Nature what she absolutely requires, or forcing her beyond her strength, they are guilty of real moral evil, from whence the Physical takes its rise, which cruelly torments them their whole life time. Anolher madness, to which Mankind are subject, is Avarice, which puts Men upon perpetually heaping up riches, without making any use of them, for fear of wanting; so that the Miser not only makes himself miserable, but greatly contributes to the misery of others. There is stili another kind of madness, called ambition, that lords it over Man, which puts most Men upon depriving themselves of what is really necessary to life, for Ghimeras, that are entirely useless and superfluous to them. The ili effects of this last folly have not stopped there, but produced the greatest disorders amongst Men, and made theme more unhappy than alt other Animals. For, it has happened, that some of them thinlcing themselves better than others, have endeavoured to get above them, appropriate to themselves what belonged to the rest by Naturai right, and make their companions their slaves. which by the opposition they have found, has occasioned tumults, and civil Wars. These different Phrensies that have taken possession of the minds of Men, and that have in ali times scattered trouble and confusion amongst the race of Men, have from time to time obliged wise Men (who made use of their reason in order to preserve themselves from falling into that sad and terrible Delirium to which they were liable) to admonish the rest with a view of reclaiming them from their errore ; and those admonitions had sometimes so good an effect, that a whole Nation perceiving anddetecting their Frenzy, voluntary submitted to the decisions of those wise Men, and each Man, renouncing and disclaiming his naturai right, promised obedience to them, upon condition that they on their side should always endeavour to make that Nalion happy. This was the rise and formation of Aristocratical Government. Da pag. 200 in poi (pag. 186 Ecliz. 1736) il test o corrispond e esattament e nelle du e edizioni; salvo le lievi differenz a qui sott o notate . Pag . 207 - i puntin i di quest a edizione son o son o sostituiti nell'edizione olandes e (pag. 102) " le coeur de Nobles en àrbitraire ou absolu „. Pag . 22 3 : mancano le ultime due righe del testo di pag. 20 6 ediz. Rol . 11 Discorso XI (Ediz. lond. pag . 224-248 ; Ediz . Rot.) Titolo : "Wherein it is proveci that religion was introduced into Society by legislatore, in order to give a sanction to their laivs; and that consequenty ali sacred and civil authority belong de jure to the Prince „.  Le pagine 224 e 236 costituiscono, in confronto dell'edizione olandese, una parte del tutto nuova, e corrispondente alla prima parte del titolo, che difatli non si trova nell'Ediz. Rot. Diamo un breve riassunto di queste pagine, che non parve necessario trascrivere integralmente. Il R. così comincia: My design then in this Discourse is to make Princes sensible that Religion was institued by legislators, in order to give strength and credit to their Laws, and that Sovereign Princes, having the administration of civil Laws, ought by consequence too have that of Religion; and thereby 1 propose tvvo benefits. Tho first to Princes, by joining the sacred and civil authority in one, and the second, to the People, by rescuing the from the Tiranny of Priests. This then is what the most celebrated Historians teli us concerning the Establishment of Religions „. A dimostrazione di questa tesi, l'intera pagina è dedicata ad una di citazione Diodoro Siculo, libr. I pag. 49, Ediz. Han.; l'inter pag. 227 ad una citazione di Strabone, Geograph. libr. 16 pag. 524, ecc.; indi dicendo di non voler citare anche Plutarco, Polibio, Erodoto e Livio, il R. procede a citare " a Zaeloux and Leavned Jew „ cioè Flav. Joseph, contra Appion. libr. 2, pag. 1071 - Edit. 1634, in fol., e " a very candid popish Priest „ (pag. 230-235) è cioè Gharron, of Widson, book 2 eh. 5. In nota a pag. 235, così meglio identifica il Gharron : " Ile was Canon and Master of the School of the Church of Bordeaux - He lived in Montagne's time, and ivas his intimate freind - See Bayle's Did. Artide, Charron „. E con tutte queste citazioni la dimostrazione è raggiunta: " Wherefore 1 may be allowed to say without any impietg, that lleligion might be subject to the Prince, to Religion „ (pag. 235). Dopo di che da pag. 236 a 248 continua con la seconda parte, che corrisposde all'intero Disc. XI dell'Ediz. Rot. Unica differenza è che la nota a pag. " See in the life of Peter, late Czar of Moscow how be wisely reduced the high Priest's exorbitant authority io his own power „ è estesa nel testo a pag. 211 dell'Ediz. di Rotterdam. " Enfin chacun fait toutes les autres nouveautéz „. Il Discorso XII (pag. 249-271 Ediz. lond.; Ediz. Rot. pag. 211-238) è riprodotto integralmente, ed unica differenza è data dalla mancanza a pag. 259 della esistente nell'Ediz. di Rot. a pag. 228. N. 12: Abbiamo già parlato a proposito del N. 11 degli scritti " a-b-c „ contenuti nel " Recueil „ ed a proposito del N. 7 dello scritto " f „ ed abbiamo notato come la loro prima comparsa, eccettuato per il " b „, sia avvenuta in lingua inglese, e quali cambiamenti abbiano subito nella loro ultima redazione francese.  Notiamo invece per le operette " d „, " e „ che il testo dato dal " Recueil „ deve presumibilmente essere l'unico lasciato dal P. ; nè infatti abbiamo trovato di esse ediz. inglesi, anteriori o posteriori al 1736, nè elementi o prove che suffraghino questa possibilità; potrebbe essere presumibile che queste operette scritte dal R. ancora in Inghilterra e forse già pronte per essere tradotte, siano rimaste a noi nel loro testo originale per la fuga del P. in Olanda, oppure che compossle in Olanda, non avendo più possibilità di trovare un traduttore, le abbia conservate e poi edite nella loro lingua originale. Lo scritto " g „ è la traduzione dell'operetta analoga dello Svvift: " A modest proposai for preventnig the children of poor people in Ireland from beìng a burden to their parents or country, and for making them beneficiai io the publick „ (1). Non esiste tra le due edizioni alcuna differenza, che possano mutare lo spirito del testo originale le due uniche varianti che abbiamo notato sono; l'introduzione a pag. 369 del " Recueil „ della parole: " Gastigat ridendo mores „ immediatamente dopo il titolo, e omesso dall'originale; e la sostitutuzione della parola " Spain „ del testo inglese, con la parola " Rome „ della versione del R. pure a pag. 369. Fu fatta nel 1749 a Londra una ristampa di tutto il N. 12 (" Recueil de pieces curieuses sur le matieres les plus interessantes par A. R. comte d. P. a Londre) ma dall'esame di questa nuova ediz. posseduta dalla Bib. Querini-Stampalia di Venezia, è risultata l'identità, persino negli errori di stampa coll'ediz. di Rotterdam. N. 13-14 formano nell'Ediz. originale un volume solo, senza titolo generale, con pagine numerate progressivamente (da 1 a 47 il testo n. 13, da 49 a 104 il testo n. 14). L'attribuzione di paternità al R. del primo di questi opuscoli, e convalidata non solo da quanto afferma il " Dictionary of National Uography „ edito dal Leslie Stephen, il Querard ed il Barbier, ma dalla rispondenza che questo opuscolo ha con il Discorso III dei " Twelve discours „. Notiamo le principali variati: Pag. 2: " peché originai „ manca la nota del testo ing. Pag. 4-, nota 2: manca la cit. del testo ingl. ; pag. 5, nota 1 e 3: manca il (1) Cfr. op. cit. in: The Works of Jonathan Swift, London MDCCLX, V, IV, pag. 66-77 . (2) Cfr. Dictionary of national biography, edited by LESLIE STEPHEN , sotto 'Elicali.’ Cfr . QUERAR D op . cit . Col . 1231 , T III. Cfr. BARBIER : Dictionaire des onorages anonymes etpseudonym.es - Paris, 1827 > T . III . N . 16186 .  commento e la cit. del testo ingl.; pag. 8, nota. 1, mancal a cit. del testo ingl.; pag. 10: " vòtre pere celeste „ manca la nota del testo ingl.; pag. 11, nota 2: manca la nota del testo ingl.; pag. 12 nota 1: manca il lungo commento del testo ingl.; pag. 17 " ces Docteurs „ il testo ingl. ha “our Priest” e nota 2: manca la cit. e il comrn. del testo ingl.; pag. 18 " vous dis-je mes Frères „ manca nel testo ingl.; pag. 19 nota 1: manca la cit, del testo ingl.; pag. 21 nota 2: manca la spiegaz. esistente nel testo ingl.; pag. 22: "et comment auroit-il mieux „ manca la nota del testo ingl.; pag. 26: " Amerique „ manca la nota del testo ingl.; pag. 27 e 28 sino ad: " Enfiti temoin... „ mancano nel testo ingl.; pag. 32, nota 2: manca il lungo coni, del testo ingl.; pag. 24 nota 2; manca la citaz. del testo ingl.; pag. 35: " les hommes hereux „ manca nel testo ingl. la nota corrispondente; pag. 38 dopo le parole " ... leur dependence „ manca quasi l'intera pagina 47 del testo ingl.; pag. 40: " mes cheres Frères „ manca nel testo ingl.; pag. 4 nota 2 : differisce dalla rispondente nel testo ingl.;: l'ultimo periodo (“l'esprit... vrais Quakers”) manca nel testo ingl. In merito al N. 14 l'attribuzione di esso al R., è affermata dal Querard (1) e dal Barbier (2) che svolgono lo pseudonimo Ali-EbnOmar con il nome del R., è confermata dal fatto che a pag. 100 dell'operetta in una nota l'autore citando se stesso rinvia al " Discorso Ili „ dei “Twelve Discourse” e tale attribuizione, per ambedue, N. 13 e 14, sostengono pure lo Henke, il Lihienlhals, il Freytag (3). Anzi a proposito di quest'ultimo che viene ad affermare che spesse volte l'opera n. 13 viene seguita dalla n. 14 con un seguirsi di pagine progressivamente numerate (tale è l'ediz. da noi esaminata), come facenti parli del " Recueil „ edito a Londra e Rotterdam nel 1736, facciamo rilevare come ciò non risponda a verità. A parte la confusione dell'ediz. londinese del “Recueil” con l'ediz. Olandese, tanto nell'una che nell'altra non troviamo stampate le operette di cui si tratta, nè infatti potevano essere incluse nell'ediz. del 1736 essendo venute alla luce la prima volta nè nell'ediz. del 1749, che riproduce esattamente la precedente, nè possiamo considerare questa ediz. dell'operette, che abbiamo esaminata, come stralciata dal volume del 0  Recueil „ stante la appariscente diversità dei caratteri di stampa. Come mai esse siano state edite a Londra, mentre già da quattro anni almeno si trovava in Olanda, non siamo in grado di dire: forse trovate fra le sue dopo la sua morte e fatte stampare da qualche suo amico nella capitale inglese? e allora non perchè a Rotterdam dove era già uscito per i tipi della Ved. Johnson il “Recueil” più volte citato? Sono questi tutti interrogativi che ci poniamo senza avere la possibilità di potere rispondere, per mancanza di documenti che giustifichino una ragione piuttosto che un'altra; e questa è un'altra lacuna nella perfetta conoscenza della vita del R. Cocconato. Keywords: implicature della morte. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cocconato” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692059125/in/photolist-2mKRjfH

 

Grice e Coco – mutuale prevalente – filosofia italiana – Luigi Speranza (Umbriatico). Filosofo. Grice: “Typically, while in the Italian North, Conte can play with words, in the Italian South, Coco must work for the workers! Is conversation a work? I think so – lavoro – In the ‘codice civile’ or rather the ‘codice’ of the civil laws – there is a section on ‘lavoro’, and a title on ‘co-operativa’, short for ‘cooperative society’ – This is all due to Coco – It sounds slightly fascist, and he did write a little tract with ‘fascist’ in the subtitle! – Coco is a performativist, so he understands that ius must ‘constitute’ and define: so he goes on to analyse what I’ve been analysing too – what is to cooperate – in a common task or ‘lavoro’ – what is ‘mutuality’ – what are the requirements for mutuality, and so on – It’s not as legalese and boring as it sounds! And it provides a framework for my pragmatics – since a lawyer, and especially a Griceian one, can be VERY SMART! Coco is!” --  Dal punto di vista sistematico molto vicino alla visione del grundnorm, teoria da Kelsen.  Si laurea a Napoli. Sostituto procuratore del Re a Cassino. La Regia Procura di Roma. Procuratore Generale presso la Corte d'appello di Roma. Fondatore dell'Ufficio del Massimario. Insegna a Roma. Noto soprattutto per aver partecipato ai lavori di stesura del nuovo codice civile italiano nonché del codice di procedura civile, entrambi entrati in vigore nel 1942. Si occupa prevalentemente della stesura di leggi in materia del contratto, obbligazione, e diritto del lavoro. Altre opere: “Gli eclettismi contemporanei e le lezioni di filosofia del diritto” (Lagonegro, M. Tancredi & Figli); “La filosofia del diritto”; “Una quistione di diritto transitorio in tema di farmacie” (Milano, Società Editrice Libraria); “Sull'ultimo capoverso dell'art. 375 del codice penale” (Milano, Società Editrice Libraria); “Luce di pensiero italico nelle tenebre della guerra” (Cassino, Soc. Tip. Ed. Meridionale); “Per la tradizione giuridica italiana” (Milano, Società Editrice Libraria); “Saggio filosofico sulla corporazione fascista” (Roma, Edizioni del diritto del lavoro); “Sulla costituzione di parte civile delle associazioni sindacali” (Roma, Edizioni del diritto del lavoro); “Corso di diritto inter-nazionale (recensita da Santi Romano, seconda edizione riveduta ed ampliata, Padova, CEDAM); “Intorno alla pre-giudiziale penale nel giudizio del lavoro” (Roma, U.S.I.L.A.); “Raffaele Garofalo” (Napoli, SIEM); “Il contratto collettivo di lavoro e la impresa cooperativa” (Roma); “Una inchiesta sulla criminalità” (Napoli, SIEM). Annuario Camera dei fasci e delle corporazioni. Rivista penale. Rassegna di dottrina, legislazione, giurisprudenza, Roma, Libreria del Littorio, Rivista di diritto pubblico. La giustizia amministrativa,  Roma, Società per la Rivista di diritto pubblico e la Giustizia amministrativa, Una vita per il Diritto Giusto, La giustizia penale. Rivista critica settimanale di giurisprudenza, dottrina e legislazione, Società editoriale del periodico La giustizia penale, Tale trasferimento avvenne per via di un suggerimento pervenutogli al Re dagli allora procuratori presso la Corte d'appello di Napoli Salvatore Pagliano e Giacomo Calabria.  La giustizia tributaria. Dottrina, giurisprudenza, legislazione, Città di Castello, Società tipografica Leonardo da Vinci. Cfr. Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, Cfr. Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, La scuola positiva. Rivista di diritto e procedura penale, Milano, Vallardi. Iniziò la sua carriera a 24 anni e nel 1906 fu nominato pretore di Lagonegro. Quattro anni dopo divenne pretore di Moliterno, per assumere in seguito le funzioni di sostituto procuratore a Cassino. Venne trasferito a Roma presso la Procura. Oltre vent’anni dopo, fu Presidente di sezione della Corte Suprema di Cassazione, oltre che Professore di Filosofia del diritto. Dotato di una solidissima dottrina e di un rigorosissimo lavoro applicativo,  partecipa ai lavori per la stesura del nuovo Codice Civile e del  Codice di Procedura Civile. Cura vari aspetti dell’allora nuova normativa: contratto, obbligazione, diritto del lavoro. Una delle sue grandi doti fu quella di riuscire a non farsi condizionare dal regime dell’epoca. Non accetta la candidatura in Parlamento offertagli dai suoi conterranei della Calabria.  “Una Vita per il diritto giusto” si lascia leggere con piacere, in diversi passaggi si incontreranno i tratti che lo hanno contraddistinto come uomo,  come magistrato e giurista, troveremo, inoltre, la sua attività di ricerca e di elaborazione teoretica, il tutto in un arco temporale di oltre quarant’anni. Sotto il profilo sistematico si accosta alla visione di Kelsen per quanto riguarda l’ordinamento e le codificazioni, nonché, proprio per la ricerca e per l’identificazione di una grande norma fondamentale (grundnorm). Dal punto di vista epistemologico, rappresenta la condanna dell’ideologia e della prassi delle scomposizioni in una galassia di frammenti superficialistici. Lo sguardo al pensiero Coco ci consente anche di sottolineare la sua analisi critica, egli non si ferma alla semplice stigmatizzazione della responsabilità oggettiva nei confronti del singolo. Prende spunto da queste aberrazioni per sottolineare come all’accanimento contro la condotta individuale della persona fisica non corrispondesse eguale severità verso gli atti illeciti e dannosi della pubblica amministrazione. Proprio negli anni ‘30 scrisse “la responsabilità della pubblica amministrazione”.  -- è stato anche filosofo e storico al tempo stesso. Un’uomo molto impegnato nel suo lavoro che ci sembra doveroso ricordare. Dal padre, persona di cultu­ra, ricevette  i primi  rudimenti  di storia, letteratura, e filosofia, che si ritroveranno, succes­sivamente, in taluni suoi saggi filo­sofici su Aquino. Iniziò la carriera giudiziaria a soli venti­quattro anni e ottenne la nomina a  Pretore di Lagonegro. Divenne Pretore di Moliterno, per assumere successivamente le funzioni di Sostituto Procuratore del Re a Cassino. Trasferito a Roma , presso quella Regia Procura , col viatico di rapporti ol­tremodo favorevoli e lusinghieri dei Procuratori Generali Pagliano  e Calabria  della Corte d’Appello  di Napoli,  dove  vi  permarrà per passare alla Procura Generale presso la Corte d’Appello. Ottenne  la nomina a Procuratore Generale del Re presso la Corte d’Appello di Cagliari, ma non ne assumerà di fatto la titolarità. Chiamato, invece, a presiedere il Tribunale Supremo delle Acque, era Presidente di Sezione della Corte Suprema di Cassazione. Il giornale  “Il  Tribunale”, pubblicazione mensile  edita a Roma, lo sa­luta a tale nomina. È della nostra famiglia, di quell’aristocratica famiglia giornalistica, alla quale non disdegna di apparte­nere, nonostante  l’altissimo  grado che ricopre nell’ordine giudiziario, oggi lieti di salutarlo, insieme con quello forense, Presidente di Sezione della Suprema Corte. Noi lo abbiamo visto nella Corte di Cassazione sin dagli anni ormai lon­tani della sua felice unificazione. E stato, infatti, tra i fondatori e promotori di quell’Ufficio del Massimario che raccoglie il vasto e prezioso materiale giurisprudenziale  della Suprema Corte. Non appena conseguita la promozione al grado IV°; ha ricoperto la carica di Consigliere, partecipando attivamente alla fun­zione giudiziaria di così eminente consesso. Ci asterremo, di proposito, da ogni aggettivazione che non sa­rebbe di buon gusto né riuscirebbe gradita al nostro Amico e collaborato­re; non possiamo, peraltro, esimerci dal ricordare fra le benemerenze e il titolo di Professore di Filosofia del Diritto nel­la  Scuola di Perfezionamento di Diritto Penale né l’altro, per  noi particolarmente  caro, di Redattore Capo della    Rivista di Diritto Pubblico. La  recente nomina, se indubbiamente  costituisce un nuo­vo riconoscimento dei meriti di così eletto Magistrato, rappresenta però un onere, che si aggiunge all’onore di così ambita carica. Ma l’accoglierà  di  buon  grado, assolvendo anche dal nuovo seggio presidenziale le delicate  funzioni giudiziarie, alle quali porta il va­lido contributo della sua competen­za, ma soprattutto una grande se­renità ed equanimità. Riguardo ai meriti  illustrati dall’articolo dell’epoca, c’è da dire che il suo cursus honorum non è stato caratterizzato soltanto da so­lidissima dottrina e da rigorosissi­mo lavoro applicativo, ma anche dalla partecipazione costante all’e­voluzione dell’ordine giudiziario, e tappa importante in tale attività, fu la Sua nomina a membro del Consiglio Superiore della Magistratura, ossia dell’organo po­litico e politico-amministrativo, anche se in base alla legislazione dell’epoca il Consiglio Superiore della Magistratura non aveva ancora il potere e l’importanza che la Costituzione e la successi­va normativa di attuazione gli die­dero. Ancora, circa la indicata fondazione del Massimario civile della Corte di Cassazione Unificata va detto che Lui effettivamente fu tra i principali ideatori; era, quello, un periodo di grandi innovazioni, perchè all’atto dell’Unità d’Italia, oltre alla Corte di Cassazione di Torino esistevano quella di Firenze nonchè le due Corti Supreme di Giustizia di Napoli e di Palermo (che assunsero anch’esse la denomina­zione di Corte di Cassazione). Con la legge, vennero soppresse le Corti sopra indicate, mentre quella di Roma fu trasfor­mata in Corte di Cassazione del Regno. Fu titolare dell’insegnamento di Filosofia del Diritto presso la Scuola di Perfezionamento in Diritto Penale dell’Università di Roma “La Sapienza”. In questo ambito, svolse attività accademica per quel periodo che vide la Scuola annove­rare i più bei nomi della dottrina penalistica italiana, le cui teorie risultano, ancora oggi, alla base della trattatistica più importante. Altro aspetto rilevante della sua eccezionale figura di giurista, come si rileva da un saggio del nipote dell’alto Magistrato, che porta con orgoglio lo stesso nome, il Professore Nicola Coco, dell’Università di Roma “La Sapienza”, è costituito dal coerente ri­ferimento alla legalità, cioè allo stato e all’ordinamento giuridico quali unica garanzia di contratto sociale. Per questo, il periodo che va  dal  primo  dopoguerra all’ av­vento del fascismo, costituisce una parentesi temporale di efficace  e prorompente elaborazione delle basi di quel diritto del lavoro e sin­dacale, o “giuslavorismo”, costi­tuendo davvero una novità assolu­ta nelle scienze giuridiche del tem­po. Così, quando si verificheranno gravissime crisi socio0eco­nomiche che metteranno a rischio l’assetto della produzione, la poli­tica e i sindacati troveranno i loro punti d’incontro nel noto  Statuto del Lavoratori, una ri-edizione ag­giornata delle linee guida tracciate, agli inizi del “secolo breve”, dai primi “giuslavoristi”, tra i quali ap­punto Coco. Altro aspetto qualificante del giurista è l’aver concorso alla stesura del Codice Civile, ai cui lavori preparatori, dai Ministri Solmi e Grandi (che è il sottoscrittore anche del Codice di Procedura  Civile, emanato anch’esso, furono chiamate le più belle e fertili menti di magistrati e giuristi. Cura vari aspetti della normativa (il contratto, l’obbligazione, diritto del lavoro), tant’è, che nell’immi­nenza della promulgazione, il Ministro Dino Grandi gli inviò una lettera personale di ringraziamento per il prezioso contributo offerto per il Codice. L’ultima parte della sua vita coincide  con  l’immane  conflitto mondiale, con la guerra civile e con la scia di vendette e iniquità che ne conseguirono. Dopo la fuga del Re e la costituzione della Repubblica Sociale Italiana, viene invitato ad assumere la Presidenza della Corte di Cassazione trasferitasi a Brescia e fors’anche la carica di Ministro Guardasigilli, ma egli fermamente rifiuta. Ebbene, nono­stante tale ferma presa di posizione nei confronti del regime fascista, sulla base di taluni articoli che ave­va scritto su “Il Messaggero” di Pio Perrone, di commento a leggi e que­stioni giuridiche di alto livello, ovviamente di epoca fascista, l’occhiu­ta Commissione di epurazione, su decine di articoli scritti in una plu­ridecennale collaborazione, ne sco­va qualcuno che suona come apologetico del Fascismo. Nulla di più falso, quando era nota a tutti la dirittura morale del magistrato in­tegerrimo, del quale va appena ri­cordato, ammesso ve ne fosse biso­gno, che la sorella del Duce, Edvige Mussolini, gli fece pervenire solle­citazioni per una causa che la inte­ressava. Ebbene, Coco pro­cedette secondo coscienza, quindi non nel modo auspicato dalla sorella del Duce! L’epurazione ingiusta, nella quale probabilmente influirono anche motivazioni non occulte di gelosia e invidia da parte di taluni, soprattutto per il fatto che per me­riti poteva benissimo aspirare alle funzioni di Primo Presidente della Suprema Corte, ne mina rapida­mente le condizioni di salute. Negli ultimi mesi non volle proporre ri­corso contro i provvedimenti che lo avevano colpito e rifiuta cortese­mente anche una candidatura in Parlamento, per le elezioni, che i conterranei di Calabria gli avevano offerto con affetto e ri­conoscenza. Spira serenamente, non mancando nel suo testamento di perdonare cristiana­mente quanti gli avevano provocato tanto immeritato dolore. Codice Civile. Del Lavoro. Delle societa cooperative e della mutue assicuratrici, delle societa cooperative – disposizione generali – cooperative a mutualita prevalente. Articoli: societa cooperative; societa cooperative a mutualita prevalente, criterio per la definizione della prevalenza, requisiti delle cooperative a mutualita prevalente.  Del Lavoro. Nicola Coco. Keywords: mutuale prevalente, cooperativa, impresa cooperativa, luce di pensiero italico nelle tenebre della guerra, giurisprudenza romana, giurisprudenza italiana, eccletismi, filosofia dell’atto, corporazione, contratto e cooperazione, codice civile italiano, codice di procedura civile italiano, la tradizione giuridica italiana, associazione, sindaco, Kelsen, grundnorm, legalita, nipote: Nicola Coco, ordine giuridico, unica garanzia del contratto sociale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Coco” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51773172804/in/dateposted-public/

 

Grice e Codronchi -- Su i contratti e giochi d’assardo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Imola). Filosofo. Grice: “One would underestimate Codronchi if it were not for the fact that he wrote a smartest little tracts on the two ways I see conversation as: ‘game’ and ‘contract.’ In “Logic and conversation’ I do confess to having been attracted for a while to a ‘quasi-contractualist’ approach to conversation alla Grice (i. e., G. R. Grice) – and I’m not sure the reason I give there for rejecting the view is valid, or strong enough! As for ‘games’ – of course conversation is a game – but I never took that too seriously – perhaps because Austin was obsessed with games and rules of games – and the subject was worn out for me – when Hintikka came along all he did was talk about ‘dialogue games’! – I do use ‘game’ terminology – and cf. ‘contract bridge!” – such as ‘conversational move,’ ‘converaational rule’ of the ‘conversational game’ – and conversational ‘players’ – “Only this or that ‘move’ will be appropriate’, and so on.” Appartenente alla nobiltà, dopo la laurea prosegue gli studi approfondendo la filosofia spinto dal padre. In seguito entra alla corte del regno di Napoli, prima con Ferdinando I e poi con Giuseppe Bonaparte, da cui ottiene la nomina a consigliere di stato. Le sue saggi più celebri sono “Etica” e “Il contratto”, in cui affronta con semplicità l'argomento del calcolo delle probabilità. Distingue in tre classi di contratto. Contratto epistemico: C’e un contratto nel quale è noto il rapporto tra eventi favorevoli e contrari. Contratto empirico. C’e un secondo contrato nel quale il rapporto tra un evento favoravole e un evento contrario è fondato sull'esperienza. Contratto misto Finalmente, c’e un terzo tipo di contratto nel quale il rapporto tra un evento favoravole e un evento contrario si basa su una legge sicura e in parte sull'esperienza. For a time, I was attracted by the idea that observance of the CP and the maxims, in a talk exchange, could be thought of as a quasi-contractual matter, with parallels outside the realm of discourse. If you pass by when I am struggling with my stranded car, I no doubt have some degree of expectation that you will offer help, but once you join me in tinkering under the hood, my expectations become stronger and take more specific forms (in the absence of indications that you are merely an incompetent meddler); and talk exchanges seemed to me to exhibit, characteristically, certain features that jointly distinguish cooperative transactions: 1. The participants have some common immediate aim, like getting a car mended; their ultimate aims may, of course, be independent and even in conflict-each may want to get the car mended in order to drive off, leaving the other stranded. In characteristic talk exchanges, there is a common aim even if, as in an over-the-wall chat, it is a second-order one, namely, that each party should, for the time being, identify himself with the transitory conversational interests of the other. 2. The contributions of the participants .should be dovetailed, mutually dependent. 3. There is some sort of understanding (which may be explicit but which is often tacit) that, otl1er things being equal, the transaction should continue in appropriate style unless both parties are agreeable that it should terminate. You do not just shove off or start doing something else.  SAGGIO FILOSOFICO SUI CONTRATTI E GIOCHI D'AZZARDO DEL CAVALIERE NICCOLA CODRONCHI. Sor's incerta vagatur , Fertque refertque vices . Lucan. FIRENZE PER GAETANO CAMBIAGI STAMPATOR GRAND. CON APPROVAZIONE. ALL’ALTEZZA REALE DI PIETRO LEOPOLDO PRINCIPE REALE D'UNGHERIA E DI BOEMIA ARCIDUCA D'AUSTRIA GRANDUCA DI TOSCANA &c. &c. & c. 1 NICCOLA CODRONCHI. Questa operetta che sottopone il contratti d’azzardo o aleatorio all'esame della filosofia per fissare, quant'è possibile i I dati onde non discordino dalla giustizia, dovea bene essere umiliata, a VOI, che pieno del le verità della prima, avete consacrati tanti pensieri ad assi curare, e stabilir la seconda; onde può dirsi che il vostro trono è il punto più luminoso della loro unione, che sola può formare la felicità degli stati. Posta questa mia fatica, se non è degna dipresentarsi all'illuminatissima vostra mente, non dispiacere al vostro cuore, che non sdegnerà di riconoscere in esta una significazione dei sentimenti del mio, penetrato del la più viva gratitudine al vostro real patrocinio, e alle copiose beneficenze, auspici sotto de’ quali è nata, e condotta alla luce, e ai quali desidero con tutto lo spirito che sempre più raccomandi l'autore. Non avvi forſe negli uomini un sentimento più costante e universale del desiderio di arricchire. L'uomo tende incessantemente a procacciarsi, ed assicurarsi i mezzi necessari a sostenere e a rendere tranquilla e comoda la vita. La natura, che ha voluto che ciò concorra alla sua felicità alla quale con tanta forza lo stimola, gli ha inserito di sua mano nel petto questo vivissimo ardore; acciocchè se dalla propria industria riconosce egli il sostentamento e gli agi della vita, riconosca però dalle provvide mani di lei l'eccitamento e l'efficacia di questa industria medesima. Questa fiamma sempre operosa accende talvolta un cuore angusto che non ha altro oggetto che se medesimo, o un piccolo e ristretto sistema di persone. Talvolta pero trionfa sovranamente in un animo generoso, a che stima di se minori tutte le mire che non sian vaste e sublimi. Patria, nazione, pubblica felicità, interessi dell’uman genere ecco i grandi oggetti, che egli ha sempre davanti; ed ecco intorno a che si aggirano i lumi del politico pensatore; ecco ciò che forma le vigilie dell’uom’di stato. Quindi è che sempre nuove vie si spianano al commercio, nuovi mezzi si studiano per facilitarlo, nuovi metodi si ritrovano per dilatarlo. Questo ardore medesimo ha fatto sì, che gli uomini vadano sempre inventando un nuovo contratto, o ai ritrovati già prima diano nuove sempre e più estese forme. Chi avrebbe mai detto nei primi tempi delle nascenti civili società, quando altro contratto non conoscevasi che quello di dare i grassi capi dell’armento in cambio degli scelti frutti del campo, che vi sarebbero stati un giorno uomini, che avrebbero ridotte a contratto non solo una cosa esistente, sicura, e da esli ben conosciuta, ma la cosa non esistenti ancora, le incerta, la soggetta al caso, la sconosciute? O chi persuaderebbe alle numerose carovane dei mori che vanno nel fondo dell’Affrica a far coi negri il cambio del sale colla polvere d’or , che sonvi e lecici, e un vantaggioso contratto, che si appoggia solamente all’aleatorio pericoloso e al bizzarro capriccio della fortuna? Il moro che mette il suo sale in un mucchio e lo va sminuendo, se gli pare che il negro con cui commercia, non abbia ammassata in sufficiente quantità l'a preziosa polvere; riderà di coloro che si espongono a gravi perdite delle loro sostanze affidandole all'incertezza della sorte. Eppure, e vi e questo contratti aleatorio, e puo esser ridotti a quella uguaglianza che dopo determinati, o dalle leggi, o dalla consuetudine i prezzo della cosa è necessaria a render giusto qualunque contratto. A fissare il limite e il grado di uguaglianza in tale contratto aleatorio giova maravigliosamente quell’utilissima scienza che arditamente calcola le probabilità e si rende soggetti, per così dire, i sempre vari accidenti della fortuna. Questa scienza è stata chiamata finora aritmetica politica perchè è stata ordinata soltanto a ricercare l’utilità e la miglior sorte a 2 del commercio e di chi lo esercita, e ad apprestare dei nuovi dati a chi veglia alla pubblica felicità . Ma io crederò di potere con parità di ragione chiamarla “aritmetica del giusto” ed asserire che se il gran principio che fra il certo presente e l'incerto avvenire trovasi una vera proporzione è stato quel seme fecondo che ha germogliato al pubblico bene, è quello ancora che dee produr nulla meno la sicurezza e la tranquillità nell’animo di chi sulle tracce dell’onesto e del giusto voglia istituire tale contratto. Non farà però inutil cosa se io cercherò di spogliare della austerità e difficoltà del calcolo una sì vantaggiosa teoria e di ridurla a principi generali e semplici, facendo su di essi opportunamente alcune riflessioni ed applicandone le regole al contratto aleatorio, che verrò con la chiarezza e brevità maggiore che a me sia possibile investigando. Mi lusingherò quindi di aver sempre pronta una misura, più o meno esatta, a norma che eſli più o meno ne siano suscettibili, che ne determini l’uguaglianza, é una bilancia che ne pesi l'equità e la giustizia. Contratto aleatorio io chiamo quel contratto nel quale si fa acquisto di un diritto, o vogliam dire di una speranza (res sperata – emptio spei, emptio rei separatae), il buon esito della quale è affidato all’incertezza della sorte (cfr. Grice, “Intenzione e incertezza”). E quì si osservi che si può nel medesimo contratto considerare l’aleatorio relativamente ad ambedue i contraenti. (parola chiave: “ambedue i contraenti”). Quello, il quale talvolta per far guadagno di una tenue somma di denaro (a) ma certa, vende la speranza incerta di un gran guadagno, sottopone all'aleatorio tutto quel di più che avendo buon esito la ceduta speranza, supera la tenue somma in cui la cambio. L'uguaglianza che dopo fissato dalla legge o dalla consuetudine il prezzo della cosa ricercasa nel contratti perchè sia giusto, vi è ſempre, quando esaminata la cosa che ne forma l'oggetto, ritrovisi in (a). Vedasi più sotto ove si parla del contratto di alii curazione un vero senso egualmente pregevole ciò che danno nel contratto e reciprocamente ricevono ambedue i contraenti. Or chi non vede che l'avere un diritto o una speranza è molto più valutabile che il non averla? E se ciò è vero, è manifeſso che questa speranza puo dirsi avere un vero e real prezzo nel commercio degli uomini. Ma siccome tuttociò che ha prezzo pui avere un prezzo diverso, questa speranza ha anch'essa la sua diversita e puo per conseguen prezzo calcolarsi in guisa da poterne trovare il *rapporto* a quello per cui alcuno desideri di farne acquistom che è quanto dire potrà ridursi ad una vera uguaglianza. Stabiliscasi adunque l’incontrastabile fondamenza il suo tale TEOREMA. Nel contratto aleatorio vi puo essere essere quella uguaglianza, che gli caratterizzi per giusti . ng Too vorrei potere esporre con la maggior precisione e chiarezza la serie delle idee che conducono a fissare il canone per cui si puo in un contratto aleatorio rinvenire l'uguaglianza di cui si parla. Il soggetto è molto arduo e per esporlo nel dovuto lume e farne poi l'opportuna applicazione è neceſſario fare di tratto in tratto molte importanti osservazioni che o sviluppino il principio fondamentale o vagliano a dilucidarlo. E prima di tutto io intendo sempre per nome di prezzo tutto quello o sia certo e determinato, o sia incerto anch'esso o per l'evento la quantità che si espone per far l’acquisto di una speranza. Premio io chiamo quello per cui ottenere si espone il prezzo così definite. Conviene pero osservare che per nome di premio si può intendere , e l'oggetto solo a cui si aspira e il medeſimo più il prezzo che si è o esposto o sborsato per acquistarne la speranza. Ciò ben'inteso parmi che per rintracciare questa uguaglianza sia d'uopo conoscere i o per 8 la diversa speranza. Di due elementi viene egli composto. Tanto è più stimabile una speranza quanto ha un'oggetto più pregevole; e questo è ciò che io intendo per valore intrinseco; ma tanto anche è più stimabile per altra parte quanto è più probabile che ha un esito favorevole, e questo col nome di estrinseco valore vuolsi significare. La probabilità è maggiore o minore secondo che è maggiore o minore il numero di casi favorevoli all'evento rispetto al numero de' sinistri; di modo che se si facesse una tavola che gradatamente, e per serie e sprimeſle questi rapporti si avrebbe una vera tavola delle probabilità. Conſiderando però ciascun evento separatamente e senza rapporto ad altri; la probabilità che esso liegua, vien espressa dal *rapporto* del numero de’ casi a lui favorevoli alla somma dei favorevoli insieme e de’ contrari. Poichè se sianvi in un urna 10 palle bianche e 10 nere; per definire la probabilità dell'estrazione di una palla Bianca fa d' uopo conſiderare le 10 bianche in massa colle nere; giacchè in massa sono quando si fa l'estrazione dall'urna. L'istesso avviene di ciascun evento che sia l’oggetto di una speranza; giacchè deve distaccarsi dalla massa che è il cumulo degli eventi favorevoli e dei sinistri che stan raccolti nell’urna sovrana regolatrice della umana vicenda. Se dato un prezzo con cui si voglia fare acquisto di una speranza, il numero dei casi favorevoli al buon esito sia uguale a quello dei sinistri, è troppo chiaro che a volere la ricercata uguaglianza e necessario che il valore intrinseco della speranza o sia dell'oggetto della medesima, sia *doppio* del prezzo che si espone per acquistarlo; poichè in tal guisa la metà del valore intrinseco resta compensata dal prezzo che si è pagato; l'altra metà, che sola è un vero guadagno è uguale al prezzo medesimo che si è espoſto all'aleatorio; e così deve essere essendo nel caso nostro uguale la probabilità del buon esito e dell’infausto. E non altro appunto significa quella regola infallibile secondo la quale è sempre 10 il valore (a) dell’aspettativa, quando in ugual numero siano i casi favorevoli all’esito bramato e i sinistri. Che se si accresca il numero de’ casi sinistri; siccome scema percið il valore estrinſeco della speranza, converrà che si accresca *proporzionatamente* l’intrinseco accrescendo il valore dell’oggetto medesimo. Per maggior chiarezza di cio suppongasi il prezzo con cui si compra la speranza uguale ad un dato numero e suppongasi il numero dei casi favorevoli uguale a quello dei sinistri. In questo caso la probabilità del buon esito e uguale a quella dell'infausto e la speranza si elide col timore, e per conseguenza il suo valore estrinſeco puo considerarsi = 0; verrà dunque in confronto il solo prezzo col premio; che però queste due quantità dovranno eſſere uguali, benchè il valore intrinſeco della speranza, o sia il premio medesimo preso in una più estesa significazione 111 (a) L’aspettativa non è altro che il grado di probabilità che uno ha di ottenere un’intento fortuito. II sia doppio del prezzo, poichè una metà del premio medesimo non si può chiamare lucro, restando compensata col prezzo già sbor fato ed esposto all’aleatorio. Stabilito adunque questo caso, come per punto fisso dal quale si parte la serie dei valori, è chiaro ugualmente che se il numero dei sinistri casi sia maggiore o minore di quello dei favorevoli, di tanto la probabilità del buon esito a fronte della probabilità dell'infausto farà a proporzione maggiore o minore di zero nel formare il valore totale della speranza; lo che non altro significa, se non che ad avere l'uguaglianza necessaria converrà che a proporzione l'oggetto della speranza superi nel primo caso il prezzo con cui si acquista e nel secondo sia ad esso inferiore, e quindi li puo universalmente stabilire. Nel secondo teorema, i valori delle speranze sono in ragion composta del valore intrinseco dell’oggetto o cosa o reale sperato (res sperata), o dell’spettativa. Ne terzo teorema, nel contratto aleatorio allora visarà l'us 1. Il contratto aleatorio allora vi sarà l'uguaglianza quando il prezzo che espone uno de contraenti stia al premio, come il numero dei casi favorevoli a lui, alla ſomma dei favorevoli e dei contrari. Notisi che quì per premio s’intende non solo la porzione che si lucra, ma di più il prezzo istesso che si è aleatorio, aleatato. E siccome, per quanti siano i prezzi dei contraenti, deve verificarsi in ciascun prezzo questo rapporto al premio, ne verrà che i prezzi staranno fra di loro come il numero dei casi favorevoli ad uno dei contraenti di viso per la somma de favorevoli e de’ contrari al numero de favorevoli a quello con cui si istituisce il paragone, diviso anch’esso per la somma dei favorevoli e dei contrari: e così dicasi di quanti siano i contraenti. Da questo teorema si deduce il seguente corollario. Nel contratto aleatorio allora vi sarà l'uguaglianza quando i prezzi dei contraenti ſtiano fra di loro , come i numeri dei caſi ri ſpettivamente favorevoli . Dagli enunciati Teoremi chiaramente ap pariſce, che per bene applicarli agl' indivi dui caſi, è neceſſario eſaminare maturamente , qual ſia il vero valore del prezzo con cui ſi compra la ſperanza ; quali ſiano i veri caſi favorevoli, e ſiniſtri; e fiflarne il numero con quella eſattezza che convenga alla naturą del contratto in queſtione. Conſiderando at ; tentamente la natura e le leggi dei diverſi contratti di azzardo , mi è parſo che preſen tino una facile e natural diviſione , per la quale in tre ſeparate, e diſtinte claſſi li pof ſono comodamente diſtribuire. Imperciocchè dalla loro diverſa natura , e dalle diverſe leg gi che gli coſtituiſcono , ne naſce una diverſa maniera di fiſſare i rapporti del numero dei caſi favorevoli, a quello dei ſiniſtri . A tre fi poſſono in fatti ridurre i metodi per fillare 1 14 gli accennati rapporti, e quindi collocare in una di tre diſtinte claſli ciaſcun contratto di azzardo . Primo metodo è quello per mezzo del quale conſiderata la natura , e le leggi del contrat to rilevaſi il ricercato rapporto dal numero delle cauſe e delle ragioni, che poſſono in fluire ſul buon eſito della ſperanza , numero determinabile , e ragioni certe , e ſicure . Il ſecondo è quello nel quale per la natura del contratto , non ſi può fondare il rapporto , ſe non che ſulla ſperienza , e ſulle oſſerva zioni eſatte perd , e molte volte replicate ; e ſopra cagioni incerte , e variabiliffime per le quali il numero dei caſi favorevoli e dei fi niſtri, non può mai eſſer certo , determinato , e ſicuro . Terzo metodo è quello per cui ſi appoggia la indicata proporzione , parte alla conſiderazione di leggi certe e ſicure , e par te alla ſperienza del paſſato , e a circoſtanze incerte ', e di numero indefinito . Nei contratti adunque della prima fpecie , conoſciutene le leggi, fiffato il numero delle cauſe che poſſono influire ſull'oggetto del 1 4 13 contratto , ed eſaminate le diverſe maniere nelle quali poſſono combinarſi, ſi avrà un eſatta ed infallibile notizia del rapporto dei caſi favorevoli ai finiftri . La ſcienza delle combinazioni , e permu tazioni è ſtata nel noſtro ſecolo così illuſtra ta , e dall ’ Ugenio , e dal Bernullio , e dal Moivre, ed è così vaſta ed eſteſa , che vo lendo io trattarne a lungo, non potrei per l'una parte non oſcurare ciò che è ſtato detto con tanta preciſione, e ſicurezza, e non fa prei per l'altra accennar poche coſe , che non laſciaffero un neceffario deſiderio di molte più , intorno alle quali l'intertenermi , oltre paſſerebbe di gran lunga il fine, e l'idea di queſto faggio ; e tanto più , che ſenza la fe verità del calcolo più aſtruſo non ſi potreb bero per avventura trattare tutti i caſi par ticolari . Nel venire però eſaminando la na tura dei diverſi contratti, ed applicando ad effi li ſtabiliti Teoremi , ſi vedranno di trat to in tratto i principj di queſta ſcienza ſvi luppati , ed indicata la maniera di applicarli ad alcuni caſi particolari, ſiccome con l'uſo ! 16 rétto , e ſicuro del calcolo ſi poſſono adattare a tutti i caſi i più compoſti, ed aſtruſi . Il gioco di pura ſorte è certamente uno dei contratti che alla prima claſſe debbonſi riferire . Mi è noto quanto ha ſcritto il cele bre Giacomo Bernulli , per dare le regole ficure onde fiſſare nei giochi di fortuna il numero dei caſi favorevoli e dei contrari , i vantaggi reſpettivi dei giocatori , e il pre mio che può uno eligere, dopo incominciato il gioco per ritirarſi ſenza rinunziare alla miglior condizione , in cui l'hanno già poſto alcuni colpi favorevoli . So che eſſendo la probabilità , o ſemplice, o compoſta , ne ha queſto gran Matematico ridotta la miſura all'interſezione di una linea retta con una curva logaritmica , o di queſta con una pa rabolica , e così ſucceſſivamente aſcendendo alle curve dei gradi più alti . Ma laſciando da parte i profondi calcoli , e i miſteri della fublime Geometria , i quali però ben pene trati ſcuoprono il profondo e inventore in gegno di queſto grand' uomo , piacemi in quella vece di eſaminare ſemplicemente ſen 17 za di effi la natura e le leggi del gioco , per riconoſcere ſecondo l'accennato metodo , come ſi poſſa in eſſo e dare e ſcoprire l'u guaglianza fra i giocatori , e in tal guiſa applicare a queſto contratto gli enunciati univerſali Teoremi . Il gioco di pura ſorte è una ſpecie di con tratto , nel quale due o più perſone, dopo di aver convenuto di certe leggi, e condizio ni , ſi diſputano un premio , che ſi rilaſcia a chi ſarà più felice , per rapporto a certi acci denti l'effetto dei quali non dipende per ve run modo dalla loro induſtria . E quì cade in acconcio fare una rifleſſione comune a tutti i contratti di azzardo . Il dire che una coſa accada caſualmente , non altro ſignifica, ſe non che la cagione ne è a noi ſconoſciuta ; e che non vi abbiamo alcuna volontaria influenza . Per altro quan do fiegue in natura un determinato effetto , qualunque ſiaſi, è certo che neceſſariamente dovea ſeguire . Che due dadi gettati ſu di una tavola , ſcoprano piuttoſto un numero , che un altro ; noi ne ignoriamo la cagione b 18 nell'atto ſteſſo che ne ſegue per le noſtre mani medeſime il tratto . E perd ugualmente vero , che dato quel tal moto alla mano che gli getta , dato quel tal grado d'impeto , e non più nè meno , data la mole dei medefi mi , e il piano ſu cui ſi aggirano , devono neceſſariamente preſentar quel tal dato nu mero e non altro . Così dicaſi dei giochi di carte le combinazioni delle quali dipendono dalla diverſa maniera di meſcolarle , e di dividerle alzandone una parte di eſſe fovra il reſtante ; anzi pure non ſolo del gioco , ma dicaſi, come ſi avvertì di tutti i contratti di azzardo , e generalmente di qualunque evento fortuito ( a ), (a) Non ſolo ne' contratti ove ciò che ſi perde o che ſi guadagna è riducibile ad una miſura diſtinta in gradi coſtanti ed eſattamente marcati , ma anche in tutto il tenore di una vita diretta a un fine fpe rato ma incerto ha luogo il prezzo ed il premio . Le fatiche , gl'incomodi , le priyazioni dei piaceri formano il primo . Nella gloria , nell'autorità , negli onori , nelle ricchezze è ripoſto il ſecondo , che molte volte defrauda le meglio fondate ſperanze , o almeno ad effe perfettamente non corriſponde; onde può dirlig . 19 Varie ſono le ſpecie principali dei giochi di pura ſorte , ſiccome varie ſono le maniere di diſputarſi il premio.O due giocatori eſpon gono all'eſito della forte le loro reſpective porzioni di depoſito con la legge che deb baſi tutto a quello rilaſciare, il quale felice mente s'incontra prima dell'altro in un fa vorevole accidente , che ambi ſi ſono propoſti d'incontrare ; o a quello , che in ugual nu mero di faggi, ſotto le medeſime leggi , di pendentemente dalle medeſime condizioni , 6 2 che così in queſte ſecrete e non ftipulate aſpettative come in quelle per cui s'inſtituiſcono e ſi celebrano i contratti,domina ugualmente quella inſtabile divinità creata dall'ignoranza della conneſſione delle cagioni delle coſe , e del compleſſo delle circoſtanze necef ſarie ai fortuiti eventi , ma che in tutti i caſi ſuol chiamarſi ugualmente Saevo laeta negotio Et ludum inſolentem ludere pertinax . Biſogna però rammentarſi ſempre che le parole che eſprimono gli attributi della fortuna , o del caſo , quando ſono uſate dal Filoſofo , hanno un fenſo di verſo da quello in cui le uſa il Poeta che simboleg gia , e il volgo che non ragiona . << tro , così dire nega incontra quelle combinazioni che preſen tano una maggior ſomma di quegli elementi ond'è compoſto il gioco , e alla quale è at taccata la vincita del medeſimo. Oppure il contratto del gioco è tale che un ſolo dei giocatori s'impegna in un dato numero di ſaggi, e ſotto certe condizioni , d'incontrare un dato favorevole accidente o ſemplice ſia di altri ' compoſto , e quale non incontran do , la ſorte s'intende aver deciſo per l'al la ſperanza di cui per tiva , non ha altro oggetto che l'eſito infe lice delle mire dell'avverſario , non obbli gandoſi intanto a tentare poſitivamente ve run colpo di gioco . Nei priini due caſi egli è chiaro che devo no i giocatori azzardare una egual fomma, o prezzo , altrimenti reſterebbe manifeſtamente tolta di mezzo la neceſſaria uguaglianza . E' chiaro che allora il prezzo con cui ſi acquiſta la ſperanza è eguale alla metà del valore dell' oggetto ; poichè il primo altro non è che la porzione di depoſito di uno dei giocatori e il ſecondo è la ſomma delle due porzioni 2 1 uguali componenti il totaledepoſito .Ma co me trovare in queſto caſo il numero dei caſi favorevoli uguale a quello dei ſiniſtri come pure eſige la ſtabilita Teoria ? E certamente ſe fi conſiderino i caſi favorevoli , ei con trarj diſtintamente in ciaſcuno dei giocatori ; non ſi potrà fiſſare nè ragione di uguaglianza nè altra qualunque . E' queſta una evidente verità , ſe ben ſi conſiderino le leggi di queſto gioco , per le quali dipendendo la ſorte di un giocatore , non dai ſuoi colpi ſolamente ma da quelli ancora dell'avverſario , i ter mini della proporzione ſaranno ſempre rela tivi , e per conſeguenza variabili . Eſaminata però più maturamente la natura del gioco di cui ſi tratta , fi dee riflettere , che il nu mero dei caſi favorevoli a un giocatore , è compoſto non ſolo dei caſi propizi a lui di rettamente , ma dei caſi altresì all'avverſario contrarj ; e al contrario il numero dei finiſtri , altro non è che la ſomma degl'infauſti a lui , e dei favorevoli all'avverſario . Ma quando fi giochi con condizioni eguali , queſte due fomme fono eguali : dunque anche in queſto 22 caſo può reſtare verificato il canone della ſtabilita proporzione , e i prezzi ſtare fra loro come i caſi favorevoli ai finiſtri . Da ciò ne ſegue , che ſe due giocatori proponganſi di incontrare la medeſima favo revole combinazione o la medeſima ſomma di accidenti ; ma che uno voglia far più ſaggi del gioco , o cercar con più mezzi quelle combinazioni che preſentino maggior ſomma degli elementi del gioco , nella guiſa di ſopra accennata ; l'altro in tal caſo dovrà eſami nare di quanto il numero delle combinazioni a ſe favorevoli reſti fuperato dalle ſiniſtre , ed eligere che la porzione di depoſito dell' avverſario ſuperi in tal proporzione quella che egli conferiſce nel gioco . Sia concertato per eſempio , che abbia il premio del gioco quello che fa più numeri con i dadi , ed uno voglia gettarli più volte , o in ugual numero di volte gittarne un mag gior numero , è manifeſto , che dalla natura , e dalle leggi di queſto gioco , ſi potrà con le note regole delle combinazioni ricavare in che proporzione debba egli eſporre all'az 23 zardo ſomma maggiore . Che ſe poi trattiſi della ſeconda ſpecie di ſopra accennata , che è allor.quando uno ſolo dei giocatori ſi eſpone ad incontrare una o più favorevoli combinazioni , in un dato numero di faggi, e ſotto certe leggi , e l'altro guadagna full infauſto eſito dell'avverſario , ſenza tentare egli di per ſe alcuna forte di gioco , è più difficile allora , ed è più operoſo il fiſſare gli opportuni termini della noſtra proporzione . L'intenzione e l'oggetto dei giocatori in tal caſo può eſſere di eſporre all'azzardo una ugual porzione , o di eſporla diverſa . Nel primo caſo il giocatore che intraprende , e faminata la natura del gioco , e le leggi chę a lui propone l'avverſario , potrà ricavarne il numero dei caſi favorevoli e quello dei ſiniſtri, e dimandare quelle condizioni nelle quali queſti due numeri ſi uguaglino: nel ſe condo conviene che dimandi quelle condi zioni nelle quali , il numero dei favorevoli caſi, ſuperi tanto quello dei contrari , di quan to la ſua porzione di depoſito ſupera quella dell'altro , o al contrario . Intraprende uno 14 di gettare un dado in maniera che ſi ſcuopra la faccia la quale moſtra il numero 6. Se lo deve fare in una ſol volta , ſiccome ha cin que combinazioni contrarie , e una ſola fa vorevole , converrà , che l'altro azzardi una ſomma cinque volte maggiore , altrimente la proporzione reſta alterata . Che ſe trattiſi di azzardare una fomma eguale da entrambi i giocatori , e ſi voglia più volte ricominciare , erinovare il gioco , converrà oflervare quanti tratti di dado ſiano neceſſarj per fare che il numero dei caſi favorevoli , ſia uguale a quel lo dei contrarj , del che , e relativamente al noſtro addotto caſo , e ai fimili , ne da una eſtefa tavola il gran Bernulli alla propoſizio ne X. del libro primo del ſuo trattato inti tolato ars conje &tandi; ove dimoſtra un ingan no che in fiſſare queſta proporzione è facile a pigliarſi da chi eſamini queſta ſpecie di gioco ſulla prima apparenza , ſenza internarſi profondamente nelle fue leggi . Diffi, quan do fi voglia più volte ricominciare , e rino vare il gioco , per le ragioni addotte dal Ber nulli nel loco citato ; giacchè fe non ſi ri 25 novi ſucceſſivamente , egli è evidente che chi deve con un ſol dado ſcoprire la faccia del numero 6. per eſempio , ed azzardare una ſomma eguale a quella dell'avverſario , do vrà chiedere di gettare il dado tre volte ; e cid col patto che non s'intendano in queſto numero compreſe quelle volte in cui ſi vol taſſe di nuovo una medeſima faccia del dado già ſtata ſcoperta . Ciò che ſi è detto di due giocatori, dicaſi di più , e ſi conſiderino diſtintamente tutti i contratti che fa ciaſcuno dei giocatori , e l'azzardo a cui eſpone ciaſcuno la depoſitata porzione , e ſi vedrà che non reſta punto terata la noſtra teoria , benchè coll’eſporre una determinata ſomma ſi poſſa guadagnare la medeſima moltiplicata per il numero dei giocatori ( a ) . Anzi è regola univerſale in tutti i caſi compleſſi di gioco , ridurli ai ſem plici dei quali è compoſto , ed eſaminare in ciaſcuno di effi le ſovra ſtabilite maſſime. Dalle medeſime troppo chiaro appariſce (a) Vedi il Corollario del Teorema III . 26 che i vantaggi , che ha in alcuni giochi il banchiere , per eſempio nel faraone quello dei doppietti, quello dell'ultima carta , ed altri che ha ſecondo i vari uſi dei paeſi ove giocaſi tolgono l'uguaglianza , perchè tur bano la fiſſata da noi proporzione; poichè nei caſi medeſimi nei quali il premio che dà il banchiere è uguale alla ſomma azzardata dal puntatore, il numero dei caſi favorevoli al primo è maggiore del numero dei favo revoli al ſecondo ; o in ugual numero di caſi favorevoli il ſecondo azzarda più del primo . Si pretende nonoſtante , che ſe ſi conſideri, non la relazione che ha ciaſcun giocatore in particolare al banchiere ma bensì tutto il ſiſtema del gioco , vi ſiano molti rifleſſi che giuſtifichino queſto vantaggio di condizione . Una ſplendida ſomma ſottopone egli alla cie ca ſorte , e ſi obbliga di laſciarla ſempre in pericolo . Il puntatore per lo contrario può voltar le ſpalle ſdegnoſo a quella avverſa for tuna , che tenta in vano di placare ; o aven dola provata propizia può aſſicurare i ſuoi doni dalla capriccioſa ſua volubilità . Oltre 1 1 27 di ciò la ineguaglianza delle ſomme eſpoſte dai vari giocatori , delle quali alcune per dendo può il banchiere rimanere ftremo , ed eſauſto , ſenza ſperanza di tirar profitto dalla incoſtanza della fortuna ; le altre ſe vin ce appena gli recano un tenuiſſimo guada gno ; la non leggiere fatica per ultimo del banchiere medeſimo poſſono baſtevolmente render leciti i vantaggi che egli ha nel liſte ma del gioco . Io preſcindo dall' eſaminare quale , e quanta conſiderazione eſigano le accennate circoſtanze . Due coſe ſolo aſſeri ſco . E che alcune di queſte ſono quantità non già coſtanti ma variabiliſſime, eſſendo relative a circoſtanze facilmente alterabili; e che conſiderato il gioco in ciaſcuno a par te dei puntatori relativamente al banchiere , come par certamente debbaſi conſiderare, la alterazione della proporzione ſtabilita è mol to notabile in iſvantaggio dei primi , e in manifeſta utilità del ſecondo . Non voglio perd omettere , che eſſendo ſta ta eſaminata con eſatto calcolo la ſerie dei vantaggi del banchiere per ogni pofta fem 1 28 plice , cominciando dalla ſuppoſizione che vi ſiano 52. carte fino a quella che ve ne ſia no quattro due delle quali ſiano dell'iſteſſa figura, ſi è rilevato che la media , è il 5 . per 100. Ma in tutto un giro quando l'avi dità dei giocatori fa che per mezzo dei pa roli o delle paci la forza del gioco ſi traſporti almeno verſo l'ultime 24. carte , allora la media diventa il 9. incirca per 100. Ep pure le circoſtanze che eſigono compenſa zione non variano in modo da efigere que Ita differenza ( a ) . Non ſi ha dunque nell'attuale ſiſtema del faraone la vera maniera di trovare la com penſazione delli ſvantaggi del banchiere . Bi ſognerà dunque per ottenerla , o fiſſare il nu mero delle pofte: 0 por dei termini ſopra , e fotto de' quali non poſſa ſalire o ribaſſarſi la poſta : 0 tentar di fiſſare più che fia poſſibile una ſomma relativa alle diverſe poſte la quale (a) Si noti che il vantaggio di ſopra indicato del ban chiere ſi ripete tante volte quante poite fi fanno , onde ſi vede in un ſol giro quanto ſia enorme ed ecceffivo . 29 effendo un di più della poſta medeſima, ma conoſciuto , non altererà le giuſte proporzioni fra il prezzo ed il premio : o diſperare per ultimo di poter mai annoverare fra i con tratti giuſti il gioco del faraone. Sogliono comunemente dalle fagge leggi vietarſi i giochi di pura ſorte, come quelli che per una certa fatalità luſinghiera , ſi uſur pano il tempo dovuto alle pubbliche cure , alle dotte occupazioni , ed al domeſtico reg gimento delle famiglie , alle quali recano sì di frequente irreparabile ruina ; che non è già sì di rado, che una carta di gioco , o un ſol colpo di dado decida della defolazione, e dell' inopia di molti infelici . Si aggiunge a queſto , che la dura legge del biſogno , e la ſevera faccia dell'avverſa fortuna dettano all'inaſprito giocatore le arti meno oneſte , e i mezzi più indiretti nel gio co medeſimo ; talchè ſi verificano di troppo i celebri verſi di Madama Deshouliers . Le deſir de gagner qui nuit &jour occupe Eft un dangereux aiguillon ; 1 1 1 1 30 Souvent quoique l'eſprit, quoique le coeur foit bon , On commence paretre dupe , On finit par etre fripon . E quanto il gioco di pura ſorte ſia ſtato ſempre deteſtato lo conoſcerà chi oſſervi le Leggi Romane al tit. De aleatoribus , e nei digeſti, e nel codice , e legga i dotti commenti degl' interpreti sù i medeſimi, e vedrà che ſi è ſempre riguardata come oggetto di compal ſione e di orrore la miſera condizione di que gl’incauti quos praeceps alea nudat . Io però e nel gioco , e in tutti i contratti di azzardo eſamino la giuſtizia per rapporto ſoltanto alla ſovra eſpoſta neceſſaria ugua glianza , preſcindendo affatto da qualunque carattere che poſſa rendere i medeſimi, o conformi, o oppoſti alle provide leggi , e ai retti coſtumi. Similiſſima al gioco è un'altra ſpecie di contratti d'azzardo , che chiamaſi comune mente il lotto de go. numeri ; cinque dei quali ſi eſtraggono da un vaſo , e decidono della ſorte di chi ſulla ſperanza , che eſcano 31 dall'urna miniſtra della fortuna , azzarda una data ſomma di denaro . Troppo ſon note le leggi di queſto contratto , e troppo è facile il conoſcerne e combinarne gli accidenti , per poter francamente aſſerire che non vi è forſe contratto di azzardo nel quale , e più nota bilmente e più ſolennemente la ſtabilita pro porzione reſti alterata . Sempliciſſimi elemen ti formano il ſiſtema di queſto contratto , e una ſuperficialiſfima cognizione di calcolo è baſtevole per far conoſcere , che ſebbene una tenue ſomma di denaro può cambiarſi in una ſplendida maſſa di oro , pure a fronte di un caſo favorevole ve ne ſono tanti dei ſiniſtri, che rieſce aſſai più ſuperata la probabilità di gua dagnare da quella di perdere , che non la ſomma azzardata dal promeſſo premio per ricco e grande che poſſa parere . Per ſalvare la giuſtizia di queſto gioco , non giova il dire , che conſentendo i gioca tori con piena e perfetta libertà a queſta diſuguaglianza, queſto baſta per rendere le gitima quella convenzione , che ſarebbe al trimenti tanto leſiva . Queſto argomento pro * 32 verebbe troppo in genere di contratti , e per ciò deve conſiderarſi di neſſun vigore. Sareb be queſta maſſima l'appoggio di moltilli mi contratti ingiuſti, e la difeſa di infiniti illeciti guadagni . Oltre di ciò la maggior parte di quelli che giocano al lotto neppure ardiſce di ſoſpet tare , che ſiavi a loro ſvantaggio una sì di chiarata ſproporzione; anzi moltiſſimi rin graziano come generoſa e prodiga quella mano che premia i vincitori , come ſe foſſe un gratuito dono ciò che non è ſe non una piccola parte di un debito . Più ſolida difeſa potrebbe recarſi riflettendo doverſi in queſto contratto dal padrone del lotto impiegare molti miniſtri, e fare molte e gravi ſpeſe, per lo che può eſigere ragionevolmente un riſarcimento ; ma tutto ciò ancora non baſta a rendere giuſto queſto contratto fe ad altri termini e ad altre maſſime non ſia ridotto . Troppo anche più enorme era la diſugua glianza , prima che con lo ſtabilito aumento foſſe migliorata la condizione dei giocatori ; condizione però , che tuttora è aſſai inferio re a quella del padrone del lotto . / 33 Quì però fa d'uopo dileguare un inganno comune a moltiſſimi che hanno le vedute corte , e limitate dalla prima ſuperficie delle coſe . Altro è l'aſferire , che il lotto conſide rato ſemplicemente come un contratto è in giuſto ; altro è il dire che un Principe giuſto non poſſa ammetterlo nel ſuo ſtato , e debba toglierlo affatto , e ſradicarlo come un mal nato germe della rovina di tanti ſconſigliati . Il lotto può conſiderarſi come un tributo , che viene impoſto a chi ſpontaneamente con fente di pagarlo ; cangiandoſi così in vantag gioſo al pubblico , ciò che potrebbe eſſer tan to pernicioſo al privato . Non ſi può deſcri vere l'ardore che muove ciaſcuno a cercare in queſta guiſa un propizio ſguardo della for te ; nè ſi può immaginare quanto ſia pungen . te lo ſtimolo che ſpinge, e inquieta chi ri fiette che con una tenue ſomma di denaro , che azzardi , può guadagnare di che ſoſten tare una languente e numeroſa famiglia , o pur talora dilatare i confini del proprio luf ſo , o accreſcer anco tal volta un nuovo peſo agl’inoperoſi forzieri . Quindi è che tanti , e 34 tanti ſi affollano a tentare nel lotto la ſorte (a ). Penetrati dall'idea, e ſedotti dalla luſinga di ( a) Non può negarſi per altro , che riccome tutte le cofe hanno un grado di valore e di eſtimazione ri Spettiva che naſce dall' uſo che può o vuol farne chi ne è padrone : può conſiderarſi ſotto l'iſteſſo aſpetto anche il denaro . Oltre il ſuo valor generale che na. ſce dal rapporto che egli ha alla maſſa delle coſe che ſono in commercio , può dirſi che un altro egli ne abbia privato e ſpeſſo mutabile , che naſce dalla qualità e quantità deibiſogni, o reali , o di opinione che à nelle date particolari circoſtanze, chi lo poſſiede; Può darli adunque che ciò che ſi azzarda al lotto , levato da una gran quantità , fia una piccola por zione di eſſa , relativamente ſuperflua; onde il ſuo valore ſia ſtimato sì tenue a fronte di una ſomma ragguardevole che rappreſenta un gran numero di comodi e di piaceri benchè fperabile ſolo per un piccoliſſimo grado di probabilità , che detto valore nella eſtimazione di chi lo gioca ſia conſiderato come zero , o come una quantità più o meno ad eſſo approf. fimante , formandoſi perciò , per così dire , una nuova e riſpettiva proporzione, ſecondo la quale il vantaggio molte volte ſarebbe dalla ſua parte . Queſto ſe non baſta , come ognun yede manifeſtamente , a render giuſto il contratto ſerve a render qualche ragione del traſporto , che hanno a tentar la forte in queſto gioco tanti che pur ne fanno ben conoſcere le condizioni , e calcolar le ſperanze . 35 quel bene che ſperano , non penſano a mi. ſurare i gradi della ſperanza medeſima; e il molto oro che già poſſeggono col penſiero , getta ſugli occhi loro un lampo che abbaglia talvolta anche il più ſaggio filoſofo , e il più freddo calcolatore. Quindi un tale impeto non conoſce freno che poſſa reggerlo , e non legge che poſſa vincerlo . Se un Principe tol ga dal proprio ſtato queſto oggetto dei co muni voti , la ſconſigliata avidità ad onta delle più fagge leggi, e deludendo le più ve glianti ſollecitudini ſi precipiterà in altri ſtati, che ſi arricchiranno a ſpeſe di quello onde il lotto ſia proibito ed eſcluſo . Unſaggio Principe adunque che può far ar gine a queſto torrente , accid non sbocchi al di fuori; deve procurare che ſi ſcarichi tutto a pubblico vantaggio , e che quella porzione di ſoſtanze che fagrificano follemente alla loro avidità i membri del corpo di cui egli è il capo circoli per il medeſimo, e poichè i pri vati ſi eſpongono a riſentire dello ſvantaggio , neſſun nocumento però ne venga alla Repub blica . Così facendo il faggio Principe , e non 1 36 fi attira la taccia di ingiuſto , e merita tutta la lode di prudente , di politico , di difenſore e cuſtode della pubblica felicità . Di queſta verità ne conoſcono per una fe lice eſperienza il frutto in più ſpecial maniera quei popoli , che hanno la ſorte di eſſere go vernati da Principi umani e benefici, che per l'uſo che fanno del loro erario , anzichè pof ſeſſori , ſe ne moſtrano piuttoſto amminiſtra tori a pubblico e generale vantaggio . Havvi un'altra ſpecie di lotti nei quali non è un ſolo il premio , nè un ſolo il colpo fa vorevole della forte , ma molti ſono i premi , come molti e vari i caſi propizi ; e ſecondo l'ordine dell'eſtrazione dei numeri dall'ur na , o ſecondo altre leggi convenute in pri ma ſi decide del maggiore , o minor premio . Tale è il lotto che ſi è fatto in Spagna per la coſtruzione del canale di Murcia , nella quale occaſione ſiccome ha fatta luminoſa comparſa la vaſtità , e penetrazione di ſpirito di chi ha ideato il progetto della grand'ope ſi è diſtinta non meno la finezza , e il di ſcernimento di chi ha regolato il metodo di ra ; . 2 37 accumulare le gravi ſomme di denaro neceſ fario ad un sì grandioſo diſpendio . In queſto contratto come nei ſimili ad eſſo biſogna conſiderare , che varie ſono le ſperanze e molte , perchè vari e molti ſono i premi , e che la ſomma di tutti reſta come venduta a quelli che hanno comprati i viglietti . Sicco me queſti hanno sborſato un ugual prezzo , così devono avere fra loro ugual numero di caſi favorevoli e finiftri relativamente ai di verſi, o maggiori o minori premi ; quali eſſendo per lo più vitalizj, l'uguaglianza fra gli azionarj e il padron dell'impreſa dipen de dalle regole , ſecondo le quali ſi ſtabiliſce la giuſtiza dei vitalizj . Ma non ſi troverà mai eſatta queſta uguaglianza , poichè una parte notabile del denaro che contribuiſcono gli azionarj , non già nel numero o nel valore dei premi ſi impiega , ma ſi deſtina alle ſpeſe delle ideate opere ſontuoſe . In queſto di Murcia però così ſono ſtati bilanciati i di ritti degli azzionarj , e ſono ſtati così grada tamente formati i premi , e in tal numero , e così bene è ſtata regolata l'economia di 38 1 1 queſta sì grandioſa impreſa, che forſe non vi è ſtato mai un'altro lotto , in cui ſiaſi nel tempo iſteffo meglio aſſicurata la ſomma ne ceſſaria alla deſtinata opera , e ſia ſtata me no alterata la proporzione a ſvantaggio de gli azzionarj. Troppo ſon note le lotterie , che con al tro nome chiamanſi dai Franceſi Blanques perchè io impieghi molto tempo in eſami nare le qualità , e i caratteri di tale contrat to . Dall'economo del gioco ſi mette in un vaſo un certo numero di viglietti , dei quali alcuni ſon bianchi ed altri neri , e ſi vende il diritto di eſtrarne uno il quale ſe è nero apporta a chi lo eſtraſſe il guadagno di un premio del valore che è notato ful viglietto medefimo . Ognun vede , che accið ſiavi ugua glianza convien ricorrere alla regola mede ſima, che ſi è data pei lotti che ſi fanno per grandioſe opere pubbliche, avuta anche quì in conſiderazione la fatica , e il diſpendio dell'economo del gioco , e riflettendo che in queſto caſo i premi non ſono vitalizj. Queſto è un contratto della natura di quello che dai 39 Latini chiamavaſi olla fortunae . In fimil guiſa Auguſto dilettavaſi al riferir di Svetonio di compartir doni ai ſuoi cortigiani, chiaman do così la forte ad eſſer miniſtra della ſua beneficenza . Talora un ſolo è il premio che ſi diſputa fra quelli che giocano alla lotteria , e allora ſe il premio non è denaro ma un altra coſa qualunque che abbia prezzo , ſi giuſtifica più facilmente, giuſta l'opinione del Barbeirac , la notata diſuguaglianza : e l'economo del gioco può vendere non ſolo tanti viglietti quanti corriſpondono al valore del premio , ma ancora in maggior numero anche di quello che altronde eſiger pud e l'opera ſua , e il diſpendio , quando ve n'abbia . Queſti lotti fi riducono , dice il citato au tore ad una ſpecie di compra , che ſi fa in comune , a condizione che la ſorte decida a chi debba appartenere la coſa comprata . Se ſiavi adunque dell'alterazione nella propor zione , ſi potrà conſiderare come ſe fi foſſe comprata la coſa ad un prezzo un poco più alto del corrente ; penſando che ciaſcuno tra 40 1 ! fcuri queſto di più che in altra fpecie di con tratto gli parrebbe forſe notabile, ſulla ſpe ranza di guadagnare il premio più o meno fondata a proporzione che uno ha comprata maggiore , o minor quantità di viglietti . Queſta mallima, che non è certamente di ri goroſa giuſtizia , non ſi potrebbe eſtendere perfettamente a quei lotti nei quali , e molti e di vario prezzo ſono i viglierti, e molti e di vario valore i premi ; a tutti quelli in ſomma, nei quali non ſia aſſolutamente u guale la condizione dei ſingoli poſſeſſori di ciaſcun viglietto , benchè lo ſia riſpettiva mente . Prima di paſſare ad altri contratti giovami riflettere , che anche quando il padron del gioco , o qualunque altro che ne abbia di ritto pretende , che ſiano valutate le ſue fa tiche e il ſuo difpendio , non tanto ſi può dire che v'intervenga una compenſazione ; quanto che ſi verifica di fatto a tutto rigore la noſtra proporzione , giacchè quel di più che fi paga , non è a titolo di compra della ſperanza , ma bensì a titolo dell'altrui di 41 ſpendio , e fatica ; e per conſeguenza eſſendo una quantità eſtranea alla detta proporzione non la può in verun modo alterare . Si poſſono ridurre ad un contratto d'az zardo appartenente a queſta claſſe le ſorti ancora propriamente dette . La ſorte, dice l'elegantiſſimo ſcrittore della ſtoria degl'ora coli , è l'effetto dell'azzardo , e come la deci fione , o l'oracolo della fortuna ; ma le ſorti fono gli ſtrumenti di cui uno pud valerſi per ſapere qual ſia queſta deciſione . Le ſorti ſono ſtate in uſo preſſo i più antichi popoli ; e la forte s'interrogava , o col gettare i dadi colle proprie mani, o col gettarli da un urna : e ai caratteri , ed alle parole che ſu i dadi erano ſegnate, corriſpondevano alcune tavole che ne contenevano la ſpiegazione. Altre molte erano le maniere di tentare la ſorte , e di a ſcoltarne gli oracoli . E' incredibile poi quan iti , e quanto gravi affari ſi regolaſſero a ta lento di queſta cieca divinità . Baſta leggere gli autori che trattano dei voti che ſi offe rivano a Preneſte , e ad Anzio , e che parlano diffuſamente delle forti Omeriche , e Virgi 41 liane . I verſi dell'immortale Epico Greco , nei quali dipinge con sì vivi tratti l'impeto , e il furore dell'indomito Achille , ritrovati a caſo nell'aprire l'lliade, erano talvolta la fola innocente cagione della rovina delle più floride città , e della deſolazione d'intiere Provincie. E ſe per lo contrario , aprendo i libri della divina Eneide s'incontravano gli amabili colori coi quali ſi dipinge la man fuetudine e la pietà del figlio d' Anchiſe , gli animi tutti non reſpiravan che pace , e quei pochi verſi baſtavano per dar fine alle guerre più ſanguinoſe . Aleſſandro Severo , ſalito al foglio dei Ce fari , credette di averne avuto un preſagio , quando privato ancora , anzi odioſo all'Im peratore Eliogabalo , aprendo nel Tempio di Preneſte l'Eneide di Virgilio , s'incontrò in quel tratto , ove queſto gran Poeta eſalta le virtù e piange i'immatura morte di Marcel lo , e preciſamente gli ſi preſentarono quelle parole fi qua fata aſpera rumpas Tu Marcellus eris . Ma io non parlo propriamente di queſte forti, e confeſſo anzi eſſere le medeſime uno dei monumenti più ſolenni dell'umana fol lìa . Io quì parlo delle ſorti, che chiamanlı elettive , diviſorie , attributorie , e ſimili delle quali brevemente eſporrò la natura e le qua lità , ed applicherò alle medeſime i più volte enunciati Teoremi . Due , o più perſone han diritto ad una coſa medeſima; eſaminato il valore del lor diritto lo trovano uguale; non vogliono gettare , nè tempo , nè denaro in ſuſcitare queſtioni ; aſcoltano anzi ſentimenti più miti , e commettono alla ſorte la deci fione dell'affare, anzichè affidarlo alle lun ghe , e diſaſtroſe vie dei Tribunali . Conſe gnano i loro nomi all'urna diſpenſatrice della forte , e quello è giudicato favorito dalla me deſima, del quale vien eſtratto il nome; e vien dichiarato pacifico , e ſolo padrone di quella coſa alla quale avea con gli altri ugual diritto . Che ſia lecito commettere in talguiſa alla ſorte un affare dubbioſo o controverſo non v'ha dubbio alcuno , giacchè non vi è ra gione per cui non polfa uno obbligarſi ſotto una condizione tale , che il purificarſi la mede fima dipenda dall'incerto , e vario evento della forte . Ora ſe i diritti ſono uguali , ſe quanti fono i concorrenti tanti ſono i nomi che ſi conſegnano all'urna , ecco che i prezzi che vengono rappreſentati dai diritti che ſi az zardano , ſtaran fra loro come i numeri dei caſi favorevoli ad uno , al numero dei caſi favorevoli a ciaſcuno degli altri riſpettiva mente ; ed ecco ſalvata l'uguaglianza di pro porzione fra i favorevoli, e ſiniſtri caſi, e fra i riſpettivi prezzi della ſperanza , la ſomma dei quali è l'oggetto della medeſima nel caſo di cui ſi tratta . L'iſteſſo può dirſi a proporzione , quando uno abbia un diritto , per eſempio doppio di quello degli altri ; e baſterà che in tal caſo due volte ſi affidi il ſuo nome all' urna fata le ; e così dicaſi di altri ſimili caſi . E di fatto queſto contratto a farne una giuſta analiſi ſi riduce ad un gioco di pura forte, in cui molti depoſitando ugual por zione un ſolo guadagna tutte le porzioni de poſitate, del quale ſi è di ſopra parlato ; e ſi 45 è detto , che uno depoſitando maggior por zione , pud eſigere a proporzione condizioni più vantaggioſe . L'iſteſſe maſſime regolar denno le ſorti elettive che ſi uſano , quando molti avendo un privato diritto ad eſſere eletti a qualche onorifica o autorevole dignità, troncano ogni ſorgente di diſcordanza col tentare la forte , L'iſteſſo dicaſi delle ſorti diviſorie, e di quan te altre poſſono immaginarſi, che tutte ſi ap poggiano ai medeſimi fondamenti, e in tutte nel modo iſteſſo ſi trova la proporzione che coſtituiſce l'uguaglianza fra i contraenti , Fin quì fi è parlato di quei contratti che alla prima delle ſopra indicate claſſi appar tengono . In effi fra la ſperanza che ſi acqui ſta , e il prezzo con cui ſi acquiſta ſi può fif fare un eſatta , inalterabile , e matematica proporzione. Note fono tutte le cagioni che poſſono aver rapporto al favorevole o triſto evento della ſorte , ſi conoſcono tutti gli ele menti dei quali ſi formano le varie combi nazioni, e ſi fanno perfettamente tutti i modi 46 diverſi per mezzo dei quali queſte fi forma no . E' queſto forſe l'unico caſo al quale ſi poſſa applicare lo ſpiritoſo Emblema del ce lebre Moivre, rappreſentante la ruota della fortuna, e ſopra di eſla una ſemicirconferen za di cerchio , che con le ſue diviſioni ſerve a regolare quei capriccioſi giri , che ſono l'og getto di tanti voti, e la cagione di tante vi cende dei mortali . Chi intraprende queſti contratti pud , direi quafi, venire alle preſe con la ſorte , e conoſcendone la forza e l'ar mi bilanciare il deſtino della lotta fatale . Non è così certamente nei contratti che alla ſeconda claſſe ſi riferiſcono , ne' quali il rapporto neceſſario a formare l'uguaglianza fra i contraenti , ſi appoggia alla ſola ſperien za del paſſato, e a cagioni incerte , e varia : biliffime. lo ſo bene che ſi ſono pur trovati dei Filoſofi che hanno francamente aſſerite due coſe . La prima, che nelle umane vicen de che colpi chiamanſi della ſorte, e a noi pajono fortunoſi e irregolari, ſiavi un ordine coſtante , eun'originale diſegno per cui dirette da una provida mano che lor dà moto ſecon 47 1 do certe invariate leggi, eſcano a ſuo tempo ad agire in queſto sì ben congegnato ſiſtema del Mondo . La ſeconda , che l'irregolarità , che non agli eventi medeſimi e alle vicende , ma alle noſtre cortę vedute deveſi attribuire , ſcom parirà finalmente , e replicate l'eſperienze fi vedrà quella conneſſione che ora ci è inco gnita , e ſi conoſceranno i fottiliſſimi punti nei quali ſi uniſcono i tanti fili, che regolano con sì bella armonia l'intero univerſo . Da queſte due propoſizioni argomentano , che dunque dopo un dato tempo , ſiccome cre ſcendo il numero delle ſperienze, queſte ci danno regola per conoſcere ſempre più la probabilità di un evento , che anch'eſſa va ſempre aumentando a miſura che ſe ne co noſce la regolarità, arriverà un giorno queſta probabilità a cangiarſi in certezza . Ecco ciò che aſſeriſcono con molta ſicu rezza alcuni Filoſofi, alla teſta dei quali è l'incomparabile Moivre più altero di aver rintracciato ne' ſuoi intimi penetrali l'ordine della natura , e di averle ſtrappato queſto ſe 43 creto , che non fu già il ſuo celebre concit tadino di aver conoſciuti, e indicati i rego lari moti e le orbite dei pianeti per gl'im menſi ſpazi del cielo . Egli è veriſſimo che la gran macchina dell univerſo ricevè dalle mani creatrici quel grande impulſo , che poi la mantiene in moto coſtantemente , e dal quale come da prima cagione derivano tutti i più piccoli moti della medeſima , benchè immediatamente prodotti dalle ſottiliſſime e varie molle che la com pongono , e le dan forza . Ad eſſo ſi riferiſce ugualmente un'auretta leggiera che diſſipa per la ſelva poche aride foglie, e un procel loſo vento che ſull'immenſo Oceano di ſperde e rompe una flotta ſuperba di mille vele . Le grandi vedute di un politico illumi nato , che formano il ſoſtegno e la forza del Trono , non ſono agli occhi dell' Onni potente niente più luminoſe delle ignobili e ſconoſciute cure di un ſelvaggio , dirette ſoltanto a ſoſtentare la propria vita , e a difenderſi dall'ingiuria delle ſtagioni . Che poi l'Eterna mente che tutto sà e 49 za , o del tutto regola , abbia voluto che fra i varj eventi che inteflono la ſerie delle umane vicende , e che ſon chiamati in più ſtretto ſenſo fortunoſi ſiavi un rapporto più che un altro , un tal'ordine e non un altro , queſto è quello che io credo non poterſi ſcopriregiam mai . Che dopo un certo periodo ricompa riſca di nuovo l'iſteſſo evento , chedopo certe rivoluzioni torni l'iſteſla ſerie di coſe, ridon da egli forſe in maggior lode o della fapien potere eterno , e ſovrano ? Nell'immenſo vortice della divinità fi pers dono le idee , che noi abbiamo di ordine , e conneſſione . O non vi è relativamente agli occhi divini ordine e regola ; o non potiam noi conoſcere in che conſiſta ; o tutto deve dirſi averla ugualmente . Chi vede inſieme col preſente ſiſtema di coſe infiniti altri pof fibili , vede un punto che non è ſuſcettibile di quei rapporti, che ſono idee relative a vedute limitate e finite ; o ne vede infiniti altri , per cagion dei quali pud agli occhi ſuoi parer regolato tutto ciò che noi chiameremmo forſe diſordine, e confuſione, d 50 Ma non è forſe neppur vero eſſere più van taggioſo all'uomo che ſiavi di fatto nelle umane vicende queſta regolarità . Fra le infinite vedute , che l'occhio im menſo ha preſenti per il vantaggio delle ſue creature , chi ſaprà dire quale abbia fillata a preferenza dell'altre ? Se un Sovrano cela ai ſuoi popoli i diſegni che forma, e le impreſe che và maturando, queſta condotta è diretta a tenergli nella dovuta ſommiſſione , e ad allontanarne l'orgoglio : e ſe un padre , ben chè benefico fa l'iſteſſo co'propri figli, non lo fa ad altro oggetto , che ad animarne la cieca confidenza che è uno dei più vivaci alimenti di un reciproco amore . Non vi è dunque argomento che comprovi queſta preteſa regolarità degli eventi che ſi fogliono chiamare fortuiti , e caſuali. Ma ſe ancor foſſevi, io ben non veggo ſu che fondamento ſi aſſeriſca , che agli occhi mortali eziandío dovrà una volta comparir chiara , e ſvanire per conſeguenza quella ap parente irregolarità che alla ſcarſezza delle noſtre notizie , e alla mancanza di eſperien ze , in tale ipoteſi deveſi attribuire . SI Quando ſi vuol fiſſare la contingibilità di un evento , oſſervar dennoſi ogni volta ch ' ei compariſce , le circoſtanze che lo accom pagnano , e l'intervallo di tempo che paſſa fra le diverſe ſue apparizioni . Quanto più creſceranno di numero le oſſervazioni, tanto più potrà conoſcerſi in quali circoſtanze ed in qual tempo debba arrivare . Da queſto ap punto argomentano gl ' indicati filoſofi, che ciaſcuna ofſervazione è diretta a ſcemare un grado della diſtanza che corre fralla irrego larità dipendente a ſenſo loro dalle noſtre corte vedute , e la regolarità che eſiſte di fatti nell'originale diſegno, e lega inſieme ed u niſce ſotto certe leggi tutte le varie vicende . Replicando adunque le eſperienze , rinovan do le offervazioni, ſi potrà arrivare a render nulla affatto queſta diſtanza ; e a ſquarciare del tutto quel velo che cela ai noſtri occhi queſta bella regolarità . Di fatto ſoggiungono , che altro è la cer tezza ſe non un tutto di cui la probabilità è una parte ? Creſcendo adunque queſta per mezzo delle oſſervazioni, potrà arrivare al 1 گرí grado di confonderſi col ſuo tutto : ed ecco fiſſata la certezza di quegli eventi , che ſi fo no ſempre creduti giochi , e capricci di una irregolare fortuna . E' egli per altro evidente queſto diſcorſo ? Potrebb'egli un animo , che non voglia ar renderſi ad altra forza , che a quella della ve rità , dubitare ancora di ciò medeſimo che uomini di grande ingegno hanno tenuto per certo ? E prima di tutto nel formare la tavola dei tempi nei quali ricompariſce l'evento medeſimo , convien riflettere di non notare ſe non quelle volte , nelle quali ſi moſtra ri veſtito delle medeſime circoſtanze . Se così è , e ſe queſte ſono preſſo che infinite , e in finitamente variabili , ne verrà per conſeguen za che quella rivoluzione che dee ricondur l'iſteſſo evento farà sì vaſta , e il circolo che la rappreſenta sì ampio , che o non ſi potran no da chi oſſerva congiungere oſſervazioni sì diſparate e rimote , o sì poche ſe ne po tranno fare , e la probabilità creſcerà sì len tamente da non potere giammai arrivare al 53 grado di confonderſi con la certezza . Tra= laſcio di oſſervare che un evento può com parire a noi accompagnato dalle medeſime circoſtanze, ed eſſervi nulladimeno tanta va rietà , che ſe foſle da noi ben conoſciuta fa rebbe sì che a tutt'altra ſerie da quella di cui ſi fanno le oſſervazioni, dovrebbeſi ri chiamare . Si conſideri ora ſeriamente qua lunque di queſti eventi che fortuiti chiamat ſogliamo, da quante cauſe poſſa provenire , e queſte in quante maniere poſſano combi narſi ; e vedremo , ſe per quante ſi vogliano replicate ſperienze ſi potrà giammai arrivare ad argomentare dalle circoſtanze che altre volte fi videro accompagnare un evento , la eſiſtenza del medeſimo . Quelle ragioni medeſime che immediata mente influiſcono ſugli eventi fortuiti hanno conneſſione con vari ordini di cauſe più o meno rimote , che innumerabili ſono ancor eſſe , e capaci di innumerabili gradi di alte razione . E quì potrei ricorrere a tante fiſiche teorie , le quali dimoſtrano , che un gran fe nomeno può avere la ſua prima ſorgente , tam 54 lora sì rimota che per infiniti giri , e tortuoſi fentieri appena ſi può rintracciare ; talvolta sì piccola , che dopo averla conoſciuta , ap pena ſi può credere che da eſſa derivi . E la ragione , e la immaginazione vanno in queſto caſo d'accordo a preſentare al pen fiero l'enormiſſima ſproporzione che correrà ſempre fra un gran numero di offervazioni quali peraltro non potranno eſſere moltiſſi me , ( ſe vogliano porſi in calcolo quelle ſolo che fimiliſſime ſono , è relative ad oggetti ſimili ) e l'immenſo vortice fra cui fi aggi ra ľ apparente irregolarità . Di quì deriva , che a rigore parlando dubitar deveſi di quella maſſima , che la probabilità di queſti eventi arriverà una volta a cangiarſi in cer tezza . E quì fa d'uopo riflettere , che la proba bilità , e la certezza ſono due atti eſſenzial mente fra loro diverſi , come dicono i meta fiſici, e che fralla maſſima probabilità che arrivi un evento , e la certezza , vi è di mez zo una ſerie infinita di poflibili. Il timore di errare che ſi coinpone con la maſſiına pro . 55 babilità e viene eſcluſo dalla minima cer tezza , è una barriera inſuperabile, per cui non ſi poſſono giammai fra loro confon dere , ed è quello appunto che le rende ( ſia mi lecito uſare un termine di matematica trattando di una materia nella quale ſe n'è fatto uſo con tanto profitto ) quantità in commenſurabili . Le prime oſſervazioni che fi fanno intorno a un determinato evento , non poſſono dargli che un grado di pro babilità così piccolo riſpetto al vortice im menſo della irregolarità , e all' infinita ſe rie dei poſſibili dall'evento medeſimo di verſi , che queſto grado pud conſiderarſi co me un infiniteſimo . Siccome adunque per trasformare un infiniteſimo in una quantità finita deveſi queſto moltiplicare per l'in finito , così queſto grado di probabilità do vrebbe ricevere infiniti aumenti per mezzo di infinite oflervazioni, prima che ſi poſſa chiamare ridotto al carattere della cer tezza . Parlo di caſi nei quali la ſerie dei poſſibili, che è di mezzo fralla probabilità e la cer 56 2 ! tezza , è compoſta di cauſe , che ogn'uno fa eſſere non immaginate ma vere , e poterſi in infinite maniere combinare . Poche oſſervazioni baſtano al filoſofo per render certe , o almeno eſcludenti un pru dente dubbio , alcune ſempliciſſime leggi della natura , dove tanto è lontano che ſi co noſca effervi infinite altre cagioni poſſibili , che anzi per argomenti preſi dai principi delle ſcienze ſi deduce non eſſervi luogo a ſoſpettare che altre ve ne ſiano . E' ben diverſo il caſo noftro ove trattaſi degli eventi che danno occaſione ai contratti di azzardo ; e riguardo a quali ſi pretende ſolo di mettere in diffidenza la maſſima che promette che ſi abbia a cangiare in una aſſo luta e rigoroſa certezza , quella che è mera probabilità , e forſe capace di creſcer ſolo pochi gradi . Che non pud fare l'amor di ſiſtema ? Lo ſpirito calcolatore avvezzo a portar lume ai più aſtruſi miſteri della geometria , e ad ana lizzare le coſtanti leggi della natura col più felice ſucceſſo , ſi lancia ardito dal gabinetto $ 7 di un filoſofo , e prefume di porre in mano ai mortali un filo che ſegni la traccia co ſtante degli eventi più incerti , e di aſſoggets tare alla ſua eſattezza ed uniformità , quan to v'ha di più vario , e mutabile . Non ſolo hanno cercato alcuni di ſcoprire un'ordine conoſciuto dai naufragi, un'ordi ne riſpettato dai morbi , e dalla ineſorabil morte ; ma hanno fperato di poterlo tro vare anche in quegli eventi che più dipen dono da cauſe morali e libere , le quali agi ſcono certamente , non perchè così voglia un ordine e non un'altro , ma perchè così vo glion eſſe , e non altrimenti . Si è perfino tro vato chi ha propoſto le tavole degl'incendii , delle cadute fatali da un precipizio , e di molti altri ſimili fortunofi accidenti come ſe ſi poteſſe ſcuoprire anche in eſſi a ſuo tempo regola , ed ordine . Per quanto poſſa nei caſi dipendenti da fi fiche cauſe trovarſi una conneſſione fralle me deſime per lunga ſerie concatenate , in guiſa che debbano in un dato tempo produrre un effetto più che un'altro ; non ſi potrà mai dire 1 1 . $$ altrettanto quando vi abbia luogo una libera volontà che non ſiegue ordine , o conneſ fione , e che può produrre un'atto ſenza rap porto a verun' altro che abbia altre volte prodotto , o che ſia per produrre in appreſſo . E ſe è vero , che negli eventi , e nei caſi preſi in compleſſo di tutte le loro circoſtanze , e in quelli ſpecialmente che ſono il ſoggetto dei contratti di cui parliamo , qualche o più proſſima, o più rimota influenza vi hanno le cauſe morali ; che ſi può egli penſare di più ſtravagante che il volergli ridurre eſattamen te a regola e pretendere di cangiare la pro babilità in certezza ? E chi fu mai che tentaffe di ordinare le diſperſe, e confuſe foglie , che contenevano le riſpoſte ſull'avvenire, della fatidica Sacer dotella di Cuma ? Ma quand'anche gli argomenti da me ad dotti non provaſſero l'impoſſibilità di arriva re dopo un lunghiſſimo corſo di anni a can giare in qualche certezza la probabilità, pro vano almeno , che per noi , e per ben mol te generazioni queſta farà una ſterile ricer 59 ca ; giacchè per molti , e molti ſecoli, ( ac cordando anche più di quello certamente , che ſi può ) non ſi potrà vincere quel diſordi ne , e irregolarità almeno apparente , che of ſervaſi nelle umane vicende , e che in ſomma il limite delle medeſime è tanto diſcoſto , che pud conſiderarſi come infinitamente diſtante . Dal fin quì detto per altro non ſi può ra gionevolmente inferire , che dunque dal com mercio degli uomini ſi debbano eſcludere i contratti di azzardo che appartengono alla ſeconda delle ſopra indicate clafli . Per provare la verità di queſta aſſerzione convien fiſſare due maſſime conformi alla ragione , e che ſe non erro ſono il fonda mento al quale ſi appoggia la giuſtizia di queſti contratti. Queſta uguaglianza fra i contraenti che è sì neceſſaria a render giuſti i contratti è un termine vago , e che non ha affiffa alcuna idea , ſe allo ſtato di natura vogliam rimon tare . Il prezzo delle coſe introdotto o dalla legge , o dalla conſuetudine che imitatrice della legge la vince di autorità , ecco ciò che 60 ha chiamata l' uguaglianza a preſiedere ai contratti . Alla ſocietà dunque , e alle fire maſſime deveſi attribuire . Si eſamini pero lo ſpirito della ſocietà, e ſi vedrà che nelle ſue maſſime generali non ſi devono comprendere quei caſi che è dello ſpirito della medeſima l'eſcludergli, e l' eccettuarli . Si riduce al lora la queſtione, ad eſaminare ſe ſiano utili alla ſocietà i contratti in queſtione; e ſe nelle bilance del pubblico bene ſia di maggior mo mento il vantaggio che recano , o la preciſa offervanza di quella perfetta uguaglianza ne contratti, che è tanto neceſſaria generalmen te alla quiete , e felicità degli individui , e al buon ſiſtema, e conſervazione di queſto cor po morale , e politico . Pochi elementi , e poche idee ſciolgono il problema . Induſtria eccitata , commercio invigorito , circolazione ampliata . Vantaggi fono queſti generalmente procurati da tali contratti ben regolati , come ſi può ben co noſcere da chi ne eſamini lo ſpirito , e le conſeguenze . Daqueſto argomento riceve gran forza un 61 ſecondo rifleflo . In queſti contratti non ſi può avere fra i contraenti una perfetta ugua glianza di condizione , perchè non ſi può eſattamente miſurare la loro forte . Ma ciò che manca a queſta giuſta miſura è con une ad entrambi . Ad entrambi è egualme ite i gnoto per chi debba eſſere il vantaggio , e per chi il diſcapito , potendo ugualmente nel caſo noſtro , e l'uno , e l'altro a ciaſcun di loro arrivare ; e queſto medeſimo forma una ſpecie di ſorte uguale , la quale pud ſupplire a quanto manca alla perfetta uguaglianza . Diſli alla perfetta uguaglianza , perchè le maſſime ſopra eſpoſte ed impugnate , vacil lano ſoltanto , perchè oltrepaſſano certi li miti , dentro dei quali rinchiuſe provano moltiſſimo, rapporto alla uguaglianza che deve eſſere nei contratti della ſeconda claſſe . Inteſe le maſſime con la dovuta moderazio ne , è veriſſimo che eſtraendo da un'urna ove ſiano alla rinfufa molti viglietti bianchi e molti neri , quante più eſtrazioni fi anderan no facendo , tanto più creſcerà la conoſcen za del rapporto che hanno fra loro : è verif fimo che le oſſervazioni ſegnate in tavole danno ai giovani la prudenza dei vecchi : ed è incontraſtabile che quanto più ſpeſſo ac caderà in natura un evento , tanto più ſi po tranno attrappare le circoſtanze che lo ac compagnano , e farà meno irragionevole l'in duzione che dalla eſiſtenza di queſte, ſi farà della futura eſiſtenza di quello . Si potrà dun que avere un qualche dato per eſaminare la probabilità di un'evento , e proporzionargli il prezzo con cui ſe ne acquiſti la ſperanza . Per formare una ſerie dei diverſi gradi di tale probabilità gioverà eſaminare un qualche contratto in ſpecie, e fiffare i punti dai quali la ſerie ſi parte ; poichè non ſi potrebbe con tanta facilità fare una giuſta analiſi, o alme no egualmente chiara , ſe fi conſideraſſero le idee in aſtratto , e ſenza applicarle ad un de terminato ſoggetto . Fra tutti i contratti che ridur ſi poſſono a queſta ſeconda claſſe parmi che meriti di eſ ſere diſtintamente eſaminata l'aſſicurazione , Efla è un contratto per cui uno dei contraenti ſi obbliga a riparare tutti i danni che può un 63 . altro ſoffrire nelle ſue merci per naufragio , o altre convenute cagioni ; e queſti ſi obbli ga a pagarli una determinata mercede in com penſo del pericolo al quale volontariamente ſi eſpone. 1 Fiorentini che avendo già eſteſo il loro commercio per tutto il Levante aveano fatto conoſcere a tutto il mondo quello ſpirito di lo devole induſtria, e fagacità, che forma il nerbo e la floridezza di uno ſtato , e che fu ſempre del loro carattere , furon quelli che riduſſero a certe leggi queſto contratto, e gli diedero for ma e credito . Inſegnarono così alle altre na zioni commercianti a tirarne quel profitto , che il profondo , ed illuminato Melon aſſe riſce dover eſſere sì ampio per uno ſtato che abbondi di eſperti, ed avveduti aſſicuratori. Di fatto alla Repubblica Fiorentina deb bonſi i primi capitoli di aſſicurazione che furono diſteſi negli anni 1523. , e 1525. A queſti ſucceſſero negli anni 1563. , e 1570. le ordinazioni di Olanda . Non è ſtata queſta l'unica occafionein cui abbiano, gareggiato in fatto di commercio 64 queſte due nazioni , la prima delle quali ha faputo ſempre profittar pienamente delle fe lici fue circoſtanze , e la ſeconda compenſare ognora in mille modi i danni della infelice ſua ſituazione; e inſultar quaſi alla natura di ayerla in eſſa collocata . Gli ſcrittori che hanno trattato di queſto contratto lo diſtinguono in due ſpecie. La prima chiamano eſſi aſſicurazione propria mente detta , ed è quando le merci che ne ſono l'oggetto appartengono di fatto a quello che ne chiede l'aſſicurazione ; e queſto è ciò che intendono ſotto il nome di riſico dell' aſſicurato ; ed inoltre ſono eſſe realmente ſog gette a pericolo , o com'eſſi dicono a ſiniſtro . Per la validità di queſto contratto ricercaſi la coeſiſtenza del riſico , e del ſiniſtro ; ed è quanto dire , che l'aſſicuratore non deve pa gare la ſicurtà , nè l'aſſicurato la mercede , ſe le merci avean corſo già il loro deſtino quan do fi ftipulò il contratto , o ſe non apparten gono all'aſſicurato . Per maggior comodo poi , e dilatazione di commercio fu introdotto il contratto di affi 65 curazione ſulle merci o proprie , ma non nella ſomma che ſi afferiſce , e che cade ſotto l'aſſi curazione : o appartenenti affatto ad altra perſona . In queſto contratto il fondamento conſiſte nella fola eventualità dell'azione; e ſi può in eſſo ravviſare un'apparenza di Scommeſſa della quale però gli mancano ſe condo molti , alcuni caratteri . Anche in queſta ſeconda ſpecie comunemente ricer caſi, che le merci ſiano in pericolo ancora quando ſi fa il contratto ; benchè in alcune piazze ſi ſoſtenga anche nel caſo che le merci aveſſero già corſa la loro forte quando ſi ſti puld il contratto , purchè però queſto non foſſe a notizia dei contraenti . Per ridurre pertanto in qualche vero ſenſo il contratto di aſſicurazione alla Teoria ſopra eſpoſta regolatrice della uguaglianza neceſ faria nei contratti di azzardo , fa d'uopo con ſiderare due fatta di caufe che influir poſſono full'evento incerto , che ne forma l'oggetto . Altre ſono le cauſe fiſiche che per un puro meccanico impulſo della materia agiſcono in dipendentemente da qualunque libera deter 66 minazione di una cauſa ſeconda ; il mare cioè più o meno ſparſo di pericoli , agitato da vortici , terribile per gli ſcogli ; il vento che tormenta più un ſeno di mare che un altro , e domina più in una ſtagione, che in un altra ; la qualità del naviglio , più o me no capace di reſiſtere agli urti , e di inſul tare gli Aquiloni ; e finili altre che a que ſte ridur ſi ponno , anzi con queſte confon derſi . Più incerte affai, e più indocili all'eſat tezza del calcolo ſono quelle cagioni che mo rali ſi chiamano , perchè o conſiſtenti nella libera determinazione di un ente creato , o da quella dipendenti almeno mediatamente . La deſtrezza, e la buona fede del capitano : l'abilità dei marinari e dei piloti : il nume ro , e la gagliardìa dell'equipaggio : la mag giore o minor frequenza dei pirati che infi diano fraudolenti, e poi attaccano rapaci ; o dei nemici armatori che appoggiano le fan guinoſe loro infeſtazioni ai tremendi diritti della guerra , ſono o le uniche , o le più con ſiderabili di queſte cauſe morali . 67 i Se il fondare un calcolo eſatto ſulle fiſiche cagioni ſuaccennate è impoſſibile: il fondarlo che ſi accoſti all'eſattezza difficiliſſimo : lo ſarà molto più l'appoggiarlo alle cauſe morali che non agiſcono per una conneſſione di mo vimenti , e d'impulſi che l'un l'altro fiſie guano neceſſariamente; ma che operano per una mera libera determinazione , che per qualunque congettura la più apparentemente probabile non ſi può preſagire; poichè anche preſa può ſul momento abbandonarſi , per cangiarla in una affatto diverſa , e talora dia metralmente oppoſta, e contraria . Un canone perd univerſaliſſimo, e da non preterirſi giammai in queſto contratto , parmi quello di non conſiderare neſſuna cauſa , o fiſica , o morale , ſeparatamente o iſolata dalle altre ; ma di oſſervare l'influenza reci proca che hanno tutte le cauſe l'una ſopra dell'altra , e quella non meno che hanno ſulle morali ; e l'iſteſſo dicaſi di queſte rapporto alle fiſiche . Il momento di ciaſcuna cauſa ſi altera a miſura che diverſamente è combi nata , o temperata colle altre . e 2 68 Per conoſcere però quanto poſſano queſte cagioni , e ſingolarmente preſe , e in complef ſo , è neceſſaria una lunga ſperienza . In queſto contratto , per caſi ſiniſtri non ſi intendono già tutte quelle combinazioni , che realmente poſſono funeſtare l'aſſicuratore , e perder la nave , nè per favorevoli quelle che ſalva dai naufragi, e dalle oſtili violenze , la confe gnano al ſoſpirato porto . Fatta una tavola di accurate , e frequenti oſſervazioni , e conoſciuto quante volte in parità di circoſtanze ſiaſi perduta la nave , e quante ſia giunta felicemente al deſiato fuo termine ; la ſomma delle prime rappreſenta la ſomma dei caſi ſiniſtri ; e quella delle ſe conde ſi tiene per il numero dei favorevoli ; e ſu queſti dati ſi forma la proporzione da noi ſtabilita nel III. Teorema . Queſta è la ſpecifica differenza che paſſa fra i contratti del primo genere , e queſti che al ſecondo appartengono . Nei primi entrano in calcolo tutti quanti i poſſibili caſi e fini ſtri, e favorevoli, perchè ſi fanno tutti , e ſe ne conoſce perfettamente il numero ; noi 1 69 ſecondi fi calcolano quelli ſoltanto , che dopo una lunga ſperienza ſi ſono oſſervati ; reſtan done non compreſi nel calcolo tanti altri pof ſibili , i quali perd dopo molte e molte oſler vazioni fi fuppongono in proporzione di no tati . La proporzione ſi accoſta tanto più al vero , quanti più ſono i caſi oſſervati, come appunto accade nell'urna che contiene un ignoto numero di palle bianche e nere : delle quali con tanto minor pericolo di errore ſi può fiffare la proporzione , quanto più copioſa ſe ne è fatta l'eſtrazione. In una parola , nei primi è incerto l'eſito della ſorte ; nei ſecondi è incerto anche ciò che può determinarlo . Rariſſimi però ſono i caſi che ſieno riveſtiti perfettamente delle medefine circoſtanze . Fa d'uopo adunque per formare la propor zione ricorrere alle diverſe tavole , ove ſono notate le circoſtanze preſe ſeparatamente; e conſiderarle come tanti elementi dei quali ſono compoſti i dati della proporzione . Scioglie una nave dal Porto , e veleggia per un mare tranquillo , e placido ; queſta circoſtanza è un fondamento della propor 70 zione da ſtabilirſi fra il valor delle merci , e il prezzo dell'aſſicurazione; e la tavola delle navigazioni fatte in queſto mare lo additerà preciſamente. Ma fe queſta nave corra un pericolo di pirati , o di nemici che le altre navi facendo il medeſimo viaggio non avevan corſo giammai , nel formare la proporzione vi entra anche queſto elemento , la di cui forza ſi miſura dalla tavola di altre naviga zioni benchè fatte in altri mari , e ſi compone il minor pericolo che ha queſta veleggiando per un mare tranquillo ; col pericolo che cor ſer altre per la ſola oſtile infeſtazione. Vaglia queſto per eſempio delle proporzioni com poſte di varj elementi , il valor dei quali ſia regiſtrato in diverſe tavole , non obliando giammai nel combinarli la forza che acqui ſtano dalla reciproca loro influenza . Ma può talvolta non eſſervi l'eſperienza baſtante a far conoſcere i gradi di probabi lità dell'eſito lieto , o infauſto . Monta per la prima volta un vaſcello un Capitano, che non ha mai per l'avanti governato naviglio alcuno: infeſta i mari una turma di corſari 1 1 71 sbucati da qualche ſcoglio che alzava prima una barriera alla fanguinaria loro rapacità e dei quali ignoraſi per anco il numero , ed il valore , o a meglio dire la violenza della eſecrabile loro ſete dell'oro e del ſangue ; chi potrà miſurare i gradi dell'influenza che ha ſull'eſito felice la prụdenza e la deſtrezza del primo , e ſull’infauſto l'ardire , e la forza dei ſecondi ? In tal caſo per quanto vogliaſi dare un va lore anche a queſte circoſtanze nuove ; fon dandolo ſu qualche piuttoſto appreſa , che conoſciuta ſomiglianza ad altri caſi; egli è certo però che ſenza una più volte ripetu ta eſperienza, non può fiffarſi una propor zione di cui ſi calcolino i gradi , e ſi nume rino i valori ; e ſenza di eſſa non ſi può for mare una ſerie che ſerva di norma all'u guaglianza ricercata in tali contratti. Tutto alla fine ci conduce a riflettere , che una e fatta proporzione nei contratti del ſecondo genere non può ſperarſi giammai ; che in molti caſi ſi potrà avere meño lontana dall' eſattezza ; in altri ſi troverà dalla medeſima 72 più rimota , come dal fin qui detto chiara mente appariſce . Ma forſe gli aſſicuratori interrogano que ſte tavole , formano calcoli , e ſciolgon pro blemi ? Il filoſofo che ſcortato dalla ragione fino ai loro principi eſamina le azioni degli uomini e le bilancia , conoſce che queſti cal coli ſono neceſſarj a ridurre i contratti all' uguaglianza e comprende che queſta tanto più ſi otterrà facilmente , quanto più ſiano frequenti queſte tavole , e numeroſi i caſi che ad eſſe , come a indicatrici della ſorte ſono af fidati; l'aſſicuratore poi accorto ed illumi nato le conſulta , o le deſidera ; l'indotto , e meno avveduto ha preſente, almeno in con fuſo la maggiore , o minor frequenza de' fini ſtri nelle date circoſtanze ſeguiti , e ſu queſto implicito calcolo forma il ſuo giudicio più o meno eſatto , e non ſi affida totalmente alla cieca all'arbitrio dell'incerta forte . In queſto contratto il prezzo che eſpone l'aſſicuratore , è il valore delle merci , che egli ſi mette in azzardo di dover pagare all' aſſicurato ; quello dell'aſſicurato è la merce: 1 73 de che egli paga all'aſſicuratore in compenſo di queſto azzardo medeſimo . Ma ſiccome fatto il contratto di aſſicura zione , l'aſſicurato deve in qualunque evento pagare all'aſſicuratore la convenuta merce de , pare a prima viſta che per l'aſſicurato non ſiavi azzardo alcuno ; poichè dal punto dello ſtabilito contratto è deciſa la ſua forte ; o a dir meglio riguardo a lui nel ſuo con tratto non ha luogo alcuno la forte . Baſta però una giuſta rifleſſione ſulla natura di tal contratto , per vedere che anche per l'aſſicu rato vi è l'eſito favorevole della ſorte ſicco meancora l'infauſto . Caſo favorevole può chiamarſi quello che rende il contraente pago , e contento di aver fatto il contratto ; talmente che ſe aveſſe pre veduto l'eſito , conſultando ſolo il ſuo van taggio , l'avrebbe nonoſtante fatto , anzi con tanto maggiore alacrità . Per lo contrario infauſto può dirſi quello che in qualche modo gli dà occaſione di pentimento , in guiſa che ſe aveſſe previſto l'eſito avrebbe omeſſo di fare il contratto. Ora quantunque 74 l'aſſicurato , fatto il contratto ſia già ſicuro di dover pagare la mercede , qualunque ſia l'evento ; quando però la nave giunga a ſal vamento , è in caſo di pentirſi del ſuo con tratto ; poichè ſe non lo aveſſe fatto , e avreb be avuta ſalva la nave , e non avrebbe fof ferto il diſpendio della ſtabilita mercede . In queſto ſolo ſenſo , e non in altro , che ſareb be troppo contrario all'umanità , poichè ſi riſolverebbe in compiacerſi dell'altrui dan no , che neppur ridonda in proprio vantaggio , ſi pud intendere ſiniſtro per l'aſſicurato il caſo del ſalvamento della nave ; e in queſto ſolo può ridurſi il contratto al carattere di una vera ſcommeſſa , di cui è eſſenziale ſe condo alcuni , che l'avvenimento favorevole ad uno dei contraenti , ſia per l'altro infau ſto , e ſiniſtro . Conchiuſo il contratto , l'al ficurato che ha ſentimenti di umanità , deſi dera che ſi falvi la nave , ma falvata la nave vorrebbe non aver fatto il contratto . Quello che non ſi può in modo alcuno ri durre a calcolo , ſi è nella perdita di una na ve , la minore, o maggior quantità di merci , ! 75 che ritoglier ſi potranno all'ingordigia dell onde , e ritrarre al lido ; lo che ſuccede mol te volte , e fa che non debbanſi tutti i cafi ſiniſtri giudicare di un carattere egualmente dannoſo ; ma diverſi , a miſura , che più o meno delle aſſicurate merci , ſi perde , e ro vinafi . Il poter prevedere , e calcolare in a vanti tal quantità influirebbe molto a deter minare la mercede che l'aſſicurato promet te . Ma chi potrà mai calcolare le tante cauſe che poſſono influire ſopra un sì variabile ac cidente ? Forſe l'aſſicurato avrà all'ingroſſo preſente queſta varietà di combinazioni ; ma potrà egli dare ai loro effetti un giuſto valore ? I principj fin'ora eſpoſti regolatori di que Ito contratto , quando ha per oggetto merci affidate al pericoloſo traſporto di mare , pof ſono facilmente adattarſi alle merci traſpor tate per terra ; anzi alle merci , o ſituate nei magazzini , o in altra maniera cuſtodite . Tutto ciò che può eſſer ſoggetto ad un fatal accidente , e per quello perire , o deteriorarſi , fi fa eſſere oggetto di queſto contratto . Anzi il guaſto di un incendio divoratore , le ruine 70 di un turbine procellofo che abbatte caſe , porta la deſolazione per le campagne , la vio lenta incurſione di rapaci aſſaſſini, o le ru berie affidate al ſegreto e alle tenebre della notte dalle timide mani infidiatrici , ed altri pericoli di tal fatta , che a prevederli biſogne rebbe nulla meno che lo ſpirito di divinazio ne , ſomminiſtrano in alcuni paeſi occaſione di venire alle mani con la ſorte , ſenza che nè l'una parte nè l'altra poſſa mai, neppure all'in groſſo e colla maggiore ineſattezza , miſurarla . Un'altro contratto non meno intereſſante , e che appartiene a queſta ſeconda claſſe ſi è quello che chiamaſi vitalizio . Gli uomini non contenti di affidare la loro forte a tante , e sì varie combinazioni che alterano , e modificano sì ſtranamente gli ef Teri inanimati ; hanno voluto che ella dipen da anche dalla vita dei loro ſimili , ed hanno fatto sì che un uomo debba ftimarſi infelice ſe un altro gode per lungo tempo sì prezioſo dono del cielo . La vita iſteſſa è venuta tal volta in bilancia con un tenuiſſimo guadagno . Il vitalizio altro non è che l'annuo inte 77 ! reſſe di un capitale collocato a fondo per duto . Chi colloca in tal guiſa il ſuo capitale lo fa ad oggetto di ritrarne un profitto mag giore di quello che riſerbandoſene il dominio potea ſperare. Suol eſſere comune queſto con tratto e a coloro che non avendo perſone congiunte con ſtretto vincolo di ſangue o di amicizia , o che non curando le veci dell' uno , o dell' altra , non hanno nulla che gli ritragga dal provvederſi i mezzi di ſodisfare anche a quei biſogni che ſono figli del più molle, e faſtoſo luſſo ; e a quegl' infelici, che ſenza queſto compenſo condur dovrebbero i triſti loro giorni in ſeno all'inopia, e allo ſqual lore . Il vantaggio di liberarſi da tante fre quenti , e penoſe cure della domeſtica eco nomia luſinga molto , ed è talor neceſſario , a chi trovandoſi in un'età cadente , accom pagnata per lo più da una infaufta dote di mali, vedrebbe da mercenarie mani rapaci diſperſi, e lacerati i ſuoi fondi , rendergli un frutto di gran lunga inferiore a quello che potrebbe ritrarne perchè diviſo con tanci domeſtici fti pendiati uſurpatori. 78 Quello poi che ſi carica di pagare un frutto maggiore dell'ordinario ha per oggetto non folo di fare in un colpo l'acquiſto di una ragguardevole ſomma , ma di vedere la vita di quello a cui lo paga non oltrepaſſare un tal corſo di anni che la rendita ecceſſiva af forbiſca il capitale , e la ſomma degli inte reſſi ordinarj , che egli ne ha ritratti . Aipri mo arride la ſorte fe ſopravviva un tal nu mero di anni che fatta la ſomına delle an nuali rendite vitalizie , queſta ſuperi il fondo perduto e di più le rendite ordinarie del medeſimo . Favoriſce il ſecondo ſe la morte fi affretti a troncare prima di tal termine i giorni dell'altro . Ecco lo ſpirito di queſto contratto . Per rintracciare nel medeſimo la neceſſaria uguaglianza , e per verificare i noſtri teore mi è neceſſario riflettere , che sborſato il ca pitale che ſi perde , e fiſſata la rendita mag giore dell'ordinaria , vi ſarà un certo nume ro di anni , per il corſo dei quali ſopravi vendo , la ſomma degli ecceſſi della rendita vitalizia full' ordinaria uguaglierà il capita 6 79 le . Se quello adunque che perde il fondo foſſe ſicuro di ſopravivere un tal corſo d'an ni , non potrebbe eſiger di più di queſta de terminata rendita vitalizia . Ma ſiccome quel lo che dà a vitalizio non è ſicuro di vivere un determinato numero d'anni ; per poter rendere eguali le condizioni dei contraenti , è neceſſario fiſſare un tal numero d'anni , che la probabilità di ſopravivere ſia uguale a quella di premorire , e che al caſo che uno ſopraviva o due o tre anni , o qualunque altro numero , ſi poſſa con ugual probabilità contrapporre il caſo che muoja un egual nu, mero d'anni prima . Quando dunque ſi tratta di formare un vitalizio , conviene eſaminare quanto abbia ſopraviſſuto un gran numero di perſone , per eſempio mille , all'età di quello che vuol farlo . La ſomma di tutti gli anni che tali perſone hanno ſopraviſſuto di viſa per il numero delle medeſime , dà un numero , che ſi chiama l'età media . Trovato queſto , ſi ſuppone che chi fa il vitalizio deb ba ſopravivere fino a tal termine , e ſi fa il diſcorſo che ſi è detto di ſopra , quando ſi è 80 fatta l'ipoteſi che uno foſſe ſicuro di vivere nè più nè meno un determinato numero d'anni . Nel fiſſare la media ſi ſono conſide rati gli eventi che poſſono favorire il caſo della ſopravivenza eguali in numero a quelli che vi ſi oppongono ; uguaglianza che ſi ac coſterà tanto più al vero quanto ſarà mag giore il numero delle vite dalle quali ſi ri cava la media . Ecco dunque, come in queſto caſo la ſpe ranza può dirſi uguale al timore , e per con ſeguenza può aver luogo l'azzardo ſenza op porſi alla giuſtizia , ed ecco finalmente ridot to il contratto ai termini dei noſtri teore mi . La ſomma del capitale più le rendite ordinarie , che è il prezzo eſpoſto da chi perde il fondo , deve ſtare alla ſomma delle rendite vitalizie che formano il prezzo eſpoſto dall' altro contraente , come il numero dei cafi favorevoli al primo , al numero dei caſi fa vorevoli al ſecondo ; i quali ſupponendoſi moralmente uguali per l'accennata ragione , ne ſegue che la ſomma del capitale , e delle rendite vitalizie dovrà eſſere eguale alla fom 81 ma del capitale , e delle rendite ordinarie computando tal ſomma fino al termine del la vita media , che per ipoteſi ſi dà ſtabilito per l'indicato calcolo . Si ridurrà dunque l'uguaglianza di queſto contratto a diſtribui re per detto numero d'anni queſta ſomma ; o ſia a rendere anche più ſemplice l'eſpreſ fione , ſi tratterà di aggiungere alle annue rendite ordinarie il capitale diſtribuito per detto numero d'anni . E'evidente che per rendere in queſto contratto le condizioni più eguali convien pigliare un grandiſſimo nu mero di vite per formar la media . E quì ſi oſſervi che ſe poteſſe la probabilità della du rata di una vita fino a un dato numero d'an ni cangiarſi in certezza , ſarebbe tolto affatto l'uſo di queſto contratto : lo che dee dirſi di tutti i contratti di azzardo . Si penſa a can giare la probabilità degli eventi in certezza . Se queſto ſi otteneſſe ſarebbe affatto bandita quella cieca divinità alla quale ſi abbando nano gli uomini per formarne un ramo di commercio . Vogliamo adunque miſurar la forte , non eſpellerla . f 82 Tanto più farà facile in queſto contratto fiſſare la media , quanto più ſaranno ridotte a claſſi diſtinte le perſone delle quali ſi ſom mano le età . Qualità di profeſſione, carattere di temperamento , indole di clima , eligono ſeparate oſſervazioni . In fatti, ſiccome per cali favorevoli s'intendono quelli per i quali ſi prolungano le vite , per contrari quelli che le abbreviano ; e i ſecondi , nel fillarſi l'età media vengono conſiderati moralmente ugua li di numero ai primi ; queſta uguaglianza ſarà più vicina alla vera , quanto maggiore ſarà la parità di circoſtanze . Se abbiaſi però riguardo non ſolo alle an nue rendite vitalizie , ma al frutto delle me deſime, potendoſi eſſe, e il frutto loro cangia re ſucceſſivamente in forte fruttifera ; fic come quello che paga l'annua rendita vita lizia paga un frutto maggiore di quello che ritrae ; dovrà a proporzione ſcemarſi l'ecceſſo della rendita vitalizia ſull'ordinaria . Queſto però non ſi oppone alla verità del teorema terzo ; poichè in tal caſo il prezzo che eſpo ne quello che paga la rendita vitalizia non ܪ 83 farà più quell'ecceſſo della rendita vitalizia ſull' ordinaria , che naſcerebbe dalla fillata proporzione ; ma ſarà un ecceſſo tanto mino re , quanto è la differenza del frutto della rendita vitalizia conſiderato ſucceſſivamente , e per ferie cangiato in forte fruttifera , dal frutto della rendita ordinaria conſiderata nell'iſteſſa maniera , e così cangiandoſi pro porzionalmente le eſpreſſioni dei due prezzi , non ſi cangerà l'analogia . Non farà difficile il perſuaderſi dell'indi cata differenza fe fi conſideri, che chiamata la ſorte totale per eſempio A , e una di lei porzione C , alla quale corriſponda l'annuo frutto B , ſarà la ſerie delle annue rate d'in tereſſe o ſia di ciò che ſi deve ogni anno nella ipoteſi che il frutto ſi cangi in forte , eſpreſſa dalla ſeguente formola . (C + B ) A ,( B ) A ( C ( C + B С N o ſia eſprimendo per Nil numero degli anni ſcorſi dal primo (C + B) À laddove quando il N frutto non ſi cangia in ſorte fi avrà una ſe C_A f 2 84 rie aritmetica il di cui primo numero cor riſpondente al primo anno farà il capitale col frutto ; il ſecondo il capitale col doppio del primo frutto ; il terzo il capitale col tri plo del primo frutto . Il valore adunque del frutto del primo anno ſarà la differenza dei termini di queſta ſerie . Siccome poi nel caſo dell'ultima ipoteſi , tanto la rendita ordiną ria , quanto la vitalizia ſi cangiano in forte; fatte le due ſerie di potenze ſecondo la eſpo fta formula , e ridotte ai termini individui del caſo di cui ſi cerca , ſi conoſcerà il valore della ricercata differenza . Richiaminſi però a queſto contratto i prin cipj ſtabiliti in quello dell'aſſicurazione, e ſi abbia in viſta che per caſi favorevoli , altro non s'intende , che il numero di quelle per ſone che in parità di circoſtanze hanno ſo pravviſſuto un dato numero d'anni , per ſi niſtri poi il numero di quelle che ſono man cate prima ; che queſta parità di circoſtanze vien compoſta talora da molti elementi il valore de'quali dev'eſſere prima a parte no tato ; e che la vita dell'uomo dipendendo da 85 cagioni fiſiche e morali , fa di meſtieri riflet tere al diverſo loro carattere , e alla recipro ca influenza delle medeſime. Lodevolilimo però è l'uſo di far le tavole , o regiſtri, nei quali ſi notino la naſcita , la morte , e gli altri accidenti della vita umana ; poichè queſte ſole appreſtano il fondamento ſu cui ſi appoggiano tanti vantaggioſi con tratti ; ed elle ſole danno la miſura delle forti, e delle aſpettative dei contraenti . Sarebbe in conſeguenza deſiderabile che ciaſcun medico regiſtraſſe privatamente le qualità , e gli accidenti dellemalattie che egli tratta ; ſiccome quelle del temperamento di ciaſcun malato , che egli libera , o che non può ritrarre dalle prepotenti fauci di morte . Queſte ridotte in ſiſtema, e reſe pubbliche riſparmierebbero molte volte la pena di com binarne molte formate da indotti oſſervatori , anzi fovente farebbero neceſſarie ; poichè l'imperito regiſtratore omettendo tutte le circoſtanze , o alcuna almeno delle eſſenziali , rende inutili le ſue oſſervazioni, e appreſta piuttoſto occaſione all'altrui errore , o irri fleſſione . 86 Benchè e da quali tavole ſi potrà mai rica vare la giuſta miſura della vita d'un uomo ? Quot non ſunt caufae , dice S'graveſand intro duft. ad Phil. a quibus vita hominis pendet ? Una di queſte tavole forſe la più eccel lente , perchè ricavata da regiſtri d'interi regni e provincie , è quella di Pietro Süſmlich da lui intitolata : La divina providenza nelle vicende dell'umana ſpecie , dimoſtrata dall'or dine delle naſcite , morti e moltiplicazioni . Celebre è anche quella di Hocdſon fatta appunto per fillare le annue penſioni vitali žie , e dedotta dai cataloghi di mortalità di Londra . Gl’Italiani forſe ſono quelli che hanno traſcurato fin'ora più dell'altre nazioni queſti importanti regiſtri. Oh ſe lo ſpirito d'indu ſtria , e di curioſità , che non è l'ultimo pre gio di queſta nazione ſe l'intendeſſe ſempre con la vera , ed utile filoſofia ! Sono ſtate fatte oſſervazioni meteorologiche , ed ulti mamente l'aſtronomo di Padova il chiariſ fimo S: Toaldo ha dato alla luce un libro nel quale ſono regiſtrate le oſſervazioni fatte 87 í per un lungo corſo d'anni . Più palpabile però , per ſervirmi di una eſpreſſione di un fommo Filoſofo , e più immediata ſarebbe l'utilità delle tavole di cui ſi parla . Vi è tutta la ragione di aſpettarla grandiſſima, dalla aſſiduità , ed efficacia dei noſtri Italiani oſſervatori. Il preſagio comincia ad avve raríi felicemente . Già dai regiſtri delle na ſcite , che la noſtra fanta religione rende neceffari, ſonoſi ricavate delle conſeguenze ſull'articolo della popolazione : ficcome dalle oſſervazioni delle frequenti morti dei bambi ni , ſi è preſa occaſione di rintracciarne la cauſa , e d'indagare la maniera di ſalvare queſti teneri germi , che sì facilmente foc combono anche ad un leggiero urto , e ad una tenue ſcoſſa . Al genere dei vitalizj appartiene quella convenzione , che dal ſuo oggetto chiamaſi: la dote della figlia . Un provido padre sborfa una determinata ſomma di denaro con la condizione che fe una tal figlia di freſco natagli manchi prima dell'età nubile , la sborſata ſomma cada in 88 proprietà di quello che l'ha ricevuta ; ma ſe la figlia arrivi all'età nubile riceva eſſa da queſto una ſomma proporzionata agl'intereſſi decorſi del denaro , e al pericolo in cui ella è ſtata di morire in tal intervallo , e di per der così la ſomma dal padre sborſata . Dovrà in tal contratto rifletterſi che il prez zo , che sborſa il padre per la figlia è uguale alla fomma più le rendite ordinarie fino all anno prefiffo ; quello che azzarda l'altro è l'ecceſſo della dote ſopra la sborfata ſomma , e i frutti ordinari: ecceſſo che fi deve per l'incertezza della vita . Deve dunque come il numero dei caſi favorevoli alla vita della figlia fino alprefillo termine , ſta ai ſiniſtri (a) , o fia ai favorevoli all'altro ; così ſtare la ſom ma sborſata dal padre , più le rendite ordi narie , all'ecceſſo della dote che ſi dovrà alla figlia in caſo di ſopravvivenza ſulla ſomma sborſata più le rendite ordinarie . Havvi un'altro contratto per cui un par ticolare, che vuol comprare una conſidera ( a) Anche in queſto contratto i caſi favorevoli , e i finiftri s'intendono come fi dille parlando de' vitalizji 89 bile carica ; per non privare della ſomma ne ceſſaria a tal acquiſto una famiglia a lui ca ra che la ſua morte potrebbe mettere in braccio alla deſolazione, e all'inopia ; fi fa aſſicurare la propria vita per un dato corſo di anni , pagando , o una ſomma, o un'an nua penſione all'aſſicuratore , che ſi obbliga all'incontro di pagare agli eredi di lui la ſom ma ſpeſa nell'acquiſto della carica , ſe egli muoja prima del termine ſtabilito . La eva luazione della vita , si in queſto , come in tutti gli altri caſi ſi ricava dalle non mai ab baſtanza commendate tavole . Si oſſervi, che in queſto contratto quello che riceve la ſoin ma o l'annua penſione, trova vantaggio nella prolungazione della vita di chi la sborſa , al contrario di ciò che accade nei vitalizj , e negli altri contratti ad eſſi analoghi . Nel for mare adunque la proporzione cangian nome fra loro i caſi che nei vitalizj ſi chiamano favorevoli, o ſiniſtri; del reſto non vi è dif ferenza veruna . E' queſto un contratto di cui tanto meno importa trattenerſi ad eſami nare i dettagli quanto importa più alla feli 1 $ 1 1 1 1 1 go cità di uno ſtato che non poſſa mai trovarſi occaſione d'iſtituirlo . Diaſi però in quella vece una rapida oc chiata a quello che dal nome del ſuo inven tore chiamaſi Tontina . Non differiſce que fto dal vitalizio , ſe non in ciò che ove in quello la rendita annua ceſſa alla morte di colui , che collocò il ſuo capitale a fondo per duto ; in queſto ſi diſtribuiſce nei ſuperſtiti che appartengono alla medeſiına claſſe , e che hanno fatto un ſimile contratto col padro ne della tontina . L'ultimo però di ciaſcu na claſſe conſolida ſul ſuo capo tutte le ren dite che ſi pagavano a quegli che gli ſono premorti nella ſua claffe . A formare le diverſe claſli dà norma la diverſa età . E' celebre la Vedova di un Chirurgo di Parigi la quale morì in età di 90. anni , e godeva 35000, lire di annua penlione frutto di uno sborſo di 600, lire . Dalle tavole di mortalità ſi è ricavata la formula che eſprime in un dato numero di vite coetanee quanti anni ſia per durare la più lunga . Da ciò il padrone della tontina pud co 91 lui il pagare a o il noſcere per quanti anni dovrà pagare le ren dite ; poichè per il ſovra eſpoſto carattere di tal contratto , val lo ſteſſo per ciaſcuno la ſua penſione col diritto di ac creſcere , che hanno quelliche ſopravvivono , pagare la fomma di tutte a quella vita che durerà più dell'altre . Potrà per conſe guenza fiſſare il valore di queſte annue pen ſioni . Si è in oltre trovata la formola che eſpri me , dato qualunque numero di vite coetanee , il tempo in cui uno , o due , o più manche ranno , la formola per il caſo che più perſo ne comprino un annualità da dividerſi fra loro mentre vivono , da dividerſi poi dopo la mor te di qualcuno di loro ugualmente fra i ſo praviventi, e da ricadere finalmente tutta all'ultimo ſuperſtite da goderſi durante la ſua vita ; e queſta ancora dà lume agli azionari ſulla contribuzione che devono preſtare. E faminate queſte formole , ed avuto in conſi derazione il metodo tenuto nel fiſſare la pro porzione per i vitalizj , ſi ritrova facilmente la medeſima anche per le contine . 92 1 1 E' oltre ogni credere benemerito dell'u“ manità il gran inatematico Abramo Moivre , che ha trovate , e applicate le anzidette , e molte altre formole , che ſi trovano nella incomparabile ſua opera intitolata la dot trina degli azzardi . Io non le ho riportate perchè il far ciò e troppo lungo ſarebbe , e devierebbe dallo ſcopo fin da principio pro poſtomi. Benchè peraltro l'unico mio oggetto nell’ eſaminare i contratti d'azzardo ſia quello di fiſſare i principj sù cui ſi fonda l'uguaglianza perchè ſian giuſti ; voglio rammentare , che i più illuminati politici hanno deteſtato l'a buſo di queſte pubbliche rendite , come ap punto ſono le tontine , ed altre di fomi gliante natura . E' troppo chiaro che queſte tendono a ſoffocare i germi dell'induſtria , e ad appreſtare alla parte ozioſa , e indolente della ſocietà armi ſempre nuove per oppri inere la porzione che co'ſuoi ſudori dà moto , ed anima al ben eſſere dello ſtato ; oltre di che ſi oppongono alla propagazione , allet tando eſſe a ſituarſi in uno ſtato nel quale il 1 I 93 generar figli ſarebbe un'accreſcere il numero degl’infelici . En fin je ne me plaindrai plus De l'etoile qui me domine ; Il me reſte encore cent ecus Que je vais mettre a la Tontine : O la charmante invention ! Sans avoir du Dieu Mars eſſuyé le orages , Sans avoir fatiguè la cour de mes hom mages , Je ferai ſur l'etat , & j'aurai penſion . Così cantò un elegante Poeta Franceſe in tendendo così di far la ſatira delle tontine ; e pare di fatto che il Poeta potrebbe ora viver quieto ſu queſto articolo eſſendo eſſe molto ſcemate , e andate in diſuſo , benchè non così gli altri contratti del genere di cui parliamo . Ma d'altra parte eſſendo utiliſſimo, e tal volta neceſſario al ben dello ſtato il poter ſollecitamente raccogliere una grandioſa ſomma di denaro , ſenza imporre perciò nuo ve contribuzioni; ed effendovi talora molti cittadini , le circoſtanze dei quali rendono ad eſſi neceſſario il ſoccorſo di queſte pen 94 . fioni vitalizie ſi potrebbero forſe ritrovare provvedimenti opportuni , per fare un eſame regolato dell'età , e delle circoſtanze di quelli che doveſſero eſſere ammeſſi alla compra delle azioni , e con i neceſſari regolamentipreveni re gl ' inganni , che in queſto articolo intereſ fante poteſſero deludere le pubbliche vedute . 1 1 1 1 . 1 Per eſaminare i contratti della terza claſſe ne quali il rapporto su cui ſi fonda l ' ugua glianza fra i contraenti ſi appoggia in parte alla conſiderazione di leggi certe , e ſicure , e in parte alla ſperienza del paſſato , e a cir coſtanze incerte e di numero indeterminato , ſi ripigli l'eſempio dell'urna , nella quale ab biavi un determinato numero , per eſempio di go. palle . Se la ſperanza dell'eſito felice è affidata all'eſtrazione di una palla ; per la natura di tal contratto , o gioco che voglia chiamarſi, e per le ſue leggi, il numero dei caſi favorevoli ai ſiniſtri farà come 1. 89,0 ſia chiamando il numero totale m farà il mu mero dei caſi favorevoli ai ſiniſtri come 1 : m - 1 e per conſeguenza l'aſpettativa del buon'eſito farà = mo ſia -112 95 Ma ſe ſia vero che la palla alla quale è affidata la ſperanza eſca più frequentemente dall'urna che qualunque altra , e l'ecceſſo di tal frequenza ſu quella delle altre ſia Þ ; il numero dei caſi favorevoli non ſarà più i ma bensì 1 Xp ; e quello dei ſiniſtri eſſendo m = 1 , la probabilità della ſperata eſtrazione farà Xp L'addotto eſempio è la norma coſtante di tutti i contratti che poſſano mai cadere for to queſta terza claſſe , come comprendenti le condizioni che ne formano il carattere . Di fatti la probabilità dell'eſtrazione della palla fatale dipende dalle leggi del contratto certe , e ficure che danno il rapporto di e dalla ſperienza , ed oſſervazione delle fre quenti eſtrazioni della medeſima, che danno l'ecceſſo di p ſulla frequenza dell'eſtrazione dell'altre palle nell' urna rinchiuſe , la quale i XP fa che l'aſpettativa diventi I : m ; 112 Non è neceſſario che io offervi che per quanto ſiaſi oſſervato queſto ecceſſo p , non 96 dimeno non è ſicuro e certo che piuttoſto eſca tal palla , di quello che ne eſca un'al tra . E queſta è una di quelle circoſtanze che io chiamo incerte e variabili . Che ſe ſi trattaſſe di paragonare la pro babilità dell'eſtrazione fra due palle , ſicco rapporto che naſce dalle leggi certe e ſicure è lo ſteſſo per tutte due , eſſendo in me il I tutte due ſi dovrebbe attendere ſolamen in te la diverſa frequenza dell' eſtrazione di queſte due palle . A queſto eſempio ſi poſſono ridurre fpe cialmente le offervazioni dei giocatori di lotto , e di quelli che ſi travagliano in oſſer vare quali carte ſi moſtrino più ſovente, o quali facce del volubil dado , ad avvicendare nell'agitato cuore dei giocatori la gioja e la triſtezza. Ben' è vero però che per quanto fiano replicate le eſperienze , in moltiſſimi caſi non apparendo neppure in confuſo una minima conneſſione di tal frequenza con una vera cauſa da cui derivi , non potranno giam mai meritare che le abbia in viſta , chi ra 97 giona ſu dati veri , e non fa caſo di mere e vaganti accidentalità . Se ſi aveſſe a queſte riguardo , molti di quei contratti, che nella prima claſſe ho eſa minati , a queſta terza dovrebbonſi riferire . Ma io per le indicate ragioni , a quella ſola nei ſuoi veri termini inteſa giudico i mede ſimi appartenere . Anche in tali caſi perd vi ſono inolti che credono doverſi fare ſcrupo lofo conto dell'oſſervazioni, e per queſta ra gione ancora approverebbero la mia diviſio ne ; eſſendo queſta terza claſſe da me confi derata in modo che può , ſe vogliaſi, compren dere le medeſime, anche quando non appa riſca la ſopra indicata conneſſione . Che ſe il numero delle offervazioni ſia grande , e i riſultati coſtanti , ed abbiavi qual che conneſſione fra l'eſito della ſperanza , ed una cauſa dalla quale poſla derivare tal frequenza di oſſervazioni, allora non v'ha dubbio che ſiamo nel caſo che caratterizza queſta terza claſſe , e la diſtingue dalle altre . Vi ſono in fatti molti giochi , nei quali l'eſito fortunato dipende in parte dalla pro g . 98 pizia ſorte , e in parte deveſi alla propria in duſtria o deſtrezza nel combinare gli elemen ti del gioco , e rendergli coſpiranti al termi ne a cui ſta anneſſo il guadagno del premio deſiderato . L'induſtria però di un giocatore pud conſiſtere o nella ſola avvedutezza e pre ciſione nell'oſſervare l'eſito delle varie coin binazioni del gioco , che ſi vanno ſuccefliva mente preſentando , e la replicata ſperienza delle quali porge la norma ai caſi avvenire ; o nella deſtrezza maggiore di combinare gli accidenti medeſimi del gioco , di dedurre , di ſcuoprire gli artificj dell'avverſario ; e in qualſivoglia di queſti due aſpetti ſi ravviſi l'induſtria , è ſempre vero che i giochi che di effa , e della forte ſi chiamano miſli, hanno un filo non traſcurabile per cui ſi attengono alla terza clafle dei contratti di azzardo , In un gioco miſto è molto difficile che tornino per appunto le medeſime circoſtan ze ; e quindi è che le oſſervazioni ad e {To re lative ſono della natura di quelle dei con tratti alla ſeconda claſſe appartenenti ; in certe cioè , e incapaci di rendere indubitato 99 e ſicuro l'evento , ma fiſabili quanto baſta per formarne un calcolo che miſuri l ' ugua glianza , acciò il contratto ſia giuſto . Ma ſiccome in queſti giochi medeſimi vi ſono dati ſicuri dipendenti dalle loro leggi inva riabili ; quindi è che eſſi appartengono alla terza claſſe , perchè regolati in parte da tali leggi, e in parte da cagioni incerte e inde terminate , e dalla ſola ſperienza . Siccome però poſſono eſſere o molte o poche le com binazioni che conducono all'eſito medeſimo, a miſura che queſte ſono in maggiore o mi nor numero , prevale nei giochi miſti l'in duſtria o la ſorte . Inoltre la deſtrezza di combinare , di de durre , di rammentarſi gli elementi delle com binazioni che ſono uſcite ſucceſſivamente dalla malla totale delle medeſime nel decorſo del gioco , è variabile , come può ognuno of ſervare, quanto è variabile la tranquillità d'a nimo neceſſaria , la perfetta diſpoſizione di ſa lute , e per conſeguenza l'agilità degli ſpiriti, l'elaſticità delle fibre ; in una parola l'atti vità neceſſaria per ben riuſcire in qualunque 100 impreſa richiegga applicazione di mente , e attuazione di fantasia . Conſiderate queſte come cauſe incerte ed indeterminate , e che ſi poſſono ſoltanto dopo un lungo corſo di oſſervazioni fatte giocando col medeſimo avverſario ridurre a calcolo , e quanto alla loro frequenza , e quanto al grado d'influenza ſull'eſito del gioco ; ecco anche in ciò un motivo per cui il fiſſare l’u guaglianza fra i giocatori nei giochi miſti, dipende, e dalle invariate e ſicure leggi del gioco , e da circoſtanze incerte , e indeter minate , Certo è che nei giochi miſti l'induſtria sà tirar profitto dai colpi della ſorte , e il gioca tore avveduto , dice la Bruyere , imita in queſto un gran generale , e un abile politico . Al valore del primo , e alle vedute del ſe condo è miniſtra la forte . Arrivano entrambi francamente al loro intento per quelle ſtrade medeſime che aperſe il caſo ; e che là metton capo , ove forſe non gli avrebber condotti i mezzi più maturati , e i piùmeditatiprogetti . Nei giochi miſti deve farſi la rifleſſione IOI medeſima di cui ſi parlò trattando dei giochi di puro azzardo . O i giocatori tentano con eguali condizioni l'evento medeſimo ; o un folo tenta la ſorte del gioco , e l'altro ſta ozioſo ſpettatore , e riduce la ſua ſperanza unicamente all'infauſto eſito dell'avverſario . Nel primo caſo ſiccome il numero dei caſi favorevoli e dei ſiniſtri dipendente dalle leggi del gioco , è l'iſteſſo per ambidue , ſi riduce a calcolo l'eſperienza ed induſtria , la quale ſi oſſerva nelle medeſime circoſtanze quante volte abbia ſaputo ridurre a buon termine il gioco ; calcolo che ſi fonda ſopra oſſervazioni molto difficili, e incerte . Giacchè farebbe d' uopo che ſi foſſe ſempre giocato col mede fimo avverſario ; eſſendo la deſtrezza , e abi lità di un giocatore affatto relativa a quella dell'avverſario ; e potendoſi queſto rapporto variare ogni giorno , o reſtar coſtante ſecondo i progrelli , o uguali, o proporzionali , o di verſi, che l'uno , o l'altro facciano nel gio co . E' vero però non meno , che trattandoſi di rapporti , poſſono in qualche modo gio vare le offervazioni fatte dell'abilità di un 102 giocatore riſpetto ad un terzo all'induſtria del quale è noto qual proporzione abbia quella dell'avverſario . Nel ſecondo caſo poi l'induſtria non è più riſpettiva , ma aſſoluta ; e fi riduce a calcolo con l'offervare , nelle medeſime combina zioni , o in non molto diffimili per la natura del gioco , quante volte l'avverſario abbia ottenuto quell'intento che ſi era propoſto , fotto le date condizioni; e quante volte non abbia toccato il termine al quale per otte nere il premio dovea pervenire . Generalmente adunque ficcome il numero dei caſi favorevoli e de'ſiniſtri è dipendente in parte dalle leggi del gioco , in parte dalle oſſervazioni, che miſurano la riſpettiva , e afloluta induſtria , converrà diſtinguere , e calcolare queſti due elementi componenti la ſomma dei caſi favorevoli , e ſiniſtri; e formare poi la proporzione eſpoſta nel Teo rema III.', e nel Corollario . Se non due , ina più ſiano i giocatori , ſi rammenti la regola di ridurre i caſi compleſſi ai ſemplici componenti , e di eſaminare in 103 ciaſcuno a parte le ſtabilite maſſime. Sarebbe un ripetere il già detto ; ſe io voleſſi ram mentare i principj ſtabiliti nei contratti della prima claſſe , e in quelli della feconda . Bafli l'avvertire che in queſti della terza claſſe ove trattaſi dei caſi favorevoli o ſiniſtri, in quanto dipendono dalle leggi certe e ſicure del contratto , convien ricorrere ai priini ; ove poi fia queſtione di offervazioni , e di cauſe indeterminate , conviene eſaminare i ſecondi ; non omettendo mai di riflettere quanta alterazione poſſa produrre l'influenza degli uni , ſu gli altri , e la varia loro com binazione . Stabilite così le leggi ſulla ſcorta delle quali ſi giunge a fiſſare la ricercata ugua glianza in qualunque claſſe di contratti di azzardo ; non devo diffimulare , che uno dei più grandi Filoſofi il Signor d'Alembert ha preteſo di abbattere il calcolo delle pro babilità quanto alla ſua applicazione agli ac cidenti umani . Accid , dic ' egli , queſto cal colo foſſe applicabile , ſarebbe neceſſario , che tutti i caſi che ſono ugualmente poſlibili ma 104 tematicamente parlando, lo foſſero anche di fiſica poſſibilità. Sarebbe dunque neceſſario , che gettata infinite volte in alto una moneta , ſopra una faccia della quale vi ſia impreſſa una marca , per eſempio palle , e ſull' altra una diverſa , per eſempio croce , foſſe ugual mente poſſibile che ſi ſcopriſſe ſempre palle , o croce ; e che ſi ſcopriſſero alternativamente queſte due diverſe marche . Ma benchè ciò ſia ugualmente poſſibile matematicamente parlando , non lo è fiſicamente . E queſta di verſità appunto è quella che fa sì, che il cal colo matematico delle probabilità , non è applicabile ai caſi fiſici . Anzi non ſi potrà mai fiſſare il numero delle volte per il quale duri la poſſibilità fiſica di ſcoprirſi ſempre l'iſtella faccia della moneta , e il limite ol tre il quale non paſſi queſta fiſica poſlibilità , durante però ſempre oltre ogni limnite com'è certiſſimo , ed oltre qualunque aſſegnabile numero di getti , la matematica poſſibilità del continuo ſcoprirſi della medeſima faccia . : Lo prova con una inafſima che egli ſtabi liſce per certa : che non è in natura , che un 1 1 1 IOS 1 effetto ſia ſempre, e coſtantemente il mede fino ; ſiccome non è in natura che tutti gli alberi , ſi raſſomiglino fra loro . Queſta maf ſima lo induce ad argomentare che la pro babilità di una combinazione, nella quale il medeſimo effetto ſi ſuppone accader più vol te , in parità di circoſtanze è tanto più pic cola , quanto queſto numero di volte è più grande , di modo tale che quando queſto è maſſimo, la probabilità è aſſolutamente nulla , o quaſi nulla ; e all'incontro quando queſto numero è aſſai piccolo la probabilità non ne reſta che poco , o punto diminuita per queſto riguardo . Adduce egli moltiſſimi eſempi compro vanti la ſua aſſerzione, e conclude che i re ſultati della teoria dei probabili , quand'anche ſiano fuori di ogni queſtione nell'aftrazion geometrica , ſono ſuſcettibili di molta reſtri zione quando i medeſimi ſi applicano alla natura . Alle ragioni però ingegnoſiſſime di un si grand' uomo converrà adunque arrenderſi , e diſperare della cauſa del noſtro calcolo dei probabili ? 1 106 1 Parmi che ben'inteſi i noſtri principj co me ſono ſtati da noi ſtabiliti, o non ſiano at taccati da tali oppoſte difficoltà , o le mede fime reftino ſciolte . Prima di tutto ſi oflervi che noi trattiamo ſolo di calcolare i gradi di probabilità nei caſi nei quali ſi ſuppone po terſi efla rinvenire . Se diaſi dunque un caſo , che non cada in modo alcuno forto la cate goria dei fiſicamente poflibili , e che per con ſeguenza nè il minimo grado abbia di proba bilità ; io dirò che queſto non è oggetto delle mie teorie ; ma non concederò mai che per queſto non ſi poſſano eſſe applicare perfet tainente ai caſi , che ſiano di fatto filica mente poſſibili. Per conoſcere poi quali ſiano i caſi o le combinazioni fiſicamente poſſibili nel ſenſo del Sig. d'Alembert, è neceſſaria una fre quente e replicata oflervazione . Che ſia fiſicamente impoſibiie ( ſe pure ſi può uſar queſto termine ) che una moneta moſtri un inaſſimo o un infinito numero di volte la ſtella faccia , donde ſi ricava , fe non dall'avere offervato che una tale con 107 tinuazione dello ſcoprimento medeſimo non accade , ma che al contrario ſi vanno alter nando , e cangiando di tanto in tanto le facce della moneta ? Benchè non può dirſi a rigore fiſicamente impoſſibile il caſo in cui per un infinito numero di getti ſi paleſi ſempre l'iſteſſa fac cia , a meno che non vi ſia nella moneta qualche fiſica e meccanica cagione che ciò non permetta . Se ſi concedeſſe ancora ( benchè non ſo quanto ſia dimoſtrato ) che ſia fiſicamente impoſſibile, che ſi dia un albero perfetta mente ſimile ad un altro , non che , come fi contenta di dire il Sig. d'Alembert , che ſi raſſomiglino tutti gli alberi fra di loro ; non correrebbe la parità , per dedurne che nel caſo di un infinito numero di getti di una moneta , l'uniforme ſcoprimento di una fac cia della medeſima ſia fiſicamente impoſſi bile . Poichè vi corre una notabiliflima di ſparità . Tutte le combinazioni le quali fanno , che una coſa non ſia fimile all'altra , danno tanti ios riſultati fra loro diverſi. Dalle diverſe com binazioni infinite che faran caufa che l'ala bero A non ſia perfettamente ſimile all'albe+ ro B , naſceranno tanti alberi fra loro diverſi ; o altri corpi dei quali ſi conoſcerà la diffe renza . Ma dalle diverſe combinazioni che poſſono fare che non venga infinite volte di ſeguito la faccia palle della moneta ; non ne poſſono venire che riſultati affatto ſimili , cioè croce ; poichè ogni volta che non ſi ſcopra palle , ſi ſcoprirà croce . Queſto prova che le combinazioni che ſono contrarie alla per fetta ſomiglianza di due coſe , formano infi niti rapporti , infiniti riſultati dei medeſimi, infinite diverſe compoſizioni di parti dipen denti da infinite meccaniche direzioni delle particelle della materia di infinite poſſibili diverſe velocità , figure ec.: coſe tutte che nel caſo noftro non ſi verificano . Di fatto gli elementi che formano la com binazione , che per infinito numero di volte preſenta palle , ſono tutti ſimili fra di loro , ed hanno fra di loro un folo invariato rap porto . Di modo che ſe ſi ſupponeſſe mutato 109 l'ordine col quale eſce prima la infinita ſerie di palle, e ſi ricominciaſſe il getto , e ritor naſſe di nuovo a ſcuoprirſi infinite volte la faccia che preſenta palle , ne verrebbe un or dine fimiliſfimo al primo , potendoſi dire , che l'iſteſla relazione ha il primo ſcoprimento di palle al milleſimo, che ha il ſecondo al cen teſimo , e così dicaſi di tutti . Talmentechè a rigor parlando , non ſi può dire , che fra queſti getti vi ſia ordine che formi fra effi un rapporto piuttoſto che un altro . Non così degli elementi che formano un dato fiore , o albero ; eſſendo combinabili fra di loro con infinite varietà di ſopra ac cennate . Gli elementi fiſici adunque delle combinazioni nel caſo della moneta ſono ſempliciſſimi, laddove nell'eſempio addotto dal Sig. d'Alembert fono infiniti, dal che ne viene , che la parità non corre ; e dalla fiſica impoſſibilità ( ſe fi ammetta ) di trovare mol te , o anche due coſe fra loro ſimili ; non ne viene la fiſica impoſſibilità che una monetan gettata in aria infinite volte moſtri ſempre l' iſtefla faccia . 110 1 La diſparità compariſce più chiara , fe li rifletta che qualunque vedendo in un dato ſpazio tutte le particelle più minute compo nenti i corpi ; e riflettendo alle variazioni poſſibili della velocità , e della figura delle medeſime; e vedendone in un ſimile ſpazio un altro ſimile numero , avrebbe ſubito infe rita l'impoſſibilità di una combinazione ta le , che ne riſultaſſero due alberi ſimili . Laddove vedendo una moneta , e ſapendo che ſi deve gettare in aria infinite volte , non avrebbe avuta una fiſica ragione di preſagire che non ſi ſarebbe un infinito numero di volte ſcoperta l'iſteſſa faccia , e di credere tal combinazione fiſicamente impoſſibile , come la pretende , fondato ſulle addotte ri fleſſioni , il Sig. d'Alembert . In una parola della impoſſibilità ( ſe tal vo glia chiamarſi ) della ſomiglianza di due al beri ſe ne può addurre a colpo d'occhio una fiſica meccanica ragione ; lo che non può dirſi dello ſcoprimento della faccia di una moneta . Lo ſteſſo a proporzione dicaſi delle diverſe , III combinazioni delle lettere che formano la parola Conſtantinopolitanenfibus. Chi attribuirà al caſo , dice d'Alembert , che ſi combinino in modo tante lettere che formino queſta pa rola ? chi vorrà crederlo poſſibile ? Dunque conchiude egli ſarà ugualmente impoſſibile il continuo per infinite volte ſcoprimento della faccia medeſima di una moneta . Queſto eſempio è molto ſimile a quello dei due al beri fimili ; e ſi riſponde anche a queſto , che ciaſcuna lettera può variare rapporto a tutte le altre , e che ciaſcun riſultato ſarà diverſo . La Luna , aggiunge il Ch. Filoſofo , gira attorno al ſuo alle in un tempo preciſamente uguale a quello che ella impiega nel deſcri vere la ſua orbita intorno alla terra ; e queſta eguaglianza di tempo produce ammirazione , e ſi vuol cercare qual n'è la cagione . Se il rapporto dei due tempi foſſe quello di due numeri preſi all'azzardo , per eſempio di 21 : 33 , niſſuno non ne ſarebbe ſorpreſo , e non ſe ne ricercherebbe la cagione ; e pure il rap porto di uguaglianza è matematicamente و II2 parlando ugualmente poſſibile , che quello di 21:33 ; perchè dunque ſi cerca una cagione del primo , che non ſi cercherebbe del ſe condo ? Lo ſteſſo dicaſi della ſituazione dei pianeti e del rapporto che ha la zona nella quale fono rinchiuſe le orbite loro , alla sfera . Per chè ſi conchiude egli che queſto non è effet to del caſo ? perchè queſta combinazione , benchè matematicamente poſſibile al par dell'altre , ſi riguarda .come effetto di un diſegno , e di una regolarità ? E non ſi crederà poi , che il ſolo caſo non può pro durre quella combinazione per la quale la moneta ſcopra infinite volte di ſeguito fem pre palle; e non ſi crederà queſta fiſicamente impoſſibile , benchè abbia una matematica poſſibilità eguale a quella delle altre combi nazioni ? Ma io riſpondo , che di fatto le com binazioni dei citati eſempi hanno avuta una fiſica poſſibilità uguale a quella di tutte l'al tre combinazioni ; che non vi è forſe argo mento che provi che il caſo non le aveſle po tute produrre ; ma che anche ſe ſi vogliono LI3 fiſicamente impoſſibili al ſolo caſo ; ciò è per chè ſon compoſte di elementi infinitamente variabili ; lo che appariſce a chi ſi faccia di propofito a conſiderare le diverſe cagioni , e le diverſe poſſibili combinazioni, che poſſon far sì che i tempi dei due giri lunari non ſia no uguali ; e che la zona delle orbite plane tarie abbia alla sfera un rapporto diverſo da quello che ora ha infatti; cagioni tutte fi fiche , e meccaniche . Di più dico , che l'uguaglianza dei corſi della luna intanto a noi fa impreſſione, in quanto che il rapporto di uguaglianza è quello al quale ſi fogliono riferire tutti gli altri; e tutta la differenza che fra eſſo , e gli altri paffa , non è che metafiſica ; e nulla po ne di fiſico per cui tal combinazione debba eſſere più difficile dell'altre . Lo ſteſſo dicaſi della parola Coſtantinopoli tanenſibus . Queſta combinazione di lettere fa ſpecie a noi che intendiamo il ſenſo della parola , e che al ſuono della medeſima abbia mo legataunidea ; non così a un Turco idio ta il quale non col nome di Coſtantinopli b 114 ma con quello di Stamboul è avvezzo a no minare la ſuperba metropoli dell'Impero Ot tomano . Non contento Monſieur d'Alembert degli eſempi addotti in conferma della ſua aſſer zione , l'appoggia ad altre due rifleſſioni. Si fa che la durata media della vita di un uomo , contando dal giorno della ſua naſcita è all'incirca di 27 anni ; ſi è pure conoſciuto per mezzo delle oſſervazioni, che la durata media delle ſucceſſive generazioni più ome no è di 32 anni ; finalmente ſi è provato per tutte le liſte della durata dei regni di ciaſcu na parte d'Europa , che la durata media di ciaſcun regno è di circa a 20 in 22 anni . Si può dunque dic' egli , ſcoinmettere non ſolo con vantaggio ma a gioco ſicuro che 100. fanciulli nati nel medeſimo tempo non vive- , ranno che 27 anni l ' un' per l'altro; che 20 generazioni non dureranno più di 640 anni in circa ; che 20 Re ſucceſſivi non viveran no che intorno a 420 anni . Una combina zione adunque che non daſſe intorno a 27 . anni la durata media della vita dell'uomo, IIS pigliandone cento a eſaminare , o non dalle di 32 anni la durata media di 100 fuccef five generazioni ; oppure portaſſe che 20 Re ſucceſſivi regnaſſero , o molto più , o molto meno di 420 anni , non ſarebbe fiſicamente poſſibile ; eppure lo ſarebbe matematicamen te parlando . Dal che riſulta che vi ſono al cune combinazioni matematicamente pofli bili , che ſi denno eſcludere, quando eſſe fo no contrarie all'ordine coſtante della natu ra . Dunque la combinazione in cui , o infi nite volte , o un gran numero veniſſe ſcoperta ſempre la medeſima faccia della moneta , benchè di matematica poſſibilità uguale a quella di qualunque altra combinazione , dev’ eſſere rigettata . E' nell'ordine naturale , ché un banchiere di faraone , che ha dei caſi favorevoli più che dei ſiniſtri ſi arricchiſca coll'andar del tempo . Di fatti ſi oſſerva coſtantemente , che non vi è banchiere , che non accumuli groſſe fomme di denaro . Queſto prova , che quelle combinazioni , che hanno più caſi contrari che favorevoli , ſono alla fine di un certo b 2 116 tempo, meno fiſicamente poſſibili che le al tre ; quantunque matematicamente parlando tutte le combinazioni ſiano ugualmente pof ſibili . Dunque conclude egli , la combina zione , la quale preſenti ſucceſſivamente per un gran numero di volte ſempre la ſteſſa fac cia della moneta dev'eſſere eſcluſa . Per riſpondere a queſti due eſempi parmi che prima di tutto ſi poſſa negare la fiſica impoſſibilità , che con tanta franchezza ſi af feriſce della durata media della vita di un' uomo diverſa dallo ſpazio di circa 27 anni. Ed io ſono ben perſuaſo che eſaminando il caſo della vita di molte centinaja d' uomini ſe ne troveranno di quelle , o aſſai maggiori , o aiſai minori dello ſpazio di 27 anni ; dun que tale combinazione non fi deve ſcartare come fiſicamente impoſſibile. L'iſteſſo dicafi di quella , per cui un banchiere in vece di arricchire ſi vedeſſe dal gioco medeſimo ri dotto all' inopia ; caſo che non è poi sì in frequente ad accadere . Dicafi piuttoſto che l'una , e l'altra di queſte combinazioni con tenute nei due eſempi addotti dal chiarilli 117 mo d'Alemberţ ſono molto difficili, e tanto più , quanto l'ecceſſo dei caſi contrarj alle combinazioni medeſime ſupera il numero dei favorevoli ; lo che conviene appunto con li da me ſtabiliti principj . Venendo poi al caſo noſtro dico , che fo no varie , e moltiſſime in numero le cauſe vere , e fiſiche che influiſcono ſulla vita degli uomini . Ma trattandoſi del getto della mo neta , non vi ſono principj fiſici diverſi, e tali , che ſi debba in vigor deị medeſimi pre dire piuttoſto una , che l'altra delle combi nazioni , che a rigor parlando non ſono che due , come più ſopra ſi è offeryato . L'ordine delle umane coſe , e le fifiche qualità , e coſtituzioni dell'uomo, e delle ca gioni che lo poſſono privar di vita , ſon con ſultati nel primo caſo ; nel ſecondo nulla hav: vi di fiſico che ſi poſſa conſultare a formare il preſagio . Dunque fi pud predire , che ioo o maggior numero di uomini avranno preſi inſieme un corſo di vita uguale a quello di altri 100 uomini ; benchè prima di aver faţte le offervazioni non ſi poſſa cal corſo file 1 b 3 118 ſare; così prima di aver’anche fatte le oſſer vazioni, conoſciuto il ſiſtema del gioco del faraone ſi può predire che un numero molto maggiore farà quello dei banchieri che arric chiſcono , che non ſarà quello degli altri che ſi rovinano . E ciò perchè veramente vi ſono delle intrinſeche cagioni che portano a for mare queſto preſagio , e cagioni che naſcono dal ſiſtema del gioco . Ma chi sà dire qual fi fica ragione addur voglia uno , che vedendo gettarall'aria una moneta , aſſeriſca che è fiſicamente impoſſibile, che o per un maſſi mo , o anche infinito numero di volte , pre ſenti ſempre la ſteſſa faccia ? Varie poſſono eſſere le maniere di gettare in alto la moneta . Si può gettare a una gran de altezza , e a una piccola ; con poca forza , e con molta ; con tale direzione che la baſe faccia angolo retto con l'orizzonte ; o che lo faccia obliquo ; oppure in modo che ſia ad eſlo parallela . Si può anche gettare in ma niera che ſomigli quaſi il laſciarla cadere leggermente da un punto fiſſo . Fermiamoci ad eſaminare queſt' ultima ipoteſi; e ſi ve 1 1 119 1 drà , che laſciandola in tal modo cadere , ſpecialmente a piccola altezza , anche in finite volte , non vi è ragione di preſagire , che non poſſa eſſere coſtante lo ſcoprimen to della faccia medeſima . La impoffiſibilità di queſto uniforme ſcoprimento , la inten de egli il Signor d'Alembert in queſto ca ſo , o negli altri caſi ? Se la intende in queſto caſo , come dunque ſi verifica , che il ſolo or dine della natura renda impoſſibile queſto u niforme ſcoprimento ? Se poi non la intende in queſto caſo , come dunque ſi verifica uni verſalinente la ſua maſſima ? Ma io aſſeriſco eſſere più conforme allo ſpirito delle ragioni del Sig. d'Alembert , che anzi egli intenda di queſto ſolo caſo in cui non altro appunto , che un non sò quale fatal ordine della natu ra ,potrebbe cagionare la preteſa variazione . Che ſe pure ſi trattaſſe degli altri caſi , dico che nonoſtante la variabilità delle combina zionidell'impeto ,dell'altezza , della direzio ne ; queſte non poſſono valutarſi in modo da rendere fiſicamente impoſſibile l ' uniforme ſcoprimento; poichè gli effetti di queſte va 120 riabili combinazioni, non ſono che due ; o lo ſcoprimento di palle, o lo ſcoprimento di croce ; e non ogni variazione , e combinazione di tali cauſe influiſce a diverſificare gli ef fetti: come peraltro ſuccede negli eſempi ad dotti dal Sig. d'Alembert , nei quali trattan doſi di rapporto , o di diverſa conſociazione di parti , ognun vede , che ogni variazione influiſce a produrre un effetto diverſo . O ſi riſguardi adunque la diverſità negli effetti ; e negli addotti eſempi, queſti ſono in finiti, nel caſo noftro non ſon che due non potendoſi voltare , che palle , o croce ; o ſi ri guardi la diverſità nelle cagioni che tali ef fetti producono; e negli addotti eſempi, ſo no anch'eſſe infinite , giacchè ogni minima variazione influiſce come nuova cauſa ; nel caſo della moneta non è così , potendoſi dare moltiſſime combinazioni di forza , altezza , direzione, che producano ſempre l'iſteſſo effetto ; potendoſi anche dare che in infiniti getti , o in un numero aſſai grande , ſi man tenga l'iſteſſa direzione , benchè obliqua; l'iſteſſa altezza benchè grande; l'iſteſſo im 1 1 pero , benchè forte; oppure che fi muti ad ogni getto . Parmi adunque che e queſti ultimi e gli altri addotti eſempi, o non combinano con quello della moneta ; o al più provano una no tabile difficoltà nella combinazione che pre ſenti ſempre l ' ifteffa faccia della moneta ; verità che ſi accorda perfettamente con gli eſpoſti principj; poichè le oſſervazioni me deſime ce lo fanno conoſcere ,ed io ſuppon go nell' applicargli, il caſo probabile , e con la ſcorta dei medeſimi ne cerco il grado di probabilità ; dal che ne viene che la teo rìa non è applicabile ai caſi ove o neſſuna o quaſi neſſuna probabilità del buon eſito appariſca , per poterne formare la propor zione . . Quando poi cominci il numero in cui non ſia ſperabile un continuodiſcoprimento di una fola faccia della moneta , le oſſervazioni, e non altro , poſſono moſtrarlo ; quelle oſſer vazioni io dico , che io medeſimo ho prefe per ſcorta in moltiſſimi caſi appartenenti alla materia dei contratti di azzardo. 122 } E' poi tanto evidente che la propoſizione del Sig. d'Alembert non atterra l'uſo del calcolo delle probabilità , che anzi in qual che caſo ſe ne poſſono tirare delle conſeguen ze , che lo conferinano . Chi gettando un dado intraprende di ſcuo prire per eſempio il 6 non vorrà gettarlo una ſol volta , quando debba azzardare una fom ma eguale a quella che azzarda l'avverſario ; ma vorrà gettarlo più volte . La ſua ſperan za è ,che non voltandoſi ſempre l'iſtello nu mero che al primo tratto ſi ſcuopre, e che può non eſſere il 6 , arrivi in più volte a vol tarſi anche il 6 ; altrimenti ſe non fcopren doſi alla prima il 6 ſi doveſſe ſempre ſcopri re in tutti i tratti ſucceſſivi quel numero che ſi ſcopre il primo , la ſua perdita ſarebbe ſicura . La ſperanza dunque di queſto gio catore acquiſta tanto maggior fondamento quanto più è vero che ſia impoſſibile che ſi volti ſempre quel numero che alla prima fi ſcoprì; impoſſibilità , che reſta compreſa nel la impugnata opinione del Sig. d'Alembert . Stabiliti i principj regolatori dell' ugua 123 glianza nei contratti d'azzardo , e difeſane l'applicazione non reſta che a deſiderare , che uomini di ſublime ingegno , e di pro fondo ſapere ſi applichino in gran numero ad eſtendere ſempre più l'uſo di una dottri na sì utile . Quanto a me , mi pare di aver ottenuto il mio intento , ſe poſſo luſingarmi di aver formate ed eſpoſte idee giuſte, e chia in un articolo per una parte sì arduo , e per l'altra sì intereſſante. Codronchi. (NrcoLA), na cque in Imola il 2o aprile 1751 ed alla patria e al casato accrebbe lu stro e decoro: perchè già rapida-, mente corsi gli studii delle amene lettere e della eloquenza sotto la disciplina de' Gesuiti, e con pub blico saggio nelle materie di filo sofia sperimentatosi non ancora compiuti gli anni 16, potè dallo stesso genitore nelle matematiche, delle quali era egli peritissimo, essere ammaestrato. E col magi stero di quella scienza sublime, illuminando la mente già ordinata a diritti giudizii e scorto da pre cetti delibati dalla scuola non fal libile degli antichi esemplari, com formò la scrittura alla altezza del pensiero, alla cultura dello spirito ed al candore dell'animo : nè i gravi studii della giurisprudenza cui tennesi in Roma applicato (insegnatore monsignor Giovan nardi concittadino di lui, e fiore de giureconsulti) gli tolse di col tivare la poetica, alla quale senti vasi per tal guisa inclinato, che poco oltre il terzo lustro di età bastò a dettare alcuni componi menti i quali resi pubblici con le stampe trovarono grazia e lode somma ne cultissimi di quel tem pi, e sì pure in Arcadia alla cui accademia appartenne col nome pastorale di Cratino. E sono ne gli scritti di lui altri saggi in tal genere di lettere che a migliori poeti, onde la città di Santerno si onora, il pareggiano: che se come ne sono degni verranno presen tati al pubblico giudizio, ben si farà manifesto aver egli con arte maestra saputi attingere da cia scuno de più valenti Imolesi quei modi sceltissimi onde le loro ope re di bella luce risplendono mel l'italiano parnaso. Il carme in fat to robusto e nervoso tal come u sciva dalla penna di Antonio Zam pieri, e castigato ad un tempo ed elegante, quale il vedi in Camil lo, muove nel Codronchi con quella spontanea e nobile sempli cità che t'invaghisce nel Canti; 282 e si abbella di quelle grazie ed e leganze di che lo Zappi infioriva le soavi e dolci sue rime. Tornato in Imola venne decorato della cro ce di Santo Stefano, e nella Imole se accademia degli Industriosi di cui fu socio si mostrò erudito ed elegante oratore e poeta: d'indi a non molto passato per le caro vame a Pisa ebbe colà lezioni di pubblico diritto da quell'alto spi rito del Lampredi, che il tenne in istima d'ingegnoso e di colto, e che lo ebbe sempre carissimo. Quindi il magnanimo gran duca Leopoldo gli conferì la carica di ispettore delle carovane, e ad un tempo la cattedra di etica; intor no a che compose un trattato qua si corso di lezioni, degno per fer mo di essere fatto di pubblica ra gione: ed a quel principe intitolò il Codronchi una eloquente e dot ta Orazione composta eletta, per incarico da lui avutone, al capito lo de'cavalieri Circa l'origine, le leggi ed i fasti dell'ordine, che fu pubblicata il 1779, pel Cam biagi in Firenze, dai torchi del quale uscì nel seguente anno 1785 altro grave e prezioso libro col titolo di Saggio sui contratti e giochi d'azzardo, ove risplende la dottrina di pubblico economista e di filosofo; ed ove la materia gravissima, e che diresti poter so lo dimostrarsi col soccorso del cal colo, per la chiara sposizione pia ma e facile si mostra alla intelli genza comune, Corse intanto tal fama del sa pere di lui alla corte di Ferdinan. do di Napoli, che con reale decre to del 25 novembre 1787, il no minò membro del supremo consi glio di Finanze; nel qual tempo venne ad egual carica eletto quel sommo ingegno di Gaetano Filan gieri, cui il Codronchi fu poi sempre stretto con vincoli di re ciproca stima e di amicizia tene rissima. E ben di questo è prova il pa rere dal Filangieri proposto al re intorno all'enfiteusi del così no mato Tavoliere di Puglia che leg gesi negli opuscoli di lui pubbli cati pel Silvestri in Milano il 1818. ove egli da maestro discorre ciò che con grave senno e sapere a veva il suo collega consigliere Codronchi proposto , quando a questo fine per sovrano volere eb be a recarsi in queHa provincia. Del quale importantissimo servi gio ebbe onore da maestrati quivi preposti alla agraria economia che con parole di lode il provvedimen to del principe ed il nome del be nemerito consigliere in latina e pigrafe eternarono; e n'ebbe dal monarca eziandio meritato pre mio: imperciocchè gli di grado di consigliere effettivo con voto, e di sopraintendente alle dogane ed alle zecche del regno; nel che adoperò a maniera, che sommo vantaggio m'ebbe lo stato per la retta amministrazione di quegli ufficii, ed a lui vennero per mol te lettere di mano della stessa regnante Carolina onorevolissime lodi. Seguì il Codronchi la real corte a Palermo quando dovè colà ri fuggirsi nel 1798 : e con essa lei tornò al suo impiego in Napoli nel seguente anno 1799. Salito al trono il re Giuseppe, volse tosto gli sguardi ad esso lui come a spec chio di sapiente reggimento e di non comune interesse, e gli confe rì la carica di consiglier di stato, di cavaliere del nuovo ordine del le due Sicilie da esso lui istitui to: ma la mal ferma salute che gli vietò continuare a quel monarca i suoi servigi, e che il tolse a quel regno ove lasciò fama durabile del suo merito, procacciò alla patria il conforto di vederlo tornare fra' suoi concittadini de quali era de siderio e delizia : e ben l'ebbero eglino zelantissimo della pubblica 283 morale, e civile istruzione dei giovani a quali col più potente dei precetti, l'esempio, era di bel la guida e di stimolo; e per l'im portante buon regime delle acque operoso; e di quant'altro poteva interessare il pubblico vantaggio studiosissimo: nè mancavano ai mendici dalla mano benefica di lui generosi soccorsi i quali seppe providamente elargire, anzichè ad alimento dell'ozio, a meritato sollievo della vera indigenza. Illi bato del costume e per la esqui sita erudizione della quale era for nito nella sociale consuetudine piacentissimo, con la serena calma del giusto vide giungere l'ora e strema del vivere, che a suoi cari ed alla patria il rapì nel giorno 15 novembre 1818, in età di an mi 67: e della acerba morte di lui amaramente si dolse l'universale della città desolato per la perdita irreparabile di quest'uomo chia rissimo nel quale si ammirarono congiunte a sapere profondo in o gni maniera di scienze e di lette re, integrità di vita e dovizioso corredo di ogni bella virtù. Nicola Codronchi. Keywords:Su i contratti e giochi d’assardo, contratto, tre tipi di contratto, contratto epistemico, contratto empirico, contratto misto. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Codronchi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51688585512/in/photolist-2mKxvEQ-2mKF3Qt

 

Grie e Colazza – dell’iniziazione – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Grice: “Having gone to Clifton, I love Colazza – he is into ‘iniziazione’ – specially in the equites of ancient Rome, but not much different from mine!” Di una famiglia dell'alta borghesia romana, e istruito agli studi umanistici e si laurea a Roma. Cultore dell'esoterismo e delle dottrine massoniche e teosofiche. Fonda il club antroposofico in Italia. Dall'incontro con l'antroposofia Colazza apprese l'esigenza di seguire pratiche spirituali di concentrazione adatte al contesto occidentale, coltivando in particolare la «via del pensiero cosciente».  Altre opere: Dell’iniziazione (Tilopa); La magia del noi di Ur (Edizioni Mediterranee). Evola e l'esperienza del Gruppo di Ur.  A strong anthroposophical influence came from Giovanni Colazza and Duke Giovanni Colonna di Cesard . Close to the group , which adopted the name UR , were Guiliano Kremmerz ( 1861-1939 ) , founder of the Fraternity of Myriam. Sedute spiritiche che si svolgevano in casa dell'amico Giovanni Colazza, e che talvolta si protraevano sino all'alba. SPUNTI DALLA CONFERENZA TENUTA IN ROMA CIRCA IL TEMA DELL’INIZIAZIONE. VENERAZIONE E CALMA INTERIORE”. Il saggio l’Iniziazione mi fu consigliato da Steiner in francese a Piazza Spagna, come un saggio importante, da tenere sempre presente come guida.  L’uomo così come nella vita quotidiana serve a poco o niente per il mondo dello spirito. Siguo Steiner più o meno il saggio, aggiungendo poi altri insegnamenti estremamente utili per ottenere reali risultati. La nostra persona, di cui siamo coscienti, è solo un riflesso del nostro ‘noi’. È molto utile per giungere alla conoscenza del nascosto ‘noi’, distinguere e separare in noi il pensare che p, il sentire che p e il volere che p. Cita l’aneddoto di Eurialo e Niso, che viveno nell’illusione di essere il suo ‘noi’ contingente. L’esoterismo e facile, se si conforta sempre donandoci personali indicazioni, circa gli esercizi e la pratica esoterica. Ma ora, invece dobbiamo cercare fedelmente e scrupolosamente quello che possiamo accogliere e applicare a noi stessi.   Si dice che è importantissimo cominciare sviluppando il sentimento di ‘venerare’. Non bisogna fraintendere il concetto di “venerazione” con uno stato di esaltazione interiore dovuto all’insegnamento che il tutor ci può dare e che noi accettiamo per co-ercizione intellettuale o sentimentale o per atto di fede: ma non è assolutamente questo. Il fatto da riconoscere è questo. Il calore dell’anima è vita stessa per l’anima. L’accogliere freddamente contenuti spirituali, ci riempie soltanto il ‘noi’ di nozioni, senza far penetrare la forza dello spirito. La venerazione e il calore di nostre anime sono l’attività di nostre anime stesse. Bisogna aprirsi a tali rivelazioni della psicologia filosofica come dottrina dell’anima, con atteggiamento di venerazione. I meravigliosi quadri circa l’evoluzione del cosmo devono risvegliare in noi ammirazione, meraviglia e riconoscenza per la gerarchia.  Tale stato di nostre anime destano in noi questo calore, la venerazione per co-esseri e fatti spirituali, ai quali siamo debitori.  Astenersi dalla critica e dal giudizio, cercare di cogliere nell’altro non il difetto, ma la qualità migliore, incoraggiare ciò che vi è di meglio. Il biasimo è energia perduta. Il sentimento positivo e buono e per le nostre anime come la qualità dell’aria che inspirando mettiamo in circolo nel corpo. Più è pura, più saremo sani. Il godimento rappresenta una lezione per l’uomo quanto il dolore, soltanto che è più difficile leggervi dentro. Non bisogna fermarsi alla sensazione del piacere, ma ricercare nel godimento il contenuto più elevato da cui promana, che ne è l’artefice e il senso, ma la sua essenza più intima. Occorre coltivare momenti di raccoglimento, lavorando sui ricordi: rievocare immagini mnemoniche di fatti passati, o della giornata trascorsa ricercando nelle nostre anime l’eco di ciò che aleggia in quelle passate percezioni. Bisogna passare in rassegna gli eventi con meticolosa analisi, oggettivarli, senza applicare alcuna speculazione né alcun giudizio; osservare tutte le concatenazioni, semplicemente contemplarle in modo neutro, lasciando che siano esse a svelarci qualcosa. Noi dobbiamo fare il silenzio. Tale lavoro equivale ad anticipare ciò che avviene nel sonno, quando la gerarchia penetrando nel nostro corpo astrale e nel ‘noi’, inseriscono i loro giudizi. L’impazienza è un perdere energie. Il tono generale della preparazione è quello di una ri-educazione su nuove basi, della vita di pensiero e di sentimento, tramite speciali esercizi. Bisogna entrare nel ritmo della ripetizione, senza lasciare che la nostra natura inferiore si ribelli, rifuggendo gli esercizi. La noia è un grande nemico. ESERCIZIO DELLA PIANTA CHE APPASSISCE. Bisogna osservare una pianta in pieno sviluppo afferrando tutti i dettagli; osservarla e riceverne una percezione così chiara che, chiudendo gli occhi, possa rimanere come chiara immagine interiore di fronte a noi. Esercitarsi con la forma esterna cercando ad occhi chiusi di ricordarla, visualizzandola. Quando si riceve un’esperienza non bisogna assolutamente tradurla in concetti con le parole: bensì mantenerla in sé e coltivarla. PREPARAZIONE E ILLUMINAZIONE. Altra cosa importante da fare è dirigere l’attenzione sul mondo dei suoni. Analizzare e realizzare la differenza fra i suoni di origine minerale immota, e quelli di natura vegetale o animale. Fra lo scroscio dell’acqua, il fruscio delle foglie nel vento, il rotolare di una pietra e il rumore di una macchina vi è una diversa manifestazione delle Forze cosmiche. Cessato il suono, dobbiamo prolungare in noi il suo effetto, ma non attraverso l’udito, ma tramite l’orecchio dell’anima, senza immaginare nulla: aspettare in Silenzio il sorgere di qualcosa. Le potenze spirituali non si trovano e si lasciano trovare come avviene nel mondo sensibile quando si va a monte di un effetto per ritrovarne la causa: sono Esse a decidere per loro deliberazione, se è lecito o no farsi percepire dal ricercatore. Sono Esse che devono e vogliono trovare l’uomo, solo se posto in un determinato stato di accoglimento interiore. Le percezioni immaginative si manifestano come impressioni interiori paragonabili ad impressioni suscitate in noi da un dato colore fisico; la percezione soprasensibile appare rivestita da un colore perché il suo contenuto animico è affine a ciò che quel dato colore equivale corrispondentemente come manifestazione animica. La percezione di un rosso osservato nel mondo fisico, genera in noi un particolare sentimento, contenente qualità animiche: l’Entità che ci appare immaginativamente se ha in sé del rosso, significa che contiene in lei delle qualità e dei contenuti animici affini a ciò che nel mondo fisico ci appare come rosso. E’ un grave errore ritenere che ci si deva attendere nel mondo spirituale come una “ripetizione” più sottile delle forme del mondo fisico. Lo spirituale ha qualità totalmente dissimili dal fisico. Bisogna sviluppare sempre più simpatia e compassione verso gli uomini e gli animali e sensibilità per la bellezza della natura. IL NON VEDERE RISULTATI DURANTE IL TIROCINIO. Spesso il discepolo non si avvede degli effetti e dei risultati derivanti dagli esercizi occulti. Ciò è dovuto al perché si tende a guardare fisso in una direzione, attendendosi di ricevere qualcosa solo da quella direzione, senza accorgersi che ciò che invece è arrivato, promanava a noi da un’altra direzione. Vi sono due gravi ostacoli nella percezione immaginativa: presupporre e attendersi in modo personale ciò deve avvenire; confondere le percezioni di colore con le sensazioni di colore fisico, quasi cercando con gli occhi all’esterno, ciò che invece può apparire solo interiormente. Le percezioni di colore o di forma, non promanano dall’ente osservato, ma sorgono in noi, nascendo dalla nostra interiorità. La conferma circa l’autenticità di aver avuto una vera esperienza spirituale è confermata dall’avvertire in sé il sentimento di aver come sperimentato uno stato già provato; non che l’immagine percepita ci è a noi nota, ma che il sentimento provato durante l’esperienza è un qualcosa di già vissuto, in un passato remotissimo (atlantideo o lemurico).  È un primo passo verso il riconoscere in coscienza il proprio primordiale passato, quando si era in completa unione con il mondo spirituale. ESERCIZIO DEL SEME. Osservare con gli occhi fisici un seme: forma, colore, peso, dimensioni, rapporti. Fatto ciò, occorre interiorizzare l’immagine, astraendosi dalla percezione fisica del seme, sforzandosi di visualizzarlo nel campo della propria coscienza, ad occhi chiusi. Si pensi che in esso è virtualmente presente in potenza l’intera pianta: vi è in lui un’Idea, una Legge naturale invisibile che lo governa, la quale manifesterà in un futuro sulla Terra la pianta in lui ora nascostamente contenuta. In lui dimora una potentissima forza vivente, che si cela alla nostra vista, invisibilmente. Rappresentarsi poi il processo temporale, di crescita in successione, nel triplice ritmo della sua costituzione: radice,  fusto, fogliame, fiori, frutto. Non è importante curare i dettagli, ma sentire la forza di questa manifestazione, la potenza creativa che si esprime nell’espansione dirompente delle forze insite nel seme. Quel che noi sentiremo come potenzialità espansiva è l’elemento invisibile del seme: la forza eterica. Il ritmo perenne del mondo vegetale trascende il seme stesso come dato immediatamente sensibile e percepibile. Ci si volga di nuovo al seme (aprendo gli occhi?) collegando ad esso l’intero processo immaginativo delle potenziali forme di crescita, dell’invisibile che è diventato visibile. La forza che ne risulterà si tradurrà in noi come facoltà di visione: una specie di nube luminosa, una specie di piccola fiamma di colore lilla-azzurro, aleggiante intorno al seme. Ciò è la vivente forza vitale che edificherà la pianta. ESERCIZIO DELLA PIANTA. Osservare una pianta in completo sviluppo, sforzandosi di vedere in essa immaginativamente l’attuarsi del ciclo seme-pianta-fiore-frutto seme, realizzando così un senso di perennità della vita vegetale, espressa nella sintesi della forma della pianta stessa.  In un certo senso, è come se dalla pianta-spazio momentanea, si estraesse la pianta-tempo, ossia l’Idea totale o Essere di specie vegetale a cui appartiene quella pianta. Pensare poi che vi sarà un tempo in cui questa pianta non esisterà più, sarà scomparsa. Questa pianta verrà annientata, ma non la sua specie: essa ha generato dei semi tramite i quali, l’Idea della specie continua l’esistenza in altre piante. Senza distogliersi dalla percezione spaziale fisica della pianta, bisogna sovrapporvi l’immagine di ciò che ella sarà nel futuro, che avvizzisce e che appassisce, disseccandosi, di quella realtà celata ai nostri occhi. La pianta morirà, ma non morirà l’idea o la legge che l’ha generata e fatta agglomerare. Questo trasportarsi nella dimensione delle potenzialità ora latenti, della pianta in oggetto, produrrà in noi la visione di una fiamma. Un’indicazione personale che voglio offrire, è di cercare di contemplare le forme, partendo da una diversa prospettiva rispetto quella usuale. Se si osserva una pianta, solitamente il fusto è perpendicolare all’asse degli occhi. Si provi a piegare la testa, in modo che esso diventi parallelo all’asse degli occhi. Il modificare il modo abituale di vedere, favorirà l’esperienza spirituale. L’obiettivo di questi esercizi è di trascendere l’oggetto percepito per arrivare al suo contenuto immaginativo. ESERCIZIO DELL’UOMO. Prendere in esame il ricordo di un evento in cui abbiamo assistito alla trasfigurazione nei movimenti e nei gesti di un individuo preda di un fortissimo desiderio. Sforzarsi di sentire in noi quel sentimento di brama o desiderio. Pur sorgendo, trasferendo in noi tale sentimento, esso deve rimanerci estraneo, tanto da poterlo osservare obiettivamente, senza parteciparvi con sentimenti e pensieri. Appariranno diverse gamme di sfumature di colori. Altro errore è di compiacersi inavvertitamente o di stupirsi nell’attimo in cui si ha un’esperienza spirituale: si genera difatti un’onda nel sentire che annega l’esperienza stessa. Altra qualità indispensabile da sviluppare è il coraggio o intrepidezza. Certe esperienze spirituali, dalle quali siamo ordinariamente protetti alla loro percezione, sono impossibili da sostenere senza tale qualità. Aver fiducia nelle potenze spirituali, è come aprire un varco ad esse verso di noi: se veramente desideriamo da loro un aiuto, attraverso la fiducia in esse verremo soccorsi e sostenuti. LA DIETA ESOTERICA. L’alcool è da evitare, anche durante i pasti e anche se assunto in piccole quantità: esso immette nel sangue un elemento anti-Io che si oppone all’autonomia dell’Io; una specie di neutralizzatore fisico dell’esperienza spirituale. L’alcool limita, distorce o impedisce la possibilità di giungere ad una percezione cosciente del mondo spirituale. Bisogna giungere a sentire spontaneamente ripugnanza, un naturale disgusto verso la carne; essa contiene sostanze che favoriscono l’irregolare autonomia di certe condizioni del corpo astrale. Inoltre essa paralizza le forze contenute nel ricambio, le quali sono di natura prettamente spirituale. I vegetali che si sviluppano sotto terra, senza la luce solare, come funghi, legumi, sono meno indicati di altri che si impregnano di luce solare, come i pomodori o le arance. GLI EFFETTI SUL CORPO FISICO SUSCITATI DAGLI ESERCIZI. Tutti gli esercizi antroposofici, tendono a realizzare una maggiore mobilità del corpo eterico: nell’antichità, per ottenere questo ci si aiutava attraverso particolari tecniche di respirazione. Oggigiorno, tali pratiche sono dannose: si realizzano difatti degli strappi fra l’eterico e il fisico; se tuttavia se si verificasse qualche esperienza spirituale, sarebbe priva di controllo, casuale. Le pratiche respiratorie sono sconsigliabili. A seguito degli esercizi antroposofici, la respirazione assume spontaneamente un nuovo ritmo. La mobilità del corpo eterico offre la possibilità di percepire il proprio corpo fisico come un elemento estraneo. Si possono, durante il tirocinio esoterico, avvertire delle trasformazioni che possono, ma non devono venir interpretate come anomalie patologiche. Si può avvertire, come non prima, il proprio sistema osseo interno come un peso. Un’altra sensazione è sperimentare i propri muscoli come percorsi da correnti; si sente scorrere qualcosa nel sistema muscolare, quale moto del corpo eterico. Si può poi avere la sensazione che la nostra coscienza sia distesa e diffusa non più solo nella testa, ma lungo tutto il sistema circolatorio, nel sangue ove vi è il nostro noi. Si avverte poi il il centro del proprio essere nel centro del cervello, mentre nella periferia di esso si percepisce la zona ove opera e agisce la memoria rappresentativa. Il sistema nervoso comincia a rendersi indipendente dalla corrente sanguigna. Si ha poi la percezione di avvertire l’indipendenza e l’individualità dei singoli organi interni. Ciò vale anche per gli organi di senso, che sembrano come “attaccati” al nostro essere. I SENSI. Il tatto non è un senso, ma un urto contro il mondo esterno; tramite gli altri sensi, evocando le relative percezioni di gusto, odore, suono e vista per poi cancellarle ispirativamente, è possibile ritrovare la loro origine spirituale. Il gusto è un organo di percezione dell’etere cosmico. L’olfatto fa percepire l’etere vitale. L’udito è l’involuzione di un organo dell’epoca lunare, allora predisposto per la percezione dell’armonia delle sfere. Il senso del calore ci rimanda all’antico Saturno. La vista ci permette di percepire la manifestazione dell’etere di luce. Un sintomo evidente dell’effetto degli esercizi è sulla memoria: essa viene man mano a perdersi, per venir sostituita da un’altra facoltà mnemonica non fondata come questa su ricordi visivi e uditivi, ma su ricordi o immaginazioni eteriche. Il vero serbatoio della memoria non è il cervello, ma il corpo eterico: qui ogni cosa viene registrata, racchiusa e conservata. Procedendo dal presente a ritroso, rievocando stati d’animo sperimentati, sarà possibile ritrovarvi eventi dimenticati. Nel sentire, si risveglia la memoria. Occorre sviluppare presenza di Spirito: abituarsi ad una grande autodeterminazione, imparando a decidere con immediatezza, senza esitazioni. Occorre poi di decidere responsabilmente di non tradire il mondo spirituale, una volta conseguite le facoltà iniziatiche. Il comunicare insegnamenti a qualcuno che non ne sia preparato, significa assumersi anche la responsabilità karmica delle eventuali conseguenze, circa il buono o cattivo uso che questi ne farà. Lo stare in segreto non deve significare darsi arie misteriose, ma solo non voler nuocere ad altri. Tutto ciò che ci porta alla nostalgia del nostro passato, è una tentazione luciferica. Bisogna cessare di contare i giorni, i mesi e gli anni trascorsi senza risultati nella disciplina. La parola chiave è “Pazienza”. L’impazienza rappresenta un ostacolo: il mondo spirituale per potersi rivelare, per aprirsi un varco, ha bisogno di trovare nel discepolo calma attesa, per potervisi riversare. MITEZZA E SILENZIO. Le potenze spirituali sono in continuo fermento, in perenne attesa per poter essere accolte dall’uomo, purché trovino le giuste condizioni che glielo consentano: esse, datrici di Amore eterno e altruista, trepidano nella fremente attesa di poter riabbracciare i loro fratelli minori. Più che anelare di muoversi incontro a loro, è più giusto intendere che la via giusta è sapersi aprire ad esse. Esse possono riversarsi in noi solo se trovano purezza interiore; esse sono sempre pronte, dai limiti della nostra coscienza, a connettersi con noi. Sono soltanto i veli della personalità soggettiva, l’irrequietezza, i timori, gli impulsi inferiori, a impedire loro di avvicinarsi. Ogni sforzo nel guardare o udire fisico, ogni reazione istintiva, paralizza i sensi spirituali. Bisogna rinunciare alla suscettibilità e alla collericità: tacitare le passioni e i desideri. Bisogna svincolarsi dalla forza del desiderio, che impedisce la percezione dello Spirito. Padronanza di sé: dominio dei sentimenti che sorgono spontaneamente in noi. È consigliabile nei rapporti con gli altri, non la durezza, ma la mitezza. La durezza erige una barriera invalicabile, spezzando un’ulteriore comunicazione. Mitezza e silenzio: positività e astensione dalla critica. Si consiglia di ritirarsi ogni tanto dall’ambiente della vita di tutti i giorni, per raccogliersi e meditare in mezzo alla Natura. Il rumore della vita quotidiana, può impedire il manifestarsi degli effetti degli esercizi. Il discepolo mano a mano si libera così della vita istintiva e dei caratteri ereditari della sua razza e famiglia: si svincola dall’azione delle entità spirituali corrispondenti. Occorre sempre chiedersi se si è degni di questa libertà interiore che si vuole conseguire e se si ritiene di avere le forze necessarie per sostenerla, affinché tale libertà agisca positivamente e correttamente. LE sette CONDIZIONI PER LA PREPARAZIONE ALLA VIA OCCULTA. La salute fisica è connessa al karma: molte volte occorre chiedersi se non vi sia qualche cosa nel campo morale che gravi sul fisico, da purificare o da espiare, che ne impedisca l’atteso miglioramento. Per la salute del corpo occorre sopratutto coltivare la chiarezza del pensare e del discernimento nelle impressioni ricevute dal mondo esterno. Prima di parlare o di esporre una propria considerazione o un’opinione, occorre stabilire con chiarezza il pensiero da formulare in immagini: non è bene difatti cercare a tutta prima le parole idonee, ma soprattutto la figura d’insieme da cui partire. È l’immagine che deve far scaturire l’espressione dialettica. Sentirsi un arto della vita universale, una parte di questa, superando ogni senso di separazione. La sostanza divina è solo apparentemente e necessariamente ripartita nel cosmo: lo scopo finale dell’evoluzione è comunque ricostituire un’unica entità spirituale. Bisogna aspirare ad essere ciò che si vorrebbe gli altri fossero. 3- Si deve divenire consapevoli che i pensieri e i sentimenti hanno la stessa valenza e importanza che le proprie azioni: il movimento del pensiero e dei sentimenti è altrettanto concreto quanto le azioni fisiche operate sul mondo esteriore. Ciò originerà responsabilità per il circostante ambiente animico e fisico. I pensieri permangono e si diffondono, comprendendo nei suoi effetti una moltitudine di esseri. Operare secondo i puri impulsi dell’Io superiore, non dell’Io inferiore. Si deve prendere coscienza che il corpo fisico, nel quale solitamente ci s’identifica, è solo uno specchio, un arto dell’interiorità. Educarsi al mantenimento di una decisione presa; il rinunciare è un cadere nel vuoto dell’incoerenza e dell’indeterminatezza: è mancanza di forza dell’Io. Non bisogna assolutamente mai, prendere decisioni o fissare regole, mentre ci si trova travolti dall’onda di un moto passionale o di un impulso emotivo. Occorre essere riconoscenti, grati al mondo esterno e allo Spirituale. Si deve ricordare che nell’era di Saturno, “Tutto era Uomo”, e che solo grazie al frutto del sacrificio di altri esseri spirituali e esseri fisici rimasti indietro nei regni inferiori, è stato possibile configurare l’umanità attuale. Ringraziare per il sostentamento giornaliero. Considerare la vita e agire in essa, secondo la direzione enunciata nelle precedenti condizioni: dare un’impronta unitaria ed equilibrata alla vita facendo in modo che le finalità delle proprie azioni siano determinate dalle attitudini sopra descritte. Molte cose devono essere abbandonate, e molte altre acquisite per porsi al servizio del divino. LA POSTURA NELLA MEDITAZIONE. La terra è percorsa perpendicolarmente e orizzontalmente da correnti, che possono favorire o ostacolare la meditazione. Le correnti perpendicolari favoriscono: occorre pertanto avere la colonna vertebrale verticale rispetto alla superficie terrestre. La posizione distesa, supina, invece accoglie le correnti orizzontali dirette alle specie animali, inducendo automaticamente ad un tipico stato semisognante. I FIORI DI LOTO. Il corpo eterico è percorso da innumerevoli correnti che muovono in senso longitudinale o circolare radiale. Durante la veglia, il corpo astrale rimane connesso spazialmente al corpo fisico; quando si apre nel discepolo la coscienza spirituale, il corpo astrale si espande in proporzione dello spazio che può essere percepito, ossia diviene grande quanto il suo campo di percezione. Non si parla diffusamente del loto a due petali, fra gli occhi, perché esso è connesso con il risveglio di forze che appartengono alla chiaroveggenza primitiva. Non vi è alcun cenno, per ragioni di sicurezza, del loto della zona basale “kundalini” e del loto”1000 petali”, sul capo.  In un lontano passato, i fiori di loto erano attivi; poi lentamente hanno cessato di funzionare. Attualmente solo la loro metà è attiva; con il lavoro interiore essi si ridestano, cominciando a muoversi e ad illuminarsi. I centri a sedici, (laringe) dodici (cuore)e dieci petali (stomaco), attivati, conferiscono la padronanza assoluta sull’Io inferiore. IL LOTO A SEDICI PETALI (laringe). Gli esercizi della preparazione e dell’illuminazione tendono ad attivare tale centro. Si tratta principalmente di lavorare nel campo delle idee, curando la moralità nell’uso delle parole e la qualità di buon fine delle proprie risoluzioni prese. Tale centro, attivato, conferisce la capacità di entrare in comunicazione con altri Esseri tramite il pensiero (telepatia). Le condizioni da realizzare sono otto, ciascuna equivalente ad ogni petalo dormiente: Formarsi rappresentazioni il più fedeli possibili del mondo esterno, prive di fantasia personale, eliminare l’impulsività, le reazioni dettate dall’emotività; le parole usate in un discorso devono essere sempre rigorosamente connesse all’argomento;  ogni gesto e atto deve essere sempre in piena coerenza alle idee e alle risoluzioni prese; organizzare, pianificare concretamente la propria vita; verificare la saldezza, la moralità e la giustezza delle proprie aspirazioni;  imparare ad osservare retrospettivamente gli eventi della vita;  la giornaliera meditazione per interrogarsi sulla propria fedeltà alla linea tracciata dalle sette condizioni precedenti. È di vitale importanza sviluppare la veridicità; dire sempre la verità promuovendo la perfetta corrispondenza fra mondo esteriore e mondo interiore.  A volte non è molto altruistico dire la verità, ma lo scopo morale non evita il senso di giustezza. Non mentire mai ai bambini e non fare loro mai promesse senza mantenerle. MORALITA’ E CONOSCENZA. Il loto a due petali, nel centro frontale, ha una particolarità: anziché ruotare come gli altri, una volta attivato, esplica la sua azione sporgendosi all’esterno, prolungandosi in direzione orizzontale in una forma a due rami, con il compito di “portare fuori” il corpo eterico. Per mezzo di tale centro, si formano sia le correnti eteriche che scendono verso la laringe e il cuore, sia quelle che muovendosi verso le mani, costituiranno il vero e proprio reticolo che renderà il corpo eterico, un intero organo di percezione.  Bisogna suscitare un rispettoso silenzio riguardo le proprie esperienze, sia con gli altri, sia con sé stessi: occorre accoglierle così come si presentano, senza tradurle in rappresentazioni.  Lo sviluppo dei Fiori di Loto tende a trasformare tutto quello che, nascendo come natura istintiva, si presenta incoerente e non ordinato in un volitivo campo d’azione per l’armonia delle forze spirituali. IL LOTO. A duodice PETALI (cuore). Tale loto conferisce la percezione delle “forme”.  Come gli altri, anche questo centro si sviluppa coltivando alcune qualità: le condizioni da realizzare sono sei (i sei esercizi fondamentali), ciascuna equivalente ad ogni petalo dormiente. Controllo del pensiero; connettere, partendo da un tema o da un oggetto comune, vari pensieri in modo logico e conseguente, distaccandosi così dall’usuale pensare automatico istintivo; in presenza di persone che parlano in modo automatico, superficiale o poco logico, bisogna non intervenire correggendole, ma comporre mentalmente la corrente dei pensieri deformi e correggerli dentro di sé, interiormente senza esporli fuori di sé. Controllo delle azioni; uniformare l’azione al pensiero, perdere l’automatismo dato dagli istinti, prestando attenzione ai propri gesti, alle posture, ai movimenti, in modo che non avvenga che le nostre azioni possano venire determinate da impulsi inconsci non passati al vaglio cosciente del nostro pensiero. Pratica della Perseveranza; perdere la volubilità, la lunaticità, compiendo e portando sempre a termine le decisioni, gli obiettivi, i metodi, gli esercizi o le determinazioni prese. Controllo della tolleranza; sviluppare la conoscenza dei motivi e dei limiti di chi sbaglia, per giungere alla comprensione degli errori altrui, onde sostituire l’istintivo impulso di criticare o giudicare; occorre far nascere in sé il desiderio di voler essere utili all’altro tramite consigli o considerazioni costruttive, non con giudizi che bloccano la sua evoluzione. Pratica dell’obiettività o spregiudicatezza; non respingere immediatamente qualcosa che ci venga detta, e parimenti non rifiutarsi di rivalutare o riconsiderare cose da noi già appianate e conosciute; Sviluppo dell’Imperturbabilità; equanimità, equilibrio degli esercizi sopracitati; esercitarsi a controllare o sospendere le normali reazioni emotive. Lo sviluppo dei fiori di Loto è una disciplina certamente difficile, ma non impossibile. ESERCIZIO CONTRO L’APPRENSIONE. Un buon esercizio è, durante la giornata, quando un pensiero particolarmente importante ci assilla, ci dà apprensione, divenire capaci di sostituirlo con un’altro pensiero completamente diverso, da noi prescelto. IL LOTO A diedici PETALI (Stomaco). Il risveglio di tale centro consente di percepire negli altri le potenzialità future e le capacità latenti di Esseri o Entità. Per il suo sviluppo non sono state predisposte qualità particolari da sviluppare, ma piuttosto si tratta di generare un equilibrio armonico, traendolo dall’intera condotta di Vita.  Occorre considerare la totalità del proprio mondo interiore: l’origine delle cosiddette idee spontanee, dei gusti personali, dei sentimenti di simpatia e antipatia. Per la coscienza ordinaria, l’Origine di tali suddette inclinazioni è ignota: esse risiedono nel corpo eterico, il quale registra molte impressioni che sfuggono alla nostra coscienza. Per divenire consapevoli delle cause che hanno originato tali inclinazioni occorre, riandando indietro nel tempo, risvegliare interiormente il ricordo di ciò che può averle determinate e sottilmente impresse in noi come tendenza del gusto, dell’istintività, dell’avversione o simpatia. In tal modo si produce anche un grande risveglio della memoria: ci si immette nella corrente della memoria eterica. IL LOTO A sei PETALI (all’interno dell’addome). Tramite esso, si può entrare in intimo contatto con esseri spirituali. Si sviluppa tramite l’armonica cooperazione di corpo, anima e spirito. Deve sorgere la spontaneità del pensare, del sentire e dell’agire immersi nello spirito: incedere senza combattere. Non è bene limitarsi e insistere nel lottare duramente contro una propria inclinazione o tendenza molto pronunciata; se tale difetto è così preponderante, a volte lo si può solo dominare o controllare, ma non annullarlo. Si consiglia piuttosto di nobilitare e sublimare le proprie passioni e istinti, anziché procedere con fustigazioni tendenti al voler tenerli a bada con lotte e rinunce. Occorre divenir capaci di sperimentare la gioia di servire nello spirito e per lo spirito. ALCUNE PARTICOLARITA’ SUL CORPO ETERICO E SUI CHAKRAS. L’intero corpo eterico è sempre in perenne movimento: è percorso da correnti che si muovono continuamente, seguendo la circolazione sanguigna. Il centro, o perno del corpo eterico è da localizzarsi nel Loto del Cuore: tramite esso tutti i processi si trasmettono agli altri centri, recando con sé ripercussioni della sua eventuale imperfezione. Esso è un organo di natura Solare. Nella zona centrale della testa vi è un punto specialissimo in cui corpo eterico e corpo fisico sono congiunti; qui inizialmente si formano le correnti del corpo eterico. Prima di rendere operativo il fiore a 12 petali, nel cuore, occorre predisporre un centro provvisorio nella testa, per rendere possibile uno sviluppo interiore condotto in piena coscienza. Successivamente, dopo aver raggiunto un giusto stadio di controllo cosciente delle attività di pensiero, tale centro dovrà venir trasferito nella sua vera sede, presso il Cuore. Gli esercizi di concentrazione e meditazione hanno lo scopo di attivare tale centro nella testa, per poi far discendere nella Laringe e poi nel Cuore l’attivazione. RIEPILOGO DELLE ESSENZIALI FACOLTA’ DA SVILUPPARE. Facoltà di discernere il vero dal falso. Capacità di valutare il giusto dallo sbagliato. I sei esercizi fondamentali. L’amore per la libertà interiore. CONSIDERAZIONI SULLA VIA INIZIATICA. Durante il cammino Iniziatico può capitare di avvertire una specie di senso di maturazione interiore, di compimento; sentire di essere pronti per qualche cosa.  E’ relativamente facile contemplare l’intero cammino iniziatico attraverso un libro, difficile però realizzarlo con la stessa continuità, puntualità, perseveranza e coerenza nella vita: nella vita non è come nel libro, dove un passo viene descritto uno dopo l’altro; a seconda delle occasioni e delle situazioni individuali ogni passo può svilupparsi prima o dopo, in modo assolutamente non conseguente. L’ESPERIENZA DELL’ NOI’ E LA “CONTINUITA’ DELLA COSCIENZA”. Il corpo eterico è di per sé, un principio spirituale: è connaturato con il tempo, è fatto di sostanza temporale. L’uomo non ha assolutamente alcun potere di interferire o di influenzare le forme pensiero, di sentimento, di desideri o passioni da lui generate. Una volta emanate, queste forme non possono più venire controllate. Durante lo sviluppo occulto, in un primo momento, il sé superiore si pone di fronte al proprio mondo inferiore, il suo Ego.  Si ha la percezione che tutto che era la nostra natura interiore, prende forme che tendono a venirci addosso, incontro dal di fuori. Si verifica un rovesciamento delle immagini, tipico del mondo astrale.  Il praticare esercizi in modo non corretto, disordinato o incosciente, senza essere sorretti da una solida base, potrebbe causare la percezione di queste forme pensiero in forme ossessionanti ed aggressive, quali animali o esseri orridi, traendone terrore e anche possessione. Ciò è la percezione della propria anima: tale evento è però indispensabile e necessario per la realizzazione del Sé superiore. E’ qui che comincia l’esperienza dell’Io. La vera realizzazione del Sé superiore comincia quando, si possa vedere la sua immagine. IL LOTO A due PETALI (Centro frontale). L’ esperienza immaginativa del Sé superiore viene attuata tramite il loto a 2 petali (fronte), il quale illumine gli enti e gli esseri spirituali.  Lo sviluppo del Loto a due petali si consegue tramite lo studio e la meditazione degli insegnamenti della scienza dello spirito, in particolar modo ciò che concerne la gerarchia. Tale facoltà rappresentativa, deve essere coltivata tramite l’immagine interiore dei quadri immaginativi forniti dall’Antroposofia, inerenti all’azione interattiva, passata, presente e futura della gerarchia nel cosmo, in tutto ciò che è rintracciabile come loro impronta. L’intero quadro cosmico dovrebbe venir sentito il più possibile come un panorama simultaneo. A poco a poco la realtà spirituale si sostituirà all’immagine, venendo da questa evocata, facendo apparire veri fatti e veri esseri spirituali. Tutti gli esercizi preparano nella coscienza la sede atta ad accogliere la realtà spirituale da raggiungere: costruiscono quasi la sua immagine, affinché questa possa poi diventare reale esperienza. Si arriva poi alla conoscenza delle proprie ripetute vite terrene: il karma. A questo punto l’anima si è congiunta con il Sè superiore, con la sorgente del proprio essere. Da questo momento il discepolo non torna più indietro perché, compenetrato dal Sé superiore, non sente più l’attrazione di quanto gli è inferiore. LE COMUNICAZIONI AL RISVEGLIO. Durante la vita di veglia, l’uomo si trova davanti ad un mondo incompleto, mentre durante il sonno ha la possibilità di vivere nel mondo delle cause, in una completezza. La coscienza di sonno senza sogni è una forma di conoscenza superiore; una facoltà percettiva corrispondente a quella uditiva. I primi messaggi di quel mondo si percepiscono come pronunciati da sé stessi a sé stessi. Si ha come la sensazione di parlare a sé stessi, di rispondersi, quando in realtà parlano in noi esseri spirituali. Tali sensazioni avvengono al mattino, nel risveglio: sono cenni del progresso spirituale. Prima si sperimenta solo l’impressione di aver ricevuto qualcosa, qualcosa che non si riesce a definire.  Poi, i rapporti con gli esseri spirituali assumono la caratteristica di domanda e risposta; si sente al risveglio una voce interna donante luce e chiarezza alla propria vita interiore e alla vita esteriore. Non è bene sforzarsi di ricordare le esperienze notturne di sogno, ma lasciarle sorgere spontaneamente. A poco a poco queste sensazioni al risveglio, questi messaggi diventeranno sempre più chiari, così da portare nella vita di veglia tutte le esperienze della vita spirituale vissuta durante la notte: si instaurerà la continuità fra lo stato di veglia e lo stato di sonno senza sogni. Una volta stabilita, tale continuità di coscienza verrà portata dal discepolo anche attraverso le porte della morte, e con essa la stessa pienezza del ricordo nella vita fra morte e nuova nascita. Condizione indispensabile per tale realizzazione è la pratica della concentrazione, meditazione e contemplazione. Il discepolo potrà porre delle domande in meditazione, durante lo stato di veglia: riceverà le risposte durante il sonno senza sogni: ciò è l’inizio di un colloquio fra esseri spirituali. Il vero scopo dell’Iniziazione consiste nell’instaurare la continuità della coscienza. Ciò è una mèta assai lontana, ma dirigendosi verso di essa si possono cogliere degli sprazzi di luce che indicano le tappe del cammino e ne danno la certezza. LA SEPARAZIONE DEL PENSARE, SENTIRE E VOLERE. Tale realizzazione pone il discepolo ad esperienze inevitabili, che sono dure e difficili; la liberazione delle tre facoltà umane è assolutamente necessaria per lo sviluppo degli organi spirituali. Sono tre i pericoli in cui si può incombere. Pericolo del Pensare: divenire astratti teorici pensanti, distaccati dalla vita, freddi e indifferenti nei confronti dell’esistenza, che trovano soddisfazione solo nel proprio pensare in solitudine; Pericolo del Sentire: una natura sensuale può sentirsi trasportata in un sentimento di devozione eccezionale, fanatica, in un estremo godimento del contenuto della propria coscienza mistica; Pericolo del Volere: divenire super-attivi, trovando appagamento solo nel modificare il mondo esteriore, lasciandosi dominare e trasportare da altri. LA LIBERTA’E L’INDIVIDUALISMO ETICO. Solitamente le tre forze dell’anima si esplicano in modo immediato, istintivo con un loro habitus personale; il discepolo deve distaccarsi da tale automatismo innato, predisposto in lui.  Il fatto di poter dominare le reazioni e i sentimenti conferisce a tutto l’essere un senso di forza e di stabilità, poiché le emozioni non hanno autorità sul suo equilibrio. L’equilibrio interiore si deve fondare su di una nuova personalità morale, il quale deve conferire al discepolo la coscienza di ciò che deve agli altri, di ciò che deve al mondo spirituale e a ciò a cui deve la ragione della propria esistenza. La Libertà prevede che si sia superato l’egoismo, che si sia raggiunto un tale grado di moralità e di equilibrio da poter cominciare a vivere non più per sé stessi, ma per l’umanità.Il discepolo diviene consapevole di dipendere dai mondi superiori, con la libera decisione di servire la Causa degli esseri spirituali. Solo in tal modo si può parlare di una Libertà pura e vera, che non porti danno a lui stesso e agli altri. IL GUARDIANO DELLA SOGLIA. Solo dopo aver liberato pensare, sentire e volere è possibile accedere all’esperienza del guardiano della soglia. LA SOGLIA. Il liberare le facoltà dell’anima significa assumersi direttamente la responsabilità delle proprie azioni. Avendo liberato il corpo eterico e il corpo astrale dagli automatismi del pensare, sentire e volere, si avvicina l’esperienza del guardiano della soglia: si rende obiettivamente visibile il grado a cui si è pervenuti attraverso gli esercizi. Il guardiano diviene un essere indipendente, al di fuori di noi. Mentre precedentemente si era intessuti con lui, ovvero con ciò che rappresenta cosmicamente il nostro essere, ora si presenta esteriormente la nostra interiorità. I propri moti interiori si traducono nella figura esteriore di questo essere. Il guardiano si presenta all’improvviso, appena i chakras cominciano ad attivarsi: è la prima esperienza soprasensibile. Tale esperienza, può suscitare terrore. Molti, al cospetto del guardiano, che palesa il grado di imperfezione e purezza da noi raggiunto sinora, riconoscono la propria inadeguatezza, la propria immaturità nel sopportarne la visione, quindi retrocedono. Si ravvisano le proprie limitazioni: i difetti assumono un carattere obiettivo. Solitamente questo essere si presenta per la prima volta al risveglio, la mattina, in un momento inaspettato, tanto da suscitare terrore. SIMILITUDINE FRA SPECCHIO E GUARDIANO. Supponiamo che un uomo con il viso deforme, pur sapendo di averlo non abbia mai potuto specchiarsi; quale sarà la sua reazione di fronte allo specchio, quando per la prima volta vedrà la sua deformità ? Prendere coscienza della propria figura interiore è l’incontro con il guardiano: egli è noi, che ci appariamo all’esterno. IL GUARDIANO E IL KARMA INDIVIDUALE. Nel guardiano appare il nostro karma; la sua figura riassume il nostro passato vivente con tutte le cause di dolore e gioia. Qualora si trovi la forza d’intrepidezza di guardare in volto il guardiano, da quel momento ci si assume coscientemente la responsabilità di pagare i propri debiti karmici, quasi andando incontro a questi. Ci si accorge che ogni tentativo di evadere o di rimandare il pagamento del proprio karma, provoca un disastro nell’ordinamento spirituale. Ogni mancanza si riflette assumendo forma demoniaca. Occorre assolutamente a cagion di ciò, quali discepoli, superare il sentimento della paura.  Il coraggio di affrontare il guardiano è contemporaneamente il coraggio di prendere il proprio destino nelle proprie mani: dare coscientemente a sé stessi anche ciò che può causare dolore, rinuncia, peso. Smettere di evitare la direzione di vita che offre minore resistenza, per muoversi coscientemente incontro a quanto vi è di più difficile e arduo. Rimandare significa sempre, ritrovare. Il guardiano muterà di forma in modo direttamente proporzionale al nostro adempimento karmico, sino ad assumere figure luminosissime nella misura in cui ci saremo purificati. Fino al momento dell’incontro con il guardiano si ignorano quali e quanti pesi portiamo nel nostro fardello karmico; dopo non si è più gli stessi di prima, dopo aver visto la vera realtà spirituale di sé stessi. Non è più possibile ingannare sé stessi. Finché non si vede e si conosce il proprio karma, non si può dire di essere liberi; solo dopo aver allontanato la guida delle Potenze del karma per prendere noi stessi la responsabile guida di tale compito, solo allora si comprendono le parole. Il Cristo ci ha reso liberi. Ora le forze del Cristo si sostituiscono a quelle del karma. LO SCOPO DELL’UOMO NEI CONFRONTI DELLE GERARCHIE. Bisogna prender coscienza della missione dello spirito di popolo nel quale si è intessuti, il quale conferisce stimoli e impulsi animici che condizionano la nostra vita. Rinnegare il proprio ambiente spirituale, nel quale si è scelto di vivere, è rinnegare la missione di un arcangelo. Il riconoscimento delle intenzioni del proprio Spirito di popolo, e del motivo che ci ha spinti ad incarnaci in tale atmosfera animica, deve portarci a scorgere nel giusto modo cosa vuole dirci la sua forza spirituale, per cogliere appieno la direzione verso la quale dobbiamo spingerci. L’amato deve associarsi a quelle potenze spirituali che guidano sulla terra, nelle nazioni, gli uomini inconsapevoli, verso la stessa mèta che egli cerca oggi lui stesso di conseguire. Il mondo soprasensibile potrà continuare la sua strada soltanto se vi saranno sulla terra esseri capaci di comprendere la direzione. La gerarchia attende qualcosa dall’uomo. E’ la gerarchia umana che deve portare il senso spirituale nella materia. Dopo la morte fisica tutto ciò che l’uomo ha sperimentato durante la sua vita, in seguito alla dissoluzione del corpo eterico e dell’astrale, viene consegnato al mondo spirituale: ciò diviene coscienza del mondo spirituale. (leggenda dell’uomo che dà i nomi alle cose e il nome di “Adonai” a Dio) L’uomo deve portare la coscienza al mondo spirituale, la forza risorgente. Il superamento del mondo sensibile dovrà avvenire, ma i frutti dell’esperienza e i risultati tramite essa conseguiti durante l’evoluzione dell’umano, saranno incorporati dalle Gerarchie nei mondi spirituali. L’uomo nascendo e morendo sulla Terra, genera i germi della vita dell’avvenire: offrendo un nutrimento spirituale al cosmo intero, in modo direttamente proporzionale alle sue azioni pure e feconde. IL GRANDE GUARDIANO DELLA SOGLIA. Tale incontro avviene solo quando il discepolo, dopo aver già sperimentato le regioni spirituali inferiori e stabilito una continuità della coscienza fra veglia e sonno, ha attuato in sé la generazione di nuovi organi del pensare, sentire e volere. L’oltrepassare la soglia del secondo guardiano significa stabilire la continuità della coscienza fra la vita, la morte e la rinascita. La vera libertà è conoscere il proprio karma senza alcun veloe adempiervi in coscienza. All’incontro con il secondo guardiano si palesa una grande tentazione: quella di abbandonarsi alla beatitudine e al godimento procurato dalla possibilità di accedere ai mondi spirituali.Tale tentazione, anche se non detto esplicitamente, sembra essere indotta dagli Asura.  L’unica cosa che può salvare l’uomo da tale seduzione è sentire il dolore del mondo, il silenzio degli esseri umani nel mondo spirituale. Questo tremendo dolore impedisce di accogliere il sentimento egoistico della beatitudine; perché la gioia che egli ora ha, non è condivisa da altri. Se si supera tale ostacolo la liberazione è completa: l’Iniziato partecipa ora attivamente all’opera delle Gerarchie, nella liberazione di tutti gli esseri sulla Terra. La decisione di collaborare con i mondi spirituali porta finalmente l’uomo ad un piano in cui si può dire che la sua volontà ha compiuto tutto ciò che le era stato prescritto dal Principio. Leo. Breno. Kur. Giovanni Colazza. Keywords. dell’iniziazione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Colazza” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51711432444/in/photolist-2mMyBgs-2mMv9UH-2mJqjKS

 

Grice e Colecchi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Pescocostanzo). Filosofo. Grice: “What I love about Colecchi is that while he was a bad Kantian, he was an excellent Vicoian!” Studia ad Ortona, dove sube diverse perquisizioni da parte dell'Inquisizione per la sua tacita simpatia verso gli ideali rivoluzionari. Insegna alla Reale Accademia Militare della Nunziatella. Venne mandato in missione in Russia, dove si dedica alla filosofia speculative.Al ritorno, soggiorna a Königsberg, dove ebbe modo di conoscere l'opera di Kant. Fu uno dei primi filosofi italiani a studiare Kant.Rientrato in Italia, fonda a Napoli una scuola privata di filosofia ed ha tra i suoi allievi i fratelli Spaventa, Sanctis, Settembrini e Caracciolo. Il suo merito principale fu quello di essere, insieme a Galluppi, un assertore del criticismo kantiano in Italia.  Altre opere: “Se la sola analisi sia un mezzo d'invenzione, o s'inventi colla sintesi ancora?” La legge del pensiere; L’analisi e la sintesi; La legge morale, La legge della ragione; “Se il raziocinio sia essenzialmente diverso dalla intuizione”; “Se nell'invenzione eserciti maggior influenza la sintesi o l'analisi; “Se li giudizi necessari sieno solamente gli analitici”; “Se l’identità formale del raziocinio sia valevole a convertire il raziocinio empirico in raziocinio misto?”; “Il principio sul quale poggia il raziocinio quando classifica e quando istruisce”; “Quistioni ideologiche”; “Se diasi una logica pura, ed una logica mista”; “Se una idea soggettiva non altro sia che una idea di un rapporto, L’idea dello spazio e l’idea del tempo; Il primo problema di filosofia: se la sensazione sia esterna di sua natura, o tale diventa in forza del giudizio abituale? Alcune quistioni le più importanti della filosofia; Psicologia, Logica applicata, Ideologia, Frammento apologetico; in G. Gentile, Dal Genovesi al Galluppi. Ricerche storiche, Edizioni della Critica, Napoli, e in Storia della filosofia italiana dal Genovesi al Galluppi,  Firenze;  Tip. «All'insegna di Aldo Manuzio», Napoli); a cura dell'Istituto italiano per gli studi filosofici, con introd. di F. Tessitore, Procaccini, Napoli); E. Pessina, Quadro storico dei sistemi filosofici, Milano); Necrologia in “Poliorama pittoresco” “Elogio funebre”; Spaventa, Studi sopra la filosofia di Hegel, Torino; L. Settembrini, Lezioni di letteratura italiana, Napoli; F. Fiorentino, Scritti vari di letteratura, filosofia e critica, Napoli; A. De Nino, Briciole letterarie, I, Lanciano; Sanctis, La lettereratura italiana nel secolo XIX, Napoli); Marchi, Il sistema filosofico di Ottavio Colecchi (Tip. Sociale di A. Eliseo, L'Aquila); F. Amodeo, Ottavio Colecchi, in «Atti della Accademia Pontaniana», Discussioni biografiche e documenti inediti, Ravenna); L'istruzione pubblica e privata nel Napoletano; Città di Castello, Colecchi filosofo e matematico: nuove notizie e nuovi documenti, in «Rassegna abruzzese di storia e d'arte», Gentile, Storia della filosofia italiana dal Genovesi al Galluppi,  II, Milano); Pedagogisti ed educatori, Milano); Capograssi, Nuovi documenti sull'accusa di ateismo ad Ottavio Colecchi, in «Samnium», Romano, Un antagonista del Galluppi: Ottavio Colecchi, in «Archivio storico per la Calabria e la Lucania», A. Cristallini, Ottavio Colecchi, un filosofo da riscoprire, Padova, G. Oldrini, La cultura filosofica napoletana dell'Ottocento, Bari; E. Garin, Storia della filosofia italiana,  III, Torino; F. Tessitore, Colecchi e gli scettici, in Introduzione a Quistioni filosofiche, Napoli; G. Cacciatore, Vico e Kant nella filosofia di Ottavio Colecchi, Centro di studi vichiani; Io e Ottavio Colecchi. Narrazione biografica in forma di anamnesi, Japadre Editore, L'Aquila-Roma; Dizionario Biografico degli Italiani. Dalla tomba della setta italica, tenendo dietro alle ori gioi dell’antica lingua del Lazio – la lingua romana -- trasse fuori il Vico que ste divine idee; aveva lello forse Bruno ancora, perchè un’ombra d’idealismo copre spesso la sua filosofia, spezialmente nella “Scienza Nuova”, dove l’uomo passa suo malgrado dalle selve allo stato civile per la sola  opera di una lupa (la lupa capitolina). Se non che l’uomo di Vico rimane nello stesso stato in cui avealo lasciato Enea. Devono le divine idee rideslarsi all'occasione delle sensazioni; njun tentativo per ravvicinare la sensazione all’idea; dovrebbe ciò fare l’induzione, ma la ragione è sempre scontenta di quanto scopre l’induzione. Non ancora siera mostrato Kant per conciliar insieme la sensazione (sensus) e l'idea o concetto. Con questa filosofia, appoggiata all’induzione, si dispose Vico a crear il “diritto universale” della nazione del Lazio – la nazione romana. Ma preoccupalo sempre delle civili cose di Roma, brillando sempre nel suo spirito l'immagine di Roma, si risolse in fine di stabilire Roma come modello di civiltà. Il perchè nella storia, della mitologia, nelle lingue, nel Blasone, e pe’ feudi pur anche del medio evo deesi Roma ripelere,e la romana giurisprudenza diventar quel la di tutte le nazioni del mondo. E come i fatti hanno a servir di occasione per ridestare la idea, così il diritto di Roma, le XII Tavole, tutta la storia, tutta la mitologia concorrer devono a risvegliar le idee del vero, del giusto, a dir breve l’ideale dell’umanità per selta. Ond'è che metafisica, logica, morale, educazione, politica, geografia, astronomia si abbozzano prima della religione de’ padri in mezzo alle famiglie, e poscia in mezzo alla città di Roma; dove il senato si compone degli stessi primi padri, riuniti in Ordini, per reprimere le ribellioni degli ammutipali clienti. Di qui le lante critiche sulla storia positiva per distruggerla. Sesostri e Tanai sono due simboli. La sapienza del poeta vera immagine della sapienza o scienza del filosofo, L’Eneide confuse con la sapienza dei romani. E tutto questo per via di etimologie stirale, di mili forzati, di stranissime analogie. Egli è evidente che tal metodo d’interpretazione deesi ridurre in fine ad una tortura , per isforzare tutt’imonumenti della storia e delle favole a deporre in favore di un sistema. Siegue da questa osservazione che quanlunque tutta la storia, tutta l’erudizione, per la potente sintesi di Vico, pieghi sempre al modello di Roma, no di Koesingberga, e la sua civiltà a poco a poco siasi spenta, fino a che passato il medio evo, col risorgimento delle lettere e delle scienze, ricomioci il suo corso; può non pertanto rimaner il dubbio che il popolo romano altro forse non sia che un fatto isolato. Essendo si in effetto limitato il Vico al uomo del Lazio.Vico, dobbiamo pur dirlo a Gloria d'Italia,Vico è di gran lunga superiore ad Herder, il quale nella sua Storia dell'umanità ha parlato pur anche dell'origine e del progresso della civiltà de'popolo romano. Imperocchè se Herder, amico del sensismo, vede l’uomo del Lazio nella natura, e dalla formazione del cristallo, per una ben lunga scala, va sino all'uomo che è la corona dell'organizzazione. Vico, seguace di Platone e non d’Aristotele, con maggior discernimento del ministro protestante, l’uomo nell’uomo stesso contempla. E se l'analisi di Herder vivamente rallegra l'immaginazione, la sintesi di Vico sembra lalmente falla l'intelligenza per, che il lettore, in onla del suo linguaggio enigmalico e della strapezza delle analogie, viene attirato potentemente dalla magica forza della sua filosofia. Niuno più originale di Vico, e pare che l’originalità dell’italico ingegno siesi sventuratamente nel Vico spenta. De’ suoi principii intanlo, per quel che riguarda il nostro assunto, egli è facile di raccorre, che avendo le legge per iscopo di metter freno alla passione umana, e di render l'uomo migliore; ben possono per esse la *forza*, l’*avarizia* e l’*ambizione* che sono i tre vizi pe’ quali corre a trovarsi il genere umano, convertirsi in *valor militare*, *prudente mercatanzia* e *savio governo*. La legislazione dunque, considerando l’uomo qual é, se dirige ad usi migliori la passione, lo riforma e trasmuta in quello che esser deve. La massima di Vico pertanto, ben lunga dall’opporse alla legge morale, la conferm viemaggiormente e ne presuppone l'esistenza. E qui credo far cosa grata a miei lettori, se da Vico stesso tolgo le prove di questa mia assertiva. L’unico principio e fine del diritto è per Vico la virtù del vero. E'chiama virtù del vero l’umana ragione (la vernunft di Kant), la quale è virtù in quanto combatte con la cupidità -- è giustizia in quanto regola e pondera la utilità. La utilità non e per sè stesse ne onesta nè turpe; ma turpitudine è la sua ineguaglianza, onestà la sua eguaglianza. L’utilità privata di un singolare individuo, o anche nazione o popolo di due uomini, è labile, perchè finisce con l'individuo la diada dei due uomo o con la nazione; ma l’eguaglianza delle utilità, che è figlia dell’onestà, non è cosa caduca, è cosa immutabile ed eterna. Una cosa caduca non puo produrre l’immutabile, nè un corpo dar nascimeoto a ciò che li trascende. Il sistema dunque dei futilitari utilitari, con questi pochi molli del Vico, è distrutto. Ciò si conferma con quel celebre detto di Pedio presso Ulpiano: quante volte una od altra cosa venne con la legge introdotta è buona occasione supplire con la legge stessa le altre cose che tendono alla stessa utilità. Una buona occasione adunque e alla divina provvidenza l’umana debolezza e miseria, per le quali, secondo la loro stessa spontaneità, ritrasse gli uomini dallo stato ferino e bestiale ad essere socievoli, uguagliando tra loro le utilità, come chè ciò non avvenisse da principio per intera onestà, ma per una parte di onestà. Or, la società è una *comunione* di mutua utilità che interviene tra eguali. Si la socielà ineguale è tra un padre (superiore) e un figlio (inferiore); tra la potesta civile e di soggetti – l’eguale è tra fratelli Romolo e Remo o i dioscure – Castores (dual), o Eurialo e Niso, i due amici, tra due cittadini. Di qui due spezie di giustizia rellrice ed equatrice. L'eguaglianza delle utilità, con *geometrica* -- progressione geometrica -- misura determinata, è il subietto della giustizia rettrice, della giustizia *distributive*, la quale mira alla dignità delle due persone. L'eguaglianza poi delle utilità, fatta con *aritmetica* -- progression aritmetica -- misura, è materia della giustizia equatrice, volgarmente detta giustizia *commutativa*, la quale si rapporta al mio ed al tuo – al nostro -- --  ed ba luogo in ogni società eguale. Nè o s t a p u n t o ( come crede Grozio , il quale dital  L'occasione poi, per la quale una cosa accade, non è cagione della cosa stessa, il che Grozio non vide, trattando dell'origine del diritto; e pur doveva ia questa disamina por mente ad una osservazione tanto importante che ne è il cardine. L' utilità dunque non fu produttrice del diritto, come piacque al greco Epicuro, al etrusco Machiavelli, ad Obbes, i quali intesero per utilità la cessazione o del bisogno, o della violenza, o del timore; ma fu l'occasione, per la le gli uomini divisi, deboli, bisognosi tralti furono alla vita sociale. qua.   Siegue da ciò , che l'upa e l'altra giustizia la rellrice c l'equatrice hanno per fondamento l'onestà, e che non può avervi giustizia senza morale: conseguenza importautissima, dedotta dal Vico da vero suo priocipio, e sfuggita al positivista Carmignani, il quale fa della morale e del diritto due cose talmente distinte, quasi non avessero nulla di comune tra loro. Elementi del giusto diritto, per Vico, sono la prudenza, la temperanza, la fortezza. La prudenle deslioazione io falti delle utilità, fatta con ragione, von come della la cupidità, produce il dominio; il moderato uso delle cose utili genera la libertà. La potenza regolala dalla fortezza partorisce la incolpala tutela. La tutela de'seosi e la libertà degli affetti costituisce il diritto naturale, che gli antichi interpreti dicono primitive, e gli stoici appellano il principio della natura. Il dominio, la libertà, la tutela sono cose nalurali all’uomo, e oale per le occasioni. Così la libertà del diritto era prima della guerra; ma venne riconosciuta, ed ebb e il suo nome, introdoltasi, per la guerra, la schiavitu. Similmente con la divisione de'campi siammisero I dominii delle cose del suolo; ma il giure coosultodice: non essersii dominii introdotli:essersisolamente distinti con la divisione. Finalmente dalla potenza, tosto col nascere, proviene la difesa di sè stesso. distinzione siburlarche avendo più socii posto in comune parli disuguali di daparo, prendano parti di lucro con geometrica misura; perciocchè prendono parli di lucro con semplice misura, essendo il daparo,e non la dignita della persona che li agguaglia. Jo falli tanto ciascun socio ne toglie, quanto ne avrebbe preso, se solo a quel negozio posto avesse il daparo. Il dominio della ragione su iseosi e sugli affetti è il diritto naturale dagli stessi interpreti chiamalo secondario, e dagli Stoici conseguenti della natura. Rimontiamo col Vico all’origine di questa distinzione. Iddio di è all'uomo conlapolenza l'essere, con la sapienza il conoscere, con la bontà il volere. Questo divino benefizio deriva del diritto naturale: l’una con cui l'uomo vuole il suo essere, l’altra con cui vuole il suo conoscere: ood'è che l’uomo lalvolla più il sapere chel’essere agogna. Or, nella parte con cui l’uomo desidera il suo essere contengonsi quelli che gli stoici dicono principio della natura; imperocchè egli appreode col pascere, mercè le sensazioni presenti e vive del piacere e del dolore, a seguire le cose utili alla vita, a schivare le nocevoli, e se venga impedito nelle utili, e sospinto nelle nocevoli, nè possa altrimenti quelle con seguire,questeevitare;con la forza allontani la forza, pel diritto che ha di cooservar il suo essere. Questa parte del diritto naturale vien definita: diritto che la natura a ogni animale apprese, e da essa nasce il diritto di respingere da noi la violenza, quello della unione de’due sessi, della procreazione de'bgli e della educazione loro. Ma nella parle con che l'uomo vuole il suo conoscere, contengonsi quelle cose che gli stoici dicono conseguenti della natura, e vien essa definita: per tutto quello che la ragione naturale fra gli uomini stabili ed egualmente fra le genti tutte si osserva.Questa parte del diritto domina la prima: di guise che quando Pompeo, impedito dalla tempesta a partire, disse: è necessario il navigare, e non necessario il vivere, era siquesto suo dello uoa legge che la ragione a talli gli uomini impone è necessario cioè dioperar rellamente,e non necessario il vivere. Nella prima parte del diritto naturale la ragione non riprova, ma permette: nell'altra essa vieta o comanda, e quello che comanda o vieta è immutabile; che anzi per questa seconda parte è immutabile ancor la prima , non potendosi le cose lecite di lor natura vielar con le leggi , non essendo in potere di queste di far sì che non sieno permesse. Vedano ora imoderoi scriltori di diritto: se la distinzione del naturale diritto nel principio della natura, e ne' suoi conseguenti debbasi o no rigettare! Rimembro di averne lello più di uno che la crede inutile. Grozio aperlamente afferma :non esser ella di alcun uso , sen za avvedersi, dice il nostro filosofo e giureconsulto, che nell'egregio suo trattato della guerra e della pace egli stesso l'ammelte tacitamente ; perchè in questo appunto il suo uso consiste, che nella collisione dell'uno e dell'altro diritto, il secondo è da più del primo. Ma bisogna un Vico per rilevar il merito dell’antica giurisprudenza, e mostrare a Grozio spezialmente su quali salde basi ella si reggeva! Il diritto naturale primitivo è, secondo Vico, la materia di ogni diritto volontario; il diritto naturale secondario de costituisce la forma, la quale ove manchi, il diritto volontario è nullo. Perciò Ulpiano define il diritto civile: per quello che nè al tutto dal diritto naturale si diparte, nè inlullo adesso si uniforma; ma in parle viaggiugne, inparte vitoglie. Il perchè la mente della legge e la ragione della legge sono due cose distinte. Mente della legge è il legislatore; ragione dalla legge è l'uniformità della legge al fatto. Possono si mutarsi i fatti, e la mente della legge si muta; tutti può essa utilità riuscire tal fiata per altri iniqua. equa, La ragione della legge fa che ella sia vera; il certo della legge la fa vera in parte, e questa parte di vero sapno propria i legislatori, per ottenere con l’autorità ciò che dal semplice pudore degli uomini conseguir non possono; il che rende ragione della definizione del diritto civile, lestè data da Ulpiano. Ond’è che in ogni fiozione della legge, la quale si rapporta al diritto volontario, evvi due sono quindi i fonti della giurisprudenza: laragio ne e l’autorità. Il vero e della ragione, il certo dell’autorità; ma non può l'autorità opporsi in tutto alla ragione, altrimenti le leggi non sarebbero leggi, ma si mostri di leggi. È dunque inopportuna cosa cercar ragione dall'autorità, la qual , dettando una utilità per com ponesi l’autorità del dominio, della libertà e della tutela, che sono i tre fonti di lutti gli stati. Dalla conoscenza per la quale è l'uomo da più di ogni altra cosa mortale nasce il suodominio sopra tutta la natura; dal suo volere trae origine la libertà, dall’eccellenza del suo essere s’ingepera il diritto di tutela col quale contro tutta la natura mortale si difende. Se dunque il dominio, la libertà, latutela costituiscono l’autorità, seconda sorgente del diritto: se il dominio, la mal’uniformità della legge al fatto non si muta mai. Mutato il fatto cessa la ragione della legge; non però si muta o rivolge in contrario. La mente della legge riguarda l’utilità, la quale variando, fa variar la mente; ma la ragione della legge o l'uniformità della legge al fatto, riguarda l’onestà, e questa è immutabile sempre un certo aspello di vero , che rende certa la legge , m a non del tutto vera ; perchè qualche ragione non concede che ella interamente sia tale. Tetessa walela Sviela ile; laditt Jembro Grozio deon, siela o,sed che ezli cololalores mate il diritto naturale na ni Callo. muu Da una parte dell’autorità, e propriamente dalla tulela, nacque il diritto delle prime genti , che può dirsi ; Diritto della violenza. Divide Vico questo diritto in diritto delle genti maggiori e in diritto delle genti minori. Le genti maggiori furono prima che le città si fondasse, e si stabilissero le leggi : motivo per cui Saturno, Giove, Mercurio, Marte, egli altri numi della mitologia perchè antichissimi tra gli dei ripulali sichiamarono dei delle genti maggiori .Geoli minori si dissero quelle che furono dopo fondale la città e stabiliti i reami; ond’è che Dei minori si appellarono quelli che vennero dalle città consecrati, come Quirino, ed altri Eroi.ParealVicoche tale divisione imitassero in certa guisa i Romani, allor chè denominarono patriziï delle genti maggiori quelli che da' padri scelti da Romolo discesero, e patrizii delle gentiminori quelliche trassero origine da'padri coscritti. Il diritto delle genti maggioriè, come sidisse, il diritto della privata violenza, con che gli uomini, senz’alcun freno di legge , toglievano con la propria mano, ed usucapivano; con la forza si difendevano; il proprio uso o possesso rapivano, e con la privata forza ricupera vano. Perciò i mancipii erano cose in realtà per mano tolte; i debitori neri veramente legati; vere erano le mancipazioni, usucapioni, vindicazioni, usurpazioni, o gli usi ne’rapimenti del possesso, come le mogli usurarie che erano nel possesso, e non già nella potestà de’ mariti, usurpavano lo spazio di tre nolli, cioè libertà, la tutela ha origine dalla naturale disposizione dell'uomo, ed in ogni stato, come Vico sostiene, si manifestano sempre; vedano Hume e Romagnosi con quanta buona ragione asseriscano che genitrice del diritto è l'aggregazione sociale!  per tre nolti continue illoro uso a’mariti rapivano, accið con la usucapione di unannonon passassero in mano, o sia nella poteslà di essi. Si disse ianaozi costar il vero della ragione della legge, il certo dell'aulorità di essa, ed essere stale queste due cose cagione del diritto; imperocchè il dominio, la libertà, la tulela in qualunque stato dell’uomo si manifestano sempre. De esi però notare che il diritto, come che risulti sempre da questi tre elementi,fu non pertanto ne' Governi divini ed eroici più certo che vero; negli umani più vero che certo.Or siccome col Diritto delle genti m a g giori,senza alcun freno di legge, lecose, come testè dicemmo, si usu capivano, con l’uso e con la per pelua adesione del corpo si ollenevano, con la forza si riacquistavano, ed accadevano per questa violenza frequenta risse ed uccisione; si riunirono in ordini i padri di famiglia, e poco fidandosi, per la licenza che tra gli uomini regnava, del loro nalural pudore, conservarono per sè soli la forza, e posero termine ad ogni ulteriore disordine in avvenire. Da ciò nacque la potestà civile; la quale poche cose pubblicamente trallava con la forza: le punizioni cioè e le pene. Affinchè poi gli altri ad essa potestà soggetti, fossero nelle lor pretensioni tranquilli, introdusse certa corporea forma alla materia da lraltarsi in privato, e coosacrò certa formola di parola, alle quali uniformar dovessero la loro ipfioila e svariata volontà i cittadini. la forza di questa formola, di proposito e seriamente, non per frode o inganno, polevano essi acquistare diritti, conservare le proprietà o in altri trasferirle, con le quali tre cose ce lebrayasi ogni negozio di privato diritto. In tal guisa la civile potestà, rimossa ogni violenza, e tolla via ogni in certezza per la solennità de’ giudizi, riforma il costume, e distribui fra i cittadini la cosa certa e civile, che in buona ed in gran parte ricuperarono il vero ed il pudore, che sono i due perpetui aggiunti del diritto naturale. Da questa metamorfosi, per dir così, del dominio, della libertà e della tutela, per la quale il diritto da violento che era si trasmuta in moderato, ebbe origine il diritto civile; e la patura medesima delle cose insegna essere ciò avvenuto a ogni popolo, che dal diritto delle genti maggiori vennero sollo la potestà civile. Dopo dunque l’originaria acquisizione del diritto naturala all’uomo, dopo l’altra introdotta dal diritto delle genti maggiori, coo che il padre, posti i confini, distinsero il dominio delle terre, surse la terza acquisizione introdotta dal diritto civile. E qui sinotiche come il dominio, la libertà, la tutela costituiscono nella cosa pubblica l’autorità civile, il privato diritto del pari a questi tre sommi capi si riducono. Al dominio, col quale le cose che ci appartengono si vendicano, e contro qualunque possessore si ripetono; alla libertà, la quale ogni potere ed obbligazione comprende; all’azione, che allro non e suor chè tutela dalla legge prevedulc. Stabilita questa dottrine, volgiamo da ultimo un rapido sguardo sul diritto de’ romani Quiriti, e le vedremo mirabilmente confirmata. Chiama Vico il romano diritto un serioso poema dell’universale diritto delle genti, altese le tante Ginzioni, delle quali è ripieno. Il primo fondatore in fatto della romana repubblica muta il diritto delle genti maggiori io certe imitazioni di violenza, come sono le mancipazioni, con le quali quasi ogni atto legittimo si transige con la liberale tradizione del nodo, la úsucapione non era più la perpetua adesione del corpo al fondo occupato, ma il possesso con la volontà conservalo; la usurpazione non più consiste in una certa rapina d'uso, ma esprime col modesto significato di cilazione; l'obbligazione non più col nodo de’ corpi ,ma con certo legame della parole si denota; la vindicazione col Gin lo attacco delle mani con una paglia, dellaper. Ciòda Gellio festucaria.Pernon diral la fine di tanteal tre, l’azione personale chiamata condictio non più e l’andar unito il creditore al debitore, o alla cosa dovuta, ma face asi con la semplice denunzia. Le quali cose menano naturalmente a congetturare, che per talicagioni si crede il poeta il primo fondatore della città, come si è scritto di Orfeo e di Anfione vero. Ella è questa, secondo Vico, l'origine ed il progresso dell’universale diritto delle genti, il quale, tenendo fermo al principio di Vico stesso, in istretta amistà con la legge morale mostrasi perpetuamente. Parlando in fatti questo gran filosofo della giustizia universale afferma che siccome la virtù universale eccita la prudenza, la temperanza, la fortezza, perchè si oppongano alla cupidità; la giustizia universale del pari comanda alla prudenza, alla temperanza, alla fortezza, perchè dirigano le utilità. Impone alla prudenza, che ciascuno tratti avvisa la mente utili cose; alla temperanza di non appropriarsi l’altrui; alla forza di cautelar e difendere il proprio diritto. Per favole di tal natura è agevole di osservare, che quanto più il diritto civile da quello delle genti maggiori si allontana, o dalla verità della violenza; tanto maggiormeate al diritto naturale si avvicina, o al pudor della stessa giustizia rettrice ed equatrice, che come e per conoscer anche meglio l’accordo della filosofia di Vico con la legge morale, basta osservare che egli contempla l'uomo: primo nello slalo di solitudine; secondo in quello della famiglia; terzo nello stato aristocratico; quarto e finalmente nello speciali virtù si repulano, uopo è che sieno, secondo Vico,una sola virtù, e perciò universale virtù; la giustizia – il giure -- architettonica difatli, che Aristotele afferma cosi comandare alle inferiori virtù come l'architetto alle arti sue ministre, se risiede nell’animo della civile potestà, e comanda a latte la virtù che mena alla civile prosperità; risiede altre sì, come particolare virtù, nell'animo del sapienle , c regola gli uffizi di tutte le virtù per la privala tranquillilà della vita. E perchè ciò? perchè, risponde Vico, v'ha unica ragione che così della , unico vero bene, unica giustizia, e unico diritto. Ma una pruova luminosa, e senza replica, che melle d'accordo il principio di Vico con la legge morale si è la distinzione da esso lui adottata del diritto naturale primitivo e secondario. Se fa egli consistere il primo nella lu icla de’ sensi degli affetti, el'altro nel dominio della ragione: se quello solamente permette, e questo o vieta o comanda, e ciò che comanda o vieta è immutabile; chi osa negare che il diritto naturale secondario altra cosa non sia che la legge morale? Ne osta punto l’aver egli fatto sorgere il diritto civile dal diritto di violenza, che in tempi a noi remotissimi usa le genti maggiori; imperocchè tal diritto di violenza, non allra regola seguendo che quella del senso e dell’affetto, vero diritto non era, ma diritto certo, tullo proprio dicoloroche più tenevano all’istinto che alla riflessione. Il diritto però di violenza fu poscia l’occasione di far sorgere il vero diritto stato della repubblica e della monarchia. Or, nel primo stato non altra guida ha l’uomo che quella dell’istinto a cui ubbidisce come la pianta e l'animale; ma non è questo certamente il suo destino; la sua facoltà lo chiama ad un bene essenzialmente diverso da quello che dipender potrebbe dal solo istinto. Dev’egli per sè stesso crear questo bene, e passare perciò dalla servitù dell’istinto allo stato di libertà: a quella condizione cioè, per quale ubbidirebbe invariabilmenle alla legge morale, come sino a quel punto ubbidito aveva all’istinto. Deve l’uomo, a dir breve, diventar creatura libera, di automa trasformarsi in essere morale, ed un tal passaggio deve menar lo all’autocrazia la Sent il'uomo il bisogno di congiungersi condonna, e la nascita di un figlio, i suoi alimenti, la sua educazione, qualunque sia si ella stala, moltiplicarono I suoi doveri. Fin qui non conobbe egli con la compagna che un sol germe di amore, ma un nuovo oggetto fe’ nascere in entrambi una nuova relazione morale, un nuovo amore di spezie più pura del primo. La soddisfazione, il tenero interesse, la sollecitudine nella quale s’incontra per l’oggetto di questo AMORE apre in esso bellissimo tratto di morale, che resero il suo rapporto più dolce ed elevato: Ad un vincolo che da prima era semplicemente materiale si uni la stima e dall’amore interessato nacque l’amor coniugale che è sovranamente disinteressato. Ad un primo figlio un secondo ne seguì, un terzo ec, e fatti grandi questi figli, teneri legami di amicizia gli strinsero insensibilmente tra loro,e videsi nascere l'amor fraterno tra Romolo e Remo che non è punto interessato. Stretti altri uomini dal bisogno, palleggiarono con questa prima famiglia di prestar l'opera loro, a vantaggio lo tantocon l'avanzar de’lumitutt’il membro della citta si crede idoneo alle funzione che prima da’ soli padri si esercilavano, e sursero allora la repubblica e la monarchia, dove si ni in gran parte il certo dell’autorita,e comincia il vero della legge. S o l l o queste forme di governo l u l l a si spiega la moralità dell’azione, perchè si dissero azione della stessa, per una convenuta mercede. Surse allora la società tra padroni, dove il padre comanda al proprio figlio, a questi famoli ancora; e tale società dal nome de’ famoli si appellò famiglia. Dalla famiglia surse ben toslo un certo naturale governo. Stabilita l’autorità paterna sul figliuolo bisognoso di aiuto e sui famoli ha già il fanciullo contratto l’abito di rispettare la volontà del genitore. Quando fatto grande, il figlio divenne padre ancor esso, doveltero i di lui figli onorar colui verso il quale vedevano che gran rispetto porta il padre loro; supposero quindi nell’avo un’autorità superiore a quella del proprio padre. E perchè l’avo in ogni litigio pronunzia sempre in tuon definitivo, un taluso, per più a poi osservato, stabili finalmenle in sua persona un potere sovrano su tutt’i membri della famiglia. Ebbe di qui origine il governo patriarcale, che lungi dal puocere all’altrui libertà ed eguaglianza, dovelte anzi valere a garenlirla e consolidarla. Più famiglie particolari, per comune utilità riunite, costitusce la tribù; più tribù di Romolo la citta di Romo, dove i cittadini dovellero amarsi come I fratelli di una stessa famiglia, e prestare a Romolo, il capo delle tribù riunita la stessa ubbidienza che ogni membro della famiglia presta all'avo. E perchè questa ubbidienza proviene da sentimento di vera stima verso gli aozi del capo, dovelte essere perciò in supremo grado disinteressata.  Ma qui potrebbe dirsi che l'uomo, secondo Vico, nei quattro stati su indicati noo altro cerca che l’utile proprio. Nello stato di solitudine in fatti cerca egli semplicemente la sua salvezza. Presa moglie e fatti figliuoli ama la sua salvezza con quella della famiglia.Venuto a vita civile ama la sua salvezza con la salvezza della città. Distesi gl’imperi sopra altri popoli ama la sua salvezza con la salvezza dal paese. Uniti i paese per pace, alleanza, commercio, ama la sua salvezza con la salvezza del genere umano. L'uomo, conchiude Vico, in ogni circostanza cerca principalmente l'utile proprio.Il perchè non da altriche dalla provvidenza divina può esser guidato a celebrar con giustizia la familiare, l’eroica e finalmente l’umana fori morali quelle soltanto che si facevano nell’interesse della morale, senza domandare anticipatamente, seerano gradevoli. Ogni aspetto sotto il quale la moralità si manifesta si ridusse ne’ goverai umani ai due seguenti. O sono il senso che propongono farsi la tal cosa o non farsi, e la volontà ne decide dietro la legge della ragione, o è la ragione che prende l’iniziativa, e la volontà ubbidisce, senza consultare il senso. governo. Così è , diciamo pur noi, ma perchè l’utile che cerca l’uomo, tosto che si è reso superiore all’istinto, è subordinato ro a quello della famiglia; secondo a quello della città; terzo all’utile del paese; quarto all'utile di tutto il genere umano; l’utile che cerca l’uomo in ogni stato su m e o tovati non èl'utile variabile, ma quelloche è figlio dell’onestà, la quale, come Vico si esprime, talmente dirige e pondera le cose utili che a tutti giovano egualmente. ma di Ma perVico, si torna a dire, lulto questo è opera della provvidenza. Dalla provvidenza è vero. Fabbro però il diritto naturale del giurecosulto, di lunga mano di verso dal diritto naturale del filosofo che alla norma della ragione eterna lo agguagliano sempre. Ma essendo la repubblica degli ottimati quasi tutte ridotte in democrazia o principali, le qualidue forme di governo vengono regolate più secondo l’ordine naturale che secondo il civile; per queste cagioni venne a rallentarsi la custodia del diritto delle genti maggiori più antiche, sul quale diritto poggiavano sopratutto la re-pubblica degli ottimi, essendo propricla di quello stato la custodia delle palric consucludini. Vico della provvidenza è l'umano arbitrio, che ha per regola la sapienza volgare, la quale è il senso comune di ciascun popolo o nazione che dirige in società la nostra azione, sicchè facciano acconcezza con ciò che ne sentono tuttidi quell popolo o nazione. Quando poi le nazioni per commerci, per paci, per alleanze sono si conosciute, la convenienza del senso comune de’popoli o nazioni tra loro, è per Vico la sapienza del genere umano. Or, il senso comune di ogni popolo e di ogni nazione, il quale deve dirigere in società la nostre azione, acciò si accordion con tutto ciò che ne peosa il genere omano: che altro può esser mai se non è la legge morale? per perciò Vico seguendo Gaio chiama diritto civile comu. d e il diritto comune di ogni popolo; perchè Gaio, ove define il diritto civile, dice: Ogni popolo che e governato da una legge e da una consuetudine, in parte si serve del proprio diritto, in parte del comune diritto di lultigli uomini, e ció per la divina provvidenza, che secondo la stessa opportunità delle cose lo spiegò Ira la pazione separatamente, con la loro costumanza, per la tranquillilà di ciascun popolo o nazione. Tale diritto spiegato con la comune costumanza del popolo è dalla tutela, dal dominio, dalla libertà nacquero, secondo Vico, tre pure forme dello stato. Quella degli ottimati, la regia, e la libera. Fondamento dello stato degli ottimati è la tutela dell’ordine, con che venne da prima stabilito che i soli patrizî siabbiano gli auspicii, il campo, la gente, I connubî, i maestrati, gl’imperî , e presso legenti i sacerdoti. La regia risplende pel dominio di un solo, Romolo, e pel sommo e formisura libero arbitrio di esso solo in tutte le cose. La libera vien celebrata dall’eguaglianza de’suffragi, per la libertà delle opinioni, e per l’eguale adito a ogni onore, il quale adito è il censo. Imperocchè inciascuno di essi comanda un solo,o come vuole Tacito: uno essere il corpo della repubblica, e doversi governare con l'animo di un solo, o di piùa guisa di un solo. E però inciascun politico reggimento colui che è sommo è anche unico; perchè il sommo del pari che l’unico non si può moltiplicare. Ma queste tre forme pure di stati, benchè sieno da quelle particolari differenze teslè osservate, tra loro diverse; tultavolta allesa la loro origine, per virtù della quale la ragione, la volontà, il potere risiedono nell'uomo, sono strettamente tra lor collegale, e costituiscono irë parti di virtù fra loro commiste. L'ordine naturale per tanto è l’anima di ogni stato, perchè regna in quest’ordine il vero che all’ordine delle cose corrisponde, non a quello de’ nomi senza le cose, il quale non è ordine, ma sembianza di ordine. Quello dunque è l'ordine naturale dello stato, dove il prudente, il forte comanda e l’imprudente, l’imbecille ubbidisce: quali furono i primi principii dello stato, la famiglia, la clientela, gli antichissimi stati degli ottimati pur ordine civile quello che per volere della legge all’ordine naturale è frammesso, che può anche dirsi ordine politico, misto di civile e di nalurale, come nello stato degli ottimati il senato si compone de’ sapientissimi fra i patrizi; nello stato popolare il popolo viengo ver pato dall’autorità di un senato sapiente; nello stato regio il principe Romolo si vale del consiglio de’ sapienti. Quest’ordine misto può definirsi successione dell’onore, nella quale chi per una e chi per altra dole come per fede, diligenza, solerzia, valore, giustizia, vien riputato degno di ascendere ad onorale cariche, e dalle minori alle maggiori gradatamenle viene promosso: di guisa che i migliori sempre preseggano, e vigilino su I costumi degl’inferiori e li dirigano. Ma quando gli ottimati divennero nomi vani che li distinsero dalla plebe, all’ordine naturale successe il civile, ed al vero seguì il certo, il quale altro non è che la conformità all’ordine, non delle cose, ma della parola, da cui nasce la coscienza dal dubilar sicura . Imperoc chè I primi imperi degli ottimi o si manteonero ne’ loro discendenti, o in ogni popolo passarono, o a monarchici si ridussero. Perciò l'ordine civile o è nel lignaggio come nell’aristocrazia, o nel censo come nella democrazia, o nella casa regnante come nella monarchia. Ma de la nobiltà, né il patrimonio rende sapienti. Il nascer orincipe è cosa fortuita, dice Tacito, nè altra. Siccome però il certo è parte del vero, e la ragion civile nasce della stessa ragion naturale per le cause di certo Diritto, così l'ordine civile per natura sua fa parte dell’ordine naturale in quanto è esso cagione della pubblica sicurezza, ond'è che anche la citta la più corrolla da questo stesso civile ordine viene conservata. Ed è per quanto però la mente è più verace del discorso, altrellanto l’ordine e più stabili della legge; im pe rocchè la mente sempre una cosa detta al parlare, ma pel giudizio, o sia per la volontà, noi più volte falliamo, servendo spesso a ciò che dice il senso, senza ascoltar la mente. La parola in oltre non viene sempre con prontezza alla mente, spesso non esprime i suoi comcetto, mentre viene quella incessantemente spronala a raggiugnere  Ma questi ordini per la via della legge col timor delle pene, con la speranza de un premio, impongono al cittadino di rettamente comportarsi. Per la qual cosa l’ordine e più stabile dalla leggr: onde avviene che la legge ri posino sull’ordine, e che questi conserva la legge; im. perocchè l’ordine politico, il quale è misto di ordine naturale e di ordine civile, con maggior ragione di ciò che Aristotele della legge disse, è verameole una mente scevera di affetti. E come che la mente del popolo io generale sia scevera di affetti, pure questa mente stessa suole addivenir talvolta turbatissima, sopra tutto ove sia commossa da intestine turboleoze. Qual fu la mente del popolo di Atene, e quella del popolo romano sconvolta dal demagogo, che indussero l'uno e l'altro popolo, con particolare legge fuori l’ordine promulgate, a bandir dalla patria uomini di chiara virtù, per elevare ad amplissimi onori immerite volissimi cittadini. Vero, il la qual forza di vero altra cosa non è che la ragione. Or, la parola sovenli volte elude questa forza di vero, per la perversa volontà di chi ragiona. L'ordine perciò naturale e l'ordine misto è il solo che può con giustizia amministrar il diritto, e questo avviene quando uomini per sapienza e per virtù prestantissimi, giusta l’ordine naturale, e non secondo l'ordine concepu. Siegue da tullo ciò che il diritto chiamato da Grozio e Kelsen puro, e da Gaio diritto comune a tull ipopoli, altro non è ch e il diritto naturale , il quale h aperto della parola, o che torna lo stess , non secondo il certo della legge, ma giusta il vero della legge stessa, reggano gli stati. E perchè la leggr in moltissimi casi mancano ed è necessaria l’interpretazione che a la deficienza supplisca; può accader ancora che sollo la stessa autorità del diritto non solo qualche volta per ignoranza si erri, ma la stessa legge con frode si eludano. Più felice dunque e quello stato, nel quale il civile ordine e misto più secondo il naturale ordine o secondo l'ordine del vero che secondo l’ordine del certo. Quindi ove si conservino la legge imposta dall’ordine, e mollo più gli Ordini che le leggi si cuslodiscano, verranno gli Stati conservati. Ma se le leggi mancano, gli stati rovinano. Perciòsiamo servi della legge, diceva Tullio, per poter esser liberi. Convertendo dunque la massima si dirà pure con verità: se ci libereremo dalla legge, saremo naturalmenle servi. la legge morale; perchè, secondo Vico, non può darsi diritto senza morale. Iolanlo è da nolarsi diligentemente che Vico distingue il diritto io diritto vero, e diritto certo. Quello è per la ragione, questo per l'autorità. Il primo dirige l'uomo libero, il secondo l'uomo che più della liberlà segue l’istinto. Or cgli è evidente che negli stessi umani governi la più gran parte degli uomini, tenendo più all’istinto che alla libera elezione, si lascia più facilmente guidare dall’altrui autorità che dalla ragione. Di qui la necessità di un diritto misto, secondo le esigenze de’ popoli e le diverse forme di governo. Ma da ciò non segue che coloro i quali con la loro autorità oe fondamento impongodo a’ popoli, essendo essii più sapienti, i più prudenti, come vuole il Vico, non si propongano per i scopo il diritto vero e che non sieno al caso disco prirlo, senza darsi gran pena. La destinazione infalli del l'uomo non può dipendere dall’istinto, e tosto che l'uomo si conosce libero e la sua ragion consulta, questa gli ordina di conservarsi e di perfezionarsi: di essere cioè savio, moderato, prudente; di collivar l’intellelto, e nel tumulto de’ sensi e degli affetti di cautelare la volontà: nel che propriamente consiste la libertà dell'uomo interiore. E perchè egli scopre in altri esseri, a lui simiglianti, la stessa attività libera, gli considera tutti eguali, e tale scoperta fa nascere in lui l’obbligazione di lasciar i suoi simili nella loro indipendenza, ed è questa la tutela. A ppresso giudica di non aver diritto su di ciò che è stato da altri prima di lui occupalo, e ciò che ha egli occupato il primo, giudica che a lui spella solamente , nel che sla il dominio. Di qui reciprocità del diritto e del dovere; di qui l’origine della giustizia che gareolisce la proprietà. Tulli gli anzidelli del diritto e del dovere, perchè fondati sulla libertà, sul dominio, e sulla tutela, o che lorna lo stesso, sulla natura dell’uomo, stanno per sè, prima che l’uomo entri con altri in società. La legge non li creano, perchè già erano prima della legge. Questa non altro fanno che conservarlo. Lo stesso diritto e lo stesso dovere servono di fondamento alla società, che il legislatore non crea ma dirige, perchè la società già era, quando il governo non era ancora.  La  libertà del diritto, dice Vico, fuprim a ch e si conoscesse la servitù. Non s’introduce già il dominio con la divisione de’campi, furono solamenle distinti. Dalla polegza di operare infine nacque tosto la tutela o difesa di sè stesso. Se non che, ammellendo Vico nell’umana mente al cuni semi del vero che con l'andar del tempo si sviluppano in cognizioni distinte ed alcuni germi del giusto che tratto tratto si spiega la massima incontrastabile di giustizia; mostrasi egli in gran parte seguace di Platone intorno all’origine di quella verità che si dice necessaria. Or tale verita, essendo per noi di due spezie, una teoretiche ed una pratica, diciamo, che rispetto alla prima, la verita teorica, l’io il quale per un alto di spontaneità si conosce e si rivela dell'appercezione, appoggiato alle quattro idee necessarie di spazio,di tempo,di sostanza e di cagione, riduce all’unità tutto il vario della rappresentazione che a lui offer il senso. Riguardo poi alle verita pratica, essendo elleno legge pratica o comando di fare, si contiene in una massima universalisabile. Quando ti determini all’azione, esamina te stesso e vedi se la tua volontà sia di accordo con la volontà generale di ogni persona. Una tal massima universalisabile è la suprema legge della morale. Che che sia però della filosofia di Vico, a noi basta di aver provato che le due sue digoilà Vl*e VII“, ben lungi dall’opporsial la legge morale, la confermano mirabilmente. Dominio, libertà, tutela tre elementi del diritto; tre elementi che costituiscono l'uomo morale. Perchè non può avervi diritto senza morale. La filosofia perciò di Vico si accorda perfettamente con la morale. Grice: “Most of Colecchi’s essays are easily available, and it’s easy enough to check his references to other Italian philosophers – not just Vico, as I have done – but Rogmanosi, and even ancient Roman ones like Cicero – and perhaps more importantly his influence on the so-called Neapolitan Hegelians!” -- Ottavio Colecchi. Keywords: Vico, il Vico di Collecchi, Cacciatore, Macchiaveli, Lazio, Romolo e Remo, Kant, categoric imperative, massima, first-hand knowledge of Kant, Colecchi Kantiano, ma non aristotelico – il kantismo di Colecchi – l’italiano kantiano di Colecchi – il vocabolario kantiano in Colecchi – analitico – sintetico – sintetico a priori – giudizio necessario – Romolo e Remo, diritto naturale, lingua e nazione, Marte, Saturno, Giove, etimologia di Vico, il Lazio, il senato romano, ottimati, storia di Roma, diritto romano, psicologia razionale, psicologia filosofica, l'istinto, la passione, la ragione, la sensazione, l’intelletto, spazio-tempo, l’azione, l’agire como reame della morale, massima d’azione, la regola di oro – la rifutazione di Vico all’eudaimonismo di Aristotele e al utilitarismo di Bentham, lo caduco e lo no caduco, ius naturale, ius como la virtu unica, giustizia equittrice e rettrice, giustizia commutative e giustizia distritutiva, l’ordine aritmetico e l’ordine geometrio – la base matematica della filosofia di Colecchi, l’amore, amore interessato, amore disinteresatto, salvezza, uomo, padre e figlio, uomo come cittadino, il genere umano, la massima universalisabile, l’onesto, fortezza, prudenza, toleranza, virtu, vizio, il vero versus il certo, la nascita della morale dal ordine agglomerazione sociale, la potesta naturale, il dominio, la tutela, la liberta, libero arbitrio e passione, autorita e ragione, forza, autorita e raggione, l’ubbidenza che il figio mostra al padre, il ruolo dell’avo, la societa di equali, il modello della societa romana antica, la societa dell’amicizia, Eurialo e Niso, L’Enneada, la lingua del contratto come requisite del patto sociale, la parola e il concetto, la formola della parola, verbum/res, res pubblica, communita, diritto comune, bene comune, l’ordine: primo stato dell’uomo in solitudine, l’ordine della famiglia: societa di inequali, padre/figlio, terzo stadio: la tribu di Romolo, la citta di Romolo, il paese di Romolo, il genero umano, diritto universale di Vico e Kant, Hampshire on Vico. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Colecchi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690057259/in/photolist-2mPrdWj-2mKF4aM-2mKGaqS-2mKw3hq-2mKEJsY

 

Grice e Colletti – curiazi, ovvero, politica romana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Grice: “I like Colletti – he takes political philosophy seriously unlike we of the Lit. Hum, not PPE school, at Oxford! But then he is a Roman and has all the Orazi and Curiazi traditions!” Si laurea sotto Volpe. Insegna a Roma. “Partito Socialista Italiano”. Altre opere: “Il marxismo e Hegel, in Lenin, Quaderni filosofici, Milano, Feltrinelli, 1958. Ideologia e società, Bari, Laterza, Il marxismo e Hegel, Bari, Laterza, Il futuro del capitalismo. Crollo o sviluppo?, e con Claudio Napoleoni, Bari, Laterza, Intervista politico-filosofica, con un saggio su Marxismo e dialettica, Roma-Bari, Laterza, Il marxismo e il "crollo" del capitalismo, a cura di, Roma-Bari, Laterza, Tra marxismo e no, Roma-Bari, Laterza, Tramonto dell'ideologia. [Le ideologie dal '68 a oggi; Dialettica e non-contraddizione; Kelsen e il marxismo], Roma-Bari, Laterza, 1980. Crisi delle ideologie. Intervista politico-filosofica, Il marxismo del XX secolo, Le ideologie dal '68 a oggi, Milano, Club degli editori, Pagine di filosofia e politica, Milano, Rizzoli, La logica di Benedetto Croce, Lungro di Cosenza, Marco, Fine della filosofia e altri saggi, Roma, Ideazione, Lezioni tedesche. Con Kant, alla ricerca di un'etica laica, Roma, Liberal, È morto Lucio Colletti voce "contro" di Forza Italia, su repubblica, Camera dei Deputati, Gruppo Parlamentare di Forza Italia, Ricordo di Lucio Colletti, Roma, Stampa e servizi, Orlando Tambosi, Perché il marxismo ha fallito Lucio Colletti e la storia di una grande illusione, Milano, Mondadori, 2001.  88-04-48844-1 Ministero per i beni e le attività culturali, Lucio Colletti: il cammino di un filosofo contemporaneo, Roma, Essetre, 2003 Pino Bongiorno, Aldo G. Ricci, Lucio Colletti scienza e libertà, Roma, Ideazione, Cristina Corradi, Storia dei marxismi in Italia, Roma, Manifestolibri. Collétti, Lucio la voce nella Treccani L'Enciclopedia Italiana. il 20/07/ Lucio Colletti, su CameraXIII legislatura, Parlamento italiano. Lucio Colletti, su CameraXIV legislatura, Parlamento italiano. La storia di Lucio Colletti di Costanzo Preve, nel sito Kelebek Roma. Partito Comunista Italiano” Forza Italia”. Il saggio di Colletti Marxismo e dialettica fu scritto «a chiarimento di alcuni temi toccati» nell’intervista apparsa sulla “New Left Review” nel numero di luglio-agosto 1974, e pubblicato con la traduzione italiana dell’intervista. Più esattamente Colletti si propone di chiarire la «differenza tra “opposizione reale” (la Realopposition o Realrepugnanz di Kant) e “contraddizione dialettica”». Si tratta di opposizioni radicalmente diverse: la prima è «senza contraddizione (ohne Widerspruch)», la seconda è «per contraddizione (durch den Widerspruch)» (1974: 65). La opposizione dialettica (66-69) è espressa dalla formula «A non-A», nella quale ciascun opposto è solo la negazione dell’altro, ma non è niente in sé e per sé. I poli dell’opposizione sono cioè ambedue negativi, più esattamente ciascuno è la negazione dell’altro, ma solo all’interno dell’unità con l’altro. Quindi «entrambi gli opposti sono negativi, nel senso che sono ir-reali, non-cose (Undinge), ma idee». Ciascun opposto «ha la sua essenza fuori di sé» (67), nell’altro di cui è la negazione. L’origine dell’opposizione dialettica, e della stessa dialettica, è platonica: l’unità degli opposti è la koinona ton genon. L’opposizione reale (70-76) è espressa dalla formula «A e B», nella quale ciascun opposto sussiste di per sé, è positivo, e perciò è esclusivo dell’altro. La cosa più importante è che  Massimiliano Biscuso – Opposizione reale, contraddizione logica e contraddizione dialettica 4 «nell’opposizione reale o rapporto di contrarietà (Gegenverhältnis), gli estremi sono entrambi positivi, anche quando l’uno venga indicato come il contrario negativo dell’altro» (72). Questo accade ad esempio quando ci rappresentiamo due forze eguali che muovono due corpi in direzione contraria: il risultato è la quiete, cioè comunque qualcosa (ed essendo qualcosa possiamo rappresentarcelo). «In altre parole, nella relazione di contrarietà che è l’opposizione reale, vi è, sì, negazione, ma non nel senso che uno dei due termini possa essere considerato come negativo di per sé, cioè come non-essere» (74). Le opposizioni reali non minano, anzi confermano il pdnc, proprio perché sono «senza contraddizione» (dove è già implicito, come sarà confermato in seguito, che l’opposizione dialettica nega il pdnc). Il marxismo non ha mai avuto le idee chiare intorno a questi due diversissimi generi di opposizione, e non le ha avute anche perché non ha mai chiarito con sufficiente rigorosità il suo rapporto con la dialettica hegeliana. In Hegel la dialettica delle idee è al tempo stesso la dialettica della materia, nel senso preciso che è impossibile in Hegel separare le idee dalla materia: «Se si presta attenzione, si vede subito che il rapporto finito-infinito, essere-pensiero, segue il modello della contraddizione “A non-A”. Fuori l’uno dell’altro, cioè al di fuori dell’Unità, finito e infinito sono entrambi astratti, irreali» (80), e l’unità che include il finito e il falso infinito (falso perché altrettanto finito, in quanto limitato dalla sua opposizione al finito) è l’Idea, il vero infinito. Dunque, commenta Colletti, «dov’era la cosa è ora subentrata la contraddizione logica» (81 – si badi bene: contraddizione logica e non, come ci si attenderebbe, contraddizione dialettica). Ora, il «dramma del marxismo» è aver «ripreso alla lettera» la dialettica hegeliana della materia, scambiandola per una forma superiore di materialismo. Dramma, perché quella dialettica era volta: a) alla distruzione del finito, b) alla negazione del pdnc; cioè proprio a ciò a cui la scienza non può rinunciare, anzi da cui si deve necessariamente muovere (d’altronde la scienza, che si basa sul pdnc, «è il solo modo di apprendere la realtà, il solo modo di conoscere il mondo», 112). Avvertiti di questa difficoltà, negli anni Cinquanta alcuni marxisti polacchi e tedesco-orientali cercarono di mostrare che «ciò che i “materialisti dialettici” presentano come contraddizioni nella natura sono, in realtà, contrarietà, cioè opposizioni ohne Widerspruch; e che, dunque, il marxismo può benissimo continuare a parlare di conflitti e di opposizioni oggettive, senza, per questo, essere costretto a dichiarare guerra al principio di (non-)contraddizione e mettersi così in rotta con la scienza» (86). Tali risultati convergevano con quelli della ricerca di della Volpe: a costo di liquidare «gran parte dell’opera filosofica di Engels» (94) in quanto fonte del Diamat, sembrava però legittimarsi «l’aspirazione del marxismo a costituirsi come la fondazione delle scienze sociali, cioè come la scienza della società» (95). In realtà non era possibile ritenere che il Capitale non avesse nulla a che fare con Hegel: infatti «i processi di ipostatizzazione, la sostantificazione dell’astratto,  www.filosofia-italiana.net 5 l’inversione di soggetto e predicato, ecc., lungi dall’essere per Marx soltanto modi difettosi della logica di Hegel di riflettere la realtà, erano processi che egli ritrovava […] nella struttura e nel modo di funzionare della società capitalistica stessa» (97). Vi sono dunque «due Marx» (99): lo scienziato dell’economia politica e il critico dell’economia politica. Questo significa riconoscere i limiti della stessa lettura dellavolpiana, che condivide con molte altre letture marxiste il difetto di non cogliere le due facce del pensiero di Marx. «Quando il marxismo è una teoria scientifica del divenire sociale, è tutt’al più una “teoria del crollo”1, ma non una teoria della rivoluzione; quando, viceversa, è una teoria della rivoluzione, essendo solo una “critica dell’economia politica”, rischia di risultare il progetto di una soggettività utopica» (102). Dunque per lo stesso Marx le contraddizioni del capitalismo sono non opposizioni reali, bensì contraddizioni dialettiche nel senso pieno della parola. Da un passo delle Teorie sul plusvalore (la possibilità della crisi è la possibilità che momenti che sono inseparabili si separino e quindi vengano riuniti violentemente) Colletti conclude che i poli dell’opposizione, separandosi, si sono fatti reali, pur non essendolo veramente: «sono, in breve, un prodotto dell’alienazione, sono entità per sé irreali seppur reificate» (107). «Teoria dell’alienazione e teoria della contraddizione, dunque, come una sola e identica teoria» (109): la contraddizione nasce dal fatto che l’aspetto individuale e quello sociale del lavoro, pur essendo intimamente connessi, si danno un’esistenza separata. È la contraddizione di individuo e genere, di natura e cultura, già rilevata dai maggiori analisti della società civile borghese del Settecento. «La società moderna è la società della divisione (alienazione, contraddizione). Ciò che un tempo era unito, si è ora spezzato e separato. È rotta l’“unità originaria” dell’uomo con la natura e dell’uomo con l’uomo» (111), dove l’unità, essendo data, non deve essere spiegata, mentre è da spiegare la divisione. «Seppure modificato, riaffiora lo schema della filosofia della storia di Hegel. E questo, ci si scopre essere il secondo volto di Marx, accanto a quello dello scienziato, naturalista e empirico» (112). Georg Wilhelm Friedrich Hegel versuchte, um die von ihm vertretene Dialektik (im Sinne einer Lehre von den Gegensätzen in den Dingen) durchzusetzen, die Logik in einer Weise zu erweitern (sog. dialektische Logik), die den Satz vom Widerspruch außer Geltung setzt.[3] Damit versuchte Hegel, die Kantische Widerlegung des sogenannten 'Dogmatismus in der Metaphysik' zu umgehen. Der Wissenschaftstheoretiker Karl Popper kommentiert: „Diese Widerlegung [Kants] betrachtet Hegel als gültig nur für Systeme, die metaphysisch in seinem engeren Sinne sind, jedoch nicht für den dialektischen Rationalismus, der die Entwicklung der Vernunft berücksichtigt und deshalb Widersprüche nicht zu fürchten braucht. Indem Hegel die Kantische Kritik in dieser Weise umgeht, stürzt er sich in ein äußerst gefährliches Abenteuer, das zur Katastrophe führen muss; denn er argumentiert etwa folgendermaßen: ‚Kant widerlegte den Rationalismus durch die Feststellung, er müsse zu Widersprüchen führen. Dies gebe ich zu. Aber es ist klar, dass dieses Argument seine Stärke aus dem Gesetz vom Widerspruch ableitet: es widerlegt nur solche Systeme, die dieses Gesetz akzeptieren, also solche, die beabsichtigen, frei von Widersprüchen zu sein. Das Argument ist nicht gefährlich für ein System wie das meinige, das bereit ist, Widersprüche zu akzeptieren – d.h. für ein dialektisches System.‘ Es besteht kein Zweifel, dass Hegels Argument einen Dogmatismus von äußerst gefährlicher Art aufrichtet - einen Dogmatismus, der keinerlei Angriff mehr zu fürchten braucht [siehe Immunisierungsstrategie]. Denn jeder Angriff, jede Kritik irgendwelcher Theorie muß sich auf die Methode stützen, irgendwelche Widersprüche aufzuzeigen, entweder in einer Theorie selbst oder zwischen einer Theorie und irgendwelchen Fakten […].“[4]  Logisches Quadrat  Das logische Quadrat Unter der Voraussetzung, dass ihre Subjekte keine leeren Begriffe sind, bestehen zwischen den unterschiedlichen Aussagentypen verschiedene Beziehungen:  Zwei Aussagen bilden einen kontradiktorischen Gegensatz genau dann, wenn beide weder gleichzeitig wahr noch gleichzeitig falsch sein können, mit anderen Worten: Wenn beide unterschiedliche Wahrheitswerte haben müssen. Das wiederum ist genau dann der Fall, wenn die eine Aussage die Negation der anderen ist (und umgekehrt). Für die syllogistischen Aussagentypen trifft das kontradiktorische Verhältnis auf die Paare A–O und I–E zu. Zwei Aussagen bilden einen konträren Gegensatz genau dann, wenn sie zwar nicht beide zugleich wahr, wohl aber beide falsch sein können. In der Syllogistik steht nur das Aussagenpaar A–E in konträrem Gegensatz. Zwei Aussagen bilden einen subkonträren Gegensatz genau dann, wenn nicht beide zugleich falsch (wohl aber beide zugleich wahr) sein können. In der Syllogistik steht nur das Aussagenpaar I–O in subkonträrem Gegensatz. Zwischen den Aussagetypen A und I einerseits und E und O andererseits besteht ein Folgerungszusammenhang (traditionell wird dieser Folgerungszusammenhang im logischen Quadrat Subalternation genannt): Aus A folgt I, d. h., wenn alle S P sind, dann gibt es auch tatsächlich S, die P sind; und aus E folgt O, d. h., wenn keine S P sind, dann gibt es tatsächlich S, die nicht P sind. Diese Zusammenhänge werden oft in einem Schema, das unter dem Namen „Logisches Quadrat“ bekannt wurde, zusammengefasst (siehe Abbildung). Die älteste bekannte Niederschrift des logischen Quadrats stammt aus dem zweiten nachchristlichen Jahrhundert und wird Apuleius von Madauros zugeschrieben. Grice: “Colletti takes negation more seriously than Popper does. Colletti examines Hegel’s target, which is Kant’s distinction between ‘real opposition’ or ‘real repugnance’ and ‘dialectical contradiction.’ Both can combine. Hegel indeed wishes to go beyond the principle of non-contradiction instituted in Velia by Parmenides. The Italian language allows for some distinction that the English language doesn’t. There’s the opposto, which is combined of posto, posto is cognate with ponere, as in modus ponens, and it’s also the root for ‘positive’ (as opposed to negative, or strictly, togliere, tollere modus tollens – to deny). So the the posto, we have the opposto. On the other hand, there’s the ‘contra’, which translates Greek ‘anti’ – so that ‘apophasis’ becomes ‘contra-dictio’ where ‘dictio’ is cognate with ‘deixis,’ and so more to do with dictiveness and indicativeness than with ‘vocalisation’. The Germans deal with the widerspruch but that’s THEIR problem. So to the posto we have the opposto. But after Cicero, the use of ‘contrario’ becomes important. Il contrario and l’opposto then pretty much covered all I failed to see back with my ‘Negation and privation,’ and my later lectures on ‘Negation’ simpliciter. Both Kant, Hegel Colletti, and I, allow for ~ being all we need!” Lucio Colletti. Keywords: curiazi, ovvero, filosofia romana, opposition, negazione, la contraddizione dialettica e la non-contraddizione – hegel – Oxford Hegelian, “Negation and Privation” “Negation” “Privation” “The Square of Opposition” Das Quadrat – contradictum – the deicticness of the dictum – contra – counter – anti – antithesis – apo-phasis – ob-positum – contrarium, il contrario, l’opposto, contra-dictio and contrario, il contrario, il contradditorio, dialettica ateniese, dialettica oxoniana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Colletti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51773361575/in/dateposted-public/

 

Grice e Colli – espressione – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo. Grice: “I love Colli – his ‘filosofia dell’espressione’ is much more serious than my ramblings, well meant, though, on Peirce! I was only trying to be fashionable! At Oxford, they loved my lecture on ‘meaning,’ which got me into ‘implying,’ and eventually, ‘expressing.’ – My unity developed – Colli was born with it!” Insegna a Pisa. Di una facoltosa famiglia, il padre amministra “La Stampa”, incarico dal quale fu poi estromesso all'indomani della marcia su Roma, su ordine di Mussolini. Studia a Torino, laureandosi sotto Solari con “Politicità ellenica e Platone”. Scorse nella tradizione filosofica classica greco-romana l'autentico "logos" a cui ritornare.  Lo stile di scrittura, profondo e costellato di aforismi taglienti, si caratterizza da un'attenzione maniacale alla musicalità del discorso. Questa dote musicale emerge con chiarezza dalle letture di alcuni passi di Colli recitati da Bene. Il suo saggio principale è “Filosofia dell'espressione” che fornisce, mediante una complessa teoria delle categorie e della deduzione, un'interpretazione della totalità della manifestazione come “espressione” di qualcosa (l'immediatezza) che sfugge alla presa della conoscenza. Comunque, ritiene che sia possibile riguadagnare il fondamento metafisico del mondo portando il discorso filosofico ai suoi estremi limiti e "(di)mostrando" la natura derivata del logos. Importante il suo contributo su i filosofi italici Gorgia, Zenone, e Girgentu, e le figure di Bacco ed Apollo, dismisura e misura. Al tentativo di interpretare gli enigmi di questi culti a-logici, fra i quali quelli oracolari, viene fatta risalire l'origine remota della dialettica. Altre opere: “Filosofia dell'espressione” (Adelphi, Milano); “Dopo Nietzsche” (Adelphi, Milano); “La nascita della filosofia. Adelphi, Milano); “La sapienza greca” “Dioniso, Apollo, Eleusi, Orfeo, Museo, Iperborei, Enigma” (Adelphi, Milano); “La sapienza greca” “Epimenide, Ferecide, Talete, Anassimandro, Anassimene, Onomacrito” (Adelphi, Milano); “La sapienza greca”; “Eraclito” (Adelphi, Milano); “Nietzsche” (Adelphi, Milano); “La ragione errabonda” (Adelphi, Milano); “Per una enciclopedia di autori classici” (Adelphi, Milano); “La Natura ama nascondersi” (Adelphi, Milano); “Zenone di Velia” (Adelphi, Milano); “Gorgia e Parmenide” (Adelphi, Milano); “Introduzione a Osservazioni su Diofanto di Pierre de Fermat. Bollati Boringhieri, Torino); “Platone politico” (Adelphi, Milano); “Il sovro-umano” (Adelphi, Milano); “Apollineo e dionisiaco” (Adelphi, Milano); “Girgentu” (Adelphi, Milano); “Platone: la lotta dello spirito per la potenza, Einaudi, Torino); Da Hegel a Nietzsche, Einaudi, Torino); Organon, Einaudi, Torino); Critica della ragion pura, a cura e tr. di Giorgio Colli, Einaudi, Torino); “Simposio” (Adelphi, Milano); Parerga e paralipomena” (Adelphi, Milano); Nietzsche (Classici Adelphi)  Scritti giovanili; La nascita della tragedia; Considerazioni inattuali; La filosofia nell'epoca tragica dei Greci; Frammenti postumi; Wagner a Bayreuth; Considerazioni inattuali, Umano, troppo umano, Aurora; Idilli di Messina; Così parlò Zarathustra; Al di là del bene e del male; Genealogia della morale; Wagner; Crepuscolo degli idoli; L'anticristo; Ecce homo; Nietzsche contra Wagner, Ditirambi di Dioniso e Poesie postume; Epistolario (Adelphi, Milano); Sull'utilità e il danno della storia per la vita (Adelphi, Milano); Sull'avvenire delle nostre scuole” (Adelphi, Milano);  La mia vita (Adelphi, Milano); La nascita della tragedia” Adelphi, Milano); L'uomo di fede e lo scrittore, Adelphi, Milano); Schopenhauer come educatore, tr. di Mazzino Montinari, Adelphi, Milano); “Lettere da Torino” (Adelphi, Milano); “Il servizio divino dei greci” (Adelphi, Milano); Lo Specchio di Dioniso” (Dedalo, Bari); Dizionario biografico degli italiani,  Implicazioni estetiche in Colli; Misura e dismisura. Per una rappresentazione di Colli, ERGA, Genova); L’enigma greco; Apollineo e dionisiaco in Colli, in Clemente Tafuri e David Beronio, Teatro Akropolis. Testimonianze ricerca azioni, vol II, AkropolisLibri, Genova); I Greci: annotazioni su alcune traduzioni, in "Episteme", Mimesis Edizioni, Milano); Il Girgentu di Colli, Luca Sossella Editore, Roma. Giorgio Colli. Colli. Keywords: espressione,  L’Apollo romano, L’appollo d’etruria, La mesura d’Apollo, la dismisura di Bacco; l’enigma filosofico, Bacco, Nietzsche, Girgentu, Velia, Crotone, Gorgia, Zenone di Velia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Colli: l’implicatura di Bacco.” https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51686202260/in/photolist-2mSEtHs-2mSMmGg-2mSsmMU-2mRjrN1-2mQPiYS-2mQAguG-2mQxzwE-2mQjVch-2mPTNKh-2mPJYbw-2mPvJmk-2mNzeEc-2mN1wvj-2mMZzKx-2mMRLT9-2mPnLLb-2mLD3NK-2mKTjot-2mLznXk-2mKDUFV-2mKSk8n-2mKM1De-2mPYoE5-2mKG3XG-2mKRy6y-2mKRu2r-2mKbok1-2mJpFSS-CkaHMd-hSTpSd-2mKfEK1-2mKj3f2-2mKkidh-2mKbDfw-2mKgF2t-2cu7Hur-DcDDsS-AJp6ja-jkW6UL-jkLbzM-jkL81T-jkTfPx-jkTLNG-jkMzHr-jkNwNs-jfXqCL-jhL2qR-jhLapC-hJHSQv-hJGf7v

 

Grice e Collini – naturalismo e naturismo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Grice: “If you love birds, you love Collini – he loved ‘pterodattili,’ though and made nice drawings of them, as they fought with ‘uomini’!” Discendente di una nobile famiglia, studia a Pisa. Si trasferì a Coira. Collini venne descritto come scontroso, spesso in litigio. A lui si deve la descrizione dello pterodactylus, un rettile volante, o pterosauro o pterodattilo. Denuncia il fanatismo durante le guerre rivoluzionarie francesi in Europa. Grice: “I often wondered why the conte would flee his family seat in lovely Tuscany for the darker landscapes of the North – till I found out the reason: he had helped one of his noble friends (Ottavio) to do some evil-act on a nobile gentildonna (Malspina): so he had no choice!”. Altro Italiano non ricordato dal Lucchesini, forse perchè assai più tardi aggregato all'Accademia, è Cosimo Alessandro Collini, nato a Firenze. Narra il Denina (1) che, mentre ea Pisa, aiuta a Domenico Eusebio Chelli, da famglia civile di Livorno, nel ratto della marchesa Gabbriella Malaspina, sicchè dovette fuggirsene (2). Dopo essersi fermato a Coira, va a Berlino raccomandato da una signora M. (egli stesso non ne dà che l’iniziale) abitante in Firenze, amica di famiglia e sorella della Barberina. Accolto da questa, ormai signora Coccei, con molta benevolenza, attesea studiare, e con baldanza, quando Voltaire venne a Berlino, si presenta a lui, che lo riceve amorevolmente dicendogli, la Toscana è stata una nuova Atene e i toscani sono stati i nostri maestri. Gli si raccomandò per trovare un'occupazione e n’ebbe lusinghiere promesse. Ma il tempo scorreva e il conte ha fretta, sicchè pensa di valersi, oltre che della ballerina, anche di una celebre cantante, l’Astrua, che gli ottenne il posto di segretario dello stesso Voltaire. Stette con lui copiando i suoi lavori e leggendogli la sera il Boccaccio e l'Ariosto – l’uno pienamente con tento dell'altro. “Mon secrétaire», scrive il Voltaire al Thiriot, “est un florentin, très-aimable, tres-bien né, et qui merite, mieux que moi, d'être de l'Académie della Crusca. Fu compagno al filosofo poeta anche nella sua fuga dalla Prussia e nelle sue pe regrinazioni e vicissitudini per la Germania, la Francia e la Svizzera. Ma nper una lettera nella quale scherzava su mad. Denis, si separa da Voltaire, che tuttavia continua a volergli bene e a corrisponder con lui; e sulle raccomandazioni del Voltaire passa al servizio dell'elettor palatino, che lo fece suo bibliotecario e segretario dell'Accademia di Mannheim. Scrive saggi sulla storia della Germania e su quella del Palatinato, ma più ch'altro di mineralogia. È lodato anche un suo volume di Lettres sur les Allemands, pubblicato anonimo a Mannheim nel 1784, cui un altro doveva seguirne sulla letteratura tedesca.E là dove aveva trovato una seconda patria e una onorevole residenza, mori nel 1806. All'Accademia,alla quale forse furono ascritti anche altri Ita liani oltre quelli ricordati qui e più addietro,e cui è da aggiun gere G. B. Morgagni (3), si riferisce questo brano di lettera del (2) Il COLLINI stesso nel suo libro Mon séjour auprès de Voltaire et Lettres inédites que m'écrivit cet homme célèbre,ecc.,Paris,Collin,1807, confessa (pag. 5) la fuga dalla patria e dalla famiglia, m a ne dà per m o tivo una giovanile vaghezza di conoscere il mondo e gli uomini. L'esemplare tipo dell'animale ora conosciuto come Pterodactylus antiquus è stato uno dei primi fossili di pterosauro scoperti e il primo ad essere identificato. Il primo esemplare di Pterodactylus fu descritto dallo scienziato italiano Cosimo Alessandro Collini, nel 1784, sulla base di un scheletro fossile, portato alla luce dai calcari di Solnhofen, di Baviera. Collini fu il curatore della "Naturalienkabinett", o "camera delle meraviglie" (l'antenato del moderno concetto di Museo di Storia Naturale), nel palazzo di Carlo Teodoro, elettore di Baviera, a Mannheim.[17] Il campione era stato affidato alla raccolta, dal conte Friedrich Ferdinand zu Pappenheim, probabilmente intorno al 1780, dopo essere stato recuperato da un calcare litografico nella cava di Eichstätt.[18] La data effettiva della scoperta e l'ingresso del campione nella collezione è sconosciuto. Non è stato menzionato in nessun catalogo della collezione, preso nel 1767 quindi deve essere stato acquistato tra il 1767 e il 1784, anno della descrizione di Collini. Ciò potrebbe rendere il fossile il primissimo pterosauro descritto; Nel 1779 fu descritto una seconda specie chiamata Pterodactylus micronyx (oggi conosciuto come Aurorazhdarcho micronyx) che però era stata inizialmente scambiata per un fossile di crostaceo.[19]   Ricostruzione di Wagler, del 1830, su uno stile di vita acquatico per Pterodactylus Collini, nella sua prima descrizione del campione di Mannheim, concluse che si trattava di un animale volante. In realtà, Collini non riusciva a capire di che tipo di animale si trattasse, ma lo accostò ad uccelli e pipistrelli, per via di alcun affinità anatomiche. Più avanti lo stesso Collini ipotizzò addirittura che potesse trattarsi di un animale acquatico. Tale ipotesi non venne avanzata su rigori scientifici ma su una supposizione di Collini che pensava che le profondità dell'oceano potevano ospitare animali stravaganti.[20][9] Nel 1830, l'idea che gli pterosauri fossero animali marini persisteva ancora in una minoranza di scienziati tra cui lo zoologo tedesco Johann Georg Wagler, che pubblicò nel suo testo intitolato "Anfibi", un articolo che vedeva gli pterosauri come animali marini con ali disegnate come pinne, ispirandosi ai moderni pinguini. Wagler si spinse fino a classificare lo Pterodactylus, insieme ad altri vertebrati acquatici (come plesiosauri, ittiosauri e monotremi), nella classe Gryphi, tra uccelli e mammiferi.[21]   Prima ricostruzione di uno pterosauro al mondo ad opera di Hermann, nel 1800 Fu lo scienziato francese/tedesco Johann Hermann che per primo dichiarò che il lungo quarto dito della mano dello Pterodactylus venisse usato per sostenere una membrana alare. Nel mese di marzo del 1800, Hermann fu allertato dallo scienziato francese George Cuvier dell'esistenza del fossile di Collini, che era stato catturato dagli eserciti di occupazione di Napoleone e inviato alle collezioni francesi a Parigi, come bottino di guerra; in seguito alcuni commissari politici francesi sequestrarono i tesori d'arte e gli oggetti di valore scientifico. Hermann in seguito inviò una lettera a Cuvier, dove vi era scritta la sua interpretazione del fossile (anche se lui non aveva esaminato personalmente), dichiarando che l'animale doveva trattarsi di un mammifero, e inviò anche una bozza di come doveva apparire in vita l'animale. Fu la prima ricostruzione artistica per uno pterosauro al mondo. Hermann disegnò l'animale con una membrana alare che si estendeva dalla fine del quarto dita fino alle caviglie e ricoperto da pelliccia,(all'epoca il fossile non presentava ne segni di membrana alare ne di pelliccia). Hermann nel suo schizzo aggiunse anche una membrana tra il collo ed il polso, come quella presente oggi nei pipistrelli. Cuvier d'accordo con questa interpretazione, e su suggerimento di Hermann, pubblicò questa nuova descrizione nel dicembre del 1800.[9] In uno scritto Cuvier dichiarò che, "Non è possibile mettere in dubbio che il lungo dito servisse a sostenere un membrana che, allungandosi all'estremità anteriore di questo animale, formava una buona ala."[22] Tuttavia, contrariamente a Hermann, Cuvier era convinto che l'animale fosse un rettile.  In realtà l'esemplare non era stato sequestrato dai francesi. Infatti, nel 1802, dopo la morte di Carlo Teodoro, il fossile fu portato a Monaco di Baviera, dove il barone Johann Paul von Carl Moll, aveva ottenuto un'esenzione generale della confisca per le collezioni bavaresi. Cuvier chiese a von Moll il permesso di studiare il fossile, ma fu informato che il pezzo non fu trovato. Nel 1809, Cuvier pubblicò una descrizione un po' più a lunga, in cui l'animale veniva chiamato "Ptero-dactyle" e confutava l'ipotesi di Johann Friedrich Blumenbach, che sosteneva che l'animale fosse un uccello marino.   Ricostruzione inesatta di P. brevirostris, da parte di Von Soemmerring, del 1817 Contrariamente a rapporto di von Moll, il fossile non è mancata; fu oggetto di studio da parte di Samuel Thomas von Sömmerring, che tenne una conferenza pubblica sul fossile il 27 dicembre 1810. Nel mese di gennaio del 1811, von Sömmerring scrisse una lettera al Cuvier deplorando il fatto che era da poco stato informato della richiesta di Cuvier per informazioni. La sua conferenza fu pubblicata nel 1812, e in essa von Sömmerring diede alla creatura il nome di Ornithocephalus antiquus.[23] Qui l'animale fu descritto come un mammifero simile ad un pipistrello ma con caratteristiche da uccello. Cuvier in disaccordo con tale descrizione, lo stesso anno fornì una lunga descrizione nella quale ricordò che l'animale era in realtà un rettile.[24] Nel 1817 fu rinvenuto un secondo esemplare di Pterodactylus, ancora una volta a Solnhofen. Questo esemplare rappresentato da un giovane fu descritto nuovamente da von Soemmerring, come Ornithocephalus brevirostris, per via del muso corto, avendo tuttavia capito che si trattava di un esemplare più giovane (oggi si sa che questo fossile appartiene ad un altro genere di pterosauro, probabilmente un Ctenochasma[3]). Von Sommerring fornì anche uno schizzo dello scheletro[9] che in seguito si rivelò essere sbagliato e impreciso, in quanto von Soemmerring aveva scambiando il metacarpo per le ossa del braccio inferiore, il braccio inferiore per l'omero, il braccio superiore per lo sterno e lo sterno per una scapola.[25] Tuttavia Soemmerring rimase per sempre fedele alla sua idea dello Pterodactylus. Lo avrebbe sempre immaginato come un animale simile ad un pipistrello, anche se a seguito di alcune ricerche nel 1860 ammise che l'animale era un rettile. Tuttavia l'immaginario collettivo dell'animale rimaneva quello di una creatura quadrupede, goffa a terra, ricoperta di pelo, a sangue caldo e con una membrana alare che si attaccava alle caviglie.[26] In epoca moderno (2015) alcuni di questi elementi sono stati confermati, alcuni smentiti, mentre altri rimangono ancora oggi in discussione.  Paleobiologia Classi d'età  Esemplare giovane di P. antiquus Come molti altri pterosauri (in particolare il Rhamphorhynchus), l'aspetto degli esemplari di Pterodactylus varia a seconda dell'età e in base al livello di maturità. Le proporzioni di entrambe le ossa degli arti, le dimensioni e la forma del cranio e le dimensioni e il numero dei denti possono stabilire a quale classe di età appartiene l'animale. In passato queste differenze morfologiche hanno portato a credere che si trattassero di specie distinte con caratteristiche anatomiche differenti. Recenti studi più dettagliati e che utilizzano nuovi metodi per misurare le curve di crescita degli esemplari noti, hanno stabilito che in realtà vi è un'unica specie di Pterodactylus ritenuta valida ossia, P. antiquus.[6]  Il più giovane e immaturo campione di P. antiquus (da alcuni interpretato come facente parte di una seconda specie chiamata Pterodactylus kochi) possiede pochi denti e i pochi che possiede hanno una base relativamente ampia.[4] I denti di altri esemplari di P. antiquus hanno denti più stretti e numerosi (fino a 90).[6]  Tutti i campioni di Pterodactylus possono essere suddivisi in due diverse classi di età. Nella prima classe, rientrano gli esemplari i cui crani hanno una lunghezza complessiva che va dai 15 ai 45 millimetri di lunghezza. Nella seconda classe, invece, rientrano gli esemplari i cui crani hanno una lunghezza complessiva che va dai 55 ai 95 millimetri di lunghezza, ma sono ancora immaturi. Questi due primi gruppi di dimensione erano a loro volta classificati come giovani e adulti della specie P. kochi, fino a che un nuovo studio ha dimostrato che anche quelli che si credevano "adulti" erano comunque esemplari immaturi, e probabilmente appartengono ad un genere distinto. Una terza classe è rappresentata da esemplari specie tipo P. antiquus, così come un paio di grandi esemLplari isolati, una volta assegnati a P. kochi che si sovrappongono P. antiquus per dimensioni. Tuttavia, tutti i campioni di questa terza classe mostrano anche segni di immaturità. L'aspetto degli esemplari completamente maturi di Pterodactylus esemplari rimane tuttora sconosciuto, oppure potrebbero essere stati erroneamente classificati come un genere diverso.[4]  Crescita e riproduzione  Bacino fossile di un grande esemplare, riferito alla dubbia specie P. grandipelvis Le classi di crescita degli esemplari di P. antiquus mostrano che questa specie, come il contemporaneo Rhamphorhynchus muensteri, probabilmente allevava i piccoli in determinate stagioni e questi crescevano costantemente durante tutta la vita. Quindi la riproduzione e il conseguente allevamento dei cuccioli avveniva ad intervalli regolari e probabilmente in ogni stagione.[4][27] Molto probabilmente poco dopo la nascita i cuccioli erano già in grado di volare ma dipendevano ancora dai genitori per la nutrizione. Questo modello di crescita è molto simile a quello dei moderni coccodrilli, piuttosto che alla rapida crescita dei moderni uccelli.[4]  Stile di vita Dal confronto tra gli anelli sclerali di P. antiquus con quelli di moderni uccelli e rettili si è scoperto che lo Pterodactylus aveva uno stile di vita diurno. Questo coinciderebbe con la sua nicchia ecologica, che lo vedrebbe come un predatore simile all'odierno gabbiano, evitando inoltre la competizione con altri pterosauri suoi contemporanei che in base agli anelli sclerali sono stati giudicati notturni, come il Ctenochasma e il Rhamphorhynchus.[28]  Paleoecologia Durante la fine del Giurassico, l'Europa era un arcipelago asciutto e tropicale ai margini del mare Tetide. Il calcare fine, in cui gli scheletri di Pterodactylus sono stati ritrovati, è stato formato dalla calcite delle conchiglie e degli organismi marini. Le varie aeree tedesche dove sono stati ritrovati gli esemplari di Pterodactylus erano lagune situate tra le spiagge e le barriere coralline delle isole europee Giurassiche nel Mare Tetide. I contemporanei di Pterodactylus, includono l'avialae Archaeopteryx lithographica, il compsognatide Compsognathus, svariati pterosauri come Rhamphorhynchus muensteri, Aerodactylus, Ardeadactylus, Aurorazhdarcho, Ctenochasma e Gnathosaurus, il teleosauride Steneosaurus sp., l'ittiosauro Aegirosaurus, e i metriorhynchidi Dakosaurus e Geosaurus. Gli stessi sedimenti in cui sono stati ritrovati gli esemplari di Pterodactylus hanno riportato alla luce anche diversi fossili di animali marini quali pesci, crostacei, echinodermi e molluschi marini, confermando l'habitat costiero di questo pterosauro. L'enorme biodiversità di pterosauri presenti nei Calcari di Solnhofen, indica che quest'ultimi si erano differenziati tra di loro occupando ogni possibili nicchia ecologica disponibile.[29]  Note ^ Fischer von Waldheim, J. G. 1813. Zoognosia tabulis synopticus illustrata, in usum praelectionum Academiae Imperialis Medico-Chirurgicae Mosquenis edita. 3rd edition, volume 1. 466 pages. ^ Schweigert, G., Ammonite biostratigraphy as a tool for dating Upper Jurassic lithographic limestones from South Germany – first results and open questions, in Neues Jahrbuch für Geologie und Paläontologie – Abhandlungen, vol. 245, n. 1, 2007, pp. 117–125, DOI:10.1127/0077-7749/2007/0245-0117.  Bennett, S. 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Modifica su Wikidata (EN) Pterodactylus, su Fossilworks.org. Modifica su Wikidata Controllo di autorità. LCCN (EN) sh94002837 Biologia Portale Biologia Paleontologia Portale Paleontologia Rettili Portale Rettili Categoria: Pterosauri. Il conte Cosimo Alessandro Collini. Keywords: naturalismo, naturismo, pterodattilo, filosofia, pisa, Firenze, nobilita, coira. Pterodattilo. Polemica filosofica, Domenico Eusebio Chelli, marchesa Gabbriella Malaspina, Voltaire e la Toscana, “Firenze come una nuove Atene”, Collini su Ariosto e Boccaccio, Collini makes fun of Voltaire’s daughter. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Collini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689833619/in/photolist-2mKDUFV

 

Grice e Colombe – filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Grice: “If you love stars, as any philosopher must – vide Thales! – you LOVE Ludovico who refuted Kepler’s idea that the thing next to the serpentary’s foot was a ‘star,’ never mind ‘nova’!” Noto per essere stato uno strenuo avversario di Galilei.  Non si sa quasi nulla della sua vita, ma restano diverse sue saggi, nelle quali difende la dottrina aristotelica con un particolare disinteresse sia verso le nuove osservazioni sia verso la coerenza logica.  Scrisse un discorso sulla nuova stella apparsa sostenendo che si tratta di una stella non nuova, ma esistente da sempre. Scrisse un discorso Contro il moto della Terra.  Per conciliare le osservazioni di Galilei sulle irregolarità della superficie lunare con la concezione aristotelica della perfetta sfericità dei corpi celesti sostenne che le valli e gli spazi tra i monti della luna sono colmati da un materiale perfetto e invisibile. Contrario all’idrostatica archimedea recuperata da Galileo, nel suo Discorso apologetico, sostenne che il galleggiare o l’affondare dei corpi dipendesse dalla loro forma. Nella conclusione del discorso usa anche una metafora di questa teoria, affermando che le ragioni dell'avversario per essere troppo argute e sottili vanno a fondo senza speranza di ritornare a galla, mentre quelle di Aristotele, per essere di forma larga e quadrata, non possono affondare in nessun modo. Sono rimaste anche lettere tra il Delle Colombe e Galileoi che stimava pochissimo il suo avversario, che aveva soprannominato Pippione. Vari accenni a questo personaggio sono nella corrispondenza tra Galilei e i suoi amici. Dizionario Biografico degli Italiani, Amici e nemici di Galileo, Milano, Bompiani. Aristotelismo. Grice: “If I had to choose between Colombe-Aristotle to Galielei-Plato, I chose the former!” -- Colombo. Colombe. Ludovico delle Colombe. Ludovico Colombo. Keywords: the irregular surface of the moon is filled by an invisible substance, the earth does not move, the ‘nuova’ stella is a misnomer: it has always existed; bodies float or sink according to their shape. Aristotle’s reasons never sink because they are square. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Colombe” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691918564/in/photolist-2mMLXtT-2mKQAtf

 

Grice e Colombo – idealism tocano – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Grice: “I love Colombo as I love Wilde – I mean, the sponsor of the Wilde Lectures on Natural Religion! Colombo wonders, ‘can ‘theologian’ be written under ‘profession’? Surely, like me, Colombo distinguishes between theologian and philosophical theologian – if there is no such distinction, and I’m not sure there is – perhaps there shouldn’t be, Colombo would say, the ‘philosophical’ in my ‘philosophical eschatology’ is totally otiose and anti-Griceian!” Insegna a Milano. Si è occupato di antropologia, metafisica e la filosofia italiana -- Rosmini, Martinetti, Volpe, ad Aosta. Altre opere: “Senzo e atto” (Studium, Roma). La morale communitaria (CUSL, Milano); “Pietra angolare: l’chiesa d’Inghilterra” (CUSL-Centro Toniolo, Milano-Verona); “Antropologia” (Massimo, Milano), “L’immanente e il trascendente”; “La correttezza del nome nel Cratilo – il nome corretto -- in  L’origine del linguaggio (Celestian Milani), Demetra, Verona; Il ri-ordino dei cicli scolastici, in "Quaderno di Iter", “Filosofia come soteriologia: L'avventura di Piero Martinetti (Vita e Pensiero, Milano); “Il giusto prezzo della felicità, -- reasonable or rational? -- Edizioni ISU-Università Cattolica, Milano); “Antropologia ed etica (EDUCatt, Milano).  Forme e modelli del pensiero filosofico. Introdurre alla   comprensione e  uso   dei   linguaggi e  degli    strumenti specifici della    metafisica, dell’antropologia, dell’etica;- all’acquisizione di abilità critiche e analitiche per comprendere le dinamiche del vissuto, della società e della storia contemporanea dell’uomo occidentale. Salute     e  salvezza dell’uomo. Il  senso    della    cura   e  dell’educazione. Una   sfida    per   la ragione e per la fede.Valutazione critica    del   rapporto metafisica-antropologia-soteriologia in  tre  momenti della storia dell’Occidente. Il mondo antico-classico greco-romano. Il mondo nuovo Cristiano. Il mondo moderno e post-moderno.BIBLIOGRAFIA G. coLomBo, I Greci e l’amore incerto: grandezza e aporia dell’eros platonico: il Simposio, ISU-Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, S.    kierkeGaard, La malattia mortale (qualsiasi edizione, purché    completa): ai  fini   della   prova    d’esameè richiesta la conoscenza della sola Prima parte: La malattia mortale è la disperazione;J.   p. SarTre, L’esistenzialismo è un umanismo, Armando, Roma, 2006 (o altra edizione, purché completa).DIDATTICA DEL CORSOLezioni in aula, ricerche e percorsi personalizzati.METODO DI VALUTAZIONEEsame orale finale, valutazione di eventuali elaborati scritti o relazioni orali. 75AVVERTENZEIl docente è a disposizione degli studenti per ogni chiarimento didattico e contenutistico, per l’assegnazione delle tesi di laurea e l’assistenza necessaria alla loro elaborazione.Il docente riceve durante il periodo di lezione presso lo studio universitario, martedì e giovedì h. 10.00-11.30. Pausania, do not multiply loves beyond necessity – l’ambiguita di ‘amore’ – L’Afrodita celeste no participa della natura femmina, solo della natura ‘maschile’.  Pausania parla solo a maschi, ai maschi virili, al maschio virile. L’amante o amatore e maschio virile, l’amato o l’innamorato e maschio virile. L’amore celeste (ouranios) participa solo della natura maschile. Criterio d’amabilita, l’amabile. Giuseppe Colombo. Keywords: idealism Toscano, atto, attualismo, actualism, actum, senzo, sensus, sense, morale communitaria, pietra angolare, Chiesa d’Inghilterra, Cratilo, origine del linguaggio, glossogenia, glossotesi, gossogenetic, semio-genesi, il soteriologico, immanente/trascendente, aporia dell’amore platonico, eikesia, ‘Daddy wouldn’t buy be a wow wow’ true iff Daddy wouldn’t buy me a bow wow – correctness of iconicity of ‘daddy’ and ‘bow wow’ --.  Heteroerotismo – Il discorso di Alcibiade – analisi del simposio, l’elogio dell’eros. Il discorso di Pausania. Ero demone. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Colombo” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51773078394/in/dateposted-public/

 

Grice e Colonna – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. There is already an entry for this; in Italian it is ‘Egidio Colonna’ --  giles di roma, Rome, original name, a member of the order of the Hermits of St. Augustine, he studied arts at Augustinian house and theology at the varsity in Paris but was censured by the theology faculty and denied a license to teach as tutor. Owing to the intervention of Pope Honorius IV, he later returned from Italy to Paris to teach theology, was appointed general of his order, and became archbishop of Bourges. Colonna both defends and criticizes views of Aquinas. He held that essence and existence are really distinct in creatures, but described them as “things”; that prime matter cannot exist without some substantial form; and, early in his career, that an eternally created world is possible. He defended only one substantial form in composites, including man. Grice adds: “Colonna supported Pope Boniface VIII in his quarrel with Philip IV of Franc eand that was a bad choice.” The Latin is EGIDIVS COLUMNA. The “Corriere” has an article as his book being a bestseller of the Low Middle Ages!” Cosnisder the claims here: ‘essence and existence are really distinct in creatures – and each is a thing – prime matter cannot exist without substantial forml – eternal and created world is not a contradiction – there is only ONE substantial form in compostes, including man.   Grice: “Must say I LOVE Colonna, or COLVMNA as the printing goes – of course the “Corriere della Sera” hastens to add that he wassn’t one! In any case, my favourite of his tracts is of course the one on Aristotle!”. Egidio Romano, O.E.S.A. arcivescovo della Chiesa cattolica Filip4 Gilles de RomeEgidio Romano e Filippo il Bello (miniatura di un codice medievale). Incarichi ricopertiArcivescovo di Bourges   Nato Roma Nominato arcivescovo Roma   Manuale Egidio Romano, latinizzato come Ægidius Romanus. Dopo la sua morte, gli furono tributati i titoli onorifici di Doctor fundatissimus e Theologorum princeps. Discepolo d'Aquino. Insegna filosofia. Fu inoltre il tutore di Filippo il Bello al quale dedica il saggio “De regimine principum”, sostenendo l'efficacia della monarchia come forma di governo. Considerato tra i più autorevoli filosofi di ispirazione agostiniana, attivo anche nella vita intellettuale e politica in un contesto culturale ed istituzionale travagliato da frequenti ed aspre polemiche sul problema del rapporto tra potere temporale e potere spirituale. Generalmente ricordato, insieme al prediletto allievo Giacomo da Viterbo, per il contributo nella redazione della celebre bolla Unam Sanctam di Papa Bonifacio VIII e per il ruolo significativo che assunse il Maestro degli Eremitani di Sant'Agostino quale autore del De Ecclesiastica potestate e, dunque, quale teorico famoso e autorevole della plenitudo potestatis pontificia. In Colonna rileviamo subito una compresenza del duplice atteggiamento dottrinale e politico. Infatti è possibile rintracciare, fra le opere giovanili, il “De regimine principum”, saggio dedicato a Filippo il Bello e di ispirazione aristotelico-tomista inerente alla naturalità dello stato, erigendola a difensore della potestas regale. Nel “De Ecclesiastica potestate”, invece, afferma la superiorità del “sacerdotium” rispetto al “rex” o “regnum”, distinguendosi quale rappresentante della teocrazia papale. In seguito alle condanne di Tempier, difende la tesi d’Aquino, per la sua qualifica di Baccalaureus formatus, ma, proprio a causa delle condanne stesse, viene sospeso dall'insegnamento. Gli avversari del papato trovano in Aristotele gli strumenti per svolgere un'analisi politica che metta in discussione la sacralità del potere. Dall'altra parte troviamo l'influenza della corrente speculativa dell'agostinismo politico (ossia quel fenomeno, tipicamente medioevale, di compenetrazione fra stato e chiesa, all'interno del quale Agostino viene a giocare un ruolo fondamentale dal momento che l'apporto teorico del suo “De Civitate Dei” conduce a confusioni inevitabili fra il piano spirituale della “Civitas Dei Caelestis” e il piano temporale della vita terrena che è “Civitas Peregrina”), che ripropone la teoria delle “due città” e riafferma la superiorità del sacerdotium rispetto al rex e regnum, costituendo un vero e proprio “partito del Papa”. Rivendica la plenitudo potestatis come proprietà costitutiva dell'auctoritas del Papa in quanto “homo spiritualis”. Sostituisce al concetto agostiniano di “ecclesia” quello di “regnum” al fine di estendere gli ambiti del potere del sovrano ecclesiastico. Il sovrano ecclesiastico, il Papa, dove esercitare la sua sovranità anche sul potere temporale al fine di garantire l'ordine mediante una forma di “dominium” che coincide con la sua stessa missione spirituale. Atre opere: L'edizione critica dell'opera omnia è stata intrapresa, per Olschki (Aegidii Romani opera omnia, collana Corpus Philosophorum Medii AeviTesti e Studi), da Punta.  “Quaestio de gradibus formarum” Ottaviano Scoto, Boneto Locatello. “In secundum librum sententiarum quaestiones” Francesco Ziletti); Opere, Antonio Blado; “In libros De physico auditu Aristotelis commentaria”; Ottaviano Scoto; Boneto Locatello, “De materia coeli” Girolamo Duranti,  “Quodlibeta”. Silvia Donati, Studi per una cronologia delle opere di Egidio Romano, “Le opere prima”; “I commenti aristotelici”, "Documenti e studi sulla tradizione filosofica medievale", Dizionario biografico degli italiani. DEL GOVERNO DI SÈ. Del sommo bene. Quale è la maniera di parlare nella scienza de're e de' principi. Quale è l'ordinanza delle cose che si debbono dire in questo libro. Come grande utilitate ei re e' principi ånno in udire e in intendere e in sapere questo libro. Quante maniere sono di vivare e come l'uomo die méttare il sovrano bene di questa mortal vita in queste maniere di vivere. Com'è grande utilità e a' re ed ai principi che ellino conoscano il loro fine e'l loro sovrano bene di questa vita mortale. I re ne i principi, non debbano mettere il loro sovrano bene in diletto corporale. I  re ne i principi non debbono mettere il loro sovrano bene in avere ricchezze. I  re ne i principi non debbono mettere il loro sovrano bene in avere onori. I re ne i principi non debbono mettere il loro sovrano bene in avere gloria o gran rinomo di bontà. Nè i re né i principi non debbono méttare il loro sovrano bene in avere forza di gente. I re ne i principi debbono méttare el loro sovrano bene nelle uopere della prudenzia cioé del senno. Come ei re e' principi debbono méttare el loro sovrano bene nelle opere della prudenza e del. Il prezzo e'l guidardone dei re e dei principi bene governanti il loro popolo, secondo legge e ragione, è molto grande. senno. Della virtù. Quante potenze à l’anima e in quali potenze e la virtù di una buona opera. Come la virtù di una buona opera e divisa nella volontà e nell’intendimento dell'uomo. Quante virtù di buone opere sono, come l'uomo die préndare il numero di esse. Delle buone disposizioni che l'uomo à, alcune sono virtů , alcune sono più degne che virtù, alcune altre sono apparigliate a virtù. Alcune virtú sono più degne d'alcune altre e più principali. Che cosa è la virtù dell’uomo ch'è chiamato senno, over prudenza, over sapere. Ai re ed ai prenzi conviene es sere savi. Quanto e quali cose conviene ai re e ai prenzi avere acciò che ellino siano savi. Come și re e i prenzi possano fare loro medesimi savi. Quante maniere sono di drittura ed in che cosa è drittura e come drittura è divisata dalie altre virtú. Senza drittura e senza iustizia ei reami non possono durare, nè nulla signoria di città. I re e i prenzi debbono intendere diligentemente acciò che essi siano dirilturieri e che drittura sia guardata nelle loro terre. La forza di coraggio e . e quali cose ella die essere , e come ei re e i prenzi le. possono avere. Quante maniere sono di forza e secondo la quale ei re e i prenzi debbono essere forti. Che cosa è la virtù che l'uomo chiama temperanza e in quali cose quella virtù die essere, quante parti a la temperanza, come noi la potemo acquistare. Ched elli é più disconvenevole cosa che l’uomo sia distemperato in seguire LI DILETTI DEL CORPO che in essere paurioso. Il principe debbe essere temperato nel diletto di suo corpo. La virtù che l'uomo chiama larghezza e'n quale cose cotale virtù de' essere, e come noi la potemo acquistare. Che a pena può essere el re o'l prenze folle largo e come è troppo sconvenevole' cosa che essi sieno avari e ch'ellino debbono essere larghi e liberali. Che cosa è una virtù che l’uomo cjiama magnificenzia e'n quali cose quella virtù die essere, e come noi potemo avere quella virtù. Come è cosa isconvenevole che i re e i prenzi sieno di piccola dispesa e di poco affare, e che maggiormente s'avviene a loro essere di grande spese e di grande affare. Che condizioni à l'uomo che è di grande spesa e di grande affare, e che conviene maggior mente averle ai re ed ai prenzi. Che cosa è una virtù che l'uomo chiama magnanimità, cioè a dire virtù di grand'animo e in quali cose quella virtù di essere e come noi potemo essere di gran cuore. Quante condizioni à l'uomo che è di gran cuore, e che maggiormente si conviene ai prenzi d'averle. Come ei re e i prenzi debbono amare onore , o quale è la virtù che l'uomo chiama virtù d'amare opore . 68 Cap. XXV. Ca insegna che amare onore ed èssare umile possono essere insieme e che quelli che è di gran cuore e di grande animo non può essere senza umiltà. Che cosa é umiltà de la quale il filosafo parla e in quali cose ella die essere e che maggiormente conviene ai re ed ai prenzi essere umili. Che cosa è la virtù che l'uomo chiama dibuonairetà , ed in che cose la buonairetà die essere e che conviene ai re ed a i prenzi essere dibonarie. Che cosa è una virtù che l'uomo chiama piacevolezza, cioè di sapere CONVERSARE PIACEVOLMENTE e in che cose la detta virtù die essere e che si conviene che i re e i preozi sieno piacevoli. Che cosa è verità e in che cosa ella die essere usata e come si conviene al principe ch'esse sia veritiero o sincero. Che cosa è una virtù che l'uomo chiama sollazzevole, quasi dica di sapere sollazzare, e di essere allegro e gioioso, là ' ve si conviene , e per la quale ' l'uomo si sa avvenevolmente rallegrare nei sollazzi, come ei re e i prenzi debbono essere allegri e sollazze voli. Conviene al principe avere tutte le virtù, perciò che perfettamente l’uomo non ne può avere una senza le altre. Quante maniere sono di buoni e adi malvagi uomini e quale maniera di bontà ei re e i prenzi debbono avere. Delle passione. Quanti movimenti d'animo sono e donde essi vengono. Quali movimenti d'animo sono principali che gli altri e come essi sono ordinate. Come il principe debbe amare e quali cose debbe amare. Come il principle debbe desiderare e che cosa debbe desiderare. Come ei re e i prenzi si debbono portare ayvenevolmente in isperare e in disperare. Come avvenevolmente ei re si debbono portare in avere ardimento. Che differenza elli à intra corruccio e odio, e come ei te e i prenzi si debbono avvene volmente contenere nei corrucci e ne le di bonarietà. Come ei re e i prenzi si deb bono ayvenevolmente avere nei diletti. Come alcuni movimenti d'animo sono mantenuti e ritornano ad alcuni altri movimenti. Ched ei movimenti dell'animo alcuni sono da biasmare ed alcuni sono da lodare e come ei re e i prenzi si debbono conferire nei movimenti detti dinanzi. Della costume. Quale costume e quale maniere de giovani uomini fanno da lodare, e come il principe debbe avere essa costume ed essa maniera. Quali costumi e quali maniere dei giovani uomini fanno da biasmare , e come ei.re e i prenzi debbono ischiſare cotali maniere e cotali co stumi. Quali costumi e quali maniere dei uomini fanno da biasmare , come ei re e i prenzi ei debbono ischifare. Quali costumi e quali maniere dei uomini fanno da lodare. Che costume e che maniera ha il gentile uomo, e come il principe debbe avere. Che costumi e che maniere anno l’uomo ricco e come ei re e i prenzi ei debbono. Che modi e che maniere ánno coloro che sono possenti ed anno signorie , e come li re e li principi si debbono avere in verso la gente convenevolmente. Avere. DEL GOVERNO DELLA FAMIGLIA. Della moglie. L'uomo die naturalmente vivare in compagnia, e che i re i prenzi il debbono sapere. Che, acciò che la casa sia perfetta, si vi conviene avere quattro maniere di persone, e come e' conviene questo secondo libro divisare in tre parti. Quella casa è perfetta ove v'à assembramento di un uomo e di una femmina, un figliuolo, e servi. L'uomo naturalmente si die ammogliare e che quelli che non vogliono vivare in matrimonio, o elli posono bestia, o ellino sono migliori che l’uomo. Ciascuno uomo e ciascuna femmina , e medesimamente ei re e i prenzi che sono ammogliati, si debbono tenere in matrimonio senza partirsi o senza divídarsi. A ciascun uomo die bastare una femmina, e che i re e i prenzi e ciascun altro uomo si die tenere appagato a una femmina. Un uomo die bastare a una femmina , e che una femmina si die chiamare contenta d'un uomo. L’uomo non die prendare moglie la quale sia troppo presso a lui di parentato o di lignaggio. Come le moglie dei re e dei prenzi e di ciascuno altro uomo debbono avere abbondanza di beni temporali. Come nè i re né i prenzi, nė cia scuno altro uomo non debbe chiėdare solamente ei beni temporali delle loro mogli ma anco ei beni del CORPO e quelli dell'anima, e ciò e il bello e il casto. L’uomo non die governare nė tenere la moglie nella maniera ch'elli die tenere e governare il suo figliuolo. L’uomo non die tenere nė governare la moglie nella manera che l'uomo die tenere e governare e fanti. Che elli non si conviene nė ai re nè ai prenzi ned a nessuno altro uomo, ch'ellino usino il matrimonio in troppo giovano tempo. L’uomo die piuttosto fare l'opera del matrimonio nel verno che nella state. Come alcune cose sono nelle femmine che sono da biasmare. Come ei re e i prenzi e ciascuno altro uomo die avvenevolmente governare e addrizzare la moglie. Come gli uomini si debbono portare con le loro mogli. Come la femmina maritata deb bono convenevolmente adornare il loro corpo. Né I re ne i prenzi , nė li altri uomini , non debbano essere troppo gelosi delle loro mogli. Che cosa è ' l consiglio della femmina , e che 'l suo consiglio l'uomo non die credere se non in alcun tempo. Com’l’uomo non debbe dire il suo secreto alla sua moglie. Dei figli. Il padre die essere curioso di guardare il suo figliuolo. Che ciò s'avviene maggiormente ai re ed ai prenzi, cioè ch'ellino sieno guardatori e curiosi dei loro figliuoli. Il padre governa il suo figliuolo per L’AMORE ch'elli à in lui. L’AMORE NATURALE il quale die essere da padre a figliuolo prova sufficientemente che il padre debbe governare i suo figliuolo e il figliuolo debbe ubbidire il padre. Nel quale dice che i re e i prenzi e ciascuno altro uomo debbono da gioventudine insegnare la fede ai loro figliuoli. I re e i prenzi e ciascuno altro uomo debbono da gioventudine insegnare ed appréndare ei buoni costumi e le buone maniere ai loro figliuoli. Il figliuolo del gentile uomo debbe apprendere le scienze della chericia, ciò sono, morali, naturali e matematice. Quale arte il figliuolo di un gentile uomini debbe apprendere. Quale die ėssare il tutore del figliuolo di un gentile uomo. Il padre die insegnare al suo fanciullo a parlare e a vedere ed a udire. In quante maniere l'uomo puó peccare in mangiare e come il garzone si debbe contenere. Come il padre die insegnare al suo fanciullo acciò che si sappiano portar avvenevolmente nel bere e ne' diletto della femmina. Come il garzone si debbe contenere nel diletto del corpo. Come in giovanezza l'uomo die schifare le malvagie compagnie. Che guardia l’uomo die avere de' figliuoli da che sono nati, insino a’ sette anni. Che guardia l'uomo die avere de' fanciulli da sette anni fino a quattordici. Che guardia l'uomo die avere del figliuolo da quattordici anni innanzi. Che il padre non die insegnare al figliuolo uno medesimo travaglio di corpo. Della casa e dei servi. L'uomo die diterminare e parlare delle cose donde la vita umana può esser sostenuta, volendo governare la sua famiglia e la sua casa. Il casino della villa del’uomo , die esser fatto sottilmente ed in buon áire. Il casamento dei re e dei prenzi , e di ciascuno altro uomo, die esser fatto in luogo dove abbia abbondanza di buona acqua e di chiara. Naturalmente l’uomo die avere possessione in alcun modo e che quellino che rifiutano le possessioni, non vivono come uomini, anzi sono migliori che uomo. Elli è grande utilità alla vita umana, che l'uomo possa vivare della sua propria ricchezza. Come l'uomo die usare dei beni temporali, e quale maniera di vivare è buona e onesta. Nel quale dice che ciascuno uomo, e medesimamente ei re ei prenzi, non debbono desiderare troppo grande abbondanza di ricchezze ne di possessioni. Quante maniere elli sono di vendere e di comperare e perchè ei denari fuoro prima mente fatti e trovati. L'usura è generalmente malvagia , e ch'ei re ed i prenzi la debbono difendare ch’ella non sia fatta nella loro terra. Nel quale dice ch’ei sono diverse maniere di guadagnare denari e che alcuna di queste maniere è avve nevole ai re ed ai prenzi. Alcuna gente è serva per natura e ch'elli è loro utilità ch'ellino sieno suggetti ad altrui. Nel quale dice che alcune genti che sono servi per natura e per legge. Nel quale dice ch’ellino sono alcune genti le quali sono serve per prezzo ed alcuna gente che servono per l’amore ch’elli ánno ai suo signore. L'uomo die dare gli ufici ai suoi fanti nelle case dei re e dei prenzi. Come ei re e i prenzi debbono provvedere ai loro sergenti robe e vestimento. Che cosa é cortesia e ched e' conviene ai fanti dei re e dei prenzi ched ellino sia cortese Nel quale dice come ei re e i prenzi si debbono contenere inverso ei loro sergenti. Che quelli che servono e quelli che mangiano alla tavola dei re e dei prenzi , e generalmente che il gentile uomo non debbe molto favellare. DEL GOVERNO CIVILE. Detti dei filosofi nel governamento delle città. Nel quale dice che la villa e ordinata e stabilita per alcuno bene. Fu grande utilità alla vita umana che colla comunità della villa e delle città , li uomini ordinassero la comunità del reame. Nel quale dice ceme Platone e Socrate dissero che l’uomo dovea ordinare e governare le città. Nel quale insegna che i re e i prenzi debbono sapere che tutte le cose non debbono essere COMUNE siccome Platone e Socrate dissero. Nel quale dice quanti mali avverrebbero se il figliouolo fusse comune. Nel quale dice come la possessione debbe essere proprie, e come debbono essere comuni, secondo l'utilità delle ville e delle città. I re ei prenzi non debbono sofferire che una medesima gente duri sempre in una medesima signoria. Nel quale dice che l'uomo non die cosi ordinare la città come Socrate disse, che dovieno essere ordinate. Come l'uomo può trarre a buono intendimento le parole che Socrate disse , al governa mento delle città. Come un filósafo , ch'ebbe nome Fal lea , disse, che l'uomo dovea ordinare le città. Le possessioni non debbono essere eguali, siccome disse Fallea. Come quelli che signoreggia alcuna città, elli die più principalmente intendare a cessare le malvagie volontà e i malvagi desideri e convoitigine, ched elli non die intendere a cessare la disuguaglianza delle possessiono. Nel quale dice, come un filósafo ch'ebbe nome Ippodamo , disse che l’uomo dovea ordinare le città. Nel quale dice quali cose sono da riprendare in quello che Ippodamo disse del governamento della comunità. Della migliore maniera di governare le città. Il quale insegna come l’uomo die governare le città in tempo di pace, e quante cose l’uomo die guardare in cotale governamento. Quante maniere sono di signorie e quali sono buone e quali sono rie. Ched o' val meglio che le città e ' rea mi sieno governati e retti per un solo uomo che per molti e che quest' è la migliore signoria che sia quando un solo uomo signoreggia ed elli intende il bene comune. Nel quale dice per quali ragioni alcuna gente volsero provare ched e’ valeva meglio che le terre e le città fossero governale per molti uomini che per un solo e dice in questo capitolo ciò che si die rispóndare a cotali ragioni. Ched e' val meglio che le terre e le signorie e' reami vadano per redità per successione DEL FIGLIOUOLO che per elezione. Nel quale dice quali sono le cose ne le quali il re die sormontare gli altri, e che diversità elli à intra'l re 'e'l tiranno. Nel quale dice che la signoria del tiranno è la peggiore signoria che sia e che i re ei prenzi si debbono molto guardare ch'ellino non sieno tiranni. Quale dia esser l'ufficio dei re e dei prenzi, e com’essi si debbono contenere in governare le loro città e i loro reami. Quali sono le cose che’ l buono re die fare , le quali il tiranno mostra di fare ma non le fa nèmica. Nel quale dice per quante cautele il tiranno si sforza di guardare sė ne la sua signoria. Ched elli è molto isconvenevole cosa ai re ed ai prenzi ched ellino sieno tiranni, perciò che tutte le malizie che sono nell’altre malvagie signorie, sono ne là signoria del tiranno. Nel quale dice che i re e i prenzi debbono molto ischifare la compagnia del tiranno, perciò che per molte cose ei soggetti aguaitano ed assaliscono il loro signore quand’elli é tiranno. Nel quale dice quali cose guardano e salvano la signoria del re e ched e'conviene fare al re sed e' si vuole guardare ne la sua signoria e nel suo reame. Quali cose fanno a consigliare e di quali l'uomo die avere consiglio. Nel quale dice che cosa è consiglio, e come l'uomo die fare ei consigli. Nel quale dice che consiglieri ei re e i preozi debbono avere ai loro consigli. Nel quale dice quante cose conviene sapere a quellino che consigliano ei re e i prenzi e in quali cose l’uomo die préndare consiglio. Nel quale dice che tutte le cose donde l’uomo giudica, l'uomo die giudicare secondo le leggi e che l’uomo die fare pochi giudicamenti e dare poche sentenze per arbitrio o per credenza. Nel quale dice come l’uomo dic fare ei giudicamenti: e ch’e giudici debbono vetare che li uomini che piateggiano non dicano parole dinanzi al giudice che’l possa muovere ad amore nè ad odio contra ad alcuna de le parti. Nel quale dice quante cose conviene avere a’giudicatori a ciò ch’ellino giudichino bene e drittamente. Nel quale dice quante e quali cose conviene riguardare al giudice, acciò ch’elli perdoni e sia più di buonarie che crudele. Nel quale dice ched e’ sono diverse maniere di leggi e diverse maniere di giustizia e che al dritto natu rale ed al diritto iscritto tutti gli altri dritti sono ridotti e ramenali. Quali debbono esser le leggi umane e ched elli fu grande utilità ai reami ed a le città a fare cotali leggi. Nel quale dice che ciascuno non die némica istabilire nė ordinare le leggi; e ched e' conviene che le leggi sieno publicate é fạtte sapere acciò ch’ell’abbiano forza d’obbligare le genti. Quante opere e quali le leggi ch'ei re e i prenzi istabiliscono ed ordinano, debbono contenere. Nel quale dice quale vale meglio o che le città o i reami sieno governati per un buono re o per una buona legge. Nel quale dice che co la legge naturale e co la legge iscritta e' conviene che l’uomo abbia la legge di Dio e la legge del Vangelo. Come l’uomo può, si die guardare le leggi del paese e ch'elli non è utile ch'elle si rimutino ispesso. Nel quale dice che cosa è città e che cosa è reame e chénte die essere il popolo ch’è ne le città e ne' reami. Nel quale dice che allora è la città e’l reame trasbuono e 'l popolo trasbuono, quand’elli v’à molte di mezzane persone. Nel quale dice ched elli é grande utilità al popolo di portare grande riverenza al prenze ed al signore e ched ellino guardino diligentemente le leggi che i re e i prenzi ánno ordinate. Come il popolo e generalmente tutti quelli che dimorano nel reame, si debbono mante nere saviamente , acciò che’l re o’l prenze non abbia corruccio nė odio contra loro. Come ei re ei prenzi si deb bono mantenere , acciò ch'ellino sieno amati e temuti dal lor popolo. Ed insegna questo capitolo che tutto debbiano ei re ei prenzi esser amati e temuti dal lor popolo, ellino debbono maggiormente volere essere amati che temuti. Del governo in tempo di guerra. Che cosa è cavalleria e da ch'ella é ordinate. Nel quale insegna in quale terra sono e’migliori combattieri e quali l’uomo die iscegliere per combattere dell’uomini che debbono andare a la battaglia. In quale tempo l'uomo die acco stumare il fanciullo all' opere dela battaglia e per quali segni l'uomo può conosciare ei migliori battaglieri. Nel quale insegna quante cose e quali e' conviene avere a' buoni battaglieri, acciò ch'ellino si combattano bene e giustamente. Nel quale insegna quali sono migliori battaglieri o i gentili uomini , oi villani , o quellino che nel campo dimorano, ciò sono ei lavoratori. Nel quale insegna ch’elli è grande utilità ai baltaglieri chedellino sieno bene esercitati all'arme; e che l’uomo die ei battallieri apprendare a correre ed a saltare ed andare ordinatamente. Nel quate insegna ched e’si conviene appréndare ai battaglieri molte altre cose che quelle che sono dette, cioè a córrare ed assaltare ed andare ordinatamente. Nel quale insegna che l’uomo die fare nell’oste fossati e castelli. Ed insegna questo capitolo come l’uomo die fare ei castelli e quante cose l’uomo die guardare in farli. Nel quale dice quante cose l’uomo die guardare quand’elli vuole o die imprèndare battaglia comune. Nel quale dice ch’elli è grande utilità ne le battaglie di portare bandiere e gonfaloni: e che l’uomo die ordinare capitano e maggiore a ciascuna ischiera. E so - nemici migliantemente questo capitolo insegna quali debbono essere e banderari e i capitani di quelli a piè e di quelli a cavallo. Nel quale dice che avvedimenti die avere e che die fare il signore dell’oste acciò che la sua gente non possa essere gravata dai nemici per la via. Nelquale dice come l’uomo die ordinare le schiere e le battaglie, quando l’uomo si die combattere contra I Nel quale insegna che l'uomo die ferire il suo nemico nello battaglia di puntone e non di ramata. Nel quale dice quante cose fanno gli avversari più forte che quelli dell’oste é come l’uomo die assalire ei suoi nemici. Nel quale insegna come ei battallieri si debbono tenere quando vogliono ferire ei loro nemici, e com’ellino ei debbono inchinare e come l'uomo si die trarre in drieto quando la battaglia non porta utilità. Nel quale insegna quante maniere ei sono di battaglie; e in quanti modi l’uomo può prendare le città e le castella ed in che tempo l’uomo le die assediare. Come quelli dell'oste si debbono fornire e come l'uomo può vénciare le castella per cava. Come per l’ingegni del legno che l'uomo può menare al muro del castello, l’uomo lo può prendare. Come l’uomo può e die edificare le castella acciò ch'elle non sieno leggermente prese ně come l'uomo può e die guérnire le castella acciò ch'elle non possano esser prese. Nel quale dice come quelli che sono nel castello assiso possono e debbonsi difendersi da la cava e dai tra bocchi e dalli altri ingegni che quellino dell'oste vi fanno. Come l'uomo die fare le navi, e come l'uomo si die combattere nell'acqua o nel mare, da che cosa tutte le battaglie debbono essere ordinate assediate. Che cosa è una virtù che l’uomo chia ma piacevolezza, cioè di sapere CONVERSARE piacevolmente con le genti, e in che cose la detta virtù die essere, e che si conviene che i re e i prenzi sieno piacevoli. Appresso ciò che noi avemo detto che cosa è debonarietà, noi diremo d’un'altra virtù, che l’uomo chiama piacevolezza. E dovemo sapere che le opere e le parole dell'uomo sono ordinate a tre cose, si come ad avere piacevolezza e verità, ed avere diletti e giuochi nei solazzi e nelle allegrezze. LA PRIMA RAGIONE: E la piacevolezza si è, in SAPERE BENE CONVERSARE, unde quelli che sa onorare e riverire gli uomini convene volmente e secondo ragione, si à la virtù della piacevolezza. La SECONDA ragione si è , che le opere e le parole dell’uomo sono ordinate sie a verità che, per le opere e per le parole dell'uomo può l'altro uomo conosciare chi egli è (“Conversation maketh the man”). Donde, verità non è altro se non che l'uomo non sia vantatore e che nè per parole nè per fatti elli non dimostri maggior cosa in lui che vi sia, nè che l'uomo non si faccia ispiacevole nè per parole nè per fatti oltre quello che ragione insegna, perchè elli sia gabbato ne dispregiato. La TERZA RAGIONE a che l'opere e le parole dell'uomo sono ordinate, si è, acciò che l'uomo sia sollazzevole convenevolmente, e si sappia bene portare nei giochi, e nelle allegrezze e nei sollazzi . Donde, se l'uomo vuole CONVENEVOMENTE CONVERSARE e' die essere giochevole e piace vole e veritiere. E di queste tre virtù noi diremo partitamente, ma prima diremo della piacevolezza. E dovemo sapere che, NEL CONVERSARE, alcuni si mostrano troppo piacevoli, si come sono e lusinghieri, e quelli che’n ogne cosa vogliono piacere altrui, che acciò che piacciano altrui, si lo dano tutti ei fatti è tutti ei detti di ciascuno uomo. E alcuni sono, che anno troppo gran difalta NEL CONVERSARE co le genti, si come sono ei malvagi e quellino che sono battaglieri, e tenzonieri; e questi fanno contra a ragione. Chè neuno die volere essere si piacevole nè si compagnevole, ch’elli ne do venti o ne sia lusinghieri, e piacere a tutti gli uomini, nė neuno die essere si pieno di contenzione e di noia, che li con venga cessare della compagnia delli uomini, ma quelli è da lodare che si sa mezzanamente portare e secondo ragione, nel CONVERSARE. Donde la virtù che l’uomo chiama piacevolezza cessa la contenzione dell'uomo e tempera il lusingare, e quello per lo quale l'uomo vuole a tutti gli uomini piacere. E perciò che l'uomo è per natura compagnevole, si come dice il filosafo, si conviene dare una virtù per la quale ne le parole e nei fatti sappia CONVERSARE COOPERATIVAMENTE E convenevolmente e secondo ragione. E questa virtù che l'uomo chiama piacevolezza, tutto sie cosa che, tutti quelli che vogliono essere piacevoli e vivare in cooperazione, compagnia ed in comunità con l’altro, conviene ch'elli abbiano, acciò che siamo cortesi e piacevoli, non perciò debbiamo essere si cortesi ne si piacevoli ad uno come un altro: chè la dritta ragione insegna, che, secondo la diversità dei due conversatori, l'uomo si die portare in maniera appropriata con l’altro. E perciò che troppa amistà e troppa gran compagnia mostrare ad ogni uomo fa l’uomo ispiacevole e vile; il gentile uomo si debbe più alteramente contenere che l’altro, acció che l'uomo lor porti più onore e più reverenza, e che la dignità de la loro grandezza non sia abbassata nè avvilata. Donde il filosafo dice che i re e i prenzi debbono mostrare ch’ellino sieno persone degne d’onore e di reverenza. Chè si come noi vedemo che alcuna vianda fuôra soperchio a uno infermo che non basterebbe ad uno sano, cosi è nell'essere piacevole e cortese, che alcuna piacevolezza s’aviene a’re secondo ragione, che non s’aviene cosi ad un’altra persona comune. L’Enciclopedia italiana cura l’edizione critica del “Il regime del principe”,  testimoniato da nove manoscritti, tra cui il codice della Biblioteca di Firenze (sig, che si distingue sia per motivi cronologici (nell’explicit reca la data) sia per la veste linguistica, in prevalenza senese, verosimilmente molto vicina a quella dell’originale, ciò che lo rende un documento di lingua privilegiato rispetto alle coeve attestazioni di varietà toscane non fiorentine tra fine Due- e inizio Trecento. L’opera discende dal “Il regime del principe”, composto da Colonna filosofo tra i più autorevoli della sua epoca, nato a Roma. Dedicato a un principe, di cui Colonna fu tutore e ispirato alla Retorica, la Etica, e la Politica di Aristotele, esuddiviso in tre libri concernenti la “morale», ossia l’etica (disciplina dell’individuo), l’oeconomia (della casa), e la politica (della città o reame o villa) - è il più corposo trattato basso-medievale sul regime del ‘gentile uomo’ ed ebbe non solo una straordinaria fortuna in Italia fino a tutto il XV secolo come elogio della cavalleria. Esercita una notevole influenza sul Convivio, sul “De vulgari eloquentia” e sulla “Monarchia” di Alighieri. “E lasciando lo figurato che di questo diverso processo dell’etadi tiene Virgilio nello Eneida, e lasciando stare quello che Egidio eremita [il filosofo appartenne all’Ordine degli Eremitani di Sant’Agostino ne dice nella prima parte dello Regime del Gentile Uomo. L’ampia Introduzione, oltre a tracciare il profilo biografico di Egidio illustrando contenuto, fonti e storia della ricezione del suo capolavoro, esamina nei dettagli il debito di Alighieri, la fortuna figurative o iconografica del trattato (l’affresco giottesco della Cappella degli Scrovegni di Padova, precisamente nella Virtù; l’Allegoria ed Effetti del Buono Governo realizzata da Lorenzetti a Siena, specie nella particolare raffigurazione della giustizia commutativa e la giustizia distributiva alla sinistra dell’affresco -- i rapporti tra il De regime e il Livre dou gouvernement (una drastica riduzione non sempre perspicua, di cui sono noti trentasei manoscritti) e tra questo e il Livro del governamento, la prima traduzione, pur parziale, di opere che solo successivamente furono volgarizzate nella loro interezza, ad opera di un anonimo senese, come avevano già ipotizzato, tra gli altri, Segre e Castellani. Inoltre si auspica - e intanto s’imposta in modo acuto e pregnante - un commento dedicato alle fonti del “Regime”, ormai indispensabile alla luce della ri-valutazione della filosofia nel vernacolare tra Medioevo e Rinascimento portata avanti dalla bibliografia più recente. Grazie infatti agli studi degli ultimi due decenni, siamo oggi più informati sui modi in cui la cultura vernacolare interagì con quella antica, bolognese, tradizionalmente ritenuta ‘più alta’, e sul diverso pubblico, dichiarato o reale, cui si indirizzava la trattatistica filosofica dei secoli dal XIII-XIV in avanti. Infine, si passano in rassegna le altre versioni del De regimine (quella senese è bensì la più antica, ma non l’unica: se ne conoscono almeno altre cinque).  Nella parte prima della Nota al testo si dà conto della tradizione manoscritta dei testimoni completi e dei testimoni parziali (descrizione esterna, descrizione interna, bibliografia), offrendo dati preziosi sulla tradizione a stampa del De regimine e sulle edizioni del Governamento. Nella parte seconda si indicano i criterî di edizione e gli usi del copista.  L’appendice prima alla Nota al testo raccoglie le aggiunte inter-lineari e marginali al Governamento del manoscrito fiorentino, mentre in una seconda appendice si riportano alcune annotazioni sulle relazioni fra i testimoni del Governamento. La prima e fondamentale caratteristica della tradizione è che tutti i mss. paiono al tempo stesso testimoni molto vicini tra loro tanto che è dimostrabile la presenza di un archetipo a monte della tradizione, ma non per questo facilmente classificabili nei loro rapporti reciproci, principalmente perché spesso contaminati dal ricorso alla versione nella lingua antica. Il secondo volume è interamente dedicato allo spoglio linguistico sistematico sull’intero testo, tendente per quanto possibile «all’esaustività delle allegazioni per ciascuna forma»: grafia, fonetica, morfologia, sintassi.  Chiudono il volume un ricco repertorio bibliografico e gl’indici onomastico, toponomastico, dei nomi e dei manoscritti. Grice: “Poor Ockham is known as Ockham – god knows, but he is not telling, what his surname was, if any! On the other hand, the rather pompous Romans have Egidio as a ‘Colonna,’ even if,  as the Treccani notes, ‘the links with the Roman family are unclear’!” -- Romano: Egidio Romano,  arcivescovo della Chiesa cattolica Filip4 Gilles de RomeEgidio Romano e Filippo il Bello (miniatura di un codice medievale). Template-Archbishop.svg   Incarichi ricopertiArcivescovo di Bourges   Nato tra il 1243 e il 1247, Roma Nominato arcivescovo25 aprile 1295 Deceduto22 dicembre 1316, Roma. Egidio Romano, latinizzato come Ægidius Romanus, indicato anche come Egidio Colonna (Roma), filosofo. Generale dell'Ordine di Sant'Agostino. Dopo la sua morte, gli furono tributati i titoli onorifici di Doctor fundatissimus e Theologorum princeps.   Fu discepolo di San Tommaso d'Aquino all'Parigi, dove più tardi insegnò, prima di diventare generale degli agostiniani e arcivescovo di Bourges (1295). Fu inoltre il precettore di Filippo il Bello per il quale scrisse il trattato De regimine principum, sostenendo l'efficacia della monarchia come forma di governo.  --  è considerato tra i più autorevoli teologi di ispirazione agostiniana, attivo anche nella vita intellettuale e politica in un contesto culturale ed istituzionale travagliato da frequenti ed aspre polemiche sul problema del rapporto tra potere temporale e potere spirituale. Questo filosofo è generalmente ricordato, insieme al prediletto allievo Giacomo da Viterbo, per il contributo nella redazione della celebre bolla Unam Sanctam del 1302 di Papa Bonifacio VIII e per il ruolo significativo che assunse il Maestro degli Eremitani di Sant'Agostino quale autore del De Ecclesiastica potestate e, dunque, quale teorico famoso e autorevole della plenitudo potestatis pontificia. In Egidio Romano rileviamo subito una compresenza del duplice atteggiamento dottrinale e politico; infatti è possibile rintracciare, fra le opere giovanili, il De regimine principum, opera scritta per Filippo il Bello e di ispirazione aristotelico-tomista inerente alla naturalità dello Stato, erigendola a difensore della potestas regale. Nel De Ecclesiastica potestate, invece, Egidio Romano afferma la superiorità del sacerdotium rispetto al regnum, distinguendosi quale rappresentante della teocrazia papale.  La riscoperta di Aristotele e l'agostinismo politico In seguito alle condanne di Étienne Tempier. Colonna difende la tesi di Tommaso, per la sua qualifica di Baccalaureus formatus, ma, proprio a causa delle condanne stesse, viene sospeso dall'insegnamento. In quegli anni, gli avversari del papato trovano nel pensiero di Aristotele gli strumenti per svolgere un'analisi politica che metta in discussione la sacralità del potere. Dall'altra parte troviamo l'influenza della corrente speculativa dell'agostinismo politico (ossia quel fenomeno, tipicamente medioevale, di compenetrazione fra Stato e Chiesa, all'interno del quale Agostino viene a giocare un ruolo fondamentale dal momento che l'apporto teorico del suo De Civitate Dei conduce a confusioni inevitabili fra il piano spirituale della Civitas Dei Caelestis e il piano temporale della vita terrena che è Civitas Peregrina), che ripropone la teoria delle “due città” e riafferma la superiorità del sacerdotium rispetto al regnum, costituendo un vero e proprio “partito del Papa”.  Egidio rivendica la Plenitudo potestatis come proprietà costitutiva dell'auctoritas del Papa in quanto homo spiritualis. Egidio sostituisce al concetto agostiniano di ecclesia, quello di regnum al fine di estendere gli ambiti del potere del sovrano ecclesiastico. Il sovrano ecclesiastico (il Papa) dovrebbe esercitare la sua sovranità anche sul potere temporale al fine di garantire l'ordine mediante una forma di dominium che coincida con la sua stessa missione spirituale.  Opere:Frontespizio delle In secundum librum sententiarum quaestiones L'edizione critica dell'opera omnia è stata intrapresa, per Leo S. Olschki, (Aegidii Romani opera omnia, collana Corpus Philosophorum Medii AeviTesti e Studi), dal gruppo di ricerca di Francesco Del Punta.   Quaestio de gradibus formarum, Ottaviano Scoto (eredi), Boneto Locatello, 1502.  In secundum librum sententiarum quaestiones,  1, Francesco Ziletti, 1581.  In secundum librum sententiarum quaestiones,  2, Francesco Ziletti, Opere, Antonio Blado, In libros De physico auditu Aristotelis commentaria, Ottaviano Scoto (eredi), Boneto Locatello, 1502.  De materia coeli, Girolamo Duranti, Quodlibeta, Domenico de Lapi. TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. 3 dicembre . Roberto Lambertini, Giles of Rome, in Edward N. Zalta , Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of Language and Information (CSLI), Stanford, .  Charles F. Briggs e Peter S. Eardley , A Companion to Giles of Rome, Leiden, Brill, . Silvia Donati, Studi per una cronologia delle opere di Egidio Romano: I. Le opere prima: I commenti aristotelici. "Documenti e studi sulla tradizione filosofica medievale", Gian Carlo Garfagnini, Egidio Romano, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, . Francesco Del Punta-S. Donati-C. Luna, Egidio Romano, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Filippo Cancelli, Egidio Romano, in Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Papa Bonifacio VIII Teocrazia Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Egidio Romano Collabora a Wikiquote Citazionio su Egidio Romano Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Egidio Romano  Egidio Romano, su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Ugo Mariani, Egidio Romano, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Egidio Romano, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. su ALCUIN, Ratisbona.  Opere di Egidio Romano, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. su Egidio Romano, su Les Archives de littérature du Moyen Âge. Egidio Romano, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. David M. Cheney, Egidio Romano, in Catholic Hierarchy. Roberto Lambertini, Giles of Rome, in Edward N. Zalta , Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of Language and Information (CSLI), Stanford. Biografia a cura dell'associazione storico-culturale S. Agostino, su cassiciaco. Predecessore Arcivescovo metropolita di BourgesSuccessoreArchbishopPallium PioM.svg Simone di Beaulie u25 aprile 1295 22 dicembre 1316 Raynaud de La Porte. Egidio Romano. Egidio Colonna. Colonna. Keywords: conversazione cortese, conversazione gentile, padre/figlio, amore naturale, principe, cavalleria, cavaliere, cavalier attitude, cavalier implicature.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Colonna” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690250830/in/photolist-2mKG3Hd-2mKG3XG-2mKCcV2-2mKM1De-2mKS9tM-2mKAuZM-2mKjqrr-2mKk6t5-2mPHbXQ-2mJpFSS-2mJd7nN-2mJ4GHU-2mJ3q6x-GD1xEj-GieDt8-21eQVvk-G9arP4-Ecrffr-Dw1w1R-zLGm5K-CRAGiK-DeWyrT-CkaHMd-Bq5Mgn-BpZwpi-CntuMM-CntseF-BLCQcz-BvUfSB-sHYGWT-t1qUT6-nRruyQ-o5KVBK-o659Mu-o41Q2J-o41RkA-nHyQfP-nWiomo-nU3wiH-nW81MD-nUg48Y-nBRGTN-nrkR6c-nqrYFq-mumsKZ-munJib-mukUvF-mujsEe-muk4iR-jkN2VC

 

Grice e Colonnello – la voce – filosofia italiana – Luigi Speranza (Benevento). Filosofo. Grice: “I like Colonnello; as a typical Italian philosopher, he has philosophised about ‘all,’ from, first, of course, Croce, to the ‘tedesci’! – But also about ‘guilt,’ and my favourite, the ‘transcendentale,’ which in Italian, for lack of ‘n’ becomes ‘trascendentale’ – how many? Colonnello thinks more than one, if the plural is of any guide!”  Insegna a Callabria. Privilegia l'arco tra criticismo trascendentale e fenomenologia, esistenza, ermeneutica di Pareyson, storicismo di Croce, Nicol, Dussel. La sua proposta è verificare l'interazione, in chiave storico-critica, del kantismo, della fenomenologia e la filosofia dell'esistenza.  Altre opere: “Esistenzialismo kantiano” (Studio Editoriale di Cultura, Genova); “Croce e i vociani” (Studio Editoriale di Cultura, Genova); “Tempo e necessità” (Japadre, L'Aquila-Roma); “Tra fenomenologia e filosofia dell'esistenza” (Morano, Napoli); “Ermeneutica esistenzialista del concetto di ‘colpa” (Loffredo, Napoli); “Percorsi di confine: esistenza e libertà” (Luciano, Napoli); Croce (Bibliopolis, Napoli); “Ragione e rivelazione” (Borla, Roma); “Melanconia ed esistenza” (Luciano, Napoli); “Storia esistenza liberta. Rileggendo Croce, Armando, Roma);  Martin Heidegger e Hannah Arendt, Guida, Napoli); “Orizzonte del trascendente e dell’immanente, Mimesis, Milano); “Inter-soggettivita riflessiva” L’itinerario dei corpi” (Mimesis, Milano).  Corpo, mondo, Fenomenologia (Mimesis, Milano); Fenomenologia e patografia del ricordo, Mimesis, Milano-Udine). Grice: “I used ‘body’ informally in my ‘Personal identity’, where I suggested, that “I fell down the stairs” could be replaced by “MY body fell down the stairs” – there is yet an essential indexical. Different if two wrestlers unison say, ‘Both our bodies are oiled” – where again the dual “both our” is used. We have not the second person but the FIRST PERSON dual. “Our bodies” “Both our bodies”. Pio Colonnello. Colonnello. Keywords: la voce, rivista La Voce, Croce e i vociani, patografia, German for ‘body’ Lieb, cognate with ‘life’ so that ‘Das Leib ohne Leben’ would be odd. The Anglo-Normans solved the problem with ‘corpse’, corpus, vita, corpore, vita, vivere, German ‘leben’, ‘live’ meaning with ‘remain’, creature construction, thing, living thing, living body, personal human living being. Bodily movement. Method in philosophical psychology, manifestation in behaviour, bodily behaviour, brain state, different from bodily movement --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Colonnello” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51770947363/in/dateposted-public/

 

Grice e Colorni – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Grice: “To understand the passion in Italian philosophy, as the passion I experienced with Austin in the postwar and with Hardie on the golfcourse in the good old days, one has to understand Colorni – he was a socialist, and thus an empiriociritic! He found opposition in the Gentileians. Oddly, Colroni’s main interest is the ‘monad,’ but he also explored what we would at Oxford call ‘science’ – rather than philosophy. Lay the blame on his tutor at Milano!”. Promotore del federalismo europeo. Mentre era confinato a Ventotene, su saggio, “Manifesto per un’Europa libera e unita”. Figlio di Alberto Colorni, di Mantova, e Clara Pontecorvo, milanese di famiglia pisana (zia di Pontecorvo, del regista Gillo, del genetista Guido e del giurista Tullio Ascarelli).  Studia al ginnasio di Milano. Si appassiona al Breviario di estetica di Croce. La sua formazione adolescenziale, come raccontò egli stesso nella “Malattia filosofica”, fu influenzata dal rapporto intrattenuto con i cugini Enrico, Enzo ed Emilio Sereni, tutti più grandi di lui. Fu Enzo, che era un convinto socialista  ad esercitare su di lui una forte influenza ideale. Studia sotto Borgese e Martinetti. Si laurea sotto Martinetti con “Il concetto di individuo”. Strinse amicizia con Guido Piovene, che però verrà interrotta per via di certi articoli anti-semitici scritti da Piovene su L'Ambrosiano. Partecipa nel gruppo goliardico  per la libertà di Basso e Morandi. Saggio sull'estetica di Roberto Ardigò. Si accosta alla divisione milanese del “Giustizia e Libertà”. Collabora in seguito col nucleo giellista torinese, che fece capo prima a Ginzburg e poi a Foa.  Incontra Croce, con il quale conversa a lungo.  Saggi per Il Convegno, La Cultura, Civiltà Moderna, Solaria e la Rivista di filosofia di Martinetti, e presso la società editrice "La Cultura" di Milano, uno studio critico su L'estetica di Croce.  Saggio sulla monada e la diada, vinse il concorso per l'insegnamento di storia e filosofia nei licei. Dopo una prima assegnazione al liceo Grattoni di Voghera, ottenne la cattedra di filosofia a Trieste. Qui conobbe e frequentò, fra gli altri, Saba (ritratto poi in Un poeta) ed anche Gambini, Pincherle ed Curiel.  Nella collana scolastica che Giovanni Gentile diresse per Sansoni, pubblica “Diadologia”. La diadologia lo costrinse ad affrontare studi di logica e semantica. Riparte da Kant e dalla problematica kantiana, e medita sulle conseguenze che la fisica quantica e la psicanalisi potevano avere per la dissoluzione di impostazioni filosofiche tradizionali. Quando, come si legge in Un poeta,Saba gli domanderà, ‘Perché fa filosofia?’, Colorni concluse che da quel giorno, ‘io non faccio più filosofia’. Non e la filosofia che rifiuta, ma un orientamento legato a quell'idealismo di cui erano seguaci Croce come Gentile e Martinetti. In occasione di un congresso di filosofia a Parigi, incontra Rosselli eTasca. In quanto ebreo e rinchiuso a Varese. I giornali pubblicarono la notizia con gran risalto, sottolineando che egli “di razza ebraica, manteneva rapporti di natura politica con altri ebrei residenti in Italia e all'estero”.  La sottolineatura sul “complotto ebraico” serviva a giustificare la legislazione anti-semita appena varata in Italia dal regime, per potersi così allineare alla linea politica seguita dagli alleati nazisti. Confinato a Ventotene, dove prosegue i suoi studi filosofici, e conversa intensamente con gli altri compagni confinati, Rossi, Doria e Spinelli. Un'eco fedele di quelle discussioni si ritrova in “Conversazioni di Commodo”. Risale a questo periodo la sua adesione alle idee federaliste europee, stesurando il Manifesto per un’Europa libera e unita. Saggio: Problemi della Federazione Europea, che raccoglieva il Manifesto ed altri scritti sul tema. Nella sua "Prefazione" al Manifesto, auspicò la nascita di una politica federalista europea di respiro “universalista”, come scenario democraticamente praticabile dopo la catastrofe della guerra. In tale ottica, la creazione di una federazione di stati europei era da lui considerata come condizione indispensabile per un profondo rinnovamento sociale, anche per iniziativa popolare, che partendo dagli enti territoriali avrebbe coinvolto tutta l’Italia e, quindi, l’intera Europa.  Circa le dinamiche che portarono alla stesura del Manifesto, è generalmente ricondotto ai soli Spinelli e Rossi il contributo maggioritario del testo, sebbene, alcuni recenti studi storiografici, abbiano seriamente rivalutato il suo ruolo. Di trinità si tratta, e lo spirito santo della situazione è lui, che partecipa alle discussioni preparatorie alla stesura del Manifesto assieme a poche altre persone, ed ebbe una parte di rilievo, soprattutto nella funzione di stimolo e di critica, dal suo punto di vista di socialista autonomista, verso i due autori del documento, fino al suo trasferimento a Melfi, benché comunque i contatti non cessassero del tutto. Grazie anche all'intervento di Gentile, riusce ad essere trasferito a Melfi, in provincia di Potenza, dove, nonostante lo stretto controllo della polizia, riusce ad avere contatti con alcuni degli anti-fascisti locali.  Assieme con Geymonat, elabora il progetto di una rivista di metodologia scientifica.  Riuscì a fuggire da Melfi, rifugiandosi a Roma, dove visse da latitante.  Dopo la capitolazione di Mussolini si dedica all'organizzazione del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, nato dalla fusione del PSI col gruppo del Movimento di Unità Proletaria.  Partecipò, assieme a Spinelli, Rossi, Doria, Braccialarghe e Foa, in casa di Rollier a Milano, alla riunione che diede vita al Movimento Federalista Europeo. Il movimento adottò come proprio programma il "Manifesto di Ventotene". Svolse nella capitale un'intensissima attività nelle file della Resistenza. Prese parte alla direzione del PSIUP e s'impegna a fondo nella ricostruzione della Federazione Socialista Italiana e nella formazione partigiana della prima brigata Matteotti.  “Io ero da poco stato nominato segretario della Federazione Socialista per suggerimento e per decisione di Pertini, che era membro della segreteria del partito in quell'epoca. Avevamo organizzato una chiamiamola brigata, anche se era un gruppo armato che era comandato da Colorni che poi è  assassinata alla vigilia della liberazione di Roma. Fu redattore capo dell'Avanti! Clandestine. Così Pertini ricorda il suo impegno per la stampa del giornale socialista:  «Ricordare l'Avanti! clandestino di Roma vuol dire ricordare prima di tutto due nostri compagni che a forte ingegno unevano una fede purissima, entrambi caduti sotto il piombo fascista: Colorni e Fioretti. Ricordo come Colorni, mio indimenticabile fratello d'elezione, si prodiga per far sì che l'Avanti! uscisse regolarmente. Egli in persona, correndo rischi di ogni sorta, non solo scrive gli articoli principali, ma ne cura la stampa e la distribuzione, aiutato in questo da Fioretti, anima ardente e generoso apostolo del socialismo. A questo compito cui si sente particolarmente portato per la preparazione e la capacità della sua mente, Colorni dedica tutto se stesso, senza tuttavia tralasciare anche i più modesti incarichi nell'organizzazione politica e militare del nostro partito. Amava profondamente il giornale e sogna di dirigerne la redazione nostra a Liberazione avvenuta e se non fosse stato strappato dalla ferocia fascista, sarebbe stato il primo redattore capo dell'Avanti! in Roma liberata e oggi ne sarebbe il suo direttore, sorretto in questo suo compito non solo dal suo forte ingegno e dalla sua vasta cultura filosofica, ma anche dalla sua profonda onestà e da quel senso del giusto che ha sempre guidato le sue azioni. Per opera sua e di Fioretti, l'Avanti! era tra i giornali clandestini quello che aveva più mordente e che sapeva porre con più chiarezza i problemi riguardanti le masse lavoratrici. La sua pubblicazione veniva attesa con ansia e non solo da noi, ma da molti appartenenti ad altri partiti, i quali nell'Avanti! vedevano meglio interpretati i loro interessi. Nella Roma occupata dalle forze naziste, in una tipografia nascosta di Monte Mario, fece stampare 500 copie di un libriccino di 125 pagine intitolato Problemi della Federazione Europea, contenente il "Manifesto di Ventotene".  Il 28 maggio del 1944, pochi giorni prima della liberazione della capitale, venne fermato in via Livorno da una pattuglia di militi fascisti della famigerata banda Koch. Tenta di fuggire, ma fu raggiunto e ferito gravemente da tre colpi di pistola. Trasportato all'Ospedale San Giovanni, muore sotto l’identità di ‘Franco Tanzi’. Indomito assertore della libertà, confinato durante la dominazione fascista, evadeva audacemente dedicandosi quindi a rischiose attività cospirative. Durante la lotta antinazista, organizzato il centro militare del Partito Socialista Italiano, dirigeva animosamente partecipandovi, primo fra i primi, una intensa, continua e micidiale azione di guerriglia e di sabotaggio. Scoperto e circondato da nazisti li affrontò da solo, combattendo con estremo ardimento, finché travolto dal numero, cadde nell'impari gloriosa lotta. Tre lapidi esistenti, una, posta nel 1982 dalla III Circoscrizione del Comune di Roma è semilleggibile perché scurita dal tempo, un'altra, posta nel 1978 dal Partito Socialista Italiano, è spaccata in due e un'ultima, posta nel 2004 sempre dalla III Circoscrizione del Comune di Roma, contiene un errore.  Foto delle tre lapidi.  Altre opere: “Scritti, Norberto Bobbio, la Nuova Italia, Firenze); “Il coraggio dell'innocenza, Luca Meldolesi, La Città del Sole (Istituto Italiano per gli Studi Filosofici), Napoli); “Un poeta” (Il Melangolo, Genova); “La malattia della metafisica” (Einaudi, Torino). Dizionario Biografico degli Italiani. L'itinerario politico di Eugenio Colorni, in Id., Il socialismo riformista tra politica e cultura, Il socialismo federalista di Eugenio Colorni, tesi di laurea, Università degli studi di Firenze, Anno Accademico, Gaetano Arfé, Eugenio Colorni, l'antifascista, l'europeista, in , Matteotti, Buozzi, Colorni. Perché vissero, perché vivono, Franco Angeli, Milano, Sandro Gerbi, Tempi di malafede. Una storia italiana tra fascismo e dopoguerra. Guido Piovene ed Eugenio Colorni, Einaudi, Torino e Hoepli, Milano, . Geri Cerchiai, L'itinerario filosofico di Eugenio Colorni, in «Rivista di Storia della Filosofia», Stefano Miccolis, Colorni e Croce”. Talvolta non si distingue debitamente fra l’emergere originario di un testo nell’opera di un filosofo e il suo riemergere, o diffondersi, in altri tempi o contesti. In tal modo, proprio la tragedia del Novecento ha spostato spesso, rispetto alla composizione, la diffusione di scritti intrisi di attualità. Poche volte, come nel Novecento, è stato così vistoso il fenomeno delle letture differite. Ora, e al di là della nota di polemica che affiora da un montaggio tendenzioso fino al limite delle falsificazione – questo è quanto è all’incirca avvenuto per Colorni: scoperti (o riscoperti), dopo la morte dell’autore, in quel particolare contesto del quale si sono nutrite le due stesse riviste, “Analisi” e “Sigma” – che, insieme con «Aretusa», li hanno per prime pubblicati, a tale contesto sono rimasti giocoforza legati, venendo così ad essere proiettati all’interno di una tradizione e di un dialogo almeno parzialmente diverso dal loro, condotto in un altro linguaggio. Si è parlato, a proposito di tale linguaggio, dello spirito del ’45, e sovente si è visto in esso, da parte degli stessi animatori, una vera e propria prosecuzione, in campo culturale, delle istanze portate avanti dalla Liberazione. Alla “dittatura dell’idealismo”– il cui [Razionalismo e prassi a Milano: La cultura milanese vive profondamente quello “spirito del ’45” fatto anche di semplificazione e di attivismo, di fiducia ingenua nell’anno zero, nella svolta politico-sociale in corso, ma soprattutto di un nesso inscindibile con la liberazione e la Resistenza. La dittatura dell’idealismo è il titolo dato da Cantoni ad un articolo apparso sul Politecnico di Vittorini. Espressione di un comune sfondo sociale e di una comune struttura economica, le filosofie di Croce e Gentile si sarebbero unite, nella prospettiva di Cantoni, in una sorta di convergenza sociologica con il regime, riuscendo così a rimediare una posizione di singolare monopolio per la cultura idealista. Certamente, e una grossolanità speculativa e un errore storico identificare il destini del fascismo col destino dell’idealismo, anche se questa identificazione di fatto si verifica nella persona del maggior rappresentante filosofico dell’idealismo italiano, Gentile. In realtà, molti idealisti, dal Croce al De Ruggiero, staccarono, prima o dopo, le loro sorti da quelle del regime. Eppure, al di sotto della dichiarata e sincera avversione, un filo, inconscio spesso ma tenace, lega tra loro gli avversari e ne permetteva una, sia pure scomoda, convivenza. Questo filo era costituito dal loro comune, e inconfessato carattere *conservatore*. Lo spiritualismo idealista agì come una dittatura logica. Avendo in mano cattedre e riviste, gli idealisti facevano il bello e il cattivo tempo nella filosofia, facendo decadere al piano della non-filosofia gli avversari positivisti ed logico-empiristi. Alcune opinioni sul crocianesimo che, oltre ad essere meno drastiche, risultano per certi aspetti accostabili ad analoghi spunti della critica colorniana. Vale la pena di rimettersi a una revisione intelligente dell'idealismo italiano, rimanendo idealisti] filosofia viene assimilata alla sorte del regime – si è così tentato di opporre una filosofia più aperta al dibattito contemporaneo ed internazionale, fosse esso identificabile con le correnti fenomenologico-esistenziali o con quelle più strettamente epistemologiche ispirate al positivismo o empirismo logico del Circolo di Vienna. Quest’ultimo, d’altro canto, viene in Italia presentato da Geymonat con parole quanto mai indicative del clima che ne accoglieva i principi. L’indirizzo filosofico, che qui viene esposto difeso e sviluppato è e vuole essere un vero e proprio razionalismo, sebbene non attribuisca alla ragione un valore assoluto e dogmatico come gli antichi indirizzi che vantano il medesimo nome. Gli è che il razionalismo deve essere ben più agguerrito e penetrante di quelli che caratterizzarono i secoli passati. Deve essere: critico, ossia capace di tenere nel dovuto conto le obiezioni mosse contro la pura ragione dalla filosofia mistica e decadente; costruttivo, cioè in grado di soddisfare le esigenze di ri-costruzione e di logicità caratteristiche della nuova epoca; aperto, cioè capace di affrontare i problemi sempre nuovi che la scienza e la prassi pongono innanzi allo spirito umano. Gli Studi per un nuovo razionalismo, che raccoglievano le ricerche di un intero ventennio (il testo più datato, Le idee direttive del neo-empirismo, era stato pubblica Ciò che si può apprezzare in Croce, da questo punto di vista, è il suo tentativo di sciogliere il pensiero dai legami colla filosofia metafisica per avvicinarsi a una filosofia intesa come chiarificazione dell’esperienza, intesa cioè come trapasso dalla metafisica alla metodologia. Croce si sarebbe in tal modo inserito nella corrente più viva della filosofia, non riuscendo tuttavia (e in questo consisterebbe il suo maggior limite) a rompere completamente i ponti con la metafisica specuativa. Croce non ha quindi tanto combattuto la metafisica speculativa quanto sostituito alla metafisica trascendente la metafisica immanente. Per una ricostruzione più esaustiva delle diverse posizioni di Cantoni su Croce, si rimanda a R. Franchini, Remo Cantoni critico di Croce, in C. Montaleone e C. Sini (a cura di), Remo Cantoni, filosofia a misura della vita, Milano, Guerini, Cfr. N. Bobbio, Introduzione, in E. Colorni, Scritti, Firenze, La Nuova Italia. Tra il 1930 e il 1940 avviene la crisi dell’idealismo, cui segue la ricerca di nuove vie, proprio ad opera della generazione di Colorni. […] le vie battute per uscire dalla crisi sono soprattutto due: quella che passa attraverso una riflessione sulle trasformazioni avvenute in seno al sapere scientifico e che dà origine a una filosofia scientifica, risolutamente anti-metafisica, qual è il positivismo logico, cui aprono la strada gli studi di Ludovico Geymonat; e quella che passa attraverso l’esistenzialismo (Abbagnano, il primo Luporini)». 7 L. Geymonat, Studi per un nuovo razionalismo, Torino, Chiantore. Come ha fatto notare Mario Dal Pra, e a conferma di quanto si scriveva di sopra, l’accostamento in questo passaggio dei termini “ricostruzione” e “logicità” sembra diretto a far pensare che «l’avversione alla metafisica del neoempirismo e l’avversione alla dittatura fascista da parte del movimento di liberazione abbiano per Geymonat una comune radice» (M. Dal Pra, Il razionalismo critico, in A. Bausola, G. Bedeschi et al., La filosofia italiana dal dopoguerra a oggi, Roma-Bari, Laterza. Geri Cerchiai 4 to per la prima volta nel 1935 con il titolo Nuovi indirizzi della filosofia austriaca), fu significativamente fatto uscire, nel 1945, con la medesima data di stampa del giorno della Liberazione di Milano; e in quello stesso mese di aprile apparve il primo numero della rivista «Analisi» che, come si è accennato, contribuì fra le prime, con la pubblicazione del frammento intitolato Filosofia e scienza, alla diffusione dell’epistemologia colorniana9 . Ed è proprio da una lettura di «Analisi» e «Sigma» che è possibile sommariamente inquadrare il contorno di quel periodo storico al quale si deve la prima scoperta dell’epistemologia colorniana. Voluta da Giuseppe Fachini, «Analisi» fu stampata per cinque numeri fino al 1947, mutando il nome, nel corso delle pubblicazioni, in quello di «Analysis». L’«esperienza personale che io avevo fatto», racconta Fachini circa la nascita della rivista, mi aveva convinto della necessità di una piattaforma di incontro interdisciplinare. Allora in Italia mancava qualcosa di simile. La guerra spezzò agli inizi i miei tentativi. Gli eventi bellico-politici stessi, per conto loro, mi portarono […] a profonda solidarietà mentale con Livio Gratton. Nacque così l’idea di «Analysis»: con ambizioni editoriali infantilmente dissonanti col momento. Trovammo poi nel Buzzati-Traverso un biologo “fisicalista” […] ma aperto ad ogni esperienza. Tra i “filosofi” professionali (a formazione cioè tradizionalmente filosofico-letteraria) il Banfi, cui mi ero rivolto, mi indicò l’allievo suo Giulio Preti, come fornito di interessi e preparazione fisico-matematica, allora rara nel “filosofo”. Per inciso, ricordo i miei contatti con un altro giovane “filosofo” con preparazione e interessi analoghi: Eugenio Colorni10 . I temi portati avanti dalla rivista furono sostanzialmente due: l’interesse per la metodologia delle scienze – attraverso la quale indagare la possibilità di un fondamento comune alle diverse discipline – e la volontà di mantenersi all’interno di un’impostazione strettamente antimetafisica11. La collaborazione fra 8 In «Rivista di filosofia». Cfr. E. Colorni, Filosofia e scienza, in «Analisi». D’ora innanzi si indicheranno gli scritti raccolti in questa edizione col solo titolo seguito dal numero di pagina. Di «Analisi» e «Sigma», con specifico riferimento alla figura di Eugenio Colorni, si è occupato M. Quaranta, La “scoperta” di Eugenio Colorni nelle riviste del secondo dopoguerra. Gli scritti sulla relatività, in G. Cerchiai e G. Rota (a cura di), Eugenio Colorni e la cultura italiana fra le due guerre, Manduria-Bari-Roma, Lacaita. “Analysis”: trent’anni dopo, testimonianza di Giuseppe Fachini, in Analisi. Milano, riletta da M. Quaranta, con testimonianze di G. Fachini, S. Ceccato, L. Geymonat, L. Gratton, E. Poli, Bologna, Arnaldo Forni Editore. Aggiunge Fachini, a proposito della sua formazione, che l’«impulso a uno sforzo collettivo interdisciplinare era sorto in me dai primi contatti con l’ambiente mentale del neopositivismo logico», ma che la «soluzione neopositivista, verso cui ero in un primo tempo quasi costretto, mi si rivelò presto insoddisfacente per l’irrigidimento formale, verso cui stava avviandosi. Il «periodico», si affermava nel Programma pubblicato sul primo numero, era «inteso ad offrire un luogo di libera discussione a quanti abbiano interesse ai problemi di metodologia e di critica della scienza, nello sforzo di purificare ed universalizzare il linguaggio  Cinque scritti metodologici di Eugenio Colorni 5 scienziati e filosofi fu uno degli aspetti qualificanti della pubblicazione, ma fu anche d’impedimento ad un’armonica composizione delle sue diverse anime, concorrendo in definitiva alla conclusione dell’esperienza: «L’incontro con i fondatori e la rivista», racconta a questo proposito Silvio Ceccato, avvenne per chiamata gentile. Io mi trovavo in parabola neo-positivistica o logico-empiristica discendente. Il filone che cominciava ad interessarmi era ormai piuttosto quello di P.W. Bridgman e di H. Dingler, comunque un filone operativo. Questo difficilmente avrebbe permesso una intesa con i due filosofi del gruppo, L. Geymonat e G. Preti. Una collisione non poteva tardare anche con il più aperto filosofo ufficiale, Antonio Banfi, più storico, più umanista. Un certo divario di lavoro si venne a creare anche con gli scienziati in quanto per lo scienziato di discipline assestate e floride, come la fisica, la biologia, l’anatomo-fisiologia, etc., la metodologia si può aggiungere come ornamento, come divertimento. Ma non per me. Così terminate le pubblicazioni di «Analisi», la sua eredità venne raccolta, in quello stesso 1947, dalla rivista romana «Sigma», fondata da Vittorio Somenzi e Giuseppe Vaccarino13. Il periodico – che riportava il sottotitolo di «Conoscenza unitaria» – si proponeva di riunire, come si legge nella seconda di copertina, «una limitata quantità di elementi atti a determinare una concezione unica della conoscenza». La nota di presentazione della rivista precisava poi i confini all’interno dei quali si intendevano muovere i curatori: «si va facendo evidente che esaurire la scienza nel tecnicismo dello specialista è dannoso – non solo ai fini della costituzione di un sistema unitario della conoscenza scientifica, ma anche nei riguardi degli stessi progressi tecnici nei singoli settori»14. Da qui specialistico verso una comune impostazione dei modi fondamentali, pur essi comuni, con cui si edifica e modifica il sapere scientifico». Unico limite, in tal senso, era quello di non «travalicare di là dalla metodologia in una sistematica della scienza [per] fare della metafisica insaputa e inutile» (Il programma, in «Analisi»). 12 “Analysis”: trent’anni dopo, testimonianza di S. Ceccato, in Analisi. Milano 1945. In una lettera a Giuseppe Vaccarino del 3 maggio 1947, Vittorio Somenzi rilegge la storia di «Sigma» con le parole seguenti: «La rivista è nata con la modesta intenzione di pubblicare il vecchio materiale tuo, di Colorni e Cotone, mio. E di esaurirlo coi primi numeri. Poi si è visto che, se non altro dato il costo della carta e stampa, conveniva pubblicare un tentativo di sintesi organica, sia pure provvisoria, del tuo – e limitare quello dei due C. e mio a ciò che poteva avere ancora interesse dal punto di vista filosofico. Infine è sorta l’idea, con la crisi di Analisi, di prenderne il posto con il programma serio di Metodo. Già l’impostazione dei primi due numeri ci alienerà le simpatie dei Castelli, Blanc, Fantappié ecc., ma anche dei Filiasi e Geymonat (l’interessamento di quest’ultimo è condizionato alla possibilità di una nostra conversione al materialismo dialettico/razionalista tipo “La Pensée”). Attualmente spero solo nei Servadio e magari Spirito, Savinio e stop» (“Sapienza” Università di Roma, Biblioteca del dipartimento di Fisica, Fondo Vittorio Somenzi, sez. 3, Attività professionale, 1929-2003, serie 2, Carte di lavoro non organizzate, 4, Collaborazione con Giuseppe Vaccarino, b. 1, Vaccarino, 1943-1948. Da ora in avanti, il Fondo sarà abbreviato con la sigla FS, seguita dall’indicazione dei riferimenti completi d’inventario). 14 La conoscenza unitaria, in «Sigma». Scriveva Giuseppe Vaccarino a Vittorio Somenzi il 14 ottobre 1946 riguardo a questa nota: «Rileggendo la tua edizione riveduta della Conoscenza unitaria penso che possa andare come presentazione anonima, specie se sarà da  Geri Cerchiai 6 avrebbe anche dovuto discendere il ruolo della ricerca metodologica, che – comprendendo un discorso più largamente critico-filosofico – avrebbe dovuto fissare le norme dirette ad unificare in sistema le scienze particolari o la conoscenza in genere. Come «Analisi», anche «Sigma» ebbe però vita breve, e dopo sei numeri una nota editoriale ne annunciava la confluenza nella rivista «Methodos». Questo fu dunque lo sfondo culturale che vide nascere l’interesse per la filosofia colorniana, un interesse che, attraverso la pubblicazione di alcuni testi del filosofo milanese, richiamava alla ricostruzione della filosofia empiristica italiana (come la proposta del ebraico-britannico Ayer a Oxford) come tradizione anti-metafisica e anti-idealistica e capace di attuare un profondo rinnovamento negli orientamenti teoretici nazionali. D’altra parte, che il pensiero di Colorni fosse in certa misura vicino alle posizioni espresse da «Analisi» e «Sigma» è testimoniato, oltre che dalle singole scelte di politica editoriale delle due riviste, da quanto raccontato dagli stessi protagonisti: «Ricordo con precisione», ha scritto ad esempio Fachini sul secondo numero di «Analisi», le conversazioni di quell’epoca: credo di poter affermare, per esperienza personale, che il Colorni, giovanissimo sia stato tra i primi italiani di preparazione filosofica a tentare di accogliere e di comprendere, in modo serio, le nuove affermazioni epistemologiche. La più gran parte del suo lavoro è inedita: molte pregevoli cose egli ha lasciato: e forse potrebbe indicarci vie nuove. Gli amici di «Analisi» auspicano di poter far conoscere in cerchio vasto il suo lavoro, a vantaggio della ricerca metodologica e in omaggio alla sua memoria Somenzi, a sua volta, scrivendo a Giuseppe Vaccarino della pubblicazione degli scritti colorniani su «Sigma», afferma: Per Sigma convinciti che i nostri scritti, incomprensibili per virtù proprie dalla maggioranza dei competenti, l’hanno irrimediabilmente “condannata” e che quelli di Colorni sono ancora i migliori che potessimo o possiamo esibire, oltre che i più vicini al nostro ordine di idee. “Fisica teorica e filosofia” di Colornimerita senz’altro la pubblicazione sul numero che spero di riuscire a dedicare a questo argomento19 . Rievocando poi il Progetto di una rivista di metodologia scientifica – da Colorni discusso fra gli altri con Ludovico Geymonat durante gli anni della guerra – ante ulteriormente ampliata. Effettivamente rileggendo il mo testo subito dopo averlo scritto non avevo avuto una buona impressione. Ma ora mi è piaciuto» (FS, sez. 5, Corrispondenza, gen. 28, serie 1, Corrispondenza scientifica, gen. 28, 135, Vaccarino Giuseppe, 1946-1948. 15 La conoscenza unitaria, cit., p. 4. 16 F. Cambi, Razionalismo e prassi a Milano, G. Fachini, Eugenio Colorni, in «Analisi», I, 1945, 2, pp. 105-106. 18 Si tratta di E. Colorni, Critica filosofia e fisica teorica. 19 Lettera di Vittorio Somenzi a Giuseppe Vaccarino. Alcuni inediti riconducibili a tale progetto sono presentati in M. Quaranta, La “scoperta” di Eugenio Colorni, cit., cfr. in part. le pp. 126-130. Per i testi di FS destinati alla rivista metodologica. Cinque scritti metodologici di Eugenio Colorni 7 cora Somenzi ha sottolineato nel 1986 come esso corrispondesse «nella sostanza a molte realizzazioni degli ultimi quarant’anni, da riviste come “Analysis” a collane di volumi di filosofia della scienza e di storia della scienza quali quelle impostate a Milano e Torino [dallo stesso] Geymonat e da Paolo Rossi»21 . A partire da queste premesse, appare evidente come la storia della riscoperta colorniana nel dopoguerra possa concorrere a gettare luce su alcuni fondamentali aspetti dello stesso pensiero dell’autore; essa ne evidenzia difatti la novità di prospettiva e la conseguente, connaturata disposizione a dialogare coi più avanzati ambienti filosofico-culturali del nostro Paese. Ciò che tuttavia rende affatto esemplare la filosofia colorniana, concorrendo a fare di essa un importante «contributo alla comprensione del travaglio della filosofia italiana al momento del declino della preponderanza idealistica, non è soltanto la particolare modalità della sua ricezione nella seconda metà degli anni Quaranta, ma anche la complessiva parabola intellettuale seguita dal giovane studioso per giungere alle posizioni metodologiche degli ultimi anni. 2. Fonti e maestri Colorni fu allievo di Giuseppe Antonio Borgese e di Piero Martinetti alla Regia Università di Milano. Nel raccontare della formazione universitaria del giovane Eugenio, Enzo Tagliacozzo ha scritto a questo proposito: va ricordata l’influenza che sui suoi studenti ebbe allora una personalità come quella di Borgese, che Eugenio e compagni chiamavano scherzosamente G.A. Era uno di quei pochi professori che non disdegnavano allora di soffermarsi a discutere dopo la lezione con i propri studenti. Altra influenza determinante per i suoi studenti quella dell’austero Piero Martinetti che spiegava Kant alle otto del mattino. Martinetti avviava gli studenti al rigorismo dell’etica kantiana, mentre il brillante G.A., più alla mano, discuteva di estetica e letteratura comparata23 . I debiti con l’insegnamento di Borgese, d’altro canto, sono resi espliciti dallo stesso Colorni, che in un suo curriculum universitario afferma: Durante i miei studi mi sono occupato specialmente di problemi filosofici ed estetici e, sotto la direzione del Borgese, ho redatto lavori su L’estetica di Roberto Ardi21 V. Somenzi, Eugenio Colorni filosofo della scienza, in «Filosofia e società»,  N. Bobbio, Introduzione, cit., p. VI. 23 E. Tagliacozzo, L’uomo Colorni, in «Tempo presente». Prosegue poi Tagliacozzo nella pagina seguente: «Martinetti […] indusse [Eugenio] ad approfondire Kant, amò Spinoza dopo la prima infatuazione per l’idealismo italiano. E chi in quegli anni non lesse Croce e Gentile, ma specie Croce? […] Eugenio conobbe Hegel, ma non fu mai hegeliano. Studiò dal punto di vista filosofico Marx, ma non fu mai marxista. Dopo un’esercitazione sul positivismo – e si noti l’influenza borgesiana nell’approfondimento dei problemi estetici – si indirizzò verso Leibniz» (ivi, p. 54). Geri Cerchiai 8 gò e del positivismo italiano, L’estetica bergsoniana e L’estetica di Benedetto Croce. Quest’ultimo studio è stato pubblicato più tardi a Milano dalla casa editrice “La Cultura”24 . Più complesso, e forse maggiormente studiato, è il rapporto di Colorni con Piero Martinetti, col quale l’autore si laureò nel 1930 su Sviluppo e significato dell’individualismo leibniziano. Il primo, fondamentale impulso all’approfondimento di Leibniz25; l’introduzione alla filosofia di Kant26; il rifiuto del metodo dialettico27; l’urgenza di rinvenire una nuova, diversa organizzazione del nesso fra individuale ed universale, sono elementi che stringono Colorni al magistero martinettiano e che risultano fondamentali per la più generale formazione del filosofo milanese. Al di sotto di tutti è poi presente l’esigenza di individuare il corretto rapporto fra l’analisi della realtà e la sua organizzazione sistematica, esigenza il cui movimento e la cui parabola all’interno della propria maturazione intellettuale sono così descritte, ne La malattia filosofica, dallo stesso protagonista: 24 Curriculum vitae di Colorni, s.d., in Archivio Hirschmann, Roma, citato in S. Gerbi, Tempi di Malafede. Guido Piovene ed Eugenio Colorni. Una storia italiana tra fascismo e dopoguerra, nuova edizione Milano, Hoepli, pp. 41-42. Cfr.: E. Colorni, L’estetica di benedetto Croce. Studio critico, Milano, La Cultura; Id., Roberto Ardigò, in «Pietre», firmato con lo pseudonimo di Carlo Rosemberg; per una storia di questa pubblicazione rinvio ad A. Vigorelli, Antifascismo tra i giovani: il caso di “Pietre”, in Eugenio Colorni e la cultura italiana, a cura di G. Cerchiai e G. Rota, cit., pp. 251-266); lo scritto sul bergsonismo è tuttora inedito. È lo stesso Colorni, ne La malattia filosofica, a raccontare come si svolgevano, durante le lezioni di Borgese, le esercitazioni dalle quali è nato ad esempio lo studio su Croce: «All’università si dà continuamente battaglia contro Croce. Ogni settimana, uno studente sale sulla cattedra per discutere coi compagni e col professore […]. Salire anche lui su quella pedana, gli piacerebbe tanto: ma per che dire? Tenterà, ad ogni modo» (E. Colorni, La malattia filosofica, p. 26). Sul rapporto fra Colorni e Borgese rimando ad A. Riosa, Giuseppe Antonio Borgese ed Eugenio Colorni tra letteratura e politica, in G. Cerchiai e G. Rota (a cura di), Eugenio Colorni e la cultura italiana. Nello stesso periodo nel quale si laureava Colorni, altri due allievi di Martinetti, Giovanni Emanuele Barié e Carlo Emilio Gadda, venivano indirizzati dal maestro allo studio del filosofo di Lipsia. Si veda, a mero titolo di esempio, quanto lo stesso Martinetti scriveva nel 1926 a Gadda: «Se fra tre o quattro anni Ella potesse uscire con una bella esposizione di Leibniz (non tema d’avere concorrenti in questo argomento!) la via dell’università (per storia della filosofia) Le sarebbe aperta» (Lettera di Piero Martinetti a Carlo Emilio Gadda, 24 febbraio 1926; in P. Martinetti, Lettere a Carlo Emilio Gadda, a cura di G. Lucchini, in «I quaderni dell’ingegnere. Testi e studi gaddiani», Cfr. anche: G. Cerchiai, Due inediti di Giovanni Emanuele su Leibniz, in «Rivista di storia della filosofia», LIII, 1998, pp. 125-136; Id., Eugenio Colorni lettore di Leibniz, in Eugenio Colorni e la filosofia italiana, cit., pp. 159-176. 26 Si veda la testimonianza di Tagliacozzo riportata poco sopra. Per il clima nel quale poteva essere riletto Kant durante le lezioni martinettiane (con particolare riferimento alle vicende relative a Colorni), si rimanda a S. Gerbi, Tempi di malafede, cit., p. 39. 27 Una delle poche citazione dirette di Colorni presenti nel libro sull’estetica crociana rinvia proprio allo scritto di Martinetti intitolato Il metodo dialettico (in «Rivista di filosofia), là dove Colorni scrive: «perché, per quale forza o per quale principio questa implicazione dei contrari debba presentarsi quasi come una generazione dell’uno da parte dell’altro, è difficile a intendersi. Perché si deve dire che il Non-io, il quale è, per la sua stessa definizione, inseparabile dall’Io, sgorga, si svolge, si origina da esso? Che il particolare nasce dall’universale?» (E. Colorni, L’estetica di Benedetto Croce, cit. p. 11). Cinque scritti metodologici di Eugenio Colorni. Il problema che lo occupa è sempre il posto, la collocazione delle facoltà nel mondo dello spirito. A un certo punto, gli balena la possibilità che questi elementi di cui cercava con tanto accanimento l’ordine e la collocazione, non patiscano alcun ordine: possano vivere così, separati, paralleli, autonomi. L’idea lo entusiasma. Gli sembra di avere ora fatto veramente un passo innanzi. E non pensa più tanto a definire e a ordinare, quanto a descrivere. Ma questo procedere dovrà pure avere una sua giustificazione teorica, dovrà pure inquadrarsi in una visione del mondo, avere un suo nome che termina in -ismo. Pierino [alter ego di Colorni] si butta sui pluralisti, sugli empiriocriticisti: studia Mach e Avenarius, si addentra nel labirinto di Leibniz. Su queste basi, si può dire che quello che altrove ho definito il “problema dell’ordine” divenga, talvolta anche solo per contrasto, uno dei fili conduttori dell’intera riflessione colorniana: impostato fin da L’estetica di Benedetto Croce, esso cercherà una prima, instabile sistemazione nella filosofia di Leibniz, per trovare poi nella rilettura metodologica ed epistemologica del criticismo kantiano una soluzione – o, come potrebbe dirsi: dissoluzione – affatto originale. Al fine di seguire il movimento del pensiero di Colorni da questo punto di vista, può essere utile rileggere le parole dell’autore stesso. E. Colorni, La malattia filosofica, p. 29; cfr. anche ibidem, n. 19 del curatore. Di Leibniz dirò in seguito, in questo stesso paragrafo. Per quanto riguarda l’accenno agli empiriocriticisti, si rimanda a quanto scritto da Luca Guzzardi nel 2011, il quale, esaminando precisamente la radice dei riferimenti colorniani a Mach, Avenarius e Schuppe, ne ha riconosciuto l’origine proprio nell’insegnamento di Martinetti: «Colorni», spiega Guzzardi, «aveva potuto trovare una valutazione positiva di questo pluralismo, nonché delle “filosofie dell’esperienza” di Schuppe, Avenarius e Mach, nell’Introduzione alla metafisica di Piero Martinetti. D’altra parte, ai primi del Novecento Martinetti aveva indirizzato allo studio di Mach, Avenarius e Schuppe, un giovane e promettente allievo, Aurelio Pelazza. Tali circostanze», secondo Guzzardi, «fanno ritenere», insieme con altre che dovrebbero essere approfondite, «che l’interesse originario di Colorni per l’empiriocriticismo sia da collegare a Martinetti e Pelazza» (L. Guzzardi, Lo specchio della natura. Colorni e la cultura scientifica del suo tempo, in Eugenio Colorni e la cultura italiana, a cura di G. Cerchiai e G. Rota, cit., pp. 177-195, pp. 188-189). Prosegue Guzzardi in queste stesse pagine: «Non solo Schuppe e Avenarius vengono citati da Colorni nella recensione all’Introduzione alla metafisica; qui si trova pure accennato fra i meriti di Martinetti “quel concetto di esperienza pura e obiettiva che egli sembra indicare come via di uscita dalle difficoltà in cui il pensiero moderno si trova impigliato” – e l’esperienza pura [reine Erfahrung], attorno a cui Pelazza aveva costruito la propria presentazione dell’empiriocriticismo, aveva costituito il punto d’approdo della filosofia di Avenarius» (ivi, p. 189). La recensione Sull’“Introduzione alla metafisica” di Piero Martinetti si trova ora alle pp. 52-57 dell’edizione Einaudi degli scritti colorniani. A tutto ciò si può aggiungere che Colorni accostò all’empiriocriticismo anche la filosofia di Benedetto Croce: «L’individualismo del Croce […] non è necessariamente in contrasto col suo idealismo: risolve piuttosto il principio dell’autocoscienza – che è essenziale all’idealismo – in una coscienza del pensiero nella effettualità del suo pensare; identifica il punto di partenza soggettivo col suo necessario correlato oggettivo, l’universale col particolare. In questo senso si avvicina piuttosto a forme di contingentismo e di empiriocriticismo; e in questo senso appunto è giustificabile il suo tenersi al dato e partire da esso: in quanto questo dato non può essere inteso che come uno stato d’animo, un’esperienza che debba essere vissuta intensamente, e da cui si debba trarre a volta a volta l’assoluto» (E. Colorni, L’estetica di Benedetto Croce, cit., p. 6). 29 Cfr. G. Cerchiai, L’itinerario filosofico di Eugenio Colorni, in «Rivista di storia della filosofia», Geri Cerchiai 10 Nel libretto su Croce, il problema dell’ordine è inquadrato a partire dalla questione del rapporto fra la «soprastruttura» 30 dialettica del sistema e l’effettivo valore delle singole osservazioni: «Ciò che sta sotto l’organizzazione esteriore», scrive Colorni, è nel crocianesimo il vero sistema, non ancora chiaro e formulato, ma agile e ricco di molteplici possibilità. Ricercare tale ricchezza sotto un’impalcatura in gran parte insoddisfacente è il compito che s’impone a chiunque viva quel pensiero come un’esperienza della propria vita. E seguirne la possibilità di sviluppo anche di là dalla forma che ha dato a se stessa, ci pare il miglior omaggio che si possa rendere a una filosofia31 . Se il “metodo individualistico” così identificato nella filosofia di Croce conduce Colorni a liberare le singole osservazioni «dall’interpretazione che il Croce stesso ne ha data allo scopo di adattarle ad un suo schema presupposto di organizzazione», per cercare di «renderle di nuovo pure» e «ravvisare» di conseguenza «in esse» un sistema «non imposto in precedenza, ma derivante e identico coi dati stessi forniti»32, non può stupire l’interesse teorico nutrito dal filosofo milanese per il secondo dei suoi “auttori”, ossia per il pensiero di Leibniz. Quest’ultimo, infatti, pare offrire precisamente la possibilità di chiudere in un circolo coerente l’analisi empirica del particolare e l’organizzazione sistematica del tutto. Scrive Colorni: Leibniz […] non parte mai con l’intento esplicito di costruire un sistema. La sua attività filosofica si presenta a tutta prima come una grande raccolta di prese di posizione particolari. Eppure il sistema non manca in esse: è anzi continuamente presente. I singoli problemi si mostrano a poco a poco connessi l’uno all’altro; le soluzioni convergono, si giustificano e confermano a vicenda […]. Il sistema non è una pura esteriorità, un concordanza sopravvenuta; è anzi l’anima di ciascuno osservazione, attraverso cui tutto si spiega e si giustifica33 . Per tali motivi, Leibniz rappresenta quasi il contraltare dello storicismo crociano o, meglio ancora, il rimedio alle sue lacune; «Leibniz», infatti, «differisce [proprio] in questo da altri pensatori, apparentemente più coerenti e organizzati, ma la cui ricchezza va cercata al di là del sistema, nelle varie formulazioni particolari»34: vi differisce cioè per il fatto che, come si è visto, il suo sistema si E. Colorni, L’estetica di Benedetto Croce, cit. Scrive ancora Colorni: «chi parta dal mondo stesso e, rendendo eterno e universale ciascun dato di questo, voglia costruire una scienza delle forme possibili di questa universalizzazione e di qui giungere ad una visione complessiva dei modi eterni della realtà e delle loro reazioni reciproche, non pone il sistema all’inizio, come premessa della sua ricerca; ma ad esso giungerà al termine ideale del suo cammino. Colorni, Nota bio-bibliografica, in G. W. von Leibniz, La monadologia, preceduta da una esposizione antologica del sistema leibniziano, a cura di E. Colorni, Firenze, Sansoni. Il riferimento sembra rinviare precisamente alla critica della filosofia crociana. Cinque scritti metodologici di Eugenio Colorni 11 sviluppa spontaneamente dalle singole osservazioni e l’insieme si mostra nella sua completezza attraverso il complesso dei suoi aspetti. E tuttavia, lo scacco della prospettiva leibniziana giungerà a sua volta quando, muovendo da simili presupposti, Colorni dovrà constatare il carattere prettamente soggettivo del tentativo di sistematizzazione da quella realizzato: Leibniz, spiega così Colorni nel suo ultimo scritto sull’argomento, applica all’ordine spirituale quella continuità, quel passaggio ininterrotto, quel procedere da ogni legge ad una legge più vasta, che egli crede di scorgere come l’essenza più profonda del mondo naturale. Che questa stessa continuità e questo allargarsi sia, più che una legge della natura, un’esigenza dello spirito nella considerazione della natura stessa, egli non sospetta36 . L’insuccesso del punto di vista leibniziano consentirà però anche a Colorni di schiudere un più libero sguardo, sciolto ormai dai condizionamenti delle diverse scuole filosofiche, sul criticismo kantiano e sugli strumenti da questo forniti per lo studio dei meccanismi di funzionamento del pensiero. Già nel 1932, Colorni aveva anticipato le due linee – leibniziana e kantiana – della propria filosofia, là dove aveva scritto, in Di alcune relazioni fra conoscenza e volontà, che la monade di Leibniz avrebbe dovuto completarsi con la dottrina kantiana, di modo che l’«universalità della monade, intesa come realtà cosciente, puo coincidere con la trascendentalità del conoscere, inteso come conoscenza reale»37. L’effettivo passaggio ad un più maturo kantismo segna tuttavia per Colorni un punto di svolta fondamentale o, come afferma l’autore stesso, una vera e propria «operazione di cataratta»38, capace di conquistare una diversa prospettiva sul mondo: esso, infatti, consente al giovane studioso di voltare le spalle alla “conoscenza filosofica” e di approdare infine a quella particolare metodica ch’egli presenta come conoscenza prettamente scientifica, intesa cioè come padronanza di un processo. La domanda impossibile (senza senso) della filosofia, spiega così Colorni, pur nella loro rigida formulazione teoretica, sono sempre espressione di qualche tendenza, di qualche profonda esigenza dell’animo. La risposta si dà dunque divenendo padroni del meccanismo psicologico mediante cui la domanda viene posta; essendo capaci di riprodurlo, di seguirlo nelle sue fasi, di variarlo all’infinto. Al problema della realtà, si risponde fabbricando animi per cui l’expressione “realtà” non ha senso. Alla domanda se esiste un mondo in sé in cui la somma degli angoli di un triangolo non sia uguale a due angoli retti, si risponde costruendo una geometria in cui tale somma sia effettivamente maggiore o minore di due retti, e mostrando che tale geometria non è né più né meno vera di quell’altra; ma è, rispetto all’altra, essenzialmente nuova E. Colorni, Libero arbitrio e grazia nel pensiero di Leibniz, E. Colorni, Di alcune relazioni fra conoscenza e volontà. E. Colorni, Critica filosofia e fisica teorica, E. Colorni, Filosofia e scienza, p. 237. 40 E. Colorni, Critica filosofia e fisica teorica, pp. 229-230. Geri Cerchiai 12 È in questo contesto, all’interno del quale Colorni ritiene di essere definitivamente guarito dalla sua «malattia filosofica»41, che vanno collocati i titoli di seguito trascritti e conservati presso la “Sapienza” Università di Roma, Biblioteca del dipartimento di Fisica, Fondo Vittorio Somenzi. Di tali scritti, e degli altri pubblicati dalle riviste «Aretusa», «Analisi» e «Sigma», è lo stesso Somenzi a raccontare la storia nel già citato testo su Eugenio Colorni filosofo della scienza. 3. La metodologia colorniana negli scritti del Fondo Somenzi «Nel 1945», scrive difatti Somenzi, comparve sulla rivista «Aretusa» un Ricordo di Colorni scritto dall’amico Guido Morpurgo-Tagliabue, accompagnato da due inediti stimolanti: Il bisogno dell’unità e Sul complesso di Edipo. Altri inediti mi pervennero attraverso la rivista «Analisi» […], e di questi una parte venne pubblicata su «Analisi» e sulla rivista romana «Sigma» che ad essa si affiancò per iniziativa di Giuseppe Vaccarino e mia. Dal carteggio fra Vaccarino e Somenzi emergono altre importanti informazioni sui dattiloscritti conservati in FS, che con ogni evidenza i due fondatori di «Sigma» si inviavano in reciproca lettura. Di quanto scriveva Somenzi a Vaccarino nel maggio del ’47 si è già reso conto nel § 1. Il 27 gennaio di quel medesimo anno, è Vaccarino a dire a Somenzi di sperare «tra qualche giorno di inviar[gli] i Colorni»; il giorno appresso, e quello successivo ancora, Vaccarino aggiunge poi quanto segue: Spero domani di inviarti i Colorni. Molto interessanti e brillanti. Comincerei con i dialoghi di “Commodo”, combinandoli in modo che abbiano tra di loro un certo legame. Ieri sera ho riletto i Colorni, che ti rimando tranne l’ultimo, che ti invierò tra qualche giorno. “I dialoghi” si potrebbero pubblicare in 3 puntate – (La seconda notevolmente più lunga delle altre 2) – Vi è una quarta puntata sull’economia, che mi piace meno. Nel testo ho cambiato qualche parola a matita (in modo che tu possa eventualmente ricorreggere). Ho creduto anche opportuno evitare il “dialogo nel dialogo” nel primo n°, introducendo invece del “fisico ribelle” il “Curiosus” del secondo n°. L’Apologo ed il Ritorno alla natura vanno anche benissimo. Forse si potrebbero pubblicare unitamente al terzo dialogo, che è molto breve. Le idee di Colorni mi sembrano meglio espresse nei dialoghi che nel capitolo sulla fisica, data la forma brillante 41 La malattia filosofica è per l’appunto il titolo che Colorni diede alla sua più completa biografia intellettuale, già qui ricordata nelle pagine precedenti. 42 V. Somenzi, Eugenio Colorni, cit., p. 79. Prosegue poi Somenzi citando di fatto alcuni dei titoli dei quali si sta qui discutendo: «La rivista doveva contenere articoli di fondo dedicati a problemi come: il concetto di esperienza, costanti universali e unità di misura, l’illusione finalistica nella fisica e nella biologia, l’illusione realistica nella fisica, geometria ed esperienza, l’assiomatica dei principi della meccanica, l’assiomatica della teoria della relatività e quella della meccanica quantistica, fisica puntuale e fisica di campo, il concetto di istinto, la polemica tra meccanicismo e vitalismo, la costruzione di una economia indipendente da premesse psicologiche» (ivi, p. 80). dell’espressione. In quanto alle opinioni espresse (l’io, la storia, l’amore, ecc.) non c’è coincidenza con la metaconoscenza, anzi piena opposizione43 . Su «Analisi», nel 1947, uscì Filosofia e scienza44, mentre – fra il 1947 e il 1948 – un più consistente numero di titoli apparve su «Sigma»; si trattava, in particolare, dei testi seguenti: Apologo su quattro modi di filosofare; Della lettura dei filosofi; Del finalismo nelle scienze; Dell’antropomorfismo nelle scienze; Sugli idoli della scienza fisica; Critica filosofica e fisica teorica; Il ritorno alla natura; Filosofi a congresso45 . Oltre a questi – e presumibilmente appartenenti al medesimo gruppo di testi del quale Somenzi afferma di aver pubblicato solo una parte – in FS sono conservati altri dattiloscritti, di cui sono qui trascritti quelli maggiormente compiuti46 . I primi tre scritti appartengono con ogni evidenza al gruppo di testi destinati dall’autore alla rivista di metodologia scientifica progettata con Ludovico Geymonat nel 194247. Questa, oltre a note di varietà, rassegne e recensioni, avrebbe infatti dovuto ospitare una sezione dedicata ad «Articoli e saggi», fra i cui titoli Colorni indica per l’appunto Geometria ed esperienza e Assiomatica delle leggi della meccanica. Il testo intitolato II: Relatività generale è, come mostrato dalla numerazione romana, il secondo paragrafo di Sull’assiomatica della teoria della relatività (anch’esso menzionato nel Progetto di una rivista di metodologia scientifica), il quale comincia proprio con l’indicazione di un paragrafo (I) La relatività ristretta. Tutti e tre i testi fanno riferimento al discorso intorno all’idea di esperienza che per Colorni discende dalla scoperta del carattere relativo delle categorie: «la coscienza che abbiamo acquistato della nostra possibilità di modificare [i] dati elementari»48 della conoscenza, infatti, costringe secondo Colorni sia a riformare i concetti di a priori e di a posteriori, sia a rivedere coerentemente la nozione di esperienza. «A priori», spiega così Colorni, «non significa più della ragione. A posteriori non significa più dei sensi. Sia i dati della ragione, sia i dati dei sensi, ap43 Lettere rispettivamente del 28 e del 29 gennaio 1947; quest’ultima è scritta di seguito all’epistola del giorno precedente, sul medesimo foglio. Il 17 gennaio 1947, Vaccarino aveva informato Somenzi del suo scritto sulla metaconoscenza, col quale confronta qui gli scritti colorniani: «Avevo preparato uno scritto sui rapporti tra la conoscenza e la religione, il quale in definitiva risultò troppo lungo ed infarcito di considerazioni metagnosologiche. Ho pensato perciò che è meglio direttamente attaccare la questione della metaconoscenza». Tutte le lettere sono in FS, sez. 5, Corrispondenza, gen. 28, serie 1, Corrispondenza scientifica, 1942-2003 gen. 28, 135, Vaccarino Giuseppe, 1946-1948. Il “fisico ribelle” è probabilmente il Fisico che Colorni inserisce quale interlocutore (appunto: quasi come dialogo nel dialogo) in Del finalismo nelle scienze, e che nella stampa definitiva su «Sigma» non viene poi effettivamente sostituito dal Curiosus interlocutore di Dell’antropomorfismo nelle scienze. 44 Cfr. supra, § 1, n. 9. Il testo comprende parzialmente anche: Sul concetto di esperienza e Intorno al principio di identità.  Cfr. infra, la Nota del curatore. 47 Cfr. supra, § 1 e la n. 20. 48 E. Colorni, Filosofia e scienza, p. 241. Geri Cerchiai 14 paiono come elementi in cui il fattore soggettivo e quello oggettivo si presentano mescolati, ma di cui è in nostro potere, mediante un procedimento logico e psicologico insieme, modificare la struttura»49 . L’esperienza, a sua volta, «anziché rivelare leggi naturali», dovrà suggerire, secondo le contingenti necessità degli studiosi, «determinate forme di definizione e di misura»50, utili a proseguire nel lavoro di ricerca scientifica51 . Siamo qui di fronte a quel progetto di “liberazione” della fisica «dalle premesse realistiche-finalistiche» che deve per Colorni rappresentare non solo «uno degli scopi essenziali della rivista»52, ma anche il fine ultimo della sua stessa critica epistemologica. Di tale progetto il più lungo e strutturato Programma contribuisce a tracciare ulteriormente i contorni teorici. Il nucleo dello scritto ruota intorno alla considerazione secondo la quale la «filosofia odierna dovrebbe anzitutto esaminare le chiavi che abbiamo in mano, cioè i criteri di ricerca, i metodi d’indagine. Criteri che, ormai ciò è chiaro a tutti, trasformano radicalmente la realtà, operando una scelta che ci fa scorgere solo ciò che da essi può essere afferrato». La constatazione del carattere condizionato della realtà diviene in tal modo, e nuovamente, il punto di partenza – tutto kantiano – della metodologia di Colorni. Il criticismo trascendentale, aggiunge però l’autore, «ha messo tutti sul chi vive», sì che «la curiosità di vedere al di là del “velo di Maja” delle categorie si è fatta sempre più intensa»; sarà tuttavia soltanto la capacità della conoscenza scientifica di disubbidire all’«ammonimento di Kant» per trascurare «i limiti» da questo imposti che consentirà, ancora una volta, di compiere il secondo, decisivo passo lungo la strada già intrapresa dalla Critica della ragione pura: «La domanda da porsi», chiarisce Colorni in un passo cruciale di Critica filosofica e fisica teorica, Non [è]: “È il mondo del nostro pensiero, o non è, quello reale?”; bensì: “Come potrebbe essere conformato un mondo di pensiero diverso dal nostro?”. La prima domanda parte da quella esigenza di sicurezza e stabilità che è sempre collegata col pensiero del reale [e che appartiene all’atteggiamento filosofico]. La risposta che essa cerca è una risposta che assicuri tale sicurezza e stabilità in un modo qualsiasi; nel reale, o in qualche cosa che lo sostituisca. La seconda domanda [propria dell’atteggiamento scientifico] muove invece da una esigenza di novità […]. Si tratta qui del secondo passo della rivoluzione copernicana. Il primo era consistito nell’accorgersi che le leggi della realtà non sono che forme del nostro intelletto. Il secondo consiste nel domandarsi se queste forme siano proprio necessarie ed immutabili e irresolubili. Anzi, non 49 Ibid. A priori diviene perciò il «nostro potere di modificazione che si riferisce sia agli oggetti della nostra ragione, sia a quelli dei nostri sensi. Mentre poi «la geometria definisce gli oggetti su cui opera mediante i suoi assiomi, la fisica definisce quei medesimi oggetti mediante definizioni reali, cioè facendoli corrispondere a determinati fenomeni naturali. Mentre dunque la prima gode di una completa libertà nella scelta degli assiomi, la seconda è legata alle conseguenze implicite nella scelta di quelle particolari definizioni; libera però di mutare le definizioni, qualora le conseguenze non la soddisfacessero. E. Colorni, Sul concetto di esperienza, p. 251. Cinque scritti metodologici di Eugenio Colorni 15 nel domandarsi se siano irresolubili (domanda che presuppone l’uso di quelle forme stesse) ma nel tentare senz’altro di scioglierle53 . In tal modo, spiega Colorni al termine di Programma, è la conoscenza scientifica a raggiungere quell’“al di là” che alla prospettiva kantiana era negato, ma l’“al di là” al quale essa perviene «non è una negazione del “di qua”, non è un assoluto privo di categoria. È un mondo di nuove categorie», un mondo al quale si viene portati, in primo luogo, dalla consapevolezza che la «legge essenziale della natura è la ragione, e la ragione è pure la legge essenziale del mondo esterno, in quanto l’uomo non fa che proiettare fuori di sé l’essenza della propria natura»54 . L’ultimo testo qui trascritto, Commodo a Ritroso, appartiene ad un gruppo di dialoghi, noto come Dialoghi di Commodo, stesi a più mani durante il periodo del confino a Ventotene55. Commodo, come ha spiegato la moglie Ursula Hirschmann in occasione dei primi tentativi di pubblicazione integrale dei frammenti colorniani, è lo stesso Colorni; Ritroso è Ernesto Rossi56 . Lo scritto prende spunto da argomenti economici per chiarire alcune questioni che, venendo a teorizzare una sorta di “dilettantismo metodologico”, rendono conto della stessa natura dell’indagine colorniana. L’«appartenenza professionale», dice Colorni all’amico Ritroso/Rossi in uno dei dialoghi già 53 E. Colorni, Critica filosofica e fisica teorica, pp. 227-228. 54 Ivi, p. 234. 55 Racconta Altiero Spinelli nella sua autobiografia, ben descrivendo non solo la genesi dei Dialoghi di Commodo, ma anche l’atteggiamento di Colorni nelle discussioni: «Parlavamo ogni giorno delle cose più varie, di politica, di geometria non euclidea, di nostri compagni di confino, delle nostre letture, delle nostre storie personali, dei grandi della storia, ma sentivo che [Eugenio] stava sempre attento a scoprire un qualche mio coperto punto malato, che egli avrebbe messo in luce, curato e guarito – poiché la vocazione del guaritore d’anime l’aveva proprio nel sangue […]. Mi affascinava la precisione quasi infallibile con la quale scopriva il punto errato di un ragionamento, il punto equivoco di un atteggiamento, il momento retorico di un’espressione […]. Talvolta uno di noi, ripensando la sera alle parole scambiate durante il giorno, le proseguiva scrivendo un dialogo nel quale diceva la sua e immaginava quel che l’altro avrebbe risposto. Talvolta il dialogo aveva un seguito, scritto dall’altro, prima di terminare a voce» (A. Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio, Il Bologna, Mulino, 1988, pp. 299-300). 56 Gli pseudonimi principali utilizzati negli altri dialoghi sono i seguenti: Severo è Altiero Spinelli, Manlio Rossi-Doria è Modesto, Ursula Hirschmann è Ulpia. Così scriveva Ferruccio Rossi-Landi alla Hirschmann. Penso che  i tempi stiano maturando per un’edizione in volume degli scritti lasciati da Colorni: come sono maturati, dopo tanti decenni, per la ripresentazione ai lettori italiani di quelli di Giovanni Vailati, che fu studioso per tanti versi affine ad Eugenio e che, rimasto quasi sepolto fin da prima della Prima Guerra Mondiale, ricomparirà ora presso Laterza e presso Einaudi su mia iniziativa». RossiLandi faceva poi riferimento alle pubblicazioni di «Analisi» e «Sigma». Ho potuto prendere visione della corrispondenza relativa ai diversi tentativi di pubblicazione degli scritti filosofici di Colorni (prima presso l’editore Laterza e poi per la Feltrinelli) grazie alla cortesia di Renata Colorni, che ancora conserva una parte del carteggio e che qui debbo ringraziare per la sua disponibilità. 57 Esso va dunque letto insieme a Dello psicologismo in economia, pubblicato nella ed. Einaudi alle pp. 322-342. Per una più precisa contestualizzazione dei frammenti economici colorniani cfr infra, la Nota del curatore.  Geri Cerchiai 16 pubblicati da «Sigma» nell’immediato dopoguerra, «comporta un legame così stretto con la scienza e un interesse così diretto ai vari problemi particolari in cui la ricerca si articola momento per momento, che è difficile avere la possibilità di riprendere in esame i problemi iniziali e i principi fondamentali da cui si è partiti»58; proprio per questo, secondo Colorni, i «dilettanti e gli outsider», sono forse maggiormente in grado, attraverso l’esercizio di un «tranquillo, pacato, spregiudicato esame dei punti di partenza e delle definizioni iniziali»59, di «sconvolgere dalle fondamenta tutto l’edificio del proprio sapere»60. Certo, dovendo rispondere all’accusa di «presumere di rivedere i principî di tutte le scienze, senza averle mai praticate»61, lo stesso Colorni – che alla scienza è giunto passando per la filosofia62 – parla in qualche modo pro domo sua. E tuttavia, egli va anche a puntualizzare, in tal modo, il «carattere pragmatistico»63 del proprio pensiero, il quale deve giocoforza confrontarsi con le più differenti discipline scientifiche. In Commodo a Ritroso, Colorni riprende questi medesimi argomenti, insistendo però con maggior vigore su quello spirito d’indipendenza – indispensabile ad un proficuo sviluppo dell’opera scientifica e filosofica – il cui significato teorico è già stato indagato in Programma. Scrive Colorni: «Anziché accostarmi a grossi trattati con fare accogliente e passivo […], io parto con la lancia in resta, pieno di idee sbagliate e confuse, sfondando porte aperte ad ogni passo […], desideroso di scontri e di battaglie». Emerge qui, accanto alla consapevolezza di un metodo teorico ormai chiaramente precisato, una componente particolare del carattere del giovane filosofo: quella irrequietezza, ironicamente descritta ne La malattia filosofica, che contribuisce a rendere conto della stessa, febbrile attività politica colorniana. Essa rivela una vivacità intellettuale che si mostrò sempre incapace di fermarsi ai risultati volta per volta raggiunti e che, trascorrendo dai primi studi storico-filosofici a quelli metodologici degli ultimi anni, viene a costituire l’anima, per così dire, anche dei dattiloscritti colorniani conservati nel Fondo Somenzi. 58 E. Colorni, Dell’antropomorfismo nelle scienze. Com’è noto, e a dispetto della sua formazione umanistica (lit. hum.), Colorni si cimenta direttamente nella ricerca fisica, con particolare attenzione alla teoria della relatività. Cfr. nello specifico i titoli seguenti: Unités de misure et relativité; Le trasformazioni di Lorentz come caso particolare e Deduzione del campo elettromagnetico di una carica in movimento rettilineo e uniforme. 63 E. Colorni, Dell’antropomorfismo nelle scienze. Nota del curatore I testi di Colorni in FS – tutti dattiloscritti – sono per lo più approntati per la composizione a stampa, spesso con indicazione del corpo e della impaginazione da utilizzarsi. Alcune correzioni e integrazioni, la segnalazione «a penna» talvolta riferita ai titoli o alla firma, i commenti a margine sulla opportunità o meno della pubblicazione, fanno supporre che ci si trovi per lo più di fronte a trascrizioni battute a macchina dagli originali. Salvo che dove diversamente segnalato (come ad esempio – per i motivi lì esposti a pié di pagina – in Programma), ci si è generalmente attenuti al criterio di integrare le eventuali sviste od errori ortografici direttamente nel testo, senza ulteriore indicazione. Ugualmente ci si è comportati per le correzioni e gli interventi a penna o a macchina. Il dattiloscritto di Programma presente in FS conserva la conclusione, che risulta invece assente nelle precedenti edizioni in volume. Oltre ai titoli qui riportati, e a quanto si dirà qui appresso, in FS sono conservati anche i testi seguenti: Il bisogno dell’unità; Sul complesso di Edipo; I primitivi e le categorie dello spirito; Filosofi a congresso; Sul concetto di esperienza; Costanti universali e unità di misura; Sull’assiomatica della teoria della relatività. I. Relatività ristretta, tutti già raccolti nelle diverse edizioni dei frammenti colorniani. A partire da Sul concetto di esperienza, le pagine sono numerate, a mano o a macchina, in sequenza, sì da creare un complesso unico comprendente anche: II. Relatività generale (da inserirsi dopo Relatività ristretta), e di seguito: Sull’assiomatica delle leggi della meccanica e Geometria ed esperienza. In FS sono inoltre presenti due ulteriori scritti di argomento economico: Batti, ma ascolta! e Ritroso a Commodo: meno compiuti degli altri, essi saranno da me trascritti in un volume di prossima uscita. Già nella nota introduttiva a Dello psicologismo in economia, pubblicato nella edizione Einaudi alle pp. 322-342, si ricostruiva, anche grazie agli elenchi dei titoli stesi da Ursula Hirschmann per Ferruccio Rossi-Landi, la genesi degli scritti economici colorniani, che qui ci si limiterà dunque ad integrare con quanto emerge dai titoli presenti in FS. Dello psicologismo in economia risulta composto da tre blocchi. Il primo, intitolato È possibile costruire una scienza economica indipendente da premesse psicologiche e sociologiche?, è citato anche nel Progetto di una rivista di metodologia scientifica fra i possibili «Articoli e saggi», e prosegue dall’inizio del dialogo fino al terzo capoverso: «[…] sarebbe una differenza di grado e non di natura. Del secondo (Robbins considera), che comincia subito dopo il primo e termina in ivi, E m’invita a prendere tutto l’argomento non troppo sul serio»), è conservato in FS il solo ultimo foglio, del quale così scriveva Silvio Ceccato a Somenzi il 5 febbraio del 1943: «Ho guardato fra le carte di Colorni. Spaiato trovo un foglio, numero 5, che mi sembra appartenere al dialogo fra Commodo e Severo [che in effetti è l’interlocutore di quella parte del dialogo]. Se vuoi te lo mando, o lo do a Vaccarino. Altro non c’è, mi sembra, che possa interessarti. Stampa pure. Quando hai ben deciso, fammelo però sapere, che, per cortesia, ne avvisi la sorella» (FS, sez. 3, Attività professionale, 1929-2003, serie 2, Carte di lavoro non organizzate, 5, Riviste, enciclopedie e progetti editoriali, 1, Sigma Analysis, b. 5, Analysis Methodos (Ceccato). Il terzo blocco, Vedo che riprendi (cfr. E. Colorni, Dello psicologismo in economia), rappresenta il nucleo centrale e la con- Geri Cerchiai 18 clusione del dialogo. Per quanto riguarda i titoli di FS: Ritroso a Commodo – come si evince dai numerosi riferimenti a Vedo che riprendi – prosegue il dialogo già iniziato in quest’ultima parte di Dello psicologismo in economia; Commodo a ritroso è la risposta a Vedo che riprendi; Batti ma ascolta è l’«accluso foglietto» menzionato in Commodo a Ritroso. Le note in calce ai testi sono tutte del curatore. Desidero Ringraziare Giovanni Battimelli, Responsabile del Fondo Vittorio Somenzi, e Maria Luisa Libutti, Direttrice della Biblioteca del Dipartimento di Fisica (“Sapienza” Università di Roma), per la disponibilità e cortesia che mi hanno dimostrato durante la consultazione dell’Archivio. G. C. Cinque scritti metodologici 19 II. Relatività generale1 Se vogliamo estendere quanto si è detto per la relatività ristretta3 al caso di sistemi in movimento qualsiasi4 , il problema della relatività generale diverrà quello di determinare le misure spazio-temporali per un osservatore in movimento qualsiasi rispetto ad un sistema inerziale nel quale valga la geometria euclidea. La determinazione di tali misure sarà fatta di nuovo assumendo come fissa la distanza fra due punti5 , e come costante la velocità della luce. In linea generale risulterà che la geometria tridimensionale del sistema in questione non sarà euclidea. Viceversa dovrebbe essere dimostrabile che se le misure assunte da un osservatore col metodo di cui sopra, danno luogo ad una geometria non euclidea, si potrà sempre trovare un sistema i cui punti siano mossi rispetto all’osservatore in questione in modo tale che la sua geometria sia euclidea. In tale sistema non vi sarà alcun campo gravitazionale. Una tale impostazione del problema differisce un poco da quella classica della relatività generale. Non si tratta qui di trovare una formulazione delle leggi di natura che sia invariante rispetto a trasformazioni qualsiasi, e quindi di attribuire ad ogni sistema la geometria richiesta dal campo gravitazionale in esso vigente, ma piuttosto di trovare le trasformazioni che permettono di passare da un sistema ad un altro qualsiasi6 , avendo assunte per tutti i sistemi determinate convenzioni7 riguardo alle misure spazio-temporali; e questo senza fare alcuna ipotesi riguardo alla forma delle leggi naturali. 1 FS, sez. 3, Attività professionale, 1929-2003, serie 2, Carte di lavoro non organizzate, 5, Riviste, enciclopedie e progetti editoriali, Sigma Analysis, b. 6, Articoli, Il titolo è cancellato nel dattiloscritto, così come è barrata la numerazione “5” (a penna) della pagina, numerazione che, insieme con quella romana, segnava il foglio come seguito di E. Colorni, Sull’assiomatica della teoria della relatività. I. Relatività ristretta (cfr. la Nota del curatore), del quale lo scritto è il secondo paragrafo. 2 All’inizio del dattiloscritto sono inserite a penna delle virgolette basse (chiuse al termine del terzo capoverso), che spiegano l’intervento del quale si rende conto infra, n. 4. 3 Il riferimento è a Sull’assiomatica della teoria della relatività, che infatti è numerato: La relatività ristretta. A penna è stato qui aggiunto: «prosegue Colorni». 5 Cfr. E. Colorni, Sull’assiomatica della teoria della relatività. Anziché assumere come unità di misura fondamentali una lunghezza […] o un intervallo di tempo […] per poi dedurne le altre grandezze cinematiche […], si potrebbe assumere come unità primitive la distanza fra due punti dati e la velocità di propagazione di un dato fenomeno». 6 Si tratta qui precisamente dell’idea di revisione del concetto di esperienza in relazione a quello di definizione che costituisce uno dei nuclei del programma metodologico colorniano. 7 Sono molti i riferimenti di Colorni al carattere convenzionale della scienza e delle sue definizioni. Riporto, per il suo carattere “generale”, quanto affermato nella Postilla al programma della rivista di metodologia scientifica (in M. Quaranta, La “scoperta” di Eugenio Colorni, cit., p. 130): «Si tratta, in breve, di partire da una concezione “convenzionalistica” o “idoenistica” della scienza; non limitandola però, come fa in sostanza la scuola di Vienna o anche il Gonseth, alla interpretazione filosofica dei fatti scientifici; applicandola invece ai concetti basilari su cui poggia l’edificio della scienza, e mostrando come un chiarimento rigoroso delle ipotesi che sono implicite nell’assunzione di tali concetti possa trasformare effettivamente e rendere più chiare molte formulazioni scientifiche, e forse risolvere alcuni dei problemi più scottanti della scienza moderna». Eugenio Colorni 20 Formulando in questo modo il problema, si giungerebbe probabilmente alle medesime conclusioni della relatività generale riguardo alla gravitazione; ma la nuova impostazione permetterebbe forse di aggredire in maniera diversa da quella consueta altri problemi (in particolare quello dell’elettromagnetismo). Non si tratterebbe più in questo caso di formulare le leggi del campo elettromagnetico in forma invariante rispetto a trasformazioni qualsiasi, ma di rendersi ragione della loro struttura, studiando sistematicamente il comportamento di cariche in movimento, mediante “Transformation auf Ruhe”. Questo saggio si riferisce a studi ancora in corso e ben lungi dalla conclusione8 ). 8 L’ultimo capoverso è barrato a penna nel dattiloscritto. L’inciso fra parentesi riprende quello analogo – non riportato nelle edizioni dei testi colorniani, ma presente nei dattiloscritti di FS – posto al termine di Sull’assiomatica della teoria della relatività. I.- Relatività ristretta, il quale recita nel modo seguente: «Questo saggio si riferisce ad un lavoro già terminato, in cui lo sviluppo qui descritto viene eseguito» (FS, sez. 3, Attività professionale, serie 1, Carte organizzate da Vittorio Somenzi, 1929-2000, 2, Scatole grigie 1942-2000, 1, Eugenio Colorni e Italo Cotone, b. 3, Colorni, 1945-1993). Sull’assiomatica delle leggi della meccanica. Il principio d’inerzia è notoriamente una definizione camuffata. Esso definisce come non soggetto ad alcuna forza il corpo dotato di movimento uniforme; quindi come soggetto ad una forza il corpo dotato di movimento non uniforme. È possibile considerare i principi della conservazione della quantità di movimento e dell’energia come delle estensioni del principio d’inerzia, cioè anch’essi come delle implicite definizioni della forza? Crediamo di sì. Consideriamo infatti un sistema di due corpi. Diremo che il sistema non è stato sottoposto all’azione di alcuna forza, non solo quando i due corpi proseguono nel loro moto rettilineo ed uniforme, ma anche quando hanno modificato tale loro moto dopo essersi urtati. Ciò che dovrà essere rimasto immutato nel sistema non sarà dunque più il moto dei due corpi, ma una funzione di tale moto; funzione che si tratta di determinare, ponendole delle condizioni derivanti da esigenze plausibili. Anzitutto si può richiedere che il mutamento provocato dall’urto nello stato di moto di uno dei due corpi sia misurato dal mutamento provocato dal medesimo urto nell’altro corpo: cioè che ciò che rimane costante nel sistema sia la somma delle funzioni in questione riferite a ciascun corpo. Individuato poi ciascun corpo mediante una costante caratteristica di esso (la sua “massa”), si può richiedere che il cambiamento provocato in un corpo successivamente da due altri corpi di uguale massa e uguale velocità, sia identico al cambiamento provocato da un corpo di massa doppia e di uguale velocità: il che equivale a dire che la nostra funzione dovrà essere della forma mf(v). Si potrà poi osservare che la funzione in questione deve poter esprimere sia un mutamento nel valore assoluto della velocità di ciascun corpo, sia un mutamento nella sola direzione: le funzioni in questione devono cioè essere due, l’una vettoriale, l’altra scalare. Infine si osserverà che, poiché due corpi in movimento uniforme rispetto ad un sistema inerziale lo sono pure rispetto a qualsiasi altro sistema inerziale, la costanza delle nostre funzioni deve essere invariante rispetto a trasformazioni di Lorentz. Tutte queste condizioni limitano la scelta delle nostre funzioni in modo da determinarle univocamente; e ne risultano le espressioni relativistiche della quantità di movimento e dell’energia. Ciò è stato mostrato da Langevin2 , il quale parte però da premesse un po’ diverse. Gli sviluppi precedenti possono avere un’importanza per il seguente motivo: la teoria della relatività giunge alle sue espressioni dell’energia e della quantità di movimento, partendo dalle equazioni di Maxwell, che suppone assicurate dall’esperienza. Ma il controllo sperimentale di tali equazioni suppone che si 1 FS, sez. 3, Attività professionale, serie 1, Carte organizzate da Vittorio Somenzi, 1929- 2000, 2, Scatole grigie, 1, Eugenio Colorni e Italo Cotone, Nel dattiloscritto, le pagine riportano la numerazione, a penna in rosso, da 6 a 7 (cfr. supra, II. Relatività generale, n. 1, e la Nota del curatore). Langevin e un fisico francese che, non diversamente da Eddington – altro autore colorniano e griceiano – fu abile divulgatore scientifico. disponga di una definizione dell’energia e della quantità di moto. Inoltre, quando si siano definiti i principi fondamentali della meccanica indipendentemente dall’elettromagnetismo, rimane aperta la possibilità di dedurre le leggi stesse dell’elettromagnetismo servendosi di alcuni risultati della relatività, e raggiungendo così una più profonda comprensione di quelle leggi. (Anche questo articolo si riferisce a studi in corso, di cui la prima parte, riguardante la relatività ristretta e l’elettromagnetismo, è terminata; ma avrebbe carattere troppo tecnico per la rivista4 .) 3 Assente nel testo. 4 Per un’analisi degli scritti colorniani sulla teoria della relatività, si rinvia a M. Quaranta, La “scoperta” di Eugenio Colorni. Colorni sulla teoria della relatività, pp. 122-130. Per l’inciso fra parentesi, cfr. supra, II. Relatività generale. La rivista è la progettata rivista di metodologia scientifica, sulla quale si rimanda ancora a quanto scritto supra, § 3. Cinque scritti metodologici 23 Geometria ed esperienza1 Gli assiomi della geometria sono delle definizioni implicite, o meglio rappresentano delle limitazioni imposte alla nostra libertà di definire gli oggetti ai quali essi si riferiscono. Tali oggetti però possono essere di due tipi: o sono tali che per ottenerne una rappresentazione concreta è necessario immaginarli realizzati da un fenomeno fisico (p. es. la linea retta realizzata dalla traiettoria di un raggio luminoso nel vuoto); in tal caso la definizione implicita negli assiomi è una definizione “reale” (Zuordnungsdefinition2 ), e gli assiomi limitano il numero degli oggetti o dei fenomeni che possono essere assunti per realizzare fisicamente quel determinato ente geometrico. Oppure l’ente geometrico in questione è tale da poter essere definito mediante un’opportuna combinazione di altri enti precedentemente definiti (p. es. l’angolo uguale ad un angolo dato può essere definito senza ricorrere ad alcuna sovrapposizione, quando sia stata definita precedentemente la distanza fra due punti); e allora gli assiomi limitano il numero degli accorgimenti che noi possiamo usare per definire quel determinato ente geometrico. Agli scopi della costruzione fisica di un sistema galileiano, è opportuno distinguere questi due tipi di definizione; e può essere utile studiare da questo punto di vista le “Grundlagen” di Hilbert3 . Non è detto che si possa sempre trovare un insieme di fenomeni fisici capaci di realizzare contemporaneamente tutti gli assiomi di una geometria. Per esempio, se si vuol realizzare la geometria mediante raggi luminosi assunti co1 FS, sez. 3, Attività professionale, serie 1, Carte organizzate da Vittorio Somenzi, 2, Scatole grigie,1, Eugenio Colorni e Italo Cotone, b. 3, Colorni, 1945-1993. Numerato a penna 8 (cfr. supra, II. Relatività generale, n. 1, e Nota del curatore). Il titolo è anch’esso sottolineato a penna con l’indicazione: a mano. A margine, scritto a matita in rosso e cancellato, alcune segnalazioni per il tipografo: «Corpo 10/10 tondo // Giustezza 27». Scrive Colorni in Filosofia e scienza. Ora, mentre la geometria definisce implicitamente gli oggetti di cui tratta, mediante gli assiomi, la fisica li definisce direttamente, mediante definizioni reali (Zuordnungsdefinitionen). Con queste parole, Colorni richiama il concetto reichenbachiano di Zuordnungsdefinition, per cui cfr. H. Reichenbach, Axiomatik der Raum-Zeit-Lehre, Braunschweig, Vieweg & Sohn Akt.-Ges., 1924; Id., Philosophie der Raum-Zeit-Lehre, Berlin- Leipzig, W. de Gruyter & Co. In una lettera firmata da Hirschmann (ma in realtà scritta da Colorni) e indirizzata a Geymonat per il tramite della moglie Virginia, l’autore afferma di possedere il primo dei due titoli, e a questo rinvia per la comprensione del proprio pensiero. Noi abbiamo qui l’importante saggio di Reichenbach, “Axiomatik der relativistischen Raum-Zeit-Lehre”, che mette le cose da un punto di vista molto affine a quello che Eugenio vorrebbe sviluppare. La lettera, conservata nel Fondo Geymonat presso la Biblioteca del Museo civico di storia naturale di Milano, è citata da M. Quaranta (La scoperta di Eugenio Colorni), il quale commenta: «Ora, se è rintracciabile in Kant una nozione rigida dell’a priori, letture kantiane sviluppate in quegli anni da Ernst Cassirer e Hans Reichenbach, in Italia da Giulio Preti, vanno nella direzione di accogliere la fecondità del “metodo trascendentale”; le indagini epistemologiche di Colorni si inseriscono in questa linea di ricerca. Questo capoverso, da Agli scopi fino a Hilbert, è cancellato a penna nel testo dattiloscritto. Il riferimento è ai Grundlagen der Geometrie (Fondamenti della geometria) di Hilbert. me rettilinei e di velocità di propagazione uniforme, non è detto che risulti verificato l’assioma di Euclide; e questo assioma, se è verificato per il sistema costruito da un determinato osservatore, necessariamente non è verificato per il sistema costruito da un altro osservatore, dotato rispetto al primo di movimento non uniforme. Cinque scritti metodologici Programma1 Supponiamo che l’uomo viva in un palazzo le cui porte sono tutte chiuse. Egli non ha le chiavi. Cioè egli ne possiede un mazzetto, ma non sa se esse si adattino alla serratura, né quale chiave a quale serratura. Prova, riprova, si costruisce nuove chiavi nella continua speranza di potere un giorno abitare tutto il palazzo. Lo scienziato è un uomo al quale è riuscito di aprire una porta. Una chiave, per sua fortuna, o per sua abilità, ha girato nella toppa. Egli apre, e trova nella camera immensi tesori, li utilizza3 , li mette a disposizione degli altri uomini che lo ringraziano ammirati. Da quel momento4 la camera è accessibile a tutti. Entusiasmato, lo scienziato vorrebbe aprire tutte le porte comincia ad acquistare manie di grandezza. Vorrebbe aprire tutte le porte5 . La chiave comincia a diventare uno strumento pericoloso nelle sue mani. Egli la vuole usare dappertutto. Il risultato è che sfonda le serrature. Ci vorrà6 poi una gran fatica per accomodarle e per trovare o costruire una nuova chiave che permetta di aprirle (Fuor di metafora: p. es. la medicina è stata rovinata per secoli dall’ossessione del metodo meccanicistico, che aveva fatto meraviglie nel campo della fisica. E si è voluto risolvere tutto a base di anatomia, di rapporti e di modificazioni di tessuti. Nella maggioranza dei casi non si è cavato un ragno dal buco). Il filosofo, invece, cosa fa? Egli non ha avuto la fortuna o l’abilità di aprire una porta, ma anche lui è preso dall’ossessione di aprirle tutte. Con la chiave9 dello scienziato o con un’altra di sua fattura. La sua ossessione è forte, meno pericolosa10 che quella dello scien1 FS, sez. 3, Attività professionale, 1929-2003, serie 1, Carte organizzate da Vittorio Somenzi, 1929- 2000, 2, Scatole grigie, 1, Eugenio Colorni e Italo Cotone, b. 3, Colorni. Nel dattiloscritto un primo titolo, barrato, recita come segue: «SCIENZA E MATERIALISMO // È un caso che tutti gli scienziati tendano ad essere materialisti? // PROGRAMMA». A margine, scritto a penna, il titolo è fissato così: «SCIENZA E REALISMO». Un asterisco rimanda alla seguente nota manoscritta: «(V[edi]. l’“Apologo su quattro modi di filosofare”, altro inedito di Colorni, in Sigma. Sempre a margine, si ha l’indicazione di stampa, a penna: «Corpo 10 tondo 11 // giustezza – 10 su 12. Poiché lo scritto si discosta spesso – nella forma, mai nella sostanza – dalle precedenti edizioni (nelle quali esso risulta per altro incompiuto), è parso utile indicare in nota le differenze fra le diverse versioni. Per questo stesso motivo ho talvolta esplicitato le correzioni e gli interventi sul dattiloscritto. La sigla FS rimanda al testo presente fra le carte di Somenzi; la sigla E a quello dell’edizione Einaudi. Benché sia barrato, e per consentire una più chiara identificazione, si è preferito mantenere il titolo Programma. 2 per sua fortuna, o per sua abilità FS : per sua fortuna o per sua abilità E. 3 immensi tesori, li utilizza FS : immensi tesori. Li utilizza Di seguito nel testo di E. 5 lo scienziato vorrebbe aprire tutte le porte comincia ad acquistare manie di grandezza. Vorrebbe aprire tutte le porte FS : lo scienziato vorrebbe aprire tutte le porte E. 6 le serrature. Ci vorrà FS : le serrature, ma ci vorrà E. 7 di aprirle (Fuor di metafora FS : di aprirle. (Fuor di metafora E 8 Il filosofo, invece, FS : Il filosofo invece, E aprirle tutte. Con la chiave FS : aprirla con la chiave E. 10 è forte, meno pericolosa FS : è forse meno pericolosa E. Eugenio Colorni ziato, ma più intensa. Per lo scienziato essa è necessaria accessoria11. Il massimo sforzo è già stato compiuto12 nel trovare la chiave. Il tentativo di allargamento è spesso solo abbozzato. Il filosofo, invece, è tutto fatto di questo bisogno. Egli è abbastanza accorto per avvedersi che il correre da una parte13 all’altra con la medesima chiave si risolve in un danno e in un disordine. Egli vuole soddisfare alla sua esigenza in un modo sistematico, che non lasci residui. La sua ossessione è che il palazzo sia completamente abitabile, aperto in tutte le camere, dai saloni ai ripostigli. Che cosa fa per soddisfarsi? Si costruisce un palazzo a suo uso e consumo, simile il più possibile a quello vero, in cui tutte le serrature siano apribili con una sola chiave, o con le varie chiavi che ha a sua disposizione. Lì si rinchiude; lì15 gli sembra di vivere tranquillo. Ma il palazzo è di cartapesta. In poco tempo crolla. Le camere sono identiche a quelle dell’altro palazzo, ma sono vuote. Il poterle aprire non dà all’uomo maggior ricchezza e maggior17 potenza. A volte avviene che nel lavoro di costruire, al filosofo venga fatto di scoprire o inventare una chiave nuova, che gli altri uomini possono usare, e provare nelle varie serrature. In questo caso egli sarà ammirato e studiato solo per questa invenzione fortuita o strumentale, che nelle sue intenzioni non doveva essere che un dettaglio del grande edificio. E il grande edificio scompare. Dopo un secolo nessuno ci crede più, nessuno può più abitarvi dentro. Lo si considera come un bel rudero, come l’interessante documento di un’epoca; lo si apprezza per un certo impulso che indirettamente, nei coi suoi contorni, ha dato alle lotte e alle ricerche dell’umanità. Gli storici, gli esegeti, cominciano a scuoterlo per vedere se, non potendosene più servire in blocco, non si trovi del buono fra il materiale della costruzione. E cominciano a distinguere “ciò che è vivo e ciò che è morto” e a manipolare il sistema ai propri fini. Ne risulta che ogni pensatore viene, di regola, apprezzato dai posteri per motivi che egli non avrebbe immaginato e che sono estranei alle sue intenzioni fondamentali. Quello che egli aveva creduto il suo vero apporto alla cultura e alla civiltà viene considerato inutile. Il dispendio di energie è enorme. Vediamo gli uomini più intelligenti dell’umanità dirigere tutti i loro sforzi per raggiungere mete che andranno poi completamente perdute; e 11 necessaria accessoria. FS : accessoria, sopraggiunta. E.  già stato compiuto FS : già compiuto E.  parte FS : porta E. 14 sola chiave, o con FS : sola chiave o con E. 15 Lì si rinchiude; lì FS : Là si rinchiude, là E. 16 di cartapesta. In poco tempo crolla. Le FS : di cartapesta, non di mattoni veri. In poco tempo crolla, si disfa. Le E. 17 ricchezza e maggior FS : ricchezza o maggior E. scoprire o inventare FS : trovare E. 19 possono usare, e provare nelle varie FS : possono usare nelle varie E. 20 rudero FS : rudere E. 21 nei coi suoi FS : nei suoi E.  scuoterlo FS : smontarlo E. ogni pensatore viene, di regola, apprezzato FS : ogni pensatore (come spesso anche ogni poeta) viene di regola apprezzato E. 24 immaginato e che FS : immaginato, e che E. Cinque scritti metodologici: 27 siamo costretti a racimolare con fatica alcuni residui del loro lavoro. Nella25 scienza le cose sembrano andar meglio. Siamo per lo meno nel palazzo vero, dove le camere sono piene di ricchezze; e là dove la chiave ha aperto la porta, la potenza dell’umanità ne è stata infinitamente aumentata. Ma se la porta non si apre? Dai Greci al Rinascimento, per duemila anni, gli uomini si sono affaccendati a costruir26 chiavi di tutti i generi e magnifici palazzi di cartapesta. Ma nessuna porta dell’edificio vero si è aperta ai loro sforzi. Da Galilei e Bacone27 in poi, alcune sembrano cedere. Una, quella28 del meccanicismo fisico si è addirittura spalancata. Ma quante restano ancora chiuse[!]?29 Quale sarà per esse la chiave giusta? L’abbiamo già in mano o dobbiamo ancora costruircela? E come sfuggire alla continua tentazione di usare per ogni porta quella che ha fatto una volta buona prova, col rischio di rovinare tutto? La filosofia odierna, anziché costruire bei palazzi di cartapesta, dovrebbe proporsi il compito di affacciarsi a questi problemi, e tentare di mettere un certo ordine, allo scopo di evitare sforzi inutili e raggiungere risultati il più possibile concreti. Dovrebbe anzitutto esaminare le chiavi che abbiamo in mano, cioè i criteri di ricerca, i metodi d’indagine coi quali noi affrontiamo il reale e cerchiamo di renderlo utile ai nostri usi. Criteri che, ormai ciò è chiaro a tutti, trasformano31 radicalmente la realtà, operando una scelta che ci fa scorgere solo ciò che da essi può essere afferrato. Ciò che noi chiamiamo realtà è evidentemente condizionato non solo dai nostri sensi, ma da tutto l’insieme delle forme, delle categorie, dei criteri associativi e interpretativi senza dei quali non ci è possibile di pensare e di percepire alcunché. Criteri che noi potremo studiare, scomporre, modificare; senza però poter mai uscire dal campo di un’attività del soggetto costitutiva della realtà stessa. Noi34 non possediamo, allo stato attuale delle nostre conoscenze, alcun nesso mezzo per eliminare il sole lato35 soggettivo della nostra nozione della realtà; anzi abbiamo seri elementi per propendere a ritenere che la nozione di una realtà oggettiva, da noi indipendente,36 sia un’ipostasi della nostra mente,37 do25 A capo in E. costruir FS : costruire E. Da Galilei e Bacone FS : Da Galileo a Bacone E. Una, quella FS : Quella E. 29 Chiuse[!]? FS : chiuse! E. 30 d’indagine a penna nel testo FS : ermeneutici E. che, ormai ciò è chiaro a tutti, trasformano FS : che – ormai ciò è chiaro a tutti – trasformano E.  Queste righe, e quelle immediatamente successive, rappresentano una sorta di compendio della filosofia colorniana, ossia del ruolo essenzialmente critico-metodologioco che, muovendo «dalla grande scoperta kantiana» (E. Colorni, Filosofia e scienza, p. 240), essa dovrebbe svolgere. A capo in E.Di seguito in E. alcun nesso mezzo per eliminare il sole lato a mano nel testo FS : alcun mezzo per eliminare il polo E. 36 oggettiva, da noi indipendente, FS : oggettiva da noi indipendente E. 37 mente, FS : mente E. Eugenio Colorni  vuta ad un nostro fondamentale bisogno di contrapporre alcunché a noi stessi, di urtarci contro qualche cosa, di polarizzare il contenuto della nostra coscienza in un passivo ed un attivo. Vedi Fichte (Trascendenza interna)38. Ciò che chiamiamo realtà non è dunque né l’oggetto né il soggetto39, ma alcunché nella costituzione del quale il soggetto, con i suoi criteri e le sue categorie, ha una gran parte e41 che noi, per comodità di studio, consideriamo per un istante come dato di fronte a noi, coscienti che con ciò noi poniamo di fronte a noi qualche cosa cui partecipiamo noi stessi. Ora questo “qualche cosa” gli uomini si sforzano di manipolarlo ai loro usi, di penetrare nella sua costituzione, di prevedere il suo divenire, di costruire in base alle previsioni. A seconda che si accentui il carattere oggettivo o soggettivo di questo lavoro, lo consideriamo un “penetrare nelle leggi della natura” oppure un estrarre dalla natura un certo numero di elementi regolari per usarli a loro vantaggio, un cedere alla natura” o un “farle violenza”, e si chiamano positivisti o pragmatisti. Ma questa distinzione riguarda il significato metafisico dell’attività umana, non la sua conformazione, i suoi procedimenti, il suo fine: che è ciò che c’interessa qui di indagare per contribuire al progresso dell’umanità46. Lo scienziato non conosce concretamente un problema del carattere pratico e teorico47 della sua attività. Egli non si domanda mai, seriamente, se ciò che lo spinge alla ricerca sia il “bisogno di sapere” inteso come fine a sé stesso, o la speranza che gli uomini possano ricavare un utile dalla sua scoperta. Egli si dedicherà secondo la sua attitudine ad un campo più vicino alla ricerca pura o più vicino alle applicazioni. Ma nella sua mente ricerca e applicazione costituiscono un tutto unico di cui solo per comodità di studio e per la necessità della divisione del lavoro egli scinde a volte le parti. La scoperta si considera come la naturale, evidente premessa dell’invenzione:51 l’invenzione come la conseguenza della scoperta. L’antitesi positivismo-pragmatismo non ha senso per lo scienziato, e non moVedi Fichte (Trascendenza interna) FS : (Vedi Fichte, Trascendenza interna) E. Su questo aspetto della metodologia colorniana, si legga quanto affermato da Ferruccio RossiLandi, che rileva fra l’altro, negli scritti colorniani, la presenza di «quel disimpegno dalla visione realistica del mondo […] che è merito della migliore critica idealistica, soprattutto negli sviluppi dell’attualismo» (Sugli scritti di Eugenio Colorni, in «Rivista critica di storia della filosofa né l’oggetto né il soggetto FS : né il soggetto né l’oggetto  il soggetto, a mano nel testo FS : l’uomo parte e FS : parte; e E. A capo in E. un estrarre dalla natura un certo numero di elementi regolari per usarli a loro vantaggio, FS : un “estrarre dalla natura un certo numero di elementi, regolarli per usarli a loro vantaggio”; E. 44 “un cedere FS : un “cedere E. 45 violenza”, e FS : violenza”. E E. 46 per contribuire al progresso dell’umanità FS : per raggiungere risultati utili e teorico FS : o teoretico sé FS : se E. 49 dedicherà secondo la sua attitudine ad FS : dedicherà, secondo le sue attitudini, ad E. Ma nella sua mente ricerca FS : Ma, nella sua mente, ricerca  dell’invenzione: dell’invenzione; E. Cinque scritti metodologici: difica in nulla il suo agire. Lo scienziato lavora insomma su qualche cosa che egli ha di fronte a sé e della quale sono elementi costituenti alcune “forme” e “categorie” che provengono dalla sua mente, incorniciano la realtà e gliela rendono comprensibile e afferrabile. Di queste forme o categorie egli ne considera alcune come appartenenti alla realtà, esistenti assolutamente al di fuori di sé. Quali sono? Sono quelle cui egli si sente necessariamente legato, di cui non può in alcun modo fare a meno, senza le quali gli sarebbe impossibile vedere e pensare. Kant ne ha elencato5 alcune: spazio, tempo, causalità, numero ecc. Egli ha riconosciuto sì che esse vengono imposte alle cose dallo spirito dell’uomo; ma col dare ad esse un carattere necessario ed a priori, ha ammonito gli uomini sulla impossibilità di uscire da esse. Infatti gli uomini comuni, senza preoccuparsi della loro provenienza e accontentandosi del fatto che di quelle categorie non si può fare a meno, le attribuiscono senz’altro alla realtà. Ma l’osservazione di Kant ha messo tutti sul chi vive; e la curiosità di vedere al di là del “velo di Maja” delle categorie si è fatta sempre più intensa. Si può dire che la filosofia si sia scissa a questo proposito in due opposte direzioni, a seconda che l’ammonimento di Kant sia stato seguito o no. Fra quelli che l’hanno seguito, gli scienziati60 hanno continuato a considerare le categorie come reali, e a lavorare in un mondo costruito sulla base di queste categorie, contentandosi a volte di mantenere nello sfondo l’ombra di un inconoscibile (Spencer, positivisti), oppure62 di acquisire coscienza della relatività dei loro sforzi, limitando63 il compito della scienza alla costruzione di ipotesi semplici e maneggevoli (Poincaré, pragmatisti). Su questa via essi hanno continuato ad ottenere un buon numero di successi, proseguendo quell’indagine e quello sfruttamento della natura che era cominciato con Galilei e Newton, e che consisteva nell’uso sistematico di quelle categorie che poi Kant elencò. Ma si ha già da qualche tempo l’impressione che il campo stia per esaurirsi e che non restino da fare in questa direzione se non scoperte particolari di importanza ristretta. I filosofi invece, insofferenti di qualsiasi dualismo o relativismo, e preoccupati di saldare l’unità del reale, preferiscono eliminare la tentazione del52 A capo in A capo in E. 54 impossibile FS : assolutamente impossibile E.  elencato FS : elencate E. spazio FS : Spazio E. numero ecc. FS : numero, ecc. E. A capo in E. filosofico FS : filosofico scientifico E. 60 no. Fra quelli che l’hanno seguito, gli scienziati FS : no. (I) Fra quelli che l’hanno seguito (a) gli scienziati E. categorie, contentandosi FS : categorie; contentandosi  positivisti), oppure FS : positivisti); oppure E. sforzi, limitando FS : sforzi; limitando E. 64 Newton, e FS : Newton e  di FS : , di  I filosofi invece, FS : (b) I filosofi, invece, E. Eugenio Colorni 30 la “cosa in sé” col negarne addirittura l’esistenza; e attribuire realtà assoluta al pensiero nella sua forma universale68. In tal modo essi soddisfecero contemporaneamente all’esigenza Kantiana69 di non uscire dalle leggi del pensiero e al bisogno tipicamente filosofico di risolvere senza residui il problema della realtà; incuranti d’altronde se questo loro sistema li conducesse o no a un qualsiasi risultato apprezzabile che non si limitasse alla soddisfazione del loro bisogno di completezza. Coloro invece71 che “hanno disubbidito” sembrano a tutta prima disprezzare l’ammonimento di Kant e trascurare i limiti da lui posti: ma in realtà sono essi suoi figli molto più che gli ubbidienti. Quel limite, quella barriera appunto li ha eccitati ad andare al di là: ha indicato loro la direzione verso cui rivolgersi Cominciamo74 questa volta dai filosofi. a) - Il filosofo vuol gustare il frutto proibito. Ma egli sa oramai che non potrà mai raggiungerlo con le categorie, con75 le quali Kant gli ha indicato così chiaramente i limiti. Egli abbandona per sempre le illusioni della metafisica e della teologia, cioè i tentativi di afferrare la realtà assoluta con gli strumenti della ragione; ed76 è alla continua ricerca di un altro strumento che gli permetta di raggiungere il suo scopo. Volontà, fede, intuizione, ispirazione: in una parola l’irrazionale è ciò cui egli si affida. Ad esso egli attribuisce tutte le possibilità che mancano alle categorie della ragione. Con esso egli afferma di poter aprire tutte le porte del palazzo. Ma che garanzie gli dà la nuova chiave? Semplicemente di non essere79 la vecchia. Ogni interpretazione irrazionalistica del mondo, là dove non consista in esplosioni di entusiasmo, è una polemica contro l’impotenza della ragione. Polemica spesso acuta e giusta, ma che non costituisce un motivo bastante per accettare come criterio definitivo tutto ciò che ragione non è. Le80 esplosioni d’entusiasmo81 , invece, sono a volte più interessanti e fruttifere. Esse ci permettono di penetrare, sia pure in modo confuso, nella costituzione interna di queste attività irrazionali; di conoscere un po’ meglio quali siano i loro procedimenti. Ciò che ha paralizzato però tale indagine e non le ha permesso di dare finora se non scar e FS : ed E. Evidente riferimento all’idealismo nei suoi diversi modelli. 69 Kantiana FS : kantiana E. 70 se FS : che E. 71 Coloro invece FS : (2) Coloro, invece, E. disubbidito” FS : disubbidito”, E. appunto FS : appunto, E. 74 Di seguito in E. 75 categorie, con FS : categorie delle E. 76 teologia, cioè i tentativi di afferrare la realtà assoluta con gli strumenti della ragione; ed FS : teologia – cioè i tentativi di afferrare la realtà assoluta con gli strumenti della ragione – ed E. 77 parola FS : parola, E. 78 A capo in E.  essere FS : esser E. A capo in E. d’entusiasmo FS : di entusiasmo E. Cinque scritti metodologici: 31 sissimi risultati,82 è che tali attività sono sempre state descritte appunto col presupposto e con l’esigenza di attribuire ad esse un valore assoluto, molto superiore a quello della ragione. Preconcetto il quale ha naturalmente deformato la descrizione ed ha impedito qualsiasi seria indagine sull’uso che di questi atteggiamenti si potrebbe eventualmente fare. Anche qui la fretta di chiudere il circolo e il bisogno filosofico di rinchiudersi in un edificio abitabile in tutte le sue parti ha impedito di compiere qualsiasi vero progresso. E le interpretazioni irrazionalistiche della realtà si sono succedute l’una all’altra senza condurre l’umanità ad alcuna conquista stabile. È questo un fenomeno che si ripete da secoli; ché la constatazione delle insufficienze della ragione e il tentativo di affidarsi ad attività irrazionali non data da Kant, ma è vecchio, si può dire, quanto la nostra civiltà. E la massa di esperienze che si è venuta raccogliendo è83, se non ordinata, pure imponente; e dà l’impressione di una grande miniera inesplorata85 in cui il materiale prezioso è unito con le scorie. Siamo qui ad uno stadio di evoluzione e di sfruttamento molto meno sviluppato che nel campo della ragione. Il materiale della ragione è stato esplorato a fondo, inventariato, ordinato dal pensiero greco e dalla scolastica. Con Galilei e Newton ha trovato il campo cui applicarsi, conducendo ai vastissimi risultati che conosciamo. Kant infine88 ne ha tracciato i limiti segnando insieme (forse un po’ in anticipo) l’esaurirsi della miniera dal89 quale esso traeva ricchezze. Il campo dell’irrazionale probabilmente comprende regioni infinitamente più vaste che quelle della ragione, contenenti materiale dal carattere più eterogeneo, atto agli usi più disparati. Il fatto solo che siamo abituati a classificarlo secondo la rubrica negativa del “non rientrare nella ragione” ci mostra lo stato disordinato delle nostre conoscenze al proposito. Ordinare questo mondo in modo che ci possa servire, analizzarlo con mente tranquilla e senza preconcetti entusiasmi od avversioni, liberarlo dal continuo incubo del confronto con la ragione ed infine tentare se alcuni dei dati così ottenuti ci possono90 servire come criterio per risolvere qualche problema, come chiave per aprire qualche porta: ecco il compito che s’impone oggi alla nostra indagine91 . Va92 da sé che i metodi da usarsi non saranno i medesimi che si sono usati per il mondo razionale: e che l’ordine ottenuto non assomiglierà neppure da lontano a quello che noi conosciamo nel campo logico-matematico. La parola 82 risultati, FS : risultati E. raccogliendo è, FS : raccogliendo, è, E. 84 imponente; FS : imponente: E. 85 inesplorata FS : inesplorata, E. 86 unito FS : misto E. 87 A capo in E. 88 Kant infine FS : Kant, infine, E. dal FS : dalla possono FS : possano Nietzsche», afferma Colorni in Critica filosofica e fisica teorica aveva indicato, con acredine iconoclasta, il cammino. Ci fu chi lo seguì col pacato distacco dell’indagatore, ove il riferimento è chiaramente al metodo psicoanalitico. Di seguito in E. Eugenio Colorni stessa “ordine” non vuole avere qui che un significato analogico. Si tratterà di attingere nel mondo stesso dell’irrazionale per trovare in esso dei punti intorno a cui quella materia possa coagularsi e offrirci dei punti di appiglio per essere da noi usata. Sarebbe assurdo e avventato dare qui direttive e indicazioni. La riuscita di questo lavoro dipenderà dalla fantasia e dal fiuto di chi lo compie, dalla sua capacità di servirsi liberamente di esperienze fatte in altri campi senza lasciarsene suggestionare, dalla mobilità e ricchezza della sua facoltà di combinazione. Il risultato massimo sarà di mettere l’umanità in possesso di una o più nuove chiavi capaci di scoprire nuove leggi del reale o, se preferite, di costruire nuovi sistemi di concordanze che si offrano al nostro uso e ci permettano di soddisfare alcuni nostri bisogni. b) - Lo scienziato che dalla messa a punto kantiana ha ricevuto l’impulso ad andare al di là delle categorie, non s’indugia però nella ricerca dell’irrazionale, che non offre, finora, alcuna presa ai suoi metodi. La sua mentalità è ancora imperniata completamente sul razionalismo logico-matematico, che ha permesso ai secoli scorsi di compiere le grandi scoperte di cui vive la nostra civiltà. Ed il superamento che egli vuol compiere non98 è un superamento di principio, trasportandosi di un salto in un mondo completamente diverso, ma graduale, volta a volta seguendo le esperienze che non sono giustificabili mediante le leggi finora conosciute. Egli non si domanda quale sia la realtà assoluta che si cela agli occhi degli uomini dietro il velo delle categorie; ma piuttosto come sia possibile apprendere e organizzare il materiale secondo categorie che siano diverse da quelle finora usate. In questo senso egli è molto meno realista che il del filosofo idealista o mistico o che lo dello scienziato positivista. E in questo senso si può quasi dire che egli porti una conferma sperimentale, se non alla necessità a priori delle categorie kantiane, almeno alla dottrina kantiana delle categorie. Lo scienziato di regola non ha letto Kant. dei FS : quei E.  campi senza FS : campi, senza E. concordanze FS : concordanza E. E. logico-matematico, che FS : logico-matematico che compiere non FS : compiere, non E.  di un FS: d’un E. e FS : ed E. che il del FS : che il E. 102 che lo dello FS : che lo E. Proprio in questo comune punto di arrivo», scrive Colorni in Critica filosofica e fisica teorica trattando delle diverse forme della filosofia e della epistemologia postkantiane, «in questa medesima esigenza, in questa eguale preoccupazione di raggiungere una base stabile cui si possa attribuire un valore obbiettivo, tali diversi modi di procedere riconoscono forse tra di sé quella parentela di premesse e di fini che permette loro di attribuirsi il nome comune di filosofia. La scienza, al contrario, e precisamente perché figlia della rivoluzione kantiana, rifiuterà al contrario di operare secondo il criterio delle affermazioni di verità per muoversi attraverso un procedimento di composizione e scomposizione della propria materia. sperimentale, se FS : sperimentale se E. 105 Kantiane FS : kantiane E. Kantiana FS : kantiana E. Cinque scritti metodologici. Ma l’atmosfera diffusa del Kantismo e la nozione stessa della categoricità del reale gli suggeriscono di porsi, di fronte ad una nuova esperienza inspiegabile, nell’atteggiamento di colui che attribuisce tale inesplicabilità alla violenza che le categorie tradizionali operano sulla ricerca organizzando ogni dato secondo le loro forme. Dal quale atteggiamento deriva direttamente il tentativo di modificare le categorie e provarle di nuovo, così modificate, sul metro della interpretazione scientifica. Modificare, ho detto, non abolire. Qui si mostra la modestia dello scienziato, il suo voler provare una dopo l’altra le chiavi, il suo volontario limitare il proprio orizzonte. Da quando egli si è accorto di usare delle categorie nella formulazione delle sue leggi, è continuamente tentato di provare che cosa avverrebbe se queste categorie fossero fatte altrimenti. Come si comporterebbero i fenomeni in uno spazio che non sia quello euclideo? Materia, energia, sostanza, causalità. Che aspetto avrebbe un mondo in cui queste categorie si presentassero con caratteri diversi da quelli che hanno finora avuto? L’elemento a priori del reale, divenuto cosciente nell’uomo, comincia ad eseguire un gioco di spostamenti, di retrocessioni, di modificazioni tale da trasformare completamente l’immagine della realtà sulla quale gli uomini lavorano: come un obbiettivo che abbia imparato ad aprirsi e a chiudersi, a mettersi a fuoco a seconda delle esigenze dell’oggetto da ritrarsi. E se da un lato si può dire che questo accomodamento delle categorie viene imposta dalle modalità della ricerca scientifica, cioè dalle esperienze e dalle osservazioni che non è possibile far rientrare nelle categorie finora usate (cioè quelle dell’universo newtoniano), d’altro lato è avvenuto forse che gli scienziati, tratti dalla vaga sensazione di essere sul punto di crearsi nuovi strumenti per l’apprensione del reale, fossero attratti appunto da quelle esperienze che dei nuovi strumenti potessero aver bisogno. L’esperienza non è mai evidentemente qualche cosa di puramente passivo, e vi è sempre un motivo perché lo sperimentatore raccolga la sua attenzione su di un fatto piuttosto che su di un altro108. Comunque se la conformazione delle singole categorie è stata fortemente modificata dalla scienza moderna, non è stata modificata, anzi è stata rafforzata la coscienza della categoricità del reale. Il filosofo può giungere con ragione alla conclusione che le nuove teorie fisiche non hanno intaccato la concezione Kantiana del mondo. Noi diremmo che esse hanno tratto da quella concezione le uniche conseguenze che aprono alla mente umana nuove indefinite prospettive di ricerca. Le quali non consistono in una vaga e problematica evasione dalle categorie, ma in una tranquilla accettazione del fatto che non è possibile prescindere da una “categoricità”. Accettazione che permetta però la continua revisione delle esistenti. Kantismo e la nozione stessa FS : kantismo e la nozione stessa E. Da questo punto comincia la conclusione assente nelle precedenti edizioni del testo. 108 Sulla revisione colorniana del concetto di esperienza, cfr. supra § 3. 109 Colorni non si astiene mai dal sottolineare, nei suoi scritti metodologici, «quanto vantaggio derivi alla scienza stessa dall’eliminazione del suo substrato metafisico-finalistico» (E. Colorni, Del finalismo nelle scienze, pp. Cfr. p.e. Id., Critica filosofica e fisica teorica. Non c’è miglior propaganda per un nuovo atteggiamento intellettuale e morale che il fatto che esso si dimostri una chiave capace di aprire molte porte nel campo della scienza e della conoscenza». Eugenio Colorni 34 categorie; cioè di quelle categorie dalle quali la mente umana al suo stato attuale non può prescindere. Non è forse inutile precisare che tale revisione non ha nulla a che fare con quelle discussioni sulle classificazioni delle categorie di cui i filosofi così spesso si dilettano. Non si tratta affatto di discutere se le categorie siano dodici o dieci, o quattro o una. Se il “finalismo” costituisca una categoria a sé o rientri in un’altra. Se l’“economico” e l’“estetico” siano modi autonomi o meno di considerare le cose. Non si tratta di organizzare le forme conosciute del pensiero, e accordarsi su quali si debbano considerare originarie, quali derivate. Il lavoro da compiersi è molto più profondo e creativo. Si tratta di dare allo spirito umano la possibilità di vedere le cose in modo completamente diverso da quello usato finora; di fornirlo di un nuovo senso, mediante il quale egli possa scoprire cose finora sconosciute, risolvere problemi finora insolubili. L’atteggiamento “critico” in senso Kantiano si mostra così come l’ultima fase di tutta un’epoca e di un modo di prendere contatto col reale. La scienza messa nella possibilità di prendere piena coscienza non solo dei propri metodi, ma delle premesse necessarie di ogni sua costruzione, riceve da ciò l’impulso a superare tale necessità ed a crearsi premesse nuove. Il lavoro che qui compie lo spirito non ha solo i caratteri di una ricerca intellettuale. Ne fanno parte alcuni atteggiamenti che possiamo raccogliere sotto il nome generico di morale. Si tratta di uno sforzo violento contro un modo di considerare le cose cui tutto ci tiene legati, di tendenze alla liberazione, di salti fuori dal mondo cui si apparteneva. Si cerca di rifarsi una “nuova mentalità”, di vedere le cose con occhi diversi, di ritornare semplici, di rifiutare le costruzioni già fatte. Ci si affida alla fantasia, all’invenzione, all’intuizione, per immaginarsi mondi diversi da quello che siamo abituati a vedere. Tutti questi movimenti di conversione dello spirito, che siamo abituati [ad] attribuire al mistico o all’uomo desideroso di purificazioni o di visio. È questo il tema affrontato fra l’altro nel dialogo di Commodo dedicato a Dell’antropomorfismo nelle scienze, là dove Colorni, stabilendo la necessità di rovesciare l’umana tendenza a ricreare una natura fatta a propria immagine e somiglianza, distingue due differenti forme di antropomorfismo, a seconda che si sia o meno consapevoli – e si sappia quindi controllarne i risultati – della nostra impossibilità di prescindere dalla “categoricità del reale”: il primo antropomorfismo è «una constatazione, o meglio una necessità, dalla quale non siamo riusciti a uscire, l’altro è invece una esigenza. Ora io odio le esigenze. Non ho nemmeno alcun motivo di amare le necessità, ma da queste non vedo alcun modo per liberarci, se non illusoriamente. Evidente riferimento allo storicismo crociano, su cui Si mostra qui, in tutta la sua originalità, il senso più profondo che Colorni attribuisce al kantismo all’interno della storia del pensiero filosofico e scientifico della modernità. E. Colorni, Critica filosofica e fisica teorica (p. 206), ove si sottolinea il carattere essenzialmente morale che caratterizza il primo impulso alla scoperta scientifica: «alla base di ogni grande scoperta, di ogni rivoluzione nel campo della scienza, c’è una conquista morale; l’abbattimento di un idolo saldamente insediato e abbarbicato fra le pieghe della nostra anima, di cui è estremamente difficile accorgersi, estremamente doloroso liberarsi; idolo fatto per lo più di un cieco ed infantile amore per noi stessi, di un bisogno di sentirsi circondati da forze a noi congeniali, di veder ripetuto nell’universo, nella realtà oggettiva, ciò che sperimentiamo nel nostro intimo». Cinque scritti metodologici: 35 ni, non devono essere stati estranei a chi si è sforzato per il primo di immaginare la terra rotonda anziché piana, o il sole immobile e non la terra in mezzo ai pianeti, o lo spazio a quattro e non a tre dimensioni. Solamente che mentre il mistico suole descrivere molto accuratamente il processo della conversione, ma si ferma solo ad esso e non ci dà alcuna garanzia quando comincia a parlare di ciò che egli trova “al di là”, lo scienziato invece compie la conversione silenziosamente, spesso quasi inconsciamente; ma giunto al di à, cioè al nuovo punto di vista, è sollecito ad occuparsi solo di ciò che sia non dico vero in senso assoluto, ma usabile, cioè organizzabile in un ordine, in una legge. E per giungere a ciò escogita esperimenti e controlli che gli diano la garanzia di camminare su un terreno sicuro, sul quale sia possibile ai suoi strumenti di far presa. L’“al di là” non è affatto una negazione del di qua, non è un assoluto privo di categoria. È un mondo di nuove categorie che pretendono di essere più vaste, di comprendere in sé anche le vecchie. Rotondo anziché piano, meccanismo anziché finalismo, probabilità statistica anziché determinazione causale. La validità delle nuove chiavi è determinata dal loro uso, cioè dalla maggiore o minore possibilità che esse offrano di spiegare fenomeni, di risolvere problemi, di formulare leggi. La maggiore difficoltà consiste nell’abituarsi al nuovo modo di vedere. Non esiste neppure un vocabolario che permetta di esprimere le cose nei termini delle nuove categorie, e si è comunemente costretti a ricorrere a metafore tratte dal mondo vecchio. Gran parte del lavoro, nei primi tempi, consiste nell’escogitare una formula di trasformazione che permetta di passare agevolmente dai termini delle vecchie categorie a quelli delle nuove. Come le leggi della prospettiva mi permettono di rappresentare su un piano ciò che ha un volume nello spazio, così le “trasformazioni di Lorentz” mi permettono di usare gli strumenti a mia disposizione (calcolo, misura, ecc.) nello spazio normale, per il nuovo spazio einsteniano; analogamente la psicanalisi tenta di tra Il dominio della natura è divenuto così il prezzo dell’incredulità. È come se la grazia venisse a toccare proprio colui che ha cessato di sperarla. Il coraggio di riconoscersi abbandonato da Dio, di rinunciare ad essere il centro e lo scopo dell’universo, apre immediatamente l’occhio agli uomini, li arricchisce d’un immenso patrimonio. A bella posta abbiamo espresso queste cose in un linguaggio mistico. Quando Kant parla di rivoluzioni dovute all’ardimento di un sol uomo, di illuminazioni subitanee, di vie improvvisamente aperte a chi brancolava alla cieca, c’è in lui sicuramente la coscienza che una vera grande conquista conoscitiva è sempre frutto – più che di uno sforzo logico o di uno sviluppo dialettico – di un capovolgimento affettivo e morale; di una inversione di valori, di una vittoria conquistata contro se stessi e contro ciò cui con più profondi e tenaci ed inconsci vincoli siamo legati. Chi compie per primo un capovolgimento deve anzitutto combattere nel suo intimo una lotta non molto diversa da quella che combatte l’uomo che voglia raggiungere lo stato di perfetta passività ed umiltà di fronte al suo dio. Molinos diceva che non bisogna chiedere nulla a Dio, neppure la propria salvazione. Lo scienziato deve pure rinunziare all’idolo di una natura che parli il suo medesimo linguaggio, di un mondo organizzato in vista dei suoi bisogni e dei suoi organi. Solo questa assoluta vuotezza e purità, questa mancanza di anticipazione gli permetterà di aprire gli occhi su se stesso e sul mondo». L’osservazione rientra pienamente nell’antirealismo della metodologia colorniana. D’altra parte, risulta di particolare interesse il tentativo di delineare le caratteristiche che dovrebbero assumere le nuove categorie rispetto a quelle che volta per volta si vanno ad abbandonare. Eugenio Colorni sformare in termini della coscienza ciò che è inconscio. Mediante tali trasformazioni si aiutano anche gli altri uomini a trasportarsi sul nuovo piano; si forniscono loro, per così dire, gli occhiali che permettono di vedere con la nuova illuminazione, finché non si sarà tanto avvezzi da poter fare a meno di occhiali, ed usare un linguaggio diretto. Ma il linguaggio appunto serba sempre le tracce di ciò, e le etimologie documentano spesso tali mutamenti di registro. Tale è, presso a poco, lo stato delle cose attualmente. Si veda, fra i riferimenti colorniani alla psicoanalisi e a mero titolo di esempio, quanto è dall’autore affermato nel dialogo intitolato Della lettura dei filosofi. La psicanalisi è una scienza ad uno stadio che corrisponde circa a quello dell’astronomia prima di Copernico, e dell’alchimia prima della chimica. Ha individuato in modo vago, mitico, pieno di pregiudizi e di troppo rapide generalizzazioni, delle relazioni e dei rapporti finora inosservati. Ha abbozzato una parvenza di metodo di ricerca: metodo talmente incerto e malsicuro che il più delle volte conduce a risultati opposti a quelli che si volevano ottenere. Ma insomma, si muove in un campo completamente sconosciuto, e il materiale che sta portando alla luce è di un tale interesse, che il rifiutarlo solo perché non è stato ancora capace di organizzarsi secondo gli aurei schemi del metodo scientifico mi sembra il colmo del filisteismo professorale». L’accenno alla possibilità di una condurre una vera e propria analisi categoriale attraverso lo studio del linguaggio è forse uno degli aspetti più interessanti ed originali di queste pagine Cinque scritti metodologici Commodo a Ritroso Vedo che non sei sazio di facili vittorie. Se il tuo scopo era di dimostrare che tu sai l’economia e io no, l’hai raggiunto pienamente, a tua perenne gloria e soddisfazione. Ma se io volessi ritorcere le tue intimazioni sulla mia abilità nelle scienze di cui mi occupo, ti direi che, con tutta la tua bravura, non sei stato neppure capace di chiarire il mio dubbio. Non te lo dico, perché sono sicuro che ci saresti riuscito facilmente, solo che ti fossi occupato di capire attraverso gli sbagli e le imprecisioni, quello che ho cercato di dire, anziché limitarti a sfogare a tua rabbia. Se un dilettante o un principiante di teoria della scienza mi viene a parlare di corpo rigido in un senso errato e diverso da quello usato dai fisici, io cerco di capire quale concetto egli cerchi di adombrare dietro al termine improprio; e mi guardo dal cedere alla meschina soddisfazione di prenderlo in castagna ad ogni parola. Il fare così, con tua buona pace, si chiama in italiano pignoleria. Io non voglio prendere sul serio questo tuo modo di discutere che è probabilmente solo una reazione alla mia aggressività, e il riflesso di arrabbiature prese non in questa ma in altre discussioni. E non ho ancora perso la speranza di trovare in te un esperto ed aperto iniziatore ai problemi dell’economia, anziché un geloso e gretto sacerdote del tempio della scienza. Questo metodo, hai ragione, è supremamente irritante e presuntuoso; ma a me è molto utile, perché mi permette, fra l’altro, di appropriarmi i concetti fondamentali con maggiore consapevolezza, senza subirli, e mantenendo rispetto alle scienze quel certo distacco che è pur necessario al critico e al metodologo. Una nozione si forma molto più salda nella mia mente, quando ha resistito vittoriosamente ai miei ripetuti attacchi, che quando l’ho dovuta imparare dalle pagine di un manuale. 1 FS, sez. 1, Carte personali, serie 2, Documenti diversi, b. 3, Inediti di Eugenio Colorni. Per la storia di questo scritto in relazione agli altri dialoghi economici colorniani, si rinvia alla Nota del curatore. Così si rivolge Commodo a Ritroso in E. Colorni, Dell’antropomorfismo nelle scienze. Mi pare che tu sia un po’ troppo attaccato, o Ritroso, alle prerogative professionali. Sei proprio sicuro che l’aver frequentato una scuola ufficiale e aver letto molti trattati, e avere una lunga consuetudine coi ferri del mestiere, sia una condizione assolutamente necessaria per capire qualche cosa dei principî fondamentali di una scienza? Non vi è mai capitato di dover dire a una persona una di quelle cose scottanti, dopo le quali non si ha più il coraggio di guardarsi negli occhi? Ebbene, se voi scegliete il partito di prenderlo in disparte con tono mansueto e fraterno, mostrandogli comprensione ed affetto, e lo consolerete, e cercherete di addolcirgli in tutti i modi la pillola; se farete questo, siete dei volgari istrioni, innamorati di voi stessi, infatuati della vostra funzione, incapaci di comprendere e di amare l’amico. Voi vorreste assestargli il colpo che darà inizio per lui a una dolorosa lotta contro se medesimo, e in più avere la sua gratitudine, la sua ammirazione. Vorreste, nel momento in cui egli si sente basso e spregevole, apparirgli voi come l’arcangelo liberatore, il puro, il disinteressato, l’immacolato. Se vi prende a calci, è il meno che possa fare. Ditegli invece le medesime cose in un accesso di rabbia, in una lite violenta, in cui voi avrete almeno altrettanto torto quanto lui. Buttategli in faccia queste verità come veleno che schizzi dalla vostra lingua; dategli un appiglio per difendersi, un’occasione di odiarvi, di considerare tutto ciò che gli dite come falso e malvagio. Il vostro  Eugenio Colorni Non so se questo possa servire agli occhi tuoi da giustificazione. Non credere che questo metodo sia in me qualche cosa di cosciente e di voluto. Me ne accorgo oggi per la prima volta, cercando di analizzare perché le tue accuse mi colpiscono e insieme non mi colpiscono. Delle tue osservazioni incasso senz’altro la lezione sulla matematica; io non avevo avuto altra intenzione che di riinventare per conto mio quell’ombrello; e naturalmente l’ho inventato più brutto, più goffo e confuso di quello che c’è già. Il solo punto che non mi è ancora chiaro è quello indicato nell’accluso foglietto. Mi basta che tu risponda a monosillabi e credo che non ci perderai più di un quarto d’ora. PALINODIA COMMODO A RITROSO Da principio mi sono preso una solenne arrabbiatura, e ti avevo già risposto una lettera piena d’insolenze. Poi, nel rileggere tutto insieme a mente più calma, ho visto che in fin dei conti hai tutte le ragioni. Ma, poiché le tue accuse mi toccano solo in un certo speciale modo, vorrei spiegarti quanto segue a puro titolo di chiarimento personale: Da uno che si avvicina ad una scienza che non conosce è giusto di pretendere che lo faccia “con le ginocchia della mente inchine” pronto ad apprendere anziché a criticare. Gli s’impone, e ben a ragione, un lungo e silenzioso noviziato, solo finito il quale gli si potrà accordare voce in capitolo. Tutto questo è giusto (e lo dico senza la minima ironia). Ma il risultato è che un uomo, di solito, di questi noviziati ne fa uno solo, e vi resta legato per tutta la vita. Si specializza in una materia, e da essa non esce, salvo che per excursus curiosi e dilettanteschi. Ora a me questo non è concesso, giacché i miei interessi più specifici si rivolgono alla metodologia delle scienze. E dato che mi farebbe schifo risolvere il mio problema dall’alto, escogitando un paio di criteri filosofici e applicandoli poi come chiavi capaci di aprire tutte le porte6 ; sono costretto ad avvicinarmi a insegnamento allora penetrerà nel suo cuore in modo umano, lieve, benefico. Egli sarà libero di accoglierlo come cosa sua, e avrà modo di stimare se stesso per non avervi serbato rancore. Nella sua accettazione ci sarà il senso di fare una conquista, di costruire qualche cosa. Non vi temerà. Che sia questo il senso del mito di Nereo, l’indovino col quale bisognava azzuffarsi perché si decidesse a profetare?». Su questa immagine del mito di Nereo, rinvio ad A. Cavaglion, «Il mio poeta». Colorni, Saba e la psicoanalisi, in G. Cerchiai e G. Rota, Eugenio Colorni e la cultura italiana fra le due guerre, Cfr. quanto spiegato nella Nota del curatore. Citazione a senso da Vergine bella, che di sol vestita, dal Canzoniere di Petrarca (CCCLXVI, v. 63). E. Colorni, Giustificazione, Colorni disprezza coloro che chiamano filosofia l’aver trovato una formula per interpretare il mondo. La metafora della chiave è spesso utilizzata da Colorni per indicare precisamente l’errore di scambiare la ricerca filosofico-scientifica con la scoperta di un criterio esplicativo unico ed onnicomprensivo. Su tale metafora cfr. anche Programma. ciascuna scienza, non per esserne genericamente informato, ma con l’impegno di osservarne con occhio critico gli interni meccanismi e cavarne conclusioni non genericamente filosofiche, ma che possono aiutare il procedere della scienza stessa. Se voglio far questo è chiaro che non posso pretendere di sfuggire al noviziato più severo, in ciascuna delle scienze cui mi avvicino. E non mi sogno di sfuggirvi. Posso però cercare di rendermelo più piacevole. Il metodo che, inconsciamente, ho trovato, è questo: Anziché accostarmi a grossi trattati con fare accogliente e passivo, pronto ad imparare e ad adagiarmi nell’ordine della loro esposizione, io parto con la lancia in resta, pieno di idee sballate e confuse, sfondando porte aperte ad ogni passo, ed inventando ombrelli, desideroso di scontri e di battaglie. Da ogni scontro esco ammaccato e contuso (come da questo con te) ma con un’idea più chiara. Ogni knoch out subito mi fa fare un passo avanti nella comprensione della scienza. Così non evito naturalmente, lo studio; e della lettura dei trattati non posso certo fare a meno: ma mi riesce più piacevole leggerli come appassionati combattenti, piuttosto che come amorosi pedagoghi. A patto, s’intende, di non impuntarsi mai, e di essere pronto a riconoscere la sconfitta. Laboratorio dell’ISPF. Geri Cerchiai ISPF-CNR, Milano. Laboratorio dell’ISPF. Saggi di Colorni conservati presso la “Sapienza” Università di Roma, Biblioteca del dipartimento di Fisica, Fondo Vittorio Somenzi. In essi Colorni espone alcuni dei punti chiave della propria metodologia, delineando una proposta epistemologica destinata ad essere riscoperta e apprezzata dopo la caduta del regime fascista, nel secondo dopoguerra.  Carlo Rosenberg. ‘G. Rosenberg’. ‘Agostini’. ‘Franco Tanzi’. Eugenio Colorni. Colorni. Parole chiave: diadologia, il concetto dell’individuo, l’idealismo filosofico como malatia, indice alla malatia metafisica, scritti filosofici curati da Bobbio, scienza unificata, ebreo-italiano, ebreo-britannico Ayer, circolo di Vienna, Reichenbach, Hilbert, Eddington. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Colorni” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51716305145/in/photolist-2mMZzKx-2mLLEoX-2mLJCwP-2mLLE12

 

Grice e Conte – il sacrificio – filosofia italiana – Luigi Speranza (Pavia). Filosofo. Grice: “Must say I love Conte – he  has almost the same talent for linguistic coinage that I do! In Italy ‘filosofia del diritto’ is much more respectable a discipline that it is at Oxford! But Conte managed to keep it philosophically interesting for the philosopher’s philosopher that I am!” “Conte proves that moral philosophy is at the heart of philosopohy qua-uni-virtue – for the critique of reason must include the buletic – and that’s all that Conte dedicates his philosophy too! Into the bargain, he expands into concepts like sacrifice, punishment, ‘fiducia’ (my principle of conversational trust), and so much more!” “He plays with language the way only Heidegger did in German and I in English!” --  -- Grice: “Conte is what I – and Italians – would call a ‘Griceian conversationali pragmaticist.’” Studia a Pavia e Padova. Si laurea a Torino sotto Bobbio con “Ius naturale.” Insegna a Pavia. Si occupa della semiotica del performativo deontico o buletico, la regola eidetico-costitutive, validità buletica – desirabilita -- deontica, modo imperativo, prammatica conversazionale – alla Grice. In che cosa consiste quell’’impero’, dal quale il modo imperativo prende il nome. Altre opere: “Interpretazione analogica. Pavia, Tipografia del Libro, “Ius ed ordine” (Torino, Giappichelli). Primi argomenti per una critica del normativismo. Pavia, Tipografia del Libro, Ricerca d'un paradosso deontico” (Pavia, Tipografia del Libro); Nove studi sul linguaggio normativo. Torino, Giappichelli); Filosofia del linguaggio normativo. I. Studi; Torino, Giappichelli, Filosofia del linguaggio normativo. II. Studi; Con una nota di Bobbio. Torino, Giappichelli); Imperativo ed ordine. Studi Torino, Giappichelli); Filosofia del linguaggio normativo. III. Studi, Torino, Giappichelli); Filosofia del diritto” (Milano, Cortina); Ricerche di Filosofia del diritto” Torino, Giappichelli); “Res ex nomine” (Napoli, Editoriale Scientifica); “Sociologia filosofica del diritto. Torino, Giappichelli); “Adelaster. Il nome del vero” (Milano, LED). È inventore del genere da lui chiamato "eido-gramma" ed autore di numerosi eidogrammi, solo parzialmente éditi:  Nella parola. Osnago, Pulcino elefante, Kenningar. Bari, Adriatica. "Per una critica della ragione deontica" (introduzione alla Filosofia del linguaggio normativo).  Pragmatica. Filosofia del diritto Logica deontica Ontologia Performativo (atto verbale) Pragmatica Semiotica Semantica. Grice: “Conte quotes from Aristotle’s Soph. El. On the ‘homonimia’ of deon’ – “sometimes for the good, but sometimes for the bad.” Conte distinguishes between semantic ambiguity – surely ‘must’ or the imperative mode does not have TWO senses – and ambivalenza prammatica. Since Aristotle is refusing to use Frege’s idea of ‘Sinn’, and keep referring to ‘semeion’ (Latin segnare) rather, we may well conclude that Aristotle is just Greek Grice. Conte does not dwell much on the imperative mode. Modo imperativo is qualified. Modo is qualified as being modo verbale – the mode of the verb impero. But then the future in French has a ‘valore imperativo.’ Conte is more interested in the ‘must.’ But surely his quoting from Philippa Foot and his joint work with von Wright into Kant’s hypo versus cate is very Griceian! On top, Conte has a taste for local historical analysis and has discovered some gems in some jurisprudential philosophers of his ‘paese’!”  Amedeo Giovanni Conte. Keywords: il sacrificio, the sorry story of deontic logic, fondatore della logica deontica al Ghislieri di Pavia, il giuridico, giudicare, giuridicare, impiego, employ (as noun), employ-ment, empiegamento, Conte e Wright – Wright cited by Grice, alethic --. Wright on change cited by Grice in “Actions and Events”, Mario Casotti, Volere, Grice, Volere --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Conte” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51771571040/in/dateposted-public/

 

Grice e Contestabile – BRVNO – filosofia italiana – Luigi Speranza (Teano). Filosofo. Grice: “I love Contestabile; I love a philosopher with a sense of humour! At Oxford, it has become increasingly difficult to laugh at people’s surnames! But ‘grice’ means ‘pig,’ in Norwegian! – Anyway, Contestabile contests a revisionist account of Bruno’s life – “surely he wasn’t a coward – I know because of his links with the Campanella whom my family supported in his fight against the furriners!” Cacciato con una telefonata» Intervista di Dino Martirano, Corriere della sera. Con il Psi non ho ricoperto grandi incarichi ma ho avuto l'onore di essere stato amico di Craxi. Mi mancherà la politica ma non è una tragedia. Torno ai miei studi, alla filosofia medioevale. Mi mancheranno certi momenti. Io, che ero stato nel Psi fin quando nel '92 la procura della Repubblica lo ha sciolto, ricordo bene i mesi trascorsi al ministero della Giustizia: col ministro Biondi fummo i protagonisti del tentativo fallito, però generoso, di riportare la giustizia sui binari della normalità. Sciolto il partito [Psi], chi si è fatto maomettano, chi ebreo, chi cattolico. Però sempre socialisti siamo rimasti. Domenico Contestabile avvocato e politico italiano Lingua Segui Modifica Domenico Contestabile Sottosegretario di Stato del Ministero della Giustizia Durata mandato10 maggio 1994 – 17 gennaio 1995 PresidenteSilvio Berlusconi PredecessoreVincenzo Sorice SuccessoreAntonino Mirone Vicepresidente del Senato della Repubblica Durata mandato PresidenteNicola Mancino Senatore della Repubblica Italiana LegislatureXII, XIII, XIV Gruppo parlamentareForza Italia CircoscrizioneLombardia CollegioCinisello Balsamo, Vigevano Incarichi parlamentari Sottosegretario di Stato per la grazia e giustizia Sito istituzionale Dati generali Partito politicoFI Titolo di studioLaurea in giurisprudenza Professioneavvocato Domenico Contestabile (Teano, 11 agosto 1937) è un avvocato e politico italiano.  BiografiaModifica Laureato in giurisprudenza, esercita la professione di avvocato. Entra in politica iscrivendosi al Partito Socialista Italiano (partito a cui è appartenuto fino agli eventi che hanno travolto tale formazione politica)[1]. In seguito aderisce a Forza Italia, affermando che in tale movimento politico l'area socialista era ben accolta e rappresentata[2]. Viene eletto senatore per la prima volta nel 1994 ed è rieletto anche nelle due successive legislature. Dal 16 maggio 1996 al 29 maggio 2001 è stato vicepresidente del Senato[3]  Incarichi parlamentariModifica Ha fatto parte delle seguenti commissioni parlamentari: Affari costituzionali e giustizia; Difesa. Membro, inoltre, della giunta per le elezioni e immunità parlamentari.  Sottosegretario di StatoModifica È stato sottosegretario di Stato per la Grazia e giustizia nel primo governo di Silvio Berlusconi (dal 13 maggio 1994 al 16 gennaio 1995).  NoteModifica ^ Tutti i figli e i figliastri del garofano[collegamento interrotto], su qn.quotidiano.net. ^ Adnkronos - Psi: Contestabile a De Michelis, noi stiamo bene in FI ^ Senato - XIII legislatura Voci correlate Modifica Governo Berlusconi I Partito Socialista Italiano Altri progettiModifica Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Domenico Contestabile Collegamenti esterniModifica Domenico Contestabile, su Senato.it - XII legislatura, Parlamento italiano. Domenico Contestabile, su Senato.it - XIII legislatura, Parlamento italiano. Domenico Contestabile, su Senato.it - XIV legislatura, Parlamento italiano. Biografie Portale Biografie Politica Portale Politica Socialismo Portale Socialismo Ultima modifica 3 anni fa di InternetArchiveBot PAGINE CORRELATE Fabrizio Cicchitto politico italiano  Giulio Maceratini politico e avvocato italiano  Gaetano Scamarcio politico italiano   Il contenuto è disponibile in base alla licenza CC BY-SA 3.0, se non diversamente specificato. Altre opere: Bruno: una revisione contestata” – La storia della filosofia è continua revisione, e non mi scandalizzo per il revisionismo bruniano. Mi sembra però che questi non colga nel segno. La vita diBruno, dalla fuga da S. Domenico Maggiore a Napoli fino al rogo di Campo dei Fiori a Roma, è di singolare coerenza. Fu una vita “contro”. L’accusa implicita di opportunism mi sembra perciò singolare. E’ vero che, durante il processo, ritratta molte sue tesi, e avrebbe avuto salva la vita se avesse continuato in questo atteggiamento. Alla fine però si stanca, e scelse lucidamente di morire.  E’ opportunista chi cerca solo di salvare la pelle, e poi decide di morire perché ritiene che il suoi giudice ha esagerato? In quanto alla tesi sul Bruno spia elisabettiana, essa non è, a mio giudizio, provata, anzi è smentita dalla comparazione tra la grafia di Bruno e quella dei biglietti di spionaggio. Infine, la tesi a proposito della relazione tra Campanella e Bruno non mi ha mai convinto. Campanella (la sua rivolta e finanziata dalla nobile famiglia Contestabile, come ricorda Firpo nel suo ottimo saggio sul processo a Campanella) vuole poi un regime “comunista”? A leggere “La città del sole” non si direbbe. Domenico Contestabile. Keywords: BRVNO, nobilita italiana, la famiglia Contestabile financia la rivolta di Campanella -- filosofia medioevale, Bruno. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Contestabile” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51770658001/in/dateposted-public/

 

Grice e Conti – VIRGILIANA – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Grice: “Conti is a good one – he reminds me of Bosanquet and Pater – the decadents in Italy came AFTER them at Oxford! Conti philosophised on many aesthetic subjects, such as man, masculinity, and maleness --!” Di una famiglia originaria di Arpino, dove frequenta il locale liceo. Si ccupa di filosofia estetica. D'Annunzio lo cita nel “Giovanni episcopo” e si ispira a lui per ‘Daniele Glauro’ in “Il fuoco”. Insegna a Firenze presso la Galleria degli Uffizi ed a Venezia presso l'Accademia di Belle Arti. Saggio: “Zorzi; o Giorgione – l’estetica di Zorzi” -- Tornato a Firenze, “La beata riva”, raccolta di saggi che delineavano la sua concezione critica ed estetica, ispirata dichiaratamente a Platone, Kant e Schopenhauer. La prefazione fu curata d’Annunzio, il quale scrive di stimare molto Conti e di ammirare il suo “ascetismo” estetico.  Direttore delle Antichità di Roma. Direttore della Reggia di Capodimonte a Napoli. Si ispirò alla poetica del filosofo oxoniese Pater e Ruskin.  Altre opere: “Giorgione, Firenze, F.lli Alinari, “Catalogo raggionato delle regie gallerie di Venezia, Venezia, Tip. L. Merlo); La beata riva, Milano, F.lli Treves); Sul fiume del tempo, Napoli, R. Ricciardi); “Dopo il canto delle Sirene, Napoli, R. Ricciardi); Domenico Morelli, Napoli, Edizioni d'arte Renzo Ruggiero); “San Francesco, con un saggio di Giovanni Papini, Firenze, Vallecchi); “Virgilio dolcissimo padre, Napoli, R. Ricciardi). Praz nota che Parodi era solito leggere La beata riva di Conti prima di addormentarsi; quando morì, la lettura non era stata ancora terminata.  Dizionario Biografico degli Italiani, Forme del tragico nel teatro italiano. Modelli della tradizione e riscritture originali,Romantici, vittoriani, decadenti – filosofo decadente – decadentismo -- e museo dannunziano, in Bellezza e bizzarria – il bello e il bizzarro., Croce, La letteratura della nuova Italia, Marcello Carlino. A. Conti, Due conviti di Mattia Preti, Bollettino d'Arte.  Io vengo dal mare di Napoli e sono tornato qui a rivedere la primavera. Non c'è nessuna altra città in cui, come in questa, il rifiorire degli alberi e delle siepi si accordi con la giovinezza delle opere del genio umano, nessuna ove, come qui, la Primavera sembri rimanere per un istante velata, per poi riapparire pili fulgida e piìi lieta, al ritorno dei venti che spirano dalle colline e recano i nuovi fiori. Sono anche giunto fra voi, per parlarvi della pittura di Leonardo. Ma il mio compito, dopo la lettura deirillustre scrittore francese che m' ha preceduto, sarebbe oggi, non dico diffìcile, ma quasi vano, se le mie idee fossero affini alle sue ed egli fosse vicino al mio pensiero come io sono vicino al suo aff'etto per questa nobile terra toscana, ove l'arte ha continuato la grazia gentile e la pura bellezza della natura. Diversità di pensare e anche d'immaginare mi rendono oggi possibile esprimere qualche cosa a voi forse non detta, e combattere qualche affermazione troppo lontana dalla mia sicura fede. Leonardo è il discepolo del Vermocchio. Ora, che cosa poteva egli apprendere dal suo grande maestro? Non cer- 84 Angelo Conti, Leonardo pittore tamente l'arte, la quale non si apprende e non si insegna. Quale uomo, che sappia che cosa è l'arte, potrà mai pensare alla possibilità di creare con l'insegnamento un pittore, un musicista, un poeta? La natura sola genera gli artisti, e l'uomo al pili può aiutarli a trovare i mezzi d'esprimere la parola ch'essi son destinati a pronunziare nel mondo. Il maestro, al discepolo suo, nato artista, può dire : " Il tuo cuore è impaziente d'indugi, tu sei nato per il canto o per la espressione plastica o per la espressione mediante il colore della tua gioia o della tua amarezza; guarda, ecco il dizionario che contiene le parole di ogni umano discorso, ecco la tavolozza sulla quale io appresi a mescolare i colori che imitano la bellezza del cielo, della terra e del mare ; ecco in qual modo si modella la creta, affinchè dall'informe materia apparisca viva dinanzi a noi l' immagine dell'uomo. Questi sono i mezzi, che io ti posso indicare; ma il discorso, il canto, il soffio debbono essere tuoi, né io te li posso insegnare „. Ogni opera d'arte è, rispetto alle opere precedenti, una cosa diversa e nuova, nella quale, se pure sono entrati, alcuni elementi precedenti e preesistenti, hanno mutato natura, si sono trasformati in parti di quel tutto inatteso e prodigioso che si chiama la creazione artistica. Chi non sa che in Leonardo appare un' immagine del sorriso che si mostra appena accennato sulle labbra del giovinetto Davide del Verrocchio? Si, appare, ma è un riHesso che illumina un altro mondo ; poiché questo riso, ricomparendo dalle labbra dell'eroe adolescente sul viso e negli occhi della Gioconda, diviene il mistero della seduzione femminile, una grazia insidiosa e un periglio, un'armonia che nasce dal- Angelo Conti, Leonardo pittore 85 l'espressione d'iin volto, si diffonde verso il paese lontano e attira il contemplatore. Il sorriso verrocchiesco è in Leonardo come nn brano di Plutarco in Shakespeare. Or chi oserebbe dire che l'immortale tragico inglese derivi da Plutarco? Leonardo e il Yerrocchio sono due artisti assolutamente distinti, che parlano un linguaggio interamente diverso e che, se somigliano esteriormente in qualche cosa, hanno due anime quasi opposte, chiusa l'una nella sua idea di bellezza e di stile, l'altra aperta a tutte le manifestazioni della natura e della vita, in una continua ansietà di fissarne l'immagine mutevole con la semplicità del segno rivelatore. Noi viviamo pur troppo in un triste momento della vita, poiché la maggior parte degli uomini ai quali parliamo non sanno che cosa sia l'arte, e lo Stato crede a chi meno vede. Non è forse ancora possibile vincere una così detta scuola di critica scientifica, fondata sull' errore già accennato e chiusa nella rete del pregiudizio cronologico. A coloro che ancora credono alle influenze sugli spiriti geniali e alla necessità in arte di una classificazione come in botanica, noi possiamo trionfalmente rispondere con Leonardo che l'artista genera le sue opere qual fanno le cose. Egli deve creare come fa la natura, e le sue opere superare e cancelUxre i segni del tempo che passa. Un quadro, una statua, un edifizio debbono nascere come le selve e apparire come le albe. Or chi penserà all'epoca d'una primavera o d'un ciclo stellato? Non c'è opera d'arte geniale che venga per noi dal passato lontano, come non e' è indizio di vetustà nelle montagne e nella aerea architettura delle nubi. Dinanzi all'umanità che passa, il genio si ferma e rende eterna la 86 AxGELO Conti, Leonardo pittore sua traccia come è nel cielo il cammino delle stelle. Avete udito il canto dcirusignolo? Lo riudirete in tutte le primavere. Il genio vi farà sempre udire la sua voce fresca e giovanile come nella stagion nuova della terra il canto dell'usignolo. Aprite Virgilio: ecco, è l'alba e cantano le allodole, è una notte serena, e l'uomo si perde nella luce lunare. Aprite Dante, e siete nell'eternità della vita. Ivi nulla dilegua, nessuna cosa invecchia o perisce, e noi stessi, -accanto a quelle grandi anime, siamo per un istante fuori del tempo. Questo momento di liberazione provai per la prima volta alcuni anni or sono a Milano, trovandomi dinanzi alla Cena, nel convento di Santa Maria delle Grazie. Vidi il capolavoro nella medesima ora indicata dalla luce clie lo illumina dal fondo, tanto che mi fu d'un tratto facile superare i mille e piìi anni passati e trovarmi presente alla scena Gesù era seduto nel centro del convito e da poco avea prò nunziato le parole : qualcuno di voi mi tradira. I convitati a destra e a manca s'erano ritratti e aggruppati in tumulto lasciando nel mezzo Gesù solo, con la sua tristezza infinita La sala era piena di gesti concitati e di ansiose interrogazioni. Il Maestro solo era calmo e la sua figura, sul paese che gli s'apriva lontano alle spalle, era immobile. Ma qual dramma in quella immobilità ! Mentre la sua mano destra, lievemente contratta, esprimeva un istante di ribellione e come un istintivo moto d'ira, la sinistra nel momento successivo s'abbandonava col dorso poggiato sulla tavola e le Angelo Conti, Leonardo pittore 87 dita allungate, esprimendo la rassegnaziona e il perdono. Gli occhi abbassati non guardavano e non vedevano nulla di ciò che era presente, ma contemplavano internamente il grande spettacolo del dolore e della miseria umana, mentre la sua anima sembrava essersi già rifugiata in quel fondo di paese luminoso e lontano, dove abitavano una grande speranza e una eterna pace. Nessun uomo avevo veduto mai così solo come Gesù in mezzo a quel tumulto. Era un'isola in mezzo a un mare procelloso. Le onde fragorose del tempo, che travolgono^ uomini e cose, mi avevano forse spinto ad approdare ad una riva ove splendono i fiori eterni della vita? Mai infatti, come quel giorno, ebbi, per virtìi dell'arte, la visione della vita, in un oblio piti completo. Quando il custode del Cenacolo venne ad annunziarmi Fora della chiusura, io riudii nuovamente, dalla strada vicina, il rumore delle carrozze e il rombo dell'esistenza; e ritornai fra gli uomini. Pochi anni or sono Gabriele D'Annunzio scrisse una bella pagina di poesia per rimpiangere la rovina del Cenacolo. Voi infatti sapete, che, come della antica e celebrata pittura dei greci, fra pochi anni della Cena vinciana non resterà se non il ricordo ^ Il doloroso avvenimento non ^ Questo studio su Leonardo lìiitore era già stato scritto, quando fu compiuta in Milano dal pittore prof. Luigi Cavenaghi l'opera di ristauro del Cenacolo, salutata da tutti i cultori ed amatori d'arte con gioia e gratitudine. Il Cenacolo, compiuto da Leonardo nel 1497, cominciò ben presto a guastarsi; ì primi provvedimenti per salvare il capolavoro risalgono al cardinale Borromeo, poi nei secoli si susseguirono alternative di lunghi abbandoni, di fallaci rimedi empirici, di studii incompleti e riparazioni deturpatrici, fin che il prof. Cavenaghi fu nel 1904 incaricato delle ricerche scientifiche e tecniclie che, precisando le cause e l'entità dei guasti, portassero ai rimedii più efficaci. Egli trovò — sono sue parole riprodotte naìVIllustrazione Italiana, n. 41, dell'I 1 ottobre 1908 — che il dipinto, coperto da polvere di secoli, si screpolava e la crosta di colore si solle- ^rt Angelo Conti, Leonardo inttore poteva non commuovere e non far riapparire la visione tragica del fato clic incombe sui capolavori. Ma è forse una illusione. In realtà la natura non distrugge ne i fiori o le selve della terra ne le opere del genio : la Minerva criselefantina di Fidia è passata dall'avorio e dall'oro nelle pagine immortali dei poeti e nella eterna memoria degli uomini. Quando un capolavoro scompare, noi non dobbiamo pensare che il tempo lo abbia distrutto, ma semplicemente che si sia oscurato lo specchio che ci proiettava la sua imagine nel tempo e nello spazio. Nella profonda unità dell'anima umana, clie rende i poeti e i filosofi simili ai figli d'una madre sola, l'ispirazione da cui esso nacque riman pura e vivente come una forza della terra non ancor vestita della sua forma. Se avessi la virtù del canto, vorrei lodare e far comTava dall'intonaco, a squame di varia misura, di modo clie parecchie di quelle i grandi, accartocciandosi, formavano altrettante sacche che si riempivano con al- tre piccole squamette che vi cadevano dall'alto. Vuotare ad una ad una le sac- che senza scuoterle, senza quasi toccarle, mediante una pagliuzza resa attaccaticcia da una sostanza adatta, poi fare aderire le sacche e le croste all'intorno, togliendone, con un certo liquido dal Cavenaghi ideato, la polvere alla superficie, questo sostanzialmente fu il lavoro paziente, mirabile, nel quale, per più di due mesi durò il Cavenaghi, rendendo più tonica la fibra in isfacelo, facendole riac- quistare un po' di colorito, così che il dipinto non debba peggiorare e possa vi- vere ancora a lungo, con infiniti riguardi ed amorose cure. Ma — disse il Cavenaghi — sarà sempre un organismo precario, e per le condizioni sue, pieno come è di cicatrici, e per l'ambiente. Ad ogni modo questo del Cavenaghi è •stato pel Cenacolo Vinciano il ristauro essenziale, decisivo, nei secoli; e grandi manifestazioni di gratitudine ed ammirazione sono state tributate all'assoluto disinterewse, pari all'amore grande per l'arte, spiegati dal benemerito ristauratore, al quale Caravaggio, sua terra natia, ha consacrato una targa artistica a memoria del fatto; ed i cultori ed amatori d'arte, auspice Luca Beltrami, gli hanno conferita il 4 luglio 1909, davanti al capolavoro vinciano, una bellissima medaglia d'oro. Il prof. Cavenaghi inoltre è stato chiamato dal Papa, in sostituzione 4el defunto prof. Seitz, all'onorifico ufficio di direttore delle pinacoteche vaticane. Angelo Conti, Leonardo inttore 89 prendere la vita maravigliosa che il Cenacolo leonardesco chiude nella sua rovina. Come la rovina d'ogni cosa grande, essa equivale ad una purificazione e ad una apoteosi. Finche resterà un sol frammento della parete prodigiosa, finche un sol disegno, una sola stampa, una sola fotografia, custodiranno un riflesso lontano della sua bellezza, quella creazione del genio sarà per noi piìi potente che se il tempo e gli uomini l'avessero rispettata in tutte le sue parti caduche. E un errore credere che il tempo non rispetti i capolavori; e noi molto spesso parliamo, spinti dall'abitudine, contro l'eterna verità delle cose. Il tempo, artista maraviglioso, è il solo degno collaboratore del genio umano. Dove sembrava che l'opera geniale sì fermasse, egli la continua, mutilandola: dove appariva ciò che è chiuso e preciso, egli apre una via infinita all' imaginazione ; dov' era un aspetto freddo e muto della realtà, egli fa nascere i segni del mistero. Ciò che sembra una distruzione e invece una rivelazione e una consacrazione. E la natura che riprende l'umana opera interrotta, che fa apparire la sua forza dove la mano dell'uomo cadde stanca, e che, dove l'ispirazione di questo si oscurò e si confuse, fa cantare le sue eterne aspirazioni. Ma non bisogna lodare il tempo soltanto per le sue rovine ; è necessario esaltarlo anche per tutte le opere d'arte che, in compagnia del fato e della umana malvagità, ha impedito di compiere al genio umano. Alludo principalmente alle cosi dette sculture non finite di Michelangelo e ad un quadro, che è ancora considerato un abbozzo, di Leonardo. Come i capolavori in rovina appariscono vicini a rientrare Leonardo da Vinci. 12 90 Angelo Conti, Leonardo pittore nella iiuiversalitìi della vita, i capolavori incompiuti seml)rano usciti da poco dal seno stesso della natura. L'artista ne segnò l'imaginc non fra i tormenti del lavoro consapevole, ma come in sogno, obbedendo ad una volonth oscura che per qualche istante abolì la sua volontà individuale. Poche tracce di pentimenti in quei primi segni, ma l'espressione d'una beata obbedienza, come di chi si affidi al mare, e una ricchezza e una esuberanza di vita uguale a quella di cento uomini felici. * Mi limito a parlarvi del quadro di Leonardo, oggi nella Galleria degli Uffizi, e che rappresenta l'Adorazione dei Magi. La prima cosa che ci colpisce è il movimento. Noi sentiamo subito che il pittore ha voluto rappresentare un avvenimento straordinario, un grande fatto della natura e della vita. Quasi tutte le figure vanno, strisciano, accorrono verso la parte centrale della rappresentazione, ove si fermano prostrate e come atterrate dallo stupore e dalla maraviglia. Fra i gruppi in movimento, alcune figure stanno diritte e immobili a guardare la scena. Nel centro una calma assoluta. La Madonna vi appare seduta in una attitudine piena di grazia materna, e sulle sue ginocchia il bambino si china e protende una mano per toccare il 'dono che un vecchio genuflesso gli porge. Intorno si raccoglie e si concentra tutto ciò che nel quadro raggiunge la maggiore intensità d'espressione e la maggior forza di vita. Questi vecchi che vengono da lontano, guidati dal mistero, sono una A\GELO Conti, LeonarJo j)ittore 91 fra le più potenti creazioni del genio umano. Tutta la scena, piena della loro commozione e del loro sbigottimento, sembra irradiare come un vento di tempesta che, dall'anima dei vecchi, giunga sino ai punti piti lontani del quadro. Ed ecco che noi vediamo gli effetti dell'onda invisibile. Dietro il gruppo centrale è un accorrere disordinato di gente : uno ha le mani levate e grida come per un ignoto pericolo, un cavaliere non riesce a contenere lo spavento del suo cavallo, altri gruppi di cavalli nel fondo appariscono spinti dalla furia d'una battaglia; qua e là, sotto archi crollati, uomini che corrono e s'interrogano ansiosi, altri che salgono discendono a frotte e smarriti per una gradinata. Si sente che un grande avvenimento si compie, e per tutta l'ampia scena notturna è diffusa l'atmosfera del miracolo, come in un giorno sereno la luce del sole sulle campagne. E questa è appunto l'idea che Leonardo ha espressa nel suo quadro con una potenza e una eloquenza suprema. Mai infatti, sino a questi ultimi anni del quattrocento, 1481, la pittura aveva rappresentato il miracolo, mai lo stupore e il terrore di ciò che sembra turbare le leggi della natura e far presentire agli uomini un rinnovellamento del mondo, erano stati resi visibili nell'opera d'arte. Leonardo, con questa composizione sintetica, con questo semplice suo disegno a chiaroscuro, nel quale non un sol particolare h compiuto, è riuscito a rappresentare il miracolo come non sarebbe stato possibile con l'opera piìi meditata e più coscienziosamente finita. E la ragione mi sembra questa. Vi sono idee e sentimenti che le arti plastiche non possono rappresentare se non con mezzi somraarii, se non giovandosi di ciò che co- 92 Angelo Conti, Leonardo pittore miincmcnte si chiama V incomplitto. L' incompiuto è spesso un mezzo meraviglioso dì espressione per il genio umano; è, a rovescio, il mezzo stesso che la natura adopera per purificare e per consacrare nei secoli i capolavori degli uomini. In questi la natura procede per eliminazione, nell'opera rimasta incompiuta il genio lavora in uno stato di concentrazione suprema. Li^ Adorazione dei Magi non solo rappresenta un miracolo ; ma è essa stessa un'opera miracolosa. La notte che vi si addensa è piena di luce per l'anima umana. Fra tutti i quadri della Galleria degli Uffizi è il più vivo, il piìi drammatico e il più profondo per significazione. Continuando per voi la enumerazione delle opere pittoriche vinciane e per mostrarvi che, come allora mi fu possibile liberarmi dal tempo, posso anche oggi, e mi piace, spezzare le catene della cronologia, passerò a parlare della Gioconda. La vidi alcuni anni or sono, e feci, quasi per lei sola, il mio pellegrinaggio da Firenze a Parigi. Quando entrai nella pinacoteca del Louvre, la giornata era grigia e le sale quasi in una penombra. Nella sala dei capolavori gli occhi delle figure dipinte da Tiziano, da Raffaello, da Yelasquez mi guardavano fiso. Cercai la Gioconda, corsi verso di lei. Entro la fioca luce indovinai il sorriso e sentii il fascino dello sguardo ; vidi anche il candore del seno. Ogni altra cosa era indistinta. In una pinacoteca non è possibile abbandonarsi all'oblio, Angelo Coxti, Leonardo piUore 93 come in una chiesa o in nn cenacolo. Coloro che entrano a visitare le collezioni dei dipinti vanno per lo più a fare confronti, ad osservare particolari, a cercare note caratteristiche, e portano con sé libri e fotografie. Io, qnando mi dispongo ad andare o a tornare al cospetto d'nn capolavoro, m'affatico a togliermi di dosso ogni peso, affinchè mi sia dato procedere con passo leggero e mi trovi dinanzi all'opera geniale, con l'anima semplice e serena. Sono abituato a contemplare un quadro, come se fosse una costellazione. Nella notte ir cielo è pieno di silenzio e le stelle splendono armonizzando ciascuna il suo ritmo alla musica del cielo. Guardando gli occhi di Monna Lisa del Giocondo, li vidi palpitare in ritmo, in armonia con la musica del suo sorriso. Il quadro m'era ancora ignoto, e pensavo a Leonardo. Mi pareva vederlo, mentre nel suo studio fiorentino aspettava l'arrivo della sfinge ridente. Poco dopo ella entrava e si sedeva accanto alla finestra. In fondo apparivano le colline di Fiesole, Monte Morello, l'Appennino lontano, e l'Arno serpeggiava scintillando nel mattino, mentre le torri della città uscivano dalla nebbia al primo sole. Anch'egli si sedeva, e, presa la lira d'argento che s'era fabbricata con le sue mani, cominciava a cantare. La bella donna, udendo la laude melodiosa, sorrideva, mentre l'Arno da lungi diveniva più ricco di scintille. Poi cominciava a dipingere, e, dopo i primi tocchi una orchestra invisibile di liuti riprendeva la canzone interrotta. La donna sorrideva in una calma regale : i suoi istinti di conquista, di ferocia, tutta l'eredità delia specie, la volontà della seduzione e dell'agguato, la grazia dell'inganno, la bontà che cela un prò- 9i An'gelo Conti, Leomrdo pittore posito crudele, tutto ciò appariva alternativamente e scompariva dietro il velo ridente e si fondeva nel poema del suo sorriso. Per un momento usci un raggio di sole; ed io die m'ero allontanato dal prodigio, corsi e lo vidi intero. La donna era viva dinanzi a me, in tutta la sua vita reale e ideale. Buona e malvagia, crudele e compassionevole, graziosa e felina, ella rideva, e il suo riso si prolungava nel paese lontano e nell'anima mia; sino a darle l'oblio die viene dalla presenza delle cose immortali. Pochi istanti dopo, il sole scomparve e la penombra regnò nuovamente nella sala. Lì presso un sol quadro ardeva come una lampada e in esso cantava, non affievolita, la musica del colore. Era la Festa campestre : fra due donne nude, un suonatore di liuto svegliava alcuni accordi e pareva che la Gioconda ne sorridesse come quando Leonardo cantava, per rendere piìi intensa la sua vita e per tradurre col disegno la sua misteriosa bellezza. Questo ritratto non esprime soltanto ciò che l'occhio vede, ma è il riflesso d'una creatura amata da uno spirito che per oltre quattro anni si affaticò a penetrarne a rivelarne la vita. Come dinanzi alla Gioconda, Leonardo si pone dinanzi ad ogni cosa vivente col medesimo ardore di conoscenza, con la stessa ansiosa curiosità e lo stesso desiderio invincibile di fissarla con segni semplici e definitivi. Tutto questo poema della sua anima, questo dramma intimo che si chiude in una alternativa di tentativi d' espressione e di istanti di tregua contemplativa, di rapimenti e di lotte con la sorda materia, d' ansietà e scoramenti e di calma trionfale, è raccontato nei suoi disegni, che sono 1' imma- Angelo Coxti, Leonardo pittore 95 gine più completa della sua potenza non solo intuitiva ma creativa. Per lo scultore il disegno è appena un segno, uno scliema, un presentimento dell'opera futura. Lo chiamiamo disegno, perchè ijon abbiamo altre parole per significare le notazioni figurative degli scultori ; ma esso non è se non un appunta ideale, un mezzo per ricordare un sentimento. Ricordate i disegni di Michelangelo per le sue statue, ricordate gli odierni disegni di Rodin per i suoi gruppi e per i suoi monumenti. Qm^tì disegni, benché esprimano una visione di movimento, non sono pittura e non sono scultura perchè non illuminano una idea che potrà essere espressa, come chiaroscuro e come colore sopra una superficie e che sia per apparire come forma nello spazio. La scultura comincia soltanto col bozzetto in cera, in creta o in gesso, cioè a dire quando V idea, destinata a manifestarsi come forma nasce a somiglianza d'una cosa viva fra le altre cose viventi e sorge nello spazio, nell' aria e nella luce, sottoposta alle leggi del peso e chiusa nelle sue dimensioni. Per parlare con esattezza, la scultura non ha disegno. Nella pittura il disegno è tutto, è il primo segno che nota la visione ancora vaga sopra una superficie, ed è il chiaroscuro e il colore che pili tardi la renderanno eloquente, che le daranno una voce che parla e che canta, come in una musica e come in un poema. Per Leonardo, genio universale, il disegno non è soltanto linguaggio pittorico, ma è il mezzo adeguato d'espressione di tutto ciò che appare e che passa nel suo pensiero, nella sua memoria, nella sua imaginazione e nella sua fantasia. Tutti gli aspetti e tutti i momenti della multiforme ed ine- 96 Angelo Conti, Leonardo pittore saiiribilc attività del suo spirito trovano la loro espressione negli innumerevoli disegni che egli traccia in margine e fra le linee dei suoi manoscritti, la precedono e spesso la superano con la loro potenza di linea intuitiva e divinatoria. Mai come in Leonardo il disegno ha avuto la virtìi d'esprimere tante cose, dalle più athni alla pittura alle pili lontane, dalle pili concrete alle più astratte; mai come in Leonardo e giunto ad una cosi vasta e così intensa forza di analisi e di concentrazione. I disegni di Leonardo non sono solamente una testimonianza del suo amore per la natura, non sono soltanto un dialogo fra la sua anima e V anima delle cose, ma principalmente sono un mezzo di cui egli si è servito per conoscere l'universo. Invece di consultare i trattati scientifici ed i sistemi di filosofìa, Leonardo disegna. I disegni sono i suoi pensieri, le sue meditazioni, le sue osservazioni, le sue intuizioni, le sue scoperte. Ogni suo disegno contiene un segreto svelato, è una verità conquistata, è il segno d' un nuovo trionfo della indagine umana, è un lembo del mistero dell'universo sollevato dal genio umano. Dinanzi a ciò che noi chiamiamo il vero e può essere ugualmente chiamato il mistero, Leonardo ha lo sguardo limpido, sereno, nuovo, lo sguardo meravigliato del fanciullo, ha quella innocenza del genio, senza la quale, come afferma Bacone, non si può entrare ne nel regno della verità ne nel regno dei cieli. La differenza fra l'uomo di genio e l'uomo comune sta p principalmente in questo: dinanzi ai fatti e agli aspetti della natura e della vita V uomo comune si abitua e finisce con l'abolire in se il senso della maraviglia ; le sue impressioni, invece d'avere sempre un carattere loro proprio, invece d'es- Leonardo da Yisci Pai'ig;], Museo del Lonvie. J-'ot. X. LA GIOCONDA.  Angelo Conti, Leonardo j^^itore 97 sere sempre eccitatrici di sentimenti nuovi, gradatamente si attenuano, si affievoliscono ; finche si adattano e si sottopongono al modo di sentire individuale, finche si scolorano e muoiono davanti alla monotonia dei bisogni quotidiani. L'uomo guidato dalle abitudini è un addormentatore di se stesso, è uno schiavo di ciò che nel suo spirito è meno degno di comandare. Il genio invece è sempre libero, è sempre desto, e il sonno dell'abitudine non può far discendere un velo sui suoi grandi occhi puri. Leonardo è appunto della famiglia di coloro che non conoscono lo stato di sonno e d'indifferenza, ma che vivendo sempre in una ansiosa curiosità vedono il continuo apparire delle cose e l'infinito rinnovellarsi dei fenomeni, e che sembrano veramente nascere ogni mattina. In questo stato di attesa dell'ignoto e del nuovo, ogni osservazione è per Leonardo una visione, ogni analisi è una scoperta. Guarda un ramo con le sue foglie, ne cerca la vita col suo disegno, e gli appare la legge di filotassi ; canta accompagnandosi con la sua lira d' argento, e scopre la legge di risonanza delle corde negli accordi. In ogni fenomeno egli sente e vede una confessione fatta dalla natura al suo genio divinatore. I suoi disegni sono la traduzione grafica di queste confessioni fatte alla sua anima dall' anima delle cose. Ciascuno d'essi pili che studio dal vero è opera d' immaginazione, è figurazione intuitiva, destniata ad illuminare la realtà e a fare apparire, dietro ciò che passa, l'aspetto immutabile delle idee eterne e delle eterne verità. Ogni loro contorno e una ricerca, ogni linea una interrogazione, ogni luce un riflesso del vivente chiarore del mondo, ogni ombra Leoxakdo da Vixci. lii 98 AxGELO Conti, Leonardo pittore un'eco d'un vivente mistero; e tutta quella sua opera della penna, del carbone, della matita non è se non un mezzo potente da lui adoperato per stringere d' assedio la natura e per costringerla a rivelare il suo segreto. Sempre mediante le imagini, i paragoni e le analogie egli trova il cammino che deve condurlo verso la verità. Ricordate in un suo manoscritto e in un suo disegno il movimento dell'acqua veduto simile al movimento d' una capigliatura, ricordate in qual maniera i movimenti del nuoto lo aiutino a comprendere quelli del volo, in quel maraviglioso trattato che ha la virtìi di metterci in segreta comunicazione con 1' anima e con la forza delle creature volanti. In questo modo, sempre per mezzo di imagini e di indagini grafiche, di analogie, di forma e di movimento, osservando e studiando l'aria e l'acqua, il suono e la luce, e paragonando le loro proprietà essenziali, egli giunge ad intuire l'unità delle forze fisiche precorrendo Cartesio. E la sua conoscenza, alla quale appariscono come intuizioni le principali conquiste della scienza moderna, è figlia della sua imaginazione. Più ancora che nei suoi manoscritti è espresso nei suoi disegni il cammino fatto dalla sua conoscenza, guidata dall'amore e resa più profonda dalla sua infantile maraviglia. Chi non ricorda, fra gli altri innumerevoli, i suoi disegni di foglie e di fiori? Sono questi fra tutti gli altri, esclusi quelli solo che ritraggono la figura umana, i più precisi. Pure in questa precisione è l'infinito della vita. A prima giunta potete pensare o credere che quei segni corrispondano a qualche cosa di limitato e di esteriore ; poi sentiamo che ciascuno di essi ha la potenza di continuarsi in noi. La sua precisione non è il segno rigido e freddo fatto da Angelo Conti, Leonardo pittore S9 una mano abile, ma è la linea sicura del genio che ha trovato la vita. Però egli non trascura mai un solo particolare, non lascia mai nulla incompiuto e sembra dir tutto sino all'ultima parola. Infatti egli dice tutto ; ma il suo linguaggio è come il mare e come l'infinito, e, nelF udirlo, la nostra piccola anima sembra farsi vasta come 1' anima del mondo. In qua! modo ha potuto egli raggiungere questa potenza d'espressione? In un modo semplice e grande : imitando la natura. L'imitazione della natura è il principio che Leonardo proclama in tutti i suoi scritti e mette in pratica in tutte le sue opere. Ma che cosa significa imitar la natura? Ciò non vuol dire copiare le sue apparenze esteriori, come fanno oggi la maggior parte dei nostri artisti, ma imitarla nelle sue leggi di vita. Imitar la natura, per Leonardo come per tutti i geni dell'umanità, significa divenire come la natura, acquistando la potenza di creare 1' opera d' arte nel modo stesso nel quale la natura crea le sue vite innumerevoli: qual fanno le cose. Voi sapete benissimo che i disegni vinciani fanno parte dei manoscritti di Milano, di Parigi, di Londra, che sono aiizi un complemento, uno sviluppo e un'irradiazione del testo. Poiché dunque l' uno e 1' altro sono connessi intimamente, non m' è possibile, dopo parlato dei disegni, non dirvi due parole dei manoscritti e significarvi in tal modo tutto il mio pensiero. Voi sapete che nei manoscritti sono pagine di ogni scienza. Perchè ? Volle forse Leonardo coltivare r una dopo 1' altra le varie discipline scientifiche e contribuire al loro sviluppo? A questa domanda risponde Leonardo medesimo. L'uomo 100 Angelo Conti, Leonardo inttore non dev'essere " solo un sacco dove si riceva il cibo e donde esso esca „ , non deve essere soltanto un " transito di cibo „ e avere della specie umana la sola voce e la figura, e tutto il resto " essere assai manco che bestia „ . Il vero scopo della vita umana è per Leonardo il pensiero. Il pensiero, per conoscere il passato e la nostra dimora terrena; ecco il mezzo per vivere nobilmente liberandoci dalla illusione del piacere. Il tempo che fece piangere Elena allorché ^ guardandosi nello specchio, vide i primi segni della vecchiezza, il tempo non può colpire il pensiero. Il conoscere la sapienza degli antichi e la vivente realtà delle cose presenti, ecco il decoro e l' alimento degli spiriti umani. Ma perchè un tal desiderio di conoscere? Questo e per me il punto capitale, il vero nodo della questione. Il sapere perchè Leonardo ha voluto studiare tante forme ed ha cercato il segreto di tanti fatti della vita universale, ci farà conoscere la qualità essenziale del suo genio. Nella sua indagine instancabile d'ogni fenomeno del cielo e della terra, nel suo ininterrotto colloquio con la natura, Leonardo non è animato da curiosità puramente scientifica, non da vanità di dottrina, né dalla naturale tendenza d'un intelletto analitico cui l'esercizio delia osservazione doni la gioia più intensa. Spirito sostanzialmente intuitivo e sintetico, egli si sottopone in tutta la sua vita al rigore e spesso al martirio dell' analisi, per acquistare una conoscenza pili ricca, più vasta e piti profonda. Le sue innumerevoli osservazioni, i suoi continui esperimenti sono i gradini che debbono condurlo colà dove, entro una luce inestinguibile, appare l'eternità della vita. Soffrire la disciplina del ragionamento e dell'esperimento Angelo Conti, Leonardo piitore 101 per aver in fine, come premio, la visione della vita, non h forse una divina aspirazione? Più la sua conoscenza, nel quotidiano osservare e meditare, gli svelava nuove leggi e nuovi segreti, più cresceva in lui l'amore per tutta la natura ; ne vi fu mai al mondo, dopo l' umile frate d'Assisi, chi l'abbia amata d'amore più puro e più ardente. Chi più conosce 'pia ama^ sono le sue parole. In questo amore generato dalla conoscenza è tutto il segreto dell'opera di Leonardo, dai manoscritti e disegni alle pitture. Il suo realismo è un mezzo per giungere all'idea, è il modo ch'egli adopera per ricomporre ciò che prima ha scomposto, in maniera che la natura stessa sembri formarsi dinanzi a noi e farci assistere alla sua stessa creazione. Chi conosca i manoscritti di AYindsor, nei quali i disegni hanno un'importanza assai maggiore del testo, può convincersi agevolmente di questa verità e può anche comprendere (cosa che in questo momento deve particolarmente interessarci) che quando Leonardo parla di anatomia o di fisiologia, come nei così detti trattati che si vanno ora pubblicando, egli non è mai un anatomico vero e proprio, ne un vero fisiologo, ma è sempre prima d' ogni altra cosa e sopra ogni altra cosa pittore. Tutta la sua opera di scienza, tutti i suoi disegni d'anatomia, d'embriologia, di botanica, non ser- vono se non a rendere più vasta, più profonda e più ricca la sua visione pittorica dell'uomo e della natura. La scienza non è se non un mezzo d'espressione della sua visione del mondo, ed egli se ne giova per dare un carattere di precisa realtà agli ardimenti del suo sogno. Scopo del suo immenso lavoro e di giungere a creare ima- 102 Angelo Conti, Leonardo pittore g'ini clic sembrino nate con le stesse leggi con le quali la natura produce le sue forme : qual fanno le cose. E doloroso che nella sua vasta opera essenzialmente pittorica, nella quale " non fu impedito „ , come egli dice, " da avarizia o da negligenza, ma solo dal tempo „ , manchi irreparabilmente una fra le pagine piti vive e più grandi: La Battaglia d'Anghiarl. Scrivo queste parole vicino a Santa Maria Novella, a pochi passi dal luogo nel quale egli disegnò r opera maravigliosa. Le campane che suonano nel campanile roseo al primo sole del mattino, sembrano diffondere sul mio ricordo una voce dì pianto. Li pochi mesi il lavoro fu compiuto, e immediatamente cominciata la pittura a fresco per la sala del Consiglio in Palazzo Vecchio. Leonardo vi dipinse dal 1504 al 1506. Poi l'opera fu da lui abbandonata. Nel 1559 il cartone di Leonardo era ancora nella sala del Papa, mentre il cartone della Guerra di Pisa disegnato da Michelangelo era nel Palazzo dei Medici, l'uno e l'altro esposti all'ammirazione del mondo. Da queir anno manca ogni notizia. Della pittura incominciata in Palazzo Vecchio si sa soltanto che nel 1513 esisteva ancora, ma cadente a causa della cattiva preparazione dell'intonaco e dei colori. Cito, contro il mio solito, dati di fatto e date, perchè l' opera pur troppo manca. Se l'opera esistesse, il suo linguaggio renderebbe insostenibile la voce della cronologia ; ma poiché è perduta, ci è necessario contentarci delle parole di chiunque ce ne parli. I due tre ricordi pittorici rapidi e sommari dell' episodio centrale della battaglia, non bastano a dare un'idea di ciò che fece Leonardo. Angelo Conti, Leonardo irittore 103- Chi sa in qual modo maraviglioso e straordinario egli avrà rappresentato la mischia, la furia guerresca intorno allo stendardo, che sappiamo fosse nel centro, qnal prodigio di scorci, quale evidenza di movimenti, nobiltà ed impeto di gesti e quale perfezione di cavalli, dei quali egli conosceva la vita come nessuno dei suoi tempi ! Di tutto ciò nulla e rimasto. Io imagino che nell'anno in cui ogni traccia dell'opera scomparve, la natura, per compensare il mondo, dovè creare una primavera favolosa, non veduta mai. Poiché nel mondo nulla si perde, e quando una bellezza è distrutta, sia essa una selva che arda, un' isola che si sommerga, un capolavoro che cada in rovina, la natura provvida fa nascere nuovi germogli, suscita nuove bellezze e nuove energie, e la sua forza di creazione rimane intatta in virtii della sua maggiore attività : il mutamento. Doctor Mysticus. Angelo Conti. Keywords: VIRGILIANA, decadente, decadenza, divina decadenza, filosofia decadente, filosofo decadente, decadentismo, divinely decadent – d’annunzio, museo d’annunziano, il bello e il bizzarro, il bello bizzarro, estetica, sensatio, senso, sensum, sentior, sentitum, perceived, perceptum – sense and sensibilia, estetico/noetico (nihil est in intellectu qui prior non fuerit in sensu), propieta estetica, proprieta di secondo grado, secondary quality, Grice, Sibley, Scruton, Platone, Kant, Schopenhauer, Ruskin, Pater, Antichita, antico e moderno, il fascino dell’antico, from the antique, from life, Uffizi, Accademia Venezia, RegieAccademiadiVenezia, Capodemonti, Napoli, Antichita Roma, il fiume d’Eraclito, Ulisse e il canto delle sirene, Morelli, Francesco, Virgilio, dolcissimo padre, ascetismo, ascecis, zorzi, riva beata, Pater, Essay on Style by Pater, Da Vinci, Morelli. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Conti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689647098/in/photolist-2mKCXf3-2mKwo7R-2mJTejc-2mJPC2N-2mJLMNt-2mJpFSS-2mJq2uE-2mJd7nN-2mJe9QJ-2mJ4GHU-2mJ3q6x-2mHGgw3-2mGT6p1-2mGnP2f-2mEuJp2-G9arP4-F7umuM-FKTBHc-EWwuBz-FPukH3-2mEd2LM-2c1JZ8H-EYAmFu-DsyMMT-XBz4hS-GXpTrQ-G7oMm2-G55xdb-FJVKRC-G3tvCn-FcebeC-FbXzmb-FVhkL3-FrCxMd-FRG5RT-FrCZu5-FrzFUS-FrztMA-EWhoRW-EWfq4E-EWi5VJ-FHy2uy-FKUfQi-FHzDvu-EWsxCx-FPp1Mh-EWhxeC-EWwAY2-FHzevW-EWrRgF

 

Conti (Padova). Filosofo. Grice: “Conti is a good one; for one he is a ‘patrizio veneziano,’ for another he like Alexander Pope and detests Newton! (Italian temper there!) – My favourite are his “Dialoghi filosofici,’ full of implicata as they are!” Patrizio veneto, classicista, famoso per essere stato arbitro nella controversia tra Leibniz e Newton, circa l'invenzione del calcolo infinitesimale (keyword: infinito). Si lege in amicizia con  Fay, noto per gli esperimenti fisici che conduce all'Accademia delle Scienze. Di lui esiste una statua in Prato della Valle, fatta da Chiereghin. Scrive saggi riguardanti la struttura della tragedia, e nel “Trattato del fantasma poetico” discute la funzione del coro: monologo, dialogo, coro (terza persona?). Tra le sue tragedie, la più significativa fu il “Giulio Cesare”. Ne scrive altre tre, tutte di soggetto romano: “Marco Bruto”, “Giunio Bruto”, e “Druso”. Altre opere: “Opere” (Venezia, presso Giambatista Pasquali); “Versioni poetiche” (Bari, Laterza). Dizionario biografico degli italiani. Della nascita del Conti sono r’ſuoi veri pu dj. Principio de’ suoi studi scritto da lui stero. Disputa col Nigrisoli e altre particolarità de’ suoi studi sono al primo viaggio di Francia. Primo viaggio in Francia. Primo viaggio in Inghilterra e prime conversazioni col Newtono. Mediazione tra il Newtono e il Leibnizio Studi e altre occupazioni di Conti a Londra. Suoi sudj di belle lettere. Viaggio d'Ollanda e d'Allemagna. Nuova dimora in Inghilterra. Ritorno in Francia nel 1718. e ſuoi pudi. Amicizie. e converſazioni in queſti anni in Francia. Querela col Newtono. Suo ritorno in Italia. Edizione del Cesare. Studi e commerzi. Edizione delle ſue Prose e Poesie. Sue Tragedie. Illustrazione del Parmenide di Velia di Platone; fima e onori di Conti. Traduzioni. Altri suoi fudi. Progetti di nuove opere. Ultimi ſtudi. Edizione del Druso ; ſua morte. Rifleli Jul carattere di Conti , e notizie particolari della ſua vita private. Relazione de’ Manoscritti lasciati da Conti. Dell' Imitazione. Del Fantasma Poetico. La Poesia Greca. Allegoria dell'Eneide di Virgilio. Illuſtrazione dello Scudo di Enea. Illustrazione del Poema di Catullo intitolato le Nozze di Teride e di Peleo. Dissertazione sopra la Tebaide di Stazio. Discorso ſopra la Italiana Poesia. Illustrazione del Dialogo di Fracastoro intitolato il Na. wagero, o fia della Poesia. Disertazione sopra la Ragion Poetica del Gravina. Della Potenza conoscitiva dell'Anima. Della Fantasia. Poesie Tradotte dall' Inglese. Al Sig. Marcheſe Manfredo Repeta sopra il Poema del Riccio Rapito. Il Riccio Rapito. Prose Franceſe Italiane a Monſieur Perel. Dialogue ſur la Nature de l' Amour. Lettre à Madame la Preſidente Ferrant. Lettera al Sig. Cavalier Vallisnieri. Al sig. Marcheſe Maffei. Al N. U. Sig. Benedetto Marcello. Al P. D. Bernardo Piſenti C. R. Somaſco.A Monſignor Cerarti. L’allegoria dell’Eneide di Virgilio propone una cosa per farne intender un'altra , che ſeco è in proporzione , se l’ “Eneide” per consenso di tutti i più abili commentatori é un panegirico *allegorico* d'Augusto, convien necessariamente che la cosa proposta sieno l’azione d’Enea (l’explicatura), e la cosa che deve intendersi ed è loro proporzionata, l’azione d'Augusto (implicatura) più memorabile e più degna di lode. Per çiò con una ſuccinca narrazione pone prima sotto gli occhi l’azione d'Enea, che e il primo termine (l’explicatura) su cui l’allegoria o metafora o implicatura (& fonda, o come l'originale del ritratto; indi fa il confronto dell’azione di Augusto . Nell'istoria d'Enea, basta quloſſervare l’oggetto dell’epica, e il carattere stoico dell'eroe. L'oggetto tutto tende alla nuova colonia di Roma o al Principato ch'Enea (via Ascanio e Romolo e Remo) ha da fondare nel Lazio e Italia. Questo gli predisse Creusa, Febo, i Penati; questo le Arpie, Eleno e la Sibilla; e perchè fi compisca l’oracolo della predeterminazione e del fatalismo stoico, Enea li salva dagl in incendi e dalla strage di Troja. Ettore lo dichiara Pontefice. I compagni lo eleggono Re. Avvisato o protetto schiva i tradimenti , gli scogli, i ciclopi; non è sommerso nelle tempeste, non trattenuto dall’africana Didone più pericolosa delle stesse tempeste. Finalmente arrivato in nel Lazio trova il re latino dispoſto a riceverlo per genero, Evandro e i toscani pronti a dargli soccorso; sebben abbia a fronte Torno, un nimico feroce e collegato coi vicini, lo vince e l'uccide. Gli oracoli fatalisti predeterminati stoichi dunque, i viaggi, e le guerre d’Enea non riguardano se non lo stabilimento d'un regno o principato. Il carattere poi d’Enea o dell'eroe si vede in tutta l'Eneide composto della *virtù* stoica convenevoli al capo e fondatore d'un regno. La virtu e pietà verso l’uomo e verso Diuspater, senno nel provvedere a’pericoli e prevederli, valore da soldato e da capitano. La pietà (o compasione) verso l’uomo e la carità – l’imperativo della carita conversazionale, verso Diuspater religione. Della carita o benevelonza o compasione, o compieta verso l’uomo Enea dà esempi illustri per tutto. Salva il padre Anchise dalle fiamme portandolo sulle spalle dirige sempre il viaggio secondo i di lui consigli, celebra il suo anniversario co'giochi conſiderati da’ pagani come una parte della eeligione, e per ubbidirlo discende fino all’inferno! Quanto è tenero per il figliuolo Ascanio, e sollecito e della salute e de gli avanzamenti di lui! E quando Creusa sua moglie si smarrisce, non va egli a ricercarla tra gl'incendi e le stragi? Che dirò della sua pietà, carita, compassione, compieta, benevolenza, verso il suo compagno (o d’Eurialo verso Niso), verso l’amico, e verso Torno, il nemico stesso? Nella tempesta più s’affligge della loro perdita che della propria, gli consola e gl’incoraggisce negli affanni, li provvede di cibo, li divertisce e premia co’giochi, fa l’esequie a Polidoro suo parente, a Miseno suo trombettiere, a Gaeta sua nutrice; piange la morte di Palinuro e più quella di Pallante (Patroclo), e ne manda il cadavere ad Evandro con magnificenza e con lutto degno di un re. Avendo ferito a morte Lauro che l’assalì, gli itende la destra, lo solleva, e lascia che a Mesenzio se ne porsi il corpo. Vuol perdonare a Turno, e non l’uccide *che* per vendicar suo amante Pallante; ciò ch'era un atto di carita. Verso Diuspater sempre fervida e pronta è la sua pietà. Come stoico perfetto e negatore del libre arbitrio, nulla intraprende senza consultare l’oracolo, e non comincia alcun’azione senza offrir un voto, una preghiera e sacri fizj, ch’egli offre egualmente al Diuspater propizio, che alle Diuspater nonpropizio o Giunone e Pallade. Per ubbidir Diuspater supera la passione che la strega Didone invoca, cede rispettoso alla sua collera nell'incendio di Troia; conosce Apollo per principal protettore; ascolta attento i cantici d'Ercole , e invoca Berecintia che l'allista nella nuova guerra. Alla sua pietà corrisponde il suo senno. Tosto ch'entra in un paese vuol conoscere i liti, i luoghi, e la gente che l'azbita; così fa in Affrica, e nel regno d'Evandro, e scoperto l'assaſlinio di Polinestore fugge il pericolo di cadervi: fa metter in aguato i soldati per lorprender l'Arpie; egli steſſo dirige la nave che manca di piloto; manda ambasciatori al re del Lazio; cerca soccorso nella guerra; ricevuto lo distribuisce in due corpi per più imbarazzare il nemico ciò ch'è una parte della virtu o prudenza militare, non meno che assediar la città mentre il nemico è sospeso. Questo o quello segno (manifestazione secondo Vitters) del valore poi non dà nell'attaccare i nimici, nel farne stragi di sua mano? uccide i più forti e tra gli altri Lauso, Mesenzio, lo stesso Turno. Più comparisce il valore d'Enea, se col P. Boſsù fi confronti con quello di Turno, antagonista, avversario, dell’epica, ardente, milantatore, prepotente e buono sol per la guerra che vuole giusta od ingiusta, ed in questa è incauto e senza direzione. Enea all'opposto grave – la gravita romana --, misurato e non peccatore o essecivo, parla poco, laconico, opera molto, sempre consigliato e forte colla gloria del consiglio e dell'esecuzione. Di questo o quello segno della virtu -- pietà, senno, e valore, c’e un intreccio mirabile, sicche comparisce Enea saggio e paziente capitano come Agamennone, valoroo vincitor del nimico come Achille, destro a maneggiar lo spirito ed a condur una negoziazione o consenso cooperative conversazionale come Nestore e Ulise: giugne a questa virtù una pietà sincera, una probità esatta che mai non ſi ſmente , una compassion tenera per il suo amico e il suo suddito. Enea è buon figlio, buon padre, buon amico, buon amante, e tutto ciò per motivi superiori di dovere e di ragione morale kantiana alla luce del stoicismo fatalism del predeterminismo. Sopra tutto pero domina la specie della virtù più convenevole d’ogni altra specie al fondatore della dinastia di Romolo, perchè per essa si merita la protezione di Deuspater, si rende l’amico o il popolo che deve ubbidire, l’alleato, ed il vicino con cui si deve patteggiare e con-federarsi in cooperazione conversazionale verso un fine comune. Vi sarebbero il carattere degli altri personaggi e dei dell'epica, ma essendo scritti di mano dell’autore sono come non scritti. Anche la seconda parte che riguarda le azione del primo imperatore romano, Ottavio detto l’augusto è molto imperfetta; eccone qualche confronto. Nella rovina di Troja li ravvisano la rovina della Roma repubblicana di Cesare ed Catone. Da questa rovina, Ottavio, come Enea era stato preservato dalla provvità, 1 videnza del fato, come dice Orazio nel Carmie Secolare. Enea porta in ispalla suo padre Anchiee; Ottavio prende la vendetta del suo padre addotivo Cesare. Enea e in Troja maricato a Creusa da cui ha Julo; Ottavio e maricato a Scribonia da cui ha Giulia. Ma Creusa per ordine de’ Fati è colia ad Enea, come Scribonia ad Ottavio; e nel dir che ad Enea si apparecchia moglie, da cui doveano discendere tanci Re, adula cacitamente Livia. Didone che s’oppone al disegno (de-segno – plannificazione) d’Enea magnifica e vana dell'impero ha del carattere superbo, impecuo lo, ed astuto di questa altra Africana, Cleopatra, che impiegò cutre l'arti femmini li per impegnar Ottavio. Ma v'è un tratto finissimo di lode nella comparazione che poteano i romani fare d’Enea e ďOttavio, perchè laddove Enea cesse alle lusinghe di Didone, e dopo averla posseduta l’abbandona scorteſemente in preda alla disperazione, biasmo da cui poco lo scusanu gli ordini degli Dei; quanto più dovea stimarli Ottavio che mai non si lasciò vincere dalle tante arti di Cleopatra? In Evandro, che accoglie Enea, si puo ravvisar Cicerone, che col suo credito e colla sua eloquenza reſe tanti servigj a Ottavio. L’epica, però per non rimproverargli la disgrazia di Cicerone, fa che non Evandro ma il figliuolo di lui resti ucciso da Turno, nel quale *senza dubbio* vien “simboleggiato” Marc’Antonio, valoroso bensì, ma imprudente, e che le in molte cose mostra fortezza d’animo chiaro ed eccellente, in molte altre, come Turno, li governa malissimo, e da quello o questo segno non meno di magnanimità che di pulsanimità. Nulla dimostra più la finezza cortigianesca di Orazio e di Virgilio come il loro non nominar mai Cicerone. S'astennero dal risvegliar in Ottavio un'idea che gli dava de’ rimorsi. All'incontro nominarono Giunio Bruto e Catone, per mostrare che Ottavio non ha usurpata la libertà, ma che anzi ne era il protettore, l’imperatore, come negli ultimi tempi lo volea Cromuvelo (Lord Protector) in Inghilterra. Antonio stesso molto si risparmia, esi può osservare in Orazio che mai non si parla d’Antonio senza congiungerlo a l’africana Cleopatra per far cadere in lei l’odio e la colpa; e cosi fa Virgilio fagacemente nella battaglia d’Azio , quando parla d’Antonio palesemente, e quando ne parla per allegoria, supprime quell vizio che avrebbero dispiaciuto ai suoi partigiani ch’erano molti, ed a’figliuoli elevati da Ottavio a sommi onori. Queſta è pur la ragione prammatica, per la qual Virgilio non dipinta le guerre che fece Ottavio con Bruto, Callio e cogli altri, che per modo di peregrinazioni, onde non offender quei ch’erano ancora del partito di questi ultimi difensori della pubblica libertà. Il re del Lazio, Latino, che ammonito dall’oracolo vuol dar la figliuola più ad Enea, che a Turno, è il vero ritratto del senato romano, che vecchio (senior, senatore) ed impotente non potendo più regolar la repubblica, benchè per ispirazione divina egl’inchini più a lasciarsi governare d’Ottavio che da Marc’Antonio, atterrito nondimeno dagli apparecchi di guerra, lascia disputar la vittoria a’ due rivali, come appunto il re Latino fuggendo lascia terminar la guerra a Turno ed Enea. In Mesenzio ed in Lauso si veggono Cassio e Giunio Bruto, e l'empietà data a Mezenzio e la virtù data a Lauso lo persuadono. Muore Laulo ed Enea lo compiagne, come Ottavio compianse Bruto, al dir di Plutarco. Quando Lauro combatceva, era Mesenzio con la persona appresso di un tronco per posarvi appoggiato, e gli stava intorno un cerchio de’ più eletti e de’ più fidi; e quando vide Lauso ucciso, comincia a disperarsi, e a lagnarsi, e andar incontro alla morte. Queſta deſcrizione concorda molto con quella che fa Plutarco di Cassio, allora che ritirato sul colle stava rimirando l’esercito di Bruto, e credendo ch’egli fosse rotto, disperato si confiſſe nel le reni la spade. Non occorre cercare rassomiglianza perfetta tra questo o quello accidente vero e questo o quello accidente finto. Baſta che uno si ravvif nell'altro. I ritratti della Poesia, e particolarmente epica, sono “simili” a quelli che i gran pittori introducono ne’ quadri istoriati; negli Dei, negli eroi , ne’ capitani ritengono le fattezze del volto de viventi che vogliono onorare ma variano le attitudini, o le velti per variare le imagini, e produr nello spettatore maggior maraviglia ed affetti più vivi. Con questa regola si pollono ritrovare molti altri confronti nelle cose dell'Eneide colla vita d’Ottavio. Nè par probabile che tanta corriſpondenza sia effetto del caso , attesa spezialmente la sagacità del poeta , e l'idea generale dell'opera. Parte di questa corriſpondenza fa vedere nello scudo d' Enea la seguente illuſtrazione, che si dà intera.   . g. v. 176 D. V.. ILLUSTRAZIONE DELLO SCUDO DI ENEA. Come nell'Iliade d'Omero Teti porge ad Achille uno scudo fabbricato da Vulcano così nell'Eneide di Virgilio Venere porge ad Enea uno scudo fabbricato dallo ſteſſo Dio. Quì non s'intraprende d'illuſtrare ſe non ciò che appartie. ne allo Scudo d'Enea , oſſervando prima generalmente , qual ne foſſe la materia , la faldezza , la figura , l'intreccio e i colori , ed indi particolarmente l' ordine e' i fiti delle coſe ſcolpite, le loro ſtorie , cd allegorie . I'Ciclopi impiegarono nell'armatura d'Enea il rame, l'ac ciajo , l'oro , e l'argento , ma fecero che ivi abbondante più dell'uno o dell'altro metallo ove era biſogno di maggior die feſa , o di più raro ornamento . L'Elmo che dovea abbagliando minacciare i nimici , riſplen dea per la terſezza dell'acciajo , non altrimenti che ſe fiam . me ſpargeſſe . La Lorica era ſcabra per i rilievi del rame e del bronzo , che quanto più maſſicci'ſi fingono , ed incurva ii , tanto più le faette e le ſpade ſpuntavano . Ben è vero che per la miſtura degli altri metalli , i colori della Lorica ſi mi ſchiavano con quei del bronzo e dell'oro , ond'ella riſplende va come un Iride in faccia al Sole . Nell'aſta e nelle ſchinie re abbondava particolarmente l'elettro che è un compofto d ' oro e ' una quinta parte d'argento , ma purgato più volte da'Ciclopi ; l'oro nel foco avea ſvaporato l'argento, onde la compoſizione riuſciva più prezioſa , più denſa , ed impene. trabile . Nello Scudov'erano tutti e quattro i metalli tra loro op portunamente fuſi e temperati . I Ciclopi ne aveano appiana ta la maſſa in ſette piaſtre rotonde , che a guiſa dei ſette cuoi attorti dello Scudo d' Ajace implicarono l'une nell'altre , perchè lo Scudo refifteffe a tutte l'armi de' Latini . Miſterioſo era il numero di ſetre appreſſo gli Antichi per la relazione ch'egli avea al numero de Pianeti. Forſe credea no , che gli aſpetti di cucci e ſette influendo nella fabbrica d' uno Scudo gli deffero una tempra immortale . La figura dello Scudo d'Enea era ovale , nè a cid forſe an cora mancava il ſuo miſtero . Gli Scudi ancili chc fi fingea. no 177 no caduti dal Cielo a tempi di Numa , aveano la ſteſſa figura , Or lo Scudo d' Enea non era men celeſte di loro ; ed Enea , che doveva portarlo , non ſi fuppone men pio di Numa. I Ciclopi nel fabbricar lo Scudo avendo poſta in opera per comando di Vulcano tutta la loro arte maeſtra , collocarono , intrecciarono , limetrizzarono , e colorirono le figure ſcolpite in maniera , che lo Scudo emulava la reflicura di un arazzo . Nè queſta a mio credere è un'Iperbole poetica , ma un'imi tazione di quell'idee che Virgilio, avea vedute ne'baſi rilievi di Roma , ove ſoggiornava, ed in quelli delle Città della Gre cia , ove per profittarlı dello ſtudio delle bell'arti avea viag giato . A Roma nelle Biblioteche e ne' Tempj ſtavano appeli certi Scudi tutti ſtoriati , e tra gli altri Plinio racconta , che nel Tempio di Bellona Appio Claudio confacrò uno Scudo , ove in picciole figure era rappreſentata tutta la Genealogia dell'antica famiglia de' Claud) . Nel conveſſo dello Scudo di Minerva avea Fidia ſcolpita la battaglia delle Amazoni , e nel concavo la guerra degli Dei e de'Giganti . Offerva Plinio , che Fidia , volendo moſtrar l'arte nelle minimeparti , avea elpela ſo ne' Sandali della Dea la battaglia de' Lapiti e de'Centauri , e nella baſe della ſtatua la naſcita di Pandora con quella di trenia Dei. Ne'baſſi rilievi delle lamine che cingevano la ſe dia della fatura di Giove Olimpico , lo ſteſſo Fidia in oro ſcol pito avea , da una parte il sole che conduceva il cocchio , e dall'altra Giove e Giunone ; a lato di Giove v'era una delle Grazie , indi Mercurio e Veſta., Venere pareva, uſcir dal ma re , l'Amore l'accoglieva , e la Dea Pito la coronava . Nello ſteſſo baſſo rilievo li vedeva Apollo e Diana , Minerva ed Er; cole , e nel piedeſtallo da un canto Anfitrite e Nettuno , e dall'altro la Luna, che galoppaya ſopra un cavallo . Qual mol ticudine , qual varietà ed intreccio di figure in poco ſpazio ? Or è molto verifimile , che come lo Scudo d'Achille diede a Virgilio la prima idea dello Scudo d'Enea , così į baſli rilie vi da lui yeduti a Roma in Atene e in Olimpia gl'inſegnal ſero a perfezionarlo . Nella deſcrizione delle figure ben fi ſcor ge che l'artifizio dell'imitazione, non deriva dagli alerui fan tasmi , ma da un'acurata oſſervazione del ſenſo , che regold la fantaſia del Poeta fino · lo ſpingo oltre la conghiettura , e pretendo che alle figu. se veduce da Virgilio ſcolpite o nell’avorio , o nell'oro , od in altro metallo negli vi applicalle la forza e la leggiadrią Tomo II. 2 de' 3 178 ra 1 1 de colori da lui veduti nelle pitcure encauſtiche : Plioio ne annovera di tre fpezie , e non ſaprei fuggerirne una miglior idea che raſſomigliandole alle picture che vediamo, non dirò fulle porcellane di troppo fragil materia a confronto del me tallo , ma su fmali di più dura tempra , e su vaſi e ſulle cop pe antiche , ove la varietà del colore riſultò dal vario grado del foco , che lor fu dato nel fondere e nel tingere il metal lo. Difficile è proporzionare il grado del foco ad ogni colo re , ma difficiliſſimo ove i colori lieno per conſiſtenza e viva cità differenti , e ſi debba nello ſteſſo tempo abbrugiandoli laſciarli ſecondo il biſogno o floridi , od auſteri , ed a tutti imprimere quello fplendore che ſecondo Plinio non è lo ſtef To che il lume , ma di'mezzo tra il lume e l'ombra , ed è propriamente l'intenſione d'ogni colore nella ſua ſpezie. Il Sig. Abate Fraguier , la cui memoria mi ſarà ſempre ca. offerva , che nello Scudo d'Achille la terra fenduta in folco dall'aratro cangia in nero il color d'oro , che i grappo li d'uva ſono neri e la vigna d'oro , che le giovenche ſono rappreſentate al vivo col bianco e col giallo , cioè collo lta gno e con l'oro , e che veriſſimo è il langue trangugiato da due Leoni che lacerarono il bue. Da ciò inferiſce che l'arte encauſtica fioriva a'tempi d'Omero ; ma quando anche i Cro nologi che non convengono dell'età d'Omero glielo conce deffero , molto più debbono elli concedere , che nel tempo d' Omero quell'arte era molto imperfetta a paragone dell'eccel lenza a cui la portarono i Greci nel secolo d'Aleſſandro , e ne’ſuſſeguenti . Le picture de' più celebri artefici encauſtici e rano ſtate portate dalla Grecia a Roma da' Capitani Romani , é poſcia conſecrate ne! Tempi. Virgilio che avea ſotto gli oc chj de'modelli così perfecti , gli ha verifimilmente adombra ti ne ' colori del ſuo Scudo yine queſta ſpezie d'imitazione pud negarſi ad ua Poeta sì doito , e d'on guſto così eſquiſito in ogni genere d'arte • Per reftarne convinti bafta riflettere alla varietà ed armonia de? colori delle figure deſcritte j ai sfuma menti, 0 , come parla Plinio , alle commiſſure de culoriftel fi, ai fecreti più mirabili della perſpectiva introdotti negli ac» tidenti delle imagini, e finalmente all'efpreffione degli affec ti de coſtumidegli Uomini rappreſentation La varietà e larmonia de'colori appariſce nell'Oca d'ar gento che vola ne' portici d'oro , ne' flutti biancheggianti per lai fpuma ini un mare cerulco Larrei ſono i colli de'Galli , mentre le loro chiome fon d'oro , e vergate d'oro le veſti ; il langue di Mezio è vermiglio e gocciola dalle ſpine che lo no verdi . Per gli sfumiamenti de colori , ed inſieme per l'eſpreſſione degli affetti e de' coſtumi , diverſi nell' arni e nelle veſti fo no i colori de' Barbari condotti in trionfo ; il limitar del Tem. pio d'Apollo è bianco come la neve , ma più bianco è lo ſteſſo Dio ; Cleopatra è pallida per la morte futura ; il Nilo al ſembiante ed al geſto moſtra la doglia che lo crucia e l' impazienza di ſalvare i fuggitivi ſuoi figli. Che dirò della forza della perſpectiva ? Parrafio dipinle , al dir di Plinio , il Demone degli Atenieſi vario , iracondo , in giuſto , incoſtante .. Virgilio rappreſenta Porſenna che nello Iteſſo tempo comanda , li ſdegna , e minaccia . Nel Portico a . vanti la Curia di Pompeo era dipinto , ſecondo lo ſteſſo Plinio , un Soldato che non ſi fapea ſe con lo Scudo aſcendeſſe o di Icenderſe . Virgilio fa che i bambini attaccati alle poppe del. la Lupa fieno da queſta alternaniente accarezzati ; ciò che il Tallo imirò nelle figure delle porte d'Armida ove Marcanto nio nel ſeguir Cleopatra che fugge , Mirava alternamente or la crudele Pugna ch'è in dubbio , or le fuggenti vele . Ma paſſando a coſe più particolari , io per far meglio in tender l'ordine , l'intreccio , ed i fici delle figure , divido in quattro parii lo Scudo . La prima contiene la diſcendenza d ' Enca fino alla Lupa incluſivamente . La copula o , cioè an cora dimoſtra che tutto era nello ſtello baſſo rilievo . La ſeconda parte contiene molte coſe memorabili fotto i Re e ſotto la Repubblica . La terza la battaglia d' Azio . La quarta i tre Trionfi d'Auguſto . Queſte parti, ſi fanno ſenſibili dividendo l'ovale in quattro altre ovali concentriche che io ſegnerò co'numeri 1. 2. 3. 4. Nello spazio segnato i . ch' è come l'orlo dello Scudo io pongo le figure che rappreſentano i diſcendenti d'Enea anno verati da Virgilio nel primo libro e nel ſeſto : queſti ſono A Scanio , Silvio padre di molci Re , Proca , Capi , Silvio , Enea, i due giovani coronati di quercia , Numitore , e la Lupa che allatra i due bambini . De quindici Re d'Alba , di cui parla 2 2 Dio 186 Dionigi d’Alicarnaſſo e Tito Livio , Virgilio non nomina che queſti , perchè, come egli accenna , furono fondatori di colo . nie , avendo edificato Nomento , Gabia , Fidene , Collazia full? állo d'una montagna , ed il caſtello d'Inuo o di Pane . Fon darono ancora Bola e Cora , e queſte ed altre nominate Cit rà eſſendo nel Paeſe de' Sabini e de' Volſci , avranno dato oc caſione alle guerre e battaglie nello Scudo eſpreſſe. Nel baf ſo rilievo d'Alcanio dev'egli rappreſentarſi a guiſa d’un Ca. pirano o d'un Re che comanda di fabbricare una Città qual era Alba lunga . Altri prendono gli ordini , ed altri gli eſegui ſcono, ed i Soldati ſtanno riguardando l'opra . La pittura d ' Aſcanio è ſulla cima dello Scudo ; nella parte oppofta , o nel ballo v'è la Lupa che allatta i bambini, e biſogna rappre ſentaría qual è in molte medaglie . Ne' lati dell'orlo dello Scudo toſto ſi vede un bambino in mano d'un paſtore ch' eſce da una ſelva ; lo ſiegue in Re circondato da molti bam bini coronati , indi un Ře che guida un eſercito , un altro che eſpugna una Città , un altro che è in mezzo a Sacerdo ti e a Veltali , molti giovani Re cinti il capo di quercia che combattono e fondano colonie , o su monti , o nelle pianu. se . Nè Tito Livio , nè Dionigi d'Alicarnaſſo parlano in par ticolare di queſte battaglie , onde ſi poſſono ſcolpire a fanta ſia , ma devono eſſer ſcolpice in medaglie appeſe a rami od alle foglie d'un albero genealogico che ſerpeggi nell'orlo. Nello ſpazio ſegnato 2. io pongo da una parte due baſſi ri lievi di forma ellittica , ma incaſtrati di varj fogliami che riempiono i vuoti . Elli rappreſentano il ratto delle Sabine , e la pace cra Romolo e Tazio . Pongo dall'altra parte altri rilievi della ſteſſa forma che rappreſentano Mezio ſquarciato da ' cavalli , e Porſenna che afledia Roma . Nel ſommo dell'ovale ſi vede nelle figure più rilevate il Campidoglio affalito da’Galli , e difeſo daManlio ; e nelle più lontane i Salj e le Matrone che eſulcano ; nella parte oppo. fta che è la più baſſa dello Scudo v'è il Tartaro con Catili na affiffo allo ſcoglio , e ſopra il ſotterraneo ( chiamato da Vir gilio la bocca profonda di Dite ) verdeggiano gli Elisj , ove Catone dà la legge all'anime pie . Le figure di queſto ſpazio ſono maggiori di quelle dell' orlo perchè le parti più vici ne al centro dello Scudo ove fi fogliono diriger i colpi, devo no eſſer più maſſiccie per più reliftere . Lo ſpazio è percid maggiore Nel i 81 5 Nello ſpazio ſegnato 3. v'è la battaglia d' Azio . Apollo ſaettante è ſul Promontorio , ove Auguſto gl’inalzò un Tem pio . Le navi d'Auguſto ſono alla deſtra ſchierate in arco ; nel deftro corno v'è Augufto colla ftella in fronte e co' Pe. nati in mano , nel finiftro Agrippa cinto le tempia della co rona roftrata . Dirimpetto vi fono le Navi torreggianti d'An tonio . Secondo Plutarco , Antonio con Publicola reggeva il corno deſtro , e Clelio il ſiniſtro . Cleopatra è nel mezzo in atto di percuotere il fiftro , ſtromento dedicato ad Ilide che Cleopatra voleva emulare in curto . Tra i due ſemicerchi del. le navi ve ne ſono alcune diſtaccate che tra loro combatto no . Soggiunge Plutarco , che Ceſare non ſolamente non or dina ferir le prode dure e ferrate d'Antonio , ma nè anco inveſtirle per fianco , perciò che gli ſproni facilmente ſi ve nivano a romper urtando nelle cravi quadre incaſtrate infie me col ferro : Era dunque queſta battaglia ( ſegue egli) mol to ſimile a una giornata per terra , anzi piuttoſto all'aſfalco d'una Cicà . Perciocchè tre o quattro navi di Ceſare com battevano intorno a una nave d'Antonio con partigiane , piche , e con fuoco . D'altra parte gli Antoniani ftando ſulle gabbie di legno traevano dardi e pietre contro i nimici . Così ap punto Virgilio rappreſenta le navi che combattono . Sulle navi di Cleopatra vi ſono i Dei moſtruoſi d'Egitto , in atto di ſaettar Neituno , Venere , Minerva , che ſtanno ſulle navi d'Auguſto , e contro alle quali egli diſſe al Senato che Antonio avea moſſo la guerra , non meno che contro al. la Patria . Marre è in  mezzo della batcaglia , la Diſcordia , e Bellona , ed in aria ſtanno le Furie . Tutto ciò è ſotto la fi. gura del Campidoglio o nella parte ſuperior dell'ovale , men tre a'lari ſono le navi ſchierate . Nella parte inferiore vi fo no le navi di Cleopatra che fuggono ſpinte dal vento Japiga , che ſoffia dal capo di Salentino ; non lungi è la figura del Nilo , che allargà la veſte , e chiama i vinci a ricovrarli ne? ſuoi naſcondigli : egli è d' una figura giganteſca appoggiato ſull'urna che verſa i ſette fiumi nel mediterraneo , nel reſto dello ſpazio ſi diffonde il mare coi delfini che ſcherzano . Le figure di quello ſpazio ſono maggiori per la ragione ſopraccen nata , ed è maggiore lo ſpazio ſteſſo . Nello ſpazio ſegnato 4. vi ſono eſpreſli i tre trionfi d'Au guſto . Egli trionfo , dice Svetonio , in tre giorni l'uno dietro all'alcro ; la prima volta per la vistoria Dalmacica , la ſecon da 4 182 1 da per l'Aziaca, e la terza per l'Aleſſandrina . Dione Caffio particolareggia i trionfi . Trionfo Ceſare , dic'egli , il primo giorno de' popoli Pannoni , Dalmatini , Japidi , ed altri loro circonvicini , e d'alcuni popoli della Gallia e della Germania ancora , perciocchè Cajo Carina avea già vinti e ſoggiogati i Morini e gli alıri popoli appreſſo , che nella ribellione da lo . Fo fatta gli erano ſtati compagni , ed oltre ciò avea dato una rolta a'Svevi , ed a quelli che aveano già paſſato il Reno ; laonde ed egli e Ceſare feco rappreſentò il Trionfo percioc chè la vittoria folevaſi attribuire ſempre all'Imperatore , e l' Imperatore era Ceſare , è teneva in mano il governo di tut, 10. Il ſecondo giorno Ceſare rappreſentò il Trionfo della bat taglia fatta al promontorio d' Azio nel mare . Il terzo poi dell'Egitto ſoggiogato . Le ſpoglie in queſte guerre acquiftare furono baſtanti ad ornar tutto l'apparato di que' Trionfi ; quel. Je però d'Egitto avvanzavano di gran lunga curti gli aliri ap parati d'ornamenti di ricchezza e di rarità ; tra l'altre coſe vi fi vedea Cleopatra fteſa ſopra una colore in alto di morire , onde in un cerio modo queſta Reina era condotta in trionfo cogli altri prigioni, tra'quali v'era Aleſſandro ſuo figliuolo , e Cleopatra fua figliuola chiamati da lei col nome del Sole e della Luna . Gl’interpreti fi vanno inutilmente affaricando a cercar le ragioni della qualità de'prigioni , e particolarmente perchè ne' cocchi ſi vedeſſe l'imagine dell' Eufrate e dell’A . raſſe fiumi dell'Armenia e della Meſopotamia non conquiſtati da Auguſto . Il P. Arduino nelle ſue rifleſioni fopra Virgilio non ritrovando queſte vittorie d'Auguſto ne trae degli argo menti diſavantaggioſi all'Eneide. Io non perderò inutilmente il tempo a riſpondergli in particolare . Ciò che poſſo dire a coloro che ammettono l'autorità di Dion Callio , è far loro oſſervare , che Antonio dopo aver chiamara Cleopatra Reina dei Re , Ceſarione Re dei Re , ed aggiunto alla loro giuriſdi. zione l’Egico , donò la Siria a Tolomeo , e lutte le Provin cie di quà dall'Eufrate fino all'Elleſponto ; donò l'Africa fino alla Cirenaica a Cleopatra , ed al fratello di coſtoro chiama to Aleflandro dond l'Armenia con tutto il rimanente del pae fe al di là dell'Eufrate Gno all'Indie . Or non è verifimile che Auguſto da cutti queſti Paeſi fcieglieſſe de' prigioni , che egli doveva aver fatti o nella battaglia d'Azio , o nella ſcon fiila data ad Antonio in Aleſſandria ? Quanto al Reno , Agrip pa l'avea paſſato nel 717. nė fi curò del Trionfo , ma egli è pro . 183 probabile che Auguſto voleſſe che Agrippa trionfare ſeco co me Cajo Carina . Non v'era. ſegno d'amicizia e d'onore che non gli deſſe , perciocchè oltre la corona roſtrata , con cui lo fregið dopo aver vinto Seſto Pompeo in Sicilia , volea ch'egli avelle una cenda e l'altre inſegne militari ſimili a quelle dell' Imperatore , e , come dall'Imperatore , da lui ſi prendeſſe il ſegno della milizia , ed egli era in forſe di dargli per moglie Giulia : canto grande , gli diſſe Mecenate , tu faceſti Agrippa , che o biſogna ucciderlo , o ch'egli ſia tuo Genero . Dopo il Trionfo Auguſto inalzò molti Tempj ; uno ad A. pollo ſecondo Svetonio ſul monte Palarino , al quale aggiun ſe una Loggia con una Biblioteca Greci e Latina ; un altro ne edificò a Marte vendicatore per il voto fatto nella guerra contro Bruto e Caſſio per vendicare il Padre , ed un altro a Giove Tonante nel Campidoglio . Secondo Dione egli ancora conſecrò il Tempio di Minerva , ornò il Tempio di Giulio ſuo Padre ſoſpendendovi molti e molti doni della preda por tata d'Egitco , e molti ne conſecrò ed offerſe a Giove Capi. tolino , a Giunone, a Minerva . Non è da traſcurare che po fe l'imagine della vittoria ſecondo Dione nel Tempio di Mi nerva , e ſecondo Plinio nel Tempio del Padre Celare , il qua le era nel Foro ; aggiunge Plinio , che vi poſe ancora i Ca ſtori che forſe ſimboleggiavano Auguſto ed Agrippa , nel pri mo libro aſſomigliati da Virgilio a Romolo ed a Remo , come interpreta Servio . Poſe ancora Augufto nel foro due quadri , uno della guerra , e l'altro del Trionfo ; e s’io non m'ingan doveano queſti rappreſentare coſe alluſive alla battaglia d' Azio , ed ai trionfi dello ſteſſo Ceſare . Comunque la coſa ſia , ove è il centro dello Scudo che è la parte più alta , io pongo la Cupola del Tempio d'Apollo , alle cui porte Augufto affig ge le corone d'oro che erano i doni offertigli da’ Popoli dalle Provincie confederate . Tutto all'intorno vi ſono le are e gl’incenſi colle vittime , e quindi la pompa e la lecizia del trionfo. In quel giorno che Auguſto entrò in Roma, dice Dio ne , gli fu conceduto un Arco nella Piazza di Roma , e in o nor di lui li celebrarono i giuochi quinquennali , e gli anda rono incontro le Vergini Veítali , il Senaco ed il Popolo , colle mogli , e il figliuoli: mi par ſoverchio ( ſoggiunge Dio. ne ) di raccontar i voti e le imagini ed altre coſe fatte per lui · La pompa del Trionfo conſiſte ne' prigioni Nomadi , o Numidi , Affricani , Lelegi , Cari popoli dell'Alia minore Ge no , e 184 Geloni ſpezie di Sciti , Morini popoli della Gallia Belgicà fi tuati verſo l' Oceano Britannico . Tra queſti vi ſono molti cocchi colle imagini dell'Eufrate, del Reno , e dell'Araffe col ponte che Auguſto vi fabbricò . Tali ſono i baſli rilievi e le figure di tutto lo Scudo ; elle s'ingrandiſcono a proporzione ch'egli ſi va rilevando , e le miniature devono render ſenſi bili i colori di cui ſono in Virgilio dipinte . I colori domi nanti ſono il giallo e il bianco che rappreſentano l' acciajo ed il rame . Marte però deve eſſer dipinto con un colore fer rigno , o fia di ferro , non raffinato in acciajo ; diverſi ſono i gradi de colori o floridi od auſteri che biſogna lumeggiare ed onibreggiare ; ma ſopra tutto convien dar alle figure lo ſplen dore , o ſia quel grado vigoroſo di colore di cui s'è parlato . Spiegato in queſta maniera ciò che concerne la parte ma teriale e ſtorica dello Scudo , egli è tempo di ragionare delle relazioni che le figure hanno ad Auguſto , al quale tutto il Poema è diretto , come a lungo eſpoſi nell'altra diſſertazione . Biſogna quì ricordarſi che l'adulazione , ingegnoſiſlima nelle fue compiacenze , or impiega le lodi dirette e manifeſte , or l'indirette ed occulte , ſecondo che l'une e l'altre per le cir coſtanze fono più grate a colui che fi loda . Lodar Augufto per la ſua ſtirpe , lodarlo per la vittoria che gli diede l'Imperio , e per i tre trionfi , ne' quali fece tanto riſplender la ſua pietà , erano lodi che Auguſto fonima mente defiderava che ſi pubblicaſſero , onde eſſo poteſſe ritrar: ne più venerazione ed ubbidienza . Conviene a parte a parte moſtrarlo . Giulio Ceſare nel far l'Orazione funebre in lode di Giulia ſua Zia: La firpe materna , diſſe , di Giulia mia Zia ha origi ne dai Re , é la paterna è congiunta cogli Dei immortali , im perciocchè da Anco Marzio derivano i Re Marxj del cui nom fu mia Madre , da Venere i Giulj della cui gente è la noſtra Fa miglia . Trovaſ dunque nel ceppo antico della caſa noſtra la fantità dei Re la quale appreſſo gli Uomini è di grandiflima autorità e la Religione degli Dii nella podeſtà de' quali ſono el Re . Sin quì Svetonio . Non potea dunque che molto pia. cere ad Augufto che Virgilio noftraſſe e nel primo enel ſe fto e nell'ottavo che nella ſua genealogia verano i Re , gli Dei , e gli Eroi . Virgilio dice nel primo libro: il giovine A ſcanio che porta oggidiil cognome di Giulio e che ſi chiamava Ilo, mentre Ilio era in piedi, governerà Lavinio per trent'anni 1 in. 185 intieri etraſporterà la sede del Regno in Alba lunga di cui faa rà una forte Città . Nel feſto egli dice: uſcirà dal ſangue Tro jano miſto all' Italico Silvio ſuo figlio poſtumo che perpetuerd in Alba il ſuo nome , e ſarà egli fello Re e padre di molti Re , . per lui la noſtra ftirpe dominerà in Alba . Virgilio ſcaltro nul la parla delle guerre che ſecondo Dionigi d'Alicarnaſſo vi fu rono tra Giulio figliuolo d'Aſcanio e Silvio , e molto meno che per i ſuffragj del popolo ſi deſſe a Silvio il Regno che apparteneva a ſua madre , ea Giulio per contentarlo la fo vranità ſulle coſe della Religione, per cui, ſoggiunge Dionigi , la Famiglia Giulia ha goduto fin al mio tempo del ſovrano Pontificato , e s'è chiamata Giulia a cagion d' Julo da cui u ſciva . Io non so accordar queſto paſſo di Dionigi d'Alicarnaſ ſo con quell'altro di Plutarco e di Svetonio , ove ſi vede che Giulio Ceſare non per dricco di ſangue , ma per i ſuffragidel popolo in competenza di Catulo ottenne il ſommo Pontifica to. Laſciando cid , baſta quì oſſervare , che Virgilio confonde Aſcanio con Silvio figliuolo di Lavinia e gli altri diſcendenci da lui, poichè dice , che v'era ſcolpita tutta la ftirpe d'Enea cominciando da Aſcanio . Io così interpreto quel Ab Aſcanio . Di tutti queſti Re e di queſti Eroi Virgilio nefa come del le imagini trionfali , che pone nell'orlo del ſuo Scudo , come negli atrj delle caſe de' Romani ſi poncano le imagini degli Avi loro, ſulle quali Giuvenale e Plinio fanno sì gravi riflet fioni intorno al biasmo ed alla lode de' diſcendenti . Ciò ba fi intorno la lode manifeſta della ftirpe d'Auguſto. Palliamo alle lodi indirette . Nelle medaglie , ove fi legge Reft. o reſtitui , ſi vede l'ima. gine o d'un Bruto, o d'un Coclite , o della libertà , o d'al tre coſe alluſive alle azioni celebri de' Romani antichi , che gl' Imperatori Romani aveano imitate o reftituite . Il P. Ar duino vuole che queſte allegorie nelle medaglie cominciaſſero ſotto Tito , di cui ſi contano fino 22. medaglie di queſta ſpe. zie e terminaſſero ſotto Trajano , di cui ſe ne contano 24. ma non , perchè queſte medaglie non ci reſtino , ſi può dedur che ſotto gli altri Imperatori e particolarmente ſottoAuguſto , che vantavafi d'effere il difenſore della libertà del Senato e dei popolo , l'adulazione non aveſſe inventate l'allegoric ; certo è almeno , che con queſt'ipoteſi ſi rileva il ſenſo del ratto del. le Sabine, e della pace ira Tazio e Romolo . Prima che Planco determinaffe il Senato a dar ad Occavio Tomo II. il 186 9 il nome d'Auguſto , molti volcano che ſi chiamafle Romolo . In fatti Auguſto l'imicava non ſolo nella fondazione d'un nuovo Impero , ma ancora in molte circoſtanze della ftella fon dazione . Come Romolo col ratto delle Sabine avea provvedu to al mantenimento della Città , così Auguito con la legge di maricar gli ordini che Orazio chiama legge Marita ; due ne fece Auguſto ., la prima nell' anno 736. e ſi chiamava legge Giulia , e l'altra dell'anno 762. e li chiamava legge Popea perchè fatta ſotto i Conſoli Sulpizio e Popeo. Con queſte leg. gi fi rinovarono l'antiche rammemorate da Cicerone e da Aulo Gellio , e Dion Caſſio merte in bocca d'Auguſto una lunga arringa su queſta materia al Senato , nella quale dopo d'aver cogli eſempj delle nozze degli Dei eſaltato il vantaggio e la giocondità de'figli , l'utile della Repubblica , e il biasmo di viver ſenza moglie , gli fa dire : Romolo autor noftro , e da cui diſcendiamo, non li ſdegnerà con tagione conſiderando il fuo naſcimento e i coftumi introdotti ? Orazio nel Carme ſecolare lodando per queſta legge il Se nato obliquamente loda Auguſto ; ma Virgilio nella lode obli. qua involge l'argomento del minore al maggiore come s'egli diceffe : fe tanta obbligazione hanno i Romani a Romolo che con una violenza provvide al mantenimento della Città , mol to maggior obbligazione i Romani hanno ad Auguſto che ſen . za danno de' vicini vi provvide con una legge si ſaggia. Romolo dopo le guerre con Tazio ai rapacificò ſolennemen. te con lui , e diviſe feco il Regno ; ed Auguſto dopo molte guerre con Marcantonio conciliatoſi ſeco per l'opera de' co muni amici diviſe l'Impero , del quale il termine ſecondo Plu tarco era il Mar Jonio . Tutta la parte , dic'egli , verfo Levan te fu conceſſa ad Antonio , e l'alira verſo Occidente a Ceſare . Pegno della pace fu Ottavia maritata ad Antonio , e certamente ella è rappreſeatata nella vittima che ſi ſcanna nella ceremo nia del giuramento tra Romolo e Tazio : ne deve far difficol tà il noine della vittima , poichè tutto ciò che li confacrava agli Dei era fanto , e la Scrofa è ſtata ad Enea d'indizio del paeſe che ricercava . La pittura di Mezio non è meno allegorica ; egli tradi Tul lo Oſtilio come Antonio tradì la Repubblica , e tradi Ottavio con la guerra che all'uno ed all'altra intimo per far piacere a Cleopatra . Mezio ne fu ſquarciato a viſta di Tullo; ed An. tonio fu coſtretto a darſi la morte quafi agli occhi d'Augufto. An 187 Antonio mentre s'incamminava al ſepolcro ove s'era rinchiuſa Cleopatra , andava verſando il ſangue per le Atrade come ap punto il corpo di Mezio per la ſelva . Non ſi potevano eſpri mer da Virgilio coſe sì delicate che in un quadro allegorico , Due volie , dice Svetonio , entrò Auguſto in Roma vitto rioſo e ſenza trionfare , una, poichè egli ebbe vinto Bruto e Caffio ne'campi Filippici, l'altra avendo vioto Seſto Pompeo in Sicilia ; il che moftra , qual foſſe la modeſtia politica d ' Auguſto ; queſta ſteſſa egli usò con Marcantonio del quale e gli non crionfo , ma di Cleopatra , come ſi può raccoglier dal Trionfo deſcrito da Dion Callio . Egli ſollevò i figliuoli d' Antonio alle prime dignità , nè col moſtrar odio e vendetta con Antonio dopo ch'egli era morto voleva offender Octavia a cui era ſempre grata la memoria del marito . Orazio e Vir gilio ben ſapendolo non mai parlarono di Marcantonio ſc non mettendolo in compagnia di Cleopatra su cui fecero ca der l'odio e la colpa ; ma nel tempo ſteſſo , conoſcendo forſe che Auguſto ſi compiaceva , che negli animi de' Romani non ſi ſmarriſſero l'idee di quanto avea fatto contra Marcantonio per la finta difeſa della libertà , eſli procurarono di maſcherar ne l'azioni con l'allegoria , della quale Auguſto poteva abba ſtanza intenderne il ſenſo , e non offenderſi i partigiani d'An tonio per le varie interpretazioni che poteano darle . Nelle mie note su l’Odi d'Orazio io ſpiego con ciò molte coſe in intelligibili ſenza queſta ſuppoſizione, nè ſarà diſcaro che ne moſtri l'uſo nelle ſtorie di Porſenna e di Manlio ſcolpite da Virgilio nella ſeconda ovale dello Scudo . Porſenna voleva riſtabilire in Roma la tirannia traſportan dovi i Tarquinj, e nonmeno Antonio voleva riſtabilirla tra ſportandovi Cleopatra . Se Antonio , dice Dione , foſſe ſtato ſuperiore e ſignore del tutto , era per dare a Cleopatra la Cit tà di Roma ; è poco dopo ſoggiunge , che Cleopatra era venu ta in ſperanza d'acquiſtar l'Impero Romano , e che quando al cuno le dimandava giuſtizia , ella riſpondeva che gliela fareb be in Campidoglio :al che pur allude Orazio nell'Ode 37. l . 1. dicendo ch'ella era ebbra di folli ſperanze non meno che di vino mareorico . Io non so ſe troppo raffini nel ritrovar in Clelia che ſi falva a nuoto , Ottavia che al dir di Plutarco eſce precipitoſamente dalla caſa d'Antonio ; ma certamente Coclite che rompe il ponte è un ſimbolo d'Agrippa che con la vittoria navale interrompe l'avvanzamento d'Antonio. AQ 2 Tito 188 Tito Manlio è difenſore della libertà del Campidoglio con tra i Galli , come Antonio fu difenſore della preteſa libertà contra Caſſio e Bruto e gli altri nimici di Giulio Ceſare. Non mancarono , dice Plinio , i fregi delle coſe militari in Manlio Capitolino , ſe non gli aveſſe perduti nell'eſito della vita ; e Tito Livio ſoggiunge , che lo ſteſſo luogo nell'Uomo ſteſſo fu un monumento e d'inſigne gloria e di ultima pena . Anto nio difeſe il popolo Romano ne' Campi Filippici , e il popo lo Romano in Azio ed in Aleſſandria l' inſeguì e fu cagione della ſua morte . I Salj ed i Luperci eſultano , e le matrone ne loro cocchi agiati conducono le coſe ſacre per la Città per dimoſtrare che non ſono ammeſſe in Roma le ſuperſtizio ni Egiziache , abborrite eſtremamente da' Romani ne'cempi d ' Auguſto e di Tiberio . Catilina tormentato nell' Inferno non moſtra egli le pene dovute a Marcantonio ? e per la ragion de contrarj quante lo di meritava Auguſto per la ſalvata libertà ? In grazia di que fta ſoffriva Augufto che fi lodaſſe Catone Uticenſe . Orazio nell’Ode 12. c. 1. lo mette tra gli Eroi di Roma . Loderò di Caton la nobil morte ? Il P. Catrou pretende , che il Catone che negli Elisj dello Scudo dà legge agli ſpiriti, non fia altrimenti Catune Uricen ſe , ch'era troppo odioſo a'Ceſari, ma Catone il Cenſore , di cui dice Seneca , che tanto giovo co'ſuoi coſtumi al popolo Romano , quanto Scipione colle ſue guerre . Il P. della Rue é per il Carone Uticenſe , ma non ne aſſegna la ragione , la quale è manifefta, ſe ſi riflette al paſſo di Taciro da me nell' alıra diſſertazione addotto e che qui ancora ſoggiongo , perchè cgli moſtra quanto Ottavio fi vantafle, come Cromuello fece a' noſtri tempi , di paſſar per difenſore della pubblica libertà . Tito Livio ( così fa dir Tacito a Cremuzio Cordo in Senato ) chiariffimo tra tutti gli Scrittori e per eloquenza e per fedel tà , celebrò con tante lodiGnco Pompeo che Auguſto lo chia mava Pompejano , nè perciò gli fu meno amico. Nelle Opere di Aſinio Pollione ( cui Virgilio dedicò l'Egloga terza ) li fa onoratiflima memoria di Callio e Bruto : Meffala Corvino pre dicava Caffio per ſuo Imperatore , e l'uno e l'altro viſſero lun. gamente pieni di ricchezze e d'onori, ed Auguſto , non ſi sa le con maggior lode di manſuetudine o di prudenza , laſciò 1 cor 189 correr le lettere d'Antonio , e l'orazioni di Bruto , che molto lo diſonoravano ; nel che forſe volle imitar Ceſare Dittatore che tollerò i verſi di Bibaculo e di Catullo , ed al libro di Marco Cicerone nel quale s' inalza Catone al Cielo , riſpoſe perorando come ſe foſse avanti i Giudici . Con queſto paſſo di Tacito ſi può dar la ragione per la quale Virgilio ed Ora zio non temerono , dedicando l'Opere loro ad Auguſto , di no. minar Giunio Bruto , Marco Bruto , e Callio , Catone, e Pom peo . Maquale ſcaltrezza cortigianeſca v'è in Virgilio nell' introdur Catone a dar legge agli ſpiriti ? Par, ch'egli accen ni , che Carone meritava ſolamente grado in quella Repubbli ca ideale di Platone , la quale ſecondo Cicerone egli cercava nella feccia di Romolo . Ed ecco ciò che dovea dirſi intorno alle lodi indirette ed allegoriche . Le figure del quarto e del quinto ſpazio contengono lodi di rette , perchè cuite ripiene delle coſe di cui si compiaceva Auguſto che i Romani continuamente acclamaffero . Egli ſteſ ſo , come ſi diffe , avea nel Foro di Ceſare conſecrata l'ima gine della battaglia , e del Trionfo , nè io dubito punto che Virgilio ne aveſſe eſpreſli i tratti della pittura nello Scudo in quella guila , che nel primo libro nel rappreſentar il Furore alliſo ſopra i trofei e con le mani annodate al tergo imita la pittura ch'era nel Tempio di Giano . Tutto poi nella deſcrizione e della battaglia , e del Trion fo , è diretto alla lode d'Auguſto. Nella battaglia , Auguſto è coi Padri , col Popolo , coi Penati , e co'magni Dei, ed ha in fronte la ſtella paterna ; ciò ſignifica , che la guerra era in trapreſa per la libertà del Popolo , del Senato e coll'alliſtenza di Giulio Ceſare già Deificato . All'incontro Antonio non ha ſeco che de' Barbari , ed un'effeminata Reina ; Auguſto è di feſo da Venere genitrice , da Minerva , e da Apollo , Dei del la prudenza e del conſiglio , e da Nettuno , che gli era ſtato favorevole nelle guerre in Sicilia contro Seſto . All'incontro Antonio non ha ſeco che Dei moſtruoſi ed odiati da' Romani . Quanto cgli deſcrive più feroce la pugna , tanto maggior mente eſalta il valore d'Auguſto e d' Agrippa , ch'egli ſempre accompagna per le ragioni di ſopra accennate . Le Furie e la Diſcordia con Bellona liriferiſcono a Cleo patra ; ma qual mai v'è ſagacità poetica nell'accennare la fu ga e la morte di queſta Reina ? Mentre ella ſuona il filtro non vede i due ſerpi che la minacciano alle ſpalle ; ella con fida iyo fida in vano nelle forze dell'Egitto , e in vano tenta di rifu . giarſi nelle più occulte ſpiagge delNilo . Tutto allude al .con higlio ed alle azioni di Cleopatra . Perchè poi Virgilio non nc introducefle nel Trionfo l'effigie , e tra i prigioni non poneſ ſe i figliuoli di lei , la cagione n'è forſe ſtata il timore d'ec citar nell'animo altrui con queſte imagini qualche grado di ammirazione e di compaffione , e perciò ſcemar in parte la lode d'Auguſto , e tra l'altre quella della pietà . Ne'gran Poe. ti biſogna egualmente riflettere e a quel che dicono e a quel che tacciono , onde molto male s'argomenta dalla Poeſia alla Storia , e dalla Storia alla Poeſia , quando non s'attende al fi ne a cui tutto vuol accomodare il Poeta . Il fine delle figure ſcolpite nei vari ſpazi dello Scudo ha relazione al fine gene rale dell'Eneide . Le figuredel ſecondo ſpazio riguardano il ſenno d'Auguſto , le figure del terzo il valore , le figure del quarto riguardano la ſua pierà . Queſte ſono le tre virtù do. minanti dell'Eneide . Dionigi d'Alicarnaſlo , che ſcriveva nel tempo d'Augufto , le ſtabiliſce come neceſſarie ai fondatori d ' un Impero , e Virgilio vi fabbrica ſovra l'Eneide . Molte altre coſe io potrei addurre intorno l'artifizio poeti. €0 , la chiarezza , e la brevità , colla quale Virgilio in sì po chi verſi eſprime tante coſe , nè mai per oftentazione o d’in. gegno o di dottrina o d'erudizione , maſempre relativamente al diſſegno del tutto e delle parti , ciò che deve ſervire a' Poe. ti moderni di precetto e d'eſempio. DISSERTAZIONE PRELIMINARE i ALL' ILLUSTRAZIONE DEL PARMENIDE DI PLATONE. atentat nesatentratata L A ſecca della Filoſofia Italica fondata da Pitcagora ebbe nome e ſede nella Magna Grecia , tra le cui Provincie fu per l'eccellenza de'Filoſofi, che vi fiorirono , celebre la Lucania , ed in queſta la Città di Velia , o d'Elea così denomi nata dal fiume che l'irrigava . Quivi Senofane di Colofone , Cit tà della Jonia nell'Alia minore , ſtabilì e perfezionò la fecta , che dalla Città d'Elea fi diffe Eleacica , e meritò d'avere tra gli al tri diſcepoli Parmenide nato di Pireto , e quel Filoſofo grave e venerabile , che con Zenone paſsò in Atene , ove tenne la con ferenza con Socrate eſpreſſa in queſto Dialogo . Ora avendomi propoſto io d'illuſtrarlo nella ſua parte ſtori ca e Filoſofica, credo diſoddisfar quanto baſta al mio impegno ſe prima tento d'accordar l'erà controverſa dei tre Filoſofi nomi nati, indi ſe della dottrina Eleatica ſpiego l'origine e l'effetto , o la Filoſofia Pittagorica , e la Platonica ; finalmente ſe mi fer punto che Platone in queſto Dialogo n'eſpoſe, e dichiaro l'artifizio filoſofico , e poetico dello ſteſſo Dialogo . lo difli , che Senofane ftabili , e perfezionò la ſecca Eleacica perchè Platone dice nel Sofiſta , la gente d ' Elea incomincia appref ſo di noi da Senofane, anzi da più antichi, i quali non poteano eller che Talete, o Pittagora , oi difcepoli loro ; non regnando, allora alıra Filoſofia nella Grecia , ſe non l'introdotta dai due fondatori, o profeſſata da i loro allievi . Alcuni però fecero Se nofane poſteriore a Talete , ma più antico di Pittagora, nè fo dove prendeſſero le loro congetture cronologiche , alle quali oltre l'autorità di Platone , s'oppongono le ſcoperte dei due Fi loſofi , e i viaggi loro . Taletecalcolo il primo l' eccliſli lunari , ma come poteva egli calcolarle ſenza conoſcere la propolizione , che Euclide poi fe ce la 47 del primo libro degli Elementi , e di cui s'aſcrive or dinariamente l'invenzione a Pitcagora ? I calcoli aſtronomici ſo mo ſul . no ( 4 ) no dedotti da trigonometrici, principio de' quali è il triangolo rettangolo miſura diſe ſteſſo , e de gli altri triangoli. Pittagora dunque, che l'invento , o fu contemporaneo di Talete , o fiori prima di lui . , Io credei , che queſta foſſe una dimoſtrazione in cronologia , finchè in Plutarco ( a ) ritrovai che gli Egizj ſimboleggiavano co ? tre lati del triangolo rettangolo miſurati da 3, 4 , e s le loro principali divinità Ilide, Oliride, ed Oro ; aſſegnando ad Oſiri de la perpendicolare, la baſe ad Ilide , e ad Oro l'ipotenuſa ; L'antichità del ſimbolo manifeſta quella della cognizione , tan to più che gli Egizi coltivarono l' aſtronomia da poi che eb bero inventato la geometria per miſurare i terreni, e non par veriſimile , che ſenza conoſcere il triangolo rettangolo , il pri mo e il più facile ad immaginarſi de gli altri, poteſſero riu ſcire nella pratica di queſte due ſcienze . V'aggiungo, che fe condo Platone ( 6.) noci erano, agli Egizi gl' incomenlurabili , la prima idea de' quali naſce dall' impoſſibilità di eſtrar la radice dal quadrato dell'ipotenuſa del triangolo ; I lati del retcangolo Pitta gorico ſono i numeri accennati , e queſta è la prova che dagli E giz lo toglieſſe Pittagora , e nello ſteſſo tempo o poco prima l' aveſſe colto Talete , benchè poi Talete ſi contentaffe di moſtrare all'Aſia minore l'ulo aſtronomico della propoſizione, e Pictagora ne deſſe alla Magna Grecia la dimoſtrazione Geometrica , ed è forſe quella regiſtrata da Euclide nel primo libro diverſa dalla 8 del libro 6 dedotta dalle proporzioni delle linee , e che nel progreſſo del tempo Eudoffo , che fiori nel tempo di Placone , portò dall' Egitto col s elemento . Or fe i gradi delle cognizioni dello fpirito umano ſono fema pre gli ftefli, dall'analogie dell' Epoche moderne ſi poſſono de durre le antiche , e particolarmente quelle che hanno relazione agl'inventori de' principjmatematici . Nel paſſato ſecolo ſi trova prima dal Toricelli la Cicloide , e l' Ugenio l'applicò a regola re il moto dell'orologio a pendulo ; il Newtono fi limitò all'altrace ta Teoria della luna , e l' Hallejo l'applico a correggere le Tavo le aſtronomiche . La ſeconda congettura della contemporaneità di Pitragora, e di Talete , ſi prende da coſe più facili . Vuol Jamblico , che Ta lete ſcriveſſe una lettera a Ferecide maeſtro di Pittagora, e gli legaſſe certi fcritti morendo , e par che Plinio convenga che i due Filoſofi foſſero ſtati in Egitto al tempo che regnava il Re Amaſi. La queſtione non cade più dunque ne ſu tutto il ſecolo , ne ( a) Trattato d'Ilide, ed Oſiride . ( 6 ) Nella Rep. e nelle leggi . ( 5 ) 1 4 ne ful mezzo ſecolo , ma su l'età dell'uno e dell'altro di pochi anni diſtante ; Talete par più vecchio ſe ſcriſſeuna lettera al maeſtro di Pittagora , machi sa poi ſe Pitragora non era allora in Egitto ? queſta lieve differenza non toglie però , che ſe Talete' fu più d'un ſecoloprima di Senofane, non lo foſſe ancora Pittagora : Io ritrovo bensì, che Senofane era contemporanco d'Epicar mo , e diEmpedocle. Secondo Timeo lo Storico , Senofane paſsò in Sicilia al tempo di Gerone , ſotto il cui Regno Epicarmo era illuſtre per le ſue commedie, e Plutarco (a) ci conſervò la memo ' ia d'una riſpoſta , che diede Senofane ad Empedocle . Non è facile il determinare , nè qui lo cerco , quanto Epicar mo , ed Empedocle foſſero diſtanti da Pittagora , e quindidà Ar chita Tarentino il vecchio , da Peritione , da Timeo di Locri , da Ocello Lucano , e da altri , che ſi dimandavano Piccagorei ( 6 ) perchè udirono Pittagora , a differenza deglialtri , che ſi chiamava no Pittagoriſti. Quando cominciò Senofane a ſtudiar la Filoſofia , quella di Ta lete era già diffuſa nella Jonia , e quella di Pittagora nella Magna Grecia ,e nella Sicilia ; su queſto fondamento altri fecero Seno fane diſcepolo di Anaſimandro , ed altri di Archelao diſcepolo di Anafagora , il quale avea il primo traſportata la Filoſofia dalla Jonia in Atene, ove paffato Senofane ftudiò ſotto ( c ) un certo Bottone Ateniere . Dalla povertà cacciato Senofane dalla Grecia , paſsò nella Sici lia e quà s'abbandono alle doctrine Pittagoriche , più delle Joniche conformi all'ingegno di lui acre , e profondo. Dalla Filoſofia Jo nica , e dall' Italica traſſe un nuovo liftema , è meritò ď' effer ca po della ſecta Eleatica primo fonte dell'Accademica , e della Pla tonica , delle quali poi furono rami lo ſcetticismo, e lo ſtoicismo, Nulla ancora s'è fatto , ſe non ſi dimoſtra accordarſi l'ecà di Senofane con quella di Parmenide , e queſta con quella di Socra te . Tralaſciare dunque molte epoche inverifimili, io m'arreſto a quella che aſſegna Timeo a Senofane , ed è che egli fiorille nell'olimpiade 76. Parmenide, ſecondo Laerzio ſeguito dallo Stan lejo , e da altri , fiorì nell' olimpiade 69 diſtante dalla 76 di 7 olimpiadi, che importano 28 anni, calcolando ogni olimpiade per 4 anni compiuti . La voce fiorire è molto vaga o ſteľa nel la Cronologia , perchè non ſempre moſtra , che un Filoſofo fof ſe nel punto più alto della ſua fama, ma che ſolo aveſſe un no meilluſtreacquiſtato . Il Newtono , che cosi rapidamente ſi per fezionò nelle matematiche, fioria del pari in Inghilterra nel 1662 quando ſcriſſe al Leibnizio la lettera in cui gli dichiarava lo ſvi luppo , ( a ) Plut. de vit.pud . ( 6) Patr. diſcuſs. prop . 1. 6. (c) Laerzio vit.di Sen. ( 6 ) 3 8 luppo , e l'uſo del Binomio eſaltato ad una potenza indetermi nata , e nell'anno 1716 in cui molte coſe aggiunſe al ſuo libro de' colori, e n'illuſtrò molte altre nei principj naturali della Fi loſofia matematica , Senofane, che lo Scaligero fa vivere 104 an ni , ed altri almeno fino a 100 , potea fiorire in olimpiadi mol to diftanti, perchè per la forza della ſua mente facilmente riu fcendo nelle fue applicazioni, in breve acquiſtava fama di lomme Filoſofo , e la ſua fama tanto più ſpargeali per le bocche degli Uomini , quanto egli abbelliva le ſue meditazioni filoſofiche con la Poelia per farle ricercare , e leggere con più d'avidità . Parmenide fece i ſuoi ftudi in Elea ( a ) ſotto Amenia , e Dio cheta Pictagorici , i quali lo riduſſero a laſciar le ricchezze , ecol tivar la vita privata, e darſi tutto alla Filoſofia . Biſogna dun que che in eſſa molto riuſciſſe , o la Filoſofia foſſe la paſſione , che più lo dominava, ſe nato de' più ricchi, e de’più nobili di Elea ebbe tale coraggio ; ma ciò molto applauſo dovea avergli acquiſtato appreſſo de'ſuoi Cittadini , ſe fin d'allora cominciarono a celebrarlo in guiſa , che al dir di Ermipo Empedocle l'emuld . Nulla vieta il ſupporre, che Empedocle avelTe molto ſoggiornato in Elea , e poi foſſe ritornato in Agrigento ſua Patria . In Elea era ſtato emulator di Parmenide doctiſſimo nelPittagoriſmo, e lo fu in Sicilia di Senofane , che lo profeſſava con qualche cangiamento', dopo gli anni 28 che è l'intervallo frappoſto tra l'olimpiade 69 e 76 . Paſso Senofane in Elea , ed ivi Parmenide conſecrato agli ſtudi corſe ad udir Senofane , come i giovani nobili , e ben educati ſo leano far nella Grecia , quando nelle loro Circà udiano entrar un Filoſofo illuſtre , e che potea inſtruirli in qualche nuovo liſte ma , del che chiari gli eſempi ne vediamo nel Protagora , nelGor gia , ed in altri Dialoghi di Platone . Quando Parmenide udi Se nofane, queſti poteva eſfer molto vecchio ; ma qualunque età dia ſi a Senofane, mi baſta , che nel pricipio dell' olimpiade 76Parme nide imparaſſe da lui il fiſtema dell'uno immobile , e non aveſſe allora che 36 , e ancor 40 anni , la ſteſſa età che avea Zenone quando diſputò con Socrate in Acene . Socrate nacque al fine dell'olimpiade 77 , ed avea 4 anni com piuti o 5 anni cominciati , quando nella noſtra ipoteſi Parmeni de ne avea 40. Se zo anni dopo ſi fuppone, che Parmenide con Ze none paſlaffe da Elea in Atene , come vuol Platone , non avea che 60 anni, e Socrate che 25 , onde era egli molto giovane relativa mente a Parmenide . Semplici, e al fommo veriſimili ſono queſte ipoteſi degli ſtudi, 1 e dei ( a ) Laerzio vita di Parmenide . 1 ( 7 ) e dei viaggi dei due Filoſofi , e ſe s'accordano facilmente con le olimpiadi , perchè oftinarſi a rigettarle , e rinunziare all'au corità di Platone , che potea molto meglio al fuo tempo cono fcere l'epoche dell'era filoſofica , che non ſi conobbero 6oo an ni dopo , e ben più ? Le circoſtanze , con cui Platone accompagna l'abboccamento di Socrate con Parmenide , accoppiano in guiſa alla verità del fatto la veriſimiglianza ſtorica del Dialogo , che pare non do ver laſciarſi alcun ſoſpetto . Io le eſtrarro dal Dialogo . Parmenide , e Zenone fuo diſcepolo favorito o fuo figlio a dottivo abitavano fuor delle mura di Atene in caſa di un cer to Pitidoro . Nelle ſolennità de grandi Panatenei , itofene So crate a ritrovar Parmenide , ritrovò folo in caſa Zenone , e comia cid a diſputar feco fu l'idee . Entrato poco dopo Parmenide in caſa con Pitidoro , ſi proſeguì la diſputa incominciata alla pre fenza di molti , tra' quali Ariſtotele non lo Stagirita , ma uno dei 30 Governatori , o Tiranni di Atene . Tali ſono le circo ftanze del luogo , del tempo , e dei teſtimoni della diſputa . Socrate non avea allora che 25 anni ; or eſſendo egli mor to nell'età di 72 anni, dall'abboccamento alla morte non vi fo no che 47 anni di diſtanza , e tanti appunto o pochi più dall' abboccamento al Dialogo , ſe Platone lo ſcriffe dopo la morte di Socrate : ma poniamo che l' aveſſe compoſto anche 20 anni dopo ; la memoria di un Uomo così illuſtre qual era Parmeni de non potea più ignorarli in Atene , di quel s'ignori ora a Parigi la dimora che vi fece il Leibnizio, e l'Ugenio , e le di fpute che ebbero nell' Accademia reale . Alle verilimiglianze ſtoriche s'aggiungono le poetiche necef ſarie all' ornamento del Dialogo , che è una ſpecie di Poeſia Dramatica : così lo teſse Platone. : Cefalo per bocca di Antifone ſuo fratello uterino , e figliuo lo di Pirilampo , racconta ad A dimanto , e Glaucone , tutto ciò che avea udito da Pitidoro fu la diſputa che ebbero Zenone pri ma , e poi Parmenide con Socrate . ' Antifone avea converſaco familiarmente con Pitidoro compagno di Zenone , ma poi laſcia ta la Filoſofia coltivava l'arte equeſtre , e quando Cefalo ad in ſtigazione de' compagni andd a ritrovarlo , egli dava certo fre no ad accomodare ad un fabro ; circoſtanza che io credo finta per dar rilievo al racconto , é fiffar la fantaſia del lettore con qualche coſa di ſtrano . Par toſto che Antifone occupato in un volgare eſercizio , non debba favellare ſe non di coſe volgari , nè mai s' aſpetta , che egli ſia per ſalire nell' ultime aſtrazio ni della metafiſica ; quindi il lettore reſta ſorpreſo dalla mera viglia ( 8 ) 1 > e di viglia , allora che egli racconta il principio della diſputa tra So crate e Zenone, e che poi s'interrompe alla venuta di Parme nide , che fattoſi pregar un poco la continua fino al fine. Quan te menzogne , ſe Socrate non parld mai con Parmenide ! All incontro qual arte fina di veriſimiglianza poetica , per dar or namento alla verità del fatto di cuiCefalo , Adimanto , e Glau cone vivendo poteano renderne teſtimonianza ? Come immagi narſi, che un Filoſofo il qual volea render accetta la lettura de ſuoi Dialoghi , cominciaſſe a diſguſtar il lettore con bugie le più sfacciate ? Ariſtotele, che calunnia il ſuo Maeſtro in tante parti dell'opere ſue fue , e che parld ſovente di Parmenide Socrate non attaccò mai Platone ſul loro abboccamento , e pur ne poteva trar degli argomenti, per renderne la dottrina ſoſpetta. Non ne parlano altri autori Greci più vicini a Platone , non gli autori Latini , che più ſtudiarono i Greci , e tra gli altri Cicerone e Plinio , che tante coſe ci conſervarono fu l' iſtoria ed Era Filoſofica . Non v'è che il ſolo Ateneo il qual viſſe a' tempi di Marco Aurelio , che vuol dir quaſi più di 600 anni dopo Platone . ( a ) Egli dice : Appena permette l' età che Socrate aveſe veduto , ed udito Parmenide , non dover però noi meravigliar ſene, perchè Platone ſuppoſe che Fedro vivere al tempo di Socrate ; che Paralo , e Zantippo figliuoli di Pericle , e morti nella peſtilenza , ragionaſſero nel Protagora , e che Gorgia diceſſe nel Dialogo del ſuo nome quel che mai s'era fognato di dire . Molte altre accuſe contro Platone vibra Ateneo , e s'affatica a dipingerlo tanto mordace , e maledico quanto bugiardo . Non so perchè i Cronologi attenti a peſare ogni minuzia de'te fti non oſfervino , che Ateneo nel dire vix ætas permittit dichiara , che poco intervallo di tempo v'era ſtato tra la morte di Parme nide, e l'età di Socrate , maqueſto vix qual ha poi forza cronologica poſto in bocca di Guriſconſulti, di Oratori, diPoeti , di Filologi, non di Cronologi, che avrebbono diminuito l'allegrezza del convito coi loro calcoli, e colle lor aſciutte illazioni ? Il Calaubono il qual nel ſuo comentario d'Ateneo in un'altro libro in foglio sfoga tanta eru dizione ſu l’erbe, ſu ipeſci, ſui coſtumidel convito , elu mille altre coſe inutiliffime a ſaperli nulla degna di dire ſu le accuſe colle qua li uno dei Dinnoſofiſti morde Platone . Io per me credo , che A teneo vedendoſi incapace d' emulare l'immenſità della dottrina Platonica , e l'arrificioſa maniera con cui l'eſpone Platone ne'ſuoi Dialoghi , teſſe lunga ſerie d'accuſe , e lo condanna di menzogne ro , e maledico per accreditar ſe non altro la veracità , e la mo deſtia colla quale caratterizza i ſuoi Dinnoſofiſti. Il buon Grama cico ( a ) Ateneo lib . 14. Sympt, 9 ) tico ne goda egli pure , e ſen ' applauda ; non per queſto io crede rò , che Parmenide non poteſſe ragionare con Socrate , e ſtard immobile nelle mie ipoteſi cronologiche , che a ben peſarle non vagliono meno di tante altre , che in queſto ſecolo fi ſpacciano, e fi difendono come i Teoremi diGeometria : Candidamente perd confeſſo , che io farò per ſacrificarle a colui , che all'autorità di Ateneo ne aggiungere qualchealtra più dimoſtrativa, e meno ſo fpecta ; finalmente malgrado le congetture eſpoſte io ſon perſua ſo , che ſe Platone tutto finſe , il Dialogo è più ammirabile per la menzogna poetica tutta opera della ſua fantaſia, che non è per la verità del fatto , di cui poteano farſi onore i men dotti . Platone fcriffe in Filoſofia più ditutti gli antichi che lo precede rono , e come da Eraclito le coſe fiſiche, da Socrate le morali , così tolle da' Pittagorici lemetafiſiche , le quali non ſi correffero che nel fecondo ſecolo della Religione , per le varie diſpuce che, nacquero tra iPlatonici , e tra i Criſtiani. Eſaminerò dunque prima d'ogni altra coſa la natura della difpu ta , dopo di cui proporrò generalmente l'antica Filoſofia , ed in di la particolareggierò in Pittagora , e ne'Pittagorici, tra'quali Se nofane e Parmenide, e la terminerò con Platone . A queſte due coſe io riduco l'origine, e l'effetto dell'Eleatiça Filoſofia .. Gli antichi Filoſofi , ſenza eccettuarne nè pur uno , convennero nel principio , che di nulla fi fa nulla , e ciò gl' impedì di poter conoſcere che Dio era un ente ſingolariſlimo, uno, onnipoten re , buono , e libero; in ſomma di tutte quelle perfezioni dotato le quali o per negazione , o per caſualità , o per eminenza gli at tribuirono i SS. Padri, e cuti'i Teologi . Era Dio ſtato ſempre con la materia ? Dunque altro non gli competea , che eſſer un modo di efla od un ente , che ſolo per preciſion di ragione dalla materia ſi diſtingueva ; era egli per metà uno , per metà onnipotente , fe dipendea da un principio , ſenza il quale operar non potea , non più che il Pitcore dalla tela e dai colori , e lo Scultore dal marmo. La diminuzione della potenza toglieva a Dio la bontà , perchè non poteva egli vincer in guiſa la contumacia della materia , che non regnaſſe a ſuo malgrado il male miſto col bene . Come dunque Mosè per opporſi al politeiſmo del ſuo tempo dalla creazione cominciò la ſtoria del mondo ; così per opporſi a tutti gli errori che derivarono dall'eternità della mate ria fi cominciò nel ſimbolo Apoftolico da Dio creatore , inſiſten do al dogma di S. Paolo , il quale nella Epiſtola agli Ebrei : In tendiamo ; ( a ) dice egli , per la fede eſſere ſtati connelli i ſecoli Tom . II. b dalla ( a ) Epiſt. agli Ebrei cap. 11. Fide intelligimus aptata eſſe ſecula ver bo Dei . ( 10 ) dalla parola di Dio . I Padri nelle loro diſpute co'Gentili lo dichia rarono. Noi , dice Atenagora ,Jepariam Diodalla materia , lamateria crediamo un ente diverſo ---- ( m ) Dio è uno , ed ingenito , ed eterno ; la materia è corruttibile ; e poi celebriamo tutti un Dio ſolo crea tore di tutte le coſe . - - .- la fua forza immenſa non poterono abbrac ciar coloro con l'animo, che la notizia di Dio non cercarono nello ſtef fo Dio, ma dentro fe fteſi . Taciano (6 ) pur dice : Dio non s'inſi nua nella materia e negli spiriti materiali e nelle forme , ma egli è artefice inviſibile ed intangibile di tutte le coſe . Teofilo d'Antiochia ( c) parlando ad Autolico, dice , ſe Dio è ingenito e la materia è pur tale , non è più Dio fabricatore e creatore di tutte le coſe . Queſti Pa dri viſfero tutti e tre nel ſecondo ſecolo non molto diftanti l' uno dall'altro . Gli errori de' Marcioniti , de' Valentiniani , de' Baſiliani , chefuronopur cutti e tre che in queſto ſecolo diedero occa fione a' Padri d'illuſtrare il lor zelo , dichiarando con la crea zione della materia il principio fondamentale della Religione Criſtiana . Anzi Taciano dimoſtro , che i Greci ne avevano ri cevute l'idee da'Barbari , ed i Barbari dagli Ebrei , benchè poi le aveſſero oſcurate e corrotse . Affaccendati gli altri Padri a purgarle , oſſervarono che Dio , autore del pari della Fede , che della ragione , non le avea ſeparate in un modo caliginoſo ed impenetrabile , ma le avea in maniera accordate , che dall'aurora dell'una fi potea paſſare al pieno giorno dell'altra , cogliendo però dalla ragione quanto e Platonici e Pittagorici e Stoici, ed Epicurei v aveano im preſſo col lor proprio carattere . Si compiacquero dunque della ſetta Eclerica , ed il primo che l'abbracciale fu Atenagora il primo de' Catechiſti d'Aleſſandria , poi S. Clemente ed Origene dal Veſcovo Uezio chiamato Pocamonico ( d ) anzichè Platoni ço , San Clemente ſpinſe tant'oltre la condiſcendenza , che pro poſe come poflibile un ſiſtema filoſofico, il quale raccoglieſſe tut te le verità ſcoperte dalla ragione umana fin dal principio del mondo , ed agevolaſſe il metodo di far ricever i dogmi della fede, e quello della creazione. Amonio Sacca conciliator di Ariſtotele e di Platone , ritrovando che in Ariſtotele l' eternità del mondo ſi conciliava con l'eter nità di Dio , ſe ben egli nulla ſcriveſſe , laſcid tuttavia a' ſuoi diſcepoli , onde ſtabilire tal dogma. Diſtinſe egli l' eternica in due gradi o in due ſegni , nell' uno dei quali poneva Dio, nell'altro le coſe bensì create , ma da lui dipendenti , come il raggio dalSole , o l'ombra dal corpo . S'accorſero i Padri, che iFi ( a ) Apologia pro Chriftianis . ( 6) Tat. allir, cont. Græc. ( c ) Teof. Aut, lib . 2. ( d ) Iftor. del Moeffenio nel finedelCuduortio . ( 11 ) e tras i Filoſofi mettendo con la creazione eterna una dipendenza tra la materia é tra Dio , coglievano a Dio la libertà , perché cacitamente fupponevano , che da Dio neceffariamente foſſe emanato il mondo come il raggio dal Sole e l'ombra dal corpo . Far di Dio un Agente neceſſario , è lo ſteſſo che farlo per metà Signore , per che ſe fi confeſſa da una parte , che da Dio dipenda la coſa che egli fa , fi nega dall' altra che da lui dipende il farla ed il non farla. La libertà è la maggiore delle perfezioni. Perchè dun que corla a un ente infinitamenteperfetto ? Lafcio S. Ireneo, S.Cirillo , ed altri, cheſoddisfarono ampia mente a tutte l' obbiezioni ; ma quello , che più degli altri le ſcDIonvolſe ed atterrò , è ſtato Lattanzio Firmiano , che con au reo ftile nel quarto ſecolo ſcriſe . In queſto ſecolo ancora ſcriffe ro Eufebio nella Preparazione evangelica , e poi S. Agoſtino nel la Città di Dio , l'uno ſegut l' ormeaccennace da Taziano , 1 alţro con erudizione più vigorofa , e più filoſofica ſcriffe contro l'eternità , l'animazione , la divinica del mondo , e l'immutabi lità del Fato . Apparve Proclo ( as nel príncípio del V1. fecolo fondendo nella ſua Teologia molto di quella de' nomiDivini at tribuita a S. Dionigi Areopagita , rinovd il fiſtema di Amonio Sacca riſtoro il Platoniſmo caduto . Nel fecolo dopo , Zac caria di Mitilene , ed Enea di Gaza , ſcriſſero' pure contro l'eter nità del Mondo. E da' loro fcritii ſi raccoglie , che l'idea di Dio, combinata col policeiſmo era un'idea nugatoria , non men di quel la del bilineo rettilineo , che rappreſenta alla mente una figura , é non è che una contraddizione . Il P. Balto , nel ſuo dotuiffimo libro contro il Platoniſmo ſvelato , lo dimoftra ; e dopo il Balto fe de fece dal Moeſfenio quella circoſtanziata iſtoria ſul Platonis la quale è nel fine dell' opere del Cuduortio , da lui tradotre dall' Ingleſe in Latino . lo nell’eſpor la doctrina de Filoſofi antichi non mi feryi rò dell'autorita de' Platonici recenti , non più , che fe non aveſ ſero mai ſcritto , ſalvo allora , che s'accordano cogli antichi, e ci confervano qualche circoſtanza ſtorica indifferente . Cercherò prima ne' teſti de' Filoſofi ftefli il ſenſo , che naturalmente preſen iano , e dove ſia queſto oſcuro , ed equivoco , ricorrerà all'in terpretazione o di Cicerone , o di Plutarco , o di Sefto Empirico , o di Laerzio Viſle Cicerone molti anni prima del Crifianeſimo , e Plutar co viffe a Roma ſotto Adriano, o Trajano , dopo d'aver ſtudiato in Egitto forro Amonio , diſcepolo di Potamone, e del quale egli b 2 par ( a ) Pachimero in Suida , Vedi Fabrizio Bibliot. art , Proclo . e mo , . ( 12 ) parla nella vita di Temiſtocle ed altrove. Laerzio e Seſto Empi rico , fiorirono in circa ſotto Severo , che vuol dire molto prima di Amonio Sacca , di Plotino , di Porfirio , e di molti alori nimici del nomeCriſtiano ; non rifiuterd dall'altro lato i ſoccorſi , che i Padri m'offrono allora particolarmente , che non hanno certa indulgenza alle opinioni filoſofiche , ſcrivendo agl’Imperatori, o non argomentano ad hominem contro coloro , che gl'inſultava no . La mecafiſica di Platone non è diverſa da quella de' Pittago rici , e ſe una volta io dimoſtro, che queſti e particolarmente Pitta gora , Senofane, e Parmenide conobbero bensì un principio intel ligente , ma non ſeparato dalla materia , anzi con effa non facen do che un tutto , avrò dimoſtrato , io mi perſuado, che queſto pur era il ſiſtema Platonico . Cominciero da Cicerone che in poche ma ſoſtanzioſe parole compendio tutto il ſiſtema de' primi Accademici o di Platone , e lo craſſe da' Pittagorici , come da Placone purtraſsero il loro gli Stoici, e i ſecondi e verzi Acca demici , poichè quanto a' Peripatetici ( a ) eli convenendo nelle cafe non differivano , che ne' nomi . Gli antichi , dice egli , divideano (b )lanatura in due coſe , l'una delle quali era efficiente, e l'altraad eſsa quafi preſtandoſi quella di cui ſi fa ceano le coſe.. Incid che facea riponevano la forza , in ciò di cui ſi fa cea , una certa materia , ma l'una e l'altra era nell' una e nell' altra perchè nè la materia può aver coerenza , ſe non ſia da qualche forza ritenuta , ne v'è la forza ſenza qualche materia , poichè nullo v'è che non fic in qualche luogo . . Se la forza e la materia erano indiviſibilmente unite , la fola mente le ſeparava , e perciò conſiderar l'una ſenza l'altra era un ?: aſtrazione , una preciſion della menee . Cid che riſulta ( c ) dall'uno e dall'altro , o ſia dall'accoppiamento , lo chiamavano corpo , e quafi certa qualità ...-- . Di queſte qualità al tre fono principali, ed altre derivate da queſte . Delle principali ſono ognuna ( a ) Cicer. Quæſt. Acad. 1. Peripateticos', & Academicos nominibus differentes , & re congruentes lib. 2. ( b ) De natura autem ita dicebant, ut eam dividerent in res duas , ut altera eſſet efficiens, altera autem quaſi huic fe præbens ea qua effi ceretur aliquid : in eo , quod efficeret vim eff: cenſebant ; in eo au tem quod efficeretur materiam quamdam : in utroque tamen utrum , que : neque enim materiam ipfam cohærere potuiſſe , ſi nulla vi contineretur ; neque vim line aliqua materia : nihil eft enim quod non alicubi eſſe cogatur. ( c ) Sed quod ex utroque id jam corpus , & quaſi q uandam qualitatem nominabanc Earum igitur qualitatum ſunt aliæ Principes , aliæ ex his ortæ . Principes ſunt uniuſmodi , & ſimplices , ex iis au tem ortæ variæ funt, & quafi multiformes : itaque aer quoque ( uti niur ( 13 ) ognuna della ſteſſa ſpecie , e ſemplici. Da queſte qualità , altre ne for no nate , e quaſi moltiformi. L'aere , il fuoco , l'acqua , ela terra for no primi , e da queſti nacquero le forme degli animali , e le altre coſe , che ſi generano dalla terra . Dunque que' principi , per tradurlo dal Greco, ſi dicono elementi , de' quali l' aria , il fuoco , banno la for za di muovere , e di fare , le altre parti di ricevere , e quaſi di pati re , l'acqua, dico , e la terra . La parola ſemplice quì non ſignifica indiviſibile , e Seſto ( a ) Em pirico pur la prende in queſto ſenſo . Vè un quinto genere , b )di cui ſono gli aſtri, e le menti ſingolari , ed Ariftotele lo pone diſimile dagli altri quattro . Se le menti ſono tratte dallo ſteſſo elemento , che gli altri , non ſon eſſe ſemplici nel ſenſo d'indiviſibile, ciò che Cicerone dice altrove . Teniamo noi che l'animo abbia tre parti , come piacque a Platone, o ſia ſemplice ed uno ; ſe ſemplice ſia egli come il foco , il fangue , l'anima , cioè il ſoffio . Queſte coſe conſtando di parti non ſono ſemplici. Continua Cicerone . ( c ) Ma penſano, che di tutte ſia ſoggetto una certa materia priva di ogni specie , e d ogni qualità , e da eui Butte le coſe ſono eſpreſſe e fatte , e che può ricever in sè tutte le coſe . Se la materia era prima d'ogni fpecie , d'ogni qualità , non cra corpo , e perciò conſiderata dalla mente , indipendentemen te dalla forza , ella era incorporea ; Selto Empirico chiama per . incorporei i punti, le linee , e le ſuperficie . .. Platone nel Timeo , la chiama difficile ed oſcura fpecie , e il recercacolo d'ogni generazione, e quali nutrice ; aggiunge , che ella non fi diparte mai dalla propria potenza , perciocchè tut te le coſe riceve , nè prende maiper alcun modo, alcuna forma a queſte fimile , e prova eller convenevole , che di tutte le ſpecie ſia privo quel. che ha in sè da ricever tisti'i generi, comequelli che hanno da fa re unguenti odorofi, l'umida materia , che vogliono di certo odore, cori dire di tal guiſa preparano ', che ella non abbia alcun proprio odore e colore eziandio , vogliono in materie molli imprimere alcune pgure , los niuna mur' n. pro latino ) ignis , & aqua , & terra prima ſunt. Ex iis au tem' orræ animantium formæ earumque rerum quæ gignantur è ter ras, ergo illa initia , ut è Greco vertam , elementa dicuntur ; è qui bus aer , & ignis movendi vim habent & efficiendi ; reliquæ par tes accipiendi & quafi patiendi, aquam dico & terram . a ) Contra Mathematicos. ( b ) Quintuin genus e quo eſſent aſtra mentesque ſingulares earum quatuor quæ ſupra dixi diſſimiles , Ariſtoteles quoddameſſe rebatur . ( 6 ) Sed Salicetam putant oinnibus fine ulla fpecie , atque carentem omni illa qualitate o ... materiam quandam ex qua omnia eſptela , atque effecta lipt qux'- tota omnia accipere pofito ( 14 ) 1 njuna figura affatto laſciano primieramente apparire in quelle , ma cer cano pria di renderle quantopoſſibil fra polite. Molte altre coſe aggiunge Placone , che Ariſtotele in una de finizione riduce , dicendo che la materia non è alcuna di quelle co fe , di cui l'ente fi determina , e tra l'altre coſe annovera la qua lica , e la quantità , che par Cicerone ridurre alla ſola qualità ; ma che l'idea del corpo , e della materia foffero diverſe ſecon do gli antichi , lo dimoſtrano le diverſe parole , con cui l'eſpri mevano , chiamando la materia ùns, ed il corpo owllde. Chi po ne un nome , dice Platone nel Sofiſta , dalla cofa diverſo , introdu ce veramente due coſe . La materia dunque, non eſſendo il corpo , ella era incorporea , ed incorporea la chiama in molti luoghi Sefto Empirico , e Plotino , la cui autorità qui è tanto più for te , quanto che egli ſteſo col nome d'incorporeo , non ſignifi cava la ſteſſa coſa che noi chiamšamo fpirituale . Stobeo ( a ) lo conferma col dire: Si nega effer corpo lamateria non tanto , perchè manchi degl'intervalli del corpo , o delle tre dimenſioni , quanto perchè ſia priva d'altre coſe appartenenti al corpo, figura, co lore , gravità , leggerezza, ed ogni altra qualità , e quantità . La materia pud ( b ) in tutti i modi mutarfi , ed in ogni parte non mai ridurſi al niente, ma ſolo in parti che poſsono all' infinito partir li, e dividerſi , nulla eſſendo di minimo in natura , che divider non fi pola. Le coſe poi che ſi movono tutte', moverſi con intervalli , che all'infinito ſi poſſono dividere , e cosi' movendoſi quella forza , cheab bian detta qualità ( cioè il corpo ) e di qud , e di là verſando per fano , che tutta affatto la materia fi muti , efi faccian le coſe, che chix miam quali, dalle cui nature coerenti, e continue in tutte le ſue parti è fatto il mondo , fuori di cui non v'è alcuna parte di materia , nè abas cun corpo . Quante coſe raduna Cicerone in poche parole ! Con la divi fibilità all'infinito della materia , eſclude gli atomi forſe ammeſ da Empedocle ne' minutiſſimi corpicelli , che componevano gli elementi, e da Eraclito nelle mondature piccioliflime , ed indivi fibi ( a ) Stobeo. I. 1. Egl. fil. cap . 14. 16 ) Omnibusque modismutare atque ex omni parte eoque etiam interi se non in nihilum ', ſed in ſuas partes quæ infinite lecari , atque di vidi pollint, cum ſit nihil omnino in rerum naturam minimum quod dividi nequeat : quæ autem moveantur omnia intervallis moveri; quzintervalla item infinite dividi poſfint, & cum ita moveatur il la vis , quam qualitatem effe diximus , & cum fic ultro citroque verfetur : & materiam ipfam totam penitus commutari putant , & ita effici quæ appellant qualia , e quibus in omninatura cohærente , & confirmata cum omnibus fuis partibus effectum elle mundunt, extra quem nulla pars materiæ fit nullumque corpus . ( 15 ) Ibili . Con la coerenza delle parti della materia , Cicerone eſclu de il vuoto negato da tutti , da Talece fino a Platone , onde dif ſe Empedocle: Nulla di vuoto vė , nulla che abbondi. Accenna pur Cicerone le leggi coſtanti che conſervano icore pi movendoſi, e nel dir che fi movono con certi intervalli , i quali all' infinito ſi poffon dividere , non applica egli le leggi del moto a' corpi minimi come a'fenfibili ? Le parti (a) del mondo effer tutte le coſe che fono in eso, e tutte occupate da una natura che ſente , e nella quale v'è una ragione per fetta , e la ſteſsa fempiterna , nulla effendovi di più forteche poſsa diſtruggerla , e la steſſadirfi mente , ſapienza perfetta , e chiamarfi Dio, ed eſer .quafi certaprudenza di tutte le coſe , cheprovede alle coſe celefti , ed a quelle che in terra appartengono agli uomini. Se queſto Dio degli antichi Filoſofi rifultava dalle nature coerenti e continue di tutte le parti del mondo , ſe egli era il ſenſo , la ragione perfetta, la ſapienza , la providenza che reg gea queſte parti , era egli altro che una modificazione della forza e della materia , giacchè non v'era forza ſenza materia , nè materia fenza forza , e non era egli ſeparatamente dalle co ſe conſiderato che un ente di ragione ? Qual relazione ha que fto Dio al noſtro , che è un ente ſingolariſtimo in sè, e fepa rato non per preciſion di ragione , ma realmente dalla forza e dalla materia , della quale egli è il Creatore ? Alle volte lochiamiamo ( b ) neceſſità , perchè null' altro pud farſi , ſe non ciò che da lei è coſtituito nella quafi fatale , e immutabile con tinuazione d'un ordine fempiterno ; alle volte poi lo chiamiamo fortu na , la qual fa molte coſe improvvife , nè da noi penſate per l'oſcuri. tà , ed ignoranza delle cagioni ; ed ecco Dio rappreſentato come agente neceſſario , o ſenza libertà ; ecco diſegnato l' ordine fa tale e ſempiterno delle coſe ; ecco come per la noſtra igno ranza non poſſiamo conoſcere la conneſſione , e le conſeguenze delle ( a ) Partes autem mundi effe omnia quæ infint in eo quæ natura ſentiente teneantur , in qua ratio perfecta inſit quæ fit eadem ſem piterna : nihil enim valentius eſſe a quo intereat , quam vim ani mam effe dicunt mundi eandemque effe mentem fapientiamque per fectam quem Deum appellant, omniumque rerum quæ ſunt ei fub jedtæ quafi prudentiam quandam procurantem cæleftia maxime dein de in terris , eaque pertinent ad homines . 16 ) Quam interdum neceſitatem appellant quia nihil aliter poſfit, at que ab ea conftitutum fit inter qual fatalem , &immutabilem conti nuationem ordinis fempiterni ; nonnunquam quidem eandem fortu nam , quod efficiat multa improviſa hæc nec optata nobis propter obſcuritatem ignorationemque cauſarum , ( 16 ) delle cagioni , e degli effetti loro . In ſomma l'antica Filoſofia aveva adotata l' eternità , l' animazione , la divinità del mondo , e l'immutabilità del Fato , le quattro coſe che Santo Agoſtino ha egregiamente combattute nella Città di Dio . Comparando il trattato d' Ilide , e d' Ogride di Plutarco col paſſo di Cicerone , non è difficile di raccogliere, che la Filoſo fia Egizia ne' principi eſſenziali non era diverſa dalla Greca , ſe non nella maniera di ſpiegarſi o ne' ſimboli . La materia , di cui parla Cicerone , era Ilide , la quale in ogni coſa potea tramu . tarſi, e di tutte le coſe eſer capace , della luce , delle tenebre , del giorno, della notte, della vita , della morte , del principio , e del fi ne . La forza è Oſiride , la cui veſte ſi facea ſenza ombra , e ſenza varietà , d'un color ſemplice , e rilucente ; perchè ella è il principio dalla noſtramente ſolo , intefo , puro, e ſincero, tutt' iſimbolicontrarj a quelli delle proprietà dipendenti dalle qualità de' corpi diſegnati per Oro . Riſultava queſti dall'accoppiamento d'Ilde , e d'Oſiride, e chiamavaſi parto o creatura , rappreſentandoſi per l'ipotenuſa del triangolo miſurata dal 5 ; per cui ſi chiamava con la voce Pente , da cui deriva Panta, o l'Univerſo , che gli Egizi penſavano eſſer la ſteſſa coſa con Dio , nel che, come egli dice , s'accordava Ma netone Sebenita con Ecateo Abderita . Diodoro di Sicilia nel principio della ſua Storia , ſcrive coſa pen {aſſero gli Egizj su la generazione del mondo , ſul principio del le coſe , ſul naſcimento dell'Uomo. Par che Euſebio afcriva a Tot , che è il Mercurio degli Egizj , quanto ſcriſſe Sanconiatone ſul caos, e ſulla formazione della Luna , delle Stelle , degli Elementi . La Teologia miſtica dei Fenici , che dagli Ebrei , ſecondo Euſebio ed altri Padri , ſi preſe , reftd in guila alterata e confuſa, che nel caos poſero prima i principj delle coſe, ed introduſſero poi l'arte fice o l'amore , per opra del quale ordinarono il caos , é fabbrica rono il mondo . Orfeo il primo la portò nella Grecia e L'Inno criſto canto del caos vetufto , E come agli elementi , e come al Cielo Origin deffe, ed alla vaſta terra , E alla profondità del mar Amore Antichiſſimo, e ſaggio . Il caos era la materia , l'amore , o la forma, ed i prodotti, i compoſti, ed i corpi, ed in queſte tre coſe conſiſtea la fiſica generale degli antichi . La ſcienza che n'eftraſſero o la metafi fica rappreſentandola in una maniera molto indeterminata , la ſciava infeparata la materia da Dio , e dai compoſti , ed era molto perciò differente dalla noſtra metafiſica, la quale nell' en te include eſſenzialmente le creature , nè s'eſtende che per un ' 9 1 5 analogia molto lontana al Creatore . Io lo dimoſtrerò partita mente ne' liſtemi di Pittagora , di Senofane, e di Parmenide , e ſarà facile ad applicarne l'uſo a Platone . Pittagora e Platone ( a ) giudicano , che il mondo ſia ſtato fatto da Dio : dunque le Platone fece da Dio generar il mon do ordinando la materia fluctuante , egli imparò ciò da Pitta gora , che l'avea imparato dagli Egizi, da Orfeo , anzi dal pro prio maeſtro ( 6 ) Ferecide Sciro. Avea egli ſoſtenuto , che in tut ta l'eternità Giove , il tempo , e la terra erano ſtati. Facciali pur di Giove, la cagione di tutte le coſe , e gli ſi dia ſomma pruden za , e fomma ſapienza , egli non ſarà mai che la forza , e l'amore che eguaglieraffi al tempo , e alla terra ; vi ſi aggiunga , che poi chè Giove diede il premio alla terra ſi chiamò queſta Tellure, ( c ) non altro mai ſi concluderà , ſe non che prima la forza , e l'amo re temperaffe, digeriſſe , ed ornaſſe quella mole indigeſta , che chiamavali terra . Pittagora generò il mondo dal foco , e a guiſa di foco ſotti liſſimo ( d ) Iparſo, e rinchiuſo nel mondo , volea Placone , che foffe Dio . L'ornamento , ( e ) l'unione , l'ordine di tutte le coſe furono chiamate da Pittagora Coſmos, o il mondo, e diffe egli , che il mondo viſibile era Dio . Stimò il primo , dice Cicerone ( f) l'animo per tutta la natura delle coſe eſer diffuſo , e per la mente da cui gli animi noftri ſono tratti , ne vide per la detrazione di que fti diſtaccarſi , e ſquarciarſi Dio , e farſi miſera una parte di lui , mentre queſti ſoffrivano. Dio dunque era il mondo , e l'anime era no parti di Dio , effetto della Metempficoſi, ſe pur non era queſta una coſa affatto poetica, come Timeo di Locri lo dice . Virgilio eſpreſſe il ſentimento di Cicerone nelle Georgiche. * Della mente di Dio parci efſer l' api, E forfi eterei differo , che Dio Va per tutte le terre, e tutti i mari , E pel profondo Ciel ; quindi gli armenti, E le pecore , e gli Uomini, e ogni ftirpe Di fere, e ogni altra , che da se rimove La tenue vita allorchè naſce . Tomo II. E nell ( a ) Plut. de Ifid.& Ofir.car. 374. Franc. Edit. Vechel . ( 6 ) Laert. (C ) S. Clem . Aleſs. ( d ) San Giuſtino apolog. Ermia nel fine dell'opere di S. Giuſtino. ( e) Plut,plac.lib.2 . ( 1) De Natura Deor. I. 1 . Elle apibus partem divinæ mentis , & hauſtus Æthereos dixere : Deum namque iré per omnes Terrasque tractusque maris Columque profundum . Hinc pecudes , armenta , viros , genus omne ferarum Quemque fibi tenues naſcentem arceſſere vitas . 1.4. Georg. . C ( 18 ) E nell' Eneide , * Nel principio le terre , il Cielo , e i campi Liquidi, e della Luna lo fplendente Globo , e gli aſtri Titanj , interno fpirco Alimenta , ed infuſa in ogni membro Tutta la mole n'agica la mente E fi framiſchia nel gran corpo ; quindi E di pecore , e d'Uomini la ftirpe, De volanti la vita , e'l mar che i moftri Sorco la liſcia ſuperficie porta . no , Pittagora fu l'autor dell'idee ; (a ) oſervd il primo tra'Greci che la mente non potendo rappreſentarſi ſingolari, perchè ſono in numerabili nel compararli, ne traſfe igeneri, e le ſpecie , ne'qua li ſi ravviſano le coſe ſparſe . Così ravviſava tutti gli individui umani nell'animal ragionevole. Nel far queſti aſtratti ( 6 ) conſide rò , che la materia era mutabile , alterabile , Auflibile in ogni gui fa , ma che non vi ſono ſpecie , che s'accreſcano , o che perifca e perciò gli Uomini oſſervandole coſtantemente in tutti i tempi, e in tutti i Paeſi le credono eterne ed immutabili . La que ſtione era di rappreſentar queſt'idee. I numeri convengono all'Uomo , al cavallo , alla giuſtizia , al la caſa , e a che so io ; dunque i numeri ſono univerſali , perchè atti alla rappreſentazione de' molti. L'oſſervazione è d'Ariſtotele , ( c ) e molto più la ſtende Poſſidonio , riferito da Seſto Empirico , ( d ) il qual dimoſtra per i numeri aſſimigliarſi cutte le coſe , e ſen za queſti non poterſi intendere nè gli elementi, nè l'armonia , nè alcuna delle tre dimenſioni del corpo , nè ciò che riſulta da corpi uniti , coerenti , diftánti, nè tutti i calcoli delle quantità fùccef five, nè ciò che appartiene alla vita , ed all' arti fondate su propor zioni ſolo intelligibili per i numeri . Pitragora dunque ſi ſervì del numero , per dar un ſimbolo dei due principj delle coſe, la forza , e la materia , di cui chiamò l'una l'uno , e l'altra il due . L'unità , diceva egli , è Dio , ( e ) ed anche il bene che è di natura * Principio Coelum , ac terras camposque liquentes Lucentemque globum Lunæ Titaniaque altra Spiritus intus alit : totamque infuſa per artus Mens agitat molem , & magno ſe corpore miſcet. Inde hominum pecudumque genus vitæque volantum , Et quæ marmoreo fert monſtra ſub æquore pontus . ( a ) Plut. plac. Phil. l. 1. ( 6 ) Plut. ib . l. 1. c.9 . ( c ) Metaf . lib . 10. ( d ) Contra Logicos . ( e ) Plut. plac . Phil. lib. 2 . ( 19 ) un ſolo , e lo ſteſso intelletto , il due infinito , e genio triſto , d'inser torno il qual due ſi fa la quantità della materia . Chiamava uno la forza perchè noi la concepiamo a guiſa d'un non ſo che d'indi viſibile ; chiamava due la materia , perchè ella è fempre divil bile in due , Di queſti due principj, uno è quello del bene , e l'altro del male, già l'ha inſinuato Plutarco. Archelao Veſcovo ( a ) di Cara dice ; Širiano introduce la dualità contraria a ſe ſteffa , la quale egli preſe da Pittagora , ſiccome tutti gli altri ſettatori di tak dogma, ; quali difendono la dualità declinando dalla via retta della ſcrittura . Tutte in ſommal'ereſie , che vi ſono nel compendio della Filo fofia di Cicerone , che vuol dir l'eternità , l'animazione , la divis nità del mondo , Piccagora le raccolfe in un ſiſtema , ed in vano fi dice, che egli nulla fcriveſſe . Liſide diſcepolo ( b ) di Pittagora in una lettera fcnca ad Ip parco , dopo la morte del maeſtro ſignifica non voler comuni care ad alcuno i precetti, e dimoſtra che delle coſe , le quali di ceano i ſeguaci di Pitcagora , non ve n'era nè pur ombra. Por firio nella vita di Pittagora dice , che agli Uomini oppreſli da tale calamitat, ( cioè dalla morte di Piccagora ) : manca lo ſciens di lui , la quale arcana e recondita cuſtodida in petto , nè vi reftas fono che certe coſe difficili da intenderſi imparate a memoria dagli udi tori dell'eſterna Filoſofia, poichènon v'era alçun ſcritto di Pittagora ; ed aggiunge ,che dopo la morte di lui „ Lilide , Archippo ,ed altri furono folleciti , chei penſieridiPiccagora non ſi pubblicaffero , onde eutti gli arcani della ſua Filoſofia con lui perirono'. To dubito aſſai del la vericà della lettera di Liſide, la quale con quel che dice Porfirio pud eſſere ſtata finta ,perchè i Criſtiani nontraeſfero argomenti da quanto ci reſta diPitagora , in Cicerone, in Plutarco , in Laer zio : ma ſe non v'era coſa alcuna della Filoſofia di Pittagora ,.co me poi Jamblico poeea gloriarſi di riftabilirla ; e non è manifeſto che egli la riſtabili a fuo modo per combattere i Criſtiani de'quali fu accerbo' nimico ; lo ſteſſo Porfirio , che dice nulla aver fcric to Pittagora , come poi ebbe fronte d'afferire , che egli avea ſcrit to fu l'ente , il che Euſebio ( c ) riferiſce ? Diſcepoli di Pitcagora furono Archita Tarentino il vecchio , Pe ritione , Timeo di Locri, ed Epicarmo. Archita il vecchio ( d ) , che Simplicio confonde col giovine , fcriſſe delle dieci voci corriſpondenti ai dieci concetti dell'animo , i quali s'eſtendono a cutte le cole , potendoſi d' ognuna cercar la ( a ) Zaccagna collect. monumentorum veterum Eccleſiæ Græcæ , atque Latinæ . Archelai Epiſcopi acta . ( 6 ) Galeo . ( c ) Propof. Evang, lalg . (d ) Patrizia diſcuſ, Peripa,1 ( 20 ) la ſoſtanza , la quantità, la qualità , l'azione , e gli altri acciden ti regiſtrati a lungo da Ariſtotele nella ſua Logica , in cui copiò il trattato di Archita . Lo Stanlejo , che pretende di numerare tutte le donne Pitcago riche , omette Peritione, e pur eſser ella dovea la più celebre ,le da lei trafse Ariftotele ( a ) tutta l'idea della ſua metafiſica . Lo prova con molta erudizione il Patrizio , allegando la definizio ne della fapienza di Peritione , e comparandola con quella di Ariſtotele. Laſapienza , diceva ella , verſa in tutt'i generi degli en ti , perchè verſa intorno tutti gli enti , come la viſione intorno tutti i viſibili. Ariſtotele definì la metafiſica, per la ſcienza che contem pla l'ente , in quanto ente , e le coſe che per sè gli convengono . Peritione egregiamente ſpiegò gli accidenti dicendo : delle coſe che accadono agli enti , alcune univerſalmente accadono a tutti , alcu ne altre a molti di loro , e certe ad un ſolo , ma riguardar univerſal mente , e contemplar tutti gli accidenti appartiene alla ſcienza . Que. fte ed altre cole che ilPatrizio aggiunge, danno idea della preci fione , e nettezza di Peritione , e nel tempo ſtefso quanto tra' Pittagorici erano familiari l'idee Pittagoriche , ſe le donne ſtef ſe ne ſcriveano con tanta eleganza filoſofica · Non dobbiamo tuttavia meravigliarſene , di poi cheabbiam veduto ne’noftri gior ni Madama la Marcheſa di Chatelet , ſcrivere ſulla natura del. le monadi Leibniziane , queſtione molto più oſcura di quella dell'ente . Timeo di Locri nel ſuo ragionamento ſull'anima del mondo , in queſta univerlità di natura , dice egli , v'è un certo che, il qual rimane , ed è l intelligibile eſemplare delle coſe , che ſono in un fuſo perpetuo di mutazioni, e queſto nelle vicende delle coſe ſingolari , co ftante, e perpetuo eſemplare ſi chiama idea , ed è dalla mente compre fo . Nell'univerſità dunque delle coſe , che vuol dir dentro le coſe o in cutti i compoſti v'è quel non ſo che , che mai non cangia , e può dalla mente eſtrarli qual idolo . Le coſe ſenſibili eſser in un perpetuo fluſso lo diſsegnarono , al dir di Platone , nell'Omero , ed Eſiodo ſotto l'imagine dell'Oceano , e di Te ti , e di queſte non aſsegnarono fcienza i Pictagorici , ma ſolo di quelle , che nè col ſenſo , né coll' immaginazione ſi ravviſa no , e queſta fu la prima differenza tra la Filoſofia Jonica , e l'Italica . Epicarmo ſommo Poeta , come Omero al dir di Platone , so all' una grandezza d'un cubito ( diceva egli ) altra tu voglia aggiun gervi o ſottrarsi, non avrai mai certo la Nera miſura ; gli Uomini pa rimen ( a ) Patriz. l . 2. cap. 1. diſcuſ. Perip. ( 6) Ragion, ſu l'anima del Mondo . ( 21 ) rimente conſidera or accrefcere , ed or decreſcere , tutti ſoggiaciono ai cambiamenti del tempo . ( a ) Jeri tu fofti un altro , io pur vi fui, E un altro ſiamo in queſto tempo , e fieno Di nuovo gli altri , che non mai gli ſteſſi Noi ſiamo , come la ragion lo predica . Per l'Intelligibile così parlo : A. L'arte tibicinal è qualche coſa ? B. Perchè no . A. Forſe è l' Uom queſta tal arte ? B. Non mai A. Vediam , che coſa queſto ſia Tibicine B. Egli è un Uom ; non dico il vero ? A. Il ver ma ftimi che non debba diri Ciò pur del bene ? Io voglio dir che il bene Una coſa pur ſia , ma s'altri impari Ad effer buon ei già dirafli buono ; Il Tibicine è quegli che la tibia A ſuonar imparò. Quel che a ſaltare Salvatore , e ceſtor quegli che a teſſere Impararo , e così d'ogni altro l'arte Certamente non è , ma ben l'artefice . Nel dir Epicarmo , che il bene è una coſa come l'arte , e che nè il buono , nè l'arte ſono gli uomini che la partecipano, egli c ' inſegna a far le aſtrazioni della mente , la qual avendo comparato tra loro molti Uomini che fien buoni , molti tibicini , molti falcatori e teſtori , ne ha compoſto quell'idea , che poi convie ne a tutti . Queſt'idea reſtando ſempre la ſteſſa in tutti i tem pi , ed in tutti i caſi, per quanto variano i temperamenti, e le figure degli Uomini, li confidera ſempre nello Iteſſo modo , ed è principio del diſcorſo , o di ciò che nel Teeteto ſi chiamano analogie ſcoperte , le quali nel raccogliere le coſe col mezzo de' ſenli , le fanno comprendere la ragione. Epicarmo era contemporaneo di Senofane, come ſi diffe , ed eccoci a ' Filolofi più vicini a Socrate, ed indi a Platone , i qua li a poco preffo ſi trasfuſero le ſtelle idee non diverſificate , che dalla maniera d'eſporle, e di colorirle . Senofane, dice Euſebio , e quelli ( 6 ) che lo ſeguirono , moſfero così con ( a ) Laerzio Vita di Platone . ( 6 ) Lib. 11. cap. 1. Prep. Evang. ( 22 ) 1 . 1 contenzioſe ragioni , che piuttoſto arrecareno a' Filoſofanti confuſio ne , che ajuto . Pittagora volea che il mondo foffe eterno , benst come gli altri Filoſofi , quanto alla materia , ma non quanto alla forma, poichè credea che foſſe ſtato generato dal foco; Se nofane pofe il mondo non generato , ma eterno , 'aderendo ad Ocello Lucano , che fcriffe fu l'eternità del mondo prima d'A. riſtotele ; ecco la prima differenza tra Senofane, e Pittagora Un'altra più forte ve n' era ; Pittagora avea pofti per principj l'uno , e il due , Senofane riduſſe tutto all'uno , Senofane", dice Cicerone ( a ) , è più antico di Anafagora ; vuel che uno fieno tutte le coſe , nè queſto uno è mutabile , ed è Dio non mai nato , e ſempiter no , e di conglobata figura . Seſto Empirico ( b ) parlando per bocca di Timone foggiunge, che fecondo Senofane l' Univerſo era una fola coſa , che Dio eſiſteva in tutte le coſe , e che era di figura sfe rica , e di ragione dotato . Ad Empirico ſi conforma Laerzio ( c ) dicendo , che ſecondo Senofane , Dio nella materia tutto udiva tutto vedeva , ſebben non reſpirale, e che tutte le coſe inſieme erano la prudenza , la mente , l'eternità . Io dimando, ſe nel far Dio fparfo per tutte le coſe, e fen ſitivo, e prudente, e intelligente, differiva egli dall' opinione che Cicerone eſpoſe nel compendio della Filoſofia ? Non v'è che la figura sferica che gli aſſegna Senofane , e per cui non infinito , ma finito lo rende ; ma chi fa , fe nel concepir gli antichi la figu ra sferica , comela più ſemplice , intendeſſero ſimbolicamente d'ac tribuir a Dio tutte le perfezioni ? converrebbe faper fe Senofane fcriſſe ciò in profa, od in verſo , e ben eſaminare tutto il conte fto della fua dottrina . Non reſtandoci che conghietture , io m'at tengo a quella del ſimbolo per accordar Cicerone con ſe ſteſfo , il quale nella natura degli Dei combatte Senofane, che aggiunſe la mente all'infinito . Queſt'infinità era una conſeguenza del fuo ſiſtema , perchè ſup poſta l'eternità della materia cost argomentava : ( d ) Eterno è cid che è , se è eterno è infinito , fe infinito uno , ſe uno fimile a sèl . Di nuovo ſe l' uno è eterno e ſimile , egli è ancora immobile , fe immobile non ſi trasfigura per poſizioni, non ſi altera per forme, non ſi miſchia con altri . Ariſtocele elamina i ſoffiſmi contenuti in queſto ragio namento ; il principale è ; da ciò che il mondo è ecerno , infini to , uno , non ne fiegue che egli lia effettivamente immobile , per che le coſe eſiſtono nella maniera che poſfono eſiſtere, e la materia ſe ſteſſa il principio del moto non v'è contradizione a cont ( a ) Queſt. Acad. lib. 1 . ( 6 ) Lib . 1. dell'ipotipoſi . ( c ) Laert. lib. 9. idí Arift. contra Xenof, Zenon. & Gorgiam . eſſendo per i 2 ( 23 ) a concepire, che il moto ſia eterno come la materia . Coloro che ammettevano il caos eterno , davano eterno il moto , ſebben ſen za regola o forma . Non ſi cerca qui però , ſe concludeſſe l'argomento di Seno fane , ma ſolo qual foſſe la ſua ſentenza , e coſa egli ne dedu ceſse . Come poi accordarla colla ſua fifica? Ammetteva egli per principj ( a ) delle coſe naturali la terra , il foco , l'aria , e l' acqua , e dalle alterazioni di queſti elementi, rendea tutti i miſti a generazione, e corruzione ſoggetti. Grand uſo fece di quefte due coſe , perchè, ſecondo lui , conſiſteva il So le negl'ignicoli raccolti dall umida (6 ) eſalazione in una nuvola ignita , e la Luna in una nuvola coſtipata . Manon era poſſi bile decerminare il grado di verilimiglianza filoſofica ch'egli da va all'Ipoteli, poichè nelle ſentenze filiche di Senofane y' è mani. feſta contradizione . Poneva egli de' Soli innumerabili , e la Lu na abitata . I ſoli innumerabili erano quelli de' Pitcagorici , e di Orfeo ( C ) ; ma come abitar una nuvola ? La terra ( d ) la quale per immenſa profondicà fi ftendea di ſotto , era coſa ri pugnante alla sfera armillare che Anaſimandro forſe di lui, maeſtro avea inventata o propagata per cutta la Grecia . Cor revano allora tali dottrine, e Senofane , in Colofone, in Atene, in Sicilia , e in Elea le avea ſtudiate ; avea Talęce calcolate l'eccliffi del Sole, e della Luna , avea Pittagora applicare al liſtema celeſte le conſonanze Muſicali, e nella lira a lette corde determinato il pu mero , e le diſtanze de' Pianeti ; non è poſſibile , che Senofane in un tempo così illuminato voleſſe diſcredicare il ſuo ingegno con ipoteſi aſſurde e ad ogni ragione contrarie ; non erano dunque , che idoli fantaſtici, iperboli poetiche, o ſimiglianze groſſolane, in cui ſi deve più badare al color, che alla coſa . La grande difficoltà di Senofane era nel combinare il fiſico col metafiſico , o lo ſtato ideale con l'obiettivo . Avea già ſtabilito Pictagora , l'intelletto altro non eſſer che ( e ) mente , ſcienza , opi nione , ſenſo, da cui tutte l' arti, e le ſcienze nacquero. Egli diſse gnava la mente per l'uno , ciò che adeſſo noi chiamiamo lemplice intelligenza ; diſegnava la ſcienza pel due , poichè s'acquiſta la ſcienza deducendo una coſa da un'altra ; diſsegnava l'opinione per il tre , poichè nel trar la conſeguenza da un principio proba bile ſe ne riguarda nello ſteſſo tempo due , in uno de'quali v'èla ragion ſufficiente d'affermare, nell'altro di negar la coſa . I Pit 3 ta ( a ) Laert. vit. di Xen. Plut. plac. ( 6) Plutar. lib .... Origenes Philoſ. ( c ) Veggali Moefenio ſu l'eſiſtenza d'Orfee . Plutar. plac. de Fil. lib.i. ( d) Gregorii Aſtronomici Pref. ( c ) Plutar. lib. 1. de plac. ( 24 ) tagorici furono tutti dogmatici , o per dar credito alle ſentenze del ſuo maeſtro , o perchè pareſſe loro , che la fapienza non do veſſe mai eſſer miſtad'ignoranza , come accade nell' opinione milta dell' una , e dell' altra . Senofane fu il primo ad introdur il dubbio nella Filoſofia, e quindi l'opinione. ( a ) Chiaro l'Uomo non ſa , nè ſaprà mai Degli Dei coſa alcuna ed altre coſe Che da me dette fur , ſiaſi perfetto Pur quanto ei dice , tuttavia non fallo , E v'è opinion in tutte queſte coſe . Da queſti verſi Seſto Empirico inferiſce , che Senofane non to glica la comprenſione, ma ſolamente quella che dalla ſcienza de riva ; nel dire in tutte queſte coſe d'è opinione accenna il proba bile , e l'opinabile , onde conclude che Senofane deve porſi tra coloro , che negano darſi criterio della verità , e non tra gli ac cattalecici , che negavano alcuna coſa poterſi da noi compren dere . L'autorità di Selto Empirico è d'un gran peſo , ove ſi tratta di determinare i gradi della cognizione , ma non è da ſprezzar fi ciò che dice Cicerone ( b ) : Senofane e Parmenide quan tunque con non buoni verſi però con certi verſi accufano quaſi irati d'ignoranza coloro , che ofano dir di ſaper qualche coſa allo ra che nulla fanno . Chi dice nulla eſclude ogni ſcienza , ed ogni opinione . Senofane ſi diſtinſe per la Logica , ( c ) e ſecondo la Cro nologia di Euſebio , (d ) egli fu udito da Protagora , e da Nef ſa ; Metrodoro udi Nefra ; Diogene Metrodoro ; Anaſarco Diogene, e coſtui Pirro d' Elea , dal qual ebbero nome i Filo ſofi Scercici fino a Gorgia , il qual diceva : Non v'è nulla ; ,fe anche vi foſe qualche coſa , non ſi potrebbe comprendere , e ſe compren dere , non mai ſpiegare con le parole . Come inoltrarſi dopo tale raf finamento di dubbj ? Tra i diſcepoli però di Senofane il più illuſtre fu Parmeni de deſcritto da Platone nel Teeteto qual vecchio grave , e vene rabile e di una profondità al tutto generoſa , il che vuol dire, ſe mal non m'appoogo , che egli nella diſputa non era oſtinato , ſu perbo , rozzo ed agreſte, come Ariſtotele ( e ) dipinge Senofane è Meliſſo . Socrate in quel Dialogo , ed in altri s'aſtiene quanto pud ( a) Xenoph. ap . Seſt. Emp, adv. Matem. ( 6 ) Queſt. Acad. l . 2. ic ) Eufeb.1.6 . C. 19. ( d ) Id. l . 12, c . 7. ( c ) Metaf. lib. ... ( 25 ) può di ragionare contro le ſentenze di Parmenide per la rive renza che ad eſſo portava . Euſebio ( a ) caratterizza la dottrina di Parmenide , qual via contraria a quella di Senofane . Ermia però , dice Parmenide in bei verſi, c'inſegna che queſto Univerſo è eterno, immobile , e ſempre ſimile a ſe ſtero . Lo ſteſſo Euſebio credeva, che ſecondo Parmeni de l'univerſo foſſe ſempiterno , ed immobile . Stobeo riferiſce , che Senofane, Parmenide, e Meliſſo colſero affatto la generazio ne , e la corruzione. In che dunque diſconvenia Parmenide da Se nofane , ( 6 ) Ariſtotele chiaramente lo ſpiega nell' accennar la dif ferenza che v'era tra Parmenide e Meliſſo , dicendo : volea Par menide, che tutto foſe uno ſecondo la ragione , e Meliſo ſecondo la materia , e da queſti due differiva Senofane, che chiaramente non dif ſe nè l'uno , nè l'altro . Eſer uno ſecondo la materia , è il medeſimo che ritrovar nell eſſenza della materia la ragion ſufficiente dell'unità della ſteſſa . Ed in fatti una è la materia , fe in tutte le parti e nel tutco e nella medeſima fpecie è omogenea , qual Cicerone la deſcrit ſe nel compendio della filoſofia , e l'ammiſero Platone , ed Ariſto tele . Cicerone rammemora ancora la forza , utrumque in utroque , ma conſiderando forſe Meliſſo , che gli effetti della forza, o ſieno le forme, ed i modi aggiunti ſucceſſivamente alla materia , non mai erano continuamente cangiando , gli eſcluſe dall'eſſenza , e in con ſeguenza dall'unità della materia ; ma ſe una era eſſenzialmente la materia , uno era il mondo o l'univerſo , che da eſſa riſultava e ſe uno in ſe ſteſſo indiviſibile , eterno , ed immutabile . Malgrado dunque le continue aggregazioni delle parti ne' loro tutti , e le continue diſſoluzioni de'tutti nelle lor parti , malgrado le altera zioni , le generazioni, e le corruzioni, contemplando Meliſo l' univerſo nella parte effenziale lo credeva uno , e immutabile in quella guiſa che è ilmare, non oſtante le continue agitazioni che foffre da innumerabili flutti . Se tal era la ſentenza di Meliſo, ella non è men empia ri ſpetto a noi, che ridicola preſo i Pagani , perchè la materia , fe condo lo ſteſſo Cicerone , non può aver coerenza , e in conſeguen Tomo II. d za ( a ) Cap. 5. l. t. Præp. Evang. ( 6 ) Parmenides unum fecundum rationem attigiffe videtur , Meliſſus vero fecundum materiam , quare id & ille quidem finitum , hic ve ro infinitum ait effe , Xenophanes autem quando prior iſtis unum poſuerat ( nam Parmenides hujus auditor fuiffe dicitur ) nihil tamen clarum dixit , & neutrius eorum naturam attigiſſe videtur , ſed ad folum coelum refpiciens ille unum ait effe Deum . Metaf, Arift. l . 1 . cap . 5. ediz, Parigi (20 ) 1 1 1 4 > za unità , ſe non è ritenuta da qualche forza , e la continua ſuccef fione delle forme conſiderata affolutamente in ſe ſteſſa , non è me no eſſenziale al mondo , che alla materia . Ragionava dunque più ſottilmente Parmenide ; dalla materia , e dalla forza , dalla ſoſtanza , e dall'accidente , avea coll'aſtra zione della mente dedotta l'idea dell'ente e dell'uno, e preten dea che l'uno nel ſuo concetto aſtrattiflimo preſcindeffe da tutte le forme, e le differenze dell'ente ſteſſo . Il P. Maſtrio quali tre mille anni dopo ebbe una fimile idea , poichè egli vuole che l'en te in quanto tale preſcinda dal finito , e dall'infinito , da Dio , e dalle creature e la ſentenza è ſeguita da tutti gli Scotiſti . Qualunque ella fiali , certo è che come quella di Parmenide curta opera della ragione più raffinata , e che ben diſſe Arifto tele , che l'uno di Parmenide era tutto ſecondo la ragione, non che la ſentenza di Meliſſo ancor non lo foffe , ma egli nel fondarla tutta ſulla materia croppo s'accomodava ai pregiudizi del ſenſo . Da Parmenide , e da Meliſſo ſi diſtaccava Senofane, il quale ef ſendo il primo a ragionare dell'immobilità dell'ente e dell'uno , s'at tenne alla concluſione ſenza ſpiegar il metodo con cui la deduſſe. Ariſtotele ( a ) che avea diviſe le loro fentenze nella metafiſi ca , par che nella fiſica le confonda dove diffe', che altri di lo ro tolfero la generazione' , e la generazione , e la corruzione, i quali come ben dicano in altre coſe non ſi deve perd penſare che parlino da Fifici , poichè l'efervi alcuni enti immobili è più inſpezione di una ſcienza ſuperiore, che della Fiſica. Non condanna dunque Parme nide , e Meliffo , perchè aveſſero tratcato dell'unità , ed immo bilità dell'ente, ma perchè ne aveano fatto un punto di Fiſica , dalla quale egli eſclule il trattato delle coſe eterne , e immuta bili , onde credendo che il mondo , e il Cielo lo foffero , parte ne trattò nella ſteſſa metafiſica , e parte ne' libri del Cielo; na chi può credere che Parmenide non diſtingueffe queſte due ſcien ze , avendo aſſegnati due principi delle generazioni, il foco , e la terra ? e determinato che un foco ſottiliſſimo , o lia l'etere cingeſſe gli altri , e che movendoſi in vortice raffrenaffe colla ſua rotazione ſe ſteſſo , e le coſe contenute, ciò che è il principio de' più moderni Filoſofi. ( 6 ) Egli componeva il mondo di molte ghirlande tra loro teſſüste , una rara , e l'altra' denfa ; fra le ghirlan de ne poneva dell'altre meſcolate di tenebre , e di luce , e volea che la coſa la qual a guiſa di muro le circondava forje foda , e maliccia . Queſte ghirlande, e corone erano i vortici di Empedocle, dei qua li egli dice parlando de caſtighi de'genj. Quelli ( a ) Ariſt. Fiſic. lib. 1 , ( b ) Plut, lib. 2. cap. 7 . ( 17 ) ( * ) Quelli nel mar ſollicitante forza Dell' etere rifpinge , e fola ſpucali Ne’ſotterranei abimi, e nella lampada Dell'almo Sole dalla terra cacciali , E il Sole infaticabile tramandali Ne' wortici dell'etere . Accoppiando il paffo di Parmenide con quel di Empedocle, par che tutti due deſſero vortici alle Stelle , raffigurando Parinenide nella luce le fiffe , e nelle tenebre i Pianeti ; chi sa, che queſta coſa maf ſiccia non foſſe il moto del vortice tutto luminoſo , perchè tutto etereo , il quale impediffe con la ſua forza di rotazione lo sfaſcia mento del mondo viſibile ? il moto della Luna , dice Plutarco , ( a ) ol'impero con cui gira , l'impediſce di cadere in quella guiſa , che la fionda torta in giro dalbraccio impediſce la caduta del faffo . Vuol Favorino, che Parmenide primo ſcopriſſe, che la ſteſſa Stella pre cede il Sole la mattina , e lo fiegue la fera, o che il Veſpero è lo ſteſſo che il Fosforo . Plinio ne attribuiſce la ſcoperta a Piccago ra, il quale veriſimilmente la portò d'Egitto , col ſiſtema cele fte ; ma forſe Parmenide, nella Teoria di queſta ftella , più che gli altri Pittagorici ſi diſtinſe, come Filolao nel moto della ter ra . Filolao la facea gira r in cerchio intorno alSole , ed Ecfan to volea , che movendoſinon partiſſe dal proprio luogo , ma fer mata a guiſa di ruota , ſopra l'aſſe proprio intorno quello giraffe da Occidente in Oriente ; non (6 ) aderiva Parmenide , nè a Filo lao , nè ad Ecfanto , ma conſiderando la terra d'ogni intorno egualmente lontana dalCielo , la ponea in equilibrio , e voleva che ſenza eſſer fpinta da alcuna forza a queſto , o quell'altro verſo , ella fi ſquaſfaſe bensì , ma non ſi moveſſe . Parmenide feparò il primo le parti abitate della terra fuor de' cerchj fol ftiziali , indizio manifeſto , che egli avea proficcato delle teorie di Anaſimandro , di cui ſi ſuol far ignorante Senofane. Tal era : il ſiſtema aſtronomico di Parmenide : nel fiſico egli divinizzò la guerra , la difcordia , l'amore , e diffe : Di tutti gli altri Dei cauſa è l'amore . * Αιθέριον μεν γαρ σφεμένος πόντον δε διώκει , Πόντος δέσχθονος έδας απέπτυσε, γαία δ' εσαύθις Η'ελία ακαμαντος , ο δ αιθέρος εμβαλε δίνεις . Α'λος δ' εξ άλα δέχεται και συγένεσι δε πάντες . Plut. de Ifide , & Ofiride . ( a ) De facie Lunæ . 16 ) Plut,deplac . Phil. lib. 3. d 2 Cosi ( 28 ) 1 Così gli attribuiſce Simplizio , ed Ariſtofane colle da Par menide l'amore che ordina , e fabbrica le coſe nella commedia degli uccelli , gli altri Dei non erano, che gli elementi già di vinizzati da Parmenide. ( a ) Empedocle l' emulò , benchè egli quattro elementi poneſse , e due Parmenide , il foco , e la ter ra , principali architetti delle corruzioni, e delle generazioni, e che rarefatti, o condenſati , ſi cangiano in aria , ed in acqua . I principj, ſecondo Ariſtotele , devono eſser tra loro contrari , e nulla v'è di più contrario , che il caldo , e il freddo , a quali corriſpondono il raro , ee ilil denſo denſo,, ilil moto moto ,, e la quiete . Tutto queſto ſiſtema fiſico di Parmenide eſpreſse Platone nel Sofiſta . Le mu je Jadi, ele Siciliane, dice , a queſte poſterioriſtimaronocoſa più ſicura d'annodare le coſe inſieme , in modo che l'ente ſia molte coſe ed uno , e ſi tenga colla diſcordia , e colla concordia , perchè diſcordando ( 6 ) fem pre s'accoſta egli come dicono le più forti muſe , ma le più molli non hanno voluto , che ciò ſe ne ſia ſempre così, ma privatamente alcuna volta dicono che l'Univerſo ſia uno , ed amica per Venere, altra volta molte , e con sè per ſeco diſcordanſi con certa conteſa . S'io non m'in ganno , qui s'allude all'amicizia , e alla diſcordia , o all’amore , e alla lite, che Parmenide poſe come principj efficienti delle genera zioni , e corruzioni; molti Poeti ſtaccando ciò dalle Poeſie di Par menide, e di Empedocle , non ifpiegarono con la lite, e con l'ami cizia , ſe non alcunifenomeni particolari , come chi dalſiſtemadel Newtono , il quale poſe per principio univerſale l’ attrazione ; al tri ſolo la prendeſse per iſpiegare i fenomeni del magnetiſmo, e poi per iſpiegare l'eletricità , la gravità ec . fi valeſse d'altro prin cipio . Non può dirſi dunque , che Parmenide non foſse eccellente Fi fico , ſe egli allora penſava a ciò che il Newtono pensò tanti ſeco li dopo ; ſcriſſe in verſi il trattato della Natura , come Lucre zio , ma il Poema s'è perduto, e non ce ne reſta che il principio conſervatoci da Seſto Empirico . ( c ) Mi portano i deſtrier , e quant'io voglio Traſcorrono ; che già m'aveano tratto Nella celebre via del Genio ; via Di cui m'aveano ammaeſtrato appieno Gľ ( a ) Cicerone .... 6 ) Nel Gítema Newtoniano in tanto una parte di erta fugge da un' altra parte , in quanto ella è attratta con più forza da un altro corpo ; quindi dall'attrazione ſi deduce l'a repulfione. ( ) I verli ſono in Seſto Empirico contra Logicos. ( 29 ) 1 Gl'infigni coridori, e dalla fama. Correndo il cocchio ſquaſsano , cui Duce Le fanciulle precedono , ma l'aſſe Splende ſtridendo nell'eſtrema parce De' raggi tra due fiſso orbi torniti . Allorchè s'affrettaro le fanciulle Eliadi , e della notte abbandonando Le café tenebroſe oltrepaſsarle , Nella via della luce al fine entraro ; Da i ſpiragli rimoſsero le vele Con man robuſta dove ſon le porte Delle vie della notte , e della luce ; L'une e l'altre circonda un arco immenſo , E il pavimento tutto n'è di marmo ; Agiliffime corronvi, e s'appreſsano Colà dove tenea Dice le chiavi, L'ultrice Dea , che premj , e pene imparte . Con parole molcendola ottennero Le fanciulle , che all'uſcio ella fmoveſse L'interna leva . L'adattata chiave Spalancando le porte per immenſo Foro i chioſtri ſcoperfe , mentre l'affe Si rivolgeva , e l'orbita del cocchio , Facilmente reggean l'alme fanciulle , A cui ben pronti il cocchio , ed i cavalli Ubbidiro . La Dea liera m’accolfe , E per la deſtra preſomi usd meco Tali parole . Dio ti ſalvi , o figlio Dilecto figlio, che alla noſtra Řeggia Guidarono que' nobili deſtrieri Che hanno in forte di reggere il divino Cocchio , nè rea fortuna ti conduſse In tal via . Non è trita a paſſi umani Ma audacemente di pregare è d'uopo I Numi , onde ti laſcino le leggi Inveſtigar della natura , in grembo Di veritade , che a ubbidire è proſta , E de' mortali tu fuggir potrai Le opinion , di cui non vera fede , Ma tu rimovi il tuo penſier da queſta Via di ricerca , nè ti sforzi lunga Eſperienza delle coſe gli occhi Figgere accenti o pur aperte orecchie Ai ( 30 ) Ai dogmi che ragion non prova . Quello Che ti preſcrive eſperienza lunga La ſola mente dall'error corregge . Seſto Empirico , comentando queſti verſi oſſerva , che Parmeni de chiama gli appetiti dell'animo i cavalli , la ragione il genio , o demone , e gli occhi le fanciulle Eliadi ; tutto il reſto è fancaf ma poetico , e, comeSenofane , egli penſava intorno alla ricer ca del vero ; concludendo il giudizio appartener alla ragione , e non ai ſenſi , ſenza eccettuare i due delladifciplina , o l'udi to , e la viſta ; dogma che fu poi quello dell'accademia , come a lungo Cicerone lo prova . I verſi fe hanno per oggetto cofe fublimi, e leggiadramente accoppino l' allegoria all' imitazione , e all' armonia , foddisfanno in un tempo ſtesſo , al fenſo, alla fantaſia , e all'incellecco , ono de queſte potenze coſpirando inſieme a ben rappreſentarci le co fe cantase , a preſtano ſcambievolmente le loro cognizioni, affin chè troppo sfumando nelle aſtrazioni , non ſvaniſca l'idea , e le ſenſazioni, e i fantasmi non l'offuſchino , ma ſervino alla mente di ſpecchio per ben contemplarla. La grande arte è , che lo ſpec chio non abbia troppo d'aſprezze, le quali non diſpergano ſover chiamente , ed affortiglino il raggio , che turbaco non ci laſci diſcernere , dove è l'oggetto. Alla proſa dunque , ma proſa poe tica ricorre Platone volendo appagare tutte le potenze della anima . Ed eccoci finalmente a Platone, dopo d' aver eſaminato come Pittagora dall'eternità , divinità , animazione del mondo racco glieſe l'idee ; le divideſfero in certe claſſi generali i Pittagorici le diſtaccaſſero dal tutto , e ne faceſſero degli enti a parte ; come Senofane, il primo ricavaſſe la concluſione dell'ente uno ed im-. mobile , come Parmenide contemplaſse ſecondo la ragione queſt' idea , e nelle coſe fiſiche s'uniformaffe a Senofane , diſtinguendo ľ opinabile dal vero . Tutta queſta fabbrica era fondata ſu la maniera di penſar di Pictagora , maniera falla , e pienamente diſtrutta da Padri, che molto al di là del IV . fecolo non combatterono collo fteffo Pit tagora , ma con Platone , di cui ſi debbe adeſſo rintracciare qua li influenze aveſſero nel Dialogo la dottrina dell'idee , dell'uno immobile , e dello ſcetticismo , perchè egli vi parla , e dell'idee , e dell'uno , e tutto proponendo per iporeli nulla conclude. Prima però di ſviluppar queſte cofe l'ordine della doctrina ricerca , che favelliamo dello ſtile Platonico in generale . Profonda e delicata cognizione della lingua Greca ſi ricerca per ( 31 ) e per ben intendere la bellezza , la forza , e l'armonia dello ſti le poetico di Płacone ; l' Abbate Fraguier , che in tutto il cor ſo della ſua vita , l'avea con un ſpirito molto colto nella Poeſia Greca , e Latina , ed in ogni altro genere di belle lettere ſtu diato , ben eſaminando il ſuo ſtile , ritrovava che Platone avea trasfuſo ne' Dialoghi l' Epico , il Lirico , ed il Dramatico . Com parava egli la profopopea , colla quale Dio nel Timeo ra giona agli Dei inferiori 'all' ode più ſublime di Pindaro travedeva nelle narrazioni dello ſteíſo Timeo , e in alcune del la Repubblica , la magnificenza Epica dell'Iliade . Nel paſſo cita so di ' Ateneo ', Gorgia mal ſoddisfatto di quel Dialogo intito lato col ſuo nome , ci dice , che un giovane, e Lepido Archilo co regnava in Atene ; allude egli a Platone , che irritato con tro i Sofifti, non riſparmid le accucezze, ed i ſali contro di lo ro , ma i ſali di Platone non erano aſpri, ed ulcerofi , come quelli di Archiloco , e di Ariſtofane , ma eſtratti dallo ſteſſo mare , in cui nacque Venere. Così Plut arco dice di Menandro , e con non men di ragione io poſſo dirlo di Platone , che tut to comicamente condiſce con le grazie , e con le luſinghe della Poeſia di Omero , ed ingentiliſce in guiſa le accuſe de Sofiſti , che non mai gli affronta con quell' ingiurie , colle quali il Re de'Re alla preſenza dell'eſercito rinfaccia Achille . L' ironia di Socrate a ' è la chiave , ed ella è così ben maneggiata , che da alcuni ſi crede nel Menedemo ( a) lodarſi le orazioni funebri, e pure vi ſi condannano . L'allegoria è perpetua in tutti i Dialoghi; allegorici ſono i nu meri armonici, di cui teſſuta è l'anima del mondo ; allegoriche le Sirene degli orbi celeſti; allegorico il carro dell'anima, l'ali e il coc chiere; allegorici gli Androgini, la naſcita dell' amore, la gradazionedegli animali di Prometeo, e di Epimeteo, la guerra de gli Atenieſi contro i popoli del mar Atlantico , e quanto diſſe dell'Iſola Atlantica , e ſulle leggi, esu i coſtumidegli abitanti; tutto vi è finto per preparar l'idea della Repubblica , il cui modello cerca Platone nella fabbrica ſteſſa del mondo , ed ordiſce così la men zogna poetica, che molti s'affaticarono di ſpiegare ſtoricamente l'Iſola Atlantide, come il Ciro di Senofonte . Più s'occulta Pla tone in certe allegorie incluſe nelle frafi poetiche, per le qua li ſimboleggia molte coſe , e politiche, e morali, e metafiſiche, diſegnando l'ulcime con coſe colte , o dalla muſica, o dall'altro nomia, o dalla geometria ; tre ſcienze ( 6 ) nelle quali era fo mamente dorto al ſuo tempo . Certo è , che ſe giuſtamente non retro s'ap ( a ) Cicer, lib. 3. Acad. ( 6 ) Ab, Fleurì nella lode di Platone . ( 32 ) s'apprezzano le fraſi poetiche riducendole al ſenſo filoſofico , li corre riſchio di non intender mai , nè le parti , nè il tucco di un certo Dialogo , e ne vedremo nel Parmenide ſteſso gli eſempj. Ebbe dunque Platone comune la poeſia con Parmenide , ma molto egli l'accrebbe col Dialogo , modo più naturale per iftrui re , più comodo per illuminare , adoprato da Socrate , da Seno fonte , da Stilfone, daEuclide , da Glaucone , e al dire d'Ariſto tele da un certo Aleffamene inventato . S'imitano col Dialogo i ragionamenti degli Uomini , come ne? drami s'imitano le azioni . Platone che voleva emular in tutto la poeſia di Omero , ſi sforzo d'imitar le diſpute de Filoſofi , in quella guiſa che Omero avea imitate le azionidegli Eroi . Ciò che al Drama è la favola e l'epiſodio , è la queſtione al Dialogo , e la digreffione, e' nell'una , e nell'altra riuſcì egregiamente Plato ne . Non v'è Tragedia antica , che meglio eſprima il principio , la percurbazione, il ſcioglimento dell'azione, di quel che Platone proponga , diſcuta , termini la queſtione , in cui ſebben nulla concluda , però gli bafta d'aver conſumate le ragioni dall' una , e dall'altra parte. Nelle digreffioni comincia per lenti gradi ad allontanarſi dalla queſtione , poi ſpazia o nella Geometria nella muſica , od in altra ſcienza a fuo talento , e ſenza che il lettore fe ne accorga , il riconduce alla prima propoſizione non per ſalti , ma per gradi . Anche in cid imitd Omero , che al dir del Gravina ( a ) traſcorre tallora alſoverchio , tallora moſtra ď abbandonare , ma poi per altra ſtrada ſoccorre . Platone non imita meno Omero nel carattere degl'interlocu tori , e delle ſentenze ; io ravviſo in Alcibiade un non so che del carattere di Paride, l'uno e l'altro è milapcatore, fuperbo , e laſcivo ; il carattere di Neftore è trasfuſo in quella parte del carattere di Socrate , ove queſto conſiglia , ma Neſtore auto rizza i ſuoi diſcorſi con l'eſperienze acquiſtare nell'uſo della vita , e Socrate con l'impreſſioni del genio che il dominava . I caratteri de' Sofiſti ſono preli da quei dei Trojani, che ſenza ordine , e ſen za diſcipliita s'avanzano come le Gru ſchiamazzando , e poi reſta no ſconfitti da' Greci, il cui coraggio e valore era ſoſtenuto dalla ſapienza , e dal consiglio, e fino da Minerva . Molti . pretendono che Platone ſpieghi la ſua ſentenza nel far ragionare Socrate , Timeo , Parmenide, l'Oſpite Arepieſe , e l' Eleatico , due perſone anonime, e che gli faccia dire a Gorgia , a Traſimaco a Claride., a . Protagora , & Eucidemo , ciò che non approva e vuol rifiutare , ma coſtoro non avvertono , che nel ( 2 ) Ragion Poetica . ( 33 ) nel far Platone ſiſtematico lo fanno peſlimo Dialogiſta , e talor peffi moFiloſofo , perchè egli concraddice a ſe ſteſſo in diverſiDialoghi , o almeno le coſe vi ſono così ſconneſſe , che non ſi può raccoglierle , non più che le membra di Penteo ( a ) diſunite e sbranate. Tratto di cutte le parti della Filoſofia, or Logica , or Fiſica, or Metafiſica, accennomolte ſcoperte de' ſuoi tempiintorno alla mufica, all'aſtro nomia , all'ottica , ma imitando poi la ſetta Eleatica ne'dubbj, e nell'opinioni , tutto propoſe ſenza nulla concludere. Cicerone lo conſidera come il primo degli Accademici, o quel che diede ad Ar ceſilao , ed indi a Carneade il metodo di dubitare . Seſto Empirico ſenza altro lo pone tra' Pirronici nelle materie an cora più gravi , come in quelle dell'anima,del mondo , di Dio ; nè a ciò Cicerone ( 6) è contrario . Conveniamo dunque che Platone, co me nello ſtile poetico convenne colla ſcola Eleacica , così vi conven ne nel metodo di opinare,che egli col Dialogo reſe più problematico . Confideriamolo adeſſo nelle fentenze , e principalmente in quelle che riguardano l'idee ſulla Divinità , e ſulla materia. S'è già dimoſtrato , che i Pitcagorici riducevano tutto all'idee , ed ai numeri. Platone ſcielſe, e perfezionò ilmetodo dell'idee , econ duffe lo ſpirito alla cognizione del bene per l'idea del bene, della bellezza per l'idea della bellezza , e cosìfece del valore , della tem peranza, della ſcienza , e dell'altre virtù morali ed intellettuali , com ponendo tra loro l'idee n'eſtraffe l'idea della Repubblica , o l'idea del giuſto conſiderato nell'amminiſtrazione d'una Repubblicazimmagine di quella amminiſtrazione, che delle potenze dell'anima fa la ragione. Credevå egli , che ſpiegar le coſe particolari per le univerſali, fof ſe il metodo chela natura leguiva , allorchè procede dalle cagioniagli effecti. Parve ad Ariftotele, che foſſe più facile , e più ſendibile nelle inſegnar le ſcienze , ſeguir l'ordine dello ſpirito , chealla cagionevi per l'effetto. Non ſono più oppofti queſtimetoditra loro , che la ſin teſi, e l'analių , di cui l'una comincia dalle coſe generali , per difcen dere alle particolari, e l'altra dalle particolari, peraſcendere alle ge nerali ; l'uno e l'altro Filoſofo nell'inveſtigar l'idee delle coſe , adoprò il metodo ſteſſo di comparare i ſingolari,e di farnele aſtrazioni oppor. rune, e lo dimoſtrerd a lungo pel ragionamento dell'idee Placoniche. Cicerone riduce l'idea alla (c) terza parte della Filoſofia , che ver ſa nel difputare. Così l'idea trattavaſi dagli antichi , che ſebbene ac cordavano ella naſcer de ſenſi, però volevano che il giudizio nonfoſe ne fenſi , ma che la mente fore giudice delle coſe , ſtimandola ſola atta a di ſcopriril vero , perchèfola diſcopriva cid cheera ſemplice, della ſteſanas tura , o tal qual era , e queſto lo chiamavano idea già così nominata da Platone , e noi poſiamo ( conclude egli ) rettamente chiamarla la lpecie . Non erano perciò l'idee Platoniche , a ben comprenderle, che le fpe cie , eigeneri che noi facciamo , comparando ed altraendo , eche , Tom . II. ( a ) Eufeb.Prop.Evang. ( 6 ) De Natura Deorum . ( c ) Lib.1.Accad . 2 e come ( 34 ) 1 come ſi diffe , cappreſentavano i Pittagorici per l'unità, poichè la mente tutto va unificando per ſua natura . Una ſpiegazione sì facile , e breve dell'idee Platoniche, perfectamente s'accorda co' principi d'Ariſtotele. Egli tratta nella Merafilica l'idee Platoniche da metafc re poetiche , e queſto nome gli avrebbe pur dato Platone, se avelle dogmaticamente ſcritto come Ariſtotele', ma nel Dialogo ſpecie di Poelia Dramatica egli eguagliò la compoſizioneallo ſtile . Morco Platone, ed offeſo Ariſtocele di vederſi poſpoſto a Pfeufipo „ a lui tanto inferiore in ingegno , e in dotcrina vi oppoſe un'altra ſcuola di cui ſi fece capo , e per accreditarla cominciò a combattere le fentenze del ſuo antagoniſta , attaccandoſi alla parte più difficile , e più equivoca o alla quiſtionedell'idee , alle quali Preuſipo imitando .forſe il metodo di Platone dovea dar troppo di realità. Ariſtotele ſcriſe dunque contro l'idee ſeparate, ma Platone avendo già nel Par menide conſumato quanto potea dirli contro di loro , Ariftotele ne copiò gli argomenti dipeſo , ed al ſuo ſolito con brevica ed oſcurità di ſtile, fingendo di combatter Placone critico Preuſipo , ed i ſuoi di i fcepoli. Dital congettura è mallevadore il Patrizio nelle ſue diſcuſ fioni peripatetiche . S'elle ſon vere , non che verifimili , verifimile è pure che fin d'allora ſi ſpargeſſero i ſemi che prima Ammonio Sacca, ed indiPlotino , Porfirio coltivarono , e Jamblico , e Procloridul fero in regolato fiftema. S.Giuſtino , che avea più ſtudiatii Platoni ici , che Platone era perfuafo, che l'idee foſſero ſoſtanzeſeparate , collocate con Dio nella sfera più alta . S. Cirillo rifiuţa Giuliano A poſtaca, che credeva il Sole , la Luna, egli altrieller l'idee viſibili e comporre gli Dei. 11 P. Balto riferiſce a lungo ipaſſi di S. Ireneo , di S. Bafilio e d'altri , i quali impugnarono l'idee ſeparate , che introdu cendo il politeismo rovinavano ne'ſuoiprincipj la Religione Criſtia pa . Soſpetta il P. Balto , che Eufebio difendere l'idee Platoniche persè ſuffiftenţia pro dell'Arianismo da lui profeſfaco. Negli ultimi tempi il Clerico ne rinovd la ſentenza , e molto più l'anonimo Soci niano nel tuo Platonismo ſvelato , ove ſi confondono con l'idee di Platone , gli Eoni rami de'Seffirotii cabaliſtici adottati da' Valencia niani e da' Baſiliani, e de'quali nella concinuazione dell'iſtoria degli Ebrei parla a lungo il Basnage , I comentatori di Platone abbagliatidatante autorità , nè avendo forza di critica fufficiente per reliltervi, s'abbandonarono ai fantasmi di Proclo , e di Jamblico , anziche abbadarea'ceſti di Platone , ne s ' avviſarono di ben pelare le dottrine del Parmenide contro l'idee ſeparate aggiunte da Ariſtotele alla metafiſica. S. A goſtino è il primo de' Padri Latini, che non fepara l'idee Pla toniche da Dio ; dando a Dio la creazione del mondo non poteva egli non concepire nell' intelletto divino la ragione dell'ordine del le coſe create , e queſte appunto ſono l' idee su le quali poi San Tommaſo ſeguito da' Teologi , ne fece molti articoli , of. feryando che l'idee divine ſono univerſali, onon rappreſentano a Dio ( 35 ) 2 € Dio ſolo le ſpecie , ma ancora gl'individui , col rappreſentargli le coſe non quali noi per la limitazione della noſtra mente le veggiamo , ma quali ſono in fé ſteſſe. Il Padre Balco riprende a dritto su queſto punto il Dacier , che per difender malamen te Platone, cade non volendo in un errore . Ma fe Platone preſe da’ Pitragorici l' idee nel ſenſo , che le propoſero Pitcagora , ed Archira , pare che egli ancora come queſti ſentiſſe intorno la Divinità . S'è già dimoſtraco che dopo Pitcagora , Senofane e Parmenide conſideravano Dio non altrimenti, che l'anima del mondo. Lunga cofa , dice Ci cerone , ( a ) ſarebbe a dire dell'incoſtanza di Platone intorno a Dio ; nel Timeo nega , che porta nominarſi il Padre del mondo; nel libro delle leggi, ſtima non doverfa ricercar affatto coſa ſia Dio . Lo stesſo nel Timeo , e nelle leggi, dice eſſer Dio, il mondo , e gli altri e la terra , e gli animi , e gli altri Dei, che abbiamo ricevuti dagl' iftitu ti de' Maggiori . Il Padre Arduino raccolſe tutti i paffi , ove Pla tone parla degli Dei nel ſenſo ſtero . Dio nel Timeo ſi chiama bensì il Padre , e l'artefice del mondo , ma non mai il Signore , il Sovrano ; ſi chiamava il mondo un Dio generato , il quale ba una perfetta ſomiglianza con Dio ; figliuolo , e figliuolo unico di Dio ; un Dio completo , un Dio generato da un altro Dio , un Dio felice , im magine del Diointelligibile , perfetta copia d un originale perfetto Dio ottimo malimo, qual appunto i Romani doceano diGiove , per cui folo intendevano il deſtino inviſibile delle coſe . Molci alcri paſſi ſpiega l' Arduino , e da cutii ſi raccoglie , che Placone non co noſceva Dio , che come principio intelligente , qual lo conobbe Pittagora , Senofane, Parmenide, e cant alori , a' quali può ben applicarſi il pallo di S. Paolo , in un ſenſo filoſofico , che cono ſcendo Dio , non come Dio l'onorarono ( non ſeparandolo affacco dal la materia , o , ponendolo ad eſsa coeterno . ) Pitcagora avea generato il mondo , e lo generarono i Fenici, Orfeo , ed Eliodo . A queſt'idea poetica , Platone aggiunſe le Fi loſofiche accennate da Timeo di Locri nel fuo ragionamento della natura , e dell'anima del mondo , e ne compofe il Timeo , nel qual volea nell'ordine oſſervato dalla ſapienza nella fabbrica del mon do , dar un modello di quella Repubblica, che poſcia propoſe nel Dialogo del Giuſto . Ariſtocele pur comparava la coſtituzione del mondo ad una Repubblica, in queſta v'è il Principe , che comanda ai Magiſtrati militari , e civili , e nel mondo v'è Dio , che col miniſtero degli Dei inferiori, compie , conſerva, ed ordina cuc te le coſe . S'è © e di lo Lei li i e lo i e ( a ) D: Natura Deorum lib. I. 3 ( 36 ) s'è gia dimoſtrato , che i Platonici recenti nel divider in due punti, o ſegni, l'eternità , neaſſegnavano il primo ſegno a Dio , in quanto a Dio , ed il ſecondo a Dio creatore della materia la difficoltà è di ritrovare in Platone qualche coſa che s'av vicini a queſta dottrina . Teofilo ( a ) non ve la ritrovd altri menti dicendo , che Platone coi ſuoi ſeguaci poneva Dio , e la materia ingenita ; con che non venia a porre Dio , nè uno; nè ſolo . lo qui ſtenderò un lungo paſſo di Plutarco , perché fe 'ne giudichi . Il mondo , dice egli,è bensì ſtato fabbricato da Dio , perchè fra tutte le coſe è bellißimo il mondo e Dio fra le cagioni l'ottimo , ma la ſoſtanza , e la materia , della quale è ſtato formato , non eſſer mai nata , ma ſempre averſi trovata ſottopoſta ab Maeſtro , ed ubbidiente a ricever quell'ordine , e quella diſpoſizione , che fore in quanto ella potelle comportare a lui fimigliante , percbè il mondo non fu creato dinulla , ma di ciò che era privo , di bellezza , di leggiadria , e di perfezione , ſiccome la caſa , la veſte , la ſtatua, perciocchè tutte le cose , primache naſceſe il mondo , foffero confuſe , e diſordinate, nondimeno le coſe confuſe non erano ſenza corpo , ſenza fora ma , ſenza regola , moſle da movimento a caſo , e ſenza ragione. Que sto altro non era ; che la ſproporzione dell' anima, di ragione Spoglia ta , perciocchè Dio di coſa ſenza corpo non fece corpo , nè anima di coſa d'anima priva , nella maniera che noi vediamo , cbe il Maeſtro di muſica , e dell armonia , non fa egli la voce , bensì la voce acconcia , e il moto proporzionato ; così parimenti Dio non fece il corpo trattabile , e ſodo , nè l'anima atta a moverſi, ed in gannarſi, ma preſo l' uno , e l'altro principio , quello oſcuro e pienodi tenebre, queſto confuſo e pazzo, amendue più rozzi, e più difformidel convenevole ordinandoli ; e diſponendoli , e congiungendoli formd un animal beltiſſimo , e perfettiſſimo. Dunque la natura del corpo non è punto diverſa da quella natura , come dice Platone , che abbraccio il tutto , ed è fondamento e nutrice di tutte le coſe che naſcono ; non dimeno la natura delp anima fu da Platone nel Filebo nominata infini to , il quale non riceve numero , nè proporzione , nè vi ſi trova miſu ra, o termine alcuno di mancamento, di ſoverchio , di ſimiglianza, o di differenza. Così parla Plutarco ed è facile il dedurne , che ſecondo Pla tone eterna era bensì la materia del mondo , ma nuova la for ma , ( a ) Teophil. ad Autolicum 1.2 . Plato cum ſuis aſſeclis Deum quidem confitetur ingenitum , patrem præterea & conditorem hominum , at que deinde fubjicit , live ſupponit Deo materiam quoque ingenitam , quæ fimul cum Deo prodiderit five extiterit ; verum fi Deus cen ſetur ingenitus , & materia perhibetur ingenita , jam nec amplius Deus conditor & creator eſt hominum etiam fecundum Platonicos , nec quod unus & folus ſit ab his vere demonftratur . nè il moto , ma 1 1 ( 37 ) má , ed in queſto Platone differiva da Ariftotele, il quale , come s'accennd , fece ad un tempo eterne , e la materia , e la forma; Ariſtotele rimprovera perciò Platone , d' aver fuppofto , che la materia con cuiDio compoſe le coſe, foſſe in moto, e loda Anaf fagora, che la poſe in quiete . Vuole egli ignorare , che affatto poetico foſſe il Timeo ; pure non è credibile ,che egli non l'aveſſe udito dir più volte da Placone ſteſſo , che nel Dialogo finſe Socra te a favellar con Timeo di Locri contemporaneo forſe a Pittagora ; parla dell' abboccamento che Solone ebbe coi Sacerdoti d'Egitto , iutta ſpaccia la favola dell'Iſola Atlantide. , ſtempera in una taz za i numeri armonici dell'anima del mondo compoſta di cre ſo ftanze , ne ſparge le reliquie su le ſuperficie de glòbi', conſidera come coſa reale la mecemplicoſi , che Timem ( a ) nel ſuo ragiona. mento introduce come coſa politica . In ſomma ben eſaminan do tutte le frafi Platoniche e tutto il conteſto della dottrina Filoſofica poeticamente maſcherata , io ſon perſuaſo , che in Platone , comene Pictagorici , Dio vi s'introduca qual animadel mondo , o la ſteſſa mente , e ſapienza perfecta ſparſa per tutto ; allora perciò che dice Cicerone nella natura degli Dei, e quan do Platone fa Dio incorporeo ( b ) egli confonde Dio con la mate+ ria , la quale era incorporea , come ſi diffe , prima che da Dio ſe ne eſtraffero i corpi . Dall'alcra parte nell'ipateli, che Dio gli abbia eſtratti, fece Dio concepirſi" al di fuori della materia , co me l'architetto al Palagio , e lo ſcultore alla ſtatua . In vano dun que dall' opere di Platone, e degli altri Filoſofi antichi , i qua li ammifero la materia eterna , li cerca l'idea del Dio che ado. riamo ; egli è uno ſpirito infinito , nella di cui natura inviſibile ſono riunite cutte le perfezioni immaginabili , e poflibili ; onde gli ſcolaſtici lo chiamarono il cumulo delle perfezioni ; e i Cartuliani l'ente infinitamente perfecto . Sino a què l' ammet cevano gli ſtefli Pagani , ma la definizione non balta, ſe ad el fa non s? aggiunge , che Dio ha tratto dal niente l' Univerſo , e che è diltinto realmente , e ſoſtanzialmente da tutto ciò che ha creato . Tale definizione come ortodoſſa propoſe l' Abbate d'Oliveta ’ Filoſofi ( c ) dopo di aver eſpoſte tutte le loro fen tenze , tra le quali entra e Pittagora , é Senofane , e Parmeni de , e Platone Itello , Non (a . ) Nel fine. ( 6 ) Cicer. Natur. Deor. ( c ) Nel fine del Tomo 3. della traduzione della Natura degli Dei;. Par ce mot. Dieu , je veux dire un eſprit infini , dont la nature eſt indiviſible & incomunicable ; dans lequel font réunies toutes les perfections imaginables & poſsibles , ſans aucun mélange d' imperfe etion ; qui'a tiré du ndant l'univers, & qui eſt diſtinct réellement & ſubſtantiellement de tout ce qu'il a créé . 0 1 ( 38 ) o dell' Non è tuttavia , che debbano ſpregiarſi le dottrine di Placone , e rigettarle come inutili ; conobbe egli Dio ſotto un'idea con fuſa, come lo conobbe Ariſtotele , e in quella guiſa che S. Tom maſo da Ariſtotele tralle molti principi , e combinandoli coi rivelati propoſe molte concluſioni Teologiche , così può farſi di Platone ; S. Tommaſo dall' uno , e dall'altro traſfe l'eſiſtenza di Dio , impiegando i mori , le cagioni , l'ordine del mondo , i gra di più o meno perfetti delle coſe , ma non potè trarla dall' en te contingente e neceſſario , che Platone non conoſceva , ponen do ecerna la materia , e chiamandola neceſſità . Dimoſtrar il primo ente qual principio intelligente , per l'adequaca idea di Dio , non baſta le da eſſo non ti rimovono tutte le compoſizio ni , dimoſtrando , come fa S. Tommaſo , che in lui non ve n'ha nè di forma, nè di materia , e che non può ridurſi ad alcun genere , Nel Parmenide però non v'è biſogno d'alcuno di queſti ar tificj ; tutto vi fi' riduce all'idea metafiſica dellence uno . Convien dedurla da' ſuoi principj, od eſtrarla come fece Pittagora , e Peritione da tutti i compofti , ed eſaminarne le proprietà . Così San Tommaſo , ove tratta dell'unicà , e della bontà di Dio , prima ricerca , quanto la ragione, gli può per mettere , coſa ſia l' uno , e coſa ſia il buono , indi col princi pio rivelato cid combinando , dimoſtra la purità , e la bon tà di Dio. Io parimenti ricercherò con la ragione , fe si poſſa ben intendere l' uno del Parmenide , laſciando agli altri la fa rica di ſpiegarlo in un modo fublime , applicandovi le coſe Teologiche , delle quali non intendo d' attaccarne , o diftrug . gerne la minima . Io cratterò della dottrina del fine , indi del metodo del Dialogo. Gli antichi con ragione intitolarono queſto Dialogo , il Par menide o dell' idee , perchè Parmenide parla più degli altri , e tutti i ſuoi ragionamenti raggirano su l' idee , o per cercarle con le aſtrazioni della mente, o per diſtruggere le ſeparate , eſempli ficandone il caſo nell'idea dell' uno , la più ſemplice di tutte l'al tre , e a cutte l'altre comune . Supponevano i Pictagorici , che tutte le coſe imicaſſero , o par ticipaſſero l'idee , o le fpecie ; provacontro loro Parmenide , che le cofe non poſſono eſſer partecipi delle fpecie, nè ſecondo il tutto , nè ſecondo unaparte , indi col principio di contraddizione , col progreſſo all'infinito , e coll' ideaſteſſa delle perfezioni divine ; gli fteffi argomenti di cui ſono nel Parmenide i femi, fteſe Ariſto tele, ed è mirabile che i comentatori non abbiano penſato di con frontarlo nel ragionamento dell'idee con Placone , ciò che attri buiſco all'ipoceli da loro fiſsata , che in queſto Dialogo Parmenide, o Pla ( 39 ) o Platone confermi e non diſtrugga. l' idee ſeparate . Annullate tali idee in modo cheSocrate ne reſta convinto , Pare menide per non laſciarlo nell' imbarazzo gli moſtra la neceſſità che ha il Filoſofo d'ammettere certi principj fiſſi ed immutabili e tanto più difficili a comprendere , quanto che non fi poffono de terminare , nè co' ſenſi , nè colla fantaſia . Parmenide' nell'etem plificare il caſo del metodo propone l'idea dell'uno , e la con ūdera relativamente a ſe ſteſſa , indi all'ente , al fine , al non en te . Così un matematico trattando per eſempio del triangolo , lo conſidererebbe prima in ſe ſteſſo , poi per rapporto all'altre figure rettilinee o piane , ed al fine alle non rettilinee, od alcerchio . Definiſce Zenone l'uno per oppoſizione a molti , e chiama uno ciò che non è molti . Ariſtotele, nella metafiſica molto ap prova queſta definizione, perché i molti ſono più noti al ſenſo che l' uno ; prende Parmenide la definizione , e negando dellº uno tutto ciò che s'include in molti o li predica de' molti ; negà ch' egli fia cutro , parte , principio , mezzo , fine , figura moto , quiete , lo ſteſſo , diverſo , ſimile , diſſimile , eguale , mag giore , minore ; in oltre gli nega le differenze del tempo, pre lente , paſſato , futuro , l'eſſenza , la ſoſtanza , il nome, il ſen fo , la ſcienza , l'opinione. Parmenide prende ſempre l'uno nel ſuo concetto aſtrattiflimo, nè men volendo che l'uno â conſideri per rapporto a ſe ſteſſo , perchè nel riferir l'uno a sè li concepireb be come due o come molti. La ſeconda quiſtione è , ſe l'uno ſia che accada all' uno , ed all'altre coſe ; qui l'uno fi ſuppone inſeparabile dall'ente , come rente dall' uno, onde tutto ciò che s' include o li predica dell' , pud predicarſi dell' uno ; quindi ſe nell' ente's include o dell'ente fi predica , la parte , il tutto , il finito , l'infinito , il principio , mezzo , il fine , la figura , il luogo , il moto , la quiete, il fimile , il diffimile , lo iteſto , il diverſo , l'eguale , il maggiore, il minore, il tempo paffato , preſente , e futuro , 1 eſſenza, o la ſoſtanza , la ſcienza , l'opinione , il ſenſo , tutte queſte coſe ſi predicheranno ancora dell'uno . Non ſi predicano però queſte coſe oppoſte dell' uno , e dell'ente. nel medelimo tempo, e ſecondo lo ſteſſo riſpetto , ma in varj te m pi o ſecondo diverſi riſpetti , e ciò fa che le contraddizioni non ſieno , che apparenti , o del genere di quei meraviglioſi , che de generano ſpiegandoſi in puerilità. Cosi penſa lo ſtelfo Platone nel Teeteto , maParmenide nel cercar qui ſe ſia l'uno , quali altre co fe ne fieguano , non cela all'uſo de Sofiſti , ma ſpiega come vero Filoſofo in termini ſemplici i miſteri , e queſta iola credo una nuova prova del liftema Parmenideo da me ſtabilito . In ente ( 40 ) In queſte due prime nozioni dell' uno non vi ſi framiſchiano le immaginarie', o poetiche ; mabensì ve ne fono nella terza , ove fi rapportal'uno al non ente , o al nulla , di cui non s'ha nozionereale', ma ſolamente immaginaria come dell'impoffibile . V'è un affioma Logico , il qual diceche , dall' impoflibile ogni coſa ſe ne deduce , pera che in lui fi complicano i contraddicorj, anzi il criterio per co nofcerlo è per mezzo dei contradditorj, e poichè l'uno è inſe párabile dall'ente ; fia lo ſteſſo dir il non uno, che il non en te , ma del non ente o dell'impoffibile fi dice che ha effenza , o che non l'ha , che è lo ſteſſo e diverſo , che è ſimile , e non fi mile , eguale , non eguale , cheſe genera e fi diſtrugge ec. Dun que le ſteſſe coſe che ſi predicheranno del non ente conveniran no ancora al non uno . Nell'attribuire il non uno all'altre coſe , fi trasformeranno queſte in fantasmi, o sogni d'eſtenſione , di mal fa , di moto e di quiete , ciò che rende il mondo più poetico del cabbaliftico . Platone o Parmenide maneggiano queſto argo mento con ſomma ſagacità , e delicatezza , e ben ſi vede quanto foſſe la loro Filoſofia profonda , e quanto utiliffima eller poſla , non cangiando il grado dell' aſtrazione , nè inneſtandovi opinioni affatto encufiaftiche, come fece il Ficino . I celebri Pittori , attenti ad oſſervare in ogni luogo tutto ciò che loro ſomminiſtra idee nuove d'atteggiamenti , di ſcorcii , di lineamenti , difigure , ſe mai su i muri più affumicati ritro. yano quelle ſtriſcie fortuite impreſſevi dalla caligine , le vanno combinando con la loro immaginazione , e creano delle figure leggiadramente fimecrizzate , e canto ſi rifcaldano nel vagheggiar opera loro , che le additano agli altri , come fe ivi foffero ,e ſi cruciano e fremono , e ingiuriano , quando queſti ſemplicemen te riſpondono di non ravvifare , che orme irregolari di fumo . I Filofofi, e particolarmente i comentatori hanno lo ſteſſo coſtu me , fiffi in un fiftema l'addatano a tutto ciò che incontrano nell' autore da loro accarezzato , e dove egli ancora parla nel modo più ſemplice , e naturale , e conveniente a'ſuoi principj, par loro di fargli torto , ſe non l'abiſfano nelle loro profonde ſpeculazioni , e lo dimoſtrano tanto più ammirabile , quanto nyono l'intendono , c quanto dagli altri è meno intefo . In tutti i Dialoghi s'è prefiſſo il Ficino, di far di Placone ( a ) un Teologo Criſtiano, ma non so come ritorni in queſto Dialogo al ( a ) Prima ex quinque ſuperioribus de uno fupremoque Deo dixerint quomodo procreat diſponitque deorum ſequentium ordines . Secunda de fingulis Deorum ordinibus , quo pacto ab ipſo Deo proficiſcuntur ec. argum. Marſ. Ficini Parm . vel de uño rerum principio , & de 9 ideis . ( 41 ) al Paganeſimo, e vi traſporti tutte le idee fimboliche del Timeo , e del Fedro ſenza biſogno , e profitto ; e che coſa ſon queſti Dei che ſeguono Dio nell'ordine loro , ed in qual parte del Parmeni de li ritrovo ? Annullò il Serano gli Dei, e vi ſoſtituì due ſorti d'idee ; Dio è la prima e principal idea , le ſeconde ſono le va . rie idee delle coſe create ; ma ſe Parmenide non diſtingueva Dia dal mondo ; coſe affatto poeriche non ſono le idee divine ? Non bado il Serano , che Parmenide toglie all'ente ſino il tem po' preſente, e le toglie ancora l'eſſenza. Si , ma intende il Se rano l'eſſenza delle coſe ſingolari , e quando Parmenide dice , che l'uno è molte coſe, vuol dire, che egli dà la forza d'elfte re alle coſe ſingolari . Or come ſi può includere nell'idea dell' uno , in quanto tale la forza? E come poteva Parmenide inclu derla nell' uno , ſenza concepirvi l' eſſenza , e nell' accoppiare l' eliftenza alla forza , e non concepir l' uno come molti contro l? ipoteſi? La prima idea , dice il Serano , fi diffonde in maniera ſulle coſe create', alle quali Dio dà la forza , e facoltà d ' eſiſtere , che ad ogni modo circoſcrive ne' determinati cancelli dell' uno , la feffa moltiplici, tà , e quaſi infinità delle coſe ſingolari . Queſta è la luce tenebroſa del Flud , chi può ſpiegarla ? Va il Serano peſcando le affezioni dell' idee ſeconde , e ne ri trova ſei , dopo le quali la ſua vena metafiſica , e teologica , ſi conſuma, o perde , ed in tutto il reſto del Dialogo immobil mente fiſto , ed eſtatico ſul ceſto Platonico , par uno di que' Chineſi, che per molti anni guardandoſi la punta del naſo s'im maginano di veder l'eſſenza divina; non batte egli palpebra tutto concentrato in sè , nè degna abbaſſarſi a ſoſtener con note margina li l'imbarazzato lettore . Io ſon ben lontano dal condannare le al tre note di queſto autore , colle quali negli altri Dialoghi eſpone la conneſſione, e callora le ragioni ſemplici del teſto , ma nel Par menide ſpiegando alto il volo per emular il Ficino , li dimentica del ſuo coſtume, e laſcia in aſciutco il leccore ; ma come è poſſi. bile , che avendo egli canto ſtudiaco Platone, e confrontati i teſti, nonabbia atteſo ad unpaſſo delFilebo , in cui li ſpiega il fine , che Platone ſi prefiſſe in queſto Dialogo ? Nel Filebo , che non ſenza ragione gli antichi faceano ſeguir al Parmenide , cosi ſi parla da Socrate a Protarco . Tu , o Protar dice Socrate , intorno l' uno ed i molti ai dette le coſe pubbliche dei meraviglioſi, le quali, per dir cosi , ſono concedute da tutti, che non fieno punto da toccarli, ejendone alcune puerili , e facili da conoſcerſi, e per nuocere maſſimamente a ragionamenti, fe alcun le ammetteſſe ; nè è Tom. II. f de ( 42 ) - 1 1 tal uno , da ſtimarſi coſa meraviglioſa , ſe alcun dividendo rolla ragione le mem-, bra d'alcuna coſa , e tutte quelle parti , confeſſando quella eſerne una ; di poi la confutalle , e ne prendeſe beffe quaſi sforzato a con . feſare coſe moſtruoſe , cioè che una ſola coſa ſia molte ed infinite, ele molte quaſi una ſola , E' quì da notarli quel dividere con la ragione le membra di alcuna coſa , formula che egli repplica ſovente nel Parmenide , in cui dice , ſeparar le coſe con l'intelligenza , e fino sbranarle ; indizio manifeſto che qui non ſi tratta , che d'aftrazione di ra gione, per cui nelle coſe più ſemplici fi diſtinguono , non le par ii, ma gli attributi , e le relazioni che le fan molte per rapporto alla mente ; or tutto ciò che dice nel Parmenide dell'ente, e dell' uno , non divien egli un di que' meraviglioſi puerili, de' quali par la Socrate , fe non s'averte , che le contraddizioniſono apparen . ti , o che nel medeſimo tempo , e ſecondo lo ſteſſo non s'aſcrive all'uno , il fimile e diffimile? Siegue Socrate : quando alcuno giovane pone l'uno , non eſſer alcu na di quelle coſe , le quali naſcono , e muojono , perciocchè quì un co come poco fa dicemmo, ſi è conceduto , che non ſi debba con futare . Parla quà Socrate della prudenza , della ſcienza , e della men te , di loro natura une, immortali, ed eterne nel ſiſtema Piccagori co , e delle quali , come d'eſſere reali , parla nel Sofiſta . Conclude Socrate : Ma quando ad affermare è altretto un fol Uo mo , un ſol bue, una coſa bella , ed una coſa buona , allora veramen. te in queſte, ed in cotali unità ſi rende ſollecito lo ſtudio , ed anche ſi fa ambiguala divifione. Primieramente ſe ſieno da ammetterſi certe uni tà sì farte, che fieno veramente ; di poi, in qualguiſa ſia de penſarſi, che ciaſcuna di quelle coſe ſia una , e la medeſima ſempre, nè fi pren da generazione, nè morte , ma ſe ne ſtia fermiſima nell' unità di lei ; finalmente ſe ſia da porſi alcuna coſa nelle coſe generate , od infinite, o partita , ed oggimaifatta moite coſe, o tutta eſa in diſparte da ſe medeſima, il che più di tutte l'altre coſe parrebbe impoſibile che uno , e lo dello ſi facele parimente in uno , ed in molti. Quefto è l'uno, ed i molti che ſi trovano intorno a cotali coſe , ma non quelli , o Protarco che non conceduti bene ſono cagione d'ogni dubitanza , ed ogni facilità ben conceduti . Manifeftiffimo è , che quì Socrate ripete le difficoltà ſull' idee ſeparate fattegli da Parmenide , e ſu le quali confeffa , che impoſſi bile è di scioglierle, indi fa attenzione al metodo inſegnato da Par menide, di cercar l'idee per via dell' aſtrazioni, con le quali ſi to glie ogni difficoltà intorno a'molti, e all'uno . Da ( 43 ) Da queſti palli io deduco , che il fine di Platone in queſto Dialogo altro non fu , che d'allontanarſi da quel meravigliolo e puerile, in cui facilmente fi cade, quando non ben li diftingua no i concerci della mente , o s'amia irasformare i concetti in ido li , ed a realizzarli poeticamente , come faceano i Pittagorici . Per compir queſto diſegno fcelle Platone il Filoſofo più ſpeculativo dell'antichità , e deſcritto da Socrate qual Uomograve, evenerabile , e d'una profondità al tutto generoſa , il che vuol dire , ſe non erro , che egli nella ſua maniera d'argomentare franca , libera, ed inſie me profonda, nulla tenea del lopraciglio , e della vanità dei Sofi fi; Platone quimoſtra fin dove arrivar pud l'ultima analiſi , che i Pitcagorici faceano dell'idee , oltre le quali il procedere'era un eſporſi a pericolo di non più intender quello che ſi dicea , comepur trop ро è arrivato ad alcuni Scolaſtici , che fpingendo troppo , oltre le queſtioni oncologiche , ofarono ſin negare il principio di con traddizione , ed affermarono chel'infinito ſi raggruppaffe in un pun to . Nel Gorgia, nel Protagora , ed in altri Dialoghi contro iSo fifti , coll'arte dell'ironia Socratica , li dipinge a diritto Platone quali cacciatori mercenari d'uomini, mercatanti venditori, appal tatori di ſcienze , e diſcipline falſe ; ma chi può dire che Platone ebbe difegno di proporſi in queſto Dialogo Parmenide , qual mer catante venditore, ed appaltatore di bujo peſto , che così devono chiamarſi le quiſtioni tenebroſe , ed all'ambicate ; bujo peſto è quel lo di cui troppo liberalmente lo caricano il Ficino , ed il Sera no, non quel che combina la doctrina d' Ariſtotele , con quella di Platone ; dotcrina che curt " i Peripatetici , e gli Scolaſtici ab bracciarono e che ultimamente con tanta chiarezza e preci* fione , eſpoſe il Wolfio nella fua Ontologia . Queſto Dialogo è primieramente ontologico , e preſo in queſto ſenſo non ha in sè più di pericolo che la metafilica d' Ariſtocele , ma ridotta alla Dialeccica , L'antica Dialetica verſava fu i generi di tutte le coſe , attenca a compararli , a combinarli , per preparare' ed illuſtrare la quiſtio ne propoſta. S'ingegna lo Stanlejo di ridur a tre generi la Dialec tica de Piccagorici .1. Ai non ripugnanti , o ſia all'eſſenza delle coſe nelle quali ſi combinano, coſe tra loro non contradditcorie.. Così l'eſſenza del triangolo o del quadrato , è l'eſfer figure di cre o quattro linee , perchè non v'è ripugnanza , che il numero ter nario o quaternario , s'adatti o fi combini alle linee rette . 2. Ai differenti o alle coſe che tra loro ſi diverſificano nell'eſſenza , nc gli attributi , e ne' modi ; così il triangolo è differente dal qua drato , ed il quadrato dal cerchio . 3. Ai relativi a'quali ſi riduco if 2 no ( 44 ) no tutte le matematiche conſiderate dagli antichi , come il vero modello della diſciplina , ed a cui i moderni riduſſero l'arte dell' analogie filoſofiche, ed il calcolo de' probabili . Platone ſtabiliſce in molti luoghi non tre ma cinque generi del le coſe ; l'eſſenza o ciò che è , lo ſteſſo , il diverſo , il moto , e la quiere ; a queſte due ultime nozioni ſi riduceva tutta la fiſica antica , onde diſfe Ariſtotele , che ignorato il moto s'ignora la natura . Lo ſteſſo e il diverfo vaga per tutte le altre fcien ze ; onde Platone dello fteſſo , e del diverſo , compoſe l'anima del mondo , e la bellezza . Lo ſteſſo e il diverſo ſono relazioni dell' ente in genere , fi ſpargono ſulle relazioni dell'ente in ſpecie , il fimile, il diffi mile , Peguale , il maggiore, il minore , il nuovo , l'antico . Que fta era la ſcala de'generi ſuperiori, o quelle nozioni ontologi che aſtratte per l'acume della mente da' concreti , coſa ben di verſa dalla ſcala de' predicamenti d' Ariſtotele . Il Wolfio ( a ) fa propoſe per ultimo oggetto degli ſtudj fuoi, di perfezionar" la Icala de'generi , e con eſſa ſciogliere il problema dell' analiſ dell'idee , propoſta ma non trattata dal Leibnizio . I Pittagorici ne diedero i primi ſemi, e Placone più li ſviluppò , applican doli alla determinazione dell' idee , quindi è che nel Parmeni de tutti iſuoi argomenti ſi riducono alle relazioni dell'ente , in genere dell'ente , in ſpecie . Rinferrata ne' fuoi limiti la materia del Parmenide, il meto do che v’applica è quello del principio di contraddizione , che ci conduce all' aſſurdo ; metodo non tanto accetto a noi , per . chè ci dimoſtra la noftra impotenza , ma che ci sforza invin cibilmente all'faffenſo . In queſto metodo Platone ne aggruppa molti altri , il metodo d' eſcluſione è quello dell'analiſi geo metrica . Nel metodo d'eſclufione fi numerano tutti i caſi di una co ſa , e s'eſcludono o tutti per dinotare l'aſsurdità , o tutti men in cui fi cerca la ſoluzione del problema . Così Archi mede avendo dimoſtrato , che un dato poligono non è , nèmag giore , nè minore del cerchio , nel quale è inſcritto o circon Icritto , conclude che gli è eguale . Placone in molti caſi ado pra il metodo ſteſſo . Nel metodo dell'analili geometrica , fi aſſume ( 6 ) il quefito come conceffo , e per legitime conſeguenze s'inoltra fino ad un ve 1 uno , ro ( a ) Affumptio quæſiti tanquam conceſsi per ea quæ conſequentur ad verum conceffum . ( 6.) Wallis Il . dell’Algebra . ( 45 ) To conceſso , da cui riteſsendo il ragionamento ', li dimoſtra il quelito ; molti vogliono , che Platone ſia l'inventore di queſto metodo, e che abbia fatto il Parmenide per darne l'eſempio ; maqueſti attribuirono al tutto ciò che conviene adalcune parti, Utiliflime ſarebbono le metafiſiche de'moderni , fe i loro autori fi foſsero limitati all'ipoteſi, e ſi foſſero guardati di proporle in for ma di dogma , cagione d'eterni litigi non ſalvati , ne da ſtile elo quente , nè da calcoli algebraici. Il Carteſio ſegui nelle ſue medi tazioni ilmetodo analitico , ma diede occaſione a molti ſiſtemi più ſtrani de'ſogni, come quello degli Egoiſti, conſeguenza dello fpi nofismo fpirituale . Che dirò dell'arte del Dialogo , in cui s'è già dimoſtrato imi, tarſi i ragionamenti umani, come i Poeti Dramatici aveano imi tate le azioni umane . All'imitazione. ( a ) di queſte convien il palco , ed il verſo , non all'imitazione de' ragionamenti, la quale per ſua natura appartiene alla Dialettica : poco o nulla di leg giadria avrebbono i fillogismi, egli entimemi in verſo , e poco o nulla lor gioverebbe l'apparato della ſcena . Si è pur detto che la quiſtione, e la digreffione al Dialogo , è come la favola , e l' epiſodio al Drama . Nel Parmenide la quiſtione è intorno l'idee , ma non v'è digreſſione, ſe pur non fi voglia ridur a queſta , la preparazione alla diſputa con Par menide, incominciata tra Zenone, e Socrate . La differenza de' drami ſi prende dal diverſo modo dell'azio ne , la quale o è ſemplice, o compoſta, e la differenza de’ Dia loghi dal modo del ragionamento, nel quale , o s'inſegna, os inveſtiga da un ſolo , o s' inſegna , o s'inveſtiga da molti la quiftione propoſta . A quattro generi riduce il Taffo i Dialoghi , al dottrinale , al Dialettico , al tentativo , al contenzioſo . De’due primi generi è miſto il Parmenide, perchè dopo di aver egli diſputato con Socra te , quaſi ſolo favella, non contandoſi le riſpoſte d'Ariſtotele , approvazioni per lo più della concluſione , o preghiere d' eſpor più chiaramente la ragione accennata . Nel inlegnare qual fia la natura o l'idea dell'uno , qui non v'è tentativo , nè litigio , nè in queſto Dialogo v'è molto a ricercare , ſe ſia meglio adat cato all'inſegnamento che il maeſtro interroghi , od i diſcepo lo . , perchè appena termino la breve diſputa có Zenone , che Parmenide cominciò a interrogar Socrate , ed avendolo confu? lo , ed imbarazzato con una difficoltà cui non poteva riſpondere, Para ( a ). Torquato Taſſo diſc. ful Dialogo . ( 46 ) uno . Parmenide paſſa ſenza interrompimento alle tre poſizioni dell ' Vuol Torquato Tallo , che come una ſia l'azione nel Dra ma , così una fia la quiſtion nel Dialogo , la quale o è infini ta , per eſempio ſe deve apprezzarſi la virtù , o è finita , per eſempio che deggia far Socrate condannato a morte . La qui ftione del Parmenide è infinita , perchè fi tratta dell' idee di cui ſi cerca la natura e l'origine , la natura dimoſtrando che non ſono dalla noſtra mente feparate , l'origine dimoſtrando come per via delle ſuppoſizioni s'acquiſtano . Queſte due coſe ne fan no propriamente una , perché non ſi può intender la natura dell' idee ſenza prima determinarne l'origine . L'una e l' altra determina Parmenide , e rimove l' idee feparate per convertire il ragionamento al modo con cui la mente le acquiſta. Parme nide lo propone , non lo dimoſtra per non allontanarſi dal co ſtume della ſua fetta , che era di propor dubitando le coſe : Non è cutravia in ciò ſolamente che appariſce il coſtume di Par menide . Dimanda Socrate , che gli ſia dichiarata la quiſtione delle idee , ed intorno alle coſe che ſi veggono ,ed ancora intorno a quelle che ſi comprendono con la ragione . Parmenide , e Zenone attentamente lo aſcoltano , eſpero guardandoſi l'un l'altro fog ghignano quaſi di Socrate meravigliandofi . E queſta è quell'evi denza tanto neceſſaria al Dialogo , e di cui Platone diede si chiari eſempj neli' Ippia , e nel Fedone . Ella è qui ordinata a manife ſtare il coſtume d'un Filoſofo accento , e che colla triſtezza , e coi fogghigni accenna , ciò che nel diſcepolo non s'accorda con la ra gione . Un tratto poi del coſtume d'un Filoſofo attento , è do ve dice Parmenide o Socrate troppo per tempo , innanzi che tu ti eſerciti a parlare , ti sforzi di definire ciò che ſia il bello , il giu ſto, il buono , e qualunque dell' altre ſpecie . Perchè poco fa il con fiderai vedendoti diſputare con Ariſtotele . Per certo mi credi , que fto tuo fervore è bello è divino , il quale alla ragion ſi conduce , ma recati in ſe ſtello, ed eſercitati mentre ſei giovane in queſta fa coltà la quale a molti inutile , e ſi chiama dal volgo garruli tà , altrimenti ſi fuggiria da la veritade. Parmenide qui accenna la Dialectica in quanto vaga per cutti i generi , ſulla qual coſa poco dopo ſoggiunge conſervando il co ſtume divecchio venerabile . Sarebbe cofa ſconvenevole , cheſi trat tale maſſimamente da un vecchio certe coſe si fatte alla preſenza di molti , non ſapendo il volgo , che ſenza queſto vagare , e diſcerne re per tutte le coſeſia impoſſibile abbattendoſi nel vero acquiſtar men te . Ariſtotele e gli altri lo pregarono , e Parmenide riſpoſe con un apo 7 pare inutile ( 47 ) apologo : egli è neceſſario finalmente che s'ubbidiſca , tutto che mi è av viſo di tutto quello che patà il cavallo Ibico , cui Atleta e vecchio do vendo prendere la conteſa delle carrette , e per l'eſperienza iremando de' ſuccelli , alimigliando egli a ſe ſtello, dille cheegli già vecchio era coſtretto di ritornar agli amori . Nel medeſimo modo diſſe Parmeni. de , a me pare di temer malto , quando penſo in che guiſa cosè.d'età avanzata , io pola paſar a nuoto un mare cosi profondo di ragionda menti . Intorno la ſentenza , o ſia ciò che ſente il principale interlocu tore del Dialogo , ella è qual conveniva a un Dialettico eſperto , nel vagar per i generi delle coſe , e nell'argomentare , e ben de gno , che nelle coſe intellettuali Platone , Secondo il teſtimonio di Apulejo, lo preferiſſe agli altri Pitiagorici , e n'imitaſſe la ſotti gliezza , e nell' idee , e nel metodo di proporle . Nella Poelia. Epica , altro è che il Poeta imiti narrando un facto , altro che introduca un degli attori a narrarlo . Così nell' Odiſſea , aḥtre ſono le cofe che Omero direttamente narra accadute ad Uliffe , altre quelle che narra Ulife ſteſſo . S'in troducono ne' Poemi i racconti , per variar i modi dell' imita zione , ed ancora per accreſcerla ; ella è perciò doppia , quando nel Poema i perſonaggi imitati, imitano effi fteffi col loro rac conto . In queſto Dialogo , Pitidoro imita, narrando i diſcorſi che inteſe da Parmenide . I Dialoghi, benchè fpecie di Poeſia Dramatica , in ciò con vengono con l' Epica , e Platone , che nelle diſpute de'Filoſo fi volle imitare i combattimenti degli Eroi di Omero , emold anche queſto nel modo di rappreſentarli . Nel Filebo propone ſenza alcro la difputa chiaramente enunziata intorno la felici tà ed il piacere , nè premette alcuna circoſtanza ſtorica ai ra gionamenti dei tre interlocutori , Socrate , , Filebo e Protar co ; così fa nel Sofiſta , nell' Eutifrone nelle Leggi , e nella Repubblica , ma non cosi nel Convito , nel Fedone, e nel Par menide . Pitidoro vi narra ciò che ha udito da Antifone, e queſto è modo più artificioſo dell'altro , perchè vi ſi ricerca molta ſa gacità nel render neceffario il ragionamento, ed accompagnar lo di quelle circoſtanze che più mettano la coſa fotto gli oc chi , intereſſino il lettore ad aſcoltare i perſonaggi, e di tem po in tempo lo ricreino con opportune digreffioni , ma tutte convergenti alla quiſtione propoſta , ſenza che ſe ne accorga il lettore. Nel diſcorſo naturale noi pafliamo ſenza rifleſſo da una coſa all'altra , ma nel Dialogo , ſe ſi vuol imitando perfe zio ( 48 ) zionar la natura , nulla vi ſi deve introdurre ſenza ragion ſuf ficiente . La ſomma difficoltà dell' artificio del Dialogo è nell: interrogazioni, e nelle riſpoſte diftinte e preciſe , ma nel Par menide il dialettico s'accoppia col dottrinale e queſta è la parte dominante , perchè eſcluſe l' idee ſeparate , Parmenide ſem pre parla ſcorrendo per le ſuppoſizioni. ; ILLUSTRAZIONE D E L 1 PARMENIDE. . Tom . II. } , ( 51 ) ILLUSTRAZIONE D E L PARMENIDE. tertentanut Estates L A diſputa su l' idee fatta tra Parmenide, Zenone', Socra te , ed un certo Ariſtotele , viene a Glaucone , e ad Adi manto riferita da Cefalo per bocca d'Antifone, il quale avendo familiarmente converſato con Pitidoro compagno di Ze none', avea su queſta materia udito da lui le ragioni dei tre Fi loſofi. Reſtarono queſte cosi profondamente impreſſe nella me moria di Antifone allor giovanetto , che molti anni dopo ſeb ben diſtratto dagli eſercizi equeſtri , poté in tutte le loro cir coſtanze rappreſentarle nell' abboccamento , che egli ebbe con Cefalo , e coi compagni . Tofto Cefalo eſpone il motivo della diſpuca Parmenide ne Poemi avea detto che tutto è uno , e Zenone provato in uno ſcritto , che uno non è molti . Si comincia la Jercura dello ſcritto , e Socrate vi fa ſopra delle difficoltà a mi fura che ſi legge. Poco mancava' a' terminar la lettura , quan do Parmenide con Pitidoro , e Ariſtotele entrarono in caſa . Si leſſe di nuovo alla preſenza di Parmenide , e degli altri il pri moargomento , e fi difputò incidentemente su la differenza del le due definizioni parendo a Socrate , che il dire tutto è uno foffe lo ſteſſo che il dire , uno non è molti . Glielo concede Zenone , é lodaća la ſagacità di Socrate dichiara', che non per vanità o per 'arcano di Filoſofia egli ha' fcritto , ma per fo ftener l'orazion di Parmenide contro coloro che ſi sforzavano di ſchernirlo , perchè ſe molte contraddizioni degne di riſo pativa l' Orazion di Parmenide , molte altre di più ridicole ſe ne inferivano dalle ſuppoſizioni degli altri. Zenone ſcriſfe il : li bro nella ſua giovanezza , ma un certo avendoglielo rubato.fi pubblico . Si ricomincia la diſputa. Parmenide , e Zenone lafciano a So. crace eſpor tutta la ſua ſentenza su l'idee ſeparate, per le quali moſtrava la definizione dell'uno da Zenone affegnata non eſſer univerſale " . Accorcol Parmenide , che tutta la forza dell'argo mento ( 52 ) mento di Socrate fondavaſi su l’idee ſeparate , l'imbarazza co ftringendolo ad aſſegnarne alle coſe fiſiche. Non sa Socrate ri folvere la difficoltà. Parmenide fingendo di conceder l'idee ſe parate argomenta contro la loro participazione , contro il lo ro progreſo all' infinito , contro alla loro incomprenſibilità. So crate n'è molto curbato , credendo che annullate l ' idee ſepara te non vi fieno più principj per ben filoſofare . Ammira Par menide il fervor di Socrate , e lo conſiglia ad eſercitarſi nella Dialetica per ben inveſtigare l'idee . Pitidoro ed Ariftotele , pre gano Parmenide ad eſemplificar il metodo dell'inveſtigazione dell'Idee . Egli ſcieglie l'idea dell' uno , e col metodo delle ſup poſizioni la tratta. Orquattro ſono le quiſtioni che ſi poſſono eſtrar dal Parmeni de relativamente alla definizione di Zenone , che l'uno non è molti . La prima è quella dell'uno per rapporto all' idee feparate ; Ia ſeconda dell'uno per rapporto asé ; la terza dell'unc per rap porto all ' ente ; la quarta dell'uno per rapporto al non ente . Le tre ultime quiſtioni ſono propoſte per via d'ipoteſi : ſe l'uno ; ſe l ' uno è ; fe l'uno non è . Per non traſcurar nulla di ciò che agevola l'intelligenza del Dialogo , premetterò partitamente ad ogni quiſtione la Ipiegazio ne delle voci, e delle nozioni neceſſarie , ſtando più che mi ſia poſſibile attaccato alle parole del teſto quale Dardi Bembo il tra duffe ; mi par inutile di por tutto il Dialogo , perchè eſſendoſi ri ſtampato di freſco , tutti coloro i quali hanno vaghezza d inten derlo ſe ne faranno già proveduti ,per gli altri èinutile e vana ogni illuſtrazione . SEZIONE PRIM A. b. I. Enone defini l'uno ciò che non è molci . Approva Ariſto tele ( a ) queſta definizione, perchè in generale ogni defini zione , dovendoſi aſſegnare per le coſe più lenfibilia e più note, l'eſperienza di tutti i ſenſi ci moſtra , che i molti ci ſono più noti che l'uno ; i fanciulli più teneri nel coccare , nel vedere , e nell'udire pereepiſcono i molti , e la loro cognizione è imme là dove hanno biſogno , che la loro ragione fi maturi un poco per cominciare a dir uno , e quindi numerar su le I molti dunque eſſendo più noti dell' uno , negandoli di forma 6 ) Metaf. lib . 1o. diata ; dita . il ( 53 ) il concetto negativo dell'uno in quella guiſa , che negando le par ti ſi fa il concetto negativo del punto . Dall'uno G fa l'idea aſtratta dell'unità , come dall'idea dell'uomo l'idea aſtratta dell'umanità . Tre ſono le ſpecie dell'unità ; la Lo gica, la Matematica , la Metafifica. L'unità Logica ſono i generi , e le ſpecie, o certe idee univerſali atte a rappreſentar molti in uno; l'unità matematica è il principio compoſitivo de' numeri , o il prin cipio per cui fi numera ; principio differente dal zero , da cui ſi nuinera . L'unità metafiſica' è una proprietà traſcendentale dell' ente , o che conviene all'ente in quanto tale , poichè d'ogni ente fi predica l'uno , come fi predica il vero , e il buono , o ſia il perfetto , ma la verità , e la bontà , o la perfezione , inclu dendo ordine nella varietà ſuppone l' uno , onde tra le proprie tà dell'ente egli è la più univerſale ( a ). L'unità o l'uno nel ſuo concetto aſtrattiſſimo preſcinde da tutte le relazioni, potendoſi per l'aſtrazione della mente non riferire, nè alle coſe che rappreſenta , nè a' numeri che compone , nè a ciò cui conviene : In queſto ſenſo aftrattiflimo definiſce Zenone l' uno , opponendolo ai molti in genere . Contro queſta definizione cosi argomenta Socrate . Vi ſono idee ſeparate : dunque ogni idea eſſen do una in sè , e molti , nel participarſi a molti l'uno , eimolti poſſono accoppiarſi ; dunque non pud dirſi , che l'uno fia molti . Prima di ſviluppar l' argomento rifletterò su certe voci , e nozioni di Socrate. $. 2 . Suppone toſto Socrate, che vi fieno idee ſeparate. L'idea ſe condo l'etimologia della voce Greca , ſignifica propriamente com fa viſta , e per traslato ſignifica coſa inteſa , o ciò che s'inten de ; ma tallora ſignifica l'atto per cui s'intende , il qual però meglio ſi chiama nozione o concetto. Åleinoo defint l'idea , intelligenza per rapporto a Dio , pri mo intelligibile per rapporto anoi , miſura quanto alla mate ria , eſemplare quanto al mondo ſenſibile , effenza quanto a ſe ſteſſa . In tutti queſti ſenſi la prende or Socrate , ora Parmeni de ; ma la prima nozione dell' idea ſeparata è che ella fia il primo intelligibile . $. 3• ve ) Wolfo Metaf. ( 54 ) § . 3 . Socrate: oltre l' idee del bello , dell' oneſto , e del giufto , che Parmenide gli accorda , ammette ancora quelle del limile , del diffimile, del moto , della quiete , dell' uno , e de' molti . Queſte ultime idee ſono tra loro oppoſte e contrarie , come il caldo , il freddo , il bianco , ed il nero ; eſſendo contrarie , ciò che convie ne all'una , non conviene all' alira , e quindi ſecondo Socrate i ge neri, e le ſpecie , idee più o meno univerſali conſiderate in se non patiſcono paßioni contrarie , ma nulla vieta nell'ipoteſi di Socrate, che non poſſano participarſi dalle coſe. 1 S. 4 . Partecipare è propriamente ritener in sè una parte d'un cutto ;; così l'aria partecipa la luce ', poichè ogni particella d' aria ha in sè una particella di luce . In un ſenſo più ampio , la voce partici pare s'eſtende dalla quantità alla qualità , all'azione , all effenza Iteffa. ;. così ſi dice , che l'accidente partecipa della ſoſtanza', gli effetti delle cagioni, un figlio le virtù , eivizj.del padre : La par cipazione è quindi' più ampia della ſimiglianza limitata alla ſola convenienza delle qualità , e molto più dell'imitazione , che alla fimiglianza aggiunge la relazione tra il modello , e la copia ; due gemelli naſcendo saſlimigliano , e pur l'uno' non è la copia dell' altro . I Pittagorici' nel riferir le coſe all' idee ſeparate , come a loro modellidiceano', che participavano o imitavano l'idee , ma fecondo Ariſtotele ( a ) non mai filoſoficamente ſpiegarono le voci di participazione, e d'imitazione . S. 56 Cið fuppoſto , il primo argomento di Socrate tratto da queſti principj fi pud diſtinguer in due per maggior chiarezza . Ogni idea è una in sé , ed una in molti , dunque nel tempo ſteſſo , uno può efser molti . Cosi lo conferma , Benchè l' idee lieno tra loro con crarie , nondimeno poſsono eſserº nel tempo ſteſso participate da. molti , anzi dallo ſteſso ſecondo diverſi riguardi , ma in queſte participazioni ritengono la loro unità , dunque: ſon uno e molti. Così lo prova : oppoſte e contrarie ſono tra loro l’idee , del ſimile , del diſſimile', del moto', della quiete , dell’'uno; é dei molti ; dunque comenulla viera , che lo ſteſso poſsa aver more in ( a ) Metaf, lib. ( 55 ) in una parte , e quiete nell'altra ; eſfer fimile ad un altro in una parte, e diffimile nell'altra, così nulla vieta che ſia uno , e molti ; una Caſa ha molti legni , e molte pietre ; ogni . Uo mo è uno conſiderato in sè , ed è o ſeſto, o ſettimo conſide rato con altri . la un Uomo , altra è la deſtra , altra la fini ſtra , altre le parti dinanzi, altre di dietro , altre le ſupreme , al tre le infime. Nel Sofiſta egli dice ; noi chiamiamo un Uomo denominandolo con molti cognomi , mentre a lui attribuiamo i colori , le figure , le grandezze, le virtù , ed ivizi : nelle quali coſe tutte , ed in altre infinite , non ſolamente diciamo che egli fia Uomo, ma ancora buono , ed altre infinite coſe , e le altre fecondo la ſtella ragione . In cotal gui sa fupponendo noi qualunque coſa una , di nuovo l'appelliamo molte e con molti nomi ..... Onde ſi è da noi data occaſione di contraddi re , come jo penſo a' giovani , ed a ' vecchi di tardo ingegno : percioc che incontinente ci potrebbe chiunque far obbiezione che ſia coſa impos fibile, che molte sofe folero una , ed una molte . ( a ) Dunque uno può eſſer molti ; dunque non è generale la de finizione , che uno ſia non molti . La participazione dell' idea evidentemente lo manifeſta . 7 9. 6 . . Sciolto è l'argomento ſe fi nega l'ipoteſi dell' idee ſeparate perchè colte l'idee è colca la loro participazione. Parmenide ri gecta l'ipoteſi, come nè generale , nè chiara ; non generale .per chè non s'eſtende a cutti i cafi poflibili i ; non chiara . , 'perchè non pud fpiegarſi la participazione dell'idea. Cost :provo la pri ma parte non ſi debbonoaſſegnar idee delle coſe ſeparate, o aſſegnarſene di tutte le coſe '; che vuol dire , non baſta affe le .coſe morali , e matematiche , mabiſogna af. ſegnarne ancora per le fifiche : dunque non ſolamente vi ſono idee del giuſto , del bello , del buono , del grande , del fimile ec, ma dell'uomo, del foco, dell'acqua , e d' alcune coſe , che molti fimano per avventura ridicoloſe ; i peli, il fango, le macchie., ed altre coſe ignobili , e vili. Socrate toſto lo nega, perchè gli pare , che ammettere queſt' idee, ſarebbe coſa troppo diſconvenevole , poi can didamente confera, che alcuna volta queſto penſiero lo turbo , e che quando di là fi ferma ſe nefugge temendo di non corrompere la ſua mente , e fantaſia cadendo in ciancie ineſplicabili ., onde a quelle coſe ritornato ( cioè all'idee del giuſto , del bello , del buono, ed all idee 'matematiche ) verſa intorno a quelle . In ( a ) Sof, pag. 306 , ( 56.) In un caſo ſimile ſi ritrovò il P. Malebranchio ; ſentendo egli la difficoltà di ſpiegar chiaramente , come l'eſtenſione intelligibi- : le , eſſendo immobile in Dio , gli rappreſenti il moto , ove il luſtra queſto articolo dice nel fine : ( a ) Io non oso impegnarmi'. a trattar queſto ſoggetto a fondo , temendo di dir coſe, o troppo aftrat te , o troppo ſtravaganti, o ſe ſi vuole , per non azzardarmi a dir co ſe che non so , nè sono capace di diſcoprire. Queſto è il ripiego di Socrate . Ariſtotele ( do ) ove nella Metafiſica combatte l' idee ſeparate malamente attribuite a Platone , adduce tra l'altre coſe , che dandoſi idee ſeparate ſi dovrebbe darne de' ſingolari, de' corrut tibili ; egli non eſtendeche l'argomento da Parmenide eſemplifica to , e poida Alcinoo , che afferi non darſi nel fiſtema de' Platonici idee delle coſe arcifiziali ; uno ſcudo , una lira ec. ne delle co fe oltre natura la febbre , la bile non naturale ; non delle coſe ſingolari, Socrate , Placone; non delle vili, ed abbiecte ſozzure , paglie ec. donde traffero i Platonici dopo Ariſtotele, queſta di ſtinzione, ſe non dal Parmenide ? §. 7 . Propoſta che ha Parmenide un'obbiezione , che Socrate non può riſolvere , egli cangia l' argomento ad judicium in quello aid hominem , che vuol dire non argomenta più ſecondo i principi della ragione univerſale, ma ſecondo i principj del diſputante , e ne deduce la contraddizione . Suppone dunque che vi fieno idee ſeparate ", ma come poi date queſte idee lo ſpiegare che lieno participate dalle coſe Queſta participazione ſi fa , o ſecondo il tutto , o ſecondo la parte . Parmenide dimoſtra , che nèl'uno , nè l'altro può eſſere . Sia da una coſa participaca l'idea ſecondo il cutco , dunque tut ta l'idea è in ſe ſteſſa .; e tutta fuori di ſe ſteſſa ; dunque nel tempo ſteſſo eſiſte tutta in sè , e cutca fuori di sè . Siaľ idea conliderata in sè A , e participata fia B , C, D ec. generalmen te , o non A ; dunque nel tempo ſteſſo l'idea è A , e non A , ciò che è contraddittorio . Nè occor dire che un giorno è uno , e lo Steffo , ed inſieme in mola ti luoghi , e pur non è da ſesteso in diſparte . Il giorno non è che la luce del sole , diffuſa in tutto il noſtro emisfero . Or quel la parte di luce , che illumina me, non illumina il compagno ſebben mi lia vicino . Parmenide li ſerve dell'eſempio della ve la , ( a ) Ricerca della verità T. 4. pag. ... ( b ) Metaf. I. .... ( 57 ) la , la quale molti coprendo , non è perd una in molti , perchè la parte c he copre l'uno , non è la parte che copre l'altro . Reſta a dimoſtrare, che l'idea non è participata dalle coſe ſe condo una parte ; la dimoſtrazione è da se manifefta , perchè l'idea participata ſarebbe una , e non una ; una tutta in sè , e non una nelle coſe che ne hanno ſolo una parte . Queſto modo d'ar gomentare , è fondato ſul principio di contraddizione adoprato lovente da Platone, e ſtabilito da Ariſtotele , come il primo prin cipio in cui ſi riſolvono cutti gli altri . Eſperimentiamo noi cal eſſere la natura della noſtra mente , la qual mentre giudica che una coſa ſia , non può inſieme giudicare , che la ſteſſa non ſia . Parmenide eſemplifica l'impoſſibilità di queſta ipoteſi. 5. 8. La grandezza è ciò che è capace di più e di meno . Nel conce pir il più fi concepiſce il maggiore, nel concepir il meno fi conce piſce il minore , e nel concepir l'eguale non ſi concepiſce nè più , nè meno nelle quantità che ſi comparano. lo dico che li comparano , perchè nè il più , nè il meno, nè l' eguale concepir ſi poſſono ſenza riguardar una coſa nel tempo ſteſ to che l'altra o ſenza compararle , e in queſta comparazione pro priamente la grandezza confifte, la quale , come ben dice il Wol fio , non ſi può concepir ſenza un altro a differenza della quali tà . Tutto quindi l' effer della grandezza è relativo , od ha tut to l'eſſere in ordine ad un altro . Così Platone eſpreſſe la natu ra della relazione nel Politico , nel Simpoſio , nel Sofifta , e pri ma di lui Archita , ed Ocello , ( a ) i quali diviſero la relazio ne in quattro generi . Da queſti autori traſfe Ariſtotele ( 6 ) la definizione , che dà della relazione . Nulla perd vieta , come & proverà , che per compendiare i concetti non ſi concepiſca la gran dezza come qualche coſa di aſſoluto , a cui accade – eſſere mag giore , minore , ed eguale , e che di nuovo ſi concepiſcano il maggiore, o'l minore come aſſoluti, a' quali accada il più , o meno , o nè l'uno , nè l'altro . Suppoſto dunque , che fi dia l'idea della grandezza , e in conſeguenza del maggiore, del minore , dell' eguale, così argomenta Parmenide. Sia A l'idea del maggiore , B del minore , C dell' eguale ; ſi dividano tutte2 , e tre in parti ineguali : С poichè dunque una coſa in canto è maggiore , in quanto partecipa l'idea del maggiore , lia l'idea - B del maggiore A diviſa in parti ineguali, e la parte minore delmaggiore ſia participata, quello che la Tom . II. h par ( á ) Diſcuſ. Perip. Patriz ; T. 2. pag. 185. ( b ) Ad aliquid alia dicuntur quæcunque quod ipſa ſunt aliorum effe dicuntur. o il A ( 58 ) partecipa non ſarà egli nel tempo fefto , e maggiore , e mino re? Maggiore, perchè parcecipa l'idea del maggiore; minore per chè parcecipa la parte minor del maggiore. Così potrà dirli della participazione della parte più picciola dell'idea del minore, e dell' idea dell'eguale . Se'l idee dunque fi participano dalle coſe , ſe condo una parte loro non potrà mai effer quefta , una delle par ri ineguali. Parmenide non procede olore , maè facile l'aggiun-. gervi , che nè meno pud parcicipare delle parti eguali , perchè la parte .eguale del maggiore participata dalla coſa , la farebbe nel tempo ſteſſo eguale , e maggiore ; e così la parte eguale del mi nore , ſarebbe la coſa minore ed eguale. . 9. La noſtra mente , come per ſua natura non può concepiricon tradditrorj, così non pud frappaſſar l'infinito , biſogna che s'ar reſti ad un primo, o ad un ultimo , il qual è come Tuncino che ſoſtiene curri gli anelli della catena. Ariſtocele , e'ne'mori, e nel le cagioni, e ne'fini dimoſtra l' aſſurdità del progreſſo all' infini 10 , modo d' argomentare imparato dal Parmenide di Platone non men che l' altro del principio di contraddizione. Il Wolfo dimoſtròeffer impoſibile il progreſſo all'infinito rectilineo, e cir colare . g. 10 , . Poſta l'aſſurdità del progreſſo all'infinito , così argomenta Par menide : Tu ſtimi che qualunque ſpecie fia una , quando pare i te cbe certe , e molte coſe fieno grandi, parendoti per avventura in ris guardando a tutte le coſe , che ſia queſta una certa idea , onde tu penfi che il grande fia uno . Prima d'inoltrarſi è da oſſervare, che qui Platone inſegna, co me comparando le coſe , nel riflectere a quello in cui conven gono , ne riſulta un'altra idea , come prima avea inſegnato Epicarmo , Queſt' idea è ſempre una , perchè uno è l'atto della mente con cui ſi rifletre a ciò che le coſe hanno di commune . Continua Parmenide : Se'il grande, e l'altre coſe che ſono grandi nel medeſimo modo conſideralli per tutre le coſe , non apparirebbe egli da capo ceri' una coſa grande, onde farebbe neceſſario che queſte tutte pareffero grandi? Vuol dire che nel compararſi dalla mente di nuovo l'idea del grande con le grandezze participate , nè riſulta un'altra idea di grandezza , per la qual coſa concludeParmenide: apparirà di nuo po altra ſpecie di grandezza fuor do esſa grandezza , e di quelle che fono ! ( 59 ) fono partecipi di lei , e dopo tutte queſte , altra di nuovo con cui som rebbono queſte grandi, nè pide qualunqueſpecie fia una , ma piuttoſto di numero infinito . La ragione è , che l'idee della grandezza di nuovo aſtratte nella comparazione , eſſendo per loro natura re lative faranno fena pre di nuovo comparabili , e così all' infini to . Ariſtocele su queſto fondamento del Parmenide , e tutti i Platonici, e tra gli altri Alcinoo dillero , che non fu potea aver idee de relativi. $. 11. cioè per Dal modo con cui Parmenide comparando l'ideę , altre idee He deduffe , concluſe Socrate, che le ſpecie ſono' atti dell'intel fetto, i quali non riſiedono , che nell'animo . Gli concede Para menide, che ogni atto dell' intelletto è uno , ma gli fa confef fare , che queſt' acto ha un oggetto , ed è l' ente'; l'ente perd in quanto ſi concepiſce o s'intende', non s'immagina o ſente : prende egli qut l'idea , non per la nozione , o per il concetro' della mente 1 atto , ma per la relazione che ella ha ad un certo oggecto, e conſidera l'unità dell'idea' non relativa mente all'atto dell'intelletto , ma all' ente che la partecipa poichè ſecondo i principj di Socrate , ella è ſempre la ſteſa in tutte le coſe . Ne deduce per confeguenza , che ſe l'idee ſono' at: ti dell'intelletto , le coſe che partecipano della ſpezie', o deli? idea faranno tutte intellective, ed intelligibili . Vi riſponde So crace , che le coſe non partecipano' dell' idee , in quanto' queſte fono atti dell'intelletto , ma in quanto rappreſentano le coſe ; che vuol dire, in quanto l' idee Tono eſemplari , di cui le co fe fono limiglianze ; onde in tanto le coſe le partecipano', in quanto ad effe li fanno ſimili . Parmenide contro queſte fimi glianze dell' idee , argomenta coll' aſſurdità del progreſſo all' ip knito , come fece delle grandezze . $. 12 Supponiamo che' molte' coſé' fieno ſimili per la participazione dell' idee della ſimiglianza. Potendoſi dunque comparar dall'in telletto le ' fimiglianze' , e delle coſe , e dell' idee , Te' ne' eſtrar rà un'altra' idea di ſimiglianza , e queſta di nuovo comparando 1' idee con le coſe , darà un' altra idea di fimiglianza , e co sh all'infinito , cio' che è aſſurdo”. Cosi eſprime queſto argo mento Parmenide : non ſarebbe egli neceſſità grande , che' quel che è fimile al fimile' folle partecipe dell' uno , e della fleffa ſpecie ? Or hi 2 non ( 60 ) 5 non ſarà ciò la ſtessa ſpecie , di cui le fimili coſe rendendoſi partecipi fiano fimili ? Dunque non può alcuna coſa eller ſimile alla ſpecie, ne la ſpecie ad altrui, altrimenti oltre alla fpecie', altra ſpecie ſempre apparirebbe, che ſe ella folle fimile ad alcuna coſa altra dacapo' , ne cellerebbe mai queſto progreſo , che non ſi faceſſe ſempre nuova fpe cie , ſe ancora folle ſimile la ſpecie , a chi di lei ſi rendeſe partecipe : Ariſtotele propoſe lo ſteſſo argomento ſebben oſcuramente L'Uomo , dice , ſignifica non meno la ſoſtanza ſenſibile degli Uomini ſingolari, che la ſoſtanza intelligibile dell'Uomo per sè , o fia l'idea dell' Uomo . Or ſe queſt' idee convengono in una coſa comune , fi concepiſce comparandole un terzo Uomo, equin di un altro , e così all'infinit . Ariftotele creſce l'aſſurdità Socrate lingolare participando dell'Uomo univerſale partecipa , e dell'animale e dell'animale a due piedi , e d'altre coſe , ciod , quelle che ha comuni colle piance, colle pietre , ed altre innume rabili. Converrà dunque moltiplicare all'infinito l'idee, onde per una coſa ſenſibile converrà porne infinite; ſi può aggiungere che queſto numero di nuovo ſi moltiplicherà all'infinito am mettendoſi l' idee dei relativi, poichè ogni coſa che è nell'Uo mo , pud compararſi a turce l' idee delle coſe viſibili , ed invidia bili , o della ſteſſa, o di diverſa ſpecie. Ma l'Uomo ideale, diceano i Pittagorici , effendo incorrutti bile , ed univerſale non ſi può comparar a coſa ſingolare , e cor ruttibile , ed eſtrarne quindi nuova idea ? Ariſtotele vi riſponde : i binarj feparati ſono anche eſſi incorruttibili , e pur per conoſcer li biſogna dar un'idea comune di binario , in cui convenga il binario B , il binario C ec. In oltre l'idea di figura è comune al cerchio , al triangolo , ea tutte le figure piane e ſolide, onde ella , è propriamente ge nere relativamente alle ſpecie , ma chi può mai conoſcere una figura che non ſia , nè cerchio , nè triangolo , nè altra ſimile ? Intanto la concepiſce la figura in genere , in quanto la mente non s' applica , che ai limiti che circonſcrivono lo ſpazio , fen za far attenzione rifeffa , nè al modo , nè al numero , nè al fito dei limiti ſtelli . Spiegherd la coſa con un eſempio più fa cile . Egli è impoſſibile che io concepiſca un triangolo ſenza rappreſentarmi che egli fia , o Equilatero , o Iſollele , Sca leno ; altro è poi , che nel rappreſentarmi uno di queſti crian goli io non faccia determinata attenzione alle ſpecie dei tre lati . Noi non intendiamo le cofe , dice San Tommaſo , ſe non cona vertendoſi a' fantasmi loro . Ora a qual fantasma è anneſſa l' idea della figura ? Confuſamente a tutte le figure ; ma io non ne , con ( 01 ) conſidero diſtintamente alcuna , e ſolo attendo a ciò in cui cut te convengono , ed è d' eſſere uno ſpazio circonſcritto ; ma ſe nel concepire l' idee de' generi delle coſe matematiche v'è canta dif ficoltà ammettendo l' idee ſeparate , quale ve ne ſarà nell'idee metafiſiche ? Nell'ipoteſi Pitagorica ſi dovranno aſſegnar idee del poflibile , dell'ente , dell'atto , della potenza , della cagione , del principio , del modo , dell'attributo , del terminato , è dell ' indeterminato , del neceſſario , del contingente', del perfetto dell'imperfetto ec. nè ſolo di queſte coſe , ma del prima , del dopo , dell'inſieme , del ſeparato , e finalmente del genere in quanto genere, e della ſpecie in quanto ſpecie : coſe tuote af furdiffime nè abbaſtanza eſaminate da coloro che preteſero che noi vediamo le coſe in Dio , perchè ad ognuna di queſte coſe non men che all'eſtenſione , ed al numero dovrebbe aſſegnarſi un'idea , Ariſtotele con gran ragione v'aggiunſe, che neli ipo teſi dell' idee ſeparate, oltre l'idee de relativi converrebbe am mettere l'idee delle negazioni , e delle privazioni , o degli op pofti , cioè dei contraddittori dei contrarj ec. 9. 13. Dace l'idee , data la loro participazione, ed eſcluſa la compa razione a'ſenſibili, ricerca Parmenide fe debbonſi annoverare l'idee tra gli enti relativi; od aſfoluti . Vi fono delle coſe, di cui tutta l'eſſenza conſiſte nel riferir fi all'altre, e queſte ſono relative , ( 8. 8.) é ve ne ſon altre di cui l'eſſenza conliſte nella non ripugnanza dei predicari , che le coſtituiſcono , e queſte ſon le affolute ; Poichè tutto l'efferé de’ relativi è nel loro confronto , ( 5.8 . ) includono effi neceffaria. mente due termini tra loro oppoſti, il fondamento dei quali fo no le coſe affolute , che tra loro fi comparano ; quindi il fonda mento del relativo è sempre l' aſſoluto . Un Uomo fuffifte per sè , e ſe foſſe ſolo nel mondo , non farebbe nè Padrone , nè ſer-' vo , ma ſuppoſto che viva in una ſocietà , può eſſer l'uno , e l' altro, in guila però che non è ſervo in quanto Padrone, nè Pa drone in quanto ſervo , ma come Padrone ſi riferiſce a coloro cui comanda , come ſervo a coloro cui ubbidiſce, e l'uno , e l' altro gli accade in quanto è Uomo , ed a diverſi Uomini li ri . feriſce. Poichè dunque l'idee fi riferiſcono ai fimili che le par tecipano , biſogna che ſieno in ſe ſteſſe e parimenti perchè i ſimili che partecipano l'idee fi poffano riferir all’ idee, convie ne che fieno in ſe ſteſi. Biſogna in una parola , che l'idee, e le coſe che le partecipano abbiano un' eſſenza determinata . Con clude ( 62 ) 1 clude quindi Parmenide, che l'idee hanno tra loro, un ' eſſenza , ma che queſta non è un eſſenza tutta: relativa alle coſe che ſo no appreſſo di noi, o pure le coſe fi nominano ſimiglianze , o in altramaniera di cui facendoſi partecipi , noi la nominiamo con , qualunque di eſſe. ; . aggiunge parimenti, che le coſe che ſono in noi, non hanno la virtù ſua d'eſiſtere in verſo l' idee , ma fono quel che ſono relativamente a ſe ſteſſe . Parmenide quin di chiama le cofe. che ſono in . noi ,, e: in torno a noi: equivoche: all' idee .. Cagione equivoca: degli animali , delle piante , de metalli ec. diſero Ariſtocele , e gli Scolaſtici il Sole , perchè ſebben concorra alla loro generazione, non conviene con loro , 0 non gli aſſomi glia che nell'eſſere . Parmenide parlando ad bominem par che allu da all' opinione di Socrate , il quale nell' ammecter l' idee , come cagioni delle coſe , era sforzato ad ammetterle come cagioni equivoche ,, non potendo ammetterle, come cagioni eſemplari, il che: Ariſtotele così : dimoſtrò :-ſe quando l'Uomo fi genera da Socra te, eglis'alfomiglia all'idea , e non a Socrate , fi potrà generar: { mile all'idea , liavi o non ſiavi Socrate ;; ma ľ Uomo generandofia non s'aſſomiglia all'idea , ma a Socrate , come è manifeſto dall' eſperienza ; dunque Socrate , e non l'idea è l'eſemplare del generato: Poſto dunque che l' idee : influifcano nella generazion delle coſe, convien ſempre porle , come cagioni equivoche ; : ma da: chi Ariſtotile traffe cal idea , ſe non da Placone ? ' Or fe: l'idee non hanno relazioni alle coſe , o ſono diloro ca gioni equivoche, come poſſiamo conoſcerle? Se le piante , de pie tre ragionaſſero , . potrebbono mairappreſentarli ( rimirando ſe fteſ . ' fe , . ), che il Sole foſſe loro: tanto diſſimile ? che ebbe . tanta parte nella loro generazione . Le noſtre idee non ſono cagioniequivoche delle coſe , le quali noi produciamo affilandoſi ſul loro modello . Un Architeto uno Scultore, un Pitcore fanno la caſa , la ſtatua , . , l'immagine ſecondo l'idea che ne hanno formata , e perciò comparano l'effet to all' idea per miſurarla ,, e perfezionarla ; , nella combinazione dell'idée chiare , . e diſtinte conſiſtendo la ſcienza , l'oggetto del la noſtra ha ſempre proporzione all'idee che d'effo formiamo ;.. ma ſe l .idee : ſeparate come cagioni equivoche non hanno alcu na proporzione con le coſe che vediamo , non par poffibile di : riconoſcerle , e in conſeguenza aver- Scienza di loro . Delle co fe quindi rivelate , non abbiamo ſcienza ma fede; ſono certe , € infallibili , ma non a noi: chiare e diftinte .. Platone nel Filebo ſtabiliſce due generi di coſe; altre non 'han no avuto origine , nè finiranno giammai , perchè ſono immutabi li , e fempiterne ; altre non ſono perchè ſempre 'fi fanno ſono a generazione, & corruzzione ſoggette : À queſti due ge neri di coſe , ' fa corriſponder due generi di cognizione ; delle coſe immutabili , ed eterne ſi ha ſcienza , dell' altre non ſi ha che opinione. Le coſe di cui s' ha ſcienza ſono l'idee , perchè ſono ſempre nello ſteſſo ſtaro , nè ſi può ſapere ſe non ciò che è , ed è ſempre nel medeſimo modo ; le coſe di cui s' ha opinione fono le coſe ſenſibili, perchè continuamente fluendo , non ſono mai nello ſteſ fo ſtato . Come dunque Placone nel Tilebo , dà fcienza dell'idee , e nel Parmenide non la dà ? La riſpoſta generale è , che da cid che ſi dice in un Dialogo ,nulla deve inferirſi relativamente a cid che ſi dice nell'altro , perchè Platone non ragiona ſecondo la ſua ſentenza , come nelle lettere per eſempio , ma ſecondo le ſenten że altrui ; oltre a cid , Platone trattando nel Filebo della defini zione della ſcienza egli è manifeſto , che tratta ſolo della ſua pof fibilità relativamente all'oggetto ,ſenza poi procurarſi di cercare , ſe ſi dia o no tale ſcienza negli Uomini , I Matematici definiſco no il cerchio , e il triangolo in quanto è poffibile , nè fi curano ſe eſiſta o.no : quindi ben ' li definiſce la Filolofia , la Scienza dei poffibili in quanto tali ; nel Parmenide non della poſſibili tà , ma dell'attualità della ſcienza ſi tratta , e Parmenide mo ftra , che dandoſi l' idee ſeparate non poſſiamo aver 'ſcienza di effe , perchè non hanno alcuna proporzione con noi , e con le coſe .noſtre . 5. 15 . Ammettendo con S. Agoſtino , e S. Tommaſo , cheIddio ab bia idee , e molte idee , onde per eſſe conoſca i ſingolari , i fu turi , i contingenti, gli infiniti, non perciò poſſiamo dire , che abbiamo ſcienza dell' idee di Dio , o che poliamo conoſcere co me per queſt' ideeegli conoſca le coſe. Il Malebranchio , ed il Poiret, che lo tentarono , caderono ſecondo la fraſe di Socrate in ciancie ineſplicabili. 1 . 16 . ( 64 ) . S. '16. : s' inoltra Parmenide: La ſcienza in sè conliderata è un'idea , come la bontà , la bellezza ec. ma ſe queſt' idea della ſcienza , non ha alcuna proporzione alle ſcienze a noi note, non poßia mo conoſcerla , poichè le ſcienze intanto a noi ſono note in quanto verſano su noi , o su le coſe che ſono intorno a noi . Or non conoſcendo l'idea della ſcienza in quanto tale , nè men poſſiamo conoſcere ſcientificamente l'altre idee, perchè per aver ſcienza dell' altre idee convien participar dell'idea della ſcien za , ciò che è impoflibile : Parmenide par qui ſupporre che la noftra ſcienza paragonata all'idea della ſcienza ſia come il zero all' infinito ma ſe noi non participiamo dell'idea del la ſcienza , come potremo ſcientificamente , o chiaramente , e diſtintamente conoſcere il bello , l'oneſto , il giuſto , e l'altre idee ? Nulla a mio credere v'è di più acuto , e profondo che queſtº argomento , e quel d ' Ariſtotele non l'eguaglia , benchè per altro concluda contro l'ipoteſi dell' idee ſeparate . Oſservò egli che lº idee eſsendo immutabili per loro eſsenza , non ſi può per eſse ſpie gar il moto , dalla cui cognizione dipende quella della natura ; dunque l' idee ſono inutili alla ſcienza per cui furono introdotte . Coloro i quali amiſero con Eraclito , che le coſe ſenſibili ſono in un continuo fluſso , ricorſero all'idee ſeparate , le quali immutabili eſsendo , ſomminiſtravano a? Filoſofi dei principj immutabili del loro ſiſtema ; la difficoltà è come i Filolofi le conoſceſsero , ſe la lor mente , non nell' eſsere , ma nell operare dipende dagli organi del corpo umano , ſoggetto alle vicende dell'altre coſe fenfibili ? f. 17 . All' argomento tolto dal principio di contraddizione del pro greſſo all' infinito , Placone aggiunge l' altro tolto dalle perfer zioni Divine . Come il retto è la miſura di ſe ſteſſo , e del cur vo , così il cumulo di tutte le perfezioni che è in Dio ; ci ſer ve di miſura per giudicare, e delle perfezioni di Dio ſteſso , e di quelle dell'altre coſe . Per via del principio di contraddizio : ne del progreſso all'infinito ſi dimoſtra l'eſiſtenza di Dio , e per via , o di negazione , o di eminenza , o di caſualità , fi di moſtrano le infinite perfezioni di lui , onde ſe a qualche data ipoteſi conſegua l'annullazione di qualche perfezione divina , l'al ſur ſurdo è maſſimo, perchè Dio nell' effer principio dell'eſiſtenza, è ancora principio di tale eſiſtenza , e nulla può eſiſtere ſe ri pugna alla natura Divina . Socrate non potea non conoſcer Dio comeprincipio intelli gente , dunque era neceſſario , che gli attribuiffè l' idee non me no convenevoli all'intelletto , che i tre lati ad un triangolo ; pur tace Socrate , quando Parmenide gli prova , che la perfec tiſſima ſcienza o P idea della ſcienza convenendo a Dio , egli per queſt' idea non poteva conoſcer le coſe , ciò che era con trario alla divina natura . Par dunque che Socrate ſupponeſſe l' idee ſeparate , ma dall'altra parte Ariſtocele dice chiaramen te , che Socrate noo ammetteva l' idee ſeparate ſe ben deffe gli univerſali . Non ſi ſoddisfarebbe in parte alla difficoltà , di cendoli che Platone , per bocca di Socrate , parlò dell' idee in fenfo poetico , per aver occaſione d'annullarle, e propor la doc trina che ha da lui copiato Ariſtotele , e della quale poi ſi ſervì contro que' diſcepoli di Platone , che realizzarono l' idee ſeparate . . 18. Annullate l' idee ſeparate , la voce idea nel progreſo del Dia logo , tutta fi riſtringe all' idee , che la mente aftrae comparan do le coſe . S'è già accennato ( $ . 8.) il modo, con cui deduſ fe Parmenide l'idea della grandezza , e de' ſimili , e li vedrà inoltrandoſi , che egli parlando dell' uno e dell'ente, proteſta di ſeparar le coſe con l'intelligenza , e con queſta fino sbra narle', che è quanto dire, diſtinguer i concetti o l' idee , ſecon do i rapporti delle coſe, foſſero ancora quefte ſempliciffime ; nulla v'è di più ſemplice dell'anima per ſua natura indiviſibi le , e pur in eſſa ſi diſtinguono varie potenze , ſecondo le rela zioni , che ai varj organi del corpo ella ha operando , onde fi dice che ella ſente , ë che ella immagina . Nella parte ancora intellettiva , ſi diſtinguono le facoltà che ella ha di comparare , e di aſtrarre , e di combinare e di , e di contemplare l' idee', onde ella dichiaraſi mente , e ingelletto, ( c ) voci non altrimenti fi nonime, poichè le loro etimologie di confrontano ai varj uffizj dell'anima ; tutte quindi le ſcienze ſono ſu l' aſtrazioni fonda te . La fiſica aftrae dalle coſe ſingolari, la matematica dalle ſen Tom . 11. i (a) Mens è detta a menfura , poichè l' anima compara , e miſura le coſe , Intellectus da intus legere , poichè intendendo ſcieglie , e deduce una cola da un' altra . fibili , ( 06 ) fibili , la metafiſica da ogni materia . Vuole il Patrizio , che come in una gran parte del Sofifta , čosi in tutto il Parmeni de non ſi tratti che di quella metafiſica , che Ariſtotele colſe da Placone , e di cui le prime idee ne diedero i Pitcagorici , e tra gli altri, Archira e Peritione; io v'aggiungo che la me cafifica avendo due parti , cioè l' ontologia , o la ſcienza , che tratta delle proprietà dell'ente , in quanto ente , e la Teolo gia naturale o la ſcienza , che tratta delle ſoſtanze ſeparate dal la materia , come Dio e l'anima , Parmenide ſi riſtringe in que ſto trattato all' ontologia , e manifefte ne faranno nel progreſo ſo le prove ; baſta accennar qui , che dovendofi dar un elem pio del modo con cui s acquiſtano l ' idee , ſcieglie Parmenide l'idea dell'uno , applicando ad efla il metodo delle fuppoſizio ni . Due coſe aggiunge alluſive all'analiſi , ed alla ſinteſi . La prima che ufficio e d' uomo ingegnoſo il poter apprendere , come ſi ritrovi il genere di qualunque coſa , ciò che ſi fa cominciando dall'analiſi , o dall'eſame delle coſe particolari , e per l'aſtra zione , elevandoſi agli univerſali ; la ſeconda , che ufficio è di uomo meraviglioſo inſegnar agli altri le coſe ritrovate , ciò che ſi fa per la ſinteſi , combinando l'idee generali, e quindi le lo ro combinazioni, da cui ſi deducono i problemi , e i teoremi , ed indi i corollari , e le annotazioni. Sommo acume di men te fi ricerca nel far le opportune aſtrazioni , e di nuovo da .quefte aftrarne altre, ſin che ” analiſi propoſta ſi riduca all' ul time idee , e ſomma fodezza , ritrovare l'idee , concatenarle in guifa che alcri con facilità , e prontezza le intendano, e l'uno , è l'altro dimoſtra Parmenide , o col luo nome Placone. Se l'uno che ne ſegua . b . I. Vuol Uole il Ficino , che queſta prima fuppoſizione debba inten derſi . Se l' uno , perchè il verbo è , o ſia la copula del predicato o del ſoggetto v'è pofta , non in grazia della coſa , ma dell' orazione . Nel legger la nota marginale del Ficino mi ricordai, che Licofrone ( a ) invecedi dire , il parete è bianco , di ceva il parete bianco , ed altri il parete biancheggia , quaſi che Platone non riprovaſſe nel Sofiſta l' orazion ſenza verbi , o che (a ) Ariſt. 1. Phil. 9 ( 07 ) che i verbi non foſſero ſtati inventati per compendiare i gius dizi ! Non è forſe lo ſteſſo il dire , io amo , che io ſono aman te é io biancheggio , che io fono biancheggiante ? La fuppofi zione dunque, je l' uno equivale all' orazione condizionata , ed implicità fé uno , nè così la propone Parmenide , ſe non per intimarci, che a null' altro fi deve badare nell'ipoteſi , che all uno preſo in un concetto aſtrattiflimo. Nella Geometria ſinteticamente ſi comincia dal punto prin cipio della linea ; nell'aritmetica, dall'uno principio del nume ro ; e nell' ontologia dall' uno traſcendentale , che conviene ad ogni noftra idea . Eſclude tutte le relazioni , perchè riferendofi l'uno per eſempio ad A , B , C ec. non è più uno , ma molti , in quanto in lui fi conſiderano le diverſe faccie che ſi riferi ſcono ai molti . Parmenide in queſta prima ipoteſi eſclude dall' uno cutte le relazioni, cioè quelle dell'ente in genere , e l'alore dell'ente in fpecie . Relazioni dell'ente in genere ſono l'identicà , e la di verſità , perchè non competono meno alla ſoſtanza , che alla quantità , qualità , ed agli altri predicamenti. Relazioni dell'en te in fpecie ſono , la limiglianza , la diſſimiglianza , Peguaglian za , l'ineguaglianza , l'antichità , la novità eco perchè competo no o alle fole qualità , o alle ſole quantità ec. * l une e l'altre intanto ſi dicono relazioni , in quanto non conſiderano le coſe in ſe ſtelle , ma relativamente tra loro : il diffimile , l'eguale ec. non li concepiſcono ſenza i due termini , che tra loro fi paragonano . Se l' uno in quanto tale non può compararſi ad alcuna coſa , biſogna eſcluder da lui tutte queſte relazioni , tan to più ſe nelle coſe riferite s'includono i molti. Parmenide comincia dall'eſcluſione delle relazioni più facili a conofcere', che ſono quelle della quantità ; paſſa alle relazioni della qualità , e ad alcre , e finalmente all'eſſenza ; nè di ciò con tento efclude le relazioni, che l'uno può aver all'opinione , al la ſcienza , é lino al nome. Se l'uno in queſto concetto aftrat tiſſimo fi nominalle , avendo ogni nome relazione al ſenſo , al la fantalia , od alla mente , e quindi a tutti gli uomini, che lo pronunziano o l'odono, l'uno con l'aggiunta di queſte relazio ni ſarebbe molti . Si ſente più che non s'eſprimequeſt' ultimo grado , ed abbiamo grande obbligazione a Platone , che in que Ro Dialogo , nel rappreſentarci la dottrina della fetta Eleatica , ci ha moſtrato l'uſo opportuno delle aſtrazioni. Egli di conten ta di non moltiplicarla , che fino ad un certo grado , a fine che l'idea coll' altrarla tanto non s'inlanguidifca , è sfumi; onde al fine la mente non poſſa più ravviſarla in quella guiſa , che i 2 l'im 708 ) l'immagine d'un oggetto riflettuta da uno ſpecchio ſucceflivamen te in molti altri , al fin diviene si ombratile , che ſvaniſce da. gli occhi . Frattanto era neceſſario dimoſtrare in un ſoggetto aſtrattiſſimo per sè , l'uſo dell'ultime aſtrazioni che può far la mente , non eſſendovi altro modo di accennare , come in ogni quiſtione s'arrivi a quell' ultima idea , in cui conviene che vi ci ripoſi , anco malgrado l'impeto innato , che inevitabilmente ci porta a ſempre più nelle cognizioni inoltrarci. Nell'inveſtigazione poi dell' idea vaga Parmenide per tutti i generi , come era in uſo nell'antica Dialetica, e fatta la ſuppoſizio ne determinata per via di comparazioni, ed eſcluſioni, egli ricava il punto preciſo della quiſtione propoſta. Con la chiarezza maggio re che io poſſa , procurerò deſprimer diſtintamente tutti i gra di tallor dell'analiſi, e callor della ſinteſi Parmenidea . Nel trat çar l'altra quiſtione meconvenne ſeguire le interrogazioni, e le riſpoſte degli Interlocutori ma quà folo Parmenide parla ; onde bafta ſolo ſeguendo l'ordine del Dialogo premetter le.co. ſe neceſſarie , eſtrar la propoſizione, e dimoſtrarla fe fi può cal metodo de' Geometri . L' uno non è molti . Abbiamo quanto baſta illuſtrata queſta definizione ; qui fo lo avverto , che come il Wolfio , dopo d'aver definito , che l'en te ſemplice è cid che non ha parti , da queſta definizione ne gativa egli deduſſe, che l'ente ſemplice non è ſteſo, non è diviſibi le , ſenza figura , ſenza grandezza, che non riempie ſpazio , che non ha moto inteſtino ec. Così Platone , da ciò che è l ' uno , dimoſtra le fteſſe coſe , e molt'altre che andremo partitamente, conſiderando , e deducendo dalle nozioni preme{le . g . 3 . 11 Wolfio defini il tutto ciò che è lo ſteſſo con molti ; per abbracciar in una definizione non ſolo il tutto integrale , che chiamaſi totum , ma ancora il potenziale che chiamali omne. Lo ſteſſo , come ſi vedrà fra poco , conviene non meno alle quantia tà , che alle qualità , ed alle ſoſtanze , e l'idea di molti è più univerſale , che quella delle parti , convenendo i molti e agli enti ſemplici, ed a' compoſti come a' quantitativi . Parmenide non definiſce qui , che il tutto integrale , raccogliendo inſieme le 1 ( 69 ) le parti , e limitandole in uno, a cui niente manca , ed è per fua natura indiviſibile; la nozione di molti è quindipiù aftratta della nozion delle parti , e in queſto ſenſo Ariſtotele diffe , che il tutto è prima delle parti, e non le parti del tutto , il che , ſe ſi crede al Patrizio , tolfe da Ippodamo Turio . ( a ) §. 4. L'uno non è nè tutto , nè parte di sè . Se l'uno è tutto non vi manca alcuna parte , ( $. 3. ) dunque ha parti ; dunque è molti contro la definizione dell' uno ( $. 2. ) Se l'uno è parte di sè , è un tutto riſpetto a sè , ma non pud eſser un tutto , come ſi dimoſtrò; dunque non è parte disè. L'uno non effendo nè tutto , né ſteſo , od è indiviſibile , o è ſemplice. parte , non è 8. S. Ogni cutto ha principio , mezzo , e fine . Cid vuol dire , che propoſtoſi un turco nel numerarne le parti fi comincia da quella che chiamaſi prima , e li progrediſce all' ultima paſſando per le intermedie . §. 6. L'uno non ha principio , nè mezzo , nè fine. ol, Se l'aveſse ſarebbe un tutto ( $ . 5. ) il che è impoſſibile ( 8.4. ) Speſre volte inſegnò Ariſtotele, che l'infinito è ſenza principio, ſenza fine ; offerva il Patrizio, che lo preſe dal Parmenide, ove ſi dice , che l'infinito ( o piuttoſto come io crederei l'indefinito ) non ha ne principio , nè fine, cioè non ſi sa in eſſo , nè dove comin , ciar la numerazione , ne dove terminarla . In queſto ſenſo una li nea non è propriamente infinita , o indefinita , le comincia da un punto , nè una ſuperficie, nè un corpo , ſe la ſuperficie comincia da una linea , e il corpo daunaſuperficie. A queſti infiniti måtema rici , che cominciano da un termine , non compere la definizione, che Platone aſſegna dell'infinito , da cui eſclude il principio , ed il fine . ( a ) Diſcuſ. perip. T. 2. p. 280. S. 2 : ( 70 ) S. 7. L ' uno è infinito . L'uno non ha principio, nè fine ( S. 6. ) Dunque è infinito . ( An. Si 6: ) 9. 8 . La figura è una parte dello ſpazio , o dell'eſtenſione circonſcrit ca da cerci limiti , o è retta come il quadrato , il cubo ec. o ro tonda , come il cerchio , la sfera , Pelifli , l'eliffoide ec. o miſta dell'uno , e dell'altro . Il principio della figura è dove i moder ni pongono il vertice , il fine dove pongono la baſe" , il mez zodove la figura fi divide per mecà . 8. 9 . L'uno non ha figura . Ogni figura, o recta , o rotonda ha principio , mezzo , o fine ( 8. 8. ) ma l'uno non ha principio , nè mezzo , nè fine. ( $ . 6. ) Dunque non ha figura. L'uno è infigurabile. $. 10. Non lo può concepire' , che una coſa ſia in ſè ſteſſa ſenza il di 1 ſtinguere con la mente , che ella è comprendente e compreſa , cid che è concepirla due volte , o di uno far due . Non ſi può conce pire , che una coſa ſia in altrui , ſenza che ella ſia toccata in mol te parti. Il luogo abbraccia , o comprende la coſa in lui colloca ta · Eſer in alcrui , od effer in ſe ſtello ,, ſono due oppoſti ſenza. mezzo , come il moto , e la quiete . So IT . L'uno non è in luogo. O ſarebbe in sé , o in altrui ; ( $. 10. ) ſe in sè , egli ſarebbe a sè il ſuo luogo , onde abbracciando ſe ſteſſo ſarebbe nel tempo fteflo , e comprendente , e compreſo , cioè l' uno ſarebbe due co ſe o molti contro la definizione ( $. 2.) ſe foſſe in altrui, fareb be 1 1 1 1 ( 71 ) be toccato in molte parti, onde avrebbe molte parti contro la definizione. ( §. 2. COROL. L'unonon è circonſcritto da alcuna coſa , terra , Cielo , materia , ſpazio ec. ANNOT. Daqueſto argomento lice inferire , che Parmenide cob ſidera qui l'uno , in quanto è dalla mente aſtratto da corpi , che ſono in luogo ; s'è già oſſervato , che l'ontologia degli anti chi era fondata su l' idee aftratce dalla materia , dalla forma, dal compoſto, dagli accidenti ; onde queſt'uno aſtratto da corpi , e da loro dipendente non ha alcuna relazione a Dio , ch'è un ente per sè , in sè , infinito cc. . 12. Il moto alla ſoſtanza , ſecondo Ariſtotele , è quando una coſa , per eſempio una parte di terra ceſſa d'eſfer terra , e comincia ad eſſer pianta . Il moto alla quantità è quando una coſa , per eſempio un fanciullo creſce nella ſtatura , ed un vecchio decreſce . Il moto alla qualità è quando per eſempio la carne d unUomo fredda , dura , ed aſpra , li fa da sè calda , molle , liſcia . Preten deva Ariſtotele, che queſti tre moti dipendendo dalla forza in crinſeca , che facea cangiare alle coſe la ſoſtanza, e gli acciden ti loro , li diſtingueſſero dal moto locale , nel qual altro non ſi con ſidera , che il paſſaggio da un luogo all' altro : Parmenide , o Pla tone, benchè parli del moto di generazione, e d'alterazione, par ſolo far attenzione, ſecondo l'ulo de'moderni, all'accoppiamento delle parti , e quindi all aumento delle qualità , due coſe accom pagnate dal moto locale , o di traslazione. Lo conſidera egli in linea retta , oin cerchio , nel qual moto una parte della coſa & forma nel mezzo , e le altre parti fi rivolgono intorno al mezzo . Vuol poi , che tutto ciò che ſi genera ſi faccia in qualche luogo ſecondo il principio da lui in queſto Dialogo replicato più volte. Ciò che non è in alcun luogo è nulla . Platone nel Teeteto dice per bocca di Socrate : Se dimoſtran eli una ſpecie di moto , o due ſpecie , come a me pare , nondimeno io conſidero che cid non ſolamente appaja a me folo , mo ancora tu ne fii partecipe, acciocchè amendue parimenti patiamo qualunque coſa face cia meſtieri, ficchè mi di , cbiami tu forſe moverſi , quando alcune coſa fe mute da luogo a luogo, e nello steſo ſi raccoglie ? Teodoro glie lo concede. Socrate ſoggiugne : Dunque fiare una specie questa , ma quando fermandoſi alcuna coſa nello ſteffo luogo s'invecchia , o di bian , ca fi fa nera , o dara dimolle , e ſi altera da certa altra alterazione, son chiameremo noi meritamente queſt' altra ſpecie di movimenti ? ... Ora dico che fieno due le ſpecie del movimento cioè alterazione , la ( 72 ) la circonferenza. Egli dice circonferenza in luogo di traslazione in cerchio , per moſtrar che nel pieno ogni coſa va in giro. , Conſidera poi quì , che nel farſi una coſa vi la un accoppia mento , nel qual prima una parte fi congiunga a quella che li fa , mentre l'altra parte , che ſi deve aggiungere , è ancora fuori della coſa . 1 $. 13. L'uno non ha moto di alterazione , nè di generazione . Non di alterazione , perchè ſe ſi altera non è più uno , ac quiſtando nuove qualità ; ſe fi genera non è più uno, acquiſtan do nuove parti . Or nuove qualità , e nuove parti fanno molti ; dunque ſe l' uno o fi altera , o fi genera , è molti contro la de finizione . IN ALTRO MODO. Una coſa non può generarſi o farſi che in un' altra , perchè tutto ciò che è , o fi fa, è in qualche luogo , ma ſe l'uno non può effer in un altro ( S. 11. ) nè meno può farſi in eſſo . In ol tre ſe una coſa ſi fa in un altro , non ancora ella è ſe ſi fa . Or quando una coſa ſi fa, una parte è in lei , e una fuori di lei , perchè le parti fi vanno ſucceſſivamente aggiungendo , ma l'uno non avendo parti ( 5. 4. ) nè può eſſer nè tutto te in sè , nè tutto , nè parte fuori di sè . Dunque non può ge nerarſi . Corol. L' uno non è generabile , nè alterabile , nè par § . 14. L'uno non ha il moto di traslazione . L'uno non è in luogo ( 5. 11. ) ma la traslazione in linea ret . ta è una mutazione ſucceſſiva del luogo . Dunque l ' uno non eſſendo in luogo ( $ . 11. ) non può mutar il luogo , ſecondo la linea retta , ma nè meno pud mutarlo , ſecondo la linea circo lare, perchè deve raggirar nel mezzo , e tener fiffe le parti che fi rivolgono intorno al mezzo ; ma l'uno non ha nè mezzo , né parte , dunque non può rivolgerſi in cerchio'( . 13. ) Dunque le alluno non conviene nè l'uno , nè l'altro , non gli conviene il moto di traslazione . Q. 15 . 1 1 . 1 ( 73 ) g. isi Come ſi concepiſce il moto , nel concepire la traslazione fuc ceffiva del mobile , o ſia il rapporto continuamente vario della diſtanza del mobile a ' corpi contigui, così fi concepiſce la quie te nel concepir il rapporto coſtante di diſtanza a ' corpi conti gui ; quindi nel moto, il corpo va ſucceſſivamente occupan do diverſe parti dello ſpazio , e nella quiece occupa le ſteſſe par ti dello ſpazio . $. 16 . Luno non è nè in quiete , nè in moto . L'uno non è in sè , nè in altrui ( 9.11 . ) ma ciò che è in quiete , è ſempre nello ſteſſo , ciò che li move è ſempre in al trui . Dunque ſe l'uno non è in ſe ſteſſo , nè in altrui, non ſi ripoſa , nè ſi muove . $ 17 Platone ha ſin ora conſiderato l' uno per eſcluder da lui la ragion di tutto , di parte , di principio, di fine , di mezzo , di figura , di luogo , di moto , cioè per eſcluder dall' uno tutte le relazioni che appartengono alla quantità, come la più nota , e più facile. Senofane pur provava, che l' uno era infinito , im mobile , non ſi trasfigurava nella poſizione, non s'alterava nel la forma, non fi milchiava con alcri. Non è egli molto veri ſimile , che egli ne arecaffe le ſteſſe ragioni , che poi Parmeni de più fteſe , ed affottiglid ? Paſſa Parmenide ad eſcluder dall' uno le relazioni dell'ente che appartengono alla qualicà , di cui le prime ſono l'identità e la diverſità . Non premette Parmenide alcuna definizione dello ſteſſo , e del diverſo ; come fece del tutto ; dai Pittagorici ( a ) impard , al dir del Patrizio , che l'identità , e la diverſità non devono conſiderar fi come paſſioni dell' ente , ma come generi ſecondarj , i di cui primi ſono il moco e la quiere . Ariſtotele all'incontro riduce l' identità a una certa unità , e dichiara che ella come la diverſità appartiene alla ſuſtanza , poichè fteſse ſono quelle coſe che con vengono , o nella materia , o nella ſpecie , o nel numero , o nel Tomo II. k gene ( a ) Diſcuſ. Perip. T. 2. p. 207. ( 74.), genere di cui una è la ſoſtanza. Platone eſtende l'identità , e di verſità alle qualità , e da lui impårarono i matematici a dire , che le ragioni o proporzioni , che ſono le ſteſſe con una ſtella , ſo no le ſteſſe tra loro ; e non ſi dice pur tutto giorno lo lteſto grado di calore , di lume ec. e. parimente ragioni diverſe , di verſo grado di calore , di lume ec. Dunque non alla ſola fo ftanza , ma alla quantità , alla qualità , ed agli altri predicamen ti apparciene lo ſtello , e il diverſo . Inliftendo il Wolfio su le nozioni ſcolaſtiche , dà il criterio per diſtinguere lo ſteſſo dal diverſo . Quelle coſe , dice egli , fou no le stelle che ſi poſſono ſoftituire. ſcambievolmente ſalvo qua lunque predicato , che loro aſſolutamente , ſotto qualche con dizione convenga ; ſicchè fatta la fortituzione , la coſa reſta ta le , come ſe non foſſe ſtata ſoftituita . Se in una bilancia , in cui ſang equilibrati due peſi, in cambio di un peſo , d' una certa grandezza, io ne ſoſtituiſco un alıro, in modo che l'equilibrio Loro non lia tolto , queſti due peſi, in quanto peſi, nulla diſtin guendoli: ſi chiamano gli ſteſſi . Se nel peſo che è prima nella bilancia , vi foſſe una certa figura , ed un certo colore , eun cer to grado di calore , e di freddo , ed anche un certo odore , e tutto ciò appuntino ſi ritrovalle nel peſo che ſi ſoſtituiſce , que fti due peſi non diſtinguendoſi, e nel peſo , e nell' altre qualità li chiamano gli fteſi; Lo ſteffo in numero è ciò che ſi afferma di ſe ſteſſo , o cui ripugna d'efiftere due volte ; nel dirſi, queſto triangolo è que ſto triangoló , ' ſi predica lo ſteſſo triangolo di ſe ſteſſo , onde convenendo la ſtella eliſtenza al ſoggetto , e al predicato , egli è manifeſto , che il triangolo in quanto è nell' uno , e nell' altro non ha doppia eſiſtenza , mala ſteſſa, I diverſi poi ſono quelli , che ſcambievolinente non poſſono ſoſtituirfi , falvo ogni predicato che all' uno , o all' altro aſſo lacamente o condizionatamente convenga . Così nel caſo della ſoſtituzione de' peſi della bilancia, ſe un peſo nel ſoſtituirſi all' altro cangia d'equilibrio , il pelo ſofticuito è diverſo dal peſo , di cui preſe la vece ; egli è diverlo in ragion di peſo , benchè per altro poteſſe eller lo ſteſſo nella grandezza , nella figura nel calore , ed altre qualità . Poſſono dunque le coſe eſſer le ftel ſe in un predicato , e diverfe negli altri ; quindi ſi può diſtin guer lo ſteſſo , e il diverlo in affoluto , e in relativo ; ſono aſ loluti, ſe le coſe convengono in tutti i predicati, o diſconven gono falva però la loro eliſtenza ; ſono relativi le convengono in alcuni predicati, ma diſconvengono in altri . E'cid neceſſa rio di ben avvertire, perchè in queſto Dialogo fi prende lo ſteſ 1 1 ſo, 1 ( 75 ) fo , e. il diverſo in queſti due fenfi. Qul Parmenide perd pren de aſtrattamente la coſa , perchè a lui baſta, che l'identità , e la diverficà fiano affezioni, o generi delle coſe non preſe in sé , ma relativamente all'altre , baſtando queſta fola relazione per eſclu derle dall' uno ; quindi può facilmente dimoſtrarſi, che l'uno non è , nè a se , nd ad altrui lo ſteſſo , perchè nel ſuo concerto aſtrat tiffimo efclude ogni comparazione ; ma Parmenide in alcro modo lo dimoſtra , rappreſentandoſi alla mente per via d'una nozione immaginaria , che l' uno prima è uno, e poi per forza della com parazione egli è molti . Ciò ſi rende ſenſibile col diſegnar l'uno col ſimbolo aritmetico I , e poi aggiongendovi A , o qualche alera lettera , onde egli fia prima i , indi 1 + A. S. 78 L'uno non è lo ſteſſo , nè diverfo a sè , nè ad altri. Se l'uno foſſe da fé ſteffo diverfo , ſoſtituendoſi l'uno per l'uno dove prima della ſoſtituzione fi concepiva i , dopo della foftitu zione si concepirebbe 1 + A , dunque non più i contro l'ipoteſi. Se fia lo ſteſſo ad altrui egli farà quello , cioè 1 + A non cið che è , od uno , il che di nuovo è contro l'ipoteſi . . 19. L'uno non è diverſo , nè da altrui , ne da ſe ſteſſo . L'uno convenendo con tutte le coſe , perchè d'ogni coſa ſi dice , uno non è diverſo da effe , che in virtù di qualche predicato ; dun que in quanto non è più uno ; dunque non può eſſer diverſo dall' altre cofe . Non è la ſteſſa la natura dell' uno , e dello ſteſfo , perchè quando una coſa li fa la ſteſſa ad aleuna non ſi fa uno ; il colore di A per efempio ſia lo ſteſſo , che il colore di B , non perciò mai A è B , perchè le due coſe colorite comparandoſi, benchè con vengano nel colore , e in queſto fieno uno , non perd convengono nell ' çliſtenza , Se gli Itelli non ſi conofcono , che per la Toſti tuzione, gli ftelli convengono bene ne'predicati ; ma ſono fem pre due . Dunque quando una coſa ſi fa la ſteſſa con l'altra , di due non ſi få uno , ſe non inquanto ſi concepiſce, che con vengono , o nella quantità , o nella qualità ec. ma non perchè convengono non ſono due ; dunque o l' uno paragonato all' uno ſi fanno due , e cosi l'uno non è uno , o reſtando uno non k 2 ſi può ( 70 ) la pudfar ſoſtituzione . Dunque non pud dirſi , che l' uno fia lo ſteſſo a ſe ſteſſo . 20 . Parmenide paſſa a comparar l'uno coi fimili , e diffimili. Aris ftorele dice , che i ſimili ſono quelli che patiſcono lo ſteſſo , ei diffimili quei che pariſcono il diverſo ; de' primi una è la qualità, dei ſecondi è diverſa la qualità ,onde egli ripone i ſimili, e dilli mili ſotto l'identità , e diverſità , il che imparò da Platone nel Filebo ( a ) e più facilmente dal Parmenide , ove Platone defini ſce il ſimile, per ciò cui adiviene patir lo tego , il diffimile , ciò cui adiviene patir il diverſo. Conſidera quì Parmenide le.qualità , come attributi o modi che ſi ricevano nel ſoggetto , il quale nel riceverle in cerca guiſa paciſce; ſono queſte nozioni immaginarie, come quella della ſoſtanza . Su queſte orme Parmenidee , il Wol fio definiſce i fimili quelli , in cui le ſteſſe ſono le coſe, per le qua li doverebbono diſcernerſi , onde ſecondo lui , la fimiglianza è l' identità di quelle coſe per cui dovrebbono tra loro diftinguerli. Se in due volti per eſempio io ritrovo nelle parti gli ſteſſi linea menti , ne' lineamenti gli ſteſſi gradi de' colori ec. in fomma ſe io ritrovo , che le ftelle fieno tutte quelle qualità, per cui dovereb bono diſtinguerſi, i due volti ſono ſimili; diffimili all'incontro ſono quei volti , in cui diverſe ſi ricrovano le coſe per cui tra lo ro fi diſtinguono , che vuol dire i lineamenti delle parti, le figu la collocazione, le grandezze . Il Wolfio fi fece ſtrada con que ſta definizione a definir i ſimili matematici , ben oſſervando , che le loro proporzioni, benchè abbiano per fondamento ilquanto , fi riducono al quale . re , S. 21. L' uno non è fimile nè diffimile ad alcuno , o a se , o ad altrui. Simile a quello cui adivienelo feſto ( . 20. ) ma l' uno eſclu de lo ſteſſo ( S. 18. ) Dunque efclude il ſimile. L’uno ſe riceve alcuna coſa fuor di quello che è l' eſſer uno , pa tiſce d'eſſer più l'uno , perchè egli è l'uno , ed inſieme la coſa che pariſce , onde almeno egli è due o molti ; dunque non è più uno ; dunque ſe l’uno non paciſce d'effer lo ſteſſo , o loco , o con altri , non può eſſer a ſe ſteſſo , o ad alcri ſimile , ( a ) Patriz. Diſcuſ. perip. p.202. Il ( 77 ) Il dillimile è quel che pariſce diverſità ( 5. 20. ) ma l'uno non può parire diverſità , dunque non è , nè diverſo da lui, nèda altre coſe, altrimenti non ſarebbe più uno ; dunque l'uno non è diſli mile , nè a ſe ſteſſo , nè ad altrui . 1 l . 22 Concluſo che ha Parmenide non convenir all'uno , nè l'iden: tità, nè la diverſità, nè la ſimiglianza , nè la diffimiglianza, paſ fa a ricercare ſe gli convenga l'eguale o l'ineguale , due pro prietà delle grandezze comparate P une all' altre ; l'eguale im murabilmente ſta nel mezzo , da cui l' ineguale allontanandoſi per ecceſſo ſi chiama maggiore, e per difetto minore . L'egua le paragonato all'eguale ha le ſteſſe miſure , paragonato al mag giore ha meno miſure, e ne ha più paragonato al minore. Ra gionando Parmenide con Socrate ad bominem , fi ferve del ter mine di participare , che non è allegorico , ove ſi tratta di par ti . Offervo che non miſurandoli, ſecondo Platone, che con l'uni tà , e col numero, è manifeſto , che la miſura è ſecondo lui quan tità ; pur gli attribuiſce lo ſteſso , e il diverſo. g. 23 . L'uno non è , nè eguale , nè maggiore , nè minore . Non participando , nè dello ſteſso , nè del diverſo , non parte cipa mai, o le ſteſse , o le diverſe miſure , in conſeguenza non è nè eguale , nè maggiore , nè minore. 6. 24. Come ſi miſurano le grandezze permanenti , così ancora ſi mi ſurano le ſucceſſive , le quali paragonare l'une all' altre, compete loro lo ſteſso e il diverſo , cioè il più, e il meno . Si dice che due Uomini hanno la ſteſsa età , quando è miſurata per lo ſteſso nu mero di rivoluzioni ſolari, e che hanno maggiore o minor età le ella ſia miſurata per maggiori o minori rivoluzioni ſolari . L'antichità , la vetuftà , la novità ſono relazioni degli enti ſuc ceflivi per rapporto alla loro eſiſtenza fucceffiva ; antico ſi dice quello che da lungo intervallo di tempo e prima d'un altro ; nuo vo quel che ora è, e non fu che già poco tempo prima d'un al tro ; il giovane , il vecchio , ſono propriamente le differenze dell' età degli Uomini, mas'attribuiſcono per mecafora a curce le coſe . 9.25 . ( 78 ) f. 25. L'uno non è più vecchio , più giovane di ſe ſteſso , o dell' altre coſe . L ' uno non pud participare , oo delle ſteſse ,, o di maggiori o minori miſure degli enti ſucceflivi, perchè non può partici pare dello ſteſso , e del diverſo ; ma quel ch'è più vecchio , partecipa di maggiori miſure, quel che è più giovine di minori , dunque ec. g. 26 . Per ben intendere come uno nel farli più vecchio di fe fteſso o d'un altro ſi fa più giovane , mi è neceſsario trasferire alcu ne nozioni della ſeconda ipoteſi , ed aritmeticamente ſvilupparle . g . 27 6 3 5 4 Se il rapporto del maggiore al minore crefca per l'aggiun ta agli antecedenti, e a' conſeguenti d'una grandezza eguale , il rapporto ſempre decreſce . Sieno i numeri 1 , 2 , 3 , 4 , 5 , 6 , 7 , i quali ſucceſſivamen te creſcono per l'aggiunta dell'unità , èmanifeſto che ( a ) > 4 $ Si prendano i quozienti o valori delle ragioni . Il valore della ragione di = it ; il valore di = ito il valore di = i + . Or tal eſsendo la ragione qual è il fuo valore ſe I +1/2 > it it ec. come è mani 3 feſto fard > 5 ec. Or rappreſenti A C l' età d'un 3 fanciullo di 3 anni , e B D l'età d'un | fanciullo di due anni , s' aggiunga alla А С F prima età un anno , ciod ad " A C. s'ag giunga CF , e alla ſeconda età B D SA D G. aggiunga un altro anno o DG. Onde s' averà la ragione di } ; li vada aggiungendo ſucceſſivamente alle due età un'anno, ed indi un'anno, e li averanno le ragio ni di e di . Egli è manifeſto , che il fanciullo di tre anni è più vecchio di quello di due, ma nel creſcere all'uno , e all' al > 3 4 Ā 1 B tro ( a ) Il ſegno è quello del maggiore , Il ſegno di < del minore . Il ſegno è quello dell'eguale . ( 79 ) tro un' anno la ragione che ne riſulta di è minore dell'altra ; molto minore è quella di , e molto più minore quella di onde ſebben il primo fanciullo ſi faccia ſempre più vecchio dell'altro , contuttociò per l'accreſcimento dell'egual quantità ſi fa più gio vane relativamente , perché dove nella prima ragione la differen za era nella ſeconda è minore di 1 , e quindi , ſempre mi nore . Egli è vero dunque, che un fanciullo nel farli' più vecchio d'un altro li fa ancora più giovane. Se non ſi compari l'età di due fanciulli , ma ſi conſideri folo l' erà di uno , che ſempre riſpetto a ſe ſteſso creſce di un'anno , egli è manifeſto , che per queſto eguale accreſcimento , nel decreſcer ſempre le ragioni degli anni cra loro comparati , lo ſteſso fanciul lo nel farſi più vecchio di ſe ſtefso , fi fa ancora più giovane. Si vede quindi , che nel farſi il più vecchio dal più giovane , fi fa cid dal diverſo , e che non è diverſo , ma'ſi fa . Corol. Lo era , lo efser ſtato , il li faceva , ſignificano i modi del tempo paſsato ; il ſi farà , il ſarà , e ſarà per farſi, i modi del fucuro o dell'inanzi ; l'eſsere , il farſi, i modi del preſente. f. 28. L'uno non è in cempo . Se l'uno fofse in tempo participerebbe delle miſure del tempo ; dunque or ſarebbe più giovane, or più vecchio , ma queſto non pud eſsere , come s'è dimoſtrato ( 9. 25. Dunque ec, IN ALTRO MODO. Quel che è in tempo nel farſi più vecchio , ſi fa più giovane di ſe ſteſso , ( §. 27.) ma l'uno non può farſi più vecchio , nè più gio vane di ſe ſteſso , perchè non può farſi , nè una cola , nè l'altra ( 9.25. ) Dunque non è in tempo . Il più giovane che ſi fa dal più vecchio è diverſo da lui , e non è ma ſi fa , ma l'uno non può ricever il diverſo ( § . 18. ) Dunque non può farli dal più vecchio il più giovane ; dunque non è in tempo . Il più giovane non ſi fa dal più vecchio , nè in più lungo tem po , nè in più breve di fe fteſso, ma ſempre nell'egual tempo con le ſteſso , o fia , o ſia ſtato , o ſia per dover eſsere ; ( § . 27. ) mą l'uno non è ſuſcettibile dell'eguale ( § . 23. ) Dunque nè meno dell' egual tempo ; dunque non avendo le paſſioni del tempo non è in cempo . . 29. ( 80 ) S. 29. L'uno non partecipa , nè del preſente , ' nè del futuro nè del paſſato . L'uno non eſſendo in tempo non può partecipare del tem po , ma le paſſioni del tempo ſono , il preſente , il paſſato , il futuro . ( $ . 27. ) Dunque non le partecipa . Corol. Se l'uno non è partecipe di niun tempo , non fu mai , nè ſi faceva , nè era , nè ora è fatto , nè fi fa , nè farà . 8. 30. Ogni ente , o ciò che è partecipe di eſſenza , è , ſecondo Plato ne , o nel tempo preſente , o ſarà nel futuro , o fu nel paſſato . Nel Timeo egli dice , che Dio per far il tempo fluente nel numero , fece un'immagine dell'eternità . Dunque l'eternità fiſſa in ſe ſteſſa non contiene, che il preſente , e ciò pur dicono i Teolo gi nel diffinirla con Boezio , una poſſeſſione tutta inſieme di una vita interminabile . Negando dunque Parmenide, che il pre ſente competa all' uno , gli nega l'eternità , onde è egli evidente che non parla di Dio , ma ſolo d'un ente di ragione, dal quale per l' astrazion della mente eſclude tutto ciò che involve rela zione a qualche coſa , ed anche a lui ſteſo. Dall' altra parte , qui Parmenide non eſclude dall'uno , ſe non cid che appartie ne per lo più alle coſe corporee e viſibili, il tutto , le parti , il luogo , l'eguale , il maggiore , il minore, la generazione , la traslazione , le differenze del tempo ; e ciò che dice dello ſteſ. fo , e del diverſo , del fimile , e del diflimile , che pur conven gono alle coſe incorporee , lo ricava da ciò che ha negato ne' quanti. 1 . 31 . L'uno non è , o non ha eſſenza . L'uno non partecipa del preſente , del paſſato , del futuro ( 9.29. ) ma ciò che ha effenza partecipa dell'uno , o dell'altro ( $. 30. ) Dunque l'uno non ha eflenza . Annot. Dall'uno conſiderato preciſamente come uno , cioè a dire oppoſto amolti , ſi debbe eſcludere , oltre l'eſſenza attuale , an cor la poſſibile , perchè la poſſibilità come fonte, e principio del, la ( 81 ) la realità porta ſeco qualche relazione a cid che eſiſte , é dall' uno ogni relazione deve eſcluderſi.; molto più le relazioni dell' uno all'ente , di ragione che chiamali intellettuale qual è il Lo-. gico , il metafiſico , il matematico , e l'altre relazioni ancora ché aver poteſſe all'ente immaginario ancor chimerico . . §. 32 . tra coſa Primafi concepiſce la, non ripugnanza dei predicati delle co ſe , ed è l'eſſenza , e queſta non ſi dice d'altre coſe , o d'al tre eſſenze , ma bensì o gli attributi , i modi , e le relazioni fi dicono deſsa ; cal è la definizione logica , che Ariſtotele diede della ſoſtanza , chiamandola ciò che non ſi predica d'al ma che tutte le coſe ſi predicano d'eſsa . In que ſto ſenſo l'eſsenza nel ſuo concetto aſtratto , non differiſce dal la foſtanza , che in quanto queſta ſi riferiſce a ſe ſteſſa , ed agli aleri de' quali è ſoftegno , per il che ſi dice , che ella non ha contrario , e non è capace di più, e di meno . Se l' uno non può predicarſi dell'uno , o di le ſteſſo , per non radoppiarlo o farne due o molti , egli è manifeſto , che non è ſoſtanza to più ſe fi conſidera col Wolfio , che nella nozione della fo ſtanza, v'è qualche coſa d'immaginario, perchè ella fi rappre ſenca alla fantaſią , come un valo od altra coſa , che in sè ri. ceve gli accidenti . $. 33 L'uno non è ſoſtanza . L'uno non ha eſſenza . ( S. 31. ) Dunque non ha ſoſtanza ( $ . 32. ) ſ. 34. La ragione è propriamente quell'atto della mente , che da una coſa n'inferiſce un' alera , od è ancora ſe ſi vuole la con neſſione delle verità univerſali ; la ſcienza è la cognizione cer ta , ed evidente delle coſe, ed è tutta opera della ragione che deduce una coſa da un' altra . Nell' attribuire una coſa ad un altra , ſe li ha qualche cimore , che ad efla ſi poſſa attribuire l'op poſto, ſi ha della coſa opinione. Col ſenſo poi non ſi percepi Icono , che le coſe ſingolari , o determinate in ogni parte , e quindi compoſte di molti . Da queſte definizioni e manifeſto chenegli oggetti della ragione, della ſcienza, dell'opinione, del Tom . II. I fen ((82 ) . fénfo s } includono moki , çd - in oltre che ogni coſa , che .0.4 ſénte , o su cui di ragiona fcientificamente , od opinabilmente , ha un' eſſenza attuale o poflibile ; falfa o vera. 1 $. 356 Dell' uno non li ha ragione, ſcienza , opinione , ſenfo . Quefte coſe includono molti , e dipendono dall'ipoteſid' un eſſenza ( §. 34. ) ma l' uno non ha eſenza ( S. 31. ) e non in olude molti (.9.,2 . ) Dunque ec, g . 36 Non ſi dà nome ſe non alle coſe , della cui eſſenza , o per ragione, o per opinione, o per ſcienza , o per ſenſo ſi ha un ' idea o chiara , od ofcura, o diſtinta , o , confula , o miſta di que Ite differenze. S. 37 ... L'uno non ha nome. L'uno' non ha effetiza:( : 34:) Dunque l'uno non ha nome. 1 §. 38. Ragruppando in poco ciò che ſin ora ſi è detto , ſi può for mare tal fillogismo . Dal concetto aftrattiflimo dell' uno ſi de vono, eſcluder i molti di qualunque genere effi fieno ; ma cid che appatriene alla quantità , alla qualità ; alla refazione ec ? vi s'includono imolti ; dunque devono queſti eſcluderſi dal.concet to aſtrattilfino dell'uno , . ] Se fi diceffe , che così concludendo ſi confonde l'uno col nul la , manifeſto è l'inganno , poichè la definizione del nulla è , che egli non abbia nozione alcuna o poſitiva , o negativa , ciò che elclude dal nulla ogni realtà . Quando'io dico all'incontro, l'uno non é molti, non tolgo a lui ogni realtà , benchè eſplicitámen te io non vi rifletta. Io ſto più immobilmente che poſſo affil ſo su l'uno, in quanto s’oppone a molti , e in queſta conſide razione preſcindo più che poſſo dal conſiderar l' uno , o per rap porto all'ente, o per rapporto al mio penſiero ; noi poſſiamo, come accennai , più ſentire, che eſprimere queſte preciſionimen tali , e momentanoe, ma 'non laſciamo di fentirte, e le fencia ·mo ( 83 ) mo ſe poffiamo eſprimerle in qualche modo, e farle' intendered agli altri ; nè per altro la fcola Eleacica; ed indi Placone le pro poſe , che per addeſtrar la mente ad inveſtigar l'idee delle coſe. Era necelfario fciegliere per eſempio quell' idea , in cui la pre ciſione arriva all'ultimo grado , ove pofla mai giungere la men te umana. Non ſi conoſce mai bene la natura', ' ed'i precetti della arte , che l'imita , fe non ned maffimo . Io dimando al Lettore ; che legge attualmente il Parmenide di Platone, e lo confronta col mio comentario , fè altro faccio in effo , che ſviluppare il fenſo.ovvio det tefto : Abbia pur Pro clo , e gli altri Placonici , e Gentili , e Criſtiani confiderato queſto Dialogo , non come ontologico , ma come Teologico , io ril pettando , e la dottrina , e l'autorità loro', dirò che la mia Spiegazione ontologica non impediſce , che degli intelletti più fublimi del mio , teologicamente non l'inalzino a coſe maggio ri , come fece il Cardinal Befarione , applicando a queſto Dia logo la dotrrina del preceſo S. Dionigi Areopagita . Si può ri leggere avendo preſente tútra l'intiera ſeſſione , quanto ivi diſ fi appoggiandomi alla dottrina di S. Tommaſo : Dio'è un en te fingolariſfimo , e nell' applicarvi quel che conviene all' en te di ragione ; biſogna ftar attenti che non ſi confonda l' uno ton l'altro ; la merafíſica degli antichi è la ſteffa che la me tafifica dei moderni; mia nel riferir la prima ' alle coſe , queſte includevano Dio , che gli antichi non ſeparavano dalla mate ria , che per preciſionedi mente, là dove la ſeconda conſiderando fe coſe non ha a Dio , che un'analogia molco lontana, perchè fi diſtingue eſenzialmente , é realmente dalle ſteſſe . SEZIONE TERZA. Se l'uno è , quali coſe adivengono intorno ad eſſo . I. I. Nom On ſi ricerca ſe faecia meſtieri, che ſucceda- un cert' uno , ma ſe vi ſia l'uno ; o pure ſoſtituendo la nozione imma ginaria ſe l'uno partecipi l'eſfenza. Dall'ipoteſi così propoſta ne fiegue', che' l'uno non è la pro : pria 'eflenza , o che l' effenzà, e l' uno non ſono gli ſteſi con: cerci z chi dice elfenza , dice preciſamente la: non ripugnanza dei predicati, e chi dice uno , dice 'non molti . ; Nel cratcat queſta: ſuppoſizionë , Platone comincia a frami I 2 fchia ( 84 ) ſchiare all' aſtrazioni le nozioni immaginarie più che di ſopra Queſto fa ſovente l'oſcurità del teſto , perchè per intenderlo ci sforziamo toſto a concepire ciò , che non è che un' imaginazione ed imaginazione tallora falſa , da cui li deduce una contraddizio ne , nèſempre però vera , ma apparente , il che raddoppia l'ab baglio , ſe non vi s'attende; manifeſteranno gli eſempi ciò che io dico , in tanto mi ſia lecito di contraſegnare con due ſimboli diverſi , A , e B , i due concettidell'ente, e dell'uno . Nel farne il compleſſo A + B io rappreſento un tutto che ha due parti, che io tra loro ſeparo con la mente , per ragionarne più diſtintamente fi 2. Se l'uno è , ogni parte di queſto tutto ( uno è:) può dividerſi in infinite particelle . Si prenda la particella uno , e ſi concepiſca come ſeparata per un momento dall'altra particella ence , poichè per la fuppoſizio ne l'uno è , egli è manifeſto , che conſta di due particelle , uno ed ente . Di queſto nuovo compleffo ſi prenda la particella uno , e queſta per la ſteſſa ragione ſi dividerà in due altre , ente ed uno , e così all'infinito . Or ſi prenda l'altra particella ente, e poiché ogni ente è uno , ſi dividerà queſta particella in due altre, le quali di nuovo fi divideranno, e così all'infinito ; dunque ogni particel. la del cutto uno è , ovvero è l'uno , ſi divide in infinite particel le all' infinito . Così può ſenſibilmente rappreſentarſi . Ente uno А + B 1 Ente uno uno ente 2 a + 2b 2A + 2B ente uno uno | ente 3A ente , uno uno | ente 46 4A 4B 3. a 36 3B 1 uno , Come A + B rappreſenta il primo compleſſo immaginario della e dell'ente così 2a + 2b rappreſenta il ſecondo com pleſſo immaginario dell'uno , e dell'ence dedotto dall'ente , o da A , e parimenti 2A + 2B ſignifica il ſecondo compleſſo imma ginario dell'uno , e dell'ente dedotto da B. ANNOT. Qui Platone fuppone darli reciprocazione tra le due pror ( 85 ) propoſizioni l'uno è , è l'uno , nella prima delle quali l' uno è il loggetro , cliente è l'attributo , e nella ſeconda l'ente è il ſoggetto , e uno l'attributo. Perchè legitimamente ſia la reciprocazione del le propoſizioni, biſogna che il ſoggetto ſia tanto ampio , quanto l'attributo , onde può reciprocarſi la propoſizione . Il triangolo è una figura di tre lati; nell'altra ogni figura di tre lati è un trians golo , ma non già ſi reciproca la propoſizione, ogni ternario è nu. mero , perchè non ogni numero è ternario . Il non aver avvertita la legge della reciprocazione fece cader in molti parallogismi tallora i Geometri. Corol. Poichè ogni ente è uno , l'uno ſi moltiplicherà come l'ente , onde potrà dirſi, che l'uno è infinito, o che l'uno è mol ti . Queſta è la prima contraddizione di queſt' ipoteſi , ma è con traddizione immaginaria od apparente , perchè l'uno per sè non è molti , ma è molti per accidente , cioè perchè gli accade di mol tiplicarſi , ſecondo gli enti che lo partecipano , onde non predi candoſi dell'uno nel tempo ſteſſo , e ſecondo lo ſteſſo, gli oppoſti, non ha in sè vera contraddizione. g. 3 . Platone s'inoltra con le nozioni immaginarie . Conſiderando l? uno , in quanto partecipe di eſsenza , lo prende ſecondo ſe ſteſso con l'intelligenza , ſpartato da quello di cui diciamo che ſia par tecipe , cioè dell'eſsenza . Ciò vuol dire , che dell'ente , e dell'uno Platone fi fa quei due idoli caratterizzati per A , e per B. Nel dirli che li prende l'uno coll'intelligenza ſpar; tato dall'ente , s'allude manifeſtamente all'aſtrazioni della mente . $. 4. 1 L'eſsenza o l'ente , e l'uno ſono diverfi. Alcro è l'eſsenza , ed altro l'uno ( : 32. Sez. 2.) Dunque uno in quanto uno è dall'eſsenza diverſo , e l'eſsenza in quanto eſsenza è diverſa dall'ano ; dunque l'uno , e l'eſsenza ſono diverſi ; Co sì può illuſtrarſi tale ragionamento. L'ente o l'eſsenza in quanto eſsenza include la non ripugnan za dei predicati coſtitutivi ; l'uno in quanto uno include l'oppo Gizione ai molti , ma queſti due concetti tra loro non convengo no ; dunque ſono diverfi. 8. 5. ( 86 ) $ . s . L'eſsenza , l'uno , e il diverſo fanno tre concetti o tre coſe trx loro diverſe . S'è già dirnoftrato , che l'uno , el ente non termi nando lo ſteſso concetto ſono diverſi tra loro , ma il diverſo non includendo nel ſuo concetto , che la non convenienza , fa un concet to diverſo , ed in conſeguenza una coſa diverſa dall' altre due ; dunque l'eſsenza , l'uno , il diverſo fanno tre coſe diverſe. . 6 . Si rappreſenti l'uno per A , l'enre per B , e il diverſo per C ne riſultano quindi. Le combi- FA B7 In ogni combi-7 Tre poi eſsendo le combina nazioni di nazione vie zioni v'è ancora A , B ,CAC uno in due Erre volte uno? in ogni com uno in due tre volte due E binazione В С! uno in due tre volte tre Abbiamo dunque dedotto da A , B , C, o dall'ente , dall' uno e dal diverſo il 2.primo pari , il ' tre primo diſpari , dae volte 3 parimenti impari, 3 volce 3 imparimenti: impari. Sipuò an cora dedurre due volte due parimenti pari', e queſte ſono tutte le ſpecie dei numeri . Combinandoſi il 2 il 3 due volte, tre volte e fin quattro volte , ma non altre , ſi compongono tutti i numeri: fino al dieci . It 3* 2 + 2 = 4 2 + 3 2 + 6 = 3 ti 3 2 + 2 + 37 2 + 1 + 2 + 2 = 3 + 3 + 2 3 + 3 + = te : 2 + 2 + 2 +19 1 + 2 + 2 + + 3 = I + 2 + 3 + 4 = 10 II 10 è fatto dall'ı , e dal o , e ſignifica ', che il primo articolo dei numeri termina alla prima decina ; fe ſucceſſivamente alla de cina ſi aggiunge l'i , il 2 , il 3. ec. ſi arriva alla ſeconda decina , e collo ftelso metodo alla terza , alla quarta ec: fino al 100 , che è la decima decina da cui ſi va fino a 1000 , o 10 volte 1oo ec. I Pita ( 87 ) I Pittagorici chiamavanol yno il finito , come quello che li mitava l'infinito o l'indefinito ad una tal ſpecie o forma : dot trina , dice nel Eilebo Platone , la quale diſcende dagli Dei ; queſta è , the tutte le coſe tengono in loro fteſſe il termine, o l'infinito innato ; o piuctoſto l ' indefinito . Lo rappreſentavano nella materia i Pittagorici, e lo ſimboleggiavano nel 2 , o nel binario , poichè ogni coſa ſteſa è divit bile in due e ognuna delle parti in altre due , ; e così all'infinito . Quando a queſto infinito s'aggiungea luna , che vuol dir la forza o la forma ſe ne faceva il compoſto che era l'altro principio , di cui par la Platone; queſto compoſto dețerminato a una ſpecie dalla for ma componeva un tutto , in cui vera principio , mezzo , e fi në . Lo diffegnavano i Pictagorici per il 3 , e lo chiamavano numero perfecto , medio , e proporzione ; oſſervò S. Agoſtino che numerando fino al 3,, € rapportando prima il 2 all'1, ed indi al tre nel comporſi la proporzione continua , aritmetica fi forma per la replicazione del 2 il 4 , numero che immediata mente luccede al 3 , ciò che non ſi ha negli altri numeri, per chè cominciando la proporzione aritmetica dal.2 chi replica il 3 non fa il numero che immediatamente lo ſegue od il 5 ma il 6 ; nel continuare la proporzione con queſto metodo i numeri riſultanti ſempre più ſe n'allontanano . S. Agoſtino per ciò offerva co'.Pittagorici , che la perfezione dei numeri è ne quattro primi , in cui gli eftremi ſono intimamente uniti ai mezzi , e i mezzi agli eſtremi . Quindi le più perfecte conſo nanze muſicali, ſono fatte dei primi quattro numeri 2 3-4 , 1 ' 2'3 ? ſ. 7 . Se l'uno è , egli è ogni numero . Nella combinazione dell'uno , dell'ente , e del diverſo fi de ducono tutti i numeri ( 9. 6.), Dunque nell' uno , in quanto è , vi ſono tutti i numeri, ; Carol . Il numero eſſendo molti nell' uno , in quanto l'uno è . , egli contiene moltitudine, e perchè i numeri fono infiniti nell uno che è , vi farà una moltitudine infinita . COROL. 2. Il numero in moltitudine infinita , eſſendo inclu ſo nell'uno che è , farà egli partecipe d'eſſenza . Si prenda la ſerie naturale de numeri 1 , 2 , 3 , 4 , 5 , 6 , 7 ec. fino al oo unità eterogenea alla prima, e da cui fi comincia l'alcra ferie 200 , 30, 40 , fino 200 = 60 altra unità eterogenea , da cui comin ( 88 ) . cominciali, un' altra ſerie 2 co ' , 300'ec. ſino a o , e cosi all' infinito . Se di queſte tre ſerie ſe ne fa una ſola ſi ha 1.2.3.4.5 ec . co ' ... 00 ? ... oo ... , fino ad in cui ſi potrebbe cominciar di nuovo la numerazione . Cominciando da uno , li può con le frazioni continuar la ſe . rie decreſcente con lo ſteſſo ordine che l'altra , onde 1 I 1 ec . • • ec. fino 3 4 5 I 1 I I I wec . 4 Combinando la ſerie dei finiti intieri , rotti , e degli infiniti matematici , e immaginarj , fi ha tutta la ſerie . ec. 1.2.3.4 ec. co oo oo ' ec. 0° 5 4 3 2 In queſte eſpreſſioni non v'è errore , purchè non s' attenda , che alla proporzione delle quantità , nè ſi realizzino i ſimboli . Ma non biſogna credere , che la numerazione ſia terminata , po tendoſi concepire , e tra gli intieri, e tra rotti , e tra gli infi . niti dei mezzi proporzionali, i quali ſono , come ben prova il Ba rovio , veri numeri ( ſe ben noi non poſſiamo eſprimerli ) perchè ſimboli di vere quantità, come i numeri , ointieri, orotti , e gli infinitamente grandi, egli infinitamente piccioli. Platone , al dir d'Ariſtotele , poſe i due infiniti ( a ) magnum & parvum , e queſti, come ben ancora lo riconobbe il P. Grandi , ſono gli infinita mente grandi , e gli infinitamente piccioli dei moderni Geome tri ; infiniti replico immaginarj , de' quali con tanta chiarezza trattò il Wolfio nell'Ontologia , ſgombrando tutte le difficoltà' che v'oppoſero coloro, che non ben inteſero queſte due ſpecie d'infiniti Platonici , caratterizzati da profondi Geometri con tan to utile della Geomecria , della Mecanica , ed altre parti delle Matematiche . Queſti due infiniti di Platone non ſono diverſi dai grandiflimi, e menomiſlimi , di cui qui parla . 8. 8 . In quanti luoghi è l' ente , in tanti è l'uno . Se l' uno è egli accompagna ſempre l'ente , ma non v'è ente , che non ſia in qual che luogo ( 9.12. Sez, 2. ) Dunque in quanti luoghi è l'ente , in tanti è l'uno . a ) Plato vero duo infinita magnum & parvum . Arift. 3.Phiſ. c .4 . § . 9: ( 89 ) g. 9. Se l' uno è , non ſolo ' egli è l'uno , ma un certo uno. Ogni ente ſingolare partecipa dell'ente , dunque dell'uno ; dunque come ogni ente ſingolare è un certo ente , ogni ente ſingolare è un certo uno . ČOROL. Si compartiſce dunque l'uno , non ſolo con le coſe in genere , ma con le coſe ſingolari , onde v'è l'uno , e il tal uno, e a queſto compete , come all'altro , eſfer molti , perchè vi ſono molti enti ſingolari , e compete loro il luogo degli enti ſingolari. g. 10 . Se l'uno è , egli è un uno che è uno , e cert' uno , e mol ci , e parti, e finito , e in moltitudine infinito . Egli è uno , e cert'uno, ſe accompagnando gli enti è in ogni ente, ed in ogni cal ente ; egli è tutto ſe ogni ente , in quan to è , egli è un tutto ; egli è párte , ſe ogni parte dell'ente è jina ; egli è finito , ſe ogni tutto ha i ſuoi limiti, e infinito le contiene in sè tutti i numeri . Annot. Queſte contraddizioni non ſono che apparenti. D. II . Se l'uno è , egli ha principio , mezzo , e fine . L'uno è finito , e tutto, e parte ( S. 10. Sez. 3. ) Dunque ha in sè limiti , perchè ogni una di queſte coſe ne ha ; dunque ha principio , mezzo , e fine. Corol. Dunque l' uno è partecipe di figura retta o roton da , o d'amendue miſta . ANNOT. Come l'uno , di cui quì parla Parmenide , pud effer Dio , o qualche idea divina , fe egli è circonſcritto da tutti i luoghi degli enti, ſe s'individua cogli enti ſingolari, ſe è tutto , parte , finito , figurato ec . 5 Tom . II. m 6. 12 . ( 20 ) Do ? 127 ** Se. l'uno è , egli è in ſe ſtello , e iş altrui ., Ciò che è tutto , comprende tutte le ſue parti ; ma l'uno com prende tutte le ſue parti , dunque l' uno è un tutto ; ma il tutto contien ſe ſteſſo , è l' uno è un turco . Dunque l'uno contiene ſe fteffa . ANNOT. La propoſizione è identica , e vuol dire : un tutto è. un tutto ; o iltutto è nel tucta ; non ſi faccia più attenzione al tutto , mamaall all'uno , e li concluderà , che l'uno è nell'uno . Si com bini poi l'uno, e il cucco , e ſi concluderà, che come il cutto è in ſe ſtello , così l'uno è in fe fteflo . Quel che è in ſe ſteſſo , egli è in ogni ſua parte , ed in tutte le parti, ma il cutto non può eſſer in niuna parte, perchè il più au conterebbe pel manco , nè meno il tutto può eſſer in tutte le par ti , perchè ſe in cutie, farebbe ancora tutto in ciaſcuna, dunque il tutto non è in ſe ſteſſo , ma l'uno è il cutto ; dunque non è in fe fteflo . Ogni coſa è in qualche luogo, perchè ciò chenon è in qualche kuogo è nulla ( S.12. Sez.2.) e quel che è in qualche luogo è in fe felio , o in altrui, perché non li dà mezzo ; mas'è dimoſtrato che ſe è l'uno egli non è in ſe ſteſſo , dunque è in altrui ; ma di ſopra s'era pur dimoſtrato, che egli era in le ſtello ; dunque è in ſe ſteſſo , ed in alcrui . ANNOT. Non v'è quì che contraddizione apparente , perchè quando ſi dimoſtra, che l'uno è in ſe ſteſſo , ſi conlidera che l'uno è un tutto le cui parti fon tutte inſieme, quando all'incontro fi confidera , che l'uno è in altrui, non ſi concepiſce il tutto con le párti pret inleme, ma come quello che non è in niuna delle ſue parti . S. 13. Se P upo è , egli fta , e ſi muove . Quel che ſta è ſempre in ſe ſteſſo, perchè da lui non mai & di parte ; ' ma l'uno eſſendo nell' uno , non ſi diparte mai da fe ftef ſo ; dunque è ſempre nello ſteſſo ; dunque fta. Quel che è ſempre in altri non è mai nello ſteſſo , e non eſsendo nello ſteſso mai non fta , e non ſtando ſi move , ma l' uno non è in ſe ſteſso , ma ſempre in altrui ; dunque ſempre fi move . ANNOT. Non è pur queſta , che contraddizione apparente . . 14. ( 91 ) $. 14. 1 e il Una coſa comparata all'altra , o è la ſteſsa , o diverſa , o è par te di quella coſa conliderata come tutto , od è tutto , conſiderata 1a cofa come parte . Così dice Platone, e par conſiderar lo ſteſso , e il diverſo relativamente alle qualità ſolamente, e la parte , cutto relativamente alla quantità. Se dunque fi dimoſtraſse , che una coſa relativamente a un' altra non foſse, nè tutto , ne pare ce , nè la Ateſsa, ne ſeguirebbe per il metodo d' eſcluſione, che ella fofse diyerſa . g . 15. Se l'uno è , egli è a ſe ſteſso lo ſteſso , ed a ſe ſteſso diverſo . Se egli è in le ſteſso , e fta ſempre , egli è a ſe ſteſso lo ſteſso , ſe egli è in altrui, e ſempre lr move , è da ſe ſteſso diverſo . L'uno non è parte di ſe ſteſso , nè tutto rifpetto a ſe ſteſso , nè l'uno è diverſo dall'uno; or s'è luppoſto , che una coſa compara ta ad un'altra , fe d'eſsa non è tutto , nè parce , nè diverſa ſarà la ſteſsa ; dunque l'uno ſarà lo ſteſso con ſeco ; ma ſe l'uno è in al trui non è ſempre lo ſteſso a ſe ſteſso ; dunque per l' eſcluſione Platonica ſarà egli da ſe ſteſso diverſo'. §. 16 . ne Per eſpor: l'argomento ſeguente in tutta la ſua forza , convie. ne particamente illuftrare i principj da cui dipende . Si ſuppo 1. Che l' uno è da sè diverfo , come da ente nell'ipo teſi, che egli ſia. 2. Che il diverſo e lo ſteſſo , effendo contra rj , uno non può mai eſser dell' altro . Cost lo ſpiego · Molci enti potendo efiftere , od eſiſtendo nel tempo ſteſso , lo ſteſso farebbe nel diverſo , ciò che è impoſſibile , non potendo i con trarj , cioè A , e non A ſtar inleme . Ben ſi vede che qui parla Platone del diverſo , e dello ſteſso aſsoluto , e non relati. vo , quale abbiamo fpiegato nel G. 17. Sez. 2. perchè nulla vie ta , che due coſe non poffino eſser diverſe' nell'eſsenza , nelle quantità , nelle azioni ec. ed intanto eſiſtere nel tempo ſteſso mi Iura eſtrinfeca delle coſe . Non è cosi conſiderando il diverſo aſsoluto , o l'idea del diverſo , e conſiderando lo ſteſso aſſoluto o l'idea dello ſteſso . ; l'uno non può mai ſtar nell'altro , e in conſeguenza la ſteſsa coſa non può mai partecipare nello ſteſso tempo di queſte due idee contrarie . Allude qui tacitamente Par m 2 meni ( 92 ) menide a ciò che ha già dimoſtrato , parlando della participazio ne dell'idee. L'argomento ha tanto maggior forza , quando fi conſiderano gli enti ſeparati dall' uno , poichè ſe foſsero diverfi , per ragion del diverſo participerebbono dell' idea del diverſo che è Tempre una , dal che deduce Parmenide , che non poten do eſser diverſi per la participazione dell'uno nell'ipoteſi di Socrate , non ſono diverſi tra loro . 3. Suppone che le coſe che non ſon uno , non fieno partecipi dell'uno , perchè non ſarebbono uno , ma uno in certo modo. Quì pur Parmenide parla dell'idea dell' uno , che participandofi dalle coſe non è più uno , ma uno con certe circoſtanze, od in certo modo, ma ſe non ſon uno nor faranno eziandio numero , perchè ogni numero è uno . 4. Le coſe che uno non ſono , nè aſsolutamente uno , non poſsono eſser parti dell'uno , poichè l' uno non può eſser parte delle co ſe che non fon uno , nè può eſser tutto , quafi comparato a par ricella. Parmenide alludetacitamente a ciò che diſse di ſopra, che idea non pud eſser participata , nè ſecondo la parte , nè ſecon do il tutto , dal che deduce , che le coſe che non ſon uno ne fono particelle dell' uno , nè ſono all' uno quaſi a particella . Ciò ſuppoſto così argomenta Parmenide col metodo d' eſcluſione . g. 17 . Se l'uno è , egli è diverſo , e lo ſteſso con altre cofe ; all'uno convien il diverſo , aſsolutamente in quanto diverſo , e non all” altre coſe, cui non conviene , che relativamente Dun que l'uno è diverſo dall'altre coſe .; le altre coſe non ſono diper fe dall'uno , nè ſono parci , nè tutto riſpetto all' uno ; dunque fono le Aeſse con l'uno . F. 18. Chi proferiſce lo ſteſso pome una , e più volte ſenza riferirlo a più coſe, come ſi riferiſce nei nomi equivoci, ed analoghi, eſprime fempre lo ſteſso concetto ; dunque nel proferire la voce, diverſo ; applicandola all'uno , confiderato relativamente agli altri , e un' altra volta agli altri conſiderati relativamente all'uno , nell'ado prar lo ſteſso nome s'eſprime lo ſteſso concetto . Quindi dice Par: menide : quando diciamo eſſer gli altri diverſi dall' uno , e l'uno ef ſer dagli altri diverſo , non mai introduciamo il diverſo a figuificar altra coſa , che la natura di cui è proprio nome . $ . 19. ( 93 ) S. 19. s'è gia oſſervato , che fimile è quel che patiſce lo ſteffo ; difts mile quel che patiſce il diverſo ( 9. 20.Sez. 2.) Se l'uno è , egli è ſimile, e diſſimile a ſe ſteſſo , ed agli al tri . L'uno è diverſo dagli altri ( 9. 17. Sez. 3. ) Dunque l'altre coſe ſono diverfe dall' uno , ma non fono diverſe nè più né meno dall'uno , che l'uno dall' altre coſe ( S. 18. Sez. 3. ) e ſe nè più , nè meno, rimane che egualmente fia uno . In quanto adiviene alle uno l'effer diverſo daglialtri, e gli altri dall'uno, egli patiſce la ſteſſo per rapporto agli altri, e gli altri per rapporto a lui; ma ciò che patiſce lo ſteſſo è fimile , dunque l'uno e limile agli altri , e gli altri per la ſteſſa ragione fon fimili a lui . Il diverſo è contrario allo ſteſſo ; ma fi dimoſtro , che l'uno agli altri è lo ſteſſo , e diverſo , ( S. 17. Sez. 3. ) ed è contraria paffione effer lo ſteſſo agli altri, ed effer diverſo dagli altri ma in quanto diverſo parve fimigliante ; dunque in quanto lo Steffo fia diflimigliante , ſecondo la paſſione contraria . E' da notarſi, che l'uno è ſimile agli altri, in quan to diverſo , e diſſimile in quanto lo ſteſſo . S. 20 . Due coſe che ſi toccano ſono preſenti l'una all ' altra , nè tra effe vi ſi frammette un terzo , perchè in queſto caſo non più toccherebbono ſe ſteſſe , ma il terzo frappoſto . Ove due coſe fi toccano , due ſono le coſe , ed uno il contatto , ove tre li toc chino , tre ſono le coſe , e due i contatti ; in ſomma creſcen do i termini creſcono a proporzione i contatti , ſecondo il nu mero dei termini meno uno . Si tocchino tra loro due punti matematici, ' poichè nulla fra loro s'interpone, un punto per ragion del contatto coinciderà con l'altro ; fi facciano toccare da un terzo punto , queſto pu . re coinciderà , e quindi infiniti punti matematici non fanno che un punto , onde de liegue , che la linea non è compoſta di punti , o che i punti ſovrapofti gli uni agli altri non fanno grandezze. Ciò naſce , perchè tutti i punti ſono omogenei ſen za parti , ma ſe vi foſféro degli enti tra loro eterogenei, ben chè non eſteſi, o ſenza parti , nulladimeno poſti gli uni appreſ so gli altri , benchè non componeſſero grandezza , tuttavia fa rebbono più , come ben offervò Ariſtotele . Ciò diede occaſio ne al Leibnizio di compor l'eſtenſione di enti ſemplici , ma ete ( 94 ) eterogenei , o diverſi di ſpecie, che eſiſtendo ſcambievolmente gli uni fuori degli altri coeſiſtano in uno ; quindi per la no zione dell' eſtenſione , convien conſiderare , e più enti che eſi Atano fuori di sè , e che tra loro s'unifcano , e formino uno . Non fanno però un eſteſo ;, perchè fe ben inſieme eſiſtano, non ſono tuttavia tra loro uniti , come allora che liquefatti più me talli ſi confondono in una maſſa . Le partipoi indeterminate dell'eſteſo , conſiderate in aftratto , cioè ſenza far attenzione alla loro fpecie , non diferiſcono tra lo ro , che nel numero . Non ſarà inutile quefta offervazione nel progreſſo. Intanto ſi oſfervi, che l'uno eſcludendo nel ſuo con cetto i più , oi molti, per quanto l'uno ſi moltiplichi per ſe ſteſ fo è ſempre uno , onde egliè il ſuo quadrato , il fuo cubo , ed ogni altra potenza, foſſe anche ella di dimenſioni infinite , e non folo avete un eſponente, ma molti , come le quantità che ſi dicono eſponenziali. $. 21 . Se l'uno è , egli tocca ſe ſteſſo , e l'altre coſe . L'uno è in fe fteſſo , ed in altrui ( 5. 12. Sez. 3. ) In quanto è in fe fteſſo vien impedito di toccar l'altre coſe , dunque tocca fe Hello ; in quanto è in altrui , è nell'altre coſe ; dunque le coccherà . IN ALTRO MODO Una coſa nel coccar l'altra giace appreffo quella che tocca , ed occupa la ſede vicina ; ma ſe l'uno tocca ſe ſteſſo , giace appreſſo ſe steſſo , ed è quindi due coſe , il che non potendo effere, mani feſto è che non pud toccarſi. Le coſe diverſe dall'uno , non potendo effer numero , perchè .non partecipano l'uno, non pociamo mai con l'uno far due , ma nel contatto v'è ſempre almeno due ( 9. 19. Sez.-3 .) Dunque l'uno non toccherà l'altre coſe . : ANNOT. La contraddizione pur è qut apparente, e ſi fa l'ano corporeo nel fupporre , che ei tocchi . Nozione immaginaria . 22. Parmenide ragionando ad hominem con Socrate fuppone la par ticipazione dell'idee, combattuta nella prima parte ; conſidera quindi la grandezza , e la piccolezza, come due ſpecie ſeparate , tra ( 95 ) tra loro contrarie ; ben a cid s'avverta , perchè in queſto conſiſte la deſtrezza del Filoſofo , e la forza del ſuo ragionamento , S. 23 2 os' Se l'uno e , egli non è ně eguale , nè maggiore , në mi nore degli altri enti . Sia l'ente minore degli altri enti , egli dunque participerà dell ' idea della piccolezza , la qual è contraria alla ſpecie della gran dezza . Si concepiſca, che la piccolezza ſia nell' uno , o farà in tutto l'uno , o in alcuna parte di eſso ; fe in tutto l' uno , eftenderà per l'intiero uno tutto al di dentro , che vuol dire lo compenetrerà con la ſua ſoſtanza , o l'abbraccierà con eſtremi li. miti al di fuori, che vuol dire lo comprenderà ; ma ſe la picco lezza s'eſtende al di dentro di tutto l' uno gli è eguale " , e fe lo comprende gli è maggiore , onde la piccolezza ſarebbe nello ſteſ ſo tempo grande, ed eguale contro l'idea di lei . Se la piccolezza è una parte dell'uno , ne ſeguirà , che ella lia di nuovo in tutta la parte , o al di fuori , o ál di dentro quindi che ella fia eguale , o maggiore per le coſe dimoſtrare ; dunque non potendo eſser la piccolezza , nè in tutto l' uno , nè in parte dell'uno , non ſarà nell'uno , onde l'uno non farà pic colo, o minore degli altri enti . Corol. In alcuno degli enti per la ſteſsa ragione non po irà ritrovarſi la piccolezza, onde in queſta ipoteſi non v'è al tra cofa piccola , che la piccolezza ftetsa , ma dove non v'è il piccolo , non v'è neppur il grande, perchè l' uno non è che per riſpetto all'altro ; dunque non vi faranno coſe grandi , trartone la grandezza , e quindi I uno , e altre coſe ſaranno prive di grandezza , e di piccolezza. e S. 24. Se l'uno è , le altre coſe non ſono di eſso nè maggiori, nè minori, nè eguali . Le altre coſe aſsolutamente parlando ſono prive di grandezza, e di piccolezza , dunque, rifpetto alla uno , non fono nè piccole, ne grandi , e per la ſteſsa ragione , l'uno non è nè maggiore , nè minore dell'altre coſe , eſsendo privo di grandezza , e dipiccolezza . 5.125 . ( 26 ) S. 25. Se è l'uno egli farà eguale a ſe ſteſſo , ed all'altre coſe . Non è maggiore , nè minore dell'altre coſe , ma ſe l'uno non è , nè maggiore , nè minore dell' altre coſe , egli per la forza dell'eſcluſione ſarà eguale . §. 26. Se l'uno è , egli è eguale a ſe ſteſſo , ed all'altre coſe. Non avendo in sè, nè grandezza , nè piccolezza , nè eccede rà ſe ſteſſo , nè da ſe ſteſo farà ecceduto , dunque farà eguale a ſe ſteſſo . S. 27 . L'uno è maggiore , e minore di fe ſteſſo . Egli è in ſeſteſſo , dunque li comprende ; dunque èmag giore di ſe ſtello ; eſſendo in ſe ſteſſo, egli è da ſe ſteſſo com preſo , dunque è minore ; dunque è maggiore, e minore di ſe ſteffo . S. 28, Se l'uno è , le altre coſe ſono maggiori , minori ed eguali all' uno . Null'altro v'è , che l'uno , e l'altre coſe , non dandoſi mez zo , ( $ . 12. Sez. 2. ) Quel che è in una coſa è minore di eſſa ( S. 10. Sezione 2. ) e ciò che la contiene è maggiore ; dun que , poi che ogni coſa è in un luogo , ( . 12. Sezione 2) e che altro non v'è che l' uno , è l' altre coſe neceſſariamente ſono nell' uno , o l' uno nell'altre coſe ; ma ſe l' uno è nell' altre coſe , queſte ſono maggiori dell' uno , perchè lo conten gono ; l'uno è minore, perchè è contenuto ; dunque l'altre co le ſono maggiori , e - minori dell’uno : ma s'è dimoſtrato , che l' uno non eſſendo nè maggiore , nè minore dell' altre coſe, all' al tre coſe farà eguale ( §. 24. Sez. 3.) Dunque egli è eguale , mag giore , minore dell'altre coſe. Corol. Egli dunque può eſſere di miſure eguali , maggiori, e minori , riſpetto a sè, ed all' altre coſe. Quindi Ha 1 1 ! ( 97 ) Ha più miſure riſpetto alle coſe delle quali è maggiore , me no miſure riſpetto a quelle delle quali è minore , e pari miſu re riſpetto a quelle delle quali egli è eguale . 6. 29. 9 Paſſa a dimoſtrare Parmenide , che ſe l'uno è , egli è parce cipe del tempo , ed è , e ſi fa più giovane , e più vecchio di ſe fteſto , e degli altri , ed in contrario , e che non è , nè ſi fa nè più giovane, nè più vecchio di ſe ſtello , e degli altri par cicipanti il tempo . Per intendere adequatamente queſte propoſizioni, in cui s'af follano varj principi i biſogna prima ripaffare ciò che fi diſle nel ſ . 3. Sez. 3. 9. 27. Sez. 2. ove fi dimoſtrò . 1. Che chi partecipa dell' eſſenza , partecipa delle differenze del tempo . 2. Che cið che ſi fa più vecchio di ſe ſteſſo , e dell'altre coſe, nel farſi più vecchio , li fa più giovane, e cið per eguali parti di tempo, ag giunte agli ineguali, il che abbiamo dimoſtrato coll' eſempio delle ragioni di e diſucceſſivamente accreſciute di 1. comparando percið le ragioni di į , e di abbiam veduto , che i loro va Iori i ti, eit ! + divengono ſempre minori . Altreſuppoſizioniegli fa ne' ſeguenti argomenti. 1. Il tempo è un fluſſo , da cui ſi fa progreſſo dal pallaco al preſente, e dal pre Tente al futuro , e dall'era all'è , è dall' è al ſarà . 2. Che una coſa che'ſi fa paſſa dal preſente ove è , nel futuro ove ſarà , e perciò nel farli è di mezzo cra l'uno , e l'altro , onde propria mente ciò che è nell' inftante , non ſi fa , ma è quello che è , o , come l'eſprime Platone , una coſa che ha fatto acquiſto del preſente cella di farſi , od è ciò che allora convien che fi faccia . 3. Il preſente è ſempre unito all'uno , perchè è ſempre unito all' ente, dal qual l'uno è inſeparabile . 4. Il diverſo , o l'idea del diverſo è la ſtella coſa ſecondo i principi di Socra te , e percid è ſempre uno, onde quello che non è uno , non può eſer il diverſo , o l'idea del diverſo, onde le coſe diverſe dall' uno , o che partecipano il diverſo, ſono più che l'uno , o hanno in sè moltitudine , e in conſeguenza numero o più . 5. Delle più ſono prima le poche , che le molte , e delle poche prima il pochiſſimo. 6. La coſa che prima li fa è la prima , e le dipoi ſono più giovani delle già fatte innanzi . 7. E' impof fibile', che una coſa ſi faccia oltre la natura , onde in una co ſa che ha principio , mezzo , e fine , prima li fa il principio , indi il mezzo, e poi il fine , che vuol dire , il fine ti fa i'ulti mo. 8. Quel che ſi fa ultimo è più giovane di quel che fi fa Tomo II. il a e ce I 21 S: i n ( 98 ) il primo . 9. Chi ſi fa con tutte le parti infieme d'un tutto ,, fi fa nello ſteſſo tempo inſieme col cutto .. 1 1 ſ. 30. Se l'uno è , egli è , e ſi fa , e non è , nè ſi fa più vecchio , e più giovane di ſe ſteſſo . Se l' uno è participando l'eſſenza , participa del tempo ( $. 3. Sez. 3. ) ma quel che è in tempo , è in un fluſſo continuo o pal ſa dal paſſato al preſente, o dal preſente al futuro ( S. 28. Sez: 3.) Dunque l'uno e continuamente in queſto paſſaggio . In quanto paſſadall'era all' è fi fa più vecchio di sè ;ma nel farſi più vec chio , ſi fa più giovane ( S. 26. Sez. 2. ) Dunque ſi fa più vec chio , e più giovane di ſe ſteſſo . Chi non oltrepaſſa il preſente , nel far progreſſo dal paſſato , nell'avvenire non ſi fa , ma è ciò che è ( $.22. Sez . 4. ) Dunque quando l ' uno tocca primieramente il preſente , non ſi fa allo ra vecchio , ma è vecchio oggimai, Nel toccar il preſente , co me ha prima di lui fatto acquiſto , cefla di farli , od è ancora ciò che avvien che ſi faccia i $. 28.Sez. 3.) Dunque l'uno , quan do fatto vecchio conſeguiſce il preſence , cella di farſi , od è allora più vecchio di ſe ſteſſo , di ciò che era toccando il pal fato ; ma l'uno è di quello più vecchio , onde fi faceva vec chio ; e facevali di ſe ſteſſo , ed il più vecchio è più vecchio del giovane ; dunque allora l' uno è più giovane di ſe ſteſſo quando fatto vecchio conſeguiſce il preſente , ma il preſente è fempre unito all'uno ; dunque l'uno, ed è ſempre, e li fa più vecchio , e più giovane di ſe ſteſſo ; ma facendoſi tale , od ef ſendo in tempo pari ritiene la ſteſſa età , e chi ritiene la ftel fa età , non è più vecchio , nè più giovane ; dunque l'uno eſ ſendo , e facendoli in tempo , non è più vecchio , nè più gio vane di ſe ſteſſo . g . 31 . Se l'uno è , egli è più vecchio dell'altre coſe , o l'altre coſe più giovani di lui . Nelle coſe diverſe , che hanno in sè moltitudine o numero , altre ſon fatte prima , altre dappoi ; ma il primo che ſi fa è pochifiimo, ( 9. 26. Sez. 3. ) e nei numeri l'uno è pochiſſimo , dunque l'uno è facco inanzi alle coſe che hanno numero , o che fono . 1 ( 99 ) fono diverſe dall'uno , o ſono gli altri ; ma il primo che ſi fa è più vecchio , le coſe che dipoi ſi fanno , ſono più giovani ; dunque l'uno è più vecchio dell'alcre coſe , e l'altre coſe più giovani. g . 32. Se l'uno è , egli è più giovane dell' altre coſe , e le altre coſe più vecchie dell' uno . L'uno non può farſi oltre la natura fua ( .9 .,26. Sez: 3. ) Dunque avendo parti, o principio , o mezzo, o fine, ſi fa ſecondo la natura del principio , del mezzo , e del fine , ma il princi pio fi fa il primo , è il fine ſi fa l'ultimo , ma l' ultimo fatto e più giovane dell' altre coſe , e l' altre coſe più vecchie dell' uno ( $. 26. Sez. 3. ) ; dunque l'uno è più giovane degli altri , e gli altri dell'uno . $. 33. Se l'uno è , egli non è più vecchio , nè più giovane dell' altre coſe.. Ogni parte dell' uno è una ; ogni parte del mezzo è una , ed uno è parimente il fine, od il tutto , onde fi farà l'uno , é colla prima coſa che fi fa , ed infieme colla ſeconda, colla ter za ec. onde percorrendo ſin all'eſtremo fi farà un tutto , o 1 uno non eſcluſo nella generazione dal mezzo , non dall' eftre mo , non dal primo, non da altro ; ma ſe l'uno ſi fa inſieme con tutte le parti d' un tutto ha la ſteſfa età con tutti gli al tri ; dunque ſe non è nato oltre la propria natura , non è fac to prima nè dopo l'altre coſe , ma inſieme e fecondo queſta ragione non è più vecchio , o più giovane degli altri , nè gli altri dell' uno . ſ. 34. Se l' uno è, egli ſi fa più giovane, più vecchio di ſe ſteſſo . Se alcuna coſa foſſe più vecchia d' altra , li farebbe ancora più vecchia di ſe ſteffa : A ſia più vecchio di B , nel creſcerfi gli anni ad A , egli & fa più vecchio di fe fteffo , e di B ; dun n 2 que ( 100 ) | 1 que l'uno nel farſi più vecchio dell' altre coſe ſi fa ancora più vecchio di sè ; manel farſi più vecchio , ſi fa ancora più gio vane per la ſteſſa ragione , che creſcendo tempi eguali, la ra gione decreſce ( 5.27. Sez. 2. ) Dunque l'uno li fa più giovane di ſe ſteſſo , ma s'era dimoſtrato , che ſi faceva più vecchio ( S. 30. Sezione 3. ) Dunque ſi fa più giovane , e più vecchio di ſe Iteffo . 1 f. 35 . Se l'uno è , egli non può farſi , nè più vecchio, nè più giovane dell'alere coſe . Ciò che fi fa più vecchio d'un altro , o più giovane, ſi fa più vecchio , e più giovane ancora riguardo a sè ( 1.37. Sez. 3.) ma l' uno non ſi fa , ma è , e più giovane , e più vecchio ri guardo a sè ; dunque non ſi fa , nè più giovane , nè più vec chio riguardo agli altri. Se l'uno è più vecchio , che le altre coſe , ha più lungo tem po dell'altre coſe, ma creſcendoſi il tempo, egli ſempre eccede meno, onde ſi fa più giovane riſpetto alle coſe, delle quali era innanzi più vecchio ; ma ſe egli ſi fa più giovane , quell' altre coſe ſi faranno più vecchie ; dunque le coſe che erano innanzi , e più giovani dell'uno , ſi fanno dell' uno più vecchie , cinè fi fanno più vecchie , riſpetto a quello che era più vecchio ; ma le coſe più vecchie non ſono , ma fi fanno ſempre , perchè la fanno più vecchie , mentre l'uno ſi fa più giovane ; dunque le coſe ſi fanno ſempre più vecchie dell'uno . Le coſe poi più vec chie , parimente ſi fanno più giovani dell' uno più giovane perchè l'uno , e l'altre coſe movendoli in contrario G fanno vi cendevolmente contrarie , cioè le coſe più giovani dell'uno , ſi fanno più vecchie dell'uno che è vecchio , ed all'incontro l'una più vecchio , li fa più giovane delle coſe più giovani ;, ma non, è poffibile che l' uno , e l' altre coſe fieno fatte nè più giova ni , nè più vecchie, perchè le cali foſſero , non più li farebbo no ; dunque le coſe , e l'uno tra loro ſi fanno più vecchie , e più giovani: l'uno li fa più giovane delle cofe , per quello che parve eſſer più vecchio , e prima fatto , l'altre coſe poi fi fanno più vecchie , per quello che ſono ſtate fatte dopo , e ſecondo la ſella ragione : l'altre coſe ancora ſe ne ſtanno riſpettivamente alla uno , come quelle che ſono ſtate più vecchie , e prima dell'uno . Dunque inquanto che nè l' uno , nè gli altri fi fanno , diſtan do 1 ( 101 ) $ do ſempre tra loro di un numero pari, non ſi farà nè l'uno più vecchio degli altri , nè gli altri dell' uno . Ma come decreſce ſempre la ragione dei tempi , o con minor particella ſempre tra loro differiſcono le coſe prime dall' ultime , e l'ultime dalle prime , così è neceſſario che l' altre coſe ſi facciano , e più vecchie più giovani dell'uno , e l'uno dell'altre coſe . Quinci aggruppando in uno tutte le propoſizioni, abbiamo di. moſtrato , che l'uno è , e li fa più vecchio , e più giovane degli altri, e di nuovo non è più vecchio , nè più giovane di ſe ſteſſo e degli altri . Corol. Perchè l' uno è partecipe del tempo , o ſi fa più vec chio , e più giovane , egli è partecipe del quando, del futuro , e del preſente . Dunque era l'uno, ed è , e ſarà , e ſi faceva , e fi fa , e li farà , e ſarà ancora alcuna coſa in lui , e di lui , ed è , ed era , e farà . COROL. 2. Perchè la ſcienza , l'opinione , il ſenſo , la defini zione , il nome , riguardando le coſe che ſono nelle differenze dei tempi , in quanto l'uno è capace di queſte differenze , è ancora fog getto di ſcienza , d'opinione , di fenſo , può definirli, e può no. minarſi . Annot. Qui Parmenide non dà ſcienza, e definizione, ſe non delle coſe ſoggette al tempo , il che biſogna accordare con ciò che diſke ( 9.16. Sez. 1. ) La ſcienza che appreſſo noi è ſcienza del le verità , che ſono a noi dintorno . 9. 36. Riſtringiamo adeſſo in poco , quanto Platone ha propoſto nella propoſizione condizionale, o ſia nell'ipoteſi ſe l'uno è . 1. Diftin le colla mente i due concetti dell'uno , e dell'ence ., 2. Ne com poſe un tutto intellectuale di due parti, o dei due concetçi dell' uno , e dell'ente. 3. Tra loro paragonandoli ne deduſſe il terzo concetto del diverlo . 4. Conclure che nell' uno o è una moltitu dine infinita di numeri , che dividono l' uno a proporzione dell' ente. 5. Che l'uno è tutto , e parte, e finiso , e infinito . 6. Da ciò che è un tutto finito , conſiderò in effo il principio , il mez-, 2o , il fine , e quindi la figura . 7. Da ciò che è un turto , e che il tutto è nel tutto , conclure che l'uno è nell' uno , ed in fe ftel 1o . 8. Da ciò che l'uno è comeparte nel tutto , conclure che è in altrui . 9. Che ſta , e ripoſa , ſe egli è in ſe ſteſſo . 10. Che ſi mo ve , le è in altrui . 11. Che è ſimile a sè in quanto l'uno , è lo ſteſſo che l'uno . 12. Simile agli altri , perchè paciſce d' eſſere co me gli altri . Che è diffimile in quanto cert'uno , e certo ente . 14. ( 102 ) 14. Che è lo ſteſſo , poichè ekſte, ed eſiſtono glialtrienti nello ſteſſo tempo . 15. Che è diverſo , in quanto non ha in sè ciò che hanno gli altri enti. 16. Quindi fimile , e diffimile , perchè patiſce le ſteſſe cofe . 17. Che è maggiore , minore, ed ineguale , e non maggio re , minore, nè eguale dell'altre coſe . 18. Che è , e ſi fa più gio vane, e più vecchio di ſe ſteſſo , e dell'altre coſe , e non è , e non fi fa , nè più vecchio , nè più giovane dell'altre coſe , e l'altre co fe di lui . 19. Finalmente, che dell'uno in quanto è li ha ſcienza ,, ſenſo , opinione , e può denominarſi , e definirſi. Si potrebbe più compendioſamente ridur in poco l'argomento di Parmenide, conſiderando che reciproche ſono queſte due pro polizioni : l'unoid , è l ' uno , per il che ſi può predicar dell'ente ciò che ſi predica dell' uno, e dell' uno ciò che ſi predica dell' en per ragione dei diverſi concetti formali, predicandoſi dell' ente , la parte , il finito , l'infinito , il principio , il mezzo , il fine , la figura , lo ſteſſo , il diverſo , la quiete , il mo to , il limile , il diſſimile , e il maggiore , l'eguale , il minore, it giovane , il vecchio ec. cutti queſti predicaricompereranno pari mente all'uno . Ben ſi vede , che qui non ſi parla che dell' en te corporeo , e degli enti particolari , a cui or compete una co fa , ed or un'altra. il tutto , S. 37: Ma perchè i predicati oppoſti, come il fimile , il diffimile, it maggiore , e il minore non poſſono competere nel tempo ſteſſo all' uno , ed all'ente ſenza contraddizione , Parmenide moſtra che queſti attributi contrari non gli competono nello ſteſſo tem po , ma in diverſi tempi ; tal è la natura di ogni ente finito : gli attributi, imodi, le relazioni, delle quali è capace, non hanno luo go in lui, che ſucceſſivamente a differenza dell'ente infinito , in cui tutte le perfezioni poſſibili , che attribuir gli ſi poſſono , .ftan no in lui tutte inſieme , onde non male con due parole molto energiche , ſebben barbare , ſi chiamò Dio dal Bulfingero , omni tudo compoſibilitatis . Gli Scolaſtici lo chiamarono atto puro , cioè atto ſenza alcuna miſtura di potenza , e quindi diametralmen te oppoſto alla materia che è pura potenza , e talmente pura, che al cuni degli ſcolaſtici la ſpogliano dell'atto entitativo , edell'eſiſtenza . $. 38 ( 103 ) go 38. Se l'uno è ; egli prende diverfi ſtati ſecondo le :: differenza dei tempi . Nel tempo ſteſſo non ſi può participare , e non participare dell'eſſenza , e delle coſe che conſeguono al non participarla , ed al participarla ; or il farli è renderſi partecipe dell' ellenza ; il rovinarli e privarſi dell' effenza ; dunque l'uno non può ne! tempo ſteſſo , e prender , c laſciar l'eſſenza . Dunque la pren de , e la laſcia in diverſi tempi , Quando ſi fa uno , egli perde l' eſfer molte coſe ; quando ſi fa molte coſe ceffa d'effer uno; nel farfi uno , e molte , li fepara , e fi congiunge , qualora ſi fa ſimile , e diffimile , ſi affimiglia , e diffimiglia ; quando ſi fa maggiore, minore , ed eguale , creſce , decreſce, e li pareggia ; quallora movendoſi fi ferma, e quallo ra fermandoſi li move . Or tutte queſte coſe , eſſendo tra loro contrarie , l ' uno non può averle nel tempo ſteſſo , dunque l'ha in tempi diverfi . 9 . 39 Non fi pud paſſar dalla quiete al moto , e dal møto alla quie te , ſenza cangiamento di itato . Un corpo che cangia fuccelli vamente la relazione di diſtanza , che egli ha ad altri corpi vi cini , ha uno ſtato diverſo da quello d'un corpo , che conſerya ſempre a ' corpi vicini la ſteſſa diſtanza. Queſto cangiamento di uno ſtato all' altro ſi fa in tempo ; ma conſidera Platone, che nel paſſaggio dal moto alla quiete, e dalla quiere al moro, v'è un non so che d'improvviſo , e di momentaneo , che ſi conce piſce nell'iſtante del paſſaggio , e non più appartiene al moto , che alla quiete ; non al moto , perchè la coſa ſi concepirebbe ancora in ripoſo ; non al ripoſo , perchè la coſa fi concepiſce ancora in moto , Conclude dunque Placone , che queſta natu ra improvviſa è quaſi ſconvenevole tra il moto , e la quiete ; che ella non è in verun tempo , e a queſta da queſta paſſan do fi muta nello ftato ciò che li move, e nel moto ciò che ſi ri pola . 8. 40. ( 104 ) .. § . 40. Se l'uno è , nell'atto che cangia ſtato , non gli competono più i predicati dell'ente . Nel paſsar l'uno dal moto alla quiete fi muta momentaneamen te , e all'improvviſo , o mutandoli egli non è in alcun tempo ; dunque non ſta nè fi move . Così quando paſsa dall'eſsere alla ro vina, o dal non eſsere al farſi , non è , nè ſi fa , nè fi diſtrugge . Parimente quando paſsa dall' uno in molti , e da molti in uno, non è , nè uno, nè molti , nè ſi congiunge , nè fi ſcongiunge , e paf fando dal ſimile al diſſimile , od al contrario , non è , nè affimi gliato , nè diſlimigliato , e paſsando dal piccolo al grande , ed all' eguale non creſce , nè decreſce , nè ſi pareggia. Annot. Da queſta dottrina ſebben metaforicamente da ' Plato ne eſpreſsa , imparò Ariſtotele ad introdurre tra i principj delle generazioni, la privazione mal a propoſito ſchernità da coloro , che non ne inteſero nè la forza , nè l'uſo . Quando una coſa ha perdute tutte le diſpoſizioni o determinazioni, che la rendevano tale , ella ceſsa d' eſsere la tal coſa , cioè reſta priva di tutto ciò che la coſtituiva , e diſtingueva dall'altre coſe , ma nell'atto ſteſ fo , in cui ceſsa d'eſsere quel che era , comincia ad eſsere ciò che non era , o paſsa dalla privazione alla forma contraria ; queſto ſtato di mezzo che è tra la forma , e la non forma, Platone chia ma natura mirabile , e momentanea , ed è certo , che ella nel fifa far i gradi della noſtra cognizione ci moſtra quelli della natura che non opera mai per falti. Nel Timeo dice : Dovendo eſer l'ef figie delle coſe diſtinta da ogni verità di forma , non fia mai prepa rato quel medeſimo grembo di tal formazione, ſe egli non farà informe di tutte quelle ſpecie , le quali è per ricever da qualche parte , percid che ſe egli faravvi alcuna di quelle coſe che in sé riceve fimiglianza , quando riceverà una natura contraria di quella di cui è ſimile , ovve ro un' altra , affatto malagevolmente la ſimiglianza , e l'effigie di quel la eſprimerà quando moſtrerà la ſua, però egli è convenevole , che di tutte le ſpecie ſia privo quello che ha in sè da ricevere tutti i generi . Siccomequelli che hanno da fare unguenti odoriferi, l'umida materia , la quale vogliono di certo odore condire , di tal guiſa preparano , che * ella non abbia alcun proprio odore . E coloro che vogliono in materie molli imprimerealcune figure, niuna figura affatto laſciano primiera mente apparire in quella , ma quelle cercano in prima di render qan to poſibil fia polite . Ciò ſi rende ſenſibile nelle quantità algebraiche poſitive , e ne gative , nelle quali non ſi paſsa dall'une all'altre ſenza paſsar per 1 1 1 il ( 105. ) o il zero , che non è nè negativo , ne poſitivo , ed è il vero fim bolo della privazione. Nella Geometria il punto matematico equi vale al zero , che è il principio negativo dell'eſtenſione , e dal quale fi comincia la miſura , come l'unità è il principio poſitivo , per cui fi comincia la ſteſſa miſura . Il punto è comune alla linea , che ceſsa per eſempio di eſsere alla ſiniſtra , e comincia ad eſsere alla deſtra , o che termina d' eſser in alto , e comincia ad eſser a baſso ; così egli non è deſtro , nè finiſtro , nè alto , nè baſso . Tut te queſte ſono eſpreſſioni utiliNime, e ſebben noicele rappreſen ciamo per fpecie aliene , come il niente , o l' impoflibile, tuttavia molto fervono a reggere i noſtri ragionamenti. L'origine, e la natura del calcolo delle fuſioni dipende dall'uſo della natura momentanea , ed ammirabile di Platone . In queſto calcolo non ſi cercano , ſecondo il Newtono , le quantità infinita mente piccole , chemainon poſsono determinarſi,ma la ragione del le quantità naſcenti, od evaneſcenti, cioè di quelle , le cui fuffio ni, o velocità nel naſcere, o nel ſvanire equivagliono al zero , il qual ſimboleggia il termine del ripoſo , e il principio del moto il termine del moto , ed il principio del ripoſo . Sieno nel preſen te momento le fluenti quantità y, x ; nel momento ſeguente di verranno ſecondo l' eſpreſſione Newtoniana y toy , ed xtoy, ove o y , od ox eſprimono i momenti delle velocità . Softituite queſte eſpreſſioni in un'equazione propoſta, per eſempio in quel la della parabola yy. =ax , quefta fi caogierà nell' equazione . yy + 2 oyy tooyy = oaxtoax o cancellando gli eguali 2oyy tooyy = oax , e cancellando il comune o 2 yyt oyy = ax Sin che la quantità efpreſsa per o reſta finita , non può mai de terminarli la ragione delle quantità che fluivano, ma nella ſup poſizione che ella s' annulli , come nel caſo dell' ultima o della prima velocità delle grandezze , ove o s'eguaglia a zero , fi ha 2 yy = ax , e ponendo l'equazione in analogia 2 y.a:: x.y ragione determinata , con cui le qualità cominciano o termic nano di Auire. Il Newcono ſpiega più a lungo queſte coſe nel ſuo trattato delle Curve, e lo ſpiega non chiarezza il Ditton nell'inſtituzione delle Auſſioni ; baſta a me d'averlo quì accennato , per moſtrare che agli antichi non man cavano quell' idee , che i moderni hanno poi ſviluppato , carat £ erizzandole con canta utilità delle ſcienze , e delle bell'arri . Tomo II. 5. 41, ( 106 ) S.' 41, 1 Platone preſuppone nel ſeguente argomento , che la partenon è parte nè di molti , nè di tutti , ma di cert'una idea , e di cert'uno che chiamiamo tutto , ed è un cutto fatto da tutte le parti , e in sè perfetto , Dalla parola idea lice argomentare , che qui non fi craica che dei concetti, con cui fi concepiicono i molti, e il tutto , e le parti . L'idea dei molti è l'idea dei più aſſolutamente preſi, e com prende egualmente le parti, ed i tutti , dicendoſi molte, o più parti, molti o più molti. L'idea del tutto è l'idea dell'uno più riſtretto in un certo numero , o riſtretto in cerci limiti ; idea della parte è l'idea d'uno incluſo in queſti più già ridoc ti. Non ſi pud quindi rigoroſamente parlando dire , che la par te ſia parte di molti , perchè conſiderandoli ſecondo la loro propria idea, non fanno ancora il tutto a cui ha immediata re lazione la parte , Nel dir dunque Platone , che la parte non è parte di mol ti , allude ai modi , o ai più vagamente preli , e nel dir che la parte è parte del tutto , allude ai più riſtretti ; ne' più , come s'accennd , vi ſono incluſe indifferentemente le parti , ei tutti, onde ſe la parte foſſe parte dei più , potrebbe eſſer parte di ſe Iteffa . Aggiunge Platone , che ogni parte non è parte di qualun que uno ma d'un cert' uno , cioè di un certo tutto . La par te del triangolo non è la parte del quadrato , nè un ſoldato che è una parce d' un eſercito , è parte di una proceſſione di Frati . Il tutto poi che è fatto di tutte le parti , o a cui non man ca alcuna parte, è perfetto . , Si oſſervi in oltre eſſer lo ſteſſo , il dir molti, o più d'uno ; che ogni coſa quindi o è uno , o più , cioè molci ; che una parte dell' eſtenlione cratca fuori di efla , o feparata da eſſa , eſſendo fteſa , contiene più, e ſe dinuovo ſi ſepa ra in due , una di queſte parti eſſendo di nuovo fteſa , ritiene ipiù . In altri termini ciò vuol dire, che non v'è parte dell'eſtenſione che non ſia diviſibile all'infinito, e come la prima divifione fi fa per 2 , ed indi per 2 i Pittagorici aſſegnavano il 2 , come il fim bolo dell'infinito . Prima che una parte fi ſeparaſſe da una certa eſtenſione , ella riteneva il nome di parte , ma quando è ſeparata , e che di nuovo ſi divide , ella non è più parte , ma tutto . Queſti nomi di tutto , e di parte ſono ſempre relativi ; coloro per ciò che definiſcono l' eſtenſione , ciò che ha parti fuori" di ? par ( 107 ) parti , null' altro dicono ſe non che l' eſtenſione è l'eſtenſione , perchè non ha parti ſe non ciò che è eſteſo . Molto peggio fan no coloro , che ſuppongono , che l' eſtenſione eſſendo compoſta di una infinità di parti fteſe , ſia compoſta d'una infinità di ſo . ſtanze tra loro tutte ſeparate , perchè l'idea dell'eſtenſione null hache di relativo , e ſuppone la coſa aſſoluta ,' o la ſoſtanza , su cui la relazione ſi fonda . Il corpo fiſico , e mecanico non ſono pura eſtenſione , come il geometrico, ; perchè nel corpo fiſico v'è la forza , o la for ma, e nel mecanico il peſo , origine delle proprietà , e dei lo ro fenomeni. . 8. 42. Se l'uno è , le parti in quanto parti ſono parti dell' uno , o partecipano dell'uno . Le parti non poſſono eſſer parti di le ſteſſe , nè di molti ( $. 40. Sezione 3. ) dunque dell' uno, il che è dire , che partecipano dell' uno . §. 43, Se l'uno è , il tutto in quanto tutto partecipa dell' uno . Il tutto cui nulla manca delle tre parti è uno ; dunque par tecipa dell'uno . Corol. Il tutto dunque , e le parti partecipano dell' uno , e ciò ſignifica un non so che di ſeparato da gli altri , ma eſiſten; te per sè , ſia egli qualunque coſa. ANNOT. Non par egli, che Parmenide nel dir , che queſt' uno ſia ſeparato dagli altri , e per sè eſiſtente , alluda all'idee feparatę che ha combattute nella prima ſeſſione '? Se non vuol ciò dirſi , come contrario alla profonda Filoſofia d'un sì grande Uomo, non ne liegue egli , che parlando qui con Socrate , parla bensi col fuo linguaggio , ma nel tempo fteffo incende di favellare fecondo le attrazioni della mente . 0 2 9.44. ( 108 ) 8. 44. Se l'uno è , le cofe che partecipano dell' uno fono altra coſa che l'uno . Niuna coſa può effer alcun uno fuor che lo ſteſſo uno ; dunque ſe le coſe partecipano dell'uno , che vuol dire , non ſono lo ſtes fo uno , bifogna che fieno un'altra coſa . COROL. Dunque le coſe che partecipano dell' uno fono de verſe dall'uno . S. 4.5. Se l' uno è , le coſe che partecipano dell'uno , ſono in moltitudine infinite . Se le coſe che partecipano l'uno ſono diverſe dall' uno , non ef fendo uno nè più d'uno non faranno niente ; ma non fon l'uno , dunque più d'ano , dunque ogni parte d'uno , include in eſſa i più, e queſti altri più , e così in infinito , dunque le coſe clre parteci pano l'uno , ſono infinite in moltitudine . COROL. Poichè il più include per fua natura la moltitudine in finita , ogni parte che d'eſſo ſi tragga fuori con l'intelligenza le ben piccoliflima rifpetto all'altre , ſarà in moltitudine infinita . ANNOT. Platone dice da quelle ( cioè dei molti ) trar fuori con r* intelligenza alcuna cofa piccoliffima . In qual altro modo pud egli meglio indicar l'aſtrazione della mente .? nel dir Platone , che confiderando la diverſa natura della fpecie fecondo ſe ſteſſa quanto di lei vediamo, fia egli infinito , e in moltitudine , altro non ſignifica con la diverſa natura , ſe non che ogni parte dell' eftenfione include in sè più , e queſti altri più , e infiniti in . moltitudine . 1 g. 46. Se l'uno è , la parre in quanto parte è diverſa dell' uno , per chè l'uno è per sè indiviſibile , e la parte per sè divifibile . 8. 47 ( 109 ) S. 47. Se l'uno è , le parti ſono più che l' uno . Le parti diverſe dell'uno , ſe non ſono uno , o più d'uno , nulla ſaranno , ma ogni cofa è uno o più ; dunque ſe le parti diverſe dall uno non ſon uno , ſaranno più che uno . S. 48. Se l'uno è , le parti che lo partecipano hanno termine tra loro , e riſpetto al tutto , e il tutto riſpetto alle parti . Ogni parte è una, ogni tutto è uno ; ſe l'uno e l'altro parte cipa l'uno ; ma quello che è fatto uno ha un termine . Dunque ec. Corol. All' altre coſe , che all' uno , avviene che partecipan do dell'uno , e di loro ſteſſe, ſi fanno in loro cert'altra coſa, il che dà loro il termine , ma la natura loro che include i più , è per eſſenza infinita in moltitudine; dunque le altre coſe che l'uno tutte ſecondo le particelle loro , ſono infinite in numero , e par tecipi di termini. g . 49. Se l'uno è , le coſe che partecipano l'uno , fono fimili, e dil ſimili, ſi movono , e ſi fermano , od hanno altre paſſioni con trarie , Le altre coſe che l'uno , ſono tutte infinite , o indefinite , fe condo la loro natura , onde tutte patiſcono lo ſteſſo, ed aven do cermini , e diverſi termini, patiſcono il diverſo , ma il limi le è quel che patiſce il ſimile , il diſſimile quel che patiſce il diverſo . Dunquele coſe , altre che l'uno , ſono ſimili, e diffimi li . Maſe patiſcono le ſtelle coſe , e diverſe , pariranno anche il moverſi , ed il fermarſi, l'eſſer maggiori , minori , ed eguali , l' eſſer più vecchie , più giovani ec. e 3. 50 Riepilogando le coſe dette , abbiam dimoſtrato che ſe l'uno che in quanto lo partecipano ſon d'ello parti. Che il tutto dal le parti riſultante partecipa pur dell' uno ; che le parti parte cipanti del tutto , è dell' uno ſono infinite in moltitudine, che han ( 110 ) . hanno termine tra loro , e rifpetto al tutto, come il tutto l'ha riſpetto alle parci, onde nel patir le coſe ſteſſe , e diverſe ſono ſimili, e diffimili , ſi moyono, e fi fermano . Paſſa a confiderar Parmenide nella ſuppoſizione , che sia l'uno , coſa adiviene alle coſe che non partecipano l'uno . g. 58 . Se l'uno è , e le altre coſe che non partecipano l'uno, non ſono nè tutto , nè parii , nè fimili, nè diffimili , nè le ſteſſe nè diverſe, non ſi movono , non fi fermano , non ſi fanno , non ſi diſtruggono, non ſono , nè maggiori , nè minori , nè eguali , nè vecchie , nè giovani . Si concepiſca l'uno ſeparato dall'altre coſe , cioè fi concepi ſca che le altre coſe non lo partecipano , non vi ſaranno mol ti , perchè ognun de molti è uno ; non vi ſarà numero , o mol titudine ordinata che principia dall’uno, il quale ſucceſſivamen te li va aggiungendo a ſe ſteſſo , e fa ogni numero uno nella fua fpecie ; non vi ſarà tutto , che è una moltitudine riſtretta in uño ; non vi ſaranno parti , ognuna delle quali è uno ordi nata ad un altro uno ; non vi ſaranno coſe limili, nè diffimi li, nè le ſteſſe , nè diverſe con l' uno , perchè ſe teneffero in se -ſimigliznza , ediffimiglianza , comprenderebbono in sè due ſpecie tra loro contrarie , onde non eſſendo partecipi di due , nemme no lo ſarebbono di due contrarj ; non poſſono eſſer quindi le coſe nè ſteſſe, nè diverfe , nè moverſi , nè formarſi , nè diftrug. gerſi, nè effer maggiori, giovani , e vecchie , perchè eſſendo ſem pre partecipi di due coſe contrarie ſarebbono partecipi di nu mero . ANNOT. Queſto è lo ſteſſo che concludere che l' uno traſcen dentale , eſſendo inſeparabile dall' ente , è lo ſteſſo tor dalle coſe l' uno , che l'ente , od annullarlo . g. 52. 1 Parmenide ha ultimamente conſiderato , coſa accaderebbe alle coſe, ſe non vi foſſe l'uno , che per ipoteſi ſtabili . Or cangia ipoteſi, e cerca , coſa accaderebbe alle cofe fe non vi foſse l'uno . Queſte due ipoteſi ſembrano diverſe , ma ricadono poi nello ſteſso , perchè canto è annullar le cote ſeparando da loro l' uno che è , od eſsere ſi concepiſce , quanto annuliarle ponendo le co ſe , e negando l'uno . SE ( 111 ) 1 SEZIONE QUARTA. B. I. Uando per eſempio fi dice grandezza, e non grandezza, QI si dicono due coſe oppoſte , e tra loro contrarie , poichè la non grandezza diſtrugge ciò che la grandezza pone o in natu ra , o nella mente ; le fi fanno quindi le due propoſizioni, la grandezza è la non grandezza non è , tutte e due ſono nega tive, ma l'una è d' un ſoggetto finito , e determinato , l'altra d'un ſoggetro infinito , e indeterminato. La grandezza é il ſog getto di decerminata ſignificazione , la non grandezza di ſignifica zione indeterminara, perchè non grande è il piccolo , non grande il punto , non grande l'unità ec. Or il determinato è contrario all indeterminato ; dunque, come ben oſservò Marſilio Ficino , le due propoſizioni, la grandezza è , la non grandezza non è , ſono con trarie , ſebben l’una , e l'alcra fieno negative . Lo ſteſso debbe dirſi delle due propoſizioni, l'uno non è , il non uno non è , egeneral mente della propoſizione A non è ; non A non è : nella pri ma ſi nega ad A l'eſere , nella ſeconda ad A che fi nega , ga l'effere . Negar ſemplicemente una coſa , e negare la nega zione, ſono coſe tra loro contrarie . La propoſizione all'incon. tro A non è , e l'altra non A è , ſono equivalenti , perchè nel la prima di A fi nega l' eſſere , nella ſeconda fi afferma , che ad A fia negato l' eſſere. Affermare la negazione è lo ſteſſo che negar la cola ; dunque equivalenti propoſizioni ſaranno, l'uno non è , il non uno è . E' poi da oſſervarli, che le negazioni, e pri vazioni ſi conoſcono per le loro realtà oppofte , la cecità per la vi fione , le tenebre per la luce , non A per A. ſi ne B. 2 . Se l'uno non è , nel pronunziar la propoſizione ai concepiſce chiaramente e diſtintamente , che l'uno non fia , o li ha fcien za di ciò che s'eſprime, e s'eſprime qualche coſa diverſa dall' altra , l'uno è . Le privazioni , e negazioni ſi concepiſcono chia ramente , e diſtintamente per le loro realtà oppoſte , dunque il non uno per l' uno ( J. 1. ) ma la propoſizione il non uno è , è, equivalente all'altra l' uno non è , dunque queſta propoſizione l' uno non è , fi concepiſce chiaramente e diſtintamente , o li ha ſcienza di lei . La propoſizione l'uno non è , è diverſa dall' altra , 3 uno ( 112 ) ! $ 1 1 uno è , e chiaramente , e diſtintamente ſi concepiſce la loro diver ſità ; dunque nel dir l' uno non è , ſi concepiſce qualche coſa di diverſo . Platone così lo dice : eſprime primieramente alcuna coſa che ſi può conoſcere, poſcia differente dall'altra , colui che dice uno , aggiungendovi l'eſfere, oil non eſſere , perciocchè non ſi conoſce meno , ciò che fia quel che ſi dice non ellere, e come ſia certa co fa differente dall'altra . Corol. Può dunque predicarſi dell' uno la ſcienza , e la di yerſità . S. 3 . Se non è l'uno, o ſe il non uno è , il non uno partecipa delle coſe che di lui ſi predicano , e non le partecipa . Del non uno è , ſi predica la ſcienza , e la diverſità ( Cor. ant. ) dunque partecipa di queſte coſe, mapoichè egli non è , non aven do eflenza , non può participarle , perchè il non ente non ha pro prietà , dunque non le partecipa ; dunque le partecipa , e non le partecipa . COROL. Così s'eſprime Platone : Il non ente è partecipe di sé , e d'alcuna coſa , e di queſta , e con queſta , e di queſta , e di cut te le coſe sì fatte; concioliachè non li direbbe uno , nè le diverſe coſe dell'uno , ne avrebbe egli alcuna coſa , nè alcuna coſa fi chia merebbe , ſe non foſſe partecipe di alcuna , nè di queſte altre nondimeno è impoſſibile che ſia l'uno , ſe egli non é , ma niuna cofa vieta , che non ſia partecipe di molte coſe, ed è neceſſario ancora ſe è quello l'uno , e non altro , ma ſe non è , nè l'uno , nè quello non ſarà egli ; non ſi dirà nulla di lui , ed il ragionamento farà d'altra cofa , ma ſe fi ſuppone che quello uno non ſia , è ne ceſſario che ſia partecipe di lui , e di molte altre coſe , . 4 . Se il non uno è , il non uno è ſimile a ſe ſteſſo , e diffimile all'altre coſe, ed al contrario . Il non uno convien col non uno , dunque con ſe ſteſſo ; dunque è ſimile a ſe ſtello . Il non uno è diverſo dall'altre coſe che parte cipano l'uno , dunque è diffimile dall'altre coſe ; ma il non uno non eſſendo , non può aver proprietà d'effer ſimile , nè diffimi le , dunque ec. 8. S. 1 ( 113 ) § . 5 . Se il non uno d , egli è eguale, ed ineguale all' altre coſe , e nel tempo ſteſo eguale , ed ineguale . Gli eguali ſono fimili nella quantità; ma il non uno non ha ſimiglianza con l'altre coſe, dunque non ha egualita ; ma ſe egli non è eguale agli altri, gli altri non ſono eguali a lui , dunque è loro ineguale ; ma gl' ineguali partecipano dell' ineguaglianza , cioè di grandezza, edi piccolezza ; dunque l'uno che non è , egli è grande , e piccolo ; ma tra il grande, e il piccolo ſi frammetter eguale , e chi ha grandezza , e piccolezza , pud ancora aver egua glianza; dunque l'uno che non è può participare di queſte coſe; ma s'è dimoſtrato , che non le partecipa, dunque ec. 5. 6. Se l'uno non è , ha in certo modo l'eſſere , o s'attri buiſcono a lui coſe che l'hanno.. -. Nel dire che l'iuno non è , ſi ha ſcienza di cid che ſi dice ; nel dir che è , diverſo dall' uno , che è , e dall'alcre coſe ; che è fimile , non fimile ; diſſimile , non diſſimile dall' altre coſe ; eguale , no eguale, fi profeſſa di concepire, e di pronunziare il vero , ma eſprimendoſi , e pronunciandoli queſte coſe a guiſa di enti , all'uno che non è s' attribuiſcono in queſto modo, onde egli ha in un certo modo l'eſſere . B. 70 Queſta propoſizione : il nulla è nulla , il nulla non è nulla , equivale a queſte altre due : il non ente è non ' ente ; il non ente non è non ente . La prima di elle è affirmativa, ed iden , tica , perchè fi afferma il nulla di ſe ſteſo, la ſeconda è nega tiva , perchè ſi nega il nulla del nulla , che vuol dir , ſi affer. ma qualche coſa , perche una negazione diſtruggendo l' altra elleno affermano . Nel dire il non ente , non ente , il non en te vien a participare in un certo modo dell effere , affine di ef ſer non ente .. Nel dire all'incontro il non ente non è non en te, il non ente per non eſſere non ente che vuol dir per eſ ſere , vien a partecipar del non eſſere . Così intendo Platone , Tomo II. P allor ( 114 ) 1 allor che dice : il non ente ad eller non ente ba il legame dei non eſſere , fe dee non eſſere, come lente tiene nella ſtella guiſa il legame deli eſere , perchè ei non ſia non ente , affinchè di nuovo ei fia perfettamente, e non ſiapartecipe il non ente delléſenza , del non eſſer non ente , ma dell'eſenza dell'eſer non ente , ſe il non ento fia perfettamente. $ Se l'uno non è , egli partecipa ; e non partecipa dell' eflenza 1 L'ente è partecipe del non eſſere , ed il non .ente dell'eſſe re ( $. 7. Sez. 4. ) ma ſe non è , l'uno é neceffario che ſia par tecipe del non eſſere , affinchè ei non ſia ; dunque appariſce , che l'eſſenza ſia nell' uno , ſe egli non è , e la non effenza ſé egli è . ANNOT. Tutti queſti ſono ſcherzi metafiſici , per dar luogo alle nozioni immaginarie , e quindi alle contraddizioni , che mo ſtrano le coſe impoſſibili ; ben deve oſſervarſi , che facilmente con effe fi cade in quel mirabile , che degenera in puerilità . Platone ſobriamente l' adopra , per dimoſtrare in quali raffina menti sfumavano le dottrine della ſetta Elearica . 9. 9. Se l'uno non è , ha mutamento , e in conſeguenza moto , e non ha moto, Šisru ! L'uno parve ente , e non ente , onde fta così , e non così , dunque fi muta paſſando dall' eſfér al non effer ; dunque ha moto . Ma fe l'uno non è , non è in alcun luogo , perchè ogni en té è in qualche luogo, ma non eſſendo mai in luogo non pudo paſſare da un luogo all'altro , dunque non percid fi move , per che non ſi traſmuta . . io. ( 115 ) : $ . io . Y Se l'uno non è , non ſi altera , e non alterandoli ne ſi muta , nè ſi move . L'uno non eſſendo , non può mai verſare in quello che non è , dunque non alterarſi , poichè ſe l'uno da ſe stello li alceral fe in alcun luogo , non ſi ragionerebbe più deil' uno , ma di cer ta altra coſa ; ma ſe non li altera non ſi rivolge in fe fteffo nè fi muta , nè ſi altera ; dunque ec . ļ $. Se l'uno non è , fta e ſi moồe , e fi altera , Quel che non ſi move ſe ne ſta in quiete , e ſi ferma que gli che in quiete ne fta ; dunque l'ano non effendo, comeapo pariſce ſta egli e li move , anzi movendoſi è neceſſario che ſi alteri, perchè in quanto alcuna coſa ſi move , incanto ſe ne ſta ella non nello ſteſſo modo , ma altrimenti; dunque l'uno mentre fi move ſi altera , e nondimeno non movendoſi in niun luogo in niuna guiſa ſi può alterare ; dunque in quanto fi move" , ciò che non è uno ſi altera ; ma in quanto non ti move , non fi alce ra , dunque l'uno non eſſendo ſi altera , e non ſi altera . $. 12 Se l'uno non è , egli è diverſo da quel che era prima, non ſi altera ; non fi fa , non ci muore , e di nuovo ſi fa , emuore . Cid che ſi alcera è neceſſario che ſi faccia diverſo da quel che era prima , ma quel che non fi altera , non ſi fa në muore ; dunque l'uno , non eſſendo mentre fi altera , e ſi fa , e periſce, ma non alterandoſi , non fi fa , nè muore , nè periſce , ed in do tal guiſa l' uno 'non effendo , li fa , e muore e di nuovo non fi fa , nè muore . §. 13 : Sin ora ha dimoſtrato Platone , che ſe l' uno non è , egli dà di sè fcienza, ed ha in sè diverlicà, che è partecipe, e non par tecipe di altre cole ; quindi lo ſteilo-, e non lo ſteſſo con ſe ſtel р . 2 ( 116 ) ſi move fteffo , ſimile e diffimile nè ſimile , nè diffimile , eguale , ed ineguale, non eguale , nè ineguale , partecipe d'eſſenza , e non partecipe , ſi muta , e non ſi muta e non ſi mo ve , fi altera , e non fi altera , ft fa , c periſce , e fi fa , e non periſce . Tutte queſte concluſioni derivano dalla poſizione, l' uno non è ; l'uno eſſendo inſeparabile dall'ente , ſe non v'è l'uno , nè pur v'è l'ente . OrPente non è , che il poflibile . Annullato dunque il poſſibile reſta l' impoffibile, da cui ſecondo l' Aflioma ſegue coſa , ex impoſſibile ſequitur quolibet , perchè nell'idea aſtrat ta dell'impoſſibile s'includono tutte le contraddizioni . Platone dal conſiderare , che l'uno non ha eſſenza , e non n'è capace , nega tutte le altre relazioni che pud avere . Premetto a ciò che quando diciamo, che alcuna coſa non ſia , nel proferire , queſto non è , fi fignifica ſemplicemente, che non è al tutto in niun modo , e non eſſendo in niun modo , non è capace in alcun modo di eſſenza ; dunque non potrà eſſere il non ente , ne in alcun modo farſi partecipe di eſsenza . §. 14. Se l'uno non è , non può farſi in alcun modo par tecipe d'eſsenza . Quel che non è , ſignifica ſemplicemente , che non è al tur 10 , in niun modo , o non è ſemplicemente capace di eſsenza , dunque fe l'uno non è , non può mai eſser capace d'eſsenza . . 15 : ne la per Se l'uno non è , non pud farſit , nd morire. Chi non è partecipe di eſsenza , non la riceve , nè la de . Dunque fe. L'uno non è , non pud nè ricever , nè acqui ftar l'eſsenza , perchè non n ' è capace ; dunque non periſce , nè fi fa . $. 16. Se l'uno nonè , non fi altera , nè fi move , nè ſe ne ſta , non ha grandezza , nè piccolezza , nè parità, né limiglianza, e dia , verlin ( 11 ) 3 onde eſsenza , non può aver ne grandezza , nèpic marfi. Se verſità riſpetto all' altre coſe , e a ſe ſteſso , nè gli conviene ale cun altro attributo Se l'uno non è , non ſi altera , perchè fi farebbe già , je pe rirebbe potendo queſto ; ſe non ſi alcera , nè men fi move, ſe come non ente , non eſsendo in alcun luogo , non pud ſtar lo ſteſso in alcuna coſa, nè in alcuna coſa fermarſi. Se non ha nè piccolezza , nè parità, eſser ſimile, o diverſo , o rifpetto all'altre coſe , o a ſe ſteſso, nè le altre coſe potranno eſser in lui in alcun modo, gli ſono , nè fimili , nè diffimili , nèle ſteſse , nè diverſe , nè pud ſtar ſeco , non ha il di lui, o ciò che ſi dice di alcuna coſa , o queſto , o di queſto , o d'altrui, o ad altrui , o alcuna volta , o dopo , o al preſente , o ſcienza, o opinione , o ſenſo , o fer mone, o nome, o qualunque altro degli enti . Annot. Sebben ſi oſserva , Platone al non uno toglie tutto quello che ha dato all'uno , conſiderato in ſe ſteſso nella prima Sezione , argomento evidente, che, quando tutti gli altri man caſsero, quì non ſi trarca che delle aſtrazioni della mente , fra miſchiate tallora con le nozioni immaginarie , quali ſono in que fta Sezione , e nel rimanente . Non ci reſta che l'ultima quiſtione, in cui ſi cerca ſe non è l'uno , che accada all'altre coſe . SEZIONE QUINTA,. $ . 1 . S'orser Oſservi tolto. 1. Che ciò che è , o è l' uno , o l'altre co ſe • 2. Che ſe queſte non foſsero ( almeno nella noſtra im-. maginazione , o nella noſtra mente ) di loro non ſi diſputereb be, perchè il nulla non ha proprierà . 3. Che ſe dell' altre li fa vella, l'altre ſono il diverſo , poichè l'altro , e il diverſo ſono fi nonimi', onde diciamo altro non eſser l'altro , che l'altro d'al tri , ed efser del diverſo diverſo , e che per far le coſe altre dalla uno , vi ſi debbe aggiungere qualche altra coſa , onde fieno per eſser altre , di cui ſaranno altre . 3 Tesni f. 2. ( 118 ) S. 2 .. Se l'uno non è , le coſe altre o diverſe dall'uno , non ſono altre. o diverſe , che per ragion di ſe ſteſse .. Nelle coſe altre dall' uno o diverſe dall'uno , vi's include' qual che altra coſa , per cui fieno altre , ma queſta coſa non pud ef ſer l'uno , perchè per ipoteſi egli non v'è. Dunque , poiché non v'è , che l' uno , e l'altre coſe , eſcluſo che altre coſe non fieno . altre per luno ne liegue che ſieno altre per ſe. ftelse , COROL.. Dunque: per ſe ſteſse. ſono ciò che ſono tra se .. , S: 3 Se: l'uno non v'è , le coſe altre dall' uno ſono tali per una moltitudine infinita . Non v'è che uno o i più , dunque le coſe altre o diverſe 1 dall’uno , non potendo eſser altre che l'uno , il quale non v'è per ipoteſi, non ſaranno altre che per i più , cioè per la mol: titudine ; ma il più , o la moltitudine eſsendo per le ſteſsa in finita '; le coſe. altre dall uno ,. ſono alore per una: moltitudine infinita .. COROLLAR . Qualunque mala dunque di loro appariſce in molti-. tudine infinita, e ſe alcuno ſi prenderà ciò che menomilimo pare co. me. Sogno , incontinente in vece di quello che pare uno , ſi fa innangi una moltitudine infinita , e in vece di quella chemenomilimopar ve, apparirebbe grandiſſimo già , ſe il pareggialli ad altre coſe in die Sparte da lui . Cosi: parla Platone : fia prefa qualunque parte d'eſtenſione, el la è diviſibile in due , ed inoi in due , e così all'infinito . Della di viſione di cui è capace il tutto , ſono capaci reſpettivamente le parti , nè v'è particella si minima, che le noi nell' ipotefi che non v'è uno , poteſſimo vedere con un microſcopio miracolo fo ,, non ci pareſse diviſa in una moltitudine infinita di parti , ma tali che nell' iſtante ſteſso , che noi vedeſſimo la parte , la vedremmo attualmente diviſa in altre parti infinite , e cosi all'in finito ; non è che io dir voglia , che vedremmo l'infinito at tuale , perchè non poſſiamo intenderlo , non che vederlo , nè so come il Leibnizio abbia poruto concepir nella più minima par 1 ( 119 ) parte di ciò che egli chiama 'materia , un numero attualmente infinito di monadi" ; biſogna prima provare , che noi concepia mo l'infinito attuale - , ed indi che vi ſieno queſte monadi ; ma ſe vi foſsero , il che io non l' ammetto , che come principio di co gnizione , e non di natura, in eſse , come l'eſprime il nome loro , v è un'unità , che è il fondamento di concepir nella monade innumerabili proprietà ; ma quì nell' eſtenlione Platonica , biſo gna rappreſentarfi ogni parte deſsa ſeparata dall' uno ; ' v'è in ciò contraddizione , ma appunto Platone - la ſuppone per de dur dall'aſsurdo i , l'impoſſibilità di ſeparar l' uno dall'ente . § . 4. Se non è l'uno in ogni maſsa apparente apparirà il numero , e le proprietà dei numeri , l'eguale , il mag giore , il minore. Tolto l' uno dalla maſsa , ci ſi fa come nel ſogno innanzi una moltitudine infinita , in cui ſe ſi vuol ordinar colla mente la moltitudine , vi ſi trova il numero ; quindi il pari, e l' impari ; il picciolo , il grande , il piccioliſſimo , il grandiſſimo., compa rando tra loro le maſse , in cui s'è diviſa la maſsa maggiore , e quindi l'eguale , perchè non ſi può paſsar dal maggiore al mino re ſenza paſsar per l'eguale , ma queſti ſaranno tutti fantasmi d' egualità , di maggiore, di minore, di pari, d'impari ec, come di numero , §. 5. Se non v'è l' uno , ogni maſsa apparente avendo termine appa rente , riſpetto all' altra non ha nè principio, nè mezzo , nè fine riſpetto a fe ftefsa . Si prenda alcuna delle maſse apparenti coll intelligenza , in nanzi al principio , ſe le fa ſempre innanzi altro principio , e dopo il fine, ſegue ſempre un altro fine , e nel mezzo altre coſe ſem pre più interne del mezzo , e ſempre minori , perchè non ſi può ricever in queſta alcun uno , non eſsendo l'uno . Annot. E ' da oſservarſi, che qui Platone dice , prender alcu na coſa con l'intelligenza , cioè aſtrattamente conliderarla í vi ag ( 120 ) aggiunge poi che potendoſi prender la maſsa ſenza l' uno , cioè fenza far aftrazione dall'uno, ſi sbrana qualunque coſa così pre ſa con l'intelligenza , che è quanto a dire con la mente fi* di vide in più parti, e queſte in altre , e così all'infinito . S. 6. Se l'uno non è , preſa qualunque maſſa a chi da lungi la mira groſſamente par uno, ma chi da preffo l'in tende è un infinito in moltitudine . Non potendo noi nulla concepir ſenza l' uno a prima viſta , e da lungi mirato ci par uno , ma da preſſo , e acutamente vedendolo , tolto l'uno, ci rappreſenciamo infiniti . COROL . Se dunque non v'è l'uno , ma l'altre coſe dall' uno , qualunque di eſſe è infinita , e con termine ed uno , e molci . Se non v'è l'uno le altre coſe ci pareranno , e ſimili, e diffi mili , e le ſteſſe , e le diverſe , e unire , e ſeparate , e moverſi, fermarſi ; nè potendo noi concepir le coſe ſenza l'uno le ve dremo , come adombrate da lunge, e patir lo ſteſſo , ed eſſere fimiglianci , mada preſſo molte , e diverſe , e per il fantasma della diverſità diverſe , e diflimiglianti tra loro ſteſſe e pari mente ci pareranno le maſſe ſimili, e diffimili , e da loro ſteſ ſe , e tra di sè , e le ſteſſe , e diverſe tra loro , e che tocchi no, e fieno ſeparate da loro ſteſſe , e fi movano con tutti i mo ti, e ſi facciano , e periſcano , e nell' una , e nell' altra manie e tutte le coſe sì fatte che li poſſono dedurre dalle coſe 7 ra , già dette . S. 7 . Ha dimoſtrato fin ora Parmenide 3 che adiviene alle coſe ſe non è l' uno , cerca poi che fieno gli altri che non ſon uno . 1 § . 8. ( 121 ) $. 8. Se non è l'uno, le alere coſe non ſon uno , ne molti . Non ſono uno , perchè non v'è l' uno ; non ſono molti perchè i molti preſuppongono l'uno . ital 18. s. Se non v'è l'uno , non vi ſarà nè opinione , nè fantasma , ne ſcienza dell'altre coſe. Le altre coſe non hanno alcun concetto con niuna di quel le che non ſono , nè alcuna di quelle che non ſono è appreſso ad alcuna dell'altre che ſono ; dunque appreſſo ad altri non v'è opinione, non v'è fantasma dell'ente , e quindi dell uno ; ma ſe non v'è l'uno , non effendo poſſibile il penſar a molte coſe fen za r uno , neppur èpoſſibile che ſi penſi che fieno uno , o mol ti le coſe . . 10 . Se non vè l' uno , le coſe non fono nè fimili , nè diffi mili , nè le ſteſſe , nè diverſe , nè ſi toccano , ne & ſeparano Non ſi poſſono concepir le coſe ſenza l'uno ; dunque ſe non vi è l'uno , non ſi poſſono concepire , nè ſimili , nè diffimili nè le fteffe , nè diverſe , nè unite, nd ſeparate . COROL. Dunque ſe non v' è l' uno nulla v'è , onde o ſia l' uno , o non fia , ed egli e l'altre coſe ancora ſono , e non ſo no ad ogni modo riſpetto a fe ftelle , e tra di loro , e appajo no , e non appajono . II . Riftringendo in poco tutto ciò che negli ultimi paragrafi s'è eſpoſto , egli è manifefto , che l' uno efiendo inſeparabile dall' ente, ove non v'è più uno , non v'è più d'ente , cioè v'è nul. la , ol'impoſſibile", da cui ſeguono tutti i contraddittorj, qual Tomo II. q Pla ( 122 ) Platone ci eſpoſe per via di nozioni affatto immaginarie ; egli ne fa veder i uſo , e moſtra nel tempo ſteſſo , quanto la fan taſia ſia diverſa dall' intelletto , poichè ella ci rappreſenta una coſa , mentre la mente ragionando ce ne fa concepire un'altra . Si conclude dunque , che Placone in queſto Dialogo non fi af fiffa che a moſtrar ſuſo dell'aſtrazioni della mente , nell' inve ſtigazione dell' idee . 1. Con le negazioni, come fece nel primo capo. 2. Con le analogie dell'altre idee aſtratte; finalmente con le cognizioni dell' idee , del ſenſo , della fantaſia , combinate a quelle della mente. L E T T E R A ALS I G. ABBATE SALIER Primo Cuſtode della Biblioteca DEL RE CRISTIANISSIMO . On dubitate che io ſia mai per dimenticarmi di voi , co N°me alcuni venuti ultimamente di Francia m' accufaro no da voſtra parte ; troppo m'è rimaſta impreſſa l'idea della bontà , e gentilezza voftra , troppo è ſtato vivo il piacere e ſodo il profitto , che io ricavai dalle converſazioni letterarie , che abbiamo fpeſſo avute inſieme , e tra l'altre su l'opere di Platone ; ce ne porgevano il motivo le ſaggie rifleſſioni, che leggevaci l'Ab bate Fraguier , or su l'ironia di Socrate , or ful carattere de'So fifti , or su la Repubblica , ed or su le Leggi, tutti oggetti delle belle diſſertazioni , che egli diede alla voſtra Accademia . Solo la Iciò egli intatto il Parmenide , o non aveſſe il tempo , o la voglia d' applicarſi a ſviluppare un Dialogo , che è il più malagevole di Platone, o temeſſe dioffendere la ſoavità del ſuo genio con l'idee troppo auftere , e filoſofiche , delle quali il Dialogo abbonda . Voi ben ſapete, che per voſtro conſiglio m' applicai a leggerlo con attenzione fin dall'anno 1725. e ne concepii quel fiſtema, di cui állor vi parlai . Venuto in Italia , e diftratto da graviſſimi intereſſi dimeſtici , ne interruppi l'eſame già cominciato, ſebbene negli intervalli io leggeſſi continuamente Platone ; e l'avrete ve duto nel Sogno del Globo di Venere , che il Signor Conte di Cai lus v avrà forſe dimoſtrato in lingua Franceſe tradotto . Di tem po intempo io parlai del Parmenide con gli amici , e mi fi fue gliò il deſiderio di compierne il ſiſtema da me abbozzato all'occa lione del Platone di Dardi Bembo , che ſtampali in Venezia , con P aggiunta delle note e degli argomenti del Serano letteralmente tradotti . Dalla Differtazione preliminare ritrarrete l'idea generale del la Filoſofia Eleatica così celebre per l'acurezza , e per la profon dità de' Filoſofi, come la Jonica per la fodezza dell'eſperienze , e l'Ita ( 124 ) 1 1 ľ Italica per la felice combinazione della Geometria , e dell'A ſtronomia alla Fiſica. Non è difficile ſcoprire, che la metafiſica do Ariſtotele è tratta in granparte in queſto Dialogo , in cui Plato ne abbandona quaſi l' artificio poetico adoprato negli altri , e ſi ſpiega nella maniera più ſemplice, e più preciſa . Nella prima Sef fione io v'oſſervai i tre fonti delle allurdità degli argomenti me tafiſici; il principio di contraddizione, il progreſſo all'infinito , el' annullazione fuppofta di qualche perfezione divina. GliEleatici , che forſe gli inventarono, riconoſceano i limiti dell'intelligenza uma na , e pur era queſta la minor parte della Dialectica loro , la qual vaga va per tutti i lommi generi delle coſe. La quiſtione dell'origine e della natura dell' idee v'è più che abbozzata , e la riſpoſta che so crare diede a Parmenide , su la maggior difficolcà dell' idee , è la ſteſſa che uso il Padre Malebranchio nel medeſimo caſo . Nell'al tre opere s' accuſa il Commentatore di dar troppo ſpirito al ſuo Filoſofo ; in queſta è cutto il contrario , poichè per quanto ſi ſpieghi Platone, vi reſta fempre molto a medicare , e la compa razione del reſto fa ſempre vergogna al commento . Il Ficino , e il Serano , che aſſegnarono al Dialogo un grado di ſublimità Teologica non convenevole , l'hanno sfigurato , e colto agli altri il profitto , che avrebbono potuto ricavare da una ſpe colazione così ben dedocta e conforta nè punto inteſa dai due Commentatori , i quali preteſero che in queſto Dialogo chiama to dell'idee , voleſſe Platone diſputare a pro delle feparate , quan do egli manifeſtamente le rifiuto , tutto riducendo all' Ontolo gia che è la più bella , e la più utile parte della metafiſica In molci errori cadè miſeramente il Carcelio , per averla ab bandonata, eſpregiata ; e non furono dal Leibnizio , ed indi dal Wolfio ridotti al ſuo vero lume i dogmi filoſofici, ſe non dopo che effi s' affaticarono a dimoſtrare , le nozioni Ontologiche eſſer quelle alle quali convien avertire prima d' inoltrarſi nella combinazione dell'idee, e quindineiſiſtemi. Tutti gli uomini pre veggono gli aſtratti ne' concreci, pochi hanno la forza di ſepa rarli, pochiſſimi quella di ridurli in teoria , ed è ſolo riſerva to a' ſommi Filoſofi il farne ſiſtema. Voi molto più vedete in Platone , che io poſſa eſprimere ; in canto vi prego a conſer varmi il voſtro affetto , ed eſſer certo che il mio farà ſempre inviolabile. Antonio Schinella Conti. Antonio Conti. Keywords: Corti’s French letters – Corti’s Scritti Filosofici, Dialoghi Filosofichi, about whether corpori celesti are inhabited -- l’infinito, self-referential, recursion, anti-sneak, regress, infinite regress in the analysis of communication, calcolo finitesimale, calcolo infinitesimale, Enea stoico, Ottavio Stoico, Cicerone stoico – allegoria dell’Eneide, scudo di Enea, Il Parmenide di Platone – assiomatico dell’essere – L’essere e. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Conti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51769801147/in/dateposted-public/

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