Grice e Ceretti – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Intra).
Filosofo. Grice: “I love Ceretti; and I wish Strawson would, too! Ceretti
distinguishes three stages in the development of a communication system. The
first is very primitive, obviously, and avoids the reference to ‘io’ and ‘tu’
as metaphysical – ‘hic’ and ‘nunc’ will do. The second stage he says may be all
that some societies need – ‘green’ for this plant – The third stage involves
the general concept of ‘plant’ and this is where a soul-endowed entity (animal)
can refer to a plant or to an animal like himself or his companion – at this
last stage, Ceretti speaks of ‘soul’ (anima), and the affectations of the mind
being what is communicated – if that’s not Griceian, I do not know what is!” --
I suoi genitori, Pietro e da Caterina Rabbaglietti, di condizioni agiate, lo
affidarono all'insegnamento privato di ecclesiastici e successivamente ai
docenti del seminario di Arona dove si distinse per il suo carattere
refrattario ai vecchi metodi didattici e ribelle alle rigide regole di
disciplina. Quasi al termine degli studi si appassiona all'approfondimento
della lingua latina e alla composizione di poesie che lo fecero conoscere come
poeta a braccio. Frequenta come alunno esterno un collegio di gesuiti a Novara
dove risulta primo in retorica tanto che il suo maestro lo spinse a comporre la
tragedia “Il duca di Guisa” sulla base della Storia delle guerre civili di Francia
di Davila. Soggiorna successivamente a Firenze dove ebbe modo di frequentare i
membri del gabinetto Vieusseux.
Dedicatosi agli studi scientifici e storico-filologici e soprattutto a
quelli filosofici, scrisse il poemetto incompiuto Eleonora da Toledo dove dà
prova di penetrazione psicologica dei personaggi e di abile descrizione
ambientale. Nello stesso periodo compose poesia a contenuto filosofico, il
romanzo “Ultime lettere di un profugo” sul modello foscoliano, e infine le
riflessioni “Pellegrinaggio in Italia”, nate a seguito di numerosi viaggi
avventurosi per l'Europa in compagnia di zingari e vagabondi, che gli permisero
di apprendere diverse lingue. Opere queste che mostrano la singolarità del suo
mondo spirituale profondamente diverso e in contrasto con quello degli
altri. Soggiorna nella villetta "La
Chaumière", presso Chambéry, dove lavora alla “Pellegrinaggio in Italia” dato
alla stampe a Intra con lo pseudonimo di Alessandro Goreni. Trasferitosi alle
Cascine a Firenze, pubblica “La idea circa la genesi e la natura della Forza”.
Adere all'hegelismo, di cui tenta una revisione in senso soggettivistico in una
grande opera in latino, “Pasaelogices Specimen”, che non riscosse alcun
successo di pubblico. Decide quindi non pubblicare più nulla. Tuttavia continua
a comporre una grande varietà di saggi filosofici. Si dedica esclusivamente
alle meditazioni filosofiche espresse in numerose opere tra le quali i “Sogni e
favole” (Torino), le Grullerie poetiche (Torino) e le Massime e dialoghi
(Torino). La sua opera è stata pressoché
sconosciuta. Solo Gentile gli ha assegnato un ruolo di rilievo in “Le origini
della filosofia contemporanea in Italia” (‘Ceretti e la corruzione dell'hegelismo’).
A lui oggi viene riconosciuta una certa influenza sul pensiero filosofico della
scuola torinese. e sulla formazione della filosofia di Martinetti. A lui è
dedicata la Biblioteca di Verbania. Dizionario Biografico degli Italianim Piero
Martinetti Pietro Ceretti. “La natura logica di tutte le cose” e pubblicata
presso la UTET di Torino. Gentile. Cfr. G. Colombo, La filosofia come soteriologia,
Milano, Vigorelli. Dizionario biografico
degli italiani, Opera Omnia D'Ercole, 15
voll., Torino, Vittore Alemanni, Ceretti. L'uomo, il poeta, il filosofo,
Hoepli, Pasquale D'Ercole, La filosofia della natura di Pietro Ceretti, UTET, Giuseppe
Colombo, La filosofia come soteriologia, Vita e Pensiero, Fiorenzo Ferrari, Il
filosofo di Intra. L'idealismo di Ceretti, in Verbanus, Vigorelli, Martinetti.
La metafisica civile di un filosofo dimenticato, Milano, Bruno Mondadori. L'uomo vuol essere consideralo come l’ultimo frutto, ossia
il massimo sviluppo psichico dell'animalità. Questo massimo sviluppo presuppone
necessariamente i prossimi animali dello sviluppo minore, e cosi via
discorrendo. L'uomo vuol essere, inoltre, considerato come il frutto più
recente dell'albero zoologico. E qui nasce oggidi rispetto all’uomo una
contestazione circa la sua produzione immediata o derivata da’ più prossimi
animali inferiori. Questa contestazione non può ammettersi dalla speculazione,
e neppure dalle discipline naturali empirico-induttive; ma la si agita sopra un
terreno affatto estraneo a quello della speculazione, e della scibilità
empirico-induttiva, fomentata da ogni sorta di passioni, partigiana di religiosità,
di moralità, e così via. È assurdo supporre che una specie si tramuti in una
nuova specie come tale; perocchè le specie sono mere distinzioni teoriche del
nostro intelletto. La natura, come disse un sommo naturalista, non facit saltum;
e conseguentemente la distinzione caratteristica che costituisce le specie
“Homo sapiens” non risulta se non in quanto si prendono in considerazione
termini sufficientemente lontani e si trascurano i termini intermedii. Infatti,
se noi consideriamo gli animali superiori dell'albero zoologico, nei quali le
differenze ci sono più sensibilmente manifeste, troveremo che le specie si
suddividono in razze differenti fra loro sotto varii rapporti, e che le razze
si suddividono in varietà differenti, e che dette varietà si suddividono in
varii individui pur differenti fra loro. Inoltre, troveremo che queste differenze
sono a noi tanto più evidentemente manifeste quanto più si salga alto
nell'albero zoologico, ed a noi più vicina sia la specie che si prende a considerare.
La vera trasformazione della specie perciò non si deve investigare nelle specie
come tali, ma piuttosto nei minimi termini della specie, ossia nella variazione
individuale del specimen. Questa variazione, tuttochè lentissima, modifica col
volgere dei secoli le specie, così come la conchiglia microscopica, variando la
propria natura, varia il terreno che ne risulta. Gli agenti che effettuano la
suddetta progressiva variazione sono di tre ordini, vale a dire: planetarii,
psichici, e spirituali. Questi agenti sono progressivamente tanto più efficaci
quanto più si concretano nella efficacia spirituale. L’agenti del primo ordine planetario
modifica semplicemente il corpo e l’organismo, e indirettamente, ma assai
lentamente, la facoltà istintuale. E un agente puramente planetarii, p . es ., la
natura del suolo e dell'aria, ossia generalmente il clima, la condizione
geografica e topografica, e cosi via. L’agente planetario si possono chiamare
elementare, perocchè opera su tutta l'animalità senza distinzione veruna, e
sono presupposti dagli altri agenti succennati. Si può dire in tesi generale che
gli animali inferiori non subiscono modificazione se non lentissima, e molte
specie degli animali inferiori si sono spente, appunto perchè non hanno potuto
subire le modificazioni necessitate dalle progressive variazioni dell'aria e
del suolo. L’istinto delle specie animali inferiori e rigido e difficilmente
modificabile, appunto perchè e un istinti poco variato, che non puo
neutralizzarsi fra se in una ricca varietà di modificazione. L’agente del
secondo ordine e psichico (e no ‘psicologico’ ma veramente psichico), epperciò
più intimo nell’organismo, ossia più essenziale. Un agente psichico modifica
l'animale nella sua intima facoltà, ossia una attitudine, assai più facilmente
e più profondamente che non gli agenti naturali succennali. Questo secondo
agente e nella sua essenzialità un maggiore sviluppo del primo agente naturale
plantario, epperciò si manifesta nella generazione susseguente come una profonda
modificazione dell’organismo e dell’sstintualità. Questa modificazione non e
più mera variazione giusta una astratta affinità, per le quale, p. es ., una
facoltà diventa minore di altra facoltà, vale a dire, si manifesta come una
pura variazione quantitativa dell’istintualità. E una modificazione profonda
che diventa la proprietà caratteristica dell'animale (un tigre che tigrizza) e
qualche volta e affatto estranea e contra-dittoria o opposta, o contraria, alla
facoltà della generazione pre-esistente. Allora si dice che una nuove specie
(Homo sapiens) e venuta all'esistenza, e la vecchia si e spenta. La facoltà
psichica si modifica sulla base di un istinto più svariato, il quale si
neutralizza appunto fra loro tanto più facilmente quanto più svariati.
L’istinto dell’animali inferiore e tanto più fermo e rigido quanto meno molteplice e svariato. Questa
modificazione causata da un fattore psichico modifica il sistema anatomico e
fisiologico, perocchè non e possibile una modificazione psichica sulla base
d'una invariabilità anatomico-fisiologica. E una modificazione profonde, la
quale, se qualche volta poco modifica l'ordine anatomico-fisiologico
sensibilmente manifesto, e però effettuata piuttosto nell’elementi anatomico,
nel così detto ordine istologico. La modificazione psichica non spetta, come
quelle generali, ad una specie o ad una razza, ma sono più profonde
modificazioni dell’organismo e della corrispettiva istintualità. Essa rifletta piuttosto
la mera individualità animale, epperciò e variabile indefinitamente. La
condizione causale di questa modificazione e data dalla ciscostanza nella quale
versa un certo individuo animale. Cosi non è solo la varia natura geografica e
topografica del suolo e dell'aria in che vive, ma anche i varii vegetabili e
animali con che vive; perocchè dette varia condizione e sufficiente a modificare
l'anima (la psiche) dell'animale. Le delle varia circostanza costringe un certo
individuo a esercitare preferibilmente una certa facoltà psichica, e per
conseguenza a svilupparle preferibilmente. Data la ricca molteplicità e varietà
della facoltà istintuale proprie della specie di “Homo sapiens”, questa facoltà
variamente si combina e si neutralizza. L’istinto cosi neutralizzato, ossia
radicalmente variato, si trasmette alla generazione veniente; e cosi le
condizioni succennate, variando l’atttudini dell’anima individuale, preparano
il terreno alla più ricca e più profonda azione del fattore veramente spirituale.
Il fattore spirituale modifica quell’attitudine che appartene non alla specie,
ma all'individuo animale, ed e un fattore che non più modifica l'anima
senziente, ma lo spirito (animus, psiche, sofflo) ideante dell’animale.
Tuttochè questo fattore, nel su concreto sviluppo, appartene allo spirito umano,
pure gli animali superiori (p. es., una scimia antropomorfa) possegge un certo
quale esercizio equivoco e parziale del suddetto fattore. Cosi la scimia impara
dalla propria osservazione, epperciò gl’individui più vecchi sono assai più scaltri
e periti dei più giovani. È questa la ragione per la quale l’animale non
solamente si aggrega ma si organizza gerarchicamente giusta un certi statuto di
un sentimento comune. È importante che un individuo animale possa profittare
della proprie osservazione; perocchè dello profitto provoca una maggiore
perizia pratica, la quale dal più vecchio è partecipata al più giovane e
trasmessa alla generazione vegnente come una dialettica della categoria
istintuale che più tardi si sviluppe in una vera mentalità. La categoria
spirituale (spiritus, animus) funziona qui come sviluppata categoria psichica
(psiche), epperciò la lingua, il linguaggio e la communicazione, nel suo amplo
uso, vera sintesi e genesi manifesta della categoria spirituale, arriva all’esistenza
come linguaggio no planetario o naturale, ma puramente psichico; o come
linguaggio equivoco o misto, ossia psichico-spirituale; o come linguaggio
assolutamente o puramente spirituale o oggettivato (communicazione proposizionale
– la logica di tutte e cose). Qui non occorre accennare al terzo ed ultimo stadio,
ossia al linguaggio puramente o assolutamente spirituale, proprietà *esclusiva*
(alla Grice) dell'uomo o Homo sapiens sapiens, ma solamente al primo stadio (psichico)
e al secondo stadio (misto) del linguaggio che nasce e si sviluppa nell’animalità
sub-umana, pre-razionale. Il fattore caratteristico di questa crisi, ossia lo
sviluppo dell’anima senziente inter-soggetiva nella spiritualità pensante
proposizionale, è manifesto piuttosto dal linguaggio ‘muto’ o il gesto di una
emozione del corpo e principalmente di quell’emozione della fisio-nomia.
Quest’emozione formula un sistema comunicativo, in quantochè manifesta una
definita emozione intima con una certa categoria, che, non essendo destinate
alla mera soprevivenza o conservazione dello specimen o della specie, non si
puo chiamare semplicemente psichica, ovverosia istintuale. L’animale sub-umano,
p. es. , lussureggia per una mera sensualità erotica – omo-erotica, come
Socrate ed Alcibiade --, la quale non può essere destinata in verun modo alla
propagazione della specie dei Grecci! Così pure due specimen giovani di animale
giocano (la lotta greco-romana) colla vivacità propria dell’età loro, la qualcosa
può giovare, ma indirettamente, all’educazione e destrezza corporale
dell’individualità . Così il padre non solo alimenta il suo figlio, ma l’educa
e disciplina ad una pratica operazione requisita dalla propria specie, locchè
dimostra che l’ingenita istintualità non puo bastare, ed abbisogna
dell’ammaestramento dell’osservazione data a lui che ha già vissuto praticamente
nella vita. Il linguaggio misto, o equivoco, ossia psichico-spirituale, è quel
tale sistema di comunicazione che non consta semplicemente di questo o quello
gesto, il quale segna non solo una definita emozione dell’animo, ma una certa
anfi-bologica determinazione della ‘mente’ (mentatio, mentare, mentire). Così,
per es., il cane, alla presentazione d'una cosa che altre volte fu nocivo, puo involuntariamente
fuggire guaiolando. Il gesto segna naturalmente la paura. Qui certo v’ha una
psichica emozione provocata da una simile cosa, ma quest’emozione del cane dev'essere
legata alla *memoria* della *sensazione* originaria, la quale memoria appunto
costituisce una determinazione *equivoca*, mista, psichica o
mentale-spirituale. L’animale superiore possesse una facoltà che incluse un
svariatissimo repertorio di questo o quello segno o gesto, mediante una
modulazione combinatorial di questa equivoca determinazione. Quando l’animale
arriva definitivamente alla soggettivazione della propria coscienza, ossia al
suo “lo” distinto categoricamente dal “non-lo” (cfr. Grice, “Privazione e
negazione), entra categoricamente nella coscienza spirituale – del spirito
oggetivo. Questo passaggio costituisce la creazione o mutazione o trasmutazione
o trassustanzazione (metaeousia) dell’uomo, Homo sapiens sapiens, e solamente
questo passaggio colla propria manifestazione può segnare un soggetto umano che
puo attuare in inter-soggetivita con un altro soggeto umano. Qui l’”umanismo” si
manifesta categoricamente nel proprio caratteristico (la definita soggettivazione
del ‘ego’ come ‘ego’ e del ‘tu’ come ‘tu’), e si manifesta colla parola (parabola)
non certo col documento anatomico-fisiologico, che non puo bastare se non a
certa ampla generalità della distinzione o del genus animale. Prima di entrare
a caratterizzare questa crisi importantissima, ossia lo sviluppo dell’anima
nello spirito, dobbiamo assumere la speculazione retro-spettiva della coscienza
da un ordine uranico nel ordine planetario e nel ordine vegeto-animale. In un
ordine uranico, la coscienza procede verso un’individuazione dalla nebulosa al
cometa, al sole ed al pianeta. Il solo caratteristico essenziale dell'umanismo,
assai più caratteristico di quell’antichissima vaga definizione dell'uomo ragionevole,
animale rationale homo est, è senza dubbio la soggettivazione, e la manifestazione
di questa soggettivazione è fatta con l’inezzo spiritualmente formolato. Conformemente
a ciò, più innanzi, l’uomo (Homo sapiens sapiens) è designato anzi definito
come coscienza inter-soggettivata. Quest’individuazione, qualunque la si voglia
supporre, non può essere una soggettivazione; perocchè l'individuo (Erberto) non
si distingue dalla specie (Homo sapiens sapiens), e le varie specie dei corpi
celesti si confondono colle varie età di un solo individuo. Cosi pure,
speculando in un ordine generalissimo, una specie animale e una età dell’animalità.
Nella specie animale piu infima, l'individuo si distingue dalla specie (una
rosa piu bella dall’altra). Nella specie animale superiore, non solo lo specimen si distingue dalla
specie, ma anche il soggetto dallo specimen ė progressivamente distinto. Cosi,
p. es., il corpo di un animale consta d'innumerevoli individualità viventi aggregate
ed organizzate fra loro, le quali, svolgendosi dall’una in altra fase,
costituiscono l’organo (dell’organismo), l’apparecchio, e la funzione vitale
dell’animale. Ma la coscienza resuntiva di questo individuo vivente è
nell’organismo dell’animale concreto, e non negli animalcoli gregarii che lo
costituiscono. L'animale resuntivo della propria soggettività costituisce lo
svolgimento del senso del pensiero. Qui dobbiamo definire la distinzione del
senso e del pensiero. Il senso non può supporsi astratto dalla coscienza;
perocchè in questo caso sarebbe un senso che non sente (il senso non sente,
l’animale sente), ma può supporsi astratto dalla *co-scienza* del senso;
perocchè la co-scienza e il senso funzionano indistintamente. Finchè la co-scienza
non si distingue categoricamente dal proprio oggetto. E una co-scienza identica
alla sua forma esteriore, la quale è una sensibile esistenza. Quando però la co-scienza
si distingue categoricamente dal proprio oggetto, allora dice: “Io sono e
l'oggetto è” – “Io sono quello che sono, e l’oggetto quello che è, cioè l’ “lo”
e il “non-lo” (p. es., il tu) *siamo* due termini distinti in relazione
d’intersoggetivita. Quest’idea fondamentale che si percepisce un “lo”
(pirothood) è la soggettività; ossia, la nascita dello spirito. Nascita dello
spirito e nascita del pensiero, facendo consistere la spiritualità specialmente
in questo. A conferma di ciò, si noti, primamente, che in questo paragrafo ei
vuole fare appunto la distinzione di senso e pensiero; secondamente, che nel
susseguente paragrafo, parlando dei momenti dello spirito, vi accoglie il
principio sensitivo non come pura e semplice *sensazione*, ma come *sentimento*.
Sulla predetta distinzione, del resto, ritorno nei paragrafi susseguenti. Lo
spirito consta di tre fasi: il sentimento (aisthetikon), l’intelletto (noetikon)
ed il concetto – il A e B – concetto soggetto, concetto predicato). Lo spirito
nel sentimento è uno spirito immediato che poco si distingue dall’anima
senziente. Ma quest’anima senziente appartiene allo spirito, perocchè si *percepisce*
soggetto (un ‘lo’). Il sentimento consta di tre termini: l’attenzione (la risposta
ad un stimolo), la memoria (il riflesso condizionato), e l’imaginazione (la
risposta ipotetica o condizionale). La funzione più o meno complessa di questi
tre termini crea la *soggettività*, che lentamente si svolge dal sensibile nel
cogitabile (co-gitatum, cogito; ergo sum). L’attenzione deve funzionare nello
spirito esordiente, e cosi lo spirito deve *sentire* *che* il senso della
natura – ossia, l’istinto -- più non gli basta. Questo sentimento dell’insufficienza
del proprio istinto l’avverte *che* necessita osservare ed imparare la pratica
della vita. E la prima funzione della mentalità. Epperciò la lingua ariana
conserva più la traccia della parentela del concetto di “manere” e “mens” -- quasichè
pensare e fermarsi, ossia il soggeto ferma l’attenzione sopra un oggetto – che
puo essere un altro soggetto --, siano due operazioni molto affini. Veramente,
tuttochè sommamente dissomiglino queste operazioni, nella loro sensibile inanifestazione
esteriore s’identificano in un fatto comune, quello dell’arrestarsi – la
risposta ad un stimolo. La co-scienza che fissa l’attenzione sopra un oggetto
(che puo essere un altro soggetto), cerca nell’oggetto qualcosa *oltre* il sensibile
immediato, quando esso oggetto non sia la funzione di una mera sensazione immanente,
ma la funzione di una sensazione trascendente. Una seconda funzione del
sentimento è la memoria. Mediante la memoria, una sensazione o attenzione
presente si può risuscitare quando non sia più presente. La co-scienza
attentiva all'oggetto studia un oggetto esteriore ed abbisogna della presenza
di esso oggetto per osservarlo. Ma la memoria contiene e conserva in sè stessa
l’oggetto osservato (che puo essere il ‘lo’ – l’identita personale come
memoria), epperciò si costituisce in-dipendente dalla presenza del medesimo
oggetto. Una terza funzione del sentimento è la imaginazione. L'imaginazione
non solo conserva l’oggetto osservato, ma *crea* l'oggetto possibile che non ha
osservato. Questa funzione emancipa o libera la co-scienza, non solo, come la memoria,
dalla presenza dell’oggetto (s’ricorda o imagina un oggetto assente), ma anche
dalla sensibile esteriore realtà del medesimo oggetto, epperciò l’imaginazione
può liberamente crearsi una propria oggettività, alla Meinong. Questa facoltà
crea non solo l’oggetto composto (compesso combinato) di due oggetti (obble 1 e
obble 2) osservati, ossia non crea solo la mera composizione, addizione o
combinazione, ma puo creare un oggetto che non consta di questo o quello
elemento osservato, ma un oggetto radicalmente imaginario (un circolo quadrato,
un numero imaginario) , tuttochè le semplici categorie dello spirito e della
natura debbano necessariamente fornire all’imaginazione se stesse per possibilitare
questa creazione imaginativa o predittiva. Il passaggio dalla coscienza
senziente alla cogitante, ossia dalla bestia all’uomo, è pure una progressiva
distinzione della co-scienza in soggettiva ed intersoggetiva. Qui la distinzione
de soggetivita e intersoggetivita è una mera distinzione generale dell'”io” dal
“non-io” (il ‘tu’). L’ “io” si suppone vivente e pensante *altro* dal non-io
(il tu, in combinazione, il noi), in sè stesso parimenti vivente e pensante. La
natura si rivela come un *popolo*, popolazione, aggreggato, organismo sociale,
di piroti viventi e di pensanti , non si suppone ancora l'altro dal vivente-pensante,
ossia il non-vivente e il non-pensante. Si suppone semplicemente l’altro dal
moio lo vivente e pensante. Perciò la natura uranica, la terrestre,
stochiologica e minerale, la vegetabile o l’animale si suppone distinta dal mio
io, non però distinta dall’io generalmente parlando, ossia si suppone possedere
un loro io analogo a quello della mia co-scienza. Esaminate la radice, ossia
gli antichissimi elementi della comunicazione e troverete ogni dove segnata
l'universa natura (physis) come vivente e pensante analogicamente alla mia co-scienza.
Non vi troverete mai la natura morta colla sua forza cieca, governata da
necessità parimenti cieca, vale a dire, la natura della riflessione. Il
sentimento esplicito dalla mia co-scienza soggettiva può essere comunicato
dall'uno all'altro individuo. È questa comunicazione (o conversazione, nel
senso biblico) la prima proprietà per cui una idea cogitabile è distinta da una
mera sensazione per definizione non-condivisibile. Nessun sistema di
comunicazione puo fornire una sensazione, se questa non sia stata data dal
senso (il ‘dato del senso) come tale – nihil est in communicatione quo prius
non fuerit in sensu). Potrò, p. es., parlare in qualsivoglia modo di un oggetti
visibile. Ma un cieco nato non puo mai ne sentire ne comprendere che sia la
visibilità. Se un soggetto abbia un tempo posseduta la facoltà visiva puo,
parlando di un oggetto veduto, richiamarli alla memoria quasi visibilmente
presente, ma non puo mai fare che tale visione sostituisca la concreta visibile
realtà colla semplice imaginazione. La prima conseguenza della co-scienza
senziente che si sviluppa nella cogitante è che, siccome l’idea o concetto come
tale, ossia nella forma della co-scienza cogitante, può essere *trasmessa* (il
trasmesso) dal l'uno soggeto all'altro soggetto, non può essere trasmesso il
senso come tale, ossia nella forma della co-scienza senziente . Cosi un soggetto
è abilitato a sapere quello che non egli, ma l’altro soggetto ha percepito col
senso (“Una serpe!”), oppure quello che egli in altro tempo ha percepito col
senso, oppure indurre un’idea da quello che presentemente percepisce col senso.
Cosi, p. es., la pecora condotta al macello *vede* macellare la sua simile e fortunatamente
non solo *non* induce che sarà ella stessa macellala, ma anche non percepisce
che questa presente operazione segna un'uccisione; perocchè non possiede l'idea
o il concetto della morte. Cosi il soggetto pensante o intellettivo può sapere
quello che il senziente non può sapere, e questo sapere nasce dalla facoltà
cogitativa o concettuale, per la quale da una sensazione si astrae un’idea
generale o un concetto. Cosi, per es., il soggetto pensante vive nel passato
colla memoria, e nell'avvenire (possibile o reale) coll'imaginazione; il
soggetto senziente, o bestia, vive astrattamente nella sua sensazione presente.
In virtù della sensazione che non può essere indotta in un’idea, egli non possiede,
come il pensante, la distinzione di una natura predominante ed insubordinabile
al soggetto e di una natura subordinabile e passibile del soggetto. Quest’idea
prototipa della forza è un’idea cardinale dello spirito, è stata il primo germe
del sacro. Osservate il sacro e lo troverete Dio, non perchè sommamente ragionevole,
ma perchè onnipotente. Nella religione spiritualmente più adulta rimane
tultavia l'idea dell'onnipotenza, piuttosto che quella della ragionevolezza, l’attributo
eminentissimo del sacro. Mediante questa passibilità il soggetto può sapere la
prima volta di essere nato, di essere stato lattante, di essere stato partorito,
e cosi pure può sapere che OGNI soggetto, nessuno eccettuato, non vissi oltre
una certa mnassima età, ma morirono in quella o prima di quella.
Conseguentemente egli sa *che* il soggetto non solo nasce (si genera) e muore
(corruption), ma può nascere in varie condizioni e morire in qualsivoglia momento
della sua vita. La nozione della nascita e della morte del soggetto è un
fenomeno della co-scienza realizzato la prima volta che la co-scienza senzienle
si svolge nella pensante; perciò sapientemente nella “Genesi” è detto che l’uomo
(Adamo) prima di peccare, ossia di gustare il frutto del bene e del male, non moriva,
ed avendolo gustato dovrà morire. Veramente la co-scienza senziente non può
sapere di nascere e di morire; perocchè questo sapere non si sa se non sia una
nozione *trasmessa* (il trasmesso) da un soggeto ad altro soggetto, ovvero
un'idea indotta dal fatto costante della morte. Questa crisi della co-scienza,
ci manifesta che la co-scienza, dalla sensazione svolgendosi nella mentalità ,
procede in un sistema di distinzioni ideali o possibile o concettuali e
astratte che non sono possibili nella mera sensazione. La mentalità, che nasce
dalla sensazione, è prototipicamente *imitatrice* o inconica della sensazione,
e porta seco nel suo sviluppo la *forma logica* della sensazione stessa , che
progressivamente si trasforma in quella del pensiero. La mentalità è
prototipicamente sentiment e funziona in tre caratteristiche funzioni --
attenzione, memoria, ed imaginazione . Da queste tre prototipiche funzioni del
sentimento nascono tre forme rudimentali della mentalità. La mentalità non più
vive nell’immediata sensazione ma crea il conflato temporaneo, e vive nella retrospettiva
del passato, e nella prospettiva dell'avvenire. Questo conflato temporaneo
possibilita un'esistenza ideale oltre l’immediato sensibile presente, e conseguentemente
un'idealità inducibile dall'osservazione. Da quest’osservazione nasce una
seconda idea elementare della mentalità, cioè d'una forza naturale che domina
la nostra, e d'una forza subordinabile alla nostra. Di qui la mentalità si
esercita per subordinare le forze predominanti, e da questa generale
osservazione si percepisce come un fatto costante che l’uomo nasce e muore, e
finalmente che *io*, come uomo, ma no come persona, sono nato e devo morire.
L'idea della morte come necessità, tuttochè sembri un’idea comunissima, è lungi
dall'essere tale. La co-scienza primitiva, come quella di certi selvaggi oggidi
viventi, percepisce la morte come un fatto costante. Ma, come la riſlessione,
non arguisce punto che questo fatto, tuttochè costante, sia necessario.
Suppongono questi selvaggi che la natura umana o sovrumana abbia sempre ucciso
l’uomo. Ma suppongono parimenti che quest'uccisione non sia una necessità, ma
una sfortunata accidentalità. La co-scienza che dalla sensazione si svolge
nella mentalità si sistematizza in un sentimento pressochè comune alla umanità.
Il soggetto possiede la sua propria determinazione individuale. Ma proprie
determinazioni non affettano un sistema generale della co-scienza umana, che
perciò ſu chiamato senso comune. Mentre questo sistema generale della co-scienza
è pienamente uniforme al senso comune, il soggetto è un soggetto comune e
spiritualmente normale. Ma quando questo sistema si aliena dal senso comune in
on sistema d'idealità più misteriosa, e trascende con un giudizio prestigioso i
giudizi comuni degli uomini, allora si dice, che questo soggetto è inspirato,
ossia profetico, taumaturgico, e così via. Generalmente parlando, questa co-scienza
trascendente subordina la comune, come provano i varii sacerdoti della
primitiva religiosità romana ed etrusca.
Quando il soggetto si aliena dal senso comune senza trascendere in un'idealità
prestigiosa, ed esercita una pratica contradittoria o contraria o opposta a sè
stessa, ovvero incompatibile colle esigenze generali della pratica oggettività,
allora si dice che il soggetto è spiritualmente ammalato, ovverosia demente.
L'alienazione vuol essere accuratamente distinta, se cioè sia alienazione dal
mero senso comune ( in questo senso si può dire, che tutti gli uomini grandi
furono alienati), ovvero se sia una alienazione dalle generali esigenze
pratiche dell'oggettività naturale e spirituale (in questo senso gli alienati
sono coloro che comunemente si chiamano pazzi). La co-scienza trascendentale,
ossia la co-scienza dominata dall'idealismo, co-scienza essenzialmente poetica,
è il polo opposto della co-scienza dominata dalla sensazione, co-scienza essenzialmente
prosaica. A quella si devono tutte le organizza zioni primitive dell'umanità ,
a questa si deve preferibilmente la tecnica industrialità e la mercatura
primitiva. Vedremo più oltre, che la Coscienza umana progredisce sulla base di
quest'opposizione archetipica della sua storia. La funzione più essenziale e
più generale della mentalità è la comunicazione (il trasmesso). Il primo stadio
del trasmesso è l'uso di una radice designativa – de-segna – segna. Qui io non
segno che una presentazione o un modo di una presentazione, e sempre si riduce
alle semplici categorie dello spazio e del tempo. Il pronome personali non fu
primitivamente io e tu, e così via, categorie troppo metafisiche, per servire a
questo primo stadio della lingua , ma, “qui”, “là” (Bradley, this, that, and
th’other, thatness, thisness), ecc. , categorie dello spazio. Un sistema di
comunicazione che consta di radici semplicemente per la che io de-segno non può
soddisfare alle esigenze più generali della mentalità , epperciò da questo
primo stadio si sviluppa, per l'implicita esigenza della mentalità, il secondo
stadio. Il secondo stadio consta della combinazione di una radice con la che
de-segno con una radice pre-dicativa, ma tuttavia legate a una sensibile
determinazione; cosi, p. es., per designare un oggetto , si sceglie l'attributo
sensibile più esplicito in quel l'oggetto, p.es., il verde per designar la
pianta, il bianco per designer la neve. Quest’attributo sensibile, sendo
necessariamente variabile o contingente nell'oggetto, non può costituire una
specie. In questo secondo stadio si trovano molte lingue dei selvaggi o barbari,
i quali scelgono un attributo sensibile dell'oggetto per designarlo, e
conseguentemente non possono arrivare a formolare le specie o il genus o
l’universale, ma semplicemente oggetti in certe sensibili condizioni . Il terzo
stadio usa la categoria propria della mentalità esplicita, la categoria
metafisica, per designare l'oggelto; come, p . es . , define la pianta non
l'individuo verde, ma l’individuo polare, i cui poli cospirano alla luce ed
all'acqua. Questa proprietà generica comprende ogni pianta; perocchè la detta
polarità è l'attributo cogitabile generale della pianta. Il gesto è posseduto
da ogni animale come inezzo psichico di movimenti o di formalità; ma il gesto
che caratterizza la soggettività è appunto il trasmesso psichico che si svolse
nella spirituale. La prima radice segna una mera affezioni dell'anima e più
tardi si svolse in un segnato meta-forico, per rispondere all'esigenze della
progressiva mentalità. Il rapporto fra il canale fisico *espresso* dall'anima e
l'anima esprimente (segnante) è quello stesso rapporto, ma più complesso, per
il quale un animale segna con un certo definite gesto certa definite affezione
della sua anima. L'uomo, sviluppando in sè stesso la propria mentalità e l’inezzo
per segnarla, si conobbe come specie comune. Il primo sistema di comunicazione
quasi naturale deve essere stato pressochè identico in ogni umano, come ogni
pecora bela, ogni cani abbaia ed urla. Dovette essere un inezzo nato con lui e
trasmesso senza il minimo bisogno di convenzionalismo e di pratica convivenza
per essere capita. La communicazione è stata realmente uno degli argomenti più
favoriti e più frequentemente trattati dal filosofo, il quale la conosceva, ed
a fondo, in molte forme antiche ed in un numero ancora maggiore di forme
moderne. Egli ne ha trattato, infatti , in molte sue opere. Ne ha accennato nel
primo volume della sua grande opera, cioè Saggio circa la ragione logica di tutte le cose
“Prolegomeni,, Torino, pag. 43 e ss. ( confr. anche ibid ., pag. 291 e
susseguenti). Ne ha accennato anche nelle seguenti opere già pubblicale in
Torino, e cioè nella Proposta di riforma sociale, pag. 26 e seg.; nella Introduzione
alla cultura generale (facente parte del predetto vol.) , pag. 120 e seguenti.
Ne parla poi in parecchie altre opere ancora inedite. L'uomo che possedette
questo sistema di communicazione visse nelle foreste in una aggregazione o
società piuttosto fortuita, poco dissimili da quelle dei quadrumani, ma si armò
per esercire la caccia e la pesca. La sua nudità lo facea più fragile degli
altri animali, epperciò ha dovuto sopperire a questa nudità e debolezza colle
armi artificiali, e sopratutto colla propria scaltrezza. Questo primo stato
dell'uomo vuol essere qui accennato come quello dell'astratta soggettività
abbandonata a sè stessa; perocchè l'uomo, cacciatore o vivente dei prodotti
naturali della terra e del mare, può vivere solitario. Le aggregazioni o
società di questi uomini sono mera accidentalità non necessità dello stato
proprio. In questo primo stato la soggettività nascente è caratteristicamente
manifestata dalla perversione di certi istinti essenzialissimi alla
conservazione del soggetto e della specie. Così, p. es., nessuna specie animale
s'alimenta del proprio simile, ma certi selvaggi mangiano indifferentemente i
loro nemici, amici, consanguinei, figliuoli, ed alimentano le donne, affinchè
ingrassino e siano buone a essere mangiate quando partoriscono più figliuoli da
mangiare. Quest’enorme perversione d’un istinto cosi radicale (l’affezione alla
progenitura) segna quanto sia profonda la crisi che svolge l'istintualità nella
mentalità. Sono certo che la quasi totalità de’ filosofi non sarà d'accordo su
questo puntoe riterrà l’associazione umana come una necessità e non già come
un'accidentalità . Ma l'autore, per la vita solitaria e un po' misantropica da
lui fatta, è stato come involontariamente tirato a generalizzare questo suo
particolare carattere. E una mentalita che si manifesta come un'orribile perversione
dell'istinto, ma è una mentalità volente, non un mero modo d'ingenita
istintualità. Questo titolo è quello, che nonostante la massima perversione,
può nobilitare l’uomo antropofago sopra la bestia istintualmente tutrice della
prole. Cosi pure, relativamente al soggetto individuo, l'uomo selvaggio o
barbaro in procinto di essere cattivato dai suoi nemici, può suicidarsi, la
bestia non mai (penguino?). L'istinto della propria conservazione individuale è
un istinto comune a tutti i viventi nella natura, come pure quello della
conservazione della propria specie non offre eccezione veruna nel regno della
natura. Le sole eccezioni a questo fenomeno generalissimo della vita si trovano
fra gli animali pensanti come il penguino. Tuttochè qui dobbiamo parlare del
soggetto della natura, astratto da qualsivoglia organizzazione necessitata
dalla sua condizione, abbiamo parlato di tre stadii caratteristici della
comunicazione, come quella che può essere comunicata da soggetto a soggett, senza
convenzione, indipendentemente dall'organizzazione sociale fra soggetti o dalla
nessuna organizzazione. La comunicazione appartiene cosi al soggetto solitario
(il Deutero-Esperanto di Grice ch’inventa al bagno) come al soggetto socievole,
e generalmente al soggetto solitario che profitta segnatamente delle occasioni
dell’amore. L’uomo solitario pratica qualche volta questo rapporto colla
femmina come un mero rapporto erotico occasionale. Abbandona la femmina alle
conseguenze della fecondità, non conosce i suoi figliuoli che sono allattati,
nudriti ed educati dalla madre. Ma la comunicazione, che persuase la copula
dell'amore, è la medesima colla quale la madre educa i suoi figliuoli. Cosi la
comunicazione può dirsi radicalmente una creazione della specie ed assume
dignità ed ha il suo svolgimento nella storia universa della spiritualità. Si
può dire in tesi generale che la comunicazione genera la storia nella sua più
semplice elementarità; e dallo svolgimento della lingua si conosce lo svolgimento
dell'umana mentalità e conseguentemente, delle gesta che ne sono conseguite. Nel 1884 mi furono mandati a casa, in Torino,
dal benemerito libraio Loescher tre grossissimi volumi intitolati Paselogices
Spe cimen Theoo editum . Intri, etc. Un filosofo di nome Teofilo Eleutero era a
tutti ignoto ; e non fu poca la mia mera viglia nel vedere come un'opera
filosofica così voluminosa, scritta e stampata in latino, avesse potuto
sfuggirmi; giacchè, come adesso ancora nella mia tarda età , specialmente
allora ho sempre seguito con vivo interesse il movimento filosofico . La
curiosità quindi di sapere chi egli fosse, e qual valore avesse, mi fe' tosto
gittare gli occhi sul primo volume che portava la designazione di Prolegomena,
e che, come subito vidi , era una Introduzione, o Propedeutica che voglia dirsi
, a tutta l'opera. La mia meraviglia crebbe dopo la lettura delle prime pagine
del volume, tanto più che ad essa si congiunse il sentimento del l'ammirazione:
sentimento che col proseguimento della lettura di venne un vero entusiasmo. Io
mi trovava dinanzi ad un hegeliano, e, per giunta, un hegeliano di alto ingegno
e di larghi propo siti: i quali propositi erano nientemeno che quelli di una
Riforma dell'hegelianismo mediante principii dell'hegelianismo stesso.
Comunicai la mia impressione e il mio entusiasmo al signor Loescher, il quale
m'informò che l'autore dell'opera era un intrese, di nome Pietro Ceretti ,
dalla cui figlia aveva ricevuto l'esemplare dell'opera che mandò a me per
prenderne conoscenza. L'impres sione e l'entusiamo potettero ancora, per mezzo
della figlia , essere comunicati al filosofo, che era già assai infermo e che
poco di poi morì della malattia che da parecchi anni lo travagliava, la
paralisi progressiva. Io continuai , naturalmente , a leggere e stu diare la
preziosa opera , ed è di essa che accennerò maggiormente in questo ricordo del
filosofo , essendo essa indubbiamente il maggior titolo del valore e della
posizione filosofica del medesimo. Senonchè, a render meno incompiuto il
ricordo, mi si conceda che rilevi alcuni altri particolari della sua complessa
personalità . Per cio che concerne biografia e bibliografia mi limiterò alle
poche notizie seguenti . Nato il 1823 , e assolti bene o male, anzi piuttosto
male che bene, i primi elementi della sua istruzione, cominciò a trarre qualche
profitto in un Collegio di Gesuiti a Novara , ove fu qualche tempo , uscendone
il 1840. È una singo lare circostanza questa, che un uomo che ebbe sempre uno
spirito non solo diverso, ma anche opposto a quello de' Gesuiti, avesse proprio
da questi avuto il primo impulso e il primo profitto agli studi Ma un profitto
maggiore e un vero inizio di studi serii IL FILOSOFO PIETRO CERETTI 29 furon da
lui fatti a Firenze, ove si recò subito dopo, mettendosi in relazione cogli
uomini del famoso Gabinetto Viessieux e con sacrandosi tutto agli studî' di
lingue, lettere e scienze. Quanto a lingue, tra il tempo che fu a Firenze e gli
anni che immediatamente seguirono , ne apprese parecchie tra antiche e moderne,
allo scopo non solo di legger libri negli idiomi ori ginali, ma anche di
viaggiare, per prender diretta notizia di uo mini e cose. Infatti, cominciò
subito a viaggiare percorrendo in lungo e in largo non solo l'Italia, ma anche
la Svizzera, la Francia, la Germania , l'Olanda e l'Inghilterra. Gli studî che
fece nella prima giovinezza si allargarono e di vennero più intensi , quando
dopo i viaggi si ritirò nella nativa Intra, nella quale accanto agli studi
cominciò anche a scrivere opere di vario genere, segnatamente filosofiche.
Nella sua carriera di scrittore passò per varie fasi, che io ( nella mia opera
intitolata Notizia degli scritti e del pensiero filo sofico di Pietro Ceretti)
ho designate e descritte come fase poe tica , fase filosofica in genere ed
hegeliana in ispecie, fase di tran sizione, fase utopistica e riformativa della
società civile , e fase ultima del pensiero cerettiano, la quale è quella del
così detto si stema contemplativo. Ad ognuna di queste fasi corrispondono
opere, e non poche, che si muovono nell’orbita del pensiero cerettiano
gradatamente svolgentesi ed esprimentesi in essa. Le quali opere, se si consi
dera il complesso di esse tutte, costituiscono una massa addirittura ingente ,
che versa su tutte le parti dello scibile. Ceretti , infatti, fu un pensatore e
scrittore veramente universale. Tanto per dare una idea della predetta massa di
scritti , ricor derò innanzi tutto quelli che si riferiscono alla fase poetica,
la quale gli scaldò tanto la mente ed il cuore, che gli fe ' dire : Cari poeti,
voi dell'alma mia Foste il primo verissimo Messia . Ad essa appartengono le
opere poetiche (di genere romantico ): Eleonora di Toledo ; il Prometeo ; il
Pellegrinaggio in Italia ; le Poesie liriche : inoltre, queste altre (di genere
giocoso, satirico e filosofico e scritte anche in tempo posteriore alla
giovinezza) , le Avventure di Cecchino, e le Grullerie poetiche. A queste opere
scritte in versi se ne potrebbe aggiungere un'altra scritta in prosa e pur
facente parte di questa prima fase , cioè quella intitolata Ultime Lettere d'un
profugo e costituente un romanzo sul genere del Werther di Goethe e del Jacopo
Ortis di Foscolo. Questa prima fase nella quale la mente del Ceretti è ancora
incomposta ed in via di formazione – è caratterizzata dall'aspira zione di lui
ad incarnare in sè stesso i pensieri e i sentimenti de' grandi uomini del suo
tempo e di quello che immediatamente 30 COENOBIUM 1 lo precede. Il che egli
stesso riepiloga ed esprime dicendo : « In giovinezza io fui innamorato e
delirante alla Werther, patriota furibondo alla Jacopo Ortis, stravagante alla
Byron , dolorante alla Leopardi , misantropico alla Rousseau , satanico alla
Voltaire, ateo materialista alla La Mettrie, e finalmente miserabile alla mia
propria maniera » . Alla seconda fase, che contiene il pensiero filosofico più
emi nente e più compiuto del Ceretti , appartiene -- oltre ad un primo abbozzo
di opera intitolata Idea circa la genesi e la natura della Forza — la grande
opera latina predetta Pasælogices Specimen . Il pensiero filosofico di tal fase
ha il fondo hegeliano, ma però da lui riformato. Le ultime fasi del pensier
cerettiano costituiscono poi una ulteriore deviazione tanto dal pensiero
hegeliano in genere, quanto dall'istesso pensiero hegeliano da lui riformato ed
esposto in que st'ultima. Come prima deviazione e ad un tempo come transi zione
alle fasi susseguenti si possono considerare la Sinossi del l'Enciclopedia
speculativa ; le Considerazioni sul sistema della Na tura e dello Spirito ;
l'Insegnamento filosofico : le quali opere hanno ancora spiccatamente il
carattere di filosofia teoretica ed enciclopedica. La nota principale della
suddetta deviazione è che al Logo assoluto, il quale nella grande opera latina
diviene il principio cerettiano riformativo dell'Idea hegeliana, viene più de
terminatamente e accentuatamente sostituito il principio della Co scienza
assoluta, Coscienza, che , a dir vero, era già apparsa nella stessa opera
latina . Quale ulteriore deviazione , ma specificamente appartenenti alla fase
utopistica riformativa della società civile , vanno ricordate le opere
intitolate Sogni e favole e Proposta di una riforma civile . Oltre ad esse,
vanno ricordate anche queste altre , le quali però sono scritte in forma di
romanzi, cioè , i Viaggi utopistici ; l'Inconclu dente ; Don Simplicio ; Don Gregorio
; il Protagonista , e qualche altra . La deviazione massima è in quegli altri
scritti , che rappre sentano più spiccatamente l'ultima fase , nella quale il
Ceretti per viene ad una specie di subbiettivismo nullistico, da lui designato,
come è detto , col nome di sistema contemplativo. I pensieri di quest'ultima
fase appaiono in parecchi altri scritti dell'ultimo tempo di sua vita , come
per esempio, per nominarne alcuni , nella Vita di Caramella e nelle Memorie
postume. Ma gli scritti mentovati delle diverse fasi , benchè già nuinerosi,
non costituiscono neppur gli scritti tutti del filosofo d'Intra, es sendovene
una quantità ancora notevole , che possono esser nomi nati scritti varii ed ai
quali appartengono: Biografie, Autobio grafie (tra queste , notevolissima, La
mia Celebrità ), Commedie, Novelle morali, ecc. e persino un Trattato
d'Astronomia e un Trattato di Medicina. Come vede il lettore , quella che io
chiamava una ingente IL FILOSOFO PIETRO CERETTI 31 massa di scritti , e
versante sulla universalità dello scibile , non è una denominazione esagerata,
ma interamente reale. E ciò basti a dare una idea sommaria degli scritti del
filosofo intrese . Per cio che concerne il filosofo propriamente detto , egli
va considerato rispetto al corso della filosofia in genere ed al periodo
filosofico idealistico tedesco in ispecie , nel qual periodo si riat tacca alla
maggiore manifestazione speculativa del medesimo, che è la hegeliana. Egli si
apparecchiò a pigliare il suo posto in quest'ultima, con uno studio e
conoscenza non comune, primamente delle varie discipline dello scibile,
sopratutto di quelle concernenti la Storia universale e le Scienze positive e
naturali d'ogni specie ; seconda mente, di quelle attinenti alla filosofia
propriamente detta . Rispetto a quest'ultima, è veramente ammirabile l'opera
del nostro filosofo, che – dopo i suoi profondi studi sui filosofi delle
diverse età (non esclusa quella stessa della filosofia indiana ) e in genere
ne' testi originali de ' medesimi ne ha dato un saggio no tevolissimo egli
stesso nel primo volume della sua opera latina, cioè ne' mentovati Prolegomeni.
Ma nella Storia della filosofia uno de' periodi che egli più ha studiato e
conosciuto è il predetto periodo filosofico tedesco sì ne' filosofi massimi di
essa, come Kant, Fichte, Schelling ed Hegel , si ne' secondarii e pur
importanti del medesimo, come Herbart, Schopenhauer ed altri . In questo
periodo era naturale che quello che massimamente attraesse e legasse il suo
spirito fosse Giorgo Hegel , siccome quello che compendia in sè, primamente la
Storia filosofica generale e, in secondo luogo, lo stesso speciale periodo
tedesco. Hegel, in fatti, è da lui considerato come quello che ha raggiunta la
più alta forma di speculazione nella scienza filosofica, sopratutto nella
disciplina logica . Considerando il filosofo tedesco in tal modo, è naturale
che egli nel complesso ne accogliesse le idee e si riattaccasse a lui .
Senonchè, pur accogliendole, non le riteneva scevre di vizii o errori che
voglian dirsi . In conseguenza di ciò egli si propose da una parte , di
additare questi vizii , dall'altra, di correggerli . E la correzione, che
costituiva per lui una riformazione dell'hegelianismo, non è poi altro che la
filosofia cerettiana stessa , quale è conce pita ed esposta nella predetta
grande opera latina. Ciò posto , seguiamo ora tal pensiero filosofico
cerettiano ne suoi tratti fondamentali. Primamente, accogliendo l'hegelianismo
come la predetta su prema manifestazione della coscienza filosofica, ei
l'accoglie nel general fondo e pensiero del medesimo, fondo e pensiere, che ven
gono da lui riassunti ne' seguenti principii generali : 1 ° L'assoluto è l'Idea
; 2 ° l'Idea concreta è lo spirito ; 3° l'essenza concreta ed asso luta dello
Spirito è l'Idea logica. Inoltre, l'evoluzione dialettica del l'Idea , nella
quale evoluzione consiste il processo metodico di 32 CENOBIUM quest'ultima ,
avviene e deve avvenire secondo la Nozione, ossia secondo il Concetto , come
dice Hegel (dem Begriffe nach ). Rispetto a tali principii designati come
hegeliani non che come veri e inoppugnabili, e quindi da lui stesso accolti, va
però osservato, che di essi non può essere ritenuto come schiettamente e
veramente hegeliano il terzo ; giacchè, secondo Hegel, l'essenza concreta ed
assoluta dello Spirito non è l'Idea logica. Questa è per Hegel l’Idea pura e
semplice soltanto, e però immediata ed astratta , non ancora dialetticamente
esplicata e , mediante l'espli cazione, fatta concreta. L'essenza assoluta e
concreta dello Spirito è per lui invece l’Idea che da puramente e semplicemente
logica ( da Idea logica ) si è estrinsecata nella Natura (cioè si è fatta Idea
naturale o Natura) , e, attraverso di questa , è giunta a coscienza di sè,
ossia è divenuta spirituale , o, che vale lo stesso , è divenuta Spirito. In
altri termini, l'essenza concreta assoluta dello Spirito è la Coscienza
dell'Idea, ovvero è l'Idea conscia di sé, mentre l'Idea logica hegeliana è
ancora inconscia. Per cio che concerne i mancamenti e vizii della dottrina he
geliana, essi , secondo il Ceretti concernono l'evoluzione dialettica dell’Idea
, o , che vale lo stesso, concernono l'Idea nel suo pro cesso ( esplicazione)
dialettico. Un primo vizio generale in tale evoluzione è per lui quello che
nella logica hegeliana concerne il Prius e il Risultato dell'Idea. Notoriamente
per Hegel, benchè l'Idea sia , da una parte , il prin cipio universale
assoluto, e, dall'altra il principio iniziale dell'evo luzione dialettica
assoluta, principio iniziale che farebbe come il Prius ideale dialettico , pur
non di meno pel filosofo tedesco il vero Prius dell'Idea non è questo iniziale
, ma quello finale a cui l'Idea perviene come Risultato del processo dialettico
, risultato finale che è propriamente lo Spirito, ossia l'Idea pervenuta a co
scienza di sè. È per questo che Hegel sostiene che il vero Prius non è l'Idea
logica, ossia l'Idea pura ed estratta , ma lo Spirito, che è l'Idea che col
processo dialettico si è fatta veramente reale e concreta. Or questo Prius che
Hegel pensa e pone come vero è invece dal Ceretti ritenuto falso, perchè
pensato ed ottenuto secondo un procedimento dialettico prestigioso e sconforme
al vero ordine lo gico , che deve avere e seguire il Logo ( Logo che, come
tosto si vedrà , è il principio specifico assoluto cerettiano sostituito alla
Idea hegeliana) . Accanto a questo vizio generale , egli trova e addita vizii
particolari affettanti l'Idea come logica naturale e spi rituale. I vizii
spettanti all'Idea logica e al corrispondente processo dialettico sono tre e da
lui stesso brevemente indicati come segue: Il primo è che nell'esplicazione
dialettica dell'Idea logica la genesi di questa sia « una genesi della Nozione
dalla Non-Nozione » . Il secondo è che l'esplicazione dialettica dell' Idena
logica è piut tosto un'astratta esplicazione delle categorie, anzichè un
concreto IL FILOSOFO PIETRO CERETTI 33 un ri immanente processo di esplicazione
ed implicazione. Il terzo è che il processo dialettico dell'Idea logica
hegeliana è piuttosto un Logo astratto astrattamente esplicantesi e
riassumentesi in sultato , anzichè la sanzione ( o affermazione) di sè stesso
nella con creta immanente ed assoluta verificazione della propria posizione,
dialettica e riassunzione ( 1 ) . Il primo de' tre vizii indicati, riproducendo
il mentovato ge neral vizio del Prius, ei lo determina meglio designandolo come
processo inconscio dell'Idea logica, processo che Hegel pensa appunto come
inconscio ed il Ceretti pensa e vuole invece come conscio. E può dirsi che su
tal coscienza dell'Idea logica poggia il punto cardinale della differenza
dell'Idea hegeliana dal Logo cerettiano. Quanto al vizio concernente l'Idea
naturale, esso è in grosso quello stesso dell'astrattezza, testè rilevato , o ,
che vale lo stesso , della non raggiunta realtà dell'Idea nel farsi naturale.
Infatti, dice egli , l'Idea logica , estrinsecandosi e divenendo Natura, rimane
in quello stato astratto e puramente e semplicemente ideale che ha come Idea
logica, e non giunge a veramente naturarsi, com'ei dice , cioè a farsi vera
realtà naturale. E finalmente, quanto allo Spirito , od Idea hegeliana
spirituale, il filosofo intrese vi trova il vizio di quella stessa
prestigiosità speculativa ( speculativa prestigiositas ), che ha trovata e
rilevata per la Logica. Ed osserva, per giunta, che il general vizio in nanzi
mentovato dell'Idea hegeliana, che cioè essa sia un Risul tato, diviene più
specifico nello Spirito, in quanto questo , conce pito da Hegel come l'Idea che
dal suo Esser-altro ( cioè dalla sua esistenza naturale ) ritorna a sè stessa ,
ha appunto il carattere speciale di essere un Risultato e non una realtà , a
dir cosi , ori ginaria. Accanto ai predetti vizii fondamentali concernenti
l'Idea nelle sue varie forme, logica , naturale e spirituale , ne rileva alcuni
altri secondarii; ma noi , limitandoci alla indicazione de ' fonda mentali,
passiamo ad indicare le corrispondenti emendazioni di essi . Preposto che alla
Idea hegeliana egli in genere sostituisce il Logo, principio universale ed
assoluto anch'esso, la prima generale emendazione, concernente il Prius ed il
Risultato dell'Idea innanzi esposti , è fatta dal Ceretti nel senso che il Logo
è oiginariamente conscio e non già tale per risultato. Rispetto ai tre vizii
dell'Idea logica propone come emendazione ( 1 ) Mi piace di riferire colle
stesse parole latine del Ceretti il predetto triplice vizio : cioè , «
Hegelianæ logicæ tractationis defectuositas, in exitu prolegome norum designata
, est primo, quatenus notionis a non-notione progenesis ; secundo, quatenus
categoriarum abstracta explicativ, potiusquam concreta explicationis et
implicationis immanens contraprocessuosilas ; tertio , quatenus abstractus er
plicativce dialectica logus in abstracta resumptione, potiusquam in concreta
positionis, dialectica et résumptionis immanente absoluta verificatione suun
ipsum sanciens » . Pasael. Spec. vol . II , p. 6 . CENOBIUM , Vol. III, Anno
II, Marzo - aprile 1908. 3 34 CENOBIUM e però riformazione, che il primo venga
emendato mediante il principio della generale coscienza logica della Nozione od
Idea hegeliana : il che importa che il Logo sia una Nozione ( Idea) che si
genera dalla Nozione stessa e non già dalla Non-nozione ( No zione inconscia) .
La emendazione di questo primo vizio coincide in grosso anche colla generale
emendazione predetta del Prius e del Risultato. La emendazione del secondo
vizio è dal nostro filosofo otte nuta col propugnare ed effettuare che la
genesi delle categorie logiche non avvenga secondo un processo astratto di sola
espli cazione , ma secondo un processo concreto di esplicazione ed im
plicazione insieme : nel qual processo concreto i momenti astratti di
esplicazione si negano come astrattamente tali ed affermano perciò la loro
unità . Il terzo finalmente viene emendato, pensando e determinando il Logo assoluto
in guisa che esso non rimanga un momento astratto di riassunzione ( risultato)
, ma che divenga assoluta ed immanente affermazione (sanzione) di tutto il
corso esplicativo , costituendo così un processo e controprocesso, in cui ogni
mo mento è unità dell'astratto e del concreto. Quanto ai vizi relativi all'Idea
naturale hegeliana , la emenda zione ( stata già implicitamente accennata nella
critica fatta di essi ) consiste in quella che il Ceretti appella la
naturazione del Logo. E cioè, mentre Hegel concepisce la Natura siccome l'Idea
ritornante a sè stessa dal suo Esser- altro (dalla sua esternazione ed
alterazione) , il Ceretti invece pensa che la Natura non è sol tanto ciò , ma è
e dev'essere reale naturazione del Logo, ossia reale incarnazione ed obbiettivazione
del medesimo. E da ultimo, quanto all'emendazione del vizio dell'Idea spi
rituale, essa nel complesso è quella già rilevata nella critica fatta del vizio
, e consiste nel concepir la medesima, ossia lo Spirito , siccome Logo
originariamente conscio e non divenente tale per risultato d'un processo. Le
predette generali e fondamentali emendazioni , accanto ad altre subordinate e
secondarie , son quelle che nella esposizione ed esecuzione delle Idee
filosofiche costituiscono la filosofia cerettiana riformativa della hegeliana ,
e filosofia riformativa che forma il contenuto della più volte mentovata grande
opera del Ceretti , intitolata Saggio di Panlogica. Questo Saggio è un'opera
veramente colossale ed è l'enciclo pedia filosofica cerettiana , modellata
sulla nota corrispondente En ciclopedia hegeliana ( Encyclopädie der
philosophischen duissen schaften) in tre volumi. Il Ceretti concepì la propria
Enciclopedia vasto disegno da assolversi in otto volumi : il primo (i
prolegomeni) come propedeutica a tutta l'opera, propedeutica che ad un tempo
contenesse in germe il pensiere della stessa Enciclopedia ; il secondo
contenente ( col nome di Esologia ) l'e sposizione della Logica e Metafisica ;
il terzo, il quarto , ed il una con un IL FILOSOFO PIETRO CERETTI 35 quinto (
col nome di Essologia ) costituenti la trattazione ed espo sizione della
filosofia della Natura nelle sue tre parti della Mec canica, della Fisica e
della Biologia (od Organica) ; il sesto, il settimo e l'ottavo (col nome di
Sinautologia ) designati a trattare la Filosofia dello Spirito, distinta
anch'essa in tre parti denomi nate Antropologia, Antropopedeutica ed
Antroposofia . Di questa vasta concezione ed esecuzione il principio fonda
mentale ed assoluto è il Logo, che il lettore vede essere in fondo alla
Esologia, Essologia e Sinautologia : Logo che, come si è detto , in Ceretti
piglia il posto e la generale significazione del l'Idea di Hegel. Il Logo
Cerettiano, come quest'ultima, è l'uni versa ed assoluta realtà , e realtà con
preminente carattere ideale , comprendente in sè la realtà logica, la naturale
e la spirituale. Per tal carattere anche la filosofia cerettiana è idealismo ;
tanto più veramente assoluto , in quanto , non meno e forse ancor più
dell'hegeliano, abbraccia in sè in complessiva unità tutte le forme di
Idealismo apparse nel corso storico della filosofia, si in generale le
antecedenti all'Idealismo tedesco , si in modo più speciale quelle di
quest'ultimo , cioè gli Idealismi subbiettivi Kantiano e Fichtiano , l'Idealismo
obbiettivo Schellinghiano , non che lo stesso Idealismo assoluto Hegeliano.
Questo carattere di universalità ed assolutezza dell'Idealismo cerettiano è una
delle cose più spiccanti , più notevoli ed anche più rilevate dell'Enciclopedia
filosofica del filosofo intrese. Quanto al principio assoluto del Logo , va
parimenti rilevato , che , per la natura conscia del medesimo innanzi additata,
esso vien dal Ceretti designato anche come puramente e semplicemente Coscienza
: per modo che Coscienza e Logo ricorrono quasi pro miscuamente nella
Enciclopedia cerettiana ed anche in altre opere posteriori) come espressive e
determinative del principio assoluto. È bene , inoltre, rilevare che tal
principio assoluto e dal nostro filosofo anche puramente e semplicemente detto
l'Assoluto, il quale corrisponde in tutto e per tutto al Logo e alla Coscienza
consi derati come assoluti . Ciò fa intendere come pel Ceretti l'elemento
conscio costitui sce il carattere essenziale del suo principio assoluto , ossia
del suo Logo in tutto il suo ambito , mentre per Hegel l'elemento conscio è
caratteristico e specifico dello Spirito propriamente detto, ossia dell'Idea
giunta a coscienza di sé . Ciò farà, d'altra parte, pari menti intendere come
il filosofo intrese ponga come riformativa dell'hegelianismo la proposizione :
L'Assoluto è la Coscienza . Per cio che concerne la designazione del principio
assoluto, rilevo ancora che, ad esprimere il predetto principio assoluto, egli
adopera tante altre volte anche le parole Idea, Nozione, persin Pensiere , come
Hegel. Ma, se le espressioni son varie, il senso e valore fondamentale del suo
principio è quello del Logo pen sato come Logo conscio o Coscienza (assoluta).
Conformemente a ciò ( e in grosso conformemente all'hegelia 36 CENOBIUM con nismo)
il Logo vien pensato nella sua intrinseca natura e nel suo processo dialettico.
Nella sua natura il Logo vien considerato in tre diverse forme di esistenza,
cioè, quale è in sè, quale è per sè, e quale è in sè e per sè. La
considerazione del Logo in sè stesso costituisce la predetta Esologia (da sis,
és, dentro e hópos) , ossia la dottrina logico- metafisica del Logo ; quella
del Logo fuori di sè costituisce la Essologia ( da few fuori, in latino
Exologia) , ossia la dottrina ( filosofica ) della Natura ; e quella del Logo
in sè e per sė, o come il Ceretti la dice , del Lago in sè e con sè,
costituisce la Sinautologia ( da suv e autos, con stesso ), ossia la dottrina
dello Spirito . Degno di rilievo è inoltre che il Logo in sè pel filosofo in
trese è il Logo nella sua Subbiettività, il Logo fuori di sè è il Logo nella
sua Obbiettività, e il Logo in sè e sè il Logo nella unità della sua
Subbiettività e della sua Obbiettività, ossia è il Logo subbiettivobiettivo,
che è poi il Logo assoluto. È bene parimenti rilevare che come il Logo per lui
è per eccellenza il Logo conscio , il quale è poi lo Spirito o la Coscienza ,
così si de signano egualmente lo Spirito e la Coscienza nella loro
Subbiettività, nella loro Obbiettività, e nell'unità della Subbiettività e dell'Ob
biettività. Il predetto triplice modo di essere della natura del Logo soggiace
ad un processo esplicativo , che costituisce il pro cesso dialettico ,
appellato anche metodo dialettico. Questo pro cesso metodico ha , tanto per
Hegel quanto per Ceretti , tre mo menti anch'esso. Questi momenti, che il
filosofo tedesco appella comunemente dell'in sè , del per sè e dell'in sè e per
sè , dando loro il valore e significato di momento immediato o intellettivo (
della speculazione dell'Idea ), di momento mediato o razionale negativo , e di
momento immediato e mediato insieme, o razionale positivo, vengono invece dal
Ceretti appellati ( nel complesso però con valore e significato simili a quelli
di Hegel) momenti della Posizione, Riflessione e Concezione. La posizione ,
come la parola stessa indica, ha il valore e significato di quella che
comunemente ( in Fichte , Schelling ed Hegel) , ricorre come tesi , mentre la
ri flessione ha significato e valore di contraddizione ( opposizione, an titesi
) e la Concezione significato e valore di conciliazione degli opposti, sintesi
della tesi e dall'antitesi. La triplicità delle forme di esistenza del Logo (
quelle di Eso Jogo , Essologo e Sinautologo con le corrispondenti dottrine di
Esologia, Essologia e Sinantologia) costituisce per Ceretti i tre Cicli di
quest'ultimo. Cicli che , mentre son tre , pur ne costitui solo sotto triplice
forma : costituiscono cioè il Logo assoluto unitrino . Un altro punto pur degno
di rilievo e caratteristico è il modo come Ceretti determina la considerazione
filosofica o speculativa de tre Cicli . La considerazione del primo, ossia
dell'Esologia , è per lui il pensiero del Pensiero ( cogitatio cogitationis)
quella del scono un IL FILOSOFO PIETRO CERETTI 37 ma secondo o dell'Essologia è
il Pensiero del Pensato ( cogitatio cogi tatis ), e quella del terzo, o della
Sinautologia, è il Pensiero del Pensante ( cogitatio cogitantis ). Anche
nell'hegelianismo il Pensiero assoluto è identificato col l'Idea assoluta, in
quella guisa che il Ceretti identifica parimenti il Pensiero assoluto col Logo
assoluto. Però nella espressione e determinazione cerettiana la cosa ha un
significato più specifico, e propriamente questo , che cioè l'Esologia è la
considerazione del Pensiero in sè stesso , del pensiero puro hegeliano e potrei
an che soggiungere, della ragion pura kantiana ; l'Essologia è la
considerazione del Pensiero del Pensato , cioè del Pensiero non più in sè, puro
ed astratto , del Pensiero estrinsecato ( fatto per sè ) , obbiettivato ; e la
Sinautologia la considerazione del Pen siero del Pensante, cioè del pensiero
come esistente ed esercitan tesi nel subbietto pensante. Potrei dire che la
predetta triplice considerazione è quella del Pensiero puro e semplice, quella
del Pensiero come obbietto di sè medesimo ( estrinsecatosi fuori di sè nella
Natura ), e quella del Pensiero astratto ed operante come proprio subbietto (
nella Coscienza del pensiero stesso o nello Spirito ) . Dopo le antecedenti
generalità , passiamo a considerare parte per parte il Logo nelle sue tre forme
di esistenza nella logico metafisica ( Esogia) , nella naturale ( Essologia) e
nella spirituale ( Sinautologia ). La dottrina logico -metafisica,
conformemente alla hegeliana, è pur distinta in tre parti che anche per lui ,
come per Hegel , son quelle dell'Essere, dell’Essenza e del Concetto : solo che
queste nel filosofo tedesco si susseguono nel modo indicato e nel filosofo
intrese mutan posto , diventando primo il Concetto , secondo l'Es sere e terzo
l’Essenza . Questo mutamento di posto nella serie porta poi naturalmente con sè
un corrispondente mutamento nel processo dialettico. Le dottrine di queste tre
parti così spostate hanno in Ceretti i nomi speciali di Prologia, Dialogia e
Autologia . La prima con sidera il Logo esologico, o logico -metafisico, nella
astratta iden tità del Pensiero , la seconda nella differenza di esso , e la
terza nella unità sintetica dell'identità e della differenza del Pensiero
stesso. Non credo che il nostro filosofo abbia avuto giusta ragione d'invertire
l'ordine de' tre principii fondamentali predetti . Ma, checchè sia di ciò , è
bene di allegare la ragione dell'invertimento da lui ritenuto razionale e
necessario . La quale, a suo credere , è che per il Logo conscio, o che vale lo
stesso, per la Coscienza il primo ( Prius) prologico ( cioè il primo con cui
deve cominciar la logica) non dev'essere nè indeterminato , come sono l'Essere
di Hegel e di Rosmini, nè determinato , come sono l'Io di Fichte e la predetta
Ragione di Schelling , ma dev'essere lo stesso Prius, nel quale sieno
implicitamente contenute tanto la indeterminazione 38 COENOBIUM quanto la
determinazione. E un sì fatto Prius pel Ceretti è la Proposizione, che è il
primo ed iniziale momento della sua Pro logia, il quale è più primitivo e più semplice
del Giudizio che ne costituisce il secondo, al quale poi segue il terzo unitivo
de' due primi, che è il Sillogismo. Quanto alla natura de suddetti momenti
della Prologia, la Proposizione è la immediata ed indistinta coscienza logica,
la quale , appunto per la sua indistinzione, non è nè subbiettiva nè obbiettiva
. Il Giudizio invece è la coscienza logica, che dalla indistinzione od
indifferenza si esplica e passa nella subbiettività ed obbiettività di sè
medesima. E da ultimo il Sillogismo è la subbiettività della coscienza logica ,
la cui attività consiste nell'e splicare se stessa , esplicazione di sè stessa
, che in fondo è poi una obbiettivazione della subbiettività. Dato tal concetto
generale de' momenti della Prologia , il nostro autore passa a considerare e
determinar ciascuno in se medesimo, ed inoltre secondo il predetto processo
metodico trico tomico della Posizione , della Riflessione e della Concezione.
Conformemente a ciò , distingue la Proposizione in posta, ri flessa e concepita
; e in posto, riflesso e concepito, distingue e de termina parimenti sì il
Giudizio che il Sillogismo. La trattazione ed esposizione di ciò è amplissima,
specialmente quella del Sillogismo ; ed è non solo amplissima, ma anche note
volissima per le molteplici determinazioni logiche ed ontologiche non che
illustrazioni ed applicazioni d'ogni genere alle diverse parti dello scibile e
della stessa realtà . La trattazione è di tanto interesse che è degnissima di
esser presa da ognuno in considerazione anche oggi alla distanza di una
sessantina d'anni, dacchè fu pensata ed esposta . Non potendo entrare nelle
particolarità a far intendere il pensiero cerettiano sì nella concezione de'
momenti della predetta Prologia sì nel passaggio da questa alla Dialogia,
allegherò un luogo nel quale l'autore lo riepiloga, e che è questo . « Il pen
siero prologico ( 1 ) , uscito (passato) dalla sua generalità formale ( cioè
dalla proposizione) colla particolarità formale della sua gene ralità ( cioè
col giudizio) nell'unità formale della sua generalità e della sua particolarità
( cioè nel sillogismo ), si concepisce come sistema metodico della razionalità,
ossia come forma assoluta delle forme. La forma sillogistica delle forme
pensabili insegna che il pensiero è essenzialmente il sistema di sè, e non v'è
sistema all'in fuori del sistema del pensiero, poichè l'altro del pensiero non
può essere fatto (posto ) da altro che dal pensiero. Inoltre, insegna che il
sistema assoluto del pensiero è il sillogismo giudicativo della proposizione, perciò
l'Assoluto non può esser concepito altrimenti ( 1 ) Cosi a pag. 125 della
Ragione Logica di tutte le cose , vol . II Esologia , nella versione dal Latino
di Carlo Badini, Torino, 1890. IL FILOSOFO PIETRO CERETTI 39 che nella forma
sillogistica ; questa concezione porta con sè la ne cessità logica di sè ,
poichè è la Nozione della Nozione. Il sillogi smo assoluto , come
prologico , non è più che la formalità ( la forma assoluta del Logo, la
quale invoca l'essenzialità assoluta di sè da esplicare in sè da sè stesso .
Quindi il sillogismo passa dalla sua subbiettività assoluta ad esplicare la sua
obbiettività im plicita assoluta ; questa obbiettività è la verità della
subbiettività sillogistica assoluta » . Ciò posto , quella che ora effettua il
passaggio e progresso dalla forma e dalla subbiettività del Pensiero alla
essenzialità ed obbiettività del medesimo è la Dialogia, che per eccellenza è
la dottrina delle categorie logiche del Pensiero. Corrispondendo la dottrina
dialogica cerettiana alle dottrine logiche hegeliane dell'Essere e dell'Essenza
prese insieme, ne segue che le categorie, onde qui è parola , sono in grosso
quelle che ricorrono nelle predette due dottrine hegeliane. Quanto al concetto
della categoria e alla funzione logica della categorizzazione, sono importanti
queste parole del filosofo intrese : « La categoria , dic'egli ( 1 ), è
propriamente la predicazione del Pensiere fondata dallo stesso pensiere come
necessaria ; e la cate gorizzazione del Pensiere è l'atto più nobile della
speculazione filo sofica e la più alta concezione dal Pensiere umano Nè meno im
portanti in proposito sono gli additamenti ch'egli fa intorno alla evoluzione
storica delle categorie presso i diversi filosofi e corri spondenti scuole che
spiccano intorno ad esse . Per cio che concerne le categorie trattate e
sviluppate nella Dialogia, le fondamentali son quelle dell'Essere,
dell’Essenza, e del l'Esistenza, come costituenti la triplicità dialogica per
eccellenza ; e da queste fondamentali se ne sviluppano altre costituenti mo .
menti subordinati, ma non meno importanti. L'Essere, infatti, è da prima il
Logo generale ed indeterminato (est Logus Conscentiæ generalis) , ma esso si
particolarizza e de termina in sè medesimo in ulteriori principii categorici.
Per esem pio, si distingue e particolarizza come qualitativo, quantitativo e
modale, sorgendo così le categorie della qualità, della quantità e della
modalità (misura ). Ed inoltre l'Essere nella sua stessa gene rità ( innanzi
alla predetta particolarizzazione dunque) è essere , non essere e divenire (
esse , non - esse , fieri); come, d'altra parte , le categorie della qualità,
quantità e modalità alla lor volta si distin guono e particolarizzano in altre.
Chi conosce la logica di Hegel vede subito nelle predette ca tegorie cerettiane
la simiglianza con le corrispondenti hegeliane ; ed è forse questa la parte ,
nella quale il Ceretti si tiene più da vicino a quello ; mentre in altre parti
vi sono non poche dissi miglianze. ( 1 ) Nel predetto citato volume della
Esologia , pag . 132 . 40 COENOBIUM ecc. Dall'Essere il processo dialogico
conduce alla seconda cate goria fondamentale predetta, cioè alla Essenza la
quale non è altro che la particolarizzazione dello stesso Essere ( Esse suam
absolutam particolaritatem adeptum est Essentia ). Ciò che si è detto avvenire
per la categoria fondamentale del l'Essere avviene anche per l’Essenza, che
cioè anche questa , alla sua volta distinguendosi e particolarizzandosi in sè
medesima, ne produce di ulteriori , come quelle del fondamento, della sostanza
, della materia , ecc. E quanto alla terza categoria fondamentale, cioè
l'Esistenza , essa è l'unità dell'Essere e dell'Essenza . Ognuno nella
Existentia riconosce l'Esse come particolarizzato ; ma d'altra parte, nella
particolarizzazione dell'Essere si specifica e manifesta anche l'E lemento
dell'Essenza, per forma che l'Esistenza risulta siccome una manifestazione
dell'Essenza ( Exsistentia est essentia manifesta ). E da ultimo l'Esistenza dà
anch'essa origine ad altre categorie subordinate , come realtà, necessità , La
terza parte della Logica ( o della Esologia ) cerettiana, cioè l'Autologia, si
fonda, sviluppa e sistematizza in tre categorie fon damentali, che son quelle
di Sapere, Volere, Agire, ( Scire, Velle, Agere ), le quali sono in
corrispondenza di quelle che ricorrono nella terza parte della Logica
hegeliana, e che sono l'Idea del conoscere (die Idee des Erkennens ), l'idea
del bene ( die Idee des Guten ) e l'Idea assoluta ( die absolute Idee ). Va
però osservato che il volere e l'agire che in Hegel si congiungono nella Idea
del Bene , e costituiscono la Idea pratica , in Ceretti appariscono, al
contrario , come momenti e categorie distinte . Questa terza parte della Logica
del Ceretti è una delle più belle e ad un tempo una di quelle in cui il Ceretti
è come più originale e più indipendente da Hegel . Il modo rome il filosofo
intrese vede la distinzione, la relazione e la unificazione del Sa pere, del
Volere e dell'Agire è qualche cosa di profondo, di stu pendo e di vero , e lo si
vede più chiaramente e più determina tamente di quel che possa vedersi nel,
pure grandissimo, filosofo tedesco . Ciò viene dal perchè i tre momenti, che in
Hegel sono come ancora implicati e inviluppati, in Ceretti ricorrono come più
sviluppati e ad un tempo più sistemati . Il pensiero cerettiano dell'Autologia
è ( secondo che lo espressi nella mia Notizia degli scritti del pensiere
filosofico del Ceretti) che « l'Assoluto è la Coscienza logica che si
sistematizza in se stessa , per quindi sistemarsi fuori di sè ( 1 ) allo scopo
finale di sistemarsi in sè e per sè come assoluta unità di sè stessa. L'Au
tologia costituisce un sillogismo assoluto ( cioè una connessa tri plicità
assoluta ), i cui termini sono i predetti di Sapere , Volere , Agire. Nella
Coscienza assoluta il Sapere è l'essere del Volere, ( 1 ) Nel Volere c'è ,
infatti, esterîorazione del Saputo. IL FILOSOFO PIETRO CERETTI 41 il volere è
l'essenza del Sapere, l'agire è l'esistenza del Volere ; e tutti e tre insieme
costituiscono l'unitrinità della Coscienza » . Anche le tre predette categorie
si distinguono e particolariz zano in altre . Il Sapere si svolge ne ' momenti
subordinati (i quali son categorie anch'essi) di Sapere immediato, mediato,
assoluto ; il Volere si distingue e particolarizza alla sua volta nelle forme
ca tegoriche di Volere subbiettivo , obbiettivo e assoluto ; e l'Agire nelle
sue corrispondenti di Agire attuoso ( agire come atto puro e semplice ), Agire
volonteroso e Agire concettuale ( 1 ). Questo è in breve il concetto e disegno
della prima parte della grande opera enciclopedica del nostro filosofo . La
seconda parte, quella del Logo fuori di sè o del Logo nella sua obbiettivazione
, cioè la Filosofia della Natura, ha avuta una estesissima trattazione ; e
trattazione in cui il nostro filosofo si mostra non poco originale ed
indipendente rispetto alla corri spondente parte della Enciclopedia hegeliana.
Essa è per noi italiani tanto più importante, in quanto non vi è in Italia ,
neppure presso i nostri filosofi maggiori moderni, una sola opera che , prima
di questa del Ceretti , meriti il nome di filosofia della Natura nel senso
ampio, vero e moderno della parola. Io ho scritto su questa parte della grande
opera cerettiana tre lunghissime Introduzioni ai tre volumi che vi si riferiscono,
le quali, riunite insieme e pubblicate sotto il titolo di Filosofia della
Natura di Pietro Ceretti, formano un'opera di ben 487 pagine; e in questa ho
ampiamente chiarita e dimostrata la verità di tutto ciò . Quanto al cenno che
posso farne qui, specialmente a cagione della vastità di trattazione che ha nel
Ceretti , esso non può con sistere in altro se non nella pura e semplice
indicazione del di segno, della materia e dell'andamento della trattazione
stessa . Premessa la determinazione della posizione e del concetto della
filosofia della Natura nel Sistema panlogico , egli passa alla considerazione
di un punto importantissimo, quello cioè della evo luzione storica della
concezione filosofica della natura , evoluzione che, secondo lui , passa per tre
gradi e corrispondenti forme della coscienza filosofica , la forma
estetico-teologica ( o sentimentale) la forma empirico -matematica ( o
intellettiva e riflessiva ) e la forma speculativa propriamente detta ( o
concetturale) . E fa in propo sito una stupenda rassegna storica di queste
forme, giungendo all'ultima , ossia alla hegeliana, alla quale egli si
riattacca, ulterior mente sviluppandola e riformandola in ciò che ha di
difettivo . Procede quindi alla partizione della Filosofia della Natura, dividendola
come abbiam detto in Meccanica , Fisica e Biologia , conformemente alla Natura
distinta in sè stessa in meccanica , fi ( 1 ) Queste tre azioni (o funzioni )
categoriche dell’Agire il Ceretti le designa come Agere actum, Agere voluntatem
e Agere notionem . 42 CENOBIUM sica e biotica ( vivente ). Carattere
costitutivo della Natura mecca nica è la quantità, della fisica la qualità, e
della vivente l'unità della quantità e della qualità, la quale unità è poi la
modalità o la misura della medesima. Quanto all'unità inscindibile delle tre
parti distinte e de' corrispondenti tre ' caratteri della natura , sono
notevoli e riassuntive queste parole del filosofo intrese . Cioè : Il
meccanismo é ove è la fisica ( la natura fisica ), e la fisica é ove è il meccanismo
; e se vi sono il meccanismo e la fisica, vi è anche la natura vivente » . Ad
intendere meglio il rapporto ed il corrispondente concetto filosofico delle
predette tre parti e de ' tre predetti corrispondenti caratteri , il nostro
filosofo arreca un esempio illustrativo , che è bene di riprodurre anche qui .
« Il meccanismo, dic'egli , suppone necessariamente l'esteriorità reciproca dei
suoi termini ; quando questa esteriorità , passata nella sua interiorità ,
nella sua unità in separabile, trascenda sé a sè esteriore, non versa più in un
piano ( campo) meccanico, il quale ammetta per sè alcuna intrinsecazione
qualitativa della esteriorità meccanica, ma versa propriamente nella natura
fisica del meccanismo ( in mechanismi physi ), la quale è la quantità passata
nella sua qualità che deve esplicarsi. Così , ad esempio, in qualunque modo
supponiamo il ferro, diviso, figurato, posto in movimento, ecc. , esso non
cessa di essere ferro. E quando per azioni esterne, come ad esempio, per
l'ossidazione, cessi di essere ferro, non consideriamo tali azioni come
meccaniche, perchè due modi della materia (l'ossigeno e il ferro) sono divenuti
un solo modo (neutrale), il quale non ammette più alcuna coalterio rità esterna
( 1 ) di fattori (essenzialissima al meccanismo, ma è in sè l'unità qualificata
de' quanti , la natura fisica del meccanismo » . La quale unità è poi la vita,
ossia , quel « principio , com'ei dice , grazie al quale l'alteriorità
meccanica si neutralizza fisicamente , e la neutralità fisica si alteriora ( si
fa altra ) meccanicamente : il che , in quanto è nella circoscrizione
essologica ( naturale) , è la vita » . Ciò posto , egli , concependo la natura
meccanica o il « mec canismo come il sistema della quantità » , passa alla
reale consi derazione e corrispondente sistemazione filosofica di tutti i prin
cipii (detti anche categorie naturali ) della medesima come spazio , tempo,
moto , ecc. Conformemente a ciò , concependo la natura fi sica parimenti come
il sistema della qualità » , svolge i principii o categorie naturali di essa,
come etere ( o materia eterea) , luce calore, magnetismo, elettricità ecc. E
s'intende che ciò che è detto della natura meccanica e della fisica, va detto
anche della natura sivente, della quale, come unità concreta delle due antecedenti,
si vvolgono, determinano e sistematizzano i corrispondenti principii e momenti.
Questi principii , coi relativi sistemi vitali , sono nella loro generalità e
progressività evolutiva la vita cosmica od uranica, la vita geologica e la vita
fito -zoologica. ( 1 ) Per questa intende la predetta reciproca esteriorità de'
termini . IL FILOSOFO PIETRO CERETTI 43 La vastità di conoscenza delle
discipline naturali non che la forza speculativa ch'ei mostra nell'intenderne e
collocarne i prin cipii nel suo vasto disegno del Sistema pantologico sono tali
da fare del Ceretti una delle menti filosofiche più vaste e più profonde del
nostro paese. Col terzo volume della Filosofia della Natura, che è il quinto
della grande opera panlogica, questa rimase interrotta ; però se rimase
interrotta, la iattura non è stata nè intera nè irreparabile. Giacchè i cenni e
relativi concetti riformativi anche della terza parte del sistema panlogico già
delineati primamente ne' Prole gomeni, poscia qua e là considerati negli stessi
quattro susseguenti volumi , son tali e tanti da potersi fare un concetto
chiaro e de terminato anche di esso. Ma, per giunta ed ulteriore integrazione
di questa, l'autore ha lasciato in italiano due opere (scritte dopo dell'opera
latina) , che concernono proprio questa terza parte, cioè le due già mentovate
intitolate , l'una, Considerazioni sopra il si stema generale dello spirito
ecc. ( Torino 1885), l'altra , Sinossi del l'enciclopedia speculativa ( Torino
1890, da me pubblicata e con mie note ed introduzione) . Un brevissimo cenno
anche di questa terza parte è il seguente: Quanto al concetto , obbietto e
partizione di essa, rappresen tando la prima parte la subbiettività del Logo o
della Coscienza assoluta , e la seconda la obbiettività , questa terza
rappresenta l'assoluta unità delle medesime : assoluta unità , che vien cosi ad
essere la Coscienza subbiettiva obbiettivata e ad un tempo la Co scienza
obbiettiva subbiettivata. Or questa Coscienza risultata tale è ciò che il
Ceretti ( conformemente ad Hegel) appella comune mente anche Spirito, il quale
è appunto l'obbietto di questa parte da lui denominata Sinautologia. Intanto ,
siccome lo Spirito , benchè già sorgente nella stessa animalità , pur non
giunge alla sua reale manifestazione, esistenza e verità (1 ) se non nella
umanità , così divien questa lo speciale obbietto della Sinautologia. La quale
perciò è dal nostro filosofo , designata come speculante l'Uomo, primamente
nella Subbiettività secondamente nella Obbiettività, e in terzo luogo nella Assolu
tezza del medesimo : Assolutezza, che è l'unità della Subbiettività e
dell'Obbiettività. Di questa triplice considerazione, o meglio speculazione, la
prima costituisce ciò che egli chiama l'Antropolo gia, la seconda
l'Antropopedeutica, la terza, l'Antroposofia. I lettori che conoscono la
dottrina hegeliana vedranno tosto la simiglianza della dottrina cerettiana
colla dottrina hegeliana dello Spirito, distinta in quella di Spirito
subbiettivo, spirito ob biettivo e Spirito assoluto . Senonché, se c'è simiglianza
nella ge nerale concezione, c'è anche una notevole differenza nella partico ( 1
) L'uomo, dice il Ceretti , è la concreta verità dello Spirito ( Homo est
spiritus concreta veritas ) . 44 CENOBIUM lare trattazione della medesima. Per
dire ancora qualche cosa della concezione e partizione cerettiana della
predetta Sinautologia rileverò che l'Antropologia considera l'Uomo come
Subbietto gene rale . E come tal Subbietto consiste dell'elemento fisico o
corporeo e dell'elemento metafisico ( come il Ceretti lo chiama) ossia ani mico
, così essa è primamente Psicofisiologia ; indi considera nel generale
subbietto umano l'elemento, dirò così specificamente umano, ossia la mente, ed
è Noologia ; in terzo luogo , la mente, o l'attività teoretica , si realizza
come attività pratica e allora l’An tropologia nel suo terzo momento è
Prasseologia o dottrina del l'azione (spirituale) . La Psicofisiologia, la
Noologia e la Prasseo logia hanno alla lor volta principii , ossia momenti
subordinati , e vengono anche questi considerati , accolti e sistemati nella An
tropologia L'Antropopedeutica, all'opposto della Antropologia che consi sidera
l'Uomo subbiettivo, considera l'Uomo obbiettivo, ossia l'uomo nella
obbiettivazione della propria subbiettività : la quale obbiettivazione
costituisce , primamente, la dialettica mondiale u mana e produce ciocchè si
appella la Storia ; è in secondo luogo « il Logo sistematico della dialettica
obbiettiva » , che in senso lato è ciocchè si appella la Didattica ; e in terzo
luogo è la « stessa obbiettività sistemata nel Subbietto » , che è quella che
si designa col nome di Diritto. Che anche queste tre parti
dell'Antropopedeutica (Storia, Di dattica, Diritto ), si sviluppino,
particolarizzino e sistematizzino in ulteriori sfere, attività , principii ,
ecc. , lo s'intende da sè ; e cosi viene assolta anche questa parte della
Sinautologia. E finalmente vien considerata e trattata l'ultima sfera di questa
, cioè l'Antroposofia, la quale ha che fare coll'Uomo considerato nella sua
assolutezza , ovvero nella sua Coscienza assoluta, e com prende la sua attività
artistica , religiosa e filosofica. L'Arte è la contemplazione e produzione del
bello, del buono e del vero me diante l'ispirazione estetica : la Religione e
l'apprensione, rivela zione e culto del divino, e tramezza la manifestazione
estetica e la concezione filosofica ; la Filosofia sviluppa la immediata ap
prensione religiosa nella mediata concezione del pensiero assoluto. La triplice
ed assoluta attività dello spirito , artistica , religiosa e filosofica
costituisce l'ultimo e supremo sillogismo del Logo as soluto o della Coscienza
assoluta , e con esso si chiude il Sistema panlogico. Tale è in nuce il vasto
pensiere filosofico cerettiano e la vasta esecuzione del medesimo. Per ciò che
è riferito in queste poche pagine rimando il let tore ai miei molteplici lavori
intorno al Ceretti, specialmente alla « Notizia degli scritti e del pensiere
filosofico » di Pietro Ceretti, non che alla « Filosofia della Natura » del
medesimo. E sog giungo e annunzio qui volentieri che intorno a quest'uomo, che
IL FILOSOFO PIETRO CERETTI 45 ha occupato due decenni di studi della mia vita ,
son presso a finire l'ultima mia opera : opera che consiste in una estesa e par
ticolareggiata esposizione di tutto intero il suo Sistema panlogico , compresa
la Sinautologia. Ho forse speso intorno a lui più tempo di quel che conveniva
per i miei propri studî e lavori ; ma non me ne pento, non solo perchè egli è
stato di giovamento a questi stessi , ma specialmente perchè ho contribuito a
far conoscere un uomo, che fa onore grandissimo alla filosofia in genere e alla
filosofia italiana in ispecie. ‘Alessandro Goreni’. Pietro Ceretti. Keywords:
communication, convention, homo sapiens, pirothood, inter-subjective,
animality, animalness, soul, psichico, psychic, psychical versus psychological,
progression, pirotological progression. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Ceretti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51773651469/in/dateposted-public/
Ceronetti – la lanterna – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo. Grice: “I like
Ceronetti; he is a typicall Italaian philosopher; that is, a typically
anti-Oxonian one; he thinks, like Croce and de Santis did, that philosophy is
an infectious disease that some literary types catch! My favourite of his
tracts is “Diognene’s torch”! Genial!” Per essere io morto all'Assoluto vivo
come un innato parricida tra gente già di padre nata priva; pPer aver detto
all'Inaccessibile addio da un cortiletto senza luce vergogna vorrei gridarmi ma
resto muto. Tutto è dispersione, lacerazione, separazione, rotolare di ruota
senza carro, e questo ha nome esilio, o anche mondo. Di vasta erudizione e di
sensibilità umanistica, collabora con vari giornali. Tra le sue opere più
significative vanno ricordate le prose di Un viaggio in Italia e Albergo
Italia, due moderne descrizioni, moderne e direi dantesche, da cui vien fuori
tutto l'orrore del disastro italiano, e le raccolte di aforismi e riflessioni
Il silenzio del corpo e Pensieri del tè. Di rilievo la sua attività di saggista
(Marziale, Catullo, Giovenale, Orazio). Diede vita al teatro dei Sensibili,
allestendo in casa spettacoli di marionette. Le sue marionette esordivano su un
piccolo palcoscenico, nel tinello di casa Ceronetti, ad Albano Laziale. Si
consumavano tè, biscottini (i crumiri di Casale) e mele cotte." Nel corso
degli anni vi assisterono personalità quali Montale,Piovene, e Fellini. Con la
rappresentazione de La iena di San Giorgio, I Sensibili divenne pubblico e
itinerante. In Difesa della Luna, e altri argomenti di miseria terrestre,
suo saggio d'esordio critica il programma spaziale da prospettive originali e
poetiche. Il fondo Guido Ceronetti -- "il fondo senza fondo" -- raccoglie
infatti un materiale ricchissimo e vario: opere edite e inedite, manoscritti,
quaderni di poesie e traduzioni, lettere, appunti su svariate discipline,
soggetti cinematografici e radiofonici. Vi si trovano, inoltre, numerosi
disegni di artisti (anche per I Sensibili), opere grafiche, collage e
cartoline. Con queste ultime fu allestita la mostra intitolata Dalla buca del
tempo: la cartolina racconta. Prese posizione a favore dell'eutanasia, con
la poesia La ballata dell'angelo ferito. Beneficiario della legge Bacchelli, in
quanto cittadino che ha illustrato la Patria e versante in condizioni di
necessità economica. Robbe-Grillet, Moravia e Ceronetti al Premio
letterario internazionale Mondello. Palermo Proposto dal controverso critico e
politico Sgarbi come senatore a vita a Napolitano, declina subito
l'invito. Attento alle tematiche ambientali, era noto per essere un acceso
sostenitore del vegetarismo e per una pratica di vita estremamente frugale,
quasi da moderno anacoreta. Solo un vero vegetariano è capace di vedere
le sardine come cadaveri e la loro scatola come una bara di latta. Un
mangiatore di carne (non mi sento di scrivere un carnivoro perché l'uomo non è
un carnivoro) neanche se lo chiudono nel frigorifero di una macelleria avrà la
sensazione di coabitare con dei cadaveri squartati. C'è come un velo sulla
retina dei non vegetariani, quasi un materializzarsi di un velo sull'anima, che
gli impedisce di vedere il cadavere, il pezzo di cadavere cotto, nel piatto di
carne o di pesce. Alcuni suoi articoli sull'immigrazione (disse che ha "un
carattere preciso di invasione territoriale, premessa sicura di guerra sociale
e religiosa") e il Meridione, pubblicati sui quotidiani La Stampa e Il
Foglio, furono tacciati di razzismo, così come scalpore fecero alcune posizioni
da lui espresse sull'omosessualità maschile, accusate di omofobia. In
precedenza sull'argomento si era attirato gli strali dei cattolici per aver
descritto don Bosco come un omosessuale represso. Intervistato nel per Radio Radicale Come articolista,
principalmente su La Stampa e il Corriere della Sera, si occupava spesso di
letteratura, arte, filosofia, costume e cronaca nera (ad esempio scrivendo sul
caso del delitto di Novi Ligure), analizzando il problema del male nel mondo
odierno in una prospettiva gnostica; al contrario giudicava noiosi i processi
di mafia. Notevoli discussioni suscitò, altresì, un suo intervento
giornalistico a difesa del capitano delle SS Erich Priebke (che visitò in
carcere e con cui ebbe uno scambio epistolare), condannato all'ergastolo per la
strage delle Fosse Ardeatine ma che fu soltanto un mero funzionario esecutore,
colpevole della "miseria di non essere un santo" (parafrasi del saggio
di Bloy La tristezza di non essere santi), e creato Mostro delle Ardeatine,
vittima di una giustizia dell'odio. Allo stesso modo, pur esprimendo sempre la
sua simpatia per gli ebrei e per Israele, per convinzioni personali e la sua
parentela acquisita con Giuliana Tedeschi, definì l'ergastolo inflitto a Hess,
al processo di Norimberga, come un crimine politico. La sua posizione
anticonformista pro-Priebke e pro-Hess fece scandalo essendo l'autore un noto
filosemita, con moglie e suocera (superstite di Auschwitz) ebree nonché
convinto filoisraeliano (scrisse articoli di fuoco contro Khomeini e il
terrorismo palestinese). Nel fu
insignito del premio "Inquieto dell'anno" a Finale Ligure. Ostile
al fascismo nella seconda guerra mondiale e al comunismo poi, ma anche
diffidente delle forme della democrazia, non prese mai parte politica attiva, a
parte un brevissimo periodo in cui ebbe la tessera del Partito Socialista dei
Lavoratori Italiani, fino al , quando intervenne al congresso dei Radicali
Italiani, movimento liberale e libertario, e altre volte ai microfoni di Radio
Radicale (era amico di Marco Pannella), anche se si considerava un
"conservatore" e patriota del Risorgimento (descrisse
l'Italia come «una democrazia strangolata sul nascere da tre poteri con il
verme totalitario, democristiano, comunista e sindacale»). Talvolta fu definito
come un "reazionario postmoderno". «Sono sempre stato anticomunista. Il
Mullah Omar e Osama Bin Laden sono modi dell'antiumano. Dietro di loro...
l'ombra di Lenin, inviato della Tenebra, fondatore imitabile dell'universo
concentrazionario, capostipite novecentesco di malvagie entità che non
finiscono di manifestarsi.» (Ti saluto mio secolo crudele) Nel propose in un articolo su la Repubblica,
ispirandosi al fenomeno delle assistenti sessuali per disabili, l'istituzione
di un "servizio erotico volontario" rivolto agli anziani senza che
dovessero rivolgersi a prostitute, per evitare "la barbarie di una
vecchiaia senza sesso". Fece uso di vari pseudonimi, tra i quali Mehmet Gayuk,
il filosofo ignoto (riferimento a Louis Claude de Saint-Martin, filosofo così
chiamato), Ugone di Certoit (quasi l'anagramma di Guido Ceronetti) e Geremia
Cassandri. Morì nella sua casa di Cetona (SI) dopo un breve ricovero a
causa di broncopolmonite. Come da disposizione testamentaria, dopo tre giorni e
una cerimonia religiosa a Cetona, fu sepolto sulle colline tra Torino e il
Monferrato, in una tomba a terra situata nel cimitero di Andezeno (Torino), il
paese di origine dei genitori. Disposizione da prendere. Non voglio donne
in calzoni ai miei funerali. Cacciatele via. Almeno in questa pur
insignificante occasione, ma per amore, siano insottanate come le ho sognate
sempre, nella vita.» Altre opere: “Difesa della luna e altri argomenti di
miseria terrestre” (Rusconi, Milano); “Aquilegia, illustrazioni di Erica Tedeschi,
Rusconi, Milano, con il titolo Aquilegia. Favola sommersa, Einaudi, Torino); La
carta è stanca” (Adelphi, Milano); La musa ulcerosa: scritti vari e inediti,
Rusconi, Milano); Il silenzio del corpo. Materiali per studio di medicina,
Adelphi, Milano); La vita apparente, Adelphi, Milano); Un viaggio in Italia, Einaudi,
Torino); Albergo Italia, Einaudi, Torino); Briciole di colonna. La Stampa,
Torino); Pensieri del tè, Adelphi, Milano); L'occhiale malinconico, Adelphi,
Milano); La pazienza dell'arrostito. Giornali e ricordi, Adelphi, Milano); D.D.
Deliri Disarmati, Einaudi, Torino); Tra pensieri, Adelphi, Milano); Cara
incertezza, Adelphi, Milano); Lo scrittore inesistente, La Stampa, Torino, Briciole
di colonna. Inutilità di scrivere, La Stampa, Torino, La fragilità del pensare.
Antologia filosofica personale Emanuela Muratori, BUR, Milano); La vera storia
di Rosa Vercesi e della sua amica Vittoria, Einaudi, Torino, N.U.E.D.D. Nuovi
Ultimi Esasperati Deliri Disarmati, Einaudi, Torino); Piccolo inferno torinese,
Einaudi, Torino); Oltre Chiasso. Collaborazioni ai giornali della Svizzera
italiana, Libreria dell'Orso, Pistoia, 2004, La lanterna del filosofo, Adelphi,
Milano); Centoventuno pensieri del Filosofo Ignoto, La Finestra editrice,
Lavis); Insetti senza frontiere, Adelphi, Milano); In un amore felice. Romanzo
in lingua italiana, Adelphi, Milano, , Ti saluto mio secolo crudele. Mistero e
sopravvivenza del XX secolo, illustrazioni Guido Ceronetti e Laura Fatini,
Einaudi, Torino, , L'occhio del barbagianni, Adelphi, Milano, , Tragico
tascabile, Adelphi, Milano, , Per le strade della Vergine, Adelphi, Milano, ,
Per non dimenticare la memoria, Adelphi, Milano, , Regie immaginarie, Einaudi,
Torino, Guido Ceronetti, Poesia Nuovi salmi. Psalterium primum, Pacini
Mariotti, Pisa); La ballata dell'infermiere, Alberto Tallone Editore,
Alpignano, Poesie, frammenti, poesie separate, Einaudi, Torino, 1968 Premio
Viareggio; Opera Prima; Poesie: Corbo e Fiore, Venezia); Poesie per vivere e
per non vivere, Einaudi, Torino, Storia d'amore ritrovata nella memoria e altri
versi, illustrazioni di Mimmo Paladino, Castiglioni & Corubolo, Verona); Compassioni
e disperazioni. Tutte le poesie, Einaudi, Torino, Disegnare poesia (con Carlo
Cattaneo), San Marco dei Giustiniani, Genova, Scavi e segnali. Poesie inedited,
Alberto Tallone, Alpignano, Andezeno, Alberto Tallone Editore, Alpignano, La
distanza. Poesie, Edizione riveduta e aggiornata dall'Autore, BUR, Milano, Preghiera
degli inclusi, Alberto Tallone Editore, Alpignano, senza data Francobollo,
Alberto Tallone Editore, Alpignano (sotto lo pseudonimo Mehmet Gayuk), Il
gineceo, Alberto Tallone, Alpignano, febbraio 1998; Adelphi, Milano, In
memoriam di Emanuela Muratori, Alberto Tallone, Alpignano, Messia, Tallone,
Alpignano, Adelphi, Milano, , [nella prima parte del libro] Tre ballate recuperate
dalle carte di Lugano, Alberto Tallone, Alpignano, Tre ballate popolari per il
Teatro dei Sensibili, Alberto Tallone, Alpignano; Pensieri di calma a bordo di
un aereo che sta precipitando, Alberto Tallone, Alpignano; A Roma davanti al
Tulliano Notte del 3 dicembre 63 a. C., Alberto Tallone, Alpignano, Con
l'armata dell'Ebro morire oggi, Alberto Tallone, Alpignano; Invocazione al
Dottor Buddha perché venga e ci salvi, Alberto Tallone, Alpignano; Le ballate
dell'angelo ferito, Il Notes magico, Padova, Poemi del Gineceo, Adelphi,
Milano, , [riedizione de Il gineceo con
inediti e nuova prefazione] Sono fragile sparo poesia, Einaudi, Torino, ,
Drammaturgia Furori e poesia della Rivoluzione francese. Carte Segrete, Roma,
Alcuni esperimenti di circo e varietà. Teatro Stabile-Teatro dei
Sensibili, Alberto Tallone Editore, Alpignano, Mystic Luna Park. Teatro
Stabile-Teatro dei Sensibili, Alberto Tallone Editore, Alpignano, Mystic Luna
Park. Spettacolo per marionette ideofore, ricordi figurativi di Giosetta
Fioroni, Becco Giallo, Oderzo, 1988 Viaggia viaggia, Rimbaud!, Il melangolo,
Genova, La iena di San Giorgio. Tragedia per marionette, Alberto Tallone, Einaudi,
Torino); Il volto (Ansiktet), Teatro dei Sensibili, Alberto Tallone Editore,
Alpignano, Le marionette del Teatro dei Sensibili, Aragno, Torino [contiene: I
Misteri di Londra e Mystic Luna Park] Rosa Vercesi, un delitto a Torino negli
anni Trenta, Teatro Strehler-Teatro dei Sensibili, Alberto Tallone, Alpignano, Rosa
Vercesi, illustrazioni di Federico Maggioni, Edizioni Corraini, Mantova;
Traduzioni e curatele Marziale, Epigrammi, introduzione di Concetto Marchesi,
Einaudi, Torino, II ed. riveduta, Einaudi, Torino; nuova edizione con un saggio
di G. Ceronetti, Einaudi, Torino; nuova ed. riveduta e nuova prefazione di G.
Ceronetti, La Finestra Editrice, Lavis, I Salmi, Einaudi, Torino; nuova ed.
riveduta, Einaudi, Torino; col titolo Il Libro dei Salmi, Adelphi, Milano,
1985, Catullo, Le poesie, Einaudi, Torino, Adelphi, Milano, . Maurice Blanchot,
Il libro a venire (Le Livre à venir), trad. G. Ceronetti e Guido Neri, Einaudi,
Torino; Il Saggiatore, Milano, . Qohelet o l'Ecclesiaste, Einaudi, Torino, Alberto
Tallone Editore, Alpignano, nuova traduzione ; Qohelet. Colui che prende la
parola, Adelphi, Milano, Decimo Giunio
Giovenale, Le Satire, Einaudi, Torino, La Finestra Editrice, Trento, Il Libro
di Giobbe, Adelphi, Milano, Premio Monselice di traduzione, nuova ed. riveduta,
Adelphi, Milano, Cantico dei cantici, Adelphi, Milano, Alberto Tallone Editore,
Alpignano, nuova versione riveduta, . Il Libro del Profeta Isaia, Adelphi,
Milano; nuova ed. riveduta e ampliata, Adelphi, Milano, Come un talismano.
Libro di traduzioni, Adelphi, Milano, 1986. Konstantinos Kavafis, Nel mese di
Athir, Edizioni dell'elefante, Roma. Konstantinos Kavafis, Tombe, Edizioni
dell'Elefante, Roma, Giovenale, Le donne. Satira sesta, Alberto Tallone
Editore, Alpignano, Nostradamus: annunciatore nel secolo 16. della Rivoluzione
che durerà dal 1789 al 1999 / profezie estratte dalle Centurie di Michel de
Nostredame, Alpignano, Alberto Tallone Editore, Tango delle capinere, Castiglioni
& Corubolo, Verona. Due versioni inedite da Shakespeare e da Céline, Cursi,
Pisa, Teatro dei sensibili, La rivoluzione sconosciuta. Pensieri in libertà per
ricordare. Una scelta di testi Guido Ceronetti, Tallone, Alpignano, col titolo
La rivoluzione sconosciuta, Adelphi, Milano, raccolta di 44 locandine teatrali
a fogli sciolti dalla mostra-spettacolo di Dogliani] Henry d'Ideville, Oggi,
Alberto Tallone, Alpignano, senza data. Constantinos Kavafis, Poesia, Alberto
Tallone, Alpignano, senza data Georges Séféris, Poesia, Alberto Tallone,
Alpignano, senza data. Sofocle, Edipo Tyrannos. Coro, Edizioni dell'Elefante,
Roma (con Cristina Chaumont) Sura 99. Al Zalzala (Il tremito della terra) dal
Corano, calligrafia di Mauro Zennaro, Edizioni dell'Elefante, Roma, Il Pater
noster. Matteo 6, calligrafia di Mauro Zennaro, Edizioni dell'Elefante, Roma, Léon
Bloy, Dagli ebrei la salvezza, con un saggio di G. Ceronetti, traduzione di
Ottavio Fatica e Eva Czerkl, Piccola Biblioteca n. 330, Adelphi, Milano, Giorni
di Kavafis. Poesie di Constantinos Kavafis, Officina Chimerea, Verona, Messia,
Alberto Tallone Editore, Alpignano; Adelphi, Milano, .nella seconda parte del
libro, Siamo fragili, Spariamo poesia. i poeti delle letture pubbliche del
Teatro dei Sensibili , Qiqajon, Magnano, 2003 Tito Lucrezio Caro, I terremoti.
De Rerum Natura. Alberto Tallone, Alpignano, Constantinos Kavafis, Un'ombra
fuggitiva di piacere, Adelphi, Milano, Trafitture di tenerezza. Poesia
tradotta, Einaudi, Torino, François Villon, I rimpianti della bella Elmiera,
Alberto Tallone Editore, Alpignano, . Orazio, Odi. Scelte e tradotte da Guido
Ceronetti, Adelphi, Milano, . Epistolari Guido Ceronetti e Giosetta Fioroni,
Amor di busta, Milano, Archinto, Due cuori una vigna. Lettere ad Arturo
Bersano, Prefazione di Ernesto Ferrero, Padova, Il Notes Magico, Guido
Ceronetti e Sergio Quinzio, Un tentativo di colmare l'abisso. Lettere, Milano,
Adelphi, . Spettacoli del Teatro dei Sensibili La Iena di San Giorgio. Tragedia
per marionette (allestito in appartamento), prodotto dal Teatro Stabile di
Torino, con Ariella Beddini, Simonetta Benozzo, Paola Roman e Manuela
Tamietti, regia di Egon Paszfory (Guido Ceronetti), scene e costumi di Carlo
Cattaneo Macbeth (spettacolo per marionette allestito in appartamento) Lo
Smemorato di Collegno (anni '70, spettacolo per marionette allestito in
appartamento) Diaboliche imprese, trionfi e cadute dell'ultimo Faust (spettacolo
per marionette allestito in appartamento); Fu interpretato al Festival di
Spoleto da Piera degli Esposti, Paolo Graziosi e Roberto Herlitzka, con la
regia, scene e costumi di Enrico Job I misteri di Londra (allestito in
appartamento); prodotto dal Teatro Stabile di Torino, regia di Manuela
Tamietti, con Patrizia Da Rold (Artemisia), Luca Mauceri (Baruk), Valeria Sacco
(Egeria), Erika Borroz (Remedios) e le marionette del Teatro dei Sensibili.
Furori e poesia della rivoluzione francese. Tragedia per marionette (allestito
in appartamento); al Teatro Flaiano di Roma con i burattini di Maria Signorelli
Omaggio a Luis Buñuel prodotto dal Teatro Stabile di Torino, Mystic Luna Park (prodotto
dal Teatro Stabile di Torino), spettacolo per marionette ideofore con Armida
(Nicoletta Bertorelli), Demetrio (Guido Ceronetti), Irina (Laura Bottacci),
Norma (Paola Roman), Yorick (Ciro Buttari) La rivoluzione sconosciuta,
mostra-spettacolo all'ex-convento dei carmelitani a Dogliani Viaggia
viaggia, Rimbaud! (prodotto dal Teatro Araldo di Torino, in occasione del
centenario della morte di Arthur Rimbaud), regia di Jeremy Cassandri (Guido
Ceronetti) con Melissa (Manuela Tamietti), Norma (Paola Roman), Francisco (Gian
Ruggero Manzoni), Yorik (Ciro Bùttari) e Zelda (Roberta Fornier) Per un pugno
di yogurt, collage di poesie Les papillons névrotiques (al Cafè Procope di
Torino) con la partecipazione di Corallina De Maria La carcassa circense, spettacolo
per marionette, azioni mimiche, cartelli, organo di Barberia con Rosanna
Gentili e Bartolo Incoronato Il volto, dedicato a Ingmar Bergman in occasione
dei suoi ottant'anni Ceronetti Circus ovvero Casse da vivo in esposizione
pubblica, letture di poesia, azioni sceniche mimiche e intermezzi musicali con
Elena Ubertalli e Giorgia Senesi M'illumino di tragico, collage di testi e
pantomime liriche; in tournée anche con il titolo I colori del tragico Rosa
Vercesi (prodotto dal Piccolo Teatro di Milano), con Paola Roman, Simonetta
Benozzo e Luca Mauceri Una mendicante cieca cantava l'amore (2006, prodotto dal
Piccolo Teatro di Milano) con Cecilia Broggini, Luca Maceri, Elena Ubertali e
Filippo Usellini Siamo fragili, spariamo poesia, collage di testi poetici,
ballate e canzoni Strada Nostro Santuario (prodotto dal Piccolo Teatro di
Milano) filastrocche, canzoni, ballate, azioni mimiche, happening e numeri di
repertorio popolare La pedana impaziente (), repertorio di marionette e azioni
sceniche mimiche Finale di teatro (, al Teatro Gobetti di Torino) con Fabio
Banfo, Luca Mauceri, Valeria Sacco, Eleni Molos, Filippo Usellini Pesciolini
fuor d'acqua (), con Luca Mauceri e Eleni Molos Quando il tiro si alzaIl sangue
d'Europa (prodotto dal Piccolo Teatro di Milano, in occasione del centenario
della prima guerra mondiale) con Eleni Molos, Elisa Bartoli, Filippo Usellini,
Luca Mauceri e Valeria Sacco Non solo Otello (al Teatro della Caduta di Torino)
Novant'anni di solitudine (, a Cetona in occasione dei novant'anni
dell'autore), con Luca Mauceri, Filippo Usellini, Eleni Molos, Valeria Sacco,
Fabio Banfo, Salvatore Ragusa e Elisa Bartoli Ceronettiade. Deliri e visioni di
Guido Ceronetti (, a Cetona in occasione dell'anniversario della nascita
dell'autore), con Luca Mauceri, Eleni Molos, Valeria Sacco, Filippo Usellini
Cataloghi di mostre L'Atelier dei Sensibili a Dogliani, Michela Pasquali,
Dogliani, Biblioteca civica Einaudi, (catalogo della mostra nell'ex Convento
dei Carmelitani a Dogliani). Dalla buca del tempo: la cartolina racconta. I
collages di cartoline d'epoca del Fondo Guido Ceronetti, cura di Diana Rüesch e
Marco Franciolli, Archivi di cultura contemporanea, Museo Cantonale d'Arte
Lugano, Poesia marionette e viaggi di Guido Ceronetti nelle visioni di Carlo
Cattaneo, Paolo Tesi e Maurizio Vivarelli, Comune di Pistoia, Dare gioia è un
mestiere duro: trent'anni più due di Teatro dei Sensibili di Guido Ceronetti,
Andrea Busto e Paola Roman, fotografie di Mario Monge, Marcovaldo, Nella gola
dell'Eone. Ti saluto mio secolo crudele. Immagini del XX secolo. Tutti i
collages di immagini dedicati al ventesimo dell'era da Guido Ceronetti, Il
melangolo, Genova, "Per le strade" di Guido Ceronetti, Omaggio allo
scrittore, Diana Rüesch e Karin Stefanski, Cartevive, Biblioteca cantonale,
Archivio Prezzolini-Fondo Ceronetti, Lugano, Opere audiovisive su Guido
Ceronetti I Misteri di Londra. Tragedia per marionette e attori, regia di
Manuela Tamietti, Teatro Stabile di Torino (riprese videografiche dello
spettacolo, Torino). Sulle rotte del sogno. Parole musiche storie, di Luca
Mauceri (cd e vinile EMA Records, Firenze ). Guido Ceronetti. Il Filosofo
Ignoto, film documentario di Francesco Fogliotti e Enrico Pertichini (Italia'),
prodotto con la collaborazione del Teatro dei Sensibili di Guido Ceronetti e
dei Cinecircoli giovanili socioculturali. Guido Ceronetti nei mass-media Cura
cinque Interviste Impossibili per la seconda rete radiofonica rai, in cui
"intervistò" Attila (Carmelo Bene), Auguste e Louis Lumière (Alfredo
Bianchini e Mario Scaccia), George Stephenson (Mario Scaccia), Jack Lo
Squartatore (Carmelo Bene) e Pellegrino Artusi (Mario Scaccia). Il cantautore
Vinicio Capossela, nella raccolta di brani dal vivo Nel niente sotto il
soleGrand tour, ha inserito come incipit della seconda traccia (Non trattare)una
registrazione di Guido Ceronetti che declama i primi versetti del Qoelet.
Note Ha usato per molti anni un sigillo
con scritto "In esilio" : Capossela intervista Ceronetti. 6 febbraio
. Morto lo scrittore, in Corriere fiorentino, G. Ceronetti, Tra pensieri,
Adelphi, Milano, p.11 Paolo Di Stefano,
In morte. Raffaele La Capria, Ultimi viaggi nell'Italia perduta, Mondadori,
Milano, . Guido Ceronetti morto,
ripubblichiamo la sua ultima intervista al Fatto: “Sono un patriota orfano di
patria. Italia, regno della menzogna”
Nello Ajello, Ceronetti. Poesia in forma di marionette, La Repubblica, ricerca.repubblica/
repubblica/archivio/ repubblica ceronetti-poesia-in-forma-di-marionette.html Samantha, lo spazio e il signor Freud "Guido Ceronetti. L'inferno del
corpo", in Cioran, Esercizi di ammirazione, Adelphi, Milano, "Oggi una quantità delle mie carte è
partita per Lugano dove tutto entrerà a far partedegli archivi della Biblioteca
Cantonale." Per le strade della Vergine, Adelphi, Milano,«Urlate urlate
urlate urlate. / Non voglio lacrime. Urlate. Idolo e vittima di opachi riti/
Nutrita a forza in corpo che giace / Io Eluana grido per non darvi pace Diciassette
di coma che m'impietra Gli anni di stupro mio che non ha fine. Con Decreto del
Presidente della Repubblica (pubblicato nella G.U.) gli è stato infatti
attribuito un assegno straordinario vitalizio ai sensi della legge, l'aiuto
della legge Bacchellila Repubblica, in Archiviola Repubblica. Edizione,
"Il nostro meridionale è attaccato alla propria famiglia e nient'altro,
qualsiasi abbominio, qualsiasi sfacelo pubblico non arrivino a toccargli la
Famiglia non gli faranno il minimo solletico. Sono popoli incapaci di amare
disinteressatamente qualcosa perché bello, al di sopra dell'utile. La loro vera
patria la loro nostalgia prenoachide è il deserto e faticano da ubriachi a
ritrovarlo". La pazienza dell'arrostito, Adelphi, Milano, (comedonchisciotte. Org forum/
index.php?p=/discussion/ ceronetti-dal-mare-il- pericolo-senza-nome lessiconaturale/
migranti-e-prediche/)
(ilfoglio/preservativi/news/il-grande-pan-e-vivo) (ilfoglio/cultura/news/far-torto-o-patirlo) (ilfoglio/ preservativi/news/ deutschland-pressappoco-uber-alle,
Sugli sbarchi in Sicilia l'europeista Ceronetti dice, come altri non
oserebbero, che “hanno ormai un carattere preciso di invasione territoriale,
premessa sicura di guerra sociale e religiosa", Ceronetti, nel dolore si
nasconde una luce) Mario Andrea Rigoni,
Ma non bisogna confondere il nichilismo con il razzismo, Corriere della Sera, Guido
Almansi, Le leggende di Ceronetti, la Repubblica, L'innocente Priebke
L'invasione Africana; “Il male omosessuale” (Ceronetti dixit). Albergo Italia
(Einaudi, Torino), capitolo "Elementi per una anti-agiografia", Uno, cento, mille Ceronetti, Guido Ceronetti,
Priebke. Alcune domande intorno a un ergastolo, la Stampa Pietrangelo Buttafuoco, La pietas di
Ceronetti per Priebke, il Foglio, Sono sempre stato anticomunista, sempre, Forse,
subito dopo la guerra ho avuto una certa simpatia, però non mi sono iscritto al
partito il giorno dopo aver visto La corazzata Potëmkin, come innumerevoli
giovani. Antifascista non è neanche da dire, da quando ci si è risvegliati. Di
quel periodo non ho voglia di parlarne, ero tra i soliti ragazzini stupidoni
che andavano alle adunate, ma non c'è storia di anima o di pensiero o di
famiglia che riguardi il fascismo. I miei non erano fascisti né antifascisti,
erano bravi cittadini come tanti. (Corriere della sera). Si dice il responso
delle urne. Come se un popolo di cretini potesse fornire oracoli (Per le strade
della Vergine) la mia America: “Un
baluardo contro l’ideologia comunista” XIII
Congresso Radicali Italiani ilfoglio/preservativi/
prttttt-in-una-sigla-tutto-pannella- impenitente-ottimista-e-visionario (corriere/
cultura/guido-ceronetti-in-un-amore-felice
Chi era, fustigatore dei vizi degli italiani Riviste/ Su
“Cartevive” omaggio, reazionario postmoderno
CERONETTI: ‘METTIAMO FINE ALLA BARBARIE DELLA VECCHIAIA SENZA SESSO: PER
DISABILI E CARCERATI QUALCOSA SI È MOSSO MA PER I VECCHI MASCHI SI MUOVERÀ MAI
QUALCUNO? LA PROPOSTA: UN SERVIZIO EROTICO VOLONTARIO PER GLI OVER 70! Abiterò
per tre mesi al N. 4 di via Giolitti a Torino, per mettere in scena col Teatro
dei Sensibili La Iena di San Giorgio. Sulla porta metto quest'altro mio nome:
Geremia Cassandri. La pazienza dell'arrostito. Giornale e ricordi, Milano,
Adelphi, Premio letterario Viareggio-Rèpaci, su premioletterario viareggiorepaci.
I VINCITORI DEL PREMIO “MONSELICE” PER LA TRADUZIONE , su biblioteca
monselice, Alberto Roncaccia, Guido Ceronetti. Critica e poetica (Bulzoni, Roma)
Emil Cioran, Esercizi di ammirazione ( Adelphi, Milano, Guido Ceronetti.
L'inferno del corpo) Giosetta Fioroni, Marionettista. Guido Ceronetti e il
Teatro dei Sensibili secondo l'alchimia figurativa (Corraini, Mantova) Giovanni
Marinangeli, Guido Ceronetti. Il veggente di Cetona (Fondazione Alce Nero,
Isola del Piano) Fabrizio Ceccardi, Il Teatro dei Sensibili (Corraini, Mantova)
Andrea De Alberti, Il Teatro dei Sensibili di Guido Ceronetti (Junior, Bergamo)
Marco Albertazzi, Fiorenza Lipparini, La luce nella carne. La poesia (La
Finestra Editrice, Lavis) Masetti, A. Scarsella, M. Vercesi , Pareti di carta.
Scritti su Guido Ceronetti (Tre Lune, Mantova), Ortese, Le piccole persone
(Adelphi, Milano). Lattuada, Frammenti di una luce incontaminata in Guido
Ceronetti, La Finestra Editrice, Lavis,
Emil Cioran Gnosticismo moderno.
Ma io diffido dell'amore universale Guido Ceronetti, la Repubblica,
Archivio. L’ultimo bardo gnostico che cantava il dolore per la bellezza
perduta. Morto il più irregolare degli scrittori italiani. Ernesto Ferrero, La
Stampa, V D M Vincitori del Premio Grinzane Cavour per la narrativa italiana V
D M Vincitori del Premio "Città di Monselice" per la traduzione
letteraria V D M Vincitori del Premio Flaiano per la narrative. Guido
Ceronetti. Keywords: la lanterna, la lantern di Diogene, poesia latina, Catullo,
Marziale, Orazio, Giovenale, il filosofo ignoto, la pazienza del … --. Aforismi.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ceronetti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51772990016/in/dateposted-public/
Grice e Cerroni – i hegeliani – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Lodi). Filosofo. Grice: “I like Cerroni;
he is very Italian: what other philosopher – surely not at Oxford – would
philosoophise on the precocity of Italian identity? But his more general
philosophical explorations may interest the Oxonian who is not into “Italian
studies”! – My favourites are his “Logic and Society,” which reminds me of my
“Logic and Conversation.” Then he has a ‘dialectiics of feelings,’ which is
what all my philosophy of communication is about; he has also philosophised on
anti-contractualist philosophers like Benjamin Constant --!” Studia a Roma con
Albertelli e si laurea in Filosofia del diritto. Ottenne la libera
docenza in Filosofia del diritto e l'incarico di Storia delle dottrine
economiche e di Storia delle dottrine politiche all'Lecce. Divenne
professore di ruolo di Filosofia della politica e ha insegnato a Salerno e
all'Istituto Universitario Orientale di Napoli. Ha insegnato per piùdi venti
anni Scienza della politica nella Facoltà di Sociologia dell'Università
"La Sapienza" di Roma. Sempre all'Università "La Sapienza"
di Roma, era stato nominato professore emerito. Macerata gli conferisce la
laurea honoris causa in Scienze politiche. Altre opere: “Problemi attuali
di storia dell'agricoltura dell'U.R.S.S.” (Milano : Ed. Centro Per La Storia
Del Movimento Contadino); “Il sistema elettorale sovietico” (Roma: Tip.
dell'Orso); “Legge sull'ordinamento giudiziario dell'U.R.S.S.” (Roma : Ed. Associazione
Italia-U.R.S.S, sezione giuridica (Tip. Sagra, Soc. arti grafiche riproduzioni
artistiche) Recenti studi sovietici su problemi di teoria del diritto” Bologna);
Sul carattere dei movimenti contadini in Russia nei secoli 17. e 18.” (Milano :
Movimento Operaio); Studi sovietici di diritto Internazionale : A cura della
sezione giuridica della associazione Italia-urss. [presentazione di Umberto
Cerroni, Roma : Tip. Martore e Rotolo); La dottrina sovietica e il nuovo codice
penale dell'URSS / Umberto Cerroni.S.l. (Bologna : STEB) Poeti sovietici
d'oggi, Roma : Tip. Studio Tipografico, Per lo sviluppo degli studi storici
sulla Russia, Bologna : STEB); Diritto ed economia : rilevanza del concetto
marxiano di lavoro per una teoria positiva del diritto / Umberto Cerroni.Milano
: Giuffrè); Idealismo e statalismo nella moderna filosofia tedesca, Milano :
Giuffrè); Individuo e persona nella democrazia / Umberto Cerroni.Milano :
Giuffrè); “Il problema politico nello Stato moderno / Umberto Cerroni.Milano :
Giuffrè); Diritto e sociologia / Umberto Cerroni. Kelsen e Marx / Umberto
Cerroni.Milano : Giuffrè); L'etica dei solitari / Umberto Cerroni.Milano :
Giuffrè); Lenin e il problema della democrazia moderna : saggi e studi (Roma :
NAVA) Parlamento e società / Umberto Cerroni. Edizioni giuridiche del lavoro); La
prospettiva del comunismo / K. Marx, F. Engels, V.I. Lenin Roma : Editori
Riuniti); Ritorno di Jhering: Edizioni giuridiche del lavoro, (Città di
Castello : Unione arti grafiche) Sulla storicità della distinzione tra diritto
privato e diritto pubblico Milano : Giuffrè); La critica di Marx alla filosofia
hegeliana del diritto pubblico / Umberto Cerroni.Milano : Giuffrè); La
filosofia politica di Giovanni Gentile / Umberto Cerroni. (Novara : Tip. Stella
Alpina) La nuova codificazione penale sovietica / Umberto Cerroni. Edizioni
giuridiche del lavoro); Concezione normativa e concezione sociologica del
diritto moderno / Umberto Cerroni.S.l. : Edizioni giuridiche del lavoro); Diritto
e rapporto economico / Umberto Cerroni.Milano : Giuffrè); Kant e la fondazione
della categoria giuridica / Umberto Cerroni.Milano : Giuffrè); Marx e il
diritto moderno / Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti); Teorie sovietiche
del diritto / Stucka ...(et al.) ; Umberto Cerroni.Milano : Giuffrè); Saggi /
Benjamin Constant ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma : Samonà e Savelli); Il
diritto e la storia / Umberto Cerroni. Le origini del socialismo in Russia /
Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti); Il pensiero politico dalle origini ai
nostri giorni / Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti, 1966 Un ouvrage recent
sur Marx et le droit : Umberto Cerroni , Marx e il diritto moderno, Rome, par
Michel Villey.[Paris] : Sirey); Che cos'è la proprietà ?, o, Ricerche sul
principio del diritto e del governo : prima memoria, Pierre-Joseph Proudhon ;
prefazione, cronologia, Umberto
Cerroni.Bari : Laterza); Considerazioni sullo stato delle scienze sociali :
relazioni sugli aspetti generali / Umberto Cerroni.[Milano : Centro nazionale
di prevenzione e difesa sociale, (Milano
: Tipografia Ferrari) La funzione rivoluzionaria del diritto e dello stato” (Torino
: Einaudi); Il pensiero politico dalle origini ai nostri giorni” (Roma, Editori
Riuniti); La rivoluzione giacobina / Maximilien Robespierre ; Umberto
Cerroni.Roma : Editori Riuniti); Discorso sull'economia politica e frammenti
politici / Rousseau” (Bari : Laterza); La libertà dei moderni” (Bari : De
Donato); Metodologia e scienza sociale” (Lecce : Milella); Problemi della
legalità socialista nelle recenti discussioni sovietiche / Umberto Cerroni.Milano
: A. Giuffrè); “Sulla natura della politica : utopia e compromesso” (Milano :
Giuffrè); Considerazioni sullo stato delle scienze sociali”; Il metodo
dell'analisi sociale di Lenin” (Bari : Adriatica); Il pensiero giuridico
sovietico” (Roma : Editori Riuniti); La
questione ebraica” (Roma : Editori Riuniti); La società industriale e la
condizione dell'uomo” (Lecce : ITES); “Sul metodo delle scienze sociali: una
risposta” (Milano : Giuffrè); Principi di politica / Benjamin Constant ; Roma :
Editori Riuniti); Strade per la libertà” (Roma : Newton Compton); Tecnica e
libertà : conferenza tenuta al Lions club di Bari (Padova : Grafiche Erredici)
Tecnica e libertà / Umberto Cerroni.Bari : De Donato); Lavoro salariato e
capitale / Appunti sul salario e appendice di F. Engels ; Introduzione, cura e
note filologiche di Umberto Cerroni.Roma : Newton Compton italiana,La societa
industriale e le trasformazioni della famiglia / U. Cerroni.Milano : Giuffrè); Salario,
prezzo e profitto / Karl Marx ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma : Newton
Compton); Stato e rivoluzione / Vladimir I. Lenin ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma
: Newton Compton italiana); Teoria della crisi sociale in Marx : Una
reinterpretazione / Umberto Cerroni.Bari : De Donato); Strade per la libertà /
Bertrand Russell ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma : Newton compton
italiana); Discorso sull'economia politica e frammenti politici / Rousseau ;
traduzione di Celestino E. Spada ; prefazione di Umberto Cerroni.Bari :
Laterza); Caratteristiche del romanticismo economico / V. I. Lenin ; prefazione
di Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti); Kant e la fondazione della
categoria giuridica / Umberto Cerroni.Milano : Giuffrè); La libertà dei moderni
/ Umberto Cerroni.Bari : De Donato); Marx e il diritto moderno / Umberto Cerroni.Roma
: Editori Riuniti); Il pensiero di Marx / Antologia Umberto Cerroni , con la
collaborazione di Oreste Massari e Anna Maria Nassisi.Roma : Editori Riuniti); Il
pensiero politico dalle origini ai nostri giorni / Umberto Cerroni.Roma :
Editori Riuniti); Saggio sui privilegi : che cosa e il Terzo stato? /
Emmanuel-Joseph Sieyes ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma : Editori
Riuniti); Lo sviluppo del capitalismo in Russia; Lenin ; introduzione di
Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti); In memoria del manifesto dei comunisti
/ Antonio Labriola ; Manifesto del partito comunista / Marx-Engels ;
introduzione di Umberto Cerroni.Roma : Newton Compton); La libertà dei moderni
/ Umberto Cerroni.2. ed.Bari : De Donato); Teoria politica e socialismo; Roma);
Il pensiero di Marx / antologia Umberto Cerroni ; con la collaborazione di
Oreste e Anna Maria Nassisi. 2. ed.Roma : Editori Riuniti); Teoria della crisi
sociale in Marx : una reinterpretazione (Bari : De Donato); Teoria politica e
socialismo” (Roma : Ed.Riuniti); Lavoro salariato e capitale / Karl Marx ; con
appunti sul salario e appendice di F. Engels ; introduzione, cura e note
filologiche di Umberto Cerroni.Roma : Newton Compton); Marx e il diritto
moderno / Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti); Il marxismo e l'analisi del
presente / Umberto Cerroni. Politica ed economia); Societa civile e stato
politico in Hegel” (Bari : De Donato); Salario, prezzo e profitto” (Karl Marx”
(Roma : Newton Compton italiana); Il lavoro di un anno : almanacco, Umberto
Cerroni.Bari : De Donato); Il pensiero di Marx / Karl Marx ; Roma : Editori
Riuniti); Il pensiero politico : dalle origini ai nostri giorni” (Roma :
Editori Riuniti); Il rapporto uomo-donna nella civiltà borghese, ed.Roma : Ed.
Riuniti); Scienza e potere / scritti di U. Cerroni ... <et al.>.Milano :
Feltrinelli); Stato e rivoluzione / Vladimir I. Lenin” (Roma : Newton Compton);
Lo sviluppo del capitalismo in Russia” (Roma : Editori Riuniti); La teoria
generale del diritto e il marxismo / Evgenij Bronislavovic Pasukanis ; con un
saggio introduttivo di Umberto Cerroni.Bari : De Donato); Introduzione alla
scienza sociale, Roma : Editori Riuniti); Lavoro salariato e capitale / Karl
Marx ; con appunti sul salario e appendice di F. Engels ; introduzione, cura e
note filologiche di Umberto Cerroni.Roma : Newton Compton, Materialismo storico
e scienza / Umberto Cerroni.Lecce : Milella); Il rapporto uomo-donna nella
civilta borghese / Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti, Salario, prezzo e
profitto / Karl Marx ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma : Newton Compton); Sulla
storicità dell'eros : note metodologiche / Umberto Cerroni, Annarita Buttafuoco);
Crisi ideale e transizione al socialismo / Umberto Cerroni.Roma : Editori
Riuniti); Scritti economici / V. I. Lenin ; Umberto Cerroni.Roma : Editori
Riuniti); Stato e rivoluzione / Vladimir I. Lenin ; introduzione di Umberto
Cerroni.- Roma : Newton Compton); Carte della crisi : taccuino
politico-filosofico / Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti, Crisi del
marxismo? / Umberto Cerroni ; intervista di Roberto Romani.Roma : Editori
Riuniti); Critica al programma di Gotha e testi sulla tradizione democratica al
socialismo / Karl Marx ; Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti, Due tattiche
della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica / V. I. Lenin ; Umberto
Cerroni.Roma : Editori Riuniti, In memoria del manifesto / Antonio Labriola ;
introduzione di Umberto Cerroni.2. ed.Roma : Newton Compton Editori); Che cos'è
la proprietà ? : o ricerche sul principio del diritto e del governo : prima
memoria, Pierre-Joseph Proudhon ; prefazione, cronologia, biografia Umberto
Cerroni. 3. ed.Roma ; Bari : Laterza, Lavoro salariato e capitale / Karl Marx ;
con appunti sul salario e appendice di F. Engels ; introduzione ... di Umberto
Cerroni.Roma : Newton Compton); Lessico gramsciano / Umberto Cerroni.Roma :
Editori Riuniti); La prospettiva del comunismo, K. Marx, F. Engels, V. I. Lenin
; Umberto Cerroni.Roma : Editori riuniti); La questione ebraica e altri scritti
giovanili / Karl Marx ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma : Editori
riuniti); Saggio sui privilegi : che cosa e il terzo stato? Emmanuel-Joseph
Sieyes ; introduzione di Umberto Cerroni : traduzione di Roberto Giannotti.Roma
: Editori Riuniti, Strade per la liberta, Bertrand Russell ; introduzione di
Umberto Cerroni ; traduzione di Pietro Stampa.Roma : Newton Compton); Teoria
del partito politico (Roma : Editori Riuniti, I giovani e il socialismo, K.
Marx, F. Engels, V. I. Lenin, A. Gramsci ; Umberto Cerroni.Roma : Editori
Riuniti); Introduzione alla scienza sociale, Roma; Storia del marxismo / Predrag
Vranicki ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti, Quasi una
vita... e anche meno, poesie di Italo Evangelisti ; prefazione di Umberto Cerroni”
(Milano ; Roma); “Che cosa fanno oggi i filosofi? Milano); “Logica e società :
pensare dopo Marx” (Milano : Bompiani, La democrazia come problema della
società di massa; Principi di politica” (Roma : Editori Riuniti); “Critica
della filosofia hegeliana del diritto pubblico” (Roma : Editori Riuniti); Il
pensiero di Marx : antologia, con la collaborazione di Oreste Massari e Anna
Maria Nassisi.III. ed. Roma : Editori Riuniti, Scritti economici” (Roma :
Editori Riuniti); Teoria della società di massa” (Roma : Editori Riuniti); La
rivoluzione giacobina” (Roma : Editori riuniti, Politica : metodo, teorie,
processi, soggetti, istituzioni e categorie / Umberto Cerroni.Roma : NIS); La
politica post-classica : studi sulle teorie contemporanee” (Taviano : Lit.
Graphosette) Urss e Cina : le riforme economiche” Centro studi paesi socialisti
della Fondazione Gramsci.Milano : F. Angeli, stampa, Che cosa è il terzo stato
con il Saggio sui privilege” (Roma : Editori Riuniti, Democrazia e riforma
della politica : Lo Statuto del nuovo PCI / Umberto Cerroni.Roma : Partito
Comunista Italiano, Regole e valori nella democrazia : stato di diritto, stato
sociale, stato di cultura” Roma : Ed. Riuniti, La cultura della democrazia /
Umberto Cerroni.Chieti : Metis, Che cosa e il Terzo Stato? / Emmanuel-Joseph
Sieyes ; Umberto Cerroni.Roma : Editori Riuniti, La rivoluzione giacobina /
Maximilien Robespierre ; Umberto Cerroni ; traduzione di Fabrizio Fabbrini;
apparati biobibliografici di Grazia Farina.Pordenone : Studio Tesi, Manifesto
del partito comunista / Karl Marx, Friedrich Engels ; nella traduzione di
Antonio Labriola ; seguito da In memoria del manifesto dei comunisti di Antonio
Labriola ; introduzione di Umberto Cerroni.Roma: TEN, Nazione/regione : i contributi regionali alla
costruzione dell'identità nazionale / Andrea Battistini, Umberto Cerroni ,
Michele Prospero.Cesena : Il ponte vecchio, L'ambiente fra cultura tecnica e
cultura umanistica : seminario svoltosi presso l'ANPA Umberto Cerroni ; A.
Albanesi, M. Maggi e L. Sisti.Roma : Anpa, [Novecento : almanacco del ventesimo
secolo, Cesena : Il ponte vecchio, Il pensiero politico italiano / Umberto Cerroni.Roma
: Newton Compton, Il pensiero politico del Novecento / Umberto Cerroni.Roma :
Tascabili economici Newton); “Le regole del metodo sociologico” (Roma : Editori
Riuniti, 1996 Regole e valori nella democrazia : Stato di diritto, Stato
sociale, Stato di cultura / Umberto Cerroni.Roma: Editori Riuniti, L'identità
civile degli italiani / Umberto Cerroni.Lecce : Manni, L'ulivo al governo :
come cambia l'Italia / interventi di U. Cerroni; Paola Piciacchia.Roma: Philos,
stampa Politica / Umberto Cerroni.Roma : Seam, Confronto italiano : atti degli
incontri di Cetona, Giovanni Bechelloni, Umberto Cerroni.Firenze : Ed. Regione
Toscana, stampa (Firenze : Centro Stampa Giunta regionale); “L'identità civile
degli italiani” (Lecce : Manni, Lo Stato democratico di diritto : modernità e
politica / Umberto Cerroni.Roma : Philos, stampa, Habeas mentem : Scuola e vita
civile :Umberto Cerroni.Rionero in Vulture (Pz) : Calice, Conoscenza e societa
complessa : per una teoria generale del sensibile” (Roma : Philos, Ricordo di
Marisa De Luca Cerroni / scritti di Umberto Cerroni ... et al.Lecce, stampa Confronto
italiano : atti degli incontri di Cetona, Giovanni Bechelloni (Firenze : Ed.
Regione Toscana, stampa (Centro Stampa
Giunta Regionale) Taccuino politico-filosofico / Umberto Cerroni.Roma : Philos,
Precocità e ritardo nell'identità italiana, Roma, Precocità e ritardo
nell'identità italiana, Roma : Meltemi, Taccuino politico-filosofico, Umberto
Cerroni.Lecce : Manni, Le radici culturali dell'Europa, Umberto Cerroni.Lecce
:Manni, Radici della civiltà europea, Lecce : Manni,Globalizzazione e
democrazia, Lecce : Manni, Taccuino politico-filosofico, Lecce, Taccuino
politico-filosofico Umberto Cerroni.San Cesario di Lecce : Manni, L'eretico
della sinistra : Bruno Rizzi elitista democratico” (Milano : F. Angeli, Taccuino politico-filosofico, Lecce; La
scienza e una curiosita: scritti in onore di Umberto Cerroni / Cosimo Perrotta
; con la collaborazione di Mariarosa Greco” (San Cesario di Lecce : Manni, Manifesto
del partito comunista / Karl Marx, Friedrich Engels ; nella traduzione di
Antonio Labriola ; seguito da In memoria del Manifesto dei comunisti di Antonio
Labriola” (Roma : Newton & Compton, Dialettica dei sentimenti : dialoghi di
psicosociologia / Umberto Cerroni , Alberta Rinaldi.San Cesario di Lecce :
Manni, [Taccuino politico-filosofico, Umberto Cerroni.[San Cesario di Lecce] :
Manni, Ricordi e riflessioni : un dialogo con Giuseppe Vagaggini / Umberto
Cerroni.Montepulciano : Le Balze. Umberto Cerroni. Keywords: i hegeliani, categoria
giuridica, Trasimacco, Kelsen. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cerroni” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51773615049/in/dateposted-public/
Grice e Certani – il sacrificio –
filosofia romana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Bologna).
Filosofo. Grice: “I like Certani – but then in Italy they learn Hebrew at
school, whereas we at Clifton separated Montefiore from the rest!” Grice:
“Certani philosophised, like Kierkegaard later will, on ‘L’Abraamo,’ Insegna a
Bologna. Opere: “Conclusioni di filosofia” e di teologia. Insegna a Cesena, Brescia,
Milano e Bologna. Si laurea a Bologna. Altre opere: “Abramo: Caino ed Abele”
(Venezia); “Francesco Saverio” (Bologna, Ferrosi); “La verità vendicata; cioè
Bologna difesa dalle calunnie di Francesco Guicciardini. Osservazioni Istoriche
dell'Abate Giacomo Certani Canonico Dott. Teologo Colleg. Filosofo, e
nell'Bologna pubblico Professore di Filosofia morale. In Bologna per gli Eredi
del Dozza); “Maria Vergine Coronata. Descrizione, e dichiarazione della divota
Solennità fatta in Reggio per Prospero Vedrotti); “La Chiave del Paradiso;
cioè, invito alla Penitenza alle Cavalieri” (Bologna per Giacomo Monti); “Il
Gerione Politico, Riflessioni profittevoli alla vita civile, alle Repubbliche,
e alle Monarchie” (Milano, Compagnini); “S. Patrizio Canonico Regolare
Lateranense Apostolo, e Primate dell'Ibernia; descritta dall'Abate D. Giacomo
Certani ec.” (Bologna nella Stamperia Camerale); “L'Isacco ed il Giacobbe”
(Bologna, per il Monti); “La Santità Prodigiosa, Vita di S. Brigida Ibernese
Canonichessa Regolare di S.Agostino Scritta dall'Ab. D. Giacomo Certani
Canonico Regolare Lateranense Dott. Filosofo e Teologo Collegiato ec. per gli
eredi di Antonio Pisarri); “La Susanna in versi, notata da Lorenzo Legati: nel
suo museo Cospiano al fol.117 e la nota ancora Gregorio Leti nell'Italia
Regnante parte III lib. II, pag. 118 ove parla di Questo soggetto. Oltre i
sopraccennati ne parla ancora l'Orlandini negli Scrittori Bolognesi ec. Giacomo
Cerretani. Jacopo Certani. Giacomo Certani. Keywords: il sacrificio, Il
cavaliere penitente; ossia, la chiave del paradiso, chastita, maschile.
Christian masculinity, Percival, The Holy Grail, the knight-penant, cavalier
penitente. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Certani” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51773839345/in/dateposted-public/
Grice e Ceruti – Niso ed Eurialo; ovvero,
dell’altruismo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Cremona).
Filosofo. Grice: “Ceruti is a good one – he has philosophised on solidarity –
and previously on altruism – these are VERY different concepts, as he notes –
but also on ‘vinculum,’ a nice Latin word for what I’m into! – “A Griceian at
heart!” -- Grice: “Only one T!”. Tra i
filosofi protagonisti dell'elaborazione del pensiero complesso, è uno dei
pionieri della ricerca contemporanea inter- e trans-disciplinare sui sistemi
complessi. La sua filosofia si produce all'intersezione di una pluralità
di domini di ricerca: epistemologia (filosofia e storia della scienza, storia
delle idee, noologia…), scienze della natura (fisica, biologia, cosmologia…),
scienze dell'uomo (antropologia, sociologia, psicologia, storia…), scienze
dell'organizzazione e del management. Si laurea in filosofia della scienza
con Geymonat con “L'epistemologia genetica di Piaget” nella quale, attraverso l'analisi
dell'epistemologia viene posto il problema del ruolo della biologia e delle
scienze del vivente, nelle varie articolazioni disciplinari, come decisiva
interfaccia fra le scienze fisico-chimiche e le scienze umane, in grado di
favorire processi di circolazione concettuale e di traduzione reciproca fra
vari e multiformi campi del sapere. Nei suoi studi ha affrontato le questioni
del significato filosofico ed epistemologico delle maggiori rivoluzioni
scientifiche del ventesimo secolo (teoria dei quanti, relatività, teoria dei
sistemi, biologia molecolare) focalizzando le sue ricerche sui temi del
cambiamento stilistico e delle relazioni fra stile e contenuto nella storia
delle idee, nonché dello statuto conoscitivo dei risultati innovativi connessi alle
rivoluzioni scientifiche. Una sintesi di queste ricerche è contenuta nell'opera
Disordine e costruzione. Un'interpretazione epistemologica di Piaget. Assunto
da Ginevra, presso la Facoltà di Psicologia e scienze dell'educazione fondata
da Piaget, in qualità di assistant, svolgendo ricerche nel gruppo di lavoro
coordinato da Munari. In questo periodo approfondisce le relazioni che
connettono l'opera di Piaget a vari modelli e approcci del contesto scientifico
a lui contemporaneo: alla termodinamica di non equilibrio di Prigogine, alle
ricerche sul concetto e sui processi di auto-organizzazione e autopoiesi,
all'embriologia di Waddington, ai nascenti dibattiti sul significato delle
ricerche della biologia molecolare. Il tema chiave di queste convergenze disciplinari
è la possibile delineazione di modelli generali del cambiamento, nonché del
ruolo della discontinuità in questi modelli. L'approfondimento dei singoli
filoni disciplinari gli consente di interrogarsi più estensivamente sul
significato profondo e complessivo dei cambiamenti paradigmatici delle scienze
alla fine del ventesimo secolo: dalla convergenza di varie discipline emerge la
prospettiva di una scienza nuova, caratterizzata da precise assunzioni
relativamente alla natura del cambiamento, alla relazione fra soggetto e mondo,
al ruolo del tempo, della storia e della narrazione negli approcci scientifici.
La nozione di complessità costituisce un'utile maniera sintetica di rapportarsi
con tali assunzioni. Per ricostruire queste novità del contesto scientifico,
imposta un programma di ricerca attorno al tema della epistemologia della
complessità, parte integrante del quale è stata a partire l'organizzazione di
convegni internazionali e di seminari, e la pubblicazione del volume La sfida
della complessità. Ricercatore associato presso il Centre d'Etudes
Transdisciplinaires, Sociolgie, Anthropologie, Politique diretto da Morin,
centro di ricerca associato al CNRS e all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences
Sociales di Parigi, presso il quale dirige l'unità di ricerca di filosofia
della scienza. In quegli anni approfondisce le problematiche dell'epistemologia
genetica e della cibernetica, pubblicando Il vincolo e la possibilità e La
danza che crea. Svolge inoltre ricerche sul ruolo giocato dalle scienze evolutive
e dalla teoria dell'evoluzione di tradizione darwiniana nel più generale
mutamento di prospettiva delle valenze cognitive e stilistiche del contesto
scientifico, focalizzandosi sulle conseguenze epistemologiche e filosofiche dei
modelli di cambiamento e delle relazioni fra continuità e discontinuità
conseguenti alla teoria degli equilibri punteggiati di Gould e Eldredge, ai
dibattiti sulle estinzioni di massa e sulle testimonianze paleontologiche, alle
nuove forme di collaborazione fra evoluzionismo e genetica, alle relazioni fra
approcci storici e approcci nomotetici nelle scienze del vivente. Ne deriva una
serie di ricerche compendiate nel volume Origini di storie, in cui il tema del
cambiamento discontinuo, e i connessi temi dell'evento, della contingenza e
della sensibilità alle condizioni iniziali, vengono discussi all'interno di un
ampio spettro disciplinare, che connette bio G. Bocchi, 1993), in cui il
tema del cambiamento discontinuo, e i connessi temi dell'evento, della
contingenza e della sensibilità alle condizioni iniziali, vengono discussi
all'interno di un ampio spettro disciplinare, che connette bioogia evolutiva,
cosmologia, fisica del caos, antropologia e storia delle idee. Gli
interrogativi sul modo in cui dallo studio del radicamento naturale delle
società umane possano scaturire nuovi strumenti di comprensione dei fenomeni
sociali e culturali della nostra specie lo portano a entrare in contatto con le
ricerche condotte in questi stessi anni dal Santa Fe Institute, volte
all'individuazione di leggi generali della complessità e di modelli generali
sul comportamento dei sistemi complessi. Una nuova linea di ricerca di
filosofia della scienza, che approfondisce a partire dalla metà degli anni
novanta, è lo studio dei modelli di cambiamento dell'evoluzione umana, in
relazione alla teoria degli equilibri punteggiati, alla visione discontinuista
della storia naturale, alle dinamiche ecologiche e ambientali. Una seconda
linea di ricerca epistemologica, strettamente interrelata alla prima, è lo studio
dell'importanza delle analisi genetiche per la ricostruzione dell'evoluzione e
della storia umane, sia dei tempi lunghi della storia delle varie specie
ominidi sia dei tempi medi della storia della nostra specie Homo sapiens. A
partire da Solidarietà o barbarie. L'Europa delle diversità contro la pulizia
etnica, imposta una serie di seminari e di ricerche di filosofia delle scienze
biologiche, evoluzionistiche e storiche sul tema dei confini e sulle identità
nazionali e culturali. Nel far ciò approfondisce una concezione evolutiva di
tali identità, consonante con la prospettiva epistemologica costruttivistica, e
convergente con i presupposti epistemologici, costruttivisti e
antiessenzialisti propri della tradizione evoluzionistica darwiniana. In queste
ricerche, viene affrontata anche la questione del significato della rivoluzione
darwiniana nell'intera storia della tradizione scientifica occidentale. Un
ulteriore studio dedicato a tali problematiche è il volume Educazione e globalizzazione,
che traccia un bilancio epistemologico degli intrecci disciplinari fra storia,
geografia, antropologia, scienze evolutive e naturali per comprendere il ruolo
della diversità culturale nella storia della specie umana e le radici profonde
degli attuali processi di globalizzazione. Insegna a Palermo, di Milano Bicocca,
di Bergamo e a Milano, dove attualmente insegna e ricopre la carica di
direttore del Dipartimento di Studi umanistici. Presidente della Società
Italiana di Logica e Filosofia delle Scienze. Preside della Facoltà di Scienze
della Formazione dell'Università degli studi di Milano Bicocca. Preside della
Facoltà di Scienze della Formazione dell'Bergamo. Direttore del Centro di
Ricerca sull'Antropologia e l'Epistemologia della Complessità che comprendeva
la Scuola di dottorato in Antropologia ed Epistemologia della Complessità a Bergamo.
Principali tematiche presenti negli studi di Ceruti: Antropologia Bioetica
costruttivismo (filosofia); Epistemologia; Epistemologia della complessità;
Epistemologia genetica; Evoluzionismo; Globalizzazione; Scienze cognitive;
Scienze della formazione; Teoria dei sistemi. Membro della Commissione
Nazionale di Bioetica della Presidenza del Consiglio dei ministri. Nominato,
dal Ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni, Presidente della
Commissione incaricata di scrivere le nuove Indicazione per il Curricolo per la
Scuola dell'Infanzia e per il Primo Ciclo di Istruzione. Partecipa alla
fase di fondazione del Partito Democratico, venendo eletto all'Assemblea
costituente del partito e assumendo l'incarico di relatore della Commissione
incaricata di redigerne il Manifesto dei Valori. Alle elezioni politiche
italiane della XVI Legislatura eletto al Senato della Repubblica nelle liste
del Partito Democratico. È stato membro della Commissione permanente
(Istruzione pubblica, beni culturali), della Commissione parlamentare per
l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi e della
Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza. Non si è ripresentato
alle elezioni della XVII legislatura. Altre opere: “Il tempo della
complessità” (Raffaello Cortina Editore, Milano); “La fine dell'onniscienza” (Studium,
Roma); “La nostra Europa” (Raffaello Cortina Editore, Milano); “Organizzare
l'altruismo” (Laterza, Roma-Bari); “Una e molteplice: ripensare l'Europa”
(Tropea, Milano); “Il vincolo e la possibilità” (Feltrinelli, Milano); “Origini
di storie” (Feltrinelli, Milano); “La sfida della complessità” (Feltrinelli,
Milano); “Le due paci. Cristianesimo e morte di Dio nel mondo globalizzato” (Raffaello
Cortina Editore, Milano); “Educazione e globalizzazione, Raffaello Cortina
Editore, Milano); “Formare alla complessità, Carocci, Roma); “Le origini della
scrittura. Genealogie di un'invenzione, Bruno Mondadori Editore, Milano); “Le
radici prime dell'Europa: gli intrecci genetici, linguistici, storici” (Bruno
Mondadori Editore, Milano); “Epistemologia e psicoterapia, Raffaello Cortina
Editore, Milano); “Pensare la diversità. Per un'educazione alla complessità
umana, Meltemi, Roma); Evoluzione senza fondamenti” (Laterza, Roma-Bari);
“Solidarietà o barbarie: l’Europa delle diversità contro la pulizia etnica” (Raffaello
Cortina Editore, Milano, Prefazione di Edgar Morin, Il caso e la libertà, Laterza,
Roma-Bari); Evoluzione e conoscenza, Lubrina, Bergamo); “L'Europa nell'era
planetaria” (Sperling & Kupfer, Milano); “Turbare il futuro: un nuovo inizio
per la civiltà planetaria” (Moretti & Vitali, Bergamo); “Che cos'è la
conoscenza, Roma-Bari); “La danza che crea. Evoluzione e cognizione
nell'epistemologia genetica, Feltrinelli, Milano, Prefazione di Francisco
Varela, Lazlo E., Physis: abitare la terra, Feltrinelli, Milano); Dopo Piaget.
Aspetti teorici e prospettive per l'educazione, Edizioni Lavoro, Roma); Modi di
pensare postdarwiniani: saggio sul pluralismo evolutivo” (Dedalo, Bari); L'altro
Piaget. Strategie delle genesi, Emme Edizioni, Milano Bocchi G., Ceruti
M. Disordine e costruzione. Un'interpretazione epistemologica dell'opera di Jean
Piaget, Feltrinelli, Milano. Direttore delle riviste scientifiche: La
Casa di Dedalo (Casa Editrice Maccari, Parma); Oikos (Pierluigi Lubrina
Editore, Bergamo); Pluriverso (Rcs, Milano). mauroceruti. Pagina nel sito del
Senato, su senato. Ministero della Pubblica Istruzione, Nuove Indicazioni
Nazionali per il Curricolo, su pubblica.istruzione. Presidenza del Consiglio
dei ministri, Comitato Nazionale di Bioetica, su governo. Mauro Ceruti.
Keywords: Niso ed Eurialo; ovvero, dell’altruismo, dal semplice al complesso,
complesso proposizionale, discover the simple elements, philosophy as
deconstructing the complex, solidarity, altruism, solideratieta, altruismo,
sistema complesso, sistema semplice, etimologia di ‘complesso’. Filosofia della
solidarieta, solidarieta: il semplice della solidarieta, il semplice
dell’altruismo, Butler, amore proprio, amore improprio, altruismo, egoismo,
self-love, other-love, benevolence, organizzare l’altruismo, abitare la
complessita, multiple e diverso, unico e multiple. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Ceruti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51773575194/in/dateposted-public/
Grice e Cerutti – il leviatano – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Genova). Filosofo. Grice: “Cerutti is into politics,
like Hobbes, and it’s not surprising he philosophised on ‘il leviatano,’ as the
Italians call it – and represent as a tortoise ridden by Jacob --,” -- “La
globalizzazione dei diritti umani dovrebbe avere il suo culmine con il
riconoscimento del diritto che ha il Genere Umano alla sopravvivenza» Insegna a Firenze. La sua filosofia verte
principalmente sul marxismo occidentale e la "teoria critica" propria
della Scuola di Francoforte da cui, tra l'altro proviene. Lavora sulla
filosofia politica delle relazioni internazionali ed affari globali, seguendo
due diverse tematiche: la teoria delle sfide globali (armi nucleari e
riscaldamento globale), e la questione dell'identità “politica” (non sociale o
culturale) degli europei in relazione con la legittimazione dell'unione europea.
Da ricordare la sua amicizia con Bobbio del quale Cerutti stesso si ritiene
allievo. Altre opere: “Storia e coscienza di classe” (Milano); “Totalità,
bisogni e organizzazione” (Firenze); “Marxismo e politica. Saggi e interventi,
Napoli); “Gli occhi sul mondo. Le relazioni internazionali in prospettiva
interdisciplinare, a cura di, Roma); “Sfide globali per il Leviatano. Una
filosofia politica delle armi nucleari e del riscaldamento globale” (Milano,
Vita e pensiero). Furio Cerutti. Keywords: il leviatano, lotta di classe,
Lukacks, Marx, unione europea, identita culturale, identita sociale, identita
politica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cerutti” – The Swimming-Pool Library.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51772091232/in/dateposted-public/
Cervi
Cesa
Grice e Cesarini – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Genzano
di Roma). Filosofo. Grice: “Cesarini was more of a warrior than a philosopher,
but I also fought in the North-Atlantic – in Italy, war trumps philosophy! He
wrote a philosophical story of the war of Velletri – and liked to dress up as
one of his ducal ancestors – a gentleman!” -- There are many philosophers with
the name Sforza Cesarini. Figlio del III duca Lorenzo Sforza Cesarini. Convinto
sostenitore del nuovo Regno d'Italia tanto da nascondere le armi degli insorti
nel suo palazzo. Per questo motivo, il papa confisca tutte le sua proprietà che
vennero loro restituite da Vittorio Emanuele II dopo il suo ingresso a Roma,
reso possibile dalla presa di Porta Pia, accompagnato dallo stesso filosofo in
veste di consigliere del re. Grice: “My mother loved him; but then every
Englishman loved the Kingdom of Italy, or rather, every Englishman hated the
Pope!” – Grice: “Sforza Cesarini should never be confused with Cesarini Sforza:
Sforza Cesarini is under “C”; Cesarini Sforza, the jurisprudential philosopher,
is under “S”. IV duca Sforza Cesarini. Francesco II Sforza Cesarini. Francesco
Sforza Cesarini. Sforza Cesarini. Cesarini. Keywords: “Letters of my father,
kingdom of Italy, anti-Popish, Palazzo di Roma. Patria, patriotism,
nazionalismo. Il nuovo regno d’Italia, Vittorio Emanuele II, Porta Pia. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Cesarini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51772077672/in/dateposted-public/
Grice e Cherchi – implicatura sarda –
filosofia sarda – filosofia italiana – Luigi Speranza (Oschiri).
Filosofo. Grice: “Cherchi demonstrates that Jersey exists – if a philosopher is
from Jersey we wouldn’t call him English – neither would he! Cherchi is from
‘Sardinia,’ and he philosophises mainly about that – which is very fun! My
favourite of his tracts is one on the circle and the ellipse as it relates to Vinci’s
‘homo vitruviano.’ Anda a scuola al liceo Siotto Pintor a Cagliari. Placido
Cherchi studiò a Cagliari con Ernesto De Martino e Corrado Maltese,
interessandosi contemporaneamente di studi e problemi etno-antropologici e
storico artistici. Come autore di importanti lavori sul pensiero di Ernesto De
Martino e sui problemi dell'identità e della cultura sarda, fu un membro attivo
della Scuola antropologica di Cagliari, dovuta alla presenza all'Cagliari di
maestri come Ernesto de Martino e Alberto Mario Cirese, come pure di loro allievi
quali Clara Gallini, Giulio Angioni e lo stesso Cherchi. Morì nel
all'età di 74 anni a causa di un'emorragia cerebrale. Altre opere: “Paul
Klee teorico, De Donato, Bari); Sciola, percorsi materici, Stef, Cagliari); “Pittura
e mito in Giovanni Nonnis, Alfa, Quartu S.E.); Nivola, Ilisso, Nuoro); “Placido
Cherci, Ernesto De Martino: dalla crisi
della presenza alla comunità umana, Liguori, Napoli); “Il signore del limite:
tre variazioni critiche su Ernesto De Martino, Liguori, Napoli); “Il peso
dell'ombra: l'etnocentrismo critico di Ernesto De Martino e il problema
dell'autocoscienza culturale, Liguori, Napoli); “Etnos e apocalisse: mutamento
e crisi nella cultura sarda e in altre culture periferiche, Zonza, Sestu); “Manifesto
della gioventù eretica del comunitarismo e della Confederazione politica dei
circoli, organizzazione non-partitica dei sardi , coautori Francesco Masala ed
Eliseo Spiga, Zonza , Sestu); “Il recupero del significato: dall'utopia
all'identità nella cultura figurativa sarda, Zonza, Sestu); “Crais: su alcune
pieghe profonde dell'identità, Zonza, Sestu); “Il cerchio e l’ellisse.
Etnopsichiatria e antropologia religiosa in Ernesto De Martino: le dialettiche
risolventi dell’autocritica, Aìsara); “La riscrittura oltrepassante, Calimera,
Curumuny); “Per un’identità critica. Alcune incursioni auto-analitiche nel
mondo identitario dei sardi” (Arkadia. Silvano Tagliagambe: Giulio Angioni, Una scuola sarda di
antropologia?, in (Luciano Marrocu,
Francesco Bachis, Valeria Deplano), La Sardegna contemporanea. Idee, luoghi,
processi culturali, Roma, Donzelli, , 649-663
Addio a Placido Cherchi, il ricordo di Giulio Angioni: "Fu ideologo
del neo sardismo" Archiviato il 2 ottobre
in . Notizie.tiscali È morto
Placido Cherchi, vicepresidente della Fondazione Sardinia
Fondazionesardinia.eu Scuola
antropologica di Cagliari Ernesto de Martino
Giulio Angioni, In morte di Placido Cherchi, sito "il manifesto
sardo".il 6 ottobre . Roberto Carta, Che cosa è Placido Cherchi? Due o tre
cose, per decidere di essere sardi Po arregordai a Placido CherchiEnrico
Lobina, su enricolobina.org. Silvano Tagliagambe, L'eredità preziosa di Placido
Cherchi. Placido Cherchi. Keywords: implicature sarda, filosofia sarda, etnos,
etnicicita italiana, sardegna non e parte d’Italia. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Cerchi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51773531279/in/dateposted-public/
Grice e Chiappelli – academici – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Pistoia). Filosofo. Grice: “One of my most recent
reflections is on the distinction and striking parallelisms I draw between the
Athenian dialectic – best represented in Raffaello’s “La scuola di Atene” at
Rome – and the Oxonian dialectic – but represented in those reeky meeting at
the Philosophy Room at Merton – or better, my Saturday mornings at St. John’s
with Austin! Chiappelli provides us with a most brilliant hermeneutic of the
iconography in Raffaello’s painting – Strawson tried to emulate him with some
caricatures of Austin, Grice, and the rest of the Play Group – but his doodlings
ccouldn’t compare!” Figlio del fisiologo Francesco Chiappelli, zio del pittore
omonimo, si laurea in lettere e filosofia all'istituto superiore di Firenze ed
inizia la carriera universitaria a Napoli, dove è stato titolare della cattedra
di storia della filosofia e incaricato dell'insegnamento di pedagogia e
direttore dell'annesso museo. Ha inoltre insegnato storia delle chiese a Pisa,
Bologna e Firenze. È stato membro della Società reale di Napoli, delle
accademie dei Lincei di Roma, delle scienze di Torino, pontaniana di Napoli e
della Crusca di Firenze. Consigliere comunale a Firenze è stato incaricato di
una missione di ricerche e studi negli archivi e biblioteche di Firenze
sull'arte fiorentina del Rinascimento e membro della commissione provinciale di
Firenze per la conservazione dei monumenti e delle opere d'arte. Altre opere: “Della
interpretazione panteistica di Platone, Firenze : Succ. Le Monnier); La
dottrina della realtà del mondo esterno nella filosofia moderna prima di Kant”
(Firenze, Tip. dell'arte della stampa); “Studi di antica letteratura cristiana,
Torino, Loescher); “Darwinismo e socialismo, Roma, Forzani e C. Tipografi del
Senato); Saggi e note critiche, Bologna, Ditta Nicola Zanichelli); “Il
socialismo e il pensiero moderno, Firenze, Succ. Le Monnier); “Giacomo Leopardi
e la poesia della natura” (Roma, Società editrice Dante Alighieri); “Leggendo e
meditando. Pagine critiche di arte, letteratura e scienza sociale, Roma,
Società editrice Dante Alighieri); “Nuove pagine sul cristianesimo antico, Firenze
: succ. Le Monnier); “Pagine d'antica arte fiorentina, Firenze, Lumachi); “Dalla
critica al nuovo idealismo, Torino, Bocca); “Pagine di critica letteraria,
Firenze, Le Monnier); “Idee e figure moderne, 2 voll., Ancona, G. Puccini e
figli). Dizionario biografico degli italiani. Crusca. Alessandro Chiappelli.
Keyword: academici, Alcibiade, Gli Scipione, la dialettica romana, storia dela
filosofia romana, Cicero, ambassiata Carneade, Kant, neo-Kantianismo, external
world, internal world, the reality of the external world, iconography, detailed
ecphrasis of “La scuola di Atene” – dialettica ateniense, dialettica romana.
Grice: To Athens, via Rome. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Chiappelli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689429333/in/photolist-2mKBQvt-2mKBEmt-2mJ4GHU-2mGnP2f
Grice e Chiaromonte – parola – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Rapolla). Filosofo. Grice: “Problem with Chiaromonte is that he
let things influence him too much! My favourite is his tract on ‘silenzio e
parola’ – where as he explains, ‘parabola,’ as used by the Greeks meant
conversazione, because among primitive people, it is all about ‘comparison,’
and that is what a parabole is – by comparison we may think of miaow-miaow and
the bow-bow theory of meaning!”. Esponente antifascista, appassionato di
filosofia (fu discepolo di Andrea Caffi) e di teatro, fondò con Ignazio Silone
la rivista culturale indipendente "Tempo Presente". Nacque
a Rapolla, in Basilicata, da Rocco e Anna Catarinella. Il padre, medico, si
trasferì con la famiglia a Roma, Sin dall'età di vent'anni si votò all'antifascismo,
dopo una breve parentesi fra le file fasciste, entrando a far parte della
formazione Giustizia e libertà e finendo esule a Parigi per evitare l'arresto
della polizia. Fu in Spagna, combattente repubblicano nella guerra civile
spagnola contro le armate franchiste nella pattuglia aerea di André Malraux (la
figura di Chiaromonte è adombrata in quella del personaggio dell'intellettuale
Giovanni Scali, del romanzo L'Espoir), poi abbandonò il fronte per contrasto
con i comunisti. Allo scoppio del secondo conflitto mondiale, in seguito
all'invasione tedesca della Francia, riparò a New York, facendosi notare nel
gruppo dei cosiddetti New York Intellectuals. Fu propugnatore del
socialismo libertario che contrappose alle spinte trotzkiste della rivista
politics di Dwight Macdonald, a cui pure si legò in un sodalizio di amicizia e
di frequentazione intellettuale. Ebbe legami d'amicizia con filosofi come
Hannah Arendt e Albert Camus, e scrittori come George Orwell, e collaborò con
Gaetano Salvemini al settimanale italiano a New York, Italia libera.
Tornato in Italia una prima volta e una seconda, si sentì esule in patria,
anche per il suo rifiuto a sottostare ai compromessi che volevano la cultura
strettamente legata ai partiti politici; per un periodo tenne una rubrica di
critica teatrale sulla rivista Il Mondo fondata da Mario Pannunzio. Nel
1956, assieme allo scrittore Ignazio Silone, fondò "Tempo presente",
rivista culturale indipendente, esperienza innovativa nell'Italia dell'epoca
che portò avanti, nonostante qualche dissapore con Silone, con grande
attenzione agli autori di notevole spessore che riempivano le pagine del
mensile. Le sue posizioni furono improntate all'anticomunismo ma, a
differenza di Silone, fu senz'altro più utopico; vicino alle posizioni di
Albert Camus, teorizzò «la normalità dell'esistenza umana contro l'automatismo
catastrofico della Storia». Nel testo La guerra fredda culturale. La Cia
e il mondo delle lettere e delle arti (Fazi editore) della storica e
giornalista inglese Frances Stonor Saunders, si sostiene che la rivista Tempo
presente sia stata finanziata dalla CIA: la Saunders ne individua i fondatori
come personaggi di punta del Congress for Cultural Freedom e principali
destinatari dei finanziamenti della CIA per attività culturali in Italia.
Dal gennaio 1967 e fino alla morte, intrattiene una fitta corrispondenza con
Melanie von Nagel Mussayassul, amichevolmente chiamata Muska, una monaca
benedettina, sul tema della verità. Opere La situazione drammatica,
Milano, Bompiani, The Paradox of History, Londra, Le Paradoxe de l'Histoire,
prefazione di Adam Michnik, introduzione di Marco Bresciani, Cahiers de l'Hôtel
de Galliffet, Credere e non credere,
Milano, Bompiani; Collana Intersezioni, Bologna, Il Mulino, Scritti sul teatro,
Introduzione di Mary McCarthy, Miriam Chiaromonte, Collana Saggi, Torino, Einaudi,
Scritti politici e civili, Miriam Chiaromonte, Introduzione di Leo Valiani, con
una testimonianza di Ignazio Silone, Milano, Bompiani, Il tarlo della coscienza
(The Worm of Consciousness and Other Essays, Prefazione di Mary McCarthy),
Miriam Chiaromonte, Collana Le occasioni, Bologna, Il Mulino, Silenzio e
parole: scritti filosofici e letterari, Milano, Rizzoli, Che cosa rimane,
Taccuini, Collana Saggi, Bologna, Il Mulino, Lettere agli amici di Bari, Schena,
Le verità inutili, S. Fedele, L'ancora del Mediterraneo, La rivolta
conformista. Scritti sui giovani e il 68, Una città, Forlì, Fra me e te la
verità. Lettere a Muska, W. Karpinski e C. Panizza, Una città, Forlì, Il tempo
della malafede e altri scritti, Vittorio Giacopini, Edizioni dell'Asino, Albert Camus-Nicola Chiaromonte,
Correspondance, Édition établie, présentée et annotée par Samantha Novello,
Collection Blanche, Paris, Gallimard, Dizionario Biografico degli Italiani. Simone
Turchetti, Libri: "Le attività culturali della Cia" Galileo, Cesare
Panizza, Nicola Chiaromonte. Una biografia. Presentazione di Paolo Marzotto,
prefazione di Paolo Soddu, Roma, Donzelli. Dizionario Biografico degli
Italiani, XXIV, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana Treccani, Filippo La Porta, Maestri irregolari,
Bollati Boringhieri. Gino Bianco, Nicola Chiaromonte e il tempo della malafede,
Lacaita, Manduria-Roma-Bari, Michele Strazza, Contro ogni conformismo. Nicola
Chiaromonte, in "Storia e Futuro", Filippo La Porta, Eretico
controvoglia. Nicola Chiaromonte, una vita tra giustizia e libertà, Bompiani. Bocca
di Magra Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Nicola
Chiaromonte Nicola Chiaromonte, su TreccaniEnciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Nicola Chiaromonte, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Nicola Chiaromonte, . Fotografie e documenti di Nicola Chiaromonte
La cultura politica azionista. "Nuovo Partito d'Azione". Il fondo
librario Chiaromonte. Nicola Chiaromonte. Keywords: parola, parabola. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Chiaromonte” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51773040238/in/dateposted-public/
Grice e Chiavacci – poetico – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Foiano della Chiana). Filosofo. Grice:
“Chiavacci is a good one; Italians tend to identify him with Miichelstaedter,
but surely there is more to Chiavacci than an exegesis of Michelstaedter
(especially to refute Gentile’s) – my favourite tracts are three: his ‘critique
of poetical reason’ – a critique we were lacking! --, his little treatise on
‘man’ – and his ‘reality’ and not appearance, as Bradley would have it, but
‘illusion,’ which is related to Latin ‘ludus,’ game – His ‘philosophical
studies’ cap it all!” Partecipe della stagione neoidealista italiana, fu tra i
più innovativi interpreti ed eredi dell'attualismo gentiliano. Nato
a Foiano in provincia di Arezzo da Enrico Chiavacci e Annunziata Doni,
ricevette l'istruzione primaria a Cortona, e quella secondaria nel liceo di Iesi. Frequentò
la facoltà di lettere del Regio Istituto di Studi Superiori a Firenze, dove fu
allievo di Guido Mazzoni, e conobbe tra gli altri il poeta filosofo Carlo
Michelstaedter, di cui divenne grande amico, insieme ad Arangio-Ruiz, Cecchi,
De Robertis, Lamanna, Facibeni. Si laureò con una tesi sul Decameron di
Boccaccio, e l'anno seguente ottenne una cattedra di insegnamento per il ginnasio
inferiore. Con l'entrata dell'Italia nella prima guerra mondiale,
Chiavacci combatté al fronte come capitano di artiglieria. Tornato
all'insegnamento, nell'immediato dopoguerra vinse una cattedra per il ginnasio
superiore, e iniziò nel contempo a frequentare la facoltà di filosofia a Roma,
dove incontrò Giovanni Gentile, col quale si laureò con una tesi su Antonio
Rosmini. Dal 1924 cominciò a insegnare filosofia nei licei, e due anni
dopo fu promosso a preside di varie scuole, tra cui Siena dove nacque suo figlio
Enrico. Divenne professore universitario di pedagogia alla Scuola normale di
Pisa, e insegnò filosofia teoretica a Firenze, anche la cattedra di
estetica. Entra a far parte dell'Accademia Roveretana degli Agiati. Gli
verranno quindi elargiti diversi altri titoli accademici e riconoscimenti, come
la medaglia d'oro ai benemeriti della scuola, della cultura e dell'arte. L'idealismo:
tra Gentile e Michelstädter «Se mi domando [...] che cosa debba al pensiero
filosofico di Gentile, quale mi sembri essere il nucleo più vitale della sua
dottrina, non trovo, a voler tutto restringere in una parola, risposta più
esatta di questa: la dottrina dell'atto puro.» (Gaetano Chiavacci,
L'eredità di Gentile, in «Giornale di metafisica». La filosofia di Chiavacci si
muove tra l'idealismo attuale di Gentile da un lato, e l'anti-dialettica
esistenziale di Carlo Michelstaedter dall'altro, conciliati in un'ottica
spiritualista cristiana. Dell'attualismo gentiliano egli intende
rivalutare la portata atemporale dell'atto puro dello Spirito, a cui riconosce
piena realtà, a differenza dell'attualità concepita come un presente situato
storicamente tra un passato e un futuro illusori. Riappropriandosi al
contempo del criterio della persuasione di Michelstädter, Chiavacci ritiene che
non si debba a sua volta fare dell'atto una teoria, una filosofia panlogista
staccata dalla vita e dal suo stesso attuarsi, «perché deve essere essa la
vita». Gentile ha avuto il merito di elaborare una filosofia
anti-intellettualistica che non si esaurisce nel concetto, ma è autoconcetto,
mostrando come il mondo consista nell'autocoscienza dell'atto pensante, in cui
vi è «assoluto possesso, realtà attuale immanente al suo farsi». Egli tuttavia
non avrebbe compreso appieno le conseguenze di questo attuarsi dell'atto, e
sarebbe rimasto a sua volta dentro un "concetto" dell'autoconcetto,
cioè in una forma di mediazione logica, di costruzione intellettuale, in un
logo astratto che supera e smarrisce la «fonte della verità». L'atto
invece, per Chiavacci, proprio perché non può essere ridotto a fatto, cioè ad
oggetto, è un atto «che sfugge ad ogni metro di criterio preconcetto, e che,
per comprenderlo, bisogna rivivere dal di dentro». Tale consapevolezza
interiore che «il soggetto ha di sè senza oggettivarsi», è per Chiavacci
fondamentalmente un'intuizione, un sentimento, che permea la dialettica
dell'atto pensante articolata nel soggetto e nell'oggetto. Essa bensì è anche
un processo mediato, da cui risulta un logo "pensato" senza cui non
si avrebbe coscienza formante della sua stessa origine intuitiva, ma un pensato
che resterebbe vuota astrazione, «caput mortuum, se si distacca dalla sintesi
di cui vuol rendere conto, da quella sintesi che gli dà un contenuto vivo e
sempre nuovo, e che è l'intuizione costitutiva dell'attualità dell'io e che
forse meglio si potrebbe dire sensus sui». Essa è infine, negli esiti
religiosi dell'ultimo Chiavacci, essenzialmente fede. Opere Tesi di
laurea: La Commedia nel Decamerone (Iesi, tipografia Fiori) Il valore morale
nel Rosmini (Firenze, Vallecchi) Illusione e realtà. Saggio di filosofia come
educazione (Firenze, La Nuova Italia), concepita come una traduzione in forma
propositiva del tema della «persuasione» che era stata esposta nell'opera di
Michelstaedter in maniera indiretta e non sistematica come contrapposizione
alla «rettorica». Saggio sulla natura dell'uomo (Firenze, Sansoni), dove il
conflitto michelstädteriano tra illusione e realtà diventa quello tra natura e
ragione umana, superato dalla dialettica dell'atto spirituale. La ragione
poetica (Firenze, Sansoni), divisa in due parti: Il momento dell'Indifferenza,
che affronta il problema della discordanza tra natura e intelletto, ovvero tra
fatti e concetti, e tra questi e valori; e Il momento della libertà, che
assegna alla libera creatività di una ragione non logica ma poetica il
fondamento di quei valori, attraverso le dimensioni dell'arte e della
religione. Chiavacci ha inoltre curato l'edizione delle Opere di Michelstaedter
(Firenze, Sansoni), oltre a redigere, su richiesta di Gentile, la voce
"Michelstaedter" per l'Enciclopedia Italiana. A lui si devono
poi altri due saggi sul Rosmini: Filosofia e religione nella vita
spirituale di A. Rosmini (Milano, Bocca), e La filosofia politica di A. Rosmini
(Milano, Bocca). Postume Quid est veritas? Saggi filosofici, A.M. Chiavacci
Leonardi, introduzione di Eugenio Garin, Firenze, Olschki, GentileChiavacci.
Carteggio, Paolo Simoncelli, Firenze, Le Lettere. Roberto Grita, Gaetano
Chiavacci, su treccani. Antonio Russo, Gaetano Chiavacci, interprete di
Michelstaedter, Trieste. Così Chiavacci ricorderà il suo primo incontro con la
figura di Gentile: «Leggendo per la prima volta la Teoria generale dello
spirito, ebbi un lampo di luce, pel quale intravidi la possibilità di
comprender la vita, di potervi trovare quel valore senza del quale ogni altra
cosa non ha pregio» (da una lettera di Chiavacci a Gentile, cit. in
Gentile-Chiavacci: CarteggioSimoncelli, Firenze). Scheda su Gaetano
Chiavacci [collegamento interrotto], su agiati.org. Cit. anche in G. Chiavacci, Quid est veritas?
Saggi filosofici, A.M. Chiavacci Leonardi, Olschki. Gaetano Chiavacci, Il
pensiero di Carlo Michelstaedter, articolo sul «Giornale critico della
filosofia italiana». Chiavacci, Il centro della speculazione gentiliana:
l'attualità dell'atto, in «Giornale critico della filosofia italiana», Gaetano
Chiavacci, Il centro della speculazione gentiliana: l'attualità dell'atto, Gaetano
Chiavacci, Quid est veritas? Saggi filosofici, A. M. Chiavacci Leonardi,
Olschki, Gaetano Chiavacci, Quid est veritas? Saggi filosofici, Antonio Russo,
Gaetano Chiavacci interprete di Michelstaedter. Eugenio Garin, Introduzione a
G. Chiavacci, Quid est veritas? Saggi filosofici, Antonio Russo, Gaetano
Chiavacci interprete di Michelstaedter, Gaetano Chiavacci, su sapere. Gaetano Chiavacci, Michelstaedter Carlo, in
«Enciclopedia Italiana», Roma. Gustavo
Bontadini, Dall'attualismo al problematicismo, Brescia, La Scuola, Augusto
Guzzo, Gaetano Chiavacci: la "Ragione poetica", in «Giornale di
metafisica», Francesco Valentini, Recenti studi sull'attualismo, in «Rassegna
di filosofia», Antonio Testa,
Michelstaedter e i suoi critici, in «Rassegna di Filosofia», Gianfranco Morra,
La scuola gentiliana e l'eredità dell'attualismo, in «Teoresi», Vito A.
Bellezza, Gentile e l'attualismo nell'ultimo ventennio, in «Cultura e Scuola», Dario
Faucci, L'«attualismo» di Gaetano Chiavacci, in «Filosofia», Antimo Negri, Giovanni Gentile: sviluppi e
incidenza dell'attualismo, Firenze, La Nuova Italia, Antonio Russo, Gaetano
Chiavacci (1886-1969) interprete di Michelstaedter, Sergio Campailla, in La via della persuasione. Carlo
Michelstaedter un secolo dopo, Venezia, Marsilio, Attualismo (filosofia)
Giovanni Gentile Idealismo italiano Carlo Michelstaedter La Persuasione e la
Rettorica Enrico Chiavacci Gaetano
Chiavacci, in Dizionario biografico degli italiani. Gaetano Chiavacci.
Keyowords: poetico, critica della ragione poetica, illusion, allusion, ludo, la
natura dell’uomo, carteggio con Gentile. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Chiavacci” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51772774831/in/dateposted-public/
Grice e Chiocchetti – prammatico –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Moena). Filosofo. Grice: “I like
Chiocchetti – a surname most Englishmen are unable to pronounce, but cf.
Chumley! – For one, he exapanded, alla Croce on Vico as proposing ‘espressione’
as prior to ‘communicazione,’ as I do – but he went further – he studied the
Latin-language author, and saint, Aquinas, and his ‘modi di significare’ –
Lastly, he expanded on ‘pragmatism’ as the term of abuse it MUST be! Why are
non-philosophers OBSESSED to keep miscalling me a ‘pragmaticist’ who is into
‘pragmatics’ – It’s totally anti-Oxonian – Oxford being the epitome of
aestheticism – to do so! Chiocchetti also played with the abused term,
‘scolastic’: he thought there are two scolastics: the palaeo-scolastici, or
scolastici simpiciter, and the ‘neo-scolastici,’ like his self! He wrote a
little tract on Gentile, who ungently threw it onto the wastepaper basket!” -- Emilio Chiocchetti (Moena) filosofo. Nato a
Moena, in Val di Fassa, vestì l'abito francescano nel 1896 e l'anno successivo
concluse gli studi secondari a Rovereto. Durante il corso di teologia si
appassionò agli studi biblici, anche se non gli venne concessa la possibilità
di approfondirli presso l'Istituto biblico francescano di Gerusalemme e la
Facoltà teologica di Vienna. Nel 1903 venne ordinato sacerdote. Fino al 1908 studiò filosofia a Roma presso
il Collegio internazionale di San Antonio. Tornò quindi a Rovereto per
insegnare filosofia presso il liceo interno all'Ordine dei Minori e iniziò
un'assidua collaborazione, su invito del padre Agostino Gemelli, alla Rivista
di filosofia neoscolastica fin dalla sua fondazione (1909). Tra il 1908 e il 1909 progettò uno studio
sistematico sulla filosofia di Henri Bergson, interrompendolo definitivamente
nel 1910 per approfondire ulteriormente la sua preparazione filosofica a
Lovanio, centro degli studi neoscolastici. Subito dopo si recò in Germania, a
Fulda, per ascoltare Konstantin Gutberlet, e successivamente a Vienna, dove
frequentò come uditore le lezioni di psicologia di Wilhelm Wundt. Tornato
all'insegnamento a Rovereto nel 1912, assunse la direzione della Rivista
tridentina. Note Chiocchetti, Emilio, su siusa.archivi.beniculturali.
20 marzo . G. Faustini, , Emilio
Chiocchetti, Antonio Rosmini e la cultura trentina: un filosofo ladino tra
Trentino ed Europa, Trento, Pancheri, 2008 G. Faustini, , Emilio Chiocchetti: un
filosofo francescano di fronte alle sfide del Novecento: antologia, scritti di
filosofia e cultura, Trento, Pancheri, 2006 Padre Emilio Chiocchetti un
filosofo francescano tra il Trentino e l'Europa: atti del seminario di studio
promosso dal Museo storico in Trento, svoltosi a Trento il 3 dicembre 2004,
"Archivio Trentino", 1, 2005,
101–215 S. Pietroforte, Storia di un'amicizia filosofica tra
neoscolastica, idealismo e modernismo: il carteggio Nardi-Chiocchetti
(1911-1949), Firenze, Sismel Edizioni del Galluzzo, 2004 R. Centi, Un filosofo
francescanoEmilio Chiocchetti, Trento, Gruppo culturale Civis, C. Coen,
Chiocchetti Emilio, in Dizionario biografico degli italiani, 25, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, 1981 (Dizionario biografico degli italiani) G. Consolati, , diEmilio Chiocchetti filosofo trentino (Moena
1880-1951) rettore generale francescano e professore di storia della filosofia
moderna alla Università cattolica del S. Cuore, Trento, Saturnia, Emilio
Chiocchetti, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Emilio Chiocchetti, su
siusa.archivi.beniculturali, Sistema Informativo Unificato per le
Soprintendenze Archivistiche. Opere di Emilio Chiocchetti, . Pubblicazioni di Emilio Chiocchetti, su
Persée, Ministère de l'Enseignement supérieur, de la Recherche et de
l'Innovation. Emilio Chiocchetti. Chiocchetti. Keywords: prammatico, Grice: “In
Italy, just to know that a philosopher has a religion orientation disqualifies
as a philosopher, and that is at it should. The keyword is: anti-Popish, Vico,
Croce, estetica, Aquino, Gentile, Neo-Scolastica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice
e Chiocchetti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51716695872/in/photolist-2mN2zUd-2mKCVsF/
Grice e Chiodi – esistenti – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma). Grice:
“I like Chiodi; for one, he plays, somethings rather sneakily, with the Italian
language as Heidegger played with the German language: Heidegger is able to
play with Latinate versus Germanic words: tat (deed) versus fakt. The Italians
only have ‘fatto’ and this leads Chiodi to restrict ‘fatto’ to ‘tat’ and invent
‘effetto’ for ‘fakt!’ – “But other than that he was a genius!” -- Pietro Chiodi
(Corteno Golgi) filosofo. Figlio di
Annibale e Maria Romelli, frequentò le scuole elementari al paese natio e le
medie inferiori e superiori a Sondrio sotto la guida del prof. Credaro, che lo
avviò allo studio della filosofia. Dopo aver conseguito nel 1934 l'abilitazione
magistrale si trasferì a Torino, dove si laureò il 27 giugno 1938 in pedagogia
sotto la guida di Nicola Abbagnano. Nell'anno successivo ottenne la cattedra di
storia e filosofia del liceo classico Giuseppe Govone di Alba, dove insegnò per
18 anni. Qui entrò in contatto col professore di lettere Leonardo Cocito, del
quale divenne intimo amico, ed ebbe tra i suoi allievi lo scrittore Beppe
Fenoglio. Questi ricorderà più volte nei suoi scritti i due insegnanti, con i
loro nomi o con pseudonimi; Chiodi diventerà così, nel romanzo Il partigiano Johnny,
il personaggio di Monti. Grazie ai suoi
contatti con Cocito, fervente comunista e antifascista, Chiodi entrò, Il 2
luglio 1944, a far parte di una formazione partigiana Giustizia e Libertà col
nome di battaglia di “Piero”. Il 18
agosto di quello stesso anno Chiodi venne catturato dalle SS italiane, assieme
ai suoi compagni, e deportato in un campo di prigionia a Bolzano, quindi a
Innsbruck. Aiutato dal comandante del lager e da un medico, ottenne il visto di
rimpatrio. Il 30 settembre alle ore 07:30 era alla stazione di Innsbruck
diretto a Verona. Il 3 ottobre, verso sera, giunse nell'albese. Qui riprese la
sua attività di partigiano, ora sotto il nome di battaglia di Valerio,
mettendosi a capo, nelle Langhe, di un battaglione della CIII Brigate Garibaldi
intitolato al suo collega Cocito, impiccato dai tedeschi a Carignano (località
pilone Virle) il 7 settembre 1944, insieme ad altri patrioti. Nel 1946 narrò la propria esperienza di
lotta, di prigionia e di guerra civile nel libro scritto in forma diaristica e
pubblicato dall'ANPI, Banditi, uno dei primi memoriali di deportati politici
italiani. Dopo la liberazione di Torino
nel 1945, Chiodi era tornato all'insegnamento ad Alba. Nel 1957 si trasferì
come insegnante al Liceo di Chieri e poi al Liceo Vittorio Alfieri del
capoluogo piemontese. Nel 1955 ottenne la libera docenza e dal 1963 fu
incaricato e poi titolare della cattedra di Filosofia della storia alla Facoltà
di Lettere e filosofia a Torino, insegnamento che ricoprì fino alla sua
prematura morte nel 1970, affiancandolo all'incarico di Pedagogia. Nel 1961,
l'Accademia Nazionale dei Lincei gli assegnò il premio del Ministero della
Pubblica Istruzione per la filosofia e nel 1964 gli fu conferito il Premio
Bologna. Alla ristampa del 1961 di Banditi
Chiodi premise questa avvertenza, poi conservata nelle edizioni successive: «La
presente ristampa si rivolge particolarmente ai giovani, non già per far
rivivere nel loro animo gli odi del passato, ma affinché, guardando
consapevolmente ad esso, vengano in chiaro senza illusioni del futuro che li
attende se per qualunque ragione permetteranno che alcuni valoricome la libertà
nei rapporti politici, la giustizia nei rapporti economici e la tolleranza in
tutti i rapportisiano ancora una volta manomessi subdolamente o violentemente
da chicchessia». Raccolse grande stima
ed affetto tra suoi allievi, che ne conservano tuttora il ricordo di un grande
Maestro, limpido esempio di tolleranza e serenità di giudizio. Attività filosofica L'attività filosofica di
Pietro Chiodi si concentrò specialmente sull'Esistenzialismo, riletto in chiave
positiva. La maggior parte delle sue opere è dedicata a Martin Heidegger. Egli fu il primo traduttore in Italiano di
Essere e tempo, nel 1953, e il terzo in assoluto a realizzarne una versione in
un'altra lingua, dopo il giapponese e lo spagnolo. Proprio a Chiodi si deve la
definizione della terminologia heideggeriana in Italiano, divenuta poi abituale
tra gli studiosi. Valga un caso per tutti: la traduzione del tedesco Dasein con
l'italiano Esserci, capolavoro di sintesi ed efficacia, spesso e volentieri non
ancora raggiuntain questo specifico casoin altre lingue. Al filosofo tedesco
dedicò anche, ovviamente, diversi saggi: L'esistenzialismo di Heidegger (1947),
L'ultimo Heidegger (1952), Esistenzialismo e fenomenologia (1963). Fu, inoltre,
traduttore di L'essenza del fondamento (1952) e Sentieri interrotti (1968). A
Immanuel Kant dedicò, invece, La deduzione nell'opera di Kant (1961) e ne
tradusse nel 1967 la Critica della ragion pura e gli Scritti morali, usciti
nella sua versione nel 1970. È infine da ricordare il suo interesse per
Jean-Paul Sartre, del quale si occupò nel 1965 nell'opera Sartre e il
marxismo. L'esperienza partigiana rimase
sempre una pagina fondamentale nella vita di Pietro Chiodi, per cui il valore
della libertà occupò sempre il primo posto. Non è un caso che Fenoglio faccia
rivolgere da parte di Monti, nel Partigiano Johnny, proprio questo ammonimento
ai giovani partigiani di Alba: «Ragazziteniamo di vista la libertà». La sua
breve e unica opera narrativa, Banditi, ricca di valore non solo storico e
morale ma anche letterario, è stata definita da Davide Lajolo «Il libro più
vivo, più semplice, più reale di tutta la letteratura partigiana» (L'Unità, 10
ottobre 1946) e da Franco Fortini «quasi un capolavoro [...]. Ci sono dei
tratti straordinari, nel tragico come nel comico». Opere Chiodi Pietro, Banditi, con
introduzione di Gian Luigi Beccaria, Torino, Einaudi, 2002 [1961], 978-88-06-16322-8. Chiodi Pietro, Esistenzialismo
e filosofia contemporanea, Giuseppe Cambiano, Pisa, Edizioni della Normale,
2007, 88-7642-194-7. Note Deportati Politici Italiani, su
restellistoria.altervista.org. Chiodi, Banditi, Torino, Einaudi, 1975V. , Conoscere la Resistenza, Milano, Unicopli,
1994132. Resistenza italiana Deportati
politici italiani Esistenzialismo Martin Heidegger Opere di Pietro Chiodi,
. Biografia di Chiodi nel sito
dell'Associazione nazionale partigiani d'Italia, su anpi. Centro Studi 'Beppe
Fenoglio'CHIODI Pietro, su centrostudibeppefenoglio. V D M Antifascismo
(1919-1943) Filosofia Filosofo del XX secoloPartigiani italiani 1915 1970 2
luglio 22 settembre Corteno Golgi TorinoBrigate Giustizia e LibertàDeportati
politici italiani. Chiodi. Keywords: esistenti, nulla annhihila, Kant
imperative, counsel of prudence, rule of ability, practical reason,
existentialism, Heidegger, greatest philosopher, maxim universality, maxim
universability. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Chiodi” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51771911472/in/dateposted-public/
Grice e Chitti – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Citanova).
Filosofo. Grice: “I like Chitti; not so much for what he philosophised about –
law and law and law – but the way he corresponded with Say – a French
philosopher – on the lack of an adequate philosophical vocabulary in Italian to
express Aristotle’s principles of oeconomia!” Fervor, temperanza e, ingegno finissimo
fanno di lui uno di quegli filosofi che sono atti egualmente alla filosofia ed
all'azione. Figlio di Giuseppe, avvocato
e giudice alla Gran Corte Criminale di Reggio e di Saveria Barbaro, nativa di
Napoli. Partecipa a Napoli, col padre ed
i fratelli, alla rivoluzione. In seguito alla capitolazione del Forte Castel
Nuovo, ripara in Francia. A Parigi, termina gli studi giuridici e strinse
amicizia con molti patrioti del tempo.
Ferdinando I delle Due Sicilie Tornato a Napoli, esercita in città la
professione di avvocato e difese Casalnuovo (l'odierna Cittanova) contro la
feudataria del luogo, Maria Grimaldi-Serra, ultima principessa di Gerace,
davanti alla regia commissione feudale. Fattosi un nome come avvocato, dopo la
restaurazione ebbe la nomina di segretario generale al Ministero di Grazia e
Giustizia del Regno. A Napoli sposa la figlia
di Emanuele Hipman, un capo dipartimento di uno dei Ministeri del Regno. Fu
coinvolto nella rivolta contro Ferdinando I organizzata dai sottotenenti
Morelli e Silvati, fu quindi privato della carica ed esiliato. Passa un periodo
a Londra, e tenta di ritornare a Napoli, ma ebbe l'inibizione ufficiale a
rientrare nella capitale. Anda a Firenze e di lì a poco, chiamato da amici, si
recò a Bruxelles. In Belgio da lezioni
di diritto pubblico e di economia sociale, ottenne la carica di segretario
della Banca Fondiaria e si fece un nome. Il governo belga gli conferì la
licenza di professare Economia Sociale, e tenne quattro letture pubbliche nel
Museo di Bruxelles. Le sue quattro letture furono intitolate da lui stesso «Corso
di Economia sociale», compendio delle sue vaste vedute e della sua non comune
cultura sull'argomento. Pubblica altre opere ed in seguito alla fama acquisita,
il governo belga gli conferì la carica di Professore alla facoltà di diritto
dell'Bruxelles. In Belgio pubblica la maggior parte dei suoi lavori e strinse
amicizia con Gioberti, che lo definirà valente economico. Nonostante la revoca
dell'esilio, non torna a Napoli ma rimase in Belgio ancora per parecchi anni
fino a quando partì per il nuovo mondo.
In America, tenta varie imprese
commerciali, ma difficoltà sopravvenute gli fecero abbandonare presto i suoi
progetti e si stabilì a New York. Altre opere: “Trattato di economia politica o
semplice esposizione del modo col quale si formano, si distribuiscono e si
consumano le ricchezze; seguito da un'epitome dei principi fondamentali
dell'economia politica di Giovanni Battista Say” (Napoli, Stamperia del
Ministero della Segreteria di Stato). Ermenegildo Schiavo, Four centuries of
Italian-American history, Vigo Press. The New York Herald morning edition mercoledì.
New York Daily Times pag. 4 Daily Free
Democrat. The American almanac and repository of useful knowledge, Center for
Migration Studies Special Issue: Four Centuries of Italian American History Wiley
Online Library Vincenzo De Cristo, Prime
notizie sulla vita e sulle opere di Chitti Economista, Prem. Tip. e Lib.
Claudiana, Dizionario biografico degli italiani, 25, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Luigi Chitti. Chitti. Keywords: economia sociale, economia politica,
l’economia filosofica d’Aristotele. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Chitti” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689157376/in/photolist-2mKArEy
Grice e Cicerone – Marc’Antonio – filosofia romana –
Luigi Speranza – (Italia). Ciceronian implicaturum:
Grice: “One has to be careful: an Italian philosopher might argue that Cicerone
ain’t Italian, but Roman! – so the keywords: ‘filosofo italiano’ ‘filosofo romano’
– matter!” Grice: “However, whatever the discussion, provided Cicerone IS
discussed by this or that undeniable *Italian* philosopher is enough to provide
us with some nice secondary literature!” – Grice: “As an example, I would
mention the two-volume of the ‘Storia della filosofia’ – if you check for the
“Roman chapter,” it’s mainly all about Cicerone – with some footnote to
Lucrezio and Aurelio!” – Grice: “Recall that Roman-Roman philosophy is pretty
recent: due to the embassy by the three Greek philosophers who arrived in Rome
in 183 a. u. c., and – philosophy then became the pastime of the leisurely
class, notably the Scipioni!” -- Marcus
Tullius, Roman statesman, orator, essayist, and letter writer. He was important
not so much for formulating individual philosophical arguments as for
expositions of the doctrines of the major schools of Hellenistic philosophy,
and for, as he put it, “teaching philosophy to speak Latin.” The significance
of the latter can hardly be overestimated. Cicero’s coinages helped shape the
philosophical vocabulary of the Latin-speaking West well into the early modern
period. The most characteristic feature of Cicero’s thought is his attempt to
unify philosophy and rhetoric. His first major trilogy, On the Orator, On the Republic,
and On the Laws, presents a vision of wise statesmen-philosophers whose
greatest achievement is guiding political affairs through rhetorical persuasion
rather than violence. Philosophy, Cicero argues, needs rhetoric to effect its
most important practical goals, while rhetoric is useless without the
psychological, moral, and logical justification provided by philosophy. This
combination of eloquence and philosophy constitutes what he calls
humanitas a coinage whose enduring
influence is attested in later revivals of humanism and it alone provides the foundation for
constitutional governments; it is acquired, moreover, only through broad
training in those subjects worthy of free citizens artes liberales. In philosophy
of education, this Ciceronian conception of a humane education encompassing
poetry, rhetoric, history, morals, and politics endured as an ideal, especially
for those convinced that instruction in the liberal disciplines is essential
for citizens if their rational autonomy is to be expressed in ways that are
culturally and politically beneficial. A major aim of Cicero’s earlier works is
to appropriate for Roman high culture one of Greece’s most distinctive
products, philosophical theory, and to demonstrate Roman superiority. He thus
insists that Rome’s laws and political institutions successfully embody the
best in Grecian political theory, whereas the Grecians themselves were
inadequate to the crucial task of putting their theories into practice. Taking
over the Stoic conception of the universe as a rational whole, governed by
divine reason, he argues that human societies must be grounded in natural law.
For Cicero, nature’s law possesses the characteristics of a legal code; in
particular, it is formulable in a comparatively extended set of rules against
which existing societal institutions can be measured. Indeed, since they so
closely mirror the requirements of nature, Roman laws and institutions furnish
a nearly perfect paradigm for human societies. Cicero’s overall theory, if not
its particular details, established a lasting framework for anti-positivist
theories of law and morality, including those of Aquinas, Grotius, Suárez, and
Locke. The final two years of his life saw the creation of a series of
dialogue-treatises that provide an encyclopedic survey of Hellenistic
philosophy. Cicero himself follows the moderate fallibilism of Philo of Larissa
and the New Academy. Holding that philosophy is a method and not a set of
dogmas, he endorses an attitude of systematic doubt. However, unlike Cartesian
doubt, Cicero’s does not extend to the real world behind phenomena, since he
does not envision the possibility of strict phenomenalism. Nor does he believe
that systematic doubt leads to radical skepticism about knowledge. Although no
infallible criterion for distinguishing true from false impressions is
available, some impressions, he argues, are more “persuasive” probabile and can
be relied on to guide action. In Academics he offers detailed accounts of
Hellenistic epistemological debates, steering a middle course between dogmatism
and radical skepticism. A similar strategy governs the rest of his later
writings. Cicero presents the views of the major schools, submits them to
criticism, and tentatively supports any positions he finds “persuasive.” Three
connected works, On Divination, On Fate, and On the Nature of the Gods, survey
Epicurean, Stoic, and Academic arguments about theology and natural philosophy.
Much of the treatment of religious thought and practice is cool, witty, and
skeptically detached much in the manner
of eighteenth-century philosophes who, along with Hume, found much in Cicero to
emulate. However, he concedes that Stoic arguments for providence are
“persuasive.” So too in ethics, he criticizes Epicurean, Stoic, and Peripatetic
doctrines in On Ends 45 and their views on death, pain, irrational emotions,
and happiChurch-Turing thesis Cicero, Marcus Tullius 143 143 ness in Tusculan Disputations 45. Yet, a
final work, On Duties, offers a practical ethical system based on Stoic principles.
Although sometimes dismissed as the eclecticism of an amateur, Cicero’s method
of selectively choosing from what had become authoritative professional systems
often displays considerable reflectiveness and originality. “Cicero = Tully” Grice: “Actually, ‘Cicero’
and ‘Tully’ mean different things! ‘Cicero’ is more of a description than a
name!” La morte di Cicerone. Cicero proscribed by the triumvirate. Cicero
killed by Marco Antonio, one of the three ‘vires’, along with Ottaviano. Cicero
offered his hands, with which he had written the Filippiche. His head and hands
were displayed at the Senate. The Romans never quite liked him because he was
only a provincial nobility and never displayed courage. Grice: “Most English
gentlemen knew Cicero via the Macmillan’s Loeb Classical Library, a book fit
for the gentleman’s pocket! One at a time, since there are quite a few volumes
dedicated to Cicero! Mr Chips makes fun of the revised pronounciation,
/kikero/!” Grice: “Austin liked Cicero because he made ordinary Latin into
extraordinary philosophese!” Cicerone – Keywords: Marc’Antonio, untranslatable,
signans/signatum, signans, signatum. Cicerone, Cicero = Tully. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Cicerone” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51773595825/in/dateposted-public/
Grice e Ciliberto – il principe –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo. Grice: “I
like Cilberto; he philosophised on Machiavelli – in an interesting way:
confronting his ‘reason’ with the ‘irrational’; myself, I have not explored the
irrational, too much – but I suppose Strawson might implicate that everything I
say ON reason is an implicature on the irrational – Ciliberto uses the
vernacular for the ‘irratinal,’ to wit: pazzia!” – Uno dei massimi esperti del
pensiero di Bruno. Si laurea a Firenze sotto Garin con “Machiavelli”.
“Lessico Intellettuale Europeo”. Insegna a Trieste, Pisa. Istituto di Studi sul
Rinascimento, Firenze. Dal 1998 è presidente di I. R. I. S. A. Associazione di
Biblioteche Storico-Artistiche e Umanistiche di Firenze. Lince. Al centro della
sua filosofia sono tre problemi: il rinascimento con speciale attenzione a Bruno
e Machiavelli, la ‘tradizione’ no-analitica, no-continntale, ma la ‘tradizione
italiana’ (Gramsci, Croce, Gentile, Cantimori, Garin); e la filosofia politica
e in maniera specifica la crisi della democrazia rappresentativa. Altre
opere: “Il rinascimento. Storia di un dibattito” (Firenze, La Nuova Italia); “Intellettuali
e fascismo” (Bari, De Donato); “Lessico di Bruno” (Roma, Edizioni dell'Ateneo
& Bizzarri); “Come lavora Gramsci. Varianti vichiane, Livorno); “Filosofia e
politica nel Novecento italiano. Da Labriola a «Società», Bari, De Donato); “La
ruota del tempo. Interpretazione di Bruno, Roma, Editori Riuniti); Bruno,
Roma-Bari, Laterza); Bruno, Roma-Bari, Laterza); “Umbra profunda” (Roma,
Edizioni di Storia e Letteratura); “Implicatura in chiaroscuro” Roma, Edizioni
di Storia e Letteratura); “Il dialogo recitato” “Preliminari a una nuova
edizione del Bruno volgare, Firenze, Olschki); “La morte di Atteone”(Roma,
Edizioni di Storia e Letteratura); “I contrari”; “Disincanto e utopia nel
Rinascimento” (Roma, Edizioni di Storia e Letteratura); “Il teatro della vita”
(Milano, Mondadori); “Il laico” “Il libero” dell'Italia moderna, Roma-Bari,
Laterza); “Democrazia dispotica” – etimologia di dispotismo – (Roma-Bari,
Laterza); “Intellettuale nel Novecento, Roma-Bari, Laterza), “Parola, immagine,
concetto” (Edizioni della Normale, Pisa); “Croce e Gentile” “La cultura
italiana e l'Europa, (direzione) Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani,
. Rinascimento, Pisa, Edizioni della Normale; Il nuovo Umanesimo, neo-classicismo,
neo-umanesimo”, classicism, neo-classicismo come ironia” (Roma-Bari, Laterza);
“Pazzia e ragione” (Roma-Bari, Laterza); “Il sapiente furore” (Collana gli
Adelphi, Milano, Adelphi) Michele Ciliberto, Lessico di Giordano Bruno. Michele
Ciliberto. Keywords: il principe, intelletuale fascista, lessico, lessico di
Bruno, lessico di grice, lessico filosofico europeo, umbra profunda,
implicatura in chiaroscuro, i contrari, il laico, il libero, despotismo,
immagine e concetto, parola, immagine, e concetto, il pazzo, il ragionato, istituto
su studi sul rinascimento, la tradizione italiana, la tradizione filosofica
italiana, democrazia rappresentativa, concetto di rappresentazione, Grice e
Ciliberto sulla rappresentazione. Il primo ministro britannico ripresenta suoi
costituenti. Il barone della camera alta del parlamento, parlamento ed
implicamento, il team di cricket rippresenta Inghilterra: fa per Inghilterra
quello che Inghilterra non puo fare: gioccare cricket. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Ciliberto” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51772686966/in/dateposted-public/
Grice e Cimatti – fondamenti naturali
della comunicazione – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Grice:
“I like Cimatti – for one, he develops a biological semiotics, and he takes
seriously the issue that man IS an animal -- -- and has thus philosophised on
animality!” Si laureato sotto Mauro con “La communicazion animale” -- Insegna
ad Arcavacata di Rende. Altre opere: “Linguaggio ed esperienza visive” (Rende,
Centro Editoriale e Librario); “La scimmia che si parla. Linguaggio,
autocoscienza e libertà nell'animale umano” (Bollati Boringhieri); “Nel segno
del cerchio. L'ontologia semiotica di Giorgio Prodi, Manifestolibri La mente
silenziosa. Come pensano gli animali non umani” (Editori Riuniti); “Mente e
linguaggio negli animali. Introduzione alla zoosemiotica cognitiva” (Carocci); Il
senso della mente. Per una critica del cognitivismo” (Bollati Boringhieri); “Mente,
segno e vita. Elementi di filosofia per Scienze della comunicazione,Carocci); “Il
volto e la parola. Per una psicologia dell'apparenza, Quodlibet, Il possibile ed il reale. Il sacro dopo la
morte di Dio” (Codice Edizioni); Bollettino Filosofico. Linguaggio ed emozioni”
(Aracne); Lingue, corpo, pensiero: le ricerche contemporanee” (Carocci); Naturalmente
comunisti. Politica, linguaggio ed economia” (Bruno Mondadori); “La vita che
verrà. Biopolitica per Homo sapiens, , ombre corte, Filosofia della
psicoanalisi. Un'introduzione in ventuno passi” (Quodlibet); Filosofia
dell'animalità (Laterza); “Corpo, linguaggio e psicoanalisi” (Quodlibet); “A
come Animale: voci per un bestiario dei sentimenti” (Bompiani); “Il taglio” “Linguaggio
e pulsione di morte, Quodlibet);
Filosofia del linguaggio: storia, autore, concetto” (Carocci); “Psicoanimot,
La psicoanalisi e l'animalità” (Graphe); “Lo sguardi animale” (Mimesis); “Per
una filosofia del reale” (Bollati Boringhieri); “La vita estrinseca”; “Dopo il
linguaggio” (Orthotes, Salerno); “Abbecedario del reale” (Quodlibet, Macerata);
“La fabbrica del ricordo (Il Mulino). Grice: “I share a lot with Cimatti; we
both believe that there’s a semiotic continuity, and more important that it’s
psi-transmission that matters: a pirot perceives that the a is b, and
communicates that the a is b to another pirot, who perceives the communicatum,
‘the a is b’ and comes to think that the other pirot thinks that the a is b – I
use ‘think’ as dummy. ‘accept’ may do, to cover willing, since it’s willing
that’s basic, though! Felice Cimatti. Keywords: fondamenti naturali della
comunicazione, homo sapiens, storia innaturale, animale, bestia, linguaggio,
segno, vita, zoosemiotica, prodi, corpo, codice, mente, cognitivismo,
comunicazione, animale, soglia semiotica, mentalismo, storia innaturale,
comunicazione giovenile, fundamenti naturali della comunicazione, percezione e
comunicazione, comunicazione come percezione trasferita, psi-transfer. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Cimatti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51772632281/in/dateposted-public/
Grice e Cione – ICARO – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Napoli).
Filosofo. Grice: “I love Cione; my favourite is “The age of Daedalus – which
reminds me of Gilbert’s statuette and the Italian model who posed for him – the
story of a failure!” Grice: “But Cione philosophised on various other subjects
as well, such as Leibniz, and of course, Croce – in his case, first-hand
knowledge! – and mysticism, and Mussolini, and the rest of them – He thinks
there is a Neapolitan dialectic, and really is in love with his environs – his
study of ‘romantic Naples’ reminds me of my rules of conversational etiquette!
– especially the illustrations involving gentleman-lady interaction!” Di tendenze
socialiste, e in un primo momento anti-fasciste, studia sotto Croce.
Perseguitato della prima ora dal fascismo, viene rinchiuso nel campo di
Colfiorito di Foligno e poi mandato al confino a Montemurro. Attratto dal nuovo
indirizzo espresso dal Manifesto di Verona, aderisce alla Repubblica Sociale
Italiana. Chiede e ottiene il consenso di Mussolini (il quale si rende
esplicitamente concorde) per la costituzione di una formazione politica
indipendente dal Partito Fascista Repubblicano, denominata in un primo momento
Raggruppamento Nazionale Repubblicano Socialista e, in seguito, Partito Repubblicano
Socialista Italiano. A tale formazione politica, su suggerimento dello stesso
Mussolini, sarà concessa anche la pubblicazione di un quotidiano L'Italia del Popolo.
Il Duce però non aveva nessuna fiducia né nell'uomo né nell'impresa, tanto che
durante una conversazione con l'ambasciatore Rudolf Rahn preoccupato per una
possibile apertura "a sinistra" del capo del fascismo ebbe a
dichiarare: «Per ingannare i nostri
avversari ho lasciato, non appena ho pensato che il nuovo fascismo in Italia
fosse abbastanza forte, che alcune contro-correnti dicessero la loro, tra
l’altro ho permesso che si formasse un gruppo di opposizione sotto la guida di
Cione. Non ha una gran testa, e non avrà successo. Ma la gente che ora sta
cercando di crearsi un alibi si raccoglierà intorno a lui e quindi sarà perduta
per il comitato di liberazione che è molto più pericoloso. Salvatosi dalle
epurazioni partigiane nel dopoguerra, si costruirà una carriera politica nell’Italia
repubblicana. Milita nel Fronte dell'Uomo Qualunque. Successivamente, quando il
partito di Giannini si sciolse, entra nel Movimento Sociale Italiano e venne
eletto consigliere e poi assessore della giunta di Achille Lauro. Si candida al
Senato con la lista della fiamma nel colleggio di Afragola ma non fu eletto.
Deluso dai missini, adiere alla democrazia cristiana, senza però svolgere una
militanza attiva nel partito. Negli ultimi anni di vita cercò di conciliare il
messaggio di papa Giovanni XXIII con le aperture di Nikita Kruscev oltre la
cortina di ferro. Altre opere: “Valdés: la sua vita e il suo pensiero religioso
con una completa della sua opere e degli
scritti intorno a lui” (Laterza editore); “Sanctis, Ed. Giuseppe Principato); “L'opera
filosofica, coautore Franco Laterza, Laterza editore); “Napoli romantica”
(Gruppo Editoriale Domus); “L'estetica di Sanctis” (Pennetti Casoni Editore);
“Da Sanctis al Novecento” (Garzanti); “Nazionalismo sociale” “l'idea
corporativa come interpretazione della storia” (Achille Celli Editore); “Napoli
e Malaparte” (Editore Pellerano-Del Gaudio); “Storia della repubblica sociale
italiana” (Ed. Latinità); “Croce, coll. "I Marmi", Longanesi);
“Crociana” (Fratelli Bocca); “Sanctis” (Montanino); “Questa Europa” (M. Mele);
“Fascino del mondo arabo: dal Marocco alla Persia, Cappelli Editore); “Croce”
(Loganesi); “Fede e ragione nella storia: filosofia della religione e storia
degli ideali religiosi dell'Occidente” (Cappelli Editore); “La Cina d'oggi,
Filippine, Formosa, Giappone” (Ceschina); “Leibniz” (Libreria scientifica
editrice); “Narrativa del Novecento, Istituto editoriale del Mezzogiorno); “L’eta
di Dedalo”; “Un viaggio elettorale, Bompiani). Dizionario Biografico degli Italiani.
Un ex allievo di Croce negli ultimi mesi di Salò crea
un "partito contro" su suggerimento del ministro dell'Educazione
Biggini di Silvio Bertoldi.Domenico Edmondo Cione. Keywords: ICARO, l’idea
corporativa, corporativismo, storia del nazionalismo sociale, icaro, la caduta
d’icaro, icaro caduto, dedalo e la civilta greco-romana, corporativa, principio
corporativo, principio cooperative, corpotivismo, corporatismo, corporativismo,
ideale corporativo, conservative as corporativo, ugo spirito, “pocca testa”. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Cione” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51772827898/in/dateposted-public/
Grice e Civitella
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Montorio al Vomano). Filosofo.
Delfico-de-Civitella (under Ser Marco). (Montorio al Vomano). Filosofo. Grice:
“I love Delfico – while he wrote on Roman jurisprudence – Hart’s favourite
summer read! – mine is his (Delfico’s, not Hart’s) little thing on the
beautiful – we must remember that back in them days of Plato, ‘kallos,
‘pulchrum,’ or ‘bellum,’ is a diminutive of ‘bonus,,’ as in ‘bonello’ – the
point is important for for Platonists, love (that makes the world go round) is
desire for the ‘bello’ including the MORAL bello – so it is the key concept in
philosophy – and not as Sibley and Scruton narrowly conceive it!” Civitella è giustamente
ritenuto il Nestore della letteratura napoletano. Questo illustre autore di molte
opere di storia e di una varietà di soggetti interessanti, unisce ad una vasta
istruzione una accuratissima e profondissima conoscenza di ogni aspetto che
interessa la sua terra; e possiede, ad un'età così avanzata, l'ancor più raro
merito di saper comunicare le preziose esperienze acquisite con una amenità di
maniere, una facilità e semplicità di espressione che le rendono più apprezzate
a quelli che le ricevono. Figlio di Berardo e Margherita Civica, nacque nel
castello feudale di Leognano, in provincia di Teramo. Le origini della sua
famiglia risalivano almeno al secolo XVI quando Pir (o Pyr) Giovanni di Ser
Marco, generalmente riconosciuto come il capostipite della famiglia, cambia il
proprio cognome in “Delfico” e adotta il motto “eat in posteros Delphica
Laurus”. Secondo alcuni, e tra questi Luigi Savorini, il cognome originario era
“de Civitella”. All'interno della sua famiglia va individuato come Melchiorre
III. Rimasto ben presto orfano di madre, fu dapprima affidato ad ecclesiastici
ed in seguito inviato a Napoli, per il
completamento degli studi. Nella capitale del regno ebbe maestri insigni quali Genovesi
per le materie filosofiche per l'economia, Rossi per le materie letterarie, Ferrigno
per il diritto e Mazzocchi per l'archeologia. Nella città partenopea si
laureò in utroque iure sotto la direzione di Filangieri e redasse subito
diverse memorie per il governo. Ha già indossato l'abito ecclesiastico, ma se
ne spogliò subito per motivi di salute. Nella prima parte della vita si
dedica in particolare allo studio della giurisprudenza e dell'economia
politica, scrivendo numerosi trattati che esercitarono un grande influsso nel
miglioramento e l'abolizione di molti abusi. Con il ritorno in patria si
inizia un periodo fondamentale per la storia della città e dell'intero regno di
Napoli. Intorno a loro si riunisce un importante gruppo di filosofi che crea le
premesse per un profondo rinnovamento sociale, politico ed economico del
territorio in cui agiscono. Tra questi troviamo Cicconi, Comi, Lattanzi, Nardi,
Quartapelle, Tulli, Nolli, Orazio Delfico, il figlio di Giamberardino, che fu
allievo di Volta e Spallanzani, e l'altro nipote, Michitelli, che fu architetto
noto in tutto l'Abruzzo. Si appassiona al collezionismo, in particolare di
libri antichi e monete di epoca romana e pre-romana. Nominato presidente
del Consiglio Supremo di Pescara e poco dopo membro del governo provvisorio
della Repubblica Partenopea. Caduta la Repubblica Partenopea anda in
esilio per sette anni nella Repubblica di San Marino che gli riconobbe la cittadinanza.
Scrisse il saggio “Memorie storiche della Repubblica di San Marino”, prima
storia organica dell'antica repubblica. La Repubblica del Titano ha emesso una
serie di 12 francobolli e ha coniato una moneta d'argento dal valore nominale
di 5 euro per commemorare il filosofo e ricordarne la permanenza sul proprio
territorio. Sotto Giuseppe Bonaparte, nominato re di Napoli, entra a far
parte del Consiglio di Stato, ricoprendo varie cariche ministeriali.
Restaurato il governo borbonico, fu nominato presidente della commissione degli
archivi e successivamente Presidente della Reale Accademia delle
Scienze. Venne eletto deputato al Parlamento napoletano e fu chiamato alla
presidenza della Giunta provvisoria di governo. Si stabilì definitivamente a
Teramo. La famiglia di Melchiorre Delfico si estingue con Marina, sposata al
conte Gregorio De Filippis di Longano, ando origine all'attuale famiglia dei
conti De Filippis marchesi Delfico. La filosofia di Civitella si forge nel
fermento culturale del Secolo dei Lumi e del diritto naturale, le cui idee gius-naturalistiche
furono compiutamente esposte da un lato nell'opera di Locke, dall'altro in
quella di Rousseau, nelle quali i principi del diritto naturale erano
rappresentati dalle idee di libertà e di eguaglianza di tutti gli uomini. I
fermenti culturali del periodo assunsero una valenza rivoluzionaria e
contribuirono all'abbattimento di una struttura sociale logora ed invecchiata, che
si reggeva ancora ai capricci bizantini dell'autorità invadente. Proprio
tali tesi gius-naturalistiche furono gli strumenti a cui si richiamò l'opera
del Delfico, permeata dall'anti-curialismo, anti-Roma, dalla compressione della
feudalità, dall'anti-fiscalismo e soprattutto dall'abbattimento del monopolio
forense, ritenuto il baluardo principale del regime. Ciò che caratterizza la sua
visione politica è una nuova concezione dello Stato, non più ispirato al
predominio politico e svincolato dalle regole della morale corrente. Come
politico e come giurista, e eminentemente pratico, così da poter essere
ricordato come uno dei più illuminati riformatori del suo tempo. Al suo
nome sono intitolati a Teramo il Convitto nazionale, il Liceo Classico e la
Biblioteca provinciale che ha la propria sede nel Palazzo Delfico. Numerosi
i comuni che hanno intitolato strade a filosofo. Altre a Teramo e alla frazione di San Nicolò (nello stesso
comune teramano), si segnalano Sant'Egidio alla Vibrata, Penna Sant'Andrea e
Roseto degli Abruzzi in provincia di Teramo; Montesilvano, Pescara e Milano. È
noto che esistono Logge massoniche intestate a Civittella, ma ci si chiedeva se
lui stesso fosse stato massone. Questo interrogativo è stato posto da
parecchi storici ma non esisteva una risposta documentale. Esistono invece
molte prove indiziarie relative alla sua appartenenza alla Massoneria, per le
quali rimandiamo all'appendice del volume di Franco Eugeni, Carlo Forti,
allievo di N. Fergola. I principali indizi si possono così riassumere: I
maestri ed amici di Civitella, come Genovesi, Pagano, Filangeri, furono tutti
noti massoni; In un diario del curato Crocetti di Mosciano appaiono
notizie di una Loggia massonica esistente a Teramo. Assieme a Quartapelle, subisce
due processi per miscredenza. Promuove un movimento culturale detto '’La
Rinascenza'’ di chiaro stampo illuminista. Nella rinascenza militano tutti i
filosofi del tempo: i Tulli, i Quartapelle, Comi, Pradowski ed altri; La poesia
di Pradowski sembra proprio la descrizione di una Loggia. Manda il nipote
Orazio Delfico, futuro Gran Maestro della Carboneria teramana, a studiare a
Pavia da Spallanzani, Volta e Mascheroni, tre noti massoni del tempo.
Perrone pubblica un saggio basato sulla corrispondenza di Münter con noti
massoni napoletani lo dà come sicuramente massone, anche se "il suo
nome non s'incontra nelle logge razionaliste". Altre opere: “Saggio
filosofico sul matrimonio” (s.n.tip. ma Teramo, Consorti e Felcini); Memoria
sul Tribunal della Grascia e sulle leggi economiche nelle provincie confinanti
del regno” (Napoli, presso Giuseppe Maria Porcelli); “Riflessioni su la vendita
de’ feudi” (Napoli, presso Giuseppe Maria Porcelli); “Ricerche sul vero
carattere della giurisprudenza romana e de' suoi cultori” (Napoli, presso
Giuseppe Maria Porcelli); Pensieri sulla Istoria e su l'incertezza ed inutilità
della medesima, Forlì, dai torchi dipartimentali Roveri); “Nuove ricerche sul
bello” (Napoli, presso Agnello Nobile); “Della antica numismatica della città
di Atri nel Piceno con un discorso preliminare su le origini italiche” (Teramo,
Angeletti). Dizionario biografico degli
italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Il Palazzo Dèlfico, Edigrafita Nico Perrone, La Loggia della Philantropia.
Un religioso danese a Napoli prima della rivoluzione. Con la corrispondenza
massonica e altri documenti, Palermo, Sellerio, Giacinto Cantalamessa Carboni,
Sulla vita e sugli scritti del commendatore Malchiorre de' Marchesi Delfico, in
Giornale arcadico di scienze, lettere ed arti,
Raffaele Liberatore, Melchiorre Delfico. Necrologia, in Annali civili
del Regno delle Due Sicilie, Ristampato come Delfico (Melchiorre), in: De
Tipaldo Biografia degli Italiani illustri, Venezia, Ferdinando Mozzetti, Degli
studii, delle opere e delle virtù di Melchiorre Delfico, Teramo, Angeletti,
Gregorio De Filippis-Delfico, Della vita e delle opere, Teramo, Angeletti,
Raffaele Aurini, Delfico Melchiorre, in: Dizionario bibliografico della gente
d'Abruzzo, ITeramo, Ars et Labor, ora in
Nuova edizione, Colledara (Teramo), Andromeda editrice, Vincenzo Clemente,
Rinascenza teramana e riformismo napoletano, l'attività presso il Consiglio
delle finanze, Roma, Edizioni di storia e letteratura, Vincenzo Clemente,
Dizionario biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
italiana, Donatella Striglioni ne' Tori, L'inventario del Fondo Delfico.
Archivio di Stato di Teramo, Teramo, Centro abruzzese di ricerche storiche,
Gabriele Carletti, Melchiorre Delfico. Riforme politiche e riflessione teorica
di un moderato meridionale, Pisa, Edizioni ETS,
Nico Perrone, La Loggia della Philantropia. Un religioso danese a Napoli
prima della rivoluzione, Palermo, Sellerio. Treccani. Il dritto romano e sempre
incerto ed arbitrario. Tale il suo carattere, poichè sebbene non gli mancassero
ancora degli altri nei, pure quelle sole qualità (incertezza e arbitrarieta) sono
bastanti per renderlo mostruoso e deforme. E di esse specialmente imprendo a
trattare, come quelle che portarono a luce la vantata giurisprudenza romana. Ed
accio questo ordinatamente si vegga, fiaci opportuno il seguir la storia che
della nascita e de felici progressi di essa ci somministra i lumi i più
importanti. Fra gli innumerevoli doccumenti tal oggetto riguardanti, prescelgo
quello di cui tutti gli i filosofi si servirono, quasi di testo alle loro
ricerche e commenti. Già si vede che io parlo delle opera del giureconsulto
Sesto Pomponio, della quale si avvalsero i compilatori del dritto giustinianeo,
rapportando nel titolo dell’origine del dritto, tuttocid che il nomato
giureconsulto aveva raccolto su tal oggetto nel suo Manuale. E poichè Pomponio
incomincia la storia del dritto dai re di Roma, dello stesso momento conviene
seguirlo. In questa prima epoca abbastanza oscura non vi sarà pero materia di
dispute, poichè Sesto Pomponio parlando conformemente alla ragione ed alla
storia dice che Roma da principio visse con incerte lege gi e con dritto
incerto e tutto dal regio arbitrio e governato. Ciocchè si deve intendere per
quella parte che appartene al capo dell’aristocrazia nella qual forma Roma ebbe
il suo incominciamento. Quindi Pomponio si espresse nelle precise parole.
Populus sine lege certa, sine jure cento primúm agere instituit. Ne altrimenti
doveva avvenire, poichè quella prima associazione essendosi formata di gente
malatta al vivere socievole, e non avendo ancora positiva forma di società,
doveva essere piuttosto regolata dalla forza del comando che da un stabilimento
positivo. Ciascuno sa che Romolo per accrescere il numero de primi suoi
compagni, prese l’espediente di aprire un asilo da era retto ve s9 ) da che si
puo comprendere quali fossero i primi fondatori di Roma. I di lui favoriti
furono i più valorosi briganti, e questi divennero i padri della patria, i
forti, i primi quiriti, e formarono il senato come una Dopo questi primi tratti
caratteristici relativi al le leggi Pomponio siegue a raccontare tradizione, che
essendo cresciuta in qualche modo la città, Romulo divise il popolo in tante
parti chiamate curie e col voto di esse prende. 9 va cura delle pubbliche cose,
e fece in seguito la legge che si chiama legge curiata, come no , fecero ancora
i re successivi, e tutte furono, raccolte da Sesto Papirio, il quale visse al
tempo di Tarquinio il superbo, e dal nome dell'autore quella raccolta fu
chiamato “dritto papiriano”. Non m'impegnerà nelle dispute istoriche e critiche
delle quali si occuparono gl' interpreti di Pomponio, ma osservero che sebbene
da principio parli dello stato informe di Roma e dell’autorità regia non
modificata dalle legge, fa dindi vedere come fu data una forma, non una costituzione
alla città nascente, e come dai re fu promulgata la legge curiata. Per due secoli
e mezzo in circirca; quanto duro la regia signori , Roma non ebbe dunque che questa
o quella legge occasionale, e la società fu mantenuta più col governo che colle
legge. Prima intanto di passar oltre, e per la migliore intelligenza de’ tempi
seguenti, non sarà inutile il presentare in poche parole lo stato politico del
popolo romano sotto l’epoca dei re, e quale fosse l’indole della legislazione
per tutto quel tempo. E poichè di cose che non ebbero autori contemporanei o
vicini, non è possibile il ragionare con precisione ed esattezza; percio
scortato dalla natura delle circostanze e dalle tradizioni pervenutaci,
m’ingegnero di esporle nell’aspetto il più ragionevole. Fra l’oscurità delle
origini romane possiamo rilevare che quella società incomincia da un adu namento
di persone appartenenti a vari popoli non solo italici, ma greci e celtici
ancora. Codesta tumultuaria associazione avendo Romulo per capo visse da principio
di prede e di rapine, gusto che fece il perpetuo carattere della nazione, trasformato
poi in quello di conquiste, come gli avol toi comparsi a Romolo nel prendere
gli auguri furono poscia nobilitati in aquile vincitrici. In tale stato di cose
non vi fu da principio bisogno di leggi, la legge, poichè non vi era proprietà,
essendochè Roma fu fondata come Livio si esprime in fondo alieno, e le piccole
private dispute erano decise dalla volontà del capo, come presso tutti i popoli
barbari, e nelle società de’ briganti è sempre ava venuto. Avviene similmente che
nel formarsi tali associazioni, si gittino i fondamenti dell'aristocrazia , e
così avvenne di Roma. Il palagio di Romolo fu una succida capanna: il di lui
trono quattro zolle che lo rialzavano dal suolo. Il Senato fu la scelta de’
commilitoni o complici delle sue rapine. I patrizi quelli che poterono vantare
certezza di natali e qualche superiorità di ricchezze; e tutto il resto fu vile
plebe o volgo profano. Questa è la divisione naturale dell’aristocrazie
nascente. ‘Padre,’ ‘patrizio,’ ‘patrone’ furono nomi di versi appartenenti alle
stesse persone secondo i va. rj rapporti ne' quali erano considerati, o di
Senato consultivo, o di corpo aristocratico, o di superiorità immediata su le
divisioni della plebe, la quale che che ne dicano i tardi autori della storia
non ebbe alcuna parte di potere nè costituzionale nè amministrativo. Gli stessi
autori dai fatti fanno scorgere questa verità alla quale contrariano colle
parole. Festo il quale aveva trascritto le notizie dagli antichi autori,
parlando dell’origine delle clientele si esprime in termini rappresentativi
della verità, cioè come d’una divisione di gregge piuttosto che d'un popolo.
Patrocinia appellari capra sunt cum plebs distribuia est inter paires. Ne si
devono contare per un ordine intermedio di citetadini quegli equiri o celeri o i
fossuli nominati fin dai principi di Roma, poichè non appartenevano allo stato
politico ma al stato militare. Non è possibile il seguire i naturali progressi
di quella società nascente, e vedere come a poco a poco si andasse a
consolidare in quella forma nella quale da principio era stata abbozzata. Sotto
il re Numa vediamo i primi passi di qualche civilizzamento, lo stabilimento
della proprietà territoriale: la prima legge relativa alla religione ed al
delitto, lo stabilimento dei ministri e degli interpreti della divinità; ed in
somma un principio di governo teocratico, pel quale pare che sieno passate
tutte le nazioni prima di portare su le cose civili le considerazioni proprie
della ragione. Ma quello che specialmente riflettere dobbiamo è che sotto quel
re teosofo ebbero i primi principi le scienze ancora della legge e del politico
governo. Non si dee durar gran fatica per trovare de’ rapporti religiosi in
tutti gli atti umani e farli nascere ancora in un popolo quanto ignorante tanto
superstizioso. Così par che facesse Numa o per idea propria o per imitare i
stabilimenti della sua nazione o pel natural corso del sociale andamento; cosi
gitid i veri fondamenti di quell’aristocrazia sommamente poderosa poichè combina
nello stesso corpo gl’interessi del sacerdozio e dell’impero, o le due
aristocrazie, politica e sacerdotale. Su questo piano Roma crebbe
successivament sotto i re. L’aristocrazia fu sempre salda contro le regie
intraprese, e la storia ci mostra con quali mezzi crudeli e sacri seppe
sostenersi. Massacrarono Romolo e ne fecero un dio. (Cristo). Tale idea pero
del primo governo di Roma è stata generalmente sconosciuta, ed il primo per
quanto io sappia a darne l’idea fu il nostro Gian Battista Vico, il quale riunendo
alla multiplicità delle filologiche cognizioni la filosofia indagatrice delle
origini sociali, fra le tenebre della rimota antichità, e fra le favole e le
ricordanze degli antichi costumi seppe scoprire come un principio naturale politico,
che nel comune corso delle nazioni la società primitiva comincia sempre
dall’aristocrazia, la quale deve nascere dalla qualità delle circostanze,
dall’ignoranza de’ dritti, e della compagna superstizione. Le luminose tracce
di Vico furono poi seguite dal Duni e fermatosi particolarmente a considerare
il governo romano, dimostra che Roma nacque aristocratica, che il re none che il
capo dell’aristocrazia, che i soli patrizi ebbero la quarta di cittadini che
furono in perfetto stato di combinazione l’aristocrazia politica e l’aristocrazia
sacerdotale, e che il nome di ‘popolo’ ne’ primi tempi ai soli patrizi
appartenne, come quelli che soli godevano del dritto della cittadinanza (cives
polis), i quali poi furono gradatamente dalla plebe acquistati. Egli concilia
luminosamente la contradizione in cui par che cadesse il giureconsulto Pomponio
e fa vedere che il re non ha che una parte del governo o dell’amministrazione,
ma che la somma dell’autorità , la vera sovranità, il potere legislativo, il
dritto della pace e della guerra risedevano nel corpo de’ patrizi, come anche il
dritto di eliggersi il loro re o principe. Furono essi i depositari delle leggi
e delle medesime i (Duni Orig. del Citted. Romano . 1) ministri ed interpreti:
e siccome per un’eterna verità l’aristocrazia non si sostiene che sull’appoggio
della superstizione. Cosi dal corpo aristocratico si sceglievano i vari
sacerdozi, e fra essi il corpo de’ pontefici fu specialmente destinato a dar i
giudici alle divine cose ed umane. Quindi la conoscenza della legge e
l’amministrazione delle medesima fu un dritto esclusivo e divenne una dottrina
arcana, conservata con tutta la gelosia del mistero, dispensata solo a modo
d’oracoli e strettamente custodita nell’ordine de’ patrizi. Codesta emanazione
della prima teocratica idea non solo si conserva per quanto ebbe di durata il
governo del re ma per quanto visse la Roma. Una repubblica, colla sola
differenza pero che come crebbero le cognizioni ed i necessari riflessi della
ragione, e da essi nacquero i sentimenti di libertà e di eguaglianza, così
quelle idee si andiedero a poco a poco estenuando, finchè non ne rimasero che i
soli simboli commemorativi, o il nome senza la cosa, o le cose senz’alcuna
effettiva in Auenza. E necessaria questa breve esposizione, per cogoscere quale
fosse lo stato della legge, dell' am ministrazione giudiziaria e della giurisprudenza
ne’ primi tempi di Roma; e senza impegnarci nella particolari legge sotto il re
emanata dal senato regnante, possiamo con sicurezza affermare che la legge fu
minima, eventuale ed incerta, e che l’interpretazione delle medesine essendo
stato un dritto di corpo o di ordine affidato ad alcuni individui, possiamo dire
ancora che la giurisprudenza fu incerta, irregolare, arbitraria, e quale ad una
nazione anco sa ignorante e superstiziosa poteva solo convenire: e per
conseguenza esser stato pur vero ciocchè Pomponio scrisse, che sotto i re sine
lege Gerta , sine jure certo vissero i romani. Lascio agli ambiziosi di glorie
filologiche legali l’andar raggruzzolando I pochi superstiti frammenti della
legge regia, poichè i stessi antichi giure consulti ne fecero poco conto e le
lasciarono finalmente perire. Chi volesse però riconoscerle, troverebbe in esse
la conferma di quelle idea superstiziosa caratteristiche della prima
aristocratiche associazione. Espulso il re si crede comunemente che il governo
di Roma cangiasse d’aspetto e da quel momento si cominciano a contare gli eroi
della libertà. Ma chi - giudica senza prevenzione non vi troverà che gli eroi
dell’aristocrazia . Anche quessti parlano di libertà; della propria libera però
non della liberta pubblica, e per servirmi delle parole di Dionisio, della
libertà propria e del dominio su gli altri. Quindi Roma non vide alero
cangiamento che di due re invece di uno e la legge e l’amministrazione politica
e civile rimasero nella stessa condizione. L'incertezza fu seguita
dell'incertezza; l’arbitrio dall’arbitrio, ciocchè ci dà manifestamente ad
intendere Pomponio dicendo: Exactis deinde regibus . .ae . iterumque cæpic
populus Romanus incerto magis jure & consuetudine ali quam per latam legem,
idque prope sexaginta annis passus est. L’aristocrazia era stata alquanto
abbassata dall;ultimo re, per cui ebbe fine il suo governo, ma dopo la sya espulsione
ritorno presto nel pria miero vigore. Quindi gli effetti dovevano essere conseguenti,
e tutta la storia è una pruova dimostrativa. Infatti si sa che dall’anno fatale
ai Tarquini, fino al tempo della leggi decemvirale, il potere legislativo ed il
potere giudiziario furono privativi del corpo aristocratico. Troppo lungo sarebbe
ora il seguire tutta la serie de dibattimenti intervenuti fra i patrizi ed i
plebei, quando questi già stanchi dell’incertezza della leggi civile, della
forma esclusiva di governo, e della schiavitù nella quale erano tenuti,
tentarono de’ mezzi per alleviarsi in qualche modo dalle gravezze ond’erano
oppressi. Ottenuto il tribunato si avvidero ben presto che esso era troppo
debole ostacolo contro la tirannia de patrizi, la quale efforcivamente era annidata
dentro la stessa legge e fortificata dallo spirito di corpo (sprit du corps) ,
che fieramente la difende. L’insurrezione, la secessione, soli mezzi che può
escogitare un popolo schiavo ancora dell'opinione, furono più volte ripetute;
ma le loro domande erano incerte, le loro querele generali, ed i loro desideri
si riducevano ad essere considerari come uomini e come cittadini: Ut hominum ut
civium numero simus . In questo stato compassionevole compresero finalmente che
niun mezzo vi poteva essere migliore per ottenere l’intento che quello di formarsi
una legislazione generale, poichè la sola legge puo stabilire la libertà e
l’uguaglianza civile, potevano esser riguardati come uomini cittadini. Strano
ed arrogante sembra al patrizio il desiderio della plebe, e strano parrà sempre
al possessore del potere arbitrario il desiderio del ristabilimento della legge
e della giustizia. Quindi il patrizio non lascia mezzo intentato per
frastornare il plebeo dalla lodevole intenzione e persuaderli che i patri
costumi erano sufficienti e che di nuova legge non vi era bisogno; mores
patrios observandos, le ges ferre non oportere. Furono intanto inutili le persuasioni
, e lo stato infelice nel quale il plebeo si trovava detta suo questo solo
espediente. Non altrimenti che l’oracolo consultato da Locresi sul modo di
sedare le civiche discordie rispose loro: fatevi la legge; i Romani plebei
sentirono l’oracolo della ragione e della infelicità nella qua Je gemevano.
Vollero quindi la legge, ma ciascuno sa, come tutte le arti aristocratiche
furono messe in uso per ingannare quel popolo che spesso riposava colla più
buona fede sopra i suoi naturali e costanti nimici. Si sa come i deputati i
quali dovevano mandarsi in Atene e nelle altre Città della Grecia e dell'Italia
a raccorre la legge per la nascente regina del mondo, si occulta rono in
qualche luogo d'Italia , e la legge poi fu tirata dalle arche pontificali e perchè nulla mancasse di condimento
aristocratico, si fecero poi impastare e disporre da quell’Ermodoro esiliato da
Efeso dal partito popolare. La storia relativa E 3 alla moeten alla legge delle
dodeci tavole se fosse trattata con quell’accuratezza che pur le converrebbe,
sarebbe un articolo sommamente istruttivo; ma questa ricerca veramente politica
è stata molto trascurata. Il popolo domanda una legge della quale il console si
dovesse servire e che non dovessero aver più in luogo di una legge il capriccio
o la privata autorità; non ipsos libidinem ac licentiam pro lege habituros. Il
patrizio risponde che di una nuova legge non fa mestieri, e che bastavano la
usanza, no la legge. Il popolo adduce ragioni, il patrizio face parlare la
religione, e questa spesso parla per bocca de buoi e di altri animali, del
linguaggio de quali si fa un merito d'essere interprete. I plebei volevano che
la legge si facessero dal popolo legitimamente e liberamente congregato. Il
patrizi sostiene che non vi sarebbero stata altra legge, che quelle ch'essi
stesse avrebbero fatte: darurum legem neminem, nisi ex parribus ajebant. Il
popolo vuole una legge di uguaglianza. Il patrizio le promette in parole;
sicuro di non essere nel fatto obbligati a mantener. Finalmente dopo tante
vicende le dieci tavole furono pubblicate e successivamente le altre due come
ci fa sapere la storia. La storia ci dice ancora che con esse ogni diritto e
resi uguali: omnibus summis infimisque jura æquasse: e ci dice ancora che il
popolo la esamino e la approvó solennemente. Ma la storia stessa ci dice che
quel bravo legislatore a anche più bravo tiranno; che sconvolsero tuttol'ordine
pubblico e secondo Livio nihil juris in civitate reliquerant, che per quella
legge ogni consuetudine aristocratica e conservata, che la vantata uguaglianza
resiò in parole; e che al primo momento di paragone il popolo riconobbe d'
essere stato ingannato. La favola dell’invio de’ deputati in Grecia è stata
pienamente scoverta da molti autori e specialmente dal Vico, da Bonamy e da
Duni: la favola d;essere state leggi di uguaglianza e di giustizia, la può
scoprire facilmente ognuno che voglia leggere con critica la storia •gli avanzi
di quelle leggi . La scovri ancora il E 4 po . (Vico : Scienza nuova; Bonamy, Memoir.
de litterar. de l' Accad. de Paris. Tom . XVIII; Duni : Dėl Cittad. Rom) popolo
, quando ritornato in cal ma dopo l’abolizione del decemvirato potè
tranquillamente esaminar la legge, ed invece di vederne tali che classificasse
la gente come uomini e come cittadini, non trova che una legge civile, una
legge criminale, una legge funeraria e una legge religiose, che punto o poco
l'interessavano. Per essere classificati per uomini o per cittadini vi
bisognavano una legge costituzionale che avessero ragguagliati i dritti, che li
avesse egualmente interessati alla cosa pubblica, che li avesse ammessi ai
suffragi. Niente di tutto questo; e la plebe resto delusa della sua troppo
malfondata speranza. Vedremo in seguito come seppe rinnovare le giu ste sue
pretenzioni ; ed in tanto senza voler fare l'analisi di que’miseri frammenti
delle leggi decein virali , è pur giusto portarvi uno sguardo generale per
vedere almeno, se meritano tutti gli elogi de' quali sono state ciecamente
onorate dagli antichi é da moderni ; ed osservare in seguito, se ne pro
venissero quegli effetti felici, ai quali produrre era no state destinate.
Cicerone in più luoghi esaltan dole sopra tutte le leggi conosciute , non è poi
molto felice nel darne le pruove ; così condanna Solone , per non aver imposto
pera al parricidio , supponendolo impossibile , o volendolo supporre talo tale
per onore dell'umana natura; ed elèva la seviezza della Romana legislazione per
aver saputo inventare una pena orribile e crudele. O singola , sem sapientiam !
esclama egli dopo aver lungamen: te ragionato con Logica forense. Tale fu la sa
viezza di que’ legislatori ne' varj rami di quelle leggi ; poichè se si
riguardano per la parte crimi nale esse furono Aristocratiche , ingiuste ,
severe , é crudeli. Se per la parte del dritto pubblico, del la quale
poch’indizi ci sono restati, andavano al la conservazione dell ' Aristocrazia :
se per quella della Religione e de' funerali, corrispondevano ai superstiziosi
concepimenti del tempo: se per ciò che riguarda l'ordine giudiziario, dovevano
esser ana loghe alle leggi ed all' usanze : se per la parte te stamentaria , è
facile il vedere, ch' esse contene yano la massima ingiustizia politica , per
conser vare in forza gli Aristocratici dritti : della stessa indole furono le
indegne leggi relative alla patria potestà ed alle altre relazioni domestiche
nelle quali sempre campeggia lo spirito di famiglia. In quanto al contratto, la
legge furono pur sempli ci , come devono essere in un popolo barbaro con pochi
rapporti civili; ma le usure d'ogni spe cie furono terribili. Chiunque vorrà
esaminar quel te leggi in buona fede , e misurarle secondo i vem ri rapporti
che le leggi devono avere colla natura e collo stato civile , troverà senza
fallo ingiusti ed irragionevoli gli encomj alle medesime attribui. ti . Ma
forse neppur in Roma si pensò tanto favo revolmente di esse, poichè col tempo
par che fos - sero del tutte néglette e dimenticate. Cicerone stesso riferisce
che al suo tempo neppure erano ben intese , e sebbene egli nell'infanzia le
avesse ap prese a memoria , era poi passato di moda tal co stume : discebamus
enim pueri XII. ut carmen ne cessarium , quas jam nemo discit. Ed in seguito al
riferir di Gellio erano cadute . in tale disprezzo ed obbllo, ch' erano derise
come fossero le leggi dei Fauni e degli Aborigeni . Si può trovar intanto
qualche motivo, pel quale si possono difendere gli antichi panegiristi delle
leggi decemvirali ; poichè per quanto fossero selvatiche quelle leggi , godevam
no pur dei dritti che danno l'opinione e l' anti chità; e paragonata la
giurisprudenz'antica a quel la degli ultimi tempi della Repubblica, il paragone
risultava in favore della prima. Ma che i Giure consulti moderni , e quelli
specialmente della setta degli eruditi riguardino ancora lo studio dei mi peri
frammenti superstiti come il più interessante per MC 75 per la conoscenza del
giusto, e rincariscano su gli elogj degli antichi, cið non può essere che
l'effetto d'un Letterario fanatismo Se Livio chiamo le leggi delle XII tavole
fonté ogni equità fu troppo credulo alle espressioni ed alle promesse
degl’iniqui decemviri. Qual nie fu infatti l’utilità pel popolo Romano? La
severa ed ingiusta costi tuzione non fu cangiata , e da quella vantata ugua
glianza la plebe neppure ottenne di acquistar la condizione desiderata . Per
quel principio Teocrático , di sopra accen nato , ciò che distingueva in tutti
gli effetti civili tanto pubblici che privati , il patrizio dal plebeo , era il
dritto degli Auspicj . Era questo dritto che dava la vera qualità di cittadino
negli affari sacri e ne'civili ; ed incominciando dal primo vincolo sociale ,
cioè dalle nozze ' , con i soli auspicj si produceva il connubio o nozze
solenni, dalle qua li derivava il carattere di padre di famiglia , la patria potestà
, e la facoltà di testare ; e questa specie di nozze era de' soli patriz; ;
poichè gli al tri ridotti al matrimonio civile o naturale senza prevj auspicj
non potevano godere delle stesse prerogative. Gli auspicj e propriamente gli
auspi cj maggiori poi erano i soli mezzi per aver drito 1 ( 76 ) alle
Magistrature , e far parte dell'ordine regnante dello stato. Or niun
cangiamento fu fatto da quel le vantate leggi su di un articolo tanto
importante in quella costituzione nella quale tutto era sacro ; e la Storia
c'insegna, quanto poi costasse di tran quillità alla Repubblica, il voler
introdurre in qual che modo l'uguaglianza. Sebbene si vänti l ' Oratoria e la
giurisprudenza de' tempi più antichi di Roma , pure si può asse rire , ch '
esse non avessero propriamente la loro origine che dopo la pubblicazione delle
XII tavole . Si crederà intanto che quel prezioso codice avendo acquistata due
qualità principali, cioè d'eso ser pubblico e generale, avesse resa ceria e
stabia le la legislazione. Autorizzato dal popolo , fisso nel foro e delle
curie , ciascuno doveva trovarvi la certezza de' giudizj , la sicurezza de'suoi
dritti la legittimità de' suoi dominj; ma su questa con seguenza ci fanno
nascer gran dubbj gli antichi Autori e molti fatti conosciuti. Convien sempre
ricordare che il principal carac tere delle prische Aristocrazie fu la
misteriosa cu stodia delle leggi o consuerudini, e della religione, ciocchè formava
il privilegio esclusivo, o la pri yatiya di quella sola sapienza che gode del
bujo & del ( 77. Det ZE = ; pro ice e della pubblica ignoranza . Ma codasta
sapienza Romana era fondata parte su l’ingiustizia , parte su l'errore : su
questo , perchè la loro scienza saa cra ed arcana non consisteva nel celare al
volgo i misteri della natura , l'origine della cose, l'enera gia della forza
motrice, la fecondazione dell’universo, ed altri tali idee nascoste ai profani
presso le altre nazioni : la loro scienza arcana si raggira va sul cantare o
cibarsi dei polli , sul volo degl uccelli, sull'andamento del fumo su i tremori
delle viscere , e simili cose , alle quali non pud appartener mai il nobile
titolo di scienza o sapien . ma quello solo di vane osservanze . L'errore poi
lo facevano servire all' ingiustizia , poichè con tali mezzi si mantenevano
nell'assoluta disposizio ne delle leggi , facendole servire alla conservazione
del preteso dritto del più forte, cioè alla soy version ne di tutte le idee del
giusto. Or poichè quelle leggi qualunque fossero erano pur pubblicate , una
parte della scienza arcana e dell' aristocratico potere sarebbe andato a
svanire , se non si fosse trovato un modo col quale si ae vesse potuto riparare
una perdita si grave. Ques sto si effetrul col conservare il potere giudiziario
Dell'ordine de' patrizj , e col rendere inutili le lege es za 7 bid SSO rvi ti
chi Tale Cu ne, ori ujo el gi ( 78 )* gi; se non fossero state avvalorate dalla
doro re condita sapienza . Essi dovevano spiegarne il sen so ; essi conoscere
qual dritto nasceva da una tal legge ; qual era l'azione che ne proveniva ,
quale il modo o la formola di proporla, quale l'eccezione che poteva impedirla
; e finanche si arrogarono come un mistero sapere i giorni ne' quali si poteva
amministrar la giustizia senza offendere i Numi . Ecco insomma la giurisprudenza
, ossia il mezzo di rendere inutile anzi dannoso alla società il beneficio
d'una Legislazione. Essa vanta un ori gine Aristocratica , un origine che si
confonde coll' errore , colla malizia , e colla prepotenza . Sebbene dunque la
giurisprudenza fosse nata su bito che vi furono leggi incerte ed arbitrarie ;
pu re non si confermd , estese e stabilì nelle forme , che dopo la
pubblicazione delle XII . tavole ; dopo questo prezioso compendio dei dritti
degli uomini e degli Dei. Pomponio conferma le mie parole. Dopo pubblicate (egli
dice) le leggi delle XII tavole, come naturalmente avvenir suole , s'incominciò
a desiderare per l'interpretazione delle medesime l'autorità de' giurisprudenti
, e le ne by cessarie dispute del foro. Tali dispute e tal drit » to non
scritto composto dai giurisperiti non ha s pes, 79 ) 9 ji però un nome proprio
come le altri parti del dritto , ma con pocabolo comune è chiamato dritto
civile. Quasi nel tempo medesimo da „ quelle stesse leggi si fecero nascere le
azioni, colle quali si doveva discettare a litigare : ed sacciò non fosse in
libertà di ciascuno il farne uso, si pensò a farle essere certe e solenni ' ; e
que „ sta parte del dritto fu denominata azioni della legge , o sia azioni
legittime E cosi quasi ad - un tempo nacquero queste ' tre specie di dritto
cioè leggi delle XII. tavole ; dritta çivile deriva „ to da esse; ed azioni
della legge, composte su i s dritti antecedenti , La scienza poi tanto delle »
leggi quanta dell'interpretazione , e delle azioni %, stesse era riservata al
collegio de Pontefici, quali in ogni anno destinavano persona che pre sedesse
ai privati affari o litigi ; e con questa , consuetudine visse il popolo per
cento anni in » circa , „ Quale orribile contradizione ! Appena pubblieata una
legislazione tanto vantata per la sua perfezione, fu trovata cosi
insufficiente, ch'eb be immediato bisogno di sostegni e di interpreta zioni . E
codesto fu il codice superiore a tutte le biblioteche de’ filosofi? Ogni parola
di Pomponio contiene una contradizione alle idee di leggi e le gis 80 )
gislazione che somministra il buon senso il più comune. Il dritto civile tanto
encomiato non fu altro dunque che il risultato delle interpretazioni de'Giu.
risprudenti e delle dispute forensi ? E qual razza di prudenti erano mai
quelli! Ciascuno sa che quella fu l’epoca della più crassa ignoranza; la spada,
la zappa, i polli e le usure erano le sole idee che fiorivano in quelle teste
leggislatrici . Ma poichè col progresso del tempo , e colla frequenza de'
giudizi qualunque fosse stato quel dritto con suetudinario poteva pur ridursi
in massime o in principj di giustizia , e cosi divenire di comune. intelligenza
e di un uso generale; si pensò il mo. do onde questo non avvenisse , e si
mantenessero sempre le leggi nel bujo e nell'incertezza . Ne cið era
sicuramente per una vanità dottorale , ma per conservare un potere ed una
leggislazione arbitra sia , qual era il grande scopo dell' ordine Aristo,
cratico . L'unico mezzo che essi viddero il più opportu 80, fu quello
d'inventare le azioni , cioè delle for mole colle quali non solo si doveva
agire o ecce pire in giudizio , ma secondo le quali si doveva no regolare i
contratti e gli altri atti civili , accið por ve far potessero avere un effetto
legale. Non bastò loro di aver la privativa de' giudizj ; poichè colle leg gi
certe difficilmente avrebbero potuto abusarne : bisogno dunque inventare un
nuovo dritto di esso e della nuova pratica una nuova legis lazione da surrogare
all'antica scienza mistica delle leggi, per tenerle sempre in quella severá cu
stodia, colla quale prima delle XII. tavole teneva no le antiche consuetudini .
E perchè non si man casse di venerazione a tale straordinario stabili . mento,
i Pontefici ne furono fatti depositarj egual mente e disponitori . Chi' può trovare
in questa specie di legistazione altro carattere che di una volontà arbitraria
diret ta non a dispensar giustizia , ma a conservare ľ Aristocratico dispotismo
, darà segno , di non aver avuto mai idea di ciocchè costituisce il carattere
delle leggi. Ma non si trattava già di fac leggi , si trattava solo di tener il
popolo in schia vitù : perchè se avendo già esso acquistato i drit ti di
privata cittadinanza avesse potuto godere anche quello d'Isonomia , cioè dell'
eguaglianza delle leggi , qual'era stato il suo intendimento nel promuovere una
pubblica leggislazione , avrebhe fatto un gran passo verso quella libertà che
tanto F ambiva , ma che più sentiva che conosceva . Escla . md esso sovente
contro quella specie di occulta o privala legislazione , dicendo, che la sua
condizio de ea in questo assai peggiore di quella dei po poli vinti ;
essendogli negato il poter sapere cioc che riguardava i più comuni affari
çivili , e fino i giorni legali e feriali, ciocchè agli altri non era Ignoto :
segno sicuro che l'aristocrazia romana era inolto più feroce o severa di quella
delle altre città o popoli vicini. Il dottissimo Vico con gran proprietà d'
intelli genza penso che quel notissimo motto di Solone: conasciti, fu piuttosto
un précetto politico che mo rale . Pieno l'animo di tutti i sentimenti della ve
ra giustizia Solone ricorda va con quel motto all' oppresso popolo di
riconoscer se stesso , cioè di riconoscersi per uomini ed uguali ip dritto a
colo ro che li opprimevano. Il popolo Romano non eb be un Solone , che gli
desse così utili ricordi ; ne forse ne aveva bisogno , poichè abbastanza si ri
conosceva , ed agli insulti de'Patrizi rispondeva , che non erano fioalmente
essi ne discendenti do’ Dei , nè venu i giù dall' Empireo . Avrebbe perd avuto
bisogno di un Solone , per aver lidea d'una costituzione , senza la quale arrivo
si a distruge gero gere la maggior parte degli abusi del potere Ari „
stocratico, ma non giunse mai a formare una pere ferta Repubblica, fondata su i
veri rapporti sociali e su i dritti primitivi della Giustizia naturale e
positiva : per cui se Roma corse rapidamente alla grandezza dell'impero e delle
ricchezze, cadde an che presto nella voragine del disporismo . Ma ritornando a
quella Giurisprudenza che suc cedè immediatamente alle XII tavole, e che diede
nascita a quel nuovo dritto così stranamente am ministrato, dirò , che sebbene
da quanto semplice mente espone Pomponio, se ne possa giustamente fare il
carattere; pure ad esuberanza aggiungerd, che l’illustre Gravina , tuttochè
pieno d' entusiasmo per la Romana Giurisprudenza, non seppe nascon dere ,
quanto fosse infelice quella de' tempi de'qua. li abbiamo ragionato. Antiqua
jurisprudentia nun. cupatur quæ statim post latas leges XII. tabularum prodiit
: aspera quidem illa tenebricosa & tristis non tam in æquitate quan in
verborum superstitione fundata. Se il Gravina rinunciando ai pregiu dizj
Filologici, avesse voluto mettersi in grado Gray. de Ortu Tur. Civ. cap. 46. F
2 di giudicare giustamente , come riconobbe per tenebrosa l'antica
giurisprudenza , avrebbe ricono sciute per arbitrarie e maligne le successive
giuris prudenze dette media e nuova , ed avrebbe discon * fessato gl '
inopportuni encomj , che in generale yolle ad esse tributare . Per quanto perd
si è finora ragionato , non ho toccato che leggermente la nequizia della giuris
prudenza e della giustizia sacerdotale ; ma chiun que per poco abbia di buon
senso converrà meco, che una delle tristizie maggiori in fatto d' Ammi
nistrazione è il sottrarre le leggi del pubblico uso e conoscenza , e ridurle
per vile ambizione e su dicio interesse ad arcani misteriosi . Nascondere le
leggi, è nascondere la luce civile ', è precipitar gli uomini ne' vizj e nella
corruzione. Le leggi con molta proprietà e verità d'espressione si chiamano la
ragion civile , onde il celarle, il corromperle , val lo stesso che privare
gl'individui del corpo po litico di quella ragione che loro deve servir di
guida in tuui gli affari sociali. I patrizj giurispru. denti non lasciarono
mezzo per tenere il popolo nell'oscurità , poichè non solo coll' inventare le
azioni e farsene' una privativa di ordine, occultaro no le leggi e le
guastarono ; ma de' nuovi stabili men ( 85 ) menti anche s'impossessavano per
poterne disporre a loro talento. Livio n'è amplissimo testimone di cendo :
institutum etiam ab iisdem coss. ( cioè Lo Valerio e M. Orazio ) ut
Senatusconsulta in ædem Cereris ad ædiles plebis deferrentur , quia ante ato.
bitrio Consulum supprimebantur vitiabanturque. Non fu però sufficiente questa
legge, come vedre mo in altro luogo , e i giurisperiti seguitarono ad essere
veri Monopolisti delle leggi . Dobbiamo credere però che i più virtuosi Ro mani
avessero a vile codesto mestiere d'ingan no e di soverchieria ; e perciò . la
storia ci pre senta sempre con elogj coloro i quali quasi senz’intervallo
tornando dai campi di Marte cambiava no coglistrumenti rurali gli arnesi
guerrieri , o coronavano l'aratro di allori trionfali . Si sa che Roma allora e
per alui secoli non presentava al cuna occupazione che potesse allettare alla
vita cittadinesca , la quale dalle belle arti , dalle scien ze, e dal prodotto
da, esse spirito sociale si rende solo piacevole ; perciò chi non amava
l'intrigo, nè la vita oziosa soffriva , in vece di darsi alla cabalistica
(Livio) e viziosa giurisprudenza , si riparava nella esercizio dell'agricoltura
sempre preferibile ad una mestiere cosi pernicioso. Infatti la storia ci pudo
istruire , mostrandoci , che la famiglia la più in festa allo Stato , la
perpetua persecutrice della li bertà popolare e della Giustizia pubblica fu una
famiglia di giurisprudenti. Tale fu la Claudia ; e sempre si è veduto che dove
dottori e forensi 80 no, la discordia prende il luogo della pace e della
naturale tranquillità . Ma ritorniamo a Pomponio . Egli ci dice che quella
mistica giurisprudenza si sostenne quasi per un secolo : la storia pero a gli
altri autori dicono , ch' ebbe una durata eguana le a quella della Repubblica ,
toltene alcune diffe renze dalle quali non fu alterato il fondo del la cosa ·
Seguita dindi Pomponio a racconta re , come quelle formole ed azioni , essendo
ri , dotte in forma da Appio Claudio , cotal mistico libro gli fu involato da
Gneo Flavio figlio d'un libertino e scriba dello stesso Claudio : ed aver . ,
dolo pubblicato e fattone un dono al popolo , » questo gli fu si grato , che lo
fece pervenire ad » esser Tribuno della plebe , Senatore , ed Edile „ Questo
libro contenente quelle azioni delle quali > si è già parlato , dal nome
dell'editore fu deno ( 87 ) Si po , mitato drino civile Flaviano , benchè egli
nulla » vi aggiungesse del suo. Nel crescere poi in Romi la popolazione e nel
multiplicarsi gli affari maticando alcune specie di formole , Sesto Elio non »
guari dopo compose nuove azioni e ne pubblico co un libro chiamato Dritto Eliano
, . trebbe" ragionevolmente pensare , che pubblicate le leggi e resa
publica la scienza arcana , il dritto cívile , le ' azioni, la pratica, e le
leggi stesse diven cassero di pubblica ragione; e che il popolo illua minato su
i principj legali , sulla condotta degli affari , sul modo di amministrar la
giustizia , . sulle ordine giudiziario , non avesse più bisogno della
maduduzione de' patriaj per distinguere il giusto , e sapere i mezzi
d'ottenerlo . Ma tuu ' al trimenti andiede la bisogna į poichè non volendo i
patrizj perdere per alcun modo la custodia e la dispensazione di quella
scienz'arcana , che forma va la base principale del loro ingiusto potere, tro*
varono il'modo , onde far rimaner il popolo de fuso . E come nelle sette se si
vengono a scopris se i segni mistici destinati al riconoscimento, pres stamente
si cangiano , e de ' nuovi si surrogano , onde sia salvo it mistero ; cost i
bravi Giurispe siti eseguirono , cost posero in salvo i pretesi F drica, dritti
dell' ordine , e conservarono il grande arcano della Giurisprudenza . Le
formole e le azioni furono cangiate , e forse in maggiori cifre involute onde
potessero rimanere ancora lungo tempo nascoste ed inintelligibili allo sguardo
plebeo . Ma ascoltiamone, Cicerone, il qua le ce ne dà il più distinto
divisamento ; Erant in In igna potentia qui consulebantur : a quibus etiam
dies, tamquam a Chaldæis petebantur. Inventus est scriba quidam Gn. Flavius qui
cornicum oculos con Fixerit , & singulis diebus ediscendos fastos populo
proposuerit & ab ipsis cauris
jurisconsultis coruin sapientiam compilarit . Itaque irati llli , quod sunt,
veriti , ne , dierum ratione, pervulgata & cognita șine sua opera lege
posset agi . notas quasdam com posuerunt, ut omnibus in rebus ipsi inieresseni Non
fu di alcun utile dunque l'aver trafitti gli oc chj a quelle cornacchie poichè
in breve tempo seppero rinnovarli e renderli migliori. Per quanto quindi
prosiegue , la Storia troviamo sempre costantemente e già pel corso di quattro
secoli gli stessi sentimenti , gli stessi principj , la 2 stes (Cic. pro Mur.) cha
stessa condotta". La Giurisprudenza fu latente , in çerta , arbitraria ,
ignota al popolo ,, e privativa del solo ordine paurizio sacerdotale, il quale
lungi da quella virtù che sola consiste nella beneficenza » da quella sapienza
che cerca il vero , per render lo di comune demanio ; da quella Giustizia trova
i principj nella ragione, e gli espansivi sens țimenti nel cuore ; da quella
naturale benevolenza e da quel sentimento di pietà, che distinguono l'uo mo civilizzato
; da'veri sentimenti di patriotismą che non può essere mai scompagnato dalla
Giusti, zia ; , lungi dico da tutte queste qualità e gli Eroi del Campidoglio
non sembra che provassero altri sentimenti che quelli dettati dallo spirito di
corpo, sempre contrario, anzi distruttivo de' sentimenti so ciali , dal vile
interesse personale e pecuniario Fros, duttore di tutti i vizj , e dall'abuso
di un illegiti mo potere. E pure questi furono i patriarchi della
giurisprudenza ! Seguitando quindi Pompopio ad esporre i fonti del dritto
Romano ci accenna l'origine de' plebi. - . sciti e de' senatusconsulti, specie
di leggi dettate dal popolo o dal Senato , e delle quali in appressa, vedremo
gli effetti ee'l'l valore , e soggiunge , che » nel tempo stesso anche dai
Magistrati nacque » un' 1 el gobierno un' altra specie di dritto s poichè ,
tecid saw pessero i cittadini , di qual dritto i Magistrati in si sarebbero
serviti intorno ai varj oggetti di giudicatura , & perchè vi andassero
premuniti, pubblicarono degli editri , da quali si costitui il » Dritto
onorario , cost detto perchè proveniya dall'onor del Pretore , • E dopo aver
parlato finalmente dell'altra parte del dritto che nacque delle costituzioni
de' Principi , cost riepiloga tutti i fonti che costituiscono il 'dritto Romano
. ,, Nel la nostra Città dunque dice egli ) la legisla os zione è costituita
del dritto" o sia legge ; da » quello che propriamente si chiama Dritto
civile , che non è scritto , è consiste nella sola interpre mtazione de'
prudenti : dalle azioni della legge » le quali contengono le formole di agire;
dai plebisciti che furono fatti senza l'autorità del » Senato , dagli edini
de'Magistrati,da' quali nasce il dritto onorario ; dai Senatusconsulti
costituiti dal Senato senza legge particolare ; e finalmente , dalle
costituzioni de' Principi , Ecco tutta la Storia seguita , che Pomponio ci ha
lasciata del dritto Romano, ed intorno alla quale presso a poco gli autori
tunti convengono . Abbiamo finora voduto quale fosse il dritto é la C 91 ) fa giurisprudenza
Romana prima è dopo dello leggi decemvirali , e quindi come per quattro secoat
li e più le leggi e la Giurisprudenza avessero 1 caratteri d'irregolarità ,
d'incertezza e di arbitrio i é non ostanteche la ragion popolare andasse ac
quistando qualche dritto su l'Aristocrazia , puro questa sostenuta dal
Sacerdozio , qnantunque per Necessità cedesse in qualche cosa de’dritti
pubblici, fece perð ogni sforzo per tener recondite le leggi , e sotto le
chiavi del mistero tutto quello che ri guardava l'anministrazione della
giustizia. Conoba bero ben essi che nei stati di qualunque sorte, quel If anno
veramente il massimo di potere effettivo cho possono disporre a loro modo delle
leggi e della giu stizia , e che tanto più diventa tale autorità effica cé ,
quanto più le leggi sono oscure incerte ed ar bitrarie . Ma per vedere come
questo continuassets e come la Giurisprudenza seguitasse ad esser sem pre della
stessa indole , prima di venir a ragionia re de' plebisciti e de'
senatusconsulti ch' ebbero di yerse fasi, ci fermeremo ad esaminare quel
dritto; cui si volle dare il titolo di onorario , ma che ves dremo' non essere
stato degno di alcun onore. Se si volesse parlare del la ridevolezza di quelle
vantate formole , che costituivano la Romana Giurisprudenza , ci porterebbe a
perdita di tempo , ma se i Romani di buon senso e Cicerone stesso le.
deridevano e tenevano in altissimo disprezzo , cre do che dopo due mille anni
potremo far noi al- , trettanto , e chiunque non sia un’ vero divoto , e cieco adoratore
della Romana antichità e giurispru-, denza. Rifletterà solamente , che quando
di cose sem. , plicissime si vogliono far misteri , allora dovendo vi aver
luogo l'arte d'imporre , le idee semplici si devono involgere in un numero di
parole non necessarie , e surrogare impropriamente le imma gini e le finzioni
alla semplicità e realità delle co se e delle idee : specie di geroglifici che
deve ace: compagnar sempre il mistero, e l'impostura Siccome non è mio
intendimento però di fare la Storia del governo civile di Roma, mà solo
indicare il corso infelice delle leggi e della giurisprudenza, cosi non
m'impegnerò nelle lunghe dispute e di bauimenti fra la plebe e i patrizi,
quando quella per acquistare i dritti di cittadinanza , e questi per
allontanarli , facevano tuttogiorno rimbombare de loro schiamazzi il foro
Romano; ma accennerò so , lamente ciocchè importa , per passare all'origine del
dritto onorario . La forza dell' opinione non aveva più molio. scevano valore
contro la forza reale ed effettiva ; per cuti essendo riusciti i plebei a
partecipare ad alcuni di quegli officj che fin allora erano stati privativi de
patrizi , come fu quello della questura e de' tria buni militari , non parve
foro di aversi assicuraii i sospirati dritti , se non ottenevano la massima
delle Magistrature , vale a dire il Consolato . E poichè già per lunga e
dolorosa esperienza cono che sempre col manto della Religio ne i patrizj
cercavano coprire le loro pretese , o tependone lungi il volgo profano ,
ailontanara lo da tutte le magistrature che de' sacri auspicj abbisognayano ;
così i plebei videro che per farsi strada al Consolato, si rendeva necessario l
' ardi mento di entrar ne' sacri pene trali , ed andar an che essi a studiare e
consultare un poco i libri Sibillini. Quindi fra le rogazioni che fecero cor
rendo alla fine il quarto secolo di Roma , furo no queste cose combinate ; cioè
che invece de' Duumviri addetti alle cose sacre si facessero de De. cemviri , e
che di questi cinqué patrizj fossero ed altrettanti plebei : e che nella nuova
elezione de Consoli l'uno fosse del loro ordine , e l'altro pae trizio . Invano
Appio Claudio montà in tribuna per fare non arringa ma una predica Teologica
contro le 94 et le nuove idee filosofiche sorte negli animi della plebe Romana
: invano ricorse alle idee teocrati che già fatte obsolete ; invano minacciò d
anate ma quel popolo , che potea far a lui più reali mi nacce : Roma ( diceva
egli ) fu fondata cogli au spicj: futiociò che vi è di pubblico , di privato ,
di sacro , di profano , in guerra , in pace , in cae sa e fuori , tutto doversi
cogli auspicj trattare : che i soli patrirj in esclusione de' plebei per
inveterato costuma godevano del dritto degli auspicj: che niun magistrato
plebeo fu mai creato cogli auspicjse che in fine canto era il creare i Consoli
dalla ple. be , quanto il rovesciare interamente la religione , ed incorrere
nell'ultima indignazione degli dei. Non ostantino però tante e si gravi
rimostranze Lucio Sestio nel 387. ottenne finalmente il conso lato . Se questo
colpo fosse doloroso a sostenere per i patrizi, è facile l'immaginare ; ma al
male già accaduto non potendo portare alcun riparo ef ficace , si rivolsero ad
escogitare qualche rinfranco , per non perdere intieramente quel privativo
potere che dipendeva dal consolato . Pensarono dunque sta ( 12 ) Lir. lib. YI.
cap. 36 mabilire una nuova Magistratura, che potesse con servare nell'ordine
patrizio l'amministrazione del da Giustizia, il potere giudiziario , e tuttociò
che riguarda l'esecuzione delle leggi civili. Quindi col pretesto che i Consoli
erano quasi sempre fuori di città alla testa degli eserciti , onde non poteva
no adempire agli ufficj della giudicatura , proposent to di stabilire un nuovo
magistrato che adempisse & questa parte dell'Amministrazione , e fu
ordinato che si traesse dai patrizj e si chiamasse Pretore . La pretura dunque
fu stabilita per conservare nell'ordine de' padri eutto il sistema giudiziario
o forense del quale avevano facto fin allora uno scempio cosi crudele . Le
leggi e la Giurispruden za seguitarono ad essere malversate , ma per poia chi
anni durd privativamente nelle mani de' patri zj la Pretura . Eccoci intanto al
tempo nel quale si pud fissare veramente l' epoca di quella Giuris prudenza che
passo di mano in mano fino agli ul. timi tempi ne' quali ebbero qualche
celebrità il no . me Romano e l'Impero . Questa parte del dritto , come testè
ci ha insegnato Pomponio , nacque da gli editti , che emanavano į Pretori
nell'entrare in esercizio della loro Magistratura , ed essa façeva il maggior
latifondio della Scienza forense . L'im para the S6 ) portanza dunque della
medesima ci merte nel do vere di portarvi sopra uno sguardo particolare ,
seguendola brevemente nel corso della Storia' , ve derne in qualche modo l' uso
, il carattere ; e gli effetti , Dopo lo stabilimento della pretura e della
comu nicazione a tat officio delle plebe , e più dopo ese guito il censo di
Fabio Massimo il governo di Roo ma perde la forma Aristocratica , benchè non ne
perdesse lo spirito ; ed io non ardirei dire col cos mune de' dotti , che si
trasformasse mai in quella forma costituzionale che si chiama Democrazia: La
libertà popolare fu molta , e qualche volta ecces siva a segno che degenerd' in
licenza , poichè essa non era limitata dalla legge ; ed il dritto de' suf
fraggj ed il potere legislativo non ebbero mai quel la regolarità ed uniformità
, che può rendere nel tempo stesso un popolo regnante e tranquillo . E non fu
mai tale il popolo Romano, poichè la for ma del suo governo non fu costituita
su d'un pia no antecedentemente ragionato nel quale dalla considerazione de'
varj rapporti sociali si fosse ri montato alla necessaria divisione del
pubblico po tere , e questo ripartito in modo che le varie par ti non si
potessero nuocere fra loro , e non si po tes. → toa 97 ) tessero riunire ; ma
per un nesso naturale tutte coordinatamente contribuissero al grande scopo
della perpetua conservazione sociale . Non avremo perciò quind' innanzi
frequente oco casione di parlare dei disordini dell' Aristocrazia patrizia o
sacerdotale , poichè gittati i semi del disordine e della corruzione , essi si
moltiplicarono dovunque trovarono suolo adattato alla facile germi nazione.
Llibertà produsse i suoi necessarj vantag ki , non però tutti quelli che
sarebbeo nati da una vera e legittima costituzione. Ma passiamo final mente a
vedere quale fosse stato il fato della Giu risprudenza in questo nuovo ordine
di cose. Fra i Scrittori che di proposito e più accurata , mente trattarono
degli editti pretorj sono da distin guere il celebre Giureconsulto Eineccio ed
il Sig. Bouchaud dell'Accademia delle Iscrizioni, i quali per trattare il più
compitamente che fosse possibile questo importantissimo articolo relativo alla
Storia politica ed alla Giurisprudenza Romana, non tralasciarono ricerca alcuna
conducente al loa G TO ( 1 ) Heinec. Hist. Edict. ( 12 ) Memor. de l'Accadem .
des Inscr. com. 72. ma 98 ) ro scopo . Trovarono che in Roma e per l'Impe , so
ancora non solo quelli che propriamente Man gistrati erano detti , ma diverse
altre cariche ed officj ancora che non avevano tal carattere , ebbe To pure il
dritto o il costume di fare degli edinti Quante che fossero adunque le
divisioni e suddi visioni del potere esecutivo o giudiziario , ed in quanti
diversi rapporti fossero esse costituite, pren dendo un tal dritto , ebbero
l'uso e la facoltà di straordinariamente comandare. Cosi , incominciando dai
Pontefici e dai Tribuni della plebe , nè gli uni nè gli altri Magistrati , e
passando ai Consoli e Pretori fino ai menomi Magistrati Civici tutti vol. lero
avere il dritto di far editti , e godere di quel. Ja parte di potere che in
tale facoltà o prerogativa era compresa . Fra tanti Magistrati perd che eb bero
o si arrogarono cotale autorità , gli editti di maggiore celebrità , e che
contribuirono a creare una nuova Giurisprudenza furono quelli de'Pretori.
Abbiamo già detto di sopra che dai patrizj fu inventata e fatia stabilire
questa nuova Magistraa tura a consolazione ed indennizzamento della per dita
che avevano fatta d'un Consolato passato al la plebe ; e quindi ottennero , che
il Pretore dal loro ordine dovesse essere prescelto Non durd mol , ( 99 molto
intanto questo, privilegio poichè la plebe veggendo di quale importanza fosse
la Pretura , non molti anni dopo cioè nel 417. volle anche para tecipare a tal
carica , mentre ancora era unica e non divisa nei due Pretori Urbano e
Peregrino ; ciocchè' avvenne circa un secolo dopo , cioè nel anno 510. Coll’andar
del tempo si multiplicarono maggiormente , ed oltre dei due mentovati e dei
Pretori Provinciali altri ve ne furono nella Città , de' quali alcuni erano
addetti a rami di cause para ticolari, Ricordandoci ora di ciocchè abbiamo
detto del la origine della Pretura , ciocchè ci viene attesta 10 da Livio e da
altri , cioè che essa fu surro gata al potere giudiziario, che i Consoli
esercita vano , si dovrebbe naturalmente pensare , che se i Pretori cagionarono
alterazione nell'antica Giu risprudenza , e ne fecero nascere una puova , çið
essere accaduto per effetto delle loro decisioni o decreti o sentenze , le
quali avessero per la loro giustizia meritata la conferma della pubblica auto
rità , e passate quindi in dritto consuetudinario Ma non fu certamente per tal
motivo , nè si po trebbe facilmente immaginare , che essi a priori fossero
autori di un nuovo dritto e d'una nuova Giu. 3 . G 2 ( 100 ) Giurisprudenza .
Eppure non fu altrimente : essen do essi semplici giudici o ministri di
giustizia , colla facoltà di fare degli editti seppero per tal modo usurpare
l'autorità Legislativa , che il dritto fu cangiato , e gli editti più che le
leggi furono osservati , e maggior uso ed autorità ebbero nel Foro . Ma se i
Pretori non erano altro che Giudici cioè Magistrati di Giustizia , il loro
officio era solo di applicare .la legge al caso particolare , o sia ve der i
rapporti fra la legge e ' l fatto del quale si di. sputava. Un Giudice non può
creare un dritto col le sue sentenze , poiché esse altro non sono che la
dichiarazione del dritto medesimo ; cioè che la legge nel caso proposto si
verifica per la tale azio ne o d'eccezione dedotta in giudizio. E se decidendo
, cioè esercitando l'attualità della Magistra tnra non può crear un dritto ,
molto meno dee cid poter fare per la sola qualità di Magistrato o in forza
della Magistratura. Gli editti pretorii dunque per i quali si alteravano , si
cangiavano le leggi , e se ne stabilivano delle altre temporarie , ci pre
sentano degli atti di autorità arbitraria , tempora ria , ed incerta che non
possono formar mai una parte del dritto , il quale può solo emanare dalla - potestà
legislativa , e dev'essere certo generale o perpetuo , fino a che non sia
abrogato dalla stessa autorità. Quando dunque in una carica siriuniscos no
contro tutti i principi della ragion pubblica quelle facoltà , che devono
essere divise da limiti insurmontabili , si può dire che tal carica contenga
almeno in potenza (come dicevano i Scolastici) i principj del disporisano , e
dispotico si può chia mar il Magistrato che l'esercita . Nel crearsi la Pretura
io voglio supporre che non s'intese produrre un mostro di tal fatta , ma come
codesta carica fu surrogata al potere giudi zionario che avevano prima i
Consoli , il quale era riunito al potere esecutivo , cosi' e per questo per
quel grado d'autorità che prendevano dall ' or dine da cui erano tratti , non
fu difficile il farvi passare di tali abusi . A considerar dunque giusta mente
la cosa non nacque nella Pretura tale abuso dal semplice potere giudiziario ,
ma da quello di far gli editti . In fatti se si va all'origine di que sto dritto
, ne troveremo la ragione: Edicimus (dicevano gli antichi) quod jubemtis fieri
: espres sione tanto generale , che potrebbe comprendere l'esecuzione di tutte
le potestà non esclusa la le gislativa ; e perciò fiequentemente le parole di G
leggi e di editti furono di uso promiscuo : Ma Papiniano è quello che più
nettamente ci ha la sciata la vera idea del dritto pretorio dicendo che fu
introdotto a pubblica utilità , per adjuvare supplire, e corriggere il drilio
civile . Jus prætorium adjuvandi, vel supplendi , vel corrigendi juris gratia
propter publicam utilitatem introducium : Ecco dunque la vera origine del
drixco Pretorio, e propriamente di quello che proveniva dal fare gli editti .
Ajutare intanto indica debolezza , supplire , mancanza, cor reggere , errori .
Si dice ch'è nell' ordine naturale delle idee di amministrazione , che quando
al caso non si trovi alcun stabilimento di dritto , alcuna legge scritta , la
volontà del Magistrato o di colo ro che governano supplisca a questo difetto
che il loro piacere tenga luogo di legge questa volontà sia giusta o ingiusta ,
utile o noci va alla Repubblica ( 13) . Ma che altro è mai il Dispotismo ,
l'odio de' popoli czualmente e de' buoni regnanti : Se le leggi mancano,
bisogna far le , e non solo il Ministro di giustizia , ma niun Magistrato è mai
autorizzato non dico a fare alcu > o che na (13) Bouchaud Memoir. cit. tom.
72. ( 103 11 0 7 I na legge , ma nè a soccorrerle cadenti , nè a sup plirle
difettose , nè a correggerle erronee , nè ad interpretarle oscure · Lascio le
tre prime condizio ni o circostanze delle leggi , sopra le quali non pud cadere
alcun dubbio , che il restituirle in qualun que modo non possa spettare ad
altri che al So vrano ; ma in quanto all' interpretarle , . sopra di cui il
probabilismo forense pare che abbia stabia lita la sua autorità , rifletterò
che l'interpetra re o interpatrare da principio fu in Roma del so to ordine del
patrizi , quando tutti i poteri e spe cialmente il legislativo erano ristretti
nell' ordine "Aristocratico . Essi dunque che facevano le lega gi erano i
soli che potessero interpretarle , uno e l'altro potere era illegitimamente
stabilico ed abusivamente amministrato . Quando una leg ge è oscura , non vuol
dir altro , che il non sa persi precisamente , ciocchè essa comandi o pre
scriva ; lo spiegarlo deve venir dunque dalla stes sa autorità , che l'ha
emanata , sola interprete le girima di se stessa . Ne i giudici dunque nè i
giurisperiti possono arrogarsi un autorità illegittima della quale è tan 10
facile l'abusare ; e percid gli ottimi legislatori e Giustiniano stesso
ogn'interpretazione proibiro G 4 ma l i 10 . ( 104 ) no . Le leggi bisognose di
sussidj ed interpretazio. ni indicano abbastanza i loro difetti , de' quali di
sopra abbiamo accennato il rimedio , ed il maggior male da esse prodotto fu d'
aver fatta nascere la Giurisprudenza , ed in seguito la corruzione della
giustizia : nel qual fatto osserva l ' Eineccio , che i Romani furono cogli
Ebrei sotto lo stesso paral lelo (14 ) Or l'autorità data ai Pretori cogli editti
prova visibilmente due punti: il primo che le leggi era no così incomplete ,
come sono quelle dei popoli bara bari ; e che i Romani lo furono a tal segno ,
che non seppero conoscere, quanto il confondere le po testà , ed il lasciar il
poter arbitrario ai Magistrati fosse contrario alla Giustizia ed ai principi di
ogni buon governo . Scuserò i pretori se ne abusarono, ma come scusare quel
modello delle Repubbliche, quella Repubblica stabilità su la virtù , e che con
nobbe più delle altre la libercà e l'uguaglianza ? Non togliamo a Roma gli
onori che merita. Essa fu la prima inventrice degli editti, essa fu la sola Re.
Heinec. De prohib. a Justin. interpret. facult. Cros bertan Repubblica per
quanto si sappia , che li avesse in costume. A vedere quale era il dritto
Pretorie lungi dal dover credere i Pretori Magistrati giudiziarj , do vremmo
anzi prenderli per riformatori o corret . tori delle leggi . Tali furono in
fatti , ma non per uno stabilimento autorizzato dalla potestà le gislativa : lo
furono solo per abuso , vergogno so ai costituenti di sì strana Magistratura ,
e fer nicioso sommamente al popolo soggetto. Se Roma avesse conosciuti i
difetti delle sue leggi , e l'in congruenza nella quale dovevano essere per la
dif ferenza de' tempi , e per i politici cangiamenti ; ed avesse voluto imitar
veramente le leggi ed i sta bilimenti di Atene , avrebbe trovato più oppor tuno
mezzo ' a correggere e modificare la sua bar bara legislazione . Ciascuno sa
che in Atene vera un Magistrato detto de’ tesmoreti , il quale propo neva
annualmente i cangiamenti o correzioni da farsi nelle leggi , e queste erano
poi approvate o riggettate dal potere legislativo . Non deve farci intanto
molta meraviglia che la pretura s' introducesse con tali abusi e tant' auto
rità straordinaria , se rifletteremo che quella. Magi stratura fu da principio
stabilita privativamente per l’ordine patrizio, il quale la conservò in suo
potere per trent'anni . Per sapere poi come quell'abusivo potere si esercitasse
, devo ricordare , che vi erano quattro specie di editti , cioè Repentina :
perpetuæ jurisdi fionis caussa : translaticia : nova . E senz' andar esponendo
il valore di ciascuno , ciocche fino alla sazietà da molti autori è stato
eseguito , mi ri stringerò ad alquante osservazioni più importanti. E
primamente dirò , che quelli editti i quali do vevano contenere il sistema
giudiziario attuale del la pretura , furono quelli appunto , da'quali deri
varono maggiori abusi , cioè quelli perpetuæ jufts dictionis causa , pei quali
il Pretore esponeva nell' albo le formole delle azioni , delle cauzioni, delle
eccezioni, secondo le quali avrebbe fatto giustizia. Or avendo veduto che la
Giurisprudenza anzi il dritto civile de' Romani in tali formole era com preso,
chi era autore delle formole, lo era in con seguenza del dritto medesimo.
Chiunque nell'agire in giudizio mancava a quelle formole per qualun que causa ,
cadeva dall ' azione , o rimaneva con inutile eccezione cioè perdeva la lite
anche che intrinsecamente avesse avuta dal canto suo la giustizia e la
disposizione delle leggi. Ecco dunque il Magistrato div enuto legislatore , ed
arbitrario it sistema di giudicare. Dobbiamo però credere , che tuttociò fosse
fatto senza principj , e che non aven do idee certe e generali de' principj del
driito , fa cessero gli editti ciascuno secondo le proprie co gnizioni ed idee:
poichè come le ultime deriva zioni e ramificazioni delle leggi si possono
ritrar tutte della retta ragione e dalle idee di giustizia universale, cosi se
i loro editti fossero derivati da tali fonti , non sarebbero stati prescrizioni
annua li , ma avrebbero avuta una continuazione o vera perpetuità. Nè ci faccia
illusione il nome di perpetuæ jurisdictionis , poichè quella perpetuità era
ristretta ad un sol anno . Il Pretore o Pretori che succede vano alla carica ,
avevano il dritto assoluto di proporre nel nuovo albo un nuovo sistema giudi
ziario , e cangiare a lor grado la formola ed i principj ; e sebbene questo non
si fosse fatto sem. pre nè in tutto, poichè spesso i succes'sori conser vavano
integralmente o parzialmente gli edirii an tecedenti , ciocchè diede il nome di
translatixj agli editti di tal indole , era sempre però in liber tà de' nuovi
Magistrati di farne di nuovo co nio , che perciò portarono il titolo di nova. Se
maggiori irregolarità , incertezze ; ed arbitrj . si possono portare nell'
ordine giudiziario e ne ! dritto , lo lascio giudicare agli amici della Giu
stizia e della ragione. La Giustizia dipendeva solo dal capriccio pretorio , e
gli attori in giudizio do vevano essere ben intrigati in variar le loro fora
mole , e su di esse disputare ed argumentare , per trarre le disposizioni o le
opinioni legali al loro partito. Questo portò col tempo , che fossero mol te le
azioni per lo stesso giudizio , ciocchè faceva un nuovo intrigo , ed accresceva
l'arbitrio de’ magistrati . Più anche dovette crescere quando i Pre tori furono
varj , e vi era in Roma quasi una po polazione di Magistrati , poichè ciascuno
a suo modo proponendo gli editri , quel ch'era giusto pres. so di uno , si
trovava ingiusto presso un altro . La morale pubblica e quella delle leggi
particolara mente era dunque così incerta, che non aveva per regola che le
opinioni o il capriccio, e si dilatava o ristringeva , allungava o accorciava
secondo le sublimi Teorie del probabile , le quali sorgono sem . pre dall'
arbitrio e dalla corruzione . Se il Pretore fosse stato uno solo , se l' Ammi
nistrazione giudiziaria fosse stata ristretta ad una sola specie di
Magistratura , non avrebbe potuto 1 dirs ( 109 ) diffondersi tanto l'incertezza
della Giustizia e la forza dell' arbitrio : ma gli ammiratori o visionarj della
Sapienza Romana , trovano ragioni sufficien ti per ogni disordine . Il
progressivo accrescimento della Città o della Repubblica porto secondo essi
multiplicità e varietà di affari , per cui si doveano coerentemente
multiplicare e variare le Magistra ture e le Giurisdizioni . Esempio pur croppo
fune stamente imitato nei vari stati di Europa '! Nel progresso delle Società
si aumenta è vero la po polazione o il numero degl' individui; ma non per
questo crescono i rapporti naturali e necessarj che essi hanno collo stato ,
col governo, e fra se stessi . Non crescendo i rapporui non devono multi
plicarsi e variarsi le leggi , le quali ne sono I espressione ; ne devono
quindi" crescere e di versificarsi in varj generi e classi i Magistrati
che ne sono i Ministri o dispensatori . Possono crescere in numero bensi ed in
divisioni , ma de vono essere costantemente della stessa specie e con i stessi
nomi. Quindi il dividere i giudizj crimi nali e civili in tante varietà ,
giurisdizioni , e le gislazioni differenti è il produrre volontariamente una
confusione , e multiplicare gli abusi dell'arbi crario potere : ciocchè però
non accade quando si vedono nettamente e con precisione i rapporti deb
cittadino . In questo caso, la legislazione sarà uni voca , generale, uniforme
; i limiti del potere giu diziario resteranno distintamente marcati ; e le
giurisdizioni , e le Maggistrature non saranno sta bilite e divise sopra
rapporti immaginarj e fattizj . Più , non nascerà pelle Magistrature quello
spirito di corpo per cui sono in continua contesa o guer. ra fra loro, e , per
conseguenza col governo o collo stato. Lo spirito di corpo è in ragion inver sa
della grandezza del corpo medesimo , onde più saranno piccoli , più avranno i
difetti della piccio lezza , più saranno capricciosi , irragionevoli , ed
abuseranno della forza e dei momenti favorevoli : . Un gran corpo di
Magistratura ben costituito e con venevolmente diviso , senza gelosia e senza
inte- , ressi contrarj avrà la dignità che deve aver la Magistratura , ma non
ne avrà le follie . Per quanto però fosse ampio ed esteso il dritto o potere
che i Pretori esercitavano , non sembro loro ad ogni caso sufficiente ; e
poichè delle cari che non limitate o mal circoscritte dalla legge si . passa
facilmente da abusi in abuşi , essi non fu sono contenti dover osservare i loro
stessi princi pį idee e sistemi per quella perpetuità annua , ma , pensarono
d'abbreviarne il termine a loro piacere Fenomeni di tal natura sono forse del
tutto nuo vi nella storia ! Una magistratura costituzional mente arbitraria ,
si arroga anche il dritto di can . giar quelle norme legali divenute leggi per
mezzo della pubblicazione , e farne delle nuove senza pre, vio esame , come, un
corpo leggislativo farebbe , ma di propria volontà e piacere come un Despota
potrebbe fare . Questo pur si faceva nel foro Ro mano , e spesso durante l'anno
della Pretura si vedeva quasi magicamente scomparir l'albo espo sto , ed un
altro a quello sostituito . Pensi chi vuole , che fosse quella una sublimità di
condos. ļa , o la surrogazione d' idee più giuste ed al paba blico vantaggiose;
io penserò cogli antichi , che i pretori, nol fecero per altro che per favore ,
per interesse e per altre tali cagioni , stimate ferite mortali per la
Giustizia . Cosi penso anche l'Ei neccio, il quale benchè impa stato di vecchia
giu risprudenza , pure abominò il dritto pretorio ed i più illegali abusi de'
Pretori . Si erano essi accom modati talmente a cotal giuoco, che portandolo,
ormai all'eccesso , e facendo vero scempio della giustizia , si svegliò
finalmente un'anima virtuo sa compassioneyole per la pubblica disgrazia, la qua
la en le tentò d'apportarvi riparo. Come infatti si pud vedere lo strazio che
della giustizia fanno gli stes si di lei sacerdoti , e non sentirsi l' animo
com mosso da pietà egualmente e da 'nobile disdegno. Paulo Emilio nudrito nelle
semplici idee di quella véra sapienza che accoppia i doveri alla beneficenza, e
l'umanità alla virtù , vedeva con orrore l ' amministrazione della giustizia
Romana tanto nel la Città quanto nelle più infelici provincie . Vede va
condannati gl'innocenti , i deboli oppressi , ed i Magistrati impuniti ; e questo'
nell'epoca la più memorevole della Romana virtù . Sdegnò egli (co me rapporta
Plutarco ) i studii che la nobile gio venid coltivava ai suoi tempi per
giungere alle cariche : quindi non comparve mai nel foro , o a piatire innanzi
ai Magistrati , o ad umiliarsi al po polo per ambizione ; ma corse libero la
strada del la gloria e superò tutti i suoi contemporanei in virtù ed in valore
. Nè vi vuol meno d’un tal carattere per attaccare i pregiudizj potenti , gli
abu. 81 interessati , ed i sistemi di corruzione . Essendo infani pervenuto al
Consolato non fu tardo a proporre le sue idee ajutatrici, e quali che fossero
le generali opposizioni trionfo su la pub- . blica corruttela , stabilendo, che
i Pretori non potesssero cambiare più i loro Editri = V. K. Apria lis . Fasccs
penes Æmilium S. C. factum est , uti prætores ex suis perpetuis edictis jus
dice teni. Paulo Emilio fu in dovere di partir subi . to per la Macedonia ,
dove ebbe più durevoli trion fi su i lontani nimici , che quelli ottenuti su i
ne mici che Roma aveva dentro delle sue mura. Que. sii fecero infatii rimaner
invalida la legge ; e non è raro che i nimici del bene pubblico riescano con
mezzi di vittoria più efficaci. Da quest'anno cha fu il 585 di Roma i Pretori
seguirono ad imbal danzire alle spese della Giustizia , e di quell' equirà
medesima , che tanto vantavano nei loro editri a nella loro giudicatura . La
Repubblica sempre in disordini correva già al suo termine per i vizi della
casuale costituzio ne ; ma tra i disordini , la Giurisprudenza pretoria era
giunta ad un punto insopportabile . A nulla valevano le accuse contro de '
Magistrati , poiché i mezzi di salvarsi erano molto conosciuti . Quello però a
cui un Console non potè riuscire con ef fetto susseguente , riuscì un virtuoso
Tribuno della plebe, con tuttocchè fosse stato contrariato dai suoi compagni .
Questi fu C. Cornelio Silla il quale o tocco dai stessi sentimenti di Paulo
Emilio, o scan H 1drlezzato specialmente dalle depredazioni di Verre e de'
simili a lui , fra le altre utili leggi , propose la rinnovazione del
Senatoconsulto per moderare la smodata cupidigia de' Pretori. Livio e Dion
Cassio ed altri autori ci attestano in que' tempi non solo la sfrenatezza
pretoria , « ma il grand' interesse de nobili specialmente a conservarsene il
possesso; per cui la proposta del Tribuno eccitd tumulto tale ne' Comizj , che
i fasci Consolari andiedero in pezzi , ed i sassi facendosi sentire più delle
vo ci , convenne dimettere, o posporre la lodevole im, presa ad altro tempo più
tranquillo . Infatti secon do Asconio Pediano la legge passò = Multis 12 mon
invitis quæ res tum gratiam ambitiosis Prætoribus, qui varie jus dicere
assueverunt , sustit lit. Gli oppositori della legge non avendo potuto
impedirla , rivolsero lo sdegno loro contro l'autore accusandolo di Fellonia ,
e Cornelio fu debitore della sua salvezza alla facondia di Cice. rone : Troppo
tardi perd pel popolo Romano vena ne quel beneficio ; la Repubblica era già
spirante i disordini irreparabili , ed apparecchiati i ferri per le Ascon . in
Orat. pro Cond . le nuove catene . Roma non godè mai della liber ' tà , non
seppe conoscerla , nè conobbe mai i moa menti favorevoli , ne' quali avrebbe
potuta ren : derla eterna , Se colla Repubblica però fini la grande autorità
de' Pretori , e se nuova Legislazione , nuova Giu risprudenza e nuovo metodo
giu diziario furono introdotti dal Dispotismo; la legislazione, la Give
risprudenza , l' ordine giadiziario restarono perd perpetuamente infetti dagli
usi o d'abusi, che l'ar te Pretoria figlia della vecchia Giurisprudenza in
trodotti y aveva . Nuove parole ' , nuove azioni , nuovi atti legittimi
ingombrava no le leggi e la giurisprudenza ; ma quello che poi fu il colmo
dell' abuso , ridicolo per se stesso, e tristo assai per gli effetti, fu l'aver
inventato un nuovo metoda di considerar in giudizio gli oggetti , .i rapporti e
le azioni ; in sostanza le finzioni legali : Anche questo bel ritrovato lo
dobbiamo alla Romana intelligenza . Senz'averè molta perizia nella Giuris.
prudenza , basta la più semplice ragione per ve dere , che tali invenzioni
furono i sussidi dell'igno tanza ed i sostegni della ingiustizia. Si possono
perdonare ai Romani ; ma come perdonare a que' moderni Giureconsuli , i quali
ancora dalla Ro se 1 mulea feccia pretendono far sacri libamenti alla
Giustizia? Tale fu l’Alteserra, il quale offerendo al Sig. de Lamoignon l'opera
de Fictionibus Juris , così s'espresse = quid enim aliud istæ fictiones , quam
juris remedia et jurisprudenium supulua IC , qui bus difficiliores casus
expediuntur , et aurræ claves quibus Jurisprudentiæ secreta aperiuntur ? = e
peg gio altrove . Tale fu l'Eineccio ancora il quale nel la Dissertazione, De
Jurisprudentia Heuremarica versd gran copia d'erudizione per giustificare le
finzioni legali , e farne vedere la bellezza e l'im portanza. Chi sarà vago di
conoscere quelle auree chiavi della Giurisprudenza , potrà consultare i cita ti
autori e la maggior parte de' Giureconsulti erų - diti . lo aggiungero soltanto
, che esse ebbero ori gine da ignoranza o da malizia. Per la prima av. venne ,
che nei progressi della civilizzazione can giandosi gli antichị barbarựci modi
de' tesçamen tị , de contratti , de’ litigj , credettero quasi che fosse
cangiata la realità , e chiamarono finzioni i modi che a queli furono surrogati
. Per la secon da, le finzioni s'introdussero in fraude delle leggi, per
eludere le loro prescrizioni, e per estenderle a que'casi, de'quali non avevano
espressamente par Jato. Origini entrambe poco degne della Giustizia dottissimo
Vico portando le sue perspicaci osservazioni su quelle strane usanze e
richiamando, le ai loro principi, chiamò il vecchio dritto . Roma- , no un
Poema serio , poichè le immagini si erano Sosti uite alla realità , e non si
erano trovate poi espressioni più semplici e più adattate . „ In con „, fum tà
di tali nature ( dice il lodato autore ) l'antica Giurisprudenza tutia fu
Poetica , la qua . le fingeva i farti non facii , i non fatti, fatti, na y ti
gli non nati ancora , mori i viventi , i morti vivere nelle loro giacenti
eredilà : introdusse tan , te maschere vane senza subjenti , che si dissero , »
jura imaginaria ; ragioni favoleggiate da fanta e riponeva tutta la sua
riputazione in rim „ trovare sì fatte favole , che alle leggi serbassero y la
gravità , ed ai fatti somministrassero la ragio talche tutte le finzioni
dell’antica Giurism prudenza furono verità mascherate, e le formo , s le colle
quali parlavano le leggi , per le loro circoscrit te misure di tante e tali
parole , nè più, nè meno, nè altre si dissero carmina. Ed altrove ragionando
della Giurisprudenza Eroica ciod . H 3 bara sia : 99 he : (Vico Princ. della
Scien. Nuo.) barbara de' Romani , la paragona a quella della se . conda barbarie
, dicendo , Cost a tempi barbari ,, ritornati la riputazion de' dottori era di
trovar , cautele intorno a contratti , o ultime volontà red in saper formare
domande di ragioni ed ar ticoli, che era appunto il cavere e de jure respon .
dere de’ romani giureconsulti. Da tuttociò si rileva, che sebbene la
RomanaRepub . blica progredisse in quanto allo stato politico verso la libertà
, ed in quanto ai costumi verso la civiliz zazione, in quanto alle leggi però
ad alla Giurisprus , denza i Romani erano rimasti in quello stato poetico, o
barbaro , che caracterizza i primi passi sociali o lo stato (dirò cost) di
necessaria Aristocrazia. Se di ciò si voglia indagar la cagione , si troverà
facilmente ne' tardi progressi che fecero i Romani nel perfezionamento dello
spirito o della Ragione ; poichè da questo solo possono essere migliorate le :
costituzioni , le leggi politiche , e le civili . Mi dispenso volentieri, è
credo ragionevolmente, di andar ragionando di tutte le novità, che i Pre cori
introdussero nel dritto , se da quanto si è detto finora , la Giurisprudenza
pretoria resta ab bastanza caratterizzata ; e chi volesse meglio istruir sene ,
può ricorrere agli autori che ne favellano. Se qualcuno sarà preventivamente
infatuato del'no me di Roma , vi troverà cose maravigliose e pelle grine ,
compiangerà l'attuale barbarie , e gemerà su le ruine del Campidoglio : ma se
sarà una persona ragionevole e senza prevenzione , riderà di molte fole ,
compiangerà coloro che ne sono restati illu si , e farà voti sinceri, accið
tali memorie indegno di uomini ragionevoli passino ' nell ' obblio . Volendo
dunque giudicare con principi di ra gione non adombrata dall'ammirazione e dai
pre giudizi della infanzia , dovremo dire , che i Preto - ri poterono essere
buoni o cattivi , come in tuli gl ' impieghi sociali accader suole ; e che
perciò molti di essi si servirono in bene delle loro pre rogative ', riducendo
all' equità , o sia alla giusti zia accompagnata all'umanità , le leggi troppo
se vere. o barbare che allora esistevano . Ma dall' al tra banda dovremo pur
confessare , che la maggior parte de pretori si abbandonarono ciecamente ai
nobili istinti di tesaurizzare e signoreggiare , per cui , più che ministri o
sacerdoti furono conculca tori della Giustizia . Riconosceremo nel tempo stes
50 , che questo nacque , dal non essere stata limi ta e legittimamente
circonscritta la di loro autori tà o potere ; e per questo d'ogni arbitrio
abusan н 4 do 1 do resero l'ordine de' giudizj arbitrario , la Giurise prudenza
equivoca ed incerta' , e fecero nascere una nuova specie di dritto , che tali
qualità tutte in se comprendeva ; e sebbene non autenticato da alcun atto del
potere legislativo , divenne . pure . un dritto consuetudinario più esteso e
più usato delle leggi , e durò con perpetua continuità insiem . me colla
Repubblica e coll' Impero Romano . Non ci lasciamo dunque illudere dalla tanto
vantata eruiià pretoria : l'equià ve a fu solo de' buoni , e quella specie di
equità può solo valutarsi do ve la legislazione non è nè rispettabile nè
giusta. Considerando le antiche azioni della leg gé , gli atti legittimi , e le
finzioni legali , ci com parirà molto giusto che Giustiniano le chiami favo le cioè
azioni Drammariche, poichè in sostanza erano delle vere scene che si
rappresentavano innan zi ai Magistrati . Cosi tutte le azioni che si face Justin
. In proem instit. = ur liccat vom bis prima legum cunabula non ab antiquis
fabulis discere , sed ab imperiali splendore appetere, A cotal intrinseco
difetto della Romana Repub . blica non parmi che si pensasse gianımai a pora,
tar un vero rimedio . , per cui la vantata libertà che senza leggi non nasce
,nè si può sostenere, non sedè mai lieta su le sponde del Tevere , e fuggi .
finalmente di mezzo a un popolo , che non la co nobbe , e non fu mai degno
d'adorarla . Il latte della lupa si perpetuò nelle vene de' Romani , ne quina 7
vano per æs & libram , le rivindicazioni, le cré zioni , le manomissioni ,
le nunciazioni di nuove opere , le usutpazioni , le licitazioni , le antestazio
lé elezioni & c. non solo erano faite conceptis verbis , dalle quali non si
poteva trascendere , me con azioni e rappresentanze particolari , che rende.
vanò comiche le processure giudiziarie . Questo però non significa altro , se
non che, nei tempi d'ignorana ga si sostituisce il linguaggio d'azione all'
espres sione naturale delle idee e de sentimenti ; e percið i simboli , i
geroglifici, le gesticolazioni furono nei tempi barbari il supplemento della
lingua parlata é divennero poi il linguaggio rituale solenne e sacro ; in che
principalmente consisteya la Giurisprudonza Romana quindi conobbero mai i
sentimenti di sociabilità , i piaceri della società , le regole che
all'adempimen to di essi prescrive la Natura . Perciò e per effet to della loro
barbarie ed ignoranza , si disputò , si discusse , si combatte , si decise
sempre sopra idee particolari, nè mai seppero elevarsi a generalizza re i
principi , che la ragione ci mostra per la buo na' costituzione de corpi
sociali, Dai campi ai Co. mizj era quasi continuo l alternativo passaggio
maquanto furono felici colla forza o colla frode altrettanto infelici furono
nell'uso della ragione . Essi non ebbero mai sentimenti univoci , e se la plebe
fu qualche volta superiore di fatto, l’aristocrazia conservò sempre la sua
condotta , ne seppero far cessare il nome di plebe , che vergo gnosamen te li
caratterizzava , e distingueva pre giudizievolmente il cittadino dal cittadino
. Dell uguaglianza non ebbero mai la vera idea , e quindi non poterono averla
della libertà , che sola per quella sussiste , ed il vantato censo , non diro
quello di Seryio Tullio , ma quello stesso della Res pubblica non fu una
invenzione sublime. Se cotali riflessioni potranno sembrare ad alcuno superflue
in rapporto al soggetto della Giurispru denza Romana , rispondero , che tali
non sono poic ( 123. Det poichè quando si parla delle leggi , convien neces
sariamente avere le giuste idee del popolo che ne fu l'autore , dei suoi
sentimenti , e della forma e condizione del potere legislativo. Or potrà
sembrare strano il dire , che Roma era formata quasi di due stati l'uno
nell'altro , e che il potere legislativo fosse diviso in due corpi o anche in
tre , e che poi quelle leggi fossero di un uso generale . E pure tal fu di Roma
nel tempo in cui fu più celebre e risplendente . $' egli è vero, che nella
undecima delle dodici tavole fosse contenuto il Dritto pubblico de' Ro mani ,
dobbiamo pur riconoscere che fu la più negletta e la meno rammentata , poichè i
fram menti o le quisquilie che di essa ci rimangono sono le più meschine . E
quantunque io sia nell' idea , che quella tavola non contenesse che i prin
cipali dritti dell' Aristocrazia , qual' era appunto la legge de'cornubj, tanto
detestata dalla plebe , e ro versciata vittoriosamente da Canulejo ; pure in un
frammento rimastoci , troviamo quale avrebbe dovuto esser il vero stabilimento
del dritto Legisla tivo , cioè QUOD POSTREMUM POPULUS JUSSIT ID JUS RATUM E $
TO. Ma se vogliamo seguire, la ragioneyole interpretazione del Vico e del Duni,
la parola popolo non fu ivi presa nel senso proprio ; e nel significato
generale, per esprimere la collezio ne di tutti gl'individui componenti lo
stato , ma di quelli soli che godevano il dritto , e meritava no il vero nome
di Cittadini , quali erano i soli Patrizj. Quando poi la plebe gradatamente
venne a partecipare alle qualità civiche , la parola po . " polo divenne
generale , e non essendovi più di visione privilegiata d'ordini nello stato ,
ma solo di classi , ciocchè la cennata legge prescriveva , passò ad essere nel
suo vero uso e valore , cioè , a far , sì che legge si chiamasse , ctocchè
l'intiero popolo avea prescritto e comandato . Se tale è però il principio
costitutivo delle Rear pubbliche, e secondo il Gravina il più convenien te
ancora alla natura umana , vi devono esse re delle regole , accið lespressione
della volon tà generale sia certa legittima libera ed uguale , onde ciascun
cittadino senta essere una parte in tegrante del Sovrano , dello Stato , e
della Patria : Tali sono le leggi costitu zionali , che riguardano il dritto
del suffragio , o la maniera di communi care la propria volontà al corpo
sociale , e fare che la volontà pubblica sia realmente il risultato del. le
volontà particolari. Il Dritto di suffragio costi tui yang tuisce dunque
principalmente la qualità di cittadi. no , e il modo di darlo , forina quasi
una misura di graduazione del Cittadino mede simo . cioè che tanto più si è
Gittadino , quanto più il dritto del suffragio è libero ed uguale . Troppo
lungi mi porterebbe l'andare esaminan do particolarinence colla Storia , come
questo drit to si stabilisse in Roma: , cioè nella formazione casuale di quella
Repubblica , alla quale contribul molto più la natura o il corso naturale delle
sa cietà , che i priacipj d'intelligenza e di ragione . Dirò solo , che quel
popolo sempre rozzo ed ignorante fu tanto lontano dal conoscere l'importanza di
queste idee , che şi conteniò di essere con vocato al suon d'un corno di bue
alle grandi Assemblee de' Çomizj; e mandra od ovile fu chiamato quel luogo,
dove si radunava , per compir l'atto il più degno , il più glorioso p er
un popolo , cioè il dar leggi a se stesso . Ma cotai nomi ed usanze erano
avanzi dell'antico stato Aristocrațico ; e pa stori e mandre sono correlativi
necessarj. Delle tre maniere intanto nelle quali si diedero į suf ( 18) Dionys.
Antiqu. Romanarum lib. z. ( 126 e i suffragj, quella de' Comizj tributi si può
dire che fondasse veramente la libertà o la potestà del po polo , giacchè i
Comizj delle Curie furono obblia ti , nè ebbero in effetto il potere
legislativo ; ed i Comizj centuriati davano la preferenza o la pre ponderanza
alle ricchezze . Vi fu inoltre il Senato, il quale sebbene non avesse altro
dritto , che di esaminare o consultare , si arrogo pure in parte il potere
legislativo . O la Nazione dunque radu nata per Tribd , o essa stessa convocata
per Cen turie , o il Senato ebbero o in dritto o in fatto l'esercizio del
potere legislativo . Le risoluzioni per tribù dette plebisciti , non ottennero
che dopo molte contese la vera for za di leggi , cioè di obbligare tutti i
cittadi ni , giacchè da principio non obbligavano che la plebe soltanto . Tanto
è vero che i Patrizi si cre devano un altro popolo un altra Nazione ; che
quelle leggi nelle quali non avevano potuto far prevalere, le loro idee e le
loro volontà , per mol to tempo non le fecero valere per leggi. L'auto rità de'
Senatusconsulti fu meramente abusiva , poichè nè per le leggi Decemvirali ne
per al cun stabilimento posteriore, il Senato da se solo aveva in alcun modo la
potestà legislasiva. ( 127 ) el 3 2 tiva . Quelle risoluzioni però che
portarono parti colarmente il nome proprio di leggi, furono le de cisioni dei
Comizi centuriati , delle quali non oc corre ripetere nè il metodo nelle
proposizioni , nè quello della convocazione , nè quello delle deci sioni .
Tuttocið fu vario nel corso della Repubbli. ca , e si può trovare presso mille
autori , che del governo Romano anno ragionato . Ho voluto solo ricordare
queste poche notizia per mostrare , come il potere legislativo fu stabie lito
in Roma sotto varie forme, le quali influivano di molto su la realità , e come
il dritto di suffra . gio, non fu lo stesso nè uguale nei diversi comizi. Nei
centuriati la qualità di Cittadino era misus rata su le ricchezze , e non si
può dire , che fosa se la volontà del maggior numero de' cittadini , che
rappresentasse la volontà generale , come don vrebb' essere per natura . Și sa
ancora quanti abu si vi s'introdussero per farle essere le decisioni del minor
numero , e spesso la quarta o quinta parte del popolo aveva già decretata la
legge, men tre la volontà di tutti gli altri rimaneva inutile e , delusa . Che
quello fosse un sistema meraviglioso lo potranno dir solamente gli Entusiasti ,
ma non chi nel giudicare suol prendere per guida la ragione : Dirò di più , e
ciò fu contro i principi di ogni regolare amministrazione , che quei comizj
oltre al potere legislativo si arrogarono ancora la facoltà governativa' , ed
in molte occasioni simil mente il potere giudiziario ; ciocchè indica , qua le
idea essi avessero di un vero ' e buon Politico sistema . Fu sicuramente un
effetto delle distinzioni sco lastiche dell' antica Roma il dire , che i
Tribuni del popolo non fossero Magistrati , perchè non avevano nè imperio nè
dritto di vocazione, nè giu risdizione , nè auspicj , ma in verità se non erano
magistrati nominali , lo erano in effetto , ed eser citavano un potere
amplissimo su la plebe , sul Senato , e sopra tutta la Repubblica : ad es si
apparteneva il convocare i comizj tributi i quali secondo me formavano il vero
corpo le gislativo , se in essi il dritto del suffragio ap parteneva egualmente
ed integralınente ad ogni . cittadino . Il Cittadino vi figurava come Citra
dino libero , e non era il rango o la ricchezza , che davano la preponderanza .
E pure questa par te della legislazione non meritò mai il nome di legge , come
l'ebbero le risoluzioni de'Comizj cen turiati . lo non decido pai se al paragone
le leggi Orno proposte dại Tribuni fossero più giuste ed utili allo stato , che
quelle proposte nei Comizj centu riati dai Magistrati maggiori . Possiamo però
ri Aettere , che tutte le leggi riguardanti la costitu zione politica , o
relative alla libertà ed al lo stato popolare , le quali si possono chiamare
leggi di Umanità e di Giustizia uni versale , furono tutte o quasi tutte
proposte dai Tribuni . Nè si pud dubitare che esse fossero leggi necessarie,
poi che erano le leggi naturali della libertà , e quindi necessarie e
costituzionali per un popolo che voleva essere libero , Nè è da imputar loro
che non fos sero migliori ; giacchè la mancanza d'idee e di buone cognizioni
era comune ai patrizi ed ai ple bei . Lo stesso Cicerone contuttoche fosse
Aristo cratichissimo , non potè far a meno , di con fessare , che se si
avessero voluti annoverare i misfatti de' Consoli, non sarebbero stati pochi ,
ma che toline i due Gracchi , non si potevano contare altri Tribuni perniciosi.
Infatti, e varj plebisci ti furono salutarissimi alla Repubbiica , e le leggi
an. (Do Leg.)anche civili dai Tribuni promosse furono effettiva. mente a
pubblico vantaggio . La maggior parte però delle leggi , dei plebisciti, e de'
Senatusconsulti furono una specie di leggi volanti o temporarie , essendo per
lo più pro mosse per occasioni particolari ; ¢ sebbene si procurasse di dare ad
esse tutta l'autenticità so. lenne , non si riducevano però in un corpo , che
avesse l'autorità d'un codice di legislazione ; ne io credo, che ad uso
pubblico sempre s' incidesse ro in ' tavole o lamine di bronzo , come pur ci vo
. gliono far credere alcuni autori antichi . Sono in dotto a pensar cosi da
varie testimonianze , e spes cialmente da una di Cicerone . Possiamo da esse
raccogliere , che quando le leggi furono una scienza arcana de' Patrizj e de'
Pontefici , si conservaro no e custodirono con gelosia e con mistero, trat
tandosi quasi della loro proprietà più preziosa , e proprietà come abbiamo
veduto molto dispo nibile . Il tempio prima di Cerere par che fosa se a ciò
destinato, e poi il pubblico Erario , accid i Consoli'o i Senatori non le
corrompessero o in volassero; ma quando le leggi divennero di ragion pubblica ,
gli antichi curatori non le curarono più , e funne generalmente negletta la
custodia Al ( 131 ) si . Almeno cosi ci attesta Cicerone , assicurandoci , che
per saperle , o per conoscerle , bisognava far capo dai Portieri e dai Copisti
= Legum custodiam nullam habemus : itaque hæ leges sunt , quæ apparia tores
nostri volunt ; a librariis petimus ; pubblicis literis consignaram memoriam
publicam nullam ha bemus . Græci hoc diligentius , apud quos xquaquaames
creantur : nec hi solum literas ( nam id quidem een iam apud majores nostros
erat , sed etiam facta hominùm obsesvabant , ad legesque revocabant. E la credė
egli così necessaria , che nel suo Co dice , legislazione stabilisce appunto
nell'Erario la conservazione o custodia pubblica delle leggi Forse però i
Romani si avvidero, che le loro leggi non meritavano tale attenzione ed onore.
Ho avver che Tacito caratterizzò con molto favore le leggi Decemvirali , non
perchè meritas sero elogj di equità e di giustizia , ma perchè, al meno in
apparenza , avevano avuta una certa re golarità di formazione e di
pubblicazione ; ed a causa delle leggi posteriori , prive di tali qualità .
Qualunque fossero in facti le regole per convocare I 2 i co tito di sopra , 1
(Cic. de leg.)i comizi, per dare i suffra gj, per creare le leggi oltre la
viziosa costituzione , è da credere ancora , che il disordine e la confusione
sempre vi avesse ro luogo , e spesso vi avesse parte la violenza, la cerruzione
, e tutti quegl' inconvenienti soliti a nascere da personalità , da privato
interesse , e da spirito di vendetta . Cosi di fatti c'indica Tacito dicendo
compositæ duodecim tabulæ , finis omnis æqui juris : nam sequuræ leges , etsi
aliquando in maleficos ex delicto , sæpius tamen dissentione ordi hun , et
adipiscendi inlicitos honores, aut pe'len di claros viros, aliaque ob prava ,
per vim taie sunt . ( 20) Questo fatto finalmente mette il colmo, a quan to
abbiamo detto della irregolarità ed incertezza di quelle Leggi, che meritarono
tanti encomiatori . Le espressioni della volontà generale d ' un popolo libero
e giusto , avrebbero veramente meritate P adorazione , e l'accettazione della
posterità , se stabilite secondo i principj della Natura e della ra. gione ci
avessero presentato un archetipo degno d'imitazione . Ma colla scorta della
Storia , e sce vri (Tac. Annal.) ba ia di 10 18 tie 1 vri della infantile
prevenzione tutt'altro abbia - mo trovato . Se Dionigi d' Alicarnasso ci presen
" ta Romolo come un legislatore Filosofo , ed in struito della storia
degli alui stati ; la storia vera ce lo presenta come capo di un' Aristocrazia
pri mitiva , cioè barbara e feroce , la quale risorin - geva nel suo ordine,
tutte le qualità di uomo e di cittadino : ma la storia del primo Regno e de gli
alııi successivi è quasi tutta incerta simbolica e favolosa , come si potrebbe
provare su le poche tracce , che non sfuggono ai critici indagatori del le
origini civili . In tutto quel tratto di an ni altro non veggiamo in risultato
, che dopo una prima aggregazione di forti e di deboli, senza altre leggi che
le consuetudini Aristocratiche , si co minciò a dare una forma alla nascenie
società. Il re videro , che il loro potere era un nulla , se invece di esser
capi de'patrizj , nol divenivano del la plebe o del popolo ; ma Romulo scompar
ve per diventar Quirino ne' cieli , Servio fu tru cidato , ed il secondo
Tarquinio espulso . In tanta incertezza di cose , come i storici assai
posteriori parlarono dei tempi passati colle idee dei tempi loro , così si aprì
la strada a credere , che le stes. se parole corrispondessero alle stesse idee
in epo che di is ble che assai differenti e lontane; quindi i scrittori suse
seguenti si tormentarono prima lo spirito in tante ricerche , e poi si
distillarono il cervello per con cordare le contradizioni, che ad ogni passo
incon travano fra le idee prima formatesi , ed i fatti che poi trovavano nella
Storia. Quindi tante ricerche e tante dispute inopportune e difficili per la
man canza di monumenti , ed inutili affatto ai progres si della ragione. La legge
regia però non meri tando alcuna particolare attenzione, importava so lo al
nostro assunto il vedere , che l' incertezza delle leggi cominciò col nome
Romano , e porta rono questa marca vergognosa in tutte le epoche, e in tutta la
durata della Repubblica . Tali poi furono anche il dritto civile , le azioni
legitime , gli Editri de' pretori o sia il dritto onorario, e finalmente le
leggi propriamente dette , le quali sempre più confusero e resero incerto il drit
, to e le leggi antecedenti. Parmi dunque poter drittamente dai fatti con
chiudere , che le leggi e la Giurisprudenza Roma na furono immeritevoli di
quelle lodi colle quali sono state esaltate , ed indegne di reggere un po polo
qualunque , mancando di quelle qualità che poteyano renderle pregey oli e sacre
, cioè collo stabilire la regola eterna della giustizia, render P urmo suddito
di esse , e non dipendente dall' arbitrio; ciocchè positivamente distingue la
libertà del dispotismo , qualunque sia del resto la forma o la costituzione
sociale . Se le specolazioni de' politici si fossero fermate principalmente su
quest'articolo , avrebbero facil mente ravvisato , che Roma non cadde oppressa
della sua grandezza , poichè per gli edifici mate riali o politici è essa anzi
una cagione di resi stenza e di durata. Cadde quella mole immensa per mancanza
di base , e per difetto di Architettum ia . La base della Società è sempre la
Giustizia tanto nella legge e nel principio, quanto dell'amministrazione ed
esecuzicne di esse. Che poi l'ossa tura politica fosse mal congegnata ed un
prodotto progressivo del caso , credo averlo di sopra abba stanza dichiarato.
La giustizia di Roma fir in principio quale può essere nella barbarie; d'indi
qua le suol' essere nell'amministrazione arbitraria; e fi nalmente quale
dev'essere nell’anarchia , nella confusione della legge e nella generale
corruzione. Dell' origine dell'idea che abbiamo della Bellezza. Il Bello della
Natura. Il Bello dell'arte , ossia della imitazione e del Bello ideale. La
grazia. Il sublime. Il bello morale. Il gusto. Il carattere del bello.
L’espressione. Lo stile e la regola del bello. Opere complete (Teramo, Fabbri).
Indizi di morale. Il metodo della morale. Il sentimento morale. L’origine
del sentimento morale. Lo sviluppo del sentiment morale. Divisione della
morale. La libertà civile. L’eguaglianza. La proprietà. Lo vviluppo della
morale nella diada sociale. Il senso morale. Il dovere morale. L’obbligazione
morale. L’amor proprio (l’amore proprio – Butler – self-love). La virtù. La
benevolenza – la benevolenza conversazionale. La giustizia. L’educazione. La
felicità. La passione. Note agli "Indizj di Morale" di G. Pannella Ricerche
sul vero carattere della giurisprudenza romana. La giurisprudenza romana
dal tempo de' re fino all'estinzione della repubblica. Sequela dei carattere
della giurisprudenza romana sotto gl'imperatori. I cultori della giurisprudenza.
L’amministrazione della giustizia. Memorie storiche della Repubblica di S.
Marino. La Situazione corografica della Repubblica di SAMMARINO e dei
varii nomi dati successivamente al capoluogo dello Stato. L’origine della
Repubblica di S. Marino, e prime sue memorie fino al secolo decimosecondo. Le
memorie di S. Marino nel secolo decimosecondo, e nel seguente. Proseguimento
delle memorie istoriche per tutto il secolo decimoquarto. Proseguimento delle
memorie per rutto il secolo decimoquinto. Proseguimento delle memorie per tutto
il secolo decimosesto. Proseguimento delle memorie pel secolo decimosettimo. Sequela
del secolo decimottavo. Il governo politico della Repubblica di San Marino. Diplomi
ed altri monumenti citati nell'opera. L’istoria, la sua incertezza ed
inutilità. Ai dotti e agli studiosi delle scienze della natura. L’origine
naturale della storia e dei progressi ed abusi della medesima. La storica
incertezza. L’autorità degli storici contemporanei del cavalier Tiraboschi. L’inutilità
della storia e dei pregiudizi derivati dalla medesima. Verificazione degli
antecedenti principj con esempi tratti dalla storia della romana repubblica. I
bello. Ai giovani educati. L'origine dell'idea che abbiamo del bello. Il
bello della natura. Il bello dell'arte, ossia della imitazione e del bello
ideale. La grazia. Il sublime. Il bello morale. Il gusto. Il carattere del
bello. L’espressione. Lo stile e la regola del bello. L’antica Numismatica
della città di Atri nel Piceno con alcuni opuscoli su le origini
italiche. Alla reale accademia ercolanese di archeologia e a S. E.
reverendissima monsignor Rosini presidente della medesima e della R. Società
Borbonica di Napoli. Le origini italiche. Le antiche monete della città di Atri
nel Piceno. I pelasgi e I tirreni. Rischiaramenti ed alcune osservazioni fatte
sull' opera della Numismatica atriana. Lettera a S. E. il sig. conte D.
Giuseppe Zurlo. Antologia di Firenze. Articolo di G. Micali. Biblioteca
Italiana. La Numismatica atriana ed agli altri opuscoli. AL. Sorricchio. Saggio
istorico delle ragioni dei sovrani di Napoli sopra la città di Ascoli d'Abruzzo
oggi nella Marca. Saggio filosofico sul matrimonio. Lo stabilimento della
milizia Provinciale. La coltivazione del riso nella Provincia di Teramo. Elogio
del marchese D. Francescantonio Grimaldi . Il tribunal della Grascia e sulle
leggi economiche nelle, provincie confinanti del regno. La necessità di rendere
uniformi i pesi e le misure del regno. Il tavoliere di Puglia e su la necessità
di abolire il sistema doganale presente e non darsi luogo ad alcuna temporanea
riforma. La vendita dei feudi umiliate a S. R. M. La tassa fondiaria.
L’istruzione pubblica. La sensibilità imitativa considerata come il principio
fisico della sociabilità della specie e del civilizzamento dei popoli e delle
nazioni lette nella Reale Accademia delle scienze. La perfettibilità organica
considerata come il principio fisico dell’educazione con alcune vedute sulla
medesima letta nella R. Borbonica Accademia delle scienze. La perfettibilità
organica considerata come il Principio fisico dell'educazione letta nella Reale
Accademia delle scienze. Alcuni mezzi economici per supplire agli attuali
bisogni dello stato. L’importanza di far precedere le cognizioni fisiologiche
allo studio della filosofia intellettuale. Lo stabilimenti di umanità e di
pubblica beneficenza. L’organizzazione dei tribunal. Un porto da costruirsi
alla foce del fiume Pescara. A Berardo Quartapelle. A S. E. il sig. Duca di
Cantalupo. Al Cav. sig. Pasquale Liberatore. Ai Capitani Reggenti la Repubblica
di S. Marino. Al marchese Luigi Dragonetti (Aquila). Al signor Roberto Betti
(Napoli). A Giacinto Cantalamessa Carboni in Ascoli. A Giuseppe M. Giovene
(Molfetta). Ad Alberto Fortis. A Bernardino Delfico. Al Sig. Abate D. Cataldo
Jannelli. Saggio di lettere indirizzate a Melchiorre Delfico Gaetano Filangieri
a M. Delfico Pietro Borghesi a M. Delfico F. Neumann a monsieur l'Abbé Fortis.
Spallanzani all'abate Fortis. Al medesimo Fortis in Napoli ..... pag. 138
Spallanzani a M. Delfico ..... pag. 140 Luigi Grimaldi a M. Delfico .....
pag. 141 Toaldo a M. Delfico ..... pag. 142 Spannocchi a M. Delfico
..... pag. 143 V. Comi a B. Q. [Berardo Quartapelle] ..... pag. 148
Michele Torcia a G. Berardino Delfico ..... pag. 148 Gaspare Mollo a M.
Delfico ..... pag. 151 Alessandro Carli ..... pag. 152 F. Mùnter a
M. Delfico ..... pag. 154 Mùnter a Delfico in Napoli ..... pag. 159
Mùnter a M. Delfico ..... pag. 160 Filippo Mazzocchi a M. Delfico .....
pag. 163 Gazola a M. Delfico ..... pag. 163 Giuseppe Micali a M.
Delfico ..... pag. 170 L'abate Bertola a G. Bernardino Delfico ..... pag.
178 Il medesimo a M. Delfico ..... pag. 179 L. Brugnatelli a M.
Delfico ..... pag. 179 Antonino Anutos a M. Delfico ..... pag. 180
Gio. Andrea Fontana a M. Delfico . Il Duca di Cantalupo a M. Delfico ..... pag.
183 Giuseppe Palmieri a M. Delfico ..... pag. 180 Tommaso Gargallo
a M. Delfico in Teramo ..... pag. 190 Giuseppe M. Galante a M. Delfico
..... pag. 194 Giovanni C. Amaduzzi a M. Delfico ..... pag. 194
Mattia Ab. Zarillo a M. Delfico ..... pag. 195 Giuseppe M. Giovene a M.
Delfico ..... pag. 197 C. Amoretti a M. Delfico . Francesco Soave a M.
Delfico ..... pag. 203 Giovanni Acton a M. Delfico (Teramo) ..... pag.
205 Fortis a M. Delfico ..... pag. 205 Pietro Zannoni a M. Delfico
..... pag. 206 Bossi a M. Delfico ..... pag. 206 Tommaso Frantoni a
M. Delfico ..... pag. 209 Daniele Felici a M. Delfico ..... pag.
209 G. Napoleone a. M. Delfico ..... pag. 212 G. Giacomo Trivulzio
a M. Delfico ..... pag. 212 G. Melzi a M. Delfico ..... pag. 223
San Severino a M. Delfico ..... pag. 23 Il duca di Sant'Arpino a M
Delfico ..... pag. 231 Tracy a M. Delfico . Antonio Canova a M. Delfico
..... pag. 240 Angelo Maria Ricci a M. Delfico ..... pag. 241
Donati Gioli a M. Delfico ..... pag. 243 Luigi Dragonetti a M. Delfico
..... pag. 243 Giuseppe Zurlo a M. Delfico ..... pag. 246 Michele
Arditi a M. Delfico ..... pag. 249 Antonio Orsini a M. Delfico ..... pag.
250 G. M. Burini a M. Delfico ..... pag. 251 Taranto a M. Delfico
..... pag. 252 Francesco Sorricchio a Delfico ..... pag. 252 L.
Cicognara a M. Delfico ..... pag. 258 F. Santangelo a M. Delfico .....
pag. 259 Sebastiano Ciampi a M. Delfico ..... pag. 260 Donato
Tommasi a M. Delfico ..... pag. 261 Il Duca di Laurenzana a M. Delfico .....
pag. 262 Giuseppe Grimaldi a M. Delfico ..... pag. 264 N.
Santangelo a M. Delfico ..... pag. 271 Lodovico Bianchini a M. D. .....
pag. 272 Carlo Filangieri a Melchiorre Delfico ..... pag. 272 G. B.
Niccolini a M. Delfico ..... pag. 274 Giuseppe Rangone a M. Delfico .....
pag. 276 Leopoldo Pilla a M. Delfico ..... pag. 278 Il Duca di
Gualtieri a M. Delfico ..... pag. 281 II Barone Poerio a M. Delfico .....
pag. 283 Leopoldo Armaroli a M. Delfico ..... pag. 283 G. Neroni a
Leopoldo Armaroli ..... pag. 286 Francesco Fuoco a M. Delfico ..... pag.
287 Giuseppe Micali a Gregorio de Filippis ..... pag. 288 Aggiunta
agli opuscoli. Fiera franca in Pescara ..... pag. 293 Al sig. Pasquale
Borelli ..... pag. 307 Al sig. Antonio Orsini ..... pag. 313 Al
sig. Conte Armaroli ..... pag. 315 Alessandro Volta a Orazio Delfico
..... pag. 317 Rapporto sull' Italia inviato a Napoleone, e attribuito a
M. Delfico . Piemonte . Liguria . Regno D' Italia . Toscana ..... pag.
326 Stati Romani ..... pag. 327 Napoli . Memoria per la
conservazione e riproduzione dei boschi nella provincia di Teramo ..... pag.
335 Discorso del Cav. Comm. Gian Berardino Delfico letto in occasione del
solenne giuramento prestato a S. M. Giuseppe Napoleone Re di Napoli e Sicilia
dalla Città e Provincia di Teramo ..... pag. 363 La famiglia e le opere
di Melchiorre Delfico . I titoli nobiliari . Episodi della vita del Delfico . Opere
ignorate del Delfico . Il contenuto delle opere . Catalogo per materia delle
opere di M. Delfico . Lettere del Delfico e al Delfico . La Repubblica di S.
Marino in onore di M. Delfico . M. Delfico a Gaspero Selvaggio . A Paolo D'
Ambrosio M. Delfico. Il teramano Melchiorre Delfico (1744-1835) è uno dei più
cosmopoliti e al tempo stesso dei più autenticamente provinciali tra i
riformatori meridionali della seconda metà del Settecento (1). Durante il suo
primo soggiorno a Napoli, interrotto dopo tredici anni nel 1768 perché malato
di emottisi, il giovane intellettuale abruzzese segue le lezioni di Antonio Genovesi
e frequenta il gruppo che si riunisce attorno alla cattedra dell'abate (2), che
dal 1754 al 1769 costituisce il fulcro del movimento riformatore meridionale.
Sarà questa scuola composta da Longano, Galanti, Palmieri, Grimaldi,
Filangieri, Pagano ed altri, ad imprimere una «benefica scossa» (3) alla
cultura napoletana e avviare negli anni successivi un serrato e articolato
dibattito sui problemi più urgenti del Regno, suggerendo le linee di un
possibile rinnovamento della società civile che non di rado contrasteranno con
l'angusta politica del governo borbonico (4). È soprattutto dalla
rilettura del genovesiano Discorso sopra il vero fine delle lettere e delle
scienze (5), considerato il manifesto dell'illuminismo napoletano, in cui viene
rivendicato un uso pratico del sapere, che Delfico matura una nuova concezione
della cultura e dell'intellettuale, la cui attività sia, come diceva Genovesi,
«più pratica che teoria» (6), e la convinzione della necessità di un impegno
politico più diretto. Un atteggiamento anticuriale e giurisdizionalistico, di
ascendenza giannoniana (7) e di eredità genovesiana (8), egli manifesta nei due
lavori, con i quali inaugura nel 1768 la sua attività di scrittore, in difesa
dei diritti del Regno di Napoli sui territori di Benevento, dal 1077 sotto il
dominio pontificio, e di Ascoli Piceno, anch'esso dal 1266 annesso allo Stato
ecclesiastico (9). Nelle due Memorie denuncia le tendenze temporali
dell'autorità ecclesiastica, dimostrando «false o insussistenti» le pretese
giurisdizionali del pontefice su quei possedimenti, ottenuti non già per
legittimi diritti di sovranità, ma con l'usurpazione, titolo «vergognoso»
perché «prodotto per dolo o per frode» (10). Sebbene notevole sia stata
l'influenza di Genovesi sul movimento illuminista meridionale, non tutte le
molteplici espressioni della cultura riformistica degli anni Settanta e Ottanta
possono essere ricondotte alla sola riflessione del pensatore salernitano.
Anche per i rappresentanti della corrente «più provinciale», «più tecnica e
descrittiva»(11) della scuola genovesiana, l'insegnamento del Maestro non
sempre costituirà l'unica matrice culturale. Lo stesso Delfico, sebbene
riconosca il suo debito nei confronti dell'abate, non trova in lui il pensatore
che la «propria ragione gli faceva desiderare» (12), bensì il pubblicista che
ricerca e analizza i mali economici e sociali della sua terra. «La fortuna però
- scriverà più tardi - avendomi fatto pervenir nelle mani le immortali opere di
Loke [sic] e di Condillac, parve che il mio spirito prendesse una nuova
modificazione, e quindi una inclinazione pel vero, ed un gusto particolare per
i morali sentimenti» (13). Già nel Saggio filosofico sul matrimonio,
apparso a Teramo nel 1774, alcuni anni dopo il suo ritorno in provincia, s'intravede
l'orientamento filosofico dello scrittore abruzzese basato su una visione tutta
empiristica e sensistica dei rapporti umani, che indurrà la Congregazione del
Sant'Uffizio a porre l'opuscolo nell'Index librorum prohibitorum il 19 gennaio
1776. L'opera è una vera e propria esaltazione sia dello stato coniugale che
dell'amore, inteso come desiderio, come piacere fisico ma soprattutto morale.
In polemica con Rousseau, Delfico considera il vincolo matrimoniale una fonte
continua «di sensazioni e di sentimenti aggradevoli» (14) e sostiene,
richiamandosi a Hume, che esso debba essere il più possibile completo e
duraturo. La critica del celibato e più ancora del libertinaggio è l'occasione
per un'attenta disamina della condizione della donna, di cui sostiene l'emancipazione
e la rivalutazione nella famiglia e nella società, fino a rivendicare una
legislazione sulla parità dei diritti e dei doveri fra i sessi. Del 1775
sono gli Indizi di morale, interrotti per ordine dell'assessore Pietro Paolillo
che ne dispone il sequestro mentre sono ancora in corso di stampa, i quali
«svelano assai più a fondo e gl'ideali politici del Delfico e la sua cultura»
(15). Sul piano filosofico infatti essi segnano una piena adesione
all'empirismo e al sensismo di Locke e Condillac. Dalle idee filosofiche dei
due pensatori il Teramano non si discosterà più, restando sino alla fine legato
alla dottrina sensistica. Confesserà molti anni dopo ad un amico: «Dopoché il
mio spirito soffrì la modificazione dal Trattato delle sensazioni, non l'ho
turbato più perché mi vi sono trovato comodo, non trascurando però le
successive osservazioni le quali hanno potuto migliorarlo» (16). Egli riconosce
alla morale il fondamento empirico proprio delle scienze fisiche e riconduce
l'origine dei sentimenti morali alle sensazioni. Poiché è nella società che gli
uomini acquisiscono le prime nozioni di moralità e le loro azioni diventano
utili o dannose, ne consegue che la sfera delle loro idee e con essa quella
delle loro attività si dilatano soprattutto in quelle forme politiche in cui
maggiormente cresce la possibilità di comprensione della qualità degli oggetti
e gli individui sono messi nelle condizioni che meglio permettono la
individuazione dell'amor proprio. «È nel passaggio dall'Aristocrazia allo stato
popolare», scrive, che «le nazioni godono del colmo della virtù» e «nasce
quella gara di Eroismo che è difficile a trovarsi nelle Monarchie» e che si
verifica ogni qualvolta «l'interesse di tutti i particolari va a riunirsi col
pubblico»(17) e i cittadini partecipano maggiormente alla sovranità e al
potere. L'affermazione non si concreta in una scelta della democrazia
come forma di governo, né in una rivendicazione di ordinamenti politici
alternativi a quelli in cui si incarna la monarchia borbonica. L'allusione alla
repubblica resta in lui vaga, sottintesa e comunque priva di un reale contenuto
politico-istituzionale, mentre egli non nasconde la propria simpatia per il
despotisme éclairé (18). Vi è, da parte sua, una svalutazione della politica in
quanto problema teorico, a favore di un impegno politico più immediatamente
finalizzato alla soluzione di questioni politiche contingenti. Suo obiettivo
principale è il perseguimento del bene pubblico, realizzato attraverso
un'avveduta e coraggiosa politica di riforme. Un processo di trasformazione che
miri innanzitutto all'uguaglianza politica e che non ha niente a che vedere con
la «fatale» comunione dei beni, fomite di disordini e di eterne contese. Il
problema dell'uguaglianza, di cui le garanzie politiche costituiscono una
imprescindibile componente, consente a Delfico di condurre a fondo l'attacco
contro la struttura feudale della società napoletana, in cui ancora assai
diffusa e radicata è l'ineguaglianza sia essa generata dall'abuso del potere
che da quello delle ricchezze. «Conosciuti i mali che provengono
dall'ineguaglianza - afferma a conclusione del capitolo sulla proprietà - deve
essere un canone politico quello di ravvicinare gli estremi, e non dar luogo ad
altre ricompense che a quelle del merito personale e dell'industria» (19). Al
contrario, il persistere dell'ineguaglianza non fa che produrre «lusso e
corruzione» ed aggravare la già precaria condizione dei più miserevoli, privati
della loro stessa dignità perché costretti a mercanteggiare persino «la vita,
l'onore, la stima, la virtù, ed i più sacrosanti doveri» (20). Dopo il
sequestro degli Indizi di morale e la messa all'«Indice» del Saggio filosofico,
Delfico incorre in un nuovo spiacevole episodio con le autorità provinciali.
Soprattutto a causa del vescovo Pirelli e dell'assessore Giacinto Dragonetti,
con cui pure aveva avuto rapporti di amicizia, è ingiustamente inquisito e
condannato per la fuga di certe monache dal monastero di S. Matteo di Teramo
(21). L'exequatur del Tribunale del capoluogo abruzzese (5 febbraio 1778) con
il conseguente ordine di carcerazione, emesso nei confronti suoi e di altri
«lajci seduttori» (22) presunti responsabili dell'insubordinazione, lo
costringono ad allontanarsi dalla città e a recarsi a Napoli, dove rimarrà
circa tre anni, fino alla conclusione della vicenda giudiziaria, giunta con
l'indulto regio del 17 giugno 1780. Questo secondo soggiorno partenopeo,
avvenuto a dieci anni di distanza dalla fine del primo, si rivela assai fecondo
per lo scrittore teramano che ha l'occasione di rinsaldare i legami con
gli ambienti riformatori della capitale e stringere rapporti con vari esponenti
della cultura, quali tra gli altri i fratelli Di Gennaro e Grimaldi,
Filangieri, Pagano, Torcia e Fortis. È anche il periodo in cui egli matura
l'idea che la provincia possa imprimere, attraverso la denuncia dei mali
prodotti dal sistema feudale, un nuovo e maggiore impulso alla politica
governativa ed avverte la necessità di una ridefinizione del rapporto tra
capitale e province, tra i centri periferici più sani e dinamici e quella
Napoli corrotta ed inerte dalla quale tutti attendono una politica di
riforme. Ritornato a Teramo, Delfico pubblica nel 1782 il Discorso sullo
stabilimento della milizia provinciale, che gli varrà, l'anno successivo (20
giugno 1783), la nomina ad Assessore militare della sua provincia. Lo scritto,
dedicato all'amico Filangieri, inaugura un'intensa stagione che vede
l'illuminista abruzzese farsi promotore di numerose riforme. Nel Discorso la
questione militare acquista rilevanza politica, avendo intuito l'Autore
l'importanza che una buona costituzione militare poteva assumere per la vita di
uno Stato. Criticando lo «spirito di corpo» dei militari, quel «sentimento
dissociale» che li porta a disprezzare la vita civile e che fa di loro una
classe di privilegiati distinta dal corpo sociale, egli mira a riqualificare il
ruolo del soldato all'interno della società, non soltanto in tema di sicurezza,
ma anche, soprattutto, di progresso civile, riunendo, sull'esempio di Rousseau,
la qualità di soldato a quella di cittadino (23), così che i due termini
diventino sinonimi fra loro. Ad alimentare la fiducia nei primi anni
Ottanta che si potesse realizzare sul piano legislativo e amministrativo quanto
si veniva sostenendo su quello dottrinario, contribuirono sia la istituzione
della Reale Accademia di Scienze e Belle Lettere (che però tradì presto le
attese suscitate) che quella del Supremo Consiglio delle Finanze. Sorto nel
1782, il Consiglio si prefiggeva di riformare gli antichi e perniciosi abusi
del sistema e di restituire l'abbattuto vigore alla Nazione promuovendo i
canali della ricchezza dei sudditi e dello Stato. Ad esso Delfico vorrebbe
sottoporre la sua Memoria sulla coltivazione del riso nella provincia di Teramo,
pubblicata a Napoli nel 1783. Considerato «forse il più limpido e ragionato»
(24) dei numerosi suoi scritti economici di quegli anni, il testo è una dura
requisitoria contro il persistere di pesanti imposizioni feudali e di certi
abusi economici e politici, responsabili di mantenere tale coltivazione in uno
stato di sottosviluppo (25). La risposta delficina è in favore di un
ammodernamento della tecnica di produzione e della rimozione di tutti gli
ostacoli, compresi i controlli e le restrizioni governative, che impediscono la
realizzazione di un'economia di mercato. Nell'estate dell'83 Delfico è di
nuovo a Napoli, dove si fermerà fino alla fine dell'anno. Ma non sarà questa
una permanenza piacevole. All'entusiasmo iniziale, infatti, subentrerà presto
un sentimento di profonda amarezza per l'andamento della vita politica della
capitale. Egli prende coscienza della incapacità dello Stato di dar vita ad un
programma organico di risanamento dell'economia del Paese, messa di nuovo a
dura prova dal terribile terremoto calabrese della primavera del 1783. La
condotta della corte borbonica gli appare quanto mai improvvisata e piena di
incertezze e di contraddizioni. Ritornato a Teramo è raggiunto, nel
febbraio del 1784, dalla notizia della scomparsa dell'amico Francescantonio
Grimaldi, cui dedica, come ultimo tributo, un Elogio (26) che ne rievoca il
pensiero e il valore. Dopo un rapido excursus delle opere giovanili (27), lo
scrittore abruzzese si sofferma sulle Riflessioni sopra l'ineguaglianza tra gli
uomini, pubblicate a Napoli in tre volumi tra il 1779 e il 1780. In esse
l'Autore confuta le tesi roussoiane sull'uguaglianza tra gli
uomini, correggendo quei «paradossi», scrive Delfico, che «fra molte vere
e nobili osservazioni» (28) sono racchiusi nel Discours sur l'origine de
l'inégalité. Contrariamente al Ginevrino, che ritiene l'ineguaglianza essere
«presque nulle dans l'Etat de Nature» (29), Grimaldi ne afferma il principio
dell'origine naturale, smentendo quanti sostenevano che gli uomini nascono eguali.
Una particolare attenzione rivolge infine all'ultimo incompiuto lavoro di
Grimaldi, gli Annali del Regno di Napoli. Sin da ora emerge chiara in lui
l'idea di una storia non più concepita come piacevole passatempo per «gli
oziosi e gli annojati», ma in funzione «d'un utile presente» (30) per l'umanità
e, in particolare, per la nazione per la quale si scrive. Ciò che interessa non
è più il nudo racconto di fatti isolati o di particolarità legate a circostanze
del momento, bensì la conoscenza delle cause che stanno dietro i fenomeni e la
vita morale delle nazioni. Alla fine di giugno del 1785 Delfico si
trasferisce di nuovo a Napoli, dove si trattiene, salvo una breve parentesi
nella città natale nell'estate dell'86, fino alla metà del 1788. Risale a questo
periodo l'incontro con il danese, di origine tedesca, Friedrich Münter, venuto
in Italia nell'autunno del 1784 con l'incarico di propagandare l'Ordine degli
Illuminati di Baviera (31). A Münter, con il quale visiterà assieme a
Filangieri e allo storico tedesco Heeren le rovine di Pestum, egli si legherà
da profonda amicizia, di cui è testimonianza una corrispondenza più che
trentennale (32), accomunati dalla passione per l'archeologia e, soprattutto,
per la numismatica. A Napoli Delfico pubblica nel 1785 la Memoria sul
Tribunal della Grascia (33), considerata, assieme a pochi altri testi, «il
vangelo del liberismo napoletano» (34) dell'epoca. Lo scritto sferra un attacco
contro il «terribile mostro» del Tribunale della Grascia, istituito lungo il
confine tra l'Abruzzo e lo Stato pontificio e simile per alcuni versi a quello
«più odioso dell'inquisizione», che impedisce ai due Stati pacifici di
scambiarsi liberamente i prodotti, fomentando dovunque corruzione e violenza e
lasciando quelle popolazioni in «un languore di dissoluzione» (35). Vi è nella
Memoria l'affermazione del principio della libertà di commercio e
dell'abolizione del sistema protezionistico, a proposito del quale vengono
fatti i nomi di Verri, Genovesi, Filangieri e del celebre Smith, di cui il
Teramano è uno dei primi in Italia a citare La ricchezza delle nazioni.
Nel 1788 vede la luce il Discorso sul Tavoliere di Puglia (36) in cui Delfico
rivendica, dopo un'aspra requisitoria contro le concentrazioni latifondiste e
il mantenimento delle rendite, la divisione di quelle terre in favore dei
contadini e un diverso ruolo dell'agricoltura, non più limitata e subordinata
alla pastorizia. In un Paese così «infelicemente» amministrato, dove regna una
troppo marcata diseguaglianza e una «ripugnante ed infelice» contrapposizione
tra ricchi e poveri, l'aumento dei proprietari è un obiettivo che risponde non
soltanto a criteri di giustizia sociale, ma anche ad una necessità dello Stato.
Tutti «i più savj governi - scrive - distinsero sempre la classe dei
proprietarj, come quella che dava il vero carattere di cittadino» (37). La
proprietà infatti è il primo e più saldo principio della società, poiché crea
nei proprietari «sempre affezione» nei confronti dello Stato, a cui essi
chiedono di riconoscere e tutelare i loro diritti, interessati come sono, più
di ogni altra classe, al buon funzionamento delle sue istituzioni e alla
corretta applicazione delle sue leggi. Della parte settentrionale della Puglia
l'illuminista abruzzese si era occupato una prima volta nel 1784 nella pur
breve ma incisiva ricognizione geografico-economica del tratto costiero
«desolato» che va dal Fortore al Tronto (38), in cui denunciava le gravi
«avarie» commesse dai governanti con la creazione di continue dogane che,
ostacolando il libero scambio dei prodotti tra quelle popolazioni, finiva per
immiserirle sempre più. Si coglie in questi scritti non soltanto la
totale adesione di Delfico al liberismo, ma anche la sua piena consapevolezza
del ruolo che lo Stato è chiamato a svolgere in favore di un sistema economico
imperniato sulla libertà di scambio. Un rapporto, quello tra Stato ed economia
di mercato, che egli affronta anche nella Memoria sulla libertà di commercio
della fine degli anni Ottanta (39), in cui esalta il principio del laissez-faire
contro le regolamentazioni e i vincoli del sistema mercantile. Il rifiuto di
«ogni coazione economica» si fonda sulla convinzione che la libertà (di
produzione, di consumo, di commercio, di concorrenza) favorisca un progresso e
uno sviluppo economico tali da recare benefici sia ai privati cittadini che
allo Stato stesso. È solo attraverso la rimozione di tutti i controlli
governativi che ostacolano l'allargamento del mercato e impediscono che le
attività economiche si svolgano nei modi loro naturali che la scienza economica
riesce a far fronte al suo duplice compito di mantenimento dello Stato e di
accrescimento della ricchezza e del benessere individuali. In
quest'ultimo soggiorno napoletano prima dello scoppio della rivoluzione francese,
Delfico si attiva non poco, presso le Segreterie della capitale, per
sollecitare iniziative e soluzioni di problemi riguardanti le provincie del
Regno. Ma le sue istanze non sempre trovano il riscontro desiderato (40). Ciò
non fa che accrescere in lui un sentimento di sfiducia nell'azione riformatrice
del governo. Un'insofferenza, quella nei confronti del potere politico
partenopeo, che lo porterà nell'estate del 1788 ad allontanarsi da un ambiente
dove gli era diventato penoso vivere, non prima però di aver presentato a
Ferdinando IV il suo ultimo lavoro, Memoria per la vendita de' beni dello Stato
d'Atri (41). Nello scritto condanna la giurisdizione feudale in nome dei
principi roussoiani di indivisibilità e inalienabilità della sovranità fino a
ritenere qualsiasi forma di alienazione o di usurpazione della sovranità stessa
«non solo un atto nullo, ma anche ingiusto» (42). La notizia della
rivoluzione francese raggiunge Delfico lontano dal Regno napoletano, mentre si
trova nel Nord Italia, dove si era recato nel novembre del 1788 per
accompagnare a Pavia il nipote Orazio che studiava Scienze naturali sotto la
guida di Volta e Spallanzani. Durante il suo soggiorno ha modo di frequentare
gli ambienti riformatori milanesi ed entrare in contatto con Beccaria, il filosofo
e pedagogista Francesco Soave, i fratelli Verri, Parini, il giurista senese
Giovanni Bonaventura Spannocchi, lo studioso di scienze agrarie ed economiche
Carlo Amoretti ed altri ancora, con alcuni dei quali manterrà un rapporto di
amicizia. Sugli avvenimenti francesi non gli è difficile tenersi informato. È
lecito credere anzi che, oltre a seguire, egli guardi con simpatia a quanto sta
accadendo oltralpe. La rapidità e la determinazione con cui si conduce
l'attacco contro l'Ancien Régime lo spingono a ritenere che la rivoluzione di
Francia favorisca il progetto riformatore e rappresenti «un esempio favorevole
per i Principi savj» (43) affinché non indugino più sulla strada delle
riforme. Rianimato da queste speranze, nel dicembre del 1789, dopo aver fatto
da poco ritorno nella sua città natale (44), Delfico si trasferisce a Napoli,
dove dà alle stampe, nell'estate del 1790, le Riflessioni su la vendita dei
feudi (45) in cui, ispirandosi al dibattito costituzionale d'oltralpe, conduce
un attacco più diretto ed esplicito contro il sistema feudale e la
giurisdizione baronale in particolare. Nel 1791 pubblica le Ricerche sul vero
carattere della giurisprudenza romana e de' suoi cultori (46), che
rappresentano «la più forte manifestazione del pensiero illuministico italiano
nei confronti del diritto romano» (47), cui viene negato ogni valore. Ad
emergere è l'idea di un sistema legislativo nuovo, «uguale ed uniforme per
tutti gl'individui» che, a differenza di quello vigente, troppo legato alla
tradizione romana, risulti più inerente «all'indole delle nazioni e dei governi
presenti» (48). Sull'esempio di quanto accade in Francia, lo scrittore
abruzzese rivendica, accanto ad una legislazione stabile e regolare, una
legittima costituzione che ne sia il presupposto e ne costituisca il necessario
fondamento. Il sistema politico che egli predilige si fonda sull'uguaglianza
delle leggi, sulla divisione dei poteri, sul conferimento dell'autorità
legislativa al popolo, sulla rappresentanza politica senza restrizioni di rango
o di censo e sul decentramento dell'amministrazione della giustizia attraverso
lo stabilimento di magistrature locali e provinciali. Da una soluzione di
tipo monarchico-costituzionale Delfico non si allontanerà mai. Alla politica
illuminata del sovrano restano per lui legate le condizioni di cambiamento
della società meridionale. Nonostante tuttavia la sua predilezione per la
monarchia, a partire dalla seconda metà del 1791 si ravvisa nel Teramano un
conflitto tra l'ottimismo generato dalle vicende francesi, che lo spinge a
credere ancora nell'intesa tra dinastia borbonica e intellettuali, e il
crescente scetticismo nei confronti della volontà governativa di attuare un
programma di rinnovamento. Deluso, decide di abbandonare la capitale dove si
sorprende sempre più spesso «scontentissimo». Il rientro a Teramo, nel
dicembre del 1791, segna la fine di un periodo di grande impegno politico e
letterario, al termine del quale egli vede svanire la possibilità che la
rivoluzione francese imprima un nuovo impulso alla politica del governo
napoletano. È, questo, un periodo di grande sconcerto e delusione per quanti,
come Delfico, avvertono i limiti della politica ferdinandea. Alla fine del 1793
la consapevolezza che la grande stagione riformistica sia definitivamente
conclusa è radicata nel suo animo. Essa segna l'inizio di una lunga
interruzione della sua attività di scrittore, a conferma di come egli ritenesse
allora non solo vano ma addirittura pericoloso farsi sostenitore di una
politica di rinnovamento del Regno borbonico. La sfiducia diverrà pressoché
totale durante il soggiorno nella capitale partenopea tra la primavera e
l'autunno 1794. A Napoli s'imbatte in una città in preda alla più forte
«agitazione». È l'epoca della scoperta della congiura giacobina che porta
all'arresto e alla condanna di numerosi patrioti ed esponenti giacobini.
Coinvolto è pure l'amico e concittadino Troiano Odazi (49) che egli considera
innocente e spera invano venga presto scagionato. L'accentuarsi del
carattere reazionario della politica napoletana non determina tuttavia in
Delfico, come in altri illuministi, il passaggio «da regalista in giacobino»
(50) o repubblicano, anche perché egli, a differenza di molti di loro, non vede
più nella Francia del '93-'94 concretarsi i suoi ideali riformistici.
L'avversione per gli eccessi rivoluzionari lo porta ad anticipare un modulo
storiografico che avrà fortuna negli anni successivi: la contrapposizione tra
una prima fase della rivoluzione, l'89, con le sue idee di libertà e di
uguaglianza, ed una fase successiva, il '93, caratterizzata da «tanti
orrori». Alla fine di ottobre del 1795 Delfico lascia di nuovo l'Abruzzo
per compiere un secondo viaggio fuori del Regno, dapprima a Roma, restandovi
per circa un mese, quindi in Toscana dove rimane fino alla primavera successiva
ed ha modo di rivedere gli amici Giovanni Fantoni e Giuseppe Micali e legarsi
al nobile fiorentino Neri Corsini e all'uomo di Stato francese André-François
Miot (51). A spingerlo verso il Granducato è una certa simpatia politica per
quello Stato, suscitata dalla mitezza del suo governo e dalla libertà che
ancora vi regnava. Ritornato a Teramo agli inizi di maggio del 1796, lo
raggiungono le notizie dell'avanzata francese in Piemonte e in Lombardia.
Nessun dubbio nutre sulle mire espansionistiche di Napoleone, di cui disapprova
non solo le condizioni gravose imposte alle città occupate, ma anche le
innumerevoli requisizioni, ruberie e saccheggi dei suoi soldati. Nella
seconda metà del 1796 si riaccende nello scrittore teramano l'interesse per la
Grande Nation, in quanto vede delinearsi nella vita politica del Direttorio la
possibilità per la Francia di riprendere e consolidare quel processo di
trasformazione avviato negli anni precedenti la parentesi giacobina; interesse
che si manifesta anche attraverso il desiderio, mai realizzato, di compiere un
viaggio transalpino (52). Ciò nonostante, appare poco probabile una sua
partecipazione al concorso indetto dall'Amministrazione generale della
Lombardia il 6 vendemmiaio anno V della Repubblica francese (27 settembre 1796)
sul quesito Quale dei Governi liberi meglio convenga alla felicità d'Italia, di
cui risulterà vincitore il piacentino Melchiorre Gioia (53). Immutato è
invece il giudizio sulla corte napoletana. Nonostante infatti nel corso del '97
egli accenni ad una ripresa di dialogo con il governo borbonico (54), non
scorge alcun cambiamento nella sua politica. Sempre più, inoltre, dovrà
guardarsi dalla gelosia dei suoi nemici, soprattutto nel 1798, quando verrà
nominato portolano della città di Teramo, con responsabilità amministrative di
rilievo. La situazione si aggraverà nell'estate di quell'anno, allorché alle
trepidazioni per una probabile invasione straniera si uniranno quelle per il
susseguirsi di infondate accuse di giacobinismo costruite ai suoi danni da
parte di anonimi concittadini. Già nel 1793 era stato costretto a dare formale
prova del suo lealismo monarchico in seguito a delazioni da parte di alcuni
«malevoli di Napoli fra quali il Vescovo in unione colla magistratura» (55).
Sempre più si alimenta il sospetto di una sua cospirazione antimonarchica,
tanto che il 27 settembre 1798 è tratto in arresto, nel proprio palazzo,
assieme a tutta la famiglia (56). Liberato l'11 dicembre successivo dall'arrivo
a Teramo delle truppe francesi (57), è dapprima posto a capo della Municipalità
della città e successivamente nominato presidente dell'Amministrazione Centrale
dell'Alto Abruzzo. Il 12 gennaio 1799 è chiamato a presiedere a Pescara il
Supremo Consiglio (58), l'organo politico più importante esistente in Abruzzo,
che avrebbe dovuto fungere da raccordo tra il comando francese e i due nuovi
organismi repubblicani - i Dipartimenti dell'Alto e del Basso Abruzzo - in cui
il generale Duhesme, con il proclama del 28 dicembre 1798, aveva diviso il
territorio regionale. Non vi è dubbio che la collaborazione di Delfico
con i Francesi, per quanto piena e convinta, vada vista come il tentativo di
reinserirsi nel giro di quella politica attiva, nella quale egli da sempre
confida. Tale partecipazione, tuttavia, non segna il passaggio dello scrittore
teramano dalla prospettiva monarchico-riformistica a quella
repubblicano-giacobina (59), dal momento che l'esperienza non provoca quella
vera e propria «lacerazione» e «rottura» nella sua biografia intellettuale che
è stata riscontrata invece nei riformisti meridionali passati alla rivoluzione
(60). Tensioni ideali e finalità pratiche continuano ad essere, anche durante
la parentesi repubblicana, le stesse che lo hanno animato in tante battaglie
del passato. Persino il Piano di una amministrazione provvisoria di giustizia
pei Tribunali dei Dipartimenti e Giudici dei Cantoni (61) del 24 piovoso anno
VII (12 febbraio 1799), l'atto legislativo più importante del Consiglio Supremo
pescarese col quale viene introdotto un nuovo ordinamento giudiziario e in cui
maggiore è l'istanza egualitaria, non sembra discostarsi da certi suoi principi
e aspirazioni precedentemente espressi. Il Piano, che si inserisce fra i
provvedimenti di riforma del sistema giudiziario adottati dalla Repubblica
napoletana, sanciva, in nome delle idee di libertà e di eguaglianza, il
decentramento dell'autorità giudiziaria, prevedendo un giudice per ogni
capoluogo di cantone e un tribunale per ogni capoluogo di dipartimento; l'amministrazione
gratuita della giustizia e la corresponsione di uno stipendio ai giudici e a
tutti coloro che collaboravano all'attività giudiziaria; l'assistenza gratuita
ai poveri; la «prontezza» e «l'imparzialità» dei giudici nell'applicazione
delle norme; l'abolizione della carcerazione per debiti, a meno che non venisse
provata la «frode» del debitore; il controllo dell'attività giudiziaria nonché
la possibilità di ricorrere in appello. Volentieri egli si sarebbe
portato nella capitale partenopea dove, il 23 gennaio 1799, era stato nominato
membro del Governo Provvisorio dal comandante in capo Championnet. Ma a Napoli
Delfico non potrà recarsi mai a causa delle insorgenze antifrancesi. Di qui il
rammarico per non poter partecipare all'attività legislativa del Governo
Provvisorio a cui muove l'accusa di aver non solo «abbandonato» ma addirittura
«obliato» le province abruzzesi, lasciando che ovunque si verificassero «le più
ferali tragedie» ad opera di briganti e di scorribande antifrancesi (62). Non è
da escludere a questo punto che proprio durante il periodo pescarese Delfico
abbia elaborato, secondo una prassi piuttosto diffusa in Italia nel triennio
rivoluzionario, una Tavola dei Dritti e dei Doveri dell'uomo e del Cittadino
(63). Il testo, che si ispira alle Dichiarazioni francesi dei diritti del 1789,
del 1793 e del 1795, proclama l'uguaglianza davanti alla legge; riconosce i
diritti inalienabili di libertà, sicurezza, proprietà, resistenza
all'oppressione e i doveri inviolabili di subordinazione, benevolenza,
giustizia e obbedienza alle leggi. Fa risiedere la sovranità nella Nazione, cui
spetta, attraverso i suoi rappresentanti, emanare le leggi, stabilire le
imposizioni, cambiare la costituzione e il governo. Ammette la possibilità di
armarsi contro ogni forma di manifesta violenza e di tirannia e non esclude il
ricorso all'insurrezione, ma solo in casi estremi, mentre condanna le rivolte e
i perturbatori dell'ordine pubblico, per odio forse delle sommosse che si
stavano verificando agli inizi del '99 e di quanti sobillavano le masse contro
le nuove istituzioni. Il 28 aprile 1799, di fronte al crescente stato di
abbandono delle province abruzzesi e alla partenza dei Francesi da Teramo,
Delfico preferisce, prima ancora della caduta della Repubblica napoletana,
lasciare Pescara e sotto il falso nome di Carlo Cauti riparare via mare nelle
Marche, per poi raggiungere nel settembre successivo San Marino (64). Nella
piccola Repubblica rimarrà fino al 1806, quando Giuseppe Bonaparte, divenuto re
di Napoli, in giugno lo chiamerà al suo fianco con la carica di consigliere di
Stato. Durante il soggiorno sammarinese Delfico si interrogherà a lungo
sulla «tempestosa crisi» di fine secolo di cui, come Cuoco (65), critica
l'«immatura ed intempestiva» manifestazione, come pure il metodo
rivoluzionario, ritenuto «distruttivo» (66). La confusione dei princìpi,
l'eccesso di passioni assieme a mal fondati calcoli avevano fatto nascere delle
idee politiche così «mostruose» che per i loro intrinseci difetti non avevano
potuto a lungo sopravvivere. Fu la Francia, afferma, a far sorgere dei canoni
politici «falsi e irregolari». L'Italia, «abbagliata ed attonita - scrive - non
ebbe tempo a riflettere, che le confuse proclamazioni di libertà, benché le
provenissero da quella nazione che aveva prodotti i più grandi filosofi
politici del secolo, Montesquieu, Rousseau, Sieyès, pure non aveva mai essa
veduta la libertà in propria casa, mai ne aveva avuta la pratica né la finezza
del senso e il gusto per conoscerla, così non poteva avere le forze
intellettuali e le qualità morali per effettuare una tale palingenesia»
(67). Dal ripensamento della vicenda rivoluzionaria Delfico trae
l'indicazione della necessità di un recupero della tradizione storica
nazionale: «Se si fosse consultata la storia d'Italia con qualche diligenza, si
sarebbe trovato, che lo spirito di ragione e di moderazione fece dell'Italia il
soggiorno o la sede della libertà nei secoli più remoti» (68). A questo senso
di moderazione l'Italia deve continuamente richiamarsi e gli eventi recenti ed
i fatti antichi devono persuaderla, che non vi è altro mezzo alla sua
tranquillità e alla sua felicità. La critica delficina dell'esperienza
rivoluzionaria si risolve, in definitiva, nella ricerca di una linea politica
saggia e realistica che non miri alle magiche trasformazioni ma proceda per
«proporzionate graduazioni» alla realizzazione di un programma costituzionale a
cui è lecito aspirare. Tutta l'attenzione è rivolta alla individuazione di modi
civili più adatti e convenienti all'umana convivenza i quali, più che nelle
forme politiche stereotipe, egli ritiene realizzabili, riprendendo una
definizione vichiana, nei governi umani, di cui proprio il piccolo Stato di San
Marino, nonostante il suo processo di incivilimento avesse subìto arresti ed
involuzioni, rappresentava un modello politico reale che, in modo non
utopistico, «mostrava non essere impossibile alla specie umana una tal forma di
società» (69). Dalla piccola Repubblica Delfico uscirà diverse volte per
riordinare la biblioteca pubblica della vicina Rimini, dove trascorrerà alcuni
mesi nella casa del marchese Giovanni Maria Belmonte, la cui amicizia risaliva
al 1784, o per andare a Bologna dal suo amico Alberto Fortis, in quel tempo
prefetto della biblioteca nazionale della città. Da gennaio ad aprile del 1803
soggiornerà ad Ascoli Piceno dal fratello Giamberardino. Nel 1804 si porterà a
Milano per seguire la stampa del suo libro sulla storia di San Marino. Nel
capoluogo lombardo, dove sarà l'ispiratore della ristampa dei Principj della
legislazione universale di Georg Ludwig Schmidt d'Avenstein, rivedrà Vincenzo
Cuoco e stringerà nuove amicizie, tra cui quelle con Giuseppe Bossi, Pietro
Custodi e Francesco Saverio Salfi. Ma, soprattutto, si legherà a Gian Giacomo
Trivulzio, a Leopoldo Cicognara, grazie al quale entrerà in contatto con il
celebre scultore Antonio Canova, e a sua moglie Massimiliana Cislago, donna
assai colta e amica di Melchiorre Cesarotti, con il quale resterà, come con gli
altri, in corrispondenza. Infine, dall'autunno all'inverno di quello stesso
anno si fermerà di nuovo ad Ascoli, da suo fratello. È, quello
sammarinese, un periodo in cui Delfico, fuori dalla vita politica attiva,
riprende gli studi e pubblica le Memorie storiche della Repubblica di S. Marino
e l'opera sua più famosa, Pensieri su l'istoria e sull'incertezza ed inutilità
della medesima che, usciti a Forlì nel 1808, vedono in poco tempo altre due
edizioni (70). Lo studio della storia in stretta relazione con la realtà
presente, già ricorrente negli scritti giovanili, trova nelle Memorie storiche
diretta applicazione. Nonostante, infatti, l'Autore dichiari, nelle battute
iniziali della prefazione, di non essere nell'opinione di coloro i quali
riguardano la storia come «maestra della vita e dispensatrice della civile
sapienza» (71), in realtà poi egli, attraverso una ricerca diligente e vasta,
scrive una vera storia. In essa indaga le ragioni del «mito» di San Marino, di
come cioè un piccolo stato abbia mantenuto nel tempo la propria libertas e
serbato l'antica e prediletta forma repubblicana, tanto da assurgere a modello
politico agli inizi del Seicento con Traiano Boccalini, Lodovico Zuccolo e
Matteo Valli. Sotto tale aspetto dunque scrivere la storia della piccola
Repubblica era tutt'altro che inutile, perché essa avrebbe mostrato le vicende
di un popolo che poteva costituire «un esempio degno d'imitazione» (72). Questa
«rivalutazione» dell'esperienza storica (73) appare quanto meno strana in un
pensatore considerato da alcuni l'espressione più radicale dell'antistoricismo
italiano (74). Nei Pensieri Delfico affronta il problema della conoscenza
storica in tutta la sua interezza ed estensione, per stabilire «se la scienza
di ciò che fu, debba preferirsi a quella dell'esistenza» (75). Con quest'opera
esprime l'esigenza, già manifestata nell'Elogio al Grimaldi, di una storia
utile, che indaghi e interroghi il passato in funzione del presente. Ma perché
questo avvenga è necessario ideare un nuovo modo di fare storia. Alla
tradizione storiografica, infatti, egli rimprovera l'uso di sistemi
metodologici inadeguati e parziali che sarebbe la causa della mancata
conoscenza del passato. Come e più di Fontenelle, Voltaire, d'Alembert,
Rousseau, Condorcet, Volney, delle cui Leçons d'histoire (76) risente la
stesura dei Pensieri (77), nega che le ricostruzioni dei fatti fino ad allora
condotte siano state in grado di riprodurre fedelmente la verità storica. E se
priva di certezza, la storia non presenta alcuna vera utilità per il genere
umano. Egli si pone principalmente il problema della manière d'écrire
l'histoire, proprio della storiografia illuministica. A tal fine, denuncia
deficienze e manchevolezze che ancora permangono negli studi storici e lamenta
che la proliferazione incontrollata degli stessi abbia dato luogo ad una loro
stagnazione piuttosto che a un ripensamento critico dei principi e dei criteri
della pratica storiografica. Occorre distogliere l'analisi storica dal proporre
il «secco e nudo racconto» di pochi avvenimenti, per indurla a valutare le
circostanze nel loro complesso, ad indicare i rapporti che intercorrono tra gli
effetti e le loro cause. Essa dovrebbe consistere in un'esposizione analitica
di fatti gli uni dipendenti dagli altri, per scorgere come dai primi e più
semplici siamo gradatamente giunti alle attuali positive cognizioni, di modo
che «mostrandoci i due estremi c'indicherebbe più facilmente la strada da
percorrere, per andare in cerca delle altre verità desiderose di venire alla
luce» (78). Così concepita, l'indagine storica permetterebbe di recuperare
positivamente l'eredità del passato, che cesserebbe di appartenere alla memoria
per divenire una componente integrante del processo storico contemporaneo. Una
convinzione, questa, che trova conferma in un successivo scritto delficino del
1824, Discorso preliminare su le origini italiche (79), in cui viene ribadita
l'opportunità di interrogare il passato e «registrare i fatti del tempo» in
funzione dei bisogni presenti. Quest'azione di cerniera tra il tempo andato e
quello avvenire rappresenta l'aspetto più interessante della storia. Essa la
pone su un piano di parità con le altre scienze a cui l'accomuna il merito di
protendere al miglioramento fisico e morale dell'uomo. Ma perché la ricerca
storica possa adempiere a queste funzioni conoscitive si richiede che essa sia
«qual non esiste», cioè una disciplina nuova, ancora intentata, che Delfico
chiama anche «storia delle scienze». Le cognizioni storiche perdono allora il
carattere di sterile nozionismo, che hanno sempre avuto, e acquistano un valore
intrinseco: «Sobriamente conoscendo quel che fu», afferma a conclusione della
sua opera, «potremo facilitarci la strada a saper ampiamente quel che è»
(80). Un atteggiamento polemico egli assume anche nei confronti delle
mitologie la cui origine sarebbe dovuta a superstizione, ad ignoranza o ad
incapacità di fornire una spiegazione razionale a fenomeni naturali. È il caso
degli incantatori di serpenti e del loro presunto potere antiofidico, contro
cui egli insorge in una Lettera di poche pagine, senza titolo, inserita a guisa
di nota nel VI tomo degli Annali del Regno di Napoli di Francescantonio
Grimaldi (81) e rimasta a lungo sconosciuta agli studiosi (82). La
dissertazione, che si colloca nel filone della letteratura illuministica di confutazione
delle superstizioni, è una dura requisitoria contro gli «impostori» serpari, i
quali spacciano per miracoli e portenti ciò che in realtà non avrebbe nulla di
prestigioso ma sarebbe solo il risultato o di una conoscenza particolare delle
caratteristiche dei serpenti o di effetti naturali. Una diversa
considerazione, invece, egli ha dei cosiddetti «favoleggiatori». Come il
«virtuoso» Socrate e il «divino» Platone, Delfico tiene in grande
considerazione il racconto allegorico. Quando ancora lo spirito umano, afferma
nel Discorso sulle favole esopiane del 1792 (83), non aveva maturato le
sensazioni e le esperienze necessarie per poter generalizzare le idee ed
esprimerle con precisione e proprietà di linguaggio, fu naturale che i primi
pensieri morali, il sentimento di giustizia, le nozioni di bene e di male e
molti altri concetti fossero acquisiti attraverso gli apologhi, che divennero
così «la morale dell'infanzia dell'umanità». La loro utilità non verrebbe meno
neppure nei tempi moderni dal momento che gli apologhi, se convenientemente
scelti, possono giovare non soltanto ai giovani ma anche a quella parte del
popolo che, ancora vittima dell'«errore» e del «pregiudizio», si trova in uno
stato «più infelice» (84) di quello dei secoli remoti. Il ritorno a
Napoli dei Francesi, nel febbraio del 1806, viene salutato come l'inizio di una
nuova stagione politica. Esso rappresenta per lo scrittore teramano
quell'inversione di rotta che «era ormai tempo che si facesse» (85) e che lo
induce a riportarsi, nel giugno di quell'anno, dopo sette anni di esilio
sammarinese, nella capitale partenopea dove farà parte, per quasi un decennio,
della nuova amministrazione francese. Nell'età napoleonica egli intravede la
possibilità di un recupero di quello «spirito di ragione e di moderazione», a
cui riteneva necessario ricondurre la politica dopo la crisi di fine secolo e
che costituiva l'unica via possibile di sviluppo, sia contro gli eccessi dei
rivoluzionari, sia contro le intemperanze dei reazionari. Nominato da
Giuseppe Bonaparte consigliere di Stato (3 giugno 1806), Delfico viene
assegnato alla sezione delle Finanze, per poi passare nel 1809 alla presidenza
della sezione dell'Interno, divenendo uno dei quattro presidenti del Consiglio
di Stato. Regge più volte ad interim il ministero dell'Interno, facendo parte
delle Commissioni per le lauree, per le pensioni, per le riforme del Codice
civile, per la procedura delle cause feudali in Cassazione, per la riforma
della pubblica istruzione, per la ripartizione dei demani, per la vendita dei
beni dello Stato. Presidente della Commissione degli Archivi generali del
Regno, nominato commendatore dell'ordine delle Due Sicilie, nel 1815 viene
insignito da Gioacchino Murat del titolo di Barone (86). I numerosi
incarichi di responsabilità non lo distolgono dalla tensione intellettuale,
tutta incentrata sullo studio della fisiologia e di altre fisiche cognizioni.
Evidente appare il suo debito nei confronti di Pierre-Jean-Georges Cabanis
(1757-1808), sostenitore della sensibilità fisica quale fondamento
dell'attività umana. Delle teorie dei Rapports du physique et du moral de
l'homme (1802), l'opera più importante del filosofo francese, risentono
soprattutto le Ricerche su la sensibilità imitativa considerata come il
principio fisico della sociabilità della specie e del civilizzamento dei popoli
e delle Nazioni del 1813 (87) e la Memoria su la perfettibilità organica
considerata come il principio fisico dell'educazione con alcune vedute sulla
medesima del 1814, cui segue, l'anno successivo, la Seconda memoria (88). Del
1818 sono, infine, le Nuove ricerche sul Bello (89), pubblicate a Napoli da
Agnello Nobile. Con la restaurazione dei Borboni, nel 1815, Delfico
dirada il suo impegno nella vita politica. Ciò nonostante, all'indomani dello
scoppio insurrezionale del 1820, Ferdinando I gli affida l'incarico di tradurre
la Costituzione spagnola del 1812 e subito dopo, il 9 luglio 1820, lo nomina
(assieme ad altri 14) membro della Giunta provvisoria di governo, chiamata a
sostituire il Parlamento fino al suo insediamento. Successivamente sarà uno
degli 89 deputati di quel Parlamento che, costituitosi il 1° ottobre 1820,
vivrà solo fino al marzo 1821, quando Ferdinando I chiederà l'intervento
austriaco per porre fine all'esperienza costituzionale e dar vita ad un nuovo
governo reazionario. Deluso, decide di allontanarsi definitivamente dagli
ambienti governativi. Dopo il crollo del dominio francese in Italia, egli
teme non soltanto la rivalsa delle forze reazionarie ma anche (soprattutto) che
si interrompa quel processo di sviluppo economico e di trasformazione sociale,
avviato dai Napoleonidi (90), che lentamente stava facendo risorgere il Paese.
Nell'azione di ripristino dell'antico, che si svolge all'insegna della
ricomposizione della vecchia alleanza tra trono e altare, il Teramano vede
profilarsi la minaccia di rendere il mondo «stazionario» se non addirittura di
farlo a grandi passi o salti «retrogradare». Un'ipotesi resa, a suo avviso,
ancora più probabile da letture ideologicamente distorte di grandi autori, non
ultimo Niccolò Machiavelli, che alimentano l'esistenza di pregiudizi dei quali
ci si serve per sostenere fini politici particolari. Questo clima è per Delfico
l'occasione (o forse soltanto il pretesto) per una rilettura del «gran politico
pensatore», di cui in gioventù aveva subìto qualche influenza. Scrive così,
agli inizi degli anni venti dell'Ottocento, le Osservazioni sopra alcune
dottrine politiche del Segretario fiorentino (91), nate dall'esigenza di
confrontarsi con Machiavelli intorno ad alcuni temi, come la religione, la
libertà, il problema costituzionale, l'uguaglianza, per smascherare alcuni
pregiudizi che si sarebbero formati sotto la sua «potente autorità» (92), senza
tuttavia tralasciare alcune sue verità che potrebbero risultare ancora utili
per le civili società. Da questo confronto fuoriescono talora divergenze più o
meno accentuate o giudizi critici, ma anche affinità e valutazioni
positive. Dell'«illustre autore» Delfico sottolinea il realismo politico
e l'aderenza alla realtà effettuale. Egli guarda il Principe non come
un'astratta speculazione politica, bensì come uno scritto d'occasione
contenente una particolare proposta operativa, in relazione ad un obiettivo
politico contingente, qual è la rigenerazione dell'Italia. Senza farne a tutti
i costi un precorritore del Risorgimento o un assertore dell'unità nazionale,
secondo un'interpretazione del Fiorentino allora assai diffusa, egli ammira in
lui la «viva passione», la disperata ricerca di soluzioni politiche capaci di
porre fine alla grave crisi della società italiana del Cinquecento. Ma la
condizione di immobilismo e di decadenza politica e civile dell'Italia, per la
quale Machiavelli suggerisce la soluzione del Valentino quale liberatore degli
Stati italiani, non porta lo scrittore teramano a condividere interamente tutte
le tesi del Segretario fiorentino: «Se si possono giustificare le sue
intenzioni, e la persona» afferma «questo non vale per le sue dottrine» (93).
Infatti, se da un lato egli comprende le preoccupazioni di Machiavelli e fa
proprie le sue speranze di una prossima rigenerazione, attuabile quest'ultima
solo attraverso mezzi eccezionali, dall'altro manifesta più di una perplessità
di fronte al suo realismo politico, non riuscendo di fatto ad accettare la
dissociazione machiavelliana tra etica e politica e il principio che «per
regnar tutto lice» (94). Divergenze emergono anche dal tentativo che
Delfico in seguito compie di ricondurre il pensiero machiavelliano ai tempi
presenti per poi valutarlo sulla base delle proprie convinzioni ed esperienze
storiche, politiche e culturali maturate tra il XVIII e il XIX secolo. Molte
sono tuttavia le idee del Fiorentino che considera ancora valide e attuali,
come l'identificazione dell'origine dei conflitti sociali con l'ineguaglianza
giuridica ed economica, l'assoluta inconciliabilità tra gli «umori» del popolo
e quelli dei grandi (95) o la condanna del ruolo antisociale dei
«gentiluomini», di quegli uomini cioè che, «oziosi», vivono dei proventi dei
loro ingenti possedimenti (96). Ma, soprattutto, riconosce a Machiavelli il
merito di aver legato la «questione militare» alla «questione politica», di
aver ritenuto la soluzione dell'una imprescindibile da quella dell'altra. Tale
correlazione presuppone ed implica un nuovo rapporto tra governanti e governati
basato sul reciproco impegno, da parte del popolo, di assicurare la propria
«affezione» allo Stato, così da garantirgli una maggiore stabilità; da parte
dei governi, di soddisfare le aspirazioni dei sudditi, migliorandone le
condizioni. Lo sviluppo di questo vincolo, che con assoluta originalità Delfico
fa derivare dal nesso tra dimensione militare e dialettica politica, è
concepito all'interno di una monarchia costituzionale, considerata la forma più
«conveniente all'Umanità ed ai veri bisogni sociali», la giusta soluzione tra
rivoluzione e reazione. L'emanazione di una carta costituzionale, di cui aveva
manifestato l'esigenza sin dai primi anni della rivoluzione francese, risponde
soprattutto all'esigenza di assicurare l'uguaglianza politica e la tutela dei
diritti individuali dei cittadini, garantendo loro la sicurezza reale e
personale. Nel maggio del 1822 Delfico torna a Teramo, ma nell'autunno
successivo si reca di nuovo a Napoli dove rimane per alcuni mesi, fino alla
primavera del 1823, quando lascia la Capitale per non farvi più ritorno. Nel
capoluogo abruzzese, dove trascorre il resto della sua vita, senza mai più
allontanarsi, l'anziano scrittore continua a studiare e a scrivere. Fra i
lavori di questi anni (alcuni dei quali ancora inediti e, di questi, molti non
terminati o soltanto abbozzati e frammentari) ricordiamo la memoria Della
importanza di far precedere le cognizioni fisiologiche allo studio della
filosofia intellettuale del 1823 (97), in cui ribadisce la sua concezione
materialistica della conoscenza e concepisce la ragione come strumento critico
e operativo, che non deve tuttavia ostinarsi ad indagare l'essenza delle cose e
tutto ciò che non può realmente conoscere ma rivolgersi alle cose utili e necessarie
al benessere e alla felicità del genere umano, e gli scritti sulla numismatica
pubblicati a Teramo dai tipi Ubaldo Angeletti nel 1824 con il titolo Della
antica Numismatica della città di Atri nel Piceno con un discorso preliminare
su le origini italiche (98). Non verrà meno neppure il suo impegno
riformatore che lo porterà ad interessarsi di Pescara in due scritti, dal
titolo Fiera franca in Pescara del 1823 e Breve cenno sul progetto di un porto
da costruirsi alla foce del fiume Pescara del 27 aprile 1825 (99), con i quali
si prefigge di rivitalizzare le attività produttive in questa zona ancora poco
sviluppata del Regno. Decisivo gli appare a tal proposito un rilancio del
commercio, considerato «la sola sorgente inesausta della ricchezza e floridezza
delle Provincie» (100), non senza però aver prima creato le condizioni e le
strutture necessarie per facilitarlo. Una di queste potrebbe essere la
realizzazione di un grande emporio o fiera franca, che non solo ridurrebbe
sensibilmente le frodi e il contrabbando, ma assicurerebbe un notevole afflusso
di merci, di provenienza anche straniera, senza l'imposizione di alcun dazio di
importazione, che eviterebbe ai negozianti, ai mercanti e a molti proprietari
abruzzesi di rivolgersi, non senza grave danno, ai mercati dello Stato
pontificio di Fermo, di Ascoli o a quello più grande e lontano di Senigallia.
Tutto ciò non farebbe che ripercuotersi favorevolmente sul commercio che
potrebbe così finalmente «divenir attivo» (101) e moltiplicare i capitali e far
nascere nuove attività economiche o migliorare e accrescere quelle
esistenti. La creazione di uno moderno scalo marittimo alla foce del
fiume Pescara costituisce l'oggetto della riflessione che Delfico conduce nel
Breve cenno. L'idea che il «mare anziché separare riavvicini le Nazioni fra
loro» (102), permettendo infinite comunicazioni tra i popoli, costituisce la
determinazione dalla quale lo scrittore teramano muove per sostenere l'utilità
che la creazione di un porto sicuro per i naviganti rivestirebbe per
l'incremento del commercio e per lo sviluppo economico in generale. La scelta
di Pescara quale centro di scalo portuale trova giustificazione nel fatto di
avere la cittadina adriatica il fiume con la foce più ampia e di essere «punto
centrale nel litorale degli Abruzzi», crocevia delle tre principali strade,
l'una diretta verso Napoli, le altre, entrambe costiere, in direzione la prima
verso lo stato pontificio, la seconda verso le province meridionali. Non solo,
ma sarebbe anche l'unico porto ad avvalersi di una «piazza forte» che
renderebbe sicuro il trasporto e la conservazione delle merci. Così il porto di
Pescara potrebbe riacquistare quell'importanza che aveva avuto un tempo quando
era conosciuto con il nome di Ostia Aterni e gli imperatori romani vi avevano
fatto confluire le tre strade, la Claudia, la Flaminia e la Frentana per
agevolarne gli scambi commerciali (103). A metà degli anni Venti un libro
anonimo, dal titolo La vérité sur les cent jours, principalement par rapport à
la renaissance projetée de l'Empire Romain, par un Citoyen de la Corse (H.
Tarlier, Bruxelles 1825), di cui uscirà nel 1829 una traduzione italiana
incompleta dal titolo Delle cause italiane nell'evasione dell'imperatore
Napoleone dall'Elba, con la falsa indicazione del luogo e dell'editore del
testo originale, riferisce di una congiura che sarebbe stata ordita nel 1814 da
alcuni italiani per affidare la corona d'Italia a Napoleone Bonaparte. Dei
presunti cospiratori, rimasti anonimi nel libro, l'Autore fa il nome soltanto
del conte Luigi Corvetto (1756-1821), «justement regardé comme un des meilleurs
jurisconsultes de Gênes» e di Melchiorre Delfico, «un des hommes les plus
vertueux de l'Italie», ritenendoli, erroneamente, entrambi deceduti. Al
Teramano viene anche attribuita la stesura di un Rapport adressé à S. M.
l'empereur Napoléon à l'île d'Elbe, par le principal émissaire en Italie,
datato Napoli 14 ottobre 1814 (104), sulle condizioni politiche e morali dei
vari Stati italiani, che sarebbe dovuto servire all'imperatore francese per
meglio valutare le possibilità di successo dell'impresa. Ma nessuna conferma in
proposito è mai venuta dalle carte delficine, né da successive ricerche, per
cui ancora oggi l'ipotesi di una partecipazione del Nostro al progetto resta
legata a quest'unica notizia. Nel 1829 Delfico pubblica la lettera
Della preferenza de' sessi (105) alla contessa Chiara Mucciarelli Simonetti in
cui riprende i temi della condizione ed emancipazione della donna affrontati in
gioventù nel Saggio filosofico sul matrimonio. Trascorre gli ultimi anni della
vita continuando a coltivare i suoi interessi intellettuali. A questo periodo
risalgono i suoi studi sulla scienza medica testimoniati da numerose pagine,
ancora inedite, conservate presso il «Fondo Delfico» della Biblioteca
Provinciale di Teramo, e la stesura di alcuni manoscritti di cui uno dal titolo
Sugli antichi confini del Regno e un altro dal titolo Sull'origine e i
progressi delle Società civili che invia al marchese aquilano Luigi Dragonetti,
il quale ne caldeggia la pubblicazione, ma invano perché il suo autore intende
«rivederlo» (106). Nel 1832 riceve la visita di Ferdinando II, in giro per le
regioni del Regno, e viene insignito, l'anno successivo, dell'onorificenza di
Commendatore dell'Ordine di Francesco I. Nel capoluogo abruzzese Delfico muore
il 21 giugno 1835. Dopo la notorietà di cui aveva goduto in vita, alla
sua morte Delfico cade in un lungo e ingiustificato oblio. Uscito grazie a
Giovanni Gentile (107) dal ristretto ambito locale, che lo aveva reso per tutto
l'Ottocento un autore sostanzialmente sconosciuto, e proiettato in una
dimensione più ampia, nazionale, Delfico è oggetto di una diversa
considerazione a partire dal secondo dopoguerra. Una rivalutazione che si
determina in coincidenza con il rinnovato interesse storiografico per la
cultura e la storia del Settecento e, in particolare, per alcune esperienze
intellettuali e politiche significative dell'illuminismo italiano (108). Merito
di questa storiografia è quello di aver ricondotto e legato il riformismo
delficino all'esperienza e al fervore culturale del movimento riformatore
napoletano della seconda metà del XVIII secolo. Una lettura che ha privilegiato
il Delfico «riformatore», la sua fase riformistica, contrapponendosi alle
rivisitazioni critiche precedenti, sia della storiografia neoidealistica che
del ventennio fascista (109). Di recente, nuove linee interpretative stanno
approfondendo altre fasi fondamentali della biografia intellettuale di
Melchiorre Delfico (alcune delle quali scarsamente scandagliate), come quella
relativa al decennio rivoluzionario 1789-1799 o quelle che contrassegnano la
sua evoluzione, agli inizi dell'Ottocento e durante gli anni della
Restaurazione, da riformatore nutrito dell'illuminismo napoletano a filosofo
della storia e della politica. (1) Era nato il 1° agosto 1744 in un
paesino vicino Teramo, Leognano, dove i genitori, Berardo e Margherita Civico,
si erano rifugiati durante l'invasione austriaca del Regno di Napoli. Morirà a
Teramo il 21 giugno 1835, all'età di novantun anni. Per le notizie biografiche,
la migliore fonte resta quella del nipote G. De Filippis-Delfico, Della vita e
delle opere di Melchiorre Delfico. Libri due, Angeletti, Teramo 1836,
arricchita di un'elencazione degli scritti editi ed inediti del Nostro (alcuni
dei quali successivamente pubblicati), nonché di quelli non terminati e dei
frammenti. Rimasta incompiuta, l'opera continuò sul «Giornale abruzzese di
scienze lettere e arti», a. col titolo Notizie
intorno alle opinioni filosofiche ed alle opere di Melchiorre Delfico e, sempre
sulla stessa rivista, col titolo Notizie sulla vita e sulle opere di Melchiorre
Delfico. (2) Molti degli amici e dei discepoli del Genovesi furono
abruzzesi. Fra loro ricordiamo, oltre ai fratelli Giamberardino, Gianfilippo e
Melchiorre Delfico, il teatino Romualdo de Sterlich, Tommaso Maria Verri di
Archi, Giuseppe De Sanctis di Penne, l'aquilano Giacinto Dragonetti, Giovanni
Alò di Roccaraso, il teramano Giammichele Thaulero e Troiano Odazi di Atri, che
nel 1781 successe al Maestro nella cattedra di economia. Sulla presenza anche
in Abruzzo di quello che è stato definito il «partito genovesiano», cfr. G. De
Lucia, Abruzzo borbonico. Cultura, società, economia tra Sette e
Ottocento, Cannarsa, Vasto 1984, pp. 23-31 e 46-49; U. Russo, Studi sul
Settecento in Abruzzo, Solfanelli, Chieti 1990, pp. 25-31 e 53-63. (3) F.
Diaz, Dal movimento dei lumi al movimento dei popoli, Il Mulino, Bologna 1986,
p. 317. (4) Sul riformismo borbonico, cfr. F. Valsecchi, Il riformismo
borbonico in Italia, Bonacci, Roma 1990, pp. 103-155; I Borbone di Napoli
e i Borbone di Spagna, a cura di M. Di Pinto, Guida, Napoli 1985, vol. I; E.
Chiosi, Il Regno dal 1734 al 1799, in Storia del Mezzogiorno, vol. IV, t. II,
Il Regno dagli Angioini ai Borboni, Edizioni del Sole, Roma 1986, pp. 373-467,
e la sintesi di a. M. Rao, Il riformismo borbonico a Napoli, in Storia della
società italiana, vol. 12, Il secolo dei lumi e delle riforme, Teti, Milano e
la ricca bibliografia in essa contenuta. (5) Lo scritto, dedicato a
Bartolomeo Intieri e pubblicato assieme al Ragionamento sopra i mezzi più
necessari per far rifiorire l'agricoltura dell'abate Ubaldo Montelatici colla
Relazione dell'erba orobanche detta volgarmente succiamele e del modo di estirparla
di Pier-Antonio Micheli, uscì a Napoli nel 1753. (6) A. Genovesi, Lettere
accademiche su la questione se sieno più felici gl'ignoranti che gli scienziati
(Napoli 1764), Lettera XI, in Autobiografia, lettere e altri scritti, a cura di
G. Savarese, Feltrinelli, Milano 1962, p. 497. (7) Per una valutazione
dell'influenza di Pietro Giannone sulla cultura napoletana del XVIII secolo
oltre al lavoro sempre valido di L. Marini, Pietro Giannone e il giannonismo a
Napoli nel Settecento. Lo svolgimento della coscienza politica del ceto
intellettuale del regno, Laterza, Bari 1950, cfr. G. Ricuperati, L'esperienza
civile e religiosa di Pietro Giannone, Ricciardi, Milano-Napoli 1970; Pietro
Giannone e il suo tempo, a cura di R. Ajello, Jovene, Napoli 1980, 2 voll., sp.
il contributo di E. Chiosi, La tradizione giannoniana nella seconda metà del
Settecento, vol. II, pp. 744-780. (8) Sulla posizione di Genovesi nei
confronti dell'autorità temporale e dottrinale della Chiesa, cfr. E. Pii,
Antonio Genovesi. Dalla politica economica alla «politica civile», Olschki,
Firenze 1984, p. 158 sgg.; G. Galasso, La filosofia in soccorso de' governi. La
cultura napoletana del Settecento, Guida, Napoli 1989, p. 383 sgg. (9) Le
due Memorie, dal titolo Intorno a' dritti sovrani di Napoli sulla città di
Benevento e Saggio istorico delle ragioni dei Sovrani di Napoli sopra la città
d'Ascoli d'Abruzzo oggi nella Marca, furono commissionate a Delfico
dall'avvocato della Corona Ferdinando De Leon. Della prima, tuttora inedita,
esiste una copia autografa presso l'Archivio di Stato di Teramo, «Fondo
Delfico», b. 16, fasc. 178, dal titolo Del territorio beneventano. La seconda,
invece, fu pubblicata la prima volta su «La Rivista abruzzese di scienze e
lettere» nel 1890 (a. V, fasc. I, pp. 22-30; fasc. III-IV, pp. 142-168; fasc.
V-VI, pp. 2), preceduta dalle Notizie di L. Volpicella sulle vicende del
manoscritto. Il Saggio istorico è stato riedito nelle Opere complete, vol. III,
Fabbri, Teramo 1903, pp. 9-80. La raccolta, che non esaurisce tutti gli scritti
delficini (alcuni dei quali pubblicati successivamente, altri ancora inediti),
esce a Teramo dal 1901 al 1904, in quattro volumi, a cura di G. Pannella e L.
Savorini. (10) M. Delfico, Del territorio beneventano, cit., p. 17.
(11) F. Venturi, Introduzione ai Riformatori napoletani, t. V degli Illuministi
italiani, Ricciardi, Milano-Napoli G. De Filippis-Delfico, Della vita e delle
opere di Melchiorre Delfico, cit., p. 11. (13) M. Delfico, Memoria
autobiografica, inedita, conservata presso la Biblioteca Provinciale di Teramo,
fondo «Manoscritti Delfico», Misc. 3, n. 846. (14) M. Delfico, Saggio
filosofico sul matrimonio, in Opere complete, cit., vol. III, p.
126. (15) A. Garosci, San Marino. Mito e storiografia tra i libertini e
il Carducci, Edizioni di Comunità, Milano
(16) Lettera di Delfico a Luigi Dragonetti del 10 luglio 1826, in
Spigolature nel carteggio letterario e politico del march. Luigi Dragonetti, a
cura del marchese G. Dragonetti suo figlio, Uffizio della Rassegna Nazionale,
Firenze La lettera è stata riedita nelle Opere complete, M. Delfico, Indizi di
morale, in Opere complete, Sull'ambiguità concettuale di tale espressione cfr.
M. Bazzoli, Il pensiero politico dell'assolutismo illuminato, La Nuova Italia,
Firenze, Guerci, L'Europa del Settecento. Permanenze e mutamenti, Utet, Torino
1988, pp. 501-508. (19) M. Delfico, Indizi di morale, cit., (20) Ivi, p. 47. (21) Per una
ricostruzione dell'intera vicenda rinvio a V. Clemente, Rinascenza teramana e
riformismo napoletano (1777-1798). L'attività di Melchiorre Delfico presso il
Consiglio delle Finanze, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1981, pp.
71-85. (22) L'espressione è ricorrente nella Relazione di Mons. Luigi
Pirelli alla Sacra Congregazione del Concilio del 14 febbraio 1778, in V.
Clemente, Rinascenza teramana e riformismo napoletano, cit., pp. 86-99.
(23) Cfr. M. Delfico, Discorso sullo stabilimento della milizia provinciale, in
Opere complete, F. Venturi, Nota introduttiva (a M. Delfico), in Riformatori
napoletani, cit., p. 1168. (25) Favorevole nel 1783 ad un più moderno
sviluppo dell'attività risiera per una ripresa economica della sua provincia,
Delfico assumerà alcuni anni più tardi un atteggiamento decisamente contrario
alla risicoltura. Su tale mutamento, cfr. V. Clemente, Cronache della
defeudalizzazione in provincia di Teramo: le risaie atriane in «Itinerari», M.
Delfico, Elogio del marchese D. Francescantonio Grimaldi, presso Vincenzo
Orsino, Napoli 1784, in Opere complete, cit., vol. III, pp. 222-260. (27)
Delfico ammira soprattutto la Vita di Ansaldo Grimaldi (Napoli 1769), poiché in
essa l'Autore era riuscito a saldare la vicenda dell'uomo di Stato genovese con
la storia politica dello Stato stesso e a far vedere come la mancanza di costituzioni
e di leggi fondamentali tenesse lo Stato «in continua rivoluzione» (Elogio del
marchese D. Francescantonio Grimaldi, cit., p. 235). (28) M. Delfico,
Elogio del marchese D. Francescantonio Grimaldi, cit., p. 245. (29) J.-J.
Rousseau, Discours sur l'origine et les fondements de l'inégalité parmi les
hommes (1754), in Oeuvres complètes, vol. III, Gallimard, Paris
1964, p. 193. (30) M. Delfico, Elogio del marchese D. Francescantonio
Grimaldi, cit., p. 253. (31) Su tale associazione, fondata il 1° maggio
1776 ad Ingolstadt da Adam Weishaupt, cfr. C. Francovich, Gli Illuminati di
Baviera, in Storia della massoneria in Italia dalle origini alla rivoluzione
francese, La Nuova Italia, Firenze 1974, pp. 309-334. (32) Alcune lettere
sono state pubblicate nel quarto volume delle Opere complete di Delfico, cit.,
pp. 154-162; altre sono apparse nel primo volume di Aus dem Briefwechsel
Friedrich Münters. Europäische Beziehungen eines dänischen Gelehrten 1780-1830,
herausgegeben von Ø. Andreasen, Erster Teil, P. Haasse, Kopenhagen-Leipzig
1944, pp. 215-220. Due di queste ultime sono state riprodotte in appendice al
libro di A. Di Nardo, Storia e scienza in Melchiorre Delfico. (Studi e
ricerche), Libera Università Abruzzese degli Studi «G. D'Annunzio», Facoltà di Lettere
e Filosofia, Chieti 1978, pp. 154-155 e 157-160, il quale ha pubblicato altre
lettere di Delfico a Münter, assieme ad alcune lettere di Delfico alla sorella
del Danese Federica Brun (ivi, pp. 140-166). Altre, ancora inedite, sono
conservate presso la Biblioteca Provinciale di Teramo. (33) M. Delfico,
Memoria sul Tribunal della Grascia e sulle leggi economiche nelle provincie
confinanti del Regno, Porcelli, Napoli 1785, ora in Opere complete, cit., vol.
III, pp. 265-323. (34) G. Solari, Studi su Francesco Mario Pagano, a cura
di L. Firpo, Giappichelli, Torino 1963, p. 201. Sullo stesso piano l'Autore
pone l'altro scritto di Delfico, Memoria sulla libertà del commercio, e l'opera
sull'Annona di Domenico Di Gennaro, duca di Cantalupo, pubblicata anonima a
Palermo nel 1783. (35) M. Delfico, Memoria sul Tribunal della Grascia,
cit., p. 279. (36) M. Delfico, Discorso sul Tavoliere di Puglia e su la
necessità di abolire il sistema doganale presente e non darsi luogo ad alcuna
temporanea riforma, Napoli 1788, ora in Opere complete, cit., vol. III, pp.
359-396. (37) M. Delfico, Discorso sul Tavoliere di Puglia, cit., p.
370. (38) Il testo è stato pubblicato da L. Tossini, Una lettera inedita
di Melchiorre Delfico a Michele Torcia, in «Nord e Sud», a. XXIV (1977), terza
serie, n. 31-32, pp. 191-199. La lettera è datata Teramo, 7 ottobre 1784.
(39) Scritta tra il 1789 e il 1790, su invito dell'Accademia di Padova agli
scrittori italiani di occuparsi del problema della libertà di commercio, la
Memoria fu stampata la prima volta nel 1805 a Milano, presso Destefanis, nel t.
XXXIX della raccolta Scrittori classici italiani di economia politica, a cura
di P. Custodi. L'opuscolo è stato recentemente riedito (De Petris, Teramo 1985)
con un'introduzione di M. Finoia. Sul problema Delfico tornerà alcuni anni dopo
con il Ragionamento su le carestie, in cui apporta alcune «modificazioni e
moderazioni» al principio della libertà assoluta e illimitata di commercio,
auspicando nel mercato l'intervento diretto dello Stato, cui riconosce il
compito di prevenire il «terribile flagello» delle carestie e di altri simili
avvenimenti. Il testo, letto il 1° dicembre 1818 nella Reale Accademia delle
Scienze di Napoli e pubblicato nel 1825 negli Atti dell'Accademia stessa (vol.
II, parte I, pp. 3-43), è stato riedito a Teramo nel 1985 assieme alla Memoria
sulla libertà del commercio. (40) Se, dopo varie insistenze, all'inizio
del 1788 ottiene, come aveva richiesto due anni prima nella Memoria per il
ristabilimento del Tribunale Collegiato nella Provincia di Teramo (in V.
Clemente, Rinascenza teramana e riformismo napoletano, cit., pp. 255-257), il
ripristino a Teramo di detto Tribunale, in luogo dei magistrati unici, più
agevolmente portati all'abuso del potere, non altrettanta fortuna incontreranno
invece le sue richieste sia di abolizione della servitù degli Stucchi, del
1786, sia di istituzione di una Università degli Studi a Teramo ad indirizzo
«fisico» ed orientamento laico, avanzata agli inizi di maggio del 1788. Sugli
sviluppi delle iniziative delficine si vedano R. Di Antonio, Stucchi e
Doganelle nel teramano, Libera Università Abruzzese degli Studi «G.
D'Annunzio», Facoltà di Scienze Politiche, Teramo 1978, pp. 7-24, la quale
pubblica in appendice la Memoria sugli Stucchi e le Memorie su di un nuovo
sistema per le Doganelle, e G. Carletti, Introduzione a M. Delfico, Una
«piccola» Università a Teramo, Quaderni dell'Università di Teramo, Teramo 1999,
n. 6, pp. 3-7. (41) La Memoria è pubblicata in appendice al volume di a.
M. Rao, L'«amaro della feudalità». La devoluzione di Arnone e la questione
feudale a Napoli alla fine del '700, Guida, Napoli 1984, pp. 349-367.
(42) M. Delfico, Memoria per la vendita de' beni dello Stato d'Atri, cit., p.
354. (43) Memoria delficina, rimasta interrotta e tuttora inedita,
conservata presso la Biblioteca Provinciale di Teramo, fondo «Manoscritti
Delfico», Ined., n. 402. (44) In Lombardia Delfico si trattenne fino al
mese di giugno del 1789 per poi trasferirsi prima a Verona, dove rimase due
mesi, e in seguito a Vicenza, Padova, Venezia e Ferrara, finché nel novembre
del 1789 rientrò in patria. Su questo viaggio e sui legami di amicizia che ebbe
modo di stringere e di rinsaldare, cfr. G. De Filippis-Delfico, Della vita e
delle opere di Melchiorre Delfico, cit., p. 25 sgg. (45) Ora in Opere
complete, cit., vol. III, pp. 403-431. (46) L'opera, che provocò subito
«molto chiasso», sia per le reazioni della classe togata, sia per gli elogi che
ricevette da più parti, fu pubblicata a Napoli, presso Giuseppe Maria Porcelli,
nel 1791 e fu ristampata a Firenze nel 1796 e una terza volta di nuovo a Napoli
nel 1815. (47) C. Ghisalberti, La giurisprudenza romana nel pensiero di
Melchiorre Delfico, in «Rivista italiana per le scienze giuridiche», a. VIII
(1954), vol. VII, parte II, p. 432. (48) M. Delfico, Ricerche sul
vero carattere della giurisprudenza romana, in Opere complete, cit., vol. I,
pp. 225 e 105. (49) Troiano Odazi (1741-94), nativo di Atri, in provincia
di Teramo, fu tra i maggiori economisti napoletani della seconda metà del
Settecento. Allievo del Genovesi, nel 1768 ne curò l'edizione milanese Delle
lezioni di commercio o sia d'economia civile. Nominato nel 1779 professore di
Etica nel Reale convitto della Nunziatella, nell'ottobre del 1781 fu chiamato a
ricoprire la cattedra di Economia e Commercio che era stata del Genovesi e
rimasta vacante per diversi anni. Esponente della massoneria napoletana, fu
coinvolto nel fatti del '94. Arrestato, morì suicida nelle carceri della
Vicaria il 20 aprile di quell'anno. Sulla fine dell'Odazi, cfr. G. Beltrani,
Don Trojano Odazi. La prima vittima del processo politico del 1794 in Napoli,
in «Archivio storico per le province napoletane», a. XXI (1896), fasc. I, pp.
853-867. (50) B. Croce, La rivoluzione napoletana del 1799, Laterza, Bari
19264, p. 24. (51) Sulle tappe di questo viaggio, cfr. G. De
Filippis-Delfico, Della vita e delle opere di Melchiorre Delfico, cit., pp.
38-46. (52) Si veda la lettera di Delfico a Fortis del 9 gennaio 1797 da
Teramo, in M.G. Riccobono, Contributo per l'epistolario di Melchiorre Delfico,
in «Rassegna della letteratura italiana», a. 87 (1983), serie VIII, n. 3, p.
419. (53) L'ipotesi di una partecipazione al concorso origina da De
Filippis-Delfico, il quale riporta tra le opere delficine «non-terminate» (cfr.
Della vita e delle opere di Melchiorre Delfico, cit., p. 122), un opuscolo di
26 pagine privo di intestazione e da lui intitolato Sul quesito: Quale sia il
miglior de' governi per l'Italia?, anche se poi nessuna notizia, sia in merito
a questo testo sia relativa al concorso, fornisce nella ricostruzione
biografica dell'Autore. Su questo aspetto si veda G. Carletti, A proposito di
un'anonima dissertazione. Note sulla presunta partecipazione di Melchiorre
Delfico al concorso del 1796, in «Trimestre», a. XXXII (1999), n. 3-4, in corso
di pubblicazione. (54) Sono del 1797 le delficine Memoria per la Decima
imposta al Regno; Memoria intorno a' danni sofferti nella provincia di Teramo
dalla cattiva monetazione dello Stato pontificio, e de' mezzi opportuni da
ripararli ed infine Osservazioni su la nuova monetazione dello Stato papale per
rapporto al commercio delle provincie confinanti del Regno, ancora tutte
inedite. (55) Lettera di Delfico a Fortis del 7 novembre 1793, in M.G.
Riccobono, Contributo per l'epistolario di Melchiorre Delfico, cit., pp.
415-416. Il vescovo a cui allude è Luigi Maria Pirelli (1740-1820), nobile di
Ariano, religioso dell'Ordine dei Regolari teatini, vescovo di Teramo dal 1777
al 1804 e sin dal suo arrivo avverso alla famiglia Delfico. Nella Relazione
risponsiva alle accuse, del 18 dicembre 1793 (pubblicata da L. Tossini,
Autodifesa di un illuminista, in «Archivio storico per le province napoletane»,
terza serie, a. XVI (1977), pp. 86-97), egli era costretto a difendere la
propria reputazione dinanzi al Supremo Consiglio a causa di «vaghe» e
«calunniose imputazioni» di qualche delatore. La denuncia del '93, pur non
avendo gravi conseguenze, riuscì tuttavia ad impedire che Delfico succedesse al
fratello nella presidenza della Società Patriottica di Teramo. Nel 1794 una
nuova denuncia anonima era stata all'origine del rifiuto del Supremo Consiglio
di accogliere la richiesta del Teramano del titolo di conte. Non avrebbe
ottenuto il titolo neppure in seguito, ma con decreto del 25 marzo 1815
Gioacchino Murat gli avrebbe conferito quello di barone. (56) Il pretesto
è fornito da alcune lettere «rivoluzionarie» sequestrate ad una loro domestica,
da poco licenziata, mentre faceva ritorno ad Ascoli Piceno. Interrogata, la
donna avrebbe affermato di averle ricevute da Alessio Tullj e da Eugenio
Michitelli, entrambi frequentatori di casa Delfico. Si veda in proposito la
Memoria della persecuzione subita dalla famiglia Delfico nel 1799, scritta
presumibilmente da Giamberardino Delfico «allo scopo - è precisato in
un'annotazione - di ottenere il dissequestro dei propri beni», dopo che,
condannato dai Regi inquisitori nel processo contro «i rei di Stato» e
trasferito nell'agosto del 1800 nei castelli di Puglia, era stato liberato in
seguito all'indulto generale del 1° maggio 1801. Il testo è stato pubblicato da
V. Clemente su «Storia e civiltà», a. IV (1988), n. 4, pp. 368-385 e a. V
(1989), n. 1-2, pp. 39-56. L'episodio che portò all'arresto dei Delfico è a p.
375 sgg. (57) I Francesi, al comando del generale Rusca, erano entrati in
Abruzzo il 6 dicembre 1798. L'11 dicembre in 1500 arrivarono a Teramo. Messe in
fuga dai rivoltosi, le truppe francesi riconquisteranno la città il 23
dicembre, per poi occupare Pescara, Sulmona e Penne il 24 e Chieti il 25. Per
una ricostruzione di queste vicende, fondamentale resta l'opera di L.
Coppa-Zuccari, L'invasione francese negli Abruzzi, voll. I e II, Vecchioni,
L'Aquila 1928, voll. III e IV, Tip. Consorzio Nazionale, Roma 1939. Sull'arrivo
e sulla permanenza dei Francesi a Teramo cfr. anche le tre cronache del periodo
rivoluzionario, A. De Jacobis, Cronaca degli avvenimenti in Teramo ed altri
luoghi d'Abruzzo 1777-1822 (in L. Coppa-Zuccari, L'invasione francese negli
Abruzzi, cit., vol. III, pp. 38-440); G. Tullj, Minuta relazione dei fatti
sanguinosi seguiti in Teramo dall'anno 1798 al 1814, con postille e con la
continuazione del canonico Niccola Palma (pubblicata da V. Clemente col titolo
Una cronaca inedita teramana (1798-1814), in «Storia e Civiltà», a. IX (1993),
n. 3-4, pp. 269-285; a. X (1994), n. 1-2, pp. 93-116 e n. 3-4, pp. 148-172; a.
XI (1995), n. 1-2, pp. 94-118 e n. 3-4, pp. 175-196; a. XII (1996), n. 1-2, pp.
58-86 e n. 3-4, pp. 171- 195); C. Januarii, Avvenimenti seguiti nel Teramano
dal 1798 al 1809, Teramo 1999. (58) Il Consiglio, di cui fecero parte,
oltre a Delfico, i lancianesi Carlo Filippo De Berardinis e Antonio Madonna,
entrò in funzione subito dopo e svolse la sua attività non oltre la fuga del
suo presidente da Pescara avvenuta il 28 aprile successivo. Cfr., in proposito,
M. Battaglini, Abruzzo 1798-1799. Una repubblica giacobina, in «Rassegna
storica del Risorgimento», a. LXXV (1988), fasc. I, pp. 11-12, ora in La
Repubblica napoletana. Origini, nascita, struttura, Bonacci, Roma 1992, pp.
188-189. Sull'esperienza pescarese di Delfico, cfr. anche F.
Masciangioli, Melchiorre Delfico e Pescara. Per una storia del rapporto tra
intellettuali ed esperienze giacobine in Abruzzo, in «Trimestre», a. XX (1987),
n. 1-2, pp. 41-69. (59) Sullo spirito di moderazione di Delfico,
interessato a trovare una mediazione tra eccessi rivoluzionari e intemperanze
reazionarie, cfr. G. Carletti, Melchiorre Delfico. Riforme politiche e
riflessione teorica di un moderato meridionale, ETS, Pisa 1996, p. 135
sgg. (60) Cfr. G. Galasso, I giacobini meridionali, in «Rivista storica
italiana», a XCVI (1984), fasc. I, p. 78 sgg., ora in La filosofia in soccorso
de' governi, cit., p. 519 sgg. (61) Il testo è stato pubblicato da
R. Persiani, Alcuni ricordi politici nella massima parte abruzzesi al cadere
del XVIII e principio del XIX secolo con documenti e note, in «Rivista
abruzzese di scienze, lettere ed arti», a. XVII (1902), fasc. VII-VIII, pp.
435-439. Senz'altro meno importante è l'altro atto a firma di Melchiorre
Delfico, Proclama sulla sicurezza pubblica del 15 ventoso anno VII (5 marzo
1799), con il quale venivano fissate alcune disposizioni per combattere il
vagabondaggio. (Ivi, pp. 441-442). I due testi sono stati recentemente riediti
assieme ad altri scritti delficini da G. Carletti, La «Pescara» di Melchiorre
Delfico, Edizioni Tracce, Pescara 1999, pp. 51-55 e 57-58. (62) Cfr. la
lettera di Delfico al Governo Provvisorio, da Pescara, datata 7 germile an. 7
Rep. (27 marzo 1799), in Il Monitore Napoletano 1799, a cura di M. Battaglini,
Guida, Napoli 1974, pp. 695-696. Sulle insorgenze nella regione, cfr. R.
Colapietra, Le insorgenze di massa nell'Abruzzo in età moderna, in «Storia e
politica», a. XX (1981), fasc. 1, pp. 1-46, e il più recente volume Per una
rilettura socio-antropologica dell'Abruzzo giacobino e sanfedista, Edizioni
Città del Sole, Napoli 1995. (63) Per il testo cfr. G. Carletti,
Melchiorre Delfico, cit., pp. 138-139. (64) Sulla permanenza del Teramano
nella Repubblica sammarinese, cfr. F. Balsimelli, Melchiorre Delfico e la
Repubblica di San Marino, Arti Grafiche Della Balda, San Marino 1935.
(65) Cfr. V. Cuoco, Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, II
ed. con aggiunte dell'Autore, Dalla Tipografia di Francesco Sonzogno, Milano
1806, p. 96 sgg. (66) Si veda l'ormai nota Prefazione alle Memorie
storiche della Repubblica di S. Marino (Milano 1804), in Opere complete, cit.,
vol. I, pp. 249-250. (67) Ivi, p. 472. (68) Ibidem. (69) Ivi,
p. 250. (70) Il libro, il cui titolo originale era Esame della Storia, e
dei suoi vantati pregi, vide la luce due anni dopo che Delfico l'aveva
consegnato alla stamperia Roveri e Casali. La seconda e la terza edizione
uscirono a Napoli nel 1809 e nel 1814. (71) M. Delfico, Memorie storiche
della Repubblica di S. Marino, cit., p. 249. (72) Ivi, p. 246. (73)
Cfr. M. Agrimi, La vicenda rivoluzionaria e le riflessioni sulla storia:
Melchiorre Delfico, in «Itinerari», a. XXIII (1984), n. 3, p. 94. (74) Cfr.
G. Gentile, Dal Genovesi al Galluppi, Edizioni della «Critica», Napoli 1903, p.
46 sgg., il quale afferma che nessuno prima di allora aveva negato la storia
nel modo assoluto del Teramano. Un estremo radicalismo nell'«antistoricismo»
delficino è stato rilevato anche da B. Croce, La storiografia in Italia dai
cominciamenti del secolo decimonono ai giorni nostri: 1. Il «secolo della
storia» e 2. Il nuovo pensiero storiografico, in «La Critica», a.
XIII (1915), rispettivamente fasc. I, pp. 16-18 e fasc. II, p. 95, poi rielaborati
nel volume Storia della storiografia italiana nel secolo decimonono, Laterza,
Bari 1921, e da G. De Ruggiero, Il pensiero politico meridionale nei secoli
XVIII e XIX, Laterza, Bari 1921, pp. 158-165. (75) M. Delfico,
Pensieri su l'istoria e sull'incertezza ed inutilità della medesima, in Opere
complete, cit., vol. II, p. 11. (76) Il titolo per esteso
dell'opera è Leçons d'histoire, prononcées à l'École Normale en l'an III de la
République française, par C.-F. Volney, chez J.A. Brosson, Paris an VIII.
(77) Sull'affinità di vedute dei due autori, cfr. C. Rosso, De Volney à
Melchiorre Delfico: l'histoire, une discipline aussi inutile que dangereuse, in
L'héritage des lumières: Volney et les idéologues, Presses de l'Université,
Angers 1988, pp. 345-356. (78) M. Delfico, Pensieri su l'istoria e
sull'incertezza ed inutilità della medesima, cit., p. 43. (79) Ora in
Opere complete, cit., vol. II, pp. 307-325. (80) M. Delfico, Pensieri su
l'istoria e sull'incertezza ed inutilità della medesima, cit., p. 174.
(81) Porcelli, Napoli 1781, Epoca I, pp. 329-338. Grimaldi si era rivolto
all'amico teramano per avere notizie sull'esistenza nella Marsica moderna di
antiche costumanze di carattere ofidico e su eventuali relazioni tra queste e i
rituali moderni. La Lettera delficina venne ricordata alle pp. 18-21 della
recensione al volume di Grimaldi apparsa nel fascicolo del febbraio 1784 del
«Nuovo Giornale enciclopedico» per mano, molto probabilmente, del suo
principale estensore Alberto Fortis. (82) Per un esame critico del testo,
riprodotto in appendice, cfr. G. Profeta, Una ignorata dissertazione di
Melchiorre Delfico sugli incantatori di serpenti, in «Lares», a. XLV (1979), n.
1, pp. 5-53, ora anche nel volume Lupari incantatori di serpenti e santi guaritori
nella tradizione popolare abruzzese, Japadre, L'Aquila-Roma 1995, pp.
79-138. (83) Lo scritto, ideato e posto come prefazione alle ancora
inedite Favole morali di Alessio Tullj, è stato pubblicato da A. Marino, in
«Aprutium», a. IV (1986), n. 3, pp. 32-48. (84) M. Delfico, Discorso
sulle favole esopiane, cit., pp. 39-40. (85) Lettera di Delfico a Teresa
Onofri del 21 marzo 1806, in F. Balsimelli, Epistolario di Melchiorre Delfico.
Lettere sammarinesi, Arti grafiche Della Balda, San Marino 1934, p.
53. (86) Sull'attività del Teramano nell'amministrazione francese, cfr.
G. Palmieri, Melchiorre Delfico e il decennio francese (1806-1815), Edizioni
del Gallo Cedrone, L'Aquila 1986, il quale riproduce in appendice alcuni
scritti delficini del periodo; R. Feola, La monarchia amministrativa. Il
sistema del contenzioso nelle Sicilie, Jovene, Napoli 1985, pp. 125-135.
(87) Ora in Opere complete, cit., vol. III, pp. 471-497. (88) Ora
in Opere complete, cit., vol. III, rispettivamente pp. 501-528 e pp. 531-550.
(89) Ripubblicate nelle Opere complete, cit., vol. II, pp. 187-294, le Nuove
ricerche sul Bello sono state recentemente riedite a cura di A. Marroni,
Ediars, Pescara 1999. (90) Per un quadro d'insieme dell'attività
amministrativa e dell'opera legislativa dei Napoleonidi nel Regno napoletano,
oltre al volume, notevolmente arricchito e ampliato rispetto alla prima
edizione del 1941, di A. Valente, Gioacchino Murat e l'Italia meridionale,
Einaudi, Torino 1976, pp. 231-332, cfr. P. Villani, Il decennio francese, in
Storia del Mezzogiorno, vol. IV, t. II, Il Regno dagli Angioini ai Borboni,
cit., pp. 575-639. Spunti critici anche in Studi sul Regno di Napoli nel
decennio francese (1806-1815), a cura di A. Lepre, Liguori, Napoli 1985.
(91) Rimasto inedito, il testo finale è tuttora irreperito ma di esso si
conservano due stesure pubblicate da A. Marino, Scritti inediti di Melchiorre
Delfico, Solfanelli, Chieti 1986, rispettivamente pp. 19-42 e 59-79. (92)
M. Delfico, Osservazioni sopra alcune dottrine politiche del Segretario
fiorentino, cit., p. 20. (93) Ivi, p. 67. (94) Cfr. ivi, pp. 29 e
70. (95) Cfr. N. Machiavelli, Istorie fiorentine, in Opere di Niccolò
Machiavelli Cittadino e Segretario fiorentino, Italia 1813, vol. I, lib. II, cap.
XII, p. 79. (96) Cfr. N. Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca
di Tito Livio, in Opere, cit., vol. III, lib. I, cap. LV, p. 159. (97)
Ora in Opere complete, cit., vol. III, pp. 567-588. (98) L'opera,
notevolmente ampliata, fu ristampata a Napoli nel 1826, per i tipi di Angelo
Trani, col titolo Dell'antica Numismatica della città di Atri nel Piceno con
alcuni opuscoli su le origini italiche, ora in Opere complete, cit., vol. II,
pp. 299-505. (99) Pubblicati nelle Opere complete, vol. IV, pp. 293-305 e
vol. III, pp. 631-644, i due testi sono stati riediti da G. Carletti, La
«Pescara» di Melchiorre Delfico, cit., rispettivamente pp. 23-36 e pp.
37-50. (100) M. Delfico, Breve cenno, cit., p. 37. (101) M.
Delfico, Fiera franca in Pescara, cit., p. 32. (102) M. Delfico, Breve
cenno, cit., p. 38. (103) Cfr. ivi, pp. 47-49. (104) Ora, tradotto,
in Opere complete, cit., vol. IV, pp. 325-333, col titolo Rapporto sull'Italia
inviato a Napoleone e attribuito a M. Delfico. (105) M. Delfico, Della
preferenza de' sessi. Lettera all'ornatissima signora contessa Chiara
Mucciarelli Simonetti del 12 marzo 1827, pubblicata a Siena nel 1829 ed ora in
Opere complete, cit., vol. IV, pp. 31-45. (106) Cfr. la lettera di
Delfico a Dragonetti dell'8 marzo 1834, in Spigolature nel carteggio letterario
e politico del march. Luigi Dragonetti, cit., p. 156. (107) Cfr. G.
Gentile, Dal Genovesi al Galluppi, cit., pp. 18-87. (108) Per un quadro
d'insieme di queste esperienze, cfr. il volume di D. Carpanetto - G.
Ricuperati, L'Italia del Settecento. Crisi, trasformazioni, lumi, Laterza,
Roma-Bari 1993, e la ricca bibliografia in esso contenuta. (109) Per una
ricognizione degli studi delficini, cfr. G. Carletti, Recuperi, oblii e
prospettive. Per una storia critica della storiografia delficina, in
«Trimestre», a. XX (1987), n. 1-2, pp. 5-40. Il cavaliere Commendatore
Melchiorre dei Marchesi Deflico. Melchiorre III Delfico de Civitella.
Melchiorre Delfico. Civitella. Civitella. Keywords: giurisprudenza romana, sul
bello, estetico, sensus, il vero carattere della giurisprudenza romana, suoi
cultore, benevolanza conversazionale,
giustizia conversazionale, il principio di sensibilita imitativa, l’estetico,
l’imitazione della natura, l’espressione. La storia romana, incertezza e
unitilita – la giurisprudenza romana fino alla caduta della repubblica,
aristocrazia versus benevolenza, benevolenza conversazionale tra iguali. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Civitella” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689415138/in/photolist-2mRRHVK-2mKLP2r-2mKBLhJ
Grice e Cocconato – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Torino). Grice: “I like
Coconato – I used to say that the first task for the historian of Italian
philosophy, unless you are a member of La Crusca, is to decide on the surname –
I like Cocconato! He spent some time in London, as I did – and he shows that
the average Italian philosopher is a nobleman, or vice versa!” – Grice:
“Venturi revived Cocconato, as did the re-issuing of his “Moral Discourses”!”
-- “Manhood and unbelief” -- Alberto Radicati, conte di Passerano e
Cocconato (Torino), filosofo. Libero pensatore, fu il «primo illuminista della
penisola», secondo una definizione di Piero Gobetti. Cocconato matura il
suo pensiero anti-clericale nel clima dell'anticurialismo sabaudo ben presente
in alcuni settori della corte di Vittorio Amedeo II, re di Sardegna. S'ignora
tutto della sua prima formazione, verosimilmente affidata a qualche
ecclesiastico. Un infelice matrimonio precoce, combinato dalle famiglie, lo
coinvolge ventenne, e già due volte padre, in una serie di penosi contrasti il
cui significato travalica i conflitti coniugali. Mentre a prendere le parti
della moglie si mobilita il partito devoto-clericale, Radicati trova sostegno a
corte in chi appoggia il re sabaudo nei suoi conflitti giurisdizionali con la
Curia romana. Il grottesco-ironico racconto della sua «conversion
pubblicato a Londra e ripubblicato con il titolo “A Comical and True Account of
the Modern Cannibal's Religion” induce a datare intorno agli anni venti il
precipitare della crisi della fede cattolica in cui il conte era stato
cresciuto. Nell'opuscolo autobiografico presenta la sua personale vicenda come
un caso emblematico di «uscita dalla minorità. Narra infatti come, a partire
dal contrasto tra santoni bianchi e santoni neri monaci cistercensi e quelli
agostinianisui presunti miracoli operati da un'immagine della Vergine,
rinvenuta nel convento agostiniano, avesse cominciato a vacillare in lui la
fede e come, verso i vent'anni, avesse cominciato anche in campo religioso “a
far uso della mia ragione.”Importante per la sua ulteriore maturazione
intellettuale è il viaggio compiuto nella Francia della "Reggenza"
tin cui poté ampliare il raggio delle sue conoscenze e forse procurarsi testi
libertine come La Sagesse di Charron, l'Hexameron rustique di Vayer o il Traité
contre la Médisance di Brosse, in cui ricorrono motivi che troveranno eco e
sviluppo nelle sue opere. Il suo scritto principaleI discorsi morali,
storici e politici redatti su diretto incarico di Vittorio Amedeo II nel mutato
clima conseguente alla ratifica del Concordato stipulato tra regno sabaudo e
Benedetto XIII diverrà anche la ragione vera del suo esilio. Il conte, che da
un riacquisito potere dell'Inquisizione a Torino deve temere per la sua libertà
e per la sua stessa incolumità, lascia segretamente il Piemonte per dirigersi a
Londra, dovendo poi subire per questa fuga non autorizzata dal sovrano il
sequestro e la confisca dei beni. A Londra pubblica con un discreto
successo l'instant book che ricostruisce i retroscena della recente abdicazione
di Vittorio Amedeo II mentre, al contempo, lavora alla stesura del più audace e
radicale dei suoi scritti, “La Dissertazione filosofica sulla morte,” che,
tradotta da JMorgan, uscirà dai torchi londinesi destando un enorme scandalo.
Nella Dissertazione, che gli costa anche l'esperienza delle carceri della
tollerante Inghilterra di Walpole, propugna il diritto al suicidio e
all'eutanasia sullo sfondo di una esplicita filosofia materialistica che scorge
nel Deus sive Natura spinoziano-tolandiano il suo unico grandioso orizzonte di
senso. Nella sua meditazione sulla morte e sulla liceità del suicidio si
inserisce in un dibattito che già Montesquieu aveva rilanciato nelle Lettere
Persiane, riprendendo una discussione inaugurata nel Seicento da Donne con il
suo Biothanatos. Interessato a proporre un progetto politico che esige come sua
prima tappa essenziale una riforma radicale della cristianità
occidentale, capace di affrancarla dal giogo clericale- o se si vuole, in
termini più neutri dal potere pastorale- la scelta del tema del diritto individuale
alla morte non è scelta casuale per quanto la meditazione sul suicidio non sia
priva di elementi autobiografici. Le chiese cristiane di ogni confessione
ritengono infatti un loro preciso dovere intervenire direttamente nella
gestione del trapasso a quella che esse, in base alla loro fede, considerano la
vera vita, quella ultraterrena. Del resto non solo il mondo cristiano, lo
stesso ebraismo e l'islam, finendo con il recepire come un dogma
l'interpretazione agostiniana del suicidio come omicidio di se stessi, per
secoli hanno considerato la morte volontaria come il più grave e irreparabile
dei peccati, suprema manifestazione di oltranza e ribellione alla volontà
divina, mentre le autorità statali, dal canto loro, si distinguevano per la
crudeltà inumana con cui trattavano i cadaveri dei suicidi e i beni dei loro
eredi. Se i Discorsi partivano dalla morale ricavata essenzialmente da
una lettura pauperistico-comunistica dei Vangeli che faceva di Cristo, al pari
di Licurgo, il grande critico dell'istituto familiare, nonché il fondatore di
una democrazia perfetta in cui non esiste né il mio, né il tuo»per poi
occuparsi di politica e concludersi in concrete proposte riformatrici, nella
Dissertazione filosofica fornisce una risposta alla legittimità del suicidio
muovendo da una concezione complessiva del mondo e dell'esistenza umana.
Nonostante il suo titolo, la Dissertazione filosofica sulla morte non rinnega
affatto l'istanza spinoziana che intende la filosofia quale gioiosa meditatio
vitae, apertura mentale a una possibile transizione da una condizione di
servitù a una condizione di più ampia libertà che è, simultaneamente,
incremento della capacità del corpo di comporsi e ricomporsi con altri corpi
per realizzare la sua potenza e ampliare la sua capacità di comprendere le
cose. Definisce l'individualità umana a partire dalle relazioni che essa
intrattiene con il tutto. Per quanto grandezze infinitesimali noi siamo materia
della materia che costituisce l'Universo nella sua indefinita immensità. La certezza
che ci resta, quando ci liberiamo dall'ignoranza in cui nasciamo e dagli idola
tribus, i pregiudizi con cui siamo allevati, è che noi siamo vicissitudini
della materia. La materia a cui pensa tuttavia nel suo esilio londinese e poi
olandese non è lo squalificato sostrato inerte che dai greci giunge fino a
Cartesio che, limitandosi a identificare materia ed estensione, continua ad
aspettarsi dal Dio creatore l'impulso motore e la creazione continua. Come per
il Toland delle Lettere a Serena e del Pantheisticon, la materia pensata dal
Radicati è la materia actuosa che reingloba nel meccanicismo moderno motivi
provenienti dal naturalismo rinascimentale a cui ineriscono direttamente
movimento e autoregolazione. L'universo è un mondo infinito in perpetuo
movimento: in esso nulla continua ad essere anche solo per un istante la stessa
cosa. Le continue alterazioni, successioni, rivoluzioni e trasmutazioni della
materia non incrementano né diminuiscono tuttavia il grande tutto, come nessuna
lettera dell'alfabeto si aggiunge o si perde per le infinite combinazioni e
trasposizioni di essa in tante diverse parole e linguaggi. La natura, mirabile
architetta sa sempre come utilizzare anche il minimo dei suoi atomi. La fine
della nostra individualità costituita dalla morte non è quindi fine assoluta,
perché niente si annichila nella materia e il principio vitale che ci
anima come non è nato con noi troverà sicuramente altre forme di esplicazione:
come la nostra nascita non è avvenuta dal nulla, non sarà nel nulla che ci dissolveremo.--
è estranea ogni forma di lirismo e, tuttavia, una concezione non lontana dalla
sua rifiorirà in una delle pagine finali di uno dei maggiori romanzi lirici
della modernità, nell'Hyperion di Hölderlin che fa dire alla sua eroina,
Diotima: “Noi moriamo per vivere: «Oh, certo, i miserabili che non conoscono se
non il ciarpame arrabattato dalle loro mani, che sono esclusivamente servi del
bisogno e disprezzano il genio e non ti venerano, o fanciullesca vita della
natura, a ragione possono temere la morte. Il loro giogo è diventato il loro
mondo, non conoscono niente di meglio della loro schiavitù: c'è forse da
stupirsi che temano la libertà divina che ci offre la morte? Io no! Io l'ho
sentita la vita della natura, più alta di tutti i pensierie anche se diverrò
una pianta, sarà poi così grande il danno? Io sarò. Come potrei mai svanire
dalla sfera della vita, in cui l'amore eterno che è partecipato a tutti,
riunifica le nature? come potrei mai sciogliere il vincolo che riunisce tutti
gli esseri?» Opere Antologia di scritti, in Dal Muratori al Cesarotti.
Politici ed economisti del primo Settecento, tomo V, F. Venturi, Milano-Napoli,
Ricciardi, Dodici discorsi morali, storici e politici, T. Cavallo, Sestri
Levante, Gammarò editori, Dissertazione filosofica sulla morte, T. Cavallo,
Pisa, Ets Vite parallele. Maometto e Mosè. Nazareno e Licurgo, T. Cavallo,
Sestri Levante, Gammarò editori, Discorsi morali, istorici e politici. Il
Nazareno e Licurgo messi in parallelo, introduzione di G. Ricuperati (check);
edizione e commento di D. Canestri, Torino, Nino Aragno Editore, Dissertazione
filosofica sulla morte, F. Ieva, Indiana, Milano Piero Gobetti, Risorgimento senza eroi. Studi
sul pensiero nel Risorgimento, Torino, anche in Opere completeSpriano, Torino,
Einaudi Franco Venturi, Adalberto Radicati di Passerano, Torino, Einaudi, Franco Venturi, Settecento riformatore, I,
Torino, Einaudi, Silvia Berti, Radicati
in Olanda. Nuovi documenti sulla sua conversione e su alcuni suoi manoscritti
inediti, in «Rivista Storica Italiana», S. Berti, Radicali ai margini:
materialismo, libero pensiero e diritto al suicidio in Radicati di Passerano,
in «Rivista Storica Italiana», J. I. Israel, Radical Enlightenment. Philosophy
and the Making of Modernity Oxford, Oxford University Press, passim Tomaso
Cavallo, Introduzione a A. Radicati, Dissertazione filosofica sulla morte,
Pisa, Ets, Tomaso Cavallo, Le divergenze parallele. Mosè, Maometto, Nazareno e
Licurgo: impostori e legislatori nell'opera di Alberto Radicati, introduzione
ad A. Radicati, Vite parallele. Maometto e Sosem. Nazareno e Licurgo, Sestri
Levante, Gammarò, Vincenzo Sorella, Un partigiano della ragione umana, in «I
Quaderni di Muscandia», G. Tarantino, “Alternative Hierarchies: Manhood and
Unbelief in Early Modern Europe, in Governing Masculinities: Regulating Selves
and Others in the Early Modern Period, ed. by S. Broomhall and Jacqueline Van
Gent, Ashgate, ,TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario di storia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Opere, M. Cappitti, Le Vite Parallele di Alberto
Radicati su blog.carmillaonline. Se poca fortuna ebbe come uomo politico e
consigliere di monarchi, non diversa fu la sua sorte di filosofo; e la sua
filosofia che ha a tratti momenti di luce viva e che riuscirono a destare
interessi e preoccupazioni persino nelli liberi circoli, giacquero come cose
inanimate dopo la sua morte, come se questa le avesse private, come il loro
autore, di quello spirito vitale che le fa palpitare. E l'oblio scese su di
loro, crudele e inesorabile, facendo perdere la conoscenza di la sua filosofia.
Infatti il Saraceno pubblicando il « Manifesto» e le due « Lettere »
indirizzate, l'una a Vittorio Amedeo II, l'altra a Carlo Emanuele III e
premettendo alla sua edizione alcune notizie di carattere biografico e
bibliografico, limita, pur credendo di darne l'elenco completo la sua filosofia
a quelli saggi da lui pubblicate e a quell'altre contenute nel Recueil edito a
Rotterdam. Cat. del British Museum sotto il nome di Thomas Joseph Morgan, il
suo traduttore. Più la “History” edita a Londra. Da quel momento, per quei
pochissimi che del nostro s'interessarono, le parole del Saraceno furono
vangelo, e la filosofia dimenticata scomparvero definitivamente, come
non-esistente, dalla sua bibliografìa. La sensazione iniziale di una possibile
lacuna nell’elenco della sua filosofia, divenuta certezza in seguito ad alcune
notizie rinvenute nel carteggio diplomatico tra l’inviato piemontese a Londra e
la Corte di Torino, in cui era fatta la sua parola, mi determinò alla ricerca
di questa filosofia sperduta. Quasi del tutto infruttuose furono le ricerche in
Italia -- due sole lettere rinvenni all'Ai-, di Stato di Torino --. Fortunate
invece all'estero e precisamente alla Biblioteca Bodleiana di Oxford, al
British Museum di Londra, ed alla Staats Preusische Bibliothek di Berlino,
dimodoché tenendo conto dei nuovi materiali trovati, la sua filosofia risulta
in una elencazione definitive. Manifesto di A. I. R. di P. (Archivio R. di P.,
Castello di Passerano. Lettera del P. a Vittorio Amedeo II. Memoria rilasciata
al Marchese d'Aix. Lettera scritta dal conte A. R. di P. a S. M. il Re Vittorio
Amedeo lì inserviente di prefazione ai discorsi da lui compilati e che
intendeva dedicare alla prelodata Maestà sua. (Ardi. Stat. di Tor., Storia
della Real Casa, Cat. terza, Storie pari). Lettera alla Contes. di S. Sebastiano.
Lettera del P. a Vittorio Amedeo II. “Christianity set in a True Light” in “XII
Discourses Political and Historical. By a pagan philosopher newly converted”
(London. Printed for J. Peele at Lockes Head in Pater-noster-Row; and sold by
the Booksellers of London and Westminster). “The History of the Abdication of
Victor Amedeus II, Late King of Sardinia with his confinement in the Castle of
Rivole, Shewing the real Motives, which indue'd that Prince to resign the Crown
in Favour of his Son Charles Emanuel the present King, as also how be came to
repent of his Resignation with the secret Reasons that urg’d him to attempt his
Restauration. On a letter frorn the Marquis de T. . . a Piemonlais now at the
Court of Poland; to the Count de C. in London. Printed and sold by A. Dodd
without, Tempie-Bar; E. Mutt and E. Cooke, at the Royal. Dell'opera n. 9 ne fa
recentemente parola il NATALI, Milano. Royal Exchange ; and by the Booksellers
and Pamphletsellers of London and Westminster MDGCXXXII. “A phliosophical [sic]
dissertation upon death composed for the consolation of the unhappy, by a
friend to Truth” (London. Printed for and sold by W. Mears at the Lamb on
Ludgate-Hill). Lettera a S. M. il Re Carlo Emanuele III0 colla quale supplica
la prelodata S. M. di voler gradire la dedica della opera da lui composta e già
presentata alla fu S. M. il Re Vittorio Amedeo IIC . (Arch. Slato Torino -
Storia Real Casa - Cat. Ili - Storie particolari). Twelve discourses concerning
Religion and Governement, Inscribed to all lovers of Truth and Liberty by
Albert Comte de Passeran, Written by Royal Command, The second Edition”
(London, printed for the Booksellers, and at the Pamplet shops in London ad
Westminster). Recueuil de pieces curieuses sur les matieres les plus interessantes
– Rotterdam, Chez la Veuve Thomas Johnson et Fils - contenente: Dedica a Don
Carlos; Factum d'A. R. de P. parce quel on voit les motifs qui l'ont engagé a
composer cet ouvrage. Douze Discours Moraux, historiques et politiques,
preceduti da una Declaration de l'Auteur, Histoire abregée de la profession
sacerdotal, ancienne et moderne a la tres illustre et tres celèbre secte des
esprit-forts par un Free-Thinker Chrètien, Nazarenus et Licurgos mis en
parallele par Lucius Sempronius neophyte, Epitre à l'Empereur Trayan Auguste,
Recit fìdelle et comique de la religion des Cannibales modernes par Zelin
Moslem, dans lequel l'auteur declare les motifs qu'il eut de quitter celte
abominable Idolatrie, traduit de l'Arabe a Rome par M. Machiavel [sic]
imprimeur de la Sacrée congregation de Propaganda fide, con prefazione
dell'editore. Projet facile, équitable et modeste, pour rendre utile à la
Nation un grand nombre de pauvres enfans, qui lui son maintenant fort à charhe,
traduit de l'Anglois. Sermon perché [sic] dans la grande assamblé des Quakers
par le fameux frere E. Elwall dit l'Inspirée, traduit de l'Anglois a Londres,
au depens de la Compagnie. La religion Muhammedane comparée à la paienne de
l'Indostan par Ali-Ebn-Ornar, Moslem epitre a C.inknin, Bramili de Visa - pour
traduit de l'Arabe. A Londres au depens de la Compagnie. Notiamo, ora di queste
opere le notizie e di caratteri più salienti. Fu edita dal Saraceno, nell'opera
più volte citata. Il testo rimane nella sua grafia del tutto immutato, con le
inconstanze di scrittura (et, ed; chino e hanno) caratteristiche del filosofo;
alquanto mutata è invece la punteggiatura, e gli alinea, la prima più scorretta
nel testo originale, i secondi inesistenti nel MS., che corre tutto di seguito.
Questa lettera con la quale comunica a Vittorio Amedeo II il suo desiderio di
fargli pervenire la cassetta e di cui abbiamo notizia sia dalla lett. del
March. d'Aix, sia dalla risposta del March, del Borgo, che c'informa pure del
suo contenuto, per quante ricerche abbia fatte all'Arch. di Stato di Torino,
non mi è stata possibile trovarla. Questa Memoria inedita si trova all'Ardi, di
Stato di Torino. Fu edita dal Saraceno ed è una copia della lettera originale
andata perduta. Delle lettere comprese sotto questi due numeri abbiamo notizia
da una lettera del Cav. Ossorio al March. Del Borgo e dalla risposta del Del
Borgo. Ma non mi è stato possibile poterle rintracciare. Quest'operetta edita,
in un elegante Vili0, dopo due anni di soggiorno in Inghilterra, doveva nella
mente dell'Autore essere composta di dodici discorsi. Fu edita invece
incompleta contenendo solamente un “Preliminary discourse in wich the Author
gives a particular account of his conversion” e il Discourse I, “Of the
Precepts and Life of Jesus Clirist”. Al primo di essi corrisponde alquanto
mutato nella forma e nell'estensione il Recit, contenuto nel Recueil. Al
secondo corrisponde invece esattamente il Discorso I. Cfr. Twelve Discourses
riprodotto poi integralmente dal Discours, Des Preceptes et des Mrnurs de Jesus
Christ, dei Douze Discours, moreaux ecc.editi nel Becueil „. Ritornando al
Preliminary discourse abbiamo detto che questo discorso fu riprodotto nelle sue
linee sostanziali dal Recit incluso nel Recueil, ma molte varianti, e alcune di
valore capitale sussistono fra i due testi. Accenneremo, qui, da un punto di
vista generale, le caratteristiche più salienti dei due testi, e la maggior
importanza che può avere, da un punto di vista biografico, l'edizione inglese;
e infatti, pur essendo quest'ultima mancante dell'introduzione che troviamo nel
testo di Rotterdam. L'imprimeur au lecteur judicieux, e della apocrifa Bolla di
Benedetto XtlI, le numerosissime note esplicative, che svelano luoghi, nomi e
date, la rendono di una importanza capitale per la ricostruzione della vita del
filosofo. Senza questa edizione, corredata di note e di avvertimenti, veramente
preziosi, sarebbe stato impossibile, per qualsiasi biografo, fare risultare dal
semplice testo le notizie importantissime documentanti la conversione del filosofo
al calvinismo. L'assenza di note del Recit e l'espressione più attenuata, in
taluni punti, del testo inglese costituiscono i caratteri differenziali fra le
due edizioni. I titoli dei discorsi annunciati, ma non editi nellla
Christianity sono i seguenti: Discourse II: Of the Doctrine and Manners of the
Apostles and Primitive Christians. Discourse III: The Christian Religion to the
Religion of Nature itself. Discourse IV: What were the Causes of the Corruption
of the Christians. Discourse V. Of the Mischief done to Christianity by the
great Number of Churches and Ecclesiasticks. Discours VI. By what Means the
Bishop of Rome are become Souvereigns of that Capital of the world. Discourse
VII: That neither the spiritual nor temporal power of priests is authorized by
the Gospel. Discourse VIII. Of the claims, by which the Papal Monarchy has
maintained, continues to maintain and will maintain itself, as long as it can
make use of them. Discourse IX. Of the evils caused by priests to sovereigns
and their states. Discourse X: Of Natural right: Of the origin ond Nature of
Government. Discourse XI: Of Religion in General. That all authority Spiritual
as well as Temporal belongs, de jure, to the Sovereign; and how Ecclesiastical
Affair should be regulated. Discourse XII: Of the Advantage that will accrue to
Sovereigns and States, from the Observance of the Rules. Come si può presumere
dai titoli i discorsi mancanti non avrebbero dovuto essere altro che quelli
contenuti nei “Twelve Discourses” come di fatto prova il primo discorso
contenuto nella Christianity del tutto analogo al primo di quelli
contenut i nei “Twelve Discourses” cosa, del resto, ch e si può rilevar e
facilmente confrontando rispettivamente i titoli delle due edizioni, che, pur
essendo vi qualche tenue variante di espressione, sintettizzano reciprocamente
un analogo contenuto. Copia di questa edizione l'ho trovata soltanto al British
Museu m di Londra. Di quest’opera falsamente attribuita al Marchese Trivié o ad
un certo Lamberti ma che già il Saraceno ed il Carutti avevan o rivendicat a al
filosofo, furono fatte numerosissime edizioni. Citiamo quelle che abbiamo
potuto rintracciare e confrontar e con l'edizione inglese che possediamo.
Anecdotes de l'abdication du roy de Sardaigne Victor Amédée II, ou l'on trouve
les vrais motifs qui ont engagé ce prince a resigner la couronne en faveur de
son fils Charles-Emmanuel a présent roi de Sardaigne. Comment il s’en est
repenti, avec les raisons et les intrigues secretes qui l'ont porte à
entreprendre son rétablissement par le marquis de F*** piemontois, à present à
la Gour de Pologne; en forme de lettres écrite au comte de G*** a Londres. S.
1. in Vili. Histoire de l'abdication de Victor Amédé e nel volumetto La
politique des deux partis, ou Recueil de pièces traduites de l'anglois de
Bolingbroke et des Frère s Walpole (la Haye). Con la stessa intitolazione:
Génève contenente una seconda lettera da Ghambery, probabilmente pur essa de
filosofo. Histoire de l'abdication de Victor Amédée, roi de Sardaigne, Paris,
in 4°, erratament e attribuiti dall'Oettinger ad un Lamberti non meglio
identificato. L'Oettinger dà una traduzione tedesca dell’Histoire edita a
Francoforte. Histoire de l'abdication de Victor Amédée roi de Sardaigne, et de
sa detention au Ghateau de Rivoli. Où l'on voit les veritables motifs qui
obligerent ce prince d'abdiquer la couronne en faveur de Charles-Emmanuel, son
fils, et ceux qu'il eut ensuite de s'en repentir et de vouloir la reprendre.
Lettre écrite au Conte de C*** a Londres, par le marquis de Trivié, qui est à
présent à la Gour du roi de Pologne, edita nel " Recueil de pièces qui
regardent le gouvernement du royaume d'Angleterre, et qui ont rapport aux
affaires présentes de l'Europe, traduit de l'Anglois, la Haye. Histoire de
l'abdication de Victor Amédée, roi de Sardaigne, Genève, pure attribuita
dall'Oettinger al Lamberti. Cfr. OETTINGER, Bibliographie biographique
universale, Paris. Histoire de l'abdication de Victor Amédée roi de Sardaigne
etc. de sa detention au Ghateau de Rivoli et des moyens qu'il s'est servi pour
remonter sur le trone, à Turiu. De l'impremerie Royal. Anecdotes de
l'abdication du Roi de Sardaigne Victor Amédée II, Anecdotes de l'abdication du Roi de Sardaigne
Victor Amédée II. Edita sotto il nome di Marchese di Fleury che il Qnerard
ritiene pseudonimo di Marchese di Trivié. Histoire de l'abdication de Victor
Amédée Roi de Sardaigne ecc. De sa detention au Ghateau de Rivole, et des
moyens dont il s'est servi pour remonter sur le trone. Nouvelle édition sur
celle de Turin de 1734-, a Londres, 1782. Non abbiamo creduto necessario per
quanto il testo inglese rappresenti il testo originale redatto dal P. di
annotare le poche varianti che esistono più di forma che di contenuto. N. 9 di
questa operetta, che ho trovato solamente al British Museum, catalogata sotto
il nome di Thomas Morgan (l'indicazione della bibliografia del B. M. è : "
A philosophical dissertation upon Death - Composed for the consolation of the
Unhappy (By A. Badicati Count di Passerano translated or edited by John, or
rather Thomas Morgan? era data notizia tanto dal Cav. Ossorio, che ne espone in
brevissime righe il contenuto e ci avverte che fu causa di prigionia per
l'autore e il traduttore, quanto dal Lilienthals, dal Kahl e dall'Henke (1).
Completamente dimenticata dai più recenti studiosi del R. compare citata dal
Natali senza indicazione nè di data nè di luogo di stampa. Secondo quanto
afferma l'Ossorio, l'operetta stesa in lingua italiana dal R. sarebbe stata
tradotta da " un de ses compagnons „ " en bon Anglois „ e sotto il
nome di questo traduttore, che si seppe più tardi essere, Thomas Morgan essa
andò per alcun tempo. N. 10 fu edita dal Saraceno (4) ed è una copia della
lettera originale andata smarrita. La scoperta di questa nuova edizione,
ricordata in alcune opere Cfr. HENKE , op. cit. loco cit. LILIENTHALS , op.
cit. loco cit. FREYTAG , op. cit. loco cit. VOGT , op. cit. loco cit. BAUER :
op. cit. loco cit., WAHIUS , op. cit. loco cit. Cfr. NATALI: II settecento. Ove
però compare come semplice elencazione bibliografica, senza indicazione nè di
luogo di stampa, nè di data. quasi contemporanee, fa cadere l'affermazione che
i " Discours „ siano stati stampati per la prima volta a Rotterdam nel
" Recueil „, e che quindi sino al 1736 i " Discours „ medesimi siano
rimasti manoscritti nelle mani del R. Risulta invece, (poiché posto che esista
la primissima introvabile edizione in tutti i casi non la possiamo ammettere
edita prima del 1733 per le ragioni stesse che giustificano l'edizione de!
1734) che il nostro si decise a dare alle stampe i " Discours „ dopo aver
visto che non sarebbe mai riuscito a dedicarli a C. E. (3), e che di
conseguenza dallo stampare o no quanto aveva inviato a V. A. non sarebbe più
dipesa la possibilità di ritornare o meno in Piemonte. Comparve in tal modo
l'edizione inglese dei " Discours „, la quale messa in confronto con
quella di Rotterdam ha dato i seguenti risultati: Mancano nell'edizione inglese
la " Dedica „ a Don Carlos (sedizione Rotterdam pag. Ili a pag. X) e il "
Factum „ fonte di preziose notizie biografiche (edizione Rotterdam da pag. 1 a
pag. 10). mentre che la Declaration de Vauteur „ contenente i motivi che hanno
spinto alla compilazione dell'opera, e i criteri seguiti nel suo svolgimento,
che nell'edizione londinese occupa dieci pagine (V-XV) e che sotto riproduciamo
è ridotta nell'ediz. di Rot. ad una pagina e un terzo. TH E AUTHOR' S
DECLARATION . Tho' prefaces are quite out of fashion, I yet hope the benevolent
reader will forgive me for making a short declaration concerning the
publication of this work , as follows. BAUMGARTEN : Narichten von einer
Ilallischen Bibliothec, ENGEL : Bibliotheca selectissima seu catalogus librorum
omni scientiarum genere rarissimorum - BERNAE, TRINIUS : Freydenken Lexicon. -
Leipzig, und Bemberg, Erster Zugabe zu Freydenken Lexicon, Voi. I, pag. 1098 .
MASCH I Beilriige zur Geschichte merkwiirdiger Biicher, Wismar, SCHROCK :
Cristliche Kirchengeschichte seil deiReformation - Leipzig SCHLEGELS : Kirchengeschichte des 18
Jahrunderts, Heidelberg. Il RENOUR D nel suo " Catalogne d'un Amateur citato dal QUERARD. Les supercheries
litteraires dévoillés, Paris, sotto il nome Ali-Ebn-Omar-Moslen) afferma
parlando del P: Il n'existe de son Recueil que deux exemplaires sur grand
papier, celui de la Bibliotheque du Roi, et le mien „ Di questa edizione,
probabilmente in foglio o in 4° grande, (" sur grand papier „) non siamo
però riusciti ad averne traccia nè notizia alcuna. Infatti la lettera
indirizzata dal P. a CARLO EMMANUEI.E rimase senza risposta. Cfr. lettera, cit.
In primis & ante omnia. I do declare that this Work was written at the
Command of a great PRINCE, who would be plainly inform'd of all the matters
contain'd in it : and as that PRINCE was then reputed to be one of the greatest
Politicians of his Age, I was oblig'd to proportionate my Labour to his
profound Capacity. So that if I have reveal'd some Religious or Civil Mystery,
which had generally been conceal'd, I have methink given a suffìcient Reason
for it: However, I have alter'd some Passages and soften'd some Expressions, to
make them more intelligible and more agreeable to the Reader. I do solemnly
declare, that in all this Work I had nothing in view but Truth, Equity, or
Justice: In a word, the Good of Mankind in general; and I flatter my self that
all who shall peruse it with candour, shall be convinced of the Rectitude of my
Intentions. I do declare, that I have kept dos e throughout this Work to the
Doctrine and Morality of our Saviour, occording to the best of my knowledge;
and I hope I have not advanc'd anything without good authorities. I do protest
before GOD and Men, that whatever is said in this Work concerning the Church or
Clergy is to be understood of the Popish Church and Clergy only (who really
have long since abandon'd and despis'd the most sacred Precepst of our Blessed
LAWGIVER) and not of any other church whatsoever; whose Clergy and Prelates
being very humble, vastly charitable, pious, and such utter Enemies to Grandeur
and Riches; may justly be stiled the true and only Imitators of Crist's
Disciples, and of those primitive good Prelates (*) instituted by the Apostles.
(*) See the 54th page of this Book, and you will fìnd what their duty was, and
with what Qualities they were endued. Item. I do declare, that I have not her e
opposed the superstitious Tenets of the Popish Church ; for this has been so
often done ever since the Reformation, and by so many Learned Divines, that it
would be vain to attempt it. Besides, Popish Princes little regard at this time
wha t is said against Transubstantiation, Purgatory, Confession, Invocation of
Saints, and such like; as (pag. X ) things, which ways affect their temporal
Interest : so, whethe r these opinions are well or ill-grounded ; whethe r they
spring from Heaven, or from Huma n Malice, 'tis no matter. But wer e they to
know how prejudicial the Popish Religion is to their AUTHORITY, and to the
WELFARE of their several Countries; they then would undoubtedly think upon the
proper Expedients to preserve themselves and their Subjects from Ruin ; and
this is wha t I have endeavour'd (pag. XI ) to make evident in the ensuing Work
. I tlierefore hope it will prove very beneficiai to such Princes, and even be
of some service to this Country, particularly at this time, whe n " the Emissaries
of Popery (as a worthy Divine (*) has observed) have increased their Diligence
in gaining Proselytes, and are now more industriously employ'd in every Corner
of our Metropolis than ha s been any time known in the present Age „. (*) Dr.
Clarke' s Sermons, pag. 18, LASTLY, ] declare that I have made use of ali
the Reason and Understanding 1 ara master of, to discover (pag. XII ) the TRUTH
S contained in the sacred Writings, so hidden and involv'd in Mysteries ; in
order that by them TRUTH S I might procure my own Happiness and that of others.
I presume I have found them, and for that reason 1 now publish them. But if I
have unluckily fallen into any involuntary Error, as I know myself not to be
infallible. I earnestly entreat ali the orthodox and eminent Divines of this
happy Kingdom, to poiat them out to me, and to convince my Reason by Reason
itself, that I may both retract and avoid them. (pag. XIII ) And I farther beg
of our SPIRITUAL DIRECTORS that in case they, f'avour me with this salutary
Advice, to do it not with Passion and Bitterness, but LAWGiVER ha s expressly
commend (*). For nothing is paser, worlliy, and more scandalous; nay, mor e
contrary to the very Principles of the Christian Religion, tlian to rad,
calumniate, to load with odious Appellations, and persecute those who labour
Day and Night to find out the TRUTH, buried as it is in the dark Abvss of
Errors and Superstitions. (*) Matth, XVtlI, 21, ete. AFTER having made this
plain Declaration, as I know myself to be wholly destituted of Freinds; I hope
that the ALIGHTY GOD, whose Powe r is above ali Huma n Artifice and Malice,
will protect me against those, that will certainly promote my Destruction, for
having openly espoused the Cause of TRUTH and EQUITY. Il Discorso I (Ediz .
lond . pag . 1-13 ; Ediz . Rot . pag . 15-26 ) è integralmente riprodotto nella
edizione olandese: uniche varianti sono le seguenti : Pag . 2 - in not a
Collins è qualificato : 0 great and goodman „ attribut i c h e mancan o
nell'Ediz . de l 1736 . Pag . 11 - manc a la not a sul ministr o Jurie u ch e
si trov a a pag . 2 4 dell'Edizion e di Rotterdam . Il Discors o II (Ediz .
lond . pag . 14-25 ; Ediz . Rot . pag . 27-37 ) è pur e ess o integralment e
riprodotto . Unich e varianti : pag . 21 - in not a su Bayl e (cfr. pag . 3 5
ediz . di Bot.) è aggiunt o " and 1 shall not be tought in the vrong for
vanking him withe Heliogabalus „. Pag . 24-25 , nota , dop o le parol e "
universally observed „ " généralement observées „ pag . 3 7 ediz . Rot.)
ch e no n si trov a nell'edizion e del 1736 : " I say universally
observed: for wer e there a Society or Republic, however great it might be,
that should be inclined to observe the Laws of Gbrist, it would be obliged for
their own preservation, to lay aside the laws of Christ, or suffer themselves
to be destroyed by following them. - In a word, a Society of true Christians,
wer e they as numerous as the whole Empire of China, could no more make head
against a single Infide], who had a mind to plunder them, than a hundred
thousand Rabbits could make head against a hungry Lion, that should fall
in among them. But if ali Men, without exception, were good Christians, it is
most sure they would be exceding happy. For, being without Ambition, Envy and
Revenge, nothing would be capable of di sturbing Iheir Quiet - Here on Gonsult
- Bayle's Pensées diverses chap. 141 - continuation des Pensées - Ghap. 123 -
124 „. Il Discorso III (Ediz. lond. pag. 26-52 ; Ediz. Rot. pag. 38-60) ò
invece del tutto diverso - Cfr. quindi il medesimo riportato in Appendice. Il
Discorso IV (Ediz. lond. pag. 53 72; Ediz. Rot. pag. 61-76) è quasi del tutto
riprodotto integralmente; però da pag. 63 (dopo le parole " le
gouvernement de leur Eepublique „, pag. 69 dell'ediz. di Rot.) il testo
prosegue con 2 pagine in più che qui appresso riproduciamo. But they wer e
never practised, for, if we carni fully examine the Epistles of the Apostles,
we shall find that in effect they ali agreed in acknowledging that the
Christian Religion wa s the best, but differed excedingly as to the Principles
of it For, Paul proposing to persuade Christians of the Trut h of that
Religion, and shew them wherein it consisted, says expressly, and in so many
words, that we ar e " not to boast of our good works, but of Faith alone
in Jesus Ghrist, for that good works ncither justify, nor save (*); but to him,
saith he, that worketh not, but believeth on him that justifieth the ungodly,
his Faith is counted for Righteousness (**) and shall save him „. James, on the
other hand, in a few words summing up the Essentials of Religion, and not
amusing himself with vain disputes, as Paul did, tells us; that " Faith
without good woorks will neither justify, nor save „ ; and gives us to'
understand that " good works will save us independent of Faith”This Doctrine
is highly just and reasonable, and more orthodox than Paul's. For wha t avails
it for a man to bellieve that Ghrist dieci to save him, so long as he is cruel,
covetous, revengful, and i*) Rom. IV. 5. (**) James II, etc. (***) Rom III. 26,
27, 28. See also Gal lì. 16 {pag. 64) proud? were he not better without that
Belief, but good, charitable, and humble ? it is much better for a man to be a
Christian in practice without speculation, than to be a Christian in
speculation, without the practice; that is, it wer e better being a Savage,
who. tho' without any Religion, stili practised the duties of a true Christian,
who is resolved absolutely to obey none of the precepts of his Religion, tlio'
he firmly believes in its mysterles. This notion, so agreeable to the Justice
and Wisdom of God, and Intentions of Ghrist, would be of great advantage to
Society, wer e it put in practice. Now it is indisputable that the Apostles, by
building Religion upon various. and different foundations bave caused an
infinite numbe r of Quarrels and Schisms to spring up in the Christian
Gommon-wealth, by whieh it ha s been, and will ever be tome asunder most
assuredly, if it does not lay aside the mysterious, or incomprehensible
speeulations of Divinity, and frx wholly to those most holy and simple Tenets,
which Christ hath taught us, and are very easy to be observed, being the same
as those of Nature, as he himself has told us, saying: " Come unto me, ali
ye that labour, and are heavy laden, and I will give you Rest (*). Take my yoke
upon you, and learn of me, for I am meek, and lowly in heart, and ye shall find
rest unto (pag. 65) your Souls. For my yoke is easy, and my burden is light„,
and not grievous and insupportable, like that of cruel and ambitious men. (*)
Mat. Xt. 28, 29, 30. Il Discorso V (Ediz. lond. pag. 73-92; Ediz. Rot.) è
riprodotto integralmente. Notiamo soltanto che a pag. 80, in nota su S.
Cipriano dopo la parola " aucupari „, il testo segue: " Non in
Sacerdotibus Religio Devota, non Ministris fides integra, non in operibns
misericordia, non in moribus disciplina; sed ad decipienda corda simplicium
callide fraudes, circumveniendis fratribus subdolae voluntates - Cyprian de
Lapsis „, mentre è mutilo alla medesima parola “aucupari” nella Edizione di
Rotterdam. Il Discorso VI (Ediz. lond. pag. 93-124; Ediz. Rot. pag. 95-123) è
riprodotto nell'Edizione Olandese fedelmente. Il Discorso VII (Ediz. lond. ppg.
125-144; Ediz. Rot.) è riprodotto quasi del tutto integralmente. Uniche
varianti sono: Pag. 129 nota (dopo le parole " alors soni fausses „ pag.
128 Ediz. Rot.): " See what Bayle Says in his Pensées diverses, eh. 49, et
Contin. des Pensées diverses eh. 47. in arder to shew how ridiculous it is lo
enquire whant a thind is, before we have examined whether it really exist „.
Pag. 138 manca la nota della pag. 136 ediz. Rot. la parola “religion” è
tradotta nelle due ultime righe di pag. 139 dell'Edizione Rot. con "
Superstition „. Il Discorso Vili (Ediz. lond. pag. 145-164; Ediz. Rot.) è
riprodotto nell'Ediz. Olandese fedelmente. Il Discorso IX (Ediz. lond. pag.
165-188; Ediz. Rot) è riprodotto quasi del tutto integralmente. Uniche varianti
sono: Pag. 166 manca la nota Ediz. Rot. Pag. 186 manca la nota " cependant
ces Emissaires „ di pag. 180 81 dell'Ediz. Rot. Il Discorso X (Ediz. lond.;
Ediz. Rot.) ha subito una restrizione nelle pagine 189 a 200 ridotte nell'Ediz.
Olandese a sole cinque; riproduciamo qui di seguito il testo inglese. By
natural right (ius naturale), I mean the faculty given by nature to each
individual, whereby each of them is forced or determined to act, according as
he finds it necessary for the preservation of his own being. All animals are
forced by nature to eat, drink, sleep, etc. Therefore it follows, that they
eat, drink, and sleep of natural and absolute right, when they stand in need of
them. In the same manner, fish being by nature determined to swim, and the
greater to devour the smaller, consequently they enjoy water by natural right,
and the greater by the same right devour the smaller. Thus, birds are
determined by nature to fly, and by consequence possess the air by natural
right, and birds of prey by the same right feed upon the tame. For it is most
certain that Nature considered in the general, has an unlimited right over
every part of herself: that is, this right extends as far as her power extends,
so that every thing that she can do is lawful for her to do. For the power of
nature is the very same as that of God, whose right is eternal, and
consequently unalterable. Now as the power of nature is the same with that of
every individual who make up that Nature, without exception, it follows, that
the right of no one is limited, but extends as far as the strength and industry
that nature has bestowed on them; and as it is a general law for all beings,
that each of them in particular shall perpetuate his kind, as far as lies in
his power, without regarding anything save his own preservation. it follows,
that the natural right of every indivual is, to subsist and act to that end
according to the power which nature has given him. In this state man is not to
be distinguished from the rest of natural beings, no more than the words,
reason, or wisdom, and folly; virtue, and vice; honest, and dishonest, just and
unjust are, etc. Wherefore there is no difference between the wise and the
foolish, the virtuous and vicious; for every individual has a right to act
according to the laws of his constitution or organization. that is, according
as he is determined by nature to such and such a thing, without being able to
act otherwise. So that considering man under the empire of nature, as
unacquainted with what philosophers call reason, or virtue; and not having
acquired a habit of either, they have, I say, as much right to life in pursuing
the dictates of their appetite, as they have that live according to the laws of
reason, virtue, and justice, with which they have conneted their ideas. That
is, that, as he who is called wise in society has a right to do any thing that
is dictaded to him by reason, and to live according to the light of it; so the
ignorant and foolish man in the state of nature has a right to every thing his
appetite suggests, and to live according to its dictates. For, according to the
apostle’s opinion before the law, or in the natural state of man, no man could
sin. Rom. 4. V. 15. It is not then the business of that reason, or
justice, to regulate the right of nature, but of the desire or strength of
every individual. For, so far is nature from determining us to live according
to the law and rules of this reason, that, on the contrary, notwithstanding
education, and the penalties appointed in order to natural impulses. Such is
the power of nature. New as we are obliged, as far as in us lies, to preserve
our natural being, so we cannot do it but by acting in obedience to the laws of
appetite, since nature denies us the actual use of that reason, and none of us
are more obliged to live according to the rules of good sense, introduced among
us by the civilised part of mankind, than an ant is to live according to the
nature of an elephant. From whence it follows that, in the state of mere
nature, we have a lawful right (ius iudicatum) to all things whatever without
exception, because nature has given all to every man, and may use it without a
crime, if we can get it, whether by force, or cunning, by entreaties, or
threats, so far as to look any one as enemy, who hinders, or endeavours to
hinder us from satisfying our appetite. Therefore, by natural right, an animal
may wish for whatever he pleases, and do whatever is in his power to support
his own individual, or satisfy his inclination. However we are not to imagine
that so unlimited a liberty can produce any great disorder amongst animals of
the same kind, as many have thought, because nature has previded them
necessaries in abundance; upon which foot, they can have none, no, not thel
esst dissension among them, as I have Lions, Wolves with Wolves. Foxes with
Foxes, Eagles with Eagles, and so all other species who are in the state of
nature. It is to be owned indeed that *discord*, not con-cord, envy, and an
implacable hatred reign between one species and another. And this would in
reality be a great defect and imperfection in nature, if her wisdom consisted
in making an animal happy for ever. For, upon such a supposition, the pidgeon
would have reason to complain of nature for not bestowing upon him a sufficient
strength to defend himself against the eagle. A hare mìght make the same
complaint as to a wolf; and he again as to the lion. But each complaint would
be unjust. For, Nature granted an animal his life but for a certain limited
time, which is an effect of her infinite goodness, to the end that every being
may succeed one another, and enjoy her benefits. Which could never be, if an
animal, once alive, were to be immortal. Therefore, since he must necessarily
die to make room for another, it imports little whether he dies in this or that
manner. Nay more, I insist that a pidgeon that is the eagle's prey, and the
wolf that is the lion’s, are happier than the eagle or lion that have devoured
them. For his death is sudden, and his pain short, whereas the Eagle and Lion,
languish and suffer long before they die, if they die a natural death. Besides,
a Lion or an Eagle may at his death complain of nature's injustice, by making
him the prey of innumerable and invisihle animals, that lodge in their bones,
and throughout their whole bodies, which feeding upon the best and finest
substance in their blood, and wasting alt llieir animal spirit, kill him without
mercy. For, those invisible animals that kill not only a lion, but a man too,
and every beast that dies of a natural death has no more thought of the
mischief they do in feeding upon their blood, than a lion or a man when he
kills another animals for food without mercy, they having ali a power to do so
by an absolute and natural right. An animal therefore, far from complaining,
tough constantly to thank Nature for her infinite justice and goodnes to him,
in giving them a limited life only. For, had she created him immortal, she had
shewed herself exceeding cruel; considering we are all assured there is no
condition of life, however happy, but what at last grows rneasy and burthensom.
As we see by those, who having passed most of their time in the polite world,
are desirous of retiring, and leading a private life in the country; so he that
lives in solitude, often longs for the pleasures of the world; and lastly, he
that has long enjoyed bolli, grows tired and out of humour with them, and
wishes for a new life thro' death. Now since an animal is tired of life, he may
be perpetually diversifying his pleasure, considering the short date of his
life; what would it be, were they to live for ever, without ever varying the
pleasures they (See the account of the Strulbrugs in Gulliver's Travels. Part
3) had tasted in the first fifty years of life? Nay, how justly might not they
complain, who drag an uneasy languishiug life from the infirmities to which
they are subjects, or who perpetually groan under the yoke of another animal,
who makes himself no uneasiness in making him miserable, in order to gratifiy
his appetite? Every animal therefore ought to look upon death as the most
signal blessing he has received from the hands of Nature, and as the effect of
her incomparable wisdom; Death putting an end to their pain, aud making them
equal with his tyrant. What I have been now saying ought to surprise no man,
since Nature is not confined within the bounds of reason, or the instinct of an
animal; for the word Nature, of which an animal is but as so much a small
point, means an infìnity of other things that relate to an eternal order, and
that inviolable law, which gives being, life, and motion to all things. So that
what seems ridiculous, unjust, or wicked to an animal, and above all to a man,
appears such only because we know things but in part, and because we cannot
have an exact idea of the ties and relations of nature, we not comprehending
the immense extent of her wisdom and power. Whence it preceeds, that what
reason sets before us as an evil, is far from it in regard to the order and
laws of universal nature, but only in regard to those of our own. This supreme
natural right, which every animal enjoy, exclude not moral good and evil, which
is really to be found in the state of nature. I call “morally good” any action
of an animal tending to the preservation and propagation of his own individual
or his species, for he is then performing their duty, by aiming at the end,
proposed by Nature in their Greation. On the contrary, I cali moral evil ali
those actions of Animals, that are either in the whole, or in part contrary to
those notions, or sensations that Nature has implanted in each of them, that
they may perceive and know what is proper for their subsistance, and for perpetuating
their Species as far as in them lies. Allwise Nature, the tender mother of ali
Animals, not satisfied with impressing on their mind those notions, has always
affixed a proporlional recompense to moral good, and a like punishment to moral
evil, to the end that ali Animals may chuse the one, and avoid the other with
pleasure. Not that she had any occasion to setlle such rewards and punishment
in order lo be obeyed; for, as she is Almighty, she well knew she should be
obeyed, as she is in fact by ali except one Species, which is Man. And it was
for them se appointed them, because knowing they had several cavities in their
brains fdled with animai spirits, which by a high fermentalion would so heat
their imagination, as to make them fall into a sort of madness, on Delirium.
Nature, I say, to bring them back from their wandring, has thought lil severely
to punisti them, whenever they swerve from their duty and act agreeably to the
false notions with whict that madnes inspires them, which notions tend to the
destruction of their own individuai, and to make their Species unhappy. I will
explain my self. It is well known, that ali Animals, except Man, act according
to the notions infused into them by Nature, commonly called Instinct, for
instance, knows its proper food, and the actions to be performed in order to
live in health, and perpetuate its Species. Consequently to these notions it
acts, by chusing at first such places as are agreable to it: some live in
Marchs, some in the Fields, some in the Plains, and others on Hills; some swim,
other crawl, and in short, some, called amphibious, live bo!h on Land, and in
Water. Ali these Animals perceive what they are to do in order to subsist
Wherefore they eat, drink, and make use of their females, when they have occasion
; mor did, or do, any one of them ever force itself to eat, or drilli or enjoy
its females, when it was satisfied; nor did ever any of them ever voluntarily
refuse to eat, drink, or make use of their females, whenever Nature required
it; thus by denying themselves nothing necessary, and by never forcing
themselves to do what is beyond their strength, they lead a healthy and a happy
life. But this is not the case of Mankind. For, tho' they pretend to a greater
share of wisdom and reason than other Animals, their actions shew they have
less than the rest of them ; some thro' excessive folly eating and drinking
when they are neither hungry, nor dry, so far as lo bring distemper upon
and kill Ihemselves; and forcing themselves upon venereal pleasure when they
are exhausted, is so much as to destroy themselves : Others from a contrary
madness, denying themselves meat, and drink, and the enjoyment o' Women, and
dragging a miserable life, consume and pine away. Thus by not allowing Nature
what she absolutely requires, or forcing her beyond her strength, they are
guilty of real moral evil, from whence the Physical takes its rise, which
cruelly torments them their whole life time. Anolher madness, to which Mankind
are subject, is Avarice, which puts Men upon perpetually heaping up riches,
without making any use of them, for fear of wanting; so that the Miser not only
makes himself miserable, but greatly contributes to the misery of others. There
is stili another kind of madness, called ambition, that lords it over Man,
which puts most Men upon depriving themselves of what is really necessary to
life, for Ghimeras, that are entirely useless and superfluous to them. The ili
effects of this last folly have not stopped there, but produced the greatest
disorders amongst Men, and made theme more unhappy than alt other Animals. For,
it has happened, that some of them thinlcing themselves better than others,
have endeavoured to get above them, appropriate to themselves what belonged to
the rest by Naturai right, and make their companions their slaves. which by the
opposition they have found, has occasioned tumults, and civil Wars. These
different Phrensies that have taken possession of the minds of Men, and that
have in ali times scattered trouble and confusion amongst the race of Men, have
from time to time obliged wise Men (who made use of their reason in order to
preserve themselves from falling into that sad and terrible Delirium to which
they were liable) to admonish the rest with a view of reclaiming them from their
errore ; and those admonitions had sometimes so good an effect, that a whole
Nation perceiving anddetecting their Frenzy, voluntary submitted to the
decisions of those wise Men, and each Man, renouncing and disclaiming his
naturai right, promised obedience to them, upon condition that they on their
side should always endeavour to make that Nalion happy. This was the rise and
formation of Aristocratical Government. Da pag. 200 in poi (pag. 186 Ecliz.
1736) il test o corrispond e esattament e nelle du e edizioni; salvo le lievi
differenz a qui sott o notate . Pag . 207 - i puntin i di quest a edizione son
o son o sostituiti nell'edizione olandes e (pag. 102) " le coeur de Nobles
en àrbitraire ou absolu „. Pag . 22 3 : mancano le ultime due righe del testo
di pag. 20 6 ediz. Rol . 11 Discorso XI (Ediz. lond. pag . 224-248 ; Ediz .
Rot.) Titolo : "Wherein it is proveci that religion was introduced into
Society by legislatore, in order to give a sanction to their laivs; and that
consequenty ali sacred and civil authority belong de jure to the Prince
„. Le pagine 224 e 236 costituiscono, in confronto dell'edizione
olandese, una parte del tutto nuova, e corrispondente alla prima parte del
titolo, che difatli non si trova nell'Ediz. Rot. Diamo un breve riassunto di queste
pagine, che non parve necessario trascrivere integralmente. Il R. così
comincia: My design then in this Discourse is to make Princes sensible that
Religion was institued by legislators, in order to give strength and credit to
their Laws, and that Sovereign Princes, having the administration of civil
Laws, ought by consequence too have that of Religion; and thereby 1 propose
tvvo benefits. Tho first to Princes, by joining the sacred and civil authority
in one, and the second, to the People, by rescuing the from the Tiranny of
Priests. This then is what the most celebrated Historians teli us concerning
the Establishment of Religions „. A dimostrazione di questa tesi, l'intera
pagina è dedicata ad una di citazione Diodoro Siculo, libr. I pag. 49, Ediz. Han.;
l'inter pag. 227 ad una citazione di Strabone, Geograph. libr. 16 pag. 524,
ecc.; indi dicendo di non voler citare anche Plutarco, Polibio, Erodoto e
Livio, il R. procede a citare " a Zaeloux and Leavned Jew „ cioè Flav.
Joseph, contra Appion. libr. 2, pag. 1071 - Edit. 1634, in fol., e " a
very candid popish Priest „ (pag. 230-235) è cioè Gharron, of Widson, book 2
eh. 5. In nota a pag. 235, così meglio identifica il Gharron : " Ile was
Canon and Master of the School of the Church of Bordeaux - He lived in
Montagne's time, and ivas his intimate freind - See Bayle's Did. Artide,
Charron „. E con tutte queste citazioni la dimostrazione è raggiunta: "
Wherefore 1 may be allowed to say without any impietg, that lleligion might be
subject to the Prince, to Religion „ (pag. 235). Dopo di che da pag. 236 a 248
continua con la seconda parte, che corrisposde all'intero Disc. XI dell'Ediz.
Rot. Unica differenza è che la nota a pag. " See in the life of Peter,
late Czar of Moscow how be wisely reduced the high Priest's exorbitant
authority io his own power „ è estesa nel testo a pag. 211 dell'Ediz. di
Rotterdam. " Enfin chacun fait toutes les autres nouveautéz „. Il Discorso
XII (pag. 249-271 Ediz. lond.; Ediz. Rot. pag. 211-238) è riprodotto
integralmente, ed unica differenza è data dalla mancanza a pag. 259 della
esistente nell'Ediz. di Rot. a pag. 228. N. 12: Abbiamo già parlato a proposito
del N. 11 degli scritti " a-b-c „ contenuti nel " Recueil „ ed a
proposito del N. 7 dello scritto " f „ ed abbiamo notato come la loro
prima comparsa, eccettuato per il " b „, sia avvenuta in lingua inglese, e
quali cambiamenti abbiano subito nella loro ultima redazione francese.
Notiamo invece per le operette " d „, " e „ che il testo dato dal
" Recueil „ deve presumibilmente essere l'unico lasciato dal P. ; nè
infatti abbiamo trovato di esse ediz. inglesi, anteriori o posteriori al 1736,
nè elementi o prove che suffraghino questa possibilità; potrebbe essere
presumibile che queste operette scritte dal R. ancora in Inghilterra e forse
già pronte per essere tradotte, siano rimaste a noi nel loro testo originale
per la fuga del P. in Olanda, oppure che compossle in Olanda, non avendo più
possibilità di trovare un traduttore, le abbia conservate e poi edite nella
loro lingua originale. Lo scritto " g „ è la traduzione dell'operetta
analoga dello Svvift: " A modest proposai for preventnig the children of
poor people in Ireland from beìng a burden to their parents or country, and for
making them beneficiai io the publick „ (1). Non esiste tra le due edizioni
alcuna differenza, che possano mutare lo spirito del testo originale le due
uniche varianti che abbiamo notato sono; l'introduzione a pag. 369 del "
Recueil „ della parole: " Gastigat ridendo mores „ immediatamente dopo il
titolo, e omesso dall'originale; e la sostitutuzione della parola " Spain
„ del testo inglese, con la parola " Rome „ della versione del R. pure a
pag. 369. Fu fatta nel 1749 a Londra una ristampa di tutto il N. 12 ("
Recueil de pieces curieuses sur le matieres les plus interessantes par A. R.
comte d. P. a Londre) ma dall'esame di questa nuova ediz. posseduta dalla Bib.
Querini-Stampalia di Venezia, è risultata l'identità, persino negli errori di
stampa coll'ediz. di Rotterdam. N. 13-14 formano nell'Ediz. originale un volume
solo, senza titolo generale, con pagine numerate progressivamente (da 1 a 47 il
testo n. 13, da 49 a 104 il testo n. 14). L'attribuzione di paternità al R. del
primo di questi opuscoli, e convalidata non solo da quanto afferma il "
Dictionary of National Uography „ edito dal Leslie Stephen, il Querard ed il
Barbier, ma dalla rispondenza che questo opuscolo ha con il Discorso III dei
" Twelve discours „. Notiamo le principali variati: Pag. 2: " peché
originai „ manca la nota del testo ing. Pag. 4-, nota 2: manca la cit. del
testo ingl. ; pag. 5, nota 1 e 3: manca il (1) Cfr. op. cit. in: The Works of
Jonathan Swift, London MDCCLX, V, IV, pag. 66-77 . (2) Cfr. Dictionary of
national biography, edited by LESLIE STEPHEN , sotto 'Elicali.’ Cfr . QUERAR D
op . cit . Col . 1231 , T III. Cfr. BARBIER : Dictionaire des onorages anonymes
etpseudonym.es - Paris, 1827 > T . III . N . 16186 . commento e la
cit. del testo ingl.; pag. 8, nota. 1, mancal a cit. del testo ingl.; pag. 10:
" vòtre pere celeste „ manca la nota del testo ingl.; pag. 11, nota 2:
manca la nota del testo ingl.; pag. 12 nota 1: manca il lungo commento del
testo ingl.; pag. 17 " ces Docteurs „ il testo ingl. ha “our Priest” e
nota 2: manca la cit. e il comrn. del testo ingl.; pag. 18 " vous dis-je
mes Frères „ manca nel testo ingl.; pag. 19 nota 1: manca la cit, del testo
ingl.; pag. 21 nota 2: manca la spiegaz. esistente nel testo ingl.; pag. 22:
"et comment auroit-il mieux „ manca la nota del testo ingl.; pag. 26:
" Amerique „ manca la nota del testo ingl.; pag. 27 e 28 sino ad: "
Enfiti temoin... „ mancano nel testo ingl.; pag. 32, nota 2: manca il lungo
coni, del testo ingl.; pag. 24 nota 2; manca la citaz. del testo ingl.; pag.
35: " les hommes hereux „ manca nel testo ingl. la nota corrispondente;
pag. 38 dopo le parole " ... leur dependence „ manca quasi l'intera pagina
47 del testo ingl.; pag. 40: " mes cheres Frères „ manca nel testo ingl.;
pag. 4 nota 2 : differisce dalla rispondente nel testo ingl.;: l'ultimo periodo
(“l'esprit... vrais Quakers”) manca nel testo ingl. In merito al N. 14
l'attribuzione di esso al R., è affermata dal Querard (1) e dal Barbier (2) che
svolgono lo pseudonimo Ali-EbnOmar con il nome del R., è confermata dal fatto
che a pag. 100 dell'operetta in una nota l'autore citando se stesso rinvia al
" Discorso Ili „ dei “Twelve Discourse” e tale attribuizione, per ambedue,
N. 13 e 14, sostengono pure lo Henke, il Lihienlhals, il Freytag (3). Anzi a
proposito di quest'ultimo che viene ad affermare che spesse volte l'opera n. 13
viene seguita dalla n. 14 con un seguirsi di pagine progressivamente numerate
(tale è l'ediz. da noi esaminata), come facenti parli del " Recueil „
edito a Londra e Rotterdam nel 1736, facciamo rilevare come ciò non risponda a
verità. A parte la confusione dell'ediz. londinese del “Recueil” con l'ediz.
Olandese, tanto nell'una che nell'altra non troviamo stampate le operette di
cui si tratta, nè infatti potevano essere incluse nell'ediz. del 1736 essendo
venute alla luce la prima volta nè nell'ediz. del 1749, che riproduce
esattamente la precedente, nè possiamo considerare questa ediz. dell'operette,
che abbiamo esaminata, come stralciata dal volume del 0 Recueil „ stante
la appariscente diversità dei caratteri di stampa. Come mai esse siano state
edite a Londra, mentre già da quattro anni almeno si trovava in Olanda, non
siamo in grado di dire: forse trovate fra le sue dopo la sua morte e fatte
stampare da qualche suo amico nella capitale inglese? e allora non perchè a
Rotterdam dove era già uscito per i tipi della Ved. Johnson il “Recueil” più
volte citato? Sono questi tutti interrogativi che ci poniamo senza avere la
possibilità di potere rispondere, per mancanza di documenti che giustifichino
una ragione piuttosto che un'altra; e questa è un'altra lacuna nella perfetta
conoscenza della vita del R. Cocconato. Keywords: implicature della morte.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cocconato” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692059125/in/photolist-2mKRjfH
Grice e Coco – mutuale prevalente –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Umbriatico). Filosofo. Grice: “Typically,
while in the Italian North, Conte can play with words, in the Italian South,
Coco must work for the workers! Is conversation a work? I think so – lavoro –
In the ‘codice civile’ or rather the ‘codice’ of the civil laws – there is a
section on ‘lavoro’, and a title on ‘co-operativa’, short for ‘cooperative
society’ – This is all due to Coco – It sounds slightly fascist, and he did
write a little tract with ‘fascist’ in the subtitle! – Coco is a
performativist, so he understands that ius must ‘constitute’ and define: so he
goes on to analyse what I’ve been analysing too – what is to cooperate – in a
common task or ‘lavoro’ – what is ‘mutuality’ – what are the requirements for
mutuality, and so on – It’s not as legalese and boring as it sounds! And it
provides a framework for my pragmatics – since a lawyer, and especially a
Griceian one, can be VERY SMART! Coco is!” --
Dal punto di vista sistematico molto vicino alla visione del grundnorm,
teoria da Kelsen. Si laurea a Napoli. Sostituto
procuratore del Re a Cassino. La Regia Procura di Roma. Procuratore Generale
presso la Corte d'appello di Roma. Fondatore dell'Ufficio del Massimario.
Insegna a Roma. Noto soprattutto per aver partecipato ai lavori di stesura del
nuovo codice civile italiano nonché del codice di procedura civile, entrambi
entrati in vigore nel 1942. Si occupa prevalentemente della stesura di leggi in
materia del contratto, obbligazione, e diritto del lavoro. Altre opere: “Gli
eclettismi contemporanei e le lezioni di filosofia del diritto” (Lagonegro, M.
Tancredi & Figli); “La filosofia del diritto”; “Una quistione di diritto transitorio
in tema di farmacie” (Milano, Società Editrice Libraria); “Sull'ultimo
capoverso dell'art. 375 del codice penale” (Milano, Società Editrice Libraria);
“Luce di pensiero italico nelle tenebre della guerra” (Cassino, Soc. Tip. Ed.
Meridionale); “Per la tradizione giuridica italiana” (Milano, Società Editrice
Libraria); “Saggio filosofico sulla corporazione fascista” (Roma, Edizioni del
diritto del lavoro); “Sulla costituzione di parte civile delle associazioni
sindacali” (Roma, Edizioni del diritto del lavoro); “Corso di diritto inter-nazionale
(recensita da Santi Romano, seconda edizione riveduta ed ampliata, Padova,
CEDAM); “Intorno alla pre-giudiziale penale nel giudizio del lavoro” (Roma,
U.S.I.L.A.); “Raffaele Garofalo” (Napoli, SIEM); “Il contratto collettivo di lavoro
e la impresa cooperativa” (Roma); “Una inchiesta sulla criminalità” (Napoli,
SIEM). Annuario Camera dei fasci e delle corporazioni. Rivista penale. Rassegna
di dottrina, legislazione, giurisprudenza, Roma, Libreria del Littorio, Rivista
di diritto pubblico. La giustizia amministrativa, Roma, Società per la Rivista di diritto
pubblico e la Giustizia amministrativa, Una vita per il Diritto Giusto, La
giustizia penale. Rivista critica settimanale di giurisprudenza, dottrina e
legislazione, Società editoriale del periodico La giustizia penale, Tale
trasferimento avvenne per via di un suggerimento pervenutogli al Re dagli
allora procuratori presso la Corte d'appello di Napoli Salvatore Pagliano e
Giacomo Calabria. La giustizia
tributaria. Dottrina, giurisprudenza, legislazione, Città di Castello, Società
tipografica Leonardo da Vinci. Cfr. Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, Cfr.
Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, La scuola positiva. Rivista di diritto e
procedura penale, Milano, Vallardi. Iniziò la sua
carriera a 24 anni e nel 1906 fu nominato pretore di Lagonegro. Quattro anni
dopo divenne pretore di Moliterno, per assumere in seguito le funzioni di
sostituto procuratore a Cassino. Venne trasferito a Roma presso la Procura.
Oltre vent’anni dopo, fu Presidente di sezione della Corte Suprema di
Cassazione, oltre che Professore di Filosofia del diritto. Dotato di una
solidissima dottrina e di un rigorosissimo lavoro applicativo, partecipa ai lavori per la stesura del nuovo
Codice Civile e del Codice di Procedura Civile. Cura vari aspetti
dell’allora nuova normativa: contratto, obbligazione, diritto del lavoro. Una
delle sue grandi doti fu quella di riuscire a non farsi condizionare dal regime
dell’epoca. Non accetta la candidatura in Parlamento offertagli dai suoi
conterranei della Calabria. “Una Vita per il diritto giusto” si lascia
leggere con piacere, in diversi passaggi si incontreranno i tratti che lo hanno
contraddistinto come uomo, come magistrato e giurista, troveremo,
inoltre, la sua attività di ricerca e di elaborazione teoretica, il tutto in un
arco temporale di oltre quarant’anni. Sotto il profilo sistematico si accosta
alla visione di Kelsen per quanto riguarda l’ordinamento e le codificazioni,
nonché, proprio per la ricerca e per l’identificazione di una grande norma
fondamentale (grundnorm). Dal punto di vista epistemologico, rappresenta la
condanna dell’ideologia e della prassi delle scomposizioni in una galassia di
frammenti superficialistici. Lo sguardo al pensiero Coco ci consente anche di
sottolineare la sua analisi critica, egli non si ferma alla semplice
stigmatizzazione della responsabilità oggettiva nei confronti del singolo.
Prende spunto da queste aberrazioni per sottolineare come all’accanimento
contro la condotta individuale della persona fisica non corrispondesse eguale
severità verso gli atti illeciti e dannosi della pubblica amministrazione. Proprio
negli anni ‘30 scrisse “la responsabilità della pubblica
amministrazione”. -- è stato anche filosofo e storico al tempo stesso.
Un’uomo molto impegnato nel suo lavoro che ci sembra doveroso ricordare. Dal
padre, persona di cultura, ricevette i primi rudimenti di
storia, letteratura, e filosofia, che si ritroveranno, successivamente, in
taluni suoi saggi filosofici su Aquino. Iniziò la carriera giudiziaria a soli
ventiquattro anni e ottenne la nomina a Pretore di Lagonegro. Divenne
Pretore di Moliterno, per assumere successivamente le funzioni di Sostituto
Procuratore del Re a Cassino. Trasferito a Roma , presso quella Regia Procura ,
col viatico di rapporti oltremodo favorevoli e lusinghieri dei Procuratori
Generali Pagliano e Calabria della Corte d’Appello di
Napoli, dove vi permarrà per passare alla Procura Generale
presso la Corte d’Appello. Ottenne la nomina a Procuratore Generale del
Re presso la Corte d’Appello di Cagliari, ma non ne assumerà di fatto la titolarità.
Chiamato, invece, a presiedere il Tribunale Supremo delle Acque, era Presidente
di Sezione della Corte Suprema di Cassazione. Il giornale “Il
Tribunale”, pubblicazione mensile edita a Roma, lo saluta a tale nomina.
È della nostra famiglia, di quell’aristocratica famiglia giornalistica, alla
quale non disdegna di appartenere, nonostante l’altissimo grado
che ricopre nell’ordine giudiziario, oggi lieti di salutarlo, insieme con
quello forense, Presidente di Sezione della Suprema Corte. Noi lo abbiamo visto
nella Corte di Cassazione sin dagli anni ormai lontani della sua felice
unificazione. E stato, infatti, tra i fondatori e promotori di quell’Ufficio
del Massimario che raccoglie il vasto e prezioso materiale
giurisprudenziale della Suprema Corte. Non appena conseguita la
promozione al grado IV°; ha ricoperto la carica di Consigliere, partecipando
attivamente alla funzione giudiziaria di così eminente consesso. Ci asterremo,
di proposito, da ogni aggettivazione che non sarebbe di buon gusto né
riuscirebbe gradita al nostro Amico e collaboratore; non possiamo, peraltro,
esimerci dal ricordare fra le benemerenze e il titolo di Professore di
Filosofia del Diritto nella Scuola di Perfezionamento di Diritto Penale
né l’altro, per noi particolarmente caro, di Redattore Capo
della Rivista di Diritto Pubblico. La recente nomina, se
indubbiamente costituisce un nuovo riconoscimento dei meriti di così
eletto Magistrato, rappresenta però un onere, che si aggiunge all’onore di così
ambita carica. Ma l’accoglierà di buon grado, assolvendo
anche dal nuovo seggio presidenziale le delicate funzioni giudiziarie,
alle quali porta il valido contributo della sua competenza, ma soprattutto
una grande serenità ed equanimità. Riguardo ai meriti illustrati
dall’articolo dell’epoca, c’è da dire che il suo cursus honorum non è stato
caratterizzato soltanto da solidissima dottrina e da rigorosissimo lavoro
applicativo, ma anche dalla partecipazione costante all’evoluzione dell’ordine
giudiziario, e tappa importante in tale attività, fu la Sua nomina a membro del
Consiglio Superiore della Magistratura, ossia dell’organo politico e
politico-amministrativo, anche se in base alla legislazione dell’epoca il
Consiglio Superiore della Magistratura non aveva ancora il potere e l’importanza
che la Costituzione e la successiva normativa di attuazione gli diedero.
Ancora, circa la indicata fondazione del Massimario civile della Corte di
Cassazione Unificata va detto che Lui effettivamente fu tra i principali
ideatori; era, quello, un periodo di grandi innovazioni, perchè all’atto
dell’Unità d’Italia, oltre alla Corte di Cassazione di Torino esistevano quella
di Firenze nonchè le due Corti Supreme di Giustizia di Napoli e di Palermo (che
assunsero anch’esse la denominazione di Corte di Cassazione). Con la legge,
vennero soppresse le Corti sopra indicate, mentre quella di Roma fu trasformata
in Corte di Cassazione del Regno. Fu titolare dell’insegnamento di Filosofia
del Diritto presso la Scuola di Perfezionamento in Diritto Penale dell’Università
di Roma “La Sapienza”. In questo ambito, svolse attività accademica per quel
periodo che vide la Scuola annoverare i più bei nomi della dottrina
penalistica italiana, le cui teorie risultano, ancora oggi, alla base della
trattatistica più importante. Altro aspetto rilevante della sua eccezionale
figura di giurista, come si rileva da un saggio del nipote dell’alto
Magistrato, che porta con orgoglio lo stesso nome, il Professore Nicola Coco,
dell’Università di Roma “La Sapienza”, è costituito dal coerente riferimento
alla legalità, cioè allo stato e all’ordinamento giuridico quali unica garanzia
di contratto sociale. Per questo, il periodo che va dal primo
dopoguerra all’ avvento del fascismo, costituisce una parentesi temporale di
efficace e prorompente elaborazione delle basi di quel diritto del lavoro
e sindacale, o “giuslavorismo”, costituendo davvero una novità assoluta
nelle scienze giuridiche del tempo. Così, quando si verificheranno gravissime
crisi socio0economiche che metteranno a rischio l’assetto della produzione, la
politica e i sindacati troveranno i loro punti d’incontro nel noto
Statuto del Lavoratori, una ri-edizione aggiornata delle linee guida
tracciate, agli inizi del “secolo breve”, dai primi “giuslavoristi”, tra i
quali appunto Coco. Altro aspetto qualificante del giurista è l’aver concorso
alla stesura del Codice Civile, ai cui lavori preparatori, dai Ministri Solmi e
Grandi (che è il sottoscrittore anche del Codice di Procedura Civile, emanato
anch’esso, furono chiamate le più belle e fertili menti di magistrati e
giuristi. Cura vari aspetti della normativa (il contratto, l’obbligazione,
diritto del lavoro), tant’è, che nell’imminenza della promulgazione, il
Ministro Dino Grandi gli inviò una lettera personale di ringraziamento per il
prezioso contributo offerto per il Codice. L’ultima parte della sua vita
coincide con l’immane conflitto mondiale, con la guerra
civile e con la scia di vendette e iniquità che ne conseguirono. Dopo la fuga
del Re e la costituzione della Repubblica Sociale Italiana, viene invitato ad
assumere la Presidenza della Corte di Cassazione trasferitasi a Brescia e
fors’anche la carica di Ministro Guardasigilli, ma egli fermamente rifiuta.
Ebbene, nonostante tale ferma presa di posizione nei confronti del regime
fascista, sulla base di taluni articoli che aveva scritto su “Il Messaggero”
di Pio Perrone, di commento a leggi e questioni giuridiche di alto livello,
ovviamente di epoca fascista, l’occhiuta Commissione di epurazione, su decine
di articoli scritti in una pluridecennale collaborazione, ne scova qualcuno
che suona come apologetico del Fascismo. Nulla di più falso, quando era nota a
tutti la dirittura morale del magistrato integerrimo, del quale va appena ricordato,
ammesso ve ne fosse bisogno, che la sorella del Duce, Edvige Mussolini, gli
fece pervenire sollecitazioni per una causa che la interessava. Ebbene, Coco
procedette secondo coscienza, quindi non nel modo auspicato dalla sorella del
Duce! L’epurazione ingiusta, nella quale probabilmente influirono anche
motivazioni non occulte di gelosia e invidia da parte di taluni, soprattutto
per il fatto che per meriti poteva benissimo aspirare alle funzioni di Primo
Presidente della Suprema Corte, ne mina rapidamente le condizioni di salute.
Negli ultimi mesi non volle proporre ricorso contro i provvedimenti che lo
avevano colpito e rifiuta cortesemente anche una candidatura in Parlamento,
per le elezioni, che i conterranei di Calabria gli avevano offerto con affetto
e riconoscenza. Spira serenamente, non mancando nel suo testamento di
perdonare cristianamente quanti gli avevano provocato tanto immeritato dolore.
Codice Civile. Del Lavoro. Delle societa cooperative e della mutue
assicuratrici, delle societa cooperative – disposizione generali – cooperative
a mutualita prevalente. Articoli: societa cooperative; societa cooperative a
mutualita prevalente, criterio per la definizione della prevalenza, requisiti
delle cooperative a mutualita prevalente. Del Lavoro. Nicola Coco. Keywords: mutuale
prevalente, cooperativa, impresa cooperativa, luce di pensiero italico nelle
tenebre della guerra, giurisprudenza romana, giurisprudenza italiana,
eccletismi, filosofia dell’atto, corporazione, contratto e cooperazione, codice
civile italiano, codice di procedura civile italiano, la tradizione giuridica italiana,
associazione, sindaco, Kelsen, grundnorm, legalita, nipote: Nicola Coco, ordine
giuridico, unica garanzia del contratto sociale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice
e Coco” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51773172804/in/dateposted-public/
Grice e Codronchi -- Su i contratti e
giochi d’assardo – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Imola). Filosofo. Grice: “One would underestimate Codronchi
if it were not for the fact that he wrote a smartest little tracts on the two
ways I see conversation as: ‘game’ and ‘contract.’ In “Logic and conversation’
I do confess to having been attracted for a while to a ‘quasi-contractualist’
approach to conversation alla Grice (i. e., G. R. Grice) – and I’m not sure the
reason I give there for rejecting the view is valid, or strong enough! As for
‘games’ – of course conversation is a game – but I never took that too
seriously – perhaps because Austin was obsessed with games and rules of games –
and the subject was worn out for me – when Hintikka came along all he did was
talk about ‘dialogue games’! – I do use ‘game’ terminology – and cf. ‘contract
bridge!” – such as ‘conversational move,’ ‘converaational rule’ of the
‘conversational game’ – and conversational ‘players’ – “Only this or that
‘move’ will be appropriate’, and so on.” Appartenente alla nobiltà, dopo la
laurea prosegue gli studi approfondendo la filosofia spinto dal padre. In
seguito entra alla corte del regno di Napoli, prima con Ferdinando I e poi con
Giuseppe Bonaparte, da cui ottiene la nomina a consigliere di stato. Le sue
saggi più celebri sono “Etica” e “Il contratto”, in cui affronta con semplicità
l'argomento del calcolo delle probabilità. Distingue in tre classi di
contratto. Contratto epistemico: C’e un contratto nel quale è noto il rapporto
tra eventi favorevoli e contrari. Contratto empirico. C’e un secondo contrato
nel quale il rapporto tra un evento favoravole e un evento contrario è fondato
sull'esperienza. Contratto misto Finalmente, c’e un terzo tipo di contratto nel
quale il rapporto tra un evento favoravole e un evento contrario si basa su una
legge sicura e in parte sull'esperienza. For a time,
I was attracted by the idea that observance of the CP and the maxims, in a talk
exchange, could be thought of as a quasi-contractual matter, with parallels
outside the realm of discourse. If you pass by when I am struggling with my
stranded car, I no doubt have some degree of expectation that you will offer
help, but once you join me in tinkering under the hood, my expectations become
stronger and take more specific forms (in the absence of indications that you
are merely an incompetent meddler); and talk exchanges seemed to me to exhibit,
characteristically, certain features that jointly distinguish cooperative
transactions: 1. The participants have some common immediate aim, like getting
a car mended; their ultimate aims may, of course, be independent and even in
conflict-each may want to get the car mended in order to drive off, leaving the
other stranded. In characteristic talk exchanges, there is a common aim even
if, as in an over-the-wall chat, it is a second-order one, namely, that each
party should, for the time being, identify himself with the transitory
conversational interests of the other. 2. The contributions of the participants
.should be dovetailed, mutually dependent. 3. There is some sort of
understanding (which may be explicit but which is often tacit) that, otl1er
things being equal, the transaction should continue in appropriate style unless
both parties are agreeable that it should terminate. You do not just shove off
or start doing something else. SAGGIO FILOSOFICO SUI CONTRATTI E GIOCHI
D'AZZARDO DEL CAVALIERE NICCOLA CODRONCHI. Sor's incerta vagatur , Fertque
refertque vices . Lucan. FIRENZE PER GAETANO CAMBIAGI STAMPATOR GRAND. CON
APPROVAZIONE. ALL’ALTEZZA REALE DI PIETRO LEOPOLDO PRINCIPE REALE D'UNGHERIA E
DI BOEMIA ARCIDUCA D'AUSTRIA GRANDUCA DI TOSCANA &c. &c. & c. 1 NICCOLA
CODRONCHI. Questa operetta che sottopone il contratti d’azzardo o aleatorio
all'esame della filosofia per fissare, quant'è possibile i I dati onde non
discordino dalla giustizia, dovea bene essere umiliata, a VOI, che pieno del le
verità della prima, avete consacrati tanti pensieri ad assi curare, e stabilir
la seconda; onde può dirsi che il vostro trono è il punto più luminoso della
loro unione, che sola può formare la felicità degli stati. Posta questa mia
fatica, se non è degna dipresentarsi all'illuminatissima vostra mente, non
dispiacere al vostro cuore, che non sdegnerà di riconoscere in esta una
significazione dei sentimenti del mio, penetrato del la più viva gratitudine al
vostro real patrocinio, e alle copiose beneficenze, auspici sotto de’ quali è
nata, e condotta alla luce, e ai quali desidero con tutto lo spirito che sempre
più raccomandi l'autore. Non avvi forſe negli uomini un sentimento più costante
e universale del desiderio di arricchire. L'uomo tende incessantemente a
procacciarsi, ed assicurarsi i mezzi necessari a sostenere e a rendere
tranquilla e comoda la vita. La natura, che ha voluto che ciò concorra alla sua
felicità alla quale con tanta forza lo stimola, gli ha inserito di sua mano nel
petto questo vivissimo ardore; acciocchè se dalla propria industria riconosce
egli il sostentamento e gli agi della vita, riconosca però dalle provvide mani
di lei l'eccitamento e l'efficacia di questa industria medesima. Questa fiamma
sempre operosa accende talvolta un cuore angusto che non ha altro oggetto che
se medesimo, o un piccolo e ristretto sistema di persone. Talvolta pero trionfa
sovranamente in un animo generoso, a che stima di se minori tutte le mire che
non sian vaste e sublimi. Patria, nazione, pubblica felicità, interessi
dell’uman genere ecco i grandi oggetti, che egli ha sempre davanti; ed ecco
intorno a che si aggirano i lumi del politico pensatore; ecco ciò che forma le
vigilie dell’uom’di stato. Quindi è che sempre nuove vie si spianano al
commercio, nuovi mezzi si studiano per facilitarlo, nuovi metodi si ritrovano
per dilatarlo. Questo ardore medesimo ha fatto sì, che gli uomini vadano sempre
inventando un nuovo contratto, o ai ritrovati già prima diano nuove sempre e
più estese forme. Chi avrebbe mai detto nei primi tempi delle nascenti civili
società, quando altro contratto non conoscevasi che quello di dare i grassi capi
dell’armento in cambio degli scelti frutti del campo, che vi sarebbero stati un
giorno uomini, che avrebbero ridotte a contratto non solo una cosa esistente,
sicura, e da esli ben conosciuta, ma la cosa non esistenti ancora, le incerta, la
soggetta al caso, la sconosciute? O chi persuaderebbe alle numerose carovane
dei mori che vanno nel fondo dell’Affrica a far coi negri il cambio del sale
colla polvere d’or , che sonvi e lecici, e un vantaggioso contratto, che si
appoggia solamente all’aleatorio pericoloso e al bizzarro capriccio della
fortuna? Il moro che mette il suo sale in un mucchio e lo va sminuendo, se gli
pare che il negro con cui commercia, non abbia ammassata in sufficiente
quantità l'a preziosa polvere; riderà di coloro che si espongono a gravi
perdite delle loro sostanze affidandole all'incertezza della sorte. Eppure, e
vi e questo contratti aleatorio, e puo esser ridotti a quella uguaglianza che
dopo determinati, o dalle leggi, o dalla consuetudine i prezzo della cosa è
necessaria a render giusto qualunque contratto. A fissare il limite e il grado
di uguaglianza in tale contratto aleatorio giova maravigliosamente
quell’utilissima scienza che arditamente calcola le probabilità e si rende
soggetti, per così dire, i sempre vari accidenti della fortuna. Questa scienza
è stata chiamata finora aritmetica politica perchè è stata ordinata soltanto a
ricercare l’utilità e la miglior sorte a 2 del commercio e di chi lo esercita,
e ad apprestare dei nuovi dati a chi veglia alla pubblica felicità . Ma io
crederò di potere con parità di ragione chiamarla “aritmetica del giusto” ed
asserire che se il gran principio che fra il certo presente e l'incerto
avvenire trovasi una vera proporzione è stato quel seme fecondo che ha
germogliato al pubblico bene, è quello ancora che dee produr nulla meno la
sicurezza e la tranquillità nell’animo di chi sulle tracce dell’onesto e del
giusto voglia istituire tale contratto. Non farà però inutil cosa se io
cercherò di spogliare della austerità e difficoltà del calcolo una sì
vantaggiosa teoria e di ridurla a principi generali e semplici, facendo su di
essi opportunamente alcune riflessioni ed applicandone le regole al contratto
aleatorio, che verrò con la chiarezza e brevità maggiore che a me sia possibile
investigando. Mi lusingherò quindi di aver sempre pronta una misura, più o meno
esatta, a norma che eſli più o meno ne siano suscettibili, che ne determini
l’uguaglianza, é una bilancia che ne pesi l'equità e la giustizia. Contratto
aleatorio io chiamo quel contratto nel quale si fa acquisto di un diritto, o vogliam
dire di una speranza (res sperata – emptio spei, emptio rei separatae), il buon
esito della quale è affidato all’incertezza della sorte (cfr. Grice,
“Intenzione e incertezza”). E quì si osservi che si può nel medesimo contratto
considerare l’aleatorio relativamente ad ambedue i contraenti. (parola chiave:
“ambedue i contraenti”). Quello, il quale talvolta per far guadagno di una
tenue somma di denaro (a) ma certa, vende la speranza incerta di un gran
guadagno, sottopone all'aleatorio tutto quel di più che avendo buon esito la
ceduta speranza, supera la tenue somma in cui la cambio. L'uguaglianza che dopo
fissato dalla legge o dalla consuetudine il prezzo della cosa ricercasa nel
contratti perchè sia giusto, vi è ſempre, quando esaminata la cosa che ne forma
l'oggetto, ritrovisi in (a). Vedasi più sotto ove si parla del contratto di
alii curazione un vero senso egualmente pregevole ciò che danno nel contratto e
reciprocamente ricevono ambedue i contraenti. Or chi non vede che l'avere un
diritto o una speranza è molto più valutabile che il non averla? E se ciò è
vero, è manifeſso che questa speranza puo dirsi avere un vero e real prezzo nel
commercio degli uomini. Ma siccome tuttociò che ha prezzo pui avere un prezzo
diverso, questa speranza ha anch'essa la sua diversita e puo per conseguen
prezzo calcolarsi in guisa da poterne trovare il *rapporto* a quello per cui
alcuno desideri di farne acquistom che è quanto dire potrà ridursi ad una vera
uguaglianza. Stabiliscasi adunque l’incontrastabile fondamenza il suo tale
TEOREMA. Nel contratto aleatorio vi puo essere essere quella uguaglianza, che
gli caratterizzi per giusti . ng Too vorrei potere esporre con la maggior
precisione e chiarezza la serie delle idee che conducono a fissare il canone
per cui si puo in un contratto aleatorio rinvenire l'uguaglianza di cui si
parla. Il soggetto è molto arduo e per esporlo nel dovuto lume e farne poi
l'opportuna applicazione è neceſſario fare di tratto in tratto molte importanti
osservazioni che o sviluppino il principio fondamentale o vagliano a
dilucidarlo. E prima di tutto io intendo sempre per nome di prezzo tutto quello
o sia certo e determinato, o sia incerto anch'esso o per l'evento la quantità
che si espone per far l’acquisto di una speranza. Premio io chiamo quello per
cui ottenere si espone il prezzo così definite. Conviene pero osservare che per
nome di premio si può intendere , e l'oggetto solo a cui si aspira e il medeſimo
più il prezzo che si è o esposto o sborsato per acquistarne la speranza. Ciò ben'inteso
parmi che per rintracciare questa uguaglianza sia d'uopo conoscere i o per 8 la
diversa speranza. Di due elementi viene egli composto. Tanto è più stimabile
una speranza quanto ha un'oggetto più pregevole; e questo è ciò che io intendo
per valore intrinseco; ma tanto anche è più stimabile per altra parte quanto è
più probabile che ha un esito favorevole, e questo col nome di estrinseco
valore vuolsi significare. La probabilità è maggiore o minore secondo che è
maggiore o minore il numero di casi favorevoli all'evento rispetto al numero
de' sinistri; di modo che se si facesse una tavola che gradatamente, e per
serie e sprimeſle questi rapporti si avrebbe una vera tavola delle probabilità.
Conſiderando però ciascun evento separatamente e senza rapporto ad altri; la
probabilità che esso liegua, vien espressa dal *rapporto* del numero de’ casi a
lui favorevoli alla somma dei favorevoli insieme e de’ contrari. Poichè se
sianvi in un urna 10 palle bianche e 10 nere; per definire la probabilità
dell'estrazione di una palla Bianca fa d' uopo conſiderare le 10 bianche in
massa colle nere; giacchè in massa sono quando si fa l'estrazione dall'urna.
L'istesso avviene di ciascun evento che sia l’oggetto di una speranza; giacchè
deve distaccarsi dalla massa che è il cumulo degli eventi favorevoli e dei
sinistri che stan raccolti nell’urna sovrana regolatrice della umana vicenda.
Se dato un prezzo con cui si voglia fare acquisto di una speranza, il numero
dei casi favorevoli al buon esito sia uguale a quello dei sinistri, è troppo
chiaro che a volere la ricercata uguaglianza e necessario che il valore
intrinseco della speranza o sia dell'oggetto della medesima, sia *doppio* del
prezzo che si espone per acquistarlo; poichè in tal guisa la metà del valore
intrinseco resta compensata dal prezzo che si è pagato; l'altra metà, che sola
è un vero guadagno è uguale al prezzo medesimo che si è espoſto all'aleatorio;
e così deve essere essendo nel caso nostro uguale la probabilità del buon esito
e dell’infausto. E non altro appunto significa quella regola infallibile
secondo la quale è sempre 10 il valore (a) dell’aspettativa, quando in ugual
numero siano i casi favorevoli all’esito bramato e i sinistri. Che se si
accresca il numero de’ casi sinistri; siccome scema percið il valore estrinſeco
della speranza, converrà che si accresca *proporzionatamente* l’intrinseco
accrescendo il valore dell’oggetto medesimo. Per maggior chiarezza di cio
suppongasi il prezzo con cui si compra la speranza uguale ad un dato numero e
suppongasi il numero dei casi favorevoli uguale a quello dei sinistri. In
questo caso la probabilità del buon esito e uguale a quella dell'infausto e la
speranza si elide col timore, e per conseguenza il suo valore estrinſeco puo
considerarsi = 0; verrà dunque in confronto il solo prezzo col premio; che però
queste due quantità dovranno eſſere uguali, benchè il valore intrinſeco della
speranza, o sia il premio medesimo preso in una più estesa significazione 111
(a) L’aspettativa non è altro che il grado di probabilità che uno ha di
ottenere un’intento fortuito. II sia doppio del prezzo, poichè una metà del
premio medesimo non si può chiamare lucro, restando compensata col prezzo già
sbor fato ed esposto all’aleatorio. Stabilito adunque questo caso, come per
punto fisso dal quale si parte la serie dei valori, è chiaro ugualmente che se
il numero dei sinistri casi sia maggiore o minore di quello dei favorevoli, di
tanto la probabilità del buon esito a fronte della probabilità dell'infausto
farà a proporzione maggiore o minore di zero nel formare il valore totale della
speranza; lo che non altro significa, se non che ad avere l'uguaglianza
necessaria converrà che a proporzione l'oggetto della speranza superi nel primo
caso il prezzo con cui si acquista e nel secondo sia ad esso inferiore, e
quindi li puo universalmente stabilire. Nel secondo teorema, i valori delle
speranze sono in ragion composta del valore intrinseco dell’oggetto o cosa o
reale sperato (res sperata), o dell’spettativa. Ne terzo teorema, nel contratto
aleatorio allora visarà l'us 1. Il contratto aleatorio allora vi sarà
l'uguaglianza quando il prezzo che espone uno de contraenti stia al premio,
come il numero dei casi favorevoli a lui, alla ſomma dei favorevoli e dei
contrari. Notisi che quì per premio s’intende non solo la porzione che si
lucra, ma di più il prezzo istesso che si è aleatorio, aleatato. E siccome, per
quanti siano i prezzi dei contraenti, deve verificarsi in ciascun prezzo questo
rapporto al premio, ne verrà che i prezzi staranno fra di loro come il numero
dei casi favorevoli ad uno dei contraenti di viso per la somma de favorevoli e
de’ contrari al numero de favorevoli a quello con cui si istituisce il
paragone, diviso anch’esso per la somma dei favorevoli e dei contrari: e così
dicasi di quanti siano i contraenti. Da questo teorema si deduce il seguente
corollario. Nel contratto aleatorio allora vi sarà l'uguaglianza quando i
prezzi dei contraenti ſtiano fra di loro , come i numeri dei caſi ri
ſpettivamente favorevoli . Dagli enunciati Teoremi chiaramente ap pariſce, che
per bene applicarli agl' indivi dui caſi, è neceſſario eſaminare maturamente ,
qual ſia il vero valore del prezzo con cui ſi compra la ſperanza ; quali ſiano
i veri caſi favorevoli, e ſiniſtri; e fiflarne il numero con quella eſattezza
che convenga alla naturą del contratto in queſtione. Conſiderando at ;
tentamente la natura e le leggi dei diverſi contratti di azzardo , mi è parſo
che preſen tino una facile e natural diviſione , per la quale in tre ſeparate,
e diſtinte claſſi li pof ſono comodamente diſtribuire. Imperciocchè dalla loro
diverſa natura , e dalle diverſe leg gi che gli coſtituiſcono , ne naſce una
diverſa maniera di fiſſare i rapporti del numero dei caſi favorevoli, a quello
dei ſiniſtri . A tre fi poſſono in fatti ridurre i metodi per fillare 1 14 gli
accennati rapporti, e quindi collocare in una di tre diſtinte claſli ciaſcun
contratto di azzardo . Primo metodo è quello per mezzo del quale conſiderata la
natura , e le leggi del contrat to rilevaſi il ricercato rapporto dal numero
delle cauſe e delle ragioni, che poſſono in fluire ſul buon eſito della
ſperanza , numero determinabile , e ragioni certe , e ſicure . Il ſecondo è
quello nel quale per la natura del contratto , non ſi può fondare il rapporto ,
ſe non che ſulla ſperienza , e ſulle oſſerva zioni eſatte perd , e molte volte
replicate ; e ſopra cagioni incerte , e variabiliffime per le quali il numero
dei caſi favorevoli e dei fi niſtri, non può mai eſſer certo , determinato , e
ſicuro . Terzo metodo è quello per cui ſi appoggia la indicata proporzione ,
parte alla conſiderazione di leggi certe e ſicure , e par te alla ſperienza del
paſſato , e a circoſtanze incerte ', e di numero indefinito . Nei contratti
adunque della prima fpecie , conoſciutene le leggi, fiffato il numero delle
cauſe che poſſono influire ſull'oggetto del 1 4 13 contratto , ed eſaminate le
diverſe maniere nelle quali poſſono combinarſi, ſi avrà un eſatta ed
infallibile notizia del rapporto dei caſi favorevoli ai finiftri . La ſcienza
delle combinazioni , e permu tazioni è ſtata nel noſtro ſecolo così illuſtra ta
, e dall ’ Ugenio , e dal Bernullio , e dal Moivre, ed è così vaſta ed eſteſa ,
che vo lendo io trattarne a lungo, non potrei per l'una parte non oſcurare ciò
che è ſtato detto con tanta preciſione, e ſicurezza, e non fa prei per l'altra
accennar poche coſe , che non laſciaffero un neceffario deſiderio di molte più
, intorno alle quali l'intertenermi , oltre paſſerebbe di gran lunga il fine, e
l'idea di queſto faggio ; e tanto più , che ſenza la fe verità del calcolo più
aſtruſo non ſi potreb bero per avventura trattare tutti i caſi par ticolari .
Nel venire però eſaminando la na tura dei diverſi contratti, ed applicando ad
effi li ſtabiliti Teoremi , ſi vedranno di trat to in tratto i principj di
queſta ſcienza ſvi luppati , ed indicata la maniera di applicarli ad alcuni
caſi particolari, ſiccome con l'uſo ! 16 rétto , e ſicuro del calcolo ſi
poſſono adattare a tutti i caſi i più compoſti, ed aſtruſi . Il gioco di pura
ſorte è certamente uno dei contratti che alla prima claſſe debbonſi riferire .
Mi è noto quanto ha ſcritto il cele bre Giacomo Bernulli , per dare le regole
ficure onde fiſſare nei giochi di fortuna il numero dei caſi favorevoli e dei
contrari , i vantaggi reſpettivi dei giocatori , e il pre mio che può uno
eligere, dopo incominciato il gioco per ritirarſi ſenza rinunziare alla miglior
condizione , in cui l'hanno già poſto alcuni colpi favorevoli . So che eſſendo la
probabilità , o ſemplice, o compoſta , ne ha queſto gran Matematico ridotta la
miſura all'interſezione di una linea retta con una curva logaritmica , o di
queſta con una pa rabolica , e così ſucceſſivamente aſcendendo alle curve dei
gradi più alti . Ma laſciando da parte i profondi calcoli , e i miſteri della
fublime Geometria , i quali però ben pene trati ſcuoprono il profondo e
inventore in gegno di queſto grand' uomo , piacemi in quella vece di eſaminare
ſemplicemente ſen 17 za di effi la natura e le leggi del gioco , per
riconoſcere ſecondo l'accennato metodo , come ſi poſſa in eſſo e dare e
ſcoprire l'u guaglianza fra i giocatori , e in tal guiſa applicare a queſto
contratto gli enunciati univerſali Teoremi . Il gioco di pura ſorte è una
ſpecie di con tratto , nel quale due o più perſone, dopo di aver convenuto di
certe leggi, e condizio ni , ſi diſputano un premio , che ſi rilaſcia a chi
ſarà più felice , per rapporto a certi acci denti l'effetto dei quali non
dipende per ve run modo dalla loro induſtria . E quì cade in acconcio fare una
rifleſſione comune a tutti i contratti di azzardo . Il dire che una coſa accada
caſualmente , non altro ſignifica, ſe non che la cagione ne è a noi
ſconoſciuta ; e che non vi abbiamo alcuna volontaria influenza . Per altro quan
do fiegue in natura un determinato effetto , qualunque ſiaſi, è certo che
neceſſariamente dovea ſeguire . Che due dadi gettati ſu di una tavola ,
ſcoprano piuttoſto un numero , che un altro ; noi ne ignoriamo la cagione b 18
nell'atto ſteſſo che ne ſegue per le noſtre mani medeſime il tratto . E perd
ugualmente vero , che dato quel tal moto alla mano che gli getta , dato quel
tal grado d'impeto , e non più nè meno , data la mole dei medefi mi , e il
piano ſu cui ſi aggirano , devono neceſſariamente preſentar quel tal dato nu
mero e non altro . Così dicaſi dei giochi di carte le combinazioni delle quali
dipendono dalla diverſa maniera di meſcolarle , e di dividerle alzandone una
parte di eſſe fovra il reſtante ; anzi pure non ſolo del gioco , ma dicaſi,
come ſi avvertì di tutti i contratti di azzardo , e generalmente di qualunque
evento fortuito ( a ), (a) Non ſolo ne' contratti ove ciò che ſi perde o che ſi
guadagna è riducibile ad una miſura diſtinta in gradi coſtanti ed eſattamente
marcati , ma anche in tutto il tenore di una vita diretta a un fine fpe rato ma
incerto ha luogo il prezzo ed il premio . Le fatiche , gl'incomodi , le
priyazioni dei piaceri formano il primo . Nella gloria , nell'autorità , negli
onori , nelle ricchezze è ripoſto il ſecondo , che molte volte defrauda le
meglio fondate ſperanze , o almeno ad effe perfettamente non corriſponde; onde
può dirlig . 19 Varie ſono le ſpecie principali dei giochi di pura ſorte ,
ſiccome varie ſono le maniere di diſputarſi il premio.O due giocatori eſpon
gono all'eſito della forte le loro reſpective porzioni di depoſito con la legge
che deb baſi tutto a quello rilaſciare, il quale felice mente s'incontra prima
dell'altro in un fa vorevole accidente , che ambi ſi ſono propoſti d'incontrare
; o a quello , che in ugual nu mero di faggi, ſotto le medeſime leggi , di
pendentemente dalle medeſime condizioni , 6 2 che così in queſte ſecrete e non
ftipulate aſpettative come in quelle per cui s'inſtituiſcono e ſi celebrano i
contratti,domina ugualmente quella inſtabile divinità creata dall'ignoranza
della conneſſione delle cagioni delle coſe , e del compleſſo delle circoſtanze
necef ſarie ai fortuiti eventi , ma che in tutti i caſi ſuol chiamarſi
ugualmente Saevo laeta negotio Et ludum inſolentem ludere pertinax . Biſogna
però rammentarſi ſempre che le parole che eſprimono gli attributi della fortuna
, o del caſo , quando ſono uſate dal Filoſofo , hanno un fenſo di verſo da
quello in cui le uſa il Poeta che simboleg gia , e il volgo che non ragiona .
<< tro , così dire nega incontra quelle combinazioni che preſen tano una
maggior ſomma di quegli elementi ond'è compoſto il gioco , e alla quale è at
taccata la vincita del medeſimo. Oppure il contratto del gioco è tale che un
ſolo dei giocatori s'impegna in un dato numero di ſaggi, e ſotto certe
condizioni , d'incontrare un dato favorevole accidente o ſemplice ſia di altri
' compoſto , e quale non incontran do , la ſorte s'intende aver deciſo per l'al
la ſperanza di cui per tiva , non ha altro oggetto che l'eſito infe lice delle
mire dell'avverſario , non obbli gandoſi intanto a tentare poſitivamente ve run
colpo di gioco . Nei priini due caſi egli è chiaro che devo no i giocatori
azzardare una egual fomma, o prezzo , altrimenti reſterebbe manifeſtamente
tolta di mezzo la neceſſaria uguaglianza . E' chiaro che allora il prezzo con
cui ſi acquiſta la ſperanza è eguale alla metà del valore dell' oggetto ;
poichè il primo altro non è che la porzione di depoſito di uno dei giocatori e
il ſecondo è la ſomma delle due porzioni 2 1 uguali componenti il
totaledepoſito .Ma co me trovare in queſto caſo il numero dei caſi favorevoli
uguale a quello dei ſiniſtri come pure eſige la ſtabilita Teoria ? E certamente
ſe fi conſiderino i caſi favorevoli , ei con trarj diſtintamente in ciaſcuno
dei giocatori ; non ſi potrà fiſſare nè ragione di uguaglianza nè altra
qualunque . E' queſta una evidente verità , ſe ben ſi conſiderino le leggi di
queſto gioco , per le quali dipendendo la ſorte di un giocatore , non dai ſuoi
colpi ſolamente ma da quelli ancora dell'avverſario , i ter mini della
proporzione ſaranno ſempre rela tivi , e per conſeguenza variabili . Eſaminata
però più maturamente la natura del gioco di cui ſi tratta , fi dee riflettere ,
che il nu mero dei caſi favorevoli a un giocatore , è compoſto non ſolo dei
caſi propizi a lui di rettamente , ma dei caſi altresì all'avverſario contrarj
; e al contrario il numero dei finiſtri , altro non è che la ſomma
degl'infauſti a lui , e dei favorevoli all'avverſario . Ma quando fi giochi con
condizioni eguali , queſte due fomme fono eguali : dunque anche in queſto 22
caſo può reſtare verificato il canone della ſtabilita proporzione , e i prezzi
ſtare fra loro come i caſi favorevoli ai finiſtri . Da ciò ne ſegue , che ſe
due giocatori proponganſi di incontrare la medeſima favo revole combinazione o
la medeſima ſomma di accidenti ; ma che uno voglia far più ſaggi del gioco , o
cercar con più mezzi quelle combinazioni che preſentino maggior ſomma degli
elementi del gioco , nella guiſa di ſopra accennata ; l'altro in tal caſo dovrà
eſami nare di quanto il numero delle combinazioni a ſe favorevoli reſti
fuperato dalle ſiniſtre , ed eligere che la porzione di depoſito dell'
avverſario ſuperi in tal proporzione quella che egli conferiſce nel gioco . Sia
concertato per eſempio , che abbia il premio del gioco quello che fa più numeri
con i dadi , ed uno voglia gettarli più volte , o in ugual numero di volte
gittarne un mag gior numero , è manifeſto , che dalla natura , e dalle leggi di
queſto gioco , ſi potrà con le note regole delle combinazioni ricavare in che
proporzione debba egli eſporre all'az 23 zardo ſomma maggiore . Che ſe poi
trattiſi della ſeconda ſpecie di ſopra accennata , che è allor.quando uno ſolo
dei giocatori ſi eſpone ad incontrare una o più favorevoli combinazioni , in un
dato numero di faggi, e ſotto certe leggi , e l'altro guadagna full infauſto
eſito dell'avverſario , ſenza tentare egli di per ſe alcuna forte di gioco , è
più difficile allora , ed è più operoſo il fiſſare gli opportuni termini della
noſtra proporzione . L'intenzione e l'oggetto dei giocatori in tal caſo può
eſſere di eſporre all'azzardo una ugual porzione , o di eſporla diverſa . Nel
primo caſo il giocatore che intraprende , e faminata la natura del gioco , e le
leggi chę a lui propone l'avverſario , potrà ricavarne il numero dei caſi
favorevoli e quello dei ſiniſtri, e dimandare quelle condizioni nelle quali
queſti due numeri ſi uguaglino: nel ſe condo conviene che dimandi quelle condi
zioni nelle quali , il numero dei favorevoli caſi, ſuperi tanto quello dei
contrari , di quan to la ſua porzione di depoſito ſupera quella dell'altro , o
al contrario . Intraprende uno 14 di gettare un dado in maniera che ſi ſcuopra
la faccia la quale moſtra il numero 6. Se lo deve fare in una ſol volta ,
ſiccome ha cin que combinazioni contrarie , e una ſola fa vorevole , converrà ,
che l'altro azzardi una ſomma cinque volte maggiore , altrimente la proporzione
reſta alterata . Che ſe trattiſi di azzardare una fomma eguale da entrambi i
giocatori , e ſi voglia più volte ricominciare , erinovare il gioco , converrà
oflervare quanti tratti di dado ſiano neceſſarj per fare che il numero dei caſi
favorevoli , ſia uguale a quel lo dei contrarj , del che , e relativamente al
noſtro addotto caſo , e ai fimili , ne da una eſtefa tavola il gran Bernulli
alla propoſizio ne X. del libro primo del ſuo trattato inti tolato ars conje
&tandi; ove dimoſtra un ingan no che in fiſſare queſta proporzione è facile
a pigliarſi da chi eſamini queſta ſpecie di gioco ſulla prima apparenza , ſenza
internarſi profondamente nelle fue leggi . Diffi, quan do fi voglia più volte
ricominciare , e rino vare il gioco , per le ragioni addotte dal Ber nulli nel
loco citato ; giacchè fe non ſi ri 25 novi ſucceſſivamente , egli è evidente
che chi deve con un ſol dado ſcoprire la faccia del numero 6. per eſempio , ed
azzardare una ſomma eguale a quella dell'avverſario , do vrà chiedere di
gettare il dado tre volte ; e cid col patto che non s'intendano in queſto
numero compreſe quelle volte in cui ſi vol taſſe di nuovo una medeſima faccia
del dado già ſtata ſcoperta . Ciò che ſi è detto di due giocatori, dicaſi di
più , e ſi conſiderino diſtintamente tutti i contratti che fa ciaſcuno dei
giocatori , e l'azzardo a cui eſpone ciaſcuno la depoſitata porzione , e ſi
vedrà che non reſta punto terata la noſtra teoria , benchè coll’eſporre una
determinata ſomma ſi poſſa guadagnare la medeſima moltiplicata per il numero
dei giocatori ( a ) . Anzi è regola univerſale in tutti i caſi compleſſi di
gioco , ridurli ai ſem plici dei quali è compoſto , ed eſaminare in ciaſcuno di
effi le ſovra ſtabilite maſſime. Dalle medeſime troppo chiaro appariſce (a)
Vedi il Corollario del Teorema III . 26 che i vantaggi , che ha in alcuni
giochi il banchiere , per eſempio nel faraone quello dei doppietti, quello
dell'ultima carta , ed altri che ha ſecondo i vari uſi dei paeſi ove giocaſi
tolgono l'uguaglianza , perchè tur bano la fiſſata da noi proporzione; poichè
nei caſi medeſimi nei quali il premio che dà il banchiere è uguale alla ſomma
azzardata dal puntatore, il numero dei caſi favorevoli al primo è maggiore del
numero dei favo revoli al ſecondo ; o in ugual numero di caſi favorevoli il
ſecondo azzarda più del primo . Si pretende nonoſtante , che ſe ſi conſideri,
non la relazione che ha ciaſcun giocatore in particolare al banchiere ma bensì
tutto il ſiſtema del gioco , vi ſiano molti rifleſſi che giuſtifichino queſto
vantaggio di condizione . Una ſplendida ſomma ſottopone egli alla cie ca ſorte
, e ſi obbliga di laſciarla ſempre in pericolo . Il puntatore per lo contrario
può voltar le ſpalle ſdegnoſo a quella avverſa for tuna , che tenta in vano di
placare ; o aven dola provata propizia può aſſicurare i ſuoi doni dalla
capriccioſa ſua volubilità . Oltre 1 1 27 di ciò la ineguaglianza delle ſomme
eſpoſte dai vari giocatori , delle quali alcune per dendo può il banchiere
rimanere ftremo , ed eſauſto , ſenza ſperanza di tirar profitto dalla
incoſtanza della fortuna ; le altre ſe vin ce appena gli recano un tenuiſſimo
guada gno ; la non leggiere fatica per ultimo del banchiere medeſimo poſſono
baſtevolmente render leciti i vantaggi che egli ha nel liſte ma del gioco . Io
preſcindo dall' eſaminare quale , e quanta conſiderazione eſigano le accennate
circoſtanze . Due coſe ſolo aſſeri ſco . E che alcune di queſte ſono quantità
non già coſtanti ma variabiliſſime, eſſendo relative a circoſtanze facilmente
alterabili; e che conſiderato il gioco in ciaſcuno a par te dei puntatori
relativamente al banchiere , come par certamente debbaſi conſiderare, la
alterazione della proporzione ſtabilita è mol to notabile in iſvantaggio dei
primi , e in manifeſta utilità del ſecondo . Non voglio perd omettere , che
eſſendo ſta ta eſaminata con eſatto calcolo la ſerie dei vantaggi del banchiere
per ogni pofta fem 1 28 plice , cominciando dalla ſuppoſizione che vi ſiano 52.
carte fino a quella che ve ne ſia no quattro due delle quali ſiano dell'iſteſſa
figura, ſi è rilevato che la media , è il 5 . per 100. Ma in tutto un giro
quando l'avi dità dei giocatori fa che per mezzo dei pa roli o delle paci la
forza del gioco ſi traſporti almeno verſo l'ultime 24. carte , allora la media
diventa il 9. incirca per 100. Ep pure le circoſtanze che eſigono compenſa
zione non variano in modo da efigere que Ita differenza ( a ) . Non ſi ha
dunque nell'attuale ſiſtema del faraone la vera maniera di trovare la com
penſazione delli ſvantaggi del banchiere . Bi ſognerà dunque per ottenerla , o
fiſſare il nu mero delle pofte: 0 por dei termini ſopra , e fotto de' quali non
poſſa ſalire o ribaſſarſi la poſta : 0 tentar di fiſſare più che fia poſſibile
una ſomma relativa alle diverſe poſte la quale (a) Si noti che il vantaggio di
ſopra indicato del ban chiere ſi ripete tante volte quante poite fi fanno , onde
ſi vede in un ſol giro quanto ſia enorme ed ecceffivo . 29 effendo un di più
della poſta medeſima, ma conoſciuto , non altererà le giuſte proporzioni fra il
prezzo ed il premio : o diſperare per ultimo di poter mai annoverare fra i con
tratti giuſti il gioco del faraone. Sogliono comunemente dalle fagge leggi
vietarſi i giochi di pura ſorte, come quelli che per una certa fatalità
luſinghiera , ſi uſur pano il tempo dovuto alle pubbliche cure , alle dotte
occupazioni , ed al domeſtico reg gimento delle famiglie , alle quali recano sì
di frequente irreparabile ruina ; che non è già sì di rado, che una carta di
gioco , o un ſol colpo di dado decida della defolazione, e dell' inopia di
molti infelici . Si aggiunge a queſto , che la dura legge del biſogno , e la ſevera
faccia dell'avverſa fortuna dettano all'inaſprito giocatore le arti meno oneſte
, e i mezzi più indiretti nel gio co medeſimo ; talchè ſi verificano di troppo
i celebri verſi di Madama Deshouliers . Le deſir de gagner qui nuit &jour
occupe Eft un dangereux aiguillon ; 1 1 1 1 30 Souvent quoique l'eſprit,
quoique le coeur foit bon , On commence paretre dupe , On finit par etre fripon
. E quanto il gioco di pura ſorte ſia ſtato ſempre deteſtato lo conoſcerà chi
oſſervi le Leggi Romane al tit. De aleatoribus , e nei digeſti, e nel codice ,
e legga i dotti commenti degl' interpreti sù i medeſimi, e vedrà che ſi è
ſempre riguardata come oggetto di compal ſione e di orrore la miſera condizione
di que gl’incauti quos praeceps alea nudat . Io però e nel gioco , e in tutti i
contratti di azzardo eſamino la giuſtizia per rapporto ſoltanto alla ſovra
eſpoſta neceſſaria ugua glianza , preſcindendo affatto da qualunque carattere
che poſſa rendere i medeſimi, o conformi, o oppoſti alle provide leggi , e ai
retti coſtumi. Similiſſima al gioco è un'altra ſpecie di contratti d'azzardo ,
che chiamaſi comune mente il lotto de go. numeri ; cinque dei quali ſi
eſtraggono da un vaſo , e decidono della ſorte di chi ſulla ſperanza , che
eſcano 31 dall'urna miniſtra della fortuna , azzarda una data ſomma di denaro .
Troppo ſon note le leggi di queſto contratto , e troppo è facile il conoſcerne
e combinarne gli accidenti , per poter francamente aſſerire che non vi è forſe
contratto di azzardo nel quale , e più nota bilmente e più ſolennemente la
ſtabilita pro porzione reſti alterata . Sempliciſſimi elemen ti formano il
ſiſtema di queſto contratto , e una ſuperficialiſfima cognizione di calcolo è
baſtevole per far conoſcere , che ſebbene una tenue ſomma di denaro può
cambiarſi in una ſplendida maſſa di oro , pure a fronte di un caſo favorevole
ve ne ſono tanti dei ſiniſtri, che rieſce aſſai più ſuperata la probabilità di
gua dagnare da quella di perdere , che non la ſomma azzardata dal promeſſo
premio per ricco e grande che poſſa parere . Per ſalvare la giuſtizia di queſto
gioco , non giova il dire , che conſentendo i gioca tori con piena e perfetta
libertà a queſta diſuguaglianza, queſto baſta per rendere le gitima quella
convenzione , che ſarebbe al trimenti tanto leſiva . Queſto argomento pro * 32
verebbe troppo in genere di contratti , e per ciò deve conſiderarſi di neſſun
vigore. Sareb be queſta maſſima l'appoggio di moltilli mi contratti ingiuſti, e
la difeſa di infiniti illeciti guadagni . Oltre di ciò la maggior parte di quelli
che giocano al lotto neppure ardiſce di ſoſpet tare , che ſiavi a loro
ſvantaggio una sì di chiarata ſproporzione; anzi moltiſſimi rin graziano come
generoſa e prodiga quella mano che premia i vincitori , come ſe foſſe un
gratuito dono ciò che non è ſe non una piccola parte di un debito . Più ſolida
difeſa potrebbe recarſi riflettendo doverſi in queſto contratto dal padrone del
lotto impiegare molti miniſtri, e fare molte e gravi ſpeſe, per lo che può
eſigere ragionevolmente un riſarcimento ; ma tutto ciò ancora non baſta a
rendere giuſto queſto contratto fe ad altri termini e ad altre maſſime non ſia
ridotto . Troppo anche più enorme era la diſugua glianza , prima che con lo
ſtabilito aumento foſſe migliorata la condizione dei giocatori ; condizione però
, che tuttora è aſſai inferio re a quella del padrone del lotto . / 33 Quì però
fa d'uopo dileguare un inganno comune a moltiſſimi che hanno le vedute corte ,
e limitate dalla prima ſuperficie delle coſe . Altro è l'aſferire , che il
lotto conſide rato ſemplicemente come un contratto è in giuſto ; altro è il
dire che un Principe giuſto non poſſa ammetterlo nel ſuo ſtato , e debba
toglierlo affatto , e ſradicarlo come un mal nato germe della rovina di tanti
ſconſigliati . Il lotto può conſiderarſi come un tributo , che viene impoſto a
chi ſpontaneamente con fente di pagarlo ; cangiandoſi così in vantag gioſo al
pubblico , ciò che potrebbe eſſer tan to pernicioſo al privato . Non ſi può
deſcri vere l'ardore che muove ciaſcuno a cercare in queſta guiſa un propizio
ſguardo della for te ; nè ſi può immaginare quanto ſia pungen . te lo ſtimolo
che ſpinge, e inquieta chi ri fiette che con una tenue ſomma di denaro , che
azzardi , può guadagnare di che ſoſten tare una languente e numeroſa famiglia ,
o pur talora dilatare i confini del proprio luf ſo , o accreſcer anco tal volta
un nuovo peſo agl’inoperoſi forzieri . Quindi è che tanti , e 34 tanti ſi
affollano a tentare nel lotto la ſorte (a ). Penetrati dall'idea, e ſedotti
dalla luſinga di ( a) Non può negarſi per altro , che riccome tutte le cofe
hanno un grado di valore e di eſtimazione ri Spettiva che naſce dall' uſo che
può o vuol farne chi ne è padrone : può conſiderarſi ſotto l'iſteſſo aſpetto
anche il denaro . Oltre il ſuo valor generale che na. ſce dal rapporto che egli
ha alla maſſa delle coſe che ſono in commercio , può dirſi che un altro egli ne
abbia privato e ſpeſſo mutabile , che naſce dalla qualità e quantità
deibiſogni, o reali , o di opinione che à nelle date particolari circoſtanze,
chi lo poſſiede; Può darli adunque che ciò che ſi azzarda al lotto , levato da
una gran quantità , fia una piccola por zione di eſſa , relativamente
ſuperflua; onde il ſuo valore ſia ſtimato sì tenue a fronte di una ſomma
ragguardevole che rappreſenta un gran numero di comodi e di piaceri benchè
fperabile ſolo per un piccoliſſimo grado di probabilità , che detto valore
nella eſtimazione di chi lo gioca ſia conſiderato come zero , o come una
quantità più o meno ad eſſo approf. fimante , formandoſi perciò , per così dire
, una nuova e riſpettiva proporzione, ſecondo la quale il vantaggio molte volte
ſarebbe dalla ſua parte . Queſto ſe non baſta , come ognun yede manifeſtamente
, a render giuſto il contratto ſerve a render qualche ragione del traſporto ,
che hanno a tentar la forte in queſto gioco tanti che pur ne fanno ben
conoſcere le condizioni , e calcolar le ſperanze . 35 quel bene che ſperano ,
non penſano a mi. ſurare i gradi della ſperanza medeſima; e il molto oro che
già poſſeggono col penſiero , getta ſugli occhi loro un lampo che abbaglia
talvolta anche il più ſaggio filoſofo , e il più freddo calcolatore. Quindi un
tale impeto non conoſce freno che poſſa reggerlo , e non legge che poſſa
vincerlo . Se un Principe tol ga dal proprio ſtato queſto oggetto dei co muni
voti , la ſconſigliata avidità ad onta delle più fagge leggi, e deludendo le
più ve glianti ſollecitudini ſi precipiterà in altri ſtati, che ſi
arricchiranno a ſpeſe di quello onde il lotto ſia proibito ed eſcluſo .
Unſaggio Principe adunque che può far ar gine a queſto torrente , accid non
sbocchi al di fuori; deve procurare che ſi ſcarichi tutto a pubblico vantaggio
, e che quella porzione di ſoſtanze che fagrificano follemente alla loro
avidità i membri del corpo di cui egli è il capo circoli per il medeſimo, e
poichè i pri vati ſi eſpongono a riſentire dello ſvantaggio , neſſun nocumento
però ne venga alla Repub blica . Così facendo il faggio Principe , e non 1 36
fi attira la taccia di ingiuſto , e merita tutta la lode di prudente , di
politico , di difenſore e cuſtode della pubblica felicità . Di queſta verità ne
conoſcono per una fe lice eſperienza il frutto in più ſpecial maniera quei
popoli , che hanno la ſorte di eſſere go vernati da Principi umani e benefici,
che per l'uſo che fanno del loro erario , anzichè pof ſeſſori , ſe ne moſtrano
piuttoſto amminiſtra tori a pubblico e generale vantaggio . Havvi un'altra
ſpecie di lotti nei quali non è un ſolo il premio , nè un ſolo il colpo fa
vorevole della forte , ma molti ſono i premi , come molti e vari i caſi propizi
; e ſecondo l'ordine dell'eſtrazione dei numeri dall'ur na , o ſecondo altre
leggi convenute in pri ma ſi decide del maggiore , o minor premio . Tale è il
lotto che ſi è fatto in Spagna per la coſtruzione del canale di Murcia , nella
quale occaſione ſiccome ha fatta luminoſa comparſa la vaſtità , e penetrazione
di ſpirito di chi ha ideato il progetto della grand'ope ſi è diſtinta non meno
la finezza , e il di ſcernimento di chi ha regolato il metodo di ra ; . 2 37
accumulare le gravi ſomme di denaro neceſ fario ad un sì grandioſo diſpendio .
In queſto contratto come nei ſimili ad eſſo biſogna conſiderare , che varie
ſono le ſperanze e molte , perchè vari e molti ſono i premi , e che la ſomma di
tutti reſta come venduta a quelli che hanno comprati i viglietti . Sicco me
queſti hanno sborſato un ugual prezzo , così devono avere fra loro ugual numero
di caſi favorevoli e finiftri relativamente ai di verſi, o maggiori o minori
premi ; quali eſſendo per lo più vitalizj, l'uguaglianza fra gli azionarj e il
padron dell'impreſa dipen de dalle regole , ſecondo le quali ſi ſtabiliſce la
giuſtiza dei vitalizj . Ma non ſi troverà mai eſatta queſta uguaglianza ,
poichè una parte notabile del denaro che contribuiſcono gli azionarj , non già
nel numero o nel valore dei premi ſi impiega , ma ſi deſtina alle ſpeſe delle
ideate opere ſontuoſe . In queſto di Murcia però così ſono ſtati bilanciati i
di ritti degli azzionarj , e ſono ſtati così grada tamente formati i premi , e
in tal numero , e così bene è ſtata regolata l'economia di 38 1 1 queſta sì
grandioſa impreſa, che forſe non vi è ſtato mai un'altro lotto , in cui ſiaſi
nel tempo iſteffo meglio aſſicurata la ſomma ne ceſſaria alla deſtinata opera ,
e ſia ſtata me no alterata la proporzione a ſvantaggio de gli azzionarj. Troppo
ſon note le lotterie , che con al tro nome chiamanſi dai Franceſi Blanques
perchè io impieghi molto tempo in eſami nare le qualità , e i caratteri di tale
contrat to . Dall'economo del gioco ſi mette in un vaſo un certo numero di
viglietti , dei quali alcuni ſon bianchi ed altri neri , e ſi vende il diritto
di eſtrarne uno il quale ſe è nero apporta a chi lo eſtraſſe il guadagno di un
premio del valore che è notato ful viglietto medefimo . Ognun vede , che accið
ſiavi ugua glianza convien ricorrere alla regola mede ſima, che ſi è data pei
lotti che ſi fanno per grandioſe opere pubbliche, avuta anche quì in
conſiderazione la fatica , e il diſpendio dell'economo del gioco , e
riflettendo che in queſto caſo i premi non ſono vitalizj. Queſto è un contratto
della natura di quello che dai 39 Latini chiamavaſi olla fortunae . In fimil
guiſa Auguſto dilettavaſi al riferir di Svetonio di compartir doni ai ſuoi
cortigiani, chiaman do così la forte ad eſſer miniſtra della ſua beneficenza .
Talora un ſolo è il premio che ſi diſputa fra quelli che giocano alla lotteria
, e allora ſe il premio non è denaro ma un altra coſa qualunque che abbia
prezzo , ſi giuſtifica più facilmente, giuſta l'opinione del Barbeirac , la
notata diſuguaglianza : e l'economo del gioco può vendere non ſolo tanti
viglietti quanti corriſpondono al valore del premio , ma ancora in maggior
numero anche di quello che altronde eſiger pud e l'opera ſua , e il diſpendio ,
quando ve n'abbia . Queſti lotti fi riducono , dice il citato au tore ad una
ſpecie di compra , che ſi fa in comune , a condizione che la ſorte decida a chi
debba appartenere la coſa comprata . Se ſiavi adunque dell'alterazione nella
propor zione , ſi potrà conſiderare come ſe fi foſſe comprata la coſa ad un
prezzo un poco più alto del corrente ; penſando che ciaſcuno tra 40 1 ! fcuri
queſto di più che in altra fpecie di con tratto gli parrebbe forſe notabile,
ſulla ſpe ranza di guadagnare il premio più o meno fondata a proporzione che
uno ha comprata maggiore , o minor quantità di viglietti . Queſta mallima, che
non è certamente di ri goroſa giuſtizia , non ſi potrebbe eſtendere
perfettamente a quei lotti nei quali , e molti e di vario prezzo ſono i
viglierti, e molti e di vario valore i premi ; a tutti quelli in ſomma, nei quali
non ſia aſſolutamente u guale la condizione dei ſingoli poſſeſſori di ciaſcun
viglietto , benchè lo ſia riſpettiva mente . Prima di paſſare ad altri
contratti giovami riflettere , che anche quando il padron del gioco , o
qualunque altro che ne abbia di ritto pretende , che ſiano valutate le ſue fa
tiche e il ſuo difpendio , non tanto ſi può dire che v'intervenga una
compenſazione ; quanto che ſi verifica di fatto a tutto rigore la noſtra
proporzione , giacchè quel di più che fi paga , non è a titolo di compra della
ſperanza , ma bensì a titolo dell'altrui di 41 ſpendio , e fatica ; e per
conſeguenza eſſendo una quantità eſtranea alla detta proporzione non la può in
verun modo alterare . Si poſſono ridurre ad un contratto d'az zardo
appartenente a queſta claſſe le ſorti ancora propriamente dette . La ſorte,
dice l'elegantiſſimo ſcrittore della ſtoria degl'ora coli , è l'effetto
dell'azzardo , e come la deci fione , o l'oracolo della fortuna ; ma le ſorti
fono gli ſtrumenti di cui uno pud valerſi per ſapere qual ſia queſta deciſione
. Le ſorti ſono ſtate in uſo preſſo i più antichi popoli ; e la forte
s'interrogava , o col gettare i dadi colle proprie mani, o col gettarli da un
urna : e ai caratteri , ed alle parole che ſu i dadi erano ſegnate, corriſpondevano
alcune tavole che ne contenevano la ſpiegazione. Altre molte erano le maniere
di tentare la ſorte , e di a ſcoltarne gli oracoli . E' incredibile poi quan
iti , e quanto gravi affari ſi regolaſſero a ta lento di queſta cieca divinità
. Baſta leggere gli autori che trattano dei voti che ſi offe rivano a Preneſte
, e ad Anzio , e che parlano diffuſamente delle forti Omeriche , e Virgi 41
liane . I verſi dell'immortale Epico Greco , nei quali dipinge con sì vivi
tratti l'impeto , e il furore dell'indomito Achille , ritrovati a caſo
nell'aprire l'lliade, erano talvolta la fola innocente cagione della rovina
delle più floride città , e della deſolazione d'intiere Provincie. E ſe per lo
contrario , aprendo i libri della divina Eneide s'incontravano gli amabili colori
coi quali ſi dipinge la man fuetudine e la pietà del figlio d' Anchiſe , gli
animi tutti non reſpiravan che pace , e quei pochi verſi baſtavano per dar fine
alle guerre più ſanguinoſe . Aleſſandro Severo , ſalito al foglio dei Ce fari ,
credette di averne avuto un preſagio , quando privato ancora , anzi odioſo
all'Im peratore Eliogabalo , aprendo nel Tempio di Preneſte l'Eneide di
Virgilio , s'incontrò in quel tratto , ove queſto gran Poeta eſalta le virtù e
piange i'immatura morte di Marcel lo , e preciſamente gli ſi preſentarono
quelle parole fi qua fata aſpera rumpas Tu Marcellus eris . Ma io non parlo
propriamente di queſte forti, e confeſſo anzi eſſere le medeſime uno dei
monumenti più ſolenni dell'umana fol lìa . Io quì parlo delle ſorti, che chiamanlı
elettive , diviſorie , attributorie , e ſimili delle quali brevemente eſporrò
la natura e le qua lità , ed applicherò alle medeſime i più volte enunciati
Teoremi . Due , o più perſone han diritto ad una coſa medeſima; eſaminato il
valore del lor diritto lo trovano uguale; non vogliono gettare , nè tempo , nè
denaro in ſuſcitare queſtioni ; aſcoltano anzi ſentimenti più miti , e
commettono alla ſorte la deci fione dell'affare, anzichè affidarlo alle lun ghe
, e diſaſtroſe vie dei Tribunali . Conſe gnano i loro nomi all'urna
diſpenſatrice della forte , e quello è giudicato favorito dalla me deſima, del
quale vien eſtratto il nome; e vien dichiarato pacifico , e ſolo padrone di
quella coſa alla quale avea con gli altri ugual diritto . Che ſia lecito commettere
in talguiſa alla ſorte un affare dubbioſo o controverſo non v'ha dubbio alcuno
, giacchè non vi è ra gione per cui non polfa uno obbligarſi ſotto una
condizione tale , che il purificarſi la mede fima dipenda dall'incerto , e
vario evento della forte . Ora ſe i diritti ſono uguali , ſe quanti fono i
concorrenti tanti ſono i nomi che ſi conſegnano all'urna , ecco che i prezzi
che vengono rappreſentati dai diritti che ſi az zardano , ſtaran fra loro come
i numeri dei caſi favorevoli ad uno , al numero dei caſi favorevoli a ciaſcuno
degli altri riſpettiva mente ; ed ecco ſalvata l'uguaglianza di pro porzione
fra i favorevoli, e ſiniſtri caſi, e fra i riſpettivi prezzi della ſperanza ,
la ſomma dei quali è l'oggetto della medeſima nel caſo di cui ſi tratta .
L'iſteſſo può dirſi a proporzione , quando uno abbia un diritto , per eſempio
doppio di quello degli altri ; e baſterà che in tal caſo due volte ſi affidi il
ſuo nome all' urna fata le ; e così dicaſi di altri ſimili caſi . E di fatto
queſto contratto a farne una giuſta analiſi ſi riduce ad un gioco di pura
forte, in cui molti depoſitando ugual por zione un ſolo guadagna tutte le
porzioni de poſitate, del quale ſi è di ſopra parlato ; e ſi 45 è detto , che
uno depoſitando maggior por zione , pud eſigere a proporzione condizioni più
vantaggioſe . L'iſteſſe maſſime regolar denno le ſorti elettive che ſi uſano ,
quando molti avendo un privato diritto ad eſſere eletti a qualche onorifica o
autorevole dignità, troncano ogni ſorgente di diſcordanza col tentare la forte
, L'iſteſſo dicaſi delle ſorti diviſorie, e di quan te altre poſſono
immaginarſi, che tutte ſi ap poggiano ai medeſimi fondamenti, e in tutte nel
modo iſteſſo ſi trova la proporzione che coſtituiſce l'uguaglianza fra i
contraenti , Fin quì fi è parlato di quei contratti che alla prima delle ſopra
indicate claſſi appar tengono . In effi fra la ſperanza che ſi acqui ſta , e il
prezzo con cui ſi acquiſta ſi può fif fare un eſatta , inalterabile , e
matematica proporzione. Note fono tutte le cagioni che poſſono aver rapporto al
favorevole o triſto evento della ſorte , ſi conoſcono tutti gli ele menti dei
quali ſi formano le varie combi nazioni, e ſi fanno perfettamente tutti i modi
46 diverſi per mezzo dei quali queſte fi forma no . E' queſto forſe l'unico
caſo al quale ſi poſſa applicare lo ſpiritoſo Emblema del ce lebre Moivre,
rappreſentante la ruota della fortuna, e ſopra di eſla una ſemicirconferen za
di cerchio , che con le ſue diviſioni ſerve a regolare quei capriccioſi giri ,
che ſono l'og getto di tanti voti, e la cagione di tante vi cende dei mortali .
Chi intraprende queſti contratti pud , direi quafi, venire alle preſe con la
ſorte , e conoſcendone la forza e l'ar mi bilanciare il deſtino della lotta
fatale . Non è così certamente nei contratti che alla ſeconda claſſe ſi
riferiſcono , ne' quali il rapporto neceſſario a formare l'uguaglianza fra i
contraenti , ſi appoggia alla ſola ſperien za del paſſato, e a cagioni incerte
, e varia : biliffime. lo ſo bene che ſi ſono pur trovati dei Filoſofi che
hanno francamente aſſerite due coſe . La prima, che nelle umane vicen de che
colpi chiamanſi della ſorte, e a noi pajono fortunoſi e irregolari, ſiavi un
ordine coſtante , eun'originale diſegno per cui dirette da una provida mano che
lor dà moto ſecon 47 1 do certe invariate leggi, eſcano a ſuo tempo ad agire in
queſto sì ben congegnato ſiſtema del Mondo . La ſeconda , che l'irregolarità ,
che non agli eventi medeſimi e alle vicende , ma alle noſtre cortę vedute
deveſi attribuire , ſcom parirà finalmente , e replicate l'eſperienze fi vedrà
quella conneſſione che ora ci è inco gnita , e ſi conoſceranno i fottiliſſimi
punti nei quali ſi uniſcono i tanti fili, che regolano con sì bella armonia
l'intero univerſo . Da queſte due propoſizioni argomentano , che dunque dopo un
dato tempo , ſiccome cre ſcendo il numero delle ſperienze, queſte ci danno
regola per conoſcere ſempre più la probabilità di un evento , che anch'eſſa va
ſempre aumentando a miſura che ſe ne co noſce la regolarità, arriverà un giorno
queſta probabilità a cangiarſi in certezza . Ecco ciò che aſſeriſcono con molta
ſicu rezza alcuni Filoſofi, alla teſta dei quali è l'incomparabile Moivre più
altero di aver rintracciato ne' ſuoi intimi penetrali l'ordine della natura , e
di averle ſtrappato queſto ſe 43 creto , che non fu già il ſuo celebre concit
tadino di aver conoſciuti, e indicati i rego lari moti e le orbite dei pianeti
per gl'im menſi ſpazi del cielo . Egli è veriſſimo che la gran macchina dell
univerſo ricevè dalle mani creatrici quel grande impulſo , che poi la mantiene
in moto coſtantemente , e dal quale come da prima cagione derivano tutti i più
piccoli moti della medeſima , benchè immediatamente prodotti dalle ſottiliſſime
e varie molle che la com pongono , e le dan forza . Ad eſſo ſi riferiſce
ugualmente un'auretta leggiera che diſſipa per la ſelva poche aride foglie, e
un procel loſo vento che ſull'immenſo Oceano di ſperde e rompe una flotta
ſuperba di mille vele . Le grandi vedute di un politico illumi nato , che
formano il ſoſtegno e la forza del Trono , non ſono agli occhi dell' Onni
potente niente più luminoſe delle ignobili e ſconoſciute cure di un ſelvaggio ,
dirette ſoltanto a ſoſtentare la propria vita , e a difenderſi dall'ingiuria
delle ſtagioni . Che poi l'Eterna mente che tutto sà e 49 za , o del tutto
regola , abbia voluto che fra i varj eventi che inteflono la ſerie delle umane
vicende , e che ſon chiamati in più ſtretto ſenſo fortunoſi ſiavi un rapporto
più che un altro , un tal'ordine e non un altro , queſto è quello che io credo
non poterſi ſcopriregiam mai . Che dopo un certo periodo ricompa riſca di nuovo
l'iſteſſo evento , chedopo certe rivoluzioni torni l'iſteſla ſerie di coſe,
ridon da egli forſe in maggior lode o della fapien potere eterno , e ſovrano ?
Nell'immenſo vortice della divinità fi pers dono le idee , che noi abbiamo di
ordine , e conneſſione . O non vi è relativamente agli occhi divini ordine e
regola ; o non potiam noi conoſcere in che conſiſta ; o tutto deve dirſi averla
ugualmente . Chi vede inſieme col preſente ſiſtema di coſe infiniti altri pof
fibili , vede un punto che non è ſuſcettibile di quei rapporti, che ſono idee
relative a vedute limitate e finite ; o ne vede infiniti altri , per cagion dei
quali pud agli occhi ſuoi parer regolato tutto ciò che noi chiameremmo forſe
diſordine, e confuſione, d 50 Ma non è forſe neppur vero eſſere più van
taggioſo all'uomo che ſiavi di fatto nelle umane vicende queſta regolarità .
Fra le infinite vedute , che l'occhio im menſo ha preſenti per il vantaggio
delle ſue creature , chi ſaprà dire quale abbia fillata a preferenza dell'altre
? Se un Sovrano cela ai ſuoi popoli i diſegni che forma, e le impreſe che và
maturando, queſta condotta è diretta a tenergli nella dovuta ſommiſſione , e ad
allontanarne l'orgoglio : e ſe un padre , ben chè benefico fa l'iſteſſo
co'propri figli, non lo fa ad altro oggetto , che ad animarne la cieca
confidenza che è uno dei più vivaci alimenti di un reciproco amore . Non vi è
dunque argomento che comprovi queſta preteſa regolarità degli eventi che ſi
fogliono chiamare fortuiti , e caſuali. Ma ſe ancor foſſevi, io ben non veggo
ſu che fondamento ſi aſſeriſca , che agli occhi mortali eziandío dovrà una
volta comparir chiara , e ſvanire per conſeguenza quella ap parente
irregolarità che alla ſcarſezza delle noſtre notizie , e alla mancanza di
eſperien ze , in tale ipoteſi deveſi attribuire . SI Quando ſi vuol fiſſare la
contingibilità di un evento , oſſervar dennoſi ogni volta ch ' ei compariſce ,
le circoſtanze che lo accom pagnano , e l'intervallo di tempo che paſſa fra le
diverſe ſue apparizioni . Quanto più creſceranno di numero le oſſervazioni,
tanto più potrà conoſcerſi in quali circoſtanze ed in qual tempo debba arrivare
. Da queſto ap punto argomentano gl ' indicati filoſofi, che ciaſcuna
ofſervazione è diretta a ſcemare un grado della diſtanza che corre fralla
irrego larità dipendente a ſenſo loro dalle noſtre corte vedute , e la
regolarità che eſiſte di fatti nell'originale diſegno, e lega inſieme ed u
niſce ſotto certe leggi tutte le varie vicende . Replicando adunque le
eſperienze , rinovan do le offervazioni, ſi potrà arrivare a render nulla
affatto queſta diſtanza ; e a ſquarciare del tutto quel velo che cela ai noſtri
occhi queſta bella regolarità . Di fatto ſoggiungono , che altro è la cer tezza
ſe non un tutto di cui la probabilità è una parte ? Creſcendo adunque queſta
per mezzo delle oſſervazioni, potrà arrivare al 1 گرí grado di confonderſi col
ſuo tutto : ed ecco fiſſata la certezza di quegli eventi , che ſi fo no ſempre
creduti giochi , e capricci di una irregolare fortuna . E' egli per altro
evidente queſto diſcorſo ? Potrebb'egli un animo , che non voglia ar renderſi
ad altra forza , che a quella della ve rità , dubitare ancora di ciò medeſimo
che uomini di grande ingegno hanno tenuto per certo ? E prima di tutto nel
formare la tavola dei tempi nei quali ricompariſce l'evento medeſimo , convien
riflettere di non notare ſe non quelle volte , nelle quali ſi moſtra ri veſtito
delle medeſime circoſtanze . Se così è , e ſe queſte ſono preſſo che infinite ,
e in finitamente variabili , ne verrà per conſeguen za che quella rivoluzione
che dee ricondur l'iſteſſo evento farà sì vaſta , e il circolo che la
rappreſenta sì ampio , che o non ſi potran no da chi oſſerva congiungere oſſervazioni
sì diſparate e rimote , o sì poche ſe ne po tranno fare , e la probabilità
creſcerà sì len tamente da non potere giammai arrivare al 53 grado di
confonderſi con la certezza . Tra= laſcio di oſſervare che un evento può com
parire a noi accompagnato dalle medeſime circoſtanze, ed eſſervi nulladimeno
tanta va rietà , che ſe foſle da noi ben conoſciuta fa rebbe sì che a
tutt'altra ſerie da quella di cui ſi fanno le oſſervazioni, dovrebbeſi ri
chiamare . Si conſideri ora ſeriamente qua lunque di queſti eventi che fortuiti
chiamat ſogliamo, da quante cauſe poſſa provenire , e queſte in quante maniere
poſſano combi narſi ; e vedremo , ſe per quante ſi vogliano replicate ſperienze
ſi potrà giammai arrivare ad argomentare dalle circoſtanze che altre volte fi videro
accompagnare un evento , la eſiſtenza del medeſimo . Quelle ragioni medeſime
che immediata mente influiſcono ſugli eventi fortuiti hanno conneſſione con
vari ordini di cauſe più o meno rimote , che innumerabili ſono ancor eſſe , e
capaci di innumerabili gradi di alte razione . E quì potrei ricorrere a tante
fiſiche teorie , le quali dimoſtrano , che un gran fe nomeno può avere la ſua
prima ſorgente , tam 54 lora sì rimota che per infiniti giri , e tortuoſi
fentieri appena ſi può rintracciare ; talvolta sì piccola , che dopo averla
conoſciuta , ap pena ſi può credere che da eſſa derivi . E la ragione , e la
immaginazione vanno in queſto caſo d'accordo a preſentare al pen fiero
l'enormiſſima ſproporzione che correrà ſempre fra un gran numero di offervazioni
quali peraltro non potranno eſſere moltiſſi me , ( ſe vogliano porſi in calcolo
quelle ſolo che fimiliſſime ſono , è relative ad oggetti ſimili ) e l'immenſo
vortice fra cui fi aggi ra ľ apparente irregolarità . Di quì deriva , che a
rigore parlando dubitar deveſi di quella maſſima , che la probabilità di queſti
eventi arriverà una volta a cangiarſi in cer tezza . E quì fa d'uopo riflettere
, che la proba bilità , e la certezza ſono due atti eſſenzial mente fra loro
diverſi , come dicono i meta fiſici, e che fralla maſſima probabilità che
arrivi un evento , e la certezza , vi è di mez zo una ſerie infinita di
poflibili. Il timore di errare che ſi coinpone con la maſſiına pro . 55
babilità e viene eſcluſo dalla minima cer tezza , è una barriera inſuperabile,
per cui non ſi poſſono giammai fra loro confon dere , ed è quello appunto che
le rende ( ſia mi lecito uſare un termine di matematica trattando di una
materia nella quale ſe n'è fatto uſo con tanto profitto ) quantità in
commenſurabili . Le prime oſſervazioni che fi fanno intorno a un determinato
evento , non poſſono dargli che un grado di pro babilità così piccolo riſpetto
al vortice im menſo della irregolarità , e all' infinita ſe rie dei poſſibili
dall'evento medeſimo di verſi , che queſto grado pud conſiderarſi co me un
infiniteſimo . Siccome adunque per trasformare un infiniteſimo in una quantità
finita deveſi queſto moltiplicare per l'in finito , così queſto grado di
probabilità do vrebbe ricevere infiniti aumenti per mezzo di infinite oflervazioni,
prima che ſi poſſa chiamare ridotto al carattere della cer tezza . Parlo di
caſi nei quali la ſerie dei poſſibili, che è di mezzo fralla probabilità e la
cer 56 2 ! tezza , è compoſta di cauſe , che ogn'uno fa eſſere non immaginate
ma vere , e poterſi in infinite maniere combinare . Poche oſſervazioni baſtano
al filoſofo per render certe , o almeno eſcludenti un pru dente dubbio , alcune
ſempliciſſime leggi della natura , dove tanto è lontano che ſi co noſca effervi
infinite altre cagioni poſſibili , che anzi per argomenti preſi dai principi
delle ſcienze ſi deduce non eſſervi luogo a ſoſpettare che altre ve ne ſiano .
E' ben diverſo il caſo noftro ove trattaſi degli eventi che danno occaſione ai
contratti di azzardo ; e riguardo a quali ſi pretende ſolo di mettere in
diffidenza la maſſima che promette che ſi abbia a cangiare in una aſſo luta e
rigoroſa certezza , quella che è mera probabilità , e forſe capace di creſcer
ſolo pochi gradi . Che non pud fare l'amor di ſiſtema ? Lo ſpirito calcolatore
avvezzo a portar lume ai più aſtruſi miſteri della geometria , e ad ana lizzare
le coſtanti leggi della natura col più felice ſucceſſo , ſi lancia ardito dal
gabinetto $ 7 di un filoſofo , e prefume di porre in mano ai mortali un filo
che ſegni la traccia co ſtante degli eventi più incerti , e di aſſoggets tare
alla ſua eſattezza ed uniformità , quan to v'ha di più vario , e mutabile . Non
ſolo hanno cercato alcuni di ſcoprire un'ordine conoſciuto dai naufragi,
un'ordi ne riſpettato dai morbi , e dalla ineſorabil morte ; ma hanno fperato
di poterlo tro vare anche in quegli eventi che più dipen dono da cauſe morali e
libere , le quali agi ſcono certamente , non perchè così voglia un ordine e non
un'altro , ma perchè così vo glion eſſe , e non altrimenti . Si è perfino tro
vato chi ha propoſto le tavole degl'incendii , delle cadute fatali da un
precipizio , e di molti altri ſimili fortunofi accidenti come ſe ſi poteſſe
ſcuoprire anche in eſſi a ſuo tempo regola , ed ordine . Per quanto poſſa nei
caſi dipendenti da fi fiche cauſe trovarſi una conneſſione fralle me deſime per
lunga ſerie concatenate , in guiſa che debbano in un dato tempo produrre un
effetto più che un'altro ; non ſi potrà mai dire 1 1 . $$ altrettanto quando vi
abbia luogo una libera volontà che non ſiegue ordine , o conneſ fione , e che
può produrre un'atto ſenza rap porto a verun' altro che abbia altre volte
prodotto , o che ſia per produrre in appreſſo . E ſe è vero , che negli eventi
, e nei caſi preſi in compleſſo di tutte le loro circoſtanze , e in quelli
ſpecialmente che ſono il ſoggetto dei contratti di cui parliamo , qualche o più
proſſima, o più rimota influenza vi hanno le cauſe morali ; che ſi può egli
penſare di più ſtravagante che il volergli ridurre eſattamen te a regola e
pretendere di cangiare la pro babilità in certezza ? E chi fu mai che tentaffe
di ordinare le diſperſe, e confuſe foglie , che contenevano le riſpoſte
ſull'avvenire, della fatidica Sacer dotella di Cuma ? Ma quand'anche gli
argomenti da me ad dotti non provaſſero l'impoſſibilità di arriva re dopo un
lunghiſſimo corſo di anni a can giare in qualche certezza la probabilità, pro
vano almeno , che per noi , e per ben mol te generazioni queſta farà una
ſterile ricer 59 ca ; giacchè per molti , e molti ſecoli, ( ac cordando anche
più di quello certamente , che ſi può ) non ſi potrà vincere quel diſordi ne ,
e irregolarità almeno apparente , che of ſervaſi nelle umane vicende , e che in
ſomma il limite delle medeſime è tanto diſcoſto , che pud conſiderarſi come
infinitamente diſtante . Dal fin quì detto per altro non ſi può ra
gionevolmente inferire , che dunque dal com mercio degli uomini ſi debbano
eſcludere i contratti di azzardo che appartengono alla ſeconda delle ſopra
indicate clafli . Per provare la verità di queſta aſſerzione convien fiſſare
due maſſime conformi alla ragione , e che ſe non erro ſono il fonda mento al
quale ſi appoggia la giuſtizia di queſti contratti. Queſta uguaglianza fra i
contraenti che è sì neceſſaria a render giuſti i contratti è un termine vago ,
e che non ha affiffa alcuna idea , ſe allo ſtato di natura vogliam rimon tare .
Il prezzo delle coſe introdotto o dalla legge , o dalla conſuetudine che
imitatrice della legge la vince di autorità , ecco ciò che 60 ha chiamata l'
uguaglianza a preſiedere ai contratti . Alla ſocietà dunque , e alle fire
maſſime deveſi attribuire . Si eſamini pero lo ſpirito della ſocietà, e ſi
vedrà che nelle ſue maſſime generali non ſi devono comprendere quei caſi che è
dello ſpirito della medeſima l'eſcludergli, e l' eccettuarli . Si riduce al
lora la queſtione, ad eſaminare ſe ſiano utili alla ſocietà i contratti in
queſtione; e ſe nelle bilance del pubblico bene ſia di maggior mo mento il
vantaggio che recano , o la preciſa offervanza di quella perfetta uguaglianza
ne contratti, che è tanto neceſſaria generalmen te alla quiete , e felicità
degli individui , e al buon ſiſtema, e conſervazione di queſto cor po morale ,
e politico . Pochi elementi , e poche idee ſciolgono il problema . Induſtria
eccitata , commercio invigorito , circolazione ampliata . Vantaggi fono queſti
generalmente procurati da tali contratti ben regolati , come ſi può ben co
noſcere da chi ne eſamini lo ſpirito , e le conſeguenze . Daqueſto argomento
riceve gran forza un 61 ſecondo rifleflo . In queſti contratti non ſi può avere
fra i contraenti una perfetta ugua glianza di condizione , perchè non ſi può
eſattamente miſurare la loro forte . Ma ciò che manca a queſta giuſta miſura è
con une ad entrambi . Ad entrambi è egualme ite i gnoto per chi debba eſſere il
vantaggio , e per chi il diſcapito , potendo ugualmente nel caſo noſtro , e
l'uno , e l'altro a ciaſcun di loro arrivare ; e queſto medeſimo forma una
ſpecie di ſorte uguale , la quale pud ſupplire a quanto manca alla perfetta
uguaglianza . Diſli alla perfetta uguaglianza , perchè le maſſime ſopra eſpoſte
ed impugnate , vacil lano ſoltanto , perchè oltrepaſſano certi li miti , dentro
dei quali rinchiuſe provano moltiſſimo, rapporto alla uguaglianza che deve
eſſere nei contratti della ſeconda claſſe . Inteſe le maſſime con la dovuta
moderazio ne , è veriſſimo che eſtraendo da un'urna ove ſiano alla rinfufa
molti viglietti bianchi e molti neri , quante più eſtrazioni fi anderan no
facendo , tanto più creſcerà la conoſcen za del rapporto che hanno fra loro : è
verif fimo che le oſſervazioni ſegnate in tavole danno ai giovani la prudenza
dei vecchi : ed è incontraſtabile che quanto più ſpeſſo ac caderà in natura un
evento , tanto più ſi po tranno attrappare le circoſtanze che lo ac compagnano
, e farà meno irragionevole l'in duzione che dalla eſiſtenza di queſte, ſi farà
della futura eſiſtenza di quello . Si potrà dun que avere un qualche dato per
eſaminare la probabilità di un'evento , e proporzionargli il prezzo con cui ſe
ne acquiſti la ſperanza . Per formare una ſerie dei diverſi gradi di tale
probabilità gioverà eſaminare un qualche contratto in ſpecie, e fiffare i punti
dai quali la ſerie ſi parte ; poichè non ſi potrebbe con tanta facilità fare
una giuſta analiſi, o alme no egualmente chiara , ſe fi conſideraſſero le idee
in aſtratto , e ſenza applicarle ad un de terminato ſoggetto . Fra tutti i
contratti che ridur ſi poſſono a queſta ſeconda claſſe parmi che meriti di eſ
ſere diſtintamente eſaminata l'aſſicurazione , Efla è un contratto per cui uno
dei contraenti ſi obbliga a riparare tutti i danni che può un 63 . altro
ſoffrire nelle ſue merci per naufragio , o altre convenute cagioni ; e queſti
ſi obbli ga a pagarli una determinata mercede in com penſo del pericolo al
quale volontariamente ſi eſpone. 1 Fiorentini che avendo già eſteſo il loro
commercio per tutto il Levante aveano fatto conoſcere a tutto il mondo quello
ſpirito di lo devole induſtria, e fagacità, che forma il nerbo e la floridezza
di uno ſtato , e che fu ſempre del loro carattere , furon quelli che riduſſero
a certe leggi queſto contratto, e gli diedero for ma e credito . Inſegnarono
così alle altre na zioni commercianti a tirarne quel profitto , che il profondo
, ed illuminato Melon aſſe riſce dover eſſere sì ampio per uno ſtato che
abbondi di eſperti, ed avveduti aſſicuratori. Di fatto alla Repubblica
Fiorentina deb bonſi i primi capitoli di aſſicurazione che furono diſteſi negli
anni 1523. , e 1525. A queſti ſucceſſero negli anni 1563. , e 1570. le
ordinazioni di Olanda . Non è ſtata queſta l'unica occafionein cui abbiano,
gareggiato in fatto di commercio 64 queſte due nazioni , la prima delle quali
ha faputo ſempre profittar pienamente delle fe lici fue circoſtanze , e la
ſeconda compenſare ognora in mille modi i danni della infelice ſua ſituazione;
e inſultar quaſi alla natura di ayerla in eſſa collocata . Gli ſcrittori che
hanno trattato di queſto contratto lo diſtinguono in due ſpecie. La prima
chiamano eſſi aſſicurazione propria mente detta , ed è quando le merci che ne
ſono l'oggetto appartengono di fatto a quello che ne chiede l'aſſicurazione ; e
queſto è ciò che intendono ſotto il nome di riſico dell' aſſicurato ; ed
inoltre ſono eſſe realmente ſog gette a pericolo , o com'eſſi dicono a ſiniſtro
. Per la validità di queſto contratto ricercaſi la coeſiſtenza del riſico , e
del ſiniſtro ; ed è quanto dire , che l'aſſicuratore non deve pa gare la
ſicurtà , nè l'aſſicurato la mercede , ſe le merci avean corſo già il loro
deſtino quan do fi ftipulò il contratto , o ſe non apparten gono all'aſſicurato
. Per maggior comodo poi , e dilatazione di commercio fu introdotto il
contratto di affi 65 curazione ſulle merci o proprie , ma non nella ſomma che
ſi afferiſce , e che cade ſotto l'aſſi curazione : o appartenenti affatto ad
altra perſona . In queſto contratto il fondamento conſiſte nella fola
eventualità dell'azione; e ſi può in eſſo ravviſare un'apparenza di Scommeſſa
della quale però gli mancano ſe condo molti , alcuni caratteri . Anche in
queſta ſeconda ſpecie comunemente ricer caſi, che le merci ſiano in pericolo
ancora quando ſi fa il contratto ; benchè in alcune piazze ſi ſoſtenga anche
nel caſo che le merci aveſſero già corſa la loro forte quando ſi ſti puld il
contratto , purchè però queſto non foſſe a notizia dei contraenti . Per ridurre
pertanto in qualche vero ſenſo il contratto di aſſicurazione alla Teoria ſopra
eſpoſta regolatrice della uguaglianza neceſ faria nei contratti di azzardo , fa
d'uopo con ſiderare due fatta di caufe che influir poſſono full'evento incerto
, che ne forma l'oggetto . Altre ſono le cauſe fiſiche che per un puro
meccanico impulſo della materia agiſcono in dipendentemente da qualunque libera
deter 66 minazione di una cauſa ſeconda ; il mare cioè più o meno ſparſo di
pericoli , agitato da vortici , terribile per gli ſcogli ; il vento che
tormenta più un ſeno di mare che un altro , e domina più in una ſtagione, che
in un altra ; la qualità del naviglio , più o me no capace di reſiſtere agli
urti , e di inſul tare gli Aquiloni ; e finili altre che a que ſte ridur ſi ponno
, anzi con queſte confon derſi . Più incerte affai, e più indocili all'eſat
tezza del calcolo ſono quelle cagioni che mo rali ſi chiamano , perchè o
conſiſtenti nella libera determinazione di un ente creato , o da quella
dipendenti almeno mediatamente . La deſtrezza, e la buona fede del capitano :
l'abilità dei marinari e dei piloti : il nume ro , e la gagliardìa
dell'equipaggio : la mag giore o minor frequenza dei pirati che infi diano
fraudolenti, e poi attaccano rapaci ; o dei nemici armatori che appoggiano le
fan guinoſe loro infeſtazioni ai tremendi diritti della guerra , ſono o le
uniche , o le più con ſiderabili di queſte cauſe morali . 67 i Se il fondare un
calcolo eſatto ſulle fiſiche cagioni ſuaccennate è impoſſibile: il fondarlo che
ſi accoſti all'eſattezza difficiliſſimo : lo ſarà molto più l'appoggiarlo alle
cauſe morali che non agiſcono per una conneſſione di mo vimenti , e d'impulſi
che l'un l'altro fiſie guano neceſſariamente; ma che operano per una mera
libera determinazione , che per qualunque congettura la più apparentemente
probabile non ſi può preſagire; poichè anche preſa può ſul momento abbandonarſi
, per cangiarla in una affatto diverſa , e talora dia metralmente oppoſta, e
contraria . Un canone perd univerſaliſſimo, e da non preterirſi giammai in
queſto contratto , parmi quello di non conſiderare neſſuna cauſa , o fiſica , o
morale , ſeparatamente o iſolata dalle altre ; ma di oſſervare l'influenza reci
proca che hanno tutte le cauſe l'una ſopra dell'altra , e quella non meno che hanno
ſulle morali ; e l'iſteſſo dicaſi di queſte rapporto alle fiſiche . Il momento
di ciaſcuna cauſa ſi altera a miſura che diverſamente è combi nata , o
temperata colle altre . e 2 68 Per conoſcere però quanto poſſano queſte cagioni
, e ſingolarmente preſe , e in complef ſo , è neceſſaria una lunga ſperienza .
In queſto contratto , per caſi ſiniſtri non ſi intendono già tutte quelle
combinazioni , che realmente poſſono funeſtare l'aſſicuratore , e perder la
nave , nè per favorevoli quelle che ſalva dai naufragi, e dalle oſtili violenze
, la confe gnano al ſoſpirato porto . Fatta una tavola di accurate , e
frequenti oſſervazioni , e conoſciuto quante volte in parità di circoſtanze
ſiaſi perduta la nave , e quante ſia giunta felicemente al deſiato fuo termine
; la ſomma delle prime rappreſenta la ſomma dei caſi ſiniſtri ; e quella delle
ſe conde ſi tiene per il numero dei favorevoli ; e ſu queſti dati ſi forma la
proporzione da noi ſtabilita nel III. Teorema . Queſta è la ſpecifica
differenza che paſſa fra i contratti del primo genere , e queſti che al ſecondo
appartengono . Nei primi entrano in calcolo tutti quanti i poſſibili caſi e
fini ſtri, e favorevoli, perchè ſi fanno tutti , e ſe ne conoſce perfettamente
il numero ; noi 1 69 ſecondi fi calcolano quelli ſoltanto , che dopo una lunga
ſperienza ſi ſono oſſervati ; reſtan done non compreſi nel calcolo tanti altri
pof ſibili , i quali perd dopo molte e molte oſler vazioni fi fuppongono in
proporzione di no tati . La proporzione ſi accoſta tanto più al vero , quanti
più ſono i caſi oſſervati, come appunto accade nell'urna che contiene un ignoto
numero di palle bianche e nere : delle quali con tanto minor pericolo di errore
ſi può fiffare la proporzione , quanto più copioſa ſe ne è fatta l'eſtrazione.
In una parola , nei primi è incerto l'eſito della ſorte ; nei ſecondi è incerto
anche ciò che può determinarlo . Rariſſimi però ſono i caſi che ſieno riveſtiti
perfettamente delle medefine circoſtanze . Fa d'uopo adunque per formare la
propor zione ricorrere alle diverſe tavole , ove ſono notate le circoſtanze
preſe ſeparatamente; e conſiderarle come tanti elementi dei quali ſono compoſti
i dati della proporzione . Scioglie una nave dal Porto , e veleggia per un mare
tranquillo , e placido ; queſta circoſtanza è un fondamento della propor 70
zione da ſtabilirſi fra il valor delle merci , e il prezzo dell'aſſicurazione;
e la tavola delle navigazioni fatte in queſto mare lo additerà preciſamente. Ma
fe queſta nave corra un pericolo di pirati , o di nemici che le altre navi
facendo il medeſimo viaggio non avevan corſo giammai , nel formare la
proporzione vi entra anche queſto elemento , la di cui forza ſi miſura dalla
tavola di altre naviga zioni benchè fatte in altri mari , e ſi compone il minor
pericolo che ha queſta veleggiando per un mare tranquillo ; col pericolo che
cor ſer altre per la ſola oſtile infeſtazione. Vaglia queſto per eſempio delle
proporzioni com poſte di varj elementi , il valor dei quali ſia regiſtrato in
diverſe tavole , non obliando giammai nel combinarli la forza che acqui ſtano
dalla reciproca loro influenza . Ma può talvolta non eſſervi l'eſperienza
baſtante a far conoſcere i gradi di probabi lità dell'eſito lieto , o infauſto
. Monta per la prima volta un vaſcello un Capitano, che non ha mai per l'avanti
governato naviglio alcuno: infeſta i mari una turma di corſari 1 1 71 sbucati
da qualche ſcoglio che alzava prima una barriera alla fanguinaria loro rapacità
e dei quali ignoraſi per anco il numero , ed il valore , o a meglio dire la
violenza della eſecrabile loro ſete dell'oro e del ſangue ; chi potrà miſurare
i gradi dell'influenza che ha ſull'eſito felice la prụdenza e la deſtrezza del
primo , e ſull’infauſto l'ardire , e la forza dei ſecondi ? In tal caſo per
quanto vogliaſi dare un va lore anche a queſte circoſtanze nuove ; fon dandolo
ſu qualche piuttoſto appreſa , che conoſciuta ſomiglianza ad altri caſi; egli è
certo però che ſenza una più volte ripetu ta eſperienza, non può fiffarſi una
propor zione di cui ſi calcolino i gradi , e ſi nume rino i valori ; e ſenza di
eſſa non ſi può for mare una ſerie che ſerva di norma all'u guaglianza
ricercata in tali contratti. Tutto alla fine ci conduce a riflettere , che una
e fatta proporzione nei contratti del ſecondo genere non può ſperarſi giammai ;
che in molti caſi ſi potrà avere meño lontana dall' eſattezza ; in altri ſi
troverà dalla medeſima 72 più rimota , come dal fin qui detto chiara mente
appariſce . Ma forſe gli aſſicuratori interrogano que ſte tavole , formano
calcoli , e ſciolgon pro blemi ? Il filoſofo che ſcortato dalla ragione fino ai
loro principi eſamina le azioni degli uomini e le bilancia , conoſce che queſti
cal coli ſono neceſſarj a ridurre i contratti all' uguaglianza e comprende che
queſta tanto più ſi otterrà facilmente , quanto più ſiano frequenti queſte
tavole , e numeroſi i caſi che ad eſſe , come a indicatrici della ſorte ſono af
fidati; l'aſſicuratore poi accorto ed illumi nato le conſulta , o le deſidera ;
l'indotto , e meno avveduto ha preſente, almeno in con fuſo la maggiore , o
minor frequenza de' fini ſtri nelle date circoſtanze ſeguiti , e ſu queſto
implicito calcolo forma il ſuo giudicio più o meno eſatto , e non ſi affida
totalmente alla cieca all'arbitrio dell'incerta forte . In queſto contratto il
prezzo che eſpone l'aſſicuratore , è il valore delle merci , che egli ſi mette
in azzardo di dover pagare all' aſſicurato ; quello dell'aſſicurato è la merce:
1 73 de che egli paga all'aſſicuratore in compenſo di queſto azzardo medeſimo .
Ma ſiccome fatto il contratto di aſſicura zione , l'aſſicurato deve in
qualunque evento pagare all'aſſicuratore la convenuta merce de , pare a prima
viſta che per l'aſſicurato non ſiavi azzardo alcuno ; poichè dal punto dello
ſtabilito contratto è deciſa la ſua forte ; o a dir meglio riguardo a lui nel
ſuo con tratto non ha luogo alcuno la forte . Baſta però una giuſta rifleſſione
ſulla natura di tal contratto , per vedere che anche per l'aſſicu rato vi è
l'eſito favorevole della ſorte ſicco meancora l'infauſto . Caſo favorevole può
chiamarſi quello che rende il contraente pago , e contento di aver fatto il
contratto ; talmente che ſe aveſſe pre veduto l'eſito , conſultando ſolo il ſuo
van taggio , l'avrebbe nonoſtante fatto , anzi con tanto maggiore alacrità .
Per lo contrario infauſto può dirſi quello che in qualche modo gli dà occaſione
di pentimento , in guiſa che ſe aveſſe previſto l'eſito avrebbe omeſſo di fare
il contratto. Ora quantunque 74 l'aſſicurato , fatto il contratto ſia già
ſicuro di dover pagare la mercede , qualunque ſia l'evento ; quando però la
nave giunga a ſal vamento , è in caſo di pentirſi del ſuo con tratto ; poichè
ſe non lo aveſſe fatto , e avreb be avuta ſalva la nave , e non avrebbe fof
ferto il diſpendio della ſtabilita mercede . In queſto ſolo ſenſo , e non in altro
, che ſareb be troppo contrario all'umanità , poichè ſi riſolverebbe in
compiacerſi dell'altrui dan no , che neppur ridonda in proprio vantaggio , ſi
pud intendere ſiniſtro per l'aſſicurato il caſo del ſalvamento della nave ; e
in queſto ſolo può ridurſi il contratto al carattere di una vera ſcommeſſa , di
cui è eſſenziale ſe condo alcuni , che l'avvenimento favorevole ad uno dei
contraenti , ſia per l'altro infau ſto , e ſiniſtro . Conchiuſo il contratto ,
l'al ficurato che ha ſentimenti di umanità , deſi dera che ſi falvi la nave ,
ma falvata la nave vorrebbe non aver fatto il contratto . Quello che non ſi può
in modo alcuno ri durre a calcolo , ſi è nella perdita di una na ve , la
minore, o maggior quantità di merci , ! 75 che ritoglier ſi potranno all'ingordigia
dell onde , e ritrarre al lido ; lo che ſuccede mol te volte , e fa che non
debbanſi tutti i cafi ſiniſtri giudicare di un carattere egualmente dannoſo ;
ma diverſi , a miſura , che più o meno delle aſſicurate merci , ſi perde , e ro
vinafi . Il poter prevedere , e calcolare in a vanti tal quantità influirebbe
molto a deter minare la mercede che l'aſſicurato promet te . Ma chi potrà mai
calcolare le tante cauſe che poſſono influire ſopra un sì variabile ac cidente
? Forſe l'aſſicurato avrà all'ingroſſo preſente queſta varietà di combinazioni
; ma potrà egli dare ai loro effetti un giuſto valore ? I principj fin'ora
eſpoſti regolatori di que Ito contratto , quando ha per oggetto merci affidate
al pericoloſo traſporto di mare , pof ſono facilmente adattarſi alle merci
traſpor tate per terra ; anzi alle merci , o ſituate nei magazzini , o in altra
maniera cuſtodite . Tutto ciò che può eſſer ſoggetto ad un fatal accidente , e
per quello perire , o deteriorarſi , fi fa eſſere oggetto di queſto contratto .
Anzi il guaſto di un incendio divoratore , le ruine 70 di un turbine procellofo
che abbatte caſe , porta la deſolazione per le campagne , la vio lenta
incurſione di rapaci aſſaſſini, o le ru berie affidate al ſegreto e alle
tenebre della notte dalle timide mani infidiatrici , ed altri pericoli di tal
fatta , che a prevederli biſogne rebbe nulla meno che lo ſpirito di divinazio
ne , ſomminiſtrano in alcuni paeſi occaſione di venire alle mani con la ſorte ,
ſenza che nè l'una parte nè l'altra poſſa mai, neppure all'in groſſo e colla
maggiore ineſattezza , miſurarla . Un'altro contratto non meno intereſſante , e
che appartiene a queſta ſeconda claſſe ſi è quello che chiamaſi vitalizio . Gli
uomini non contenti di affidare la loro forte a tante , e sì varie combinazioni
che alterano , e modificano sì ſtranamente gli ef Teri inanimati ; hanno voluto
che ella dipen da anche dalla vita dei loro ſimili , ed hanno fatto sì che un
uomo debba ftimarſi infelice ſe un altro gode per lungo tempo sì prezioſo dono
del cielo . La vita iſteſſa è venuta tal volta in bilancia con un tenuiſſimo
guadagno . Il vitalizio altro non è che l'annuo inte 77 ! reſſe di un capitale
collocato a fondo per duto . Chi colloca in tal guiſa il ſuo capitale lo fa ad
oggetto di ritrarne un profitto mag giore di quello che riſerbandoſene il
dominio potea ſperare. Suol eſſere comune queſto con tratto e a coloro che non
avendo perſone congiunte con ſtretto vincolo di ſangue o di amicizia , o che
non curando le veci dell' uno , o dell' altra , non hanno nulla che gli
ritragga dal provvederſi i mezzi di ſodisfare anche a quei biſogni che ſono
figli del più molle, e faſtoſo luſſo ; e a quegl' infelici, che ſenza queſto
compenſo condur dovrebbero i triſti loro giorni in ſeno all'inopia, e allo
ſqual lore . Il vantaggio di liberarſi da tante fre quenti , e penoſe cure
della domeſtica eco nomia luſinga molto , ed è talor neceſſario , a chi
trovandoſi in un'età cadente , accom pagnata per lo più da una infaufta dote di
mali, vedrebbe da mercenarie mani rapaci diſperſi, e lacerati i ſuoi fondi ,
rendergli un frutto di gran lunga inferiore a quello che potrebbe ritrarne
perchè diviſo con tanci domeſtici fti pendiati uſurpatori. 78 Quello poi che ſi
carica di pagare un frutto maggiore dell'ordinario ha per oggetto non folo di
fare in un colpo l'acquiſto di una ragguardevole ſomma , ma di vedere la vita
di quello a cui lo paga non oltrepaſſare un tal corſo di anni che la rendita
ecceſſiva af forbiſca il capitale , e la ſomma degli inte reſſi ordinarj , che
egli ne ha ritratti . Aipri mo arride la ſorte fe ſopravviva un tal nu mero di
anni che fatta la ſomına delle an nuali rendite vitalizie , queſta ſuperi il
fondo perduto e di più le rendite ordinarie del medeſimo . Favoriſce il ſecondo
ſe la morte fi affretti a troncare prima di tal termine i giorni dell'altro .
Ecco lo ſpirito di queſto contratto . Per rintracciare nel medeſimo la
neceſſaria uguaglianza , e per verificare i noſtri teore mi è neceſſario
riflettere , che sborſato il ca pitale che ſi perde , e fiſſata la rendita mag
giore dell'ordinaria , vi ſarà un certo nume ro di anni , per il corſo dei
quali ſopravi vendo , la ſomma degli ecceſſi della rendita vitalizia full'
ordinaria uguaglierà il capita 6 79 le . Se quello adunque che perde il fondo
foſſe ſicuro di ſopravivere un tal corſo d'an ni , non potrebbe eſiger di più
di queſta de terminata rendita vitalizia . Ma ſiccome quel lo che dà a
vitalizio non è ſicuro di vivere un determinato numero d'anni ; per poter
rendere eguali le condizioni dei contraenti , è neceſſario fiſſare un tal
numero d'anni , che la probabilità di ſopravivere ſia uguale a quella di
premorire , e che al caſo che uno ſopraviva o due o tre anni , o qualunque
altro numero , ſi poſſa con ugual probabilità contrapporre il caſo che muoja un
egual nu, mero d'anni prima . Quando dunque ſi tratta di formare un vitalizio ,
conviene eſaminare quanto abbia ſopraviſſuto un gran numero di perſone , per
eſempio mille , all'età di quello che vuol farlo . La ſomma di tutti gli anni
che tali perſone hanno ſopraviſſuto di viſa per il numero delle medeſime , dà
un numero , che ſi chiama l'età media . Trovato queſto , ſi ſuppone che chi fa
il vitalizio deb ba ſopravivere fino a tal termine , e ſi fa il diſcorſo che ſi
è detto di ſopra , quando ſi è 80 fatta l'ipoteſi che uno foſſe ſicuro di
vivere nè più nè meno un determinato numero d'anni . Nel fiſſare la media ſi
ſono conſide rati gli eventi che poſſono favorire il caſo della ſopravivenza
eguali in numero a quelli che vi ſi oppongono ; uguaglianza che ſi ac coſterà
tanto più al vero quanto ſarà mag giore il numero delle vite dalle quali ſi ri
cava la media . Ecco dunque, come in queſto caſo la ſpe ranza può dirſi uguale
al timore , e per con ſeguenza può aver luogo l'azzardo ſenza op porſi alla
giuſtizia , ed ecco finalmente ridot to il contratto ai termini dei noſtri
teore mi . La ſomma del capitale più le rendite ordinarie , che è il prezzo
eſpoſto da chi perde il fondo , deve ſtare alla ſomma delle rendite vitalizie
che formano il prezzo eſpoſto dall' altro contraente , come il numero dei cafi
favorevoli al primo , al numero dei caſi fa vorevoli al ſecondo ; i quali
ſupponendoſi moralmente uguali per l'accennata ragione , ne ſegue che la ſomma
del capitale , e delle rendite vitalizie dovrà eſſere eguale alla fom 81 ma del
capitale , e delle rendite ordinarie computando tal ſomma fino al termine del
la vita media , che per ipoteſi ſi dà ſtabilito per l'indicato calcolo . Si
ridurrà dunque l'uguaglianza di queſto contratto a diſtribui re per detto numero
d'anni queſta ſomma ; o ſia a rendere anche più ſemplice l'eſpreſ fione , ſi
tratterà di aggiungere alle annue rendite ordinarie il capitale diſtribuito per
detto numero d'anni . E'evidente che per rendere in queſto contratto le
condizioni più eguali convien pigliare un grandiſſimo nu mero di vite per
formar la media . E quì ſi oſſervi che ſe poteſſe la probabilità della du rata
di una vita fino a un dato numero d'an ni cangiarſi in certezza , ſarebbe tolto
affatto l'uſo di queſto contratto : lo che dee dirſi di tutti i contratti di
azzardo . Si penſa a can giare la probabilità degli eventi in certezza . Se
queſto ſi otteneſſe ſarebbe affatto bandita quella cieca divinità alla quale ſi
abbando nano gli uomini per formarne un ramo di commercio . Vogliamo adunque
miſurar la forte , non eſpellerla . f 82 Tanto più farà facile in queſto
contratto fiſſare la media , quanto più ſaranno ridotte a claſſi diſtinte le
perſone delle quali ſi ſom mano le età . Qualità di profeſſione, carattere di
temperamento , indole di clima , eligono ſeparate oſſervazioni . In fatti,
ſiccome per cali favorevoli s'intendono quelli per i quali ſi prolungano le
vite , per contrari quelli che le abbreviano ; e i ſecondi , nel fillarſi l'età
media vengono conſiderati moralmente ugua li di numero ai primi ; queſta
uguaglianza ſarà più vicina alla vera , quanto maggiore ſarà la parità di
circoſtanze . Se abbiaſi però riguardo non ſolo alle an nue rendite vitalizie ,
ma al frutto delle me deſime, potendoſi eſſe, e il frutto loro cangia re ſucceſſivamente
in forte fruttifera ; fic come quello che paga l'annua rendita vita lizia paga
un frutto maggiore di quello che ritrae ; dovrà a proporzione ſcemarſi
l'ecceſſo della rendita vitalizia ſull'ordinaria . Queſto però non ſi oppone
alla verità del teorema terzo ; poichè in tal caſo il prezzo che eſpo ne quello
che paga la rendita vitalizia non ܪ 83 farà più quell'ecceſſo della rendita vitalizia ſull' ordinaria
, che naſcerebbe dalla fillata proporzione ; ma ſarà un ecceſſo tanto mino re ,
quanto è la differenza del frutto della rendita vitalizia conſiderato
ſucceſſivamente , e per ferie cangiato in forte fruttifera , dal frutto della
rendita ordinaria conſiderata nell'iſteſſa maniera , e così cangiandoſi pro
porzionalmente le eſpreſſioni dei due prezzi , non ſi cangerà l'analogia . Non
farà difficile il perſuaderſi dell'indi cata differenza fe fi conſideri, che
chiamata la ſorte totale per eſempio A , e una di lei porzione C , alla quale
corriſponda l'annuo frutto B , ſarà la ſerie delle annue rate d'in tereſſe o
ſia di ciò che ſi deve ogni anno nella ipoteſi che il frutto ſi cangi in forte
, eſpreſſa dalla ſeguente formola . (C + B ) A ,( B ) A ( C ( C + B С N o ſia
eſprimendo per Nil numero degli anni ſcorſi dal primo (C + B) À laddove quando
il N frutto non ſi cangia in ſorte fi avrà una ſe C_A f 2 84 rie aritmetica il
di cui primo numero cor riſpondente al primo anno farà il capitale col frutto ;
il ſecondo il capitale col doppio del primo frutto ; il terzo il capitale col
tri plo del primo frutto . Il valore adunque del frutto del primo anno ſarà la
differenza dei termini di queſta ſerie . Siccome poi nel caſo dell'ultima
ipoteſi , tanto la rendita ordiną ria , quanto la vitalizia ſi cangiano in
forte; fatte le due ſerie di potenze ſecondo la eſpo fta formula , e ridotte ai
termini individui del caſo di cui ſi cerca , ſi conoſcerà il valore della
ricercata differenza . Richiaminſi però a queſto contratto i prin cipj
ſtabiliti in quello dell'aſſicurazione, e ſi abbia in viſta che per caſi
favorevoli , altro non s'intende , che il numero di quelle per ſone che in
parità di circoſtanze hanno ſo pravviſſuto un dato numero d'anni , per ſi
niſtri poi il numero di quelle che ſono man cate prima ; che queſta parità di
circoſtanze vien compoſta talora da molti elementi il valore de'quali
dev'eſſere prima a parte no tato ; e che la vita dell'uomo dipendendo da 85
cagioni fiſiche e morali , fa di meſtieri riflet tere al diverſo loro carattere
, e alla recipro ca influenza delle medeſime. Lodevolilimo però è l'uſo di far
le tavole , o regiſtri, nei quali ſi notino la naſcita , la morte , e gli altri
accidenti della vita umana ; poichè queſte ſole appreſtano il fondamento ſu cui
ſi appoggiano tanti vantaggioſi con tratti ; ed elle ſole danno la miſura delle
forti, e delle aſpettative dei contraenti . Sarebbe in conſeguenza deſiderabile
che ciaſcun medico regiſtraſſe privatamente le qualità , e gli accidenti
dellemalattie che egli tratta ; ſiccome quelle del temperamento di ciaſcun
malato , che egli libera , o che non può ritrarre dalle prepotenti fauci di
morte . Queſte ridotte in ſiſtema, e reſe pubbliche riſparmierebbero molte
volte la pena di com binarne molte formate da indotti oſſervatori , anzi
fovente farebbero neceſſarie ; poichè l'imperito regiſtratore omettendo tutte
le circoſtanze , o alcuna almeno delle eſſenziali , rende inutili le ſue
oſſervazioni, e appreſta piuttoſto occaſione all'altrui errore , o irri
fleſſione . 86 Benchè e da quali tavole ſi potrà mai rica vare la giuſta miſura
della vita d'un uomo ? Quot non ſunt caufae , dice S'graveſand intro duft. ad
Phil. a quibus vita hominis pendet ? Una di queſte tavole forſe la più eccel
lente , perchè ricavata da regiſtri d'interi regni e provincie , è quella di
Pietro Süſmlich da lui intitolata : La divina providenza nelle vicende
dell'umana ſpecie , dimoſtrata dall'or dine delle naſcite , morti e
moltiplicazioni . Celebre è anche quella di Hocdſon fatta appunto per fillare
le annue penſioni vitali žie , e dedotta dai cataloghi di mortalità di Londra .
Gl’Italiani forſe ſono quelli che hanno traſcurato fin'ora più dell'altre
nazioni queſti importanti regiſtri. Oh ſe lo ſpirito d'indu ſtria , e di
curioſità , che non è l'ultimo pre gio di queſta nazione ſe l'intendeſſe ſempre
con la vera , ed utile filoſofia ! Sono ſtate fatte oſſervazioni meteorologiche
, ed ulti mamente l'aſtronomo di Padova il chiariſ fimo S: Toaldo ha dato alla
luce un libro nel quale ſono regiſtrate le oſſervazioni fatte 87 í per un lungo
corſo d'anni . Più palpabile però , per ſervirmi di una eſpreſſione di un fommo
Filoſofo , e più immediata ſarebbe l'utilità delle tavole di cui ſi parla . Vi
è tutta la ragione di aſpettarla grandiſſima, dalla aſſiduità , ed efficacia
dei noſtri Italiani oſſervatori. Il preſagio comincia ad avve raríi felicemente
. Già dai regiſtri delle na ſcite , che la noſtra fanta religione rende
neceffari, ſonoſi ricavate delle conſeguenze ſull'articolo della popolazione :
ficcome dalle oſſervazioni delle frequenti morti dei bambi ni , ſi è preſa
occaſione di rintracciarne la cauſa , e d'indagare la maniera di ſalvare queſti
teneri germi , che sì facilmente foc combono anche ad un leggiero urto , e ad
una tenue ſcoſſa . Al genere dei vitalizj appartiene quella convenzione , che
dal ſuo oggetto chiamaſi: la dote della figlia . Un provido padre sborfa una
determinata ſomma di denaro con la condizione che fe una tal figlia di freſco
natagli manchi prima dell'età nubile , la sborſata ſomma cada in 88 proprietà
di quello che l'ha ricevuta ; ma ſe la figlia arrivi all'età nubile riceva eſſa
da queſto una ſomma proporzionata agl'intereſſi decorſi del denaro , e al
pericolo in cui ella è ſtata di morire in tal intervallo , e di per der così la
ſomma dal padre sborſata . Dovrà in tal contratto rifletterſi che il prez zo ,
che sborſa il padre per la figlia è uguale alla fomma più le rendite ordinarie
fino all anno prefiffo ; quello che azzarda l'altro è l'ecceſſo della dote
ſopra la sborfata ſomma , e i frutti ordinari: ecceſſo che fi deve per
l'incertezza della vita . Deve dunque come il numero dei caſi favorevoli alla
vita della figlia fino alprefillo termine , ſta ai ſiniſtri (a) , o fia ai
favorevoli all'altro ; così ſtare la ſom ma sborſata dal padre , più le rendite
ordi narie , all'ecceſſo della dote che ſi dovrà alla figlia in caſo di
ſopravvivenza ſulla ſomma sborſata più le rendite ordinarie . Havvi un'altro
contratto per cui un par ticolare, che vuol comprare una conſidera ( a) Anche
in queſto contratto i caſi favorevoli , e i finiftri s'intendono come fi dille
parlando de' vitalizji 89 bile carica ; per non privare della ſomma ne ceſſaria
a tal acquiſto una famiglia a lui ca ra che la ſua morte potrebbe mettere in
braccio alla deſolazione, e all'inopia ; fi fa aſſicurare la propria vita per
un dato corſo di anni , pagando , o una ſomma, o un'an nua penſione
all'aſſicuratore , che ſi obbliga all'incontro di pagare agli eredi di lui la
ſom ma ſpeſa nell'acquiſto della carica , ſe egli muoja prima del termine
ſtabilito . La eva luazione della vita , si in queſto , come in tutti gli altri
caſi ſi ricava dalle non mai ab baſtanza commendate tavole . Si oſſervi, che in
queſto contratto quello che riceve la ſoin ma o l'annua penſione, trova
vantaggio nella prolungazione della vita di chi la sborſa , al contrario di ciò
che accade nei vitalizj , e negli altri contratti ad eſſi analoghi . Nel for
mare adunque la proporzione cangian nome fra loro i caſi che nei vitalizj ſi
chiamano favorevoli, o ſiniſtri; del reſto non vi è dif ferenza veruna . E'
queſto un contratto di cui tanto meno importa trattenerſi ad eſami nare i
dettagli quanto importa più alla feli 1 $ 1 1 1 1 1 go cità di uno ſtato che
non poſſa mai trovarſi occaſione d'iſtituirlo . Diaſi però in quella vece una
rapida oc chiata a quello che dal nome del ſuo inven tore chiamaſi Tontina .
Non differiſce que fto dal vitalizio , ſe non in ciò che ove in quello la
rendita annua ceſſa alla morte di colui , che collocò il ſuo capitale a fondo
per duto ; in queſto ſi diſtribuiſce nei ſuperſtiti che appartengono alla
medeſiına claſſe , e che hanno fatto un ſimile contratto col padro ne della
tontina . L'ultimo però di ciaſcu na claſſe conſolida ſul ſuo capo tutte le ren
dite che ſi pagavano a quegli che gli ſono premorti nella ſua claffe . A
formare le diverſe claſli dà norma la diverſa età . E' celebre la Vedova di un
Chirurgo di Parigi la quale morì in età di 90. anni , e godeva 35000, lire di
annua penlione frutto di uno sborſo di 600, lire . Dalle tavole di mortalità ſi
è ricavata la formula che eſprime in un dato numero di vite coetanee quanti
anni ſia per durare la più lunga . Da ciò il padrone della tontina pud co 91
lui il pagare a o il noſcere per quanti anni dovrà pagare le ren dite ; poichè
per il ſovra eſpoſto carattere di tal contratto , val lo ſteſſo per ciaſcuno la
ſua penſione col diritto di ac creſcere , che hanno quelliche ſopravvivono ,
pagare la fomma di tutte a quella vita che durerà più dell'altre . Potrà per
conſe guenza fiſſare il valore di queſte annue pen ſioni . Si è in oltre
trovata la formola che eſpri me , dato qualunque numero di vite coetanee , il
tempo in cui uno , o due , o più manche ranno , la formola per il caſo che più
perſo ne comprino un annualità da dividerſi fra loro mentre vivono , da
dividerſi poi dopo la mor te di qualcuno di loro ugualmente fra i ſo
praviventi, e da ricadere finalmente tutta all'ultimo ſuperſtite da goderſi
durante la ſua vita ; e queſta ancora dà lume agli azionari ſulla contribuzione
che devono preſtare. E faminate queſte formole , ed avuto in conſi derazione il
metodo tenuto nel fiſſare la pro porzione per i vitalizj , ſi ritrova
facilmente la medeſima anche per le contine . 92 1 1 E' oltre ogni credere
benemerito dell'u“ manità il gran inatematico Abramo Moivre , che ha trovate ,
e applicate le anzidette , e molte altre formole , che ſi trovano nella
incomparabile ſua opera intitolata la dot trina degli azzardi . Io non le ho
riportate perchè il far ciò e troppo lungo ſarebbe , e devierebbe dallo ſcopo
fin da principio pro poſtomi. Benchè peraltro l'unico mio oggetto nell’ eſaminare
i contratti d'azzardo ſia quello di fiſſare i principj sù cui ſi fonda
l'uguaglianza perchè ſian giuſti ; voglio rammentare , che i più illuminati
politici hanno deteſtato l'a buſo di queſte pubbliche rendite , come ap punto
ſono le tontine , ed altre di fomi gliante natura . E' troppo chiaro che queſte
tendono a ſoffocare i germi dell'induſtria , e ad appreſtare alla parte ozioſa
, e indolente della ſocietà armi ſempre nuove per oppri inere la porzione che
co'ſuoi ſudori dà moto , ed anima al ben eſſere dello ſtato ; oltre di che ſi
oppongono alla propagazione , allet tando eſſe a ſituarſi in uno ſtato nel
quale il 1 I 93 generar figli ſarebbe un'accreſcere il numero degl’infelici .
En fin je ne me plaindrai plus De l'etoile qui me domine ; Il me reſte encore
cent ecus Que je vais mettre a la Tontine : O la charmante invention ! Sans
avoir du Dieu Mars eſſuyé le orages , Sans avoir fatiguè la cour de mes hom
mages , Je ferai ſur l'etat , & j'aurai penſion . Così cantò un elegante
Poeta Franceſe in tendendo così di far la ſatira delle tontine ; e pare di
fatto che il Poeta potrebbe ora viver quieto ſu queſto articolo eſſendo eſſe
molto ſcemate , e andate in diſuſo , benchè non così gli altri contratti del
genere di cui parliamo . Ma d'altra parte eſſendo utiliſſimo, e tal volta
neceſſario al ben dello ſtato il poter ſollecitamente raccogliere una grandioſa
ſomma di denaro , ſenza imporre perciò nuo ve contribuzioni; ed effendovi
talora molti cittadini , le circoſtanze dei quali rendono ad eſſi neceſſario il
ſoccorſo di queſte pen 94 . fioni vitalizie ſi potrebbero forſe ritrovare
provvedimenti opportuni , per fare un eſame regolato dell'età , e delle
circoſtanze di quelli che doveſſero eſſere ammeſſi alla compra delle azioni , e
con i neceſſari regolamentipreveni re gl ' inganni , che in queſto articolo
intereſ fante poteſſero deludere le pubbliche vedute . 1 1 1 1 . 1 Per
eſaminare i contratti della terza claſſe ne quali il rapporto su cui ſi fonda l
' ugua glianza fra i contraenti ſi appoggia in parte alla conſiderazione di
leggi certe , e ſicure , e in parte alla ſperienza del paſſato , e a cir
coſtanze incerte e di numero indeterminato , ſi ripigli l'eſempio dell'urna ,
nella quale ab biavi un determinato numero , per eſempio di go. palle . Se la
ſperanza dell'eſito felice è affidata all'eſtrazione di una palla ; per la
natura di tal contratto , o gioco che voglia chiamarſi, e per le ſue leggi, il
numero dei caſi favorevoli ai ſiniſtri farà come 1. 89,0 ſia chiamando il
numero totale m farà il mu mero dei caſi favorevoli ai ſiniſtri come 1 : m - 1
e per conſeguenza l'aſpettativa del buon'eſito farà = mo ſia -112 95 Ma ſe ſia
vero che la palla alla quale è affidata la ſperanza eſca più frequentemente
dall'urna che qualunque altra , e l'ecceſſo di tal frequenza ſu quella delle
altre ſia Þ ; il numero dei caſi favorevoli non ſarà più i ma bensì 1 Xp ; e
quello dei ſiniſtri eſſendo m = 1 , la probabilità della ſperata eſtrazione
farà Xp L'addotto eſempio è la norma coſtante di tutti i contratti che poſſano
mai cadere for to queſta terza claſſe , come comprendenti le condizioni che ne
formano il carattere . Di fatti la probabilità dell'eſtrazione della palla
fatale dipende dalle leggi del contratto certe , e ficure che danno il rapporto
di e dalla ſperienza , ed oſſervazione delle fre quenti eſtrazioni della
medeſima, che danno l'ecceſſo di p ſulla frequenza dell'eſtrazione dell'altre
palle nell' urna rinchiuſe , la quale i XP fa che l'aſpettativa diventi I : m ;
112 Non è neceſſario che io offervi che per quanto ſiaſi oſſervato queſto
ecceſſo p , non 96 dimeno non è ſicuro e certo che piuttoſto eſca tal palla ,
di quello che ne eſca un'al tra . E queſta è una di quelle circoſtanze che io
chiamo incerte e variabili . Che ſe ſi trattaſſe di paragonare la pro babilità
dell'eſtrazione fra due palle , ſicco rapporto che naſce dalle leggi certe e
ſicure è lo ſteſſo per tutte due , eſſendo in me il I tutte due ſi dovrebbe
attendere ſolamen in te la diverſa frequenza dell' eſtrazione di queſte due
palle . A queſto eſempio ſi poſſono ridurre fpe cialmente le offervazioni dei
giocatori di lotto , e di quelli che ſi travagliano in oſſer vare quali carte
ſi moſtrino più ſovente, o quali facce del volubil dado , ad avvicendare
nell'agitato cuore dei giocatori la gioja e la triſtezza. Ben' è vero però che
per quanto fiano replicate le eſperienze , in moltiſſimi caſi non apparendo
neppure in confuſo una minima conneſſione di tal frequenza con una vera cauſa
da cui derivi , non potranno giam mai meritare che le abbia in viſta , chi ra
97 giona ſu dati veri , e non fa caſo di mere e vaganti accidentalità . Se ſi
aveſſe a queſte riguardo , molti di quei contratti, che nella prima claſſe ho
eſa minati , a queſta terza dovrebbonſi riferire . Ma io per le indicate
ragioni , a quella ſola nei ſuoi veri termini inteſa giudico i mede ſimi
appartenere . Anche in tali caſi perd vi ſono inolti che credono doverſi fare
ſcrupo lofo conto dell'oſſervazioni, e per queſta ra gione ancora
approverebbero la mia diviſio ne ; eſſendo queſta terza claſſe da me confi
derata in modo che può , ſe vogliaſi, compren dere le medeſime, anche quando
non appa riſca la ſopra indicata conneſſione . Che ſe il numero delle
offervazioni ſia grande , e i riſultati coſtanti , ed abbiavi qual che
conneſſione fra l'eſito della ſperanza , ed una cauſa dalla quale poſla
derivare tal frequenza di oſſervazioni, allora non v'ha dubbio che ſiamo nel
caſo che caratterizza queſta terza claſſe , e la diſtingue dalle altre . Vi
ſono in fatti molti giochi , nei quali l'eſito fortunato dipende in parte dalla
pro g . 98 pizia ſorte , e in parte deveſi alla propria in duſtria o deſtrezza
nel combinare gli elemen ti del gioco , e rendergli coſpiranti al termi ne a
cui ſta anneſſo il guadagno del premio deſiderato . L'induſtria però di un giocatore
pud conſiſtere o nella ſola avvedutezza e pre ciſione nell'oſſervare l'eſito
delle varie coin binazioni del gioco , che ſi vanno ſuccefliva mente
preſentando , e la replicata ſperienza delle quali porge la norma ai caſi
avvenire ; o nella deſtrezza maggiore di combinare gli accidenti medeſimi del
gioco , di dedurre , di ſcuoprire gli artificj dell'avverſario ; e in
qualſivoglia di queſti due aſpetti ſi ravviſi l'induſtria , è ſempre vero che i
giochi che di effa , e della forte ſi chiamano miſli, hanno un filo non
traſcurabile per cui ſi attengono alla terza clafle dei contratti di azzardo ,
In un gioco miſto è molto difficile che tornino per appunto le medeſime
circoſtan ze ; e quindi è che le oſſervazioni ad e {To re lative ſono della
natura di quelle dei con tratti alla ſeconda claſſe appartenenti ; in certe
cioè , e incapaci di rendere indubitato 99 e ſicuro l'evento , ma fiſabili
quanto baſta per formarne un calcolo che miſuri l ' ugua glianza , acciò il
contratto ſia giuſto . Ma ſiccome in queſti giochi medeſimi vi ſono dati ſicuri
dipendenti dalle loro leggi inva riabili ; quindi è che eſſi appartengono alla
terza claſſe , perchè regolati in parte da tali leggi, e in parte da cagioni
incerte e inde terminate , e dalla ſola ſperienza . Siccome però poſſono eſſere
o molte o poche le com binazioni che conducono all'eſito medeſimo, a miſura che
queſte ſono in maggiore o mi nor numero , prevale nei giochi miſti l'in duſtria
o la ſorte . Inoltre la deſtrezza di combinare , di de durre , di rammentarſi gli
elementi delle com binazioni che ſono uſcite ſucceſſivamente dalla malla totale
delle medeſime nel decorſo del gioco , è variabile , come può ognuno of
ſervare, quanto è variabile la tranquillità d'a nimo neceſſaria , la perfetta
diſpoſizione di ſa lute , e per conſeguenza l'agilità degli ſpiriti,
l'elaſticità delle fibre ; in una parola l'atti vità neceſſaria per ben
riuſcire in qualunque 100 impreſa richiegga applicazione di mente , e
attuazione di fantasia . Conſiderate queſte come cauſe incerte ed indeterminate
, e che ſi poſſono ſoltanto dopo un lungo corſo di oſſervazioni fatte giocando
col medeſimo avverſario ridurre a calcolo , e quanto alla loro frequenza , e
quanto al grado d'influenza ſull'eſito del gioco ; ecco anche in ciò un motivo
per cui il fiſſare l’u guaglianza fra i giocatori nei giochi miſti, dipende, e
dalle invariate e ſicure leggi del gioco , e da circoſtanze incerte , e indeter
minate , Certo è che nei giochi miſti l'induſtria sà tirar profitto dai colpi
della ſorte , e il gioca tore avveduto , dice la Bruyere , imita in queſto un
gran generale , e un abile politico . Al valore del primo , e alle vedute del
ſe condo è miniſtra la forte . Arrivano entrambi francamente al loro intento
per quelle ſtrade medeſime che aperſe il caſo ; e che là metton capo , ove
forſe non gli avrebber condotti i mezzi più maturati , e i piùmeditatiprogetti
. Nei giochi miſti deve farſi la rifleſſione IOI medeſima di cui ſi parlò
trattando dei giochi di puro azzardo . O i giocatori tentano con eguali condizioni
l'evento medeſimo ; o un folo tenta la ſorte del gioco , e l'altro ſta ozioſo
ſpettatore , e riduce la ſua ſperanza unicamente all'infauſto eſito
dell'avverſario . Nel primo caſo ſiccome il numero dei caſi favorevoli e dei
ſiniſtri dipendente dalle leggi del gioco , è l'iſteſſo per ambidue , ſi riduce
a calcolo l'eſperienza ed induſtria , la quale ſi oſſerva nelle medeſime
circoſtanze quante volte abbia ſaputo ridurre a buon termine il gioco ; calcolo
che ſi fonda ſopra oſſervazioni molto difficili, e incerte . Giacchè farebbe d'
uopo che ſi foſſe ſempre giocato col mede fimo avverſario ; eſſendo la
deſtrezza , e abi lità di un giocatore affatto relativa a quella
dell'avverſario ; e potendoſi queſto rapporto variare ogni giorno , o reſtar
coſtante ſecondo i progrelli , o uguali, o proporzionali , o di verſi, che
l'uno , o l'altro facciano nel gio co . E' vero però non meno , che trattandoſi
di rapporti , poſſono in qualche modo gio vare le offervazioni fatte
dell'abilità di un 102 giocatore riſpetto ad un terzo all'induſtria del quale è
noto qual proporzione abbia quella dell'avverſario . Nel ſecondo caſo poi
l'induſtria non è più riſpettiva , ma aſſoluta ; e fi riduce a calcolo con
l'offervare , nelle medeſime combina zioni , o in non molto diffimili per la
natura del gioco , quante volte l'avverſario abbia ottenuto quell'intento che
ſi era propoſto , fotto le date condizioni; e quante volte non abbia toccato il
termine al quale per otte nere il premio dovea pervenire . Generalmente adunque
ficcome il numero dei caſi favorevoli e de'ſiniſtri è dipendente in parte dalle
leggi del gioco , in parte dalle oſſervazioni, che miſurano la riſpettiva , e
afloluta induſtria , converrà diſtinguere , e calcolare queſti due elementi
componenti la ſomma dei caſi favorevoli , e ſiniſtri; e formare poi la
proporzione eſpoſta nel Teo rema III.', e nel Corollario . Se non due , ina più
ſiano i giocatori , ſi rammenti la regola di ridurre i caſi compleſſi ai
ſemplici componenti , e di eſaminare in 103 ciaſcuno a parte le ſtabilite
maſſime. Sarebbe un ripetere il già detto ; ſe io voleſſi ram mentare i
principj ſtabiliti nei contratti della prima claſſe , e in quelli della feconda
. Bafli l'avvertire che in queſti della terza claſſe ove trattaſi dei caſi
favorevoli o ſiniſtri, in quanto dipendono dalle leggi certe e ſicure del
contratto , convien ricorrere ai priini ; ove poi fia queſtione di offervazioni
, e di cauſe indeterminate , conviene eſaminare i ſecondi ; non omettendo mai
di riflettere quanta alterazione poſſa produrre l'influenza degli uni , ſu gli
altri , e la varia loro com binazione . Stabilite così le leggi ſulla ſcorta
delle quali ſi giunge a fiſſare la ricercata ugua glianza in qualunque claſſe
di contratti di azzardo ; non devo diffimulare , che uno dei più grandi
Filoſofi il Signor d'Alembert ha preteſo di abbattere il calcolo delle pro
babilità quanto alla ſua applicazione agli ac cidenti umani . Accid , dic '
egli , queſto cal colo foſſe applicabile , ſarebbe neceſſario , che tutti i
caſi che ſono ugualmente poſlibili ma 104 tematicamente parlando, lo foſſero
anche di fiſica poſſibilità. Sarebbe dunque neceſſario , che gettata infinite
volte in alto una moneta , ſopra una faccia della quale vi ſia impreſſa una
marca , per eſempio palle , e ſull' altra una diverſa , per eſempio croce ,
foſſe ugual mente poſſibile che ſi ſcopriſſe ſempre palle , o croce ; e che ſi
ſcopriſſero alternativamente queſte due diverſe marche . Ma benchè ciò ſia
ugualmente poſſibile matematicamente parlando , non lo è fiſicamente . E queſta
di verſità appunto è quella che fa sì, che il cal colo matematico delle
probabilità , non è applicabile ai caſi fiſici . Anzi non ſi potrà mai fiſſare
il numero delle volte per il quale duri la poſſibilità fiſica di ſcoprirſi
ſempre l'iſtella faccia della moneta , e il limite ol tre il quale non paſſi
queſta fiſica poſlibilità , durante però ſempre oltre ogni limnite com'è
certiſſimo , ed oltre qualunque aſſegnabile numero di getti , la matematica
poſſibilità del continuo ſcoprirſi della medeſima faccia . : Lo prova con una
inafſima che egli ſtabi liſce per certa : che non è in natura , che un 1 1 1
IOS 1 effetto ſia ſempre, e coſtantemente il mede fino ; ſiccome non è in
natura che tutti gli alberi , ſi raſſomiglino fra loro . Queſta maf ſima lo
induce ad argomentare che la pro babilità di una combinazione, nella quale il
medeſimo effetto ſi ſuppone accader più vol te , in parità di circoſtanze è
tanto più pic cola , quanto queſto numero di volte è più grande , di modo tale
che quando queſto è maſſimo, la probabilità è aſſolutamente nulla , o quaſi
nulla ; e all'incontro quando queſto numero è aſſai piccolo la probabilità non
ne reſta che poco , o punto diminuita per queſto riguardo . Adduce egli
moltiſſimi eſempi compro vanti la ſua aſſerzione, e conclude che i re ſultati
della teoria dei probabili , quand'anche ſiano fuori di ogni queſtione
nell'aftrazion geometrica , ſono ſuſcettibili di molta reſtri zione quando i
medeſimi ſi applicano alla natura . Alle ragioni però ingegnoſiſſime di un si
grand' uomo converrà adunque arrenderſi , e diſperare della cauſa del noſtro
calcolo dei probabili ? 1 106 1 Parmi che ben'inteſi i noſtri principj co me
ſono ſtati da noi ſtabiliti, o non ſiano at taccati da tali oppoſte difficoltà
, o le mede fime reftino ſciolte . Prima di tutto ſi oflervi che noi trattiamo
ſolo di calcolare i gradi di probabilità nei caſi nei quali ſi ſuppone po terſi
efla rinvenire . Se diaſi dunque un caſo , che non cada in modo alcuno forto la
cate goria dei fiſicamente poflibili , e che per con ſeguenza nè il minimo
grado abbia di proba bilità ; io dirò che queſto non è oggetto delle mie teorie
; ma non concederò mai che per queſto non ſi poſſano eſſe applicare perfet
tainente ai caſi , che ſiano di fatto filica mente poſſibili. Per conoſcere poi
quali ſiano i caſi o le combinazioni fiſicamente poſſibili nel ſenſo del Sig.
d'Alembert, è neceſſaria una fre quente e replicata oflervazione . Che ſia
fiſicamente impoſibiie ( ſe pure ſi può uſar queſto termine ) che una moneta
moſtri un inaſſimo o un infinito numero di volte la ſtella faccia , donde ſi
ricava , fe non dall'avere offervato che una tale con 107 tinuazione dello
ſcoprimento medeſimo non accade , ma che al contrario ſi vanno alter nando , e
cangiando di tanto in tanto le facce della moneta ? Benchè non può dirſi a
rigore fiſicamente impoſſibile il caſo in cui per un infinito numero di getti
ſi paleſi ſempre l'iſteſſa fac cia , a meno che non vi ſia nella moneta qualche
fiſica e meccanica cagione che ciò non permetta . Se ſi concedeſſe ancora (
benchè non ſo quanto ſia dimoſtrato ) che ſia fiſicamente impoſſibile, che ſi
dia un albero perfetta mente ſimile ad un altro , non che , come fi contenta di
dire il Sig. d'Alembert , che ſi raſſomiglino tutti gli alberi fra di loro ;
non correrebbe la parità , per dedurne che nel caſo di un infinito numero di
getti di una moneta , l'uniforme ſcoprimento di una fac cia della medeſima ſia
fiſicamente impoſſi bile . Poichè vi corre una notabiliflima di ſparità . Tutte
le combinazioni le quali fanno , che una coſa non ſia fimile all'altra , danno
tanti ios riſultati fra loro diverſi. Dalle diverſe com binazioni infinite che
faran caufa che l'ala bero A non ſia perfettamente ſimile all'albe+ ro B ,
naſceranno tanti alberi fra loro diverſi ; o altri corpi dei quali ſi conoſcerà
la diffe renza . Ma dalle diverſe combinazioni che poſſono fare che non venga
infinite volte di ſeguito la faccia palle della moneta ; non ne poſſono venire
che riſultati affatto ſimili , cioè croce ; poichè ogni volta che non ſi ſcopra
palle , ſi ſcoprirà croce . Queſto prova che le combinazioni che ſono contrarie
alla per fetta ſomiglianza di due coſe , formano infi niti rapporti , infiniti
riſultati dei medeſimi, infinite diverſe compoſizioni di parti dipen denti da
infinite meccaniche direzioni delle particelle della materia di infinite
poſſibili diverſe velocità , figure ec.: coſe tutte che nel caſo noftro non ſi
verificano . Di fatto gli elementi che formano la com binazione , che per
infinito numero di volte preſenta palle , ſono tutti ſimili fra di loro , ed
hanno fra di loro un folo invariato rap porto . Di modo che ſe ſi ſupponeſſe
mutato 109 l'ordine col quale eſce prima la infinita ſerie di palle, e ſi
ricominciaſſe il getto , e ritor naſſe di nuovo a ſcuoprirſi infinite volte la
faccia che preſenta palle , ne verrebbe un or dine fimiliſfimo al primo ,
potendoſi dire , che l'iſteſla relazione ha il primo ſcoprimento di palle al
milleſimo, che ha il ſecondo al cen teſimo , e così dicaſi di tutti .
Talmentechè a rigor parlando , non ſi può dire , che fra queſti getti vi ſia
ordine che formi fra effi un rapporto piuttoſto che un altro . Non così degli
elementi che formano un dato fiore , o albero ; eſſendo combinabili fra di loro
con infinite varietà di ſopra ac cennate . Gli elementi fiſici adunque delle
combinazioni nel caſo della moneta ſono ſempliciſſimi, laddove nell'eſempio
addotto dal Sig. d'Alembert fono infiniti, dal che ne viene , che la parità non
corre ; e dalla fiſica impoſſibilità ( ſe fi ammetta ) di trovare mol te , o
anche due coſe fra loro ſimili ; non ne viene la fiſica impoſſibilità che una
monetan gettata in aria infinite volte moſtri ſempre l' iſtefla faccia . 110 1
La diſparità compariſce più chiara , fe li rifletta che qualunque vedendo in un
dato ſpazio tutte le particelle più minute compo nenti i corpi ; e riflettendo
alle variazioni poſſibili della velocità , e della figura delle medeſime; e
vedendone in un ſimile ſpazio un altro ſimile numero , avrebbe ſubito infe rita
l'impoſſibilità di una combinazione ta le , che ne riſultaſſero due alberi
ſimili . Laddove vedendo una moneta , e ſapendo che ſi deve gettare in aria
infinite volte , non avrebbe avuta una fiſica ragione di preſagire che non ſi
ſarebbe un infinito numero di volte ſcoperta l'iſteſſa faccia , e di credere
tal combinazione fiſicamente impoſſibile , come la pretende , fondato ſulle
addotte ri fleſſioni , il Sig. d'Alembert . In una parola della impoſſibilità (
ſe tal vo glia chiamarſi ) della ſomiglianza di due al beri ſe ne può addurre a
colpo d'occhio una fiſica meccanica ragione ; lo che non può dirſi dello
ſcoprimento della faccia di una moneta . Lo ſteſſo a proporzione dicaſi delle
diverſe , III combinazioni delle lettere che formano la parola
Conſtantinopolitanenfibus. Chi attribuirà al caſo , dice d'Alembert , che ſi
combinino in modo tante lettere che formino queſta pa rola ? chi vorrà crederlo
poſſibile ? Dunque conchiude egli ſarà ugualmente impoſſibile il continuo per
infinite volte ſcoprimento della faccia medeſima di una moneta . Queſto eſempio
è molto ſimile a quello dei due al beri fimili ; e ſi riſponde anche a queſto ,
che ciaſcuna lettera può variare rapporto a tutte le altre , e che ciaſcun
riſultato ſarà diverſo . La Luna , aggiunge il Ch. Filoſofo , gira attorno al
ſuo alle in un tempo preciſamente uguale a quello che ella impiega nel deſcri
vere la ſua orbita intorno alla terra ; e queſta eguaglianza di tempo produce
ammirazione , e ſi vuol cercare qual n'è la cagione . Se il rapporto dei due
tempi foſſe quello di due numeri preſi all'azzardo , per eſempio di 21 : 33 ,
niſſuno non ne ſarebbe ſorpreſo , e non ſe ne ricercherebbe la cagione ; e pure
il rap porto di uguaglianza è matematicamente و II2 parlando ugualmente
poſſibile , che quello di 21:33 ; perchè dunque ſi cerca una cagione del primo
, che non ſi cercherebbe del ſe condo ? Lo ſteſſo dicaſi della ſituazione dei
pianeti e del rapporto che ha la zona nella quale fono rinchiuſe le orbite loro
, alla sfera . Per chè ſi conchiude egli che queſto non è effet to del caſo ?
perchè queſta combinazione , benchè matematicamente poſſibile al par dell'altre
, ſi riguarda .come effetto di un diſegno , e di una regolarità ? E non ſi
crederà poi , che il ſolo caſo non può pro durre quella combinazione per la
quale la moneta ſcopra infinite volte di ſeguito fem pre palle; e non ſi
crederà queſta fiſicamente impoſſibile , benchè abbia una matematica
poſſibilità eguale a quella delle altre combi nazioni ? Ma io riſpondo , che di
fatto le com binazioni dei citati eſempi hanno avuta una fiſica poſſibilità
uguale a quella di tutte l'al tre combinazioni ; che non vi è forſe argo mento
che provi che il caſo non le aveſle po tute produrre ; ma che anche ſe ſi
vogliono LI3 fiſicamente impoſſibili al ſolo caſo ; ciò è per chè ſon compoſte
di elementi infinitamente variabili ; lo che appariſce a chi ſi faccia di
propofito a conſiderare le diverſe cagioni , e le diverſe poſſibili
combinazioni, che poſſon far sì che i tempi dei due giri lunari non ſia no
uguali ; e che la zona delle orbite plane tarie abbia alla sfera un rapporto
diverſo da quello che ora ha infatti; cagioni tutte fi fiche , e meccaniche .
Di più dico , che l'uguaglianza dei corſi della luna intanto a noi fa
impreſſione, in quanto che il rapporto di uguaglianza è quello al quale ſi
fogliono riferire tutti gli altri; e tutta la differenza che fra eſſo , e gli
altri paffa , non è che metafiſica ; e nulla po ne di fiſico per cui tal
combinazione debba eſſere più difficile dell'altre . Lo ſteſſo dicaſi della
parola Coſtantinopoli tanenſibus . Queſta combinazione di lettere fa ſpecie a
noi che intendiamo il ſenſo della parola , e che al ſuono della medeſima abbia
mo legataunidea ; non così a un Turco idio ta il quale non col nome di
Coſtantinopli b 114 ma con quello di Stamboul è avvezzo a no minare la ſuperba
metropoli dell'Impero Ot tomano . Non contento Monſieur d'Alembert degli eſempi
addotti in conferma della ſua aſſer zione , l'appoggia ad altre due
rifleſſioni. Si fa che la durata media della vita di un uomo , contando dal
giorno della ſua naſcita è all'incirca di 27 anni ; ſi è pure conoſciuto per
mezzo delle oſſervazioni, che la durata media delle ſucceſſive generazioni più
ome no è di 32 anni ; finalmente ſi è provato per tutte le liſte della durata
dei regni di ciaſcu na parte d'Europa , che la durata media di ciaſcun regno è
di circa a 20 in 22 anni . Si può dunque dic' egli , ſcoinmettere non ſolo con
vantaggio ma a gioco ſicuro che 100. fanciulli nati nel medeſimo tempo non
vive- , ranno che 27 anni l ' un' per l'altro; che 20 generazioni non dureranno
più di 640 anni in circa ; che 20 Re ſucceſſivi non viveran no che intorno a
420 anni . Una combina zione adunque che non daſſe intorno a 27 . anni la
durata media della vita dell'uomo, IIS pigliandone cento a eſaminare , o non
dalle di 32 anni la durata media di 100 fuccef five generazioni ; oppure
portaſſe che 20 Re ſucceſſivi regnaſſero , o molto più , o molto meno di 420
anni , non ſarebbe fiſicamente poſſibile ; eppure lo ſarebbe matematicamen te
parlando . Dal che riſulta che vi ſono al cune combinazioni matematicamente
pofli bili , che ſi denno eſcludere, quando eſſe fo no contrarie all'ordine
coſtante della natu ra . Dunque la combinazione in cui , o infi nite volte , o
un gran numero veniſſe ſcoperta ſempre la medeſima faccia della moneta , benchè
di matematica poſſibilità uguale a quella di qualunque altra combinazione ,
dev’ eſſere rigettata . E' nell'ordine naturale , ché un banchiere di faraone ,
che ha dei caſi favorevoli più che dei ſiniſtri ſi arricchiſca coll'andar del
tempo . Di fatti ſi oſſerva coſtantemente , che non vi è banchiere , che non
accumuli groſſe fomme di denaro . Queſto prova , che quelle combinazioni , che
hanno più caſi contrari che favorevoli , ſono alla fine di un certo b 2 116
tempo, meno fiſicamente poſſibili che le al tre ; quantunque matematicamente
parlando tutte le combinazioni ſiano ugualmente pof ſibili . Dunque conclude
egli , la combina zione , la quale preſenti ſucceſſivamente per un gran numero
di volte ſempre la ſteſſa fac cia della moneta dev'eſſere eſcluſa . Per
riſpondere a queſti due eſempi parmi che prima di tutto ſi poſſa negare la
fiſica impoſſibilità , che con tanta franchezza ſi af feriſce della durata
media della vita di un' uomo diverſa dallo ſpazio di circa 27 anni. Ed io ſono
ben perſuaſo che eſaminando il caſo della vita di molte centinaja d' uomini ſe
ne troveranno di quelle , o aſſai maggiori , o aiſai minori dello ſpazio di 27
anni ; dun que tale combinazione non fi deve ſcartare come fiſicamente
impoſſibile. L'iſteſſo dicafi di quella , per cui un banchiere in vece di
arricchire ſi vedeſſe dal gioco medeſimo ri dotto all' inopia ; caſo che non è
poi sì in frequente ad accadere . Dicafi piuttoſto che l'una , e l'altra di
queſte combinazioni con tenute nei due eſempi addotti dal chiarilli 117 mo
d'Alemberţ ſono molto difficili, e tanto più , quanto l'ecceſſo dei caſi
contrarj alle combinazioni medeſime ſupera il numero dei favorevoli ; lo che
conviene appunto con li da me ſtabiliti principj . Venendo poi al caſo noſtro
dico , che fo no varie , e moltiſſime in numero le cauſe vere , e fiſiche che
influiſcono ſulla vita degli uomini . Ma trattandoſi del getto della mo neta ,
non vi ſono principj fiſici diverſi, e tali , che ſi debba in vigor deị
medeſimi pre dire piuttoſto una , che l'altra delle combi nazioni , che a rigor
parlando non ſono che due , come più ſopra ſi è offeryato . L'ordine delle
umane coſe , e le fifiche qualità , e coſtituzioni dell'uomo, e delle ca gioni
che lo poſſono privar di vita , ſon con ſultati nel primo caſo ; nel ſecondo
nulla hav: vi di fiſico che ſi poſſa conſultare a formare il preſagio . Dunque
fi pud predire , che ioo o maggior numero di uomini avranno preſi inſieme un
corſo di vita uguale a quello di altri 100 uomini ; benchè prima di aver faţte
le offervazioni non ſi poſſa cal corſo file 1 b 3 118 ſare; così prima di
aver’anche fatte le oſſer vazioni, conoſciuto il ſiſtema del gioco del faraone
ſi può predire che un numero molto maggiore farà quello dei banchieri che arric
chiſcono , che non ſarà quello degli altri che ſi rovinano . E ciò perchè
veramente vi ſono delle intrinſeche cagioni che portano a for mare queſto
preſagio , e cagioni che naſcono dal ſiſtema del gioco . Ma chi sà dire qual fi
fica ragione addur voglia uno , che vedendo gettarall'aria una moneta ,
aſſeriſca che è fiſicamente impoſſibile, che o per un maſſi mo , o anche
infinito numero di volte , pre ſenti ſempre la ſteſſa faccia ? Varie poſſono
eſſere le maniere di gettare in alto la moneta . Si può gettare a una gran de
altezza , e a una piccola ; con poca forza , e con molta ; con tale direzione
che la baſe faccia angolo retto con l'orizzonte ; o che lo faccia obliquo ;
oppure in modo che ſia ad eſlo parallela . Si può anche gettare in ma niera che
ſomigli quaſi il laſciarla cadere leggermente da un punto fiſſo . Fermiamoci ad
eſaminare queſt' ultima ipoteſi; e ſi ve 1 1 119 1 drà , che laſciandola in tal
modo cadere , ſpecialmente a piccola altezza , anche in finite volte , non vi è
ragione di preſagire , che non poſſa eſſere coſtante lo ſcoprimen to della
faccia medeſima . La impoffiſibilità di queſto uniforme ſcoprimento , la inten
de egli il Signor d'Alembert in queſto ca ſo , o negli altri caſi ? Se la
intende in queſto caſo , come dunque ſi verifica , che il ſolo or dine della natura
renda impoſſibile queſto u niforme ſcoprimento ? Se poi non la intende in
queſto caſo , come dunque ſi verifica uni verſalinente la ſua maſſima ? Ma io
aſſeriſco eſſere più conforme allo ſpirito delle ragioni del Sig. d'Alembert ,
che anzi egli intenda di queſto ſolo caſo in cui non altro appunto , che un non
sò quale fatal ordine della natu ra ,potrebbe cagionare la preteſa variazione .
Che ſe pure ſi trattaſſe degli altri caſi , dico che nonoſtante la variabilità
delle combina zionidell'impeto ,dell'altezza , della direzio ne ; queſte non
poſſono valutarſi in modo da rendere fiſicamente impoſſibile l ' uniforme
ſcoprimento; poichè gli effetti di queſte va 120 riabili combinazioni, non ſono
che due ; o lo ſcoprimento di palle, o lo ſcoprimento di croce ; e non ogni
variazione , e combinazione di tali cauſe influiſce a diverſificare gli ef
fetti: come peraltro ſuccede negli eſempi ad dotti dal Sig. d'Alembert , nei
quali trattan doſi di rapporto , o di diverſa conſociazione di parti , ognun
vede , che ogni variazione influiſce a produrre un effetto diverſo . O ſi
riſguardi adunque la diverſità negli effetti ; e negli addotti eſempi, queſti
ſono in finiti, nel caſo noftro non ſon che due non potendoſi voltare , che
palle , o croce ; o ſi ri guardi la diverſità nelle cagioni che tali ef fetti
producono; e negli addotti eſempi, ſo no anch'eſſe infinite , giacchè ogni
minima variazione influiſce come nuova cauſa ; nel caſo della moneta non è così
, potendoſi dare moltiſſime combinazioni di forza , altezza , direzione, che
producano ſempre l'iſteſſo effetto ; potendoſi anche dare che in infiniti getti
, o in un numero aſſai grande , ſi man tenga l'iſteſſa direzione , benchè
obliqua; l'iſteſſa altezza benchè grande; l'iſteſſo im 1 1 pero , benchè forte;
oppure che fi muti ad ogni getto . Parmi adunque che e queſti ultimi e gli
altri addotti eſempi, o non combinano con quello della moneta ; o al più
provano una no tabile difficoltà nella combinazione che pre ſenti ſempre l '
ifteffa faccia della moneta ; verità che ſi accorda perfettamente con gli
eſpoſti principj; poichè le oſſervazioni me deſime ce lo fanno conoſcere ,ed io
ſuppon go nell' applicargli, il caſo probabile , e con la ſcorta dei medeſimi
ne cerco il grado di probabilità ; dal che ne viene che la teo rìa non è
applicabile ai caſi ove o neſſuna o quaſi neſſuna probabilità del buon eſito
appariſca , per poterne formare la propor zione . . Quando poi cominci il
numero in cui non ſia ſperabile un continuodiſcoprimento di una fola faccia
della moneta , le oſſervazioni, e non altro , poſſono moſtrarlo ; quelle oſſer
vazioni io dico , che io medeſimo ho prefe per ſcorta in moltiſſimi caſi
appartenenti alla materia dei contratti di azzardo. 122 } E' poi tanto evidente
che la propoſizione del Sig. d'Alembert non atterra l'uſo del calcolo delle
probabilità , che anzi in qual che caſo ſe ne poſſono tirare delle conſeguen ze
, che lo conferinano . Chi gettando un dado intraprende di ſcuo prire per
eſempio il 6 non vorrà gettarlo una ſol volta , quando debba azzardare una fom
ma eguale a quella che azzarda l'avverſario ; ma vorrà gettarlo più volte . La
ſua ſperan za è ,che non voltandoſi ſempre l'iſtello nu mero che al primo
tratto ſi ſcuopre, e che può non eſſere il 6 , arrivi in più volte a vol tarſi
anche il 6 ; altrimenti ſe non fcopren doſi alla prima il 6 ſi doveſſe ſempre
ſcopri re in tutti i tratti ſucceſſivi quel numero che ſi ſcopre il primo , la
ſua perdita ſarebbe ſicura . La ſperanza dunque di queſto gio catore acquiſta
tanto maggior fondamento quanto più è vero che ſia impoſſibile che ſi volti
ſempre quel numero che alla prima fi ſcoprì; impoſſibilità , che reſta compreſa
nel la impugnata opinione del Sig. d'Alembert . Stabiliti i principj regolatori
dell' ugua 123 glianza nei contratti d'azzardo , e difeſane l'applicazione non
reſta che a deſiderare , che uomini di ſublime ingegno , e di pro fondo ſapere
ſi applichino in gran numero ad eſtendere ſempre più l'uſo di una dottri na sì
utile . Quanto a me , mi pare di aver ottenuto il mio intento , ſe poſſo luſingarmi
di aver formate ed eſpoſte idee giuſte, e chia in un articolo per una parte sì
arduo , e per l'altra sì intereſſante. Codronchi. (NrcoLA), na cque
in Imola il 2o aprile 1751 ed alla patria e al casato accrebbe lu stro e
decoro: perchè già rapida-, mente corsi gli studii delle amene lettere e della
eloquenza sotto la disciplina de' Gesuiti, e con pub blico saggio nelle materie
di filo sofia sperimentatosi non ancora compiuti gli anni 16, potè dallo stesso
genitore nelle matematiche, delle quali era egli peritissimo, essere
ammaestrato. E col magi stero di quella scienza sublime, illuminando la mente
già ordinata a diritti giudizii e scorto da pre cetti delibati dalla scuola non
fal libile degli antichi esemplari, com formò la scrittura alla altezza del
pensiero, alla cultura dello spirito ed al candore dell'animo : nè i gravi
studii della giurisprudenza cui tennesi in Roma applicato (insegnatore
monsignor Giovan nardi concittadino di lui, e fiore de giureconsulti) gli tolse
di col tivare la poetica, alla quale senti vasi per tal guisa inclinato, che
poco oltre il terzo lustro di età bastò a dettare alcuni componi menti i quali
resi pubblici con le stampe trovarono grazia e lode somma ne cultissimi di quel
tem pi, e sì pure in Arcadia alla cui accademia appartenne col nome pastorale
di Cratino. E sono ne gli scritti di lui altri saggi in tal genere di lettere
che a migliori poeti, onde la città di Santerno si onora, il pareggiano: che se
come ne sono degni verranno presen tati al pubblico giudizio, ben si farà
manifesto aver egli con arte maestra saputi attingere da cia scuno de più
valenti Imolesi quei modi sceltissimi onde le loro ope re di bella luce
risplendono mel l'italiano parnaso. Il carme in fat to robusto e nervoso tal
come u sciva dalla penna di Antonio Zam pieri, e castigato ad un tempo ed
elegante, quale il vedi in Camil lo, muove nel Codronchi con quella spontanea e
nobile sempli cità che t'invaghisce nel Canti; 282 e si abbella di quelle
grazie ed e leganze di che lo Zappi infioriva le soavi e dolci sue rime.
Tornato in Imola venne decorato della cro ce di Santo Stefano, e nella Imole se
accademia degli Industriosi di cui fu socio si mostrò erudito ed elegante
oratore e poeta: d'indi a non molto passato per le caro vame a Pisa ebbe colà
lezioni di pubblico diritto da quell'alto spi rito del Lampredi, che il tenne
in istima d'ingegnoso e di colto, e che lo ebbe sempre carissimo. Quindi il
magnanimo gran duca Leopoldo gli conferì la carica di ispettore delle carovane,
e ad un tempo la cattedra di etica; intor no a che compose un trattato qua si
corso di lezioni, degno per fer mo di essere fatto di pubblica ra gione: ed a
quel principe intitolò il Codronchi una eloquente e dot ta Orazione composta
eletta, per incarico da lui avutone, al capito lo de'cavalieri Circa l'origine,
le leggi ed i fasti dell'ordine, che fu pubblicata il 1779, pel Cam biagi in
Firenze, dai torchi del quale uscì nel seguente anno 1785 altro grave e
prezioso libro col titolo di Saggio sui contratti e giochi d'azzardo, ove risplende
la dottrina di pubblico economista e di filosofo; ed ove la materia gravissima,
e che diresti poter so lo dimostrarsi col soccorso del cal colo, per la chiara
sposizione pia ma e facile si mostra alla intelli genza comune, Corse intanto
tal fama del sa pere di lui alla corte di Ferdinan. do di Napoli, che con reale
decre to del 25 novembre 1787, il no minò membro del supremo consi glio di
Finanze; nel qual tempo venne ad egual carica eletto quel sommo ingegno di
Gaetano Filan gieri, cui il Codronchi fu poi sempre stretto con vincoli di re
ciproca stima e di amicizia tene rissima. E ben di questo è prova il pa rere
dal Filangieri proposto al re intorno all'enfiteusi del così no mato Tavoliere
di Puglia che leg gesi negli opuscoli di lui pubbli cati pel Silvestri in
Milano il 1818. ove egli da maestro discorre ciò che con grave senno e sapere a
veva il suo collega consigliere Codronchi proposto , quando a questo fine per
sovrano volere eb be a recarsi in queHa provincia. Del quale importantissimo
servi gio ebbe onore da maestrati quivi preposti alla agraria economia che con
parole di lode il provvedimen to del principe ed il nome del be nemerito
consigliere in latina e pigrafe eternarono; e n'ebbe dal monarca eziandio
meritato pre mio: imperciocchè gli di grado di consigliere effettivo con voto,
e di sopraintendente alle dogane ed alle zecche del regno; nel che adoperò a
maniera, che sommo vantaggio m'ebbe lo stato per la retta amministrazione di
quegli ufficii, ed a lui vennero per mol te lettere di mano della stessa
regnante Carolina onorevolissime lodi. Seguì il Codronchi la real corte a
Palermo quando dovè colà ri fuggirsi nel 1798 : e con essa lei tornò al suo
impiego in Napoli nel seguente anno 1799. Salito al trono il re Giuseppe, volse
tosto gli sguardi ad esso lui come a spec chio di sapiente reggimento e di non
comune interesse, e gli confe rì la carica di consiglier di stato, di cavaliere
del nuovo ordine del le due Sicilie da esso lui istitui to: ma la mal ferma
salute che gli vietò continuare a quel monarca i suoi servigi, e che il tolse a
quel regno ove lasciò fama durabile del suo merito, procacciò alla patria il
conforto di vederlo tornare fra' suoi concittadini de quali era de siderio e
delizia : e ben l'ebbero eglino zelantissimo della pubblica 283 morale, e
civile istruzione dei giovani a quali col più potente dei precetti, l'esempio,
era di bel la guida e di stimolo; e per l'im portante buon regime delle acque
operoso; e di quant'altro poteva interessare il pubblico vantaggio
studiosissimo: nè mancavano ai mendici dalla mano benefica di lui generosi
soccorsi i quali seppe providamente elargire, anzichè ad alimento dell'ozio, a
meritato sollievo della vera indigenza. Illi bato del costume e per la esqui
sita erudizione della quale era for nito nella sociale consuetudine
piacentissimo, con la serena calma del giusto vide giungere l'ora e strema del
vivere, che a suoi cari ed alla patria il rapì nel giorno 15 novembre 1818, in
età di an mi 67: e della acerba morte di lui amaramente si dolse l'universale
della città desolato per la perdita irreparabile di quest'uomo chia rissimo nel
quale si ammirarono congiunte a sapere profondo in o gni maniera di scienze e
di lette re, integrità di vita e dovizioso corredo di ogni bella virtù. Nicola
Codronchi. Keywords:Su i contratti e giochi d’assardo, contratto, tre tipi di
contratto, contratto epistemico, contratto empirico, contratto misto. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Codronchi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51688585512/in/photolist-2mKxvEQ-2mKF3Qt
Grie e Colazza – dell’iniziazione –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Grice: “Having gone to
Clifton, I love Colazza – he is into ‘iniziazione’ – specially in the equites
of ancient Rome, but not much different from mine!” Di una famiglia dell'alta
borghesia romana, e istruito agli studi umanistici e si laurea a Roma. Cultore
dell'esoterismo e delle dottrine massoniche e teosofiche. Fonda il club
antroposofico in Italia. Dall'incontro con l'antroposofia Colazza apprese
l'esigenza di seguire pratiche spirituali di concentrazione adatte al contesto occidentale,
coltivando in particolare la «via del pensiero cosciente». Altre opere: Dell’iniziazione (Tilopa); La
magia del noi di Ur (Edizioni Mediterranee). Evola e l'esperienza del Gruppo di
Ur. A strong
anthroposophical influence came from Giovanni Colazza and Duke Giovanni Colonna
di Cesard . Close to the group , which adopted the name UR , were Guiliano
Kremmerz ( 1861-1939 ) , founder of the Fraternity of Myriam. Sedute spiritiche
che si svolgevano in casa dell'amico Giovanni Colazza, e che talvolta si
protraevano sino all'alba. SPUNTI DALLA CONFERENZA TENUTA IN ROMA CIRCA IL TEMA
DELL’INIZIAZIONE. VENERAZIONE E CALMA INTERIORE”. Il saggio l’Iniziazione mi fu
consigliato da Steiner in francese a Piazza Spagna, come un saggio importante, da
tenere sempre presente come guida.
L’uomo così come nella vita quotidiana serve a poco o niente per il mondo
dello spirito. Siguo Steiner più o meno il saggio, aggiungendo poi altri insegnamenti
estremamente utili per ottenere reali risultati. La nostra persona, di cui
siamo coscienti, è solo un riflesso del nostro ‘noi’. È molto utile per giungere
alla conoscenza del nascosto ‘noi’, distinguere e separare in noi il pensare
che p, il sentire che p e il volere che p. Cita l’aneddoto di Eurialo e Niso,
che viveno nell’illusione di essere il suo ‘noi’ contingente. L’esoterismo e facile,
se si conforta sempre donandoci personali indicazioni, circa gli esercizi e la
pratica esoterica. Ma ora, invece dobbiamo cercare fedelmente e scrupolosamente
quello che possiamo accogliere e applicare a noi stessi. Si dice che è importantissimo cominciare
sviluppando il sentimento di ‘venerare’. Non bisogna fraintendere il concetto
di “venerazione” con uno stato di esaltazione interiore dovuto all’insegnamento
che il tutor ci può dare e che noi accettiamo per co-ercizione intellettuale o
sentimentale o per atto di fede: ma non è assolutamente questo. Il fatto da
riconoscere è questo. Il calore dell’anima è vita stessa per l’anima.
L’accogliere freddamente contenuti spirituali, ci riempie soltanto il ‘noi’ di
nozioni, senza far penetrare la forza dello spirito. La venerazione e il calore
di nostre anime sono l’attività di nostre anime stesse. Bisogna aprirsi a tali
rivelazioni della psicologia filosofica come dottrina dell’anima, con
atteggiamento di venerazione. I meravigliosi quadri circa l’evoluzione del
cosmo devono risvegliare in noi ammirazione, meraviglia e riconoscenza per la
gerarchia. Tale stato di nostre anime
destano in noi questo calore, la venerazione per co-esseri e fatti spirituali,
ai quali siamo debitori. Astenersi dalla
critica e dal giudizio, cercare di cogliere nell’altro non il difetto, ma la
qualità migliore, incoraggiare ciò che vi è di meglio. Il biasimo è energia
perduta. Il sentimento positivo e buono e per le nostre anime come la qualità
dell’aria che inspirando mettiamo in circolo nel corpo. Più è pura, più saremo
sani. Il godimento rappresenta una lezione per l’uomo quanto il dolore,
soltanto che è più difficile leggervi dentro. Non bisogna fermarsi alla
sensazione del piacere, ma ricercare nel godimento il contenuto più elevato da
cui promana, che ne è l’artefice e il senso, ma la sua essenza più intima.
Occorre coltivare momenti di raccoglimento, lavorando sui ricordi: rievocare
immagini mnemoniche di fatti passati, o della giornata trascorsa ricercando
nelle nostre anime l’eco di ciò che aleggia in quelle passate percezioni.
Bisogna passare in rassegna gli eventi con meticolosa analisi, oggettivarli,
senza applicare alcuna speculazione né alcun giudizio; osservare tutte le
concatenazioni, semplicemente contemplarle in modo neutro, lasciando che siano
esse a svelarci qualcosa. Noi dobbiamo fare il silenzio. Tale lavoro equivale
ad anticipare ciò che avviene nel sonno, quando la gerarchia penetrando nel
nostro corpo astrale e nel ‘noi’, inseriscono i loro giudizi. L’impazienza è un
perdere energie. Il tono generale della preparazione è quello di una ri-educazione
su nuove basi, della vita di pensiero e di sentimento, tramite speciali
esercizi. Bisogna entrare nel ritmo della ripetizione, senza lasciare che la
nostra natura inferiore si ribelli, rifuggendo gli esercizi. La noia è un
grande nemico. ESERCIZIO DELLA PIANTA CHE APPASSISCE. Bisogna osservare una
pianta in pieno sviluppo afferrando tutti i dettagli; osservarla e riceverne
una percezione così chiara che, chiudendo gli occhi, possa rimanere come chiara
immagine interiore di fronte a noi. Esercitarsi con la forma esterna cercando
ad occhi chiusi di ricordarla, visualizzandola. Quando si riceve un’esperienza
non bisogna assolutamente tradurla in concetti con le parole: bensì mantenerla
in sé e coltivarla. PREPARAZIONE E ILLUMINAZIONE. Altra cosa importante da fare
è dirigere l’attenzione sul mondo dei suoni. Analizzare e realizzare la
differenza fra i suoni di origine minerale immota, e quelli di natura vegetale
o animale. Fra lo scroscio dell’acqua, il fruscio delle foglie nel vento, il
rotolare di una pietra e il rumore di una macchina vi è una diversa
manifestazione delle Forze cosmiche. Cessato il suono, dobbiamo prolungare in
noi il suo effetto, ma non attraverso l’udito, ma tramite l’orecchio
dell’anima, senza immaginare nulla: aspettare in Silenzio il sorgere di
qualcosa. Le potenze spirituali non si trovano e si lasciano trovare come
avviene nel mondo sensibile quando si va a monte di un effetto per ritrovarne
la causa: sono Esse a decidere per loro deliberazione, se è lecito o no farsi
percepire dal ricercatore. Sono Esse che devono e vogliono trovare l’uomo, solo
se posto in un determinato stato di accoglimento interiore. Le percezioni
immaginative si manifestano come impressioni interiori paragonabili ad
impressioni suscitate in noi da un dato colore fisico; la percezione
soprasensibile appare rivestita da un colore perché il suo contenuto animico è
affine a ciò che quel dato colore equivale corrispondentemente come manifestazione
animica. La percezione di un rosso osservato nel mondo fisico, genera in noi un
particolare sentimento, contenente qualità animiche: l’Entità che ci appare
immaginativamente se ha in sé del rosso, significa che contiene in lei delle
qualità e dei contenuti animici affini a ciò che nel mondo fisico ci appare
come rosso. E’ un grave errore ritenere che ci si deva attendere nel mondo
spirituale come una “ripetizione” più sottile delle forme del mondo fisico. Lo
spirituale ha qualità totalmente dissimili dal fisico. Bisogna sviluppare
sempre più simpatia e compassione verso gli uomini e gli animali e sensibilità
per la bellezza della natura. IL NON VEDERE RISULTATI DURANTE IL TIROCINIO. Spesso
il discepolo non si avvede degli effetti e dei risultati derivanti dagli
esercizi occulti. Ciò è dovuto al perché si tende a guardare fisso in una
direzione, attendendosi di ricevere qualcosa solo da quella direzione, senza
accorgersi che ciò che invece è arrivato, promanava a noi da un’altra
direzione. Vi sono due gravi ostacoli nella percezione immaginativa: presupporre
e attendersi in modo personale ciò deve avvenire; confondere le percezioni di
colore con le sensazioni di colore fisico, quasi cercando con gli occhi
all’esterno, ciò che invece può apparire solo interiormente. Le percezioni di
colore o di forma, non promanano dall’ente osservato, ma sorgono in noi,
nascendo dalla nostra interiorità. La conferma circa l’autenticità di aver
avuto una vera esperienza spirituale è confermata dall’avvertire in sé il sentimento
di aver come sperimentato uno stato già provato; non che l’immagine percepita
ci è a noi nota, ma che il sentimento provato durante l’esperienza è un
qualcosa di già vissuto, in un passato remotissimo (atlantideo o
lemurico). È un primo passo verso il
riconoscere in coscienza il proprio primordiale passato, quando si era in
completa unione con il mondo spirituale. ESERCIZIO DEL SEME. Osservare con gli
occhi fisici un seme: forma, colore, peso, dimensioni, rapporti. Fatto ciò,
occorre interiorizzare l’immagine, astraendosi dalla percezione fisica del
seme, sforzandosi di visualizzarlo nel campo della propria coscienza, ad occhi
chiusi. Si pensi che in esso è virtualmente presente in potenza l’intera
pianta: vi è in lui un’Idea, una Legge naturale invisibile che lo governa, la
quale manifesterà in un futuro sulla Terra la pianta in lui ora nascostamente
contenuta. In lui dimora una potentissima forza vivente, che si cela alla
nostra vista, invisibilmente. Rappresentarsi poi il processo temporale, di crescita
in successione, nel triplice ritmo della sua costituzione: radice, fusto, fogliame, fiori, frutto. Non è
importante curare i dettagli, ma sentire la forza di questa manifestazione, la
potenza creativa che si esprime nell’espansione dirompente delle forze insite
nel seme. Quel che noi sentiremo come potenzialità espansiva è l’elemento
invisibile del seme: la forza eterica. Il ritmo perenne del mondo vegetale
trascende il seme stesso come dato immediatamente sensibile e percepibile. Ci
si volga di nuovo al seme (aprendo gli occhi?) collegando ad esso l’intero
processo immaginativo delle potenziali forme di crescita, dell’invisibile che è
diventato visibile. La forza che ne risulterà si tradurrà in noi come facoltà
di visione: una specie di nube luminosa, una specie di piccola fiamma di colore
lilla-azzurro, aleggiante intorno al seme. Ciò è la vivente forza vitale che
edificherà la pianta. ESERCIZIO DELLA PIANTA. Osservare una pianta in completo
sviluppo, sforzandosi di vedere in essa immaginativamente l’attuarsi del ciclo
seme-pianta-fiore-frutto seme, realizzando così un senso di perennità della
vita vegetale, espressa nella sintesi della forma della pianta stessa. In un certo senso, è come se dalla
pianta-spazio momentanea, si estraesse la pianta-tempo, ossia l’Idea totale o
Essere di specie vegetale a cui appartiene quella pianta. Pensare poi che vi
sarà un tempo in cui questa pianta non esisterà più, sarà scomparsa. Questa
pianta verrà annientata, ma non la sua specie: essa ha generato dei semi tramite
i quali, l’Idea della specie continua l’esistenza in altre piante. Senza
distogliersi dalla percezione spaziale fisica della pianta, bisogna sovrapporvi
l’immagine di ciò che ella sarà nel futuro, che avvizzisce e che appassisce,
disseccandosi, di quella realtà celata ai nostri occhi. La pianta morirà, ma
non morirà l’idea o la legge che l’ha generata e fatta agglomerare. Questo
trasportarsi nella dimensione delle potenzialità ora latenti, della pianta in
oggetto, produrrà in noi la visione di una fiamma. Un’indicazione personale che
voglio offrire, è di cercare di contemplare le forme, partendo da una diversa
prospettiva rispetto quella usuale. Se si osserva una pianta, solitamente il
fusto è perpendicolare all’asse degli occhi. Si provi a piegare la testa, in
modo che esso diventi parallelo all’asse degli occhi. Il modificare il modo
abituale di vedere, favorirà l’esperienza spirituale. L’obiettivo di questi
esercizi è di trascendere l’oggetto percepito per arrivare al suo contenuto
immaginativo. ESERCIZIO DELL’UOMO. Prendere in esame il ricordo di un evento in
cui abbiamo assistito alla trasfigurazione nei movimenti e nei gesti di un
individuo preda di un fortissimo desiderio. Sforzarsi di sentire in noi quel
sentimento di brama o desiderio. Pur sorgendo, trasferendo in noi tale
sentimento, esso deve rimanerci estraneo, tanto da poterlo osservare
obiettivamente, senza parteciparvi con sentimenti e pensieri. Appariranno
diverse gamme di sfumature di colori. Altro errore è di compiacersi
inavvertitamente o di stupirsi nell’attimo in cui si ha un’esperienza
spirituale: si genera difatti un’onda nel sentire che annega l’esperienza
stessa. Altra qualità indispensabile da sviluppare è il coraggio o
intrepidezza. Certe esperienze spirituali, dalle quali siamo ordinariamente
protetti alla loro percezione, sono impossibili da sostenere senza tale
qualità. Aver fiducia nelle potenze spirituali, è come aprire un varco ad esse
verso di noi: se veramente desideriamo da loro un aiuto, attraverso la fiducia
in esse verremo soccorsi e sostenuti. LA DIETA ESOTERICA. L’alcool è da
evitare, anche durante i pasti e anche se assunto in piccole quantità: esso
immette nel sangue un elemento anti-Io che si oppone all’autonomia dell’Io; una
specie di neutralizzatore fisico dell’esperienza spirituale. L’alcool limita,
distorce o impedisce la possibilità di giungere ad una percezione cosciente del
mondo spirituale. Bisogna giungere a sentire spontaneamente ripugnanza, un
naturale disgusto verso la carne; essa contiene sostanze che favoriscono
l’irregolare autonomia di certe condizioni del corpo astrale. Inoltre essa
paralizza le forze contenute nel ricambio, le quali sono di natura prettamente
spirituale. I vegetali che si sviluppano sotto terra, senza la luce solare,
come funghi, legumi, sono meno indicati di altri che si impregnano di luce
solare, come i pomodori o le arance. GLI EFFETTI SUL CORPO FISICO SUSCITATI
DAGLI ESERCIZI. Tutti gli esercizi antroposofici, tendono a realizzare una
maggiore mobilità del corpo eterico: nell’antichità, per ottenere questo ci si
aiutava attraverso particolari tecniche di respirazione. Oggigiorno, tali
pratiche sono dannose: si realizzano difatti degli strappi fra l’eterico e il
fisico; se tuttavia se si verificasse qualche esperienza spirituale, sarebbe
priva di controllo, casuale. Le pratiche respiratorie sono sconsigliabili. A
seguito degli esercizi antroposofici, la respirazione assume spontaneamente un
nuovo ritmo. La mobilità del corpo eterico offre la possibilità di percepire il
proprio corpo fisico come un elemento estraneo. Si possono, durante il
tirocinio esoterico, avvertire delle trasformazioni che possono, ma non devono
venir interpretate come anomalie patologiche. Si può avvertire, come non prima,
il proprio sistema osseo interno come un peso. Un’altra sensazione è
sperimentare i propri muscoli come percorsi da correnti; si sente scorrere
qualcosa nel sistema muscolare, quale moto del corpo eterico. Si può poi avere
la sensazione che la nostra coscienza sia distesa e diffusa non più solo nella
testa, ma lungo tutto il sistema circolatorio, nel sangue ove vi è il nostro
noi. Si avverte poi il il centro del proprio essere nel centro del cervello,
mentre nella periferia di esso si percepisce la zona ove opera e agisce la
memoria rappresentativa. Il sistema nervoso comincia a rendersi indipendente
dalla corrente sanguigna. Si ha poi la percezione di avvertire l’indipendenza e
l’individualità dei singoli organi interni. Ciò vale anche per gli organi di
senso, che sembrano come “attaccati” al nostro essere. I SENSI. Il tatto non è
un senso, ma un urto contro il mondo esterno; tramite gli altri sensi, evocando
le relative percezioni di gusto, odore, suono e vista per poi cancellarle
ispirativamente, è possibile ritrovare la loro origine spirituale. Il gusto è
un organo di percezione dell’etere cosmico. L’olfatto fa percepire l’etere
vitale. L’udito è l’involuzione di un organo dell’epoca lunare, allora predisposto
per la percezione dell’armonia delle sfere. Il senso del calore ci rimanda
all’antico Saturno. La vista ci permette di percepire la manifestazione
dell’etere di luce. Un sintomo evidente dell’effetto degli esercizi è sulla
memoria: essa viene man mano a perdersi, per venir sostituita da un’altra
facoltà mnemonica non fondata come questa su ricordi visivi e uditivi, ma su
ricordi o immaginazioni eteriche. Il vero serbatoio della memoria non è il
cervello, ma il corpo eterico: qui ogni cosa viene registrata, racchiusa e
conservata. Procedendo dal presente a ritroso, rievocando stati d’animo sperimentati,
sarà possibile ritrovarvi eventi dimenticati. Nel sentire, si risveglia la
memoria. Occorre sviluppare presenza di Spirito: abituarsi ad una grande
autodeterminazione, imparando a decidere con immediatezza, senza esitazioni.
Occorre poi di decidere responsabilmente di non tradire il mondo spirituale,
una volta conseguite le facoltà iniziatiche. Il comunicare insegnamenti a
qualcuno che non ne sia preparato, significa assumersi anche la responsabilità
karmica delle eventuali conseguenze, circa il buono o cattivo uso che questi ne
farà. Lo stare in segreto non deve significare darsi arie misteriose, ma solo
non voler nuocere ad altri. Tutto ciò che ci porta alla nostalgia del nostro
passato, è una tentazione luciferica. Bisogna cessare di contare i giorni, i
mesi e gli anni trascorsi senza risultati nella disciplina. La parola chiave è
“Pazienza”. L’impazienza rappresenta un ostacolo: il mondo spirituale per
potersi rivelare, per aprirsi un varco, ha bisogno di trovare nel discepolo
calma attesa, per potervisi riversare. MITEZZA E SILENZIO. Le potenze spirituali
sono in continuo fermento, in perenne attesa per poter essere accolte
dall’uomo, purché trovino le giuste condizioni che glielo consentano: esse,
datrici di Amore eterno e altruista, trepidano nella fremente attesa di poter
riabbracciare i loro fratelli minori. Più che anelare di muoversi incontro a
loro, è più giusto intendere che la via giusta è sapersi aprire ad esse. Esse
possono riversarsi in noi solo se trovano purezza interiore; esse sono sempre
pronte, dai limiti della nostra coscienza, a connettersi con noi. Sono soltanto
i veli della personalità soggettiva, l’irrequietezza, i timori, gli impulsi
inferiori, a impedire loro di avvicinarsi. Ogni sforzo nel guardare o udire
fisico, ogni reazione istintiva, paralizza i sensi spirituali. Bisogna
rinunciare alla suscettibilità e alla collericità: tacitare le passioni e i
desideri. Bisogna svincolarsi dalla forza del desiderio, che impedisce la
percezione dello Spirito. Padronanza di sé: dominio dei sentimenti che sorgono
spontaneamente in noi. È consigliabile nei rapporti con gli altri, non la
durezza, ma la mitezza. La durezza erige una barriera invalicabile, spezzando
un’ulteriore comunicazione. Mitezza e silenzio: positività e astensione dalla
critica. Si consiglia di ritirarsi ogni tanto dall’ambiente della vita di tutti
i giorni, per raccogliersi e meditare in mezzo alla Natura. Il rumore della
vita quotidiana, può impedire il manifestarsi degli effetti degli esercizi. Il
discepolo mano a mano si libera così della vita istintiva e dei caratteri
ereditari della sua razza e famiglia: si svincola dall’azione delle entità spirituali
corrispondenti. Occorre sempre chiedersi se si è degni di questa libertà
interiore che si vuole conseguire e se si ritiene di avere le forze necessarie
per sostenerla, affinché tale libertà agisca positivamente e correttamente. LE
sette CONDIZIONI PER LA PREPARAZIONE ALLA VIA OCCULTA. La salute fisica è
connessa al karma: molte volte occorre chiedersi se non vi sia qualche cosa nel
campo morale che gravi sul fisico, da purificare o da espiare, che ne impedisca
l’atteso miglioramento. Per la salute del corpo occorre sopratutto coltivare la
chiarezza del pensare e del discernimento nelle impressioni ricevute dal mondo esterno.
Prima di parlare o di esporre una propria considerazione o un’opinione, occorre
stabilire con chiarezza il pensiero da formulare in immagini: non è bene
difatti cercare a tutta prima le parole idonee, ma soprattutto la figura
d’insieme da cui partire. È l’immagine che deve far scaturire l’espressione
dialettica. Sentirsi un arto della vita universale, una parte di questa,
superando ogni senso di separazione. La sostanza divina è solo apparentemente e
necessariamente ripartita nel cosmo: lo scopo finale dell’evoluzione è comunque
ricostituire un’unica entità spirituale. Bisogna aspirare ad essere ciò che si
vorrebbe gli altri fossero. 3- Si deve divenire consapevoli che i pensieri e i
sentimenti hanno la stessa valenza e importanza che le proprie azioni: il
movimento del pensiero e dei sentimenti è altrettanto concreto quanto le azioni
fisiche operate sul mondo esteriore. Ciò originerà responsabilità per il
circostante ambiente animico e fisico. I pensieri permangono e si diffondono,
comprendendo nei suoi effetti una moltitudine di esseri. Operare secondo i puri
impulsi dell’Io superiore, non dell’Io inferiore. Si deve prendere coscienza
che il corpo fisico, nel quale solitamente ci s’identifica, è solo uno specchio,
un arto dell’interiorità. Educarsi al mantenimento di una decisione presa; il
rinunciare è un cadere nel vuoto dell’incoerenza e dell’indeterminatezza: è
mancanza di forza dell’Io. Non bisogna assolutamente mai, prendere decisioni o
fissare regole, mentre ci si trova travolti dall’onda di un moto passionale o
di un impulso emotivo. Occorre essere riconoscenti, grati al mondo esterno e
allo Spirituale. Si deve ricordare che nell’era di Saturno, “Tutto era Uomo”, e
che solo grazie al frutto del sacrificio di altri esseri spirituali e esseri fisici
rimasti indietro nei regni inferiori, è stato possibile configurare l’umanità
attuale. Ringraziare per il sostentamento giornaliero. Considerare la vita e
agire in essa, secondo la direzione enunciata nelle precedenti condizioni: dare
un’impronta unitaria ed equilibrata alla vita facendo in modo che le finalità
delle proprie azioni siano determinate dalle attitudini sopra descritte. Molte
cose devono essere abbandonate, e molte altre acquisite per porsi al servizio
del divino. LA POSTURA NELLA MEDITAZIONE. La terra è percorsa
perpendicolarmente e orizzontalmente da correnti, che possono favorire o
ostacolare la meditazione. Le correnti perpendicolari favoriscono: occorre
pertanto avere la colonna vertebrale verticale rispetto alla superficie
terrestre. La posizione distesa, supina, invece accoglie le correnti
orizzontali dirette alle specie animali, inducendo automaticamente ad un tipico
stato semisognante. I FIORI DI LOTO. Il corpo eterico è percorso da
innumerevoli correnti che muovono in senso longitudinale o circolare radiale.
Durante la veglia, il corpo astrale rimane connesso spazialmente al corpo
fisico; quando si apre nel discepolo la coscienza spirituale, il corpo astrale
si espande in proporzione dello spazio che può essere percepito, ossia diviene
grande quanto il suo campo di percezione. Non si parla diffusamente del loto a
due petali, fra gli occhi, perché esso è connesso con il risveglio di forze che
appartengono alla chiaroveggenza primitiva. Non vi è alcun cenno, per ragioni
di sicurezza, del loto della zona basale “kundalini” e del loto”1000 petali”,
sul capo. In un lontano passato, i fiori
di loto erano attivi; poi lentamente hanno cessato di funzionare. Attualmente
solo la loro metà è attiva; con il lavoro interiore essi si ridestano, cominciando
a muoversi e ad illuminarsi. I centri a sedici, (laringe) dodici (cuore)e dieci
petali (stomaco), attivati, conferiscono la padronanza assoluta sull’Io inferiore.
IL LOTO A SEDICI PETALI (laringe). Gli esercizi della preparazione e dell’illuminazione
tendono ad attivare tale centro. Si tratta principalmente di lavorare nel campo
delle idee, curando la moralità nell’uso delle parole e la qualità di buon fine
delle proprie risoluzioni prese. Tale centro, attivato, conferisce la capacità
di entrare in comunicazione con altri Esseri tramite il pensiero (telepatia). Le
condizioni da realizzare sono otto, ciascuna equivalente ad ogni petalo
dormiente: Formarsi rappresentazioni il più fedeli possibili del mondo esterno,
prive di fantasia personale, eliminare l’impulsività, le reazioni dettate dall’emotività;
le parole usate in un discorso devono essere sempre rigorosamente connesse
all’argomento; ogni gesto e atto deve
essere sempre in piena coerenza alle idee e alle risoluzioni prese; organizzare,
pianificare concretamente la propria vita; verificare la saldezza, la moralità
e la giustezza delle proprie aspirazioni;
imparare ad osservare retrospettivamente gli eventi della vita; la giornaliera meditazione per interrogarsi
sulla propria fedeltà alla linea tracciata dalle sette condizioni precedenti. È
di vitale importanza sviluppare la veridicità; dire sempre la verità
promuovendo la perfetta corrispondenza fra mondo esteriore e mondo
interiore. A volte non è molto
altruistico dire la verità, ma lo scopo morale non evita il senso di giustezza.
Non mentire mai ai bambini e non fare loro mai promesse senza mantenerle. MORALITA’
E CONOSCENZA. Il loto a due petali, nel centro frontale, ha una particolarità:
anziché ruotare come gli altri, una volta attivato, esplica la sua azione
sporgendosi all’esterno, prolungandosi in direzione orizzontale in una forma a
due rami, con il compito di “portare fuori” il corpo eterico. Per mezzo di tale
centro, si formano sia le correnti eteriche che scendono verso la laringe e il
cuore, sia quelle che muovendosi verso le mani, costituiranno il vero e proprio
reticolo che renderà il corpo eterico, un intero organo di percezione. Bisogna suscitare un rispettoso silenzio
riguardo le proprie esperienze, sia con gli altri, sia con sé stessi: occorre
accoglierle così come si presentano, senza tradurle in rappresentazioni. Lo sviluppo dei Fiori di Loto tende a
trasformare tutto quello che, nascendo come natura istintiva, si presenta
incoerente e non ordinato in un volitivo campo d’azione per l’armonia delle
forze spirituali. IL LOTO. A duodice PETALI (cuore). Tale loto conferisce la
percezione delle “forme”. Come gli
altri, anche questo centro si sviluppa coltivando alcune qualità: le condizioni
da realizzare sono sei (i sei esercizi fondamentali), ciascuna equivalente ad
ogni petalo dormiente. Controllo del pensiero; connettere, partendo da un tema
o da un oggetto comune, vari pensieri in modo logico e conseguente,
distaccandosi così dall’usuale pensare automatico istintivo; in presenza di
persone che parlano in modo automatico, superficiale o poco logico, bisogna non
intervenire correggendole, ma comporre mentalmente la corrente dei pensieri
deformi e correggerli dentro di sé, interiormente senza esporli fuori di sé.
Controllo delle azioni; uniformare l’azione al pensiero, perdere l’automatismo
dato dagli istinti, prestando attenzione ai propri gesti, alle posture, ai
movimenti, in modo che non avvenga che le nostre azioni possano venire
determinate da impulsi inconsci non passati al vaglio cosciente del nostro
pensiero. Pratica della Perseveranza; perdere la volubilità, la lunaticità,
compiendo e portando sempre a termine le decisioni, gli obiettivi, i metodi,
gli esercizi o le determinazioni prese. Controllo della tolleranza; sviluppare
la conoscenza dei motivi e dei limiti di chi sbaglia, per giungere alla
comprensione degli errori altrui, onde sostituire l’istintivo impulso di
criticare o giudicare; occorre far nascere in sé il desiderio di voler essere
utili all’altro tramite consigli o considerazioni costruttive, non con giudizi
che bloccano la sua evoluzione. Pratica dell’obiettività o spregiudicatezza;
non respingere immediatamente qualcosa che ci venga detta, e parimenti non
rifiutarsi di rivalutare o riconsiderare cose da noi già appianate e
conosciute; Sviluppo dell’Imperturbabilità; equanimità, equilibrio degli
esercizi sopracitati; esercitarsi a controllare o sospendere le normali
reazioni emotive. Lo sviluppo dei fiori di Loto è una disciplina certamente
difficile, ma non impossibile. ESERCIZIO CONTRO L’APPRENSIONE. Un buon
esercizio è, durante la giornata, quando un pensiero particolarmente importante
ci assilla, ci dà apprensione, divenire capaci di sostituirlo con un’altro
pensiero completamente diverso, da noi prescelto. IL LOTO A diedici PETALI
(Stomaco). Il risveglio di tale centro consente di percepire negli altri le
potenzialità future e le capacità latenti di Esseri o Entità. Per il suo
sviluppo non sono state predisposte qualità particolari da sviluppare, ma piuttosto
si tratta di generare un equilibrio armonico, traendolo dall’intera condotta di
Vita. Occorre considerare la totalità del
proprio mondo interiore: l’origine delle cosiddette idee spontanee, dei gusti
personali, dei sentimenti di simpatia e antipatia. Per la coscienza ordinaria,
l’Origine di tali suddette inclinazioni è ignota: esse risiedono nel corpo
eterico, il quale registra molte impressioni che sfuggono alla nostra
coscienza. Per divenire consapevoli delle cause che hanno originato tali inclinazioni
occorre, riandando indietro nel tempo, risvegliare interiormente il ricordo di
ciò che può averle determinate e sottilmente impresse in noi come tendenza del
gusto, dell’istintività, dell’avversione o simpatia. In tal modo si produce
anche un grande risveglio della memoria: ci si immette nella corrente della
memoria eterica. IL LOTO A sei PETALI (all’interno dell’addome). Tramite esso,
si può entrare in intimo contatto con esseri spirituali. Si sviluppa tramite
l’armonica cooperazione di corpo, anima e spirito. Deve sorgere la spontaneità
del pensare, del sentire e dell’agire immersi nello spirito: incedere senza
combattere. Non è bene limitarsi e insistere nel lottare duramente contro una
propria inclinazione o tendenza molto pronunciata; se tale difetto è così
preponderante, a volte lo si può solo dominare o controllare, ma non
annullarlo. Si consiglia piuttosto di nobilitare e sublimare le proprie
passioni e istinti, anziché procedere con fustigazioni tendenti al voler
tenerli a bada con lotte e rinunce. Occorre divenir capaci di sperimentare la
gioia di servire nello spirito e per lo spirito. ALCUNE PARTICOLARITA’ SUL
CORPO ETERICO E SUI CHAKRAS. L’intero corpo eterico è sempre in perenne
movimento: è percorso da correnti che si muovono continuamente, seguendo la
circolazione sanguigna. Il centro, o perno del corpo eterico è da localizzarsi
nel Loto del Cuore: tramite esso tutti i processi si trasmettono agli altri
centri, recando con sé ripercussioni della sua eventuale imperfezione. Esso è
un organo di natura Solare. Nella zona centrale della testa vi è un punto
specialissimo in cui corpo eterico e corpo fisico sono congiunti; qui
inizialmente si formano le correnti del corpo eterico. Prima di rendere
operativo il fiore a 12 petali, nel cuore, occorre predisporre un centro
provvisorio nella testa, per rendere possibile uno sviluppo interiore condotto
in piena coscienza. Successivamente, dopo aver raggiunto un giusto stadio di
controllo cosciente delle attività di pensiero, tale centro dovrà venir trasferito
nella sua vera sede, presso il Cuore. Gli esercizi di concentrazione e
meditazione hanno lo scopo di attivare tale centro nella testa, per poi far
discendere nella Laringe e poi nel Cuore l’attivazione. RIEPILOGO DELLE
ESSENZIALI FACOLTA’ DA SVILUPPARE. Facoltà di discernere il vero dal falso. Capacità
di valutare il giusto dallo sbagliato. I sei esercizi fondamentali. L’amore per
la libertà interiore. CONSIDERAZIONI SULLA VIA INIZIATICA. Durante il cammino
Iniziatico può capitare di avvertire una specie di senso di maturazione
interiore, di compimento; sentire di essere pronti per qualche cosa. E’ relativamente facile contemplare l’intero
cammino iniziatico attraverso un libro, difficile però realizzarlo con la
stessa continuità, puntualità, perseveranza e coerenza nella vita: nella vita
non è come nel libro, dove un passo viene descritto uno dopo l’altro; a seconda
delle occasioni e delle situazioni individuali ogni passo può svilupparsi prima
o dopo, in modo assolutamente non conseguente. L’ESPERIENZA DELL’ NOI’ E LA
“CONTINUITA’ DELLA COSCIENZA”. Il corpo eterico è di per sé, un principio spirituale:
è connaturato con il tempo, è fatto di sostanza temporale. L’uomo non ha
assolutamente alcun potere di interferire o di influenzare le forme pensiero,
di sentimento, di desideri o passioni da lui generate. Una volta emanate,
queste forme non possono più venire controllate. Durante lo sviluppo occulto,
in un primo momento, il sé superiore si pone di fronte al proprio mondo
inferiore, il suo Ego. Si ha la
percezione che tutto che era la nostra natura interiore, prende forme che
tendono a venirci addosso, incontro dal di fuori. Si verifica un rovesciamento
delle immagini, tipico del mondo astrale. Il praticare esercizi in modo non corretto,
disordinato o incosciente, senza essere sorretti da una solida base, potrebbe
causare la percezione di queste forme pensiero in forme ossessionanti ed
aggressive, quali animali o esseri orridi, traendone terrore e anche
possessione. Ciò è la percezione della propria anima: tale evento è però
indispensabile e necessario per la realizzazione del Sé superiore. E’ qui che
comincia l’esperienza dell’Io. La vera realizzazione del Sé superiore comincia
quando, si possa vedere la sua immagine. IL LOTO A due PETALI (Centro frontale).
L’ esperienza immaginativa del Sé superiore viene attuata tramite il loto a 2
petali (fronte), il quale illumine gli enti e gli esseri spirituali. Lo sviluppo del Loto a due petali si consegue
tramite lo studio e la meditazione degli insegnamenti della scienza dello
spirito, in particolar modo ciò che concerne la gerarchia. Tale facoltà
rappresentativa, deve essere coltivata tramite l’immagine interiore dei quadri
immaginativi forniti dall’Antroposofia, inerenti all’azione interattiva,
passata, presente e futura della gerarchia nel cosmo, in tutto ciò che è
rintracciabile come loro impronta. L’intero quadro cosmico dovrebbe venir
sentito il più possibile come un panorama simultaneo. A poco a poco la realtà
spirituale si sostituirà all’immagine, venendo da questa evocata, facendo
apparire veri fatti e veri esseri spirituali. Tutti gli esercizi preparano
nella coscienza la sede atta ad accogliere la realtà spirituale da raggiungere:
costruiscono quasi la sua immagine, affinché questa possa poi diventare reale
esperienza. Si arriva poi alla conoscenza delle proprie ripetute vite terrene:
il karma. A questo punto l’anima si è congiunta con il Sè superiore, con la
sorgente del proprio essere. Da questo momento il discepolo non torna più
indietro perché, compenetrato dal Sé superiore, non sente più l’attrazione di
quanto gli è inferiore. LE COMUNICAZIONI AL RISVEGLIO. Durante la vita di
veglia, l’uomo si trova davanti ad un mondo incompleto, mentre durante il sonno
ha la possibilità di vivere nel mondo delle cause, in una completezza. La
coscienza di sonno senza sogni è una forma di conoscenza superiore; una facoltà
percettiva corrispondente a quella uditiva. I primi messaggi di quel mondo si
percepiscono come pronunciati da sé stessi a sé stessi. Si ha come la
sensazione di parlare a sé stessi, di rispondersi, quando in realtà parlano in
noi esseri spirituali. Tali sensazioni avvengono al mattino, nel risveglio:
sono cenni del progresso spirituale. Prima si sperimenta solo l’impressione di
aver ricevuto qualcosa, qualcosa che non si riesce a definire. Poi, i rapporti con gli esseri spirituali
assumono la caratteristica di domanda e risposta; si sente al risveglio una
voce interna donante luce e chiarezza alla propria vita interiore e alla vita
esteriore. Non è bene sforzarsi di ricordare le esperienze notturne di sogno,
ma lasciarle sorgere spontaneamente. A poco a poco queste sensazioni al
risveglio, questi messaggi diventeranno sempre più chiari, così da portare
nella vita di veglia tutte le esperienze della vita spirituale vissuta durante
la notte: si instaurerà la continuità fra lo stato di veglia e lo stato di
sonno senza sogni. Una volta stabilita, tale continuità di coscienza verrà
portata dal discepolo anche attraverso le porte della morte, e con essa la
stessa pienezza del ricordo nella vita fra morte e nuova nascita. Condizione
indispensabile per tale realizzazione è la pratica della concentrazione,
meditazione e contemplazione. Il discepolo potrà porre delle domande in
meditazione, durante lo stato di veglia: riceverà le risposte durante il sonno
senza sogni: ciò è l’inizio di un colloquio fra esseri spirituali. Il vero
scopo dell’Iniziazione consiste nell’instaurare la continuità della coscienza.
Ciò è una mèta assai lontana, ma dirigendosi verso di essa si possono cogliere
degli sprazzi di luce che indicano le tappe del cammino e ne danno la certezza.
LA SEPARAZIONE DEL PENSARE, SENTIRE E VOLERE. Tale realizzazione pone il discepolo
ad esperienze inevitabili, che sono dure e difficili; la liberazione delle tre
facoltà umane è assolutamente necessaria per lo sviluppo degli organi
spirituali. Sono tre i pericoli in cui si può incombere. Pericolo del Pensare:
divenire astratti teorici pensanti, distaccati dalla vita, freddi e
indifferenti nei confronti dell’esistenza, che trovano soddisfazione solo nel
proprio pensare in solitudine; Pericolo del Sentire: una natura sensuale può
sentirsi trasportata in un sentimento di devozione eccezionale, fanatica, in un
estremo godimento del contenuto della propria coscienza mistica; Pericolo del
Volere: divenire super-attivi, trovando appagamento solo nel modificare il
mondo esteriore, lasciandosi dominare e trasportare da altri. LA LIBERTA’E L’INDIVIDUALISMO
ETICO. Solitamente le tre forze dell’anima si esplicano in modo immediato,
istintivo con un loro habitus personale; il discepolo deve distaccarsi da tale
automatismo innato, predisposto in lui.
Il fatto di poter dominare le reazioni e i sentimenti conferisce a tutto
l’essere un senso di forza e di stabilità, poiché le emozioni non hanno
autorità sul suo equilibrio. L’equilibrio interiore si deve fondare su di una
nuova personalità morale, il quale deve conferire al discepolo la coscienza di
ciò che deve agli altri, di ciò che deve al mondo spirituale e a ciò a cui deve
la ragione della propria esistenza. La Libertà prevede che si sia superato
l’egoismo, che si sia raggiunto un tale grado di moralità e di equilibrio da
poter cominciare a vivere non più per sé stessi, ma per l’umanità.Il discepolo
diviene consapevole di dipendere dai mondi superiori, con la libera decisione
di servire la Causa degli esseri spirituali. Solo in tal modo si può parlare di
una Libertà pura e vera, che non porti danno a lui stesso e agli altri. IL
GUARDIANO DELLA SOGLIA. Solo dopo aver liberato pensare, sentire e volere è
possibile accedere all’esperienza del guardiano della soglia. LA SOGLIA. Il liberare
le facoltà dell’anima significa assumersi direttamente la responsabilità delle
proprie azioni. Avendo liberato il corpo eterico e il corpo astrale dagli
automatismi del pensare, sentire e volere, si avvicina l’esperienza del
guardiano della soglia: si rende obiettivamente visibile il grado a cui si è
pervenuti attraverso gli esercizi. Il guardiano diviene un essere indipendente,
al di fuori di noi. Mentre precedentemente si era intessuti con lui, ovvero con
ciò che rappresenta cosmicamente il nostro essere, ora si presenta
esteriormente la nostra interiorità. I propri moti interiori si traducono nella
figura esteriore di questo essere. Il guardiano si presenta all’improvviso,
appena i chakras cominciano ad attivarsi: è la prima esperienza soprasensibile.
Tale esperienza, può suscitare terrore. Molti, al cospetto del guardiano, che
palesa il grado di imperfezione e purezza da noi raggiunto sinora, riconoscono
la propria inadeguatezza, la propria immaturità nel sopportarne la visione,
quindi retrocedono. Si ravvisano le proprie limitazioni: i difetti assumono un
carattere obiettivo. Solitamente questo essere si presenta per la prima volta
al risveglio, la mattina, in un momento inaspettato, tanto da suscitare
terrore. SIMILITUDINE FRA SPECCHIO E GUARDIANO. Supponiamo che un uomo con il
viso deforme, pur sapendo di averlo non abbia mai potuto specchiarsi; quale
sarà la sua reazione di fronte allo specchio, quando per la prima volta vedrà
la sua deformità ? Prendere coscienza della propria figura interiore è
l’incontro con il guardiano: egli è noi, che ci appariamo all’esterno. IL
GUARDIANO E IL KARMA INDIVIDUALE. Nel guardiano appare il nostro karma; la sua
figura riassume il nostro passato vivente con tutte le cause di dolore e gioia.
Qualora si trovi la forza d’intrepidezza di guardare in volto il guardiano, da
quel momento ci si assume coscientemente la responsabilità di pagare i propri
debiti karmici, quasi andando incontro a questi. Ci si accorge che ogni
tentativo di evadere o di rimandare il pagamento del proprio karma, provoca un disastro
nell’ordinamento spirituale. Ogni mancanza si riflette assumendo forma
demoniaca. Occorre assolutamente a cagion di ciò, quali discepoli, superare il
sentimento della paura. Il coraggio di
affrontare il guardiano è contemporaneamente il coraggio di prendere il proprio
destino nelle proprie mani: dare coscientemente a sé stessi anche ciò che può
causare dolore, rinuncia, peso. Smettere di evitare la direzione di vita che
offre minore resistenza, per muoversi coscientemente incontro a quanto vi è di
più difficile e arduo. Rimandare significa sempre, ritrovare. Il guardiano
muterà di forma in modo direttamente proporzionale al nostro adempimento
karmico, sino ad assumere figure luminosissime nella misura in cui ci saremo
purificati. Fino al momento dell’incontro con il guardiano si ignorano quali e
quanti pesi portiamo nel nostro fardello karmico; dopo non si è più gli stessi
di prima, dopo aver visto la vera realtà spirituale di sé stessi. Non è più
possibile ingannare sé stessi. Finché non si vede e si conosce il proprio
karma, non si può dire di essere liberi; solo dopo aver allontanato la guida
delle Potenze del karma per prendere noi stessi la responsabile guida di tale
compito, solo allora si comprendono le parole. Il Cristo ci ha reso liberi. Ora
le forze del Cristo si sostituiscono a quelle del karma. LO SCOPO DELL’UOMO NEI
CONFRONTI DELLE GERARCHIE. Bisogna prender coscienza della missione dello spirito
di popolo nel quale si è intessuti, il quale conferisce stimoli e impulsi
animici che condizionano la nostra vita. Rinnegare il proprio ambiente
spirituale, nel quale si è scelto di vivere, è rinnegare la missione di un arcangelo.
Il riconoscimento delle intenzioni del proprio Spirito di popolo, e del motivo
che ci ha spinti ad incarnaci in tale atmosfera animica, deve portarci a
scorgere nel giusto modo cosa vuole dirci la sua forza spirituale, per cogliere
appieno la direzione verso la quale dobbiamo spingerci. L’amato deve associarsi
a quelle potenze spirituali che guidano sulla terra, nelle nazioni, gli uomini
inconsapevoli, verso la stessa mèta che egli cerca oggi lui stesso di
conseguire. Il mondo soprasensibile potrà continuare la sua strada soltanto se
vi saranno sulla terra esseri capaci di comprendere la direzione. La gerarchia attende
qualcosa dall’uomo. E’ la gerarchia umana che deve portare il senso spirituale
nella materia. Dopo la morte fisica tutto ciò che l’uomo ha sperimentato
durante la sua vita, in seguito alla dissoluzione del corpo eterico e
dell’astrale, viene consegnato al mondo spirituale: ciò diviene coscienza del
mondo spirituale. (leggenda dell’uomo che dà i nomi alle cose e il nome di “Adonai”
a Dio) L’uomo deve portare la coscienza al mondo spirituale, la forza
risorgente. Il superamento del mondo sensibile dovrà avvenire, ma i frutti
dell’esperienza e i risultati tramite essa conseguiti durante l’evoluzione
dell’umano, saranno incorporati dalle Gerarchie nei mondi spirituali. L’uomo
nascendo e morendo sulla Terra, genera i germi della vita dell’avvenire:
offrendo un nutrimento spirituale al cosmo intero, in modo direttamente
proporzionale alle sue azioni pure e feconde. IL GRANDE GUARDIANO DELLA SOGLIA.
Tale incontro avviene solo quando il discepolo, dopo aver già sperimentato le
regioni spirituali inferiori e stabilito una continuità della coscienza fra
veglia e sonno, ha attuato in sé la generazione di nuovi organi del pensare,
sentire e volere. L’oltrepassare la soglia del secondo guardiano significa
stabilire la continuità della coscienza fra la vita, la morte e la rinascita. La
vera libertà è conoscere il proprio karma senza alcun veloe adempiervi in
coscienza. All’incontro con il secondo guardiano si palesa una grande
tentazione: quella di abbandonarsi alla beatitudine e al godimento procurato
dalla possibilità di accedere ai mondi spirituali.Tale tentazione, anche se non
detto esplicitamente, sembra essere indotta dagli Asura. L’unica cosa che può salvare l’uomo da tale
seduzione è sentire il dolore del mondo, il silenzio degli esseri umani nel
mondo spirituale. Questo tremendo dolore impedisce di accogliere il sentimento
egoistico della beatitudine; perché la gioia che egli ora ha, non è condivisa
da altri. Se si supera tale ostacolo la liberazione è completa: l’Iniziato
partecipa ora attivamente all’opera delle Gerarchie, nella liberazione di tutti
gli esseri sulla Terra. La decisione di collaborare con i mondi spirituali
porta finalmente l’uomo ad un piano in cui si può dire che la sua volontà ha
compiuto tutto ciò che le era stato prescritto dal Principio. Leo.
Breno. Kur. Giovanni Colazza. Keywords. dell’iniziazione. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Colazza” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51711432444/in/photolist-2mMyBgs-2mMv9UH-2mJqjKS
Grice e Colecchi – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Pescocostanzo).
Filosofo. Grice: “What I love about Colecchi is that while he was a bad
Kantian, he was an excellent Vicoian!” Studia ad Ortona, dove sube diverse
perquisizioni da parte dell'Inquisizione per la sua tacita simpatia verso gli
ideali rivoluzionari. Insegna alla Reale Accademia Militare della Nunziatella.
Venne mandato in missione in Russia, dove si dedica alla filosofia speculative.Al
ritorno, soggiorna a Königsberg, dove ebbe modo di conoscere l'opera di Kant.
Fu uno dei primi filosofi italiani a studiare Kant.Rientrato in Italia, fonda a
Napoli una scuola privata di filosofia ed ha tra i suoi allievi i fratelli
Spaventa, Sanctis, Settembrini e Caracciolo. Il suo merito principale fu quello
di essere, insieme a Galluppi, un assertore del criticismo kantiano in Italia. Altre opere: “Se la sola analisi sia un mezzo
d'invenzione, o s'inventi colla sintesi ancora?” La legge del pensiere;
L’analisi e la sintesi; La legge morale, La legge della ragione; “Se il
raziocinio sia essenzialmente diverso dalla intuizione”; “Se nell'invenzione
eserciti maggior influenza la sintesi o l'analisi; “Se li giudizi necessari
sieno solamente gli analitici”; “Se l’identità formale del raziocinio sia
valevole a convertire il raziocinio empirico in raziocinio misto?”; “Il
principio sul quale poggia il raziocinio quando classifica e quando istruisce”;
“Quistioni ideologiche”; “Se diasi una logica pura, ed una logica mista”; “Se
una idea soggettiva non altro sia che una idea di un rapporto, L’idea dello
spazio e l’idea del tempo; Il primo problema di filosofia: se la sensazione sia
esterna di sua natura, o tale diventa in forza del giudizio abituale? Alcune
quistioni le più importanti della filosofia; Psicologia, Logica applicata, Ideologia,
Frammento apologetico; in G. Gentile, Dal Genovesi al Galluppi. Ricerche
storiche, Edizioni della Critica, Napoli, e in Storia della filosofia italiana
dal Genovesi al Galluppi, Firenze; Tip. «All'insegna di Aldo Manuzio», Napoli); a
cura dell'Istituto italiano per gli studi filosofici, con introd. di F.
Tessitore, Procaccini, Napoli); E. Pessina, Quadro storico dei sistemi
filosofici, Milano); Necrologia in “Poliorama pittoresco” “Elogio funebre”; Spaventa,
Studi sopra la filosofia di Hegel, Torino; L. Settembrini, Lezioni di
letteratura italiana, Napoli; F. Fiorentino, Scritti vari di letteratura,
filosofia e critica, Napoli; A. De Nino, Briciole letterarie, I, Lanciano; Sanctis,
La lettereratura italiana nel secolo XIX, Napoli); Marchi, Il sistema
filosofico di Ottavio Colecchi (Tip. Sociale di A. Eliseo, L'Aquila); F.
Amodeo, Ottavio Colecchi, in «Atti della Accademia Pontaniana», Discussioni
biografiche e documenti inediti, Ravenna); L'istruzione pubblica e privata nel
Napoletano; Città di Castello, Colecchi filosofo e matematico: nuove notizie e
nuovi documenti, in «Rassegna abruzzese di storia e d'arte», Gentile, Storia
della filosofia italiana dal Genovesi al Galluppi, II, Milano); Pedagogisti ed educatori,
Milano); Capograssi, Nuovi documenti sull'accusa di ateismo ad Ottavio
Colecchi, in «Samnium», Romano, Un antagonista del Galluppi: Ottavio Colecchi,
in «Archivio storico per la Calabria e la Lucania», A. Cristallini, Ottavio
Colecchi, un filosofo da riscoprire, Padova, G. Oldrini, La cultura filosofica
napoletana dell'Ottocento, Bari; E. Garin, Storia della filosofia
italiana, III, Torino; F. Tessitore,
Colecchi e gli scettici, in Introduzione a Quistioni filosofiche, Napoli; G.
Cacciatore, Vico e Kant nella filosofia di Ottavio Colecchi, Centro di studi
vichiani; Io e Ottavio Colecchi. Narrazione biografica in forma di anamnesi,
Japadre Editore, L'Aquila-Roma; Dizionario Biografico degli Italiani. Dalla tomba della setta italica, tenendo dietro alle ori
gioi dell’antica lingua del Lazio – la lingua romana -- trasse fuori il Vico
que ste divine idee; aveva lello forse Bruno ancora, perchè un’ombra
d’idealismo copre spesso la sua filosofia, spezialmente nella “Scienza Nuova”,
dove l’uomo passa suo malgrado dalle selve allo stato civile per la sola
opera di una lupa (la lupa capitolina). Se non che l’uomo di Vico rimane nello
stesso stato in cui avealo lasciato Enea. Devono le divine idee rideslarsi
all'occasione delle sensazioni; njun tentativo per ravvicinare la sensazione
all’idea; dovrebbe ciò fare l’induzione, ma la ragione è sempre scontenta di
quanto scopre l’induzione. Non ancora siera mostrato Kant per conciliar insieme
la sensazione (sensus) e l'idea o concetto. Con questa filosofia, appoggiata
all’induzione, si dispose Vico a crear il “diritto universale” della nazione
del Lazio – la nazione romana. Ma preoccupalo sempre delle civili cose di Roma,
brillando sempre nel suo spirito l'immagine di Roma, si risolse in fine di
stabilire Roma come modello di civiltà. Il perchè nella storia, della
mitologia, nelle lingue, nel Blasone, e pe’ feudi pur anche del medio evo deesi
Roma ripelere,e la romana giurisprudenza diventar quel la di tutte le nazioni
del mondo. E come i fatti hanno a servir di occasione per ridestare la idea,
così il diritto di Roma, le XII Tavole, tutta la storia, tutta la mitologia
concorrer devono a risvegliar le idee del vero, del giusto, a dir breve
l’ideale dell’umanità per selta. Ond'è che metafisica, logica, morale, educazione,
politica, geografia, astronomia si abbozzano prima della religione de’ padri in
mezzo alle famiglie, e poscia in mezzo alla città di Roma; dove il senato si compone
degli stessi primi padri, riuniti in Ordini, per reprimere le ribellioni degli
ammutipali clienti. Di qui le lante critiche sulla storia positiva per
distruggerla. Sesostri e Tanai sono due simboli. La sapienza del poeta vera
immagine della sapienza o scienza del filosofo, L’Eneide confuse con la
sapienza dei romani. E tutto questo per via di etimologie stirale, di mili forzati,
di stranissime analogie. Egli è evidente che tal metodo d’interpretazione deesi
ridurre in fine ad una tortura , per isforzare tutt’imonumenti della storia e
delle favole a deporre in favore di un sistema. Siegue da questa osservazione
che quanlunque tutta la storia, tutta l’erudizione, per la potente sintesi di
Vico, pieghi sempre al modello di Roma, no di Koesingberga, e la sua civiltà a
poco a poco siasi spenta, fino a che passato il medio evo, col risorgimento
delle lettere e delle scienze, ricomioci il suo corso; può non pertanto rimaner
il dubbio che il popolo romano altro forse non sia che un fatto isolato.
Essendo si in effetto limitato il Vico al uomo del Lazio.Vico, dobbiamo pur dirlo
a Gloria d'Italia,Vico è di gran lunga superiore ad Herder, il quale nella sua
Storia dell'umanità ha parlato pur anche dell'origine e del progresso della
civiltà de'popolo romano. Imperocchè se Herder, amico del sensismo, vede l’uomo
del Lazio nella natura, e dalla formazione del cristallo, per una ben lunga
scala, va sino all'uomo che è la corona dell'organizzazione. Vico, seguace di
Platone e non d’Aristotele, con maggior discernimento del ministro protestante,
l’uomo nell’uomo stesso contempla. E se l'analisi di Herder vivamente rallegra
l'immaginazione, la sintesi di Vico sembra lalmente falla l'intelligenza
per, che il lettore, in onla del suo linguaggio enigmalico e della
strapezza delle analogie, viene attirato potentemente dalla magica forza della
sua filosofia. Niuno più originale di Vico, e pare che l’originalità
dell’italico ingegno siesi sventuratamente nel Vico spenta. De’ suoi principii
intanlo, per quel che riguarda il nostro assunto, egli è facile di raccorre,
che avendo le legge per iscopo di metter freno alla passione umana, e di render
l'uomo migliore; ben possono per esse la *forza*, l’*avarizia* e l’*ambizione* che
sono i tre vizi pe’ quali corre a trovarsi il genere umano, convertirsi in *valor
militare*, *prudente mercatanzia* e *savio governo*. La legislazione dunque,
considerando l’uomo qual é, se dirige ad usi migliori la passione, lo riforma e
trasmuta in quello che esser deve. La massima di Vico pertanto, ben lunga
dall’opporse alla legge morale, la conferm viemaggiormente e ne presuppone
l'esistenza. E qui credo far cosa grata a miei lettori, se da Vico stesso tolgo
le prove di questa mia assertiva. L’unico principio e fine del diritto è per
Vico la virtù del vero. E'chiama virtù del vero l’umana ragione (la vernunft di
Kant), la quale è virtù in quanto combatte con la cupidità -- è giustizia in
quanto regola e pondera la utilità. La utilità non e per sè stesse ne onesta nè
turpe; ma turpitudine è la sua ineguaglianza, onestà la sua eguaglianza. L’utilità
privata di un singolare individuo, o anche nazione o popolo di due uomini, è
labile, perchè finisce con l'individuo la diada dei due uomo o con la nazione;
ma l’eguaglianza delle utilità, che è figlia dell’onestà, non è cosa caduca, è
cosa immutabile ed eterna. Una cosa caduca non puo produrre l’immutabile, nè un
corpo dar nascimeoto a ciò che li trascende. Il sistema dunque dei futilitari utilitari,
con questi pochi molli del Vico, è distrutto. Ciò si conferma con quel celebre
detto di Pedio presso Ulpiano: quante volte una od altra cosa venne con la
legge introdotta è buona occasione supplire con la legge stessa le altre cose
che tendono alla stessa utilità. Una buona occasione adunque e alla divina
provvidenza l’umana debolezza e miseria, per le quali, secondo la loro stessa
spontaneità, ritrasse gli uomini dallo stato ferino e bestiale ad essere
socievoli, uguagliando tra loro le utilità, come chè ciò non avvenisse da principio
per intera onestà, ma per una parte di onestà. Or, la società è una *comunione*
di mutua utilità che interviene tra eguali. Si la socielà ineguale è tra un
padre (superiore) e un figlio (inferiore); tra la potesta civile e di soggetti
– l’eguale è tra fratelli Romolo e Remo o i dioscure – Castores (dual), o
Eurialo e Niso, i due amici, tra due cittadini. Di qui due spezie di giustizia
rellrice ed equatrice. L'eguaglianza delle utilità, con *geometrica* --
progressione geometrica -- misura determinata, è il subietto della giustizia
rettrice, della giustizia *distributive*, la quale mira alla dignità delle due
persone. L'eguaglianza poi delle utilità, fatta con *aritmetica* -- progression
aritmetica -- misura, è materia della giustizia equatrice, volgarmente detta
giustizia *commutativa*, la quale si rapporta al mio ed al tuo – al nostro --
-- ed ba luogo in ogni società eguale.
Nè o s t a p u n t o ( come crede Grozio , il quale dital L'occasione poi,
per la quale una cosa accade, non è cagione della cosa stessa, il che Grozio
non vide, trattando dell'origine del diritto; e pur doveva ia questa disamina
por mente ad una osservazione tanto importante che ne è il cardine. L' utilità
dunque non fu produttrice del diritto, come piacque al greco Epicuro, al
etrusco Machiavelli, ad Obbes, i quali intesero per utilità la cessazione o del
bisogno, o della violenza, o del timore; ma fu l'occasione, per la le gli
uomini divisi, deboli, bisognosi tralti furono alla vita sociale. qua.
Siegue da ciò , che l'upa e l'altra giustizia la rellrice c l'equatrice
hanno per fondamento l'onestà, e che non può avervi giustizia senza morale:
conseguenza importautissima, dedotta dal Vico da vero suo priocipio, e sfuggita
al positivista Carmignani, il quale fa della morale e del diritto due cose
talmente distinte, quasi non avessero nulla di comune tra loro. Elementi del
giusto diritto, per Vico, sono la prudenza, la temperanza, la fortezza. La
prudenle deslioazione io falti delle utilità, fatta con ragione, von come della
la cupidità, produce il dominio; il moderato uso delle cose utili genera la
libertà. La potenza regolala dalla fortezza partorisce la incolpala tutela. La
tutela de'seosi e la libertà degli affetti costituisce il diritto naturale, che
gli antichi interpreti dicono primitive, e gli stoici appellano il principio
della natura. Il dominio, la libertà, la tutela sono cose nalurali all’uomo, e
oale per le occasioni. Così la libertà del diritto era prima della guerra; ma
venne riconosciuta, ed ebb e il suo nome, introdoltasi, per la guerra, la
schiavitu. Similmente con la divisione de'campi siammisero I dominii delle cose
del suolo; ma il giure coosultodice: non essersii dominii
introdotli:essersisolamente distinti con la divisione. Finalmente dalla
potenza, tosto col nascere, proviene la difesa di sè stesso. distinzione
siburlarche avendo più socii posto in comune parli disuguali di daparo,
prendano parti di lucro con geometrica misura; perciocchè prendono parli di
lucro con semplice misura, essendo il daparo,e non la dignita della persona che
li agguaglia. Jo falli tanto ciascun socio ne toglie, quanto ne avrebbe preso,
se solo a quel negozio posto avesse il daparo. Il dominio della ragione su
iseosi e sugli affetti è il diritto naturale dagli stessi interpreti chiamalo
secondario, e dagli Stoici conseguenti della natura. Rimontiamo col Vico all’origine
di questa distinzione. Iddio di è all'uomo conlapolenza l'essere, con la
sapienza il conoscere, con la bontà il volere. Questo divino benefizio deriva
del diritto naturale: l’una con cui l'uomo vuole il suo essere, l’altra con cui
vuole il suo conoscere: ood'è che l’uomo lalvolla più il sapere chel’essere
agogna. Or, nella parte con cui l’uomo desidera il suo essere contengonsi
quelli che gli stoici dicono principio della natura; imperocchè egli appreode
col pascere, mercè le sensazioni presenti e vive del piacere e del dolore, a seguire
le cose utili alla vita, a schivare le nocevoli, e se venga impedito nelle utili,
e sospinto nelle nocevoli, nè possa altrimenti quelle con
seguire,questeevitare;con la forza allontani la forza, pel diritto che ha di
cooservar il suo essere. Questa parte del diritto naturale vien definita:
diritto che la natura a ogni animale apprese, e da essa nasce il diritto di
respingere da noi la violenza, quello della unione de’due sessi, della procreazione
de'bgli e della educazione loro. Ma nella parle con che l'uomo vuole il suo
conoscere, contengonsi quelle cose che gli stoici dicono conseguenti della
natura, e vien essa definita: per tutto quello che la ragione naturale fra gli
uomini stabili ed egualmente fra le genti tutte si osserva.Questa parte del diritto
domina la prima: di guise che quando Pompeo, impedito dalla tempesta a partire,
disse: è necessario il navigare, e non necessario il vivere, era siquesto suo
dello uoa legge che la ragione a talli gli uomini impone è necessario cioè dioperar
rellamente,e non necessario il vivere. Nella prima parte del diritto naturale la
ragione non riprova, ma permette: nell'altra essa vieta o comanda, e quello che
comanda o vieta è immutabile; che anzi per questa seconda parte è immutabile
ancor la prima , non potendosi le cose lecite di lor natura vielar con le leggi
, non essendo in potere di queste di far sì che non sieno permesse. Vedano ora
imoderoi scriltori di diritto: se la distinzione del naturale diritto nel
principio della natura, e ne' suoi conseguenti debbasi o no rigettare! Rimembro
di averne lello più di uno che la crede inutile. Grozio aperlamente afferma
:non esser ella di alcun uso , sen za avvedersi, dice il nostro filosofo e
giureconsulto, che nell'egregio suo trattato della guerra e della pace egli
stesso l'ammelte tacitamente ; perchè in questo appunto il suo uso consiste,
che nella collisione dell'uno e dell'altro diritto, il secondo è da più del
primo. Ma bisogna un Vico per rilevar il merito dell’antica giurisprudenza, e
mostrare a Grozio spezialmente su quali salde basi ella si reggeva! Il diritto
naturale primitivo è, secondo Vico, la materia di ogni diritto volontario; il
diritto naturale secondario de costituisce la forma, la quale ove manchi, il diritto
volontario è nullo. Perciò Ulpiano define il diritto civile: per quello che nè
al tutto dal diritto naturale si diparte, nè inlullo adesso si uniforma; ma in
parle viaggiugne, inparte vitoglie. Il perchè la mente della legge e la ragione
della legge sono due cose distinte. Mente della legge è il legislatore; ragione
dalla legge è l'uniformità della legge al fatto. Possono si mutarsi i fatti, e
la mente della legge si muta; tutti può essa utilità riuscire tal fiata
per altri iniqua. equa, La ragione della legge fa che ella sia vera; il certo della
legge la fa vera in parte, e questa parte di vero sapno propria i legislatori,
per ottenere con l’autorità ciò che dal semplice pudore degli uomini conseguir
non possono; il che rende ragione della definizione del diritto civile, lestè
data da Ulpiano. Ond’è che in ogni fiozione della legge, la quale si rapporta
al diritto volontario, evvi due sono quindi i fonti della giurisprudenza: laragio
ne e l’autorità. Il vero e della ragione, il certo dell’autorità; ma non può
l'autorità opporsi in tutto alla ragione, altrimenti le leggi non sarebbero
leggi, ma si mostri di leggi. È dunque inopportuna cosa cercar ragione dall'autorità,
la qual , dettando una utilità per com ponesi l’autorità del dominio, della
libertà e della tutela, che sono i tre fonti di lutti gli stati. Dalla conoscenza
per la quale è l'uomo da più di ogni altra cosa mortale nasce il suodominio
sopra tutta la natura; dal suo volere trae origine la libertà, dall’eccellenza
del suo essere s’ingepera il diritto di tutela col quale contro tutta la natura
mortale si difende. Se dunque il dominio, la libertà, latutela costituiscono l’autorità,
seconda sorgente del diritto: se il dominio, la mal’uniformità della legge al fatto
non si muta mai. Mutato il fatto cessa la ragione della legge; non però si muta
o rivolge in contrario. La mente della legge riguarda l’utilità, la quale
variando, fa variar la mente; ma la ragione della legge o l'uniformità della legge
al fatto, riguarda l’onestà, e questa è immutabile sempre un certo aspello di
vero , che rende certa la legge , m a non del tutto vera ; perchè qualche
ragione non concede che ella interamente sia tale. Tetessa walela Sviela ile;
laditt Jembro Grozio deon, siela o,sed che ezli cololalores mate il diritto naturale
na ni Callo. muu Da una parte dell’autorità, e propriamente dalla tulela,
nacque il diritto delle prime genti , che può dirsi ; Diritto della violenza.
Divide Vico questo diritto in diritto delle genti maggiori e in diritto delle
genti minori. Le genti maggiori furono prima che le città si fondasse, e si
stabilissero le leggi : motivo per cui Saturno, Giove, Mercurio, Marte, egli altri
numi della mitologia perchè antichissimi tra gli dei ripulali sichiamarono dei
delle genti maggiori .Geoli minori si dissero quelle che furono dopo fondale la
città e stabiliti i reami; ond’è che Dei minori si appellarono quelli che
vennero dalle città consecrati, come Quirino, ed altri Eroi.ParealVicoche tale
divisione imitassero in certa guisa i Romani, allor chè denominarono patriziï
delle genti maggiori quelli che da' padri scelti da Romolo discesero, e
patrizii delle gentiminori quelliche trassero origine da'padri coscritti. Il diritto
delle genti maggioriè, come sidisse, il diritto della privata violenza, con che
gli uomini, senz’alcun freno di legge , toglievano con la propria mano, ed
usucapivano; con la forza si difendevano; il proprio uso o possesso rapivano, e
con la privata forza ricupera vano. Perciò i mancipii erano cose in realtà per
mano tolte; i debitori neri veramente legati; vere erano le mancipazioni,
usucapioni, vindicazioni, usurpazioni, o gli usi ne’rapimenti del possesso,
come le mogli usurarie che erano nel possesso, e non già nella potestà de’ mariti,
usurpavano lo spazio di tre nolli, cioè libertà, la tutela ha origine
dalla naturale disposizione dell'uomo, ed in ogni stato, come Vico sostiene, si
manifestano sempre; vedano Hume e Romagnosi con quanta buona ragione asseriscano
che genitrice del diritto è l'aggregazione sociale! per tre nolti
continue illoro uso a’mariti rapivano, accið con la usucapione di unannonon passassero
in mano, o sia nella poteslà di essi. Si disse ianaozi costar il vero della
ragione della legge, il certo dell'aulorità di essa, ed essere stale queste due
cose cagione del diritto; imperocchè il dominio, la libertà, la tulela in qualunque
stato dell’uomo si manifestano sempre. De esi però notare che il diritto, come
che risulti sempre da questi tre elementi,fu non pertanto ne' Governi divini ed
eroici più certo che vero; negli umani più vero che certo.Or siccome col
Diritto delle genti m a g giori,senza alcun freno di legge, lecose, come testè
dicemmo, si usu capivano, con l’uso e con la per pelua adesione del corpo si
ollenevano, con la forza si riacquistavano, ed accadevano per questa violenza
frequenta risse ed uccisione; si riunirono in ordini i padri di famiglia, e
poco fidandosi, per la licenza che tra gli uomini regnava, del loro nalural
pudore, conservarono per sè soli la forza, e posero termine ad ogni ulteriore
disordine in avvenire. Da ciò nacque la potestà civile; la quale poche cose pubblicamente
trallava con la forza: le punizioni cioè e le pene. Affinchè poi gli altri ad
essa potestà soggetti, fossero nelle lor pretensioni tranquilli, introdusse
certa corporea forma alla materia da lraltarsi in privato, e coosacrò certa
formola di parola, alle quali uniformar dovessero la loro ipfioila e svariata
volontà i cittadini. la forza di questa formola, di proposito e seriamente, non
per frode o inganno, polevano essi acquistare diritti, conservare le proprietà
o in altri trasferirle, con le quali tre cose ce lebrayasi ogni negozio di
privato diritto. In tal guisa la civile potestà, rimossa ogni violenza, e tolla
via ogni in certezza per la solennità de’ giudizi, riforma il costume, e
distribui fra i cittadini la cosa certa e civile, che in buona ed in gran parte
ricuperarono il vero ed il pudore, che sono i due perpetui aggiunti del diritto
naturale. Da questa metamorfosi, per dir così, del dominio, della libertà e
della tutela, per la quale il diritto da violento che era si trasmuta in
moderato, ebbe origine il diritto civile; e la patura medesima delle cose
insegna essere ciò avvenuto a ogni popolo, che dal diritto delle genti maggiori
vennero sollo la potestà civile. Dopo dunque l’originaria acquisizione del
diritto naturala all’uomo, dopo l’altra introdotta dal diritto delle genti maggiori,
coo che il padre, posti i confini, distinsero il dominio delle terre, surse la
terza acquisizione introdotta dal diritto civile. E qui sinotiche come il dominio,
la libertà, la tutela costituiscono nella cosa pubblica l’autorità civile, il
privato diritto del pari a questi tre sommi capi si riducono. Al dominio, col
quale le cose che ci appartengono si vendicano, e contro qualunque possessore
si ripetono; alla libertà, la quale ogni potere ed obbligazione comprende;
all’azione, che allro non e suor chè tutela dalla legge prevedulc. Stabilita
questa dottrine, volgiamo da ultimo un rapido sguardo sul diritto de’ romani
Quiriti, e le vedremo mirabilmente confirmata. Chiama Vico il romano diritto un
serioso poema dell’universale diritto delle genti, altese le tante Ginzioni,
delle quali è ripieno. Il primo fondatore in fatto della romana repubblica muta
il diritto delle genti maggiori io certe imitazioni di violenza, come sono le
mancipazioni, con le quali quasi ogni atto legittimo si transige con la
liberale tradizione del nodo, la úsucapione non era più la perpetua adesione
del corpo al fondo occupato, ma il possesso con la volontà conservalo; la
usurpazione non più consiste in una certa rapina d'uso, ma esprime col modesto
significato di cilazione; l'obbligazione non più col nodo de’ corpi ,ma con certo
legame della parole si denota; la vindicazione col Gin lo attacco delle mani
con una paglia, dellaper. Ciòda Gellio festucaria.Pernon diral la fine di tanteal
tre, l’azione personale chiamata condictio non più e l’andar unito il creditore
al debitore, o alla cosa dovuta, ma face asi con la semplice denunzia. Le quali
cose menano naturalmente a congetturare, che per talicagioni si crede il poeta
il primo fondatore della città, come si è scritto di Orfeo e di Anfione vero.
Ella è questa, secondo Vico, l'origine ed il progresso dell’universale diritto
delle genti, il quale, tenendo fermo al principio di Vico stesso, in istretta
amistà con la legge morale mostrasi perpetuamente. Parlando in fatti questo
gran filosofo della giustizia universale afferma che siccome la virtù
universale eccita la prudenza, la temperanza, la fortezza, perchè si oppongano
alla cupidità; la giustizia universale del pari comanda alla prudenza, alla
temperanza, alla fortezza, perchè dirigano le utilità. Impone alla prudenza,
che ciascuno tratti avvisa la mente utili cose; alla temperanza di non
appropriarsi l’altrui; alla forza di cautelar e difendere il proprio
diritto. Per favole di tal natura è agevole di osservare, che quanto più
il diritto civile da quello delle genti maggiori si allontana, o dalla verità
della violenza; tanto maggiormeate al diritto naturale si avvicina, o al pudor
della stessa giustizia rettrice ed equatrice, che come e per conoscer
anche meglio l’accordo della filosofia di Vico con la legge morale, basta
osservare che egli contempla l'uomo: primo nello slalo di solitudine; secondo
in quello della famiglia; terzo nello stato aristocratico; quarto e finalmente
nello speciali virtù si repulano, uopo è che sieno, secondo Vico,una sola virtù,
e perciò universale virtù; la giustizia – il giure -- architettonica difatli,
che Aristotele afferma cosi comandare alle inferiori virtù come l'architetto
alle arti sue ministre, se risiede nell’animo della civile potestà, e comanda a
latte la virtù che mena alla civile prosperità; risiede altre sì, come
particolare virtù, nell'animo del sapienle , c regola gli uffizi di tutte le
virtù per la privala tranquillilà della vita. E perchè ciò? perchè, risponde
Vico, v'ha unica ragione che così della , unico vero bene, unica giustizia, e
unico diritto. Ma una pruova luminosa, e senza replica, che melle d'accordo il
principio di Vico con la legge morale si è la distinzione da esso lui adottata
del diritto naturale primitivo e secondario. Se fa egli consistere il primo
nella lu icla de’ sensi degli affetti, el'altro nel dominio della ragione: se
quello solamente permette, e questo o vieta o comanda, e ciò che comanda o
vieta è immutabile; chi osa negare che il diritto naturale secondario altra cosa
non sia che la legge morale? Ne osta punto l’aver egli fatto sorgere il diritto
civile dal diritto di violenza, che in tempi a noi remotissimi usa le genti
maggiori; imperocchè tal diritto di violenza, non allra regola seguendo che
quella del senso e dell’affetto, vero diritto non era, ma diritto certo, tullo proprio
dicoloroche più tenevano all’istinto che alla riflessione. Il diritto però di
violenza fu poscia l’occasione di far sorgere il vero diritto stato della repubblica
e della monarchia. Or, nel primo stato non altra guida ha l’uomo che quella
dell’istinto a cui ubbidisce come la pianta e l'animale; ma non è questo
certamente il suo destino; la sua facoltà lo chiama ad un bene essenzialmente
diverso da quello che dipender potrebbe dal solo istinto. Dev’egli per sè
stesso crear questo bene, e passare perciò dalla servitù dell’istinto allo stato
di libertà: a quella condizione cioè, per quale ubbidirebbe invariabilmenle
alla legge morale, come sino a quel punto ubbidito aveva all’istinto. Deve
l’uomo, a dir breve, diventar creatura libera, di automa trasformarsi in essere
morale, ed un tal passaggio deve menar lo all’autocrazia la Sent il'uomo il bisogno
di congiungersi condonna, e la nascita di un figlio, i suoi alimenti, la sua educazione,
qualunque sia si ella stala, moltiplicarono I suoi doveri. Fin qui non conobbe
egli con la compagna che un sol germe di amore, ma un nuovo oggetto fe’ nascere
in entrambi una nuova relazione morale, un nuovo amore di spezie più pura del
primo. La soddisfazione, il tenero interesse, la sollecitudine nella quale s’incontra
per l’oggetto di questo AMORE apre in esso bellissimo tratto di morale, che resero
il suo rapporto più dolce ed elevato: Ad un vincolo che da prima era
semplicemente materiale si uni la stima e dall’amore interessato nacque l’amor
coniugale che è sovranamente disinteressato. Ad un primo figlio un secondo ne
seguì, un terzo ec, e fatti grandi questi figli, teneri legami di amicizia gli
strinsero insensibilmente tra loro,e videsi nascere l'amor fraterno tra Romolo
e Remo che non è punto interessato. Stretti altri uomini dal bisogno, palleggiarono
con questa prima famiglia di prestar l'opera loro, a vantaggio lo tantocon
l'avanzar de’lumitutt’il membro della citta si crede idoneo alle funzione che
prima da’ soli padri si esercilavano, e sursero allora la repubblica e la
monarchia, dove si ni in gran parte il certo dell’autorita,e comincia il vero
della legge. S o l l o queste forme di governo l u l l a si spiega la moralità
dell’azione, perchè si dissero azione della stessa, per una convenuta
mercede. Surse allora la società tra padroni, dove il padre comanda al proprio
figlio, a questi famoli ancora; e tale società dal nome de’ famoli si appellò
famiglia. Dalla famiglia surse ben toslo un certo naturale governo. Stabilita
l’autorità paterna sul figliuolo bisognoso di aiuto e sui famoli ha già il fanciullo
contratto l’abito di rispettare la volontà del genitore. Quando fatto grande,
il figlio divenne padre ancor esso, doveltero i di lui figli onorar colui verso
il quale vedevano che gran rispetto porta il padre loro; supposero quindi
nell’avo un’autorità superiore a quella del proprio padre. E perchè l’avo in
ogni litigio pronunzia sempre in tuon definitivo, un taluso, per più a poi
osservato, stabili finalmenle in sua persona un potere sovrano su tutt’i membri
della famiglia. Ebbe di qui origine il governo patriarcale, che lungi dal
puocere all’altrui libertà ed eguaglianza, dovelte anzi valere a garenlirla e
consolidarla. Più famiglie particolari, per comune utilità riunite, costitusce
la tribù; più tribù di Romolo la citta di Romo, dove i cittadini dovellero
amarsi come I fratelli di una stessa famiglia, e prestare a Romolo, il capo
delle tribù riunita la stessa ubbidienza che ogni membro della famiglia presta
all'avo. E perchè questa ubbidienza proviene da sentimento di vera stima verso
gli aozi del capo, dovelte essere perciò in supremo grado disinteressata.
Ma qui potrebbe dirsi che l'uomo, secondo Vico, nei quattro stati su indicati
noo altro cerca che l’utile proprio. Nello stato di solitudine in fatti cerca
egli semplicemente la sua salvezza. Presa moglie e fatti figliuoli ama la sua
salvezza con quella della famiglia.Venuto a vita civile ama la sua salvezza con
la salvezza della città. Distesi gl’imperi sopra altri popoli ama la sua
salvezza con la salvezza dal paese. Uniti i paese per pace, alleanza, commercio,
ama la sua salvezza con la salvezza del genere umano. L'uomo, conchiude Vico,
in ogni circostanza cerca principalmente l'utile proprio.Il perchè non da
altriche dalla provvidenza divina può esser guidato a celebrar con giustizia la
familiare, l’eroica e finalmente l’umana fori morali quelle soltanto che si
facevano nell’interesse della morale, senza domandare anticipatamente, seerano
gradevoli. Ogni aspetto sotto il quale la moralità si manifesta si ridusse ne’
goverai umani ai due seguenti. O sono il senso che propongono farsi la tal cosa
o non farsi, e la volontà ne decide dietro la legge della ragione, o è la
ragione che prende l’iniziativa, e la volontà ubbidisce, senza consultare il
senso. governo. Così è , diciamo pur noi, ma perchè l’utile che cerca l’uomo,
tosto che si è reso superiore all’istinto, è subordinato ro a quello della famiglia;
secondo a quello della città; terzo all’utile del paese; quarto all'utile di
tutto il genere umano; l’utile che cerca l’uomo in ogni stato su m e o tovati
non èl'utile variabile, ma quelloche è figlio dell’onestà, la quale, come Vico
si esprime, talmente dirige e pondera le cose utili che a tutti giovano
egualmente. ma di Ma perVico, si torna a dire, lulto questo è opera della
provvidenza. Dalla provvidenza è vero. Fabbro però il diritto naturale del
giurecosulto, di lunga mano di verso dal diritto naturale del filosofo che alla
norma della ragione eterna lo agguagliano sempre. Ma essendo la repubblica
degli ottimati quasi tutte ridotte in democrazia o principali, le qualidue
forme di governo vengono regolate più secondo l’ordine naturale che secondo il
civile; per queste cagioni venne a rallentarsi la custodia del diritto delle
genti maggiori più antiche, sul quale diritto poggiavano sopratutto la
re-pubblica degli ottimi, essendo propricla di quello stato la custodia delle
palric consucludini. Vico della provvidenza è l'umano arbitrio, che ha per
regola la sapienza volgare, la quale è il senso comune di ciascun popolo o nazione
che dirige in società la nostra azione, sicchè facciano acconcezza con ciò che
ne sentono tuttidi quell popolo o nazione. Quando poi le nazioni per commerci, per
paci, per alleanze sono si conosciute, la convenienza del senso comune de’popoli
o nazioni tra loro, è per Vico la sapienza del genere umano. Or, il senso
comune di ogni popolo e di ogni nazione, il quale deve dirigere in società la
nostre azione, acciò si accordion con tutto ciò che ne peosa il genere omano:
che altro può esser mai se non è la legge morale? per perciò Vico seguendo Gaio
chiama diritto civile comu. d e il diritto comune di ogni popolo; perchè Gaio,
ove define il diritto civile, dice: Ogni popolo che e governato da una legge e
da una consuetudine, in parte si serve del proprio diritto, in parte del comune
diritto di lultigli uomini, e ció per la divina provvidenza, che secondo la
stessa opportunità delle cose lo spiegò Ira la pazione separatamente, con la
loro costumanza, per la tranquillilà di ciascun popolo o nazione. Tale diritto
spiegato con la comune costumanza del popolo è dalla tutela, dal dominio,
dalla libertà nacquero, secondo Vico, tre pure forme dello stato. Quella degli
ottimati, la regia, e la libera. Fondamento dello stato degli ottimati è la
tutela dell’ordine, con che venne da prima stabilito che i soli patrizî siabbiano
gli auspicii, il campo, la gente, I connubî, i maestrati, gl’imperî , e presso
legenti i sacerdoti. La regia risplende pel dominio di un solo, Romolo, e pel
sommo e formisura libero arbitrio di esso solo in tutte le cose. La libera vien
celebrata dall’eguaglianza de’suffragi, per la libertà delle opinioni, e per
l’eguale adito a ogni onore, il quale adito è il censo. Imperocchè inciascuno di
essi comanda un solo,o come vuole Tacito: uno essere il corpo della repubblica,
e doversi governare con l'animo di un solo, o di piùa guisa di un solo. E però inciascun
politico reggimento colui che è sommo è anche unico; perchè il sommo del pari
che l’unico non si può moltiplicare. Ma queste tre forme pure di stati,
benchè sieno da quelle particolari differenze teslè osservate, tra loro diverse;
tultavolta allesa la loro origine, per virtù della quale la ragione, la volontà,
il potere risiedono nell'uomo, sono strettamente tra lor collegale, e
costituiscono irë parti di virtù fra loro commiste. L'ordine naturale per tanto
è l’anima di ogni stato, perchè regna in quest’ordine il vero che all’ordine
delle cose corrisponde, non a quello de’ nomi senza le cose, il quale non è ordine,
ma sembianza di ordine. Quello dunque è l'ordine naturale dello stato, dove il
prudente, il forte comanda e l’imprudente, l’imbecille ubbidisce: quali furono
i primi principii dello stato, la famiglia, la clientela, gli antichissimi
stati degli ottimati pur ordine civile quello che per volere della legge
all’ordine naturale è frammesso, che può anche dirsi ordine politico, misto di
civile e di nalurale, come nello stato degli ottimati il senato si compone de’
sapientissimi fra i patrizi; nello stato popolare il popolo viengo ver pato
dall’autorità di un senato sapiente; nello stato regio il principe Romolo si
vale del consiglio de’ sapienti. Quest’ordine misto può definirsi successione
dell’onore, nella quale chi per una e chi per altra dole come per fede,
diligenza, solerzia, valore, giustizia, vien riputato degno di ascendere ad
onorale cariche, e dalle minori alle maggiori gradatamenle viene promosso: di
guisa che i migliori sempre preseggano, e vigilino su I costumi degl’inferiori e
li dirigano. Ma quando gli ottimati divennero nomi vani che li distinsero
dalla plebe, all’ordine naturale successe il civile, ed al vero seguì il certo,
il quale altro non è che la conformità all’ordine, non delle cose, ma della parola,
da cui nasce la coscienza dal dubilar sicura . Imperoc chè I primi imperi degli
ottimi o si manteonero ne’ loro discendenti, o in ogni popolo passarono, o a
monarchici si ridussero. Perciò l'ordine civile o è nel lignaggio come nell’aristocrazia,
o nel censo come nella democrazia, o nella casa regnante come nella monarchia. Ma
de la nobiltà, né il patrimonio rende sapienti. Il nascer orincipe è cosa
fortuita, dice Tacito, nè altra. Siccome però il certo è parte del vero, e la
ragion civile nasce della stessa ragion naturale per le cause di certo Diritto,
così l'ordine civile per natura sua fa parte dell’ordine naturale in quanto è
esso cagione della pubblica sicurezza, ond'è che anche la citta la più corrolla
da questo stesso civile ordine viene conservata. Ed è per quanto però la
mente è più verace del discorso, altrellanto l’ordine e più stabili della
legge; im pe rocchè la mente sempre una cosa detta al parlare, ma pel giudizio,
o sia per la volontà, noi più volte falliamo, servendo spesso a ciò che dice il
senso, senza ascoltar la mente. La parola in oltre non viene sempre con
prontezza alla mente, spesso non esprime i suoi comcetto, mentre viene quella
incessantemente spronala a raggiugnere Ma questi ordini per la via della
legge col timor delle pene, con la speranza de un premio, impongono al
cittadino di rettamente comportarsi. Per la qual cosa l’ordine e più stabile
dalla leggr: onde avviene che la legge ri posino sull’ordine, e che questi
conserva la legge; im. perocchè l’ordine politico, il quale è misto di ordine
naturale e di ordine civile, con maggior ragione di ciò che Aristotele della
legge disse, è verameole una mente scevera di affetti. E come che la mente del
popolo io generale sia scevera di affetti, pure questa mente stessa suole addivenir
talvolta turbatissima, sopra tutto ove sia commossa da intestine turboleoze.
Qual fu la mente del popolo di Atene, e quella del popolo romano sconvolta dal
demagogo, che indussero l'uno e l'altro popolo, con particolare legge fuori
l’ordine promulgate, a bandir dalla patria uomini di chiara virtù, per elevare
ad amplissimi onori immerite volissimi cittadini. Vero, il la qual forza di
vero altra cosa non è che la ragione. Or, la parola sovenli volte elude questa
forza di vero, per la perversa volontà di chi ragiona. L'ordine perciò naturale
e l'ordine misto è il solo che può con giustizia amministrar il diritto, e
questo avviene quando uomini per sapienza e per virtù prestantissimi, giusta l’ordine
naturale, e non secondo l'ordine concepu. Siegue da tullo ciò che il diritto
chiamato da Grozio e Kelsen puro, e da Gaio diritto comune a tull ipopoli,
altro non è ch e il diritto naturale , il quale h aperto della parola, o che
torna lo stess , non secondo il certo della legge, ma giusta il vero della
legge stessa, reggano gli stati. E perchè la leggr in moltissimi casi mancano
ed è necessaria l’interpretazione che a la deficienza supplisca; può accader
ancora che sollo la stessa autorità del diritto non solo qualche volta per
ignoranza si erri, ma la stessa legge con frode si eludano. Più felice dunque e
quello stato, nel quale il civile ordine e misto più secondo il naturale ordine
o secondo l'ordine del vero che secondo l’ordine del certo. Quindi ove si
conservino la legge imposta dall’ordine, e mollo più gli Ordini che le leggi si
cuslodiscano, verranno gli Stati conservati. Ma se le leggi mancano, gli stati rovinano.
Perciòsiamo servi della legge, diceva Tullio, per poter esser liberi.
Convertendo dunque la massima si dirà pure con verità: se ci libereremo dalla
legge, saremo naturalmenle servi. la legge morale; perchè, secondo Vico, non può
darsi diritto senza morale. Iolanlo è da nolarsi diligentemente che Vico
distingue il diritto io diritto vero, e diritto certo. Quello è per la ragione,
questo per l'autorità. Il primo dirige l'uomo libero, il secondo l'uomo che più
della liberlà segue l’istinto. Or cgli è evidente che negli stessi umani
governi la più gran parte degli uomini, tenendo più all’istinto che alla libera
elezione, si lascia più facilmente guidare dall’altrui autorità che dalla ragione.
Di qui la necessità di un diritto misto, secondo le esigenze de’ popoli e le
diverse forme di governo. Ma da ciò non segue che coloro i quali con la loro
autorità oe fondamento impongodo a’ popoli, essendo essii più sapienti, i
più prudenti, come vuole il Vico, non si propongano per i scopo il diritto vero
e che non sieno al caso disco prirlo, senza darsi gran pena. La destinazione
infalli del l'uomo non può dipendere dall’istinto, e tosto che l'uomo si
conosce libero e la sua ragion consulta, questa gli ordina di conservarsi e di
perfezionarsi: di essere cioè savio, moderato, prudente; di collivar l’intellelto,
e nel tumulto de’ sensi e degli affetti di cautelare la volontà: nel che
propriamente consiste la libertà dell'uomo interiore. E perchè egli scopre in altri
esseri, a lui simiglianti, la stessa attività libera, gli considera tutti
eguali, e tale scoperta fa nascere in lui l’obbligazione di lasciar i suoi
simili nella loro indipendenza, ed è questa la tutela. A ppresso giudica di non
aver diritto su di ciò che è stato da altri prima di lui occupalo, e ciò che ha
egli occupato il primo, giudica che a lui spella solamente , nel che sla il dominio.
Di qui reciprocità del diritto e del dovere; di qui l’origine della giustizia
che gareolisce la proprietà. Tulli gli anzidelli del diritto e del dovere,
perchè fondati sulla libertà, sul dominio, e sulla tutela, o che lorna lo
stesso, sulla natura dell’uomo, stanno per sè, prima che l’uomo entri con altri
in società. La legge non li creano, perchè già erano prima della legge. Questa
non altro fanno che conservarlo. Lo stesso diritto e lo stesso dovere servono
di fondamento alla società, che il legislatore non crea ma dirige, perchè la
società già era, quando il governo non era ancora. La libertà del diritto, dice Vico, fuprim a ch e
si conoscesse la servitù. Non s’introduce già il dominio con la divisione de’campi,
furono solamenle distinti. Dalla polegza di operare infine nacque tosto la
tutela o difesa di sè stesso. Se non che, ammellendo Vico nell’umana mente al
cuni semi del vero che con l'andar del tempo si sviluppano in cognizioni
distinte ed alcuni germi del giusto che tratto tratto si spiega la massima
incontrastabile di giustizia; mostrasi egli in gran parte seguace di Platone
intorno all’origine di quella verità che si dice necessaria. Or tale verita, essendo
per noi di due spezie, una teoretiche ed una pratica, diciamo, che rispetto
alla prima, la verita teorica, l’io il quale per un alto di spontaneità si
conosce e si rivela dell'appercezione, appoggiato alle quattro idee necessarie
di spazio,di tempo,di sostanza e di cagione, riduce all’unità tutto il vario
della rappresentazione che a lui offer il senso. Riguardo poi alle verita
pratica, essendo elleno legge pratica o comando di fare, si contiene in una
massima universalisabile. Quando ti determini all’azione, esamina te stesso e
vedi se la tua volontà sia di accordo con la volontà generale di ogni persona.
Una tal massima universalisabile è la suprema legge della morale. Che che sia
però della filosofia di Vico, a noi basta di aver provato che le due sue
digoilà Vl*e VII“, ben lungi dall’opporsial la legge morale, la confermano
mirabilmente. Dominio, libertà, tutela tre elementi del diritto; tre
elementi che costituiscono l'uomo morale. Perchè non può avervi diritto senza
morale. La filosofia perciò di Vico si accorda perfettamente con la morale. Grice:
“Most of Colecchi’s essays are easily available, and it’s easy enough to check
his references to other Italian philosophers – not just Vico, as I have done –
but Rogmanosi, and even ancient Roman ones like Cicero – and perhaps more
importantly his influence on the so-called Neapolitan Hegelians!” -- Ottavio
Colecchi. Keywords: Vico, il Vico di Collecchi, Cacciatore, Macchiaveli, Lazio,
Romolo e Remo, Kant, categoric imperative, massima, first-hand knowledge of
Kant, Colecchi Kantiano, ma non aristotelico – il kantismo di Colecchi –
l’italiano kantiano di Colecchi – il vocabolario kantiano in Colecchi –
analitico – sintetico – sintetico a priori – giudizio necessario – Romolo e
Remo, diritto naturale, lingua e nazione, Marte, Saturno, Giove, etimologia di
Vico, il Lazio, il senato romano, ottimati, storia di Roma, diritto romano,
psicologia razionale, psicologia filosofica, l'istinto, la passione, la
ragione, la sensazione, l’intelletto, spazio-tempo, l’azione, l’agire como
reame della morale, massima d’azione, la regola di oro – la rifutazione di Vico
all’eudaimonismo di Aristotele e al utilitarismo di Bentham, lo caduco e lo no
caduco, ius naturale, ius como la virtu unica, giustizia equittrice e rettrice,
giustizia commutative e giustizia distritutiva, l’ordine aritmetico e l’ordine
geometrio – la base matematica della filosofia di Colecchi, l’amore, amore
interessato, amore disinteresatto, salvezza, uomo, padre e figlio, uomo come
cittadino, il genere umano, la massima universalisabile, l’onesto, fortezza,
prudenza, toleranza, virtu, vizio, il vero versus il certo, la nascita della
morale dal ordine agglomerazione sociale, la potesta naturale, il dominio, la
tutela, la liberta, libero arbitrio e passione, autorita e ragione, forza,
autorita e raggione, l’ubbidenza che il figio mostra al padre, il ruolo
dell’avo, la societa di equali, il modello della societa romana antica, la
societa dell’amicizia, Eurialo e Niso, L’Enneada, la lingua del contratto come
requisite del patto sociale, la parola e il concetto, la formola della parola,
verbum/res, res pubblica, communita, diritto comune, bene comune, l’ordine:
primo stato dell’uomo in solitudine, l’ordine della famiglia: societa di
inequali, padre/figlio, terzo stadio: la tribu di Romolo, la citta di Romolo, il
paese di Romolo, il genero umano, diritto universale di Vico e Kant, Hampshire
on Vico. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Colecchi” – The Swimming-Pool Library.
https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690057259/in/photolist-2mPrdWj-2mKF4aM-2mKGaqS-2mKw3hq-2mKEJsY
Grice e Colletti – curiazi, ovvero,
politica romana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma).
Filosofo. Grice: “I like Colletti – he takes political philosophy seriously
unlike we of the Lit. Hum, not PPE school, at Oxford! But then he is a Roman
and has all the Orazi and Curiazi traditions!” Si laurea sotto Volpe. Insegna a
Roma. “Partito Socialista Italiano”. Altre opere: “Il marxismo e Hegel, in
Lenin, Quaderni filosofici, Milano, Feltrinelli, 1958. Ideologia e società,
Bari, Laterza, Il marxismo e Hegel, Bari, Laterza, Il futuro del capitalismo.
Crollo o sviluppo?, e con Claudio Napoleoni, Bari, Laterza, Intervista
politico-filosofica, con un saggio su Marxismo e dialettica, Roma-Bari,
Laterza, Il marxismo e il "crollo" del capitalismo, a cura di,
Roma-Bari, Laterza, Tra marxismo e no, Roma-Bari, Laterza, Tramonto
dell'ideologia. [Le ideologie dal '68 a oggi; Dialettica e non-contraddizione;
Kelsen e il marxismo], Roma-Bari, Laterza, 1980. Crisi delle ideologie.
Intervista politico-filosofica, Il marxismo del XX secolo, Le ideologie dal '68
a oggi, Milano, Club degli editori, Pagine di filosofia e politica, Milano,
Rizzoli, La logica di Benedetto Croce, Lungro di Cosenza, Marco, Fine della
filosofia e altri saggi, Roma, Ideazione, Lezioni tedesche. Con Kant, alla
ricerca di un'etica laica, Roma, Liberal, È morto Lucio Colletti voce
"contro" di Forza Italia, su repubblica, Camera dei Deputati, Gruppo
Parlamentare di Forza Italia, Ricordo di Lucio Colletti, Roma, Stampa e
servizi, Orlando Tambosi, Perché il marxismo ha fallito Lucio Colletti e la
storia di una grande illusione, Milano, Mondadori, 2001. 88-04-48844-1 Ministero per i beni e le
attività culturali, Lucio Colletti: il cammino di un filosofo contemporaneo, Roma,
Essetre, 2003 Pino Bongiorno, Aldo G. Ricci, Lucio Colletti scienza e libertà,
Roma, Ideazione, Cristina Corradi, Storia dei marxismi in Italia, Roma, Manifestolibri.
Collétti, Lucio la voce nella Treccani L'Enciclopedia Italiana. il 20/07/ Lucio
Colletti, su CameraXIII legislatura, Parlamento italiano. Lucio Colletti, su
CameraXIV legislatura, Parlamento italiano. La storia di Lucio Colletti di Costanzo
Preve, nel sito Kelebek Roma. Partito Comunista Italiano” Forza Italia”. Il
saggio di Colletti Marxismo e dialettica fu scritto «a chiarimento di alcuni
temi toccati» nell’intervista apparsa sulla “New Left Review” nel numero di
luglio-agosto 1974, e pubblicato con la traduzione italiana dell’intervista.
Più esattamente Colletti si propone di chiarire la «differenza tra “opposizione
reale” (la Realopposition o Realrepugnanz di Kant) e “contraddizione
dialettica”». Si tratta di opposizioni radicalmente diverse: la prima è «senza
contraddizione (ohne Widerspruch)», la seconda è «per contraddizione (durch den
Widerspruch)» (1974: 65). La opposizione dialettica (66-69) è espressa dalla
formula «A non-A», nella quale ciascun opposto è solo la negazione dell’altro,
ma non è niente in sé e per sé. I poli dell’opposizione sono cioè ambedue
negativi, più esattamente ciascuno è la negazione dell’altro, ma solo
all’interno dell’unità con l’altro. Quindi «entrambi gli opposti sono negativi,
nel senso che sono ir-reali, non-cose (Undinge), ma idee». Ciascun opposto «ha
la sua essenza fuori di sé» (67), nell’altro di cui è la negazione. L’origine
dell’opposizione dialettica, e della stessa dialettica, è platonica: l’unità
degli opposti è la koinona ton genon. L’opposizione reale (70-76) è espressa
dalla formula «A e B», nella quale ciascun opposto sussiste di per sé, è
positivo, e perciò è esclusivo dell’altro. La cosa più importante è che
Massimiliano Biscuso – Opposizione reale, contraddizione logica e
contraddizione dialettica 4 «nell’opposizione reale o rapporto di contrarietà
(Gegenverhältnis), gli estremi sono entrambi positivi, anche quando l’uno venga
indicato come il contrario negativo dell’altro» (72). Questo accade ad esempio
quando ci rappresentiamo due forze eguali che muovono due corpi in direzione
contraria: il risultato è la quiete, cioè comunque qualcosa (ed essendo
qualcosa possiamo rappresentarcelo). «In altre parole, nella relazione di
contrarietà che è l’opposizione reale, vi è, sì, negazione, ma non nel senso
che uno dei due termini possa essere considerato come negativo di per sé, cioè
come non-essere» (74). Le opposizioni reali non minano, anzi confermano il
pdnc, proprio perché sono «senza contraddizione» (dove è già implicito, come
sarà confermato in seguito, che l’opposizione dialettica nega il pdnc). Il
marxismo non ha mai avuto le idee chiare intorno a questi due diversissimi
generi di opposizione, e non le ha avute anche perché non ha mai chiarito con
sufficiente rigorosità il suo rapporto con la dialettica hegeliana. In Hegel la
dialettica delle idee è al tempo stesso la dialettica della materia, nel senso
preciso che è impossibile in Hegel separare le idee dalla materia: «Se si
presta attenzione, si vede subito che il rapporto finito-infinito,
essere-pensiero, segue il modello della contraddizione “A non-A”. Fuori l’uno
dell’altro, cioè al di fuori dell’Unità, finito e infinito sono entrambi
astratti, irreali» (80), e l’unità che include il finito e il falso infinito
(falso perché altrettanto finito, in quanto limitato dalla sua opposizione al
finito) è l’Idea, il vero infinito. Dunque, commenta Colletti, «dov’era la cosa
è ora subentrata la contraddizione logica» (81 – si badi bene: contraddizione
logica e non, come ci si attenderebbe, contraddizione dialettica). Ora, il
«dramma del marxismo» è aver «ripreso alla lettera» la dialettica hegeliana
della materia, scambiandola per una forma superiore di materialismo. Dramma,
perché quella dialettica era volta: a) alla distruzione del finito, b) alla
negazione del pdnc; cioè proprio a ciò a cui la scienza non può rinunciare,
anzi da cui si deve necessariamente muovere (d’altronde la scienza, che si basa
sul pdnc, «è il solo modo di apprendere la realtà, il solo modo di conoscere il
mondo», 112). Avvertiti di questa difficoltà, negli anni Cinquanta alcuni
marxisti polacchi e tedesco-orientali cercarono di mostrare che «ciò che i
“materialisti dialettici” presentano come contraddizioni nella natura sono, in
realtà, contrarietà, cioè opposizioni ohne Widerspruch; e che, dunque, il
marxismo può benissimo continuare a parlare di conflitti e di opposizioni
oggettive, senza, per questo, essere costretto a dichiarare guerra al principio
di (non-)contraddizione e mettersi così in rotta con la scienza» (86). Tali
risultati convergevano con quelli della ricerca di della Volpe: a costo di
liquidare «gran parte dell’opera filosofica di Engels» (94) in quanto fonte del
Diamat, sembrava però legittimarsi «l’aspirazione del marxismo a costituirsi
come la fondazione delle scienze sociali, cioè come la scienza della società»
(95). In realtà non era possibile ritenere che il Capitale non avesse nulla a
che fare con Hegel: infatti «i processi di ipostatizzazione, la
sostantificazione dell’astratto, www.filosofia-italiana.net 5
l’inversione di soggetto e predicato, ecc., lungi dall’essere per Marx soltanto
modi difettosi della logica di Hegel di riflettere la realtà, erano processi
che egli ritrovava […] nella struttura e nel modo di funzionare della società capitalistica
stessa» (97). Vi sono dunque «due Marx» (99): lo scienziato dell’economia
politica e il critico dell’economia politica. Questo significa riconoscere i
limiti della stessa lettura dellavolpiana, che condivide con molte altre
letture marxiste il difetto di non cogliere le due facce del pensiero di Marx.
«Quando il marxismo è una teoria scientifica del divenire sociale, è tutt’al
più una “teoria del crollo”1, ma non una teoria della rivoluzione; quando,
viceversa, è una teoria della rivoluzione, essendo solo una “critica
dell’economia politica”, rischia di risultare il progetto di una soggettività
utopica» (102). Dunque per lo stesso Marx le contraddizioni del capitalismo
sono non opposizioni reali, bensì contraddizioni dialettiche nel senso pieno della
parola. Da un passo delle Teorie sul plusvalore (la possibilità della crisi è
la possibilità che momenti che sono inseparabili si separino e quindi vengano
riuniti violentemente) Colletti conclude che i poli dell’opposizione,
separandosi, si sono fatti reali, pur non essendolo veramente: «sono, in breve,
un prodotto dell’alienazione, sono entità per sé irreali seppur reificate»
(107). «Teoria dell’alienazione e teoria della contraddizione, dunque, come una
sola e identica teoria» (109): la contraddizione nasce dal fatto che l’aspetto
individuale e quello sociale del lavoro, pur essendo intimamente connessi, si
danno un’esistenza separata. È la contraddizione di individuo e genere, di
natura e cultura, già rilevata dai maggiori analisti della società civile
borghese del Settecento. «La società moderna è la società della divisione
(alienazione, contraddizione). Ciò che un tempo era unito, si è ora spezzato e
separato. È rotta l’“unità originaria” dell’uomo con la natura e dell’uomo con
l’uomo» (111), dove l’unità, essendo data, non deve essere spiegata, mentre è
da spiegare la divisione. «Seppure modificato, riaffiora lo schema della
filosofia della storia di Hegel. E questo, ci si scopre essere il secondo volto
di Marx, accanto a quello dello scienziato, naturalista e empirico» (112).
Georg Wilhelm Friedrich Hegel versuchte, um die von ihm vertretene Dialektik
(im Sinne einer Lehre von den Gegensätzen in den Dingen) durchzusetzen, die
Logik in einer Weise zu erweitern (sog. dialektische Logik), die den Satz vom
Widerspruch außer Geltung setzt.[3] Damit versuchte Hegel, die Kantische
Widerlegung des sogenannten 'Dogmatismus in der Metaphysik' zu umgehen. Der
Wissenschaftstheoretiker Karl Popper kommentiert: „Diese Widerlegung [Kants]
betrachtet Hegel als gültig nur für Systeme, die metaphysisch in seinem engeren
Sinne sind, jedoch nicht für den dialektischen Rationalismus, der die
Entwicklung der Vernunft berücksichtigt und deshalb Widersprüche nicht zu
fürchten braucht. Indem Hegel die Kantische Kritik in dieser Weise umgeht,
stürzt er sich in ein äußerst gefährliches Abenteuer, das zur Katastrophe
führen muss; denn er argumentiert etwa folgendermaßen: ‚Kant widerlegte den
Rationalismus durch die Feststellung, er müsse zu Widersprüchen führen. Dies
gebe ich zu. Aber es ist klar, dass dieses Argument seine Stärke aus dem Gesetz
vom Widerspruch ableitet: es widerlegt nur solche Systeme, die dieses Gesetz
akzeptieren, also solche, die beabsichtigen, frei von Widersprüchen zu sein.
Das Argument ist nicht gefährlich für ein System wie das meinige, das bereit
ist, Widersprüche zu akzeptieren – d.h. für ein dialektisches System.‘ Es
besteht kein Zweifel, dass Hegels Argument einen Dogmatismus von äußerst
gefährlicher Art aufrichtet - einen Dogmatismus, der keinerlei Angriff mehr zu
fürchten braucht [siehe Immunisierungsstrategie]. Denn jeder Angriff, jede
Kritik irgendwelcher Theorie muß sich auf die Methode stützen, irgendwelche
Widersprüche aufzuzeigen, entweder in einer Theorie selbst oder zwischen einer
Theorie und irgendwelchen Fakten […].“[4] Logisches Quadrat Das
logische Quadrat Unter der Voraussetzung, dass ihre Subjekte keine leeren
Begriffe sind, bestehen zwischen den unterschiedlichen Aussagentypen
verschiedene Beziehungen: Zwei Aussagen bilden einen kontradiktorischen
Gegensatz genau dann, wenn beide weder gleichzeitig wahr noch gleichzeitig
falsch sein können, mit anderen Worten: Wenn beide unterschiedliche
Wahrheitswerte haben müssen. Das wiederum ist genau dann der Fall, wenn die
eine Aussage die Negation der anderen ist (und umgekehrt). Für die
syllogistischen Aussagentypen trifft das kontradiktorische Verhältnis auf die
Paare A–O und I–E zu. Zwei Aussagen bilden einen konträren Gegensatz genau
dann, wenn sie zwar nicht beide zugleich wahr, wohl aber beide falsch sein
können. In der Syllogistik steht nur das Aussagenpaar A–E in konträrem
Gegensatz. Zwei Aussagen bilden einen subkonträren Gegensatz genau dann, wenn
nicht beide zugleich falsch (wohl aber beide zugleich wahr) sein können. In der
Syllogistik steht nur das Aussagenpaar I–O in subkonträrem Gegensatz. Zwischen
den Aussagetypen A und I einerseits und E und O andererseits besteht ein
Folgerungszusammenhang (traditionell wird dieser Folgerungszusammenhang im
logischen Quadrat Subalternation genannt): Aus A folgt I, d. h., wenn alle S P
sind, dann gibt es auch tatsächlich S, die P sind; und aus E folgt O, d. h.,
wenn keine S P sind, dann gibt es tatsächlich S, die nicht P sind. Diese
Zusammenhänge werden oft in einem Schema, das unter dem Namen „Logisches
Quadrat“ bekannt wurde, zusammengefasst (siehe Abbildung). Die älteste bekannte
Niederschrift des logischen Quadrats stammt aus dem zweiten nachchristlichen
Jahrhundert und wird Apuleius von Madauros zugeschrieben. Grice: “Colletti
takes negation more seriously than Popper does. Colletti examines Hegel’s
target, which is Kant’s distinction between ‘real opposition’ or ‘real
repugnance’ and ‘dialectical contradiction.’ Both can combine. Hegel indeed
wishes to go beyond the principle of non-contradiction instituted in Velia by
Parmenides. The Italian language allows for some distinction that the English
language doesn’t. There’s the opposto, which is combined of posto, posto is
cognate with ponere, as in modus ponens, and it’s also the root for ‘positive’
(as opposed to negative, or strictly, togliere, tollere modus tollens – to
deny). So the the posto, we have the opposto. On the other hand, there’s the
‘contra’, which translates Greek ‘anti’ – so that ‘apophasis’ becomes
‘contra-dictio’ where ‘dictio’ is cognate with ‘deixis,’ and so more to do with
dictiveness and indicativeness than with ‘vocalisation’. The Germans deal with
the widerspruch but that’s THEIR problem. So to the posto we have the opposto.
But after Cicero, the use of ‘contrario’ becomes important. Il contrario and
l’opposto then pretty much covered all I failed to see back with my ‘Negation
and privation,’ and my later lectures on ‘Negation’ simpliciter. Both Kant,
Hegel Colletti, and I, allow for ~ being all we need!” Lucio Colletti. Keywords:
curiazi, ovvero, filosofia romana, opposition, negazione, la contraddizione
dialettica e la non-contraddizione – hegel – Oxford Hegelian, “Negation and
Privation” “Negation” “Privation” “The Square of Opposition” Das Quadrat –
contradictum – the deicticness of the dictum – contra – counter – anti – antithesis
– apo-phasis – ob-positum – contrarium, il contrario, l’opposto, contra-dictio
and contrario, il contrario, il contradditorio, dialettica ateniese, dialettica
oxoniana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Colletti” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51773361575/in/dateposted-public/
Grice e Colli – espressione – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo. Grice: “I love Colli –
his ‘filosofia dell’espressione’ is much more serious than my ramblings, well
meant, though, on Peirce! I was only trying to be fashionable! At Oxford, they
loved my lecture on ‘meaning,’ which got me into ‘implying,’ and eventually,
‘expressing.’ – My unity developed – Colli was born with it!” Insegna a Pisa. Di
una facoltosa famiglia, il padre amministra “La Stampa”, incarico dal quale fu
poi estromesso all'indomani della marcia su Roma, su ordine di Mussolini.
Studia a Torino, laureandosi sotto Solari con “Politicità ellenica e Platone”.
Scorse nella tradizione filosofica classica greco-romana l'autentico
"logos" a cui ritornare. Lo stile di scrittura, profondo e
costellato di aforismi taglienti, si caratterizza da un'attenzione maniacale
alla musicalità del discorso. Questa dote musicale emerge con chiarezza dalle
letture di alcuni passi di Colli recitati da Bene. Il suo saggio principale è
“Filosofia dell'espressione” che fornisce, mediante una complessa teoria delle
categorie e della deduzione, un'interpretazione della totalità della
manifestazione come “espressione” di qualcosa (l'immediatezza) che sfugge alla
presa della conoscenza. Comunque, ritiene che sia possibile riguadagnare il
fondamento metafisico del mondo portando il discorso filosofico ai suoi estremi
limiti e "(di)mostrando" la natura derivata del logos. Importante il
suo contributo su i filosofi italici Gorgia, Zenone, e Girgentu, e le figure di
Bacco ed Apollo, dismisura e misura. Al tentativo di interpretare gli enigmi di
questi culti a-logici, fra i quali quelli oracolari, viene fatta risalire l'origine
remota della dialettica. Altre opere: “Filosofia dell'espressione” (Adelphi, Milano);
“Dopo Nietzsche” (Adelphi, Milano); “La nascita della filosofia. Adelphi, Milano);
“La sapienza greca” “Dioniso, Apollo, Eleusi, Orfeo, Museo, Iperborei, Enigma”
(Adelphi, Milano); “La sapienza greca” “Epimenide, Ferecide, Talete, Anassimandro,
Anassimene, Onomacrito” (Adelphi, Milano); “La sapienza greca”; “Eraclito”
(Adelphi, Milano); “Nietzsche” (Adelphi, Milano); “La ragione errabonda” (Adelphi,
Milano); “Per una enciclopedia di autori classici” (Adelphi, Milano); “La
Natura ama nascondersi” (Adelphi, Milano); “Zenone di Velia” (Adelphi, Milano);
“Gorgia e Parmenide” (Adelphi, Milano); “Introduzione a Osservazioni su
Diofanto di Pierre de Fermat. Bollati Boringhieri, Torino); “Platone politico”
(Adelphi, Milano); “Il sovro-umano” (Adelphi, Milano); “Apollineo e dionisiaco”
(Adelphi, Milano); “Girgentu” (Adelphi, Milano); “Platone: la lotta dello
spirito per la potenza, Einaudi, Torino); Da Hegel a Nietzsche, Einaudi,
Torino); Organon, Einaudi, Torino); Critica della ragion pura, a cura e tr. di
Giorgio Colli, Einaudi, Torino); “Simposio” (Adelphi, Milano); Parerga e
paralipomena” (Adelphi, Milano); Nietzsche (Classici Adelphi) Scritti giovanili; La nascita della tragedia;
Considerazioni inattuali; La filosofia nell'epoca tragica dei Greci; Frammenti
postumi; Wagner a Bayreuth; Considerazioni inattuali, Umano, troppo umano,
Aurora; Idilli di Messina; Così parlò Zarathustra; Al di là del bene e del
male; Genealogia della morale; Wagner; Crepuscolo degli idoli; L'anticristo; Ecce
homo; Nietzsche contra Wagner, Ditirambi di Dioniso e Poesie postume;
Epistolario (Adelphi, Milano); Sull'utilità e il danno della storia per la vita
(Adelphi, Milano); Sull'avvenire delle nostre scuole” (Adelphi, Milano); La mia vita (Adelphi, Milano); La nascita
della tragedia” Adelphi, Milano); L'uomo di fede e lo scrittore, Adelphi,
Milano); Schopenhauer come educatore, tr. di Mazzino Montinari, Adelphi,
Milano); “Lettere da Torino” (Adelphi, Milano); “Il servizio divino dei greci”
(Adelphi, Milano); Lo Specchio di Dioniso” (Dedalo, Bari); Dizionario
biografico degli italiani, Implicazioni estetiche
in Colli; Misura e dismisura. Per una rappresentazione di Colli, ERGA, Genova);
L’enigma greco; Apollineo e dionisiaco in Colli, in Clemente Tafuri e David
Beronio, Teatro Akropolis. Testimonianze ricerca azioni, vol II,
AkropolisLibri, Genova); I Greci: annotazioni su alcune traduzioni, in
"Episteme", Mimesis Edizioni, Milano); Il Girgentu di Colli, Luca
Sossella Editore, Roma. Giorgio Colli. Colli. Keywords: espressione, L’Apollo romano, L’appollo d’etruria, La
mesura d’Apollo, la dismisura di Bacco; l’enigma filosofico, Bacco, Nietzsche,
Girgentu, Velia, Crotone, Gorgia, Zenone di Velia. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Colli: l’implicatura di Bacco.” https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51686202260/in/photolist-2mSEtHs-2mSMmGg-2mSsmMU-2mRjrN1-2mQPiYS-2mQAguG-2mQxzwE-2mQjVch-2mPTNKh-2mPJYbw-2mPvJmk-2mNzeEc-2mN1wvj-2mMZzKx-2mMRLT9-2mPnLLb-2mLD3NK-2mKTjot-2mLznXk-2mKDUFV-2mKSk8n-2mKM1De-2mPYoE5-2mKG3XG-2mKRy6y-2mKRu2r-2mKbok1-2mJpFSS-CkaHMd-hSTpSd-2mKfEK1-2mKj3f2-2mKkidh-2mKbDfw-2mKgF2t-2cu7Hur-DcDDsS-AJp6ja-jkW6UL-jkLbzM-jkL81T-jkTfPx-jkTLNG-jkMzHr-jkNwNs-jfXqCL-jhL2qR-jhLapC-hJHSQv-hJGf7v
Grice e Collini – naturalismo e naturismo
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Grice: “If you love
birds, you love Collini – he loved ‘pterodattili,’ though and made nice
drawings of them, as they fought with ‘uomini’!” Discendente di una nobile
famiglia, studia a Pisa. Si trasferì a Coira. Collini venne descritto come
scontroso, spesso in litigio. A lui si deve la descrizione dello pterodactylus,
un rettile volante, o pterosauro o pterodattilo. Denuncia il fanatismo durante
le guerre rivoluzionarie francesi in Europa. Grice: “I often wondered why the
conte would flee his family seat in lovely Tuscany for the darker landscapes of
the North – till I found out the reason: he had helped one of his noble friends
(Ottavio) to do some evil-act on a nobile gentildonna (Malspina): so he had no
choice!”. Altro Italiano non ricordato dal
Lucchesini, forse perchè assai più tardi aggregato all'Accademia, è Cosimo
Alessandro Collini, nato a Firenze. Narra il Denina (1) che, mentre ea Pisa,
aiuta a Domenico Eusebio Chelli, da famglia civile di Livorno, nel ratto della
marchesa Gabbriella Malaspina, sicchè dovette fuggirsene (2). Dopo essersi
fermato a Coira, va a Berlino raccomandato da una signora M. (egli stesso non
ne dà che l’iniziale) abitante in Firenze, amica di famiglia e sorella della
Barberina. Accolto da questa, ormai signora Coccei, con molta benevolenza,
attesea studiare, e con baldanza, quando Voltaire venne a Berlino, si presenta
a lui, che lo riceve amorevolmente dicendogli, la Toscana è stata una nuova
Atene e i toscani sono stati i nostri maestri. Gli si raccomandò per trovare
un'occupazione e n’ebbe lusinghiere promesse. Ma il tempo scorreva e il conte
ha fretta, sicchè pensa di valersi, oltre che della ballerina, anche di una
celebre cantante, l’Astrua, che gli ottenne il posto di segretario dello stesso
Voltaire. Stette con lui copiando i suoi lavori e leggendogli la sera il
Boccaccio e l'Ariosto – l’uno pienamente con tento dell'altro. “Mon
secrétaire», scrive il Voltaire al Thiriot, “est un florentin, très-aimable,
tres-bien né, et qui merite, mieux que moi, d'être de l'Académie della Crusca.
Fu compagno al filosofo poeta anche nella sua fuga dalla Prussia e nelle sue pe
regrinazioni e vicissitudini per la Germania, la Francia e la Svizzera. Ma nper
una lettera nella quale scherzava su mad. Denis, si separa da Voltaire, che
tuttavia continua a volergli bene e a corrisponder con lui; e sulle
raccomandazioni del Voltaire passa al servizio dell'elettor palatino, che lo
fece suo bibliotecario e segretario dell'Accademia di Mannheim. Scrive saggi
sulla storia della Germania e su quella del Palatinato, ma più ch'altro di
mineralogia. È lodato anche un suo volume di Lettres sur les Allemands,
pubblicato anonimo a Mannheim nel 1784, cui un altro doveva seguirne sulla
letteratura tedesca.E là dove aveva trovato una seconda patria e una onorevole
residenza, mori nel 1806. All'Accademia,alla quale forse furono ascritti anche
altri Ita liani oltre quelli ricordati qui e più addietro,e cui è da aggiun
gere G. B. Morgagni (3), si riferisce questo brano di lettera del (2) Il
COLLINI stesso nel suo libro Mon séjour auprès de Voltaire et Lettres inédites
que m'écrivit cet homme célèbre,ecc.,Paris,Collin,1807, confessa (pag. 5) la
fuga dalla patria e dalla famiglia, m a ne dà per m o tivo una giovanile
vaghezza di conoscere il mondo e gli uomini. L'esemplare
tipo dell'animale ora conosciuto come Pterodactylus antiquus è stato uno dei
primi fossili di pterosauro scoperti e il primo ad essere identificato. Il
primo esemplare di Pterodactylus fu descritto dallo scienziato italiano Cosimo
Alessandro Collini, nel 1784, sulla base di un scheletro fossile, portato alla
luce dai calcari di Solnhofen, di Baviera. Collini fu il curatore della
"Naturalienkabinett", o "camera delle meraviglie"
(l'antenato del moderno concetto di Museo di Storia Naturale), nel palazzo di
Carlo Teodoro, elettore di Baviera, a Mannheim.[17] Il campione era stato
affidato alla raccolta, dal conte Friedrich Ferdinand zu Pappenheim,
probabilmente intorno al 1780, dopo essere stato recuperato da un calcare
litografico nella cava di Eichstätt.[18] La data effettiva della scoperta e
l'ingresso del campione nella collezione è sconosciuto. Non è stato menzionato
in nessun catalogo della collezione, preso nel 1767 quindi deve essere stato
acquistato tra il 1767 e il 1784, anno della descrizione di Collini. Ciò
potrebbe rendere il fossile il primissimo pterosauro descritto; Nel 1779 fu
descritto una seconda specie chiamata Pterodactylus micronyx (oggi conosciuto
come Aurorazhdarcho micronyx) che però era stata inizialmente scambiata per un
fossile di crostaceo.[19] Ricostruzione di Wagler, del 1830, su uno
stile di vita acquatico per Pterodactylus Collini, nella sua prima descrizione
del campione di Mannheim, concluse che si trattava di un animale volante. In
realtà, Collini non riusciva a capire di che tipo di animale si trattasse, ma
lo accostò ad uccelli e pipistrelli, per via di alcun affinità anatomiche. Più
avanti lo stesso Collini ipotizzò addirittura che potesse trattarsi di un
animale acquatico. Tale ipotesi non venne avanzata su rigori scientifici ma su
una supposizione di Collini che pensava che le profondità dell'oceano potevano
ospitare animali stravaganti.[20][9] Nel 1830, l'idea che gli pterosauri
fossero animali marini persisteva ancora in una minoranza di scienziati tra cui
lo zoologo tedesco Johann Georg Wagler, che pubblicò nel suo testo intitolato
"Anfibi", un articolo che vedeva gli pterosauri come animali marini
con ali disegnate come pinne, ispirandosi ai moderni pinguini. Wagler si spinse
fino a classificare lo Pterodactylus, insieme ad altri vertebrati acquatici
(come plesiosauri, ittiosauri e monotremi), nella classe Gryphi, tra uccelli e
mammiferi.[21] Prima ricostruzione di uno pterosauro al mondo ad
opera di Hermann, nel 1800 Fu lo scienziato francese/tedesco Johann Hermann che
per primo dichiarò che il lungo quarto dito della mano dello Pterodactylus
venisse usato per sostenere una membrana alare. Nel mese di marzo del 1800,
Hermann fu allertato dallo scienziato francese George Cuvier dell'esistenza del
fossile di Collini, che era stato catturato dagli eserciti di occupazione di
Napoleone e inviato alle collezioni francesi a Parigi, come bottino di guerra;
in seguito alcuni commissari politici francesi sequestrarono i tesori d'arte e
gli oggetti di valore scientifico. Hermann in seguito inviò una lettera a
Cuvier, dove vi era scritta la sua interpretazione del fossile (anche se lui
non aveva esaminato personalmente), dichiarando che l'animale doveva trattarsi
di un mammifero, e inviò anche una bozza di come doveva apparire in vita
l'animale. Fu la prima ricostruzione artistica per uno pterosauro al mondo.
Hermann disegnò l'animale con una membrana alare che si estendeva dalla fine
del quarto dita fino alle caviglie e ricoperto da pelliccia,(all'epoca il
fossile non presentava ne segni di membrana alare ne di pelliccia). Hermann nel
suo schizzo aggiunse anche una membrana tra il collo ed il polso, come quella
presente oggi nei pipistrelli. Cuvier d'accordo con questa interpretazione, e
su suggerimento di Hermann, pubblicò questa nuova descrizione nel dicembre del
1800.[9] In uno scritto Cuvier dichiarò che, "Non è possibile mettere in
dubbio che il lungo dito servisse a sostenere un membrana che, allungandosi
all'estremità anteriore di questo animale, formava una buona ala."[22]
Tuttavia, contrariamente a Hermann, Cuvier era convinto che l'animale fosse un
rettile. In realtà l'esemplare non era stato sequestrato dai francesi.
Infatti, nel 1802, dopo la morte di Carlo Teodoro, il fossile fu portato a
Monaco di Baviera, dove il barone Johann Paul von Carl Moll, aveva ottenuto
un'esenzione generale della confisca per le collezioni bavaresi. Cuvier chiese
a von Moll il permesso di studiare il fossile, ma fu informato che il pezzo non
fu trovato. Nel 1809, Cuvier pubblicò una descrizione un po' più a lunga, in
cui l'animale veniva chiamato "Ptero-dactyle" e confutava l'ipotesi
di Johann Friedrich Blumenbach, che sosteneva che l'animale fosse un uccello
marino. Ricostruzione inesatta di P. brevirostris, da parte di Von
Soemmerring, del 1817 Contrariamente a rapporto di von Moll, il fossile non è
mancata; fu oggetto di studio da parte di Samuel Thomas von Sömmerring, che
tenne una conferenza pubblica sul fossile il 27 dicembre 1810. Nel mese di
gennaio del 1811, von Sömmerring scrisse una lettera al Cuvier deplorando il
fatto che era da poco stato informato della richiesta di Cuvier per
informazioni. La sua conferenza fu pubblicata nel 1812, e in essa von Sömmerring
diede alla creatura il nome di Ornithocephalus antiquus.[23] Qui l'animale fu
descritto come un mammifero simile ad un pipistrello ma con caratteristiche da
uccello. Cuvier in disaccordo con tale descrizione, lo stesso anno fornì una
lunga descrizione nella quale ricordò che l'animale era in realtà un
rettile.[24] Nel 1817 fu rinvenuto un secondo esemplare di Pterodactylus,
ancora una volta a Solnhofen. Questo esemplare rappresentato da un giovane fu
descritto nuovamente da von Soemmerring, come Ornithocephalus brevirostris, per
via del muso corto, avendo tuttavia capito che si trattava di un esemplare più
giovane (oggi si sa che questo fossile appartiene ad un altro genere di
pterosauro, probabilmente un Ctenochasma[3]). Von Sommerring fornì anche uno
schizzo dello scheletro[9] che in seguito si rivelò essere sbagliato e
impreciso, in quanto von Soemmerring aveva scambiando il metacarpo per le ossa
del braccio inferiore, il braccio inferiore per l'omero, il braccio superiore
per lo sterno e lo sterno per una scapola.[25] Tuttavia Soemmerring rimase per
sempre fedele alla sua idea dello Pterodactylus. Lo avrebbe sempre immaginato
come un animale simile ad un pipistrello, anche se a seguito di alcune ricerche
nel 1860 ammise che l'animale era un rettile. Tuttavia l'immaginario collettivo
dell'animale rimaneva quello di una creatura quadrupede, goffa a terra,
ricoperta di pelo, a sangue caldo e con una membrana alare che si attaccava
alle caviglie.[26] In epoca moderno (2015) alcuni di questi elementi sono stati
confermati, alcuni smentiti, mentre altri rimangono ancora oggi in
discussione. Paleobiologia Classi d'età Esemplare giovane di P.
antiquus Come molti altri pterosauri (in particolare il Rhamphorhynchus),
l'aspetto degli esemplari di Pterodactylus varia a seconda dell'età e in base
al livello di maturità. Le proporzioni di entrambe le ossa degli arti, le
dimensioni e la forma del cranio e le dimensioni e il numero dei denti possono
stabilire a quale classe di età appartiene l'animale. In passato queste
differenze morfologiche hanno portato a credere che si trattassero di specie
distinte con caratteristiche anatomiche differenti. Recenti studi più
dettagliati e che utilizzano nuovi metodi per misurare le curve di crescita
degli esemplari noti, hanno stabilito che in realtà vi è un'unica specie di
Pterodactylus ritenuta valida ossia, P. antiquus.[6] Il più giovane e
immaturo campione di P. antiquus (da alcuni interpretato come facente parte di
una seconda specie chiamata Pterodactylus kochi) possiede pochi denti e i pochi
che possiede hanno una base relativamente ampia.[4] I denti di altri esemplari
di P. antiquus hanno denti più stretti e numerosi (fino a 90).[6] Tutti i
campioni di Pterodactylus possono essere suddivisi in due diverse classi di età.
Nella prima classe, rientrano gli esemplari i cui crani hanno una lunghezza
complessiva che va dai 15 ai 45 millimetri di lunghezza. Nella seconda classe,
invece, rientrano gli esemplari i cui crani hanno una lunghezza complessiva che
va dai 55 ai 95 millimetri di lunghezza, ma sono ancora immaturi. Questi due
primi gruppi di dimensione erano a loro volta classificati come giovani e
adulti della specie P. kochi, fino a che un nuovo studio ha dimostrato che
anche quelli che si credevano "adulti" erano comunque esemplari
immaturi, e probabilmente appartengono ad un genere distinto. Una terza classe
è rappresentata da esemplari specie tipo P. antiquus, così come un paio di
grandi esemLplari isolati, una volta assegnati a P. kochi che si sovrappongono
P. antiquus per dimensioni. Tuttavia, tutti i campioni di questa terza classe
mostrano anche segni di immaturità. L'aspetto degli esemplari completamente
maturi di Pterodactylus esemplari rimane tuttora sconosciuto, oppure potrebbero
essere stati erroneamente classificati come un genere diverso.[4]
Crescita e riproduzione Bacino fossile di un grande esemplare, riferito
alla dubbia specie P. grandipelvis Le classi di crescita degli esemplari di P.
antiquus mostrano che questa specie, come il contemporaneo Rhamphorhynchus
muensteri, probabilmente allevava i piccoli in determinate stagioni e questi
crescevano costantemente durante tutta la vita. Quindi la riproduzione e il
conseguente allevamento dei cuccioli avveniva ad intervalli regolari e
probabilmente in ogni stagione.[4][27] Molto probabilmente poco dopo la nascita
i cuccioli erano già in grado di volare ma dipendevano ancora dai genitori per
la nutrizione. Questo modello di crescita è molto simile a quello dei moderni
coccodrilli, piuttosto che alla rapida crescita dei moderni uccelli.[4]
Stile di vita Dal confronto tra gli anelli sclerali di P. antiquus con quelli
di moderni uccelli e rettili si è scoperto che lo Pterodactylus aveva uno stile
di vita diurno. Questo coinciderebbe con la sua nicchia ecologica, che lo
vedrebbe come un predatore simile all'odierno gabbiano, evitando inoltre la
competizione con altri pterosauri suoi contemporanei che in base agli anelli
sclerali sono stati giudicati notturni, come il Ctenochasma e il
Rhamphorhynchus.[28] Paleoecologia Durante la fine del Giurassico,
l'Europa era un arcipelago asciutto e tropicale ai margini del mare Tetide. Il
calcare fine, in cui gli scheletri di Pterodactylus sono stati ritrovati, è
stato formato dalla calcite delle conchiglie e degli organismi marini. Le varie
aeree tedesche dove sono stati ritrovati gli esemplari di Pterodactylus erano
lagune situate tra le spiagge e le barriere coralline delle isole europee
Giurassiche nel Mare Tetide. I contemporanei di Pterodactylus, includono
l'avialae Archaeopteryx lithographica, il compsognatide Compsognathus, svariati
pterosauri come Rhamphorhynchus muensteri, Aerodactylus, Ardeadactylus,
Aurorazhdarcho, Ctenochasma e Gnathosaurus, il teleosauride Steneosaurus sp.,
l'ittiosauro Aegirosaurus, e i metriorhynchidi Dakosaurus e Geosaurus. Gli
stessi sedimenti in cui sono stati ritrovati gli esemplari di Pterodactylus
hanno riportato alla luce anche diversi fossili di animali marini quali pesci,
crostacei, echinodermi e molluschi marini, confermando l'habitat costiero di
questo pterosauro. L'enorme biodiversità di pterosauri presenti nei Calcari di
Solnhofen, indica che quest'ultimi si erano differenziati tra di loro occupando
ogni possibili nicchia ecologica disponibile.[29] Note ^ Fischer von
Waldheim, J. G. 1813. Zoognosia tabulis synopticus illustrata, in usum
praelectionum Academiae Imperialis Medico-Chirurgicae Mosquenis edita. 3rd
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Paläontologie, Abhandlungen, vol. 210, 1998, pp. 421–441. ^ Cuvier, G., Mémoire
sur le squelette fossile d'un reptile volant des environs d'Aichstedt, que
quelques naturalistes ont pris pour un oiseau, et dont nous formons un genre de
Sauriens, sous le nom de Petro-Dactyle, in Annales du Muséum national
d'Histoire Naturelle, Paris, vol. 13, 1809, pp. 424–437. Taquet, P., and
Padian, K., The earliest known restoration of a pterosaur and the philosophical
origins of Cuvier's Ossemens Fossiles, in Comptes Rendus Palevol, vol. 3, n. 2,
2004, pp. 157–175, DOI:10.1016/j.crpv.2004.02.002. ^ Cuvier, G., 1819,
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"Über einen Ornithocephalus oder über das unbekannten Thier der Vorwelt,
dessen Fossiles Gerippe Collini im 5. Bande der Actorum Academiae
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beschrieb, und welches Gerippe sich gegenwärtig in der Naturalien-Sammlung der
königlichen Akademie der Wissenschaften zu München befindet",
Denkschriften der königlichen bayerischen Akademie der Wissenschaften, München:
mathematisch-physikalische Classe 3: 89–158 ^ Cuvier, G. (1812). Recherches sur
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Press, Seattle and London ^ Wellnhofer, P. (1970). Die Pterodactyloidea
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Press. Biografia Steve Parcker John Malam, Dinosauri e altre creature
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Pterosauri. Il conte Cosimo Alessandro Collini. Keywords: naturalismo,
naturismo, pterodattilo, filosofia, pisa, Firenze, nobilita, coira. Pterodattilo.
Polemica filosofica, Domenico Eusebio Chelli, marchesa Gabbriella Malaspina, Voltaire
e la Toscana, “Firenze come una nuove Atene”, Collini su Ariosto e Boccaccio,
Collini makes fun of Voltaire’s daughter. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Collini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689833619/in/photolist-2mKDUFV
Grice e Colombe – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Firenze).
Filosofo. Grice: “If you love stars, as any philosopher must – vide Thales! –
you LOVE Ludovico who refuted Kepler’s idea that the thing next to the
serpentary’s foot was a ‘star,’ never mind ‘nova’!” Noto per essere stato uno
strenuo avversario di Galilei. Non si sa
quasi nulla della sua vita, ma restano diverse sue saggi, nelle quali difende
la dottrina aristotelica con un particolare disinteresse sia verso le nuove
osservazioni sia verso la coerenza logica.
Scrisse un discorso sulla nuova stella apparsa sostenendo che si tratta
di una stella non nuova, ma esistente da sempre. Scrisse un discorso Contro il
moto della Terra. Per conciliare le
osservazioni di Galilei sulle irregolarità della superficie lunare con la
concezione aristotelica della perfetta sfericità dei corpi celesti sostenne che
le valli e gli spazi tra i monti della luna sono colmati da un materiale
perfetto e invisibile. Contrario all’idrostatica archimedea recuperata da
Galileo, nel suo Discorso apologetico, sostenne che il galleggiare o l’affondare
dei corpi dipendesse dalla loro forma. Nella conclusione del discorso usa anche
una metafora di questa teoria, affermando che le ragioni dell'avversario per
essere troppo argute e sottili vanno a fondo senza speranza di ritornare a
galla, mentre quelle di Aristotele, per essere di forma larga e quadrata, non
possono affondare in nessun modo. Sono rimaste anche lettere tra il Delle
Colombe e Galileoi che stimava pochissimo il suo avversario, che aveva
soprannominato Pippione. Vari accenni a questo personaggio sono nella
corrispondenza tra Galilei e i suoi amici. Dizionario Biografico degli
Italiani, Amici e nemici di Galileo, Milano, Bompiani. Aristotelismo. Grice:
“If I had to choose between Colombe-Aristotle to Galielei-Plato, I chose the
former!” -- Colombo. Colombe. Ludovico delle Colombe. Ludovico Colombo.
Keywords: the irregular surface of the moon is filled by an invisible
substance, the earth does not move, the ‘nuova’ stella is a misnomer: it has
always existed; bodies float or sink according to their shape. Aristotle’s
reasons never sink because they are square. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Colombe” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691918564/in/photolist-2mMLXtT-2mKQAtf
Grice e Colombo – idealism tocano –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Grice: “I love Colombo
as I love Wilde – I mean, the sponsor of the Wilde Lectures on Natural
Religion! Colombo wonders, ‘can ‘theologian’ be written under ‘profession’?
Surely, like me, Colombo distinguishes between theologian and philosophical
theologian – if there is no such distinction, and I’m not sure there is –
perhaps there shouldn’t be, Colombo would say, the ‘philosophical’ in my
‘philosophical eschatology’ is totally otiose and anti-Griceian!” Insegna a
Milano. Si è occupato di antropologia, metafisica e la filosofia italiana --
Rosmini, Martinetti, Volpe, ad Aosta. Altre opere: “Senzo e atto” (Studium,
Roma). La morale communitaria (CUSL, Milano); “Pietra angolare: l’chiesa
d’Inghilterra” (CUSL-Centro Toniolo, Milano-Verona); “Antropologia” (Massimo,
Milano), “L’immanente e il trascendente”; “La correttezza del nome nel Cratilo
– il nome corretto -- in L’origine del
linguaggio (Celestian Milani), Demetra, Verona; Il ri-ordino dei cicli
scolastici, in "Quaderno di Iter", “Filosofia come soteriologia:
L'avventura di Piero Martinetti (Vita e Pensiero, Milano); “Il giusto prezzo
della felicità, -- reasonable or rational? -- Edizioni ISU-Università
Cattolica, Milano); “Antropologia ed etica (EDUCatt, Milano). Forme e modelli del
pensiero filosofico. Introdurre alla comprensione e uso
dei linguaggi e degli strumenti specifici
della metafisica, dell’antropologia, dell’etica;- all’acquisizione
di abilità critiche e analitiche per comprendere le dinamiche del vissuto,
della società e della storia contemporanea dell’uomo occidentale. Salute
e salvezza dell’uomo. Il senso
della cura e dell’educazione. Una
sfida per la ragione e per la fede.Valutazione
critica del rapporto
metafisica-antropologia-soteriologia in tre momenti della storia
dell’Occidente. Il mondo antico-classico greco-romano. Il mondo nuovo
Cristiano. Il mondo moderno e post-moderno.BIBLIOGRAFIA G. coLomBo, I Greci e
l’amore incerto: grandezza e aporia dell’eros platonico: il Simposio,
ISU-Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, S. kierkeGaard,
La malattia mortale (qualsiasi edizione, purché completa):
ai fini della prova d’esameè
richiesta la conoscenza della sola Prima parte: La malattia mortale è la
disperazione;J. p. SarTre, L’esistenzialismo è un umanismo,
Armando, Roma, 2006 (o altra edizione, purché completa).DIDATTICA DEL
CORSOLezioni in aula, ricerche e percorsi personalizzati.METODO DI
VALUTAZIONEEsame orale finale, valutazione di eventuali elaborati scritti o
relazioni orali. 75AVVERTENZEIl docente è a disposizione degli studenti per
ogni chiarimento didattico e contenutistico, per l’assegnazione delle tesi di
laurea e l’assistenza necessaria alla loro elaborazione.Il docente riceve
durante il periodo di lezione presso lo studio universitario, martedì e giovedì
h. 10.00-11.30. Pausania, do not multiply loves beyond necessity –
l’ambiguita di ‘amore’ – L’Afrodita celeste no participa della natura femmina,
solo della natura ‘maschile’. Pausania
parla solo a maschi, ai maschi virili, al maschio virile. L’amante o amatore e
maschio virile, l’amato o l’innamorato e maschio virile. L’amore celeste
(ouranios) participa solo della natura maschile. Criterio d’amabilita,
l’amabile. Giuseppe Colombo. Keywords: idealism Toscano, atto, attualismo,
actualism, actum, senzo, sensus, sense, morale communitaria, pietra angolare,
Chiesa d’Inghilterra, Cratilo, origine del linguaggio, glossogenia, glossotesi,
gossogenetic, semio-genesi, il soteriologico, immanente/trascendente, aporia
dell’amore platonico, eikesia, ‘Daddy wouldn’t buy be a wow wow’ true iff Daddy
wouldn’t buy me a bow wow – correctness of iconicity of ‘daddy’ and ‘bow wow’
--. Heteroerotismo – Il discorso di
Alcibiade – analisi del simposio, l’elogio dell’eros. Il discorso di Pausania.
Ero demone. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Colombo” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51773078394/in/dateposted-public/
Grice e Colonna – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo. There is already an
entry for this; in Italian it is ‘Egidio Colonna’ -- giles di roma, Rome, original name, a member
of the order of the Hermits of St. Augustine, he studied arts at Augustinian
house and theology at the varsity in Paris but was censured by the theology
faculty and denied a license to teach as tutor. Owing to the intervention of
Pope Honorius IV, he later returned from Italy to Paris to teach theology, was
appointed general of his order, and became archbishop of Bourges. Colonna both
defends and criticizes views of Aquinas. He held that essence and existence are
really distinct in creatures, but described them as “things”; that prime matter
cannot exist without some substantial form; and, early in his career, that an
eternally created world is possible. He defended only one substantial form in
composites, including man. Grice adds: “Colonna supported Pope Boniface VIII in
his quarrel with Philip IV of Franc eand that was a bad choice.” The Latin is
EGIDIVS COLUMNA. The “Corriere” has an article as his book being a bestseller
of the Low Middle Ages!” Cosnisder the claims here: ‘essence and existence are
really distinct in creatures – and each is a thing – prime matter cannot exist
without substantial forml – eternal and created world is not a contradiction –
there is only ONE substantial form in compostes, including man. Grice: “Must say I LOVE Colonna, or
COLVMNA as the printing goes – of course the “Corriere della Sera” hastens to
add that he wassn’t one! In any case, my favourite of his tracts is of course
the one on Aristotle!”. Egidio Romano, O.E.S.A. arcivescovo della Chiesa
cattolica Filip4 Gilles de RomeEgidio Romano e Filippo il Bello (miniatura di
un codice medievale). Incarichi ricopertiArcivescovo di Bourges
Nato Roma Nominato arcivescovo Roma Manuale Egidio Romano,
latinizzato come Ægidius Romanus. Dopo la sua morte, gli furono tributati i
titoli onorifici di Doctor fundatissimus e Theologorum princeps. Discepolo
d'Aquino. Insegna filosofia. Fu inoltre il tutore di Filippo il Bello al quale
dedica il saggio “De regimine principum”, sostenendo l'efficacia della
monarchia come forma di governo. Considerato tra i più autorevoli filosofi di
ispirazione agostiniana, attivo anche nella vita intellettuale e politica in un
contesto culturale ed istituzionale travagliato da frequenti ed aspre polemiche
sul problema del rapporto tra potere temporale e potere spirituale. Generalmente
ricordato, insieme al prediletto allievo Giacomo da Viterbo, per il contributo
nella redazione della celebre bolla Unam Sanctam di Papa Bonifacio VIII e per
il ruolo significativo che assunse il Maestro degli Eremitani di Sant'Agostino
quale autore del De Ecclesiastica potestate e, dunque, quale teorico famoso e
autorevole della plenitudo potestatis pontificia. In Colonna rileviamo subito
una compresenza del duplice atteggiamento dottrinale e politico. Infatti è
possibile rintracciare, fra le opere giovanili, il “De regimine principum”,
saggio dedicato a Filippo il Bello e di ispirazione aristotelico-tomista inerente
alla naturalità dello stato, erigendola a difensore della potestas regale. Nel “De
Ecclesiastica potestate”, invece, afferma la superiorità del “sacerdotium” rispetto
al “rex” o “regnum”, distinguendosi quale rappresentante della teocrazia
papale. In seguito alle condanne di Tempier, difende la tesi d’Aquino, per
la sua qualifica di Baccalaureus formatus, ma, proprio a causa delle condanne
stesse, viene sospeso dall'insegnamento. Gli avversari del papato trovano in Aristotele
gli strumenti per svolgere un'analisi politica che metta in discussione la
sacralità del potere. Dall'altra parte troviamo l'influenza della corrente
speculativa dell'agostinismo politico (ossia quel fenomeno, tipicamente medioevale,
di compenetrazione fra stato e chiesa, all'interno del quale Agostino viene a
giocare un ruolo fondamentale dal momento che l'apporto teorico del suo “De
Civitate Dei” conduce a confusioni inevitabili fra il piano spirituale della “Civitas
Dei Caelestis” e il piano temporale della vita terrena che è “Civitas Peregrina”),
che ripropone la teoria delle “due città” e riafferma la superiorità del
sacerdotium rispetto al rex e regnum, costituendo un vero e proprio “partito
del Papa”. Rivendica la plenitudo potestatis come proprietà costitutiva
dell'auctoritas del Papa in quanto “homo spiritualis”. Sostituisce al concetto
agostiniano di “ecclesia” quello di “regnum” al fine di estendere gli ambiti
del potere del sovrano ecclesiastico. Il sovrano ecclesiastico, il Papa, dove
esercitare la sua sovranità anche sul potere temporale al fine di garantire
l'ordine mediante una forma di “dominium” che coincide con la sua stessa
missione spirituale. Atre opere: L'edizione critica dell'opera omnia è
stata intrapresa, per Olschki (Aegidii Romani opera omnia, collana Corpus
Philosophorum Medii AeviTesti e Studi), da Punta. “Quaestio de gradibus
formarum” Ottaviano Scoto, Boneto Locatello. “In secundum librum sententiarum
quaestiones” Francesco Ziletti); Opere, Antonio Blado; “In libros De physico
auditu Aristotelis commentaria”; Ottaviano Scoto; Boneto Locatello, “De materia
coeli” Girolamo Duranti, “Quodlibeta”. Silvia
Donati, Studi per una cronologia delle opere di Egidio Romano, “Le opere
prima”; “I commenti aristotelici”, "Documenti e studi sulla tradizione
filosofica medievale", Dizionario biografico degli italiani. DEL GOVERNO
DI SÈ. Del sommo bene. Quale è la maniera di parlare nella scienza de're e de'
principi. Quale è l'ordinanza delle cose che si debbono dire in questo libro. Come
grande utilitate ei re e' principi ånno in udire e in intendere e in sapere
questo libro. Quante maniere sono di vivare e come l'uomo die méttare il
sovrano bene di questa mortal vita in queste maniere di vivere. Com'è grande
utilità e a' re ed ai principi che ellino conoscano il loro fine e'l loro
sovrano bene di questa vita mortale. I re ne i principi, non debbano mettere il
loro sovrano bene in diletto corporale. I re ne i principi non debbono mettere il loro
sovrano bene in avere ricchezze. I re ne
i principi non debbono mettere il loro sovrano bene in avere onori. I re ne i
principi non debbono mettere il loro sovrano bene in avere gloria o gran rinomo
di bontà. Nè i re né i principi non debbono méttare il loro sovrano bene in avere
forza di gente. I re ne i principi debbono méttare el loro sovrano bene nelle
uopere della prudenzia cioé del senno. Come ei re e' principi debbono méttare
el loro sovrano bene nelle opere della prudenza e del. Il prezzo e'l guidardone
dei re e dei principi bene governanti il loro popolo, secondo legge e ragione,
è molto grande. senno. Della virtù. Quante potenze à l’anima e in quali potenze
e la virtù di una buona opera. Come la virtù di una buona opera e divisa nella
volontà e nell’intendimento dell'uomo. Quante virtù di buone opere sono, come
l'uomo die préndare il numero di esse. Delle buone disposizioni che l'uomo à,
alcune sono virtů , alcune sono più degne che virtù, alcune altre sono
apparigliate a virtù. Alcune virtú sono più degne d'alcune altre e più principali.
Che cosa è la virtù dell’uomo ch'è chiamato senno, over prudenza, over sapere.
Ai re ed ai prenzi conviene es sere savi. Quanto e quali cose conviene ai re e
ai prenzi avere acciò che ellino siano savi. Come și re e i prenzi possano fare
loro medesimi savi. Quante maniere sono di drittura ed in che cosa è drittura e
come drittura è divisata dalie altre virtú. Senza drittura e senza iustizia ei
reami non possono durare, nè nulla signoria di città. I re e i prenzi debbono
intendere diligentemente acciò che essi siano dirilturieri e che drittura sia
guardata nelle loro terre. La forza di coraggio e . e quali cose ella die
essere , e come ei re e i prenzi le. possono avere. Quante maniere sono di
forza e secondo la quale ei re e i prenzi debbono essere forti. Che cosa è la
virtù che l'uomo chiama temperanza e in quali cose quella virtù die essere, quante
parti a la temperanza, come noi la potemo acquistare. Ched elli é più
disconvenevole cosa che l’uomo sia distemperato in seguire LI DILETTI DEL CORPO
che in essere paurioso. Il principe debbe essere temperato nel diletto di suo
corpo. La virtù che l'uomo chiama larghezza e'n quale cose cotale virtù de'
essere, e come noi la potemo acquistare. Che a pena può essere el re o'l prenze
folle largo e come è troppo sconvenevole' cosa che essi sieno avari e ch'ellino
debbono essere larghi e liberali. Che cosa è una virtù che l’uomo cjiama
magnificenzia e'n quali cose quella virtù die essere, e come noi potemo avere
quella virtù. Come è cosa isconvenevole che i re e i prenzi sieno di piccola
dispesa e di poco affare, e che maggiormente s'avviene a loro essere di grande
spese e di grande affare. Che condizioni à l'uomo che è di grande spesa e di
grande affare, e che conviene maggior mente averle ai re ed ai prenzi. Che cosa
è una virtù che l'uomo chiama magnanimità, cioè a dire virtù di grand'animo e
in quali cose quella virtù di essere e come noi potemo essere di gran cuore. Quante
condizioni à l'uomo che è di gran cuore, e che maggiormente si conviene ai
prenzi d'averle. Come ei re e i prenzi debbono amare onore , o quale è la virtù
che l'uomo chiama virtù d'amare opore . 68 Cap. XXV. Ca insegna che amare onore
ed èssare umile possono essere insieme e che quelli che è di gran cuore e di
grande animo non può essere senza umiltà. Che cosa é umiltà de la quale il
filosafo parla e in quali cose ella die essere e che maggiormente conviene ai re
ed ai prenzi essere umili. Che cosa è la virtù che l'uomo chiama dibuonairetà ,
ed in che cose la buonairetà die essere e che conviene ai re ed a i prenzi
essere dibonarie. Che cosa è una virtù che l'uomo chiama piacevolezza, cioè di
sapere CONVERSARE PIACEVOLMENTE e in che cose la detta virtù die essere e che
si conviene che i re e i preozi sieno piacevoli. Che cosa è verità e in che
cosa ella die essere usata e come si conviene al principe ch'esse sia veritiero
o sincero. Che cosa è una virtù che l'uomo chiama sollazzevole, quasi dica di
sapere sollazzare, e di essere allegro e gioioso, là ' ve si conviene , e per
la quale ' l'uomo si sa avvenevolmente rallegrare nei sollazzi, come ei re e i
prenzi debbono essere allegri e sollazze voli. Conviene al principe avere tutte
le virtù, perciò che perfettamente l’uomo non ne può avere una senza le altre.
Quante maniere sono di buoni e adi malvagi uomini e quale maniera di bontà ei
re e i prenzi debbono avere. Delle passione. Quanti movimenti d'animo sono e
donde essi vengono. Quali movimenti d'animo sono principali che gli altri e
come essi sono ordinate. Come il principe debbe amare e quali cose debbe amare.
Come il principle debbe desiderare e che cosa debbe desiderare. Come ei re e i
prenzi si debbono portare ayvenevolmente in isperare e in disperare. Come
avvenevolmente ei re si debbono portare in avere ardimento. Che differenza elli
à intra corruccio e odio, e come ei te e i prenzi si debbono avvene volmente contenere
nei corrucci e ne le di bonarietà. Come ei re e i prenzi si deb bono
ayvenevolmente avere nei diletti. Come alcuni movimenti d'animo sono mantenuti
e ritornano ad alcuni altri movimenti. Ched ei movimenti dell'animo alcuni sono
da biasmare ed alcuni sono da lodare e come ei re e i prenzi si debbono
conferire nei movimenti detti dinanzi. Della costume. Quale costume e quale
maniere de giovani uomini fanno da lodare, e come il principe debbe avere essa
costume ed essa maniera. Quali costumi e quali maniere dei giovani uomini fanno
da biasmare , e come ei.re e i prenzi debbono ischiſare cotali maniere e cotali
co stumi. Quali costumi e quali maniere dei uomini fanno da biasmare , come ei
re e i prenzi ei debbono ischifare. Quali costumi e quali maniere dei uomini
fanno da lodare. Che costume e che maniera ha il gentile uomo, e come il
principe debbe avere. Che costumi e che maniere anno l’uomo ricco e come ei re
e i prenzi ei debbono. Che modi e che maniere ánno coloro che sono possenti ed
anno signorie , e come li re e li principi si debbono avere in verso la gente
convenevolmente. Avere. DEL GOVERNO DELLA FAMIGLIA. Della moglie. L'uomo die
naturalmente vivare in compagnia, e che i re i prenzi il debbono sapere. Che,
acciò che la casa sia perfetta, si vi conviene avere quattro maniere di
persone, e come e' conviene questo secondo libro divisare in tre parti. Quella
casa è perfetta ove v'à assembramento di un uomo e di una femmina, un
figliuolo, e servi. L'uomo naturalmente si die ammogliare e che quelli che non
vogliono vivare in matrimonio, o elli posono bestia, o ellino sono migliori che
l’uomo. Ciascuno uomo e ciascuna femmina , e medesimamente ei re e i prenzi che
sono ammogliati, si debbono tenere in matrimonio senza partirsi o senza
divídarsi. A ciascun uomo die bastare una femmina, e che i re e i prenzi e
ciascun altro uomo si die tenere appagato a una femmina. Un uomo die bastare a
una femmina , e che una femmina si die chiamare contenta d'un uomo. L’uomo non
die prendare moglie la quale sia troppo presso a lui di parentato o di
lignaggio. Come le moglie dei re e dei prenzi e di ciascuno altro uomo debbono
avere abbondanza di beni temporali. Come nè i re né i prenzi, nė cia scuno
altro uomo non debbe chiėdare solamente ei beni temporali delle loro mogli ma
anco ei beni del CORPO e quelli dell'anima, e ciò e il bello e il casto. L’uomo
non die governare nė tenere la moglie nella maniera ch'elli die tenere e
governare il suo figliuolo. L’uomo non die tenere nė governare la moglie nella
manera che l'uomo die tenere e governare e fanti. Che elli non si conviene nė
ai re nè ai prenzi ned a nessuno altro uomo, ch'ellino usino il matrimonio in
troppo giovano tempo. L’uomo die piuttosto fare l'opera del matrimonio nel
verno che nella state. Come alcune cose sono nelle femmine che sono da
biasmare. Come ei re e i prenzi e ciascuno altro uomo die avvenevolmente
governare e addrizzare la moglie. Come gli uomini si debbono portare con le
loro mogli. Come la femmina maritata deb bono convenevolmente adornare il loro
corpo. Né I re ne i prenzi , nė li altri uomini , non debbano essere troppo
gelosi delle loro mogli. Che cosa è ' l consiglio della femmina , e che 'l suo
consiglio l'uomo non die credere se non in alcun tempo. Com’l’uomo non debbe
dire il suo secreto alla sua moglie. Dei figli. Il padre die essere curioso di
guardare il suo figliuolo. Che ciò s'avviene maggiormente ai re ed ai prenzi,
cioè ch'ellino sieno guardatori e curiosi dei loro figliuoli. Il padre governa
il suo figliuolo per L’AMORE ch'elli à in lui. L’AMORE NATURALE il quale die
essere da padre a figliuolo prova sufficientemente che il padre debbe governare
i suo figliuolo e il figliuolo debbe ubbidire il padre. Nel quale dice che i re
e i prenzi e ciascuno altro uomo debbono da gioventudine insegnare la fede ai
loro figliuoli. I re e i prenzi e ciascuno altro uomo debbono da gioventudine
insegnare ed appréndare ei buoni costumi e le buone maniere ai loro figliuoli.
Il figliuolo del gentile uomo debbe apprendere le scienze della chericia, ciò
sono, morali, naturali e matematice. Quale arte il figliuolo di un gentile
uomini debbe apprendere. Quale die ėssare il tutore del figliuolo di un gentile
uomo. Il padre die insegnare al suo fanciullo a parlare e a vedere ed a udire. In
quante maniere l'uomo puó peccare in mangiare e come il garzone si debbe
contenere. Come il padre die insegnare al suo fanciullo acciò che si sappiano
portar avvenevolmente nel bere e ne' diletto della femmina. Come il garzone si
debbe contenere nel diletto del corpo. Come in giovanezza l'uomo die schifare
le malvagie compagnie. Che guardia l’uomo die avere de' figliuoli da che sono
nati, insino a’ sette anni. Che guardia l'uomo die avere de' fanciulli da sette
anni fino a quattordici. Che guardia l'uomo die avere del figliuolo da
quattordici anni innanzi. Che il padre non die insegnare al figliuolo uno
medesimo travaglio di corpo. Della casa e dei servi. L'uomo die diterminare e
parlare delle cose donde la vita umana può esser sostenuta, volendo governare
la sua famiglia e la sua casa. Il casino della villa del’uomo , die esser fatto
sottilmente ed in buon áire. Il casamento dei re e dei prenzi , e di ciascuno
altro uomo, die esser fatto in luogo dove abbia abbondanza di buona acqua e di
chiara. Naturalmente l’uomo die avere possessione in alcun modo e che quellino
che rifiutano le possessioni, non vivono come uomini, anzi sono migliori che
uomo. Elli è grande utilità alla vita umana, che l'uomo possa vivare della sua
propria ricchezza. Come l'uomo die usare dei beni temporali, e quale maniera di
vivare è buona e onesta. Nel quale dice che ciascuno uomo, e medesimamente ei
re ei prenzi, non debbono desiderare troppo grande abbondanza di ricchezze ne
di possessioni. Quante maniere elli sono di vendere e di comperare e perchè ei
denari fuoro prima mente fatti e trovati. L'usura è generalmente malvagia , e
ch'ei re ed i prenzi la debbono difendare ch’ella non sia fatta nella loro
terra. Nel quale dice ch’ei sono diverse maniere di guadagnare denari e che
alcuna di queste maniere è avve nevole ai re ed ai prenzi. Alcuna gente è serva
per natura e ch'elli è loro utilità ch'ellino sieno suggetti ad altrui. Nel
quale dice che alcune genti che sono servi per natura e per legge. Nel quale
dice ch’ellino sono alcune genti le quali sono serve per prezzo ed alcuna gente
che servono per l’amore ch’elli ánno ai suo signore. L'uomo die dare gli ufici
ai suoi fanti nelle case dei re e dei prenzi. Come ei re e i prenzi debbono
provvedere ai loro sergenti robe e vestimento. Che cosa é cortesia e ched e'
conviene ai fanti dei re e dei prenzi ched ellino sia cortese Nel quale dice
come ei re e i prenzi si debbono contenere inverso ei loro sergenti. Che quelli
che servono e quelli che mangiano alla tavola dei re e dei prenzi , e
generalmente che il gentile uomo non debbe molto favellare. DEL GOVERNO CIVILE.
Detti dei filosofi nel governamento delle città. Nel quale dice che la villa e
ordinata e stabilita per alcuno bene. Fu grande utilità alla vita umana che
colla comunità della villa e delle città , li uomini ordinassero la comunità del
reame. Nel quale dice ceme Platone e Socrate dissero che l’uomo dovea ordinare
e governare le città. Nel quale insegna che i re e i prenzi debbono sapere che
tutte le cose non debbono essere COMUNE siccome Platone e Socrate dissero. Nel
quale dice quanti mali avverrebbero se il figliouolo fusse comune. Nel quale
dice come la possessione debbe essere proprie, e come debbono essere comuni,
secondo l'utilità delle ville e delle città. I re ei prenzi non debbono
sofferire che una medesima gente duri sempre in una medesima signoria. Nel
quale dice che l'uomo non die cosi ordinare la città come Socrate disse, che
dovieno essere ordinate. Come l'uomo può trarre a buono intendimento le parole
che Socrate disse , al governa mento delle città. Come un filósafo , ch'ebbe
nome Fal lea , disse, che l'uomo dovea ordinare le città. Le possessioni non
debbono essere eguali, siccome disse Fallea. Come quelli che signoreggia alcuna
città, elli die più principalmente intendare a cessare le malvagie volontà e i
malvagi desideri e convoitigine, ched elli non die intendere a cessare la
disuguaglianza delle possessiono. Nel quale dice, come un filósafo ch'ebbe nome
Ippodamo , disse che l’uomo dovea ordinare le città. Nel quale dice quali cose
sono da riprendare in quello che Ippodamo disse del governamento della
comunità. Della migliore maniera di governare le città. Il quale insegna come
l’uomo die governare le città in tempo di pace, e quante cose l’uomo die guardare
in cotale governamento. Quante maniere sono di signorie e quali sono buone e
quali sono rie. Ched o' val meglio che le città e ' rea mi sieno governati e
retti per un solo uomo che per molti e che quest' è la migliore signoria che
sia quando un solo uomo signoreggia ed elli intende il bene comune. Nel quale
dice per quali ragioni alcuna gente volsero provare ched e’ valeva meglio che
le terre e le città fossero governale per molti uomini che per un solo e dice
in questo capitolo ciò che si die rispóndare a cotali ragioni. Ched e' val
meglio che le terre e le signorie e' reami vadano per redità per successione
DEL FIGLIOUOLO che per elezione. Nel quale dice quali sono le cose ne le quali
il re die sormontare gli altri, e che diversità elli à intra'l re 'e'l tiranno.
Nel quale dice che la signoria del tiranno è la peggiore signoria che sia e che
i re ei prenzi si debbono molto guardare ch'ellino non sieno tiranni. Quale dia
esser l'ufficio dei re e dei prenzi, e com’essi si debbono contenere in
governare le loro città e i loro reami. Quali sono le cose che’ l buono re die
fare , le quali il tiranno mostra di fare ma non le fa nèmica. Nel quale dice
per quante cautele il tiranno si sforza di guardare sė ne la sua signoria. Ched
elli è molto isconvenevole cosa ai re ed ai prenzi ched ellino sieno tiranni,
perciò che tutte le malizie che sono nell’altre malvagie signorie, sono ne là
signoria del tiranno. Nel quale dice che i re e i prenzi debbono molto ischifare
la compagnia del tiranno, perciò che per molte cose ei soggetti aguaitano ed
assaliscono il loro signore quand’elli é tiranno. Nel quale dice quali cose
guardano e salvano la signoria del re e ched e'conviene fare al re sed e' si
vuole guardare ne la sua signoria e nel suo reame. Quali cose fanno a
consigliare e di quali l'uomo die avere consiglio. Nel quale dice che cosa è
consiglio, e come l'uomo die fare ei consigli. Nel quale dice che consiglieri
ei re e i preozi debbono avere ai loro consigli. Nel quale dice quante cose
conviene sapere a quellino che consigliano ei re e i prenzi e in quali cose l’uomo
die préndare consiglio. Nel quale dice che tutte le cose donde l’uomo giudica, l'uomo
die giudicare secondo le leggi e che l’uomo die fare pochi giudicamenti e dare
poche sentenze per arbitrio o per credenza. Nel quale dice come l’uomo dic fare
ei giudicamenti: e ch’e giudici debbono vetare che li uomini che piateggiano
non dicano parole dinanzi al giudice che’l possa muovere ad amore nè ad odio
contra ad alcuna de le parti. Nel quale dice quante cose conviene avere
a’giudicatori a ciò ch’ellino giudichino bene e drittamente. Nel quale dice quante
e quali cose conviene riguardare al giudice, acciò ch’elli perdoni e sia più di
buonarie che crudele. Nel quale dice ched e’ sono diverse maniere di leggi e
diverse maniere di giustizia e che al dritto natu rale ed al diritto iscritto
tutti gli altri dritti sono ridotti e ramenali. Quali debbono esser le leggi
umane e ched elli fu grande utilità ai reami ed a le città a fare cotali leggi.
Nel quale dice che ciascuno non die némica istabilire nė ordinare le leggi; e
ched e' conviene che le leggi sieno publicate é fạtte sapere acciò
ch’ell’abbiano forza d’obbligare le genti. Quante opere e quali le leggi ch'ei
re e i prenzi istabiliscono ed ordinano, debbono contenere. Nel quale dice
quale vale meglio o che le città o i reami sieno governati per un buono re o
per una buona legge. Nel quale dice che co la legge naturale e co la legge
iscritta e' conviene che l’uomo abbia la legge di Dio e la legge del Vangelo. Come
l’uomo può, si die guardare le leggi del paese e ch'elli non è utile ch'elle si
rimutino ispesso. Nel quale dice che cosa è città e che cosa è reame e chénte
die essere il popolo ch’è ne le città e ne' reami. Nel quale dice che allora è
la città e’l reame trasbuono e 'l popolo trasbuono, quand’elli v’à molte di mezzane
persone. Nel quale dice ched elli é grande utilità al popolo di portare grande riverenza
al prenze ed al signore e ched ellino guardino diligentemente le leggi che i re
e i prenzi ánno ordinate. Come il popolo e generalmente tutti quelli che
dimorano nel reame, si debbono mante nere saviamente , acciò che’l re o’l
prenze non abbia corruccio nė odio contra loro. Come ei re ei prenzi si deb
bono mantenere , acciò ch'ellino sieno amati e temuti dal lor popolo. Ed
insegna questo capitolo che tutto debbiano ei re ei prenzi esser amati e temuti
dal lor popolo, ellino debbono maggiormente volere essere amati che temuti. Del
governo in tempo di guerra. Che cosa è cavalleria e da ch'ella é ordinate. Nel
quale insegna in quale terra sono e’migliori combattieri e quali l’uomo die iscegliere
per combattere dell’uomini che debbono andare a la battaglia. In quale tempo l'uomo
die acco stumare il fanciullo all' opere dela battaglia e per quali segni
l'uomo può conosciare ei migliori battaglieri. Nel quale insegna quante cose e
quali e' conviene avere a' buoni battaglieri, acciò ch'ellino si combattano
bene e giustamente. Nel quale insegna quali sono migliori battaglieri o i
gentili uomini , oi villani , o quellino che nel campo dimorano, ciò sono ei
lavoratori. Nel quale insegna ch’elli è grande utilità ai baltaglieri
chedellino sieno bene esercitati all'arme; e che l’uomo die ei battallieri
apprendare a correre ed a saltare ed andare ordinatamente. Nel quate insegna
ched e’si conviene appréndare ai battaglieri molte altre cose che quelle che
sono dette, cioè a córrare ed assaltare ed andare ordinatamente. Nel quale
insegna che l’uomo die fare nell’oste fossati e castelli. Ed insegna questo
capitolo come l’uomo die fare ei castelli e quante cose l’uomo die guardare in
farli. Nel quale dice quante cose l’uomo die guardare quand’elli vuole o die
imprèndare battaglia comune. Nel quale dice ch’elli è grande utilità ne le
battaglie di portare bandiere e gonfaloni: e che l’uomo die ordinare capitano e
maggiore a ciascuna ischiera. E so - nemici migliantemente questo capitolo
insegna quali debbono essere e banderari e i capitani di quelli a piè e di
quelli a cavallo. Nel quale dice che avvedimenti die avere e che die fare il
signore dell’oste acciò che la sua gente non possa essere gravata dai nemici
per la via. Nelquale dice come l’uomo die ordinare le schiere e le battaglie,
quando l’uomo si die combattere contra I Nel quale insegna che l'uomo die
ferire il suo nemico nello battaglia di puntone e non di ramata. Nel quale dice
quante cose fanno gli avversari più forte che quelli dell’oste é come l’uomo
die assalire ei suoi nemici. Nel quale insegna come ei battallieri si debbono
tenere quando vogliono ferire ei loro nemici, e com’ellino ei debbono inchinare
e come l'uomo si die trarre in drieto quando la battaglia non porta utilità. Nel
quale insegna quante maniere ei sono di battaglie; e in quanti modi l’uomo può
prendare le città e le castella ed in che tempo l’uomo le die assediare. Come
quelli dell'oste si debbono fornire e come l'uomo può vénciare le castella per
cava. Come per l’ingegni del legno che l'uomo può menare al muro del castello,
l’uomo lo può prendare. Come l’uomo può e die edificare le castella acciò
ch'elle non sieno leggermente prese ně come l'uomo può e die guérnire le
castella acciò ch'elle non possano esser prese. Nel quale dice come quelli che
sono nel castello assiso possono e debbonsi difendersi da la cava e dai tra
bocchi e dalli altri ingegni che quellino dell'oste vi fanno. Come l'uomo die
fare le navi, e come l'uomo si die combattere nell'acqua o nel mare, da che
cosa tutte le battaglie debbono essere ordinate assediate. Che cosa è una virtù
che l’uomo chia ma piacevolezza, cioè di sapere CONVERSARE piacevolmente con le
genti, e in che cose la detta virtù die essere, e che si conviene che i re e i
prenzi sieno piacevoli. Appresso ciò che noi avemo detto che cosa è debonarietà,
noi diremo d’un'altra virtù, che l’uomo chiama piacevolezza. E dovemo sapere che
le opere e le parole dell'uomo sono ordinate a tre cose, si come ad avere
piacevolezza e verità, ed avere diletti e giuochi nei solazzi e nelle
allegrezze. LA PRIMA RAGIONE: E la piacevolezza si è, in SAPERE BENE CONVERSARE,
unde quelli che sa onorare e riverire gli uomini convene volmente e secondo
ragione, si à la virtù della piacevolezza. La SECONDA ragione si è , che le
opere e le parole dell’uomo sono ordinate sie a verità che, per le opere e per
le parole dell'uomo può l'altro uomo conosciare chi egli è (“Conversation
maketh the man”). Donde, verità non è altro se non che l'uomo non sia vantatore
e che nè per parole nè per fatti elli non dimostri maggior cosa in lui che vi
sia, nè che l'uomo non si faccia ispiacevole nè per parole nè per fatti oltre
quello che ragione insegna, perchè elli sia gabbato ne dispregiato. La TERZA
RAGIONE a che l'opere e le parole dell'uomo sono ordinate, si è, acciò che
l'uomo sia sollazzevole convenevolmente, e si sappia bene portare nei giochi, e
nelle allegrezze e nei sollazzi . Donde, se l'uomo vuole CONVENEVOMENTE
CONVERSARE e' die essere giochevole e piace vole e veritiere. E di queste tre
virtù noi diremo partitamente, ma prima diremo della piacevolezza. E dovemo sapere
che, NEL CONVERSARE, alcuni si mostrano troppo piacevoli, si come sono e
lusinghieri, e quelli che’n ogne cosa vogliono piacere altrui, che acciò che piacciano
altrui, si lo dano tutti ei fatti è tutti ei detti di ciascuno uomo. E alcuni sono,
che anno troppo gran difalta NEL CONVERSARE co le genti, si come sono ei
malvagi e quellino che sono battaglieri, e tenzonieri; e questi fanno contra a
ragione. Chè neuno die volere essere si piacevole nè si compagnevole, ch’elli
ne do venti o ne sia lusinghieri, e piacere a tutti gli uomini, nė neuno die
essere si pieno di contenzione e di noia, che li con venga cessare della
compagnia delli uomini, ma quelli è da lodare che si sa mezzanamente portare e
secondo ragione, nel CONVERSARE. Donde la virtù che l’uomo chiama piacevolezza
cessa la contenzione dell'uomo e tempera il lusingare, e quello per lo quale
l'uomo vuole a tutti gli uomini piacere. E perciò che l'uomo è per natura
compagnevole, si come dice il filosafo, si conviene dare una virtù per la quale
ne le parole e nei fatti sappia CONVERSARE COOPERATIVAMENTE E convenevolmente e
secondo ragione. E questa virtù che l'uomo chiama piacevolezza, tutto sie cosa
che, tutti quelli che vogliono essere piacevoli e vivare in cooperazione, compagnia
ed in comunità con l’altro, conviene ch'elli abbiano, acciò che siamo cortesi e
piacevoli, non perciò debbiamo essere si cortesi ne si piacevoli ad uno come un
altro: chè la dritta ragione insegna, che, secondo la diversità dei due
conversatori, l'uomo si die portare in maniera appropriata con l’altro. E
perciò che troppa amistà e troppa gran compagnia mostrare ad ogni uomo fa
l’uomo ispiacevole e vile; il gentile uomo si debbe più alteramente contenere
che l’altro, acció che l'uomo lor porti più onore e più reverenza, e che la dignità
de la loro grandezza non sia abbassata nè avvilata. Donde il filosafo dice che
i re e i prenzi debbono mostrare ch’ellino sieno persone degne d’onore e di
reverenza. Chè si come noi vedemo che alcuna vianda fuôra soperchio a uno
infermo che non basterebbe ad uno sano, cosi è nell'essere piacevole e cortese,
che alcuna piacevolezza s’aviene a’re secondo ragione, che non s’aviene cosi ad
un’altra persona comune. L’Enciclopedia italiana cura l’edizione critica del
“Il regime del principe”, testimoniato
da nove manoscritti, tra cui il codice della Biblioteca di Firenze (sig, che si
distingue sia per motivi cronologici (nell’explicit reca la data) sia per la
veste linguistica, in prevalenza senese, verosimilmente molto vicina a quella
dell’originale, ciò che lo rende un documento di lingua privilegiato rispetto
alle coeve attestazioni di varietà toscane non fiorentine tra fine Due- e
inizio Trecento. L’opera discende dal “Il regime del principe”, composto da
Colonna filosofo tra i più autorevoli della sua epoca, nato a Roma. Dedicato a
un principe, di cui Colonna fu tutore e ispirato alla Retorica, la Etica, e la
Politica di Aristotele, esuddiviso in tre libri concernenti la “morale», ossia
l’etica (disciplina dell’individuo), l’oeconomia (della casa), e la politica
(della città o reame o villa) - è il più corposo trattato basso-medievale sul
regime del ‘gentile uomo’ ed ebbe non solo una straordinaria fortuna in Italia
fino a tutto il XV secolo come elogio della cavalleria. Esercita una notevole
influenza sul Convivio, sul “De vulgari eloquentia” e sulla “Monarchia” di
Alighieri. “E lasciando lo figurato che di questo diverso processo dell’etadi
tiene Virgilio nello Eneida, e lasciando stare quello che Egidio eremita [il
filosofo appartenne all’Ordine degli Eremitani di Sant’Agostino ne dice nella
prima parte dello Regime del Gentile Uomo. L’ampia Introduzione, oltre a
tracciare il profilo biografico di Egidio illustrando contenuto, fonti e storia
della ricezione del suo capolavoro, esamina nei dettagli il debito di Alighieri,
la fortuna figurative o iconografica del trattato (l’affresco giottesco della
Cappella degli Scrovegni di Padova, precisamente nella Virtù; l’Allegoria ed Effetti
del Buono Governo realizzata da Lorenzetti a Siena, specie nella particolare
raffigurazione della giustizia commutativa e la giustizia distributiva alla
sinistra dell’affresco -- i rapporti tra il De regime e il Livre dou
gouvernement (una drastica riduzione non sempre perspicua, di cui sono noti
trentasei manoscritti) e tra questo e il Livro del governamento, la prima
traduzione, pur parziale, di opere che solo successivamente furono volgarizzate
nella loro interezza, ad opera di un anonimo senese, come avevano già
ipotizzato, tra gli altri, Segre e Castellani. Inoltre si auspica - e intanto
s’imposta in modo acuto e pregnante - un commento dedicato alle fonti del
“Regime”, ormai indispensabile alla luce della ri-valutazione della filosofia
nel vernacolare tra Medioevo e Rinascimento portata avanti dalla bibliografia
più recente. Grazie infatti agli studi degli ultimi due decenni, siamo oggi più
informati sui modi in cui la cultura vernacolare interagì con quella antica,
bolognese, tradizionalmente ritenuta ‘più alta’, e sul diverso pubblico,
dichiarato o reale, cui si indirizzava la trattatistica filosofica dei secoli
dal XIII-XIV in avanti. Infine, si passano in rassegna le altre versioni del De
regimine (quella senese è bensì la più antica, ma non l’unica: se ne conoscono
almeno altre cinque). Nella parte prima della Nota al testo si dà conto
della tradizione manoscritta dei testimoni completi e dei testimoni parziali
(descrizione esterna, descrizione interna, bibliografia), offrendo dati
preziosi sulla tradizione a stampa del De regimine e sulle edizioni del
Governamento. Nella parte seconda si indicano i criterî di edizione e gli usi
del copista. L’appendice prima alla Nota al testo raccoglie le aggiunte
inter-lineari e marginali al Governamento del manoscrito fiorentino, mentre in
una seconda appendice si riportano alcune annotazioni sulle relazioni fra i
testimoni del Governamento. La prima e fondamentale caratteristica della tradizione
è che tutti i mss. paiono al tempo stesso testimoni molto vicini tra loro tanto
che è dimostrabile la presenza di un archetipo a monte della tradizione, ma non
per questo facilmente classificabili nei loro rapporti reciproci,
principalmente perché spesso contaminati dal ricorso alla versione nella lingua
antica. Il secondo volume è interamente dedicato allo spoglio linguistico
sistematico sull’intero testo, tendente per quanto possibile «all’esaustività
delle allegazioni per ciascuna forma»: grafia, fonetica, morfologia,
sintassi. Chiudono il volume un ricco repertorio bibliografico e
gl’indici onomastico, toponomastico, dei nomi e dei manoscritti. Grice: “Poor Ockham is known as Ockham – god knows,
but he is not telling, what his surname was, if any! On the other hand, the
rather pompous Romans have Egidio as a ‘Colonna,’ even if, as the Treccani notes, ‘the links with the
Roman family are unclear’!” -- Romano: Egidio Romano, arcivescovo della Chiesa cattolica Filip4
Gilles de RomeEgidio Romano e Filippo il Bello (miniatura di un codice
medievale). Template-Archbishop.svg Incarichi ricopertiArcivescovo
di Bourges Nato tra il 1243 e il 1247, Roma Nominato arcivescovo25
aprile 1295 Deceduto22 dicembre 1316, Roma. Egidio Romano, latinizzato come
Ægidius Romanus, indicato anche come Egidio Colonna (Roma), filosofo. Generale
dell'Ordine di Sant'Agostino. Dopo la sua morte, gli furono tributati i titoli
onorifici di Doctor fundatissimus e Theologorum princeps. Fu
discepolo di San Tommaso d'Aquino all'Parigi, dove più tardi insegnò, prima di
diventare generale degli agostiniani e arcivescovo di Bourges (1295). Fu
inoltre il precettore di Filippo il Bello per il quale scrisse il trattato De
regimine principum, sostenendo l'efficacia della monarchia come forma di
governo. -- è considerato tra i
più autorevoli teologi di ispirazione agostiniana, attivo anche nella vita
intellettuale e politica in un contesto culturale ed istituzionale travagliato
da frequenti ed aspre polemiche sul problema del rapporto tra potere temporale
e potere spirituale. Questo filosofo è generalmente ricordato, insieme al
prediletto allievo Giacomo da Viterbo, per il contributo nella redazione della
celebre bolla Unam Sanctam del 1302 di Papa Bonifacio VIII e per il ruolo
significativo che assunse il Maestro degli Eremitani di Sant'Agostino quale
autore del De Ecclesiastica potestate e, dunque, quale teorico famoso e
autorevole della plenitudo potestatis pontificia. In Egidio Romano rileviamo
subito una compresenza del duplice atteggiamento dottrinale e politico; infatti
è possibile rintracciare, fra le opere giovanili, il De regimine principum,
opera scritta per Filippo il Bello e di ispirazione aristotelico-tomista
inerente alla naturalità dello Stato, erigendola a difensore della potestas
regale. Nel De Ecclesiastica potestate, invece, Egidio Romano afferma la
superiorità del sacerdotium rispetto al regnum, distinguendosi quale
rappresentante della teocrazia papale. La riscoperta di Aristotele e
l'agostinismo politico In seguito alle condanne di Étienne Tempier. Colonna
difende la tesi di Tommaso, per la sua qualifica di Baccalaureus formatus, ma,
proprio a causa delle condanne stesse, viene sospeso dall'insegnamento. In
quegli anni, gli avversari del papato trovano nel pensiero di Aristotele gli
strumenti per svolgere un'analisi politica che metta in discussione la
sacralità del potere. Dall'altra parte troviamo l'influenza della corrente
speculativa dell'agostinismo politico (ossia quel fenomeno, tipicamente
medioevale, di compenetrazione fra Stato e Chiesa, all'interno del quale
Agostino viene a giocare un ruolo fondamentale dal momento che l'apporto
teorico del suo De Civitate Dei conduce a confusioni inevitabili fra il piano
spirituale della Civitas Dei Caelestis e il piano temporale della vita terrena
che è Civitas Peregrina), che ripropone la teoria delle “due città” e riafferma
la superiorità del sacerdotium rispetto al regnum, costituendo un vero e
proprio “partito del Papa”. Egidio rivendica la Plenitudo potestatis come
proprietà costitutiva dell'auctoritas del Papa in quanto homo spiritualis.
Egidio sostituisce al concetto agostiniano di ecclesia, quello di regnum al
fine di estendere gli ambiti del potere del sovrano ecclesiastico. Il sovrano
ecclesiastico (il Papa) dovrebbe esercitare la sua sovranità anche sul potere
temporale al fine di garantire l'ordine mediante una forma di dominium che
coincida con la sua stessa missione spirituale. Opere:Frontespizio delle
In secundum librum sententiarum quaestiones L'edizione critica dell'opera omnia
è stata intrapresa, per Leo S. Olschki, (Aegidii Romani opera omnia, collana
Corpus Philosophorum Medii AeviTesti e Studi), dal gruppo di ricerca di
Francesco Del Punta. Quaestio de
gradibus formarum, Ottaviano Scoto (eredi), Boneto Locatello, 1502. In secundum librum sententiarum
quaestiones, 1, Francesco Ziletti,
1581. In secundum librum sententiarum
quaestiones, 2, Francesco Ziletti,
Opere, Antonio Blado, In libros De physico auditu Aristotelis commentaria,
Ottaviano Scoto (eredi), Boneto Locatello, 1502. De materia coeli, Girolamo Duranti,
Quodlibeta, Domenico de Lapi. TreccaniEnciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. 3 dicembre . Roberto Lambertini, Giles of Rome, in
Edward N. Zalta , Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of
Language and Information (CSLI), Stanford, .
Charles F. Briggs e Peter S. Eardley , A Companion to Giles of Rome,
Leiden, Brill, . Silvia Donati, Studi per una cronologia delle opere di Egidio
Romano: I. Le opere prima: I commenti aristotelici. "Documenti e studi
sulla tradizione filosofica medievale", Gian Carlo Garfagnini, Egidio
Romano, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, . Francesco Del Punta-S. Donati-C. Luna, Egidio
Romano, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Filippo Cancelli, Egidio Romano, in Enciclopedia
dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Papa Bonifacio VIII Teocrazia
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line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Ugo Mariani, Egidio Romano, in Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Egidio Romano, su Enciclopedia Britannica,
Encyclopædia Britannica, Inc. su ALCUIN, Ratisbona. Opere di Egidio Romano, su openMLOL, Horizons
Unlimited srl. su Egidio Romano, su Les Archives de littérature du Moyen Âge.
Egidio Romano, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. David M.
Cheney, Egidio Romano, in Catholic Hierarchy. Roberto Lambertini, Giles of
Rome, in Edward N. Zalta , Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the
Study of Language and Information (CSLI), Stanford. Biografia a cura
dell'associazione storico-culturale S. Agostino, su cassiciaco. Predecessore
Arcivescovo metropolita di BourgesSuccessoreArchbishopPallium PioM.svg Simone
di Beaulie u25 aprile 1295 22 dicembre 1316 Raynaud de La Porte. Egidio Romano.
Egidio Colonna. Colonna. Keywords: conversazione cortese, conversazione
gentile, padre/figlio, amore naturale, principe, cavalleria, cavaliere,
cavalier attitude, cavalier implicature. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Colonna” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690250830/in/photolist-2mKG3Hd-2mKG3XG-2mKCcV2-2mKM1De-2mKS9tM-2mKAuZM-2mKjqrr-2mKk6t5-2mPHbXQ-2mJpFSS-2mJd7nN-2mJ4GHU-2mJ3q6x-GD1xEj-GieDt8-21eQVvk-G9arP4-Ecrffr-Dw1w1R-zLGm5K-CRAGiK-DeWyrT-CkaHMd-Bq5Mgn-BpZwpi-CntuMM-CntseF-BLCQcz-BvUfSB-sHYGWT-t1qUT6-nRruyQ-o5KVBK-o659Mu-o41Q2J-o41RkA-nHyQfP-nWiomo-nU3wiH-nW81MD-nUg48Y-nBRGTN-nrkR6c-nqrYFq-mumsKZ-munJib-mukUvF-mujsEe-muk4iR-jkN2VC
Grice e Colonnello – la voce – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Benevento). Filosofo. Grice: “I like Colonnello; as a
typical Italian philosopher, he has philosophised about ‘all,’ from, first, of
course, Croce, to the ‘tedesci’! – But also about ‘guilt,’ and my favourite,
the ‘transcendentale,’ which in Italian, for lack of ‘n’ becomes ‘trascendentale’
– how many? Colonnello thinks more than one, if the plural is of any
guide!” Insegna a Callabria. Privilegia l'arco
tra criticismo trascendentale e fenomenologia, esistenza, ermeneutica di
Pareyson, storicismo di Croce, Nicol, Dussel. La sua proposta è verificare
l'interazione, in chiave storico-critica, del kantismo, della fenomenologia e
la filosofia dell'esistenza. Altre
opere: “Esistenzialismo kantiano” (Studio Editoriale di Cultura, Genova);
“Croce e i vociani” (Studio Editoriale di Cultura, Genova); “Tempo e necessità”
(Japadre, L'Aquila-Roma); “Tra fenomenologia e filosofia dell'esistenza”
(Morano, Napoli); “Ermeneutica esistenzialista del concetto di ‘colpa”
(Loffredo, Napoli); “Percorsi di confine: esistenza e libertà” (Luciano,
Napoli); Croce (Bibliopolis, Napoli); “Ragione e rivelazione” (Borla, Roma);
“Melanconia ed esistenza” (Luciano, Napoli); “Storia esistenza liberta. Rileggendo
Croce, Armando, Roma); Martin Heidegger
e Hannah Arendt, Guida, Napoli); “Orizzonte del trascendente e dell’immanente,
Mimesis, Milano); “Inter-soggettivita riflessiva” L’itinerario dei corpi”
(Mimesis, Milano). Corpo, mondo,
Fenomenologia (Mimesis, Milano); Fenomenologia e patografia del ricordo, Mimesis,
Milano-Udine). Grice: “I used ‘body’ informally in my ‘Personal identity’,
where I suggested, that “I fell down the stairs” could be replaced by “MY body
fell down the stairs” – there is yet an essential indexical. Different if two
wrestlers unison say, ‘Both our bodies are oiled” – where again the dual “both
our” is used. We have not the second person but the FIRST PERSON dual. “Our
bodies” “Both our bodies”. Pio Colonnello. Colonnello. Keywords: la voce,
rivista La Voce, Croce e i vociani, patografia, German for ‘body’ Lieb, cognate
with ‘life’ so that ‘Das Leib ohne Leben’ would be odd. The Anglo-Normans
solved the problem with ‘corpse’, corpus, vita, corpore, vita, vivere, German
‘leben’, ‘live’ meaning with ‘remain’, creature construction, thing, living
thing, living body, personal human living being. Bodily movement. Method in
philosophical psychology, manifestation in behaviour, bodily behaviour, brain
state, different from bodily movement --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Colonnello” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51770947363/in/dateposted-public/
Grice e Colorni – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Grice: “To understand the passion in Italian
philosophy, as the passion I experienced with Austin in the postwar and with
Hardie on the golfcourse in the good old days, one has to understand Colorni –
he was a socialist, and thus an empiriociritic! He found opposition in the
Gentileians. Oddly, Colroni’s main interest is the ‘monad,’ but he also
explored what we would at Oxford call ‘science’ – rather than philosophy. Lay
the blame on his tutor at Milano!”. Promotore del federalismo europeo. Mentre
era confinato a Ventotene, su saggio, “Manifesto per un’Europa libera e unita”.
Figlio di Alberto Colorni, di Mantova, e Clara Pontecorvo, milanese di famiglia
pisana (zia di Pontecorvo, del regista Gillo, del genetista Guido e del
giurista Tullio Ascarelli). Studia al ginnasio
di Milano. Si appassiona al Breviario di estetica di Croce. La sua formazione
adolescenziale, come raccontò egli stesso nella “Malattia filosofica”, fu
influenzata dal rapporto intrattenuto con i cugini Enrico, Enzo ed Emilio
Sereni, tutti più grandi di lui. Fu Enzo, che era un convinto socialista ad esercitare su di lui una forte influenza
ideale. Studia sotto Borgese e Martinetti. Si laurea sotto Martinetti con “Il
concetto di individuo”. Strinse amicizia con Guido Piovene, che però verrà
interrotta per via di certi articoli anti-semitici scritti da Piovene su
L'Ambrosiano. Partecipa nel gruppo goliardico
per la libertà di Basso e Morandi. Saggio sull'estetica di Roberto
Ardigò. Si accosta alla divisione milanese del “Giustizia e Libertà”. Collabora
in seguito col nucleo giellista torinese, che fece capo prima a Ginzburg e poi
a Foa. Incontra Croce, con il quale conversa a lungo. Saggi per Il
Convegno, La Cultura, Civiltà Moderna, Solaria e la Rivista di filosofia di Martinetti,
e presso la società editrice "La Cultura" di Milano, uno studio
critico su L'estetica di Croce. Saggio sulla monada e la diada, vinse il
concorso per l'insegnamento di storia e filosofia nei licei. Dopo una prima
assegnazione al liceo Grattoni di Voghera, ottenne la cattedra di filosofia a
Trieste. Qui conobbe e frequentò, fra gli altri, Saba (ritratto poi in Un
poeta) ed anche Gambini, Pincherle ed Curiel. Nella collana scolastica
che Giovanni Gentile diresse per Sansoni, pubblica “Diadologia”. La diadologia lo
costrinse ad affrontare studi di logica e semantica. Riparte da Kant e dalla
problematica kantiana, e medita sulle conseguenze che la fisica quantica e la
psicanalisi potevano avere per la dissoluzione di impostazioni filosofiche
tradizionali. Quando, come si legge in Un poeta,Saba gli domanderà, ‘Perché fa filosofia?’,
Colorni concluse che da quel giorno, ‘io non faccio più filosofia’. Non e la
filosofia che rifiuta, ma un orientamento legato a quell'idealismo di cui erano
seguaci Croce come Gentile e Martinetti. In occasione di un congresso di
filosofia a Parigi, incontra Rosselli eTasca. In quanto ebreo e rinchiuso a Varese.
I giornali pubblicarono la notizia con gran risalto, sottolineando che egli “di
razza ebraica, manteneva rapporti di natura politica con altri ebrei residenti
in Italia e all'estero”. La sottolineatura
sul “complotto ebraico” serviva a giustificare la legislazione anti-semita
appena varata in Italia dal regime, per potersi così allineare alla linea
politica seguita dagli alleati nazisti. Confinato a Ventotene, dove prosegue i
suoi studi filosofici, e conversa intensamente con gli altri compagni
confinati, Rossi, Doria e Spinelli. Un'eco fedele di quelle discussioni si
ritrova in “Conversazioni di Commodo”. Risale a questo periodo la sua adesione
alle idee federaliste europee, stesurando il Manifesto per un’Europa libera e
unita. Saggio: Problemi della Federazione Europea, che raccoglieva il Manifesto
ed altri scritti sul tema. Nella sua "Prefazione" al Manifesto,
auspicò la nascita di una politica federalista europea di respiro “universalista”,
come scenario democraticamente praticabile dopo la catastrofe della guerra. In
tale ottica, la creazione di una federazione di stati europei era da lui
considerata come condizione indispensabile per un profondo rinnovamento
sociale, anche per iniziativa popolare, che partendo dagli enti territoriali
avrebbe coinvolto tutta l’Italia e, quindi, l’intera Europa. Circa le
dinamiche che portarono alla stesura del Manifesto, è generalmente ricondotto
ai soli Spinelli e Rossi il contributo maggioritario del testo, sebbene, alcuni
recenti studi storiografici, abbiano seriamente rivalutato il suo ruolo. Di
trinità si tratta, e lo spirito santo della situazione è lui, che partecipa alle
discussioni preparatorie alla stesura del Manifesto assieme a poche altre
persone, ed ebbe una parte di rilievo, soprattutto nella funzione di stimolo e
di critica, dal suo punto di vista di socialista autonomista, verso i due
autori del documento, fino al suo trasferimento a Melfi, benché comunque i
contatti non cessassero del tutto. Grazie anche all'intervento di Gentile,
riusce ad essere trasferito a Melfi, in provincia di Potenza, dove, nonostante
lo stretto controllo della polizia, riusce ad avere contatti con alcuni degli
anti-fascisti locali. Assieme con Geymonat, elabora il progetto di una
rivista di metodologia scientifica. Riuscì a fuggire da Melfi,
rifugiandosi a Roma, dove visse da latitante. Dopo la capitolazione di Mussolini
si dedica all'organizzazione del Partito Socialista Italiano di Unità
Proletaria, nato dalla fusione del PSI col gruppo del Movimento di Unità
Proletaria. Partecipò, assieme a Spinelli, Rossi, Doria, Braccialarghe e
Foa, in casa di Rollier a Milano, alla riunione che diede vita al Movimento
Federalista Europeo. Il movimento adottò come proprio programma il
"Manifesto di Ventotene". Svolse nella capitale un'intensissima
attività nelle file della Resistenza. Prese parte alla direzione del PSIUP e
s'impegna a fondo nella ricostruzione della Federazione Socialista Italiana e
nella formazione partigiana della prima brigata Matteotti. “Io ero da
poco stato nominato segretario della Federazione Socialista per suggerimento e
per decisione di Pertini, che era membro della segreteria del partito in
quell'epoca. Avevamo organizzato una chiamiamola brigata, anche se era un
gruppo armato che era comandato da Colorni che poi è assassinata alla vigilia della liberazione di
Roma. Fu redattore capo dell'Avanti! Clandestine. Così Pertini ricorda il suo
impegno per la stampa del giornale socialista: «Ricordare l'Avanti!
clandestino di Roma vuol dire ricordare prima di tutto due nostri compagni che
a forte ingegno unevano una fede purissima, entrambi caduti sotto il piombo
fascista: Colorni e Fioretti. Ricordo come Colorni, mio indimenticabile fratello
d'elezione, si prodiga per far sì che l'Avanti! uscisse regolarmente. Egli in
persona, correndo rischi di ogni sorta, non solo scrive gli articoli
principali, ma ne cura la stampa e la distribuzione, aiutato in questo da Fioretti,
anima ardente e generoso apostolo del socialismo. A questo compito cui si sente
particolarmente portato per la preparazione e la capacità della sua mente,
Colorni dedica tutto se stesso, senza tuttavia tralasciare anche i più modesti
incarichi nell'organizzazione politica e militare del nostro partito. Amava
profondamente il giornale e sogna di dirigerne la redazione nostra a
Liberazione avvenuta e se non fosse stato strappato dalla ferocia fascista, sarebbe
stato il primo redattore capo dell'Avanti! in Roma liberata e oggi ne sarebbe
il suo direttore, sorretto in questo suo compito non solo dal suo forte ingegno
e dalla sua vasta cultura filosofica, ma anche dalla sua profonda onestà e da
quel senso del giusto che ha sempre guidato le sue azioni. Per opera sua e di Fioretti,
l'Avanti! era tra i giornali clandestini quello che aveva più mordente e che
sapeva porre con più chiarezza i problemi riguardanti le masse lavoratrici. La
sua pubblicazione veniva attesa con ansia e non solo da noi, ma da molti
appartenenti ad altri partiti, i quali nell'Avanti! vedevano meglio interpretati
i loro interessi. Nella Roma occupata dalle forze naziste, in una tipografia
nascosta di Monte Mario, fece stampare 500 copie di un libriccino di 125 pagine
intitolato Problemi della Federazione Europea, contenente il "Manifesto di
Ventotene". Il 28 maggio del 1944, pochi giorni prima della
liberazione della capitale, venne fermato in via Livorno da una pattuglia di
militi fascisti della famigerata banda Koch. Tenta di fuggire, ma fu raggiunto
e ferito gravemente da tre colpi di pistola. Trasportato all'Ospedale San Giovanni,
muore sotto l’identità di ‘Franco Tanzi’. Indomito assertore della libertà,
confinato durante la dominazione fascista, evadeva audacemente dedicandosi
quindi a rischiose attività cospirative. Durante la lotta antinazista,
organizzato il centro militare del Partito Socialista Italiano, dirigeva
animosamente partecipandovi, primo fra i primi, una intensa, continua e
micidiale azione di guerriglia e di sabotaggio. Scoperto e circondato da
nazisti li affrontò da solo, combattendo con estremo ardimento, finché travolto
dal numero, cadde nell'impari gloriosa lotta. Tre lapidi esistenti, una, posta
nel 1982 dalla III Circoscrizione del Comune di Roma è semilleggibile perché
scurita dal tempo, un'altra, posta nel 1978 dal Partito Socialista Italiano, è
spaccata in due e un'ultima, posta nel 2004 sempre dalla III Circoscrizione del
Comune di Roma, contiene un errore. Foto delle tre lapidi. Altre opere: “Scritti, Norberto Bobbio, la
Nuova Italia, Firenze); “Il coraggio dell'innocenza, Luca Meldolesi, La Città
del Sole (Istituto Italiano per gli Studi Filosofici), Napoli); “Un poeta” (Il
Melangolo, Genova); “La malattia della metafisica” (Einaudi, Torino).
Dizionario Biografico degli Italiani. L'itinerario politico di Eugenio Colorni,
in Id., Il socialismo riformista tra politica e cultura, Il socialismo
federalista di Eugenio Colorni, tesi di laurea, Università degli studi di Firenze,
Anno Accademico, Gaetano Arfé, Eugenio Colorni, l'antifascista, l'europeista,
in , Matteotti, Buozzi, Colorni. Perché vissero, perché vivono, Franco Angeli,
Milano, Sandro Gerbi, Tempi di malafede. Una storia italiana tra fascismo e
dopoguerra. Guido Piovene ed Eugenio Colorni, Einaudi, Torino e Hoepli, Milano,
. Geri Cerchiai, L'itinerario filosofico di Eugenio Colorni, in «Rivista di
Storia della Filosofia», Stefano Miccolis, Colorni e Croce”. Talvolta non si
distingue debitamente fra l’emergere originario di un testo nell’opera di un
filosofo e il suo riemergere, o diffondersi, in altri tempi o contesti. In tal
modo, proprio la tragedia del Novecento ha spostato spesso, rispetto alla
composizione, la diffusione di scritti intrisi di attualità. Poche volte, come
nel Novecento, è stato così vistoso il fenomeno delle letture differite. Ora, e
al di là della nota di polemica che affiora da un montaggio tendenzioso fino al
limite delle falsificazione – questo è quanto è all’incirca avvenuto per Colorni:
scoperti (o riscoperti), dopo la morte dell’autore, in quel particolare
contesto del quale si sono nutrite le due stesse riviste, “Analisi” e “Sigma” –
che, insieme con «Aretusa», li hanno per prime pubblicati, a tale contesto sono
rimasti giocoforza legati, venendo così ad essere proiettati all’interno di una
tradizione e di un dialogo almeno parzialmente diverso dal loro, condotto in un
altro linguaggio. Si è parlato, a proposito di tale linguaggio, dello spirito
del ’45, e sovente si è visto in esso, da parte degli stessi animatori, una
vera e propria prosecuzione, in campo culturale, delle istanze portate avanti
dalla Liberazione. Alla “dittatura dell’idealismo”– il cui [Razionalismo e
prassi a Milano: La cultura milanese vive profondamente quello “spirito del
’45” fatto anche di semplificazione e di attivismo, di fiducia ingenua
nell’anno zero, nella svolta politico-sociale in corso, ma soprattutto di un
nesso inscindibile con la liberazione e la Resistenza. La dittatura dell’idealismo
è il titolo dato da Cantoni ad un articolo apparso sul Politecnico di Vittorini.
Espressione di un comune sfondo sociale e di una comune struttura economica, le
filosofie di Croce e Gentile si sarebbero unite, nella prospettiva di Cantoni,
in una sorta di convergenza sociologica con il regime, riuscendo così a
rimediare una posizione di singolare monopolio per la cultura idealista.
Certamente, e una grossolanità speculativa e un errore storico identificare il
destini del fascismo col destino dell’idealismo, anche se questa identificazione
di fatto si verifica nella persona del maggior rappresentante filosofico dell’idealismo
italiano, Gentile. In realtà, molti idealisti, dal Croce al De Ruggiero,
staccarono, prima o dopo, le loro sorti da quelle del regime. Eppure, al di
sotto della dichiarata e sincera avversione, un filo, inconscio spesso ma
tenace, lega tra loro gli avversari e ne permetteva una, sia pure scomoda,
convivenza. Questo filo era costituito dal loro comune, e inconfessato carattere
*conservatore*. Lo spiritualismo idealista agì come una dittatura logica. Avendo
in mano cattedre e riviste, gli idealisti facevano il bello e il cattivo tempo
nella filosofia, facendo decadere al piano della non-filosofia gli avversari
positivisti ed logico-empiristi. Alcune opinioni sul crocianesimo che, oltre ad
essere meno drastiche, risultano per certi aspetti accostabili ad analoghi
spunti della critica colorniana. Vale la pena di rimettersi a una revisione
intelligente dell'idealismo italiano, rimanendo idealisti] filosofia viene
assimilata alla sorte del regime – si è così tentato di opporre una filosofia
più aperta al dibattito contemporaneo ed internazionale, fosse esso
identificabile con le correnti fenomenologico-esistenziali o con quelle più
strettamente epistemologiche ispirate al positivismo o empirismo logico del
Circolo di Vienna. Quest’ultimo, d’altro canto, viene in Italia presentato da
Geymonat con parole quanto mai indicative del clima che ne accoglieva i principi.
L’indirizzo filosofico, che qui viene esposto difeso e sviluppato è e vuole
essere un vero e proprio razionalismo, sebbene non attribuisca alla ragione un
valore assoluto e dogmatico come gli antichi indirizzi che vantano il medesimo
nome. Gli è che il razionalismo deve essere ben più agguerrito e penetrante di
quelli che caratterizzarono i secoli passati. Deve essere: critico, ossia
capace di tenere nel dovuto conto le obiezioni mosse contro la pura ragione dalla
filosofia mistica e decadente; costruttivo, cioè in grado di soddisfare le
esigenze di ri-costruzione e di logicità caratteristiche della nuova epoca;
aperto, cioè capace di affrontare i problemi sempre nuovi che la scienza e la
prassi pongono innanzi allo spirito umano. Gli Studi per un nuovo razionalismo,
che raccoglievano le ricerche di un intero ventennio (il testo più datato, Le
idee direttive del neo-empirismo, era stato pubblica Ciò che si può apprezzare
in Croce, da questo punto di vista, è il suo tentativo di sciogliere il pensiero
dai legami colla filosofia metafisica per avvicinarsi a una filosofia intesa
come chiarificazione dell’esperienza, intesa cioè come trapasso dalla
metafisica alla metodologia. Croce si sarebbe in tal modo inserito nella corrente
più viva della filosofia, non riuscendo tuttavia (e in questo consisterebbe il
suo maggior limite) a rompere completamente i ponti con la metafisica
specuativa. Croce non ha quindi tanto combattuto la metafisica speculativa
quanto sostituito alla metafisica trascendente la metafisica immanente. Per una
ricostruzione più esaustiva delle diverse posizioni di Cantoni su Croce, si
rimanda a R. Franchini, Remo Cantoni critico di Croce, in C. Montaleone e C.
Sini (a cura di), Remo Cantoni, filosofia a misura della vita, Milano, Guerini,
Cfr. N. Bobbio, Introduzione, in E. Colorni, Scritti, Firenze, La Nuova Italia.
Tra il 1930 e il 1940 avviene la crisi dell’idealismo, cui segue la ricerca di
nuove vie, proprio ad opera della generazione di Colorni. […] le vie battute
per uscire dalla crisi sono soprattutto due: quella che passa attraverso una
riflessione sulle trasformazioni avvenute in seno al sapere scientifico e che
dà origine a una filosofia scientifica, risolutamente anti-metafisica, qual è
il positivismo logico, cui aprono la strada gli studi di Ludovico Geymonat; e
quella che passa attraverso l’esistenzialismo (Abbagnano, il primo Luporini)».
7 L. Geymonat, Studi per un nuovo razionalismo, Torino, Chiantore. Come ha
fatto notare Mario Dal Pra, e a conferma di quanto si scriveva di sopra,
l’accostamento in questo passaggio dei termini “ricostruzione” e “logicità”
sembra diretto a far pensare che «l’avversione alla metafisica del neoempirismo
e l’avversione alla dittatura fascista da parte del movimento di liberazione
abbiano per Geymonat una comune radice» (M. Dal Pra, Il razionalismo critico,
in A. Bausola, G. Bedeschi et al., La filosofia italiana dal dopoguerra a oggi,
Roma-Bari, Laterza. Geri Cerchiai 4 to per la prima volta nel 1935 con il
titolo Nuovi indirizzi della filosofia austriaca), fu significativamente fatto
uscire, nel 1945, con la medesima data di stampa del giorno della Liberazione
di Milano; e in quello stesso mese di aprile apparve il primo numero della
rivista «Analisi» che, come si è accennato, contribuì fra le prime, con la
pubblicazione del frammento intitolato Filosofia e scienza, alla diffusione
dell’epistemologia colorniana9 . Ed è proprio da una lettura di «Analisi» e
«Sigma» che è possibile sommariamente inquadrare il contorno di quel periodo
storico al quale si deve la prima scoperta dell’epistemologia colorniana.
Voluta da Giuseppe Fachini, «Analisi» fu stampata per cinque numeri fino al
1947, mutando il nome, nel corso delle pubblicazioni, in quello di «Analysis».
L’«esperienza personale che io avevo fatto», racconta Fachini circa la nascita
della rivista, mi aveva convinto della necessità di una piattaforma di incontro
interdisciplinare. Allora in Italia mancava qualcosa di simile. La guerra
spezzò agli inizi i miei tentativi. Gli eventi bellico-politici stessi, per
conto loro, mi portarono […] a profonda solidarietà mentale con Livio Gratton. Nacque
così l’idea di «Analysis»: con ambizioni editoriali infantilmente dissonanti
col momento. Trovammo poi nel Buzzati-Traverso un biologo “fisicalista” […] ma
aperto ad ogni esperienza. Tra i “filosofi” professionali (a formazione cioè
tradizionalmente filosofico-letteraria) il Banfi, cui mi ero rivolto, mi indicò
l’allievo suo Giulio Preti, come fornito di interessi e preparazione
fisico-matematica, allora rara nel “filosofo”. Per inciso, ricordo i miei
contatti con un altro giovane “filosofo” con preparazione e interessi analoghi:
Eugenio Colorni10 . I temi portati avanti dalla rivista furono sostanzialmente
due: l’interesse per la metodologia delle scienze – attraverso la quale
indagare la possibilità di un fondamento comune alle diverse discipline – e la
volontà di mantenersi all’interno di un’impostazione strettamente
antimetafisica11. La collaborazione fra 8 In «Rivista di filosofia». Cfr. E.
Colorni, Filosofia e scienza, in «Analisi». D’ora innanzi si indicheranno gli
scritti raccolti in questa edizione col solo titolo seguito dal numero di
pagina. Di «Analisi» e «Sigma», con specifico riferimento alla figura di
Eugenio Colorni, si è occupato M. Quaranta, La “scoperta” di Eugenio Colorni
nelle riviste del secondo dopoguerra. Gli scritti sulla relatività, in G.
Cerchiai e G. Rota (a cura di), Eugenio Colorni e la cultura italiana fra le
due guerre, Manduria-Bari-Roma, Lacaita. “Analysis”: trent’anni dopo,
testimonianza di Giuseppe Fachini, in Analisi. Milano, riletta da M. Quaranta,
con testimonianze di G. Fachini, S. Ceccato, L. Geymonat, L. Gratton, E. Poli,
Bologna, Arnaldo Forni Editore. Aggiunge Fachini, a proposito della sua
formazione, che l’«impulso a uno sforzo collettivo interdisciplinare era sorto
in me dai primi contatti con l’ambiente mentale del neopositivismo logico», ma
che la «soluzione neopositivista, verso cui ero in un primo tempo quasi
costretto, mi si rivelò presto insoddisfacente per l’irrigidimento formale,
verso cui stava avviandosi. Il «periodico», si affermava nel Programma
pubblicato sul primo numero, era «inteso ad offrire un luogo di libera
discussione a quanti abbiano interesse ai problemi di metodologia e di critica
della scienza, nello sforzo di purificare ed universalizzare il
linguaggio Cinque scritti metodologici di Eugenio Colorni 5 scienziati e
filosofi fu uno degli aspetti qualificanti della pubblicazione, ma fu anche
d’impedimento ad un’armonica composizione delle sue diverse anime, concorrendo
in definitiva alla conclusione dell’esperienza: «L’incontro con i fondatori e
la rivista», racconta a questo proposito Silvio Ceccato, avvenne per chiamata
gentile. Io mi trovavo in parabola neo-positivistica o logico-empiristica
discendente. Il filone che cominciava ad interessarmi era ormai piuttosto
quello di P.W. Bridgman e di H. Dingler, comunque un filone operativo. Questo
difficilmente avrebbe permesso una intesa con i due filosofi del gruppo, L.
Geymonat e G. Preti. Una collisione non poteva tardare anche con il più aperto
filosofo ufficiale, Antonio Banfi, più storico, più umanista. Un certo divario
di lavoro si venne a creare anche con gli scienziati in quanto per lo
scienziato di discipline assestate e floride, come la fisica, la biologia,
l’anatomo-fisiologia, etc., la metodologia si può aggiungere come ornamento,
come divertimento. Ma non per me. Così terminate le pubblicazioni di «Analisi»,
la sua eredità venne raccolta, in quello stesso 1947, dalla rivista romana «Sigma»,
fondata da Vittorio Somenzi e Giuseppe Vaccarino13. Il periodico – che
riportava il sottotitolo di «Conoscenza unitaria» – si proponeva di riunire,
come si legge nella seconda di copertina, «una limitata quantità di elementi
atti a determinare una concezione unica della conoscenza». La nota di
presentazione della rivista precisava poi i confini all’interno dei quali si
intendevano muovere i curatori: «si va facendo evidente che esaurire la scienza
nel tecnicismo dello specialista è dannoso – non solo ai fini della
costituzione di un sistema unitario della conoscenza scientifica, ma anche nei
riguardi degli stessi progressi tecnici nei singoli settori»14. Da qui
specialistico verso una comune impostazione dei modi fondamentali, pur essi
comuni, con cui si edifica e modifica il sapere scientifico». Unico limite, in
tal senso, era quello di non «travalicare di là dalla metodologia in una
sistematica della scienza [per] fare della metafisica insaputa e inutile» (Il
programma, in «Analisi»). 12 “Analysis”: trent’anni dopo, testimonianza di S.
Ceccato, in Analisi. Milano 1945. In una lettera a Giuseppe Vaccarino del 3
maggio 1947, Vittorio Somenzi rilegge la storia di «Sigma» con le parole
seguenti: «La rivista è nata con la modesta intenzione di pubblicare il vecchio
materiale tuo, di Colorni e Cotone, mio. E di esaurirlo coi primi numeri. Poi
si è visto che, se non altro dato il costo della carta e stampa, conveniva
pubblicare un tentativo di sintesi organica, sia pure provvisoria, del tuo – e
limitare quello dei due C. e mio a ciò che poteva avere ancora interesse dal
punto di vista filosofico. Infine è sorta l’idea, con la crisi di Analisi, di
prenderne il posto con il programma serio di Metodo. Già l’impostazione dei
primi due numeri ci alienerà le simpatie dei Castelli, Blanc, Fantappié ecc.,
ma anche dei Filiasi e Geymonat (l’interessamento di quest’ultimo è
condizionato alla possibilità di una nostra conversione al materialismo
dialettico/razionalista tipo “La Pensée”). Attualmente spero solo nei Servadio
e magari Spirito, Savinio e stop» (“Sapienza” Università di Roma, Biblioteca
del dipartimento di Fisica, Fondo Vittorio Somenzi, sez. 3, Attività
professionale, 1929-2003, serie 2, Carte di lavoro non organizzate, 4,
Collaborazione con Giuseppe Vaccarino, b. 1, Vaccarino, 1943-1948. Da ora in
avanti, il Fondo sarà abbreviato con la sigla FS, seguita dall’indicazione dei
riferimenti completi d’inventario). 14 La conoscenza unitaria, in «Sigma». Scriveva
Giuseppe Vaccarino a Vittorio Somenzi il 14 ottobre 1946 riguardo a questa
nota: «Rileggendo la tua edizione riveduta della Conoscenza unitaria penso che
possa andare come presentazione anonima, specie se sarà da Geri Cerchiai
6 avrebbe anche dovuto discendere il ruolo della ricerca metodologica, che –
comprendendo un discorso più largamente critico-filosofico – avrebbe dovuto
fissare le norme dirette ad unificare in sistema le scienze particolari o la
conoscenza in genere. Come «Analisi», anche «Sigma» ebbe però vita breve, e
dopo sei numeri una nota editoriale ne annunciava la confluenza nella rivista
«Methodos». Questo fu dunque lo sfondo culturale che vide nascere l’interesse
per la filosofia colorniana, un interesse che, attraverso la pubblicazione di
alcuni testi del filosofo milanese, richiamava alla ricostruzione della
filosofia empiristica italiana (come la proposta del ebraico-britannico Ayer a
Oxford) come tradizione anti-metafisica e anti-idealistica e capace di attuare
un profondo rinnovamento negli orientamenti teoretici nazionali. D’altra parte,
che il pensiero di Colorni fosse in certa misura vicino alle posizioni espresse
da «Analisi» e «Sigma» è testimoniato, oltre che dalle singole scelte di
politica editoriale delle due riviste, da quanto raccontato dagli stessi
protagonisti: «Ricordo con precisione», ha scritto ad esempio Fachini sul
secondo numero di «Analisi», le conversazioni di quell’epoca: credo di poter
affermare, per esperienza personale, che il Colorni, giovanissimo sia stato tra
i primi italiani di preparazione filosofica a tentare di accogliere e di
comprendere, in modo serio, le nuove affermazioni epistemologiche. La più gran
parte del suo lavoro è inedita: molte pregevoli cose egli ha lasciato: e forse
potrebbe indicarci vie nuove. Gli amici di «Analisi» auspicano di poter far conoscere
in cerchio vasto il suo lavoro, a vantaggio della ricerca metodologica e in
omaggio alla sua memoria Somenzi, a sua volta, scrivendo a Giuseppe Vaccarino
della pubblicazione degli scritti colorniani su «Sigma», afferma: Per Sigma convinciti
che i nostri scritti, incomprensibili per virtù proprie dalla maggioranza dei
competenti, l’hanno irrimediabilmente “condannata” e che quelli di Colorni sono
ancora i migliori che potessimo o possiamo esibire, oltre che i più vicini al
nostro ordine di idee. “Fisica teorica e filosofia” di Colornimerita senz’altro
la pubblicazione sul numero che spero di riuscire a dedicare a questo
argomento19 . Rievocando poi il Progetto di una rivista di metodologia
scientifica – da Colorni discusso fra gli altri con Ludovico Geymonat durante
gli anni della guerra – ante ulteriormente ampliata. Effettivamente rileggendo
il mo testo subito dopo averlo scritto non avevo avuto una buona impressione.
Ma ora mi è piaciuto» (FS, sez. 5, Corrispondenza, gen. 28, serie 1, Corrispondenza
scientifica, gen. 28, 135, Vaccarino Giuseppe, 1946-1948. 15 La conoscenza
unitaria, cit., p. 4. 16 F. Cambi, Razionalismo e prassi a Milano, G. Fachini,
Eugenio Colorni, in «Analisi», I, 1945, 2, pp. 105-106. 18 Si tratta di E.
Colorni, Critica filosofia e fisica teorica. 19 Lettera di Vittorio Somenzi a
Giuseppe Vaccarino. Alcuni inediti riconducibili a tale progetto sono
presentati in M. Quaranta, La “scoperta” di Eugenio Colorni, cit., cfr. in
part. le pp. 126-130. Per i testi di FS destinati alla rivista metodologica. Cinque
scritti metodologici di Eugenio Colorni 7 cora Somenzi ha sottolineato nel 1986
come esso corrispondesse «nella sostanza a molte realizzazioni degli ultimi
quarant’anni, da riviste come “Analysis” a collane di volumi di filosofia della
scienza e di storia della scienza quali quelle impostate a Milano e Torino
[dallo stesso] Geymonat e da Paolo Rossi»21 . A partire da queste premesse,
appare evidente come la storia della riscoperta colorniana nel dopoguerra possa
concorrere a gettare luce su alcuni fondamentali aspetti dello stesso pensiero
dell’autore; essa ne evidenzia difatti la novità di prospettiva e la
conseguente, connaturata disposizione a dialogare coi più avanzati ambienti
filosofico-culturali del nostro Paese. Ciò che tuttavia rende affatto esemplare
la filosofia colorniana, concorrendo a fare di essa un importante «contributo
alla comprensione del travaglio della filosofia italiana al momento del declino
della preponderanza idealistica, non è soltanto la particolare modalità della
sua ricezione nella seconda metà degli anni Quaranta, ma anche la complessiva
parabola intellettuale seguita dal giovane studioso per giungere alle posizioni
metodologiche degli ultimi anni. 2. Fonti e maestri Colorni fu allievo di
Giuseppe Antonio Borgese e di Piero Martinetti alla Regia Università di Milano.
Nel raccontare della formazione universitaria del giovane Eugenio, Enzo
Tagliacozzo ha scritto a questo proposito: va ricordata l’influenza che sui
suoi studenti ebbe allora una personalità come quella di Borgese, che Eugenio e
compagni chiamavano scherzosamente G.A. Era uno di quei pochi professori che
non disdegnavano allora di soffermarsi a discutere dopo la lezione con i propri
studenti. Altra influenza determinante per i suoi studenti quella dell’austero
Piero Martinetti che spiegava Kant alle otto del mattino. Martinetti avviava
gli studenti al rigorismo dell’etica kantiana, mentre il brillante G.A., più
alla mano, discuteva di estetica e letteratura comparata23 . I debiti con
l’insegnamento di Borgese, d’altro canto, sono resi espliciti dallo stesso
Colorni, che in un suo curriculum universitario afferma: Durante i miei studi
mi sono occupato specialmente di problemi filosofici ed estetici e, sotto la
direzione del Borgese, ho redatto lavori su L’estetica di Roberto Ardi21 V.
Somenzi, Eugenio Colorni filosofo della scienza, in «Filosofia e società», N. Bobbio, Introduzione, cit., p. VI. 23 E.
Tagliacozzo, L’uomo Colorni, in «Tempo presente». Prosegue poi Tagliacozzo
nella pagina seguente: «Martinetti […] indusse [Eugenio] ad approfondire Kant,
amò Spinoza dopo la prima infatuazione per l’idealismo italiano. E chi in
quegli anni non lesse Croce e Gentile, ma specie Croce? […] Eugenio conobbe
Hegel, ma non fu mai hegeliano. Studiò dal punto di vista filosofico Marx, ma
non fu mai marxista. Dopo un’esercitazione sul positivismo – e si noti
l’influenza borgesiana nell’approfondimento dei problemi estetici – si
indirizzò verso Leibniz» (ivi, p. 54). Geri Cerchiai 8 gò e del positivismo
italiano, L’estetica bergsoniana e L’estetica di Benedetto Croce. Quest’ultimo
studio è stato pubblicato più tardi a Milano dalla casa editrice “La Cultura”24
. Più complesso, e forse maggiormente studiato, è il rapporto di Colorni con
Piero Martinetti, col quale l’autore si laureò nel 1930 su Sviluppo e
significato dell’individualismo leibniziano. Il primo, fondamentale impulso
all’approfondimento di Leibniz25; l’introduzione alla filosofia di Kant26; il
rifiuto del metodo dialettico27; l’urgenza di rinvenire una nuova, diversa
organizzazione del nesso fra individuale ed universale, sono elementi che
stringono Colorni al magistero martinettiano e che risultano fondamentali per
la più generale formazione del filosofo milanese. Al di sotto di tutti è poi
presente l’esigenza di individuare il corretto rapporto fra l’analisi della
realtà e la sua organizzazione sistematica, esigenza il cui movimento e la cui
parabola all’interno della propria maturazione intellettuale sono così
descritte, ne La malattia filosofica, dallo stesso protagonista: 24 Curriculum
vitae di Colorni, s.d., in Archivio Hirschmann, Roma, citato in S. Gerbi, Tempi
di Malafede. Guido Piovene ed Eugenio Colorni. Una storia italiana tra fascismo
e dopoguerra, nuova edizione Milano, Hoepli, pp. 41-42. Cfr.: E. Colorni,
L’estetica di benedetto Croce. Studio critico, Milano, La Cultura; Id., Roberto
Ardigò, in «Pietre», firmato con lo pseudonimo di Carlo Rosemberg; per una
storia di questa pubblicazione rinvio ad A. Vigorelli, Antifascismo tra i
giovani: il caso di “Pietre”, in Eugenio Colorni e la cultura italiana, a cura
di G. Cerchiai e G. Rota, cit., pp. 251-266); lo scritto sul bergsonismo è
tuttora inedito. È lo stesso Colorni, ne La malattia filosofica, a raccontare
come si svolgevano, durante le lezioni di Borgese, le esercitazioni dalle quali
è nato ad esempio lo studio su Croce: «All’università si dà continuamente
battaglia contro Croce. Ogni settimana, uno studente sale sulla cattedra per
discutere coi compagni e col professore […]. Salire anche lui su quella pedana,
gli piacerebbe tanto: ma per che dire? Tenterà, ad ogni modo» (E. Colorni, La
malattia filosofica, p. 26). Sul rapporto fra Colorni e Borgese rimando ad A.
Riosa, Giuseppe Antonio Borgese ed Eugenio Colorni tra letteratura e politica, in
G. Cerchiai e G. Rota (a cura di), Eugenio Colorni e la cultura italiana. Nello
stesso periodo nel quale si laureava Colorni, altri due allievi di Martinetti,
Giovanni Emanuele Barié e Carlo Emilio Gadda, venivano indirizzati dal maestro
allo studio del filosofo di Lipsia. Si veda, a mero titolo di esempio, quanto
lo stesso Martinetti scriveva nel 1926 a Gadda: «Se fra tre o quattro anni Ella
potesse uscire con una bella esposizione di Leibniz (non tema d’avere
concorrenti in questo argomento!) la via dell’università (per storia della
filosofia) Le sarebbe aperta» (Lettera di Piero Martinetti a Carlo Emilio
Gadda, 24 febbraio 1926; in P. Martinetti, Lettere a Carlo Emilio Gadda, a cura
di G. Lucchini, in «I quaderni dell’ingegnere. Testi e studi gaddiani», Cfr.
anche: G. Cerchiai, Due inediti di Giovanni Emanuele su Leibniz, in «Rivista di
storia della filosofia», LIII, 1998, pp. 125-136; Id., Eugenio Colorni lettore
di Leibniz, in Eugenio Colorni e la filosofia italiana, cit., pp. 159-176. 26
Si veda la testimonianza di Tagliacozzo riportata poco sopra. Per il clima nel
quale poteva essere riletto Kant durante le lezioni martinettiane (con
particolare riferimento alle vicende relative a Colorni), si rimanda a S.
Gerbi, Tempi di malafede, cit., p. 39. 27 Una delle poche citazione dirette di
Colorni presenti nel libro sull’estetica crociana rinvia proprio allo scritto
di Martinetti intitolato Il metodo dialettico (in «Rivista di filosofia), là
dove Colorni scrive: «perché, per quale forza o per quale principio questa
implicazione dei contrari debba presentarsi quasi come una generazione dell’uno
da parte dell’altro, è difficile a intendersi. Perché si deve dire che il
Non-io, il quale è, per la sua stessa definizione, inseparabile dall’Io,
sgorga, si svolge, si origina da esso? Che il particolare nasce
dall’universale?» (E. Colorni, L’estetica di Benedetto Croce, cit. p. 11).
Cinque scritti metodologici di Eugenio Colorni. Il problema che lo occupa è
sempre il posto, la collocazione delle facoltà nel mondo dello spirito. A un
certo punto, gli balena la possibilità che questi elementi di cui cercava con
tanto accanimento l’ordine e la collocazione, non patiscano alcun ordine:
possano vivere così, separati, paralleli, autonomi. L’idea lo entusiasma. Gli
sembra di avere ora fatto veramente un passo innanzi. E non pensa più tanto a
definire e a ordinare, quanto a descrivere. Ma questo procedere dovrà pure
avere una sua giustificazione teorica, dovrà pure inquadrarsi in una visione
del mondo, avere un suo nome che termina in -ismo. Pierino [alter ego di
Colorni] si butta sui pluralisti, sugli empiriocriticisti: studia Mach e
Avenarius, si addentra nel labirinto di Leibniz. Su queste basi, si può dire
che quello che altrove ho definito il “problema dell’ordine” divenga, talvolta
anche solo per contrasto, uno dei fili conduttori dell’intera riflessione
colorniana: impostato fin da L’estetica di Benedetto Croce, esso cercherà una
prima, instabile sistemazione nella filosofia di Leibniz, per trovare poi nella
rilettura metodologica ed epistemologica del criticismo kantiano una soluzione
– o, come potrebbe dirsi: dissoluzione – affatto originale. Al fine di seguire
il movimento del pensiero di Colorni da questo punto di vista, può essere utile
rileggere le parole dell’autore stesso. E. Colorni, La malattia filosofica, p.
29; cfr. anche ibidem, n. 19 del curatore. Di Leibniz dirò in seguito, in
questo stesso paragrafo. Per quanto riguarda l’accenno agli empiriocriticisti,
si rimanda a quanto scritto da Luca Guzzardi nel 2011, il quale, esaminando
precisamente la radice dei riferimenti colorniani a Mach, Avenarius e Schuppe,
ne ha riconosciuto l’origine proprio nell’insegnamento di Martinetti:
«Colorni», spiega Guzzardi, «aveva potuto trovare una valutazione positiva di
questo pluralismo, nonché delle “filosofie dell’esperienza” di Schuppe,
Avenarius e Mach, nell’Introduzione alla metafisica di Piero Martinetti.
D’altra parte, ai primi del Novecento Martinetti aveva indirizzato allo studio
di Mach, Avenarius e Schuppe, un giovane e promettente allievo, Aurelio Pelazza.
Tali circostanze», secondo Guzzardi, «fanno ritenere», insieme con altre che
dovrebbero essere approfondite, «che l’interesse originario di Colorni per
l’empiriocriticismo sia da collegare a Martinetti e Pelazza» (L. Guzzardi, Lo
specchio della natura. Colorni e la cultura scientifica del suo tempo, in
Eugenio Colorni e la cultura italiana, a cura di G. Cerchiai e G. Rota, cit.,
pp. 177-195, pp. 188-189). Prosegue Guzzardi in queste stesse pagine: «Non solo
Schuppe e Avenarius vengono citati da Colorni nella recensione all’Introduzione
alla metafisica; qui si trova pure accennato fra i meriti di Martinetti “quel
concetto di esperienza pura e obiettiva che egli sembra indicare come via di
uscita dalle difficoltà in cui il pensiero moderno si trova impigliato” – e
l’esperienza pura [reine Erfahrung], attorno a cui Pelazza aveva costruito la
propria presentazione dell’empiriocriticismo, aveva costituito il punto
d’approdo della filosofia di Avenarius» (ivi, p. 189). La recensione
Sull’“Introduzione alla metafisica” di Piero Martinetti si trova ora alle pp.
52-57 dell’edizione Einaudi degli scritti colorniani. A tutto ciò si può
aggiungere che Colorni accostò all’empiriocriticismo anche la filosofia di
Benedetto Croce: «L’individualismo del Croce […] non è necessariamente in
contrasto col suo idealismo: risolve piuttosto il principio dell’autocoscienza
– che è essenziale all’idealismo – in una coscienza del pensiero nella
effettualità del suo pensare; identifica il punto di partenza soggettivo col
suo necessario correlato oggettivo, l’universale col particolare. In questo
senso si avvicina piuttosto a forme di contingentismo e di empiriocriticismo; e
in questo senso appunto è giustificabile il suo tenersi al dato e partire da esso:
in quanto questo dato non può essere inteso che come uno stato d’animo,
un’esperienza che debba essere vissuta intensamente, e da cui si debba trarre a
volta a volta l’assoluto» (E. Colorni, L’estetica di Benedetto Croce, cit., p.
6). 29 Cfr. G. Cerchiai, L’itinerario filosofico di Eugenio Colorni, in
«Rivista di storia della filosofia», Geri Cerchiai 10 Nel libretto su Croce, il
problema dell’ordine è inquadrato a partire dalla questione del rapporto fra la
«soprastruttura» 30 dialettica del sistema e l’effettivo valore delle singole
osservazioni: «Ciò che sta sotto l’organizzazione esteriore», scrive Colorni, è
nel crocianesimo il vero sistema, non ancora chiaro e formulato, ma agile e
ricco di molteplici possibilità. Ricercare tale ricchezza sotto un’impalcatura
in gran parte insoddisfacente è il compito che s’impone a chiunque viva quel
pensiero come un’esperienza della propria vita. E seguirne la possibilità di
sviluppo anche di là dalla forma che ha dato a se stessa, ci pare il miglior omaggio
che si possa rendere a una filosofia31 . Se il “metodo individualistico” così
identificato nella filosofia di Croce conduce Colorni a liberare le singole
osservazioni «dall’interpretazione che il Croce stesso ne ha data allo scopo di
adattarle ad un suo schema presupposto di organizzazione», per cercare di
«renderle di nuovo pure» e «ravvisare» di conseguenza «in esse» un sistema «non
imposto in precedenza, ma derivante e identico coi dati stessi forniti»32, non
può stupire l’interesse teorico nutrito dal filosofo milanese per il secondo
dei suoi “auttori”, ossia per il pensiero di Leibniz. Quest’ultimo, infatti,
pare offrire precisamente la possibilità di chiudere in un circolo coerente
l’analisi empirica del particolare e l’organizzazione sistematica del tutto.
Scrive Colorni: Leibniz […] non parte mai con l’intento esplicito di costruire
un sistema. La sua attività filosofica si presenta a tutta prima come una
grande raccolta di prese di posizione particolari. Eppure il sistema non manca
in esse: è anzi continuamente presente. I singoli problemi si mostrano a poco a
poco connessi l’uno all’altro; le soluzioni convergono, si giustificano e
confermano a vicenda […]. Il sistema non è una pura esteriorità, un concordanza
sopravvenuta; è anzi l’anima di ciascuno osservazione, attraverso cui tutto si
spiega e si giustifica33 . Per tali motivi, Leibniz rappresenta quasi il
contraltare dello storicismo crociano o, meglio ancora, il rimedio alle sue
lacune; «Leibniz», infatti, «differisce [proprio] in questo da altri pensatori,
apparentemente più coerenti e organizzati, ma la cui ricchezza va cercata al di
là del sistema, nelle varie formulazioni particolari»34: vi differisce cioè per
il fatto che, come si è visto, il suo sistema si E. Colorni, L’estetica di Benedetto
Croce, cit. Scrive ancora Colorni: «chi parta dal mondo stesso e, rendendo
eterno e universale ciascun dato di questo, voglia costruire una scienza delle
forme possibili di questa universalizzazione e di qui giungere ad una visione
complessiva dei modi eterni della realtà e delle loro reazioni reciproche, non
pone il sistema all’inizio, come premessa della sua ricerca; ma ad esso
giungerà al termine ideale del suo cammino. Colorni, Nota bio-bibliografica, in
G. W. von Leibniz, La monadologia, preceduta da una esposizione antologica del
sistema leibniziano, a cura di E. Colorni, Firenze, Sansoni. Il riferimento
sembra rinviare precisamente alla critica della filosofia crociana. Cinque
scritti metodologici di Eugenio Colorni 11 sviluppa spontaneamente dalle singole
osservazioni e l’insieme si mostra nella sua completezza attraverso il
complesso dei suoi aspetti. E tuttavia, lo scacco della prospettiva leibniziana
giungerà a sua volta quando, muovendo da simili presupposti, Colorni dovrà
constatare il carattere prettamente soggettivo del tentativo di
sistematizzazione da quella realizzato: Leibniz, spiega così Colorni nel suo
ultimo scritto sull’argomento, applica all’ordine spirituale quella continuità,
quel passaggio ininterrotto, quel procedere da ogni legge ad una legge più
vasta, che egli crede di scorgere come l’essenza più profonda del mondo
naturale. Che questa stessa continuità e questo allargarsi sia, più che una
legge della natura, un’esigenza dello spirito nella considerazione della natura
stessa, egli non sospetta36 . L’insuccesso del punto di vista leibniziano
consentirà però anche a Colorni di schiudere un più libero sguardo, sciolto
ormai dai condizionamenti delle diverse scuole filosofiche, sul criticismo
kantiano e sugli strumenti da questo forniti per lo studio dei meccanismi di
funzionamento del pensiero. Già nel 1932, Colorni aveva anticipato le due linee
– leibniziana e kantiana – della propria filosofia, là dove aveva scritto, in
Di alcune relazioni fra conoscenza e volontà, che la monade di Leibniz avrebbe
dovuto completarsi con la dottrina kantiana, di modo che l’«universalità della
monade, intesa come realtà cosciente, puo coincidere con la trascendentalità
del conoscere, inteso come conoscenza reale»37. L’effettivo passaggio ad un più
maturo kantismo segna tuttavia per Colorni un punto di svolta fondamentale o,
come afferma l’autore stesso, una vera e propria «operazione di cataratta»38,
capace di conquistare una diversa prospettiva sul mondo: esso, infatti,
consente al giovane studioso di voltare le spalle alla “conoscenza filosofica”
e di approdare infine a quella particolare metodica ch’egli presenta come conoscenza
prettamente scientifica, intesa cioè come padronanza di un processo. La domanda
impossibile (senza senso) della filosofia, spiega così Colorni, pur nella loro
rigida formulazione teoretica, sono sempre espressione di qualche tendenza, di
qualche profonda esigenza dell’animo. La risposta si dà dunque divenendo
padroni del meccanismo psicologico mediante cui la domanda viene posta; essendo
capaci di riprodurlo, di seguirlo nelle sue fasi, di variarlo all’infinto. Al
problema della realtà, si risponde fabbricando animi per cui l’expressione
“realtà” non ha senso. Alla domanda se esiste un mondo in sé in cui la somma
degli angoli di un triangolo non sia uguale a due angoli retti, si risponde
costruendo una geometria in cui tale somma sia effettivamente maggiore o minore
di due retti, e mostrando che tale geometria non è né più né meno vera di
quell’altra; ma è, rispetto all’altra, essenzialmente nuova E. Colorni, Libero
arbitrio e grazia nel pensiero di Leibniz, E. Colorni, Di alcune relazioni fra conoscenza
e volontà. E. Colorni, Critica filosofia e fisica teorica, E. Colorni,
Filosofia e scienza, p. 237. 40 E. Colorni, Critica filosofia e fisica teorica,
pp. 229-230. Geri Cerchiai 12 È in questo contesto, all’interno del quale
Colorni ritiene di essere definitivamente guarito dalla sua «malattia
filosofica»41, che vanno collocati i titoli di seguito trascritti e conservati
presso la “Sapienza” Università di Roma, Biblioteca del dipartimento di Fisica,
Fondo Vittorio Somenzi. Di tali scritti, e degli altri pubblicati dalle riviste
«Aretusa», «Analisi» e «Sigma», è lo stesso Somenzi a raccontare la storia nel
già citato testo su Eugenio Colorni filosofo della scienza. 3. La metodologia
colorniana negli scritti del Fondo Somenzi «Nel 1945», scrive difatti Somenzi,
comparve sulla rivista «Aretusa» un Ricordo di Colorni scritto dall’amico Guido
Morpurgo-Tagliabue, accompagnato da due inediti stimolanti: Il bisogno
dell’unità e Sul complesso di Edipo. Altri inediti mi pervennero attraverso la
rivista «Analisi» […], e di questi una parte venne pubblicata su «Analisi» e
sulla rivista romana «Sigma» che ad essa si affiancò per iniziativa di Giuseppe
Vaccarino e mia. Dal carteggio fra Vaccarino e Somenzi emergono altre
importanti informazioni sui dattiloscritti conservati in FS, che con ogni
evidenza i due fondatori di «Sigma» si inviavano in reciproca lettura. Di
quanto scriveva Somenzi a Vaccarino nel maggio del ’47 si è già reso conto nel
§ 1. Il 27 gennaio di quel medesimo anno, è Vaccarino a dire a Somenzi di
sperare «tra qualche giorno di inviar[gli] i Colorni»; il giorno appresso, e
quello successivo ancora, Vaccarino aggiunge poi quanto segue: Spero domani di
inviarti i Colorni. Molto interessanti e brillanti. Comincerei con i dialoghi
di “Commodo”, combinandoli in modo che abbiano tra di loro un certo legame.
Ieri sera ho riletto i Colorni, che ti rimando tranne l’ultimo, che ti invierò
tra qualche giorno. “I dialoghi” si potrebbero pubblicare in 3 puntate – (La
seconda notevolmente più lunga delle altre 2) – Vi è una quarta puntata
sull’economia, che mi piace meno. Nel testo ho cambiato qualche parola a matita
(in modo che tu possa eventualmente ricorreggere). Ho creduto anche opportuno
evitare il “dialogo nel dialogo” nel primo n°, introducendo invece del “fisico
ribelle” il “Curiosus” del secondo n°. L’Apologo ed il Ritorno alla natura
vanno anche benissimo. Forse si potrebbero pubblicare unitamente al terzo
dialogo, che è molto breve. Le idee di Colorni mi sembrano meglio espresse nei
dialoghi che nel capitolo sulla fisica, data la forma brillante 41 La malattia
filosofica è per l’appunto il titolo che Colorni diede alla sua più completa
biografia intellettuale, già qui ricordata nelle pagine precedenti. 42 V.
Somenzi, Eugenio Colorni, cit., p. 79. Prosegue poi Somenzi citando di fatto
alcuni dei titoli dei quali si sta qui discutendo: «La rivista doveva contenere
articoli di fondo dedicati a problemi come: il concetto di esperienza, costanti
universali e unità di misura, l’illusione finalistica nella fisica e nella
biologia, l’illusione realistica nella fisica, geometria ed esperienza,
l’assiomatica dei principi della meccanica, l’assiomatica della teoria della
relatività e quella della meccanica quantistica, fisica puntuale e fisica di
campo, il concetto di istinto, la polemica tra meccanicismo e vitalismo, la
costruzione di una economia indipendente da premesse psicologiche» (ivi, p. 80).
dell’espressione. In quanto alle opinioni espresse (l’io, la storia, l’amore,
ecc.) non c’è coincidenza con la metaconoscenza, anzi piena opposizione43 . Su
«Analisi», nel 1947, uscì Filosofia e scienza44, mentre – fra il 1947 e il 1948
– un più consistente numero di titoli apparve su «Sigma»; si trattava, in
particolare, dei testi seguenti: Apologo su quattro modi di filosofare; Della
lettura dei filosofi; Del finalismo nelle scienze; Dell’antropomorfismo nelle
scienze; Sugli idoli della scienza fisica; Critica filosofica e fisica teorica;
Il ritorno alla natura; Filosofi a congresso45 . Oltre a questi – e
presumibilmente appartenenti al medesimo gruppo di testi del quale Somenzi
afferma di aver pubblicato solo una parte – in FS sono conservati altri dattiloscritti,
di cui sono qui trascritti quelli maggiormente compiuti46 . I primi tre scritti
appartengono con ogni evidenza al gruppo di testi destinati dall’autore alla
rivista di metodologia scientifica progettata con Ludovico Geymonat nel 194247.
Questa, oltre a note di varietà, rassegne e recensioni, avrebbe infatti dovuto
ospitare una sezione dedicata ad «Articoli e saggi», fra i cui titoli Colorni
indica per l’appunto Geometria ed esperienza e Assiomatica delle leggi della
meccanica. Il testo intitolato II: Relatività generale è, come mostrato dalla
numerazione romana, il secondo paragrafo di Sull’assiomatica della teoria della
relatività (anch’esso menzionato nel Progetto di una rivista di metodologia
scientifica), il quale comincia proprio con l’indicazione di un paragrafo (I)
La relatività ristretta. Tutti e tre i testi fanno riferimento al discorso
intorno all’idea di esperienza che per Colorni discende dalla scoperta del
carattere relativo delle categorie: «la coscienza che abbiamo acquistato della
nostra possibilità di modificare [i] dati elementari»48 della conoscenza,
infatti, costringe secondo Colorni sia a riformare i concetti di a priori e di
a posteriori, sia a rivedere coerentemente la nozione di esperienza. «A
priori», spiega così Colorni, «non significa più della ragione. A posteriori
non significa più dei sensi. Sia i dati della ragione, sia i dati dei sensi,
ap43 Lettere rispettivamente del 28 e del 29 gennaio 1947; quest’ultima è
scritta di seguito all’epistola del giorno precedente, sul medesimo foglio. Il
17 gennaio 1947, Vaccarino aveva informato Somenzi del suo scritto sulla
metaconoscenza, col quale confronta qui gli scritti colorniani: «Avevo
preparato uno scritto sui rapporti tra la conoscenza e la religione, il quale
in definitiva risultò troppo lungo ed infarcito di considerazioni
metagnosologiche. Ho pensato perciò che è meglio direttamente attaccare la
questione della metaconoscenza». Tutte le lettere sono in FS, sez. 5,
Corrispondenza, gen. 28, serie 1, Corrispondenza scientifica, 1942-2003 gen.
28, 135, Vaccarino Giuseppe, 1946-1948. Il “fisico ribelle” è probabilmente il
Fisico che Colorni inserisce quale interlocutore (appunto: quasi come dialogo
nel dialogo) in Del finalismo nelle scienze, e che nella stampa definitiva su «Sigma»
non viene poi effettivamente sostituito dal Curiosus interlocutore di
Dell’antropomorfismo nelle scienze. 44 Cfr. supra, § 1, n. 9. Il testo
comprende parzialmente anche: Sul concetto di esperienza e Intorno al principio
di identità. Cfr. infra, la Nota del
curatore. 47 Cfr. supra, § 1 e la n. 20. 48 E. Colorni, Filosofia e scienza, p.
241. Geri Cerchiai 14 paiono come elementi in cui il fattore soggettivo e
quello oggettivo si presentano mescolati, ma di cui è in nostro potere,
mediante un procedimento logico e psicologico insieme, modificare la
struttura»49 . L’esperienza, a sua volta, «anziché rivelare leggi naturali»,
dovrà suggerire, secondo le contingenti necessità degli studiosi, «determinate
forme di definizione e di misura»50, utili a proseguire nel lavoro di ricerca
scientifica51 . Siamo qui di fronte a quel progetto di “liberazione” della
fisica «dalle premesse realistiche-finalistiche» che deve per Colorni
rappresentare non solo «uno degli scopi essenziali della rivista»52, ma anche
il fine ultimo della sua stessa critica epistemologica. Di tale progetto il più
lungo e strutturato Programma contribuisce a tracciare ulteriormente i contorni
teorici. Il nucleo dello scritto ruota intorno alla considerazione secondo la quale
la «filosofia odierna dovrebbe anzitutto esaminare le chiavi che abbiamo in
mano, cioè i criteri di ricerca, i metodi d’indagine. Criteri che, ormai ciò è
chiaro a tutti, trasformano radicalmente la realtà, operando una scelta che ci
fa scorgere solo ciò che da essi può essere afferrato». La constatazione del
carattere condizionato della realtà diviene in tal modo, e nuovamente, il punto
di partenza – tutto kantiano – della metodologia di Colorni. Il criticismo
trascendentale, aggiunge però l’autore, «ha messo tutti sul chi vive», sì che
«la curiosità di vedere al di là del “velo di Maja” delle categorie si è fatta
sempre più intensa»; sarà tuttavia soltanto la capacità della conoscenza
scientifica di disubbidire all’«ammonimento di Kant» per trascurare «i limiti»
da questo imposti che consentirà, ancora una volta, di compiere il secondo,
decisivo passo lungo la strada già intrapresa dalla Critica della ragione pura:
«La domanda da porsi», chiarisce Colorni in un passo cruciale di Critica
filosofica e fisica teorica, Non [è]: “È il mondo del nostro pensiero, o non è,
quello reale?”; bensì: “Come potrebbe essere conformato un mondo di pensiero
diverso dal nostro?”. La prima domanda parte da quella esigenza di sicurezza e
stabilità che è sempre collegata col pensiero del reale [e che appartiene
all’atteggiamento filosofico]. La risposta che essa cerca è una risposta che
assicuri tale sicurezza e stabilità in un modo qualsiasi; nel reale, o in qualche
cosa che lo sostituisca. La seconda domanda [propria dell’atteggiamento
scientifico] muove invece da una esigenza di novità […]. Si tratta qui del
secondo passo della rivoluzione copernicana. Il primo era consistito
nell’accorgersi che le leggi della realtà non sono che forme del nostro
intelletto. Il secondo consiste nel domandarsi se queste forme siano proprio
necessarie ed immutabili e irresolubili. Anzi, non 49 Ibid. A priori diviene
perciò il «nostro potere di modificazione che si riferisce sia agli oggetti
della nostra ragione, sia a quelli dei nostri sensi. Mentre poi «la geometria
definisce gli oggetti su cui opera mediante i suoi assiomi, la fisica definisce
quei medesimi oggetti mediante definizioni reali, cioè facendoli corrispondere
a determinati fenomeni naturali. Mentre dunque la prima gode di una completa
libertà nella scelta degli assiomi, la seconda è legata alle conseguenze
implicite nella scelta di quelle particolari definizioni; libera però di mutare
le definizioni, qualora le conseguenze non la soddisfacessero. E. Colorni, Sul
concetto di esperienza, p. 251. Cinque scritti metodologici di Eugenio Colorni
15 nel domandarsi se siano irresolubili (domanda che presuppone l’uso di quelle
forme stesse) ma nel tentare senz’altro di scioglierle53 . In tal modo, spiega
Colorni al termine di Programma, è la conoscenza scientifica a raggiungere
quell’“al di là” che alla prospettiva kantiana era negato, ma l’“al di là” al
quale essa perviene «non è una negazione del “di qua”, non è un assoluto privo
di categoria. È un mondo di nuove categorie», un mondo al quale si viene
portati, in primo luogo, dalla consapevolezza che la «legge essenziale della
natura è la ragione, e la ragione è pure la legge essenziale del mondo esterno,
in quanto l’uomo non fa che proiettare fuori di sé l’essenza della propria
natura»54 . L’ultimo testo qui trascritto, Commodo a Ritroso, appartiene ad un
gruppo di dialoghi, noto come Dialoghi di Commodo, stesi a più mani durante il
periodo del confino a Ventotene55. Commodo, come ha spiegato la moglie Ursula
Hirschmann in occasione dei primi tentativi di pubblicazione integrale dei
frammenti colorniani, è lo stesso Colorni; Ritroso è Ernesto Rossi56 . Lo
scritto prende spunto da argomenti economici per chiarire alcune questioni che,
venendo a teorizzare una sorta di “dilettantismo metodologico”, rendono conto
della stessa natura dell’indagine colorniana. L’«appartenenza professionale»,
dice Colorni all’amico Ritroso/Rossi in uno dei dialoghi già 53 E. Colorni,
Critica filosofica e fisica teorica, pp. 227-228. 54 Ivi, p. 234. 55 Racconta
Altiero Spinelli nella sua autobiografia, ben descrivendo non solo la genesi
dei Dialoghi di Commodo, ma anche l’atteggiamento di Colorni nelle discussioni:
«Parlavamo ogni giorno delle cose più varie, di politica, di geometria non
euclidea, di nostri compagni di confino, delle nostre letture, delle nostre
storie personali, dei grandi della storia, ma sentivo che [Eugenio] stava
sempre attento a scoprire un qualche mio coperto punto malato, che egli avrebbe
messo in luce, curato e guarito – poiché la vocazione del guaritore d’anime l’aveva
proprio nel sangue […]. Mi affascinava la precisione quasi infallibile con la
quale scopriva il punto errato di un ragionamento, il punto equivoco di un
atteggiamento, il momento retorico di un’espressione […]. Talvolta uno di noi,
ripensando la sera alle parole scambiate durante il giorno, le proseguiva
scrivendo un dialogo nel quale diceva la sua e immaginava quel che l’altro
avrebbe risposto. Talvolta il dialogo aveva un seguito, scritto dall’altro,
prima di terminare a voce» (A. Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio,
Il Bologna, Mulino, 1988, pp. 299-300). 56 Gli pseudonimi principali utilizzati
negli altri dialoghi sono i seguenti: Severo è Altiero Spinelli, Manlio
Rossi-Doria è Modesto, Ursula Hirschmann è Ulpia. Così scriveva Ferruccio
Rossi-Landi alla Hirschmann. Penso che i
tempi stiano maturando per un’edizione in volume degli scritti lasciati da Colorni:
come sono maturati, dopo tanti decenni, per la ripresentazione ai lettori
italiani di quelli di Giovanni Vailati, che fu studioso per tanti versi affine
ad Eugenio e che, rimasto quasi sepolto fin da prima della Prima Guerra
Mondiale, ricomparirà ora presso Laterza e presso Einaudi su mia iniziativa».
RossiLandi faceva poi riferimento alle pubblicazioni di «Analisi» e «Sigma». Ho
potuto prendere visione della corrispondenza relativa ai diversi tentativi di
pubblicazione degli scritti filosofici di Colorni (prima presso l’editore
Laterza e poi per la Feltrinelli) grazie alla cortesia di Renata Colorni, che
ancora conserva una parte del carteggio e che qui debbo ringraziare per la sua
disponibilità. 57 Esso va dunque letto insieme a Dello psicologismo in
economia, pubblicato nella ed. Einaudi alle pp. 322-342. Per una più precisa
contestualizzazione dei frammenti economici colorniani cfr infra, la Nota del
curatore. Geri Cerchiai 16 pubblicati da «Sigma» nell’immediato
dopoguerra, «comporta un legame così stretto con la scienza e un interesse così
diretto ai vari problemi particolari in cui la ricerca si articola momento per
momento, che è difficile avere la possibilità di riprendere in esame i problemi
iniziali e i principi fondamentali da cui si è partiti»58; proprio per questo,
secondo Colorni, i «dilettanti e gli outsider», sono forse maggiormente in
grado, attraverso l’esercizio di un «tranquillo, pacato, spregiudicato esame
dei punti di partenza e delle definizioni iniziali»59, di «sconvolgere dalle
fondamenta tutto l’edificio del proprio sapere»60. Certo, dovendo rispondere
all’accusa di «presumere di rivedere i principî di tutte le scienze, senza
averle mai praticate»61, lo stesso Colorni – che alla scienza è giunto passando
per la filosofia62 – parla in qualche modo pro domo sua. E tuttavia, egli va
anche a puntualizzare, in tal modo, il «carattere pragmatistico»63 del proprio
pensiero, il quale deve giocoforza confrontarsi con le più differenti
discipline scientifiche. In Commodo a Ritroso, Colorni riprende questi medesimi
argomenti, insistendo però con maggior vigore su quello spirito d’indipendenza
– indispensabile ad un proficuo sviluppo dell’opera scientifica e filosofica –
il cui significato teorico è già stato indagato in Programma. Scrive Colorni:
«Anziché accostarmi a grossi trattati con fare accogliente e passivo […], io
parto con la lancia in resta, pieno di idee sbagliate e confuse, sfondando
porte aperte ad ogni passo […], desideroso di scontri e di battaglie». Emerge
qui, accanto alla consapevolezza di un metodo teorico ormai chiaramente
precisato, una componente particolare del carattere del giovane filosofo:
quella irrequietezza, ironicamente descritta ne La malattia filosofica, che
contribuisce a rendere conto della stessa, febbrile attività politica
colorniana. Essa rivela una vivacità intellettuale che si mostrò sempre
incapace di fermarsi ai risultati volta per volta raggiunti e che, trascorrendo
dai primi studi storico-filosofici a quelli metodologici degli ultimi anni,
viene a costituire l’anima, per così dire, anche dei dattiloscritti colorniani
conservati nel Fondo Somenzi. 58 E. Colorni, Dell’antropomorfismo nelle
scienze. Com’è noto, e a dispetto della sua formazione umanistica (lit. hum.),
Colorni si cimenta direttamente nella ricerca fisica, con particolare attenzione
alla teoria della relatività. Cfr. nello specifico i titoli seguenti: Unités de
misure et relativité; Le trasformazioni di Lorentz come caso particolare e
Deduzione del campo elettromagnetico di una carica in movimento rettilineo e
uniforme. 63 E. Colorni, Dell’antropomorfismo nelle scienze. Nota del curatore
I testi di Colorni in FS – tutti dattiloscritti – sono per lo più approntati
per la composizione a stampa, spesso con indicazione del corpo e della
impaginazione da utilizzarsi. Alcune correzioni e integrazioni, la segnalazione
«a penna» talvolta riferita ai titoli o alla firma, i commenti a margine sulla
opportunità o meno della pubblicazione, fanno supporre che ci si trovi per lo
più di fronte a trascrizioni battute a macchina dagli originali. Salvo che dove
diversamente segnalato (come ad esempio – per i motivi lì esposti a pié di
pagina – in Programma), ci si è generalmente attenuti al criterio di integrare
le eventuali sviste od errori ortografici direttamente nel testo, senza
ulteriore indicazione. Ugualmente ci si è comportati per le correzioni e gli
interventi a penna o a macchina. Il dattiloscritto di Programma presente in FS
conserva la conclusione, che risulta invece assente nelle precedenti edizioni
in volume. Oltre ai titoli qui riportati, e a quanto si dirà qui appresso, in
FS sono conservati anche i testi seguenti: Il bisogno dell’unità; Sul complesso
di Edipo; I primitivi e le categorie dello spirito; Filosofi a congresso; Sul
concetto di esperienza; Costanti universali e unità di misura; Sull’assiomatica
della teoria della relatività. I. Relatività ristretta, tutti già raccolti nelle
diverse edizioni dei frammenti colorniani. A partire da Sul concetto di
esperienza, le pagine sono numerate, a mano o a macchina, in sequenza, sì da
creare un complesso unico comprendente anche: II. Relatività generale (da
inserirsi dopo Relatività ristretta), e di seguito: Sull’assiomatica delle
leggi della meccanica e Geometria ed esperienza. In FS sono inoltre presenti
due ulteriori scritti di argomento economico: Batti, ma ascolta! e Ritroso a
Commodo: meno compiuti degli altri, essi saranno da me trascritti in un volume
di prossima uscita. Già nella nota introduttiva a Dello psicologismo in
economia, pubblicato nella edizione Einaudi alle pp. 322-342, si ricostruiva,
anche grazie agli elenchi dei titoli stesi da Ursula Hirschmann per Ferruccio
Rossi-Landi, la genesi degli scritti economici colorniani, che qui ci si
limiterà dunque ad integrare con quanto emerge dai titoli presenti in FS. Dello
psicologismo in economia risulta composto da tre blocchi. Il primo, intitolato
È possibile costruire una scienza economica indipendente da premesse
psicologiche e sociologiche?, è citato anche nel Progetto di una rivista di
metodologia scientifica fra i possibili «Articoli e saggi», e prosegue
dall’inizio del dialogo fino al terzo capoverso: «[…] sarebbe una differenza di
grado e non di natura. Del secondo (Robbins considera), che comincia subito
dopo il primo e termina in ivi, E m’invita a prendere tutto l’argomento non
troppo sul serio»), è conservato in FS il solo ultimo foglio, del quale così
scriveva Silvio Ceccato a Somenzi il 5 febbraio del 1943: «Ho guardato fra le
carte di Colorni. Spaiato trovo un foglio, numero 5, che mi sembra appartenere
al dialogo fra Commodo e Severo [che in effetti è l’interlocutore di quella
parte del dialogo]. Se vuoi te lo mando, o lo do a Vaccarino. Altro non c’è, mi
sembra, che possa interessarti. Stampa pure. Quando hai ben deciso, fammelo però
sapere, che, per cortesia, ne avvisi la sorella» (FS, sez. 3, Attività
professionale, 1929-2003, serie 2, Carte di lavoro non organizzate, 5, Riviste,
enciclopedie e progetti editoriali, 1, Sigma Analysis, b. 5, Analysis Methodos
(Ceccato). Il terzo blocco, Vedo che riprendi (cfr. E. Colorni, Dello psicologismo
in economia), rappresenta il nucleo centrale e la con- Geri Cerchiai 18
clusione del dialogo. Per quanto riguarda i titoli di FS: Ritroso a Commodo –
come si evince dai numerosi riferimenti a Vedo che riprendi – prosegue il
dialogo già iniziato in quest’ultima parte di Dello psicologismo in economia;
Commodo a ritroso è la risposta a Vedo che riprendi; Batti ma ascolta è
l’«accluso foglietto» menzionato in Commodo a Ritroso. Le note in calce ai testi
sono tutte del curatore. Desidero Ringraziare Giovanni Battimelli, Responsabile
del Fondo Vittorio Somenzi, e Maria Luisa Libutti, Direttrice della Biblioteca
del Dipartimento di Fisica (“Sapienza” Università di Roma), per la
disponibilità e cortesia che mi hanno dimostrato durante la consultazione
dell’Archivio. G. C. Cinque scritti metodologici 19 II. Relatività generale1 Se
vogliamo estendere quanto si è detto per la relatività ristretta3 al caso di
sistemi in movimento qualsiasi4 , il problema della relatività generale diverrà
quello di determinare le misure spazio-temporali per un osservatore in
movimento qualsiasi rispetto ad un sistema inerziale nel quale valga la
geometria euclidea. La determinazione di tali misure sarà fatta di nuovo
assumendo come fissa la distanza fra due punti5 , e come costante la velocità
della luce. In linea generale risulterà che la geometria tridimensionale del
sistema in questione non sarà euclidea. Viceversa dovrebbe essere dimostrabile
che se le misure assunte da un osservatore col metodo di cui sopra, danno luogo
ad una geometria non euclidea, si potrà sempre trovare un sistema i cui punti
siano mossi rispetto all’osservatore in questione in modo tale che la sua
geometria sia euclidea. In tale sistema non vi sarà alcun campo gravitazionale.
Una tale impostazione del problema differisce un poco da quella classica della
relatività generale. Non si tratta qui di trovare una formulazione delle leggi
di natura che sia invariante rispetto a trasformazioni qualsiasi, e quindi di
attribuire ad ogni sistema la geometria richiesta dal campo gravitazionale in
esso vigente, ma piuttosto di trovare le trasformazioni che permettono di
passare da un sistema ad un altro qualsiasi6 , avendo assunte per tutti i
sistemi determinate convenzioni7 riguardo alle misure spazio-temporali; e
questo senza fare alcuna ipotesi riguardo alla forma delle leggi naturali. 1
FS, sez. 3, Attività professionale, 1929-2003, serie 2, Carte di lavoro non
organizzate, 5, Riviste, enciclopedie e progetti editoriali, Sigma Analysis, b.
6, Articoli, Il titolo è cancellato nel dattiloscritto, così come è barrata la
numerazione “5” (a penna) della pagina, numerazione che, insieme con quella
romana, segnava il foglio come seguito di E. Colorni, Sull’assiomatica della teoria
della relatività. I. Relatività ristretta (cfr. la Nota del curatore), del
quale lo scritto è il secondo paragrafo. 2 All’inizio del dattiloscritto sono
inserite a penna delle virgolette basse (chiuse al termine del terzo
capoverso), che spiegano l’intervento del quale si rende conto infra, n. 4. 3
Il riferimento è a Sull’assiomatica della teoria della relatività, che infatti
è numerato: La relatività ristretta. A penna è stato qui aggiunto: «prosegue
Colorni». 5 Cfr. E. Colorni, Sull’assiomatica della teoria della relatività. Anziché
assumere come unità di misura fondamentali una lunghezza […] o un intervallo di
tempo […] per poi dedurne le altre grandezze cinematiche […], si potrebbe
assumere come unità primitive la distanza fra due punti dati e la velocità di
propagazione di un dato fenomeno». 6 Si tratta qui precisamente dell’idea di
revisione del concetto di esperienza in relazione a quello di definizione che
costituisce uno dei nuclei del programma metodologico colorniano. 7 Sono molti
i riferimenti di Colorni al carattere convenzionale della scienza e delle sue
definizioni. Riporto, per il suo carattere “generale”, quanto affermato nella
Postilla al programma della rivista di metodologia scientifica (in M. Quaranta,
La “scoperta” di Eugenio Colorni, cit., p. 130): «Si tratta, in breve, di
partire da una concezione “convenzionalistica” o “idoenistica” della scienza;
non limitandola però, come fa in sostanza la scuola di Vienna o anche il
Gonseth, alla interpretazione filosofica dei fatti scientifici; applicandola
invece ai concetti basilari su cui poggia l’edificio della scienza, e mostrando
come un chiarimento rigoroso delle ipotesi che sono implicite nell’assunzione
di tali concetti possa trasformare effettivamente e rendere più chiare molte
formulazioni scientifiche, e forse risolvere alcuni dei problemi più scottanti
della scienza moderna». Eugenio Colorni 20 Formulando in questo modo il
problema, si giungerebbe probabilmente alle medesime conclusioni della
relatività generale riguardo alla gravitazione; ma la nuova impostazione
permetterebbe forse di aggredire in maniera diversa da quella consueta altri
problemi (in particolare quello dell’elettromagnetismo). Non si tratterebbe più
in questo caso di formulare le leggi del campo elettromagnetico in forma
invariante rispetto a trasformazioni qualsiasi, ma di rendersi ragione della
loro struttura, studiando sistematicamente il comportamento di cariche in
movimento, mediante “Transformation auf Ruhe”. Questo saggio si riferisce a
studi ancora in corso e ben lungi dalla conclusione8 ). 8 L’ultimo capoverso è
barrato a penna nel dattiloscritto. L’inciso fra parentesi riprende quello
analogo – non riportato nelle edizioni dei testi colorniani, ma presente nei
dattiloscritti di FS – posto al termine di Sull’assiomatica della teoria della
relatività. I.- Relatività ristretta, il quale recita nel modo seguente:
«Questo saggio si riferisce ad un lavoro già terminato, in cui lo sviluppo qui
descritto viene eseguito» (FS, sez. 3, Attività professionale, serie 1, Carte
organizzate da Vittorio Somenzi, 1929-2000, 2, Scatole grigie 1942-2000, 1,
Eugenio Colorni e Italo Cotone, b. 3, Colorni, 1945-1993). Sull’assiomatica
delle leggi della meccanica. Il principio d’inerzia è notoriamente una
definizione camuffata. Esso definisce come non soggetto ad alcuna forza il
corpo dotato di movimento uniforme; quindi come soggetto ad una forza il corpo
dotato di movimento non uniforme. È possibile considerare i principi della
conservazione della quantità di movimento e dell’energia come delle estensioni
del principio d’inerzia, cioè anch’essi come delle implicite definizioni della
forza? Crediamo di sì. Consideriamo infatti un sistema di due corpi. Diremo che
il sistema non è stato sottoposto all’azione di alcuna forza, non solo quando i
due corpi proseguono nel loro moto rettilineo ed uniforme, ma anche quando
hanno modificato tale loro moto dopo essersi urtati. Ciò che dovrà essere
rimasto immutato nel sistema non sarà dunque più il moto dei due corpi, ma una
funzione di tale moto; funzione che si tratta di determinare, ponendole delle
condizioni derivanti da esigenze plausibili. Anzitutto si può richiedere che il
mutamento provocato dall’urto nello stato di moto di uno dei due corpi sia
misurato dal mutamento provocato dal medesimo urto nell’altro corpo: cioè che
ciò che rimane costante nel sistema sia la somma delle funzioni in questione
riferite a ciascun corpo. Individuato poi ciascun corpo mediante una costante
caratteristica di esso (la sua “massa”), si può richiedere che il cambiamento
provocato in un corpo successivamente da due altri corpi di uguale massa e
uguale velocità, sia identico al cambiamento provocato da un corpo di massa
doppia e di uguale velocità: il che equivale a dire che la nostra funzione
dovrà essere della forma mf(v). Si potrà poi osservare che la funzione in
questione deve poter esprimere sia un mutamento nel valore assoluto della
velocità di ciascun corpo, sia un mutamento nella sola direzione: le funzioni
in questione devono cioè essere due, l’una vettoriale, l’altra scalare. Infine
si osserverà che, poiché due corpi in movimento uniforme rispetto ad un sistema
inerziale lo sono pure rispetto a qualsiasi altro sistema inerziale, la
costanza delle nostre funzioni deve essere invariante rispetto a trasformazioni
di Lorentz. Tutte queste condizioni limitano la scelta delle nostre funzioni in
modo da determinarle univocamente; e ne risultano le espressioni relativistiche
della quantità di movimento e dell’energia. Ciò è stato mostrato da Langevin2 ,
il quale parte però da premesse un po’ diverse. Gli sviluppi precedenti possono
avere un’importanza per il seguente motivo: la teoria della relatività giunge
alle sue espressioni dell’energia e della quantità di movimento, partendo dalle
equazioni di Maxwell, che suppone assicurate dall’esperienza. Ma il controllo
sperimentale di tali equazioni suppone che si 1 FS, sez. 3, Attività
professionale, serie 1, Carte organizzate da Vittorio Somenzi, 1929- 2000, 2,
Scatole grigie, 1, Eugenio Colorni e Italo Cotone, Nel dattiloscritto, le
pagine riportano la numerazione, a penna in rosso, da 6 a 7 (cfr. supra, II.
Relatività generale, n. 1, e la Nota del curatore). Langevin e un fisico francese
che, non diversamente da Eddington – altro autore colorniano e griceiano – fu
abile divulgatore scientifico. disponga di una definizione dell’energia e della
quantità di moto. Inoltre, quando si siano definiti i principi fondamentali
della meccanica indipendentemente dall’elettromagnetismo, rimane aperta la
possibilità di dedurre le leggi stesse dell’elettromagnetismo servendosi di
alcuni risultati della relatività, e raggiungendo così una più profonda
comprensione di quelle leggi. (Anche questo articolo si riferisce a studi in
corso, di cui la prima parte, riguardante la relatività ristretta e
l’elettromagnetismo, è terminata; ma avrebbe carattere troppo tecnico per la
rivista4 .) 3 Assente nel testo. 4 Per un’analisi degli scritti colorniani
sulla teoria della relatività, si rinvia a M. Quaranta, La “scoperta” di
Eugenio Colorni. Colorni sulla teoria della relatività, pp. 122-130. Per
l’inciso fra parentesi, cfr. supra, II. Relatività generale. La rivista è la
progettata rivista di metodologia scientifica, sulla quale si rimanda ancora a
quanto scritto supra, § 3. Cinque scritti metodologici 23 Geometria ed
esperienza1 Gli assiomi della geometria sono delle definizioni implicite, o
meglio rappresentano delle limitazioni imposte alla nostra libertà di definire
gli oggetti ai quali essi si riferiscono. Tali oggetti però possono essere di due
tipi: o sono tali che per ottenerne una rappresentazione concreta è necessario
immaginarli realizzati da un fenomeno fisico (p. es. la linea retta realizzata
dalla traiettoria di un raggio luminoso nel vuoto); in tal caso la definizione
implicita negli assiomi è una definizione “reale” (Zuordnungsdefinition2 ), e
gli assiomi limitano il numero degli oggetti o dei fenomeni che possono essere
assunti per realizzare fisicamente quel determinato ente geometrico. Oppure
l’ente geometrico in questione è tale da poter essere definito mediante
un’opportuna combinazione di altri enti precedentemente definiti (p. es.
l’angolo uguale ad un angolo dato può essere definito senza ricorrere ad alcuna
sovrapposizione, quando sia stata definita precedentemente la distanza fra due
punti); e allora gli assiomi limitano il numero degli accorgimenti che noi
possiamo usare per definire quel determinato ente geometrico. Agli scopi della
costruzione fisica di un sistema galileiano, è opportuno distinguere questi due
tipi di definizione; e può essere utile studiare da questo punto di vista le
“Grundlagen” di Hilbert3 . Non è detto che si possa sempre trovare un insieme
di fenomeni fisici capaci di realizzare contemporaneamente tutti gli assiomi di
una geometria. Per esempio, se si vuol realizzare la geometria mediante raggi
luminosi assunti co1 FS, sez. 3, Attività professionale, serie 1, Carte
organizzate da Vittorio Somenzi, 2, Scatole grigie,1, Eugenio Colorni e Italo
Cotone, b. 3, Colorni, 1945-1993. Numerato a penna 8 (cfr. supra, II.
Relatività generale, n. 1, e Nota del curatore). Il titolo è anch’esso
sottolineato a penna con l’indicazione: a mano. A margine, scritto a matita in
rosso e cancellato, alcune segnalazioni per il tipografo: «Corpo 10/10 tondo //
Giustezza 27». Scrive Colorni in Filosofia e scienza. Ora, mentre la geometria
definisce implicitamente gli oggetti di cui tratta, mediante gli assiomi, la
fisica li definisce direttamente, mediante definizioni reali
(Zuordnungsdefinitionen). Con queste parole, Colorni richiama il concetto
reichenbachiano di Zuordnungsdefinition, per cui cfr. H. Reichenbach, Axiomatik
der Raum-Zeit-Lehre, Braunschweig, Vieweg & Sohn Akt.-Ges., 1924; Id.,
Philosophie der Raum-Zeit-Lehre, Berlin- Leipzig, W. de Gruyter & Co. In
una lettera firmata da Hirschmann (ma in realtà scritta da Colorni) e
indirizzata a Geymonat per il tramite della moglie Virginia, l’autore afferma
di possedere il primo dei due titoli, e a questo rinvia per la comprensione del
proprio pensiero. Noi abbiamo qui l’importante saggio di Reichenbach, “Axiomatik
der relativistischen Raum-Zeit-Lehre”, che mette le cose da un punto di vista
molto affine a quello che Eugenio vorrebbe sviluppare. La lettera, conservata
nel Fondo Geymonat presso la Biblioteca del Museo civico di storia naturale di
Milano, è citata da M. Quaranta (La scoperta di Eugenio Colorni), il quale
commenta: «Ora, se è rintracciabile in Kant una nozione rigida dell’a priori,
letture kantiane sviluppate in quegli anni da Ernst Cassirer e Hans
Reichenbach, in Italia da Giulio Preti, vanno nella direzione di accogliere la
fecondità del “metodo trascendentale”; le indagini epistemologiche di Colorni
si inseriscono in questa linea di ricerca. Questo capoverso, da Agli scopi fino
a Hilbert, è cancellato a penna nel testo dattiloscritto. Il riferimento è ai
Grundlagen der Geometrie (Fondamenti della geometria) di Hilbert. me rettilinei
e di velocità di propagazione uniforme, non è detto che risulti verificato
l’assioma di Euclide; e questo assioma, se è verificato per il sistema
costruito da un determinato osservatore, necessariamente non è verificato per
il sistema costruito da un altro osservatore, dotato rispetto al primo di
movimento non uniforme. Cinque scritti metodologici Programma1 Supponiamo che
l’uomo viva in un palazzo le cui porte sono tutte chiuse. Egli non ha le
chiavi. Cioè egli ne possiede un mazzetto, ma non sa se esse si adattino alla
serratura, né quale chiave a quale serratura. Prova, riprova, si costruisce
nuove chiavi nella continua speranza di potere un giorno abitare tutto il
palazzo. Lo scienziato è un uomo al quale è riuscito di aprire una porta. Una
chiave, per sua fortuna, o per sua abilità, ha girato nella toppa. Egli apre, e
trova nella camera immensi tesori, li utilizza3 , li mette a disposizione degli
altri uomini che lo ringraziano ammirati. Da quel momento4 la camera è
accessibile a tutti. Entusiasmato, lo scienziato vorrebbe aprire tutte le porte
comincia ad acquistare manie di grandezza. Vorrebbe aprire tutte le porte5 . La
chiave comincia a diventare uno strumento pericoloso nelle sue mani. Egli la
vuole usare dappertutto. Il risultato è che sfonda le serrature. Ci vorrà6 poi
una gran fatica per accomodarle e per trovare o costruire una nuova chiave che permetta
di aprirle (Fuor di metafora: p. es. la medicina è stata rovinata per secoli
dall’ossessione del metodo meccanicistico, che aveva fatto meraviglie nel campo
della fisica. E si è voluto risolvere tutto a base di anatomia, di rapporti e
di modificazioni di tessuti. Nella maggioranza dei casi non si è cavato un
ragno dal buco). Il filosofo, invece, cosa fa? Egli non ha avuto la fortuna o
l’abilità di aprire una porta, ma anche lui è preso dall’ossessione di aprirle
tutte. Con la chiave9 dello scienziato o con un’altra di sua fattura. La sua
ossessione è forte, meno pericolosa10 che quella dello scien1 FS, sez. 3,
Attività professionale, 1929-2003, serie 1, Carte organizzate da Vittorio
Somenzi, 1929- 2000, 2, Scatole grigie, 1, Eugenio Colorni e Italo Cotone, b.
3, Colorni. Nel dattiloscritto un primo titolo, barrato, recita come segue:
«SCIENZA E MATERIALISMO // È un caso che tutti gli scienziati tendano ad essere
materialisti? // PROGRAMMA». A margine, scritto a penna, il titolo è fissato
così: «SCIENZA E REALISMO». Un asterisco rimanda alla seguente nota
manoscritta: «(V[edi]. l’“Apologo su quattro modi di filosofare”, altro inedito
di Colorni, in Sigma. Sempre a margine, si ha l’indicazione di stampa, a penna:
«Corpo 10 tondo 11 // giustezza – 10 su 12. Poiché lo scritto si discosta
spesso – nella forma, mai nella sostanza – dalle precedenti edizioni (nelle
quali esso risulta per altro incompiuto), è parso utile indicare in nota le
differenze fra le diverse versioni. Per questo stesso motivo ho talvolta
esplicitato le correzioni e gli interventi sul dattiloscritto. La sigla FS
rimanda al testo presente fra le carte di Somenzi; la sigla E a quello
dell’edizione Einaudi. Benché sia barrato, e per consentire una più chiara
identificazione, si è preferito mantenere il titolo Programma. 2 per sua
fortuna, o per sua abilità FS : per sua fortuna o per sua abilità E. 3 immensi
tesori, li utilizza FS : immensi tesori. Li utilizza Di seguito nel testo di E.
5 lo scienziato vorrebbe aprire tutte le porte comincia ad acquistare manie di
grandezza. Vorrebbe aprire tutte le porte FS : lo scienziato vorrebbe aprire
tutte le porte E. 6 le serrature. Ci vorrà FS : le serrature, ma ci vorrà E. 7
di aprirle (Fuor di metafora FS : di aprirle. (Fuor di metafora E 8 Il filosofo,
invece, FS : Il filosofo invece, E aprirle tutte. Con la chiave FS : aprirla
con la chiave E. 10 è forte, meno pericolosa FS : è forse meno pericolosa E.
Eugenio Colorni ziato, ma più intensa. Per lo scienziato essa è necessaria
accessoria11. Il massimo sforzo è già stato compiuto12 nel trovare la chiave.
Il tentativo di allargamento è spesso solo abbozzato. Il filosofo, invece, è
tutto fatto di questo bisogno. Egli è abbastanza accorto per avvedersi che il
correre da una parte13 all’altra con la medesima chiave si risolve in un danno
e in un disordine. Egli vuole soddisfare alla sua esigenza in un modo
sistematico, che non lasci residui. La sua ossessione è che il palazzo sia
completamente abitabile, aperto in tutte le camere, dai saloni ai ripostigli. Che
cosa fa per soddisfarsi? Si costruisce un palazzo a suo uso e consumo, simile
il più possibile a quello vero, in cui tutte le serrature siano apribili con
una sola chiave, o con le varie chiavi che ha a sua disposizione. Lì si
rinchiude; lì15 gli sembra di vivere tranquillo. Ma il palazzo è di cartapesta.
In poco tempo crolla. Le camere sono identiche a quelle dell’altro palazzo, ma
sono vuote. Il poterle aprire non dà all’uomo maggior ricchezza e maggior17
potenza. A volte avviene che nel lavoro di costruire, al filosofo venga fatto
di scoprire o inventare una chiave nuova, che gli altri uomini possono usare, e
provare nelle varie serrature. In questo caso egli sarà ammirato e studiato
solo per questa invenzione fortuita o strumentale, che nelle sue intenzioni non
doveva essere che un dettaglio del grande edificio. E il grande edificio
scompare. Dopo un secolo nessuno ci crede più, nessuno può più abitarvi dentro.
Lo si considera come un bel rudero, come l’interessante documento di un’epoca;
lo si apprezza per un certo impulso che indirettamente, nei coi suoi contorni,
ha dato alle lotte e alle ricerche dell’umanità. Gli storici, gli esegeti,
cominciano a scuoterlo per vedere se, non potendosene più servire in blocco,
non si trovi del buono fra il materiale della costruzione. E cominciano a
distinguere “ciò che è vivo e ciò che è morto” e a manipolare il sistema ai
propri fini. Ne risulta che ogni pensatore viene, di regola, apprezzato dai
posteri per motivi che egli non avrebbe immaginato e che sono estranei alle sue
intenzioni fondamentali. Quello che egli aveva creduto il suo vero apporto alla
cultura e alla civiltà viene considerato inutile. Il dispendio di energie è
enorme. Vediamo gli uomini più intelligenti dell’umanità dirigere tutti i loro
sforzi per raggiungere mete che andranno poi completamente perdute; e 11
necessaria accessoria. FS : accessoria, sopraggiunta. E. già stato compiuto FS : già compiuto E. parte FS : porta E. 14 sola chiave, o con FS :
sola chiave o con E. 15 Lì si rinchiude; lì FS : Là si rinchiude, là E. 16 di
cartapesta. In poco tempo crolla. Le FS : di cartapesta, non di mattoni veri.
In poco tempo crolla, si disfa. Le E. 17 ricchezza e maggior FS : ricchezza o
maggior E. scoprire o inventare FS : trovare E. 19 possono usare, e provare
nelle varie FS : possono usare nelle varie E. 20 rudero FS : rudere E. 21 nei
coi suoi FS : nei suoi E. scuoterlo FS :
smontarlo E. ogni pensatore viene, di regola, apprezzato FS : ogni pensatore
(come spesso anche ogni poeta) viene di regola apprezzato E. 24 immaginato e
che FS : immaginato, e che E. Cinque scritti metodologici: 27 siamo costretti a
racimolare con fatica alcuni residui del loro lavoro. Nella25 scienza le cose
sembrano andar meglio. Siamo per lo meno nel palazzo vero, dove le camere sono
piene di ricchezze; e là dove la chiave ha aperto la porta, la potenza
dell’umanità ne è stata infinitamente aumentata. Ma se la porta non si apre?
Dai Greci al Rinascimento, per duemila anni, gli uomini si sono affaccendati a
costruir26 chiavi di tutti i generi e magnifici palazzi di cartapesta. Ma
nessuna porta dell’edificio vero si è aperta ai loro sforzi. Da Galilei e
Bacone27 in poi, alcune sembrano cedere. Una, quella28 del meccanicismo fisico
si è addirittura spalancata. Ma quante restano ancora chiuse[!]?29 Quale sarà
per esse la chiave giusta? L’abbiamo già in mano o dobbiamo ancora
costruircela? E come sfuggire alla continua tentazione di usare per ogni porta
quella che ha fatto una volta buona prova, col rischio di rovinare tutto? La
filosofia odierna, anziché costruire bei palazzi di cartapesta, dovrebbe
proporsi il compito di affacciarsi a questi problemi, e tentare di mettere un
certo ordine, allo scopo di evitare sforzi inutili e raggiungere risultati il
più possibile concreti. Dovrebbe anzitutto esaminare le chiavi che abbiamo in
mano, cioè i criteri di ricerca, i metodi d’indagine coi quali noi affrontiamo
il reale e cerchiamo di renderlo utile ai nostri usi. Criteri che, ormai ciò è
chiaro a tutti, trasformano31 radicalmente la realtà, operando una scelta che
ci fa scorgere solo ciò che da essi può essere afferrato. Ciò che noi chiamiamo
realtà è evidentemente condizionato non solo dai nostri sensi, ma da tutto
l’insieme delle forme, delle categorie, dei criteri associativi e
interpretativi senza dei quali non ci è possibile di pensare e di percepire
alcunché. Criteri che noi potremo studiare, scomporre, modificare; senza però
poter mai uscire dal campo di un’attività del soggetto costitutiva della realtà
stessa. Noi34 non possediamo, allo stato attuale delle nostre conoscenze, alcun
nesso mezzo per eliminare il sole lato35 soggettivo della nostra nozione della
realtà; anzi abbiamo seri elementi per propendere a ritenere che la nozione di
una realtà oggettiva, da noi indipendente,36 sia un’ipostasi della nostra
mente,37 do25 A capo in E. costruir FS : costruire E. Da Galilei e Bacone FS :
Da Galileo a Bacone E. Una, quella FS : Quella E. 29 Chiuse[!]? FS : chiuse! E.
30 d’indagine a penna nel testo FS : ermeneutici E. che, ormai ciò è chiaro a
tutti, trasformano FS : che – ormai ciò è chiaro a tutti – trasformano E. Queste righe, e quelle immediatamente
successive, rappresentano una sorta di compendio della filosofia colorniana,
ossia del ruolo essenzialmente critico-metodologioco che, muovendo «dalla
grande scoperta kantiana» (E. Colorni, Filosofia e scienza, p. 240), essa
dovrebbe svolgere. A capo in E.Di seguito in E. alcun nesso mezzo per eliminare
il sole lato a mano nel testo FS : alcun mezzo per eliminare il polo E. 36
oggettiva, da noi indipendente, FS : oggettiva da noi indipendente E. 37 mente,
FS : mente E. Eugenio Colorni vuta ad un
nostro fondamentale bisogno di contrapporre alcunché a noi stessi, di urtarci
contro qualche cosa, di polarizzare il contenuto della nostra coscienza in un
passivo ed un attivo. Vedi Fichte (Trascendenza interna)38. Ciò che chiamiamo
realtà non è dunque né l’oggetto né il soggetto39, ma alcunché nella costituzione
del quale il soggetto, con i suoi criteri e le sue categorie, ha una gran parte
e41 che noi, per comodità di studio, consideriamo per un istante come dato di
fronte a noi, coscienti che con ciò noi poniamo di fronte a noi qualche cosa
cui partecipiamo noi stessi. Ora questo “qualche cosa” gli uomini si sforzano
di manipolarlo ai loro usi, di penetrare nella sua costituzione, di prevedere
il suo divenire, di costruire in base alle previsioni. A seconda che si
accentui il carattere oggettivo o soggettivo di questo lavoro, lo consideriamo
un “penetrare nelle leggi della natura” oppure un estrarre dalla natura un
certo numero di elementi regolari per usarli a loro vantaggio, un cedere alla
natura” o un “farle violenza”, e si chiamano positivisti o pragmatisti. Ma
questa distinzione riguarda il significato metafisico dell’attività umana, non
la sua conformazione, i suoi procedimenti, il suo fine: che è ciò che
c’interessa qui di indagare per contribuire al progresso dell’umanità46. Lo
scienziato non conosce concretamente un problema del carattere pratico e
teorico47 della sua attività. Egli non si domanda mai, seriamente, se ciò che
lo spinge alla ricerca sia il “bisogno di sapere” inteso come fine a sé stesso,
o la speranza che gli uomini possano ricavare un utile dalla sua scoperta. Egli
si dedicherà secondo la sua attitudine ad un campo più vicino alla ricerca pura
o più vicino alle applicazioni. Ma nella sua mente ricerca e applicazione
costituiscono un tutto unico di cui solo per comodità di studio e per la
necessità della divisione del lavoro egli scinde a volte le parti. La scoperta
si considera come la naturale, evidente premessa dell’invenzione:51
l’invenzione come la conseguenza della scoperta. L’antitesi
positivismo-pragmatismo non ha senso per lo scienziato, e non moVedi Fichte
(Trascendenza interna) FS : (Vedi Fichte, Trascendenza interna) E. Su questo
aspetto della metodologia colorniana, si legga quanto affermato da Ferruccio
RossiLandi, che rileva fra l’altro, negli scritti colorniani, la presenza di
«quel disimpegno dalla visione realistica del mondo […] che è merito della
migliore critica idealistica, soprattutto negli sviluppi dell’attualismo»
(Sugli scritti di Eugenio Colorni, in «Rivista critica di storia della filosofa
né l’oggetto né il soggetto FS : né il soggetto né l’oggetto il soggetto, a mano nel testo FS : l’uomo parte
e FS : parte; e E. A capo in E. un estrarre dalla natura un certo numero di
elementi regolari per usarli a loro vantaggio, FS : un “estrarre dalla natura
un certo numero di elementi, regolarli per usarli a loro vantaggio”; E. 44 “un
cedere FS : un “cedere E. 45 violenza”, e FS : violenza”. E E. 46 per
contribuire al progresso dell’umanità FS : per raggiungere risultati utili e
teorico FS : o teoretico sé FS : se E. 49 dedicherà secondo la sua attitudine
ad FS : dedicherà, secondo le sue attitudini, ad E. Ma nella sua mente ricerca
FS : Ma, nella sua mente, ricerca
dell’invenzione: dell’invenzione; E. Cinque scritti metodologici: difica
in nulla il suo agire. Lo scienziato lavora insomma su qualche cosa che egli ha
di fronte a sé e della quale sono elementi costituenti alcune “forme” e
“categorie” che provengono dalla sua mente, incorniciano la realtà e gliela
rendono comprensibile e afferrabile. Di queste forme o categorie egli ne
considera alcune come appartenenti alla realtà, esistenti assolutamente al di
fuori di sé. Quali sono? Sono quelle cui egli si sente necessariamente legato,
di cui non può in alcun modo fare a meno, senza le quali gli sarebbe
impossibile vedere e pensare. Kant ne ha elencato5 alcune: spazio, tempo,
causalità, numero ecc. Egli ha riconosciuto sì che esse vengono imposte alle
cose dallo spirito dell’uomo; ma col dare ad esse un carattere necessario ed a
priori, ha ammonito gli uomini sulla impossibilità di uscire da esse. Infatti
gli uomini comuni, senza preoccuparsi della loro provenienza e accontentandosi
del fatto che di quelle categorie non si può fare a meno, le attribuiscono
senz’altro alla realtà. Ma l’osservazione di Kant ha messo tutti sul chi vive;
e la curiosità di vedere al di là del “velo di Maja” delle categorie si è fatta
sempre più intensa. Si può dire che la filosofia si sia scissa a questo
proposito in due opposte direzioni, a seconda che l’ammonimento di Kant sia
stato seguito o no. Fra quelli che l’hanno seguito, gli scienziati60 hanno
continuato a considerare le categorie come reali, e a lavorare in un mondo
costruito sulla base di queste categorie, contentandosi a volte di mantenere
nello sfondo l’ombra di un inconoscibile (Spencer, positivisti), oppure62 di
acquisire coscienza della relatività dei loro sforzi, limitando63 il compito
della scienza alla costruzione di ipotesi semplici e maneggevoli (Poincaré,
pragmatisti). Su questa via essi hanno continuato ad ottenere un buon numero di
successi, proseguendo quell’indagine e quello sfruttamento della natura che era
cominciato con Galilei e Newton, e che consisteva nell’uso sistematico di
quelle categorie che poi Kant elencò. Ma si ha già da qualche tempo
l’impressione che il campo stia per esaurirsi e che non restino da fare in
questa direzione se non scoperte particolari di importanza ristretta. I
filosofi invece, insofferenti di qualsiasi dualismo o relativismo, e
preoccupati di saldare l’unità del reale, preferiscono eliminare la tentazione
del52 A capo in A capo in E. 54 impossibile FS : assolutamente impossibile E. elencato FS : elencate E. spazio FS : Spazio
E. numero ecc. FS : numero, ecc. E. A capo in E. filosofico FS : filosofico
scientifico E. 60 no. Fra quelli che l’hanno seguito, gli scienziati FS : no.
(I) Fra quelli che l’hanno seguito (a) gli scienziati E. categorie,
contentandosi FS : categorie; contentandosi positivisti), oppure FS : positivisti); oppure
E. sforzi, limitando FS : sforzi; limitando E. 64 Newton, e FS : Newton e di FS : , di I filosofi invece, FS : (b) I filosofi,
invece, E. Eugenio Colorni 30 la “cosa in sé” col negarne addirittura
l’esistenza; e attribuire realtà assoluta al pensiero nella sua forma
universale68. In tal modo essi soddisfecero contemporaneamente all’esigenza
Kantiana69 di non uscire dalle leggi del pensiero e al bisogno tipicamente
filosofico di risolvere senza residui il problema della realtà; incuranti
d’altronde se questo loro sistema li conducesse o no a un qualsiasi risultato
apprezzabile che non si limitasse alla soddisfazione del loro bisogno di
completezza. Coloro invece71 che “hanno disubbidito” sembrano a tutta prima
disprezzare l’ammonimento di Kant e trascurare i limiti da lui posti: ma in
realtà sono essi suoi figli molto più che gli ubbidienti. Quel limite, quella
barriera appunto li ha eccitati ad andare al di là: ha indicato loro la
direzione verso cui rivolgersi Cominciamo74 questa volta dai filosofi. a) - Il
filosofo vuol gustare il frutto proibito. Ma egli sa oramai che non potrà mai
raggiungerlo con le categorie, con75 le quali Kant gli ha indicato così
chiaramente i limiti. Egli abbandona per sempre le illusioni della metafisica e
della teologia, cioè i tentativi di afferrare la realtà assoluta con gli strumenti
della ragione; ed76 è alla continua ricerca di un altro strumento che gli
permetta di raggiungere il suo scopo. Volontà, fede, intuizione, ispirazione:
in una parola l’irrazionale è ciò cui egli si affida. Ad esso egli attribuisce
tutte le possibilità che mancano alle categorie della ragione. Con esso egli
afferma di poter aprire tutte le porte del palazzo. Ma che garanzie gli dà la
nuova chiave? Semplicemente di non essere79 la vecchia. Ogni interpretazione
irrazionalistica del mondo, là dove non consista in esplosioni di entusiasmo, è
una polemica contro l’impotenza della ragione. Polemica spesso acuta e giusta,
ma che non costituisce un motivo bastante per accettare come criterio
definitivo tutto ciò che ragione non è. Le80 esplosioni d’entusiasmo81 ,
invece, sono a volte più interessanti e fruttifere. Esse ci permettono di
penetrare, sia pure in modo confuso, nella costituzione interna di queste
attività irrazionali; di conoscere un po’ meglio quali siano i loro
procedimenti. Ciò che ha paralizzato però tale indagine e non le ha permesso di
dare finora se non scar e FS : ed E. Evidente riferimento all’idealismo nei
suoi diversi modelli. 69 Kantiana FS : kantiana E. 70 se FS : che E. 71 Coloro
invece FS : (2) Coloro, invece, E. disubbidito” FS : disubbidito”, E. appunto
FS : appunto, E. 74 Di seguito in E. 75 categorie, con FS : categorie delle E.
76 teologia, cioè i tentativi di afferrare la realtà assoluta con gli strumenti
della ragione; ed FS : teologia – cioè i tentativi di afferrare la realtà assoluta
con gli strumenti della ragione – ed E. 77 parola FS : parola, E. 78 A capo in
E. essere FS : esser E. A capo in E.
d’entusiasmo FS : di entusiasmo E. Cinque scritti metodologici: 31 sissimi
risultati,82 è che tali attività sono sempre state descritte appunto col
presupposto e con l’esigenza di attribuire ad esse un valore assoluto, molto
superiore a quello della ragione. Preconcetto il quale ha naturalmente
deformato la descrizione ed ha impedito qualsiasi seria indagine sull’uso che
di questi atteggiamenti si potrebbe eventualmente fare. Anche qui la fretta di
chiudere il circolo e il bisogno filosofico di rinchiudersi in un edificio
abitabile in tutte le sue parti ha impedito di compiere qualsiasi vero
progresso. E le interpretazioni irrazionalistiche della realtà si sono
succedute l’una all’altra senza condurre l’umanità ad alcuna conquista stabile.
È questo un fenomeno che si ripete da secoli; ché la constatazione delle
insufficienze della ragione e il tentativo di affidarsi ad attività irrazionali
non data da Kant, ma è vecchio, si può dire, quanto la nostra civiltà. E la
massa di esperienze che si è venuta raccogliendo è83, se non ordinata, pure
imponente; e dà l’impressione di una grande miniera inesplorata85 in cui il
materiale prezioso è unito con le scorie. Siamo qui ad uno stadio di evoluzione
e di sfruttamento molto meno sviluppato che nel campo della ragione. Il
materiale della ragione è stato esplorato a fondo, inventariato, ordinato dal
pensiero greco e dalla scolastica. Con Galilei e Newton ha trovato il campo cui
applicarsi, conducendo ai vastissimi risultati che conosciamo. Kant infine88 ne
ha tracciato i limiti segnando insieme (forse un po’ in anticipo) l’esaurirsi
della miniera dal89 quale esso traeva ricchezze. Il campo dell’irrazionale
probabilmente comprende regioni infinitamente più vaste che quelle della
ragione, contenenti materiale dal carattere più eterogeneo, atto agli usi più
disparati. Il fatto solo che siamo abituati a classificarlo secondo la rubrica
negativa del “non rientrare nella ragione” ci mostra lo stato disordinato delle
nostre conoscenze al proposito. Ordinare questo mondo in modo che ci possa
servire, analizzarlo con mente tranquilla e senza preconcetti entusiasmi od
avversioni, liberarlo dal continuo incubo del confronto con la ragione ed
infine tentare se alcuni dei dati così ottenuti ci possono90 servire come
criterio per risolvere qualche problema, come chiave per aprire qualche porta:
ecco il compito che s’impone oggi alla nostra indagine91 . Va92 da sé che i metodi
da usarsi non saranno i medesimi che si sono usati per il mondo razionale: e
che l’ordine ottenuto non assomiglierà neppure da lontano a quello che noi
conosciamo nel campo logico-matematico. La parola 82 risultati, FS : risultati
E. raccogliendo è, FS : raccogliendo, è, E. 84 imponente; FS : imponente: E. 85
inesplorata FS : inesplorata, E. 86 unito FS : misto E. 87 A capo in E. 88 Kant
infine FS : Kant, infine, E. dal FS : dalla possono FS : possano Nietzsche»,
afferma Colorni in Critica filosofica e fisica teorica aveva indicato, con
acredine iconoclasta, il cammino. Ci fu chi lo seguì col pacato distacco
dell’indagatore, ove il riferimento è chiaramente al metodo psicoanalitico. Di
seguito in E. Eugenio Colorni stessa “ordine” non vuole avere qui che un
significato analogico. Si tratterà di attingere nel mondo stesso dell’irrazionale
per trovare in esso dei punti intorno a cui quella materia possa coagularsi e
offrirci dei punti di appiglio per essere da noi usata. Sarebbe assurdo e
avventato dare qui direttive e indicazioni. La riuscita di questo lavoro
dipenderà dalla fantasia e dal fiuto di chi lo compie, dalla sua capacità di
servirsi liberamente di esperienze fatte in altri campi senza lasciarsene
suggestionare, dalla mobilità e ricchezza della sua facoltà di combinazione. Il
risultato massimo sarà di mettere l’umanità in possesso di una o più nuove
chiavi capaci di scoprire nuove leggi del reale o, se preferite, di costruire
nuovi sistemi di concordanze che si offrano al nostro uso e ci permettano di
soddisfare alcuni nostri bisogni. b) - Lo scienziato che dalla messa a punto
kantiana ha ricevuto l’impulso ad andare al di là delle categorie, non
s’indugia però nella ricerca dell’irrazionale, che non offre, finora, alcuna
presa ai suoi metodi. La sua mentalità è ancora imperniata completamente sul
razionalismo logico-matematico, che ha permesso ai secoli scorsi di compiere le
grandi scoperte di cui vive la nostra civiltà. Ed il superamento che egli vuol
compiere non98 è un superamento di principio, trasportandosi di un salto in un
mondo completamente diverso, ma graduale, volta a volta seguendo le esperienze
che non sono giustificabili mediante le leggi finora conosciute. Egli non si
domanda quale sia la realtà assoluta che si cela agli occhi degli uomini dietro
il velo delle categorie; ma piuttosto come sia possibile apprendere e organizzare
il materiale secondo categorie che siano diverse da quelle finora usate. In
questo senso egli è molto meno realista che il del filosofo idealista o mistico
o che lo dello scienziato positivista. E in questo senso si può quasi dire che
egli porti una conferma sperimentale, se non alla necessità a priori delle
categorie kantiane, almeno alla dottrina kantiana delle categorie. Lo
scienziato di regola non ha letto Kant. dei FS : quei E. campi senza FS : campi, senza E. concordanze
FS : concordanza E. E. logico-matematico, che FS : logico-matematico che compiere
non FS : compiere, non E. di un FS: d’un
E. e FS : ed E. che il del FS : che il E. 102 che lo dello FS : che lo E. Proprio
in questo comune punto di arrivo», scrive Colorni in Critica filosofica e
fisica teorica trattando delle diverse forme della filosofia e della
epistemologia postkantiane, «in questa medesima esigenza, in questa eguale
preoccupazione di raggiungere una base stabile cui si possa attribuire un
valore obbiettivo, tali diversi modi di procedere riconoscono forse tra di sé
quella parentela di premesse e di fini che permette loro di attribuirsi il nome
comune di filosofia. La scienza, al contrario, e precisamente perché figlia
della rivoluzione kantiana, rifiuterà al contrario di operare secondo il
criterio delle affermazioni di verità per muoversi attraverso un procedimento
di composizione e scomposizione della propria materia. sperimentale, se FS :
sperimentale se E. 105 Kantiane FS : kantiane E. Kantiana FS : kantiana E. Cinque
scritti metodologici. Ma l’atmosfera diffusa del Kantismo e la nozione stessa
della categoricità del reale gli suggeriscono di porsi, di fronte ad una nuova
esperienza inspiegabile, nell’atteggiamento di colui che attribuisce tale
inesplicabilità alla violenza che le categorie tradizionali operano sulla
ricerca organizzando ogni dato secondo le loro forme. Dal quale atteggiamento
deriva direttamente il tentativo di modificare le categorie e provarle di
nuovo, così modificate, sul metro della interpretazione scientifica.
Modificare, ho detto, non abolire. Qui si mostra la modestia dello scienziato,
il suo voler provare una dopo l’altra le chiavi, il suo volontario limitare il
proprio orizzonte. Da quando egli si è accorto di usare delle categorie nella
formulazione delle sue leggi, è continuamente tentato di provare che cosa
avverrebbe se queste categorie fossero fatte altrimenti. Come si
comporterebbero i fenomeni in uno spazio che non sia quello euclideo? Materia,
energia, sostanza, causalità. Che aspetto avrebbe un mondo in cui queste
categorie si presentassero con caratteri diversi da quelli che hanno finora
avuto? L’elemento a priori del reale, divenuto cosciente nell’uomo, comincia ad
eseguire un gioco di spostamenti, di retrocessioni, di modificazioni tale da
trasformare completamente l’immagine della realtà sulla quale gli uomini
lavorano: come un obbiettivo che abbia imparato ad aprirsi e a chiudersi, a mettersi
a fuoco a seconda delle esigenze dell’oggetto da ritrarsi. E se da un lato si
può dire che questo accomodamento delle categorie viene imposta dalle modalità
della ricerca scientifica, cioè dalle esperienze e dalle osservazioni che non è
possibile far rientrare nelle categorie finora usate (cioè quelle dell’universo
newtoniano), d’altro lato è avvenuto forse che gli scienziati, tratti dalla
vaga sensazione di essere sul punto di crearsi nuovi strumenti per
l’apprensione del reale, fossero attratti appunto da quelle esperienze che dei
nuovi strumenti potessero aver bisogno. L’esperienza non è mai evidentemente
qualche cosa di puramente passivo, e vi è sempre un motivo perché lo
sperimentatore raccolga la sua attenzione su di un fatto piuttosto che su di un
altro108. Comunque se la conformazione delle singole categorie è stata
fortemente modificata dalla scienza moderna, non è stata modificata, anzi è
stata rafforzata la coscienza della categoricità del reale. Il filosofo può
giungere con ragione alla conclusione che le nuove teorie fisiche non hanno
intaccato la concezione Kantiana del mondo. Noi diremmo che esse hanno tratto
da quella concezione le uniche conseguenze che aprono alla mente umana nuove indefinite
prospettive di ricerca. Le quali non consistono in una vaga e problematica
evasione dalle categorie, ma in una tranquilla accettazione del fatto che non è
possibile prescindere da una “categoricità”. Accettazione che permetta però la
continua revisione delle esistenti. Kantismo e la nozione stessa FS : kantismo
e la nozione stessa E. Da questo punto comincia la conclusione assente nelle
precedenti edizioni del testo. 108 Sulla revisione colorniana del concetto di
esperienza, cfr. supra § 3. 109 Colorni non si astiene mai dal sottolineare,
nei suoi scritti metodologici, «quanto vantaggio derivi alla scienza stessa
dall’eliminazione del suo substrato metafisico-finalistico» (E. Colorni, Del
finalismo nelle scienze, pp. Cfr. p.e. Id., Critica filosofica e fisica teorica.
Non c’è miglior propaganda per un nuovo atteggiamento intellettuale e morale
che il fatto che esso si dimostri una chiave capace di aprire molte porte nel
campo della scienza e della conoscenza». Eugenio Colorni 34 categorie; cioè di
quelle categorie dalle quali la mente umana al suo stato attuale non può
prescindere. Non è forse inutile precisare che tale revisione non ha nulla a
che fare con quelle discussioni sulle classificazioni delle categorie di cui i
filosofi così spesso si dilettano. Non si tratta affatto di discutere se le
categorie siano dodici o dieci, o quattro o una. Se il “finalismo” costituisca
una categoria a sé o rientri in un’altra. Se l’“economico” e l’“estetico” siano
modi autonomi o meno di considerare le cose. Non si tratta di organizzare le
forme conosciute del pensiero, e accordarsi su quali si debbano considerare
originarie, quali derivate. Il lavoro da compiersi è molto più profondo e
creativo. Si tratta di dare allo spirito umano la possibilità di vedere le cose
in modo completamente diverso da quello usato finora; di fornirlo di un nuovo
senso, mediante il quale egli possa scoprire cose finora sconosciute, risolvere
problemi finora insolubili. L’atteggiamento “critico” in senso Kantiano si
mostra così come l’ultima fase di tutta un’epoca e di un modo di prendere contatto
col reale. La scienza messa nella possibilità di prendere piena coscienza non
solo dei propri metodi, ma delle premesse necessarie di ogni sua costruzione,
riceve da ciò l’impulso a superare tale necessità ed a crearsi premesse nuove.
Il lavoro che qui compie lo spirito non ha solo i caratteri di una ricerca
intellettuale. Ne fanno parte alcuni atteggiamenti che possiamo raccogliere
sotto il nome generico di morale. Si tratta di uno sforzo violento contro un
modo di considerare le cose cui tutto ci tiene legati, di tendenze alla
liberazione, di salti fuori dal mondo cui si apparteneva. Si cerca di rifarsi
una “nuova mentalità”, di vedere le cose con occhi diversi, di ritornare
semplici, di rifiutare le costruzioni già fatte. Ci si affida alla fantasia,
all’invenzione, all’intuizione, per immaginarsi mondi diversi da quello che
siamo abituati a vedere. Tutti questi movimenti di conversione dello spirito,
che siamo abituati [ad] attribuire al mistico o all’uomo desideroso di
purificazioni o di visio. È questo il tema affrontato fra l’altro nel dialogo
di Commodo dedicato a Dell’antropomorfismo nelle scienze, là dove Colorni,
stabilendo la necessità di rovesciare l’umana tendenza a ricreare una natura
fatta a propria immagine e somiglianza, distingue due differenti forme di
antropomorfismo, a seconda che si sia o meno consapevoli – e si sappia quindi
controllarne i risultati – della nostra impossibilità di prescindere dalla
“categoricità del reale”: il primo antropomorfismo è «una constatazione, o
meglio una necessità, dalla quale non siamo riusciti a uscire, l’altro è invece
una esigenza. Ora io odio le esigenze. Non ho nemmeno alcun motivo di amare le
necessità, ma da queste non vedo alcun modo per liberarci, se non
illusoriamente. Evidente riferimento allo storicismo crociano, su cui Si mostra
qui, in tutta la sua originalità, il senso più profondo che Colorni attribuisce
al kantismo all’interno della storia del pensiero filosofico e scientifico
della modernità. E. Colorni, Critica filosofica e fisica teorica (p. 206), ove
si sottolinea il carattere essenzialmente morale che caratterizza il primo
impulso alla scoperta scientifica: «alla base di ogni grande scoperta, di ogni
rivoluzione nel campo della scienza, c’è una conquista morale; l’abbattimento di
un idolo saldamente insediato e abbarbicato fra le pieghe della nostra anima,
di cui è estremamente difficile accorgersi, estremamente doloroso liberarsi;
idolo fatto per lo più di un cieco ed infantile amore per noi stessi, di un
bisogno di sentirsi circondati da forze a noi congeniali, di veder ripetuto
nell’universo, nella realtà oggettiva, ciò che sperimentiamo nel nostro
intimo». Cinque scritti metodologici: 35 ni, non devono essere stati estranei a
chi si è sforzato per il primo di immaginare la terra rotonda anziché piana, o
il sole immobile e non la terra in mezzo ai pianeti, o lo spazio a quattro e
non a tre dimensioni. Solamente che mentre il mistico suole descrivere molto
accuratamente il processo della conversione, ma si ferma solo ad esso e non ci
dà alcuna garanzia quando comincia a parlare di ciò che egli trova “al di là”,
lo scienziato invece compie la conversione silenziosamente, spesso quasi
inconsciamente; ma giunto al di à, cioè al nuovo punto di vista, è sollecito ad
occuparsi solo di ciò che sia non dico vero in senso assoluto, ma usabile, cioè
organizzabile in un ordine, in una legge. E per giungere a ciò escogita
esperimenti e controlli che gli diano la garanzia di camminare su un terreno
sicuro, sul quale sia possibile ai suoi strumenti di far presa. L’“al di là” non
è affatto una negazione del di qua, non è un assoluto privo di categoria. È un
mondo di nuove categorie che pretendono di essere più vaste, di comprendere in
sé anche le vecchie. Rotondo anziché piano, meccanismo anziché finalismo,
probabilità statistica anziché determinazione causale. La validità delle nuove
chiavi è determinata dal loro uso, cioè dalla maggiore o minore possibilità che
esse offrano di spiegare fenomeni, di risolvere problemi, di formulare leggi.
La maggiore difficoltà consiste nell’abituarsi al nuovo modo di vedere. Non
esiste neppure un vocabolario che permetta di esprimere le cose nei termini
delle nuove categorie, e si è comunemente costretti a ricorrere a metafore
tratte dal mondo vecchio. Gran parte del lavoro, nei primi tempi, consiste
nell’escogitare una formula di trasformazione che permetta di passare
agevolmente dai termini delle vecchie categorie a quelli delle nuove. Come le
leggi della prospettiva mi permettono di rappresentare su un piano ciò che ha
un volume nello spazio, così le “trasformazioni di Lorentz” mi permettono di
usare gli strumenti a mia disposizione (calcolo, misura, ecc.) nello spazio
normale, per il nuovo spazio einsteniano; analogamente la psicanalisi tenta di
tra Il dominio della natura è divenuto così il prezzo dell’incredulità. È come
se la grazia venisse a toccare proprio colui che ha cessato di sperarla. Il
coraggio di riconoscersi abbandonato da Dio, di rinunciare ad essere il centro
e lo scopo dell’universo, apre immediatamente l’occhio agli uomini, li
arricchisce d’un immenso patrimonio. A bella posta abbiamo espresso queste cose
in un linguaggio mistico. Quando Kant parla di rivoluzioni dovute all’ardimento
di un sol uomo, di illuminazioni subitanee, di vie improvvisamente aperte a chi
brancolava alla cieca, c’è in lui sicuramente la coscienza che una vera grande
conquista conoscitiva è sempre frutto – più che di uno sforzo logico o di uno
sviluppo dialettico – di un capovolgimento affettivo e morale; di una
inversione di valori, di una vittoria conquistata contro se stessi e contro ciò
cui con più profondi e tenaci ed inconsci vincoli siamo legati. Chi compie per
primo un capovolgimento deve anzitutto combattere nel suo intimo una lotta non
molto diversa da quella che combatte l’uomo che voglia raggiungere lo stato di
perfetta passività ed umiltà di fronte al suo dio. Molinos diceva che non
bisogna chiedere nulla a Dio, neppure la propria salvazione. Lo scienziato deve
pure rinunziare all’idolo di una natura che parli il suo medesimo linguaggio,
di un mondo organizzato in vista dei suoi bisogni e dei suoi organi. Solo
questa assoluta vuotezza e purità, questa mancanza di anticipazione gli
permetterà di aprire gli occhi su se stesso e sul mondo». L’osservazione
rientra pienamente nell’antirealismo della metodologia colorniana. D’altra
parte, risulta di particolare interesse il tentativo di delineare le
caratteristiche che dovrebbero assumere le nuove categorie rispetto a quelle
che volta per volta si vanno ad abbandonare. Eugenio Colorni sformare in
termini della coscienza ciò che è inconscio. Mediante tali trasformazioni si
aiutano anche gli altri uomini a trasportarsi sul nuovo piano; si forniscono
loro, per così dire, gli occhiali che permettono di vedere con la nuova illuminazione,
finché non si sarà tanto avvezzi da poter fare a meno di occhiali, ed usare un
linguaggio diretto. Ma il linguaggio appunto serba sempre le tracce di ciò, e
le etimologie documentano spesso tali mutamenti di registro. Tale è, presso a
poco, lo stato delle cose attualmente. Si veda, fra i riferimenti colorniani
alla psicoanalisi e a mero titolo di esempio, quanto è dall’autore affermato
nel dialogo intitolato Della lettura dei filosofi. La psicanalisi è una scienza
ad uno stadio che corrisponde circa a quello dell’astronomia prima di
Copernico, e dell’alchimia prima della chimica. Ha individuato in modo vago,
mitico, pieno di pregiudizi e di troppo rapide generalizzazioni, delle
relazioni e dei rapporti finora inosservati. Ha abbozzato una parvenza di
metodo di ricerca: metodo talmente incerto e malsicuro che il più delle volte
conduce a risultati opposti a quelli che si volevano ottenere. Ma insomma, si
muove in un campo completamente sconosciuto, e il materiale che sta portando
alla luce è di un tale interesse, che il rifiutarlo solo perché non è stato
ancora capace di organizzarsi secondo gli aurei schemi del metodo scientifico
mi sembra il colmo del filisteismo professorale». L’accenno alla possibilità di
una condurre una vera e propria analisi categoriale attraverso lo studio del
linguaggio è forse uno degli aspetti più interessanti ed originali di queste
pagine Cinque scritti metodologici Commodo a Ritroso Vedo che non sei sazio di
facili vittorie. Se il tuo scopo era di dimostrare che tu sai l’economia e io
no, l’hai raggiunto pienamente, a tua perenne gloria e soddisfazione. Ma se io
volessi ritorcere le tue intimazioni sulla mia abilità nelle scienze di cui mi
occupo, ti direi che, con tutta la tua bravura, non sei stato neppure capace di
chiarire il mio dubbio. Non te lo dico, perché sono sicuro che ci saresti
riuscito facilmente, solo che ti fossi occupato di capire attraverso gli sbagli
e le imprecisioni, quello che ho cercato di dire, anziché limitarti a sfogare a
tua rabbia. Se un dilettante o un principiante di teoria della scienza mi viene
a parlare di corpo rigido in un senso errato e diverso da quello usato dai
fisici, io cerco di capire quale concetto egli cerchi di adombrare dietro al
termine improprio; e mi guardo dal cedere alla meschina soddisfazione di
prenderlo in castagna ad ogni parola. Il fare così, con tua buona pace, si
chiama in italiano pignoleria. Io non voglio prendere sul serio questo tuo modo
di discutere che è probabilmente solo una reazione alla mia aggressività, e il riflesso
di arrabbiature prese non in questa ma in altre discussioni. E non ho ancora
perso la speranza di trovare in te un esperto ed aperto iniziatore ai problemi
dell’economia, anziché un geloso e gretto sacerdote del tempio della scienza.
Questo metodo, hai ragione, è supremamente irritante e presuntuoso; ma a me è
molto utile, perché mi permette, fra l’altro, di appropriarmi i concetti
fondamentali con maggiore consapevolezza, senza subirli, e mantenendo rispetto
alle scienze quel certo distacco che è pur necessario al critico e al
metodologo. Una nozione si forma molto più salda nella mia mente, quando ha
resistito vittoriosamente ai miei ripetuti attacchi, che quando l’ho dovuta
imparare dalle pagine di un manuale. 1 FS, sez. 1, Carte personali, serie 2,
Documenti diversi, b. 3, Inediti di Eugenio Colorni. Per la storia di questo
scritto in relazione agli altri dialoghi economici colorniani, si rinvia alla
Nota del curatore. Così si rivolge Commodo a Ritroso in E. Colorni,
Dell’antropomorfismo nelle scienze. Mi pare che tu sia un po’ troppo attaccato,
o Ritroso, alle prerogative professionali. Sei proprio sicuro che l’aver
frequentato una scuola ufficiale e aver letto molti trattati, e avere una lunga
consuetudine coi ferri del mestiere, sia una condizione assolutamente
necessaria per capire qualche cosa dei principî fondamentali di una scienza? Non
vi è mai capitato di dover dire a una persona una di quelle cose scottanti,
dopo le quali non si ha più il coraggio di guardarsi negli occhi? Ebbene, se
voi scegliete il partito di prenderlo in disparte con tono mansueto e fraterno,
mostrandogli comprensione ed affetto, e lo consolerete, e cercherete di
addolcirgli in tutti i modi la pillola; se farete questo, siete dei volgari
istrioni, innamorati di voi stessi, infatuati della vostra funzione, incapaci
di comprendere e di amare l’amico. Voi vorreste assestargli il colpo che darà
inizio per lui a una dolorosa lotta contro se medesimo, e in più avere la sua
gratitudine, la sua ammirazione. Vorreste, nel momento in cui egli si sente
basso e spregevole, apparirgli voi come l’arcangelo liberatore, il puro, il
disinteressato, l’immacolato. Se vi prende a calci, è il meno che possa fare.
Ditegli invece le medesime cose in un accesso di rabbia, in una lite violenta,
in cui voi avrete almeno altrettanto torto quanto lui. Buttategli in faccia
queste verità come veleno che schizzi dalla vostra lingua; dategli un appiglio
per difendersi, un’occasione di odiarvi, di considerare tutto ciò che gli dite
come falso e malvagio. Il vostro Eugenio Colorni Non so se questo possa
servire agli occhi tuoi da giustificazione. Non credere che questo metodo sia
in me qualche cosa di cosciente e di voluto. Me ne accorgo oggi per la prima
volta, cercando di analizzare perché le tue accuse mi colpiscono e insieme non
mi colpiscono. Delle tue osservazioni incasso senz’altro la lezione sulla
matematica; io non avevo avuto altra intenzione che di riinventare per conto
mio quell’ombrello; e naturalmente l’ho inventato più brutto, più goffo e confuso
di quello che c’è già. Il solo punto che non mi è ancora chiaro è quello
indicato nell’accluso foglietto. Mi basta che tu risponda a monosillabi e credo
che non ci perderai più di un quarto d’ora. PALINODIA COMMODO A RITROSO Da
principio mi sono preso una solenne arrabbiatura, e ti avevo già risposto una
lettera piena d’insolenze. Poi, nel rileggere tutto insieme a mente più calma,
ho visto che in fin dei conti hai tutte le ragioni. Ma, poiché le tue accuse mi
toccano solo in un certo speciale modo, vorrei spiegarti quanto segue a puro
titolo di chiarimento personale: Da uno che si avvicina ad una scienza che non
conosce è giusto di pretendere che lo faccia “con le ginocchia della mente
inchine” pronto ad apprendere anziché a criticare. Gli s’impone, e ben a
ragione, un lungo e silenzioso noviziato, solo finito il quale gli si potrà
accordare voce in capitolo. Tutto questo è giusto (e lo dico senza la minima
ironia). Ma il risultato è che un uomo, di solito, di questi noviziati ne fa
uno solo, e vi resta legato per tutta la vita. Si specializza in una materia, e
da essa non esce, salvo che per excursus curiosi e dilettanteschi. Ora a me
questo non è concesso, giacché i miei interessi più specifici si rivolgono alla
metodologia delle scienze. E dato che mi farebbe schifo risolvere il mio
problema dall’alto, escogitando un paio di criteri filosofici e applicandoli
poi come chiavi capaci di aprire tutte le porte6 ; sono costretto ad
avvicinarmi a insegnamento allora penetrerà nel suo cuore in modo umano, lieve,
benefico. Egli sarà libero di accoglierlo come cosa sua, e avrà modo di stimare
se stesso per non avervi serbato rancore. Nella sua accettazione ci sarà il
senso di fare una conquista, di costruire qualche cosa. Non vi temerà. Che sia
questo il senso del mito di Nereo, l’indovino col quale bisognava azzuffarsi
perché si decidesse a profetare?». Su questa immagine del mito di Nereo, rinvio
ad A. Cavaglion, «Il mio poeta». Colorni, Saba e la psicoanalisi, in G. Cerchiai
e G. Rota, Eugenio Colorni e la cultura italiana fra le due guerre, Cfr. quanto
spiegato nella Nota del curatore. Citazione a senso da Vergine bella, che di
sol vestita, dal Canzoniere di Petrarca (CCCLXVI, v. 63). E. Colorni,
Giustificazione, Colorni disprezza coloro che chiamano filosofia l’aver trovato
una formula per interpretare il mondo. La metafora della chiave è spesso
utilizzata da Colorni per indicare precisamente l’errore di scambiare la
ricerca filosofico-scientifica con la scoperta di un criterio esplicativo unico
ed onnicomprensivo. Su tale metafora cfr. anche Programma. ciascuna scienza,
non per esserne genericamente informato, ma con l’impegno di osservarne con
occhio critico gli interni meccanismi e cavarne conclusioni non genericamente
filosofiche, ma che possono aiutare il procedere della scienza stessa. Se
voglio far questo è chiaro che non posso pretendere di sfuggire al noviziato
più severo, in ciascuna delle scienze cui mi avvicino. E non mi sogno di
sfuggirvi. Posso però cercare di rendermelo più piacevole. Il metodo che,
inconsciamente, ho trovato, è questo: Anziché accostarmi a grossi trattati con
fare accogliente e passivo, pronto ad imparare e ad adagiarmi nell’ordine della
loro esposizione, io parto con la lancia in resta, pieno di idee sballate e
confuse, sfondando porte aperte ad ogni passo, ed inventando ombrelli,
desideroso di scontri e di battaglie. Da ogni scontro esco ammaccato e contuso
(come da questo con te) ma con un’idea più chiara. Ogni knoch out subito mi fa
fare un passo avanti nella comprensione della scienza. Così non evito
naturalmente, lo studio; e della lettura dei trattati non posso certo fare a
meno: ma mi riesce più piacevole leggerli come appassionati combattenti,
piuttosto che come amorosi pedagoghi. A patto, s’intende, di non impuntarsi
mai, e di essere pronto a riconoscere la sconfitta. Laboratorio dell’ISPF. Geri
Cerchiai ISPF-CNR, Milano. Laboratorio dell’ISPF. Saggi di Colorni conservati
presso la “Sapienza” Università di Roma, Biblioteca del dipartimento di Fisica,
Fondo Vittorio Somenzi. In essi Colorni espone alcuni dei punti chiave della
propria metodologia, delineando una proposta epistemologica destinata ad essere
riscoperta e apprezzata dopo la caduta del regime fascista, nel secondo
dopoguerra. Carlo Rosenberg. ‘G. Rosenberg’.
‘Agostini’. ‘Franco Tanzi’. Eugenio Colorni. Colorni. Parole chiave:
diadologia, il concetto dell’individuo, l’idealismo filosofico como malatia,
indice alla malatia metafisica, scritti filosofici curati da Bobbio, scienza
unificata, ebreo-italiano, ebreo-britannico Ayer, circolo di Vienna,
Reichenbach, Hilbert, Eddington. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Colorni” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51716305145/in/photolist-2mMZzKx-2mLLEoX-2mLJCwP-2mLLE12
Grice e Conte – il sacrificio – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Pavia). Filosofo. Grice: “Must say I love Conte – he
has almost the same talent for linguistic coinage that I do! In Italy
‘filosofia del diritto’ is much more respectable a discipline that it is at
Oxford! But Conte managed to keep it philosophically interesting for the
philosopher’s philosopher that I am!” “Conte proves that moral philosophy is at
the heart of philosopohy qua-uni-virtue – for the critique of reason must
include the buletic – and that’s all that Conte dedicates his philosophy too!
Into the bargain, he expands into concepts like sacrifice, punishment,
‘fiducia’ (my principle of conversational trust), and so much more!” “He plays
with language the way only Heidegger did in German and I in English!” -- -- Grice: “Conte is what I – and Italians –
would call a ‘Griceian conversationali pragmaticist.’” Studia a Pavia e Padova. Si laurea a Torino sotto Bobbio con “Ius
naturale.” Insegna a Pavia. Si occupa della semiotica del performativo deontico
o buletico, la regola eidetico-costitutive, validità buletica – desirabilita --
deontica, modo imperativo, prammatica conversazionale – alla Grice. In che cosa
consiste quell’’impero’, dal quale il modo imperativo prende il nome. Altre
opere: “Interpretazione analogica. Pavia, Tipografia del Libro, “Ius ed ordine”
(Torino, Giappichelli). Primi argomenti per una critica del normativismo. Pavia,
Tipografia del Libro, Ricerca d'un paradosso deontico” (Pavia, Tipografia del
Libro); Nove studi sul linguaggio normativo. Torino, Giappichelli); Filosofia
del linguaggio normativo. I. Studi; Torino, Giappichelli, Filosofia del
linguaggio normativo. II. Studi; Con una nota di Bobbio. Torino, Giappichelli);
Imperativo ed ordine. Studi Torino, Giappichelli); Filosofia del linguaggio normativo.
III. Studi, Torino, Giappichelli); Filosofia del diritto” (Milano, Cortina); Ricerche
di Filosofia del diritto” Torino, Giappichelli); “Res ex nomine” (Napoli,
Editoriale Scientifica); “Sociologia filosofica del diritto. Torino,
Giappichelli); “Adelaster. Il nome del vero” (Milano, LED). È inventore del
genere da lui chiamato "eido-gramma" ed autore di numerosi
eidogrammi, solo parzialmente éditi:
Nella parola. Osnago, Pulcino elefante, Kenningar. Bari, Adriatica. "Per
una critica della ragione deontica" (introduzione alla Filosofia del
linguaggio normativo). Pragmatica. Filosofia
del diritto Logica deontica Ontologia Performativo (atto verbale) Pragmatica
Semiotica Semantica. Grice: “Conte quotes from Aristotle’s Soph. El. On the
‘homonimia’ of deon’ – “sometimes for the good, but sometimes for the bad.”
Conte distinguishes between semantic ambiguity – surely ‘must’ or the
imperative mode does not have TWO senses – and ambivalenza prammatica. Since
Aristotle is refusing to use Frege’s idea of ‘Sinn’, and keep referring to
‘semeion’ (Latin segnare) rather, we may well conclude that Aristotle is just Greek
Grice. Conte does not dwell much on the imperative mode. Modo imperativo is
qualified. Modo is qualified as being modo verbale – the mode of the verb
impero. But then the future in French has a ‘valore imperativo.’ Conte is more
interested in the ‘must.’ But surely his quoting from Philippa Foot and his
joint work with von Wright into Kant’s hypo versus cate is very Griceian! On
top, Conte has a taste for local historical analysis and has discovered some
gems in some jurisprudential philosophers of his ‘paese’!” Amedeo Giovanni Conte. Keywords: il
sacrificio, the sorry story of deontic logic, fondatore della logica deontica
al Ghislieri di Pavia, il giuridico, giudicare, giuridicare, impiego, employ
(as noun), employ-ment, empiegamento, Conte e Wright – Wright cited by Grice,
alethic --. Wright on change cited by Grice in “Actions and Events”, Mario
Casotti, Volere, Grice, Volere --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Conte” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51771571040/in/dateposted-public/
Grice e Contestabile – BRVNO – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Teano). Filosofo. Grice: “I love Contestabile; I love
a philosopher with a sense of humour! At Oxford, it has become increasingly
difficult to laugh at people’s surnames! But ‘grice’ means ‘pig,’ in Norwegian!
– Anyway, Contestabile contests a revisionist account of Bruno’s life – “surely
he wasn’t a coward – I know because of his links with the Campanella whom my
family supported in his fight against the furriners!” Cacciato con una
telefonata» Intervista di Dino Martirano, Corriere della sera. Con il Psi non
ho ricoperto grandi incarichi ma ho avuto l'onore di essere stato amico di
Craxi. Mi mancherà la politica ma non è una tragedia. Torno ai miei studi, alla
filosofia medioevale. Mi mancheranno certi momenti. Io, che ero stato nel Psi
fin quando nel '92 la procura della Repubblica lo ha sciolto, ricordo bene i
mesi trascorsi al ministero della Giustizia: col ministro Biondi fummo i protagonisti
del tentativo fallito, però generoso, di riportare la giustizia sui binari
della normalità. Sciolto il partito [Psi], chi si è fatto maomettano, chi
ebreo, chi cattolico. Però sempre socialisti siamo rimasti. Domenico Contestabile avvocato e politico italiano Lingua
Segui Modifica Domenico Contestabile Sottosegretario di Stato del Ministero
della Giustizia Durata mandato10 maggio 1994 – 17 gennaio 1995 PresidenteSilvio
Berlusconi PredecessoreVincenzo Sorice SuccessoreAntonino Mirone Vicepresidente
del Senato della Repubblica Durata mandato PresidenteNicola Mancino Senatore
della Repubblica Italiana LegislatureXII, XIII, XIV Gruppo parlamentareForza
Italia CircoscrizioneLombardia CollegioCinisello Balsamo, Vigevano Incarichi
parlamentari Sottosegretario di Stato per la grazia e giustizia Sito
istituzionale Dati generali Partito politicoFI Titolo di studioLaurea in
giurisprudenza Professioneavvocato Domenico Contestabile (Teano, 11 agosto
1937) è un avvocato e politico italiano. BiografiaModifica Laureato in
giurisprudenza, esercita la professione di avvocato. Entra in politica
iscrivendosi al Partito Socialista Italiano (partito a cui è appartenuto fino
agli eventi che hanno travolto tale formazione politica)[1]. In seguito
aderisce a Forza Italia, affermando che in tale movimento politico l'area
socialista era ben accolta e rappresentata[2]. Viene eletto senatore per la
prima volta nel 1994 ed è rieletto anche nelle due successive legislature. Dal
16 maggio 1996 al 29 maggio 2001 è stato vicepresidente del Senato[3]
Incarichi parlamentariModifica Ha fatto parte delle seguenti commissioni
parlamentari: Affari costituzionali e giustizia; Difesa. Membro, inoltre, della
giunta per le elezioni e immunità parlamentari. Sottosegretario di
StatoModifica È stato sottosegretario di Stato per la Grazia e giustizia nel
primo governo di Silvio Berlusconi (dal 13 maggio 1994 al 16 gennaio
1995). NoteModifica ^ Tutti i figli e i figliastri del
garofano[collegamento interrotto], su qn.quotidiano.net. ^ Adnkronos - Psi:
Contestabile a De Michelis, noi stiamo bene in FI ^ Senato - XIII legislatura
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Bruno: una revisione contestata” – La storia della
filosofia è continua revisione, e non mi scandalizzo per il revisionismo
bruniano. Mi sembra però che questi non colga nel segno. La vita diBruno, dalla
fuga da S. Domenico Maggiore a Napoli fino al rogo di Campo dei Fiori a Roma, è
di singolare coerenza. Fu una vita “contro”. L’accusa implicita di opportunism mi
sembra perciò singolare. E’ vero che, durante il processo, ritratta molte sue
tesi, e avrebbe avuto salva la vita se avesse continuato in questo
atteggiamento. Alla fine però si stanca, e scelse lucidamente di morire.
E’ opportunista chi cerca solo di salvare la pelle, e poi decide di morire
perché ritiene che il suoi giudice ha esagerato? In quanto alla tesi sul Bruno
spia elisabettiana, essa non è, a mio giudizio, provata, anzi è smentita dalla
comparazione tra la grafia di Bruno e quella dei biglietti di spionaggio.
Infine, la tesi a proposito della relazione tra Campanella e Bruno non mi ha
mai convinto. Campanella (la sua rivolta e finanziata dalla nobile famiglia
Contestabile, come ricorda Firpo nel suo ottimo saggio sul processo a
Campanella) vuole poi un regime “comunista”? A leggere “La città del sole” non
si direbbe. Domenico Contestabile. Keywords: BRVNO, nobilita italiana,
la famiglia Contestabile financia la rivolta di Campanella -- filosofia
medioevale, Bruno. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Contestabile” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51770658001/in/dateposted-public/
Grice e Conti – VIRGILIANA – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Grice: “Conti is a good one – he
reminds me of Bosanquet and Pater – the decadents in Italy came AFTER them at
Oxford! Conti philosophised on many aesthetic subjects, such as man,
masculinity, and maleness --!” Di una famiglia originaria di Arpino, dove frequenta
il locale liceo. Si ccupa di filosofia estetica. D'Annunzio lo cita nel
“Giovanni episcopo” e si ispira a lui per ‘Daniele Glauro’ in “Il fuoco”. Insegna
a Firenze presso la Galleria degli Uffizi ed a Venezia presso l'Accademia di
Belle Arti. Saggio: “Zorzi; o Giorgione – l’estetica di Zorzi” -- Tornato a
Firenze, “La beata riva”, raccolta di saggi che delineavano la sua concezione
critica ed estetica, ispirata dichiaratamente a Platone, Kant e Schopenhauer. La
prefazione fu curata d’Annunzio, il quale scrive di stimare molto Conti e di
ammirare il suo “ascetismo” estetico. Direttore
delle Antichità di Roma. Direttore della Reggia di Capodimonte a Napoli. Si
ispirò alla poetica del filosofo oxoniese Pater e Ruskin. Altre opere: “Giorgione, Firenze, F.lli
Alinari, “Catalogo raggionato delle regie gallerie di Venezia, Venezia, Tip. L.
Merlo); La beata riva, Milano, F.lli Treves); Sul fiume del tempo, Napoli, R.
Ricciardi); “Dopo il canto delle Sirene, Napoli, R. Ricciardi); Domenico
Morelli, Napoli, Edizioni d'arte Renzo Ruggiero); “San Francesco, con un saggio
di Giovanni Papini, Firenze, Vallecchi); “Virgilio dolcissimo padre, Napoli, R.
Ricciardi). Praz nota che Parodi era solito leggere La beata riva di Conti
prima di addormentarsi; quando morì, la lettura non era stata ancora terminata. Dizionario Biografico degli Italiani, Forme
del tragico nel teatro italiano. Modelli della tradizione e riscritture originali,Romantici,
vittoriani, decadenti – filosofo decadente – decadentismo -- e museo
dannunziano, in Bellezza e bizzarria – il bello e il bizzarro., Croce, La
letteratura della nuova Italia, Marcello Carlino. A. Conti, Due conviti di
Mattia Preti, Bollettino d'Arte. Io vengo dal
mare di Napoli e sono tornato qui a rivedere la primavera. Non c'è nessuna
altra città in cui, come in questa, il rifiorire degli alberi e delle siepi si
accordi con la giovinezza delle opere del genio umano, nessuna ove, come qui,
la Primavera sembri rimanere per un istante velata, per poi riapparire pili
fulgida e piìi lieta, al ritorno dei venti che spirano dalle colline e recano i
nuovi fiori. Sono anche giunto fra voi, per parlarvi della pittura di Leonardo.
Ma il mio compito, dopo la lettura deirillustre scrittore francese che m' ha
preceduto, sarebbe oggi, non dico diffìcile, ma quasi vano, se le mie idee
fossero affini alle sue ed egli fosse vicino al mio pensiero come io sono
vicino al suo aff'etto per questa nobile terra toscana, ove l'arte ha
continuato la grazia gentile e la pura bellezza della natura. Diversità di
pensare e anche d'immaginare mi rendono oggi possibile esprimere qualche cosa a
voi forse non detta, e combattere qualche affermazione troppo lontana dalla mia
sicura fede. Leonardo è il discepolo del Vermocchio. Ora, che cosa poteva egli
apprendere dal suo grande maestro? Non cer- 84 Angelo Conti, Leonardo pittore
tamente l'arte, la quale non si apprende e non si insegna. Quale uomo, che
sappia che cosa è l'arte, potrà mai pensare alla possibilità di creare con
l'insegnamento un pittore, un musicista, un poeta? La natura sola genera gli
artisti, e l'uomo al pili può aiutarli a trovare i mezzi d'esprimere la parola
ch'essi son destinati a pronunziare nel mondo. Il maestro, al discepolo suo,
nato artista, può dire : " Il tuo cuore è impaziente d'indugi, tu sei nato
per il canto o per la espressione plastica o per la espressione mediante il
colore della tua gioia o della tua amarezza; guarda, ecco il dizionario che
contiene le parole di ogni umano discorso, ecco la tavolozza sulla quale io
appresi a mescolare i colori che imitano la bellezza del cielo, della terra e
del mare ; ecco in qual modo si modella la creta, affinchè dall'informe materia
apparisca viva dinanzi a noi l' immagine dell'uomo. Questi sono i mezzi, che io
ti posso indicare; ma il discorso, il canto, il soffio debbono essere tuoi, né
io te li posso insegnare „. Ogni opera d'arte è, rispetto alle opere
precedenti, una cosa diversa e nuova, nella quale, se pure sono entrati, alcuni
elementi precedenti e preesistenti, hanno mutato natura, si sono trasformati in
parti di quel tutto inatteso e prodigioso che si chiama la creazione artistica.
Chi non sa che in Leonardo appare un' immagine del sorriso che si mostra appena
accennato sulle labbra del giovinetto Davide del Verrocchio? Si, appare, ma è
un riHesso che illumina un altro mondo ; poiché questo riso, ricomparendo dalle
labbra dell'eroe adolescente sul viso e negli occhi della Gioconda, diviene il
mistero della seduzione femminile, una grazia insidiosa e un periglio,
un'armonia che nasce dal- Angelo Conti, Leonardo pittore 85 l'espressione d'iin
volto, si diffonde verso il paese lontano e attira il contemplatore. Il sorriso
verrocchiesco è in Leonardo come nn brano di Plutarco in Shakespeare. Or chi
oserebbe dire che l'immortale tragico inglese derivi da Plutarco? Leonardo e il
Yerrocchio sono due artisti assolutamente distinti, che parlano un linguaggio
interamente diverso e che, se somigliano esteriormente in qualche cosa, hanno
due anime quasi opposte, chiusa l'una nella sua idea di bellezza e di stile,
l'altra aperta a tutte le manifestazioni della natura e della vita, in una
continua ansietà di fissarne l'immagine mutevole con la semplicità del segno
rivelatore. Noi viviamo pur troppo in un triste momento della vita, poiché la
maggior parte degli uomini ai quali parliamo non sanno che cosa sia l'arte, e
lo Stato crede a chi meno vede. Non è forse ancora possibile vincere una così
detta scuola di critica scientifica, fondata sull' errore già accennato e
chiusa nella rete del pregiudizio cronologico. A coloro che ancora credono alle
influenze sugli spiriti geniali e alla necessità in arte di una classificazione
come in botanica, noi possiamo trionfalmente rispondere con Leonardo che
l'artista genera le sue opere qual fanno le cose. Egli deve creare come fa la
natura, e le sue opere superare e cancelUxre i segni del tempo che passa. Un
quadro, una statua, un edifizio debbono nascere come le selve e apparire come
le albe. Or chi penserà all'epoca d'una primavera o d'un ciclo stellato? Non c'è
opera d'arte geniale che venga per noi dal passato lontano, come non e' è
indizio di vetustà nelle montagne e nella aerea architettura delle nubi.
Dinanzi all'umanità che passa, il genio si ferma e rende eterna la 86 AxGELO
Conti, Leonardo pittore sua traccia come è nel cielo il cammino delle stelle.
Avete udito il canto dcirusignolo? Lo riudirete in tutte le primavere. Il genio
vi farà sempre udire la sua voce fresca e giovanile come nella stagion nuova
della terra il canto dell'usignolo. Aprite Virgilio: ecco, è l'alba e cantano
le allodole, è una notte serena, e l'uomo si perde nella luce lunare. Aprite
Dante, e siete nell'eternità della vita. Ivi nulla dilegua, nessuna cosa
invecchia o perisce, e noi stessi, -accanto a quelle grandi anime, siamo per un
istante fuori del tempo. Questo momento di liberazione provai per la prima
volta alcuni anni or sono a Milano, trovandomi dinanzi alla Cena, nel convento
di Santa Maria delle Grazie. Vidi il capolavoro nella medesima ora indicata
dalla luce clie lo illumina dal fondo, tanto che mi fu d'un tratto facile
superare i mille e piìi anni passati e trovarmi presente alla scena Gesù era
seduto nel centro del convito e da poco avea prò nunziato le parole : qualcuno
di voi mi tradira. I convitati a destra e a manca s'erano ritratti e aggruppati
in tumulto lasciando nel mezzo Gesù solo, con la sua tristezza infinita La sala
era piena di gesti concitati e di ansiose interrogazioni. Il Maestro solo era
calmo e la sua figura, sul paese che gli s'apriva lontano alle spalle, era
immobile. Ma qual dramma in quella immobilità ! Mentre la sua mano destra,
lievemente contratta, esprimeva un istante di ribellione e come un istintivo
moto d'ira, la sinistra nel momento successivo s'abbandonava col dorso poggiato
sulla tavola e le Angelo Conti, Leonardo pittore 87 dita allungate, esprimendo
la rassegnaziona e il perdono. Gli occhi abbassati non guardavano e non
vedevano nulla di ciò che era presente, ma contemplavano internamente il grande
spettacolo del dolore e della miseria umana, mentre la sua anima sembrava
essersi già rifugiata in quel fondo di paese luminoso e lontano, dove abitavano
una grande speranza e una eterna pace. Nessun uomo avevo veduto mai così solo
come Gesù in mezzo a quel tumulto. Era un'isola in mezzo a un mare procelloso.
Le onde fragorose del tempo, che travolgono^ uomini e cose, mi avevano forse
spinto ad approdare ad una riva ove splendono i fiori eterni della vita? Mai
infatti, come quel giorno, ebbi, per virtìi dell'arte, la visione della vita,
in un oblio piti completo. Quando il custode del Cenacolo venne ad annunziarmi
Fora della chiusura, io riudii nuovamente, dalla strada vicina, il rumore delle
carrozze e il rombo dell'esistenza; e ritornai fra gli uomini. Pochi anni or
sono Gabriele D'Annunzio scrisse una bella pagina di poesia per rimpiangere la
rovina del Cenacolo. Voi infatti sapete, che, come della antica e celebrata
pittura dei greci, fra pochi anni della Cena vinciana non resterà se non il
ricordo ^ Il doloroso avvenimento non ^ Questo studio su Leonardo lìiitore era
già stato scritto, quando fu compiuta in Milano dal pittore prof. Luigi
Cavenaghi l'opera di ristauro del Cenacolo, salutata da tutti i cultori ed
amatori d'arte con gioia e gratitudine. Il Cenacolo, compiuto da Leonardo nel
1497, cominciò ben presto a guastarsi; ì primi provvedimenti per salvare il
capolavoro risalgono al cardinale Borromeo, poi nei secoli si susseguirono
alternative di lunghi abbandoni, di fallaci rimedi empirici, di studii
incompleti e riparazioni deturpatrici, fin che il prof. Cavenaghi fu nel 1904
incaricato delle ricerche scientifiche e tecniclie che, precisando le cause e
l'entità dei guasti, portassero ai rimedii più efficaci. Egli trovò — sono sue
parole riprodotte naìVIllustrazione Italiana, n. 41, dell'I 1 ottobre 1908 —
che il dipinto, coperto da polvere di secoli, si screpolava e la crosta di
colore si solle- ^rt Angelo Conti, Leonardo inttore poteva non commuovere e non
far riapparire la visione tragica del fato clic incombe sui capolavori. Ma è
forse una illusione. In realtà la natura non distrugge ne i fiori o le selve
della terra ne le opere del genio : la Minerva criselefantina di Fidia è
passata dall'avorio e dall'oro nelle pagine immortali dei poeti e nella eterna
memoria degli uomini. Quando un capolavoro scompare, noi non dobbiamo pensare
che il tempo lo abbia distrutto, ma semplicemente che si sia oscurato lo
specchio che ci proiettava la sua imagine nel tempo e nello spazio. Nella
profonda unità dell'anima umana, clie rende i poeti e i filosofi simili ai
figli d'una madre sola, l'ispirazione da cui esso nacque riman pura e vivente
come una forza della terra non ancor vestita della sua forma. Se avessi la
virtù del canto, vorrei lodare e far comTava dall'intonaco, a squame di varia
misura, di modo clie parecchie di quelle i grandi, accartocciandosi, formavano
altrettante sacche che si riempivano con al- tre piccole squamette che vi
cadevano dall'alto. Vuotare ad una ad una le sac- che senza scuoterle, senza
quasi toccarle, mediante una pagliuzza resa attaccaticcia da una sostanza
adatta, poi fare aderire le sacche e le croste all'intorno, togliendone, con un
certo liquido dal Cavenaghi ideato, la polvere alla superficie, questo
sostanzialmente fu il lavoro paziente, mirabile, nel quale, per più di due mesi
durò il Cavenaghi, rendendo più tonica la fibra in isfacelo, facendole riac-
quistare un po' di colorito, così che il dipinto non debba peggiorare e possa
vi- vere ancora a lungo, con infiniti riguardi ed amorose cure. Ma — disse il
Cavenaghi — sarà sempre un organismo precario, e per le condizioni sue, pieno
come è di cicatrici, e per l'ambiente. Ad ogni modo questo del Cavenaghi è
•stato pel Cenacolo Vinciano il ristauro essenziale, decisivo, nei secoli; e
grandi manifestazioni di gratitudine ed ammirazione sono state tributate
all'assoluto disinterewse, pari all'amore grande per l'arte, spiegati dal
benemerito ristauratore, al quale Caravaggio, sua terra natia, ha consacrato
una targa artistica a memoria del fatto; ed i cultori ed amatori d'arte, auspice
Luca Beltrami, gli hanno conferita il 4 luglio 1909, davanti al capolavoro
vinciano, una bellissima medaglia d'oro. Il prof. Cavenaghi inoltre è stato
chiamato dal Papa, in sostituzione 4el defunto prof. Seitz, all'onorifico
ufficio di direttore delle pinacoteche vaticane. Angelo Conti, Leonardo inttore
89 prendere la vita maravigliosa che il Cenacolo leonardesco chiude nella sua
rovina. Come la rovina d'ogni cosa grande, essa equivale ad una purificazione e
ad una apoteosi. Finche resterà un sol frammento della parete prodigiosa,
finche un sol disegno, una sola stampa, una sola fotografia, custodiranno un
riflesso lontano della sua bellezza, quella creazione del genio sarà per noi
piìi potente che se il tempo e gli uomini l'avessero rispettata in tutte le sue
parti caduche. E un errore credere che il tempo non rispetti i capolavori; e
noi molto spesso parliamo, spinti dall'abitudine, contro l'eterna verità delle
cose. Il tempo, artista maraviglioso, è il solo degno collaboratore del genio
umano. Dove sembrava che l'opera geniale sì fermasse, egli la continua,
mutilandola: dove appariva ciò che è chiuso e preciso, egli apre una via
infinita all' imaginazione ; dov' era un aspetto freddo e muto della realtà,
egli fa nascere i segni del mistero. Ciò che sembra una distruzione e invece
una rivelazione e una consacrazione. E la natura che riprende l'umana opera
interrotta, che fa apparire la sua forza dove la mano dell'uomo cadde stanca, e
che, dove l'ispirazione di questo si oscurò e si confuse, fa cantare le sue
eterne aspirazioni. Ma non bisogna lodare il tempo soltanto per le sue rovine ;
è necessario esaltarlo anche per tutte le opere d'arte che, in compagnia del
fato e della umana malvagità, ha impedito di compiere al genio umano. Alludo
principalmente alle cosi dette sculture non finite di Michelangelo e ad un
quadro, che è ancora considerato un abbozzo, di Leonardo. Come i capolavori in
rovina appariscono vicini a rientrare Leonardo da Vinci. 12 90 Angelo Conti,
Leonardo pittore nella iiuiversalitìi della vita, i capolavori incompiuti
seml)rano usciti da poco dal seno stesso della natura. L'artista ne segnò
l'imaginc non fra i tormenti del lavoro consapevole, ma come in sogno,
obbedendo ad una volonth oscura che per qualche istante abolì la sua volontà individuale.
Poche tracce di pentimenti in quei primi segni, ma l'espressione d'una beata
obbedienza, come di chi si affidi al mare, e una ricchezza e una esuberanza di
vita uguale a quella di cento uomini felici. * Mi limito a parlarvi del quadro
di Leonardo, oggi nella Galleria degli Uffizi, e che rappresenta l'Adorazione
dei Magi. La prima cosa che ci colpisce è il movimento. Noi sentiamo subito che
il pittore ha voluto rappresentare un avvenimento straordinario, un grande
fatto della natura e della vita. Quasi tutte le figure vanno, strisciano,
accorrono verso la parte centrale della rappresentazione, ove si fermano
prostrate e come atterrate dallo stupore e dalla maraviglia. Fra i gruppi in
movimento, alcune figure stanno diritte e immobili a guardare la scena. Nel
centro una calma assoluta. La Madonna vi appare seduta in una attitudine piena
di grazia materna, e sulle sue ginocchia il bambino si china e protende una
mano per toccare il 'dono che un vecchio genuflesso gli porge. Intorno si
raccoglie e si concentra tutto ciò che nel quadro raggiunge la maggiore
intensità d'espressione e la maggior forza di vita. Questi vecchi che vengono
da lontano, guidati dal mistero, sono una A\GELO Conti, LeonarJo j)ittore 91
fra le più potenti creazioni del genio umano. Tutta la scena, piena della loro
commozione e del loro sbigottimento, sembra irradiare come un vento di tempesta
che, dall'anima dei vecchi, giunga sino ai punti piti lontani del quadro. Ed
ecco che noi vediamo gli effetti dell'onda invisibile. Dietro il gruppo
centrale è un accorrere disordinato di gente : uno ha le mani levate e grida
come per un ignoto pericolo, un cavaliere non riesce a contenere lo spavento
del suo cavallo, altri gruppi di cavalli nel fondo appariscono spinti dalla
furia d'una battaglia; qua e là, sotto archi crollati, uomini che corrono e
s'interrogano ansiosi, altri che salgono discendono a frotte e smarriti per una
gradinata. Si sente che un grande avvenimento si compie, e per tutta l'ampia
scena notturna è diffusa l'atmosfera del miracolo, come in un giorno sereno la
luce del sole sulle campagne. E questa è appunto l'idea che Leonardo ha
espressa nel suo quadro con una potenza e una eloquenza suprema. Mai infatti,
sino a questi ultimi anni del quattrocento, 1481, la pittura aveva rappresentato
il miracolo, mai lo stupore e il terrore di ciò che sembra turbare le leggi
della natura e far presentire agli uomini un rinnovellamento del mondo, erano
stati resi visibili nell'opera d'arte. Leonardo, con questa composizione
sintetica, con questo semplice suo disegno a chiaroscuro, nel quale non un sol
particolare h compiuto, è riuscito a rappresentare il miracolo come non sarebbe
stato possibile con l'opera piìi meditata e più coscienziosamente finita. E la
ragione mi sembra questa. Vi sono idee e sentimenti che le arti plastiche non
possono rappresentare se non con mezzi somraarii, se non giovandosi di ciò che
co- 92 Angelo Conti, Leonardo pittore miincmcnte si chiama V incomplitto. L'
incompiuto è spesso un mezzo meraviglioso dì espressione per il genio umano; è,
a rovescio, il mezzo stesso che la natura adopera per purificare e per
consacrare nei secoli i capolavori degli uomini. In questi la natura procede
per eliminazione, nell'opera rimasta incompiuta il genio lavora in uno stato di
concentrazione suprema. Li^ Adorazione dei Magi non solo rappresenta un
miracolo ; ma è essa stessa un'opera miracolosa. La notte che vi si addensa è
piena di luce per l'anima umana. Fra tutti i quadri della Galleria degli Uffizi
è il più vivo, il piìi drammatico e il più profondo per significazione.
Continuando per voi la enumerazione delle opere pittoriche vinciane e per
mostrarvi che, come allora mi fu possibile liberarmi dal tempo, posso anche
oggi, e mi piace, spezzare le catene della cronologia, passerò a parlare della
Gioconda. La vidi alcuni anni or sono, e feci, quasi per lei sola, il mio
pellegrinaggio da Firenze a Parigi. Quando entrai nella pinacoteca del Louvre,
la giornata era grigia e le sale quasi in una penombra. Nella sala dei
capolavori gli occhi delle figure dipinte da Tiziano, da Raffaello, da
Yelasquez mi guardavano fiso. Cercai la Gioconda, corsi verso di lei. Entro la
fioca luce indovinai il sorriso e sentii il fascino dello sguardo ; vidi anche
il candore del seno. Ogni altra cosa era indistinta. In una pinacoteca non è
possibile abbandonarsi all'oblio, Angelo Coxti, Leonardo piUore 93 come in una
chiesa o in nn cenacolo. Coloro che entrano a visitare le collezioni dei
dipinti vanno per lo più a fare confronti, ad osservare particolari, a cercare
note caratteristiche, e portano con sé libri e fotografie. Io, qnando mi
dispongo ad andare o a tornare al cospetto d'nn capolavoro, m'affatico a
togliermi di dosso ogni peso, affinchè mi sia dato procedere con passo leggero
e mi trovi dinanzi all'opera geniale, con l'anima semplice e serena. Sono
abituato a contemplare un quadro, come se fosse una costellazione. Nella notte
ir cielo è pieno di silenzio e le stelle splendono armonizzando ciascuna il suo
ritmo alla musica del cielo. Guardando gli occhi di Monna Lisa del Giocondo, li
vidi palpitare in ritmo, in armonia con la musica del suo sorriso. Il quadro
m'era ancora ignoto, e pensavo a Leonardo. Mi pareva vederlo, mentre nel suo
studio fiorentino aspettava l'arrivo della sfinge ridente. Poco dopo ella
entrava e si sedeva accanto alla finestra. In fondo apparivano le colline di
Fiesole, Monte Morello, l'Appennino lontano, e l'Arno serpeggiava scintillando
nel mattino, mentre le torri della città uscivano dalla nebbia al primo sole.
Anch'egli si sedeva, e, presa la lira d'argento che s'era fabbricata con le sue
mani, cominciava a cantare. La bella donna, udendo la laude melodiosa,
sorrideva, mentre l'Arno da lungi diveniva più ricco di scintille. Poi
cominciava a dipingere, e, dopo i primi tocchi una orchestra invisibile di
liuti riprendeva la canzone interrotta. La donna sorrideva in una calma regale
: i suoi istinti di conquista, di ferocia, tutta l'eredità delia specie, la
volontà della seduzione e dell'agguato, la grazia dell'inganno, la bontà che cela
un prò- 9i An'gelo Conti, Leomrdo pittore posito crudele, tutto ciò appariva
alternativamente e scompariva dietro il velo ridente e si fondeva nel poema del
suo sorriso. Per un momento usci un raggio di sole; ed io die m'ero allontanato
dal prodigio, corsi e lo vidi intero. La donna era viva dinanzi a me, in tutta
la sua vita reale e ideale. Buona e malvagia, crudele e compassionevole,
graziosa e felina, ella rideva, e il suo riso si prolungava nel paese lontano e
nell'anima mia; sino a darle l'oblio die viene dalla presenza delle cose
immortali. Pochi istanti dopo, il sole scomparve e la penombra regnò nuovamente
nella sala. Lì presso un sol quadro ardeva come una lampada e in esso cantava,
non affievolita, la musica del colore. Era la Festa campestre : fra due donne
nude, un suonatore di liuto svegliava alcuni accordi e pareva che la Gioconda
ne sorridesse come quando Leonardo cantava, per rendere piìi intensa la sua
vita e per tradurre col disegno la sua misteriosa bellezza. Questo
ritratto non esprime soltanto ciò che l'occhio vede, ma è il riflesso d'una
creatura amata da uno spirito che per oltre quattro anni si affaticò a
penetrarne a rivelarne la vita. Come dinanzi alla Gioconda, Leonardo si pone
dinanzi ad ogni cosa vivente col medesimo ardore di conoscenza, con la stessa
ansiosa curiosità e lo stesso desiderio invincibile di fissarla con segni
semplici e definitivi. Tutto questo poema della sua anima, questo dramma intimo
che si chiude in una alternativa di tentativi d' espressione e di istanti di
tregua contemplativa, di rapimenti e di lotte con la sorda materia, d' ansietà
e scoramenti e di calma trionfale, è raccontato nei suoi disegni, che sono 1'
imma- Angelo Coxti, Leonardo pittore 95 gine più completa della sua potenza non
solo intuitiva ma creativa. Per lo scultore il disegno è appena un segno, uno
scliema, un presentimento dell'opera futura. Lo chiamiamo disegno, perchè ijon
abbiamo altre parole per significare le notazioni figurative degli scultori ;
ma esso non è se non un appunta ideale, un mezzo per ricordare un sentimento.
Ricordate i disegni di Michelangelo per le sue statue, ricordate gli odierni
disegni di Rodin per i suoi gruppi e per i suoi monumenti. Qm^tì disegni,
benché esprimano una visione di movimento, non sono pittura e non sono scultura
perchè non illuminano una idea che potrà essere espressa, come chiaroscuro e
come colore sopra una superficie e che sia per apparire come forma nello
spazio. La scultura comincia soltanto col bozzetto in cera, in creta o in
gesso, cioè a dire quando V idea, destinata a manifestarsi come forma nasce a
somiglianza d'una cosa viva fra le altre cose viventi e sorge nello spazio,
nell' aria e nella luce, sottoposta alle leggi del peso e chiusa nelle sue
dimensioni. Per parlare con esattezza, la scultura non ha disegno. Nella
pittura il disegno è tutto, è il primo segno che nota la visione ancora vaga
sopra una superficie, ed è il chiaroscuro e il colore che pili tardi la
renderanno eloquente, che le daranno una voce che parla e che canta, come in una
musica e come in un poema. Per Leonardo, genio universale, il disegno non è
soltanto linguaggio pittorico, ma è il mezzo adeguato d'espressione di tutto
ciò che appare e che passa nel suo pensiero, nella sua memoria, nella sua
imaginazione e nella sua fantasia. Tutti gli aspetti e tutti i momenti della
multiforme ed ine- 96 Angelo Conti, Leonardo pittore saiiribilc attività del
suo spirito trovano la loro espressione negli innumerevoli disegni che egli
traccia in margine e fra le linee dei suoi manoscritti, la precedono e spesso
la superano con la loro potenza di linea intuitiva e divinatoria. Mai come in
Leonardo il disegno ha avuto la virtìi d'esprimere tante cose, dalle più athni
alla pittura alle pili lontane, dalle pili concrete alle più astratte; mai come
in Leonardo e giunto ad una cosi vasta e così intensa forza di analisi e di
concentrazione. I disegni di Leonardo non sono solamente una testimonianza del
suo amore per la natura, non sono soltanto un dialogo fra la sua anima e V
anima delle cose, ma principalmente sono un mezzo di cui egli si è servito per
conoscere l'universo. Invece di consultare i trattati scientifici ed i sistemi
di filosofìa, Leonardo disegna. I disegni sono i suoi pensieri, le sue
meditazioni, le sue osservazioni, le sue intuizioni, le sue scoperte. Ogni suo
disegno contiene un segreto svelato, è una verità conquistata, è il segno d' un
nuovo trionfo della indagine umana, è un lembo del mistero dell'universo
sollevato dal genio umano. Dinanzi a ciò che noi chiamiamo il vero e può essere
ugualmente chiamato il mistero, Leonardo ha lo sguardo limpido, sereno, nuovo,
lo sguardo meravigliato del fanciullo, ha quella innocenza del genio, senza la
quale, come afferma Bacone, non si può entrare ne nel regno della verità ne nel
regno dei cieli. La differenza fra l'uomo di genio e l'uomo comune sta p
principalmente in questo: dinanzi ai fatti e agli aspetti della natura e della
vita V uomo comune si abitua e finisce con l'abolire in se il senso della
maraviglia ; le sue impressioni, invece d'avere sempre un carattere loro
proprio, invece d'es- Leonardo da Yisci Pai'ig;], Museo del Lonvie. J-'ot. X.
LA GIOCONDA. Angelo Conti, Leonardo j^^itore 97 sere sempre eccitatrici
di sentimenti nuovi, gradatamente si attenuano, si affievoliscono ; finche si
adattano e si sottopongono al modo di sentire individuale, finche si scolorano
e muoiono davanti alla monotonia dei bisogni quotidiani. L'uomo guidato dalle
abitudini è un addormentatore di se stesso, è uno schiavo di ciò che nel suo
spirito è meno degno di comandare. Il genio invece è sempre libero, è sempre
desto, e il sonno dell'abitudine non può far discendere un velo sui suoi grandi
occhi puri. Leonardo è appunto della famiglia di coloro che non conoscono lo
stato di sonno e d'indifferenza, ma che vivendo sempre in una ansiosa curiosità
vedono il continuo apparire delle cose e l'infinito rinnovellarsi dei fenomeni,
e che sembrano veramente nascere ogni mattina. In questo stato di attesa
dell'ignoto e del nuovo, ogni osservazione è per Leonardo una visione, ogni
analisi è una scoperta. Guarda un ramo con le sue foglie, ne cerca la vita col
suo disegno, e gli appare la legge di filotassi ; canta accompagnandosi con la
sua lira d' argento, e scopre la legge di risonanza delle corde negli accordi.
In ogni fenomeno egli sente e vede una confessione fatta dalla natura al suo
genio divinatore. I suoi disegni sono la traduzione grafica di queste
confessioni fatte alla sua anima dall' anima delle cose. Ciascuno d'essi pili
che studio dal vero è opera d' immaginazione, è figurazione intuitiva,
destniata ad illuminare la realtà e a fare apparire, dietro ciò che passa,
l'aspetto immutabile delle idee eterne e delle eterne verità. Ogni loro
contorno e una ricerca, ogni linea una interrogazione, ogni luce un riflesso
del vivente chiarore del mondo, ogni ombra Leoxakdo da Vixci. lii 98 AxGELO
Conti, Leonardo pittore un'eco d'un vivente mistero; e tutta quella sua opera
della penna, del carbone, della matita non è se non un mezzo potente da lui
adoperato per stringere d' assedio la natura e per costringerla a rivelare il
suo segreto. Sempre mediante le imagini, i paragoni e le analogie egli trova il
cammino che deve condurlo verso la verità. Ricordate in un suo manoscritto e in
un suo disegno il movimento dell'acqua veduto simile al movimento d' una
capigliatura, ricordate in qual maniera i movimenti del nuoto lo aiutino a
comprendere quelli del volo, in quel maraviglioso trattato che ha la virtìi di
metterci in segreta comunicazione con 1' anima e con la forza delle creature
volanti. In questo modo, sempre per mezzo di imagini e di indagini grafiche, di
analogie, di forma e di movimento, osservando e studiando l'aria e l'acqua, il
suono e la luce, e paragonando le loro proprietà essenziali, egli giunge ad
intuire l'unità delle forze fisiche precorrendo Cartesio. E la sua conoscenza,
alla quale appariscono come intuizioni le principali conquiste della scienza
moderna, è figlia della sua imaginazione. Più ancora che nei suoi manoscritti è
espresso nei suoi disegni il cammino fatto dalla sua conoscenza, guidata
dall'amore e resa più profonda dalla sua infantile maraviglia. Chi non ricorda,
fra gli altri innumerevoli, i suoi disegni di foglie e di fiori? Sono questi
fra tutti gli altri, esclusi quelli solo che ritraggono la figura umana, i più
precisi. Pure in questa precisione è l'infinito della vita. A prima giunta
potete pensare o credere che quei segni corrispondano a qualche cosa di
limitato e di esteriore ; poi sentiamo che ciascuno di essi ha la potenza di
continuarsi in noi. La sua precisione non è il segno rigido e freddo fatto da
Angelo Conti, Leonardo pittore S9 una mano abile, ma è la linea sicura del
genio che ha trovato la vita. Però egli non trascura mai un solo particolare,
non lascia mai nulla incompiuto e sembra dir tutto sino all'ultima parola.
Infatti egli dice tutto ; ma il suo linguaggio è come il mare e come
l'infinito, e, nelF udirlo, la nostra piccola anima sembra farsi vasta come 1'
anima del mondo. In qua! modo ha potuto egli raggiungere questa potenza
d'espressione? In un modo semplice e grande : imitando la natura. L'imitazione
della natura è il principio che Leonardo proclama in tutti i suoi scritti e
mette in pratica in tutte le sue opere. Ma che cosa significa imitar la natura?
Ciò non vuol dire copiare le sue apparenze esteriori, come fanno oggi la
maggior parte dei nostri artisti, ma imitarla nelle sue leggi di vita. Imitar
la natura, per Leonardo come per tutti i geni dell'umanità, significa divenire
come la natura, acquistando la potenza di creare 1' opera d' arte nel modo
stesso nel quale la natura crea le sue vite innumerevoli: qual fanno le cose.
Voi sapete benissimo che i disegni vinciani fanno parte dei manoscritti di
Milano, di Parigi, di Londra, che sono aiizi un complemento, uno sviluppo e
un'irradiazione del testo. Poiché dunque l' uno e 1' altro sono connessi
intimamente, non m' è possibile, dopo parlato dei disegni, non dirvi due parole
dei manoscritti e significarvi in tal modo tutto il mio pensiero. Voi sapete
che nei manoscritti sono pagine di ogni scienza. Perchè ? Volle forse Leonardo
coltivare r una dopo 1' altra le varie discipline scientifiche e contribuire al
loro sviluppo? A questa domanda risponde Leonardo medesimo. L'uomo 100 Angelo
Conti, Leonardo inttore non dev'essere " solo un sacco dove si riceva il
cibo e donde esso esca „ , non deve essere soltanto un " transito di cibo
„ e avere della specie umana la sola voce e la figura, e tutto il resto "
essere assai manco che bestia „ . Il vero scopo della vita umana è per Leonardo
il pensiero. Il pensiero, per conoscere il passato e la nostra dimora terrena;
ecco il mezzo per vivere nobilmente liberandoci dalla illusione del piacere. Il
tempo che fece piangere Elena allorché ^ guardandosi nello specchio, vide i
primi segni della vecchiezza, il tempo non può colpire il pensiero. Il
conoscere la sapienza degli antichi e la vivente realtà delle cose presenti,
ecco il decoro e l' alimento degli spiriti umani. Ma perchè un tal desiderio di
conoscere? Questo e per me il punto capitale, il vero nodo della questione. Il
sapere perchè Leonardo ha voluto studiare tante forme ed ha cercato il segreto
di tanti fatti della vita universale, ci farà conoscere la qualità essenziale
del suo genio. Nella sua indagine instancabile d'ogni fenomeno del cielo e
della terra, nel suo ininterrotto colloquio con la natura, Leonardo non è
animato da curiosità puramente scientifica, non da vanità di dottrina, né dalla
naturale tendenza d'un intelletto analitico cui l'esercizio delia osservazione
doni la gioia più intensa. Spirito sostanzialmente intuitivo e sintetico, egli
si sottopone in tutta la sua vita al rigore e spesso al martirio dell' analisi,
per acquistare una conoscenza pili ricca, più vasta e piti profonda. Le sue
innumerevoli osservazioni, i suoi continui esperimenti sono i gradini che
debbono condurlo colà dove, entro una luce inestinguibile, appare l'eternità
della vita. Soffrire la disciplina del ragionamento e dell'esperimento Angelo
Conti, Leonardo piitore 101 per aver in fine, come premio, la visione della
vita, non h forse una divina aspirazione? Più la sua conoscenza, nel quotidiano
osservare e meditare, gli svelava nuove leggi e nuovi segreti, più cresceva in
lui l'amore per tutta la natura ; ne vi fu mai al mondo, dopo l' umile frate
d'Assisi, chi l'abbia amata d'amore più puro e più ardente. Chi più conosce
'pia ama^ sono le sue parole. In questo amore generato dalla conoscenza è tutto
il segreto dell'opera di Leonardo, dai manoscritti e disegni alle pitture. Il
suo realismo è un mezzo per giungere all'idea, è il modo ch'egli adopera per
ricomporre ciò che prima ha scomposto, in maniera che la natura stessa sembri
formarsi dinanzi a noi e farci assistere alla sua stessa creazione. Chi conosca
i manoscritti di AYindsor, nei quali i disegni hanno un'importanza assai
maggiore del testo, può convincersi agevolmente di questa verità e può anche
comprendere (cosa che in questo momento deve particolarmente interessarci) che
quando Leonardo parla di anatomia o di fisiologia, come nei così detti trattati
che si vanno ora pubblicando, egli non è mai un anatomico vero e proprio, ne un
vero fisiologo, ma è sempre prima d' ogni altra cosa e sopra ogni altra cosa
pittore. Tutta la sua opera di scienza, tutti i suoi disegni d'anatomia,
d'embriologia, di botanica, non ser- vono se non a rendere più vasta, più
profonda e più ricca la sua visione pittorica dell'uomo e della natura. La
scienza non è se non un mezzo d'espressione della sua visione del mondo, ed
egli se ne giova per dare un carattere di precisa realtà agli ardimenti del suo
sogno. Scopo del suo immenso lavoro e di giungere a creare ima- 102 Angelo
Conti, Leonardo pittore g'ini clic sembrino nate con le stesse leggi con le
quali la natura produce le sue forme : qual fanno le cose. E doloroso che nella
sua vasta opera essenzialmente pittorica, nella quale " non fu impedito „
, come egli dice, " da avarizia o da negligenza, ma solo dal tempo „ ,
manchi irreparabilmente una fra le pagine piti vive e più grandi: La Battaglia
d'Anghiarl. Scrivo queste parole vicino a Santa Maria Novella, a pochi passi
dal luogo nel quale egli disegnò r opera maravigliosa. Le campane che suonano
nel campanile roseo al primo sole del mattino, sembrano diffondere sul mio
ricordo una voce dì pianto. Li pochi mesi il lavoro fu compiuto, e
immediatamente cominciata la pittura a fresco per la sala del Consiglio in
Palazzo Vecchio. Leonardo vi dipinse dal 1504 al 1506. Poi l'opera fu da lui
abbandonata. Nel 1559 il cartone di Leonardo era ancora nella sala del Papa,
mentre il cartone della Guerra di Pisa disegnato da Michelangelo era nel
Palazzo dei Medici, l'uno e l'altro esposti all'ammirazione del mondo. Da queir
anno manca ogni notizia. Della pittura incominciata in Palazzo Vecchio si sa
soltanto che nel 1513 esisteva ancora, ma cadente a causa della cattiva
preparazione dell'intonaco e dei colori. Cito, contro il mio solito, dati di
fatto e date, perchè l' opera pur troppo manca. Se l'opera esistesse, il suo
linguaggio renderebbe insostenibile la voce della cronologia ; ma poiché è
perduta, ci è necessario contentarci delle parole di chiunque ce ne parli. I
due tre ricordi pittorici rapidi e sommari dell' episodio centrale della
battaglia, non bastano a dare un'idea di ciò che fece Leonardo. Angelo Conti,
Leonardo irittore 103- Chi sa in qual modo maraviglioso e straordinario egli
avrà rappresentato la mischia, la furia guerresca intorno allo stendardo, che
sappiamo fosse nel centro, qnal prodigio di scorci, quale evidenza di
movimenti, nobiltà ed impeto di gesti e quale perfezione di cavalli, dei quali
egli conosceva la vita come nessuno dei suoi tempi ! Di tutto ciò nulla e
rimasto. Io imagino che nell'anno in cui ogni traccia dell'opera scomparve, la
natura, per compensare il mondo, dovè creare una primavera favolosa, non veduta
mai. Poiché nel mondo nulla si perde, e quando una bellezza è distrutta, sia
essa una selva che arda, un' isola che si sommerga, un capolavoro che cada in
rovina, la natura provvida fa nascere nuovi germogli, suscita nuove bellezze e
nuove energie, e la sua forza di creazione rimane intatta in virtii della sua
maggiore attività : il mutamento. Doctor Mysticus. Angelo Conti.
Keywords: VIRGILIANA, decadente, decadenza, divina decadenza, filosofia
decadente, filosofo decadente, decadentismo, divinely decadent – d’annunzio,
museo d’annunziano, il bello e il bizzarro, il bello bizzarro, estetica,
sensatio, senso, sensum, sentior, sentitum, perceived, perceptum – sense and
sensibilia, estetico/noetico (nihil est in intellectu qui prior non fuerit in
sensu), propieta estetica, proprieta di secondo grado, secondary quality, Grice,
Sibley, Scruton, Platone, Kant, Schopenhauer, Ruskin, Pater, Antichita, antico
e moderno, il fascino dell’antico, from the antique, from life, Uffizi,
Accademia Venezia, RegieAccademiadiVenezia, Capodemonti, Napoli, Antichita
Roma, il fiume d’Eraclito, Ulisse e il canto delle sirene, Morelli, Francesco,
Virgilio, dolcissimo padre, ascetismo, ascecis, zorzi, riva beata, Pater, Essay
on Style by Pater, Da Vinci, Morelli. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Conti” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689647098/in/photolist-2mKCXf3-2mKwo7R-2mJTejc-2mJPC2N-2mJLMNt-2mJpFSS-2mJq2uE-2mJd7nN-2mJe9QJ-2mJ4GHU-2mJ3q6x-2mHGgw3-2mGT6p1-2mGnP2f-2mEuJp2-G9arP4-F7umuM-FKTBHc-EWwuBz-FPukH3-2mEd2LM-2c1JZ8H-EYAmFu-DsyMMT-XBz4hS-GXpTrQ-G7oMm2-G55xdb-FJVKRC-G3tvCn-FcebeC-FbXzmb-FVhkL3-FrCxMd-FRG5RT-FrCZu5-FrzFUS-FrztMA-EWhoRW-EWfq4E-EWi5VJ-FHy2uy-FKUfQi-FHzDvu-EWsxCx-FPp1Mh-EWhxeC-EWwAY2-FHzevW-EWrRgF
Conti
(Padova). Filosofo. Grice: “Conti is a good one; for one he is a ‘patrizio
veneziano,’ for another he like Alexander Pope and detests Newton! (Italian
temper there!) – My favourite are his “Dialoghi filosofici,’ full of implicata
as they are!” Patrizio veneto, classicista, famoso per essere stato arbitro
nella controversia tra Leibniz e Newton, circa l'invenzione del calcolo
infinitesimale (keyword: infinito). Si lege in amicizia con Fay, noto per gli esperimenti fisici che conduce
all'Accademia delle Scienze. Di lui esiste una statua in Prato della Valle,
fatta da Chiereghin. Scrive saggi riguardanti la struttura della tragedia, e
nel “Trattato del fantasma poetico” discute la funzione del coro: monologo,
dialogo, coro (terza persona?). Tra le sue tragedie, la più significativa fu il
“Giulio Cesare”. Ne scrive altre tre, tutte di soggetto romano: “Marco Bruto”, “Giunio
Bruto”, e “Druso”. Altre opere: “Opere” (Venezia, presso Giambatista Pasquali);
“Versioni poetiche” (Bari, Laterza). Dizionario biografico degli italiani. Della
nascita del Conti sono r’ſuoi veri pu dj. Principio de’ suoi studi scritto da
lui stero. Disputa col Nigrisoli e altre particolarità de’ suoi studi sono al
primo viaggio di Francia. Primo viaggio in Francia. Primo viaggio in
Inghilterra e prime conversazioni col Newtono. Mediazione tra il Newtono e il
Leibnizio Studi e altre occupazioni di Conti a Londra. Suoi sudj di belle
lettere. Viaggio d'Ollanda e d'Allemagna. Nuova dimora in Inghilterra. Ritorno
in Francia nel 1718. e ſuoi pudi. Amicizie. e converſazioni in queſti anni in
Francia. Querela col Newtono. Suo ritorno in Italia. Edizione del Cesare. Studi
e commerzi. Edizione delle ſue Prose e Poesie. Sue Tragedie. Illustrazione del
Parmenide di Velia di Platone; fima e onori di Conti. Traduzioni. Altri suoi
fudi. Progetti di nuove opere. Ultimi ſtudi. Edizione del Druso ; ſua morte.
Rifleli Jul carattere di Conti , e notizie particolari della ſua vita private.
Relazione de’ Manoscritti lasciati da Conti. Dell' Imitazione. Del Fantasma
Poetico. La Poesia Greca. Allegoria dell'Eneide di Virgilio. Illuſtrazione
dello Scudo di Enea. Illustrazione del Poema di Catullo intitolato le Nozze di
Teride e di Peleo. Dissertazione sopra la Tebaide di Stazio. Discorso ſopra la
Italiana Poesia. Illustrazione del Dialogo di Fracastoro intitolato il Na.
wagero, o fia della Poesia. Disertazione sopra la Ragion Poetica del Gravina. Della
Potenza conoscitiva dell'Anima. Della Fantasia. Poesie Tradotte dall' Inglese.
Al Sig. Marcheſe Manfredo Repeta sopra il Poema del Riccio Rapito. Il Riccio
Rapito. Prose Franceſe Italiane a Monſieur Perel. Dialogue ſur la Nature de l'
Amour. Lettre à Madame la Preſidente Ferrant. Lettera al Sig. Cavalier Vallisnieri.
Al sig. Marcheſe Maffei. Al N. U. Sig. Benedetto Marcello. Al P. D. Bernardo
Piſenti C. R. Somaſco.A Monſignor Cerarti. L’allegoria
dell’Eneide di Virgilio propone una cosa per farne intender un'altra , che ſeco
è in proporzione , se l’ “Eneide” per consenso di tutti i più abili
commentatori é un panegirico *allegorico* d'Augusto, convien necessariamente
che la cosa proposta sieno l’azione d’Enea (l’explicatura), e la cosa che deve
intendersi ed è loro proporzionata, l’azione d'Augusto (implicatura) più memorabile
e più degna di lode. Per çiò con una ſuccinca narrazione pone prima sotto gli
occhi l’azione d'Enea, che e il primo termine (l’explicatura) su cui l’allegoria
o metafora o implicatura (& fonda, o come l'originale del ritratto; indi fa
il confronto dell’azione di Augusto . Nell'istoria d'Enea, basta quloſſervare
l’oggetto dell’epica, e il carattere stoico dell'eroe. L'oggetto tutto tende
alla nuova colonia di Roma o al Principato ch'Enea (via Ascanio e Romolo e
Remo) ha da fondare nel Lazio e Italia. Questo gli predisse Creusa, Febo, i
Penati; questo le Arpie, Eleno e la Sibilla; e perchè fi compisca l’oracolo della
predeterminazione e del fatalismo stoico, Enea li salva dagl in incendi e dalla
strage di Troja. Ettore lo dichiara Pontefice. I compagni lo eleggono Re.
Avvisato o protetto schiva i tradimenti , gli scogli, i ciclopi; non è sommerso
nelle tempeste, non trattenuto dall’africana Didone più pericolosa delle stesse
tempeste. Finalmente arrivato in nel Lazio trova il re latino dispoſto a
riceverlo per genero, Evandro e i toscani pronti a dargli soccorso; sebben
abbia a fronte Torno, un nimico feroce e collegato coi vicini, lo vince e
l'uccide. Gli oracoli fatalisti predeterminati stoichi dunque, i viaggi, e le
guerre d’Enea non riguardano se non lo stabilimento d'un regno o principato. Il
carattere poi d’Enea o dell'eroe si vede in tutta l'Eneide composto della
*virtù* stoica convenevoli al capo e fondatore d'un regno. La virtu e pietà
verso l’uomo e verso Diuspater, senno nel provvedere a’pericoli e prevederli,
valore da soldato e da capitano. La pietà (o compasione) verso l’uomo e la carità
– l’imperativo della carita conversazionale, verso Diuspater religione. Della
carita o benevelonza o compasione, o compieta verso l’uomo Enea dà esempi
illustri per tutto. Salva il padre Anchise dalle fiamme portandolo sulle spalle
dirige sempre il viaggio secondo i di lui consigli, celebra il suo anniversario
co'giochi conſiderati da’ pagani come una parte della eeligione, e per
ubbidirlo discende fino all’inferno! Quanto è tenero per il figliuolo Ascanio,
e sollecito e della salute e de gli avanzamenti di lui! E quando Creusa sua
moglie si smarrisce, non va egli a ricercarla tra gl'incendi e le stragi? Che
dirò della sua pietà, carita, compassione, compieta, benevolenza, verso il suo
compagno (o d’Eurialo verso Niso), verso l’amico, e verso Torno, il nemico
stesso? Nella tempesta più s’affligge della loro perdita che della propria, gli
consola e gl’incoraggisce negli affanni, li provvede di cibo, li divertisce e
premia co’giochi, fa l’esequie a Polidoro suo parente, a Miseno suo
trombettiere, a Gaeta sua nutrice; piange la morte di Palinuro e più quella di
Pallante (Patroclo), e ne manda il cadavere ad Evandro con magnificenza e con
lutto degno di un re. Avendo ferito a morte Lauro che l’assalì, gli itende la
destra, lo solleva, e lascia che a Mesenzio se ne porsi il corpo. Vuol
perdonare a Turno, e non l’uccide *che* per vendicar suo amante Pallante; ciò
ch'era un atto di carita. Verso Diuspater sempre fervida e pronta è la sua
pietà. Come stoico perfetto e negatore del libre arbitrio, nulla intraprende
senza consultare l’oracolo, e non comincia alcun’azione senza offrir un voto,
una preghiera e sacri fizj, ch’egli offre egualmente al Diuspater propizio, che
alle Diuspater nonpropizio o Giunone e Pallade. Per ubbidir Diuspater supera la
passione che la strega Didone invoca, cede rispettoso alla sua collera
nell'incendio di Troia; conosce Apollo per principal protettore; ascolta
attento i cantici d'Ercole , e invoca Berecintia che l'allista nella nuova
guerra. Alla sua pietà corrisponde il suo senno. Tosto ch'entra in un paese
vuol conoscere i liti, i luoghi, e la gente che l'azbita; così fa in Affrica, e
nel regno d'Evandro, e scoperto l'assaſlinio di Polinestore fugge il pericolo
di cadervi: fa metter in aguato i soldati per lorprender l'Arpie; egli steſſo
dirige la nave che manca di piloto; manda ambasciatori al re del Lazio; cerca
soccorso nella guerra; ricevuto lo distribuisce in due corpi per più
imbarazzare il nemico ciò ch'è una parte della virtu o prudenza militare, non
meno che assediar la città mentre il nemico è sospeso. Questo o quello segno (manifestazione
secondo Vitters) del valore poi non dà nell'attaccare i nimici, nel farne
stragi di sua mano? uccide i più forti e tra gli altri Lauso, Mesenzio, lo
stesso Turno. Più comparisce il valore d'Enea, se col P. Boſsù fi confronti con
quello di Turno, antagonista, avversario, dell’epica, ardente, milantatore,
prepotente e buono sol per la guerra che vuole giusta od ingiusta, ed in questa
è incauto e senza direzione. Enea all'opposto grave – la gravita romana --, misurato
e non peccatore o essecivo, parla poco, laconico, opera molto, sempre consigliato
e forte colla gloria del consiglio e dell'esecuzione. Di questo o quello segno
della virtu -- pietà, senno, e valore, c’e un intreccio mirabile, sicche
comparisce Enea saggio e paziente capitano come Agamennone, valoroo vincitor
del nimico come Achille, destro a maneggiar lo spirito ed a condur una
negoziazione o consenso cooperative conversazionale come Nestore e Ulise:
giugne a questa virtù una pietà sincera, una probità esatta che mai non ſi
ſmente , una compassion tenera per il suo amico e il suo suddito. Enea è buon
figlio, buon padre, buon amico, buon amante, e tutto ciò per motivi superiori
di dovere e di ragione morale kantiana alla luce del stoicismo fatalism del
predeterminismo. Sopra tutto pero domina la specie della virtù più convenevole
d’ogni altra specie al fondatore della dinastia di Romolo, perchè per essa si
merita la protezione di Deuspater, si rende l’amico o il popolo che deve
ubbidire, l’alleato, ed il vicino con cui si deve patteggiare e con-federarsi
in cooperazione conversazionale verso un fine comune. Vi sarebbero il carattere
degli altri personaggi e dei dell'epica, ma essendo scritti di mano dell’autore
sono come non scritti. Anche la seconda parte che riguarda le azione del primo
imperatore romano, Ottavio detto l’augusto è molto imperfetta; eccone qualche
confronto. Nella rovina di Troja li ravvisano la rovina della Roma repubblicana
di Cesare ed Catone. Da questa rovina, Ottavio, come Enea era stato preservato
dalla provvità, 1 videnza del fato, come dice Orazio nel Carmie Secolare. Enea
porta in ispalla suo padre Anchiee; Ottavio prende la vendetta del suo padre addotivo
Cesare. Enea e in Troja maricato a Creusa da cui ha Julo; Ottavio e maricato a
Scribonia da cui ha Giulia. Ma Creusa per ordine de’ Fati è colia ad Enea, come
Scribonia ad Ottavio; e nel dir che ad Enea si apparecchia moglie, da cui
doveano discendere tanci Re, adula cacitamente Livia. Didone che s’oppone al
disegno (de-segno – plannificazione) d’Enea magnifica e vana dell'impero ha del
carattere superbo, impecuo lo, ed astuto di questa altra Africana, Cleopatra,
che impiegò cutre l'arti femmini li per impegnar Ottavio. Ma v'è un tratto
finissimo di lode nella comparazione che poteano i romani fare d’Enea e
ďOttavio, perchè laddove Enea cesse alle lusinghe di Didone, e dopo averla
posseduta l’abbandona scorteſemente in preda alla disperazione, biasmo da cui
poco lo scusanu gli ordini degli Dei; quanto più dovea stimarli Ottavio che mai
non si lasciò vincere dalle tante arti di Cleopatra? In Evandro, che accoglie
Enea, si puo ravvisar Cicerone, che col suo credito e colla sua eloquenza reſe
tanti servigj a Ottavio. L’epica, però per non rimproverargli la disgrazia di
Cicerone, fa che non Evandro ma il figliuolo di lui resti ucciso da Turno, nel
quale *senza dubbio* vien “simboleggiato” Marc’Antonio, valoroso bensì, ma
imprudente, e che le in molte cose mostra fortezza d’animo chiaro ed
eccellente, in molte altre, come Turno, li governa malissimo, e da quello o
questo segno non meno di magnanimità che di pulsanimità. Nulla dimostra più la
finezza cortigianesca di Orazio e di Virgilio come il loro non nominar mai
Cicerone. S'astennero dal risvegliar in Ottavio un'idea che gli dava de’ rimorsi.
All'incontro nominarono Giunio Bruto e Catone, per mostrare che Ottavio non ha
usurpata la libertà, ma che anzi ne era il protettore, l’imperatore, come negli
ultimi tempi lo volea Cromuvelo (Lord Protector) in Inghilterra. Antonio stesso
molto si risparmia, esi può osservare in Orazio che mai non si parla d’Antonio
senza congiungerlo a l’africana Cleopatra per far cadere in lei l’odio e la
colpa; e cosi fa Virgilio fagacemente nella battaglia d’Azio , quando parla
d’Antonio palesemente, e quando ne parla per allegoria, supprime quell vizio
che avrebbero dispiaciuto ai suoi partigiani ch’erano molti, ed a’figliuoli
elevati da Ottavio a sommi onori. Queſta è pur la ragione prammatica, per la
qual Virgilio non dipinta le guerre che fece Ottavio con Bruto, Callio e cogli
altri, che per modo di peregrinazioni, onde non offender quei ch’erano ancora
del partito di questi ultimi difensori della pubblica libertà. Il re del Lazio,
Latino, che ammonito dall’oracolo vuol dar la figliuola più ad Enea, che a
Turno, è il vero ritratto del senato romano, che vecchio (senior, senatore) ed
impotente non potendo più regolar la repubblica, benchè per ispirazione divina
egl’inchini più a lasciarsi governare d’Ottavio che da Marc’Antonio, atterrito
nondimeno dagli apparecchi di guerra, lascia disputar la vittoria a’ due rivali,
come appunto il re Latino fuggendo lascia terminar la guerra a Turno ed Enea.
In Mesenzio ed in Lauso si veggono Cassio e Giunio Bruto, e l'empietà data a
Mezenzio e la virtù data a Lauso lo persuadono. Muore Laulo ed Enea lo
compiagne, come Ottavio compianse Bruto, al dir di Plutarco. Quando Lauro combatceva,
era Mesenzio con la persona appresso di un tronco per posarvi appoggiato, e gli
stava intorno un cerchio de’ più eletti e de’ più fidi; e quando vide Lauso
ucciso, comincia a disperarsi, e a lagnarsi, e andar incontro alla morte.
Queſta deſcrizione concorda molto con quella che fa Plutarco di Cassio, allora
che ritirato sul colle stava rimirando l’esercito di Bruto, e credendo ch’egli
fosse rotto, disperato si confiſſe nel le reni la spade. Non occorre cercare
rassomiglianza perfetta tra questo o quello accidente vero e questo o quello
accidente finto. Baſta che uno si ravvif nell'altro. I ritratti della Poesia, e
particolarmente epica, sono “simili” a quelli che i gran pittori introducono
ne’ quadri istoriati; negli Dei, negli eroi , ne’ capitani ritengono le
fattezze del volto de viventi che vogliono onorare ma variano le attitudini, o le
velti per variare le imagini, e produr nello spettatore maggior maraviglia ed
affetti più vivi. Con questa regola si pollono ritrovare molti altri confronti
nelle cose dell'Eneide colla vita d’Ottavio. Nè par probabile che tanta
corriſpondenza sia effetto del caso , attesa spezialmente la sagacità del poeta
, e l'idea generale dell'opera. Parte di questa corriſpondenza fa vedere nello
scudo d' Enea la seguente illuſtrazione, che si dà intera. . g. v.
176 D. V.. ILLUSTRAZIONE DELLO SCUDO DI ENEA. Come nell'Iliade d'Omero Teti
porge ad Achille uno scudo fabbricato da Vulcano così nell'Eneide di Virgilio
Venere porge ad Enea uno scudo fabbricato dallo ſteſſo Dio. Quì non
s'intraprende d'illuſtrare ſe non ciò che appartie. ne allo Scudo d'Enea ,
oſſervando prima generalmente , qual ne foſſe la materia , la faldezza , la
figura , l'intreccio e i colori , ed indi particolarmente l' ordine e' i fiti
delle coſe ſcolpite, le loro ſtorie , cd allegorie . I'Ciclopi impiegarono
nell'armatura d'Enea il rame, l'ac ciajo , l'oro , e l'argento , ma fecero che
ivi abbondante più dell'uno o dell'altro metallo ove era biſogno di maggior die
feſa , o di più raro ornamento . L'Elmo che dovea abbagliando minacciare i
nimici , riſplen dea per la terſezza dell'acciajo , non altrimenti che ſe fiam
. me ſpargeſſe . La Lorica era ſcabra per i rilievi del rame e del bronzo , che
quanto più maſſicci'ſi fingono , ed incurva ii , tanto più le faette e le ſpade
ſpuntavano . Ben è vero che per la miſtura degli altri metalli , i colori della
Lorica ſi mi ſchiavano con quei del bronzo e dell'oro , ond'ella riſplende va
come un Iride in faccia al Sole . Nell'aſta e nelle ſchinie re abbondava
particolarmente l'elettro che è un compofto d ' oro e ' una quinta parte
d'argento , ma purgato più volte da'Ciclopi ; l'oro nel foco avea ſvaporato
l'argento, onde la compoſizione riuſciva più prezioſa , più denſa , ed impene.
trabile . Nello Scudov'erano tutti e quattro i metalli tra loro op portunamente
fuſi e temperati . I Ciclopi ne aveano appiana ta la maſſa in ſette piaſtre
rotonde , che a guiſa dei ſette cuoi attorti dello Scudo d' Ajace implicarono
l'une nell'altre , perchè lo Scudo refifteffe a tutte l'armi de' Latini .
Miſterioſo era il numero di ſetre appreſſo gli Antichi per la relazione ch'egli
avea al numero de Pianeti. Forſe credea no , che gli aſpetti di cucci e ſette
influendo nella fabbrica d' uno Scudo gli deffero una tempra immortale . La
figura dello Scudo d'Enea era ovale , nè a cid forſe an cora mancava il ſuo
miſtero . Gli Scudi ancili chc fi fingea. no 177 no caduti dal Cielo a tempi di
Numa , aveano la ſteſſa figura , Or lo Scudo d' Enea non era men celeſte di
loro ; ed Enea , che doveva portarlo , non ſi fuppone men pio di Numa. I
Ciclopi nel fabbricar lo Scudo avendo poſta in opera per comando di Vulcano
tutta la loro arte maeſtra , collocarono , intrecciarono , limetrizzarono , e
colorirono le figure ſcolpite in maniera , che lo Scudo emulava la reflicura di
un arazzo . Nè queſta a mio credere è un'Iperbole poetica , ma un'imi tazione
di quell'idee che Virgilio, avea vedute ne'baſi rilievi di Roma , ove
ſoggiornava, ed in quelli delle Città della Gre cia , ove per profittarlı dello
ſtudio delle bell'arti avea viag giato . A Roma nelle Biblioteche e ne' Tempj
ſtavano appeli certi Scudi tutti ſtoriati , e tra gli altri Plinio racconta ,
che nel Tempio di Bellona Appio Claudio confacrò uno Scudo , ove in picciole
figure era rappreſentata tutta la Genealogia dell'antica famiglia de' Claud) .
Nel conveſſo dello Scudo di Minerva avea Fidia ſcolpita la battaglia delle
Amazoni , e nel concavo la guerra degli Dei e de'Giganti . Offerva Plinio , che
Fidia , volendo moſtrar l'arte nelle minimeparti , avea elpela ſo ne' Sandali
della Dea la battaglia de' Lapiti e de'Centauri , e nella baſe della ſtatua la
naſcita di Pandora con quella di trenia Dei. Ne'baſſi rilievi delle lamine che
cingevano la ſe dia della fatura di Giove Olimpico , lo ſteſſo Fidia in oro
ſcol pito avea , da una parte il sole che conduceva il cocchio , e dall'altra
Giove e Giunone ; a lato di Giove v'era una delle Grazie , indi Mercurio e
Veſta., Venere pareva, uſcir dal ma re , l'Amore l'accoglieva , e la Dea Pito
la coronava . Nello ſteſſo baſſo rilievo li vedeva Apollo e Diana , Minerva ed
Er; cole , e nel piedeſtallo da un canto Anfitrite e Nettuno , e dall'altro la
Luna, che galoppaya ſopra un cavallo . Qual mol ticudine , qual varietà ed
intreccio di figure in poco ſpazio ? Or è molto verifimile , che come lo Scudo
d'Achille diede a Virgilio la prima idea dello Scudo d'Enea , così į baſli
rilie vi da lui yeduti a Roma in Atene e in Olimpia gl'inſegnal ſero a
perfezionarlo . Nella deſcrizione delle figure ben fi ſcor ge che l'artifizio
dell'imitazione, non deriva dagli alerui fan tasmi , ma da
un'acurata oſſervazione del ſenſo , che regold la fantaſia del Poeta fino
· lo ſpingo oltre la conghiettura , e pretendo che alle figu. se veduce da
Virgilio ſcolpite o nell’avorio , o nell'oro , od in altro metallo negli vi
applicalle la forza e la leggiadrią Tomo II. 2 de' 3 178 ra 1 1 de colori da
lui veduti nelle pitcure encauſtiche : Plioio ne annovera di tre fpezie , e non
ſaprei fuggerirne una miglior idea che raſſomigliandole alle picture che
vediamo, non dirò fulle porcellane di troppo fragil materia a confronto del me
tallo , ma su fmali di più dura tempra , e su vaſi e ſulle cop pe antiche , ove
la varietà del colore riſultò dal vario grado del foco , che lor fu dato nel
fondere e nel tingere il metal lo. Difficile è proporzionare il grado del foco
ad ogni colo re , ma difficiliſſimo ove i colori lieno per conſiſtenza e viva
cità differenti , e ſi debba nello ſteſſo tempo abbrugiandoli laſciarli ſecondo
il biſogno o floridi , od auſteri , ed a tutti imprimere quello fplendore che
ſecondo Plinio non è lo ſtef To che il lume , ma di'mezzo tra il lume e l'ombra
, ed è propriamente l'intenſione d'ogni colore nella ſua ſpezie. Il Sig. Abate
Fraguier , la cui memoria mi ſarà ſempre ca. offerva , che nello Scudo
d'Achille la terra fenduta in folco dall'aratro cangia in nero il color d'oro ,
che i grappo li d'uva ſono neri e la vigna d'oro , che le giovenche ſono
rappreſentate al vivo col bianco e col giallo , cioè collo lta gno e con l'oro
, e che veriſſimo è il langue trangugiato da due Leoni che lacerarono il bue.
Da ciò inferiſce che l'arte encauſtica fioriva a'tempi d'Omero ; ma quando
anche i Cro nologi che non convengono dell'età d'Omero glielo conce deffero ,
molto più debbono elli concedere , che nel tempo d' Omero quell'arte era molto
imperfetta a paragone dell'eccel lenza a cui la portarono i Greci nel secolo
d'Aleſſandro , e ne’ſuſſeguenti . Le picture de' più celebri artefici
encauſtici e rano ſtate portate dalla Grecia a Roma da' Capitani Romani , é
poſcia conſecrate ne! Tempi. Virgilio che avea ſotto gli oc chj de'modelli così
perfecti , gli ha verifimilmente adombra ti ne ' colori del ſuo Scudo yine
queſta ſpezie d'imitazione pud negarſi ad ua Poeta sì doito , e d'on guſto così
eſquiſito in ogni genere d'arte • Per reftarne convinti bafta riflettere alla
varietà ed armonia de? colori delle figure deſcritte j ai sfuma menti, 0 , come
parla Plinio , alle commiſſure de culoriftel fi, ai fecreti più mirabili della
perſpectiva introdotti negli ac» tidenti delle imagini, e finalmente
all'efpreffione degli affec ti de coſtumidegli Uomini rappreſentation La
varietà e larmonia de'colori appariſce nell'Oca d'ar gento che vola ne' portici
d'oro , ne' flutti biancheggianti per lai fpuma ini un mare cerulco Larrei ſono
i colli de'Galli , mentre le loro chiome fon d'oro , e vergate d'oro le veſti ;
il langue di Mezio è vermiglio e gocciola dalle ſpine che lo no verdi . Per gli
sfumiamenti de colori , ed inſieme per l'eſpreſſione degli affetti e de'
coſtumi , diverſi nell' arni e nelle veſti fo no i colori de' Barbari condotti
in trionfo ; il limitar del Tem. pio d'Apollo è bianco come la neve , ma più
bianco è lo ſteſſo Dio ; Cleopatra è pallida per la morte futura ; il Nilo al
ſembiante ed al geſto moſtra la doglia che lo crucia e l' impazienza di ſalvare
i fuggitivi ſuoi figli. Che dirò della forza della perſpectiva ? Parrafio
dipinle , al dir di Plinio , il Demone degli Atenieſi vario , iracondo , in
giuſto , incoſtante .. Virgilio rappreſenta Porſenna che nello Iteſſo tempo
comanda , li ſdegna , e minaccia . Nel Portico a . vanti la Curia di Pompeo era
dipinto , ſecondo lo ſteſſo Plinio , un Soldato che non ſi fapea ſe con lo
Scudo aſcendeſſe o di Icenderſe . Virgilio fa che i bambini attaccati alle
poppe del. la Lupa fieno da queſta alternaniente accarezzati ; ciò che il Tallo
imirò nelle figure delle porte d'Armida ove Marcanto nio nel ſeguir Cleopatra
che fugge , Mirava alternamente or la crudele Pugna ch'è in dubbio , or le
fuggenti vele . Ma paſſando a coſe più particolari , io per far meglio in
tender l'ordine , l'intreccio , ed i fici delle figure , divido in quattro
parii lo Scudo . La prima contiene la diſcendenza d ' Enca fino alla Lupa
incluſivamente . La copula o , cioè an cora dimoſtra che tutto era nello ſtello
baſſo rilievo . La ſeconda parte contiene molte coſe memorabili fotto i Re e
ſotto la Repubblica . La terza la battaglia d' Azio . La quarta i tre Trionfi
d'Auguſto . Queſte parti, ſi fanno ſenſibili dividendo l'ovale in quattro altre
ovali concentriche che io ſegnerò co'numeri 1. 2. 3. 4. Nello spazio segnato i
. ch' è come l'orlo dello Scudo io pongo le figure che rappreſentano i
diſcendenti d'Enea anno verati da Virgilio nel primo libro e nel ſeſto : queſti
ſono A Scanio , Silvio padre di molci Re , Proca , Capi , Silvio , Enea, i due
giovani coronati di quercia , Numitore , e la Lupa che allatra i due bambini .
De quindici Re d'Alba , di cui parla 2 2 Dio 186 Dionigi d’Alicarnaſſo e Tito
Livio , Virgilio non nomina che queſti , perchè, come egli accenna , furono
fondatori di colo . nie , avendo edificato Nomento , Gabia , Fidene , Collazia
full? állo d'una montagna , ed il caſtello d'Inuo o di Pane . Fon darono ancora
Bola e Cora , e queſte ed altre nominate Cit rà eſſendo nel Paeſe de' Sabini e
de' Volſci , avranno dato oc caſione alle guerre e battaglie nello Scudo
eſpreſſe. Nel baf ſo rilievo d'Alcanio dev'egli rappreſentarſi a guiſa d’un Ca.
pirano o d'un Re che comanda di fabbricare una Città qual era Alba lunga .
Altri prendono gli ordini , ed altri gli eſegui ſcono, ed i Soldati ſtanno
riguardando l'opra . La pittura d ' Aſcanio è ſulla cima dello Scudo ; nella
parte oppofta , o nel ballo v'è la Lupa che allatta i bambini, e biſogna rappre
ſentaría qual è in molte medaglie . Ne' lati dell'orlo dello Scudo toſto ſi
vede un bambino in mano d'un paſtore ch' eſce da una ſelva ; lo ſiegue in Re
circondato da molti bam bini coronati , indi un Ře che guida un eſercito , un
altro che eſpugna una Città , un altro che è in mezzo a Sacerdo ti e a Veltali
, molti giovani Re cinti il capo di quercia che combattono e fondano colonie ,
o su monti , o nelle pianu. se . Nè Tito Livio , nè Dionigi d'Alicarnaſſo
parlano in par ticolare di queſte battaglie , onde ſi poſſono ſcolpire a fanta
ſia , ma devono eſſer ſcolpice in medaglie appeſe a rami od alle foglie d'un
albero genealogico che ſerpeggi nell'orlo. Nello ſpazio ſegnato 2. io pongo da
una parte due baſſi ri lievi di forma ellittica , ma incaſtrati di varj
fogliami che riempiono i vuoti . Elli rappreſentano il ratto delle Sabine , e
la pace cra Romolo e Tazio . Pongo dall'altra parte altri rilievi della ſteſſa
forma che rappreſentano Mezio ſquarciato da ' cavalli , e Porſenna che afledia
Roma . Nel ſommo dell'ovale ſi vede nelle figure più rilevate il Campidoglio
affalito da’Galli , e difeſo daManlio ; e nelle più lontane i Salj e le Matrone
che eſulcano ; nella parte oppo. fta che è la più baſſa dello Scudo v'è il
Tartaro con Catili na affiffo allo ſcoglio , e ſopra il ſotterraneo ( chiamato
da Vir gilio la bocca profonda di Dite ) verdeggiano gli Elisj , ove Catone dà
la legge all'anime pie . Le figure di queſto ſpazio ſono maggiori di quelle
dell' orlo perchè le parti più vici ne al centro dello Scudo ove fi fogliono
diriger i colpi, devo no eſſer più maſſiccie per più reliftere . Lo ſpazio è
percid maggiore Nel i 81 5 Nello ſpazio ſegnato 3. v'è la battaglia d' Azio .
Apollo ſaettante è ſul Promontorio , ove Auguſto gl’inalzò un Tem pio . Le navi
d'Auguſto ſono alla deſtra ſchierate in arco ; nel deftro corno v'è Augufto
colla ftella in fronte e co' Pe. nati in mano , nel finiftro Agrippa cinto le
tempia della co rona roftrata . Dirimpetto vi fono le Navi torreggianti d'An
tonio . Secondo Plutarco , Antonio con Publicola reggeva il corno deſtro , e
Clelio il ſiniſtro . Cleopatra è nel mezzo in atto di percuotere il fiftro ,
ſtromento dedicato ad Ilide che Cleopatra voleva emulare in curto . Tra i due
ſemicerchi del. le navi ve ne ſono alcune diſtaccate che tra loro combatto no .
Soggiunge Plutarco , che Ceſare non ſolamente non or dina ferir le prode dure e
ferrate d'Antonio , ma nè anco inveſtirle per fianco , perciò che gli ſproni
facilmente ſi ve nivano a romper urtando nelle cravi quadre incaſtrate infie me
col ferro : Era dunque queſta battaglia ( ſegue egli) mol to ſimile a una
giornata per terra , anzi piuttoſto all'aſfalco d'una Cicà . Perciocchè tre o
quattro navi di Ceſare com battevano intorno a una nave d'Antonio con
partigiane , piche , e con fuoco . D'altra parte gli Antoniani ftando ſulle
gabbie di legno traevano dardi e pietre contro i nimici . Così ap punto
Virgilio rappreſenta le navi che combattono . Sulle navi di Cleopatra vi ſono i
Dei moſtruoſi d'Egitto , in atto di ſaettar Neituno , Venere , Minerva , che
ſtanno ſulle navi d'Auguſto , e contro alle quali egli diſſe al Senato che
Antonio avea moſſo la guerra , non meno che contro al. la Patria . Marre è
in mezzo della batcaglia , la Diſcordia , e Bellona , ed in aria
ſtanno le Furie . Tutto ciò è ſotto la fi. gura del Campidoglio o nella parte
ſuperior dell'ovale , men tre a'lari ſono le navi ſchierate . Nella parte
inferiore vi fo no le navi di Cleopatra che fuggono ſpinte dal vento Japiga ,
che ſoffia dal capo di Salentino ; non lungi è la figura del Nilo , che allargà
la veſte , e chiama i vinci a ricovrarli ne? ſuoi naſcondigli : egli è d' una
figura giganteſca appoggiato ſull'urna che verſa i ſette fiumi nel mediterraneo
, nel reſto dello ſpazio ſi diffonde il mare coi delfini che ſcherzano . Le
figure di quello ſpazio ſono maggiori per la ragione ſopraccen nata , ed è
maggiore lo ſpazio ſteſſo . Nello ſpazio ſegnato 4. vi ſono eſpreſli i tre
trionfi d'Au guſto . Egli trionfo , dice Svetonio , in tre giorni l'uno dietro
all'alcro ; la prima volta per la vistoria Dalmacica , la ſecon da 4 182 1 da
per l'Aziaca, e la terza per l'Aleſſandrina . Dione Caffio particolareggia i
trionfi . Trionfo Ceſare , dic'egli , il primo giorno de' popoli Pannoni ,
Dalmatini , Japidi , ed altri loro circonvicini , e d'alcuni popoli della
Gallia e della Germania ancora , perciocchè Cajo Carina avea già vinti e
ſoggiogati i Morini e gli alıri popoli appreſſo , che nella ribellione da lo .
Fo fatta gli erano ſtati compagni , ed oltre ciò avea dato una rolta a'Svevi ,
ed a quelli che aveano già paſſato il Reno ; laonde ed egli e Ceſare feco
rappreſentò il Trionfo percioc chè la vittoria folevaſi attribuire ſempre
all'Imperatore , e l' Imperatore era Ceſare , è teneva in mano il governo di
tut, 10. Il ſecondo giorno Ceſare rappreſentò il Trionfo della bat taglia fatta
al promontorio d' Azio nel mare . Il terzo poi dell'Egitto ſoggiogato . Le
ſpoglie in queſte guerre acquiftare furono baſtanti ad ornar tutto l'apparato
di que' Trionfi ; quel. Je però d'Egitto avvanzavano di gran lunga curti gli
aliri ap parati d'ornamenti di ricchezza e di rarità ; tra l'altre coſe vi fi
vedea Cleopatra fteſa ſopra una colore in alto di morire , onde in un cerio
modo queſta Reina era condotta in trionfo cogli altri prigioni, tra'quali v'era
Aleſſandro ſuo figliuolo , e Cleopatra fua figliuola chiamati da lei col nome
del Sole e della Luna . Gl’interpreti fi vanno inutilmente affaricando a cercar
le ragioni della qualità de'prigioni , e particolarmente perchè ne' cocchi ſi
vedeſſe l'imagine dell' Eufrate e dell’A . raſſe fiumi dell'Armenia e della
Meſopotamia non conquiſtati da Auguſto . Il P. Arduino nelle ſue rifleſioni
fopra Virgilio non ritrovando queſte vittorie d'Auguſto ne trae degli argo
menti diſavantaggioſi all'Eneide. Io non perderò inutilmente il tempo a
riſpondergli in particolare . Ciò che poſſo dire a coloro che ammettono
l'autorità di Dion Callio , è far loro oſſervare , che Antonio dopo aver
chiamara Cleopatra Reina dei Re , Ceſarione Re dei Re , ed aggiunto alla loro
giuriſdi. zione l’Egico , donò la Siria a Tolomeo , e lutte le Provin cie di
quà dall'Eufrate fino all'Elleſponto ; donò l'Africa fino alla Cirenaica a
Cleopatra , ed al fratello di coſtoro chiama to Aleflandro dond l'Armenia con
tutto il rimanente del pae fe al di là dell'Eufrate Gno all'Indie . Or non è
verifimile che Auguſto da cutti queſti Paeſi fcieglieſſe de' prigioni , che
egli doveva aver fatti o nella battaglia d'Azio , o nella ſcon fiila data ad Antonio
in Aleſſandria ? Quanto al Reno , Agrip pa l'avea paſſato nel 717. nė fi curò
del Trionfo , ma egli è pro . 183 probabile che Auguſto voleſſe che Agrippa
trionfare ſeco co me Cajo Carina . Non v'era. ſegno d'amicizia e d'onore che
non gli deſſe , perciocchè oltre la corona roſtrata , con cui lo fregið dopo
aver vinto Seſto Pompeo in Sicilia , volea ch'egli avelle una cenda e l'altre
inſegne militari ſimili a quelle dell' Imperatore , e , come dall'Imperatore ,
da lui ſi prendeſſe il ſegno della milizia , ed egli era in forſe di dargli per
moglie Giulia : canto grande , gli diſſe Mecenate , tu faceſti Agrippa , che o
biſogna ucciderlo , o ch'egli ſia tuo Genero . Dopo il Trionfo Auguſto inalzò
molti Tempj ; uno ad A. pollo ſecondo Svetonio ſul monte Palarino , al quale
aggiun ſe una Loggia con una Biblioteca Greci e Latina ; un altro ne edificò a
Marte vendicatore per il voto fatto nella guerra contro Bruto e Caſſio per
vendicare il Padre , ed un altro a Giove Tonante nel Campidoglio . Secondo
Dione egli ancora conſecrò il Tempio di Minerva , ornò il Tempio di Giulio ſuo
Padre ſoſpendendovi molti e molti doni della preda por tata d'Egitco , e molti
ne conſecrò ed offerſe a Giove Capi. tolino , a Giunone, a Minerva . Non è da
traſcurare che po fe l'imagine della vittoria ſecondo Dione nel Tempio di Mi
nerva , e ſecondo Plinio nel Tempio del Padre Celare , il qua le era nel Foro ;
aggiunge Plinio , che vi poſe ancora i Ca ſtori che forſe ſimboleggiavano
Auguſto ed Agrippa , nel pri mo libro aſſomigliati da Virgilio a Romolo ed a
Remo , come interpreta Servio . Poſe ancora Augufto nel foro due quadri , uno
della guerra , e l'altro del Trionfo ; e s’io non m'ingan doveano queſti
rappreſentare coſe alluſive alla battaglia d' Azio , ed ai trionfi dello ſteſſo
Ceſare . Comunque la coſa ſia , ove è il centro dello Scudo che è la parte più
alta , io pongo la Cupola del Tempio d'Apollo , alle cui porte Augufto affig ge
le corone d'oro che erano i doni offertigli da’ Popoli dalle Provincie
confederate . Tutto all'intorno vi ſono le are e gl’incenſi colle vittime , e
quindi la pompa e la lecizia del trionfo. In quel giorno che Auguſto entrò in
Roma, dice Dio ne , gli fu conceduto un Arco nella Piazza di Roma , e in o nor
di lui li celebrarono i giuochi quinquennali , e gli anda rono incontro le
Vergini Veítali , il Senaco ed il Popolo , colle mogli , e il figliuoli: mi par
ſoverchio ( ſoggiunge Dio. ne ) di raccontar i voti e le imagini ed altre coſe
fatte per lui · La pompa del Trionfo conſiſte ne' prigioni Nomadi , o Numidi ,
Affricani , Lelegi , Cari popoli dell'Alia minore Ge no , e 184 Geloni ſpezie
di Sciti , Morini popoli della Gallia Belgicà fi tuati verſo l' Oceano
Britannico . Tra queſti vi ſono molti cocchi colle imagini dell'Eufrate, del
Reno , e dell'Araffe col ponte che Auguſto vi fabbricò . Tali ſono i baſli
rilievi e le figure di tutto lo Scudo ; elle s'ingrandiſcono a proporzione
ch'egli ſi va rilevando , e le miniature devono render ſenſi bili i colori di
cui ſono in Virgilio dipinte . I colori domi nanti ſono il giallo e il bianco
che rappreſentano l' acciajo ed il rame . Marte però deve eſſer dipinto con un
colore fer rigno , o fia di ferro , non raffinato in acciajo ; diverſi ſono i
gradi de colori o floridi od auſteri che biſogna lumeggiare ed onibreggiare ;
ma ſopra tutto convien dar alle figure lo ſplen dore , o ſia quel grado
vigoroſo di colore di cui s'è parlato . Spiegato in queſta maniera ciò che
concerne la parte ma teriale e ſtorica dello Scudo , egli è tempo di ragionare
delle relazioni che le figure hanno ad Auguſto , al quale tutto il Poema è
diretto , come a lungo eſpoſi nell'altra diſſertazione . Biſogna quì ricordarſi
che l'adulazione , ingegnoſiſlima nelle fue compiacenze , or impiega le lodi
dirette e manifeſte , or l'indirette ed occulte , ſecondo che l'une e l'altre
per le cir coſtanze fono più grate a colui che fi loda . Lodar Augufto per la
ſua ſtirpe , lodarlo per la vittoria che gli diede l'Imperio , e per i tre
trionfi , ne' quali fece tanto riſplender la ſua pietà , erano lodi che Auguſto
fonima mente defiderava che ſi pubblicaſſero , onde eſſo poteſſe ritrar: ne più
venerazione ed ubbidienza . Conviene a parte a parte moſtrarlo . Giulio Ceſare
nel far l'Orazione funebre in lode di Giulia ſua Zia: La firpe materna , diſſe
, di Giulia mia Zia ha origi ne dai Re , é la paterna è congiunta cogli Dei
immortali , im perciocchè da Anco Marzio derivano i Re Marxj del cui nom fu mia
Madre , da Venere i Giulj della cui gente è la noſtra Fa miglia . Trovaſ dunque
nel ceppo antico della caſa noſtra la fantità dei Re la quale appreſſo gli
Uomini è di grandiflima autorità e la Religione degli Dii nella podeſtà de'
quali ſono el Re . Sin quì Svetonio . Non potea dunque che molto pia. cere ad
Augufto che Virgilio noftraſſe e nel primo enel ſe fto e nell'ottavo che nella
ſua genealogia verano i Re , gli Dei , e gli Eroi . Virgilio dice nel primo
libro: il giovine A ſcanio che porta oggidiil cognome di Giulio e che ſi
chiamava Ilo, mentre Ilio era in piedi, governerà Lavinio per trent'anni 1 in.
185 intieri etraſporterà la sede del Regno in Alba lunga di cui faa rà una
forte Città . Nel feſto egli dice: uſcirà dal ſangue Tro jano miſto all'
Italico Silvio ſuo figlio poſtumo che perpetuerd in Alba il ſuo nome , e ſarà
egli fello Re e padre di molti Re , . per lui la noſtra ftirpe dominerà in Alba
. Virgilio ſcaltro nul la parla delle guerre che ſecondo Dionigi d'Alicarnaſſo
vi fu rono tra Giulio figliuolo d'Aſcanio e Silvio , e molto meno che per i
ſuffragj del popolo ſi deſſe a Silvio il Regno che apparteneva a ſua madre , ea
Giulio per contentarlo la fo vranità ſulle coſe della Religione, per cui,
ſoggiunge Dionigi , la Famiglia Giulia ha goduto fin al mio tempo del ſovrano
Pontificato , e s'è chiamata Giulia a cagion d' Julo da cui u ſciva . Io non so
accordar queſto paſſo di Dionigi d'Alicarnaſ ſo con quell'altro di Plutarco e
di Svetonio , ove ſi vede che Giulio Ceſare non per dricco di ſangue , ma per i
ſuffragidel popolo in competenza di Catulo ottenne il ſommo Pontifica to.
Laſciando cid , baſta quì oſſervare , che Virgilio confonde Aſcanio con Silvio
figliuolo di Lavinia e gli altri diſcendenci da lui, poichè dice , che v'era
ſcolpita tutta la ftirpe d'Enea cominciando da Aſcanio . Io così interpreto
quel Ab Aſcanio . Di tutti queſti Re e di queſti Eroi Virgilio nefa come del le
imagini trionfali , che pone nell'orlo del ſuo Scudo , come negli atrj delle
caſe de' Romani ſi poncano le imagini degli Avi loro, ſulle quali Giuvenale e
Plinio fanno sì gravi riflet fioni intorno al biasmo ed alla lode de' diſcendenti
. Ciò ba fi intorno la lode manifeſta della ftirpe d'Auguſto. Palliamo alle
lodi indirette . Nelle medaglie , ove fi legge Reft. o reſtitui , ſi vede
l'ima. gine o d'un Bruto, o d'un Coclite , o della libertà , o d'al tre coſe
alluſive alle azioni celebri de' Romani antichi , che gl' Imperatori Romani
aveano imitate o reftituite . Il P. Ar duino vuole che queſte allegorie nelle
medaglie cominciaſſero ſotto Tito , di cui ſi contano fino 22. medaglie di
queſta ſpe. zie e terminaſſero ſotto Trajano , di cui ſe ne contano 24. ma non
, perchè queſte medaglie non ci reſtino , ſi può dedur che ſotto gli altri
Imperatori e particolarmente ſottoAuguſto , che vantavafi d'effere il difenſore
della libertà del Senato e dei popolo , l'adulazione non aveſſe inventate
l'allegoric ; certo è almeno , che con queſt'ipoteſi ſi rileva il ſenſo del
ratto del. le Sabine, e della pace ira Tazio e Romolo . Prima che Planco
determinaffe il Senato a dar ad Occavio Tomo II. il 186 9 il nome d'Auguſto ,
molti volcano che ſi chiamafle Romolo . In fatti Auguſto l'imicava non ſolo
nella fondazione d'un nuovo Impero , ma ancora in molte circoſtanze della
ftella fon dazione . Come Romolo col ratto delle Sabine avea provvedu to al
mantenimento della Città , così Auguito con la legge di maricar gli ordini che
Orazio chiama legge Marita ; due ne fece Auguſto ., la prima nell' anno 736. e
ſi chiamava legge Giulia , e l'altra dell'anno 762. e li chiamava legge Popea
perchè fatta ſotto i Conſoli Sulpizio e Popeo. Con queſte leg. gi fi rinovarono
l'antiche rammemorate da Cicerone e da Aulo Gellio , e Dion Caſſio merte in
bocca d'Auguſto una lunga arringa su queſta materia al Senato , nella quale
dopo d'aver cogli eſempj delle nozze degli Dei eſaltato il vantaggio e la
giocondità de'figli , l'utile della Repubblica , e il biasmo di viver ſenza
moglie , gli fa dire : Romolo autor noftro , e da cui diſcendiamo, non li
ſdegnerà con tagione conſiderando il fuo naſcimento e i coftumi introdotti ?
Orazio nel Carme ſecolare lodando per queſta legge il Se nato obliquamente loda
Auguſto ; ma Virgilio nella lode obli. qua involge l'argomento del minore al
maggiore come s'egli diceffe : fe tanta obbligazione hanno i Romani a Romolo
che con una violenza provvide al mantenimento della Città , mol to maggior
obbligazione i Romani hanno ad Auguſto che ſen . za danno de' vicini vi
provvide con una legge si ſaggia. Romolo dopo le guerre con Tazio ai rapacificò
ſolennemen. te con lui , e diviſe feco il Regno ; ed Auguſto dopo molte guerre
con Marcantonio conciliatoſi ſeco per l'opera de' co muni amici diviſe l'Impero
, del quale il termine ſecondo Plu tarco era il Mar Jonio . Tutta la parte ,
dic'egli , verfo Levan te fu conceſſa ad Antonio , e l'alira verſo Occidente a
Ceſare . Pegno della pace fu Ottavia maritata ad Antonio , e certamente ella è
rappreſeatata nella vittima che ſi ſcanna nella ceremo nia del giuramento tra
Romolo e Tazio : ne deve far difficol tà il noine della vittima , poichè tutto
ciò che li confacrava agli Dei era fanto , e la Scrofa è ſtata ad Enea
d'indizio del paeſe che ricercava . La pittura di Mezio non è meno allegorica ;
egli tradi Tul lo Oſtilio come Antonio tradì la Repubblica , e tradi Ottavio
con la guerra che all'uno ed all'altra intimo per far piacere a Cleopatra .
Mezio ne fu ſquarciato a viſta di Tullo; ed An. tonio fu coſtretto a darſi la
morte quafi agli occhi d'Augufto. An 187 Antonio mentre s'incamminava al
ſepolcro ove s'era rinchiuſa Cleopatra , andava verſando il ſangue per le
Atrade come ap punto il corpo di Mezio per la ſelva . Non ſi potevano eſpri mer
da Virgilio coſe sì delicate che in un quadro allegorico , Due volie , dice
Svetonio , entrò Auguſto in Roma vitto rioſo e ſenza trionfare , una, poichè
egli ebbe vinto Bruto e Caffio ne'campi Filippici, l'altra avendo vioto Seſto
Pompeo in Sicilia ; il che moftra , qual foſſe la modeſtia politica d ' Auguſto
; queſta ſteſſa egli usò con Marcantonio del quale e gli non crionfo , ma di
Cleopatra , come ſi può raccoglier dal Trionfo deſcrito da Dion Callio . Egli
ſollevò i figliuoli d' Antonio alle prime dignità , nè col moſtrar odio e
vendetta con Antonio dopo ch'egli era morto voleva offender Octavia a cui era
ſempre grata la memoria del marito . Orazio e Vir gilio ben ſapendolo non mai
parlarono di Marcantonio ſc non mettendolo in compagnia di Cleopatra su cui
fecero ca der l'odio e la colpa ; ma nel tempo ſteſſo , conoſcendo forſe che
Auguſto ſi compiaceva , che negli animi de' Romani non ſi ſmarriſſero l'idee di
quanto avea fatto contra Marcantonio per la finta difeſa della libertà , eſli
procurarono di maſcherar ne l'azioni con l'allegoria , della quale Auguſto
poteva abba ſtanza intenderne il ſenſo , e non offenderſi i partigiani d'An
tonio per le varie interpretazioni che poteano darle . Nelle mie note su l’Odi
d'Orazio io ſpiego con ciò molte coſe in intelligibili ſenza queſta
ſuppoſizione, nè ſarà diſcaro che ne moſtri l'uſo nelle ſtorie di Porſenna e di
Manlio ſcolpite da Virgilio nella ſeconda ovale dello Scudo . Porſenna voleva
riſtabilire in Roma la tirannia traſportan dovi i Tarquinj, e nonmeno Antonio
voleva riſtabilirla tra ſportandovi Cleopatra . Se Antonio , dice Dione , foſſe
ſtato ſuperiore e ſignore del tutto , era per dare a Cleopatra la Cit tà di
Roma ; è poco dopo ſoggiunge , che Cleopatra era venu ta in ſperanza
d'acquiſtar l'Impero Romano , e che quando al cuno le dimandava giuſtizia ,
ella riſpondeva che gliela fareb be in Campidoglio :al che pur allude Orazio
nell'Ode 37. l . 1. dicendo ch'ella era ebbra di folli ſperanze non meno che di
vino mareorico . Io non so ſe troppo raffini nel ritrovar in Clelia che ſi
falva a nuoto , Ottavia che al dir di Plutarco eſce precipitoſamente dalla caſa
d'Antonio ; ma certamente Coclite che rompe il ponte è un ſimbolo d'Agrippa che
con la vittoria navale interrompe l'avvanzamento d'Antonio. AQ 2 Tito 188 Tito
Manlio è difenſore della libertà del Campidoglio con tra i Galli , come Antonio
fu difenſore della preteſa libertà contra Caſſio e Bruto e gli altri nimici di
Giulio Ceſare. Non mancarono , dice Plinio , i fregi delle coſe militari in
Manlio Capitolino , ſe non gli aveſſe perduti nell'eſito della vita ; e Tito
Livio ſoggiunge , che lo ſteſſo luogo nell'Uomo ſteſſo fu un monumento e
d'inſigne gloria e di ultima pena . Anto nio difeſe il popolo Romano ne' Campi
Filippici , e il popo lo Romano in Azio ed in Aleſſandria l' inſeguì e fu
cagione della ſua morte . I Salj ed i Luperci eſultano , e le matrone ne loro
cocchi agiati conducono le coſe ſacre per la Città per dimoſtrare che non ſono
ammeſſe in Roma le ſuperſtizio ni Egiziache , abborrite eſtremamente da' Romani
ne'cempi d ' Auguſto e di Tiberio . Catilina tormentato nell' Inferno non
moſtra egli le pene dovute a Marcantonio ? e per la ragion de contrarj quante
lo di meritava Auguſto per la ſalvata libertà ? In grazia di que fta ſoffriva
Augufto che fi lodaſſe Catone Uticenſe . Orazio nell’Ode 12. c. 1. lo mette tra
gli Eroi di Roma . Loderò di Caton la nobil morte ? Il P. Catrou pretende , che
il Catone che negli Elisj dello Scudo dà legge agli ſpiriti, non fia altrimenti
Catune Uricen ſe , ch'era troppo odioſo a'Ceſari, ma Catone il Cenſore , di cui
dice Seneca , che tanto giovo co'ſuoi coſtumi al popolo Romano , quanto
Scipione colle ſue guerre . Il P. della Rue é per il Carone Uticenſe , ma non
ne aſſegna la ragione , la quale è manifefta, ſe ſi riflette al paſſo di Taciro
da me nell' alıra diſſertazione addotto e che qui ancora ſoggiongo , perchè
cgli moſtra quanto Ottavio fi vantafle, come Cromuello fece a' noſtri tempi ,
di paſſar per difenſore della pubblica libertà . Tito Livio ( così fa dir
Tacito a Cremuzio Cordo in Senato ) chiariffimo tra tutti gli Scrittori e per
eloquenza e per fedel tà , celebrò con tante lodiGnco Pompeo che Auguſto lo
chia mava Pompejano , nè perciò gli fu meno amico. Nelle Opere di Aſinio
Pollione ( cui Virgilio dedicò l'Egloga terza ) li fa onoratiflima memoria di
Callio e Bruto : Meffala Corvino pre dicava Caffio per ſuo Imperatore , e l'uno
e l'altro viſſero lun. gamente pieni di ricchezze e d'onori, ed Auguſto , non
ſi sa le con maggior lode di manſuetudine o di prudenza , laſciò 1 cor 189
correr le lettere d'Antonio , e l'orazioni di Bruto , che molto lo diſonoravano
; nel che forſe volle imitar Ceſare Dittatore che tollerò i verſi di Bibaculo e
di Catullo , ed al libro di Marco Cicerone nel quale s' inalza Catone al Cielo
, riſpoſe perorando come ſe foſse avanti i Giudici . Con queſto paſſo di Tacito
ſi può dar la ragione per la quale Virgilio ed Ora zio non temerono , dedicando
l'Opere loro ad Auguſto , di no. minar Giunio Bruto , Marco Bruto , e Callio ,
Catone, e Pom peo . Maquale ſcaltrezza cortigianeſca v'è in Virgilio nell'
introdur Catone a dar legge agli ſpiriti ? Par, ch'egli accen ni , che Carone
meritava ſolamente grado in quella Repubbli ca ideale di Platone , la quale ſecondo
Cicerone egli cercava nella feccia di Romolo . Ed ecco ciò che dovea dirſi
intorno alle lodi indirette ed allegoriche . Le figure del quarto e del quinto
ſpazio contengono lodi di rette , perchè cuite ripiene delle coſe di cui si
compiaceva Auguſto che i Romani continuamente acclamaffero . Egli ſteſ ſo ,
come ſi diffe , avea nel Foro di Ceſare conſecrata l'ima gine della battaglia ,
e del Trionfo , nè io dubito punto che Virgilio ne aveſſe eſpreſli i tratti
della pittura nello Scudo in quella guila , che nel primo libro nel
rappreſentar il Furore alliſo ſopra i trofei e con le mani annodate al tergo
imita la pittura ch'era nel Tempio di Giano . Tutto poi nella deſcrizione e
della battaglia , e del Trion fo , è diretto alla lode d'Auguſto. Nella battaglia
, Auguſto è coi Padri , col Popolo , coi Penati , e co'magni Dei, ed ha in
fronte la ſtella paterna ; ciò ſignifica , che la guerra era in trapreſa per la
libertà del Popolo , del Senato e coll'alliſtenza di Giulio Ceſare già
Deificato . All'incontro Antonio non ha ſeco che de' Barbari , ed un'effeminata
Reina ; Auguſto è di feſo da Venere genitrice , da Minerva , e da Apollo , Dei
del la prudenza e del conſiglio , e da Nettuno , che gli era ſtato favorevole
nelle guerre in Sicilia contro Seſto . All'incontro Antonio non ha ſeco che Dei
moſtruoſi ed odiati da' Romani . Quanto cgli deſcrive più feroce la pugna ,
tanto maggior mente eſalta il valore d'Auguſto e d' Agrippa , ch'egli ſempre
accompagna per le ragioni di ſopra accennate . Le Furie e la Diſcordia con
Bellona liriferiſcono a Cleo patra ; ma qual mai v'è ſagacità poetica
nell'accennare la fu ga e la morte di queſta Reina ? Mentre ella ſuona il
filtro non vede i due ſerpi che la minacciano alle ſpalle ; ella con fida iyo
fida in vano nelle forze dell'Egitto , e in vano tenta di rifu . giarſi nelle
più occulte ſpiagge delNilo . Tutto allude al .con higlio ed alle azioni di
Cleopatra . Perchè poi Virgilio non nc introducefle nel Trionfo l'effigie , e
tra i prigioni non poneſ ſe i figliuoli di lei , la cagione n'è forſe ſtata il
timore d'ec citar nell'animo altrui con queſte imagini qualche grado di
ammirazione e di compaffione , e perciò ſcemar in parte la lode d'Auguſto , e
tra l'altre quella della pietà . Ne'gran Poe. ti biſogna egualmente riflettere e
a quel che dicono e a quel che tacciono , onde molto male s'argomenta dalla
Poeſia alla Storia , e dalla Storia alla Poeſia , quando non s'attende al fi ne
a cui tutto vuol accomodare il Poeta . Il fine delle figure ſcolpite nei vari
ſpazi dello Scudo ha relazione al fine gene rale dell'Eneide . Le figuredel
ſecondo ſpazio riguardano il ſenno d'Auguſto , le figure del terzo il valore ,
le figure del quarto riguardano la ſua pierà . Queſte ſono le tre virtù do.
minanti dell'Eneide . Dionigi d'Alicarnaſlo , che ſcriveva nel tempo d'Augufto
, le ſtabiliſce come neceſſarie ai fondatori d ' un Impero , e Virgilio vi
fabbrica ſovra l'Eneide . Molte altre coſe io potrei addurre intorno
l'artifizio poeti. €0 , la chiarezza , e la brevità , colla quale Virgilio in sì
po chi verſi eſprime tante coſe , nè mai per oftentazione o d’in. gegno o di
dottrina o d'erudizione , maſempre relativamente al diſſegno del tutto e delle
parti , ciò che deve ſervire a' Poe. ti moderni di precetto e d'eſempio.
DISSERTAZIONE PRELIMINARE i ALL' ILLUSTRAZIONE DEL PARMENIDE DI PLATONE.
atentat nesatentratata L A ſecca della Filoſofia Italica fondata da Pitcagora
ebbe nome e ſede nella Magna Grecia , tra le cui Provincie fu per l'eccellenza
de'Filoſofi, che vi fiorirono , celebre la Lucania , ed in queſta la Città di
Velia , o d'Elea così denomi nata dal fiume che l'irrigava . Quivi Senofane di
Colofone , Cit tà della Jonia nell'Alia minore , ſtabilì e perfezionò la fecta
, che dalla Città d'Elea fi diffe Eleacica , e meritò d'avere tra gli al tri
diſcepoli Parmenide nato di Pireto , e quel Filoſofo grave e venerabile , che
con Zenone paſsò in Atene , ove tenne la con ferenza con Socrate eſpreſſa in
queſto Dialogo . Ora avendomi propoſto io d'illuſtrarlo nella ſua parte ſtori
ca e Filoſofica, credo diſoddisfar quanto baſta al mio impegno ſe prima tento
d'accordar l'erà controverſa dei tre Filoſofi nomi nati, indi ſe della dottrina
Eleatica ſpiego l'origine e l'effetto , o la Filoſofia Pittagorica , e la
Platonica ; finalmente ſe mi fer punto che Platone in queſto Dialogo n'eſpoſe,
e dichiaro l'artifizio filoſofico , e poetico dello ſteſſo Dialogo . lo difli ,
che Senofane ftabili , e perfezionò la ſecca Eleacica perchè Platone dice nel
Sofiſta , la gente d ' Elea incomincia appref ſo di noi da Senofane, anzi da
più antichi, i quali non poteano eller che Talete, o Pittagora , oi difcepoli
loro ; non regnando, allora alıra Filoſofia nella Grecia , ſe non l'introdotta
dai due fondatori, o profeſſata da i loro allievi . Alcuni però fecero Se nofane
poſteriore a Talete , ma più antico di Pittagora, nè fo dove prendeſſero le
loro congetture cronologiche , alle quali oltre l'autorità di Platone ,
s'oppongono le ſcoperte dei due Fi loſofi , e i viaggi loro . Taletecalcolo il
primo l' eccliſli lunari , ma come poteva egli calcolarle ſenza conoſcere la
propolizione , che Euclide poi fe ce la 47 del primo libro degli Elementi , e
di cui s'aſcrive or dinariamente l'invenzione a Pitcagora ? I calcoli
aſtronomici ſo mo ſul . no ( 4 ) no dedotti da trigonometrici, principio de'
quali è il triangolo rettangolo miſura diſe ſteſſo , e de gli altri triangoli.
Pittagora dunque, che l'invento , o fu contemporaneo di Talete , o fiori prima
di lui . , Io credei , che queſta foſſe una dimoſtrazione in cronologia , finchè
in Plutarco ( a ) ritrovai che gli Egizj ſimboleggiavano co ? tre lati del
triangolo rettangolo miſurati da 3, 4 , e s le loro principali divinità Ilide,
Oliride, ed Oro ; aſſegnando ad Oſiri de la perpendicolare, la baſe ad Ilide ,
e ad Oro l'ipotenuſa ; L'antichità del ſimbolo manifeſta quella della
cognizione , tan to più che gli Egizi coltivarono l' aſtronomia da poi che eb
bero inventato la geometria per miſurare i terreni, e non par veriſimile , che
ſenza conoſcere il triangolo rettangolo , il pri mo e il più facile ad
immaginarſi de gli altri, poteſſero riu ſcire nella pratica di queſte due
ſcienze . V'aggiungo, che fe condo Platone ( 6.) noci erano, agli Egizi gl'
incomenlurabili , la prima idea de' quali naſce dall' impoſſibilità di eſtrar
la radice dal quadrato dell'ipotenuſa del triangolo ; I lati del retcangolo
Pitta gorico ſono i numeri accennati , e queſta è la prova che dagli E giz lo
toglieſſe Pittagora , e nello ſteſſo tempo o poco prima l' aveſſe colto Talete
, benchè poi Talete ſi contentaffe di moſtrare all'Aſia minore l'ulo
aſtronomico della propoſizione, e Pictagora ne deſſe alla Magna Grecia la
dimoſtrazione Geometrica , ed è forſe quella regiſtrata da Euclide nel primo
libro diverſa dalla 8 del libro 6 dedotta dalle proporzioni delle linee , e che
nel progreſſo del tempo Eudoffo , che fiori nel tempo di Placone , portò dall'
Egitto col s elemento . Or fe i gradi delle cognizioni dello fpirito umano ſono
fema pre gli ftefli, dall'analogie dell' Epoche moderne ſi poſſono de durre le
antiche , e particolarmente quelle che hanno relazione agl'inventori de'
principjmatematici . Nel paſſato ſecolo ſi trova prima dal Toricelli la
Cicloide , e l' Ugenio l'applicò a regola re il moto dell'orologio a pendulo ;
il Newtono fi limitò all'altrace ta Teoria della luna , e l' Hallejo l'applico
a correggere le Tavo le aſtronomiche . La ſeconda congettura della
contemporaneità di Pitragora, e di Talete , ſi prende da coſe più facili . Vuol
Jamblico , che Ta lete ſcriveſſe una lettera a Ferecide maeſtro di Pittagora, e
gli legaſſe certi fcritti morendo , e par che Plinio convenga che i due
Filoſofi foſſero ſtati in Egitto al tempo che regnava il Re Amaſi. La queſtione
non cade più dunque ne ſu tutto il ſecolo , ne ( a) Trattato d'Ilide, ed
Oſiride . ( 6 ) Nella Rep. e nelle leggi . ( 5 ) 1 4 ne ful mezzo ſecolo , ma
su l'età dell'uno e dell'altro di pochi anni diſtante ; Talete par più vecchio
ſe ſcriſſeuna lettera al maeſtro di Pittagora , machi sa poi ſe Pitragora non
era allora in Egitto ? queſta lieve differenza non toglie però , che ſe Talete'
fu più d'un ſecoloprima di Senofane, non lo foſſe ancora Pittagora : Io ritrovo
bensì, che Senofane era contemporanco d'Epicar mo , e diEmpedocle. Secondo
Timeo lo Storico , Senofane paſsò in Sicilia al tempo di Gerone , ſotto il cui
Regno Epicarmo era illuſtre per le ſue commedie, e Plutarco (a) ci conſervò la
memo ' ia d'una riſpoſta , che diede Senofane ad Empedocle . Non è facile il
determinare , nè qui lo cerco , quanto Epicar mo , ed Empedocle foſſero
diſtanti da Pittagora , e quindidà Ar chita Tarentino il vecchio , da Peritione
, da Timeo di Locri , da Ocello Lucano , e da altri , che ſi dimandavano
Piccagorei ( 6 ) perchè udirono Pittagora , a differenza deglialtri , che ſi
chiamava no Pittagoriſti. Quando cominciò Senofane a ſtudiar la Filoſofia ,
quella di Ta lete era già diffuſa nella Jonia , e quella di Pittagora nella
Magna Grecia ,e nella Sicilia ; su queſto fondamento altri fecero Seno fane
diſcepolo di Anaſimandro , ed altri di Archelao diſcepolo di Anafagora , il
quale avea il primo traſportata la Filoſofia dalla Jonia in Atene, ove paffato
Senofane ftudiò ſotto ( c ) un certo Bottone Ateniere . Dalla povertà cacciato
Senofane dalla Grecia , paſsò nella Sici lia e quà s'abbandono alle doctrine
Pittagoriche , più delle Joniche conformi all'ingegno di lui acre , e profondo.
Dalla Filoſofia Jo nica , e dall' Italica traſſe un nuovo liftema , è meritò ď'
effer ca po della ſecta Eleatica primo fonte dell'Accademica , e della Pla
tonica , delle quali poi furono rami lo ſcetticismo, e lo ſtoicismo, Nulla
ancora s'è fatto , ſe non ſi dimoſtra accordarſi l'ecà di Senofane con quella
di Parmenide , e queſta con quella di Socra te . Tralaſciare dunque molte
epoche inverifimili, io m'arreſto a quella che aſſegna Timeo a Senofane , ed è
che egli fiorille nell'olimpiade 76. Parmenide, ſecondo Laerzio ſeguito dallo
Stan lejo , e da altri , fiorì nell' olimpiade 69 diſtante dalla 76 di 7
olimpiadi, che importano 28 anni, calcolando ogni olimpiade per 4 anni compiuti
. La voce fiorire è molto vaga o ſteľa nel la Cronologia , perchè non ſempre
moſtra , che un Filoſofo fof ſe nel punto più alto della ſua fama, ma che ſolo
aveſſe un no meilluſtreacquiſtato . Il Newtono , che cosi rapidamente ſi per
fezionò nelle matematiche, fioria del pari in Inghilterra nel 1662 quando
ſcriſſe al Leibnizio la lettera in cui gli dichiarava lo ſvi luppo , ( a )
Plut. de vit.pud . ( 6) Patr. diſcuſs. prop . 1. 6. (c) Laerzio vit.di Sen. ( 6
) 3 8 luppo , e l'uſo del Binomio eſaltato ad una potenza indetermi nata , e
nell'anno 1716 in cui molte coſe aggiunſe al ſuo libro de' colori, e n'illuſtrò
molte altre nei principj naturali della Fi loſofia matematica , Senofane, che
lo Scaligero fa vivere 104 an ni , ed altri almeno fino a 100 , potea fiorire
in olimpiadi mol to diftanti, perchè per la forza della ſua mente facilmente
riu fcendo nelle fue applicazioni, in breve acquiſtava fama di lomme Filoſofo ,
e la ſua fama tanto più ſpargeali per le bocche degli Uomini , quanto egli
abbelliva le ſue meditazioni filoſofiche con la Poelia per farle ricercare , e
leggere con più d'avidità . Parmenide fece i ſuoi ftudi in Elea ( a ) ſotto
Amenia , e Dio cheta Pictagorici , i quali lo riduſſero a laſciar le ricchezze
, ecol tivar la vita privata, e darſi tutto alla Filoſofia . Biſogna dun que
che in eſſa molto riuſciſſe , o la Filoſofia foſſe la paſſione , che più lo
dominava, ſe nato de' più ricchi, e de’più nobili di Elea ebbe tale coraggio ;
ma ciò molto applauſo dovea avergli acquiſtato appreſſo de'ſuoi Cittadini , ſe
fin d'allora cominciarono a celebrarlo in guiſa , che al dir di Ermipo
Empedocle l'emuld . Nulla vieta il ſupporre, che Empedocle avelTe molto
ſoggiornato in Elea , e poi foſſe ritornato in Agrigento ſua Patria . In Elea
era ſtato emulator di Parmenide doctiſſimo nelPittagoriſmo, e lo fu in Sicilia
di Senofane , che lo profeſſava con qualche cangiamento', dopo gli anni 28 che
è l'intervallo frappoſto tra l'olimpiade 69 e 76 . Paſso Senofane in Elea , ed
ivi Parmenide conſecrato agli ſtudi corſe ad udir Senofane , come i giovani
nobili , e ben educati ſo leano far nella Grecia , quando nelle loro Circà
udiano entrar un Filoſofo illuſtre , e che potea inſtruirli in qualche nuovo
liſte ma , del che chiari gli eſempi ne vediamo nel Protagora , nelGor gia , ed
in altri Dialoghi di Platone . Quando Parmenide udi Se nofane, queſti poteva
eſfer molto vecchio ; ma qualunque età dia ſi a Senofane, mi baſta , che nel
pricipio dell' olimpiade 76Parme nide imparaſſe da lui il fiſtema dell'uno
immobile , e non aveſſe allora che 36 , e ancor 40 anni , la ſteſſa età che
avea Zenone quando diſputò con Socrate in Acene . Socrate nacque al fine
dell'olimpiade 77 , ed avea 4 anni com piuti o 5 anni cominciati , quando nella
noſtra ipoteſi Parmeni de ne avea 40. Se zo anni dopo ſi fuppone, che Parmenide
con Ze none paſlaffe da Elea in Atene , come vuol Platone , non avea che 60
anni, e Socrate che 25 , onde era egli molto giovane relativa mente a Parmenide
. Semplici, e al fommo veriſimili ſono queſte ipoteſi degli ſtudi, 1 e dei ( a
) Laerzio vita di Parmenide . 1 ( 7 ) e dei viaggi dei due Filoſofi , e ſe
s'accordano facilmente con le olimpiadi , perchè oftinarſi a rigettarle , e
rinunziare all'au corità di Platone , che potea molto meglio al fuo tempo cono
fcere l'epoche dell'era filoſofica , che non ſi conobbero 6oo an ni dopo , e
ben più ? Le circoſtanze , con cui Platone accompagna l'abboccamento di Socrate
con Parmenide , accoppiano in guiſa alla verità del fatto la veriſimiglianza
ſtorica del Dialogo , che pare non do ver laſciarſi alcun ſoſpetto . Io le
eſtrarro dal Dialogo . Parmenide , e Zenone fuo diſcepolo favorito o fuo figlio
a dottivo abitavano fuor delle mura di Atene in caſa di un cer to Pitidoro .
Nelle ſolennità de grandi Panatenei , itofene So crate a ritrovar Parmenide ,
ritrovò folo in caſa Zenone , e comia cid a diſputar feco fu l'idee . Entrato
poco dopo Parmenide in caſa con Pitidoro , ſi proſeguì la diſputa incominciata
alla pre fenza di molti , tra' quali Ariſtotele non lo Stagirita , ma uno dei 30
Governatori , o Tiranni di Atene . Tali ſono le circo ftanze del luogo , del
tempo , e dei teſtimoni della diſputa . Socrate non avea allora che 25 anni ;
or eſſendo egli mor to nell'età di 72 anni, dall'abboccamento alla morte non vi
fo no che 47 anni di diſtanza , e tanti appunto o pochi più dall' abboccamento
al Dialogo , ſe Platone lo ſcriffe dopo la morte di Socrate : ma poniamo che l'
aveſſe compoſto anche 20 anni dopo ; la memoria di un Uomo così illuſtre qual
era Parmeni de non potea più ignorarli in Atene , di quel s'ignori ora a Parigi
la dimora che vi fece il Leibnizio, e l'Ugenio , e le di fpute che ebbero nell'
Accademia reale . Alle verilimiglianze ſtoriche s'aggiungono le poetiche necef
ſarie all' ornamento del Dialogo , che è una ſpecie di Poeſia Dramatica : così
lo teſse Platone. : Cefalo per bocca di Antifone ſuo fratello uterino , e
figliuo lo di Pirilampo , racconta ad A dimanto , e Glaucone , tutto ciò che
avea udito da Pitidoro fu la diſputa che ebbero Zenone pri ma , e poi Parmenide
con Socrate . ' Antifone avea converſaco familiarmente con Pitidoro compagno di
Zenone , ma poi laſcia ta la Filoſofia coltivava l'arte equeſtre , e quando
Cefalo ad in ſtigazione de' compagni andd a ritrovarlo , egli dava certo fre no
ad accomodare ad un fabro ; circoſtanza che io credo finta per dar rilievo al
racconto , é fiffar la fantaſia del lettore con qualche coſa di ſtrano . Par
toſto che Antifone occupato in un volgare eſercizio , non debba favellare ſe
non di coſe volgari , nè mai s' aſpetta , che egli ſia per ſalire nell' ultime
aſtrazio ni della metafiſica ; quindi il lettore reſta ſorpreſo dalla mera
viglia ( 8 ) 1 > e di viglia , allora che egli racconta il principio della
diſputa tra So crate e Zenone, e che poi s'interrompe alla venuta di Parme nide
, che fattoſi pregar un poco la continua fino al fine. Quan te menzogne , ſe
Socrate non parld mai con Parmenide ! All incontro qual arte fina di
veriſimiglianza poetica , per dar or namento alla verità del fatto di cuiCefalo
, Adimanto , e Glau cone vivendo poteano renderne teſtimonianza ? Come immagi
narſi, che un Filoſofo il qual volea render accetta la lettura de ſuoi Dialoghi
, cominciaſſe a diſguſtar il lettore con bugie le più sfacciate ? Ariſtotele,
che calunnia il ſuo Maeſtro in tante parti dell'opere ſue fue , e che parld
ſovente di Parmenide Socrate non attaccò mai Platone ſul loro abboccamento , e
pur ne poteva trar degli argomenti, per renderne la dottrina ſoſpetta. Non ne
parlano altri autori Greci più vicini a Platone , non gli autori Latini , che
più ſtudiarono i Greci , e tra gli altri Cicerone e Plinio , che tante coſe ci
conſervarono fu l' iſtoria ed Era Filoſofica . Non v'è che il ſolo Ateneo il
qual viſſe a' tempi di Marco Aurelio , che vuol dir quaſi più di 600 anni dopo
Platone . ( a ) Egli dice : Appena permette l' età che Socrate aveſe veduto ,
ed udito Parmenide , non dover però noi meravigliar ſene, perchè Platone
ſuppoſe che Fedro vivere al tempo di Socrate ; che Paralo , e Zantippo
figliuoli di Pericle , e morti nella peſtilenza , ragionaſſero nel Protagora ,
e che Gorgia diceſſe nel Dialogo del ſuo nome quel che mai s'era fognato di
dire . Molte altre accuſe contro Platone vibra Ateneo , e s'affatica a
dipingerlo tanto mordace , e maledico quanto bugiardo . Non so perchè i Cronologi
attenti a peſare ogni minuzia de'te fti non oſfervino , che Ateneo nel dire vix
ætas permittit dichiara , che poco intervallo di tempo v'era ſtato tra la morte
di Parme nide, e l'età di Socrate , maqueſto vix qual ha poi forza cronologica
poſto in bocca di Guriſconſulti, di Oratori, diPoeti , di Filologi, non di
Cronologi, che avrebbono diminuito l'allegrezza del convito coi loro calcoli, e
colle lor aſciutte illazioni ? Il Calaubono il qual nel ſuo comentario d'Ateneo
in un'altro libro in foglio sfoga tanta eru dizione ſu l’erbe, ſu ipeſci, ſui
coſtumidel convito , elu mille altre coſe inutiliffime a ſaperli nulla degna di
dire ſu le accuſe colle qua li uno dei Dinnoſofiſti morde Platone . Io per me
credo , che A teneo vedendoſi incapace d' emulare l'immenſità della dottrina
Platonica , e l'arrificioſa maniera con cui l'eſpone Platone ne'ſuoi Dialoghi ,
teſſe lunga ſerie d'accuſe , e lo condanna di menzogne ro , e maledico per
accreditar ſe non altro la veracità , e la mo deſtia colla quale caratterizza i
ſuoi Dinnoſofiſti. Il buon Grama cico ( a ) Ateneo lib . 14. Sympt, 9 ) tico ne
goda egli pure , e ſen ' applauda ; non per queſto io crede rò , che Parmenide
non poteſſe ragionare con Socrate , e ſtard immobile nelle mie ipoteſi
cronologiche , che a ben peſarle non vagliono meno di tante altre , che in
queſto ſecolo fi ſpacciano, e fi difendono come i Teoremi diGeometria :
Candidamente perd confeſſo , che io farò per ſacrificarle a colui , che
all'autorità di Ateneo ne aggiungere qualchealtra più dimoſtrativa, e meno ſo
fpecta ; finalmente malgrado le congetture eſpoſte io ſon perſua ſo , che ſe
Platone tutto finſe , il Dialogo è più ammirabile per la menzogna poetica tutta
opera della ſua fantaſia, che non è per la verità del fatto , di cui poteano
farſi onore i men dotti . Platone fcriffe in Filoſofia più ditutti gli antichi
che lo precede rono , e come da Eraclito le coſe fiſiche, da Socrate le morali
, così tolle da' Pittagorici lemetafiſiche , le quali non ſi correffero che nel
fecondo ſecolo della Religione , per le varie diſpuce che, nacquero tra
iPlatonici , e tra i Criſtiani. Eſaminerò dunque prima d'ogni altra coſa la
natura della difpu ta , dopo di cui proporrò generalmente l'antica Filoſofia ,
ed in di la particolareggierò in Pittagora , e ne'Pittagorici, tra'quali Se
nofane e Parmenide, e la terminerò con Platone . A queſte due coſe io riduco
l'origine, e l'effetto dell'Eleatiça Filoſofia .. Gli antichi Filoſofi , ſenza
eccettuarne nè pur uno , convennero nel principio , che di nulla fi fa nulla ,
e ciò gl' impedì di poter conoſcere che Dio era un ente ſingolariſlimo, uno,
onnipoten re , buono , e libero; in ſomma di tutte quelle perfezioni dotato le
quali o per negazione , o per caſualità , o per eminenza gli at tribuirono i
SS. Padri, e cuti'i Teologi . Era Dio ſtato ſempre con la materia ? Dunque
altro non gli competea , che eſſer un modo di efla od un ente , che ſolo per
preciſion di ragione dalla materia ſi diſtingueva ; era egli per metà uno , per
metà onnipotente , fe dipendea da un principio , ſenza il quale operar non
potea , non più che il Pitcore dalla tela e dai colori , e lo Scultore dal
marmo. La diminuzione della potenza toglieva a Dio la bontà , perchè non poteva
egli vincer in guiſa la contumacia della materia , che non regnaſſe a ſuo
malgrado il male miſto col bene . Come dunque Mosè per opporſi al politeiſmo
del ſuo tempo dalla creazione cominciò la ſtoria del mondo ; così per opporſi a
tutti gli errori che derivarono dall'eternità della mate ria fi cominciò nel
ſimbolo Apoftolico da Dio creatore , inſiſten do al dogma di S. Paolo , il
quale nella Epiſtola agli Ebrei : In tendiamo ; ( a ) dice egli , per la fede
eſſere ſtati connelli i ſecoli Tom . II. b dalla ( a ) Epiſt. agli Ebrei cap.
11. Fide intelligimus aptata eſſe ſecula ver bo Dei . ( 10 ) dalla parola di
Dio . I Padri nelle loro diſpute co'Gentili lo dichia rarono. Noi , dice
Atenagora ,Jepariam Diodalla materia , lamateria crediamo un ente diverſo ----
( m ) Dio è uno , ed ingenito , ed eterno ; la materia è corruttibile ; e poi
celebriamo tutti un Dio ſolo crea tore di tutte le coſe . - - .- la fua forza
immenſa non poterono abbrac ciar coloro con l'animo, che la notizia di Dio non
cercarono nello ſtef fo Dio, ma dentro fe fteſi . Taciano (6 ) pur dice : Dio
non s'inſi nua nella materia e negli spiriti materiali e nelle forme , ma egli
è artefice inviſibile ed intangibile di tutte le coſe . Teofilo d'Antiochia (
c) parlando ad Autolico, dice , ſe Dio è ingenito e la materia è pur tale , non
è più Dio fabricatore e creatore di tutte le coſe . Queſti Pa dri viſfero tutti
e tre nel ſecondo ſecolo non molto diftanti l' uno dall'altro . Gli errori de'
Marcioniti , de' Valentiniani , de' Baſiliani , chefuronopur cutti e tre che in
queſto ſecolo diedero occa fione a' Padri d'illuſtrare il lor zelo ,
dichiarando con la crea zione della materia il principio fondamentale della
Religione Criſtiana . Anzi Taciano dimoſtro , che i Greci ne avevano ri cevute
l'idee da'Barbari , ed i Barbari dagli Ebrei , benchè poi le aveſſero oſcurate
e corrotse . Affaccendati gli altri Padri a purgarle , oſſervarono che Dio ,
autore del pari della Fede , che della ragione , non le avea ſeparate in un
modo caliginoſo ed impenetrabile , ma le avea in maniera accordate , che
dall'aurora dell'una fi potea paſſare al pieno giorno dell'altra , cogliendo
però dalla ragione quanto e Platonici e Pittagorici e Stoici, ed Epicurei v
aveano im preſſo col lor proprio carattere . Si compiacquero dunque della ſetta
Eclerica , ed il primo che l'abbracciale fu Atenagora il primo de' Catechiſti
d'Aleſſandria , poi S. Clemente ed Origene dal Veſcovo Uezio chiamato
Pocamonico ( d ) anzichè Platoni ço , San Clemente ſpinſe tant'oltre la
condiſcendenza , che pro poſe come poflibile un ſiſtema filoſofico, il quale
raccoglieſſe tut te le verità ſcoperte dalla ragione umana fin dal principio
del mondo , ed agevolaſſe il metodo di far ricever i dogmi della fede, e quello
della creazione. Amonio Sacca conciliator di Ariſtotele e di Platone ,
ritrovando che in Ariſtotele l' eternità del mondo ſi conciliava con l'eter
nità di Dio , ſe ben egli nulla ſcriveſſe , laſcid tuttavia a' ſuoi diſcepoli ,
onde ſtabilire tal dogma. Diſtinſe egli l' eternica in due gradi o in due ſegni
, nell' uno dei quali poneva Dio, nell'altro le coſe bensì create , ma da lui
dipendenti , come il raggio dalSole , o l'ombra dal corpo . S'accorſero i
Padri, che iFi ( a ) Apologia pro Chriftianis . ( 6) Tat. allir, cont. Græc. (
c ) Teof. Aut, lib . 2. ( d ) Iftor. del Moeffenio nel finedelCuduortio . ( 11 )
e tras i Filoſofi mettendo con la creazione eterna una dipendenza tra la
materia é tra Dio , coglievano a Dio la libertà , perché cacitamente
fupponevano , che da Dio neceffariamente foſſe emanato il mondo come il raggio
dal Sole e l'ombra dal corpo . Far di Dio un Agente neceſſario , è lo ſteſſo
che farlo per metà Signore , per che ſe fi confeſſa da una parte , che da Dio
dipenda la coſa che egli fa , fi nega dall' altra che da lui dipende il farla
ed il non farla. La libertà è la maggiore delle perfezioni. Perchè dun que
corla a un ente infinitamenteperfetto ? Lafcio S. Ireneo, S.Cirillo , ed altri,
cheſoddisfarono ampia mente a tutte l' obbiezioni ; ma quello , che più degli
altri le ſcDIonvolſe ed atterrò , è ſtato Lattanzio Firmiano , che con au reo ftile
nel quarto ſecolo ſcriſe . In queſto ſecolo ancora ſcriffe ro Eufebio nella
Preparazione evangelica , e poi S. Agoſtino nel la Città di Dio , l'uno ſegut
l' ormeaccennace da Taziano , 1 alţro con erudizione più vigorofa , e più
filoſofica ſcriffe contro l'eternità , l'animazione , la divinica del mondo , e
l'immutabi lità del Fato . Apparve Proclo ( as nel príncípio del V1. fecolo
fondendo nella ſua Teologia molto di quella de' nomiDivini at tribuita a S.
Dionigi Areopagita , rinovd il fiſtema di Amonio Sacca riſtoro il Platoniſmo
caduto . Nel fecolo dopo , Zac caria di Mitilene , ed Enea di Gaza , ſcriſſero'
pure contro l'eter nità del Mondo. E da' loro fcritii ſi raccoglie , che l'idea
di Dio, combinata col policeiſmo era un'idea nugatoria , non men di quel la del
bilineo rettilineo , che rappreſenta alla mente una figura , é non è che una
contraddizione . Il P. Balto , nel ſuo dotuiffimo libro contro il Platoniſmo
ſvelato , lo dimoftra ; e dopo il Balto fe de fece dal Moeſfenio quella
circoſtanziata iſtoria ſul Platonis la quale è nel fine dell' opere del
Cuduortio , da lui tradotre dall' Ingleſe in Latino . lo nell’eſpor la doctrina
de Filoſofi antichi non mi feryi rò dell'autorita de' Platonici recenti , non
più , che fe non aveſ ſero mai ſcritto , ſalvo allora , che s'accordano cogli
antichi, e ci confervano qualche circoſtanza ſtorica indifferente . Cercherò
prima ne' teſti de' Filoſofi ftefli il ſenſo , che naturalmente preſen iano , e
dove ſia queſto oſcuro , ed equivoco , ricorrerà all'in terpretazione o di
Cicerone , o di Plutarco , o di Sefto Empirico , o di Laerzio Viſle Cicerone
molti anni prima del Crifianeſimo , e Plutar co viffe a Roma ſotto Adriano, o
Trajano , dopo d'aver ſtudiato in Egitto forro Amonio , diſcepolo di Potamone,
e del quale egli b 2 par ( a ) Pachimero in Suida , Vedi Fabrizio Bibliot. art
, Proclo . e mo , . ( 12 ) parla nella vita di Temiſtocle ed altrove. Laerzio e
Seſto Empi rico , fiorirono in circa ſotto Severo , che vuol dire molto prima
di Amonio Sacca , di Plotino , di Porfirio , e di molti alori nimici del
nomeCriſtiano ; non rifiuterd dall'altro lato i ſoccorſi , che i Padri
m'offrono allora particolarmente , che non hanno certa indulgenza alle opinioni
filoſofiche , ſcrivendo agl’Imperatori, o non argomentano ad hominem contro
coloro , che gl'inſultava no . La mecafiſica di Platone non è diverſa da quella
de' Pittago rici , e ſe una volta io dimoſtro, che queſti e particolarmente
Pitta gora , Senofane, e Parmenide conobbero bensì un principio intel ligente ,
ma non ſeparato dalla materia , anzi con effa non facen do che un tutto , avrò
dimoſtrato , io mi perſuado, che queſto pur era il ſiſtema Platonico .
Cominciero da Cicerone che in poche ma ſoſtanzioſe parole compendio tutto il
ſiſtema de' primi Accademici o di Platone , e lo craſſe da' Pittagorici , come
da Placone purtraſsero il loro gli Stoici, e i ſecondi e verzi Acca demici ,
poichè quanto a' Peripatetici ( a ) eli convenendo nelle cafe non differivano ,
che ne' nomi . Gli antichi , dice egli , divideano (b )lanatura in due coſe ,
l'una delle quali era efficiente, e l'altraad eſsa quafi preſtandoſi quella di
cui ſi fa ceano le coſe.. Incid che facea riponevano la forza , in ciò di cui
ſi fa cea , una certa materia , ma l'una e l'altra era nell' una e nell' altra
perchè nè la materia può aver coerenza , ſe non ſia da qualche forza ritenuta ,
ne v'è la forza ſenza qualche materia , poichè nullo v'è che non fic in qualche
luogo . . Se la forza e la materia erano indiviſibilmente unite , la fola mente
le ſeparava , e perciò conſiderar l'una ſenza l'altra era un ?: aſtrazione ,
una preciſion della menee . Cid che riſulta ( c ) dall'uno e dall'altro , o ſia
dall'accoppiamento , lo chiamavano corpo , e quafi certa qualità ...-- . Di
queſte qualità al tre fono principali, ed altre derivate da queſte . Delle
principali ſono ognuna ( a ) Cicer. Quæſt. Acad. 1. Peripateticos', &
Academicos nominibus differentes , & re congruentes lib. 2. ( b ) De natura
autem ita dicebant, ut eam dividerent in res duas , ut altera eſſet efficiens,
altera autem quaſi huic fe præbens ea qua effi ceretur aliquid : in eo , quod
efficeret vim eff: cenſebant ; in eo au tem quod efficeretur materiam quamdam :
in utroque tamen utrum , que : neque enim materiam ipfam cohærere potuiſſe , ſi
nulla vi contineretur ; neque vim line aliqua materia : nihil eft enim quod non
alicubi eſſe cogatur. ( c ) Sed quod ex utroque id jam corpus , & quaſi q
uandam qualitatem nominabanc Earum igitur qualitatum ſunt aliæ Principes , aliæ
ex his ortæ . Principes ſunt uniuſmodi , & ſimplices , ex iis au tem ortæ
variæ funt, & quafi multiformes : itaque aer quoque ( uti niur ( 13 )
ognuna della ſteſſa ſpecie , e ſemplici. Da queſte qualità , altre ne for no
nate , e quaſi moltiformi. L'aere , il fuoco , l'acqua , ela terra for no primi
, e da queſti nacquero le forme degli animali , e le altre coſe , che ſi
generano dalla terra . Dunque que' principi , per tradurlo dal Greco, ſi dicono
elementi , de' quali l' aria , il fuoco , banno la for za di muovere , e di
fare , le altre parti di ricevere , e quaſi di pati re , l'acqua, dico , e la
terra . La parola ſemplice quì non ſignifica indiviſibile , e Seſto ( a ) Em
pirico pur la prende in queſto ſenſo . Vè un quinto genere , b )di cui ſono gli
aſtri, e le menti ſingolari , ed Ariftotele lo pone diſimile dagli altri
quattro . Se le menti ſono tratte dallo ſteſſo elemento , che gli altri , non
ſon eſſe ſemplici nel ſenſo d'indiviſibile, ciò che Cicerone dice altrove .
Teniamo noi che l'animo abbia tre parti , come piacque a Platone, o ſia
ſemplice ed uno ; ſe ſemplice ſia egli come il foco , il fangue , l'anima ,
cioè il ſoffio . Queſte coſe conſtando di parti non ſono ſemplici. Continua
Cicerone . ( c ) Ma penſano, che di tutte ſia ſoggetto una certa materia priva
di ogni specie , e d ogni qualità , e da eui Butte le coſe ſono eſpreſſe e
fatte , e che può ricever in sè tutte le coſe . Se la materia era prima d'ogni
fpecie , d'ogni qualità , non cra corpo , e perciò conſiderata dalla mente ,
indipendentemen te dalla forza , ella era incorporea ; Selto Empirico chiama
per . incorporei i punti, le linee , e le ſuperficie . .. Platone nel Timeo ,
la chiama difficile ed oſcura fpecie , e il recercacolo d'ogni generazione, e
quali nutrice ; aggiunge , che ella non fi diparte mai dalla propria potenza ,
perciocchè tut te le coſe riceve , nè prende maiper alcun modo, alcuna forma a
queſte fimile , e prova eller convenevole , che di tutte le ſpecie ſia privo
quel. che ha in sè da ricever tisti'i generi, comequelli che hanno da fa re
unguenti odorofi, l'umida materia , che vogliono di certo odore, cori dire di
tal guiſa preparano ', che ella non abbia alcun proprio odore e colore eziandio
, vogliono in materie molli imprimere alcune pgure , los niuna mur' n. pro
latino ) ignis , & aqua , & terra prima ſunt. Ex iis au tem' orræ
animantium formæ earumque rerum quæ gignantur è ter ras, ergo illa initia , ut
è Greco vertam , elementa dicuntur ; è qui bus aer , & ignis movendi vim
habent & efficiendi ; reliquæ par tes accipiendi & quafi patiendi,
aquam dico & terram . a ) Contra Mathematicos. ( b ) Quintuin genus e quo
eſſent aſtra mentesque ſingulares earum quatuor quæ ſupra dixi diſſimiles ,
Ariſtoteles quoddameſſe rebatur . ( 6 ) Sed Salicetam putant oinnibus fine ulla
fpecie , atque carentem omni illa qualitate o ... materiam quandam ex qua omnia
eſptela , atque effecta lipt qux'- tota omnia accipere pofito ( 14 ) 1 njuna
figura affatto laſciano primieramente apparire in quelle , ma cer cano pria di
renderle quantopoſſibil fra polite. Molte altre coſe aggiunge Placone , che
Ariſtotele in una de finizione riduce , dicendo che la materia non è alcuna di
quelle co fe , di cui l'ente fi determina , e tra l'altre coſe annovera la qua
lica , e la quantità , che par Cicerone ridurre alla ſola qualità ; ma che
l'idea del corpo , e della materia foffero diverſe ſecon do gli antichi , lo
dimoſtrano le diverſe parole , con cui l'eſpri mevano , chiamando la materia
ùns, ed il corpo owllde. Chi po ne un nome , dice Platone nel Sofiſta , dalla
cofa diverſo , introdu ce veramente due coſe . La materia dunque, non eſſendo
il corpo , ella era incorporea , ed incorporea la chiama in molti luoghi Sefto
Empirico , e Plotino , la cui autorità qui è tanto più for te , quanto che egli
ſteſo col nome d'incorporeo , non ſignifi cava la ſteſſa coſa che noi chiamšamo
fpirituale . Stobeo ( a ) lo conferma col dire: Si nega effer corpo lamateria
non tanto , perchè manchi degl'intervalli del corpo , o delle tre dimenſioni ,
quanto perchè ſia priva d'altre coſe appartenenti al corpo, figura, co lore ,
gravità , leggerezza, ed ogni altra qualità , e quantità . La materia pud ( b )
in tutti i modi mutarfi , ed in ogni parte non mai ridurſi al niente, ma ſolo
in parti che poſsono all' infinito partir li, e dividerſi , nulla eſſendo di minimo
in natura , che divider non fi pola. Le coſe poi che ſi movono tutte', moverſi
con intervalli , che all'infinito ſi poſſono dividere , e cosi' movendoſi
quella forza , cheab bian detta qualità ( cioè il corpo ) e di qud , e di là
verſando per fano , che tutta affatto la materia fi muti , efi faccian le coſe,
che chix miam quali, dalle cui nature coerenti, e continue in tutte le ſue
parti è fatto il mondo , fuori di cui non v'è alcuna parte di materia , nè abas
cun corpo . Quante coſe raduna Cicerone in poche parole ! Con la divi fibilità
all'infinito della materia , eſclude gli atomi forſe ammeſ da Empedocle ne'
minutiſſimi corpicelli , che componevano gli elementi, e da Eraclito nelle
mondature piccioliflime , ed indivi fibi ( a ) Stobeo. I. 1. Egl. fil. cap .
14. 16 ) Omnibusque modismutare atque ex omni parte eoque etiam interi se non
in nihilum ', ſed in ſuas partes quæ infinite lecari , atque di vidi pollint,
cum ſit nihil omnino in rerum naturam minimum quod dividi nequeat : quæ autem
moveantur omnia intervallis moveri; quzintervalla item infinite dividi poſfint,
& cum ita moveatur il la vis , quam qualitatem effe diximus , & cum fic
ultro citroque verfetur : & materiam ipfam totam penitus commutari putant ,
& ita effici quæ appellant qualia , e quibus in omninatura cohærente ,
& confirmata cum omnibus fuis partibus effectum elle mundunt, extra quem
nulla pars materiæ fit nullumque corpus . ( 15 ) Ibili . Con la coerenza delle
parti della materia , Cicerone eſclu de il vuoto negato da tutti , da Talece
fino a Platone , onde dif ſe Empedocle: Nulla di vuoto vė , nulla che abbondi.
Accenna pur Cicerone le leggi coſtanti che conſervano icore pi movendoſi, e nel
dir che fi movono con certi intervalli , i quali all' infinito ſi poffon
dividere , non applica egli le leggi del moto a' corpi minimi come a'fenfibili
? Le parti (a) del mondo effer tutte le coſe che fono in eso, e tutte occupate
da una natura che ſente , e nella quale v'è una ragione per fetta , e la ſteſsa
fempiterna , nulla effendovi di più forteche poſsa diſtruggerla , e la
steſſadirfi mente , ſapienza perfetta , e chiamarfi Dio, ed eſer .quafi
certaprudenza di tutte le coſe , cheprovede alle coſe celefti , ed a quelle che
in terra appartengono agli uomini. Se queſto Dio degli antichi Filoſofi rifultava
dalle nature coerenti e continue di tutte le parti del mondo , ſe egli era il
ſenſo , la ragione perfetta, la ſapienza , la providenza che reg gea queſte
parti , era egli altro che una modificazione della forza e della materia ,
giacchè non v'era forza ſenza materia , nè materia fenza forza , e non era egli
ſeparatamente dalle co ſe conſiderato che un ente di ragione ? Qual relazione
ha que fto Dio al noſtro , che è un ente ſingolariſtimo in sè, e fepa rato non
per preciſion di ragione , ma realmente dalla forza e dalla materia , della
quale egli è il Creatore ? Alle volte lochiamiamo ( b ) neceſſità , perchè
null' altro pud farſi , ſe non ciò che da lei è coſtituito nella quafi fatale ,
e immutabile con tinuazione d'un ordine fempiterno ; alle volte poi lo
chiamiamo fortu na , la qual fa molte coſe improvvife , nè da noi penſate per
l'oſcuri. tà , ed ignoranza delle cagioni ; ed ecco Dio rappreſentato come
agente neceſſario , o ſenza libertà ; ecco diſegnato l' ordine fa tale e
ſempiterno delle coſe ; ecco come per la noſtra igno ranza non poſſiamo
conoſcere la conneſſione , e le conſeguenze delle ( a ) Partes autem mundi effe
omnia quæ infint in eo quæ natura ſentiente teneantur , in qua ratio perfecta
inſit quæ fit eadem ſem piterna : nihil enim valentius eſſe a quo intereat ,
quam vim ani mam effe dicunt mundi eandemque effe mentem fapientiamque per
fectam quem Deum appellant, omniumque rerum quæ ſunt ei fub jedtæ quafi
prudentiam quandam procurantem cæleftia maxime dein de in terris , eaque pertinent
ad homines . 16 ) Quam interdum neceſitatem appellant quia nihil aliter poſfit,
at que ab ea conftitutum fit inter qual fatalem , &immutabilem conti
nuationem ordinis fempiterni ; nonnunquam quidem eandem fortu nam , quod
efficiat multa improviſa hæc nec optata nobis propter obſcuritatem
ignorationemque cauſarum , ( 16 ) delle cagioni , e degli effetti loro . In
ſomma l'antica Filoſofia aveva adotata l' eternità , l' animazione , la
divinità del mondo , e l'immutabilità del Fato , le quattro coſe che Santo
Agoſtino ha egregiamente combattute nella Città di Dio . Comparando il trattato
d' Ilide , e d' Ogride di Plutarco col paſſo di Cicerone , non è difficile di
raccogliere, che la Filoſo fia Egizia ne' principi eſſenziali non era diverſa
dalla Greca , ſe non nella maniera di ſpiegarſi o ne' ſimboli . La materia , di
cui parla Cicerone , era Ilide , la quale in ogni coſa potea tramu . tarſi, e
di tutte le coſe eſer capace , della luce , delle tenebre , del giorno, della
notte, della vita , della morte , del principio , e del fi ne . La forza è
Oſiride , la cui veſte ſi facea ſenza ombra , e ſenza varietà , d'un color
ſemplice , e rilucente ; perchè ella è il principio dalla noſtramente ſolo ,
intefo , puro, e ſincero, tutt' iſimbolicontrarj a quelli delle proprietà
dipendenti dalle qualità de' corpi diſegnati per Oro . Riſultava queſti
dall'accoppiamento d'Ilde , e d'Oſiride, e chiamavaſi parto o creatura ,
rappreſentandoſi per l'ipotenuſa del triangolo miſurata dal 5 ; per cui ſi
chiamava con la voce Pente , da cui deriva Panta, o l'Univerſo , che gli Egizi
penſavano eſſer la ſteſſa coſa con Dio , nel che, come egli dice , s'accordava
Ma netone Sebenita con Ecateo Abderita . Diodoro di Sicilia nel principio della
ſua Storia , ſcrive coſa pen {aſſero gli Egizj su la generazione del mondo ,
ſul principio del le coſe , ſul naſcimento dell'Uomo. Par che Euſebio afcriva a
Tot , che è il Mercurio degli Egizj , quanto ſcriſſe Sanconiatone ſul caos, e
ſulla formazione della Luna , delle Stelle , degli Elementi . La Teologia
miſtica dei Fenici , che dagli Ebrei , ſecondo Euſebio ed altri Padri , ſi
preſe , reftd in guila alterata e confuſa, che nel caos poſero prima i principj
delle coſe, ed introduſſero poi l'arte fice o l'amore , per opra del quale
ordinarono il caos , é fabbrica rono il mondo . Orfeo il primo la portò nella
Grecia e L'Inno criſto canto del caos vetufto , E come agli elementi , e come
al Cielo Origin deffe, ed alla vaſta terra , E alla profondità del mar Amore
Antichiſſimo, e ſaggio . Il caos era la materia , l'amore , o la forma, ed i
prodotti, i compoſti, ed i corpi, ed in queſte tre coſe conſiſtea la fiſica
generale degli antichi . La ſcienza che n'eftraſſero o la metafi fica
rappreſentandola in una maniera molto indeterminata , la ſciava infeparata la
materia da Dio , e dai compoſti , ed era molto perciò differente dalla noſtra
metafiſica, la quale nell' en te include eſſenzialmente le creature , nè
s'eſtende che per un ' 9 1 5 analogia molto lontana al Creatore . Io lo
dimoſtrerò partita mente ne' liſtemi di Pittagora , di Senofane, e di Parmenide
, e ſarà facile ad applicarne l'uſo a Platone . Pittagora e Platone ( a )
giudicano , che il mondo ſia ſtato fatto da Dio : dunque le Platone fece da Dio
generar il mon do ordinando la materia fluctuante , egli imparò ciò da Pitta
gora , che l'avea imparato dagli Egizi, da Orfeo , anzi dal pro prio maeſtro (
6 ) Ferecide Sciro. Avea egli ſoſtenuto , che in tut ta l'eternità Giove , il
tempo , e la terra erano ſtati. Facciali pur di Giove, la cagione di tutte le
coſe , e gli ſi dia ſomma pruden za , e fomma ſapienza , egli non ſarà mai che
la forza , e l'amore che eguaglieraffi al tempo , e alla terra ; vi ſi aggiunga
, che poi chè Giove diede il premio alla terra ſi chiamò queſta Tellure, ( c )
non altro mai ſi concluderà , ſe non che prima la forza , e l'amo re
temperaffe, digeriſſe , ed ornaſſe quella mole indigeſta , che chiamavali terra
. Pittagora generò il mondo dal foco , e a guiſa di foco ſotti liſſimo ( d )
Iparſo, e rinchiuſo nel mondo , volea Placone , che foffe Dio . L'ornamento , (
e ) l'unione , l'ordine di tutte le coſe furono chiamate da Pittagora Coſmos, o
il mondo, e diffe egli , che il mondo viſibile era Dio . Stimò il primo , dice
Cicerone ( f) l'animo per tutta la natura delle coſe eſer diffuſo , e per la
mente da cui gli animi noftri ſono tratti , ne vide per la detrazione di que
fti diſtaccarſi , e ſquarciarſi Dio , e farſi miſera una parte di lui , mentre
queſti ſoffrivano. Dio dunque era il mondo , e l'anime era no parti di Dio ,
effetto della Metempficoſi, ſe pur non era queſta una coſa affatto poetica,
come Timeo di Locri lo dice . Virgilio eſpreſſe il ſentimento di Cicerone nelle
Georgiche. * Della mente di Dio parci efſer l' api, E forfi eterei differo ,
che Dio Va per tutte le terre, e tutti i mari , E pel profondo Ciel ; quindi
gli armenti, E le pecore , e gli Uomini, e ogni ftirpe Di fere, e ogni altra ,
che da se rimove La tenue vita allorchè naſce . Tomo II. E nell ( a ) Plut. de
Ifid.& Ofir.car. 374. Franc. Edit. Vechel . ( 6 ) Laert. (C ) S. Clem .
Aleſs. ( d ) San Giuſtino apolog. Ermia nel fine dell'opere di S. Giuſtino. (
e) Plut,plac.lib.2 . ( 1) De Natura Deor. I. 1 . Elle apibus partem divinæ
mentis , & hauſtus Æthereos dixere : Deum namque iré per omnes Terrasque tractusque
maris Columque profundum . Hinc pecudes , armenta , viros , genus omne ferarum
Quemque fibi tenues naſcentem arceſſere vitas . 1.4. Georg. . C ( 18 ) E nell'
Eneide , * Nel principio le terre , il Cielo , e i campi Liquidi, e della Luna
lo fplendente Globo , e gli aſtri Titanj , interno fpirco Alimenta , ed infuſa
in ogni membro Tutta la mole n'agica la mente E fi framiſchia nel gran corpo ;
quindi E di pecore , e d'Uomini la ftirpe, De volanti la vita , e'l mar che i
moftri Sorco la liſcia ſuperficie porta . no , Pittagora fu l'autor dell'idee ;
(a ) oſervd il primo tra'Greci che la mente non potendo rappreſentarſi
ſingolari, perchè ſono in numerabili nel compararli, ne traſfe igeneri, e le
ſpecie , ne'qua li ſi ravviſano le coſe ſparſe . Così ravviſava tutti gli
individui umani nell'animal ragionevole. Nel far queſti aſtratti ( 6 ) conſide
rò , che la materia era mutabile , alterabile , Auflibile in ogni gui fa , ma
che non vi ſono ſpecie , che s'accreſcano , o che perifca e perciò gli Uomini
oſſervandole coſtantemente in tutti i tempi, e in tutti i Paeſi le credono
eterne ed immutabili . La que ſtione era di rappreſentar queſt'idee. I numeri
convengono all'Uomo , al cavallo , alla giuſtizia , al la caſa , e a che so io
; dunque i numeri ſono univerſali , perchè atti alla rappreſentazione de'
molti. L'oſſervazione è d'Ariſtotele , ( c ) e molto più la ſtende Poſſidonio ,
riferito da Seſto Empirico , ( d ) il qual dimoſtra per i numeri aſſimigliarſi
cutte le coſe , e ſen za queſti non poterſi intendere nè gli elementi, nè
l'armonia , nè alcuna delle tre dimenſioni del corpo , nè ciò che riſulta da
corpi uniti , coerenti , diftánti, nè tutti i calcoli delle quantità fùccef
five, nè ciò che appartiene alla vita , ed all' arti fondate su propor zioni
ſolo intelligibili per i numeri . Pitragora dunque ſi ſervì del numero , per
dar un ſimbolo dei due principj delle coſe, la forza , e la materia , di cui
chiamò l'una l'uno , e l'altra il due . L'unità , diceva egli , è Dio , ( e )
ed anche il bene che è di natura * Principio Coelum , ac terras camposque
liquentes Lucentemque globum Lunæ Titaniaque altra Spiritus intus alit :
totamque infuſa per artus Mens agitat molem , & magno ſe corpore miſcet.
Inde hominum pecudumque genus vitæque volantum , Et quæ marmoreo fert monſtra
ſub æquore pontus . ( a ) Plut. plac. Phil. l. 1. ( 6 ) Plut. ib . l. 1. c.9 .
( c ) Metaf . lib . 10. ( d ) Contra Logicos . ( e ) Plut. plac . Phil. lib. 2
. ( 19 ) un ſolo , e lo ſteſso intelletto , il due infinito , e genio triſto ,
d'inser torno il qual due ſi fa la quantità della materia . Chiamava uno la
forza perchè noi la concepiamo a guiſa d'un non ſo che d'indi viſibile ;
chiamava due la materia , perchè ella è fempre divil bile in due , Di queſti
due principj, uno è quello del bene , e l'altro del male, già l'ha inſinuato
Plutarco. Archelao Veſcovo ( a ) di Cara dice ; Širiano introduce la dualità
contraria a ſe ſteffa , la quale egli preſe da Pittagora , ſiccome tutti gli
altri ſettatori di tak dogma, ; quali difendono la dualità declinando dalla via
retta della ſcrittura . Tutte in ſommal'ereſie , che vi ſono nel compendio
della Filo fofia di Cicerone , che vuol dir l'eternità , l'animazione , la
divis nità del mondo , Piccagora le raccolfe in un ſiſtema , ed in vano fi
dice, che egli nulla fcriveſſe . Liſide diſcepolo ( b ) di Pittagora in una
lettera fcnca ad Ip parco , dopo la morte del maeſtro ſignifica non voler
comuni care ad alcuno i precetti, e dimoſtra che delle coſe , le quali di ceano
i ſeguaci di Pitcagora , non ve n'era nè pur ombra. Por firio nella vita di
Pittagora dice , che agli Uomini oppreſli da tale calamitat, ( cioè dalla morte
di Piccagora ) : manca lo ſciens di lui , la quale arcana e recondita cuſtodida
in petto , nè vi reftas fono che certe coſe difficili da intenderſi imparate a
memoria dagli udi tori dell'eſterna Filoſofia, poichènon v'era alçun ſcritto di
Pittagora ; ed aggiunge ,che dopo la morte di lui „ Lilide , Archippo ,ed altri
furono folleciti , chei penſieridiPiccagora non ſi pubblicaffero , onde eutti gli
arcani della ſua Filoſofia con lui perirono'. To dubito aſſai del la vericà
della lettera di Liſide, la quale con quel che dice Porfirio pud eſſere ſtata
finta ,perchè i Criſtiani nontraeſfero argomenti da quanto ci reſta diPitagora
, in Cicerone, in Plutarco , in Laer zio : ma ſe non v'era coſa alcuna della
Filoſofia di Pittagora ,.co me poi Jamblico poeea gloriarſi di riftabilirla ; e
non è manifeſto che egli la riſtabili a fuo modo per combattere i Criſtiani
de'quali fu accerbo' nimico ; lo ſteſſo Porfirio , che dice nulla aver fcric to
Pittagora , come poi ebbe fronte d'afferire , che egli avea ſcrit to fu l'ente
, il che Euſebio ( c ) riferiſce ? Diſcepoli di Pitcagora furono Archita
Tarentino il vecchio , Pe ritione , Timeo di Locri, ed Epicarmo. Archita il
vecchio ( d ) , che Simplicio confonde col giovine , fcriſſe delle dieci voci
corriſpondenti ai dieci concetti dell'animo , i quali s'eſtendono a cutte le
cole , potendoſi d' ognuna cercar la ( a ) Zaccagna collect. monumentorum
veterum Eccleſiæ Græcæ , atque Latinæ . Archelai Epiſcopi acta . ( 6 ) Galeo .
( c ) Propof. Evang, lalg . (d ) Patrizia diſcuſ, Peripa,1 ( 20 ) la ſoſtanza ,
la quantità, la qualità , l'azione , e gli altri acciden ti regiſtrati a lungo
da Ariſtotele nella ſua Logica , in cui copiò il trattato di Archita . Lo
Stanlejo , che pretende di numerare tutte le donne Pitcago riche , omette
Peritione, e pur eſser ella dovea la più celebre ,le da lei trafse Ariftotele (
a ) tutta l'idea della ſua metafiſica . Lo prova con molta erudizione il
Patrizio , allegando la definizio ne della fapienza di Peritione , e
comparandola con quella di Ariſtotele. Laſapienza , diceva ella , verſa in
tutt'i generi degli en ti , perchè verſa intorno tutti gli enti , come la
viſione intorno tutti i viſibili. Ariſtotele definì la metafiſica, per la
ſcienza che contem pla l'ente , in quanto ente , e le coſe che per sè gli
convengono . Peritione egregiamente ſpiegò gli accidenti dicendo : delle coſe
che accadono agli enti , alcune univerſalmente accadono a tutti , alcu ne altre
a molti di loro , e certe ad un ſolo , ma riguardar univerſal mente , e
contemplar tutti gli accidenti appartiene alla ſcienza . Que. fte ed altre cole
che ilPatrizio aggiunge, danno idea della preci fione , e nettezza di Peritione
, e nel tempo ſtefso quanto tra' Pittagorici erano familiari l'idee
Pittagoriche , ſe le donne ſtef ſe ne ſcriveano con tanta eleganza filoſofica ·
Non dobbiamo tuttavia meravigliarſene , di poi cheabbiam veduto ne’noftri gior
ni Madama la Marcheſa di Chatelet , ſcrivere ſulla natura del. le monadi
Leibniziane , queſtione molto più oſcura di quella dell'ente . Timeo di Locri
nel ſuo ragionamento ſull'anima del mondo , in queſta univerlità di natura ,
dice egli , v'è un certo che, il qual rimane , ed è l intelligibile eſemplare
delle coſe , che ſono in un fuſo perpetuo di mutazioni, e queſto nelle vicende
delle coſe ſingolari , co ftante, e perpetuo eſemplare ſi chiama idea , ed è
dalla mente compre fo . Nell'univerſità dunque delle coſe , che vuol dir dentro
le coſe o in cutti i compoſti v'è quel non ſo che , che mai non cangia , e può
dalla mente eſtrarli qual idolo . Le coſe ſenſibili eſser in un perpetuo fluſso
lo diſsegnarono , al dir di Platone , nell'Omero , ed Eſiodo ſotto l'imagine
dell'Oceano , e di Te ti , e di queſte non aſsegnarono fcienza i Pictagorici ,
ma ſolo di quelle , che nè col ſenſo , né coll' immaginazione ſi ravviſa no , e
queſta fu la prima differenza tra la Filoſofia Jonica , e l'Italica . Epicarmo
ſommo Poeta , come Omero al dir di Platone , so all' una grandezza d'un cubito
( diceva egli ) altra tu voglia aggiun gervi o ſottrarsi, non avrai mai certo
la Nera miſura ; gli Uomini pa rimen ( a ) Patriz. l . 2. cap. 1. diſcuſ.
Perip. ( 6) Ragion, ſu l'anima del Mondo . ( 21 ) rimente conſidera or
accrefcere , ed or decreſcere , tutti ſoggiaciono ai cambiamenti del tempo . (
a ) Jeri tu fofti un altro , io pur vi fui, E un altro ſiamo in queſto tempo ,
e fieno Di nuovo gli altri , che non mai gli ſteſſi Noi ſiamo , come la ragion
lo predica . Per l'Intelligibile così parlo : A. L'arte tibicinal è qualche
coſa ? B. Perchè no . A. Forſe è l' Uom queſta tal arte ? B. Non mai A. Vediam
, che coſa queſto ſia Tibicine B. Egli è un Uom ; non dico il vero ? A. Il ver
ma ftimi che non debba diri Ciò pur del bene ? Io voglio dir che il bene Una
coſa pur ſia , ma s'altri impari Ad effer buon ei già dirafli buono ; Il
Tibicine è quegli che la tibia A ſuonar imparò. Quel che a ſaltare Salvatore ,
e ceſtor quegli che a teſſere Impararo , e così d'ogni altro l'arte Certamente
non è , ma ben l'artefice . Nel dir Epicarmo , che il bene è una coſa come
l'arte , e che nè il buono , nè l'arte ſono gli uomini che la partecipano, egli
c ' inſegna a far le aſtrazioni della mente , la qual avendo comparato tra loro
molti Uomini che fien buoni , molti tibicini , molti falcatori e teſtori , ne
ha compoſto quell'idea , che poi convie ne a tutti . Queſt'idea reſtando ſempre
la ſteſſa in tutti i tem pi , ed in tutti i caſi, per quanto variano i
temperamenti, e le figure degli Uomini, li confidera ſempre nello Iteſſo modo ,
ed è principio del diſcorſo , o di ciò che nel Teeteto ſi chiamano analogie
ſcoperte , le quali nel raccogliere le coſe col mezzo de' ſenli , le fanno
comprendere la ragione. Epicarmo era contemporaneo di Senofane, come ſi diffe ,
ed eccoci a ' Filolofi più vicini a Socrate, ed indi a Platone , i qua li a
poco preffo ſi trasfuſero le ſtelle idee non diverſificate , che dalla maniera
d'eſporle, e di colorirle . Senofane, dice Euſebio , e quelli ( 6 ) che lo ſeguirono
, moſfero così con ( a ) Laerzio Vita di Platone . ( 6 ) Lib. 11. cap. 1. Prep.
Evang. ( 22 ) 1 . 1 contenzioſe ragioni , che piuttoſto arrecareno a'
Filoſofanti confuſio ne , che ajuto . Pittagora volea che il mondo foffe eterno
, benst come gli altri Filoſofi , quanto alla materia , ma non quanto alla
forma, poichè credea che foſſe ſtato generato dal foco; Se nofane pofe il mondo
non generato , ma eterno , 'aderendo ad Ocello Lucano , che fcriffe fu
l'eternità del mondo prima d'A. riſtotele ; ecco la prima differenza tra
Senofane, e Pittagora Un'altra più forte ve n' era ; Pittagora avea pofti per
principj l'uno , e il due , Senofane riduſſe tutto all'uno , Senofane",
dice Cicerone ( a ) , è più antico di Anafagora ; vuel che uno fieno tutte le
coſe , nè queſto uno è mutabile , ed è Dio non mai nato , e ſempiter no , e di
conglobata figura . Seſto Empirico ( b ) parlando per bocca di Timone
foggiunge, che fecondo Senofane l' Univerſo era una fola coſa , che Dio
eſiſteva in tutte le coſe , e che era di figura sfe rica , e di ragione dotato
. Ad Empirico ſi conforma Laerzio ( c ) dicendo , che ſecondo Senofane , Dio
nella materia tutto udiva tutto vedeva , ſebben non reſpirale, e che tutte le
coſe inſieme erano la prudenza , la mente , l'eternità . Io dimando, ſe nel far
Dio fparfo per tutte le coſe, e fen ſitivo, e prudente, e intelligente,
differiva egli dall' opinione che Cicerone eſpoſe nel compendio della Filoſofia
? Non v'è che la figura sferica che gli aſſegna Senofane , e per cui non
infinito , ma finito lo rende ; ma chi fa , fe nel concepir gli antichi la figu
ra sferica , comela più ſemplice , intendeſſero ſimbolicamente d'ac tribuir a
Dio tutte le perfezioni ? converrebbe faper fe Senofane fcriſſe ciò in profa,
od in verſo , e ben eſaminare tutto il conte fto della fua dottrina . Non
reſtandoci che conghietture , io m'at tengo a quella del ſimbolo per accordar
Cicerone con ſe ſteſfo , il quale nella natura degli Dei combatte Senofane, che
aggiunſe la mente all'infinito . Queſt'infinità era una conſeguenza del fuo
ſiſtema , perchè ſup poſta l'eternità della materia cost argomentava : ( d )
Eterno è cid che è , se è eterno è infinito , fe infinito uno , ſe uno fimile a
sèl . Di nuovo ſe l' uno è eterno e ſimile , egli è ancora immobile , fe immobile
non ſi trasfigura per poſizioni, non ſi altera per forme, non ſi miſchia con
altri . Ariſtocele elamina i ſoffiſmi contenuti in queſto ragio namento ; il
principale è ; da ciò che il mondo è ecerno , infini to , uno , non ne fiegue
che egli lia effettivamente immobile , per che le coſe eſiſtono nella maniera
che poſfono eſiſtere, e la materia ſe ſteſſa il principio del moto non v'è
contradizione a cont ( a ) Queſt. Acad. lib. 1 . ( 6 ) Lib . 1. dell'ipotipoſi
. ( c ) Laert. lib. 9. idí Arift. contra Xenof, Zenon. & Gorgiam . eſſendo
per i 2 ( 23 ) a concepire, che il moto ſia eterno come la materia . Coloro che
ammettevano il caos eterno , davano eterno il moto , ſebben ſen za regola o
forma . Non ſi cerca qui però , ſe concludeſſe l'argomento di Seno fane , ma
ſolo qual foſſe la ſua ſentenza , e coſa egli ne dedu ceſse . Come poi
accordarla colla ſua fifica? Ammetteva egli per principj ( a ) delle coſe
naturali la terra , il foco , l'aria , e l' acqua , e dalle alterazioni di
queſti elementi, rendea tutti i miſti a generazione, e corruzione ſoggetti.
Grand uſo fece di quefte due coſe , perchè, ſecondo lui , conſiſteva il So le
negl'ignicoli raccolti dall umida (6 ) eſalazione in una nuvola ignita , e la
Luna in una nuvola coſtipata . Manon era poſſi bile decerminare il grado di
verilimiglianza filoſofica ch'egli da va all'Ipoteli, poichè nelle ſentenze
filiche di Senofane y' è mani. feſta contradizione . Poneva egli de' Soli
innumerabili , e la Lu na abitata . I ſoli innumerabili erano quelli de'
Pitcagorici , e di Orfeo ( C ) ; ma come abitar una nuvola ? La terra ( d ) la
quale per immenſa profondicà fi ftendea di ſotto , era coſa ri pugnante alla
sfera armillare che Anaſimandro forſe di lui, maeſtro avea inventata o
propagata per cutta la Grecia . Cor revano allora tali dottrine, e Senofane ,
in Colofone, in Atene, in Sicilia , e in Elea le avea ſtudiate ; avea Talęce
calcolate l'eccliffi del Sole, e della Luna , avea Pittagora applicare al
liſtema celeſte le conſonanze Muſicali, e nella lira a lette corde determinato
il pu mero , e le diſtanze de' Pianeti ; non è poſſibile , che Senofane in un
tempo così illuminato voleſſe diſcredicare il ſuo ingegno con ipoteſi aſſurde e
ad ogni ragione contrarie ; non erano dunque , che idoli fantaſtici, iperboli
poetiche, o ſimiglianze groſſolane, in cui ſi deve più badare al color, che
alla coſa . La grande difficoltà di Senofane era nel combinare il fiſico col
metafiſico , o lo ſtato ideale con l'obiettivo . Avea già ſtabilito Pictagora ,
l'intelletto altro non eſſer che ( e ) mente , ſcienza , opi nione , ſenſo, da
cui tutte l' arti, e le ſcienze nacquero. Egli diſse gnava la mente per l'uno ,
ciò che adeſſo noi chiamiamo lemplice intelligenza ; diſegnava la ſcienza pel
due , poichè s'acquiſta la ſcienza deducendo una coſa da un'altra ; diſsegnava
l'opinione per il tre , poichè nel trar la conſeguenza da un principio proba
bile ſe ne riguarda nello ſteſſo tempo due , in uno de'quali v'èla ragion
ſufficiente d'affermare, nell'altro di negar la coſa . I Pit 3 ta ( a ) Laert.
vit. di Xen. Plut. plac. ( 6) Plutar. lib .... Origenes Philoſ. ( c ) Veggali
Moefenio ſu l'eſiſtenza d'Orfee . Plutar. plac. de Fil. lib.i. ( d) Gregorii
Aſtronomici Pref. ( c ) Plutar. lib. 1. de plac. ( 24 ) tagorici furono tutti
dogmatici , o per dar credito alle ſentenze del ſuo maeſtro , o perchè pareſſe
loro , che la fapienza non do veſſe mai eſſer miſtad'ignoranza , come accade
nell' opinione milta dell' una , e dell' altra . Senofane fu il primo ad
introdur il dubbio nella Filoſofia, e quindi l'opinione. ( a ) Chiaro l'Uomo
non ſa , nè ſaprà mai Degli Dei coſa alcuna ed altre coſe Che da me dette fur ,
ſiaſi perfetto Pur quanto ei dice , tuttavia non fallo , E v'è opinion in tutte
queſte coſe . Da queſti verſi Seſto Empirico inferiſce , che Senofane non to
glica la comprenſione, ma ſolamente quella che dalla ſcienza de riva ; nel dire
in tutte queſte coſe d'è opinione accenna il proba bile , e l'opinabile , onde
conclude che Senofane deve porſi tra coloro , che negano darſi criterio della
verità , e non tra gli ac cattalecici , che negavano alcuna coſa poterſi da noi
compren dere . L'autorità di Selto Empirico è d'un gran peſo , ove ſi tratta di
determinare i gradi della cognizione , ma non è da ſprezzar fi ciò che dice
Cicerone ( b ) : Senofane e Parmenide quan tunque con non buoni verſi però con
certi verſi accufano quaſi irati d'ignoranza coloro , che ofano dir di ſaper
qualche coſa allo ra che nulla fanno . Chi dice nulla eſclude ogni ſcienza , ed
ogni opinione . Senofane ſi diſtinſe per la Logica , ( c ) e ſecondo la Cro
nologia di Euſebio , (d ) egli fu udito da Protagora , e da Nef ſa ; Metrodoro
udi Nefra ; Diogene Metrodoro ; Anaſarco Diogene, e coſtui Pirro d' Elea , dal
qual ebbero nome i Filo ſofi Scercici fino a Gorgia , il qual diceva : Non v'è
nulla ; ,fe anche vi foſe qualche coſa , non ſi potrebbe comprendere , e ſe
compren dere , non mai ſpiegare con le parole . Come inoltrarſi dopo tale raf
finamento di dubbj ? Tra i diſcepoli però di Senofane il più illuſtre fu
Parmeni de deſcritto da Platone nel Teeteto qual vecchio grave , e vene rabile
e di una profondità al tutto generoſa , il che vuol dire, ſe mal non m'appoogo
, che egli nella diſputa non era oſtinato , ſu perbo , rozzo ed agreſte, come
Ariſtotele ( e ) dipinge Senofane è Meliſſo . Socrate in quel Dialogo , ed in
altri s'aſtiene quanto pud ( a) Xenoph. ap . Seſt. Emp, adv. Matem. ( 6 )
Queſt. Acad. l . 2. ic ) Eufeb.1.6 . C. 19. ( d ) Id. l . 12, c . 7. ( c )
Metaf. lib. ... ( 25 ) può di ragionare contro le ſentenze di Parmenide per la
rive renza che ad eſſo portava . Euſebio ( a ) caratterizza la dottrina di
Parmenide , qual via contraria a quella di Senofane . Ermia però , dice
Parmenide in bei verſi, c'inſegna che queſto Univerſo è eterno, immobile , e
ſempre ſimile a ſe ſtero . Lo ſteſſo Euſebio credeva, che ſecondo Parmeni de
l'univerſo foſſe ſempiterno , ed immobile . Stobeo riferiſce , che Senofane,
Parmenide, e Meliſſo colſero affatto la generazio ne , e la corruzione. In che
dunque diſconvenia Parmenide da Se nofane , ( 6 ) Ariſtotele chiaramente lo
ſpiega nell' accennar la dif ferenza che v'era tra Parmenide e Meliſſo ,
dicendo : volea Par menide, che tutto foſe uno ſecondo la ragione , e Meliſo
ſecondo la materia , e da queſti due differiva Senofane, che chiaramente non
dif ſe nè l'uno , nè l'altro . Eſer uno ſecondo la materia , è il medeſimo che
ritrovar nell eſſenza della materia la ragion ſufficiente dell'unità della
ſteſſa . Ed in fatti una è la materia , fe in tutte le parti e nel tutco e
nella medeſima fpecie è omogenea , qual Cicerone la deſcrit ſe nel compendio
della filoſofia , e l'ammiſero Platone , ed Ariſto tele . Cicerone rammemora
ancora la forza , utrumque in utroque , ma conſiderando forſe Meliſſo , che gli
effetti della forza, o ſieno le forme, ed i modi aggiunti ſucceſſivamente alla
materia , non mai erano continuamente cangiando , gli eſcluſe dall'eſſenza , e
in con ſeguenza dall'unità della materia ; ma ſe una era eſſenzialmente la
materia , uno era il mondo o l'univerſo , che da eſſa riſultava e ſe uno in ſe
ſteſſo indiviſibile , eterno , ed immutabile . Malgrado dunque le continue
aggregazioni delle parti ne' loro tutti , e le continue diſſoluzioni de'tutti
nelle lor parti , malgrado le altera zioni , le generazioni, e le corruzioni,
contemplando Meliſo l' univerſo nella parte effenziale lo credeva uno , e
immutabile in quella guiſa che è ilmare, non oſtante le continue agitazioni che
foffre da innumerabili flutti . Se tal era la ſentenza di Meliſo, ella non è
men empia ri ſpetto a noi, che ridicola preſo i Pagani , perchè la materia , fe
condo lo ſteſſo Cicerone , non può aver coerenza , e in conſeguen Tomo II. d za
( a ) Cap. 5. l. t. Præp. Evang. ( 6 ) Parmenides unum fecundum rationem
attigiffe videtur , Meliſſus vero fecundum materiam , quare id & ille
quidem finitum , hic ve ro infinitum ait effe , Xenophanes autem quando prior
iſtis unum poſuerat ( nam Parmenides hujus auditor fuiffe dicitur ) nihil tamen
clarum dixit , & neutrius eorum naturam attigiſſe videtur , ſed ad folum
coelum refpiciens ille unum ait effe Deum . Metaf, Arift. l . 1 . cap . 5.
ediz, Parigi (20 ) 1 1 1 4 > za unità , ſe non è ritenuta da qualche forza ,
e la continua ſuccef fione delle forme conſiderata affolutamente in ſe ſteſſa ,
non è me no eſſenziale al mondo , che alla materia . Ragionava dunque più
ſottilmente Parmenide ; dalla materia , e dalla forza , dalla ſoſtanza , e
dall'accidente , avea coll'aſtra zione della mente dedotta l'idea dell'ente e
dell'uno, e preten dea che l'uno nel ſuo concetto aſtrattiflimo preſcindeffe da
tutte le forme, e le differenze dell'ente ſteſſo . Il P. Maſtrio quali tre
mille anni dopo ebbe una fimile idea , poichè egli vuole che l'en te in quanto
tale preſcinda dal finito , e dall'infinito , da Dio , e dalle creature e la
ſentenza è ſeguita da tutti gli Scotiſti . Qualunque ella fiali , certo è che
come quella di Parmenide curta opera della ragione più raffinata , e che ben
diſſe Arifto tele , che l'uno di Parmenide era tutto ſecondo la ragione, non
che la ſentenza di Meliſſo ancor non lo foffe , ma egli nel fondarla tutta
ſulla materia croppo s'accomodava ai pregiudizi del ſenſo . Da Parmenide , e da
Meliſſo ſi diſtaccava Senofane, il quale ef ſendo il primo a ragionare
dell'immobilità dell'ente e dell'uno , s'at tenne alla concluſione ſenza
ſpiegar il metodo con cui la deduſſe. Ariſtotele ( a ) che avea diviſe le loro
fentenze nella metafiſi ca , par che nella fiſica le confonda dove diffe', che
altri di lo ro tolfero la generazione' , e la generazione , e la corruzione, i
quali come ben dicano in altre coſe non ſi deve perd penſare che parlino da
Fifici , poichè l'efervi alcuni enti immobili è più inſpezione di una ſcienza
ſuperiore, che della Fiſica. Non condanna dunque Parme nide , e Meliffo ,
perchè aveſſero tratcato dell'unità , ed immo bilità dell'ente, ma perchè ne
aveano fatto un punto di Fiſica , dalla quale egli eſclule il trattato delle
coſe eterne , e immuta bili , onde credendo che il mondo , e il Cielo lo
foffero , parte ne trattò nella ſteſſa metafiſica , e parte ne' libri del
Cielo; na chi può credere che Parmenide non diſtingueffe queſte due ſcien ze ,
avendo aſſegnati due principi delle generazioni, il foco , e la terra ? e
determinato che un foco ſottiliſſimo , o lia l'etere cingeſſe gli altri , e che
movendoſi in vortice raffrenaffe colla ſua rotazione ſe ſteſſo , e le coſe
contenute, ciò che è il principio de' più moderni Filoſofi. ( 6 ) Egli
componeva il mondo di molte ghirlande tra loro teſſüste , una rara , e l'altra'
denfa ; fra le ghirlan de ne poneva dell'altre meſcolate di tenebre , e di luce
, e volea che la coſa la qual a guiſa di muro le circondava forje foda , e
maliccia . Queſte ghirlande, e corone erano i vortici di Empedocle, dei qua li
egli dice parlando de caſtighi de'genj. Quelli ( a ) Ariſt. Fiſic. lib. 1 , ( b
) Plut, lib. 2. cap. 7 . ( 17 ) ( * ) Quelli nel mar ſollicitante forza Dell'
etere rifpinge , e fola ſpucali Ne’ſotterranei abimi, e nella lampada Dell'almo
Sole dalla terra cacciali , E il Sole infaticabile tramandali Ne' wortici
dell'etere . Accoppiando il paffo di Parmenide con quel di Empedocle, par che
tutti due deſſero vortici alle Stelle , raffigurando Parinenide nella luce le
fiffe , e nelle tenebre i Pianeti ; chi sa, che queſta coſa maf ſiccia non
foſſe il moto del vortice tutto luminoſo , perchè tutto etereo , il quale
impediffe con la ſua forza di rotazione lo sfaſcia mento del mondo viſibile ?
il moto della Luna , dice Plutarco , ( a ) ol'impero con cui gira , l'impediſce
di cadere in quella guiſa , che la fionda torta in giro dalbraccio impediſce la
caduta del faffo . Vuol Favorino, che Parmenide primo ſcopriſſe, che la ſteſſa
Stella pre cede il Sole la mattina , e lo fiegue la fera, o che il Veſpero è lo
ſteſſo che il Fosforo . Plinio ne attribuiſce la ſcoperta a Piccago ra, il
quale veriſimilmente la portò d'Egitto , col ſiſtema cele fte ; ma forſe
Parmenide, nella Teoria di queſta ftella , più che gli altri Pittagorici ſi
diſtinſe, come Filolao nel moto della ter ra . Filolao la facea gira r in
cerchio intorno alSole , ed Ecfan to volea , che movendoſinon partiſſe dal
proprio luogo , ma fer mata a guiſa di ruota , ſopra l'aſſe proprio intorno
quello giraffe da Occidente in Oriente ; non (6 ) aderiva Parmenide , nè a Filo
lao , nè ad Ecfanto , ma conſiderando la terra d'ogni intorno egualmente
lontana dalCielo , la ponea in equilibrio , e voleva che ſenza eſſer fpinta da
alcuna forza a queſto , o quell'altro verſo , ella fi ſquaſfaſe bensì , ma non
ſi moveſſe . Parmenide feparò il primo le parti abitate della terra fuor de'
cerchj fol ftiziali , indizio manifeſto , che egli avea proficcato delle teorie
di Anaſimandro , di cui ſi ſuol far ignorante Senofane. Tal era : il ſiſtema
aſtronomico di Parmenide : nel fiſico egli divinizzò la guerra , la difcordia ,
l'amore , e diffe : Di tutti gli altri Dei cauſa è l'amore . * Αιθέριον μεν γαρ
σφεμένος πόντον δε διώκει , Πόντος δέσχθονος έδας απέπτυσε, γαία δ' εσαύθις
Η'ελία ακαμαντος , ο δ αιθέρος εμβαλε δίνεις . Α'λος δ' εξ άλα δέχεται και
συγένεσι δε πάντες . Plut. de Ifide , & Ofiride . ( a ) De facie Lunæ . 16
) Plut,deplac . Phil. lib. 3. d 2 Cosi ( 28 ) 1 Così gli attribuiſce Simplizio
, ed Ariſtofane colle da Par menide l'amore che ordina , e fabbrica le coſe
nella commedia degli uccelli , gli altri Dei non erano, che gli elementi già di
vinizzati da Parmenide. ( a ) Empedocle l' emulò , benchè egli quattro elementi
poneſse , e due Parmenide , il foco , e la ter ra , principali architetti delle
corruzioni, e delle generazioni, e che rarefatti, o condenſati , ſi cangiano in
aria , ed in acqua . I principj, ſecondo Ariſtotele , devono eſser tra loro
contrari , e nulla v'è di più contrario , che il caldo , e il freddo , a quali
corriſpondono il raro , ee ilil denſo denſo,, ilil moto moto ,, e la quiete .
Tutto queſto ſiſtema fiſico di Parmenide eſpreſse Platone nel Sofiſta . Le mu
je Jadi, ele Siciliane, dice , a queſte poſterioriſtimaronocoſa più ſicura
d'annodare le coſe inſieme , in modo che l'ente ſia molte coſe ed uno , e ſi
tenga colla diſcordia , e colla concordia , perchè diſcordando ( 6 ) fem pre
s'accoſta egli come dicono le più forti muſe , ma le più molli non hanno voluto
, che ciò ſe ne ſia ſempre così, ma privatamente alcuna volta dicono che
l'Univerſo ſia uno , ed amica per Venere, altra volta molte , e con sè per ſeco
diſcordanſi con certa conteſa . S'io non m'in ganno , qui s'allude all'amicizia
, e alla diſcordia , o all’amore , e alla lite, che Parmenide poſe come
principj efficienti delle genera zioni , e corruzioni; molti Poeti ſtaccando
ciò dalle Poeſie di Par menide, e di Empedocle , non ifpiegarono con la lite, e
con l'ami cizia , ſe non alcunifenomeni particolari , come chi dalſiſtemadel
Newtono , il quale poſe per principio univerſale l’ attrazione ; al tri ſolo la
prendeſse per iſpiegare i fenomeni del magnetiſmo, e poi per iſpiegare
l'eletricità , la gravità ec . fi valeſse d'altro prin cipio . Non può dirſi
dunque , che Parmenide non foſse eccellente Fi fico , ſe egli allora penſava a
ciò che il Newtono pensò tanti ſeco li dopo ; ſcriſſe in verſi il trattato
della Natura , come Lucre zio , ma il Poema s'è perduto, e non ce ne reſta che
il principio conſervatoci da Seſto Empirico . ( c ) Mi portano i deſtrier , e
quant'io voglio Traſcorrono ; che già m'aveano tratto Nella celebre via del
Genio ; via Di cui m'aveano ammaeſtrato appieno Gľ ( a ) Cicerone .... 6 ) Nel
Gítema Newtoniano in tanto una parte di erta fugge da un' altra parte , in
quanto ella è attratta con più forza da un altro corpo ; quindi dall'attrazione
ſi deduce l'a repulfione. ( ) I verli ſono in Seſto Empirico contra Logicos. (
29 ) 1 Gl'infigni coridori, e dalla fama. Correndo il cocchio ſquaſsano , cui
Duce Le fanciulle precedono , ma l'aſſe Splende ſtridendo nell'eſtrema parce
De' raggi tra due fiſso orbi torniti . Allorchè s'affrettaro le fanciulle
Eliadi , e della notte abbandonando Le café tenebroſe oltrepaſsarle , Nella via
della luce al fine entraro ; Da i ſpiragli rimoſsero le vele Con man robuſta
dove ſon le porte Delle vie della notte , e della luce ; L'une e l'altre
circonda un arco immenſo , E il pavimento tutto n'è di marmo ; Agiliffime
corronvi, e s'appreſsano Colà dove tenea Dice le chiavi, L'ultrice Dea , che
premj , e pene imparte . Con parole molcendola ottennero Le fanciulle , che
all'uſcio ella fmoveſse L'interna leva . L'adattata chiave Spalancando le porte
per immenſo Foro i chioſtri ſcoperfe , mentre l'affe Si rivolgeva , e l'orbita
del cocchio , Facilmente reggean l'alme fanciulle , A cui ben pronti il cocchio
, ed i cavalli Ubbidiro . La Dea liera m’accolfe , E per la deſtra preſomi usd meco
Tali parole . Dio ti ſalvi , o figlio Dilecto figlio, che alla noſtra Řeggia
Guidarono que' nobili deſtrieri Che hanno in forte di reggere il divino Cocchio
, nè rea fortuna ti conduſse In tal via . Non è trita a paſſi umani Ma
audacemente di pregare è d'uopo I Numi , onde ti laſcino le leggi Inveſtigar
della natura , in grembo Di veritade , che a ubbidire è proſta , E de' mortali
tu fuggir potrai Le opinion , di cui non vera fede , Ma tu rimovi il tuo
penſier da queſta Via di ricerca , nè ti sforzi lunga Eſperienza delle coſe gli
occhi Figgere accenti o pur aperte orecchie Ai ( 30 ) Ai dogmi che ragion non
prova . Quello Che ti preſcrive eſperienza lunga La ſola mente dall'error
corregge . Seſto Empirico , comentando queſti verſi oſſerva , che Parmeni de
chiama gli appetiti dell'animo i cavalli , la ragione il genio , o demone , e
gli occhi le fanciulle Eliadi ; tutto il reſto è fancaf ma poetico , e,
comeSenofane , egli penſava intorno alla ricer ca del vero ; concludendo il
giudizio appartener alla ragione , e non ai ſenſi , ſenza eccettuare i due
delladifciplina , o l'udi to , e la viſta ; dogma che fu poi quello
dell'accademia , come a lungo Cicerone lo prova . I verſi fe hanno per oggetto
cofe fublimi, e leggiadramente accoppino l' allegoria all' imitazione , e all'
armonia , foddisfanno in un tempo ſtesſo , al fenſo, alla fantaſia , e
all'incellecco , ono de queſte potenze coſpirando inſieme a ben rappreſentarci
le co fe cantase , a preſtano ſcambievolmente le loro cognizioni, affin chè
troppo sfumando nelle aſtrazioni , non ſvaniſca l'idea , e le ſenſazioni, e i
fantasmi non l'offuſchino , ma ſervino alla mente di ſpecchio per ben
contemplarla. La grande arte è , che lo ſpec chio non abbia troppo d'aſprezze,
le quali non diſpergano ſover chiamente , ed affortiglino il raggio , che
turbaco non ci laſci diſcernere , dove è l'oggetto. Alla proſa dunque , ma
proſa poe tica ricorre Platone volendo appagare tutte le potenze della anima .
Ed eccoci finalmente a Platone, dopo d' aver eſaminato come Pittagora dall'eternità
, divinità , animazione del mondo racco glieſe l'idee ; le divideſfero in certe
claſſi generali i Pittagorici le diſtaccaſſero dal tutto , e ne faceſſero degli
enti a parte ; come Senofane, il primo ricavaſſe la concluſione dell'ente uno
ed im-. mobile , come Parmenide contemplaſse ſecondo la ragione queſt' idea , e
nelle coſe fiſiche s'uniformaffe a Senofane , diſtinguendo ľ opinabile dal vero
. Tutta queſta fabbrica era fondata ſu la maniera di penſar di Pictagora ,
maniera falla , e pienamente diſtrutta da Padri, che molto al di là del IV .
fecolo non combatterono collo fteffo Pit tagora , ma con Platone , di cui ſi
debbe adeſſo rintracciare qua li influenze aveſſero nel Dialogo la dottrina
dell'idee , dell'uno immobile , e dello ſcetticismo , perchè egli vi parla , e
dell'idee , e dell'uno , e tutto proponendo per iporeli nulla conclude. Prima
però di ſviluppar queſte cofe l'ordine della doctrina ricerca , che favelliamo
dello ſtile Platonico in generale . Profonda e delicata cognizione della lingua
Greca ſi ricerca per ( 31 ) e per ben intendere la bellezza , la forza , e
l'armonia dello ſti le poetico di Płacone ; l' Abbate Fraguier , che in tutto
il cor ſo della ſua vita , l'avea con un ſpirito molto colto nella Poeſia Greca
, e Latina , ed in ogni altro genere di belle lettere ſtu diato , ben
eſaminando il ſuo ſtile , ritrovava che Platone avea trasfuſo ne' Dialoghi l'
Epico , il Lirico , ed il Dramatico . Com parava egli la profopopea , colla
quale Dio nel Timeo ra giona agli Dei inferiori 'all' ode più ſublime di
Pindaro travedeva nelle narrazioni dello ſteíſo Timeo , e in alcune del la
Repubblica , la magnificenza Epica dell'Iliade . Nel paſſo cita so di ' Ateneo
', Gorgia mal ſoddisfatto di quel Dialogo intito lato col ſuo nome , ci dice ,
che un giovane, e Lepido Archilo co regnava in Atene ; allude egli a Platone ,
che irritato con tro i Sofifti, non riſparmid le accucezze, ed i ſali contro di
lo ro , ma i ſali di Platone non erano aſpri, ed ulcerofi , come quelli di
Archiloco , e di Ariſtofane , ma eſtratti dallo ſteſſo mare , in cui nacque
Venere. Così Plut arco dice di Menandro , e con non men di ragione io poſſo
dirlo di Platone , che tut to comicamente condiſce con le grazie , e con le
luſinghe della Poeſia di Omero , ed ingentiliſce in guiſa le accuſe de Sofiſti
, che non mai gli affronta con quell' ingiurie , colle quali il Re de'Re alla
preſenza dell'eſercito rinfaccia Achille . L' ironia di Socrate a ' è la chiave
, ed ella è così ben maneggiata , che da alcuni ſi crede nel Menedemo ( a)
lodarſi le orazioni funebri, e pure vi ſi condannano . L'allegoria è perpetua
in tutti i Dialoghi; allegorici ſono i nu meri armonici, di cui teſſuta è
l'anima del mondo ; allegoriche le Sirene degli orbi celeſti; allegorico il
carro dell'anima, l'ali e il coc chiere; allegorici gli Androgini, la naſcita
dell' amore, la gradazionedegli animali di Prometeo, e di Epimeteo, la guerra
de gli Atenieſi contro i popoli del mar Atlantico , e quanto diſſe dell'Iſola
Atlantica , e ſulle leggi, esu i coſtumidegli abitanti; tutto vi è finto per
preparar l'idea della Repubblica , il cui modello cerca Platone nella fabbrica
ſteſſa del mondo , ed ordiſce così la men zogna poetica, che molti
s'affaticarono di ſpiegare ſtoricamente l'Iſola Atlantide, come il Ciro di
Senofonte . Più s'occulta Pla tone in certe allegorie incluſe nelle frafi
poetiche, per le qua li ſimboleggia molte coſe , e politiche, e morali, e
metafiſiche, diſegnando l'ulcime con coſe colte , o dalla muſica, o dall'altro
nomia, o dalla geometria ; tre ſcienze ( 6 ) nelle quali era fo mamente dorto
al ſuo tempo . Certo è , che ſe giuſtamente non retro s'ap ( a ) Cicer, lib. 3.
Acad. ( 6 ) Ab, Fleurì nella lode di Platone . ( 32 ) s'apprezzano le fraſi
poetiche riducendole al ſenſo filoſofico , li corre riſchio di non intender mai
, nè le parti , nè il tucco di un certo Dialogo , e ne vedremo nel Parmenide
ſteſso gli eſempj. Ebbe dunque Platone comune la poeſia con Parmenide , ma
molto egli l'accrebbe col Dialogo , modo più naturale per iftrui re , più comodo
per illuminare , adoprato da Socrate , da Seno fonte , da Stilfone, daEuclide ,
da Glaucone , e al dire d'Ariſto tele da un certo Aleffamene inventato .
S'imitano col Dialogo i ragionamenti degli Uomini , come ne? drami s'imitano le
azioni . Platone che voleva emular in tutto la poeſia di Omero , ſi sforzo
d'imitar le diſpute de Filoſofi , in quella guiſa che Omero avea imitate le
azionidegli Eroi . Ciò che al Drama è la favola e l'epiſodio , è la queſtione
al Dialogo , e la digreffione, e' nell'una , e nell'altra riuſcì egregiamente
Plato ne . Non v'è Tragedia antica , che meglio eſprima il principio , la
percurbazione, il ſcioglimento dell'azione, di quel che Platone proponga ,
diſcuta , termini la queſtione , in cui ſebben nulla concluda , però gli bafta
d'aver conſumate le ragioni dall' una , e dall'altra parte. Nelle digreffioni
comincia per lenti gradi ad allontanarſi dalla queſtione , poi ſpazia o nella
Geometria nella muſica , od in altra ſcienza a fuo talento , e ſenza che il
lettore fe ne accorga , il riconduce alla prima propoſizione non per ſalti , ma
per gradi . Anche in cid imitd Omero , che al dir del Gravina ( a ) traſcorre
tallora alſoverchio , tallora moſtra ď abbandonare , ma poi per altra ſtrada
ſoccorre . Platone non imita meno Omero nel carattere degl'interlocu tori , e
delle ſentenze ; io ravviſo in Alcibiade un non so che del carattere di Paride,
l'uno e l'altro è milapcatore, fuperbo , e laſcivo ; il carattere di Neftore è
trasfuſo in quella parte del carattere di Socrate , ove queſto conſiglia , ma
Neſtore auto rizza i ſuoi diſcorſi con l'eſperienze acquiſtare nell'uſo della
vita , e Socrate con l'impreſſioni del genio che il dominava . I caratteri de'
Sofiſti ſono preli da quei dei Trojani, che ſenza ordine , e ſen za diſcipliita
s'avanzano come le Gru ſchiamazzando , e poi reſta no ſconfitti da' Greci, il
cui coraggio e valore era ſoſtenuto dalla ſapienza , e dal consiglio, e fino da
Minerva . Molti . pretendono che Platone ſpieghi la ſua ſentenza nel far
ragionare Socrate , Timeo , Parmenide, l'Oſpite Arepieſe , e l' Eleatico , due
perſone anonime, e che gli faccia dire a Gorgia , a Traſimaco a Claride., a .
Protagora , & Eucidemo , ciò che non approva e vuol rifiutare , ma coſtoro
non avvertono , che nel ( 2 ) Ragion Poetica . ( 33 ) nel far Platone
ſiſtematico lo fanno peſlimo Dialogiſta , e talor peffi moFiloſofo , perchè
egli concraddice a ſe ſteſſo in diverſiDialoghi , o almeno le coſe vi ſono così
ſconneſſe , che non ſi può raccoglierle , non più che le membra di Penteo ( a )
diſunite e sbranate. Tratto di cutte le parti della Filoſofia, or Logica , or
Fiſica, or Metafiſica, accennomolte ſcoperte de' ſuoi tempiintorno alla mufica,
all'aſtro nomia , all'ottica , ma imitando poi la ſetta Eleatica ne'dubbj, e
nell'opinioni , tutto propoſe ſenza nulla concludere. Cicerone lo conſidera
come il primo degli Accademici, o quel che diede ad Ar ceſilao , ed indi a
Carneade il metodo di dubitare . Seſto Empirico ſenza altro lo pone tra'
Pirronici nelle materie an cora più gravi , come in quelle dell'anima,del mondo
, di Dio ; nè a ciò Cicerone ( 6) è contrario . Conveniamo dunque che Platone,
co me nello ſtile poetico convenne colla ſcola Eleacica , così vi conven ne nel
metodo di opinare,che egli col Dialogo reſe più problematico . Confideriamolo
adeſſo nelle fentenze , e principalmente in quelle che riguardano l'idee ſulla
Divinità , e ſulla materia. S'è già dimoſtrato , che i Pitcagorici riducevano
tutto all'idee , ed ai numeri. Platone ſcielſe, e perfezionò ilmetodo dell'idee
, econ duffe lo ſpirito alla cognizione del bene per l'idea del bene, della
bellezza per l'idea della bellezza , e cosìfece del valore , della tem peranza,
della ſcienza , e dell'altre virtù morali ed intellettuali , com ponendo tra
loro l'idee n'eſtraffe l'idea della Repubblica , o l'idea del giuſto
conſiderato nell'amminiſtrazione d'una Repubblicazimmagine di quella
amminiſtrazione, che delle potenze dell'anima fa la ragione. Credevå egli , che
ſpiegar le coſe particolari per le univerſali, fof ſe il metodo chela natura
leguiva , allorchè procede dalle cagioniagli effecti. Parve ad Ariftotele, che
foſſe più facile , e più ſendibile nelle inſegnar le ſcienze , ſeguir l'ordine
dello ſpirito , chealla cagionevi per l'effetto. Non ſono più oppofti
queſtimetoditra loro , che la ſin teſi, e l'analių , di cui l'una comincia
dalle coſe generali , per difcen dere alle particolari, e l'altra dalle
particolari, peraſcendere alle ge nerali ; l'uno e l'altro Filoſofo
nell'inveſtigar l'idee delle coſe , adoprò il metodo ſteſſo di comparare i
ſingolari,e di farnele aſtrazioni oppor. rune, e lo dimoſtrerd a lungo pel
ragionamento dell'idee Placoniche. Cicerone riduce l'idea alla (c) terza parte
della Filoſofia , che ver ſa nel difputare. Così l'idea trattavaſi dagli
antichi , che ſebbene ac cordavano ella naſcer de ſenſi, però volevano che il
giudizio nonfoſe ne fenſi , ma che la mente fore giudice delle coſe ,
ſtimandola ſola atta a di ſcopriril vero , perchèfola diſcopriva cid cheera
ſemplice, della ſteſanas tura , o tal qual era , e queſto lo chiamavano idea
già così nominata da Platone , e noi poſiamo ( conclude egli ) rettamente
chiamarla la lpecie . Non erano perciò l'idee Platoniche , a ben comprenderle,
che le fpe cie , eigeneri che noi facciamo , comparando ed altraendo , eche ,
Tom . II. ( a ) Eufeb.Prop.Evang. ( 6 ) De Natura Deorum . ( c ) Lib.1.Accad .
2 e come ( 34 ) 1 come ſi diffe , cappreſentavano i Pittagorici per l'unità,
poichè la mente tutto va unificando per ſua natura . Una ſpiegazione sì facile
, e breve dell'idee Platoniche, perfectamente s'accorda co' principi
d'Ariſtotele. Egli tratta nella Merafilica l'idee Platoniche da metafc re
poetiche , e queſto nome gli avrebbe pur dato Platone, se avelle dogmaticamente
ſcritto come Ariſtotele', ma nel Dialogo ſpecie di Poelia Dramatica egli
eguagliò la compoſizioneallo ſtile . Morco Platone, ed offeſo Ariſtocele di
vederſi poſpoſto a Pfeufipo „ a lui tanto inferiore in ingegno , e in dotcrina
vi oppoſe un'altra ſcuola di cui ſi fece capo , e per accreditarla cominciò a
combattere le fentenze del ſuo antagoniſta , attaccandoſi alla parte più
difficile , e più equivoca o alla quiſtionedell'idee , alle quali Preuſipo
imitando .forſe il metodo di Platone dovea dar troppo di realità. Ariſtotele
ſcriſe dunque contro l'idee ſeparate, ma Platone avendo già nel Par menide
conſumato quanto potea dirli contro di loro , Ariftotele ne copiò gli argomenti
dipeſo , ed al ſuo ſolito con brevica ed oſcurità di ſtile, fingendo di
combatter Placone critico Preuſipo , ed i ſuoi di i fcepoli. Dital congettura è
mallevadore il Patrizio nelle ſue diſcuſ fioni peripatetiche . S'elle ſon vere
, non che verifimili , verifimile è pure che fin d'allora ſi ſpargeſſero i ſemi
che prima Ammonio Sacca, ed indiPlotino , Porfirio coltivarono , e Jamblico , e
Procloridul fero in regolato fiftema. S.Giuſtino , che avea più ſtudiatii
Platoni ici , che Platone era perfuafo, che l'idee foſſero ſoſtanzeſeparate ,
collocate con Dio nella sfera più alta . S. Cirillo rifiuţa Giuliano A poſtaca,
che credeva il Sole , la Luna, egli altrieller l'idee viſibili e comporre gli
Dei. 11 P. Balto riferiſce a lungo ipaſſi di S. Ireneo , di S. Bafilio e
d'altri , i quali impugnarono l'idee ſeparate , che introdu cendo il politeismo
rovinavano ne'ſuoiprincipj la Religione Criſtia pa . Soſpetta il P. Balto , che
Eufebio difendere l'idee Platoniche persè ſuffiftenţia pro dell'Arianismo da
lui profeſfaco. Negli ultimi tempi il Clerico ne rinovd la ſentenza , e molto
più l'anonimo Soci niano nel tuo Platonismo ſvelato , ove ſi confondono con
l'idee di Platone , gli Eoni rami de'Seffirotii cabaliſtici adottati da'
Valencia niani e da' Baſiliani, e de'quali nella concinuazione dell'iſtoria
degli Ebrei parla a lungo il Basnage , I comentatori di Platone
abbagliatidatante autorità , nè avendo forza di critica fufficiente per
reliltervi, s'abbandonarono ai fantasmi di Proclo , e di Jamblico , anziche
abbadarea'ceſti di Platone , ne s ' avviſarono di ben pelare le dottrine del
Parmenide contro l'idee ſeparate aggiunte da Ariſtotele alla metafiſica. S. A
goſtino è il primo de' Padri Latini, che non fepara l'idee Pla toniche da Dio ;
dando a Dio la creazione del mondo non poteva egli non concepire nell'
intelletto divino la ragione dell'ordine del le coſe create , e queſte appunto
ſono l' idee su le quali poi San Tommaſo ſeguito da' Teologi , ne fece molti
articoli , of. feryando che l'idee divine ſono univerſali, onon rappreſentano a
Dio ( 35 ) 2 € Dio ſolo le ſpecie , ma ancora gl'individui , col
rappreſentargli le coſe non quali noi per la limitazione della noſtra mente le
veggiamo , ma quali ſono in fé ſteſſe. Il Padre Balco riprende a dritto su
queſto punto il Dacier , che per difender malamen te Platone, cade non volendo
in un errore . Ma fe Platone preſe da’ Pitragorici l' idee nel ſenſo , che le
propoſero Pitcagora , ed Archira , pare che egli ancora come queſti ſentiſſe
intorno la Divinità . S'è già dimoſtraco che dopo Pitcagora , Senofane e
Parmenide conſideravano Dio non altrimenti, che l'anima del mondo. Lunga cofa ,
dice Ci cerone , ( a ) ſarebbe a dire dell'incoſtanza di Platone intorno a Dio
; nel Timeo nega , che porta nominarſi il Padre del mondo; nel libro delle
leggi, ſtima non doverfa ricercar affatto coſa ſia Dio . Lo stesſo nel Timeo ,
e nelle leggi, dice eſſer Dio, il mondo , e gli altri e la terra , e gli animi
, e gli altri Dei, che abbiamo ricevuti dagl' iftitu ti de' Maggiori . Il Padre
Arduino raccolſe tutti i paffi , ove Pla tone parla degli Dei nel ſenſo ſtero .
Dio nel Timeo ſi chiama bensì il Padre , e l'artefice del mondo , ma non mai il
Signore , il Sovrano ; ſi chiamava il mondo un Dio generato , il quale ba una
perfetta ſomiglianza con Dio ; figliuolo , e figliuolo unico di Dio ; un Dio
completo , un Dio generato da un altro Dio , un Dio felice , im magine del Diointelligibile
, perfetta copia d un originale perfetto Dio ottimo malimo, qual appunto i
Romani doceano diGiove , per cui folo intendevano il deſtino inviſibile delle
coſe . Molci alcri paſſi ſpiega l' Arduino , e da cutii ſi raccoglie , che
Placone non co noſceva Dio , che come principio intelligente , qual lo conobbe
Pittagora , Senofane, Parmenide, e cant alori , a' quali può ben applicarſi il
pallo di S. Paolo , in un ſenſo filoſofico , che cono ſcendo Dio , non come Dio
l'onorarono ( non ſeparandolo affacco dal la materia , o , ponendolo ad eſsa
coeterno . ) Pitcagora avea generato il mondo , e lo generarono i Fenici, Orfeo
, ed Eliodo . A queſt'idea poetica , Platone aggiunſe le Fi loſofiche accennate
da Timeo di Locri nel fuo ragionamento della natura , e dell'anima del mondo ,
e ne compofe il Timeo , nel qual volea nell'ordine oſſervato dalla ſapienza
nella fabbrica del mon do , dar un modello di quella Repubblica, che poſcia
propoſe nel Dialogo del Giuſto . Ariſtocele pur comparava la coſtituzione del
mondo ad una Repubblica, in queſta v'è il Principe , che comanda ai Magiſtrati
militari , e civili , e nel mondo v'è Dio , che col miniſtero degli Dei
inferiori, compie , conſerva, ed ordina cuc te le coſe . S'è © e di lo Lei li i
e lo i e ( a ) D: Natura Deorum lib. I. 3 ( 36 ) s'è gia dimoſtrato , che i
Platonici recenti nel divider in due punti, o ſegni, l'eternità , neaſſegnavano
il primo ſegno a Dio , in quanto a Dio , ed il ſecondo a Dio creatore della
materia la difficoltà è di ritrovare in Platone qualche coſa che s'av vicini a
queſta dottrina . Teofilo ( a ) non ve la ritrovd altri menti dicendo , che
Platone coi ſuoi ſeguaci poneva Dio , e la materia ingenita ; con che non venia
a porre Dio , nè uno; nè ſolo . lo qui ſtenderò un lungo paſſo di Plutarco ,
perché fe 'ne giudichi . Il mondo , dice egli,è bensì ſtato fabbricato da Dio ,
perchè fra tutte le coſe è bellißimo il mondo e Dio fra le cagioni l'ottimo ,
ma la ſoſtanza , e la materia , della quale è ſtato formato , non eſſer mai
nata , ma ſempre averſi trovata ſottopoſta ab Maeſtro , ed ubbidiente a ricever
quell'ordine , e quella diſpoſizione , che fore in quanto ella potelle
comportare a lui fimigliante , percbè il mondo non fu creato dinulla , ma di
ciò che era privo , di bellezza , di leggiadria , e di perfezione , ſiccome la
caſa , la veſte , la ſtatua, perciocchè tutte le cose , primache naſceſe il
mondo , foffero confuſe , e diſordinate, nondimeno le coſe confuſe non erano
ſenza corpo , ſenza fora ma , ſenza regola , moſle da movimento a caſo , e
ſenza ragione. Que sto altro non era ; che la ſproporzione dell' anima, di
ragione Spoglia ta , perciocchè Dio di coſa ſenza corpo non fece corpo , nè
anima di coſa d'anima priva , nella maniera che noi vediamo , cbe il Maeſtro di
muſica , e dell armonia , non fa egli la voce , bensì la voce acconcia , e il
moto proporzionato ; così parimenti Dio non fece il corpo trattabile , e ſodo ,
nè l'anima atta a moverſi, ed in gannarſi, ma preſo l' uno , e l'altro
principio , quello oſcuro e pienodi tenebre, queſto confuſo e pazzo, amendue
più rozzi, e più difformidel convenevole ordinandoli ; e diſponendoli , e
congiungendoli formd un animal beltiſſimo , e perfettiſſimo. Dunque la natura
del corpo non è punto diverſa da quella natura , come dice Platone , che
abbraccio il tutto , ed è fondamento e nutrice di tutte le coſe che naſcono ;
non dimeno la natura delp anima fu da Platone nel Filebo nominata infini to ,
il quale non riceve numero , nè proporzione , nè vi ſi trova miſu ra, o termine
alcuno di mancamento, di ſoverchio , di ſimiglianza, o di differenza. Così
parla Plutarco ed è facile il dedurne , che ſecondo Pla tone eterna era bensì
la materia del mondo , ma nuova la for ma , ( a ) Teophil. ad Autolicum 1.2 .
Plato cum ſuis aſſeclis Deum quidem confitetur ingenitum , patrem præterea
& conditorem hominum , at que deinde fubjicit , live ſupponit Deo materiam
quoque ingenitam , quæ fimul cum Deo prodiderit five extiterit ; verum fi Deus
cen ſetur ingenitus , & materia perhibetur ingenita , jam nec amplius Deus
conditor & creator eſt hominum etiam fecundum Platonicos , nec quod unus
& folus ſit ab his vere demonftratur . nè il moto , ma 1 1 ( 37 ) má , ed
in queſto Platone differiva da Ariftotele, il quale , come s'accennd , fece ad
un tempo eterne , e la materia , e la forma; Ariſtotele rimprovera perciò
Platone , d' aver fuppofto , che la materia con cuiDio compoſe le coſe, foſſe
in moto, e loda Anaf fagora, che la poſe in quiete . Vuole egli ignorare , che
affatto poetico foſſe il Timeo ; pure non è credibile ,che egli non l'aveſſe
udito dir più volte da Placone ſteſſo , che nel Dialogo finſe Socra te a
favellar con Timeo di Locri contemporaneo forſe a Pittagora ; parla dell'
abboccamento che Solone ebbe coi Sacerdoti d'Egitto , iutta ſpaccia la favola dell'Iſola
Atlantide. , ſtempera in una taz za i numeri armonici dell'anima del mondo
compoſta di cre ſo ftanze , ne ſparge le reliquie su le ſuperficie de glòbi',
conſidera come coſa reale la mecemplicoſi , che Timem ( a ) nel ſuo ragiona.
mento introduce come coſa politica . In ſomma ben eſaminan do tutte le frafi
Platoniche e tutto il conteſto della dottrina Filoſofica poeticamente
maſcherata , io ſon perſuaſo , che in Platone , comene Pictagorici , Dio vi
s'introduca qual animadel mondo , o la ſteſſa mente , e ſapienza perfecta
ſparſa per tutto ; allora perciò che dice Cicerone nella natura degli Dei, e
quan do Platone fa Dio incorporeo ( b ) egli confonde Dio con la mate+ ria , la
quale era incorporea , come ſi diffe , prima che da Dio ſe ne eſtraffero i corpi
. Dall'alcra parte nell'ipateli, che Dio gli abbia eſtratti, fece Dio
concepirſi" al di fuori della materia , co me l'architetto al Palagio , e
lo ſcultore alla ſtatua . In vano dun que dall' opere di Platone, e degli altri
Filoſofi antichi , i qua li ammifero la materia eterna , li cerca l'idea del
Dio che ado. riamo ; egli è uno ſpirito infinito , nella di cui natura
inviſibile ſono riunite cutte le perfezioni immaginabili , e poflibili ; onde
gli ſcolaſtici lo chiamarono il cumulo delle perfezioni ; e i Cartuliani l'ente
infinitamente perfecto . Sino a què l' ammet cevano gli ſtefli Pagani , ma la
definizione non balta, ſe ad el fa non s? aggiunge , che Dio ha tratto dal
niente l' Univerſo , e che è diltinto realmente , e ſoſtanzialmente da tutto ciò
che ha creato . Tale definizione come ortodoſſa propoſe l' Abbate d'Oliveta ’
Filoſofi ( c ) dopo di aver eſpoſte tutte le loro fen tenze , tra le quali
entra e Pittagora , é Senofane , e Parmeni de , e Platone Itello , Non (a . )
Nel fine. ( 6 ) Cicer. Natur. Deor. ( c ) Nel fine del Tomo 3. della traduzione
della Natura degli Dei;. Par ce mot. Dieu , je veux dire un eſprit infini ,
dont la nature eſt indiviſible & incomunicable ; dans lequel font réunies
toutes les perfections imaginables & poſsibles , ſans aucun mélange d'
imperfe etion ; qui'a tiré du ndant l'univers, & qui eſt diſtinct
réellement & ſubſtantiellement de tout ce qu'il a créé . 0 1 ( 38 ) o dell'
Non è tuttavia , che debbano ſpregiarſi le dottrine di Placone , e rigettarle
come inutili ; conobbe egli Dio ſotto un'idea con fuſa, come lo conobbe
Ariſtotele , e in quella guiſa che S. Tom maſo da Ariſtotele tralle molti
principi , e combinandoli coi rivelati propoſe molte concluſioni Teologiche ,
così può farſi di Platone ; S. Tommaſo dall' uno , e dall'altro traſfe
l'eſiſtenza di Dio , impiegando i mori , le cagioni , l'ordine del mondo , i
gra di più o meno perfetti delle coſe , ma non potè trarla dall' en te
contingente e neceſſario , che Platone non conoſceva , ponen do ecerna la
materia , e chiamandola neceſſità . Dimoſtrar il primo ente qual principio
intelligente , per l'adequaca idea di Dio , non baſta le da eſſo non ti
rimovono tutte le compoſizio ni , dimoſtrando , come fa S. Tommaſo , che in lui
non ve n'ha nè di forma, nè di materia , e che non può ridurſi ad alcun genere
, Nel Parmenide però non v'è biſogno d'alcuno di queſti ar tificj ; tutto vi
fi' riduce all'idea metafiſica dellence uno . Convien dedurla da' ſuoi
principj, od eſtrarla come fece Pittagora , e Peritione da tutti i compofti ,
ed eſaminarne le proprietà . Così San Tommaſo , ove tratta dell'unicà , e della
bontà di Dio , prima ricerca , quanto la ragione, gli può per mettere , coſa
ſia l' uno , e coſa ſia il buono , indi col princi pio rivelato cid combinando
, dimoſtra la purità , e la bon tà di Dio. Io parimenti ricercherò con la
ragione , fe si poſſa ben intendere l' uno del Parmenide , laſciando agli altri
la fa rica di ſpiegarlo in un modo fublime , applicandovi le coſe Teologiche ,
delle quali non intendo d' attaccarne , o diftrug . gerne la minima . Io
cratterò della dottrina del fine , indi del metodo del Dialogo. Gli antichi con
ragione intitolarono queſto Dialogo , il Par menide o dell' idee , perchè
Parmenide parla più degli altri , e tutti i ſuoi ragionamenti raggirano su l'
idee , o per cercarle con le aſtrazioni della mente, o per diſtruggere le
ſeparate , eſempli ficandone il caſo nell'idea dell' uno , la più ſemplice di
tutte l'al tre , e a cutte l'altre comune . Supponevano i Pictagorici , che
tutte le coſe imicaſſero , o par ticipaſſero l'idee , o le fpecie ; provacontro
loro Parmenide , che le cofe non poſſono eſſer partecipi delle fpecie, nè
ſecondo il tutto , nè ſecondo unaparte , indi col principio di contraddizione ,
col progreſſo all'infinito , e coll' ideaſteſſa delle perfezioni divine ; gli
fteffi argomenti di cui ſono nel Parmenide i femi, fteſe Ariſto tele, ed è
mirabile che i comentatori non abbiano penſato di con frontarlo nel
ragionamento dell'idee con Placone , ciò che attri buiſco all'ipoceli da loro
fiſsata , che in queſto Dialogo Parmenide, o Pla ( 39 ) o Platone confermi e
non diſtrugga. l' idee ſeparate . Annullate tali idee in modo cheSocrate ne
reſta convinto , Pare menide per non laſciarlo nell' imbarazzo gli moſtra la
neceſſità che ha il Filoſofo d'ammettere certi principj fiſſi ed immutabili e
tanto più difficili a comprendere , quanto che non fi poffono de terminare , nè
co' ſenſi , nè colla fantaſia . Parmenide' nell'etem plificare il caſo del
metodo propone l'idea dell'uno , e la con ūdera relativamente a ſe ſteſſa ,
indi all'ente , al fine , al non en te . Così un matematico trattando per
eſempio del triangolo , lo conſidererebbe prima in ſe ſteſſo , poi per rapporto
all'altre figure rettilinee o piane , ed al fine alle non rettilinee, od
alcerchio . Definiſce Zenone l'uno per oppoſizione a molti , e chiama uno ciò
che non è molti . Ariſtotele, nella metafiſica molto ap prova queſta
definizione, perché i molti ſono più noti al ſenſo che l' uno ; prende
Parmenide la definizione , e negando dellº uno tutto ciò che s'include in molti
o li predica de' molti ; negà ch' egli fia cutro , parte , principio , mezzo ,
fine , figura moto , quiete , lo ſteſſo , diverſo , ſimile , diſſimile , eguale
, mag giore , minore ; in oltre gli nega le differenze del tempo, pre lente ,
paſſato , futuro , l'eſſenza , la ſoſtanza , il nome, il ſen fo , la ſcienza ,
l'opinione. Parmenide prende ſempre l'uno nel ſuo concetto aſtrattiflimo, nè
men volendo che l'uno â conſideri per rapporto a ſe ſteſſo , perchè nel riferir
l'uno a sè li concepireb be come due o come molti. La ſeconda quiſtione è , ſe
l'uno ſia che accada all' uno , ed all'altre coſe ; qui l'uno fi ſuppone
inſeparabile dall'ente , come rente dall' uno, onde tutto ciò che s' include o
li predica dell' , pud predicarſi dell' uno ; quindi ſe nell' ente's include o
dell'ente fi predica , la parte , il tutto , il finito , l'infinito , il
principio , mezzo , il fine , la figura , il luogo , il moto , la quiete, il
fimile , il diffimile , lo iteſto , il diverſo , l'eguale , il maggiore, il
minore, il tempo paffato , preſente , e futuro , 1 eſſenza, o la ſoſtanza , la
ſcienza , l'opinione , il ſenſo , tutte queſte coſe ſi predicheranno ancora
dell'uno . Non ſi predicano però queſte coſe oppoſte dell' uno , e dell'ente.
nel medelimo tempo, e ſecondo lo ſteſſo riſpetto , ma in varj te m pi o ſecondo
diverſi riſpetti , e ciò fa che le contraddizioni non ſieno , che apparenti , o
del genere di quei meraviglioſi , che de generano ſpiegandoſi in puerilità.
Cosi penſa lo ſtelfo Platone nel Teeteto , maParmenide nel cercar qui ſe ſia
l'uno , quali altre co fe ne fieguano , non cela all'uſo de Sofiſti , ma ſpiega
come vero Filoſofo in termini ſemplici i miſteri , e queſta iola credo una
nuova prova del liftema Parmenideo da me ſtabilito . In ente ( 40 ) In queſte
due prime nozioni dell' uno non vi ſi framiſchiano le immaginarie', o poetiche
; mabensì ve ne fono nella terza , ove fi rapportal'uno al non ente , o al
nulla , di cui non s'ha nozionereale', ma ſolamente immaginaria come
dell'impoffibile . V'è un affioma Logico , il qual diceche , dall' impoflibile
ogni coſa ſe ne deduce , pera che in lui fi complicano i contraddicorj, anzi il
criterio per co nofcerlo è per mezzo dei contradditorj, e poichè l'uno è inſe
párabile dall'ente ; fia lo ſteſſo dir il non uno, che il non en te , ma del
non ente o dell'impoffibile fi dice che ha effenza , o che non l'ha , che è lo
ſteſſo e diverſo , che è ſimile , e non fi mile , eguale , non eguale , cheſe
genera e fi diſtrugge ec. Dun que le ſteſſe coſe che ſi predicheranno del non
ente conveniran no ancora al non uno . Nell'attribuire il non uno all'altre
coſe , fi trasformeranno queſte in fantasmi, o sogni d'eſtenſione , di mal fa ,
di moto e di quiete , ciò che rende il mondo più poetico del cabbaliftico .
Platone o Parmenide maneggiano queſto argo mento con ſomma ſagacità , e
delicatezza , e ben ſi vede quanto foſſe la loro Filoſofia profonda , e quanto
utiliffima eller poſla , non cangiando il grado dell' aſtrazione , nè inneſtandovi
opinioni affatto encufiaftiche, come fece il Ficino . I celebri Pittori ,
attenti ad oſſervare in ogni luogo tutto ciò che loro ſomminiſtra idee nuove
d'atteggiamenti , di ſcorcii , di lineamenti , difigure , ſe mai su i muri più
affumicati ritro. yano quelle ſtriſcie fortuite impreſſevi dalla caligine , le
vanno combinando con la loro immaginazione , e creano delle figure
leggiadramente fimecrizzate , e canto ſi rifcaldano nel vagheggiar opera loro ,
che le additano agli altri , come fe ivi foffero ,e ſi cruciano e fremono , e
ingiuriano , quando queſti ſemplicemen te riſpondono di non ravvifare , che
orme irregolari di fumo . I Filofofi, e particolarmente i comentatori hanno lo
ſteſſo coſtu me , fiffi in un fiftema l'addatano a tutto ciò che incontrano
nell' autore da loro accarezzato , e dove egli ancora parla nel modo più
ſemplice , e naturale , e conveniente a'ſuoi principj, par loro di fargli torto
, ſe non l'abiſfano nelle loro profonde ſpeculazioni , e lo dimoſtrano tanto
più ammirabile , quanto nyono l'intendono , c quanto dagli altri è meno intefo
. In tutti i Dialoghi s'è prefiſſo il Ficino, di far di Placone ( a ) un
Teologo Criſtiano, ma non so come ritorni in queſto Dialogo al ( a ) Prima ex
quinque ſuperioribus de uno fupremoque Deo dixerint quomodo procreat
diſponitque deorum ſequentium ordines . Secunda de fingulis Deorum ordinibus ,
quo pacto ab ipſo Deo proficiſcuntur ec. argum. Marſ. Ficini Parm . vel de uño
rerum principio , & de 9 ideis . ( 41 ) al Paganeſimo, e vi traſporti tutte
le idee fimboliche del Timeo , e del Fedro ſenza biſogno , e profitto ; e che
coſa ſon queſti Dei che ſeguono Dio nell'ordine loro , ed in qual parte del
Parmeni de li ritrovo ? Annullò il Serano gli Dei, e vi ſoſtituì due ſorti
d'idee ; Dio è la prima e principal idea , le ſeconde ſono le va . rie idee
delle coſe create ; ma ſe Parmenide non diſtingueva Dia dal mondo ; coſe
affatto poeriche non ſono le idee divine ? Non bado il Serano , che Parmenide
toglie all'ente ſino il tem po' preſente, e le toglie ancora l'eſſenza. Si , ma
intende il Se rano l'eſſenza delle coſe ſingolari , e quando Parmenide dice ,
che l'uno è molte coſe, vuol dire, che egli dà la forza d'elfte re alle coſe
ſingolari . Or come ſi può includere nell'idea dell' uno , in quanto tale la forza?
E come poteva Parmenide inclu derla nell' uno , ſenza concepirvi l' eſſenza , e
nell' accoppiare l' eliftenza alla forza , e non concepir l' uno come molti
contro l? ipoteſi? La prima idea , dice il Serano , fi diffonde in maniera
ſulle coſe create', alle quali Dio dà la forza , e facoltà d ' eſiſtere , che
ad ogni modo circoſcrive ne' determinati cancelli dell' uno , la feffa
moltiplici, tà , e quaſi infinità delle coſe ſingolari . Queſta è la luce
tenebroſa del Flud , chi può ſpiegarla ? Va il Serano peſcando le affezioni
dell' idee ſeconde , e ne ri trova ſei , dopo le quali la ſua vena metafiſica ,
e teologica , ſi conſuma, o perde , ed in tutto il reſto del Dialogo immobil
mente fiſto , ed eſtatico ſul ceſto Platonico , par uno di que' Chineſi, che per
molti anni guardandoſi la punta del naſo s'im maginano di veder l'eſſenza
divina; non batte egli palpebra tutto concentrato in sè , nè degna abbaſſarſi a
ſoſtener con note margina li l'imbarazzato lettore . Io ſon ben lontano dal
condannare le al tre note di queſto autore , colle quali negli altri Dialoghi
eſpone la conneſſione, e callora le ragioni ſemplici del teſto , ma nel Par
menide ſpiegando alto il volo per emular il Ficino , li dimentica del ſuo
coſtume, e laſcia in aſciutco il leccore ; ma come è poſſi. bile , che avendo
egli canto ſtudiaco Platone, e confrontati i teſti, nonabbia atteſo ad unpaſſo
delFilebo , in cui li ſpiega il fine , che Platone ſi prefiſſe in queſto
Dialogo ? Nel Filebo , che non ſenza ragione gli antichi faceano ſeguir al Parmenide
, cosi ſi parla da Socrate a Protarco . Tu , o Protar dice Socrate , intorno l'
uno ed i molti ai dette le coſe pubbliche dei meraviglioſi, le quali, per dir
cosi , ſono concedute da tutti, che non fieno punto da toccarli, ejendone
alcune puerili , e facili da conoſcerſi, e per nuocere maſſimamente a
ragionamenti, fe alcun le ammetteſſe ; nè è Tom. II. f de ( 42 ) - 1 1 tal uno
, da ſtimarſi coſa meraviglioſa , ſe alcun dividendo rolla ragione le mem-, bra
d'alcuna coſa , e tutte quelle parti , confeſſando quella eſerne una ; di poi
la confutalle , e ne prendeſe beffe quaſi sforzato a con . feſare coſe
moſtruoſe , cioè che una ſola coſa ſia molte ed infinite, ele molte quaſi una
ſola , E' quì da notarli quel dividere con la ragione le membra di alcuna coſa
, formula che egli repplica ſovente nel Parmenide , in cui dice , ſeparar le
coſe con l'intelligenza , e fino sbranarle ; indizio manifeſto che qui non ſi
tratta , che d'aftrazione di ra gione, per cui nelle coſe più ſemplici fi
diſtinguono , non le par ii, ma gli attributi , e le relazioni che le fan molte
per rapporto alla mente ; or tutto ciò che dice nel Parmenide dell'ente, e
dell' uno , non divien egli un di que' meraviglioſi puerili, de' quali par la
Socrate , fe non s'averte , che le contraddizioniſono apparen . ti , o che nel
medeſimo tempo , e ſecondo lo ſteſſo non s'aſcrive all'uno , il fimile e
diffimile? Siegue Socrate : quando alcuno giovane pone l'uno , non eſſer alcu
na di quelle coſe , le quali naſcono , e muojono , perciocchè quì un co come
poco fa dicemmo, ſi è conceduto , che non ſi debba con futare . Parla quà
Socrate della prudenza , della ſcienza , e della men te , di loro natura une,
immortali, ed eterne nel ſiſtema Piccagori co , e delle quali , come d'eſſere
reali , parla nel Sofiſta . Conclude Socrate : Ma quando ad affermare è
altretto un fol Uo mo , un ſol bue, una coſa bella , ed una coſa buona , allora
veramen. te in queſte, ed in cotali unità ſi rende ſollecito lo ſtudio , ed
anche ſi fa ambiguala divifione. Primieramente ſe ſieno da ammetterſi certe uni
tà sì farte, che fieno veramente ; di poi, in qualguiſa ſia de penſarſi, che
ciaſcuna di quelle coſe ſia una , e la medeſima ſempre, nè fi pren da
generazione, nè morte , ma ſe ne ſtia fermiſima nell' unità di lei ; finalmente
ſe ſia da porſi alcuna coſa nelle coſe generate , od infinite, o partita , ed
oggimaifatta moite coſe, o tutta eſa in diſparte da ſe medeſima, il che più di
tutte l'altre coſe parrebbe impoſibile che uno , e lo dello ſi facele parimente
in uno , ed in molti. Quefto è l'uno, ed i molti che ſi trovano intorno a
cotali coſe , ma non quelli , o Protarco che non conceduti bene ſono cagione
d'ogni dubitanza , ed ogni facilità ben conceduti . Manifeftiffimo è , che quì
Socrate ripete le difficoltà ſull' idee ſeparate fattegli da Parmenide , e ſu
le quali confeffa , che impoſſi bile è di scioglierle, indi fa attenzione al
metodo inſegnato da Par menide, di cercar l'idee per via dell' aſtrazioni, con
le quali ſi to glie ogni difficoltà intorno a'molti, e all'uno . Da ( 43 ) Da
queſti palli io deduco , che il fine di Platone in queſto Dialogo altro non fu
, che d'allontanarſi da quel meravigliolo e puerile, in cui facilmente fi cade,
quando non ben li diftingua no i concerci della mente , o s'amia irasformare i concetti
in ido li , ed a realizzarli poeticamente , come faceano i Pittagorici . Per
compir queſto diſegno fcelle Platone il Filoſofo più ſpeculativo dell'antichità
, e deſcritto da Socrate qual Uomograve, evenerabile , e d'una profondità al
tutto generoſa , il che vuol dire , ſe non erro , che egli nella ſua maniera
d'argomentare franca , libera, ed inſie me profonda, nulla tenea del
lopraciglio , e della vanità dei Sofi fi; Platone quimoſtra fin dove arrivar
pud l'ultima analiſi , che i Pitcagorici faceano dell'idee , oltre le quali il
procedere'era un eſporſi a pericolo di non più intender quello che ſi dicea ,
comepur trop ро è arrivato ad alcuni Scolaſtici , che fpingendo troppo , oltre
le queſtioni oncologiche , ofarono ſin negare il principio di con traddizione ,
ed affermarono chel'infinito ſi raggruppaffe in un pun to . Nel Gorgia, nel
Protagora , ed in altri Dialoghi contro iSo fifti , coll'arte dell'ironia
Socratica , li dipinge a diritto Platone quali cacciatori mercenari d'uomini,
mercatanti venditori, appal tatori di ſcienze , e diſcipline falſe ; ma chi può
dire che Platone ebbe difegno di proporſi in queſto Dialogo Parmenide , qual
mer catante venditore, ed appaltatore di bujo peſto , che così devono chiamarſi
le quiſtioni tenebroſe , ed all'ambicate ; bujo peſto è quel lo di cui troppo
liberalmente lo caricano il Ficino , ed il Sera no, non quel che combina la
doctrina d' Ariſtotele , con quella di Platone ; dotcrina che curt " i
Peripatetici , e gli Scolaſtici ab bracciarono e che ultimamente con tanta
chiarezza e preci* fione , eſpoſe il Wolfio nella fua Ontologia . Queſto
Dialogo è primieramente ontologico , e preſo in queſto ſenſo non ha in sè più
di pericolo che la metafilica d' Ariſtocele , ma ridotta alla Dialeccica ,
L'antica Dialetica verſava fu i generi di tutte le coſe , attenca a compararli
, a combinarli , per preparare' ed illuſtrare la quiſtio ne propoſta. S'ingegna
lo Stanlejo di ridur a tre generi la Dialec tica de Piccagorici .1. Ai non
ripugnanti , o ſia all'eſſenza delle coſe nelle quali ſi combinano, coſe tra
loro non contradditcorie.. Così l'eſſenza del triangolo o del quadrato , è
l'eſfer figure di cre o quattro linee , perchè non v'è ripugnanza , che il
numero ter nario o quaternario , s'adatti o fi combini alle linee rette . 2. Ai
differenti o alle coſe che tra loro ſi diverſificano nell'eſſenza , nc gli
attributi , e ne' modi ; così il triangolo è differente dal qua drato , ed il
quadrato dal cerchio . 3. Ai relativi a'quali ſi riduco if 2 no ( 44 ) no tutte
le matematiche conſiderate dagli antichi , come il vero modello della
diſciplina , ed a cui i moderni riduſſero l'arte dell' analogie filoſofiche, ed
il calcolo de' probabili . Platone ſtabiliſce in molti luoghi non tre ma cinque
generi del le coſe ; l'eſſenza o ciò che è , lo ſteſſo , il diverſo , il moto ,
e la quiere ; a queſte due ultime nozioni ſi riduceva tutta la fiſica antica ,
onde diſfe Ariſtotele , che ignorato il moto s'ignora la natura . Lo ſteſſo e
il diverfo vaga per tutte le altre fcien ze ; onde Platone dello fteſſo , e del
diverſo , compoſe l'anima del mondo , e la bellezza . Lo ſteſſo e il diverſo
ſono relazioni dell' ente in genere , fi ſpargono ſulle relazioni dell'ente in
ſpecie , il fimile, il diffi mile , Peguale , il maggiore, il minore , il nuovo
, l'antico . Que fta era la ſcala de'generi ſuperiori, o quelle nozioni
ontologi che aſtratte per l'acume della mente da' concreti , coſa ben di verſa
dalla ſcala de' predicamenti d' Ariſtotele . Il Wolfio ( a ) fa propoſe per
ultimo oggetto degli ſtudj fuoi, di perfezionar" la Icala de'generi , e
con eſſa ſciogliere il problema dell' analiſ dell'idee , propoſta ma non
trattata dal Leibnizio . I Pittagorici ne diedero i primi ſemi, e Placone più
li ſviluppò , applican doli alla determinazione dell' idee , quindi è che nel
Parmeni de tutti iſuoi argomenti ſi riducono alle relazioni dell'ente , in
genere dell'ente , in ſpecie . Rinferrata ne' fuoi limiti la materia del
Parmenide, il meto do che v’applica è quello del principio di contraddizione ,
che ci conduce all' aſſurdo ; metodo non tanto accetto a noi , per . chè ci
dimoſtra la noftra impotenza , ma che ci sforza invin cibilmente all'faffenſo .
In queſto metodo Platone ne aggruppa molti altri , il metodo d' eſcluſione è
quello dell'analiſi geo metrica . Nel metodo d'eſclufione fi numerano tutti i
caſi di una co ſa , e s'eſcludono o tutti per dinotare l'aſsurdità , o tutti
men in cui fi cerca la ſoluzione del problema . Così Archi mede avendo
dimoſtrato , che un dato poligono non è , nèmag giore , nè minore del cerchio ,
nel quale è inſcritto o circon Icritto , conclude che gli è eguale . Placone in
molti caſi ado pra il metodo ſteſſo . Nel metodo dell'analili geometrica , fi
aſſume ( 6 ) il quefito come conceffo , e per legitime conſeguenze s'inoltra
fino ad un ve 1 uno , ro ( a ) Affumptio quæſiti tanquam conceſsi per ea quæ
conſequentur ad verum conceffum . ( 6.) Wallis Il . dell’Algebra . ( 45 ) To
conceſso , da cui riteſsendo il ragionamento ', li dimoſtra il quelito ; molti
vogliono , che Platone ſia l'inventore di queſto metodo, e che abbia fatto il
Parmenide per darne l'eſempio ; maqueſti attribuirono al tutto ciò che conviene
adalcune parti, Utiliflime ſarebbono le metafiſiche de'moderni , fe i loro
autori fi foſsero limitati all'ipoteſi, e ſi foſſero guardati di proporle in
for ma di dogma , cagione d'eterni litigi non ſalvati , ne da ſtile elo quente
, nè da calcoli algebraici. Il Carteſio ſegui nelle ſue medi tazioni ilmetodo
analitico , ma diede occaſione a molti ſiſtemi più ſtrani de'ſogni, come quello
degli Egoiſti, conſeguenza dello fpi nofismo fpirituale . Che dirò dell'arte
del Dialogo , in cui s'è già dimoſtrato imi, tarſi i ragionamenti umani, come i
Poeti Dramatici aveano imi tate le azioni umane . All'imitazione. ( a ) di
queſte convien il palco , ed il verſo , non all'imitazione de' ragionamenti, la
quale per ſua natura appartiene alla Dialettica : poco o nulla di leg giadria
avrebbono i fillogismi, egli entimemi in verſo , e poco o nulla lor gioverebbe
l'apparato della ſcena . Si è pur detto che la quiſtione, e la digreffione al
Dialogo , è come la favola , e l' epiſodio al Drama . Nel Parmenide la
quiſtione è intorno l'idee , ma non v'è digreſſione, ſe pur non fi voglia ridur
a queſta , la preparazione alla diſputa con Par menide, incominciata tra
Zenone, e Socrate . La differenza de' drami ſi prende dal diverſo modo
dell'azio ne , la quale o è ſemplice, o compoſta, e la differenza de’ Dia loghi
dal modo del ragionamento, nel quale , o s'inſegna, os inveſtiga da un ſolo , o
s' inſegna , o s'inveſtiga da molti la quiftione propoſta . A quattro generi
riduce il Taffo i Dialoghi , al dottrinale , al Dialettico , al tentativo , al
contenzioſo . De’due primi generi è miſto il Parmenide, perchè dopo di aver
egli diſputato con Socra te , quaſi ſolo favella, non contandoſi le riſpoſte
d'Ariſtotele , approvazioni per lo più della concluſione , o preghiere d' eſpor
più chiaramente la ragione accennata . Nel inlegnare qual fia la natura o
l'idea dell'uno , qui non v'è tentativo , nè litigio , nè in queſto Dialogo v'è
molto a ricercare , ſe ſia meglio adat cato all'inſegnamento che il maeſtro
interroghi , od i diſcepo lo . , perchè appena termino la breve diſputa có
Zenone , che Parmenide cominciò a interrogar Socrate , ed avendolo confu? lo ,
ed imbarazzato con una difficoltà cui non poteva riſpondere, Para ( a ).
Torquato Taſſo diſc. ful Dialogo . ( 46 ) uno . Parmenide paſſa ſenza
interrompimento alle tre poſizioni dell ' Vuol Torquato Tallo , che come una
ſia l'azione nel Dra ma , così una fia la quiſtion nel Dialogo , la quale o è
infini ta , per eſempio ſe deve apprezzarſi la virtù , o è finita , per eſempio
che deggia far Socrate condannato a morte . La qui ftione del Parmenide è
infinita , perchè fi tratta dell' idee di cui ſi cerca la natura e l'origine ,
la natura dimoſtrando che non ſono dalla noſtra mente feparate , l'origine
dimoſtrando come per via delle ſuppoſizioni s'acquiſtano . Queſte due coſe ne
fan no propriamente una , perché non ſi può intender la natura dell' idee ſenza
prima determinarne l'origine . L'una e l' altra determina Parmenide , e rimove
l' idee feparate per convertire il ragionamento al modo con cui la mente le
acquiſta. Parme nide lo propone , non lo dimoſtra per non allontanarſi dal co
ſtume della ſua fetta , che era di propor dubitando le coſe : Non è cutravia in
ciò ſolamente che appariſce il coſtume di Par menide . Dimanda Socrate , che
gli ſia dichiarata la quiſtione delle idee , ed intorno alle coſe che ſi
veggono ,ed ancora intorno a quelle che ſi comprendono con la ragione .
Parmenide , e Zenone attentamente lo aſcoltano , eſpero guardandoſi l'un
l'altro fog ghignano quaſi di Socrate meravigliandofi . E queſta è quell'evi
denza tanto neceſſaria al Dialogo , e di cui Platone diede si chiari eſempj
neli' Ippia , e nel Fedone . Ella è qui ordinata a manife ſtare il coſtume d'un
Filoſofo accento , e che colla triſtezza , e coi fogghigni accenna , ciò che
nel diſcepolo non s'accorda con la ra gione . Un tratto poi del coſtume d'un
Filoſofo attento , è do ve dice Parmenide o Socrate troppo per tempo , innanzi
che tu ti eſerciti a parlare , ti sforzi di definire ciò che ſia il bello , il
giu ſto, il buono , e qualunque dell' altre ſpecie . Perchè poco fa il con
fiderai vedendoti diſputare con Ariſtotele . Per certo mi credi , que fto tuo
fervore è bello è divino , il quale alla ragion ſi conduce , ma recati in ſe
ſtello, ed eſercitati mentre ſei giovane in queſta fa coltà la quale a molti
inutile , e ſi chiama dal volgo garruli tà , altrimenti ſi fuggiria da la
veritade. Parmenide qui accenna la Dialectica in quanto vaga per cutti i generi
, ſulla qual coſa poco dopo ſoggiunge conſervando il co ſtume divecchio
venerabile . Sarebbe cofa ſconvenevole , cheſi trat tale maſſimamente da un
vecchio certe coſe si fatte alla preſenza di molti , non ſapendo il volgo , che
ſenza queſto vagare , e diſcerne re per tutte le coſeſia impoſſibile
abbattendoſi nel vero acquiſtar men te . Ariſtotele e gli altri lo pregarono ,
e Parmenide riſpoſe con un apo 7 pare inutile ( 47 ) apologo : egli è neceſſario
finalmente che s'ubbidiſca , tutto che mi è av viſo di tutto quello che patà il
cavallo Ibico , cui Atleta e vecchio do vendo prendere la conteſa delle
carrette , e per l'eſperienza iremando de' ſuccelli , alimigliando egli a ſe
ſtello, dille cheegli già vecchio era coſtretto di ritornar agli amori . Nel
medeſimo modo diſſe Parmeni. de , a me pare di temer malto , quando penſo in
che guiſa cosè.d'età avanzata , io pola paſar a nuoto un mare cosi profondo di
ragionda menti . Intorno la ſentenza , o ſia ciò che ſente il principale
interlocu tore del Dialogo , ella è qual conveniva a un Dialettico eſperto ,
nel vagar per i generi delle coſe , e nell'argomentare , e ben de gno , che
nelle coſe intellettuali Platone , Secondo il teſtimonio di Apulejo, lo preferiſſe
agli altri Pitiagorici , e n'imitaſſe la ſotti gliezza , e nell' idee , e nel
metodo di proporle . Nella Poelia. Epica , altro è che il Poeta imiti narrando
un facto , altro che introduca un degli attori a narrarlo . Così nell' Odiſſea
, aḥtre ſono le cofe che Omero direttamente narra accadute ad Uliffe , altre
quelle che narra Ulife ſteſſo . S'in troducono ne' Poemi i racconti , per
variar i modi dell' imita zione , ed ancora per accreſcerla ; ella è perciò
doppia , quando nel Poema i perſonaggi imitati, imitano effi fteffi col loro
rac conto . In queſto Dialogo , Pitidoro imita, narrando i diſcorſi che inteſe
da Parmenide . I Dialoghi, benchè fpecie di Poeſia Dramatica , in ciò con
vengono con l' Epica , e Platone , che nelle diſpute de'Filoſo fi volle imitare
i combattimenti degli Eroi di Omero , emold anche queſto nel modo di
rappreſentarli . Nel Filebo propone ſenza alcro la difputa chiaramente
enunziata intorno la felici tà ed il piacere , nè premette alcuna circoſtanza
ſtorica ai ra gionamenti dei tre interlocutori , Socrate , , Filebo e Protar co
; così fa nel Sofiſta , nell' Eutifrone nelle Leggi , e nella Repubblica , ma
non cosi nel Convito , nel Fedone, e nel Par menide . Pitidoro vi narra ciò che
ha udito da Antifone, e queſto è modo più artificioſo dell'altro , perchè vi ſi
ricerca molta ſa gacità nel render neceffario il ragionamento, ed accompagnar
lo di quelle circoſtanze che più mettano la coſa fotto gli oc chi , intereſſino
il lettore ad aſcoltare i perſonaggi, e di tem po in tempo lo ricreino con
opportune digreffioni , ma tutte convergenti alla quiſtione propoſta , ſenza
che ſe ne accorga il lettore. Nel diſcorſo naturale noi pafliamo ſenza rifleſſo
da una coſa all'altra , ma nel Dialogo , ſe ſi vuol imitando perfe zio ( 48 )
zionar la natura , nulla vi ſi deve introdurre ſenza ragion ſuf ficiente . La
ſomma difficoltà dell' artificio del Dialogo è nell: interrogazioni, e nelle
riſpoſte diftinte e preciſe , ma nel Par menide il dialettico s'accoppia col
dottrinale e queſta è la parte dominante , perchè eſcluſe l' idee ſeparate ,
Parmenide ſem pre parla ſcorrendo per le ſuppoſizioni. ; ILLUSTRAZIONE D E L 1
PARMENIDE. . Tom . II. } , ( 51 ) ILLUSTRAZIONE D E L PARMENIDE. tertentanut
Estates L A diſputa su l' idee fatta tra Parmenide, Zenone', Socra te , ed un
certo Ariſtotele , viene a Glaucone , e ad Adi manto riferita da Cefalo per
bocca d'Antifone, il quale avendo familiarmente converſato con Pitidoro
compagno di Ze none', avea su queſta materia udito da lui le ragioni dei tre Fi
loſofi. Reſtarono queſte cosi profondamente impreſſe nella me moria di Antifone
allor giovanetto , che molti anni dopo ſeb ben diſtratto dagli eſercizi
equeſtri , poté in tutte le loro cir coſtanze rappreſentarle nell' abboccamento
, che egli ebbe con Cefalo , e coi compagni . Tofto Cefalo eſpone il motivo
della diſpuca Parmenide ne Poemi avea detto che tutto è uno , e Zenone provato
in uno ſcritto , che uno non è molti . Si comincia la Jercura dello ſcritto , e
Socrate vi fa ſopra delle difficoltà a mi fura che ſi legge. Poco mancava' a'
terminar la lettura , quan do Parmenide con Pitidoro , e Ariſtotele entrarono
in caſa . Si leſſe di nuovo alla preſenza di Parmenide , e degli altri il pri
moargomento , e fi difputò incidentemente su la differenza del le due
definizioni parendo a Socrate , che il dire tutto è uno foffe lo ſteſſo che il
dire , uno non è molti . Glielo concede Zenone , é lodaća la ſagacità di
Socrate dichiara', che non per vanità o per 'arcano di Filoſofia egli ha'
fcritto , ma per fo ftener l'orazion di Parmenide contro coloro che ſi
sforzavano di ſchernirlo , perchè ſe molte contraddizioni degne di riſo pativa
l' Orazion di Parmenide , molte altre di più ridicole ſe ne inferivano dalle
ſuppoſizioni degli altri. Zenone ſcriſfe il : li bro nella ſua giovanezza , ma
un certo avendoglielo rubato.fi pubblico . Si ricomincia la diſputa. Parmenide
, e Zenone lafciano a So. crace eſpor tutta la ſua ſentenza su l'idee ſeparate,
per le quali moſtrava la definizione dell'uno da Zenone affegnata non eſſer univerſale
" . Accorcol Parmenide , che tutta la forza dell'argo mento ( 52 ) mento
di Socrate fondavaſi su l’idee ſeparate , l'imbarazza co ftringendolo ad
aſſegnarne alle coſe fiſiche. Non sa Socrate ri folvere la difficoltà.
Parmenide fingendo di conceder l'idee ſe parate argomenta contro la loro
participazione , contro il lo ro progreſo all' infinito , contro alla loro
incomprenſibilità. So crate n'è molto curbato , credendo che annullate l ' idee
ſepara te non vi fieno più principj per ben filoſofare . Ammira Par menide il
fervor di Socrate , e lo conſiglia ad eſercitarſi nella Dialetica per ben
inveſtigare l'idee . Pitidoro ed Ariftotele , pre gano Parmenide ad
eſemplificar il metodo dell'inveſtigazione dell'Idee . Egli ſcieglie l'idea
dell' uno , e col metodo delle ſup poſizioni la tratta. Orquattro ſono le
quiſtioni che ſi poſſono eſtrar dal Parmeni de relativamente alla definizione
di Zenone , che l'uno non è molti . La prima è quella dell'uno per rapporto
all' idee feparate ; Ia ſeconda dell'uno per rapporto asé ; la terza dell'unc
per rap porto all ' ente ; la quarta dell'uno per rapporto al non ente . Le tre
ultime quiſtioni ſono propoſte per via d'ipoteſi : ſe l'uno ; ſe l ' uno è ; fe
l'uno non è . Per non traſcurar nulla di ciò che agevola l'intelligenza del
Dialogo , premetterò partitamente ad ogni quiſtione la Ipiegazio ne delle voci,
e delle nozioni neceſſarie , ſtando più che mi ſia poſſibile attaccato alle
parole del teſto quale Dardi Bembo il tra duffe ; mi par inutile di por tutto
il Dialogo , perchè eſſendoſi ri ſtampato di freſco , tutti coloro i quali
hanno vaghezza d inten derlo ſe ne faranno già proveduti ,per gli altri
èinutile e vana ogni illuſtrazione . SEZIONE PRIM A. b. I. Enone defini l'uno
ciò che non è molci . Approva Ariſto tele ( a ) queſta definizione, perchè in
generale ogni defini zione , dovendoſi aſſegnare per le coſe più lenfibilia e
più note, l'eſperienza di tutti i ſenſi ci moſtra , che i molti ci ſono più
noti che l'uno ; i fanciulli più teneri nel coccare , nel vedere , e nell'udire
pereepiſcono i molti , e la loro cognizione è imme là dove hanno biſogno , che
la loro ragione fi maturi un poco per cominciare a dir uno , e quindi numerar
su le I molti dunque eſſendo più noti dell' uno , negandoli di forma 6 ) Metaf.
lib . 1o. diata ; dita . il ( 53 ) il concetto negativo dell'uno in quella
guiſa , che negando le par ti ſi fa il concetto negativo del punto . Dall'uno G
fa l'idea aſtratta dell'unità , come dall'idea dell'uomo l'idea aſtratta
dell'umanità . Tre ſono le ſpecie dell'unità ; la Lo gica, la Matematica , la
Metafifica. L'unità Logica ſono i generi , e le ſpecie, o certe idee univerſali
atte a rappreſentar molti in uno; l'unità matematica è il principio compoſitivo
de' numeri , o il prin cipio per cui fi numera ; principio differente dal zero
, da cui ſi nuinera . L'unità metafiſica' è una proprietà traſcendentale dell'
ente , o che conviene all'ente in quanto tale , poichè d'ogni ente fi predica
l'uno , come fi predica il vero , e il buono , o ſia il perfetto , ma la verità
, e la bontà , o la perfezione , inclu dendo ordine nella varietà ſuppone l'
uno , onde tra le proprie tà dell'ente egli è la più univerſale ( a ). L'unità
o l'uno nel ſuo concetto aſtrattiſſimo preſcinde da tutte le relazioni,
potendoſi per l'aſtrazione della mente non riferire, nè alle coſe che
rappreſenta , nè a' numeri che compone , nè a ciò cui conviene : In queſto
ſenſo aftrattiflimo definiſce Zenone l' uno , opponendolo ai molti in genere .
Contro queſta definizione cosi argomenta Socrate . Vi ſono idee ſeparate :
dunque ogni idea eſſen do una in sè , e molti , nel participarſi a molti l'uno
, eimolti poſſono accoppiarſi ; dunque non pud dirſi , che l'uno fia molti .
Prima di ſviluppar l' argomento rifletterò su certe voci , e nozioni di Socrate.
$. 2 . Suppone toſto Socrate, che vi fieno idee ſeparate. L'idea ſe condo
l'etimologia della voce Greca , ſignifica propriamente com fa viſta , e per
traslato ſignifica coſa inteſa , o ciò che s'inten de ; ma tallora ſignifica
l'atto per cui s'intende , il qual però meglio ſi chiama nozione o concetto.
Åleinoo defint l'idea , intelligenza per rapporto a Dio , pri mo intelligibile
per rapporto anoi , miſura quanto alla mate ria , eſemplare quanto al mondo
ſenſibile , effenza quanto a ſe ſteſſa . In tutti queſti ſenſi la prende or
Socrate , ora Parmeni de ; ma la prima nozione dell' idea ſeparata è che ella
fia il primo intelligibile . $. 3• ve ) Wolfo Metaf. ( 54 ) § . 3 . Socrate:
oltre l' idee del bello , dell' oneſto , e del giufto , che Parmenide gli
accorda , ammette ancora quelle del limile , del diffimile, del moto , della
quiete , dell' uno , e de' molti . Queſte ultime idee ſono tra loro oppoſte e
contrarie , come il caldo , il freddo , il bianco , ed il nero ; eſſendo
contrarie , ciò che convie ne all'una , non conviene all' alira , e quindi
ſecondo Socrate i ge neri, e le ſpecie , idee più o meno univerſali conſiderate
in se non patiſcono paßioni contrarie , ma nulla vieta nell'ipoteſi di Socrate,
che non poſſano participarſi dalle coſe. 1 S. 4 . Partecipare è propriamente
ritener in sè una parte d'un cutto ;; così l'aria partecipa la luce ', poichè
ogni particella d' aria ha in sè una particella di luce . In un ſenſo più ampio
, la voce partici pare s'eſtende dalla quantità alla qualità , all'azione , all
effenza Iteffa. ;. così ſi dice , che l'accidente partecipa della ſoſtanza',
gli effetti delle cagioni, un figlio le virtù , eivizj.del padre : La par
cipazione è quindi' più ampia della ſimiglianza limitata alla ſola convenienza
delle qualità , e molto più dell'imitazione , che alla fimiglianza aggiunge la
relazione tra il modello , e la copia ; due gemelli naſcendo saſlimigliano , e
pur l'uno' non è la copia dell' altro . I Pittagorici' nel riferir le coſe all'
idee ſeparate , come a loro modellidiceano', che participavano o imitavano
l'idee , ma fecondo Ariſtotele ( a ) non mai filoſoficamente ſpiegarono le voci
di participazione, e d'imitazione . S. 56 Cið fuppoſto , il primo argomento di
Socrate tratto da queſti principj fi pud diſtinguer in due per maggior
chiarezza . Ogni idea è una in sé , ed una in molti , dunque nel tempo ſteſſo ,
uno può efser molti . Cosi lo conferma , Benchè l' idee lieno tra loro con
crarie , nondimeno poſsono eſserº nel tempo ſteſso participate da. molti , anzi
dallo ſteſso ſecondo diverſi riguardi , ma in queſte participazioni ritengono
la loro unità , dunque: ſon uno e molti. Così lo prova : oppoſte e contrarie
ſono tra loro l’idee , del ſimile , del diſſimile', del moto', della quiete ,
dell’'uno; é dei molti ; dunque comenulla viera , che lo ſteſso poſsa aver more
in ( a ) Metaf, lib. ( 55 ) in una parte , e quiete nell'altra ; eſfer fimile
ad un altro in una parte, e diffimile nell'altra, così nulla vieta che ſia uno
, e molti ; una Caſa ha molti legni , e molte pietre ; ogni . Uo mo è uno
conſiderato in sè , ed è o ſeſto, o ſettimo conſide rato con altri . la un Uomo
, altra è la deſtra , altra la fini ſtra , altre le parti dinanzi, altre di
dietro , altre le ſupreme , al tre le infime. Nel Sofiſta egli dice ; noi
chiamiamo un Uomo denominandolo con molti cognomi , mentre a lui attribuiamo i
colori , le figure , le grandezze, le virtù , ed ivizi : nelle quali coſe tutte
, ed in altre infinite , non ſolamente diciamo che egli fia Uomo, ma ancora
buono , ed altre infinite coſe , e le altre fecondo la ſtella ragione . In
cotal gui sa fupponendo noi qualunque coſa una , di nuovo l'appelliamo molte e
con molti nomi ..... Onde ſi è da noi data occaſione di contraddi re , come jo
penſo a' giovani , ed a ' vecchi di tardo ingegno : percioc che incontinente ci
potrebbe chiunque far obbiezione che ſia coſa impos fibile, che molte sofe
folero una , ed una molte . ( a ) Dunque uno può eſſer molti ; dunque non è
generale la de finizione , che uno ſia non molti . La participazione dell' idea
evidentemente lo manifeſta . 7 9. 6 . . Sciolto è l'argomento ſe fi nega
l'ipoteſi dell' idee ſeparate perchè colte l'idee è colca la loro
participazione. Parmenide ri gecta l'ipoteſi, come nè generale , nè chiara ;
non generale .per chè non s'eſtende a cutti i cafi poflibili i ; non chiara . ,
'perchè non pud fpiegarſi la participazione dell'idea. Cost :provo la pri ma
parte non ſi debbonoaſſegnar idee delle coſe ſeparate, o aſſegnarſene di tutte
le coſe '; che vuol dire , non baſta affe le .coſe morali , e matematiche ,
mabiſogna af. ſegnarne ancora per le fifiche : dunque non ſolamente vi ſono
idee del giuſto , del bello , del buono , del grande , del fimile ec, ma
dell'uomo, del foco, dell'acqua , e d' alcune coſe , che molti fimano per avventura
ridicoloſe ; i peli, il fango, le macchie., ed altre coſe ignobili , e vili.
Socrate toſto lo nega, perchè gli pare , che ammettere queſt' idee, ſarebbe
coſa troppo diſconvenevole , poi can didamente confera, che alcuna volta queſto
penſiero lo turbo , e che quando di là fi ferma ſe nefugge temendo di non
corrompere la ſua mente , e fantaſia cadendo in ciancie ineſplicabili ., onde a
quelle coſe ritornato ( cioè all'idee del giuſto , del bello , del buono, ed
all idee 'matematiche ) verſa intorno a quelle . In ( a ) Sof, pag. 306 , (
56.) In un caſo ſimile ſi ritrovò il P. Malebranchio ; ſentendo egli la
difficoltà di ſpiegar chiaramente , come l'eſtenſione intelligibi- : le ,
eſſendo immobile in Dio , gli rappreſenti il moto , ove il luſtra queſto articolo
dice nel fine : ( a ) Io non oso impegnarmi'. a trattar queſto ſoggetto a fondo
, temendo di dir coſe, o troppo aftrat te , o troppo ſtravaganti, o ſe ſi vuole
, per non azzardarmi a dir co ſe che non so , nè sono capace di diſcoprire.
Queſto è il ripiego di Socrate . Ariſtotele ( do ) ove nella Metafiſica
combatte l' idee ſeparate malamente attribuite a Platone , adduce tra l'altre
coſe , che dandoſi idee ſeparate ſi dovrebbe darne de' ſingolari, de' corrut
tibili ; egli non eſtendeche l'argomento da Parmenide eſemplifica to , e poida
Alcinoo , che afferi non darſi nel fiſtema de' Platonici idee delle coſe
arcifiziali ; uno ſcudo , una lira ec. ne delle co fe oltre natura la febbre ,
la bile non naturale ; non delle coſe ſingolari, Socrate , Placone; non delle
vili, ed abbiecte ſozzure , paglie ec. donde traffero i Platonici dopo
Ariſtotele, queſta di ſtinzione, ſe non dal Parmenide ? §. 7 . Propoſta che ha
Parmenide un'obbiezione , che Socrate non può riſolvere , egli cangia l'
argomento ad judicium in quello aid hominem , che vuol dire non argomenta più
ſecondo i principi della ragione univerſale, ma ſecondo i principj del
diſputante , e ne deduce la contraddizione . Suppone dunque che vi fieno idee
ſeparate ", ma come poi date queſte idee lo ſpiegare che lieno participate
dalle coſe Queſta participazione ſi fa , o ſecondo il tutto , o ſecondo la
parte . Parmenide dimoſtra , che nèl'uno , nè l'altro può eſſere . Sia da una
coſa participaca l'idea ſecondo il cutco , dunque tut ta l'idea è in ſe ſteſſa
.; e tutta fuori di ſe ſteſſa ; dunque nel tempo ſteſſo eſiſte tutta in sè , e
cutca fuori di sè . Siaľ idea conliderata in sè A , e participata fia B , C, D
ec. generalmen te , o non A ; dunque nel tempo ſteſſo l'idea è A , e non A ,
ciò che è contraddittorio . Nè occor dire che un giorno è uno , e lo Steffo ,
ed inſieme in mola ti luoghi , e pur non è da ſesteso in diſparte . Il giorno
non è che la luce del sole , diffuſa in tutto il noſtro emisfero . Or quel la
parte di luce , che illumina me, non illumina il compagno ſebben mi lia vicino
. Parmenide li ſerve dell'eſempio della ve la , ( a ) Ricerca della verità T.
4. pag. ... ( b ) Metaf. I. .... ( 57 ) la , la quale molti coprendo , non è
perd una in molti , perchè la parte c he copre l'uno , non è la parte che
copre l'altro . Reſta a dimoſtrare, che l'idea non è participata dalle coſe ſe
condo una parte ; la dimoſtrazione è da se manifefta , perchè l'idea
participata ſarebbe una , e non una ; una tutta in sè , e non una nelle coſe
che ne hanno ſolo una parte . Queſto modo d'ar gomentare , è fondato ſul
principio di contraddizione adoprato lovente da Platone, e ſtabilito da
Ariſtotele , come il primo prin cipio in cui ſi riſolvono cutti gli altri .
Eſperimentiamo noi cal eſſere la natura della noſtra mente , la qual mentre
giudica che una coſa ſia , non può inſieme giudicare , che la ſteſſa non ſia .
Parmenide eſemplifica l'impoſſibilità di queſta ipoteſi. 5. 8. La grandezza è
ciò che è capace di più e di meno . Nel conce pir il più fi concepiſce il maggiore,
nel concepir il meno fi conce piſce il minore , e nel concepir l'eguale non ſi
concepiſce nè più , nè meno nelle quantità che ſi comparano. lo dico che li
comparano , perchè nè il più , nè il meno, nè l' eguale concepir ſi poſſono
ſenza riguardar una coſa nel tempo ſteſ to che l'altra o ſenza compararle , e
in queſta comparazione pro priamente la grandezza confifte, la quale , come ben
dice il Wol fio , non ſi può concepir ſenza un altro a differenza della quali
tà . Tutto quindi l' effer della grandezza è relativo , od ha tut to l'eſſere
in ordine ad un altro . Così Platone eſpreſſe la natu ra della relazione nel
Politico , nel Simpoſio , nel Sofifta , e pri ma di lui Archita , ed Ocello , (
a ) i quali diviſero la relazio ne in quattro generi . Da queſti autori traſfe
Ariſtotele ( 6 ) la definizione , che dà della relazione . Nulla perd vieta ,
come & proverà , che per compendiare i concetti non ſi concepiſca la gran
dezza come qualche coſa di aſſoluto , a cui accade – eſſere mag giore , minore
, ed eguale , e che di nuovo ſi concepiſcano il maggiore, o'l minore come
aſſoluti, a' quali accada il più , o meno , o nè l'uno , nè l'altro . Suppoſto
dunque , che fi dia l'idea della grandezza , e in conſeguenza del maggiore, del
minore , dell' eguale, così argomenta Parmenide. Sia A l'idea del maggiore , B
del minore , C dell' eguale ; ſi dividano tutte2 , e tre in parti ineguali : С
poichè dunque una coſa in canto è maggiore , in quanto partecipa l'idea del
maggiore , lia l'idea - B del maggiore A diviſa in parti ineguali, e la parte
minore delmaggiore ſia participata, quello che la Tom . II. h par ( á ) Diſcuſ.
Perip. Patriz ; T. 2. pag. 185. ( b ) Ad aliquid alia dicuntur quæcunque quod
ipſa ſunt aliorum effe dicuntur. o il A ( 58 ) partecipa non ſarà egli nel
tempo fefto , e maggiore , e mino re? Maggiore, perchè parcecipa l'idea del
maggiore; minore per chè parcecipa la parte minor del maggiore. Così potrà
dirli della participazione della parte più picciola dell'idea del minore, e
dell' idea dell'eguale . Se'l idee dunque fi participano dalle coſe , ſe condo
una parte loro non potrà mai effer quefta , una delle par ri ineguali.
Parmenide non procede olore , maè facile l'aggiun-. gervi , che nè meno pud
parcicipare delle parti eguali , perchè la parte .eguale del maggiore
participata dalla coſa , la farebbe nel tempo ſteſſo eguale , e maggiore ; e
così la parte eguale del mi nore , ſarebbe la coſa minore ed eguale. . 9. La
noſtra mente , come per ſua natura non può concepiricon tradditrorj, così non
pud frappaſſar l'infinito , biſogna che s'ar reſti ad un primo, o ad un ultimo
, il qual è come Tuncino che ſoſtiene curri gli anelli della catena. Ariſtocele
, e'ne'mori, e nel le cagioni, e ne'fini dimoſtra l' aſſurdità del progreſſo
all' infini 10 , modo d' argomentare imparato dal Parmenide di Platone non men
che l' altro del principio di contraddizione. Il Wolfo dimoſtròeffer impoſibile
il progreſſo all'infinito rectilineo, e cir colare . g. 10 , . Poſta
l'aſſurdità del progreſſo all'infinito , così argomenta Par menide : Tu ſtimi
che qualunque ſpecie fia una , quando pare i te cbe certe , e molte coſe fieno
grandi, parendoti per avventura in ris guardando a tutte le coſe , che ſia
queſta una certa idea , onde tu penfi che il grande fia uno . Prima
d'inoltrarſi è da oſſervare, che qui Platone inſegna, co me comparando le coſe
, nel riflectere a quello in cui conven gono , ne riſulta un'altra idea , come
prima avea inſegnato Epicarmo , Queſt' idea è ſempre una , perchè uno è l'atto
della mente con cui ſi rifletre a ciò che le coſe hanno di commune . Continua
Parmenide : Se'il grande, e l'altre coſe che ſono grandi nel medeſimo modo
conſideralli per tutre le coſe , non apparirebbe egli da capo ceri' una coſa
grande, onde farebbe neceſſario che queſte tutte pareffero grandi? Vuol dire
che nel compararſi dalla mente di nuovo l'idea del grande con le grandezze
participate , nè riſulta un'altra idea di grandezza , per la qual coſa
concludeParmenide: apparirà di nuo po altra ſpecie di grandezza fuor do esſa
grandezza , e di quelle che fono ! ( 59 ) fono partecipi di lei , e dopo tutte
queſte , altra di nuovo con cui som rebbono queſte grandi, nè pide
qualunqueſpecie fia una , ma piuttoſto di numero infinito . La ragione è , che
l'idee della grandezza di nuovo aſtratte nella comparazione , eſſendo per loro
natura re lative faranno fena pre di nuovo comparabili , e così all' infini to
. Ariſtocele su queſto fondamento del Parmenide , e tutti i Platonici, e tra
gli altri Alcinoo dillero , che non fu potea aver idee de relativi. $. 11. cioè
per Dal modo con cui Parmenide comparando l'ideę , altre idee He deduffe ,
concluſe Socrate, che le ſpecie ſono' atti dell'intel fetto, i quali non
riſiedono , che nell'animo . Gli concede Para menide, che ogni atto dell'
intelletto è uno , ma gli fa confef fare , che queſt' acto ha un oggetto , ed è
l' ente'; l'ente perd in quanto ſi concepiſce o s'intende', non s'immagina o
ſente : prende egli qut l'idea , non per la nozione , o per il concetro' della
mente 1 atto , ma per la relazione che ella ha ad un certo oggecto, e conſidera
l'unità dell'idea' non relativa mente all'atto dell'intelletto , ma all' ente
che la partecipa poichè ſecondo i principj di Socrate , ella è ſempre la ſteſa
in tutte le coſe . Ne deduce per confeguenza , che ſe l'idee ſono' at: ti
dell'intelletto , le coſe che partecipano della ſpezie', o deli? idea faranno
tutte intellective, ed intelligibili . Vi riſponde So crace , che le coſe non
partecipano' dell' idee , in quanto' queſte fono atti dell'intelletto , ma in
quanto rappreſentano le coſe ; che vuol dire, in quanto l' idee Tono eſemplari
, di cui le co fe fono limiglianze ; onde in tanto le coſe le partecipano', in
quanto ad effe li fanno ſimili . Parmenide contro queſte fimi glianze dell'
idee , argomenta coll' aſſurdità del progreſſo all' ip knito , come fece delle
grandezze . $. 12 Supponiamo che' molte' coſé' fieno ſimili per la
participazione dell' idee della ſimiglianza. Potendoſi dunque comparar dall'in
telletto le ' fimiglianze' , e delle coſe , e dell' idee , Te' ne' eſtrar rà
un'altra' idea di ſimiglianza , e queſta di nuovo comparando 1' idee con le
coſe , darà un' altra idea di fimiglianza , e co sh all'infinito , cio' che è
aſſurdo”. Cosi eſprime queſto argo mento Parmenide : non ſarebbe egli neceſſità
grande , che' quel che è fimile al fimile' folle partecipe dell' uno , e della
fleffa ſpecie ? Or hi 2 non ( 60 ) 5 non ſarà ciò la ſtessa ſpecie , di cui le
fimili coſe rendendoſi partecipi fiano fimili ? Dunque non può alcuna coſa
eller ſimile alla ſpecie, ne la ſpecie ad altrui, altrimenti oltre alla
fpecie', altra ſpecie ſempre apparirebbe, che ſe ella folle fimile ad alcuna
coſa altra dacapo' , ne cellerebbe mai queſto progreſo , che non ſi faceſſe
ſempre nuova fpe cie , ſe ancora folle ſimile la ſpecie , a chi di lei ſi
rendeſe partecipe : Ariſtotele propoſe lo ſteſſo argomento ſebben oſcuramente
L'Uomo , dice , ſignifica non meno la ſoſtanza ſenſibile degli Uomini
ſingolari, che la ſoſtanza intelligibile dell'Uomo per sè , o fia l'idea dell'
Uomo . Or ſe queſt' idee convengono in una coſa comune , fi concepiſce
comparandole un terzo Uomo, equin di un altro , e così all'infinit . Ariftotele
creſce l'aſſurdità Socrate lingolare participando dell'Uomo univerſale
partecipa , e dell'animale e dell'animale a due piedi , e d'altre coſe , ciod ,
quelle che ha comuni colle piance, colle pietre , ed altre innume rabili.
Converrà dunque moltiplicare all'infinito l'idee, onde per una coſa ſenſibile
converrà porne infinite; ſi può aggiungere che queſto numero di nuovo ſi moltiplicherà
all'infinito am mettendoſi l' idee dei relativi, poichè ogni coſa che è nell'Uo
mo , pud compararſi a turce l' idee delle coſe viſibili , ed invidia bili , o
della ſteſſa, o di diverſa ſpecie. Ma l'Uomo ideale, diceano i Pittagorici ,
effendo incorrutti bile , ed univerſale non ſi può comparar a coſa ſingolare ,
e cor ruttibile , ed eſtrarne quindi nuova idea ? Ariſtotele vi riſponde : i
binarj feparati ſono anche eſſi incorruttibili , e pur per conoſcer li biſogna
dar un'idea comune di binario , in cui convenga il binario B , il binario C ec.
In oltre l'idea di figura è comune al cerchio , al triangolo , ea tutte le
figure piane e ſolide, onde ella , è propriamente ge nere relativamente alle
ſpecie , ma chi può mai conoſcere una figura che non ſia , nè cerchio , nè
triangolo , nè altra ſimile ? Intanto la concepiſce la figura in genere , in
quanto la mente non s' applica , che ai limiti che circonſcrivono lo ſpazio ,
fen za far attenzione rifeffa , nè al modo , nè al numero , nè al fito dei limiti
ſtelli . Spiegherd la coſa con un eſempio più fa cile . Egli è impoſſibile che
io concepiſca un triangolo ſenza rappreſentarmi che egli fia , o Equilatero , o
Iſollele , Sca leno ; altro è poi , che nel rappreſentarmi uno di queſti crian
goli io non faccia determinata attenzione alle ſpecie dei tre lati . Noi non
intendiamo le cofe , dice San Tommaſo , ſe non cona vertendoſi a' fantasmi loro
. Ora a qual fantasma è anneſſa l' idea della figura ? Confuſamente a tutte le
figure ; ma io non ne , con ( 01 ) conſidero diſtintamente alcuna , e ſolo
attendo a ciò in cui cut te convengono , ed è d' eſſere uno ſpazio
circonſcritto ; ma ſe nel concepire l' idee de' generi delle coſe matematiche
v'è canta dif ficoltà ammettendo l' idee ſeparate , quale ve ne ſarà nell'idee
metafiſiche ? Nell'ipoteſi Pitagorica ſi dovranno aſſegnar idee del poflibile ,
dell'ente , dell'atto , della potenza , della cagione , del principio , del
modo , dell'attributo , del terminato , è dell ' indeterminato , del neceſſario
, del contingente', del perfetto dell'imperfetto ec. nè ſolo di queſte coſe ,
ma del prima , del dopo , dell'inſieme , del ſeparato , e finalmente del genere
in quanto genere, e della ſpecie in quanto ſpecie : coſe tuote af furdiffime nè
abbaſtanza eſaminate da coloro che preteſero che noi vediamo le coſe in Dio ,
perchè ad ognuna di queſte coſe non men che all'eſtenſione , ed al numero
dovrebbe aſſegnarſi un'idea , Ariſtotele con gran ragione v'aggiunſe, che neli
ipo teſi dell' idee ſeparate, oltre l'idee de relativi converrebbe am mettere
l'idee delle negazioni , e delle privazioni , o degli op pofti , cioè dei
contraddittori dei contrarj ec. 9. 13. Dace l'idee , data la loro
participazione, ed eſcluſa la compa razione a'ſenſibili, ricerca Parmenide fe
debbonſi annoverare l'idee tra gli enti relativi; od aſfoluti . Vi fono delle
coſe, di cui tutta l'eſſenza conſiſte nel riferir fi all'altre, e queſte ſono
relative , ( 8. 8.) é ve ne ſon altre di cui l'eſſenza conliſte nella non
ripugnanza dei predicari , che le coſtituiſcono , e queſte ſon le affolute ;
Poichè tutto l'efferé de’ relativi è nel loro confronto , ( 5.8 . ) includono
effi neceffaria. mente due termini tra loro oppoſti, il fondamento dei quali fo
no le coſe affolute , che tra loro fi comparano ; quindi il fonda mento del
relativo è sempre l' aſſoluto . Un Uomo fuffifte per sè , e ſe foſſe ſolo nel
mondo , non farebbe nè Padrone , nè ſer-' vo , ma ſuppoſto che viva in una
ſocietà , può eſſer l'uno , e l' altro, in guila però che non è ſervo in quanto
Padrone, nè Pa drone in quanto ſervo , ma come Padrone ſi riferiſce a coloro
cui comanda , come ſervo a coloro cui ubbidiſce, e l'uno , e l' altro gli
accade in quanto è Uomo , ed a diverſi Uomini li ri . feriſce. Poichè dunque
l'idee fi riferiſcono ai fimili che le par tecipano , biſogna che ſieno in ſe
ſteſſe e parimenti perchè i ſimili che partecipano l'idee fi poffano riferir
all’ idee, convie ne che fieno in ſe ſteſi. Biſogna in una parola , che l'idee,
e le coſe che le partecipano abbiano un' eſſenza determinata . Con clude ( 62 )
1 clude quindi Parmenide, che l'idee hanno tra loro, un ' eſſenza , ma che
queſta non è un eſſenza tutta: relativa alle coſe che ſo no appreſſo di noi, o
pure le coſe fi nominano ſimiglianze , o in altramaniera di cui facendoſi partecipi
, noi la nominiamo con , qualunque di eſſe. ; . aggiunge parimenti, che le coſe
che ſono in noi, non hanno la virtù ſua d'eſiſtere in verſo l' idee , ma fono
quel che ſono relativamente a ſe ſteſſe . Parmenide quin di chiama le cofe. che
ſono in . noi ,, e: in torno a noi: equivoche: all' idee .. Cagione equivoca:
degli animali , delle piante , de metalli ec. diſero Ariſtocele , e gli
Scolaſtici il Sole , perchè ſebben concorra alla loro generazione, non conviene
con loro , 0 non gli aſſomi glia che nell'eſſere . Parmenide parlando ad
bominem par che allu da all' opinione di Socrate , il quale nell' ammecter l'
idee , come cagioni delle coſe , era sforzato ad ammetterle come cagioni
equivoche ,, non potendo ammetterle, come cagioni eſemplari, il che: Ariſtotele
così : dimoſtrò :-ſe quando l'Uomo fi genera da Socra te, eglis'alfomiglia
all'idea , e non a Socrate , fi potrà generar: { mile all'idea , liavi o non
ſiavi Socrate ;; ma ľ Uomo generandofia non s'aſſomiglia all'idea , ma a
Socrate , come è manifeſto dall' eſperienza ; dunque Socrate , e non l'idea è
l'eſemplare del generato: Poſto dunque che l' idee : influifcano nella
generazion delle coſe, convien ſempre porle , come cagioni equivoche ; : ma da:
chi Ariſtotile traffe cal idea , ſe non da Placone ? ' Or fe: l'idee non hanno
relazioni alle coſe , o ſono diloro ca gioni equivoche, come poſſiamo
conoſcerle? Se le piante , de pie tre ragionaſſero , . potrebbono
mairappreſentarli ( rimirando ſe fteſ . ' fe , . ), che il Sole foſſe loro:
tanto diſſimile ? che ebbe . tanta parte nella loro generazione . Le noſtre
idee non ſono cagioniequivoche delle coſe , le quali noi produciamo affilandoſi
ſul loro modello . Un Architeto uno Scultore, un Pitcore fanno la caſa , la
ſtatua , . , l'immagine ſecondo l'idea che ne hanno formata , e perciò
comparano l'effet to all' idea per miſurarla ,, e perfezionarla ; , nella
combinazione dell'idée chiare , . e diſtinte conſiſtendo la ſcienza , l'oggetto
del la noſtra ha ſempre proporzione all'idee che d'effo formiamo ;.. ma ſe l
.idee : ſeparate come cagioni equivoche non hanno alcu na proporzione con le
coſe che vediamo , non par poffibile di : riconoſcerle , e in conſeguenza aver-
Scienza di loro . Delle co fe quindi rivelate , non abbiamo ſcienza ma fede;
ſono certe , € infallibili , ma non a noi: chiare e diftinte .. Platone nel
Filebo ſtabiliſce due generi di coſe; altre non 'han no avuto origine , nè
finiranno giammai , perchè ſono immutabi li , e fempiterne ; altre non ſono
perchè ſempre 'fi fanno ſono a generazione, & corruzzione ſoggette : À
queſti due ge neri di coſe , ' fa corriſponder due generi di cognizione ; delle
coſe immutabili , ed eterne ſi ha ſcienza , dell' altre non ſi ha che opinione.
Le coſe di cui s' ha ſcienza ſono l'idee , perchè ſono ſempre nello ſteſſo
ſtaro , nè ſi può ſapere ſe non ciò che è , ed è ſempre nel medeſimo modo ; le
coſe di cui s' ha opinione fono le coſe ſenſibili, perchè continuamente fluendo
, non ſono mai nello ſteſ fo ſtato . Come dunque Placone nel Tilebo , dà
fcienza dell'idee , e nel Parmenide non la dà ? La riſpoſta generale è , che da
cid che ſi dice in un Dialogo ,nulla deve inferirſi relativamente a cid che ſi
dice nell'altro , perchè Platone non ragiona ſecondo la ſua ſentenza , come
nelle lettere per eſempio , ma ſecondo le ſenten że altrui ; oltre a cid ,
Platone trattando nel Filebo della defini zione della ſcienza egli è manifeſto
, che tratta ſolo della ſua pof fibilità relativamente all'oggetto ,ſenza poi
procurarſi di cercare , ſe ſi dia o no tale ſcienza negli Uomini , I Matematici
definiſco no il cerchio , e il triangolo in quanto è poffibile , nè fi curano
ſe eſiſta o.no : quindi ben ' li definiſce la Filolofia , la Scienza dei
poffibili in quanto tali ; nel Parmenide non della poſſibili tà , ma
dell'attualità della ſcienza ſi tratta , e Parmenide mo ftra , che dandoſi l'
idee ſeparate non poſſiamo aver 'ſcienza di effe , perchè non hanno alcuna
proporzione con noi , e con le coſe .noſtre . 5. 15 . Ammettendo con S.
Agoſtino , e S. Tommaſo , cheIddio ab bia idee , e molte idee , onde per eſſe
conoſca i ſingolari , i fu turi , i contingenti, gli infiniti, non perciò
poſſiamo dire , che abbiamo ſcienza dell' idee di Dio , o che poliamo conoſcere
co me per queſt' ideeegli conoſca le coſe. Il Malebranchio , ed il Poiret, che
lo tentarono , caderono ſecondo la fraſe di Socrate in ciancie ineſplicabili. 1
. 16 . ( 64 ) . S. '16. : s' inoltra Parmenide: La ſcienza in sè conliderata è
un'idea , come la bontà , la bellezza ec. ma ſe queſt' idea della ſcienza , non
ha alcuna proporzione alle ſcienze a noi note, non poßia mo conoſcerla , poichè
le ſcienze intanto a noi ſono note in quanto verſano su noi , o su le coſe che
ſono intorno a noi . Or non conoſcendo l'idea della ſcienza in quanto tale , nè
men poſſiamo conoſcere ſcientificamente l'altre idee, perchè per aver ſcienza
dell' altre idee convien participar dell'idea della ſcien za , ciò che è
impoflibile : Parmenide par qui ſupporre che la noftra ſcienza paragonata
all'idea della ſcienza ſia come il zero all' infinito ma ſe noi non
participiamo dell'idea del la ſcienza , come potremo ſcientificamente , o
chiaramente , e diſtintamente conoſcere il bello , l'oneſto , il giuſto , e
l'altre idee ? Nulla a mio credere v'è di più acuto , e profondo che queſtº
argomento , e quel d ' Ariſtotele non l'eguaglia , benchè per altro concluda
contro l'ipoteſi dell' idee ſeparate . Oſservò egli che lº idee eſsendo
immutabili per loro eſsenza , non ſi può per eſse ſpie gar il moto , dalla cui
cognizione dipende quella della natura ; dunque l' idee ſono inutili alla
ſcienza per cui furono introdotte . Coloro i quali amiſero con Eraclito , che
le coſe ſenſibili ſono in un continuo fluſso , ricorſero all'idee ſeparate , le
quali immutabili eſsendo , ſomminiſtravano a? Filoſofi dei principj immutabili
del loro ſiſtema ; la difficoltà è come i Filolofi le conoſceſsero , ſe la lor
mente , non nell' eſsere , ma nell operare dipende dagli organi del corpo umano
, ſoggetto alle vicende dell'altre coſe fenfibili ? f. 17 . All' argomento
tolto dal principio di contraddizione del pro greſſo all' infinito , Placone
aggiunge l' altro tolto dalle perfer zioni Divine . Come il retto è la miſura
di ſe ſteſſo , e del cur vo , così il cumulo di tutte le perfezioni che è in
Dio ; ci ſer ve di miſura per giudicare, e delle perfezioni di Dio ſteſso , e
di quelle dell'altre coſe . Per via del principio di contraddizio : ne del
progreſso all'infinito ſi dimoſtra l'eſiſtenza di Dio , e per via , o di
negazione , o di eminenza , o di caſualità , fi di moſtrano le infinite
perfezioni di lui , onde ſe a qualche data ipoteſi conſegua l'annullazione di
qualche perfezione divina , l'al ſur ſurdo è maſſimo, perchè Dio nell' effer
principio dell'eſiſtenza, è ancora principio di tale eſiſtenza , e nulla può
eſiſtere ſe ri pugna alla natura Divina . Socrate non potea non conoſcer Dio
comeprincipio intelli gente , dunque era neceſſario , che gli attribuiffè l'
idee non me no convenevoli all'intelletto , che i tre lati ad un triangolo ;
pur tace Socrate , quando Parmenide gli prova , che la perfec tiſſima ſcienza o
P idea della ſcienza convenendo a Dio , egli per queſt' idea non poteva
conoſcer le coſe , ciò che era con trario alla divina natura . Par dunque che
Socrate ſupponeſſe l' idee ſeparate , ma dall'altra parte Ariſtocele dice
chiaramen te , che Socrate noo ammetteva l' idee ſeparate ſe ben deffe gli
univerſali . Non ſi ſoddisfarebbe in parte alla difficoltà , di cendoli che
Platone , per bocca di Socrate , parlò dell' idee in fenfo poetico , per aver
occaſione d'annullarle, e propor la doc trina che ha da lui copiato Ariſtotele
, e della quale poi ſi ſervì contro que' diſcepoli di Platone , che
realizzarono l' idee ſeparate . . 18. Annullate l' idee ſeparate , la voce idea
nel progreſo del Dia logo , tutta fi riſtringe all' idee , che la mente aftrae
comparan do le coſe . S'è già accennato ( $ . 8.) il modo, con cui deduſ fe
Parmenide l'idea della grandezza , e de' ſimili , e li vedrà inoltrandoſi , che
egli parlando dell' uno e dell'ente, proteſta di ſeparar le coſe con l'intelligenza
, e con queſta fino sbra narle', che è quanto dire, diſtinguer i concetti o l'
idee , ſecon do i rapporti delle coſe, foſſero ancora quefte ſempliciffime ;
nulla v'è di più ſemplice dell'anima per ſua natura indiviſibi le , e pur in
eſſa ſi diſtinguono varie potenze , ſecondo le rela zioni , che ai varj organi
del corpo ella ha operando , onde fi dice che ella ſente , ë che ella immagina
. Nella parte ancora intellettiva , ſi diſtinguono le facoltà che ella ha di
comparare , e di aſtrarre , e di combinare e di , e di contemplare l' idee',
onde ella dichiaraſi mente , e ingelletto, ( c ) voci non altrimenti fi nonime,
poichè le loro etimologie di confrontano ai varj uffizj dell'anima ; tutte
quindi le ſcienze ſono ſu l' aſtrazioni fonda te . La fiſica aftrae dalle coſe
ſingolari, la matematica dalle ſen Tom . 11. i (a) Mens è detta a menfura ,
poichè l' anima compara , e miſura le coſe , Intellectus da intus legere ,
poichè intendendo ſcieglie , e deduce una cola da un' altra . fibili , ( 06 )
fibili , la metafiſica da ogni materia . Vuole il Patrizio , che come in una
gran parte del Sofifta , čosi in tutto il Parmeni de non ſi tratti che di
quella metafiſica , che Ariſtotele colſe da Placone , e di cui le prime idee ne
diedero i Pitcagorici , e tra gli altri, Archira e Peritione; io v'aggiungo che
la me cafifica avendo due parti , cioè l' ontologia , o la ſcienza , che tratta
delle proprietà dell'ente , in quanto ente , e la Teolo gia naturale o la
ſcienza , che tratta delle ſoſtanze ſeparate dal la materia , come Dio e
l'anima , Parmenide ſi riſtringe in que ſto trattato all' ontologia , e
manifefte ne faranno nel progreſo ſo le prove ; baſta accennar qui , che
dovendofi dar un elem pio del modo con cui s acquiſtano l ' idee , ſcieglie
Parmenide l'idea dell'uno , applicando ad efla il metodo delle fuppoſizio ni .
Due coſe aggiunge alluſive all'analiſi , ed alla ſinteſi . La prima che ufficio
e d' uomo ingegnoſo il poter apprendere , come ſi ritrovi il genere di
qualunque coſa , ciò che ſi fa cominciando dall'analiſi , o dall'eſame delle
coſe particolari , e per l'aſtra zione , elevandoſi agli univerſali ; la
ſeconda , che ufficio è di uomo meraviglioſo inſegnar agli altri le coſe
ritrovate , ciò che ſi fa per la ſinteſi , combinando l'idee generali, e quindi
le lo ro combinazioni, da cui ſi deducono i problemi , e i teoremi , ed indi i
corollari , e le annotazioni. Sommo acume di men te fi ricerca nel far le
opportune aſtrazioni , e di nuovo da .quefte aftrarne altre, ſin che ” analiſi
propoſta ſi riduca all' ul time idee , e ſomma fodezza , ritrovare l'idee ,
concatenarle in guifa che alcri con facilità , e prontezza le intendano, e
l'uno , è l'altro dimoſtra Parmenide , o col luo nome Placone. Se l'uno che ne
ſegua . b . I. Vuol Uole il Ficino , che queſta prima fuppoſizione debba inten
derſi . Se l' uno , perchè il verbo è , o ſia la copula del predicato o del
ſoggetto v'è pofta , non in grazia della coſa , ma dell' orazione . Nel legger
la nota marginale del Ficino mi ricordai, che Licofrone ( a ) invecedi dire ,
il parete è bianco , di ceva il parete bianco , ed altri il parete biancheggia
, quaſi che Platone non riprovaſſe nel Sofiſta l' orazion ſenza verbi , o che
(a ) Ariſt. 1. Phil. 9 ( 07 ) che i verbi non foſſero ſtati inventati per
compendiare i gius dizi ! Non è forſe lo ſteſſo il dire , io amo , che io ſono
aman te é io biancheggio , che io fono biancheggiante ? La fuppofi zione
dunque, je l' uno equivale all' orazione condizionata , ed implicità fé uno ,
nè così la propone Parmenide , ſe non per intimarci, che a null' altro fi deve
badare nell'ipoteſi , che all uno preſo in un concetto aſtrattiflimo. Nella
Geometria ſinteticamente ſi comincia dal punto prin cipio della linea ;
nell'aritmetica, dall'uno principio del nume ro ; e nell' ontologia dall' uno
traſcendentale , che conviene ad ogni noftra idea . Eſclude tutte le relazioni
, perchè riferendofi l'uno per eſempio ad A , B , C ec. non è più uno , ma
molti , in quanto in lui fi conſiderano le diverſe faccie che ſi riferi ſcono
ai molti . Parmenide in queſta prima ipoteſi eſclude dall' uno cutte le
relazioni, cioè quelle dell'ente in genere , e l'alore dell'ente in fpecie .
Relazioni dell'ente in genere ſono l'identicà , e la di verſità , perchè non
competono meno alla ſoſtanza , che alla quantità , qualità , ed agli altri
predicamenti. Relazioni dell'en te in fpecie ſono , la limiglianza , la
diſſimiglianza , Peguaglian za , l'ineguaglianza , l'antichità , la novità eco
perchè competo no o alle fole qualità , o alle ſole quantità ec. * l une e l'altre
intanto ſi dicono relazioni , in quanto non conſiderano le coſe in ſe ſtelle ,
ma relativamente tra loro : il diffimile , l'eguale ec. non li concepiſcono
ſenza i due termini , che tra loro fi paragonano . Se l' uno in quanto tale non
può compararſi ad alcuna coſa , biſogna eſcluder da lui tutte queſte relazioni
, tan to più ſe nelle coſe riferite s'includono i molti. Parmenide comincia
dall'eſcluſione delle relazioni più facili a conofcere', che ſono quelle della
quantità ; paſſa alle relazioni della qualità , e ad alcre , e finalmente
all'eſſenza ; nè di ciò con tento efclude le relazioni, che l'uno può aver
all'opinione , al la ſcienza , é lino al nome. Se l'uno in queſto concetto
aftrat tiſſimo fi nominalle , avendo ogni nome relazione al ſenſo , al la
fantalia , od alla mente , e quindi a tutti gli uomini, che lo pronunziano o
l'odono, l'uno con l'aggiunta di queſte relazio ni ſarebbe molti . Si ſente più
che non s'eſprimequeſt' ultimo grado , ed abbiamo grande obbligazione a Platone
, che in que Ro Dialogo , nel rappreſentarci la dottrina della fetta Eleatica ,
ci ha moſtrato l'uſo opportuno delle aſtrazioni. Egli di conten ta di non
moltiplicarla , che fino ad un certo grado , a fine che l'idea coll' altrarla
tanto non s'inlanguidifca , è sfumi; onde al fine la mente non poſſa più
ravviſarla in quella guiſa , che i 2 l'im 708 ) l'immagine d'un oggetto
riflettuta da uno ſpecchio ſucceflivamen te in molti altri , al fin diviene si
ombratile , che ſvaniſce da. gli occhi . Frattanto era neceſſario dimoſtrare in
un ſoggetto aſtrattiſſimo per sè , l'uſo dell'ultime aſtrazioni che può far la
mente , non eſſendovi altro modo di accennare , come in ogni quiſtione s'arrivi
a quell' ultima idea , in cui conviene che vi ci ripoſi , anco malgrado
l'impeto innato , che inevitabilmente ci porta a ſempre più nelle cognizioni
inoltrarci. Nell'inveſtigazione poi dell' idea vaga Parmenide per tutti i
generi , come era in uſo nell'antica Dialetica, e fatta la ſuppoſizio ne
determinata per via di comparazioni, ed eſcluſioni, egli ricava il punto
preciſo della quiſtione propoſta. Con la chiarezza maggio re che io poſſa ,
procurerò deſprimer diſtintamente tutti i gra di tallor dell'analiſi, e callor
della ſinteſi Parmenidea . Nel trat çar l'altra quiſtione meconvenne ſeguire le
interrogazioni, e le riſpoſte degli Interlocutori ma quà folo Parmenide parla ;
onde bafta ſolo ſeguendo l'ordine del Dialogo premetter le.co. ſe neceſſarie ,
eſtrar la propoſizione, e dimoſtrarla fe fi può cal metodo de' Geometri . L'
uno non è molti . Abbiamo quanto baſta illuſtrata queſta definizione ; qui fo
lo avverto , che come il Wolfio , dopo d'aver definito , che l'en te ſemplice è
cid che non ha parti , da queſta definizione ne gativa egli deduſſe, che l'ente
ſemplice non è ſteſo, non è diviſibi le , ſenza figura , ſenza grandezza, che
non riempie ſpazio , che non ha moto inteſtino ec. Così Platone , da ciò che è
l ' uno , dimoſtra le fteſſe coſe , e molt'altre che andremo partitamente,
conſiderando , e deducendo dalle nozioni preme{le . g . 3 . 11 Wolfio defini il
tutto ciò che è lo ſteſſo con molti ; per abbracciar in una definizione non
ſolo il tutto integrale , che chiamaſi totum , ma ancora il potenziale che
chiamali omne. Lo ſteſſo , come ſi vedrà fra poco , conviene non meno alle quantia
tà , che alle qualità , ed alle ſoſtanze , e l'idea di molti è più univerſale ,
che quella delle parti , convenendo i molti e agli enti ſemplici, ed a'
compoſti come a' quantitativi . Parmenide non definiſce qui , che il tutto
integrale , raccogliendo inſieme le 1 ( 69 ) le parti , e limitandole in uno, a
cui niente manca , ed è per fua natura indiviſibile; la nozione di molti è
quindipiù aftratta della nozion delle parti , e in queſto ſenſo Ariſtotele
diffe , che il tutto è prima delle parti, e non le parti del tutto , il che ,
ſe ſi crede al Patrizio , tolfe da Ippodamo Turio . ( a ) §. 4. L'uno non è nè
tutto , nè parte di sè . Se l'uno è tutto non vi manca alcuna parte , ( $. 3. )
dunque ha parti ; dunque è molti contro la definizione dell' uno ( $. 2. ) Se
l'uno è parte di sè , è un tutto riſpetto a sè , ma non pud eſser un tutto ,
come ſi dimoſtrò; dunque non è parte disè. L'uno non effendo nè tutto , né
ſteſo , od è indiviſibile , o è ſemplice. parte , non è 8. S. Ogni cutto ha
principio , mezzo , e fine . Cid vuol dire , che propoſtoſi un turco nel
numerarne le parti fi comincia da quella che chiamaſi prima , e li progrediſce
all' ultima paſſando per le intermedie . §. 6. L'uno non ha principio , nè
mezzo , nè fine. ol, Se l'aveſse ſarebbe un tutto ( $ . 5. ) il che è
impoſſibile ( 8.4. ) Speſre volte inſegnò Ariſtotele, che l'infinito è ſenza
principio, ſenza fine ; offerva il Patrizio, che lo preſe dal Parmenide, ove ſi
dice , che l'infinito ( o piuttoſto come io crederei l'indefinito ) non ha ne principio
, nè fine, cioè non ſi sa in eſſo , nè dove comin , ciar la numerazione , ne
dove terminarla . In queſto ſenſo una li nea non è propriamente infinita , o
indefinita , le comincia da un punto , nè una ſuperficie, nè un corpo , ſe la
ſuperficie comincia da una linea , e il corpo daunaſuperficie. A queſti
infiniti måtema rici , che cominciano da un termine , non compere la
definizione, che Platone aſſegna dell'infinito , da cui eſclude il principio ,
ed il fine . ( a ) Diſcuſ. perip. T. 2. p. 280. S. 2 : ( 70 ) S. 7. L ' uno è
infinito . L'uno non ha principio, nè fine ( S. 6. ) Dunque è infinito . ( An.
Si 6: ) 9. 8 . La figura è una parte dello ſpazio , o dell'eſtenſione
circonſcrit ca da cerci limiti , o è retta come il quadrato , il cubo ec. o ro tonda
, come il cerchio , la sfera , Pelifli , l'eliffoide ec. o miſta dell'uno , e
dell'altro . Il principio della figura è dove i moder ni pongono il vertice ,
il fine dove pongono la baſe" , il mez zodove la figura fi divide per mecà
. 8. 9 . L'uno non ha figura . Ogni figura, o recta , o rotonda ha principio ,
mezzo , o fine ( 8. 8. ) ma l'uno non ha principio , nè mezzo , nè fine. ( $ .
6. ) Dunque non ha figura. L'uno è infigurabile. $. 10. Non lo può concepire' ,
che una coſa ſia in ſè ſteſſa ſenza il di 1 ſtinguere con la mente , che ella è
comprendente e compreſa , cid che è concepirla due volte , o di uno far due .
Non ſi può conce pire , che una coſa ſia in altrui , ſenza che ella ſia toccata
in mol te parti. Il luogo abbraccia , o comprende la coſa in lui colloca ta ·
Eſer in alcrui , od effer in ſe ſtello ,, ſono due oppoſti ſenza. mezzo , come
il moto , e la quiete . So IT . L'uno non è in luogo. O ſarebbe in sé , o in
altrui ; ( $. 10. ) ſe in sè , egli ſarebbe a sè il ſuo luogo , onde abbracciando
ſe ſteſſo ſarebbe nel tempo fteflo , e comprendente , e compreſo , cioè l' uno
ſarebbe due co ſe o molti contro la definizione ( $. 2.) ſe foſſe in altrui,
fareb be 1 1 1 1 ( 71 ) be toccato in molte parti, onde avrebbe molte parti
contro la definizione. ( §. 2. COROL. L'unonon è circonſcritto da alcuna coſa ,
terra , Cielo , materia , ſpazio ec. ANNOT. Daqueſto argomento lice inferire ,
che Parmenide cob ſidera qui l'uno , in quanto è dalla mente aſtratto da corpi
, che ſono in luogo ; s'è già oſſervato , che l'ontologia degli anti chi era
fondata su l' idee aftratce dalla materia , dalla forma, dal compoſto, dagli
accidenti ; onde queſt'uno aſtratto da corpi , e da loro dipendente non ha
alcuna relazione a Dio , ch'è un ente per sè , in sè , infinito cc. . 12. Il
moto alla ſoſtanza , ſecondo Ariſtotele , è quando una coſa , per eſempio una
parte di terra ceſſa d'eſfer terra , e comincia ad eſſer pianta . Il moto alla
quantità è quando una coſa , per eſempio un fanciullo creſce nella ſtatura , ed
un vecchio decreſce . Il moto alla qualità è quando per eſempio la carne d
unUomo fredda , dura , ed aſpra , li fa da sè calda , molle , liſcia . Preten
deva Ariſtotele, che queſti tre moti dipendendo dalla forza in crinſeca , che
facea cangiare alle coſe la ſoſtanza, e gli acciden ti loro , li diſtingueſſero
dal moto locale , nel qual altro non ſi con ſidera , che il paſſaggio da un
luogo all' altro : Parmenide , o Pla tone, benchè parli del moto di
generazione, e d'alterazione, par ſolo far attenzione, ſecondo l'ulo
de'moderni, all'accoppiamento delle parti , e quindi all aumento delle qualità
, due coſe accom pagnate dal moto locale , o di traslazione. Lo conſidera egli
in linea retta , oin cerchio , nel qual moto una parte della coſa & forma
nel mezzo , e le altre parti fi rivolgono intorno al mezzo . Vuol poi , che
tutto ciò che ſi genera ſi faccia in qualche luogo ſecondo il principio da lui
in queſto Dialogo replicato più volte. Ciò che non è in alcun luogo è nulla .
Platone nel Teeteto dice per bocca di Socrate : Se dimoſtran eli una ſpecie di
moto , o due ſpecie , come a me pare , nondimeno io conſidero che cid non
ſolamente appaja a me folo , mo ancora tu ne fii partecipe, acciocchè amendue
parimenti patiamo qualunque coſa face cia meſtieri, ficchè mi di , cbiami tu
forſe moverſi , quando alcune coſa fe mute da luogo a luogo, e nello steſo ſi
raccoglie ? Teodoro glie lo concede. Socrate ſoggiugne : Dunque fiare una
specie questa , ma quando fermandoſi alcuna coſa nello ſteffo luogo s'invecchia
, o di bian , ca fi fa nera , o dara dimolle , e ſi altera da certa altra
alterazione, son chiameremo noi meritamente queſt' altra ſpecie di movimenti ?
... Ora dico che fieno due le ſpecie del movimento cioè alterazione , la ( 72 )
la circonferenza. Egli dice circonferenza in luogo di traslazione in cerchio ,
per moſtrar che nel pieno ogni coſa va in giro. , Conſidera poi quì , che nel
farſi una coſa vi la un accoppia mento , nel qual prima una parte fi congiunga
a quella che li fa , mentre l'altra parte , che ſi deve aggiungere , è ancora
fuori della coſa . 1 $. 13. L'uno non ha moto di alterazione , nè di
generazione . Non di alterazione , perchè ſe ſi altera non è più uno , ac
quiſtando nuove qualità ; ſe fi genera non è più uno, acquiſtan do nuove parti
. Or nuove qualità , e nuove parti fanno molti ; dunque ſe l' uno o fi altera ,
o fi genera , è molti contro la de finizione . IN ALTRO MODO. Una coſa non può
generarſi o farſi che in un' altra , perchè tutto ciò che è , o fi fa, è in
qualche luogo , ma ſe l'uno non può effer in un altro ( S. 11. ) nè meno può
farſi in eſſo . In ol tre ſe una coſa ſi fa in un altro , non ancora ella è ſe
ſi fa . Or quando una coſa ſi fa, una parte è in lei , e una fuori di lei ,
perchè le parti fi vanno ſucceſſivamente aggiungendo , ma l'uno non avendo
parti ( 5. 4. ) nè può eſſer nè tutto te in sè , nè tutto , nè parte fuori di
sè . Dunque non può ge nerarſi . Corol. L' uno non è generabile , nè alterabile
, nè par § . 14. L'uno non ha il moto di traslazione . L'uno non è in luogo (
5. 11. ) ma la traslazione in linea ret . ta è una mutazione ſucceſſiva del
luogo . Dunque l ' uno non eſſendo in luogo ( $ . 11. ) non può mutar il luogo
, ſecondo la linea retta , ma nè meno pud mutarlo , ſecondo la linea circo
lare, perchè deve raggirar nel mezzo , e tener fiffe le parti che fi rivolgono
intorno al mezzo ; ma l'uno non ha nè mezzo , né parte , dunque non può
rivolgerſi in cerchio'( . 13. ) Dunque le alluno non conviene nè l'uno , nè
l'altro , non gli conviene il moto di traslazione . Q. 15 . 1 1 . 1 ( 73 ) g.
isi Come ſi concepiſce il moto , nel concepire la traslazione fuc ceffiva del
mobile , o ſia il rapporto continuamente vario della diſtanza del mobile a '
corpi contigui, così fi concepiſce la quie te nel concepir il rapporto coſtante
di diſtanza a ' corpi conti gui ; quindi nel moto, il corpo va ſucceſſivamente
occupan do diverſe parti dello ſpazio , e nella quiece occupa le ſteſſe par ti
dello ſpazio . $. 16 . Luno non è nè in quiete , nè in moto . L'uno non è in sè
, nè in altrui ( 9.11 . ) ma ciò che è in quiete , è ſempre nello ſteſſo , ciò
che li move è ſempre in al trui . Dunque ſe l'uno non è in ſe ſteſſo , nè in
altrui, non ſi ripoſa , nè ſi muove . $ 17 Platone ha ſin ora conſiderato l'
uno per eſcluder da lui la ragion di tutto , di parte , di principio, di fine ,
di mezzo , di figura , di luogo , di moto , cioè per eſcluder dall' uno tutte
le relazioni che appartengono alla quantità, come la più nota , e più facile.
Senofane pur provava, che l' uno era infinito , im mobile , non ſi trasfigurava
nella poſizione, non s'alterava nel la forma, non fi milchiava con alcri. Non è
egli molto veri ſimile , che egli ne arecaffe le ſteſſe ragioni , che poi
Parmeni de più fteſe , ed affottiglid ? Paſſa Parmenide ad eſcluder dall' uno
le relazioni dell'ente che appartengono alla qualicà , di cui le prime ſono
l'identità e la diverſità . Non premette Parmenide alcuna definizione dello
ſteſſo , e del diverſo ; come fece del tutto ; dai Pittagorici ( a ) impard ,
al dir del Patrizio , che l'identità , e la diverſità non devono conſiderar fi
come paſſioni dell' ente , ma come generi ſecondarj , i di cui primi ſono il
moco e la quiere . Ariſtotele all'incontro riduce l' identità a una certa unità
, e dichiara che ella come la diverſità appartiene alla ſuſtanza , poichè
fteſse ſono quelle coſe che con vengono , o nella materia , o nella ſpecie , o
nel numero , o nel Tomo II. k gene ( a ) Diſcuſ. Perip. T. 2. p. 207. ( 74.),
genere di cui una è la ſoſtanza. Platone eſtende l'identità , e di verſità alle
qualità , e da lui impårarono i matematici a dire , che le ragioni o
proporzioni , che ſono le ſteſſe con una ſtella , ſo no le ſteſſe tra loro ; e
non ſi dice pur tutto giorno lo lteſto grado di calore , di lume ec. e.
parimente ragioni diverſe , di verſo grado di calore , di lume ec. Dunque non
alla ſola fo ftanza , ma alla quantità , alla qualità , ed agli altri
predicamen ti apparciene lo ſtello , e il diverſo . Inliftendo il Wolfio su le
nozioni ſcolaſtiche , dà il criterio per diſtinguere lo ſteſſo dal diverſo .
Quelle coſe , dice egli , fou no le stelle che ſi poſſono ſoftituire.
ſcambievolmente ſalvo qua lunque predicato , che loro aſſolutamente , ſotto
qualche con dizione convenga ; ſicchè fatta la fortituzione , la coſa reſta ta
le , come ſe non foſſe ſtata ſoftituita . Se in una bilancia , in cui ſang
equilibrati due peſi, in cambio di un peſo , d' una certa grandezza, io ne
ſoſtituiſco un alıro, in modo che l'equilibrio Loro non lia tolto , queſti due
peſi, in quanto peſi, nulla diſtin guendoli: ſi chiamano gli ſteſſi . Se nel
peſo che è prima nella bilancia , vi foſſe una certa figura , ed un certo
colore , eun cer to grado di calore , e di freddo , ed anche un certo odore , e
tutto ciò appuntino ſi ritrovalle nel peſo che ſi ſoſtituiſce , que fti due
peſi non diſtinguendoſi, e nel peſo , e nell' altre qualità li chiamano gli
fteſi; Lo ſteffo in numero è ciò che ſi afferma di ſe ſteſſo , o cui ripugna
d'efiftere due volte ; nel dirſi, queſto triangolo è que ſto triangoló , ' ſi
predica lo ſteſſo triangolo di ſe ſteſſo , onde convenendo la ſtella eliſtenza
al ſoggetto , e al predicato , egli è manifeſto , che il triangolo in quanto è
nell' uno , e nell' altro non ha doppia eſiſtenza , mala ſteſſa, I diverſi poi
ſono quelli , che ſcambievolinente non poſſono ſoſtituirfi , falvo ogni
predicato che all' uno , o all' altro aſſo lacamente o condizionatamente
convenga . Così nel caſo della ſoſtituzione de' peſi della bilancia, ſe un peſo
nel ſoſtituirſi all' altro cangia d'equilibrio , il pelo ſofticuito è diverſo
dal peſo , di cui preſe la vece ; egli è diverlo in ragion di peſo , benchè per
altro poteſſe eller lo ſteſſo nella grandezza , nella figura nel calore , ed
altre qualità . Poſſono dunque le coſe eſſer le ftel ſe in un predicato , e
diverfe negli altri ; quindi ſi può diſtin guer lo ſteſſo , e il diverlo in
affoluto , e in relativo ; ſono aſ loluti, ſe le coſe convengono in tutti i
predicati, o diſconven gono falva però la loro eliſtenza ; ſono relativi le
convengono in alcuni predicati, ma diſconvengono in altri . E'cid neceſſa rio
di ben avvertire, perchè in queſto Dialogo fi prende lo ſteſ 1 1 ſo, 1 ( 75 )
fo , e. il diverſo in queſti due fenfi. Qul Parmenide perd pren de
aſtrattamente la coſa , perchè a lui baſta, che l'identità , e la diverficà
fiano affezioni, o generi delle coſe non preſe in sé , ma relativamente
all'altre , baſtando queſta fola relazione per eſclu derle dall' uno ; quindi
può facilmente dimoſtrarſi, che l'uno non è , nè a se , nd ad altrui lo ſteſſo
, perchè nel ſuo concerto aſtrat tiffimo efclude ogni comparazione ; ma
Parmenide in alcro modo lo dimoſtra , rappreſentandoſi alla mente per via d'una
nozione immaginaria , che l' uno prima è uno, e poi per forza della com
parazione egli è molti . Ciò ſi rende ſenſibile col diſegnar l'uno col ſimbolo
aritmetico I , e poi aggiongendovi A , o qualche alera lettera , onde egli fia
prima i , indi 1 + A. S. 78 L'uno non è lo ſteſſo , nè diverfo a sè , nè ad
altri. Se l'uno foſſe da fé ſteffo diverfo , ſoſtituendoſi l'uno per l'uno dove
prima della ſoſtituzione fi concepiva i , dopo della foftitu zione si
concepirebbe 1 + A , dunque non più i contro l'ipoteſi. Se fia lo ſteſſo ad
altrui egli farà quello , cioè 1 + A non cið che è , od uno , il che di nuovo è
contro l'ipoteſi . . 19. L'uno non è diverſo , nè da altrui , ne da ſe ſteſſo .
L'uno convenendo con tutte le coſe , perchè d'ogni coſa ſi dice , uno non è
diverſo da effe , che in virtù di qualche predicato ; dun que in quanto non è
più uno ; dunque non può eſſer diverſo dall' altre cofe . Non è la ſteſſa la
natura dell' uno , e dello ſteſfo , perchè quando una coſa li fa la ſteſſa ad
aleuna non ſi fa uno ; il colore di A per efempio ſia lo ſteſſo , che il colore
di B , non perciò mai A è B , perchè le due coſe colorite comparandoſi, benchè
con vengano nel colore , e in queſto fieno uno , non perd convengono nell '
çliſtenza , Se gli Itelli non ſi conofcono , che per la Toſti tuzione, gli
ftelli convengono bene ne'predicati ; ma ſono fem pre due . Dunque quando una
coſa ſi fa la ſteſſa con l'altra , di due non ſi få uno , ſe non inquanto ſi
concepiſce, che con vengono , o nella quantità , o nella qualità ec. ma non
perchè convengono non ſono due ; dunque o l' uno paragonato all' uno ſi fanno
due , e cosi l'uno non è uno , o reſtando uno non k 2 ſi può ( 70 ) la pudfar
ſoſtituzione . Dunque non pud dirſi , che l' uno fia lo ſteſſo a ſe ſteſſo . 20
. Parmenide paſſa a comparar l'uno coi fimili , e diffimili. Aris ftorele dice
, che i ſimili ſono quelli che patiſcono lo ſteſſo , ei diffimili quei che
pariſcono il diverſo ; de' primi una è la qualità, dei ſecondi è diverſa la
qualità ,onde egli ripone i ſimili, e dilli mili ſotto l'identità , e diverſità
, il che imparò da Platone nel Filebo ( a ) e più facilmente dal Parmenide ,
ove Platone defini ſce il ſimile, per ciò cui adiviene patir lo tego , il
diffimile , ciò cui adiviene patir il diverſo. Conſidera quì Parmenide
le.qualità , come attributi o modi che ſi ricevano nel ſoggetto , il quale nel
riceverle in cerca guiſa paciſce; ſono queſte nozioni immaginarie, come quella
della ſoſtanza . Su queſte orme Parmenidee , il Wol fio definiſce i fimili
quelli , in cui le ſteſſe ſono le coſe, per le qua li doverebbono diſcernerſi ,
onde ſecondo lui , la fimiglianza è l' identità di quelle coſe per cui
dovrebbono tra loro diftinguerli. Se in due volti per eſempio io ritrovo nelle
parti gli ſteſſi linea menti , ne' lineamenti gli ſteſſi gradi de' colori ec.
in fomma ſe io ritrovo , che le ftelle fieno tutte quelle qualità, per cui
dovereb bono diſtinguerſi, i due volti ſono ſimili; diffimili all'incontro ſono
quei volti , in cui diverſe ſi ricrovano le coſe per cui tra lo ro fi
diſtinguono , che vuol dire i lineamenti delle parti, le figu la collocazione,
le grandezze . Il Wolfio fi fece ſtrada con que ſta definizione a definir i
ſimili matematici , ben oſſervando , che le loro proporzioni, benchè abbiano
per fondamento ilquanto , fi riducono al quale . re , S. 21. L' uno non è
fimile nè diffimile ad alcuno , o a se , o ad altrui. Simile a quello cui adivienelo
feſto ( . 20. ) ma l' uno eſclu de lo ſteſſo ( S. 18. ) Dunque efclude il
ſimile. L’uno ſe riceve alcuna coſa fuor di quello che è l' eſſer uno , pa
tiſce d'eſſer più l'uno , perchè egli è l'uno , ed inſieme la coſa che pariſce
, onde almeno egli è due o molti ; dunque non è più uno ; dunque ſe l’uno non
paciſce d'effer lo ſteſſo , o loco , o con altri , non può eſſer a ſe ſteſſo ,
o ad alcri ſimile , ( a ) Patriz. Diſcuſ. perip. p.202. Il ( 77 ) Il dillimile
è quel che pariſce diverſità ( 5. 20. ) ma l'uno non può parire diverſità ,
dunque non è , nè diverſo da lui, nèda altre coſe, altrimenti non ſarebbe più
uno ; dunque l'uno non è diſli mile , nè a ſe ſteſſo , nè ad altrui . 1 l . 22
Concluſo che ha Parmenide non convenir all'uno , nè l'iden: tità, nè la
diverſità, nè la ſimiglianza , nè la diffimiglianza, paſ fa a ricercare ſe gli
convenga l'eguale o l'ineguale , due pro prietà delle grandezze comparate P une
all' altre ; l'eguale im murabilmente ſta nel mezzo , da cui l' ineguale
allontanandoſi per ecceſſo ſi chiama maggiore, e per difetto minore . L'egua le
paragonato all'eguale ha le ſteſſe miſure , paragonato al mag giore ha meno
miſure, e ne ha più paragonato al minore. Ra gionando Parmenide con Socrate ad
bominem , fi ferve del ter mine di participare , che non è allegorico , ove ſi
tratta di par ti . Offervo che non miſurandoli, ſecondo Platone, che con l'uni
tà , e col numero, è manifeſto , che la miſura è ſecondo lui quan tità ; pur
gli attribuiſce lo ſteſso , e il diverſo. g. 23 . L'uno non è , nè eguale , nè
maggiore , nè minore . Non participando , nè dello ſteſso , nè del diverſo ,
non parte cipa mai, o le ſteſse , o le diverſe miſure , in conſeguenza non è nè
eguale , nè maggiore , nè minore. 6. 24. Come ſi miſurano le grandezze permanenti
, così ancora ſi mi ſurano le ſucceſſive , le quali paragonare l'une all'
altre, compete loro lo ſteſso e il diverſo , cioè il più, e il meno . Si dice
che due Uomini hanno la ſteſsa età , quando è miſurata per lo ſteſso nu mero di
rivoluzioni ſolari, e che hanno maggiore o minor età le ella ſia miſurata per
maggiori o minori rivoluzioni ſolari . L'antichità , la vetuftà , la novità
ſono relazioni degli enti ſuc ceflivi per rapporto alla loro eſiſtenza
fucceffiva ; antico ſi dice quello che da lungo intervallo di tempo e prima
d'un altro ; nuo vo quel che ora è, e non fu che già poco tempo prima d'un al
tro ; il giovane , il vecchio , ſono propriamente le differenze dell' età degli
Uomini, mas'attribuiſcono per mecafora a curce le coſe . 9.25 . ( 78 ) f. 25.
L'uno non è più vecchio , più giovane di ſe ſteſso , o dell' altre coſe . L '
uno non pud participare , oo delle ſteſse ,, o di maggiori o minori miſure
degli enti ſucceflivi, perchè non può partici pare dello ſteſso , e del diverſo
; ma quel ch'è più vecchio , partecipa di maggiori miſure, quel che è più
giovine di minori , dunque ec. g. 26 . Per ben intendere come uno nel farli più
vecchio di fe fteſso o d'un altro ſi fa più giovane , mi è neceſsario
trasferire alcu ne nozioni della ſeconda ipoteſi , ed aritmeticamente
ſvilupparle . g . 27 6 3 5 4 Se il rapporto del maggiore al minore crefca per
l'aggiun ta agli antecedenti, e a' conſeguenti d'una grandezza eguale , il
rapporto ſempre decreſce . Sieno i numeri 1 , 2 , 3 , 4 , 5 , 6 , 7 , i quali ſucceſſivamen
te creſcono per l'aggiunta dell'unità , èmanifeſto che ( a ) > 4 $ Si
prendano i quozienti o valori delle ragioni . Il valore della ragione di = it ;
il valore di = ito il valore di = i + . Or tal eſsendo la ragione qual è il fuo
valore ſe I +1/2 > it it ec. come è mani 3 feſto fard > 5 ec. Or
rappreſenti A C l' età d'un 3 fanciullo di 3 anni , e B D l'età d'un |
fanciullo di due anni , s' aggiunga alla А С F prima età un anno , ciod ad
" A C. s'ag giunga CF , e alla ſeconda età B D SA D G. aggiunga un altro
anno o DG. Onde s' averà la ragione di } ; li vada aggiungendo ſucceſſivamente
alle due età un'anno, ed indi un'anno, e li averanno le ragio ni di e di . Egli
è manifeſto , che il fanciullo di tre anni è più vecchio di quello di due, ma
nel creſcere all'uno , e all' al > 3 4 Ā 1 B tro ( a ) Il ſegno è quello del
maggiore , Il ſegno di < del minore . Il ſegno è quello dell'eguale . ( 79 )
tro un' anno la ragione che ne riſulta di è minore dell'altra ; molto minore è
quella di , e molto più minore quella di onde ſebben il primo fanciullo ſi
faccia ſempre più vecchio dell'altro , contuttociò per l'accreſcimento
dell'egual quantità ſi fa più gio vane relativamente , perché dove nella prima
ragione la differen za era nella ſeconda è minore di 1 , e quindi , ſempre mi
nore . Egli è vero dunque, che un fanciullo nel farli' più vecchio d'un altro
li fa ancora più giovane. Se non ſi compari l'età di due fanciulli , ma ſi
conſideri folo l' erà di uno , che ſempre riſpetto a ſe ſteſso creſce di
un'anno , egli è manifeſto , che per queſto eguale accreſcimento , nel
decreſcer ſempre le ragioni degli anni cra loro comparati , lo ſteſso fanciul
lo nel farſi più vecchio di ſe ſtefso , fi fa ancora più giovane. Si vede
quindi , che nel farſi il più vecchio dal più giovane , fi fa cid dal diverſo ,
e che non è diverſo , ma'ſi fa . Corol. Lo era , lo efser ſtato , il li faceva
, ſignificano i modi del tempo paſsato ; il ſi farà , il ſarà , e ſarà per
farſi, i modi del fucuro o dell'inanzi ; l'eſsere , il farſi, i modi del
preſente. f. 28. L'uno non è in cempo . Se l'uno fofse in tempo participerebbe
delle miſure del tempo ; dunque or ſarebbe più giovane, or più vecchio , ma
queſto non pud eſsere , come s'è dimoſtrato ( 9. 25. Dunque ec, IN ALTRO MODO.
Quel che è in tempo nel farſi più vecchio , ſi fa più giovane di ſe ſteſso , (
§. 27.) ma l'uno non può farſi più vecchio , nè più gio vane di ſe ſteſso ,
perchè non può farſi , nè una cola , nè l'altra ( 9.25. ) Dunque non è in tempo
. Il più giovane che ſi fa dal più vecchio è diverſo da lui , e non è ma ſi fa
, ma l'uno non può ricever il diverſo ( § . 18. ) Dunque non può farli dal più
vecchio il più giovane ; dunque non è in tempo . Il più giovane non ſi fa dal
più vecchio , nè in più lungo tem po , nè in più breve di fe fteſso, ma ſempre
nell'egual tempo con le ſteſso , o fia , o ſia ſtato , o ſia per dover eſsere ;
( § . 27. ) mą l'uno non è ſuſcettibile dell'eguale ( § . 23. ) Dunque nè meno
dell' egual tempo ; dunque non avendo le paſſioni del tempo non è in cempo . .
29. ( 80 ) S. 29. L'uno non partecipa , nè del preſente , ' nè del futuro nè
del paſſato . L'uno non eſſendo in tempo non può partecipare del tem po , ma le
paſſioni del tempo ſono , il preſente , il paſſato , il futuro . ( $ . 27. )
Dunque non le partecipa . Corol. Se l'uno non è partecipe di niun tempo , non
fu mai , nè ſi faceva , nè era , nè ora è fatto , nè fi fa , nè farà . 8. 30.
Ogni ente , o ciò che è partecipe di eſſenza , è , ſecondo Plato ne , o nel
tempo preſente , o ſarà nel futuro , o fu nel paſſato . Nel Timeo egli dice ,
che Dio per far il tempo fluente nel numero , fece un'immagine dell'eternità .
Dunque l'eternità fiſſa in ſe ſteſſa non contiene, che il preſente , e ciò pur
dicono i Teolo gi nel diffinirla con Boezio , una poſſeſſione tutta inſieme di
una vita interminabile . Negando dunque Parmenide, che il pre ſente competa
all' uno , gli nega l'eternità , onde è egli evidente che non parla di Dio , ma
ſolo d'un ente di ragione, dal quale per l' astrazion della mente eſclude tutto
ciò che involve rela zione a qualche coſa , ed anche a lui ſteſo. Dall' altra
parte , qui Parmenide non eſclude dall'uno , ſe non cid che appartie ne per lo
più alle coſe corporee e viſibili, il tutto , le parti , il luogo , l'eguale ,
il maggiore , il minore, la generazione , la traslazione , le differenze del
tempo ; e ciò che dice dello ſteſ. fo , e del diverſo , del fimile , e del
diflimile , che pur conven gono alle coſe incorporee , lo ricava da ciò che ha
negato ne' quanti. 1 . 31 . L'uno non è , o non ha eſſenza . L'uno non
partecipa del preſente , del paſſato , del futuro ( 9.29. ) ma ciò che ha
effenza partecipa dell'uno , o dell'altro ( $. 30. ) Dunque l'uno non ha
eflenza . Annot. Dall'uno conſiderato preciſamente come uno , cioè a dire
oppoſto amolti , ſi debbe eſcludere , oltre l'eſſenza attuale , an cor la
poſſibile , perchè la poſſibilità come fonte, e principio del, la ( 81 ) la
realità porta ſeco qualche relazione a cid che eſiſte , é dall' uno ogni
relazione deve eſcluderſi.; molto più le relazioni dell' uno all'ente , di
ragione che chiamali intellettuale qual è il Lo-. gico , il metafiſico , il
matematico , e l'altre relazioni ancora ché aver poteſſe all'ente immaginario
ancor chimerico . . §. 32 . tra coſa Primafi concepiſce la, non ripugnanza dei
predicati delle co ſe , ed è l'eſſenza , e queſta non ſi dice d'altre coſe , o
d'al tre eſſenze , ma bensì o gli attributi , i modi , e le relazioni fi dicono
deſsa ; cal è la definizione logica , che Ariſtotele diede della ſoſtanza ,
chiamandola ciò che non ſi predica d'al ma che tutte le coſe ſi predicano
d'eſsa . In que ſto ſenſo l'eſsenza nel ſuo concetto aſtratto , non differiſce
dal la foſtanza , che in quanto queſta ſi riferiſce a ſe ſteſſa , ed agli aleri
de' quali è ſoftegno , per il che ſi dice , che ella non ha contrario , e non è
capace di più, e di meno . Se l' uno non può predicarſi dell'uno , o di le
ſteſſo , per non radoppiarlo o farne due o molti , egli è manifeſto , che non è
ſoſtanza to più ſe fi conſidera col Wolfio , che nella nozione della fo ſtanza,
v'è qualche coſa d'immaginario, perchè ella fi rappre ſenca alla fantaſią ,
come un valo od altra coſa , che in sè ri. ceve gli accidenti . $. 33 L'uno non
è ſoſtanza . L'uno non ha eſſenza . ( S. 31. ) Dunque non ha ſoſtanza ( $ . 32.
) ſ. 34. La ragione è propriamente quell'atto della mente , che da una coſa
n'inferiſce un' alera , od è ancora ſe ſi vuole la con neſſione delle verità
univerſali ; la ſcienza è la cognizione cer ta , ed evidente delle coſe, ed è
tutta opera della ragione che deduce una coſa da un' altra . Nell' attribuire
una coſa ad un altra , ſe li ha qualche cimore , che ad efla ſi poſſa
attribuire l'op poſto, ſi ha della coſa opinione. Col ſenſo poi non ſi percepi
Icono , che le coſe ſingolari , o determinate in ogni parte , e quindi compoſte
di molti . Da queſte definizioni e manifeſto chenegli oggetti della ragione,
della ſcienza, dell'opinione, del Tom . II. I fen ((82 ) . fénfo s } includono
moki , çd - in oltre che ogni coſa , che .0.4 ſénte , o su cui di ragiona
fcientificamente , od opinabilmente , ha un' eſſenza attuale o poflibile ;
falfa o vera. 1 $. 356 Dell' uno non li ha ragione, ſcienza , opinione , ſenfo
. Quefte coſe includono molti , e dipendono dall'ipoteſid' un eſſenza ( §. 34.
) ma l' uno non ha eſenza ( S. 31. ) e non in olude molti (.9.,2 . ) Dunque ec,
g . 36 Non ſi dà nome ſe non alle coſe , della cui eſſenza , o per ragione, o
per opinione, o per ſcienza , o per ſenſo ſi ha un ' idea o chiara , od ofcura,
o diſtinta , o , confula , o miſta di que Ite differenze. S. 37 ... L'uno non
ha nome. L'uno' non ha effetiza:( : 34:) Dunque l'uno non ha nome. 1 §. 38.
Ragruppando in poco ciò che ſin ora ſi è detto , ſi può for mare tal fillogismo
. Dal concetto aftrattiflimo dell' uno ſi de vono, eſcluder i molti di
qualunque genere effi fieno ; ma cid che appatriene alla quantità , alla
qualità ; alla refazione ec ? vi s'includono imolti ; dunque devono queſti
eſcluderſi dal.concet to aſtrattilfino dell'uno , . ] Se fi diceffe , che così
concludendo ſi confonde l'uno col nul la , manifeſto è l'inganno , poichè la
definizione del nulla è , che egli non abbia nozione alcuna o poſitiva , o
negativa , ciò che elclude dal nulla ogni realtà . Quando'io dico all'incontro,
l'uno non é molti, non tolgo a lui ogni realtà , benchè eſplicitámen te io non
vi rifletta. Io ſto più immobilmente che poſſo affil ſo su l'uno, in quanto
s’oppone a molti , e in queſta conſide razione preſcindo più che poſſo dal
conſiderar l' uno , o per rap porto all'ente, o per rapporto al mio penſiero ;
noi poſſiamo, come accennai , più ſentire, che eſprimere queſte preciſionimen
tali , e momentanoe, ma 'non laſciamo di fentirte, e le fencia ·mo ( 83 ) mo ſe
poffiamo eſprimerle in qualche modo, e farle' intendered agli altri ; nè per
altro la fcola Eleacica; ed indi Placone le pro poſe , che per addeſtrar la
mente ad inveſtigar l'idee delle coſe. Era necelfario fciegliere per eſempio
quell' idea , in cui la pre ciſione arriva all'ultimo grado , ove pofla mai
giungere la men te umana. Non ſi conoſce mai bene la natura', ' ed'i precetti
della arte , che l'imita , fe non ned maffimo . Io dimando al Lettore ; che
legge attualmente il Parmenide di Platone, e lo confronta col mio comentario ,
fè altro faccio in effo , che ſviluppare il fenſo.ovvio det tefto : Abbia pur
Pro clo , e gli altri Placonici , e Gentili , e Criſtiani confiderato queſto
Dialogo , non come ontologico , ma come Teologico , io ril pettando , e la
dottrina , e l'autorità loro', dirò che la mia Spiegazione ontologica non
impediſce , che degli intelletti più fublimi del mio , teologicamente non
l'inalzino a coſe maggio ri , come fece il Cardinal Befarione , applicando a
queſto Dia logo la dotrrina del preceſo S. Dionigi Areopagita . Si può ri
leggere avendo preſente tútra l'intiera ſeſſione , quanto ivi diſ fi
appoggiandomi alla dottrina di S. Tommaſo : Dio'è un en te fingolariſfimo , e
nell' applicarvi quel che conviene all' en te di ragione ; biſogna ftar attenti
che non ſi confonda l' uno ton l'altro ; la merafíſica degli antichi è la
ſteffa che la me tafifica dei moderni; mia nel riferir la prima ' alle coſe ,
queſte includevano Dio , che gli antichi non ſeparavano dalla mate ria , che
per preciſionedi mente, là dove la ſeconda conſiderando fe coſe non ha a Dio ,
che un'analogia molco lontana, perchè fi diſtingue eſenzialmente , é realmente
dalle ſteſſe . SEZIONE TERZA. Se l'uno è , quali coſe adivengono intorno ad
eſſo . I. I. Nom On ſi ricerca ſe faecia meſtieri, che ſucceda- un cert' uno ,
ma ſe vi ſia l'uno ; o pure ſoſtituendo la nozione imma ginaria ſe l'uno
partecipi l'eſfenza. Dall'ipoteſi così propoſta ne fiegue', che' l'uno non è la
pro : pria 'eflenza , o che l' effenzà, e l' uno non ſono gli ſteſi con: cerci
z chi dice elfenza , dice preciſamente la: non ripugnanza dei predicati, e chi
dice uno , dice 'non molti . ; Nel cratcat queſta: ſuppoſizionë , Platone
comincia a frami I 2 fchia ( 84 ) ſchiare all' aſtrazioni le nozioni
immaginarie più che di ſopra Queſto fa ſovente l'oſcurità del teſto , perchè
per intenderlo ci sforziamo toſto a concepire ciò , che non è che un'
imaginazione ed imaginazione tallora falſa , da cui li deduce una contraddizio
ne , nèſempre però vera , ma apparente , il che raddoppia l'ab baglio , ſe non
vi s'attende; manifeſteranno gli eſempi ciò che io dico , in tanto mi ſia
lecito di contraſegnare con due ſimboli diverſi , A , e B , i due
concettidell'ente, e dell'uno . Nel farne il compleſſo A + B io rappreſento un
tutto che ha due parti, che io tra loro ſeparo con la mente , per ragionarne
più diſtintamente fi 2. Se l'uno è , ogni parte di queſto tutto ( uno è:) può
dividerſi in infinite particelle . Si prenda la particella uno , e ſi
concepiſca come ſeparata per un momento dall'altra particella ence , poichè per
la fuppoſizio ne l'uno è , egli è manifeſto , che conſta di due particelle ,
uno ed ente . Di queſto nuovo compleffo ſi prenda la particella uno , e queſta
per la ſteſſa ragione ſi dividerà in due altre , ente ed uno , e così
all'infinito . Or ſi prenda l'altra particella ente, e poiché ogni ente è uno ,
ſi dividerà queſta particella in due altre, le quali di nuovo fi divideranno, e
così all'infinito ; dunque ogni particel. la del cutto uno è , ovvero è l'uno ,
ſi divide in infinite particel le all' infinito . Così può ſenſibilmente
rappreſentarſi . Ente uno А + B 1 Ente uno uno ente 2 a + 2b 2A + 2B ente uno
uno | ente 3A ente , uno uno | ente 46 4A 4B 3. a 36 3B 1 uno , Come A + B
rappreſenta il primo compleſſo immaginario della e dell'ente così 2a + 2b
rappreſenta il ſecondo com pleſſo immaginario dell'uno , e dell'ence dedotto
dall'ente , o da A , e parimenti 2A + 2B ſignifica il ſecondo compleſſo imma
ginario dell'uno , e dell'ente dedotto da B. ANNOT. Qui Platone fuppone darli
reciprocazione tra le due pror ( 85 ) propoſizioni l'uno è , è l'uno , nella
prima delle quali l' uno è il loggetro , cliente è l'attributo , e nella
ſeconda l'ente è il ſoggetto , e uno l'attributo. Perchè legitimamente ſia la
reciprocazione del le propoſizioni, biſogna che il ſoggetto ſia tanto ampio ,
quanto l'attributo , onde può reciprocarſi la propoſizione . Il triangolo è una
figura di tre lati; nell'altra ogni figura di tre lati è un trians golo , ma
non già ſi reciproca la propoſizione, ogni ternario è nu. mero , perchè non
ogni numero è ternario . Il non aver avvertita la legge della reciprocazione
fece cader in molti parallogismi tallora i Geometri. Corol. Poichè ogni ente è
uno , l'uno ſi moltiplicherà come l'ente , onde potrà dirſi, che l'uno è
infinito, o che l'uno è mol ti . Queſta è la prima contraddizione di queſt'
ipoteſi , ma è con traddizione immaginaria od apparente , perchè l'uno per sè
non è molti , ma è molti per accidente , cioè perchè gli accade di mol
tiplicarſi , ſecondo gli enti che lo partecipano , onde non predi candoſi
dell'uno nel tempo ſteſſo , e ſecondo lo ſteſſo, gli oppoſti, non ha in sè vera
contraddizione. g. 3 . Platone s'inoltra con le nozioni immaginarie .
Conſiderando l? uno , in quanto partecipe di eſsenza , lo prende ſecondo ſe
ſteſso con l'intelligenza , ſpartato da quello di cui diciamo che ſia par
tecipe , cioè dell'eſsenza . Ciò vuol dire , che dell'ente , e dell'uno Platone
fi fa quei due idoli caratterizzati per A , e per B. Nel dirli che li prende
l'uno coll'intelligenza ſpar; tato dall'ente , s'allude manifeſtamente all'aſtrazioni
della mente . $. 4. 1 L'eſsenza o l'ente , e l'uno ſono diverfi. Alcro è
l'eſsenza , ed altro l'uno ( : 32. Sez. 2.) Dunque uno in quanto uno è
dall'eſsenza diverſo , e l'eſsenza in quanto eſsenza è diverſa dall'ano ;
dunque l'uno , e l'eſsenza ſono diverſi ; Co sì può illuſtrarſi tale
ragionamento. L'ente o l'eſsenza in quanto eſsenza include la non ripugnan za
dei predicati coſtitutivi ; l'uno in quanto uno include l'oppo Gizione ai molti
, ma queſti due concetti tra loro non convengo no ; dunque ſono diverfi. 8. 5.
( 86 ) $ . s . L'eſsenza , l'uno , e il diverſo fanno tre concetti o tre coſe
trx loro diverſe . S'è già dirnoftrato , che l'uno , el ente non termi nando lo
ſteſso concetto ſono diverſi tra loro , ma il diverſo non includendo nel ſuo concetto
, che la non convenienza , fa un concet to diverſo , ed in conſeguenza una coſa
diverſa dall' altre due ; dunque l'eſsenza , l'uno , il diverſo fanno tre coſe
diverſe. . 6 . Si rappreſenti l'uno per A , l'enre per B , e il diverſo per C
ne riſultano quindi. Le combi- FA B7 In ogni combi-7 Tre poi eſsendo le combina
nazioni di nazione vie zioni v'è ancora A , B ,CAC uno in due Erre volte uno?
in ogni com uno in due tre volte due E binazione В С! uno in due tre volte tre
Abbiamo dunque dedotto da A , B , C, o dall'ente , dall' uno e dal diverſo il
2.primo pari , il ' tre primo diſpari , dae volte 3 parimenti impari, 3 volce 3
imparimenti: impari. Sipuò an cora dedurre due volte due parimenti pari', e
queſte ſono tutte le ſpecie dei numeri . Combinandoſi il 2 il 3 due volte, tre
volte e fin quattro volte , ma non altre , ſi compongono tutti i numeri: fino
al dieci . It 3* 2 + 2 = 4 2 + 3 2 + 6 = 3 ti 3 2 + 2 + 37 2 + 1 + 2 + 2 = 3 +
3 + 2 3 + 3 + = te : 2 + 2 + 2 +19 1 + 2 + 2 + + 3 = I + 2 + 3 + 4 = 10 II 10 è
fatto dall'ı , e dal o , e ſignifica ', che il primo articolo dei numeri
termina alla prima decina ; fe ſucceſſivamente alla de cina ſi aggiunge l'i ,
il 2 , il 3. ec. ſi arriva alla ſeconda decina , e collo ftelso metodo alla
terza , alla quarta ec: fino al 100 , che è la decima decina da cui ſi va fino
a 1000 , o 10 volte 1oo ec. I Pita ( 87 ) I Pittagorici chiamavanol yno il
finito , come quello che li mitava l'infinito o l'indefinito ad una tal ſpecie
o forma : dot trina , dice nel Eilebo Platone , la quale diſcende dagli Dei ;
queſta è , the tutte le coſe tengono in loro fteſſe il termine, o l'infinito
innato ; o piuctoſto l ' indefinito . Lo rappreſentavano nella materia i
Pittagorici, e lo ſimboleggiavano nel 2 , o nel binario , poichè ogni coſa
ſteſa è divit bile in due e ognuna delle parti in altre due , ; e così
all'infinito . Quando a queſto infinito s'aggiungea luna , che vuol dir la
forza o la forma ſe ne faceva il compoſto che era l'altro principio , di cui
par la Platone; queſto compoſto dețerminato a una ſpecie dalla for ma componeva
un tutto , in cui vera principio , mezzo , e fi në . Lo diffegnavano i
Pictagorici per il 3 , e lo chiamavano numero perfecto , medio , e proporzione
; oſſervò S. Agoſtino che numerando fino al 3,, € rapportando prima il 2 all'1,
ed indi al tre nel comporſi la proporzione continua , aritmetica fi forma per
la replicazione del 2 il 4 , numero che immediata mente luccede al 3 , ciò che
non ſi ha negli altri numeri, per chè cominciando la proporzione aritmetica
dal.2 chi replica il 3 non fa il numero che immediatamente lo ſegue od il 5 ma
il 6 ; nel continuare la proporzione con queſto metodo i numeri riſultanti
ſempre più ſe n'allontanano . S. Agoſtino per ciò offerva co'.Pittagorici , che
la perfezione dei numeri è ne quattro primi , in cui gli eftremi ſono
intimamente uniti ai mezzi , e i mezzi agli eſtremi . Quindi le più perfecte
conſo nanze muſicali, ſono fatte dei primi quattro numeri 2 3-4 , 1 ' 2'3 ? ſ.
7 . Se l'uno è , egli è ogni numero . Nella combinazione dell'uno , dell'ente ,
e del diverſo fi de ducono tutti i numeri ( 9. 6.), Dunque nell' uno , in
quanto è , vi ſono tutti i numeri, ; Carol . Il numero eſſendo molti nell' uno
, in quanto l'uno è . , egli contiene moltitudine, e perchè i numeri fono
infiniti nell uno che è , vi farà una moltitudine infinita . COROL. 2. Il
numero in moltitudine infinita , eſſendo inclu ſo nell'uno che è , farà egli
partecipe d'eſſenza . Si prenda la ſerie naturale de numeri 1 , 2 , 3 , 4 , 5 ,
6 , 7 ec. fino al oo unità eterogenea alla prima, e da cui fi comincia l'alcra
ferie 200 , 30, 40 , fino 200 = 60 altra unità eterogenea , da cui comin ( 88 )
. cominciali, un' altra ſerie 2 co ' , 300'ec. ſino a o , e cosi all' infinito
. Se di queſte tre ſerie ſe ne fa una ſola ſi ha 1.2.3.4.5 ec . co ' ... 00 ?
... oo ... , fino ad in cui ſi potrebbe cominciar di nuovo la numerazione .
Cominciando da uno , li può con le frazioni continuar la ſe . rie decreſcente
con lo ſteſſo ordine che l'altra , onde 1 I 1 ec . • • ec. fino 3 4 5 I 1 I I I
wec . 4 Combinando la ſerie dei finiti intieri , rotti , e degli infiniti
matematici , e immaginarj , fi ha tutta la ſerie . ec. 1.2.3.4 ec. co oo oo '
ec. 0° 5 4 3 2 In queſte eſpreſſioni non v'è errore , purchè non s' attenda ,
che alla proporzione delle quantità , nè ſi realizzino i ſimboli . Ma non
biſogna credere , che la numerazione ſia terminata , po tendoſi concepire , e
tra gli intieri, e tra rotti , e tra gli infi . niti dei mezzi proporzionali, i
quali ſono , come ben prova il Ba rovio , veri numeri ( ſe ben noi non poſſiamo
eſprimerli ) perchè ſimboli di vere quantità, come i numeri , ointieri, orotti
, e gli infinitamente grandi, egli infinitamente piccioli. Platone , al dir
d'Ariſtotele , poſe i due infiniti ( a ) magnum & parvum , e queſti, come
ben ancora lo riconobbe il P. Grandi , ſono gli infinita mente grandi , e gli
infinitamente piccioli dei moderni Geome tri ; infiniti replico immaginarj ,
de' quali con tanta chiarezza trattò il Wolfio nell'Ontologia , ſgombrando
tutte le difficoltà' che v'oppoſero coloro, che non ben inteſero queſte due
ſpecie d'infiniti Platonici , caratterizzati da profondi Geometri con tan to
utile della Geomecria , della Mecanica , ed altre parti delle Matematiche .
Queſti due infiniti di Platone non ſono diverſi dai grandiflimi, e menomiſlimi
, di cui qui parla . 8. 8 . In quanti luoghi è l' ente , in tanti è l'uno . Se
l' uno è egli accompagna ſempre l'ente , ma non v'è ente , che non ſia in qual
che luogo ( 9.12. Sez, 2. ) Dunque in quanti luoghi è l'ente , in tanti è l'uno
. a ) Plato vero duo infinita magnum & parvum . Arift. 3.Phiſ. c .4 . § .
9: ( 89 ) g. 9. Se l' uno è , non ſolo ' egli è l'uno , ma un certo uno. Ogni
ente ſingolare partecipa dell'ente , dunque dell'uno ; dunque come ogni ente ſingolare
è un certo ente , ogni ente ſingolare è un certo uno . ČOROL. Si compartiſce
dunque l'uno , non ſolo con le coſe in genere , ma con le coſe ſingolari , onde
v'è l'uno , e il tal uno, e a queſto compete , come all'altro , eſfer molti ,
perchè vi ſono molti enti ſingolari , e compete loro il luogo degli enti
ſingolari. g. 10 . Se l'uno è , egli è un uno che è uno , e cert' uno , e mol
ci , e parti, e finito , e in moltitudine infinito . Egli è uno , e cert'uno,
ſe accompagnando gli enti è in ogni ente, ed in ogni cal ente ; egli è tutto ſe
ogni ente , in quan to è , egli è un tutto ; egli è párte , ſe ogni parte
dell'ente è jina ; egli è finito , ſe ogni tutto ha i ſuoi limiti, e infinito
le contiene in sè tutti i numeri . Annot. Queſte contraddizioni non ſono che
apparenti. D. II . Se l'uno è , egli ha principio , mezzo , e fine . L'uno è
finito , e tutto, e parte ( S. 10. Sez. 3. ) Dunque ha in sè limiti , perchè
ogni una di queſte coſe ne ha ; dunque ha principio , mezzo , e fine. Corol.
Dunque l' uno è partecipe di figura retta o roton da , o d'amendue miſta .
ANNOT. Come l'uno , di cui quì parla Parmenide , pud effer Dio , o qualche idea
divina , fe egli è circonſcritto da tutti i luoghi degli enti, ſe s'individua
cogli enti ſingolari, ſe è tutto , parte , finito , figurato ec . 5 Tom . II. m
6. 12 . ( 20 ) Do ? 127 ** Se. l'uno è , egli è in ſe ſtello , e iş altrui .,
Ciò che è tutto , comprende tutte le ſue parti ; ma l'uno com prende tutte le
ſue parti , dunque l' uno è un tutto ; ma il tutto contien ſe ſteſſo , è l' uno
è un turco . Dunque l'uno contiene ſe fteffa . ANNOT. La propoſizione è
identica , e vuol dire : un tutto è. un tutto ; o iltutto è nel tucta ; non ſi
faccia più attenzione al tutto , mamaall all'uno , e li concluderà , che l'uno
è nell'uno . Si com bini poi l'uno, e il cucco , e ſi concluderà, che come il
cutto è in ſe ſtello , così l'uno è in fe fteflo . Quel che è in ſe ſteſſo ,
egli è in ogni ſua parte , ed in tutte le parti, ma il cutto non può eſſer in
niuna parte, perchè il più au conterebbe pel manco , nè meno il tutto può eſſer
in tutte le par ti , perchè ſe in cutie, farebbe ancora tutto in ciaſcuna,
dunque il tutto non è in ſe ſteſſo , ma l'uno è il cutto ; dunque non è in fe
fteflo . Ogni coſa è in qualche luogo, perchè ciò chenon è in qualche kuogo è
nulla ( S.12. Sez.2.) e quel che è in qualche luogo è in fe felio , o in
altrui, perché non li dà mezzo ; mas'è dimoſtrato che ſe è l'uno egli non è in
ſe ſteſſo , dunque è in altrui ; ma di ſopra s'era pur dimoſtrato, che egli era
in le ſtello ; dunque è in ſe ſteſſo , ed in alcrui . ANNOT. Non v'è quì che
contraddizione apparente , perchè quando ſi dimoſtra, che l'uno è in ſe ſteſſo
, ſi conlidera che l'uno è un tutto le cui parti fon tutte inſieme, quando
all'incontro fi confidera , che l'uno è in altrui, non ſi concepiſce il tutto
con le párti pret inleme, ma come quello che non è in niuna delle ſue parti .
S. 13. Se P upo è , egli fta , e ſi muove . Quel che ſta è ſempre in ſe ſteſſo,
perchè da lui non mai & di parte ; ' ma l'uno eſſendo nell' uno , non ſi
diparte mai da fe ftef ſo ; dunque è ſempre nello ſteſſo ; dunque fta. Quel che
è ſempre in altri non è mai nello ſteſſo , e non eſsendo nello ſteſso mai non
fta , e non ſtando ſi move , ma l' uno non è in ſe ſteſso , ma ſempre in altrui
; dunque ſempre fi move . ANNOT. Non è pur queſta , che contraddizione
apparente . . 14. ( 91 ) $. 14. 1 e il Una coſa comparata all'altra , o è la
ſteſsa , o diverſa , o è par te di quella coſa conliderata come tutto , od è
tutto , conſiderata 1a cofa come parte . Così dice Platone, e par conſiderar lo
ſteſso , e il diverſo relativamente alle qualità ſolamente, e la parte , cutto
relativamente alla quantità. Se dunque fi dimoſtraſse , che una coſa
relativamente a un' altra non foſse, nè tutto , ne pare ce , nè la Ateſsa, ne
ſeguirebbe per il metodo d' eſcluſione, che ella fofse diyerſa . g . 15. Se
l'uno è , egli è a ſe ſteſso lo ſteſso , ed a ſe ſteſso diverſo . Se egli è in
le ſteſso , e fta ſempre , egli è a ſe ſteſso lo ſteſso , ſe egli è in altrui,
e ſempre lr move , è da ſe ſteſso diverſo . L'uno non è parte di ſe ſteſso , nè
tutto rifpetto a ſe ſteſso , nè l'uno è diverſo dall'uno; or s'è luppoſto , che
una coſa compara ta ad un'altra , fe d'eſsa non è tutto , nè parce , nè diverſa
ſarà la ſteſsa ; dunque l'uno ſarà lo ſteſso con ſeco ; ma ſe l'uno è in al
trui non è ſempre lo ſteſso a ſe ſteſso ; dunque per l' eſcluſione Platonica
ſarà egli da ſe ſteſso diverſo'. §. 16 . ne Per eſpor: l'argomento ſeguente in
tutta la ſua forza , convie. ne particamente illuftrare i principj da cui
dipende . Si ſuppo 1. Che l' uno è da sè diverfo , come da ente nell'ipo teſi,
che egli ſia. 2. Che il diverſo e lo ſteſſo , effendo contra rj , uno non può
mai eſser dell' altro . Cost lo ſpiego · Molci enti potendo efiftere , od
eſiſtendo nel tempo ſteſso , lo ſteſso farebbe nel diverſo , ciò che è
impoſſibile , non potendo i con trarj , cioè A , e non A ſtar inleme . Ben ſi
vede che qui parla Platone del diverſo , e dello ſteſso aſsoluto , e non
relati. vo , quale abbiamo fpiegato nel G. 17. Sez. 2. perchè nulla vie ta ,
che due coſe non poffino eſser diverſe' nell'eſsenza , nelle quantità , nelle
azioni ec. ed intanto eſiſtere nel tempo ſteſso mi Iura eſtrinfeca delle coſe .
Non è cosi conſiderando il diverſo aſsoluto , o l'idea del diverſo , e
conſiderando lo ſteſso aſſoluto o l'idea dello ſteſso . ; l'uno non può mai
ſtar nell'altro , e in conſeguenza la ſteſsa coſa non può mai partecipare nello
ſteſso tempo di queſte due idee contrarie . Allude qui tacitamente Par m 2 meni
( 92 ) menide a ciò che ha già dimoſtrato , parlando della participazio ne
dell'idee. L'argomento ha tanto maggior forza , quando fi conſiderano gli enti
ſeparati dall' uno , poichè ſe foſsero diverfi , per ragion del diverſo
participerebbono dell' idea del diverſo che è Tempre una , dal che deduce
Parmenide , che non poten do eſser diverſi per la participazione dell'uno
nell'ipoteſi di Socrate , non ſono diverſi tra loro . 3. Suppone che le coſe
che non ſon uno , non fieno partecipi dell'uno , perchè non ſarebbono uno , ma
uno in certo modo. Quì pur Parmenide parla dell'idea dell' uno , che
participandofi dalle coſe non è più uno , ma uno con certe circoſtanze, od in
certo modo, ma ſe non ſon uno nor faranno eziandio numero , perchè ogni numero
è uno . 4. Le coſe che uno non ſono , nè aſsolutamente uno , non poſsono eſser
parti dell'uno , poichè l' uno non può eſser parte delle co ſe che non fon uno
, nè può eſser tutto , quafi comparato a par ricella. Parmenide
alludetacitamente a ciò che diſse di ſopra, che idea non pud eſser participata
, nè ſecondo la parte , nè ſecon do il tutto , dal che deduce , che le coſe che
non ſon uno ne fono particelle dell' uno , nè ſono all' uno quaſi a particella
. Ciò ſuppoſto così argomenta Parmenide col metodo d' eſcluſione . g. 17 . Se
l'uno è , egli è diverſo , e lo ſteſso con altre cofe ; all'uno convien il
diverſo , aſsolutamente in quanto diverſo , e non all” altre coſe, cui non
conviene , che relativamente Dun que l'uno è diverſo dall'altre coſe .; le
altre coſe non ſono diper fe dall'uno , nè ſono parci , nè tutto riſpetto all'
uno ; dunque fono le Aeſse con l'uno . F. 18. Chi proferiſce lo ſteſso pome una
, e più volte ſenza riferirlo a più coſe, come ſi riferiſce nei nomi equivoci,
ed analoghi, eſprime fempre lo ſteſso concetto ; dunque nel proferire la voce,
diverſo ; applicandola all'uno , confiderato relativamente agli altri , e un'
altra volta agli altri conſiderati relativamente all'uno , nell'ado prar lo
ſteſso nome s'eſprime lo ſteſso concetto . Quindi dice Par: menide : quando
diciamo eſſer gli altri diverſi dall' uno , e l'uno ef ſer dagli altri diverſo
, non mai introduciamo il diverſo a figuificar altra coſa , che la natura di
cui è proprio nome . $ . 19. ( 93 ) S. 19. s'è gia oſſervato , che fimile è
quel che patiſce lo ſteffo ; difts mile quel che patiſce il diverſo ( 9.
20.Sez. 2.) Se l'uno è , egli è ſimile, e diſſimile a ſe ſteſſo , ed agli al
tri . L'uno è diverſo dagli altri ( 9. 17. Sez. 3. ) Dunque l'altre coſe ſono
diverfe dall' uno , ma non fono diverſe nè più né meno dall'uno , che l'uno
dall' altre coſe ( S. 18. Sez. 3. ) e ſe nè più , nè meno, rimane che
egualmente fia uno . In quanto adiviene alle uno l'effer diverſo daglialtri, e
gli altri dall'uno, egli patiſce la ſteſſo per rapporto agli altri, e gli altri
per rapporto a lui; ma ciò che patiſce lo ſteſſo è fimile , dunque l'uno e
limile agli altri , e gli altri per la ſteſſa ragione fon fimili a lui . Il
diverſo è contrario allo ſteſſo ; ma fi dimoſtro , che l'uno agli altri è lo
ſteſſo , e diverſo , ( S. 17. Sez. 3. ) ed è contraria paffione effer lo ſteſſo
agli altri, ed effer diverſo dagli altri ma in quanto diverſo parve fimigliante
; dunque in quanto lo Steffo fia diflimigliante , ſecondo la paſſione contraria
. E' da notarſi, che l'uno è ſimile agli altri, in quan to diverſo , e
diſſimile in quanto lo ſteſſo . S. 20 . Due coſe che ſi toccano ſono preſenti
l'una all ' altra , nè tra effe vi ſi frammette un terzo , perchè in queſto
caſo non più toccherebbono ſe ſteſſe , ma il terzo frappoſto . Ove due coſe fi
toccano , due ſono le coſe , ed uno il contatto , ove tre li toc chino , tre
ſono le coſe , e due i contatti ; in ſomma creſcen do i termini creſcono a
proporzione i contatti , ſecondo il nu mero dei termini meno uno . Si tocchino
tra loro due punti matematici, ' poichè nulla fra loro s'interpone, un punto
per ragion del contatto coinciderà con l'altro ; fi facciano toccare da un
terzo punto , queſto pu . re coinciderà , e quindi infiniti punti matematici
non fanno che un punto , onde de liegue , che la linea non è compoſta di punti
, o che i punti ſovrapofti gli uni agli altri non fanno grandezze. Ciò naſce ,
perchè tutti i punti ſono omogenei ſen za parti , ma ſe vi foſféro degli enti
tra loro eterogenei, ben chè non eſteſi, o ſenza parti , nulladimeno poſti gli
uni appreſ so gli altri , benchè non componeſſero grandezza , tuttavia fa
rebbono più , come ben offervò Ariſtotele . Ciò diede occaſio ne al Leibnizio
di compor l'eſtenſione di enti ſemplici , ma ete ( 94 ) eterogenei , o diverſi
di ſpecie, che eſiſtendo ſcambievolmente gli uni fuori degli altri coeſiſtano
in uno ; quindi per la no zione dell' eſtenſione , convien conſiderare , e più
enti che eſi Atano fuori di sè , e che tra loro s'unifcano , e formino uno . Non
fanno però un eſteſo ;, perchè fe ben inſieme eſiſtano, non ſono tuttavia tra
loro uniti , come allora che liquefatti più me talli ſi confondono in una maſſa
. Le partipoi indeterminate dell'eſteſo , conſiderate in aftratto , cioè ſenza
far attenzione alla loro fpecie , non diferiſcono tra lo ro , che nel numero .
Non ſarà inutile quefta offervazione nel progreſſo. Intanto ſi oſfervi, che
l'uno eſcludendo nel ſuo con cetto i più , oi molti, per quanto l'uno ſi
moltiplichi per ſe ſteſ fo è ſempre uno , onde egliè il ſuo quadrato , il fuo
cubo , ed ogni altra potenza, foſſe anche ella di dimenſioni infinite , e non
folo avete un eſponente, ma molti , come le quantità che ſi dicono
eſponenziali. $. 21 . Se l'uno è , egli tocca ſe ſteſſo , e l'altre coſe . L'uno
è in fe fteſſo , ed in altrui ( 5. 12. Sez. 3. ) In quanto è in fe fteſſo vien
impedito di toccar l'altre coſe , dunque tocca fe Hello ; in quanto è in altrui
, è nell'altre coſe ; dunque le coccherà . IN ALTRO MODO Una coſa nel coccar
l'altra giace appreffo quella che tocca , ed occupa la ſede vicina ; ma ſe
l'uno tocca ſe ſteſſo , giace appreſſo ſe steſſo , ed è quindi due coſe , il
che non potendo effere, mani feſto è che non pud toccarſi. Le coſe diverſe
dall'uno , non potendo effer numero , perchè .non partecipano l'uno, non
pociamo mai con l'uno far due , ma nel contatto v'è ſempre almeno due ( 9. 19.
Sez.-3 .) Dunque l'uno non toccherà l'altre coſe . : ANNOT. La contraddizione
pur è qut apparente, e ſi fa l'ano corporeo nel fupporre , che ei tocchi .
Nozione immaginaria . 22. Parmenide ragionando ad hominem con Socrate fuppone
la par ticipazione dell'idee, combattuta nella prima parte ; conſidera quindi
la grandezza , e la piccolezza, come due ſpecie ſeparate , tra ( 95 ) tra loro
contrarie ; ben a cid s'avverta , perchè in queſto conſiſte la deſtrezza del
Filoſofo , e la forza del ſuo ragionamento , S. 23 2 os' Se l'uno e , egli non
è ně eguale , nè maggiore , në mi nore degli altri enti . Sia l'ente minore
degli altri enti , egli dunque participerà dell ' idea della piccolezza , la
qual è contraria alla ſpecie della gran dezza . Si concepiſca, che la
piccolezza ſia nell' uno , o farà in tutto l'uno , o in alcuna parte di eſso ;
fe in tutto l' uno , eftenderà per l'intiero uno tutto al di dentro , che vuol
dire lo compenetrerà con la ſua ſoſtanza , o l'abbraccierà con eſtremi li. miti
al di fuori, che vuol dire lo comprenderà ; ma ſe la picco lezza s'eſtende al
di dentro di tutto l' uno gli è eguale " , e fe lo comprende gli è
maggiore , onde la piccolezza ſarebbe nello ſteſ ſo tempo grande, ed eguale
contro l'idea di lei . Se la piccolezza è una parte dell'uno , ne ſeguirà , che
ella lia di nuovo in tutta la parte , o al di fuori , o ál di dentro quindi che
ella fia eguale , o maggiore per le coſe dimoſtrare ; dunque non potendo eſser
la piccolezza , nè in tutto l' uno , nè in parte dell'uno , non ſarà nell'uno ,
onde l'uno non farà pic colo, o minore degli altri enti . Corol. In alcuno
degli enti per la ſteſsa ragione non po irà ritrovarſi la piccolezza, onde in
queſta ipoteſi non v'è al tra cofa piccola , che la piccolezza ftetsa , ma dove
non v'è il piccolo , non v'è neppur il grande, perchè l' uno non è che per
riſpetto all'altro ; dunque non vi faranno coſe grandi , trartone la grandezza
, e quindi I uno , e altre coſe ſaranno prive di grandezza , e di piccolezza. e
S. 24. Se l'uno è , le altre coſe non ſono di eſso nè maggiori, nè minori, nè
eguali . Le altre coſe aſsolutamente parlando ſono prive di grandezza, e di
piccolezza , dunque, rifpetto alla uno , non fono nè piccole, ne grandi , e per
la ſteſsa ragione , l'uno non è nè maggiore , nè minore dell'altre coſe ,
eſsendo privo di grandezza , e dipiccolezza . 5.125 . ( 26 ) S. 25. Se è l'uno
egli farà eguale a ſe ſteſſo , ed all'altre coſe . Non è maggiore , nè minore
dell'altre coſe , ma ſe l'uno non è , nè maggiore , nè minore dell' altre coſe
, egli per la forza dell'eſcluſione ſarà eguale . §. 26. Se l'uno è , egli è
eguale a ſe ſteſſo , ed all'altre coſe. Non avendo in sè, nè grandezza , nè piccolezza
, nè eccede rà ſe ſteſſo , nè da ſe ſteſo farà ecceduto , dunque farà eguale a
ſe ſteſſo . S. 27 . L'uno è maggiore , e minore di fe ſteſſo . Egli è in
ſeſteſſo , dunque li comprende ; dunque èmag giore di ſe ſtello ; eſſendo in ſe
ſteſſo, egli è da ſe ſteſſo com preſo , dunque è minore ; dunque è maggiore, e
minore di ſe ſteffo . S. 28, Se l'uno è , le altre coſe ſono maggiori , minori
ed eguali all' uno . Null'altro v'è , che l'uno , e l'altre coſe , non dandoſi
mez zo , ( $ . 12. Sez. 2. ) Quel che è in una coſa è minore di eſſa ( S. 10.
Sezione 2. ) e ciò che la contiene è maggiore ; dun que , poi che ogni coſa è
in un luogo , ( . 12. Sezione 2) e che altro non v'è che l' uno , è l' altre
coſe neceſſariamente ſono nell' uno , o l' uno nell'altre coſe ; ma ſe l' uno è
nell' altre coſe , queſte ſono maggiori dell' uno , perchè lo conten gono ;
l'uno è minore, perchè è contenuto ; dunque l'altre co le ſono maggiori , e -
minori dell’uno : ma s'è dimoſtrato , che l' uno non eſſendo nè maggiore , nè minore
dell' altre coſe, all' al tre coſe farà eguale ( §. 24. Sez. 3.) Dunque egli è
eguale , mag giore , minore dell'altre coſe. Corol. Egli dunque può eſſere di
miſure eguali , maggiori, e minori , riſpetto a sè, ed all' altre coſe. Quindi
Ha 1 1 ! ( 97 ) Ha più miſure riſpetto alle coſe delle quali è maggiore , me no
miſure riſpetto a quelle delle quali è minore , e pari miſu re riſpetto a
quelle delle quali egli è eguale . 6. 29. 9 Paſſa a dimoſtrare Parmenide , che
ſe l'uno è , egli è parce cipe del tempo , ed è , e ſi fa più giovane , e più
vecchio di ſe fteſto , e degli altri , ed in contrario , e che non è , nè ſi fa
nè più giovane, nè più vecchio di ſe ſtello , e degli altri par cicipanti il
tempo . Per intendere adequatamente queſte propoſizioni, in cui s'af follano
varj principi i biſogna prima ripaffare ciò che fi diſle nel ſ . 3. Sez. 3. 9.
27. Sez. 2. ove fi dimoſtrò . 1. Che chi partecipa dell' eſſenza , partecipa
delle differenze del tempo . 2. Che cið che ſi fa più vecchio di ſe ſteſſo , e
dell'altre coſe, nel farſi più vecchio , li fa più giovane, e cið per eguali
parti di tempo, ag giunte agli ineguali, il che abbiamo dimoſtrato coll'
eſempio delle ragioni di e diſucceſſivamente accreſciute di 1. comparando
percið le ragioni di į , e di abbiam veduto , che i loro va Iori i ti, eit ! +
divengono ſempre minori . Altreſuppoſizioniegli fa ne' ſeguenti argomenti. 1.
Il tempo è un fluſſo , da cui ſi fa progreſſo dal pallaco al preſente, e dal
pre Tente al futuro , e dall'era all'è , è dall' è al ſarà . 2. Che una coſa
che'ſi fa paſſa dal preſente ove è , nel futuro ove ſarà , e perciò nel farli è
di mezzo cra l'uno , e l'altro , onde propria mente ciò che è nell' inftante ,
non ſi fa , ma è quello che è , o , come l'eſprime Platone , una coſa che ha
fatto acquiſto del preſente cella di farſi , od è ciò che allora convien che fi
faccia . 3. Il preſente è ſempre unito all'uno , perchè è ſempre unito all'
ente, dal qual l'uno è inſeparabile . 4. Il diverſo , o l'idea del diverſo è la
ſtella coſa ſecondo i principi di Socra te , e percid è ſempre uno, onde quello
che non è uno , non può eſer il diverſo , o l'idea del diverſo, onde le coſe
diverſe dall' uno , o che partecipano il diverſo, ſono più che l'uno , o hanno
in sè moltitudine , e in conſeguenza numero o più . 5. Delle più ſono prima le
poche , che le molte , e delle poche prima il pochiſſimo. 6. La coſa che prima
li fa è la prima , e le dipoi ſono più giovani delle già fatte innanzi . 7. E'
impof fibile', che una coſa ſi faccia oltre la natura , onde in una co ſa che
ha principio , mezzo , e fine , prima li fa il principio , indi il mezzo, e poi
il fine , che vuol dire , il fine ti fa i'ulti mo. 8. Quel che ſi fa ultimo è
più giovane di quel che fi fa Tomo II. il a e ce I 21 S: i n ( 98 ) il primo .
9. Chi ſi fa con tutte le parti infieme d'un tutto ,, fi fa nello ſteſſo tempo
inſieme col cutto .. 1 1 ſ. 30. Se l'uno è , egli è , e ſi fa , e non è , nè ſi
fa più vecchio , e più giovane di ſe ſteſſo . Se l' uno è participando
l'eſſenza , participa del tempo ( $. 3. Sez. 3. ) ma quel che è in tempo , è in
un fluſſo continuo o pal ſa dal paſſato al preſente, o dal preſente al futuro (
S. 28. Sez: 3.) Dunque l'uno e continuamente in queſto paſſaggio . In quanto
paſſadall'era all' è fi fa più vecchio di sè ;ma nel farſi più vec chio , ſi fa
più giovane ( S. 26. Sez. 2. ) Dunque ſi fa più vec chio , e più giovane di ſe
ſteſſo . Chi non oltrepaſſa il preſente , nel far progreſſo dal paſſato ,
nell'avvenire non ſi fa , ma è ciò che è ( $.22. Sez . 4. ) Dunque quando l '
uno tocca primieramente il preſente , non ſi fa allo ra vecchio , ma è vecchio
oggimai, Nel toccar il preſente , co me ha prima di lui fatto acquiſto , cefla
di farli , od è ancora ciò che avvien che ſi faccia i $. 28.Sez. 3.) Dunque
l'uno , quan do fatto vecchio conſeguiſce il preſence , cella di farſi , od è
allora più vecchio di ſe ſteſſo , di ciò che era toccando il pal fato ; ma
l'uno è di quello più vecchio , onde fi faceva vec chio ; e facevali di ſe
ſteſſo , ed il più vecchio è più vecchio del giovane ; dunque allora l' uno è
più giovane di ſe ſteſſo quando fatto vecchio conſeguiſce il preſente , ma il
preſente è fempre unito all'uno ; dunque l'uno, ed è ſempre, e li fa più
vecchio , e più giovane di ſe ſteſſo ; ma facendoſi tale , od ef ſendo in tempo
pari ritiene la ſteſſa età , e chi ritiene la ftel fa età , non è più vecchio ,
nè più giovane ; dunque l'uno eſ ſendo , e facendoli in tempo , non è più
vecchio , nè più gio vane di ſe ſteſſo . g . 31 . Se l'uno è , egli è più
vecchio dell'altre coſe , o l'altre coſe più giovani di lui . Nelle coſe
diverſe , che hanno in sè moltitudine o numero , altre ſon fatte prima , altre
dappoi ; ma il primo che ſi fa è pochifiimo, ( 9. 26. Sez. 3. ) e nei numeri
l'uno è pochiſſimo , dunque l'uno è facco inanzi alle coſe che hanno numero , o
che fono . 1 ( 99 ) fono diverſe dall'uno , o ſono gli altri ; ma il primo che
ſi fa è più vecchio , le coſe che dipoi ſi fanno , ſono più giovani ; dunque
l'uno è più vecchio dell'alcre coſe , e l'altre coſe più giovani. g . 32. Se
l'uno è , egli è più giovane dell' altre coſe , e le altre coſe più vecchie
dell' uno . L'uno non può farſi oltre la natura fua ( .9 .,26. Sez: 3. ) Dunque
avendo parti, o principio , o mezzo, o fine, ſi fa ſecondo la natura del
principio , del mezzo , e del fine , ma il princi pio fi fa il primo , è il
fine ſi fa l'ultimo , ma l' ultimo fatto e più giovane dell' altre coſe , e l'
altre coſe più vecchie dell' uno ( $. 26. Sez. 3. ) ; dunque l'uno è più
giovane degli altri , e gli altri dell'uno . $. 33. Se l'uno è , egli non è più
vecchio , nè più giovane dell' altre coſe.. Ogni parte dell' uno è una ; ogni
parte del mezzo è una , ed uno è parimente il fine, od il tutto , onde fi farà
l'uno , é colla prima coſa che fi fa , ed infieme colla ſeconda, colla ter za
ec. onde percorrendo ſin all'eſtremo fi farà un tutto , o 1 uno non eſcluſo
nella generazione dal mezzo , non dall' eftre mo , non dal primo, non da altro
; ma ſe l'uno ſi fa inſieme con tutte le parti d' un tutto ha la ſteſfa età con
tutti gli al tri ; dunque ſe non è nato oltre la propria natura , non è fac to
prima nè dopo l'altre coſe , ma inſieme e fecondo queſta ragione non è più
vecchio , o più giovane degli altri , nè gli altri dell' uno . ſ. 34. Se l' uno
è, egli ſi fa più giovane, più vecchio di ſe ſteſſo . Se alcuna coſa foſſe più
vecchia d' altra , li farebbe ancora più vecchia di ſe ſteffa : A ſia più
vecchio di B , nel creſcerfi gli anni ad A , egli & fa più vecchio di fe
fteffo , e di B ; dun n 2 que ( 100 ) | 1 que l'uno nel farſi più vecchio dell'
altre coſe ſi fa ancora più vecchio di sè ; manel farſi più vecchio , ſi fa
ancora più gio vane per la ſteſſa ragione , che creſcendo tempi eguali, la ra
gione decreſce ( 5.27. Sez. 2. ) Dunque l'uno li fa più giovane di ſe ſteſſo ,
ma s'era dimoſtrato , che ſi faceva più vecchio ( S. 30. Sezione 3. ) Dunque ſi
fa più giovane , e più vecchio di ſe Iteffo . 1 f. 35 . Se l'uno è , egli non
può farſi , nè più vecchio, nè più giovane dell'alere coſe . Ciò che fi fa più
vecchio d'un altro , o più giovane, ſi fa più vecchio , e più giovane ancora
riguardo a sè ( 1.37. Sez. 3.) ma l' uno non ſi fa , ma è , e più giovane , e
più vecchio ri guardo a sè ; dunque non ſi fa , nè più giovane , nè più vec
chio riguardo agli altri. Se l'uno è più vecchio , che le altre coſe , ha più
lungo tem po dell'altre coſe, ma creſcendoſi il tempo, egli ſempre eccede meno,
onde ſi fa più giovane riſpetto alle coſe, delle quali era innanzi più vecchio
; ma ſe egli ſi fa più giovane , quell' altre coſe ſi faranno più vecchie ;
dunque le coſe che erano innanzi , e più giovani dell'uno , ſi fanno dell' uno
più vecchie , cinè fi fanno più vecchie , riſpetto a quello che era più vecchio
; ma le coſe più vecchie non ſono , ma fi fanno ſempre , perchè la fanno più vecchie
, mentre l'uno ſi fa più giovane ; dunque le coſe ſi fanno ſempre più vecchie
dell'uno . Le coſe poi più vec chie , parimente ſi fanno più giovani dell' uno
più giovane perchè l'uno , e l'altre coſe movendoli in contrario G fanno vi
cendevolmente contrarie , cioè le coſe più giovani dell'uno , ſi fanno più
vecchie dell'uno che è vecchio , ed all'incontro l'una più vecchio , li fa più
giovane delle coſe più giovani ;, ma non, è poffibile che l' uno , e l' altre
coſe fieno fatte nè più giova ni , nè più vecchie, perchè le cali foſſero , non
più li farebbo no ; dunque le coſe , e l'uno tra loro ſi fanno più vecchie , e
più giovani: l'uno li fa più giovane delle cofe , per quello che parve eſſer
più vecchio , e prima fatto , l'altre coſe poi fi fanno più vecchie , per
quello che ſono ſtate fatte dopo , e ſecondo la ſella ragione : l'altre coſe
ancora ſe ne ſtanno riſpettivamente alla uno , come quelle che ſono ſtate più
vecchie , e prima dell'uno . Dunque inquanto che nè l' uno , nè gli altri fi
fanno , diſtan do 1 ( 101 ) $ do ſempre tra loro di un numero pari, non ſi farà
nè l'uno più vecchio degli altri , nè gli altri dell' uno . Ma come decreſce
ſempre la ragione dei tempi , o con minor particella ſempre tra loro
differiſcono le coſe prime dall' ultime , e l'ultime dalle prime , così è
neceſſario che l' altre coſe ſi facciano , e più vecchie più giovani dell'uno ,
e l'uno dell'altre coſe . Quinci aggruppando in uno tutte le propoſizioni,
abbiamo di. moſtrato , che l'uno è , e li fa più vecchio , e più giovane degli
altri, e di nuovo non è più vecchio , nè più giovane di ſe ſteſſo e degli altri
. Corol. Perchè l' uno è partecipe del tempo , o ſi fa più vec chio , e più
giovane , egli è partecipe del quando, del futuro , e del preſente . Dunque era
l'uno, ed è , e ſarà , e ſi faceva , e fi fa , e li farà , e ſarà ancora alcuna
coſa in lui , e di lui , ed è , ed era , e farà . COROL. 2. Perchè la ſcienza ,
l'opinione , il ſenſo , la defini zione , il nome , riguardando le coſe che
ſono nelle differenze dei tempi , in quanto l'uno è capace di queſte differenze
, è ancora fog getto di ſcienza , d'opinione , di fenſo , può definirli, e può
no. minarſi . Annot. Qui Parmenide non dà ſcienza, e definizione, ſe non delle
coſe ſoggette al tempo , il che biſogna accordare con ciò che diſke ( 9.16.
Sez. 1. ) La ſcienza che appreſſo noi è ſcienza del le verità , che ſono a noi
dintorno . 9. 36. Riſtringiamo adeſſo in poco , quanto Platone ha propoſto
nella propoſizione condizionale, o ſia nell'ipoteſi ſe l'uno è . 1. Diftin le
colla mente i due concetti dell'uno , e dell'ence ., 2. Ne com poſe un tutto
intellectuale di due parti, o dei due concetçi dell' uno , e dell'ente. 3. Tra
loro paragonandoli ne deduſſe il terzo concetto del diverlo . 4. Conclure che
nell' uno o è una moltitu dine infinita di numeri , che dividono l' uno a
proporzione dell' ente. 5. Che l'uno è tutto , e parte, e finiso , e infinito .
6. Da ciò che è un tutto finito , conſiderò in effo il principio , il mez-, 2o
, il fine , e quindi la figura . 7. Da ciò che è un turto , e che il tutto è
nel tutto , conclure che l'uno è nell' uno , ed in fe ftel 1o . 8. Da ciò che
l'uno è comeparte nel tutto , conclure che è in altrui . 9. Che ſta , e ripoſa
, ſe egli è in ſe ſteſſo . 10. Che ſi mo ve , le è in altrui . 11. Che è ſimile
a sè in quanto l'uno , è lo ſteſſo che l'uno . 12. Simile agli altri , perchè
paciſce d' eſſere co me gli altri . Che è diffimile in quanto cert'uno , e
certo ente . 14. ( 102 ) 14. Che è lo ſteſſo , poichè ekſte, ed eſiſtono
glialtrienti nello ſteſſo tempo . 15. Che è diverſo , in quanto non ha in sè
ciò che hanno gli altri enti. 16. Quindi fimile , e diffimile , perchè patiſce
le ſteſſe cofe . 17. Che è maggiore , minore, ed ineguale , e non maggio re ,
minore, nè eguale dell'altre coſe . 18. Che è , e ſi fa più gio vane, e più
vecchio di ſe ſteſſo , e dell'altre coſe , e non è , e non fi fa , nè più
vecchio , nè più giovane dell'altre coſe , e l'altre co fe di lui . 19.
Finalmente, che dell'uno in quanto è li ha ſcienza ,, ſenſo , opinione , e può
denominarſi , e definirſi. Si potrebbe più compendioſamente ridur in poco
l'argomento di Parmenide, conſiderando che reciproche ſono queſte due pro
polizioni : l'unoid , è l ' uno , per il che ſi può predicar dell'ente ciò che
ſi predica dell' uno, e dell' uno ciò che ſi predica dell' en per ragione dei
diverſi concetti formali, predicandoſi dell' ente , la parte , il finito ,
l'infinito , il principio , il mezzo , il fine , la figura , lo ſteſſo , il
diverſo , la quiete , il mo to , il limile , il diſſimile , e il maggiore ,
l'eguale , il minore, it giovane , il vecchio ec. cutti queſti
predicaricompereranno pari mente all'uno . Ben ſi vede , che qui non ſi parla
che dell' en te corporeo , e degli enti particolari , a cui or compete una co
fa , ed or un'altra. il tutto , S. 37: Ma perchè i predicati oppoſti, come il
fimile , il diffimile, it maggiore , e il minore non poſſono competere nel
tempo ſteſſo all' uno , ed all'ente ſenza contraddizione , Parmenide moſtra che
queſti attributi contrari non gli competono nello ſteſſo tem po , ma in diverſi
tempi ; tal è la natura di ogni ente finito : gli attributi, imodi, le
relazioni, delle quali è capace, non hanno luo go in lui, che ſucceſſivamente a
differenza dell'ente infinito , in cui tutte le perfezioni poſſibili , che
attribuir gli ſi poſſono , .ftan no in lui tutte inſieme , onde non male con
due parole molto energiche , ſebben barbare , ſi chiamò Dio dal Bulfingero ,
omni tudo compoſibilitatis . Gli Scolaſtici lo chiamarono atto puro , cioè atto
ſenza alcuna miſtura di potenza , e quindi diametralmen te oppoſto alla materia
che è pura potenza , e talmente pura, che al cuni degli ſcolaſtici la ſpogliano
dell'atto entitativo , edell'eſiſtenza . $. 38 ( 103 ) go 38. Se l'uno è ; egli
prende diverfi ſtati ſecondo le :: differenza dei tempi . Nel tempo ſteſſo non
ſi può participare , e non participare dell'eſſenza , e delle coſe che
conſeguono al non participarla , ed al participarla ; or il farli è renderſi
partecipe dell' ellenza ; il rovinarli e privarſi dell' effenza ; dunque l'uno
non può ne! tempo ſteſſo , e prender , c laſciar l'eſſenza . Dunque la pren de
, e la laſcia in diverſi tempi , Quando ſi fa uno , egli perde l' eſfer molte
coſe ; quando ſi fa molte coſe ceffa d'effer uno; nel farfi uno , e molte , li
fepara , e fi congiunge , qualora ſi fa ſimile , e diffimile , ſi affimiglia ,
e diffimiglia ; quando ſi fa maggiore, minore , ed eguale , creſce , decreſce,
e li pareggia ; quallora movendoſi fi ferma, e quallo ra fermandoſi li move .
Or tutte queſte coſe , eſſendo tra loro contrarie , l ' uno non può averle nel
tempo ſteſſo , dunque l'ha in tempi diverfi . 9 . 39 Non fi pud paſſar dalla
quiete al moto , e dal møto alla quie te , ſenza cangiamento di itato . Un
corpo che cangia fuccelli vamente la relazione di diſtanza , che egli ha ad
altri corpi vi cini , ha uno ſtato diverſo da quello d'un corpo , che conſerya
ſempre a ' corpi vicini la ſteſſa diſtanza. Queſto cangiamento di uno ſtato
all' altro ſi fa in tempo ; ma conſidera Platone, che nel paſſaggio dal moto
alla quiete, e dalla quiere al moro, v'è un non so che d'improvviſo , e di
momentaneo , che ſi conce piſce nell'iſtante del paſſaggio , e non più
appartiene al moto , che alla quiete ; non al moto , perchè la coſa ſi
concepirebbe ancora in ripoſo ; non al ripoſo , perchè la coſa fi concepiſce
ancora in moto , Conclude dunque Placone , che queſta natu ra improvviſa è
quaſi ſconvenevole tra il moto , e la quiete ; che ella non è in verun tempo ,
e a queſta da queſta paſſan do fi muta nello ftato ciò che li move, e nel moto
ciò che ſi ri pola . 8. 40. ( 104 ) .. § . 40. Se l'uno è , nell'atto che
cangia ſtato , non gli competono più i predicati dell'ente . Nel paſsar l'uno
dal moto alla quiete fi muta momentaneamen te , e all'improvviſo , o mutandoli
egli non è in alcun tempo ; dunque non ſta nè fi move . Così quando paſsa
dall'eſsere alla ro vina, o dal non eſsere al farſi , non è , nè ſi fa , nè fi
diſtrugge . Parimente quando paſsa dall' uno in molti , e da molti in uno, non
è , nè uno, nè molti , nè ſi congiunge , nè fi ſcongiunge , e paf fando dal
ſimile al diſſimile , od al contrario , non è , nè affimi gliato , nè
diſlimigliato , e paſsando dal piccolo al grande , ed all' eguale non creſce ,
nè decreſce , nè ſi pareggia. Annot. Da queſta dottrina ſebben metaforicamente
da ' Plato ne eſpreſsa , imparò Ariſtotele ad introdurre tra i principj delle
generazioni, la privazione mal a propoſito ſchernità da coloro , che non ne
inteſero nè la forza , nè l'uſo . Quando una coſa ha perdute tutte le
diſpoſizioni o determinazioni, che la rendevano tale , ella ceſsa d' eſsere la
tal coſa , cioè reſta priva di tutto ciò che la coſtituiva , e diſtingueva
dall'altre coſe , ma nell'atto ſteſ fo , in cui ceſsa d'eſsere quel che era ,
comincia ad eſsere ciò che non era , o paſsa dalla privazione alla forma
contraria ; queſto ſtato di mezzo che è tra la forma , e la non forma, Platone
chia ma natura mirabile , e momentanea , ed è certo , che ella nel fifa far i
gradi della noſtra cognizione ci moſtra quelli della natura che non opera mai
per falti. Nel Timeo dice : Dovendo eſer l'ef figie delle coſe diſtinta da ogni
verità di forma , non fia mai prepa rato quel medeſimo grembo di tal
formazione, ſe egli non farà informe di tutte quelle ſpecie , le quali è per ricever
da qualche parte , percid che ſe egli faravvi alcuna di quelle coſe che in sé
riceve fimiglianza , quando riceverà una natura contraria di quella di cui è
ſimile , ovve ro un' altra , affatto malagevolmente la ſimiglianza , e
l'effigie di quel la eſprimerà quando moſtrerà la ſua, però egli è convenevole
, che di tutte le ſpecie ſia privo quello che ha in sè da ricevere tutti i
generi . Siccomequelli che hanno da fare unguenti odoriferi, l'umida materia ,
la quale vogliono di certo odore condire , di tal guiſa preparano , che * ella
non abbia alcun proprio odore . E coloro che vogliono in materie molli
imprimerealcune figure, niuna figura affatto laſciano primiera mente apparire
in quella , ma quelle cercano in prima di render qan to poſibil fia polite .
Ciò ſi rende ſenſibile nelle quantità algebraiche poſitive , e ne gative ,
nelle quali non ſi paſsa dall'une all'altre ſenza paſsar per 1 1 1 il ( 105. )
o il zero , che non è nè negativo , ne poſitivo , ed è il vero fim bolo della
privazione. Nella Geometria il punto matematico equi vale al zero , che è il
principio negativo dell'eſtenſione , e dal quale fi comincia la miſura , come
l'unità è il principio poſitivo , per cui fi comincia la ſteſſa miſura . Il
punto è comune alla linea , che ceſsa per eſempio di eſsere alla ſiniſtra , e
comincia ad eſsere alla deſtra , o che termina d' eſser in alto , e comincia ad
eſser a baſso ; così egli non è deſtro , nè finiſtro , nè alto , nè baſso . Tut
te queſte ſono eſpreſſioni utiliNime, e ſebben noicele rappreſen ciamo per
fpecie aliene , come il niente , o l' impoflibile, tuttavia molto fervono a
reggere i noſtri ragionamenti. L'origine, e la natura del calcolo delle fuſioni
dipende dall'uſo della natura momentanea , ed ammirabile di Platone . In queſto
calcolo non ſi cercano , ſecondo il Newtono , le quantità infinita mente
piccole , chemainon poſsono determinarſi,ma la ragione del le quantità
naſcenti, od evaneſcenti, cioè di quelle , le cui fuffio ni, o velocità nel
naſcere, o nel ſvanire equivagliono al zero , il qual ſimboleggia il termine
del ripoſo , e il principio del moto il termine del moto , ed il principio del
ripoſo . Sieno nel preſen te momento le fluenti quantità y, x ; nel momento
ſeguente di verranno ſecondo l' eſpreſſione Newtoniana y toy , ed xtoy, ove o y
, od ox eſprimono i momenti delle velocità . Softituite queſte eſpreſſioni in
un'equazione propoſta, per eſempio in quel la della parabola yy. =ax , quefta
fi caogierà nell' equazione . yy + 2 oyy tooyy = oaxtoax o cancellando gli
eguali 2oyy tooyy = oax , e cancellando il comune o 2 yyt oyy = ax Sin che la
quantità efpreſsa per o reſta finita , non può mai de terminarli la ragione
delle quantità che fluivano, ma nella ſup poſizione che ella s' annulli , come
nel caſo dell' ultima o della prima velocità delle grandezze , ove o s'eguaglia
a zero , fi ha 2 yy = ax , e ponendo l'equazione in analogia 2 y.a:: x.y
ragione determinata , con cui le qualità cominciano o termic nano di Auire. Il
Newcono ſpiega più a lungo queſte coſe nel ſuo trattato delle Curve, e lo
ſpiega non chiarezza il Ditton nell'inſtituzione delle Auſſioni ; baſta a me
d'averlo quì accennato , per moſtrare che agli antichi non man cavano quell'
idee , che i moderni hanno poi ſviluppato , carat £ erizzandole con canta
utilità delle ſcienze , e delle bell'arri . Tomo II. 5. 41, ( 106 ) S.' 41, 1
Platone preſuppone nel ſeguente argomento , che la partenon è parte nè di molti
, nè di tutti , ma di cert'una idea , e di cert'uno che chiamiamo tutto , ed è
un cutto fatto da tutte le parti , e in sè perfetto , Dalla parola idea lice
argomentare , che qui non fi craica che dei concetti, con cui fi concepiicono i
molti, e il tutto , e le parti . L'idea dei molti è l'idea dei più
aſſolutamente preſi, e com prende egualmente le parti, ed i tutti , dicendoſi
molte, o più parti, molti o più molti. L'idea del tutto è l'idea dell'uno più
riſtretto in un certo numero , o riſtretto in cerci limiti ; idea della parte è
l'idea d'uno incluſo in queſti più già ridoc ti. Non ſi pud quindi
rigoroſamente parlando dire , che la par te ſia parte di molti , perchè
conſiderandoli ſecondo la loro propria idea, non fanno ancora il tutto a cui ha
immediata re lazione la parte , Nel dir dunque Platone , che la parte non è
parte di mol ti , allude ai modi , o ai più vagamente preli , e nel dir che la
parte è parte del tutto , allude ai più riſtretti ; ne' più , come s'accennd ,
vi ſono incluſe indifferentemente le parti , ei tutti, onde ſe la parte foſſe
parte dei più , potrebbe eſſer parte di ſe Iteffa . Aggiunge Platone , che ogni
parte non è parte di qualun que uno ma d'un cert' uno , cioè di un certo tutto
. La par te del triangolo non è la parte del quadrato , nè un ſoldato che è una
parce d' un eſercito , è parte di una proceſſione di Frati . Il tutto poi che è
fatto di tutte le parti , o a cui non man ca alcuna parte, è perfetto . , Si
oſſervi in oltre eſſer lo ſteſſo , il dir molti, o più d'uno ; che ogni coſa
quindi o è uno , o più , cioè molci ; che una parte dell' eſtenlione cratca
fuori di efla , o feparata da eſſa , eſſendo fteſa , contiene più, e ſe dinuovo
ſi ſepa ra in due , una di queſte parti eſſendo di nuovo fteſa , ritiene ipiù .
In altri termini ciò vuol dire, che non v'è parte dell'eſtenſione che non ſia
diviſibile all'infinito, e come la prima divifione fi fa per 2 , ed indi per 2
i Pittagorici aſſegnavano il 2 , come il fim bolo dell'infinito . Prima che una
parte fi ſeparaſſe da una certa eſtenſione , ella riteneva il nome di parte ,
ma quando è ſeparata , e che di nuovo ſi divide , ella non è più parte , ma
tutto . Queſti nomi di tutto , e di parte ſono ſempre relativi ; coloro per ciò
che definiſcono l' eſtenſione , ciò che ha parti fuori" di ? par ( 107 )
parti , null' altro dicono ſe non che l' eſtenſione è l'eſtenſione , perchè non
ha parti ſe non ciò che è eſteſo . Molto peggio fan no coloro , che ſuppongono
, che l' eſtenſione eſſendo compoſta di una infinità di parti fteſe , ſia
compoſta d'una infinità di ſo . ſtanze tra loro tutte ſeparate , perchè l'idea
dell'eſtenſione null hache di relativo , e ſuppone la coſa aſſoluta ,' o la
ſoſtanza , su cui la relazione ſi fonda . Il corpo fiſico , e mecanico non ſono
pura eſtenſione , come il geometrico, ; perchè nel corpo fiſico v'è la forza ,
o la for ma, e nel mecanico il peſo , origine delle proprietà , e dei lo ro
fenomeni. . 8. 42. Se l'uno è , le parti in quanto parti ſono parti dell' uno ,
o partecipano dell'uno . Le parti non poſſono eſſer parti di le ſteſſe , nè di
molti ( $. 40. Sezione 3. ) dunque dell' uno, il che è dire , che partecipano dell'
uno . §. 43, Se l'uno è , il tutto in quanto tutto partecipa dell' uno . Il
tutto cui nulla manca delle tre parti è uno ; dunque par tecipa dell'uno .
Corol. Il tutto dunque , e le parti partecipano dell' uno , e ciò ſignifica un
non so che di ſeparato da gli altri , ma eſiſten; te per sè , ſia egli
qualunque coſa. ANNOT. Non par egli, che Parmenide nel dir , che queſt' uno ſia
ſeparato dagli altri , e per sè eſiſtente , alluda all'idee feparatę che ha
combattute nella prima ſeſſione '? Se non vuol ciò dirſi , come contrario alla
profonda Filoſofia d'un sì grande Uomo, non ne liegue egli , che parlando qui
con Socrate , parla bensi col fuo linguaggio , ma nel tempo fteffo incende di
favellare fecondo le attrazioni della mente . 0 2 9.44. ( 108 ) 8. 44. Se l'uno
è , le cofe che partecipano dell' uno fono altra coſa che l'uno . Niuna coſa
può effer alcun uno fuor che lo ſteſſo uno ; dunque ſe le coſe partecipano
dell'uno , che vuol dire , non ſono lo ſtes fo uno , bifogna che fieno un'altra
coſa . COROL. Dunque le coſe che partecipano dell' uno fono de verſe dall'uno .
S. 4.5. Se l' uno è , le coſe che partecipano dell'uno , ſono in moltitudine
infinite . Se le coſe che partecipano l'uno ſono diverſe dall' uno , non ef
fendo uno nè più d'uno non faranno niente ; ma non fon l'uno , dunque più d'ano
, dunque ogni parte d'uno , include in eſſa i più, e queſti altri più , e così
in infinito , dunque le coſe clre parteci pano l'uno , ſono infinite in
moltitudine . COROL. Poichè il più include per fua natura la moltitudine in
finita , ogni parte che d'eſſo ſi tragga fuori con l'intelligenza le ben
piccoliflima rifpetto all'altre , ſarà in moltitudine infinita . ANNOT. Platone
dice da quelle ( cioè dei molti ) trar fuori con r* intelligenza alcuna cofa
piccoliffima . In qual altro modo pud egli meglio indicar l'aſtrazione della
mente .? nel dir Platone , che confiderando la diverſa natura della fpecie
fecondo ſe ſteſſa quanto di lei vediamo, fia egli infinito , e in moltitudine ,
altro non ſignifica con la diverſa natura , ſe non che ogni parte dell'
eftenfione include in sè più , e queſti altri più , e infiniti in . moltitudine
. 1 g. 46. Se l'uno è , la parre in quanto parte è diverſa dell' uno , per chè
l'uno è per sè indiviſibile , e la parte per sè divifibile . 8. 47 ( 109 ) S.
47. Se l'uno è , le parti ſono più che l' uno . Le parti diverſe dell'uno , ſe
non ſono uno , o più d'uno , nulla ſaranno , ma ogni cofa è uno o più ; dunque
ſe le parti diverſe dall uno non ſon uno , ſaranno più che uno . S. 48. Se
l'uno è , le parti che lo partecipano hanno termine tra loro , e riſpetto al
tutto , e il tutto riſpetto alle parti . Ogni parte è una, ogni tutto è uno ;
ſe l'uno e l'altro parte cipa l'uno ; ma quello che è fatto uno ha un termine .
Dunque ec. Corol. All' altre coſe , che all' uno , avviene che partecipan do
dell'uno , e di loro ſteſſe, ſi fanno in loro cert'altra coſa, il che dà loro
il termine , ma la natura loro che include i più , è per eſſenza infinita in
moltitudine; dunque le altre coſe che l'uno tutte ſecondo le particelle loro ,
ſono infinite in numero , e par tecipi di termini. g . 49. Se l'uno è , le coſe
che partecipano l'uno , fono fimili, e dil ſimili, ſi movono , e ſi fermano ,
od hanno altre paſſioni con trarie , Le altre coſe che l'uno , ſono tutte
infinite , o indefinite , fe condo la loro natura , onde tutte patiſcono lo
ſteſſo, ed aven do cermini , e diverſi termini, patiſcono il diverſo , ma il
limi le è quel che patiſce il ſimile , il diſſimile quel che patiſce il diverſo
. Dunquele coſe , altre che l'uno , ſono ſimili, e diffimi li . Maſe patiſcono
le ſtelle coſe , e diverſe , pariranno anche il moverſi , ed il fermarſi,
l'eſſer maggiori , minori , ed eguali , l' eſſer più vecchie , più giovani ec.
e 3. 50 Riepilogando le coſe dette , abbiam dimoſtrato che ſe l'uno che in
quanto lo partecipano ſon d'ello parti. Che il tutto dal le parti riſultante
partecipa pur dell' uno ; che le parti parte cipanti del tutto , è dell' uno
ſono infinite in moltitudine, che han ( 110 ) . hanno termine tra loro , e
rifpetto al tutto, come il tutto l'ha riſpetto alle parci, onde nel patir le
coſe ſteſſe , e diverſe ſono ſimili, e diffimili , ſi moyono, e fi fermano .
Paſſa a confiderar Parmenide nella ſuppoſizione , che sia l'uno , coſa adiviene
alle coſe che non partecipano l'uno . g. 58 . Se l'uno è , e le altre coſe che
non partecipano l'uno, non ſono nè tutto , nè parii , nè fimili, nè diffimili ,
nè le ſteſſe nè diverſe, non ſi movono , non fi fermano , non ſi fanno , non ſi
diſtruggono, non ſono , nè maggiori , nè minori , nè eguali , nè vecchie , nè
giovani . Si concepiſca l'uno ſeparato dall'altre coſe , cioè fi concepi ſca
che le altre coſe non lo partecipano , non vi ſaranno mol ti , perchè ognun de
molti è uno ; non vi ſarà numero , o mol titudine ordinata che principia
dall’uno, il quale ſucceſſivamen te li va aggiungendo a ſe ſteſſo , e fa ogni
numero uno nella fua fpecie ; non vi ſarà tutto , che è una moltitudine
riſtretta in uño ; non vi ſaranno parti , ognuna delle quali è uno ordi nata ad
un altro uno ; non vi ſaranno coſe limili, nè diffimi li, nè le ſteſſe , nè
diverſe con l' uno , perchè ſe teneffero in se -ſimigliznza , ediffimiglianza ,
comprenderebbono in sè due ſpecie tra loro contrarie , onde non eſſendo
partecipi di due , nemme no lo ſarebbono di due contrarj ; non poſſono eſſer
quindi le coſe nè ſteſſe, nè diverfe , nè moverſi , nè formarſi , nè diftrug.
gerſi, nè effer maggiori, giovani , e vecchie , perchè eſſendo ſem pre
partecipi di due coſe contrarie ſarebbono partecipi di nu mero . ANNOT. Queſto
è lo ſteſſo che concludere che l' uno traſcen dentale , eſſendo inſeparabile
dall' ente , è lo ſteſſo tor dalle coſe l' uno , che l'ente , od annullarlo .
g. 52. 1 Parmenide ha ultimamente conſiderato , coſa accaderebbe alle coſe, ſe
non vi foſſe l'uno , che per ipoteſi ſtabili . Or cangia ipoteſi, e cerca ,
coſa accaderebbe alle cofe fe non vi foſse l'uno . Queſte due ipoteſi ſembrano
diverſe , ma ricadono poi nello ſteſso , perchè canto è annullar le cote
ſeparando da loro l' uno che è , od eſsere ſi concepiſce , quanto annuliarle
ponendo le co ſe , e negando l'uno . SE ( 111 ) 1 SEZIONE QUARTA. B. I. Uando
per eſempio fi dice grandezza, e non grandezza, QI si dicono due coſe oppoſte ,
e tra loro contrarie , poichè la non grandezza diſtrugge ciò che la grandezza
pone o in natu ra , o nella mente ; le fi fanno quindi le due propoſizioni, la
grandezza è la non grandezza non è , tutte e due ſono nega tive, ma l'una è d'
un ſoggetto finito , e determinato , l'altra d'un ſoggetro infinito , e indeterminato.
La grandezza é il ſog getto di decerminata ſignificazione , la non grandezza di
ſignifica zione indeterminara, perchè non grande è il piccolo , non grande il
punto , non grande l'unità ec. Or il determinato è contrario all indeterminato
; dunque, come ben oſservò Marſilio Ficino , le due propoſizioni, la grandezza
è , la non grandezza non è , ſono con trarie , ſebben l’una , e l'alcra fieno
negative . Lo ſteſso debbe dirſi delle due propoſizioni, l'uno non è , il non
uno non è , egeneral mente della propoſizione A non è ; non A non è : nella pri
ma ſi nega ad A l'eſere , nella ſeconda ad A che fi nega , ga l'effere . Negar
ſemplicemente una coſa , e negare la nega zione, ſono coſe tra loro contrarie .
La propoſizione all'incon. tro A non è , e l'altra non A è , ſono equivalenti ,
perchè nel la prima di A fi nega l' eſſere , nella ſeconda fi afferma , che ad
A fia negato l' eſſere. Affermare la negazione è lo ſteſſo che negar la cola ;
dunque equivalenti propoſizioni ſaranno, l'uno non è , il non uno è . E' poi da
oſſervarli, che le negazioni, e pri vazioni ſi conoſcono per le loro realtà
oppofte , la cecità per la vi fione , le tenebre per la luce , non A per A. ſi
ne B. 2 . Se l'uno non è , nel pronunziar la propoſizione ai concepiſce
chiaramente e diſtintamente , che l'uno non fia , o li ha fcien za di ciò che
s'eſprime, e s'eſprime qualche coſa diverſa dall' altra , l'uno è . Le
privazioni , e negazioni ſi concepiſcono chia ramente , e diſtintamente per le
loro realtà oppoſte , dunque il non uno per l' uno ( J. 1. ) ma la propoſizione
il non uno è , è, equivalente all'altra l' uno non è , dunque queſta
propoſizione l' uno non è , fi concepiſce chiaramente e diſtintamente , o li ha
ſcienza di lei . La propoſizione l'uno non è , è diverſa dall' altra , 3 uno (
112 ) ! $ 1 1 uno è , e chiaramente , e diſtintamente ſi concepiſce la loro
diver ſità ; dunque nel dir l' uno non è , ſi concepiſce qualche coſa di
diverſo . Platone così lo dice : eſprime primieramente alcuna coſa che ſi può
conoſcere, poſcia differente dall'altra , colui che dice uno , aggiungendovi
l'eſfere, oil non eſſere , perciocchè non ſi conoſce meno , ciò che fia quel
che ſi dice non ellere, e come ſia certa co fa differente dall'altra . Corol.
Può dunque predicarſi dell' uno la ſcienza , e la di yerſità . S. 3 . Se non è
l'uno, o ſe il non uno è , il non uno partecipa delle coſe che di lui ſi
predicano , e non le partecipa . Del non uno è , ſi predica la ſcienza , e la
diverſità ( Cor. ant. ) dunque partecipa di queſte coſe, mapoichè egli non è ,
non aven do eflenza , non può participarle , perchè il non ente non ha pro
prietà , dunque non le partecipa ; dunque le partecipa , e non le partecipa .
COROL. Così s'eſprime Platone : Il non ente è partecipe di sé , e d'alcuna coſa
, e di queſta , e con queſta , e di queſta , e di cut te le coſe sì fatte;
concioliachè non li direbbe uno , nè le diverſe coſe dell'uno , ne avrebbe egli
alcuna coſa , nè alcuna coſa fi chia merebbe , ſe non foſſe partecipe di alcuna
, nè di queſte altre nondimeno è impoſſibile che ſia l'uno , ſe egli non é , ma
niuna cofa vieta , che non ſia partecipe di molte coſe, ed è neceſſario ancora
ſe è quello l'uno , e non altro , ma ſe non è , nè l'uno , nè quello non ſarà
egli ; non ſi dirà nulla di lui , ed il ragionamento farà d'altra cofa , ma ſe
fi ſuppone che quello uno non ſia , è ne ceſſario che ſia partecipe di lui , e
di molte altre coſe , . 4 . Se il non uno è , il non uno è ſimile a ſe ſteſſo ,
e diffimile all'altre coſe, ed al contrario . Il non uno convien col non uno ,
dunque con ſe ſteſſo ; dunque è ſimile a ſe ſtello . Il non uno è diverſo
dall'altre coſe che parte cipano l'uno , dunque è diffimile dall'altre coſe ;
ma il non uno non eſſendo , non può aver proprietà d'effer ſimile , nè diffimi
le , dunque ec. 8. S. 1 ( 113 ) § . 5 . Se il non uno d , egli è eguale, ed
ineguale all' altre coſe , e nel tempo ſteſo eguale , ed ineguale . Gli eguali
ſono fimili nella quantità; ma il non uno non ha ſimiglianza con l'altre coſe,
dunque non ha egualita ; ma ſe egli non è eguale agli altri, gli altri non ſono
eguali a lui , dunque è loro ineguale ; ma gl' ineguali partecipano dell'
ineguaglianza , cioè di grandezza, edi piccolezza ; dunque l'uno che non è ,
egli è grande , e piccolo ; ma tra il grande, e il piccolo ſi frammetter eguale
, e chi ha grandezza , e piccolezza , pud ancora aver egua glianza; dunque
l'uno che non è può participare di queſte coſe; ma s'è dimoſtrato , che non le
partecipa, dunque ec. 5. 6. Se l'uno non è , ha in certo modo l'eſſere , o
s'attri buiſcono a lui coſe che l'hanno.. -. Nel dire che l'iuno non è , ſi ha
ſcienza di cid che ſi dice ; nel dir che è , diverſo dall' uno , che è , e
dall'alcre coſe ; che è fimile , non fimile ; diſſimile , non diſſimile dall'
altre coſe ; eguale , no eguale, fi profeſſa di concepire, e di pronunziare il
vero , ma eſprimendoſi , e pronunciandoli queſte coſe a guiſa di enti , all'uno
che non è s' attribuiſcono in queſto modo, onde egli ha in un certo modo
l'eſſere . B. 70 Queſta propoſizione : il nulla è nulla , il nulla non è nulla
, equivale a queſte altre due : il non ente è non ' ente ; il non ente non è
non ente . La prima di elle è affirmativa, ed iden , tica , perchè fi afferma
il nulla di ſe ſteſo, la ſeconda è nega tiva , perchè ſi nega il nulla del
nulla , che vuol dir , ſi affer. ma qualche coſa , perche una negazione
diſtruggendo l' altra elleno affermano . Nel dire il non ente , non ente , il
non en te vien a participare in un certo modo dell effere , affine di ef ſer
non ente .. Nel dire all'incontro il non ente non è non en te, il non ente per
non eſſere non ente che vuol dir per eſ ſere , vien a partecipar del non eſſere
. Così intendo Platone , Tomo II. P allor ( 114 ) 1 allor che dice : il non
ente ad eller non ente ba il legame dei non eſſere , fe dee non eſſere, come
lente tiene nella ſtella guiſa il legame deli eſere , perchè ei non ſia non
ente , affinchè di nuovo ei fia perfettamente, e non ſiapartecipe il non ente
delléſenza , del non eſſer non ente , ma dell'eſenza dell'eſer non ente , ſe il
non ento fia perfettamente. $ Se l'uno non è , egli partecipa ; e non partecipa
dell' eflenza 1 L'ente è partecipe del non eſſere , ed il non .ente dell'eſſe
re ( $. 7. Sez. 4. ) ma ſe non è , l'uno é neceffario che ſia par tecipe del
non eſſere , affinchè ei non ſia ; dunque appariſce , che l'eſſenza ſia nell'
uno , ſe egli non è , e la non effenza ſé egli è . ANNOT. Tutti queſti ſono
ſcherzi metafiſici , per dar luogo alle nozioni immaginarie , e quindi alle
contraddizioni , che mo ſtrano le coſe impoſſibili ; ben deve oſſervarſi , che
facilmente con effe fi cade in quel mirabile , che degenera in puerilità .
Platone ſobriamente l' adopra , per dimoſtrare in quali raffina menti sfumavano
le dottrine della ſetta Elearica . 9. 9. Se l'uno non è , ha mutamento , e in
conſeguenza moto , e non ha moto, Šisru ! L'uno parve ente , e non ente , onde
fta così , e non così , dunque fi muta paſſando dall' eſfér al non effer ;
dunque ha moto . Ma fe l'uno non è , non è in alcun luogo , perchè ogni en té è
in qualche luogo, ma non eſſendo mai in luogo non pudo paſſare da un luogo
all'altro , dunque non percid fi move , per che non ſi traſmuta . . io. ( 115 )
: $ . io . Y Se l'uno non è , non ſi altera , e non alterandoli ne ſi muta , nè
ſi move . L'uno non eſſendo , non può mai verſare in quello che non è , dunque
non alterarſi , poichè ſe l'uno da ſe stello li alceral fe in alcun luogo , non
ſi ragionerebbe più deil' uno , ma di cer ta altra coſa ; ma ſe non li altera
non ſi rivolge in fe fteffo nè fi muta , nè ſi altera ; dunque ec . ļ $. Se
l'uno non è , fta e ſi moồe , e fi altera , Quel che non ſi move ſe ne ſta in
quiete , e ſi ferma que gli che in quiete ne fta ; dunque l'ano non effendo,
comeapo pariſce ſta egli e li move , anzi movendoſi è neceſſario che ſi alteri,
perchè in quanto alcuna coſa ſi move , incanto ſe ne ſta ella non nello ſteſſo
modo , ma altrimenti; dunque l'uno mentre fi move ſi altera , e nondimeno non
movendoſi in niun luogo in niuna guiſa ſi può alterare ; dunque in quanto fi
move" , ciò che non è uno ſi altera ; ma in quanto non ti move , non fi
alce ra , dunque l'uno non eſſendo ſi altera , e non ſi altera . $. 12 Se l'uno
non è , egli è diverſo da quel che era prima, non ſi altera ; non fi fa , non
ci muore , e di nuovo ſi fa , emuore . Cid che ſi alcera è neceſſario che ſi
faccia diverſo da quel che era prima , ma quel che non fi altera , non ſi fa në
muore ; dunque l'uno , non eſſendo mentre fi altera , e ſi fa , e periſce, ma
non alterandoſi , non fi fa , nè muore , nè periſce , ed in do tal guiſa l' uno
'non effendo , li fa , e muore e di nuovo non fi fa , nè muore . §. 13 : Sin
ora ha dimoſtrato Platone , che ſe l' uno non è , egli dà di sè fcienza, ed ha
in sè diverlicà, che è partecipe, e non par tecipe di altre cole ; quindi lo
ſteilo-, e non lo ſteſſo con ſe ſtel р . 2 ( 116 ) ſi move fteffo , ſimile e
diffimile nè ſimile , nè diffimile , eguale , ed ineguale, non eguale , nè
ineguale , partecipe d'eſſenza , e non partecipe , ſi muta , e non ſi muta e
non ſi mo ve , fi altera , e non fi altera , ft fa , c periſce , e fi fa , e
non periſce . Tutte queſte concluſioni derivano dalla poſizione, l' uno non è ;
l'uno eſſendo inſeparabile dall'ente , ſe non v'è l'uno , nè pur v'è l'ente .
OrPente non è , che il poflibile . Annullato dunque il poſſibile reſta l'
impoffibile, da cui ſecondo l' Aflioma ſegue coſa , ex impoſſibile ſequitur
quolibet , perchè nell'idea aſtrat ta dell'impoſſibile s'includono tutte le
contraddizioni . Platone dal conſiderare , che l'uno non ha eſſenza , e non n'è
capace , nega tutte le altre relazioni che pud avere . Premetto a ciò che
quando diciamo, che alcuna coſa non ſia , nel proferire , queſto non è , fi
fignifica ſemplicemente, che non è al tutto in niun modo , e non eſſendo in
niun modo , non è capace in alcun modo di eſſenza ; dunque non potrà eſſere il
non ente , ne in alcun modo farſi partecipe di eſsenza . §. 14. Se l'uno non è
, non può farſi in alcun modo par tecipe d'eſsenza . Quel che non è , ſignifica
ſemplicemente , che non è al tur 10 , in niun modo , o non è ſemplicemente
capace di eſsenza , dunque fe l'uno non è , non può mai eſser capace d'eſsenza
. . 15 : ne la per Se l'uno non è , non pud farſit , nd morire. Chi non è
partecipe di eſsenza , non la riceve , nè la de . Dunque fe. L'uno non è , non
pud nè ricever , nè acqui ftar l'eſsenza , perchè non n ' è capace ; dunque non
periſce , nè fi fa . $. 16. Se l'uno nonè , non fi altera , nè fi move , nè ſe
ne ſta , non ha grandezza , nè piccolezza , nè parità, né limiglianza, e dia ,
verlin ( 11 ) 3 onde eſsenza , non può aver ne grandezza , nèpic marfi. Se
verſità riſpetto all' altre coſe , e a ſe ſteſso , nè gli conviene ale cun
altro attributo Se l'uno non è , non ſi altera , perchè fi farebbe già , je pe
rirebbe potendo queſto ; ſe non ſi alcera , nè men fi move, ſe come non ente ,
non eſsendo in alcun luogo , non pud ſtar lo ſteſso in alcuna coſa, nè in
alcuna coſa fermarſi. Se non ha nè piccolezza , nè parità, eſser ſimile, o
diverſo , o rifpetto all'altre coſe , o a ſe ſteſso, nè le altre coſe potranno
eſser in lui in alcun modo, gli ſono , nè fimili , nè diffimili , nèle ſteſse ,
nè diverſe , nè pud ſtar ſeco , non ha il di lui, o ciò che ſi dice di alcuna
coſa , o queſto , o di queſto , o d'altrui, o ad altrui , o alcuna volta , o
dopo , o al preſente , o ſcienza, o opinione , o ſenſo , o fer mone, o nome, o
qualunque altro degli enti . Annot. Sebben ſi oſserva , Platone al non uno
toglie tutto quello che ha dato all'uno , conſiderato in ſe ſteſso nella prima
Sezione , argomento evidente, che, quando tutti gli altri man caſsero, quì non
ſi trarca che delle aſtrazioni della mente , fra miſchiate tallora con le
nozioni immaginarie , quali ſono in que fta Sezione , e nel rimanente . Non ci
reſta che l'ultima quiſtione, in cui ſi cerca ſe non è l'uno , che accada
all'altre coſe . SEZIONE QUINTA,. $ . 1 . S'orser Oſservi tolto. 1. Che ciò che
è , o è l' uno , o l'altre co ſe • 2. Che ſe queſte non foſsero ( almeno nella
noſtra im-. maginazione , o nella noſtra mente ) di loro non ſi diſputereb be,
perchè il nulla non ha proprierà . 3. Che ſe dell' altre li fa vella, l'altre
ſono il diverſo , poichè l'altro , e il diverſo ſono fi nonimi', onde diciamo
altro non eſser l'altro , che l'altro d'al tri , ed efser del diverſo diverſo ,
e che per far le coſe altre dalla uno , vi ſi debbe aggiungere qualche altra
coſa , onde fieno per eſser altre , di cui ſaranno altre . 3 Tesni f. 2. ( 118
) S. 2 .. Se l'uno non è , le coſe altre o diverſe dall'uno , non ſono altre. o
diverſe , che per ragion di ſe ſteſse .. Nelle coſe altre dall' uno o diverſe
dall'uno , vi's include' qual che altra coſa , per cui fieno altre , ma queſta
coſa non pud ef ſer l'uno , perchè per ipoteſi egli non v'è. Dunque , poiché
non v'è , che l' uno , e l'altre coſe , eſcluſo che altre coſe non fieno . altre
per luno ne liegue che ſieno altre per ſe. ftelse , COROL.. Dunque: per ſe
ſteſse. ſono ciò che ſono tra se .. , S: 3 Se: l'uno non v'è , le coſe altre
dall' uno ſono tali per una moltitudine infinita . Non v'è che uno o i più ,
dunque le coſe altre o diverſe 1 dall’uno , non potendo eſser altre che l'uno ,
il quale non v'è per ipoteſi, non ſaranno altre che per i più , cioè per la
mol: titudine ; ma il più , o la moltitudine eſsendo per le ſteſsa in finita ';
le coſe. altre dall uno ,. ſono alore per una: moltitudine infinita .. COROLLAR
. Qualunque mala dunque di loro appariſce in molti-. tudine infinita, e ſe
alcuno ſi prenderà ciò che menomilimo pare co. me. Sogno , incontinente in vece
di quello che pare uno , ſi fa innangi una moltitudine infinita , e in vece di
quella chemenomilimopar ve, apparirebbe grandiſſimo già , ſe il pareggialli ad
altre coſe in die Sparte da lui . Cosi: parla Platone : fia prefa qualunque
parte d'eſtenſione, el la è diviſibile in due , ed inoi in due , e così
all'infinito . Della di viſione di cui è capace il tutto , ſono capaci
reſpettivamente le parti , nè v'è particella si minima, che le noi nell'
ipotefi che non v'è uno , poteſſimo vedere con un microſcopio miracolo fo ,,
non ci pareſse diviſa in una moltitudine infinita di parti , ma tali che nell'
iſtante ſteſso , che noi vedeſſimo la parte , la vedremmo attualmente diviſa in
altre parti infinite , e cosi all'in finito ; non è che io dir voglia , che
vedremmo l'infinito at tuale , perchè non poſſiamo intenderlo , non che vederlo
, nè so come il Leibnizio abbia poruto concepir nella più minima par 1 ( 119 )
parte di ciò che egli chiama 'materia , un numero attualmente infinito di
monadi" ; biſogna prima provare , che noi concepia mo l'infinito attuale -
, ed indi che vi ſieno queſte monadi ; ma ſe vi foſsero , il che io non l'
ammetto , che come principio di co gnizione , e non di natura, in eſse , come
l'eſprime il nome loro , v è un'unità , che è il fondamento di concepir nella
monade innumerabili proprietà ; ma quì nell' eſtenlione Platonica , biſo gna
rappreſentarfi ogni parte deſsa ſeparata dall' uno ; ' v'è in ciò
contraddizione , ma appunto Platone - la ſuppone per de dur dall'aſsurdo i ,
l'impoſſibilità di ſeparar l' uno dall'ente . § . 4. Se non è l'uno in ogni maſsa
apparente apparirà il numero , e le proprietà dei numeri , l'eguale , il mag
giore , il minore. Tolto l' uno dalla maſsa , ci ſi fa come nel ſogno innanzi
una moltitudine infinita , in cui ſe ſi vuol ordinar colla mente la moltitudine
, vi ſi trova il numero ; quindi il pari, e l' impari ; il picciolo , il grande
, il piccioliſſimo , il grandiſſimo., compa rando tra loro le maſse , in cui
s'è diviſa la maſsa maggiore , e quindi l'eguale , perchè non ſi può paſsar dal
maggiore al mino re ſenza paſsar per l'eguale , ma queſti ſaranno tutti
fantasmi d' egualità , di maggiore, di minore, di pari, d'impari ec, come di
numero , §. 5. Se non v'è l' uno , ogni maſsa apparente avendo termine appa
rente , riſpetto all' altra non ha nè principio, nè mezzo , nè fine riſpetto a
fe ftefsa . Si prenda alcuna delle maſse apparenti coll intelligenza , in nanzi
al principio , ſe le fa ſempre innanzi altro principio , e dopo il fine, ſegue
ſempre un altro fine , e nel mezzo altre coſe ſem pre più interne del mezzo , e
ſempre minori , perchè non ſi può ricever in queſta alcun uno , non eſsendo
l'uno . Annot. E ' da oſservarſi, che qui Platone dice , prender alcu na coſa
con l'intelligenza , cioè aſtrattamente conliderarla í vi ag ( 120 ) aggiunge
poi che potendoſi prender la maſsa ſenza l' uno , cioè fenza far aftrazione
dall'uno, ſi sbrana qualunque coſa così pre ſa con l'intelligenza , che è
quanto a dire con la mente fi* di vide in più parti, e queſte in altre , e così
all'infinito . S. 6. Se l'uno non è , preſa qualunque maſſa a chi da lungi la
mira groſſamente par uno, ma chi da preffo l'in tende è un infinito in
moltitudine . Non potendo noi nulla concepir ſenza l' uno a prima viſta , e da
lungi mirato ci par uno , ma da preſſo , e acutamente vedendolo , tolto l'uno,
ci rappreſenciamo infiniti . COROL . Se dunque non v'è l'uno , ma l'altre coſe
dall' uno , qualunque di eſſe è infinita , e con termine ed uno , e molci . Se
non v'è l'uno le altre coſe ci pareranno , e ſimili, e diffi mili , e le ſteſſe
, e le diverſe , e unire , e ſeparate , e moverſi, fermarſi ; nè potendo noi
concepir le coſe ſenza l'uno le ve dremo , come adombrate da lunge, e patir lo
ſteſſo , ed eſſere fimiglianci , mada preſſo molte , e diverſe , e per il
fantasma della diverſità diverſe , e diflimiglianti tra loro ſteſſe e pari
mente ci pareranno le maſſe ſimili, e diffimili , e da loro ſteſ ſe , e tra di
sè , e le ſteſſe , e diverſe tra loro , e che tocchi no, e fieno ſeparate da
loro ſteſſe , e fi movano con tutti i mo ti, e ſi facciano , e periſcano , e
nell' una , e nell' altra manie e tutte le coſe sì fatte che li poſſono dedurre
dalle coſe 7 ra , già dette . S. 7 . Ha dimoſtrato fin ora Parmenide 3 che
adiviene alle coſe ſe non è l' uno , cerca poi che fieno gli altri che non ſon
uno . 1 § . 8. ( 121 ) $. 8. Se non è l'uno, le alere coſe non ſon uno , ne
molti . Non ſono uno , perchè non v'è l' uno ; non ſono molti perchè i molti
preſuppongono l'uno . ital 18. s. Se non v'è l'uno , non vi ſarà nè opinione ,
nè fantasma , ne ſcienza dell'altre coſe. Le altre coſe non hanno alcun
concetto con niuna di quel le che non ſono , nè alcuna di quelle che non ſono è
appreſso ad alcuna dell'altre che ſono ; dunque appreſſo ad altri non v'è
opinione, non v'è fantasma dell'ente , e quindi dell uno ; ma ſe non v'è l'uno
, non effendo poſſibile il penſar a molte coſe fen za r uno , neppur èpoſſibile
che ſi penſi che fieno uno , o mol ti le coſe . . 10 . Se non vè l' uno , le
coſe non fono nè fimili , nè diffi mili , nè le ſteſſe , nè diverſe , nè ſi
toccano , ne & ſeparano Non ſi poſſono concepir le coſe ſenza l'uno ;
dunque ſe non vi è l'uno , non ſi poſſono concepire , nè ſimili , nè diffimili
nè le fteffe , nè diverſe , nè unite, nd ſeparate . COROL. Dunque ſe non v' è
l' uno nulla v'è , onde o ſia l' uno , o non fia , ed egli e l'altre coſe
ancora ſono , e non ſo no ad ogni modo riſpetto a fe ftelle , e tra di loro , e
appajo no , e non appajono . II . Riftringendo in poco tutto ciò che negli
ultimi paragrafi s'è eſpoſto , egli è manifefto , che l' uno efiendo inſeparabile
dall' ente, ove non v'è più uno , non v'è più d'ente , cioè v'è nul. la ,
ol'impoſſibile", da cui ſeguono tutti i contraddittorj, qual Tomo II. q
Pla ( 122 ) Platone ci eſpoſe per via di nozioni affatto immaginarie ; egli ne
fa veder i uſo , e moſtra nel tempo ſteſſo , quanto la fan taſia ſia diverſa
dall' intelletto , poichè ella ci rappreſenta una coſa , mentre la mente
ragionando ce ne fa concepire un'altra . Si conclude dunque , che Placone in
queſto Dialogo non fi af fiffa che a moſtrar ſuſo dell'aſtrazioni della mente ,
nell' inve ſtigazione dell' idee . 1. Con le negazioni, come fece nel primo
capo. 2. Con le analogie dell'altre idee aſtratte; finalmente con le cognizioni
dell' idee , del ſenſo , della fantaſia , combinate a quelle della mente. L E T
T E R A ALS I G. ABBATE SALIER Primo Cuſtode della Biblioteca DEL RE
CRISTIANISSIMO . On dubitate che io ſia mai per dimenticarmi di voi , co N°me
alcuni venuti ultimamente di Francia m' accufaro no da voſtra parte ;
troppo m'è rimaſta impreſſa l'idea della bontà , e gentilezza voftra , troppo è
ſtato vivo il piacere e ſodo il profitto , che io ricavai dalle converſazioni
letterarie , che abbiamo fpeſſo avute inſieme , e tra l'altre su l'opere di
Platone ; ce ne porgevano il motivo le ſaggie rifleſſioni, che leggevaci l'Ab
bate Fraguier , or su l'ironia di Socrate , or ful carattere de'So fifti , or
su la Repubblica , ed or su le Leggi, tutti oggetti delle belle diſſertazioni ,
che egli diede alla voſtra Accademia . Solo la Iciò egli intatto il Parmenide ,
o non aveſſe il tempo , o la voglia d' applicarſi a ſviluppare un Dialogo , che
è il più malagevole di Platone, o temeſſe dioffendere la ſoavità del ſuo genio
con l'idee troppo auftere , e filoſofiche , delle quali il Dialogo abbonda .
Voi ben ſapete, che per voſtro conſiglio m' applicai a leggerlo con attenzione
fin dall'anno 1725. e ne concepii quel fiſtema, di cui állor vi parlai . Venuto
in Italia , e diftratto da graviſſimi intereſſi dimeſtici , ne interruppi
l'eſame già cominciato, ſebbene negli intervalli io leggeſſi continuamente
Platone ; e l'avrete ve duto nel Sogno del Globo di Venere , che il Signor
Conte di Cai lus v avrà forſe dimoſtrato in lingua Franceſe tradotto . Di tem
po intempo io parlai del Parmenide con gli amici , e mi fi fue gliò il
deſiderio di compierne il ſiſtema da me abbozzato all'occa lione del Platone di
Dardi Bembo , che ſtampali in Venezia , con P aggiunta delle note e degli
argomenti del Serano letteralmente tradotti . Dalla Differtazione preliminare
ritrarrete l'idea generale del la Filoſofia Eleatica così celebre per
l'acurezza , e per la profon dità de' Filoſofi, come la Jonica per la fodezza
dell'eſperienze , e l'Ita ( 124 ) 1 1 ľ Italica per la felice combinazione
della Geometria , e dell'A ſtronomia alla Fiſica. Non è difficile ſcoprire, che
la metafiſica do Ariſtotele è tratta in granparte in queſto Dialogo , in cui
Plato ne abbandona quaſi l' artificio poetico adoprato negli altri , e ſi
ſpiega nella maniera più ſemplice, e più preciſa . Nella prima Sef fione io
v'oſſervai i tre fonti delle allurdità degli argomenti me tafiſici; il
principio di contraddizione, il progreſſo all'infinito , el' annullazione
fuppofta di qualche perfezione divina. GliEleatici , che forſe gli inventarono,
riconoſceano i limiti dell'intelligenza uma na , e pur era queſta la minor
parte della Dialectica loro , la qual vaga va per tutti i lommi generi delle
coſe. La quiſtione dell'origine e della natura dell' idee v'è più che abbozzata
, e la riſpoſta che so crare diede a Parmenide , su la maggior difficolcà dell'
idee , è la ſteſſa che uso il Padre Malebranchio nel medeſimo caſo . Nell'al
tre opere s' accuſa il Commentatore di dar troppo ſpirito al ſuo Filoſofo ; in
queſta è cutto il contrario , poichè per quanto ſi ſpieghi Platone, vi reſta
fempre molto a medicare , e la compa razione del reſto fa ſempre vergogna al
commento . Il Ficino , e il Serano , che aſſegnarono al Dialogo un grado di
ſublimità Teologica non convenevole , l'hanno sfigurato , e colto agli altri il
profitto , che avrebbono potuto ricavare da una ſpe colazione così ben dedocta
e conforta nè punto inteſa dai due Commentatori , i quali preteſero che in
queſto Dialogo chiama to dell'idee , voleſſe Platone diſputare a pro delle
feparate , quan do egli manifeſtamente le rifiuto , tutto riducendo all' Ontolo
gia che è la più bella , e la più utile parte della metafiſica In molci errori
cadè miſeramente il Carcelio , per averla ab bandonata, eſpregiata ; e non
furono dal Leibnizio , ed indi dal Wolfio ridotti al ſuo vero lume i dogmi
filoſofici, ſe non dopo che effi s' affaticarono a dimoſtrare , le nozioni
Ontologiche eſſer quelle alle quali convien avertire prima d' inoltrarſi nella
combinazione dell'idee, e quindineiſiſtemi. Tutti gli uomini pre veggono gli
aſtratti ne' concreci, pochi hanno la forza di ſepa rarli, pochiſſimi quella di
ridurli in teoria , ed è ſolo riſerva to a' ſommi Filoſofi il farne ſiſtema.
Voi molto più vedete in Platone , che io poſſa eſprimere ; in canto vi prego a
conſer varmi il voſtro affetto , ed eſſer certo che il mio farà ſempre
inviolabile. Antonio Schinella Conti. Antonio Conti. Keywords: Corti’s
French letters – Corti’s Scritti Filosofici, Dialoghi Filosofichi, about
whether corpori celesti are inhabited -- l’infinito, self-referential,
recursion, anti-sneak, regress, infinite regress in the analysis of
communication, calcolo finitesimale, calcolo infinitesimale, Enea stoico,
Ottavio Stoico, Cicerone stoico – allegoria dell’Eneide, scudo di Enea, Il
Parmenide di Platone – assiomatico dell’essere – L’essere e. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Conti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51769801147/in/dateposted-public/
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