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Saturday, May 15, 2021

Grice e Conti

 EPOCA SECONDA DELL'ÈRA PAGANA. CIVILTÀ DEGL'ITALOGRECI; SUCCESSIONE DE'LORO SISTEMI. SOMMARIO . Tre tempi dell'incivilimento ilalogreco ; i l'elasghi, la trasfor mazione loro negli Elleni , le colonie . - Il terzo è più nolo ; quali sono i suoi termini . – Cinque cagioni più principali dell'unione fra la civiltà orientale e l'italogreca : colonie , commerci, viaggi , lingue , tradizioni. Tre opinioni sopr ' esse; tutto dall'oriente, nulla e opinione media . – Dj pendenza non generica nė volgare della filosofia italogreca daʼsistemi orien tali . – La civiltà jtalogreca fiori primamente dove più vive le comunica zioni con l’Asia e dove più ricco un anteriore incivilimento . l'ero quest'epoca si chiama orientalitalogreca , o più breve , italogreca . Questa è un'età di passaggio , fra le qualità orientali e il tempo socratico. Si veda le attinenze lia filosofia italogreca , religione e civiltà. Quanto alla religione sacerdotale, se n'ha indizi per le memorie de ' Pelasghi, de ' Mi steri e degli Orfici. Celebre passo di Erodoto sulla religione de ' Pelas ghi, e sul nome degli dèi posteriori ec ., e conseguenze di ciò . Somi ilianze tra la religione pelasgica e quella de' Bragmani. - Misteri : quelli di Samotracia istituiti da 'Pelasghi ; domma che s'insegnava segretamente e molto simile al panteismo dell'India. – Ciò pur anche ne ' Misteri eleu sini ; panteismo naturale, metempsicosi, immortalità, purificazione. - La teologia d’Eleusi non può interpretarsi solamente in senso fisico. Testi monianze di lode que' Misteri pel domma sull'immortalità . Le due anime; anch'in Omero ec . – Gli Orfici: qualcosa di storico v'è circa Orfeo , benché con mistura di simbolo.-- La dottrina che va sotto il nome d'Orfeo si raccoglie da tradizioni antiche e da'versi orlici. Le tradi zioni attribuiscono a Orfeo una religione collegata poi a'Misteri eleusini : cosmogonie orliche, somiglianti all'indiane . Quanto a'versi orlici , que sli non appartengono a Orfeo ; ma parecchi son certamente molto antichi. Da varj ioni (che si riferiscono qui, apparisce il panteismo naturale come ne ' Vedi. Passi che fece la religione tra l'Italogreci: panteismo natu rale con molte tracce del Dio unico ; adorazione degli astri , massime nel volgo ; teogonie , o emanazioni sempre più specificate e che prendono attri boti e nomi distinti ; individuazione ultima e volgare del politeismo, specie per opere degli artisti e de' poeti, abbandonando quasi ogni simbolo. Memorie sul combattimento fra le religiose tradizioni e il politeismo cre scente. - La filosofia , dunque, prima sacerdotale ; poi sacerdotale e laicale ad un tempo ; cedè inline al politeismo, rispettandolo, se non altro , come apparenza o credulità popolare. — Questo resistere al male, e poi cedergli, si vede ancora per l'altre parti della civiltà italogreca. La filosofia venne preparata da molte cagioni, e però dovè fiorirvi assai presto , anzi chè cominciare a' tempi di Talete molto dubbiosi. - La filosolia mosse da un ritorno sulla coscienza morale Questa filosofia morale e religiosa fiori, prima di Taleto, non solo in Italia ma tra gli Ionj pur anco ; e se n'ha prove non dubbie. La cuola pitagorica precedeva Talute ; ma va di . slinto Pitagora dal Pitagoresimo. - Molti argomenti di fatto e molte auto rità per mettere in saldo le antiche origini di tal filosofia . Anche la scuola di Xenofane antecedė Xenofane stesso ; e quindi abbiamo, prima il Pitagoresimo, poi la scuola cleatica e l'ionica , infine i sistemi negativi . L'epoca dell'incivilimento italogreco si può distin guere in tre tempi; de Pelasghi ( o con qual altro nome 246 PARTE PRIMA. si voglia chiamare que' popoli primitivi) ; della trasforma zione di essi negli Elleni ; delle colonie. L'età de' Pelasghi o degli antichi abitatori di Grecia e d'Italia si perde nella notte de' secoli , ignoto il principio e la durata . È certo bensì, che quegli abitatori vennero d'Oriente, come se n'ha prova in tutte le memorie e ne’linguaggi e nelle reliquie dell'arti ; e che i Pelasghi, quantunque paruti barbari a Ecateo e ad Erodoto e di barbaro dialetto, furono la più antica sorgente e più copiosa delle genti e lingue e religio ni elleniche. (Balbo, St. d'It.; Cantù, St. univ .; Guignaut, note al Lib. IV del Creuzer, Rel. de l'antiquité.) Sem braron barbari, perchè reliquie di popoli più segregati allora da'popoli nuovi, già molti passati avanti. Fatto è che di là, ove i Pelasghi abitarono, fan derivare i Greci la civiltà loro , dall' Elicona, dall'Olimpo e dal Pindo. Accadde poi e in Grecia e in Italia un cozzo di popoli : qual cozzo, e di che popoli, è molto incerto agli eruditi ; ma questo si sa, ed Erodoto l'afferma più volte, che al lora con trasformazione lunga e tempestosa i Pelasghi si convertirono in Elleni. Viene poi l'età delle colonie ; un rovesciarsi di genti greche le une sull'altre, un in vadere, un esulare, e indi un propagarsi di colonie, prima nell'Asia minore e nell'Isole, poi nella Calcide, nell'Eu bea , in Sicilia e sulle coste d'Italia, e infine (propag gini di colonie da colonie) in Asia , in Tracia, sul Da nubio e nel Mar Nero. Questa terza età è propriamente storica ; dell'altre due il più va ingombro di favole ; e la terza cominciò, secondo l'Hofler assai temperato nelle · cronologie, sul secolo undecimo avanti l'èra nostra. ( St. Univ .) In un'età così lunga e operosa, e ch’ebbe così lun ghe e ricche preparazioni, si formò la civiltà e filosofia degl'Italogreci; la quale, svolgendosi nelle colonie d’Ita lia e dell'Asia minore, cedè poi nel secolo quarto avanti Cristo al primato d' Atene; onde cominciò un'altra età di filosofia . Nell'epoca di che si parla ora, in ogni tempo del l'epoca stessa, cinque cagioni principalmente mantene LEZIONE DECIMATERZA . 247 vano unite la civiltà orientale e l'italogreca ; colonie , commerci, viaggi, lingue, tradizioni : Le colonie, nè dico solo l'egiziane di Lelege, Danao, Cecrope ed altri, ma le prime venute dalla terra degli Arii e de' Persiani, e l'ultime ellene che si spargevano per l'Asia minore ; i commerci, che com’appare in Omero, non cessarono mai tra Grecia e Italia e le coste dell'Asia ; i viaggi per l'Oriente, non possibili a negare in tutto, de filosofi d'allo ra, come il Ritter non nega quelli di Pitagora, il Ritter ne gatore sì voglioso ; le lingue, che certo prendevano gl'inizj degli Orientali, e con le lingue le tradizioni d'ogni maniera. Tra queste, principali le religiose, in torno a cui son tre le opinioni: da Erodoto fino al Creu zer le mitologie italogreche, la greca segnatamente, si reputarono di provenienza orientale e il più egiziana ; ma poi Ottofredo Müller, il Voss e altri riferirono tutto ad ori gine greca ; il Guignaut ( Note al Crcuzer) ed altri con lui tennero finalmente l'opinione media . E questa si è che i germi delle credenze religiose si trapiantassero d' Asia com'anco radici e forme generali delle lingue ; ne può pensarsi altrimenti, dacchè ivi coabitarono un tempo le genti ellene : ciò non impedì, nè mai l'im pedisce uno svolgimento di proprie fattezze così nelle lingue come nelle religioni: all'età poi delle colonie, quand' elle si sparsero sull' Asia minore, per l'Egeo e nel Ponto Eusino, dalle comunicazioni fra loro e i vi cini orientali scaturi la fonte più copiosa d'idee e di simboli asiani, manifesta già in Esiodo ed in Omero . ( N. 1 al Lib. V , Sez. 1. ) Talchè (ponete mente, o si gnori), se lo spargersi di colonie nell'Asia minore av venne dall’undecimo all'ottavo secolo incirca, e nel con tinente poi d'Italia e di Sicilia dall'ottavo al sesto , que st'ultimo fatto s'incontra per appunto col ritornare delle tradizioni orientali fra gli Elleni, e ne sorge in mezzo la filosofia nuova degl'Italogreci. Non istarò dunque a disputare com’essa derivi più o meno da’sistemi orien tali, bastandomi ch'ella dipenda per fermo da molte tradizioni d'Oriente o per le origini delle schiatte o pel 248 PARTE PRIMA. riaccostarsi loro all'Asia. Che tal dipendenza poi de' po poli d'Italia e di Grecia, nazioni antichissimamente ci vili e nella civiltà loro pertinaci, possa credersi affatto generica e volgare, cioè senz'efficacia sull'educazione spe culativa, giudicatene voi , o signori, che pur vedete gli effetti odierni del comunicare le nazioni fra loro. Dove fu egli il primo fiorire della civiltà italogreca ? nelle colonie d'Asia e di Magna Grecia ; non già in Gre cia propriamente detta. Perchè mai, o signori ? La ri sposta non par malagevole ; prima che in Grecia, fiori la civiltà negl'Ionj dell'Asia minore, appunto perchè più vicini all'Asia media, sorgente de' popoli e della civil . tà ; e prima pure che in Grecia fiorì nella Magna Gre cia , cioè in Italia, perchè ivi più forse ch ' altrove ra dicò la civiltà pelasga, e perchè le tradizioni che fanno ionio Pitagora e ionio Xenofane, venuti tra noi, dan se gno come frequenti e vive fossero le comunicazioni tra le coste italiane e l ' Asia minore. Dico poi, ad ogni modo, che le colonie greche trovarono in Italia grandi semenze di civiltà, nè però ebbero impedimento, anzi ebbero aiuto a presto incivilirsi e prosperare. Di fatto recatevi a mente, o signori, due cose molto importanti: prima, che le ta vole d'Eraclea , lette dal Mazzocchi, fan prova come i coloni greci prendessero dagl'Italioti misure e confina zioni agrarie : seconda, che i Lucani, i Bruzj, i Sanni ti , dopo essersi ritirati davanti alle colonie greche, e riparatisi a' monti, ne discesero poi , e le ributtarono ( Hofler ), talchè più non restò in Italia dialetti greci (in Puglia ve n'ha, ma di colonie recenti e fuggite dai Turchi); la qual cosa non poteva accadere, se que'popoli montanari non serbavano istituti civili . Ecco il perchè ho chiamato quest'epoca orientalita logreca (italogreca per più brevità) ; greca, perchè filo sofia di colonie greche; italiana, perchè sorse più splen dida in Italia e con tradizioni italiane ( italica chia marono pure i Greci, come Platone ed Aristotile, la scuola pitagorica e d'Elea) ; orientale, perchè con ori gini e comunicazioni asiatiche. Non si toglie a' Greci LEZIONE DECIMATERZA. 249 la loro eccellenza ' se notiamo quel ch ' essi appresero ; offenderebbe la verità e loro chi loro negasse la mira bile potenza di far proprio l'imparato e di dargli bel lezza e compimento ; essi il ricevuto per dieci lo ridus sero a mille e quel mille lo insegnarono al mondo; ecco la lor gloria vera e non superata. Quant' all'Ita lia nostra, o signori, principalmente sul terreno di lei sorse co' Pitagorici questa filosofia nuova che tanto potè su Platone e sopr’ Aristotile ; l'Italia ricevè dal 1 ° Oriente e da’Greci, l ' Italia poi restituì alla Grecia e alla civiltà de' secoli avvenire ; e potè dirsi allora quel che poi disse Plinio : Omnium terrarum alumna et parens, omnium terrarum electa, una cunctarum gentium in toto orbe patria. Ma le lodi antiche suonano vituperio a’tra lignati: avvaloriamoci , o signori, d'emulazione e di virtù, e non di lode . E quest'epoca, di fatto (come dissi altrove), è un'età di passaggio ; ritiene ancora le qualità orientali, ma che mostrano già di convertirsi nell'altre dell'età socratica . Così tra gl' Italogreci, come tra gli Asiatici, abbiamo un sistema religioso sacerdotale ; ma ora si nasconde ne' Mi steri , e si separa perciò interamente dalle credenze po polari che prevalgono. Tra gli uni e tra gli altri la filo sofia dipende dal sistema religioso ; ma ora si svolge in un modo più laicale e più da sè stesso, perchè così ri chiede la mobilità di quelle repubbliche, e perchè il sistema religioso si rimpiatta, e nè ha sull'invecchiare il vigore speculativo degl'inni e commentarj vedici ; par come un'eco de' tempi passati, più che voce vivente . E siccome la filosofia di quest'epoca pigliò i germi da'Mi steri ( Ritter ), che aveano del panteismo orientale, così ell'ebbe del panteistico a mo' degl'Indiani, ma con ten denze più manifeste alla dialettica che va per distinzioni anzichè per confusioni . Poi , qui come là s' unì la poe sia con la speculazione, ma più altresi se ne distinse ; perchè i poemi omerici non furon mai ravviluppati con una enciclopedia d'episodj; ed i poemi scientifici d'Elea e d'Agrigento s'accostano alla prosa. E qui come là v'è 250 PARTE PRIMA. incertezze storiche, meno per altro ; giacchè il più delle incertezze cadono su' Misteri e sulle origini pitagoriche, non già sulle scuole posteriori . Premesso ciò, si veda, o signori, qual fosse in atti nenza con la filosofia la religione e la civiltà degl' Ita logreci . Della religione, come sistema sacerdotale, me ne passerò più breve che non feci per l'India , giacchè (com ' ho detto) quel sistema era sul morire, e se n'ha meno ragguagli e meno certezza. La religione sacerdotale italogreca si può ricercare in tre modi : per le notizie assai oscure dei Pelasghi, i quali tennero idee religiose più primitive e più vicine alle orientali ; per le notizie scarsissime de' Misteri; per quelle degli Orfici. Essi e l'origine de' Misteri apparten gono, credo, all'età di combattimento e di trasforma zione. Quanto a’ Pelasghi, Erodoto scrive ( II, 51 , 52 , 53) che da loro non si metteva nome agli dèi ; aggiunge che i nomi vennero d'Egitto e che i Pelasghi non li volevano accettare, sì ne rimisero la decisione all'ora colo di Dodona, riuscito favorevole a que' nomi ; e dice infine che le nascite e le forme e gli aspetti degli dèi vennero cantati da Esiodo e da Omero ; tutte cose già ignote. Vuol notarsi com ' Erodoto accenni pure che un simbolo osceno gli Ateniesi lo presero da’ Pelasghi, i quali ne spiegavano il senso ne' Misteri ; e sappiamo di fatto che pure ne' Misteri eleusini e bacchici si mostrava i simboli femminili e maschili secondo i riti d'Oriente . Erodoto, uomo schietto, n'avvisa che il narrato da lui circ' a ' Pelasghi glie l'avevano appreso le sacerdotesse di Dodona, ma che il resto, circa le invenzioni d'Omero e d' Esiodo, lo diceva di suo. Che cosa si raccoglie, o signori, da questo luogo così famoso ? Primo, che la religione de' Pelasghi era più delle succedute lontana dal politeismo ; secondo, che quella si rappresentava co'sim boli orientali della generazione divina e però ne teneva i principali concetti; terzo , che il passaggio dalle divi nità innominate alle nominate, cioè da un che meno LEZIONE DECIMATERZA. 251 pagano ad un più, non accadde senza contrasto, e indi si ricorse agli oracoli ; quarto, che tenuto il simbolo antico ed esteriore, la sua spiegazione si fece nell'in terno de' Misteri ; quinto, che i nomi si suppongono venuti d'Egitto in età più recente, perchè all' Asia media non s'imputavano queste tradizioni ; infine che Erodoto reca l'antropomorfismo ad invenzione di poeti, non perchè già tal errore non fosse cominciato popolar mente, ma perchè que' poeti l'ordinarono ( più o men di proposito) in sistemi di mitologia, ed in modi specificati. Che poi la religione pelasgica somigliasse quella de Brag mani lo attestano Ferecide e Acusilao in Strabone ( Ed. Sturz ) ; dicendo che i Cabiri , divinità pelasgiche, son generati da Efesto e Cabira, e che sono tre Cabiri maschi e tre femmine. ( Creuzer, V , 2. ) Venendo a’ Misteri, abbiamo da Erodoto, non solo che i Misteri di Samotracia venissero istituiti da' Pela sghi ( II, 5) , ma (com’abbiamo sentito ) che altresì nel l'interno di quelli si spiegasse i simboli esterni . Come si spiegavano essi ? Apollonio di Rodi serbò del vecchio storico Mnasea un luogo prezioso circa i dommi primi tivi di Samotracia . ( Schol. Apoll. Rhod. ad 1, 917.) Che dommi, o signori ? Similissimi a quelli dell'India . S'in segnava, di fatto, un principio onnipotente, Azieros ; la materia fecondata , Aziokersa, o principio passivo ; e il principio attivo, fecondatore, Asiokersos. Vuol egli dir ciò che il principio attivo ed il passivo si distinguono dall'essenza universale, Azieros o Brahm ? 0 piuttosto ( giacchè l' interpretazione di que' nomi non è certa ), Aziokersa, Azieros, Aziokersos e Casmilo o Cammillo che da taluno s'aggiungeva secondo Apollonio , rispon dono a Maya, a Brahma, Visnù e Siva, taciuta l'essenza universale, il Dio neutro, come non si nomina il Dio supremo nel Rig Veda ? tanto più che Casmilo rispon derebbe, l'afferma Dionosidoro, ad Ermete cioè al Dio delle trasformazioni. Comunque, nell'incertezza de' docu menti tal cosa è certa, il domma samotracio mostrare analogie non poche col panteismo vedico e con la Tri 252 PARTE PRIMA . murti. ( Saint Croix, sur le Mystères du Paganisme ; Creuzer, V , 2. ) E risponde non meno a quel panteismo la dottrina samotracia dell'età varie mondane, o che il mondo si distrugga e rinnovi per forza di fuoco. Anche ne' Misteri eleusini s'esponeva la dottrina d’un principio passivo, d'uno attivo, dell'armonia mon diale che ne nasce, e di ciò che distrugge le forme senza intermissione. Bacco, Cerere, lacco e Mercurio, ossia grecamente Dionisio, Demeter, Iacco ed Ermete, non ritraggono forse, o signori, i sistemi dell'India, del l'Egitto e della Persia ? E forse su quelle divinità è , innominato, il Dio androgeno, o il Cronos e lo Zeus de' tempi remoti, divenuto poi un principio maschile, contrapposto a Giunone principio femminile. Di que' Mi steri non si sa i particolari, vietato rigorosamente il propalarli, come dice Pausania ( art. Beozia) e Apollo doro (Argon. I) , e come dimostra il Meursio ( De Festis Græcorum ). Pure, da'cenni dell'antichità si ritrae che insegnavasi nell' orgie il panteismo naturale ( com’ho detto di sopra) , e la metempsicosi, e l'immortalità del l'anima ( forse col ritorno all'essenza divina) , e la puri ficazione per mezzo della virtù. Il panteismo naturale viene indicato da Cicerone ( De Nat. Deor. I, 42), che diceva : come le dottrine de'Misteri eleusini, ridotte a termini di ragione, si conosce meglio per esse la natura delle cose che quella degli dèi . Che vuol egli dire ? Egli accusa di dottrina neramente fisica gli Eleusini, che la teogonia confondevano, in realtà con la cosmogonia, e ciò accade nel panteismo naturale. Prova, dunque, tale ac cusa , e viene confermato da molt' indizj, che la religione d' Eleusi somiglia il panteismo de' Vedi ; di fatto, che si trattasse d'una fisica soltanto, o senza vedervi dentro la divinità o un che superiore alla natura esterna ce lo vieta lo stesso Cicerone. Egli scrive nel II de Legibus, che i Misteri eleusini s ' hanno da riguardare come il massimo beneficio d'Atene, perch'insegnano a viver lieti e a morire tranquilli nella speranza di vita migliore ; cosa ripetuta da lui nelle Verrine, V. Dice Platone ( Fedone) LEZIONE DECIMATERZA. 253 che l'iniziarsi a' Misteri purifica i cattivi , e dà a'buoni felicità eterna, cioè un'abitazione comune con gli dèi dopo la morte. Isocrate afferma ( Panegirico) che i Mi steri mettono in cuore agl'iniziati le più dolci speranze quant'alla fine di questa vita e quant'all'altra che non finirà mai . Che poi gl'iniziati s'ammaestrassero alla virtù si ha da molti argomenti; e il Meursio (cap. 7 e 17) dimostra che quelli si preparavano a’ Misteri con gli esercizi di castità, e poi si credevano astretti, quasi da sacramento, a rendersi migliori. Così Aristofane ( Rane, v. 467-462) mette in bocca a un coro d'iniziati queste parole : « Il sole e una luce aggradevole sono per noi che onoriamo i Misteri e osserviamo le regole della pietà verso i forestieri e verso i cittadini. » Però que' Misteri si chiamavan teleti ( 7 : ) ett ) , giacchè da loro veniva la perfezione della vita . Va notato che la me tempsicosi s' univa col domma dell'immortalità in que sto modo : credevano gli antichi che il principio animale, principio di vita e di senso, distinguasi sostanzialmente dal principio intellettivo ; e che l'uno, cioè l'animale, passi di corpo in corpo, ma l'altro se ne sciolga dopo alquanti giri di secoli e in premio del vivere onesto, ritornando all'essenza universale o divina. Però si di stingueva in Persia il fervéro o genio dall' animazione, e in China Hoen da Pe, e tra gl’Indiani atma e pran, e in Grecia il démone ( dzepov) o anche logo ( 200795) da psi che, e tra'Romani animus da anima. Quindi l'anima sensitiva s'immaginò non altrimenti che come materia sottilissima, e che, divisa dal corpo, ne teneva le appa renze, erane lo spettro od il fantasma, vagante nelle notti e intorno a' sepolcri. Tal distinzione si vede pertino in Omero, allorchè Ulisse approdando a'Cimmerj inter roga i morti ( Odiss. II, c . 217 ) : « D'Ercole mi s'offerse alfin la possa , Anzi il fantasma ; però ch'ei de' numi Giocondasi alla mensa, e cara sposa Gli siede accanto la dal piè leggiadro Ebe, di Giove figlia e di Giunone. » 254 PARTE PRIMA. La terza fonte di notizie, cioè le memorie orfiche, non vanno soggette, o signori, a tanta perplessità, e può trarsene qualche costrutto ; purchè evitiamo così la co moda credulità come l'eccesso de critici. S'è giunti a du bitare d'ogni realtà storica ed antica rispetto ad Orfeo; ma, quantunque la parte storica si frammischi a' por tenti della favola, e un nome ( al solito) rappresenti le dottrine e i canti di più, nondimeno qualcosa di reale e d'antico vi ha ; perchè Ibico ( in Prisc. VI, 18, 92) che fiorì presso al 550 prima di Gesù Cristo, già ram menta Orfeo ; lo rammenta Pindaro ( Pith. IV , 315 ) , anzi lo chiama padre de canti apdov Tr UTEP ( Ott. Mül ler, St. della Lett. Gr. ) ; lo rammentano ancora gli an tichi Ellenico e Ferecide e le tragedie ateniesi. Da molti luoghi di Platone ( Leg. VIII ; Ione, Convito, Rep . 11) apparisce che a tempo di lui eran divulgati già molti carmi col nome di Museo e d’Orfeo ; questi è citato nel Filebo e nel Cratilo ; e si scorge che l ' espiazioni de’de litti appartenevano alle discipline orfiche. La dottrina che va sott' il nome d’Orfeo si racco glie da tradizioni antiche e da versi orfici. Quanto alle tradizioni antiche, elle attribuiscono tutte ad Orfeo una religione , che istituita da lui si collegò quindi a Misteri d'Eleusi ( Ott . Müller) : e ciò conferma il già detto sulla natura di quel sistema religioso. Si rileva poi dagli antichi scrittori un sistema orfico di cosmo gonia , benchè sotto più forme, e talora v'han messo la mano autori dell' èra cristiana. Il Creuzer ne dà cinque di tali cosmogonie ; rilevantissima quella di Ferecide Siro, pel quale son tre i principj Zeus o Giove o Cronos o l'etere, il Caos o massa inerte ch'egli vivifica, il Tempo o la durata senza limiti ( VII, 3) . E qui voi scorgete, o signori, l'indefinito ch'è concepito nell'astra zione del tempo (come tra’ Persiani ) , e dall'indefinito i due principj , l'attivo ed il passivo. Nella cosmogonia che viene riferita da Atanagora e da Damascio, v’ha l'idea indiana dell' uovo nell'acque, da cui esce Eros o Fa nete, amore o manifestazione dell'armonia universale ; e LEZIONE DECIMATERZA. 255 tal idea orfica viene rammentata negli Uccelli d'Ari stofane . Il mondo, poi, si rinnova per bruciamento (co me secondo Eraclito, gli stoici , gl'Indiani e l'orgie eleu sine) , in virtù di Dionisio corrispondente a Siva. (Creu zer, op . cit. , VII, 3. ) Mi pare che il Maury ottimamente riduca le teogonie o cosmonie orfiche a questo : Cronos genera i due principj , l'etere e il caos ; il caos in virtù dell' etere prende la forma d'uovo, avviluppato dal l'erebo o dalla notte, cioè dalle tenebre primitive, a cui segue la luce o l'amore, quando l'uovo si spacca , ossia quando il germe involuto si svolge nelle sue parti (Op. cit . Nota 12 al L. VII) : queste le idee più principali che risultano dal paragone de' più antichi testimoni . Ma i versi che ci restano sott'il nome d’Orfeo, son essi autentici ? Aristotile e Cicerone negarono già che i versi propalati fin d'allora come d'Orfeo gli apparte nessero ; e più n'è dubbio a' dì nostri, perchè nei primi secoli dell' èra volgare molti documenti si rimaneggia rono, e molti se ne invento. Ma dice il Mullachio ( Fragm . Phil. Græc., ed . Didot. Parisiis, 1860) : Plerique ver sus puroque et simplici sermone insignes sunt ; talchè, considerata la purità e il fare antico di molti versi, e il riscontro di varie testimonianze. ond' essi ci sono tramandati, e l'accordo loro con le tradizioni vetuste, possiamo affermare che quelli senz'essere forse d’un poeta che si chiamava Orfeo, sien per altro reliquie vere degli Orfici antichi . Udite l'inno insigne alla Natura, tradotto dal Cantù nella Storia universale (tomo I) e riferito negli Schiarimenti ( Ed. Tauchnitz, 1832) : « Natura , diva madre universale, in tante guise madre, celeste, venerabile, molto creante spirito ( o cuor ), regina che tutto domi indomata, tutto governi , in tutte parti splendi, onnipossente, ve nerata in eterno, divinità a tutte superiore, indistrutti bile, primonata, antichissima, ... comune a tutti , sola, incomunicabile, padre a te stessa senza padre, che per maschia forza tutto sai , tutto dài , nodrice e regina di tutto ; feconda operatrice di quanto cresce, di quanto è maturo dissolvitrice, delle cose tutte vero padre e ma 256 PARTE PRIMA. dre e nodrice e sostegno. » Le quali ultime parole già udimmo per Aditi nell'inno del Rig Veda. Or bene, che dottrina s’asconde, o signori , ne' versi orfici ? La stessa che ne' Vedi: la natura universale è padre e madre, ossia , principio attivo e passivo ; ell’è divina, perchè non è la materia, sì l'essenza universale, spirito divino primo e materia prima in unità ; è senza padre, cioè senza principio ; è primonata, cioè generata da sè stessa con uscire all'atto dall'indefinita potenza ; indi, ella è padre di sè stessa ; infine, si palesa con tre divine opera zioni , genera tutto, sostiene tutto, distrugge tutto. In Clemente Alessandrino ( Stro. V) , in san Giustino (Co hort. ad Græc.), in Eusebio, nell'egloghe di Stobeo , in Proclo, in Porfirio e in altri si ha varj altri frammenti più o meno antichi, ma che rendono lo stesso sistema. Un inno ch'Eusebio prese da Aristobulo peripatetico. insegna qual sia l'unico genitore del mondo, comie lo chiamano i prischi documenti degli uomini,contro l'er rore antico, cioè contro il politeismo ; e che Dio tiene in sè il principio, il mezzo e il fine. ( Pr. Ev. III, 12.) Riferirò un altro inno ch’Eusebio tolse da Porfirio ( Ivi, e Stobeo, Eclog. Phis. 1, 2, 23, e Bibliot. del Didot, Framm . ec. p.6 ) : « Primo e ultimo è Giove che splende col fulmine. Egli capo e mezzo, e a lui son create tutte le cose . Giove è nato maschio, Giove nato intatta ver gine. Egli sostiene la terra e l'aria stellata de 'cieli ; ed è insieme re e padre d'ogni cosa e autore della loro origine . Unica forza e unico demone che governa tutte le cose, quest' unico le chiude tutte nel suo corpo re gale, il fuoco, l'onda, la terra, l'etere, e la notte e il giorno, e il consiglio, e il primo genitore e nume del l'amore : contiene tutto ciò Giove nell'immenso corpo. E il capo esimio di lui e il volto maestoso irradia il cielo, intorno a cui sparge con molto lume la chioma pendente e aurea d'astri ; e gli sta sull'alta fronte, a somiglianza di toro, un doppio corno che l'accende di fulgido oro. Ivi sono l'oriente e l'occidente, giri noti a' supremi dèi . Son occhi di lui il sole e la luna che LEZIONE DECIMATERZA. 257 corre di contro al sole . In lui è mente verace, ed etere regale non sottoposto a morte, il quale col consiglio muove e regge ogni cosa ; e quella mente, perchè prole di Giove, non può essere nascosta da niuna voce o stre pito o suono o fama. Così, egli beato possiede e senso dell'animo e vita immortale, spandendo il corpo illu stre, immenso, immutabile e con valida forza di brac cio . A lui son omeri e petto e terga immani le ampiezze dell'aria ; e con veloci e native penue precipitando, egli vola intorno a tutte le cose. La terra , madre comune, ei monti che levano l' alte cime, formano il sacro ven tre di lui ne fanno la zona media i tumidi flutti del mare sonante. L'ultima base che sostiene il nume, sta nell' intime radici della terra e negli ampj spazi del l'erebo e negli ultimi confini che inaccessa ed immota spande la terra . Tutte le cose egli nasconde primamente nel mezzo del petto, e poi le manda fuori nell'alma luce con opera divina . » Tra le figure poetiche non si può non vedere in quest'inni l'opera della riflessione che affaticasi di scoprire e spiegare l'attinenza fra Dio e l'universo , confondendola, per abuso d'induzione, con l'attinenza tra l'unità delle sostanze e la moltiplicità c mutabilità de'fenomeni. Non fa dunque meraviglia se Pitagorici, Eleati ed Ionj che presero gli esordj dalle dottrine orfiche e de' Misteri e però dall'antiche tradi zioni pelasghe, cadessero nel panteismo. Ecco dunque i passi che sembrano fatti dalla reli gione fra gl’Italogreci . Prima è un tal panteismo natu rale, in cui le divinità sono le forze della naturu ; non le forze per altro simboleggiate, come interpretò poi la scuola de' Fisici (Plutarco la distinse sì bene dall'an tica scuola de' Teologi) , bensì le forze naturali confuse con gli attributi divini. In quel panteismo, come nel Rig Veda, gli dèi son poco determinati : differiscono poco gli uni dagli altri ; escono tutti e rientrano nel Dio unico ( Creuzer, V , 4) . Talche certi Padri pensarono ch'ei fosse un culto dell' unico Dio creatore , e tal culto contrapposero alla corruzione posteriore dell'idolatria ; Storia della F lofint. 17 258 PARTE PRIMA. ill 1 ma, veramente , non può chiamarsi un teismo , bensì un panteismo naturale, dove nondimeno le tracce del l'unità di Dio si conservano così spiccate da causare l'opinione ch'io vi diceva. Però le divinità pelasghe non avevano un nome , dice Erodoto ; e a dar loro un nome s ' opponevano le sacerdotali tradizioni ( Ispot 20091) . E come narra Platone nel Cratilo che prima si chiamò in genere 0 : 9 le divinità, così cabiri le dissero i Pelasghi, ossia ( forse) potenti; e ciò risponde agli dei complices o consentes degli Etruschi. Poi, questo panteismo naturale si ristrinse più par ticolarmente (e specie nel culto popolare) all'adorazione degli astri , dove più che in altro ci apparisce la po tenza di Dio : e che sia così l'attestano Platone ( Fileb. e Crat. ) ed Aristotile (Met. IV , VI, IX ). Allora Zeus o Giove fu proprio il cielo ; e si mantenne questo nel detto volgare : Giove che fa ? per dire : che tempo fa? Ma il panteismo naturale de' sacerdoti più e più si foggiò a sistema d'emanazioni, per ispiegare con modo determinato la dipendenza di tutto dalla causa prima ; e indi le teogonie e cosmogonie orfiche e quella d’Esio do. Le operazioni divine, allora, ebbero nome partico lare, e vennero simboleggiate con immagini esterne; come narrai che la triade pelasga prese il nome dall'onnipo tenza e dalla fecondazione; e si sa del Giove con tre occhi in Argo ( Pausania ), della Venere piramidale di Pafo, e co' due sessi ( statuina nella bibliot. naz. di Pa rigi), dell' Apollo a quattro mani, del Sileno a due te ste , di una dea a quattro teste nel Ceramico d' Atene, del Giano bifronte, della Diana mammellata d'Efeso e della Cibele come informe pietra. Tutti questi nomi e simboli, a poco a poco divennero nomi e attributi pro pri di certe divinità specificate; e la Trimurti, le cui vestigia restano fin anche negli dèi omerici, Giove, Net tuno e Plutone, s'individuò per modo che l'un Dio non più si confuse con gli altri, e questi si moltiplicarono all'infinito . Però, questa individuazione favoriva il politeismo LEZIONE DECIMATERZA. 259 a volgare e si mescolava con esso, e n'era eccitata e lo eccitava ; e ambedue si stabilirono più che mai con l'arti del disegno, che lasciati quasi del tutto i simboli, ri dusse gli dèi a forme umane, con alcune qualità pro prie di ciascuno. Un'ombra di simbolo restò, ma velata, nelle forme tra maschili e femminili di Bacco e d'altri dei , figura sacra dell'androgenia, quando s'abbandono la rozzezza dello scarabeo ( Winkelman , St. dell'arte ec. ) ; e tal simbolo (sia detto di passaggio ) alcuni artisti vo gliono imitare quasi perfezione di membra umane e le sono immaginarie! Fatto sta che la scuola d'Egina, Polignoto, Fidia, Prassitele, imitando i poeti ebbero più ch'altro efficacia nel fermare quel politeismo di dèi spicciolati . Vuolsi por mente adunque, o signori, che da un lato restava la tradizione sacerdotale, benchè più e più cor rotta, e cresceva dall'altro il politeismo. Come restava la tradizione ? Ne' Misteri ; già lo vedemmo. E perchè mai dovè occultarsi ? Dicono le memorie antiche , i primi re di Grecia e d'Italia fossero ad un tempo sa cerdoti , capitani e giudici; patriarcato ch'è origine d'ogni nazione. (Arist. Pol. III, 14. ) Le memorie stesse ci nar l'ano poi d'un contrasto lungo e sanguinoso tra le classi sacerdotali e le guerriere ; il che apparisce anco nell'In die ; ma se ivi le liti si composero stabilmente, fra gl'Ita logreci al contrario scapitò la classe sacerdotale che ( l'accennano i racconti circa Erettéo e gli Eumolpidi) si dovè segregare in alcuni luoghi, come Eleusi, lasciando a' re tutto il resto ; e così , a poco a poco, e tanto più quando sorsero i governi popolari, s'abbandonò l'inse gnamento religioso e restò solamente i riti esteriori del sacrifizio e delle feste. Quell'insegnamento , dunque, escluso da ' popoli, rifuggivasi nel mistero, in que'luoghi appunto che la classe sacerdotale abitò, com’Eleusi e i sacri querceti di Dorona. E che fa intanto la filosofia ? Ella è sacerdotale dap prima, o teologia, perchè tenute le tradizioni asiatiche, cresce nel sacerdozio pelasgo ed orfico ; poi, nell' età che 260 PARTE PRIMA . > il sacerdozio si separa e s’asconde, dalle semenze reli giose de' Misteri germogliano i primi sistemi come i pi tagorici, che han del sacerdotale e del laicale ad un tempo. Questa filosofia , perciò, combattè dapprima il politeismo, per esempio ne' frammenti di Xenofane che derideva il fingere dèi a somiglianza nostra . Poi, dac chè il concetto di Dio sempre più s' annebbiò, i poste riori consentirono a' tempi, e gl' Ionj, gli Eleati, e molto più i sofisti, menaron buona, se non altro come appa renza o come credulità popolare la mitologia. Nè altrimenti andò negli ordini tutti della civiltà . Di fatto ; quando i governi regi si mutarono in popola reschi, molta efficacia e salutare v'ebbe la filosofia mercè i Pitagorici, e segnatamente Zeleuco e Caronda , i cui frammenti di leggi muovono dal dimostrare che Dio è ; ma in progresso la filosofia non potè resistere alla li cenza , fu perseguitata, e però cadde in mano di sofisti che inventarono l'arte della parola per la parola, malvagi adulatori di plebe e mercanti di cavillo. Abbondando le ricchezze, nate da operosità, fiorirono scienza ed arte ; ma successe un abito d'ozio e di godimenti, e la Ma gna Grecia e l'Ionia caddero in mollezze di trista fama . Resisterono i primi sapienti, come dimostra l'istituto pitagorico ; ma cedè a poco a poco la loro austerezza, e già Xenofane canta « ch'è dolce nel verno stare al fuoco bevendo, e domándare all'ospite : quant'anni avevi tu quand' il Medo invase ? » il Medo, o signori, invasore della patria ! lei sofisti, all'ultimo, la filosofia diventò l'arte di godere. Nell'ordine morale s'arrivò a tal segno ch'Ate neo ( L. IX) rimprovera Platone, perch'e' disse nel Sofi sta come Parmenide amava Zenone d'Elea ; quasichè tal parola, detta di giovane, non ricevesse mai buon senso . E la filosofia , resistente dapprima co' Pitagorici, giunse co ' sofisti all'indifferenza tra bene e male ; indifferenza molto diversa e peggiore dell'indiana ; chè questa è non curanza del moltiplice e vario ch'apparisce, in grazia dell'unità sostanziale, ma quella è non curanza senz'al tro ; ivi è un'ombra di moralità, qui nessuna . LEZIONE DECIMATERZA . 261 Mostrate così l ' attinenze tra filosofia, religione e ci viltà degl'Italogreci, resta che vediamo il principio e la successione de' loro sistemi. Cominciamo da dire che in tutta questa età e per confessione di tutti, v'ha incer tezza sul tempo preciso de' varj filosofi ; e bisogna ri correre il più a Diogene Laerzio, autorità poco accet tata . Le congetture dunque son lecite ; e tutti ne fanno. Avvertirò inoltre che sul definire l'età de' tempi remoti variano le tendenze degli Orientali e de' Greci; que sti tirano al meno e quelli al più. Per che ragione ? I Greci amando la certezza de' fatti, li trasportano quanto più si può nel tempo storico, e lontani dal favoloso ; al contrario degli Orientali, che amano l'indefinito de se coli ; effetto del panteismo. Premesso ciò , rammentate , o signori, che prima dell'undecimo secolo avanti Cristo Pelasghi ed Elleni si mescolarono insieme; e allora co minciò l'età delle colonie ; e da esse la più nota civiltà italogreca. Quali preparazioni vi riscontriamo noi per la filosofia ? La civiltà pelasga, le dottrine orfiche, i Mi steri ; inoltre le comunicazioni più che mai frequenti per l'Asia minore ( dove prosperavano tante colonie) coll' Asia media. E che tempi erano quelli per l'Asia media ? Rammentiamocene, o signori ; erano i tempi di splendida civiltà, quando circa il mille avanti Cristo si compilavano i Vedi ed i poemi, e fiorivano le scuole di filosofia. Chi potrà dunque negare, che date tali prepa razioni e la civiltà delle colonie, e dato quell'impeto di vita civile ond' il pensiero s'agita tutto, e poste le sedi nuove in paesi non selvaggi come l' America , ma già inciviliti, sorgessero presto le speculazioni filosofi che ? Non farebb' egli un'ipotesi strana chi le credesse indugiate a tre o quattro secoli dopo, fino a Talete, anzichè colui che le dicesse più meno già in via circa il mille od al novecento prima dell' èra volgare ? A ogni modo, tempi precisi non se n'ha ; e poichè la critica devé supplire, parmi più ragionevole vi supplisca così, che stando ad indizi già riconosciuti per poco probabili . La filosofia mosse anc' allora da un ritorno sulla 262 PARTE PRIMA. coscienza morale ; ce ne assicura la moltitudine di sen tenze attribuite dagli antichi a ' Sette sapienti ; a uno de' quali, cioè a Chilone, si reca il detto : conosci te stesso . Abbiamo poi alcuni tra ' poeti gnomici, come le recide, della cui antichità non si dubita punto ; e chi, Foclide per esempio, lo fa contemporaneo, chi anteriore a Pitagora. Le sentenze di Mimnermo, Evano, Metrodo ro, Teognide e va' discorrendo, mostrano chiaramente la riflessione sulle verità morali , benchè nascosta in afori smi . Così queste di Foclide : « Non dire mendacio, ma parla sempre con verità. Primieramente venera Dio e quindi i tuoi genitori . Non disprezzare i poveri , nè voler giudicare alcuno ingiustamente, perchè se tu giudiche rai male, Dio poi ti giudicherà. Fu da Dio a’mortali dato in uso lo spirito ch'è immagine di lui. Il corpo abbiamo dalla terra e si scioglie in essa e siam polve re, ma lo spirito va in cielo . » Or bene, io dico, e mi sembra di poter essere sicuro, che codesta filosofia morale e religiosa sorse e fiori prima del panteismo materiale di Talete e d’Anassi mandro ; perchè n'ho prove storiche ( come dirò) , e per chè dalle tradizioni sacre orientali e orfiche non si poté saltare in un subito alla materialità . Dove fiorì ? Non in Italia soltanto co ' più antichi savj della scuola ita lica, ma nell' Asia minore altresì, fra gl ' Ionj, dovunque insomma germinò la civiltà ellena. Di fatto, che che vo glia credersi delle tradizioni circa Pitagora e del suo venire dall' Ionia, esse, unite alla certezza che Xeno fane pure ne derivasse, mostrano almeno che l'antichi tà non reputò straniere agl' Ionj 1 ' idee pitagoriche ed cleate. Aggiungete che Talete ha molti più segni di spiritualità che non i posteriori ; e tal peggioramento non si può negare . Perchè dunque, dimanderete, vien solo ricordata la scuola italica ? La risposta è facile e il caso è comune ; si ricorda i luoghi dove la scuola più crebbe e durò . y Ma la scuola pitagorica o italica, dimanderassi an cora, ell’è anteriore a Talete, cioè al panteismo mate LEZIONE DECIMATERZA . 263 riale degl' Ionj ? Mi sembra certo, purchè si distingua Pitagora dal Pitagoresimo ; questo è la totalità di dot trine comuni a tutta una scuola di filosofi ; quegli è un tal nome, parte storico, parte simbolico, che può essere prima o dopo, senzachè provi l'anteriorità o posteriorità della scuola nel suo nome rappresentata. E nondimeno anche sull'età di Pitagora son diverse l' opinioni. 1 ° Quanto a Pitagora, il Meiners lo crede nato al 584 avanti l'èra nostra ; lo crede nato il Lacher al 608 . Come si determina ciò ? Per autorità non salde, e per vie di congetture. Talete poi , secondo Apollodoro, sa rebbe nato il 640, anteriore perciò a Pitagora ; dáta non senza incertezze. ( Ritter, St. della fil. ant.) Ma ecco il Niebuhr ( St. Rom . I) che contrapponendo a Polibio ed a Cicerone l'autorità d'alcuni scrittori orientali, crede probabile la contemporaneità di Pitagora e di Numa ; talchè andremmo più oltre che la data di Talete ( 717-679 ) . - 2º Avanti alle dáte di Pitagora s'ha in Italia Zeleuco e Caronda, legislatori l'uno di Locri e l'altro di Cata nia ; e ne' frammenti di quelle leggi v'ha il segno delº pitagoresimo. Il Krug fa Caronda del 668 ; il Benteley, l'Heyne, il Saint Croix, il Centofanti, del 730. —3. Quando Pitagora venne in Italia , si dice che subito la scuola crescesse tanto di numero e di potenza, da bisognare feroci persecuzioni a spiantarli : il che umanamente non può accadere. La scuola dunque precedeva. — 4º Il perso naggio di Pitagora, l'istitutore insomma del Pitagore simo, diventò un simbolo in gran parte ; il che dà segno d'antichità molta, e di tradizioni orientali. — 5° Nella scuola pitagorica è mescolanza di culto e di specula zione ; e ciò indica il passaggio dall' età teologiche alle filosofiche o laicali , che in modo distinto vengono più tardi. — 6. Secondo la comune leggenda, tra l'istituzione della scuola italica , il suo prevalere anco negl' istituti civili, e la sua persecuzione, corsero pochi anni; il quale rovesciamento di favori popolari si dà presto a un uomo, tardi a un potente consorzio d'uomini. – 7. La storia di Pitagora, simbolico in gran parte, ha natura 264 PARTE PRIMA . di leggenda ; e sogliono le leggende avvicinare tempi lontani ; indi le confusioni dette di sopra. -8° Nella scuola pitagorica son chiare e molte le vestigia orfiche; talchè l'antichità di queste palesa l'antichità di quella che le raccoglie; com'elle poi diminuiscono in progresso, e ap pena si scorgono negl' lonj. – 9. I Pitagorici han forma di consorteria, e tra loro è comune e costante un corpo di dottrine. Ciò rammenta , o signori, gli usi orientali che sempre più si perdono nelle repubblichette popolari; e rammenta l'antichità più remota, dove più vale l'unione e l'autorità. Aristotile dà la filosofia de' Pitagorici come una, e vi scopre solo differenze accidentali. - 10. Le tavole d' Eraclea, lette dal Mazzocchi ( come accennai già) , mo strano un incivilimento anteriore, e quindi un'antica preparazione alla scienza . E delle prove d'antica civiltà nelle genti d'Italia recherò qui cosa che pare non fosse disputata fra' Greci , val a dire ch'essi, come dice Ta ziano (Or. contra Greci, § 1 ) prendessero da’ Toscani la plastica. — 41., Il Cousin dimostra con le autorità non ricusabili di Sozione, d' Apollodoro e di Sesto che Xe nofane nasceva il 620 avanti l'èra volgare, un 60 anni circa prima di Pitagora stando agli anni del Meiners. Ora , se la dottrina di Xenofane tenne del Pitagoresimo, come mai sarebb'egli tanto più vecchio del suo maestro ? 12° Se bisogni stare alle memorie greche talquali, i capi della scuola pitagorica e d'Elea vennero d'Ionia ; men frechè in lonia correva un tutt'altro pensare. Qui, pren dendo la cosa talquale, v'ha due inverisimiglianze, prima che ne luoghi de' capiscuola non ci avesse quell'indirizzo di speculazioni, come sarebbe assurdo che d'Alemagna venissero in Italia fondatori d'eghelismo e là non n'ap parisse il focolare ; seconda, che piuttosto que' filosofi cercasser favore in Italia, sé qui non preparato il ter reno. Ma tutto si concilia, quando il silenzio delle me te , in tanta oscurità di tempi dissero all'incirca il più rino mato, tacquero il meno, senza negarlo bensi, chè non lo conobbero forse. Dissero la scuola ionica, tacendo la . LEZIONE DECIMATERZA. 265 scuola religiosa comune là ed a' Magnogreci, perchè più celebre qui ; dissero i più famosi capi delle scuole itali che, tacendo le lontane e recondite preparazioni. – 13° E ch'elle ci fossero, mostra il celebre passo di Platone che fa dire a Zenone d'Elea : queste opinioni sull'uno co minciarono da Xenofane, anzi da più antichi di lui . ( S0 fista .) Il Brandis ed il Ritter crederono s'alludesse ad avere quella dottrina germe innato negl' intelletti. Al che ripugna il Cousin e con ragione. Prima, qui si parla storicamente e non teoreticamente ; poi, se volesse allu ( lere a germi naturali e senz' origine, come mai, anzi , parlerebbe Platone di cominciamento anteriore ? ( te 2.2.1 i te tepisºsv č.pčarevov) - 14. De primi Pitagorici non v'è scritti ; scrissero i più vicini al tempo di Socrate ; e ciò per l'uso degl'insegnamenti orali, per la costanza delle tradizioni e pel segreto delle dottrine religiose. Or tutto ciò è segno d'antichità e risponde agli usi orientali . Nella scuola ionica poi sembra che fino il primo, cioè Talete, scrivesse versi , probabilmente prose ( Diog. Laert. I, 34, Plut. de Pitiæ Orac. 18, Arist. Phys. ) ; il che mostra un fare più nuovo, e desiderio di stabilire la novità. 15. L'uso di non iscrivere, uso lasciato si tardi da ' Pita gorici, spiega ben anco il perchè sembrò più recente « lella scuola ionia il pitagoresimo : più recenti erano le scritture, non la loro filosofia. 16 ° Recherò infine ( lue singolari testimonianze di Padri greci , d'Ermia verso la fine del secondo secolo, e d' Eusebio dottissi mo ne' libri originali della greca filosofia . Ermia , dun que, nell'opera Derisione de' filosofi gentili enumera le contrarie opinioni loro sull'anima, sul bene, sull'im mortalità, sulla divinità e sui principj del mondo ; e poichè ha.rammentato varj filosofi, viene a Pitagora e lo distingue dagli altri così : egli d'antica nazione ( S 8) . Qui, segnalare tra gli altri Pitagora per antichità, è nota bile assai . Eusebio, poi, più espressamente nelle Prepa razioni evangeliche ( lib . X , cap. 4) dice : che Pitagora nacque a Samo o in Toscana o altrove, ma non greco, e ch' egli fu principe de filosofi, talchè alla filosofia ita 266 PARTE PRIMA. lica succedette la ionica e l'eleatica. Anzi anche Giu seppe Flavio ( Lib. VII) rammenta tre filosofi prischi con quest' ordine qui , Ferecide Siro, Pitagora e Talete. Questi argomenti, la cui tesi è convalidata pure dal l'autorità del Niebuhr, del Cousin, del Gioberti (nel Buono), del Poli (Appendice al Manuale del Tennemann, trad .) e del Centofanti ( Pitagora ), e che non hanno in contrario argomenti positivi di tradizione, o concordi autorità di storici antichi, mi fanno sicuro che il pita goresimo, come scuola religiosa e morale, anteceda l'altre scuole ; poi venga l'eleatica, e come più affine alla pri ma, e come precedente a Xenofane stesso per la dottrina dell'unità universale ; succeda loro l’ionica, quant'al suo cominciamento bensì, non quanto alla sua conti nuazione che s'accompagna ( com' accade) con l'altre ; e vengano infine, su che non ha dubbio, le gative. I quali sistemi darann ' argomento ad altra lezione. vole ne 267 LEZIONE DECIMAQUARTA. SCUOLE ITALOGRECHE. SOMMARIO . Causa interiore del Vilagoresimo è la necessità d'una riforma morale : da ciò l'esame di coscienza posto per principio di filosofia e di vita buona. Cause esteriori. Si volle la riforma religiosa e morale da cui la civile , per mezzo della filosofia . - Parti non dubbie nelle memorie degl'istituti pitagorici . Notizie su Pitagora e sugli altri più famosi . Quali documenti abbiamo certi sulla scuola italica . - Il Carme aureo i antico .- Le notizie che ci danno gli Alessandrini non vanno accettate senza esame, ma nemmeno rigettate con leggerezza. - Oggetto della filo sofia pitagorica , suo fine e metodo . — Quali cagioni dettero impulso a quel metodo che fu applicazione d'idee matematiche. Ma ciò non vuol dire che lal dottrina stia in un ideolismo matematico ; giacchè la monade si pensò come una forza. - Il numero rappresentava l'attinenze o l'armo. nia ; indi il simbolo musicale . Due furono i significati del numero , it simbolico ed il reale . Verità del metodo matematico ; suoi eccessi nel pro cedere dall'astratto al concreto : esempi varj . – Si cercò le leggi mentali della quantità effettuato nella realtà, per salire con esse a Dio, causa , ragione e legge. Dio è principio de'principj; e poichè i principj delle cose si dis ser numeri, Dio è il numero per eccellenza . -Questo è l'unità . – L'unità bensi presa , non come parte d’un tutto , ma in senso generale. - A Dio non si può applicare il concetto d'uniti nemmeno in quel senso ; Dio è sopruni tà ; ma l'errore precedė dalla induzione astrattiva . Si dimostra co ' do cumenti che il significato dell'unità pitagorica ė panteistico, ma ondeg giante tra il vero ed il falso . - L’unità , come per gl'Indiani, parve l'indefinito che si determina . — Grandi verità contenute nell'implicitezza di quelle dottrine. — Dio si pensó come unità suprema di tutti i contrarj; l'universo , come i contrarj in atto , e ridotti all'armonia da Dio . - L'uni tà generale o la monade che si distingue in monadi secondarie, spiega lo teoriche d'allora sugl'intervalli, sul vuoto, sull’intinito, sul finito ec . L'anima è numero , ed è nel corpo come Dio nel mondo ; è l'armonia del corpo . La verità è l'uno e il numero ; l'errore va fuori dell'armonia. -- Intelletto e senso . — Dio , ragione prima del conoscere, perché gl’intelletti si credettero divini. Poi, perchè Dio è il numero per eccellenza , e il nu mero è l'esemplare del mondo. Quanto alla scienza , si sbagliò cercando sempre l'assoluta necessità razionale. Numero e armonia il bene; disar monia il male. - Fine dell'anima intellettiva il ritorno all'essenza pri ma . --- Come si tentó fuggire le contraddizioni del panteismo naturale negando la cognizione diretta dell'essenza. - Xenofane tentó fuggirle col panteismo ideale. - Cinque concetti principali di Xenofane : Dio è uno ; sommo potere ; gli manca ogni contingenza e però non è nè finito nė infi nito né in quiete nè in moto ; Dio non può nascere, perchè il non ente non può dal nulla divenire qualcosa : Dio è il tulto . — Indi segui che il mondo è apparenza . – l'armenide stabilisce chiaro il doppio aforismo degli Eleati e degl ' Ionj, e condanna il secondo . Muove dall'idea generale d'essere ; Dio si fa più indefinito che in Xenofane. – Tutto è idea . Melisso fa Dio più indeterminato ancora, chiamandolo un qualcosa . -- Gli attributi della moralità non più appariscono . – Panteismo materiale de gl'Ionj : nasce in condizioni opportune. - Il moto delle cose vien conside rato nell’ente o nell'assoluto , ch'è la materia eterna divina , dotata di pensiero . – Diversità nel concepire tal moto fra ' dinamici e i meccanici. 268 PARTE PRIMA. E la causa prima del moto la posero diversamente in quella cosa che più parve trasmutabile in ogni altra cosa . – Talete ba dello spirituale anco ra ; la grossolanità materiale viene crescendo . Anassayora vide l'assur dità del panteismo , e prese il dualismo ; ma non détte troppo alla mente . — Idealismo ateo di Protagora ; materialismo di Democrito ; le due forme di scetticismo particolare . Scetticismo universale di Gorgia ec . Misticismo d'Empedocle ; e perché il suo sistema paia indeterminato ed ecclettico . — Due schiere d’uomini ; gli atei e i l'itagorici di quel tempo : interpreta zione storica , e interpretazione fisica della mitologia . Qual è mai, o signori, la causa interna del Pitago resimo ? La necessità d'una riforma morale; necessità pro fondamente sentita da uomini ornati, quanto la Gentilità comportava, di grandi virtù. Il conosci te stesso fu esame di coscienza morale negli istituti pitagorici, e fonda mento altresì di speculazione ; chè, nella coscienza e'tro varono il dovere e nel dovere Dio. Cagioni esterne furono il guasto crescente della religione, de costumi e della li bertà, al quale s'oppone il Pitagoresimo, e inoltre ( com’ho avvertito più volte) le tradizioni e i commerci d'Oriente, le dottrine orfiche ed i Misteri. Si volle, pertanto, una riforma religiosa e morale, da cui venisse la civile; e cri. terio a tutto ciò désse la Scienza . Il che spiega gl'isti tuti pitagorici su cui gli Alessandrini mescolaron favole, ma la natura di consorteria e un culto segreto ( Ritter ) e la sostanza dell'arti educative non cadono in dubbio. La riforma religiosa si tentò co’riti e dommi segreti ; la morale con l'opporsi a tre vizi , voluttà, superbia ed ava rizia , ed esercitando anima e corpo nella musica e nella ginnastica ; la civile , domando la licenza con abiti disci plinati ossia con l'autorità ( curos pz) e con la vita co mune. Il discepolato morale preparava così alle specu lazioni , e, preparato, s'elevava l'alunno a gradi più alti e più liberi. ( Centofanti, Pitagora ; Ill . del Giardino Puccini.) Circa Pitagora o di Samo nella lonia o di Samo nella Magna Grecia, poco v'ha di sicuro e con mescolanza di simboli ; pare tuttavia che un fondamento storico v’ab bia e ch'egli fosse uomo di molta dottrina e virtù. Per la dimenticanza in che vennero le colonie di Magna Gre cia e tutte le antichità italiche dopo le conquiste di Ro LEZIONE DECIMAQUARTA . 269 ma, e per la guerra feroce contro i Pitagorici, non ne sappiamo quasi nulla ; li sappiamo bensì a lor tempo in molta riverenza. Si rammentano con più certezza Liside, Clinia e Archita cittadini di Taranto in Magna Grecia, Eurite e Filolao o di Taranto o di Crotone. Archita , il più celebre di tutti, capitanò più volte gli eserciti , e non ebbe mai la peggio ; buon padrefamiglia e cittadino, domatore di sè stesso, famoso per invenzioni e scoperte in musica ed in matematica e per libri d'agricoltura . Sul finire del quinto secolo avanti G. Cristo, la scuola pitagorica venne atrocemente perseguitata ; molti fra gli scampati, o si rifuggirono in Grecia o si sbandarono in Italia. Sembra che l'odio movesse da opinioni politiche, parteggiando essi per gli ottimati ; ma chi badi alla se gretezza del culto attestata da Erodoto, e alla tradizione che un capopopolo attizzò le ire, invelenito dal non es sere accolto nell'adunanze, s'accorgerà che trattasi qui , come per Anassagora e per Socrate, del politeismo vol gare geloso e persecutore. Gli scritti col nome di Timeo, d'Archita e d'Ocello Lucano sono apocrifi, e i frammenti di Brontino e d'Euri famo; ma non quelli di Filolao (vedili nel libro d'Aug. Boecckh su Filolao, e nel Ritter) ; i quali col Carme aureo e con ciò che narra Platone ed Aristotile sulla scuola italica, ne dánno contezza . Nel sostanziale di essa gli storici vanno d'accordo. Quanto al Carme aureo , e's'attribuì a Filolao, a Epicarmo, a Liside, a Empedocle ; da Crisippo a'Pitagorici. Sta il Mullachio per Liside; e : mostra, comunque, che ne' versi aurei non v'ha nulla di non antico, e come un alemanno, secondo l'usanza di molti critici odierni , neghi l'autenticità pel dubbio di tre" sole parole, che a lui non paiono antiche ; e antiche le dimostra il Mullachio. ( Fragm . Phil. Græc. Didot, 1860. ) . Le relazioni che ci danno del pensar pitagorico gli Ales sandrini, non vogliono accettarsi senza discrezione ; chè in loro la critica è poca, molta la voglia d'interpretare a lor modo gli antichi; tuttavia dire come si dice) che il Pitagoresimo, quale dagli Alessandrini si descrive, non 270 PARTE PRIMA. i 2 7 > I meriti fede per le grandi somiglianze con Platone, è dir troppo, sapendosi negli Psilli di Timone Fliasio (3° secolo av. G. C. ) che quegli ebbe in gran pregio i Pitagorici : « E tu, o Platone, giacchè ti possedeva l'animo il desiderio di sapere, comprasti con gran pecunia un piccolo libro, da cui imparasti a scrivere tu pure il Timeo. » ( Fragm . Phil. etc. ) La filosofia de' Pitagorici, come tutta la filosofia an tica, come la filosofia d'ogni tempo, meditò i primi prin cipj dell'essere, del conoscere e dell'operare. Il pensiero della causa suprema ch'è ragione e legge, vediamo bene da tutte le loro memorie che occupò quegl'intelletti for temente. Fine della filosofia parve loro ed a tutti gli antichi, la liberazione degli errori e de' mali comuni, ma con tal divario dagl'Indiani , che la speculazione dovesse congiungersi all'operosità civile . Metodo di filosofare fu il matematico ; cioè l'applicazione d'idee matematiche alla natura universale, così esterna come interna, e al suo principio. Onde mai tal metodo ? quali cagioni gli dettero im pulso ? Già negli antichi v'ha inclinazione di filosofare a priori sul mondo (sebbene l'esperienza, anch'esterna, non s ' escludesse dai Pitagorici) , perchè mancavano gli stromenti; poi, premeva più lo speculare teologico, re cato altresì nella fisica ; e le lunghezze d'una fisica os servatrice non si comportavano in tempo, che i varj studj non erano scompartiti tra più dotti . Inoltre l'arimmetica e la geometria vennero d'Asia, nate tra le scienze più antiche, perchè non bisognose d'osservazione. Altresì di tali scienze s’aveva necessità tra popoli commercianti e tra colonie che dissodano terreni, asciugano paduli, e scavano canali . Più, la discordia tra' politeisti e il mono teismo - antico fece spiccare, quant'al concetto di Dio, le nozioni d'uno e di moltiplice, come anche si scorge nel vecchio Testamento . Infine, tempo é spazio ci danno la quantità, e sappiamo che l'induzione falsa indíava, come ne' Vedi, lo spazio e massime il cielo ( onde l'uranismo), e il tempo ( onde l’Aherene de' Persiani, il Crono de Greci , LEZIONE DECIMAQUARTA. 271 il Saturno de' Latini), talchè le tradizioni orientali e or fiche, cadendo in tali concetti, davano impulso a quel modo di filosofare . I Pitagorici, dunque, parlano dell'uno, del due, del tre, del dieci e delle combinazioni loro allorchè discor rono del mondo e di Dio. Ma si vuol credere forse che tal metodo li riducesse a vane astrazioni ? ossia, ch'e'sti massero Dio e il mondo idee matematiche e nulla più ? In altre parole, il Pitagoresimo fu egli un idealismo matematico ? No, sicuramente ; Aristotile lo spiega chiaro dicendo : ch'essi stimarono le cose una imitazione de'nu meri (μίμησιν είναι τα όντα των αριτμών. Μet. I , 6) . Ini tazione, dunque; a leggi di numero, cioè, rispondono le cose ; e la mente ritrova l'une nell'altre ; e in questo è la scienza. Anzi (e va notato accuratamente ), che mai restava pe' Pitagorici, levato il composto ? Restava la monade. E che cos'era la monade ? Forse un'astratta unità , o l'atomo indifferente inattivo di Democrito e di Leucippo ? No ; ma l'essenza ch'è una forza : il concetto di forza o d' attività prevale nel Pitagoresimo, così ri spetto a Dio come rispetto al mondo. Di fatti, e ch'è mai, secondo i Pitagorici, l'ordinamento universale se non la continua limitazione (o determinazione) dell'inde finito ? Ciò resulta da molti riscontri , ma singolarmente dallo specchio de contrarj ( di cui parleremo) . Inoltre, Dio per que’ filosofi è mente e causa o principio ; causa è l'anima ; e causa d'ogni armonia è l'unità. ( Frag. di Filolao ; Siriano, Com . Met. d ' Arist. XIII; Ritter St. Fil. ant. ; Bertini, Idea d'una Fil. della Vita, vol. 2. ) Quindi, pe' Pitagorici, le leggi del numero e della geo metria rappresentavano l'attinenze; cioè , significavano il rispetto d'una cosa all'altra, e d'uno all'altro con cetto, l'armonie particolari e l'universale ; da ciò i lor simboli musicali. Si dica pertanto, o signori , che per la scuola italica eran due i significati del numero ; significato simbolico e reale. È significato reale quando noi diciamo : Dio è uno e le creature sono moltiplici ; e così dicevano essi 272 PARTE PRIMA. che Dio è il numero per eccellenza, cioè l'unità e la totalità d'ogni perfezione. È significato simbolico quando s'astrae i numeri a significare gli oggetti ; come dicendo (per esempio) l'unità e il numero, e s'intendesse Dio e le creature ; così parlavano più spesso i Pitagorici . Al lora si fa come l'algebrista un linguaggio figurativo . assai comune agli Orientali ; e ciò toglie l'apparente stranezza delle parole. Il metodo matematico ha egli verità ? Certo non manca di buon fondamento, perchè tutto nel mondo si distingue o d'essenza o d'accidenti o di parti , di gradi o di potenza o di atti ; e tutto, dunque, è capace di numero e di misura . Per altro, le leggi matematiche non hanno da cercarsi a priori nella realtà, bensi con l'osservazione; come Galileo, osservato il cadere de corpi, vi scoperse la quantità del moto crescente. Trovata la legge matematica, s'applica poi a nuove scoperte, come dalla legge matematica delle oscillazioni s'inventò il pen dolo. Chi volesse procedere a priori, sbaglierebbe, perchè dalla idealità non si può concludere la realtà contingente ; per esempio, dall'idea d'un circolo non si può conclu dere ch'e' si dia in natura. Bensì, nella realtà si scopre ognora leggi ideali a cui essa risponde sempre (come le proporzioni tra spazio e velocità nella caduta son sempre le stesse ), ed anche, esemplando il reale all'ideale, quello vi combacia, come, facendo un circolo, i raggi gli ha sempre uguali. Ebbene la scuola italica non ignorò i buoni metodi della osservazione e delle matematiche applicate; già ho notato le dottrine fisiche d'Archita ; del metodo sperimentale di Polo ci ragguaglia Aristo tile (Met. I) ; le dottrine musicali d'allora fan supporre molti esperimenti ; Erodoto scrivche i medici italiani erano i più reputati ; e tutti sappiamo le meraviglie d'Archimede. Tuttavia il metodo astratto ebbe il diso pra . Così , rappresentando il principio, il mezzo ed il fine col numero tre, lo vedevano in ogni cosa ; però Filo lao divideva il mondo in tre parti. Il numero dieci è compiuto in sè stesso , perchè si compone sommando i LEZIONE DECIMAQUARTA. 273 suoi quattro numeri primi ? ebbene, dieci i pianeti . Cin que i corpi regolari nella geometria ? dunque altrettanti gli elementi, e ciascun d'essi n ' ha la figura ; la terra ha il cubo, il fuoco la piramide, l'aria l'ottaedro, l'ac qua l'icosaedro, l'etere il dodecaedro; e dunque, altresì cinque i sensi . Se i quattro numeri primi , sommati tra loro, fanno il dieci ; e se i quattro numeri pari ( 2, 4, 6, 8 ) e i quattro numeri dispari ( 1 , 3, 5 , 7) , sommati, fan tutt'insieme trentasei, la tetrattisi o quadernario dovrà riscontrarsi nelle cose ; e quattro, per esempio, sono i gradi della vita : minerale, pianta, animale e uomo ; e , ne' corpi, il punto è unità, la linea è qualità , la super ficie è triade, il solido è quadernario, si compone, cioè . di quattro punti. Questo metodo, applicato alle cose dell'esperienza, riuscì arbitrario non di rado, e se, inalzato a Dio, ne guastò il concetto per l'astrazione dell' indefinito ; pure, accompagnato come fu da tradizioni buone, da molte virtù morali , da preziose osservazioni interne ed anco esterne, ed eccitando la speculazione, fece sorgere tra gli errori belle e profonde verità . Quel metodo era (com’ac cennai) : trovare le leggi mentali della quantità geome trica e arimmetica effettuate nella realtà e salire con queste alla prima cagione, alla prima ragione ed alla prima legge. Però dice Filolao che l'intendimento mate matico è il criterio di verità. La prima cagione dell'essere, che è ella mai ? Sic come i Pitagorici voller trovare i principj delle cose e il principio de principj, così precede il quesito : che son mai tali principj ? Risponde Aristotile : « I Pitagorici , educati nelle matematiche, dissero i numeri esser prin cipj delle cose. » ( Met. I, 5) cioè tutte le cose si ridu cono a leggi supreme di numero, e queste leggi costi tuiscono la loro essenza . Or bene, che cos' è la prima cagione ? È il primo principio, per Filolao ; è la causa che antecede ogni altra causa, per Archita : « quam Are chytas causam ante causam esse dicebat, Philolaus rero omnium principium esse affirmabat. » ( Siriano, alla Met. Storia della Filosofi . - 1 . 18 274 PARTE PRIMA. l' Arist. XIII. Dunque se i principj delle cose son numeri, il primo principio è tale altresì; o, come diceva Hierocle nel commento al Carme aureo ( Fragm . Phil. Græc.): « Se tutto è numero, Dio è numero. » Che nu mero ? Il numero per eccellenza. Che cos' è il numero per eccellenza ? Vediamolo . Il moltiplice fa supporre l’unità ; e l'unità n'è sem pre il principio ; così abbiamo solido, superficie, linea, punto ; questo è il principio della linea, della superficie e del solido. Dunque Dio, ch' essendo il primo principio, è il numero per eccellenza, è altresì l'uno per eccellenza . ( Aless. Afrod . Comm . alla Met. d ' Arist.) Resta da ve dere che cosa sia l'uno per eccellenza . L'unità , idealmente, si può considerare e qual parte che compone la pluralità, e quale idea generica che abbracci la pluralità stessa. Diciamo: il venti è compo sto d'uno più uno, più uno ec.; ecco le unità che com pongono un tutto. Diciamo ancora : una ventina, un centinaio, un migliaio, un milione ; ecco l'unità gene rica che abbraccia ogni numero, considerato come unità . Nel primo caso, l'unità è l'elemento della pluralità ; nel secondo , è la forma mentale che fa capaci di compren dere in un concetto le moltiplicità sparpagliate. E in tal senso l'unità si può chiamare il numero per eccel lenza, giacchè abbraccia ogni numero. Or bene, o signori, si può egli applicare a Dio l'idea d'unità ne' detti significati ? No ; Dio non è il compo nente della moltiplicità ; nè Dio è un che generico e comune alle moltiplicità particolari. L'unità di Dio è, a dir così, una soprunità, come, secondo i Teologi, le rela zioni personali della Trinità son soprannumero. ( S. Aug. in Joann. Evang. ) Si dice uno per negare il moltiplice, nulla più ; e chi confonde l'analogia di tali concetti col significato proprio, o cade nel panteismo, o accusa erro neamente la filosofia e la teologia. Si domanda, per tanto : la scuola pitagorica usò que' concetti nel signi ficato vero ? Da’tre frammenti di Filolao apparisce che Dio per lui è imperatore sommo e duce, uno, eterno, LEZIONE DECIMAQUARTA. 275 permanente, immobile, simile a sè stesso, diverso dal l ' altre cose, potentissimo, supremo, e che solo conosce l'essenza eterna. Anzi, Siriano nel luogo già citato dice, che pe' Pitagorici Dio è una e singolare causa, astratta « la tutte le cose, e superiore alla dualità de' principi, la quale vedremo più qua : « Ante duo principia unam et singulam causam , et ab omni abstractam præponebat. Parrebb'egli, dunque, che l'unità de' Pitagorici sia nel senso buono ? Il Bertini ( Op.cit. , vol. II) va interpretando più benignamente che si può certe opinioni pitagoriche. le quali ne farebbero dubitare ; e tuttavia conclude: « Il sentimento religioso e morale gl'induceva a collocare Dio molto al disopra del mondo ; ma il fato della logica li forzava sovente ad immedesimarli in una sola sostanza e ricacciavali nel panteismo. » Che vuole dir mai fato della logica ? Vuol dire la necessità di certe conse guenze, dati certi principj . Or via, quali son dunque i principj che menavano al panteismo, non ostante l'alte verità frammischiate in abbondanza ? Era, appunto, il concepire Dio quasi unità generica, o numero per eccel lenza ; e questo in grazia della non buona induzione. Di fatto, poichè i numeri son pari ed impari, e l'unità, cioè il numero genericamente preso, s'estende ad en trambi; così la scuola pitagorica chiamò Dio pari ed impari, e diceva che l' uno è l'essenza di tutte le cose ( Arist. Met. I ) ; l'essenza delle cose chiamata eterna ( la Filolao ; che inoltre affermò, le cose diverse e con trarie non istarebbero senz'armonia , e tale armonia è il numero per eccellenza, cioè Dio ; aggiunse, che tal numero è legame all'eterna durata del mondo; anzi ( e questo val più ), esso legame produce sè stesso . (V.framm . i Filolao nel Ritter . St. della Fil. ant.) Finalmente. Dio pe' Pitagorici è limitato ed illimitato ad un tempong 11pTLOTES PITTOy, Arist. Met. 1. ) Par dunque certo ch ' essi concepivano Dio com'unità generica, in cui s 'uniscono potenzialmente i contrarj del mondo, pari e dispari, femmina e maschio, male e bene, e via discorrendo ; contrarj che si distinguono attualmente quando il poten 276 PARTE PRIMA. ziale viene all'atto, e l'illimitato si limita, e l'essenza universale ( conosciuta solo da Dio, cioè da sè stessa) si determina mano a mano ne' fenomeni . Dubitò il dotto Bertini che s'intendesse da' Pitagorici, non dimmedesi mare le cose in un' essenza, ma d'accennare che Dio la in sè i contrari perchè li supera. E non esito punto a dire che ciò e ' tenevano forse, ma in confuso, e la con fusione generava il panteismo . Di fatto, se quel concetto era limpido, essi non avrebber detto che Dio è pari ed impari ; giacchè i contrarj sono il modo finito delle per fezioni mondane, e però non si contengono in Dio. Si risponderà : noi n'abbiamo un'idea più chiara. Va bene ; se i Pitagorici avesser capito chiaro come Dio superi l'universo infinitamente, le parole chiare l'avrebber tro vate anch'essi. Anzi, l'infinito lo pigliavano per l'inde finito o potenziale ; e quindi, il finito sembrò a loro il perfetto, e l'infinito l ' imperfetto. Aristotile serbò lo specchio delle contrarietà in dieci antitesi (dispari e pari , finito e infinito, uno e più, quiete e moto, luce e tenebre, bene e male ec. ) , fatto da qualche Pitagorico ; e Simplicio notò come le contrarietà si comprendano si risolvano in Dio. ( Arist. Met. I, Simpl. Phys.) Inol tre , come il mondo era la decade, cioè la pienezza d'ogni grado d ' entità , e così Dio ; che riceveva nome d'ogni numero, unità , diade, triade, quadernario ( o solido), set tenario, decade. Dimodochè pe Pitagorici, come per tutta la filosofia pagana (avvertite, o signori ) , il quesito della causa pri venne a quest' altro : Come si limiti 1 illimitato ; ossia , pensarono gli antichi che la produzione del mondo consistesse nel determinare in atto la potenzialità prec sistente : talchè Filolao pone tre principj, l’illimitato. il confine, e la causa ( το απειρων, το πέρας, το αίτιον ). Il che parve in due modi : i Pitagorici , com’i pan teisti ionj e indiani, dissero che quel potenziale sta in Dio ; i dualisti, che e' sta fuori di Dio, ed è la mate ria informata da esso. Nella scuola italica , poi, la im plicitezza de' concetti adombrò alte verità ; Dio (per ma LEZIONE DECIMAQUARTA. 277 esempio) , legame del tempo e dello spazio, se non si prende com ' identità d'ogni essenza , vuol dire benissimo che l'unità divina con l'unico atto creatore e conser vatore fa l’unione del moltiplice disgregato : però Dio è l'armonia dell'armonie . Che cos'è dunque Iddio pe' Pitagorici? L'unità su prema di tutti i contrarj. Che cos'è l'universo ? I con trarj in atto, e ridotti da Dio all'armonia . Come l'unità generica non diviene numero se non si distingua in unità determinate o particolari, così la monade suprema non genera il mondo se non si distingua in monadi o so stanze particolari. Che si richiede, o signori, a formare il numero ? L'unità e la distinzione d'un'unità dall'al tra. Ma la distinzione, considerata mentalmente, non è forse un concetto negativo e indeterminato, dacchè si gnifichi che l'una cosa non è l ' altra ? Or bene ; e pen savano essi che a formare l'universo ci voglia le unità o monadi particolari, poi la loro distinzione; ossia, come ( lice Aristotile, elementi positivi da un lato, elementi nega tivi dall'altro. Da queste due maniere d'elementi si fa tempo e spazio ; nel tempoi momenti e la distinzione di un momento dall'altro, cioè gl'intervalli; nello spazio i punti e la distinzione d’un punto dall'altro cioè il vuoto. Tal cosa venne simboleggiata con l'ispirazione del vuoto ; ossia distinguendosi le monadi, il vuoto entra in loro com'aria ne’polmoni . I due elementi , il positivo ed il negativo, uniti tra loro, fanno la diade o il pari; l'ele mento positivo o l' unità, così sola come aggiunta al numero pari (per esempio il tre ), fa il dispari . Ed ecco, o signori, l' unità nell'altro senso ch'io spiegava di sopra , cioè nel senso non generico ma particolare di compo nente il composto. Talchè l'unità nel senso generico è Dio ; le unità nel senso particolare fanno il mondo. Ed ecco altresì perchè si diceva da’ Pitagorici che il pari è illimitato , illimitato perchè il vuoto e l'intervallo ( o la negazione) è in astratto un che potenziale, può ricevere distinzione da' punti e da’ momenti all' indefinito . Si diceva per contrapposto che il dispari è limitato, giac 278 PARTE PRIMA. chè chiude l'intervallo ed il vuoto tra due estremità positive o tra due monadi , riduce in atto la potenza, e si fa la triade, numero perfetto che ha principio, mezzo e fine. Voi capite, o signori, come per la teorica de’toni e degl' intervalli si vedesse analogia tra la musica e l'universo. Il quale, venendo dall'essenzá eterna come necessario svolgimento d'attività, non ha reale comin ciamento, è ab eterno ; comincia sì , ma quant' al nostro pensiero ( -o iniyocav) , ossia il pensiero nol può con cepire altrimenti . Nè s'avvidero essi che se il pensiero nol può concepire senza cominciamento, segno è che l'op posto è irrazionale . Che cos'è l'uomo nell'universo ? Un'anima razionale che sta nel corpo come in u sepolcro , diceva Filolao. L'anima è numero e armonia ( Plut. De plac. phil. IV , 2 ), o monade che riduce ad unione la moltiplicità del corpo e n'è principio di vita e causa motrice. Se Platone confutò nel Fedone la sentenza che l ' ani ma è armonia , combatte i materialisti che ponevano l'anima com'un risultamento dell'unione corporale, an zichè com’un principio di essa, a mo' de ' Pitagorici. Ma Platone invece s'accorda con Filolao dicendo, che l'ani ma è sepolta nel corpo. Se non che in Platone ha senso più dualistico ; ma ne’ Pitagorici significò (badando noi alla totalità delle lor opinioni), che come Dio è l'anima del mondo, e vien da essa immediatamente l'anima uma na ( V. Ritter e Bertini), così vien dalla terra, infima ne'gradi dell' entità e delle emanazioni tutte, il corpo . Derivano da tutto ciò le teoriche sulla ragione som må del conoscere e sulla legge dell'operare. Come l'en tità , così la verità è l'uno e il numero, e l'errore va fuori dell'armonia ; talchè come il numero fa la misura di ciascun ente o la specie loro, e fa l' attinenze del l'uno all'altro, così la verità è nell' attinenza dell'in telletto con le specie degli enti e con le loro attinenze. Ma come si conosce da noi ? Il simile col simile ; però distinse la scuola italica il senso dall' intelletto come in due parti ( Cic. Tusc. IV , 5 ) ; l'intelletto è di LEZIONE DECIMAQUARTA . 279 vino e si conosce per esso (benchè in modo relativo, dice Filolao) la divinità della natura ; il senso è terrestre, e si conosce per esso il fenomeno o l'apparenza sensibile. Ragion prima del conoscimento è dunque Dio ; ma com’es senza prima degl'intelletti. In Dio sta la ragione pri ma, non solo perchè raggiano da lui gl'intelletti , ma perche Dio è numero, e il numero è l' esemplare del mondo; esemplare riconosciuto dall' intelletto. ( V. il Cou sin e lo Stalbaum , ambedue nel commento al Timeo .) Però, avvertite, o signori, la scienza pe' Pitagorici, come per ognuno che n'abbia vero concetto, stette nel ritro vare la necessità razionale di ciò che conosciamo. Essi voller saper non solo ciò che è ed accade, ma perchè ciò dev'essere ed accadere. Tuttavia successe a loro quel che ad ogni panteista ; si credè di trarre a priori le cose dal conoscimento dell'essenza universale, come le pro prietà d'un triangolo. Ma invece, e lo dissi altrove, la necessità razionale ( eccetto la ontologia e la teologia naturale e le loro applicazioni e le matematiche) sta solo in vedere come, supposto un che, ne venga di neces sità un altro per attinenza ; ad esempio, data la per cezione, non può non essere il corpo, o data la volontà negli uomini che son razionali, non può non essere la libertà. L'assoluta necessità vedesi solo dove può trarsi l'illazioni da un'idea, anzichè sperimentare de' fatti; nel resto è necessità ipotetica, e non altro ; o anco è sola contingenza. ( V. Lez. I. ) Come l'entità e la verità sono numero, negazione la potenzialità indefinita e l'erro re, così è numero ed armonia il bene, disarmonia o ne gazione il male. ( Arist. Met. I.) Il bene è misura, il male è dismisura : da ciò quel detto pitagorico : « La misura è ottima, pétpov Žpustov . » E come Dio è l'ar monia universale, il numero per eccellenza, egli è il bene o misura o legge. Però, come l'intendimento va per armonie matematiche e musicali, così la volontà ; e indi nasce la virtù, ch'è numero dentro di noi, componente la discordia degli appetiti ( Carme aureo, 57-60 ); numero fuor di noi nell'educazione della famiglia e della città . . 280 PARTE PRIMA . - am - ( Fragm.di Luc. Ocello. ) Allora l'anima si va conformando a Dio (ov.02.09749. Tapos to delov ) ; la disforme da Dio passa in corpi diversi con la metempsicosi od è punita nel Tartaro ; la conforme a Dio ritorna nell'essenza ond'ella emanò. » Sarai, dice il Carme aureo, un Dio immorta le, incorrotto, non sottoposto a morte ( v. 71 : ETEL 0212. τος θεός, άμοροτος, ούκ έτι θνητος) . Signori, chi non mirerà, in mezzo a quell'ombre, la luce di sì alte dot trine ? Ma, tralignando i tempi, la filosofia traligno. Il sistema pitagorico è, quant'a'principj, un pantei smo naturale ; perchè l'unità per eccellenza vi comprende lo spirito e la materia, distinti poi come tutte l'altre contrarietà. Come voleva egli scappare il Pitagoresimo alla contraddizione suprema d'identificare tutte le contrad dizioni ? Dicendo che non conosciamo l'essenza in modo diretto : quasichè importi tal conoscenza per escludere l'assurdo. La scuola di Elea tentò fuggire la contrad . dizione, escludendo la materialità, il moltiplice ed ogni mutamento , e così creò un panteismo ideale. Xenofane, nato a Colofone d'Ionia il 620 av. G. Cri. sto, venne assai tardi ad Elea città di Magna Grecia . L'idealismo suo nasceva prima di lui; ma egli lo recò a sistema. E l'idealismo nasceva per più cagioni ; pri ma, com'ho detto, ad evitare le contraddizioni del pan teismo naturale ; poi, perchè il sistema idealistico ha dello scetticismo, a cui ora pendevano i Dorj non più austeri, e più gl'Ionj (ionica pure la colonia d'Elea); scetticismo voluttuoso e mesto che apparisce nel poeta Mimnermo, di Colofone anch'esso, e in alcuni versi di Xenofane; inoltre, già il sistema pitagorico, benchè com prensivo, faceva prevalere i concetti spirituali , però Xeno fane, vissuto a lungo in Ionia , venuto poi in Italia, mostra nell'ontologia l'idealismo italico , ma nella cosmologia la fisica degl'Ionj. Egli scrisse in versi , e ne resta frammenti, da cui , com'anche da Platone e da Aristotile, si rileva le sue opinioni . ( Fragm . Phil. Græc. Didot. ) Uscì di patria per le invasioni Lidie, viaggiò in Sicilia, si fermò in Elea o Velia ; e visse più che centenne. ( Censorino.) LEZIONE DECIMAQUARTA . 281 Xenofane ha di Dio un'idea sublime. Egli è uno, non simile all'uomo, immoto, è tutto vedere, intendere e udi re . Ma si deve, o signori, notare cinque concetti che formano il sostanziale del sistema. Dio è uno. Xenofane tolse il principio pitagorico che l'uno si converte con l'ente ; però Dio, entità suprema, è uno. L'unicità di Dio , Xenofane la provò benissimo per un secondo concetto ancora, ch'è la potenza. Voi sapete già, o signori, che per la scuola italica l'unità o la monade o l'entità ( vocaboli equivalenti) è forza, è un'energia . Ciò pure affermò Xenofane ; e però Dio, ch'è l'ente , è sommo po tere ( 20 % TELY ) : quindi se più dèi uguali, nessuno è po tentissimo per l'eguaglianza, se più dèi inferiori, nes suno è potentissimo per l'inferiorità. Talchè Xenofane, riprensore d’Esiodo e d'Omero, scherniva com’empie le superstizioni volgari, e, diceva, se i cavalli sapessero di segnare, fingerebbero gli dèi a loro sembianza. Traeva da ciò un terzo concetto ; che a Dio manca ogni contin genza, finità e infinità, moto e riposo. L'infinità ? In che senso la nega egli Xenofane , e contro chi ? Nel senso d'illimitato o indefinito che si determina con atti successivi ; contro i Pitagorici pe' quali Dio è infinito e finito ad un tempo, si distingue nell'universo e vi si muta perennemente, benchè immutato nell'essenza : for s'anche, dove Xenofane accenna il moto e il riposo, con futa le opinioni degl' Ionj già cominciate e già oppo ste all'italiche più antiche, ma pe' Pitagorici ancora Dio comprende in sè le contrarietà fra cui Aristotile notò ( come vedemmo) il moto e la quiete, ugualmente che il finito e l'infinito, il finito ch'è quiete, l'infinito (indefi nito ) ch'è moto. Crederemo noi dunque, o signori, che quest'altra verità , in Dio non essere contingenza, con ducesse gli Eleati al Dio creatore ? No ; e si scorge dal l'esame d'un quarto concetto, per sè vero, ma falso nell'applicazione : Dio non può nascere. Va bene ; ma per chè ? udiamolo, signori; il perchè ce lo dà il trattatello De Xenophane, Melisso et Gorgia, attribuito ad Aristo tile , non di lui forse, antico ad ogni modo. Si dice, adun 282 PARTE PRIMA. que : Dio non può nascere, perchè l'ente non può non essere, e il non ente non può dal nulla divenire qual cosa. L'ente, ch'è per essenza, certo non può non essere ; ma il non ente nel significato di Platone e pitagorico è il contingente ; che può non essere appunto, giacchè non è per essenza sua propria, bensì dall'ente. Xenofane, per altro (notate, vi prego, siguori), prese il non ente in significato di nulla, e il nulla è impossibile sia mai altro che nulla ; ma ciò che diventa, è nulla in sè, nulla non già nella potenza causatrice. Che ne conchiudeva Xenofane ? Non solo che non si dà creazione, ma che non si dà pure causalità nessuna ; non v'ha che l'es senza immobile, infeconda, inaccessibile. ( ch'è dun que il resto ? o quel che ci pare in continua mutazione ? Fenomeno, apparenza, illusione, e nulla più ; talchè la fisica che si fa con l'apparenze è illusoria, non è scien za . Però egli disse in un verso : « Queste cose (del mondo) non hanno altra vita che l'apparenza, e appartengono alla opinione. ( Plut. Symp. IX. ) De' dubbj di Xeno fane sul mondo parlo altresì Timone Fliasio ne' Psilli. ( Fragm . Phil. Græc.) E per provare ciò s'adoperava un quinto concetto : che Dio o l'ente è tutto, o intero . ( Fragm . di Xenoph.) Che vuol egli dire ? Cerchiamolo . Che idea vi dà, o signori, l'infinità ? Certo, pienezza d'es sere, cioè che ivi non ha mancamento . Ma tal pienezza significa forse il tutto ? No, chè tutto è idea relativa : tutto, implica parti ; e quindi ogni tutto può essere più o meno, come numero ch'egli è ; nè numero assoluto si dà ; mentre assoluto è l'infinito. Or bene, l'induzione astrattiva concepisce il mondo com'un tutto e confonde l'infinità ( come pienezza d'essere) con l'universo . Così accadde agli Eleati ; e però Aristotile scriveva di Xeno fane : « Contemplando egli il tutto del mondo, disse che l'unità è Dio. » Indi l'aforismo eleatico, uno è l'ente e il tutto (ey to y uzi có Tiv) . Che si concludeva mai da questo ? Poichè al tutto non manca nulla, e l'ente è il tutto, nulla può cominciare, perchè sarebbe aggiun gimento : quasichè, o signori, ciò che viene dall'efficienza LEZIONE DECIMAQUARTA. 283 creatrice aggiungasi all'infinità . E però vedete, che dove gli Eleati pareva negassero l ' indefinito pitago rico, van poi al medesimo vizio ; perchè si piglia Dio com'un tutto generico, che viene simboleggiato con lo sfero. Resta da sapere che foss'egli per Xenofane l'ente o Dio . È ragione assoluta, intelletto essenziale. (Fragm. di Xenoph .) Che v'ha dunque più di pitagorico negli Eleati ? Si lasciò la parte corporea ed ogni moto e restò la spirituale, divina ed immutabile ; quindi è un pan teismo ideale. Il qual sistema si continuò in Parmenide, in Zenone ed in Melisso. Parmenide d’Elea nacque probabilmente nella 65a Olimpiade, e fiorì nella 69 ", ossia 504 avanti Gesù Cristo. Dice Plutarco ( Adv. Colot.) ch'egli détte alla patria leggi avute in grande amore. Zenone d'Elea , scolare di Parmenide e nato verso l'Olimpiade 719 , amo di cuore la patria , e poichè un tiranno lo condannò a morire, sostenne da uomo il supplizio : Melisso di Samo fiori verso l'84a Olimpiade, seguì Parmenide, fu uomo di Stato, e capitano gl'Italioti contro Pericle. Questi gli Eleati più famosi. L'opinioni di Parmenide vi son date assai chiare ne' frammenti del suo poema. ( Fragm . Phil . Græc. Didot. ) E che si trova in quelli fin da princi pio ? I due aspetti, già separati da Xenofane : l'ente, che unico è ; e il non ente o l'apparenza, che non è : non è , o signori, in modo assoluto e non già perchè semplice contingenza. Ci ha due vie, scriveva Parmenide, di filo sofare : 0 porre che l'ente è e che il non ente non è (70 ury; vedi anche il Parm . di Plat.), e questa è la via retta, perchè s'afferma l'ente e si nega il non ente o l'apparenza ; o, al contrario, porre che l'ente non è c che sia di necessità il non ente, questa è via non retta. Si descrive così la via degli Eleati da un lato, e la via degl'Ionj dall'altro, i quali si fermavano a considerare il moto delle cose . Ebbene, che concetti ha egli Parmenide allorchè e' mostra che l’ente è e il non ente non è ? Gli stessi di Xenofane : l'ente è conosci 284 PARTE PRIMA . 1 bile con la sola ragione, ingenito, non mobile, tutto ( cudow ) unigeno, eterno ; non fu nè sarà, perchè ora è tutto insieme; non può esser nato , perch'è assurdo che l'ente non sia ; non divisibile, somigliante a sè stesso intera mente, riempie ogni cosa ; la dura necessità ( dir.n ) lo stringe in vincoli (ossia egli è necessario ; necessità di Dio trasferita da' panteisti al mondo ed alla volontà uma na ); egli non è infinito ( atedrventov ) , non bisogna di nulla, ed è lo stesso il pensare e ciò che si pensa. ( Framm . e segnatamente v. 66-94.) In che Parmenide differì da Xenofane ? Quegli ha forma più scientifica di speculare, perchè comincia dall'idea universale dell'essere, e la contrappone al non essere. ( Ritter, Bertini.) Ma crede reste voi che Parmenide s'avvantaggi su Xenofane, come nella severità dialettica, così nella perfezione dell'idea ili Dio ? Anzi, dove il maestro partì dall'idea di Dio, ragione pura, santità essenziale e provvidenza, lo sco lare poi con un vizio più rilevato d'induzione si fermò al concetto dell'essere generale, nè v'apparisce punto la personalità divina : sicchè Parmenide non avversa come Xenofane la mitologia , anzi l'accetta qual credenza po polare. In man di lui, perciò, il sistema eleatico si rese più ideale. E questa idealità condusse Parmenide (sem bra un paradosso ), come anco Xenofane alla confusione lel senso e dell'intelletto . Quanto a Xenofane apparisce da un verso di lui in Sesto Empirico ; e quanto a Parme nide, lo notò espresso Aristotile ( ppovaly usy tér vistn512) . Mentrechè il sensista dice : la sensazione è idea e tutto : l'idealista dice : l'idea è sensazione e tutto. Ma sorge contraddizione nuova : se intelligenza e senso son tut t'uno, come potrà egli il senso darci l'illusione ? Ep pure, Zenone d'Elea non pare ch'altro volesse co’suoi strani sofismi fuorchè mostrare : com’abbandonandoci all'apparenze del moto e del moltiplice, cadiamo sem pre in contraddizioni. E la parte negativa di tal sistema s'accrebbe in Melisso che ( notate, o signori) muove dal l'ente indeterminato come Parmenide, ma lo significa in modo più indeterminato ancora , chiamandolo un qual LEZIONE DECIMAQUARTA. 283 cosa. ( V. Fragm . Phil. Græc. Didot ; De Xenophau Melisso et Gorgia ; Arist. de Soph. Elenchis, e Plat. Thecet.) Se non che, Melisso torna co’ Pitagorici a dire che Dio è infinito, negando a loro ch'e'sia finito, per chè l'ente non ha principio nè fine . ( Fragm . 2. ) E ciò va bene ; ma pare che qui terminasse l'infinità nel concetto di Melisso ; egli non lo concepì come infinitu dine assoluta d'entità, e pero dotato d'efficienza crea trice e pensiero puro ; anzi l' indeterminatezza di quel l'astrazione fece sì ch'egli non parla dell'intelletto e della bontà di Dio, e l'idea ne vacilla dinnanzi com'om bra informe e vana. ( Ritter, Bertini.) Così da Xenofane in poi vi fu scadimento, come da ' Pitagorici agli Eleati . Questi bensì fecero progredire la dialettica tendendo a conciliare i contrari , e Aristotile fa inventore di quella Zenone, che si sa da Diogene Laerzio aver composto dialoghi. Se la scuola pitagorica seguitò, ma con forme più filosofiche, il panteismo orfico nella sua totalità , gli Eleati ne presero la parte ideale ; gl’Ionj la corporea e sensuale. Ell'è perciò la setta men filosofica . In che ci viltà ? Tra'costumi voluttuosi della Ionia , e in quelle città che presto soggiacquero alla servitù de’Lidj e de Persiani. E se voi mi domandate, o signori: Que' sistemi da che gente vennero professati ? Rispondo, che salvo i più antichi, cioè Talete e Anassimandro nati a Mileto nel l'Asia minore, delle virtù cittadine di tutti gli altri non si sa nulla ; o sappiamo d' Eraclito ch'era superbo, duro e solitario . Di Talete stesso, bench’ Erodoto ricordi un consiglio di lui agl' Ionj , Platone ( Teetete) dice ch' ei s'astenne da' pubblici negozj . Qual diversità dalla storia de Pitagorici ! non ci meravigli, pertanto, la diversità ne sistemi. ( Fragm . Philos. Græc. Didot, 1860.) Il moto delle cose lo crederono gli Ionj nell'asso luto. E che cos'è l'assoluto ? La materia del mondo. unica entità , eterna, divina, dotata di pensiero ch'è di vino attributo. Tutti gli Ionj. fuorchè Anassagora, ebber ciò di comune ; e s'assomigliano alla scuola degli Eghe 286 PARTE PRIMA. liani materiali che succedettero agl' ideali . Ma gl' Ionj diversificarono tra loro nel concepire il moto dell'uni verso ; chi, come Talete e Anassimene, Diogene d'Apol lonia ed Eraclito, ebbe un sistema dinamico ; chi, come Anassimandro e Archelao, un sistema meccanico. Ed ec cone il divario : cercaron tutti la prima cagione delle cose, ma pe' dinamici la produzione si fa con isvolgi mento di forze vive, come gli animali e le piante ; pe’miec canici la produzione non ha se non forme apparenti . mutandosi solo le particelle inerti come ne’minerali. La dottrina vera comprende le due opinioni ; perchè la cau salità modale trae sempre in atto le potenze, l'atto si produce (dinamica ) ; benchè quest'atto poi non ci dia sempre una specie o un individuo, come nella generazione degli animali, bensì talora un aggregamento come ne'mi nerali. A ogni modo, tal dottrina non s'applica punto alla causalità creatrice ; e gl’lonj, negando che dal nulla si faccia nulla, negando qualunque causalità che non operi sopr'un soggetto preesistente, non s'avvidero, che tal cau salità non può dirsi assoluta, ma condizionata . Questo in genere ; venendo poi a specificare la causa prima, gl’lonj la posero chi nell'una e chi nell'altra cosa che più parve trasmutabile in ogni altra o quasi un germe, secondo i dinamici, o quasi elemento univer sale, secondo i meccanici: Talete nell'acqua, Anassi mandro in una natura media ( udtaču puçev ) , e però lo chiama principio (apua) , Anassimene nell'aria, Eraclito nel fuoco, Diogene altresì nell'aria . Ma, badate, o si gnori , nè quell'acqua, nè quell' aria, nè quel fuoco, son proprio ciò che ne vediamo; è un che più intimo e uni versale, simboleggiato in cose visibili secondochè queste parevano più acconce a figurare l'universalità , come l'acqua che tutto abbraccia, l' aria per cui si vive, il fuoco che tutto vivifica e distrugge. E con questo pensare la causa prima, s'andò di male in peggio. Talete serba confuso al materiale un < he di spirituale ; però dice che tutto è pieno degli dèi e che in ogni cosa è la mente, e, secondo Cicerone LEZIONE DECIMAQUARTA. 287 ( Quest. Tusc. I), professò l'immortalità dell'anima. È un panteismo materiale, ma confuso ed implicato : vi si sente ancora le reliquie della filosofia teologica più antica , già comune (com' io dissi ) agl'Ioni, anzi a ogni gente ellenica ed agl' Italioti ; e però i Padri citano di Talete molti detti sapienti sulla natura di Dio. Anassi mandro svolgeva la parte materiale dicendo che il prin cipio, in cui tutto ritorna è infinito , perchè l'origine o il cominciare non termina mai ( tov © vo ) trn doury ENOL Ó žosipov . Fragm . Phil. Græc.; Didot) ; però gli dèi nascono e moiono, e son astri e mondi; e la specie umana venne da' pesci. Anassimene seguitò quella via ; nè altrimenti Eraclito, benchè questi , che cita Pitagora e Xenofane (Diog. Laert. IX , e Clem . Alex. Strom . I ), désse alla dottrina del fuoco le apparenze d' una misti cità orientale. Non si discostò dalla teorica degl'Ionj circa la causa lità l'altra teorica sulla ragione prima. Qual è la ragione del conoscere ? questa, che il principio conoscitore sia formato della materia universale, di cui si formano le cose conosciute, dacchè il simile si conosca pel simile. Sembra che di morale gl'Ionj ne parlassero poco ; e ciò sta col materialismo loro ; Eraclito bensì pone la legge nella ragione universale o divina, palese con le leggi della patria ; Achelao nega ogni legge necessaria ; e il giusto e l'ingiusto fa nascere dalle convenzioni umane. Tal panteismo ch ' è sempre a priori non détte, benchè materiale e salvo poche verità , una fisica buona. All'assurdità del panteismo volle rimediare Anas sagora da Clazomene, nato verso il 500 avanti l'èra nostra , però distinse la mente dal mondo. Ma non la stimò creatrice ; sicchè s'apprese al dualismo ; anzi, (lacchè spiega poi la formazione del mondo come gli al tri Ionj meccanici, non si sa bene che ufficio e' désse alla mente divina in ordinare, il mondo. ( Plat. Fodone.) Il suo libro cominciava : Tutte le cose erano insieme ; l'intelligenza le divise e le dispose. (Diog. Laert. II, 6.) E così distinse Dio, o la mente ( vojv) , dalla natura ; e 288 PARTE PRIMA . + 1 questa pose in particelle simili , omeomerie, che son semi delle cose o per la disposizione già ricevuta o che rice von poi di mano in mano ( 2.pay.tov otepusta.). Diogene di Apollonia in parte lo seguì , ma peggiorando ; chè fece l'aria dotata di mente, e quindi ordinatrice. Archelao pure, ultimo fra gl' Ionj, alla confusione primitiva sta bili ordinatrice la mente ; ma questa non va esente di materialità ( Fragm . Phil. Didot); talchè il dualismo di Anassagora isterili. Che tenne dietro, o signori, alla confusione del pan teismo ed alla separazione del dualismo ? La negazione degli scettici , particolare dapprima, universale poi. E di fatto, già svolte l'opinioni de' Pitagorici e d'Elea, ben chè non anco terminate ( come va sempre), e già comin ciato il sistema d' Anassagora, sorsero pressochè ad un tempo le sette degl'idealisti e de' materialisti. L'idea lismo ateo venne da Protagora (di cui nel dialogo con tal nome ed in più luoghi scrive Platone ); colui , non si sa quando nato, fiorì verso il 444 avanti l'èra nostra . Il principio d’un suo libro cominciava : Degli dèi non so nulla ; e Timone Fliasio scrive, che Protagora quantun que dicesse ignorarli , osservò la legge ossia le cerimo nie legali ( Fragm . Phil. Græc.) : nella osservanza della legge i sotisti posero moralità e religione. Diceva Pro tagora con gl' Ionj : tutto si muta ; e con gli Eleati : tutto apparisce. Questa proposizione viene dall'altra ; perchè se nulla r’ha di stabile, tutto è fenomeno od ap parenza . Vedete, o signori, come l'idealismo nascesse dall' opinioni anteriori. E sulle due proposizioni già dette si fonda il sistema di Protagora, che disse perciò : se tutto muta , nulla è in sè stesso ; e se tutto apparisce, l'apparenza solo è vera ; vere l'apparenze contrarie , veri i contradittorj, vero insomma tutto ciò che si pensa, e l'anima è la somma dei diversi pensieri ( Condillac, Kant), e il fine del discorso sta nel produrre l'appa renza : qui è il sostanziale dell'arte sofistica . Che vi pare, o signori, non lo dicono anch ' oggi : tutto è vero quel che si pensa ? Quasi contemporaneo, ma un po'dopo LEZIONE DECIMAQUARTA . 289 è Democrito d'Abdera, nato per Apollonio il 460, e per Trasillo il 470 ; talchè, se fiorito con Protagora il 444. ciò sarebbe avanti a' 16 od a'26 anni ; impossibile il primo caso, non verosimile il secondo, perchè Democrito dettò le cose sue dopo lunghi viaggi . Sa degl'Ionj, perchè materialista, tiene bensì degli Eleati , perchè muove dal concetto dell'ente ; e dice : unico ente il vuoto e lo spazio con gli atomi nel seno ; dalle loro congiunzioni e dalle figure matematiche conseguenti nascono le qualità ; e poiche il simile si conosce col simile ( τα όμοια ομοιών είναι apestira ), v'ha conoscimento nell'anima, essendo ella un atomo a cui vengono le figurette o immaginette dei corpi ; rozza fantasia che male s'attribui ad Aristotile. E Dio che cosa è per Democrito ? Compiacendo alle plebi , egli finse dèi come immagini enormi, ma sotto posti a morte ; vero ateismo. ( Fragm . Phil. Græc. Di dot .) Vuol notarsi che Leucippo fiori con Eraclito il 500 ; ma poichè il materialismo giungeva non opportuno. mancò allora il successo, in tal maniera che di Leucippo non si sa pressochè nulla. Se Protagora s'accostò allo scetticismo universale, non mi pare che vi giungesse : affermò che tutto si muta, e ch' è solo quale apparisce, non si sa per altro ch'e' ne gasse l'entità delle cose in questa loro perpetua muta bilità ed apparenza ; chi giunse a tal punto, risoluta mente, espressamente, ſu Gorgia di Leonzio ( V. Dial. di Platone col nome di lui, e altri dialoghi) ; perchè scrisse un libro sul non ente, cioè sulla natura, e volle provare che o nulla è, o se è non può conoscersi o se si conosce non può significarsi . Con Protagora e Gorgia v ' ha una schiera che la Grecia infamò col nome di So tisti, Prodico, Eutidemo e simiglianti. Chi erano costo ro ? L'antichità gli ebbe per uomini venali. In che ci viltà vennero ? In età di corruzione . Che frutto recarono ? Dicon gli antichi: pessimo nell'arte, nella scienza e nel l'educazione della gioventù ; benchè, come si vedrà, fossero occasione di qualche miglioramento. Ma ecco fiorire verso que' tempi ( V. Tavole del Storia della Filosofia . - I. 19 290 PARTE PRIMA. Krug) un uomo che vuol riparare a tanta dubbietà. Chi ? Empedocle. Con che ? col misticismo a cui s'ac compagna ( come accade sulla fine dei sistemi) un fare d'ecclettico. ( Fragm . Phil. Græc. Didot. ) Da'frammenti del suo poema ( népe ouro ) e da' detti d' Aristotile e d'altri si raccoglie che il sistema d'Empedocle non è già fisico solamente ; Dio per lui è mente santa incor porea : e nè un pretto dualismo, perchè il mondo è tutto, e c'è divinità mondane o fisiche : e nè un pretto pan teismo, perchè si distingue la mente divina e gli atomi : che cos'è dunque ? Parmi ch'e' non avesse un concetto nitido, com'accade agli ecclettici; e così di lui pensa rono gli antichi : alcuno lo fa di Parmenide, altri pita gorico, Platone lo mette con Eraclito, e Aristotile con Leucippo, con Democrito e con Anassagora. Ma prevale il misticismo; perchè ne' frammenti del poema, Empe docle si dà com’uomo miracoloso, e si crede un Dio immortale; e veste da sacerdote. In lui sentite lo scet ticismo e l'estasi ; egli pone la mente, umana in parte ed in parte divina; quella c' illude, questa ( come dice il Ritter) dà un santo delirio e sorge alla contemplazione mistica di Dio nella natura. Tal è l'Yoga indiano, tali gli Alessandrini. E questi, di fatto, ebbero in grande stima Empedocle ; ma Platone ed Aristotile, osservato ri, lo pregian poco. Tuttavia egli seppe dimolto, e valse in fisica, e fu ben altr'uomo dei sofisti ; onorato dai suoi cittadini ed in tutta Sicilia . Così terminò quest'epoca, ed ebbe strascico lungo in due schiere d'uomini; atei la cui morale era il piacere, Evemero, Ippone, Nicanore, Pelleo, Teodoro, Egesia e Diagora ; Pitagorici o dati anch'essi al materialismo, così Ecfante, o mistici la maggior parte. Questi atei com ' Evemero interpretarono storicamente la mitologia : gli dèi furono uomini indiati, non altro . La scuola fisica poi degl'Ionj, più tralignati, la interpretò fisicamente : gli dèi son le forze uniche della natura .

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