Grice ed Ardigò – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Casteldidone). Filosofo. Grice: “I love Ardigo – but I have a few
qualms – his “Opere filosofiche’ is improperly indexed! The man wrote zillions!
My attention was first caught by minor
editorial note: “’La morale dei positivisti’ was reprinted a few years later
after its first edition as divided into two parts, “la morale’ proper and
‘Sociologia’ – Since I have used philosophical biology and philosophical
psychology, Ardigo is indeed into ‘philosophical sociology’ – As he notes,
‘sociology’ is today’s philosophese for Aristotelian politics – politica – re
publica romana – And being a positivist, Ardigo provides some good background –
which will later be ‘refuted’ by the neo-idealists that opposed this sort of
philosophy – to the idea of two organisms (two pirots) interacting --. While I
speak of conversational egoism as balanced by conversational tu-ism; Ardigo,
less of an altruist, and who laughs at the ‘ridiculous’ sensist conception of
‘simpatia’ – speaks of two principles: the principle of egoism, or prepotence,
found amoung brutal animals – and the principle of what he calls ANTI-EGOSIM,
found in the civil Italian gentleman – the word ‘civile’ is crucial, as in
Castiglione, ‘discorso,’ or ‘conversazione’ civile. If Wilson found it offensive when Chomsky
spoke of two ideal communicadtors, this is no problem for the positivist – As
Ardigo notes, an Italian will not behave conversationally in the same way when
conversing with some he regards as below his station -- that’s why he (and later I adopted the
same guideline) uses ‘Romolo’ and ‘Remo’ (rather than Jack and Jill, since
there is a gender issue here) as communicators.
As he puts it, ‘the fact that Romolo eventually kills his ‘fratello’ is hardly
relevant from a positivist point of view – surely we don’t require ANTI-EGOSIM
to hold indefeafeasibly, I would disagree with Ardigo’s dismissal of Remo’s
murder – ‘l’assassinio di Remo’ – I discussed this with Hardie – in English,
and, after a ten-minute pause, all I got from him was, ‘what do you mean by
‘of’?’” -- Essential Italian philosopher. Grice: “It’s amazing Ardigo found
psychology a science, and a positive one, too!” – Altre opere: “La psicologia come scienza positive”; “Scritti
vari”; “Venti canti di H. Heine tradotti 100 percent.svg di Heinrich
Heine (1922), traduzione dal tedesco (1908) Testi su Roberto Ardigò. Per le
onoranze a Roberto Ardigò 100 percent.svg di Mario Rapisardi (1915)
Note Gemeinsame Normdatei data.bnf.fr
Comité des travaux historiques et scientifiques Brockhaus
Enzyklopädie Dizionario Biografico degli Italiani Categorie: Casteldidone Mantova 1828 1920 28 gennaio 15
settembreAutoriAutori del XIX secoloAutori del XX secoloAutori italiani del XIX
secoloAutori italiani del XX secoloReligiosiFilosofiPedagogistiReligiosi del
XIX secoloReligiosi del XX secoloFilosofi del XIX secoloFilosofi del XX
secoloPedagogisti del XIX secoloPedagogisti del XX secoloAutori
italianiReligiosi italianiFilosofi italianiPedagogisti italianiAutori citati in
opere pubblicateAutori presenti sul Dizionario Biografico degli Italiani Refs.: Grice, “Ardigò and a
positivisitic morality,” Luigi Speranza,
"Grice ed Ardigò," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool
Library, Villa Grice, Liguria, Italia. ARE. Ricerca Roberto Ardigò
psicologo, filosofo e pedagogista italiano (1828-1920) Lingua Segui Modifica
«L'inconoscibile di oggi è il conosciuto di domani.» (Roberto Ardigò[1])
Roberto Felice Ardigò (Casteldidone, 28 gennaio1828 – Mantova, 15 settembre
1920) è stato uno psicologo, filosofo e pedagogista italiano.
Roberto Felice Ardigò Biografia Modifica Roberto Felice[2] Ardigò nacque
a Casteldidone, in provincia di Cremona, il 28 gennaio 1828, da Ferdinando
Ardigò e Angela Tabaglio. A causa delle difficoltà economiche della famiglia,
un tempo agiata, si dovette spostare a Mantova, dove il padre trovò lavoro
presso i cognati. La madre era profondamente religiosa, mentre il padre
sostanzialmente indifferente in materia. Egli ne avrà sempre profondo rispetto
e un forte legame, come anche con la sorella.[3] Studi teologici Modifica
Studiò a Mantova, per poi iscriversi nel 1845 al liceo del Seminario vescovile.
Nel 1848 ottiene un posto gratuito nel seminario di Milano, ma in seguito ai
moti risorgimentali é costretto a rientrare a Mantova. Il suo successivo
tentativo di arruolarsi nell'esercito di Guglielmo Pepe è frustrato da una
febbre malarica che lo colpisce alla vigilia della battaglia di Goito. Proseguì
poi gli studi teologici. Dopo la morte dei genitori, fu accolto a casa sua da
Mons. Luigi Martini, rettore del Seminario mantovano. In quegli anni il
Seminario era investito dalla congiura patriottica che porterà al supplizio dei
Martiri di Belfiore, dei quali ben tre erano sacerdoti, tra cui il leader della
congiura Don Enrico Tazzoli, insegnante presso lo stesso Seminario.
Ardigò fu infine ordinato sacerdote il 22 giugno 1851.[3]
L'insegnamento positivista, la sospensione e la scomunica Modifica Nel 1870
pubblicò La psicologia come scienza positiva e nel 1876 tentò di istituire
presso il Liceo di Mantova, dove insegnava[4], un Gabinetto per le ricerche
psicologiche.[3] Nel metodo di insegnamento, poi, privilegiava il personale e
diretto coinvolgimento degli allievi, sollecitandoli al libero dialogo, con una
attenta analisi di brani critici e dei filosofi, cosa non troppo gradita alle
gerarchie ecclesiastiche e al Ministero dell'Istruzione. Già preda di una
crisi religiosa molto forte, che lo portò infine a divenire ateo[5], tutta questa
polemica lo condusse appunto a smettere l'abito ecclesiastico nel 1871, a 41
anni, dopo aver aderito ormai completamente alle posizioni positiviste ed
evoluzioniste, che andavano nettamente in contrasto ai dettami della Chiesa
cattolica del tempo, e aver attaccato apertamente il dogma dell'infallibilità
papale.[3] Alla fine, Ardigò venne anche scomunicato, ultimo atto della
polemica contro la Chiesa di cui aveva fatto parte.[6][7] Professore
universitario Modifica Casteldidone, lapide sulla casa natale In totale
insegnò storia della filosofia all'Università di Padova per 28 anni dal 1881.
Considerato tra i padri della psicologia scientifica italiana[8] per aver
promosso una concezione scientifica della psicologia, concepì una complessa
teoria della percezione e del pensiero che non ebbe completa dimostrazione
sperimentale. Nel 1882 Ardigò svolse uno dei suoi maggiori esperimenti in campo
psicologico sperimentale, sulle condizioni dell'adattamento visivo su prismi
ottici.[3] Diverse furono le materie che insegnò nei lunghi anni d'insegnamento
universitario fino alla data del 1º giugno 1909 quando fu collocato a riposo.
Fu, altresì, preside della facoltà di filosofia e lettere dal 1899 al
1902.[3] Il 31 maggio 1908 divenne socio dell'Accademia delle scienze di
Torino.[9] Il 16 ottobre 1913 fu nominato senatore del Regnoma fu
impossibilitato a raggiungere Roma per il giuramento.[3] Durante la sua
vita elogiò Giuseppe Mazzini[10] e Giuseppe Garibaldi[11], criticò la
massoneria[12] (in quanto la riteneva non necessaria in uno stato ormai libero)
ed espresse idee fortemente repubblicane.[13] Ultimi anni e suicidio Modifica
Negli ultimi anni di vita, isolato dall'ambiente intellettuale, ma non dai suoi
discepoli più stretti, soffrì di gravi problemi fisici e depressivi (acuiti
dalla morte della sorella Olimpia, che viveva a casa sua, nel 1907), che lo
condussero a un primo tentativo di suicidio a Padova nel 1918 (dopo aver
appreso della disfatta di Caporetto e della morte di molti giovani italiani),
fallito perché la ferita non era grave[3], ma che si sarebbe ripetuto il 27
agosto 1920[14], questa volta riuscendo nel suo intento: Ardigò morì infatti
suicida all'età di 92 anni nella sua ultima sistemazione a Mantova a casa
Nievo, abitazione che era stata di Ippolito Nievo. Si autoinflisse una ferita
colpendosi con un rasoio (o una roncola) arrugginito alla gola.[15] Le
testimonianze dell'epoca riferiscono che venne trovato seduto alla scrivania,
con la barba bianca del tutto sporca di sangue (barba che gli fu tagliata dai
soccorritori ed è tuttora conservata come cimelio nella sala blindata della
Biblioteca di Mantova[15]); soccorso dai medici, perse comunque conoscenza dopo
aver ribadito le sue intenzioni, e morì due settimane dopo, il 15
settembre.[3][15] Ricezione dell'opera di Ardigò Modifica Il tragico atto
finale della sua vita venne usato dai suoi detrattori - clericali o
neoidealisti - per screditare il positivismo in declino o visto come un gesto
di demenza senile, e non come un atto di un uomo ormai stanco a livello
psicofisico, che aveva dato tutto e vissuto la sua lunga vita secondo
coscienza, quale in effetti era. D'altra parte, seppur il sistema di Ardigò non
era anti-idealistico, furono gli idealisti ad attaccarlo filosoficamente,
seguiti dai marxisti di inizio secolo, come Antonio Gramsci, talvolta
paragonandolo agli esiti più deleteri del positivismo, come l'antropologia
criminale di Cesare Lombroso (risultata poi non scientifica), determinando
l'oblio parziale delle sue opere, tra i maggiori libri filosofici tra il
periodo illuminista (con l'esclusione delle opere filosofiche di Giacomo
Leopardi) e il neoidealismo di Croce e Gentile. Con lo sviluppo del positivismo
logico e la riscoperta del positivismo, si è avuta una lenta rivalutazione di
Ardigò, il maggiore esponente italiano del movimento, assieme a Maria
Montessori e, come lei, tra i fondatori della pedagogia e della psicologia
moderna[3][16][17], oltre che uno dei maggiori pensatori laici della cultura
italiana tra XIX e XX secolo.[18] Commemorazioni Modifica Sulla sua casa
venne apposta una lapide, quando ancora egli era in vita: «(Mantova) (in
una pergamena). Indagatore sapiente dei fenomeni del pensiero e del sentimento.
Assertore impavido della naturale formazione e dell'unità molteplice della
vita. La Società magistrale Mantovana, col plauso degl'insegnanti elementari
d'Italia, della Società filosofica dei professori di Morale e di Pedagogia,
festeggiando l'ottantesimo compleanno del Maestro sublime, augura con fervidi
voti che la nuova generazione cresca degna di lui nel culto della scienza,
nell'apostolato della verità.» (Epigrafe di Mario Rapisardi) La città di
Monza gli ha dedicato una scuola media inferiore e una strada. Anche Milano gli
ha dedicato una strada in zona Forlanini, così come Roma che gli ha dedicato
una piazza tra il quartiere dell'EUR e la Via Laurentina. I libri della
sua biblioteca personale sono conservati presso la Biblioteca universitaria di
Padova.[3] PensieroModifica Mantova, lapide commemorativa Il suo
pensiero mosse dalla conoscenza dei classici teologici e filosofici, come
Agostino d'Ippona e Tommaso d'Aquino (poi abbandonati), all'adesione al
razionalismo e al positivismo di Auguste Comte ed Herbert Spencer (con cui ebbe
una corrispondenza epistolare, ma di cui non condivide né il darwinismo
sociale, né il ruolo marginale da questi attribuito alla filosofia), passando
attraverso il naturalismo del Rinascimento, come quello panteistico di Giordano
Bruno.[19] D'altra parte, del sapere magico-ermetico della filosofia
cinquecentesca della natura, da Bruno stesso a Bernardino Telesio, non vi è
alcun residuo nella filosofia positiva di Ardigò, che prova disinteresse e
disprezzo per la rinascita romantico-idealista della filosofia, a cui, dopo la
"conversione laica", contrappone la vera filosofia
scientifica.[19] Caratteri della «filosofia positiva» di Ardigò Modifica
L'originalità della sua filosofia si distanzia tanto dall'enciclopedismo
naturalistico quanto dal tradizionale spirito di sistema, aprioristico, deduttivistico,
dogmatico.[19] La filosofia trova la sua specificità nel fondamento del fatto
(fisico o psichico) e nell'argomentazione induttiva, contro le deduzioni a
priori, metafisiche, che non hanno fondamento nell'esperienza come la deduzione
logico-matematica.[20] Auguste Comte Una filosofia, che accetti
metodo scientifico e voglia dirsi scientifica, rifiuta quindi le tesi
metafisiche, le entità trascendenti inverificabili, accetta le ipotesi da
verificare. Contro l'astratto razionalismo metafisico della filosofia, è andato
emergendo, secondo Ardigò, dapprima il naturalismo rinascimentale, che ha
trovato seguito nell'empirismo, nell'illuminismo e nel sensismo, fino al
darwinismo e al positivismo.[20] Una filosofia positiva non può nutrire
certezze definitive (se vuol essere portatrice di tesi riformulabili come le
teorie scientifiche) e non può essere un sistema unitario e dogmatico.[20]
Ardigò propone una filosofia che, perduto l'ambito delle scienze naturali
positive, si specifica in autonomia come scienza dei fatti psichici
(psicologia) e dei fatti sociali (sociologia).[20] Psicologia, pedagogia
e sociologia positive Modifica I suoi contributi nell'ambito delle scienze sono
importanti per l'impostazione generale. Interessanti sono le sue idee sull'evoluzione
intesa come passaggio dall'indistinto al distinto, ma anche condizionata dal
caso e caratterizzata dal ritmo. Non tutto dunque è lineare e meccanico. Ardigò
fu uno dei primi psicologi moderni, anche se non nel senso di terapeuta, ruolo
che sarà ricoperto dagli psicoanalisti e dagli psichiatri, ma nel senso di
formatore pedagogico e professionale, oltre che di teorico e studioso della
psiche, come Henri Bergson.[21] Ardigò insistette sulla necessità di una
psicologia ed una pedagogia scientifiche, soffermandosi sul ruolo delle
abitudini. L'educazione infatti sul piano naturale può essere ricondotta
all'acquisizione di comportamenti sedimentati e certi; questo significa il
passaggio da una pedagogia metafisica ed astratta ad una pedagogia intesa come scienza
dell'educazione.[21] L'Io, l'Indistinto e la nascita della coscienza Seguendo
comunque l'assioma comtiano che "non ci può essere scienza se non di
fatti" (anche se Comte riconduce la psicologia alla filosofia e alla
medicina, oltre che alla sociologia), egli conia inoltre il termine di
"confluenza mentale".[22] Teorie pedagogiche Modifica Ardigò
dice: «la pedagogia è la scienza dell'educazione, per questo l'uomo
può acquisire le abitudini di persona civile, di buon cittadino.» Per
Ardigò dunque non tutte le abitudini sono educative. Dal punto di vista
didattico privilegiò l'intuizione, il metodo oggettivo, la lezione delle cose,
il passaggio dal noto all'ignoto, insegnando poche cose alla volta, ritornando
più volte sulle cose spiegate e facendo continue applicazioni di teorie e casi
nuovi. Egli rivalutò la funzione del gioco, il quale permette al bambino
l'occasione di vedere e toccare gli oggetti, riconoscerne le proprietà e le
somiglianze, favorendo lo sviluppo fisico, il quale va d'accordo con quello
mentale. Proprio in riferimento al gioco, Ardigò criticò le idee di
Fröbel.[23] Il problema di Ardigò fu quello di coniugare la formazione di
giuste abitudini con la libertà e l'autonomia propugnata dai Giardini
d'infanzia di Fröbel.[23] Charles Darwin Natura ed evoluzionismo Modifica
Il sistema ardigoiano si configura come un “naturalismo” evoluzionistico (da
lui chiamato però realismo positivo) che cresce sulla consapevolezza delle
scienze e della tecnica, e si regge sotto una solida epistemologia, mentre si
rivolge anche alla morale, sottraendola al riduzionismo naturalistico e
meccanicistico, riservando alla psicologia la funzione di sovrintendere al
tutto.[24] Se tutto ciò che esiste è un fatto naturale, dal cosmo al cervello
umano, dai vegetali ai minerali, non esiste e non può esistere un Ente
trascendente metafisico e non è pensabile alcun progetto finalistico che
permetta una comprensione teleologica della Natura; ad essa ci si può
avvicinare solo con spirito scientifico.[24]L'ignoto di Ardigò non trascende
l'esperienza, non ne è causa prima e soprannaturale, per cui il suo
immanentismo non finisce mai nello spiritualismo a-scientifico e
irrazionalistico (accusa spesso rivolta da Benedetto Croce ai positivisti).[24]
Un motivo di originalità è offerto dal tentativo di attenuare il determinismo e
meccanicismo evoluzionistico e positivistico tramite la dottrina della
casualità. La realtà è per lui continuo passaggio dall'Indistinto al distinto,
e i distinti sono la coscienza umana e il mondo esterno, frutto entrambi dalle
sensazioni e da quell'Indistinto dalla quale procedono per «autosintesi ed
eterosintesi».[24] Riflessione morale Modifica Egli punta a far rinascere
un'etica laica, naturalistica, non prescrittiva, che pone l'uomo davanti alle
scelte, dandogli strumenti conoscitivi per una scelta razionale.[25] Rimane
estraneo però alla questione sociale e alle istanze socialiste (nonostante la
collaborazione con Turati), e, ancor prima, anarchiche, ampiamente diffuse in
Italia, come isolato è anche rispetto alla politica.[26] Le idealità
sociali o massime morali si distinguono in[27]: naturali, perché frutto
solamente dell'evoluzione della specie e della psiche individuale sociali vere
e proprie, cioè etico-giuridiche perché determinate dalla convivenza; esse
devono la propria oggettività alla loro «genesi (...) individuata nello
sviluppo “materiale” dell'uomo (biologico, fisico, ecc.) e (...) si esprimono
storicamente in istituzioni (come la famiglia, lo Stato) le quali disciplinano
e orientano le azioni umane».[27] Va detto che la riflessione ‘di periodo’
ardigoiana sulla moralità e sulle idealità sociali “nell’idea della giustizia”
mostra l’intento di fondare in Italia la sociologia come scienza sulla cauta
possibilità di concepire nella società la morale senza la religione (Roberto
Ardigò, La morale dei positivisti, Milano, Natale Battezzati, 1879, XXI, p. 290
e sg.). Il progetto di Roberto Ardigò si concretizza maggiormente nelle pretese
di fondare un sapere laico in grado di confrontarsi con le sfere dell’etica e
della filosofia speculativa, senza che quest’ultima possa vantare ex ante una
alleanza “forte” di filosofia e religione e senza avere avuto un confronto con
i temi messi in campo dalla scienza e dai suoi più immediati avanzamenti, così
e come mostrano proprio i primi passi dell’idea di formare un sapere
sociologico autonomizzato dalle sfere dell’eticità (Guglielmo Rinzivillo,
Ardigò e la prima sociologia in Italia, su “Scienzasocietà” n.50, A. IX
maggio-agosto 1991, pp. 25 –31). In questo senso l’impresa di Ardigò di
confrontarsi direttamente con il sapere speculativo risulta essere l’unica nel
suo genere al cospetto del positivismo di fine secolo XIX ( Guglielmo
Rinzivillo, La scienza e l’oggetto. Autocritica del sapere strategico, Milano,
Franco Angeli, 2010, ristampa 2012, II, ISBN 9788856824872 ). Ma il tentativo
di formare una scuola si infrange nella ripresa sia europea dello spiritualismo
che più nostrana dell’idealismo e nella contestazione delle dottrine
filosofiche di seguaci come Giovanni Marchesini e Giuseppe Tarozzi
(Mariantonella Portale, Giovanni Marchesini e la “Rivista di Filosofia e
Scienze Affini”. La crisi del positivismo italiano, Milano, Franco Angeli,
2010, ISBN 8856825643) Altre opere: “Discorso sulla difesa dalla inondazione”;
“Pomponazzi”; “La psicologia come scienza positive” – cf. Grice psicologia
filosofica --; “La formazione naturale nel fatto del sistema solare”; “La morale
dei positivisti”; “Sociologia”; “Il fatto psicologico della percezione”; “Il
vero”; “La scienza della educazione”; “La ragione”; “L'unità della coscienza”;
“La nuova filosofia dei valori”; “Canti di Heine(1922), traduzione dal tedesco
Raccolta delle opere, “Filosofia” (Padova, Draghi). Citato in: Alberto Bonetti,
Massimo Mazzoni, L'Università degli studi di Firenze nel centenario della
nascita di Giuseppe Occhialini (1907-1993), Firenze University Press, 2007,
pag. 90, nota ^ Ardigò, Roberto ^ a b c d e f g h i j k Marco Paolo Allegri, Il
realismo positivo di Roberto Ardigò. L'apogeo teoretico del positivismo
Archiviato il 10 dicembre 2014 in Internet Archive. Guido Cimino e Renato
Foschi, Percorsi di storia della psicologia italiana, Kappa, 2015, p. 26, ISBN
8865142162. ^ Antonio Dal Covolo, Roberto Ardigò. Dal sacerdozio all'ateismo ^
Ardigò su Chi era costui? ^ Ardigò e il sistema positivistico, dal sito della
Congregazione per il Clero del Vaticano ^ Luccio Riccardo, Breve storia della
psicologia italiana. Psicologia Contemporanea, Roberto ARDIGO', su
www.accademiadellescienze.it. URL consultato il 16 luglio 2020. ^ Numero unico,
Mazzini, giugno 1905, Milano). ^ Discorso commemorativo pronunciato sul
Monumento dei Martiri il 5 giugno 1882 in piazza Sordello. Dal giornale Il
Mincio, 11 giugno 1882. ^ Egregio Sig. Genovesi. Rispondo subito alla di Lei
lettera, che convengo interamente con Lei che dice giustamente che La
Massoneria in uno stato libero è un non senso: e che a combattere
l'oscurantismo è più efficace l'opera indefessa ed aperta di educazione e di
elevazione civile che non l'opera tenebrosa e nascosta di una setta: e che
coll'esistenza di questa la gran massa popolare non può che perdere la fiducia
nella giustizia pubblica del proprio paese, nell'idea che la massoneria sia poi
in fine una associazione di interesse pei soci a danno di quelli che non vi
appartengono. E fortuna per me che alle scomuniche sono avvezzo, e nulla temo
perché nulla spero. ^ Lettera del 20 febbraio 1879 in Lettere edite ed inedite,
a cura di W. Büttemeyer, 1° vol., 1990, p. 191. ^ Ardigò, Roberto - Il Contributo
italiano alla storia del Pensiero – Filosofia (2012) di Alessandro Savorelli,
Treccani ^ a b c Roberto Ardigò 1828-1920 ( PDF ), su
lnx.societapalazzoducalemantova.it. URL consultato il 17 novembre 2014
(archiviato dall' url originale il 29 novembre 2014). ^ La cultura
filosofica italiana dal 1945 al 1980, Lampi di stampa, 2000, p. 159 ^ Wilhelm
Büttemeyer, Roberto Ardigò e la psicologia moderna, Firenze, La Nuova Italia,
1969 ^ Veniero Accreman, La morale della storia, Guaraldi, Giovanni Landucci,
Roberto Ardigò e la "seconda rivoluzione scientifica", ed Franco
Angeli, RIVISTA DI STORIA DELLA FILOSOFIA, 1991 ^ a b c d Marco Paolo Allegri,
Il realismo positivo di Roberto Ardigò. L'apogeo teoretico del positivismo
Archiviato il 10 dicembre 2014 in Internet Archive., pagg. 24-25 ^ a b A.
Groppali e G. Marchesini, Nel 70º anniversario di Roberto Ardigò, ed, Bocca,
Torino, 1898 ^ Roberto Ardigò, La psicologia come scienza positiva, Viviano
Guastalla editore, Mondovì 1870, 169; 177-8 ^ a b Froebel ^ a b c d Marco Paolo
Allegri, Il realismo positivo di Roberto Ardigò. L'apogeo teoretico del
positivismo Archiviato il 10 dicembre 2014 in Internet Archive., pagg. 34-40 ^
Mario Quaranta, Etica e politica nel pensiero di Roberto Ardigò, “Rivista di
storia della filosofia”, 1/1991, 127-44, 142. ^ Quaranta, op. cit. pag. 129 ^ a
b Anna Lisa Gentile, Il positivismo di Roberto Ardigò: un'ideologia italiana,
in “Rivista di storia della filosofia” 1/199 pag. 158 e segg. Bibliografia Modifica
Questo testo proviene in parte dalla relativa voce del progetto Mille anni di
scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della
Scienza di Firenze (home page), pubblicata sotto licenza Creative Commons
CC-BY-3.0 Davide Poggi, La coscienza e il meccanesimo interiore. Francesco
Bonatelli, Roberto Ardigò e Giuseppe Zamboni, Padova, Poligrafo. Dizionario di
filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Modifica su Wikidata
Roberto Ardigò, su sapere.it, De Agostini. Modifica su Wikidata Alessandro
Bortone, ARDIGÒ, Roberto, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 4,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana,Opere di Roberto Ardigò, su openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata ( EN ) Opere di Roberto Ardigò, su
Open Library, Internet Archive consultabili nell'Archivio di Storia della
Psicologia, su archiviodistoria.psicologia1.uniroma1.it. URL consultato il 16
dicembre 2011 (archiviato dall' url originale l'11 luglio 2012).
Alessandro Savorelli, Il contributo italiano alla storia del Pensiero:
Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Altre opere: Pietro Pomponazzi.
La psicologia come scienza positiva. La formazione naturale del sistema solare.
L’inconoscibile di H. Spencer e il Positivismo. La religione di T. Mamiani. Lo
studio della Storia della filosofia. La Morale dei Positivisti.
Relatività della Logica umana. La coscienza vecchia e le idee nuove. Empirismo
e scienza. Sociologia. Il compito della filosofia e la sua perennità. II
fatto psicologico della Percezione. Il Vero. La Ragione. La scienza
sperimentale del pensiero. Il mio insegnamento della filosofia nel R. Liceo di
Mantova. L’Unità della coscienza. L’Inconoscibile di H. Spencer e il
Noumeno di E. Kant. Il meccanismo dell’intelligenza e l’ispirazione geniale.
L’indistinto e il distinto nella formazione naturale. Note eticosociologiche —
Articoli pedagogici. Il Pensiero e la Cosa. L’idealismo della vecchia
speculazione e il Realismo della filosofia positiva. La formazione naturale e
la dinamica della psiche. Saggio di una ricostruzione scientifica della
psicologia. La perennità del Positivismo. Monismo metafisico e monismo
scientifico. La filosofia nel campo del sapere. Atto riflesso e atto
volontario. I tre momenti critici nella storia della Gnostica della filosofia moderna.
Il sogno della veglia. Tesi metafisica, ipotesi scientifica e fatto accertato.
Il quadruplice problema della Gnostica. Guardando il rosso di una rosa. La
nuova filosofia dei valori. Una pretesa pregiudiziale contro il Positivismo.
L’Inconscio — A. Comte, H. Spencer e un positivista italiano. Infinito e
indefinito. Fisico e psichico contrapposti. Repetita juvant. I
presupposti Massimi Problemi. Il Positivismo nelle scienze esatte e nelle
sperimentali. L’individuo. Estema, idea, logismo. Le forme ascendenti della
realtà come cosa e come azione e i diritti veri dello spirito. Lo spirito
aspetto specifico culminante della Energia in funzione nell’organismo animale.
La meteora mentale. Filosofia e positivismo. La ragione scientifica del dovere.
La filosofia vagabonda. L’intelligenza. Altre opere: SCRITTI VARI
RACCOLTI E ORDINATI DA GIOVANNI MARCHESINI Le Monnier scuola - nuovo
FIRENZE FELICE LE MONNIER. Prefazione; opere filosofiche; Polemiche; La
confessione; Sulla storia della confessione esposta nel n. 181 della Favilla
dal sig. Eugenio Pettoello. Il prete professore Ardigò e la confessione.
Calunnie. Risposta del prete professore R. Ardigò alla lettera del sig. Luigi
De Sanctis inserita nel n. 217 della Favilla. Dichiarazione ai lettori. Lettera
dell'illustre De Sanctis. Articolo comunicato. La psicologia positiva e i
problemi della filosofia. Dialogo. Il filosofo e un ignorante. Il liberalismo
di R. Ardigò. Contro la massoneria. R. Ardigò e A. Fouillée. Discorsi.
Garibaldi. Discorso di commemorazione. Per il 70° anniversario. Le Ancelle
della carità al Civico Spedale. I programmi e l’ordine dell’insegnamento. Il
cultore vero della scienza. La gerarchia dei godimenti. La libertà del
sentimento religioso. L’unità internazionale. La filosofia col nuovo regolamento
universitario. La scuola classica e la filosofia. Divisi dalle religioni, la
scienza ci riunirà. Il dolore morale nella società. La polarizzazione del
lavoro mentale. La breccia di Porta Pia. Il significato morale del XX
Settembre. Le immagini rovesciate. Il metodo del lavoro intellettuale di R.
Ardigò. La formazione inconscia delle convinzioni. La condizione fisica della
coscienza. Lettere 100%.svg Lettera 1 100%.svg Lettera. Giudizi e
pensieri. Giudizi. Pensieri. Versi. Uno scherzo in un'ora allegra. Intecta
fronde quies. Venti canti di H. Heine. Schöne Wiege meiner Leiden. Warte,
warte, wilder Schiffsmann. Berg und Burgen schaun herunter. Der Traurige. Zwei
Brüder. Die Grenadiere. Auf Flügeln des Gesanges. Liebste, sollst mir heute
sagen. Mein süsses Lieb, wenn du im Grab. Ich weiss nicht was soll es bedeuten.
Mein Herz, mein Herz ist traurig wie der Mond sich leuchtend dränget auf dem
Hardenberge. Der Hirtenknabe. Nachts in der Kajüte. SOCIOLOGIA. Dedica.
Avvertenza. Il potere civile; La reazione dell' individuo e quella
della società; il Diritto intemazionale; Machiavellismo politico; l’ideale
della società umana; le giustizie sociali; L'Idealità sociale impulsiva
del volere individuale è una giustizia; L'Idealità sociale è una giustizia
potenziale; diritto positivo e diritto naturale; triplice ufficio del potere;
giustizia e diritto nella convenienza; la giustizia; la Giustizia legale
(seconda forma dell' ufficio del Potere) è una gradazione evolutiva superiore
di un indistinto inferiore da cui emerge; dall'indistinto della prepotenza
(principio egoistico) nasce il distinto della giustizia (principio anti-egoistico)
che è la risultante dinamica di quella; la formazione della giustizia
nel senso proprio va colla formazione del potere onde è
l’espressione; la giustizia è la forza specifica dell' organismo
sociale; la gradazione della giustizia; dovere giuridico e dovere morale;
obbligatorietà e trascendenza imperativa del dovere nella coscienza
morale; atteggiamento vario della giustizia e coefficienti relative; funzione
della giustizia morale; l'autorità; criterio positivo del diritto
e del dovere; i diritti dell'uomo sopra le altre cose della
natura; i diritti dell'uomo sopra se stesso; suicidio; il diritto
d’autorità; l’autorità nel diritto naturale; la dottrina positiva dell'autorità
e del diritto è liberale; Gl’attti benefici nell' etica tradizionale; gl’atti
benefici nel positivismo; falsa apparenza di paralogismo; la virtù, il merito,
il premio; l’ordine morale; il bene sociale; il fatto del diritto (diversità,
specie, coordinazione) e il suo ideale; il diritto è in virtù di se
stesso; il diritto è la facoltà del bene sociale; l'esercizio del diritto
è la funzione del bene sociale; il diritto costa una contribuzione; le unità
minime, le unità medie e l’unità massima nel corpo sociale; la
selezione interorganica nella evoluzione formatrice dello Stato
Come risulti spiegata la prima forma dell' ufficio del Potere, e
anche la terza: e stabilito r assunto del libro Conclusione. SOCIOLOGIA
Atxyj^ 8vo|ia oòx dEv ^Seaav, el xaOxa fJ “Non ci sarebbe l’idea della giustizia
se non fossero i supplizi.” -- Eraclito di Efeso presso Clem. Strom. IV, j. . ALL’ILLUSTRE
PROFESSORE ENRICO FERRI IL QUALE PRIMEGGIANDO FRA I MAESTRI DELLA SCIENZA NUOVA
DEL DIRITTO PENALE SI COMPIACE DI RICORDARE CHE ALL’INDIRIZZO POSITIVO DELLA
SUA MENTE FECONDISSIMA NON FURONO ESTRANEE LE LEZIONI DEL SUO ANTICO MAESTRO
L'AUTORE DEDICA QUESTO SAGGIO IN SEGNO DI FRATERNO AFFETTO. AVVERTENZA. Questa
sociologia costitue una parte della morale dei Positivisti. Fu in ogni parte o
ritoccata o rifatta. Non vi si trattano tutte le questioni introdotte e
discusse generalmente nei saggi di sociologia; ma solo la fondamentale: quella
cioè della formazione naturale del fatto speciale caratteristico dell'
organismo sociale, ossia della giustizia. E, relativamente a questo fatto, non
dà una riproduzione pitc meno manipolata delle idee messe in voga dai filosofi
più celebrati di questa materia. Qualunque ne sia il valore, chi scrive
presenta qui il frutto della sua riflessione solitaria; e non recente, ma di
vecchia data, e già matura fin da quando lo esponeva ai filosofi di Mantova,
pei quali divenne germe e stimolo ad elaborazioni ed applicazionidi merito nel
campo della filosofia. Restringendosi poi la trattazione, come qui è divisato,
al fatto della giustizia, con ciò la sociologia tiene a mantenersi nel campo,
che le spetta in proprio, e pel quale riesce una disciplina a sé e distinta da
tute le altre. È un errore capitale quello comunissimo di fare della sociologia
un ammasso di tutte le dottrine riguardanti i fenomeni svariatissimi, che
suppongono l’ambiente della società umana, A tale stregua la cosmologia
dovrebbe constare di tutte le dottrine riguardanti i fenomeni svariatissimi,
che suppongono l’ambiente dell’universo visibile. A questo modo si dà ragione a
quelli che persistono a *negare* alla sociologia filosofica la qualità di
disciplina autonoma. Una sub-disciplina filosofica è un tutto a sé, che si pone
e si distingue da quello di tutte le altre, come la specialità del fatto che
essa considera. E, nel caso nostro, la sociologia filosofica, o la psicologia
filosofica dell’intersoggetivita, si pone e si distingue, come la specialità
del fatto della giustizia, nel quale è la ragione diretta dell'organismo
sociale; a quel modo che nel fatto della gravitazione è la ragione diretta
della mutua dipendenza delle masse astrali, considerata dalla cosmologia
filosofica. Così, essendoci il fatto Fisico si dà la Fisica; essendoci il fatto
chimico si dà la chimica; essendoci il fatto psichico, si dà la psicologia
filosofica, e via discorrendo per ogni sub-disciplina. Si restring la presente
trattazione allo studio della formazione naturale della giustizia, e limitandosi
a considerare il fatto di essa in generale, e non estendendosi a considerarlo
in particolare nelle molte e diverse forme svariate, che si munifesiano,
funzionando la giustizia nelle differenti comàiìmzioni secondarie pnllulanti ed
armonizza nèi nella totalità malto complessa dell’organismo sociale. Ed è solo
in qneslo senso, die fuesta trattazione non aòòraccia tutto r amèito della So-
etologia j. co7icernendo solo la sua farle introduttiva e fondamentaie. Esaurita
la prima edizione di questo quarto Volume delie Opere filosofiche, e anche la
seconda, nella quale tra stata introd^itta qualche piccola correzione ed
aggiunta, colia presente terza questa Sociologia comparisce nella sua edizione
quinta. Questa trattazione deWdi Sociologia suppone e completa quella della morale
dei positivisti. La suppone, in quanto nella morale medesima è presentata l’analisi
della attitudine etico-civile umana, ed è esposta la teoria positiva della responsabilità
sotto tutti i suoi aspetti e rapporti. La completa, in quanto studia la
formaziofie della attitudine etico-civile suddetta. Specialmente sotto V di--
spetto e il rapporto della sua obbligatorietà si interna che esterna. Ma questa della sociologia è poi, come tale,
una trattazione distinta da quella della morale. La morale ha per oggetto suo
speciale e proprio la attitudine etica e quindi la virtu individuale. La sociologia
ha per suo oggetto la costituzione della società civile e quindi la gitistizia
che ne è la funzione caratteristica. Il punto di partenza del nostro
ragionamento è la questione proposta dalla morale dei posttivisti. Il concetto
della responsabilità (de- finito precedentemente come l'astratto delle
sanzioni, onde la società reagisce, rintuzzandola, contro l’azione propriamente
umana individuale) fosse manchevole, non estendendosi quanto la moralità, e
quindi fosse da ripudiarsi. E ciò per la considerazione che sembrerebbe così la
responsabilità riferirsi solamente agli atti intesi nel concetto stretto del
giusto, cioè ai pochi atti esterni, aventi importanza per l’ordine sociale,
commessi in misura e in circostanze determinate, discorso basta notare il
fatto, la cui spiegazione si lascia alla fisiologia. Come l’apparato nervoso
delF organismo biologico vi si forma a poco a poco per naturale svolgimento e trasformazione
di una parte degli elementi prima omogenei della sostanza viva, cosi l'apparato
del P<:7/^r^ nell’organismo dello stato vi si forma a poco a poco per
naturale selezione ed adattamento dì alcuni fra gli individui del *consorzio*
umano informe primitivo. Del pari, come la funzione speciale dell'
apparato nervoso si è in esso determinata per Io svolgimento e la
trasformazione della attività vitale generica della sostanza animale,
cosi la specialità della reazione del potere non è altro che una
distinzione, operatasi a poco a poco e di mano in mano che andava
formandosi, della reazione istintiva comune degli individui eslegi del *consorzio*
umano primitivo. E, come l’attività nuova speciale sovrapposta e dominante
dell' apparato nervoso dell'animale superiore sviluppato non vi sopprime
l’attività iniziale semplice e comune del materiale biologico, la quale vi
persiste allato e al disotto dell' attività nervosa, che la regola,
così la reazione del potere, svoltasi naturalmente collo svolgersi dell'
organismo sociale, non vi sopprime la reazione istintiva detta sopra, la
quale quindi persiste nello Stato civile allato e al disotto della
reazione del Potere, che la regola. E cosi nello Stato vengono a
riscontrarsi contempo- è assai opportuno studiare ulteriormente, e
sotto /r^r df~ versi aspeliì, l'analogia notata fra T organismo dell'
ani- male superiore e quello della Società civile. Nel corpo di un
animale, anche di organizzazione superiore (e quindi massimamente in
quello dell' uomo), ogni parte viva ha in sé la ragione della propria attivita
puramente vegetativa, che ha luogo quindi indipendentemente dal concorso diretto
della funzionalità nervosa centrale. Ma questa funzionalità nervosa
centrale può intervenire ad impedire tanto o quanto la detta attività puramente
vegetativa della parte subordinata, A far ciò l’uomo, nel caso che la
parte si ammali e quindi la sua attività vegetativa si renda anormale,
si sforza (valendosi dell' apparecchio nervoso sovrastante alle parti)
di limitare l’anormalità e di contrastame gli effetti perniciosi sulle
altre. Mettiamo, sostituendo la medicina al cibo, o tralasciando di mangiare e
di adoperare se possibile la parte malata, o operando su di essa, o
staccandola in caso estremo dal resto del corpo. Quindi, l’intervento della
funzionalità centrale qui sarebbe puramente negativa; cioè solo di
impedire tanto o quanto l’attività vegetativa; la quale, nella parte,
sorge in virtù della propria natura dì questa, e non potrebbe esservi
creata ed infusa dalla medesima funzionalità centrale. Un fatto analogo si
osserva nel corpo della società civile. In questo corpo sì riscontrano due
generi di reazione sociale, quello della convenienza, proprio di ciascun
individuo e nascente direttamente dall’urto degli individui fra di loro,
indipendentemente dalla sovrapposizione ad essi del potere al quale sono
subordinati; e quello della giusto, proprio di questo potere. La
reazione di convenienza tra individuo e individuo tende con forza ad
assumere, e spesso assume effettivamente forme irregolari nocive e atte a
turbare in misura più o meno grande il buon assetto della società. Ed è
qui che intervitìne la reazione del giusto per parte del potere
sovrapposto. Ma con effetto solo di impedire e limitare, per quanto
possibile, la irregolarità della rea
zione della convenienza. Si che questa, funzionando pure per forza e legge
propria, non ecceda però la forma e la misura compatibile coll’andamento
migliore del corpo sociale. Le parti singole dell'animale sono
coordinate insieme mediante una funzione, che sì aggiunge alle particolari di
esse e loro sovrasta, dominandole e subordinandole nel sistema complessivo deir
individuo. Questa funzione centralizzatrice ha una efficienza negativa,
na ne ha anche una positive, ed è quella di produrre il concerto delle
parti nell’attività dell’individuo totale. Coè, la vìta propriamente
detta, elevantesi sulla semplice vegetazione di ciascuna parte, adattata
e resa ubbidiente alle esigenze della vita medesima, e quindi, per cosi dire,
ingentilitane. Cosi anche nella societa. Nella quale la funzione assodante
del potere si sovrappone a quelle degli due *associate*, ed è puramente
negativa o di limitazione per rispetto a queste, ma è positiva per rispetto a
se stessa, in quanto cioè si pone e produce un effetto speciale suo
proprio, che si risolve soprattutto in quello della moralizzazione dell'
uomo nello Stato civile. Annunciamo qui solo il fatto, la cui
spiegazione det- tagliata risulterà dal corso della trattazione. L'
individuo eslege è pronto ad impiegare a proprio vantaggio, come T
istinto naturale lo sospinge, tutta la forza materiale onde dispone; e ad
elidere e a togliere di mezzo il più debole. Il che impedirebbe la
formazione della società e il concerto civile delle sue parti. Perchè
tale concerto sia possibile è necessario che sopravvenga neir umano
consorzio una forza superiore, la quale, in nome e colla mira
dell'interesse di tutti, rin- tuzzi e contenga la forza esuberante e
trasmodante dei singoli più forti o irregolarmente operanti, e renda
cosi attuabile lo sviluppo e l’esercizio pieno e non impedito, e
tranquillo, e benefico delle attitudini di ogni elemento, onde è
costituito il corpo sociale. L' istinto della reazione individuale, per
sé, rappre- senterebbe il princìpio egoistico antisociale. Invece il
Po- ^ tere subordinante rappresenta T Idealità sociale ossia il
principio morale antiegoistico. L' individuo nella Società diventa morale
in quanto, ridotto dalla coazione della Giustizia a riconoscere il
principio antiegoistico rappresentato dal Potere associante, vi si
uniforma, ingentilendosi, rinunciando alla tendenza di usare la violenza
rispetto agli altri, contenendosi nei limiti permessi dal Potere, cooperando
con esso al Bene comune. La costituzione quindi della Società
umana, fino al grado di un' alta Civiltà, è possibile, perchè la
psiche umana, a preferenza di quelle dei bruti, è atta alla for-
mazione caratteristica della Idealità sociale, come è di- mostrato nella
Morale dei Positivisti (i). Nella macchina fisiologica dell'
animale non si dà potenza centralizzatrice delle parti senza un organo
di- stinto da esse, che ne sia investito e la possegga. La forza
centralizzatrice poi, in un animale, è in ragione della massa di questo
organo; come la massa stessa è in ra- gione del bisogno (2) della forza
occorrente per dominare le parti. E inoltre neir animale la materia dell'
organo centralizzante è presa dalle parti stesse centralizzate per via
di un processo di selezione naturale, come dimostra la embriologia e la
zoologia comparata. E secondo il principio generale, da me tante volte
ricordato, del pas- saggio dall' indistinto al distinto (3).
(i) Vedi specialmente il Capo III della terza Parte del Libro primo
; e la Parte seconda del Libro secondo. Per questa espressione bisogno
vedi la nota alla pag. 17 del volume ILI di queste Op, fil. Per la
teoria dell' indistinto e del distinto vedi la Fortnazione naturale nel
fatto del sistema solare y nel Voi. II di queste Op, fil. Cosi
nella Società» La coordinazione delle partì com- ponenti e la relativa
reazione della Giustizia non vi può aver luogo senza che vi sia
costituito un ordine di per* sone investito del Potere occorrente all'uopo,
e fornito dei mezzi sufficienti all' effetto. Tale ordine di persone
si stabilisce nella Società per la legge suddetta della selezione
naturale, come già ac- cennammo sopra; e di ciò parleremo in seguito più
a lungo, E r ordine sovraiieggiante nella Società deve
essere in ragione della forza occorrente a produrre Teifetto di
contenere le parti nella associazione dello Stato. Più in queste è la
resistenza alla coordinazione so- ciale, come nella barbarie o nella
depravazione, quando ha ana grande prevalenza T egoismo (o perchè le
Idea- lità sociali non sono ancora progredite nella loro forma-
zione, o perchè abitudini prave sottentrate le paralizzano), e più il
Potere centrale è poderoso e A'iolento, e ha quindi il carattere di
Potere militare. E la Giustizia allora as- sume la forma del fato
inesorabile e crudele, che sforza ad agire colla violenza
necessitante. E, nel caso che manchi nel Potere la forza
suffi- ciente, la Società si trova in quello stato di organizza-
zione imperfetta che si osserva negli animali inferiori aggruppati in
masse, che sono piuttosto delle colonie che non degli individui
propriamente detti. Se invece poca o nuila è la renitenza alla
coordina- zione sociale, come nelle Società adulte, colte e virtuose.
quando le Idealità sociali negli individui sì sono già for- mate e si
mantengono impulsive, allora il Potere centrale assume il carattere di un
semplice arbitro morale fra gli individui associati. E la Giustizia qui
perde il carattere della violenza^ assumendo invece quello di una
sentenza vera ed equa, che ottiene il rispetto e T assentimento col
solo essere enunciata. E si conferma ciò che dicemmo al- trove del regno
del fato e del regno della Giustizia fra gli uomini (i), E
discende anche dalle cose dette che, siccome il dispotismo militare è
proprio dello stato della barbarie, così invece il governo repubblicano è
proprio dello stato della cultura più compita ; intendendo per questo
governo (idealmente) un governo formatosi per la selezione natu-
rale più propria dell' uomo, ossia razionale ; e di persone funzionanti
quasi come semplici arbitri morali ; e rap- presentanti U Idealità
sociali ammesse dagli individui associati, che sono disposti per ciò a
rispettarle, senza bisogno di coazione e di violenza. Le cose dette
hanno una conferma da ciò che si riferisce al Diritto internazionale, e
servono a chia- rirne ÌL fatto e la teoria. • 1 diversi Stati
tra loro indipendenti sono come degli (i) Nella Morale dei
Positivisti, Per es. Gap. II della Parte IV del Libro li, al numero i6
(pag. 399 del voi. Ili di queste Op, fil, nella edijE. del tSSs^ e 432
dell' ediz. del 1893 e del 1901, e 432 Del- l' ediz, dei 1908).
3"«|P).individui non co-ordinati l’uno con l’altro sopra i quali
vige la ragione del più forte, poiché l' idealità sociale co-ordinante
non è realizzata in un potere effettivo sovrastante, che si faccia
valere; e quindi vi campeggiano sole attività egoistiche dei singoli,
staccati V uno dall' altro. Ma, essendo il principio della
socialità naturale al- l' uomo, come per esso tendono a stare uniti gli
individui nella Società più semplice della famiglia, e questa e le
altre unità sociali più o meno grandi tendono a colle* garsi organicamente
nelle unità dello Stato, cosi gli Stati tendono poi a riunirsi fra di
loro: e, parzialmente, in gruppi di Stati ; e, totalmente, nella unità
universale della umanità intera. E da ciò si vede che il
Diritto di uno Stato è rela- tivo al pari di quello dell' individuo, che
ne fa parte ; per la ragione che, come il Diritto di questo viene a
sof- frire una limitazione e una rettificazione col prevalere su di
esso del Diritto del Potere dello Stato particolare che se lo subordina,
così anche il Diritto di questo è limita- bile e rettificabile nella sua
subordinazione all'organismo più grande, del quale tende a far
parte. E cosi dicasi della Giustizia, che è la funzione del
Potere. Nella Giustizia del Potere si riassumono tanto o
quanto, diventando la Legge propriamente detta, o al- meno (se non ne
sono in tutto sostituiti) vi si appuntano come tollerati, o permessi, o
anche incoraggiati, certi atti di iniziativa degli individui ispirati
dalla Idealità so- ciale, tendenti a frenare o vendicare la reazione
istintiva irregolare: avverantisi già nel consorzio umano non ancora
sviluppatosi nell'organismo sociale civile, e per- duranti in questo, o
produeentisi nella condizione della Civiltà. Il padre che governa la
famiglia, il forte gene- roso che difende il debole, V associazione che
si prefigge scopi umanitari, e via dicendo, ne sono esempi. Qui ab-
biamo le virtualità della Giustizia, che ne preparano r avvenimento, o la
riforma miglioratrice, nella Giustizia di fatto dello Stato. E questa
Giustizia di fatto di uno Stato è soggetta a limitazioni e rettificazioni
ulteriori, per via di una Giustizia più ideale, in quanto uno Stato
può subordinarsi alle unità sociali maggiori, delle quali dicemmo, e
quindi alla Legge loro. Data la riunione effettiva di più Stati in
una unità sociale maggiore che li comprenda, e della quale essi
siano le parti componenti, in questa si avrà il Po- tere distinto o
specifico coordinante, del quale abbiamo parlato sopra, col carattere
della Giustizia, di fronte alle funzionalità particolari degli Stati
componenti; la reazione diretta dei quali per ciò fra di loro avrà il
carat- tere della Convenienza, mentre V uno non potrà valersi della
forza materiale contro T altro, sia in sostegno del proprio Diritto, sia
in offesa dell' altrui, ma dovrà la- sciarne r uso al Potere
internazionale sovrastante. Il Diritto internazionale quindi non è
effettivamente un Diritto, se non ha il detto carattere, della
Giustizia. E non ha questo carattere, se non esiste un organo
reale, colla forza sufficiente all'uopo, per esercitarla pratica-
mente. La storia ci presenta diverse forme di questo potere
intemazionale o egemmiico, che dir si voglia. Ma sempre più o meno
imperfette. Per esempio quello esercitato dalla madre patria sopra gli Stati
delle colonie, che ne furono fondate. O quello di uno Stato più
forte sopra altri più deboli soggiogati colle armi, o ridotti a
protettorato, o confederati, O quello di una autorità re- ligiosa sui
popoli che la riconoscono. O quello risultante da una lega, più o meno
precaria, per iscopi determinati. Le forme suddette, come già accennammo,
sono forme di egemonia imperfette, o per la loro ristrettezza e
precarietà, o perchè non abbastanza potenti per farsi valere, o perchè
una tirannia di im forte su molti deboli, E per ciò disfatte o da
disfarsi col progredire della Società. La quale invece tende ad una
consociazione più ideale degli Stati fra di loro. Ma a quale? Poiché, e
questa non deve essere per mezzo di uno Stato più forte che soggioghici
altri più deboli, e tuttavia la consociazione, colla Giustizia so-
vrastante relativa, non è una vera realtà organica se non esiste
effettivamente il potere che la eserciti. La risposta alla domanda
si ha in ciò che dicemmo costituire il governo più perfetto, ossia del
vero regno della Giustizia, cioè n^W Aròiiraio. L'Arbitrato o
l'Anfizionia internazionale. E come si va già disegnando sempre più
concretamente nel fatto dei trattati internazionali aventi forza esecutiva,
e del consenso moralmente giusto e fortemente efficace, che si va
stabilendo nel gruppo degli Stati più civili circa te questioni sociali
di interesse universale, e che influisce anche sopra la legislazione
interna dei singoli Stati, Solo — ac- quando esista
realmente, in forma ben determinata e colla forza necessaria di farsi
valere, questa Anfizionia, potrà esistere un Diritto internazionale
veramente tale. Dico, quando esista questa Anfizionia. Fogniamo sul
fare della autorità centrale elvetica o degli Stati Uniti di
America. E dico, quando questa Anfizionia sia un Potere veramente
efficace. Il che non può essere, se non pel pro- gresso sociale dei
singoli Stati dipendenti; come T Arbi- trato efficace fra gli individui
non è possibile che a misura che questi si perfezionano moralmente, come
dimo- strammo. E in effetto il progresso sociale degli Stati
ci- vili è già riuscito a stabilire delle legislazioni, o comuni, o
concordanti, colle rappresentanze e coi mezzi di esecuzione rispettivi, in
ordine ai rapporti di interesse non politico; come sarebbero il
Commercio, T Industria, la Navigazione» le Comunicazioni, i Diritti
privati, le Monete^ le Misure, la Scienza. E tende ad estendere sempre
più questo genere di Giustizia universale, sia colle Com- pagnie
internazionali riconosciute per imprese di interesse della Civiltà
generale, sia coi Congressi pure internazio- nali per altre sue esigenze,
come sarebbe p. e. l'Igiene. Lontana ancora è T epoca della unione
politica in discorso. Ma va facendosene sempre più forte V aspira-
zione, che è già T anima del partito politico dell' internazionalismo, e che
per la forza delle cose deve ormai essere confessata più o meno dagli
stessi governi. Queir epoca è lontana; ma arriverà una
qualche volta; e cioè quando nei singoli Stati saranno state rimosse le
cause che la ritardano: quelle cause precisa- mente che la Civiltà
attuale tende a rimuovere: e che saranno rimosse quando ogni Stato avrà
ottenuto il suo as- setto naturale giusto rispetto all' Estero nella sua
circo- scrizione etnografica, nella sua sicurezza, nel suo equili-
brio cogli altri Stati. Anche la questione del Machiavellismo
politico trova la sua risposta nei principj da noi indicati; riu-
scendo cosi in pari tempo a riconfermarne la verità. La reazione
dell'individuo nella rozzezza eslege del consorzio ancora selvaggio non è
una reazione morale. Non lo è, né di fatto, né di diritto.
Non di fatto, perché il suo movente é il puro istinto egoistico,
pronto senza ritegno al danno altrui, indiffe- rente all'uso di tutti i
mezzi di riuscire: fino alla violenza più spietata, fino all' inganno più vile
e sfacciato. Non di diritto, perché, mancando l'ordinamento so-
ciale e la Giustizia del Potere che ne é il prodotto, non si ha ancora la
ragione, onde le reazioni umane siano giudicate col criterio della
moralità. In una condizione analoga si trova il Potere nello Stato non
progredito nella Civiltà. In tale condizione si rivela nel Potere ciò che si
chiama il Machiavellismo. Il Machiavellismo del Potere può divenire, nel
fatto, una impossibilità e, nel diritto, una immoralità, solo in
forza di una Giustizia relativa che lo impedisca e lo ri- provi,
E come? Per rispondere bisogna distinguere la reazione del
Potere di uno Stato per rispetto al Potere di altri Stati, e quella del
medesimo per rispetto ai propri subordinati. Nel caso della reazione del
Potere di uno Stato per rispetto agli altri Stati è evidente che, se esso
non è tutelato nella sua esistenza da una forza internazionale equa
e^ nella sua tendenza a vantaggiarsi sugli altri e a soperchiarli, non è
frenato dalla medesima, non farà dif- ferenza tra mezzo e mezzo che giovi
al suo intento; e il danno altrui lo procurerà come bene suo
proprio. Il ricorrere ai mezzi opportuni all' intento, nel caso in
discorso, come non ne è impedito dalla Giustizia in- ternazionale, che
non esiste, cosi non è nemmeno ripro- vato, E per ciò il
^lachiavellismo del Potere nella sua rea- zione cogli altri Stati viene
ad essere una possibilità di fatto, senza essere ancora una immoralità di
diritto. Ciò è dimostrato storicamente nelle formazioni in-
ternazionali imperfette di epoche e regioni diverse. Valga r esempio dei
vari Stati della Grecia antica, collegati tanto o quanto fra loro, e
insieme isolati dalle genti non greche; alle quali, considerate per ciò
come barbare, ne- gavano i riguardi che pure si avevano fra loro. E
valga r altro esempio delle religioni abbraccianti diversi Stati, i
quali insieme per ciò di fronte agli altri, considerati siccome infedeli,
si credevano sciolti da ogni freno di procedimento. Nel caso della
reazione del Potere per rispetto ai propri sudditi è da considerare che
la sua condizione in uno Stato progredito nella Civiltà è ben diversa
da quella che la precede. Qui il Potere non è ancora divenuto la
semplice e- spressione del volere di tutti che lo pone, lo regola,
lo sancisce, come la Giustizia che lo rigfuarda. Ma è ancora solo
la conquista machiavellica di una casta, di una fa- miglia, di una
persona, lottanti per conservarlo con tutti i mezzi atti all' uopo di
fronte alle altre caste, ad altre famiglie, ad altre persone dello Stato
medesimo, con una reazione quindi come tra individuo e individuo
prima della costituzione definitiva di una Giustizia superiore al
di sopra di essi. Nel caso in discorso è notevole il fenomeno del
concetto della Giustizia divina, che si pensa sovra- stare alla stessa
persona del Principe (come spiegheremo in seguito) ; in modo che le sue
azioni, quantunque fuori d* ogni Legge, tuttavia vengono considerate dal
punto di vista della moralità: onde il suo Machiavellismo, persi-
stendo di fatto, viene a cessare in qualche modo di esi- stere di
diritto. Questo fenomeno non è un argomento contro il nostro principio,
ma a favore di esso. La Giustizia perfetta accompagnante lo stesso
svi- luppo iniziale dell'organismo sociale, informa natural- mente
la coscienza di quelli che ne fanno parte. E que- sti, ignorando come si
è formata veramente, la immaginano una entità assoluta preesistente alla
Società e pro- pria del nume divino. E cosi la si pensa valere,
nella lotta fra i competi- tori del Potere, al di sopra e delle imprese
degli emuli e di quelle del vincitore. In effetto però il
Potere conquistato dallo stesso vin- citore lo emancipa dalla Giustizia,
che esso esercita sopra gli altri, e (massimamente se la lotta è eccitata
da idee sociali nuove) si fa autore di una Giustizia nuova che
deroga quella anteriore creduta divina ; e questa per con- segfuenza non
serve più quale criterio di moralità delle azioni del Potere medesimo. Di
che luminosamente ci ammaestra la storia nei contrasti multiformi col
Potere sacerdotale sostituito da quello militare, e tra questo e il
civile che gli sottentra nella Civiltà più avanzata. Il conòetto
quindi della Giustizia divina né valse da sé a impedire nel fatto il
Machiavellismo del Potere, né a riprovarlo nel diritto. Parlando
però di impedimento del Machiavellismo non abbiamo inteso di un impedimento
assoluto, ma solo relativo. La forza della Giustizia, che si stabi-
lìsce nella Civiltà avanzata, anche al di sopra del Potere di uno Stato,
ne impedisce il Machiavellismo tanto o quanto; ma non mai affatto. La
cosa qui è precisamente come nelle reazioni ini- que tra cittadino e
cittadino, che la Legge dello Stato tende ad impedire : ed impedisce
realmente tanto o quanto ma non mai del tutto. Dalle cose dette
importa soprattutto che si raccolga V importanza suprema, in ordine alla
moralità, dello sviluppo dell' organismo sociale sopra indicato. Come
accennammo (e lo dimostreremo più largamente in seguito) lo sviluppo del
consorzio umano nello Stato ha per effetto la moralità privata. La
Civiltà che per- feziona r organismo dello Stato all' interno, e
promuove r associazione civile degli Stati ha per effetto la moralità
politica. La Giustizia (e quindi la Responsabilità, che è un suo
correlativo) non è perfettamente tale nell'organismo civile se in questo non si
ha la libertà ù.^\\^ parti coordinatevi, e la distinzione netta del
Potere e delle sue attribuzioni. Importa fissare in modo
preciso in che consista, teo- ricamente, la libertà. La
libertà consiste in ciò, che la parte coordinata neir organismo sociale
vi possa funzionare secondo la di^ sposizione naturale onde è atta a
funzionare. E, in base a tale disposizione, imprescrivibilmente. E, tanto
relativamente a se stessa, quanto nel reagire all' azione collaterale delle
altre parti. S' intende bene che la disposizione naturale onde
la parte è atta a funzionare, traente con sé il diritto impre-
scrivibile alla funzione relativa, deve essere quella del- l' uomo
socialmente perfezionato ; e quindi in tutto razionale in ordine alla
convivenza e alla collaborazione cogli altri nel consorzio civilmente
perfetto. Ma la reazione della parte verso le altre deve essere tale che
non le impedisca. Che altrimenti si avrebbe eli- sione di attività nelle
parti impedite, e quindi lesione in queste della loro libertà.
È questa una condizione essenzialissima perchè esista realmente
nell'organismo sociale la libertà vera e per- fetta delle sue
parti. Ora tale condizione importa che la reazione della
parte sulla parte si limiti a quella della pura Conve- nienza, che
esclude la violenza dell' uno suir altro. E cosi questa esclusione, .
ossia questo limite nega- tivo, viene ad essere essenziale al concetto
della libertà. Sicché questa è determinata positivamente dalla
attività intrinseca dell' operante che ne è fornito, e negativamente
dalla rimozione della violenza estrinseca che la impedi- rebbe nella sua
sfera di coordinazione. Il limite negativo suddetto della libertà
ne porta seco di necessità anche uno positivo, per la ragione che
la rimozione degli impedimenti estrinseci alle libertà delle parti non si
può ottenere se non mediante la costituzione di una forza superiore a tutte,
sufficiente all'uopo. La coazione, colla quale questa forza deve
reagire, per lo scopo detto, sopra le parti subordinate, non eli-
mina la libertà, come sarebbe la coazione tra parte e parte.
Come notammo sopra, la coazione della parte come tale è egoistica,
e quindi a vantaggio della parte che la esercita e a danno della parte
che la soffre; mentre la coazione del Potere sovrastante alle parti è
antiegoistica, vantaggiosa alla Società, e quindi diretta a salvare
nella integrità della sua attitudine e funzione la disposizione
naturale di ogni sua parte. La forza superiore del Potere essendo
richie- sta dalle esigenze delle stesse libertà delle parti subor-
dinate» queste devono concorrere a costituirla con una parte della loro
attivitàt sottoponendola quindi alla ne- cessità della organizzazione
sociale. Qui, come dicemmo, abbiamo un limite positivo della
libertà delle parti costitutive della società; ma, siccome è posto da
esse liberamente (mentre l'organizzazione so- ciale è una spontaneità
naturale del consorzio umano nel quale si produce)» allo scopo di
sussistere, torna poi sem- pre che la libertà delle parti medesime rimane
on primo ed un assoluto da cui tutto in ultimo dipende nella
società. Dal bisogno stesso della libertà adunque di- pende
anche il Potere subordinante. E con ciò è legiitimaiù. E quindi anche
determinato in ciò che deve essere. Determinato nel corpo che ne è
investito, il quale non deve essere una delle stesse parti coordinate,
perchè con ciò essa si troverebbe nel caso sopra indicato ed e*
sclusOf della parte che impedisce V altra* Determinato nella azione
che deve esercitare, che è quella precisa richiesta dai due limiti «opra
detti, cioè^ quello di porsi, onde essere in caso dì funzionare, e
non più; e quello di impedire la violenza della parte sulla parte,
e non più- Ciò posto r ideale della Società umana richiede le
ragioni che seguono. L' autonomia perfetta delle parti, che cioè ognuno
sia veramente un arbitrio, come dicemmo nella Morale dei Positivisti (i).
E precisamente quel tanto che si trova di poter essere realmente.
Secondo. Nessuna esecutività diretta o violenta del volere dell'
una sull' altra. Sicché la reazione loro sia quella della Convenienza,
scevra da costringimento ma- teriale. Terzo. Costituzione
distinta del Potere, al quale solo competa la esecutività coattiva sopra
le parti subordinate. Quarto. U ordine del Potere derivante dal
corpo dello Stato per selezione naturale degli ottimi, in dipen-
denza dal volere stesso delle parti che vi si subordinano ; e in virtù
delle Idealità sociali proprie delle stesse, e quindi non altro che allo
scopo della tutela delle auto- nomie coordinate nella Società, e della
stessa loro coor- dinazione nella medesima. Quinto. Giusta e
stabile organizzazione e subordina- zioue delle parti corrispondente alla
stabile giusta orga- nizzazione ed efficacia d' azione del Potere. Ma
il fatto concreto delle Società storiche del- l' umanità si presenta
assia vario e complesso. E lo stesso (i) Libro I, Parte II, Capo IV, (Pag.
113 del voi. Ili dì queste Op, fU. nella ediz. del 1883, 118 della ed.
del 1893 e del 1901, 122 della ediz. del 1908). Ideale generico di
queste Società non sì può rettamente comprendere senza lo studio diretto
del fatto medesimo. E noi qui lo tenteremo, prendendo le mosse
dalla stessa analogia, alla quale ricorremmo sopra, tra V orga-
nismo sociale e V organismo biologico. Nelle specie infime degli animali le
parti del corpo sono omogenee ed indistinte, o pressoché tali. E
somiglia a questo indistinto preorganico della zoologia r indistinto
preorganico sociale delle truppe o coacerva- zioni disordinate delle
popolazioni selvaggie. Nelle specie animali che seguono alle infime
nella scala zoologica si ha una prima distinzione di formazione :
cioè una moltitudine di parti distinte, congiunte insieme in colonie,
nelle quali non è ancora costituito un apparato speciale distinto unico
atto a subordinarle insieme nella unità più perfetta dell' individuo. E a
ciò somiglia il fatto dei primordi di una formazione sociale, nei
quali, sul suolo medesimo e coi soli rapporti della vicinanza, e
della parità maggiore o minore delle idee, dei costuiri e della
discendenza comune, si trovano a contatto, in un certo numero, le tribù o
i pìccoli Stati indipendenti gli uni degli altri. Nelle
specie animali superiori, per una distinzione ulteriore (onde si forma la
diversità dei tessuti e uno di questi, il nervoso, resta con una speciale
superiorità verso gli altri in quanto, formando un sistema solo di tutte
le sue diramazioni nate in ogni parte, associa cosi colla u- nità
del suo lavoro i lavori di tutte le unità singole su cui domina), si
arriva alla unità organica propriamente detta, che non è più quella della
massa informemente coacervata, né quella delle semplici colonie delle
unità distinte, ma quella dell' individuo complete, E somiglia a
questa distinzione progredita quella della Società ci- vile, formatasi in
seguito alla distinzione delle tribù in caste, e al predominio della più
forte e intelligente sulle altre, e alla trasformazione successiva della
sua tirannia nel Potere regolare, moderatore delle unità sociali
con- federate. Nel processo evolutivo di distinzione della
formazione biologica l’apparato, onde si unificano le parti neir
organismo assai complesso dell' animale, sorge dalle intimità della
sostanza viva. La quale però non risente l’effetto proprio dell' apparato
stesso, uscito dal proprio seno, se non a misura che si è formato
effettivamente. Lo stesso avviene nel processo evolutivo di
distinzione della formazione sociale. Il Potere subordinante, e
quindi ciò che si dice la Legge e la Giustizia, e la relativa Re-
sponsabilità dell' individuo verso di esse, nasce dalla stessa virtù
intima delle parti associate ; ossia in ultimo, degli individui umani. E
accennammo già come; e spie- gheremo più a lungo in segfuito. Nasce cioè
in virtù delle Idealità sociali (i), che sono un fenomeno psichico
pro- prio dell' individuo. Ma r individuo non ne ha coscienza
distinta se non dopo che, pel processo naturale indicato, e
inconscia- mente per lui, il Potere stesso si è costituito.
Ed ecco come l' individuo è il fattore della Legge, della
Giustizia, della Responsonilità ; e, nello stesso tempo, (i) Su ciò verte
in generale tutto il Libro I della Maiale dei po- sitivisti, e in
particolare il suo Capo III della Parte III. queste suppongono l’evoluzione
sociale già avvenuta, e vi sono risentite siccome la correlazione dell'
individuo subordinato col potere sovraneggiante. E con ciò
siamo ora in grado di rilevare ancora m.e- glio, e una volta di più, la
verità, già illustrata nella Morale dei Positivisti (i), del concetto
della morale degli antichi e di Aristotele in ispecie, che la consideravano
correlativa essenzialmente alla Società formata ; e la fal- sità del
concetto ascetico-scolastico, che la considera sic- come indipendente
dalla Società stessa, fondandosi sul fenomeno sopra indicato (2) del
concetto della Gitistizia divina. Ma la coordinazione e subordinazione,
nel corpo sociale come neir animale, e in qualunque altra unità or-
ganica naturale, non è cosi semplice quale, per chiarezza e preparazione
del discorso ulteriore, sopra abbiamo supposto. Non è cosi semplice. Vale
a dire non è puramente un certo numero di parti, proprio eguali ed
equipollenti, concertate per la dipendenza diretta unica e sola di
o- gnuna da un centro immediato di tutte unico e solo; come, per
esempio, i raggi di un cerchio dal punto di mezzo, dal quale si dipartono
uniformemente con ugua- glianza di lunghezza e di divergenza. E
invece immensamente più complessa. Gl’elementi fondamentali ed ultimi del
corpo so- ciale sono gli individui umani, i quali formano, in
gruppi di pochi, degli organismi sociali elementari distinti ;
que- (1) Capo V della Parte III del Libro I. (2) N. 6 del l III.
sti piccoli organismi elementari poi si coordinano come parti di
associazioni e di organismi superiori ; i quali alla loro volta di nuovo
si aggruppano in complessi maggiori. E la serie di tali ordini maggiori,
che ne abbracciano dei minori, è ben lunga. Come è anche il caso
dell' animale superiore, soprat- tutto dell'umano, nel quale ogni arto ed
ogni viscere è già un complesso ottenuto per una certa serie di combi-
nazioni di gruppi minori; e gli arti e i visceri sono insieme collegati dai
centri del midollo spinale, al quale poi sono sovrapposti gli altri
centri superiori del cervel- letto e dei lobi cerebrali, dipendenti alla
loro volta dal- E qui possiamo venire a una conseguenza im- portantissima
circa i diversi aspetti che assume nella So- cietà civile ciò che dicemmo in
genere, la Giustizia; e quindi anche la Responsabilità. Data la serie delle
subordinazioni dette sopra, solo degli estremi si potrà dire che siano
assolutamente, T in- fimo, la piura Convenienza, e il sommo, la piura
Giustizia. Non COSI dei medii. Qualunque dei quali non sarà asso- lutamente, né
la Giustizia, né la Convenienza; ma con- incoata, e si compia solo
in virtù del Tribunale dello Stato. E cosi il Potere dello Stato, per
rispetto all' eser- cizio della Giustizia subordinata della associazione
particolare, no permette solo quello che non danneggia l'assetto generale della
Società o il Diritto dei soggetti in quanto questi sono enti, oltreché
della essociazione par- ticolare, anche in pari tempo della totale.
Il che fa sì che la Giustizia propria dei Poteri su- bordinati, col
progredire della Società, va sempre più av- vicinandosi a ciò che
chiamammo sopra V arbitrato, E che rispteade massimamente in quello
paterno del buon padre di famiglia. Spieghiamoci meglio.
Nelle popolazioni selvaggie l’individuo è vindice di se stesso, o dei propri voleri,
al di sopra dei quali non è costituito ancora, per la imperfezione della
associazione in cui vive, nessun potere giudicatore. E vindice dei propri
voleri, anche se violatori della libertà dell’altro. La costituzione di.
un Potere superiore . nelle Società progredite, che si assume la vendetta
delle violazioni della libertà individuale, togliendo la esecutività co-attiva al
*volere dell' individuo sopra l’altro*, assicura la libertà di ambi. Tanto
la cosa è cosi che, se per poco vien meno questo Potere superiore, torna
subito all' individuo la ne- cessità e quindi il Diritto della propria
vendetta. Come nel caso che una persona appartenente ad una società civile
si trovasse fra una popolazione selvaggia, o sopra una nave in alto mare e
quindi fuori della portata del Potere vendicatore, o assalito senza
scampo immediato da malfattori, o in un momento di anarchia dello Stato
in cui vive. Nel primo embrione di Società, in quello mettiamo di
una famiglia isolg-ta dal resto degli uomini, le contese tra i fratelli
le giudica e le vendica il padre, che ne è il capo naturale. E la sua
vendetta è illimitata e senza responsabilità verso nessuno.
Nessuno per ciò gli impedisce o gli contende il Di- ritto anche
sulla vita dei figli e della moglie. Non così però, coordinate che
siano le famiglie sotto un Potere superiore nella città che le abbraccia
in una società sola. In questa città il Potere superiore tende a
limitare il Potere del padre al puro necessario per l'esi- stenza, il ben
essere, la prosperità della famiglia come tale; e veglia a che il padre
non eserciti verso i suoi dipendenti altro Potere che questo, che però in
pari tempo concorre ad assicurare: e vendica su di lui ogni eccesso
od abuso del potere. E da ciò consegue naturalmente, che se ne restringa
sempre più la esecutività, e che si converta in semplice arbitrato ; nel
quale può soprattutto, e da sé sola, per la propria impulsività morale,
la Idealità sociale, nella quale consiste la Legge, nel cui nome l'arbitrato
si esercita. Ed ecco quindi l’effetto naturale del progresso della
evoluzione sociale: salvare e garantire sempre più le autonomie
naturali. Stabilire sempre più distintamente il compito dei Po- teri
subordinanti; e impedirne gli eccessi e gli abusi. Rendere quindi
con ciò più evidenti le Idealità s(h ciali, e rafforzarne la impulsività,
e ridurle alla condi- zione di Poteri efficaci senza uso di violenza e
quali sem- plici arbitrati. Come più volte, e per varie g^ise,
dedu- cemmo sopra. Il quale eflFetto, che il Potere si converta
in semplice arbitrato, lo riscontrammo anche nello stesso Potere,
solo provvisoriamente supremo, di un singolo Stato. Solo
provvisoriamente supremo. Perchè notammo, che lo Stato tende a
coordinarsi naturalmente nei colle- gamenti intemazionali di più
Stati. E per la stessa legge; mentre dimostrammo, che il
Potere di uno Stato va sempre perdendo del violento, e avvicinandosi alla
natura puramente persuasiva della Idea- lità, che si impone da sé, in
conseguenza di una forza estema e superiore ad esso; cioè del potere
inter-nazionale, tendente ad impedire gli atti di lesa umanità nei
singoli Stati intemazionalmente collegati o altrimenti, e il loro
Machiavellismo. Come emerge poi luminosamente anche dalla
storia politico-sociale contemporanea. Un saggio storico
eloquentissimo di un Po- tere superiore convertitosi in semplice
arbitrato si ha nel fatto della Chiesa Romana, e in seguito all'
abolizione di ciò che in essa si chiamava il braccio secolare.
Si verificò in questa conversione, per questo lato, r Ideale della
Società umana, sopra da noi chiamato anche il regno (razionale) della Giustizia
sottentrante a quello irrazionale del fato; ossia il regno del concorso
libero o autonomico delle parti costituenti ; e non eteronomico(\)y
ossia p>er violenza materiale esercitata sopra di esse da una forza,
non morale, ma bruta. E questo arbitrato sociale non è poi altro in
fine se non lo stesso arbitrato della volontà dell' indi- viduo sopra se
stesso, onde emana, come più volte di- cemmo. Ne emana, e
quindi ne ha in sé le ragioni costitu- tive. Nel medesimo tempo però, per
le ragioni già ripe- tute, lo stesso arbitrio individuale non finisce di
diven- tare ciò che deve essere (vale a dire una forza che muove
per la impulsività pura delle Idealità sociali), se non a misura che,
idealizzandosi nel modo anzidetto, si perfe- Circa r Autonomia e la
Eteronomia, vedi la Morale dei Po- siiivisti, Lib. I, Parte II, Capo IV
(Pag. 113 del volume III di queste Opere filosofiche nella ediz. del 1885,
118 della ed. del 1883 e del 1901, e 122 della previa edizione). seziona
il Potere sociale al quale V individuo è subordi- nato. Onde
poi lo studio dell' arbitrio sociale subordinante serve indirettamente a
far conoscere la natura dell'arbi- trio deir individuo umano.
E siccome lo studio da noi qui fatto dell' arbitrio sociale
subordinante ci ha condotto al concetto di una Legge© che si impone colla
sola evidenza della propria Giustizia, con ciò abbiamo una nuova prova
della nostra dottrina (esposta nella Morale dei Positivisti). L'idealità
sociale impulsiva del volere individuale è una Giustizia. Ed
ora poi dalle cose dette possiamo ricavare la conseguenza, alla quale
mirava tutto il lungo discorso fin qui fatto sopra la distinzione e la
genesi della Convenienza e della Giustizia. L' Idealità sociale è la
stessa Legge che si stabilisce nella Società. E la Legge è la Giustizia
in quanto im- porta una Responsabilità dei subordinati verso il
Potere. L' idealità sociale (impulsiva della volontà dell'
indi- viduo, com' è dimostrato nella Morale dei Positivisti) si
viene formando nella psiche dell' individuo convivente nella Società per
effetto di questa convivenza. Per ciò di- ciamo che r Idealità sociale è
infine nuli' altro che l'm- pronta, nella psiche singola di un dato uomo,
della Legge o del Volere sociale subordinante. Nello stesso luogo
indicato nella nota precedente. Da ciò consegne poi che l’Idealità
sociale nella psi- che o nella mente dell' uomo, in cui si è formata
nel modo ora detto, non si presenta come una semplice ve- rità
logica, dipendente da una propria speculazione teo- rica, ma si come
qualche cosa che si impone; cioè come una Legge che la domina da una
altezza superiore, e ac^ compagnata dalla minaccia di una Sanzione
vendicatrice ; ossia, non come una semplice idealità qualunque, ma
come una Giustizia. Ed ecco scoperto il nostro gran difficile.
La Giustizia non può essere che la legge del potere subordinante: e
tuttavia la Idealità sociale, impul- siva del volere dell' individuo e
nascente in lui per la evoluzione intima e propria della sua psiche, è
pure una Giustizia. I due asserti parevano contradditorj ; e
invece sono veri ambedue, accordandosi tra di loro e spiegandosi a
vicenda. Si spiegano a vicenda. Da una parte, non è possibile
il fatto della Legge del Potere subordinante senza il lavoro psichico dei
di- versi individui che compongono la Società. Dall' altra,
le stesse attitudini dell' individuo sono però massimamente gridate nel
loro funzionamento natu- rale dall' ordine delle cose della Società in
cui vive. E quindi le Idealità sociali dell' individuo devono
assumere nella sua mente la forma della Legge subordinante che
domina nella Società che lo involge : devono essere nella sua mente come
1' eco o la soggettivazione o il pensiero del fatto oggettivo reale
dell'ambiente che determina il suo lavoro intimo. Il valore
scientifico della detta soluzione della difficoltà propostaci è tanto
maggiore in quanto V indu- zione sociologica qui conferma pienamente V
induzione psicologica, che nella Morale dei Positivisti ci portò
alla medesima conclusione. Alla conclusione cioè, che la
morale individuale è es-- senzialmente dipendente dalla morale sociale ;
e che VE- tica è un ramo della Politica, come diceva Aristotile, ossia
della Sociologia, come si dice adesso. E che il principio dei
Metafisici, che sia l'Etica che crei la Sociologia (e non il contrario),
è falso. Falso, come, in ogni altro ramo della scienza, il
cre- dere che il fatto complesso della natura sia determinato
direttamente dalle azioni indipendenti dei singoli compo- nenti, e non
che V azione di ogni componente sia essa stessa determinata dal suo
rapporto col resto della na- tura ; come ho spiegato nel libro della
Formazione natila rale nel fatto del sistema solare (i), dove dimostrai
che la legge di una formazione naturale qualunque è questa : che un
fatto singolo è il punto nel quale si intersecano le due linee infinite
dello Spazio (o delle cose tutte quante esistenti) e del Tempo (o delle azioni
tutte quante succedutesi). E godo adesso di avere illustrato quella
legge gene- rale col rilevarne la verifica anche n^Wz. formazione
etica. La quale ha questo carattere, di apparire nella co-
scienza individua siccome una Giustizia. E la Giustizia implica un
ambiente esterno alla coscienza stessa, dal quale sia determinata. Del
quale principio poi (e gioverà notarlo qui ancora, quantunque, la cosa, V
abbiamo accennata altre volte precedentemente) è prova positiva diretta
il fatto storico (superiore a qualunque eccezione, e accertabile
nel modo più evidente) che nmt non fu possìòtle di ira- vare in una
coscienza individuale una Idealità elica, ossia un principio di
Giuslizia, di formazione inconsapevole, £he non corrispondesse al fatto
della Legge sociale real- mente riabilitasi neir amòiente nel quale la
coscienza stessa fu educata. Proprio come sopra nessuna bocca
d'uomo parlante fu mai possibile una parola inconsapevolmente appresa, che a
lui non abbia insegnato la So- cietà dei parlanti fra i quali
crebbe. E come in tutte le cose le diversità degli ambienti creano
le varietà e le specie delle individualità dipen* denti, cosi le Varietà
e le Specie eliche fra gli uomini sono create storicamente dagli ambienti
sociali vari e di- versi, ai quali essi appartengono; e per quella
stessa leg^ge dell’ordine e del Caso, che in ogni parte della na-
tura si verifica nella produzione delle Varietà e delle Specie delle
cose, come dimostrai nel libro testé citato. Che più? La stessa teoria dei
metafisicici for- nisce un argomento in appoggio della nostra.
Anche il Metafisico ha trovato nella coscienza umana Una serie di
Idealità, direttive del volere, con questo ca- rattere della Giustizia o
della Obbligatorietà; e ha argo- mentato che, per ciò stesso, ossia per
tale carattere della obbligatorietà, era giocoforza ricorrere a
qualchecosa di esterno alla coscienza medesima, onde quelle Idealità
le fossero dettate, e di fronte ad essa sancite. Se non che
il Metafisico non si è apposto nella de- terminazione giusta di questo
esterno. Ossia il suo esterno non è quello distinto e vero del
Positivista, che è quanto dire V ambiente sociale ; ma T indistinto, anzi
il confuso della speculazione volgare antiscientifica, ossia dio. Non
si è apposto qui il Metafisico, come non si è apposto neir assegnare T
esterno onde dipende la produ- zione della pianta e dell' animale, che il
Positivista ha trovato essere la stessa natura (i) e il Metafisico ha
cre- duto fosse il volere diretto della divinità. L' Idealità etica
è una Legjge obbligante, ossia una Giustizia. Dunque, ha detto il
Metafisico, tale Idealità è prima una realtà fuori dell' uomo, ossia è un
pensiero di dio. E da esso è dettata in modo misterioso all' uomo. Vale
a dire lo stesso pensiero divino di quella Idealità è riflettuto nella
mente umana, come in uno specchio il raggio di luce che lo illumini da un
corpo per sé luminoso. L' Idealità etica è una Legge obbligante. E non
lo sarebbe realmente se non importasse una Sanzione. Dun- que, ha
detto il Metafisico, lo stesso dio ha decretato quella sanzione e la
applica in un modo misterioso. Un castigo misterioso è preparato in una
vita misteriosa av- venire a quelli che trasgrediscono la Legge
stessa. Non sarà inutile qui di avvertire che, pel significato dì
questa parola natura, mi riferisco alla spiegazione che ne do negli
'altri miei libri, e specialmente in quello della Formazione naturale
nel fatto del Sistema solare : e per la quale intendo solamente le
proprietà inerenti alle stesse cose. Sicché è ridicola affatto V
osservazione di certi miei accusatori superficialissimi^ che io con
questa parola non faccia altro che sostituire al soprannaturale, chiamato
dio dai metafisici, un* altro soprannaturale chiamato natura. Dal che si
rileva, che la Metafisica ha notato giu- stamente la relatività della
Giustizia data nella coscienza verso una esteriorità che renda ragione
delle qualità ca- ratteristiche della Giustizia medesima quali la
osserva- zione le riscontra nel fatto della coscienza stessa. Solo
ha sbagliato nel projettare questo fatto. Ha sbagliato la Metafisica nel
projettare V individuo cosciente sul fondo della esteriorità immaginaria
e fallace della divinità^ an- ziché su quello della esteriorità positiva e
vera della Società, Ha sbagliato qui la Metafisica, come
negli altri campi dello scibile la scienza vecchia in genere. Per
esempio, V astronomia tolemmaica, che aveva ragione nel distinguere i
fatti dei movimenti dei corpi celesti, ma errò nella loro projezione.
Proiettandoli essa secondo la ragione del suo falso supposto che la Terra
fosse immo- bile, le osservazioni vere condussero ad un disegno
falso del movimento cosmico reale. Per render vero questo di- segno
r astronomia copernicana non ha avuto bisogno di altro che di projettare
le figure medesime del movimento sidereo, notate dai tolemmaici, secondo
una ragione pro- spettica diversa; cioè secondo la ragione della
immobi- lità del Sole, e della mobilità della Terra intorno ad
esso. E così qui possiamo riconfermare il nostro asserto per ciò che
dicemmo in un capitolo della Morale dei Positivisti (i), dove accennammo
alla genesi storica della (i) Capo VII della Parte I del Libro I, n. 8
(Pag. 70 del Voi. Ili di queste Opere filosofiche nella ediz. del 1885,
72 dell' ed. del 1893 e del 1901, e 75 dell'ediz. del 1908).
stessa Idea della Giustizia divina nel terzo stadio della evoluzione del
sentimento religioso. L’Idealità sociale è gia Giustizia potenziale. La
Giustizia adunque, secondo le cose dette, ha due lati essenziali
correlativi V uno air altro ; correla- tivi come r individuo e la Società. Due
lati: dalla parte della Società, ossia come un fatto verificatosi
persistentemente nel Potere che la eser- cita sugli individui dipendenti
: e per questo rispetto spe- cialmente si chiama Giustizia. E dalla parte
dell* indi- viduo nel quale è, non qualchecosa di statico, come nel
Potere, ma una potenzialità, ossia qualche cosa di dinamico: e per questo
rispetto specialmente si chiama Idea- lità sociale. Capitale
questo carattere della Giustizia o dell'Idea- lità sociale dell'
individuo. E positivamente certo : poiché corrisponde alla osservazione
del fatto. E che non si può spiegare se non per le vie onde qui lo
scoprimmo. E senza del quale poi è impossibile chiarire le diverse
forme delle reazioni sociali, e quindi delle responsabilità corrispondenti al
principj etici dominanti nella coscienza individuale. E in che consiste
questa ragione dinamica o questa Potenzialità? Ossia in che modo la
Giustizia nella co- scienza individuale è una Giustizia potenziale?
Nell’individuo non può esistere distintamente in un determinato modo il
concetto della Giustizia so- ciale obbligante, e correlativa ad una
Sanzione, se non per effetto sull'individuo stesso della vita sociale
com- plessiva, della quale esso faccia parte. Questo si: ma è pur
vero che, come la Società è V opera degli individui che r hanno
costituita, cosi la Giustizia che vi domina si deve in ultimo alle loro
disposizioni psicologico-morali, che ne sono la potenzialità
inconsapevole. Secondo. Una volta che la Giustizia sociale è
dive- nuta, pel processo naturale inconsapevole della forma- zione
della Società, un fatto statico atto ad informare di sé la coscienza
dell' individuo vivente sotto il suo re- gfime, questa coscienza concorre
a mantenerla nell'essere suo. E ciò più o meno consapevolmente. Così, per
esempio, il maestro di musica di una data epoca è in possesso della
sua arte perchè questa vi si era naturalmente maturata ; e cosi potè
essere da lui appresa nella forma che vi aveva. Egli poi serve in pari
tempo a mantenerne la tradizione. La applicazione della Sanzione sociale
in virtù della detta consapevolezza viene ad essere reclamata dallo
stesso pensiero della Giustizia vivente nella coscienza in-
dividuale. E quindi la detta applicazione è una soddis- fazione
della stessa coscienza individuale. E tanto, che la Sanzione medesima
essendo applicata, mentre soddisfa il reclamo della coscienza
individuale, nello stesso tempo la rafferma e la rende più viva e
sentita, come osser- vammo nella Morale dei Positivisti (Libro II, Parte
IV, Capo II, n. 17 (pag. 400 e seg. del Voi. Ili di queste Opere
filosofiche nella ediz. del 1885, 423 dell' ed. del 1893 e del 1901, e
433 delPediz. del 1908). La coscienza individuale diventa per tal
modo giudice in primo appello, o potenziale, dei fatti e degli
ordinamenti della Socteià complessiva. E giudice delle parti coordinate
nella Società^ Settimo, E giudice di se stessa. Ed ecco, in
questa ultima cerchia, la Giustizia sociale divenuta Giustizia
etica. La Giustizia sociale cosi nell'individuo lo rende un giudice
potenziale verso tre termini: la Società stessa, le altre parti
coordinate (ossia ciò che anche si dice, il prossimo), e se stesso.
Come giudice potenziale verso la Società coopera nella produzione
del Potere e nella riduzione di esso alla sua forma giusta.
Come giudice potenziale verso il prossimo si atteggia nella
reazione che dicemmo della Convenienza. Come giudice potenziale
verso se stesso si manifesta nel fatto intimo del rimorso per la colpa e
della compiacenza morale per la virtù, Resta che si considerino un
poco queste tre specie di giudizi del tribunale individuale della
coscienza di ciascun uomo, E, per ora, la prima e la
seconda. E cominciando dalla prima, ossia del giudizio del- l'
individuo verso il Potere sovrastante. Nello sviluppo normale della vita
sociale la ragione della Autorità subordinante e la sua fissazione
in un Potere effettivamente affidato ad un dato ordine di persone va
producendosi di continuo inconsciamente (quan- tunque in modo
inegualissimo dall' uno all' altro) nella psiche dei singoli individui. E
perciò fu da noi detta sopra, non statica, ma dinamica. Vi si
va producendo di continuo secondo che la com- partecipazione precedente
degli individui stessi li ha messi in grado di procedere, dalla
formazione psichica acquistata inconsciamente nella matrice sociale
educativa, ad una formazione ulteriore. E con un lavoro, che
si svolge si nei singoli indi- vidui, ma nello stesso tempo, per la
comunanza della vita morale, si aiuta nel formarsi del lavoro simultaneo
degli altri. Inegualissimamente, abbiamo detto, nei singoli
indi- vidui. Ma colla consapevolezza del consentimento nella
formazione stessa della massa sociale. In modo che la formazione medesima,
quantunque inegualissima nei singoli, determina una tendenza com-
plessiva, che ha la potenza unica e grande corrispondente alla somma
delle individuali. Potenza che si attesta con un effetto
proporzionato: cioè colla creazione del Potere sociale, che
rappresenta quella Idealità sociale onde è l’effetto (come già di-
cemmo), o col perfezionamento del Potere già esistente, in corrispondenza
col perfezionamento delle stesse Idea- lità sociali. Per tal
modo il Potere, come è una manifestazione spontanea della vita sociale,
nella quale concorrono i sin- goli individui inconsciamente, e prorompe
quindi da tale inconscio concorso irresistibilmente, cioè pel processo
in- vincibile della natura, e diventa coscienza dell'individuo solo
dopo che si è manifestato nella realtà sociale pròdotta dal processo medesimo,
così è potenzialmente prima neir individuo. Ne viene, che V
individuo stesso, una volta che ha potuto cosi accorgersi dell' Idealità
sociale produttrice del Potere sociale (accorgersene cioè dopo la sua
manifesta- zione comune in esso operatasi), s' accorge insieme di
due cose. Che cioè la detta Idealità ha all' estemo per suo
corrispondente il Potere stabilito nella Società, ed è nata dentro di sé:
e che vi è nata col carattere di una Giu- stizia ; vale a dire con quel
carattere col quale apparisce all' individuo quando arriva ad averne la
coscienza. E tanto, che l' individuo sfesso per tale Idealità
concepita come Giustizia giudica lo stesso fatto esterno del Potere
: ossia rileva come corrisponde o meno al principio di Giustizia
della propria coscienza, e pone astrattamente una Responsabilità dello stesso
Potere verso esso principio. Ed è ciò precisamente che notammo sopra,
parlando del Machiavellismo polìtico nel suo riguardo all' in-
terno, e del fenomeno storico del concetto della Giustizia divina. Il
che poi spiega un altro fatto della evo- luzione sociale. Quello cioè
che, a misura che una Società progredisce nella cultura e nella umanità,
diminuisce ciò che si dice il Diritto del più forte, é cresce ciò che
si dice il Diritto dell' uomo, e l’ordinamento sociale va sempre
più diventando elettivo. Che è mai il Diritto dell' uomo, che si
attesta di fronte al Diritto del Potere subordinante, se non la
sud- detta coscienza individuale della Idealità sociale, onde il potere
medesimo nasce e vige ? Si: è proprio la suddetta coscienza individuale,
che ne è il giudice potenziale, po- nendolo, fissandone i confini, e
creandone la responsabi- lità in modo . astratto verso se stessa.
Questo Diritto, la coscienza lo trova in sé, in seguito al fenomeno
sociale corrispondente verificatosi; a quel modo che la coscienza
dell'arbitrio sopra le proprie gambe si ha solo dopo che si è fatto Tuso
volontario delle gambe medesime. E l’arbitrio la causa onde si
muovono le gambe ; ma solo r effetto seguito del movimento rende
avvertita la coscienza di tal suo potere. E ciò è proprio di
ogni genere di coscienza. Per esempio, dell' arte. Che sa dell'arte
l'uomo prima di avere prodotto un' opera d' arte? U opera riuscita inconsciamente
estetica gli rivela il suo potere estetico. E dair opera medesima che 1'
uomo ricava la coscienza e la regola dell' arte in genere e la mossa a
progredire nel correggere e migliorare la precedente, e a
giudicarne. E di mano in mano che la coscienza della Idealità
sociale va facendosi nella generalità distinta e forte e impulsiva in
proporzione dell* atto umano, anche la creazione del potere si sottrae al caso
della forza brutale e si fa dipendente dalle deliberazioni dirette degli
indi- vidui associati : tanto più razionali e libere dalla
violenza, quanto più la massa degli individui stessi è umanizzata.
Onde, se la selezione naturale è la legge secondo la quale negli
organismi in genere si crea il loro apparec- chio centralizzatore,
nell'organismo sociale, per la crea- zione del Potere, che è il suo apparecchio
centralizzatore. ■"TW^W^^PP^la selezione naturale si specifica nella
forma superiore della ciezìofie, E anche in ciò toma il principio
già ricordato del procedimento progressivo della Società nel suo
sviluppo: cioè del regno della Giustizia razionale, che si va
sempre più sostituendo a quello del fato: analogo al procedi- mento
generico della natura, che neir uomo tanto più è diventata psiche quanto
più ha cessato di essere cosa meramente _^ica. Tutto ciò nel processo sociale
di evoluzione normale. E nell'anormale? Xeir anormale si genera un
movimento periferico contrastante la funzionalità centrale, che non
armonizza colle Idealità sociali già formate negli individui sotto-
posti. Un movimento contrastante che può andare fino alla distruzione
della funzionalità esistente, e quindi alla sostituzione di un'altra che
armonizzi colle dette Idealità, ossia colla Giustizia potenziale degli
individui medesimi. E questo il processo della rivoluzione. Succede
in questa un fatto analogo a quello fisiolo- gico della passione, nella
quale una eccitazione insolita invadente le parti subordinate dell'
organismo sopraffa i centri, sostituendo quindi il proprio impulso a
quello normale dell'apparato volitivo libero. E tale processo
anormale della rivoluzione, nel fondo, è quello stesso normale detto
sopra della evoluzione. Poi- ché anche in questo il Governo sociale è
determinato dal consenso delle parti subordinate. La differenza sta
solo in ciò, che nel processo normale della evoluzione il centro si
presta, cedendo, ad atteggiarsi secondo le esigenze della Giustizia
potenziale; e nell'anormale della rivohi- none no. In una parola, le
forze che agiscono sono le stesse, e gli eflFetti diversi dipendono dalla
diversità dei rapporti delle forze medesime. La rivoluzione sociale
propriamente detta dunque suppone una condizione avanzata di cultura mo-
rale dei membri della Società. Più è questa cultura morale e più è
irresistibile la forza rivoluzionaria. Ma più questa forza è
irresistibile e più la sua anione è moderata e procede per moto evolutivo
anziché sovversivo- In modo che, nel massimo della cultura, e
quindi della irresistibilità, e conseguentemente della modera-
zione, il moto rivoluzionario coincide con quello normale progressivamente
riformante detto sopra. Q, — Perchè non si incorra in un equivoco circa
il principio sopra stabilito, bisogna ricordare qui esatta- mente
il concetto da noi posto a fondamento di tutto il nostro discorso; ossia
quello della Giustizia potenziale, che infine è la stessa Idealfià
sociale an^iegoùHca; la quale nella umanità perfezionata è impulsiva
irresistibil- mente della volontà individuale. Onde r individuo
rivoluzionario per eccellenza è, non Tuomo di poca levatura, nel quale la
mente e il volere si acconciano a ciò che impera esternamente»
trovando tutto buono; ma il Sapiente, quale fu da noi definito
nella Morale dei positivisti (i). (D Libro I, Parte li. Capo IV, w. 17
(^ag^ lay del Voi. Ili di queste Ofté re filosofiche nella ed, dei iS85,
132 dell* ed* del J&93 e deJ 1901, e 136 dell" ed. del
1908). ^m - 64 - Il sapiente, come ivi dicemmo, è quello
nella co- scienza del quale le Idealità sociali antiegoistiche si
sono espresse colla massima evidenza, e acquistarono la mas- sima
impulsività sul volere. Onde è ciò che si dice un carattere. Esso è per
questo nella impossibilità di patteg- giare cogli ordinamenti riprovati
dalla potenzialità della Giustizia imperante nella sua coscienza : anche
se il patteg- giare gli porti soddisfazioni egoistiche. Ed è anche
nella impossibilità di non isforzarsi secondo la potenzialità me-
desima ; anche se il farlo gli porti danni personali. Questi egli li
incontra senza impensierirsene e tranquillamente come Cristo e Socrate, e
tutti i cosi detti martiri delle idee. Sublimemente questo fatto nel
cristianesimo primi- tivo è stato espresso nel principio, che òisogna
ubbidire prima a dio poi agli tcomini, E il principio, come è
chiaro dopo le cose dette, è in tutto vero, quando alla espressione dio,
che indica indistintamente una realtà giusta, si sostituisca quella di
Giustizia potenziale, che indica distintamente la realtà stessa. E
discende poi da ultimo dalle cose dette anche la conseguenza, essere la
teoria della rivoluzione del positivismo diametralmente opposta alla
vecchia della Metafisica, espressa soprattutto oella dottrina del
contratto sociale di Spinoza e di Rousseau. Il contratto sociale è
falso per la storia naturale della umanità. Per la storia naturale
dell' umanità è vera invece un' altra legge : la legge della naturalità
della società umana, formantesi spontaneamente, e inconsci gli indi-
vidui subordinativi. Nella dottrina di Spinoza e di Rousseau il moto rivoluzionario
è determinato dall' individuo che si pone come un assoluto ; e quindi è
affatto egoistico ; e quindi tende a disfare la Società. Nella dottrina
positivistica invece il moto rivoluzionario è determinato dall'individuo
siccome ordinato naturalmente alla Società; ossia è determinato dall’idealità
che vi hanno relazione. E quindi è essenzialmente ant-iegoistico o
altruistico – l’amore dell’altro, la benevolenza, la beneficenza : e
conseguentemente tende, non a disfare la diada sociale, rna a migliorarla. Consideriamo
ora il giudizio del tribunale indi- viduale della coscienza di ciascun
uomo verso le parti coordinate nella Società, ossia verso di ciò che si
chiama il prossimo. Nel che tocchiamo di un argomento di importanza
principalissima tanto dal lato sociologico quanto dal lato morale
propriamente detto. E la nostra considerazione, cominciando in
questi due ultimi paragrafi del primo Capo del libro, sarà prò-
segpiita nel seguente. La Idealità sociale è una formazione naturale
della psiche individuale umana: e tale Idealità è impulsiva del
volere : e per esso gli atti liberi dell' uomo sono antiegoi- stici e
quindi morali. E (come indicammo anche qui nei paragrafi precedenti) la
Idealità sociale agisce sopra il volere dell'uomo presentandosegli nella
forma della Giustizia; vale adire come qualchecosa che ha rapporto con
una Sanzione: ossia è una legge che importa la Responsabilità del
volere verso di essa. La Giustizia onde è dettata e autorizzata
Téizione del volere ne costituisce il Diritto, La Giustizia che
importa verso di se la Responsabi- lità del volere ne costituisce il
Dovere a). Ed ecco in che modo la Idealità sociale, che è una
formazione naturale spontanea dell* individuo, è in pari tempo, e un
concetto mentale, e un motivo pratico (ossia una forza che determina T
atto volontario), e una Giusti- zia, e una Legge, e un diritto, e un dovere.
L' essere umano, unico o collettivo, in quanto r azione ne è determinata
dalla Giustizia, è una Persona, Il genere poi della Personalità varia
secondo il genere del rapporto creato dalla Giustizia medesima.
Considerando qui il rapporto di subordinare nell'or- ganismo sociale, si
ha la Personalità del Potere. Consi- derando il rapporto di esservi
subordinato, si ha la personalità della parte sociale sottoposta che, in
ultimo, è r individuo. Pel potere la Giustizia è la stessa Legge
dello Stato. Per r individuo è la stessa Idealità sociale che in lui
si forma e che chiamammo Giustizia potenziale. In virtù della Legge
il Potere costringe il subordi- (i) Vedi la Morale dei Positivisti ; per
es. Libro I, Parte II, Capo IV, n. 15 e 16 (Pag. 125 del Voi. Ili di
queste Opere filosofiche nella ediz. del 1885, 131, 132 dell* ediz. del
1893 e del 1901 e pag. 135» 136 nella ediz. del 1908). - nato alla
osservanza della Idealità sociale. E quindi il Potere ha un Diritto sul
subordinato, e il subordinato ha un Dovere verso il Potere. E il Diritto
del Potere qui è positivo. Ma in virtù della Giustizia potenziale
anche il subordinato ha una azione sopra lo stesso potere. E per tale rispetto
quindi il potere ha un *dovere* verso il subordinato; e questo ha
un *diritto* verso il Potere. E il *diritto* del subordinato qui è *naturale*. Ed
ecco il concetto vero del diritto naturale, creatore e gfiudice del positivo e
vendicatore sopra lo stesso potere delle ragioni del subordinato. E
cosi, per asserire lo stesso diritto naturale, non occorre punto uscire
dall’uomo, e riferirsi ad una divinità e ad una Legge da essa emanata.
Questo diritto naturale appartiene all'essere umano, malgrado che in esso
non possa formarsi al di fuori della Società e senza che V Idealità
sociale della psiche singola siasi prima convertita nella Legge positiva
del Potere. Essendo poi il Diritto positivo lo stesso fatto
del Potere che si è costituito efifettivamente in una data Società, con
ciò si spiega come possa essere più o meno in contraddizione col Diritto
naturale, preso siccome la Giustizia potenziale astratta, desunta dallo
studio compa- rativo dei fatti sociali, e rappresentante quindi un
ideale, che solo imperfettamente si trovi realizzato nelle singole
formazioni storiche della Società umana. Ed essendo il Diritto positivo stesso
una formazione naturale della totalità sociale, che diventa qual' è col
pas- sare dall' indistinto al distinto (per la legge comune ad ogni
formazione naturale), cosi si spiega come, prima di essere un codice
scritto, è stato una consuetudine sorta per inconscia spontaneità; e come
la stessa consuetudine, che seguita a sorgere pure per inconscia
spontaneità an- che dopo la fissazione del codice, possa a poco a poco
avere prevalenza, come diritto, sopra la legge positiva. Il Diritto naturale,
oltre comprendere la ragione, imperante nel subordinato, di creatore, giudice
e vindice verso il Potere sovrastante, ne ha in sé anche un'
altra. Vale a dire ha in sé anche la ragione di ciò che de-
signammo sopra col nome di Convenienza, che riguarda i rapporti dei
subordinati tra di loro, e non ha esecuti- vità propriamente detta. Ora
é da dire di questa più chiaramente e precisela mente, se e come sia o no
una Giustizia, e quindi appar- tenga alla Moralità; poiché la Moralità
non si può con- cepirla se non con una Sanzione e con una Responsabilità;
e quindi in ordine ad una Legge sovrastante: cioè come una
Giustizia. Domanderemo e risponderemo di nuovo: Quale é l’ufficio
del Potere? L'ufficio del Potere è triplice. Dì stabìlii-si aella Società
a spese delle sue partì. Secondo. Di difendere l’autonomia di
ciascheduna dalla violenza delle altre. Dì dispensare nell'effetto
del mij^Uoramenta delle parti quella forza coniane dell* ambiente
sociale che opera per esso Potere. In tutte e tre le suddette forme del
suo ufficio il Potere esercita sulle parti un Diritto, come abbiamo
detto. E la ragione della azione del Potere è quindi una Giustizia, ossia
è col legata ad una Sanzione, E ciò perchè esiste una Responsabilità per
parte dei subordinati verso di essa azione, se mai violassero gli ordini
stabiliti. E il Diritto medesimo lo dicemmo un Diritto positivo. Ma
questo Diritto positivo dimostrammo sopra di- pendere in ultima analisi
dal Diritto potenziale o dalle Idealità mentali degli individui» Onde, in
ultima analisi, potenzialmente la Giustizia non è altro che le stesse
Idea- lità mentali. La Giustizia dunque si estende quanto la
potenzialità della Idealità sociale, formantesi nella psiche singola
dell’uomo per la sua partecipazione alla vita comune della Società; nella
quale si cova, per cosi dire, il germe in- dividuale, si che si maturi in
lui la disposkione naturale al civile coasorzio. Maturazione questa che
importa tutte tre le forme suddette dell' ufficio del Potere, se non che il
Potere stesso non è tutto l’effetto di tale maturazione; ma solo una parte*
Quella cioè, che si potrebbe chiamare V effetto più disHnéù. Oltre
sififatta parte ne resta un'altra; e più estesa ancora: ed è quella che
non si matura nel fatto di un Potere legale, ma rimane neW indistinto di
ciò che chia- miamo la Convenienza. E la Convenienza la diciamo un
indistinto appunto per- chè il Potere non è altro che un distinto che si
forma poste- riormente da essa per una elaborazione più compiuta.
Ne /iene che, se il Potere è il Diritto distinto, e quindi la sua
ragione una Giustizia distinta, (e cosi la Sanzione e la Responsabilità)
la Convenienza è invece un Diritto indistinto, e quindi anche una Giustizia
indistinta. Una Giustizia indistinta si, ma pur sempre una Giustizia.
Ed ecco come il concetto della Giustizia, e quindi della Legge morale
(col suo rapporto ad una San- zione e con una Responsabilità) si allarga
oltre la sfera delle prescrizioni del codice pubblico e si estende a
tutte le relazioni libere tra individuo e individuo. E come questa
Legge morale extralegale sia anch'essa puramente una formazione naturale
della psiche dell'uomo civile. E quindi non occorra per ispiegarla
ricorrere al sogno della Legge eterna della divinità. E il farlo sia un
errore ana- logo a quello della vecchia astronomia che, il moto
della Luna intorno alla Terra, lo spiegava col comando dato alla
Luna da dio di girare cosi intorno alla Terra, e non per via della stessa
naturale evoluzione cosmica; e, la virtù dell'a- cido di intaccare il
metallo, lo spiegava colla proprietà in- taccatrice capricciosamente
concessa da dio all'acido, e non per via della stessa disposizione intima
degli atomi compo- nenti la molecola dell'acido e del metallo, onde
dipende na- turalmente ossia necessariamente, il fatto chimico suddetto. La
Giustizia legale (seconda forma dell' ufficio del Po- tere) è una
gradazione evolutiva superiore di un in- distinto inferiore da cui
emerge. Ma la cosa ha bisogno di essere dilucidata meglio e con
esempj più concreti. K per ordine. Cioè secondo le tre forme dette
sopra deir ufficio del Potere. E comincieremo dalla seconda, di
difendere l’autonomia di ciascheduna parte della Società dalla violenza delle
altre. La difesa dell' individuo subordinato, assunta dal Potere,
importa che questo lo guardi dalle ofifese degli altri, e faccia che V
ofifensore risarcisca T ofifeso ; e che gli arbitrj singoli nella loro
attività si equilibrino vicendevolmente in modo che la limitazione
imposta a ciascheduno sia la minima necessaria, la minima indi- spa
usabile ad ottenere la coordinazione giusta nella So- cietà, richiedente
la collaborazione egualmente non im- pedita di tutte le sue parti.
Ma tale difesa, assunta dal Potere, della libertà e del Diritto individuale
non si pud estendere a tutti asso- iuiamente i fatti sociali
verificantisi attorno ad un indi" viduo. Non a tutti, di gran lunga.
Non a tutti, che sono infinitamente molti. Ma solo ad alcuni pochi. A
quei pochi solamente che è strettamente richiesto dalla esi- stenza
del corpo sociale. E la difesa in discorso, circa i detti pochi
fatti, è propria di quella che si chiama la Giustizia legale, o po-
sitiva, o distinta. Quanto poi agli altri infiniti fatti rimanenti ha
luogo il fenomeno sociale della Convenienza, che dicemmo es- sere
pure una Giustizia ; ma non legale, o positiva, o distinta: sibbene potenziale,
o indistinta, o morale. Quella della convenienza è anch' essa una
Giustizia, come la legale. Ma indistinta. E per la ragione che, nel
fondo, V una e r altra sono la cosa medesima, e si differenziano tra
loro solamente come il distinto dall' indistinto. E tanto che,
provenendo nelle formazioni naturali il distinto dall' in- distinto, qui
nella Società la reazione della Giustizia le- gale non è altro infine se
non una forma evolutiva supe- riore della stessa reazione della Convenienza. Anzi
di più. Come l'idealità sociale della psiche umana è sola- mente una
forma evolutiva superiore di un indistinto che si trova già nei bruti, cosi
la Giustizia legale si collega nelle sue gradazioni formative, non solo
con quella della Convenienza propria dell' uomo, ma anche con quella
del semplice talento egoistico osservabile nelle reazioni tra bruto
e bruto. E mettiamo in chiaro la cosa. La reazione tra bruto e
bruto è V effetto di un im- pulso istintivo quasi affatto egoistico. Ma
non del tutto, poiché (come osservai più volte nella Morale dei Positivisti
(i) in certi istinti socievoli dei bruti fa capolino qualche cosa di
antiegoistico. L' istinto egoistico del bruto si continua anche nell’uomo
; nel quale però va emergendo l'impulso antiegoi- stico a misura che si
sviluppano in Fui le formazioni psi- chiche superiori (2) ; in modo che
nell' individuo umano vivente nella Società apparisce la reazione della
convenienza, che è mista di talento egoistico e di ragione an-
tiegoistica. Quindi nella reazione della Convenienza si ha
una forma di passaggio dal talento egoistico del bruto alla ragione
dello schietto antiegoismo della Giustizia legale. E questa è il divenuto
della Convenienza, come la Con- venienza è il divenuto del talento
egoistico del bruto. E in effetto infinite sono le gradazioni della
reazione della Convenienza; da quella che rasenta la brutale del
(i) Per es. Libro I, Parte III. Capo III, n. 6 (Pag. 149 del
Voi. III di queste Op, fil. nella ediz. del 1885, 156 dell' ediz. del
1893 e del 1901 e 161 dell'ediz. del 1908. Ciò è dimostrato in tutto il corso
della Morale dei Positivisti, essendone V assunto fondamentale.
l^WU IP ■ I puro egoismo, a quella che tocca la
più nobile del puro antiegoismo. Infine, se si guarda una
medesima Società nel suo progresso storico dallo stato della barbarie a
quello della civiltà, e se si guardano le diverse condizioni degli
in- dividui di una medesima Società in un dato tempo. Per la legge,
più volte indicata, che nella formazione natu- rale i diversi del
coesistente sono T immagine dei diversi del successivo. E in oltre,
da una parte, nelle Società imperfette il talento egoistico si riscontra
nello stesso Potere, e dal- l' altra, la Convenienza, a misura che si
spoglia dell' e- goismo, si fa più antiegoistica e tende a diventare
una Giustizia legale. E la Giustizia legale da prima è stata sempre
e da per tutto una Convenienza radicatasi neir uso e final- mente
stabilitasi come legalità. §n. Dall'indistinto della
Prepotenza (principio egoistico) nasce il distinto della giustizia
(principio anti-egoistico) che è la risultante dinamica di quella,
per rendere evidente la verità dell'asserto, che la Giustizia emerge,
come formazione superiore, dal ta- lento egoistico precorso, giova vedere
come succede il fatto. Il più forte è prepotente verso il più
debole. E la Prepotenza è precisamente l'espressione del talento
egoistico in opposizione colla ragione antiegoistica, o della Idealità
sociale, o della Giustizia. Ne viene che l’adulto è prepotente col
fanciullo, l’uomo colla donna, il robusto col debole, il ricco col
povero. Fra gli uomini sempre si verifica tale prepotenza, ma in gradazioni
infinitamente diverse: da un massimo ad un minimo. Cioè in ragione
inversa dell’idealità anti-egoistica contrastante, ossia in ragione inversa
della civiltà. E ciò, tanto considerando la successione dei momenti del
progresso di incivilimento, quanto considerando gli elementi più o meno
inciviliti di una medesima società. Considerando gli elementi più o meno
inciviliti di una medesima Società, la prepotenza dell' adulto del
ro- busto del maschio del ricco e via discorrendo è sempre maggiore
fra le persone rozze e minore fra le colte. E in queste per la ragione
del maggiore sviluppo delle Idealità sociali contrastanti. Le Idealità
sociali si impon- gono alle persone colte per la semplice abitudine che
ab- biano di concepirle. Ai rozzi possono imporsi quando, neir atto
che essi inveiscono con Prepotenza, esse bale- nano neir atteggiamento
disapprovante e minaccioso di vendetta degli altri uomini. Cioè, alle
persone rozze, nelle quali, le Idealità sociali non sono ancora una
coscienza ben forte e distinta, queste frenano il talento egoistico
nella forma di volere sociale con qualche maniera di San- zione ; e alle
persone colte non occorre la manifestazione estema vendicatrice, perchè
in esse V imperiosità della ragione della Società è diventata una loro
coscienza, che rinasce efficace senza la espressione materiale esterna
del volere sociale. Ed ecco come avviene il passaggio Del- l'
individuo dalla disposizione egoistica del bruto alla an- tiegoistica
dell' uomo civile. Considerando poi i momenti successivi di
formazione di una medesima Società, la Prepotenza degli individui
si vede a poco a poco eliminata dalla formazione contra- stante del
Potere ; il quale, per esempio, ha tolto, in tutto o in parte, le
Prepotenze dell' arbitrio assoluto del padre di famiglia sui figli e
sulla moglie, della schiavitù sotto le diverse sue forme, dei privilegi
dei nobili, della infe- riorità della donna, e via discorrendo.
Quando il Potere non era ancora riuscito a elimi- nare queste
Prepotenze anche la coscienza comune non sentiva distintamente la
ingiustizia loro. Mentre questa ingiustizia vi è divenuta evidentissima
in seguito al fatto della Legge che le ha inibite. Questo fatto ha reso
l'ingiustizia medesima evidente al segno, che nella coscienza di tutti
gli individui della società civile le Prepotenze suddette appariscono
delle vere impossibilità, non solo per gli altri, ma anche pel proprio
volere; cioè, nel vo- lere, formatasi pienamente l' Idealità sociale
antiegoistica corrispondente, questa riusci ad ottenervi una forza assoluta
di impulsività. E con ciò si ha la prova di fatto, e della dottrina
nostra generale circa la Moralità esposta nella Morale dei Positivisti, e
della dottrina qui toccata del divenire della Idealità impulsiva: e della
Giustizia legale distinta dalla Giustizia indistinta della
Convenienza. Ancora, le persone civili sono meno manesche delle
rozze. Onde, come fra queste è facilissima e pronta la vendetta dell'
offesa, così fra quelle- riesce invece e difficilissima e tarda. E
ciò nulla ostante la persona civile ha esigenze infinitamente maggiori e più
sottili verso le altre, e nello stesso tempo assai più raramente offende.
E la cosa parrebbe assurda. E lo è colla teoria vec- chia della ragione
degli atti morali. Ma si spiega chiaris- simamente colla positiva. Il
rozzo reagisce direttamente colle proprie mani, e punisce l’offesa
atrocemente : tuttavia è offeso ad ogni poco. E basta udire, per
convincersene, le ingiurie che due persone rozze si scagliano colla
massima facilità. Dunque T idea dell' utile non è quella che insegna il
contegno dell' uomo. Il rozzo è più religioso del civile; e tuttavia con
ciò non è più rispettoso del Diritto altrui. Dunque 1' idea
religiosa non è la ragione della Giustizia. Immensamente più che nel rozzo
è estesa l'idea del proprio diritto nell' uomo civile, il quale dell'
offesa recatagli si risente nel suo intimo assai più ohe il primo. Ciò
dipende dalla più progredita formazione psichica dell' uomo civile. E questa
dal beneficio più largamente produto della influenza formatrice dell' ambiente
sociale. Il risentirsi poi più forte dell' offesa porta seco una tendenza
più forte a reagire. Ma nell’uomo civile anche la reazione
(quantunque più fortemente disposta) ha il carattere della umanità
più progredita. Quella dell' uomo civile è una reazione non di
egoistica e brutale Prepotenza: cioè non è fatta di propria autorità e di
propria mano. E invece una reazione fatta in nome di qualche cosa che trascende
l'individuo ; vale a dire in nome di una Idealità sociale rico- nosciuta
come tale. In nome insomma di ciò che si chiama la pubblica
opinione. E questa pubblica opinione, diventata la coscienza della
persona civile, che la trae al risentimento; ed è a questa medesima
pubblica opinione che è lasciato l'in- carico della vendetta: in modo che
l’offensore è responsabile deir offesa verso la stessa pubblica opinione
ven- dicatrice, la quale per ciò viene ad essere una Giustizia. E
conseguentemente una Gitistizia viene ad essere pure la coscienza
individuale, che ne segue la morale impulsività. Una Giustizia indistinta, che
precorre e prepara alla distinta o legale. E come? La pubblica
opinione si forma nel cozzo delle parti della Società fra di loro, onde
nascono le diverse Idea- lità sociali relative. Questa pubblica
opinione si annuncia prima vaga- mente nelle parole e negli atti
accidentali degli individui. A poco a poco si stabilisce nei detti e nei
pro- verbi e nelle usanze e consuetudini comuni. Un pò' alla volta
poi crea i suoi rappresentanti di- retti. Da questi quelli del Potere. Ma
con ciò, che il Potere non può assorbirli in sé tutti. Onde, sotto
tale rapporto, il Potere deve considerarsi siccome il vertice di
una piramide, nel quale va a collimare una infinità di piani sempre più
allargantisi di sotto, cioè una serie di associazioni giudicatrici
subordinate. Costante e organica è questa legge della for- mazione
sociale. Da prima è V individuo che si fa giustizia da se
stesso. Nel che però non si ha la Giustizia vera, ma an- cora solo la
Prepotenza. Poi più persone aventi speciali interessi comuni si
associano in modo tacito e anche espresso in vista di essi; e nella
associazione si va costituendo naturalmente r arbitrio collettivo sopra
le contestazioni che la riguar- dano; nel quale è già quindi un principio
di vera Giu- stizia, quantunque ancora più o meno indeterminata o
in- distinta. Da ultimo il Potere supremo della Società si
arroga il giudizio nelle contese, fissandone precisamente i ter-
mini; ed ecco il meno della Prepotenza e il più dell' an- tiegoismo e
della Giustizia. E questa è la Giustizia di- stinta, derivata per
evoluzione dalla indistinta, come questa lo è dal talento più egoistico dell'
individuo. E nella nostra attuale Società la legge mede- sima
apparisce nella sua massima evidenza. Vediamo costituirvisi dei
giuri al di fuori del Po- tere legale; i quali, in nome di una pubblica
opinione (che è il loro codice) pronunciano dei verdetti, vendica-
tori almeno iniziali delle violazioni della opinione stessa, e che quindi
ne sono la Sanzione sociale diretta. Giusta, ossia antiegoistica, perchè
sociale e non individuale o di Prepotenza. Sanzione producente una
Responsabilità pei violatori delle Idealità sociali corrispondenti; e
quindi atta ad innalzare le Idealità stesse nelle coscienze di
tutti al grado di vera Giustizia ; tanto più distinte quanto più stabile
e ordinato e ripetuto e normale è l'esercizio del suo ufficio. E
anche quando non è eliminata ancora del tutto nella vendetta V azione
diretta della persona, che ne ha da essere soddisfatta, si può tuttavia
palesare l'in- tervento subordinante di una autorità superiore
all'indi- viduo. Come nel duello; nel quale la ragione di
intimarlo e di accettarlo deve essere sancita dal codice della opinione
corrente ad esso relativa, e giudicata 1' applicabi- lità al caso
particolare da padrini, e questi devono pre- senziare r esecuzione.
Nel duello si ha quindi una certa Giustizia, quan- tunque molto
imperfetta. Imperfetta, perchè vi si mantiene ancora troppo 1' eccessivo e il
brutale dell' atto di Prepotenza dell' individuo di vendicarsi colle sue
mani. Imperfetta ancora perchè 1' autorità che vi si intromette non
è riconosciuta come tale dalla Legge. Il fatto del duello qui ricordato
toma poi op- portuno per confermare, colle particolarità da esso
of- ferte, la verità delle cose suesposte. L* opinione, che
vige nei paesi civili di. oggi in re- lazione al duello, è una formazione
storica della nostra Società. Perchè, se, da una parte, esso ha la sua
causa generale in alcune ragioni costanti di ogni formazione
sociale, dall' altra però, le formalità che lo accompagnano accusano la
sua provenienza per trasformazione storica dalla consuetudine di un tempo
dei cosi detti giudizi di dio, E da ciò si vede, come sia vero che la
Giustizia (anche quella naturale o potenziale o etema che dir si voglia),
quanto alla forma precisa colla quale è effettiva- mente in una data
Società o coscienza, è una accidenta" lità storica. Come la
produzione di un dato frutto di una data pianta. L’opinione circa il
duello non è qualchecosa di fis- sato e sancito dal Potere legittimo, che
T infligga inde- clinabilmente anche a chi vi si rifiuti. Ma ciò non
toglie che r opinione stessa abbia una forza ; e tale da imporsi
quantunque gravosissima, alla volontà. E da ciò si vede che la Giustizia ha
già una effettività piena di efficacia anche nella forma indefinita della
spontaneità vaga della opinione pubblica. Ma r opinione circa il
duello, appunto perchè ancora in quello stadio della vaga spontaneità
sociale, non ma- turata e non maturabile in una Legge del Potere che
la stabilisca per tutta la Società, vi si restringe ad un certo
ordine di persone. E (cosa curiosissima) per questo or- dine di persone è
divenuta una idea di una impulsività potente, certa, indeclinabile, atta
a tenerlo sotto il proprio impero, mentre per gli altri, esenti dalle
influenze onde è insinuata, è come se non esistesse. E tanto che,
dove presso gli uni è moralmente spregevole e disonorato chi non si
attiene alle prescrizioni della opinione favorevole al duello, per gli
altri è cosa ridicola e stolta il tenerne conto. L' opinione
relativa al duello associa delle conse- guenze esecutive gravissime a
fatti riguardanti V onore. L' onore, che è un semplice rapporto mentale
dell' indi- viduo colla Società. E da ciò si vede che neir uomo,
per lo sviluppo speciale onde la sua psiche è capace, si Voi. IV.
6 creano delle entità di un ordine superiore, che sono impossibili
pel bruto e si trovano solo inizialmente e quindi poco avvertite nelle
Società rozze e nelle classi sociali meno colte. Delle entità aventi per
base, non il benes- sere materiale dell* individuo, che è l'espressione
del puro egoismo, ma il benessere degli spiriti associati, che è r
espressione della ragione antiegoistica. Qui insomma r individuo si trova
necessitato perfino al sacrificio vo- lontario della vita in omaggio di
un' idea che lo padro- neggia. L' opinione relativa al duello tende
(come tutte le altre opinioni, con tendenza positiva o negativa) a
diven- tare una Legge della Società. Questa tendenza in parte è
riuscita, in quanto esistono già delle disposizioni posi- tive di Legge
che riguardano il duello. Ma in parte non è riuscita. Ora T analisi
accurata della tendenza medesima e di ciò che n' è riuscito e non riuscito ci
raggua- glia circa il processo naturale, onde la Giustizia indi-
stinta, ossia la Convenienza, si fa la Giustizia distinta, ossia la Legge
positiva. Il Potere ha emanato delle disposizioni relative al
duello. Ciò ha potuto fare solo in seguito all'essersi que- sto fenomeno
sociale fissato a poco a poco nelle sue forme precise, che presentarono
1' occasione alla opinione pubblica di manifestarsi nel senso del partito
adottato nella Legge. Ma, delle disposizioni stesse prese una
volta dall'au- torità in relazione al duello, altre rimasero poi anche
in seguito perchè trovate rispondenti allo scopo sociale, di non
impedire in modo nocivo il corso inevitabile di certe reazioni di
Convenienza j altre invece dovettero essere smesse come inopportune e
quindi contrastate nella prova dalla coscienza dei cittadini, cioè dalla
Giustìzia poten- ziale che, come dicemmo tante volte, è Tarbitro
naturale di ogni Legge sociale. Il Potere però, nella
reazione anche esecutiva del duello, non ha potuto sosHiuirsi ialalmenie,
come è la sua tendenza in generale per rapporto a qualsiasi esecu-
tività forzata delle reazioni dirette tra individuo e indi- viduo. E
ciò ci istruisce praticamente di due cose, che già osservammo sopra. Vale
a dire: Primo. Che nel Potere non si può appuntare se non una
parte delle reazioni tra indivìduo e individuo; come nel cervello non
arrivano direttamente dei fili ner- vosi che governino immediatamente
tutti i punti della massa del corpo: ai quali invece in gran parte il cer-
vello fa sentire la sua influenza solo per J' azione che esercita sopra
centri secondari, aventi però anch' essi una propria azione, che si
compie in parte senza rintervento degli organi cerebrali.
Secondo. Che, se una tendenza reale dell' individuo non può essere
soddisfatta intéramente dalT intervento del Potere, Tindividuo cerca la
soddisfazione da se ; come in un assalto improvviso dì un assassino,
dove, non po- lendo la forza pubblica difendere il cittadino, a questo
è concesso il Diritto anche dell' uccisione a propria di- fesa.
Per cui si arguisce, che il fatto ancora incivile ed anomalo del
duello non sarà evitato nella civiltà, se non quando in questa le
questioni circa V onore potranno es- sere risolte appieno giuridicamente,
sia modificandosi l'o- pinione pubblica relativa, sia trovata in base a
questa una legislazione atta all' effetto. Vedemmo fin qui come la
Giustizia legale, af- fatto antiegoistica, del Potere sorga dalla
potenziale della coscienza degli individui, che ha per base una
Idealità sociale antiegoistica non ancora divenuta una Legge, e
nello stadio tuttavia solamente di opinione più o.meno comune.
Resta ora a chiarire come questa Giustizia poten- ziale, avente per
base una Idealità antiegoistica, si svolga anch' essa alla sua volta da
una forma ancora più im- perfetta di tendenza dell' uomo, cioè dal
talento brutale egoistico della Prepotenza. La reazione del semplice
talento brutale, o della Prepotenza, per la concorrenza dei prepotenti
di pari forza, diventa Equipollenza: e quindi Giustizia, Non
occorre per ciò che intervenga un elemento nuovo. Il diverso, anzi 1'
opposto, della Giustizia si ot- tiene per la semplice reduplicazione
dell' identico della Prepotenza elementare dell' individuo. Per la legge
universale dell' emergere del diverso distinto dair identico indistinto
per la reduplicazione dei molti identici (prima distinzione dell*
indistinto uno), che ha luogo in tutte le formazioni naturali. Come ho
dimostrato nello scritto sulla Formazione naturale nel fatto del sistema
solare (Voi. II di queste Opere filosofiche)^ e come dimostrerò nei libri
relativi alla Formazione del pensiero (nei voi. V, VI e VII di queste
stesse Op, fil.) Così nella formazione chimica la materia identica diventa
gli opposti deir acido e della base dopo che, distintasi in atomi
diversi, questi poi si reduplicano e si aggruppano variamente. La
Prepotenza è la coscienza che l' individuo ha acquistato del fatto della
propria Attività che esso ha esperimentato ; e la Giustizia è la
coscienza che neir individuo stesso ha dovuto formarsi del fatto
della Equipollenza degli altri individui dato dalla espe- ricìiza delle
Prepotenze concorrenti nella Società. Sicché nel bruto la psiche non arriva
alla trasfor- mazione in discorso, perchè in esso, non essendo un
es- sere sociale, non si può formare la coscienza successiva a
quella della Prepotenza come nell* uomo, che è un essere sociale (Onde poi
raccogliamo la conferma di un altro dei grandi principi da noi già spiegati
della Formazione naturale : vale a dire che la Cosa è il molteplice preso
nella coesistenza dei singoli, e la Forza è lo stesso molteplice preso
nella loro successione. Sicché Cosa e Forza non sono che distinzioni di
un identico indistinto : il quale, preso nello schema della coesistenza,
è la Cosa, e, preso nello schema della successione, è la Forza. — La
Giustizia o T idealità sociale, come apparisce dalle cose dette nel
libro, suppone una successione di fatti ; ed è assurda senza questa supposizione.
Ma nello stesso tempo, potendo questi fatti succedentisi essere presenti
contempo- raneamente al pensiero, pel lavoro suo descritto nella Morale
dei Positivisti^ è una entità (Cosa) del pensiero, ed è una virtù
efficiente (Forza) nella dinamica morale (Impulsività dell* idea). E
qui dobbiamo notare una cosa curiosissima, spiegabile solo colla nostra
teoria della identità, nel fondo, della Cosa che è, e della Forza onde
essa agisce. L' Idealità sociale è impulsiva del volere umano in quanto
gli si presenta siccome una Giustizia, vale a dire in quanto gli fa
pro- spettare una Sanzione ; ossia lo avverte della sua
responsabilità. E tuttavia, a misura che V Idealità sociale si fa più viva
e abituale, diviene invece più vago il presentimento pauroso delle
relative conseguenze di punizione per parte della reazione sociale. Anzi
il massimo della impulsività dell' Idealità sociale (nel Sapiente e
nel Regno della Giustizia, come dicemmo nella Morale dei
Positivisti) va col minimo del presentimento pauroso della punizione
sanzionatrice. Il concetto umano della Giustizia si forma da quello
della Prepotenza per V equilibrio di molti prepo- tenti nella loro
concorrenza sociale. La filosofia tradizionale (o la filosofia
sana, come la chiamano) spiega la Giustizia ponendola siccome lo
stesso comando di dio. La spiega così: aggiungendo molto
ingenuamente alla sua spiegazione V avvertenza, che la Giustizia,
ri- mane distrutta assolutamente tosto che si rimova la di- vinità
e il suo volere assoluto. E invece la verità è precisamente il
contrario. La Giustizia» in questo volere divino, è V opposto, ossia
la negazione, della Giustizia come tale. Come ne è l'oppo- sto e la
negazione la Prepotenza come tale. Il volere di dio è la Prepotenza
innalzata al grado dèlia Prepotenza assoluta. E il bello si è
che la stessa filosofia tradizionale ha dovuto accorgersi de IT
inconveniente, tanto o quanto, an- ch' essa, senza intenderlo
distintamente. Poiché ha dovuto maritare, nella sua dottrina della
ragione della Giustizia, il principio del volere divino con quello della
conoscenza che dio debba avere dell' essere intimo delle cose, e
della necessità onde il suo volere sìa costretto assolu- Egli è
come dire, che è V ordine dei fatti sociali, il quale è diventalo un
inrro ordine ideale, presente al pensiero in un suo atto intuitivo
momentaneo : qiTasi forza fissatavisi dal di fuori come sommi» unica di
efileni ng^i untisi a poco a poco l’uno all' altro. Proprio come la proprietà
attuale, onde una sostanza è atta ad agire in un dato momento con una
data intensità dì forza, sì è for- mata in questa per la addizione
successiva, mettiamo, dì un certo numero di \:alorie, entratevi dal di
fuori a poco a poco V una dopo V altra. -tamente (se
ha da essere giicsto) a regolarsi nel suo comando secondo le esigenze della
essenza da sé cono- sciuta appieno della cosa, alla quale impartisce il
co- mando. In questo secondo principio maritato al primo è
stata riconosciuta implicitamente, in qtuilche maniera, tardi,
imperfettamente, confusamente e con una contraddizione col primo
principio la verità di ciò che dimostrammo ; ossia della derivazione
della Giustizia dallo stesso uomo per effetto della sua convivenza
sociale. Imperfettamente, dicemmo. E la dottrina teologica
della predestinazione n' è testimonio. E tardi : cioè a misura che lo
studio dei fatti guidò al presentimento confuso della verità contenuta
nella dottrina positiva. Tanto che la storia della idea di dio ce
lo presenta prima coir impero capriccioso, dispotico, appassionato,
mutabile del tiranno prepotente. E succes- sivamente con una mitigazione
del capriccio e della prepotenza, quale era suggerita dal fatto della
legislazione sociale in lui oggettivata, che venne diventando
sempre più giusta per T equi librar visi sempre maggiore degli
elementi componenti. Come si è detto, nell'individuo non coordi-
nato nella Società si ha la sua autonomia che si goverua colla
Prepotenza. una risul- tante dinamica di esse, per le
considerazioni che seguono. Con uno straniero, e soprattutto con un barbaro, o
con un selvaggio, un uomo in generale non sente il dovere della Giustizia come
con un altro uomo della sua stessa Società. Perfino si dà che in faccia ad un
uomo di razza diversa si atteggi ne' suoi sentimenti come in faccia ad un bruto
o ad una fiera. E la cosa è naturalissima. La sua Società è in lotta colla
popolazione alla quale appartiene queir uomo. La sua Società quindi si atteggia
verso di essa e verso i suoi Componenti come un prepotente ; ed egli pure.
Anche se non è in lotta, dal momento che 1' offesa recata al(Il Nel che si verifica la legge generale di tutta
la natura, che r ambiente è necessario all' ottenimento di una
formazione, mettiamo la nebulosa solare alla formazione di un pianeta, o 1*
ambiente vege- tativo alla formazione di un seme ; ma una volta ottenuta la
forma- zione questa funziona come tale anche indipendentemente dalle con-
dizioni onde emerse. Mettiamo la forma e la solidità di un pianeta, e la virtù
vegetativa specifica del seme. ^'^''PfliW^^IF lontano selvaggio non è vendicata
dal tribunale del pro- prio paese, né di nessuno, queir offesa stessa non appa-
risce un attentato vero e proprio contro la Giustizia. Che se ci sono degli
uomini che sentono la Giustizia anche per gli estranei, fossero anche dei
selvaggi, questo succede solo per quelli nei quali il sentimento della
Giu- stizia, prodotto prima nel modo che spiegammo, è diven- tato
una forma perfetta e assolutamente dominante della psiche, e che agisce
da sé e senza il bisogno più del co- stringimento dell' ambiente
produttore, e con una sponta- neità esuberante. Ancora, nella stessa
Società un gentiluomo è molto cauto nelle sue relazioni coi stcoi pari.
Non lo è egualmente trattando con persone di condizione inferiore.E ciò
perchè co' suoi pari le conseguenze speciali del suo contegno (quelle
mettiamo di un duello) hanno indotto un ordine di Convenienza che non
occorre per gli altri, relativamente ai quale le conseguenze non hanno la
me- desima gravità. In una parola, chi sta sopra è prepotente
cogli infe- riori, e non co' suoi pari, coi quali è più giusto. La
formazione della Giustizia nel senso proprio va colla formazione del
Potere onde è l' espressione. L’idea della Giustizia non nasce se non
dietro i fatti determinati prodottisi effettivamente nelle reazioni
degli associati. Dico, dietro i fatti determinati. Non prima di
essi. contenuta. Per questo il Potere (nel senso da noi
qui inteso) è eminentemente la Giustizia, che i poeti
rappresentarono colla bilancia in mano (1* equipollenza giusta degli
arbi- trj) e colla spada nell' altra (la forza onde si determina r
equilibrio tra arbitrio e arbitrio). E lo è perfettamente esso
solo. Lo è eminentemente in quanto dispone di una forza che
costringe e determina i soggetti alla osservanza della Idealità sociale,
o giusta, che dir si voglia. Lo è perfettamente esso solo, in quanto a sé
solo ri- serba il costringimento violento alla osservanza della me-
desima Idealità giusta. Onde viene poi che la Giustizia
propriamente detta si restringe agli atti che possono cadere sotto la
direzione del Potere, e non comprende quelli che ne sono esenti: i
quali per ciò rimangono la sola Convenienza. E su tutto ciò non
cade dubbio. Il furto, per esem- pio, dove non e' é un Potere che lo
inibisca, non é un delitto. È solo un atto pericoloso e che esige del
corag- gio e della avvedutezza in chi lo commette. Dove e' é un
Potere, che proibisca sì il furto, ma sia impotente a impedirlo, il furto
stesso é un delitto vago e non grave. Dove il Potere lo
impedisce effettivamente e lo col- pisce con forti punizioni è un delitto
grave. E può essere un delitto di varie specie se la puni-
zione è varia. Per esempio, il furto del privato a danno del privato,
che importa la prigionia del ladro, è perciò un de- litto infamante. Il
furto invece di un privato che non paga un diritto della pubblica
finanza, onde incorra solamente in una multa pecuniaria, non è più
infamante, a motivo che la punizione non è la prigionia ma la
multa. La quale forza poi del Potere, onde è mante- nuta
violentemente V osservanza della Legge, in due ma- niere è dispensata.
' Direttamente cioè dal Potere, stesso per V otteni- mento
delle condizioni occorrenti alla vita sociale, e indi- rettamente quando
esso è domandato per interesse pro- prio delle parti individualmente
offese. E da ciò due forme di Giustizia. Questa seconda più
sentita dagli individui meno educati e quindi più egoisti ; la prima più
sentita dai più eletti e quindi meno egoisti. L' avaro si commuove per la
infrazione della Legge . della proprietà individuale, che è per esso la
Giustizia per ec- cellenza. Il virtuoso si commuove per una disposizione
po- litica antiliberale, preoccupandosi soprattutto della Giu-
stizia in se stessa. La circostanza di questa forza materiale occor-
rente al Potere ci conduce a scoprire una legge fonda- mentale della
Sociologia, ossia della formazione naturale deir organismo e della vita
sociale. Nel Potere, per costituire questa sua forza, sono
as- sorbite delle forze prese dal corpo sociale: e in ima certa
misura (i). Così la forza propria del cervello, onde sono
(i) Ci limitiamo qui a notare il fatto. Quale sia questa misura, e
come sia variabile fra estremi assai distanti secondo le condizioni e gli
stadj storici di una Società, deve essere lasciato a uno studio regolate
le funzioni del corpo di un uomo, è costituita dalle forze prestate dal
sangue del corpo medesimo in una misura, che non può essere oltre certi
limiti. Ora una quantità determinata di forza non può pro-
durre se non un effetto limitato, proporzionato ad essa. Ne viene che, se
la Società è mcipiente o selvaggia o rozza, tutta la forza rimanendo
impegnata nel costringere gli individui a osservare la Legge fondamentale
della esi- stenza sociale, il Potere rimane senza altra forza da
di- sporre per la produzione nella Società di miglioramenti
ulteriori (i). Ma quando in seguito si sono introdotte, colla ripetizione
degli atti violenti di coercizione sociale, le abitu- dini giuste, queste
producono poi V effetto della osser- vanza della Legge per parte dei
soggetti da sé; e la- sciano la forza del Potere disimpegnata e quindi
disponi- bile per altri usi, per altri lavori, per indurre altre
abitu- dini superiori ; insomma pel progresso ulteriore della vita
sociale. Cosi nel corpo dell' uomo. Nel bambino il cervello è tutto
impegnato nel produrre le abitudini dell' esercizio delle membra; e pogniamo
anche in quelle di leggere e scrivere. Prodotte queste abitudini
iniziali, resta disponi- particolare, che può da sé fornire
materia per una scienza spcciaU, E per noi basta notare, che la misura in
discorso va crescendo in ragione che progredisce V organizzazione sociale
; analogamente a quanto si osserva negli organismi biologici, nei quali
cresce la pro- porzione del cervello in ragione che si fa maggiore la
centralizzazione degli organi. (i) Ciò si ripete nel caso di
una guerra, che assorbisca le risorse del Governo ; e nel caso di
anarchia che le dissipi. bile per altri esercizi. Mettiamo per la
cultura propria- mente detta. E ottenute le abitudini di questa cultura,
ri- mane poi libero per V esercizio di una professione parti- colare.
E cosi via. E insomma la questione dell' immagazzinamento
delle forze. Un' abitudine in un individuo è la forza che, por-
tata sopra di lui una lunga serie di volte, vi si è imma- gazzinata in
questa forma. Come nella produzione delle proprietà delle sostanze
chimiche dalle più semplici alle più complicate. Come nella produzione
della pianta dal seme fino al frutto maturatone. Onde la
Giustizia, che va producendosi nelle coscienze dei singoli uomini
raccolti nella Società civile è )' imma- gazzinamento lento e progressivo
della forza dispensata dal Potere nei singoli atti infiniti del suo
esercizio, e im- pressa e ricevuta in quelle coscienze volta per volta.
An- che nel fatto del concetto della Giustizia, come in ogni fatto
distinto della natura, si ha una forza o un rifmo persistente, ottenuto
per la fissazione di una forza appli- cata dall' ambiente e divenuto 1'
essere costitutivo di ciò in cui si è formato (i), ossia dell' uomo
civile come tale. Il che poi dimostra che anche la Società, come
ogni altra formazione naturale, è una formazione che nasce, progredisce e
muore. Quando nasce, è la violenza che tende a produrre il
fatto e il sentimento della Giustizia. Quando progredisce, è la forza
del Potere che si di- ■I) Si allude alla Legge della Formazione naturale
\A\\\q\X.^ ^o^x?i accennata. spensa ad ottenere ordini
sempre più alti di azioni e di idee giuste. Quando muore è V
organismo vecchio, che non si presta più al mantenimento di questa forza
comune orga- nicamente subordinante del Potere. Come (per una forma
dì questa morte) nella famìglia vien meno il potere su- bordinante del
padre quando la personalità adulta dei figli non si presta più alla
coordinazione di essi sotto la tu- tela del capo della famiglia. Se
non che, riguardo alle Società che muoiono, vale del pari ancora la
relativa legge naturale di ogni altra formazione, per la quale la morte
«di un organismo non è mai totale, restando tuttavia i ritmi singoli
pro- dotti dallo stesso organismo mentre era vivo. Come nel seme
della pianta, che resta alla morte di questa. Come nelle idee, che
restano per gli uomini succedenti a quelli che le hanno trovate.
Sicché il mondo greco e il mondo romano, per es., sono morti come
quelle date formazioni sociali, ma re- starono le idee della Giustizia
umana nate nel loro seno. Restarono come germi, o magazzini di forza già
elabo- rata. E dei quali si giovarono le Società europee venute
dopo, che non dovettero ricominciare da capo (ossia dalla condizione
infima dell' uomo preistorico) il lavoro della organizzazione
sociale. La giustizia è la forza specifica dell'organismo sociale. Siccome
poi V organismo e la vita sociale si spiegano per la Giustizia che vi si
produce, cosi la teoria «T- della formazione
naturale della vita sociale è anche nello stesso tempo la teorìa della
formazione naturale della Giustizia. La quale per ciò è una formazione
naturale, come il Sistema solare, come un Minerale, come un Ve-
getale, come un animale, come una Goccia di Rugiada, come un qualunque
Pensiero di un uomo. È cioè la Giustizia una formazione naturale
della Società ; come, ad esempio, si direbbe che la vegetazione è
una formazione naturale del nostro Pianeta. Ed è la Giustizia la
forza specifica della società medesima. Ne è la forza specifica, come si
direbbe che V affi- nità è la forza specifica delle sostanze chimiche, la
vita delle organiche, la psiche degli animali. Nessuna
affinità, o vita, o psiche, senza sostanza chi- mica, organismo vivo,
animale. Del pari nessuna Giusti- zia senza Società umana. L*
affinità, la vita, la psiche scaturiscono dalle stesse forze onde
esistono i loro soggetti ; e ne rappresentano la risultante, che, come
tale, si distingue specificamente dalle forze producenti medesime. E cosi
la Giustizia sca- turisce dalle stesse autonomie prepotenti degli
individui, ed è la specie distinta di essere risultante
naturalmente dal loro contemperarsi insieme. La società quindi, come
tale, è tanto più per- fetta quanto più è forte V idea della Giustizia
formatasi nei consociati ; ossia quanto più questi sono morali :
sic- ché meno sia uopo concorrere colla forza materiale al- l'
ottenimento dell* ordine sociale. D che equivale al dire che T
Idealità sociale sia più Voi. IV. 7 impulsiva da se stessa
nella psiche di ciascheduno, e quindi il regno della Gitcstizia
{adoperando la nostra so- lita espressione) si sostituisca a quello del
Fato o della Prepotenza. In modo analogo una sostanza chimica
è tanto più stabile e perfetta quanto più V Affinità degli atomi vi
è grande» e la rende atta a mantenersi nell' essere suo in-
dipendentemente dalle circostanze fisiche esterne della temperatura, delP
ambiente, della compressione e via di- cendo, che suppliscano colla loro
azione al difetto della forza di coesione intima dei componenti. La
costituzione dell'organismo sociale, e quindi la sostituzione della
Giustizia alla Prepotenza, produce la incolumità dei consociati. La
incolumità, che non è altro appunto se non la elisione della Prepotenza
oflFen- dente. Questa incolumità ha due fattori :
Primo. La forza materiale disposta nelle mani del Potere per far
valere violentemente la Legge contro la Prepotenza non domata delle parti
subordinate. Secondo. Il sentimento del Dovere formantesi
negli individui associati nel modo detto sopra. Ora, siccome questo
sentimento del Dovere (o questa Idealità sociale impulsiva, che torna lo
stesso) è una vera forza traente l' individuo a vincere la propria
tendenza egoistica della Prepotenza, e a segfuire la ragione an-
tiegoistica della Giustizia o della Legge, cosi le due forze suddette,
del Potere di fuori e del Dovere di dentro collimanti a produrre V
incolumità dei consociati e in^e- granfisi vicendevolmente nella
intensità sufficiente al- l' uopo, si troveranno concorrervi in ragione
inversa. Meno è il sentimento del Dovere sviluppatosi nei
singoli individui, e più dovrà essere la forza materiale usata dal
Potere. E viceversa, più il sentimento del Do- vere, e meno la forza
materiale. E ciò, sia normalmente, sia accidentalmente; e per
certi momenti critici sociali, e per certe Idealità. La incolumità poi del cittadino importa un complesso
di condizioni sue particolari molte e diverse, cominciando dalla
fondamentale della salvezza della vita materiale e andando fino alle più
delicate (proprie delle condizioni sociali più perfette) del rispetto
morale vicen- devole negli atti anche più comuni della vita.
Il Potere supremo della Società non può (come altre volte
avvertimmo) provvedere per tutte le dette condi- zioni della incolumità
del cittadino : ma deve necessaria- mente intervenire almeno per le
fondamentali. Da ciò consegue che l’azione materiale sulla persona del
cit- Chi consideri tutte le possibili reazioni tra uomo e
uomo in una Società di leggeri può rilevare due cose molto importanti pel
discorso che facciamo qui. Cioè: Primo. La varietà infinita delle azioni
di un uomo atte a destare in qualunque modo la attenzione di un
altro. Fogniamo, partendo da un assassinio e venendo fino ad uno
sbadiglio. Nella quale varietà, come è chiaro da sé, si hanno delle vere
diflFerenze di generi e di specie. Secondo. Il sentimento nascente in un
uomo, per reazione, in seguito all' azione da lui osservata in un
altro. E di tale sentimento abbiamo parlato nella Morale dei Positivisti
(i), mostrando quanto sia variato e come formi una serie di sentimenti
diversi, anzi una scala in ordine di nobiltà. Ora, per le cose
dette, ripetendosi e le azioni e i sentimenti accompagnanti le reazioni
che le susseguono, si producono un po' alia volta e si fissano nella
psiche, come sue potenzialità, delle Idealità sociali
corisppndenti. Le quali per ciò sono costituite dalla rappresentazione
della azione e dalla reazione effettiva conseguente: onde sono Idealità
impulsive del volere, ossia Giustizie. La mente si confonde pensando alle
varietà possibili ad emergere in ragione di tale processo. I pochi
ele- menti del chimico, si sa a quale infinita varietà di for-
mazioni di sostanze si prestano: le poche note musicali, a quale infinita
varietà di composizioni musicali ; le poche lettere dell' alfabeto, a
quale infinita varietà di suoni ar- (i) Libro I, Parte I, Capo
III (Pag. 21 e segg. del Voi. Ili di queste Op, fil. nella ediz. del
1885, del 1893 e 1901, e pag. 22 nel- l'Ediz. del 1908).
I20 ticolati. Or che sarà della varietà delle formazioni
psichiche della Giustizia, pensando anche solo alla varietà dei
senti- menti componibili colle rappresentazioni degli atti sociali? Per
farcene una qualche idea prendiamo un esempio. Neir uomo, fra i
molti sentimenti onde è capace, si ha anche quello caratteristico
corrispondente alla espres- sione del ridere. È questo si può connettere
con un nu- mero senza fine di rappresentazioni di atti, dando ori-
gine cosi al genere delle Idealità comiche ; le quali nes- suno ignora
quanto siano potenti neir indirizzo della vita e nell'impero della
volontà; mentre è pur vero che il timore del ridicolo ha talvolta più
efficacia che non il timore del carcere e della multa. Il
fatto, pel mondo morale, è analogo a quello di una sostanza che,
potendosi combinare con tutte le altre nel mondo materiale, è atta a
determinarvi un atteggia- mento particolare per tutto T essere suo. Il
nostro mondo, per esempio, sarebbe un mondo aflFatto diverso da
quello che è, se gli mancasse il ferro. E cosi dicasi degli orga-
nismi in genere se mancasse, mettiamo, il potassio che concorre a
formarli, essendovi quindi un ministro della vitcu Allo stesso modo
V atteggiamento morale dell'uomo, quale è al presente, verrebbe meno, se
mancasse il coef- ficiente del riso, che concorre a formarlo, essendovi
quindi con ciò anche esso un ministro del bene. Il quale
ragionamento poi va ripetuto per tutti i sentimenti umani ad uno ad uno,
che sono altrettanti coefficienti dell* Idealità sociale direttiva delle
azioni u- mane, attivandola sotto la forma di generi speciali dì
Idealità o di Giustizie. E della varietà inesauribile di queste, per tale
via ottenute, è un saggio V arte, che nella scultura, nella pit- tura, nella
poesia, nella prosa, riproduce dalla coscienza, in tante forme, gli
atteggiamenti morali dell' uomo. In tante forme li ha riprodotti, e in tante
ancora, senza fine, è atta a riprodurla 3. — E i sentimenti umani riescono cosi
coefScienti della Giustizia, perchè un sentimento, qualunque sia, essendo la
reazione corrispondente ad un atto, ne è anche la Sanzione ; e chi commette V
azione atta a susci- tare un sentimento incontra una Responsabilità in ordine
ad esso. Anche ciò è essenziale al concetto naturale vero e pieno
della Responsabilità umana. Anche ciò quindi appartiene all' ordine
naturale della Giustizia nella varietà delle sue formazioni. Il
restringere 1* ordine della Giustizia a quei pòchi atti ai quali si
rìduceva una volta, e che si abbraccia- vano nei dieci comandamenti del
decalogo, è eflFetto di nna grossolana e non scientifica idea della cosa.
Come il restringere che fa il volgo dell' idea dell' animale a
quelli che sono forniti di occhi e di gambe per camminare: e il restringere l'
idea del vegetale a quelli soltanto che hanno le foglie verdi.
La scienza ha trovato animali anche senz' occhi e fissi alle pietre
; e vegetali senza foglie e senza verde. E cosi trova delle Giustizie
senza la Sanzione del carcere e della multa. La restrizione suddetta
corrisponde insomma perfet- tamente a quella che fa il volgo e fecero gli
antichi delle specie degli animali, credute poche e sempre quelle e
mo- dellate a priori sugli esemplari fatti passare da dio in
rivista davanti ad Adamo nel paradiso terrestre. E dipende dalla
stessa ignoranza della legge della formazione naturale. Poche,
dicevano, e sempre quelle, le specie degli ani- mali ; e create
direttamente da dio, e mostrate ad Adamo al principio del mondo nel
paradiso terrestre. E cosi, poche e sempre quelle le specie della
Giustizia, impresse da dio direttamente neir anima di ogni uomo che
nasce e scritte sulle tavole di Mosè dalla cima del monte Sinai [cfr.
Grice, ’10 comandi’, decalogo] La scienza sbugiardò V idea meschìnissima
quanto alle specie degli animali. Sbugiarda col positivismo l'idea
meschinissima quanto alla Giustizia. Non dio, autore delle specie degli
animali; ma la natura: e le specie, un nu- mero stragrande; e non fisse,
ma variabili; e variabili accidentalissimamente. E cosi, non dio autore
delle specie della Giustizia, ma la natura : e queste specie, un
numero stragrande e immensamente differenziato ; e non fisse, ma
variabili; e variabili accidentalissimamente. L'idealità sociale, ossia
la giustizia morale, formata che sia nella coscienza dell' individuo, vi
fun- ziona come una forza speciale, nel senso antiegoistico
chiarito nella Morale dei Positivisti; e vi produce un doppio effetto,
secondo che si applica al giudizio e alla direzione delle azioni
individuali proprie, ovvero al giu- dìzio e alla direzione delle azioni
degli altri. Da questo secondo effetto dipende la vitalità
intrin- seci e vera della Società, considerata siccome un organismo
naturale nel senso proprio della parola. Perchè la Giustizia, parlando
nella coscienza dell' individuo, è la potenzialità indistinta onde
originano i distinti dei Po- teri sociali effettivi e delle Leggi da essi
emananti; e perchè la Giustizia potenziale degli individui
associati collabora a rendere efficace l’opera del potere e della
legge sociale. E come se si dicesse che un organismo, pogniamo
vegetante, si sviluppa nei suoi organi caratteristici mercè la vitalità
delle parti componenti: e che poi T attività di questi organi speciali è
operativa de' suoi effetti par- ticolari sopra le parti mercè il concorso
della vitalità che si mantiene nelle parti stesse. Sempre insomma la
legge generale della formazione naturale, che l' indistinto non
cessi mai di sottostare al distinto, e di offrire cosi la ra- gione
naturale e del suo essere e del suo operare. Cosi si osserva che
una legge in un paese rimane senza efficacia e come lettera morta se, a
farla valere, è solo il Potere, e non lo ajutano di conserva le
singole coscienze dei cittadini; le quali, accogliendo in sé la
forza viva già formata della Giustizia morale, ne ricevono un impulso
atto a muoverle alla disapprovsizione degli atti contrari alla Legge e a
concorrere per quanto possono a farla valere. E, quanto sia vero
ciò che affermiamo, lo di- mostrano i fatti sociali tutti quanti. Anche,
per esempio. r interesse vivissimo onde si tien dietro allo
svolgimento di un processo criminale, pur dei paesi lontani, pure
re- lativo a persone che non ci riguardano punto, né diret-
tamente, ne indirettamente. Che più? Tanto è viva e potente
nell'uomo T idea della Giustizia antiegoistica, che egli non può stare che
non ne provi V eflFetto più vivo anche pei fatti immagi- nari delle fole,
dei racconti, delle poesie, dei drammi. Data r immaginazione di un fatto,
al quale sia applica- cabile l'idea della Giustizia, questa per legge
psicologica indeclinabile si ridesta nella mente, e col suo
naturale atteggiamento: come in tutte le altre associazioni men-
tali. In ciò la spiegazione della vivezza della voluttà, onde si leggono
o si odono i suddetti racconti, e si as- siste ai drammi. E la vivezza di
tale voluttà è il termo- metro che prova la presenza nella coscienza
della idea efficace della Giustizia e ne ne misura l' intensità. La
punizione materiale, vendicatrice della Giu- stizia, sarà necessaria
quindi in ragione inversa della ef- fettuazione nella coscienza della
Idealità sociale giusta. Meno sarà questa, e più dovrà essere la severità
e la prontezza della pena materiale, che n' è la Sanzione. Il che,
come altrove dicemmo, si fa per due scopi: per quello di supplire, colla impulsività
dall' esterno della minaccia del castigo, al difetto della impulsività
dall* in- terno della Idealità sociale direttrice dell'azione: e
per quello di giovare a produrre questa impulsività nel!' in-
dividuo. Onde, più questa è già prodotta, e meno occorre di coazione a
supplirla. E al massimo assoluto della produzione della detta
impulsività corrisponderà V assenza del bisogno della coa- zione
materiale e la sufficienza per la Moralità del puro fatto psichico della
idea e della disposizione della Giu- stizia, e del giudizio mentale
dettatone di approvazione e disapprovazione dell' atto relativo.
Ciò nel rapporto dinamico tra chi detta la Legge e chi ne è
obbligato ad eseguirla. Ma e' è di più. La effettuazione della
Idealità della Giustizia, in ra- gione che più avviene, più paralizza il
suo contrario, onde deriva; cioè la Prepotenza. E quindi i
sentimenti nei quali questa si esprime: come è, tra gli altri,
quello della vendetta considerata quale sodisf azione egoistica. E
più invece ravviva i sentimenti antiegoistici, come quello della
benevolenza altrui. Ravviva cioè i sentimenti che, nella Morale dei
Positivisti (i), distinguemmo colla denominazione di pietosi, dopo avere
dimostrato che la Pietà è il carattere del sentire dell' uomo in corrispon-
denza della sua formazione caratteristica della Idealità sociale.
Per conseguenza, la stessa pena materiale, a misura che una Società
diventa civile, va perdendo del carattere di una vendetta espiatoria ed
appassionata, assumendo quello di un semplice rimedio; che si applica a
malin- cuore e con sentimento di compassione essendocene il bisogno
e per questo bisogno solamente. E in generale, questa qualità della
assenza del carat- (i) Libro I, Parte III, Capo III, n. 7 (Pag. 150,
151 del Voi. Ili di queste Op, fil, nella ediz. del 1885, e pag. 158, 159
nella ediz. del 1893 e del 1901, e pag. 163, 164 nella ediz. del 1908) e
altrove. tere appassionatamente vendicativo e di pura
espiazione si trova nella Società assai più nella reazione del
Potere, che rappresenta maggiormente V Idealità antiegoistica, di
quello che nella reazione della Convenienza, nella quale assai più rimane
dell' egoismo e della Prepotenza. E, negli atti stessi della
Convenienza, la vendetta appassionata, egoistica, prepotente, è più o
meno in ra- gione che è più o meno eflFettuata V idea della
Giustizia neir individuo reagente. Ossia, in una parola,
quantunque la Giustizia im- plichi la Responsabilità, e questa una
Sanzione o una vendetta punitrice, tuttavia, compiuta che sia come
for- mazione psichica individuale essa Giustizia, vi si dissi"
mula o vi si fa latente la vendetta relativa: a quello stesso modo che,
formata che siasi in una sostanza la sua affinità chimica per la trasformazione
in questa di un certo numero di calorie, il fenomeno propriamente
ter- mico vi si dissimula e non si manifesta più in una tem-
peratura misurabile col termometro. E torna cosi, anche nello studio
della Respon- sabilità e del carattere della Idealità sociale come Giu-
stizia, il principio più volte illustrato nella Morale dei Positivisti
per altre vie (i), del regno della Giustizia sot- tentrante nella
Società, di mano in mano che questa si perfeziona, al regno del
fato. E torna ad apparire del pari il carattere speciale deir
uomo formato sotto V influenza dell' ambiente o del- (i)
Libro II, Parte IV. Capo II, n. 16 (Pag. 399 del Voi. Ili di queste Op,
fil. nella ediz. del 1885, e pag. 422, 423 nella ediz. del 1893 e del 1901,
e pag 432, 433, nella ediz. del 1908) e altrove.
PPipm>yi^"imtVi- k^i.J»^-» ■-pr^\»y-^r* t-^»t-«- ^vv --..
vt-w- l'organismo sociale: ossia dell' uomo virtuoso, o
sapiente, che dir si voglia. Per lui basta, ed è tutto, V
idea della Giustizia ; e il giudizio che fa egli stesso di se medesimo in
virtù di essa: e al di fuori e al di sopra di ogni punizione mate-
riale. Come dice Dante di Virgilio: El mi parea da sé stesso
rimorso, O dignitosa coscienza e netta, Come t' è picciol fallo amaro
morso! E, relativamente al malvagio che lo oflFende, in ra-
gione della offesa, anziché il sentimento della vendetta, cresce in lui
quello della pietà. Come in quel divino cro- cefisso, al quale, negli
spasimi di dolore cagionatigli dalla più atroce delle ingiustizie col più
atroce dei supplizi, l'offesa immensa non riusci che a trargli dall'anima
la preghiera sublime : Padre, perdgna a questi miei crocifis- sori,
perchè non sanno quello che si facciano. Abbiamo parlato di quello
che, sulla fine del primo, avevamo chiamato il secondo degli uffici del
Potere. Resta dunque a parlare del primo di questi uffici,
che dicemmo essere di stabilirsi nella Società a spese delle sue parti; e
del terzo che dicemmo essere di di- spensare nell'effetto del
miglioramento delle parti quella forza comune dell' ambiente sociale che
opera per esso Potere. E lo faremo, cominciando la
illustrazione divisata in questo Capo e nel seguente, e compiendola nelF
ultimo. 2. — La Giustizia propriamente detta non è tutta la
moralità. Questa Giustizia, cóme vedemmo, riguarda la ifuo-
lumità delle parti sociali. E quindi è il solo lato nega- tivo della
Moralità. Ma la Moralità ha anche i suoi lati positivi: come
quelli indicati dalle parole Diritto e Autorità; e quello dei mezzi
onde si costituisce e vive il Potere, organo della Società; e quello del
Premio della virtù. Anche di questi lati positivi quindi (e sotto
il punto di vista prefissoci (i) della Responsabilità) si deve
chia- rire la formazione naturale. Con ciò potrà rimanere spie-
gato appieno il fatto naturale della Moralità, e la ragione della
Responsabilità potrà apparire sotto tutti i suoi aspetti reali.
§11. Criterio positivo del Diritto e del Dovere. Il Diritto
(come dimostrammo nel luogo più volte citato della Morale dei
Positivisti) è la stessa potenza libera che si avvera rielT essere
umano. Considerato questo essere isolatamente, il Diritto, come
dicemmo sopra, coincide colla Prepotenza; e di- venta il Diritto sociale
antiegoistico e giusto (o il Diritto propriamente detto) in quanto è
ridotto in limiti deter- minati dal contrasto della potenza opposta degli
altri uo- mini consociati. Vale a dire: la potenzialità
astratta dell' individuo, nella condizione eflFettiva del suo esercizio
(cioè di fronte alle reazioni delle potenzialità degli altri), diventa
una potenzialità reale determinatamente limitata dalla effi- cienza
contrastante delle potenzialità degli altri uomini. 12) Libro I, Parte II,
Capo IV. n. 15 ecc. (pag. 125 del Voi. nidi queste Op, ftl. nell' ediz.
del 1885, e 131 dell' edìz. del JS93 e del 1901, e pag. 135 nelle ediz.
del 1908). Voi. IV. 9 Tf^r»* Con che
però resta sempre il principio, che il Di- ritto di un uomo è ciò che
esso può fare. Resta sempre ; per la ragione xche, posto V uomo
di fronte agli altri, e rimanendone elisa per tale relazione una
parte della potenzialità, la potenzialità sua effettiva non è tutta V
astratta, ma solamente quella che residua dalla elisione sofferta.
E, per togliere ogni dubbio su ciò, basta V osserva- zione del
fatto che, cambiandosi le condizioni e i rap- porti dinamici, onde
dipende la elisione di una parte della potenzialità di un individuo,
questa torna attiva, e con ciò torna Diritto. Il potere di staccare
un frutto ma- turo da un albero non è Diritto dove il contrasto del
possesso altrui impedisce di esercitarlo; ma tolto questo contrasto
(portandoci, mettiamo, in una regione nella quale le piante sono
proprietà comune) lo stesso potere di staccare il frutto torna Diritto,
per la sola ragione che non ha più T impedimento al suo esercizio del
possesso altrui. Il Diritto quindi, come dicemmo pure nello
stesso luogo della Morale dei Positivisti, se in astratto è identico per
ogni uomo, (essendo Tuomo in astratto identico all' uomo) nella realtà
per ogni uomo è diverso, per la ragione che la potenzialità di un uomo
differisce sempre nel caso pratico da quella di un altro: quella
del maschio, ad esempio, da quella della femmina; quella dell' adulto,
del sano, del civile, del colto, dell' educato, dell' uomo di genio, da
quella del bambino, del malato, del selvaggio, dell' ineducato, dell'
imbecille ; e via dicendo. wyfmwii^i ' P Jl >»u- .ry
-"^.-^v- ■f^.-.-v-.-f-— l’uomo ha nella natura in forza del
suo arbitrio in quanto è deter- minato dalla Idealità lituana che è la
Idealità sociale. Qui colla spiegazione della formazione della Giustizia
(o dell' Idealità sociale) spieghiamo anche la formazione del Diritto, e
quindi ne indichiamo le condizioni dettagliatamente, che si possono riassumere
nel quadro che segue : A) Arbitrio umano libero. Non il potere generico della
cosa sulla cosa. Non quello della persona in condizione irresponsabile. B)
Arbitrio libero di un uomo (sulla cosa o sull* uomo) in con- fronto colla
reazione delVarbitrio libero dell* altro uomo. Non dove non si pone questa
reazione : e in quanto è regolata dalP Idealità so- ciale. E in ordine a ciò: Arbitrio
libero di un uomo in confronto con una reazione pos- sibile. E qui Diritto
potenziale o naturale. Arbitrio libero di un uomo in confronto con una
reazione reale. E qui Diritto di fatto o positivo^ nelle diverse forme di
questo. il Diritto può essere nello stesso tempo un Dovere, e non
che deòòa. E perchè questa differenza fra Diritto e Diritto?
Rispondendo, apparirà insieme come e quanto con- vengano fra loro
le definizioni apparentemente diverse da noi date del Diritto nella
Morale dei Positivisti (nel luogo sopra citato), dove dicemmo che è in se
stesso la Giustizia, o la Legge o la Idealità sociale, e qui, dove
diciamo che è un potere libero implicante una Respon- sabilità verso una
Sanzione che ne salva V esercizio. Nel caso di chi mangia la propria mela,
M impulsi- vità traente all' azione è data, non dalla Idealità
sociale « antiegoistica, ma dall' istinto egoistico, o da quella
che dicemmo la Prepotenza, precedente T Idealità morale propriamente
detta. Trattandosi di questa Prepotenza, la Re- sponsabilità r accompagna
solo in quanto la limita, e non in quanto la produca. E quindi la stessa
Responsabilità ha con essa un rapporto unico. E. per ciò non può aver che
il nome di Diritto, ossia si può pensare soltanto che r esercizio ne è
reso incolume dalla Responsabilità che lo salva. In vece, nel caso
del padre che educa il figlio, T im- pulsività traente all' azione è data
dalla Idealità sociale antiegoistica, ossia da qualche cosa che è già una
Giu- stizia, implicante quindi T elemento della Responsabilità. Da
ciò proviene che il potere del padre di educare il figlio sia fra due
rapporti: fra quello di eserizio incolume, in quanto è salvaguardato da
una Sanzione sociale relativa, onde è Diritto; e quello che il padre è alla
sua volta obbligato, pure per una Sanzione sociale relativa. ad
avere in sé la Idealità della sua disposizione o del suo potere di
educare il figlio, onde è Dovere. In una parola, il potere
egoistico, non derivando estrinsecamente dall' ordinamento sociale, ma
dalla stessa spontaneità dell' individuo, non può importare se non la
Responsabilità di chi volesse impedirlo. E quindi è solo un Diritto.
Mentre invece il potere antiegoistico, deri- vando come tale dall' ordinamento
sociale, che lo ingenera per mezzo della relativa Sanzione, impòrta due
Re- sponsabilità. Una per chi non lo rispettasse: onde gli
corrisponde il Dovere in un altro. Ed una seconda per chi non lo avesse e
non lo esercitasse : onde, sotto questo rispetto, è un Dovere esso
stesso. Dunque il Diritto è sempre una potenzialità che importa una
Responsabilità, secondo la definizione che qui ne abbiamo dato. Ma questa
potenzialità può es- sere determinata da una Legge, o Giustizia, o
Idealità sociale, secondo che importava la definizione data nella
Morale dei Positivisti, In questo secondo caso, come ivi dicemmo, il
Diritto è nello stesso tempo un Dovere. Non cosi quando la po-
tenzialità è di un ordine estramorale. 8. — E cosi siamo arrivati, per
mezzo della analisi positiva del fatto umano e sociale, a scoprire //
criterio positivo del Diritto e del Dovere. Con questo criterio (e
non altrimenti) si possono ri- solvere i problemi che li riguardano; e
specialmente i quattro fondamentali che seguono: circa i Diritti
dell' uomo sopra le altre cose della natura. Circa i Diritti dell' uomo
sopra se stesso. Circa i Diritti di Autorità. Circa il Diritto, non
di Giustizia, ma di Carità o Beneficenza, che dir si voglia. Nell'esempio
innanzi citato di uno che pigli dei pesci notammo, che il Diritto di chi
lo fa è solo per quanto il fatto riguardi altri uomini, e non per
quanto riguarda i pesci. Coi pesci, che prende, l'uomo ha il
semplice rapporto generale della cosa colla cosa, quale è quello,
pogniamo, della foglia verde oscillante al sole e rubante all'atmo-
sfera la molecola di acido carbonico che vi nuota dentro e si imbatte
alla portata delle boccuccie predatrici. In confronto col pesce 1' uomo
non ha né Diritto né Dovere. Esso, in forza del potere onde é fornito, ne
usa e ne abusa senza offesa della Moralità, che é estranea a tale
ordine di azioni. E nessuno dice reo di colpa e im- morale, né il
pescatore di professione che trae dall'acqua il pesce e ne contempla
impassibile gli spasimi dell'asfis- sia, onde muore dibattendosi
convulsivamente sulla secca arena, e lo piglia cosi per procacciarsi da
vivere; né il pescatore dilettante, che gli infligge quel martirio
per semplice spasso. Ma nella Civiltà progredita si può arrivare
fino al punto di estendere il carattere del Dovere anche alla detta
azione dell' uomo in rapporto col pesce. La Zoofilia - 138 - (che è
una tendenza della Civiltà progredita) cosi parle- rebbe in proposito air
uomo ; — Il pesce, prendilo pure : x:hè ti abbisogna per vivere. Ma nel
farlo non eccedere i limiti della stretta necessità. Prendilo per quanto
ti oc- corre, o per mangiarlo, o perchè ti è di danno o di pe-
ricolo il viver suo. Altrimenti rispetta in lui il godi- mento della
propria vita. E, dovendo prenderlo, fa ia modo che avvenga col minore suo
dolore possibile. E tutto ciò consideralo siccome un tuo Dovere verso il
pesce. E, un Dovere analogo, i moralisti più delicati oggi lo
stabilirebbero, non solo pei pesci, ma anche per tutti gli altri animali;
e non solo per gli animali, ma anche per le piante ; e non solo per le piante,
ma anche per le cose inanimate senza distinzione. Stabilirebbero cioè
quel- la ordine quarto di Doveri, che chiamano dei Doveri del- l'
uomo verso le cose della najtura: essendo V ordine primo, secondo loro,
quello dei doveri verso dio; il secondo, quello dei Doveri, verso se
stesso; il terzo, quello dei Doveri verso il prossimo. E come ciò? E
giusta tale estensione dell'idea del dovere? E, se giusta, non si avrebbe
con ciò una smentita alla nostra dottrina della formazione naturale
deir idea del dovere? Dicemmo che la effettuazione della Idealità
della Giustizia, in ragione che più avviene, più para- lizza il suo
contrario , . , e più invece ravviva i sentimenti antiegoistici, che
distinguemmo col nome di pietosi, caratteristici del sentire dell' uomo in corrispondenza
colla sua formazione della Idealità sociale. In ordine a ciò,
parlando in ispecie della Idealità sociale della famiglia, nella Morale
dei Positivisti (i) scri- vemmo quanto segne: — Questa Idealità
diversifica se- condo le varietà umane. Rozza fra le rozze, gentile
fra le gentili ; portante a illimitato uso di potere nelle So-
cietà embrionali, ristretta alla mera necessità dell* alleva- mento,
dell' educazione, e dei riguardi necessari, nelle So- cietà più perfette
; e cosi via per altre diversità e grada- zioni senza numero. Sicché si
può dire, che, se dal bruto air uomo r idealità in discorso si umanizza,
questa uma- nizzazione è neir uomo stesso maggiore o minore. E,
dove è minore, vediamo T effetto, e nella forma ancor fiera del
sentimento relativo, e nella sua limitazione, restringen- dosi, o alla
nazione, o allo stato, o ^alla tribù, o ad un semplice branco di uomini.
Mentre, dove è maggiore, ve- diamo Teffetto, e nella gentilezza del
sentimento, e nella sua estensione, che abbraccia tutti quanti gli
uomini, per quanto diversi e immeritevoli: e travalica anche il
con-- fine dell'umanità, e si presta a che l'uomo sia pietoso anche
cogli animali inferiori, e perfino cogli esseri inanimati, La pietà cosi
estesa, o in genere Tappi icazione del potere proprio verso le cose 7iei
limiti del necessario e del ragionevole, è una moralità indiretta, e non
una mralità diretta. Che questa è solo quella che dipende
immediatamente dalla reazione tra uomo e uomo; e che quindi ha per correlativo
una Sanzione sociale e conseguentemente ne implica la Respc^nsabilità.
(i) Libro I, Parte III, Capo III, 11. 6 (|)a^. 149, 150 del voi. lU di
queste Op. fiL nella ediz. del 1885, e pag'. 156, 157 nel!' ediz. del
1893 e del 1901, e pag. 161, 162 nella ediz. del 1908). Onde storicamente
(nella successione dei periodi della evoluzione della Moralità umana), e
statisticamente (nei gradi di evoluzione della Moralità propria dei
diversi ordini costitutivi di una stessa Società) da prima si ha solamente
la Moralità diretta, o che riguarda V uomo e non le cose. Le genti
più rozze oggi e, fra le genti più colte, le persone che lo sono meno, né
sentono né sospettano neanco che la Moralità possa riferirsi anche agli
atti relativi ai bruti e alle cose inanimate. Il decalogo mosaico,
sintesi dei precetti morali di uno stadio evolutivo antico e non ancora
perfetto della Moralità, non ne fa cenno nemmeno esso. Ma,
sviluppatasi più fortemente col progredire della civiltà nel sentimento pio la
espressione della Idealità antiegoistica, questa dovette risentirsi e
muovere ogniqual- volta nella rappresentatività umana si fossero avute
anche solo delle analogie coi fatti umani eccitatori dello stesso
sentimento pio. E ciò per la legge generale della attività
psichica, la quale importa che la rappresentazione somigliante (os-
sia il ritmo analogo dell' attività centripeta) determini affetti e
volizioni somiglianti (ossia ritmi analoghi dell’attività riflessa).
Mansuefatto l’uomo per l’effetto dell' ambiente sociale, e reso più umano, e cresciuta
in lui la potenza pietosa, questa dovette scuotersi al palpito, non solo
delle viscere del fratello immolato dalla ferocia dell' assassino, ma
(per somiglianza della cosa) anche di quelle dell’agnello semivivo sul lastrico
del pubblico macello. Do- ||Wli|ILP!iWWiJi,iS"iWii vette
scuotersi perfino alla dilaniazione dei ramoscelli vivi di una pianta,
onde il pensiero è tratto per analogia a rappresentarsela con un senso di
dolore. Come quando Goethe canta di una pianticella di rosa. Der wilde
Knabe brach* s Rdslein auf der Heiden ; Ròslein wehrte sich und
sùach, Hai/ ihm dock kein Weh und Ach ! Mussi* es eben leiden,
E siccome il senso della pietà è, come dicemmo, il sentimento riassuntivo
dell’idealità antiegoistica, ossia doverosa, cosi il concetto vago del
dovere, colla sua imperatività astratta e quindi misteriosamente
indefinita, dovette associarsi anche alla Pietà sentita in causa dell’analogia
per T agnello e per la rosa ; e conseguente- mente si dovette
indirettamente o per riflesso, la ragione del Dovere, estenderla anche al
rispetto di un animale e di una pianta. Ed è ciò che confusamente
presentirono quei vecchi sensisti che posero la facoltà immaginaria del
senso della Moralità, o queir altra misteriosa della *simpatia* o
compassione. Ma la cosa può andare anche più oltre. Il sentimento
pio medesimo, rimanendo offeso in chi è testimonio della azione spietata,
compiuta da una per- sona o sopra un bruto o sopra un' altra cosa, e
perciò in lui risentendosi, può far sì che egli si esprima ripro-
vando r azione offendente. Tale espressione riprovatrice sarebbe una vera
San- zione vendicatrice della resizione di Convenienza, e che — 142
— potrebbe essere assunta dal Potere, quando esso (come è
possibile, anzi probabile, an2i in gran parte si è già fatto (i)
progredendo la Civiltà) convertisse in Legge pubblica il giudizio privato
divenuto comune. Come è notissimo, in tutti si può dire i paesi civili si
sono formate delle società per la difesa degli animali, e si sono
fatte delle confederazioni di esse anche internazionali, e si tengono
di tratto in tratto dei congressi dei loro rappresentanti. E si sono
anche fatte delle leggi proibitive degli eccessi contro le povere bestie.
E credo opportuno riportare (jui tradotto un tratto a proposito del
Konversations Lexikon del Brockhaus (Lipsia, 1895 voi. 15, pag. 844) — La
legislazione più antica contro quelli che maltrattano gli animali ci è presentata
dall' Inghilterra dove essi erano puniti fino dal secolo passato. Seguì
una serie di leggi per la protezione degli animali domestici, per la
proibizione delle giostre delle fiere, per la limitazione delle
vivisezioni. Relativamente presto anche la Germania dettò leggi nello
stesso senso ; oltre le misure di polizia, il codice penale sassone del
30 marzo 1838 indisse la prescrizione generale per la quale si deferivano
alle autorità di polizia le punizioni per gli eccessi dell' uso anche
legittimo degli animali. Seguirono tosto la Prussia, il Wtirtemberg, ecc.
con prescrizioni in parte più estese. Al presente vige un paragrafo del
codice penale dell' Impero, col quale è punito con una multa che va fino
ai 150 marchi, o col carcere, chi pubblicamente o in modo da fare
scandalo con malvagità d' animo tormenta o tratta male gli animali. Oltre
ciò sono in vigore nei diversi stati delle ordinanze speciali delle
autorità amministrative proibitive di particolari maltrattamenti degli
animali e in favore di un contegno ad essi favorevole, e in specialità
con prescrizioni circa il trasporto degli animali, i cani da tiro, la
macejleria, il sopraccarico dei carri ecc. Nell'Austria, oltre certe
ordinanze speciali delle autorità, ha valore di legge 1* ordinanza
ministeriale del 15 febbraio 1855, che dichiara punibile il
maltrattamento degli animali che desti pubblico scandalo ; in Francia la
cosidetta legge Grammont del 2 luglio 1850 per la protezione degli
animali domestici, ecc. I rappresentanti delle società per la difesa
degli animali tendono a che la punibilità si estenda maggiormente e non
si limiti a restrizioni fissate, come per esempio la pubblicità def
maltrattamento. Di tale tendenza pare ab- biano tenuto conto la Svizzera,
1' Italia (art. 491 del Codice penale del 1889), il Belgio (Codice penale
del 1867), l'America del Nord, ecc. ■^i^i Nel qual caso poi si
avrebbe una doverosità diretta formatasi da una indiretta. E con una
Sanzione e una Responsabilità, non misteriosa e indefinita e vaga,
ma determinata. E lo stesso avviene poi per molte altre dell’idealità
morali. E anche per un altro verso V esercizio del po- tere di un
uomo sulle cose può finire coir essere gover- nato da una doverosità.
Come dove uno, che possiede un podere e potrebbe farne lo strazio che
volesse, è tratte- nuto dair idea di non lasciare i figli senza pane.
Nel quale ordine di idee cade il fatto della legislazione sulla
interdizione dei prodighi. E per altri versi ancora; e per moltissimi.
Ogniqual- volta cioè r esercizio del potere, di un uomo sulle cose
offende, o affetta in qualsiasi maniera, il senso e l’appreziazione dell’altro e
ne provoca una reazione, incontrandone quindi una sanzione e la
responsabilità. E in tale ordine di casi è da notarsi che certi atti
fisiologici necessari ed inevitabili, ma incomodi o al senso esterno o al
sentimento estetico, importano una dovero- sità solo in quanto sono
compiuti da un uomo alla pre- senza di altri e non in quanto sono fatti
in disparte e in segreto. Fatta però V abitudine di considerare gli
atti mede- simi fatti alla presenza degli altri come illeciti, V
idea della loro sconvenienza si associa poi ad essi • tanto o
quanto. anche compiendoli nascostamente. E quindi l'uomo, a misura che
diventa civile e moralmente più perfetto, si studia o di evitarli più che
è possibile o, non poten- . I !ij.i«pj dolo assolutamente, di eseguirli
nel modo meno inde- coroso. Ciò conferma anche la dottrina positiva
già da noi accennata (i) della formazione naturale dei Doveri del-
l' uomo verso se stesso. E spiega in pari tempo il fatto curioso delle
an- tiche Moralità religiose, che consideravano alcuni fatti
fisiologicamente necessari dell'uomo, anche compiuti in- segreto, impuri
e tali da inquinarlo, e richiedenti quindi i riti della
purificazione, 7. — Secondo le idee religiose T arbitrio sulle cose
sarebbe una concessione di dio, creatore e quindi proprie- tario di esse: e in
forza di questa concessione l'arbitrio medesimo sarebbe intero ed assoluto ed
esente dalla restrizione doverosa sopra chiarita di un trattamento umano
e di un uso razionale, mancando il precetto divino rela- tivo, che solo,
secondo le idee stesse, può stabilire la ra- gione del Dovere. E da
ciò si vede che il positivismo, anziché distrug- gere la Moralità, è atto
invece ad allargarla più che non lo faccia la religione. La quale anzi,
nella sua gelosia pel monopolio arrogatosi della morale, si irrita e si
im- penna per questo eccesso (come essa lo chiama) di Mora- lità positiva
della Società moderna più colta, che vuol essere buona anche colle bestie
e coi fiori. La religione si sente in ciò moralmente soverchiata, e
se ne vendica chiamando questa bontà, che essa non sente e non può
insegnare, cosa diabolica e perversa. (i) Vedi sopra Capo II, J VI, n.
14, e la nota (2) relativa. Si teme che, perduta la religiosità, V uomo
tor- nerà alla ferocia brutale della prepotenza egoistica; e non si
vede che invece il positivismo è ancora più umano e morale che non la
religione. Cosi si lamenta che la Civiltà vada distruggendo la
ingenuità santa dei tempi antichi ; e non si vede che' i santi ingenui
dei vecchi tempi, perfino le matrone pa- trizie e venerabili, erano,
verso le stesse persone umane degli schiavi, più fieri e crudeli che il
rozzo mulattiere colla sua bestia ricalcitrante, e il ragazzo ineducato
col- r insetto che strazia senza pietà. L' uomo del
positivismo non si umilia irragionevol- mente col credere che V uso delle
cose, sulle quali sente di avere un potere, sia una concessione gratuita
e capric- ciosa che gli sia stata consentita dal talento o dalla
mi- sericordia di qualcheduno. Ed è orgoglioso di ritenere cosa sua
ciò che egli è in gprado di appropriarsi: anche i mari, le montagfne, il
vapore, V elettricità, che non sono enumerati nel rogito di consegna del
paradiso terrestre. Ma ciò non impedisce che egli agisca verso le cose
con meno insolenza dell' uomo religioso e con maggiore mitezza. Il
proposito del positivista non è quello avaramente egoistico del moralista
della religione, che dice a se stesso: — Queste cose dio me le ha date in
proprietà: dunque perchè non ne caverò per me tutto il pro- fitto
possibile? Il suo proposito è quello retto, onesto, morale della
razionalità, di servirsi cioè delle cose pel bene in genere, proprio od
altrui ; fosse pur anco solo il bene delle cose che non sono lo stesso
uomo. Voi. IV. IO '■■■^ ^ Pel moralista della religione le
cose sono una pro- prietà, onde dio, che le ha create e può quindi
disporre a suo talento, lo ha investito, col controsenso che abbia
ancora a sudare per raccogliere i frutti del campo, e lot- tare contro la
rabbia, molte volte fatale, delle bestie fe- roci. Il moralista del
positivismo invece, fiero di se stesso, audace, generoso come Giapeto,
non riconosce donatori. Egli si sente- padrone della natura come frutto
della siia conquista faticosa ; e, come un duellante cavalleresco,
al- l' elemento immite della natura dice: Eccoci alla prova; se
varrai più di me soccomberò io; sarai tu a soccom- bere, se sarò io il
vincitore. Ma si dice dal moralista religioso, che un Do- vere
originato nel modo da noi detto sopra non è pro- priamente un Dovere : e
che, se V ha fatto V uomo, esso può anche disfarlo. Secondo il
moralista religioso il Dovere propriamente detto è quello che non è
abbandonato alla balia del ta- lento mutabile e capriccioso dell'uomo:
onde è neces- sario che sia un comando di dio, al quale non è
possi- bile sottrarsi. E in tale credenza è secondato dalla falsa
idea, pur generale ancora fra gli stessi positivisti, che le buone
azioni in genere, e in ispecie la pietà verso i bruti e la ragionevolezza
neir uso delle cose, siano naturalità irre- sponsabili, al pari,
mettiamo, degli effetti delle cause fi- siche sui corpi: disconoscendosi
cosi, per ispiegare i fatti in discorso, la loro natura morale, che è
pure una realtà attestata sperimentalmente. Il positivismo
(malgrado i positivisti che sbagliano) vita futura, conchiudono generalmente
che l'uomo da nulla è obbligato ad avere rispetto alla propria vita,
poiché, suicidatosi, rimane senza efficacia qualunque minaccia che la Società
ponesse a trattenerlo. E che quindi sia V uomo anche moralmente padrone
assoluto della propria vita, e possa disporne come gli talenta. Queste sono due
soluzioni opposte ed estreme. False ambedue, perchè dedotte da una idea
del Dovere scien- tificamente non vera. Una doverosità diretta,
relativamente al suici- dio, certo che non si può trovarla, poiché, né ha
nes- suna presa sul suicida una minaccia di punizione per parte
della Società sulla di lui persona, che se ne sot- trae col suicidio
stesso, né é ammissibile l' idea della Legge divina e della immortalità
dell' anima. E, assolutamente parlando, quanto alla conservazione della
propria esistenza, V uomo potrebbe considerarsi nella condizione estramorale
indicata sopra parlando degli atti deir uomo sopra le cose della natura.
E quindi, come non si ascrive a merito il tendere, nelle condizioni
nor- mali dell'animo, a conservarsi in vita, e neanche a tirare il
respiro (quantunque a ciò si possa concorrere anche colla volontà), cosi
il suicidio potrebbe essere riguardato semplicemente quale effetto
naturale di condizioni anor- mali dell' animo di un uomo, come il tossire
delle con- dizioni anormali degli organi della respirazione. Ma, se
non una doverosità diretta, si può bene avere, circa il suicidio e la
conservazione della propria vita, una doverosità indiretta; per la
ragione che molte e diverse Idealità morali doverose, connesse col
fatto della conservazione della vita, possono essere presenti
imperativamente (ossia con una impulsività morale o do- verosa) nella
coscienza disposta al suicidio; e rivestirne la deliberazione del
carattere della reità morale. Mettiamo un padre disposto a suicidarsi,
che pensi di creare, facendolo, la infelicità materiale e morale
der figli superstiti. O uno che pensi danneggiare suicidan- dosi
dei creditori onesti, che si sono fidati di lui e lo hanno beneficato
prestandogli del denaro, che avrebbe potuto pagare almeno in parte
continuando a vivere. E cosi via per moltissimi altri casi consimili
(i). (i) Molto istruttivo per questo è il noto dramma di Paolo
Ferrari, intitolato // Suicidio^ nel quale, come le tirate spiritualistiche
sono freddure senza fondamento scientifico, senza sugo e ridicole, che
è strano che egli creda che si possano prendere sul serio, cosi
invece è pieno di verità e di effetto il quadro delle conseguenze nella
fa- miglia superstite del suicida. Onde poi si deduce che anche nei
casi nei quali la doverosità affetta, per impedirla, la deliberazione del
sui- cidio, questa doverosità non è sempre la stessa, ma varia
secondo il numero, la importanza e la qualità delle ra- gioni morali
intervenienti. Cosi, se un corpo insipido per sé acquista un sapore da
sostanze che glielo danno, que- sto suo sapore varia secondo la diversità
delle sostanze dalle quali Io riceve. Tanto è vero poi che la
doverosità non è in- trinseca al suicidio per se stesso, e gli è.
conferita, quando si dà che Io accompagni, da ragioni morali
intervenienti diverse secondo i casi, che si può pensare Inter
venirvene anche di opposte; e tanto da produrre perfino la dove-
rosità contraria, ossia quella puranco di commetterlo. E invero tutti
quanti i ragionamenti ingegnosissimi architettati da certi moralisti non
poterono mai togliere r aureola di eroismo virtuoso onde risplende la
memoria di Lucrezia romana e di Catone uticense. Dicemmo, che la
doverosità può associarsi al fatto del suicidio, e contrastarlo quindi
nella coscienza morale in quanto si dà accidentalmente la
circostanza che, commettendosi da un uomo, restino inadempiuti dei
Doveri che gli incombono e sono da lui apprezzati. E per ciò affermammo
che la doverosità stessa viene così a riguardare il suicidio, non per sé,
ma indiretta- mente. Se non che è pur vero che anche una
doverosità diretta, atta a contrastare da sé la deliberazione di
com- metterlo, si accompagni al suicidio. E per ciò per una
Sanzione che minacci, non la persona viva (che non può I- "II* PF.I
'darsi come dicemmo), ma la sua fama dopo la morte. La paura di nuocere
alla propria fama col suicidio può trat- tenere tanto o quanto un uomo
dal commetterlo, e in tal caso esisterebbe per quest' uomo una doverosità
diretta impeditiva del suicidio. E sono due gli ordini dei motivi che
possono deter- minare questa Sanzione per la quale la Società può
ven- dicarsi del suicidio sopra la memoria del suicidato. Il primo
è quello delle doverosità indirette accen- nate sopra. E per esse viene ad
avverarsi così ciò che si disse al numero 5 del paragrafo precedente della
dove- rosità indiretta occasione della diretta. Il secondo è quello della
opinione sfavorevole che domini in una Società o in una classe di persone
ri- guardo all'atto der suicidio, fondata sopra la idea che sia una
irreligiosità abbominevole o una rivelazione di debolezza d' animo o di
alterazione delle facoltà mentali. La doverosità diretta dipendente da
una San- zione sociale, determinata da questo secondo ordine di
motivi, è una doverosità accidentale e temporanea, e non normale e
durevole, come si richiede pel Dovere assolu- tamente tale. E
in vero T opinione relativa al suicidio, non sem- pre, non dapertutto, si
trova ad esso sfavorevole. Quante volte, e presso quanti invece il
suicidio è solo ragione di compassione, come per una disgrazia non
colpevole, o è anche una ragione di lode! La disapprovazione
motivata dalle idee religiose vien meno con queste. Si danno circostanze
nelle quali il sui- cidio si riveste del carattere di atto eroicamente lodevole,
come nei citati di Lucrezia romana e di Catone uticense. Si danno
condizioni e periodi dello stato di una Società, che fanno considerare il
suicidio siccome una fatalità ir- responsabile. Che più? Se uno è
colto a commettere una azione criminosa, la gente si avventa sdegnata
contro il delin- quente e si presta in aiuto della pubblica autorità
ven- dicatrice. Si corre invece a salvare dalla morte chi è in procinto
di darsela, e con senso, non di sdegno, ma di pietà, Tutto giorno
si moralizza sul suicidio a fine di impedirlo, ritenendosi di danno alla
Società in gene- rale e a certe sue istituzioni in particolare. Ma si
mora- lizza inutilmente. Le ragioni che si fanno campeggiare sono
inefficaci per mancanza di solidità intrinseca. Il fatto si ripete
ugualmente, come la febbre curata coli* acqua fresca. E il male, riguardo
alla Società, non è tanto nella perdita dei suicidi, che in generale non
costituiscono la sua parte più attiva e sana, ma nelle condizioni
stesse della Società, che, se sono favorevoli al suicidio, con ciò
dimostrano di essere non buone e da migliorarsi. Per le cose dette certo
si scandolezzeranno molti. E crederanno di avervi trovato un capo d'
accusa ineccepibile contro T etica del positivismo, per sostenere
che essa è esiziale alla Moralità dell' individuo e del corpo sociale. Ma
noi rideremo dello scandalo; ingenuo, se chi lo prova è un pusillo; e ipocrisia,
se chi lo pre- testa è un accorto. E diremo: Acquietatevi, che né
la Moralità individuale, né la Società avranno danno nes- suno.
Anzi ne avranno vantaggio. L' esperienza dimostra che anche tra i
credenti in una fede, che riprova assolutamente il suicìdio, si danno
di quelli che lo commettono. Sicché non si può soste- nere che la
religiosità valga ad impedirli. Quanto alla minaccia dell' eterno castigo
il credente suicida, o la af- fronta disperatamente, o trova modo di
persuadersi di po- terlo evitare. Tanto che si sa di suicidi cattolici
che si confessano prima di darsi la morte. E nei credenti, se si ha
il ritegno della paura della pena avvenire, non si ha poi queir altro,
del non credente, dell'orrore di metter fine per sempre alla esistenza,
che per questo non si pro- lunga oltre la vita attuale. E se si disse,
che i credenti un tempo si trattenevano molte volte dal suicidarsi
per r idea di essere sepolti fuori del cimitero consacrato, non è
men vero che ora possa altrettanto l'idea del biasimo che può restare
alla loro memoria. Abbastanza ha provveduto la natura coli'
istinto strapotente della vita alla conservazione dell' umanità,
malgrado i mali gravissimi che ne accompagnano la esi- stenza.
La disperazione che porta al suicidio non si mani- festa con
frequenza allarmante se non in certe condizioni morbose sociali ; e ne è
il sintomo. Si manifesta per ef- fetto delle condizioni medesime, regnino
o non regnino le religiose credenze. Ed avviene pel morbo, onde il sui-
cidio è il sintomo, come per tutti gli altri morbi; che, se non producono
la morte, le loro crisi stesse ajutano la guarigione, sia segnalandoli
alla cura da applicarsi, sia promovendo una reazione salutare.
Quando in una Società si verificano frequenti suicidi
HW"*^ » è certo ch^ la pubblica opinione si scuote
dalla sua indifferenza per le cause dalle quali essi dipendono. E finisce
per rendere giustizia alla protesta contro di lei di quelli, ai quali fu
fatale lo sdegno contro la sua durezza. E i singoli individui sono
avvertiti e ammaestrati circa i pericoli fatali di certe posizioni e
circa gli effetti funesti di certi indirizzi della vita, perchè li
evitino e si ravvedano intanto che il male può essere ancora scon-
giurato. Il Diritto suppone l'Autorità; ossia è Diritto solo in
quanto è autorizzato ad esserlo. Ma la stessa Au- torità è tale solo in
quanto è un Diritto. E lo stesso Di- ritto, qualunque esso sia, è in se
stesso una Autorità. Questi asserti sono altrettanti principj
fondamentali positivamente veri; quantunque la loro enunciazione
ab- bia r apparenza di un circolo vizioso. Come dicemmo sopra
tante volte (i), il Diritto per essere veramente tale (e non
semplicemente la potenza di fare, comune ad ogni cosa che agisce), deve
corrispon- dere ad una Sanzione che ne assicuri V esercizio, con-
forme air Idealità sociale o giusta : e importare quindi una
Responsabilità morale. Ora la potenza che stabilisce questa Sanzione, e
verso la quale esiste questa Respon- (E si veda per tutte la nota
al n. 5 del § II di questo Capo III ) sabilità, è ciò che si chiama una
Autorità. Onde è chiaro essere il Diritto un correlativo della Autorità,
e quindi supporla necessariamente. Potrebbe sembrare a prima
giunta che questa dottrina fosse identica alla vecchia religiosa e
politica circa TAutorità e la dipendenza da essa del Diritto. Ma
tra quella e la nostra corre una differenza di opposizione
perfetta. La vecchia dottrina religiosa della Autorità insegna,
che ogni Diritto dell* uomo risulta da una concessione gra- tuita di dio:
che il Diritto, assolutamente parlando, non l'ha se non dio: che T uomo
di suo ha solo il Dovere: che quindi, quando si dice di un uomo che ha un
Di- ritto verso un altro, la cosa va intesa cosi, che dio ha
imposto a questo il Dovere di fare o rispettare o lasciar fare una cosa
che lo stesso dio vuole che sia pertinenza del primo.
Politicamente poi la stessa dottrina insegna che il capo dello
Stato è investito divinamente (e ciò significa la consacrazione e la
incoronazione con rito religioso per parte del sacerdozio) di un potere
sopra tutti i cittadini; che esso ne è il sovrano per volere diretto di
dio (onde il titolo Per la grazia di dio) e indipendentemente dal
volere loro e da qualunque ragione naturale di Giustizia o di bene comune
(onde il precetto religioso: Obedite praepositis vestris etiam discolis)\
e che quindi i citta- dini, per lo stesso arbitrario volere divino, non
sono altro che sudditi. La scienza ha fatto ragione del principio
religioso; r evoluzione storica sociale del politico.
IP^II^KIIV idn,»»^ij5'tr«'isnfc#«^--xj' Il principio religioso è il
solito fenomeno psicolo- gico volgare, onde, concepito V astratto di un
ordine na- turale di fatti, il medesimo astratto è pensato come una
realtà fuori degli stessi fatti e come causa di essi. Gli esseri viventi,
ad esempio, danno V astratto dalla vt^a, che non è se non la forma
caratteristica speciale che li distingue dai non viventi. Pel fenomeno
psicologico sud- detto si fece di questa vita una realtà atta ad
introdursi in questi esseri che lo possiedono e a renderli vivi con
ciò. Cosi fu fatto per V Autorità. Per una illusione ana- loga; separata
mentalmente dalla funzionalità sociale, onde è un aspetto, fu collocata
in dio, e di là si è fatta valere a cagionare la funzionalità
medesima. E qui, come è ben noto, ci troviamo col solito abbaglio,
del metodo metafisico, che spiega la cosa e il fatto colla stessa cosa e
collo stesso fatto. Come nel de- rivare gli effetti fisiologici
dell'Oppio dalla sua Virtù dormitiva: per citare lo stesso esempio
addotto da Pa- squale Villari nel suo scritto intitolato e La Filosofa
po- sitiva e il Metodo storico » pubblicato fino dal gennaio 1806
nel Politecnico di Milano, e che io qui ricordo per- chè egli fu il primo
che ponesse la questione del Posi- tivismo (nel senso che ha oggi) in
Italia, e perchè una grande influenza anch' esso ebbe sopra V indirizzo
delle riflessioni che finirono a produrre l'ordine attuale delle
mie idee filosofiche. Parlando poi della applicazione politica dello stesso
principio religioso basterà osservare come per essa il Potere è
concepito, non come Giustizia, ma come Prepotenza ed Usurpazione ; onde
si ha la Pre- potenza, ossia r Ingiustizia, eretta alla dignità di principio
inorale. Il che è bene scandaloso in una dottrina che pretende di essere
la salvaguardia unica possibile della Moralità. E questa
applicazione politica del principio religioso si trova poi corrispondere
precisamente ad uno stadio arretrato della evoluzione. Il
contrasto sociale (dal quale, come dimostrammo, dipende la riduzione
della Prepotenza e la sua trasfor- mazione in Giustizia) si attestò da
prima nell' impero della religfiosità e della sua rappresentanza, cioè in
quella del sacerdozio. E allora si disse, il sovrano avere il po-
tere da dio, ed essere responsabile verso di lui dell'uso di esso; e il
sacerdozio si atteggiò a creatore e giudice del sovrano in nome di
dio. Poi, venuta meno per le ragioni storiche la forza ef-
fettiva del sacerdozio nella Società, e quindi il peso del suo contrasto,
la sovranità se ne emancipò, e il legitti- mismo di ortodosso divenne
eterodosso; cioè, riconoscendo ancora T esser suo dal cielo, autore e
giudice della so- vranità della terra, sottrasse però questa alla
elezione e al foro sacerdotale. Incontrastabile veramente è il
principio della filosofia etica tradizionale, che il Diritto suppone la
Autorità e che quindi questa si richiede pure per la Mo- ralità. Ma
si ragiona falsamente dicendo, che il Positivismo viene a distruggere la
Moralità, dal momento che toglie di mezzo l'Autorità; sicché per salvare
la Moralità si debba necessariamente tornare alla filosofia tradizionale,
che sola possa stabilire il principio della Autorità. L'Autorità, il
Positivismo, la pone anch' esso ; e con certezza, poiché ne trova il
fatto nella Società e nella psiche deir uomo civile, e ne dà la
spiegazione partendo dalla osservazione di ciò che succede realmente. E
cosi la fissa scientificamente ne' suoi termini veri e giusti, e la
garantisce dal dubbio (fatale sempre in materia di mo- rale), e da ogni
falsa, e dannosa, e immorale interpreta- zione e applicazione.
L'Autorità, che la filosofia tradizionale fa venire dal cielo, è un sogno
antiscientifico ed involgente una con- traddizione. Come
avvertimmo un' altra volta (i), il comando di- vino imponente il Dovere
all' uomo è un principio im- morale della Moralità, mentre in fondo è la
tirannia, o l'ingiustizia, in grado infinito. E mostrarono
d'essersene accorti gli stessi metafisici quando concedettero, che
il comando divino abbia da essere non ripugnante alla es- senza
stessa delle cose, per cui riesca giusto, e dio che ne usa debba
chiamarsi santo. La stessa condizione po- sero anche per la sua Autorità
; e cosi, ammettendo una dipendenza di essa dalla essenza delle cose,
fecero di questa il primo e di dio il secondo, e quindi vennero a
disautorarlo. E r ammettere la condizione in discorso è poi infine
un riconoscere in modo indistinto la verità della nostra dottrina, per la
quale l'Autorità, non è un assoluto,. xm, un relativo. Cioè
l'Autorità è il relativo di qualche cosa che si impone moralmente; vale a
dire con una Responsabilità (i) Sopra Capo II, § II, n. ii.
..LUI «IVI verso una Sanzione, e quuidi verso una
reausione libera od umana: insomma verso la Sanzione sociale. Per
cui l'Autorità non può nascere se non nella Società degli uomini, e non
può essere se non una formazione naturale della sua attività
organica. Ma questa dottrina del positivismo circa l'Au- torità pare
anch' essa contradditoria alla sua volta. Un Potere, come si disse,
è una Autorità in quanto conviene con una Idealità sociale ed è
giudicabile se- condo questa; e quindi il suo esercizio è passibile
di una Responsabilità verso un Tribunale che dispone di una
Sanzione per far valere i principj secondo i quali sentenzia.
Ora, siccome tale è precisamente anche il Diritto, cosi l'Autorità
viene ad essere anch' essa un Diritto. Ma se l'Autorità è un
Diritto, e il Diritto lion è tale se non per l'Autorità subordinante che
lo riconosca e lo sancisca, come potrà darsi l'Autorità, non potendo
essere che il subordinante sia nello stesso tempo il subordinato? Per
rispondere alla difficoltà basta richiamare quanto fu detto sopra (i)
della Giustizia effettiva o giu- ridica, o del corpo sociale ; e della
potenziale, o dell' in- dividuo. Ciò che sancisce l'Autorità
suprema dello Stato è in genere l' indistinto delle coscienze
individuali, che ve- demmo sopra come esista e come operi. E che, in
modo via via più distinto, si concreta nelle prerogative proprie
della gerarchia sociale (I) Capo I. i VII. E COSI è tolta la
contradd^ione obbiettata. Il Diritto del subordinato è sancito
dalla Autorità stabilita nella Società. Il Diritto di questa Autorità
è sancito anch' esso da qualche cosa. Ma non da un' altra Autorità
superiore a quella della Società, che non può darsi: sibbene dalla
potenzialità morale del corpo sociale collettivo (o delle coscienze
individuali) che si forma ed esiste e funziona ed è efficace in r^ione e
a misura che vige l'ordinamento effettivo della Società. E questo
vero è attestato dal fatto storico co- stante della Società umana, nella
quale sempre si è ma- nifestato questo processo; da una parte, della
Autorità stabilita che sancisce il Diritto del subordinato; e dal-
l'altra, della coscienza comune dei subordinati che san- cisce il Diritto
della Autorità stabilita. Questo fatto è evidentissimo nella
costituzione delle Società moderne più avanzate, nelle quali é già
ricono- sciuta anche legalmente la dipendenza del Governo, in tutte
le sue parti, dal beneplacito dei cittadini. In tutte le sue parti ;
mentre ormai la irresponsabilità, o si limita alla sola persona del capo
supremo, o è tolta affatto anche per questa. All' infuori del
potere tirannico della forza e della violenza di certe Società informi,
che non è ancora l'Au- torità giusta propriamente detta, ma la Prepotenza
in- giusta, nei governi teocratici la potenzialità morale del corpo
sociale collettivo si manifesta nella istituzione e dipendenza del Potere
dalla religione. E nei governi as- soluti laici la potenzialità stessa si
manifesta nella dipendenza del Potere sovrano, che pure ivi ha luogo, da qualche
cosa; come dalle consuetudini, dalle caste, dagli ottimati e via
discorrendo. 7. — Ed è poi confermato il vero medesimo dalla
distinzione, che sempre fu riconosciuta, fra il Diritto reale e il
potenziale ; ossia, che è lo stesso, fra il Diritto positivo e il
naturale. Poiché, scientificamente parlando, che è mai il Diritto
naturale, se non la potenzialità morale propria degli individui componenti la
So- cietà. Il nostro ragionamento ci ha condotto: Primo, a scoprire
la vera indole del Diritto naturale. Secondo, a spiegare con ciò V
origine e la natura vera della Autorità sociale. A darci il
criterio per istabilire i rapporti del Diritto naturale col positivo,
tanto storici quanto ideali. 2. — Il Diritto positivo è, come già
dicemmo più volte, il Potere quale è costituito e funziona nella
Società umana; il Potere dei subordinanti e quello dei subordinati,
in quanto è riconosciuto fissato e garantito dal primo. (i)
Vedi in proposito : Morale dei Positivisti Libro I, Parte li. Capo IV. n.
15 e segg. (pag. 125 e segg. del Voi. Ili di queste Op. fil, nella
edizione del 1885, e pag. 131 e segg. nella ediz. del 1893 e del 1901, e
pag. 135 e segg. nella ediz. del 1908), e Parte HI, Capo I (pag. 129 e
segg. del medesimo nella ediz. del 1885, e pag. 135 e segg. nella ediz.
del 1893 e del 1901, e pag. 139 e seg. nella ediz. del 1908). — E questa
Sociologia Capo I J VII (principalmente n. 6) e J Vili (principalmente n.
3 e 4), e Capo II. ? 11, nota al n. 5. Il Diritto naturale non è altro che il
potenziale. Ossia quello che corrisponde alle Idealità sociali, o
giu- ste, o morali. £ alle Idealità sociali universe: tanto a
quelle che si sono già avverate nella psiche e nella co- scienza umana,
quanto a quelle che non vi si sono an- cora avverate, ma vi si possono
avverare quandochesia. Dalle quali definizioni enaerge che il
Diritto positivo è determinato e giu- stificato dal naturale; che il
Diritto naturale è imprescrivibile, ed ha un valore trascenclente
assoluto, corrispondendo al va-- lore trascendente assoluto della natura
onde è il prodotto: come una forza o una specie naturale qualunque,
che l'uomo trova nella realtà e deve subirvi e riconoscervi; che il
Diritto naturale è universale, come la natura umana, allo svolgimento
proprio della quale cor- risponde. Quarto, che il Diritto
naturale è infinito. Il Diritto
naturale è infinito, nel senso posi- tivo della parola, spiegato nella
Morale dei Positivisti (i). Infinito cioè nel senso, che è una
potenzialità inter- minabile nelle serie e nelle forme de' suoi
svolgimenti. Una potenzialità indistinta atta a determinarsi nei
fatti dei Diritti distinti che si verificano via via senza fine,
come i fatti in genere nella natura per la sua forza ine- sauribile. E
non mica un pensiero, o un sistema di pen- sieri, già determinato e fissato
in tutto il suo contenuto (Libro II, Parte III, Capo I (pag. 255 e segg.
del Voi. Ili di queste Op. fil,, neir ediz. del 1885 e pag. 268
nell'ediz. del 1893 e del 1901, e pag. 275 nella ediz. del 1908). e
in una forma unica, nella mente di dio, come dà la filosofìa tradizionale.
La quale immiserisce meschinissimamente il concetto del Diritto.
Come immiserisce meschinissimamente il con- cetto delle specie naturali
delle piante e degli animali, riducendole ad un numero chiuso di
archetipi fissi pre- stabiliti in una mente creatrice. Come
realtà attuale, già distinta nella sua forma di Diritto, questo è un
fatto accidentale; è il risultato del caso dell'incontro fortuito delle
reazioni particolari che ne determinarono la effettuazione reale,
analogamente a ciò che avviene per ogtii fenomeno naturale, e come
nella Formazione naturale nel fatto del sistema solare dimo- strai
importare la legge universale della Formazione na- turale. Ma esso
Diritto poteva realizzarsi in un infinito numero di altri modi ; come era
possibile un infinito altro numero di accidenti (i) nella coincidenza
produttrice della serie degli eventi e della serie delle condizioni
dell'uomo, in cui si avverò la coincidenza. E, del pari, resta
sempre infinito il numero dei momenti evolutivi ulteriori, per la
stessa ragione, e perchè V attività naturale resta sempre inesauribile, e
non si arresta al punto al quale è arrivata in un dato momento. Dalle
quali cose poi emerge che tra il Diritto positivo e il naturale vi deve
sempre essere lotta. Tanto è lungi che il positivo (come discenderebbe
dalle dot- trine dell' etica tradizionale) sia T acquietamento
defini- tivo del naturale; e che questo, eflFettuatolo, riposi in
(i) Vedi la Parte IV dello stesso libro. -
quello, e solo debba stare in guardia contro i principj contrari
(sia delle passioni ree dell' uomo, sia di potenze sovrannaturali
perverse) tendenti a disturbare V assetto etico definitivo del
mondo. Eterna è la lotta fra il «Diritto positivo e il
Diritto naturale. E non effetto della reità di nessuno, ma dello
stesso Processo del Bene. Il Diritto naturale lavora continuamente a
trasfor- mare il talento della Prepotenza egoistica, che rimane
nella Autorità vigente, in ijome della Idealità antiegoi- stica. E la trasformazione,
incominciata sopra il massimo della Prepotenza, e continuata pei gradi
insensibili infi- niti della sua diminuzione, non è mai compiuta
total- mente. Il Diritto positivo di un dato momento è sempre
in arretrato verso le Idealità sociali più progredite, già al-
beggianti nelle coscienze sociali. E la evoluzione di que- ste Idealità,
che, nate, si ribellano subito al Diritto po- sitivo discordante per
riformarlo ad immagine di se stesse, è una evoluzione che mai non
cessa. L’Autorità del subordinante e in pari tempo, un suo Diritto. Soggiungiamo
ora che anche il Diritto del subor- dinato è, esso pure, una Autorità nel
vero senso della parola. Il Diritto del subordinato è si
riconosciuto dalla Au- torità del subordinante, mai non è da questa
creato. Esso esiste per sé in virtù del fatto del suo comparire
nella coscienza individuale. Se questo fatto non si avesse, l'Au-
torità del subordinante non potrebbe fare che fosse il Diritto relativo. Dato
che sia il fatto, la stessa Autorità non può esimersi dall' ammettere il
Diritto. Il Diritto del subordinante quindi si impone per
que- sto verso all'Autorità del subordinante, e perciò è esso
stesso una Autorità. Oltreché poi ogni Diritto, anche di un subordinato,
è sempre tanto o quanto subordinante, cioè atto a determinare dei Doveri
e dei Diritti corre- lativi. E questa dottrina della
autorevolezza intrinseca del Diritto del subordinato (santo pel
subordinante, come l'Autorità di questo è santa pel subordinato), era
sentita nella coscienza etica degli antichi, malgrado il falso loro
riferimento della cosa, quando all' ordine iniquo del prin- cipe tendente
a violare il Diritto naturale del suddito, questo rispondeva: Se il
principe comanda ciò che dio proibisce, o proibisce ciò che dio comanda,
l' ordine e il divieto del principe non hanno valore per la
coscienza. La dottrina positiva dell'Autorità e del Diritto è
liberale. Questa dottrina (che è
quella del liberalismo positivo) contrasta a due estremi opposti ; esiziali
1' uno e r altro alla Moralità vera. A quello del Nichilismo del
Diritto individuale della dottrina etico-religiosa dei me- tafisici ; e a
quello del dichilismo deldiritto del Potere di un certo socialismo
materialistico. Il Diritto naturale e l'Autorità del Potere, che lo
riconosce, sono fatti naturali della Società, correlativi ruoo all'altro.
Onde» sopprimendo T uno di essi, sì sop- prime anche V altro. Il
Nichilismo materialistico dunque, annullando l'Autorità del Potere viene
ad annullare lo «tesso Diritto individuale, che vorrebbe rimanesse col carattere
di Diritto unico ed assoluto* Il Diritto individuale è un effetto
dell' organismo so- ciale; e tanto che» tolto questo organismo, né
potrebbe formarsi, né perdurare, esistendo di già; come la fun-
zione e il prodotto speciale di un viscere particolare non è segregabile
dall* organismo deir animale e dai centri nervosi superiori, onde è
determinata e regolata V atti- vità di ogni sua parte. Si form<\ il
viscere a misura che si formarono i centri regolatori ; si mantiene
finché si mantengono i rapporti di dipendenza da essi. E analogo è
il caso del Diritto individuale nel suo rapporto coli' Au- torità
centrale. E dunque liberale la dottrina positiva che, mante*
nendo TAutorità subordinante, può mantenere anche il Diritto dell'
individuo. E, per conseguenza, illiberale è quella del Nichilismo
materialistico, poiché, distruggendo questa Autorità, finisce con ciò a
distruggere anche que* sto Diritto. Ma la stessa dottrina positiva
combatte, nel medesimo tempo, il principio illiberale del
Nichilismo teistico, dal quale non è riconosciuto nelT individuo un
Dìntto propriamente detto, o proveniente dal suo essere stesso; ed è
insegtiato essere il Diritto una concessione gratuita di dio, che egli
possa dare e togliere a suo pia- dmento, e lasciare anche alla balia
degli usurpatori della sovranità, nei quali si debba in ogni caso
riconoscere una Autorità che non emani dal corpo sociale e sia ir-
responsabile verso di esso. Il positivismo combatte questo
principio, stabilendo l'Autorità originariamente ed inalienaòilmente
risiedente neir individuo di esercitare il suo naturale imperio
sopra le cose, sopra di sé, sopra gli altri. E mostrando, come la
dipendenza dell' individuo dal Potere subordinante non è quella dello
schiavo, che è costretto colla violenza dal padrone, e ne eseguisce i
comandi suo malgrado, e col- r ira incitante alla vendetta ; ma è quella
liberale di chi fa con persuasione e con amore. E ciò perchè, l'Autorità
giusta subordinante, l'individuo la pone esso stesso pel Bene di tutti;
anche se importa un sacrificio per parte propria: la pone, la coltiva, la
difende come cosa, pro- pria, anzi come suo proprio Diritto. Proponemmo
quattro problemi fondamentali da risolvere secondo il criterio positivo
del Diritto e del Do- vere prima indicato. Dei primi tre
problemi abbiamo trattato nei paragrafi successivi del Capo medesimo.
Tratteremo in questo del quarto, cioè circa il Diritto, non di Giustizia,
ma di Carità Beneficenza, che dir si voglia. Fin qui il nostro libro ha
voluto soddisfare a due dei tre suoi intendimenti; cioè di dimostrcure
che la Moralità, come è spiegata nella filosofia positiva, com-
prende, non solo gli atti della Gitistizia propriamente detta, ma
anche: Primo. Gli atti infiniti offensivi non contemplati e
uon contemplabili dalla Legge. I quali perciò, esclusi dal campo della
Giustizia propriamente detta, vanno at- tribuiti a queir altro della pura
Convenienza. Gli atti sindacabili soltanto dalla coscienza intima dell'
individuo in cui si avverano, e producenti la sola reazione del Rimorso
intemo. Trattando ora del quarto problema suddetto, vedremo di soddisfare
al terzo degli intenti propostici, vale a dire di mostrare, che la
Moralità, come è spie- gata nella filosofia positiva, comprende
anche; Terzo. Gli atti virtuosi, che V individuo potrebbe
fare e sarebbe bene facesse, e non è costretto a fare. Ossia quegli
atti, che non si attribuiscono né alla Giustizia né alla Convenienza, ma
alla Carità, come dicevano i mo- ralisti vecchi, o alla Filantropia o
Beneficenza, come di- rebbero i nuovi. Gli atti benefici nell*
Etica tradizionale. E noto che nell' Etica
tradizionale si stabiliscono due ordini diversi di atti buoni: Quelli
ai quali uno é tenuto per poter essere senza colpa, che si dicono atti di
Giustizia; e si riassumono nel detto: Non fare agli altri ciò che non
vuoi che sia fatto a te. Che é quindi un vero Precetto, E
quelli che uno può tralasciare senza diventare con ciò colpevole, che si
dicono atti di Carità o di Beneficenza, e si riassumono nel detto: Fa agli
altri ciò che vorresti fosse fatto a te. Che è quindi propriamente,
non un Precetto, ma un Consiglio, Ed è noto che 1' osservanza dei
primi si dice pro- durre la semplice Onestà morale; e la semplice Esenzione
dalla punizione. E che la pratica dei secondi pro- duce anche una
Perfezione morale ; e quindi il Merito di un premio. Ed è
noto ancora che, tra i pronunciati morali ap- partenenti alla categoria
dei Consigli miranti alla mag- giore Perfezione morale, se ne pongono
anche di quelli relativi, non al bene da farsi agli altri, ma alla
nobilita- zione interna della Persona morale. Il principio del Bene
morale non prescritto, e quindi n&n obbligatorio o gratuito (che è un
principio ve- rissimo, anzi è il principio morale per eccellenza),
l'Etica tradizionale, e non potè mai riuscire a dedurlo rigorosa-
mente, ed è, nel sistema di essa, contradditorio. E regge solo nella dottrina
dell'Etica positiva. E ciò malgrado sembri a tutta prima che
questa,, posta la dipendenza da essa stabilita del fatto morale
dalla Sanzione costringente, conduca ad una conseguenza affatto opposta ;
a quella cioè di togliere di mezzo quello che ora chiamammo (ed è senza
dubbio) il principio mo- rale per eccellenza. L' Etica
teologico-metafisica tradizionale si è accorta dell' imbroglio che sta
nella sua dottrina ; e ha cercato di cavarsene colla sua solita
gherminella (rilevata stupendamente dal Mefistofele del Faust di Goethe)
di un vocabolo equivoco. Cioè col vocabolo Consiglio contrap- posto
a quello di Precetto. Il Bene morale obbligatorio (ha detto V Etica
teolo- gico-metafisica tradizionale) è il Precetto di dio, che non
si può non seguire : il Bene morale gratuito invece è il suo Consiglio,
che l'uomo può anche non seguire. Ma ciò non è altro, come dicemmo, che
una gherminella. La mentalità divina del Bene morale, onde
partono i metafisici in discorso, derivandone tanto il Precetto
quanto il Consiglio, sta, secondo loro, colla ragione di- vina dell'
Ordine morale. Ora si può domandare: L' Ordine morale
metafisico, ragione del Bene, è esso esigenza assoluta dell' essere
proprio delle cose che ri- guarda? E allora è necessario che sia Precetto
tutto il Bene. O sta invece che l'Ordine morale sia il puro bene-
placito di dio, il quale possa stabilirlo arbitrariamente in un dato
modo, e di due sorta, cioè uno da esigersi inesorabilmente, e un altro da
consigliarsi soltanto e quindi da permettere che sia anche violato da chi
voglia? E allora il Bene morale, anche quello prescritto, non ha un
valore assoluto ; e si può supporre che dio po- tesse non averlo voluto,
come si suppone dagli stessi me- tafisici, che egli potesse non aver
voluto creare il mondo. Si può supporre insomma, che il male sia male
solo perchè dio r ha decretato, e che egli avesse potuto decre- tare che
non lo fosse. Il che sarebbe la distruzione pili radicale immaginabile
della Moralità. E da questo dilemma non si scappa. Cosa ben curiosa e
ridicola il sistema etico della filosofia sana, anche da questo punto di
vistai Secondo questa filosofia sana un uomo sa che dio io
consiglia ad un Bene che egli potrebbe fare benissimo; e sa che con ciò darebbe
soddisfazione a lui che deve amare sopra ogni cosa : ma quest' uomo non si
cura, né del Bene per sé, né dell'autorità di dio che lo invita a
farlo, né del dispiacere che gli reca trascurandolo ; e ciò per la
preferenza data a un proprio interesse egoistico contrario : e tuttavia
il medesimo uomo rimane dopo tutto questo esente da colpa, e nella grazia
dello stesso dio cosi postergato. L' imbroglio e V assurdo della
distinzione tra il Precetto e il Consiglio dipende dalla distinzione
falsa, posta dai moralisti in discorso nella stessa ragione di-
vina del Bene morale, del Bene doveroso e di quello non doveroso,
corrispondente all' altra distinzione falsa, di un Ordine morale che dio
voglia necessariamente e di uri Ordine morale che egli voglia
arbitrariamente; e che è la conseguenza di un principio ontologico
fondamentale erroneo circa le leggi dell' essere e della causalità in
ge- nerale e della provvidenza in particolare. Nel principio
ontologico al quale alludiamo si accoz- zano, in modo confuso e
contradditorio, il necessario e r arbitrario, come nell' Etica
corrispondente la Moralità determinata dalla ragione assoluta dell'
essere e quella determinata dalla ragione di un comando arbitrario.
E per un processo logico analogo. Il concetto del necessario
e dell'assoluto deriva dalla osservazione della costanza delle leggi
naturali dove que- ste appariscono a tutti. Il concetto dell' accidentale
e del- l'arbitrario deriva dalla osservazione dei fatti, che nella
apparenza non si connettono necessariamente a cause na- turali, onde si
attribuiscono all' intervento diretto volta per volta dell' arbitrio
divino ; come, pel volgo, la piog- colare della povertà
(che anzi questa sublimità per sé la povertà non V ha niente affatto, se
non ha invece la qua- lità opposta) ; ma bensì se mai fosse V effetto
inevitabile di una azione o giusta o caritatevole, sì che uno non
a- vesse potuto rimaner giusto se non si fosse rassegnato ad
incontrare la povertà, o avesse sofferto perfino di subirla per un
maggior bene altrui.E così la povertà volontaria può essere anche pel po-
sitivista una cosa sublime ed eroica. Mentre in caso di- verso egli la direbbe
una stoltezza ridicola e riprovevole. Che se pel religioso la elezione della
povertà non è una stoltezza, ciò dipende unicamente dalla circostanza che egli
la riferisce ad uno scopo; cioè a quello di gua- dagnare con essa il
paradiso. Ma, se cessa così di essf re una stoltezza, riesce però un atto al
tutto egoistico e quindi ancora tutt' altro che eroicamente morale. E merita una speciale considerazione a questo
proposito la dottrina relativa alla elemosina e al dare a prestito. Ho un
ricco, fatto proprio secondo lo spirito dell'E- tica sana teologico-metafisica.
Egli crede fermamente che r esser lui nato ricco e destinato, senza
lavorare, a go- di ogni genere, mentre il povero non ha da coprirsi
a- vendo freddo; se il ricco ha a sua disposizione palazzi e ville, quando il
povero manca di un tetto qualsiasi; se il ricco imbandisce la propria mensa di
cibi e vini costo- sissimi con profusione, dove il povero manca della
stessa polenta; se il ricco ha cavalli e cocchi e servi che lo
ajutano a fare niente, mentre il povero si stima fortunato che altri gli
offra per carità un lavoro che lo esaurisce senza compensarlo ; se al ricco si
offrono tutti i pia- ceri da vicino e da lontano (poiché non gli bastano
quelli che può dargli il suo paese e gli occorrono anche quelli che solo
si trovano altrove), e questi gli sono sempre perdonati quand' anche
affatto eccessivi e corrompenti e illeciti e scandalosi, quando il povero ne è
privo al tutto ed è barbaramente rimproverato pur dei pochissimi e grami che
gli sia dato di procurarsi; se fa tutto questo il ricco, non solo crede,
secondo la sua sana morale (che sempre ha cura di contrapporre ad un' altra
diversa, detta da lui empia e sovversiva) di far uso di un Diritto concessogli
da dio per un gusto particolare di predilezione, ma crede poi anche di
adempiere ad nn Dovere: a quel Dovere che si chiama il Dovere di vivere secondo
il proprio stalo. Or bene questo ricco, fatto secondo lo spirito
dell’Etica sana teologico-metafisica, riconosce fra i Doveri del proprio
stato anche quello della elemosina, ritenendo che coir adempirlo diventi, non
solo buono (che lo è già senza la elemosina), ma ottimo, ed in modo perfetto
ed eroico. Ed è assai bello vedere come il nostro ricco
intenda la detta elemosina. C è da rilevarne proprio la sublimila della
morale onde ha lo spirito. Prima di tutto, se egli si trova padrone di una
so- stanza vistosissima ereditata nascendo (quanta fatica, quanto
studio, e quanto merito!), la sua proprietà è cosa sacra, qualunque ne
sia la origine antica: anche se in questa origine fu accumulata colla
frode e colla rapina. È cosa sacra, che gli viene da dio stesso. E, se
deve contribuire una parte piccola e superflua per lui dell' aver suo,
per concorrere alle spese dello Stato che glielo di- fende, o per dare un
pane insufficiente a chi si logora la- vorando penosamente per lui, che
nulla fa e solò consuma godendo e corrompendo, egli intende, nella
goffaggine su- perlativa del suo pensiero, che T operaio, che suda per
la scarsissima paga, e il funzionario pubblico, che si sacri- fica
pel meschino stipendio, della paga e dello stipendio debbano arrossire
come di suoi compassionevoli e gratuiti donativi, e debbano riconoscere
che, se faticando assai hanno poco da mangiare, anche questo poco è tutta
gene- rosità sua, per la quale si compiaccia di largirlo, privandosi di
una piccola parte di ciò che gli sovrabbonda. Ma va più in là l’eroismo
della sua generosità di dare del superfluo a chi non ha di proprio se non
il dovere di lavorare (quando. gliene danno) e di soffrire. Va più in là;
poiché, oltre pagare le imposte che non può frodare, oltre angariare V
operajo coir avarissimo com- penso dei servigi avutine, esercita anche la
viriti dell’eielosina. Non già impoverirsi per ciò. E nemmeno
restringere di nulla gli scialacqui demoralizzanti. Oibò! Sarebbe questo
un venir meno ai Doveri del proprio stato. E nem- meno impiegarvi una,
anche piccola, parte delle super- fluità più riprovevoli. Tanto non
occorre; e di gran lunga. Se, per cavarsi un capriccio
stimato come un nulla, il nostro ricco non bada a spendere un migliaio di
lire, una lira sola è anche troppo gettarla, come si farebbe di un
osso ad un cane, ad un vecchio cadente per la fame. Un pugno di monete di
rame, ecco quanto basta per a- dempiere al Dovere di perfezione della
elemosina, per es- sere morale in grado superlativo ed eroico, per
acquistare il merito -di un posto riservato in paradiso. Poiché
anche quelle miserabili monete di rame della elemosina non si intende mica
s'abbiano a gettare gratis. Né anche per sogno! Anche da esse, quantunque
non abbiano un valore apprezzabile per chi le getta, deve ve- nire
un vantaggio : e un vantaggio assai grande ; devono fruttare nientemeno
che una felicità eterna in un'altra vita. E la cosa va di suo piede. Il
povero, la cui vita fu uno strazio continuo, é ben giusto e naturale che
vada poi air inferno, essendo infine, un povero, un malvagio
mascalzone ; mentre il ricco, che ha sempre goduto senza nessun merito,
deve essere premiato colla beatitudine del cielo, essen'do infine, un
ricco, una persona buona. Un pugno di piccole monete di rame; ecco
dunque la limosina del ricco, secondo l'Etica sana. Un pugno di
piccole monete di rame date all' impazzata ad una turba degradata di
accattoni che le implorino, facendo ressa e alzando le mani supplichevoli,
intorno al castello minac- cioso e al cocchio superbo, di chi le getta
loro col piglio del disprezzo. E questa turba di accattoni degradati
é poi neces- sario, secondo la stessa Eti.ca sana, che ci sia
anch'essa. Altrimenti come sarebbe possibile al ricco di avere il
vantaggio di procacciarsi il paradiso a si buon mercato, e di far
risplendere, al di sopra dei languenti per inopia, r orgoglio stupido
della ricchezza in tutta la forza della sua brutalità? Onde, nel
pensiero del nostro ricco (fatto secondo ìct spirito dell'Etica sana), è
cosa immoralissima e sovver- siva del Bene, che altri, come il
positivista, cerchi di to- gliere dalla Società T ignominia
dell'accattonaggio: che consigli la Società a provvedere, non in apparenza
ma in realtà, V impotente, 1' ammalato, il disgraziato : e senza
degradarlo, e con un soccorso che apparisca un Diritto riconosciuto in
chi lo riceve, e non una elemosina che lo avvilisca ; che faccia opera
affinchè il povero sia educato in modo da sentire il danno e la vergogna
di accattare il pane poltrendo neir ozio ; e il vantaggio e la
soddisfa- zione confortevole di guadagnarselo nobilmente col pro-
prio lavoro. E, il sommo della immoralità della condotta del po-
sitivista, il nostro ricco la riscontra poi in questo; che, se si dà il
caso dell' incontro di un infelice bisognoso di soccorso, egli, il
positivista, glielo porga per puro sen- timento antiegoistico di umanità,
senza pensare punto allo interesse, né del paradiso né di nient' altro,
da ricavarne ; e lo faccia senza avvilire chi riceve, comportandosi
con esso come il fratello col fratello ; e nell' intento, non di
perpetuarne lo stato miserabile, che faccia risaltare meglio- il proprio
più decoroso, ma di agevolargli la via per u- scirne al più presto,
diventando un suo pari. Dopo tutto però bisogna confessare che il
no- stro ricco, fatto secondo lo spirito dell' Etica sana, è
logico. Ma le conseguenze pratiche di tale sua logica ser- vono
assai bene per farne apprezzare i principj. Come, al contrario, la verità
dei principj positivi apparisce nelle conseguenze opposte or ora
accennate, eminentemente (ed esse sole) buone e morali. Certo si
deve ammettere, che nella Società (pur pre- valendo nelle dottrine dei
maestri di morale il concetto teologico-metafisico sopra descritto) si
fece strada a poco a poco, e per, la condotta individuale e per la
direzione delle cose pubbliche, V idea della beneficenza propugnata
dal positivismo, fondata sulla benevolenza effettiva che r uomo, diventato
buono, ha pe' suoi simili, stimati tutti avere gli stessi Diritti ai
beneficj della vita e della So- cietà; alla quale perciò incomba il
debito di provvedere normalmente, più che sia possibile utile e morale,
per gli infelici. Ma giò è V effetto della stessa natura, che opera
se- condo le sue leggi invincibilmente, senza e malgrado le teorie
dei filosofi. E qui pure, come in tutto il resto dei fatti etici,
essa natura ha dimostrato, che la Moralità non si attacca materialmente
ad un atto determinato circa . il quale dio abbia detto : Questo atto
voglio che sia un atto buono. E ha dimostrato che la Moralità consiste
invece nella stessa disposizione antiegoistica dell' animo, creata
dal vivere sociale ; e per la quale V atto materiale (che per sé non è
moralmente né buono né cattivo) diventa buono, se la disposizione
relativa dell' animo è buona, e cattivo, se cattiva, E ha dimostrato che
non occorre, che un atto buono sia stato prescritto positivamente da nes-
suno, perchè si introduca nella pratica morale degli uo- mini, e che
questi lo eseguiscono anche senza e prima che sia stato prescritto. Che
anzi la prescrizione positiva medesima è pur essa non altro che V effetto della
disposi- zione potenziale degli individui precedentemente forma-
tasi neir animo moralizzato, nel modo sopra descritto. Un discorso
analogo si può fare circa il dare a prestito. L' Etica religiosa,
computandolo fra gli atti di beneficenza e volendo quindi che, se altri
lo eseguisce, abbia da, poterlo fare solamente sotto questo riguardo,
e conseguentemente senza interesse, ne sopprime la funzione
vitalissima per la prosperità commerciale ed industriale nel meccanismo
economico sociale; lasciando più libero il campo alle imprese esiziali
degli usurai ; sottraendo il capitale all'ingegno e all'operosità dei
volonterosi; re- stringendo le fonti del benessere pubblico e quindi
della Moralità comune. E allora non sarà colpa l'approfittarne per
contravvenirla: e Vufficio del galantuomo sarà tulio nello studio di
elu^ dere la Legge, E vi riuscirà, più o meno sempre, es- sendo
verissimo V adagio : Fatta la Legge, trovato V in- ganno. Ed ecco il
galantuomo inappuntabile dell'Etica sana. Quanto diverso, e più veramente
galantuomo, quello del positivismo, che l'Etica sana dice
sovversione, distruzione, negazione della Moralità. Lo scopo dell'
attività umana congegnata insieme nell’organismo sociale è di produrre nella
coscienza degli individui la Idealità morale antiegoistica, atta a
muoverne la volontà a fare il Bene. Fino a che l'individuo, questa
Idealità, non ha potuto formarsela, è un infelice da com- passionarsi,
come il selvaggio che non ha appreso da una Società colta a procurarsi
ciò che forma il benessere e il decoro di un uomo. Si faccia dunque ogni
sforzo per isvolgerne le facoltà etiche onde egli goda del bene di
avere il carattere dell' essere morale. — • 2og — Una volta che Tuomo sia tale,
egli fa il Bene in virtù della Idealità, che è viva in lui e impulsiva per sé
del suo volere. Impulsiva per sé: tanto pel Bene della Giustizia propriamente
detta quanto per quello della beneficenza. Impulsiva sempre ; ogni volta che si
presenti V occa- sione di ravvivarsi nella coscienza. Operatrice del Bene
nella stessa misura della sua im- palsività, ossia del suo esserci.
Impulsiva finalmente pel solo fatto di esserci ; e senza la scappatoja
immorale del difettò, o nella promulgazione della Legge, o nella sua
redazione negli articoli del co" dice. Poiché, come dimostrammo già
più volte, l'Idealità morale, essendo essa la Giustizia potenziale, non
segue (come vaneggia la filosofia da noi riprovata), ma precede la
Legge propriamente detta ; e quindi esiste nella coscienza (ancor prima della
redazione scritta di una Legge e della sua promulgazione) un suo dettato
e una sua an- nunciazione, che integra qualunque difetto della
redazione e della promulgazione positiva; e conseguentemente im-
pedisce che la Legge e il suo spirito siano ipocritamente dissimulati e
dolosamente elusi. Il Bene di perfezione non obbligatoria, la vecchia
Etica teologico-filosofica, lo ravvisò anche negli stessi atti della
Giustizia propriamente detta. E in vero essa insegna, come notammi^
altrove, che, se la volontà si decide a questi atti unicamente
perchè premuta dalla minaccia del castigo sancito per essi, si ha
solo la Giustizia e non la perfezione; e la perfezione si raggiunge,
eseguendo gli atti della Giustizia indipendentemente dalla minaccia del castigo
e per la pura soddis- fazione di fare le cose giuste. Ed è
giustissima questa distinzione fra il primo e il secondo genere della
deliberazione volontaria rispetto ad un medesimo atto obbligatorio. E l'etica
positiva la ri- pete e la mantiene anche per conto suo. E ne approfitta per
argomentarne ad hominem contro TEtica vecchia. Poi- ché questa colla
distinzione in discorso (che è una prova della verità dei principj della nostra
Etica sperimentale) mette a nudo il proprio difetto per gli artificj, ai quali
deve ricorrere affine di conciliarla colle sue teoriche; e per le incongfruenze
che, malgrado gli artificj stessi, vi risultano. Notiamo, per esempio, l’incongruenza
relativa alla distinzione tra T atto di rigorosa Giustizia e V atto gra- tuito,
al quale essa annette il carattere di perfezione mo- rale. Qui non si tratta
più di un Bene supererogatorio, e tuttavia vi trova il carattere della stessa
perfezione. La quale incongruenza svanisce subito partendo dai principj da noi
esposti dell'Etica positiva. L' essenza dell' atto morale propriamente tale,
ossia di perfezione, di un'atto che ecceda l' efifetto diretto della minaccia
del castigo, consiste, come dicemmo, nella atti- tudine del volere a esegfuire
V atto indipendentemente dalla eccitazione esterna della Sanzione del castigo
minacciato. E questa attitudine si ha quando, per effetto appunto della
applicazione della eccitazione esterna mede- sima, a poco a poco si ingenerò e
si rinforzò la dispo- sizione psichica impulsiva per sé; e tanto, che, divenuta
questa una autonomia morale, ha da sé quanto basta per agire, senza bisogno di
esservi ajutata dalla eccitazione della minaccia esteriore. Il che in qualche
maniera é ammesso anche dall' E- tica vecchia, che pur riconosce la detta
spontaneità mo- rale, ricorrendo però per ispiegarla al sogno della grazia di
dio, che sostituisca il timore del castigo all' uopo di muovere la volontà al
Bene. Coi principj dell'Etica positiva é dunque spiegata nel modo più ovvio e
conseguente 1' analogia che corre tra r atto della stretta Giustizia eseguito
per pura bontà d' animo, e l' atto della beneficenza in pari modo prodotto ; e
come ambedue possano avere cosi egualmente il carat- tere della Moralità
perfetta. Molto più che è precisamente la spontaneità di operare la Giustizia
(ossia lo Giustizia potenziale) che, precedendola, promuove la legislazione
positiva colla rela- tiva Sanzione costringente (come dimostrammo). Ed é la
stessa spontaneità che ne mantiene il vigore. Chi ha in sé l'amore alla
Giustizia si fa autore diretto o indiretto della Legge, la difende, e concorre
a renderla efficace e a vendicarla, se violata. E non impegna persé la forza
del Potere, lasciandola disponibile interamente all' utile comune della
Società. Dalle quali cose si trae un nuovo argomento in favore del principio
etico positivo in confronto col me- tafisico tradizionale. Nella formazione
della Moralità umana, secondo le cose dette, va considerato il momento
disponente alla for- mazione stessa, e il momento della Moralità già attuata
neir animo. Il momento disponente si ha nel cedere che fa il volere alla
eccitazione che le viene esternamente dalla Sanzione della Legge. Il momento
della Moralità già attuata si ha nella spontaneità acquistata dallo stesso
volere air azione giusta e buona senza il bisogno della suddetta eccitazione.
Or bene: il principio etico metafisico, onde la ragione deir atto morale è
riferita al motivo della pena e del premio, contempla la Moralità nel Momento
dispo- nente, vale a dire quando essa non è ancora la Moralità già fatta: dove
il principio etico positivo, pel quale la ragione dell' atto è nell' Idealità
sociale impulsiva per sé, contempla la Moralità proprio nel momento nel quale
essa esiste veramente nella disposizione effettiva del volere. § VII. La virtic,
il merito e il premio. Ora poi, esposte le quattro considerazioni pro- posteci,
e confermata cosi e chiarita pienamente la dot- trina positiva riguardante gli
atti cosidetti di carità o beneficenza, possiamo anche iritendere più
compiutamente e precisamente, che sia ciò che si chiama la viriti e il me-' rito,
nel loro senso distinto e proprio. Pl'lt .■l .J * — Tr"»T' ^r- Il merito è
la proprietà della virtù, come tale; e non del semplice atto morale. E la virtù
è una disposizione esistente realmente nel- l'uomo virtuoso. Il che, come sia,
è chiaro dalle cose dette sopra. Cosi la scienza è V attitudine particolare
dello scien; ziato. Ed essendo la virtù una disposizione reale dell'uomo
virtuoso, questo per ciò è un essere diverso dall'uomo non virtuoso; poiché in
questo secondo non esiste la potenza etica, che esiste nel primo. E questo vero
è stato riconosciuto (quantunque con- fusamente e in contraddizione col loro
principio (i)) dai moralisti della chiesa, in quanto per essi il merito e la
virtù richiedono la presenza nell'anima di una attività spe- ciale, vale a dire
di ciò che da loro è chiamato, la grazia. Se qualcheduno osservasse che noi,
col ricor- rere alle dottrine dei teologi cattolici per trarne una con- ferma
dei dettati del positivismo, tiriamo in campo inse- gnamenti già abbandonati
dalla stessa filosofia etico-me- tafisica che combattiamo, e che quindi
facciamo opera inutile (come anche oppugnando il dogma della grazia, che è
voler sfondare una porta aperta, non credendo ad esso oramai più nessuno dei
moralisti metafisici non teo- logi), soggiungeremo che la teoria dei metafisici
non teo- logi non è che un riflesso sparuto della dottrina teolo- (r) Vedi
Morale dei Positivisti Libro li, Parte I, Capo II, n. 26, 27 e 28 (pag. 224 e
segg. del Voi. Ili di queste _Op, fil, nella ediz. del 1885, e pag. 234 e segg.
nella edìz. del 1893 e del 1901, e pag. 241 e segg. nella ediz. del 1908). •
^'••^'^'^gica patristico-scolastica precedente; e che ne ha eredi- tato i
difetti perdendone i pregi ; rimanendo cosi una su- perficialità destituita
anche di quel valore scientifico, che bisogna pure riconoscere, anzi ammirare,
nellametafisica ecclesiastica. Gli autori della quale furono grandi pensatori
che, se non poterono arrivare alla soluzione positiva del pro- blema morale (ed
era impossibile al loro tempo e nelle loro circostanze), ne ebbero però dei
presentimenti. E il principale fra questi pensatori fu S. Agostino vescovo di
Ippona, il cui genio potè a ragione essere messo allato a quello del divino
Platone. La dottrina della grazia, relativamente al fatto morale, è analoga
alla dottrina della forza creativa, rela- tivamente al fatto fisico. Il corpo
agisce fisicamente perchè ha in sé la pro- prietà di farlo. Del pari T uomo
agisce moralmente per- chè ha in sé la proprietà di agire cosi. Per ispiegare V
azione fisica gli antichi supponevano la produzione della proprietà relativa
nel corpo per parte della onnipotenza divina. E così davano una ragione della
azione fisica stessa quantunque falsa. Il positivismo (come dimostrai nel libro
della Formazione naturale nel fatto del sistema solare) trova che la proprietà
del corpo di agire fisicamente è la stessa sua costituzione naturale. E così
spiega Y azione fisica in modo analogo a quello degli antichi : ma colla
differenza che, dove questi considerano la proprietà introdotta nel corpo
arbitrariamente da dio nel crearlo (che è contro l' insegnamento del fatto), il
positivista considera la proprietà connaturale al corpo medesimo. Nella
evoluzione scientifica, onde si passò dalla spie- gazione antica della azione
fisica alla positiva attuale, tra quella e questa si formò una spiegazione
ibrida e con- tradditoria ; la quale, da una parte, riconosceva V appar-
tenenza della proprietà al corpo, proclamandola quindi una naturalità; e,
dall'altra, riconosceva ancora dio quale primo autore di ogni naturalità; il
che è una incon- gruenza scientifica, ed è il vizio capitale della dottrina
teistica, come si trova ad esempio nel sistema del padre Secchi.Tale e quale la
storia della evoluzione della dottrina etica. La virtù, o la proprietà psichica
specifica dell'uomo morale, i teologi cattolici la supponevano un dono santo e
sovrannaturale di dio. Il positivismo invece trova che tale proprietà santa è
la stessa costituzione che potè acqui- stare la psiche umana per 1* azione
esercitata sovr' essa dalla Società; ed è quindi una naturalità nel senso asso-
luto della parola. La dottrina ibrida intermedia dei me- tafisici non teologi
rende confuso econtraddittorio il con- cetto, pur semplice e chiaro, escogitato
dai teologi, della proprietà etica infusa come grazia diviua. Rende, dico,
confuso e contradditorio questo concetto in quanto, da una parte, negano V
intervento diretto dell' azione divina sulla volontà, e, dall'altra, ne
mantengono la indiretta. Il merito è l' indice della virtù. Esso è quindi per
ogni atto virtuoso in ragione inversa dell'intervento del motivo estemo nella
spinta alla deliberazione volon- taria. Appunto come la virtù, la quale,
essendo la pro- pensione ad astenersi dal Male e a fare il Bene ingene- ratasi
neir animo per le vie già indicate, tanto più ha in W-Vfl«-JJJ «.P., —sé di
intensità quanto meno ha bisogno di essere mossa dal costringimento della
minaccia del castigo e dall'ade» scamento della prospettiva di un vantaggio.
Per conseguenza, minimo è il merito nelle azioni buone dipendenti al tutto
dalla diretta efficacia della loro Sanzione esteriore: come in quelle che si
fanno perchè imposte dalle Leggi positive. Ed è massimo nelle azioni buone per
nulla determinate da motivo di fuori : come in quelle del Bene gratuito o
supererogatorio, o di carità e beneficenza, per le quali, o non esiste Sanzione
positiva determinata, o, esistendo, non si considera da chi le fa. Ma la stessa
osservanza della Legge avente 4a sua Sanzione può in un uomo, indipendentemente
dal ri- gfuardo della Sanzione stessa, essere determinatadallavirtùformatasi in
lui di eseguirla solo perchè giusta, come vedemmo sopra nella osservazione
quarta, E così anche per questa osservanza può aversi un grado di me- rito: e
per questo distinguersi nella Società il semplice galantuomo (o quello che non
può essere messo in pri-» gione perchè non fu còlto a delinquere) dall' uomo
virtuoso, che è stimato non disposto a mancare agli obblighi del cittadino
anche aboliti il Tribunale e il carcere. L' uomo, per la formazione che in lui
si veri* fichi della energia morale o della virtù, diventa un essere fornito di
una eccellenzaparticolare; cioè della eccellenza dignità o prerogativa d’essere
morale. E il fatto è analogo a quello, per esempio, della for- mazione della
energia vitale nel corpo materiale, per la quale questo si distingue fra le
cose come ESSERE VIVENTE. Il premio, in relazione alla Moralità, o è una sua
causa, o è un suo effetto. Come causa è la Sanzione allettatrice della quale
par- lammo nel paragrafo quarto al numero sette. E con ciò si comprende percliè
alla osservanza della Legge imposta colla minaccia di una Sanzione punitrice,
ed eseguita per evitarla, non si addica la ragione di un premio, ma solo la
esenzione dal castigo. Con questo la Società si difende dalla offesa dell'
individuo ; dal quale si procura invece l'opera utile della beneficenza colla
offerta di un van- taggio. Dove è da considerare che la offerta stessa, fa-
cendosi più per r utile dell' azione che per la sua Mora- lità, non si
differenzia da quella che si fa in generale per la prestazione dell' opera
volontaria da chi la desidera, cominciando dai premj dei concorsi riguardanti o
un libro, una cosa d' arte, o una invenzione scientifica, meccanica,
industriale, o un' impresa, e venendo fino allo stipendio dell'impiegato e alla
mercede giornaliera dell' operajo. Come semplice effetto il premio è la
conseguenza spontanea del merito ; ed è l’espressione onde altri lo riconosce.
Sotto questo riguardo anche la semplice osserva- vanza della Legge punitrice
può avere una ragione di premio, se V osservanza avviene nel senso detto sopra
al numero sei, parlando dell'' uomo virtuoso. E il premio consiate in questo
caso, oltreché nella stima comune, anche in ciò, che questo uomo virtuoso è considerato
siccome il rappresentante nato della Legge e del Diritto, come spiegheremo
meglio in seguito. Il premio conseguente al merito della virtù è una naturalità
non determinata positivamente. In generale si restringe alla stima e alla
venerazione degli uomini pel virtuoso; la quale non è altro che la reazione
spontanea sociale di fronte al Bene morale, e quindi si produce negli uomini in
ragione che sono buoni, ossia bene di- sposti moralmente. Ma alla detta stim^ e
venerazione si possono accompagnare anche vantaggi di posizione so- ciale e di
benessere materiale. La mancanza del premio o della espressione del
riconoscimento del merito, quando si verifica, è una ingiustizia, ma non
distoglie dalla virtù chi ha la pro- prietà di averla ; essendoché la virtù è
per sé, e basta a se stessa. E non si addice il nome di virtù a quella disposi-
zione a fare il Bene che sia determinata proprio dalla sola idea di averne la
rimunerazione ; secondo V osserva- zione sublime del Vangelo su quelli che
fanno il Bene per essere veduti e rimeritati dagli altri.Esso dice di loro
giustissimamente, che rimangono così senza il merito della virtù, essendo già
pagati per quello che hanno fatto egoisticamente in vista della ricompensa. Il
che però non vuol dire che il virtuoso non ap- prezzi la lode e T ammirazione
altrui e non se ne soddisfi. Nobilissimo sentimento é questo di fare stima e di
sod- disfarsi del giudizio morale degli uomini che apprezzano e ammirano la
virtù; e più che di vantaggi materiali anche grandi. E di ciò parlai nel mio
Discorso su Pietro Pomponazzi, dicendo del pensatore, che esso « ama la so-
litudine. Ma non perchè sia privo di sentimenti benevoli, che anzi in lui si
trovano più generosi; mentre nulla tanto disavvezza dall' egoismo, quanto la
scuola delle idee. ^^P". E nemmeno
perchè non apprezzi la stima e la lode degli uomini; che, invece, in nessuno la
passione della gloria è più viva, che in lui. E, nobilmente altero della sua
oscurità, solo egli rinuncia sdegnosamente all' onore, che si acquista colle
umili arti. Sciolto cosi il problema
propostoci, riguardante r azione benefattrice e la virtù che porta ad essa,
gioverà fermarci a considerare il fatto dell' Ordine morale, e la naturalità della
sua formazione. Circa la FORMAZIONE NATURALE NEL FATTO DELL' ORDINE MORALE, in
quanto questo fatto è un Ordine, alle cose dette alla fine del Capo prece-
dente (2) e a quelle più generali esposte nel libro della FORMAZIONE NATURALE
NEL FATTO DEL SISTEMA SOLARE {3) e nel lavoro s\x\Y Inconosciòile di H, Spen-
cer (4), qui ci proponiamo di aggiungerne una nuova. 3. — L' insufficienza e
quindi la falsità del principio assoluto, che un Ordine qualunque naturale
presupponga (i) Vedi pag. 51 del Voi. I di queste Op, fil, nella ediz. del
1S82, ^ P3&- 54 nell'edìz. del 1908). (2) \ VII. Vedi sopratutto V
Appendice sul Caso (pag^. 271 e s%%%. del Voi. II di queste Op, flL nell'ediz.
del 1884, pag. 287 e segg. nel- l'ediz. del 1899, e pag. 295 e segg. nell'ediz.
del 1908). (4) Specialmente al J VII (pag. 353 e segg. dello stesso vo- lume
neir ediz. del 1884, pag. 375 e segg. nella ediz. del 1899, e pag. 383 e segg
nell'ediz. del 1908J. una Mente, che lo abbia concepito anteriormente e pre-
disposto, emerge: Primo. Dalla considerazione che ciò che si chiama, la mente,
è il fatto stesso della formazione psichica umana svolgentesi da ciò che non è
ancor tale: onde la stessa Mente è per tal verso, essa pure, un effetto, come
tutti gli altri avvenimenti naturali. Secondo. Dalla considerazione che, se la
Mente (sorta per graduale isvolgimento da ciò che non era tale), è an- ch' essa
la causa dell' Ordine che è subordinato alla sua efficienzaspecifica, sono del
pari cause di Ordini subor- dinati propri anche tutte le altre formazioni
naturali: anche quelle puramente meccaniche e fisiche. Sicché la il- lazione
che 5i fa per la Mente, come ragione dell'Ordine, vale tanto quanto la
illazione identica che si faccia per l'agente puramente fisico e meccanico. E
in effetto, se r analisi del fatto mentale vi discopre gli elementi e le
ragioni della sua efficienza ordinatrice, anche l'analisi del fatto puramente
fisico e meccanico vi rintraccia pure gli elementi e le ragioni della sua
analoga efficienza ordina- trice. Né più, né meno. Terzo. Dalla considerazione
che I' efficienza ordina- trice della Mente, da una parte, si estende solo alla
sfera dell' ambiente da essa abbracciato, e quindi è impotente al di fuori di
questa; e, dall'altra, essa stessa suppone un ambiente maggiore nel quale si
forma e che la fa es- sere : un ambiente che é, non una Mente, ma qualchecosa
di puramente meccanico e fisico. Sicché, paragonando in- sieme le due
formazioni ordinatrici (cioè la formazione meccanico-fisica, e quella della
Mente), la prima è più ampia della seconda e quindi superiore ed anteriore ad
essa. Quarto. Dalla considerazione che l'Ordine, che realmente si trova
esistere in un dato punto della natura e in un dato momento del tempo, non è V
effettuazione di un disegno, nel quale fosse stabilita la serie degli atti
occorrenti alla effettuazione stessa, fino all'ultimo, cioè a quello del
compimento dell' Ordine contemplato. No. Nella linea del tempo questo ordine ha
la sua ragione in un primo che è fuori della Mente : cioè nelle stesse possibi-
lità di svolgimento verso un Ordine proprie dell' essere naturale attivo. Nella
linea dello spazio poi 1' Ordine in discorso ha tante ragioni quanti sono gli
incontri fortuiti subiti dall' essere naturale attivo nel corso del suo svol-
gimento; in modo che ad ogni incontro lo svolgimento stesso devia accidentalmente
dalla sua direzione prece- dente, e quindi V ordine ultimo non corrisponde più
alla virtualità Iniziale dell' essere che si svolge, ma solo a quella
diversissima e puramente casuale portata dall' in- contro ultimamente subito.
In una parola, la Mente, né pone il disegno dell' Ordine, che è già nell'
essere natu- rale stesso, né lo eseguisce come l' aveva disegnato, poi- ché la
esecuzione sempre ne differisce per opera degli agenti naturali casualmente
concorrenti. Fra i quali può benissimo essere anche la mente stessa (che è pure
una attività naturale), ma 'solo con analoga accidentale effi- cienza. Ciò fu
già chiarito a lungo e dimostrato con argomenti positivi nelle trattazioni
sopra citate. Ora faremo un ragionamento che suppone i suddetti. ne discende e
li completa : ed è poi senz' altro la semplice constatazione logica del fatto dato
dalla osservazione. La teoria metafisica, onde si pone in una Mente la ragione
dell' Ordine delle cose, è basata sopra i due falsi supposti, che il disegno
finale della Mente preceda al tutto la esecuzione estema, e che l'adattamento
delle parti nel tutto reale effettuato sia stato determinato dal concetto
medesimo di esso tutto; sicché questo sia asso- lutamente un fine e le parti
siano assolutamente mezzi; e non il contrario. Il secondo falso supposto deriva
dalla osservazione superficiale ed illudente della specie già formata, che ap-
parisce come un ultimo, ossia come un fine. Anche perchè la specie è di una
stabilità relativamente grandissima per rispetto alla esperienza dell' uomo.
Egli, trovandone già r esistenza anteriormente alle mutazioni conosciute, la
im- magina realizzata nella sua interezza attuale fino dal suo principio : e,
non essendogli dato di essere testimonio del suo trapasso in una specie nuova, ritiene
che sia desti- nata a durare inalterata fin che dura il mondo. E cosi si forma
il proprio concetto della specie, che, o sia come è, o non sia punto. E,
siccome la esistenza di una specie im- plica quella delle parti onde risulta,
cosi l'uomo pensa che queste non siano altro che i mezzi necessari al fine di
essa, e quindi siano il trovato ingegnoso di una Mente ; la quale, formatasi da
prima il disegno della specie, sia passata poi a divisare le parti occorrenti
alla sua realiz- zazione. Il primo falso supposto poi deriva dalla esperienza del
fatto della Idealità dell' arte, che è qualchecosa di re- lativamente compiuto
e fisso, e che si comunica qual' è da uomo a uomo : e in un modo che uno
avendone la co- gnizione e segtiendone la rappresentazione mentale, è atto ad
eseguire addirittura, senza tentennamenti e prove im- perfette, un' opera
definitiva, predisponendo e coordinando all'uopo tutto ciò che si esige. perchè
riesca nella realtà quale si concepisce. I metafisici fanno i due detti falsi
supposti, commettendo T errore di considerare il tempo della osser- vazione
siccome una eternità, nella quale non sia diffe- renza tra un momento e V altro
della esistenza ; mentre invece nella durata reale i momenti sono
effettivamente diversi l'uno dall'altro, ed essa nei precedenti va diven- tando
ciò che risulta poi nei successivi, cessando in que- sti quello che era nei
primi. L'essere naturale esiste trasformandosi (i); e, nella linea infinita del
tempo, solo per un tratto di questo si trova in una forma che svanisce col
venire del successivo. La specie è questa forma, instabile come il tempo del
quale è figlia. Si muta insensibilmente nel mentre che pare persista la
medesima, come il posto del Sole in cielo che sembra fermo a chi lo guarda. E
ciò vale tanto per la specie, quale complesso di parti, quanto per la parte
coordinata nella specie. L' una e l' altra soggiace del pari al fato del
mutamento. E cosi n) Vedi per ciò 1* Osservazione III del libro della
Formazione naiuraie nel fatto del Sistema solare e sopratutto il J X (p-ig. 193
del Voi. II di queste Op, fil. nella ediz. del 1884, pag. 204 nella ediz. del
1899, e pag. 209 nella ediz. del 1908). la parte viene ad essere, non solo un
mezzo, ma anche un fine, come la specie; e questa, non solo un fine, ma anche
un mezzo, come la parte. Molto più che nella na- tura nessuna cosa è tanto una
specie, che non sia nello stesso tempo semplice parte in una specie più grande
; e nessuna cosa tanto è una parte che non sia nello stesso tempo una specie
per sé. E nella natura medesima non è la esigenza a priori di una specie,
destinata ad esistere, che abbia determi- nato il farsi delle parti occorrenti
alla sua esistenza, se- condo il divisamento precorso di una mente ragionatrice
: ma è la esistenza avveratasi delle stesse parti costitutrici che ha
determinato la formazione della specie, quale si trova in effetto nella realtà.
Se le cause naturali relative (indipendentemente af- fatto da un concetto della
specie che non era prima della esistenza reale di essa) non avessero prodotto
le parti costitutive della specie, questa non si sarebbe realizzata. E se le
cause naturali avessero prodotto le parti in modo diverso, la specie si sarebbe
realizzata diversamente. La coordinazione quindi delle parti alla specie, come
del mezzo al fine, è una coordinazione a posteriori. Non può esistere la specie
qual' è senza le parti occorrenti ; e se esiste la specie è solo pel caso
avvenuto della formazione delle parti richiestevi. Per ciò, se la parte è il
mezzo a cui consegue il fine della specie, questo mezzo non è un effetto (come
è sup- posto nella teoria metafisica della Mente che è determi- nata a
ricorrervi dalla necessità del fine della specie) ; ma è la stessa causa della
specie. E quindi, se si vuol chiamare la specie un fine, ciò va inteso come
dell' effetto che segue la sua causa, e non viceversa, come nella teoria che
ripudiamo. Così, se si avverasse che il tronco di un albero per un accidente
qualunque cadesse sopra un altro tronco in modo da stare sovr' esso in bilico,
e questo fatto dello stare in bilico lo si prendesse come un fine, apparireb-
bero mezzi per ottenerlo la esistenza sotto il caduto di queir altro tronco
colla sua sufficiente resistenza a non piegarsi e rompersi, e T esservi dato
sopra il tronco in bilico col centro della sua gravità. Ma qui il detto fine,
nessuno lo direbbe la causa precedente del fatto ; nessuno direbbe i detti
mezzi degli effettivenuti dopo, ossia di- visati e predisposti da una Mente
consecutivamente al pensiero di avere un tronco in bilico sopra un altro. Non
altrimenti è la cosa nel fatto della Idea- lità e dell'Arte umana, e in genere
di tutto ciò che si chiama il disegno ordinatore della Mente. La Mente e il suo
disegno sono fatti della natura, analoghi a tutti gli altri in essa verificantisi
nella sfera biologica e nella inorganica ; e quindi soggetti alle stesse leggi
: sono casualità, come la produzione di una specie o la caduta or ora accennata
di un albero sopra un altro. Quando un dato disegno è già un fatto compiuto,
al- lora certo può rimanere un certo tempo come è riuscito ; ed essere
trasmesso da uomo ad uomo ; e servire per pro- durre addirittura l’opera
corrispondente, e per predisporre e coordinarvi le parti come mezzi al fine
dell'opera stessa ; e in modo che questo fine venga ad essere proprio la causa
di dovere divisare i mezzi relativi, e il divisamento di questi mezzi venga ad
essere l’effetto di aver voluto r opera. Ma ciò non succede soltanto per la mente
e pel suo disegno : che succede lo stesso anche per la specie fisica, una volta
che sìa g^ià un fatto compiuto. Una volta che esista g^à la gallina, essa potrà
pro- durre un' altra gallina. Cosi un bruco nato da un altro potrà fare un
bozzolo simile a quello che faceva il suoprocreatore. Un uomo, arrivato a
comporre nella sua Mente il di- segno di una locomotiva a vapore, ha potuto
costruirne una reale: i meccanici in seguito poterono imparare quel disegno e
costruirne delle altre. Non potè succedere che la gallina procreasse altre
galline prima che se ne formasse la specie. E lo stesso del bruco. E lo stesso
dell' uomo. Non potè succedere che questo costruisse la locomotiva a vapore
prima che se ne fosse formato il disegno nella sua Mente. E come la specie
della gallina e quella del bruco non proruppero tali e quali dal nulla, secondo
la cre- denza di un tempo, ma furono la riuscita ultima di una serie
lunghissima di gradazioni di svolgimento dell'essere, che prima non era né
gallina né bruco, cosi il disegno della locomotiva a vapore della Mente umana,
fu la riu- scita ultima di un lavoro del suo pensiero, che prima non era quel
disegno. Né divèrsa nel fondo è la legge della formazione nelle specie
biologiche della gallina e del bruco e nel di- segno della mente umana. E
analoga nei due casi è la ra- gione della potenza di produrre la cosa a propria
immagine e somiglianza, e di fare che nella cosa stessa corri- spondano allo
scopo dell' essere suo i mezzi impiegativi. £ quindi un libro che narri la
storia della invenzione di una macchina è analogo a quello che esponga la evolu-
zione formativa di una specie naturale. E, se, come di- cono i teisti, dio è 1'
autore della natura, questa non se- rebbe altro che il libro nel quale si può
leggere ciò che esso è arrivato a inventarvi, una cosa dopo l'altra, a poco a
poco. Ma dobbiamo dimostrare e chiarire meglio la cosa. Un uomo ha fatto
bollire dell'acqua in un vaso. Ne ha visto sortire del vapore. Per caso copre
il vaso mente ritenta l' esperimento, e il vapore solleva il co- perchio. E
l'uomo pensa allora: — Dunque il vapore è una forza: e non si potrebbe
adoperarla a produrre un qualche lavoro? Sì certo. E si prova ad applicare al
coperchio del vaso un' asta, la quale, alzandosi il coper- chio, trasmette il
suo movimento ad un corpo che essa urta. Ma il movimento così è in un solo
senso ; e l' uomo immagina che si potrebbe averlo nei due contrarj di va e
vieni. E che perciò sarebbe necessario che il vapore spingesse il coperchio una
volta al disotto e un' altra al disopra. E quindi studia e trova il modo di far
passare il vapore dal vaso dell' acqua bollente, per un foro in un cilindro,
nel quale sforzi il coperchio medesimo ora al di- sopra e ora al disotto. E
allora gli soccorre V idea di ap- plicare r asta, moventesi avanti e indietro,
ad una ruota per farla girare. E vi riesce praticando un foro all'estre- mità
libera dell' asta e applicandolo ad una caviglia fissata vicino al centro della
ruota. Ed ecco inventata la locomotiva a vapore. Ecco tutto. Il disegno della
locomotiva a vapore, la Mente non lo creò con un suo fiat. Quel disegno in essa
è r esito faticoso e lento di una serie di operazioni succedutevi r una dopo T
altra ; e determinatevi da una serie di accidentalità che la trassero fino al
compimento della sua invenzione, che riusci una sorpresa per la mente stessa che
si trovò di esservi arrivata. Analogo è il processo di tutte le formazioni
mentali. La Psicologia positiva lo dimostra nel suo studio della FORMAZIONE
NATURALE NEL FATTO DEL PENSIERO in genere, e logico in ispecie; su di che spero
di pubblicare presto un mio lavoro g^à pressoché ulti- mato (i). L'Estetica
positiva lo dimostra nel suo studio della FORMAZIONE NATURALE NEL FATTO DEL-
L'ARTE, che mi duole assai non avere potuto ancora pre- sentare in un libro pel
quale ho già preparato tutti i materiali. L'Etica sociologica positiva lo
dimostra nel suo studio (i) Cosi ho scritto e ripetuto nelle edizioni
precedenti, quando aveva ancora la fiducia di poter ultimare il lavoro. La
speranza ora è quasi svanita. La circostanza di essere impegnato otto mesi del-
l' anno per le lezioni mi lasciò sempre poco tempo per ciò che avrei voluto
fare fuori di esse. Gran parte del materiale preparato per la Formazione
naturale nel fatto del Pensiero mi ha servito pei tre libri del Vero^ della
Ragione e della Unità della Coscienza, E questi quindi possono supplire tanto o
quanto invece del libro promesso ; che poi non ha cessato di preoccuparmi, come
apparisce dai lavori sull'argo- mento pubblicati nei Volumi IX e X di queste
Op, fU, Ptll — della FORMAZIONE NATURALE
NEL FATTO DELL’ORDINE MORALE, che è l' oggetto della presente trattazione. 10.
— Ora è noto come la scienza oggi, illuminata e messa sulla strada dal genio di
Darwin, dimostri av- venire allo stesso modo la FORMAZIONE NATURALE NEL FATTO
DELLA SPECIE organica: e per ciò mi devo rimettere ai libri che uq trattano.
Anche qui si rileva lo stesso processo di formazione, indicato per V invenzione
del disegno della locomotiva a vapore nella Mente umana, pei lenti e
accidentali ingran- dimenti e tramutamenti di struttura e conseguentemente di
funzione : la stessa ragione, onde la formazione già ot- tenuta è riprodotta
nella forma raggiunta. E per la stessa legge, da me formulata nel libro della
Formazione naturale più volte citato, del ritmo che lentamente si trasforma per
gli urti esterni non concor- danti, e indefinitamente si conserva in quanto non
è di- sturbato, e si trapianta fuori di sé, applicato come forza ad un altro
essere atto a riceverla. Ciò posto, riepiloghiamo il nostro ragiona- mento. Il
piano mentale è un meccanismo o apparato psico- logico riuscito per aggiunte e
modificazioni cernali suc- cessive, indipendenti da un proposito consapevole
del sog- getto pensante, e occasionato dalle azioni e reazioni ac-
cidentalmente verificatesi tra esso soggetto e le cose ate. Vedi Formazione
naturale nel fatto del Sistema Solare ^ Os- servaz. Ili, J XIV.a
impressionarlo,come la specie della gallina è un mec-- canisfno o apparato
fisiologico riuscito per aggiunte e mo- dificazioni casuali occasionate dalle
azioni e reazioni dell' ambiente in cui si è formata. L' apparato psicologico
del piano mentale serve alla produzione di un' opera a sua immagine e
somiglianza : come l'apparato fisiologico della specie della gallina serve alla
produzione di un individuo nuovo della specie mede- sima. Il fatto è come di
uno stromento che 1' arte della natura (cioè del complesso delle cause che
esistono in essa) ha preparato, nel primo caso entro la psiche deU r uomo, nel
secondo caso entro la vita della gallina, per produrre 1' opera relativa (i).
Dunque nel disegno della mente ciò che si chiama il fitte di esso (poniamo per
la locomotiva a vapore di muoversi della macchina sulla ferrovia colla forza di
tra- scinarsi dietro il treno attaccatovi) non è un primo, che la Mente si sia
proposta e che abbia motivato per essa il divisamento, al quale sia quindi
venuta solo dopo, delle sue parti, come deimezzi necessari al conseguimento del
fine medesimo : nel che si fa consistere la ragione di dover (i) Nel Capo I
della Parte II del Libro I della Morale dei Positivisti, numero 3 ho mostrato
potersi definire la Psiche : Un mondo possibile^ che si presenta coyne il piano
dell* opera a chi ha da pro- durne uno reale. E precedentemente vi è dimostrata
la casualità della formazione del stessa psiche. Una cosa affatto analoga è V
energia specifica di un agente naturale fisico qualunque. Tale energia è un
ordine di proprietà costituite nella cosa per la stessa ragione della casualità
della sua formazione, le quali vengono ad essere la possi- bilità degli effetti
che la cosa è atta a produrre, e precisamente di un ordine di eff*etti
corrispondente all' ordine delle proprietà dalle quali dipendono. Fra la psiche
e V agente puramente fisico nel ri- ricorrere alla Mentalità per ispiegare il
fatto dell’ordine, inteso quale divisamento dei mezzi necessari al conseguimento
di un fine. Nel disegno della mente, ciò che si chiama il fine non è un primo,
ma un ultimo, che vi si verifica posteriormente, perchè prima vi si è
verificata la cogni- zione dei mezzi. Nel fatto particolare della concezione
del disegno della locomotiva a vapore allo scopo di trascinare il treno
ferroviario, la Mente che vi è arrivata possedeva già la cognizione della forza
del vapore; e del modo di farlo agire sopra uno stantuffo si che ne risultasse
un movi- mento di va e vieni sopra un'asta; e del modo di con- vertire il
movimento rettilineo dell' asta in quello circo- lare di una ruota; e la
cognizione, che un peso, gravi- tando sopra ruote che lo portino è girino su
guide di ferro, si trasloca con esse. Solo dopo ciò, solo dopo che la Mente era
già pervenuta alla cognizione di questi mezzi, ad esso potè sovvenire V
applicabilità loro al fine di avere un motore di un treno ferroviario. L'Ordine
adunque anche nella Mente è un risultato accidentale di concorrenze casuali nel
quale i mezzi non spetto in discorso si ha la sola differenza, che nella prima
l'ordine mentale, causa dell'ordine delle opere, mettiamo dell* uomo, è accom-
pagnato dalla coscienza di sé, mentre nel secondo 1' ordine delle proprietà
attive, causa dell' ordine de' suoi effetti, non è fornito di tale coscienza.
Ma ciò non influisce punto ad alterare la natura del processo della
estrinsecazione, per così esprimermi, della attività. Cosciente o non
cosciente, V attività funziona in un agente sempre e necessariamente nel modo
onde è atta a funzionare, ossiasecondo lacostituzione propria dell'attività
stessa nella intimità dell'agente che la esercita. L sono determinati dal fine, ma è questo
determinato dai mezzi. E tanto, che supporre il contrario è supporre ima
impossibilità o un assurdo della dinamica della natura. E cesi la tantovantata
scoperta di Anassagora, che V Or- dine dell'universo importi una Mente
ordinatrice, vale quella del suo predecessore Talete, che si argomentò di ritenere
doversi V attrazione della calamita pel ferro ad un' anima che vivesse in essa,
e ne determinasse questo effetto curioso. Se qualcheduno qui credesse di
sfuggire alla nostra conclusione, osservando che il pensiero che si at-
tribuisce a dio non è come il pensiero dell' uomo, sul quale noi facemmo la
nostra argomentazione, risponde- remmo due cose: Primo. O il pensiero
attribuito a dio è qualche cosa di analogo al pensiero dell'uomo, e allora
l'argomenta- zione fatta su questo vale anche per quello : o non è una cosa
analoga, e allora non si può dire che sia un pen- siero. Perchè a noi, quando
diciamo, pensiero, è impossi- bile concepire altro che non sia lo stesso nostro
pensiero. E poi non si può ancora in nessuna maniera fondarvi sopra r argomentazione
relativa all' Ordine, dal momento che questa è suggerita precisamente
(quantunque per sem- plice illusione) dal fatto dello stesso pensiero umano.
Secondo. Lo stesso fatto della natura poi smentisce direttamente la
supposizione della obiezione. E in che modo? Si disse: Concepì dio il disegno
del mondo e poi lo esegui creandolo: e tale subitoqualedoveva es- sere poi
sempre a gloria sua ; e quindi coli' uomo, dotato per ciò da lui, non solo del
senso come il bruto, ma anche della ragione e del libero volere, che lo rendes-
sero atto a conoscerlo e a rendergli omaggio e culto spontaneo. E il sistema
era logico. Non aveva che il piccolo di- fetto di essere basato sul falso
supposto che il mondo at- tuale sia una formazione che persista immutabilmente:
tale al suo primo principio, tale ancora fin che ne dura la esistenza. Ma la
scienza s'è avveduta che la formazione quale ora si presenta, l'uomo compreso,
è una fasetransitoria della esistenza. E con ciò ha distrutto il sogno che
fosse r opera definitiva, nella quale si fosse realizzato appuntino il disegno
di una Mente divina. La scienza s' è avveduta, che lo stato attuale delle cose
è dovuto ad un processo continuo di formazione ana- logo a quello delle idee e
dell' arte dell' uomo, e che que- sto processo è determinato dalla
attività intrinseca delle stesse coseche si formano, e dal caso
delle reazioni delle cose fra di loro. E con ciò ha distrutto il sogno che
siano r Ordine preveduto come fine in una divina idea. I teisti, smentiti così
nel campo degli Ordini della natura fisica, si restrinsero a sostenere il loro
prin- cipio della preordinazione della Mente divina, nel campo dell' ORDINE
MORALE; e credettero che quivi sareb- bero rim£isti eternamente inoppugnabili.
Ma ahi! che anche qui la scienza li ha seguiti e ha messo in evidenza la
insostenibilità della loro tesi.La scienza positiva dell' Etica sociologfica ha
sco- perto, come vedemmo, 1' analogia perfetta che corre tra la formazione
naturale in genere e quella della Giustizia e del Bene morale in tutte le sue
forme. Ha scoperto quindi che tutto ciò che si riferisce all' Ordine morale, e
r Ordine morale medesimo, sono il prodottolento e pro- gressivo {e vario
secondo le dccidentalitàaccompagnanti) della attività intrinseca dell' essere
umano e delle reazioni degli individui nella convivenza della Società. Il fatto del Diritto (diversità, specie,
coordinazione) e il suo Ideale. Circa la diversità del Diritto tra individuo e
individuo, in ragione della potenzialità non ugnale dal- l' uno air altro, alle
cose dette nel libro della Morale dei Positivisti {\) e superiormente in questo
{2), un'altra im* portantissima qui ora torna la opportunità di aggfiungerne. La
diversità in discorso dipende in parte dalla stessa costituzione
fisico^psichica colla quale uno nasce ; e per questo riguardo si potrebbe
chiamarla diversità ini- zicUe; e in parte (grandissima) è il prodotto della
convi- venza sociale: e per questo altro riguardo si potrebbe (i) Libro I,
Parte II, Capo IV, n. 15 ecc. (pag. 125 del Voi. ITI di queste Op, fil. nella
ediz. del 1885, e pag. 131 nella ediz. del 1893 e del 1901 e pag. 135 nella
ediz. del 1908). (2) Capo III, J II, n. 3. pi L I «IP^« chiamarla diversità
riuscita. La quale poi alla sua volta influisce pur anche indirettamente sulla
disposizione ini- ziale della nascita. L' argomento della diversità del diritto,
considerata sotto il secondo degli aspetti ora indicati, è vastissimo: ma noi
qui lo toccheremo solo per ciò che occorre allo scopo della nostra trattazione.
Le specialità di condizione di un uomo, dipen- denti dalla sua relazione e
convivenza cogli altri uomini uniti in Società, sono moltissime; come ognuno
sa. Per esempio, la ricchezza, la parentela, la clientela, gli ade- renti, gli
amici, i conoscenti, T ufficio, il grado, la cultura, il merito, le idee, e via
discorrendo. Queste specialità di condizione sono nello stesso tempo
altrettante specialità di attitudini e di potenza del- l' uomo. E quindi anche,
secondo le cose stabilite sopra, altrettante specialità di Diritti di esso. Si
verifica perciò nell'organismo sociale la legge di tutti gli organismi, per la
quale V elemento, che, con- siderato in astratto e fuori dell' orgfanismo, è
uniforme, una volta entrato a farne parte, si diversifica per opera
dell'organismo medesimo; poiché questo, fra le moltis- sime funzioni delle
quali un elemento ha primitivamente la potenzialità indistinta, lo dispone e lo
destina ad una data funzione distinta. Che è ciò che si chiama anche il
fenomeno della divisione del lavoro, ed è nello stesso tempo ciò che altrove
(i) dicemmo corrispondere alla (i) Per esempio, nella Formazione naturale nel
fatto del sistema solarCy Osservazione III, § V (nel Voi. II di queste Op,
fil,). wf^'^vmmmifm^gg^ della varietà, onde si spiega T attitudine alla esi-
stenza e alla virtù formativa nella natura in generale e negli organismi in
particolare. Così vediamo che gli atomi polivalenti del carbonio si
costituiscono, negli organismi degli animali e delle piante, in una serie di
forme diverse di radicali: in una serie tanto più notevole per numero e
varietà, quanto più complicato e perfetto è V organismo costruitone.
Nell'organismo sociale poi i suoi radicali (per ado- perare questa espressione)
o le sue varietà elementari co- stitutive, o attitudini distinte di funzione,
onde emerge r essere suo complessivo quale organismo sociale, sono precisamente
le specialità di condizione dell' uomo sopra accennate: ossia quelle specialità
di potenza, che l'uomo vi assume: ossia le specialità dei Diritti, I quali
Diritti, nell' organismo sociale, in pari tempo, e lo costituiscono, e ne sono
determinati. In modo che la Società si può chiamare la procreatrice dei
Diritti, Come la pianta è la. procreatrice delle sostanze speciali necessarie
alla sua vita particolare ; le quali, nello stesso tempo, e la costituiscono e
ne sono determinate. I diritti individuali, per tal modo nascenti e vigenti in
una Società, sono in numero immensamente gratide: e perchè i fatti determinati
sono moltissimi, e perchè questi si connettono insieme in maniere differen-
tissime, e perchè le attitudini emergenti si diversificano all' infinito
secondo le condizioni infinitamente diverse nelle quali si verificano. Tuttavia
si deve avere nella Società umana, in quanto è un organismo speciale dato, una
certa costanza nel nu- - 238 - mero e nella qualità dei generi secondo i quali
si pos- sono classificare i Diritti. Allo stesso modo che nell'or- ganismo
vegetale, per esempio, si ha una certa costanza nel numero e nella qualità dei
generi delle sostante com- ponenti. La quale costanza però non sarà mai quella
delle Idee^ eternamente immutabili, di Platone ; né quella delle specie, sempre
le medesime dopo la creazione, dei vecchi naturalisti ; né quella dei Diritti
ab eterno ed immutabil- mente stabiliti dal verbo divino, dell'etica
metafisica: ma sarà solo, come dicemmo, una certa costanza; e si che, da una
parte, ammetta una lenta trasformazione secondo i tempi le circostanze e i casi
e, dall'altra, nella realtà si verifichi sempre con qualche diversità, come il
tipo di un uomo o di una foglia, che non si effettua mai lo stesso in ogni
uomo, in ogni foglia. Il Diritto, che si forma nel modo suddetto, è il Fatto
del Diritto ; ma non il suo Ideale, Un uomo esercita la propria potenza in
quanto l'ha e in quanto glaltriglielo permettono, o gli detta la Idealità
sociale : che torna lo stesso, dal momento che la Idealità sociale non è che 1'
astratto della reazione altrui e quindi del permesso dato dagli altri di agire.
£ la forma della reazione altrui e quindi della Idealità sociale, nella loro
tendenza a ridurre e trasformare la prepotenza egoistica originaria dell'
arbitrio individuale nella Giu- stizia antiegoistica del suo concc«:so nel
lavoro social- mente utile, sono continuamente in via di progressivo mu-
tamento; come spiegammo sopra, e come esige, secondo che pure avvertimmo più
volte, la legge universale della ^'«ifannipiiij I ^^Formazione naturale
applicata al caso particolare della Formazione etico-sociale.6. — Un uomo
esercita la propria potenza in quanto r ha e gli altri glielo permettono, o gli
detta V Idealità sociale regolante il suo operare. Ecco il Fatto del Diritto.
La reazione sociale, e quindi V Idealità mentale con- seguente diretttiva dell'
azione umana, va sempre trasfor- mando r arbitrio individuale dalla sua
originaria prepo- tenzaegoistica nella Giustizia antiegoistica. £ questa
Giustizia antiegoistica, alla quale tende la detta forza trasformatrice, è T
Ideale del Diritto. Ma questo Ideale è un termine al quale si può andare
avvicinandosi sempre più, senza che si effettui però mai perfettamente. E da
ciò consegue: Primo. Che V Ideale assoluto del Diritto non esiste realmente.
Sicché è una assurdità il concetto di un ordi- namento morale definitivo, come
porta la dottrina meta- fisica della istituzione morale per parte di un
legislatore divino, che la fissasse una volta per sempre, e nei ter- mini di
una sognata Giustizia assoluta e quindi irrefor-mabile. Secondo. Che il fatto
del Diritto è sempre una Giti^ stizia relativa: e cioè relativa al lavoro di riduzione
so- ciale precedente e alla potenza attuale dell' organismo so- ciale
derivatone. Ma tale Giustizia, quantunquesolamente relativa quando sia
rapportata ad un concetto astratto più perfetto dell' organismo sociale, nella
Società in cui vige ha valore come se fosse assoluta, perchè essa giù- ■Jf W4»
l dica, non in base all' Ideale o di un'
altra Società o di una Società possibile più perfetta, ma in base al Fatto che
si è già verificato in essa. Terzo. Che ogni Diritto di fatto è nello stesso
tempo in parte una prepotenza ingiusta, che si tende ad elimi- nare, e si va
sempre più eliminando. E ciò, sia regolando meglio il fatto medesimo, sia,
quando occorra, togliendolo del tutto. 8. — Senza questi criteri è
affattoinspiegabile la storia del Diritto, e il processo legislativo delle
Società. Tale processo, senza questi criteri, apparirebbe, non la Giustizia in
azione (come è realmente, e non può non es- sere), ma la ingiustizia incaricata
di creare la Giustizia. E con questi criteri poi si spiega il fatto storico
della evoluzione sociale procreatrice del Diritto più utile e più giusto. La
quale evoluzione quindi, secondo i cri- teri medesimi, si può dire consistere
in ciò, che il Diritto dell' avvenire, ossia il Diritto ideale, combatte e
vince il Diritto delpassato, ossia il Diritto di fatto. L' Ideale assoluto del
Diritto dicemmo che non esiste realmente. E che nella realtà non si ha,
dell'Ideale del Diritto, se non una effettuazione incompleta. E da ciò potrebbe
altri dedurre, che il Diritto di fatto sia un relativo il quale supponga un
assoluto: e che questo assoluto sia l'Ideale o il tipo eternamente deter-
minato del Diritto, che la mente o possieda gfià o abbia la possibilità di
possedere quandochesia. Ma anche ciò è un errore. L'Ideale del Diritto non è un
tipo assoluto o eter- namente determinato, nemmeno come semplice mentalità. L'
Idealità del Diritto è, anch' essa, un fatto, come quello del Diritto
effettuatosi realmente. U Idealità del Diritto presiede si, come mentalità
direttiva, nella pro- duzione del Diritto di fatto, ma è pur sempre un fatto
anch' essa. Solo che questa Idealità è un fatto della mente, dove il Diritto
effettuatosi realmente è un fatto della co- stituzione già vigente
esteriormente in una Società. Ed essendo un fatto ha le proprietà di tutti gli
altri fatti jn quanto tali: cioè di essere casuale e quindi relativo. Il tipo
ideale del Diritto è come tutti gli altri tipi ideali. Per esempio, come quello
del disegno della crea-- zione supposto nella mentedi dio, del quale abbastanza
ho discorso nel libro della Formazione naturale, E come, quello dell' arte ;
mettiamo dell'Architettura: che (per una serie di casualità) è riuscito diverso
nell'India, in Egitto, in Roma,in Germania, e via dicendo ; e pur nello stesso
paese non fu mai identico affatto nemmeno nella stessa epoca, e nemmeno in due
soli architetti, anzi nemmeno nello stesso architetto in tutta la sua vita. Il
tipo ideale del Diritto, come tutti quanti i tipi ideali, è una formazione
mentale, che apparisce un dato momento per una accidentalità che la suggerisce;
vi si perfeziona poi in una data maniera per altre accidentalità che guidano la
mente a farlo ; e un dato momento poi si oblia e si sostituisce con altri
diversi e opposti, ancora per delle accidentalità che ve la inducono. E tanto,
che il tipo ideale stesso non è quindi deter- minabile a priori, come un vero
preesistente inmodofisso e inalterabile nella mente di ognuno: ma solo a poste-
riori, cioè come 1' astratto di tutti i tipi conosciuti veri- Vol. IV. 16 ficatisi
effettivamente nelle Società umane d* ogni tempo. A quella maniera che il tipo
del vegetale non si può avere se non pel confronto mentale fra le forme reali
che effettivamente s* è dato che se ne producessero. IO. — Che se altri dicesse
che il tipo ideale del Di- ritto è assoluto in quanto è il corrispettivo
necessario etico-sociale di una entità reale, cioè dell' uomo e della sua
convivenza nella Società (i), risponderemmo: Primo. Che la reale entità stessa,
dell' uomo e della sua convivenza nella Società, determinante necessaria- mente
il tipo ideale del Diritto, è ancora una somma di accidentalità, che si rileva
a posteriori, e non si prefigge a priori. Secondo. Che il tipo ideale del
Diritto sipresta al concetto di essere il correspettivo necessario del fatto
so- ciale, non come il disegno preesistente di ciò che non è ancora succeduto;
ma solo come V astratto rilevato dopo (i) Su ciò ho scritto nella Psicologia
come scienza positiva (Voi. I di queste Opev e filosofiche pag. 219, 220) un
tratto che stimo op- portono di ripetere anche qui : « Anche nel dire,
idealità, il filosofo positivo esprime un concetto armonizzante i veri
imperfetti di diverse scuole. La scuola psicologica dà l'idea, come una mera
forma del tutto soggettiva, accidentale e variabile del pensiero. La scuola
onto- logica le assegna un valore oggettivo, immutabile ed assoluto. La scuola
storica ricorre per ispiegarla alle relazioni dell'uomo colle con- dizioni
esterne in cui vive , per cui le attribuisce una semioggettività, e la considera,
da una parte contro i psicologi, non una creazione fa- cile ed efimera dell'
individuo, ma una produzione faticosa,lenta, du- revole della Società, e dall'
altra contro gli ontologi, non una intui- zione che la riveli d' un tratto
nella sua interezza ed in una forma unica sempre e per tutti, ma una formazione
progressiva e varia, che incomincia dall' abbozzo per venire al lavoro sempre
più finito; e che riesce con aspetti diversi, secondo le circostanze differenti
dalle quali •*-^..r9,rr-fr- ^.-^ — 243 di ciò che è già succeduto. Onde il
ricorrervi che fanno i nostri avversari è un circolo vizioso. §n. // Diritto è
in virtù di se stesso, gioverà qui ripetere, in forma appropriata a questo
punto del nostro discorso, ciò che pursopra sotto vari aspetti dimostrammo. Quello
che può un uomo, che fa parte di una So- cietà, è una forza, che vi si pone da
sé col solo fatto che r uomo medesimo ne faccia parte ; e che vi emerge in
quanto non vi è elisa dal contrasto dei consociati. Come già dicemmo più volte.
Emergendo la forza di un uomo nella Società, vi è dipende. Or bene anche nel
filosofo positivo l' idea è una formazione lenta, progressiva, durevole, non
dell' individuo, ma della società, e dipendente dalie esteme condizioni di
essa, ma solo in quanto queste condizioni esterne e l'opera sociale giovano a
dare eccitamento e rin- forzo al pensiero individuale, il quale è il vero
fattore dell' idea, se- condo chedicono giustamente i psicologisti. Ma l'
individuo e la so- cietà, producendo l' idea, non fanno opera capricciosa, ed
avente solo valore momentaneo e soggettivo. No : tale lavoro ha la sua ragione
nella stessa natura per la quale agiscono, come la forma che assume il seme
germogliando. E come la forma assunta dal seme per la ger- mogliazione, più che
se stessa, rappresenta queir ordine di cose, che ha determinato la formazione
della specie vegetale a cui appartiene, cosi r idea di un uomo, più che 1'
operazione accidentale, soggettiva, variabilissima di esso, rappresenta,
secondo che dicono giustamente gliontologisti, queir ordine assoluto e
immutabile, almeno quantola natura, nel quale è la ragione oggettiva del fatto
particolare, che consideriamo. Vedi per esempio nel Capo I, dove parlammo della
Giustizia potenziale y e nel Capo II, dove parlammo della derivazione della
Giustizia dalla prepotenza. ■«T- riconosciuta: o estrale galmente nel tacito
consenso degli altri uomini, e nell' uso, e nella esplicita manifestazione
dell'opinione pubblica in qualunque modo approvante: o legalmente nelle forme
stabilite dal Potere sociale rico- nosciuto come tale. E pel detto
riconoscimento la forza in discorso acqui- sta il carattere di Diritto, per la
ragione che importa la Responsabilità di chi la lede verso la Società, la
quale, col suo riconoscimento, se ne è costituita tutrice e vin- dice. E quindi
è falsa V idea che il Diritto emani assolu- tamente dall'Autorità superiore,
che lo doni o lo conceda air inferiore. Non emana da essa: esiste
potenzialmente prima e indipendentemente e malgrado di essa : si impone da sé :
e sforza la stessa Autorità ad ammetterlo col riconoscerlo e sancirlo. E anche
questo dicemmo già più volte. Ma ci occorre ora di far notare un fatto essen-
ziale alla dottrina della sociologia positiva, non ancor ri- levato: il fatto
cioè che il Potere sociale crea pur esso direttamente dei Diritti individuali.
E, dato questo, si domanda : come si accorda questo fatto col suddetto
principio della emanazione del Diritto dall'individuo e non dalla Società?
Facile è la risposta. Il fatto della creazione di un Diritto individuale per
parte del Potere sociale si ac- corda col principio in discorso per la ragione
che questo Potere, nel caso qui contemplato, può porre il Diritto neir
individuo in quanto può fornirlo di una forza ; e in quanto questa forza, che
l' individuo ha ritratto dal potere che gliel' ha fornita, sia riconoscibile
quale Diritto come le altre forze possedute comecchessia dall'individuo
medesimo, e dalla società rispettate o difese. In ogni caso il fatto del
Diritto di un uomo neir organismo sociale è analogo a quello delle proprietà
acquistate dall' elemento materiale quando é entrato a far parte di un
organismo ; e, per un esempio, dalla molecola combinata nel tutto di una
sostanza, che acquista la forza specificamente funzionante della sostanza
medesima solo perchè è divenuta V elemento di essa. Nell’organismo chimico di
una sostanza V elemento è la molecola, come neir organismo sociale l’elemento è
la persona di un uomo. L' organismo intero, neir un caso e neir altro, e' è
solo pel rapporto della forza di un ele- mento con quelle degli altri; ossia
per orientarla se- condo la coordinazione acconcia di tutte. Il che però non
esclude: Primo. Che, coordinandosi nella complessa azione dell' organismo le
forze proprie degli elementi, ognuno di questi non ne ceda un tanto a formare
delle somme comuni, che poi siano distribuite di nuovo nelle parti in ordine
alle esigenze generali dell' organismo. Secondo. Che l' individuo stesso non
dipenda (e in quanto giunge all' acquisto di tutte le forze onde riesce
rivestito, e in quanto le conserva e ne usa liberamente) dall' ambiente
sociale, nel quale trova il mezzo dell'acquisto e della sua gsiranzia. Sicché
per questo lato (ma per questo solamente) è vero il principio della derivazione
del Diritto neir individuo dalla Società e dal suo Potere direttivo : e come,
per esempio, nella sostanza del chimico, nella quale, in virtù della sua
costituzione, le forze sono condotte ad assommarsi in certi punti determinati,
e in certa maniera ; e poi anche V acquisto e la costanza della forza specifica
operante negli atomi dipendono dall' es- servi coordinati. Il diritto è la
facoltà del bene sociale. L’esercizio del diritto è la funzione del bene
sociale. Dalle cose dette apparisce, che il Diritto è la facoltà del Bene
sociale; e che l'esercizio del Diritto è la funzione del Bene sociale. E ciò, o
solo indirettamente, o anche direttamente. Solo indirettamente, in quanto la
facoltà indi- viduale sia puramente V egoismo contenuto nei limiti inof-
fensivi per gli altri e producente il Bene dell' individuo investitone; che
torna il bene della Società, e perchè è il Bene del suo elemento, e perchè se
ne possono giovare e se ne giovano anche gli altri. Come nel fatto di una
industria, che arricchisce l'in- dustriale, e quindi anche il paese, e offre
nello stesso tempo un utile e un comodo ai consumatori de' suoi pro- dotti. E
anche direttamente, in quanto la facoltà in- dividuale sia quella che
corrisponde alla Idealità antiegoi- stica; la quale, come si estenda in urla
Società adulta e colta e bene ordinata e fiorente, vedemmo sopra; dove anzi
dimostrammo che, se si tien conto di tutte le gra- dazioni della Idealità e
delle disposizioni antiegoistiche (da una minima che lavori insieme con un
massimo di egoismo, ad una massima che lavori insieme ad un mi- nimo
diegoismo), si trova in tutto ciò che può fare e fa r individuo sociale. Il Diritto
costa una contribuzione, I. — Ma, se, da una parte, l'individuo è investito di
una potenza o di un Diritto (del quale usa poi facendo, o indirettamente, o
direttamente, il vantaggio altrui) dal- l' altra, la stessa potenza o Diritto
costa una contribuzione per parte degli altri. E questa una legge naturale
correlativa alla sopra accennata e necessariamente ad essa collegata. Si piglia
; ma si deve dare. Si dà; ma si piglia per poter dare. Questa legge dell'
organismo sociale non è altro cioè che r applicazione al caso particolare di
esso organismo della legge che domina in tutti gli organismi, anzi in tutta la
natura, dove una forza, posseduta da un agente che funziona in virtù di essa,
è, non una forza creata dal nulla neir agente medesimo, ma comunicata ad esso
da altri agenti, che gliela cedono in ragione dei rapporti correnti fra quello
che cede e quello che acquista ; come ho dimostrato nel libro della Formazione
naturale, par- lando del ritmo (i). Il vegetale si appropria l' acido carbonico
che lo at- (i) Vedi Formazione naturale nel fatto del sistema solare^ Os-
servazione terza. § XIV (nel Voi. II di queste Op. Jil.J. tornia, e con esso
mantiene la vita. Gli animali maggiori vivono cibandosi dei minori. Neir
organismo di un mam- mifero alcune parti lavorano a preparare il sangue, e le
masse nervose ne fanno consumo. Impossibile V attività specifica nervosa,
necessaria al funzionamento generale deir organismo e anche a quello
particolare delle parti preparanti il sangue, senza la contribuzione di queste
alla nutrizione dei nervi mediante la somministrazione del sangue acconciamente
preparato e distribuito. 2. — Parlando in particolare deir organismo sociale,
la partecipazione al contributo di ciascuna parte è in ra-gione della
importanza del Diritto, e quindi della facoltà di produrre il Bene sociale. Più
è r importanza del Diritto, e più è la facoltà di produrre il Bene sociale. Più
è questa facoltà e più è la partecipazione al contributo delle parti. Come nel
resto della natura, dove si trova che le funzioni più elevate de* suoi agenti
costano un immagaz- zinamento di forza tanto più grande quanto più distinta è
la forma e ìa sfera della efficienza. Risultando cosi una proporzione di
equivalenza tra la natura che dà e quella che riceve. E in questo modo, che al
più della contri- zione apportata corrisponda il più della importanza della
attività emergente. Per la stessa ragione il Diritto di un ordine supe- riore,
quello ad esempio di un Giudice, costa una contri- buzione per parte di quelli
sui quali ha giurisdizione. Sicché il Giudice mangia dei frutti della terra che
essi hanno lavorato, come il sistema nervoso consuma del sangue che fu
preparato da altre parti dell'organisme animale. PPP^P"?!'^. Come molto
movimento equivale a poco di calore, e molto calore a poco di attività chimica,
e molta attività chimica a poco di attività vitale, e molta attività vitale a
poco di pensiero; cosi, nell'ordine etico della natura, a molta materialità
(intendendo con questa espressione le forme inferiori della esistenza)
corrisponde poco di attitudine morale: poiché, nella gradazione delle
formazioni naturali e quindi delle equivalenze delle forze, i suoi poli opposti
possiamo rappresentarceli, o andando dal movimento meccanico al pensiero, che
ne è l'ultima trasformazione (i), o andando dalla materialità alla mora- lità,
che è r ultima e più sublime sfera della evoluzione ascendente della natura insensibile
e bruta. Naturale è questo fatto della contribuzione delle parti nell'organismo
sociale. E quindi, non effetto solo di arbitrio o prepotenza di alcuno, ma
necessario; a quel modo che è necessario l'assorbimento del carbonio per parte
del vegetale, e il consumo del sangue per parte dei nervi. E naturale il fatto
stesso ; ed anche giusto, in quanto è, direttamente o indirettamente,
consentito ed approvato da quelli che contribuiscono. Ed è consentito ed
approvato da questi per la legge, rilevata dagli economisti, della domanda; la
quale, come tutti sanno, consiste in ciò, che più una cosa importa a molti e
più è domandata; e tanto più si paga quanto più (i) Intendendo questo nel senso
della filosofia positiva e non in quello della metafìsica materialistica. Come
spiego da per tutto nei miei libri, e più a lungo in quello col titolo V Unità
della Coscienza nel VII voi. dì queste Op. fil. iiu^.i'i>nn^ si domanda; ma si paga quanto occorre per
averla e non più. Questa legge poi, che determina nei suoi limiti ne- cessari
la contribuzione assentita e giusta nell'organismo sociale, è analoga alla
fisiologica, onde un tessuto vivo si impadronisce delle sostanze che lo nutrono
nei limiti deter- minati dallo stesso bisogno della funzione domandatagli. 4. —
E quindi il fatto in discorso deve essere con- siderato come un caso speciale
di selezione naturale; che si potrebbe chiamare la selezione etico-sociale. E
dalle cose dette si conferma e si chiarisce viemmeglio la dottrina sopra
esposta, che il Diritto indi- viduale è pur esso una autorità (i). Poiché, come
ve- demmo, il Diritto individuale si impone a tutti quelli che contribuiscono
all' essere suo ; e agli eguali, che lo rico- noscono e lo rispettano; e agli
inferiori, ossia a quelli che, in ragione dei rapporti nascenti dalla sua
speciale natura, ne subiscono una dipendenza e una direzione; e al Potere
sociale subordinante, in quanto questo non lo crea ma lo riconosce, ed è
determinato a riconoscerlo dal fatto stesso di porsi da sé; onde, una volta che
si sia posto, viene ad essere realmente Diritto in virtù di se stesso. Le unità
minime, le unità medie, e V unità ^ massima nel corpo sociale. L’individuo è V
unità minima del composto so- ciale, come r atomo del composto chimico. E, come
in (i) Vedi Capo III, specialmente \ V. tutti gli altriorganismi naturali, cosi
nel sociale, oltre le unità minime degli individui sociali, e Munita massima
dell' intero organismo, si trovano delle unità di mezzo di terzo grado,
risultanti di più individui associati parti- colarmente fra loro, o di più di
queste associazioni di individui collegate particolarmente in federazioni più
grandi. In unaSocietà adulta, fiorente e grande, la vita del tutto si manifesta
nelle più svariate e spiccanti differen- ziazionidelle attitudini e conseguentemente
dei Diritti individuali, come accennammo or ora. Anzi la grandezza della
Società è, alla sua volta, il risultato di tali varietà o specificazioni di
attitudini ; ovvero di tale divisione di lavoro, verificatavisi : come in ogni
altro organismo; per esempio, in quello fisiologico dell' uomo, nel quale la
ec- cellenza zoologica sopra gli altri animali dipende da una suddivisione di
specificazioni in massimo gradodegli or- gani componenti. In un animale del
grado infimo della scala zoologica la sostanza componente (come avvertimmo nel
principio del libro) non è né muscolo ne nervo : come in una Società umana
primitivissima tutti gli individui sono, mettiamo, dei guardiani d' armenti : e
non vi si trova una distinzione di occupazioni, per salire, po- gniamo, da uno
che attende a far pascolare le oche ad uno che attende a costruire stromenti di
ottica o di astro- nomia. La differenziazione in discorso nella Società più
pro-gredita va, si può dire, all' infinito. E non solo nelle u- nità minime degli
individui, ma anche nelle combinazioni medie già dette delle associazioni degli
individui e delle confederazioni di queste associazioni. Le quali pure, nelle
Società adulte fiorenti e grandi, si producono, per cosi dire, anch' esse all'
infinito : dalle più comuni, normali, e costanti, come quella della/amiglia,
alle più insolite, ac- cidentali ed efimere, come quella ad esempio per dare
una volta una festa o uno spettacolo: dalle più piccole, come di due persone in
una impresa commerciale, alle più grandi, come di due provincie di uno Stato
tra loro consorziate per interessi speciali. Or bene, anche queste unità medie
sono (al modo che una data somma, come tale, si distingue dalle sin- gole
quantità sommate, considerate ad una ad una) sog- getti distinti in possesso di
una facoltà speciale, analoga alla individuale, a somiglianza di ciò che pur si
verifica neglialtri organismi naturali : nei quali, per esempio, la cellula
nervosa singola ha le sue proprietà particolari, e una data massa distinta di
cellule nervose ha un dato uf- ficio distinto fisiologico, che essa esercita in
quanto esiste e si conserva nella peculiarità del suo insieme. E siccome poi il
possesso di una potenza di fare im- porta il possesso di un Diritto, come
dimostrammosopra,cosinellaSocietà si danno i Diritti degli individui e i
Diritti delle stssociazioni loro. E questi Diritti delle As- sociazioni hanno
le proprietà già notate dei Diritti indi- viduali più quelle dipendenti dalla
specialità proporzio- nale della associazione. Delle quali ultime proprietà una
massimamente occorre che sia qui messa in rilievo. L' individuo, in astratto,
si può considerare siccome un plasma generico, il quale, nell' ambiente sociale
e nel circolo della sua vita, secondo le disposizioni già pos- sedute nascendo,
e le circostanze accidentali nelle quali viene a cadere, riceve una
particolarità di impronta di- stinta e tutta sua. Nel che ha luogo un fatto di
selezione naturale: cioè la selezione naturale onde una unità so- ciale si
sceme quale individualità distinta fra altre unità. Anche le agglomerazioni di
più individui in associa- zioni o totalità distinte sono determinate e
foggiate, con grandezze, tendenze e attività particolari, neir ambiente
sociale, secondo i bisogni ed i fatti, e costanti e acciden- tali, onde
emergono, per una analoga selezione naturale distinguente un composto singolo
fra altri composti. Ma in questo composto (o unità media, come sopra lo
chiamammo) ha luogo un' altra forma della selezione naturale : cioè quella che,
neir interno stesso del com- posto, diflFerenzia edistingue fra loro le parti
compo- nenti: e si che esso composto riesca un organismo e non rimanga una
semplice agglomerazione inorganica di ele- menti tutti identici fra loro. E
questa forma di selezione si potrebbe chiamare selezione interorganica. La
unità sociale da noi detta media non è puramente un certo numero di parti
addizionate le une alle altre, ma è una collaborazione organica degli individui
o dei soda- lizi aggregati insieme; e quindi con diversità di attinenze e di
facoltà distribuite fra loro. Altri fanno numero, con- tribuiscono e concorrono
a mantenere T associazione : altri invece la rappresentano, la dirigono, ne
applicano le forze accumulatevi. E, occorrendovi specialità di lavoro e di
ufficio, queste vi sono divise quali negli uni e quali negli altri. E, come è
naturale la creazione di queste differenze interorganiche delle parti
costitutive delle unità medie, cosi è naturale la selezione interorganica dalla
quale di- cemmo che proviene. Questa selezione interorganica, come insegna la
os- servazione del fatto, avviene in diverse maniere secondo i casi; ma
soprattutto secondo la legge, che riesce a una data facoltà ufficio chi piti vi
ha attitudine, o ne ha il merito, e colla condizione del consentimento degli
as- sociati. Il fatto del merito, onde uno acquista una preroga- tiva o una
particolarità d'ufficio a preferenza di altri, è analogo a quello notato da
Darwin della specie preva- lente nella lotta per la esistenza. Il fatto del
consentimento degli associati è analogco air altro, pure da Darwin segnalato,
dell* efficacia del- l' ambiente nel secondare la trasformazione progressiva
dell' essere naturale. L' individuo investito di nna facoltà o di un ufficio in
un corpo di individui o di sodalizi viene con ciò ad avere due sorta di facoltà
o di Diritti : cioè il Di- ritto fondamentale spettante a lui come parte
elementare della Società intera, e il Diritto avventizio, onde è in- vestito
come organo speciale della associazione partico- lare a cui appartiene. Il
Diritto fondamentale ha il suo rapporto immediato colla costituzione generale
delle Società che lo garantisce direttamente a tutti senza distinzione : T
avventizio V ha con quella della associazione particolare per la quale e-
merge; ed è garantito dal Potere sociale supremo in quanto esso riconosce il
Diritto della medesima associa- zione particolare. Se privato si dice ciò che è
proprio della unità sociale minima, come tale, e pubblico ciò che è proprio
della unità massima, parlando delle unità medie si dirà che hanno un carattere
di mezzo tra i due, e gradata- mente; in ragione cioè della importanza loro,
intensiva- mente o estensivamente, nella vita sociale complessiva. Il pubblico
poi si differenzia in genere dal privato in quanto ha un rapporto diretto col
Bene, non indivi- duale, ma sociale ; ossia è, non egoistico, ma antiegoistico.
La proprietà quindi di ente morale antiegoistico com- peterà massimamente alla
unità più glande o allo Stato. E se, come sopra dicemmo, il Diritto in genere è
\2l fa- coltà del Bene sociale e il suo esercizio è la funzione del Bene
sociale, ciò si avvererà meno pel Diritto privato, più pel Diritto delle
associazioni sociali intermedie, e in grado più alto pel Diritto dello Stato.
Ma non diremo che per questo Diritto dello Stato il principio si avveri proprio
nel grado massimo, per la ragione che, come sopra dicemmo n), uno Stato
singolo, o già in effetto, o almeno in potenza, si coordina internazionalmente
con altri Stati, anzi con tutte le Società umane esistenti sulla terra. La
selezione interorganica nella evoluzione formatrice dello Stato. La legge della
selezione interorganica, che si avvera nella costituzione degli organismi delle
unità com- (i) Dove parlammo del Diritto internazionale (Capo [, \ II). plesse
medie, si avvera poi per le ragioni medesime nella costituzione dell' organismo
della unità massima dello Stato. Ed è per essa legge che ha luogo in questo la
formazione del Potere onde si esercitano le sue fimzioni subordinanti, che sono
poi funzioni del Bene sociale. Questa selezione assume storicamente forme svari
atis- sime. Ma anche la varietà è determinata da una ragione costante, che si
rivela chiarissimamente nella storia poli- tica degli Stati, e che non è altro
che una applicazione del principio nostro fondamentale della formazione etico-
sociale, che cioè la prepotenza è V indistinto onde si forma il distinto della
Giicstizia, E in vero nello stadio iniziale, o della prepotenza, la selezione
formatrice del Potere sociale è dipendente dalla violenza, che a poco a poco si
mitiga nella eredità, finché da ultimo è sostituita, prima in parte e poi del
tutto, dalla elezione (per parte dei subordinati, e in modo legale e pacifico)
dei più degni, in ragione del merito morale e della Giustizia» e non del soprastare
materiale della ricchezza o della forza dei muscoli : e si che riesca investito
dell' ufficio chi si trova piti atto ad esercitarlo, e che il Potere nella
direzione del corpo sociale sia quel premio del virtuoso del quale un' altra
volta parlammo nel Capo precedente (i). 2. — Il costante e vivissimo lavoro
evolutivo del- l' organismo dello Stato, onde si ha la sua formazione na-
turale e il suo sviluppo e isuo progresso, è T applica- zione nel grado massimo
del principio della formazione (I) \ VII, numero 8. morale, cioè, dall'
indistinto (morale solo virtualmente) della prepotenza e dell' egoismo, al
distinto (morale in atto) della Giustizia antiegoistica. Più procede la
formazione organica dello Stato e più si estende e arriva in tutte le parti e
nel!' intimo di esse la virtù direttiva e moralmente perfezionatrice della So-
vranità politica. In modo che, dove prima le parti erano agglomerate e
coacervate e tenute in fascio violentemente, a poco a poco vanno organizzandosi
vitalmente insieme e finiscono coli' aderire 1' una con V altra, e tutte nel
tutto, volontariamente e per liberoconsentimento. Come, per esempio, le
molecole di certe sostanze, che fanno sentire la loro affinità e aderiscono
insieme a formare un cri- stallo solo in seguito ad una compressione che le
sforzò a ravvicinarsi meccanicamente. Il quale processo però va di pari passo
con quel- r altro; che le parti stesse subordinate, di mano in mano che si
orientano nella armonia politica dello Stato, di- ventando partecipi e
collaboratrici della sua vita, reagi- scono sul Potere sovraincombente,
rintuzzando la prepo- tenza, che vi fosse, e riducendolo ad una forza giusta e
mo- rale ; ad una forza, in una parola, diretta al Bene di tutti. 3. — Non è
nostro compito (non richiedendolo lo scopo del presente libro) di studiare i
modi precisi onde, per la elezione interorganica, e pel processo di distin-
zione, si va formando nell' organismo dello Stato bordine del Potere, che
riesce un sistema complesso di funzioni speciali esercitate da individui e corpi
particolari; e come nasca il fatto, mettiamo, della divisione del Governo in
diversi ministeri, e di ciascuno di questi in parecchie Voi. IV. 17 dipendenze, alle quali, variamente e per mez£o
di centri subordinati, si rannodano le ultime propag^ni della
am-ministrazionepubblica sparse in ogni parte dello Stato. Pel nostro scopo, in
riguardo alle specializzazioni ac- cennate degli organi del Potere, basterà
fare T osserva- zione (pure importantissima) che, come si distinguono tra loro
le amministrazioni pubbliche, e quindi gli c^getti di ciascheduna, e
conseguentemente il modo di funzionare (che deve atteggiarsi in conformità
dell' intento da otte- nere), cosi si distinguono tra di loro le Sanzioni pub-
bliche e legali degli atti sociali relativi; e quindi (si noti bene) le specie
di Responsabilità, che neemergono. E da ciò proviene che le forme della
Giustizia e quindi della Moralità si specializzano insieme collo spe-
cializzarsi della pubblica amministrazione; onde, moral- mente, non sono, per
esempio, identiche le azioni degli individui giudicate da un tribunale civile e
quellegiudi- cate da una una intendenza di finanza, o da una commis- sione igienica
o di belle arti; e per un reato controla proprietà individuale o per uno contro
le restrizioni della libertà della stampa, in materia scientifica; e cosi via.
Il che non vuol dire però che non si possano tutte le dette azioni ridurre al
genere comune delle obbliga- torie nel foro intimo della coscienza, in ragione
che Del- l' individuo si è formata, come sopra abbiamo dimostrato, r abitudine
virtuosa e propria del saggio ; l'abitudine cioè di attribuire universalmente
alle Idealità antiegoistiche sociali un valore obbligativo per se, assoluto e
indipen- dente dalle specialità di procedura e di Sanzione, che loro
corrispondono nella amministrazione governativa. m — Come risuiii spiegata la
prima /orina de li* ufficio del Intere, e anche la terza : e stabilito l'
assunto del liérù. Ora, facendo, colla proporzione dovuta, al fatto del Diritto
del Potere, Tapplicazione del priacipio stabi- lito sopra, che ogni Diritto
importa una conirièuzionc, possiamo trovare la verità di quella che sopra, alla
fine del Capo I, dicemmo la pritna forma dell' ufficio del Po- tere, cioè : di
stabilii*^! nella Società a spese delle sue parti. Et facendo allo stesso
fatto» pure colla pro- porzione dovuta, r applicazione dell' altro principio,
che il Diritto è la facoltà del Bene^ constatiamo la verità di quella, che ivi
stesso chiamammo la terza forma dell' uf- ficio del Potere, cioè: di
flÌH|ìensHri^ la forza propriadeir ambiente sociale (cioè le contribuzioni
suddette) al migli orauiento delle sue parti. In questo ultimo enunciato poi
abbiamo il com- pendio, per cosi dire, di tutta la trattaEione di questo libro,
E> in relazione allo stesso enunciato, si verificano, in ragione cho lo
Stato si perfeziona in ogni sua parte, i principj che seguono: Primo* Che le
contribuzioni di ogni genere, prestate da tutti gli elementi costitutivi dello
Stato, diventano li-èeramente consentile. Secondo. Che le contribuzioni
medesime si vanno av- vicinando al massimo di ciò che pi4Ò dare ciascuno ^
senza suo esiziale detrimento* ^ i '«.iFI-i-^..' TChe nulla, di ciò che è
contribuito, va consur- malo prepotentemente ed egoisticamente da chi è
investito del Potere di disporne. Quarto. Che la erogazione medesima è fatta
secondo il volere di quelli stessi che contribuiscono. Quinto. E alla tutela
dei Diritti di tutti; e dXVotte- nimento della prosperità, e al miglioramento
morale. Sesto. E a questo soprattutto. E nella ragione che il miglioramento
morale ottenuto, supplendo da sé, come dimostrammo sopra (i), alla tutela dei
Diritti e all' otte- nimento della prosperità materiale, lascia per sé disponi-
bili mezzi sempre maggiori. E cosi nello Stato siverifica T idea della prov-
videnza, che il teista colloca in dio, come in esso colloca il tipo della
specie di una pianta, per la solita illusione tante volte notata. E si verifica
anche V idea della grazia, immaginata per una simile illusione dalla teologia
cattolica siccome emanazione divina, atta a rendere V uomo morale, a far che
segua le leggi della Giustizia ed eserciti la beneficenza. La possibilità per
1* individuo di essere morale, di conoscere e seguire la Giustizia, e di essere
benefico verso gli altri, si ha, come dimostrammo nel corso del libro, dalla
sua convivenza nella Società e dalla proprietà di questo di svolgere e
perfezionare le facoltà dell'uomo, e di moralizzarlo. 5. — Onde lo Stato, cosi
concepito, viene ad essere l'attuazione pura e compiuta della Idealità sociale,
ossia (i) In molti luoghi: per es. Numero 2 del J VI del Capo IV. 201 del
principio del Bene an ti egoistico, del Bene morale, in una parola del Bene pel
Bene, E quindi lo Stato medesimo riesce la prova concreta ' sperimentale della
verità del principio della Morale dei positivisti da noi affermato, chiarito,
dimostrato: e una prova evidente, in quanto nel fatto dello Stato il fenomeno
individuale si trovaingrandito, E mi spiego. Se, ad esempio, si può dubitare
che un atomo materiale preso da sé sia pesante, perchè il peso deir atomo è
tanto piccolo che non si può rilevare iso- latamente, il dubbio cessa affatto
prendendo una grande congerie di atomi, nella quale i pesi minimi non valu-
tabili di ognuno sisommano in un peso valutabile, dal quale si arguisce quello
troppo piccolo dei componenti. E, se si può dubitare che una molecola di ferro,
consi- derata isolatamente, sia calamitata, il dubbio cessa quando se ne prenda
una grande massa. E cosi nel caso nostro. Se si può dubitare che T uomo singolo
sia mosso nelle sue azioni da una Idealità sociale antiegoistica, perchè la
ragione di questa, nella singola azioneumana di un individuo, si sottrae
facilmente alla osservazione, stante il concorso e il contrasto colle ragioni
egoistiche, le quali ve la accompagnano, il dubbio è tolto interamente arguendo
dal fatto che, appuntandosi i voleri individuali nella totalità dello Stato, ne
risulta la incontrastabile sovranità del volere morale, e antiegoistico, che vi
os- servammo. Le cose dette nel corso del libro dimostrarono che la
Responsabilità, intesa nel senso che sia Vastraito delle Sanzioni,onde la
Società reagisce, rintuzzandola, contro V azione propriamente umana
individuale, si rife- risce, non solo agli atti della Giustizia propriamente
detta, ma anche a tutti gli altri atti etico-civili dell'uomo ; cioè :
Primo. Agli atti offensivi non contemplati e non con- templabili dalla Legge. I
quali perciò, esclusi dal campo della Giustizia propriamente detta, vanno
attribuiti a quel- la altro della puraConvenienza. Secondo. Agli atti
sindacabili soltanto dalla coscienza intima dell* individuo in cui si avverano,
e producenti la sola reazione del rimorso intemo. Terzo. Agli atti virtuosi,
che V individuo potrebbe fare e sarebbe bene facesse, e non fa. Ossia a quegli
atti che non si attribuiscono, ne alla Giustizia, né alla Con- venienza, ma
alla Carità, come dicevano i moralisti vecchi, o alla Filantropia o Beneficenza,
come direbbero inuovi. E cosi è sciolta la questione, propostaci nella
Introduzione, come compito di questa nostra Sociologia. Rodrigo Ardigò. Keywords: sociologia. Grice
ed Ardigò: implicatura cooperativa —
positivismo filosofico — biologia
filosofica — psicologia filosofica naturalista — il sociale — l’intersoggetivo
——, la morale positivista, il positivism filosofico. La morale e il diritto
all’altro – la convivenza sociale – la giustizia, il bene sociale – la benevolenza
e la beneficenza – il calcolo ragionale nella convivenza sociale – l’evoluzione
sociale – l’organismo sociale – il positivismo filosofico – communicazione e
convenienza sociale – l’onesta morale – spettazione di onesta reciproca –
Fondazione naturalistica della morale – Fondazione – il fatto sociale – il devere,
la regola d’oro, fare all’altro cioe che vorreste fatto a te – consiglio di
prudenza – kant – costume – fatto sociale presupposizione del linguaggio -- Refs.:
Luigi Speranza, “Grice ed Ardigò” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51684424707/in/photolist-2mTna1x-2mRnYF2-2mQzgRD-2mPszkp-2mMZzKx-2mLLy7L-2mLLy6U-2mLLBQT-2mLGwFD-2mKDXUP-2mKT6cK-2mKLzDp-2mKwdUT-2mKAsyK-2mKAuZM-2mKjsJY-2mKfNvB-2mKbbNP
Grice ed Arena – nudi –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Ripatransone). Filosofo. Grice:
“I like Arena; my favourite of his tracts are one on what he calls,
ambiguously, ‘guerriero dello spirito,’ which is pretty naif – wasn’t Aeneas
killing for something too, not necessarily ‘spiritus’? – His focus is two
orders: the templari and the teutonic order – my other of his favourite trats
is his ‘nudi’ – or ‘gnudi,’ if you
mustn’t – when Romolo converses with Romo, they are ‘nudi’ – what they say is
what they mean and what they mean is what they say – ‘nakedness’ becomes a
philosophical category, as when Strawson says, ‘the naked true.’” “There is no
reason why it shouldn’t be a philosophical category, since the etymology is
fascinating – vide Clarke, “The naked and the nude,” -- Leonardo Vittorio Arena (Ripatransone),
filosofo. Arena insegna "Storia della filosofia contemporanea" presso
Urbino. Filosofo e orientalista,ha dedicato in particolare al Buddhismo Zen, al
Taoismo e al Sufismo una vasta produzione saggistica; è anche autore di romanzi
e traduzioni sui medesimi temi. Insegna tecniche di meditazione tratte da
pratiche buddhiste e sufi. Ha collaborato ai programmi religiosi della Radio
Svizzera. Pensiero La sua visione filosofica è esposta principalmente
nelle tre opere Nonsense o il senso della vita ,Note ai margini del nulla e Sul
nudo, dove si propone una sintesi delle grandi correnti filosofiche orientali e
occidentali, con particolare riguardo a Nietzsche, Wittgenstein, Zhuāngzǐ e il
Buddhismo Chán/Zen. Il nonsense, come dall'opera Nonsense o il senso
della vita, è da intendere come la meta di ogni autentica indagine filosofica,
realizzando la "distruzione delle opinioni" sulla scorta del
Buddhismo. La filosofia del nonsense non è teoria, bensì non teoria: come la
zattera del Buddhismo o la scala di Wittgenstein, serve ad arrivare a una sorta
di consapevolezza speciale, per poi essere tranquillamente accantonata. Punto
di partenza: non è possibile formulare una filosofia esente da contraddizioni.
Nelle pagine di ogni filosofo si cela il tarlo dell'incoerenza. Traendo tutte
le conseguenze logiche di ogni filosofia se ne attesta la
contraddittorietà. L'idealismo, base di ogni filosofia, dovrà sfociare
nel vuoto e nel nonsense, laddove se ne sviluppi il suo principio-base, che è
esistenziale prima ancora che teoretico, secondo cui il mondo è la
rappresentazione del soggetto o di una mente cosmica. La posizione del nonsense
spinge a riconoscere che le cose stanno proprio così (Tathātā), cioè sono
caratterizzate da una nudità che non può essere interpretata o espressa
attraverso alcuna dottrina od opinione. Non c'è senso nascosto, e tutto è
già qui, direttamente accessibile nella vita quotidiana all'uomo comune e al
Risvegliato, mai così tanto accomunati. Lo strumento del nonsense è l'arte,
specialmente la musica e si procede verso la dimensione del non suono, già cara
a John Cage, nella sua composizione 4'33", cui Arena dedica una lunga
disamina, nella sua opera La durata infinita del non suono. La stessa tematica
viene ripresa e ampliata in Il tao del non suono, nonché nell'analisi di alcuni
solisti o gruppi di musica contemporanea, come John Lennon, David Sylvian,
Brian Eno, Robert Wyatt, Giacinto Scelsi e Ryuichi Sakamoto. Musica e filosofia
si intersecano, entrambe sono mezzi di conoscenza, addirittura intercambiabili.
Arena è influenzato dalla beat generation, e riconduce parte del suo interesse
di lunga data per l'Oriente ai Beatles e ai grandi gruppi rock dei '60 e
'70. Nella poesia, l'haiku esprime lo yugen, un senso di "profondità
misteriosa" che convive con la semplicità del "qui e ora".
Nonsense implica il superamento degli opposti, quindi permette di giungere alla
non dualità, al di là della logica formale di Aristotele, perseguita
dall'esorcista del nudo, il quale pretende di cogliere e congelare in una
articolazione sistematica il caotico divenire della vita; operazione votata
all'insuccesso, e alla contraddittorietà. Come per Nāgārjuna e Wittgenstein,
anche per Arena la logica può servire a invalidare sé stessa, ma nella
dimensione radicale del kōan, come è concepita nel Chán/Zen. L'insegnamento si
trasmette grazie a una sorta di empatia o comunicazione energetica tra maestro
e allievo -, di baraka nel senso che il termine acquista nel Sufismo -,
veicolata dal silenzio e dal non suono. Nella sua opera Note ai margini
del nulla, Arena riprende la posizione di Bodhidharma, relativa al "non
sapere, non distinzione" (fushiki), in direzione epistemologica ed
ermeneutica, sottolineando la complessità della diffusione del nonsense
nell'ambito del sociale. Egli analizza le concezioni di vari esponenti del
pensiero orientale e occidentale, tra cui Max Stirner, Fernando Pessoa e i
maestri del Taoismo, specie Zhuāngzi. Il nonsense propone un nichilismo
costruttivo, dove le "ragioni" del nulla non vengano concepite
attraverso la modalità unilaterale del nihil privativum, negativum od oggettivizzato.
Arena rovescia la conclusione del Tractatus Logico-Philosophicus: di tutto ciò
su cui si dovrebbe tacere occorre proprio parlare. Arena propone di
sondare il nonsense attraverso il nudo, una comprensione che sfoci nella non
comprensione e nel non pensiero, ben più fecondi di quanto la riflessione
logico-formale non abbia dato da vedere all'Occidente. Nietzsche, Bob Dylan e i
maestri Zen si rivelano, al momento, i suoi principali ispiratori nei toni di
una filosofia non accademica, nemica del dogmatismo e della necrofilia della
teoresi. La musica elettronica contemporanea sembra particolarmente adatta a
sondare la nudità, nei modi della improvvisazione radicale, cui Arena dedica
anche un'attività concertistica solista con lo pseudonimo Mu Machine.
Arena ha pubblicato una serie di ebook sull'analisi di maestri e filosofi alla
luce delle categorie del nonsense e del nudo, sondandone tratti indipendenti
dai "punti nodali", riscontrabili nei compendi od opere
manualistiche, e considerando queste figure nella loro alterità: Samuel
Beckett, Jacques Derrida, Nietzsche e Wittgenstein rientrano nel novero, ma
anche Jacques Lacan (cfr. la voce Opere). Parallelamente, sta sondando le
illusioni e i condizionamenti dell'animo, che non lasciano percepire il nudo/nonsense.
La produzione romanzesca è iniziata con La lanterna e la spada, dove Arena
analizza la figura di Qinshi Huangdi, il primo imperatore della Cina, famoso
per l'unificazione della lingua, del Paese, e il forte impulso dato alla
costruzione della Grande Muraglia, ma anche per il rogo dei libri, che ha
ispirato Ray Bradbury in Farenheit 451, e varie efferatezze. La produzione
letteraria è proseguita con un altro romanzo, L'imperatrice e il dragone
(ripubblicato come Il Tao del sesso), in cui si rievoca un'altra figura molto
discussa, stavolta nella Cina medioevale, quella di Wu Zhao, la quale regnò per
virtù propria, fondatrice di una sua dinastia, e non come semplice imperatrice
vedova, altresì famosa per gli eccessi e le passioni sessuali. Anche di questa
figura Arena dà un ritratto senza giudizi moralistici ed esaminandone i
multiformi aspetti, come per il primo imperatore. In L'Ordine nero,
ripubblicato come La svastica sul Tibet, si tratta della spedizione Schaefer,
alla ricerca delle origini della razza umana e di ineffabili segreti magici.
Nel gruppo di nazisti si trova anche il filosofo Leonard Mayer (personaggio
inventato), alla ricerca del segreto della mente. In Il coraggio del samurai,
si parla dell'arcano connubio tra samurai e ninja, e dei segreti di questi
ultimi, descritti attraverso un gruppo di donne guerriere, la cui sovrana è la
misteriosa Padrona, di cui si dice che abbia quattro secoli; si parla anche di
Yoshitsune, un samurai del clan dei Minamoto, sfortunato quanto valoroso, ostile
al fratello Yoritomo. Nell'ultimo romanzo pubblicato, La corda e il
serpente, Arena si discosta dal romanzo storico e scrive un'opera sperimentale,
dove la trama è un pretesto, e si nota l'influsso di William Burroughsanche di
H.Lovecraft, per certi aspetti: nell'opera si parla di Atlantide, un mondo
sommerso, distrutto da una catastrofe; il protagonista L., darà vita a una
nuova specie umana. Arena propone una personale versione della
meditazione nella sua opera La Via del risveglio, Manuale di meditazione. Egli
prende spunto dal buddhismo, vipassana e Zen, dal sufismo e da Georges
Gurdjieff, dalla psicologia analitica di Carl Gustav Jung (il Libro rosso)[25]
e dal lavoro sull'ipnosi di Milton Erickson. Una meditazione che conduce
talvolta agli stati alterati di coscienza e permette di sviscerare il nudo
nonsense, caposaldo della visione filosofica di Arena. Una meditazione che ha
il suo supporto nella musica, la quale non ne costituisce solo il sottofondo,
ma anche la base per approfondire le intuizioni che ne emergono.
"Difficile separare la musica dalla meditazione", scrive Arena,
"l'una porta all'altra".[26] Scopo della meditazione è anche
attingere il non suono, categoria che Arena aveva sviscerato nei succitati
studi su John Cage e Brian Eno. Una meditazione che attinge all'Oriente, ma fa
tesoro delle conquiste psicologiche e spirituali dell'Occidente. Per indicare
la modalità filosofica della pratica Arena propone una metafora: "La
meditazione è premere il pulsante della consapevolezza".[27] Dopo anni,
e non sulla base di un ripensamento quanto di un ampliamento, Arena torna sul
nonsense con una nuova riflessione, imperniata sul non sapere alla luce del
buddhismo Chan/Zen nel suo complesso (non solo in riferimento a Bodhidharma), e
soprattutto da non intendere come non sapere socratico. Il non sapere invita a
diminuire la quantità di nozioni, a spogliare la mente dei preconcetti,
principio che potrebbe essere il pilastro della scoperta scientifica. Lo anima
il non pensiero, attività più affine alla intuizione, che usa la logica
ponendola contro se stessa. Anche questa posizione, come quella relativa al
nonsense nelle opere precedenti, mira all'acquisizione di un equilibrio
psicofisico, all'autorealizzazione, al riparo da dogmatismi ed eurocentrismi. L'incontro
con la nudità permetterà, nella solitudine esistenziale, di svelare nuove
risorse nel soggetto, un incontro con se stessi fecondo e produttivo, senza
entrare in polemica con alcuna visione filosofica, anzi ospitando visioni del
mondo contrastanti. La contraddizione, implicita nel nonsense, è foriera di
nuovi sviluppi teoretici, e consente di recuperare istanze che, nel pensiero
occidentale, erano state sepolte dopo la demonizzazione dei sofisti.[28] Altre opere: “Nietzsche-Wagner-Schopenhauer” (Fermo);
“Il Vaisheshika Sutra di Kanada (Quattroventi) La filosofia di Novalis (Franco
Angeli) Comprensione e creatività. La filosofia di Whitehead (Franco Angeli)
Novalis, Polline (Studio Editoriale) Antologia della filosofia cinese (Arnoldo
Mondadori Editore) Storia del buddhismo Ch'an (Mondadori) Il canto del
derviscio [povero mendicanti sufi] (Mondadori) Il Nyaya Sutra di Gautama (Asram
Vidya Edizioni) Antologia del Buddhismo Ch'an (Mondadori) Diario Zen (Rizzoli)
I maestri (Mondadori) Haiku (Rizzoli); “Al profumo dei pruni. L'armonia e
l'incanto degli haiku giapponesi, Rizzoli ). Realtà e linguaggio dell'inconscio
(Borla) Novalis, Enrico di Ofterdingen (Mondadori) Vivere il Taoismo (Mondadori)
Il Sufismo (Mondadori) Il bimbo e lo scorpione (Mondadori) La grande dottrina e
Il Giusto mezzo (opere confuciane) (Rizzoli) La filosofia indiana (Newton)
Buddha (Newton) La via buddhista dell'illuminazione (Mondadori) Del nonsense (Quattroventi)
Sun-tzu, L'arte della guerra (Rizzoli) Iniziazione all'autorealizzazione. Un
percorso verso la consapevolezza (Edizioni Mediterranee) Chuang-tzu, Il vero libro
di Nan-hua (Mondadori); Zhuangzi (Rizzoli). Poesia cinese dell'epoca T'ang
(Rizzoli) La barriera senza porta (Mondadori) La filosofia cinese (Rizzoli) La
storia di Rama (Mondadori) Nei-ching, canone di medicina cinese (Mondadori)
I-ching. Il libro delle trasformazioni (Rizzoli) Samurai. Ascesa e declino di
una nobile casta di guerrieri (Mondadori) Musashi, Il libro dei cinque anelli
(Rizzoli) Kamikaze. L'epopea dei guerrieri suicidi giapponesi (Mondadori); “Hagakure,
Il codice dei samurai (Rizzoli) La mente allo specchio (Mondadori) Il sogno
della farfalla (Pendragon) Il libro della tranquillità. 100 koan del buddhismo
Zen (Mondadori) Sun Pin, La strategia militare (Rizzoli) Dogen, Shobogenzo
(Mondadori) Tecniche della meditazione taoista (Rizzoli); “Il tao della
meditazione, Rizzoli); I 36 stratagemmi (Rizzoli); I guerrieri dello spirito
(Mondadori); La lanterna e la spada (Piemme) Lo spirito del Giappone (Rizzoli)
L'imperatrice e il dragone (Piemme) La pagoda magica e altri racconti per
trovare la felicità dentro di sé (Piemme); “Il libro nella felicità”; “II pensiero
indiano (Mondadori) Orient Pop. La musica dello spirito (Castelvecchi) L'arte
della guerra e della strategia (Rizzoli) Il lago incantato. Racconti sull'amore
(Piemme) L'ordine nero (Piemme) L'innocenza del Tao (Mondadori); Il maestro e
lo sciamano (Piemme, ) Incontri di filosofia. La biblioteca di Babele, I (Città di Ripatransone). Xunzi, L'arte confuciana
della guerra (Rizzoli) Confucio (Mondadori) Il coraggio del samurai (Piemme)
Nietzsche in Cina nel XX secolo”; Incontri di filosofia. La filosofia come
conoscenza di sé, II (Città di
Ripatransone). Memorie di un funambolo; Note ai margini del nulla; Nonsense o
il senso della vita; La durata infinita del non suono (Mimesis) Il pennello e
la spada. La Via del samurai (Mondadori, ) Introduzione al Sufismo (ebook, ).
Un'ora con Heidegger (Mimesis, ). Introduzione alla storia del Buddhismo Ch'an
(ebook, ). Il libro della tranquillità (Congronglu) 100 koan del Buddhismo
Zen”; L'arte del governo (Huainanzi) (Rizzoli); “Heidegger, il Tao e lo Zen
(ebook, ). Il Tao del sesso: La storia di Wu Zhao; La lanterna e la spade”; “La
svastica sul Tibet”; Il libro dei segreti d'amore”; All'ombra del maestro”; Il
Tao del non suono”; “La filosofia di David Sylvian. Incursioni nel rock
postmoderno (Mimesis); “Ikkyu poeta zen; “La filosofia di Brian Eno. Filosofia
per non musicisti (Mimesis); “Novalis come alchimista”; “La filosofia di Robert
Wyatt. Dadaismo e voceunlimited (Mimesis). Yogasutra (di Patanjali) (Rizzoli ).
Sun-tzu: l'arte della guerra per conoscersi; La barriera senza porta (Wu-men
kuan) 100 koan del buddhismo Zen”; “La comprensione negata”; “Buddha: La via
del risveglio”; “Nagarjuna: la dottrina della via di mezzo (Zhonglun)”; “Il
libro rosso di Jung (ebook, ). La storia di Rama (Ramayana)”; “Sul nudo. Introduzione
al Nonsense (Mimesis). Storia del pensiero indiano”; Lacan Zen, L'altra
psicoanalisi (Mimesis). Storia del pensiero indiano”; “Oltre il nirvana”;
L'altro Derrida”; “Watt, la cosa e il nulla. L'altro Beckett; L'altro
Wittgenstein”; “Nietzsche, lo Zen, Bob Dylan. Un'autobiografia”; “ L'altro
Nietzsche”; “Una introduzione alla filosofia di John Lennon”; “Scelsi: Oltre
l'Occidente, Crac Edizioni . La corda e il serpente, Illusioni, La filosofia di
Sakamoto, Il Wabi/Sabi dei colori proibiti, Mimesis . La Via del risveglio,
Manuale di meditazione, Milano, Rizzoli . Wenzi, Il vero libro del mistero
universale. Un classico della filosofia taoista, Milano, Jouvence . La
filosofia di John Lennon. Rock e rivoluzione dello spirito, Milano-Udine,
Mimesis . Togliersi le idee. L'ombra del nonsense, Il Tao della pedagogia
(selezioni da: Annali Primavere-Autunni di Lu Buwei); Il libro segreto dei
ninja: Shoninki; Ikkyu: l'Antibuddha, (poesie in traduzione dal giapponese); Confucio
come counselor, Miyamoto Musashi: Dokkodo; Quanti orientali. Oltre il Tao della
fisica; Daodejing: Laozi come counselor; Zhuangzi: i capitoli interni; Bhagavad
Gita; Qohelet, l'interpretazione "orientale"; Il pensiero giapponese.
L'età moderna e contemporanea, Jouvence . La filosofia di Bob Dylan, Mu Machine
Collection; Zhuangzi: i capitoli esterni, Mu Machine Collection; Zhuangzi:
miscellanea, Mu Machine Collection; La raccolta della roccia blu (i cento koan
del Biyanlu), Mu Machine Collection; Basho:Haiku, Mu Machine Collection; Vivere
il taoismo, Mu Machine Collection; Il libro rosso di Jung: Liber Primus, Mu
Machine Collection, ebook . Storia del pensiero indiano, II, Mu Machine Collection, Storia del
pensiero indiano, III, Mu Machine
Collection, Storia del pensiero indiano,
IV, Mu Machine Collection, ebook . Il libro rosso di Jung: Liber
Secundus, Mu Machine Collection, L'antistoria della filosofia, Mu Machine
Collection, Zen contro Zen, Mu Machine Collection, I greci in Oriente, Mu Machine Collection, Liezi
il libro taoista della verità, Mu Machine Collection, Lo spirito del samurai:
Budoshoshinshu, Mu Machine Collection, Il giardino nascosto (sul tempo), Mu
Machine Collection, Neijing il canone di medicina cinese, Mu Machine Collection,
Dogen Shobogenzo, Mu Machine Collection, Guida al cinese classico, Mu Machine
Collection; Nascita di un samurai, Mu Machine Collection; Il Canone di Mozi. La
logica cinese, Mu Machine Collection, ebook . Jung Zen, Mu Machine Collection. In Inglese Nonsense as the Meaning, ebook, .
Nietzsche in China in the 20th Century, ebook, . The Shadows of the Masters,
ebook, . An Introduction to Sufism, ebook, . The Dervish, ebook, . Cage
Nagarjuna Wittgenstein, ebook, . Nosound, ebook, . The Red Book of Jung, ebook,
. Illusions, ebook, . The Book On Happiness, ebook . On Nudity. An Introduction
to Nonsense, Mimesis International . David Sylvian As A Philosopher, Mimesis
International . In Spagnolo El canto del derviche. Parabolas de la sabiduria
Sufi, Grijalbo, Barcelona 1997. In Francese Sur le nu. Introduction à la
philosophie du Nonsense, Editions Mimésis, . Note L. V. Arena, Nonsense o il senso della vita,
ebook , cap. 1 Nonsense o il senso della
vita, cap. 6 L. V. Arena, La durata
infinita del non suono, Mimesis L. V.
Arena, Il tao del non suono, ebook L.
V. Arena, Una introduzione alla filosofia di John Lennon, Kindle Edition L. V. Arena, La filosofia di David Sylvian.
Incursioni nel rock postmoderno, Milano, Mimesis L. V. Arena, La filosofia di Brian Eno,
Milano, Mimesis, . L. V. Arena, La
filosofia di Robert Wyatt, Milano, Mimesis, .
L. V. Arena, Scelsi: Oltre l'Occidente, Falconara Marittima, Crac
Edizioni, . L. V. Arena, La filosofia di
Sakamoto, Il Wabi/Sabi dei colori proibiti, Milano-Udine, Mimesis, .. L. V. Arena, Orient pop. La musica dello
spirito, Roma, Castelvecchi, 2007.
Nagarjuna, The Philosophy of the Middle Way, D. Kalupahana, Albany,
1986 L. Wittgenstein, Tractatus
Logico-philosophicus, Torino, Einaudi 1984
L. V. Arena, Note ai margini del nulla, ebook , passim L. V. Arena, Note ai margini del nulla, ebook
, cap. 1 Biyanlu, 1 Leonardo Vittorio Arena, Zhuangzi: I capitoli
interni, ebook ; Idem, Zhuangzi: i capitoli esterni, ebook , idem, Zhuangzi:
Miscellanea. ebook .. Contra Kant,
Critica della ragion pura, Roma-Bari, Laterza 1979, p.281 Nonsense o il senso della vita,
Appendice L. V. Arena, La comprensione
negata, ebook, . Leonardo V. Arena, La
filosofia di Bob Dylan, Collezione Mu Machine, ebook .. Leonardo V. Arena, Nietzsche, lo Zen, Bob
Dylan, Autobiografia, I, ebook . L. V. Arena, Illusioni, Kindle Edition,
. L. V. Arena, La Via del risveglio,
Manuale di meditazione, Milano, Rizzoli ..
Leonardo Vittorio Arena, Il libro rosso di Jung, ebook . Ibidem13.
Ibidem15. L. V. Arena, Togliersi
le idee, L'ombra del nonsense, .. Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio
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Letteratura Letteratura Religioni Religioni Storia Storia Filosofo del XXI secoloOrientalisti
italianiStorici delle religioni italiani 1953 Ripatransone. Leonardo Vittorio
Arena. Keywords: nudi, Novalis, Schopenhauer, Nietzsche, Wagner, Puccini,
Butterfly, Turandot, Mascagni, Iris, Leoni, L’Oracolo, Confucio, la guerra,
stratagema, strategia, antistoria della filosofia, Heidegger, Wittgenstein,
l’unconscio, Whitehead, Grice on east and west, Staal, ‘those in a position to
know’ – metafisica, greco-latina, Heidegger citato par Arena, Leonardo Arena,
Leonardo Vittorio Arena. Cinese, linguaggio, la filosofia del linguaggio di
Novalis, Gozzi, libretti di Butterfy, Turandot, Isis, L’Oracolo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Arena” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51789467047/in/dateposted-public/
Grice ed Armetta –
dialogo – filosofia italiana – filosofia siciliana – Luigi Speranza (Palermo). Filosofo. Grice:
“I like Armetta; he is into ‘dialogue,’ I am into conversation. I once
suggested to Strawson that he should write a dissertation on the distinction
betweehn dia-logos and cum-versatio, but he said that ‘converse’ is used to
mean ‘make out’ in the Bible, while ‘dialogue’ ain’t!” Principale allievo di
Santino Caramella, di cui cura il lascito.
Si è laureato in Filosofia presso l’Palermo con Santino Caramella, di
cui è diventato subito assistente universitario. Con lui e gli altri allievi e collaboratori
ha fondato la rivista di filosofia «Dialogo» (1964-1974); dal 1960 al 1992 ha
insegnato nei licei di stato (per un lungo periodo di tempo presso il Liceo
Ginnasio Vittorio Emanuele II); dal 1981 insegna presso la Pontificia Facoltà
Teologia di Sicilia «San Giovanni Evangelista», prima come docente incaricato
di Dottrine filosofiche e fino al 2004 anche di Logica; ha fatto parte della
segreteria della Rivista della Facoltà per un decennio fino al 1998 e sin
dall’anno accademico 1985 è Segretario Generale della medesima Facoltà. Il pensiero di Armetta è una rilettura del
neoidealismo crociano e gentiliano sulla base dello spiritualismo cristiano. I
suoi studi sono rivolti soprattutto alla storia del pensiero filosofico e
teologico in Sicilia, e sono culmila curatela del monumentale Dizionario
Enciclopedico dei pensatori e dei teologi di Sicilia. Altre opere: "La filosofia del volere da
Omero a Platone”; “Storia e idealità in S. Kierkegaard”; “L’uomo come natura”;
“Guida agli scritti di Santino Caramella”; “Teoria e pratica in Santino
Caramella”; “Caramella e Gobetti. Un rapporto oscurato”; “Il Carteggio
Caramella-Croce”; “Il carteggio tra Caramella e Radice”; “Per una società in
dialogo”; “Il pensiero filosofico in Sicilia”; “Elementi di ideologia”;
“Istituzioni ideologiche”; “Rosario La Duca. Guida agli scritti”; “La toponomastica
di TerrasiniFavarotta”; Dizionario enciclopedico dei pensatori e dei teologi di
Sicilia. Secc. XIX e XX, Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma); “Dizionario
enciclopedico dei pensatori e dei teologi di Sicilia. Dalle origini al sec XVII
(Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma). Riconoscimenti Papa Benedetto XVI lo ha
insignito del titolo di Cavaliere Commendatore dell'Ordine di S. Silvestro (13
febbraio ). Note Caltanissetta, Sciascia Editore, . Filosofia Filosofo
del XX secoloFilosofi italiani Professore1928 Palermo. Francesco Armetta.
Keywords: dialogo, fascimo filosofico, filosofi del fascism, croce e caramella
– il carteggio curato da Armetta, presenza di Caramella nel primo convegno a
Milano, dialogo, implicatura dialettica, Caramella e Giobetti, storia della
filosofia italiana, filosofia politica nella Italia del primo novecento, la
metafisica del dialogo in Vico. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice ed Armetta” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51791128045/in/dateposted-public/
Grice ed Arrighetti –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Grice: “I like
Arrighetti: his forte was Aristotle’s rhetoric, and he was very popular with
the Accademia degli Ardenti, and later with a subgroup of this, The Accademia
degli Svelati (which later merged with the Accademia dei Lunatici); his other
forte was the distinction between ‘oratio’ and ‘oratio vvocalis’ – “Os” is of
course Romann for ‘mouth’ – but figuratively for ‘linguaggio’ – (after all, the
tongue is IN the mouth). I happen to prefer ‘mouth,’ because Roman ‘os’ is
related to ‘essere’: you are who you are, i.e. you exist, because you can breathe
through your mouth. Appartenente a una nobile famiglia fiorentina, studiò la
lingua Greca e le filosofie Aristotelica e Platonica nelle Pisa e di Padova.
Dedicatosi agli studi teologici, venne ascritto al Corpo dei Teologi
dell'Università Fiorentina il 20 novembre del 1631. Il Pontefice Urbano VIII,
che aveva molta stima per il giovane, lo creò Canonico Penitenziere della
Cattedrale di Firenze e esaminatore sinodale, posizione che mantenne fino alla
morte. Arrighetti morì il 27 novembre del 1662 all'età di 80 anni. Fu uno dei membri
più illustri dell’Accademia Fiorentina e di quella degli Alterati fra i quali
si chiamò Fiorito. Altre opere: “La rettorica
d’Aristotele e Cicerone spiegata” (Firenze);
“La Poetica d'Aristotele, spiegata” (I Svogliati, Pisa), “Il Piacere”
(Firenze); “Il riso” (Firenze); “L’ingegno” (Firenze), “L’onore” (Firenze); “Vita
di S. Francesco Saverio estratta dalle relazioni, fatte in Concistoro da Francesco
Maria Cardinale del Monte”, “Sermoni sacri, volgari e latini fatti in varie
chiese e compagnie di Firenze”; “Opere spirituali”; “L'Orazione vocale e
mentale”; “Tractatus de iis quae necesitate medii et precepti credenda sunt”. Note Arrighetti (Philippe), in: Louis Gabriel
Michaud : Biographie universelle ancienne et moderne, 2ª edizione 1843, 2291.
Arrighetti, Filippo. In: The Biographical Dictionary of the Society for
the Diffusion of Useful Knowledge, 3, 2
(1844)641 sg. Arrighetti (Philippe), in:
Nouvelle biographie générale, 1852–66,
3358 Arrighetti, Filippo. In: The Biographical Dictionary of the Society
for the Diffusion of Useful Knowledge,
3, 2 (1844)641 sg. Biografie
Biografie Cattolicesimo
Cattolicesimo Filosofia Categorie: Religiosi italianiFilosofi italiani
del XVI secoloFilosofi italiani del XVII secoloGrecisti italiani 1582 1662 27 novembre
Firenze PadovaTraduttori dal greco all'italiano. RETTORICA E POETICA
D'ARISTOTILE TRADOTTE E SPIEGATE DA FILIPPO ARRIGHETTI CANONICO FIORENTINO.
PROLOQVII NELLA RETTORICA D'ARISTOTELE RECITATI NELL'ACCADEMIA DELLI SVEGLIATI
IN PISA. RAGIONAMENTO I. De principii vniversali dell'arte. Prooemium. E'
lodevol'usanza di tutti i buoni espositori et massime di quelli d'Aristotele
proporr'alcuni capitoli dal principio di qualunque trattato ch'eglin si metton
ad esporre, i quali da lor son detti prolegomeni, o ver proloquii, molt'utili
reputati non senza legittima cagione, per chiarezza et intelligenza delle cose
che si deven trattare, et molti son questi de quali si fa maggior o minor copia
secondo la qualità de trattati parte nascenti dalla natura delle cose da
insegnarsi, parte da varii accidenti onde si vede che questa, per non dir come
tropp'alta et forse troppo oscura ma al men come lontana dalla prattica, è
stata involta 'n un tenebroso silenzio. Pregoti dunque benigno uditore,
poich'io solco mar non troppo cognito, che tu aiuti questo mio corso con l'aura
benigna della tua attentione. Quel ch'inducesse li huomini et quando a ritrovar
l'arti. E' cosa manifesta a ciascheduno che l'huomo è composto di due parti
principali, d'anima et di corpo. L'anima divina et immortale et per se stessa
aspirante a cose alte et elevate: ma per esser racchiusa nel profondo del corpo
nostro, tale che non può senza l'aiuto suo sostenersi, il ch'è la vita nostra.
Hebben acconcia la terra, onde potessen nutricarsi et altresì provedut'onde
commodamente vivesseno, si dieden alla contemplazione. Et tanto basti haver
detto dell'occasion del ritrovar l'arti, et del tempo in che elle si
ritrovarono. Del fine dell'arti et della via loro in acquistarlo. Delle
differenze dell'arti prese dal modo dell'acquistar il lor fine. Dell'origin et
principio dell'arti. Dell'unità et distintion dell'arti. Del modo del discorrer
dell'arti. Delle differenze tra l'arte com'habito et come metodo. De principii
proprii della Retorica come arte. Quel che sia il persuadibile che è suggetto
dell'oratore. A che specie d'arte si riduca la Rettorica. Dell'origine et
autori della Rettorica. Della dispositione del corpo d'un ragionamento in
universale. Delle parti della Rettorica com'arte. Considerasi la Rettorica come
metodo. Delle parti materiali della Rettorica come metodo et ordine loro. COME
LA RETTORICA SIA COLLEGATA CON LA DIALETTICA. De' luoghi della persuasione in
universale. Schema ad albero dei luoghi rettorici. In che maniera succede il
far fede. Delli affetti e'n che maniera et con che stromenti o ver metodi si
muovino. Che via si deve tenere per far il DIRE DILETTEVOLE. Del modo del
definire comun al poeta et all'oratore. Trattano i logici e metafisici della
diffinizione ma con esquisitezza singulare mostrando che la diffinitione è una
oratione, la quale dichiara la essenza et natura della cosa, et questa da loro
si compone di genere et differenze. Ma havendoci noi proposto di ragionar di
quelli che son più oscuri et manco trattati da professori della Rettorica, che
son chiaramente quelli di cui già habbiam discorso. Poscia che havuto fine il
nostro proposito, porrem anchor noi fine al nostro ragionamento. DELLA
POESIA. RAGIONAMENTO. Qual sia il primo fine del poema. Camminando su l'orme de
discorsi fatti sin a qui sì in generale, sì in particolare sopr'il negozio
rettorico acciocché si proceda secondo l'ordine della natura, che è cominciando
prima delle cose prime, andrem ritrovando il fine a cui s'indirizza questa
professione, o ver arte che dir la vogliamo. Però essend'egli parte della
felicità, vien ad esser ancho parte del fine humano. Insin a qui habbiam
vedut'in quanti modi si piglia il diletto, et non ha dubbio alcuno ch'un di
questi si convien alla poesia; hora è da veder quale et come, et scior le
dubitazioni ch'intorn'a ciò accadesseno. Determinazione del DILETTO come fine
della poesia. Qual sia il giovamento che si trae delle poesia. Dell'imitazione.
Delli stromenti et maniere d'imitar del poeta. Quali sien le cose da esser
imitate. Risposta d'Aristotele alle opposizioni del Castelvetro contro
l'imitazione. Disse Aristotele l'imitazione esser una delle principali cagioni
della poesia et noi poco fa l'habbiam posta come fine. Adunque terremo per
fermo che l'imitazione co'l metro habbin dat'origine alla poesia et che le sien
la vera essenza di quella. Del suggetto della poetica. S'egli è vero quel che
noi habbiam determinato ne discorsi rettorici essend'il suggetto quel ch'è
capace della forma che intende d'introdur l'artefice et ove s'impiega l'opera
del poeta, tutta rigirandos'intorno a questo che s'imiti alcuna attione è
necessario dir ch'ella sia il suo suggetto. Et vedesi che s'è ben dato qualche
condimento all'arti et alla filosofia mediante il verso come fecen molti
scrittori innanzi a Platone Anassagora Empedocle ET APPRESS'I LATINI
LUCREZIO et di medicina da Q. Sereno et altri la qual'usanza non è stata
approvata né seguita da maestri delle scienze et pur le cose da loro eran
trattate co' principii proprii, cosa molt'alieno dal sentimento et processo
poetico. Che sorte d'arte sia la poetica. Dell'unità dell'arte poetica.
Dell'origine della poesia. Del furor poetico. Quel che nel poeta possa più
l'arte o la natura. Due son le parti del ben poetare come di esercitar ben
tutte l'arti et professioni, l'una è l'ingegno, l'altra il giudicio, perché
ogni buon opera debbe esser regolata da buon giudicio. Ma si com'il giudicio
non ha luogo ove non è l'invenzione, sì anchor l'invenzione senza giudicio è
cosa poc'artifiziosa et casuale. Della Rettorica d'Aristotele libro primo.
La Rettorica ha convenienza con la dialettica trattando l'una e l'altra di
quelle cose le quali communemente da tutti in un certo modo si conoscono, né si
riferiscono ad alcuna determinata scienzia. Di qui è che tutti gli huomini in
qualche modo dell'una o dell'altra partecipano, conciosiache tutti infino a un
certo termine sappino arguire e rispondere, e difendere e accusare. Noi dunque
(disse colui) domanderemo che voi giudici stiate a le cose che con il
giuramento havete sententiato, et noi ci staremo? Anchora le altre cose simili
che appartengono all'amplificatione. Et questo basti haver detto quanto alla
fede senza artificio. Sommario del primo libro della Rettorica d'Aristotele. La
Rettorica è distinta da Aristotile in tre libri. Nel primo narra le cose
communi a i tre generi dell'oratione, i quali distinguendosi in deliberativo,
dimostrativo e giudiziale, dichiara le propositioni et il fine di ciascheduno.
Intorno a quai modi allega Aristotile i precetti di trattare de giuramenti. E
così pon fine alle fedi et al primo libro della Rettorica. Sommario delle
cose più notabili del 2° libro della Rettorica d'Aristotile. Seguendo di
ridurre in breve le cose principali del 2° libro della Rettorica d'Aristotile
diremo avanti come in questo libro Aristotile tratta de gli affetti dello
animo, de costumi. Termina poi questo libro annoverando le cose egli ha
trattato nell'ultima parte et proponendo la materia del 3° libro che resta a
perfettionare questa arte, cioè la locutione et dispositione. Sommario
del terzo libro della Rettorica. Nel terzo libro della Rettorica si contengono
come dicemmo da principio due cose principali che sono gli ornamenti della
oratione con le parti di essa. Comprende dunque l'epilogo la benevolenza
dell'uditore, la amplificatione, la commotione degli animi et l'essamenatione
delle cose dette. Lettione. Proemio nella Rettorica d'Aristotele. Se
dalle operationi si conosce la nobiltà della cosa niuna è più propria a
manifestare l'eccellenza dell'animo nostro che quell'istessa la quale da
gl'animali irragionevoli ci fa differenti. E' l'huomo mercé della divina bontà
di molti doni dotato; onde secondo il Filosofo mediante la parte intellettiva
vive sempre desideroso di conoscere la verità. Et Quintiliano seguitando Cicerone
afferma che quest'opera è come un germoglio della civile filosofia. Et questo
basti haver detto circa i preloquii della Rettorica. Qui fa fine Aristotile al
trattato delle fedi senz'artificio et al primo libro della sua Rettorica.
Intorno all'espositione della quale mi sono affaticato, per dar maggior luce et
agevolezza a voi più giovani accademici nell'apprender da questo famoso
filosofo i precetti dell'arte poetica. Il fine della dichiaratione del primo
libro della Rettorica. Proloquii nella Rettorica d'Aristotele. Proemio. E'
lodevol cosa di tutti i buoni espositori et massime di quelli d'Aristotele
proporr'alcuni capitoli dal principio di qualunque trattato che eglin si metton
ad esporre, i quali da lor son detti prolegomeni, o ver proloquii, molt'utili
reputati non senza legittima cagione, per chiarezza et intelligenza delle cose
che si devon trattare, et molti son questi de quali si fa maggior o minor copia
secondo la qualità de trattati. Onde si vede che questa, per non dir come
tropp'alta et forse troppo oscura ma al men come lontana dalla prattica, è
stata involta 'n un tenebroso silenzio. Pregoti dunque benigno lettore,
poich'io solco mar non troppo cognito, che tu aiuti questo mio corso con l'aura
benigna della tua attentione. Proloquii. Discorsi poetici. Qual
sia il primo fine del poema. Quel che nel poeta possa più l'arte o la natura.
Delle parti del poema. Della poetica come metodo. Delle parti della poesia come
metodo. Ne metodi ben ordinati il principio e comincia dalle cose che per ordine
di natura procedono et questo ordine è di più maniere perché o egli è di
perfettione, o di origine. Resta solo per dar fine a questo trattato che noi
aggiunghiamo le considerazioni della musica delle quali col tempo piaccendo a
dio da cui ogni mia attione riconosco, un'altra volta ne scriveremo. Magl. Cl.
Rettorica e Poetica d'Aristotile tradotte e spiegate da Filippo
Arrighetti canonico fiorentino. Il testo del vol. I.com . con questo
titolo, "Proloquii nella Rettorica d'Aristotele recitati nell'Accademia
delli Svegliati in Pisa". Cart., autogr., in fol. Leg.in mezza membr.
Già della Bibl. Mediceo. Palatina. Precede il vol. I la tavola delle materie
(lezioni, proloqui e versioni). II,I,22.(Magl.CI). Il titolo è di a Lezioni,
relazioni e ricordi varii. Ma il vol.contiene "Lettione del Piacere
recitata nell'Accademia degl'Alterati da Filippo Arrighetti accademico detto il
Fiorito" (fol. 1-6). Lezione «DelRiso» delmedesimo (fol.7-10). Lezione
sull'In gegno, del medesimo (fol.13-27). «Notitiaetincontridelviaggiodel R.
card. di Firenze Legato in Francia l'anno 1596 » (fol. 29-31). Propositi tenuti
da S. M. tả (Enrico iv] alli signori del suo Parlamento in presenza del suo
Consiglio et de Duchi et Padri di Francia » (fol. 33 34). « Lettera in materia
delle cose di Francia e de Ghisi » (fol. 35 45). « Lettera del Re di Navarra
[Enrico iv) ai tre Stati del Reame di Francia » (fol. 50-58): in fine è la data
4 marzo 1589. Cart., infol., sec.XVII, autogr.dafol.1-6,f.79. Leg. inmezza
membr.Proviene dalla Bibl. Mediceo-Palat. II,I,23. (Magl.CI.VI, num.15). G.
MAZZATINTI Manoscrilli delle biblioleche d'Italia, viii. (Carlo di Tommaso
Strozzi, num.581. at :interlocutori SaccenteeFrinfri(fol.60-71).—
«Ricordian l'Alchimia u tichi.Autore Iac. Petribonifiorentino» (titolo del sec.XVII).
Precede na nota dei Gonfalonieri di Filippo Arrighetti. Keywords: il
piacere, lista di figure rhetoriche -- A Accumulazione
Adynaton Agnizione Allegoria Allusione Anacoluto Anadiplosi Anagramma Analogia
(retorica) Anastrofe Anfibologia Annominazione Antanaclasi Anticlimax Antifrasi
Antilogia Apagoge Apallage Aprosdoketon Arcaismo B Baritonesi C Cacofemismo
Cacofonia Captatio benevolentiae Catacresi Catafora (figura retorica) Chiasmo
(figura retorica) Clavis aurea Climax (retorica) Concinnitas Correctio D Deissi
Diafora Dialefe Dialisi (figura retorica) Diallage Diastole (retorica) Dieresi
Difrasismo Dilogia Disfemismo Distribuzione (figura retorica) Dittologia E
Ekphrasis Ellissi (figura retorica) Ellissi temporale Enallage Endiadi Endiatri
Enfasi Engo Enjambement Entimema Enumerazione Epanadiplosi Epanalessi Epanodo
Epanortosi Epicherema Epifora (figura retorica) Epifrasi Epitesi F Fallacia
patetica Figura di stile Figura etimologica Figure di suono H Hysteron proteron
I Iato Invettiva Ipallage Iperbato Ipocoristico Ipofora Ipotassi Ipotiposi
Ironia Isocolon K Kakekotoba Kakemphaton Kenning L Latinismo Leixaprén M
Merismo Metalessi Metalogismo Metanoia Metasemema Metatassi N Nemesi storica
Neologismo Noema O Occupatio Olofrase Omeoarco Omeottoto Omoteleuto Onomatopea
P Palindromo Palinodia Panegirico Paradosso Parafrasi Paragone Paraipotassi
Parallelismo Paraprosdokian Paratassi Parequema Paretimologia Parodia Paromeosi
Paronimia Paronomasia Patronimico Pleonasmo Polisemia Polittoto Premunizione
(figura retorica) Priamel Prolessi R Reduplicazione S Sarcasmo Scarto semantico
Senhal Sillessi Similitudine (figura retorica) Simploche Sinafia Sinalefe
Sinchisi Sincope (linguistica) Sineddoche Sineresi Sinestesia Sinonimia Sistole
Tautologia Tmesi Truismo Umorismo Understatement Variatio Zeugma tipi di discorsi,
discorso dimonstrativo, discorso deliberative, discorso di giudizio,
imitazione, ornamentation, parte dell’orazione, giovinetti, rettorica per
giovinetti, dialettica a la sua convenienza colla rettorica, rettorica come
arte, dialettica come arte, l’arte di conversare, filosofia civie, rispondere,
argomentare, il fine della retorica, le la rettorica distinta in tre parti,
demostrazione, giudizio, buon giudizio, deliberazione, albero della retorica,
luoghi retorici, il fine della poesia e il diletto, animale ragionabile,
animale non-ragionabile, lucrezio, cicerone, quintiliano, il dire dilettevole,
la benevolenza dell’oratore, la benevolenza del conversante, la benevolenza
dell’auditore, la benevolenza dell’audienza, principi di rettorica, cicerone
sulla rettorica di Aristotele – l’aristotele toscano, aristotele per i
platonici di fiorenze, del piacere, della lussuria, dell’onore, dell’ingegno,
del riso – Bergson – la felicita come fine – arte e natura – poetica come arte,
il poeta e la natura – l’imitazione come fine della poetica, la filosofia e la
rettorica. Rettorica e dialettica, universalita fra i uomini, la villa di
Giulio di Filippo Arrighetti – Filippo Arrighetti, canonico, detto il Fiorito –
pseudonimo, figura retorica, Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Arrighetti” – The
Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690463382/in/photolist-2mKH8TU
Grice ed Assunto – i nazareni – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Caltanissetta).
Filosofo. Grice: “I like Assunto; of course in Italy they take aesthetics
seriously; my wife would say that they ONLY take aesthetics seriously! And I
would correct her, ‘You mean that they take only aesthetics seriously,’ and she
would re-correct me, ‘Whatever, dear.’” – “Anyhow, Assunto is best known in
Italy as a historian, but he fails to see that when at Clifton we speak of the
classics we mean the timeless – my timeless meaning was meant as a
Cliftonianism! So Assunto is lacking background when he equates classicism, or
worse, neo-classicism of the Canova type popular in London, as dealing with
‘l’antichita’ – that would have offend Canova: his statues were meant to
represent Platonic timeless ideas or ideals!” Grice: “Gilbert and Leighton are
very explicit about this in ‘The Artist’s Model’!” “Then Assunto thinks he can
play with a fictiotious dichotomy between ‘l’antico’ and ‘il non-antico.’”
Grice: “I treasure Millais’s slogan that at the Royal Academy, he had to do
only TWO things: draw naked men ‘from nature’ – or draw naked men ‘dall’antico’!”
– Grice: “As Millais suddently realised: ‘We found out that there were no
English types that would represent the ‘antico’, or timeless ideal, so we had
to deal with Italian models!” -- L'uomo che contempla il giardino vivendo il
giardino [...] solleva se stesso al di sopra della propria caducità di mero
vivente.» -- Ontologia e teleologia del giardino). Ha compiuto i suoi
studi secondari presso il Liceo Classico di Caltanissetta nella sua città
natale. Laureato in Giurisprudenza è stato avviato alla filosofia da Pantaleo
Carabellese professore di filosofia teoretica presso l'Roma. È stato
docente di Estetica a Urbino dal 1956 e titolare dal 1981 della cattedra di
Storia della filosofia italiana presso la Facoltà di Magistero a Roma.
«Il suo insegnamento è anticonformista, fortemente intriso di contraddittorio.
Ma forse proprio per questo motivo, quando arriva il Sessantotto, il filosofo
sceglie la via della controrivolta: quella che passa attraverso l'élite.
Rifiuta di adeguarsi al voto politico, si oppone ai collettivi e agli
insegnamenti assembleari. I suoi allievi non si oppongono al suo rifiuto, anzi
con questo comportamento Assunto riesce ad attirarsi la stima di molti
esponenti del Movimento studentesco. Talmente rivoluzionario da divenire reazionario,
Rosario Assunto dagli anni Settanta in poi avrà un atteggiamento sempre più
schivo...» Un isolamento, il suo, iniziato col Sessantotto, ma poi sempre
più accentuato; infine, si chiuse nei suoi studi e nelle sue speculazioni dopo
la morte della moglie, la storica dell'arte Wanda Gaeta, molto amata («Sono la
fotocopia di lei, che è stata uccisa dal mio stesso male») . A Roma fu
molto amico di Giulio Carlo Argan pur contrastando le sue idee politiche.
Pensiero Rosario Assunto, interessato ai temi estetici della filosofia da un
punto di vista storico e teoretico li ha trattati non solo come tipici della
filosofia dell'arte e del bello ma considerandoli coincidenti con la filosofia
stessa giudicata come pura estetica. Egli si rifà a Baumgarten, Cartesio,
Leibniz, Kant esaminati soprattutto per la loro concezione dell'uomo e del suo
rapporto con la natura. Una visione tradizionalista della filosofia, proprio
nel momento in cui l'estetica si rivolgeva alla semiotica, che isolò Assunto
soprattutto in Italia, mentre in Germania veniva tradotto e apprezzato.
Assunto ha rappresentato una delle voci più significative all'interno del
dibattito filosofico estetico del Novecento. Vivamente interessato all'estetica
dei giardini anticipa largamente nelle sue opere alcuni rilevanti concetti per
la riflessione più recente, come per esempio quello di "estetica del
paesaggio", che hanno ispirato i temi ambientalisti sulla tutela e
conservazione del paesaggio, naturale o elaborato dall'uomo, che egli definisce
«Spazio limitato, ma aperto; presenza, e non rappresentazione, dell'infinito
nel finito». Altre opere: "Civiltà fascista"; “Il teatro
nell'estetica di Platone, in "Rivista italiana del teatro"; Curatela
di Heinrich von Kleist, Michele Kohlhaas, Torino, Einaudi); “Essere e valore
nella filosofia di C. A. Sacheli, in "Rivista di storia della filosofia";
“L'educazione estetica, Milano, Viola); “Educazione pubblica e privata, Milano,
Viola); “La pedagogia greca, Milano, Viola); “Forma e destino, Milano, Edizioni
di comunità); “L'integrazione estetica. Studi e ricerche, Milano, Edizioni di
comunità); “Teoremi e problemi di estetica contemporanea. Con una premessa
kantiana, Milano, Feltrinelli); “La critica d'arte nel pensiero medioevale,
Milano, Il saggiatore); “Estetica dell'identità. Lettura della Filosofia
dell'arte di Schelling, Urbino, STEU); “Giudizio estetico, critica e censura.
Meditazioni e indagini, Firenze, La nuova Italia); “Stagioni e ragioni
nell'estetica del Settecento, Milano, Mursia); “L'automobile di Mallarmé e
altri ragionamenti intorno alla vocazione odierna delle arti, Roma, Ateneo); “L'estetica
di Immanuel Kant, una antologia dagli scritti a cura di, Torino, Loescher); “Hegel
nostro contemporaneo” (Roma, Unione italiana per il progresso della cultura); “Il
paesaggio e l'estetica I, Natura e storia, Napoli, Giannini); Arte, critica e
filosofia, Napoli, Giannini); “L'antichità come futuro. Studio sull'estetica
del neoclassicismo europeo, Milano, Mursia); “Ipotesi e postille sull'estetica
medioevale. Con alcuni rilievi su Alighieri teorizzatore della poesia, Milano,
Marzorati); “Libertà e fondazione estetica. Quattro studi filosofici, Roma,
Bulzoni); “Intervengono i personaggi (col permesso degli autori), Napoli,
Società editrice napoletana); “Specchio vivente del mondo. Artisti in Roma”
(Roma, De Luca); “Hohenegger. Esploratore del possibile” (Roma, De Luca); “Infinita
contemplazione. Gusto e filosofia dell'Europa barocca, Napoli, Società editrice
napoletana); “Filosofia del giardino e filosofia nel giardino. Saggi di teoria
e storia dell'estetica, Roma, Bulzoni); “La città di Anfione e la città di
Prometeo. Idea e poetiche della città, Milano, Jaca); “La parola anteriore come
parola ulteriore, Bologna, il Mulino); “1. Il parterre e i ghiacciai. Tre saggi
di estetica sul paesaggio del Settecento, Palermo, Novecento); “Verità e
bellezza nelle estetiche e nelle poetiche dell'Italia neoclassica e primoromantica,
Roma, Quasar); “Ontologia e teleologia del giardino, Milano, Guerini); “Leopardi
e la nuova Atlantide, Napoli, Istituto Suor Orsola Benincasa-Edizioni
scientifiche italiane); La natura, le arti, la storia. Esercizi di estetica,
Milano, Guerini studio); “Giardini e rimpatrio. Un itinerario ricco di fascino
attraverso le ville di Roma, in compagnia di Winckelmann, di Stendhal, dei
Nazareni, di D'Annunzio, Roma, Newton Compton); “La bellezza come assoluto,
l'assoluto come bellezza. Tre conversazioni a due o più voci, Palermo, Novecento);
Il sentimento e il tempo, antologia Giuseppe Brescia, Andria, Grafiche
Guglielmi, 1997. Note Rosario Assunto,
Ontologia e teleologia del giardino, Guerini e Associati, 1994, 978-88-7802-513-4. Enciclopedia multimediale delle scienze
filosofiche, su emsf.rai. 24 agosto 26
agosto ). Paola Nicita, Assunto
scandaloso esteta, La Repubblica, 13 maggio 2006 Cutinelli-Rendina, Emanuele, Il Sessantotto
di Rosario Assunto, Ventunesimo secolo : rivista di studi sulle transizioni :
22, 2, , Soveria Mannelli : Rubbettino, .
Op. cit. ibidem Assunto scrisse
contro il progetto politico della realizzazione del ponte di Messina Antonio Debenedetti, Rosario Assunto,
filosofo delle forme, Corriere della Sera, 25 gennaio 1994, p.27 Claude Raffestin, Dalla nostalgia del
territorio al desiderio di paesaggio. Elementi per una teoria del paesaggio,
Alinea Editrice, 2005 p.90 Marisa Sedita
Migliore, Il giardino: mito estetico di Rosario Assunto, Società Dante
Alighieri, 2000. Teresa Calvano, Viaggio nel pittoresco: il giardino inglese
tra arte e natura, Donzelli Editore, 1º gennaio 1996, 139–,
978-88-7989-218-6. Claudia Cassatella, Enrica Dall'Ara e Maristella Storti,
L'opportunità dell'innovazione, Firenze University Press, 2007, 191–, 978-88-8453-564-1. Francesca Marzotto
Caotorta, All'ombra delle farfalle. Il giardino e le sue storie, Edizioni
Mondadori, , 207–, 978-88-04-61114-1. Domenico Luciani, Luoghi,
forma e vita di giardini e di paesaggi: Premio internazionale Carlo Scarpa per
il giardino, 1990-1999, Fondazione Benetton Studi Ricerche, 2001. Pier Fausto
Bagatti Valsecchi e Andreas Kipar, Il giardino paesaggistico tra Settecento e
Ottocento in Italia e in Germania: Villa Vigoni e l'opera di Giuseppe
Balzaretto, Guerini, 1º gennaio 1996,
978-88-7802-665-0. Emanuele Cutinelli-Rendina, Il Sessantotto di Rosario
Assunto (con un carteggio inedito), in «Ventunesimo secolo», VI (2009), 45-57. Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio
su Rosario Assunto Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene
immagini o altri file su Rosario Assunto Opere di Rosario Assunto, . Rosario
Assunto, su Goodreads. Filosofia Filosofo Professore1915 1994 28 marzo 24
gennaio Caltanissetta Roma. Rosario Assunto. Keywords: i nazareni, massimo, sala dante,
koch, civilta, civilta fascista, theorie des schoenen; D’Annunzio, i Nazareni,
I nazareni, pittori germani a Roma, Casino del marchese Carlo Massimo,
Aligheri, Tasso, Ariosto. D’Annunzio, la preservazione dei Giardini antichi,
villa, giardino di villa, giardino di palazzo, estetica del giardino, il
giardino e il uomo, giardineria, filosofia del giardino, il giardino di Epicuro
a Roma. Horto di Epicuro – il giardino d’Epicuro (non di Epicuro). Hortus, orto
romano, i Scipione e la filosofia a Roma dopo Carneade – filosofia al giardino
– filosofia nell’orto – orto italiano, giardino italiano, orto romano,
simmetria, “teatro, cinematografo, radio” “sono tre simboli ideali” – “Civilta”
– “estetica del teatro in Platone” assunto — annunzio — i nazareni a roma
— il giardino d’epicuro — “teatro, cinematografo, radio” — teatro nell’estetica
platonica — schelling — il bello — intro alla fondazione della metafisica dei
costumi — natura ed arte — roma città — giovanni gentile — -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Assunto” –
The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51790729324/in/dateposted-public/
Grice ed Astorini – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Albidona). Filosofo. Grice:
“I like Astorini, but more so does Sir Peter, vide his section on ‘Space’ in
“Individuals: an essay in descriptive metaphysics”: ‘Surely we wouldn’t have
space as we know it if it were not for Astorini.” La vivacità del suo ingegno,
e il desiderio di apprendere cose nuove, lo induce a spogliarsi de' pregiudizi
del secolo, e a studiare attentamente i filosofi, conosciuta la forza delle
loro ragioni, ardì dichiararsi nemico del Peripato; al che avendo congiunto lo
studio delle lingue ebraica e siriaca, ei cadde presso alcuni in sospetto di
novatore, e per poco non si attribuì ad arte magica ciò che era frutto del raro
suo ingegno e del suo instancabile studio.” Alcuni considerano i paesi di Cirò
o di Cerenzia la sua patria. Si ritieneno deboli gli argomenti esposti da un
ingegnoso filosofo di Cirò il quale volle
onorare la sua patria della sua nascita. Molti filosofi presero a difendere
l'autorità del romano pontefice e a sostenere la chiesa romana contro i nimici
della medesima. Uno solo, Astorini, ne accennerò per amore di brevità, con
tanto maggior vigore si accinse a difenderla, quanto più avea per sua sventura
potuto comprendere la debolezza dell'armi con cui essa era oppugnata. Vari
luoghi della Calabria Citeriore han preteso all'onore di aver dato i natali a
questo insigne filosofo, ma noi crediamo rimuovere ogni dubbio intorno al luogo
di lui natìo, seguendo in questo punto l'opinione di Zavarrone, il quale
afferma esser egli nato nella Città di Cirò, detta anticamente Cremissa, luogo
non ignobile del Paese de' Bruzi, dove questa famiglia vive ancor oggi
onorevolmente. «Molti scrittori di materie ecclesiastiche rilussero in questo
secolo, e fra i più celebri si annoverano: primo, Astorini. Studia con il padre
Diego, medico in loco, la grammatica, la retorica e la lingua greca. Si
trasferì a Cosenza per completare gli studi e poi a Napoli per apprendere gli
studi di filosofia, e di teologia a Roma, dove fu insignito dalla corte papale
del compito di scrivere alcuni annali. In questo periodo pubblica “De vitali aeconomia
foetus in utero”. Pubblicò alcuni saggi di matematica e geometria, come gli “Elementa
Euclidis ad usum...nova methodo et compendiare olim demonstrate” e un “Decamerone
pitagorico”. Dopo alcuni anni lascia l'Italia per raggiungere la Svizzera e la
Germania, ma in quei territori, come la città di Groninga, riscontra una
notevole influenza religiosa protestante e poiché il conversar co' i filosofi
protestanti gli fece conoscere chiaramente che fuor dalla chiesa di Roma non
v'e unità di fede, decise di tornare in patria -- Terranova, feudo del paese di
Tarsia. Note Giacinto Gimma, Elogi
Accademici Della Società Degli Spensierati Di Rossano, Troise, 1703. 7 dicembre
. Si tratta di Francesco Zavarrone
(Montalto Uffugo, 1672Roma, 1740), religioso dell'ordine dei Minimi e teologo
al servizio di illustri politici, come Augusto III re di Polonia e pontefici.
Fu lettore del collegio urbano Propaganda Fide e consultore del Tribunale
dell'Inquisizione. Girolamo Tiraboschi,
Storia della letteratura italiana, Tomo VIII, Parte I, Libro III, par. V
("Notizie e opere delElia Astorini"), Firenze: Molini, Landi e
C.o, 110-11, 1812 (Google libri) Pietro
Napoli-Signorelli, Vicende della Coltura nelle Due Sicilie o sia storia
ragionata, 1784 9781145973954 Niccolò
Morelli di Gregorio, Pasquale Panvini (Domenico Martuscelli), Biografia degli
uomini illustri del Regno di Napoli, ornata de loro rispettivi ritratti, N.
Gervasi, 1826 9781145650077 Niccola
Falcone, Biblioteca storica topografica delle Calabrie (seconda edizione), 1846 9781104076337
Elia Astorini, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Opere di
Elia Astorini, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Filosofi italiani del XVII secoloMatematici
italiani Professore1651 1702 5 gennaio 4 apriled Albidona Terranova da
SibariCarmelitani. Altre opere: "De Vitali Oeconomia foetus in utero"
(Groninch); "Elementa Euclidis ad usum novæ Academiæ Nobilium Senensum,
nova methodo, & compendiariè demonstrata" (Stampat. in Sienna e di
nuovo Neap., apud Felicem Mosca in 8); "Prodromus Apologeticus";
"De Potestate Sanctæ Sedis Apoftolicæ"; "De Vera Ecclesia Jesu
Christi, contrà Lutheranos,& Calvinianos, libri tres" (Neap.
apud de Bonis, in 4); "Apollonij Pergæi Conica, integritati suæ, ordini,
atque nitoripri stino restituta" (Neap. in 4); "De Recto Regimine
Catholicæ Hierarchiæ"; "Ars Magna Pythagorica";
"Philosophia Symbolica"; "Archimedes restitutus";
"Decameron Pitagorico"; "Il consenso, e dissenso delle tre
Gramatiche Ebraica, Arabica, e Siriaca; e'l modo facilissimo per apprenderle
ciascheduno da se stesso in breve tempo"; "Commentaria ad Scientiam
Galilæi de Triplici Motu". La movimentata vicenda biografica di
Astorini aonda le radici in una formazione cosmopolita e interdisciplinare,
iniziata in Calabria sotto la guida del padre e proseguita accanto allo zio
Tommaso Cornelio, esponente del fronte de inovatores nella Napoli di metà
secolo. Fu per lui naturale ripudiare la filosofia scolastica e aderire alle
teorie dei moderni, da Galilei a Cartesio, Hobbes e Gassendi, teorie che diuse
a Cosenza e tra i filosofi nobili in varie località del viceregno e che gli
recarono grande notorietà. Al termine di un lungo viaggio in
Svizzera, Germania e Paesi Bassi durante il quale si fece apprezzare per
le non comuni capacità didattiche,visse alcuni anni tra Firenze e Siena, dove
frequenta i principali esponenti della cultura umanistica e scientifica
toscana, da Magliabechi a Redi e Viviani. Ritornato nel viceregno per dedicarsi
alla pubblicazione di numerose opere, si pone sotto la protezione di D. Carlo
Francesco Spinelli Principe di Tarsia, ed anche d'Orsini, avvezzi amendue a
favoreggiar letterati. Per l’ampiezza dei temi arontati, sua "Philosophia
Symbolica puo giovarsi del ricco patrimonio librario custodito nella biblioteca
di Spinelli. Il testo e diviso in dialoghi nei quali sono illustrati tutti gli
antichi sistemi filosofici, colle dimostrazioni matematiche e colle
osservazioni fatte in varie accademie, ed erudizioni prese da' filosofi
latini." Sebbene varii luoghi della Calabria‘si contendano la patria dello
Astorino, pure l’opinione più comune de’ suoi biografie, che egli sia nato a
Cirò e fu nel battesimo nomato Tommaso Antonio. Fu gli padre un Diego Astorino
professore di medicina reputatissimo in Albidona, ove da questi il figliuolo
apprese la grammatica, la lingua greca e la rettorica. Studia quindi in Napoli
e Roma la filosofia aristotelica, in che acquista tale riputazione, che gli
venne permesso di scrivere a fronte delle sue conclusioni il motto: de/‘elndet
ipse solus. Morto il genitore ripatrio per assestare i suoi dome stici affari,
e iotè frai libri e fra le conversazioni dei suoi concittadini, dopo non lievi
meditazioni, darsi tutto alle dottrine filosofiche del Telesio, ed alla libera
maniera di ragionare. Era cosi istrutto nelle lingue greca, latina, ebraica,
siriaca ed araba, che ne compose le relative grammatiche. E si disse,secondo
l’andazzo de’tempi, e fu accusato lotto per magia; ma ei pote discolparsi dalla
bassa calunnia, e percorrere per ben tre volte l’ltalia, ovunque acquistandosi
e fama ed amicizia. Nominato a reggente di filosofia a Cosenza, fu da qui il
propagatore della moderna filosofia per le calabrie; come lo fu altresi della
città di Penne per gli Abruzzi. Invitato in Roma, vero o supposto che vi
sfinfermasse, egli invece dimoro per qualche tempo in Albano. Ritenuto a Bari
da alcuni nobili filosofi, che lo vollero a maestro, ebbe a cominciare in
quella Chiesa di S. Nicolo il suo annuale di prediche; ma le convinzioni libere
che egli spacciava, gli mossero fiera persecuzione. Sicclie passò in Zurigo, ed
indi in Basilea, ove non dimore che un solo aniie. Pescia recessi nel
Palatinato, donde si trasferì nell’Assia, dove fu costituito Maggiore ossia
Vice Prefetto dell'Universita di Marburgo con la facoltà d’ insegnar filosofia,
dacche non essendo dottorato non avrebbe potuto insegnarla. In stabile sempre
si condusse dappoi in Groninga, e da quella Repubblica ebbe l'incarico di
insegnar filosofia e quivi a spese del Senato fu dottorato, nel quale anno
pubblico il suo saggio, "De vitali oeeonomia foetus in utero", in cui
sostenne la opinione, non per ance in quell’era divulgate, della generazione
dell'uome. Scorgendo intanto, che iteo legi della Chiesa riformata. fra le
mille contese religiose si laceravano, penso ritornarsene fra’cattolici in
ltalia; e d’Amburgo chieseil condono d’ogni apostasia; il che ottenuto dal S.
Uffizio, recatosi presso il Vescovo di lilunster‘ fece solenne abiura, e si
porto in Roma, onorevolmente accolto, ed inviato in Pisa come predicatore
generale. Dopo un anno da Pisa si tradusse in Firenze, ove si acquista il
favore del Granduca, e si concilio l’amistà fraternevele del Redi, del Viviani,
del Marchetti e d’altri molti filosofi. In Siena, dove recessi come professore
di filosofia, coopera efficacemente alla istituzione dei Fisio-Eritici, e ne fu
eletto Principe e Censore perpetuo. Qui pubblica nel medesimo anno: Eiementft
Euclidis nova methodo demostraiei. Ritornato in Roma fu inviato a Cosenza col grado
di maestro in filosofia, e di prefetto degli studii. Ma riaccesigliodiisempre a
cagien de’ suoi meriti, si ritira in Cervinara nel Principato Ulteriore; e da
la spesso recandosi in Napoli ebbe a cenciliarsi la stima di Carlo Spinelli
principe di Tarsia, il quale per Paifetto che portava all'Astorino (e per
rimuoverlo dalla tristezza in che era caduto per la morte di Francesco Mainerio
Astorino) lo indusse a recarsi in Terranova, deputandolo custode della sua
scelta biblioteca. Fu questa l'ultima residenza, perocchè vi mori. Sono del
pari sue opere stampate: Apollonii Pergei conica integritati suae ac nitori
restituta" (Nap.); "De potestate S. Sedis apos-tolicae, Siena);
"De‘nera Ecclesia Christi disciplina, libri tre Nap.). Fra i molti altri
saggi che lascia si commendano: "Philosophia symbolica iuxta propria
principia, in dialoghi"; "Ars magna Pythagorica," una specie di
enciclopedia scientifico-universale; "Decamerone Pitagorico", in
verso, diviso in dieci giornate, e contenente tutta la filosofia naturale
pitagorica in forma di satire in verso sciolto bernesco; "Commentario, ad
scientiam Galilaei de tripliei motu"; "Archimedes restitutus";
"De reato reyimine Catholi caelticr archiae; "De vita Christi";
Apologiapro fitte catltolica, che divisava di dedicare a Filippo di Spagna.
Parlano con somma lode di questo dotto filosofo il Cimma, il Zavarroni,
l’Amato, l'Aceti, il Mazzucchelli, l’(lriglia, il liraboschi, il d’ Alllitto,
il Signo relli, i Dizionarii storici, e per tacer‘ di tanti altri, . il Cantù.
ASTORINI, Elia. - Nacque il 3 genn. 1651; è incerto se a Cirò, feudo degli
Spinelli principi di Tarsia che lo protessero nelle ultime fortunose vicende
della sua vita (Zavarroni), o ad Umbriatico oppure ad Albidona (Gimma), dove il
padre Diego esercitò la professione di medico e dove sicuramente egli trascorse
gli anni dell'adolescenza. Sedicenne, nel 1667, entrò fra i carmelitani
dell'antica osservanza, mutando il nome di Tommaso Antonio in quello di Elia.
Completò gli studi di filosofia aristotelica a Napoli nel convento dei Carmine
Maggiore (dove appartenne all'Accademia degli Incauti) e a Roma quelli di
teologia. La morte del padre lo richiamò in Calabria, nell'ambiente
familiare. Stando ai suoi biografi, in questi anni (1670-75) si colloca
la sua prima crisi spirituale che investe il campo delle dottrine filosofiche
acquisite: un radicale atteggiamento antiperipatetico lo avrebbe indotto a
formarsi un sistema eclettico platonico-pitagorico e
meccanicistico-materialistico, quest'ultimo ispirato dalla lettura delle opere
di Galilei, Gassendi, Cartesio, Mersenne, Hobbes. Più prechaniente. possiamo
dire, sulla base degli elementi desumibili da taluni suoi scritti, che egli
riprese il pensiero dei suoi conterranei, del famoso "notomista"
Marco Aurelio Severino, erede delle speculazioni campanelliane e delle teorie
fisiognomiche del Della Porta; di Carlo Musitano, che aveva accolto le
posizioni dei "moderni" come elaborate dalla napoletana Accademia
degli Investiganti; e soprattutto di Tommaso Comelio, del quale l'A. amò più
tardi dichiararsi nipote (cfr. Giornale de, Letterati del 1692..., p.
119). La crisi non gli impedì tuttavia di raggiungere il sacerdozio nel
1675 e di divenire, nel 1680, reggente degli studi e lettore di filosofia e
teologia nel convento dei suo Ordine a Cosenza. Ma i confratelli, nella
congregazìone della provincia di Calabria, il 26 aprile dell'anno successivo,
gli si ribellarono apertamente chiedendo al generale la sua sostituzione.
Rivalità locali, come il contrasto tra l'A. e il provinciale P. T. Puglisi,
adombrano l'inquietudine intellettuale del giovane religioso e le resistenze di
metodi tradizionali di studio. Sospeso dall'insegnamento, penitenziato nel
carcere della curia arcivescovile di Cosenza durante il 1682, l'A. è infine inviato
a Roma per un giudìzio definitivo da parte deì superiori dell'Ordine. Dopo un
breve ciclo di predicazìone si ritira ad Albano: non si sa se per punizione
inflittagli o per motivi di salute. Ha comunque ìnizio adesso il momento più
ambiguo e per taluni aspetti più oscuro della sua vita. Nel 1683 passa a
Bari, dove stringe amicizia con G. Tremigliozzi, seguace del gassendista
Sebastiano Bartoli e del Cornelio e fondatore in quello stesso anno
dell'Accademia dei Coraggiosi, bandìtrice delle nuove dottrine antigaleniche
nel settore delle scienze mediche. Partecipò alle polemiche del Tremigliozzi in
difesa del Musitano e compose un "epitafio" sulla "materia
prima" per quella Nuova Staffetta del Parnaso circa gli affari della
medicina...dirizzata all'illustrissima Accademia degli Spensierati di Rossano,
Francoforte 1700, che ad opera del Tremigliozzi costituì una convinta difesa
del metodo sperimentale degli Investiganti contro la metodologia cartesiana. A
Bari conobbe il Gimna, che sarà il suo più diffuso biografo, al quale avrebbe
mostrato vari suoi lavori manoscritti (tra essi un'Ars magna trigonometrica di
cui si dirà più avanti). Predicò a S. Nicola e visse nel convento carmelitano
barese dal quale poco tempo prima era fuggito, apostata in Svizzera, il priore
Angelo Rocco. Se dietro esempio del Rocco o per raggiunta maturazione della sua
crisi, è certo comunque che di lì a poco l'A., rotto ogni indugio, depose
l'abito religioso e riparò anch'egli oltr'Alpe. Da Zurigo raggiunge
Basilea, dove nell'ottobre del 1684 presenzia a esperimenti. di medicina di J.
J. Harder (Apiarium observationibus medicis ... refertum,Basileae 1687, pp. 28,
47, 110) e dove rimane circa un anno seguendo anche i corsi di teologia di J.
R. Wettstein (non si sa se il padre, morto nel 1684, o il figlio succedutogli
nello stesso anno sulla cattedra). Sostò nel Palatinato presso il principe
elettore Carlo fino alla morte di lui (26 maggio 1685), per trasferirsì poi,
nel suo peregrinare da università ad università, a quella di Marburgo dove
divìene viceprefetto con facoltà di insegnare filosofia pur non essendo
addottorato (stando al Gimma, ma la notizia non trova conferma nel Catalogus
professorum Academiae Marburgensis 1527-1910, a cura di F. Gundlach, Marburg
1927). A Marburgo prosegue con fervore gli intrapresi studi di medicina
ascoltando le lezioni del rettore J. J. Waldschmiedt. Nel 1686, dopo un breve
soggiorno a Brema, è a Groninga: insegna matematica nel collegio dei nobili
cadetti francesi e si laurea in medicina, il 1° novembre, con la dissertazione
De vitali oeconomia foetus in utero,Groningae 1686 (pubblicata sotto il nome di
Tommaso Antonio), che pare sottendere nello studio del problema della
fecondazione, oggetto allora di discussione tra "ovisti" e
"animalculisti", le preoccupazioni speculative dell'autore, volte
sulla scia del Severino e più del Bartoli alla ricerca del
"principio" vitale e formativo dell'embrione. Durante il
soggiorno in Olanda, tra il 1686-88, si ha notizia vaga di una sua
partecipazione alle polemiche religiose nell'ambito del calvinismo: la difesa
che egli assume del cattolicesimo preannunzia un suo più meditato ritorno
all'antica fede. Attaccato pubblicamente dai ministri calvinisti, si rifugia ad
Amburgo. Qui una sua lettera al S. Uffizio, con la richiesta di poter ritornare
in Italia, gli procura una benigna risposta da parte del cardinale Lorenzo
Brancati di Lauria e un salvacondotto. Assolto dal vescovo di Münster il 13
dic. 1688, è a Roma il 13 marzo dell'anno successivo. Riammesso
nell'Ordine, predicò a Pìsa e, nel 1690, la quaresima a Firenze. Conobbe allora
A. Marchetti, cui dovette unirlo l'interesse per la filosofia
"corpuscolare" e che lo presentò al Magliabechi, il Redi, cui lo legò
la comune curiosità per il problema della generazione, e il Viviani. là questo,
tra il 1691-94, il periodo culturamente più felice dell'Astorii. Nel
1691, per interessamento del principe Gian Gastone de, Medici, ottiene la
cattedra di matematica nella Nuova Accademia dei nobili senesi: per
l'insegnamento prepara un'edizione degli Elementa Euclidis ad usum Novae
Academiae Nobilium Senensium nova methodo et succincta demonstrata..., Senis
1691,dedicata al principe protettore. Ma la prefazione è indirizzata al Redi, e
in essa l'A. chiarisce il proprio metodo ("... etiam proportiones ipsas,
quarum nimis longa est series, redigerem. ad acquationes, more
Analystarum", p. X) ed esalta la matematica in funzione dello sviluppo
delle scienze naturali, concludendo con un elogio della scuola scientifica
toscana, dal Galilei al Redi al Torricelli al Viviani al Marchetti al Bellini
al Malpighi. Il Redi lo ringraziò (v. lettera del 18 sett. 1691, edita in
Gimma, p. 413), promettendo di intervenire nuovamente presso Gian Gastone: il
che dovette procurare all'A. la cattedra straordinaria di filosofia naturale
nell'università di Siena, che resse dal 5 nov. 1692 al 3 apr. 1694.
Intanto, nel 1691, l'A., con Pirro Maria Gabrielli e Teofilo Grifoni, è tra i
fondatori dell'Accademia dei Fisiocritici e ne diviene "principe perpetuo"
(v. lettera del Redi al Gabrielli del 6 ott. 1691, in Redi, Opere,VIII, p.
56).Dalle lettere che l'A. indirizzò m questo tomo di tempo al Maghabechi
desumiamo molte preziose notizie circa i rapporti tra cultura filosofica e
scientifica meridionale e tradizione sperimentale toscana, rinnovando l'A.
quell'incontro che per la generazione -precedente era stato compiuto a Pisa
dalla scuola iatromeccanica,di G. A. Borelli. Il rapporto ideale tra le due
culture è anzi tanto stretto che l'A. teme per quella toscana, le ripercussioni
della lotta scoppiata a Napoli contro la filosofia "moderna"
(processo degli ateisti): "In Napoli vi sono di gran rumori: mi scrivono
che sia stata origine la dottrina di Tomaso Comelio e che già la modernità va
sossopra. Mi dispiace per diversi capi, benché io non dubiti esservi
framischiate delle calunnie degli emoli aristotelici e galienisti, e molto più
mi dispiace per essersi già qui in Siena eretta un'Accademia fisicomedica tutta
moderna e per esserne io stato eletto principe perpetuo. L'abbiamo celebrata
due volte con l'intervento di tutta la più dotta nobiltà, ma adesso ci siamo
raffredati non sapendo dove vadano a terminare le faccende" (al
Magliabechi, Siena, novembre 1691). Sotto la guida dell'A. l'Accademia poté
tuttavia continuare con tranquillità le riunioni "colla metodo de'
Progimnasmi [i Progymnasmata Physica] di Tomaso Comelio" (al Magliabechi,
Siena, 15 nov. 1691). L'A. sperò contemporaneamente di raggiungere una
sistemazione migliore: ambì (1691) al titolo di maestro di teologia e
sollecitò, tramite il Magliabechi, un intervento del Malpighi, per il momento
senza successo (divenne maestro il 13 marzo 1693);compose, mettendo a frutto la
sua diretta esperienza del mondo protestante, un Prodromus apologeticus de
Potestate sanctae Sedis Apostolicae, Senis 1693,dedicato al cardinale Francesco
Maria de' Medici (ristampato in J. T. Roccaberti, Bibliotheca maxima
pontificia, XI, Romae 1698),introduzione a una progettata serie di
dissertazioni controversistiche, che però non si distacca dalla consueta
letteratura dei tempo; dedica tuttavia il meglio della propria attività ancora
al settore scientifico, apprestando, tra l'altro, l'edizione delle Coniche di
Apollonio, con la quale per suggerimento del Redi e del Viviani intese
completare e sistemare l'edizione già apprestata dal Borelli con l'aiuto di
Abramo Echellense (Firenze 1661), e stendendo uno scritto di meccanica
(Commentaria ad scientiam Galilaei de triplici motu), rimasto inedito. Ma
ai primi del 1694 l'A. lascia quasi improvvisamente Siena per le non buone
condizioni economiche, dati gli scarsi proventi che gli venivano
dall'insegnamento, e per le sue precarie condizioni di salute. Il 29 maggio
1694 è a Roma; poi a Cosenza, quale prefetto degli studi e successivamente
commissario generale nel suo convento di un tempo. Si riaccendono le
persecuzioni a suo danno; le vicende sono ancora più oscure che per gli anni
1680-81, ma gli procurano la protezione del principe di Tarsia, F. Spinelli,
presso il quale, a Terranova, dimorò nel 1697, e quella del cardinale Vincenzo
Maria Orsini (poi Benedetto XIII), allora arcivescovo di Benevento. Il 12 genn.
1697 chiese il trasferimento dalla provincia di Calabria a quella di Terra di
Lavoro nel convento di Cervinara e, in un secondo momento, in quello di
Mongrassano. Nel giugno 1698 è però di nuovo prefetto degli studi a Cosenza; il
10 settembre priore del convento di Scala e come tale partecipa al capitolo
provinciale del maggio 1699. Eletto priore di Mongrassano, non partecipa al
capitolo dell'aprile 1701 per le peggiorate condizioni di salute e rinunzia
anche alla carica. Cura nel frattempo a Napoli la stampa dei De vera
Ecclesia Iesu Christi contra Lutheranos et Calvinianos libri tres (1700), degli
Apollonii Pergaei Conica (1698?, 1702?) e la ristampa degli Elementa Euclidis,
Neapoli 1701. Il nucleo ispiratore dei De vera Ecclesia... libri
tres,abbozzati in parte a Siena e dedicati al principe di Tarsia, ha un reale
interesse. L'A., come aveva accennato in una lettera al Magliabechi, appare
preoccupato di confutare la tesi protestante circa i fondamenti aristotelici
della dottrina cattolica e sostenere invece "la identificazione della
nuova linea culturale incentrata sull'umanesimo e sul neoplatonismo con il
cattolicesimo" (Badaloni). Sulla linea umanistica viene rivendicata anche
la continuità del movimento scientifico del '600italiano. Ma tali motivi
accennati nella prefazione sono sommersi, nell'opera, da un denso argomentare
tradizionale, in cui tuttavia èmessa a frutto dall'A. la conoscenza dell'ebraico
e delle lingue orientali. Nel chiuso ambiente conventuale, dopo
l'esperienza in terra tedesca e in Toscana (durante la quale però sembra che
l'A. sia stato spinto più dall'esigenza di contatti e di fresche osmosi
scientifiche che non da un meditato approfondimento culturale), accanto a un
crescente disagio che lo rende insofferente della disciplina dell'Ordine e lo
induce a frequenti viaggi a Napoli per sorvegliare la stampa delle sue opere,
riaffiorano nell'A. le preoccupazioni proprie di una formazione e di una
tradizione meno aperta e duttile: il pesante enciclopedismo e il gusto
mnemotecnico della giovinezza prendono nuovamente il sopravvento
sull'inteligenza sperimentale della natura, e l'A. dedica gli ultimi anni della
sua vita a studi linguistici, condotti con criteri analogico-combinatori, Il
consenso e dissenso delle tre Grammatiche ebraica, arabica e siriaca, e 'l modo
facilissimo per apprenderle ciascheduno da se stesso in breve tempo (inedito),
e ad elaborare o completare una Philosophia symbolica,sorta di enciclopedia
pitagorica di cui probabilmente facevano parte opere che dai biografi ci sono
indicate con titoli particolari: un'Ars magna pythagorica, un Decamerone
pitagorico (esposizione in rime bernesche della filosofia naturale), una Logica
pythagorica seu de natura et essentia rerum (lo stesso che l'Ars magna?).
Degli inediti è conosciuta soltanto l'Ars magna in duas divisa Dissertationes
Altera De origine rerum altera De ortu et progressu Scientiarum (ms. 336;copia
sec. XVIII, pp. 31 con 4 tavv., della Biblioteca Alessandrina di Roma). La
copia fu effettuata dall'erudito calabrese Zavarroni per la Raccolta d'opuscoli
scientifici e filologici diretta da Angelo Calogerà (cfr. acclusa allo stesso
ms. una lettera dello Zavarroni al Calogerà del 21 luglio 1739).Probabilmente
il carattere in apparenza bizzarro dello scritto dovette dissuadere gli editori
dal darlo alle stampe. Esso, almeno nella copia dello Zavarroni, pare
l'introduzione a una serie di Dissertationes e non va tout court identificato
con l'Ars magna di cui fa menzione il Gimma. Se il De origine rerum,cioè la
prima parte del manoscritto, può in qualche modo connettersi ai primi studi
dell'A., a escludere che il De ortu et progressu Scientiarum sia uno scritto
giovanile contribuiscono il cenno all'edizione postuma dei Progymnasmata del
Comelio (1688),il ricordo del Redi e del Viviani, la notizia degli studi
compiuti dall'A. sulla scienza galileiana del triplice moto, la notevole
conoscenza che l'A. dimostra degli studi di anatonúa, elementi tutti che
presuppongono appunto la sua esperienza culturale in Germania e in
Toscana. La prima parte dell'opera, che vuole essere una guida "ad
metam naturalis sapientiae", contiene una critica agli schemi mnemotecnici
del Lullo e del Kircher e si svolge nell'elencazione di triadi
platonico-pitagoriche, alla cui base v'è il presupposto gnoseologico della
possibilità di conseguire verità assolute attraverso l'ordine naturale delle
idee (poiché nella natura creata v'è una "triplex virtus", "intellectiva,
volitiva et effectrix", ad essa corrisponde una "triplex
operatio", "interectio, volitio et impetus"' ecc.). Tale schema
conduce ovviamente alla critica decisa della definitio logica
aristotelico-scolastica che non attingerebbe alla "quidditas rei"
come la definitio methaphysica,vagheggiata dall'autore. La seconda parte
è in sostanza una ripartizione delle scienze ancora su base
platonico-pitagorica. Da "Sophia" è esclusa la logica, di cui sì
ribadisce il carattere meramente discorsivo; ma a "Sophia"
appartengono la metafisica (notevoli i cenni platonizzanti circa il rapporto
microcosmo-macrocosmo); la fisica, per la quale l'A. si dilunga nella critica
all'aristotelismo e al cartesianesimo e nell'esaltazione della filosofia
atomistico-gassendiana e dello sperimentalismo galileiano, pur richiamandosi
insieme nettamente alla tradizione filosofica meridionale da Bernardino Telesio
a Tommaso Cornelio; la politica, per la quale egli esalta l'insegnamento di
Platone; l'etica, per cui continuo è il richiamo al pensiero di Hobbes,
ecc. A questo impasto di vecchio e di nuovo, che contrappunta un momento
della cultura meridionale e riflette il travaglio di un pensiero l'A. dedicò
dunque lo scorcio estremo dei suoi anni, divisi tra la meditazione filosofica e
la occupazione di biblìotecario presso il principe Spinelli, a Terranova di
Sibari, dove morì il 4 apr. 1702. Fonti e Bibl.: Firenze, Bibl.
Naz. Centrale, Magl. CI. VIII,171, Elia Astorini lettere ad Ant.Magliabechi da
25 sett. 1691 a 29 maggio 1694 ... ; Giornale de' Letterati del 1692 e primo di
Modena, pp. 118-119; Giornale...dell'anno 1693, pp. 244-246; F. Redi,
Opere,VIII,Milano 1811, p. 56; G. Gimma, Elogi accademici della società degli
Spensierati di Rossano,I,Napoli 1703, pp. 387-413; A. Zavarroni, Bibliotheca
calabra, Neapoli 1753, pp. 172-174; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori
d'Italia,I,2, Brescia 1753, pp. 1194-1196 (riprende dal Gimma); N. Di
Cagno-Politi, E. A. filosofo e matematico del sec. XVII,Appunti, 2 ediz., Roma
1890; G. Maugain, Etude sur l'évolution intellectuelle de l'Italie de 1657 à
1750 environ,Paris 1909, pp. 133 s.; A. Grammatico, E. A., O. Carm., insignis
disceptator saec. XVII, in Analecta Ord.Carm.,VI(1927-29), pp. 493-515; N.
Badaloni Introduzione a G.B. Vico, Milano 1961, p. 225. Elia Astorino. Elia
Astorini. Tommaso Antonio Astorini. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed
Astorini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691259951/in/photolist-2mKMdFR
Grice ed Azeglio – non si danno doveri reciprochi senza
società – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo. Grice: “I like Azieglo; first he was a marchese,
unlike me – second he looked for the fundamental law (or ‘fundamental
question,’ as I call it) for the principle of cooperativeness – he finds it’s a
natural thing, not a Rousseaunian contractualist thing – so he is a Griceian at
heart – on top, he relies on Bentham, to minimise the Kantian rationalism and
make it digestibale to those who care about what Azieglo calls ‘amore proprio’
– i. e. conversational self-love as still operating under a wider principle of
conversational benevolence.” Coniò il termine
giustizia sociale, successivamente ripreso e sviluppato da Antonio Rosmini
(1848) nel saggio La Costituzione secondo la giustizia sociale e da John Stuart
Mill nel saggio Utilitarianism.
Taparelli d'Azeglio è stato anche uno dei primi teorici del principio di
sussidiarietà. Era il quarto degli otto figli di Cesare, conte di Lagnasco e
marchese di Montanera, diplomatico della corte di Vittorio Emanuele I, e della
contessa Cristina Morozzo di Bianzè. Alla nascita gli fu imposto il nome di
Prospero che, divenuto gesuita, cambiò in Luigi. I fratelli Massimo e Roberto
furono politici e senatori del Regno.
Maturò la propria vocazione religiosa a seguito di un corso di esercizi
spirituali dettati dal venerabile Pio Brunone Lanteri (1759-1830), fondatore
della congregazione degli Oblati di Maria Vergine. Studiò nel Collegio Tolomei
di Siena e poi nell'Ateneo di Torino fino al 1809. Entrato nel seminario di
Torino, quando il padre fu inviato come diplomatico alla corte di Pio VII si
trasferì con lui a Roma e fu ammesso nel noviziato dei gesuiti di Sant'Andrea
al Quirinale. Fu ordinato sacerdote nel
1820. Iniziò a studiare negli anni 1824-29 la filosofia di San Tommaso
d'Aquino, studio che continuò a Napoli negli anni 1829-32. Nel 1833 fu
destinato al Collegio Massimo di Palermo dove insegnò lingua francese per poi
assumere la cattedra di diritto naturale.
Nel 1840-1843 pubblicò con i tipi della Stamperia d'Antonio Muratori di
Palermo il suo testo più importante, il Saggio teoretico di dritto naturale
appoggiato sul fatto, considerato a quel tempo una vera enciclopedia di morale,
diritto e scienza politica. Nel 1850
ricevette da papa Pio IX il permesso di cofondare con il padre Carlo Maria
Curci La Civiltà Cattolica, rivista della Compagnia di Gesù, ove scrisse per
venti anni per poi assumerne la direzione nell'ultimo periodo della vita. I
suoi oltre duecento articoli pubblicati sulla rivista furono tutti
caratterizzati da un contenuto tale da meritargli il titolo di «martello delle
concezioni liberali»(Antonio Messineo).
Morì a Roma il 21 settembre 1862.
Pensiero Era preoccupato soprattutto dai problemi che nascevano dalla
rivoluzione industriale. Il suo insegnamento sociale influenzò papa Leone XIII
nella stesura dell'enciclica Rerum novarum sulla condizione dei
lavoratori. Proponeva di riprendere gli
insegnamenti della scuola filosofica tomista. A partire dal 1825 portò avanti
questa convinzione, ritenendo che la filosofia soggettiva di Cartesio portasse
a errori drammatici nella moralità e nella politica. Argomentava che mentre la
differenza di opinioni sulle scienze naturali non ha nessun effetto sulla
natura, al contrario idee metafisicamente poco chiare sull'umanità possono
portare al caos nella società. A quel
tempo la Chiesa cattolica non aveva una visione sistematica chiara sui grandi
cambiamenti sociali apparsi all'inizio del secolo XIX in Europa, la qual cosa
portava molta confusione tra la gerarchia ecclesiastica e il laicato. In
risposta a tale problema, Taparelli applicò, in maniera coerente, i metodi del
tomismo alle scienze sociali. Dalle pagine de La Civiltà Cattolica attaccò la
tendenza a separare la legge positiva dalla morale e lo "spirito
eterodosso" della libertà di coscienza che, a suo avviso, distruggeva
l'unità della società. Termini chiave
della sua opera sono socialità e sussidiarietà. Vedeva la società non come un
gruppo monolitico di individui, ma come un insieme di varie sub-società
disposte in diversi livelli, ciascuna formata da individui. Ogni livello di
società ha sia diritti che doveri, ognuno dei quali deve essere riconosciuto e
valorizzato. Ogni livello di società deve cooperare razionalmente e non
fomentare competizione e conflitti. Dopo
l'istituzione della Società delle Nazioni, Taparelli d'Azeglio ne vanne
considerato un precursore. Sua fu l'idea di un'autorità universaleda lui
chiamata "etnarchia"con il ruolo di tribunale e di arbitrio, che
potesse proteggere ogni nazione dalle minacce esterne. Taparelli d'Azeglio
continuò a fungere da autorevole guida al pensiero cattolico in materia di pace
e guerra ancora nel Novecento. Altre opere: “Saggio teoretico di diritto
naturale appoggiato sul fatto” (Palermo); “Nazione e nazionalità” (Genova,
Ponthenier); “La Legge fondamentale d'organizzazione nella società” (Roma,
Edizioni di Storia e Letteratura); “La libertà tirannia” “Saggi sul
liberalesimo risorgimentale” (Piacenza, Edizioni di Restaurazione Spirituale);
“La Civiltà Cattolica). Diritto soggettivo, proprietà e autorità in Luigi
Taparelli d'Azeglio, di Alessanfro Biasini, sito della Università Ca Foscari
Venezia. Scuola Dottorale d'Ateneo. The
Origins of Social Justice: Taparelli d’Azeglio, su home.isi.org. Education and Social Justice, J. Zajda, S.
Majhanovich, V. Rust, E. Martín Sabina, Springer Science & Business Media,
20061 Vittoria Armando, Il Welfare oltre
lo Stato. Profili di storia dello Stato sociale in Italia, tra istituzioni e
democrazia Seconda edizione, G. Giappichelli Editore, Georges Minois, La Chiesa
e la guerra. Dalla Bibbia all'èra atomica, Bari, Dedalo, 2003493. L. Pereña, La autoridad internacional en
Taparelli, Libreria editrice dell'Università Gregoriana, 1964, 405-432. Studi Pierre Thibault, Savoir et
pouvoir. Philosophie thomiste et politique cléricale au XIXe siècle, Québec, Maria
Rosa Di Simone, Stato e ordini rappresentativi nel pensiero di Luigi Taparelli
d'Azeglio, «Rassegna storica del Risorgimento», Giovanni Miccoli, Chiesa e
società in Italia fra Ottocento e Novecento: il mito della cristianità, in Id.,
Fra mito della cristianità e secolarizzazione, Casale Monferrato, Francesco
Traniello, La polemica Gioberti-Taparelli sull'idea di nazione, in Id., Da
Gioberti a Moro. Percorsi di una cultura politica, Milano, Francesco Traniello,
Religione, Nazione e sovranità nel Risorgimento italiano, «Rivista di storia e
letteratura religiosa», Emma Abbate, Luigi Taparelli D'Azeglio e l’istruzione
nei collegi gesuitici del XIX secolo, «Archivio storico per le province napoletane»,
Saggio teoretico di dritto naturale appoggiato sul fatto, 5 voll., Palermo,
Stamperia d'Antonio Muratori, 1840-1843. S. T., Per il centenario della nascita
delLuigi Taparelli D'azeglio, in Rivista Internazionale di Scienze Sociali e
Discipline Ausiliarie, Luigi Di Rosa, Luigi Taparelli. L'altro d'Azeglio,
Milano, Cisalpino, Gabriele De Rosa, I Gesuiti in Sicilia e la rivoluzione del
'48, con documenti sulla condotta della Compagnia di Gesù e scritti inediti di
Luigi Taparelli d'Azeglio, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1963. A.
Perego, La «Miscellanea Taparelli», in Divus Thomas, Gianfranco Legitimo, Sociologi cattolici
italiani. De MaistreTaparelliToniolo, Roma, Volpe, 1963, 30–51. Antonino Messineo S.J., IlLuigi
Taparelli d'Azeglio e il Risorgimento italiano, in La Civiltà Cattolica, Carlo
Maria Curci Compagnia di Gesù La Civiltà Cattolica Rerum novarum Luigi Taparelli d'Azeglio, su
TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Angiolo Gambaro, Luigi Taparelli d'Azeglio,
in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Luigi Taparelli
d'Azeglio, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Opere di Luigi Taparelli d'Azeglio, su
openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Luigi Taparelli d'Azeglio, . Francesco Pappalardo, Luigi Taparelli
d'Azeglio, in Giovanni Cantoni , Dizionario del pensiero forte, Piacenza,
Cristianità, 1997. Giovanni Vian, Luigi Taparelli d'Azeglio, in Il contributo
italiano alla storia del Pensiero: Storia e Politica, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, .Aloysius Taparelli, in Catholic Encyclopedia, Compagnia
di Gesù Filosofia Sociologia Sociologia
Categorie: Gesuiti italianiFilosofi italiani del XIX secoloSociologi italiani Torino
Roma. Non si danno doveri reciprochi senza società. Egli è costume di chi
spiega diritto naturalo -- il ius naturale -- il considerare certe classi di
doveri dell'un uomo verso l'altro anteriori ad ogni idea di società. E un tal
modo di speculare è coerente con tutto il resto della dottrina allorchè la
società si riguarda come una pura convenzione umana. Ma siccome il fatto di
questa convenzione, per confessione di parecchi fra i suoi difensori, non è se
non una finzione di diritto, fictio juris, ed io non amo fondar sopra una
finzione quanto vi ha di più sacro ed importante nel commercio fra gli uomini,
mi vidi astretto a cercare nel *fatto reale* (italici d'Azeglio) altro miglior
appoggio. E sì mi parve averlo trovato con nulla più che analizzare la idea che
ognuno si forma allorché pronunzia il vocabolo *Società*, o paragonar questa
idea collo stato *naturale* in cui ogni uomo trovasi sulla terra. Ecco per qual
motivo non credei poter trattare dei *doveri reciprochi* fra gli uomini se
prima non li considerava formanti una qualche società. E in verità, come
potrebbero esservi *doveri* reciprochi senza relazioni reciproche? Come
relazioni senza qualche congiunzione? Come congiuzione senza qualche legge?
Come legge senza legislatore e senza autorità? Data poi la congiunzione di
molti esseri intelligenti sotto una autorità comune che altro ci manca per
costituire una società? Parventi dunque ripugnante la voce di *relazioni
extrasociali*, usata dal ch. C. di Haller -- di cui per altro ammiro in molti
punti la dottrina --, nù seppi come introdurmi a considerare i doveri
reciprochi se prima non no stabiliva *sul fatto* le fondamenta con una attenta
osservazione dell’essere sociale. La legge fondamentale del *civico* operar
sociale potrebbe dunque ridursi a questa — la socielà (e per essa la autorità)
dee far sì che ciascuno *cooperi* a *difendere* e crescere il bene altrui senza
sua perdita, anzi con vantaggio proporzionato alla sua cooperazione. Della
società in generale. Società suol dirsi una concorde comunicazione di bene fra
esseri intelligenti. Società di questi esseri *in istato di tendenza* sarà
dunque la *tendenza concorde a fine comune*. E siccome la tendenza intelligente
fra uomini dee produrre azione esterna, cosi la società umana potrà definirsi
*cooperazione concorde di uomini ad un bene comune*. Prop. I.: Gli uomini tutti
hanno nella lor *natura* un elemento di società universale. Prova: Gli uomini
tutti sono obbligati a secondare l’ intento del Crea- tore. Or il Creatore
vuole da essi *cooperazione concorde a ben comune*. Dunque ec. La minore
si prova. Uno è per natura il bene da tutti conosciuto, ed a cui tendono tutti,
giacche una è la loro *natura* ossia impulso primitivo. Questo impulso
manifesta l'ntento del Creatore. Dunque ec. Diremo questo elemento *dovere di
socialità*. Coroll. 1.: Ogni dovere sociale deriva da questo principio *fa il
bene altrui*. Giacché la causa che mi obbliga a far ad altri *un* qualche bene
è che debbo far loro il bene. Coroll. 2.: Questo è il primo principio *sociale*
applicazione del primo principio morale. Coroll. 3: Il precipuo bene di ogni
società è la *onestà*, giacché a questa tende precipuamente la *natura umana*.
Coroll. 4.: Poiché *ottener il bene* è negli *enti ragionevoli* un *divenir
felice*, il fine di universal società è rendere gli *associati* *onestamente
felici*. E poiché la felicità dell’uomo consiste *secondo natura* nei beni di
*mente* e di *corpo*, *assicurarci* e *crescerci* queste due specie di beni è
il fine naturale della società universale. Una società determinata può o
abbracciare tutto il fine naturale con mezzo particolare cioè col convivere
stabilmente, o abbracciarlo parzialmente. Il *fine* particolare della prima
sarà il *convivere* onestamente felice. Della seconda il conseguire quel
particolare oggetto per cui ella si associa. Diremo società *completa* quella
che abbraccia tutto l'obbietto naturale della umana società, cioè il bene di
mente, quello di corpo, o la difesa di entrambi. Incompleta quella che ne abbraccia
sol qualche parte. Coroll. 5.: La società è *mezzo*, non fine dell’ individuo. Luigi
Tapparelli d’Azeglio, marchese d’Azeglio. Luigi Prospero Tapparelli d’Azeglio,
marchese d’Azeglio. Prospero Tapperelli d’Azeglio, marchese d’Azeglio. D’Azeglio.
Azeglio. Keywords: non si danno doveri reciprochi senza società, ius naturale,
“non si danno doveri reciprochi senza società”, cooperazione, cooperare, fa il
bene altrui – onesta, fine, principio della socialita, applicazione del
principio della moralita, natura umana, fatto, socieeta totale, societa
parziale, definizione di societa in termine di cooperazione, ‘de more
geometrico’ – tendenzia impulso naturale all’onesta – societa – azione esterna,
esseri ragionabile, esseri intelligente, convivir stabilmente, felice, -- Refs.:
Luigi Speranza, “Grice ed Azeglio” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51789362417/in/dateposted-public/
Grice e Bacchin – anypotheton
haploustaton; overo, i fondamenti della filosofia del linguaggio – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Belluno). Filosofo. Grice: “I like Bacchin; as an
Italian he is allows to speak pompously as we at Oxford cannot! But he is
basically saying the commonplace that ‘intersoggetivita’ has a ‘dialectical
dimension’ (interoggetivita come dimensione dialettica) in the sense that the
ego (or ‘l’io’) presupposes the ‘altro’ (as he puts it: ‘a cui’) – therefore;
it is a presupposition of the schema, as Collingwood would have it, alla Cook
Wilson – and thus only transcendentally justified. Bacchin has noted that the
operator ~ is basic in that ‘inter-rogo’ invites a ‘risposta’ whose
‘motivation’ may be ‘implicita’ – the ad-firmatum is motivated by the domanda –
which can be another dimanda: why do you think so? “Why do you ask why I think
so?” -- Bacchin is alla Heidegger and
other phenomenologists, with the ‘essere’ versus appare on which my impicata in
‘Causal Theory of Perception’ depend (‘if A seems B, A is not B. Note that
there is no way to express this implicata without a ~. It might be argued that
it can express with some of the strokes or with some expression that would
flout ‘be brief, rather than the simplest” – and which would involve, as Parmenide
has it, the idea of, precisely –altro’ (other than). Note that Bacchin
equivocates on the ‘altro’ – in the dialectical dimension of intersubjectivity
he obviously means ‘tu,’ not ‘altro.’ In the negation or contradiction (in
dialectical terms) of an affirmation – which is involved in every ‘dialogue’
that Bacchin calls ‘socratico’ or euristico rather than sofistico (based on
equivocation) – the ‘altro’ is the other, A is not B, impying A is other than B
(cf. my ‘Negation and Privation’). This does not need have us multiply the
sense of ‘ne,’ in old Roman!” -- Giovanni Romano Bacchin (Belluno), filosofo. Dopo
aver conseguito la laurea nel 1961, nel 1965 ottenne la libera docenza in
filosofia della storia. Dal 1966 al 1980 insegnò filosofia della storia e
filosofia della scienza presso l'Perugia. Occupò anche la cattedra di filosofia
della scienza presso l'Lecce. Fu docente presso la facoltà di lettere e
filosofia dell'Padova, tenendo la cattedra di filosofia teoretica. Fu membro della "Società Filosofica
Italiana". Morì il 10 gennaio 1995, sulla spiaggia di Rimini. Pensiero Cresciuto filosoficamente nella
scuola metafisica padovana di Marino Gentile, intorno agli anni sessanta,
Bacchin presto sviluppò una propria originalità di approccio e di ricerca
filosofica, che lo rendono difficilmente assimilabile ad una qualche corrente o
"famiglia" filosofica se non quella della libera e inesausta
teoresi. A testimonianza della
specificità del suo approccio metafisico si può citare questa sua affermazione. «V'è un senso metafisico che può andare
perduto. Né basta parlare di metafisica e considerarsi metafisici per
possederlo. La perdita del senso metafisico è anche trionfo del condizionale e
quindi dell'ipocrisia: "direi", "avanzerei la proposta",
"mi si passi l'espressione", "vorrei che il lettore ricavasse
l'impressione..'", "anche se siamo, il lettore ed io,certo
ioimmensamente piccoli", "a mio sommesso avviso" e così via in
un continuo spostare l'attenzione su di sé e in un continuo, inutile, domandare
scusa al lettore della propriascontatapochezza, rivelando che non è poi così
scontata da non parlarne. Nudo e indifeso alla presenza della verità, il
metafisico non lo può essere di meno di fronte agli uomini, i qualidi certo-
non sono la verità. » Riferimento
costante dell'incessante dialogo filosofico di Bacchin fu senz'altro
l'attualismo gentiliano. Altre opere: “Su
le implicazioni teoretiche della struttura formale” (Roma, Jandi Sapi); “Originarietà
e mediazione del discorso metafisico” (Roma, Jandi Sapi); Sull'autentico nel
filosofare” (Roma, Jandi Sapi); “L'originario come implesso
esperienza-discorso” (Roma, Jandi Sapi); “Il concetto di meditazione e la
teoremi del fondamento” (Roma, Jandi Sapi); “I fondamenti della filosofia del
linguaggio” (Assisi); “L'immediato e la sua negazione, Perugia, Grafica);
“Anypotheton” Saggio di filosofia teoretica” (Roma, Bulzoni); “Teoresi
metafisica” (Padova, Nuova Vita); “Haploustaton” (Firenze, Arnaud); “La
struttura teorematica del problema metafisico”; “Classicità e originarietà della metafisica,
scritti scelti” (Milano, Franco Angeli); “La metafisica agevola o impedisce
l'unità culturale europea?”in ‘Il contributo della cultura all'unità europea',
Danilo Castellano, Edizioni scientifiche italiane, Napoli); “L'attualismo nel
pensiero di Marino Gentile, in Annali, Roma, Fondazione Ugo Spirito 1992.
Note Informazioni biografiche reperibili
anche in G.R. Bacchin, Haploustaton, Arnaud, Firenze 1995 Giovanni Romano Bacchin in Teoresi metafisica,
1984 Berti, Enrico Ricordo di Giovanni
Romano Bacchin, "Bollettino della Società Filosofica Italiana", n. s.
154, gennaio-aprile 1995, 126-128
Scilironi, Carlo Tra opposte ragioni: nota in ricordo di Giovanni Romano
Bacchin a dieci anni dalla morte. in Studia patavina: Rivista di scienze
religiose. Filosofia Filosofo Professore1929 1995 27 dicembre 10 gennaio
Belluno Rimini. Metafisica del principio. Si comincia
dopo avere cominciato. L’innegabile è innegabilmente. Negare è escludere
un’inclusione indebita. Non v’è limite del sapere. Il luogo del filosofare è la
domanda del luogo per filosofare. Ciò che v’è di originario nell’esperienza. La
filosofia non ha oggetto e nessun oggetto si sottrae alla filosofia. La
riappropriazione metafisica. L’esperienza praticabile è conversione fattuale in
fatto. Funzione della parantesi nell’asserzione e l’aporia del dogmatico.
L’autorità del dogmatico si presenta come critica di ogni autorità. L’ideale
dell’autorità è di essere indiscutibile. Autorità e intelletto si fronteggiano.
Ciò che l’intelletto impone all’autorità è di essere ciò che pretende di
essere. Il luogo della domanda è l’insufficienza di ciò che si presenta a ciò
che, presentan- dosi, non è interamente. L’identità tra inevitabile e
necessario è solo co- struita. Il senso in cui non si può domandare tutto. Ciò
da cui dipendono le valutazioni del domandare. Il senso in cui non si può non
domandare tutto. Domandare tutto è negare di poter asserire. Paradigma del
dottrinario in filosofia. Una richiesta che preceda la domanda di verità non
può essere vera. Il prefilosofico oltrepassa il sapere di non sapere credendo
di superarlo. L’impossibilità di oltrepassare quel ‘limite’ che è la stessa
impossibilità di oltrepassarlo. La costante esistenziale dell’esperienza e gli
equivoci della sua valorazione. La domanda universale investe il linguaggio
come luogo della possibilità dell’errore. Digressione. La base del filologismo
in filosofia. Dell’ingenuità storiografica in filosofia. Le due direzioni
dell’ingenuità storiografica. L’equivoco storico in filosofia. Equivoco di
coscienza storica e conoscenza storica. Le storie della filosofia rendono la
filosofia accessibile al senso comune prefilosofico. L’ideale sistematico del
prefilosofico si prolunga nella storiografia. Filosofare nonostante la storia
della filosofia. Inattualità teoretica dello storicismo. La nozione dogmatica
di storia. Il carattere fideistico della tradizione e il circolo del
riconoscimento. Due figure dell’accoglimento della tradizione: integralismo e
progressismo. La ragione formale come unica ragione delle due figure. L’ideale
immanente del credere è coincidere con il vivere. La ragione. Indice. Indice
formale presiede nel suo uso ciò che la determina nei suoi contenuti. Se ogni
fede è cosmica, ogni cosmo è creduto. La valenza sperimentale è già nella
protomatematica, come si esemplifica in Galilei. Il carattere ipotetico di ogni
riferimento assertorio all’esperienza. Il rischio erme- neutico è considerare
effettivo ciò che è interpretazione, come si esemplifica in Galilei. Il senso
in cui la scienza è alienazione. Ingenuità del ten- tativo di fondare scienza e
filosofia sull’esperienza immediata. Il campo in cui si discute è ciò che
intanto permane indiscusso. Credere di conoscere è non sapere di credere. Il
rapporto tra intendere e pretendere è struttura del conoscere. Il rapporto
strutturale di compreso e comprendente tra universi. Il rapporto di compreso e
comprendente è struttura del contenuto di osservazione. Costanti del progetto
d’esperienza e il vettore di interesse. Il progetto fondamentale e Kant. Il
progetto di filosofare è il modo filosofico di progettare: miraggio del ritorno
all’immediato, Controllabilità e statuto dell’individuale. Ambiguità del
sapersi orientare nel mondo. L’intenzione conoscitiva del fenomeno individuale.
Progetto del conoscere come adeguazione progressiva. Il co- noscere
rappresentato come rappresentazione. Il presupporre è limite presupposto
all’operare. La scienza ignora di essere una fede. La scienza non può sapere
ciò che essa implica, dovendo postulare ciò di cui abbisogna. La considerazione
pensante. La conoscenza scientifica ipotizza la realtà che le consente di
ipotizzare. Tentativo della distinzione tra ‘visione naturale’ e ‘visione
scientifica’ del mondo. Esame della struttura del ‘punto di vista’ nella
configurazione dei sistemi di riferimento. Dopo l’intermezzo ludico, che cosa
si intende per ‘considerazione logica’. La logica formale è il modo formale di
considerare la logica. Il formalismo della logica è il nihilismo della verità.
La conciliazione tra storia mondana e filosofare non può avvenire nella storia
mondana. Ciò che si presenta con la divisione pone la richiesta della
connessione. Il pensiero si affida al linguaggio per essere riconosciuto come
indipendente dal linguaggio. Si esemplifica con l’espressione hegeliana
“movimento dell’essenza”. Si insiste con l’esemplificazione hegeliana. Ancora
esemplificazione hegeliana: la “cosa stessa” non può venire utilizzata. Il
senso della cura–custodia. Il senso in cui il pensare penetra. Il pragmatico è
fittiziamente teoretico. La verità mette in questione ogni discorso intorno
alla verità. Il nesso tra tecnica logica e configurazione funzionale del
concetto. La conoscenza scientifica considera astratto ciò che essa non può
considerare. Rischio dell’equivoco tra mera domanda e domanda pura. L’imporsi
della verità è l’asse delle pseudofilosofie. Volontà di coerenza e volontà di
dominio. Coerenza è fedeltà alla logica di un sistema. Sistema ed esistenza.
Esistenza e chiarificazione. Esistenza e coscienza. Coscienza e punto di vista.
Il punto di vista fondamentale non è un punto di vista. La nozione comune di
esistenza e l’istituzione. Ciò che esiste non è assoluto. Differenza tra
teoresi e teoria e l’impossibilità di scegliere la teoresi. La teoresi, che non
è teoria, appare in una qualche teoria. Poiché l’intero non può essere oggetto,
nessun og- getto è intero. La scienza che escluda la filosofia diventa
“filosofia della natura”. Il mondo della vita impone l’astrazione. La
filosofia non vincola a se stessa le scienze. Ricorso alla formula. La
“formula” e l’aporia del metodo ideale. Il metodo di filosofare è filosofare,
ossia domandare. Inevitabilità dell’astratto. Necessità e cogenza. Il carattere
divino della matematica è l’essenza matematica di Dio anche se Galilei non lo
vuole. L’ordine astratto si esemplifica in Wolff, ma esso è la logica interna
della formulazione del principio di non contraddizione. La “proposizione” è la
figura minima del sistema, la forma del quale è l’equazione. L’ideale del
conoscere esclude dal conoscere l’operare. Le condizioni del conoscere sono
riconosciute nella loro indipendenza dal conoscere, nel conoscere di cui sono
condizioni. La relazione, che è esperienza, non può essere relazione
dell’esperienza con altro da essa. La conoscenza dell’incono- scibilità dello
in sé è conoscenza in sé. L’astratto è inevitabile, ma non necessario. Per dire
con che cosa si comincia, si comincia con la domanda intorno a come si
comincia. Affermare la totalità è dimostrare che es- sa non può venire negata
e, dunque, non abbisogna di venire affermata. La condizione apriori è trovata
analiticamente, perché è contraddittorio che, nel no- stro conoscere, tutto
derivi dall’esperienza. L’uso è unicamente empirico ed è riconosciuto trascendentalmente.
L’analisi è la presenza operante del “principio di non contraddizione”. La
struttura sintetica del giudizio è l’infinitezza dell’analisi. Il giudizio è
domanda infinita di venire fondato. Tra esperienza e giudizio non sussiste
rapporto, perché l’esperienza non può essere un giudicato. La prima forma di
mediazione è l’immediatezza fenomenologica, o medialità. Il contessere infinito
del dato non è dato. Ogni ordinamento di oggetti è teorico. L’oggetto è
pluralità di oggetti. Se è astratto l’oggetto, è astratto il suo contesto.
L’intuizione astrae dal contessere infinito. Ciò che è dato per primo è
risultato di un processo astrattivo: l’intuizione non è originaria. Differenza
tra teorica dei giudizi e teoresi del giudizio. Impostazione. L’interpretazione
empirica dell’oggetto “come tale” quale “oggetto in generale”: trascrizione
generalizzata degli oggetti. La sintesi precede ogni analisi e la condiziona.
Il conoscere presenta un duplice livello: quello del suo fungere che
costituisce l’oggetto, quello della consapevolezza di tale fungere. Il
conoscere muove dalla fiducia nello essere in sé del conosciuto, con base
esclusiva- mente pratica. Può venire formulata anche la contraddizione, dunque
la forma proposizionale non è struttura del giudicare. L’analisi come pre-
senza dell’incontraddittorietà formulata come “principio di non
contraddizione”. Un giudizio media la posizione di altro giudizio: medialità
posizionale o fe- nomenologica. Di volta in volta un giudizio può valere come
analitico o come sintetico. Si intende di sapere con necessità. Se v’è un modo
empirico di conoscere, v’è un modo non empirico di riconoscerlo. Kant conosce
analiticamente che la conoscenza umana è sintetica. Nessun giudizio matematico
è conoscitivo. La ragione dell’aritmetica è un fatto, perché le risulta
possibile ciò che le risulta fattibile. Le categorie. Indice. Indice trovate
dall’analitica sono usate dalla stessa analitica. L’esperienza è condizione del
darsi delle sue condizioni. “Cosa” ha significato operativo. Il tempo è
essenzialmente prassi. Spazio e tempo provengono dalla sintesi dell’intelletto,
ma operano nella sensibilità. L’oggettivazione dell’esperienza è
matematizzazione, di cui il trascendente è negazione. Il trascendentale è, ma
non appare. La sintesi è negazione di se stessa come negarsi reciproco dei suoi
termini. Tempo e durata. La presenza fungente dell’apriori è analiticamente
reperibile nel dato e non lo eccede. La differenza tra conoscere e sapere è
conosciuta e saputa. Conoscere non è sapere e l’oggetto è matematico perché è
oggetto. Esemplificazione con Kant di ambiguità fra matematica e conoscenza. Il
conoscere della matematica, essendo matematico come conoscere, non è conoscere.
La volontà di potenza è l’impotenza dell’io nei confronti delle sue
rappresentazioni. L’io si riferisce a se stesso come dato all’io. Non vi può
essere una ragione pura. Teoresi e finitezza della ragione. Il senso teoretico
dell’inconoscibilità dello “in sé” è quello dell’inoggettivabilità del vero. La
ragione è strumentale per se stessa. Il carattere filosofico della
pricerca. Il carattere dialettico, o negatorio della
filosofia. La dialettica dell identico livello. La dia-letticità
della filosofia e il momento analitico della filosofia del linguaggio. I limiti
di validità dell analisi nella filosofia del linguaggio. Limiti di
validità e valore. Come è possibile una filosofia del linguaggio.
Concetto di "teoria" e sua riduzione. La riduzione del concetto
di teoria e la radice pragmatica dell intellettualismo. La nozione
ateoretica dello "in generale" come base della teoria.
Riduzione del procedimento analitico all inde terminato, cioè al
contraddittorio. Differenza ontologica tra il contraddittorio ed il
negato. La dialetticità come impossibilità di un procedimento analitico
sulla totalità. La domanda totale e la totalità domandata. L intero della
domanda totale e della totalità domandata. La conversione dialettica della
totalità domandata nella esclusività del domandare. La domanda come riferirsi
in atto alla risposta. La problematicità della
"definizione" concettuale. L intersoggettività come
dimensione dialettica. La struttura dialettica dell'implicazione.
L'insignificanza teoretica del disaccordo. La preoccupazione di
raggiungere un accordo effettivo è empirica e filosoficamente ingenua.
Fittizietà del rapporto tra filosofia e senso comune. La superfluità del
problema del "solipsismo". Presenza e coscienza. La
realtà come pensiero si risolve nel pensiero come atto. La realizzazione. L'attualismo
come attualismo puro. La realizzazione come negazione e come posizione.
L'attualismo monistico come naturalismo. La presenza pura. La coscienza della
presenza pura. Il rapporto tra atto ed oggettivazione tra presenza e
pre-sentificazione. Importo teoretico dell'espressione "Verum et
esse convertuntur". La metaforicità intrinseca delia parola. La
"cosa stessa" come l'intero di se stessa. L identità
pensare-essere. Il riproporsi del pensiero su se stesso come origine
della parola "cosa". La duplice funzione della parola
"cosa". Le condizioni ad un indagine critica. L atto critico o
negatorio come atto di pensiero nella coscienza. La ricerca del mezzo
logico adeguato e l interrogazione. I limiti teoretici delle asserzioni condizionate
da interessi. La riduzione pretesa del "sapere" al
"potere" e il concetto ateoretico di "teoria".
L'interpretazione matematicistica nei suoi limiti. La teoria come
formulazione generale. La radice dell'interpretazione
matematicistica. Le condizioni imposte dal concetto d
interpretazione. Il carattere teoretico del controllo sull
esperienza. Lo spostamento del limite come essenziale alle
determinazioni. La determinazione come ritorno dell atto: totalità di
definizione e totalità di esaustione. La totalità di definizione come
"essenza". L' atteggiamento fondamentale umano operante nella
definizione concettuale. Il modo indiretto dì dire l'essenza.
Originarietà e mediazione nel discorso metafisico (Il "Tema";
Svolgimento delle indicazioni teoretiche del "Tema". L'originario
come implesso esperienza-discorso. L'"Esperito" e l'"Esperienza
integrale". Il significato dell'"Implesso"; Il senso
dell'"Originarietà" dell'"Implesso". Il concetto di
meditazione e la teoresi del fondamento (L'impostazione; La
"sospensione" degli enti dall'essere). Giovanni Romano
Bacchin. Keywords: anypotheton, haploustaton; ovvero, i fondamenti della
filosofia del linguaggio, il discorso metafisico – a new discourse on
metaphysics, from genesis to revelations, etymologia di ‘autentico’, l’esperienza
e il disscorso, implesso esperienza-discorso;
anypotheton, haploustaton, anypotheton hypotheton, supponibile,
insupponibile, haplloustaton, superlative di haplous, simplex, simplicior,
simplicissum, simplicissmo, complesso, simplice/complesso, simpliccismo,
simplicissimo, complessissimo, complesso proposizionale, semplice
sub-proposizionale – implesso, analisi del concetto d’impicazione – senso e
significato – senso e segno – proposizione – funzione proposizionale –
Whitehead. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Bacchin” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e Bacci – I bagni dei
romani – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sant’Elpidio al Mare). Filosofo.
Grice: “You’ve got to love Bacci; he was born in the Italian equivalent of
Weston-super-Mare, and therefore, he dedicated his philosophy to swimming!” – Studia
a Matelica, Siena, e Roma. Scrive “Del Tevere, della natura...”. Pubblica il “De
Thermis”, un saggio sulle acque, la loro storia e le qualità terapeutiche che
venne accolto con entusiasmo. Dopo aver ottenuto la cattedra alla Sapienza e l'iscrizione
all'albo dei cittadini romani, e nominato Archiatra pontificio. I saggi “Delle
acque albule di Tivoli”, “Delle acque acetose presso Roma e delle acque
d'Anticoli”, “Delle acque della terra bergamasca”, “Tabula semplicim
medicamentorum”, “De venenis et antidotis”, “Della gran bestia detta alce e
delle sue proprietà e virtù”; “Delle dodici pietre preziose della loro forza ed
uso”, “L'Alicorno”. Il monumentale trattato “De naturali vinorum historia”, un
compendio in sette libri su tutti i vini conosciuti. Tratta temi relativi alla
vinificazione e conservazione dei vini; Consumo dei vini in rapporto alle
condizioni di salute; Caratteristiche peculiari dei vini; Uso dei vini nell'antichità
classica, Vini delle varie parti d'Italia, Vini importati a Roma, Vini
stranieri. Note DBI. Andrea Bacci la figura le opere, Atti della
giornata di studi tenutasi il 25 novembre 2000 a Sant'Elpidio a Mare. Altri
progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a
Andrea Bacci Collabora a Wikiquote Citazionio su Andrea Bacci Mario Crespi, Andrea Bacci, in Dizionario
biografico degli italiani, 5, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. De Naturali Vinorum Historia De Vinis ItalEae et de
Conuiuijs Antiquorum Libri Septem Andreae BacciI Traduzione del libro Quinto
nella parte dedicata ai vini delle Marche, Gianni Brandozzi, Associazione
culturale Giovane Europa, Filosofi italiani del XVI secoloMedici
italianiScrittori italiani Professore1524 1600 24 ottobre Sant'Elpidio a Mare
Roma Enologi italiani. In quo agitur de balneis
artificialibus, penes instituta recæperit, hoc tempus non esta deo compertum,
nisi quantum legitur fuisse antiquissimum. Nam ex omnibus monumentis quæad notitiam
hominum peruenerunt, vetustissima huncritum lavationum, perinde necessarium ad
communem vitam commemorant. Balnearum enim mentionem invenio non modo ante
ROMANORUM IMPERIUM. Sed ante asiaticos etiam et chaldæos extitisse.
Imòsiiactatis, antequam ulla extitissetliterarumin ventio, dicterija credamus;
extat apud Pisandrum id circo Calida balnea fuif fe natura bal. cognominata
Herculea, quòd Minerva olim fesso Herculi calida parasset. Vel veterum et
Galeni in Thermis primus la tascoengerit quodammodo ad lauacra homines. Quippe
ean ecessitas, quæ uationumv a primordio rerum monstrauerat mortalibus ex
agresti vita victum quærere, sus. Tecta construere,abæstu& frigoresetueri:eadem
& fordesabluere,mun ditiæquecultum monftrauit.primo quidem quantum
vitæsatisfaceret,donec paulatima liqua industriaadhibita, laffata corpora mollia
quarum foturecrea reedocuit. Verum quando id inftitutum locum aliquem in REPUBLICA
HABE ROMANORUM, VANTA fuerit naturæ solertiaincumulandis gratijsaquarum
spontemanantium et quæ differentiæsinttùm simplicis Elementi, tùm consequentes ex
misturi. Et quisvsusearumin balneis. Hactenus proeoac potuimus explicauimus.
Quis enim pro dignitate naturæ, speciales proprietatescunctarum aquarum sermonem
consequi audeat? In hisautem quæ ad thermarum vsum dicendarestant, sirectèquis
thermarum ARTIFICIALIUM magisteriaconsi dignitas. deret, summum artis cum
natura certamen videri poterit. Ut tnesciam anadeo sciuerit natura elargiri mortalibus
tota diumentorum materiam, torqueadeo diuinæ dispositionis ostentare miracula
inaquis. Quanto maiora funt, quæ arsaddiditornamentain Thermissuis. Præsertimfubila
ROMANI IMPERII maiestate. Inquarum monumentis,quæ exeispartimvidentur et
partimle gunturapud varios authores, nons atisconstatapudme vtra fuerit maior, an
magnificentia operis ad illorum temporum instituta, an commoditas popu.
larisadvtilitatemlauationum .Principiononeftdubium fiprima quasiin cunabula cæterarum
rerum coniectemus , quin ipsa vitæ , ac naturæ necessi quia quia
eidem (vtAthenæus est author)vulcanusmuneris vice feruida suppo fuisset.
Etlivera credimusre tulisse Platonem tamspectatæfapientiæautho rem,superatomnium
seculorummemoriam, quamipsetraditexantiquissi mis monumentis, de Atlantica maxim
a olim insula n u n c Oceano ipso occupant aextram Columnas; quam Neptunimunere
cùmomni delitiarum genere Thermar r o n clarssima, hab u i f f c ( r e f e r t
i pse) etiam balneas quæ omni cultu ornatæ partim usus, quidem subdiuopaterent,partim
veròsubtectocalentiahaberentlauacrahy Είμαζα, τ'έξιμοιρα,λοιπάτε θερμα,καιανα
CUS Sexcenti sautem post Homerum annis,Hippocratesprimusmedicinæau 4.derat.
thor, Thermarumvsum curandarumægritudinumcaussa, tanquamreiiam in Græciacommunitervsitate
commemorat, ac damnauit aliqua. Floruitau tem (ut ratio temporum habeatur) natusprimooctogesimæ
Olympiadis (ut Hippocrates Soranustradidit)circàPeloponnesiacum bellum
:quod(teftePlinio)gestu estàtricentesimovrbisRoniæannoexactisanteàRegibusannos
circitersexa ginta,& ArtaxersePersarumRegemagnam Græciæ partem, &
Hellespontú occupante. Poftquæ temporadum Græciaindies Sapientiffimorum virorú
scriptis venirent illustrior, perpetua habemus de Balneis testimonia, Socratis,
Platonis, Aristotelis, cæterorum quesuccessu temporum authorum,qui& Aliam, &
PersiamnonfolùmGręciambalnearumvsumhabuissefamiliarem LaconesTber testantur. Laconesinter
Græcos antiquiores, primamlaudem Thermarum marimiznitanquam suuminuentumsibivendicare
videntur, Dioneauthore: ac abeis tores . pofteà huncmorem reliquas nations didicisse.
Quod confirmatpartiumno 36 mina in Thermis Romanis ,quæ omnes græcæ
suntvoces,laconicum,Hypo cauftum,Miliarium ,& Thermæ ipfæ, nedicam cætera.
Ex quibusconstat vsumThermarumapudRomanos fuiseposteriorem,aceasinæmulationem
Græcorum constructastestanturMarcus Varroin librode antiquis nomini bus,&
itemVitruuius.VeruntamensubilaRomaniimperijmaiestate, sicut omnes artes floruere,
ac inuenta prius ab alijs meliora cuasére, vnde meri to Roma QUASI ALTER A
MVNDI PARENS dictaest: itaomnium maxi mè Thermarumi nftituta incredibiles, &
supraquàm exprimivnquam pof sit,habuêreprogressus,eatamen obliterataferèad
hancætatem ,necliteris mandata, multisforsanèdoctishæcmeliusscientibus.Quamobrem
nos, volentes ad noftrarum lauationum regulam, antiquum Thermarum vsum rcuocarein
lucem; operæ precium eftRomanarum institutaprosequi:inqui bus quæ prima ipsarum
introducendarum ratio fuerit, quisordopartium,& quisvsus,& quæ tandem
ineis medicinæ pars extiterit,percurremus. In Critia, berno tempore, atque
feorsumaliaregibuspriuata,alia viris,aliamulieri bus,aliaitem equis, cæterişúeiumentis.Posterisveròseculispater
Home rus, cuiusscriptisnullumconstatapud Græcos testimonium antiquius,mul
toties calidaruin lauationum mentionem fecit. Præcipuè verò in Odysseæ lib. 8.vbi
Poëtaomnium fermèrituum memoriadignorum obseruátissimus, Thermas
indeliciiscommemorat illisversibus. vic. Homeri lo Aid δωμϊνδαίς τεφίλη, κιθαρίςτε,
χοροίτε, De affiduis primùm venatibus deditos ,necminusagrestibus operibusedu
catos, nonaliaferè industriatùm amplificandæ Reipublicę, tùmdefen dendæquùm
opusfuit, præualuiffe, quàmquoddurataiampacislaboribus corpora,facilèquodcunquemilitiæonussustineredidicerant.Inquo
perce lebremhabemus Quintium Cincinnatum , abaratroaddictaturamvocatum. Itemque
C. Fabritium et Curium Dentatum, qui rure ac militiæ laudatissimi, omni Spicula
contorquent, cursuque, ictuquelacescunt, Abhisergoexercitijs, vterant frequentes,
harena, puluereque conspersi, ac fudoreprofusiatqueoleo,vtseminudi
acexertisbrachijs,cruribusque,vel liberosaltemhabitu, quo degebant, vt effent admunia
propriores, necessario lauationes pofcebant. Qua dere, dum adhuc nouitiavrbs
inhis studijs Patres campum Martium vicinum Tyberi, in quo iuventus post
exercitium Lib.1. c.10 armorum, ludorem, pulueremque dilueret, aclassitudinem,cursusquela
borem natandodeponeret. Qui mos vt paulatim èreipsa, & quasi nemine
Lauationes instituentese in ciuitatem ingessit (quem ve plurimum soletese nouo rūrituum
inTyberi, introductio)itatandem crescente indiesiuuentute,armorumquefimulac
exercitiorumaffiduostudio,viamtamfrugiinstitutiaperuit. Sanèin ciuile videri nobilem
ciuitatem in luculentis Auminis aquis quotidielauari;aclaua craid circo Asiaticorum,
& Græcorum moreparandaesse,quæpostexercitia non ad munditiam facerentsolùm,
verumetiam recrearent, maiusque robur laffatis membrisadiungerent.Quod tamenpropositumlongissimèdistulêre:
nonquideminscitia,autvecordiatamgenerosæciuitatis, sed propter
Antevrbempueri, & priinęuofore iuventus. Exercenturequis, domitant que in puluerecurrus.
Aut acres tendunt arcus, aut lenta lacertis 7. Aeneid. Lauationum Deprimis Thermarum
institutis in vrbe Roma. Aris quidem constar Romanos illos Quirites,antiquosque
Sabinos, satissuntexemplonobis,hæcfuisseilliusseculiftudia. Non pecuniapræua
lere, non forma, nõ ambitiofo hominum comitatu , non stemmatis dignitate
certare: fed totamvimin proprijanimiexcellentia,viribuscorporis,acexa etacura Rei
pub. collocare. Feruebant honestælaudisemulatione ingenia,vt quosarma,&
propria virtus ad prim s ciuitatis honores euexerant, studio, ac laboreæ quarent.
Quare vbi militiæ in externosceffasset occasio, ROMANORUM quasi natiuo instinctu
dediti ad labores, autrurese agrestibus exercebantope-studia. ribus, autaddisciplinamac
roburcorporis, ciuilibus,ijsquevarijs exercita mentis vtebantur: cursu,disco,faltu,
lucta,& pugilatu,natatione, atque armis. Quem more man t è urbem conditam
fuiffe quoue. APUD LATINO antiquissimum, planèilis versibusrepresentauitVergilius.
necessitas. 36 strenuè adolesceret, præclarum habemus Vegetij testimonium
,constituisse gruentem ,au&taque fpatio temporis,spectatævrbisinfinitimasterrasautho
Aquaríper ducen.decre ritate; deaquistandem èvicinis montibus, Auuijsquein
vrbem perducen- tum. 1 (vtegoreor) potissimascauffas:Tùm quiaprimiili Patresnontamfrugifu
turumolimhuncritum existimauêre, quàm luxui, ac mollicieiforelenoci nium; id quod
accidisse, posteà declarabitur. Deinde ob aquarum incom moditatem ,quarum
incolles,vbitunchabitabantdifficiliserat,& nonsine maximaimpensa,perductio.
Verùmhoc laucitiædesideriovniuersimin dis, duas dis, decreto S. P. Q.
R. publico ftatutum est: quæ & potuum fimul,& laua tionumritui suppeterent.Quod
factum est primùm M. Valerio Max. P. De cio Mure Coss. (authore Plinio) circa 444.
Ab vrbe condita annum, aqua Tyberinarī Appia ex Tusculano per ducta, Censore Appio
Claudio curante. Aquibusté. porusdimif. poribus, Tyberinarum aquarum vsus ,adeam
vsque ætatem tàm potu, quá sus. lauacrofrequentiffimus,exolescerepaulatimincepit:aclauationum
simul, atque exercitationis gratia (ut tradit Festus Pompeius) Piscina publica
ad cli Piscina Pub.uium Capitolinum iuxtàTyberimestconstituta.Pofteà
Thermæconstructę. stitut& uationumduntaxat,conftitutæfuerant,haudmagnum
habuêre progressum. Visicùm auctaciuitate, simul atquecrescenteindiesineisiuuentutisapplau.
fu; semper maiorisearum capacitates ratiofuit habenda.& præsertim vbime
dicorum consensu incurationem quoque ægritudinum suscipicæperunt.Ve
rumtamenpostinitiadiuadmodum consuetum fuitangustasfieri,actenebri cosas;nonenimcalidævidebanturnisiobscuræ;quem
admodum fcribitSe necaadLucillum,fuissebalneum Scipionis Aphricani ad Linternum.
Causa verò amplificationis Thermarum præcipua, fuit Palæstrarum adiunctio.
Quippe cùm apud Romanos veteres, ferèvfquead Augustum,nonadeo multa extiterit architecturæ
dignitas, nec adeo fuerit consuetudinis Italicæ.20 (vt desuotemporescripsitVitruuius,&
multoetiampost)cumPalęstrisLa uationes habere coniunctas;contentus quisque
ruralibus exercitationibus, ThermeadvelCampo ipfoMartio,&
harenaPlatearum;solasinThermisobibantla exercitia có uationes. Quo ritu ad
imperium vsque Principum perseuerante (vnde planè stitute.
constarepoteritThermas exercitiorum cauffa fuiffeinstructas)vbicunqueali qua
fierent publica edificia, ac populi celebritas ,iuxtà constituebantur &
Thermæ .Exemplo primùm Agrippæ clarissimo ;qui ob celebritatem admira
bilistempli Pantheon,atqueCampi Martij;iuxtà,Thermas suas extruxit.
SicNeroposteàNeronianassuasiuxtà Agonalem circum, ob Ludos,quiibi
fiebantcelebres,constituit. Necfecus(authoreSuetonio)TitusVespasianus
dedicatoAmphitheatro,Thermas celeriterextruiiussit:nimirùm ad Amphi Palestrari
theatri,& exercitiorum,quæineofiebantcommoditatem.Donectandem cum
Ther.illustratacuniImperijmaiestateArchitecturæperitia,moreGræcorum Palæ mis
coniun-ftræcum Thermis fuêre coniunctæ ,vbinimirùm generosa iuuentus,relictis
iamruribus,atqueharenis,simul& exercitationesobirentomnisgeneris,ac
lauarentur.AtquehincnonsolumoperaThermarum fueruntelegantiùsdi. sposita,atque
admodum amplificata, sedtantam etiam promeruerunt o m
niumgratiam,vttotaciuitaspaulatim hancsusceperitconsuetudinem,fre quentare
singulis diebus Thermas, & tàm Senes,quàm consulares,atque
amplissimiordinisviri,necnonartifices,& matronæ.Proveteriinstituto, acftudiovirium,promunditia,&
prosanitate,atqueomnicuracorporum. Romanarum Thermarum cenfura, atque Magnificentia,
Quæ quoniamfrugiinprimis,obeam, quam dixi causam et ad ritum la.10 Etæ 40 čtio.
Cap. 111. A e c ergo initia , atque hæc incrementa fuerunt thermaru m Romanorum
. Primò quidem institutæob ritum laudabilem ,quem exer citium ,&
vitæratioillorum temporum inuexerat . Deinde au 30 Therme con Therma auCtæobcommunemvtilitatem,&
magnificatæcumpalestris. Eradfum mam tandem amplitudinem, acmagnificentiamperductęobdelicias.quem
ad modum à nobis ex earum aliqua descriptionem on f trabitur. Quan quam id
quidem, prorei, atq;vrbis magnitudine, haudnostroindigeret testimonio,descriptio
quiMedicinęduntaxatineisinstitutaprofiteremur:nisiminusplenèomnes,curnecela
quide Architecturaconscripserunt, earummaiestatemexpreffiffent. Nam ria.
quiddeVitruuijlibriseliciemus,nisinudaquædam lineamenta,atqueeaqui Invitruvio
dem nonadmodum explicata,paucaquelocabalnearumsuitemporis,quan-censura.
doperangusta,& blactariafiebantbalnea(vtpauloantèexSenecætestimo 10
niodiximus)quæeiusætate,& poftcà maximè, locuminter primasædificio rum
vrbismagnificentiashabuêre?Minusàiuniorum scriptis,quimutatis rebusposttotsecula,acminus
concordibus, quifparfimdeeismeminerunt authoribus;fatissibi,atquelegentibus
fecisseratisunt,sivastamduntaxat Thermarum dixerintmolem
,acDedaleioperisinstaradmirarentur,cùm ta men Romanarum rerum magnitudo
cunctarum nationum miracula supera- Medicorum. uerit , n o n in Thermis folum.
Minimè o m n i u m à medicis. Quos turpe h o dieadrectam lauandiægros institutionem
videri deberet hæcignorasse; indi gnissimumveròproea,quam
profitenturGaleniimitationem,quæ vixvlla essepotestsinehorumrituum notitia, inquibus
ferètotaeius doĉtrina versa 20tur. Quam obremoperæ preciumest, advniuersam instituti
nostril rationé, Therme an aliquam
ThermarumVrbanarum,partiumq;ipfarúcensuramfacere.Princi-publicę,an pioThermas
fuissedecreto publico constitutas, (vt eftdictü)non eft dubitan priuata. dum
.Nam idmultæ declarantauthoritatesscriptorum,acmarmoreæ tabu
læ,inquibusvelSenatusconsultaleguntur,vellegespositæinThermis,ve! munera. Quę
exmultispofteàritibusdeclarandavenient,vtpotè,inaliquo
publicogaudiosinemercedepræstarisolitas;veloleum gratuitodari.incom muni
veròluctupublicèThermarum vsum interdicisolitum . Imò in priua
tispęnisexéplumlegimusapud Valerium Max.lib.2.Titio pręfectoobigno miniofam deditionem
Calpurnium Cor. Conuictum hominum , & balnearu 30vsuminterdixisse. Verùm
quinegantThermasoperafuiffepublica,memi sedinThermis:quarumhodieamplitudinem
,accelebritatem,hac sancta religioneintroducta , templanostra, ac pia
xenodochia immittantur. Quare & Thermæ Xeniædicte,quæitaapudgræco scognominarifolebant,
quasi hospitales,& gratuitæ, quo cognomina Thermarum publicarum vtitur
manı Thermarum nissedebent magnificos in eis Imperatorum titulos , qui
æternitate nomi- Thermarum nissui, tantioperismagnitudine
affectassevidenturacRomanis suis,velPo- magnitudi Oo pulo gratuito
constitutasindicant.Quo planum fitetiam,easfierioportuis secapacissimas. Non
enim in templistuncconsueuit populus congregari,
quæidcircoangustafiebant,acsuisquisqueindigetisacpenatibuseratcon tentus,
Tuniorum, nis ratio. Therma xea 40.Vnde perperam inhistorijsretulit Volaterranus,
quiblice. M.Tulliuspro Cælio legitproSenensibus,cùm nus Francisci Patritij
imitatus, Senias primas verò scripta subSenarummenioria.Inter quam
balneainantiquislegantur, quarummeminititem palatine.,credo fuiffe Palatinas, atquehas
xenias per acpublicas ,ademissaria Aque Claudiæ adeaspofteå
Cicero,vbiSex.Rosciusoccisus ,authoreeodemSene ,earum cura erat publici muneris
Max. ductæ. Necminus ætatem, quails & Cato, & Fabius ca , nobilissimos Aediles
antesuam, acsuaetiam & alij, populum inthermis exigend imunditias gratia receptare
niæ dop H. 2 manutemperare folitos. Balneatorestamenin Plautolegimus,
& pofteain Balneatores M. Tulliopro Celio,quieiministerioaderant.EtIureconsulcus.Instru
et Balneato me nto inquit balneatorio legato, balneatores continentur, quoniam
sinerium lega ti. his balneæ vsum suum præber e non possunt. Producto autem seu
t i s annis instituto ipso ad luxuriam Principum, non solùm capacitatitantæ vrbis
con sultum eft, fed citrà vllam mensuram aut modum ,& (vtAmmianus aflimi
Thermarunlat)potiusprouinciaruminftar,quàmvlliusædificijforma Thermascæpe
numerus Ther.Impe runtextruere.Extatinterprimamonumenta,M.Agrippam
,inAedilitatis munere;quodpostconsulatum
gessit,gratuitapræbuiffebalnea170.quæ'po steasub Nerone ,vt testator Plinius,
ad infinitum auxêre numerum. Sextus autem Aurelius victorin censu partium
vrbis, Thermas , amplissima opera Imperatori axii. nominauit. Priuatarum verò balnearú,
quasad priuatosvsus Ther. Priua qui lautè viuerētsibiinproprijs domibus compararunt,
numerum exeodem ta. fubducimusferèdcccLx.quassuccinctèperregioneshicrecensebimus.Pri
m a s ergo h a r u m duo deci m n o n eft dubitandum, fuisse Agrippę Thermas, qui Ther. Agripeo dé authore Plinio, imperáte
Augusto eiussocero, multa & egregiainvrbe perfecitopera, ac Thermas
fuaslytostrato,acencaustopinxit,& pauimétaex Neroniana . vitropofuit.
ErantautemvltràCampum Martium adfiniftram templiPan
theon,vbinunclocusvulgòCiambelladicitur,vtquæinCampo & inAgo naliCircoexercitareturiuuentus,hincTyberisnaturalem
aquam,hincverò calentiuminThermisaquarumhaberetcommoditatem ,vbilauaretur.Ineis
verocùm neque capacitati, nequeadeodelicijs consultumfuisset, eodem au. thore, successitquadragesimocirciterpofteàanno
Nero profusiffimusImpe. rator, quiad Agonalem ipsum
CircumsecundasThermassuonomineextru.
xit.Inquibus,vtscribitLampridius,syluasdeputauit;& nonfolùmdulces,
Alexandri.sedvelmarinasaquasinterdum ,velalbulasperAquæductusAnienisadduci
Hadriani Traiana. eum fecissememinitSuetonius.PonitidēLampridiusAlexandrinas,abAle
xandro Seuero extructas in C a m p o Martio ,quas quidam easdem esse N e r o
nianas putant , quam tanto imperio fastuo- 30 sam ,par
erathacquoquenoncareresuperbia.InIli& SerapideMoneta Regione, c ù m Titus Amphitheatrum
dedicasser, Thermas iuxtà celerite rex truxit, Suetonio;quæ
tertiæfueruntImperatoriæ,nimirùm inAmphitheatri celebritatem& commode (vti diximus)
& id circo breues. Quartæiuxtàhas Traianę, quas Traianusobhonorem Suræ, cuiusstudioad
imperium perue nerat,erexit,acTitiThermismaiores,vbiquæextantmiraAquarum rece
ptaculaseptemSalasvulgoappellant.PriuatæveròintotahacRegione Bal cömodianæneę
xxx .In Regione ad Portam Capenam, quintæinordinefuerunt Com &
Seueria-modianę,quarum &AlexandrumSeuerumaffectassenomenvidetur:etiamsi nę.
Antoniana. interpriores,acnoftrosantiquarios,aliquafitdelocis,&
temporibus,&
cognominumassignationevarietas.Inquapræterhas,extantalicuiusnomi nisapud
authoresciuium balnea,Torquati,VettijBolani,Mamertini,Aba s c antiani, Antiochiani
, & priuatæ aliæ Balneæ Lxxxv. Sextæ in Circo Maximo Antonianæ, quasmaximas
verè dixeris, Spartianoauthore,quieasm e
minitadradicesAuentinicollisAntoninumImperatoremcognomento Ca
racallaminchoasse,perfeciffeveròeundemSeuerum:mirahodie architectu ra, ratoria. pa. na . Agrippina. Titi.
instauratas. Adhæc P.Victor Hadriani Thermas. Et ex priuatis
BalneisintotahacRegioneLxu11.Eodemtemporeerexitquoq;suasTher- : mas
iuxtàExquilias Agrippina Neronismater
ra,necimitabili,cumPalęstrisconiuncto.Inhac& Varianæ,& Decianępo
sterioresnumeranturaP.Victore,necnonSyriacæaliæcognominatę,& Pri
uatæaliæLXIIII. Seueriquoque nominef uêrein TranītyberinaRegione Scueriane.
Thermæ, eode in Spartiano teste. Necnon Aurelianz,Vopisco. Balneuitem
Aureliane. Ampelidis, Balneum Priscilianæ, & Priuatæ aliæ 1xxxvi. Inter Esquilias
&Montem Celium, apud Titi & Traiani Thermas, PhilippiImp.Thermas
Gordiani. amplifl. ac pofitum
estadperpetuamreimemoriaminipsabasylicadistichuin,deAngelis. 20
quodlicànobisestrestitutum. QuæfuerantThermæ,nunctemplum estVirginis,auctor El
Pivs ipsePater,cediteDeliciz. ruptèdicuntur,&PriuatæintotahacRegione
1xxv.Porròrecenseturinli. 30 EsquilijsRegioneOlimpiadisLauacrum ,vbisummo
colliculoSanctiLau Vltimæ Cæsarum nomine, Constantinæleguntur ThermæinCliuoMontis
Quirinalis. Quas non reparatas , non d e integro ex tructas à Constantin o e x
i ftimo, cùmvetuftofatis appareant opére. Necnonmarmoreæ tabulætestimo
nio,quodlegitur:HAS CIVILI BELLO DEVAST ATAS QVANT VM PVBLICÆ PATIEBANTUR
ANGVSTIÆ PETRONIVS PERPENNA RE STITVIT. Propèhas L.quoq; PauliBalnea,quæ
vulgòBalncaNapolicor- BalneaPau rentijinPanisperna,monialium
ecclesiahodiecelebratur.AdcliuumcollisàOlympiadis. SuburraAgrippinæNeronis,quod
diximusBalneum, & infràNouati ciuis alix balneæ, vbi S. Pudentianæ est ecclesia.
Et Priuatæ aliæ in totum lxxv . Subinde vede Priuatisreliquisbreuiteragam
:erantinquartaRegione,vbi& Templum Pacis, Priuatæ BalnexLxxv.cum Daphnidisbalneo.
InCeli montio xx. InviaLataLXXV. InForoRomano iXVI.InPiscinaPubli. caxlinn . InP
alatioxxvi.PluresinMartialesparsimlegunturThermæ, Tuccæ,Hetrusci,Grilli,Lupi, Fortunati,
Pontij, Seueri, Fausti, Peti,Ti ti, Tigillini, quarum locanon assignantur. PorròextraVrbem
nonminor Thermarum cultusessedebuit,vtexquarundam preclariscolligimusm onu,
Constantina. mentis. Erantad Hostiam P. Tacij Thermæ,centum Numidicis columnis
Thermeer Ooij adscribit Pomponius Lçtus. Necprocul Gordianorum Domus, quam
descri psitIul.Capitolinusadmirandam ,ducentascolumnasvnostilohabentem ,&
cum Therinisadeolautis,vtprætervrbanas,vixaliæfimileshaberenturin toto orbe
terraru m . In a lta Semita Regione, Viminali colle , Diocletianæ ex -
Diocleti.1 1. . tant Thermæ, quasincçperatquidem Diocletianus Imp. cuni ordine
exactif simo, atque amplissimoPalestrarú omnium generum ,inquarum opus quadra
gintamilliaChristianorumeum addixisseaccepimus. Ob magnitudinem tamen (v tin Marmorea
tabula legitur)CONSTANTIVS ET MAXIMIANVS OMNICVLTV PERFECTASROMANIS SVIS
DEDICAR.Hę,cùm in fermè ædificio admirandæ permanerent, hodieCartusiensium Mona
tegro sterioSacræ, Pio Iu11.Pont. Max.subtitulo Sanctæ Mariæ de Angelis
magnificèrestaurantur: Curante M. ANTONIO AMV110.S.R.E.CARD. S. Maria exornatæ.
Arpini suas instituitThermas Cicero ,scribens ex Asia ad Q . Fra
trem.ErantinLucullano,quænuncFrascativulgòdicitur,LuculliThermæ, vbi nos
integra vidimus Hypocausti vestigia . Ad Baias autem Thermæ Baians.
erantprætervrbanas,supraquàm quisoptarepotuissetvoluptuofiffimæ,na
turaipsaibiaquasvberriinèfuppeditante,gelidas,calidas,& plurifariâfalu
bres,quasfatisinsuishistorijscelebrauimus.Quid verò hìc cęteras Italię pro
sequar Philippi. Trarbem L. haberet? Quinetiam Rusticanas, inquibusfamilia
(vt inquit Columella,& Rusticana. exeoPalladius) ferijssaltemdiebuslauaretur:
nequeenimfrequenteniearū vsum robori corporis operariorum conuenire. Similiterhunc
morem acce Aquarum maris, & portuumcommoditate, aquarumduntaxatsustineretpe-':
nuriam;hacinpartevenisseincertamenquodam modo cum naturavisaest, vtaquarum
quoque essetabundantissima. Itaquecumhocdesiderio,crescen
teindiesinstitutoThermarum,& modò aliaatquealiaadducta multo spatio temporis
in tantam aquæ venêre copiam, vt Augustiætate, Strabone teste,pervrbem ,atquecloacasomnesinundareviderentur,&
vni uersæpropemodum ędessubterraneos meatus, syphones,acfistulasvndo
sashaberent.Quo temporeM.AgrippaAugustiipliusgener,quem complura
invrbefecisseconstatopera,cultu,atqueedificiomagnifica;aquarum Cu
ratorperpetuus,authorePlinio,alijscorriuatisatqueemendatis,& alijs nouiter
adductis,septingentos lacus fecit.Pręterea fontes c v,Castella cXXX. 40
Lacusintelligoex Frontino, alueosbreuimuro,inquibusaquæ reciperen tur,&
aliaexalia,vtfiuntapudnos Fontane,Lauacra,Fullonum stagna,
jumentorumaquagia,& huiusmodipublicacommoda. Fontes, quiprimas a c f y n c
e r a s e x Castello funderent aquas, pauciores id circo quàm lacus. C a
stella,certaAquæductuum receptacula, ad MęniaVitruuio,&inviarumdi uortijs,
vbi aquarum facienda esset distributio.Quale etiam num visitur in E r quilijs
Castellum aquæ Claudiæ, indiuortio ad portam Maiorein nunc dictá et adpisse
reliquas Provincias, quibus Romani imperassent, in transcursu diversarum
lectionum obseruauimus. Prætermultas, quaslegimus Romanis anti Lacus in
vr sequarThermas,cùmeatempestatevulgòvilaquælibetdiuitumfuasbalneas
quiores,vtquasprimasinGreciadiximus,inAsia,inSicilia,& apudPersas Hebræorum
DarijThermas,quasPlutarchusdescribitditiffimas, & lautiffimas. EtIose
Hifpanorum phus Hebrçorum Thermas ad Ascalonem , ad Tripolim , ad Damascum , ad
Ptolemaidam. Hispaniaqua calidalauari poftfecundum bellum Punicum à 10
Romanisdidicêre,anteànon consueueruntnisiinfrigidalauari,authorIu
stinusHistoricus.Multæ occurrunt apud authores Thermarum memoriæ ,in
Germania,inGallia,inBritannia,aclongè pluraipfarumvestigiavisuntur in Italia, in
quibus vidi sępius per inscitiam etiam doctos virosobstupescere, alij
Theatra,alij Labirinthos, alijmemorandas moles alicuius sepulchri ia
ctantes.Quarum tamenritumlegimusvenisseadeocommunem ,vtnonco lonias, &
municipia solum ,sednemo dignè tùm Romanam militiam profi terivisusesset,quinon
haberetsuabalnea,& gymnasia, inquibuscommi litonessuiexercerentur. Quod de
CleandroTribuno equitum Commodi Cęs.meminitHerodianus.Indomesticisveròvsibusbalneum
eratviainci-20 bum ,vtnotauitArthemidorus .Cuiusreipassimhabentur exempla,quùm
ex itinere,labore,acexercitio quopiam balneum primò ingredi consueue rint,&
pofteamolliaquarumfotu recreatiaccumberent. De aquis vrbanisad vsum Thermarumadductis.
Externe. aqua ;haud copiaivrbe bequid. Fontes V Ros
autemRoma,cùmprætercæterasgratias,quibuseamaltissi
musdecorauit,salubritateaëris,situagriadimperium opportuno,zo adportamSanctiLaurentij,quod
pofteàC.Marijtrophæisinsignitum , adhuc illius retinet n o m e n . Porrò
fingulis castellis aquaruin erant propositi Trophça
suiCastellarij,vtpræclaroquod Romæ legitur epitaphiocostat. D. M. Clemen
Aquarum propria commoda. Mirariveròlicet inprimis ipsarum ductuum fabricam, duétuumma
dignam planècùm magnitudine operis, tùm certè publicaipsavtilitate, quęgnitudo.
Pluribus mundispectaculisproponendaessevideatur.Molesingens,àdimi
dioferèItaliæquædam perducta,partimexcisisac perforatismontibus, par
30timascendens, partim abimis vallibus perimmensosarcussublata, quibus
Aufeia,& 20 fue xit. Etanteà lib. 31. cap. 3. Clarissima inquit Aqua ruinomniumintotoorbefri
goris, falubritatisquepalmapræconio vrbis Martiaest, inter reliquadeûn
damlociscentum& nouempedesaltitudinismensurantur.Vniuersamverò omnium
censuramitahabuitFrontinus.AltissimusAnioestnouus,Proxima Claudia,Tertiumlocum
tenetIulia,quartum Tepula,dehinc Martia,quæ capiteetiam Claudiælibramæquat,deindeAppia,omnibus
humiliorAllie tina. Primaverò,vtpropinquior,& maximècommoda,Appiaadducta co
ftarexTusculano:Cenfore(vtfupradiximus)Appio Claudio,annovrbisAppiaaqua quæ
perportam Capenam ,nuncSanctiSebastiani,inocto vr munera
vrbitributa.Vocabaturhæc quondam Aufeia.Fons autem ipfePico nia. OriturinvltimismontibusPelignorum.TransitMarsos,&
Fucinum La piconia tempus addu tiCæsarum N.SeruoCASTELLARIO Aquæ Claudiæ fecit Claudia
Saba tis& fibi& fuis.Extat Senatus consultum apud Iul. Frontinum
,quoaquam non eratpermissum nisiexcastelloadducere,ne autriui, autfiftulæ
publicæ lacerarentur. PublicisidcircoThermis,propriacastellavidenturfuissecon
ftituta: qualiavidemusintegraadDiocletianasThermas,& adTraianas,mul
tipliciopereconcameratas .In Priuatisautemprima Censorum,aut Aedi
liumeratauthoritas,quorum arbitratupermodulos,digiti,velvncięnomi
necertoannuosolutovectigaliconcedebatur. Legequecautum codem te fte,ne
quispriuatus aliam duceret,quàm quæ exlacuredundaret,quam ca ducam vocabant :
& hancipsam non in alium vsum quàm balnearum , aut fullonicarumdariessesolitam.
Omnem aquaminpublicosvsuserogari
debere.Cæterùmquotnumeroessenthæaquæ,quæ,quonomine,& quo tempore,& vnde
adducerentur,breuiterpercurrendumest.ScribitPro copiusIustinianiCæs.fcriba,Romæ
quatuordecim fuisse aquarum ductus, excocto latere,ealatitudine,acprofunditate,
vtferèequesteripsocúequo pereosposseteuadere. Nos Frontinum imitati, qui Nerva imperante
pręfuit hisceoperibus curator perpetuus,& fcriptis cuncta sid
elitermandauit, octo aut nouem suo emissario per ductas dicimus. Quę fuerunt ex
ordine, Appia, Anienisvetus, Martia,Tepula,Claudia,Anienisnouus,Iulia,Allietina,&
virgo:etiamsipofteàduplici,acplurinomine,vtvsueuenit,fuerintcogno minatæ. Nam
poft Frontiniætatem, non aliamlegitur, prętereasfuiss ead ductam, nisieasdem àdiuersis
Imperatoribusautinstauratas, autseductasad bi sRegiones exviginti caftellis distribuebatur.
Quadraginta veròannispo- tus. fteà, exmanubijs PyrrhiRegisEpiri,SpurioGarbilio,L.PapirioCoff.prima
Anienisadductafuit,vtetiamcommodavrbi,& altæoriginissupraTybur.Martiaquę.
Tertia fuit adducta Martia, dicente Plinio lib. 36.c.15.Q.Martius iussusà Se
natu Aquarum Appiæ, & Anienistegulaductusreficere,nouamànomine suo
appellatam , cuniculispermontes actis intràpræturæ cum, Marü. Anienis ve Oo i
1 Triana . cum, Romam non du biè p e t e n s . M o x specum e r s a in
Tiburtina s e a p e r i t n o .
uemmillibuspassuumfornicibusftructisperducta.Primuseam invrbem per
ducereauspicatusestAncusMartius,vnus exregibus.Poftea Q.MartiusRex inprętura, rursus
querestituit M. Agrippa. Hæc Plinius. Hancdemum& Traia namnuncupatam
aseritFrontinus,àTraianoinAuentinumvsq;protracta.
QuartafuitTepula,quaabagroLuculli,quéinTusculanoexvarrone legimus Tepula,. Gn. Seruilius
Cepio,L.CasiusLonginusCollin Capitolium perduxêre, via , quæ PortaMaiorhodie appellatur,claristitulis
Cæsarum, Claudij, Claudiaque VespasianiT, iti,& M.Aurelij. EamquidemdestinaueratpriusCaligula,per
& Curiadaduxitveró Claudiusabvsquexxxvi.lapide, viaTiburtina, èfontibus Cæ
Cerulean ruleo,Curtio,atque Albudinocollectam,quibusfæpènominibusscribitur.
Adduxithiç & alteramAnienem,cuiductuiaddifferentiamveteris,Nouus
Aniocognomentumfuitinditum,Frontinoauthore,qui& ipfumpofteàre Fons Albu
ftituit.Concipiturautemperagrum Tyburtinumxx,milliario,operealtili-.
moadPortamEsquilinamadducto.AquamveròIuliamadmiscuitcum Tepu
laM.Agrippa,viaLatina,quæabAurelianoiterurmeftituta,eiuscognomen
Juliaquęegassumplit.Ållietinam,quam& Augustam, miratur Frontinus Augustumpro
Aureliana, uidentiffimum Principem per ducere curasse nullius gratiæ,imò &
parum sa Alietina, lubrem ,nisi fortecùm opusNaumachiæ
aggredereturtransTyberim. Qui dam ob hoc eam intervrbanas aquas non numerant.
DE AQVA VIRGIN E,QVAM duxitAgrippa,vtPlin,meminitlib.31.c.3.& deinde Claud.Cęs.Pri
mum veròauthorêCaium Cęs. fuisseindicantmarmoreæinscriptiones,quarú 30
vnaineiusaquæductuitalegitur. Tit.CLAVDIVS DrusifiliusCesarAug.
Nominisra-ductusaquæ Virginis destinatosper Cæs.àfundamétisrefecit, acrestituit.Vir
ginis porrò nomen (vt Frontinus scribitnobilis author de aquis vrbanis ) ad
cafum fuithuicaquæ inditum:nam quærentibusa quammilitibus, puellam vir g u n c
u l a m quasdam venas præmonstrasse, ac il as sequu t o s in gentem a q u ç
moduminueniffe.AediculaidcircoVirginisfontiapposita.Quod nomen
posteavidenturadsciuiffe Dianæ, ac Triuiænuncupaffe, quasi Dianæfonsdi Fons
Diane triplex habere dicebatur numen , celebrarisolita, necnon à
triplicifonte,qui- 40 bushæcaquaconcipitur. Vel (vtquibusdamplacetantiquarijs) virginisno
futurna menindicasseIuturnam,quam Nymphamsic dictam (testeVarrone) quòd Nympha.
iuuaret,invotisfuisehabitaminfirmis,quiexeaaquabiberent,facramque in via .
simulat que puteum, qui extat, dive Mariæ
Virgini fuisse consecratum, vt r a n In Triuia.
libetquiseiusnominisinterpretationem accipiat,verumtamen eofitmagis
verisimilisnoftrafententiahuncfontemfuissevirginéàDiana,& Triuianun Meuiæ
,quæ dinus, Anio nouns 20 vocant Şaloniam , tio. Vel Triuię. & aqua Diançsacra,quęveteribusvirgohabitaest,&
in Triuijs, vt AQVA autem Virgincquoniamsolahæcadnostramhancætatem Romam
perducitur, altioraliquantosermohabendusest. Eam per cupa Primus aute D thor,
ceretur, 10 Latina dextrorsus ,longex1, milliapaff. subterraprius, deinde arcuato
opere. Quinta, ac fausti nominis fuit aqua Claudia,vtinfrontispiciolegiturPortæ
id circo hanc ædemei fuisse constitutamasseruntiuxtaipsum fontem ,quam
Sinct.Mar.posteàReligioneintroducta,insuperstitionempræteritiseculiabolendam,
JO est Herculaneus riuus, quem refugiens, virginis n o m e n obtinuit . Hactenus
Ductus lon Plinius. HabetautemductuslongitudinesàcapiteadipsumTriuijfontem,girudo.
spatio a bestàvia Prænestina,dicente Plinio.Marcus Agripa & virginéaddu ” xitaquamaboctauilapidisdiuerticuloduomilliapafsuú
Prænestinavia:iuxtà (vt Frontinus dimensus est) milliariorum XIIII.n a m vbi
fpecus subit montių ,
vbicircuitcolles,velvallesæquatarcuatoopere,multoshabetflexus. Pro greditur Anienemfuuium,acintersectaTyburtinavia,
& exinde Nomenta na, & proximè Salariavia; tandeminter Collatinam Portamque
estsalaria, & Puteus Po. Pincianam sub colle Hortulorú , qui est hodie
Sanctæ Trinitatis, ad Trivium litianus vicum exilit fonte. Subitautemeum
collempro fundiffimnospecu,cuiusho die puteus altissimus repertus estin medio
viridario, quod magnifico, ac con spicuointotāvrbem ædificio ibi constituit Cardinalisamplish.
POLITIA. 20NVS,& vtrinqueduæ eiusaquæ marmoreæ inscriptiones.Tı.CLAVDII
nomine. Etquo digno tum fuit magnisilis Romanorum Architectis, erita; omni
futuro seculo memorabile Camilli Agripæ Architecti inventum, salientemsuaptes ponte
facit aqua (impulsam tamen in æreum tubum rotis ræ, primam fanèlaudem
promerentur Sanctiffimi D.nostriPivs IIII.& qui - statim ei successit Pivs
V. Pont. Max . quivirginem ipsam aquam ad Virginisper
pristinamantiquorumformamperducerecurauêre.Quippe lapsu temporum hæcaqua varias
subijt mutationes,& quodmirum eft, vsqueà Plinijtem lutem. Pofte àc raffantibus
in Italiam,& invrbemipsamtotbellis,acvaria rumgentium incursionibus: plana in
historijs monumenta habentur, quæ ductio. Refert Platina, Adrianum patria Romanum
Pont. Max.d omitisiamaf. Adrianiin fi&isque Longobardis, anno falutisnoftræcirciter
MCCLXXVI. Virginis Stauratio. Aquæductum dirutum, cumalijsvrbisaquæ ductibus restituisse.
Donecite rumnonmulto poftdirutus, protantarerum ,quæsuccessitcalamitate, nuf
quam prætdr e a videtur fuisse restitutus. Nam quod i n i p s o Trivii fonte
legi Nicolai. tur, Nicholaumv. annoabhinccxII. Virginem fontem restituiffe, planevi
detur is Pontifex haud vllam antiqui ductus huius aquæ partem instauraffe;
sedconfluentesduntaxatèviciniavenascitràpontem Salarium prorefugio vrbis collegiffe,
quæeftminimapars; virgoigitur aqua octauo (vt diximus) est Salonia. Milliario concipitur,vbi
nunc locusà Salone dicitur: Quæcunque fuerithu ius nominis significatio apud
vulgus, quod,vt consueuit huiusinodi aqua run conceptaculafalasdicere,forsan
& hoc obamplitudinem areę Salonem nunc uparit, dicente præsertimFrontino,hunclocumvnde
virgo aqua con- Riuusnúad iicitur, palustrem fuiffe, & vt scaturigines contineret,
lignin operecom-mititur. 40 cupatum, quod nomen ipsum ædis Sancta Maria
invia , vulgari (vt videtur) vocem utila dicitur, pro Sancta Maria in Trivia, vbi multa cum devotione
Beatæ Mariæ Virginis etiam num ea aqua ab infirmis bibitur. De Fonte ergo ipso
quia d huc in Triviæ vico celebris est, non est dubitandum. De origin e a u -
Origo. tem , Pliniusa pertèdicit concipivia Prenestina. FrontinusautemCollatina
ad milliariumoctauum, quæ vtquidam putant,duorumcircitermilliariorü
pore(vtipsememinit )cæpithuius aquæ fimulatque Martiæpenuria: Ambitione (inquit)
ac auaritia in vilas,acsuburbanadetorquentibus publicamsa Artificium per Usurpatio.
Herculews ipsam aquam volubilibus, &
machinis) quæ eximo puteoads ummam planiciem. paffusexilitfonte, actantavbertate,
vt non hortosfolùm,fed & totam quoque subiectam vrbis partem reddat irriguam.
Cuiustam frugiope Agrippe. mu 4 OO 111) munitum, quod nunc quoque visitur
aliqua parte. Iuxtà estriuus Herculaneus. quemtamen non admittit, tùm quia locus
palustris humilisque est, ac v l i g i n e totus obsitus; nec aquæ est satis
vtilis: tùm qui a satis fupe r q ; adeam
formam aquæductus Salonia est. Neceum riuum admisisse antiquos,satis apertè de clarantea
Plinij verbaiam allegata. Iuxtàest Herculaneus riuusqué A Salinis refugiens Virginis
nomen obtinuit. Nec secusdimittendaeorum sententia aqua . est,qui ad Salinas vocatas
à Frontino aquas pro Salonia acceperint: cùm hæ longiusinfluantà Salone, sinistrorsusàvia
Præneftina, vcidem Frontinus inquit,passuum
septingentorumoctogintaquævelAppiaaqua,velAppix Appi&origo carestudeat, piètamen
& public vtilitati consulens, opus tàm frugiprofequu Vltimaper tusest, aquamqueVirginem,adeototseculisdesideratam,
hocanno,acmen se MDLxx. decimoseptimo Calen.Septembris, cummaximo totiusvrbis
applausu, ac gaudio perduxit in totum. Consultistamen prius (vt Sapientissimum decet
Principem) Medicis, àquibus & bonitatem aquæ, et vtilitatem, quam præbere posset
huic almæ vrbì re latam comprobauit. Qua dere Naturaem hæc mea eft sententia: Sanè
magnum argumentum bonitatis huius aquæ hoc Qualitates esseexistimo, quòd hæcaquafueritinvsu,
vt nunc quoqueeft, longiffimis seculis. Quippe hæc primas sempermeruit laudes
simulcum aqua Martiain tercæteras vrbisaquas. Authore Pliniolib.eodem
31.cap.3.d.Quantum vir gotactu(hocestfrigore)tantumpræstatMartia
haustu:alternantehocbo tactusintfrigidæ, easnonperinde(laudabiles) &
haustuesse. Hæcs uccinctè Plin. Hác aquam Martialis cognominatcrudam, ilisuerlibus.
Ritussi placeanttibi Laconum, Contentus potesaridovapore 30 te influentium, &
tepidarum, & frigidarum aquarum; hanc specialiter vsu Ab experi- balnei comprobat
frigore, & profrigida, metri causa dixitcrudam. Velcru mentis. Dam intelligas
eum dixisse in comparatione aquæ Martiæ, quæ (vt dictúest) vtilior haultuerat, virgo
tactu. In experimentis, tardius hæccoquit legu mina, accibariareliquaque Tyberisaquęlimpidę,&
Cisternalesaliquę.nimi rum quia fluuialeseiusmodi, inrespectu fontium, omni
exutæsuntcrudita te,ac pluuiales magis aëreæ . Cæterùm hęcaquanullis fontium
aquis vide- 40 turmeritò postponenda. Cætera veròquælegunturaquarumvrbisnomina,
autvariæduntaxatipso nomin e sunt, sicut iam plura ali c u i a quę adduximus
nomina :a u t externę sunt Crabra. Sabatina Lacus Saba saporem, inter vrbanas non
adnumerant. Nec Crabram,quæ erataliaaqua, aquæ,nonvrbanæ. Quomodo quidam
Alfietinam, itavocatamobingratū tis.Amnis
Tusculanis,vndeaduehebatur,relicta.NecSabatinam ,quamàLacuSa Larus . batis, qui
hodie est amnis Larus, nouissima momnium aquarum breuimo. Io ductio. Martialis.
pars per Capenam portam , nunc Sancti
Sebastiani ducebatur in vrbem. Tota ergo virgo aqua Saloniaeft, multisvenarum, &
riuulorum acquisitionibus (vt Frontini verbisvtar) obitervsqueinviam Salariamaucta'.
Quam Pivs IIII. Pont. Max. vt delectabatur vrbem suam æternis monumentis, publi
cisq; idgenus operibus adornare,destinauerat.Pivs verò V. Pont. Max.cũ
fanèprimùm orthodoxamfidemnoftramàtotseculihuiuserroribusvendi no , vtquæ
CrudaVirgineMartiaquemergi. Quo nomine haud quidem cruditatisvitioeāhic Poëta
damnare voluit. Sed mirisex tollens laudibus Hetrusci balneum, blandicie
præsertim, & varieta dulo 20 qua q u a n ı diversæ à prædictis
aquæ. Quod vsu c u e n i t in eternis id gen us operibus, perpetuams ibiquisque
memoriamcomparare .ItaqueprimaTherma structuræ exemplo, nulloque integrèscriptoremandataliteris,
nisi obiteràmultis,& controuersè. Etquæobfitaadeovetustissimisiacetruinis,
vt quanquàm peritissimi multi hacętate antiquarij conquisitiffimè studuerint
easinali quamlucem reuocare:nonminortamenadhucrelictafit, magnis
etiamingenijsconfusio, vtquęsparsim dehislegunturauthoritatesscripto rum,cum
paucisquæipsarumapparentreliquijs concordentur. Inprimis
describendaessetixvoypapíce,basisquetantiedificij,quam noftriadverbúPlan tamrectè
appellant: at hæc diuersissima habeturabe aquam tradit Vitruuius, neceadem
dispositioin omnibus Thermis.Porrò, præterfpatiaplatearum, m i n a esse tantum aut
instauratorum, aut insigniu m e o r u n d e m constat, h a u d ac additos
lucos, hortosque immensos, ac Lacus, distinguenda effentloca exercitationum
àbalneis.Acloca propriacuique exercitijgeneriassignanda, vbicominus, acbreuicirco,
vbieminusfierent, sub Diuo, subtecto, in Xi stis. Et quæratio fuisset exercitiorum
in Palestris, & quali aexercitia.Quis vsus præter e a totali a r ú partiu
m: & quæ dispositio, Corycęi E, p h e b ç i, E l ç o thefij, Conisterij, Exhedrarum,
Spheristerij, Xistorum. Etdebalneis, fi singulæ Thermæ plura habebant balnea, at
dubiumnonest,quæ naniratio 30 distinctionis, ancommoditati, an loco, an ordini,
vtcunctis legitur fuisse consultum. An omnibus vnum essetcommune hypocaustum
:& feu vnum comm u n e o m n i b u s , se u c o m m u n e v n i p a r t i t
i o n i , vt verisimile fit , q u o l o c o maximècommodo.Anbinæ& ternæ, quælegunturlauationes,eodem
fie rentbalneo,andiuerso.Etsidiuerso,aneadem pluribusferuiebat,ansin
gulisnouaaqua.Velquæ ratiotàmmiriartificijcalefaciendivna hora tantam aquæ
quantitatem, quæ innumerabili populo sufficeret? Vnde & quo certo
ductutantæ aquæ copia? Quæ ratio erat Pensilium Balnearum, quastantocú applause
Vrbis, & totius Italiæ quosdamintroduxisselegitur? Quibusadid valibus, aut balneis,
aut alueisvtebantur? Etsilabrislapideis(vt quidam pu 4 0 t a n t) quæ videmus
per Vrbem maximis : q u æ e o r u m e r a n t i n balneis dispositiones, &
quo situ ad aquas accipiendas? Etdebalnearijsrebus,quæ fanis expedirent,&
quæęgris. Quiddicamdelauandirituperordines;perætates, perleges,peranni tempora,peripsaexercitia;acde
innumerisdenique id genuscircunstantijs,quasvelnon scriptasabantiquarijs,velper
coniectu ramduntax attentatasà iunioribus, merispotiùserroribus obscuratas,
quàm explicatas invenimus? Quar e n o s d u m h e c aliqua ex parte revocare in
lucem intendimus, & quævsuimaximè medico opportunasunt, exponere,nullam Fos
Veneris 1 rum instituta, atquemomenta Aquarum ductuum habemus . is
fchnographia Thermarum, &dehisquetractandafunt. Cap.v. Hermas verò per partesliterisinstaurare,
haudquaquàm presentis muneris est. Nec facile esset, pro tantæ molis magnitudine,
n õ v n i u s dulorestituit Hadrianus I. Pont. Max.quam & Ciminam interim
appellariin uenio,àCiminoipsomonteinFaliscis, fonteVenerisdeducta.Drusaauté,
Ciminaaqui Annia,Traiana,Antoniana,Seueriana,Alexandrina,& idgenusaliæ,no.
ferè Dubia in Ther. 2 Oov ferèiuniorum positionemfequemur:sedquátum
exrationeillorumrituum, Spacia Thersimulatque
locorum ipsorum diligenti consideratione colligerepotuimus, percurremus. Spatia
in primis Thermarum videmus amplissima: atque ad eo vt quasdam vndeciesmilliespedumtotaarea
continere constet,authore Baptista Alberto in libris de Architectura. In Diocletianis,
quæ inipsaareaappa rentvestigia,præterspatiavndiqueplatearum,&
prætermembra,quæinfe riusacsuperiusvarijsThermarum ministerijsferuiebant,centum
continent partitiones, vario ac nobiliffim oordine. Nec mirum, siconsidereturpublici
çdificijmagnitudo,inquocommunis fueritratiomaximæciuitatisadexer 10 Magnitudo .
c i t i a corporis, ad balneas, ad disciplinas. In i s enim communia er nt studia , tamanimi quàm corporis, necaliaerantartium
gymnasia, vndefæpè apud authores Gymnasia legimus pro balneis. Necminus
addelicias: Nam ratio Gymnasia acresipsaostendit, nonfolùmvsuiinpartibus Thermarumfuiffe
consultum, verumetiamvtiuuentus faciliùsadea studiatraheretur, &
delicijsmaximè, & ornamento cunctarum rerum. Propterea Thermæ neque
digniores occupa bantvrbislocos,nequeintervilioresfiebantvicos,sedvbilocicapacitas,at
Forma Ther marum,ac partitið. queoperismaiestasrequireret.Vitruuijtamenętatenon
videturfuissecon suetudinis Italicæ (vtipsescribit)magnificareadeo palæstrasac
Gymnasia in Thermis: vtquibus satisad exercitiafacerenttùm Campus ipfeMartius,tùm
Agonalis,totCirci,totplatex,totaliaexercitationumlocapublica, & priuata.
Sed per angustas fieri, & paruas quales Agrippæ Thermas m e m i n i t P l i
nius.Pofteàveroperductoimperiovrbisad luxuriam Principum ,non m o dò Græcorum
more constitutæ,sed dilatatæfuêreamplius,distinctaquem e liuslocaexercitationum
,acGynınaliaàbalneis.QualesAntonianæ,acDio
cletianædemaioribusextant,acmeliusdispositis:quarum sinunc præsumná
describeremagnitudinem ,non tam describere, quàm maiorem partem di gnitatis earum
mihi videbor minuere :sedharum m a x i m è,ad notitiam tanti ritus,
fequarvestigia. In his edificationis eratvaria forma, ac varia dispositio
partium : sed a r e a amplissima, q u æ i n q u a d r u m c l a u s a , tribu s
v e l u t i perpetuis circuitionibusdiuisaesset. In primovndiq;ambitu,quæ
męnioruminftar lib.s. 6. 11. totum edificium claudebant, errant gymnasia
exercitationum, varioordine, quædicemus. In secundo, longèlat eque spatia platearum
,Xista, acPlatano nes, ad exercitiasub diuo. In medio,totaipfamoles
Thermarum,quæ sunt membra balnearum ,Atria,simul atq; Xifti, & Palęstrarum
amplissimæ porti cus,vbi (authoreVitruuio) Athletæ perhyberna tempora intectisstadijsexer
cerentur, actranfirentstatim ad balneas, vtdelineataprimùmipfarumbasi, distinctèmagissingulaexplanabimus,
4marum . Thermæ. Ther.Diocl. 1 Oo vj Hexedra Lalitudopal. 200 choricen
Calidaria FO х NAT MC) V R a THERMARVM DIOCLE Longitudo Platego Atriolum
Die Scola riú BВ Spheriferti H Tostring 71 Apod TOD Schola Longitudo Ρ Ι Α ΤΑ Laconica Hexedra
Basilica Fngida Topida n uนี" Agaagiâetlume
ORIINS Hexedma Hephebri ATRIVM nPoarttaitciuosnis la карэхэн Spheristerium 200
Hacera Lpatlitudo. 2 Hemicyclus Condste
platego Porucus Tres Stadiate Theatric SET VN M M HT NONES Hexedra
A triolum sperifleriâ Laconicü Coniste Hephebell Hexedra pal . Kesedara
LongituPdloa . odyterium Hypocau Dico Engda Hexedra 'Jių rium Porticus Staduatę
Aquagiấetlume pal. OCCIDENS OS Tres salo ирэхэн ATIOTES TIANARVM ICON. ATRIVM n
Paotrattiicounsis Spenfterum I O O O. Basilica Tepida Frigidai Calidariú
Tõstrina A 5oC Hemicjclus sefala ridium PTENTRIO Scola 1
Departibus Thermarum, acexercitationumlocis. Cap.vi. N PRIMA ergo facie, quæestadmeridiem,tertiamferèpartemmediamoc
cupabat Theatridium. Quæparseratprincipalis,& tanğcaputtotiushuius
ædificij:vndeduplicem (vt quibusdam videtur) habebatvsum;alterum extrinsecus,
alterum intrinsecus. Ambitum enim exterioré ponunt fuisse a r c u a t o opere
distinctum ,& apertum ,quo exéplo patet, circūcolumnium poftbafilicam
Posticã. ecclesiæ Lateranen.Vnde. f.ingrederenturquafiper Posticum, fiuedextrâverte
rentur, fiuefiniftrâ per porticus, apertèvenirentinampliffimam plateam,ac
exindè quò vellent, fiue in palæstras, fiue in balneas. In conspectu verò
interiori ergaplateas,eratTheatrispeciedistinctumcũsedibus,vbi.f.populus,&
maximè nobilessubvmbrameridieisederetadludorūspectacula, quiinplateisexercitij
causa f i e r e n t. Partes verò quæ v t r i n q u e à Theatri d i o p l u r e
s s u n t , a l i q u i b a l n e a putant.Ná
quodrotundaformaestvtrinqueinversurisvnum ,pinguntessecali darium,&
consequenterponunt vnú Tepidarium,vnum Frigidarium,& vnum lib.5.c.1 Apodyterium.
Nec equidem nega uerim debuisse quæ d ã balnea s e o r f u m , & q u a l i extra
palestras constitui:partimmulieribus,partim artificibus,&hisquivenien
tesàciuitate,statimintrarent,& quasiextràconspectumpopularemlauarétur,
& abirent.Verütamenhæcnonfuiflebalnea,hauddubièvidetur:nam iuxtàeá ria
Sacella. appictionem ,nullus hicvidetur Hypocaufti locus:quoddebuiteffeinmedio,
& communevtriqueordinibalnearum ,tefteVitruuio,atinmediohiceftThea
tridiummaximum.Nec eratconsentaneum,vtmébraspectaculieffentStuphæ. Deest &
laconicum ,nisifortasse hæc opinio confundat laconicum cũ calidario. Saterat&
vnum Apodyterium comune,vtpotevnum vestibulum balnearum : hicduo ponuntur. EtprætereaTepidariaduo,cùm
tamenidemfitTepidarium, quodApodyterium.Meliusergomihivideturdicendū,hæc
fuiffepartimipfius Theatridij membra, & partimlocaadvsumAthletarum.i.eorum,quiexercendi
essentcoram Theatridio, vtpoteConisteria,Elçotesia,& quædam apertè in pla
team, forsanequorumcarceres. Duo pofthæc Peristiliaquadracaoblonga,hinc (vt scribit
Plin. Lunior de villa sua) exercitationú generibus.Vel Sacella,vtnota
turperædiculasæquisvndiquespatiisstaruarum.hæceratprimæfacieipartitio.
Porròinalterafacie,quæabaquiloneeodemcomensuhuic refpondet, videntur Gymna fuiffe
maiori ex parte Gymnasia, philofophis dicata, ac Rhetoribus, reliquisq; q
studiis literarum de dissent operam.Vtpot epars magis remota àftrepituAthle
tarum,& litucômodiffimo,tùm propteramenitatévnibrarum(erant.n.inhac
plareaPlatanones,vtdicemus)tùm proptergratafontium murmuria, inNataa
tionéipsamcadentiū. Quaproptervisum estpluribusantiquariis, inmediohoc
Vestibulu. Spatioå Septétrione fuifleprincipale vestibule totius huiusæ dificij.
Exquoper40 Hexedre medios Platanones patebat aditus ad Natationem, & hinc, &
hinc in porticus, in & Hemi-basilicas, Diętas, & atria, quæ pofteà dicemus.
Primùm verò àd extra vestibuli, cycli. & àsinistraerant Ex hedræ pluresclausæ
ante plateam, &cusedibus Hemicycli forma, vt disputantes, & tam loquentes,
quàm audientes sese omnes afpicerent: & aliquæpatentes, cellscholænoftræad leuiora
studia. Maioremverò citer 10 Peristilia fia. atq; hincvnum
àTheatridiq,quasipalestræbreues,veldeābulationes.Acinver Spheriste
surisvtrinque,vnum Sphærifterium ,quod diximus rotunda forma,cum plurib. 30
Schola. exercitationum. Gymnasticarum continebant partem duæ vtrinque facies
laterales, hinc,atquehinchabebantpartitiones.Ac fuisseeasadexerci quæ conformes
tiadicatasvidetur:tùmquiaplatexhælateraleserantliberæ,& amplæmillecir, citer pedum spatio. T ù m quia membr a ipsa
partim erant Hemicycli aperti cũ sedibus,acvarioornamento,quod apparet,lignorum
,acpicturarum :& partimconisteria,Elæothesia,aliaquemembra advsumAthletarum
oppor tuna . Totam hanc autem primam circunferentiam circundabant continua
porticus,ducentiscolumnisvnostylo. Subinde erantPlatex,amplæ ,& .Nam
siædificiorumperfectioproportionibushumani
corporisresponderedebet,vtVitruuiustradit,perfectisfimèresponder in Thermis
Diocletianis, ac melius quàm constituat ex Græcis Vitruvius. Ex Lib. 3. 20
eniminhis Theatridium ,vbieratvestibulum ,tanquàmcaput: Apodyteriū, pectus:
Hyppocaustum, Stomachus: vmbilicus, maxima, acregalisbasili-Diocletiana
cainmedio: venter, Natatio. Membrorum veròvtrinque, quæfuntbalnea, rummirifica
a t r i a , palæstræ, porticus , Diętæ, basilicæ; æ q u a r a t i o , a c m e n
s u r a e f t, v t b r a a r s et de chiorum, acfæmorum. itavtquæ
exvnatradeturparte,cadem ex alterapa basilicaameniffima,vbiconuenirentomnes, quivelinpalæstrasventuriBasilica.
essent,velinbalneas. Idcircosatisampla,ornatuplastices,acpicturis adhucnitetantiquiflimis.
Hinc rectâ in Diętam, quæerateadem capacitate, fed latiortamen basilica, duplici
columnarum stylotripartita: nam media par
teceuatriolum,erataditusinatriummaximum,& inpalestras: capitaverò
hincatquehincdeunebantinhemicyclis,vbifortasseAthletarum ferrentur iudicia
Circuncolí - liberæ, vt dixi , t à m q u æ a n t è Theatr i d i u m Stadium ,
nia . ,erant xistum, Platanones, & autem,quæeratanteNatationem enim Xista (authoreVi
maximè estiuas idonea . Fiebant adexercitationes Platani, virentesqueidgenusXista,&Syl
)interduasporticusSylux,quæerant caperentre-ua. truuio situantèNatationem
,vndeaquarum arboresconfitæ,aptissimo autemStadium,itafiguratum,inquit Vitruuius,vtpof
frigeria. PoftXiftum, Athletarum cursus, variaque alia sent h o m i n u m copiæ
fine impedimento hæ omneserantpartitionesquoquo latere,& gym : spectarecertamina.Atque
veròoperismaiestas,erattotamolesinme Stadium nasiorum,& platearum. Summa
,acmultimodisearúmē dio,quæ communes habebatpalæstrascum balneis
bris,acmiriartificij ,quàm vtræquelaterales. Inea Porticus
riterintelligendafit. Incipiemusautem àNatatione,quæpatentiffimapars
aspiciebatAquilonem:& exeaàlatereperbasilicas,acdiệtasveniemusin
atria,exindeinpalæstrasinteriores,acmaximam bafilicam,& demum ad balnearum
membra. Erat i n q u a m Natatio in re c e s s u m e d i o a b a q u i l o n e,
l o n Natatio. Gitudinedu centorum pedum, latitudinedimidiominus, ponte ,acarcubus
bipartitaadinterioresaditus, vbinunc factaestmaiorisaltaris basilica. Habe
batautemàcastelloproximo Aquæ Martiæ emiffarium, quod per occultos tubos ferebatadNatationemipfamaquas.Habebat&
supernèadlongitudi-Emissarium nem fontesvariaspecie,acMusxa,quæ
teftePlinio,expumicibus, acero-aqua Mar fisvetustatefaxisextructa (vt hodie quoque
Romæ sunt in vsu) specusima-tię. g i n e m referebant, ac fiftulis modò apertis,
m o d ò clausis , vario , blandisli moque salientium
aquarumlusu,recentessemperaquasinnatationéipfam Fontes,ac fundebant.
Miriscircùmadhibitisornamentis,quorum etiamnumapparetMufaa
ædiculæfignorum,& statuarum,fontiumquevestigia, & columnarum bases. A
Natatione plura, ac nobilissimamembra: primùmabvtroquecapiteerantPorticusna
amplissimæ porticus conformes, nimirùm & adspectaculaNatationum,&
tationis. adrefrigeriaconstitutæ.Etaliæadaltiorem prospectumporticuspensiles,mi
noristylo.Exeuntibusveròàporticu,tamdextrâ,quam sinistra,eratprimùm fcriptio.
30 Platanones. Dięta. iudicia . I n Atriis era nt Peristilia, hoc est circü
c o l u m n i a , quæ facie b a n t a t r i u m oblongum trecentis pedibus, latitudine
dimidiominus. vbiin Porticu , orie simacum sedibus, quæ tertiaitem parte longior
quàm lata, eratad exercitia Corticum. iuuenumdicata. Sub dextra Ephebei erat Corticeum,seu
Coryceum à Co. Coryceum. ryco, quod videtur pilæ genus in Galeno 11. de San. tuenda.
Seu Choriceum Choriceum dictum, Choreisnimirùm, ac saltationibus locus proprius.
Proximè Frigidarium, locus ventis per flatus, feneftris amplis. Ab eoqueiterin Spheristeriú
ro oblongum, & fimplex, ad pilæ ludum aptissimum. Adsinistram Elçothesium,
Spherifleritquæeratad vnctiones faciendascellaolearia. SubhocConisterium, vbificcó
Elçothelium.puluere, velharenaluctaturiseseconspergerent. Ab eoqueiterinPropni.
Conisteriú . geum, vbi erat in ver u r a
porticus Laconicum, quod referemus suo loco p o Propnigeú. iteà. A
Peristilioautem, atrioqueintrantibus ad interiores Palæstras, erant Talastre in
Porticus tres stadiatæ ,quas hodie occupat longitudo ecclesiæ.Ex quibus m e
teriores . diaparsamplissima, centumpedumlatitudine, superingentescolumnas,al
Porticusftatissima prominettestudine, cæterùmitafactasecundum Vitruuium , vtilate
Frigidariit. diate. Xistus. ra, quæ
suntvtrinqueadcolumnasmargineshaberent,& qualeshabethodie
viaabHadrianimoleadVaticanumsemitas,nonminuspedum denûm,re
liquaqueplaniciesoctogintapedúm.Itaquivestitiambularentcircùminmar 20
ginibus,non impediebanturàcunctisfeexercentibus.Hæc autemPorticus ziso'sapud
Gręcos vocitatur,in quo Athletæ in tectis stadijs exercerentur.Quę
quoniamexacteeratinmedio,& velutiincordetotiusedificij,vbimaximè
conueniresolebatnobilitasadexercitiahyberna,adambulationes,& adspe
ctacula;cæterasmeritòexceditpartes,tùm magnitudine, tùmregalimaie stateoperis, altiffimisfuperbiffimisqueprominenscolumnis,&
patentissima vndiqueinperistilia, inbalneas ,in Hypocaustum,inNatationein,acfuper
nè feneftris illustrator latissimis. 30 præualereassuesceret: deinde ad sanitatemtuendam,quiduofuerant
fines præcipui:& demumaddelicias.InquibusomnibusmutuaBalnearum,atq; Exercitationum
errant beneficia. Nam quantum conferebant balnea lassatis rumque similiter coniunctaeratvtilitas,
acmutuaerantinuicembe Thermarumneficia. Nempe Thermarum
ratioduos,imòtreshabebatfines:primumad
instituta,acdisciplinamiuuentutis,quæficviribuscorporis,honestisquevitæconatibus
fines et Exercita exercitatione, aclaborecorporibusadroburviriumreparandum,&
admun tionum muditiam. Tantundem rependebant vtilitatisexercitia,fine quibus
balnea non tuo beneficia possuntessevtilia,maximèsanis.ItaqueGalenusinlibrisdetuendaSan.mo
Non p i l a , non sollis, non t e p a g a n i c a Thermis Prz . tali parte, eranthæcmembra,situaliquantifperdiuerfoabeo,quem
assignat €phębeum Vitruuius .PrimòEphæbeum , in medio, hoc autem erat Hexædraamplif
Balnearum 1 Bal. Recurel Atria . De exercitatio num generibus, ac preparationibus
ad balnea. Cap. vir. CONSTAT ergo hactenus,balnearum locainThermis,atqueExer
citationumfuisseconiuncta.Idqueoptimaratione,quoniam vtro
dobalneaRecuratoriaviriumessedixit;modò Exercitia Præparatoriaadbal toria. Exerci
nea.Quod frequenter inalijs authoribuslegimus,& succinctèeoEpigram
tatio,Prapa ratoria. mate colligiturMartialis vnde dieta existimat D. Augustinusinconfessionibus,quòd
Bénestaisdivíes,idestquòdan xietatestollat. Ergo vtpro veteriinstitutogenerosæ
Ciuitatis,quam diximus inlaboribusnatam&
educatam,magnaeratomniuminThermiscelebritas; itapro tempore, &
proconditionibuspersonarum ,Exercitationeserantva- Exercitatio riæ,&
invarijslocis.QuippealiæinPalestrisfiebant,aliæinXistis,aliæinnumloca. Hexedris
,subdioalię,instadio,& platearumliberofpatio;alięinpluribus
fiebantlocis.Necsecusquædamerantcommunes exercitationes,pueris, senibus,&
iuuenibus, vteo carminenotaturà Martiale. tereolusuum genera,quorum (vt cætera rumrerum
viciffitudincs sunt) vix nomi. Iuuenum
1. De fatu. Præparat, aut nudis tipitisictushebes. Vara nec iniecto
ceromate brachia tendis, Folle decet pueros ludere, follesenes. Quædam
propriæ.Iunioresautlucta,autcursu,autfaltu,autpilaludicriss;Personarum 20
idgenusexercitijscepissentafsuescereinEphebęis.Quemplanèmoremre exercitatio- presentauit
Plautusin Bacchidibus, vbi in personam seuerisenisindicatpue-nes. Rosprimis vigintianniscum
Pedagogo in Palestramantè Solem exorientem veniffefolitos, d. Βαλανέα Romanorum
Puerorum Non harpaftamanu puluerulentarapis. Vidiffesigiturtum frequentem civitatem
,nonfecusatq; hodienossolemus Vite ratio facrasEcclefiasfestissolennibus, frequentare
Thermas. Alios quidem adho nestos, quos primo instituto proposuimus vitæ
conatus .Alios ad sanitatem Ther. tuendam . Et alios ad oblectamenta tam animi
,quàm corporis capienda, pro celebritate illa populi, pro variarum rerum, ac
ludorum spectaculis. Et d e n i que pro amænitate loci deliciosissimi: vnde
barevéesidcirco dictas græca voce Ibi cursu, luctando, hasta, disco, pugilatu, pila,
Saliendo se exercebant , magis q uam scorto, aut f a u i j s. Fortiori autemiuuentaiis
dem quidemexercebantur, velacrioribusetiáple
runqueludis,halteribus,harpafto,& aliquandocęstu.Velarmorum varijs g e n e
ribus in Palestris. Vel in Hippodromis cursu equì, vel agitatu. Athle - Caftus.
t æ v e l s t a d i u m spectante populo de cusrrissent, vela c r i pugilatu
dimicassent, Halteres . cum
cęstibusplumbeis,acbaltheis implicatismanibus,quo grauiùs percu terent.
Alijsaltusimul et halteribus, item plumbeis globulis. Alijinsphę
risterijslusifsent pila, vel foliinplateis, vel Harpasto, pilamaxima.
Senio-Harpastum. resquidam, quorum erat ad sanitatem
præcipuastudia,vtrecensuitGalenus, ambulationeduntaxatantèbalneumcontentierant.
Alijclaralectione, vel Senumexer disputatione in Hemicyclis, velde clamatione oratoria,
vel cantumusico. Alijcitationes. modòvnovtebantur, modòalioperoccasionem, exercitij
genere. Id circos. Defa. tu. nec mirum septies quosdam aliquadielauari solitos,
quod apud Plinium le gitur. Alexander Seuerus, vt meminit Lampridiuspostlectionemoperam Palęftræ,
aut Sphæristerio, aut cursui,aut luctaminibus mollioribus dabat, m o x venieba
t in balneum. Aliis supplebant diurni operris labores, quia d r e Operari j.
creandum lassatum viriumr oburvsuriessent balneo. Cæterùm lenis exercitationis modus
erat ambulatio,quam Senes, & Virigraues,& imbecilles potiffimùmobibant.
Dignioradlaudem ,acdisciplinam,eratexercitatioin Palestris & armiseorum, quirobustisess
entviribus. Etquam oriquazíar, hoc 2. Desa.cu. est vmbra t i l e m pugnam, vt
interpretatur Gellius, Græci appellant, divodepce T e u Tirl , ob salubritatem
a gymnasticis dictam,Galeno teste. Innumera præ Рp nomina adposterasætatestransiêre.Necnostræprofessionisestexercitatio
Nostrisecunum singulosmodos,aut genera:quibusiliveteresvterentur, recensê. livita
dif ferensaban tiquis. re, quam partemà Hieronymo Mercuriali, Medico atque Philosopho
scientissimo elucubratam, propediem in luce meditam videbimus.Verùm exco rum
exercitiorum censu, quem fecimus, hanc præcipuam habebimus vtili tatem, considerantes
quàm longè differathic præsens nostri seculi viuendi modus,&
maximèPrincipum,necopportuno pofteros destituemusconfi lio. Sanèvbiillorumtemporum
vitaaffiduisdeditaeratexercitijs,vtpote 10 quæ & fanitatem
conseruarent,& promptiores redderentviresad singula, tàm animi, quam
corporis munera o b e unda; è contra hodie in continuo ocio degitur. Età
Principibus maximè, quiob decorum, ac ampliffimi ordinis maiestatem , semotam à
communi consuetudine degentes vitam ;aut curis animi grauibus iugiter tenentur.
Aut siad ludicra aliqui tranfire foleant, ea Exercitianoinertiasunt, tabellæ, alex,
vel Trochinouus modus hàc illuc supermensam stritemporisagitati: inquovitægeneretandemobdefidiain,&
anxietatem,totam breui inertia, cursu vitædeficiant. Quapropter generalisfimum
hoc ac saluberrimum sibi 20 Exercitijnequisqueproponeredebet
institutum,exercitiumnecessariumessead susten cesitas ad vitationem vitæ:
inquire omnes sapientes, variorum quenationum ritussum moconsensu conueniunt. Verùin
quoniam hoc tempore non solùm pluri maveterum exercitiorum generanon funtinvsu,
imòvelipsorum nomina (ut diximus) sunt obscura; necadeoilisvtiessetpoffibile,quinec
Palestras habemus,necThermas,proptereàingratiamnoftrorunPrincipum,aliquot
particularium exercitationumgeneraproponemusexGaleno, atq;alijsan
tiquisauthoribus, quarum multas si non in campis et plateisobirepoterit;
licebitfaltem et incameris et inatrijs,acviridarijsfuis,seruataetiainperso
nægrauitate,percommodèexerceri.Exercitationum (inquitGalenus)com
Exercitatio-pluresdifferentiæinueniuntur. Aliærobustæsunt, & violentę, fiuevehemen
num dife-tes; aliæmediocres,&lenes. Aliæ singulares, aliæcumalio fiunt. Etaliæ
rētiæex Gavni uersas simul corporis exercent partes, aliæ vnam magis,&
aliæalteram . le.2.desan.Vehemens exercitatiodicitur,quę& robusta,&
celerissit:atquehæcmul tergrauequoduistelum iaculari,&
continuatisia&tibusoneremaximo subla tame, pervertere temperaturam
coguntur. Vnde non m i r u m est, q u i p r æ p r o p e r a m
accelerentsenectam , incurrantque facileautinmorbosrenales,autinpoda
gram,autinHemicraniam,aliosqueidgenus affectus,medioquevelutiin fum tuen to,
tash abet differentias. Quædam enim fiuntocylimèagitatis, quædamrobore, acnixu,
quædamfinehis, quædam cum roborepariter & celeritate ,& quæ
Exercitatio-damlente.Fodererobustaest,& singularis exercitatio,remigare,discum
nugenera. mittere,mouericeleriter,saltare;idquefineintermissionemaximè. Simili
et ac clivis ambulare.Grauiarmaturatectumceleriteragitari.Continua
tusdiucursus.Et iterfacere.Perfunem manibus apprehensum scandere, modo in
Palestris quo solitum erat puerosexerceri.Velèfune,velperticama nuapprehensa sublimenpendere,acdiutenere.Manibusinpugnum
redu: &tis, iisdemqueprolatis, velinaltumsublatis. Halteribus,feuglobisplus
minusgrauibusleorsumpositis,vtraqueseinflectensmanu attollere.Quæ robustior
erit exercitatio, si qui ad sinistram manum fuerit dextrâ coneturat tollere, &
sinistrà qui ad dexteram. Diuq;,acsępiusidentidem facere.Potest &
foliscruribuserectusacvnolococõsistensceleriterexerceri, modò retrora suminsiliens,
modóinanterioravicifsim crurumvtrunquereferens.Solus
fimiliterexerceriest,summispedibusingredi,tensasqueinsublimemanus,
hancantrorsum, illamretrorsumcelerrimèmouere.Sehumi celeritercir cumuoluere, velsolum,velcumalijs.Cum
alijsverò& citràrobur, & violen tiammultæexercitationesperaguntur. Vtcursusadmetam
constitutam.Vel vibratilisar morum meditatio. Summisinuicem
manibusconcertare.Co nes cú alijs. ryco,& paruapilaludere. Stare, nec
finereseloco dimoueri;quo exercitij genereMilo
Crotoniatescelebratur.Velseerectum ,& circumactum 10astantemmutare.Complecti
quempiam manibus,digitisquepectinatimiun ctis,isque diuellere seadnitens.
Medium appræhendere ,ac sublatum ceù magnumonusprotendere,&reducere.
Luctaytriusqueluctatorisrobur maximèvtipoteruntSeniores,&
quiadmotumsuntimbecilles. Ambula .Vltimò Fri &tiones suppleant. His omnibus
ex ercitationum generibus ,imòinfinitis alijs (vtGalenusinquit)docebant Pædotribæexercendumesse:&
velinPa læstris, velextrà, velinaltopuluere, velconculcato, & firmosolo, &
omni noantèbalneum. Quibus & nosiuxtàpræsentemviuendimodum,siuepro
præparatione, fiquis velit ad balneum,feusinebalneo,vtpleriquehodiefa
tecdicere,quæ situborealifrigidas,acpurasstatimàfontibusadmittebat
aquas.EratenimNatatio (vtidiximus) separataà partibus balnearum: citationes, le
cimus , percommodè vtipoterimus. Sed de exercitationum emolumentis 40 alio loco
occurretdicere: nunc ad describendas balnearum partesin Thermis redibimụs, acaliaineisrequisitaexplicabimus.
De Natatione. Ne i principes autemThermarum partes, primùm de Natatione opor
Cap. vii . Рp ij nimi. Exercitatio. prope rium mem brorum .exercet. Luctaricum
roboreest, ambobus cruribus alter alteriu scrus com plecti, minibus intersesecollatis,
& collo. Manua lteratanquamfunecol loalteriusiniecta,ipsumqueretrorsumtrahere,
acreuellere.Pectoribusex aduers o i n n i x i, magn o se co n a t u i n uicem
retrudere. Ad singulares po r r ò universalis, attinet electionem , qua parte
corporis quis vtivelit, aut indigeat exerci- particula tatione . Aliæ enim
vniuersas simul exercent corporis partes;quo nomine
ludusparuæpilæàGalenoprætercæteracommendatur. Aliæ vnam magis, aliæalteram
exercentpartem, lumbos, crura,brachia, spinam,pulmonē, Deparuepi thoracem . Itatio,
cursusquecrurum exercitationes sunt. Acrocorisini, hoclxludo. Est festiuæs
altationes & Sciamachiæ, crurum, brachiorum ,& manuum pro pria. Lumborum
autem, affiduèse inclinare,autpondusaliquod àterra tollere,autassiduèmanibus
sustinere, Spinam transuersim exercet, atollere (vt dictum est) alternatimhalteres.
Thoracis vero et pulmonis suntpro priæ, maximæ Respirationes. Cor. Celsus inter
exercitationes imbecillisto lib.2. c.8. macho conferentes,claramcommendatlectionem
.Maximaveròvoxvocis quoque instrumentaomniapermouet, dilatatque:naturalemexcitatcalo-Clarale&tio.
rem, & quomagisfitafsidua, eomagisvniuersis corporis partibus communicatur,
vtinnostris concionatoribus experimur et in libro de voceà Gale noestproditum. Hoc
genere exercitationum per vocem, quælenessunt, Lenesexer Lufta. Etio,& amo
tioneetiam quimagis validi. Velequitationessufficiantur, gestationesquebulatio.
seucurru, seuproægrotantibusin Scimpodio,& Sellaportatili Cap. 18.
Nimirùmquia singularis eiuserat, acpropriusvsus, non tàm quidemadlaua
Varzac efttionem ,quàm ad exercitium. Eftenim Natare laboriosum, quòd itaiacta
quoddam e rerectèAristotelesinProbleumatibus,Natationem ,oblaborem,cursuico
parat , aquarum periculaexercerentur. Et Galenus testator de suo tempore, pue
1, Defa.tu,rosin aquis qumasina's Feudasfacere consueuiffe,idest, quòd prima
fiebantin of Pifcina, Piscina P u aquis pueritiæ rudimenta. Itaque præter Tyberis
commoditatem,propria adhuncritumlocaconstituta fuisseinvrbediximus,quæ
diuersisexplicata nominibusinuenimus, Natationes, Piscinas, Stagna, atque etiam
naumachias, Piscinædi&tæ, quòd & pisces hauddubiècontinerent,
nontamenad vsum piscium, nam ad hoc propriaerantviuaria,sed ad munditiam
seruanda aquarum ,& amoenitatem . Videturautem exercitatio numhuiusmodi
causa, primùm constituta fuiffe Piscina publica dieta sub cliuo Capitolino, ad
veniebat populus. Exca& piscinæaliquandofuntdictæparticularesNata
tiones,& labra lapidea, qualia Romæ videmus maxima, nec non portatilia, ac lignea
advsum etiam calidarum aquarum. Quod authoritate constatM. 08 Tullijad Q.Fratrem
desuisbalneis,Latiorem (inquit)piscinamvoluissem,
vbiiactatabrachianonoffenderentur. Hasà Galeno,acalijsGræcisautho x a n u p u s
o ' n ga ribus, modò x o d u a k r í z s a s, mod ò Bari i su p o e edicta s
legimus. Parva autem Solia , Capesupulco peluesquequercus; quam differentiam
planamfaciuot Galeni verba lib.7. Mé πυελοι. Stagna. thodi, vbi ad ventriculis iccitatem
curandam, quæ Hecticamminetur, nata tioneminbalneo factam consulitivteīsnonumerisus,
id eft in piscinis natandocó stitutis, quàmivtotspixpsīsavenoīs. Memorantur porrò
& Neronis Stagna,vbi Amphitheatrumà Martiale poniturinprimis Epigrammatis d.
Hic,vbiconspicuivenerabilisAmphitheatri Erigitur moles Stagna Neronis erant .
Quod tamen stagnumnon plane constatanad natationis usum, anpro Nau stagno circumpofuit,
conseuiffe. Stagnihuiusin Vaticano Naumachiæno Navale Sta minememinit Egelippus
Græcus author, in D. Petri & Pauli martyrologijs. Cæterùm NaumachiapostNatationes&
balneas,altiorisfuitinstitutiquàm Naumachia adnatationem
,nec,nifipoftimperiaprincipuminuenta. Nempe inqua nautici certaminis fieret
spectaculum, vel ad disciplinam militarem , q u ò faci of Finis duplex liùsmilites
pericula Aluminum, vel naualis belli, cùın opus fuisset, possent Naumachię
euadere. Sic Polybius refert Romanos primo bello Punico, quod aduersus
Chartaginienses gesturierant, militessuosinnaualidisciplina exercuisse. Et
SuetoniusAugustumcúm effetcótrà Pompeiumiturus, inportuIulioapud Baias milites
in nauali exercitatione tota vna hieme detinuiffe. Vel erat N a u jucundunfpe
Etaculum. machiævsusaddelectationempopuli,vtcæteraspectacula.Pluraenimerãt q u
æ præberent animo delectationem :primò aluei magnitudo, ac Cyrci c u 1 vivarium . blica. Quam (ut Festus Pompeius est
author) & natatum et exercitationis caussas duo . rat, gnum . xercitium,
tismanibus, accruribusaffiduè, vniuerfæcorporis exercentur partes.Qua Et Oribasiuseaminteraliaexercitationum
generaadnumerat. Imò Natationis in vrbe fuitprimus ,acantiquissimus vsus ante
balnea :quando scilicet conftitutæ fuerunt exercitationes in Campo Martio,vbiiuuenes
(te ste Vegetio) puluerem, sudoremque
detergerent, simulatque a d o b e n n d a machiafuerità Nerone constitutum.Vsumtamen
vtrunquepræftarepote Neronis no- sicut& de altero eius nominis meminit
Tacitus,claufifle Neronem in m i n e stagna valle Vaticani spatium, in quo
equos regeret, apud q u e n e m u s , quod navali iusdam OZ jusdamamplissimiforma,editaadcommoditatem
tantiludi,inconspectu maximæciuitatis. Deinde classisineam, etiammagnarumnauiumintrodu
Etio, & ludusipsecertaminis. Etdemum populicelebritas, & velipsaaqua r
u m copia, atque amænitas, m a r i s i n f t a r tranquillissimi. Et quæ apertis
e u ripistantamvimaquarun
vnohaustureciperet,laxaretquefinitospectaculo.Martialis inquo mouet
admirationem aduenæ Martialis,dum sicadulatur Domitiano.locus. Cui lux primas acrimunerisipsafuit.
Ne tedecipiatratibus naualis Enyo (Paruamora est) dices, hicmodò Pontuserat. Ex
quo plane authoritate colligitur, in Cyrcotammarisquàm terræcelebra In Cyrco
rispectaculadebuisse: vbimodòterra (inquit) modòPontuserat. Quod Naumachia.
Cyrci MaximisitusconfirmatinterAuentinnm montem ,& Palatinum de
pressus,inquemGabiusæaquæriuus,quemMarianam posteridixerunt,perGabiusaa
petuòinfluit na. na aqua,vtFrontinuseftauthor, quæ fapore,& crafficiemarinamaquam
AugustiNa 2 0 æmulabatur, in q u a faciliùs natat r, t e f t e q u o q u e
Aristotele in Problemati - u m achia: sub colle Hortulorum, ademiffarium aquæ Virginis.
Authore Sueto Domitiani. nio,quiasseritDomitianum circunstructoiuxtà Tyberinilacu
(inter Cain pum Martium scilicet& ipsum collem Hortulorum, vbi nunc iuxtà
Sanctito pluresessentqui exercerentur et quifrequentarent Thermas adca,quă Bal
spectaculaquàm quilauarentur.Eteodemtemporemagnahominum co-nearum.
piaexercebatur,&quivno,&quialioexercitiigenere. Atadbalneasin
trantiumcontinuaficbatsuccessio, nam cùm priores occupassentloca, reli qui (vt scribit
Vitruuius) circunstabant,dum lauarentur. Pleriquesani,ac robusti, poftquàm in
exercitijs incaluissent, nullisferè alijsvtebantur bal
neis(vtinfràmonftrabitur)nisinatatione.Quæ parsidcircoeratamplissi ma,& exercitationibustamsubdialibus;quàm
interniscommodissima. Ve lBalnearum transiffentdunt axat ad balneas calidas, atqueillicoegrelliinsiliebantinfrigisitus.
dam. Summa ergo artificijin balneishæc fuissevidetur, vt in locoessentquả
commodo omnibus seseexercentibus;acmirandiplanè artificijministerijs totaquarum
,calidarum simul,& tepidarum ,quæcontinụèexsefunderen turin balneas. Pro
commoditate, ac ratione lauationum, erant omnes ad Рpij meri Et parvndafreti,
hic modò terrafuit. Non credis ?spectes dum laxent æquora Martem. ropriè verò ad
vsum naualis certaminis, duæ fuerunt certiffi-qua Maria
inæNaumachiæ.PriinaAugustitransTyberim,adductâobidineamAlfieti
Sylueftriædesapparentvestigia) naualespugnasineo, penè iustarum Claf fiume didisse.
Luxuosissimus Heliogabalus, euripis vino plenis, naumachia Heliogabali. exhibuisse.
Tradit Lampridius. Sed nuncad partes balnearum proprias accedamus . De partibus
balnearum, esde Milliariis vafisin Hyppocausto. BÀLNEARVM veròinThermisnoneamvidemuscopiam,
quamde BВ exercitationum locis iam diximus. Ex quo planè videtur, quod m u l n
u m pluralo Exercitatio Siquisades longis serus spectatoraboris, bus. Alteraverò
et magis celebris, fuit naumachia, quam Domitianidixi . mus Apodyteriú seu
Tepidarium . meridiem,vndefolissemperillustrarentur,acfouerenturaspectu. Nam
tó: taeafaciesanteriorerat distincta in duos ordines balnearum, vnusàdextris
Hypocausti,&alteràfiniftris. Etvterqueordo distinguebaturinquatuor Cameras,
conformes vtrinque, ac ita collocatas, vt ex una in aliam Etuplatearum
àsitumeridionaliproposuimus,progressuferèad media pla
eratceùvestibulumregaleApodyterium ,seu Tepidarium .Quem lo mirabilem, meritò alterum
noftræ ætatis Trimegistum dixerim. Hinc fini Hypocaustús tror sumn modicus introitus
in Hypocaustum. Sive (vt meliusdicam) super Hypocaustilocum
,quirotundaforma,cumopportunishincatquehincmē Cryptoportibris, nuncprimisNouæEcclesiæfacelisdicatuseft.Totaeniminfràmoles
res. Aftuaria. darum, aliæ frigidarum aquarum ductus, alię calorum æstuaria, aliægrandes
tores (vt vocabulo vtar Iure consulti) curam succédendi ignem habebant in
Thermis. Eratautem vnicum, teste etiam Vitruuio: collocatum tamenin medio,vtcommuniseiusessetvsusvtrisquecaldarijs,exvnapartevirilibus,
30 exalteramuliebribus.Idqueperopportunaæstuaria,quierantmeatus ab Hypocausto perpetui,
vndecalores occulti in cameras caldariorumipsorum penetrabant. Quod tetigit in primo
Syluarum Papinius Statiusd. Vbilanguidusignisinerrat
dioplacet)æneatamenpatinasubiecta. Quorumidemeratnomencum ca meris
prædictis,vnum caldarium, alterum tepidarium, tertium frigidarių. Legitur item
Milliaria, a magna fortasse capacitate, quali plus millelibrarú aquæ caperent.Quippeidgenusvasa,
teste Vitruuio,maximi aheni inftar, actestudinataadcircinum ,itaerantcollocata,
utex tepidarioin caldarium quantum quæ calidæ exisset, infueret, de frigidario in
tepidarium adeundem modum. Atque hinc planum artificium est, in quot a n t
opere laborauimus, quomodo ad communeinvsumtantaaquarum copia exvafisfuppedi
tareturinbalneas. Quod restituoinlucem ex Seneca, quidum adLucillum
miradeliciaruminuentasuitemporisdetrectat,hocafferitobiter. Construiteam ,
huiusædificij, concameratainuenitur,acdistinctaaddiuerfosvsus. Aliæ Fornacato.
Criptoporticus erant patentes ad refrigeria in magnis caloribus. Aliä сali 40
IO CUS . 20 cum laxum, & hilaremdescribit PliniusadApollinarem, hocest,amænum,
acmollisteporis, tùmsolaribusradijsàmeridie illustratum;tùm proximi Hypocausti
vapore laxum :vbi nimirùm ingressuri ad balneas exuebát vestes. Qux
quoniamprimaerat, acnobiliffima Thermarum pars,nobilissimietiá numapparetartificij.
Figura inquadrumoblonga,achemicyclisquaquefa ciedistinctum,cum
aditisvndiqueintercolumniorum ,columnisquesuper
nætestudinisaltissimis,quætàmauthoris,quàmoperissummam maiestate ostendunt.
Vnde sapienter hæc pars , proposita est pro prima porticu Ecclesiæà Michaele Angelo
Bonaroto, quem pictura, sculptura et rchitectura cloacæ vnde lauationes exonerarentur,
& aliadenique Hypocaustum ,atq; Lib.s.c.10 Hypocaustimembra.EratergoHypocaustum
fornaxinferior,vbifornaca Aedibus,& tenuemvoluunthypocaustavaporem. Vasariatria
SuperHypocaustotriaerant compositavasariaænea, velplumbea (ut Palla Mincepice
Græcis hæc Mirsapíe, Latinis (vt apud Catonem, Senecam, atque Palladium folitum
aditus .Inmedio quidemerat Hypocaustum, vtrinqueveròinversuris La conicum, deinde
consequenter Calidarium,Frigidarium,& tepidarium,vt planèsingula explicabimus.
Principio contram Theatridium, quodinprospe pateret solitumin ipsis milliarijs
dracones, quæerant fistulatavasatubæ instarære tenui, perdecliuemilliariocircundata,vtaquadum
ados draconis con lis canales occultos, q u o r u m aliquæ visæ sunt reliquię
in eruendis ad nouam 2 0 ecclesiam m a c e r i j s: atque ex hinc aquas de duci
s o l i t a s in N atationes , i n F o n sicis organis n o n absimiles . Q u i
a d firmitatem quidem , ac robur faciebant Tubi etepi ipsis v a l ibus: simulatque
artificio ferès i m i l i q u o n o s hodie Romæ nymph e i s s t o m i a.
acviridarijsdamus velarcemusaquas,habebantfiftulasinfra parietes occul tas, q u
æ in cameras balnearum ,vbi opportunis locis essent epistomia, infun d e b a n
t aquas . Quod ex eodem Seneca non est dubium, d u m n i m i æ l a u t i t i æ
adscribit, quod continue aqua calida ex sefunderetur in balneas ,acrecens
semper, veluti ex calido fonte per cameras transcurreret. Et ex Galeno, vë iam
decamerarum dispositionibus dicemus. De Laconico, esde Solis Balnearum . RDINES
quidembalnearumin Thermisduosdiximus,vtrinque scilicetabhypocausto vnum testeVitruuio,alterumvirilium,alte
Balnea viri. rum muliebrium. Nam vtscribit Gelliuslib.io.cap.3.authoritateVar
ronis2.deAnalogia,Pudornon patiebaturvtrunquesexum simullauari,sed do liadoMu
aquarкт epis t o m i j s, fundebantur. Vbi nota h a r u m ductuum in Balneas
alterum arti 30fícium. Eranttubięne ierecti, tresàdextera et tresàsinistra milliarijs,
m u 40 glomerati specie plurieseundem ignemambiret, pertantumfueretspatij,vasis.
quantum acquirendocalorisatisesset. Quare triplex semper aqua invalis,
acinfinitæcopiæ, calida, tepida,frigida, nam successiuas vasexvase Caldarium
piebataquas.primum quidem,quod caldarium dicebatur,superprimavas.
hypocaustistraturacollocatum, tanquam omnium vasorumvalis, calfa tes, Dracones
i 10 са. Etasperdraconisinuo lucra fundebat aquas. Secundumsuperhoc erat
tepidarium, quod a primi vasis vaporibus modicè incalescebat. Tertium Fri-
Frigidariú. gidarium: vtpotequod frigidass tatimab emissario aquas capiebat et quan
tum subiecta vasa vacuabantur, tantum hoc nouarum aquarum infunde- batfinefine.
Emissarij verò huius obscura quoque ratio est. Nam vide-Emisariaa mus quidemad
Thermas ipsas propria aquarum Castella constituta: qualequarum· extatin Diocletianis
poft palestras orientali parte. Etin Antonianisàt ergo Theatridij admeridiein. Horum
tamen altitude nullibi excedit planiciem bal nearum. Nec vllus est modus, neque
artificij vllius vestigium, insummis Thermarum testudinibus, vndetam altè deduci
potuissent aquæ.Videturita que mihià proximisiliscaftelliscóstructosfuiffeinfràpauimentatotiusm
o Tepidarium lib.io.administris balnearijs veletiam iumento alligato, subleuatæ
aquæinsu ipsihypocausto piscinam infundebantur, quæs ponteposteàinsubie pernamn
rursusin Tepidarium ,& conse ĉtumFrigidariumcaderent,& exFrigidario ,
quenterinCaldarium ,velutidiximus. Vnde plenas emper vasa suis aquis
imumcalida, medium temperata, supremum frigida, quæ per fistulasencas hinc atque
hinc in quolibet vase compactas, versis ad vnum quenque actum Tympana Fistulę
aqua ac alias piscinas. Hinc, tanquam a communi fonte, per rotas ac tymparo t e
a c na, ac id genus alias machinas aquæ hau storias, quas describit Vitruuius
commoditas coniungi desiderabat. Quanquam in hisque post Varronis et post
Vitruvi j ętátem f a &t æ sunt , hæc distinctio non sit mihi ve risimili. Q
a n rum . liebria. do auctoritu exercitationum,ac lautitia
inThermis ,vix publicas potuisse virorum frequentiæ sufficere
videtur.Itaquepromiscuas potius ex eo tempo refuissereor,achonestismulieribussatisfecissepriuatas,velquasprincipes
Matronas constituisse iam scripsimus, Agrippinæ Neronis matris balneas, terke
inbal Olympiadis,atquealias. Cameræ in quoque ordine quaternæ, Laconicum,
Calidarium, Frigidarium et Tepidarium. Velternæ adminus :hoc enim non
videturdubitandum ,non fuisseThermas vno stylo vbique ,nequevno ordinepartium
et tam in publicis quam in priuatis. Et hinc in authoribus Celsus. Tanta earum inuenitur
varietas. Quaternas point Celsus lib. 1. cap. 4. dum scribit, Sub veste primùm
paululumin Tepidario sudare folitos: tùmtranfi- Galenus. re ad Calidarium, vbi sudabatur
largiùs, quod ponitpro Laconico: tumque aut in calidamd efcendere,autinTepidam
;deinde in Frigidam. Easdem C.i72ero qua λουτρόν Pyriateriit. Hypocaustü point Galenus
lib.10. .Methodi, a Laconico incipiens: Primùm enim inquit ingredientis inaë reversantur
calido:hinc secundò in aquam Calidam defcé dunt,quod propriè aoutcovait appellari.
Ab hac mox in tertiam Frigida ibár: & tandem in quarta sudoren detergebant
, quod erat tepidarium, seu Apo dyterium græce dictum. Inquo&
Celsusdicit,fenouissimèquiselauissent abstergere,& vngereconsueuisse. Quem
planèordinem& inhis Thermis, quarum videmus vestigia, seruatum inuenimus.
Extat Laconicum adsuda tiones inquoqueprimæfacieiangulo vnum , idquenonadeomagnum
,hu- 200 iusenim partis noneratvsus communis, nequeadeo necessariusomnibus,
vtquibus fatis ad sudandum exercitiafeciffent. Sed imbecillis proprius et
quiminus validiadexercitia,sudoreshocloco excitabant:subindeintrabát
adcæterasbalneas. Nomen autemdeduxità Laconibus: quos huncritum rium, Laconicum
veròc ommuniter omnibus, & Ciceroni quodam loco ad Sphærifte- Atticum. Suetoniusin
Vespasiani Cæs. Vita Sphærifterium hanc partemap- 30 rium . pellat à figuræ
rotunditate. Locus quippe concameratus ac rotunda fpecie,
Lib.5.c.10.habens,authore Vitruuio, inhemisphæriolumen,exeoqueclypeumæneú
cathenispendens,percuiusreductiones,acdemissiones perficeretur Suda Clypeus Lationum
temperatura, vaporibusnimirùm ficretentis,veldifflatis. Erat autem huius institutiratio,
vtfcribit Dion in Annalibus, vtfus è intrantesinhac par vfus: t e sudaret et
sub i n d e unctione ad hibita, statim descenderent in frigida. Quod planè
clarius ex Galeno fiet pofteà, ac à Martiali obiter tangitur in Hetrusci
Thermis, ad Oppianuin tribus versibus. tepidum tamen aquarum vaporem potuisse suscipere.
Proinde Celsusineo, affus dixit sudationes lib.z. cap.27. alibi exiccari dixit corpora:
Seneca exani tos .primò instituise,
Plutarchusin Alcybiadis Lacedemonijvitaeftteftis. Græ Calidarium. cialiquando
Ilupice Supo's,& nonnullisuTorw50sdictum,ob igneum ineova Sudatorium.porem
:Latinis modo Calidarium ,inodò Cella calidaria,Senecæ Sudato Laconici coni,
ncis. mari, ritus si placeant tibi Laconum Contentus potes arido vapore
CrudaVirgine, Martiaquemergi. Vaporíqua Virginem dixit, &
MartiaminhisbalneisRomanasaquas,blandissimifrigo litas in Laco ris. Videtur
autem Laconici aërem ,siccum quidem fuisse, atque igneum, Bico. Galenus &
alijmediciinterdum elixari, Oribafius planè aëreferuidu dixit , ac præhumidum i
n Laconico . Quod rationi consonum sit. Nam ex æstuarijs, partim quidem siccis,
ex quibusiaindiximusabhypocaustooccul 10 su tenui calore, diceba t Galenus x . Methodi,
reservatis vniquem eatibus, liquatisque per totum corpus superfluis ,sudores, vtilesquemadores
clicere, quæ inęqualias untęquare, cutimlaxare et multa quæsubhac detenta
erant, vacuare. Ex Laconico patet aditus i n Calidarium, quod proprie Calidum So
aoutpór, hocestlauacruindicitur, eodemteste,& calidum Solium. Patetau-lium.
tem hæc pars,duplex magnitudine ad cęteras cameras :vt cuius in balreis maior erat
necessitas, longior in e o f i ebat mora, ac usus frequentior, præsertim
minusvalidis ac imbecillis. Vbi meminisse oportetex Celli verbis, quæ pau Halat
& immodicosextaNeronecalet. Mox tertiolocoeratFrigidarium
,seuFrigidumSoliuminquo aquaexquisi. acviresdensatacutifirmarentur. Qui enim, subdit,hoc
modo àcalidislaua- Vlus. tionibus, sudationibus que laconicis ftatim in frigidam
non descendissent, Paulo post transpirato immoderatius calido innato,totum corpus
frigidius euafiffesentiebant.Quodfanèfrigidælauatiofieriprohibebat,totum semel
corpusconftringendo,&constipando,nonsecusatqueaccideresoletcalen
tiferro,quod quùm infrigidammittitur, & refrigeratur,& induratur. Atque
huius rei causa potissimum constatinuenta fuisse balna, pro imbecilliu vm i
delicetcorporumrobore: hoceftvtimbecilla corporapræcalfacerent, itaque ad frigidum
Soliumpræpararent. Adeoquepræualuitsemperfrigidarũvsus,Frigidarum 40vtvixquidam
alijsbalneis vterentur. Carmis Maffiliensis Medicus, etate Neronis prerogativa,
scribit Plinius lib. 29. cap. 1. damnatis prioribus Medicis, ac balneis,
frigidalauarihybernis etiam algoribuspersuasit. Merficęgrosin Lacus.Vide
bamussenes consularesin ostentationem vsquerigentes. Ex frigido tandem Solio erat
exitus in Tepidarium, tepidiscilicetaëris,q uod diximus apodyterium, sive spoliatorium.
Etcratfinisinbalnco.Ancè Tepidarium tamen Cella olearia in Diocletianis commodè
est ut videtur Cella Olearia, eademque Tonstrinæ na. tôs penetrare ignes
in cameras, partim aqueis per suostubos ac spiracula, v a pores misti ad hemisperium
Laconicipetentes,sub curuatura magni clypei
intenuiffimasconuertebanturaspergines,quæimbrium modò super capita Facultates.
corum ,qui morabantur in Laconico depluebant. Potest autem hæc prima pars lo
ante retulimus ,vel in calidam fieridescensum , vel in tepidam , & quali ad
uno, tenore vtentis arbitrium potuisse temperari. Et Galenus in 3. de an, t u e n d a idem videtur asserere, nimirùmquòd
in Calido Solioaqua, exvafisquæ diximus Miliariorum calidis, tepidis ,ac frigidis,
poteratadvsum trifariam tèfrigida, ad hunc videlicet vsu minquit Galenusx.Methodi;vtquæ
fuerantFrigidum.So fòexcalfacta fiue'in lium., anterioribus Solijs, fiucin
exercitijs, hicrefrigerarentur, An balnea calida . fieri, tepidam, aciusto
calidiorem. Quam tamenva ri, nempè temperatam lauationibus, sed in priuatis,vel
non videopotuissefieriinpublicis rietatem , parabatur à Balneatore aqua advsum
pu adpriuatosvsus. Nam in Thermis compara LO Aeftiuo serues vbi piscem tempore
quæris. fortas selocus,vbinimirùmoleaseruarentur,atquevnguenta do Tonstri
,aliique odo blicum,vnotenorecalidaomnibus. Quod declarant authoritates scripto-frigidæ,
alia rum, quialias Thermas appellant frigidas, alias blandas, alias fervidas. Vei
frigidas significauit Martialisinprimo Epigrammatum. In Thermisferua Cecilianetuis.
Idem inx. Neronianas indicat fuisse calidiffimas, eo epigrammate. Temperat hæc
Termas nimios priorhoravapores res cal d a Therme alię resad opportunosvsus,&
quivellentbarbæ,& capillorum cultuivacarent. Unetiones in Eratautem hæc pars
vn ade necessarijs, acessentialibus (ut ita loquuntur) in Thermis, toto ritu
Thermarum, quandohiçmoseratcommunissimus,vtquisque lo tus,simplicis faltem
oleivnctionevteretur,tùmvtsudoresinhiberet,tùm
vtfeabextrinsecùsambientisiniuriavendicarepofset. Hunc enim tenorem in omnibus
ferè,quę hùc sparsim adductæ sunt,authoritatibus obseruabis : primùmlegiturexercitium,deindebalneum,vbifrictiofiebat,&
detersio, inoxstatim frigidæ lauatio, pofteavnctio,posteacibus&
potus,vltimòso mnus. Proinderecolome legissepluriesinvitisPrincipum, ficuti ntermu..10
Oleimunus nerapublica erat Congiarium,erat Recta, erat Sportula,itaoleum
aliquan publicum. do publicè donatum , quoin communi velutigaudio,quisque
frueretur in balneis.Nimirùm vel Thermiscùmprimùmdicatis,velfaftualiquoPrinci
pis.vnctionum verò,quasquisquesibipriuatimdeferebatadbalneum,luxus
legiturinestimabilis.Quidelicatèviuerent,velimbecilles,odoratisvnguen Balnea con
- t i s r e f o u e bant spiritus. Quosdam legimus iu f f i s s e s p a r g i p
a r i e t e s unguento. spersa vn-Vtfimul (equidem puto) & lauarentur, proiectisinalueositaimbutosaquis
ipfis, & vngerentur, fic penetrante exactiùs vnguento, & odorem, virtu
temquesuam diutiusseruante in corpore. Atqueita Caium Principemsoli tum lauari,
testisest Suetonius. Scribit Lampridius Heliogabalum nunquá inPiscinislauarisolitum,nisiillæcroco,
aliisúepreciosisvnguentisperfusæ fuissent. Velplanè conspersiseo modoadluxum
parietibus vtebantur,vedu quis se parieti confricaret ( quod aliqui facere
folebant, vt apud Spartianum in Hadrianoleginus)sineministris,acetiam proprijsmanibusperungilice
Balneton ret. Neroautem profusissimus non folùm calidis balneass pargebatodorib.
guentipre-sed& frigidis quoque vnguentislauabatur, fcribitPlinius.'Recensenturau
ciosi. tem hoc in generepræciolamulta,quæ (Galeno teste) Romanorum lauritia
Olea, etvn- inueniffevidetur: vt Mendelium, Cyprinum, Narcissinum, Susinum, M e
guenta pre- galium factum ex balsamo, Regale apud Reges Parthos primò
comparatum . ciofa. Nardinumquoque,quod& Foliatumdicebatur,Plinio:&
alterum Spicatú, QuodidemNardipisticæpræciosivnguentum
legiturinEuangelio.Etitem30 Iasminum oleum
,quododoriscaufla(vtteftiseftDioscorides)non inbal
neissolùm,verumetiaminterepulandum apud Persas,vsurpari consueue. Unguenta in r
a t . Dono , e q u i d e m o p i n o r, et in Xenijs. Quem morem d i u Spartanos
, at conuiuijs. Quelonasretin uiffe narrat Valerius quę, Plinio teste, Diapasmata,quasi
conspersoria dixeris, Cyprini pulueris
instar,quohodievtimurodoratissimi;dequoebriam,putidamq;Felceniam
illuditMartialis in primo Epigrammatum , eo carmine. Quid?quod
oletgrauiusmiftumdiapasmatevirus? Apodyterií Vt redeamus ergo ad cameras, Apodyteriumerat
principium, & finisinbal gues. 40 M a x.lib.2. vnguenti, coronarumq uein
conuiuio dandarum, secundismensis.Erat& Oenanthinuminter præciosa. Quorum similia
aliqua apud Paul. Aeginetam legimusvnguenta,atqueolea. Multaquei d genu salia apud
Plinium lib.13.inalabastrisferuarisolita:nunc omnia rarissima, aut que d a m
sub dititi a, vel adulterata, tantæ verò e a tempestate copiæ, vevsuscorum ad
vulgares quoquede fuxerit, quodserioarguit Iuuenalis . Moechis Foliataparantur.
Diapasmara Ad sudores autem propri c o
hibendos, quæda m ficcis constab n t odoribu , neo; eôdem nimirùm
reuertentes, vbiantèbalnearum vestimentacõsignal sent.Idemqueex Galeniverbisplanèintelligiturx.Methodi:hicenim
dum cunctarentur,actergerentur,corpusadhucpersudorem ,innoxiè,accitrà
refrigerationem vacuabatur,acinnaturalem redibatmediocritatem. Porrò vana
quorundam controuersia est, ponereAuicen.trescasas(itaenim interpretantur) in
balneo, easque long è aliter dispositas, quam diximus. C u i b i l. cnim dubium
non fuisse balneas vnost ylovbiquenequevno ordine? Defijf setamen pariterapud Arabes
hunc ritum, testator Auerroes in Canticis, acBalnearum
nonmirùmimperfectastùmeoshabuiffebalneas, Nequeinantiquiffimisanidemsły
10exempliseadistinctioquærendaeft: quando Hippocratisætatenon adeori tè balneaparabantur,
quod & ipseinnuit 3. De ratione victus in morbis acutis. Neque in priuatis multo
minus, quas Galenus aliquando perinde damnat, acincommodas, Depensilibus balneis,
ac balneariis rebus. Uenire potuirationem .Nam si Pensiles balncas intellexeris
sublime salueos, Pensile quid & quæ fu per solario locatæessent, idmagnuninoneft:
ficut & Hortospensi lesvidemus, atquehorrea, acmaiusopus, Thębas Aegyptias pensiles
fcribit Plinius. Audiuiqui id artificiumattribuant Laconico, ècuiussuspensura
lusvbique. ENSILIVM veròbalnearum,celebreduntaxatnomenperuenitad nos , fuis se
eas inter maiora illius seculi blandimenta : cæterùm Cap. xi. n a m e a r u m
fuerit ratio, non facilè ex aut ho r i b u s colligitur. Ponit Valerius Max ,interluxuriæexemplalib.9.
CaiumSergium OratamPensiliabal quæ Auicenna neaprimum facereinstituiffe. Idquet
radit Plinius lib.9.cap: Pensilibal 54.L. Crafsi Ora- neurum inui
torisetate,parum anterempub.occupatam.Queminteraliasvoluptates,& torSergius
Ostrearum afferitinueniffe viuaria, nec tamgulæ causaa, quàm auaritiæ, vt Orata.
Quiitamangonizatas vendebat villas. Eadem testator Macrobius3. Saturna lium
cap.15. Porrò venisse eas in gratiam popularem planè oftendit Plinius
lib.26.cap.3.Asclepiadis NeronisMediciçtate:vrbe,inquit,imòveròtota
Italiaimperatrice,tum primùm vsu balnearum pensiliadinfinitumblandien te. Extat
& Annei Senecę censura ad Lucillum,dePensilibusbalneis:qua
vaporesconuersosintenuesaspergines,imbriummodo Aqua pensi supercapitacorum, lis.
q u i lauabantur, depluere diximu s. Vel quem ad modum Aqua Pensilis dicitur z Fluvius
p e n & Auuius Pensilis, ita id balneum Pensile fortasse intelligendum, exquodi-filis.
ximus (authore Seneca, atque Galeno) calidas perpetuò aquas, vel quales
quisquevellet & tepidas & frigidas, velut ex calido fonte depluere,
actran {currerepercameras. Verùm nihililliusblandimentivideoinhis,quam ob rem
populus eascum tanto applausu receperit, & quæ ad authorem adscri: bantur voluptuosiffimum.
Pensiles ergo balneę haud publici videntur fuisse vera balnea instituti, sed in
priuatis extitiffe. Vtquæ priuatum habuêre authorem , & pri-rum Pensi
uatamc aussam ,nempèinuentæaddelicias. Necvllumvestigium,nulladeliurnrutio. Hisin
Thermispublicismentiohabetur, Earumveròrationem, inquatanto.
perehesitaui,elicioexeodem Plinio, cuidererumantiquarummemoriapri ma
laussupercæterosscriptores,meritòtribuendaest.Pensileenim dicitur rum inqnit
suspensura inuentaest,vtnequid deesset adlautitiam. Hæc ha 3 benturde inuentione,
atquedelicijs Pensilium , quarum tamen non facilèin 40 P suspen
suspenfum,& mobile: qualesipfememinit lib. 19. cap. 5. Tyberij Cesaris
hortos Pensilesmiræ voluptatis,quoshaudquaquam ponitsupersolariolocatos,
sedsuspensos,& mobiles, quos(inquit)singulisdiebuspromouerentadso
lemrotisolitores. Quod idemclarainbalneis authoritate exposuit lib.26.
сар.3.dum Cleophantum Medicum commemorat, authore M. Varrone, alia quoque blandimenta ex cogitaffe,
iam (inquit )suspendendo lectulos, quo rum
iactatuautmorbosextenuaret,autsomnosalliceret. Iambalneasaui
disfimahominumcupiditateinstituendo:easdemscilicet,&suspensas,vtdi
xitlectulos.Quam fententiam confirmantquæmoxpaulòsubiunxitverba, quæ
allegauimus; Anxiam nimis fuisseAsclepiadis, & quorundam eum se."
quentium curan ,tum primùm Pensili balnearum vsu ad infinitum blandien te. Easdem
& balnearum suspensurasdixitSeneca. Et ValeriusMax.impen
faleuibusinitijscępta,suspensis calidæaquæ balneis. Vnde fiiam mente co
cipiasvidere hominem inbalneo Pensili,velęgritudine debilem,vel volu
ptuofævitæ,çuiusdulcitepore,acleniiactaræ,& nęnijs,& dulciconcentu
tibiarum,somno& quietiindulgeretur,iamnihilpoterisexcogitaresuauius.
Leftuli non Ex quibus intelligitur, neque lectulorum ritum in
publicisextitisse:sed ho erấtin Therrumquoq;, vtPensiliumbalnearum,priuataratioeffedebuit,maximèegris.
mis. Vtensilia in Neque particulariumquorundam vtensilium ,quorum in
balneisaliquando xandrinusPedagogij
lib.3.cap.5.consueuiffenobilesanteferreadbalneasva sainnumerabilia, aurea,atqueargentea,quorum
hęcquidem adlauandum, illa ad vescendum, alia ad propinandum. Quin etiam
carbonum craticulas, Syndones.
&cathedras.Syndonestergendosudoripræparatas,maximèægris,memi-.
nusfitpedesdenos,vtgradusinferiorindeauferat,& puluinusduospedes.
Labrainvr-Hactenus Vitruuius. Quare, vtarbitror, labraistalapidea,quæmultavide
bemarmo-muspervrbemmaxima, vicenos& ampliuspedeslongitudine, erantfortaf-40
s e i n priuatis balne s. Vel aliqua fort af f e in Thermis ad magnificentiam
potius operis, ac ornamentum, quàm advsum. Alioquia d publicum vsum nó videolocum
,nequeadeofuiffevidenturcapaciapopulo. Pofteàvitroquæ dam extructafuiffeconftat.
Pauimentorumautem, ac Lythoftrotorum, quibus alveos, atque ipsas cameras a d o
r n a bant, luxus erat inæstimabilis. Quod certe inuentum Agrippæ tefte Plinio lib.
36. cap. 25. In Thermis, inquit, quas Romæ fecit Agrippa, figlinum opus encaustopinxit,
in reliquis albarioador Sufpenfabal nea, Thermis . mentio fit, quæ pueris
voquisque domino ad balneum ante ferebant. Ut de strigili, quo sudore in detergebant;meminit
Persius eocarmineIronico. Strigiles Ipuer,& Strigiles Crispiniadbalneadefer.
Inęgristamen prostrigilibus,quierantvelofsei,velferrei,velargentei,spon
giavtebantur,Galeno testex.Metho. Idgenuserat& Guttus,quodLe
cythumquoquelegitur,inquoferuabanturoleuni,velaliavnguenta præ 20 30 rea, ciosa
ad balneum. Hydriæ, pelues, alabastri, aliaqueid genusvasa, exau
Vasaaurea.ro,argento, ferro, velinterdum lapidibusquibusdam. Refert Clemens Ale
Labra , nit Galenusx. Methodi. Labraautem ex Vitruuio,& vestigijsipsorumal
ueorum videntur fuiffe extructa in cameris signino opere , atque albario : sic
enimlegiturlib.5.cap.1o. Labrumsubluminefaciendum videtur, nestan tes circumsuisvmbriso
bscurentlucem. Scholasautem labrorumitafieri oportetspaciosas, vtcùm prioresoccupauerintloca,
circumspectantes reli quirectèftare poffint. Aluei autem latitude inter parieten
& pluteumnemi nauit. O nauit. Non dubi èvitreas facturus cameras, fipriusi
dinuentum fuisset. Libro autem3.cap.12.visasolimscribitBalineasgemmis,acargentostraras,vtnevitres
ca vestigio quidem locus esset. Argento fæminas lauari solitas, argenteis
folijs, meræge m Afiaticori sum missem perin delicijs fuisse apud omnes nationes
oftenditur, hanc par mirans, hydrias, pelues, vnguentorum odores, &
alabastros, cunctaauromaditißimg 20 lita, ac miro ornamento instructa; ad
socios conuersus , & quasi nimiunı il DeritibusantiquisinThermisvrbis. Primis
ergoThermarum ,ac Palæstrarum institutis,jam partium earum principalium
distinctiones,necnon requisitaad earum vsum magis necessaria tetigimus. De
Ritibus verò in eis, atque ordine publicaemolumentum, quoniam per hæc
oblectamenta, assiduafiebatin gymnasijs frequentia,acvarijs,quasdiximuscorporisexercitationibus
af suefiebat iuuentusad armorum industriam ,vnde faciliùs posset militiæ labo
res,quando hæc erantprimailliusfeculiftudia, sustinere. Hûc accesserat&
alia causa, quoniam qui tepidescere quodammodo ab honeftis conatibus
cepiffent,perhas delicias retrahebaturà vitijsanimi, sicqueocium, quod
eftomnium malorum fomes, tollebantur, feditionesarcebantur, & omnes
populares corruptelæ. Ex quibus triainter communes ritus videnturesse
manifesta. Primùm si vetustam illam verecundiam, ac Romanum decusrespicias, summam
inThermishonestatemfuisseferuatam. Simaiestatempopu li,omnia ineis fuisse magnifica
& splendida, velutidiximus, & quæ nolentes allicerent, atque etiam
traherent. Sid enique communem causam. Communem, ac liberum earum vnicuique fuiffe
usum. Erat autem hæc balnea- Thermecó. Rum condition communissima, vt singuli balneum
ingressuri Quadrantem solmunes. Uerent balneatori. Quodplanèaliquæpræclarædeclarantauthoritates:
pri Quadrantis mùm M. Tullii pro Cælio, vbi quadrantariam vocat permutationem balnea
em concludam. Asiaticos durante suo imperio luxuofiflimos fuisse, acexeis
Thermalu A Fines, etvti &, probrisseruisse. Pauper fibiquisquevide
eandeinque materiam & cibis seexercentium,aclauationum,haudmirum
esthæcinstitutasempermaioré mis,acar litatesprin habuisseprogressum
;siconsideremus non folùm hincvitæ cip.ilesTher 30 seruare consueuiffe ,
fanitatem elegantiam eos , & roburcorporis;sedquod maius eftinre ز
gëtostratę. Baturacsordidus (scribit Seneca ad Lucillum) nisiparietes balnearūmagnis,
a c preciocis orbibus refulsissent. Alexandrina marmor a Numidicis crustis distincta,
operose vndique, & picturæmodo variataçircunlitio, Vitroconditæ cameræ. Aquainper
argenteaeffundebantepistomia, & adhuc (inquit) ple beiasfiftulasloquor. Relinquocum
hisstatuasillicęternitatidestinatas, operatectoria,picturas, speculariorumlapidumluxus,
quiantècameras præbe bantlumina, & columnarn mingentium numerum, alia quetantioperisor
namentasinefine. Atque hocvnotantùmPlutarchiexemplo,quobalneas primùm ad Gręcos,
& exindeadRomanos huncmorem balnearumema nafse,apud veterum
historiarummonumenta clarum est. Cùm ergo Alexa der Magnusdeuicto Dariorerumtandem
Persię, ac imperijeius potitusesset, balneumque, vt sudorem pugnæ leuaret, ingrederetur;
aquarum ductusad-Darij Ther ludens luxum, Hoccine (inquit) imperare erat. Torifieri
solitam . Indicat & cocarmine Horatius, folutio. 1. Saty.3. Qq dum
xuofiffima. Nuditas in Redde pilam ,sonatæs Thermarum ,luderepergis? Verecundi
ase nudum quisque in balneas exhibere ,& etiamin exercitationes. Cuiusreiinteraliafidem
faciuntstatuæ, præsertimvirotum,inqui bus videtur minuere potuisse corporis
gratiam, ac venustatem, si non pudenda etiam fimpliciterenudataessent.
Nonnullitameninterexercitationes, autfuccinctafibulaprodiresolebant,autsubligaculis,quæ
& subligariavo nihil foluiffe videntur :teste Iuuenali Satir.2.d. Nec pueri
credunt, nisiquinondum ærelauantur. Quorum tamen priuatafieret lauatio, hora
extraordinariaquæeratpoftde cimā, ij pluri precio lauabant, quod indicate o
carmine Martialis lib. 10. Balneapostdecimanılafo, centumq; petuntur
Quadrantes, &c. incommunitamen gaudio, erataliquandohocmunus interalia Principum,
ut gratis lavaretur. Antonini Pij exemplo, quem balneum sinemercede prestitisse,
meminitIul. Capitolinus. Sive ergo proveter iinstituto, fiueproso Sub ligaculo cabant.
AuthoreM.Tullio1.offi.Scenicorum mostantamhabetveterisdi rumvfus. Sciplinæ verecundiam,vtinScenasinesubligaculoprodeatnemo.
40 Tecta tamen non hac ,qua debes partelauaris. .promi-Cæterùm cum
haclicentiabalnei,videturdiuadmodum perdurassemulie. Eal. Mulierum verecundiam,quænon
promiscuècumvirisintrarentinbalneas,nisi perabusum .Hinctotpriuatarumbalnearumnumerus.Etquædam
viden uerecunda. Subligar. E.. dum tuquadrante lauatum 14 .annum, Lauari.
Cædere Syluano porcum, & quadrantelauari. Pueri tamen antè Fibula . Bal
Rexibis,&c. Vituperanseum Principem,quivtvnusdemultisqua drāte lauaretur.
Idem Iuuen.authoritate confirmatur in 6.ybi mulieres quas d a m a r g u i t i m
pudentiæ, q u æ c o m m uniter cum viris auderent, inquit ips e,
lutamercede,hocmanifestumest,commune,acperpetuum fuissein Ther Locai Thermis
indultum ,vtlocus inbalneo, cuicunque tam primati,quàm plebeio co mis commu
munis esset , atque indifferens . Ex quo intelligitur Tertulliani similitudo
nia. aduersusMarchionem, QUASI LOCVS IN BALNEIS: quiavidelicetnul li e x merito
datur, necto l l i t u r locus in balneis, iam gratuito constitutis, & T
intinnabu - ad usum publicum. Erant autem tintinnabula in Thermis summo quo p i
a m fasti g i o p o s i t a , fære factitio conflata, quorum s o n i t u populum,
sicut i h o d i e adfacra; conuocari lauandihoraeratsolitum.Tintinnabuluminter Xenias
exhibuit Martialis, eo disticho. Virgine visfolalotusabire domum? Facitadeandem
licentiam Suetonijauthoritas, D. Titum Cæs. admissaple Secum plebebenonnunquamin
Thermissuis lavisse. Et Aelij Spartianialia, Hadrianum
Cæs.tamprobatævitæ,publicèfrequenterselauiconsueuiffecum multis, verecundia
etiam priuatis . Inuafiffe enim consuetudo videtur,ex affiduis il
lisexercitijs, inbalneis.
vndefolutohabitu,acseminudiplerunquehominesdegebant,vtnonesset Idem affirmatquodamloco
Clemens Alexandrinus de athletis et martialis si pudor est, transfer subl igar in
faciem . 10 la. Reges lauif. invil. bres . uaret .d. Dum ludit media populospectantepalæstra
Delapsa est misero fibula verpus erat. Et lib.3. Chionemnotat verecundiæ, quæmuliebriainbalneis
contectala tur publicæ fuisse muliebres, ut Agrippinæ Augustæ Neronis
matris. Olym piadisitem balneæ in Suburra. EtquastransTyberim, quasiextràconspe
čtum hominum habuisse Ampelidem,& Priscilianam ex P.Victorerecensui mus. Conqueritur
hac de caussa insuis Amatorijs Propertiusnon eam esse tum Romanis virginibusin balneis
libertatem, quibuscum more Spartano publice liceretcertare, & lauari, hisversibus.
Sed magè virgine itot bona gymnasij. Quòd noninfamesexercetcorporelaudes
cepsbeneinstitutę Reip.lapsus) totossingulisdiebuslauaricepisse.Invniuer 20sum
, qui cunquein exercitijsfuis, autlaboribusdefatigatieffent,vixfanam vitam
putassent, nisibalneasstatimintrarent, vbisudoré,fordespulueremq;
detergerent,acintotum semolliaquarumfoturecrearent. Quoplanèfit,veSeptiesquos
dam lauari. mirumessenondebeat,nequeluxuiadscribendum,quodquidamsepties eadem
dietum lauari consueu erint, quod Plinius in primis refert. Ac posteri scriprores
Commodum Cęf. et Gordianum idasseruntfactitasse. Sicenim intelle
xêrequotienscunqueexercerentur,laffitudinisacrefrictionisvitarepericula,
obstructionestollere,cutis afperitateinlenire,faciei,manuum ,ac vniuersi
corporis decorem conciliare. Erant tamen lauandi horæ constitutæ . Scribit
Lauandiho I ul. Capitolinus antem Alexandri Severi tempora numquam Theri n a s
an t è a u 30 roram apertas fuisse, & semper antè solis occasum claudi
consueuiffe. Communiterv erò lauandihora erat a meridie ad vesperum, quando (inquit
Vitruvius lib. 5. cap. 10) maxime calidæ
auræ a spirare incipiunt. Cu i o m n e s a l i æ authoritates consentiunt . Hadrianus
Cęs. (inquit Aelius Spartianus) ante horam octauam inpublico neminem, nisiçgrum,
lauaripassus est: quod erat duashoras poftmeridiem .Vbi operæ præciumest Horarum
apudantiquosHorologiri rationemhabere,quidiemartificialem
quolibetannitemporedistinguebanttusapudan horisduodecim
,&no&tenipervigilias. Horæergoerantinęquales,maiorestiquos.
estate,quialongiorestuncdies;minoreshieme,& proportionecæteristem
poribus.Haud tamen intelligendumest cosà prandiovsosbalneis fuise: Prădijetcę
Nam communiter vir Romanus impransus, autientaculo tantùm primoma-navfus.
nerefectus,bonam dieipartemimpendissetnegocijs:mox àmeridie,àsexta nimirùm ad
decimam horam ,exercitijs & balneo ;à balneo autem ,circa vi
gesimamscilicet& secundamhoram ,cenabatopiparè.Quam dieiatqueho rarum
partitionemconquisitèin eo Martialis epigrammate comprehensam habemus.
Primasalutantes, atquealteracontinethora, Exercet raucos tertiacausidicos.
Martialis ma 10 CO, Multa tuæ Spartemiramur iura Palæstræ, Inter
luctantes n u d a puella viros . Refert Plutarc husinterlaudabiles
Catonisillius Cenforij mores,hocsum- verecundiă ma:laudiilicefliffe, quodcùmfilionunquàmlauisset.
Imò Val. Max. fcribitinterafines. deinstitutisantiquis, necpatercum filiopubere,
necsočercum generis lauabatur. Quia interista fancta Vincula, non magis quàm in
aliquo sacra tolo nudaresenefasessecredebatur. Sedtranseamusiamadeosritus, qui
com inunivsuretinebanturin Thermis. Perinitiainstitutihuius,narratSenecaad
Lucillumconsueuifseveteresquotidiebrachia,& cruralauare, totosnundi
nisfolùm. Cæterùm poft Magni Pompei ętatē (cuiusmemoria notatur præ ra. Qa ij
Ad quintam variosextendit Roma labores, Sexta quieslafis,septimafiniserit.
Sufficitinnonam nitidisoctaua palæstris, Imperat extructos frangerenonatoros.
Hora libellorum decimaest Euphememeorum, Temperatambrosias cùm tuacuradapes.
Octavam verò dieihoram fuisselauationibus propriam ,tùm publica,tùm pri M.
Tullius, uata t e s t a n t u r exempla . M. Tullius scrib i t a d Atticum d e
Cesare: Ambulavit inquitinlittore,pofthoram octauamin balneum, vnctusest,
accubuit,edit, bibitq;opiparè. Horam & distinctionem temporum
aliquamadnotamusex Galenus, Galeno v.deSa.tuen.d. Antoninus Imp. cognomento
Pius, ad curam corporis promptifsimus, subbrumabreuibus, f.diebus, sole
Occidente in palestram ingressus, sub indeole operun & tus lauarierat solitus:
in Solstitio autemhora Thermehie-nona, autfummumdecima. Porrò quod legitur apud
aliquos authores,Ther males, eteftimasaliquasfuiseHiemales,
aliquasAestiuas;hæcnoneratcommunisom niumdistinctio,sedquarundam
àcertocoelisitu dispositio. QualesHiema lesfecissetraditVopiscusAurelianum Cæs .in
Transtyberina regione; nimi rum ad meridiem expositæ ,apertè solis fouebantur
aspectu, itaq; ad hie males exercitationes aptissimæ. A e quaratione A estivas
in Gordiano Iunior e meminitIul. Capitolinus, quæ in opaco fit uinter montem
Celium & Esqui Bal.vfuspe-lias,gratas estate exercitationibus præftabant
vmbras . Alioquî penes anni nesannitemtempora,vixvllaeratlauandidistinctio,sedbenèpersonarum.
Nam qui cun que lavaban t u r a d exercitium, in different e r t a m h i e m e,
quam estate lauissent, quandocunquescilicetexercerentur.Sanitatisverò&
mundicieicauf sa:quandocunque opusfuisset,velad priuatamcuique consuetudinem,
vt de Telep o Grammaticom e m i n i t Galen. v. de San . t u . qui lauari
consueverat hieme bis mense, estate quater,medijs verò temporibus ter. Et de Primigene
quodam philosopho, quiquadienonlauisset, febricitabatomnino. Adde
liciasautemacvoluptates,velme tacente, priuataquoqueratio essedebuit, 30
&citràvllamaut regulam, autmensuram. Vnde Meridianælauaționes le
Lychniinguntur, atqueetiam antemeridianę,& vespertinæ. Necnon Medicine
introductio. xi,trimixi,polymixi, idestangulorum &luminum
,vnius,duorum,trium, plurium, Devrilitatibus Balnearum esquandoprimum
Dalnceinvfum Medicinavenêre . seruatur;nonaliam legimusfuiffeRome
Medicinamsexcentisannis, quàm balnea. Quod teftatur Pliniuslib.
29.cap.1.Receptos primùm èGræcia Medicos L.Aemilio, M.Licinio
Coff.vxxxv.VrbisRomæ anno. Quádoqui dempetrarierant, nisiquiob cæliinclementiam
crassarenturmorbi.Nam quæ exmalovitæregimine, acextermis causiseuenirep. Andrea Baccius.
Andrea Bacci. Keywords: i bagni dei romani, De thermis – thermal baths –
philosophy of thermal baths – implicatura ginnastica – le xii pietro pretiose –
storia naturale del vino, bacco – terme romane – il vino e la filosofia, bacco
ed Apollo, le xii pietre pretiose per ordine di dio I sardio II topatio III
smeraldo IV barconchio IV saphhiro VI diaspro VII lingurio VIII agata IX
amethisto X berillo XI chrisolito XII onice – tevere, le tibre au louvre, i
vini. Thermopolium romanum – illustrazione – incisione terme romanae – natatio
– piscina – ginnasio, mercurial, arte ginnastica. -- Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Bacci” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51790323713/in/dateposted-public/
Grice e Badaloni – colloquenza – filosofia
italiana
(Livorno). Filosofo. Grice: “I like Badaloni; he never took the ROMAN story of
philosophy – I say story since history, as every Italian knows, is too
pretentious! – seriously until he had to teach it! “Storia del pensiero
filosofico – l’antichita’ is my favourite – because he does his best to
understand Plato’s pragmatics of dialogue as misunderstood by Cicero!” -- Nicola Badaloni, Sindaco di Livorno Durata
mandato19541966 PredecessoreFurio Diaz SuccessoreDino Raugi Nicola Badaloni (detto
Marco) (Livorno). filosofo. Di spiccate convinzioni marxiste, è stato uno
studioso di Giordano Bruno, Tommaso Campanella, Giambattista Vico, Karl Marx,
Antonio Gramsci. All'attività di ricerca
e di docenza presso l'Pisa, dove è stato Preside della Facoltà di Lettere e
Filosofia e ha occupato dal 1966 e per molti lustri la cattedra di Storia della
filosofia, Badaloni ha affiancato un'imponente attività politica nelle file del
movimento operaio, ricoprendo per molti anni la carica di sindaco di Livorno
(dal 1954 al 1966), di presidente dell'Istituto Gramsci, nonché di membro del
Comitato centrale del PCI. I suoi contributi storiografici, salutati fin
dall'esordio dall'apprezzamento di Benedetto Croce hanno messo in luce autori
considerati minori e pensatori inattuali (Niccolò Franco, Gerolamo Fracastoro,
Giovanni Battista Della Porta, Herbert di Cherbury, Antonio Conti) rinnovando
radicalmente, attraverso una collocazione nel contesto storico, grandi figure
viste dalla storiografia idealistica precedente come immerse in una «solitudine
metastorica». Storicismo e filosofia
Nella presentazione dell'ultima pubblicazione di Badaloni nel 2005, Remo Bodei
ha sostenuto che il marxismo, lontano da ogni vulgata, conserva, per lo storico
della filosofia toscano, la sua capacità di strumento di comprensione del
mondo, di erogatore di energie di cambiamento, di guida per lo sviluppo di una
prassi razionale, ancora validi dopo le esperienze del cosiddetto
"socialismo realizzato". Badaloni ha incessantemente ricercato un
legame, nella storia, tra pensiero e azione sociale e sviluppato uno storicismo
di impronta marxista che raccordasse autori lontani nel tempo (come Giordano
Bruno, Gian Battista Vico, Antonio Labriola), ma accomunati dalla tensione al
rinnovamento e alla trasformazione progressiva degli assetti sociali in una
data situazione storica determinata. Così come c'è alterità profonda, ma non
rottura senza legame, tra Hegel e Marx e similmente tra Croce e Gramsci. Altre opere: “Retorica e storicità in Vico”
-- “Inquietudini e fermenti di libertà nel Rinascimento italiano” (ETS, Pisa);
“Appunti intorno alla fama del Bruno”; “Introduzione a Giambattista Vico,
Feltrinelli); “Marxismo come storicismo, Feltrinelli); “Tommaso Campanella”
(Feltrinelli, 'Istituto Poligrafico dello Stato); “Conti. Un abate libero
pensatore tra Newton e Voltaire” (Feltrinelli); “Il marxismo italiano degli
anni Sessanta” (Editori Riuniti); “Labriola politico e filosofo, sta in Critica
marxista, Roma); “Per il comunismo. Questioni di teoria, Einaudi); “Fermenti di
vita intellettuale a Napoli dal 1500 alla metà del 600, sta in Storia di Napoli, Società Editrice Storia di
Napoli); “Cultura e vita civile tra Riforma e Controriforma” (Laterza); “La
storia della cultura, sta in Storia d'Italia, III -(Dal primo Settecento
all'Unità), Einaudi); “Il marxismo di Gramsci. Dal mito alla ricomposizione
politica, Einaudi); “Libertà individuale e uomo collettivo in Gramsci, in
Politica e storia in Gramsci, F. Ferri,
1, Roma, Editori Riuniti-Istituto Gramsci); “Labriola, Croce e Gentile”
(Laterza); “Dialettica del capitale, Editori Riuniti); “Gramsci: la filosofia
della prassi, sta in Antonio Gramsci. La filosofia della prassi come
previsione, in Hobsbawm, E. H. , Storia del marxismo” (Torino, Einaudi); “Teoria
della società e dell'economia in A. Labriola, I e II, in Dimensioni”; Forme
della politica e teorie del cambiamento. Scritti e polemiche” (ETS); Movimento
operaio e lotta politica a Livorno”; “Democratici e socialisti in Livorno”
(Nuova Fortezza); “Filosofia della praxis, sta in Gramsci. Le sue idee nel nostro tempo,
Editrice l'Unità, 1987); “Labriola nella cultura europea dell'Ottocento,
Lacaita); “Il problema dell'immanenza nella filosofia politica di Antonio
Gramsci, Quaderni della Fondazione Istituto Gramsci Veneto, Venezia, Arsenale);
“Giordano Bruno. Tra cosmologia ed etica, De Donato); “Laici credenti all'alba
del moderno. La linea Herbert-Vico, Le Monnier-Mondadori); “Inquietudini e
fermenti di libertà nel Rinascimento italiano, Edizioni ETS, Pisa, 2005 Nicola
Badaloni è inoltre coautore di due importanti manuali: Storia della pedagogia, (Laterza); “Il
pensiero filosofico. Storia. Testi. Per le Scuole superiori” (Signorelli
Editore). Notizia della morte sul settimanale Macchianera, su macchianera. Giuliano Campioni, Addio a Nicola Badaloni,
uomo politico e maestro di filosofia, Athenet, n. 12, anno 2005. 16 agosto (archiviato dall'url originale l'11 settembre
)., nel sito del Sistema bibliotecario di ateneo, Pisa. La lezione di Nicola
Badaloni di Giuliano Campioni, professore del Dipartimento di Filosofia
dell'Pisa, 20 gennaio, , in Pisanotizie. Nicola Badaloni, in
TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. PredecessoreSindaco di LivornoSuccessoreLivorno-Stemma.svg
Furio Diazdal 1954 al 1966Dino Raugi90637957 Filosofia Politica Politica Categorie: Politici italiani del XX
secoloPolitici italiani del XXI secoloFilosofi italiani del XX secoloFilosofi.
Nicola Badaloni. Keywords: colloquenza, la retorica di Vico. La storia di Vico,
storia e storicita, campanella, lingua utopica. Bruno, Campanella, Gentile,
Croce, Labriola, Gramsci. badaloni — implicatura
vichiana — libero — biologia filosofica
telesio — vallisneri — lingua utopica di campanella — “retorica e
storicità” — laico — bruno — comune — comunismo — marchetti — vignoli —Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Badaloni” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51790260478/in/dateposted-public/
Grice e Baglietto –
dialettica – filosofia italiana – filosofia ligure – Luigi Speranza (Varazze). Filosofo. Grice:
“I like Baglietto; unlike me, he was a consceinious objector, but then we were
fighting on different camps! I love the fact that his first tract is on ‘il
problema del linguaggio’ in Mazzoni – but then he turned from ‘la bella lingua’
to Dutch! And specialized in Kant, but most notably Heidegger – ‘mitsein und
sprache.’ But he also wrote on ‘eros’ and ‘love,’ – which is very Platonic of
him! And of me, since the ground for my theory of conversation is on the
balance between what I call a principle of conversational self-LOVE (or egoism,
if you mustn’t) and a corresponding principle of conversational OTHER-love (or
altruism, if you must, since I prefer tu-ism – ‘thou-ism’).” Claudio Baglietto
(Varazze), filosofo. Di origini
modeste, dopo gli studi liceali presso il Liceo "Chiabrera"di Savona,
studiò Filosofia all'Pisa e si perfezionò presso la Scuola Normale Superiore di
Pisa, allora diretta da Giovanni Gentile. Baglietto fu assistente del filosofo
Armando Carlini. Negli anni pisani sviluppò idee di riforma religiosa e morale,
in contrapposizione al Cattolicesimo e al Fascismo. Insieme ad Aldo Capitini,
Baglietto organizzava riunioni serali in una camera della Normale, cui
partecipavano giovani studenti, divenuti in seguito affermati intellettuali,
come Walter Binni, Giuseppe Dessì, Carlo Ragghianti, Claudio Varese. Così Capitini ricordava l'amico nel suo
saggio Antifascismo tra i giovani (Trapani, 1966): "era una mente limpida
e forte, un carattere disciplinato, uno studioso di prima qualità, una
coscienza sobria, pronta ad impegnarsi, con una forza razionale rara, con
un'evidentissima sanità spirituale. Cominciai a scambiare con lui idee di
riforma religiosa, egli era già staccato dal cattolicesimo, né era fascista. Su
due punti convenivamo facilmente perché ci eravamo diretti ad essi già in un
lavoro personale da anni: un teismo razionale di tipo spiccatamente etico e
kantiano; il metodo Gandhiano della noncollaborazione col male. Si aggiungeva,
strettamente conseguente, la posizione di antifascismo, che Baglietto venne
concretando meglio. Non tenemmo per noi queste idee, le scrivemmo facendo
circolare i dattiloscritti, cominciando quell'uso di diffondere pagine
dattilografate con idee di etica di politica, che continuò per tutto il periodo
clandestino, spesso unendo elenchi di libri da leggere, che fossero accessibili
e implicitamente antifascisti. Invitammo gli amici più vicini a conversazioni
periodiche in una camera della stessa Normale [...]". Ottenuta nel 1932 una borsa per perfezionarsi
presso l'Friburgo in Germania, dove allora insegnava Heidegger, in coerenza con
i suoi ideali di nonviolenza incompatibili col Fascismo, Baglietto decise di
non rientrare più in Italia e rinunciò alla borsa, cosa che scandalizza Gentile
(che aveva garantito per lui presso le autorità per il visto). Anche Delio
Cantimori criticò animatamente la scelta di Baglietto, in particolare nel suo
carteggio con Aldo Capitini e con Claudio Varese, accusando i colleghi
normalisti dissidenti dal Fascismo di mancanza di senso di realismo politico,
nonché di senso dello Stato (fu poi lo stesso Cantimori ad avvisare Gentile della
morte di Baglietto). Lasciata Friburgo,
Baglietto si trasfere quindi a Basilea, dove visse da esule, proseguendo gli
studi e dando lezioni private. Morì nel
1940: è sepolto nel cimitero di Basilea.
Il cammino della filosofia tedesca dell'Ottocento, “Annali della Scuola
Normale di Pisa”, Scritti religiosi. Antifascismo tra i giovani, Celebres,
Trapani); "Kant e l'antifascismo" , in Claudio Fontanari e Maria
Chiara Pievatolo , Bollettino italiano di filosofia politica, Pisa37, 1591-4305 (WC ACNP), 7181065539 (archiviato il 5 settembre ).
Ospitato su archiviomarini.sp.unipi. (Saggio inedito di Baglietto, composto a
Basilea e da anni depositato nell'Archivio Marini dell'Pisa) Note. A. Capitini,
L'antifascismo tra i giovani, Celebres, Trapani); Chiantera Stutte, Delio
Cantimori. Un intellettuale del Novecento, Carocci, Roma, che rinvia
soprattutto a Simoncelli, La Normale di Pisa. Tensioni e consenso; Franco
Angeli, Milano); Scritto pubblicato postumo Aldo Capitini. Aldo Capitini Mahatma Gandhi Nonviolenza Claudio Baglietto e la questione morale -- "Phenomology Lab", 2 giugno, .
Claudio Baglietto, Kant e l'antifascismo di Claudio Fontanari, nel sito "Archivio
Marini". Filosofia Università
Università Filosofo Professore1908 1940 Varazze Basilea Nonviolenza Antifascisti
italiani Studenti dell'Pisa. Claudio Baglietto. Keywords. dialettica,
filosofia ligure, baglietto — il kantismo di heidegger — manzoni — filosofia
dell’amore — dialettica —
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Baglietto” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51790229528/in/dateposted-public/
Grice e Baldini – il
linguaggio – filosofia italiana – Luigi Speranza (Greve).
Filosofo. Grice: “I like Baldini, but more so does Austin! In his collection of
‘lessons’ (lezioni) on ‘filosofia del linguaggio’ (not just ‘sematnica’ or
‘semiotica’) for the distinguished Firenze-based publisher Nardini, he deals
with Austin, but not me!” Grice: “Baldini fails to realise that I refuted
Austdin – when Baldini opposes ‘filosofese,’ I am reminded of my
non-conventional non-conversational implicata – and Austin’s less happy idea of
a felicity condition for a perlocutionary effect!” Grice: “But what I like
about Baldini is that being Italian, he refers to ‘amore’ in his ‘natural’ history
of AMicizia – which is all that my conversational pragmatics is about: Achilles
and Ayax must share a lot of common ground to be able to play the game of
conversation, and they do!” -- Massimo Baldini (Greve in Chianti), filosofo. Si
è dedicato in particolare alla filosofia della scienza e alla filosofia del
linguaggio. Figlio dello storico Carlo Baldini, laureato in Pedagogia presso
l'Università degli Studi di Firenze nel 1969, nel 1970 è stato nominato
assistente incaricato di Filosofia; l'insegnamento era tenuto da Dario
Antiseri) presso la Facoltà di Magistero dell'Università degli Studi di Siena.
Nel 1975 è diventato professore incaricato di “Storia del pensiero scientifico”
presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di
Perugia. Nel 1980 ha vinto il concorso di professore di prima fascia di
“Filosofia del linguaggio” ed è stato chiamato dall'Bari alla Facoltà di
Lettere e Filosofia. Ha insegnato anche presso l'Università degli Studi di Roma
“La Sapienza” nella Facoltà di Medicina. È stato direttore del Dipartimento di
Filosofia e dell'Istituto di Filosofia presso la Facoltà di Scienze della
formazione all'Università degli Studi di Perugia e direttore della sezione di
Storia della medicina del Dipartimento di Patologia presso l'Università degli
Studi di Roma “La Sapienza”. Nel 1999 è stato chiamato dalla Libera
università internazionale degli studi sociali Guido Carli di Roma per coprire
la cattedra di "Semiotica". Qui ha insegnato anche “Teoria e tecniche
del linguaggio giornalistico e radiotelevisivo” (dal 2004), “Semiotica dei
linguaggi specialistici” (che avrebbe dovuto iniziare nel 2009). Presso la
LUISS ha inoltre rivestito numerosi incarichi accademici: preside della Facoltà
di Scienze Politiche (da giugno 2007); coordinatore del corso di laurea
magistrale in “Comunicazione politica, economica e istituzionale” (dal 2004),
direttore della Scuola superiore di giornalismo (dal 2007) e direttore del
Master di primo livello in “Economia, gestione e marketing dei turismi e dei
beni culturali” (dal 2004). In precedenza, è stato vice preside della Facoltà
di Scienze Politiche (2000-2006), direttore del Dipartimento di Scienze
storiche e socio-politiche (2006-2007), direttore del Centro di ricerche sulla
comunicazione (2003-2007). Tre sono stati gli ambiti di ricerca che più
di altri Massimo Baldini ha coltivato: la filosofia della scienza (con una
particolare attenzione al pensiero dell'epistemologo Karl R. Popper, di cui ha
curato anche alcune opere in edizione italiana), la filosofia del linguaggio,
la semiotica della moda. A partire dagli anni Settanta, Massimo Baldini ha
dedicato numerosi lavori all'epistemologia contemporanea, cogliendone le
possibili applicazioni alla medicina, alla storia della scienza, alla pedagogia
e, infine, alla filosofia politica. Parallelamente, ha rivolto i suoi interessi
anche alla storia della scienza e, in particolare, alla storia della medicina.
Un'attenzione particolare è stata dedicata ai nessi che intercorrono tra
l'epistemologia e la filosofia della politica: sulla scorta delle riflessioni
popperiane, ha riletto il pensiero utopico sia nella sua dimensione storica che
in quella teorica. L'altro grande interesse filosofico di Massimo Baldini
è stata la filosofia del linguaggio. In particolare ha studiato le tesi dei
semanticisti generali, un movimento nato negli Stati Uniti tra le due guerre
mondiali e di cui si era occupato per primo in Italia negli anni Cinquanta
Francesco Barone. L'interesse per la filosofia del linguaggio si è declinato
anche in chiave storica: e alla storia della comunicazione Massimo Baldini ha
dedicato numerose opere. Inoltre, gli studi sulla filosofia del linguaggio si
sono incentrati sull'analisi di alcuni linguaggi specialistici: quello della
pubblicità, quello dei mistici, quello della pubblica amministrazione, quello
dei giornalisti, nonché il tema correlato del silenzio. Tutti questi linguaggi,
sono stati studiati nelle prospettive dell'oscurità e della chiarezza, e
dell'oggettività (soprattutto con riferimento al contesto
dell'informazione). La biblioteca comunale "Carlo e Massimo
Baldini" di Greve in Chianti A partire dalla fine degli anni Novanta,
infine, gli interessi di Massimo Baldini si sono incentrati sul tema della
moda, che egli ha studiato dal punto di vista storico e semiotico, e nelle
diverse componenti della moda vestimentaria e della moda capelli. Tutta
l'attività di ricerca di Massimo Baldini è confluita in numerose opere
individuali e collettive, curatele, introduzioni e prefazioni a testi italiani
e stranieri, traduzioni, nonché nella collaborazione stabile con alcune case
editrici e riviste scientifiche. In particolare, presso l'editore Armando
(Roma) ha diretto le collane Temi del nostro tempo, I maestri del liberalismo,
Moda e mode, I linguaggi della comunicazione; presso l'editore Rubbettino
(Soveria Mannelli) la collana Biblioteca austriaca (con Dario Antiseri, Lorenzo
Infantino e Sergio Ricossa). Menzione a parte merita poi il ricordare che
Baldini è stato ed è rimasto nel corso dei decenni un grande estimatore e
diffusore dell'opera del concittadino grevigiano Domenico Giuliotti, il
"poeta-mistico" o "profeta" Giuliotti, del quale il
nostro ha riedito alcune delle sue maggiori opere per lo più per conto delle
edizioni Logos di Roma, oltre a dedicare al medesimo alcune raccolte di saggi
come "Il più santo dei ribelli. Scritti su Domenico Giuliotti" (1981)
oppure "Giuliotti. Cristiano controcorrente" (ed. EMP, 1996), senza
contare i volumetti preparati per conto della preziosa casa editrice La Locusta
di Vicenza, a partire dal 1977, in consonanza agli interessi espressisi e
sviluppatisi soprattutto a partire dagli anni ottanta, quelli che afferivano ai
connotati e alle 'modalità' del linguaggio dei mistici, o alle relazioni
intercorrenti fra le dimensioni del silenzio-parola-Parola di
Dio-ascolto. È stato altresì membro del Comitato Nazionale per la
Bioetica; membro del comitato scientifico delle riviste L'Arco di Giano, 'Nuova
civiltà delle macchine, Desk. Morì a causa di un infarto mentre si
trovava a cena con alcuni colleghi universitari. Nel per la casa editrice Rubbettino è uscito il
libro La responsabilità del filosofo. Studi in onore di Massimo Baldini Dario
Antiseri con saggi di amici, colleghi, collaboratori e studenti per ricordare
la figura intellettuale e morale di Massimo Baldini a quattro anni dalla
scomparsa. Partecipano all'antologia Tullio De Mauro e Derrick de Kerckhove. Il
primo maggio è stata inaugurata a Greve
in Chianti la Biblioteca comunale "Carlo e Massimo Baldini".
Sulla filosofia del linguaggio «È chiaro che devo preoccuparmi di essere inteso
da tutti perché penso che la chiarezza sia la cortesia del filosofo»
(José Ortega y Gasset, Cos'è la filosofia?) Secondo Baldini scopo del filosofo e
della sua filosofia è essere chiari: scrisse infatti «l'accusa che più
frequentemente viene rivolta alle opere dei filosofi è quella
dell'illegibilità». I filosofi come dimostra nel suo Contro il filosofese e nel
Elogio dell'oscurità e della chiarezza non seguono sempre questa missione ed in
alcuni casi sembra usino volutamente un linguaggio oscuro ed incomprensibile.
Tre dei filosofi più oscuri secondo Baldini, che ricalca in questo anche il
giudizio di Schopenhauer, sono stati Fichte, Hegel e Schelling. Parlando di Hegel,
Baldini riporta il giudizio di uno scritto di Alexandre Koyré che definisce la
lingua di Hegel "incomprensibile e intraducibile". Citando
inoltre il giudizio di Popper scrive: «Troppo spesso, secondo Popper, i
filosofi vengono meno alla virtù della chiarezza. Con l'oscurità sovente
mascherano le tautologie e le banalità che infiorettano i loro discorsi». Henri
Bergson cita l'esempio di Cartesio, di Nicolas Malebranche e di molti altri
filosofi francesi mostrando che idee molto raffinate e profonde possono essere
espresse nel linguaggio ordinario anziché con circonlocuzioni e ridondanze e
termini che sono causa di equivoci. Baldini afferma che «l'oscurità in
filosofia è, dunque, il modo migliore per fingere di spacciare pensieri, mentre
si sta solo spacciando parole, è una maschera che cela spesso il vuoto di
pensiero o la banalità dei pensieri». Nonostante tutto secondo Baldini, non
bisogna giudicare frettolosamente un filosofo, definendolo "oscuro",
a volte può essere una carenza della nostra conoscenza che ci porta a
respingere come vuoto suono, parole che invece, hanno il loro preciso
significato. Scrivere la filosofia in maniera chiara può avere le sue
difficoltà, Nietzsche infatti afferma che «ci vuole meno tempo ad imparare a
scrivere nobilmente che chiaramente» e Ludwig Wittgenstein che celebra a più
riprese la chiarezza, fa autocritica ammettendo in una sua lettera a Russell
che il suo Tractatus logico-philosophicus «è tremendamente oscuro». Quanti
celebrano la chiarezza in filosofia, sanno bene che ogni lettore di testi
filosofici deve fare proprio il consiglio che Wittgenstein dava a Bertrand
Russell, quando questi si lamentava con lui dell'oscurità del trattato, gli
scrisse: «Non credere che tutto ciò in cui tu sei capace di capire consista di stupidaggini».
Invece, un personaggio che volutamente, secondo Baldini, tendeva a non farsi
capire e a sopraffare linguisticamente («fra gli applausi di ammirazione») i
suoi ascoltatori, è stato Armando Verdiglione. Chi si avventurava nelle
sue opere, fa rilevare il filosofo, si imbatteva in frasi tipo questa: «Sono
tratto da un demone a dire, a fare, a scrivere sempre fra oriente e occidente e
fra nord e sud. Senza luogo della parola. Questo demone è il colore del punto,
dello specchio, dello sguardo, della voce: la moneta stessa. Punto, sembiante,
oggetto scientifico, è indotto dalla pulsione, dall'instaurazione della
domanda, dove l'offerta è il pleonasmo», ed ancora: «Ecco questo primo
rinascimento. Primo in quanto procede dal secondo, ovvero dall'originario.
Secondo dunque non in senso ordinale, non in nome del nome. Non è neppure
nuovo, perché non parte dalla corruzione per arrivare all'utopia». "Oscuro
superlinguaggio" e "gargarismi linguistici e semantici" sono
secondo Baldini il risultato della "verdiglionite" ovvero di chi si
muove "sui sentieri del filosofese". Secondo Baldini quindi la
difficoltà di esprimere alcuni profondi pensieri filosofici non dovrebbe essere
amplificata, è vero che ci sono pensieri filosofici difficili da esprimere in
modo semplice, ma è pur vero che il filosofo che desidera trasmettere la
propria filosofia, dovrebbe fare un onesto sforzo affinché essa sia quanto più
possibile comprensibile al proprio uditorio. Note Sociologi: è morto Massimo Baldini, semiologo
e filosofo, Adnkronos, 11 dicembre 2008
Contro il filosofeseI filosofi e l'abuso delle parolepag. 43-49 Contro il filosofeseFichte, Schelling, ed
Hegel: i professionisti dell'oscuritàpag. 50-56
Alexandre Koyré, Note sulla lingua e la terminologia hegeliana,
Interpretazioni hegeliane, La Nuova Italia, Firenze 1980, pag.43 Bertrand Russel. L'autobiografia 1914-1944,
Longanesi, Milano 1969, II, pag. 208 (la lettera è datata 12 giugno 1919) Armando Verdiglione, Manifesto del secondo
rinascimento, Rizzoli, Milano 198323. Altre opere: “Epistemologia e storia
della scienza” (Ed. Città di vita, Firenze); “Campanella ed il linguaggio
dell’utopia” – “Utopia e ideologia: una rilettura epistemologica” Ed. Studium,
Roma); “Epistemologia contemporanea e clinica medica” (Ed. Città di vita,
Firenze); “Teoria e storia della scienza” (Armando Editore, Roma); “I
fondamenti epistemologici dell'educazione scientifica” (Armando Editore, Roma);
“La semantica generale” (Ed. Città nuova, Roma); “Gli scienziati ipocriti
sinceri: metodologia e storia della scienza” (Armando Editore, Roma); “La
tirannia e il potere delle parole: saggi sulla semantica generale” (Armando
Editore, Roma); “Congetture sull'epistemologia e sulla storia della scienza”
(Armando Editore, Roma); “Epistemologia e pedagogia dell'errore” (Ed. La
Scuola, Brescia); “Il linguaggio dei mistici” (Ed.Queriniana, Brescia); “Il
linguaggio della pubblicità” “La fantaparola” (Armando Editore, Roma); “Educare
all'ascolto, Ed. La Scuola, Brescia); “Parlar chiaro, parlar oscuro” (Ed. Laterza,
Roma Bari); “Lezioni di filosofia del linguaggio” (Ed. Nardini, Firenze); “Antologia
filosofica, Ed. La Scuola, Brescia); “Contro il filosofese” (Ed. Laterza,
Roma-Bari); “Storia della comunicazione, Newton & Compton, Roma); “La
storia delle utopie, Armando Editore, Roma); “Il proverbi italiano” (Newton
& Compton editori s.r.l., Milano); “Karl Popper e Sherlock Holmes:
l'epistemologo, il detective, il medico, lo storico e lo scienziato” (Armando
Editore, Roma); “La medicina: gli uomini e le teorie, Ed. CLUEB, Bologna); “Il liberalismo,
Dio e il mercato” (Armando Editore, Roma); “L’amicizia” (Armando Editore,
Roma); “Introduzione a Karl R. Popper, Armando Editore, Roma); “Capelli: moda,
seduzione, simbologia” (Ed. Peliti, Roma); “Popper e Benetton: epistemologia
per gli imprenditori e gli economisti” (Armando Editore, Roma); “Elogio
dell'oscurità e della chiarezza, LUISS University Press e Armando Editore,
Roma); “Elogio del silenzio e della parola: i filosofi, i mistici, i poeti,
Rubettino Editore, Soveria Mannelli); “I filosofi, le bionde e le rosse,
Armando Editore, Roma); “L'invenzione della moda: le teorie, gli stilisti, la
storia. Armando Editore, Roma); “L'arte della coiffure: i parrucchieri, la moda
e i pittori, Armando Editore, Roma); Popper, Ottone, Scalfari, LUISS University
Press, Roma 2009. Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Massimo
Baldini Scheda dell'Università LUISS, su
docenti.luiss. Filosofia Filosofo del XX secoloFilosofi italiani del XXI
secoloAccademici italiani del XX secoloAccademici italiani Professore1947 2008
18 giugno 10 dicembre Greve in Chianti RomaProfessori della Libera università
internazionale degli studi sociali Guido CarliProfessori della
SapienzaRomaProfessori dell'Università degli Studi di PerugiaProfessori
dell'Università degli Studi di SienaProfessori dell'BariStudenti
dell'Università degli Studi di Firenze. In questo contributo intendo
concentrarmi su alcuni aspetti della teoria aristotelica dell’amicizia: il
metodo di indagine attraverso cui è articolata e acquisita, e il suo
significato dialettico e teorico. Il processo conoscitivo, per
Aristotele, è una transizione da ciò che è “primo per noi” a ciò che è “primo
per sé”[1], e l’indagine sull’amicizia non fa eccezione. Il “primo per noi”
contempla la nostra esperienza della cosa intesa in senso ampio, tale da
includere: le prassi linguistiche e ascrittive diffuse[2], le opinioni notevoli
(ἔνδοξα) condivise da tutti o dai più o dai sapienti o da alcuni di essi[3], i
topoi o luoghi comuni consegnati dalla tradizione, i fenomeni intesi come
“fatti della vita”, ovverosia le ordinarie prassi umane, i comportamenti
concreti implicati nelle relazioni di amicizia[4]. Si tratta di un materiale
eterogeneo, variegato, opaco, bisognoso di sintesi e di articolazione
concettuale: il suo trattamento dialettico preliminare sarà orientato anzitutto
a evidenziare le contraddizioni che tale materiale ospita, per poi cercare di
superarle entro una sintesi superiore la quale, attraverso una teorizzazione positiva
˗ materiata di distinzioni semantiche e concettuali, argomenti, definizioni ˗
ne salvi gli elementi genuini nella misura del possibile, mostri l’apparenza
delle contraddizioni, e produca così una sorta di “equilibrio riflettuto” fra
il “primo per noi”, da cui pure si sono prese le mosse, e il “primo per sé”,
punto d’arrivo dell’indagine. Una buona teoria dovrà fare giustizia dei
caratteri manifesti dell’oggetto, renderli cioè intellegibili e inferibili[5];
invece una teoria che negasse questi caratteri, sarebbe ipso facto una teoria
deficitaria, insoddisfacente: non ci riconcilierebbe coi φαινόμενα, che pure
sono il suo originario explanandum. Questa cifra metodologica va tenuta
presente, se si vuole apprezzare in modo non superficiale la trattazione aristotelica
dell’amicizia nelle due Etiche. Perciò è opportuno partire non da Aristotele,
bensì dall’orizzonte teorico-culturale cui egli si rapporta dialetticamente,
nonché dai suoi obbiettivi polemici. Il significato ordinario di «φιλία» ha
un’estensione ben più ampia della nostra nozione di «amicizia»: oltre
all’amicizia propriamente intesa, può denotare anche l’alleanza politica[6], la
vasta gamma dei rapporti sociali, dalle relazioni parentali e matrimoniali a
quelle commerciali, quelle cameratistiche, quelle amorose ed erotiche; insomma,
qualunque interazione umana positiva e non ostile, fra individui o fra gruppi –
ma anche fra uomini e dei[7] – è denotabile come φιλία. Nella caratterizzazione
preliminare che ne offre, Aristotele attinge ai grandi modelli omerico ed
esiodeo, così come ai Sette Savi, ai tragici, nonché al sapere filosofico dei
predecessori (Empedocle, Eraclito, etc.); ma il punto di riferimento dialettico
che, sottotraccia, orienta l’intera trattazione, è il Liside platonico, la
prima indagine filosofica sistematica dedicata alla φιλία[8], nelle cui note
aporie sono peraltro condensate e portate a tematizzazione le contraddizioni
insite nelle istanze della tradizione pre-filosofica globalmente intesa. Il
Liside dunque, fra gli ἔνδοξα e i λεγόμενα, riveste un ruolo
dialettico-polemico primario, anche se non se ne fa alcun riferimento
esplicito. È impossibile in questa sede tentarne anche solo una cursoria
sintesi, ma è necessario individuare perlomeno quelle aporie di fondo intorno
alla φιλία che Aristotele riprende in maniera puntuale[9]. Una importante
aporia (210e-213c), radicata nella dicotomia attivo/passivo, è articolata
intorno alla questione: chi dei due, in una relazione amicale, è l’amico? Chi
ama o chi è amato[10]? Si sonda tutto lo spazio logico delle possibilità,
producendo esiti paradossali (di qui, appunto, lo status di aporia): se 1) è
chi ama, ad essere amico di chi è amato, allora nel caso che chi è amato
odiasse chi lo ama, uno sarebbe amico di chi lo odia! 2) se è chi è amato, ad
essere amico, sarà anche il caso che chi è odiato è nemico, dunque se qualcuno
ama qualcuno che lo odia, allora sarà nemico di un suo amico! 3) se sono amici
o chi ama o chi è amato, indifferentemente, resta fermo che uno potrebbe essere
amico di chi lo odia 4) se sono amici necessariamente entrambi, allora non
potremmo essere “amici” di entità che non ci amano, come la scienza, o il vino,
o i cavalli. L’aporia presuppone l’ampia estensione semantica di φιλία e di
φίλος, che da un lato può avere significato passivo (esser caro a qualcuno),
attivo (essere amico di) o reciproco[11], dall’altro come prefisso (φίλο-) può
comporre termini denotanti amore, passione o apprezzamento per entità
impersonali, che non reciprocano. Ma l’aporia è filosofica, non meramente
linguistica[12]. Una seconda aporia (213d-223b) muove dalla questione se
l’amicizia si dia fra simili o fra dissimili. Se 1) si dà fra simili, allora
anche i malvagi sarebbero amici, ma fra malvagi non si dà vera amicizia
(assunzione qui data per vera)[13]; 2) se si dà non fra simili simpliciter ma
fra simili nell’esser buoni, sorge il problema di come il buono – il quale
basta a se stesso[14] – possa trarre utilità da un altro buono, e viceversa,
quando si era precedentemente stabilito che nessun amico è inutile all’amico
(210c6-8); 3) se si dà fra dissimili contrari, come povero/ricco,
sapiente/ignorante etc., allora, daccapo, l’amico sarà amico del nemico, il
malvagio del buono etc.: amico/nemico e malvagio/buono sono contrari; 4) forse
si dà fra certi dissimili non contrari: chi è intermedio fra buono e cattivo
può amare il buono in virtù della presenza in sé di un “male”, cioè della
privazione di bene di cui è conscio e che lo rende intermedio[15]; così
l’amicizia diventa un caso particolare del desiderio[16], volto strutturalmente
a ciò di cui si è privi. Ma anche qui si ricadrebbe nel caso 1 della Prima
aporia: pare che l’amare unidirezionale e non ricambiato non sia sufficiente
all’amicizia, inoltre il buono sarebbe amato senza amare a sua volta (infatti
l’altro gli è inutile giacché egli ha già il bene presso di sé). A questo
punto viene introdotta l’idea che, se noi cerchiamo nell’amico il bene ma
nessun amico può avere il bene pienamente presso di sé, allora ciò che
cerchiamo negli amici è il «Primo Amico», qualcosa che trascende sia noi che
gli amici stessi, di cui questi ultimi sono apparenze (εἰδώλα)[17]. Le
relazioni amicali sono da ultimo orientate verso qualcosa che trascende
entrambi i relati, secondo una dinamica “ascensionale” segnatamente platonica:
ma così l’amico in carne e ossa parrebbe ridotto a mero luogo di transito di
una tensione desiderante che ascende in direzione di un assoluto ideale.
Riesaminando poi la relazione “orizzontale”, si introduce la nozione di
«affine» (οἰκεῖος): forse la φιλία è rapporto col simile in quanto affine, o
familiare; ma l’affinità pare essere reciproca (se A è affine a B, B è affine
ad A), dunque il buono risulta inservibile a chi è già affine al buono;
inoltre, sono affini anche i malvagi. Anche se la trattazione appare un
poco schematica e talora verbalistica, essa tocca problemi speculativi genuini.
Come ci si aspetta da un dialogo “socratico” di Platone, le aporie non trovano
uno scioglimento, se non la paradossale acquisizione che né amanti né amati, né
simili né dissimili né contrari, né affini, né buoni, possono essere amici[18]!
Teniamo dunque a mente questi nodi problematici. 2. La
tassonomia delle amicizie e il suo significato L’amicizia è
studiata nel libro VII dell’Etica Eudemia, e nei libri VIII-IX dell’Etica
Nicomachea[19]. Mentre la trattazione dell’Etica Eudemia risulta più logica e
astratta, quella dell’Etica Nicomachea è più orientata a salvare i fenomeni, è
più empirica e inclusiva: per cogliere i nuclei teorici di fondo, è sensato
muovere dalla prima, e valutare criticamente quando e perché la seconda propone
integrazioni o discostamenti teorici da quella. Sia la Eudemia precedente alla
Nicomachea o meno[20], in essa appare più nitidamente come la trattazione
aristotelica costituisca una sorta di virtuale controcanto filosofico del
Liside platonico[21]. Etica Eudemia VII introduce il soggetto come
specialmente degno di essere indagato: gli ἔνδοξα universalmente diffusi
pongono la φιλία come il fine stesso della politica, come antidoto
all’ingiustizia, come habitus caratteriale rivolto ai buoni, pongono l’amico
come il più grande dei beni esterni (anche in quanto volontariamente scelto) e
l’assenza di amici come il male più terribile[22]. La φιλία è aspetto centrale
dell’etica – soprattutto entro un’etica eudemonistica imperniata sul bene e
sulla felicità – dunque non sorprende che la sua trattazione occupi quasi un
quinto degli scritti etici aristotelici. Ma altre opinioni notevoli non
sono universalmente condivise: per alcuni il simile è amico del simile (Omero,
Empedocle), per altri lo è il contrario del contrario (Esiodo, Euripide,
Eraclito)[23]: sono le opzioni 1 e 3 della Seconda Aporia del Liside, che pure
non viene citato. Si ricordano poi altre opinioni, topoi tradizionali già
ripresi dal Liside: per alcuni non c’è amicizia fra malvagi ma solo fra buoni
(cfr. opzione 1 della Prima Aporia), per altri solo chi è utile può essere
amico (cfr. opzione 2 della Seconda Aporia). Prima di passare alla pars
construens, Aristotele enuncia candidamente il criterio metodologico e lo scopo
dell’indagine: Occorre trovare un’argomentazione che insieme renda
conto (ἀποδώσει) al massimo grado delle opinioni (τά δοκοῦντα) intorno a queste
cose, e anche che sciolga le aporie e le contraddizioni. Ciò avverrà qualora
appaia che le opinioni contrarie sono sostenute con buone ragioni: una tale
argomentazione sarà nel massimo accordo coi fenomeni. E le tesi in
contraddizione risultano mantenersi, se quel che affermano è vero in un senso, ma
in un altro no. (Et. Eud. VII 2, 1235b13-18).[24] Le opinioni diffuse e
notevoli non vanno accolte in modo supino e acritico, ma comprese nelle loro
buone ragioni e, nella misura del possibile, salvate entro una sintesi teorica
che superi le aporie e mostri che le affermazioni apparentemente incompatibili
possano essere vere entrambe, in sensi diversi; così vi sarà anche il massimo
accordo coi φαινόμενα. Questi, i desiderata da soddisfare. Se l’amicizia
è desiderio (altra acquisizione del Liside[25]), il desiderio può essere del
piacevole (appetito) o del buono (volontà)[26], dunque ciascuno di essi ci è
«amico» o caro (φίλον); comunque il piacere si presenta come un bene (o appare
tale o è creduto tale[27]): la prima distinzione da fare è perciò fra bene e
bene apparente (φαινόμενον ἀγαθόν), oggetti del desiderio[28]. La seconda è
quella fra bene incondizionato (ἁπλῶς) e bene per qualcuno[29]: ciò che è buono
simpliciter lo è per l’essere umano in generale, ciò che è tale «per qualcuno»
lo è per certi individui particolari in certe circostanze (per esempio,
un’operazione per un malato); parimenti, vi è un piacevole incondizionato e un
piacevole «per qualcuno» (per esempio, in condizioni fisiche o morali
alterate); Aristotele sostiene che il piacevole incondizionato coincida col
buono incondizionato[30]: ciò che è buono per l’uomo in generale, è anche
piacevole per l’uomo in generale, invece un individuo malato o corrotto troverà
piacevoli cose non oggettivamente buone; né coincideranno il piacevole «per lui»
e il buono «per lui». Un uomo saggio e virtuoso troverà piacevole ciò che è
buono, dunque nel suo caso si identificano bene apparente e bene reale (è buono
ciò che gli appare tale), bene «per lui» e bene incondizionato (ciò che è bene
per lui è buono in generale per l’uomo), nonché bene e piacere: egli è norma
rispetto a ciò che per l’uomo in generale è e deve essere buono e piacevole, in
quanto esprime l’eccellenza della stessa natura umana. A ogni modo, ciò che
motiva un soggetto S deve apparire un bene a S (che lo sia o meno), e apparire
a S un bene per lui (che sia o meno anche un bene in senso
incondizionato)[31]. Ci sono cose per noi buone in quanto le riteniamo
dotate di valore intrinseco, cose per noi buone in quanto le riteniamo utili, e
cose per noi buone in quanto le troviamo piacevoli. Poiché l’amico è un bene
scelto e desiderato ˗ il φιλεῖν è un caso particolare di desiderio ˗ potrà
esserlo per questi tre motivi: come bene in sé, e cioè in quanto è ciò che è e
«per la virtù», o in quanto è ci è utile, o in quanto sia piacevole, «per il
piacere»[32]. Chiariremo successivamente perché il buono in quanto buono,
quando il bene sia l’amico stesso, si identifichi con la sua virtù. Colui
che è amato in base a uno dei tre aspetti suddetti (bene-virtù, utilità,
piacevolezza) diventa un amico ˗ si aggiunge ˗ quando contraccambia l’affetto:
dunque la reciprocità diviene un tratto essenziale dell’amicizia, una sua
condizione necessaria; Aristotele sceglie l’opzione 4 della Prima Aporia del
Liside, ma replica all’obiezione ivi contenuta, secondo cui cose amate come il
vino, i cavalli e la scienza non possono ricambiare, mediante la distinzione
fra φιλία e φίλησις[33]: la seconda è un affetto/desiderio per le cose
inanimate, la prima implica un simile affetto come componente, ma include
necessariamente la reciprocità. Talvolta, una nozione vaga può essere
disambiguata mediante una distinzione semantica, in modo da sciogliere
apparenti contraddizioni e insieme “salvare i fenomeni”. Tuttavia, l’affetto
reciproco sulla base di uno dei tre amabili non è ancora sufficiente perché ci
sia φιλία; tale reciprocità deve essere esplicita, non celata, nota ai due
amici: se amo qualcuno che non lo sa, non siamo amici, nemmeno nel caso lui ami
me e io lo sappia; entrambi devono amarsi l’un l’altro, ed entrambi lo devono
fare in modo manifesto, tale che sia noto all’uno e all’altro. La coscienza di
essere amici è essenziale all’essere amici: qualcuno può credere di essere
amico senza esserlo[34], però nessuno può essere amico di qualcuno senza
credere di esserlo. Se manca la reciprocità, non si ha amicizia ma
«benevolenza» (εὔνοια), cioè desiderio del bene dell’altro; quando quest’ultima
è reciproca e non è celata, allora può divenire amicizia[35]. Le tre
forme di amicizia, rispettivamente basate su virtù, utilità, piacere, secondo
l’Eudemia intrattengono la relazione asimmetrica che Aristotele chiama πρὸς ἓν,
in cui vi è un significato primario o focal meaning cui gli altri, secondari e
derivati, rimandano[36]: l’amicizia a causa della virtù e fondata sul bene è
posta come πρώτη φιλία, «prima amicizia», da cui le altre dipendono dal punto
di vista definitorio. Quindi «φιλία» non denota tre specie di un unico genere,
né è un termine equivoco che denota realtà completamente diverse; è termine
“multivoco”, giacché l’amicizia si dice in molti modi ma in riferimento a un
senso che illumina tutti gli altri, e a cui gli altri si rapportano
necessariamente. Molti critici ritengono che, siccome l’amicizia
“utilitaristica” e quella “edonistica” possono darsi indipendentemente da
quella “virtuosa”, l’idea che esse rimandino necessariamente a quella
“virtuosa” non sarebbe convincente, e proprio per questo sarebbe poi
abbandonata nella Nicomachea[37]. Ma la gerarchizzazione πρὸς ἓν è anzitutto
definitoria: il piacere è un bene apparente (dunque, una declinazione del
bene), l’utile è tale in quanto foriero di bene[38] o di piacere (che, daccapo,
è un bene apparente); dunque i tre amabili sono un bene, un modo di apparire
del bene, una via che porta al bene. Al modo in cui il piacere e l’utilità si
definiscono in rapporto al bene[39] (ma, per Aristotele, non viceversa), così
le amicizie basate sul piacere e l’utile si definiscono in rapporto a quella
basata sul bene come tale: e infatti, come vedremo, ne sono forme imperfette e
difettive. Si noti la pur generica assonanza fra la πρώτη φιλία e il πρῶτον
φίλον, il Primo Amico del Liside: se Platone radica il senso delle relazioni
amicali in un anelito a qualcosa che trascende le amicizie e gli amici stessi
illuminandole, per così dire, dall’alto, Aristotele immanentizza il bene entro
gli amici stessi e le loro relazioni; c’è una amicizia prima, ma non un Amico
primo che si distingua dagli amici empirici e concreti. Il bene che è in gioco
nell’amicizia è ubicato negli amici stessi, è immanente. Qual è la
ragione profonda di questa tripartizione? Si può mostrare in modo puntuale che
si tratta di una risposta alle aporie platoniche: se i platonici pongono come
amicizia solo quella virtuosa, «non riescono a dare conto dei fenomeni»[40],
ove per fenomeni si devono intendere non solo le prassi umane, ma anche gli ἔνδοξα
e i λεγόμενα. Se vi sono tre forme di amicizia, può darsi che alcune opinioni
notevoli e intuizioni siano vere dell’una ma false dell’altra, altre siano vere
dell’altra ma false dell’una, come afferma il passo metodologico succitato. Se
poi a partire da ciascuna delle tre caratterizzazioni si potessero inferire o
congetturare dei rispettivi propria, che coincidano coi rispettivi tratti manifesti
dell’amicizia che parevano aporetici in quanto incompatibili, allora grazie a
questa tassonomia tricotomica le aporie potrebbero essere sciolte, poiché
alcuni di questi tratti caratterizzeranno un tipo di amicizia, alcuni altri un
altro tipo di amicizia. L’amicizia virtuosa, fondata sul bene, è fra
simili in quanto buoni[41]: essa cattura l’opzione 2 della Seconda Aporia del
Liside, nonché l’ideale arcaico, omerico ma anche teognideo e in generale
aristocratico, della φιλία come sodalizio elettivo fra ἀγαθοί; a questo topos
tradizionale, il Socrate del Liside replica che esso è incompatibile con
un’altra idea ben radicata (basata su altri due topoi tradizionali): il buono è
autosufficiente, e un amico gli sarebbe inutile, ma l’amicizia è fondata proprio
sull’utilità reciproca; quest’ultima idea, di matrice esiodea[42] ma anche un
luogo comune confermato dalle prassi umane, non può essere negata, per
Aristotele: sono gli stessi φαινόμενα a mostrare che coloro che intrattengono
relazioni continuative di utilità e soccorso reciproco, si chiamano amici
e si ritengono tali, e così sono dagli altri chiamati e ritenuti. La
contraddizione è apparente, se si postula che l’utilità reciproca è un
prerequisito di una forma di amicizia (quella basata sull’utile) e non
dell’altra (quella basata sul bene). Le relazioni utilitaristiche sono
amicizia, sebbene di un certo tipo; sia queste che quelle fondate sul piacere,
possono sussistere anche fra individui non buoni, persino fra malvagi, sebbene
in forma estremamente labile e instabile: l’opzione 1 della Seconda Aporia del
Liside è anch’essa percorribile, in quanto due individui non “buoni” possono
essere amici sulla base del piacere, e sono simili nella misura in cui
condividono certi tipi di piacere; inoltre, l’intuizione per cui l’amicizia si
dà fra contrari come povero/ricco, sapiente/ignorante etc. ˗ opzione 3 della
Seconda Aporia del Liside ˗ è anch’essa fatta salva, in quanto viene posta come
peculiare all’amicizia utilitaristica, che tipicamente è intrattenuta da
individui in qualche senso contrari (l’uno ha qualcosa che l’altro non ha).
Aristotele riesce a salvare i fenomeni attraverso una distinzione tassonomica
fondamentale, che deve conciliare certe apparenti incompatibilità ma al tempo
stesso preservare una certa unitarietà dell’oggetto: quella di amicizia è una
nozione originariamente ospitale, plurale e polivoca, tanto internamente
differenziata da implicare una demarcazione netta fra l’amicizia virtuosa e le
altre, ma non tanto monolitica da implicare che si escludano dal novero delle
amicizie quelle forme di relazione (utilitaria, edonistica) ordinariamente
denominate così: altrimenti si farebbe violenza al linguaggio e alle “cose
stesse”[43]: a quel “primo per noi” che è lo stesso explanandum originario.
Una delle ragioni per cui l’amicizia virtuosa è detta «prima» nella Eudemia e
poi «perfetta» (τέλεια) nella Nicomachea[44], è che essa è costitutivamente
piacevole, benché non sia fondata sul piacere, e implica la disposizione alla
mutua utilità quando serva, benché non sia fondata sull’utile: dunque contiene
in sé, in certo modo, le altre due. Tuttavia, il piacere che consegue al bene
ed è persino costitutivo di esso, non è lo stesso piacere che fonda le amicizie
edonistiche; il primo è inseparabile dal bene cui consegue[45], quindi
l’integrazione di piacere e utilità nell’amicizia virtuosa non è da concepirsi
come una somma estrinseca o giustapposizione di aspetti positivi (bene +
utilità + piacere). La perfezione di questa amicizia non è una somma di amicizie
imperfette, è originaria completezza. Nella Nicomachea non vi è traccia
della relazione πρὸς ἓν, e la πρώτη φιλία diventa τέλεια φιλία[46]. Le altre
amicizie qui sono dette tali «secondo somiglianza» a quella perfetta[47]: a mio
avviso, al netto della differenza di linguaggio, la posizione di Aristotele non
muta in modo sensibile fra le due opere; la somiglianza delle amicizie
edonistica e utilitaristica a quella perfetta consiste anche qui nel fatto che
quest’ultima è, per entrambi gli amici, utile e piacevole, dunque contiene
quegli aspetti che fondano le amicizie imperfette, ma non ne è simmetricamente
contenuta. Infatti, ciò che è buono è anche utile e piacevole, mentre ciò che è
utile può non essere piacevole e può non essere buono (né simpliciter, né per
l’individuo) – per esempio, se l’individuo è corrotto e trova per sé utile
qualcosa che lo approssima a ciò che non è il suo bene (anche se egli magari
crede che sia il suo bene[48]) – e ciò che è piacevole può essere inutile o
persino dannoso. Questo vale in generale, e a fortiori vale per gli amici
buoni, utili, piacevoli. In realtà, lo stesso “compito” etico implicitamente
affidato all’uomo, gli è affidato anche in rapporto all’amicizia: l’ideale
umano, incarnato dal saggio che ne è norma ed esempio, è quello di far
coincidere ciò che è bene per sé con ciò che è bene in generale, e ciò che è
piacevole per sé con ciò che lo è in generale; si realizza così anche la
coincidenza di bene e piacere, visto che il buono in generale e il piacevole in
generale si identificano per natura[49]. Ciò importa che occorra anzitutto
essere buoni (saggi e virtuosi) e, essendolo, prediligere le amicizie virtuose
(che sono appannaggio dei buoni): esse non ospitano conflitti strutturali,
soprattutto il bene e il piacere – il confliggere dei quali sopraffà l’acratico
– sono adeguati ab origine, nell’amicizia perfetta, giacché essa è piacevole
proprio in quanto buona. Ma ciò non esclude che i buoni possano intrattenere
anche amicizie fondate sul piacere, o sull’utile[50]: esse però, nell’economia
della loro vita, risulteranno marginali, sia nella quantità che nella
qualità. Può sorprenderci il fatto che alla forma di amicizia più rara e
più “inarrivabile” delle tre (i buoni sono pochi, gli amici a causa del bene ancora
meno) venga ascritta una priorità definitoria, sia essa del tipo πρὸς ἓν o «per
somiglianza». Ma per Aristotele qualunque capacità umana – l’amicizia è una
virtù, le virtù sono capacità acquisite – viene individuata e definita sulla
base della sua eccellenza: è il caso eccellente, in cui un tratto umano è più
pienamente realizzato, che funge da essenza normativa rispetto ai casi
difettivi, deficitari, degradati, imperfetti; per definire, occorre guardare ai
casi migliori, alla modalità in cui una potenzialità è dispiegata ed espressa
più compiutamente, e che misura gli altri casi quasi costituendone un virtuale
dover-essere rispetto a cui essi mostrano la loro manchevolezza. Perciò la
teoria aristotelica presenta al contempo una dimensione descrittiva e una normativa,
fra le quali sussiste una sorta di tensione dialettica. E in effetti le
amicizie fondate sul piacere e sull’utile sono incomplete: vengono
caratterizzate addirittura come amicizie per accidens[51], il che sembra sulle
prime vanificare l’atteggiamento inclusivo adottato da Aristotele come cifra
metodologica, non solo praticata ma persino esplicitata in modo
programmatico[52]. È come se in sede di definizione generale Aristotele fosse
interessato a preservare l’unità della nozione di amicizia nonostante le
differenze, ma in sede di caratterizzazione sinottico-comparativa dei diversi
tipi, ponesse invece l’enfasi sullo iato che separa l’amicizia prima o perfetta
dalle altre, fino a trattare le altre come solo accidentalmente tali. Perché
esse sono caratterizzate come «accidentali»? Chi si ama per l’utile o per
il piacere lo fa «non perché l’individuo amato sia quello che è, ma in quanto è
utile o in quanto è piacevole»[53]: l’utilità e la piacevolezza sono proprietà
relazionali esterne all’essenza dell’amico amato, determinate dagli effetti che
esso ha su chi lo ama, «perché gli uni ne traggono un qualche bene, gli altri
un piacere»[54]; invece l’amicizia basata sulla virtù e la bontà dell’amico
amato, è basata su proprietà intrinseche all’amato, su ciò che da ultimo
l’amato è[55]. Noi siamo il nostro carattere, il nostro carattere è l’insieme
unificato delle nostre virtù, una seconda natura che è frutto prima
dell’educazione e poi delle nostre scelte: noi siamo un sé che sceglie, e i
nostri pensieri, discorsi e azioni manifestano il nostro “sé”. Pertanto,
nell’amicizia perfetta il bene che è in gioco è l’amico stesso che è amato, per
ciò che egli essenzialmente è, mentre il bene che è in gioco nelle altre
amicizie è il bene – nella forma dell’utile o del piacevole – dell’amico che
ama. Anche se l’amicizia è sempre reciproca, resta fermo che nell’amicizia
perfetta il fondamento è, per ciascuno degli amici, l’altro come buono, nelle
altre è invece il proprio bene in quanto utilità o piacere[56]. Nelle amicizie
imperfette la ragione per cui si vuole e persegue il bene dell’altro, resta
radicata nell’interesse proprio come diverso dal bene elargito all’altro e
diverso dall’altro stesso come dotato di valore intrinseco. È questa differenza
radicale a rendere le amicizie imperfette amicizie per accidens: ciò non
implica, si badi, che non siano amicizie[57], bensì che lo sono solo in virtù
del loro somigliare all’amicizia perfetta, seppure in modo difettivo. Ma
l’amicizia fondata sul bene dell’amico non rischia così di risultare
“disinteressata” in un modo psicologicamente implausibile? Solo in apparenza,
in quanto il bene di chi ama è in gioco, ma lo è in quanto coincide col bene
dell’amico: se siamo amici perfetti, siamo entrambi buoni e virtuosi, e il
nostro bene individuale coincide col bene simpliciter: noi, come amici
perfetti, cooperiamo per realizzare il bene in generale[58]; il bene mio e
dell’amico sono voluti – rispettivamente, dall’amico e da me – in conseguenza
del fatto che anzitutto io e l’amico siamo dei beni: se lo siamo l’uno per
l’altro, è perché siamo buoni, siamo dotati di valore intrinseco, e lo
riconosciamo reciprocamente. Non si tratta di una implausibile relazione
puramente altruistica e disinteressata, perché non si fonda – ribadiamolo – solo
sul volere il bene dell’altro, ma anzitutto sull’altro come bene in sé: voglio
e perseguo il bene dell’altro non per altruismo astratto, ma perché l’altro è
un bene. Una nozione comune con cui forse potremmo rendere più chiaro questo
aspetto, è quella di stima. L’amicizia perfetta è fondata sulla stima
reciproca: un amico che stimo per ciò che è e per come è, esemplifica in sé ciò
che è buono, a prescindere da ciò che io posso trarre da lei/lui: «se uno non
gioisce perché l’altro è buono, non c’è la prima amicizia» (1237b4-5). La stima
reciproca presuppone una consonanza di valori, un’intesa su ciò che vale e ciò
che è degno: e visto che i due amici sono virtuosi e buoni, essi valgono e
sanno di valere, per questo valgono anche l’uno per l’altro. Si tratta di una
amicizia in cui coltivare il proprio bene coincide col coltivare l’altro e il
suo bene, e questo coincidere non è accidentale – come accade nelle altre
amicizie – bensì è costitutivo. Invece posso trarre vantaggio da un amico utile
senza stimarlo affatto, così come posso trarre piacere – per esempio,
divertendomici insieme – da qualcuno che non stimo, che non ritengo una persona
buona, degna, valida. L’accidentalità delle amicizie non perfette si
rende perspicua nella loro strutturale instabilità: un rapporto fondato
sull’utilità non avrà più ragion d’essere, qualora uno dei due amici smetta di
essere utile all’altro; i bisogni umani sono cangianti, e tali sono le risorse
altrui per farvi fronte, cosicché anche le relazioni utilitarie sono essenzialmente
mutevoli; lo stesso accade per gli amici secondo il piacere: cambiano, nel
tempo, le fonti del piacere, i “gusti”, e cambiano anche le capacità altrui di
procurarci piacere; l’amicizia piacevole, poi, è precaria anche perché riguarda
tipicamente i giovani, i quali sono di per sé in continuo
cambiamento[59]. Invece la virtù del carattere è cosa stabile: le
amicizie complete sono stabili perché sono fondate sul bene come virtù, che è
costante e non facile a mutare[60]. Il tempo può rendere inutile un amico che
prima era utile, o non più piacevole un amico che lo era, ma difficilmente può
sottrarre a un carattere le virtù, far diventare malvagi i buoni, stolti i
saggi, e dunque minare le basi su cui le relazioni virtuose fra buoni sono
costruite. Per questo l’amicizia completa è specialmente solida, quasi
incrollabile[61], e l’amico virtuoso è un amico «al massimo grado»[62], un
amico «vero»[63]. Un tale amico si renderà utile se può e quando sia
necessario, ma sarà utile perché è un amico, piuttosto che essere amico perché
è utile; e sarà piacevole all’amico, giacché ci risulta tendenzialmente
piacevole frequentare chi stimiamo[64]. Così Aristotele, forte della sua
tassonomia tripartita, deriva dei propria (dei caratteri distintivi) di
ciascuna amicizia, spiegando i fenomeni e riconciliandoci con le comuni
pratiche ascrittive: alcune intuizioni, luoghi comuni e opinioni notevoli sono
vere di un’amicizia, alcune dell’altra. Parlando coi giovani Liside e
Menesseno, Socrate nel Liside si dice desideroso di amicizia più di ogni cosa
al mondo – con una Priamel che restituisce in modo icastico l’idea
dell’amicizia come il più grande dei beni esterni, fatta anch’essa propria da
Aristotele – e invidia ironicamente la loro felicità, visto che sono giovani e
sono diventati amici «in modo facile e rapido»[65]. Si tratta di caustica
ironia, visto che la φιλία che ha a cuore Socrate non è né facile né rapida:
ciò che è dissimulato, è che quella non è verace amicizia, ma altro. Qui c’è
un’aporia in nuce, visto che i giovani che si frequentano, pur con una certa
leggerezza e una conoscenza reciproca non profonda, paiono amici e sono detti
tali, eppure non soddisfano i requisiti della “vera” amicizia non solo secondo
l’idea socratica, ma anche secondo l’opinione diffusa per cui la vera amicizia
è durevole, lenta e difficile a darsi. Aristotele distingue i soggetti delle
attribuzioni incompatibili, salvando la verità di entrambe: l’amicizia
giovanile (per esempio, quella di Liside e Menesseno) è fondata sul piacere, e
ha certi tratti distintivi quali la facilità a prodursi e a decadere,
l’intensità emotiva, e così via; l’amicizia perfetta, tipica degli uomini
maturi (è quella per cui Socrate dice di ardere di desiderio), necessita di una
lunga consuetudine e di una conoscenza reciproca profonda[66], è rara e
appannaggio di pochi, è difficilissima a nascere ma altrettanto difficile a
morire, fondandosi su ciò che in noi vi è di più stabile. Invece, quella utile
caratterizza tipicamente gli anziani, particolarmente bisognosi d’aiuto e
sensibili, per debolezza, al beneficio che può arrecare il mutuo soccorso[67];
inoltre, essa si riscontra nei più, nelle masse, le quali sono più preoccupate
dei benefici personali che del bene e del bello. Fra le amicizie incomplete,
Aristotele ascrive una superiore nobiltà a quella fondata sul piacere, mentre
quella fondata sull’utile è «da bottegai»[68]. In effetti, la condivisione del
piacere è qualcosa di meno strumentale rispetto al trarre vantaggi da qualcuno:
perlomeno il piacere è un fine, non un mezzo; inoltre, il piacere appartiene
alla frequentazione stessa dell’amico, mentre l’utile è a questa completamente
estrinseco: dunque il fondamento dell’amicizia utile è più esteriore e più
contingente di quello dell’amicizia piacevole. Un altro aspetto
problematico del Liside emerge in particolare nella Prima Aporia rispetto alla
polarità attivo/passivo (amante/amato), ma soggiace implicitamente anche ad
altre aporie: l’amicizia sembra implicare uguaglianza e comunanza da un lato, e
differenza e asimmetria dall’altro; si mescolano aspetti tipici del rapporto
pederastico-erotico (amante e amato non sono intercambiabili), aspetti del
rapporto genitoriale, anch’essi per definizione asimmetrici, e relazioni “fra
buoni” simili, potenzialmente simmetriche. Aristotele cerca di articolare
queste istanze entro un quadro più sistematico: la tassonomia delle tre
amicizie si arricchisce di una distinzione trasversale, fra amicizie
simmetriche e amicizie asimmetriche in cui uno è superiore e l’altro inferiore[69];
la φιλία deve essere reciproca, ma tale reciprocità può essere simmetrica o
asimmetrica (fra superiore e inferiore). I tipi di amicizia sono dunque sei,
giacché si può essere superiori quanto a virtù, a utilità, e a
piacevolezza. La ulteriore distinzione fra amicizie simmetriche e
asimmetriche consente ad Aristotele una esplorazione straordinariamente ricca
dei legami sociali più eterogenei, che assimila alla φιλία e alle sue
declinazioni i rapporti familiari (padre-figlio, marito-moglie, figlio-figlio),
i rapporti politici fra città (in vista dell’utile)[70], gli stessi rapporti
fra i cittadini in rapporto alla loro comunità, i rapporti fra governanti e
governati, le relazioni commerciali, e così via, e indaga le relazioni profonde
fra amicizia, giustizia, concordia, comunità. Non è possibile restituire
nemmeno sommariamente la ricchezza di tali analisi in questo contributo, il
quale si focalizza piuttosto sul significato filosofico e dialettico della
tripartizione in generale: ma fa d’uopo rilevare che le applicazioni di questa
teoria generale sono molteplici e fecondissime. 3. Amicizia
e autosufficienza La tripartizione (con ulteriore dicotomia
trasversale) non scioglie di per sé un nodo aporetico concernente la stessa amicizia
perfetta fra buoni: è l’idea espressa entro il punto 2 della Seconda Aporia del
Liside, per cui chi ha il bene presso di sé è autosufficiente e non ha bisogno
di nulla, dunque l’amicizia di chicchessia gli sarebbe inutile. È vero che
Aristotele ha distinto l’amicizia perfetta da quella utile, ma resta il
problema di comprendere come mai colui che è saggio, virtuoso e buono, bastando
a sé stesso, abbia una qualche motivazione a coltivare un amico, foss’anche un
amico perfetto: «se è felice chi ha la virtù, che bisogno avrà di un
amico?»[71]. L’idea dell’autosufficienza di chi è saggio, virtuoso, felice e
beato, ripresa dal Liside, è un topos tradizionale, quindi ha lo status di ἔνδοξον
ben radicato, di cui va dato conto e di cui va mostrata la compatibilità con la
teoria positiva proposta nonché con altri ἔνδοξα altrettanto ben
attestati. Il problema è affrontato in Etica Eudemia VII 12 e in Etica
Nicomachea IX 9, in maniere parzialmente differenti. L’Eudemia muove
dall’analogia con la condizione divina, paradigma dell’autosufficienza. Ma la
condizione umana può assurgere all’autosufficienza solo nella misura in cui lo
consente la natura dell’uomo, che è animale sociale-politico[72] e può/deve
realizzare questa natura, non quella divina[73]: il bene umano contempla sempre
il rapporto a un’alterità – è καθ’ ἕτερον[74] ˗ quello divino è assoluto
rapporto a sé[75]. L’autosufficienza divina funge da “idea regolativa”, da
norma ideale: l’uomo felice minimizzerà il numero degli amici e si limiterà a
quelli virtuosi, degni di accompagnarsi a lui; proprio il caso di chi non è
obnubilato da bisogni e mancanze, evidenzia il valore intrinseco dell’amicizia
perfetta, perseguita non già per ricevere benefici bensì per fare, dare e
condividere il bene che si possiede. Ma l’argomento successivo – che è molto
complesso e possiamo solo sintetizzare[76] – chiarisce che non si tratta di un
altruismo generico e astratto, in quanto l’amicizia è ingrediente essenziale,
non accessorio, della felicità individuale. Vivere, per l’uomo, è
percepire e conoscere[77], e – prosegue Aristotele ˗ l’aspirazione massima di
ciascuno di noi è, da ultimo, quella di conoscere noi stessi (tesi che rivisita
il celebre monito delfico-socratico); la felicità è costituita dalla conoscenza
di sé in quanto attivi come buoni e virtuosi[78], e la conoscenza di sé passa
per la conoscenza reciproca fra amici: l’amico è «un altro sé»[79], «percepire
l’amico necessariamente è percepire in certo modo sé stesso e conoscere in
certo modo sé stesso»[80]. Condividendo con l’amico i beni, i piaceri e le
attività della vita felice, incrementiamo dunque la conoscenza di noi stessi e
della nostra stessa felicità. La Nicomachea chiarisce la relazione fra il
riconoscimento reciproco degli amici virtuosi e la loro felicità, soprattutto
in un passo speculativamente densissimo: Se l’essere felici
consiste nel vivere e nell’agire, e l’attività dell’uomo dabbene ed eccellente
è per sé virtuosa [..], se poi anche ciò che è familiare/affine (οἰκεῖον) a
qualcuno è tra le cose che lui trova piacevoli, se noi possiamo osservare il
nostro prossimo meglio di noi stessi, e le sue azioni più che le nostre, se le
azioni degli uomini superiori, che siano anche amici, sono fonte di piacere per
i buoni, dato che hanno tutte e due le caratteristiche piacevoli per natura,
allora l’uomo beato avrà bisogno di amici simili a lui, posto che davvero
preferisca osservare azioni buone, e che gli sono proprie, come lo sono le
azioni dell’amico, quando è buono. (Et. Nic. IX 9 1169b31-1170a4)[81] Le
attività di un’esistenza virtuosa e felice sono obbiettivamente piacevoli agli
occhi di un uomo buono, virtuoso e felice a sua volta: vi si rispecchia,
sentendocisi “a casa propria”, e la familiarità determinata da affinità e
prossimità, gli è in sé piacevole. Come si evincerà, la nozione platonica di οἰκεῖον,
introdotta sul finire del Liside come cifra stessa della φιλία, trova una
ripresa puntuale e una valorizzazione speculativa nella teoria aristotelica. Il
prossimo si offre alla nostra conoscenza in modo più trasparente che noi
stessi, giacché la sua distanza da noi lo rende meglio oggettivabile. I due
tratti umani piacevoli per natura sono da un lato la felicità di cui la virtù è
costitutiva, dall’altro la familiarità, che chi è felice è virtuoso riscontra
ed esperisce nel contemplare e cooperare con un’altra esistenza felice e
virtuosa. Le azioni di un nostro amico “perfetto” sono buone e nel contempo ci
sono proprie, cosicché contemplarle è come trovare in esse lo stesso bene che
noi siamo. Potrebbe stupire il riferimento reiterato al tema del piacevole,
quasi che si trattasse di una delle due amicizie non perfette: ma occorre
tenere a mente che il piacevole per natura o ἁπλῶς coincide col bene ἁπλῶς, e
che si tratta di un piacere costitutivo del bene e inseparabile da esso, piuttosto
che di un piacere addizionale ed esteriore rispetto al bene cui consegue. Se
l’altro è sufficientemente prossimo a me, posso de-situarmi e oggettivarmi
riconoscendomi nelle sue azioni, secondo una dialettica complessa e chiastica
di riconoscimento reciproco. «Se l’uomo eccellente si comporta verso l’amico
come si comporta verso di sé, dato che l’amico è un altro se stesso, allora,
così come è desiderabile per ciascuno il suo proprio esserci, così è
desiderabile l’esserci dell’amico, o quasi» (EN IX 9, 1170b5-8). In questo
gioco speculare di identificazioni reciproche, il mio rapporto con l’altro è
mediato del mio rapporto con me stesso[82], l’altro è un «altro me» e perseguo
il suo bene in maniera pressoché equivalente a come perseguo il mio (quel «quasi»
è una concessione al realismo empirico, da cui questa idealizzazione non vuole
disancorarsi); ma è altrettanto vero che il mio rapporto con me stesso è a sua
volta mediato dal mio rapporto con l’altro, giacché conosco genuinamente me
stesso non già con un qualche misterioso atto introspettivo[83], bensì
conoscendo persone simili a me che a loro volta mi riconoscono simili a sé:
questa è la ragione perché v’è bisogno di amici buoni e virtuosi entro
relazioni di amicizia “perfetta”; se la felicità implica autosufficienza, si
tratta di un’autosufficienza umana e non divina, che passa per l’inclusione del
prossimo nella nostra esistenza, e per la cooperazione con chi scegliamo come
degno incarnare il bene e la virtù[84]. Come l’essere amici non si dà senza il
sapere di esserlo anche se si può credere di essere amici senza esserlo, così
l’essere felici (in quanto buoni e virtuosi in attività) non si dà senza la
coscienza di essere felici (in quanto buoni e virtuosi), anche se è possibile
credere di essere felici senza esserlo davvero. E per sapere chi sono, devo
rispecchiarmi in amici simili a me[85]. Ciò importa che l’uomo beato non avrà
bisogno di amici “meramente utili” e “meramente piacevoli”, invece dovrà avere
amici buoni e virtuosi: il topos tradizionale è riscattato nella sua verità
profonda, ma anche oltrepassato in virtù della tripartizione; in un senso è
vero, in un altro no. Essere felici insieme è diverso dal semplice divertirsi
insieme, anche se lo include, ed è diverso dal semplice aiutarsi l’un l’altro,
anche se può includerlo. L’amico perfetto ˗ come ogni altro autentico
bene ˗ è oggetto di scelta razionale[86]. Anche per questo la teoria
aristotelica si distanzia da quella platonica[87]: la φιλία erotica, già ben
presente nel Liside sin dalla sua ambientazione scenica – una palestra, ove
Liside è il «bello del momento» di cui Ippotale è innamorato – viene relegata
da Aristotele a una delle tante forme di φιλία, degna di pochi accenni
espliciti, mentre nel Simposio e nel Fedro, dialoghi ben più elaborati e
costruttivi del Liside, l’eros è la forma di φιλία che viene eletta a oggetto
di indagine paradigmatico. Ma le componenti mistico-estatiche della φιλία
erotica come «follia divina» e frutto di invasamento[88], risultano
completamente marginalizzate entro la teoria aristotelica. L’amicizia più degna
e verace è attività derivante da scelta come desiderio razionale; se la
felicità è attività e i beni che la materiano sono oggetto di scelta, allora
anche l’amicizia, ingrediente costitutivo della vita felice, sarà espressione
di attività, piuttosto che passivo invasamento consistente nell’esser
“posseduti” da uomini o dèi. Il primato etico, fisico e metafisico dell’azione
sulla passione, è anche il primato di un certo tipo d’amore su un cert’altro.
L’amicizia è riportata fra gli amici, e la sua declinazione più eccellente,
normante rispetto alle altre, è caratterizzata secondo la dimensione eticamente
più elevata dell’umano: la ragione che sceglie e governa il desiderio,
piuttosto che esserne governata. L’eros platonico, così bellamente ed
enfaticamente rappresentato nel Simposio e nel Fedro, diventa per Aristotele
solo una delle tante declinazioni possibili di un tipo di amicizia – quella
fondata sul piacere – che è già di per sé incompleta e deficitaria[89].
Secondo l’aporetico excipit del Liside, né amanti né amati, né simili né
dissimili, né contrari né affini, né buoni, possono essere amici[90]; le Etiche
aristoteliche presentano una teoria la quale non solo consente ma anche prevede
che amanti, amati, simili, dissimili, contrari, affini, buoni, e perfino
malvagi possano essere amici; inoltre tale teoria offre le risorse concettuali
per chiarire quali coppie di amici possano e/o debbano avere questo o quel
carattere distintivo, e perché. Spero di avere almeno approssimato il
duplice obbiettivo prefissatomi: mostrare in modo dettagliato e sistematico la
dipendenza polemico-dialettica della teoria aristotelica dal Liside platonico,
e mettere in luce il significato filosofico generale della tripartizione della
φιλία in Aristotele. Bibliografia Adkins,
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Note al testo [1] Cfr. Phys. I 1: la conoscenza procede da
ciò che è più prossimo e più conoscibile per noi, a ciò che è primo per se o
per natura; se tale “risalita” verso i principi a partire da ciò che ci è
immediatamente più vicino è il metodo della fisica, a fortiori esso si applica
all’ambito etico, che è ambito segnatamente umano: cfr. Et. Nic. I 2,
1095a31-b4, ma anche De An. II 2, 413a11-17 e Met. VII 3, 1029a35-b12. Sul
valore epistemologico di questa differenza, resta decisivo Ruggiu (1965). [2]
Per esempio: quando diciamo, tipicamente, qualcuno «amico» di qualcun altro?
Sul rapporto costitutivo fra il primo-per-noi e il linguaggio, cfr. Wieland
(1993). [3] Cfr. Top. I 1, 100 b 21-23; intendo questa definizione di ἔνδοξον
come una disgiunzione inclusiva: se un’opinione è condivisa almeno da uno degli
insiemi indicati (tutti, i più, i sapienti, qualcuno di essi), è un ἔνδοξον, e
ciò che lo rende tale può essere quantitativo, o qualitativo, o entrambi: per
esempio, se è condiviso da tutti, lo sarà anche dai sapienti. [4] Sulla intima
connessione fra δοκοῦντα, λεγόμενα e φαινόμενα, cfr. Owen (1967), Nussbaum
(1986b). [5] Cfr. De An. I 1, 402b 16-403a8. [6] Cfr. Herod. III 82, 35 e
Tucid. I 137, 4, in cui si trova l’endiadi «συμμαχίᾳ καὶ φιλία». [7] Nei poemi
omerici non vi è il termine φιλία – le prime occorrenze si trovano in Teognide
(Teog. I, 31-38, 53-60, 323-28) – ma termini analoghi come φιλότης, φίλος sono
utilizzati sia a proposito del rapporto fra uomini che di quello fra uomini e
dèi. Sulla φιλία nel mondo antico, cfr. Pizzolato (1993), Fraisse (1974). [8]
Nel Fedro platonico (228a-e), Socrate confuta un discorso di Lisia sulla φιλία,
che Fedro custodiva sotto il mantello: quindi è verosimile che anche prima
della data di composizione del Liside la φιλία fosse importante oggetto di
dibattito e di riflessione critica. Del resto Giamblico (De Pythagorica Vita,
229-30) e Diogene Laerzio (Vitae Philosophorum, VIII, 10) attribuiscono già a
Pitagora la prima trattazione filosofica della φιλία. [9] Anche il Fedro e il Simposio
si occupano lungamente della φιλία – l’eros è una forma della φιλία, per
Platone quella più significativa – ma, come cercherò di mostrare, l’indagine
aristotelica dipende sistematicamente dal Liside: per così dire, essa articola
una differente risposta a quelle aporie, rispetto a quella che propone Platone
nel Simposio e nel Fedro. [10] Meglio: se qualcuno sia amico di qualcun altro
in quanto ami o, piuttosto, in quanto sia amato. [11] φίλος + dativo significa
“caro a qualcuno”, φίλος + genitivo indica colui a cui qualcuno è caro, due
individui sono φίλοι, quando sono l’uno “caro” all’altro. [12] Alcuni
interpreti leggono il Liside come un esercizio dialettico, filosoficamente
debole [Versenyi (1975)] o più retorico-sofistico che filosofico [Bordt (1988)],
o dal significato prolettico-introduttivo rispetto ai maturi Simposio e Fedro
[Kahn (1996), ma già Gomperz (2013), Auslage 5, e Willamovitz (1959)]; benché
questi due dialoghi successivi ne possano a buon diritto adombrare il valore
intrinseco, tuttavia i temi sollevati dal Liside sono nodi aporetici
sostanziali, e non deve fuorviare il fatto che Socrate mutui il linguaggio e lo
stile argomentativo dal tipo di interlocutore che affronta (per esempio,
“facendo” il sofista col sofista Menesseno, e così via). Per una
interpretazione non riduttiva del Liside e del suo valore speculativo, è
illuminante Trabattoni (2004). [13] Un altro topos tradizionale – per cui la
vera amicizia è fra ἀγαθοί – ricorrente in Platone: per restare all’esempio più
noto, in Resp. I, 351a-e Socrate replica a Trasimaco che fra malvagi e ingiusti
non può esserci alcuna cooperazione né amicizia; era comunque un tema
essenziale per Socrate (cfr. Senofonte, Mem., 2.6 1-7). [14] Sull’ascendenza
omerica di questo topos tradizionale, e sulla sua importanza per Aristotele
(cfr. infra: Par. III), cfr. Adkins (1963). [15] La coscienza del male come
tale è sintomo del fatto che il male è relativo e non assoluto. [16] Qui nel
Liside si tratta di ἐπιθυμία (cfr. 217c). [17] Tralascio qui la questione della
possibile identificazione del Primo Amico col Bene: ciò che rileva, qui, è il
fatto che esso trascenda gli amici concreti, i quali sono tali solo «a parole»
e stanno al Primo amico – che è tale «in realtà» (τῷ ὄντι) – come i mezzi al
fine (cfr. Lys. 220b1-4). [18] Lys 222e1-7. [19] La letteratura sull’amicizia
in Aristotele è sterminata: in luogo di proporre una lunga lista di studi che
comunque sarebbe tutt’altro che esaustiva, nel seguito mi limiterò a citare
alcuni contributi che sono particolarmente pertinenti agli aspetti che
tratterò. Un commento sintetico e preciso a Et. Nic. VIII e IX è Pakaluk
(1998). [20] È il giudizio nettamente prevalente, anche se non unanime. [21]
Sul rapporto fra il Liside e le Etiche aristoteliche riguardo l’amicizia, buoni
spunti si trovano in Annas (1986). [22] Et. Eud. VII 1, 1234b18-1235a4; cfr.
anche Et. Nic. VIII 1. [23] Et. Eud. VII 1, 1155a33-b7. [24] Trad. it.
modificata. [25] Cfr. supra: nota 16. [26] Et. Eud. VII 2, 1235b22-23. [27] C’è
chi crede che il piacere sia un bene, ma c’è anche chi crede che non lo sia
eppure gli appare – porto dalla φαντασία – come se lo fosse. Nell’acratico la
forza della φαντασία sopravanza, nelle scelte pratiche, quella della δόξα. [28]
Il «bene apparente» è qualcosa che appare come bene; ma può anche non esserlo:
tuttavia, anche il bene reale motiva il desiderio solo apparendo come bene.
Dunque «apparente» qui non va affatto interpretato come falsa apparenza. [29]
Et. Eud. VII 2, 1235b30-1236a1. [30] Il piacevole non è l’immediato, ma anche
ciò che non procura dispiacere futuro; Aristotele sa bene che molte cose
dannose possono procurare del piacere immediato. Ma chi non è acratico, conscio
delle conseguenze negative, accorderà il suo desiderio con la sua ragione, e la
motivazione data dall’ipotetico piacere immediato sarà soverchiata dalla
motivazione a evitare danni futuri. [31] Questo punto è più chiaro per come è
presentato in Et. Nic. VIII 2, 1155b23-27. [32] Nelle espressioni δι’ ἀρετὴν,
διὰ τὸ χρήσιμον, δι’ ἡδονήν, la preposizione significa a un tempo «in base a»,
«a causa di», «al fine di»: il rispettivo amabile è ciò che causa
quell’amicizia, ciò che ne costituisce il fondamento o ragion d’essere, ciò che
ne rappresenta il fine [su un’idea analoga, cfr. Nussbaum (1986a)]; nei termini
della nota teoria delle quattro cause (dei quattro sensi del διὰ τί, cfr. Phys.
II 3), potremmo plausibilmente intendere il tipo di amabile come causa
efficiente, formale e finale della rispettiva relazione amicale. [33] Cfr. Et.
Nic. VIII 2, 1155b26-31. Mentre la φίλησις è una passione o affezione (πάθος),
la φιλία è uno stato abituale (ἕξις, 1557b28-29). [34] Cfr. Et. Eud. VII 2,
1237b17-23; Et. Nic. VIII 4, 1156b30-33. [35] Vi è discussione sul fatto che
questa caratterizzazione definitoria offra condizioni sufficienti perché
qualcosa sia amicizia, oppure solo condizioni necessarie; propenderei per la
seconda opzione: per esempio, Aristotele ritiene che per diventare amici deve
passare del tempo, e molti scambiano il desiderio di essere amici con
l’amicizia stessa (Et. Eud. VII 2, 1237b12-22); ma se il desiderio è reciproco,
sussiste già benevolenza reciproca non celata, che non è ancora amicizia. [36]
Sul focal meaning cfr. Owen (1963), Ferejohn (1980). L’exemplum princeps è
quello della Metafisica: la sostanza è il focal meaning dell’essere, tutto ciò
che è o è sostanza o rimanda a una sostanza, al modo in cui tutto ciò che è
«sano» rimanda alla salute e tutto ciò che è «medico» alla medicina (cfr. Met.
IV 2, 1003a32-1003b11). [37] Cfr. Fortenbaugh (1975). [38] Può esserlo in modo
mediato, come foriero di un altro utile, al modo in cui qualcosa è mezzo di un
altro mezzo, ma in ultima istanza l’utile è tale perché porta al bene e i mezzi
sono tali perché portano al fine. [39] Per esempio, in De An. III 7, 431a10-13
il piacere è definito come l’essere percettivamente attivi nei confronti del
bene in quanto bene; l’utilità è indefinibile se non come capacità di
avvicinarci a un qualche bene; l’utile sta al bene come il mezzo al fine, e non
vi è modo di definire cosa sia un mezzo, senza chiamare in causa la nozione di
fine. [40] Et. Eud. VII 2, 1236a25-26. [41] Et. Eud. VII 2, 1236b1-2; Et. Nic.
VIII 4, 1156b7-8. [42] Cfr. Esiodo, Opera et dies, 342-360; 707-723. [43]
Chiamare amicizia solo quella prima, equivarrebbe a «violentare i fenomeni»
(βιάζεσθαι τὰ φαινόμενα, Et. Eud. VII 2, 1236b 22). [44] Et. Nic. VIII 4,
1156b7. [45] La prima amicizia, infatti è quella «secondo virtù e a causa del
piacere della virtù» (EE VII 1238a31-32). [46] Secondo Aspasio (164.3-11), Owen
(1960) e Dirlmeier (1967) vi sarebbe comunque focal meaning e relazione πρὸς ἓν,
ancorché non esplicitata. [47] Et. Nic. VIII 5, 1157a32. [48] Se poi
l’individuo è acratico, potrebbe anche non credere che qualcosa sia il suo
bene, ma perseguirlo perché gli “appare” bene e frequentare individui utili a
qualcosa che egli cerca di procurarsi pur sapendo che non è il suo bene: come
uno che frequentasse un pusher in modo costante per procurarsi della droga,
sapendo di farsi del male ma perseverando nel suo comportamento autodistruttivo
(e nelle frequentazioni relative) per debolezza. [49] Sulla rilevanza della
distinzione fra «bene per qualcuno» e «bene incondizionato» in rapporto alla
teoria delle tre amicizie, insiste doverosamente O’Connor (1990). [50] Et. Nic.
IX 10,1170b20-29. [51] Così, nella Nicomachea (Et. Nic. VIII 2, 1156a17), non
nella Eudemia. [52] Cfr. supra: Par. II, 3. [53] EN VIII 3, 1156 a 16-17. [54]
EN VIII 3, 1156a18-19 [55] Cooper (1977) sostiene che le amicizie accidentali
siano tali perché dipendano da tratti accidentali del carattere dell’amico
amato; Payne (2000) replica che anche i tratti in virtù di cui qualcuno risulta
piacevole o utile possono essere altrettanto essenziali di quelli che lo
rendono virtuoso: gli amici perfetti sarebbero scelti «per sé stessi» in quanto
i loro caratteri virtuosi sono scelti come fine e non come mezzo (per altro).
Ma le letture sono forse componibili: l’esser utile o piacevole, anche se
sopravviene a tratti essenziali del carattere altrui, restano esterni
all’altro, in quanto relazionali in un senso diverso dalla virtù; l’esser buono
è sia essenziale e intrinseco all’amico, che scelto per sé stesso e non per
altro, e rende anche l’amico stesso, che ha quel carattere virtuoso, scelto per
sé stesso e non per altro. Cfr. supra: nota 31. [56] In Et. Eud. VII 7,
1241a5-7 si afferma che «se uno vuole per un altro i beni perché costui gli è
utile, li vorrebbe allora non per quello ma per sé stesso; mentre invece la
benevolenza, proprio come l’amicizia, si ritiene che sia rivolta non a quello
che la prova, ma a colui per il quale la si prova. Pertanto, è chiaro che la
benevolenza è in relazione con l’amicizia etica». Qui pare che solo l’amicizia
etica (=virtuosa) implichi la benevolenza, che però è un costituente della
definizione generale di amicizia. Da passi di questo tenore pare che le
amicizie incomplete non siano amicizie in senso proprio, visto che non
soddisfano la definizione; Aristotele è oscillante, è innegabile che vi sia una
tensione irrisolta fra la sua vocazione inclusiva e lo sforzo di enucleazione
della “vera” amicizia come tipologia normante e assiologicamente sovraordinata,
che non è semplicemente una delle tre amicizie ma quella par excellence, di cui
le altre sono approssimazioni manchevoli. Si può accogliere la lettura di
Walker (1979), per cui l’amicizia perfetta soddisfa criteri più severi, le
altre criteri più laschi. [57] Si pensi alla percezione per accidente (De An.
II 6, III 1): essa è comunque studiata come una modalità genuina di percezione:
le ragioni per cui essa è percezione per accidente non inficiano il fatto di
essere genuinamente un tipo di percezione. [58] I due amici perfetti, in quanto
buoni e virtuosi, realizzano l’eccellenza della natura umana, sono esempi del
bene incondizionato e del piacere incondizionato. [59] Et. Nic. VIII 3,
1156a31-1156b1. [60] Et. Eud. VII 2, 1238a11-30; Et. Nic. VIII 3, 1156b17-32.
[61] Può succedere che l’altro cambi, peggiori, o impazzisca, ma non accade per
lo più. Cfr. Et. Nic. IX 3. [62] Et. Nic. VIII 4, 1156b10. [63] Et. Eud. VII 2,
1236b31. [64] La sventura, poi, può rivelare che un’amicizia che pareva
perfetta era in realtà in vista dell’utile (Et. Eud. VII 2, 1238a19-21). [65]
Lys. 211e-212a. [66] Et. Eud. VII 2, 1237b13-27. [67] Et. Nic. VIII 3,
1156a24-31. [68] Et. Nic. VIII 7, 1158a21. [69] Et. Eud. VII 4; Et. Nic. VIII
8. [70] Et. Eud. VII 9-11, Et. Nic. VIII 12-14. [71] Et. Eud. VII 12, 1244b4-5.
[72] Cfr. Pol. I 1, 1253a10-12; Et. Nic. IX 12, 1169b18-19. [73] Et. Eud. VII
12, 1245b15-16. [74] Et. Nic. 1245b18. [75] Et. Eud. VII 12, 1245b18-19. [76]
Si tratta di una complessità anche filologica, dovuta a corruzioni del testo.
Su ciò, cfr. Kosman (2004). [77] Delle tre anime – nutritivo-riproduttiva,
percettiva, razionale – la percettiva e la razionale sono quelle che
discriminano la realtà (cfr. De An. III 3, 427a17-23); la percettiva, poi, è
intimamente connessa col desiderio e, quindi, con l’azione (cfr. De An. III
9-11). Vivere significa realizzare le proprie capacità naturali e acquisite, il
che per l’uomo implica anzitutto l’esercizio di percezione e pensiero (ove
entrambe vanno concepite come connesse all’azione, in quanto coinvolgono anche
desiderio e intelletto pratico). Su ciò, mi permetto di rimandare a Zucca (2015),
Capp. II e VI. [78] La felicità è «una certa attività dell’anima secondo virtù
completa» (Et. Nic. II 13, 1102a5-6). [79] Et. Eud. VII 12, 1245a30; Et. Nic.
IX 9, 1166 a 32, 1170 b 6. [80] Et. Eud. VII 12, 1245a35-7. [81] Trad. it.
modificata. [82] In Et. Eud. VII 6 e in Et. Nic. IX 4 si argomenta che i tipi
di relazione che si hanno con gli altri dipendono dal rapporto che si ha con sé
stessi: chi è buono e virtuoso sarà anche amico di sé stesso in modo armonico e
costante – sebbene si possa parlare di amicizia solo κατὰ ἀναλογίαν (1240a13),
nel caso dell’auto-rapporto – chi è malvagio sarà incostante e in conflitto con
sé stesso, e in senso analogico sarà nemico di sé stesso. Questa idea non
contraddice l’idea per cui la conoscenza di sé passa per la conoscenza
dell’altro (Et. Nic. IX 9), ma anzi la completa: il buono e virtuoso è felice
anzitutto in quanto ha un “sano” rapporto con sé, ma si conosce e realizza come
felice solo in quanto ha un rapporto di riconoscimento reciproco con amici che
hanno, a loro volta, un altrettanto “sano” rapporto con sé stessi. [83] L’idea
di un accesso introspettivo infallibile ed essenzialmente privato ai nostri
propri atti mentali, così tipicamente moderna, è affatto estranea ad
Aristotele. [84] Come è naturale porre l’enfasi sul valore speculativo
intrinseco della teoria, così è altrettanto opportuno ricordare che l’amicizia
perfetta aristotelica resta prerogativa di un sottoinsieme dei maschi adulti
liberi; tuttavia, questa tara storica affetta la teoria dell’amicizia, per così
dire, mediatamente: in quanto restringe a quel sottoinsieme la capacità di
realizzare l’eccellenza morale, precondizione della relazione d’amicizia
perfetta. [85] Non uso la locuzione «sapere chi sono», anacronisticamente, come
il coglimento di me stesso in quanto individualità irriducibile, magari
ineffabile e inaccessibile ad altri – non è certo questa sorta di soggettività
“novecentesca”, che secondo Aristotele giungerebbe alla coscienza di sé
nell’amicizia – bensì come il venire a conoscenza di che tipo di persona sono.
[86] Come bene intrinseco che trascende il livello del piacevole, è un amabile
oggetto di volontà piuttosto che di appetito (Et. Eud. VII 2, 1235b22-23), e la
volontà è desiderio razionale di beni scelti. [87] Un’analisi sistematica e
comparativa delle nozioni di amicizia e amore in Platone e Aristotele, è Price
(1989). Cfr. anche Kahn (1981). [88] Cfr. Phaedr. 265b-c. [89] La relazione
erotica amante/amato, peraltro, è anche meno significativa e più instabile di
altre relazioni fondate sul piacere – dunque, già di per sé instabili – in
quanto in questo caso il piacere «non deriva dalla stessa fonte» (l’uno gode
nell’esser corteggiato, l’altro nel contemplare l’altro, Et. Nic. VIII 5,
1157a2-10). [90] Lys. 222a3-7. Proverbi, impicatura proverbiale. A Errare
humanum est.jpg Ab amico reconciliato cave. Guardati da un amico
riconciliato.[1] Absit reverentia vero. Bando ai pudori di fronte alla verità.
(Ovidio) Abusus non tollit usum. L'abuso non esclude l'uso.[2] Accidere ex una
scintilla incendia passim. A volte da una sola scintilla scoppia un
incendio.[3] Ad impossibilia nemo tenetur. Nessuno è obbligato a fare
l'impossibile.[4] Adulator propriis commodis tantum suadet L'adulatore tiene di
mira solo i suoi interessi.[5] (Giulio Cesare) Amantis ius iurandum poenam non
habet. Il giuramento dell'innamorato non si può punire.[6] Amicus certus in re
incerta cernitur. Il vero amico si rivela nelle situazioni difficili.[7]
(Quinto Ennio) Amicus omnibus, amicus nemini. Amico di tutti, amico di
nessuno.[8] Amicus Plato, sed magis amica veritas. Amo Platone, ma amo di più
la verità.[9] (Aristotele) Amor arma ministrat. L'amore procura le armi [agli
amanti perché possano essere grati alla persona amata].[10] (proverbio
medievale) Amor caecus. L'amore è cieco.[11] Amor gignit amorem.[10] Amore
genera amore. Amor tussisque non celatur. L'amore e la tosse non si possono
nascondere.[12] Amoris vulnus sanat idem qui facit. La ferita d'amore la risana
chi la fa.[12] Anceps fortuna belli. Le sorti della guerra sono incerte.[9]
(Cicerone) Aquila non captat muscas. L'aquila non prende mosche.[13] Athenas
noctuas mittere.[14] Mandare nottole ad Atene. Fare cosa inutile e superflua.
Ars est celare artem.[15] La perfezione dell'arte sta nel celarla. Audi, vide,
tace, si vis vivere in pace.[16] Ascolta, guarda e taci, se vuoi vivere in
pace. B Barba virile decus, et sine barba pecus.[17] La barba è decoro
dell'uomo e chi è senza barba è pecoro. Bene qui latuit, bene vixit. Ben visse
chi seppe vivere nell'oscurità.[18] (Ovidio) Beati monoculi in terra caecorum.
Beati i monòcoli nel paese dei ciechi. Bis dat qui cito dat. Dà due volte chi
dà presto.[19] Bis peccat qui crimen negat.[20] È due volte colpevole chi nega
la propria colpa. Bis pueris senes.[21] Il vecchio è due volte fanciullo. Bonis
nocet qui malis parcet. Chi risparmia i malvagi danneggia i buoni.[22] Bonum
nomen, bonum omen.[23] Buon nome, buon augurio. C Caecus non judicat de
colore.[24] Il cieco non giudica i colori. Non si può giudicare ciò che si
sottrae alle nostre attitudini. Caesar non supra grammaticos.[25] Cesare non
(ha autorità) sopra i grammatici. Le persone più altolocate non possono avere
autorità se non su quelle cose di cui s'intendono. Canis caninam non est.[26]
Cane non mangia cane. Carpe diem. Cogli il giorno. (Quinto Orazio Flacco)
Caseus est sanus, quem dat avara manus. Fa bene quel formaggio servito da una
mano avara.[27] Causa patrocinio non bona peior erit. La causa cattiva diventa
peggiore col volerla difendere.[28] (Ovidio) Causa perit iusta, si dextera non
sit onusta.[29] La giusta causa soccombe se la destra non è piena [di denaro].
Cave a signatis. Guàrdati dai segnati.[28] Antico adagio in odio a coloro che
sono affetti da qualche imperfezione fisica: guerci, zoppi, ecc. Cave tibi ab
acquis silentibus. Guàrdati dalle acque chete.[28] Cavendo tutus.[30] Se sarai
cauto, sarai sicuro. Cogito ergo sum. Penso dunque sono. (Cartesio)
Commendatoria verba non obligant.[31] Le parole di raccomandazione non
obbligano. Commune periculum concordiam paret.[32] Il comune pericolo prepari
la concordia. Consuetudo est altera natura. L'abitudine è una seconda
natura.[33] D De gustibus non est disputandum. Sui gusti non si discute.[34]
Difficilis in otio quies. È difficile esser tranquilli nell'ozio.[35] Dulce
bellum inexpertis, expertus metuit. La guerra è dolce per chi non ne ha
esperienza, l'esperto la teme.[36] (proverbio medievale) Dum caput dolet,
caetera membra languent. Quando duole il capo, tutte le membra languono.[37]
Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur. Mentre a Roma si delibera, Sagunto è
espugnata.[38] Dum vinum intrat exit sapientia.[39] Mentre il vino entra, esce
la sapienza. Duo cum faciunt idem, non est idem.[35] Quando due fanno la stessa
cosa, non è più la stessa cosa. E Errare humanum est, perseverare autem
diabolicum.[40] L'errare è cosa umana, il perseverare nella colpa invece è
diabolico. Error hesternus sit tibi doctor hodiernus.[41] L'errore di ieri ti
sia maestro oggi. Est in canitie ridicula Venus. È ridicolo l'amore di un
vecchio.[42] (Proverbio medievale) Est modus in rebus, sunt certi denique fines
| quos ultra citraque nequit consistere rectum. C'è una giusta misura nelle
cose, ci sono giusti confini | al di qua e al di là dei quali non può
sussistere la cosa giusta. (Quinto Orazio Flacco) Ex ungue leonem.[43]
Dall'unghia si conosce il leone. Da un atto compiuto si rivela la forza
dell'autore, morale o materiale. Excusatio non petita fit accusatio manifesta
(proverbio medievale)[44] Chi si scusa senza esserne richiesto s'accusa. F
Fabas indulcat fames.[45] La fame addolcisce le fave. Facile est inventis
addere.[46] È facile aggiungere a ciò che è stato inventato. Facile perit
amicitia coacta.[47] Facilmente muore un'amicizia forzata. Facit experientia
cautos.[48] L'esperienza rende cauti. Fac sapias et liber eris.[49] Fa' di
sapere e sarai libero. Felicium omnes sunt cognati. Tutti sono parenti dei
fortunati.[8] Fiat iustitia et pereat mundus. Sia fatta giustizia e perisca
pure il mondo. Frangitur ira gravis cum sit responsio suavis.[50] Una dolce
risposta infrange l'ira. Frustra sapiens qui sibi non sapet.[51] Inutilmente sa
chi non sa per sé. G Gutta cavat lapidem. La goccia scava la pietra. H Homo
longus raro sapiens; sed si sapiens, sapientissimus. Un uomo lungo (ossia alto)
di rado è sapiente; ma se è sapiente, è sapientissimo.[52] Homo sine pecunia,
imago mortis. L'uomo senza danaro è l'immagine della morte.[53] I Ianuensis
ergo mercator. Genovese quindi mercante.[54] Imperare sibi maximum imperium
est. Comandare a sé stessi è la forma più grande di comando. (Seneca, Lettere a
Lucilio, CXIII.30) In magno mari capiuntur flumine pisces.[55] Nei grandi fiumi
si pescano i grandi pesci. Nei grandi affari si fanno i grossi guadagni. In
medio stat virtus. La virtù sta nel mezzo. (Orazio) In vino veritas. Nel vino
c'è la verità. L M Magnum vectigal parsimonia.[56] La parsimonia è un gran
capitale. (Cicerone) Major e longiquo reverentia.[56] La riverenza è maggiore
da lontano. (Tacito) Mala gallina, malum ovum.[57] Gallina cattiva, uovo
cattivo. Mea mihi conscientia pluris est quam omnium sermo.[58] Per me val più
la mia coscienza che il discorso di tutti. (Cicerone) Medicus curat, natura
sanat. Il medico cura ma è la natura che guarisce.[59] Melius est abundare quam
deficere. Meglio abbondare che trovarsi in scarsezza.[60] Mors tua vita
mea.[56] La tua morte è la mia vita. Mortui non mordent. I morti non
mordono[61] [truismo] Mortuo leoni et lepores insultant. Anche le lepri
insultano un leone morto.[62] Multi multa, nemo omnia novit. Molti sanno molto,
nessuno sa tutto.[63] N Natura non facit saltus. La natura non procede per
salti.[64] Naturalia non sunt turpia.[65] Le cose naturali non sono turpi. Nemo
non formosus filius matri. Nessun figlio non è bello per sua madre.[66] Ne
pulsato portam alterius, nisi velis pulsetur et tua.[67] Non bussare alla porta
altrui se non vuoi che bussino alla tua. Nihil est in intellectu quod non
fuerit in sensu. Nulla è nell'intelligenza che prima non fosse nel senso[68]
Non omne quod licet honestum est.[69] Non tutto ciò che è lecito è onesto. Non
omnibus dormio. Non dormo per tutti.[70] Nomen omen Il nome è un presagio (v.
anche nomina sunt consequentia rerum e conveniunt rebus nomina saepe suis)
(Plauto, Persa, 625) Nomina sunt consequentia rerum. I nomi sono corrispondenti
alle cose. (Giustiniano, Institutiones, 2, 7, 3) O Omne animal post coitum
triste. Tutti gli animali sono mesti dopo il coito.[71] Omne ignotum pro
terribili.[72] Tutto ciò che è ignoto incute paura. Omnia munda mundis. Per chi
è puro tutto è puro. (Paolo di Tarso) Omnia vincit amor. L'amore vince ogni
cosa. (Virgilio, Bucoliche X, 69) Omnia fert aetas. Il tempo porta via tutte le
cose. (Virgilio) Omnis festinatio ex parte diaboli est.[73] Ogni fretta viene
dal diavolo. P Panem et circenses. Pane e giochi [per distrarre il popolo].
(Giovenale, X 81) Patere quam ipse fecisti legem.[74] Subisci la legge che tu
stesso hai fatta. Pectus est enim quod disertos facit È infatti il cuore che
rende eloquenti (Quintiliano, 10,7,15) Pecunia non olet Il denaro non puzza
(Vespasiano) Per aspera ad astra. Alle stelle [si giunge] attraverso aspri
sentieri.[75] Periculum in mora. Vi è pericolo nel ritardo. (Tito Livio, Ab
urbe condita; XXXVIII, 25) Philosophum non facit barbam.[76] La barba non fa il
filosofo. Primum vivere deinde philosophari (Thomas Hobbes) Prima vivere, poi
fare della filosofia. Q Quando Sol est in Leone, bibe vinum cum pistone. Quando
il sole è in Leone [segno zodiacale], bevi il vino col pistone [a
garganella].[77] Qui aquam Nili bibit rursus bibet.[78] Chi beve l'acqua del
Nilo la berrà di nuovo. È destinato a ritornarvi. Qui asinum non potest,
stratum caedit.[79] Chi non può bastonare l'asino bastona la bardatura. Qui
gladio ferit gladio perit. Chi di spada ferisce di spada perisce.[80] Qui in
pergula natus est, aedes non somniatur. Chi è nato in una capanna, i palazzi
non li vede neanche in sogno. (Petronio, 74,14) Qui jacet in terra non habet
unde cadat. Per chi giace in terra non c'è pericolo di cadere.[81] [truismo]
Qui medice vivit, misere vivit. Chi vive sotto la guida del medico, vive
miseramente.[81] Qui scribit, bis legit. Chi scrive, legge due volte.[82]
Quisque faber fortunae suae. Ognuno è artefice del proprio destino. (Appio
Claudio Cieco) Quod differtur non aufertur Ciò che si dilaziona non lo si
perde[83] Quod non potest diabolus mulier evincit. Ciò che non può il diavolo,
l'ottiene la donna.[84] (proverbio medievale) Quot homines tot sententiae.
Tanti uomini, altrettante opinioni.[85] Quot servi tot hostes. Tanti servi,
tanti nemici.[85] R Re opitulandum, non verbis.[86] L'aiuto va dato con i
fatti, non con le parole. Rem tene, verba sequentur Possiedi l'argomento e le
parole seguiranno. (Marco Porcio Catone) Res satis est nota, plus foetent
stercora mota.[87] È cosa nota: lo sterco più è stuzzicato e più puzza. S Salus
extra Ecclesiam non est[88] Al di fuori della Chiesa non v'è salvezza (Tascio
Cecilio Cipriano, Lettera, 73, 21) Sapiens nihil affirmat quod non probet.[89]
Il saggio nulla afferma che non possa provare. Satis quod sufficit.[90] Ciò che
è sufficiente al bisogno, basta. Semel abas, semper abas.[91] Una volta abate,
sempre abate. Proverbio medioevale, affermante che chi ha vestito una volta
l'abito sacerdotale non può spogliarsi più delle idee e delle abitudini
ecclesiastiche. Significa anche, per estensione, che si conservano sempre le
idee una volta acquistate. Semel in anno licet insanire. Una volta all'anno è
lecito fare follie. (Seneca) Senatores boni viri: senatus autem mala bestia.[92]
I senatori sono brava gente; ma il senato è una cattiva bestia. Sero
venientibus ossa.[93] Per chi viene troppo tardi restano le ossa. Si vis pacem,
para bellum. Se vuoi la pace prepara la guerra. (Vegezio) Sicut mater, ita et
filia eius. Quale la madre, tale anche la figlia.[94] Simia simia est, etiamsi
aurea gestet insignia.[95] La scimmia resta sempre scimmia, anche se indossa
ornamenti d'oro. Sol lucet omnibus.[96] Il sole splende per tutti. Vi sono
delle cose di cui tutti gli uomini possono godere. Sorex suo perit indicio.[97]
Il topo perisce per essersi rivelato da sé. Sublata causa, tollitur
effectum.[98] Soppressa la causa, scompare l'effetto. T Timeo Danaos et dona
ferentes. Io temo comunque i Greci, anche se recano doni. (Publio Virgilio
Marone) U Ubi maior, minor cessat. Dinanzi al più forte, il debole scompare.[8]
Ubi opes, ibi amici. Dove sono le ricchezze, lì sono anche gli amici.[8] Ubi
uber, ibi tuber.[99] Dove è la mammella, ivi è il tumore. Dove c'è abbondanza,
ivi si forma il marciume, la corruzione. V Verba movent, exempla trahunt.[100]
Le parole commuovono, ma gli esempi trascinano. Verba volant, scripta
manent.[101] Le parole volano, gli scritti restano. Vigilantibus, non
dormientibus, jura succurunt.[102] Le leggi forniscono aiuto ai vigilanti, non
ai dormienti. Vinum lac senum.[103] Il vino è il latte dei vecchi. Vulgus vult
decipi, ergo decipiatur. Il popolo (il mondo) vuole essere ingannato, e allora
sia ingannato.[104] Note Citato in
Mastellaro, p. 21. Citato in Tosi 2017,
n. 1408. Citato in Tosi 2017, n.
1010. Citato in 2005, p. 6. Citato in Mastellaro, p. 11. Citato in Mastellaro, p. 25. Citato in Mastellaro, p. 18. Citato in Mastellaro, p. 20. Citato e tradotto in 2005, p. 15. Citato in De Mauri, p. 27. Citato in Mastellaro, p. 24. Citato in Mastellaro, p. 23. Citato in Tosi 2017, n. 2265. Citato, con spiegazione, in Umberto Bosco,
Lessico universale italiano, vol. XV, Istituto della Enciclopedia italiana,
Roma, 1968, p. 59. Citato e tradotto in
2005, § 169. Citato e tradotto in 2005,
§ 188. Citato e tradotto in 2005, §
215. Citato con traduzione in 2005, p.
28. Citato in 1921, p. 43, § 161. Citato e tradotto in 2005, § 243. Citato e tradotto in Lo Forte, § 148. Citato con traduzione in 2005, p. 30. Citato e tradotto in 2005, § 256. Citato e tradotto in Lo Forte, § 154. Citato e tradotto in Lo Forte, § 155. Citato e tradotto in 2005, § 280. Citato in Andrea Perin e Francesca Tasso (a
cura di), Il sapore dell'arte, Skira, Milano, 2010, p. 41. Citato e tradotto in 2005, p. 37. Citato e tradotto in 2005, § 305. Citato e tradotto in 2005, § 312. Citato e tradotto in 2005, § 343. Citato e tradotto in 2005, § 344. Citato in Mastellaro, p. 9. Citato in 2005, p. 57. Citato in Arthur Schopenhauer, Aforismi sulla
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mano alla spada periranno di spada (Mt 26:52).
Citato in 2005, p. 256. Citato in
2005, p. 258. Citato in Tosi 2017, n.
1174. Citato in De Mauri, p. 171. Citato in 2005, p. 266. Citato e tradotto in 2005, § 2342. Citato e tradotto in 2005, § 2363. Spesso la frase viene attribuita a Cipriano
in una forma diversa: Extra Ecclesiam nulla salus. Citato e tradotto in 2005, § 2415. Citato e tradotto in 2005, § 2421. Citato e tradotto in Lo Forte, § 1034. Citato e tradotto in 2005, § 2457. Citato e tradotto in 2005, § 2472. Citato in 1921, p. 138, § 465. Citato e tradotto in 2005, § 2528. Citato e tradotto in Lo Forte, § 1079. Citato e tradotto in 2005, § 2606. Citato e tradotto in Lo Forte, § 1097. Citato e tradotto in Lo Forte, § 1169. Citato e tradotto in Lo Forte, § 1203. Citato e tradotto in Lo Forte, § 1204. Citato e tradotto in Lo Forte, § 1216. Citato in Proverbi siciliani raccolti e
confrontati con quelli degli altri dialetti d'Italia da Giuseppe Pitrè, Luigi
Pedone Lauriel, Palermo, 1880, vol. IV, p. 140.
Traduzione in voce su Wikipedia. Bibliografia L. De Mauri, 5000 proverbi
e motti latini, seconda edizione, Hoepli, Milano, 2006. ISBN 978-88-203-0992-0
Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, Milano, 1921. Giuseppe Fumagalli,
L'ape latina, Hoepli, Milano, 2005. ISBN 88-203-0033-8 Giacomo Lo Forte, Ad
hoc, Sandron, 1921. Paola Mastellaro, Il libro delle citazioni latine e greche,
Mondadori, Milano, 2012. ISBN 978-88-04-47133-2. Gustavo Benelli, Raccolta di
proverbi, massime morali, aneddoti, ed altro, Carnesecchi, Firenze, 1876. Renzo
Tosi, Dizionario delle sentenze latine e greche, Rizzoli, 2017. Voci correlate
Modi di dire latini Lingua latina Palindromi latini Categorie: Lingua
latinaProverbi per nazione. Proverbi
Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi: Proverbi toscani. A A brigante
brigante e mezzo.[fonte 1] A buon cavalier non manca lancia.[fonte 2] A buon
cavallo non manca sella.[fonte 2] A buon cavallo non occorre dir trotta.[fonte
3] A buon intenditor poche parole.[1][fonte 2] A caldo autunno segue lungo
inverno.[fonte 4] A cane scottato l'acqua fredda par calda.[fonte 5] A cane
vecchio non dargli cuccia.[fonte 2] A carnevale ogni scherzo vale, ma che sia
uno scherzo che sa di sale.[fonte 6] A caval che corre, non abbisognano
speroni.[fonte 3] A caval donato non si guarda in bocca.[2][fonte 2] A cavalier
novizio, cavallo senza vizio.[fonte 3] A cavallo d'altri non si dice
zoppo.[fonte 3] A cavallo di fuoco, uomo di paglia, a uomo di paglia, cavallo
di fuoco.[fonte 3] A cavallo giovane, cavalier vecchio.[fonte 3] A caval nuovo
cavaliere vecchio.[fonte 2] A chi batte forte, si apron le porte.[fonte 7] A
chi Dio vuole aiutare, niente gli può nuocere.[fonte 4] A chi fortuna zufola,
ha un bel ballare.[fonte 4] A chi ha abbastanza, non manca nulla.[fonte 4] A
chi mangia sempre polli vien voglia di polenta.[fonte 8] A chi non piace il
vino, il Signore faccia mancar l'acqua.[fonte 8] A chi non può imparare
l'abbicì, non si può dare in mano la Bibbia.[fonte 4] A chi non vuol credere,
poco valgono mille testimoni.[fonte 8] A chi non vuol credere sono inutili
tutte le prove.[fonte 8] A chi non vuol far fatiche, il terreno produce
ortiche.[fonte 9] A chi prende moglie ci vogliono due cervelli.[fonte 4] A chi
tanto e a chi niente.[fonte 2] A chi troppo e a chi niente.[fonte 10] A chi ti
dà il cappone, dagli la coscia e l'alone.[fonte 8] A chi ti porge un dito non prendere
la mano.[fonte 2] A chi vuole fare del male non manca l'occasione.[fonte 4] A
ciascun giorno basta la sua pena.[3][fonte 2] A ciascuno sta bene il proprio
abito.[fonte 4] A donna di gran bellezza, dalla poca larghezza.[fonte 4] A duro
ceppo, dura accetta.[fonte 4] A goccia a goccia si scava la pietra.[4][fonte
11] A goccia a goccia s'incava la pietra.[fonte 2] A gran salita, gran
discesa.[fonte 4] A granello a granello si riempie lo staio e si fa il
monte.[fonte 4] A grassa cucina povertà vicina.[fonte 4] A lavar la testa
all'asino si perde il ranno e il sapone.[fonte 12] A lume spento è pari ogni
bellezza.[fonte 4] A mali estremi estremi rimedi.[fonte 1] A muro basso ognuno
ci si appoggia.[fonte 1] A nemico che fugge ponti d'oro.[fonte 1] A ogni uccello
suo nido è bello.[fonte 1] A padre avaro figliuol prodigo.[fonte 13] A pancia
piena si ragiona meglio.[fonte 8] A pagare e a morire c'è sempre tempo.[fonte
14] A paragone del molto che ignoriamo, è meno di niente quanto noi
sappiamo.[fonte 4] A pazzo relatore, savio ascoltatore.[fonte 8] A pensar male,
s'indovina sempre.[fonte 15] A pensar male ci s'indovina.[fonte 2] A pentola
che bolle, gatta non s'accosta.[fonte 8] A rubar poco si va in galera, a rubar
tanto si fa carriera.[fonte 1] A san Lorenzo il dente la noce già sente.[fonte
2] A san Martino [11 novembre], apri la botte e assaggia il vino.[fonte 8] A
San Martino ogni mosto è vino.[fonte 16] A san Mattia la neve va via.[fonte 4]
A scherzar con la fiamma, ci si scotta.[fonte 17] A tal fortezza, tal
trincea.[fonte 4] A torto si lagna del mare chi due volte ci vuole
tornare.[fonte 4] A tutto c'è rimedio fuorché alla morte.[fonte 1] A usanza
nuova non correre.[fonte 2] Abbattuto l'albero scompare l'ombra.[fonte 8]
Accasa il figlio quando vuoi, e la figlia quando puoi.[fonte 18] Acquista buona
fama e mettiti a dormire.[fonte 4] Ai bugiardi e agli spacconi non è
creduto.[fonte 8] Ai voli troppo alti e repentini sogliono i precipizi esser
vicini.[fonte 19] A voli troppo alti e repentini sogliono i precipizi esser
vicini.[fonte 2] Abate cupido, per un'offerta ne perde cento.[fonte 4] Abate
rigoroso rende i frati penitenti.[fonte 4] Abbi piuttosto il piccolo per amico,
che il grande per nemico.[fonte 8] Abiti stranieri, costumi stranieri; costumi
stranieri, gente straniera; la gente straniera sloggia gli antichi
abitanti.[fonte 4] Abito troppo portato e donna troppo vista vengono presto a
noia.[fonte 4] Abbondanza genera baldanza.[fonte 4] Accade in un'ora quel che
non avviene in mill'anni.[fonte 2] Accade in un'ora quel che non avviene in
cent'anni.[fonte 2] Accendere una candela ai Santi e una al diavolo.[fonte 4]
Accendere una fiaccola per far lume al sole.[fonte 4] Acqua che corre non porta
veleno.[fonte 4] Acqua cheta rompe i ponti.[fonte 16] Acqua di san Lorenzo [10
agosto] venuta per tempo; se alla Madonna viene va ancora bene; tardiva sempre
buona quando arriva.[fonte 2] Acqua e chiacchiere non fanno frittelle.[fonte
20] Acqua lontana non spegne il fuoco.[fonte 21] Acqua passata, non macina
più.[fonte 22] Ad albero vecchio ed a muro cadente, non manca mai edera.[fonte
4] Ad ogni primavera segue un autunno.[fonte 4] Ad ognuno la sua croce.[fonte
23] Ad ognuno pare bello il suo.[fonte 4] Ad un grasso mezzogiorno spesso tien
dietro una cena magra.[fonte 4] Agosto ci matura il grano e il mosto[fonte 16].
Agosto: moglie mia non ti conosco.[5][6][fonte 1] Ai macelli van più bovi che
vitelli.[fonte 2] Ai pazzi ed ai fanciulli, non si deve prometter nulla.[fonte
8] Ai pazzi si dà sempre ragione.[fonte 8] Aiutati che Dio t'aiuta.[fonte 24]
Aiutati che il ciel t'aiuta.[fonte 25] Aiutati che io ti aiuto.[fonte 16] Al
baciarsi presto tien dietro il coricarsi.[fonte 4] Al bisogno si conosce
l'amico.[fonte 1] Al buio la villana è bella quanto la dama.[fonte 2] Al buio,
le donne sono tutte uguali.[fonte 8] Al buio tutti i gatti sono bigi.[fonte 16]
Al confessor, medico e avvocato, non tenere il ver celato.[fonte 26] Al
confessore, al medico e all'avvocato non si tiene il ver celato.[fonte 2] Al
contadin non far sapere quanto è buono il formaggio con le pere.[fonte 1] Al
cuore non si comanda.[fonte 1] Al cuor non si comanda.[fonte 27] Al cazzo non
si comanda.[fonte 2] Al culo non si comanda.[fonte 28] Al destino non si
comanda.[fonte 2] Al tempo non si comanda.[fonte 2] Al tempo e al culo non si
comanda.[fonte 2] Al debole il forte sovente fa torto.[fonte 8] Al fratello
piace più veder la sorella ricca, che farla tale.[fonte 8] Al levar le tende si
conosce il guadagno.[fonte 4] Al gatto che lecca lo spiedo non affidar arrosto.[fonte
8] Al genio non si danno le ali, ma le si tagliano.[fonte 4] Al medico, al
confessore e all'avvocato, bisogna dire ogni peccato.[fonte 8] Al povero manca
il pane, al ricco l'appetito.[fonte 8] Al primo colpo non cade l'albero.[fonte
2] Al primo colpo non cade un albero.[fonte 2] Al suono si riconosce la
pignata.[fonte 29] Al villano, se gli porgi il dito, si prende la mano.[fonte
30] All'A tien dietro il B nel nostro abbicì.[fonte 4] All'eco spetta l'ultima
parola.[fonte 4] All'orsa paion belli i suoi orsacchiotti.[fonte 8] All'uccello
ingordo crepa il gozzo.[fonte 2] All'ultimo si contano le pecore.[fonte 1]
All'umiltà felicità, all'orgoglio calamità.[fonte 8] Alla fame è presto ridotto
chi s'imbarca senza biscotto.[fonte 4] Alla fine anche le pernici allo spiedo
vengono a noia.[fonte 8] Alla fine loda la vita e alla sera loda il
giorno.[7][fonte 4] Alla fine loda la vita e alla sera il giorno.[fonte 2] Alla
guerra si va pieno di denari e si torna pieni di vizi e di pidocchi.[fonte 4]
Alle barbe dei pazzi, il barbiere impara a radere.[fonte 8] Alle volte si crede
di trovare il sole d'agosto e si trova la luna di marzo.[fonte 8] Altri tempi,
altri costumi.[fonte 2] Alzati presto al mattino se vuoi gabbare il tuo
vicino.[fonte 8] Ambasciator non porta pena.[fonte 2] Amare e non essere amato
è tempo perso.[fonte 4] Ambasciatore che tarda notizia buona che porta.[fonte
2] Amicizia che cessa, non fu mai vera.[fonte 4] Amico beneficato, nemico
dichiarato.[fonte 4] Amico di buon tempo mutasi col vento.[fonte 4] Amico di
ventura, molto briga e poco dura.[fonte 31] Ammogliarsi è un piacere che costa
caro.[fonte 4] Amor che nasce di malattia, quando si guarisce passa via.[fonte
8] Amor di nostra vita ultimo inganno.[8][fonte 32] Amor, dispetto, rabbia e
gelosia, sul cuore della donna han signoria.[fonte 8] Amor nuovo va e viene,
amor vecchio si mantiene.[fonte 8] Amor regge il suo regno senza spada.[fonte
32] Amore con amor si paga.[fonte 2] Amore di parentato, amore
interessato.[fonte 4] Amore di villeggiatura poco vale e poco dura.[fonte 2]
Amore di fratello, amore di coltello.[fonte 8] Amore è il vero prezzo con che
si compra amore.[fonte 33] Amore non si compra né si vende.[fonte 33] Amore
onorato, né vergogna né peccato.[fonte 8] Amore scaccia amore.[fonte 4] Anche
fra le spine nascono le rose.[fonte 34] Anche i fanciulli diventano
uomini.[fonte 4] Anche il più verde diventa fieno.[fonte 4] Anche il sole ha le
sue macchie.[fonte 4] Anche l'abate fu prima frate.[fonte 4] Anche l'ambizione
è una fame.[fonte 4] Anche la legna storta dà il fuoco diritto.[fonte 4] Anche
la regina Margherita mangia il pollo con le dita.[fonte 35] Anche le bestie le
ha fatte il Signore.[fonte 8] Anche le colombe hanno il fiele.[fonte 4] Anche
le pulci hanno la tosse.[fonte 2] Anche le uova della gallina nera sono
bianche; ma staremo a vedere se anche i suoi pulcini sono bianchi.[fonte 4]
Anche un giogo dorato pesa.[fonte 8] Andar presto a dormire e alzarsi presto
chiude la porta a molte malattie.[fonte 8] Andar bestia, e tornar bestia, dice
il moro.[fonte 36] Anno nevoso anno fruttuoso.[fonte 16] Anno nuovo vita
nuova.[fonte 1] Approfitta degli errori degli altri, piuttosto che
censurarli.[fonte 4] Aprile dolce dormire.[9][fonte 2] Aprile e maggio sono la
chiave di tutto l'anno.[fonte 4] Aprile ogni goccia un barile.[10][fonte 2]
Aprile piovoso, maggio ventoso, anno fruttuoso.[fonte 4] Ara nel mare e nella
rena semina, chi crede alle parole della femmina.[fonte 8] Arcobaleno porta il
sereno.[fonte 2] Aria rossa o piscia o soffia.[fonte 2] Asino che ha fame
mangia d'ogni strame.[fonte 2] Assai bene balla a chi fortuna suona.[fonte 4]
Assai digiuna chi mal mangia.[fonte 8] Assai domanda chi ben serve e
tace.[fonte 37] Assai domanda chi si lamenta.[fonte 8] Assalto francese e
ritirata spagnola.[fonte 2] Attacca l'asino dove vuole il padrone e, se si
rompe il collo, suo danno.[fonte 1] Avuta la grazia, gabbato lo santo.[fonte 8]
B Bacco, tabacco e Venere riducon l'uomo in cenere.[fonte 2] Ballaremo secondo
che voi suonerete.[fonte 4] Bandiera rotta onor di capitano. Bandiera vecchia
onor di capitano.[fonte 2] Basta un matto per casa.[fonte 8] Batti il ferro
finché è caldo. Batti il ferro quando è caldo.[fonte 1] Bei gatti e grossi
letamai mostrano il buon agricoltore.[fonte 38] Bella cosa presto è
rapita.[fonte 4] Bella in vista, dentro è trista.[fonte 4] Bella ostessa, conti
traditori.[fonte 2] Bella ostessa, brutti conti.[fonte 39] Bell'ostessa, conto
caro.[fonte 40] Bella vigna poca uva.[fonte 2] Bellezza di corpo non è
eredità.[fonte 4] Bellezza e follia vanno spesso in compagnia.[fonte 41] Bello
in fasce brutto in piazza.[fonte 1] Ben sa la botte di qual vino è piena.[fonte
4] Ben si caccia il diavolo, ma Satana ritorna.[fonte 4] Bene per male è
carità, male per bene è crudeltà.[fonte 8] Bene educato, non mentì mai.[fonte
4] Bene perduto è conosciuto.[fonte 4] Beni di fortuna passano come la
luna.[fonte 2] Bevi il vino e lascia andar l'acqua al mulino.[fonte 8] Bisogna
dire pane al pane e vino al vino.[fonte 2] Bisogna far buon viso a cattivo gioco.[fonte
1] Bisogna fare di necessità virtù.[fonte 2] Bisogna fare il pane con la farina
che si ha.[fonte 4] Bisogna fare la festa quando cade, e prendere il tempo come
viene.[fonte 4] Bisogna fare la festa quando è il santo.[fonte 4] Bisogna
mangiare per vivere e non vivere per mangiare.[fonte 2] Bisogna prendere gli
avvenimenti quando Dio li manda.[fonte 4] Bocca che tace nessuno l'aiuta.[fonte
2] Bocca che tace mal si può aiutare.[fonte 42] Bocca chiusa ed occhio aperto
non fecero mai male a nessuno.[fonte 4] Botte buona fa buon vino.[fonte 2]
Brutta cosa è il povero superbo e il ricco avaro.[fonte 8] Brutta di viso ha
sotto il paradiso.[fonte 2] Brutto in fasce bello in piazza.[fonte 1] Buca il
marmo fin d'acqua una goccia.[fonte 8] Bue sciolto lecca per tutto.[fonte 8]
Bue fiacco stampa più forte il piede in terra.[fonte 4] Bue vecchio, solco
diritto.[fonte 4] Buon fuoco e buon vino, scaldano il mio camino.[fonte 8] Buon
sangue non mente.[fonte 2] Buon tempo e mal tempo non dura tutto il tempo.[fonte
1] Buon vino e bravura, poco dura.[fonte 8] Buon vino fa buon sangue.[fonte
1][fonte 8] Buon vino, favola lunga.[fonte 8] Buona fama presto è
perduta.[fonte 4] Buona greppia, buona bestia.[fonte 8] Buona guardia giova a
molte cose.[fonte 4] Buona la forza, migliore l'ingegno.[fonte 4] Buone parole
e pere marce non rompono la testa a nessuno.[fonte 31] Burlando si dice il
vero.[fonte 4] C Cader non può, chi ha la virtù per guida.[fonte 4] Cambiano i
suonatori ma la musica è sempre quella.[fonte 1] Cambiare e migliorare sono due
cose; molto si cambia nel mondo, ma poco si migliora.[fonte 4] Campa cavallo
che l'erba cresce.[fonte 2] Campa, cavallo mio, che l'erba cresce.[fonte 1] Can
che abbaia non morde.[fonte 1] Cane affamato non teme bastone.[11][fonte 2] Cane
e gatta tre ne porta e tre ne allatta.[fonte 8] Cane non mangia cane.[fonte 43]
Cane ringhioso e non forzoso, guai alla sua pelle![fonte 4] Capelli lunghi,
cervello corto.[fonte 4] Carta canta e villan dorme.[fonte 1] Casa fatta e
vigna posta, non si sa quello che costa.[fonte 44] Casa mia, casa mia, per
piccina che tu sia, tu mi sembri una badia.[fonte 45] Casa mia, casa mia,
benché piccola tu sia, tu mi sembri una badia.[fonte 2] Casa mia, casa mia, pur
piccina che tu sia mi sembri una badia.[fonte 9] Castiga il buono e si
emenderà; castiga il cattivo e peggiorerà.[fonte 4] Cattivo cominciamento, fine
peggiore.[fonte 8] Cavallo da vettura, poco costa e poco dura.[fonte 46]
Cavallo vecchio, tardi muta ambiatura.[fonte 47] Cavolo riscaldato non fu mai buono.[fonte
2] Cavolo riscaldato, frate sfratato e serva ritornata non furon mai
buoni.[fonte 2] Cento teste, cento cappelli.[fonte 48] Certe macchie ben si
possono grattare ma non togliere.[fonte 4] Cessato il guadagno, cessata
l'amicizia.[fonte 49] Chi a tutti facilmente crede, ingannato si vede.[fonte 4]
Chi accarezza la mula rimedia calci.[fonte 2] Chi accarezza la mula buscherà
calci.[fonte 2] Chi accetta l'eredità accetti anche i debiti.[fonte 4] Chi ad
altri inganni tesse, poco bene per sé ordisce.[fonte 4] Chi alza il piede per
ogni paglia, si può rompere facilmente una gamba.[fonte 8] Chi ama me, ama il
mio cane.[fonte 50] Chi ara terra bagnata, per tre anni l'ha dissipata.[fonte
51] Chi asino nasce, asino muore.[fonte 4] Chi balla senza suono, come asino si
ritrova.[fonte 52] Chi ben coltiva il moro, coltiva nel suo campo un gran
tesoro.[fonte 47] Chi ben comincia è a metà dell'opera.[fonte 53] Chi ben
comincia è alla metà dell'opera.[fonte 2] Chi ben comincia è alla metà
dell'opra.[fonte 1] Chi bene semina, bene raccoglie.[fonte 4] Chi beve vin,
campa cent'anni.[fonte 54] Chi beve birra campa cent'anni.[12][fonte 2] Chi
biasima il suo prossimo che è morto, dica il vero, dica il falso, ha sempre
torto.[fonte 4] Chi caccia volentieri trova presto la lepre.[fonte 4] Chi cade
in povertà, perde ogni amico.[fonte 4] Chi cava e non mette, le possessioni si
disfanno.[fonte 55] Chi cavalca o trotta alla china, o non è sua la bestia, o
non la stima.[fonte 8] Chi cento ne fa una ne aspetta.[fonte 1] Chi cerca di
sapere ciò che bolle nella pentola d'altri, ha leccate le sue.[fonte 8] Chi
cerca lealtà e fedeltà nel mondo, non trova che ipocrisia.[fonte 4] Chi cerca,
trova.[13][fonte 2] Chi cerca trova e chi domanda intende.[fonte 2] Chi coglie
acerbo il senno, maturo ha sempre d'ignoranza il frutto.[fonte 8] Chi comincia
in alto, finisce in basso.[fonte 8] Chi compra il superfluo, si prepara a
vendere il necessario.[fonte 56] Chi compra sprezza e chi ha comprato
apprezza.[fonte 2] Chi conserva per l'indomani, conserva per il cane.[fonte 8]
Chi contro Dio getta la pietra, in capo gli torna.[fonte 8] Chi d'estate secca
serpi, nell'inverno mangia anguille.[fonte 4] Chi d'estate vuole stare al
fresco, ci starà anche d'inverno.[fonte 4] Chi da gallina nasce, convien che razzoli.[fonte
8] Chi da savio operare vuole, pensi al fine.[fonte 4] Chi dà ghiande non può
riavere confetti.[fonte 4] Chi di gallina nasce convien che razzoli.[fonte 2]
Chi dal lotto spera soccorso, mette il pelo come un orso.[fonte 8] Chi dà per
ricevere, non dà nulla.[fonte 8] Chi del vino è amico, di se stesso è
nemico.[fonte 8] Chi di spada ferisce di spada perisce.[14][fonte 1] Chi di
speranza vive disperato muore.[fonte 1] Chi di una donna brutta s'innamora,
lieto con essa invecchia e l'ama ancora.[fonte 8] Chi di coltel ferisce, di
coltel perisce.[fonte 4] Chi di spirito e di talenti è pieno domina su quelli
che ne hanno meno.[fonte 4] Chi dice A arrivi fino alla Z.[fonte 4] Chi dice A
deve dire anche B.[fonte 4] Chi dice donna dice danno.[fonte 1] Chi dice donna
dice guai, chi dice uomo peggio che mai.[fonte 8] Chi dice male, l'indovina
quasi sempre.[fonte 4] Chi dice quel che vuole sente quel che non
vorrebbe.[fonte 1] Chi disprezza compra.[fonte 1] Chi disprezza vuol comprare e
chi loda vuol lasciare.[fonte 2] Chi domanda ciò che non dovrebbe, ode quel che
non vorrebbe.[fonte 2] Chi domanda non erra.[fonte 2] Chi domanda non fa
errore.[fonte 57] Chi dopo la polenta beve acqua, alza la gamba e la polenta
scappa.[fonte 8] Chi dorme d'agosto dorme a suo costo.[fonte 2] Chi dorme non
piglia pesci.[15][fonte 1] Chi è causa del suo mal pianga se stesso.[16][fonte
1] Chi è bugiardo è ladro.[fonte 4] Chi è destinato alla forca non
annega.[fonte 58] Chi è generoso con la bocca, è avaro col sacco.[fonte 4] Chi
è in difetto è in sospetto.[fonte 1] Chi è mandato dai farisei è ingannato dai
farisei.[fonte 4] Chi è morso dalla serpe, teme la lucertola.[fonte 8] Chi non
è savio, paziente e forte si lamenti di sé, non della sorte.[fonte 8] Chi è
schiavo delle ambizioni ha mille padroni.[fonte 4] Chi è stato trovato una
volta in frode, si presume vi sia sempre.[fonte 4] Chi è svelto a mangiare è
svelto a lavorare.[fonte 1] Chi è tosato da un usuraio, non mette più
pelo.[fonte 8] Chi è uso all'impiccare, non teme la forca.[fonte 4] Chi fa da
sé fa per tre.[17][fonte 1] Chi fa come il prete dice, va in Paradiso: ma chi
fa come il prete fa, a casa del diavolo se ne va.[18] Chi fa del bene agli
ingrati, Dio lo considera per male.[fonte 4] Chi fa il male odia la luce.[fonte
4] Chi fa l'altrui mestiere, fa la zuppa nel paniere.[fonte 59] Chi fa la
legge, deve conservarla.[fonte 4] Chi fa una legge, deve anche preoccuparsi che
sia eseguita.[fonte 4] Chi fa le fave senza concime le raccoglie senza
baccelli.[fonte 2] Chi fa falla e chi non fa sfarfalla.[fonte 1] Chi fa
un'ingiustizia, la dimentica; chi la riceve, se ne ricorda.[fonte 4] Chi fosse
indovino, sarebbe ricco.[fonte 4] Chi fugge il giudizio, si condanna.[fonte 4]
Chi fugge un matto, ha fatto buona giornata.[fonte 8] Chi getta un seme lo deve
coltivare, se vuol vederlo con il tempo germogliare.[fonte 60] Chi gioca al
lotto, è un gran merlotto.[fonte 8] Chi gioca al lotto, in rovina va di
botto.[fonte 8] Chi gioca al lotto, in rovina va di trotto.[fonte 8] Chi ha
avuto ha avuto e chi ha dato ha dato.[fonte 16]. Chi ha avuto il beneficio, se
lo dimentica.[fonte 4] Chi ha da far con un incostante, tien l'anguilla per la
coda.[fonte 4] Chi ha denti non ha pane e chi ha pane non ha denti.[fonte 1]
Chi ha farina non ha la sacca.[fonte 1] Chi ha fatto ingiuria ad altri, da
altri convien che la sopporti.[fonte 4] Chi ha il capo di cera, non vada al
sole.[fonte 61] Chi ha imbarcato il diavolo, deve stare in sua compagnia.[fonte
4] Chi ha ingegno, lo mostri.[fonte 62] Chi ha per letto la terra, deve
coprirsi col cielo.[fonte 8] Chi ha polvere spara.[fonte 1] Chi ha portato la
tonaca puzza sempre di frate.[fonte 2] Chi ha prete, o parente in corte,
fontana gli risorge.[fonte 63] Chi ha tempo, ha vita.[fonte 64] Chi ha tempo
non aspetti tempo.[fonte 1] Chi ha terra, ha guerra.[fonte 56] Chi ha tutto il
suo in un loco l'ha nel fuoco.[fonte 2] Chi ha un mestiere in mano, dappertutto
trova pane.[fonte 4] Chi il vasto mare intrepido ha solcato, talvolta in piccol
rio muore annegato.[fonte 65] Chi la dura la vince.[fonte 1] Chi la fa
l'aspetti.[fonte 1] Chi lascia la via vecchia per la nuova sa quel che lascia
ma non sa quel che trova.[fonte 1] Chi lascia la via vecchia per la nuova
peggio si trova.[fonte 16] Chi lavora con diligenza, prega due volte.[fonte 4]
Chi lavora, Dio gli dona.[fonte 4] Chi mal semina mal raccoglie.[fonte 1] Chi
male una volta si marita, ne risente tutta la vita.[fonte 4] Chi male vive,
male muore.[fonte 2] Chi maltratta le bestie, non la fa mai bene.[fonte 8] Chi
mangia sempre pan bianco, spesso desidera il nero.[fonte 8] Chi mangia sempre
torta se ne sazia.[fonte 8] Chi mena per primo mena due volte.[fonte 1] Chi
molto parla, spesso falla.[fonte 66] Chi mordere non può non mostri i
denti.[fonte 40] Chi muore giace e chi vive si dà pace.[fonte 1] Chi nasce
afflitto muore sconsolato.[fonte 1] Chi nasce è bello, chi si sposa è buono e
chi muore è santo.[fonte 1] Chi nasce matto non guarisce mai.[fonte 8] Chi
nasce tondo non può morir quadrato.[fonte 57] Chi non ama le bestie, non ama i
cristiani.[fonte 8] Chi non apre la bocca, non le piove dentro.[fonte 4] Chi
non beve in compagnia o è un ladro o è una spia.[fonte 1] Chi non caccia non
prende.[fonte 4] Chi non comincia non finisce.[fonte 1] Chi non crede di esser
matto, è matto davvero.[fonte 8] Chi non crede in Dio, non crede nel
diavolo.[fonte 67] Chi non dà a Cristo, dà al fisco.[fonte 8] Chi non è con me
è contro di me.[fonte 2] Chi non è volpe, dal lupo si guardi, perché ne sarà
preda presto o tardi.[fonte 4] Chi non fu buon soldato, non sarà buon
capitano.[fonte 68] Chi non ha fede, non ne può dare.[fonte 8] Chi non ha il
gatto mantiene i topi e chi ce l'ha li mantiene tutti e due.[fonte 8] Chi non
ha imparato a ubbidire, non saprà mai comandare.[fonte 8] Chi non ha testa
abbia gambe.[fonte 57] Chi non lavora non mangia.[fonte 2] Chi non mangia ha
già mangiato.[fonte 2] Chi non muore si rivede.[fonte 2] Chi non naufragò in
mare, può naufragare in porto.[fonte 8] Chi non può bastonare il cavallo,
bastona la sella.[fonte 4] Chi non risica, non rosica.[fonte 1] Chi non sa
adulare non sa regnare.[fonte 4] Chi non sa fare non sa comandare.[fonte 68]
Chi non sa leggere la sua scrittura è asino di natura.[fonte 69] Chi non sa
niente non è buono a niente.[fonte 4] Chi non sa tacere non sa parlare.[fonte
2] Chi non sa ubbidire, non sa comandare.[fonte 68] Chi non segue il consiglio
dei genitori, tardi se ne pente.[fonte 4] Chi non semina non raccoglie.[fonte
2] Chi non si innamora da giovane, si innamora da vecchio.[fonte 8] Chi non
trovò ombra nell'estate, la troverà nell'inverno.[fonte 4] Chi non vuol essere
consigliato, non può essere aiutato.[fonte 4] Chi parla due lingue è doppio
uomo.[fonte 70] Chi pecca in segreto fa la penitenza pubblica.[fonte 8] Chi
pecora si fa, il lupo se la mangia.[fonte 1] Chi per grazia prega, non ha mai
bene.[fonte 4] Chi perde ha sempre torto.[fonte 1] Chi perdona senza
dimenticare, non perdona che metà.[fonte 4] Chi pesca con l'amo d'oro, qualcosa
piglia sempr e.[fonte 8] Chi piglia leone in assenza, teme la talpa in
presenza.[fonte 8] Chi più ha più vuole.[fonte 1] Chi più ha più ne
vorrebbe.[fonte 2] Chi più lavora, meno mangia.[fonte 4] Chi più ne fa è fatto
papa.[fonte 4] Chi più ne ha più ne metta.[fonte 2] Chi più sa meno
crede.[fonte 1] Chi più spende meno spende.[fonte 2] Chi poco sa presto
parla.[fonte 2] Chi porta fiori, porta amore.[fonte 8] Chi predica al deserto,
perde il sermone.[fonte 71] Chi prende l'anguilla per la coda, può dire di non
tenere nulla.[fonte 4] Chi prima arriva meglio alloggia.[fonte 2] Chi prima
nasce prima pasce.[fonte 1] Chi prima non pensa dopo sospira.[fonte 2] Chi
rende male per bene, non vedrà mai partire da casa sua la sciagura.[fonte 8]
Chi ricorda un beneficio, lo rinfaccia.[fonte 4] Chi ride il venerdì piange la
domenica.[fonte 1] Chi rimane in umile stato, non ha da temer caduta.[fonte 8]
Chi ringrazia non vuol obblighi.[fonte 8] Chi ringrazia per una spiga, riceve
una manna.[fonte 8] Chi Roma non vede, nulla crede.[fonte 8] Chi ruba poco,
ruba assai.[fonte 72] Chi rompe paga e i cocci sono suoi.[fonte 1] Chi ruba un
regno è un ladro glorificato, e chi un fazzoletto, un ladro castigato.[fonte 4]
Chi ruba una volta è sempre ladro.[fonte 4] Chi s'accapiglia si piglia.[19] Chi
s'aiuta Iddio l'aiuta.[fonte 1] Chi sa fa e chi non sa insegna.[fonte 1] Chi sa
fare fa e chi non sa fare insegna.[20] Chi sa il gioco non l'insegni.[fonte 1]
Chi sa il trucco non l'insegni.[fonte 1] Chi sa senza Cristo non sa
nulla.[fonte 8] Chi scopre il segreto perde la fede.[fonte 1] Chi semina buon
grano avrà buon pane; chi semina lupino non avrà né pan né vino.[fonte 2] Chi
semina con l'acqua raccoglie col paniere.[fonte 2] Chi semina raccoglie.[fonte
2] Chi semina vento raccoglie tempesta.[21][22][fonte 1] Chi serba serba al
gatto.[fonte 1] Chi si contenta gode.[fonte 1] Chi si diletta di frodare gli
altri, non si deve lamentare se gli altri lo ingannano.[fonte 4] Chi si fa i
fatti suoi campa cent'anni.[fonte 57] Chi si fa un idolo del suo interesse, si
fa un martire della sua integrità.[fonte 73] Chi si fida nel lotto, non mangia
di cotto.[fonte 8] Chi si fida di greco, non ha il cervel seco.[fonte 74] Chi
si guarda dal calcio della mosca, gli tocca quello del cavallo.[fonte 4] Chi si
immagina di essere più di quello che è, si guardi nello specchio.[fonte 4] Chi
si loda si sbroda.[fonte 4] Chi si prende d'amore, si lascia di rabbia.[fonte
8] Chi si scusa si accusa.[fonte 1] Chi si somiglia si piglia.[fonte 2] Chi si
sposa in fretta, stenta adagio.[fonte 75] Chi si umilia sarà esaltato, chi si
esalta sarà umiliato.[fonte 8] Chi si vanta da solo non vale un fagiolo.[fonte
2] Chi si vanta del delitto è due volte delinquente.[fonte 4] Chi siede in
basso, siede bene.[fonte 8] Chi sta tra due selle si trova col culo in
terra.[fonte 2] Chi tace acconsente.[fonte 1][23] Chi tace davanti alla forza,
perde il suo diritto.[fonte 4] Chi tanto e chi niente.[fonte 1] Chi troppo e
chi niente.[fonte 1] Chi tardi arriva male alloggia.[fonte 1] Chi ti dà un osso
non ti vorrebbe morto.[fonte 4] Chi ti vuol male, ti liscia il pelo.[fonte 8]
Chi tiene il letame nel suo letamaio, fa triste il suo pagliaio.[fonte 8] Chi
tiene la scala non è meno reo del ladro.[fonte 76] Chi troppo comincia, poco
finisce.[fonte 77] Chi troppo vuole nulla stringe.[24][fonte 1] Chi trova un
amico trova un tesoro.[fonte 1] Chi uccide i gatti fa male i suoi fatti.[fonte
38] Chi va a caccia non deve lasciare a casa il fucile.[fonte 4] Chi va a Roma
perde la poltrona.[fonte 2] Chi va all'acqua d'agosto, non beve o non vuol bere
il mosto.[fonte 8] Chi va all'osto, perde il posto.[fonte 78] Chi va al mulino
s'infarina.[fonte 1] Chi va con lo zoppo, impara a zoppicare.[fonte 79] Chi va
piano va sano e va lontano. Chi va forte va alla morte.[25][fonte 80] Chi ha
più fretta, più tardi finisce.[fonte 4] Chi fa in fretta fa due volte.[fonte 4]
Chi pesca e ha fretta, spesse volte prende dei granchi.[fonte 4] Chi va via
perde il posto all'osteria.[fonte 81] Chi vanta se stesso e abbassa gli altri,
gli altri abbasseranno lui.[fonte 4] Chi vende a credenza spaccia assai: perde
gli amici e i quattrin non ha mai.[26][fonte 2] Chi dà a credito spaccia assai
perde gli amici e danar non ha mai.[fonte 2] Chi va alla festa e non è
invitato, ben gli sta se ne è scacciato.[fonte 4] Chi vien di raro, gli si fa festa.[fonte
8] Chi vince ha sempre ragione.[fonte 82] Chi vive in libertà non tenti il
fato.[fonte 4] Chi vive sei giorni nell'oasi, il settimo anela il
deserto.[fonte 8] Chi vivrà vedrà.[fonte 2] Chi vuol d'avena un granaio la
semini di febbraio.[fonte 2] Chi vuol dell'acqua chiara vada alla fonte.[fonte
4] Chi vuol udir novelle, dal barbier si dicon belle.[fonte 8] Chi vuol esser
libero, non metta il collo sotto il giogo.[fonte 8] Chi vuol essere pagato, non
dev'essere ringraziato.[fonte 8] Chi vuol guarire deve soffrire.[fonte 4] Chi
vuol impetrare, la vergogna ha da levare.[fonte 83] Chi vuol lavoro degno assai
ferro e poco legno.[fonte 2] Chi vuol pane, meni letame.[fonte 84] Chi vuol
presto impoverire, chieda prestito all'usuraio.[fonte 8] Chi vuol provar le
pene dell'inferno, la stia in Puglia e all'Aquila d'inverno.[fonte 8] Chi vuol
saper cos'è l'inferno faccia il cuoco d'estate e il carrettiere
d'inverno.[fonte 8] Chi vuol un bel pagliaio lo pianti di febbraio.[fonte 8]
Chi vuol vedere Pisa vada a Genova.[fonte 85] Chi vuole arricchire in un anno,
è impiccato in sei mesi.[fonte 4] Chi vuole assai, non domandi poco.[fonte 86]
Chi vuole essere amato, divenga amabile.[fonte 9] Chi vuole essere sicuro della
sua farina, deve portare egli stesso il sacco al mulino.[fonte 4] Chi vuole i
santi se li preghi.[fonte 1] Chi vuole la figlia accarezzi la madre.[fonte 4]
Chi vuole vada e chi non vuole mandi.[fonte 1] Chiara notte di capodanno, dà
slancio a un buon anno.[fonte 8] Chiodo scaccia chiodo.[fonte 2] Chiodo
schiaccia chiodo.[fonte 9] Chitarra e schioppo fanno andare la casa a
galoppo.[fonte 8] Ci vuole altro che un'accozzaglia di gente per fare un
esercito.[fonte 4] Ci vuole ingegno per governare i pazzi.[fonte 4] Ciascuno è
artefice della sua fortuna.[fonte 2][27] Ciascuno è artefice della propria
fortuna.[fonte 2] Ciascuno porta il suo ingegno al mercato.[fonte 4] Cielo a
pecorelle acqua a catinelle.[fonte 1] Ciò che è male per uno, è bene per un
altro.[fonte 4] Ciò che lo stolto fa in fine, il savio fa in principio.[fonte
87] Ciò che non si può cambiare bisogna saperlo sopportare.[fonte 4] Col fuoco
non si scherza.[fonte 1] Col latino, con un ronzino e con un fiorino si gira il
mondo.[fonte 4] Col nulla non si fa nulla.[fonte 1] Col pane tutti i guai sono
dolci.[fonte 1] Col tempo e con la paglia maturano le nespole.[28][fonte 2] Col
tempo e con la paglia maturano le sorbe e la canaglia.[fonte 2] Colla sola
lealtà, non si pagano i merletti della cuffia.[fonte 4] Come farai, così
avrai.[fonte 4] Come i piedi portano il corpo, così la benevolenza porta
l'anima.[fonte 4] Comincia, che Dio provvede al resto.[fonte 4] Compar di
Puglia, l'un tiene e l'altro spoglia.[fonte 8] Comun servizio ingratitudine
rende.[fonte 8] Con arte e con ingegno, si acquista mezzo regno; e con ingegno
ed arte, si acquista l'altra parte.[fonte 4] Con gli anni crescono gli
affanni.[fonte 8] Con i matti non ci son patti.[fonte 8] Con l'inchiostro, una
mano può innalzare un furfante ed abbassare un galantuomo.[fonte 8] Con la
pazienza la foglia di gelso diventa seta.[fonte 88] Con la pietra si prova
l'oro, con l'oro la donna e con la donna l'uomo.[fonte 8] Con la più alta
libertà, abita la più bassa servitù.[fonte 4] Con le buone maniere si ottiene
tutto.[fonte 89] Con un bicchier di vino si fa un amico.[fonte 8] Con un occhio
si frigge il pesce e con l'altro si guarda il gatto.[fonte 8] Conchiuder lega è
facile, difficile il mantenerla.[fonte 4] Confidenza toglie riverenza.[fonte 4]
Conserva le monete bianche per le giornate nere.[fonte 8] Contadini, scarpe
grosse e cervelli fini.[fonte 1] Contano più i fatti che le parole.[fonte 90]
Contro due donne neanche il diavolo può metterci il becco.[fonte 8] Contro due
non la potrebbe Orlando.[fonte 91] Contro la forza la ragion non vale.[fonte 1]
Contro la nebbia forza no vale.[fonte 4] Coricarsi presto, alzarsi presto,
danno salute, ricchezza e sapienza.[fonte 8] Corpo satollo anima
consolata.[fonte 1] Corpo sazio non crede a digiuno.[fonte 1] Cortesia
schietta, domanda non aspetta.[fonte 92] Corre un pezzo la lepre, un pezzo il
cane; così s'alternano le vicende umane.[fonte 8] Cosa fatta capo ha.[29][fonte
2] Cosa di rado veduta, più cara è tenuta.[fonte 8] Cosa rara, cosa cara.[fonte
8] Cucina grassa, magra eredità.[fonte 4] Cuor contento gran talento.[fonte 93]
Cuor contento il ciel l'aiuta.[fonte 94] Cuor contento il ciel lo guarda.[fonte
2] Cuor contento non sente stento.[fonte 2] D D'aprile ogni goccia val mille
lire.[fonte 2] D'aquila non nasce colomba.[fonte 4] Da colpa nasce colpa.[fonte
4] Da cosa nasce cosa.[fonte 95] Da falsa lingua, cattiva arringa.[fonte 8] Da
Lodi, tutti passan volentieri.[fonte 8] Da un disordine nasce un ordine.[fonte
8] Dagli amici mi guardi Iddio che dai nemici mi guardo io.[fonte 2] Dàgli,
dàgli, le cipolle diventano agli.[fonte 96] Riferito alle insidie che l'amore
riserva alle virtù delle fanciulle. Dai giudici siciliani, vacci coi polli
nelle mani.[fonte 8] Dall'asino non cercar lana.[fonte 4] Dall'opera si conosce
il maestro.[fonte 4] Dall'immagine si conosce il pittore.[fonte 4] Dalla mano
si riconosce l'artista.[fonte 4] Dal canto si conosce l'uccello.[fonte 4] Dal
passato è facile predire il futuro.[fonte 4] Dalla casa si conosce il
padrone.[fonte 4] Danaro e santità, metà della metà.[fonte 8] Denari e santità
metà della metà.[fonte 97] Date a Cesare quel che è di Cesare.[30][fonte 2]
Davanti al cameriere non vi è Eccellenza.[fonte 4] Davanti l'abisso e dietro i
denti di un lupo.[fonte 4] Debole catena muover può gran peso.[fonte 8] Dei
vizi è regina l'avarizia.[fonte 98] Del senno di poi son piene le fosse.[fonte
1] Delle calende non me ne curo purché a san Paolo non faccia scuro.[31][fonte
2] Detto senza fatto, ad ognuno pare un misfatto.[fonte 4] Di buone intenzioni
è lastricato l'inferno.[fonte 99] Di chi è l'asino, lo pigli per la coda.[fonte
4] Di dolore non si muore, ma d'allegrezza sì.[fonte 8] Di maggio si dorme per
assaggio.[32][fonte 2] Di malerba non si fa buon fieno.[fonte 4] Di notte si
ritirano i galantuomini ed escono i birbanti.[fonte 8] Di quello che non ti
interessa, non dire né bene né male.[fonte 4] Di tutte le arti maestro è
l'amore.[fonte 8] Dice la serpe: non mi toccar che non ti tocco.[fonte 8]
Dicembre favaio.[fonte 16] Dicono che è mercante anche chi perde, ma questo
presto ridurrassi al verde.[fonte 100] Dieci ne pensa il topo e cento il
gatto.[fonte 101] Dietro il monte c'è la china.[fonte 2] Dietro il riso viene
il pianto.[fonte 8] Dimmi con chi vai, e ti dirò che fai.[fonte 73] Dimmi con
chi vai, e ti dirò chi sei.[fonte 102] Dio aiuti il povero, perché il ricco può
aiutar se stesso.[fonte 8] Dio dà la piaga e dà anche la medicina.[fonte 4] Dio
guarisce e il medico è ringraziato.[fonte 4] Dio li fa e poi li accoppia.[fonte
1] Dio manda il freddo secondo i panni.[fonte 1] Dio mi guardi da chi studia un
libro solo.[fonte 4] Dio misura il vento all'agnello tosato.[fonte 4] Dio vede
e provvede.[fonte 2] Disse la volpe ai figli: "Quando a tordi, quando a
grilli".[fonte 4] Dolore comunicato è subito scemato.[fonte 4] Domandando
si va a Roma.[fonte 2] Domandare è lecito, rispondere è cortesia.[fonte 2]
Donna al volante, pericolo costante.[fonte 103] Donna adorna, tardi esce e
tardi torna.[fonte 8] Donna baffuta sempre piaciuta.[fonte 2] Donna barbuta,
sempre piaciuta.[fonte 103] Donna barbuta coi sassi si saluta.[fonte 2] Donna
bianca, poco gli manca.[fonte 8] Donna rossa coscia grossa.[fonte 8] Donna che
canti dolcemente in scena, pei giovani inesperti è una sirena.[fonte 8] Donna
che dona, di rado è buona.[fonte 8] Donna che piange, ovver che dolce canti,
son due diversi, ambo possenti incanti.[fonte 8] Donna che sa il latino è rara
cosa, ma guardati dal prenderla in isposa.[fonte 8] Donna e fuoco, toccali
poco.[fonte 8] Donne e motori gioie e dolori.[fonte 104] Donna e vino ubriaca
il grande e il piccolino.[fonte 8] Donna giovane e uomo anziano possono
riempire la casa di figli.[fonte 8] Donna io conosco, ch'è una santa a messa e
che in casa è un'orribil diavolessa.[fonte 8] Donna nana tutta tana.[fonte 2]
Donna nobil per natura è un tesor cheonna savia e bella è preziosa ancsempre
dura.[fonte 8] Donna pelosa, donna virtuosa.[fonte 2] Donna pregata nega,
trascurata prega.[fonte 8] Donna prudente, gioia eccellente.[fonte 8] Dhe in
gonnella.[fonte 8] Donna si lagna, donna si duole, donna s'ammala quando lo
vuole.[fonte 8] Donne e sardine, son buone piccoline.[fonte 8] Donne, danno,
fanno gli uomini e li disfanno.[fonte 8] Dopo desinare non camminare; dopo
cena, con dolce lena.[fonte 4] Dopo e poi son parenti del mai.[fonte 2] Dopo il
dolce vien l'amaro.[fonte 8] Dopo il fatto il consiglio non vale.[fonte 4] Dopo
il fatto viene troppo tardi il pentimento.[fonte 4] Dopo il giorno vien la
notte.[fonte 8] Dopo la grazia di Dio, la miglior cosa è la libertà.[fonte 8]
Dopo la tempesta, il sole.[fonte 8] Dopo le fosche nuvole il sol splende più
fulgido.[fonte 8] Dopo vendemmia, imbuto.[fonte 105] Non bisogna lasciarsi
sfuggire le occasioni favorevoli, chi ha tempo non aspetti tempo. Dove c'è
l'amore, la gamba trascina il piede.[fonte 8] Dove è castigo è disciplina, dove
è pace è gioia.[fonte 4] Dove entra la fortuna, esce l'umiltà.[fonte 8] Dove
l'accidia attecchisce ogni cosa deperisce.[fonte 4] Dove la fedeltà mette le
radici, Dio fa crescere un albero.[fonte 4] Dove non c'è amore, non c'è
umanità.[fonte 8] Dove non c'è fieno, i cavalli mangiano paglia.[fonte 8] Dove
non c'è ordine, c'è disordine.[fonte 8] Dove non si crede né all'inferno né al
paradiso, il diavolo intasca tutte le entrate.[fonte 8] Dove non vi è
educazione, non vi è onore.[fonte 4] Dove non vi sono capelli, male si
pettina.[fonte 4] Dove può il vino non può il silenzio.[fonte 8] Dove regna
Bacco e Amore, Minerva non si lascia vedere.[fonte 4] Dove regna il vino, non
regna il silenzio.[fonte 8] Dove son carogne son corvi.[fonte 8] Dove sono i
pulcini, ivi è l'occhio della chioccia.[fonte 8] Dove vola il cuore, striscia
la ragione.[fonte 8] Due cani che un solo osso hanno, difficilmente in pace
stanno.[fonte 4] Due noci in un sacco e due donne in casa fanno un bel
fracasso.[fonte 8] Due polente insieme non furon mai viste.[fonte 8] Dura più
un carro rotto che uno nuovo.[fonte 4] Duro con duro non fa buon muro.[fonte
106] E È cattivo sparviero quel che non torna al richiamo.[fonte 8] È difficile
far diventare bianco un moro.[fonte 4] È difficile guardarsi dai ladri di
casa.[fonte 4] È difficile piegare un albero vecchio.[fonte 4] È difficile
zoppicare bene davanti allo sciancato.[fonte 8] È facile lamentarsi quando c'è
chi ascolta.[fonte 8] È impossibile come cavalcare un raggio di sole.[fonte 4]
È impossibile volare senza ali.[fonte 4] È inutile piangere sul latte
versato.[fonte 98] [truismo] È l'acqua che fa l'orto.[fonte 98] L'acqua fa
l'orto.[fonte 98] È la donna che fa l'uomo.[fonte 57] È lieve astuzia ingannar
gelosia, che tutto crede quando è in frenesia.[fonte 4] È meglio avere la cura
di un sacco di pulci che una donna.[fonte 4] È meglio contentarsi che
lamentarsi.[fonte 8] È meglio correggere i propri difetti, che riprendere
quelli degli altri.[fonte 4] È meglio esser digiuno fuori, che satollo in
prigione.[fonte 8] È meglio essere testa d'anguilla che coda di storione.[fonte
8] È meglio essere uccel di bosco, che uccel di gabbia.[fonte 8] È meglio
essere umile a cavallo, che orgoglioso a piedi.[fonte 8] È meglio gelare nella
nuda cameretta della verità, che crogiolarsi nella pelliccia della
menzogna.[fonte 4] È meglio mangiarsi l'eredità, che conservarla per il
convento.[fonte 4] È meglio meritar la lode che ottenerla.[fonte 4] È meglio
sentir cantare l'usignolo, che rodere il topo.[fonte 8] È meglio testa di
lucertola che coda di drago.[fonte 8] È meglio un esercito di cervi sotto il
comando di un leone, che un esercito di leoni sotto il comando di un
cervo.[fonte 4] È meglio un leone che mille mosche.[fonte 8] È più facile
biasimare, che migliorare.[fonte 4] È più facile lagnarsi, che rimuovere
gl'impedimenti.[fonte 8] È più facile prevenire una malattia che
guarirla.[fonte 8] È più facile trovar dolce l'assenzio, che in mezzo a poche
donne il silenzio.[fonte 8] È un bel predicare il digiuno a corpo pieno.[fonte
4] È una bella risposta quella che si attaglia ad ogni domanda.[fonte 8] Ebrei
e rigattieri, spendono poco e gabbano volentieri.[fonte 4] Ecco il rimedio per
l'ipocondria: mangiare e bere in buona compagnia.[fonte 8] Errare è umano,
perseverare è diabolico.[fonte 107] Errare è umano, perseverare
diabolico.[fonte 2] Sbagliare è umano, perseverare è diabolico.[fonte 108]
Errore non è inganno.[fonte 4] Errore non paga debito.[fonte 4] Errore
riconosciuto conduce alla verità.[fonte 4] Esser dotto poco vale, quando gli
altri non lo sanno.[fonte 8] Èssere più torbo che non è l'acqua dei
maccheroni.[fonte 8] F Fa quel che il prete dice, non quel che il prete
fa.[fonte 1] Fa quello che fanno gli altri, e nessuno si farà beffe di
te.[fonte 4] Faccia bella, anima bella.[fonte 4] Facile è criticare, difficile
è l'arte.[33][fonte 109] Fare debiti non è vergogna, ma pagarli è questione
d'onore.[fonte 4] Fare e disfare, è tutto un lavorare.[fonte 110] Fare l'amore
fa bene all'amore.[fonte 111] Fate del bene al villano, dirà che gli fate del
male.[fonte 8] Fatta la legge trovato l'inganno.[34][fonte 1] Fatti asino e
tutti ti metteranno la soma.[fonte 4] Fatti di miele e ti mangieranno le
mosche.[fonte 4] Fatti le ali e poi vola.[fonte 4] Febbraio, febbraietto mese
corto e maledetto.[35][fonte 2] Felice non è, chi d'esserlo non sa.[fonte 64]
Femmine e galline, se giran troppo si perdono.[fonte 8] Ferita d'amore non
uccide.[fonte 8] Finché c'è vita c'è speranza.[fonte 1] Fino alla morte non si
sa qual è la sorte.[fonte 8] Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio.[fonte 1]
Fidati dell'arte, ma non dell'artigiano.[fonte 4] Fino alla bara sempre
s'impara.[fonte 112] Fortezza che parlamenta, è prossima ad arrendersi.[fonte
4] Fortuna cieca, i suoi acceca.[fonte 4] Fortuna instupidisce colui ch'ella
favorisce.[fonte 4] Fortunato al gioco, sfortunato in amore.[fonte 4] Fra
Modesto non fu mai priore.[fonte 8] Fra sepolto tesoro e occulta scienza, non
vi conosco alcuna differenza.[fonte 8] Fra un usuraio e un assassino poco ci
corre.[fonte 8] Frutto precoce facilmente si guasta.[fonte 8] Fuggire l'acqua
sotto la grondaia.[fonte 4] Funghi e poeti: per uno buono dieci cattivi.[fonte
8] G Gallina che non razzola ha già razzolato.[fonte 113] Gallina vecchia fa
buon brodo.[fonte 114] Gallo senza cresta è un cappone, uomo senza barba è un
minchione.[fonte 4] Gatta inguantata non prese mai topo.[fonte 8] Gattini
sventati, fanno gatti posati.[fonte 115] Gatto e donna in casa, cane e uomo
fuori.[fonte 38] Gatto rinchiuso diventa leone.[fonte 8] Gatto scottato
dall'acqua calda, ha paura della fredda.[fonte 4] Gelosia non mette ruga.[fonte
4] Gioco di mano gioco di villano.[fonte 1] Gioia e sciagura sempre non
dura.[fonte 8] Giovani di buon cuore, indoli buone, crescono cattivi per poca
educazione.[fonte 4] Giugno la falce in pugno.[36][fonte 2] Gli abiti e gli
uomini presto invecchiano.[fonte 4] Gli abiti e i costumi sono mutabili.[fonte
4] Gli abiti sono freddi, ma ricevono il calore da chi li porta.[fonte 4] Gli
amori nuovi fanno dimenticare i vecchi.[fonte 4] Gli eredi dell'avaro sono
onnipotenti, perché possono risuscitare i morti.[fonte 4] Gli eretici rubano la
parola di Dio.[fonte 4] Gli errori degli altri sono i nostri migliori
maestri.[fonte 4] Gli errori non si conoscono finché non siano commessi.[fonte
4] Gli errori si pagano.[fonte 8] Gli estremi si toccano.[fonte 4] Gli idoli
separano papa e imperatore.[fonte 4] Gli occhi s'hanno a toccare con le
gomita.[fonte 91] Gli stolti fanno le feste e gli accorti se le godono.[fonte
116] Gli uccelli dalle stesse piume devono stare nello stesso nido.[fonte 8]
Gli uomini onesti non temono né la luce, né il buio.[fonte 8] Gobba a ponente
luna crescente, gobba a levante luna calante.[fonte 2] Gola degli adulatori,
sepolcro aperto.[fonte 117] Gotta inossota, mai fi sanata.[fonte 118] Gran
giustizia, grande offesa.[fonte 4] Grande amore, gran dolore.[fonte 8] Greco in
mare, Greco in tavola, Greco non aver a far seco.[fonte 74] Gru e donne fan
volentieri il nido in alto.[fonte 8] Guardalo, figlia, guardalo tutto, l'uomo
senza denari com'è brutto.[fonte 4] Guardare e non toccare è una cosa da
imparare.[fonte 2] Guardati da chi accende il fuoco e grida poi contro le
fiamme.[fonte 4] Guardati da cane rabbioso e da uomo sospettoso.[fonte 8] Guardati
da chi giura in coscienza.[fonte 8] Guardati da chi non ha cura della sua
reputazione.[fonte 8] Guardati da chi ride e guarda da un'altra parte.[fonte 8]
Guardati da tre cose: da cavallo focoso, da uomo infido e da donna
svergognata.[fonte 8] Guardati da tutte quelle cose che possono nuocere
all'anima e al corpo.[fonte 8] Guardati dai fanciulli che ascoltano: anche i
piccoli vasi hanno orecchie.[fonte 8] Guardati dai matti, dagli ubriachi, dagli
ipocriti e dai minchioni.[fonte 8] Guardati dai tumulti, e non sarai né
testimonio né parte.[fonte 8] Guardati dal diffamare, perché le prove sono
difficili.[fonte 8] Guardati dal vecchio turco e dal giovane serbo.[fonte 119]
Guardati dall'ipocrisia, perché è una cattiva malattia.[fonte 8] Guardati dalla
primavera di gennaio.[fonte 8] Guardati in tua vita di non dare a niun
smentita.[fonte 8] Guerra, peste e carestia, vanno sempre in compagnia.[fonte
120] H Ha cento volte un uomo flemma e giudizio, alla centuna corre al
precipizio.[fonte 65] Ha bel mentir chi vien da lontano.[fonte 76] Ha la
giustizia in mano bilancia e spada, perché il giusto s'innalza e l'empio
cada.[fonte 4] Ha più il ricco in un angolo, che il povero in tutta la
casa.[fonte 8] Ha un buon sapore l'odore del guadagno.[fonte 4] Ha un coraggio da
leone, quello che non fa violenza ai deboli.[fonte 8] Ho veduto assai volte un
piccol male non rispettato, divenir mortale.[fonte 65] I I baci sono come le
ciliegie: uno tira l'altro.[fonte 2] I cani abbaiano come sono nutriti.[fonte
4] I capponi sono buoni in tutte le stagioni.[fonte 8] I cattivi esempi si
imitano facilmente, meno i buoni.[fonte 4] I debiti sono gli eredi più
prossimi.[fonte 4] I denari del lotto se ne van di galoppo.[fonte 8] I denari
servono al povero di beneficio, ed all'avaro di gran supplizio.[fonte 4] I
desideri non riempiono il sacco.[fonte 4] I docili non hanno bisogno della
verga.[fonte 8] I doni dei nemici sono pericolosi.[fonte 4] I fanciulli
diventano uomini e le ragazze spose.[fonte 4] I fanciulli e gli ubriachi cadono
nelle mani di Dio.[fonte 4] I figli dei gatti mangiano i topi.[fonte 8] I figli
sono la ricchezza dei poveri.[fonte 18] I figli sono pezzi di cuore.[fonte 2] I
fiori tanto profumano per i poveri come per i ricchi.[fonte 8] I frati non
s'inchinano all'abate, ma al mazzo delle sue chiavi.[fonte 4] I gamberi son
buoni nei mesi della erre.[fonte 8] I gatti e i veri uomini cadono sempre in
piedi.[fonte 121] I genii si incontrano.[fonte 4] I genitori amano i figli, più
che i figli i genitori.[fonte 4] I genovesi risparmiano anche sui numeri: li
usano due volte.[37][fonte 122] I giovani vogliono essere più accorti dei
vecchi.[fonte 4] I giuramenti degli innamorati sono come quelli dei
marinai.[fonte 4] I granchi son pieni quando la luna è tonda.[fonte 8] I guai
della pentola li sa il mestolo che li rimescola.[fonte 8] I ladri grandi fanno
impiccare i piccoli.[fonte 4] I loquaci e i vantatori son mal veduti da
tutti.[fonte 8] I matti ed i fanciulli hanno un angelo dalla loro.[fonte 8] I
matti fanno le feste ed i savi le godono.[fonte 4] I medici vogliono essere
vecchi, i farmacisti ricchi ed i barbieri giovani.[fonte 4] "I miei
datteri sono più dolci", dice il vischio che cresce sulla palma.[fonte 8]
[wellerismo] I panni sporchi si lavano in casa.[fonte 123] I paperi vogliono
portare a bere le oche.[fonte 4] I parenti sono come le scarpe: più sono
stretti, più fanno male.[fonte 2] I pazzi crescono senza innaffiarli.[fonte 8]
I pazzi e i fanciulli possono dire quello che vogliono.[fonte 8] I pazzi per
lettera sono i maggiori pazzi.[fonte 124] I pazzi si conoscono dai gesti.[fonte
8] I peccati di gioventù si piangono in vecchiaia.[fonte 8] I poeti nascono, e
gli oratori si formano.[fonte 8] I poveri cercano il mangiare per lo stomaco; e
i ricchi lo stomaco per mangiare.[fonte 8] I poveri hanno la salute e i ricchi
le medicine.[fonte 8] I pulci di vendemmia li tiene l'uomo e non le
femmine.[fonte 125] I ricchi devono consolare i poveri.[fonte 8] I rimproveri
del padre fanno più che le legnate della madre.[fonte 8] I soldi non fanno la
felicità.[fonte 2] I veri amici sono come le mosche bianche.[fonte 4] Il bel
tempo non viene mai a noia.[fonte 9] Il ben di un anno se ne va in una
bestemmia.[fonte 4] Il ben fare non è mai tardo.[fonte 4] Il bisognino fa
trottar la vecchia.[fonte 2] Il bue dice cornuto all'asino.[fonte 126] Il bue
mangia il fieno perché si ricorda che è stato erba.[fonte 2] Il buon ordine è
figlio del disordine.[fonte 8] Il buon nocchiero muta vela, ma non
tramontana.[fonte 8] Il caffè deve essere caldo come l'inferno, nero come il
diavolo, puro come un angelo e dolce come l'amore.[38][fonte 127] Il caldo
delle lenzuola non fa bollire la pentola.[fonte 128] Il cane che ho nutrito è
quel che mi morde.[fonte 8] Il cane è il miglior amico dell'uomo.[fonte 2] Il
cane pauroso abbaia più forte.[fonte 4] Il cane rode l'osso perché non può
inghiottirlo.[fonte 4] Il coccodrillo mangia l'uomo e poi lo piange.[fonte 8]
Il colombo che rimane in colombaia è al sicuro dal falco.[fonte 8] Il colore
più caro agli ebrei è il giallo.[fonte 4] Il coraggio copre l'eroe meglio che
lo scudo il codardo.[fonte 8] Il corpo e l'anima ridono a chi si alza di buon
mattino.[fonte 8] Il corvo piange la pecora e poi la mangia.[fonte 117] Il cuor
cattivo rende ingratitudine per beneficio.[fonte 8] Il cuor magnanimo si piglia
con poco amore, e il cuore dello stolto con poca adulazione.[fonte 8] Il cuore
ha le sue ragioni e non intende ragione.[39][fonte 129] Il dare è onore, il
chiedere è dolore.[fonte 8] Il delitto non si deve tollerare, ma anche meno si
deve approvare.[fonte 4] Il denaro è il nervo della guerra.[fonte 4] Il denaro
può molto, ma l'amore può tutto.[fonte 4] Il diavolo ben si lascia pigliare per
la coda, ma non se la lascia strappare.[fonte 4] Il diavolo fa le pentole ma
non i coperchi.[fonte 1] Il diavolo non è così brutto come lo si dipinge.[fonte
130] Il diavolo vuol farsi cappuccino.[fonte 2] Il diavolo vuol farsi
santo.[fonte 2] Il domandare è senno, il rispondere è obbligo.[fonte 8] Il dono
del cattivo è simile al suo padrone.[fonte 56] Il dubbio è padre del
sapere.[fonte 4] Il fare insegna a fare.[fonte 4] Il fatto non si può
disfare.[fonte 4] Il ferro di cavallo che risuona, ha bisogno di un
chiodo.[fonte 8] Il ferro è duro, ma il fuoco lo rende morbido.[fonte 4] Il
figlio al padre s'assomiglia, alla madre la figlia.[fonte 4] Il filo sottile
facilmente si strappa.[fonte 4] Il fuoco che non mi scalda, non voglio che mi
scotti.[fonte 4] Il fuoco che non mi brucia, non lo spengo.[fonte 4] Il gatto
ama i pesci, ma non vuole bagnarsi le zampe.[fonte 131] Il gatto brontola
sempre, anche quando gode.[fonte 8] Il gatto che si è bruciato, ha paura anche
dell'acqua fredda.[fonte 121] Il gatto è una tigre domestica.[fonte 8] Il gatto
lecca oggi, domani graffia.[fonte 132] Il gatto non è gatto se non è
ladro.[fonte 133] Il gatto non ti accarezza, si accarezza vicino a te.[fonte
134] Il generoso non ha mai abbastanza denaro.[fonte 4] Il gentiluomo chiede
solo il miele, ma la gentildonna vuol anche la cera.[fonte 8] Il gioco è bello
quando dura poco.[fonte 2] Il gioco, il lotto, la donna e il fuoco non si
contentan mai di poco.[fonte 8] Il giudizio è opera di Dio.[fonte 4] Il grano
rado non fa vergogna all'aia.[fonte 135] Il Greco dice la verità solo una volta
all'anno.[fonte 4] Il lamentarsi non riempie camera vuota.[fonte 8] Il lavorare
senza pregare, è una botte senza vino, e oro senza splendore.[fonte 4] Il
lavoro nobilita l'uomo.[fonte 136] Il letto si chiama rosa, se non si dorme si
riposa.[fonte 137] Il lotto è la tassa degli imbecilli.[fonte 8] Il lotto è un
inganno continuo.[fonte 8] Il lupo non caca agnelli.[fonte 2] Il lupo perde il
pelo ma non il vizio.[40][fonte 1] Il lupo quando acciuffa una pecora, ne
guarda già un'altra.[fonte 4] Il magnanimo è superiore all'ingiuria,
all'ingiustizia, al dolore.[fonte 8] Il magnanimo non ricorre
all'astuzia.[fonte 8] Il male che non ha riparo è bene tenerlo nascosto.[fonte
4] Il male peggiore dei mali è il timore.[fonte 8] Il male viene in grandi
quantità, e se ne va via a poco a poco.[fonte 4] Il matrimonio è la tomba
dell'amore.[fonte 2] Il mattino ha l'oro in bocca.[fonte 138] Le ore del
mattino hanno l'oro in bocca.[fonte 139] Il medico pietoso fa la piaga
puzzolente.[fonte 140] Il medico pietoso fa la piaga verminosa.[fonte 140] Il
meglio è nemico del bene.[fonte 1] Il merlo ingrassa in gabbia, il leone muore
di rabbia.[fonte 8] Il miele non è fatto per gli asini.[fonte 4] Il miglior
tiro ai dadi è non giocarli.[fonte 4] Il molto ringraziare significa chieder
dell'altro.[fonte 8] Il mondo ricompensa come il caprone che dà cornate al suo
padrone.[fonte 8] Il mulino di Dio macina piano ma sottile.[fonte 141] Il nano
è piccolo anche se è sul campanile.[fonte 8] Il passato deve essere maestro
dell'oggi.[fonte 4] Il passato non deve prendere a prestito dall'oggi.[fonte 4]
Il peggior passo è quello dell'uscio.[fonte 2] Il pesce puzza dalla
testa.[fonte 1] Il Piemonte è la sepoltura dei francesi.[fonte 8] Il poeta ben
trova le palme, ma non i datteri.[fonte 8] Il politico bacia con la bocca, e
tira calci con i piedi.[fonte 8] Il Portogallo[41] è piccolo, ma è un pezzo di
zucchero.[fonte 8] Il povero non può e il ricco non vuole.[fonte 8] Il prete,
dove mangia, vi canta.[fonte 142] Il prete vien cantando e va via
zufolando.[fonte 143] Il prete vive ancor un anno dopo morte.[fonte 142] I suoi
familiari continuano ad incassar per un anno i suoi redditi.[42] Il primo amore
non si arrugginisce.[fonte 8] Il primo amore non si scorda mai.[fonte 8] Il
primo anno ci si abbraccia, il secondo si fascia, il terzo anno si ha la
malattia e la cattiva Pasqua.[fonte 4] Il puledro non va all'ambio, se la
cavalla trotta.[fonte 144] Il ramo assomiglia al tronco.[fonte 4] Il ricco ha
tanto bisogno del povero, quanto il povero del ricco.[fonte 8] Il ricco vive,
il povero vivacchia.[fonte 8] Il ringraziare non fa male alla bocca.[fonte 8]
Il ringraziare non paga debito.[fonte 8] Il riso abbonda sulla bocca degli
stolti.[fonte 2] Il riso abbonda sulla bocca degli sciocchi.[fonte 145] Il riso
nasce nell'acqua ma deve morire nel vino.[fonte 8] Il sapere è di tutti.[fonte
2] Il «se» e il «ma» sono due corbellerie da Adamo in qua.[fonte 4] Il silenzio
è d'oro e la parola d'argento.[fonte 1] Il sospirar non vale.[fonte 8] Il
superfluo del ricco è il necessario del povero.[fonte 8] Il tatto è tattica.[fonte
8] Il tatto è tutto.[fonte 8] Il tempo è denaro.[fonte 146] Il tempo è un gran
medico.[fonte 147] Il tempo scopre tutto, perché è galantuomo.[fonte 147] Il
tempo vola.[fonte 147] Il termine della notte è l'inizio del giorno.[fonte 8]
Il timore fa trottare anche lo zoppo.[fonte 8] Il troppo gestire è da
pazzi.[fonte 8] Il troppo tirare, l'arco fa spezzare.[fonte 4] Il turco ben può
divenir un dotto, ma un uomo giammai.[fonte 119] Il ventre non ha
orecchie.[fonte 2] Il vero infermo è quello che non vuol esser guarito.[fonte
8] Il vino al sapore, il pane al colore.[fonte 8] Il vino è buono per chi lo sa
bere.[fonte 8] Il vino è forte ma il sonno lo vince, ma più forte d'ogni cosa è
la donna.[fonte 8] Il vino è il latte dei vecchi.[fonte 8] Il vino è mezzo
vitto.[fonte 8] Il vino fa ballare i vecchi.[fonte 8] Il vino la mattina è
piombo, a mezzodì argento, la sera oro.[fonte 8] Impara a vivere lo sciocco a
sue spese, il savio a quelle altrui.[fonte 4] Impara l'arte e mettila da
parte.[fonte 1] In amore e in guerra niente regole.[fonte 8] In bocca chiusa
non entran mosche.[fonte 2] In Campania si inganna persino il diavolo.[fonte 8]
In casa del calzolaio non si hanno scarpe.[fonte 4] In cento libbre di legge,
non v'è un'oncia di amore.[fonte 148] In chiesa coi santi e in taverna coi
ghiottoni.[fonte 1] In compagnia prese moglie un frate.[fonte 1] In febbraio la
beccaccia fa il nido.[fonte 8] In Lazio si nasce coi sassi in mano.[fonte 8] In
lunghi viaggi anche la paglia pesa.[fonte 8] In paradiso non ci si va in
carrozza.[fonte 141] In Sardegna non vi son serpenti, né in Piemonte
bestemmie.[fonte 8] In tanta incostanza e quantità delle cose umane, nulla, se
non quello che è passato, è sicuro.[fonte 4] In terra di ciechi, beato chi ha
un occhio.[fonte 36] In terra di ladri, la valigia dinanzi.[fonte 8] In vaso
mal lavato, il vino è tosto guastato.[fonte 8] Ingegno e capelli, crescono
soltanto con gli anni.[fonte 4] Insieme non vanno la pudicizia e la
beltà.[fonte 4] Inventare è poco, diffondere l'invenzione è tutto.[fonte 4] L
L'abbaiare dei cani non arriva in cielo.[fonte 4] L'abbondanza non lascia
dormire il ricco.[fonte 4] L'abete che fa ombra crede di fare frutti.[fonte 4]
L'abete cresce in altezza, ma la felce cresce in larghezza.[fonte 4] L'abito non
fa il monaco.[43][fonte 2] L'abuso insegna il vero uso.[fonte 4] L'acqua cheta
rovina i ponti.[fonte 2] L'acqua corre al mare.[fonte 149] L'acqua e il fuoco
sono buoni servitori, ma cattivi padroni.[fonte 4] L'acqua fa male e il vino fa
cantare.[fonte 8] L'acqua fa marcire i pali.[fonte 5] L'acqua fa venire i
ranocchi in corpo.[fonte 150] L'acqua di maggio inganna il villano: par che non
piova e si bagna il gabbano[44].[fonte 2] L'acqua non è fatta per
sposarsi.[fonte 9] L'allegria dei cattivi dura poco.[fonte 8] L'allegria è di
ogni male il rimedio universale.[fonte 4] L'allegria è il balsamo della
vita.[fonte 8] L'allegria fa campare, la passione fa crepare.[fonte 8]
L'allegria piace anche a Dio.[fonte 8] L'allegria scaccia ogni male.[fonte 8]
L'allodola vola in alto, ma fa il suo nido in terra.[fonte 8] L'altezza è mezza
bellezza.[45][fonte 2] L'ambizione e la vendetta muoiono sempre di fame.[fonte
4] L'ambizione è nemica della ragione.[fonte 4] L'amore di carnevale muore in
quaresima.[fonte 8] L'amore è cieco.[fonte 2] L'amore è cieco, ma vede
lontano.[fonte 8] L'amore fa passare il tempo e il tempo fa passare
l'amore.[fonte 8] L'amore non è bello se non è litigarello.[fonte 103] L'amore
non si misura a metri.[fonte 8] L'amore passa dentro la cruna di un ago.[fonte
8] L'amore quanto più è bestia, tanto più sublime.[fonte 32] L'amore scalda il
cuore e l'ira fa il poeta.[fonte 8] L'amore senza baci è pane senza sale.[fonte
8] L'animo fa il nobile e non il sangue.[fonte 8] L'anno produce il raccolto,
non il campo.[fonte 4] L'apparenza inganna.[fonte 1] L'appetito non vuol
salsa.[fonte 151] L'appetito vien mangiando.[fonte 1] L'arancia la mattina è
oro, il giorno argento, la sera è piombo.[fonte 2] Con riferimento a chi fa
fatica a digerire le arance. L'arcobaleno la mattina bagna il becco della
gallina; l'arcobaleno la sera buon tempo mena.[fonte 1] L'arte non ha maggior
nemico dell'ignorante.[fonte 4] L'asino e il mulattiere non hanno lo stesso
pensiero.[fonte 4] L'asino non conosce la coda, se non quando non l'ha
più.[fonte 4] L'assai basta e il troppo guasta.[fonte 1] L'avaro in punto di
morte rimpiange i soldi spesi per la bara.[fonte 8] L'avaro lascia eredi
ridenti.[fonte 4] L'avaro non dorme.[fonte 4] L'avaro non vive, vegeta.[fonte
4] L'avversità che fiacca i cuori deboli, ingagliardisce le anime forti.[fonte
8] L'eccesso degli obblighi può fare perdere un amico.[fonte 4] L'eccesso della
gioia divien tristezza, e l'eccesso del vino ubriachezza.[fonte 8] L'eccezione
conferma la regola.[46][fonte 1] L'eclissi di sole avviene di giorno e non di
notte.[fonte 4] L'edera taciturna si arrampica in cima alla quercia.[fonte 4]
L'elefante non cura il morso delle pulci.[fonte 8] L'elemosina non fa
impoverire.[fonte 4] L'eloquenza del cattivo è falso acume.[fonte 8] L'Epifania
tutte le feste porta via.[47][fonte 1] L'erba del vicino è sempre più
verde.[48][fonte 152] L'erba voglio non cresce nemmeno nel giardino del
re.[fonte 2] L'erba che non voglio, cresce nell'orto.[fonte 4] L'erba non
cresce sulla strada maestra.[fonte 4] L'eredità paterna ai paterni, la materna
ai materni.[fonte 4] L'errore che si confessa è mezzo rimediato.[fonte 4]
L'errore è un cocchiere che conduce sopra una falsa strada.[fonte 4] L'errore è
umano, il perdono divino.[fonte 153] L'esercizio è buon maestro.[fonte 4]
L'esperienza nel mondo conduce alla diffidenza, la diffidenza conduce al
sospetto, il sospetto all'astuzia, l'astuzia alla malvagità e la malvagità a
tutto.[fonte 4] L'esperienza senza il sapere è meglio che il sapere senza
sapienza.[fonte 70] L'estate ce la porta sant'Urbano e l'autunno san
Bartolomeo.[fonte 4] L'estate davanti e l'inverno dietro.[fonte 4] L'estate di
San Martino dura tre giorni e un pochinino.[49][fonte 2] L'estate per chi
lavora, l'inverno per chi dorme.[fonte 4] L'estate è una schiava, l'inverno un
padrone.[fonte 4] L'estate per il povero è migliore dell'inverno.[fonte 4]
L'eternità è una compera lunga.[fonte 4] L'eternità non ha capelli grigi.[fonte
4] L'eterno parlatore né ode né impara.[fonte 4] L'idolo si adora finché non è
infranto.[fonte 4] L'ignorante ha le ali di un'aquila e gli occhi di un
gufo.[fonte 4] L'inchiostro è il mio campo, su cui posso scrivere
valorosamente; la penna, il mio aratro; le parole, la mia semente.[fonte 8]
L'inchiostro è nero, e tinge le dita e la reputazione.[fonte 8] L'inferno e i
tribunali son sempre aperti.[fonte 4] L'ingegno viene con gli anni, e se ne va
con gli anni.[fonte 4] L'ingratitudine converte in ghiaccio il caldo
sangue.[fonte 8] L'ingratitudine è la mano sinistra dell'egoismo.[fonte 8]
L'ingratitudine è un'amara radice da cui crescono amari frutti.[fonte 8]
L'ingratitudine nuoce anche a chi non è reo.[fonte 8] L'ingratitudine taglia i
nervi al beneficio.[fonte 8] L'intelletto è nella testa e non negli anni.[fonte
4] L'intelletto non viene mai prima degli anni.[fonte 4] L'interesse acceca
anche i galantuomini.[fonte 8] L'inverno al fuoco e l'estate all'ombra.[fonte
4] L'invidia è annessa alla felicità.[fonte 4] L'invidia è un gufo che non può
sopportare la luce della prosperità degli altri.[fonte 4] L'invidia è una
bestia che rode le proprie gambe, quando non ha altro da rodere.[fonte 4]
L'invidia somiglia alla gramigna, che mai non muore, e da per tutto
alligna.[fonte 4] L'ipocrisia intasca il denaro, e la verità va mendica.[fonte
4] L'ira senza forza, non vale una scorza.[fonte 4] L'ira turba la mente e
acceca la ragione.[fonte 4] L'Italia è il paese dove corre latte e miele.[fonte
4] L'Italia è un paradiso abitato da demoni.[fonte 4] L'Italia per nascervi, la
Francia per viverci e la Spagna per morirvi.[fonte 4] L'occasione fa l'uomo
ladro.[fonte 1] L'occhio del padrone ingrassa il cavallo.[fonte 1] L'oggi non
deve calunniare il passato.[fonte 4] L'olivo benedetto vuol trovar pulito e
netto.[50][fonte 2] L'ombra di un principe dev'essere la liberalità.[fonte 4]
L'ordine caccia il disordine.[fonte 8] L'ordine è pane, il disordine è
fame.[fonte 8] L'orgoglio crede che il suo uovo abbia due tuorli.[fonte 8]
L'orgoglio è stoltezza, l'umiltà è saviezza.[fonte 8] L'orgoglio fa colazione
con l'abbondanza, pranza con la povertà e cena con la vergogna.[fonte 154]
L'orologio dell'amore ritarda sempre.[fonte 8] L'ospite è come il pesce: dopo
tre giorni puzza.[fonte 2] L'ospite e il pesce dopo tre dì rincresce.[fonte 1]
L'ozio è il padre di tutti i vizi.[fonte 1] L'ozio in gioventù non è la via
della virtù.[fonte 4] L'uguaglianza e misurar tutti con la stessa spanna, è la
legge della morte.[fonte 8] L'umiliarsi è da saggio, l'avvilirsi è da
bestia.[fonte 8] L'umiliazione va dietro al superbo.[fonte 8] L'umiltà è il
miglior modo di evitare l'umiliazione.[fonte 8] L'umiltà è la corona di tutte
le virtù.[fonte 8] L'umiltà è la madre dell'onore.[fonte 8] L'umiltà è una
virtù che adorna tanto la vecchiaia, quanto la gioventù.[fonte 8] L'umiltà ottiene
spesso più dell'alterigia.[fonte 8] L'umiltà sta bene a tutti.[fonte 8]
L'umiltà sta bene con la castità.[fonte 8] L'unione fa la forza.[fonte 1]
L'uomo avaro e l'occhio sono insaziabili.[fonte 4] L'uomo deve tenere aperta la
bocca a lungo prima che c'entri un colombo arrostito.[fonte 4] L'uomo fu creato
per lavorare, come l'uccello per volare.[fonte 4] L'uomo ordisce e la fortuna
tesse.[fonte 1] L'uomo politico accende una candela a Dio e un'altra al
diavolo.[fonte 8] L'uomo per la parola e il bue per le corna.[fonte 1] L'uomo
propone e Dio dispone.[fonte 1] L'uomo propone e la donna dispone.[fonte 2]
L'uomo si conosce al bicchiere.[fonte 4] L'uomo si giudica male
dall'aspetto.[fonte 4] L'usura arricchisce, ma non dura.[fonte 8] L'usura è il
miglior apostolo del diavolo.[fonte 8] L'usura è la figlia primogenita
dell'avarizia.[fonte 8] L'usura è un assassinio.[fonte 8] L'usura è vietata da
Dio.[fonte 8] L'usura veglia quando l'uomo dorme.[fonte 8] L'usuraio
arricchisce col sudor dei poveri.[fonte 8] L'usuraio ha un torchio a
sangue.[fonte 8] L'usuraio ingrassa andando a spasso.[fonte 8] La bestemmia
gira gira torna addosso a chi la tira.[fonte 4] La buona cantina fa il buon
vino.[fonte 8] La buona mamma fa la buona figlia.[fonte 4] La buona sorte ogni
vile cuore fa forte.[fonte 8] La calma è la virtù dei forti.[fonte 2] La
capacità si vede nelle difficoltà.[fonte 4] La carestia è il pane
dell'usuraio.[fonte 4] La carne migliore è quella intorno all'osso.[fonte 4] La
carne senz'osso non fa brodo.[fonte 4] La carrucola non frulla, se non è
unta.[fonte 4] La cattiva sorte porta spesso buona sorte.[fonte 8] La cicala
prima canta e poi muore.[fonte 8] La coda è la più lunga da scorticare.[fonte
1] La comodità fa l'uomo cattivo.[fonte 8] La compassione è la figlia
dell'amore.[fonte 4] La concordia rende forti i deboli.[fonte 8] La contentezza
viene dalle budella.[fonte 1] La corda troppo tesa si spezza.[fonte 1] La
cupidigia rompe il sacco.[fonte 4] La dieta ogni mal quieta.[fonte 155] La
difficoltà sta nell'iniziare.[fonte 4] La diffidenza aguzza gli occhi.[fonte 4]
La diffidenza è la morte dell'amore.[fonte 4] La diffidenza porta più avanti
della fiducia.[fonte 4] La donna a 15 anni scherza, a 20 brilla, a 25 ama, a 30
brama, a 35 sente, a 40 vuole e a 50 paga.[fonte 8] La donna bisogna praticarla
un giorno, un mese e un'estate per sapere che odore sa.[fonte 8] La donna buona
vale una corona.[fonte 8] La donna deve avere tre m: matrona in strada, modesta
in chiesa, massaia in casa.[fonte 8] La donna e l'orto vogliono un sol
padrone.[fonte 8] La donna ha più capricci che ricci.[fonte 8] La donna oziosa
non può essere virtuosa.[fonte 8] La donna per piccola che sia, vince il
diavolo in furberia.[fonte 8] La donna più sciocca vale due uomini.[fonte 8] La
donna troppo in vista, è di facile conquista.[fonte 8] La fame caccia il lupo
dal bosco.[fonte 1] La fame caccia il lupo dalla tana.[fonte 4] La fame spinge
il lupo nel villaggio.[fonte 4] La fame condisce tutte le vivande.[fonte 4] La
fame non vede la muffa nel pane.[fonte 4] La fame è cattiva consigliera.[fonte
1] La fame, gran maestra, anche le bestie addestra.[fonte 4] La fame muta le
fave in mandorle.[fonte 4] La farina del diavolo va tutta in crusca.[fonte 1]
La fedeltà non è mai rimeritata abbastanza, e l'infedeltà mai abbastanza.[fonte
4] La femmina è cosa mobile per natura.[fonte 4] La fine della passione è il
principio del pentimento.[fonte 129] La fortuna aiuta gli audaci.[fonte 2] La
fortuna del savio ha per figliola la modestia.[fonte 8] La fortuna è cieca.[fonte
2] La fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo.[fonte 108] La fretta fa
rompere la pentola.[fonte 8] La fretta è una cattiva consigliera.[fonte 108] La
furia non fu mai buona.[fonte 4] La gallina del vicino sembra un fagiano.[fonte
152] La gatta frettolosa fece i gattini ciechi.[fonte 1] La gatta grassa fa
onore alla casa.[fonte 121] La gatta, mette il piede davanti alla vacca.[fonte
156] La gatta non s'accosta alla pentola che bolle.[fonte 38] La gatta vorrebbe
mangiar pesci, ma non pescare.[fonte 157] La gelosia della moglie è la via al
suo divorzio.[fonte 4] La gelosia è il peggiore di tutti i mali.[fonte 4] La
gelosia è una passione che cerca avidamente quel che tormenta.[fonte 4] La
generosità è un muro che non si può alzare più alto di quello che arrivano i
materiali.[fonte 4] La gente ricca alleva male i suoi cani, e la gente povera i
suoi figlioli.[fonte 8] La gente savia non si cura di quel che non può
avere.[fonte 87] La gioventù fugge, e la bellezza sfiorisce.[fonte 4] La
gioventù vuol fare il suo corso.[fonte 4] La lealtà se ne è andata dal mondo e
la dirittura si è messa a dormire.[fonte 4] La lega fa forte i deboli.[fonte 4]
La liberalità è un muro che non si deve rizzare più alto di quello che
comportino i materiali.[fonte 4] La liberalità non sta nel dare molto, ma
saggiamente.[fonte 4] La libertà del povero è di lasciarlo mendicare.[fonte 4]
La libertà è da Dio; le libertà, dal diavolo.[fonte 4] La libertà è più cara
degli occhi e della vita.[fonte 4] La libertà fila con le sue mani il filo
della sua tenda.[fonte 4] La lingua batte dove il dente duole.[fonte 1] La
lingua non ha osso e sa rompere il dosso.[fonte 4] La lingua spagnola è la più
amabile; quando il diavolo tentò Eva, le parlo in spagnolo.[fonte 8] La lode
propria puzza, quella degli amici zoppica.[fonte 4] La luna di gennaio è la
luna del vino.[fonte 2] La luna è bugiarda: quando fa la C diminuisce, e quando
fa la D cresce[fonte 158] La luna non cura l'abbaiar dei cani.[fonte 2] La luna
regge il lume ai ladri.[fonte 158] La luna, se non riscalda, illumina.[fonte
158] La Lombardia è il giardino del mondo.[fonte 8] La madre del peggio è
sempre incinta.[fonte 159] La madre degli imbecilli è sempre incinta.[fonte
160] La madre dei fessi è sempre incinta.[fonte 160] La magnificenza spesso
copre la povertà.[fonte 4] La mala erba non muore mai.[fonte 1] La mala nuova
la porta il vento.[fonte 1] La malerba cresce presto.[fonte 2] La malinconia e
le cure fanno invecchiare anzitempo.[fonte 4] La mercanzia rara è meglio che
buona.[fonte 8] La miglior difesa è l'attacco.[fonte 1] La minestra lunga sa di
fumo.[fonte 8] La modestia è il dattero che matura raramente sull'albero della
ricchezza.[fonte 8] La modestia è madre d'ogni creanza.[fonte 8] La moglie è la
chiave di casa.[fonte 8] La morte ci rende uguali nella sepoltura, disuguali
nell'eternità.[fonte 8] La necessità aguzza l'ingegno.[fonte 2] La necessità fa
più ladri che galantuomini.[fonte 8] La notte è fatta per gli allocchi.[fonte
8] La notte porta consiglio.[fonte 1] La novella non è bella, se non c'è la
giuntarella.[fonte 8] La pancia del buongustaio è il cimitero dei cibi
buoni.[fonte 8] La parola del ricco è simile al sole, e quella del povero è
simile al vapore.[fonte 8] La pazienza è la virtù dei forti.[fonte 9] La
pazienza è una buon'erba, ma non nasce in tutti gli orti.[fonte 88] La pecora
che se ne va sola, il lupo la mangia.[fonte 91] La peggio ruota è quella che
stride.[fonte 8] La peggior carne da conoscere è quella dell'uomo.[fonte 4] La
penitenza corre dietro al peccato.[fonte 8] La pentola vuota è quella che
suona.[fonte 8] La pianta si conosce dal frutto.[fonte 1] La pigrizia e
l'impudicizia sono sorelle.[fonte 8] La pittura è una poesia tacita, e la
poesia una pittura loquace.[fonte 8] La più bell'ora per il mangiare è quella
in cui si ha fame.[fonte 8] La polenta è utile per quattro cose: serve da
minestra, serve da pane, sazia e scalda le mani.[fonte 8] La povertà è priva di
molte cose, l'avarizia è priva di tutto.[fonte 56] La prima acqua è quella che
bagna.[fonte 1] La prima gallina che canta ha fatto l'uovo.[fonte 108] La prima
eredità al primo figlio, l'ultima eredità all'ultimo figlio.[fonte 4] La
provvidenza quel che toglie rende.[fonte 4] La pulce che esce di dietro
l'orecchio con il diavolo si consiglia.[fonte 8] La puttana e la lattuga una
stagione dura.[fonte 8] La rana è usa ai pantani, se non ci va oggi ci andrà
domani.[fonte 8] La rana non morde, perché non ha denti.[fonte 8] La rana, o
salta o piscia, ma mai non sbrana.[fonte 8] La razza comincia dalla bocca.[fonte
8] La roba dei pazzi è la prima ad andarsene.[fonte 8] La ruota della fortuna
gira.[fonte 4] La ruota della fortuna non è sempre una.[fonte 4] La scorza fa
bella la castagna.[fonte 4] La scimmia è sempre scimmia, anche vestita di
seta.[fonte 8] La semplicità senza accortezza è pura pazzia.[fonte 8] La sera
leoni e la mattina coglioni.[fonte 2] La sorte è come ognuno se la fa.[fonte 8]
La speranza è cattivo denaro.[fonte 161] La speranza è il pane dei
poveri.[fonte 2] La speranza è il patrimonio dei poveri.[fonte 2] La speranza è
il sogno dell'uomo desto.[fonte 2] La speranza è l'ultima a morire.[fonte 2] La
speranza è la miglior consolazione nella miseria.[fonte 161] La speranza è la
miglior musica del dolore.[fonte 161] La speranza è la ricchezza dei
poveri.[fonte 2] La speranza è sempre verde.[fonte 2] La speranza è un balsamo
per i cuor piagati.[fonte 161] La speranza è un sogno nella veglia.[fonte 2] La
speranza infonde coraggio anche al codardo.[fonte 161] La speranza ingrandisce,
l'esperienza rimpicciolisce.[fonte 57] La superbia è figlia
dell'ignoranza.[fonte 1] La superbia mostra l'ignoranza.[fonte 162] La superbia
va a cavallo e torna a piedi.[fonte 1] La terra è madre di tutti gli uomini ed
anche sepoltura.[fonte 8] La troppa umiltà vien dalla superbia.[fonte 8] La
vanagloria è un fiore che mai non porta frutta.[fonte 163] La vera libertà è
non servire al vizio.[fonte 4] La verità è nel vino.[fonte 8] La verità viene
sempre a galla.[fonte 2] La veste copre gran difetti.[fonte 55] La via dell'inferno
è lastricata di buone intenzioni.[fonte 1] La vipera morta non morde seno, ma
pure fa male coll'odor del veleno.[fonte 8] La virtù sta nel mezzo.[51][fonte
164] La vita è breve e l'arte è lunga.[52][fonte 55] La vita è già mezzo
trascorsa anziché si sappia che cosa sia.[fonte 165] La volpe si conosce dalla
coda.[fonte 4] Lamentarsi, supplicare e bere acqua è lecito a tutti.[fonte 8]
Latte e vino, tossico fino.[fonte 8] Lavora come se avessi a campare ognora,
adora come avessi a morire allora.[fonte 4] Lavoro non ingrassò mai bue.[fonte
4] Le allegrezze non durano.[fonte 8] Le belle penne rendono bello
l'uccello.[fonte 4] Le bellezze durano fino alle porte, la bontà fino alla
morte.[fonte 4] Le braccia e le mani del povero appartengono al ricco.[fonte 8]
Le bugie hanno le gambe corte.[fonte 1] Le bugie sono lo scudo degli uomini
dappoco.[fonte 4] Le chiacchiere non fanno farina.[fonte 1] Le colombe che
rimangono in colombaia, sono sicure dal nibbio.[fonte 8] Le cose lunghe
diventano serpi.[fonte 1] Le cose lunghe prendono vizio.[fonte 1] Le dita della
mano sono disuguali.[fonte 8] Le donne hanno lunghi i capelli e corti i
cervelli.[fonte 4] Le donne hanno quattro malattie all'anno, e tre mesi dura
ogni malanno.[fonte 8] Le bestie vanno trattate da bestie.[fonte 8] Le cattive
nuove sono le prime ad arrivare.[fonte 8] Le cattive nuove volano.[fonte 1] Le
chiavi ed i lucchetti non si fanno per le dita fidate.[fonte 8] Le disgrazie
non vengono mai sole.[fonte 1] Le disgrazie sono come le ciliegie: una tira
l'altra.[53] Le donne hanno lunghi i capelli e corti i cervelli.[fonte 166] Le
donne hanno sette anime... e mezza.[fonte 8] Le donne ne sanno una più del
diavolo.[fonte 2] Le donne piglian bene le pulci.[fonte 8] Le lacrime sono le
armi delle donne.[fonte 4] Le leghe e le corde fradice non durano a
lungo.[fonte 4] Le malattie ci dicono quel che siamo.[fonte 88] Le montagne
stanno ferme, gli uomini s'incontrano.[fonte 167] Le ore del mattino hanno
l'oro in bocca.[fonte 1] Le parole sono femmine e i fatti sono maschi.[fonte 1]
Le piante che fruttano troppo presto, si seccano.[fonte 8] Le querce non fanno
limoni.[fonte 2] Le ragazze sono d'oro, le sposate d'argento, le vedove di rame
e le vecchie di latta.[fonte 8] Le rane han perso la coda perché non seppero
chiedere aiuto.[fonte 8] Le rose cascano, le spine restano.[fonte 168] Le teste
di legno fan sempre del chiasso.[fonte 55] Le Trentine vengono giù pollastre e
se ne vanno sù galline.[fonte 8] Le vie della provvidenza sono infinite.[fonte
1] Le vie del Signore sono infinite.[fonte 1] Leggi, rileggi e pondera.[fonte
8] Lingua cheta e fatti parlanti.[fonte 4] Lo sbadiglio non vuol mentire: o che
ha sonno o che vorrebbe dormire, o che ha qualche cosa che non può dire.[fonte
8] Lo scarafaggio corre sempre allo sterco.[fonte 8] Lo scimunito parla col
dito.[fonte 8] Lo scorpione dorme sotto ogni lastra.[fonte 8] Lo smargiasso
ciancia in guerra, il valente combatte muto.[fonte 8] Loda il gran campo e il
piccolo coltiva.[fonte 169] Loda il monte e tieniti al piano.[fonte 2] Loda il
pazzo e fallo saltare, se non è pazzo lo farai diventare.[fonte 8] Lontano
dagli occhi, lontano dal cuore.[fonte 170] Lontan dagli occhi, lontan dal
cuore.[fonte 2] Luna di grappoli a gennaio luna di racimoli a
febbraio.[54][fonte 2] Lunga lingua, corta mano.[fonte 8] Lungo come la
quaresima.[55][fonte 2] Luglio dal gran caldo, bevi bene e batti saldo.[fonte
16] Lungo digiuno caccia la fame.[fonte 4] Lupo non mangia lupo.[fonte 2] M Ma
in premio d'amore amor si rende.[fonte 33] Maggio ortolano, molta paglia e poco
grano.[fonte 16] Maggiore il santo, maggiore la sua umiltà.[fonte 8] Mai gli
uomini sanno essere abbastanza riconoscenti verso gli inventori.[fonte 4] Mal
comune mezzo gaudio.[fonte 2] Mal può rendere ragion del proprio fatto chi lardo
o pesce lascia in guardia al gatto.[fonte 65] Mal si giudica il cavallo dalla
sella.[fonte 3] Male che si vuole non duole.[fonte 9] Male ignoto si teme
doppiamente.[fonte 8] Male non fare, paura non avere.[fonte 2] Male voluto non
fu mai troppo.[fonte 57] Maledetto il ventre che del pan che mangia non si
ricorda niente.[fonte 8] Manca tanto la pazienza ai poveri, quanto la
compassione ai ricchi.[fonte 8] Mangiar molto e far buona digestione, è un
privilegio che han poche persone.[fonte 8] Mano dritta e bocca monda possono
andare per tutto il mondo.[fonte 4] Marinaio genovese, mercante
fiorentino.[fonte 8] Martello d'oro non rompe le porte del cielo.[fonte 47]
Marzo è pazzo.[fonte 16] Marzo pazzerello guarda il sole e prendi
l'ombrello.[fonte 2] Marzo molle, gran per le zolle.[fonte 16] Mazza e pane
fanno i figli belli; pane senza mazza fa i figli pazzi.[fonte 171] Medico
vecchio e chirurgo giovane.[fonte 172] Medico vecchio e medicina nuova.[fonte
2] Chirurgo giovane e medico anziano.[56] Mediocre bestiame ben pasciuto è di
maggior vantaggio che molto bestiame mal mantenuto.[fonte 173] Meglio andare a
letto senza cena, che alzarsi con debiti.[fonte 4] Meglio aperto rimprovero,
che odio segreto.[fonte 8] Meglio dietro agli uccelli, che dietro ai signori.[fonte
8] Meglio essere ben educato, che nascere nobile.[fonte 4] Meglio essere
invidiati che compatiti.[fonte 174] Meglio fare la serva in casa propria, che
la padrona in casa altrui.[fonte 4] Meglio fave in libertà, che capponi in
schiavitù.[fonte 8] Meglio fringuello in man che tordo in frasca.[fonte 2]
Meglio fringuello in tasca che tordo in frasca.[fonte 2] Meglio il marito
senz'amore, che con gelosia.[fonte 75] Meglio l'uovo oggi che la gallina
domani.[fonte 1] Meglio mangiar carote in pace che molte pietanze in
disunione.[fonte 8] Meglio mendicante che ignorante.[fonte 124] Meglio pane con
amore, che gallina con dolore.[fonte 4] Meglio poco che niente.[fonte 1] Meglio
soli che male accompagnati.[fonte 1] Meglio tardi che mai.[fonte 1] Meglio un
asino vivo che un dottore morto.[fonte 1] Meglio un fiorino guadagnato, che
cento ereditati.[fonte 4] Meglio un magro accordo che una grassa
sentenza.[fonte 2] Meglio un morto in casa che un pisano all'uscio.[fonte 2]
Meglio una festa che cento festicciole.[fonte 1] Meglio una volta arrossire che
mille impallidire.[fonte 8] Meglio vivere ben che vivere a lungo.[fonte 64]
Meno siamo meglio stiamo.[fonte 57] Mente lieta, vita quieta e moderata
dieta.[fonte 2] Merito non conosciuto poco vale.[fonte 8] Milan può far, Milan
può dir, ma non può far dell'acqua vin.[fonte 8] Mille errori sono più
facilmente pronunciati che una verità.[fonte 4] Moglie e buoi dei paesi
tuoi.[fonte 1] Donne e buoi dei paesi tuoi.[fonte 2] Mogli che non
contraddicono e galline che facciano le uova d'oro, sono uccelli rari.[fonte 8]
Moglie maglio.[fonte 1] Molte cose si giudicano impossibili a farsi prima che
siano fatte.[fonte 4] Molte mani fanno l'opera leggera.[fonte 4] Molte paglie
unite possono legare un elefante.[fonte 8] Molte volte la belleza più adorabile
si unisce alla stupidaggine più insopportabile.[fonte 4] Molte volte si perde
per negligenza quello che si è guadagnato con giustizia.[fonte 4] Molti hanno
buone carte in mano, ma non le sanno giocare.[fonte 4] Molti inventano oro con
la bocca ed hanno piombo alle mani e ai piedi.[fonte 4] Molti parlano d'Orlando
anche se non videro mai il suo brando.[fonte 8] Molti sfuggono alla pena, ma
non ai rimorsi della coscienza.[fonte 8] Molti si immaginano di avere il
pulcino, che non hanno ancora l'uovo.[fonte 4] Molti si lamentano del buon
tempo.[fonte 8] Molti sono i verseggiatori, pochi i poeti.[fonte 8] Molti
squartano un gatto e giurano che era un leone.[fonte 8] Molti voti fanno
l'abate.[fonte 4] Molto denaro, molti amici.[fonte 4] Molto fumo e poco
arrosto.[fonte 1] Molto può nuocere una piccola negligenza.[fonte 8] Morire di
fame in una madia di pane.[fonte 4] Morta la serpe, spento il veleno.[fonte 8]
Morto un papa se ne fa un altro.[fonte 1] Mulo buon mulo, ma cattiva
bestia.[fonte 8] Muore il ricco, gli fanno il funerale; muore il povero,
nessuno gli dice: vale.[fonte 8] Muove la coda il cane non per te, ma per il
pane.[fonte 4] N Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi.[fonte 2] Né col
capretto né con l'agnello, si adopera il coltello.[fonte 8] Né di venere, né di
marte non si sposa né si parte, né si dà principio all'arte.[fonte 2] Né donna
né tela al lume di candela.[fonte 8] Ne uccide più la lingua che la
spada.[fonte 2] Ne uccide più la gola che la spada.[fonte 2] Necessità fa legge
e tribunale.[fonte 2] Negli ordini pari, i pareri sono dispari.[fonte 8] Nel
bere e nel camminare si conoscono le donne.[fonte 8] Nel bosco tagliato non ci
stanno assassini.[fonte 8] Nel dubbio astieniti.[fonte 2] Nel monte di Brianza,
senza vin non si danza.[fonte 8] Nel paese degli zoppi, zoppicar non è
vergogna.[fonte 8] Nel regno dei ciechi anche un orbo è re.[fonte 175] Nel
regno dei ciechi anche un guercio è re.[fonte 175] Nel regno di Dio, poveri e
ricchi sono uguali.[fonte 8] Nell'autunno non bisogna più sognare di rose e
tulipani.[fonte 4] Nell'estate si deve pensare all'inverno, e nella gioventù
alla vecchiaia.[fonte 4] Nell'eternità si arriva sempre in tempo.[fonte 4]
Nell'inverno il pazzo sogna rose, e nell'estate il savio le raccoglie.[fonte 4]
Nella botte piccola c'è il buon vino.[fonte 8] Nella felicità ragione,
nell'infelicità pazienza.[fonte 8] Nella gotta, il medico non vede gotta.[fonte
176] Nelle sventure si conosce l'amico.[fonte 1] Nessuna corona è più bella di
quella dell'umiltà.[fonte 8] Nessuna fortezza è così salda che non si lasci
conquistare dall'oro.[fonte 4] Nessuna ingiustizia rimane impunita.[fonte 4]
Nessuna mela è così bella che non abbia qualche difetto.[fonte 4] Nessuna
nuova, buona nuova.[fonte 1] Nessuno è profeta in patria.[57][fonte 177]
Nessuno può dare quello che non ha.[fonte 4] Nessuno può difendersi dalla
beffa.[fonte 4] Ne uccide più Bacco che Marte.[fonte 4] Neve di Dicembre dura
fin che dura la brina.[fonte 8] Niente è più bello di una faccia allegra.[fonte
8] Niuna guardia è migliore di quella che una donna fa a se stessa.[fonte 4]
Non accettare i rimproveri o consigli da chi educare non seppe i propri
figli.[fonte 4] Non aspettar che l'abete porti pomi.[fonte 4] Non basta esser
galantuomo, bisogna anche esser conosciuto per tale.[fonte 8] Non bisogna fare
il diavolo più nero di quello che è.[fonte 8] Non bisogna fasciarsi il capo
prima di romperselo.[fonte 8] Non bisogna mai usare due pesi e due
misure.[fonte 8] Non bisogna scuotere l'orzo dal sacco prima di avere il
frumento.[fonte 8] Non c'è alcuno così povero che non possa aiutare, né alcuno
così ricco che non abbia bisogno d'aiuto.[fonte 8] Non c'è cosa più triste
sulla terra dell'uomo ingrato.[fonte 8] Non si muove foglia che Dio non
voglia.[fonte 1] Non c'è affanno senza danno.[fonte 4] Non c'è Carnevale senza
luna di febbraio.[fonte 2] Non c'è due senza tre.[fonte 1] Non c'è due senza
tre e il quarto vien da sé.[fonte 2] Non c'è cosa così cattiva che non sia
buona a qualche cosa.[fonte 4] Non c'è eretico che non abbia la sua
credenza.[fonte 4] Non c'è fumo senza arrosto.[fonte 1] Non c'è gallina né
gallinaccia che di gennaio l'uova non faccia.[fonte 2] Non c'è intoppo per
avere, più che chiedere e temere.[fonte 178] Non c'è male senza bene.[fonte 4]
Non c'è miglior cieco di quello che non vuole vedere.[fonte 4] Non c'è pane
senza pena.[fonte 1] Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire.[fonte 2]
Non c'è regola senza eccezioni.[fonte 1] Non c'è rosa senza spine.[fonte 2] Non
cade foglia che Dio non voglia.[fonte 1] Non ci fu mai frettoloso che non fosse
pazzo.[fonte 8] Non ci rimane nessuna vigna da vendemmiare, e né meno nessuna
donna da maritare.[fonte 179] Non credere a donna, quand'anche sia morta.[fonte
4] Non destare il can che dorme.[fonte 1] Non dire quattro se non l'hai nel
sacco.[fonte 2] Non dire gatto se non ce l'hai nel sacco.[fonte 180] Non è arte
il giocare, ma lo smettere.[fonte 4] Non è bello ciò che è bello, ma è bello
ciò che piace.[fonte 181] Non è bene esser poeta nel villaggio.[fonte 8] Non è
bene riporre denaro in una cassa di cui non si ha la chiave.[fonte 4] Non è col
dire "miel, miel," che la dolcezza viene in bocca.[fonte 117] Non è
contento quel che si lamenta.[fonte 8] Non è in nessun luogo chi è in ogni
luogo.[fonte 4] Non è mai gran gagliardia, senza un ramo di pazzia.[fonte 8]
Non è povero, se non chi si crede tale.[fonte 8] Non è sempre savio chi non sa
esser qualche volta pazzo.[fonte 8] Non è sì tristo cane, che non meni la
coda.[fonte 182] Non è tutto oro quel che luccica.[fonte 183] Non è tutto oro
quel che riluce.[fonte 183] Non esiste amore senza gelosia.[fonte 8] Non fa la
stessa viva sensazione il solletico a tutte le persone.[fonte 8] Non facendo
niente, più pena si sente.[fonte 4] Non far mai bene, non avrai mai male.[fonte
8] Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te.[58][fonte 2]
Non fare il male ch'è peccato, non fare il bene ch'è sprecato.[fonte 1] Non
fare il passo più lungo della gamba.[fonte 2] Non gira il corvo che non sia
vicina la carogna.[fonte 8] Non lodare il bel giorno prima di sera.[fonte 4]
Non mettere il carro davanti ai buoi.[fonte 184] Non mettere il rasoio in mano
a un pazzo.[fonte 8] Non mettere un rasoio in mano a un pazzo.[fonte 185] Non
mi morse mai scorpione, ch'io non mi medicassi col suo olio.[fonte 8] Non
nominar la corda in casa dell'impiccato.[fonte 1] Non ogni abisso ha un
parapetto.[fonte 4] Non ogni lettera va alla posta, non ogni domanda vuole
risposta.[fonte 8] Non pensa il cuore quel che dice la bocca.[fonte 4] Non perde
il cervello se non chi l'ha.[fonte 8] Non rimandare a domani quello che puoi
fare oggi.[fonte 1] Non sempre va d'accordo la campana dell'orologio con la
meridiana.[fonte 8] Non serve dire «Di tal acqua non berrò».[fonte 4] Non si
campa d'aria.[fonte 4] Non si comincia bene se non dal cielo.[fonte 4] Non si
dà fumo senza fuoco.[fonte 4] Non si entra in Paradiso a dispetto dei
Santi.[fonte 1] Non si fa niente per niente.[fonte 1] Non si fan nozze coi
fichi secchi.[fonte 186] Non si finisce mai di imparare.[fonte 4] Non si
insegna a nuotare ai pesci.[fonte 4] Non si legge mai libro senza imparare
qualcosa.[fonte 4] Non si possono cavar le castagne dal fuoco colla zampa del
gatto.[fonte 187] Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca.[fonte 1]
Non si può bere e fischiare.[fonte 77] Non si sa mai per chi si lavora.[fonte
4] Non si sta mai tanto bene che non si possa star meglio, né tanto male che
non si possa star meglio.[fonte 8] Non sono cacciatori tutti quelli che portano
il fucile.[fonte 4] Non sono uguali tutti i giorni.[fonte 4] Non ti far povero
a chi non ha da farti ricco.[fonte 8] Non ti fidar d'un tratto, di grazia o di
bontà.[fonte 8] Non ti vantar farfalla, tuo padre era un bruco.[fonte 8] Non
tutte le ciambelle riescono col buco.[fonte 1] Non tutte le lacrime vengono dal
cuor.[fonte 4] Non tutti i matti rompono i piatti.[fonte 8] Non tutti i pazzi
stanno al manicomio.[fonte 8] Non tutti possiamo abitare in piazza.[fonte 8]
Non tutti sono ammalati quelli che sono in letto.[fonte 8] Non tutti sono
infelici come credono.[fonte 8] Non tutti sono infermi quelli che gridano
ahi![fonte 8] Non tutti vedono la serpe che sta nascosta sotto l'erba.[fonte 4]
Non tutto il male vien per nuocere.[fonte 2] Non v'è mai tanta pace in
convento, come quando i frati portano tonache uguali.[fonte 8] Non vi è donna
senza amore.[fonte 8] Non vi è inganno che non si vinca con l'inganno.[fonte 4]
Non vi è lino senza resca, né donna senza pecca.[fonte 4] Non vi è nulla che
ricercando non si possa penetrare.[fonte 4] Non vi è peggior burla che la
vera.[fonte 4] Non vi fu mai gatta che non corresse ai topi.[fonte 8] Non
vendere la pelle dell'orso prima di averlo ucciso.[fonte 1] Non vo' dormire né
fare la guardia.[fonte 4] Notte, amore e vino fanno spesso l'uomo meschino.[fonte
8] Novembre vinaio.[fonte 16] Nulla è così buono che a lungo andare non venga a
noia.[fonte 8] Nuovo padrone, nuova legge.[fonte 58] Nutri il corvo e ti caverà
gli occhi.[fonte 8] Nutri la serpe in seno, ti renderà veleno.[fonte 8] O O
taci, o di' cosa migliore del silenzio.[59][fonte 8] Occhio che piange cuore
che duole.[fonte 2] Occhio che piange cuore che sente.[fonte 2] Occhio non
vede, cuore non duole.[fonte 2] Occhio per occhio, dente per dente.[60][fonte
2] Olio di lucerna ogni mal governa.[fonte 2] Oggi a me domani a te.[fonte 2]
Oggi allegria, domani malinconia.[fonte 8] Oggi creditore, domani
debitore.[fonte 8] Oggi fresco e forte, domani nella morte.[fonte 8] Oggi in
figura, domani in sepoltura.[fonte 8] Oggi in pace, domani in guerra.[fonte 8]
Oggi mercante, domani mendicante.[fonte 8] Oggi pioggia e doman vento, tutto
cambia in un momento.[fonte 8] Ogni Abele ha il suo Caino.[fonte 4] Ogni
animale per non morir s'aiuta.[fonte 188] Ogni bel gioco dura poco.[fonte 1]
Ogni bella scarpa diventa ciabatta, ogni bella donna diventa nonna.[fonte 8]
Ogni bene infine svanisce, ma la fama non perisce.[fonte 4] Ogni cosa ch'è
rara, suol essere più cara.[fonte 8] Ogni disuguaglianza, l'amore
uguaglia.[fonte 4] Ogni erba si conosce dal seme.[fonte 4] Ogni fatica merita
ricompensa.[fonte 4] Ogni gatta ha il suo febbraio.[fonte 8] Ogni giorno non è
festa.[fonte 4] Ogni giorno non si fanno nozze.[fonte 4] Ogni grillo si crede
cavallo.[fonte 8] Ogni lasciata è persa.[fonte 1] Ogni legno ha il suo
tarlo.[fonte 1] Ogni lucciola non è un fuoco.[fonte 8] Ogni lumaca vede le
corna delle altre.[fonte 189] Ogni matto fa il suo atto.[fonte 8] Ogni medaglia
ha il suo rovescio.[fonte 1] Ogni pazzo vuol dar consiglio.[fonte 8] Ogni pelo
ha la sua ombra.[fonte 4] Ogni popolo ha il governo che si merita.[fonte 190]
Ogni promessa è debito.[fonte 1] Ogni rana si crede gran dama.[fonte 8] Ogni
rana si crede una Diana.[fonte 8] Ogni scimmia trova belli i suoi
scimmiotti.[fonte 8] Ogni serpe ha il suo veleno.[fonte 8] Ogni simile ama il
suo simile.[fonte 1] Ogni uccello fa il suo verso.[fonte 8] Ogni uccello canta
il suo verso.[fonte 191] Ognun patisce del suo mestiere.[fonte 192] Ognuno
trascura per sé i godimenti dell'arte sua, quasi venutigli a noia perché ci ha
guardato dentro: il cuoco non è mai ghiotto, il calzolaio va colle scarpe
rotte. Ognun per sé e Dio per tutti.[fonte 1] Ognun vede le proprie oche come
cigni.[fonte 8] Ognuno all'arte sua e il lupo alle pecore.[fonte 2] Ognuno ama
sentirsi lodare.[fonte 4] Ognuno che ha un gran coltello, non è un boia.[fonte
4] Ognuno fa degli errori.[fonte 4] Ognuno faccia il suo mestiere.[fonte 2]
Ognuno ha i suoi gusti.[fonte 193] Ognuno ha il suo affanno.[fonte 8] Ognuno ha
la sua croce.[fonte 1] Ognuno tira l'acqua al suo mulino.[fonte 2] Orto, uomo
morto.[fonte 169] Orzo e paglia fanno il caval da battaglia.[fonte 8] Ospite
raro ospite caro.[fonte 1] Ottobre mostaio.[fonte 16] P Paese che vai usanza
che trovi.[fonte 1] Paga il giusto per il peccatore.[fonte 1] Pancia affamata,
vita disperata.[fonte 4] Pancia piena non crede a digiuno.[fonte 1] Pancia
vuota non sente ragioni.[fonte 1] Parla all'amico come se ti avesse a diventar
nemico.[fonte 8] Pane finché dura, vino con misura.[fonte 194] Parenti, amici,
pioggia, dopo tre giorni vengono a noia.[fonte 8] Parenti serpenti.[fonte 1]
Parenti serpenti, cugini assassini, fratelli coltelli.[fonte 2] Parere e non
essere è come filare e non tessere.[fonte 2] Parlare francese come una vacca
spagnola.[fonte 4] Passata la festa gabbato lo santo.[fonte 1] Passato il fiume
scordato il santo.[fonte 4] Patti chiari, amici cari.[fonte 2] Patti chiari
amicizia lunga.[fonte 2] Pazzi e buffoni hanno pari libertà.[fonte 8] Pazzo è
colui che bada ai fatti altrui.[fonte 8] Pazzo è quel prete che biasima le sue
reliquie.[fonte 195] Pazzo per natura, savio per scrittura.[fonte 8] Peccati
vecchi, penitenza nuova.[fonte 8] Peccato celato è mezzo perdonato.[61][fonte
196] Peccato confessato è mezzo perdonato.[fonte 8] Per amore anche una donna
onesta, può perdere la testa.[fonte 8] Per chi vuol esser libero, non c'è
catena che tenga.[fonte 8] Per essere amabili, bisogna amare.[fonte 9] Per fare
l'elemosina non manca mai la borsa.[fonte 4] Per il galantuomo non ci sono
leggi.[fonte 8] Per il saggio le lacrime delle donne sono come gocce
salate.[fonte 4] Per imparare qualche cosa, non è mai troppo tardi.[fonte 4]
Per l'abbondanza del cuore la bocca parla.[fonte 4] Per l'oro, l'abate vende il
convento.[fonte 4] Per la santa Candelora[62] dell'inverno siamo fora, ma se piove
o tira vento, dell'inverno siamo dentro.[fonte 2] Per la santa Candelora se
tempesta o se gragnola dell'inverno siamo fora; ma se è sole o solicello siamo
solo a mezzo inverno.[fonte 2] Per natura tutti gli uomini sono simili; per
l'educazione diventano interamente diversi.[fonte 4] Per ogni civetta che si
sente cantare sul tetto, non bisogna metter lutto.[fonte 8] Per quanto alletti
la bellezza di un fiore, nessuno lo coglie se ha cattivo odore.[fonte 4] Per
san Lorenzo la noce è fatta.[fonte 2] Per San Lorenzo la noce si spacca nel
mezzo.[fonte 197] Per san Lorenzo piove dal cielo carbone ardente.[fonte 2] Per
Santa Caterina [25 novembre], le bestie fuori dalla cascina.[fonte 198] Per
trovare ingiustizie non occorrono lanterne.[fonte 4] Per un chiodo si perde un
ferro, e per un ferro un cavallo.[fonte 8] Per un punto Martin perse la
cappa.[63][fonte 2] Per una scopa formano un mercato tre donne e assordan tutto
il vicinato.[fonte 8] Perde le lacrime chi piange davanti al giudice.[fonte 4]
Perdona a tutti, ma non a te.[fonte 199] Perdonare è da uomini, scordare è da
bestie.[fonte 199] Pesce che va all'amo, cerca d'esser gramo.[fonte 8] Pianta a
cui spesso si muta luogo, non prende vigore.[fonte 4] Piccola fiamma non fa
gran luce.[fonte 8] Piccola pietra rovesciar può il carro.[fonte 8] Piccola
scintilla può bruciar la villa.[fonte 8] Piccole ruote portano gran pesi.[fonte
8] Piccolo ago scioglie stretto nodo.[fonte 8] Piglia il bene quando viene, ed
il male quando conviene.[fonte 8] Piove sempre sul bagnato.[fonte 2] Pisa, pesa
per chi posa.[fonte 8] Più alta la condizione, più si deve essere umili.[fonte
8] Più briccone, più fortunato.[fonte 4] Più il fiume è profondo, più scorre il
silenzio.[fonte 4] Più si chiacchiera, meno si ama.[fonte 8] Piuttosto un asino
che porti, che un cavallo che butti in terra.[fonte 87] Poca brigata vita
beata.[fonte 1] Poeta si nasce, oratori si diventa.[fonte 200] Poeti e Santi
campano tutti quanti.[fonte 201] Poeti, pittori e pellegrini a fare e a dire
sono indovini.[fonte 8] Polenta e latte bollito, in quattro salti è
digerito.[fonte 8] Portare frasconi a Vallombrosa.[fonte 4] Prendi la bruna per
amante e la bionda per moglie.[fonte 8] Preghiera di gatto e brontolio di pulce
non arrivano in cielo.[fonte 131] Preghiera umile entra in cielo.[fonte 8]
Presto e bene, raro avviene.[fonte 8] Prete spretato e cavolo riscaldato, non
fu mai buono.[64] Prevedere per provvedere e prevenire.[fonte 202] Prima della
morte non chiamare nessuno felice.[fonte 4] Prima di ammogliarsi bisogna fare
il nido.[fonte 4] Prima di andare alla pesca esamina ben bene la tua
rete.[fonte 8] Prima di domandare, pensa alla risposta.[fonte 203] Prima
lusingare e poi graffiare, è arte dei gatti.[fonte 8] Prodigo e bevitor di
vino, non fa né forno né mulino.[fonte 8] Pugliesi, cento per forca e un per
paese.[fonte 8] Puoi ben drizzare il tenero virgulto, non l'albero già fatto
adulto.[fonte 4] Putto in vino e donna in latino non fecero mai buon
fine.[fonte 4] Q Qual proposta tal risposta.[fonte 1] Qualche intervallo il
pazzo ha di saviezza, qualche intervallo il savio ha di stoltezza.[fonte 8]
Qualche volta anche Omero sonnecchia.[fonte 204] Quale uccello, tale il
nido.[fonte 205] Quand'anche si trapiantassero in paradiso, i cardi non
porterebbero mai rose.[fonte 8] Quando arriva la gloria svanisce la
memoria.[fonte 2] Quando c'è l'esercito, si trova anche il generale.[fonte 4]
Quando c'è la salute c'è tutto.[fonte 57] Quando canta la rana, la pioggia non
è lontana.[fonte 8] Quando ci sono molti galli a cantare non si fa mai
giorno.[fonte 16] Quando è alta la passione, è bassa la ragione.[fonte 206]
Quando è finito il raccolto dei datteri, ciascuno trova da ridire alla
palma.[fonte 8] Quando fischia l'orecchio dritto, il cuore è afflitto;
quando il manco, il cuore è franco.[fonte 8] Quando gli eretici si
accapigliano, la chiesa ha pace.[fonte 4] Quando il colombo ha il gozzo pieno,
le vecce gli sembrano amare.[fonte 8] Quando il culo è avvezzo al peto non si
può tenerlo cheto.[fonte 2] Quando il fanciullo è satollo anche il miele non ha
più gusto.[fonte 4] Quando il fanciullo ha sette anni, la ragione spunta in
lui.[fonte 207] Quando il gatto lecca il pelo viene acqua giù dal cielo.[fonte
38] Quando il gatto non c'è i topi ballano.[fonte 1] Quando il gatto non può arrivare
al lardo dice che è rancido.[fonte 8] Quando il gatto si lecca e si sfrega le
orecchie con la zampina, pioverà prima che sia mattina.[fonte 8] Quando il
gozzo è pieno, le ciliegie sono acerbe.[fonte 8] Quando il grano ricasca, il
contadino si rizza.[fonte 57] Quando il grano va a male, bisogna ringraziare
Dio per la paglia.[fonte 8] Quando il lardo è divorato, poco val cacciare il
gatto.[fonte 8] Quando il mandorlo non frutta, la semente ci va tutta.[fonte 8]
Quando il padrone zoppica, il servo non va diritto.[fonte 8] Quando il sole
splende, non ti curar della luna.[fonte 8] Quando il tempo è chiaro in autunno,
vento nell'inverno.[fonte 4] Quando in autunno sono grassi i tassi e le lepri,
l'inverno è rigoroso.[fonte 4] Quando l'amore è a pezzi non c'è alcuna colla
che lo riappiccichi.[fonte 8] Quando l'angelo diventa diavolo, non c'è peggior
diavolo.[fonte 4] Quando l'avaro muore, il danaro respira.[fonte 4] Quando
l'Italia suona la chitarra, la Spagna le nacchere, la Francia il liuto,
l'Irlanda l'arpa, la Germania la tromba, l'Inghilterra il violino, l'Olanda il
tamburo, nulla è uguale ad esse.[fonte 8] Quando la barba fa bianchino, lascia
la donna e tienti al vino.[fonte 208] Quando la cicala canta in settembre, non
comprare gran da vendere.[fonte 8] Quando la fame entra dalla porta, l'amore
esce dalla finestra.[fonte 8] Quando la grazia di Dio è nel cuore, gli occhi
nuotano nell'allegria.[fonte 4] Quando la guerra comincia s'apre
l'inferno.[fonte 4] Quando la neve si scioglie si scopre la mondezza.[fonte 1]
Quando la pera è matura casca da sé.[fonte 1] Quando la pera è matura bisogna
che caschi.[fonte 16] Quando la radice è tagliata, le foglie se ne vanno.[fonte
8] Quando la ragione dorme, il cuore scappuccia.[fonte 8] Quando la luna è
bianca il tempo è bello; se è rossa, vuole dire vento; se pallida,
pioggia.[fonte 4] Quando la rana canta il tempo cambia.[fonte 8] Quando non
dice niente, non è dal savio il pazzo differente.[fonte 8] Quando non sai,
frequenta in domandare.[fonte 209] Quando piove col sole le vecchie fanno
l'amore.[fonte 1] Quando piove col sole il diavolo fa l'amore.[fonte 1] Quando
piove col sole le streghe fanno l'amore.[fonte 2] Quando piove col sole si
marita la volpe.[65][fonte 2] Quando piove d'agosto, piove miele e mosto.[fonte
8] Quando si è in ballo bisogna ballare.[fonte 1] Quando si è patito si è
inclini a compatire.[fonte 4] Quando si mangia non si parla.[fonte 57] Quando
sono fidanzate hanno sette mani e una lingua, quando sono sposate hanno sette
lingue e una mano.[fonte 8] Quando un amico chiede, non v'è domani.[fonte 210]
Quando un povero dà al ricco, Dio ride in cielo.[fonte 8] Quando una cosa è
accaduta, poco vale lamentarsi.[fonte 8] Quando viene la forza, il diritto è
morto.[fonte 4] Quanto più è alto il monte, tanto più profonda la valle.[fonte
4] Quanto più la rana si gonfia, più presto crepa.[fonte 8] Quanto più se n'ha,
tanto più se ne vorrebbe.[fonte 4] Quattro lumi non s'accendono.[fonte 2]
Quattro nuove invenzioni vanta il mondo: scorticare senza coltello, arrostire
senza fuoco, lavare senza sapone, e invece degli occhiali vedere attraverso le
dita.[fonte 4] Quel ch'è innato per natura, si porta alla sepoltura.[fonte 8]
Quel ch'è raro, è stimato.[fonte 8] Quel che con l'acqua mischia e guasta il
vino, merita di bere il mare a capo chino.[fonte 8] Quel che è disposto in
cielo, conviene che sia.[fonte 4] Quel, che è fatto, è fatto, e non si può
fare, che fatto non sia.[fonte 211] Quel che è fatto è reso.[fonte 2] Quel che
non può l'ìngegno, può spesso la fortuna.[fonte 4] Quel che non puoi pagare col
denaro, pagalo almeno col ringraziamento.[fonte 8] Quel che è gioco per il
forte per il debole è morte.[fonte 8] Quel che si dà al ricco, si ruba al
povero.[fonte 8] Quel che si fa a fin di bene, non dispiace mai a Dio.[fonte 4]
Quel che si fa all'oscuro, appare al sole.[fonte 4] Quel che supera il mio
intelletto, lo lascio stare.[fonte 4] Quella bellezza l'uomo saggio apprezza
che dura sempre, fino alla vecchiaia.[fonte 4] Quelli che hanno meno ingegno,
ne hanno da vendere più degli altri.[fonte 4] Quello che abbaia è il cane
sdentato.[fonte 4] Quello che deve durare per l'eternità non si deve scrivere
con l'acqua.[fonte 4] Quello che è accaduto ieri, può accadere oggi.[fonte 4]
Quello che è passato, è scordato.[fonte 4] Quello che ha da essere, sarà.[fonte
4] Quello che non avviene oggi, può avvenire domani.[fonte 4] Quello che non è
stato può essere.[fonte 4] Quello che non può l'intelletto, può spesso il
caso.[fonte 4] Quello che puoi fare oggi, non rimandarlo a domani.[fonte 4]
Quello che si dice all'eco nel bosco, il bosco lo ripete.[fonte 4] Quello che
si impara in gioventù, non si dimentica mai più.[fonte 4] Quello che si usa non
si scusa.[fonte 212] Quello è mio zio, che vuole il bene mio.[fonte 4] Quello è
un fanciullo accorto che conosce suo padre.[fonte 4] Questo devi sapere che la
gelosia di un Arabo è la stessa gelosia.[fonte 4] Quieta non muovere.[fonte 16]
R Raglio d'asino non giunse mai al cielo.[fonte 2] Rana di palude sempre si
salva.[fonte 8] Rane, malsane.[fonte 8] Render nuovi benefici all'ingratitudine
è la virtù di Dio e dei veri uomini grandi.[fonte 8] Ricchezza mal disposta a
povertà s'accosta.[fonte 8] Ricchezze nell'India, sapere in Europa, e pompa fra
gli ottomani.[fonte 8] Ricchi e poveri non portano che un lenzuolo all'altro
mondo.[fonte 8] Ricco e grande fortuna potrà farti, ma mai il comune senso
potrà darti.[fonte 4] Ricorda che il nemico può diventarti amico.[fonte 8] Ride
ben chi ride ultimo.[fonte 2] Ride ben chi ride l'ultimo.[fonte 2] Roba calda
il corpo non salda.[fonte 213] Roba d'altri, tutti scaltri.[fonte 4] Roma, a
chi nulla in cent'anni, a chi molto in tre dì.[fonte 8] Roma non fu fatta in un
giorno.[fonte 2] Roma santa, Aquila bella, Napoli galante.[fonte 214] Rosso di
mattina, pioggia vicina.[fonte 215] Rosso di sera bel tempo si spera; rosso di
mattina acqua vicina.[fonte 2] Rosso di sera, buon tempo si spera; rosso di
mattina mal tempo si avvicina.[fonte 1] Rosso e giallaccio pare bello ad ogni
faccia, verde e turchino si deve essere più che bellino.[fonte 216] Rovo, in
buona terra covo.[fonte 169] S Salta chi può.[fonte 1] San Benedetto[66] la
rondine sotto il tetto.[fonte 2] San Lorenzo dalla gran calura.[fonte 2] San
Pietro abbracciato, Cristo negato.[fonte 4] San Silvestro [31 dicembre] l'oliva
nel canestro.[fonte 2] Sangue giovane sempre spavaldo.[fonte 8] Sasso che
rotola non fa muschio.[fonte 47] Pietra che rotola non fa muschio.[fonte 2]
Sbagliando s'impara.[fonte 1] Scalda più l'amore che mille fuochi.[fonte 8]
Scherza coi fanti e lascia stare i Santi.[fonte 1] Scherzando intorno al lume
che t'invita, farfalla perderai l'ali e la vita.[fonte 65] Scherzo di mano,
scherzo di villano.[fonte 1] Gioco di mano, gioco di villano.[fonte 1] Schiena
di mulo, corso di barca, buon per chi n'accatta.[fonte 8] Scusa non richiesta,
accusa manifesta.[67][fonte 217] Se ari male, peggio mieterai.[fonte 47] Se
fossero buoni i nipoti non si leverebbero dalla vigna.[fonte 218] Se gioventù
sapesse, se vecchiaia potesse.[fonte 167] Se i gatti sapessero volare, le
beccacce sarebbero rare.[fonte 131] Se il coltivatore non è più forte della su'
terra questa finisce per divorarlo.[fonte 47] Se il ladro lasciasse il suo
rubare, non ci sarebbero più forche.[fonte 4] Se il giovane sapesse di quanto
ha bisogno la vecchiaia, chiuderebbe spesso la borsa.[fonte 4] Se il padre di
famiglia è miope, i servi sono ciechi.[fonte 8] Se il piede destro è zoppo, Dio
rafforza il sinistro.[fonte 8] Se il poeta s'erige a oratore predicherà agli
orecchi e non al cuore.[fonte 8] Se il primo bottone hai fatto essere secondo,
tutti sbagliati saranno da cima a fondo.[fonte 4] Se il re sputa sopra un abete
si chiama subito abete reale.[fonte 4] Se il ricco conoscesse la fame del
povero, gli darebbe del suo pane.[fonte 8] Se il ringraziare costasse denaro,
molti se lo terrebbero in tasca.[fonte 8] Se il tuo gatto è ladro non
scacciarlo di casa.[fonte 8] Se il virtuoso è povero, il lodarlo non basta; il
dovere primo è d'aiutarlo.[fonte 8] Se la pazzia fosse dolore, in ogni casa si
sentirebbe stridere.[fonte 8] Se le lattughe lasci in guardia alle oche, al
ritorno ne troverai ben poche.[fonte 219] Se ne vanno gli amori e restano i
dolori.[fonte 4] Se nessuno sa quel che sai, a nulla serve il tuo sapere.[fonte
8] Se non è zuppa è pan bagnato.[fonte 1] Se non hai mai rubato, la parola
ladro non è per te un'ingiuria.[fonte 4] Se occhio non mira, cuor non
sospira.[fonte 8] Se ognun spazzasse da casa sua, tutta la città sarebbe
netta.[fonte 220] Se piovesse oro, la gente si stancherebbe a raccoglierlo.[fonte
8] Se son rose fioriranno.[fonte 1] Se ti vuoi nutrire bene, fai ballare i
trentadue.[fonte 8] Se un fratello compie un omicidio, gli altri non sono
responsabili.[fonte 4] Se vuoi che t'ami, fa' che ti brami.[fonte 8] Se vuoi
portare l'uomo a incretinire, fallo ingelosire.[fonte 4] Segui il filo e
troverai il gomitolo.[fonte 4] Senza denari non canta un cieco.[fonte 1] Senza
denari non si canta messa.[fonte 1] Senza umiltà tutte le virtù sono
vizi.[fonte 8] Sempre ti graffierà chi nacque gatto.[fonte 8] Senza umanità non
vi è né virtù, né vero coraggio, né gloria durevole.[fonte 8] Seren d'inverno e
nuvolo d'estate, non ti fidare.[fonte 4] Sette in un colpo! disse quel sarto
che aveva ammazzato sette mosche.[fonte 8] [wellerismo] Settembre, l'uva è
fatta e il fico pende.[fonte 16] Si bacia il fanciullo a causa della madre, e
la madre a causa del fanciullo.[fonte 4] Si deve alzare di buon'ora chi vuol
contentare i suoi vicini.[fonte 8] Si dice il peccato, ma non il
peccatore.[fonte 2] Si mantiene un esercito per mille giorni, e non se ne fa
uso che per un momento.[fonte 4] Si parla del diavolo e spuntano le
corna.[fonte 130] Si può conoscere la tua opinione dal tuo sbadigliare.[fonte
8] Si può vivere senza fratelli ma non senza amici.[68] Si stava meglio quando
si stava peggio.[69][fonte 2] Sia l'astrologo che l'indovina ti portano alla
rovina.[fonte 4] Sicuro come il pane.[fonte 4] Sin che si vive, s'impara
sempre.[fonte 4] Sol gente di mal'affare, bestie e botte, van fuori di
notte.[fonte 221] Son padrone del mondo oggi le donne e cedon toghe e spade a
cuffie e gonne.[fonte 8] Sono meglio cento beffe che un danno.[fonte 4] Sono
sempre gli stracci che vanno all'aria.[fonte 1] Sopra l'albero caduto ognuno
corre a fare legna.[fonte 4] Sopra ogni vino, il greco è divino.[fonte 8] Sotto
la neve pane, sotto l'acqua fame.[fonte 1] Spesso a chiaro mattino, v'è torbida
sera.[fonte 222] Spesso chi commette un'ingiustizia, ne subisce una
peggiore.[fonte 4] Spesso vince più l'umiltà che il ferro.[fonte 8] Sposa
bagnata sposa fortunata.[fonte 223] Stretta la foglia, larga la via dite la
vostra che ho detto la mia.[fonte 2] Larga la foglia, stretta la via dite la
vostra che ho detto la mia.[fonte 2] Stringe più la camicia che la
gonnella.[fonte 4] Studia non per sapere di più, ma per sapere meglio degli
altri.[fonte 224] Studio in gioventù, onore alla vecchiaia.[fonte 4] Sulla
pelle della serpe nessuno guarda alle macchie.[fonte 8] Superbia povera spiace
anche al diavolo; umiltà ricca piace anche a Dio.[fonte 8] T T'annoia il tuo
vicino? Prestagli uno zecchino.[fonte 4] Tagliare i capelli con la
pentola.[fonte 225] Tagliarli male. Tal lascia l'arrosto che poi brama il
fumo.[fonte 4] Tale padre, tale figlio.[70][fonte 2] Tanti galli a cantar non
fa mai giorno.[fonte 1] Tanti idoli, tanti templi.[fonte 4] Tanti pochi fanno
un assai.[fonte 226] Tanto fumo e poco arrosto.[fonte 2] Tanto l'amore quanto
il fuoco devono essere attizzati.[fonte 8] Tanto l'amore quanto la minestra di
fagioli vogliono uno sfogo.[fonte 8] Tanto va la gatta al lardo che ci lascia
lo zampino.[fonte 1] Tempo chiaro e dolce a capodanno, assicura bel tempo tutto
l'anno.[fonte 8] Tenga bene a mente un bugiardo quando mente.[fonte 4] Tentar
non nuoce.[fonte 1] Terra assai, terra poca.[fonte 169] Terra bianca, tosto
stanca.[fonte 227] Terra coltivata raccolta sperata.[fonte 2] Terra nera buon
grano mena.[fonte 2] Testa di lucertola, collo di gru, gambe di ragno, pancia
di vacca, groppa di baldracca.[fonte 8] Testa di pazzo non incanutisce mai.[fonte
8] Tinca di maggio e luccio di settembre.[fonte 8] Tinca in camicia, luccio in
pelliccia.[fonte 8] Tira più un pelo di fica che cento paia di buoi.[fonte 2]
Tira più un capello di donna che cento paia di buoi.[fonte 8] Tolta la causa,
cessato l'effetto.[fonte 8] Tondi l'agnello e lascia il porcello.[fonte 8]
Torinesi e Monferrini, pane, vino e tamburini.[fonte 8] Tra cani non si
mordono.[fonte 1] Tra i due litiganti il terzo gode.[fonte 1] Tra il dire e il
fare c'è di mezzo il mare.[fonte 1] Tra l'incudine e il martello, mano non
metta chi ha cervello.[fonte 4] Tra moglie e marito non mettere il dito.[fonte
1] Tradimento piace assai, traditor non piace mai.[fonte 148] Trattar male il
povero è il disonor del ricco.[fonte 8] Tre cose cacciano l'uomo di casa: fumo,
goccia e femmina arrabbiata.[fonte 4] Tre cose fanno l'uomo ammalato: amore,
vino e bagno.[fonte 8] Tre cose simili: prete, avvocato e morte. Il prete
toglie dal vivo e dal morto; l'avvocato vuol del diritto e del torto; e la
morte vuole il debole e il forte.[fonte 142] Tre cose sono rare: un buon
melone, un buon amico e una buona moglie.[fonte 8] Tre sono le meraviglie,
Napoli, Roma e la faccia tua.[fonte 228] Trenta monaci e un abate non farebbero
bere un asino per forza.[fonte 4] Triste e guai, chi crede troppo e chi non
crede mai.[fonte 8] Triste quel cane che si lascia prendere la coda in
mano.[fonte 8] Triste quell'estate, che ha saggina e rape.[fonte 8] Tromba di
culo, sanità di corpo.[fonte 213] Troppa manna, nausea.[fonte 8] Troppa
modestia è orgoglio mascherato.[fonte 8] Troppe soddisfazioni tolgono ogni
voglia.[fonte 8] Troppi cuochi guastano la cucina.[fonte 1] Troppo povero e
troppo ricco fa ugual disgrazia.[fonte 8] Tu scherzi col tuo gatto e
l'accarezzi, ma so ben io qual fine avran quei vezzi.[fonte 8] Turchi e
Tartari, flagelli dei popoli.[fonte 229] Tutta la strada non fallisce il saggio
che, accortosi a metà, corregge il viaggio.[fonte 4] Tutte le cose sono
difficili prima di diventar facili.[fonte 70] Tutte le strade portano a Roma.[fonte
1] Tutte le volpi si ritrovano in pellicceria.[fonte 2] Tutte le volpi si
rivedono in pellicceria.[fonte 2] Tutte le volte che si ride si toglie un
chiodo dalla cassa.[fonte 230] Tutti del pazzo tronco abbiamo un ramo.[fonte 8]
Tutti i fiumi vanno al mare.[fonte 1] Tutti i giorni sono buoni per andare a
caccia. ma non per prendere uccelli.[fonte 4] Tutti i guai son guai, ma il
guaio senza pane è il più grosso.[fonte 1] Tutti i gusti son gusti.[fonte 1]
Tutti i mestieri danno il pane.[fonte 231] Tutti i nodi vengono al
pettine.[fonte 1] Tutti i peccati mortali sono femmine.[fonte 8] Tutti i salmi
finiscono in gloria.[fonte 1] Tutti siamo figli di Adamo ed Eva.[fonte 190]
Tutto ciò che dura a lungo annoia.[fonte 8] Tutto è bene quel che finisce
bene.[71][fonte 1] Tutto il cervello non è in una testa.[fonte 4] Tutto il
mondo è paese.[72][fonte 1] Tutto quello che è bianco non è farina.[fonte 4]
Tutto s'accomoda fuorché l'osso del collo.[fonte 31] U Uccellin che mette coda
vuol mangiare a tutte l'ore.[fonte 2] Uccello raro ha nido raro.[fonte 8] Ucci
ucci, sento odor di cristianucci.[fonte 2] Umiltà e cortesia adornano più di
una veste tessuta d'oro.[fonte 8] Un bel tacer non fu mai scritto.[73][fonte 2]
Un'anima magnanima consulta le altre; un'anima volgare disprezza i
consigli.[fonte 8] Un'oncia di allegria vale più di una libbra di
tristezza.[fonte 232] Un'ora di contento sconta cent'anni di tormento.[fonte
233] Un abete non fa foresta.[fonte 4] Un bell'abito è una lettera di
raccomandazione.[fonte 4] Un buon abate loda sempre il suo convento.[fonte 4]
Un buon principio va sempre a buon fine.[fonte 4] Un cattivo libro ha spesso un
buon titolo, ed una fronte onesta, un cervello ribaldo.[fonte 4] Un cuor
magnanimo vuol sempre il bene, anche se il premio mai non ottiene.[fonte 8] Un
esercito senza generale è come un corpo senz'anima.[fonte 4] Un fido amico, e
ricchezze ben acquistate son due cose rare.[fonte 8] Un fratello aiuta
l'altro.[fonte 4] Un granello fa traboccare la bilancia.[fonte 4] Un granello
di polvere fa scoppiare tutta la bomba.[fonte 4] Un ladro non ruba sempre, ma
bisogna guardarsi da lui.[fonte 4] Un lume è più presto spento che
acceso.[fonte 4] Un male tira l'altro.[fonte 4] Un padre campa cento figli e
cento figli non campano un padre.[fonte 2] Un pazzo ne fa cento.[fonte 8] Un
piccolo buco fa affondare un gran bastimento.[fonte 8] Un povero virtuoso val
più di un ricco vizioso.[fonte 8] Una bella barba e un cuor valente adornano
l'uomo.[fonte 4] Una bella giornata non fa estate.[fonte 4] Una bella lacrima
trova facilmente un fazzoletto che la asciughi.[fonte 4] Una bugia ha bisogno
di sette bugie.[fonte 4] Una buona risata si trasforma tutta in buon
sangue.[fonte 232] Una ciliegia tira l'altra.[fonte 2] Una cosa tira
l'altra.[fonte 16] Una estate vale più di dieci inverni.[fonte 4] Una parola
tira l'altra.[fonte 2] Una e buona.[fonte 16] Una ma buona.[fonte 16] Una fa,
due stentano, ma a tre ci vuol la serva.[fonte 8] Una Fenice fra le donne è
quella, che altra donna confessa essere bella.[fonte 8] Una mano lava l'altra e
tutte e due lavano il viso.[fonte 1] Una mela al giorno leva il medico di
torno.[fonte 2] Una ne paga cento.[fonte 1] Una ne paga tutte.[fonte 1] Una
rondine non fa primavera.[fonte 1] Un fiore non fa giardino.[fonte 4] Un fiore
non fa primavera.[fonte 4] Una volta corre il cane e una volta la lepre.[fonte
1] Una volta per uno non fa male a nessuno.[fonte 1] Uno semina, l'altro
raccoglie.[fonte 72] Uno si fa la sorte da sé, l'altro la riceve bell'e
fatta.[fonte 8] Uomo a cavallo, sepoltura aperta.[fonte 2] Uomo avvisato mezzo
salvato.[fonte 1] Uomo da nessuno invidiato, è uomo non fortunato.[fonte 4]
Uomo di vino, non vale un quattrino.[fonte 8] Uomo morto non fa più
guerra.[fonte 234] Uomo senza quattrini è un morto che cammina.[fonte 2] Uomo
solitario, o angelo o demone.[fonte 235] Uomo zelante, uomo amante.[fonte 4]
L'uomo misero è un morto che cammina.[fonte 2] Uovo di un'ora, pane di un
giorno, vino di un anno, donna di quindici e amici di trent'anni.[fonte 8] V
Va' in piazza vedi e odi, torna a casa bevi e godi.[fonte 236] Va più di un
asino al mercato.[fonte 4] Val più un piacere da farsi che cento di quelli
fatti.[fonte 8] Val più una messa in vita che cento in morte.[fonte 4] Vale più
la pratica che la grammatica.[fonte 1] Vale più un fatto che cento
parole.[fonte 237] Vale più un gusto che un casale.[fonte 1] Vale più un
testimone di vista che cento d'udito.[fonte 2] Vale più uno a fare.[fonte 16]
Vanga e zappa non vuol digiuno.[fonte 47] Vanga piatta poco attacca, vanga ritta
terra ricca, vanga sotto ricca il doppio.[fonte 2] Vecchi doni vogliono nuovi
ringraziamenti.[fonte 8] Vecchiaia d'aquila, giovinezza d'allodola.[fonte 4]
Vedere e non toccare è una cosa da crepare.[fonte 2] Vedere per credere.[fonte
238] Vento fresco mare crespo.[fonte 239] Ventre pieno non crede a
digiuno.[fonte 16] Ventre vuoto non sente ragioni.[fonte 16] Vesti un legno,
pare un regno.[fonte 41] Vi sono dei matti savi, e dei savi matti.[fonte 8]
Vicino alla chiesa lontano da Dio.[fonte 2] Vicino alla serpe c'è il
biacco.[fonte 8] Vigna nel sasso e orto in terren grasso.[fonte 240] Vincere un
ambo al lotto è un malefizio, che più accresce la speranza al vizio.[fonte 8]
Vino amaro, tienilo caro.[fonte 8] Vino battezzato non vale un fiato.[fonte 8] Vino
battezzato, non va al palato.[fonte 8] Vino dentro, senno fuori.[fonte 8] Vino
di fiasco la sera buono e la mattina guasto.[fonte 8] Vino e sdegno fan palese
ogni disegno.[fonte 8] Vino non è buono che non rallegra l'uomo.[fonte 8]
Violenza non dura a lungo.[fonte 241] Vivi e lascia vivere.[fonte 1] Vizio di
natura fino alla fossa dura.[fonte 2] Vizio di natura, fino alla morte
dura.[fonte 242] Voglia di lavorar saltami addosso, lavora tu per me che io non
posso.[fonte 243] Voglio piuttosto un asino che mi porti, che un cavallo che mi
getti in terra.[fonte 4] Volpe che dorme, ebreo che giura, donna che piange,
malizie sopraffine colle frange.[fonte 4] Note Cfr. voce dedicata su
Wikipedia. Cfr. voce dedicata su Wikipedia. Cfr. Matteo, 6,
34. La locuzione latina gutta cavat lapidem (letteralmente "la
goccia perfora la pietra") venne utilizzata da Tito Lucrezio Caro, Publio
Ovidio Nasone e Albio Tibullo. Cfr. voce dedicata su Wikipedia. Cfr. voce
dedicata su Wikipedia. Titolo di un'opera di Achille Campanile del 1930,
passato a proverbio e modo di dire comune. Cfr. Petrarca: «La vita el
fin, e 'l dí loda la sera». Cfr. Giacomo Leopardi: «Amore, | amor, di
nostra vita ultimo inganno, | t'abbandonava». Cfr. voce dedicata su
Wikipedia. Cfr. voce dedicata su Wikipedia. Cfr. Giovanni Verga, I
Malavoglia. Slogan pubblicitario degli anni Ottanta. Cfr. Gesù,
Discorso della Montagna: «Cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché
chiunque chiede riceve, e chi cerca trova». Cfr. Gesù, Vangelo secondo
Matteo: «Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla
spada periranno di spada». Cfr. voce dedicata su Wikipedia. Cfr.
voce dedicata su Wikipedia. Cfr. voce dedicata su Wikipedia. Citato
in Giovanni Battista Rossi, Conferenze popolari per gli uomini nel tempo degli
esercizi spirituali, Tappi, Torino, 1896, p. 164. Citato nel film Riso
amaro. Citato in Dizionario Italiano Olivetti,
dizionario-italiano.it. Cfr. voce dedicata su Wikipedia. Cfr. Libro
di Osea: «E poiché hanno seminato vento | raccoglieranno tempesta». Cfr.
attribuite a Papa Bonifacio VIII: «Qui tacet, consentire videtur». Cfr.
voce dedicata su Wikipedia. Cfr. voce dedicata su Wikipedia. Cfr.
Cristoforo Poggiali, Proverbj, motti e sentenze ad uso ed istruzione del
popolo, 1821: «Chi dà a credenza, molte merci spaccia; | Ma un presto
fallimento si procaccia». Cfr. Appio Claudio Cieco, Sententiae: «Quisque
faber fortunae suae.» Cfr. voce dedicata su Wikipedia. La frase è
attribuita (Niccolò Machiavelli, Istorie fiorentine, II, 3; Giovanni Villani,
Nuova Cronica, VI, 38) a Mosca dei Lamberti che, nel 1215, a Firenze, convinse
così gli Amidei a uccidere Buondelmonte de' Buondelmonti; dal delitto nacquero
le fazioni dei guelfi e dei ghibellini. Citato anche nella Divina Commedia di
Dante Alighieri (Inferno, 28, 106-108): Gridò: "Ricordera' ti anche del
Mosca, | che disse, lasso!, 'Capo ha cosa fatta', | che fu mal seme per la
gente tosca". È possibile che Mosca dei Lamberti adattò al momento un
proverbio già noto ai suoi tempi (Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli,
1921); secondo l'Accademia della Crusca (Dizionario della lingua italiana,
1827) corrisponderebbe al latino «Factum infectum fieri nequit». Cfr.
Gesù, Vangelo secondo Matteo: «Rendete dunque a Cesare quel che è di Cesare e a
Dio quel che è di Dio». Cfr. voce dedicata su Wikipedia. Cfr. voce
dedicata su Wikipedia. Cfr. Philippe Néricault Destouches, Le Glorieux,
atto II, scena V: «La critique est aisée, et l'art est difficile.». Cfr.
«Facta lex inventa fraus.» Cfr. voce dedicata su Wikipedia. Cfr.
voce dedicata su Wikipedia. Riferito all'uso di numeri civici di colore
nero per le abitazioni e rosso per gli esercizi commerciali. Cfr. Michail
Aleksandrovič Bakunin: «Il caffè, per esser buono, deve essere nero come la
notte, dolce come l'amore e caldo come l'inferno». Cfr. Blaise Pascal:
«Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce». Cfr. voce
dedicata su Wikipedia. Nei dialetti siciliani e nel napoletano l'arancia
viene chiamata portogallo. La spiegazione è in Strafforello, vol. III, p.
329. Cfr. voce dedicata su Wikipedia. Veste da lavoro usata,
specialmente in Toscana, da contadini e operai. Cfr. voce dedicata su
Wikipedia. Cfr. voce dedicata su Wikipedia. Cfr. voce dedicata su
Wikipedia. Cfr. voce dedicata su Wikipedia. Cfr. voce dedicata su
Wikipedia. Cfr. voce dedicata su Wikipedia. Cfr. voce dedicata su
Wikipedia. Cfr. Ippocrate: «La vita è breve, l'arte è lunga, l'occasione
è fugace, l'esperienza è fallace, il giudizio è difficile». Citato in
Dizionario Italiano, dizionario-italiano.it. Cfr. voce dedicata su
Wikipedia. Cfr. voce dedicata su Wikipedia. itato in Dizionario
Italiano Olivetti. Cfr. Gesù, Vangelo secondo Luca: «Nessun profeta è ben
accetto in patria». Cfr. Etica della reciprocità. Cfr. anche
Salvator Rosa, iscrizione riportato su un autoritratto: «Aut tace | aut loquere
meliora | silentio.». Questo detto, ripreso dal Libro dell'Esodo («occhio
per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, bruciatura per
bruciatura, ferita per ferita, livido per livido»), è chiamato Legge del
taglione. Il proverbio compare in una novella del Decameron di Giovanni
Boccaccio (la quarta della prima giornata). Cfr. Focus storia n. 49, novembre
2010, p. 74. 2 febbraio: in tale giorno la Chiesa cattolica celebra la
presentazione al Tempio di Gesù (Luca 2,22-39), popolarmente chiamata festa
della Candelora, perché in questo giorno si benedicono le candele, simbolo di
Cristo. La festa è anche detta della Purificazione di Maria, perché, secondo
l'usanza ebraica, una donna era considerata impura del sangue mestruale per un
periodo di 40 giorni dopo il parto di un maschio e doveva andare al Tempio per
purificarsi: il 2 febbraio cade appunto 40 giorni dopo il 25 dicembre.
Cfr. voce dedicata su Wikipedia. Citato in Vocabolario degli accademici
della Crusca, vol II, parte 2 , Tipografia Galileiana di M. Cellini e c.,
Firenze, 1863, p. 726. Una leggenda simile esiste anche in Giappone: i
demoni-volpe (le kitsune) preferirebbero celebrare i loro matrimoni sotto la
pioggia mentre splende il sole; il regista Akira Kurosawa ne prese spunto per
il primo episodio (Raggi di sole nella pioggia) del film Sogni (1990). 21
marzo, prima della riforma del calendario liturgico del 1969. Cfr.
Proverbio latino medievale: Excusatio non petita, accusatio manifesta.
Citato in Macfarlane, p. 256. Attribuita a Francesco Domenico
Guerrazzi. Cfr. Libro di Ezechiele: «Ecco, ogni esperto di proverbi dovrà
dire questo proverbio a tuo riguardo: Quale la madre, tale la figlia».
Titolo di una commedia di William Shakespeare, scritta fra il 1602 e il
1603. Cfr. Petronio Arbitro, Satyricon, 45, 4. Cfr. Iacopo Badoer:
«Un bel tacer | mai scritto fu». Fonti Citato ne Il nuovo
Zingarelli. Citato in Lapucci. Citato in Carlo Volpini, 516
proverbi sul cavallo, Cisalpino-Goliardica, 1984. Citato in Donato.
Citato in Max Pfister, Lessico etimologico italiano, vol. 3, Reichert,
1987. Citato in Schwamenthal, § 14. Citato in Schwamenthal, § 29.
Citato in Selene. Citato in Marino Ferrini, I proverbi dei nonni, Il
Leccio, 2002³. Citato in Schwamenthal, § 52. Citato in
Schwamenthal, § 78. Citato in Schwamenthal, § 85. Citato in
Schwamenthal, § 122. Citato in Schwamenthal, § 123. Citato in Schwamenthal,
§ 131. Citato in Vocabolario della lingua italiana. Citato in
Schwamenthal, § 170. Citato in Macfarlane, p. 118. Citato in
Schwamenthal, § 278. Citato in Schwamenthal, § 235. Citato in
Schwamenthal, § 242. Citato in Schwamenthal, § 243. Citato in
Schwamenthal, § 255. Citato in Schwamenthal, § 281. Citato in
Schwamenthal, § 281. Citato in Schwamenthal, § 288. Citato in
Schwamenthal, § 290. Citato in Schwamenthal, § 290. Citato in
Castagna 1866, p. 137. Citato in Schwamenthal, § 317. Citato in
Vezio Melegari, Manuale della barzelletta, Mondadori, Milano, 1976, p.
35. Citato in Macfarlane, p. 352. Citato in Francesco Protonotari,
Nuova antologia di scienze, lettere ed arti, volume settimo, Direzione della
nuova antologia, Firenze, 1868, p. 454. Citato in Grisi, p. 34.
Citato in Daniela Schembri Volpe, 101 perché sulla storia di Torino che non
puoi non sapere, Newton Compton Editori, 2018, p. 121. ISBN
978-88-227-2521-9 Citato in Pescetti, p. 123. Citato in Grisi, p.
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804. Citato in Schwamenthal, § 805. Citato in Volpini, p.
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proverbi e modi proverbiali, Hoepli, 1972. Citato in Macfarlane, p.
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della lingua italiana, 1872, Unione Tipografico-Editrice Torinese, vol. IV, p.
369. Citato in Macfarlane, p. 281. Citato in Grisi, p. 106.
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Citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 583.
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Schwamenthal, § 1541. Citato in Emanuel Strauss, Concise Dictionary of
European Proverbs, Routledge, 2013. Citato in Macfarlane, p. 112.
Citato in Giuseppe Giusti, Dizionario dei proverbi italiani. Citato in
Macfarlane, p. 364. Citato in Macfarlane, p. 299. Citato in
Macfarlane, p. 122. Citato in Schwamenthal, § 1742. Citato in
Schwamenthal, § 1744. Citato in Schwamenthal, § 1753. Citato in
Schwamenthal, § 1754. Citato in Schwamenthal, § 1762. Citato in
Schwamenthal, § 1788. Citato in Schwamenthal, § 1796. Citato in
Filippo Moisè, Storia della Toscana dalla fondazione di Firenze fino ai nostri
giorni, V. Batelli e compagni, 1848, p. 73 Citato in Schwamenthal, §
1821. Citato in Macfarlane, p. 476. Citato in Macfarlane, p.
399. Citato in Schwamenthal, § 1933. Citato in Alfani, p. 75.
Citato in Macfarlane, p. 103. Citato in Schwamenthal, § 1994. Citato
in Schwamenthal, § 2034. Citato in Schwamenthal, § 2035. Citato in
Schwamenthal, § 2047. Citato in Castagna 1866, p. 56. Citato in
Schwamenthal, § 2142. Citato in Paola Guazzotti e Maria Federica Oddera,
Il Grande dizionario dei proverbi italiani, Zanichelli, 2006. Citato in
Schwamenthal, § 2168. Citato in Grisi, p. 145. Citato in
Schwamenthal, § 2245. Citato in Schwamenthal, § 2253. Citato in
Valter Boggione, Chi dice donna, UTET, 2005. Citato in Schwamenthal, §
2357. Citato in Salvatore Battaglia, Grande Dizionario della Lingua
Italiana, VII Grav - Ing, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino, 1972,
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italiana, Zanichelli, Bologna, 2011. ISBN 9788808090898 Citato in
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in Piero Angela, Ti amerò per sempre: La scienza dell'amore, Mondadori, Milano,
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Schwamenthal, § 3266. Citato in Schwamenthal, § 4058. Citato in
Schwamenthal, § 3274. Citato in Macfarlane, p. 263. Citato in
Strafforello, vol. III, p. 329. Citato in Grisi, p. 211. Citato in
Volpini, p. 47. Citato in Schwamenthal, § 4901. Citato in
Schwamenthal, § 5487. Citato in Castagna 1869, p. 291. Citato in
Macfarlane, p. 327. Citato in Schwamenthal, § 211. Citato in Paola
Guazzotti, Maria Federica Oddera, Il grande dizionario dei proverbi italiani,
in riga edizioni, Bologna, 2020. ISBN 9788893642057 Citato in
Schwamenthal, § 440. Citato in Paolo De Nardis, L'invidia. Un rompicapo
per le scienze sociali, Meltemi Editore, 2000, p. 38. ISBN 8883530527
Citato in Schwamenthal, § 2555. Citato in Macfarlane, p. 411.
Citato in Schwamenthal, § 2248. Citato in Schwamenthal, § 2779.
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Citato in Grisi, p. 265. Citato in Grisi, p. 270. Citato in
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109. Citato in Ugo Rossi-Ferrini, Proverbi agricoli, I Fermenti,
1931. Citato in Grisi, p. 39. Citato in Schwamenthal, § 3271.
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Agricoltura pratica della Lombardia, Milano, 1828, p. 99. Citato in
Schwamenthal, § 3296. Citato in Schwamenthal, § 3528. Citato in
Florio, lettera N. Citato in Schwamenthal, § 3566. Citato in
Schwamenthal, § 3630. Citato in Castagna 1866, p. 75. Citato in
Paronuzzi, p. 66. Citato in Schwamenthal, § 3674. Citato in
Pescetti, p. 105. Anche in Arthur Schopenhauer, Aforismi sulla saggezza della
vita, Parenesi e massime, 29. Citato in Schwamenthal, § 3691.
Citato in Schwamenthal, § 3723. Citato in Grisi, p. 191. Citato in
Schwamenthal, § 3761. Citato in Schwamenthal, § 3770. Citato in
Grisi, p. 270. Citato in Schwamenthal, § 3952. Citato in
Macfarlane, p. 310. Citato in Schwamenthal, § 3992. Citato in
Alfani, p. 102. Citato in Schwamenthal, § 4019. Citato in
Schwamenthal, § 4130. Citato in La scienza pratica: dizionario di
proverbi e sentenze che a utile sociale raccolse il padre Lorenzo da Volturino,
Quaracchi: Tipografia del Collegio di S.Bonaventura, Firenze, 1894, p.
457. Citato in Focus storia n. 49, novembre 2010, p. 74. Citato in
Schwamenthal, § 4306. Citato in Schwamenthal, § 4352. Citato in
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4568. Citato in Macfarlane, p. 95. Citato in Schwamenthal, §
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Citato in Macfarlane, p. 255. Citato in Pescetti, p. 98. Citato in
Schwamenthal, § 4850. Citato in Augusta Forconi, Le parole del corpo.
Modi di dire, frasi proverbiali, proverbi antichi e moderni del corpo umano,
SugarCo, 1987. Citato in Castagna 1866, p. 136. Citato in Castagna
1866, p. 35. Citato in Castagna 1866, p. 24. Citato in
Schwamenthal, § 5051. Citato in Castagna 1866, p. 8. Citato in
Grisi, p. 78. Citato in Schwamenthal, § 5147. Citato in
Schwamenthal, § 5314. Citato in Grisi, p. 254. Citato in
Schwamenthal, § 5385. Citato in Grisi, p. 269. Citato in Salvatore
Battaglia, Grande Dizionario della Lingua Italiana, XII Orad - Pere, Unione
Tipografico-Editrice Torinese, Torino, 1984, p. 1065. Citato in
Schwamenthal, § 5454. Citato in Schwamenthal, § 5513. Citato in
Castagna 1866, p. 73. Citato in Gustavo Strafforello, La sapienza del
mondo, ovvero, Dizionario universale dei proverbi, Volume III, A. F. Negro,
1883, p. 701. Citato in Schwamenthal, § 5620. Citato in
Schwamenthal, § 5630. Citato in Francesco Grisi, Il grande libro dei
proverbi. Dall'antica saggezza popolare detti e massime per ogni occasione,
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Sprichworter. Proverbi. Proverbios. Poslovitsy. A comparative book of English,
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Elsevier Pub. Co., 1971, p. 114. Citato in Schwamenthal, § 5721.
Citato in Macfarlane, p. 267. Citato in Novo vocabolario della lingua
italiana, vol. I-II, coi tipi di M. Cellini e C., 1870, p. 312. Citato in
Schwamenthal, § 5765. Citato in Schwamenthal, § 5795. Citato in
Schwamenthal, § 5817. Citato in Castagna 1866, p. 39. Citato in
Macfarlane, p. 138. Citato in Schwamenthal, § 5924. Citato in
Schwamenthal, § 5932. Bibliografia Augusto Alfani, Proverbi e modi proverbiali,
Tipografia e Libreria Salesiana, Torino, 1882. Niccola Castagna, Proverbi italiani,
Antonio Metitiero, Napoli, 1866. Niccola Castagna, Proverbi italiani, pe' tipi
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Dizionario dei proverbi, L.I.BER. progetti editoriali, Genova, 1998. John
Florio, Giardino di ricreatione, appresso Thomaso Woodcock, Londra, 1591.
Francesco Grisi, Il grande libro dei proverbi, Piemme, 1997. ISBN 88-384-2710-0
Carlo Lapucci, Dizionario dei proverbi italiani, Mondadori, 2007. David
Macfarlane, The Little Giant Encyclopedia of Proverbs, Sterling, New York,
2001. ISBN 0-08069-7489-3 Alessandro Paronuzzi, José e Renzo Kollmann, Non dire
gatto..., Àncora Editrice, Milano, 2004. ISBN 88-514-0219-1 Orlando Pescetti,
Proverbi italiani. Raccolti, e ridotti sotto a certi capi, e luoghi comuni per
ordine d'alfabeto, Compagnia degli Aspiranti, Verona, 1603. Riccardo
Schwamenthal e Michele L. Straniero, Dizionario dei proverbi italiani e
dialettali, BUR, 2005. ISBN 978-88-58-65738-6 Annarosa Selene, Dizionario dei
proverbi, Pan libri, 2004. ISBN 8872171903 Carlo Volpini, 516 proverbi sul
cavallo, Ulrico Hoepli, Milano, 1896. Aa. Vv., Il nuovo Zingarelli, Zanichelli,
1983. Nicola Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli Editore,
Bologna, 1973. Gustavo Strafforello, La sapienza del mondo: ovvero, Dizionario
universale dei proverbi di tutti i popoli,, vol. III, Augusto Federico Negro,
Torino, stampa 1883. Voci correlate Modi di dire italiani Scioglilingua
italiani Categoria: Proverbi dell'Italia. Massimo Baldini. Keywords:
linguaggio, Campanellese, lingua utopica, fantaparola – phanta-parabola, il
proverbio italiano, amici, implicatura proverbiale, proverbi romani, proverbi
italiani, lezioni di filosofia del linguaggio, con D. Antiseri, indice, grice –
filosofia analica, parte I: filosofia analitica Austin e Grice, parte II tipi
di linguaggio. baldini — implicatura
proverbiale — i amici — das mystisch — filosofia italiana della moda maschile
italiana — haircuts — journalese — journal of the Royal Association of
Philosophy — lingua utopica — Campanellese — Empedocle filosofo poeta —
Lucrezio filosofo poeta — Parmenide filosofo poeta — Eraclito l’oscuro —
vallisneri — fantaparola — gargarismo — trabocchetta — rumore — ingorgo —
aforismo — Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Baldini” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51790817480/in/dateposted-public/
Grice e Baldinotti –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Palermo). Filosofo. Grice: “I like
Baldinotti; Speranza thinks he is a Griceian, just to oppose to the Italian
received view that he is Lockeian! But I say, he is MORE than either!
Baldinotti can quote from Rousseau, and
the French authors that Locke never cared about! And most importantly, he can
SIMPLIFY and need not appeal to Anglo-Saxonisms as Locke does (what does it
mean that a ‘word’ STANDS for ‘an idea’?” --.” Grice: “In fact, as Speranza
showed at Oxford, one can organize a tutorial on the philosophy of language (he
won’t though – he hardly organises!) just using Balidonotti’s rough Latin of first
chapter of ‘De vocibus’!” “All the
material I rely on in my Oxford 1948 talk on ‘meaning’ for the Philosophical
Society can be found there: ‘vox’ significat affectus animae artificialiter,
lachrymal significat affectum animae naturaliter --.” Grice: “Unless she is a
crocodile, as Speranza remarks!” -- Tutore di metafisica nel ginnasio di Mantova,
pavia, padova. -- Altre opere: “De recta humanae mentis institutione”; Historiae philosphica prima,
et expeditissima adumbratio -- Operationum mentis analysis -- De
elementis humanarum cognitionum -- de perceptione et ideas, earumque adnexis --
de idearum affectionibus, et in primis de realitate, abstractione, universalitate
earumdem -- de simplicitate, compositione, relatione idearum -- de idearum
clartitate, et distinctione, veritate, et perfectione -- DE VOCIBUS -- DE
SYNONIMIS, ET INVERSIONIBUS -- DE VARIETATE LINGUARUM, ET DE MUTUO VOCUM, ET
IDEARUM IFLUXU -- DE USU, ET ABUSU VERBORUM -- DE VERBORUM INTERPRETATIONE --
DE MULTIPLICITI SCRIBENDI RATIONE. -- De humana cognitione -- Humana
cognitionis analysis -- de PROPOSITIONIBUS -- de gradibus humana cognitionis
-- De cognitione probabili -- De cognitionum realitate -- De
extensione humanarum cognitionum -- De impedimentis humanarum cognitionum
-- de humanarum cognitionum instrumentis -- De mentis magnitudine,
et perspicacitate augenda -- De analysi, et definitione -- de ratiocinio
et demonstratione -- De nonnullis argumentorum generibus -- De
inductione et analogia -- De methodo generatim -- De methodo
analytica -- De methodo synthetica -- De principiis -- De
hypothesibus -- De ratione coniectandi probabilia -- De fontibus
humanarum cognitionum -- de conscientia -- de ratione -- De concursu
rationis, et revelationis -- De sensibus, deque recto eorum usu
-- De cognitionibus, et erroribus sensuum -- De observatione, et
experientia -- de auctoritate -- De testibus oculatis, et auritis --
De traditione et monumentis -- De historia -- De librorum
authenticitate,sinceritate, suppositione, interpolatione, corruptione, et de
interpretationibus -- de arte hermeneutica -- “Tentamen”; “De metaphysca generali liber
unicum” De existente et possibili, et deiis, quae qua tenus tale est, ad utrumque
pertinent -- De identitate, similitudine, distinctione -- De composito,
simplici, uno -- De infinito -- De spatio -- De tempore -- De causa -- De non
nullis impropriis causarum generibus -- APPENDIX: De Kantii philosophandi
ratione et placitis, ut ad metaphysicam generalem referuntur. S. Gori Savellini,
Cesare Baldinotti in "Dizionario Biografico degli Italiani", Istituto
dell'Enciclpopedia Italiana, Roma. E. Troilo, Un maestro di Rosmini a Padova,
Cesare Baldinotti in: "Memorie e documenti per la storia della
Padova", Padova, 1922, v. 1,
427–441. Cesare Baldinotti, in
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. DE
VOCIBUS. Voces nostrum studium ,et operam expostulare,fuit iam suo loco
(V. Introd.) observatum.Quae cum sint idearum nostrarum signa, horum tradenda
prima divisio est', qua in naturalia, et artifi cialia distinguuntur. Signum
naturale cum re significata habet nexum ex eius natura derivatum ; artificiale
vero ex hominum institutione, et arbitrio aliquam rem significat: lacrymae sunt
doloris signum naturale, voces signum idearum artificiale. Non erit porro
alienum de naturalibus signis advertere, homines non raro ad errorem trahi, dum
ex illisrem significatam inferunt: sunt enim haec signa, vel effectus, qui caussas,
vel caussae quae effectus indicant,ut in signis rerum futurarum. Iidem autem
effectus nunc ab una,nunc ab alia caussa oriun tur;neceadem caussa eosdem
semper effectusgignit; sed multa sunt, quae causarum actionem determinant,
suspendunt, et etiam omnino mutant. Non igitur necessario, et semper SIGNUM
NATURALE rem certam innuit; sed a multi spendet, quod eo una potius,quam alia
ostendatur. SIGNA AFFECTUUM ANIMI SUNT NATURALIA. Eos tamen non semper
denotant,et ille in perpetuo errore versaretur, qui de affectibus ex eorum
signis statueret. Sed ad voces revertamur, quarum origo, indoles, vis, in ideas
et mentis operationes, influxus, usus, abusus, interpretatio leviter
attingenda. Quin imo Reid Rech. sur. l'Entend. tom. I. p.147. arbitratur, eas,
quas dicimus causas, esse tantum RERUM SIGNA.Videmus dumtaxat, quae dam hunc
inter se nexum habere, ut si unum praecedat, aliud illico subsequatur. Id
tantum statuere possumus; non vero in eo, quod prae cedit respectu illius, quod
subsequitur, causalitatem, ut aiunt, inesse, cum haec nullaratione
ostendatur. Inter eas quae non prorsus inutiliter attinguntur, commemorari
possunt potissimum nominum divisiones, ad quarum normam nomen in enunciatione,
vel est subiectum de quo aliquid effertur, vel est praedicatum quod effertur,
vel est concretum , remque significat cum sua forma, vel est ab. Voces
INSTITUTIONIS esse signa nempe ARTIFICIALIA, nec necessarium habere NEXUM
CUM REBUS, ad evidentiam probantmuti, et linguarum varietas. Nam si haberent,
organo tantum vocis impedito, sermonis nullus esset usus, et quae apud omnes
eadem sunt, iis demetiam nominibus appellarentum. Mira autem est non rerum, sed
verborum diversitas; et muti sunt ii, qui surditat elaborant. Nunc vero
videamus, an facultates humanae vocibus AD RES SIGNIFICANDAS INSTITUENDIS sint
pares. An videlicet possint homines linguam aliquam condere. Animi affectus,
sensusque vividi doloris et voluptatis naturalibus quibusdam signis
coniunguntur, iisdemque manifestantur: homines haec facile possunt artificialia
reddere, sinempe observent affectus, quos indicant, nec ea tantum edant
impellente natura, sed consulto, ut quae experiuntur, ceteris manifestent. Quae
signa clamoribus non articulatis, habitu vultus, et gestibus continentur, atque
actionis, quam vocant, linguam conficiunt. Usu autem constat facilem, expeditam
secretam idearum COMMUNICATIONEM hac lingua non obtineri, distantia, et
interposito corpore impediri. Sensim igitur ab ea recedere coguntur homines, ad
eamque feruntur, quae vocis distinctionibus pititur. Hanc ut instituant
clamores naturales in primis pro stractum solamque formam exprimit, vel est
categorematicum quod solum et per se aliquid notat, vel est syncatagorematicum
quod ab alio avulsum nihil certi repraesentat, vel categoricum quod rem categoria
comprehensam obiicit. Sed de his satis, sapiens est non qui multa, sed qui
utilia novit. Negat P. Lamy in Trat. de Ar. log.; et Rousseau disc. sur.
l’ineg. parmi les Hom. parum abesse censet, quin demonstratum sit, fieri
numquam posse, ut lingua ulla suam ab hominibus originem habeat. Ita etiam A.
Encycl. A. lang. His e diametro se se oppouunt Epicurei, quorum hac super re
doctrinam Lucretius l.5. de Nat. rerum exposuit. Diodorus Siculus lib. I. Bibl.
quod nobis possibile, et hypotheticum est, factum habet, omnesque linguas
humanum fuisse inventum putat. Nuperrime in Diss. de ling. orig. ab A. Berol.
an. praemio donata Herder contendit linguas in universum non divinae, sed
humanae prorsus esse institutionis. De hac lingua V. Condil. Gram. part. 1. lib.
1. Sinensium lingua hanc videtur originem habuisse, ea constat ex monosyllabis
328., quae pronunciationo variata otficiunt SIGNA, (V. Condil. 100
-- trahunt, et simul iungunt, rerum etiam externarum sonos referunt, et
imitantur (1), unde voces oriuntur, quae elevatione et depressione multum
distantes aliquo modo gestuum et clamorum vim exprimunt (2). Atque ita verborum
dstinctioni consultum, quantum patitur vocis et auditus organum rude adhuc et
inexercitatum. Subtilius, qui haec disputant, quorum etiam aures delicatiores,
similitudinem quamdam inveniunt inter impressionem a rebus, et a verbis
excitatam. Eamque prolatis ex. gr. vocibus "crux",
"mel", "vepres", "furens",
"turbidus", "languidus" distincte sentiunt. Hinc multae
voces (3). Multae etiam facultate, qua pollemus, per metaphoras sive
transferentiam omnia explicandi, et associandi insensibiles ideas sensibilibus.
Revera verba, quae res insensibiles referunt, metaphorica sive transrelata
omnino sunt. Perpetuo autem usu nomina propria evasere, et vetustate multorum
etymologia sensibilis ita evanuit, ut res pror sus in sua SPIRITUALITATE
relinquant (4). Quin immo eadem verba solum confugiendo ad metaphoras sive
transferentiam poterant fabricari. Externa namque forma carent, etsono res
insensibiles, unde earum no mina desumantur. Ac certe per imagines solum et
similitudines id, quod experimur, aliis, qui illud ipsum non experiuntur,
possumus explicare. Traité des connois. hum. t. II.) Alii monosyllaba Sinensium
numerant 330. Freret sur la lang, des Chin. 214., et signa inde componunt
54509. et 80000. Haec loquendi ratio supponit iudicium aurium subtilissimum .V.
Soave Compendio di Lock. l. III. Ap. al c.I. Hoc facile sibi suadeat quisquis
rerum , quae sonorae sunt, nomina advertat ex gr. "ululare",
"hinnire", "sibilus", "tonitrus",
"stridor", "murmur". Observat Warburthon Ess. sus les
Hierogl. actionis lingua, inventis iam vocibus, homines usos fuisse, Orientales
praesertim, quorum alacritas, et imaginatio vehemens hunc exitum etiam
requirit. Atque exempla permulta ex historia tum sacra, tum profana hanc in rem
profert. Ut recte nomina rebus IMPOSITA sint, quamdam esse debere rerum, et
nominum convenientiam ex ipsa earumdem rerum natura ortam in Cratylo contendit
Plato. Sunt enim, ait ipse, nomina IMITAMENTUM, quemadmodum etiam pictura, et
qui rei speciem in litieras, ac syllabas referre nonnovit, is ineptus nominum
opifexest. Erecentioribus Ioannes Baptista Vico, principii d'una scienza ec.,
de similitudine verborum cum forma rerum multis disseruit. Horum nominum
exempla sint cogitatio, voluntas, desiderium, aliaque huiusmodi. V. Traité de
la Formation mechan. etc. Ch.XII. Quod vero homines, ut boc aliisque
modis ad sermonem formandum aptisutantur, fortius incitat, indigentia est,
maxima rerum omnium magistra. Sermonis etiam utilitas, atque necessitas vix
paucis inventis vocibus sub oculos posita. Hinc multi conatus, ut verborum
numerus augeatur, quos felices reddit cognitionum, et idearum COMMERCIUM
homines inter initum. Haec enim se mutuo fovent, et,ut verba commercium illud
amplificant, ita ex commercio novae vires additae, et nova suppeditata
istrumenta, quibus ars faciendorum et deligendorum verborum perficiatur. Nec
vero sunt verba hominum opus , in quo ipsi nihil aliud, quam arbitrium recte
sequantur. Est enim illa analogia im pressionis, et soni imitatio, quam
pulcherrime in fingendis vocibus sequimur. Est forma, et affectio orgaai vo
eis, a qua earumdem elementa, literae praesertim vocales determinantnr. Sunt
denique derivata, et voces artium, et technicae in hominum libertate haud
repositae, cum illae derivationis naturam imitentur. Hac vero vim, et EFFECTUS
RERUM SIGNIFICENT significent. Duo sunt, quae videntur iam asserta impugnare.
Primum scilicet sermonis institutionem requirere, ut de significatu verborum
conveniatur. Conveniri autem inter eos non posse, qui omni sermone destituti
sunt. Quasi vero nulla alia praeter voces ratio suppetat. Qua explicetur quid
ipsae SIGNIFICENT Percipi enim id. Modum transferendi verba necessitas genuit
inopia coactaet augustiis, post autem delectatio iucunditasque celebravit. Cic.
de Orat. III. 38. Notat et illuminat marime orationem tamquem stellis qui.
busdam verbum translatum Idem ib. 48. Huc faciunt quae de linguarum analogia
subtiliter disserunt Valcke naerius in observatt. academicis, Lennep
inpraelett. academicis et Scheidius in orat. de linguarum analogia ex
analogicis mentis actionibus probata. Sed est etiam unde moveantur homines ad
res alias per multas metaphorice appellandas, eas scilicet quas primum obscure,
et confuse percipiunt. Et enim has meditando earum quamdam similitudinem cum
aliis distincte perceptis intelligunt, quorum proinde nomina ad illa
transferunt. Atque in hoc mirifice dele ctantur luce, quae ex rebus claris, et
distinctis in alias obscuras, et confusas diffunditur. potest ex
circumstantiis, in quibus adhibentur, et ex gestibus, qui pronunciatis
nominibus res indicarent. In eamdem etiam rem conferet illa imitatio, atque
similitudo. Aliud vero erat huiusmodi. Summis viris difficultas maxima se
semper obiecit in linguis ornandis, et perficiendis. Qui ergo fieri potuit, ut
homines plane rudes, atque ferini, communione scilicet cum aliis non exculti ex
integro sermonem con dant? Fieri istud quidem non posset, si de perfecto
sermone contenderetur, in quo non tantum apte expressa, quae ad necessitatem
pertinent, sed etiam, quae ad cultum vitae, et oblectationem. In quo multae
orationis partes, multae leges syntaxis, et inflexionum, multa denique, ut
numerus , et varietas obtineatur. Haec sermoni non absolute necessaria sunt, et
vix nomina, utaiunt, substantiva, et signum aliquod numquam variatum ad verbum
auxiliare sum exprimendum. Quae quidem hominis licet sylvestris facultates non
superant. DE SYNONIMIS, ET INVERSIONIBUS. Multa in qualibet lingua videntur
esse synonima, voces scilicet, quae unam , eamdemque ideam referunt. Dubitari
autem iure potest, an revera sint. Quin potius statuerem ea, quae di cuntur
synonima, eamdem ideam principalem reddere, accessoria vero differre plerumque.
Atque hoc modo inter se differunt "amo", et "diligo";
"peto", et "postulo", "timeo", et
"vereor" V. Condill. Gram. P. I. Ch. XIV. V. Traité de la form.
mechan. du langage V. II. Ch. IX. et suiv. Condillac Traité des connois. hum.
T. II. Grammaire P. I. Ch. I. II., Maupertuis Diss.sur les moyens etc. pour
exprimer leurs idées; Sulzer de l'influence recipr. de la raison, etc. extat in
Ac. Ber. et Vol. IV. opusc. Select. Mediol. Soave Comp. etc. L. III. Ap. al
C.I. Receptum apud logicos novimus, ut nomina tribuant in synonima, quae
secundum unam eamdem que rationem de pluribus usurpantur, et in homonyma quae
rationem naturamque diversam in iis SIGNIFICANT, de quibus adhibentur, Iam vero
homonyma alia dicuntur casu et citra rationem ac temere im. Synonima stricto
sensu accepta, quae nulla idea accessoria differrent, linguae vitium
indicarent. D'Alemb. Elem. de Phil. XIII. Hac de re notandum est, vocibus
duplicem illam ideam subesse. Et, ut praeteream exempla, quis est, qui
non noverit, vocabula quaeque loco, et tempori, et generi s u scepto orationis
non convenire? Quod profecto maxime oritur ex idea accessoria , quae non solum
verba eamdem principalem exprimentia distinguit, sed eorum etiam opportunitatem
deter minat. Quae ergo synonima habentur, ea profecto non iure; namque
discrepant accessoriis illis ideis, quae rerum diversos aspectus, gradus, et
relationes, et adiuncta exprimunt. Imperiti haec apprime synonima reputant,
quorum levia discrimina lin guarum cultores notant. In eo frequenter peccant ex
lexicis pene omnia , quae adolescentes, misere decipiunt. Duplex distinguitur
ordo verborum, et conformatio, naturalis, et artificialis; seu inversa. Porro
quem ordinem habent ideae, idem etiam verborum est: ordo autem idearum , fertur
ad modum, quo in mente sibi succedunt, vel ad earum dependentiam mutuam ,ex qua
fit, utaliaealias regant, et explicent, aliae explicentur, atque regantur. Si
primum, ordo, quo exprimuntur ideae, naturalis erit, quando idem, ac ille, qui
in earum successione servatur. Qui quidem in singulis diversus est. Si
secundum, ut ordo sit naturalis , quae alias regunt, vel ab aliis explicantur
praemittendae sunt. Quae reguntur, et alias explicant postponendae. Secus erit
artificialis, seu inversus. Sed unde oritur, quod ordo inversus orationi vim
addat,et siteius quasi lumen quoddam nosque voluptate perfundat? Scilicet
posita , et alia dicuntur ratione , quod rebus tribuantur aliqua inter se
similitudine cohaerentibus. Posteriora haec aptius vocantur analoga , sive
attributionis, quum uni quidem rei primario conveniunt, reliquis secun
dario,sive proportionis,quae pluribus rebus propter proportionem aliquam
accommodantur. Ex hoc fonte methaphorae pleraeque omnesdimanant.
Nonnullarum rerum, atque actionum voces quaedam ex ideis hisce accessoriis
inhonestae, et turpes evadunt; quae ideae si in aliis vocibus omittantur, vel
mutentur,nulla amplius est turpitudo. Unde fit, quod eae. dem res, etverecunde,
etobscoene dicifpossint,etquod ea,quae turpia re non sunt, nominibus, ac verbis
flagitiosa ducamus. vel re. D'Alembert loc. cit. Traité de la form. mech. du
lang. ch. IX n.161. quia eum, quem Rethores MODUM appellant, et numerum
parit; quia imaginationem exercet;quia ideas nimis disiunctas coniungit. Revera
voces ordine inverso positas ad se mutuo referi m u s , ut postulat idearum
ratio. Atque si in periodo multae sint ideae, quae a quadam principalipendeant,
et exiis aliquaehuic praeponantur, postponantur vero aliae, arctius omnes cum
ea coniunguntur. In quo nexu illud praesertim admirabile,quod uno verbo ad integram
sententiam animus revocetur. ET IDEARUM INFLUXU. Varietatem linguarum,et nos ad
confusionem Babylonicam referimus: simul autem liceat statuere,ex diverso
hominum ingenio, et indole,eorumque externis circumstantiis oriri potuisse, et
magna ex parte ortum esse,ut singulae suum -co lorem habeant. Ac ex confusione
illa vocum origines potius , quam ipsaelinguae;quae perfici sensim
debuerunt,etaugeri verborum copia, atque syntaxi, et inflexionibus moderari.
Non una autem in hoc fuit omnium gentium ratio, quod multis causis tum
physicis, cum moralibus tribuendum est. Atque inter eas recenserem caeli
temperiem, non eamdem ubique faciem naturae, rerum aspectus multiplices,
diversas opiniones sive ad civitatem sive ad religionem pertinentes , regiminis
formam, educationem, mores denique et studia. Revera sermonis vis, copia,et
harmonia , et inflexio nationum exprimit characterem ,ingenium,atque culturam
;ac eadem linguarum , et gentium fuere semper fata, et vicissitu dines. QUOD IN
ROMANI IMPERII, ET LINGUAE LATINAE ORTU, progressu, et occasu velut sub oculos
positum est. Iunctam, cohaerentem, levem, et aequabiliter fluentem orationem
facit verborum collocatio. de Orat. II. 43. V. D'Alembert Eclair cis. S. X.
Condill. Gram. P. II. ch. XXIV. Art.d'Ecrire L. I. Ch. I. II. V. Traité de la
form. mechan. etc. Ch. IX. INSTITUTIONE DE VARIETATE LINGUARUM, ET
DE MUTUO VOCUM. Sed ex iisdem quoque caussis fit, ut nationes singulae suas
habeant idearum compositiones, et vocibus, quibus aliae carent, utantur. Inde in
interpretando necessitas verborum circuitum saepius adhibendi, cum non semper
verbum e verbo exprimi possit. Indeadeo difficile, libros ex una in aliam
linguam convertere. Atque in hoc lice tomnis cura, et studium ponatur, adeo
singulis linguis suum quoddam inest ingenium, ut nullae fere sint
interpretationes, quae authographi vim, et elegantiam, et nativum splendorem
nequaquam desiderent. Quae quidem eo nos adducunt, ut intelligamus, quem dam
esse posse sermonem , edisci, et percipi omnino facilem. Quem si universalem
veluti linguam cunctae gentes amplecterentur, eo possent mutuum idearum, et
cognitionum commercium inire. Ac difficultas, qua ab hoc impediuntur, ex lin
guarum varietate, et multitudine orta, alia etiam ratione vinci posset,
characteristicam nempe aliquam linguam adhibendo, quae res ipsas, non rerum
voces exprimeret. De bac sermo erit inferius. Interim cum nullus ex hisce modis
adhuc suppetat. Nec ulla spes sit, ut in unum, V. Clericum Art. Crit. tom. I.
part. II. cap. II JII.IV. Linguarum varietas non leve incommodum affert
societati, et progressui scientiarum. Nec enim consultum, ut facile edisci
possent, sed casu magna ex parte conditae, et procurata copia, et ornatus.
Sublatis declinationibus, coniugationibus, et generibus, si substantiva unam
immutabilem terminationem haberent, suam adiectiva, et verba pariter, quae
adverbiorum ope temporibus, et modis distinguerentur. Pullae superessent
regulae grammaticorum, et solius lexici auxilio linguam quam libet
perciperemus. Cumque insuper esset prima illa lingua absurda, et egestate,
atque uniformitatis squalore sordesceret. Maxime erit optandum, ut LATINI
SERMONIS USU conservetur. Locupletissimus namque est hic sermo, electissimis,
et praeclaris verbis abundat, communis hactenus fere fuit omnium eruditorum ;
qui eo abiecto, si suam singuli linguam in scribendo usurparent, iam, vel
aliena omnia nescirent, vel in omnium gentium, quae doctrinae laude vel alium
conveniant omnes. Splendescunt, perdiscendis linguis curam, et operam
compellerentur insumere, quam ad rerum cognitionem adipiscendam con tulissent.
Quae hactenus de vocibus dicta sunt, satis ostendunt , easabideis, et cogitandi
modo non parum pendere. Sed magnus etiam est verborum in ideas, et mentis
operationes influxus. Atque in psychologia, si fortasse ad veritatem plane non
sua detur, nullas fere absque verborum usu nos exequi posse. Illud profecto
demonstratur, eo foveri multum, et perfici. Quod probari nunc potest exemplo
mutorum. Earum etiam gentium, quibus signa numerica pro maioribus quantitatibus
deficiant, cetera sint nimis composita. Illi quidem multis omnino ideis
destituuntur, mentisque facultates obtusas habent, nec ad operandum faciles et
expeditas. Hae vero gentes in rebus ARITHMETICIS ne vix quidem progressae sunt.
Tantum signa valent ad humanas cognitiones promovendas vel impediendas. Equidem
arbitror, a veritate abesse longius , qui crederet verba communicationi cum
aliis tantum inservire. Ea menti sistunt obiecta. Nimis composita dividunt. Si
magnifica sint et nobilia, res amplificant, et extollunt. Si humilia ,
imminuunt , et deprimunt. V. Laur. Mosheim DISSERT. DE LINGUAE LATINAE CULTURA
ET NECESSITATE V. etiam quae nuperrime Ferrius, et Tiraboschius, Alexander
Gorius, et Clementinus Vannetti in eam habent Alamberti sententiam (Melang. tom.
V.) statuentem bene LATINE scribi non posse, et LATINITATE abiecta studium omne
ad patriam linguam transferentem. Refert Condaminius, quosdam Americae populos,
cum ocesnume rorum supra ternarium non habeant, in hoc arithmeticam eorum
consistere: certevix paucis huiusmodi signis utuntur, iisque ad modum
compositis, ex quofit, ut maiores numeros mente haud comprehendant, et quem
libet ultra vicesimu in indefinite concipiant, atque capillorum numero
comparent.V. De la Condamine Voy. Paw Rech. sur les Americ. tom. II. ch. 27.
Cogitatio, ait Plato in Theaeteto, est sermo,quem mens apud se volvit circa
illa, quae considerat. Cum enim cogitat, secum ipsa disserit adeo, ut cogitatio
sit sine strepitu vocis oratio, aut interior collocutio. Verba sunt veluti signa
algebrica idearum. Brevitati proinde consulunt, multarum idearum comparationem
faciliorem reddunt, mentenique sublevant in consideratione multarum rerum ,
atque compositarum : quae verborum utilitates maxime elucentin modorum mixtorum
ideis, quas in nullo exemplari iunctas videmus, sed verbis exhibentur et
comprehenduntur. Verba denique nexus inter ideas augent, eas facilius, et
promptius exsuscitant, distinguunt, quae vix confuse percipe rentur. Sic
technicae in arte pingendi voces omnia alicuius tabulae vitia, omnemque
praestantiam indicant. Quae eos prorsus fugerent, qui illas voces nequaquam
callerent. Quare scientiae, omnesque artes multum debent verborum inventoribus,
ut Linnaeo Botanica; et Ontologia, licet nomenclatione tantum contineretur, non
esset penitus contemnenda. DE USU, ET ABUSU VERBORUM. De verborum usu , et
abusu haec fere a Lokio, aliisque melioris notae Logicis accepimus. In primis
duplicem esse usum verborum. Vel enim eo cogitationes nobiscum cooferimus, vel
aliis exprimimus. Illum jam attigimus capite superiore, in quo osten debam,
maximas utilitates ex hoc interno sermone profluere. Cum aliis autem utimur
verbis,aut in vitae civilis consuetudine,vel in studio Scientiarum. Inquo
praesertim distinctioni, et perspicuitati. Ideae in primis connexae inter se
sunt ex analogia rerum , et ex circumstantiis, in quibus acquiruntur. Sed
insuper verbis etiam unae cum aliis colligantur. Quot ideas unum verbum saepius
excitat? Atque ex verbis haec alia utilitas provenit, ut in ideiş revocandis,
et disponendis ordini, quo a nobis comparatae fuere,non adstringamur, sed illum
qui magis placeat, magisque conveniat iisdem tribuimus. V. Bonnet Ess. Analyt.
ch. XV. V. Sulzer loc. iam citato, Micheaelis de l'influ. des opin. sur le
lang. etc. Condil. Art. de penser. part. 1. ch. II. STELLINI OSSERVAZIONE SULLE
LINGUE tom.V. Soave Comp. di Locke I. III. ap. al cap. XI. Scilicet, si
circa ideas maxime compositas, sertim versemus, iisdem nomina, quibus
appellantur, substituimus. Nimis enimesset operosum, eetiam impossibile, omnes
ideas simplices illas componentes mente revolvere. Quod etiam confusionem
afferret, et, ne idearum relationes viderentur, obstaret. Haec habitualis, non
actualis distincta perceptio est idea coeca, et symbolica Leibnitii. circa
notiones prae 1 litandum est, ne per se difficilia reddantur difficiliora. Et
ne rerum INVESTIGATIONES in aeternas quaestiones de nomine abeant. Locutionis
perspicuitas, atque distinctio maxime optanda idearum claritatem , et
distinctionem desiderat: quomodo enim , quae confuse percipimus, aliis
distincte explicarentur? ad eam confert brevitas, in qua tamen habendus modus
;nam ut nimia verborum copia res obruit, ita eorum egestas tenebras rebus
offundit. Denique cum iis, qui loquuntur confuse, vitanda fa miliaritas est,qua
nihil fortius ad idem vitium contrahendum. Ita autem verbis utamur,ut unicuique
idea determinata re spondeat;dequo,sinobiscum tantum colloquimur, nos ipsos
debemus interrogare; si vero cum aliis,et dubium sit, an verba ideas
claras,etdistinctas in aliorum mentem immittant, tunc ea dilucide explicanda
sunt. Id quidem de nominibus idea rum simplicium praestari potest (vix autem
erit necesse), si observanda proponantur obiecta,quae significant,etmodus,et
circumstantiae indicentur, in quibus eorum ideae acquiruntur. Nomina vero
idearum , quae sint compositae, decla rantur earum obiectis exhibitis, et
addita ipsorum definitione; nec enim omnia attributa patent sensibus , et multa
indolem potentiae habent. Quod si haec obiecta non existant.Verborum universalium
magnus est usus , et maxima utilitas; innumera enim individua una tantum voce
comprehendi mus , quae esset impossibile omnia suis nominibus distinguere.
Esset etiam inutile, quia necii , quibus cum loquimur , multoque minus illi,
quibus aliquid scriptum relinquimus, eadem indivi dua agnoscunt. ergo.
Sed quae circa rectum verborum usum ,et eorum inter pretationem , de qua
inferius, praecipienda sunt , separari vix possunt ab idearum doctrina iam
tradita; utrisque enim idem finis, avocationempe ab erroribus. Inter eaetiam
intimus nexus, quantus inter voces , et ideas. Nunc lum , quae propius ad verba
pertinent, quaeque eo loci explicata non sunt. ne actum agam , so meratio
idearum , quas simul reflexione, aut pro arbitrio con iunximus . fiat enu Vocibus
demum abutimur, si quae incertam significa tionem habent , non definiantur ; si
definitus sensus mutetur. Si in rebus scientiarum artes consectemur oratorias.
Namque delectant, et movent , mentemque avertunt a philosophico rerum
examine,quas non accurate,sed ad similitudinem exprimunt. In verborum sensu
commutando peccarunt vehementer scholastici. V. Gassendum in Exerc. Arist.
Exerc. I. Y2. Hic cum Logicis fere omnibus non praecipio, abstinendum esse a
tropis atque figuris:rebus enim permultis vocabula metaphorica necessario
imposita sunt, aliis utiliter, cum ex iis orationi splen dor accedere
videatur.V. Condil. Art. d' écrire lib. II. ch.VI.VIII. Translationes propter
similitudinem transferunt animos,etre. Neque vero minor utilitas ex verbis
notionum ;.harum nullum archetypum extra nos invenitur iunctas exhibens ideas,
ex quibus componuntur. Id vero praestant nomina , quae illas comprehendunt.
Sunt denique voces , quas particulas appellant Grammatici ; his utimur , ut
ideas , et periodi membra , et periodos ipsas interse coniungamus. Quisaneusus
mirificus est, et ex eo maxime vis tota orationis derivat. Rectus erit,si m u
tuam rerumdependentiam , et relationes diligenter consideremus.
Haecdeusu. Nunc de abusu,quirestat,dicendumest. Iam vero abutimur verbis, si
iis, nullam ideam , aut obscuram associemus, adeo ut inania sint, et ambigua :
in quo non rarum estlabi;etmaxime verba notionum virtutis,honoris,et simi lium
multo pluribus sunt meri soni; obiectum namque non referunt, quod sensus
moveat, nec illud quod referunt in in fantia, percipimus. Hinc ea absque ulla
significatione usurpandi longam consuetudinem iam contraximus, a qua ut
recedamus, reflexione vehementer nitendum est. Sed abusus verborum etiam ex
ignorantia, et malitia. Scilicet, qui partium studio, vel anticipata opinione
moventur. Qui vulgo avent imponere. Qui difficultatum pondere haerent et
idearum defectu impediuntur. Tunc enim vero ii obscuritatem affectant, verbis
inanibus se se involvunt, nova etiam fundunt, atque sesquipedalia. Optimum ergo
erit, mentem parumper a verbis abstrabere, eamque in ideas intendere, ne
verborum so nitu hallucinemur. DE VERBORUM INTERPRETATIONE. Ut verba recte
interpretemur, advertendum in primis , notiones eius, a quo
adhibentur,'significare. Non igitur suppo natur, omnes iisdem verbis adnectere
easdem ideas, et ipsis rerum realitatem apprime respondere. Quae qui supponunt,
de rebus perperam ex verbis iudicant, et ex propriis aliorum ideas non bene
copiiciunt. Hisce per summa capita indicatis, advertam in primis , duplicem
distingui sensum verborum ,proprium scilicet,et tran slatum ;namque verba,aut
illam rem exprimunt,cui primum fuere assignata. Vel ex quadam similitudine cum
re ipsis propria eadem verba ad aliam significandam transferimus. Quod si fiat,
sensum habent translatum, secus autem proprium. Nisi quis sensum proprium
alicuius vocabuli accurate perceperit, numquam fieri poterit, ut translatum
assequatur ; hic siquidem ad illum refertur. Rerum praeterea conditionem
inspiciet,ex qua oritur, ut quaedam voces potius, quam aliae, ad res sensu
translato exprimendas , electae fuerint. Inde clarius is sensus patebit ferunt,
ac movent huc , et illuc, qui motus cogitationis celeriter agi tatus per se
ipse delectat. de Orat.III.39. Translatio est, cum verbum in quamdam rem
transfertur ex alia; quod propter similitudinem recte videturposse transferri.
Cic. ad Heren. IV. 34. V. D’Alembert Eclaircis., sur les Elém. de
phil.S.IX. Quam vero quisque vocibus notionem subiicit, arguere tuto
possumus, si multa nobis nota sint , eaque invicem conferamus ; loquentis
scilicet ingenium ,et characterem ; affectus, oris habitum; linguae, quautitur,
vim, etindolem; rem,quam tractat; circumstantias, in quibus versatur ;
opiniones , religionem , quam sequitur;demum popularium eiusmores, ritus,
consuetudines. Haac enim omnia efficiunt, ut licet verba sint eadem , non tamen
eumdem significatum , eamdemque vim habeant. Nunc vero singula verborum genera
persequar, deque Difficilius assequimur sensum verborum , quae notionibus
respondent; siquidem praeter caussas nominibus rerum existentium communes,
peculiares etiam concurrunt, ex quibus efficitur, ut singuli fere has ideas
diverso modo componant. Nec eadem semper significatio est vocibus orationis par
ticulas exprimentibus; loquentium igitur, vel scribentium affe ctus, et
praecipue contextus consulatur,cum ex iis sit dedu cenda. De nominibus
relativis, quid advertendum in praesen tiarum,ut recte explicentur? Porro id
muneris iam explevi dum agebam de eiusdem generis ideis. Quid de nominibus uni
versalibus,quod paritereoloci, traditum non sit? Illud subiungam,voces
particulares,aliquis,quidem etc. obscuras esse et indeterminatas , nec denotare
, quae , et quanta subiecta sint; universales vero aliquando particulariter
esse sumendas , aliquando non omnia individua generum,sed individuorum
omnia siores esse , iisnonnulla admoneam ,ad quae semper in eorum
interpretatione spectemus. Qualitatum sensibilium nomina, colorum nempe,
saporum, aliarumque huiuscemodi, sensationum etiam doloris, et voluptatis, non
ita accipienda sunt, quasi explicent id, quod est in rebus extranos positis.
Nostras affectiones, sensationesque upice indicant, nec vero vim ,et
quantitatem earumdem. Hanc experimur, non autem accurate possumus efferre. Fit
autem sae pius,ut in singulis maior,vel minor multiplici gradu sit. Dubitari
quidem potest,quin ipsae sensationes apud aliquos prorsus differant, licet
omnes iisdem verbis utantur. Omnes arborum folia viridia appellant; sed adhuc
videndum, utrum haec vox eamdem omnibus ideam excitet. Quam dubitationem
ingerit di versa corporis temperies, et habitus, nec eadem omnino fabrica
sensuum;unde certo oritur,affectiones easdem aliquibus inten aliis
languidiores. Nomina idearum compositarum non idem apud omnes. Maxime si
veteres cum recentioribus confe rantur.Ne eas igitur ex nostris notionibus
interpretemur,sed ex illis quae ampliores fortasse, vel angustiores. Nominibus
substantiarum easdem qualitates non omnes complectimur. Nulli essentiam
primariam ,a qua eae nascuntur,et quam nemo novit. genera
significare. Quae quidem ex circumstantiis, linguarum indole , ingenio ,
loquendi consuetudine patent dilucide. His fere,quae adhuc de vocibus
disserebam,continentur potiora,ex quibus Grammatica philosophica conficitur:
linguarum singulae suam habent, eaque particularis Grammatica dicitur. Est vero
etiam Grammatica universalis,quae principia constituit omnibus linguis
communia.Notandum superest,syntaxim totam legibus concordantiae, et regiminis
moderari. Illae principio identitatis, hae principio diversitatis innituntur.
DE MULTIPLICI SCRIBENDI RATIONE. Verborum disputatio manca videretur, si de
scribendi rationibus haudquaquam dissererem . Non igitur una fuit haec ratio
apud omnes,nec omnibus temporibus;tamen in eo con veniebant, quod signis non
ore,sed manu expressis,quae mente revolvimus , manifestarent. Ac , quae fuere
adhibitae , pictura , symbolis allegoricis , denique signis arbitrariis
continentur. Pictura , aut unam figuram , aut plures exhibet , signa arbitraria
, aut ideas,aut syllabas,aut litteras verborum significant. Scripturae, licet
ab ea, qua nunc omnes fere gentes utuntur, longe dissimilis,specimen aliquod
hominibus innotuit per imagines, quae sui res exhibent, et quas conamur
exprimere gestibus, et clamoribus, ut iis longinqua designemus. Ad has imagines
adumbrandas urgebat necessitas communicandi cum absentibus, et praesentibus
explicandi id, quod verbis efferri non poterat. Inde scripturae origo potius,
quam ex cura committendi nostras cognitiones posteritati. Ac homines ex rerumimaginibusidconsiliicepisse,ut
illas ad suos cogitationes enuntiandas delinearent, omnium pene De usu, abusu,
interpretatione verborum videantur Locke Ess, etc. lib.III. Leibnitz
Nouv.Ess,etc. lib.III. Ioannes Clericus art.crit. tom.I. pari.II. V., silubet,
Du Marsais princip. de gram. Condillac gram. D'Alembert Elem .de Phil. XIII. et
Eclaircis. sur les Elem. etc. S.X. Hinc sensim crescere CONVENTIONIS
SIGNA, etomniatan. dem huiusmodi evadere. Quae sola notiones reflexione
perceptas possunt exprimere;quae ob multos rerum aspectus sunt neces saria.
Namque notiones illae nullam imaginem praeseferunt, nec ulla imago diversas
relationes comprehendit, sub quibus res, ut lubet, consideramus. Signa autem,
quae ex CONVENTIONES sunt, optime quidem ab eo constituta fuissent, qui singula
singulis ideis simplicibus destinasset, suaideis universalibus, aliademum
determinationibus individua constituentibus. Enim vero simul iungendo, et apte
componendo haec signa, res omnes possent distincte explicari. Hoc scribendi modo
philosophus tantum uti potest, nempe ille solus, qui probe noverit, quaenam
ideae simplices illas substantiarum , et notionum componant. Quique etiam adeo
individua observaverit, ut ea possit plane describere. Illum Si V. Paw
Recher. sur les Americ. tom. I. part.V. sect.I. Quemadmodum artis typographicae
occasio fuit ars caelatoria et sculptoria, ita occasio scripturae non inepte ex
pictura derivatur. Praesertim quum non aliter pictura sit obiectorum in oculos
incurrentium scriptura, quam scriptură sit obiectorum quae aures feriunt
pictura. Videsis Augustum Heumannum in conspectu reipublicae literariae cap.
III. Signa huiusmodi spectant ad linguae universalis institutionem. Alia ratio,
qua ad eamdem possumus pervenire, indicata, vix est N. LXXII., LXXXII. V. Soave
Comp. di Locke lib. III. cap. XI. append. II., qui etiam celebriores scriptores
recenset, a quibus ea institutio suscepta fuit. V. Leibnitii historiam , et
commend . characteristicae linguae univers. V. Traité de la Form.etc. ch. XII.
XIII. Mémoires de l'Acad.de Berl., ibi Thiebault videtur succensere Michaelis,
et non ita difficilem , nec vero inutilem, et multo minus perniciosam ,
quemadmodum ille, censet linguae universalis institutionem, quae primo illo
modo conti. neretur. Sepositis iis,quae de universali lingua instituenda
excogitari subti. vetustarum nationum monumenta , et gentium sylvestrium
usus confirmant. Quae scribendi ratio picturae affinis, cum auctis cogni
tionibus , relationibus, et indigentiis ad omnia exprimenda non non satis esset
apta , paulatim a signis discessum est rerum i m a ginem referentibus, et huius
pars tantum depicta, et plures ideae uno signo manifestatae. nenses adhibent;
proindeque mirum non est, si tanti apud illos sit literas scire. Quae
difficultas effecit, ut nationes pene omnes eum scribendi m o d u m
probaverint, quo non obiecta , non ideas , sed sonos verborum reddunt; ad quem
duplici via perveniri posse declarabam liter possent, splendideque proponi;
multo fuerit satius consilio adquie scere Ludovici Vivis, cuius haec sunt (De
tradendis disciplinis lib.III. verba. Sacrarium est eruditionis lingua,et sive
quid recondendum est,sive promendum velut proma quaedam conda.Et quando
aerarium est eruditionis, ac instrumentum societatis hominum ,e re esset
generis humani unam esse linguam , qua omnes nationes communiter ute rentur: si
perfici hoc non posset, saltem qua gentes ac nationes plurimae, certe qua nos
christiani initiati eisdem sacris, et ad commercia et ad peritiam
rerumpropagandam. Peccati enim poenaesttot esse linguas. Eam vero ipsam linguam
oporteret esse cum suavem , tum etiam doctam et facundam. Suavitas est in sono
sivé simplicium verborum ac separatorum , sive coniunctorum . Doctrina est in
apta proprietate appellandarum rerum . Facundia in verborum et formularum
varietate ac copia. Quae omnia effi cerent, ut libenter ea loquerentur
homines,et aptissime possent explicare quae sentirent, multumque per eam
accresceret iudicii. Talis videtur mihi latina lingua ex iis certe quas homines
usurpant, quaeque nobis sunt cognitae. Quod continuo diligenter, ostendit ,
eaque tradit quae merito cum disputatione componantur ab Aloisio Lanzio libris
inscriptionum et carminum praefixa. Sinensium alphabetum Typographicum ex
50000. signis constat. V. Mémoir, concernant l'histoire etc. des Chinois parles
mission. tom.X1., Mopertuis ius auget ad 80000. Iaponenses, licetomnino diversa
linguautan tur, quae tamen Sinenses literis consignant,probe intelligunt; adeo
verum est haec signa non rerum voces, sed earum conceptus delineare. V.
Marpertuis loc. Iam. cit.
Cesare Baldinotti. Keywords: signum, genere, segno, genere, segno naturale,
lacrima, segno artificiale, ‘homo’, conventione, imposizione, idea,
ideazionismo, ‘Locki’ – enciclopedismo, illuminismo, ‘discorso sulle lingue’,
propositione, articulazione, logica, grammatica, forma logica, modus
significandi, imitatmento, il Cratilo di Platone. Refs.: Luigi Speranza, “Grice
e Baldinotti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51623117567/in/photolist-2mKwuhr-2mKRpod-2mDKYka
Grice e Balduino – il
vestigio dell’angelo al Campidoglio –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Montesardo). Filosofo. Grice: “It is
amusing that when we were lecturing with Sir Peter at Oxford on ‘Categoriae’
and ‘De Interpretatione,’ Girolamo Balduino had done precisely that – AGES
before, in a beautiful beach town of Italy! ‘vir Montesardis,’ –“ Grice:
“Strawson and I, following an advice by Paulello, drew a lot from Balduino’s
commentary – especially of the Peri Hermeneias, the section on the ‘oratio,’
since we were looking for ordinary-language ways to render all the modal
distinctions (indicative, imperative, optative, interrogative, vocative, …)
that Balduino finds so easy to digest – but our Oxonian tutees didn’t!” -- Girolamo Balduino (Montesardo), filosofo. Studiò all'Padova sotto Marco Antonio Passeri
(detto il Genua) e Sperone Speroni, formandosi nell'eclettismo aristotelico
proprio di quella scuola. Nell'anno 1528 insegnò sofistica in quello Studio;
passò poi all'Salerno e all'Napoli.
Nella seconda metà del Cinquecento le sue opere furono occasione di
vivaci dibattiti. Alle sue dottrine si oppose, in particolare, il filosofo
padovano Jacopo Zabarella. Altre opere: “Perì hermeneias”, “De interpretation,
“Dell’interpretazione”; “Quaesita tum naturalia, tum logicalia”. Studi Giovanni Papuli, Girolamo Balduino:
ricerche sulla logica della Scuola di Padova nel Rinascimento, Manduria,
Lacaita, 1967. Giovanni Papuli, Girolamo Balduino e la logica scotistica, in «
Acta Quarti Congressus Scotistici Internationalis », II, Roma, 1978. 257-264. Giovanni Papuli, Dal Balduino allo
Zabarella e al giovane Galilei: scienza e dimostrazioni, in « Bollettino di
storia e filosofia », 10, 1990-1992,
333-65. Raffaele Colapietra,
recensione di Ricerche sulla logica della scuola di Padova nel Rinascimento, Emeroteca
della Provincia di Brindisi. Girolamo Balduino. “De signis” – It.
segnare, notare, segnificare, notificare. Primum oportet ponere quid sit nomen
et quiddam in proæmio, ut propositum suæ considerationis ante quid verbum cognovit
et infra cap. 4. aborationibus rethoricis et poeticis, atque his quæ affe&us
explicant, illam se legit. Item tes cum iste liber cum tota logicae undem modum
cong ordine lint considerandæ quo, ex processu resolvente com, siderandi
participet, qui ut ante monstrani est instrumen monstrat cum inquit primum b u
m etc. vers tum seu organum notificandi. Quid inter hunc librum quid nomen quid
alios differt? Respondetur. Id interesse et, inter diversos primum, non
intentione, cum libros eandem rem eodem. Sed quod primo exequi instituimus
dicit opor versa prædicata propria, de illa cognoscantur. Q dis eaq. præs cipia
quæ ut deus, et prima in omni tempore, loco, et subiecto dicata ex fine libri
facile inveniri possunt demostrationis prin sunt nes mus, extremum nam ut
posuis cellaria. Sed suppositione in hoc libro et finis, rum conceptarum res et
secundum quid. nam tuimus dicata quinq vocem SIGNIficativam stag are, ut toto,
necessario tra verlrum etc. Hæc verbi, orationis, enunciationis nominis,
nis.quibus eædem libro poeticorum est præceptionem tradere finiendo considerant
alterum ut aspernetur et um metrum formandum , bi etc. ponere ergo sumetur non
tanquam res dubia inquirendum sum, verum et constans ponendum primo mento magno
exemplo explicatur artificum idem ligna ut lignum, sit sed ut per seno post.14.
incos unus artifex statua malter, referet tæ, cum suo proprio monius inquiens
est, ad metria positi oest. Ita que non nisi ut enunciativa. Sed de subiecto do
post 27 secund infine. Regulem logicem ponuntur ut notæ 7 .orator & poeta
enunciativa orationis codem modo ista des :ante & significativas intendit
idenim definitionem nomini suer, sitione significantes tionis tantum urilitatem
declarat apo demonstra, ad impossibile .primo prior.30. de tione simplici et
hæc porest. Sed demonstratio viriali cuius, extranea autemquod licer hæc omnia
demonstrationis Postremo scientiarum . ne viam atrium et iuxtaponitur uerbo.
Quinto. Magentinus positionis modos modo considerantes est interpretario posis
ab instituto, nomen, aim. Ponere seu constituere. Ammonius has tres particulas legit
cum ergo sunt prædicata propria, affirmationis et negatio m u m ponendum constituat,
alterum appetendum explicaretur oportet definire et fugiat. Poeta ad cocinnum Orator
vero adornatum. Id, quasi istorum quid nominis ad efficiendam. Huic (quam retuli)
rei confidera Averrois, definitio enim inquit Aristotele ingeo navem, alteradarcham
considerandi modo, assentit, Amonius definitiones positiones in arte dicuntur.
Sexto meta.primo .in hoc libro confiderari de oratione, 46.inmagnocóm.
cuiusratio eft. primopoft.17 , quam per voces clariores m o prior. primo, syllogismus
est pofitis et concessis et concesso, pri oratio in quaquibusdam attingit.
Magentinus syllogism ducente hac tenus. Paul e re niam fiunt. Quos cis nunc. De
utilitate dicimus ab anima, quæ facile opus suum inquitex proposito patet: ad
de et ex inscriptione cepit ergo tertium modorum quos Ammonius attulit. Su fubic&ti
interpretationem refertur. Quam mitur enim gratia quæri retulimus. nam
enunciatio ad ins ponere, primo prosupposito tendatur tet non simpliciter sic enunciatio
in to, propositum quas per voces clariores NOTIFICARE nostrum esse, de oratione
enunciatiua. Hic autem finis haberinó potest, nisi per hæc præ tertioait igitur
de partibus tractandum est, quid nomen et quid verbum inquiens et Aristotele
verba conne fit.ita res tractatæ alibi differunt. Requires et ens quia propositum
Aristotele quam, necessario. Quona igitur modo feiungi simplicium essential cognoscenda
differentia locus, tamen hic nomen quid ferme omnis explicatur ex proprio fine:
quoniam et uerbum. Juult ergo cum cæteris ista considerat utg; syllogism parte
sefficiantur logicus bus ponere sumendum fore pro definire et definit, ut verum
ftrationi deseruiant ,Grammaticus vero voces tis compositas incongruum sermonem
ex elemen, ut congruum, siue oportet ponere, id est definire et falsum
declarant. Et novissime ut demons dissentio latina ac sensum accedens ab
Ariftotele sidiceret. Sed ab his ad Aristotele verba græca et . nam
committereturnugatio possunt? ideo dixit (primum est. Erfide hoc infra fit proprius
considerandi oportet ponere id est
definire, magis ut iudico. Hæc ut bene Ammonius cognoscit. Ac .p fine propositis
nullo modo tamen, ut omnia moveri commune commodum est .id muniter posito .
primotop.nono.Tertio et concello quomodo sumitur procom de mente Ammonii
attulimus gratia explicentur omnibus Aristotele. Quarto pro ea fine ratiocina,
pro proprium est. Locis quos adverbio quod nibuscarentibus pro definitio
positione fieri ex Heracliti sententia via relinquenda non est docentes, fine uia
eius contemplationem medio. secundopofter.46. incommens damus, tenebrisan;
circumfufi more feramur, est igitur enumerat: tray in incertum imperitorum via,
illa quam toti logicæ Aristotele to magno est. coniung nomine et verbo. Pris
.primo poft.2. secundo poft. & ratiocinatione ex hypothesi. Secundo supra retulimus.
& hic accepit sed quem modum Aristotele hic fert. Ex hisitaque patet; Arit,
resconsiderandas acceperit, verbum nullum proj (3 ea considerantur. Quod si
orationem ante etiam posuit et tractavit, non nisi ut genus commune
enunciationis, ad uerbum. O D iii 11 rum ordinem pofuisse) tanquam subie&ta
& tertio prædi num triplex poteftelle consideratio: primo ut absolute Cara,
quideorum, scilicet ponere sive constituere. Sed (ci G gnificant simplices
conceptus. Ita in prædicamentis cons [citorcum primo post.42.in parva commentatione:scieny
fiderantur. aliomodo secundum orationem, ut partes tiasitunius generis fubieéti,
quçcúq; exprimis componitur, sunt enunciationis: f icadhuc librum spectabunt, propter
& partes et PASSIONES horú sunt pse.igitur duo sunt per reaenim (inquit) traduntur
sub rationem nominis: u et er se predicata, substantia sive essentia quæ per definitione,
& biut significant cum tempore aut sine tempore, intulit accidens proprium,
quod per demonlirarionem concluditur. etiam. & tradunturaliahuiuf modi, quæ
ad dictionum secundo post.12. & 20. Inmagno commento.curtantum
pertinentrationem, ut enunciationem conftituunt. sed quid iftorum proposuit? Ad
hoc dicendum mihi uiden quam vistant iuiri ingenium & iudicium semper cum sum
tur:ex primo poft.32.9 res quarüeifecf timperfe&um, & quafiinmente, non
habentuere definitiones. Secundo ponendum quod supra documus, res logicas ut
intrumen ta& organaartium &fcientiarum, ad proprios fines & quod satis
probatum est supra cum a nobis Ammonius notitiam explicandam referri. His datis
patet ad petitios eftr eprehensus. Præter eaut diximus nome et verbum nem responsio:
namdum Aristotele quid prædi & orumponen simplicior asunt decem vocum
conceptibus. Amplius dumpropofuit, & propriosfinesquiipsorumpropriafer
rationoininis & ucrbi, & fi ut materia adorationemenun rendicuntur
accidentia,anteposuilledicetur.sicenimora, ciatiuampertineant:tamencorumrationesfuntcommu
cionem definiens (enunciatilia (inquiet) nonomnis: sedin nes,nonadorationem
tantum contra &æ.ut prædicari de qua verum et falsum explicatur et nomen
quod uoxfitfi vocibus simplicibus prædicamentorum non possint, licet
significatrix. Requirit secundo Ammonius a quo Sancto Thommas cum divo Thomas in
ultimo suo dicto contra Ammonii opis mas accepit. Side simpliciumuocum essentia
in prædica; nionemconsentiam: nomina et uerba in hoc libro tracta mentistra
& auit: cur hic iterum repetits respondet Ammonius. ri,ut cum tempore aut
sine tempore significant, & non solu unum quod supra tanquam falsum
reiecimus. Nam et fi hæc significare dicuntur, sed& alia huius modi
quæperlig verum dicat. Ut robique easdem res subicto, rationetas nent ad
rationem di&tionum. Licet ipse subinferat, utes mendifferentes finiri: nihilo
minus differentia quamaddu nunciationem constituunt. Non solum affirmatigam
enun cit est falsa. Dum inquitin prædicamentis voces (implis ciationem, ut
Ammonius afferebat. Si autemista verba, ces considerariut indicativæ sunt rerum
simplicium. quæ Sancto Thomas referret addi &
tasuperius.utdiceret.qiftainhoc
quandocumtemporismensurasignificant,uerba:quando libro traduntur sub ratione
nominis et uerbi & aliahuius, finetemporecum articulisexplicant, nomina
sunt dicen modi, scilicet tradunturquęadrationempertinent diction da.
quandopars affirmationisuel negationis, dictio: cum num, tuncinternomen, &
verbum et di&ionem distingue autempars syllogismi, terminus. Sed primum
inassignay ret. Sed primum de mente sua verius credo. nam alii
tadifferentiadubito: quarationeun quamfiet: ut subftan teridemdi& umforet
contrasequodin, Ammoniumdie siaperleexistens significari possit cum motu
?maxime ximus. Postular Ammonius et Sancto Thomas curaliisoras cum
prædicamentares sint completæina&tu.namquinto tionis partibus missis, solum
nominis et verbi considen metaph.14. septimom et. septimo. primophysic.13.ens
rationem præposuit? addituretiam. quialibropoetico, quod est, aut existeredicitur,
indecemprimasres, seuuo cespartitur: quo ergo significari possunt cum tempore!
nifi diceres ut sunt imperfe et cres, & in motu cum actione, et passione et
generatione lubstantiæ alteratione qualitatis augumento quantitates et ex
accidente mutatione eorum quem ut uo referuntur. Scundo nec dubium solue revidetur
quod dicit. Sed falsum etiam est in prædicamentis rum orationis partes
enumerans, inquit septem elle. Elementum, syllabam,coniun &ionem, nomen,
uerbum, articulum, orationem. Ad hoc breviter respondent alig qui Aristotele omifisse
quediximus, tanquam inutilia et ad rectum poetarum metrum spectancia hic solum
mentioq nem fecisse nominis et verbi: pista sunt necessariæ pars tes
enunciativæ orationis, inquo, Ammonio non aduery voces
considerari,utadfimpliciúrerumcognitionédedu saturnecdiuo Thomas & fi
oratio enunciativa quando que cunt. Sedinftantaliqui. In prædicamentis,
Aristotele finiensin conftetexaliis, nonnecessario,simpliciter,omnitempore,
quit. subftátiadicitur.sedquamuanèrefpondeantexAril. quintometa.14.&
Alexandro Aphrodiseo exponente cognoscant, secundum se inquit vero dicuntur quæcunq;
predicamenti figuras significant aut secundum Boethium quæcunque figuras
predicationis significant. Itaq. Per Aphrodiseus quod a nomine, vel uerbo
deducitur:lig verbum hoc dici et significare res simplices, prædicamen ca ad metaph.
Non logicum pertinent: sed ut decemu04 ces, resmediis CONCEPTIBUS A POSITIONE
SIGNIFICANT logie corum considerationi convenient.Tertio dubito& tan cuti
et legendum, et navigandum alegere et navigareuer bo originem ducunt. Similia
dici possunt de explicatione Alexandri. Quautitur Ammonius dum deuerboconsin
dcrans Aristotele inquit. Verba autem secundum se dicta nomina sunt id est simplex
habent significatum nominis86 eius simplicibus partibus simile, ex quibus constatoratio.
itapro Alexandro dicendum. Aduerbia plurima ex parte quam vanam explicationem
existimo, dictionem, fcili, cet affirmationis partem vocari. Nam quid interest
dicere nomen et verbum vocem esse SIGNIFICATRICEM A PLACITO et afferere nomen
et verbum dictionem esse ihuiusmay deduciauero nomine aut a parte orationis
simpliciquæ nifestum indicium ex Aristotele sumitur. Qui ipsam orationem
definiésait oratio est vox significatrix, cuius ex partibus aliqua separata
significat ut di&tio, verum non ut affirma, tio) ergo idem est dictio, quod
nomen. Ut habet translatio Magentini. Et uerbum. Ergo dictio, orationis communis
pars erit, non affirmatione stantum. Nisi per appropriationem dicatillud. sed
Sancto Thomas vidensuocesalo, gico consideratas non poffe decem simplicissimas resnis
fime diis conceptibus explicare (itaenim secundo intely uim habeat nominis. Et
ita si quando goriatura uerbo, nihil Alexandri et Aristotele sententiæ officit.
Sed cur particis pium, quoquam se pissime in demonstratiuis scientiarum
sermonibus utitur, tam hicquam poeticorum libro relis quit? Ammonius dicit, quia
ad nomen et verbum reduciy tur. Aliiuero (quod idem sft) dicunt.quia pars
comporis ta non simplex orationis dicitur. Quæ responsio magis perspicua et
euidens iudicio meo est. Nam primo pos ter, secundo, præposuit dupliciter præ
cognoscere oportere, leda siue secundæ intentiones dicentur, nonu tres linere
alia någquiasuntprius opinari necesseest. alia vero quid lationibusdenotant. ad
philosophiam naturalem spe&an eft quod dicitur intelligere oportet. sed cum
duas propos tes& metaph.) aliteralseric, fimplicium(inquit)di&tion
nerettresenumerauit. &adhocrespondet Auer,optertia ma ueneratione
sanctitatis probarim :in hactamenre' sponsione dissentio: cum decemuocesnon
solum limy plicesconceptus:sedresmediisconceptibusexplicent: loco,&
subiecto :& non nifirefpe&uhorum .ut pronos men loco proprii nominis.
Adverbium tam hic, quam in libro poeticorum relinquitur, uelquiautAmmonius ait,
modum dicitquo prædicatum incit subiecto . aut ut Грее
species compofitaeftexhis.dicasetiáoduaspræposuit necceffarias signum est
q Aristotele dixit (dupliciter præcognoscere oportet :& quia lunt,opinari
neceffe eft:& quid in telligereoportet.) ad tertiam vero præcognitionemder
scendens,fineullonecessitatisuerboadditoait.(quædam autemutrag:)
namcompofitaquæeffe&am tertiamnas turamnondicuntdistinctama
componentibus,explicatis neceffariispartibus,
coniunctimexhisexplicariintelligun tur:uerum quicquidsitdeArist.
textu&rationequamdi xi: sufficiensrefponfiofit: qhicdefimplicibus partibus
Aristotele loquitur,qualenonestparticipium. Coniuns &ionemomisit,nonquia
inutilis,quoniam .infra(quod ipseconfirmat hic, & fupra contra Boethii
opinionem adduxit) Arist. diuidet orationem enunciatiuam in unam simpliciter
& coniunctione unam: quæ neceffarioconiun &tionemexpoftulat. Necexomisitut
Ammonius et Sancto.Thomas quiapars orationis non est sedparsconne&ensatque
coniungens. quoniam Aristotele coniunctionem poeticælos
cutioniannumerauit,tanquam orationiselementum.Item incap.quarto Auerdicet,q
Syllogismuscöditionaliseft unusperunam copulatiuam .Gifoloriturergodieseft.
ficut predicatiuus est unus per medium terminum. sedhic medius terminus neceffaria
est pars prædicatiui sive CATHEGORICI cay thegoricifyllogismi. ergoconiunétiosyllogismiexpofis
tionefiuehypothetici.Hinc etiam contra eos fequetur inutilemconiun
&ionemnonesse: sed hypotethicofyllor gisino necessariam: ut medium
terminumprædicatiuo lyllogismo.Aliisentiunt proptereaconiun&ionemomiy
filfe:9 de enuntiatione una simpliciter demonftrationi seruienti, nonconiun
& ioneuna considerat. fed hanc reo sponsionem suprareiecimus: earationeq
hicliberetiam ad librum priorum dirigitur,proximam syllogismo hypothetico
positionem seu præmislamelargiens. Itemin
hoclibro,capit.quarto,propofitamenunciationemab aliis oratoriisac poeticis
seligens, in has duas partitur. itidemq; definitaoratione in libro poeticorum
eam in hasdistribuit feudi uisit species. Dicendum igiturnobis uidetur,
proptereahic relictamconiunctionemesse,quia facilis, &Arift.
sufficienserateaparua cognitioquam tradidit in libropoeticorum. Aut secundodicasquor
demonstrativa (cientia. Etsecundo poft.1oo. iuxta ordi niamhic propofitú est
deuocibus neceffario SIGNIFICATRICI nemquem compositiuum aut componentem
appellant, pri bus agere ad interpretationem per voces clariores efficie endam:
quęoémorationemefficiant.namhiclibercom muniaprincipiaexplicat. Dic secundoq in
libro poeticorum cap.septimo, coniunctio fignificationis est expers: quade
causa definitioni, quæ perfectaoratio eft,nondeses Post eaquid eft negatio, o
affirmatio:& Enunciatio, u Oratio, Deinde quidsitnegatio,a affirmatio,o
enunciatio, oratio . mo genus,quid syllogismus,indespeciem, .demonstras
tionemcollegit. Pręponens igitur hic ista duo tangfinem unum integrūperse ex
genere & specie constitutum, primo ait enunciationem, deindeoratione, non
ita per se intenta: nobis innato aminus communi ad communiora. Sed hæc
responsio improbatur quia. Si ordinen obis innato, seu aminus communi &
imperfe &oincipiendum est, cur latus ordo ex accidente euenit, ut quando
gabimperfer &o furnatinitium . quia in libro de animal secundo, tex. tura
Magentino cum universęres (quas universalia dicunt) singulis pr æferantur,
cur hic non primum de oratione & genere, deindede enunciatione affirmatione
& negatione exorsus fit Aris.sed primum a nomine & uerbo:namauta
nobilior iinchoandumerat, aut aremagiscõi, utordone ceffariusseruaretur, non
anobiliori,cum negationem affirmationi prætulerit. nonacommuniori,
quiaoratiofuif setanteponenda. Responderipse. solerequandoq; Arist.
hocfacere,&arecommunioriquæadfingulasresfpes
&antincipere:quomodohicdicitanominefignificante
substantiamfiueeflentiam&auerbofignificanteaction nem,seupassionem,
Ariftot.inchoare:sedquareiftum fecundumneceffariumordinem internegationem&
affir mationem,enunciationem & orationem nonferuauerit,ut Gbioccultumomifit.
Præter ca enunciatio utfinishorum materialium principiorum prenstantior eft,
ergo antepor nendafuisset. Amplius nomen et uerbum, nonideocom
munioraeffedicimus,qfubftantiamautaccidensfignis ficaredicuntur,sedquoces
fignificatiueapositionelunt, non substantiæ aut accidentis,ut naturæ terminatæ
,sed communiter omnium.ratio ergo eftfumpta a processu re foluente finem in
causas & principia prima intra rem.itas quecum orationem nonomnem, sed inqua
est verum et falsum, ideft enunciatiuam, ut finems peculetur, & hæcex
nomine et uerbo, u tmateriis, constituatur necessario ers go primum dehis ponendum
quidf snt: deindecóplebit reliquas partesprocessusresolutiui.sedlubieêtum,utto,
tumpotentiaprimasspeciescontinens,cognofcinonpo teftfinesuis speciebus, ficuttotumconftarenonpotnifiex
suis constituentibus principiismaterialibus:ergodeindede his quæ ad finem
propriú diriguntur, dicendú, quid oratio et enunciatio, ut completes finisele&us
habeatur:quiahęc in affirmationem & negationemdiuiditurincap.4.utpris
mophy.intelligere&scire,ideftintelligerescientificum: quodAuer. finemrerumnaturaliūpofuit.Itemgenuscú
principalisuaspecieunumfinéconstituit,aceaunoproce mio proponuntur&
epilogocolliguntur:utprimoprio rumdesyllogismotradaturus, resoluentemprocessumef
ficiensaprincipalifineinchoauit:dedemonftratione & Propositis
communibus, ut materia, principiis ,quæ per se significantiaomnem orationem
conftituunt: nunc de coniun&tis ex hisprincipiis& conftitutis proponit.pri
mumq; ait (Deinde, ut diximusex Ammonio, ordinem
&urumproponitderebusomnibus:deindedeelemétis,
denotatprincipiorumconftituentiumadresconstitutas. &deomnianimapriusquamhacautillaanimaratio
( Po f t e a (inquit) quid n e a t i o affirmati o &c Hic quæris
igitur & causa ordinisa dnoscelatiestanotioribus nobis Diiii gationé
affirmationi prætulerit. Ammonius ait
priusnomenperfe&tiusposuit?Iteminsitus,& adnosre
66.asenfuuisusincepit.ut Auer.aitineodem libro.co. 77.& tertio, de anima
de intelle&tu priusquamdesecuny. dum locúmotiuapotentia. fimilitersecundúaccidenseft
ut a comunioribus fiue minus cómunibus procedamus. N a m de generatione
confiderans de eageneratim sedin ruit: & fi per se non significat (utait
Aristotele licet significa, demonftratio intéditurquamfyllogifmus.Etprimophy.
tionemnonimpediat perfeadhunclibrumnon(per primofinemproponensrerum naturalium primum,dixit.
&at,quietiampersesignificantiaprincipiautmateriasspe
(quoniãintelligere&scirecótingit,)ideftrationemellen culari conftituit.quarenoninutilisquidemcõiun&tioerit:
tiamacnaturamipfarum,indescientiamperdemonstras
sednecneceffariaparsfignificans,orationiperse,ideft, tionemacquisitam
ratione& eflentiapofita,& explicata omni
conueniens.oratioautemdiuisainspeciesduas, perdefinitionem,infineexplicando,nobiliusexplicauit,
quas monftrauimus, conjunétionem a poetica,uteiusparti
acmagisintentum.Sedadhucdubiumremanetcurnes utilem ,mutuo accipit. fed ad
enunciationem relatam .ut primo priorum ,prius TEX.BOETHII. ordine ad nos
relato ,ab imperfecto ad perfectum procedit :&
tum.negatioenimdiuisionemcontinet,affirmatioautem in compofitione
consistit.negationé igitur affirmationi præposuit, & magis ad
partesaccedir,compositioautem ad totum .Sed(ueniatantiuirifitdi&um
)negatiomagis composita dicitur quam affirmatio, cum additione negan
cisparticulæ,affirmatio efficiatur negatio .Ad rationem orationem quatenus ex
luis materialibus principiis cons harum alterutrapræferatur. Sedcontra
dicimus,pris mo hic liberad demonstrationem dirigitur, utipsefal dem , fic nece
æ de m voces . Quarum autem hæ primum notæ sunt, eædem omnibuspaßionesanimæfunt:&
quas rum hæ fimilitudines, res etiam eædem . Sunt quidem ergo hæc in uoce,earum
in anima paßios admodumnecliter&omnibuscædem,ficneceædemuoces. sentienscum
Magentino) reprehenditura Sueffa. adiu mentum seu commodumin proæmio, nointra&tatupræ
do) secondo phy.tertio.(natura est principium motus et quietis, per se et non
secundum accidens) ita que ex his
positissequiturnegationeminftrumentumexplicanscon fitioneformam eflentiamq;cognoscimus)hoceft.agen
rium& dirigentiumadipsas.) oportetigiturantecogno!
scereeaexquibusestdefinitio:proptereaq iftapræcogni tetur, quææternorumeftnonautemadeaquæpossunt
ponitur. diceretenimilleutilitatemtotiuslibri&fubiecti esse et noneffe.Amplius&fiinuno,quoddepotens
anteponenda, nonutilitatem cognitionis,perquampro tiaadactumeducitur, non effe prius
fit eo, quodeft: pofitad eclarari, ac definiri possunt. meæ etiam rationi
nontamen simpliciter inomni natura: cumea,quępoten responderet. In sequentitextu
commodumqualefitex tia continentur, nonnisiaba&tu, aceoquoduereeftin
plicari: sed quaminordinateacfinearteidfaciat,uides actumedantur.prætereacap.quartoenunciationemin
rintalii, retamenidemcumAmmoniosentit.quiait Ari.
hasduasspeciesdiuidensinquit.(Prima autem oratio docereuellenomen&
uerbumquorumfinitionespromi enunciatiuaeftaffirmatio,deindenegatio)crgoanaloga,
fit, voces significativas esse, quod ifferata uocibus nonli aut per rationem ad
aliud nonç quediuifaparticipaturab gnificantibus, ut scindapfus:docetớ; quæ
inprimis,ac utrii : feddehocfuolocodicemus. ficut Ammoniusdi proximeabipfisuocibusindicentur.
conceptus, fcilicet durumpromittit: Mihiquodueriusprobaturiftudeft, primo: quorum
interuenturesexplicantur.quæomnia, hic affirmationem et negationem numerariut
plures species enunciationis, id est oppositionem contradictoriam erficientes.
Quæinfinefectionis fecundæ,inhoccons
fiftit.utaliquasedeiiciant,deftruant,abiiciant,atque ne gent; inhocautemefficiendopotissimam&inprimis
uimhabetnegatio. Quade causaibiprimumabArift.nu meratur, utsecundodeanima.27.cum
speciesfubie &ti fintplures,exenumerationeipsarumpręcognoscituresse, id
uerum in demoftratione, itidemindefinitionemons
quodanteponendumeft,priusquátra&atuscognitioaut definitiohabeatur . Secundo
sciendum primo topic. ofta 10i2. Oppofita secundum contradi&ionemprotenfaals
terumoppofitumexplicare.Et primopoft.o&auo.inan tiquacommentatione,(de omni
eftquod non inquodam quidem fic,in quodam autem non. nec aliquando quis d e m
sic, aliquando quidé non. Jitidem & tex. quinto (scire autem simpliciter opinamur:
fednonfophifticomos nitionis: quafimplici conceptu fine assertioneseucompo
iun&a & diuisa, notioremessequamaffirmationem.nam
ta,adeamhabendamnosdiriguntatqzillamexpræno/ attenderefolemus diligentius ad contraria,
ut nobisads uerlancia,quameaquæfuntnobisinnata. hæcautemafs firmatio, illa negatio
explicat perexterna, explicantia tisefficiunt. Arif. igiturquoniamdixit(oportetnoscon
ftituere, fiue ponerequidnomen, & uerbum &c.)&com
muniterhæceruntuoces significatiuæpofitionealięfine quodammodoalterum.sedcumiplespeciesexpropriis
very explicatione, alięcum vero.iccircoiftatriaantemani
principiisinternisdefiniuntur,I uxtaipfarumnaturam, feftat: nesuedefinitionesfineratione&fineeaquamipse
proprietatem, &utadcommunegenusproportionale tradiditarteponantur,at
constituantur.Inhoctextu (euanalogumreferuntur,finiendasuntprimo,modohic
inproæmio negatio præposita numeratur, ut inftrumeng uoces
essesignificatiuas:quod Ammonilis exponens cum tumefthabensellenorius:secundoautemmodoinfrain
Magentinoaitquattuoradhocutilia effe:rem,conceptú, tra&tatu& propria
definition subsequitur.itainfra,intely uocem, &literas. Amm.autemait Aril.inchoare,nona
le&usquandoplineueroeft& falso: circa compositio/
rebus,quæperse,necfimplicessuntneccompofitr:(id
nemenimeftfalfum&uerum.Queruntnouissimecuruo
enimhabentconceptus)sedauocibus,tr"finequibusdis cem
omiserit.sedAris.infriadhocrespondebit:utsupra sciplina&
præceptiofierinonpoteft aitą;nullamfacere etiãanobisfatiseftdi&ú.Proptereaadaliacótendamus.
Aristotele de literis mentionem.gnulliusuifuntadproporto & fiuerafint, diminutetamen
ponunturcum aliammay gis intentam differentiam (significare scilicet a
positione, non natura) relinquat,quamtamenAlex.&Pfelliuspro sequuntur et in
expositione tex. Ammonius A uer.ato
aliinonomittunt.unumergo&idemcumhissentiens, eorumueritatem confirmo. Cumnominisdo&rina&dis
sciplinaexantepositafiuepræexistentifiatcognicicne, ftretur,&
testimonioAuer.confirmetur.primopost.ses cundo.& Arift.primoMetaph.48.&
apudAlex.83.pri motop.quarto.(oportetenimaitArift.exquibuseftde
finitiopræscire,fiueantecognoscere.)& Alex.inquit definitioperomnia nota
& precognita procedit & Averroes primopost. secundo.fic.(etiamuerisimileefteffedispofi
tionem fpecierum prænotionum conceptionis (ideftdefi
unumeorumquædiximusexplicatur,nomen& uerbum primo phy.fecundo.hec
autem quandog imperfe&tiora, TEX. BOETHIL. Suntergoea,quæ
funtinuoceearum,quesuntinanie quandoyperfectiora,minus communia autcõiora.Ma
ma,paßionumnot&,o eaquæ fcribuntur,corum,que gentinusaitq cum
euidentiadixerit,abhistanquáabdi tis&occultisabftinuit.S.Thomas dicit gquiaAril.cępitapar
suntinuoce.Etquemadmodumnecliteræomnibuse&s tibusenumerare:ideo nunc
procedit a partibusad tol adducam dicitur. aliudeffe dicere num note: O quæ
fcribuntur eorum in voce . Et queme
procedere,quiamagissensatasunt.3.deanima30.39. , inftrumentum ,seu Atat, essemagisminusuecompositam:aliudfinemhabes
paßionesanimesunt,o quarumbæfimilitudines,res quoquecedem .
reutalterumconiungicum altero,autfeiungiabaltero enunciet. secundum concedimus:
sed exillo affirmatio nis naturam magis compositam esse, sequi negamus sed
Magétinus dicitq enumeratis nomine,& uerbo,& aliis eorum
definitionestradendæ erant,quas ponereconstis tuerat.SedhocAril.nonfacit:sedcaputproponit.quod
nobisadiumentoerit:sedquodfitadiumentumnonexi plicat,necincrepandusame
eritutHerminius(idem negationis potius. Secundorefpódetp in hisquę poffunt
efleXnonefle,priuseftnoneffequodfignificatnegatio,
quamefle,quodexplicataffirmatio:sedutspeciessunt
æquegenusdiuidentes,suntfimulnatura,nihilgrefert Quorum tamenhæc primum notæfunt,eædemomnibus
i ta con lacontemplanda.Quod fiitaest. Curergo iftorum quat
passiones seu conceptions esse omnibus.easdem :idest tuormeminic? Etsiinfralongioribus,nunctamenquod
ellea natura: Expolitoresnonexplicant.quadecausa, ad rem pertinent dicamus,&
brcuiter: finem huius libriin terpretationemesseut fuprapofuimus .hæc autem
utlov gicum inftrumentum & organum cognoscendi,ad expli
cationemrerumdirigitur,actanquamultimum & perfe netemere&
fineullarationeiddrift.pofuiffedicamus. notandum
,sextotopi.14.inexplicandispartibus defini tionisoppofitorum
,nontantumopuseffeoppoftiscum negationepræpofita,fedetiamrebushuiufmodi,quiz
intentumfinemrefertur.interpretatiouerorerumnon
busdefinitiofeudefinitionisparstanquamhabituiconue fit nisi per uoces clariores
significantes a positione , aut perl iteras (cum uoces defuerint) propter eanecresomi
lit, sed tanquam fine multimum&inprimisintentumpor
fuit.tertioenimmera.6.7.meta.23.nemodefineconsuls nit:nam
persehabitusperpriuationesnoscuntur:licet quodammodo (ideftut Commentator primo
pofter, 133.1nmagna commentauone & primorheto.cap.quin toinepitomatibus logicalibus)
explicet alicuigeneriha minum priuatio, atqueoppofitum cum negationepræs
posita,alterummanifeftet.quamobrem topicaloca con
ftituunt.Qomnibus,autpluribusitauidentur.Cum igis
turfupraexplicaffet,liocesfignaeffeapofitione,exappo
fat:fedftatuitatq;ponit:sedquomodo& perquæisfinis eueniatde liberat.nam
primo ethico septimo, fifinem tanquam exemplarhabuerimus,magisintelligemusquæ
nobissuntbona.& feptimopoli.13.inprincipio:Duo
funtinquibusomniscommendatiobeneagendiconsiy
fitocumnegationepræmiffa,nunceademexplicatpary ftit.unumutpropofitum
acfinisrecteagendisubiaceat: alterumuteasquæinillum sinemferantactionesinuenia
mus, resigiturhic non relinquuntur sed tanquamfines explicandiponuntur. Nec
literæ fruftraab Arift.nume ranturcumuocumfunganturofficio:hisq;principibus
explicatis,& quæ scribunturapeririintelligimus.huius
enimcaulaquæsuntinuoceconscribimus,utabsentis
busuocibus,resconceptascertius,uberius,&firmius teneremus.quæ enim
uox,totphilosophorum,anobis abfentium,sententiasunquáaperuitadquaseorumlibri
nostam facilcdeduxerunt,utpossemusaliquandoquid ticulamexoppositopositiuo.passionesenim&
respros prereaq eædemsuntomnibus,naturasunt,nonexarn
bitrio,&pofitione.exoppositouoces,acscripiuræquia non sunteædem,apositione,
no natura significant. Hinc etiam differentia vocum a positione et passionum siue
conceptionum & rerum colligitur. & approbationem intelligat, ex græca
particular aperitur. quædicitiwvwww quorumquidem. Quæparticulacausampropofiti expliscat,
non controuerfiam . Quioaduerba, Ammonius pris mumobseruat.qcumdeuocibus&literisdiceret
Arist. ait. quorumexsignasunt. sed passions similitudinesre senserinteorum scripta
fæpiusrepetentesagnoscere: No rumuocauit. Quia simulacra rerum naturas,quoadlicet
igiturut Ammonius dico nihilo pusesse scriptis.seddico,
representant.utinpi&uristidetur.inquibusmutarefor magis fuisseconueniens Arift.
nomen& uerbum &c.des mas præsentatas non licet.litin Socratepitto calvo,
fi finireperuocesquæin disciplinis quasaliocertoduce
mo,oculisprominentibus.signauero¾totumha. perdiscimusfacile)primas
tulerunt:quam perscripta: bentabimpofitione,& cogitationenoftra,utinmilitum
quibus peritiocculta cognoscunt,& percepta declarant , signis,& notis diuerfisa;
inftitutis conspicitur.Sedcong Nunc adliteramueniamus ea quæ in uocesunt,cons
traquiasecundopriorum.27.deenthimematetractans. fi stunt,autcontinentur,suntfignaseunorę.ounebonorenim
duo hæc fignificat.(earumpassionum ).i.eorum conces ptuum
:quospatitur,ideft,utformisperficiturphantafia, mens, seuanima,ut Prelliusait.&
quem scribuntur SIGNA ac NOTAE funt eorum quæ in uoce consistunt.Etquemadmo
gnificans.quiaidemuerbum,lignum,¬auocatur. dum necliteræomnibusexdem
ficneceædem uoces.} Explicata prima definitionis particula,núc ad fecundam
accedit quoces a positione significant. Idqueapprobat Arifto.ratione fumptaex oppositocum
negation prol tensa. Quodquodammodo notius, alterum palam facit. primo topic.o
&auo, hinc facileconfirmatutexperimen 10 Arist. quodsupradenegationeantepositaaffirmationi
docuimus ratione,fedoppofitumeiquod eftapositione elle,estelleanatura:quæ eadem
omnibusineft.exops positoigiturratioinhuncmodum formetur. ad conclus fionem exfimilinotioriinlitterisinnuendam
, idnatura effediceturquod eftomnibus idem ;naturaenim princiy piumeftperse&
deomni:quæigiturnonsuntomnibus eadem ,nonnaturasuntautsignificant.anegatione
proy Prætereasihæcdifferentiaueraesset,acillamAristot.ex his uerbis
intenderet,his tantum nominibus pofitis fuffin cienterexplicasset,dum diceret. Propterea
quòd uoces & literæ SIGNA ac NOTAE sunt, a positione significant: passiones
uero & resquiafimilitudinessunt, a natura. Itain finiendo nomine& uerbo
sufficeretsiduntaxatdixisset, nomen&uerbumestnota.nonigituraddendumquog cesfintapositionefignificantes.&
hicomittendumfuils set,quòd uoces& literæsuntnotæfuesignanoneadem, neidem
calu, actemere refricaret. Mihi ita sentiendum uidetur. Ovuboloy superior NOTAM
(NOTARE, NOTIFICARE), SIGNUM (SIGNARE, SIGNIFICARE), VESTIGIUM dices re. quæ
ita dicuntur. quiaut notiora exterius NOTIFICANT, ac ut VESTIGIA pedum
significant. Hoera autem ,ideft passiones, sive conceptiones, non ita: quanuis interius priæ definitionis ad
negationem definiti.hęc propositio, similitudines rerum vocentur: rem
tamen& fiinterius, quia perspicua, approbanda non eft:sed lumiper fenoi
exterius non aperiunt.proptereaigitur uoces et literas fi, tam oportet, alibiquodammodo
declarandam:Allumy gna& notasuocauit,& passionesfimilitudines:quiaille
prio ,ideftminorpropositiointextuexoppofitocumne exterius, hæcinteriusmanifestant.
Secundoexdictisfaz gatione præpofitanotioriinliteris.(&quemadmo!
cilereprehenditursyllogismusquemSuellaformauitex
dumnequeliteræomnibuseædem:ficneceædemuol litera.dum afferit Arifto.uelle probare
uoces & literas ces) conclufioconsequetur. Igitur nec voces a natura sig
quumeuarient,apositionehaberi,conceptionesuero& gnificant & nonomnibuseç
demerunt. Quorumaux res, cumnoneuarient,naturaeffe. hoctotumuultelle tem.;Approbataminoripropofitioneexsimilinotiori
præceptum& complexionem fiueconclufionemadqua
inliteris,inquibusidemprædicatuminuenitur.nunc inferendamait Aristotele intexturatiocinari.
Quæcung sunt aliaduo, conceptusfcilicet, seu passions & resmanis aliorum signa
vel notæ, positione fehabent. uultdeinde festata naturaeffe:& ita ead emomnibus,
inquit(ledpal, quòdassumptionem ,ideft minorem Arift.ponatibi.{funt Gones animæ)
quarumhædi&æuoces.(primum)nuly quidemigiturquæsuntinuoce&c.}ideftfed nomina
& lointeruentu,noræfunt(hæanimæpassionessuntcæs uerba. Et scripta suntf
sgna et notæ. aliarum, voces, Ccili demomnibus:&
resquarumhæpassionessuntfimilitus c et conceptionum ,& (criptauocum:sequiturcóclufiout
dines,etiameædem funt.) Sed cuiusgratiamanifestat putatibi. (qaemadmodumnecliteræeædemficnecuos
Aristot.ipfumdefiniensait,syllogismuseftimperfe&tus: exfignis.ubieodem
uerboutituradexplicandum69 gnum naturale,& fignum apositionc.uana
itidemerit, assignata differentia Magentini . non fita positione ceseædemerunt.}
ubi(fic)ingræcononhaberiaffirmat: tur. Sed primær esponsionispartitio, feudiftinétio,
quo quodmanifeftefalsumeftToosenim (sic) latine significat nammodo fituerainprimosuomembro,supralongios
{&quemadmodum&c.}ait(&)uimhabereinferendifæ ribus disseruimus.cęteratáquamueraprobanus.Seddu
pe consueuisse.Sed obiurgandus est Ammonius :qui lis gnum,& notam
aitapprobationem,ideftprobationem bitabis Vox significatrix est per se genus
nominis & uery bi: igitur vox erit gencris pars communis, per seunum constituens:duoigiturconsequuntur.primúnaturale,unā
perseconftituerecum artificiali,&ensrealecúenteratio, nis:secundopartem
efle intotoniinuscommuni:signifi care,scilicetapositione,effeinuoce,quæeftmagiscomo
munis. Qui modus improprius dicitur eius, quod est in esse.q nomina,& uerb auoces,
& scripta a positionef sgnificent:cum secondo priorum27. In Epiromatibus logica,
libus,derhetoricaperfuafiua,& fyllogismo.cótradičoria
fignaenthimematis& demonstrationis, & topica etiam, non a positione significent. lignum ergo, et
NOTA, commune est ad signum, quod EX ARBITRIO ET inftituto signifiy alioelle. quartophy.Adprimum&finihilhicneceffario
cat,& signumnaturaconsistens.Secundopropriaeiusra
tiocinatioconfutatur:nonenimunusestsyllogismus in textuquen suo arbitratu diuisit,
sedduo. Vnusquonos minaAristot.&uerbauoceseffefignificatiuasdeclarat:
quodamedi&um est Paulo antedum primum in textum hoc modo (quæ suntin voce
sunt notæ et signa) scili, cet significantia exterius (earum quæ sunt in anima
passionum.) minor siue assumptio, utpofitiopersenota,ap
Aris.dubitarem.reslogicasuthabentesesseimperfectum & quafiin cogitatione ut
fubiecto:inuoceutfigno,aliam naturamullam sortitas non effe, quam eamquam anima
probationis nonindigensponetur. Cum nomen & uers exarbitriofinxit: ut ad aliud
fignificandumexteriusrefe bumdefiniet,fednomen&uerbum funtfignaseuuoces:
ratur.ficutea,quæartificummanuseffingunt præterna itaq; maior, ergo &c.propofitioallumptaest,utperseno
turæopis,lignum,scilicetæs,aurumue,nilreliquumha ta. Signum est illa græca particula
(quidem igitur) quæ bent, nisi quodarsuerapersua inftrumenta hocuelillo uel executionisfitnota,
uel fineulla approbationeexpro positis inferens,m e a m sententiam confirmabit
id effe fine approbatione aliqua pofitum . ut communiter affertum abomnibus:Secundusfyllogismuseritibi.(Etquems
admodum &c.) ut secunda pars definitionis ponatur, significare, scilicet a
positione. Quod tanquam perfe notum, nondemonftrat, sed quia non
omnino,cinealiy qua controuerfia eft confeffum.proptereaquodam modo ex opposito
cum negatione præposita manifestat. Quod inscriptis eft manifestius,
apofitionefint;& eui dentiuscóftantiusq;manifestent.Syllogismusigiturerit.
quæ non omnibuseadem suntillanon a natura (quæ in omnibusuno modoinuenitur:perseidem
inomnibus fimiliter operans ) sed a positione sunt ,& fignificant :
minorintextu.(Etquemadmodum necliteræomnibus eædem , ficnecuoceseædem
.}Itaquemaiorpropofitio fyllogismiSuessenonestadhanc inferendamconclufios nem
,quam nostra secundaratiocinatiointulit.& quæa
Sueffaratiocinationisconclufio& complexiodicitur, no
bisminorsecundisyllogismicumeiusapprobationeex simili literarum uiderur .nam
fine ulla controuerfia ( ut bene animaduertitAmmonius)fcripturæ&literæapos
fitione fignificant.licetquodammodo uertaturindus biumannomina&
uerba,nátura,utPlatouideturassere re, anaconfilio, ut Arift.sentit,significaredicantur.
hinc. perseunum conftituit cumuoce,naturaliopereanimaut fequetureum non aduerbaArift.nequefenfum
dicere. dum infecundasuaexpofitione afferit, quam Alexandri & Afpafiieffe
confirmat, hic Aristotele velle colligere similitudi singulare opus naturæ eft,
fedutindiuiduumabartefor matum. Itaquenecprimum sequetur, naturalecumarti
ficialiunum per se constituere: quianonutnaturale,sed néinterscripta et uoces.
Sedqexhocpredicato,fignifica utarteeffectum, formatumcumsuacausaformaliperle
reutnonidem,ideftapofitione:quodnorius,&firmiusin unum efficeredicitur: fimiliterres
logicas et placitum f19 scriptis uidetur. Infertidemdeuocibussignificatiuis,tan
uementisarbitriuminuocecontineri affirmamus:non quamgenereproximonominis&
uerbi et omnium alio tamenutopusnaturæeft, per seunum genus conftituit, rum. Quæritsecundo
Ammonius:cur Arift.nondixer fed tantumutapositione,&confilio, et cogitationefal
cit. uoces sunt signac onceptionum. Sed eaquæ funtin &umeft ,utuoxadhocuelilludexplicandumponatur.
Voce irespondet primum: cum triplexfitoratio,concel & ex communiimponentiumconfilioreferatur.Sica
pra, inuoce; inscripto:desecundahicloquiturfecuny mentisrelatione,queinuocead fignificandum
relinquis do respondet, voces naturae dimusficutuidere, audire:
aliudeftergouocesesse,utopusnaturæ,aliudnomis na& uerbaapofitione&
noftracogitatione,quæuoce utuntur,nam .quemadmodum ianua diciturlignum ,&
nummusæsuelaurum ex arte, quæ imponitfiguras& tur,uocemnaturæopus
,artislogicæinftrumentum , & opusartificialeperleunum,&
adalterumsignang dum relatum conftituitur. Ex hisadidquodsecuns do
consequebaturpatet refponfio. non enim inconuer
nienseftminuscommune,quodformam& a&umdig
characteres:eodemmodo&uocesdicunturnomina,
cit,contineriinaliomagiscommuniquodinpotentia cum alocutoria imagination fingunturacformantur,
fie exiftensperficiacformariabaliopossitminuscommu; gna eorum ,quæ
inanimouoluntantur,& talem sunt formamadeptæ:utex
positionefignificent.signum est uoxmutorum
articulata,quæquianonexcompofito& institutionealiorum eft,ideonomen&
uerbumnondicis ni.utdeintelle&tu & cogitatiua Auer.opinaturdeanima
altrice,sentiente& rationali.& ex Aristotele confirmaturses
cundodeanima. 30. De forma artis in materia. Poftremo
inuoce,perfe&ioplaciti,seuarbitrii,confilii,&pofitionis,
effetdicendum.sedmetaphyfico& naturalihæcquæftio difficilisrelinquédaellerbonitatis,tamengratia,quambre
uissime poterorefpódebo. Fed animaduertendumprimo
modoeffigiantiaprogenuerit.Hoc,alterumcomitatur, easdem res logicas,utsecundo
intellecta,ad logicam non ut scientiamsedartem spectare.namearuni,mentisare bitrium,utexternacausaefficiensassignatur.aquoeffig
ciunturea,quæartium&sciétiarumexplicationiconuer niunt .& inuocibus,acaliisnotioribusregulis
apponun tur.primopost.17. secundopofter.27. Tertioponens dum
octauometaph.16.noneodemmodo,omnium unitatis per se causam requiri. Alia nanque,
quæ matel riæconditionibusuacant,utintelligentiæ fiuementes,fta timens,&
unum perse sunt:Aliaquæ ex materiis cons ftant,unum
persefiunt:qhocidem,quodenspotentia erat;idem
fita&u:efficientetantumeducentedepotens tiaina&um artificialiaperseunum
conftituunt,secundo phy.13. secundode animao&tauo,non cum subie&tout
naturæ indiuiduum eft,fed ut arte formatum , viue effigia tum est : artis,ac
formæ artificialis esse recipiens . causa enimpropriacumsitars,& effe
usartificialequiderit. Ficutcauf apropriaindiuidui& effe& in aturaliseftforma
&fubftátia,effetumigitursubftantiaerit,itaproportione &
fimilitudinequadam,quædeunitate& definitioneres
rumartificialiumdictasunt:fereeademderebuslogicis, &
uocesignificatriceapofitionedicendafunt.non enim quod inuoceexconfilio,&
mentisarbitriopofitumest, quibus quibusuoxipsa, qualiformatur:&
denominationeexo trin.ecussignificareapolitionedicitur,atque,utaiunt, per
attributionem placiti ,ut formæ fpecialis, uoci , ut cantibus omnibus,nondefinitecontractisad110men,&
uerbum :nam uoxfignificatiuapartem communitsimam generis nominis & uerbi
& orationis conitituit non pros materiæ sive generi magis communi adsunt. Necincon
prienomen&uerbumtantum: Differentiam aut eniliter ueniens modusellendiinalioeft,minuscommunisinma
rarum abelcmentis quam Ammonius accepitaDionys
giscommunifiueformæinmateria,utSuetreuidetur,quo fio,lumasabArist.inlibrocnim
poeticorumait. Eles niamquartophy.23.Primus modusnumeraturpartisin
mentumuocéeffeindiuuduam:ergoproprieinuoce.sed
toto,tecundustotiusinpartibustertiusspecieiingenere, ad sensumpatetliterasparteseorumeflequæscribuntur.
quartusgenerisinspecie,quintusspeciei,leuformęinmai
Quæriturcurpassionesuocauit,&fimilitudinesuelfimu feria &c.NecualetfuaobiectiocontraPorphyrium:
lacra. Ut Ammonius dicit. Sueffarespondet proptereafie fequeretur Arist. Intampaucis
uerbis ambigue dicere. militudinesappellari,qarederiuaniur:passionesuero,
utanimum ipfum perficiunt:conceptus,utprincipilim, &
ratiointelligendi.Sedcontra,quiarecteAmmoniusin
terpretatur,fimulacrarerumdicuntur,nonquiacausa, taarebusutphantafmatibus fiue sensu
perceptis.sed quoniamrerumnaturas,quoadlicet,representant.utin
picturisdemonftrat.in quibus mutare,ac transformare
naturasreprefentatasnonlicet.Prætereaconceptus,nifi
constituanturnouarumrerumuocabula,remiamconcer ptam& cognitam supponunt. Non
igitur proprieprincis piumseuratiocognofcendidicentur:nisiutspecies&
phantasma, ut obiectum alumina intellectusagéus,eftdes puratum, utaiunt,
formatum et illustratum . Item non explicatquem animum
passionesperficiant.quianon mentemperseimpatibilein,utAuer.opinatur.Sedani mam
seumentem phantafticam,ideftexiftentem inphan tasia,utoprimePselliusexplicauit.attributiueenimmens
quiadudicit.{eaquesuntinuoce. sumiturutparsminus
communisintoto,ideftinmagiscommuni.cum uero
fequitur,{funtfignaearumpassionumquæfuntinanima} nuncfumiturutaccidens&
formainsubiecto.Sedcons traquiaæque ipfumin conueniens hoc fequetur: cumpla
citum ,fiue confilium ,uoci non hæreat denominatione interna, ideftintrinfecus.sedaconfilioimponentiumaty
tributú,utfigno:Placitumergofiuearbitrium,pactio,& mentiscogitatioeftinuoce
utsigno.non cuiextraanis mæoperationeminhæreat:sedpassionesanimærationa
liconueniuntutactueamformantesacperficientesetiam dum dormimus. Item proprius
modus elrendi in alio maxime dicitur ultimus,utinlocoueluale.aliitrans
lumptiue,ideftpertranslationem,utArift.& Commentator afirmant. Tertio
queritur(quod primo loco quæren dun fuerat) anperuoce,ergoaliquidexpropofitisinfe
rat, anexecutionisfitnota.S.Tho.aitexpræmissiscons cludere,hoc modo.quia
Arift.dixit{oportetponere quidnomen8uerbum&c.}Shęcsuntuocessigniíicatii
caduca&infirmapatibilis,&poftremoinhominesola mortalis.SedhicprimumquærocurfolumArift.passion
num & fimilitudinum seusimulacrorum meminit:Respo
deturcuprincipiointelletusfiuemensphantasticarerum qualiadumbratas
intelligentias & fimilitudinesrecipit, his ut patiens i l lu f tratur u t patibilis
intellectus. Hinc requistur, easfimilitudines,utanimam perficiuntphantafticam,
passionesuocari,perficientes, acillustranteseamnuilo contrarioantecorrupro. hęmecfimilitudinesdicütur
(ut oítendimusexAmmoniojurrerumnaturasquoadlicet representant.&
conceptus,utabintelle&tupatibiliseu possibiliconcipiuntur,autiam
suntconceptæ.Secundo ponendum intelle&tum patibilem ,idestpossibilem ad passiones
& fimilitudines (cum easprimumcócipit) conferri, ut poteftateeftomniailla, tertiodeanima.14.17.
quemadmodum tabulainquanihileftafcriptumfiuefir &um .Indeetiam
sequiturtertio.intellectumsemperesse uerum.tertio de anima 21. ideft non errare
.sed intelles Etussecundoprogressusultracomponitillaspassiones,
utsimpliciaintelle&a:&họcquandoßuerequandog falsecompræhendit (ut
infrasectionequintadatur opis nio falfa) ac
apositione,confilio,fiuearbitrioopinatur. Buntur sunt notæ eorum quæ sunt in voce,
nonautemdi dequibusAlexanderforteait.deeisdemrebusfæpe
uæ:ergooportetuocumsignificationemexponere,seu rectiusponere.ContraplacetSueffecum
græcisomnibus notam elleexecutionis:Sednecipsequicontradicitdiffi
cilerefellitur,nóenimdiuusTho.afirmat(ergo aliquid supra tra & tatum, seu, ut ipsia i u n t ,
colligere supra execustum, sed ex prædi&tisacpræceptisinferre,infraconfidei
randaspræcognitiones.utnosetiam diximus.&itaes xecutionisest nota. proptereanonuniuersatimeftuer
rum(quidemigitur)notam efleexecutionis,quæexan te positis no ntr a haturnam nomen
definiens, nomen (in quitquidemigitureftuox&c.)definitioautem nominis
exantecognitispartibusfequitur.fimilitersecundoprio
rumdeenthimematetractans,declarato,& pofitoquidfis
gnumdicatur,intulit(Enthimemaqudemigitureftfyllor gismusimperfe&us.) sedaliiarbitrantur,ornatuscaufaa
græcisponi.ficanoftrislatinis(quidem enim ) adexory nandam orationem ponuntur :
Mihi Arift.uerba & pro cellumconsideranci,quandoqueepilogi,quandoqexer
cutionis, siue ornatus ellenota uidetur: quodfacileex fuperiore& inferior scriptura,ne
ambigua çftimentur, perspicuum fiet. Quærit Ammonius cur dixerit.quçscri
nosdiuersossensushabere.inquoMagentinusfruftraco natur,Alexandrum
arguere.itaphisensusuarii(quos exuerisfimplicibuscognitis,&
eifdem,acanaturacon dinonsuntliterę &elementasedhorumpartesisecundo
fiftentibusintelle&usconiungit)nonomnibusiidem
Xerit.literæ&elementasuntfignaeorum,quæinuoce:
duobusmodisrespondet,primohicArif.denomine&
uerbo,acaliispropositisinproæmiospeculari,cuiusmo aitq
si'uerbumArisadomnemdi&ionemextenditur.lij teræ propric sub his continentur
quem scribuntur ,elemens taueroquæ proprie in prolatione consistunt, subhisquę
in uoce . Sed Arift. generatim loquitur de uocibus signifi catiuis ut pars definitioniseftomnium,
quæinproæmio definireproposuit.Sed in libro poeticorum elementum definitur, quoxfitindiuidua:nonomnis,scilicetperse
fignificans:sedexquaintelligibilisuoxfieripoteft.hic uero dixit(eaquæsuntinuoce).i.arbitrium,confilium,
anpassionessimplicesquasdeipsishabemus,easdemres
cognitio,intelligentiasuntfignafignificantia,& intelli fignificare dicantur:
cum semperfintdistinguendeutdie gentiam conceptuun
explicantia,nonigiturhiceftfers uerfasrescontinentes
Respondeasaliudeiledicerepaso mopropriedeelementissxliteris,quæeademsuntre,li
fiones primaseffefimilitudineseasdem,idefta natura cetratione quamdiximusdifferant,leddeuocibusfignifi
constantes,aliudpassionesessenaturalesfimilitudines rempatibilem
affirmamus.primodeanima65.66.tery tiodeanima 20.ratione
phantasiæ,fiuecogitatiue.quæ
funt,licetapositione&opinantiumconfiliopendeant. hispositis,patethorum
duntaxat Arist.meminiffe,quia hæc sola sintuereomnibuseadem, adquæ animacons
paraturutpotestaterecipiens:quamobrem passiones
Arift.appellauit.aliiautemconceptus,autnon iidemdi
cuntur,autadillas,quasdiximuspassiones& fimilitudi,
nes,reducuntur.hæcdehisha&enusquætuncdocenda eruntcumdeanimadicemus.Deæquiuocisambigunt.
idestnaturaconsistenteshabebunt:quibuspluracognos scunt,&
representant, acreferunt.licetuoces (quarum
proprieambiguitasdicitur,nonnaturasinteædem feda positionesignificent:æquoca
enim rem unam cominus nemnon habent: fedtantumuocem.&hçcresponsio,diz
uiThomæ dictis,eftfuita.Sedobiicies utSuella contra
Porphyriumubiuocesfunteædemaconfilio,pofitæ,
easdemprimasconceptionesfineerroreautfalsosignifi,
cant;nonergoambigueloquicontingeret,nequedifting bis.ubinaminAri.patet,similitudinesinprimisesseres
rum simulacra& naturaliaficutresnatura eædem omnis bus
sunt?Respondeasextertiodeanima.38.animam, quodammodo efficiomnia,cum omnium
formas,aut sensu,autmentesuscipiat:&quiafingulorumformæper animam
cognoscuntur,lapisautem noneftinanima ,sed
species&formaeiusprimumlapidemrepresentans.Pri
mumergosimilitudines,&speciesrem&lapidemrepre reautillicArist.dicit.Ad
phantasmata intelle&usconfers tur,ut sensus ad fenfibilia:a quibus natura
mouemur : atqueimpossibiledicitur,quinuisistangamur.Itemne celleArilair,intelligentcm
phantasmara,idefteorumfis militudines,fpeculari tex.39.res autem o narura
constent, tanquam omnibus perspicuum omittatur . Amnionius di de anima }ad
poftremo relatum dixit .cæterum prodig tum de hiseflein'librisdeanima,fcilicettertio
de anir TEX. BOETHIT. De hisueròdictumestinijs,quisuntdeanima,alte riusenimeftnegocij.
eiufdemreiueldiuerfarum.namanaloga,utprimum
offensioadarteriam,fidecófulto&compofitofiat,illac
concipiuntur,diuersacontinent,ordine,comparatione quacommeatspiritusuoxeft:tussisuero,nonefteauox:
seuproportioneadunum collata.tamen eorum primęin
telligentiæfcuconceptioneseædemdicuntur,ideftnatur
ranonarbitriouariæficutuoces:quxcomparatione,reu proportione dicta a positione
significant.simili ratione ambigua, ideftæquiuoca,primasconceptioneseasdem,
nus,quicumsignificationealiquaemittitur.)Sedpoftula quamuis per eadem
loca,machinamenta proueniat.quia,
scilicetnonexpropositoaccidit(namaitfinecogitatio
neautconfiliouoxmissa,nonestuox.nam;hocomnino indefinitioneuociscollocandumeft.quoniamuox
eftso in guere differentes,qui satis ex notis locibus ,atque errore,
conceptionibus conftituere poffent, quod fitads sentant, nam intellectus omnium
,de rebus fenfibilibus primum uenit,ex quibus uisa quædam & fimilitudines
procreat.ad quasintelligensfeconuertit.& cum intelli uersariorum consilium
,aut quid ueline Dicas his disting dioneutiopusnoneffe,quibusitahæcnomina
suntper {picua& communia,utquasidomi ab ipsorum pofitione nascantur. Sed
his qui quasi modo nascentes de notissimis rebus atque nominibus hæsitant
,nihilq;ab aliisexplicar tum nouerunt:qua de causa,diftin&tio in bis
nominibus fiet,quæ habentur dubia : quorum res abditæ & arbis trium
confilium plurimarum rerum & conceptum non gie necesse estfimulphantasma
aliquod speculari.phang ialmata enim,sicut sensibiliasunt:præterquam tertiode
aninia 39.0 sunt sine materia. fecido natura constant fimi litudines:non
exarbitriopendent:quiaadsimilitudines comparatur patibilis intellectus ,ut
natura pure potentia autpoteftaterecipienstertiodeanima.17.14.innatura
enimanimęeftunum naturaagens,alterúnaturapatiens ficutin
omnialianaturamonftratur.17. tertii. Prætes perspicuuin dicitur . A d textum
nunc redeamus . Ex uerbishiscollige.quod supradocuimus(uenforqui dem igitur)quandog
ad exornandam orationem ab Ari.
poni,uthic:nilenimexfupracognitisinfert,nequealia quid exequendum. seutractandumproponit.Queresab
Arift.cur istorum naturam dillerere diligentius & proy prietates omittis
?quibusg ab animantibus instrumentis uocalibusproueniant:pulmone&
asperaarteria,aquos ma.39.at conceptus dicit mentis primi,quid intererit quo
minus fint phantasmata : Respordet an neque alii phantasmata sunt,uerum non
finephantasmate tum in rum primo ,uocis materia aer præstatur.ab altero, voces
graves et acutæeffigiemfumunt.& q articulatędicantur a lingua,palato
labiis,ac dentibus ut animæ rationalis
motionideseruiunt.curhçcitidemapositionc,alteraa
naturaconfiftant.atquefimilitudinesrerumsintprimum fimulacra,uoces uero
passionum ligna,ac notæ dicans tur:AdhæcomniaputoAristot.respondere.propterea
abeo essereliâa o alteriusestpertra&ationis,ideftad
aliumpertinentmodumconsiderandinaturalemdeani,
ma:nampertra&arequanamrationeistaabaninia,acin
ftrumentiseiusproueniant,anauoluntatependeant,ut operationes,adanimam,suumpropriumprincipiumres
rumuocesprimoresgeneratimsignificare,fedlogicos feruntur,de quibus ut supra
diximus,fecundo de anima . 87.88.89.90.differit.ubiuocem fignificatiuamex ima
ginationeanimæ uoluntaria,Conum appellat:hinc ergo patetuocesessesignificatiuas.sicenimad
interpretatio rum primo conceptus .quod ex definitione Platos
nis(aquoGranımaticiacceperunt)confirmant.nomen
nemdicunturconferretex.88.10.& apositionesignifica re. quia ab imaginatione
significant et voluntate.ut Com mentator&Arist.asserunt.Arist.enimait(oportetanis
matumeffeucrberans)& 90.(& cumimaginationeali
qua,)ideituoluntaria.cuiusrationemadducens,inquit suntinaninia:& quarum
pafsionum equoces primum 114 gnasunt&c.)sedcótra.quiaeodemmodonomendefini,
tura logico, poeta, atque grammatico.id autem(utue rum fit) in definition nominis
declarabimus .secundo fin nisharumuo cum eft idem eiadquemoratioenunciatiua
refertur.hicautemeftinterpretatiorerumconceptarum, quæ idemsuntquod
conceptus:Scotus uero quæstione secunda respondet.conceptus fignificarerem
,utfimilitu do & speciesrei,nonutaccidensanimædicitur,Sednon
quæriturhoc,sed duntaxat,an uoces principaliter,seu uox enim eft quidam sonus
fignificatiuus ,non naturali ter,ut significatiuus est fonus refpirati acris
.sicuttussis: fed ab alio libero mouente hunc aerem ad arteriam.) Ing quit
etiam Themiftius acute hunc locum perspiciens hus iusergoaeris(quem spirando reddimus)
percussion & quibusimaginationem pafsiuiintellc tusnomine appels
landamcensuit.tertiodeanima.20.primodeanima.6s. 66. ex quibus tam obscuris
verbis non poteft concludi aliud,nifiquod poftremo deduximus.non enim uideo
quid suadi&a sequatur,fiprimi& aliiaprimis concepti bus non sunt
phantasmata,non tamen sine phantasmate, line quo nihil intelligit animam , nisi
conceptus primo phantasmata representare & necesario : ut intulimus.
Mihiautemuifumeft,fermonemArift.adomniasupra di& a potuisse referri,cuius
uerifimile argumentum poteft esse. dixit{di&um eft,quidem ergo inhisquæ de
ani ma,}ideftlibrisduobus secundo& tertio:utretulimus; non tertio solum ut Ammoniusopinatur.Etutfinemtan
demquærendi faciamus.paucisadhæcadditis,poftres
moquæramusnominafiueuocesanprimofignificent
res,anconceptus?Quidamrespondent,grammaticos finientes quod subftantiam uel
qualitatem significet. & hicArift.quæ inuoce,lignasuntearumpassionumquæ De his
quidem igitur dicemus in hisquedeanimaalte. riusenim estnegocij: &um
hocArift.{Dehisquidem di&um eftinhis,quæ in primis res aut
conceptiones significent. Propterea ues riusadrem,& fenfum accedés,refpódeo:&
nobiscum,8C sinominibus non concinnat suella,re tamé idem affirmat cumAlexádro.
primumpono,uoces,tanquamultimoin? Tentumfiné & principalius, mediatetamen,
fignificareres. & extremum, uoces,an res ipsas significent {'in cótrariam
partemArift.& Comment. (& quæfcribunturfigna& no
iæsunteorumquæinuoce)&liuocesprimosignificant
conceptus,&conceptusprimumres,scripturæergopris mum uocesdeclarant. sedcótrarium,leniuumteltimonio
& experimentomonfiratur. quiascripturahominis& cei terarumrerumdequibusphilosophidifferunt,utimur,rey
c u m ipfarum explicádarum caufa .præterea epiftola inuen fecundo autem minus
principaliter,fed immediate,con
ceptus.quæduoaffertaexemploasciemanifestanturnam ascia (utinftrumentum) efficitimmediatum
.sed principay leseuprincepsefficiensestartificismanus.quoddeclar
taaffirmatur,utcertioresfaciamusabsentes,siquidesset
ransprimodeanimaoctauo.Themift.ait,qprincipaleac ultimo intentum cognosci &
definiri, indiuiduum dicis tur:fedaliointermediocognito.formauerouniuersalis finealiomedio:
ut tamen ad indiuiduum cognoscens dum refertur. Hæc di&ahisrationibusapprobantur.Id
quodeosscireautnoftraautipsoruminteresset:igiturres poftremo, ut ultimü &
finis,explicari intenduntur. Item fi
quæscribunturfignasuntuocum,autearumquæextraani mam,quodimpossibileeft,autinanima:uocesautemin
animaconceptusdicuntur,quosadrerumexplicationem inprimisuoces significant, adquodsignificandumnouos
referriut sinem supraretulimus. Nunc ade aquæ adduce rumnominum inuentorim posuit.hic
autem ad remexpli candamuoces consticuit.id.n. deuerboconsiderans Aril. &
manifeftansuerbumfignificare,approbat,quiacóftituit intellectu. seduoxprolatahoministunc
conftituit,&quie (cerefacitintelle&tum.noncumadcóceptum:sedadna turamhumanamdeducit.ergouoces,&
nominatanguls timum fineminprimisintentumresexplicabunt.licetins
termediisconceptibus:prætereaprimoelenchorumpris
banturexArift.respondebo.nonfolumquerendumquid philofophusdicat. Sedquidcouenienterrationi&
sententiæ suæ uere opinetur audiendum. Hunc enim in modum. Aristoteles Intelligimus
(quæscribuntur, suntnotæeorumquç
inuoce).i.confilii&arbitriiinuoce.quæsecundointelle &a&
conceptusresexplicantesdicuntur.Sicinterpreteris quæ
exArift.adducuntur.(quefcribuntursuntlignaeorü, quæinuoce).i.explicant(cum voces
defuerint) ea, quçex plicantur per voces, quarumuice fungitur.immediateer go uoces,sednontanquamultimum
&extremum,quod mo,uocum finemdeclaransArist.ait:quoniamresaddil serendumafferrenonpoffumus,utimurnominibusloco
rerum :ad explicationem ergo rerum ,cófideratiouocum
referturnonconceptuum,utfinemulcimum.Amplius.4. idemopusexercetcumeo, cuiusuicemgerit,
utdeconsu metaph.28. ratioilliusrei,cuiusnomeneftfignum,defini tioeftuoxigiturreiperdefinitionemexplicatæ,fignum
dicetur.Itemteftimoniofenfuum confirmatur:quorum clara& certaiudiciasunt, eorumquærationeetiamiudis
cantur.Ad quidenimtam diu expectamus, flagitamusuo le, rege et pro-consule, siue
proregein vollendiscontro uersiis perspicuum est. Scripta autem uocum uicem
exercent. Idem ergoextremum significatum habebunt.expli cationem, scilicet,
conceptarum rerum. Amplius literarum inuentor, ad rerum explicationem direxit, &
Auer.ait(cri cum interpretationem: nisiueriinueniédigratiainrebus,
pturassignificareuerba,ideftfinemedio&fignificatauer
quascognoscere3[cireftatuimus:I denimuolumus& borum,cumforte uocesdefuerint,hæcdequestionibus
ardemusdefideriotangextremum. Adhæc.ficonceptus suntinftrumentaipsarumuocum.utadrerumnotitiáme
diisconceptibusducant.nó igitur ultimum & extremum que verum ad b u c est.
Signum autem huius est, hır c o c e e ruus enim aliquid significat, fed non dumuerum
aliquid, -uel falfum, finonuelese,uelnonesseaddatur,uclfine pliciter,uelfecundum
tempus. Estautemquemadmodum inanimaaliquandoquidem o falfum . Nomina quidem
igituripsa Q uerba consimi liafunteiintelligentiæque estsinecompositioneo diuie
suimus,&rationibusacsensibus,rationemconfirmatibus
fone,uthomouelalbum,quandononaliquidadditur:nes
approbauimus.Pugnabispoftremo,fiuoces,mediiscon
queenimfalfum,nequeuerumadhucest. signumautem ceptibusexplicationem rerum
efficiunt:cum immediate bus ueritas& falfitas inuenitur, hæc autem cnceptus
sunt, non res ipsę. respondeasuerum & falsum inconceptibus, ut in rerum
fimilitudine inueniri :quæadipfarumuerará
rerumcognitionemrefertur.ueruminrebuseft,utincau
fa.inpoftprædicamentiscap.depriori& infinehuiuspri m i libri.itap
attributiue.i.per attributioné & collationem adres,ueritasinconceptibuserit:uereautem,utincausa,
inrebus. Dicespropterquodunúquodątale& illudma
césrefertur,ueasciaadmanusartificum:quodsuprapor fignificatumnon ab organo sumi
oportere:sedultimo explicare conftituunt.nam quod uicem alterius perficit, dum
uerumaliquiduelfalfum;sinonuelesseuel noneffe fatis , ac principale fignificatumuocum
dicétur. Etfiobiicietati quidem
intellectusfincuero,uelfalso,aliquandoautemcuiiam
quisArift.textum,quemretulimus. uocesprimumsignis
ficareconceptus:intelligasfinemedio alio.non tamen,ut necesseesthorumalterumineffe,ficetiaminuoce.Circa
compofitionem.n.odiuifionem,eftuerum ,o falfum.No ultimum & extremum
significatun. Nam uoces dicuntur significare conceptus, ut rerii sunt
similitudines.utab ipsis rebus conceptus uenisse ad intelletum dicamus, quas
nouissime, ut finem et ultimum intermedia sconceptibus per voces clariores
NOSCAMUS. Nec secundum eorum argumentum concludet. Voces ea in primis ut finem
significare in quis mina igitur ipsa et verba consimilia sunt ei, qui fine come
gis. Si ergo voces, mediis conceptibus, explicantres, igitur uoces magis et
inprimis conceptus, qresipsasaperient. Dic Aristoteles locum ualere in causa principe.i.principali
non iuuante tanquam instrumento, quomodo conceptus aduo intellecus et cogitation
fine ucrouel falso, aliquando autem cuiiam necesse estalterumhorum inesef, ic,etiam
inuos ce.Circa compositionem enim et divisionem estuerum conceptus, ut accidentia
denotent, nunquam substantiam explicabunt. Paucis, ut supra, respondeas,tocum
propria addatur, uel simpliciter uel secundum tempus et extremo fine intent. Quod
quandoq substantia quando g accidens appellatur. Huic veritati Alexander et
Themistius ascribunt, etc. Ammonius non dissentit. Secundo quæs ritur, an scripturæ
fiue quæ scribuntur, tanquamultimum Magentinus hunc in modum Aristotelis.textum
cum præce denticonne&tit.cum duo sintinueftigata. Primiiquonam modo nominis
& uerbi signification intelligenda ellerutrum TEX. BOETHII. Est autem, quem
ad modum in anima, aliquando positione, divisione est, intellectui. Ut homo , uelale
bum, quando non aliquid additur, neque enim falsum. Ne huius est, quia
“hircocervus” aliquid significat sed none E hæc duofineab
Aristotele, pofita, caulam & finem curitapo ratiocinatur. Quem ad modum in anima
intelle usquando fuerit, non declarant :ut.l. quid nominis partium definir
tionis nominis,& uerbiorationis, enunciatiuæ tang præs cognitionesponag
ntur. Alterum etiam secundodicúrey fello. Non et enim videoubiinueftigauerit
Aristotele inquibus verum et falsum inveniretur. Quod nucquoginueftigare
constituat. Itempugnantiacum Ammon. dicit. aitenim
inanimaeftquandoquerumautfalfum.&itaprobatio Ammonius .per hæc
utilitateinad inftitutæ commentatio , effet minorisibi. Circacain positionem. n.intellectus&
di nis propositum tradi.cum. C. verum et falsum sit in mentis
uifionemeftuerumautfalfum.}conclufioutclaratuncre
concepribus&uocibusutsignificantibus,&quodnúcdo
linqueretur.ergoitaeritinuoce.seduerearguitexhypo cetphilosophusnoninhisfimplicibus:sedcompofitisue
theli, nonpotentiacathegoricosyllogismo.nam cumpos
rum&falsumspectari.nonnominibus,nisiutperoratio
fitionemquodammodoignotammanifestet,nonfyllogir n e m enunciatiuam a firmativam
coniunctis, vel per negativ uam diuisis, ita gnó in quit hæc quæ diximus
Aristotele docuif m o arguit. Ex quo aliud ignotum natura concluditur, sed ex hypothesi,
ut diximus.& infradicemus. Prætereaut Commen & Ammonius asserunt.ibi{circacompofitionem
enim & diuisionem}non minorem .sedapprobationem
uniuspartisantecedentisapponit. aliquádointellectus
cumuero&falsofit.signumestparticula{enim}quæcau sam
propositidenotat,fcilicet quia uerum & falfum sunt circacompositionem, id
est affirmatione,quaaliquid cum falsum in compofitione et divisione sequuntur
intétiones se:sednuncdocere&inconceptibus&uocibusutsigni?
ficatiuis,falsum & uerum fpe& ari,dum coniunguntur aut
diuidunturnonpersesumptis.Addeex Amm.hæc Aris. nuncdocereutalteramorationispartemantecognoscat.
DicesproMagentinoillaquædixit,ab Amm.ferèaduer bum
fuperioritextusumpfife.cuminquit(cumhæcitaq percaquæ
nuncdicunturtradentur.Iuocesessesignificati was rerum mediis conceptibus:tum
uel maxime quibus in rebus quocunq; fuerit m o d o ueritatem ac falfitatem
scruz tariconuenict)C.inhoctex. Addés ueroquçintextusupe intellectus.i. sunt in
anima,sextometaph.8.ergoeruntin riori confideret ait.(de quibus in præsentia
nobis perpen uocibus seu uerbis significantibus ipsas conceptiones ,ut fioest.
Utrumin rebus anmentis conceptibus, an uocibus, Comen. animaduertit. Exhis declaratis
etiam patet,q in aninquibufdam. harumduabus: anetiaminomnibus.
telle&usfitaliquandofincueroautfalso,idq;tangexsuo
fiinuocibusqualibushisscilicetcompofitis.nonnomine & uerbo&
prædicamentis,itaincompositisconceptibus qui caufa funtlocum, noperleinsimplicibusneccompo!
fitisrebus) Sed animaduerte quod dixerit(nobisperpésio
uisionez.i.lineueroautfalso.hæcexemplomanifeftatsubs inprçsentiaeft)quod tamen
inferius considerabit.neg dicitab Arifthæcquæ ipse
perpendit,inueftigata.nec'ait InueftigasseAristan significationominis&
uerbisolī,pen deatexuocetantum,anexintelligentiauelrebus:sedquo
cunq;fueritmodo,inhisueritas& falfitaseft,utexplicátis businftrumétis.hacenimrationeresipfasabiecit.adquas
famenutextremum&finemultimumexplicandas,uoces
tere&nonadmittunt:ergonecdequominus:nistuery & conceptiones animæ referuntur,
q siquispiamhęcquæ bum effeaffirmatum, aut non effe negatum addatur. fim eft fine
uero aut falso, quando cuihorum alteruminesse necesse eft, ita& in uoce: hoctotumeftpropofitiomaior,
affumptio&minoribi.circacompofitionemenim&diui rionemestuerum&
falsum ,&noncircasimplicia,itaergo
eritinuoce.Sedcótra:quiaminorhæceffedebuiflet:fed aliocomponisignificatur,autdiuifioné,idestnegationé,
quaexplicaturprçdicatumasubie&todisiúgi.& uerum &
oppositoperspicuúutcorolarium& cófequensposuitcū
ait.{nominaquidemigituripsa& uerbaconsimiliasuntei
intelligentięfiueintellectuiquiestfinecompositione& di ftantię& accidétis:hominis.C.&albi.utexhisomniaalia
prædicamenta intelligatur. quando.n.his non aliquid ads ditur, fcilicetuerbumprædicatumalbumcumhomine
suz biectoconiungens,nequefalfumnequeuerumadhuceft. Hoc
denominehyrcoceruimanifeftat,nanquehuiusinor di compofita nomina uidentur uerum
aut falsum admity exvocetanti:m,autsolaintelligentin,anexresolumuos ex Anmonio
dicimus non probarit, inutrunqzfitdi&tum. Cesitemper animi sensus rerum
elleinterpretes.Secundo inquibusuerum &falum inuenireiur.quòdnunequoß
idoftendendtiArist.proponit.fedutrunchiltorum reiicio. non
eniinfuprainuestigauit.Sedpofuit,utpersenorum, S.Tho. dicitq postquam
tradiditordinem significationis uocum, hicagitde diuersauocumfignificatione:quarum
quædam uerum & falfumfignificant:quædam non.Sedli
cetuerumdicatur,utdeAmmonioreiulinius:tamenfine
nomina&uerbafignificatiuaefle,cxhocpeaquæsuntin
cuiusgratiaistaponantur,fubricuit:Licédumigiturcum uocefuntfigna&
notæsignificantespassionesnullomes diointerie&o,hisautem mediis, tanquam
ultimui ,res explicare.prçterea non uideo ubi inuestigarit,an nominis &
uerbifignificatiointelligendaessetexuocetantum,aut
intelligentiatantum,autexresolum:fedhocposuit(funt
uæ,quibusetiamdifferebantabaliis:nuncuelleconstitue quidem ergoquęfuntinuoce
&c.utsignificatiofumatur non exuocetantum,nonintelligentia,fedarbitrio,cogni
tione, et CONSILIO et imponentium
consensu, quem in uoce refeuantecognosceredifferétiam, quaoratiodiffertano
mine&uerbo:&quaoratioenunciatiuaaboraroriis8C poeticisoptantibus&c.separatur.&
quoniamquępones reoportet,& antecognoscere,utpersenota,nõnisialiquo facili
instrument innuidebét.nullomodo demonstrari.
proptereaexfimiliseuhypothefi,&cóceflo,acpofitotery expaétione&
confilioreliquerunt.acuociperattributio nédederunt,atnullamentioeftfaétaderebus,anabeasu
mendaefletsignificationominis,& uerbi,quoniammaxiy m u m esset
ignorationis,ac inscitiæ in Arift.argumentum , firem tam perspicuam ,nec
dubiain pro occulta quæliffet tiam definitionis partem & differentiam
manifeftat.cũ inz quit.(esid..)ubi, ',proenim Magentinusuertit.utcaus sam hicassignareuelit.utAmmonius
&.S.Thomas dixerút, acdubia.cuieniniuelrudi dubium uideretur,nomen &
uerbum (quod ut organum & instrumentum significat)a-
rebus,inftrumentisignificatiui&Organicognoscendialte rum ,significationem
habere,cum tantü significentur,& nul lomodo significentine ignificare&
explicare,utorgas num logicum uideantur?Item ea significatioerat nomio nis&
uerbiponenda,quæutpræcognitiopartium defini tionisadeacognoscendadirigeret.hæcautem
eftuoxa de quo nuncdifferemus.aitergo deantecedentesyllogiss
miexposito.{ficutuelquemadmodumenimeftinanima intellectus
cogitatio,intelligentia.(vóruceenim ifta signifie
cat.)aliquandoquidemsineuerouelfallo:aliquandouer rocuinecesseesthorum
alteruminesse.}Exhocposito & notioriantecedenteinfertquodammodoignotumin
choantibusconsequens.(ficetiam& inuoce)utsignis& notis conceptuum
erit,aliquando sine uero uel fallout in nominibus&
uerbis,aliquandocuinecesseestiamhorum alterumineffe:utinorationeenunciatiua,Suellaueroita
pofitione fignificans,non res tantum significata:a uoce er go&
intelligentiainvocerelicta,8Ctributafiueattributa
lignificationominis&uerbipident,noarebus.Amplius: Suela (nam licet fupra
male textum Arist.declararit Sucr sa,nuncueritatecoaausidem dicitquodnosinexplicans
do philofophodicebamus)pofitisduabus partibusdefini tioniscómunibusnomini&
uerbo& orationienunciatis pliciter, efle,quamartemutexemplar,adopuseffin
latenus (incaliquiduocum: neceorumquæ in uoce,nout
gendumexteriusafpicit,qopusexartenotioriinmates
finis:cumconceptuspriorfituoce& ueritatequęinuoce
confiftit:nonutagens.quiaresagensest,aquaoratioues
taautfalsauocatur.sednondifficileestAmm.&.S.Tho. sententiam& opinionem
,aSuessæargumentisdefendere. primum, absurdumaffirmat. Conceptus non tangformam
ficant: quiinvocetangartificialimateriarelinquütur:quo
esseueriautfalliinuoce,cumnecaliquidfintvocum,nec
cumuiuocessuntnotæ:Exhisrespondemus:rationem eorum
quæsuntinuoce:Peroenimabeocumsupradixe
ritArift.eaquæfuntinuoce&c.nonnifiarbitrium,&pla citum, cogitatiointelligitur:
ut ipse metcum locum interpretans, opinatur: ergo conceptus est aliquid existens
in voce, non utopus naturaleest,sed arte.i. uoluntate: confi&um . Itemipfeconfiteturuocemsignificatiuam,communeges
nusnominisuerbi&orationisenunciatiuęuocari:nõuo
lessuntsimilitudinesrerum.Seddicessecundomenunc cé,utnaturaleopus. ergoutacognitione,
imaginatione pugnantiadicerecumhis,quæanteacontraAnimo.Boe uoluntariaeffi&taeft:utsignumfitadaliudextraexplican
thium,& Scotum diximus: orationen dariinméte& no dum relatum:Etfecundodeanima90.Averroes
et Themist. tioremesseea,quæinuoceconfiftit.Diximusadhçcartis fumentes ab Arift.asserunt:essentiamuocisinterpretatis
inuentoribusueliaminuentamdocentibus,ineodem no efle percussionem aeris anhelati,
ad membrum quod cana tioremesseartem, acconceptionescūuero& falsoinani
dicitur,abexpulfioneanimæimaginatiuæuoluntariæ:&
ma,quamexteriusopuseffictum:ficinpropofito,excong infraqinessendouocemnecesseestutpercutienshabeat
ceptibus rationem coposuit, notioribusapositionesignifi
animamimaginatiuam,8tuoluntatem:effentiaergouol
catis:quiquodammodonotiores:utindu&ionesensata cispendet
abipsoconceptu& placitoreliétoapositione patet.infraenim se&ionequintaexoppositionemaioriin
inuoce,tangforma:&uox (uropusnaturæinterpretans mente, explicatitae! Tein uoce:
Item placitum eft caufa, a placito) abanimaetiá ,tangagente, depédet:nam
87.& 90.secundo de anima.percussiorespiratiaerisad uocala arteriam ab anima
(quæinhispartibus) uoxeftutefficien
tecausa.hincCómen.inprincipiocómentiait.(oportet
igiturutpercussioaerisanhelatiabanima,queestisismé
præcognitionempartistertiędefinitionisratiocinatur:no brisadcannam, fitilludquodfacituoc@)&inmediocom
igiturdemonftrationemeffecit.quæadnaturaliterignos menti:(primum enim
mouensinuoce,estanima,imagina tiua& concupiscibilis:& ideouox
eftsonusilliusprimi uolentis& mouentis.)Etq etiamdicipofsitquodammo dofinisuocum,
perspicuum est ex his,quæ fupradocuio mus: fine muocum effè eriam res conceptas:
namorgal na ad eorum opera ,tang finem & ultima,diriguntur.pris mo
topic.9.cumnonpropterse,sedpropteralterum exo petantur:seduocesfignafunt&
notæ conceptuú,adquos explicandosreferimus:finesergomedii,licetnon ultimi
tumdir igitur. Secundo post.primo.necillam(utperitus ad rem per se nota
efficere potuit. ne ipse suampręcogni tionum artem
confirmaturusexperimentocontrarioinfir maret.Itidemminimeconsecurionem
ualeredicimus:ra tioexcaufiseftnotioribus,ergodemóftrationempropter quid aut
simpliciter constituereaffirmabitur.quoniam alte rum& pręcipuum demonftratiodi&arequirit.utadigno
tum naturaliter dirigatur, non ad pręcognitionem ponendam, utpersenotam :nam
primopofte.2.veręetiàdefis uocabuntur:Exhisfacileeiusrationibusrespondemus.
nitiones,quidtantumnominisnonuerædefinitionisuim
haberedicunturabAuer.utpræcognitionessunt:ita&fi hæc præcognitio ex caufamonftretur,nonutdemonstras
tiua, fedutexfimiliaccepta,&uisa, &alibideclarata;pros ptereatopica potius,quàmdemonftransuocanda:noto
pica,o fitdubia,autfalfa,immouera,sedhicacceptaalig biuisaphilosopho,&
hicpofita,utcredita:dequo latius ressecundum
feeffedicantur,nótamenapudeosquicon ceprus& res conceptas ignorant:adquarumexplication
nem,utultimum,referuntur. Adtertiamdeagentedico: inquit)exAmmonioait. Primo quiahæcconfi&anomina
rem , agensremotumuocari: aquo intelle&us phantasticus falsum significare uidentur:
ut.S.Tho.ait.Sedcótra.quia fimilitudinéabftrahit:sedanima,utnaturaagens,uocem
ab Aristotele dicitur (fed non dum uerum aut falsum signifi interpretantem (tang
operationem propria mefficit, &lo cant. Nifi effe aut non effe addatur): ergoutrunquefignis
gicotradit:cuilogicuspropriumconsiderandimodum
ficareuidentur.Itemcausaassignandafuiffet,curexem
attribuens,utinftrumentumsignificandi& explicandicon pliscöpositis (que uerum
fignificare potius etiá uidentur) Ad primam ,utpatet,
intelligentia,inuoceartecong fi&tareli&ta,eft,utaliquiduocis.i.forma.Ad
secundam Q non fitfinis,nonualet,idpriuseft,ergonon finis:Deus
enimeftpriormotu&creatura,quæadDeicognitionem deducunt,utsigna&
effe&taadsuumfinemcognoscenda directa:fimiliterdicaturdeuocibus, &
ficóceptusprio riaexternareli&um :manifeftumeftargumentumqdixit
Arist.nonuoces:sedeaquæsuntinuoce,suntsignapass
fionum&conceptuum,utnaturaliumsimulacrorú&res rum
fimilitudinum.i.cóceptusapositione,(utratio)signi exfimilinotiori,&
fuperiusabArif.pofito,exlibrisdeani maprocessisle: ficutinanima
eftaliquandointelle us fineueroautfalso,aliquandocum horum altero:ita& in
uoce:&deuero& falsoloquitur(utAlex.& Ammo.ac
cæteriboniexpositoresaffirmant)orationisenunciatiuæ, & denominibusfignificantibusaplacito,nonutnaturas
quamobremuocessignificantcúfiuntnotæ.Necproptes reao
conceptusutcaufedicuntur.quosnomina& uoces tanquamfigna&
effetusimitantur,afferendúeftArif.des monftrantem rationem efficere:namhich ypotheticèad
Deoda nieprimotopic.dicemus. QuæruntcurArift.fis
&aprotulitexemplapotiusquàmuera.Sueflasumens(ut pliciter,quod
præsentis efttemporis .aut secundum tome pus.i.præteritum&
futurumutCom.explicauit. De Am moniiexpositionedicemustunc,cumaddubiaresponden
bimus. QuæritprimúSuessa.qualisnam ratiocinatioAris. fuerit(quéadmodum
inanimaquandoqintelligétiafine ueroautfallo,quandoquehorumalterumnecetleeft in
esse.)respondet.S.Tho.& Ammo. intex.præcedenti,nes liderat,accognoscit: Respondendum
ergoest(uteftdig &um )Arift.exhypothefileu positione,& ex fimili notion
riprocedere: quod (quemadmodum) particuladenotat. dum asimili: sedacausaquamimitatureffe&us,proceder
re.namAmmo.ait:circaenunciatiuamorationemquæ quæsupraetiam Aril.poluit:namproptereauoxfignum
exillorumcomplexuefficitur, uerum et falsum spectari.
¬aexteriusexplicansdicitur,qapositione&intellig ante voces quoq; hæccircaconceptuscósiderari.utqui
causæ uocuinlunt,aquibusconceptusfimplicesfineueris tate, & compofiticum
uero & falsodefignantur & declas tantur: Responsionem improbat Suelta: quia
conceptus non causaueriautfalliinuocetangformasunt:cumnuls duftioncperspicuum
eft(utAmnioniusanimaduertit)no tioremartem Seddices ratione inaliniilieffe&tamexignotisconcludes
re,nanieaexquibushicratiocinatur,extertiodeanima 21. infrasumuntur:hæcautemtanquam
ardua,& inchos antibus difficilia,utphilofophus,& relinquendasupra
nosmonuit:Satishuicrationifaciendumarbitrorexhis, gentiaatqzarbitriopendet:ineo
presertimartific equivoces impofuit: uel ab impositis et Gibi notis nominibus,
regulas logicæ docet:in mente enim artificis& docétis ing E ii
quærimus, ad que causa hæc nondirigitur. Tertio dicit: ut quçinintelle&usuntfolo.sednefcioquçueritasdicipót,
cuinihilextraresponderinre:cum infra& inpoftpredi camentisdicatur.abeoq
resest,uelnoneftoratiodicitur uerauelf alla remota aūt causa et prima radice, ceterade
ftruinec effe eft. Item Aristotele de vocibus loquitur. Propterea mihi hoc libet
dicere. Hac de causa fiais exemplissuasen tentianicomproballe,o fi&aamer a
positione significant: & ideo magisobuia&
perspicuaacconsuetafuntadexpli candum: utquodámodonotiora,utmagisuulgata,exars
omnemueritatem haberiin compofitione& diuisione.ne excludatur ueritas apud
Platonem in intelligibilibus,& in telligentiisfiuemenubus,& apudArift.desimpliciuming
telligentia et abstractis: fedeam que in pronunciatiuissubs est motibus, scilicet
cum discursu: seu ratiocinatione: quæ perenunciatiuam
fitorationem.&inniotibuspronuna ciatiuis,non invoce solum (intelligas) exiftentibus:fices
nimtextuiArift.& eiusdillisaduersantiadiceret.sedetia ne&diuifionefalsum
& uerumremouerineceffeeft:pro ptereaergodixit,(circacompositionem at causam
noia ret:sed ad nomina in uoce descendens ait:(non significare uerum, aut
falsum): significare enim proprium eftnomi num, quæinuoceacompositionesignificanteconfiftunt.
PetitAmmonius quomodo uerum fit,circacomposicios innueretueritatem non in rebusreperiri:fedinhisetiam,
nem et divisionenelle uerum et falsum. Responder non nonutitur: ficut utiturhis,
quæ falsum significare maxime affirmantur. fecundam causam adducit: utinnueret,
non solum nomina simplicia ad ueritatem explicanda indiges reuerbo sed etiam
ipsa composite. Sed idem est dicendum de nominibus compositis ueris, nosautem de
fictis proprie non bitrio plurimorum: exhistamenfi&lisnominibus, aliaue
ca intelligendasunt. exempla autem innotescendi gratia inuenta, exuulgatis&
consuetistr ad endafunt et lificadi cantur: quibustaméuerum facilius inueniamus,
autinuen tum facilius doceamus: Petit Suella cur Aristotele.dixerit conpositionem
significare cum uero et falso, non autem significare uerum aut falsum i
respondet, hoc differreinter significare uerum et significare cum uero:quias
ignificare ueru potest uere in nomine simplici inueniri:u.g.hoc nomen uerum aut
fallum, simplex verum significat.i. se ipsum: sed significare cum uero,eftfignificare
cum uerbi complexu ut de uerbo dicetur, significare cum tempore, notempus: ut dies
et annus sedlicethęc dubitatione relinquenda foret, cum id quærat,quodinArift.textunoneft:tamenneaus
inmotibus pronunciatiuis, ideftquicaufafuntutper enung ciatiuam orationem pronuncientur,ueritasergoquacon
ditorum ingenia, obuiriau&oritatem fallantur,ponere& cipitur,aut
enunciatur aliquid ineffc alicui,folum circa con pofitionem &
diuifionemeft,utspeciesorationisenuncia tiuæ.dixieam ueritatem
circacompofitionem elle,quæ concipiturinmente ,uelexplicaturinuoce,&
quaprædiy catuminesse subiectoaffirmatur:quoniam primotopic.4, loca accidentis
propriè dicuntur,quibus potentes fumus concludere hæc alteriineile:& ideo locaeducentia
uerum enunciative propofitionis dicuntur loca accidentis et veritatis qua aliquid
alicui in esse concipitur vel explicatur:Sci scitatursecüdoAmmonius cur
Aristotele dicens (nomina igitur et uerba consimiliaíunteiqui sine compositione
et divisione est intelleclui exempla protulittantum nommun, non uerborum
dicens, ut “homo” vel “album”. Respondet per hominem nomen: per “album” verbum fumpfiffe:
non eata meninquitratione, qua verbum proprie inferius definitur. Sed quia
Aristotele statuit, omnemvuocem quæt erminum prædicatum facit, verbum appellanda.
Sed responsio hęc improbandauidetur:primum q Arift.nondieetinfraprę
refellereconstitui:non.n.Aristotele dicit compositionem cum uero aut falso significare:
sed ait circa.n. compositionem et divisionem elle veritatem et falsitatem. Item
de “hircoscervi” nomine afferuit. “Chircocervus” aliquid significat, sed non dum
uerum aut falsum) denominibusergoopposiy dicatumu erbum appellandum fore: quod fictiam
dices tum dicit eiquod Suellafingebat: nomina non significare ret, exemplum
albiquod posueratantea, adexplicandum uerum aut falsum, sed significare sine vero
aut salso:Eiusery uere uerbum, inutile videretur:Aliter igitur responden, gore
sponfioin textu Aristotele.infirmatur, cum denominibus dum. His exemplis dicta inchoantibus
comprobandaque compositis neget significare verum aut fallum: differentia etiam
abeo assignatauerbis Aristotele, adversatur Ampliu snec potuisset Aristotele dicere,
compositionem et diuisionem verum significare, na in compositio.i.affirmatio et
divisio.i.negay cumuerbonominibus:tamenutnotaprædicatumcuin ciosumerenturinuoce.quoinfradeorationeenunciatiua
dubieto connectens, dubiumfaciunt, anuerum&failum dicetur. Litoratio significans
verum vel falsum, &inqua fignificent, signum est. Ammoniusetiam tanquam duy
eftuerum& falfumutinfignoexternosignificante:nam oratio in mente, non significate
positione, ut hic intelli, bium quærit de uerbis primæ et secundæ personæ
“ambulO”, “ambulaAS” et in quibus tertia persona et certas statuitur. Git
signum est opde nominibus fimplicibu s& compofitis, line uerbo, intulit
dicens nomina igitur ipsa auteur bacó similia sunt fine compositione et divisione
intellecus. lt homo et album hircocervus quæ et si aliquid simplex significent,
non dum tamen uerum aut falsum hæc autem nomini in voce sunt, noninmente:
quiafiutinmēte essent, ut ningit. quæ veritatis et falsitatis videntur capacia.
Licet nonperfe,fedcomplexuhorumuerborum cũcertispery fonis.nonitadubium eft de nominibus,
dequibusinse acceptishæstat nemo, an veritatem significant aut falsitatem: Quærit
nouissime Ammonius quid intellexerit Aristotele. Per simpliciter, uel secundum tempus
cum ait. (hircocery considerentur, non dicerenturno significare uerum aut
falsum et q effent fimilia intellectui fine compositione& diy uifione: quiaessentipseintelle&us,seuintelligentiafineue
roautfallo:Dicédumigiturinquestionempotiusuerten dumcurdixerit.(circac
compositionem.et divisionem, ut inmentesunt, est verum et falsumj denominibus autem
in uocecorolarieinferens,ait:(fineuerbonondum uerum uusenim
aliquidsignificat:fednondum uerumaliquid
autfalsum,finon,ueleffeuelnonesseaddatur,uelfimpli citeruelfecúdumtempus.) respondet
sermonem Arif.ad eadem referens verba, inquiens: nifi effe addatur fimplicis
ter,ideftnisi effe addaturindefinite& indeterminate significans: ut “Fuit
hircocervus” est, auterit. Non definiens, ac determinansan hodie, sero, anmane,
perendie etc. vel aut falsum significare. Ad quod respondendum, quod fecundum tempus,
ideftnifiaddatur cum aliqua determis propterea vox quando
eftfineuero&fallo, quandoque natione tempori addita præsenti, præterito, uel
futuro, cum his, quia circa compofitionem & divifionem intelle, sciliceterat,eft,erit,herianno
superiori,hodie uel cras, & us eftuerum & falfum :ex quo intulit de
nominibus in autsuccessiuotempore.quam tamenexplicationemaci uoce,gfintfine uero,
X fallo ex eadem causa, pfimiliasing intellectui fine compofitione et divisione:
circa quæuerum cipiens Magentinus uel in latinum vertens non intellexit:
cumpereffef smpliciter et omnino, in,finitoacdetermi & falsum uersatur, ut caulam,
quaposita, uerum aut falsum i ponitur. & hac remota (ut in nominibusfineaddito
uery natotemporeintelligat. Ad tempus uero et in tempore infinito.
tragelaphuserat, uel erit, hęc.n.infinitafunt: fed bouidetur, quæ fimiliasuntintelligentięfinecompositio
eft presentist emporis, aitdefinitumelle:l iceteft,utdeDeo facilius conftitutamfententiamapprobant:uerbaautein
(utdicetur)quandam compositionemsignificant,quam licetexsenonhabeant, sed exalio,ex
compofitis,fcilicet dicitur infinitum significet: Idem.n.Deus,erat, &eft,
sed in aliis rebus, tempore non definite utimurita. Hinc liquet, igitur erunt: quæ&
fiacu& explicite uerbii, prædicatum et subiectum ut nomina non contineant, illatameneximigit,
ergo& hic per tempusdimpliciter, tempus præsens, 8C per secundum tempus præteritum
uel futurum: quæ pros ptereanuncupantur & lunt, quere tempus prælensciry
cunstant, iuxtas; ipsum ponuntur: propterea dixit,(secun significat, quemadmodum
in oratione quaestequus ferus. Ofitis & precognitis partibus definitionis nominis
ac nunc ad definitione sponendas integrasactotas accedit: sed Ammonius quęrit cur
primo de nomine äde verbo definis dumtempus) quodnonfimpliciter& ina&ueft.
Sedquod .tionem assignet? respondet, proptere a nomen uerbo esse præteriit uel
futurumest: solum præsens simpliciter & in actuest.utre&te. S.'Tho. exposuit:
Nec Sueffe confutatio ualet,& quęliberdifferentiatemporisefttempussecundu
quid:quoniamperaliquidabaliisdifferétiisdiffert:quod autemperpartemeft, fecundumquid,
nonsimplicitertas antepositum , qnomen subftantiả.i. naturam et vim rerum
significat: uerbum uero a&ionematqzaffetioné, quænel Cellario naturam
acuimmouentem supponit. contraarguit
Sueffa.substantianonnisiperaccidentiacognofcitur,prius
ergouerbumdefiniendumqnomen:Ad instantiam,Am Icessedicetur: primoclenchorum.4. Sedĝfalla
hæc fit monius facile diceret substantiam cognoscifinedescribir improbatio patet,
quiaens, cuminsubftantiamens simplisciter diuidatur& accidens, inaĉtumfimpliciter,&
potens tiam secundum quid, nequaquam uere diuideretur: quia per aliquid differ substantia
ab accidente et potentia ab aétu,
&fipropriedifferentiamnonhabeant.Itemratiofal
lit.lihęcspeciesperaliquamdifferentiam (acuprecipue) differt, rrgo per partem.igitursecundum
quid. accidentiautpofteriora.accidentiavero per substantias definiri, ut priores:
fic.n.Aristotele primonaturam .2.phy.quá
motumfiniuit,aquamotus,utperseprincipio,prouenit: & materiam primo phy.81.g
formam .2.phy.2. quæ a materia cuiu nitur& datellelustentatur, Aliteripse respndet,
proptere a nomen uerbo prætulisle, onotiuscft. Et iterbi
feconuenireArift.affirmauit,fedenunciationitantu:erunt igitur enunciationes,
cum enunciationispropriumopusef
fignum.sedcópofitionemacueritatemcófignificatquan ficiant: Suellanouariis
Sorticularumdi&tis& improbatis sententiis,hocuisumeft:literas&
nominaquoadprima eorumimpo fitionem, non significarenifiincomplexum , neccum
uero et falso: sedquòd quoadnouăimpositio, nem, fignificare poffunt cum vero et
falso: proptereaqapo incópofitione explicarefineadditouer bonó possunt. Dis
fitione sunt. Nung tamenerunt propositiones autenuncia cas Querbumetsi
compositionem extremorum aétunon tiones: proptereanóualereait, a, significat cum
uero aut dicat, a&tionemtamen, et affectionem significat, quæ causa fallo, ergoenunciatioerit.quoniáinquitoportetinantes
eft, qpredicatumseuappositúsubie&ofiuesuppositocon cedenteaddere.
fignificetexprimaimpofitione,nonau
iungatur,uerbumergolempereftuniocóiungens(apritu temex noua institutione. Sed contrahancaddităconditio
dinesaltem cum inpropofitionenóeft:fedcũsecundum nemexproprioarbitrio. Enúciatio
primaimpofitionefis se, acpurúaccipitur: nominauerosunt composita, seu quæ significat
propriecum vero et falso. Ego ubi est proprium apta sunt pera & tumuerbi
coniungi, proptere a nominapen opus, necessario propriumerit inftrumentum:
neq;enima dentauerbo, quasi formauniéte, & uerbiianoíequasimai nova aliqua
institutione propriú opus a proprio inftrosen teria, qunici habetp uerbum. Ut
materiaaŭt, tempore pre iungipoteft: proptereafi. a.b.c, etc. novis aut
antiquis concedit forma, & prius,utfacilius& ordinenecessitatisnos Giliis&pofitioneimpositasunt,
ad verum et falsum,seu (ut menanteafiniendu. Verbú vero, quniédafunt, prçsuppo
ipfi volunt) cum uero & falso significandú. enunciationes nés, pofterius ut
ignotius & the posterius explicandú: quas quando secundū se,
acpurumdicetur. Ipsum.n.sic purumi nullüueritatis et compositionis, aqua verum
explicatur, est dam, nonperse, sed quam sine compofitis nominibus non est
intelligere. Gi ergo hac de causa nomé præponit uerbo, q notitia verbi in
compositione verū explicantis, non pont, intelligi sine nominibus compositis.
Ita et nomina, uerum illud, quod Ammonius, tempus simpliciter &
omnino, ponentium CONSILIO coplcctuntur. Exemplo similiAmm sus ideftindetinite
et indeterminate significans, appellabat, Ma, gentinus dicit esse tempus
finitum et determinatum. Et parsticula, quam Ammo. adom né temporis
differentiam rer pra, cum dicimus "curro", "curris", nin
git, pluit, complexuhorūuer borum cúcertis intelle&is personis, cú vero et
fallof sgnificant. ferebar, Magentinus ad solum præsens direxit. falsum igir. Keywords: il vestigio
dell’angelo, Campidoglio Inv. # 334, donazione di papa Gregorio, logicalia,
interpretatio, interpretazione, logica, signum, segno, nota, notare, notante,
segnante, notificare, segnante, vestigio, il segno del’angelo, campidoglio, san
michele, vestigo, etym. dub. ves-stigium, foot-print. – segno naturale – segno,
genere e specie – genere: segno. Specie: segno naturale, vestigio, marca,
nota.. segno artifiziae, segnar per posizione, arbitrio, a piacere, consilio. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Balduino” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51790116833/in/dateposted-public/
Grice e Banfi – Eurialo
e Niso; ovvero, la tradizione vichiana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vimercati).
Filosofo. Grice: “What I like about Banfi is that he is more ‘important’ than
it seems, at least to Italians! He has written bunches, but my favourite are
two: his ‘l’interpretazione’ (Banfi makes a distinction between ‘esegesi,’
‘interpretazione’ and ‘TEORIA dell’interpretazione,’ in a slightly non-Griceian
use of ‘teoria’ – and his essays on ‘eros e prassi,’ for indeed the second
strand (eros e prassi) is the base for the former (interpretazione): unless you
CARE, why interpret – which is indeed, a performance?!” -- Antonio Banfi seenatore
della Repubblica Italiana LegislatureI, II Gruppo parlamentareComunista
CircoscrizioneLombardia Dati generali Partito politicoPartito Comunista
Italiano Titolo di studioLaurea in Lettere UniversitàUniversità Humboldt di
Berlino ProfessioneDocente. torico della filosofia, traduttore, accademico e
politico italiano. Fu sostenitore di un razionalismo aperto e antidogmatico in
grado di attraversare i vari settori dell'animo umano. A lui è intitolato
il Liceo Scientifico con Sezione Classica Aggregata del suo comune natale,
Vimercate. Antonio Banfi nacque a Vimercate, in provincia di
Milano, in un ambiente familiare formatosi su principi cattolici e liberali
della borghesia colta lombarda, nella quale da generazioni combaciavano una
moderna e positiva idea del cattolicesimo e un razionale illuminismo
tecnico-scientifico. La ricca e vasta biblioteca in possesso della famiglia
diventò per il giovane grande stimolo di conoscenza nei suoi studi, quando da
Mantova, dove frequentava il Liceo Virgilio, ritornava a Vimercate, dove
assieme alla famiglia trascorreva le vacanze estive. Nel 1904 incominciò
a frequentare i corsi universitari alla facoltà di lettere della Regia
Accademia scientifico-letteraria di Milano e ottenne, dopo quattro anni, la
laurea con lode, discutendo (con il relatore Francesco Novati) una monografia
su Francesco da Barberino. Incominciò a insegnare all'Istituto
Cavalli-Conti di Milano e contemporaneamente proseguì con grande determinazione
gli studi di filosofia (con Giuseppe Zuccante per la storia della filosofia e
Piero Martinetti per la teoretica); il 29 gennaio 1910 prese la seconda laurea
in filosofia, discutendo con Martinetti una tesi intitolata "Saggi critici
della filosofia della contingenza", contenente tre monografie sul pensiero
di Boutroux, Renouvier e Bergson. Con la borsa di studio attribuita
dall'Istituto Franchetti di Mantova ai laureati meritevoli, Banfi decise di
andare in Germania e iscriversi, con il suo amico Confucio Cotti, alla facoltà
di filosofia della Friedrich Wilhelms Universität di Berlino, dove strinse
amicizia con il socialista Andrea Caffi. Nella primavera del 1911 ritornò in
Italia e partecipò a vari concorsi, ottenendo una supplenza di Filosofia prima
a Lanciano, in seguito a Urbino; per molti anni assunse diversi incarichi in
varie sedi scolastiche. Banfi conobbe una ragazza, la contessa Daria
Malaguzzi Valeri, con la quale dopo poco tempo, il 4 marzo 1916, si unì in
matrimonio civile nel municipio di Bologna. Durante la guerra, già riformato al
servizio di leva, si dedicò con senso di servizio e scrupolosa diligenza
all'insegnamento e, per la penuria di insegnanti richiamati al fronte, oltre
alla sua cattedra fu costretto a ricoprire altri incarichi; solo agli inizi
dell'ultimo anno venne aggregato come soldato semplice all'ufficio annonario
della Prefettura di Alessandria. Nei primi anni del dopoguerra Banfi, pur
non militando nel movimento socialista, assunse in modo molto deciso posizioni
di sinistra e partecipò, come iscritto alla Camera del Lavoro,
all'organizzazione della cultura popolare, diventando in poco tempo una delle
personalità più in vista del mondo culturale democratico alessandrino; venne
nominato anche direttore della biblioteca di Alessandria, da cui fu in seguito
allontanato dal nascente squadrismo fascista. Nel 1925 fu tra i firmatari del
Manifesto degli intellettuali antifascisti, redatto da Benedetto Croce. Nel
1931 Piero Martinetti, che era stato collocato a riposo d'autorità per aver
rifiutato di giurare fedeltà al fascismo, lo propose come suo successore per
l'insegnamento della Storia della Filosofia all'Università degli Studi di
Milano, dove, a partire dal 1941, fu maestro di Rossana Rossanda. Diresse
la rivista Studi filosofici, pubblicata dal 1940 al 1949. Nel secondo
dopoguerra, con le elezioni politiche del 1948, fu eletto per le liste del
Partito comunista,nel Senato della Repubblica. Il mandato fu confermato alle
successive elezioni del 1953. Il razionalismo critico Magnifying glass
icon mgx2.svg Problematicismo. Antonio Banfi può essere considerato il maestro
della corrente filosofica che in Italia si è denominata Razionalismo critico e
che ha avuto anche derivazioni significative nel campo della pedagogia
teoretica con il Problematicismo. In sostanza, usando il concetto kantiano di
ragione, Banfi la considera come la facoltà di un discernimento critico,
analitico, presupposto trascendentale che sistematizza l'esperienza, i dati
empirici, non pervenendo a dogmi o a sistemi di sapere chiusi e assoluti. Il
principio razionale permette di cogliere e comprendere la realtà nelle sue
complesse determinazioni: senza questo principio, che va assunto appunto come
trascendentale, la realtà sarebbe caotica e solo contingente ed esperienziale
oppure interpretata secondo la Metafisica o sistemi di pensiero chiusi e non
problematici come richiesto dalla scienza e in generale dalla complessa
dinamica del mondo umano e naturale. L'apertura della ragione è talmente ampia
che anche le filosofie assolutizzanti vengono poste come possibilità di verità,
seppur parziali ("È bene tener presente che il pensiero non pensa mai il
falso in modo assoluto"). La filosofia è lo strumento indispensabile per
l'analisi critica del reale, non deve tendere a un sapere assoluto, ma porsi il
tema privilegiato della coscienza, purché questa coscienza sia "coscienza
della relatività, della problematicità, della viva dialettica del reale".
Si sfugge al relativismo possibile seguendo le orme di Socrate: l'eticità
prevale quando, non potendo esistere se non come tendenza verità assoluta, le
verità relative sono assunte come problema, cioè come ricerca interrogante e
incessante fondante l'intero processo conoscitivo. Le conclusioni sono, come
nell'ambito scientifico (la scienza è lo strumento pragmatico della ragione, la
filosofia lo strumento teoretico) non false ma possibili, non solo provvisorie,
ma reali. Le categorie che Banfi propone per sintetizzare la sua proposta
filosofica, sono quelle di "sistematica" del sapere, fondata su un
significato antidogmatico della ragione, una "sistematica" aperta per
il rinnovamento critico di tutte le strutture razionali e di un umanesimo
nuovo, radicale, che ponga l'uomo al centro dell'indagine razionale e nella sua
realtà storico-effettuale, che forma la sua coscienza concreta nel mondo reale:
dunque critica alla metafisica ma necessità della filosofia, il sapere
costruttivo garanzia di libertà e concretezza. Il confronto che Banfi predilige
è con gli indirizzi filosofici della prima metà del Novecento, in particolare
la Fenomenologia, il neokantismo di Marburgo, il neopositivismo,
l'Esistenzialismo, ma negli ultimi anni orienta sempre più il suo interesse al
Marxismo, di cui condivide gli assunti fondamentali leggendoli alla luce del
suo razionalismo critico, come si evince dalla raccolta postuma Saggi sul
marxismo editi nel 1960. Archivio Si segnalano tre fondi archivistici del
pensatore: "Fondo Antonio Banfi" presso la Biblioteca Panizzi
di Reggio Emilia. L'archivio, insieme con la biblioteca personale di Banfi,
dopo la morte del pensatore venne donato alla provincia di Reggio Emilia
insieme con la costituzione del "Centro studi Antonio Banfi”. In seguito,
il Centro si trasformerà in "Istituto Banfi", con sede a Reggio
Emilia. Nel , l’archivio e la biblioteca personale del filosofo sono stati
depositati alla Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia, a seguito di un accordo
tra Soprintendenza Archivistica per l’Emilia-Romagna, Comune e Provincia di
Reggio Emilia. La biblioteca conserva anche l'archivio di Daria Malaguzzi Valeri
e l’archivio delle carte di Clelia Abate, segretaria del Fronte della Cultura e
allieva di Banfi. Archivio "Antonio Banfi e Daria Malaguzzi Valeri"
presso la Biblioteca di Filosofia dell'Università degli Studi di Milano. Il
fondo archivistico contiene diverse centinaia di documenti conservati da Daria
Malaguzzi Valeri, moglie del filosofo, e da lei usati nella stesura del libro
Umanità, pubblicato nel 1967 per le Edizioni Franco di Reggio Emilia. I
documenti del fondo coprono l'intero arco di vita di Antonio Banfi ma risultano
particolarmente ben rappresentati gli anni giovanili; da segnalare soprattutto
il ricco epistolario con la futura moglie, riferito agli anni compresi tra il
1911 e il 1916, e la corrispondenza con Piero Martinetti, durante la sua docenza
presso la Regia Accademia Filosofico Letteraria di Milano e poi dal suo ritiro
di Spineto. "Archivio privato familiare Antonio Banfi" conservato
presso l'Università degli studi dell'Insubria. Centro Internazionale Insubrico
Carlo Cattaneo e Giulio Preti, riunisce migliaia di lettere, biglietti,
cartoline postali, plichi e buste, conservati in 33 raccoglitori a loro volta
inseriti in 15 buste, per una consistenza di circa 1,5 mi. Gran parte
dell'archivio è costituito dal carteggio tra Antonio Banfi e Daria Malaguzzi
Valeri, sposatisi il 4 luglio 1916. Il rapporto epistolare con la moglie,
infatti, non si limitò alla sfera affettiva e familiare, ma affronta spesso
tematiche filosofiche (ad esempio, la frequentazione di G. Simmel durante il
giovanile soggiorno a Berlino, nel 1909-1911, o la ricezione dell'opera e la
personale conoscenza di E. Husserl) e di attualità, nella concretezza dei
riferimenti a eventi e circostanze del presente e ai rapporti sociali coltivati
da Banfi come pensatore, studioso, organizzatore culturale e uomo politico. Altre
opere: “La filosofia e la vita spirituale” – lo spirito, l’animo, vita, animo
vitale – (Milano, Isis); “Principi di una teoria della ragione” (Firenze, la
Nuova Italia); “Pestalozzi, Firenze, Vallecchi); “Vita di Galileo Galilei”
(Lanciano, R. Carabba); “Sommario di storia della pedagogia” (Milano, A.
Mondadori); “I classici della pedagogia: Rousseau, Pestalozzi, Capponi,
Gabelli, Gentile” (Milano, Mondadori); “Studi filosofici : rivista trimestrale
di filosofia contemporanea” (Milano); “Saggio sul diritto e sullo Stato, Roma,
Rivista internazionale di filosofia del diritto); “Per un razionalismo critico,
Como, Marzorati); “Lezioni di estetica raccolte Maria Antonietta Fraschini e
Ida Vergani, Milano, Istit. Edit. Cisalpino); “Vita dell'arte, Milano,
Minuziano); “Galileo Galilei” (Milano, Ambrosiana); “L'uomo copernicano,
Milano, A. Mondadori); “La crisi dell'uso dogmatico della ragione, Milano,
Bocca); :La filosofia del settecento, Milano, La Goliardica); “La filosofia
critica di Kant” (Milano, La Goliardica); “La filosofia degli ultimi
cinquant'anni, Milano, La Goliardica); “La ricerca della realtà” (Firenze,
Sansoni); “Saggi sul marxismo, Roma, Editori Riuniti); “Filosofia dell'arte”
(Roma, Editori Riuniti). Note
"Perciò appunto non ho dimenticato i tuoi interessi e sarei lieto
che fossi tu a succedermi, In questo senso ho scritto, richiesto da Castiglioni
stesso, che ora è preside, a Castiglioni. Ho consigliato lui e con lui la facoltà
ad accaparrarsi te per la F.[ilosofia] e Banfi per la St.[oria] d.[ella]
F.[ilosofia]"; Lettera n. 108 Piero Martinetti a Adelchi Baratono, 21
dicembre 1931, in Piero Martinetti Lettere (1919-1942), Firenze, , 107-108.
Rossanda, Rossana, La ragazza del secolo scorso, Torino, Einaudi,
2005, 52 ss., 9788806143756. Vedi scheda del Senato della RepubblicaI
Legislatura. Vedi scheda del Senato
della RepubblicaII Legislatura. Cit. in
"Il marxismo e la libertà di pensiero", (1954), pubblicato in
"Saggi sul marxismo", Editori Riuniti, 1960, pag.152 A.Banfi, La mia prospettiva filosofica, in La
ricerca della realtà (1959), pag.713
Fondo Banfi Antonio, su SIUSA Sistema Informativo Unificato per le
Soprintendenze Archivistiche. 3 dicembre .
Centro Internazionale Insubrico Carlo Cattaneo e Giulio Preti per la
filosofia, l'epistemologia, le scienze cognitive e la scienza delle scienze
tecniche, su dicom.uninsubria. 3 dicembre .
G. M. Bertin, Banfi, Padova, CEDAM, 1943 E. Garin, Cronache di filosofia
italiana (1900-1943), Bari, Laterza,1955 G. M. Bertin, L'idea di ragione e il
pensiero etico-pedagogico di Antonio Banfi, Roma, Armando, 1961. Fulvio Papi,
Il pensiero di Antonio Banfi, Parenti, Firenze 1961. F. Papi, Banfi Antonio, in
Dizionario Biografico degli Italiani, 5
(1963), Treccani. A. Erbetta, L'umanesimo critico di Antonio Banfi, Milano,
Marzorati, 1978. Antonio Banfi tre generazioni dopo. Atti del convegno della
Fondazione Corrente, Milano, maggio 1978 , Il Saggiatore, Milano 1980. Roselina
Salemi, banfiana, Parma, Pratiche, 1982.
G. Scaramuzza, Antonio Banfi. La ragione e l'estetico, Padova, Cleup, 1984
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inquetudine. Martinetti, Banfi, Rebora, Cantoni, Paci, De Martino, Rensi,
Untersteiner, Dal Pra, Segre, Capitini, Milano, B. Mondadori, 2007
Giovambattista Trebisacce, La pedagogia tra razionalismo critico e marxismo,
Roma, Anicia, 2008. D. Assael, Alle origini della scuola di Milano. Martinetti,
Barié, Banfi, Milano, Guerrini, 2009. G. Sacaramuzza, Estetica come filosofia
della musica nella scuola di Milano, Milano, CUEM, 2009. A. Di Miele, Antonio
Banfi Enzo Paci. Crisi, eros, prassi, Milano, Mimesis, . M. Gisondi, Una fede
filosofica. Antonio Banfi negli anni della sua formazione, Roma, Edizioni di
Storia e Letteratura, . A. Crisanti , Banfi a Milano. L'università, l'editoria,
il partito, Milano, Unicopli, . Maria
Corti Antonia Pozzi Luciano Anceschi Rossana Rossanda Pietro Bucalossi Piero
Martinetti Scuola di Milano Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons
Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Antonio Banfi Antonio Banfi, in Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Antonio Banfi, su siusa.archivi.beniculturali, Sistema Informativo
Unificato per le Soprintendenze Archivistiche.
Antonio Banfi, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana. Opere di Antonio Banfi, su openMLOL, Horizons
Unlimited srl. Opere di Antonio Banfi. Antonio Banfi / Antonio Banfi (altra
versione), su senato, Senato della Repubblica.
La morte a Milano del sen. Antonio Banfi articolo del quotidiano La
Stampa, 23 luglio 19577, Archivio storico. Massimo Ferrari, Piero Martinetti e
Antonio Banfi, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Marcello Gisondi, La formazione
intellettuale e politica di Antonio Banfi. Tesi di dottorato discussa presso
l’Università Federico II di Napoli (a.a. /) "Antonio Banfi a Milano",
sito della mostra allestita dal 22 maggio al 13 giugno presso la Biblioteca di Filosofia
dell'Università degli Studi di Milano Filosofia Università Università Filosofo del XX secoloStorici
della filosofia italianiTraduttori italiani 1886 1957 30 settembre 22 luglio
Vimercate MilanoAccademici italiani del XX secoloDirettori di periodici
italianiPolitici italiani del XX secoloProfessori dell'Università degli Studi
di MilanoAntifascisti italianiSenatori della I legislatura della Repubblica
ItalianaSenatori della II legislatura della Repubblica ItalianaStudenti
dell'Università Humboldt di BerlinoTraduttori all'italianoTraduttori dal
franceseTraduttori dal greco all'italianoTraduttori dall'inglese
all'italianoTraduttori dal latinoTraduttori dal tedesco all'italiano. Antonio
Banfi. Keywords. Eurialo e Niso; ovvero, la tradizione vichiana; banfi —
spirito vitale — storiografia filosofica — istituto di storia della filosofia —
ragione e conversazione — criticismo — conversazione con hegel — personalismo —
l’interpersonale — sovranità — lo stato italiano — lo stoicismo romano — enea e
marc’aurelio — acerrima indago — diritto criminale — kantismo —Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Banfi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51790071803/in/dateposted-public/
Grice e Baratono –
stilistica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Grice:
“I like Baratono – especially his ‘stilistica italiana’ – if I were to offer an
English stylistics I would not count as a philosopher – but that’s because
‘English’ is spoken by more than Englishmen, while Italian ain’t!” Grice:
“Baratono thinks he is a sensist alla ‘Giovanni Locke,’ which he possibly is.” Grice:
“In the typical Italian way, instead of focusing on the classics – Roman
philosophy – he read sociology and psychology and came up, in a typically
Italian way, with a ‘sintessi,’ ‘la psicologia del popolo’ alla Wundt.” Grice:
“If Austin punned on sense and sensibility – Baratono takes ‘sensibilia’ VERY
sensibly – as the basis for ‘aesthetics,’ seeing that ‘aesthetikos’ IS
Ciceronian for ‘sensibile’.” – Grice: “Baratono is Griceian in his search for
what he calls the ‘elementary’ – he applies ‘elementary’ to ‘fatto psichico’:
judicativo e volitivo – both based on the ‘sensibile’ – or rather on
probability and desirability – credibility and desirability --. His use of
‘sense’ does not quite fit the Oxonian ‘sense datum,’ since the will is
involved in the sensibile – or, in his wording, it is the anima (or psyche)
that searches for the corpus -- -- The compound is something like the
hylemorphism – the form is sensible – and the volitive (prattica) and
judicative (teoretica) components of the soul operate on this.” -- Fra i maggiori esponenti del Partito
Socialista Italiano nel periodo fra le due guerre. Vive sin dalla giovinezza a Genova, dove
compie i suoi studi. Si laurea in filosofia. Insegna a Genova, Savona,
Cagliari, Milano. Baratono si iscrive al
PSI subito dopo la fondazione e viene eletto consigliere comunale a Savona,
aderendo all'ala intransigente in forte polemica con i riformisti. Entra nella
Direzione nazionale del partito. Alcune battaglie politiche lo vedono emergere
come figura di primo piano del socialismo italiano, come quella che Baratono
porta avanti capeggiando la frazione comunista unitaria al Congresso di
Livorno. L'accettazione con riserva dei 21 punti dell'Internazionale comunista
di Mosca determina la clamorosa scissione e l'uscita dei comunisti dal Partito Socialista.
Presenta al congresso la mozione massimalista. Diviene deputato. Confermato per
la terza volta membro della Direzione socialista, mentre la maggioranza
massimalista si orienta per la scissione dei riformisti, al Congresso di Roma sostiene
fortemente l'unità, anche per il timore dell'affermarsi delle forze fasciste.
Dopo il Congresso di Roma, aderisce al Partito Socialista Unitario e diviene un
assiduo collaboratore di Critica Sociale. Collabora al “Quarto Stato”. Con il
consolidamento del regime fascista, si dedica esclusivamente ai suoi studi
filosofici. Torna all'attività politica
all'indomani della Liberazione, con collaborazioni sull'Avanti! riprendendo i
suoi studi di critica marxista.
Note «Perciò appunto non ho
dimenticato i tuoi interessi e sarei lieto che fossi tu a succedermi, In questo
senso ho scritto, richiesto da Castiglioni stesso, che ora è preside, a
Castiglioni. Ho consigliato lui e con lui la facoltà ad accaparrarsi te per la
F.[ilosofia] e Banfi per la St.[oria] d.[ella] F.[ilosofia]». Lettera n. 108,
Piero Martinetti a Adelchi Baratono, 21 dicembre 1931, in Piero Martinetti
Lettere (1919-1942), Firenze, , 107-108.
Fonti Vittorio Mathieu, «BARATONO,
Adelchi» in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 5, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 1963. Altri progetti Collabora a Wikisource
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openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Adelchi Baratono, . Adelchi Baratono, su storia.camera, Camera
dei deputati. Filosofi italiani del XX secoloPolitici italiani del XX
secoloAccademici italiani Professore1875 1947Nati l'8 aprile 28 settembre
Firenze GenovaPolitici del Partito Socialista ItalianoDeputati della XXVI
legislatura del Regno d'ItaliaStudenti dell'Università degli Studi di
GenovaProfessori dell'Università degli Studi di GenovaProfessori
dell'Università degli Studi di CagliariProfessori dell'Università degli Studi
di Milano. Critica dei valori ed estetica metafisica. Psicologia critica dei
valori e metafisica estetica. Carissimo Groppali » Nella
tuapubblicazionedaltitoloPsicologia socialeepsic.collettira, trovo rammentato
un mio articolo (comparso nel quarto fascicolo del l'Archivio di
Psic.coll.).con queste parole (pag.29): RASSEGNA DI SOCIOLOGIA E
SCIENZE AFFINI citato;non posso fare comequel buon figliuolo di Renzo
Tramaglino, che, a sentir dire che la sua Lucia era una « bella baggiana »,per
amor dell'epiteto lasciava passare il sostantivo. » Lasciami invece un
po'brontolare contro la seconda parte del tuo giu dizio.E,quantunquein fatto di
scoperte scientifichenessuno sipossa dire assolutamente il primo scopritore,
permettimi di dare al Sighele quelch'èdiSighele,ea me quelchesembramio. »
Perilnostrocaso,lascopertapiùimportante,acuisonogiunti questi autori, è la
semplice constatazione del fatto, che gli atti estrin secanti la emozione d'un
individuo riproducono in altri individui ana loghe emozioni ed atti volontari.
» Ebbene:primaepiùcompletamentediquegliscienziati,loSpencer era pervenuto alla
medesima legge con la sua teorica della simpatia ; e per di più aveva spiegato
il fatto diquella suggestione con la ragione sociale, osservando che un atto
emotivo non potrebbe suscitare nei pre senti un sentimento corrispondente se
non vi fosse stata l'esperienza propria o atavica che avesse associato
quell'atto all'emozione reale uni. tamente sofferta; trovandone perciò la
genesi nella convivenza sociale, per essere gl'individui associati sottoposti
alle medesime cause di pia cere e dolore. » Adunque io nel mio studio potevo
passarmi di citare altre teorie, oltre quella spenceriana, quando ridussi il
fenomeno collettivo a feno meno simpatetico. E fin quinon ho fatto,nè ho detto
di fare,nessuna scoperta:ma soltantohoapplicatolaleggespencerianaaunnuovogruppo
di fatti,da Ini non considerati specialmente.Ripeto: ionon ho sostenuto come
mia scoperta, ma ho soltanto accettato e meglio dimostrato, che il fatto
psichico del delirio collettivo ha per sostrato il giuoco delle emo zioni e
rappresentazioni, cioè il fatto simpatetico. » A questa domanda non poteva
rispondere nè il Sighele, che non è mai entrato nel campo della psicologia
generale,nè,come si sa, lo Spen cer e gli associazionisti,che si contentavano
di descrivere il fatto, ridu cendolo a uno schema associativo,ciòche,come
spiegazione,ha ilvalore di una tautologia, senza svelarne il meccanismo, cioè
il rapporto fra gli elementi;né imaterialisti,che nedavanouna
ipoteticaspiegazioneana tomo-fisiologica, senza entrare nella pura psicologia.
>Dall'altraparte,rispondereaquelledomande significatrovarele ragioni ultime
e più generali del fenomeno collettivo ; vale a dire, ridurlo completamente . »
Questo ho tentato io di fare; di qui comincia il mio studio genuino. Me ne sono
vantato? ho soltanto asserito che tentavo di muovere un » Il Sighele
intui, che i fatti caratteristici della emozione di una folla si possono
ridurre a qualcosa di più generale,ov'entri quella facoltà dell'imitazione,
quella suggestione, con le quali altri avevano spiegato il contagio morale;
perciò egli, se malnon ricordo,senza nulla aggiun gere diproprio, si riferì
alle teorie di Bordère, Ebrard,Jolly,Tarde, Sergi, Espinas ecc. ecc. » Ho
dunque accettata una legge,o,meglio,ladescrizione di un fatto generale,chesi
potrebbe enunciare cosi: Negli individui associati,la percezione degli
atticorrispondenti alle emozioni di alcuno destando in altri la
rappresentazione di piaceri o dolori analoghi, suscita piaceri o dolori
analoghi e gliatti corrispondenti. > In questo enunciato c'èqualcosa di
mio.Ma non mi curo di metterlo in luce. Piuttosto ti rivolgo la domanda :
osservato il fatto, lo Spencer ne ha trovato la ragione sociologica ; ma vi è
qualcuno che ne abbia tro vato la ragione psicologica? Come una
rappresentazione emotiva può diventare un'emozione attuale, condizione e stimolo
di atti volontari ? RASSEGNA DI SOCIOLOGIA E SCIENZE AFFINI passo nel
cammino dellapsicologia collettiva:tu puoi scusarmene,perché conosci il
tripudio di chi lavora per la scienza,che oggi è ancor l'unica nostra
ricompensa. »Adunqueilrimanentestudio,larispostaaquelladomandaèmio: » 1.°Mio
nelle premesse,che si riferiscono al libro Ifatti psichiri elementari, dove
dimostravo che : « La legge più generale della psiche è data dalla serie dei
fatti emotivo -conoscitivo -volitivo, quando si con sideri questa come
l'espressione di un rapporto,per cui ilprimo termine rappresenta l'energia
determinante degli altri »; » 3.° Mio nell'applicazione alfenomeno collettivo,
dove le multiple rappresentazioni emotive devono agire sopra ognuno degli
individui come altrettante emozioni reali attenuate, ma accumulate sulla prima;
onde l'esaltazione propria della folla. » Tutte queste tesi sono diverse da
quelle sostenute e dall'intellet tualismo e dal volontarismo. » Riepilogando:
il Sighele giunse a ridurre il fenomeno collettivo a un fatto generale
enunciato come legge ; e lo Spencer aveva dato la spie gazione sociologica di
questo fatto : m a , perchè vi fosse una spiegazione psicologica, bisognava
aver trovato non solo l'associazione,ma anche il rapporto tra gli elementi
associati ;il quale rapporto di dipendenza, cioè di
condizioneestimolo,doveva,perridurrecompletamentequel fenomeno, coincidere col
rapporto o legge più generale della psiche. Questo ho cer cato difare: e, poi
che in modo particolare avevo stabilita la serie dei fatti psichici veramente
elementari e illoro rapporto,cioèla legge psi cologica generale, anche
particolare doveva riuscire l'inferenza al fenomeno collettivo. » Non
posso,egregio e carissimo amico, riassumere in poche pagine
quelloche,agiudiziomio edaltrui.ègiàtroppostrettamenteriassunto ne'mieilavori.A
te,che liconosci, eche possiedi un forteingegno intuitivo, basterà questo
richiamo; e spero che ti persuaderai, che il Sighele restaugualmente uno
de'nostri migliori scienziati,anche senza regalare a lui,che non ne ha
bisegno,quelle due o tre pagine con le quali si termina il mio studio. » Spero
ancora più fervidamente, che tu non mi dia del noioso e del l'immodesto per
questa mia lettera,e che sempre mi creda il tuo. BARATONO, Adelchi. -
Nacque l'8 apr. 1875 a Firenze dove il padre, Alessandro, originario di Ivrea,
si era stabilito dopo il trasferimento della capitale del regno da Torino. La
madre, Ermelinda Rossi, era fiorentina. La famiglia si fissò definitivamente a
Genova, e il B., compiuti gli studi classici, frequentò l'università,
addottorandosi in lettere e in filosofia. Suo principale maestro fu A.
Asturaro, del cui indirizzo sociologico il B. risentì nei suoi primi lavori
(Sociologia estetica,Civitanova Marche 1899; Sul problema religioso,in Riv.
ital. di sociol.,IV [1900], 4), così come, successivamente, subì l'influsso di
E. Morselli e delle sue lezioni di psichiatria. Gli interessi psic0logici del
B. sono documentati in questo periodo da numerose pubblicazioni (I fatti
psichici elementari, Torino 1900; Sulla classificazione dei fatti
psichici,Bologna 1900; Energia e psiche, in Riv. di filos. e scienze affini,
IV[1902], pp. 27-47, 162-180). Psicologia e sociologia venivano, poi,
naturalmente a fondersi in una wundtiana "psicologia dei popoli"
(Sulla psicologia dei popoli, Genova 1901), permeata di una filosofia
scientificamente concepita. Questo movimento culmina nei Fondamenti di
psicologia sperimentale (Torino 1906), che risentono ancora dell'influsso
positivistico, nella ricerca di una filosofia scientifica, ma cominciano, al
tempo stesso, a rivelare l'originalità filosofica del Baratono.
Contemporaneamente il B. coltivava il proprio gusto estetico frequentando i
circoli letterari, le mostre di pittura, i caffè degli artisti; a venticinque
anni pubblicò un volumetto di versi (Sparvieri,Genova 1900, con acqueforti di
Edoardo De Albertis), che sarà seguito da altre poesie (Lettera - Notturno -
Congedo, 1908), articoli letterari e frammentarie commedie, comparsi
generalmente in Riviera ligure. Questo duplice interesse, psicologico, ed
estetico, accompagnò il B. per tutta la vita, ma non senza trasformarsi
radicalmente, dall'originario positivismo, in una personale forma di
"sensismo", dove tornavano a incontrarsi il significato etimologico e
il significato moderno della parola "estetica". Nel 1911 - l'anno del
congresso internazionale di filosofia di Bologna, a cui il B. partecipò - egli,
che l'anno prima aveva celebrato I funerali del positivismo italiano (in Lavoro
nuovo,5 apr. 1910), pubblicò la Psicologia sintetica,in cui l'aspetto
filosofico e quello scientifico-sperimentale della ricerca erano nettamente
divisi, e la psicologia veniva assegnata al secondo. Conseguita la libera
docenza, il B. tenne corsi e conferenze all'università di Genova - oltre che
all'università popolare - prendendo a interessarsi del problema pedagogico,
strettamente congiunto con quello politico. QuattroDiscorsi sull'educazione
furono da lui riuniti in un volumetto, e alcuni anni dopo uscì la sua opera
fondamentale in materia: Critica e pedagogia dei valori (Palermo 1918).
Dalla politica il B. si era sentito attratto fin dalla prima giovinezza. Le sue
convinzioni etiche lo indussero a militare nelle file del socialismo; tuttavia,
anche nell'attività politica, egli conservò quell'atteggiamento aristocratico e
leggermente distaccato che lo caratterizzava sul piano culturale, ciò che tolse
mordente alla sua azione. Nell'aprile 1919, per le elezioni amministrative,
redasse in collaborazione con E. Gennari un ordine del giorno, votato poi
all'unanimità dal Consiglio nazionale del partito, dove si dichiarava che dei comuni
ci si doveva impadronire per "parálizzare tutti i poteri e tutti i
congegni dello Stato borghese, allo scopo... di accelerare la rivoluzione
proletaria". Rispetto alla rivoluzione russa, il B. si pronunciò contro
l'accettazione senza riserve delle ventuno condizioni poste da Mosca per
l'adesione alla Terza Internazionale, ma fu messo in minoranza nella riunione
della direzione del 28 sett. - 1° ott. 1920. Cercò inoltre di evitare ogni
scissione a sinistra, anche a costo dell'espulsione dei riformisti, che
rappresentavano l'ala destra del partito: questo suo punto di vista, sostenuto
prima e durante il congresso di Livorno (gennaio 1921), trovò tuttavia la via
sbarrata dal successo degli "unitari". Dalla sua dirittura morale il
B. era portato all'intransigenza; era antimassone, respingeva
l'anticlericalismo di maniera, auspicava la libertà dell'insegnamento. Turati
ebbe a definirlo "il filosofo della direzione del partito". Eletto
deputato nella XXVI legislatura, sedette al parlamento nel 1921-22, ma l'avvento
deli fascismo lo costrinse ad abbandonare l'attività politica (nella quale
rientrano anche scritti come Le due facce del marxismo taliano,Milano 1922, e
Fatica senza fatica,Torino 1923). Più fortunata divenne, a, questo punto,
la carriera universitaria. Titolare a Cagliari dal 1924, il B. si occupò, tra
l'altro, di Problemi universitari (Mediterranea,I[1927], 8) e vagheggiò un
progetto Per la riforma della facoltà filos. (Atti della Società ital. per il
progresso delle scienze,XX[1931]), che fu combattuto dal Gentile (Giorn. crit.
d. filos. ital.,XI[1931], pp. 239 s.). Nel '32 il B. passò a Milano, sulla
cattedra di P. Martinetti (che si era ritirato per non prestare giuramento) e
nel ' 38 tornò all'amata Genova, stabilendosi sulla riviera di Sant'Ilario. Qui
riceveva volentieri i suoi studenti e colti visitatori, attratti da una fama,
che, specialmente dopo la pubblicazione di Arte e poesia (Milano 1945), si
estese oltre la cerchia dei filosofi di professione. Riprese l'attività
politica negli ultimi anni, soprattutto in forma di collaborazione a giornali e
di rielaborazione di vecchi scritti di critica marxista. L'ultimo articolo,
L'etica dell'economia marxista, uscì sull'Avanti! alla vigilia della morte, che
avvenne il 28 sett. 1947. Al nome del B. è intitolato l'istituto universitario
di magistero di Genova. La prima formulazione pienamente matura della
filosofia del B. può essere considerata il volume Il mondo sensibile,
introduzione all'estetica (Messina 1934), preparato da alcuni degli scritti raccolti
in Filosofia in margine (Roma 1930); in esso si vuol raggiungere la "prova
esistenziale" della spiritualità del contenuto sensibile. Contro
l'impostazione gnoseologica che soggettivizza il mondo, il B. propugna
un'impostazione estetica che vede nel mondo sensibile, preso per se stesso,
"la forma dell'esistenza". Tale dottrina fu chiamata dal B.
"occasionalismo sensista", in una comunicazione alla sezione
piemontese dell'Istituto di studi filosofici nella primavera del 1940 (Per un
occasionalismo sensista, in Concetto e programma della filosofia d'oggi, Milano
1941, pp. 227-251). La denominazione esprime l'intento di "riflettere
sulla pura forma invece di prenderla quale rappresentazione di altro (soggetto
od oggetto) posto come un contenuto irreducibile a quella forma".
L'esperienza estetica ci mostra che un'ide a pura esiste come forma pura,
sensibilmente, e che questa forma sensibile vale per sé, in un rapporto
formalmente sentito con certezza, che diciamo "verità". Ciò costituisce
un valore sensibile direttamente, diverso sia dal valore del sensibile (che
rappresenta il valore specificamente teoretico) sia dal valore del sentimento
(che rappresenta il valore pratico). L'esserci sensibile interessa il pensatore
o l'uomo pratico solo come ostacolo da superare, ma "riempe di meraviglia
chi guarda il mondo con gli occhi spalancati sol per la gioia di vedere, e così
ne può apprezzare la bellezza". Queste idee sono esposte dal B. in
Arte e poesia,e messe alla prova non solo a contatto con estetiche come quelle
del Burke e del Focillon, a cui il B. scrisse introduzioni (Milano 1945), ma
con la stessa opera poetica, per es. di un Verlaine, di cui il B. ripubblicò in
Italia una raccolta di Poesie, conintroduzione (Milano 1946). Arte e poesia si
conclude con una "apologia della forma", la quale sembra a torto
imprigionare lo spirito e limitare il valore solo perché, in realtà, lo
determina e lo realizza. Rovesciando l'istanza idealistica, secondo cui il
valore sta in un'unità spirituale che si riduce a "un'esigenza
puro-pratica, a una rappresentazione di ciò che non è", il B. dichiara che
l'anima cerca il corpo, non viceversa, che lo spirito cerca la forma, la
filosofia la poesia. Sicché il valore non appare più la premessa indimostrabile
di ogni esistenza, ma il risultato intuitivo della stessa forma
sensibile. Bibl.: F. Della Corte, A. B., in Genova, XXVI (sett.
1949), pp. 26-29. Sul B. Ipolitico: F. Meda. Il Partito Socialista Italiano
dalla Prima alla Terza Internazionale, Milano 1921, pp. 90-102; I deputati al
Parlamento per la XXVI legislatura, Milano 1922; M. Carrea, Per una filosofia
del socialismo, in Osservatorio, Genova 1946, n. 3; P. Nenni, Storia di quattro
anni (1919-1922), Roma 1946, passim; A. Tasca, Nascita e avvento del fascismo.
L'Italia dal 1918 al 1922, Firenze 1950, pp. 196 s., 361; F. Turati-A.
Kuliscioff, Carteggio. V: Dopoguerra e fascismo (1919-22), a cura di A.
Schiavi, Torino 1953, vedi Indice. Inoltre per alcuni scritti del B., in
Critica Sociale, degli anni 1923-24, vedi Critica Sociale, a cura di M.
Spinella, A. Caracciolo, R. Amaduzzi, G. Petronio, III, Milano 1959, Indici, a
cura di M. T. Lanza. Sul B. filosofo, oltre l'esposizione del proprio pensiero
fatta da lui stesso in Il mio paradosso, in Filosofi ital. contemporanei, Como
1944 (2 ediz. Milano 1946), cfr. U. Spirito, L'idealismo ital. e i suoi
critici, Firenze 1930, pp. 130-141; G. Della Volpe, Crisi dell'estetica
romantica, Messina 1941, pp. 26-31; M. F. Sciacca, Il secolo XX, Milano 1942,
pp. 218-223; G. Faggin, Il formalismo sensista di A. B.,in Riv. crit. di storia
d. filos., I (1946), pp. 189-96; R. Assunto, B. e l'estetica moderna, in
L'Italia che scrive, XXIX (1946), 3, pp. 50-52; G. M. Bertin, L'estetica di
B.,in Studi filosofici,VIII(1947), pp. 136-38; G. Bontadini, Dall'attualismo al
problematicismo, Brescia 1947, pp. 170-187, 254-56; C. Talenti, A. B., Torino
1957 (con bibl.).
Adelchi Baratono. Keywords: stilistica, breviario di stilistica italiana, fatto
psichico elementare, i fatti psichici eleentare, psicologia filosofica,
illuminismo, implicatura luminaria, implicatura escataologica, politica ed
etica, la filosofia al margine: gentile, croce, natura umana, esperienza, il
mondo sensibile, estetica, il bello, il sublime, criticismo, assiologia, hume a
Cremona e torino, spirito, animo, forma logica, l’eneide, riviera ligure,
“Rivera Ligure”. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Baratono” – The Swimming-Pool
Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51789912631/in/dateposted-public/
Grice e Barba –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Gallipoli). Filosofo. Grice: “I like
Barba, but then I like Gallipoli – and he was born and died there, at Villa
Barba. His main interest was Roman philosophy, which he studied at Naples! –
The Roman occupation in Southern Italy brought ‘a breath of fresh air,’ as
Barba has it, to the old “Grecia Magna” tradition --.” Grice: “Barba is very
clear: ‘Epigrafia filosofica latina,’ o ‘epigrafia filosofica romana’ surely
ain’t Grecian!” -- Figlio di Ernesto,
conduce gli studi a Gallipoli, per poi trasferirsi a Napoli presso il zio,
Tommaso Barba. Tommaso Barba e presidente della Gran Corte. Studia grammatica e
materie letterarie nella scuola di Puoti. Si laurea in Filosofia. Studiare nel
R. Collegio Cerusico e divenne professore di anatomia umana comparata. Insegna
scienze e lettere al ginnasio di Gallipoli e fu sovrintendente scolastico ed
Assessore delegato alla Pubblica Istruzione.
Fu arrestato ed esiliato a causa delle resistenze al governo. I membri
dell'Associazione Democratica posero una scritta: "Nato dal popolo, Per il
popolo si adoperò". A lui fu intitolato il Museo civico di Gallipoli. Note
AnxaEmanuele Barba, su anxa. 21 aprile
13 ottobre ). Scheda sul sito del
Museo Emanuele Barba. Filosofi. Emanuele Barba. Keywords. epigrafia latina,
iscrizione latina, iscrizione greco-romana, la iscrizione di Platone sulla
porta dell’academia, ageometretos medeis eisito, Delville pittore belga
(Libert), a Italia crea ‘L’ecole de Platon,’ per la Sorbonna. I vasi di Barba – gemelli, fratelli siamesi,
ecc. Monete romana, Gallipoli, colonia romana, ‘Proverbi e motti del popolo
gallipolino” – poesie di Barba sulla morte del re d’Italia, risorgimento –
esilato, carcere – la filosofia di Barba, barba filosofo. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Barba” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51688394612/in/photolist-2mKwwVs-2mKMcL9-2mKDQcp-2mKwqSL-2mKwwoA-2mPxhsE-2mKBEmt-2mKQW9n-2mKwuhr-2mKMJYE-2mKBLhJ-2mKG3XG-2mKT4G5-2mKQDQ5-2mKCdPg-2mKRfHn-2mKxzFL-2mKwv6q-2mKNdog-2mKC3nj-2mKMsLp-2mKH3ZR-2mKF6Rp-2mKArEy-2mKCnei-2mKDteh-2mKgN49-2mPHbXQ-2mKfeSA-2mJWMoD-2mJPC2N-2mJLMNt-2mJq2uE-2mJd7nN-2mJ4GHU-2mJ3q6x-2mGT6p1-2mEuJp2-ErqrPW-CkaHMd-BVh5m5-CntuMM-BRstt1-o3jP2q-nKqBVU-nJyPnZ-o1WCtG-noDCLh-nqpN2n-npidX4
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