scarpelli: Uberto Scarpelli (Vicenza),
filosofo. Studioso di analisi del linguaggio, è stato uno dei fondatori della
cosiddetta scuola analitica italiana di filosofia del diritto assieme a Bobbio.
È stato, insieme allo stesso Bobbio e a Giovanni Tarello, uno dei massimi
esponenti della filosofia del diritto analitica italiana del Novecento,
insegnando in varie università italiane anche Teoria generale del diritto, dottrine
dello Stato, Filosofia morale e Filosofia della politica ed occupandosi
costantemente, per l'intera vita, di problemi di etica e politica. Il pensiero
filosofico-giuridico scarpelliano può essere raccolto attorno a due grandi
temi: la semiotica del linguaggio prescrittivo e il metodo giuridico. Scarpelli
contribuisce in misura fondamentale alla cosiddetta svolta prescrittivistica in
campo semiotico ed è fautore di una giustificazione etico-politica del
positivismo giuridico. Oltre ad approfondire lo studio del metodo del
ragionamento morale, si è impegnato attivamente in relazione a questioni di
etica e bioetica quali per esempio l'aborto e l'eutanasia. Ha compiuto inoltre
studi sulla democrazia e i concetti di libertà politica e di partecipazione politica.
Nasce a Vicenza il 9 febbraio 1924 da una famiglia di origine pugliese
trasferitasi poi in Lucchesia; il padre è magistrato. Dopo avere frequentato il
liceo, si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza presso l'Università degli
Studi di Torino. La formazione di Scarpelli è all'insegna del pensiero
filosofico idealistico allora dominante in Italia e fondata, tra gli altri, sui
testi di Benedetto Croce e Giovanni Gentile. Durante gli anni universitari,
desta l'interesse di Scarpelli in particolare il pensiero di Mario Allara,
maestro della scuola civilistica torinese, e la filosofia del diritto.
Nell'a.a. 1944-1945 segue le lezioni del corso di Filosofia del diritto di
Norberto Bobbio, che ha l'incarico per quell'anno di ricoprire la cattedra di
Gioele Solari. Sotto la guida del filosofo e giurista italiano Solari,
Scarpelli si laurea nel 1946 discutendo una tesi sul tema della persona nella
filosofia giuridica moderna. Già in questo lavorolo ricorda Bobbio, molti anni
più tardi, nel ritratto dell'allievoScarpelli rivela un orientamento critico
verso le versioni organicistiche della filosofia al tempo in auge. Due
anni dopo, nel 1948, si laurea anchein Scienze politiche sempre sotto la guida
di Solari. Risale a questo anno la pubblicazione nella Rivista del diritto
commerciale di una breve nota intitolata Scienza giuridica e analisi del
linguaggio; in questa nota Scarpelli precorre il celebre saggio di Norberto
Bobbio del 1950 che porta lo stesso titolo e che è considerato il manifesto
della scuola analitica italiana di filosofia del diritto. Scarpelli, sino da
giovanissimo, prende le distanze dalle correnti filosofiche idealistiche,
organicistiche ed attualistiche accreditate sul continente per accostarsi al
positivismo logico e, più in generale, alla filosofia analitica e agli studi di
semiotica. È tra i primi a proporne una applicazione in campo giuridico e ad
evidenziare la rilevanza della analisi del linguaggio per la teoria e la
dogmatica giuridica. Appena dopo la laurea, diviene assistente volontario
di Bobbio; in seguito, negli a.a. 1948-1949 e 1949-1950, in qualità di
assistente incaricato, collabora con Bobbio alla preparazione di due seminari,
uno sulla giustizia nel materialismo storico e l'altro sulla interpretazione
giuridica. La giustizia e il marxismo sono temi a cui Scarpelli dedica il primo
libro intitolato Esistenzialismo e marxismo, il quale reca come sottotitolo
Saggio sulla giustizia. Nonostante alcuni cambiamenti intervenuti nel corso
degli anni, nel libro si rintracciano alcuni motivi del pensiero scarpelliano
che lo stesso Scarpelli riconosce di non avere mai abbandonato: anzitutto,
l'idea che la filosofia debba proporsi come forma di pensiero mondano, legato
esclusivamente a ciò che gli uomini sono e fanno al mondo, e l'idea della scelta
e dell'impegno come basi della esistenza di ciascun uomo. La magistratura
Risultato vincitore del concorso per l'accesso in magistratura, lascia la
carriera universitaria con qualche rimpianto; ne è testimonianza la
corrispondenza epistolare col maestro Norberto Bobbio. Durante gli anni di
magistratura, i rapporti con l'università non si interrompono però
completamente: nel 1954 consegue la libera docenza in Filosofia del diritto
presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Milano; nei
due anni successivi svolge corsi liberi nella stessa disciplina e nell'a.a.
1956-1957 svolge su incarico il corso di dottrina dello Stato al fianco di
Renato Treves. Godendo di una borsa Rockefeller, ottenuta soprattutto grazie ad
Alessandro Passerin d'Entrèves, per un anno si dedica ininterrottamente allo
studio ponendo le basi di una delle sue opere principali: il Contributo alla
semantica del linguaggio normativo, pubblicato nel 1959. Scarpelli esercita la
professione di magistrato a Milano fino al 1962, anno in cui lascia
definitivamente la carica per ritornare a tempo pieno all'insegnamento
universitario. La carriera universitaria Negli a.a. 1960-1961 e 1961-1962
tiene per incarico il corso di Filosofia del diritto nella Facoltà di Giurisprudenza
di Perugia. Dal 1º dicembre 1962 è professore straordinario di Filosofia del
diritto presso la medesima Facoltà; al compimentodel triennio, nel 1965, è Professore
sempre a Perugia. Dal 1º febbraio 1968 è Professore di Filosofia morale nella
Facoltà di Lettere e filosofia del diritto dell'Università degli Studi di
Pavia, presso la cui Facoltà di Giurisprudenza tiene anche le lezioni di
Filosofia del diritto alla morte di Bruno Leoni avvenuta nel 1967. Dal 1º
marzo 1971, succedendo a Bobbio, è titolare della cattedra di Filosofia del
diritto della Facoltà di Giurisprudenza di Torino. Mantiene l'incarico fino al
1982 quando si trasferisce accanto a Treves all'Università degli Studi di
Milano ricoprendo la cattedra di Filosofia del diritto di cui è già titolare
dal 1974. Nel 1981 promuove il dottorato in Filosofia analitica e teoria
generale del diritto; ancora oggi attivo, tale dottorato è uno dei tre
curricula che compongono l'attuale dottorato in Filosofia del diritto della
Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Milano. Durante gli
anni di docenza, oltre ai corsi di Filosofia del diritto e Filosofia morale,
Scarpelli insegna su incarico Teoria generale del diritto, Filosofia della
politica e Analisi del linguaggio politico. L'opera incompiuta Negli
ultimi anni Uberto Scarpelli lavora appassionatamente e alacremente a un'opera
sistematica rimasta incompiuta: si tratta di un trattato di teoria generale del
diritto di cui resta solo la struttura del lavoro, dettagliata fino alla
scansione dei paragrafi. A tale opera Scarpelli pensa per lunghi anni, almeno
dieci, come dimostra quanto egli scrive nel saggio del 1983 intitolato La
teoria generale del diritto: prospettive per un trattato; eccettuate le
anticipazioni presenti in questo lavoro e in altri saggi successivi, tra le
carte rimaste di Scarpelli, non v'è alcuna parte di testo scritta di pugno dal
filosofo. Come attestano gli allievi, il modo di lavorare di Scarpelli avrebbe
portato ad una stesura unitaria a partire dalle citazioni e dai riferimenti
raccolti e ordi corso degli anni. Ad oggi, questa mole di documenti resta
l'ultima testimonianza del lavoro di Scarpelli, la traccia degli ultimi
sviluppi del suo pensiero di filosofo del diritto e studioso di analisi del
linguaggio. Scarpelli muore a Milano il 16 luglio 1993 all'età di
sessantanove anni. Tra gli scritti pubblicati postumi e ancora incompiuti, si
ricorda soprattutto il testo di una conferenza mai tenuta intitolato La mia
meta-etica e la mia esperienza etica in cui Scarpelli esplicita le due
problematiche che hanno dominato la sua ricerca meta-etica: quella della
razionalità interna dell'etica e quella della sua fondazione. L'attività
scientifica Scarpelli ricopre numerose cariche in istituzioni dedite alla
ricerca e partecipa a numerosi convegni, incontri di studio e simposi di
rilievo nazionale ed internazionale. È stato membro del Centro di studi
metodologici di Torino e dello Institut international de philosophie politique;
è stato socio corrispondente dell'Accademia delle scienze di Torino e socio
dell'Istituto Lombardo Accademia delle scienze e delle lettere. Dal 1973 è
stato direttore dell'Istituto per la Scienza per la amministrazione pubblica.
Ha fatto parte dei consigli direttivi della Rivista internazionale di filosofia
del diritto e di Sociologia del diritto. Nel 1961 entra a far parte del
comitato di redazione della Rivista di filosofia di cui cura numeri monografici
dedicati al concetto di libertà, alla logica deontica e alla bioetica. È stato
condirettore della collana Diritto e cultura moderna e direttore della collana
Luoghi critici per le edizioni di Comunità. Presidente della Società italiana
di filosofia giuridica e politica dal 1985 al 1989, è stato vicepresidente del
Comitato nazionale di bioetica negli anni 1990-1991 ed è stato nominato
presidente onorario della Società italiana di filosofia analitica nel
1992. All'inizio degli anni Cinquanta contribuisce alla nascita, dovuta
all'iniziativa soprattutto di Ludovico Geymonat, del Centro Studi metodologici
di Torino. In qualità di affiliato, riceve il compito di fare una relazione
sulla Enciclopedia delle scienze unificate; lavoro a cui fanno seguito negli
anni Cinquanta alcuni contributi sulla analisi del linguaggio così come
concepita dal movimento del positivismo logico. In questi anni Scarpelli si
avvicina sempre di più alla filosofia anglosassone e in particolare agli studi
oxoniensi sul linguaggio della morale e della politica, partecipando anche ad
incontri di studio ad Oxford. Seguendo inizialmente le ricerche del
filosofo statunitense Charles W. Morris (1901-1979), negli anni Cinquanta
Scarpelli è fra i protagonisti della cosiddetta svolta linguistica della
filosofia italiana. Si deve a lui l'introduzione nel nostro Paese del pensiero
e delle opere del filosofo della morale Richard M. Hare (1919-2002) e del
filosofo della politica Felix E. Oppenheim. Ad ambedue i filosofi, Scarpelli
dedica alcuni lavori; sono da ricordare anzitutto le note, che in realtà sono
ampi saggi di analisi del linguaggio normativo e contributi di meta-etica, ai
due libri di Hare: The Language of Morals (1952) e Freedom and Reason (1963).
Con Oppenheim, Bobbio e Passerin d'Entreves, Scarpelli intraprende un vivace
dibattito sul concetto di libertà politica che porta alla stesura di vari lavori;
tra essi, si può ricordare anzitutto il saggio dal titolo Libertà come fatto e
come valore del 1965 ed il volume, curato da Passerin d'Entreves, La libertà
politica del 1972. Si devono a Scarpelli i primi studi in Italia sulla
analisi del linguaggio giuridico in cui v'è una sistematica applicazione degli
strumenti della semiotica ai suoi tre livelli: la sintattica (lo studio dei
rapporti tra i segni), la semantica (lo studio dei rapporti tra i segni e i
significati), la pragmatica (lo studio dei rapporti tra i segni e i loro
utenti). Tutta la speculazione e la produzione scientifica di Scarpelli è
basata sulla tesi della grande distinzione tra linguaggio descrittivo e
linguaggio prescrittivo; ma negli anni si evolve progressivamente il livello a
cui è individuato il tratto differenziale tra l'uno e l'altro, individuato
dapprima sul piano pragmatico e poi sul piano semantico. L'esposizione compiuta
del pensiero scarpelliano sulla significanza del linguaggio prescrittivo si ha
nell'opera del 1969 Semantica, morale e diritto, trasfusa nella voce Semantica
giuridica dello stesso anno. L'idea che il linguaggio prescrittivo (le norme, i
comandi, gli ordini, le preghiere, ecc.) abbiano significato trae origine dalla
distinzione tra il principio di significanza e il principio di verificazione.
Alcuni spunti in tal senso sono rintracciabili già nel Contributo alla
semantica del linguaggio normativo (1959) il cui nucleo concettuale ancora
vicino al positivismo logico sta nell'intuizione che gli enunciati normativi,
quantunque non possano essere verificati o falsificati, debbano nondimeno
riferirsi alla realtà. Questa idea è alla base anche del libro Cos'è il
positivismo giuridico (1965) in cui Scarpelli propone una giustificazione
etico-politica del positivismo giuridico, criticando sia la versione bobbiana
del positivismo giuridico come approach sia la versione proposta da Herbert L.
A. Hart. Fonti Le indicazioni sulla produzione scientifica di Uberto
Scarpelli più ampie, seppur non complete, si rintracciano al momento nei
seguenti contributi: Riccardo Guastini, Variazioni su temi di Scarpelli. Con
un'appendice bibliografica, in «Materiali per una storia della cultura
giuridica italiana», XII, 1982560 ss.;
degli scritti di Uberto Scarpelli. Nota Bibliografica, in Filosofia
analitica 1993, Donatelli e Luciano Floridi, Lithos editrice, Roma, 199317 ss.
(con anche l'indicazione delle note sul “Monitore dei Tribunali” e degli
articoli comparsi su alcuni giornali, quotidiani e periodici: “L'Opinione”,
“Panorama”, “Il Sole 24 Ore”, “Il Mondo economico”); Mario Jori, Uberto
Scarpelli, giurista e filosofo, in «Rivista internazionale di filosofia del
diritto», 1994191 ss.; Norberto Bobbio, La mia Italia, Polito, Passigli
Editori, Firenze, 2000, nelle pagine dedicate al ritratto di Uberto
Scarpelli155 ss.; Uberto Scarpelli. Semantica del linguaggio normativo, in
Amedeo Giovanni Conte, Paolo Di Lucia, Luigi Ferrajoli, Mario Jori, Filosofia
del diritto, (Paolo Di Lucia), Raffaello Cortina Editore, Milano, Félix
Morales, "La filosofía del Derecho de Uberto Scarpelli. Análisis del
lenguaje normativo y positivismo jurídico", Universidad de Alicante. La
presente non è completa e non contempla
i numerosissimi scritti e note apparsi sui giornali, quotidiani e
periodici. Esistenzialismo e marxismo. Saggio sulla giustizia, Taylor, Torino,
Filosofia analitica e giurisprudenza, Istituto editoriale Cisalpino, Milano, Il
problema della definizione e il concetto di diritto, Istituto editoriale
Cisalpino, Milano, Contributo alla semantica del linguaggio normativo, Accademia
delle Scienze, Torino, (nuova edizione con introduzione e Anna Pintore,
Giuffrè, Milano, Filosofia analitica,
norme e valori, Comunità, Milano, Validità, legittimità, effettività del
diritto, e positivismo giuridico, Cluep, Perugia, ciclostilato Cos'è il
positivismo giuridico, Comunità, Milano, (nuova edizione con introduzione di
Alfonso Catania e Mario Jori, ESI, Napoli) Diritto e analisi del linguaggio,
Uberto Scarpelli, Comunità, Milano, Letture filosofiche e politiche. Introduzione
agli studi politici, Uberto Scarpelli, Cisalpino-Goliardica, Milano, Thomas
Hobbes. Linguaggio e leggi naturali. Il tempo e la pena, Giuffrè, Milano, L'etica
senza verità, Il Mulino, Bologna, La teoria generale del diritto. Problemi e
tendenze attuali. Studi dedicati a Norberto Bobbio, Uberto Scarpelli, Comunità,
Milano, Il linguaggio del diritto, Uberto Scarpelli e Paolo Di Lucia,
prefazione di Mario Jori, Led, Milano, Bioetica Laica, Maurizio Mori, Baldini e
Castoldi, Milano, Saggi Scienza del diritto e analisi del linguaggio, Rivista
del diritto commerciale, Dissertazione (check) per la libera docenza,
Giurisprudenza italiana, L'Unità della
scienza nella “International Encyclopedia of Unified Science”, Rivista di
filosofia, Il giudice e la legge, Occidente. Rivista mensile (saggio compreso
nel fascicolo speciale dedicato a Il potere giurisdizionale nello stato moderno
e in particolare nella costituzione italiana, Uberto Scarpelli) Liberalismo e
democrazia nella Costituzione italiana, Occidente. Rivista bimestrale di studi
politici, Elementi di analisi della proposizione giuridica, Jus, (riedito in
Atti del congresso di studi metodologici promosso dal Centro di Studi metodologici,
Ramella, Torino, Diritto naturale vigente, Occidente. Rivista bimestrale di
studi politici, Alcuni problemi della teoria analitica del valore nel libro
“Elementi di filosofia analitica” di Arthur Pap, Rivista di filosofia, Linguaggio valutativo e prescrittivo, Jus, La
Filosofia di Giovanni Gentile e le critiche di Gioele Solari, in Studi in
memoria di Gioele Solari, Ramella, Torino, Responsabilità del magistrato,
Occidente. Rivista bimestrale di studi politici, Behaviourism, positivismo
logico e fascismo, Rivista bimestrale di cultura e di politica, Gli Stati Uniti
e “il grande cambiamento”, Rivista bimestrale di cultura e di politica, Etica e
linguaggio, Rivista di filosofia, Società e natura nel pensiero di Hans Kelsen,
Rivista internazionale di filosofia del diritto, Osservazioni sul concetto di
segno nel pensiero di Charles Morris, Rivista di filosofia, La natura della
analisi del linguaggio, Rivista di filosofia, La natura della metodologia
giuridica, Rivista internazionale di filosofia del diritto (incluso anche in
Filosofia e scienza del diritto. Atti del II Congresso nazionale di filosofia
del diritto, Giuffrè, Milano, La «Filosofia del diritto» di Widar Cesarini
Sforza, Rivista di diritto civile, I compiti della filosofia del diritto, in La
ricerca filosofica nella coscienza delle nuove generazioni, Carlo Arata e altri,
Il Mulino, Bologna, I fondamenti e il metodo della analisi del linguaggio, in
Il pensiero contemporaneo. Filosofia, epistemologia, logica, Ferruccio
Rossi-Landi, Comunità, Milano,Retribuzione (voce), Enciclopedia Filosofica, IV,
Sansoni, Firenze, 1958, col. 82 ss. La définition en droit, Logique et Analyse,ss.
poi tradotto come La definizione nel diritto, Jus, 4, Imperativi e asserzioni
(Grice: “Or is it indicatives and imperatives?”) Rivista di filosofia, La
libertà, la democrazia e il magistrato, Monitore dei Tribunali, Relazione, in Dibattito bolognese sui valori,
Augusto Guzzo e Uberto Scarpelli, Edizioni di Filosofia, Torino, Libertà, ragione e giustizia, Rivista di
filosofia, Marxismo, sociologia neopositivistica e lotta delle classi, Quaderni
di Sociologia, Il permesso, il dovere e la completezza degli ordinamenti
normativi (a proposito di un libro di Amedeo G. Conte), Rivista trimestrale di
diritto e procedura civile, La dimensione normativa della libertà, Rivista di
filosofia, 1Positivismo logico e società contemporanea, Rivista di filosofia, Libertà come fatto e come valore, (coautori
Noberto Bobbio, Alessandro Passerin d'Entreves e Felix Oppenheim), Rivista di
filosofia, Illuminismo e legislazione, La Magistratura, Le “proposizioni
giuridiche” come precetti reiterati, Rivista internazionale di filosofia del
diritto, Risposta di Uberto Scarpelli, in Quaderni della Rivista “Il politico”.
Tavola rotonda sul positivismo giuridico (Pavia), Milano, Giuffrè, L'educazione
del giurista, Rivista di diritto processuale, Semantica giuridica, voce del
Novissimo digesto italiano, XVI, UTET, Torino, . (Semantica, morale e diritto,
Giappichelli, Torino) Problemi e idee circa l'insegnamento del dirittoGruppo di
lavoro per il diritto G. Pugliese, in Le scienze dell'uomo e la riforma universitaria,
Laterza, Bari, I magistrati e le tre
democrazie, Rivista di diritto processuale, Le argomentazioni dei giudici:
prospettive di analisi, Il Foro italiano, suppl. ai Quaderni. Serie II. La
formazione extralegislativa del diritto nell'esperienza italiana. Atti delle
giornate di studio di Ancona, “Moore in Italia,” (cf. Luigi Speranza, “Grice in
Italia”), Rivista di filosofia, La
«grande divisione» e la filosofia della politica, introduzione a Felix
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logiche e discriminazione fra i sessi, Lavoro e diritto, 4, 1988615 ss. Hobbes
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scettico -- sceptis: Cicero translated as ‘dubitatio.’ For
some reason, Grice was irritated by Wood’s sobriquet of Russell as a
“passionate sceptic”: ‘an oxymoron.” The most specific essay by Grice on this
is an essay he kept after many years, that he delivered back in the day at
Oxford, entitled, “Scepticism and common sense.” Both were traditional topics
at Oxford at the time. Typically, as in the Oxonian manner, he chose two authors,
New-World’s Malcolm’s treatment of Old-World Moore, and brings in Austin’s
‘ordinary-language’ into the bargain. He also brings in his own obsession with
what an emissor communicates. In this case, the “p” is the philosopher’s
sceptical proposition, such as “That pillar box is red.” Grice thinks
‘dogmatic’ is the opposite of ‘sceptic,’ and he is right! Liddell and Scott
have “δόγμα,” from “δοκέω,” and which they render as “that which seems to one,
opinion or belief;” Pl.R.538c; “δ. πόλεως κοινόν;” esp. of philosophical
doctrines, Epicur.Nat.14.7; “notion,” Pl.Tht.158d; “decision, judgement,” Pl. Lg.926d; (pl.); public decree,
ordinance, esp. of Roman
Senatus-consulta, “δ. συγκλήτου” “δ. τῆς
βουλῆς” So note that there is nothing ‘dogmatic’ about ‘dogma,’ as it derives
from ‘dokeo,’ and is rendered as ‘that which seems to one.’ So the keyword
should be later Grecian, and in the adjectival ‘dogmatic.’ Liddell and Scott
have “δογματικός,” which they render as “of or for doctrines, didactic,
[διάλογοι] Quint.Inst.2.15.26, and “of persons, δ. ἰατροί,” “physicians who go
by general principles,” o “ἐμπειρικοί and μεθοδικοί,” Dsc.Ther.Praef.,
Gal.1.65; in Philosophy, S.E.M.7.1, D.L.9.70, etc.; “δ. ὑπολήψεις” Id.9.83; “δ.
φιλοσοφία” S.E. P.1.4. Adv. “-κῶς” D.L.9.74, S.E.P.1.197: Comp. “-κώτερον”
Id.M. 6.4. Why is Grice interested in scepticism. His initial concern, the one
that Austin would authorize, relates to ‘ordinary language.’ What if ‘ordinary
language’ embraces scepticism? What if it doesn’t? Strawso notes that the world
of ordinary language is a world of things, causes, and stuff. None of the good
stuff for the sceptic. what is Grice’s answer to the sceptic’s implicaturum?
The sceptic’s implicaturum is a topic that always fascinated Girce. While Grice
groups two essays as dealing with one single theme, strictly, only this or that
philosopher’s paradox (not all) may count as sceptical. This or that philosopher’s
paradox may well not be sceptical at all but rather dogmatic. In fact, Grice
defines philosophers paradox as anything repugnant to common sense, shocking,
or extravagant ‒ to Malcolms ears, that is! While it is, strictly, slightly
odd to quote this as a given date just because, by a stroke of the pen,
Grice writes that date in the Harvard volume, we will follow his charming
practice. This is vintage Grice. Grice always takes the sceptics challenge
seriously, as any serious philosopher should. Grices takes both the sceptics
explicatum and the scepticss implicaturum as self-defeating, as a very affront
to our idea of rationality, conversational or other. V: Conversations with a
sceptic: Can he be slightly more conversational helpful? Hume’ sceptical attack is
partial, and targeted only towards practical reason, though. Yet, for
Grice, reason is one. You cannot really attack practical or buletic reason
without attacking theoretical or doxastic reason. There is such thing as a
general rational acceptance, to use Grice’s term, that the sceptic is getting
at. Grice likes to play with the idea that ultimately every syllogism is
buletic or practical. If, say, a syllogism by Eddington looks doxastic, that is
because Eddington cares to omit the practical tail, as Grice puts it. And
Eddington is not even a philosopher, they say. Grice is here concerned with
a Cantabrigian topic popularised by Moore. As Grice recollects, Some
like Witters, but Moore’s my man. Unlike Cambridge analysts such as
Moore, Grice sees himself as a linguistic-turn Oxonian analyst. So it is only
natural that Grice would connect time-honoured scepticism of Pyrrhos vintage,
and common sense with ordinary language, so mis-called, the elephant in
Grices room. Lewis and Short have “σκέψις,” f. σκέπτομαι, which they render as “viewing,
perception by the senses, ἡ διὰ τῶν ὀμμάτων ςκέψις, Pl. Phd. 83a;
observation of auguries; also as examination, speculation, consideration, τὸ
εὕρημα πολλῆς σκέψιος; βραχείας ςκέψις; ϝέμειν ςκέψις take thought of a thing;
ἐνθεὶς τῇ τέχνῃ ςκέψις; ςκέψις ποιεῖσθαι; ςκέψις προβέβληκας;
ςκέψις λόγων; ςκέψις περί τινος inquiry into, speculation on a thing;
περί τι Id. Lg. 636d;ἐπὶ σκέψιν τινὸς ἐλθεῖν; speculation, inquiry,ταῦτα
ἐξωτερικωτέρας ἐστὶ σκέψεως; ἔξω τῆς νῦν ςκέψεως; οὐκ οἰκεῖα τῆς παρούσης
ςκέψις; also hesitation, doubt, esp. of the Sceptic or Pyrthonic philosophers,
AP 7. 576 (Jul.); the Sceptic philosophy, S. E. P. 1.5; οἱ ἀπὸ τῆς
ςκέψεως, the Sceptics, ib. 229. in politics, resolution, decree, συνεδρίον
Hdn. 4.3.9, cf. Poll. 6.178. If scepticism attacks common sense and fails,
Grice seems to be implicating, that ordinary language philosophy is a good
antidote to scepticism. Since what language other than ordinary language does
common sense speak? Well, strictly, common sense doesnt speak. The man in the
street does. Grice addresses this topic in a Mooreian way in a later essay,
also repr. in Studies, Moore and philosophers paradoxes, repr. in Studies.
As with his earlier Common sense and scepticism, Grice tackles Moores and
Malcolms claim that ordinary language, so-called, solves a few of philosophers
paradoxes. Philosopher is Grices witty way to generalise over your
common-or-garden, any, philosopher, especially of the type he found eccentric,
the sceptic included. Grice finds this or that problem in this overarching
Cantabrigian manoeuvre, as over-simplifying a pretty convoluted
terrain. While he cherishes Austins Some like Witters, but Moores MY man!
Grice finds Moore too Cantabrigian to his taste. While an Oxonian thoroughbred,
Grice is a bit like Austin, Some like Witters, but Moores my man, with this or
that caveat. Again, as with his treatment of Descartes or Locke, Grice is
hardly interested in finding out what Moore really means. He is a philosopher,
not a historian of philosophy, and he knows it. While Grice agrees with Austins
implicaturum that Moore goes well above Witters, if that is the expression
(even if some like him), we should find the Oxonian equivalent to Moore. Grice
would not Names Ryle, since he sees him, and his followers, almost every day.
There is something apostolic about Moore that Grice enjoys, which is just as
well, seeing that Moore is one of the twelve. Grice found it amusing that
the members of The Conversazione Society would still be nickNamesd apostles
when their number exceeded the initial 12. Grice spends some time exploring
what Malcolm, a follower of Witters, which does not help, as it were, has to
say about Moore in connection with that particularly Oxonian turn of phrase, such
as ordinary language is. For Malcolms Moore, a paradox by philosopher
[sic], including the sceptic, arises when philosopher [sic], including the
sceptic, fails to abide by the dictates of ordinary language. It might merit
some exploration if Moore’s defence of common sense is against: the sceptic may
be one, but also the idealist. Moore the realist, armed with ordinary language
attacks the idealists claim. The idealist is sceptical of the realists claim.
But empiricist idealism (Bradley) has at Oxford as good pedigree as empiricist
realism (Cook Wilson). Malcolm’s simplifications infuriate Grice, and ordinary
language has little to offer in the defense of common sense realism against
sceptical empiricist idealism. Surely the ordinary man says ridiculous, or
silly, as Russell prefers, things, such as Smith is lucky, Departed spirits
walk along this road on their way to Paradise, I know there are infinite stars,
and I wish I were Napoleon, or I wish that I had
been Napoleon, which does not mean that the utterer wishes that
he were like Napoleon, but that he wishes that he had lived
not in the his century but in the XVIIIth century. Grice is being specific
about this. It is true that an ordinary use of language, as Malcolm suggests,
cannot be self-contradictory unless the ordinary use of language is defined by
stipulation as not self-contradictory, in which case an appeal to ordinary
language becomes useless against this or that paradox by Philosopher. I wish
that I had been Napoleon seems to involve nothing but an ordinary use of
language by any standard but that of freedom from absurdity. I wish
that I had been Napoleon is not, as far as Grice can see, philosophical, but
something which may have been said and meant by numbers of ordinary people. Yet,
I wish that I had been Napoleon is open to the suspicion of
self-contradictoriness, absurdity, or some other kind of
meaninglessness. And in this context suspicion is all Grice needs. By
uttering I wish that I had been Napoleon U hardly means the same as he
would if he uttered I wish I were like Napoleon. I wish that I had been
Napoleon is suspiciously self-contradictory, absurd, or meaningless, if, as
uttered by an utterer in a century other than the XVIIIth century, say, the
utterer is understood as expressing the proposition that the utterer wishes
that he had lived in the XVIIIth century, and not in his century, in which case
he-1 wishes that he had not been him-1? But blame it on the
buletic. That Moore himself is not too happy with Malcolms criticism can
be witnessed by a cursory glimpse at hi reply to Malcolm. Grice is totally
against this view that Malcolm ascribes to Moore as a view that is too broad to
even claim to be true. Grices implicaturum is that Malcolm is appealing to
Oxonian turns of phrase, such as ordinary language, but not taking proper
Oxonian care in clarifying the nuances and stuff in dealing with, admittedly, a
non-Oxonian philosopher such as Moore. When dealing with Moore, Grice is not
necessarily concerned with scepticism. Time is unreal, e.g. is hardly a sceptic
utterance. Yet Grice lists it as one of Philosophers paradoxes. So, there are
various to consider here. Grice would start with common sense. That is what he
does when he reprints this essay in WOW, with his attending note in both the preface
and the Retrospective epilogue on how he organizes the themes and strands.
Common sense is one keyword there, with its attending realism. Scepticism is
another, with its attending empiricist idealism. It is intriguing that in the
first two essays opening Grices explorations in semantics and metaphysics it
seems its Malcolm, rather than the dryer Moore, who interests Grice most. While
he would provide exegeses of this or that dictum by Moore, and indeed, Moore’s
response to Malcolm, Grice seems to be more concerned with applications of his
own views. Notably in Philosophers paradoxes. The fatal objection Grice finds
for the paradox propounder (not necessarily a sceptic, although a sceptic may
be one of the paradox propounders) significantly rests on Grices reductive
analysis of meaning that as ascribed to
this or that utterer U. Grice elaborates on circumstances that hell later take
up in the Retrospective epilogue. I find myself not understanding what I mean
is dubiously acceptable. If meaning, Grice claims, is about an utterer U
intending to get his addressee A to believe that U ψ-s that p, U must think
there is a good chance that A will recognise what he is supposed to believe,
by, perhaps, being aware of the Us practice or by a supplementary explanation
which might come from U. In which case, U should not be meaning what Malcolm
claims U might mean. No utterer should intend his addressee to believe what is
conceptually impossible, or incoherent, or blatantly false (Charles Is
decapitation willed Charles Is death.), unless you are Queen in Through the
Looking Glass. I believe five impossible things before breakfast, and I hope
youll soon get the proper training to follow suit. Cf. Tertulian, Credo, quia
absurdum est. Admittedly, Grice edits the Philosophers paradoxes essay. It is
only Grices final objection which is repr. in WOW, even if he provides a good
detailed summary of the previous sections. Grice appeals to Moore on later
occasions. In Causal theory, Grice lists, as a third philosophical mistake,
the opinion by Malcolm that Moore did not know how to use knowin a sentence.
Grice brings up the same example again in Prolegomena. The use of factive know
of Moore may well be a misuse. While at Madison, Wisconsin, Moore lectures at a
hall eccentrically-built with indirect lighting simulating sun rays, Moore
infamously utters, I know that there is a window behind that curtain, when
there is not. But it is not the factiveness Grice is aiming at, but the
otiosity Malcolm misdescribes in the true, if baffling, I know that I have two
hands. In Retrospective epilogue, Grice uses M to abbreviate Moore’s fairy
godmotheralong with G (Grice), A (Austin), R (Ryle) and Q (Quine)! One simple
way to approach Grices quandary with Malcolm’s quandary with Moore is then to
focus on know. How can Malcolm claim that Moore is guilty of misusing know? The
most extensive exploration by Grice on know is in Grices third James lecture
(but cf. his seminar on Knowledge and belief, and his remarks on some of our
beliefs needing to be true, in Meaning revisited. The examinee knows that
the battle of Waterloo was fought in 1815. Nothing odd about that, nor about
Moores uttering I know that these are my hands. Grice is perhaps the only one
of the Oxonian philosophers of Austins play group who took common sense realsim
so seriously, if only to crticise Malcoms zeal with it. For Grice, common-sense
realism = ordinary language, whereas for the typical Austinian, ordinary
language = the language of the man in the street. Back at Oxford, Grice uses
Malcolm to contest the usual criticism that Oxford ordinary-language
philosophers defend common-sense realist assumptions just because the way
non-common-sense realist philosopher’s talk is not ordinary language, and even
at Oxford. Cf. Flews reference to Joness philosophical verbal rubbish in using
self as a noun. Grice is infuriated by all this unclear chatter, and chooses
Malcolms mistreatment of Moore as an example. Grice is possibly fearful to
consider Austins claims directly! In later essays, such as ‘the learned’ and ‘the
lay,’ Grice goes back to the topic criticising now the scientists jargon as an
affront to the ordinary language of the layman that Grice qua philosopher
defends. scepticism, in the most common sense, the refusal to grant that there
is any knowledge or justification. Skepticism can be either partial or total,
either practical or theoretical, and, if theoretical, either moderate or
radical, and either of knowledge or of justification. Skepticism is partial iff
if and only if it is restricted to particular fields of beliefs or
propositions, and total iff not thus restricted. And if partial, it may be
highly restricted, as is the skepticism for which religion is only opium, or
much more general, as when not only is religion called opium, but also history
bunk and metaphysics meaningless. Skepticism is practical iff it is an attitude
of deliberately withholding both belief and disbelief, accompanied perhaps but
not necessarily by commitment to a recommendation for people generally, that
they do likewise. Practical skepticism can of course be either total or
partial, and if partial it can be more or less general. Skepticism is
theoretical iff it is a commitment to the belief that there is no knowledge
justified belief of a certain kind or of certain kinds. Such theoretical
skepticism comes in several varieties. It is moderate and total iff it holds
that there is no certain superknowledge superjustified belief whatsoever, not
even in logic or mathematics, nor through introspection of one’s present
experience. It is radical and total iff it holds that there ’t even any
ordinary knowledge justified belief at all. It is moderate and partial, on the
other hand, iff it holds that there is no certain superknowledge superjustified
belief of a certain specific kind K or of certain specific kinds K1, . . . , Kn
less than the totality of such kinds. It is radical and partial, finally, iff
it holds that there ’t even any ordinary knowledge justified belief at all of
that kind K or of those kinds K1, . . . , Kn. Grecian skepticism can be traced
back to Socrates’ epistemic modesty. Suppressed by the prolific theoretical
virtuosity of Plato and Aristotle, such modesty reasserted itself in the
skepticism of the Academy led by Arcesilaus and later by Carneades. In this
period began a long controversy pitting Academic Skeptics against the Stoics
Zeno and later Chrysippus, and their followers. Prolonged controversy,
sometimes heated, softened the competing views, but before agreement congealed
Anesidemus broke with the Academy and reclaimed the arguments and tradition of
Pyrrho, who wrote nothing, but whose Skeptic teachings had been preserved by a
student, Timon in the third century B.C.. After enduring more than two
centuries, neoPyrrhonism was summarized, c.200 A.D., by Sextus Empiricus
Outlines of Pyrrhonism and Adversus mathematicos. Skepticism thus ended as a
school, but as a philosophical tradition it has been influential long after
that, and is so even now. It has influenced strongly not only Cicero Academica
and De natura deorum, St. Augustine Contra academicos, and Montaigne “Apology
for Raimund Sebond”, but also the great historical philosophers of the Western
tradition, from Descartes through Hegel. Both on the Continent and in the
Anglophone sphere a new wave of skepticism has built for decades, with logical
positivism, deconstructionism, historicism, neopragmatism, and relativism, and
the writings of Foucault knowledge as a mask of power, Derrida deconstruction,
Quine indeterminacy and eliminativism, Kuhn incommensurability, and Rorty
solidarity over objectivity, edification over inquiry. At the same time a
rising tide of books and articles continues other philosophical traditions in
metaphysics, epistemology, ethics, etc. It is interesting to compare the
cognitive disengagement recommended by practical skepticism with the affective
disengagement dear to stoicism especially in light of the epistemological
controversies that long divided Academic Skepticism from the Stoa, giving rise
to a rivalry dominant in Hellenistic philosophy. If believing and favoring are
positive, with disbelieving and disfavoring their respective negative
counterparts, then the magnitude of our happiness positive or unhappiness
negative over a given matter is determined by the product of our
belief/disbelief and our favoring/disfavoring with regard to that same matter.
The fear of unhappiness may lead one stoically to disengage from affective
engagement, on either side of any matter that escapes one’s total control. And
this is a kind of practical affective “skepticism.” Similarly, if believing and
truth are positive, with disbelieving and falsity their respective negative
counterparts, then the magnitude of our correctness positive or error negative
over a given matter is determined by the product of our belief/disbelief and
the truth/falsity with regard to that same matter where the positive or
negative magnitude of the truth or falsity at issue may be determined by some
measure of “theoretical importance,” though alternatively one could just assign
all truths a value of !1 and all falsehoods a value of †1. The fear of error
may lead one skeptically to disengage from cognitive engagement, on either side
of any matter that involves risk of error. And this is “practical cognitive
skepticism.” We wish to attain happiness and avoid unhappiness. This leads to
the disengagement of the stoic. We wish to attain the truth and avoid error.
This leads to the disengagement of the skeptic, the practical skeptic. Each
opts for a conservative policy, but one that is surely optional, given just the
reasoning indicated. For in avoiding unhappiness the stoic also forfeits a
corresponding possibility of happiness. And in avoiding error the skeptic also
forfeits a corresponding possibility to grasp a truth. These twin policies
appeal to conservatism in our nature, and will reasonably prevail in the lives
of those committed to avoiding risk as a paramount objective. For this very
desire must then be given its due, if we judge it rational. Skepticism is
instrumental in the birth of modern epistemology, and modern philosophy, at the
hands of Descartes, whose skepticism is methodological but sophisticated and
well informed by that of the ancients. Skepticism is also a main force, perhaps
the main force, in the broad sweep of Western philosophy from Descartes through
Hegel. Though preeminent in the history of our subject, skepticism since then
has suffered decades of neglect, and only in recent years has reclaimed much
attention and even applause. Some recent influential discussions go so far as
to grant that we do not know we are not dreaming. But they also insist one can
still know when there is a fire before one. The key is to analyze knowledge as
a kind of appropriate responsiveness to its object truth: what is required is
that the subject “track” through his belief the truth of what he believes. S
tracks the truth of P iff: S would not believe P if P were false. Such an
analysis of tracking, when conjoined with the view of knowledge as tracking,
enables one to explain how one can know about the fire even if for all one
knows it is just a dream. The crucial fact here is that even if P logically
entails Q, one may still be able to track the truth of P though unable to track
the truth of Q. Nozick, Philosophical Explanations, 1. Many problems arise in
the literature on this approach. One that seems especially troubling is that
though it enables us to understand how contingent knowledge of our surroundings
is possible, the tracking account falls short of enabling an explanation of how
such knowledge on our part is actual. To explain how one knows that there is a
fire before one F, according to the tracking account one presumably would
invoke one’s tracking the truth of F. But this leads deductively almost immediately
to the claim that one is not dreaming: Not D. And this is not something one can
know, according to the tracking account. So how is one to explain one’s
justification for making that claim? Most troubling of all here is the fact
that one is now cornered by the tracking account into making combinations of
claims of the following form: I am quite sure that p, but I have no knowledge
at all as to whether p. And this seems incoherent. A Cartesian dream argument
that has had much play in recent discussions of skepticism is made explicit by
Barry Stroud, The Significance of Philosophical Scepticism, 4 as follows. One
knows that if one knows F then one is not dreaming, in which case if one really
knows F then one must know one is not dreaming. However, one does not know one
is not dreaming. So one does not know F. Q.E.D. And why does one fail to know
one is not dreaming? Because in order to know it one would need to know that
one has passed some test, some empirical procedure to determine whether one is
dreaming. But any such supposed test
say, pinching oneself could just
be part of a dream, and dreaming one passes the test would not suffice to show
one was not dreaming. However, might one not actually be witnessing the fire,
and passing the test and be doing this
in wakeful life, not in a dream and
would that not be compatible with one’s knowing of the fire and of one’s
wakefulness? Not so, according to the argument, since in order to know of the
fire one needs prior knowledge of one’s wakefulness. But in order to know of
one’s wakefulness one needs prior knowledge of the results of the test
procedure. But this in turn requires prior knowledge that one is awake and not
dreaming. And we have a vicious circle. We might well hold that it is possible
to know one is not dreaming even in the absence of any positive test result, or
at most in conjunction with coordinate not prior knowledge of such a positive
indication. How in that case would one know of one’s wakefulness? Perhaps one
would know it by believing it through the exercise of a reliable faculty.
Perhaps one would know it through its coherence with the rest of one’s
comprehensive and coherent body of beliefs. Perhaps both. But, it may be urged,
if these are the ways one might know of one’s wakefulness, does not this answer
commit us to a theory of the form of A below? A The proposition that p is
something one knows believes justifiably if and only if one satisfies
conditions C with respect to it. And if so, are we not caught in a vicious
circle by the question as to how we know
what justifies us in believing A
itself? This is far from obvious, since the requirement that we must submit to
some test procedure for wakefulness and know ourselves to test positively,
before we can know ourselves to be awake, is itself a requirement that seems to
lead equally to a principle such as A. At least it is not evident why the
proposal of the externalist or of the coherentist as to how we know we are
awake should be any more closely related to a general principle like A than is
the foundationalist? notion that in order to know we are awake we need
epistemically prior knowledge that we test positive in a way that does not
presuppose already acquired knowledge of the external world. The problem of how
to justify the likes of A is a descendant of the infamous “problem of the
criterion,” reclaimed in the sixteenth century and again in this century by
Chisholm, Theory of Knowledge, 6, 7, and 8 but much used already by the
Skeptics of antiquity under the title of the diallelus. About explanations of
our knowledge or justification in general of the form indicated by A, we are
told that they are inadequate in a way revealed by examples like the following.
Suppose we want to know how we know anything at all about the external world,
and part of the answer is that we know the location of our neighbor by knowing
the location of her car in her driveway. Surely this would be at best the
beginning of an answer that might be satisfactory in the end if recursive,
e.g., but as it stands it cannot be satisfactory without supplementation. The
objection here is based on a comparison between two appeals: the appeal of a
theorist of knowledge to a principle like A in the course of explaining our
knowledge or justification in general, on one side; and the appeal to the car’s
location in explaining our knowledge of facts about the external world, on the
other side. This comparison is said to be fatal to the ambition to explain our
knowledge or justification in general. But are the appeals relevantly
analogous? One important difference is this. In the example of the car, we
explain the presence, in some subject S, of a piece of knowledge of a certain
kind of the external world by appeal to the presence in S of some other piece
of knowledge of the very same kind. So there is an immediate problem if it is
our aim to explain how any knowledge of the sort in question ever comes to be
unless the explication is just beginning, and is to turn recursive in due
course. Now of course A is theoretically ambitious, and in that respect the
theorist who gives an answer of the form of A is doing something similar to
what must be done by the protagonist in our car example, someone who is
attempting to provide a general explanation of how any knowledge of a certain kind
comes about. Nevertheless, there is also an important difference, namely that
the theorist whose aim it is to give a general account of the form of A need
not attribute any knowledge whatsoever to a subject S in explaining how that
subject comes to have a piece of knowledge or justified belief. For there is no
need to require that the conditions C appealed to by principle A must be
conditions that include attribution of any knowledge at all to the subject in
question. It is true that in claiming that A itself meets conditions C, and
that it is this which explains how one knows A, we do perhaps take ourselves to
know A or at least to be justified in believing it. But if so, this is the
inevitable lot of anyone who seriously puts forward any explanation of anything.
And it is quite different from a proposal that part of what explains how
something is known or justifiably believed includes a claim to knowledge or
justified belief of the very same sort. In sum, as in the case of one’s belief
that one is awake, the belief in something of the form of A may be said to be
known, and in so saying one does not commit oneself to adducing an ulterior
reason in favor of A, or even to having such a reason in reserve. One is of
course committed to being justified in believing A, perhaps even to having
knowledge that A. But it is not at all clear that the only way to be justified
in believing A is by way of adduced reasons in favor of A, or that one knows A
only if one adduces strong enough reasons in its favor. For we often know
things in the absence of such adduced reasons. Thus consider one’s knowledge
through memory of which door one used to come into a room that has more than
one open door. Returning finally to A, in its case the explanation of how one
knows it may, once again, take the form of an appeal to the justifying power of
intellectual virtues or of coherence or
both. Recent accounts of the nature of thought and representation undermine a
tradition of wholesale doubt about nature, whose momentum is hard to stop, and
threatens to leave the subject alone and restricted to a solipsism of the
present moment. But there may be a way to stop skepticism early by questioning the possibility of its being
sensibly held, given what is required for meaningful language and thought.
Consider our grasp of observable shape and color properties that objects around
us might have. Such grasp seems partly constituted by our discriminatory
abilities. When we discern a shape or a color we do so presumably in terms of a
distinctive impact that such a shape or color has on us. We are put
systematically into a certain distinctive state X when we are appropriately
related, in good light, with our eyes open, etc., to the presence in our
environment of that shape or color. What makes one’s distinctive state one of
thinking of sphericity rather than something else, is said to be that it is a
state tied by systematic causal relations to skepticism skepticism 849 849 the presence of sphericity in one’s normal
environment. A light now flickers at the end of the skeptic’s tunnel. In doubt
now is the coherence of traditional skeptical reflection. Indeed, our
predecessors in earlier centuries may have moved in the wrong direction when
they attempted a reduction of nature to the mind. For there is no way to make
sense of one’s mind without its contents, and there is no way to make sense of
how one’s mind can have such contents except by appeal to how one is causally
related to one’s environment. If the very existence of that environment is put
in doubt, that cuts the ground from under one’s ability reasonably to
characterize one’s own mind, or to feel any confidence about its contents.
Perhaps, then, one could not be a “brain in a vat.” Much contemporary thought
about language and the requirements for meaningful language thus suggests that
a lot of knowledge must already be in place for us to be able to think
meaningfully about a surrounding reality, so as to be able to question its very
existence. If so, then radical skepticism answers itself. For if we can so much
as understand a radical skepticism about the existence of our surrounding
reality, then we must already know a great deal about that reality. Sceptics, those ancient thinkers who
developed sets of arguments to show either that no knowledge is possible
Academic Skepticism or that there is not sufficient or adequate evidence to
tell if any knowledge is possible. If the latter is the case then these
thinkers advocated suspending judgment on all question concerning knowledge
Pyrrhonian Skepticism. Academic Skepticism gets its name from the fact that it
was formulated in Plato’s Academy in the third century B.C., starting from
Socrates’ statement, “All I know is that I know nothing.” It was developed by
Arcesilaus c.268241 and Carneades c.213129, into a series of arguments,
directed principally against the Stoics, purporting to show that nothing can be
known. The Academics posed a series of problems to show that what we think we
know by our senses may be unreliable, and that we cannot be sure about the
reliability of our reasoning. We do not possess a guaranteed standard or
criterion for ascertaining which of our judgments is true or false. Any
purported knowledge claim contains some element that goes beyond immediate
experience. If this claim constituted knowledge we would have to know something
that could not possibly be false. The evidence for the claim would have to be
based on our senses and our reason, both of which are to some degree
unreliable. So the knowledge claim may be false or doubtful, and hence cannot
constitute genuine knowledge. So, the Academics said that nothing is certain.
The best we can attain is probable information. Carneades is supposed to have
developed a form of verification theory and a kind of probabilism, similar in
some ways to that of modern pragmatists and positivists. Academic Skepticism
dominated the philosophizing of Plato’s Academy until the first century B.C.
While Cicero was a student there, the Academy turned from Skepticism to a kind
of eclectic philosophy. Its Skeptical arguments have been preserved in Cicero’s
works, Academia and De natura deorum, in Augustine’s refutation in his Contra
academicos, as well as in the summary presented by Diogenes Laertius in his
lives of the Grecian philosophers. Skeptical thinking found another home in the
school of the Pyrrhonian Skeptics, probably connected with the Methodic school
of medicine in Alexandria. The Pyrrhonian movement traces its origins to Pyrrho
of Elis c.360275 B.C. and his student Timon c.315225 B.C.. The stories about
Pyrrho indicate that he was not a theoretician but a practical doubter who
would not make any judgments that went beyond immediate experience. He is
supposed to have refused to judge if what appeared to be chariots might strike
him, and he was often rescued by his students because he would not make any
commitments. His concerns were apparently ethical. He sought to avoid
unhappiness that might result from accepting any value theory. If the theory
was at all doubtful, accepting it might lead to mental anguish. The theoretical
formulation of Pyrrhonian Skepticism is attributed to Aenesidemus c.100 40
B.C.. Pyrrhonists regarded dogmatic philosophers and Academic Skeptics as
asserting too much, the former saying that something can be known and the latter
that nothing can be known. The Pyrrhonists suspended judgments on all questions
on which there was any conflicting evidence, including whether or not anything
could be known. The Pyrrhonists used some of the same kinds of arguments
developed by Arcesilaus and Carneades. Aenesidemus and those who followed after
him organized the arguments into sets of “tropes” or ways of leading to
suspense of judgment on various questions. Sets of ten, eight, five, and two
tropes appear in the only surviving writing of the Pyrrhonists, the works of
Sextus Empiricus, a third-century A.D. teacher of Pyrrhonism. Each set of
tropes offers suggestions for suspending judgment about any knowledge claims
that go beyond appearances. The tropes seek to show that for any claim, evidence
for and evidence against it can be offered. The disagreements among human
beings, the variety of human experiences, the fluctuation of human judgments
under differing conditions, illness, drunkenness, etc., all point to the
opposition of evidence for and against each knowledge claim. Any criterion we
employ to sift and weigh the evidence can also be opposed by countercriterion
claims. Given this situation, the Pyrrhonian Skeptics sought to avoid
committing themselves concerning any kind of question. They would not even
commit themselves as to whether the arguments they put forth were sound or not.
For them Skepticism was not a statable theory, but rather an ability or mental
attitude for opposing evidence for and against any knowledge claim that went beyond
what was apparent, that dealt with the non-evident. This opposing produced an
equipollence, a balancing of the opposing evidences, that would lead to
suspending judgment on any question. Suspending judgment led to a state of mind
called “ataraxia,” quietude, peace of mind, or unperturbedness. In such a state
the Skeptic was no longer concerned or worried or disturbed about matters
beyond appearances. The Pyrrhonians averred that Skepticism was a cure for a
disease called “dogmatism” or rashness. The dogmatists made assertions about
the non-evident, and then became disturbed about whether these assertions were
true. The disturbance became a mental disease or disorder. The Pyrrhonians, who
apparently were medical doctors, offered relief by showing the patient how and
why he should suspend judgment instead of dogmatizing. Then the disease would
disappear and the patient would be in a state of tranquillity, the peace of
mind sought by Hellenistic dogmatic philosophers. The Pyrrhonists, unlike the
Academic Skeptics, were not negative dogmatists. The Pyrrhonists said neither
that knowledge is possible nor that it is impossible. They remained seekers,
while allowing the Skeptical arguments and the equipollence of evidences to act
as a purge of dogmatic assertions. The purge eliminates all dogmas as well as
itself. After this the Pyrrhonist lives undogmatically, following natural
inclinations, immediate experience, and the laws and customs of his society,
without ever judging or committing himself to any view about them. In this
state the Pyrrhonist would have no worries, and yet be able to function
naturally and according to law and custom. The Pyrrhonian movement disappeared
during the third century A.D., possibly because it was not considered an
alternative to the powerful religious movements of the time. Only scant traces
of it appear before the Renaissance, when the texts of Sextus and Cicero were
rediscovered and used to formulate a modern skeptical view by such thinkers as
Montaigne and Charron. Refs.: The obvious
source is the essay on scepticism in WoW, but there are allusions in
“Prejudices and predilections, and elsewhere, in The H. P. Grice Papers, BANC
ozio – scuola -- otium -- schole“ The Grecian term for
‘otium.’” “Not to be confused with ‘studium’ as in ‘studium generale.’ Scholasticism,
a set of scholarly and instructional techniques developed in Western European
schools of the late medieval period, including the use of commentary and
disputed question. ‘Scholasticism’ is derived from Latin scholasticus, which in
the twelfth century meant the master of a school. The Scholastic method is
usually presented as beginning in the law schools notably at Bologna and as being then transported into theology
and philosophy by a series of masters including Abelard and Peter Lombard.
Within the new universities of the thirteenth century the standardization of
the curriculum and the enormous prestige of Aristotle’s work despite the
suspicion with which it was initially greeted contributed to the entrenchment
of the method and it was not until the educational reforms of the beginning of
the sixteenth century that it ceased to be dominant. There is, strictly
speaking, no such thing as Scholasticism. As the term was originally used it
presupposed that a single philosophy was taught in the universities of late
medieval Europe, but there was no such philosophy. The philosophical movements
working outside the universities in the late sixteenth and early seventeenth
centuries and the “neo-Scholastics” of the late nineteenth and early twentieth
centuries all found such a presupposition useful, and their influence led
scholars to assume it. At first this generated efforts to find a common core in
the philosophies taught in the late medieval schools. More recently it has led
to efforts to find methods characteristic of their teaching, and to an
extension of the term to the schools of late antiquity and of Byzantium. Both
among the opponents of the schools in the seventeenth century and among the
“neoScholastics,” ‘Scholasticism’ was supposed to designate a doctrine whose
core was the doctrine of substance and accidents. As portrayed by Descartes and
Locke, the Scholastics accepted the view that among the components of a thing
were a substantial form and a number of real accidental forms, many of which
corresponded to perceptible properties of the thing its color, shape, temperature. They were also
supposed to have accepted a sharp distinction between natural and unnatural
motion.
sciacca: Giuseppe Maria Sciacca (Messina), filosofo. Allievo e
assistente a Palermo di Renda, volse il suo interesse verso la filosofia
kantiana, tema a cui dedicò un primo lavoro nel 1945, La funzione della libertà
nella formazione del sistema kantiano a cui fece seguito, nel 1963, il saggio
L'idea della libertà. Fondamento della coscienza etico-politica, che
riproduceva, in appendice, la memoria del 1945.
Professore Emerito di Storia della filosofia presso la Facoltà di
Lettere dell'Palermo, è stato presidente della Società filosofica italiana
Autore di numerosi saggi, il filosofo si è espresso attraverso una ricca . Opere;
Filosofi che si confessano, Guido D'Anna editore, Messina, Il fondamento della sterēsis nella
"Filosofia dell'azione", Accademia di Scienze, Lettere ed Arti, Palermo,
Il concetto di tiranno, dai greci a Coluccio Salutati, U. Manfredi editore
Palermo, 1953; La visione della vita nell'Umanesimo e Coluccio Salutati,
Palermo Politica e vita spirituale, ed. Palumbo, Palermo, Gli Dei in Protagora,
ed. Palumbo, Esistenza e realtà in Husserl, ed. Palumbo, Palermo, Esistenza e
realtà, Palermo, L'Idea della libertà in Kant. Fondamento della coscienza
etico-politica, ed. Palumbo, Palermo, Scetticismo cristiano, ed. Palumbo,
Palermo, Ritorno alla saggezza, ed. Palumbo, Palermo, L'uomo senza Adamo, ed.
Palumbo6; Sapere e alienazione, ed. Palumbo, Palermo, 1 Il Segno, quel Segno,
ed. Cappelli, Bologna. Pubblicato l'anno dopo in "Reale accademia di
lettere scienze e arti", «La filosofia per cambiare il mondo», La
Repubblica. Alessandro De Bono, Giuseppe
Maria Sciacca. La vita e la filosofia, Alessandria della Rocca, M.K.N.,Caterina
Genna, «Antonio Renda e Giuseppe Maria Sciacca: due testimoni della tradizione
neokantiana», in Piero di Giovanni, Le avanguardie della filosofia italiana nel
XX secolo, FrancoAngeli, "Bollettino quadrimestrale della Società
Filosofica Italiana", Piero Di Giovanni, L'opera e il pensiero di Giuseppe
Maria Sciacca M. , Scritti di Giuseppe Maria Sciacca Armando Plebe Piero Di Giovanni
sciacca: Lapide commemorativa in onore di Sciacca posta
all'interno del liceo classico "Michele Amari" di Giarre «La
filosofia non asciuga lacrime né dispensa sorrisi, ma dice la sua parola sulla
"verità" delle lacrime e dei sorrisi.» (da Atto ed essere) Michele Federico Sciacca
(Giarre), filosofo. Dopo gli studi liceali classici si trasferì a Napoli, nella
cui università si laureò in filosofia, nel 1930, con Antonio Aliotta. Cominciò
quindi, dopo aver conseguito la libera docenza in filosofia, la carriera
universitaria a Napoli, come assistente incaricato di storia della filosofia
antica e collaborando come condirettore alla rivista Logos fondata e diretta da
Aliotta. Fondò la rivista Il Giornale di Metafisica. Molto intenso fu il suo
rapporto filosofico e di stima reciproca con Giovanni Gentile, un sodalizio
iniziato nel 1933 e testimoniato dalla fitta corrispondenza tra i due filosofi,
da cui però ben presto Sciacca si allontanò, in particolare dal filone di
pensiero idealistico, per condurre la sua propria ricerca filosofica in modo
più ampio, tanto da condurlo a studiare per un certo periodo, grazie alle sue
conoscenze pure in campo teologico, sia la corrente del misticismo cristiano
che quella dello spiritualismo cristiano.
Conseguì l'ordinariato nel 1938, con cattedra all'Pavia, quindi insegnò,
dal 1947 alla morte prematura, filosofia teoretica presso l'Genova, che in
seguito gli intitolò il proprio Dipartimento di Studi sulla Storia del Pensiero
Europeo. Dal 1959 al 1974, ricoprì anche la carica di presidente dell'Accademia
di studi italo-tedeschi di Merano. A Genova morì nel 1975. Storico della filosofia, studioso e profondo
conoscitore del pensiero del sacerdote e filosofo Antonio Rosmini, promotore
della fondazione del "Centro Internazionale di Studi Rosminiani" di
Stresa nel 1966, Sciacca è una delle principali figure dello spiritualismo
filosofico del Novecento, a cui pervenne dopo i primi interessi per
l'attualismo gentiliano ed i successivi, più impegnativi studi sullo
spiritualismo cristiano, anche interpretandolo in modo originale, delineando un
particolare percorso di continuità che, connettendo la metafisica classica al
pensiero filosofico moderno, perviene a concepire un'apertura del soggetto
personalecome creaturaverso l'attualità assoluta dell'Essere («filosofia
dell'integralità»). La sua memoria è ricordata principalmente attraverso le
opere dei suoi due allievi, Maria Adelaide Raschini e Pier Paolo Ottonello,
entrambi docenti dell'ateneo genovese. È
sepolto presso il Sacro Monte di Domodossola, casa madre dei rosminiani, dove
infatti riposano le spoglie di molti membri appartenuti alla congregazione. Opere principali S. AgostinoMorcelliana,
Brescia. L'Anima Morcelliana, Brescia. La filosofia morale di Antonio Rosmini
Fratelli Bocca, Torino. Atto ed essere Fratelli Bocca, Torino. Interpretazioni
rosminiane Marzorati, Milano. Come si vince a WaterlooMarzorati, Milano. La filosofia e la scienza nel loro sviluppo
storico. Per i licei scientificiCremonese, Roma. PlatoneMarzorati, Milano.Filosofia
e antifilosofia Marzorati, Milano. La Chiesa e la civiltà moderna Marzorati,
Milano. Pagine di critica letteraria Marzorati, Milano. L'oscuramento
dell'intelligenza Marzorati, Milano. Studi sulla filosofia antica. Con
un'appendice sulla filosofia medioevale Marzorati, Milano. Ontologia triadica e
trinitaria. Discorso metafisico-teologico Marzorati, Milano. L'Insegnamento
della filosofia: atti del II Convegno di studi, Messina, maggio Editrice
peloritana, Messina. Reflexiones inactuales sobre el historicismo hegeliano Fundación
Universitaria Española, Madrid. Ontologia triadica e trinitariaL'Epos, Palermo.
Atto ed essereL'Epos, Palermo. Il magnifico
oggiL'Epos, Palermo. In Spirito e VeritàL'Epos, Palermo. La clessidraL'Epos, Palermo. L'ora di Cristo
L'Epos, Palermo. La principale fonte biografica qui seguita è: Pier Paolo
Ottonello, "Sciacca, Michele Federico", Dizionario Biografico degli
Italiani, Volume 91, Anno . Cfr.
CSFG-Centro di Studi Filosofici di Gallarate, Dizionario dei Filosofi, Firenze,
G.C. Sansoni Editore, 1 Pier Paolo Ottonello, "Sciacca, Michele
Federico", Dizionario Biografico degli Italiani, CSFG-Centro di Studi
Filosofici di Gallarate, Dizionario dei Filosofi, Firenze, G.C. Sansoni
Editore, Michele Schiavone, L'idealismo di M.F. Sciacca come sviluppo del
rosminianismo, Stresa (VB), Edizioni Rosminiane Sodalitas, Antimo Negri,
Michele Federico Sciacca: dall'attualismo alla filosofia dell'integralità,
Forlì, Edizioni di Ethica, Emilio
Pignologni, Genesi e sviluppo del rosminianesimo nel pensiero di Michele F.
Sciacca, Milano, Marzorati, La filosofia di M.F. Sciacca, Bologna, Quaderni del
Giornale di Metafisica, Michele Federico Sciacca, Stresa (VB), Estratti della
Rivista Rosminiana, Maria Adelaide Raschini, Incontrare Sciacca, Venezia,
Marsilio Editori, Pier Paolo Ottonello, Sciacca. L'anticonformismo costruttivo,
Venezia, Marsilio Editori, 2000. Alessandra Modugno, Heidegger e Sciacca.
Essere, persona, libertà, tempo, Venezia, Marsilio Editori, H.M. Ortiz,
"Muerte e inmortalidad" de Sciacca, Firenze, Leo S. Olschki Editore,
. Michele Shiavone, L'idealismo di M.F. Sciacca come sviluppo del
rosminianesimo , Collana di studi filosofici rosminiani (n. 14), Domodossola
(NO) ; Milano, Sodalitas, Ospitato su Bontadini e la metafisica. Altri progetti
Collabora a Wikiquote Citazionio su Michele Federico Sciacca Michele Federico Sciacca, in Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Michele Federico Sciacca, su BeWeb, Conferenza
Episcopale Italiana. Pubblicazioni di
Michele Federico Sciacca, su Persée, Ministère de l'Enseignement supérieur, de
la Recherche et de l'Innovation. Sito
dedicato alla vita ed alle opere di M.F. Sciacca, su fondazionesciacca.it.
Profilo biografico, su pensierofilosoficoreligiosoitaliano.org. F
scitum: Grice: “The Italians are witty. They have ‘sciente,’
and ‘consciente.’ The etymology is fascinating: and analogous to Greek
‘criterion.’ To ‘know’ is to be able to separate, to analyse.’” scire -- sapio -- sapientia: wisdom,
an understanding of the highest principles of things that functions as a guide
for living a truly exemplary human life. From the preSocratics through Plato
this was a unified notion. But Aristotle introduced a distinction between
theoretical wisdom sophia and practical wisdom phronesis, the former being the
intellectual virtue that disposed one to grasp the nature of reality in terms
of its ultimate causes metaphysics, the latter being the ultimate practical
virtue that disposed one to make sound judgments bearing on the conduct of
life. The former invoked a contrast between deep understanding versus wide
information, whereas the latter invoked a contrast between sound judgment and
mere technical facility. This distinction between theoretical and practical
wisdom persisted through the Middle Ages and continues to our own day, as is
evident in our use of the term ‘wisdom’ to designate both knowledge of the
highest kind and the capacity for sound judgment in matters of conduct. Grice:
“The etymology of ‘sapientia’ is excellentit’s like taste!” săpĭo , īvi or ĭi (sapui, Aug. Civ. Dei, 1, 10; id. Ep.
102, 10; but sapivi, Nov. ap. Prisc. p. 879 P.; id. ap. Non. 508, 21:
I.“saPisti,” Mart. 9, 6, 7: “sapisset,” Plaut. Rud. 4, 1, 8), 3, v. n. and a.
[kindr. with ὀπός, σαφής, and σοφός], to taste, savor; to taste, smack, or
savor of, to have a taste or flavor of a thing (cf. gusto). I. Lit. (so only in
a few examples). 1. Of things eaten or drunk: “oleum male sapiet,” Cato, R. R.
66, 1: “occisam saepe sapere plus multo suem,” Plaut. Mil. 2, 6, 104: “quin
caseus jucundissime sapiat,” Col. 7, 8, 2: “nil rhombus nil dama sapit,” Juv.
11, 121.—With an acc. of that of or like which a thing tastes: “quis (piscis)
saperet ipsum mare,” Sen. Q. N. 3, 18, 2: “cum in Hispaniā multa mella herbam
eam sapiunt,” Plin. 11, 8, 8, § 18: “ipsum aprum (ursina),” Petr. 66, 6.—Poet.:
anas plebeium sapit, has a vulgar taste, Petr. poët. 93, 2: “quaesivit quidnam
saperet simius,” Phaedr. 3, 4, 3.—* 2. Of that which tastes, to have a taste or
a sense of taste (perh. so used for the sake of the play upon signif. II.):
“nec sequitur, ut, cui cor sapiat, ei non sapiat palatus,” Cic. Fin. 2, 8, 24.—
3. Transf., of smell, to smell of or like a thing (syn.: oleo, redoleo; very
rare): Cicero, Meliora, inquit, unguenta sunt, quae terram quam crocum sapiunt.
Hoc enim maluit dixisse quam redolent. Ita est profecto; “illa erit optima,
quae unguenta sapiat,” Plin. 17, 5, 3, § 38: “invenitur unguenta gratiosiora
esse, quae terram, quam quae crocum sapiunt,” id. 13, 3, 4, § 21.—In a lusus
verbb. with signif. II.: istic servus quid sapit? Ch. Hircum ab alis, Plaut.
Ps. 2, 4, 47.— II. Trop. 1. To taste or smell of, savor of, i. e., a. To
resemble (late Lat.): “patruos,” Pers. 1, 11.— b. To suggest, be inspired by:
“quia non sapis ea quae Dei sunt,” Vulg. Matt. 16, 23; id. Marc. 8, 33.— c.
Altum or alta sapere, to be high-minded or proud: “noli altum sapere,” Vulg.
Rom. 11, 20: “non alta sapientes,” id. ib. 12, 16.— 2. To have good taste, i.e.
to have sense or discernment; to be sensible, discreet, prudent, wise, etc.
(the predominant signif. in prose and poetry; most freq. in the P. a.). (α).
Neutr., Plaut. Ps. 2, 3, 14: “si aequum siet Me plus sapere quam vos, dederim
vobis consilium catum, etc.,” id. Ep. 2, 2, 73 sq.: “jam diu edepol sapientiam
tuam abusa est haec quidem. Nunc hinc sapit, hinc sentit,” id. Poen. 5, 4, 30;
cf.: “populus est moderatior, quoad sentit et sapit tuerique vult per se
constitutam rem publicam,” Cic. Rep. 1, 42, 65; “so (with sentire),” Plaut. Am.
1, 1, 292; id. Bacch. 4, 7, 19; id. Merc. 2, 2, 24; id. Trin. 3, 2, 10 sq.;
cf.: “qui sapere et fari possit quae sentiat,” Hor. Ep. 1, 4, 9; Plaut. Bacch.
1, 2, 14: “magna est admiratio copiose sapienterque dicentis, quem qui audiunt
intellegere etiam et sapere plus quam ceteros arbitrantur,” Cic. Off. 2, 14,
48: “veluti mater Plus quam se sapere Vult (filium),” Hor. Ep. 1, 18, 27: “qui
(puer) cum primum sapere coepit,” Cic. Fam. 14, 1, 1; Poët. ap. Cic. Fam. 7,
16, 1: “malo, si sapis, cavebis,” if you are prudent, wise, Plaut. Cas. 4, 4,
17; so, “si sapis,” id. Eun. 1, 1, 31; id. Men. 1, 2, 13; id. Am. 1, 1, 155;
id. Aul. 2, 9, 5; id. Curc. 1, 1, 28 et saep.; Ter. Eun. 4, 4, 53; id. Heaut.
2, 3, 138: “si sapias,” Plaut. Merc. 2, 3, 39; 4, 4, 61; id. Poen. 1, 2, 138;
Ter. Heaut. 3, 3, 33; Ov. H. 5, 99; 20, 174: “si sapies,” Plaut. Bacch. 4, 9,
78; id. Rud. 5, 3, 35; Ter. Heaut. 4, 4, 26; Ov. M. 14, 675: “si sapiam,”
Plaut. Men. 4, 2, 38; id. Rud. 1, 2, 8: “si sapiet,” id. Bacch. 4, 9, 74: “si
saperet,” Cic. Quint. 4, 16: hi sapient, * Caes. B. G. 5, 30: Ph. Ibo. Pl.
Sapis, you show your good sense, Plaut. Mil. 4, 8, 9; id. Merc. 5, 2, 40: “hic
homo sapienter sapit,” id. Poen. 3, 2, 26: “quae (meretrix) sapit in vino ad
rem suam,” id. Truc. 4, 4, 1; cf. id. Pers. 1, 3, 28: “ad omnia alia aetate
sapimus rectius,” Ter. Ad. 5, 3, 46: “haud stulte sapis,” id. Heaut. 2, 3, 82:
“te aliis consilium dare, Foris sapere,” id. ib. 5, 1, 50: “pectus quoi sapit,”
Plaut. Bacch. 4, 4, 12; id. Mil. 3, 1, 191; id. Trin. 1, 2, 53; cf.: “cui cor
sapiat,” Cic. Fin. 2, 8, 24: “id (sc. animus mensque) sibi solum per se sapit,
id sibi gaudet,” Lucr. 3, 145.— (β). Act., to know, understand a thing (in good
prose usually only with general objects): “recte ego rem meam sapio,” Plaut. Ps.
1, 5, 81: “nullam rem,” id. Most. 5, 1, 45: qui sibi semitam non sapiunt,
alteri monstrant viam, Poët. ap. Cic. Div. 1, 58, 132; Cic. Att. 14, 5, 1;
Plaut. Mil. 2, 3, 65; cf.: “quamquam quis, qui aliquid sapiat, nunc esse beatus
potest?” Cic. Fam. 7, 28, 1: “quantum ego sapio,” Plin. Ep. 3, 6, 1: “jam nihil
sapit nec sentit,” Plaut. Bacch. 4, 7, 22: “nihil,” Cic. Tusc. 2, 19, 45:
“plane nihil,” id. Div. in Caecil. 17, 55: nihil parvum, i. e. to occupy one's
mind with nothing trivial (with sublimia cures), Hor. Ep. 1, 12, 15; cf.: cum
sapimus patruos, i.e. resemble them, imitate them in severity, Pers. 1, 11. —
3. Prov.: sero sapiunt Phryges, are wise behind the time; or, as the Engl.
saying is, are troubled with afterwit: “sero sapiunt Phryges proverbium est
natum a Trojanis, qui decimo denique anno velle coeperant Helenam quaeque cum
eā erant rapta reddere Achivis,” Fest. p. 343 Müll.: “in Equo Trojano (a
tragedy of Livius Andronicus or of Naevius) scis esse in extremo, Sero sapiunt.
Tu tamen, mi vetule, non sero,” Cic. Fam. 7, 16, 1.—Hence, să-pĭens , entis
(abl. sing. sapiente, Ov. M. 10, 622; gen. plur. sapientum, Lucr. 2, 8; Hor. S.
2, 3, 296; “but sapientium,” id. C. 3, 21, 14)a. (acc. to II.), wise, knowing,
sensible, well-advised, discreet, judicious (cf. prudens). A. In gen.: “ut
quisque maxime perspicit, quid in re quāque verissimum sit, quique acutissime
et celerrime potest et videre et explicare rationem, is prudentissimus et
sapientissimus rite haberi solet,” Cic. Off. 1, 5, 16; cf.: “sapientissimum
esse dicunt eum, cui quod opus sit ipsi veniat in mentem: proxume acceder
illum, qui alterius bene inventis obtemperet,” id. Clu. 31, 84: “M. Bucculeius,
homo neque meo judicio stultus et suo valde sapiens,” id. de Or. 1, 39, 179:
“rex aequus ac sapiens,” id. Rep. 1, 26, 42; cf.: “Cyrus justissimus
sapientissimusque rex,” id. ib. 1, 27, 43: “bonus et sapiens et peritus
utilitatis civilis,” id. ib. 2, 29, 52: “o, Neptune lepide, salve, Neque te
aleator ullus est sapientior,” Plaut. Rud. 2, 3, 29: “quae tibi mulier videtur
multo sapientissima?” id. Stich. 1, 2, 66: “(Aurora) ibat ad hunc (Cephalum)
sapiens a sene diva viro,” wise, discreet, Ov. H. 4, 96 Ruhnk.; so, “puella,”
id. M. 10, 622: “mus pusillus quam sit sapiens bestia,” Plaut. Truc. 4, 4, 15;
id. As. 3, 3, 114 et saep.—With gen. (analogous to gnarus, peritus, etc.): “qui
sapiens rerum esse humanarum velit,” Gell. 13, 8, 2.—Subst.: săpĭens , entis,
m., a sensible, shrewd, knowing, discreet, or judicious person: “semper cavere
hoc sapientes aequissimumst,” Plaut. Rud. 4, 7, 20; cf.: “omnes sapientes suom
officium aequom est colere et facere,” id. Stich. 1, 1, 38; id. Trin. 2, 2, 84:
“dictum sapienti sat est,” id. Pers. 4, 7, 19; Ter. Phorm. 3, 3, 8; Plaut. Rud.
2, 4, 15 sq.: “insani sapiens nomen ferat, aequus iniqui,” Hor. Ep. 1, 6, 15:
“sapiens causas reddet,” id. S. 1, 4, 115: “quali victu sapiens utetur,” id.
ib. 2, 2, 63; 1, 3, 132.—In a lusus verbb. with the signif. of sapio, I., a
person of nice taste: “qui utuntur vino vetere sapientes puto Et qui libenter
veteres spectant fabulas,” good judges, connoisseurs, Plaut. Cas. prol. 5:
fecundae leporis sapiens sectabitur armos, Hor. S. 2, 4, 44.—As a surname of
the jurists Atilius, C. Fabricius, M'. Curius, Ti. Coruncanius, Cato al., v.
under B. fin.— b. Of abstract things: “opera,” Plaut. Pers. 4, 5, 2:
“excusatio,” Cic. Att. 8, 12, 2: “modica et sapiens temperatio,” id. Leg. 3, 7,
17: “mores,” Plaut. Rud. 4, 7, 25: “verba,” Ter. Ad. 5, 1, 7: “consilium,” Ov.
M. 13, 433: “Ulixes, vir sapienti facundiā praeditus,” Gell. 1, 15, 3: “morus,
quae novissima urbanarum germinat, nec nisi exacto frigore, ob id dicta
sapientissima arborum,” Plin. 16, 25, 41, § 102.— B. After the predominance of
Grecian civilization and literature, particularly of the Grecian philosophy,
like σοφός, well acquainted with the true value of things, wise; and subst., a
wise man, a sage (in Cic. saepiss.): ergo hic, quisquis est, qui moderatione et
constantiā quietus animo est sibique ipse placatus ut nec tabescat molestiis
nec frangatur timore nec sitienter quid expetens ardeat desiderio nec
alacritate futili gestiens deliquescat; “is est sapiens quem quaerimus, is est
beatus,” Cic. Tusc. 4, 17, 37: “sapientium praecepta,” id. Rep. 3, 4, 7: “si
quod raro fit, id portentum putandum est: sapientem esse portentum est. Saepius
enim mulam peperisse arbitror, quam sapientem fuisse,” id. Div. 2, 28, 61:
“statuere quid sit sapiens, vel maxime videtur esse sapientis,” id. Ac. 2, 3,
9; cf. id. Rep. 1, 29, 45.—So esp. of the seven wise men of Greece: “ut ad
Graecos referam orationem ... septem fuisse dicuntur uno tempore, qui sapientes
et haberentur et vocarentur,” Cic. de Or. 3, 34, 137: “eos vero septem quos
Graeci sapientes nominaverunt,” id. Rep. 1, 7, 12: “sapienti assentiri ... se
sapientem profiteri,” id. Fin. 2,3, 7.—Ironically: “sapientum octavus,” Hor. S.
2, 3, 296.—With the Romans, an appellation of Lœlius: te, Laeli, sapientem et
appellant et existimant. Tribuebatur hoc modo M. Catoni: scimus L. Atilium apud
patres nostros appellatum esse sapientem, sed uterque alio quodam modo:
Atilius, qui prudens esse in jure civili putabatur; “Cato quia multarum rerum
usum habebat ... propterea quasi cognomen jam habebat in senectute sapientis
... Athenis unum accepimus et eum quidem etiam Apollinis oraculo sapientissimum
judicatum,” Cic. Lael. 2, 6; cf.: “numquam ego dicam C. Fabricium, M'. Curium,
Ti. Coruncanium, quos sapientes nostri majores judicabant, ad istorum normam
fuisse sapientes,” id. ib. 5, 18: “ii, qui sapientes sunt habiti, M. Cato et C.
Laelius,” id. Off. 3, 4, 16; Val. Max. 4, 1, ext. 7; Lact. 4, 1.—Hence, adv.:
săpĭen-ter , sensibly, discreetly, prudently, judiciously, wisely: “recte et
sapienter facere,” Plaut. Am. 1, 1, 133; id. Mil. 3, 3, 34: “consulere,” id.
ib. 3, 1, 90: “insipienter factum sapienter ferre,” id. Truc. 4, 3, 33:
“factum,” id. Aul. 3, 5, 3: “dicta,” id. Rud. 4, 7, 24: “quam sapienter jam
reges hoc nostri viderint,” Cic. Rep. 2, 17, 31: “provisa,” id. ib. 4, 3, 3: “a
majoribus prodita fama,” id. ib. 2, 2, 4: “considerate etiam sapienterque
fecerunt,” id. Phil. 4, 2, 6; 13, 6, 13: “vives sapienter,” Hor. Ep. 1, 10, 44:
“agendum,” Ov. M. 13, 377: “temporibus uti,” Nep. Epam. 3, 1; Hor. C. 4, 9,
48.—Comp.: “facis sapientius Quam pars latronum, etc.,” Plaut. Curc. 4, 3, 15;
id. Poen. prol. 7: “nemo est, qui tibi sapientius suadere possit te ipso,” Cic.
Fam. 2, 7, 1: “sapientius fecisse,” id. Brut. 42, 155.—Sup.: “quod majores
nostros et proisse maxime et retinuisse sapientissime judico,” Cic. Rep. 2, 37,
63. Vide H. P. Grice, “Philosophy: love of wisdom, love of taste,” BANC.
res: reale: Grice: “Possibly the philosophically most
important Roman neuter expression,” -- is res!
"Unfortunately, the etymology is dubious." "Perhaps
"res" comes from a root ra- of reor, ratus."- to reckon,
calculate, believe, think, suppose, imagine, judge, deem, as in English
'ratify,' and 'reason.' "I am
reminded of German "ding;" English "thing," from
"denken," to think; prop., that which is thought of." "I am
also reminded of "λόγος," Lid. and Scott, 9, a thing, object, being;
a matter, affair, event, fact, circumstance, occurrence, deed, condition, case,
etc.; and sometimes merely = something (cf.: causa, ratio, negotium)."
realism, the view that the subject matter of common sense or scientific
research and scientific theories exists independently of our knowledge of it,
and that the goal of science is the description and explanation of both
observable and unobservable aspects of the world. Scientific realism is
contrasted with logical empiricism and social constructivism. Early arguments
for scientific realism simply stated that, in light of the impressive products
and methods of science, realism is the only philosophy that does not make the
success of science a miracle. Formulations of scientific realism focus on the
objects of theoretical knowledge: theories, laws, and entities. One especially robust
argument for scientific realism due to Putnam and Richard Boyd is that the
instrumental reliability of scientific methodology in the mature sciences such
as physics, chemistry, and some areas of biology can be explained adequately
only if we suppose that theories in the mature sciences are at least
approximately true and their central theoretical terms are at least partially
referential Putnam no longer holds this view. More timid versions of scientific
realism do not infer approximate truth of mature theories. For example, Ian
Hacking’s “entity realism” 3 asserts that the instrumental manipulation of
postulated entities to produce further effects gives us legitimate grounds for
ontological commitment to theoretical entities, but not to laws or theories.
Paul Humphreys’s “austere realism” 9 states that only theoretical commitment to
unobserved structures or dispositions could explain the stability of observed
outcomes of scientific inquiry. Distinctive versions of scientific realism can
be found in works by Richard Boyd 3, Philip Kitcher 3, Richard Miller 7,
William Newton-Smith 1, and J. D. Trout 8. Despite their differences, all of
these versions of realism are distinguished
against logical empiricism by
their commitment that knowledge of unobservable phenomena is not only possible
but actual. As well, all of the arguments for scientific realism are abductive;
they argue that either the approximate truth of background theories or the
existence of theoretical entities and laws provides the best explanation for
some significant fact about the scientific theory or practice. Scientific
realists address the difference between real entities and merely useful
constructs, arguing that realism offers a better explanation for the success of
science. In addition, scientific realism recruits evidence from the history and
practice of science, and offers explanations for the success of science that
are designed to honor the dynamic and uneven character of that evidence. Most
arguments for scientific realism cohabit with versions of naturalism.
Anti-realist opponents argue that the realist move from instrumental
reliability to truth is question-begging. However, realists reply that such
formal criticisms are irrelevant; the structure of explanationist arguments is
inductive and their principles are a posteriori.
applicatum, extensum -- extensio: scope, the “part” of
the sentence or proposition to which a given term “applies” under a given
interpretation of the sentence. If the sentence ‘Abe does not believe Ben died’
is interpreted as expressing the proposition that Abe believes that it is not
the case that Ben died, the scope of ‘not’ is ‘Ben died’; interpreted as “It is
not the case that Abe believes that Ben died,” the scope is the rest of the
sentence, i.e., ‘Abe believes Ben died’. In the first case we have narrow
scope, in the second wide scope. If ‘Every number is not even’ is interpreted
with narrow scope, it expresses the false proposition that every number is
non-even, which is logically equivalent to the proposition that no number is
even. Taken with wide scope it expresses the truth that not every number is
even, which is equivalent to the truth that some number is non-even. Under
normal interpretations of the sentences, ‘hardened’ has narrow scope in ‘Carl is
a hardened recidivist’, whereas ‘alleged’ has wide scope in ‘Dan is an alleged
criminal’. Accordingly, ‘Carl is a hardened recidivist’ logically implies ‘Carl
is a recidivist’, whereas ‘Dan is an alleged criminal’, being equivalent to
‘Allegedly, Dan is a criminal’, does not imply ‘Dan is a criminal’. Scope
considerations are useful in analyzing structural ambiguity and in
understanding the difference between the grammatical form of a sentence and the
logical form of a proposition it expresses. In a logically perfect language
grammatical form mirrors logical form, there is no scope ambiguity, and the
scope of a given term is uniquely determined by its context.
scupoli: very important Italian philosopher.
Lorenzo Scupoli (Laurentius Scupulus) (Otranto), filosofo. Ricevette
come nome di battesimo Francesco. Entrò nell'ordine dei teatini quasi
quarantenne, nel 1569, per ricevere gli ordini sacri in soli otto anni. Fu
discepolo di sant'Andrea Avellino, appartenente al suo stesso ordine. Al
1585 risale l'accusa di violazione della regola, per cui fu arrestato per un
anno e sospeso a divinis. Per la sua assoluzione dovette attendere quasi la
morte; intanto, sopportò l'ingiusta accusa e la pena conseguente con umiltà e
umanità. Il combattimento spirituale «"Con l’orazione porrai la spada in mano
a Dio, perché combatta e vinca per te." La preghiera è dunque l’arma di
tutte le vittorie. Essa è la debolezza di Dio e la forza dell’uomo perché il
cuore del Padre non sa negare nulla di buono ai suoi figli.» (Padre Lino
Pedron. Opere: Il combattimento
spirituale, come afferma V. Gambi nell'introduzione all'opera delle ed. Paoline
del 1960, è un trattato di strategia spirituale che come altre opere e vicino
alla spiritualità ignaziana conduce l'anima a una perfezione tutta interiore.
L'opera indica cinque mezzi per raggiungere la perfezione spirituale: 1.
Sfiducia in sé 2. pienissima confidenza in Dio 3. combattimento e uso metodico
delle facoltà per correggere i propri difetti, quindi per trionfare del demonio
e per conquistare le virtù 4. preghiera e meditazione 5. comunione. Spiritualità Imitazione di Cristo A Testo del
Combattimento spirituale, su monasterovirtuale.it. Refs.:
Luigi Speranza, "Grice e Scupoli," per il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
stabile: Giampiero Stabile (Sapri), filosofo. Laureatosi a Napoli con una tesi sulla
filosofia dei valori, divenne ricercatore a Salerno. Pubblicò saggi su Eugène
Dupréel, sulla scuola di Budapest, su Montaigne e sulla Heller apparsi su
"Prassi e teoria", "Aut Aut", "Studi di filosofia
politica e diritto", "il Centauro", "Ombre rosse",
riviste tra le più prestigiose nel panorama della pubblicistica filosofica italiana;
collaborò inoltre, con Schiera, alla direzione della collana di testi e studi
"Relox" della casa editrice Bibliopolis di Napoli.. Salerno dedicò un
convegno di studi alla sua memoria: "La saggezza moderna. Temi e problemi
dell'opera di Pierre Charron".
Biblioteca personale Il fondo, acquisito nella seconda metà degli anni
Ottanta, rappresenta solo una piccola porzione della biblioteca di Stabile,
infatti la consistenza attuale si aggira intorno ai 650 volumi altri libri sono
in possesso del Dipartimento di Filosofia a Salerno. Le edizioni presenti nel
fondo coprono un arco di tempo che va dal 1925 al 1984. Tuttavia la consistenza
maggiore ricopre gli anni Settanta, periodo intorno a cui si è formata la personalità
scientifica di Stabile. I libri del fondo sottolineano l'interesse verso la
critica marxista e la scuola di Budapest (moltissimi i volumi degli Editori
Riuniti). Degni di attenzione alcuni esemplari caratteristici degli anni
Settanta, come ad esempio quelli della collana "I gabbiani" del
Saggiatore o ancora la collana quasi completa degli "Opuscoli
marxisti" (poi "Opuscoli") della Feltrinelli, i volumi della
collana "Biblioteca di nuova cultura" della Mazzotta, e quelli della
"Scienza nuova" della Dedalo: collane radicalmente trasformate nei
successivi anni o sostituite da altre; talora nate solamente per offrire testi
economici che rispondessero ai bisogni di una maggiore diffusione culturale.
Sono presenti anche dei volumetti allegati a periodici di partito (PCI e PSI) e
le pubblicazioni dell'Istituto di Filosofia dell'Salerno. Pubblicazioni Monografie Valore morale e società nel pensiero di
Eugène Dupréel, Salerno, Università degli studi di Salerno, Facoltà di
magistero, Soggetti e bisogni : saggi su Agnes Heller e la teoria dei bisogni,
Firenze, La Nuova Italia, Monografie in
collaborazione e Vittorio Dini e
Giampiero Stabile, Saggezza e prudenza : studi per la ricostruzione di
un'antropologia in prima età moderna, Napoli, Liguori, Pierre Charron, Piccolo
trattato sulla saggezza, Napoli, Bibliopolis, Articoli di riviste Umanesimo e rivoluzione nel pensiero di Agnés
Heller, in «Prassi e teoria : rivista di filosofia della cultura», Vittorio
Dini e Domenico Taranto , La saggezza moderna: temi e problemi dell'opera di
Pierre Charron : atti del Convegno di studi in memoria di Giampiero Stabile,
Napoli, Edizioni scientifiche italiane, Vittorio Dini e Domenico Taranto , La
saggezza moderna: temi e problemi dell’opera di Pierre Charron : atti del
Convegno di studi in memoria di Giampiero Stabile, Napoli, Edizioni scientifiche
italiane, Pierre Charron Storia della filosofia Università degli Studi di
Salerno Giampiero Stabile in SHARE
Catalogue Fondo Stabile in ARiEL Discovery tool di Ateneo dell'Salerno. Most
likely a replica from now on: sttabile:
Giampiero Stabile (Sapri), filosofo. Laureatosi a Napoli con una tesi sulla
filosofia europea dei valori, divenne ricercatore di Storia della Filosofia
all'Salerno. Già in giovanissima età pubblicò saggi su Eugène Dupréel, sulla
scuola di Budapest, su Montaigne e sulla Heller apparsi su "Prassi e teoria",
"Aut Aut", "Studi di filosofia politica e diritto",
"il Centauro", "Ombre rosse", riviste tra le più
prestigiose nel panorama della pubblicistica filosofica italiana; collaborò
inoltre, con Pierangelo Schiera, alla direzione della collana di testi e studi
"Relox" della casa editrice Bibliopolis di Napoli.. Nel 1985
l'Salerno dedicò un convegno di studi alla sua memoria: "La saggezza
moderna. Temi e problemi dell'opera di Pierre Charron". Biblioteca personale Il fondo, acquisito
nella seconda metà degli anni Ottanta, rappresenta solo una piccola porzione
della biblioteca privata di Giampiero Stabile, infatti la consistenza attuale
si aggira intorno ai 650 volumi altri libri sono in possesso del Dipartimento
di Filosofia dell'Salerno. Le edizioni presenti nel fondo coprono un arco di
tempo che va dal 1925 al 1984. Tuttavia la consistenza maggiore ricopre gli
anni Settanta, periodo intorno a cui si è formata la personalità scientifica di
Giampiero Stabile. I libri del fondo sottolineano l'interesse verso la critica
marxista e la scuola di Budapest (moltissimi i volumi degli Editori Riuniti).
Degni di attenzione alcuni esemplari caratteristici degli anni Settanta, come
ad esempio quelli della collana "I gabbiani" del Saggiatore o ancora
la collana quasi completa degli "Opuscoli marxisti" (poi
"Opuscoli") della Feltrinelli, i volumi della collana
"Biblioteca di nuova cultura" della Mazzotta, e quelli della
"Scienza nuova" della Dedalo: collane radicalmente trasformate nei
successivi anni o sostituite da altre; talora nate solamente per offrire testi
economici che rispondessero ai bisogni di una maggiore diffusione culturale.
Sono presenti anche dei volumetti allegati a periodici di partito (PCI e PSI) e
le pubblicazioni dell'Istituto di Filosofia dell'Salerno. Pubblicazioni Monografie Valore morale e società nel pensiero di
Eugène Dupréel, Salerno, Università degli studi di Salerno, Facoltà di
magistero, 1976, 116 p. Soggetti e bisogni : saggi su Agnes Heller e la teoria dei
bisogni, Firenze, La Nuova Italia, Monografie in collaborazione e Vittorio Dini e Giampiero Stabile, Saggezza e
prudenza : studi per la ricostruzione di un'antropologia in prima età moderna,
Napoli, Liguori, Pierre Charron, Piccolo
trattato sulla saggezza, Napoli, Bibliopolis, 1985, 130 p. Articoli di
riviste Umanesimo e rivoluzione nel
pensiero di Agnés Heller, in «Prassi e teoria : rivista di filosofia della
cultura», Vittorio Dini e Domenico Taranto , La saggezza moderna: temi e
problemi dell'opera di Pierre Charron : atti del Convegno di studi in memoria
di Giampiero Stabile, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, Vittorio Dini e
Domenico Taranto , La saggezza moderna: temi e problemi dell’opera di Pierre
Charron : atti del Convegno di studi in memoria di Giampiero Stabile, Napoli, Edizioni
scientifiche italiane, 1987437. Pierre
Charron Storia della filosofia Università degli Studi di Salerno Giampiero Stabile in SHARE Catalogue Fondo
Stabile in ARiEL Discovery tool di Ateneo dell'Salerno Filosofia
Università Università.
stefanini: Grice: “Italians are obsessed with
personalismo, I am with interpersonalismo!” “L’essere è personale.” “Tutto ciò
che non è personale nell’essere rientra nella produttività della persona, come
mezzo di manifestazione della persona e di *comunicazione* o conversazione
*tra* due persone,” “La mia prospettiva filosofica). Luigi Stefanini (Treviso),
filosofo. Secondogenito di quattro fratelli, in una famiglia cattolica il cui
padre Giovanni gestisce una tintoria, mentre la madre Lucia de Mori, diplomata
maestra elementare, si dedica interamente alla casa e la cura dei suoi figli.
-- è attivo nelle associazioni e nei
movimenti cattolici del trevigiano, iscrivendosi a Gioventù Cattolica dove
assumerà presto l'incarico di presidente diocesano. Qui maturerà la vocazione
di educatore, seguendo, in particolare, gli insegnamenti contenuti
nell'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII. Opera pure nel sindacato cattolico
dei lavoratori. Dopo il diploma presso
il Liceo Classico Antonio Canova, dove ha fra gli altri Paolo Rotta come
insegnante di storia e filosofia, nello stesso anno si iscrive alla Facoltà di
Lettere e Filosofia dell'Padova. Nell'ateneo patavino, la corrente del
positivismo è tra le più seguite, ma in controtendenza Stefanini decide di scrivere
la propria tesi su Maurice Blondel, esponendovi le proprie critiche sull'opera
del filosofo francese, avendo Antonio Aliotta come relatore, con cui si laurea
in filosofia nel 1914. Nel periodo di studi padovano, inizia a frequentare
anche il circolo universitario cattolico di Giacomo Zanella e, subito dopo la
laurea, inizia a insegnare nelle scuole pubbliche. Mentre completa gli studi universitari,
inizia già a respirarsi aria di guerra in Italia, ma come molti giovani
cattolici, pur favorevole ad una posizione di neutralità nei confronti della
guerra, viene comunque chiamato alle armi nel 1915. Terminato il conflitto,
uscendone con il grado di capitano e una croce al merito di guerra, nel 1919
consegue pure una seconda laurea in lettere all'Padova, con una tesi sul
pensiero estetico di Gian Vincenzo Gravina, nonché riprende l'insegnamento
nelle scuole. Nel 1920 è eletto
consigliere del Comune di Treviso ma, nel 1921, la violenza dello squadrismo
fascista investe anche il trevigiano. Stefanini si oppone con fermezza a tale
ideologia, evidenziando l'inconciliabilità di cristianesimo e fascismo,
dimettendosi e dedicandosi completamente all'insegnamento, che ora è la sua
occupazione principale e che condurrà sempre secondo una pedagogia ispirata ai
principi cristiani, costantemente attento e sensibile sia ai bisogni che agli
interessi degli studenti. Nello stesso periodo, si dedica con scrupolo alla
stesura di apprezzati testi didattici di storia e filosofia, nonché di
pedagogia secondo un indirizzo cristiano.
Conseguita la libera docenza in pedagogia nel 1925, nello stesso anno
ottiene, per incarico, l'insegnamento di questa disciplina all'Padova, nonché
si sposa con Maria Javicoli, da cui avrà tre figli, Elena, Paolo e Lucia. In
quegli anni, oltre ad iscriversi al Partito Nazionale Fascista, affianca
l'insegnamento nelle scuole pubbliche a quello universitario fino al 1936
quando, vinto l'ordinariato, ha una cattedra di storia della filosofia alla
Facoltà di Magistero dell'Messina che tiene fino al 1938 quando si trasferisce
a Padova, alla cattedra di pedagogia, quindi a quella di storia della filosofia
nel 1940 che terrà fino alla morte prematura, nel 1956. Al contempo, tiene per
incarico l'insegnamento di estetica a Padova e quello di pedagogia all'Venezia,
nonché sarà preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'ateneo patavino
nel triennio 1941-43. Nel dopoguerra,
riabilitato alla propria cattedra e all'insegnamento universitario, si dedica
prevalentemente allo studio e la ricerca, ma partecipando anche alla
riorganizzazione della filosofia cattolica italiana, in particolare promuovendo
incontri, convegni e riunioni all'Istituto Aloisianum dei padri gesuiti di
Gallarate, che diventerà poi il Centro di studi filosofici di Gallarate, per
primo diretto da Carlo Gianon. Socio
corrispondente dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, nonché socio
effettivo dell’Accademia patavina di scienze, lettere ed arti, ricevette il
premio della R. Accademia d'Italia nel 1933 per le discipline filosofiche, e il
premio Marzotto per la filosofia nel 1953, nonché fu membro dei consigli
direttivi della Società filosofica italiana e del Centro Studi filosofici di
Gallarate. Nel 1956 ha poi fondato a Padova la Rivista di estetica, della quale
ha potuto dirigere solo il primo fascicolo dell'annata 1956, e a cui gli
subentrerà Luigi Pareyson. Fra i suoi allievi, ricordiamo Armando Rigobello,
Giovanni Santinello, Ezio Riondato, Giovanni M. Pozzo. Gli saranno intitolate delle scuole medie
statali di Treviso e Padova, nonché l'ex Istituto magistrale di Mestre. Attività e pensiero Stefanini è stato uno dei
più importanti filosofi italiani di ispirazione cristiana, nonché uno dei
maggiori rappresentati dello spiritualismo cristiano. Partendo sempre dalla
filosofia cristiana, ha riesaminato storicamente e criticamente diverse
correnti del pensiero filosofico, fra cui lo storicismo, la filosofia
dell'azione, il neoidealismo, la fenomenologia, l'esistenzialismo, lungo il
corso della storia della filosofia, dagli antichi (fra i quali Platone,
Sant'Agostino, Bonaventura, San Tommaso), fino ai moderni (Vincenzo Gioberti,
Maurice Blondel, Antonio Rosmini ed altri), sulla scia della sua prima
formazione giovanile incentrata su uno stretto connubio fra prospettiva storica
e dimensione teoretica. Interessato pure
all'estetica, su cui ha scritto molti lavori, il contributo più importante
dello Stefanini è frutto della sua costante riflessione su personalismo e
spiritualismo, grazie alla quale il rapporto soggetto-oggetto viene interpretato
in termini di alterità, di altro da sé, prospettivaquestache permetterà di
concepire il singolo individuo come membro di una comunità. Questo rapporto
soggetto-oggetto, da un tale punto di vista, sarà concepito come il momento
fondante di ogni comunità di esseri umani in relazione fra loro. Le più
importanti problematiche connesse a questi principi di base, saranno poi
affrontate dallo Stefanini nelle due opere fondamentali Metafisica della
persona” – cf. Strawson, “The concept of a person” -- e Personalismo sociale, o
interpersonalismo. Strettamente connesse a queste tematiche filosofiche, poi,
sono quelle didattico-pedagogiche aperte e portate avanti dallo Stefanini
pressoché durante l'intero suo periodo di attività, dai primi anni formativi
fino agli ultimi della maturità, in continuo ripensamento e progressiva
rivisitazione. Per quanto concerne poi
la sua vasta produzione scientifica, ricordiamo solo che, nel periodo compreso
fra il 1940 e il 1950, dà alle stampe le seguenti, notevoli pubblicazioni: “L'esistenzialismo
di M. Heidegger,” “Spiritualismo Cristiano,” Gioberti (1947), Il dramma
filosofico della Germania (1948), Metafisica della persona ed altri saggi
(1950), Esistenzialismo ateo ed esistenzialismo teistico (1952), Personalismo
sociale (1952), Estetica (1953), Trattato di estetica (1955); viene pubblicata
postuma poi la raccolta di scritti intitolata Personalismo filosofico. Ci
riferiamo principalmente a: Gregorio Piaia, "Stefanini, Luigi", in
Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 94, Anno . Si veda pure: Laura
Corrieri, Luigi Stefanini, un pensiero attuale, Edizioni Prometheus, Milano,
2002. Citando sue testuali parole,
«[...] l'opera del Blondel è più arte che filosofia. I passaggi più ardui
superati con immagini ardite, anziché con logiche dimostrazioni; affermate le
più inconciliabili antitesi affinché queste rendano vivo e tragico il
contrasto; i mezzi dialettici atti più a trascinare che a convincere: tutto ciò
ci conferma pienamente nella nostra interpretazione. L'opera del Blondel è, più
che una dottrina filosofica, un romanzo psicologico che descrive le esitazioni
e le incertezze, le vane pretese e le supreme aspirazioni dell'umana volontà,
che alfine si appaga e riposa in Dio. Per ciò che al di là del filosofo si
riesca ad afferrare l'uomo, al di là del sistema si riesca ad afferrare il
programma generoso del credente, la filosofia dell'azione può essere
efficacemente educativa, può esercitare nella coscienza contemporanea
l'influsso salutare che essa si era proposta» (da Luigi Stefanini, L'Azione.
Saggio critico sulla filosofia di M. Blondel, Padova, 1914). Cfr. Laura Corrieri, cit. Il quale, a sua volta, prende le mosse dalle
concezioni personalistiche mounieriane e giobertiane; cfr. Gregorio Piaia, cit.
Opere principal: Il problema della conoscenza in Cartesio e Gioberti, Torino,
Sei, Il problema religioso in Platone e S. Bonaventura. Sommario storico e
critica di testi, Torino, Sei, 1926. Idealismo cristiano, Padova, R. Zannoni
Editore, 1931. Platone, 2 voll., Padova, Cedam, 1932-35 (ristampa: Istituto di
Filosofia, Padova, 1991). Il problema estetico in Platone, Torino, Sei, Imaginismo
come problema filosofico, I, Padova,
Cedam, Problemi attuali d'arte, Padova, Cedam, 1La Chiesa Cattolica, Milano-Messina,
Principato, Vincenzo Gioberti. Vita e pensiero, Milano, F.lli Bocca, Metafisica dell'arte e altri saggi, Padova,
Editoria Liviana, La mia prospettiva filosofica, Treviso, Edizioni Canova (prima
edizione del 1950). Esistenzialismo ateo ed esistenzialismo teistico. Esposizione
e critica costruttiva, Padova, Cedam, 1Itinéraires métaphysiques, trad. par J.
Chaix-Ruiy, Paris, Aubier, Estetica, Roma, Edizioni Studium, Trattato di
Estetica, I: L'arte nella sua autonomia
e nel suo processo, Brescia, Editrice Morcelliana, 1960 (prima edizione del
1955). Personalismo educativo, Roma, F.lli Bocca, 1955. Per l'elenco completo
degli scritti di Stefanini si rimanda alla relativa pagina online curata dalla
Fondazione "Luigi Stefanini".
Dialettica dell'immagine. Studi sull'imaginismo di Luigi Stefanini, a
cura dell'Associazione filosofica trevigiana, Genova, 1991. Luciano Caimi,
Educazione e persona in Luigi Stefanini, Editrice La Scuola, Brescia, 1985.
Glory Cappello, Luigi Stefanini. Dalle opere e dal carteggio del suo archivio,
Europrint, Treviso, 2006. Per una antropologia in Luigi Stefanini: metafisica,
personalismo, umanesimo, Glory Cappello, Edizioni R. Pagotto, Padova, . Michele
Lasala, Una ragione vivente. L'immagine e l'ulteriore, in Frammenti di filosofia contemporanea, I.v.a.n.
Project, Limina Mentis Editore, Villasanta (MB), , XXI. Matteo De Boni, Le ragioni
dell’esistenza. Esistenzialismo e ragione in Luigi Stefanini, Mimesis Edizioni,
Milano-Udine, , Armando Rigobello , Scritti in onore di Luigi Stefanini, Liviana
editrice, Padova, Sul pensiero di Luigi Stefanini, in Rivista Rosminiana, Luigi
Stefanini, su treccani.it. STEFANINI, Luigi, in Enciclopedia Italiana, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, luigi-stefanini. Fondazione Luigi
Stefanini, su fondazionestefanini.it. Most likely a replica as from now: s“L’essere è personale e tutto ciò che non è personale
nell’essere rientra nella produttività della persona, come mezzo di
manifestazione della persona e di comunicazione tra le persone» (Luigi Stefanini, da La mia prospettiva
filosofica). Luigi Stefanini (Treviso), filosofo. Secondogenito di quattro
fratelli, in una famiglia cattolica il cui padre Giovanni gestisce una
tintoria, mentre la madre Lucia de Mori, diplomata maestra elementare, si
dedica interamente alla casa e la cura dei suoi figli. Fin da giovane, è attivo nelle associazioni e
nei movimenti cattolici del trevigiano, iscrivendosi a Gioventù Cattolica dove
assumerà presto l'incarico di presidente diocesano. Qui maturerà la vocazione
di educatore, seguendo, in particolare, gli insegnamenti contenuti
nell'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII. Opera pure nel sindacato cattolico
dei lavoratori. Dopo il diploma presso
il Liceo Classico Antonio Canova nel 1910, dove ha fra gli altri Paolo Rotta
come insegnante di storia e filosofia, nello stesso anno si iscrive alla
Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Padova. Nell'ateneo patavino, la corrente
del positivismo è tra le più seguite, ma in controtendenza Stefanini decide di
scrivere la propria tesi su Maurice Blondel, esponendovi le proprie critiche
sull'opera del filosofo francese, avendo Antonio Aliotta come relatore, con cui
si laurea in filosofia nel 1914. Nel periodo di studi padovano, inizia a
frequentare anche il circolo universitario cattolico di Giacomo Zanella e,
subito dopo la laurea, inizia a insegnare nelle scuole pubbliche. Mentre completa gli studi universitari,
inizia già a respirarsi aria di guerra in Italia, ma come molti giovani
cattolici, pur favorevole ad una posizione di neutralità nei confronti della
guerra, viene comunque chiamato alle armi nel 1915. Terminato il conflitto,
uscendone con il grado di capitano e una croce al merito di guerra, nel 1919
consegue pure una seconda laurea in lettere all'Padova, con una tesi sul
pensiero estetico di Gian Vincenzo Gravina, nonché riprende l'insegnamento
nelle scuole. Nel 1920 è eletto
consigliere del Comune di Treviso ma, nel 1921, la violenza dello squadrismo
fascista investe anche il trevigiano. Stefanini si oppone con fermezza a tale
ideologia, evidenziando l'inconciliabilità di cristianesimo e fascismo,
dimettendosi nel 1922 e dedicandosi completamente all'insegnamento, che ora è
la sua occupazione principale e che condurrà sempre secondo una pedagogia
ispirata ai principi cristiani, costantemente attento e sensibile sia ai
bisogni che agli interessi degli studenti. Nello stesso periodo, si dedica con
scrupolo alla stesura di apprezzati testi didattici di storia e filosofia,
nonché di pedagogia secondo un indirizzo cristiano. Conseguita la libera docenza in pedagogia nel
1925, nello stesso anno ottiene, per incarico, l'insegnamento di questa
disciplina all'Padova, nonché si sposa con Maria Javicoli, da cui avrà tre
figli, Elena, Paolo e Lucia. In quegli anni, oltre ad iscriversi al Partito
Nazionale Fascista, affianca l'insegnamento nelle scuole pubbliche a quello
universitario fino al 1936 quando, vinto l'ordinariato, ha una cattedra di
storia della filosofia alla Facoltà di Magistero dell'Messina che tiene fino al
1938 quando si trasferisce a Padova, alla cattedra di pedagogia, quindi a
quella di storia della filosofia che terrà fino alla morte prematura, nel 1956.
Al contempo, tiene per incarico l'insegnamento di estetica a Padova e quello di
pedagogia all'Venezia, nonché sarà preside della Facoltà di Lettere e Filosofia
dell'ateneo patavino nel triennio 1941-43.
Nel dopoguerra, riabilitato alla propria cattedra e all'insegnamento
universitario, si dedica prevalentemente allo studio e la ricerca, ma
partecipando anche alla riorganizzazione della filosofia cattolica italiana, in
particolare promuovendo incontri, convegni e riunioni all'Istituto Aloisianum
dei padri gesuiti di Gallarate, che diventerà poi il Centro di studi filosofici
di Gallarate, per primo diretto da Carlo Gianon. Socio corrispondente dell’Istituto veneto di
scienze, lettere ed arti, nonché socio effettivo dell’Accademia patavina di
scienze, lettere ed arti, ricevette il premio della R. Accademia d'Italia nper
le discipline filosofiche, e il premio Marzotto per la filosofia nel 1953,
nonché fu membro dei consigli direttivi della Società filosofica italiana e del
Centro Studi filosofici di Gallarate. Ha poi fondato a Padova la Rivista di
estetica, della quale ha potuto dirigere solo il primo fascicolo dell'annata
1956, e a cui gli subentrerà Luigi Pareyson. Fra i suoi allievi, ricordiamo
Armando Rigobello, Giovanni Santinello, Ezio Riondato, Giovanni M. Pozzo. Gli saranno intitolate delle scuole medie
statali di Treviso e Padova, nonché l'ex Istituto magistrale di Mestre.
Stefanini è stato uno dei più importanti filosofi italiani di ispirazione
cristiana, nonché uno dei maggiori rappresentati dello spiritualismo cristiano.
Partendo sempre dalla filosofia cristiana, ha riesaminato storicamente e
criticamente diverse correnti del pensiero filosofico, fra cui lo storicismo,
la filosofia dell'azione, il neoidealismo, la fenomenologia, l'esistenzialismo,
lungo il corso della storia della filosofia, dagli antichi (fra i quali
Platone, Sant'Agostino, Bonaventura, San Tommaso), fino ai moderni (Vincenzo
Gioberti, Maurice Blondel, Antonio Rosmini ed altri), sulla scia della sua
prima formazione giovanile incentrata su uno stretto connubio fra prospettiva
storica e dimensione teoretica.
Interessato pure all'estetica, su cui ha scritto molti lavori, il
contributo più importante dello Stefanini è frutto della sua costante
riflessione su personalismo e spiritualismo, grazie alla quale il rapporto
soggetto-oggetto viene interpretato in termini di alterità, di altro da sé,
prospettivaquestache permetterà di concepire il singolo individuo come membro
di una comunità. Questo rapporto soggetto-oggetto, da un tale punto di vista,
sarà concepito come il momento fondante di ogni comunità di esseri umani in
relazione fra loro. Le più importanti problematiche connesse a questi principi
di base, saranno poi affrontate dallo Stefanini nelle due opere fondamentali
Metafisica della persona e Personalismo
sociale. Strettamente connesse a queste tematiche filosofiche, poi, sono quelle
didattico-pedagogiche aperte e portate avanti dallo Stefanini pressoché durante
l'intero suo periodo di attività, dai primi anni formativi fino agli ultimi
della maturità, in continuo ripensamento e progressiva rivisitazione. Per quanto concerne poi la sua vasta
produzione scientifica, ricordiamo solo che, nel periodo compreso fra il 1940 e
il 1950, dà alle stampe le seguenti, notevoli pubblicazioni: L'esistenzialismo
di M. Heidegger, Spiritualismo Cristiano, Gioberti, Il dramma filosofico della
Germania, Metafisica della persona ed altri saggi (1950), Esistenzialismo ateo
ed esistenzialismo teistico; Personalismo sociale; Estetica; Trattato di
estetica; viene pubblicata postuma poi la raccolta di scritti intitolata
Personalismo filosofico. Ci riferiamo principalmente a: Gregorio Piaia, "Stefanini,
Luigi", in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 94, Anno . Si veda
pure: Laura Corrieri, Luigi Stefanini, un pensiero attuale, Edizioni
Prometheus, Milano, Citando sue testuali parole, «[...] l'opera del Blondel è
più arte che filosofia. I passaggi più ardui superati con immagini ardite,
anziché con logiche dimostrazioni; affermate le più inconciliabili antitesi
affinché queste rendano vivo e tragico il contrasto; i mezzi dialettici atti
più a trascinare che a convincere: tutto ciò ci conferma pienamente nella
nostra interpretazione. L'opera del Blondel è, più che una dottrina filosofica,
un romanzo psicologico che descrive le esitazioni e le incertezze, le vane
pretese e le supreme aspirazioni dell'umana volontà, che alfine si appaga e riposa
in Dio. Per ciò che al di là del filosofo si riesca ad afferrare l'uomo, al di
là del sistema si riesca ad afferrare il programma generoso del credente, la
filosofia dell'azione può essere efficacemente educativa, può esercitare nella
coscienza contemporanea l'influsso salutare che essa si era proposta» (da Luigi
Stefanini, L'Azione. Saggio critico sulla filosofia di M. Blondel, Padova, Cfr. Laura Corrieri, cit. Il quale, a sua volta, prende le mosse dalle
concezioni personalistiche mounieriane e giobertiane; cfr. Gregorio Piaia, cit.
Opere principali Il problema della conoscenza in Cartesio e Gioberti, Torino,
Sei, Il problema religioso in Platone e S. Bonaventura. Sommario storico e
critica di testi, Torino, Sei, Idealismo cristiano, Padova, R. Zannoni Editore,
1Platone, 2 voll., Padova, Cedam,
(ristampa: Istituto di Filosofia, Padova, Il problema estetico in Platone, Torino,
Sei, Imaginismo come problema
filosofico, I, Padova, Cedam, Problemi
attuali d'arte, Padova, Cedam, La Chiesa Cattolica, Milano-Messina, Principato,
Vincenzo Gioberti. Vita e pensiero, Milano, F.lli Bocca, Metafisica dell'arte e
altri saggi, Padova, Editoria Liviana, La mia prospettiva filosofica, Treviso,
Edizioni Canova (prima edizione del 1950). Esistenzialismo ateo ed esistenzialismo
teistico. Esposizione e critica costruttiva, Padova, Cedam, Itinéraires
métaphysiques, trad. par J. Chaix-Ruiy, Paris, Aubier, Estetica, Roma, Edizioni
Studium, Trattato di Estetica, I: L'arte
nella sua autonomia e nel suo processo, Brescia, Editrice Morcelliana,
Personalismo educativo, Roma, F.lli Bocca,
Per l'elenco completo degli scritti di Stefanini si rimanda alla
relativa pagina online curata dalla Fondazione "Luigi Stefanini".
Dialettica dell'immagine. Studi sull'imaginismo di Luigi Stefanini, a cura
dell'Associazione filosofica trevigiana, Genova, Luciano Caimi, Educazione e
persona in Luigi Stefanini, Editrice La Scuola, Brescia, 1985. Glory Cappello,
Luigi Stefanini. Dalle opere e dal carteggio del suo archivio, Europrint,
Treviso, Per una antropologia in Luigi Stefanini: metafisica, personalismo,
umanesimo, Glory Cappello, Edizioni R. Pagotto, Padova, . Michele Lasala, Una
ragione vivente. L'immagine e l'ulteriore, in
Frammenti di filosofia contemporanea, I.v.a.n. Project, Limina Mentis
Editore, Villasanta (MB), , XXI. Matteo
De Boni, Le ragioni dell’esistenza. Esistenzialismo e ragione in Luigi
Stefanini, Mimesis Edizioni, Milano-Udine, , Armando Rigobello , Scritti in
onore di Luigi Stefanini, Liviana editrice, Padova, Sul pensiero di Luigi
Stefanini, in Rivista Rosminiana, Numero 2, Anno 1952. Luigi Stefanini, su treccani.it. STEFANINI,
Luigi, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
luigi-stefanini. Fondazione Luigi Stefanini, su fondazionestefanini.it.
stella: Grice: “What is it with Italian
philosoophers that they are all into what at Oxford we would call
jurisprudence?” Grice: “It seems like all Italian philosophers are like Italian
versions of H. L. A. Hart!” --. Federico Stella (Sernaglia della Battaglia),
filosofo. Dopo aver frequentato il liceo presso il Collegio di Treviso si
iscrisse a Milano, dove vinse una borsa di studio presso il Collegio Augustinianum
e fu allievo di Crespi. Divenne professore, dapprima a Catania, e, successivamente,
a Milano. I suoi studi si diressero, dapprima, su alcune tipologie di reati,
successivamente sugli elementi strutturali del reato. Il suo contributo scientifico più noto,
presso gli operatori del diritto penale e la comunità accademica, è “Leggi
scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale,” monografia in cui ricostruisce il problema del nesso di
causalità penale prospettando il criterio della sussunzione sotto leggi
scientifiche come strumento per la soluzione di casi dubbi. Solo mediante una
legge scientifica di copertura, atta a spiegare il rapporto fra condotta del
presunto autore del reato ed evento dannoso, sarà possibile formulare un
giudizio di responsabilità penale. Ad
es. solo dopo aver dimostrato, sulla base di una legge scientifica, che
l'ingestione di determinati farmaci determina malformazioni del feto, sarà
possibile imputare alla ditta produttrice il reato di lesioni gravissime
(colpose o dolose). In difetto di una dimostrazione scientifica, non potrà
formularsi alcuna imputazione penale. Propose che la regola di giudizio
dell'"oltre ogni ragionevole dubbio" trovasse applicazione anche nel
processo penale italiano. Dapprima avversato da parte della dottrina processual
penalistica, il principio venne accoltoin tema di nesso causaledalla corte
suprema di cassazione, anche a Sezioni Unite. Oggi è norma codicistica. ADiresse
riviste giuridiche di diritto penale e fu fra i curatori di raccolte normative
di largo successo presso la comunità forense.
Nei successivi decenni gli interessi scientifici si volsero alla teoria generale del diritto ed
alla filosofia del diritto, mediante pubblicazione di scritti maggiormente
agili rispetto alle monografie ed ai saggi penalistici, rivolti ad un pubblico
relativamente più vasto. Esercitò la professione di avvocato, partecipando, in
qualità di difensore di alcuni imputati, al processo del Petrolchimico di Porto
Marghera, dove fece applicazione, a livello pratico, delle teorie relative alla
causalità scientifica. Principali
pubblicazioni: “L'alterazione di stato mediante falsità, Milano, “ La descrizione
dell'evento,”Milano, “Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto
penale,” Milano, “Giustizia e modernità, Milano,” “I saperi del giudice,” Milano, “ll giudice
corpuscolariano,” Milano, “La giustizia e le ingiustizie,” Bologna. Note Addio A Federico Stella, il «galantumo del
diritto» di Paolo Biondani, Corriere della Sera, 1Archivio storico. Il centro di ricerca Federico Stella
biografia e . Università Cattolica del Sacro Cuore. Most likely a replica from
now on: stella: Federico Stella
(Sernaglia della Battaglia), filosofo. È stato inoltre Professore di Diritto
penale e filosofo del diritto. Nato a Sernaglia della Battaglia, piccolo centro
in provincia di Treviso, dopo aver frequentato il liceo presso il Collegio Vescovile
Pio X di Treviso si iscrisse all'Università Cattolica del Sacro Cuore di
Milano, dove vinse una borsa di studio presso il Collegio Augustinianum e fu
allievo di Alberto Crespi. Divenne professore di diritto penale nel 1970,
dapprima nell'Università degli Studi di Catania, e, successivamente, presso
l'Università Cattolica di Milano, dove insegnò fino alla propria scomparsa,
avvenuta nel 2006. Causalità e leggi
scientifiche I suoi studi si diressero, dapprima, su alcune tipologie di reati,
successivamente sugli elementi strutturali del reato. Il suo contributo scientifico più noto,
presso gli operatori del diritto penale e la comunità accademica, è Leggi
scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale, monografia in cui Stella ricostruisce il problema
del nesso di causalità penale prospettando il criterio della sussunzione sotto
leggi scientifiche come strumento per la soluzione di casi dubbi: solo mediante
una legge scientifica di copertura, atta a spiegare il rapporto fra condotta
del presunto autore del reato ed evento dannoso, sarà possibile formulare un
giudizio di responsabilità penale. Ad
es. solo dopo aver dimostrato, sulla base di una legge scientifica, che
l'ingestione di determinati farmaci determina malformazioni del feto, sarà
possibile imputare alla ditta produttrice il reato di lesioni gravissime
(colpose o dolose). In difetto di una dimostrazione scientifica, non potrà
formularsi alcuna imputazione penale.
Propose, attraverso i suoi scritti e le sue lezioni, che la regola di
giudizio dell'"oltre ogni ragionevole dubbio" trovasse applicazione
anche nel processo penale italiano. Dapprima avversato da parte della Dottrina
processual penalistica, il principio venne accoltoin tema di nesso causaledalla
Corte suprema di cassazione, anche a Sezioni Unite; oggi è norma
codicistica. Attività ulteriori Diresse
riviste giuridiche di diritto penale e fu fra i curatori di raccolte normative
di largo successo presso la comunità forense.
Nei successivi decenni gli interessi scientifici di Stella si volsero
alla teoria generale del diritto ed alla filosofia del diritto, mediante
pubblicazione di scritti maggiormente agili rispetto alle monografie ed ai
saggi penalistici, rivolti ad un pubblico relativamente più vasto. Esercitò la professione di avvocato,
partecipando, in qualità di difensore di alcuni imputati, al processo del
Petrolchimico di Porto Marghera, dove fece applicazione, a livello pratico,
delle teorie relative alla causalità scientifica. Principali pubblicazioni L'alterazione di
stato mediante falsità, Milano, La descrizione dell'evento, Milano. Leggi
scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale, Milano, seconda edizione
Giustizia e modernità, Milano, 3ª ed. I saperi del giudice, Milano, ll giudice
corpuscolariano, Milano, La giustizia e le ingiustizie, Bologna, Addio A
Federico Stella, il «galantumo del diritto» di Paolo Biondani, Corriere della
Sera, Archivio storico. Il centro di
ricerca Federico Stella biografia.
stellini: Jacopo Stellini (Cividale), filosofo. La
sua fama è dovuta soprattutto al saggio “De ortu et progressu morum.” La sua concezione morale è di stampo
aristotelico e sotto alcuni aspetti può essere considerato uno dei precursori
della sociologia. A lui è stato dedicato il liceo classico di Udine e che nella
sua biblioteca contiene gli scritti autografi di Stellini. Enciclopedia
Treccani, su treccani.it. Dizionario biografico friulano, su friul.net. Most
likely a replica from now on: stellini:
Jacopo Stellini (Cividale), filosofo. Nato a Cividale (e non, come appare su
altre fonti basatesi sull'errata lettura dell'atto di battesimo di un Jacopo
Stulin, a Tribil di Sopra) nel 1699, si interessò di medicina, matematica e
critica letteraria. Sebbene autore di svariate poesie, la sua fama è dovuta
soprattutto al saggio in latino De ortu et progressu morum stampato nel
1740. La sua concezione morale è di
stampo aristotelico e sotto alcuni aspetti può essere considerato uno dei
precursori della sociologyia. A lui è
stato dedicato l'omonimo liceo classico di Udine, fondato nel 1808 e che nella
sua biblioteca contiene gli scritti autografi di Stellini. Enciclopedia Treccani, su treccani.it.
Dizionario biografico friulano, su friul.net.
sterlich: Romualdo De Sterlich (Chieti), filosofo. Figlio
del marchese Rinaldo De Sterlich (di famiglia originaria dei paesi di lingua
tedesca) e della marchesina aquilana Margherita Alfieri, studiò a Napoli nel
Collegio dei Nobili, gestito dalla Compagnia di Gesù. Fu proprio questa
esperienza che lo portò a concepire la sua profonda ostilità verso i Gesuiti,
che fu uno dei tratti caratteristici del suo pensiero filosofico. All'età di
vent'anni tornò a Chieti e sposò Giuditta Castiglione (di famiglia
aristocratica di Penne) da cui ebbe una numerosa prole (una ventina di figli di
cui solo una decina sopravvissero ai primi anni mentre gli altri si spensero in
tenera età). La cura della famiglia e dei beni ereditati dal padre (di cui era
l'unico figlio maschio) lo portarono a dover compromettere le sue aspirazioni
letterarie. Ma la cultura rimase sempre la sua prima passione e, alla metà del
secolo XVIII, per superare l'isolamento culturale che gli veniva imposto dal
dover vivere a Chieti, cominciò a costituire la sua personale biblioteca.
Questa crebbe in misura esponenziale di anno in anno, tanto che nel 1776
contava 12.000 volumi, divenendo così una delle migliori biblioteche del Regno.
L'intento di de Sterlich era di mettere la stessa a disposizione della città di
Chieti per la sua crescita culturale. Sfortunatamente il suo desiderio fu reso
vano dall'incuria di chi gestì la stessa dopo la sua morte. Cospicue parti di
quella grande biblioteca sono stati individuate in tutta Italia: nella
Biblioteca Provinciale «G. D'Annunzio» di Pescara, nella Biblioteca Provinciale
«A.C. De Meis» di Chieti, nella Biblioteca Nazionale di Napoli, etc. Sarebbe
molto riduttivo considerare de Sterlich come solo un collezionista di libri.
Egli li raccoglieva per elaborarli e per creare le sue riflessioni e i suoi
pensieri. De Sterlich si rivela così aggiornatissimo sui dibattiti culturali
europei del Settecento ed è tra i primi italiani a leggere e commentare le
opere di Montesquieu, Rousseau, Voltaire, e di altri illuministi europei. Di
questa partecipazione alla cultura illuministica europea ne è testimonianza un
copioso scambio di lettere con altri intellettuali (Antonio Genovesi, Giovanni
Antonio Battarra, Giovanni Lami, Giovanni Bianchi, Gaspare de Torres)
dell'epoca. Questo ricco carteggio è un documento prezioso per delineare il
passaggio in Italia alla cultura illuministica e rappresenta l'impronta da lui
lasciata nel panorama culturale del Settecento Italiano. Romualdo de Sterlich
lasciò anche alcune testimonianze scritte del suo pensiero: due Dialoghi di
Fra' Cipolla e la Nanna. In essi trova largo spazio la sua antipatia per i
Gesuiti. Tramite la solida amicizia con Giovanni Lami, de Sterlich entrò a far
parte dell'Accademia della Crusca e dell'Accademia dei Georgofili. Romualdo de
Sterlich si spense a Chieti e fu sepolto nella Chiesa di S. Francesco di Paola.
Cepparrone Luigi, L'illuminismo europeo nell'epistolario di Romualdo De
Sterlich, Sestante Ed., Collana Bergamo University Press. Il sito dell'Istituto Tecnico Statale
Commerciale e per Programmatori “R. de Sterlich”Chieti Scalo, su desterlich.ch.it.
steuco: vescovo della Chiesa cattolica
Template-Bishop -- Incarichi ricopertiVescovo di Kissamos Nato1497 a Gubbio Consacrato vescovo 1538
dal Papa Paolo III Deceduto1548 a Venezia. Agostino Steuco (Gubbio), filosofo. Della
famiglia Steuchi o Stucchi. Acuto esegeta dei testi biblici e profondo
conoscitore delle lingue latina, greca ed ebraica, si oppose tenacemente alla
riforma protestante e prese parte al Concilio di Trento. Nel novembre del 1513 entrò nella congregazione
dell'Ordine dei Canonici Agostiniani di San Salvatore di Bologna, poi nel
monastero di San Secondo, a Gubbio, mutando il suo nome di battesimo Guido in
Agostino. Nel 1524 andò al Monastero di
Bologna, ove frequentò i corsi di ebraico e retorica presso l'Università
bolognese. Fu inviato dalla sua congregazione al Monastero di Sant'Antonio di
Castello a Venezia, dove, per l'ampia conoscenza dei linguaggi biblici e
l'acume filologico, gli fu affidata la biblioteca del monastero, donata ai
canonici dal cardinal Domenico Grimani, della quale una buona parte del
patrimonio librario era appartenuto a Pico della Mirandola. Steuco scrisse una serie di opere polemiche
contro Lutero ed Erasmo, accusandoli di fomentare la rivolta contro la Chiesa.
Questi lavori rivelano il solido sostegno che Steuco dà alle tradizioni e alle
pratiche della Chiesa, difendendo risolutamente l'autorità papale. Parte della
sua produzione risalente a questo periodo include un intenso lavoro filologico
sull'Antico Testamento, culminato con la pubblicazione del Veteris testamenti
ad Hebraicam veritatem recognitio, per la composizione del quale egli si basò
su manoscritti ebraici e greci, tratti della biblioteca Grimani, utili a
correggere il testo della traduzione latina redatta da San Gerolamo. Nel
revisionare e spiegare il testo, egli mai deviò dal significato letterale e
storico. Contemporanea a questo lavoro
di esegesi biblica fu la composizione di un'opera d'impianto enciclopedico che
egli scrisse in questo periodo, al quale diede il nome di Cosmopœia. Le sue
opere polemiche ed esegetiche destarono l'attenzione favoravole di Papa Paolo
III, e nel 1538 questi ordinò Steuco vescovo di Kissamos, nell'isola di Creta,
e bibliotecario della collezione papale di manoscritti e stampe del Vaticano. Si
recò a Lucca con Paolo III e l'imperatore Carlo V. Quantunque mai fosse andato a visitare il suo
vescovado a Creta, Steuco adempì attivamente con scrupolo il suo ruolo di
bibliotecario del Vaticano fino alla sua morte
Nel frattempo a Roma redasse i Commenti al Vecchio Testamento
riguardanti i Salmi di Giacobbe, aiutando ad annotare e correggere i testi di
parte della Vulgata alla luce degli originali ebraici. A questo periodo risale
la composizione della celeberrima opera De perenni philosophia libri X,
dedicata a Paolo III, nella quale egli tenta di mostrare che molte delle idee
esposte dai saggi, poeti e filosofi dell'Antichità (ad es. Orfeo, Talete,
Pitagora, Parmenide, Platone, Aristotele, Plutarco, Numenio, i neoplatonici,
l'ebreo Filone, nonché opere come gli Oracoli caldaici, gli Oracoli sibillini,
i trattati ermetici e i frammenti teosofici) erano essenzialmente in armonia
con la sostanza delle dottrine della fede cattolica. Questo lavoro contiene una
polemica indiretta a margine, poiché Steuco elaborò un numero di questi
argomenti per sostenere molte posizioni teologiche recentemente poste in
questione in Italia da riformatori e critici della fede cattolica
traditionale. Come umanista egli ebbe un
profondo interesse per le rovine della Roma antica, e nell'operare un
rinnovamento urbano dell'Urbe. A tal proposito, degne d'essere menzionate, sono
una serie di brevi orazioni in cui raccomandò espressamente a Papa Paolo III di
risistemare l'acquedotto conosciuto come Aqua Virgo, in modo da supplire
adeguatamente il fabbisogno di acqua fresca per la città di Roma. Steuco fu mandato da papa Paolo III a
presenziare il Concilio di Trento, che doveva celebrarsi a Bologna,
affidandogli il compito di sostenere l'autorità e le prerogative papali. Morì mentre
si trovava a Venezia per problemi di salute, e dove cercava di ristabilirsi
durante un periodo di sospensione del Concilio. .e sue ossa furono traslate
nell'Eremo di Sant'Ambrogio a Gubbio. De perenni philosophia libri IX, Basileæ,
per Nicolaum Bryling et Sebastianum Francken, Concilio di Trento Esegesi
biblica Ermetismo (filosofia) Teosofia di Tubinga Altri progetti Collabora a
Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Agostino Steuco Agostino Steuco, su Treccani.itEnciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Giuseppe Ricciotti, Agostino Steuco, in Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Vincenzo
Lavenia, Agostino Steuco, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Opere di
Agostino Steuco, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Agostino Steuco,
. Michael Ott, Agostino Steuco, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton
Company. David M. Cheney, Agostino Steuco, in Catholic Hierarchy. Hugh Chisholm
, Steuco, Agostino, in Enciclopedia Britannica, XI, Cambridge University Press.
Associazione Centro Culturale Leone XIII, su leonexiii.org. Canonici Regolari
Lateranensi di Gubbio, su bibliotecasteuco.it. Most likely a replica from now
on: steuco: vescovo della Chiesa cattolica
Template-Bishop.svg Incarichi
ricopertiVescovo di Kissamos. Consacrato vescovo 1538 dal Papa Paolo III
Deceduto1548 a Venezia. Agostino Steuco (Gubbio), filosofo. Della famiglia
Steuchi o Stucchi. Acuto esegeta dei testi biblici e profondo conoscitore delle
lingue latina, greca ed ebraica, si oppose tenacemente alla riforma protestante
e prese parte al Concilio di Trento. Nel novembre del 1513 entrò nella
congregazione dell'Ordine dei Canonici Agostiniani di San Salvatore di Bologna,
poi nel monastero di San Secondo, a Gubbio, mutando il suo nome di battesimo
Guido in Agostino. Nel 1524 andò al
Monastero di Bologna, ove frequentò i corsi di ebraico e retorica presso
l'Università bolognese. Nel 1529 fu inviato dalla sua congregazione al
Monastero di Sant'Antonio di Castello a Venezia, dove, per l'ampia conoscenza
dei linguaggi biblici e l'acume filologico, gli fu affidata la biblioteca del
monastero, donata ai canonici dal cardinal Domenico Grimani, della quale una
buona parte del patrimonio librario era appartenuto a Pico della
Mirandola. Negli anni successive Steuco
scrisse una serie di opere polemiche contro Lutero ed Erasmo, accusandoli di
fomentare la rivolta contro la Chiesa. Questi lavori rivelano il solido
sostegno che Steuco dà alle tradizioni e alle pratiche della Chiesa, difendendo
risolutamente l'autorità papale. Parte della sua produzione risalente a questo
periodo include un intenso lavoro filologico sull'Antico Testamento, culminato
con la pubblicazione del Veteris testamenti ad Hebraicam veritatem recognitio,
per la composizione del quale egli si basò su manoscritti ebraici e greci,
tratti della biblioteca Grimani, utili a correggere il testo della traduzione
latina redatta da San Gerolamo. Nel revisionare e spiegare il testo, egli mai deviò
dal significato letterale e storico.
Contemporanea a questo lavoro di esegesi biblica fu la composizione di
un'opera d'impianto enciclopedico che egli scrisse in questo periodo, al quale
diede il nome di Cosmopœia. Le sue opere polemiche ed esegetiche destarono
l'attenzione favoravole di Papa Paolo III, e nel 1538 questi ordinò Steuco
vescovo di Kissamos, nell'isola di Creta, e bibliotecario della collezione
papale di manoscritti e stampe del Vaticano. Nel 1541 si recò a Lucca con Paolo
III e l'imperatore Carlo V. Quantunque
mai fosse andato a visitare il suo vescovado a Creta, Steuco adempì attivamente
con scrupolo il suo ruolo di bibliotecario del Vaticano fino alla sua morte nel
1548. Nel frattempo a Roma redasse i
Commenti al Vecchio Testamento riguardanti i Salmi di Giacobbe, aiutando ad
annotare e correggere i testi di parte della Vulgata alla luce degli originali
ebraici. A questo periodo risale la composizione della celeberrima opera De
perenni philosophia libri X, dedicata a Paolo III, nella quale egli tenta di
mostrare che molte delle idee esposte dai saggi, poeti e filosofi
dell'Antichità (ad es. Orfeo, Talete, Pitagora, Parmenide, Platone, Aristotele,
Plutarco, Numenio, i neoplatonici, l'ebreo Filone, nonché opere come gli
Oracoli caldaici, gli Oracoli sibillini, i trattati ermetici e i frammenti
teosofici) erano essenzialmente in armonia con la sostanza delle dottrine della
fede cattolica. Questo lavoro contiene una polemica indiretta a margine, poiché
Steuco elaborò un numero di questi argomenti per sostenere molte posizioni
teologiche recentemente poste in questione in Italia da riformatori e critici
della fede cattolica traditionale. Come
umanista egli ebbe un profondo interesse per le rovine della Roma antica, e
nell'operare un rinnovamento urbano dell'Urbe. A tal proposito, degne d'essere
menzionate, sono una serie di brevi orazioni in cui raccomandò espressamente a
Papa Paolo III di risistemare l'acquedotto conosciuto come Aqua Virgo, in modo
da supplire adeguatamente il fabbisogno di acqua fresca per la città di
Roma. Fu mandato da papa Paolo III a
presenziare il Concilio di Trento, che doveva celebrarsi a Bologna,
affidandogli il compito di sostenere l'autorità e le prerogative papali. Morì
nel 1548, all'età di cinquantatré anni, mentre si trovava a Venezia per
problemi di salute, e dove cercava di ristabilirsi durante un periodo di
sospensione del Concilio. Lle sue ossa furono traslate nell'Eremo di
Sant'Ambrogio a Gubbio. Agostino
Steuco, De perenni philosophia libri IX, Basileæ, per Nicolaum Bryling et
Sebastianum Francken, 1542. Concilio di
Trento Esegesi biblica Ermetismo (filosofia) Teosofia di Tubinga Altri progetti
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Lavenia, Agostino Steuco, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Opere di
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, Steuco, Agostino, in Enciclopedia Britannica, XI, Cambridge University Press,
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Primus,
secundus, tertius -- first-order predicate calculus with time-relative identity:second-order logic, the logic of languages that
contain, in addition to variables ranging over objects, variables ranging over
properties, relations, functions, or classes of those objects. A model, or
interpretation, of a formal language usually contains a domain of discourse.
This domain is what the language is about, in the model in question. Variables
that range over this domain are called first-order variables. If the language
contains only first-order variables, it is called a first-order language, and
it is within the purview of first-order logic. Some languages also contain
variables that range over properties, relations, functions, or classes of
members of the domain of discourse. These are second-order variables. A
language that contains first-order and second-order variables, and no others,
is a secondorder language. The sentence ‘There is a property shared by all and
only prime numbers’ is straightforwardly rendered in a second-order language,
because of the bound variable ranging over properties. There are also
properties of properties, relations of properties, and the like. Consider,
e.g., the property of properties expressed by ‘P has an infinite extension’ or
the relation expressed by ‘P has a smaller extension than Q’. A language with
variables ranging over such items is called thirdorder. This construction can
be continued, producing fourth-order languages, etc. A language is called
higher-order if it is at least second-order. Deductive systems for second-order
languages are obtained from those for first-order languages by adding
straightforward extensions of the axioms and rules concerning quantifiers that
bind first-order variables. There may also be an axiom scheme of comprehension:
DPExPx S Fx, one instance for each formula F that does not contain P free. The
scheme “asserts” that every formula determines the extension of a property. If
the language has variables ranging over functions, there may also be a version
of the axiom of choice: ERExDyRxy P DfExRxfx. In standard semantics for
second-order logic, a model of a given language is the same as a model for the
corresponding first-order language. The relation variables range over every
relation over the domain-of-discourse, the function variables range over every
function from the domain to the domain, etc. In non-standard, or Henkin
semantics, each model consists of a domain-ofdiscourse and a specified
collection of relations, functions, etc., on the domain. The latter may not
include every relation or function. The specified collections are the range of
the second-order variables in the model in question. In effect, Henkin
semantics regards second-order languages as multi-sorted, first-order
languages.
secundum quid: in a certain respect, or with a qualification.
Fallacies can arise from confusing what is true only secundum quid with what is
true simpliciter ‘without qualification’, ‘absolutely’, ‘on the whole’, or
conversely. Thus a strawberry is red simpliciter on the whole. But it is black,
not red, with respect to its seeds, secundum quid. By ignoring the distinction,
one might mistakenly infer that the strawberry is both red and not red. Again,
a certain thief is a good cook, secundum quid; but it does not follow that he
is good simpliciter without qualification. Aristotle was the first to recognize
the fallacy secundum quid et simpliciter explicitly, in his Sophistical
Refutations. On the basis of some exceptionally enigmatic remarks in the same
work, the liar paradox was often regarded in the Middle Ages as an instance of
this fallacy.
De-ceptum –
per-ceptum – trans-ceptum – in-ceptum, prae-ceptum – post-ceptum: deceptum sui: Auto-deceptionD. F. Pears -- self-deception, 1
purposeful action to avoid unpleasant truths and painful topics about oneself
or the world; 2 unintentional processes of denial, avoidance, or biased
perception; 3 mental states resulting from such action or processes, such as
ignorance, false belief, wishful thinking, unjustified opinions, or lack of
clear awareness. Thus, parents tend to exaggerate the virtues of their
children; lovers disregard clear signs of unreciprocated affection; overeaters
rationalize away the need to diet; patients dying of cancer pretend to
themselves that their health is improving. In some contexts ‘self-deception’ is
neutral and implies no criticism. Deceiving oneself can even be desirable,
generating a vital lie that promotes happiness or the ability to cope with
difficulties. In other contexts ‘self-deception’ has negative connotations, suggesting
bad faith, false consciousness, or what Joseph Butler called “inner
hypocrisy” the refusal to acknowledge
our wrongdoing, character flaws, or onerous responsibilities. Existentialist
philosophers, like Kierkegaard, Heidegger, and most notably Sartre Being and
Nothingness, 3, denounced self-deception as an inauthentic dishonest, cowardly
refusal to confront painful though significant truths, especially about
freedom, responsibility, and death. Herbert Fingarette, however, argued that
self-deception is morally ambiguous
neither clearly blameworthy nor clearly faultless because of how it erodes capacities for
acting rationally Self-Deception, 9. The idea of intentionally deceiving
oneself seems paradoxical. In deceiving other people I usually know a truth
that guides me as I state the opposite falsehood, intending thereby to mislead
them into believing the falsehood. Five difficulties seem to prevent me from
doing anything like that to myself. 1 With interpersonal deception, one person
knows something that another person does not. Yet self-deceivers know the truth
all along, and so it seems they cannot use it to make themselves ignorant. One
solution is that self-deception occurs over time, with the initial knowledge
becoming gradually eroded. Or perhaps selfdeceivers only suspect rather than
know the truth, and then disregard relevant evidence. 2 If consciousness
implies awareness of one’s own conscious acts, then a conscious intention to
deceive myself would be self-defeating, for I would remain conscious of the
truth I wish to flee. Sartre’s solution was to view self-deception as
spontaneous and not explicitly reflected upon. Freud’s solution was to conceive
of self-deception as unconscious repression. 3 It seems that self-deceivers
believe a truth that they simultaneously get themselves not to believe, but how
is that possible? Perhaps they keep one of two conflicting beliefs unconscious
or not fully conscious. 4 Self-deception suggests willfully creating beliefs,
but that seems impossible since beliefs cannot voluntarily be chosen. Perhaps
beliefs can be indirectly manipulated by selectively ignoring and attending to
evidence. 5 It seems that one part of a person the deceiver manipulates another
part the victim, but such extreme splits suggest multiple personality disorders
rather than self-deception. Perhaps we are composed of “subselves” relatively unified clusters of elements in
the personality. Or perhaps at this point we should jettison interpersonal
deception as a model for understanding self-deception. .
terminatum –
de-terminatum -- determinatum sui: auto-determination
-- self-determination, the autonomy possessed by a community when it is
politically independent; in a strict sense, territorial sovereignty. Within
international law, the principle of self-determination appears to grant every
people a right to be self-determining, but there is controversy over its
interpretation. Applied to established states, the principle calls for
recognition of state sovereignty and non-intervention in internal affairs. By
providing for the self-determination of subordinate communities, however, it
can generate demands for secession that conflict with existing claims of
sovereignty. Also, what non-self-governing groups qualify as beneficiaries? The
national interpretation of the principle treats cultural or national units as
the proper claimants, whereas the regional interpretation confers the right of
self-determination upon the populations of well-defined regions regardless of
cultural or national affiliations. This difference reflects the roots of the
principle in the doctrines of nationalism and popular sovereignty,
respectively, but complicates its application.
evidens sui: (after ‘causa sui’), self-evidence, the property of
being self-evident. Only true propositions or truths are self-evident, though
false propositions can appear to be self-evident. It is widely held that a true
proposition is self-evident if and only if one would be justified in believing
it if one adequately understood it. Some would also require that self-evident
propositions are known if believed on the basis of such an understanding. Some
self-evident propositions are obvious, such as the proposition that all stags
are male, but others are not, since it may take considerable reflection to
achieve an adequate understanding of them. That slavery is wrong and that there
is no knowledge of falsehoods are perhaps examples of the latter. Not all
obvious propositions are self-evident, e.g., it is obvious that a stone will
fall if dropped, but adequate understanding of that claim does not by itself
justify one in believing it. An obvious proposition is one that immediately
seems true for anyone who adequately understands it, but its obviousness may
rest on wellknown and commonly accepted empirical facts, not on understanding.
All analytic propositions are self-evident but not all self-evident
propositions are analytic. The propositions that if A is older than B, then B
is younger than A, and that no object can be red and green all over at the same
time and in the same respects, are arguably self-evident but not analytic. All
self-evident propositions are necessary, for one could not be justified in
believing a contingent proposition simply in virtue of understanding it.
However, not all necessary propositions are self-evident, e.g., that water is
H2O and that temperature is the measure of the molecular activity in substances
are necessary but not self-evident. A proposition can appear to be selfevident
even though it is not. For instance, the proposition that all unmarried adult
males are bachelors will appear self-evident to many until they consider that
the pope is such a male. A proposition may appear self-evident to some but not
to others, even though it must either have or lack the property of being
self-evident. Self-evident propositions are knowable non-empirically, or a
priori, but some propositions knowable a priori are not self-evident, e.g.,
certain conclusions of long and difficult chains of mathematical
reasoning.
auto-present: self-presenting, in the philosophy of
Meinong, having the ability common to
all mental states to be immediately
present to our thought. “Meinong was too German to be Englishtake ‘wahrnehmen,’
to perceive, to take notice, to ‘verum’-sit.!” Warhnehmungvorstellung is
perceptual representationChisholm, alas, never gives, typically in a second-tier
varsity, to give the correct citation, when he claims, to impress, that he is
‘borrowing’ from Meinong, never to return! (“also typical of a second-tier!” --
Grice). In Meinong’s view, no mental state can be presented to our thought in
any other way e.g., indirectly, via a
Lockean “idea of reflection.” The only way to apprehend a mental state is to
experience or “live through” it. The experience involved in the apprehension of
an external object has thus a double presentational function: 1 via its “content”
it presents the object to our thought; 2 as its own “quasi-content” it presents
itself immediately to our thought. In the contemporary era, Roderick Chisholm
has based his account of empirical knowledge in part on a related concept of
the self-presenting. In Chisholm’s sense
the definition of which we omit here
all self-presenting states are mental, but not conversely; for instance,
being depressed because of the death of one’s spouse would not be
self-presenting. In Chisholm’s epistemology, self-presenting states are a
source of certainty in the following way: if F is a self-presenting state, then
to be certain that one is in state F it is sufficient that one is, and believes
oneself to be in state F. Cf. untranslatable, ‘sui,’ ‘ipse,’ ‘idem’. Presentatum
de se.
auto- self-reproducing automaton: a formal model of
self-reproduction of a kind introduced by von Neumann. He worked with an
intuitive robot model and then with a well-defined cellular automaton model.
Imagine a class of robotic automata made of robot parts and operating in an
environment of such parts. There are computer parts switches, memory elements,
wires, input-output parts sensing elements, display elements, action parts
grasping and moving elements, joining and cutting elements, and straight bars
to maintain structure and to employ in a storage tape. There are also energy
sources that enable the robots to operate and move around. These five
categories of parts are sufficient for the construction of robots that can make
objects of various kinds, including other robots. These parts also clearly
suffice for making a robot version of any finite automaton. Sensing and acting
parts can then be added to this robot so that it can make an indefinitely
expandable storage tape from straight bars. A “blank tape” consists of bars
joined in sequence, and the robot stores information on this tape by attaching
bars or not at the junctions. If its finite automaton part can execute programs
and is sufficiently powerful, such a robot is a universal computing robot cf. a
universal Turing machine. A universal computing robot can be augmented to form
a universal constructing robot a robot
that can construct any robot, given its description. Let r be any robot with an
indefinitely expandable tape, let Fr be the description of its finite part, and
let Tr be the information on its tape. Now take a universal computing robot and
augment it with sensing and acting devices and with programs so that when Fr
followed by Tr is written on its tape, this augmented universal computer
performs as follows. First, it reads the description Fr, finds the needed
parts, and constructs the finite part of r. Second, it makes a blank tape,
attaches it to the finite part of r, and then copies the information Tr from
its own tape onto the new tape. This augmentation of a universal computing
robot is a universal constructor. For when it starts with the information Fr,Tr
written on its tape, it will construct a copy of r with Tr on its tape. Robot
self-reproduction results from applying the universal constructor to itself.
Modify the universal constructor slightly so that when only a description Fr is
written on its tape, it constructs the finite part of r and then attaches a
tape with Fr written on it. Call this version of the universal constructor Cu.
Now place Cu’s description FCu on its own tape and start it up. Cu first reads
this description and constructs a copy of the finite part of itself in an empty
region of the cellular space. Then it adds a blank tape to the new construction
and copies FCu onto it. Hence Cu with FCu on its tape has produced another copy
of Cu with FCu on its tape. This is automaton self-reproduction. This robot
model of self-reproduction is very general. To develop the logic of
self-reproduction further, von Neumann first extended the concept of a finite
automaton to that of an infinite cellular automaton consisting of an array or
“space” of cells, each cell containing the same finite automaton. He chose an
infinite checkerboard array for modeling self-reproduction, and he specified a
particular twenty-nine-state automaton for each square cell. Each automaton is
connected directly to its four contiguous neighbors, and communication between
neighbors takes one or two time-steps. The twenty-nine states of a cell fall
into three categories. There is a blank state to represent the passivity of an
empty area. There are twelve states for switching, storage, and communication,
from which any finite automaton can be constructed in a sufficiently large
region of cells. And there are sixteen states for simulating the activities of
construction and destruction. Von Neumann chose these twenty-nine states in
such a way that an area of non-blank cells could compute and grow, i.e.,
activate a path of cells out to a blank region and convert the cells of that
region into a cellular automaton. A specific cellular automaton is embedded in
this space by the selection of the initial states of a finite area of cells,
all other cells being left blank. A universal computer consists of a sufficiently
powerful finite automaton with a tape. The tape is an indefinitely long row of
cells in which bits are represented by two different cell states. The finite
automaton accesses these cells by means of a construction arm that it extends
back and forth in rows of cells contiguous to the tape. When activated, this
finite automaton will execute programs stored on its tape. A universal
constructor results from augmenting the universal computer cf. the robot model.
Another construction arm is added, together with a finite automaton controller
to operate it. The controller sends signals into the arm to extend it out to a
blank region of the cellular space, to move around that region, and to change
the states of cells in that region. After the universal constructor has
converted the region into a cellular automaton, it directs the construction arm
to activate the new automaton and then withdraw from it. Cellular automaton
selfreproduction results from applying the universal constructor to itself, as
in the robot model. Cellular automata are now studied extensively by humans
working interactively with computers as abstract models of both physical and
organic systems. See Arthur W. Burks, “Von Neumann’s Self-Reproducing
Automata,” in Papers of John von Neumann on Computers and Computer Theory,
edited by William Aspray and Arthur Burks, 7. The study of artificial life is
an outgrowth of computer simulations of cellular automata and related automata.
Cellular automata organizations are sometimes used in highly parallel
computers.
semantic: semanticGrice
saw ‘semantics’ (he detested the pretentious ‘pragmatics’) as a branch of
philosophy. “Surely we cannot expect someone whose training includes phonetics,
a totally physical science, to have any saying on the nuances of the
communicatum, which is all semantics is about!” -- H. P. Grice, “Logic and
conversation”“Meaning,” in P. F. Strawson, “Philosophical Logic,” Oxford -- the
arena of philosophy devoted to examining the scope and nature of logic.
Aristotle considered logic an organon, or foundation, of knowledge. Certainly,
inference is the source of much human knowledge. Logic judges inferences good
or bad and tries to justify those that are good. One need not agree with
Aristotle, therefore, to see logic as essential to epistemology. Philosophers
such as Vitters, additionally, have held that the structure of language
reflects the structure of the world. Because inferences have elements that are
themselves linguistic or are at least expressible in language, logic reveals
general features of the structure of language. This makes it essential to
linguistics, and, on a Vittersian view, to metaphysics. Moreover, many
philosophical battles have been fought with logical weaponry. For all these
reasons, philosophers have tried to understand what logic is, what justifies
it, and what it tells us about reason, language, and the world. The nature of
logic. Logic might be defined as the science of inference; inference, in turn,
as the drawing of a conclusion from premises. A simple argument is a sequence, one
element of which, the conclusion, the others are thought to support. A complex
argument is a series of simple arguments. Logic, then, is primarily concerned
with arguments. Already, however, several questions arise. 1 Who thinks that
the premises support the conclusion? The speaker? The audience? Any competent
speaker of the language? 2 What are the elements of arguments? Thoughts?
Propositions? Philosophers following Quine have found these answers unappealing
for lack of clear identity criteria. Sentences are more concrete and more
sharply individuated. But should we consider sentence tokens or sentence types?
Context often affects interpretation, so it appears that we must consider
tokens or types-in-context. Moreover, many sentences, even with contextual
information supplied, are ambiguous. Is a sequence with an ambiguous sentence
one argument which may be good on some readings and bad on others or several?
For reasons that will become clear, the elements of arguments should be the
primary bearers of truth and falsehood in one’s general theory of language. 3
Finally, and perhaps most importantly, what does ‘support’ mean? Logic
evaluates inferences by distinguishing good from bad arguments. This raises
issues about the status of logic, for many of its pronouncements are explicitly
normative. The philosophy of logic thus includes problems of the nature and
justification of norms akin to those arising in metaethics. The solutions,
moreover, may vary with the logical system at hand. Some logicians attempt to characterize
reasoning in natural language; others try to systematize reasoning in
mathematics or other sciences. Still others try to devise an ideal system of
reasoning that does not fully correspond to any of these. Logicians concerned
with inference in natural, mathematical, or scientific languages tend to
justify their norms by describing inferential practices in that language as
actually used by those competent in it. These descriptions justify norms partly
because the practices they describe include evaluations of inferences as well
as inferences themselves. The scope of logic. Logical systems meant to account
for natural language inference raise issues of the scope of logic. How does
logic differ from semantics, the science of meaning in general? Logicians have
often treated only inferences turning on certain commonly used words, such as
‘not’, ‘if’, ‘and’, ‘or’, ‘all’, and ‘some’, taking them, or items in a
symbolic language that correspond to them, as logical constants. They have
neglected inferences that do not turn on them, such as My brother is married.
Therefore, I have a sister-in-law. Increasingly, however, semanticists have
used ‘logic’ more broadly, speaking of the logic of belief, perception,
abstraction, or even kinship. Such uses
seem to treat logic and semantics as coextensive. Philosophers who have sought
to maintain a distinction between the semantics and logic of natural language
have tried to develop non-arbitrary criteria of logical constancy. An argument
is valid provided the truth of its premises guarantees the truth of its
conclusion. This definition relies on the notion of truth, which raises
philosophical puzzles of its own. Furthermore, it is natural to ask what kind
of connection must hold between the premises and conclusion. One answer
specifies that an argument is valid provided replacing its simple constituents
with items of similar categories while leaving logical constants intact could
never produce true premises and a false conclusion. On this view, validity is a
matter of form: an argument is valid if it instantiates a valid form. Logic
thus becomes the theory of logical form. On another view, an argument is valid
if its conclusion is true in every possible world or model in which its
premises are true. This conception need not rely on the notion of a logical
constant and so is compatible with the view that logic and semantics are
coextensive. Many issues in the philosophy of logic arise from the plethora of
systems logicians have devised. Some of these are deviant logics, i.e., logics
that differ from classical or standard logic while seeming to treat the same
subject matter. Intuitionistic logic, for example, which interprets the
connectives and quantifiers non-classically, rejecting the law of excluded
middle and the interdefinability of the quantifiers, has been supported with
both semantic and ontological arguments. Brouwer, Heyting, and others have
defended it as the proper logic of the infinite; Dummett has defended it as the
correct logic of natural language. Free logic allows non-denoting referring
expressions but interprets the quantifiers as ranging only over existing
objects. Many-valued logics use at least three truthvalues, rejecting the
classical assumption of bivalence that
every formula is either true or false. Many logical systems attempt to extend
classical logic to incorporate tense, modality, abstraction, higher-order
quantification, propositional quantification, complement constructions, or the
truth predicate. These projects raise important philosophical questions. Modal
and tense logics. Tense is a pervasive feature of natural language, and has
become important to computer scientists interested in concurrent programs.
Modalities of several sorts alethic
possibility, necessity and deontic obligation, permission, for example appear in natural language in various
grammatical guises. Provability, treated as a modality, allows for revealing
formalizations of metamathematics. Logicians have usually treated modalities
and tenses as sentential operators. C. I. Lewis and Langford pioneered such
approaches for alethic modalities; von Wright, for deontic modalities; and
Prior, for tense. In each area, many competing systems developed; by the late
0s, there were over two hundred axiom systems in the literature for propositional
alethic modal logic alone. How might competing systems be evaluated? Kripke’s
semantics for modal logic has proved very helpful. Kripke semantics in effect
treats modal operators as quantifiers over possible worlds. Necessarily A,
e.g., is true at a world if and only if A is true in all worlds accessible from
that world. Kripke showed that certain popular axiom systems result from
imposing simple conditions on the accessibility relation. His work spawned a
field, known as correspondence theory, devoted to studying the relations
between modal axioms and conditions on models. It has helped philosophers and
logicians to understand the issues at stake in choosing a modal logic and has
raised the question of whether there is one true modal logic. Modal idioms may
be ambiguous or indeterminate with respect to some properties of the
accessibility relation. Possible worlds raise additional ontological and
epistemological questions. Modalities and tenses seem to be linked in natural
language, but attempts to bring tense and modal logic together remain young.
The sensitivity of tense to intra- and extralinguistic context has cast doubt
on the project of using operators to represent tenses. Kamp, e.g., has
represented tense and aspect in terms of event structure, building on earlier
work by Reichenbach. Truth. Tarski’s theory of truth shows that it is possible
to define truth recursively for certain languages. Languages that can refer to
their own sentences, however, permit no such definition given Tarski’s assumptions for they allow the formulation of the liar
and similar paradoxes. Tarski concluded that, in giving the semantics for such
a language, we must ascend to a more powerful metalanguage. Kripke and others,
however, have shown that it is possible for a language permitting
self-reference to contain its own truth
680 predicate by surrendering bivalence or taking the truth predicate
indexically. Higher-order logic. First-order predicate logic allows
quantification only over individuals. Higher-order logics also permit
quantification over predicate positions. Natural language seems to permit such
quantification: ‘Mary has every quality that John admires’. Mathematics,
moreover, may be expressed elegantly in higher-order logic. Peano arithmetic
and Zermelo-Fraenkel set theory, e.g., require infinite axiom sets in
firstorder logic but are finitely axiomatizable
and categorical, determining their models up to isomorphism in second-order logic. Because they quantify
over properties and relations, higher-order logics seem committed to Platonism.
Mathematics reduces to higher-order logic; Quine concludes that the latter is
not logic. Its most natural semantics seems to presuppose a prior understanding
of properties and relations. Also, on this semantics, it differs greatly from
first-order logic. Like set theory, it is incomplete; it is not compact. This
raises questions about the boundaries of logic. Must logic be axiomatizable?
Must it be possible, i.e., to develop a logical system powerful enough to prove
every valid argument valid? Could there be valid arguments with infinitely many
premises, any finite fragment of which would be invalid? With an operator for
forming abstract terms from predicates, higher-order logics easily allow the
formulation of paradoxes. Russell and Whitehead for this reason adopted type
theory, which, like Tarski’s theory of truth, uses an infinite hierarchy and
corresponding syntactic restrictions to avoid paradox. Type-free theories avoid
both the restrictions and the paradoxes, as with truth, by rejecting bivalence
or by understanding abstraction indexically. Refs.: H. P. Grice, “Why I don’t
use ‘logic,’ but I use ‘semantic.’”Grice was careful with what he felt was an
abuse of ‘semantic’v. Evans: “Meaning and truth: essayis in semantics.” “Well,
that’s what ‘meaning’ means, right?” The semantics is more reated to the
signatum than to the significatum. The Grecians did not have anything remotely
similar to the significatum, which is all about the making (facere) of a sign
(as in Grice’s example of the handwave). This is the meaning Grice gives to
‘semantics.’ There is no need for the handwave to be part of a system of
communication, or have syntactic structure, or be ‘arbitrary.’ Still, one thing
is communicated from the emissor to his recipient, and that is all count. “I
know the route” is the message, or “I will leave you soon.” The handwave may be
ambiguous. Grice is aware that formalists like Hilbert and Gentzen think that
they can do without semanticsbut as long as there is something ‘transmitted,’
or ‘messaged,’ it cannot. In the one-off predicament, Emissor E emits x and
communicates that p. Since an intention with a content involving a
psychological state is involved and attached, even in a one-off, to ‘x,’ we can
legitimately say the scenario may be said to describe a ‘semantic’ phenomenon. Grice
would freely use ‘semantic,’ and the root for ‘semantics,’ that Grice does use,
involves the richest root of all Grecian roots: the ‘semion.’ Liddell and Scott
have “τό σημεῖον,” Ion. σημήϊον , Dor. σα_μήϊον IG12(3).452 (Thera, iv B.C.),
σα_μεῖον IPE12.352.25 (Chersonesus, ii B.C.), IG5(1).1390.16 (Andania, i B.C.),
σα_μᾶον CIG5168 (Cyrene); = σῆμα in all senses, and more common in Prose, but
never in Hom. or Hes.; and which they render as “mark by which a thing is
known,” Hdt.2.38;” they also have “τό σῆμα,” Dor. σᾶμα Berl.Sitzb.1927.161
(Cyrene), etc.; which they render as “sign, mark, token,” “ Il.10.466, 23.326,
Od.19.250, etc.” Grice lectured not only on Cat. But the next, De Int. As
Arsitotle puts it, an expression is a symbol (symbolon) or sign (semeion) of an
affections or impression (pathematon) of the soul (psyche). An affection of the
soul, of which a word is primarily a
sign, are the same for the whole of mankind, as is also objects (pragmaton) of
which the affections is a representation or likenes, image, or copiy
(homoiomaton). [De Int., 1.16a4] while Grice is NOT concerned about the
semantics of utterers meaning (how could he, when he analyses means
in terms of intends , he is about
the semantics of expression-meaning. Grices
second stage (expression meaing) of his programme about meaning begins with
specifications of means as applied to x, a token of X. He is having Tarski and
Davidson in their elaborations of schemata like ‘p’ ‘means’ that p. ‘Snow
is white’ ‘means’ that snow is white, and stuff! Grice was especially concerned
with combinatories, for both unary and dyadic operators, and with multiple
quantifications within a first-order predicate calculus with identity. Since in
Grice’s initial elaboration on meaning he relies on Stevenson, it is worth
exploring how ‘semantics’ and ‘semiotics’ were interpreted by Peirce and the
emotivists. Stevenson’s main source is however in the other place, though,
under Stevenson. SemanticscommunicationH. P. Grice, “Implicaturum and
Explicature: The basis of communication”“Communication and Intention” --
philosophy of language, the philosophical study of natural language and its
workings, particularly of linguistic meaning and the use of language. A natural
language is any one of the thousands of various tongues that have developed
historically among populations of human beings and have been used for everyday
purposes including English, , Swahili,
and Latin as opposed to the formal and
other artificial “languages” invented by mathematicians, logicians, and
computer scientists, such as arithmetic, the predicate calculus, and LISP or
COBOL. There are intermediate cases, e.g., Esperanto, Pig Latin, and the sort
of “philosophese” that mixes English words with logical symbols. Contemporary
philosophy of language centers on the theory of meaning, but also includes the
theory of reference, the theory of truth, philosophical pragmatics, and the
philosophy of linguistics. The main question addressed by the theory of meaning
is: In virtue of what are certain physical marks or noises meaningful
linguistic expressions, and in virtue of what does any particular set of marks
or noises have the distinctive meaning it does? A theory of meaning should also
give a comprehensive account of the “meaning phenomena,” or general semantic
properties of sentences: synonymy, ambiguity, entailment, and the like. Some
theorists have thought to express these questions and issues in terms of
languageneutral items called propositions: ‘In virtue of what does a particular
set of marks or noises express the proposition it does?’; cf. ‘ “La neige est
blanche” expresses the proposition that snow is white’, and ‘Synonymous
sentences express the same proposition’. On this view, to understand a sentence
is to “grasp” the proposition expressed by that sentence. But the explanatory
role and even the existence of such entities are disputed. It has often been
maintained that certain special sentences are true solely in virtue of their
meanings and/or the meanings of their component expressions, without regard to
what the nonlinguistic world is like ‘No bachelor is married’; ‘If a thing is
blue it is colored’. Such vacuously true sentences are called analytic.
However, Quine and others have disputed whether there really is such a thing as
analyticity. Philosophers have offered a number of sharply competing hypotheses
as to the nature of meaning, including: 1 the referential view that words mean
by standing for things, and that a sentence means what it does because its
parts correspond referentially to the elements of an actual or possible state
of affairs in the world; 2 ideational or mentalist theories, according to which
meanings are ideas or other psychological phenomena in people’s minds; 3 “use”
theories, inspired by Vitters and to a lesser extent by J. L. Austin: a
linguistic expression’s “meaning” is its conventionally assigned role as a
game-piece-like token used in one or more existing social practices; 4 H. P.
Grice’s hypothesis that a sentence’s or word’s meaning is a function of what
audience response a typical utterer would intend to elicit in uttering it. 5
inferential role theories, as developed by Wilfrid Sellars out of Carnap’s and
Vitters’s views: a sentence’s meaning is specified by the set of sentences from
which it can correctly be inferred and the set of those which can be inferred
from it Sellars himself provided for “language-entry” and “language-exit” moves
as partly constitutive of meaning, in addition to inferences; 6
verificationism, the view that a sentence’s meaning is the set of possible
experiences that would confirm it or provide evidence for its truth; 7 the
truth-conditional theory: a sentence’s meaning is the distinctive condition
under which it is true, the situation or state of affairs that, if it obtained,
would make the sentence true; 8 the null hypothesis, or eliminativist view,
that “meaning” is a myth and there is no such thing a radical claim that can stem either from
Quine’s doctrine of the indeterminacy of translation or from eliminative
materialism in the philosophy of mind. Following the original work of Carnap,
Alonzo Church, Hintikka, and Richard Montague in the 0s, the theory of meaning
has made increasing use of “possible worlds”based intensional logic as an
analytical apparatus. Propositions sentence meanings considered as entities,
and truth conditions as in 7 above, are now commonly taken to be structured
sets of possible worlds e.g., the set of
worlds in which Aristotle’s maternal grandmother hates broccoli. And the
structure imposed on such a set, corresponding to the intuitive constituent
structure of a proposition as the concepts ‘grandmother’ and ‘hate’ are
constituents of the foregoing proposition, accounts for the meaning-properties
of sentences that express the proposition. Theories of meaning can also be
called semantics, as in “Gricean semantics” or “Verificationist semantics,”
though the term is sometimes restricted to referential and/or truth-conditional
theories, which posit meaning-constitutive relations between words and the
nonlinguistic world. Semantics is often contrasted with syntax, the structure
of grammatically permissible ordering relations between words and other words
in well-formed sentences, and with pragmatics, the rules governing the use of
meaningful expressions in particular speech contexts; but linguists have found
that semantic phenomena cannot be kept purely separate either from syntactic or
from pragmatic phenomena. In a still more specialized usage, linguistic
semantics is the detailed study typically within the truth-conditional format
of particular types of construction in particular natural languages, e.g.,
belief-clauses in English or adverbial phrases in Kwakiutl. Linguistic
semantics in that sense is practiced by some philosophers of language, by some
linguists, and occasionally by both working together. Montague grammar and
situation semantics are common formats for such work, both based on intensional
logic. The theory of referenceis pursued whether or not one accepts either the
referential or the truthconditional theory of meaning. Its main question is: In
virtue of what does a linguistic expression designate one or more things in the
world? Prior to theorizing and defining of technical uses, ‘designate’,
‘denote’, and ‘refer’ are used interchangeably. Denoting expressions are
divided into singular terms, which purport to designate particular individual
things, and general terms, which can apply to more than one thing at once.
Singular terms include proper names ‘Cindy’, ‘Bangladesh’, definite
descriptions ‘my brother’, ‘the first baby born in the New World’, and singular
pronouns of various types ‘this’, ‘you’, ‘she’. General terms include common
nouns ‘horse’, ‘trash can’, mass terms ‘water’, ‘graphite’, and plural pronouns
‘they’, ‘those’. The twentieth century’s dominant theory of reference has been
the description theory, the view that linguistic terms refer by expressing
descriptive features or properties, the referent being the item or items that
in fact possess those properties. For example, a definite description does that
directly: ‘My brother’ denotes whatever person does have the property of being
my brother. According to the description theory of proper names, defended most
articulately by Russell, such names express identifying properties indirectly
by abbreviating definite descriptions. A general term such as ‘horse’ was
thought of as expressing a cluster of properties distinctive of horses; and so
forth. But the description theory came under heavy attack in the late 0s, from
Keith Donnellan, Kripke, and Putnam, and was generally abandoned on each of
several grounds, in favor of the causal-historical theory of reference. The
causal-historical idea is that a particular use of a linguistic expression
denotes by being etiologically grounded in the thing or group that is its
referent; a historical causal chain of a certain shape leads backward in time
from the act of referring to the referents. More recently, problems with the
causal-historical theory as originally formulated have led researchers to
backpedal somewhat and incorporate some features of the description theory.
Other views of reference have been advocated as well, particularly analogues of
some of the theories of meaning listed above
chiefly 26 and 8. Modal and propositional-attitude contexts create
special problems in the theory of reference, for referring expressions seem to
alter their normal semantic behavior when they occur within such contexts. Much
ink has been spilled over the question of why and how the substitution of a
term for another term having exactly the same referent can change the
truth-value of a containing modal or propositional-attitude sentence.
Interestingly, the theory of truth historically predates articulate study of
meaning or of reference, for philosophers have always sought the nature of
truth. It has often been thought that a sentence is true in virtue of
expressing a true belief, truth being primarily a property of beliefs rather
than of linguistic entities; but the main theories of truth have also been
applied to sentences directly. The correspondence theory maintains that a
sentence is true in virtue of its elements’ mirroring a fact or actual state of
affairs. The coherence theory instead identifies truth as a relation of the
true sentence to other sentences, usually an epistemic relation. Pragmatic
theories have it that truth is a matter either of practical utility or of
idealized epistemic warrant. Deflationary views, such as the traditional redundancy
theory and D. Grover, J. Camp, and N. D. Belnap’s prosentential theory, deny
that truth comes to anything more important or substantive than what is already
codified in a recursive Tarskian truth-definition for a language. Pragmatics
studies the use of language in context, and the context-dependence of various
aspects of linguistic interpretation. First, one and the same sentence can
express different meanings or propositions from context to context, owing to
ambiguity or to indexicality or both. An ambiguous sentence has more than one
meaning, either because one of its component words has more than one meaning as
‘bank’ has or because the sentence admits of more than one possible syntactic
analysis ‘Visiting doctors can be tedious’, ‘The mouse tore up the street’. An
indexical sentence can change in truth-value from context to context owing to
the presence of an element whose reference fluctuates, such as a demonstrative
pronoun ‘She told him off yesterday’, ‘It’s time for that meeting now’. One branch
of pragmatics investigates how context determines a single propositional
meaning for a sentence on a particular occasion of that sentence’s use. Speech
act theory is a second branch of pragmatics that presumes the propositional or
“locutionary” meanings of utterances and studies what J. L. Austin called the
illocutionary forces of those utterances, the distinctive types of linguistic
act that are performed by the speaker in making them. E.g., in uttering ‘I will
be there tonight’, a speaker might be issuing a warning, uttering a threat,
making a promise, or merely offering a prediction, depending on conventional
and other social features of the situation. A crude test of illocutionary force
is the “hereby” criterion: one’s utterance has the force of, say, a warning, if
it could fairly have been paraphrased by the corresponding “explicitly
performative” sentence beginning ‘I hereby warn you that . . .’..Speech act
theory interacts to some extent with semantics, especially in the case of
explicit performatives, and it has some fairly dramatic syntactic effects as
well. A third branch of pragmatics not altogether separate from the second is
the theory of conversation or theory of implicaturum, founded by H. P. Grice.
Grice notes that sentences, when uttered in particular contexts, often generate
“implications” that are not logical consequences of those sentences ‘Is Jones a
good philosopher?’ ’He has very neat
handwriting’. Such implications can usually be identified as what the speaker
meant in uttering her sentence; thus for that reason and others, what Grice
calls utterer’s meaning can diverge sharply from sentence-meaning or “timeless”
meaning. To explain those non-logical implications, Grice offered a now widely
accepted theory of conversational implicaturum. Conversational implicaturums
arise from the interaction of the sentence uttered with mutually shared
background assumptions and certain principles of efficient and cooperative
conversation. The philosophy of linguistics studies the academic discipline of
linguistics, particularly theoretical linguistics considered as a science or
purported science; it examines methodology and fundamental assumptions, and
also tries to incorporate linguists’ findings into the rest of philosophy of
language. Theoretical linguistics concentrates on syntax, and took its
contemporary form in the 0s under Zellig Harris and Chomsky: it seeks to
describe each natural language in terms of a generative grammar for that
language, i.e., a set of recursive rules for combining words that will generate
all and only the “well-formed strings” or grammatical sentences of that
language. The set must be finite and the rules recursive because, while our
informationprocessing resources for recognizing grammatical strings as such are
necessarily finite being subagencies of our brains, there is no limit in any
natural language either to the length of a single grammatical sentence or to
the number of grammatical sentences; a small device must have infinite
generative and parsing capacity. Many grammars work by generating simple “deep
structures” a kind of tree diagram, and then producing multiple “surface
structures” as variants of those deep structures, by means of rules that
rearrange their parts. The surface structures are syntactic parsings of
natural-language sentences, and the deep structures from which they derive
encode both basic grammatical relations between the sentences’ major
constituents and, on some theories, the sentences’ main semantic properties as
well; thus, sentences that share a deep structure will share some fundamental
grammatical properties and all or most of their semantics. As Paul Ziff and
Davidson saw in the 0s, the foregoing syntactic problem and its solution had
semantic analogues. From small resources, human speakers understand compute the meanings of arbitrarily long and novel sentences without
limit, and almost instantaneously. This ability seems to require semantic
compositionality, the thesis that the meaning of a sentence is a function of
the meanings of its semantic primitives or smallest meaningful parts, built up
by way of syntactic compounding. Compositionality also seems to be required by
learnability, since a normal child can learn an infinitely complex dialect in
at most two years, but must learn semantic primitives one at a time. A grammar
for a natural language is commonly taken to be a piece of psychology, part of
an explanation of speakers’ verbal abilities and behavior. As such, however, it
is a considerable idealization: it is a theory of speakers’ linguistic
“competence” rather than of their actual verbal performance. The latter
distinction is required by the fact that speakers’ considered, reflective
judgments of grammatical correctness do not line up very well with the class of
expressions that actually are uttered and understood unreflectively by those
same speakers. Some grammatical sentences are too hard for speakers to parse
quickly; some are too long to finish parsing at all; speakers commonly utter
what they know to be formally ungrammatical strings; and real speech is usually
fragmentary, interspersed with vocalizations, false starts, and the like.
Actual departures from formal grammaticality are ascribed by linguists to
“performance limitations,” i.e., psychological factors such as memory failure,
weak computational capacity, or heedlessness; thus, actual verbal behavior is
to be explained as resulting from the perturbation of competence by performance
limitations. Refs.: The main sources are
his lectures on language and realitypart of them repr. in WOW. The keywords
under ‘communication,’ and ‘signification,’ that Grice occasionally uses ‘the
total signification’ of a remark, above, BANC. -- semantic holism, a
metaphysical thesis about the nature of representation on which the meaning of
a symbol is relative to the entire system of representations containing it.
Thus, a linguistic expression can have meaning only in the context of a
language; a hypothesis can have significance only in the context of a theory; a
concept can have intentionality only in the context of the belief system.
Holism about content has profoundly influenced virtually every aspect of
contemporary theorizing about language and mind, not only in philosophy, but in
linguistics, literary theory, artificial intelligence, psychology, and
cognitive science. Contemporary semantic holists include Davidson, Quine,
Gilbert Harman, Hartry Field, and Searle. Because semantic holism is a
metaphysical and not a semantic thesis, two theorists might agree about the
semantic facts but disagree about semantic holism. So, e.g., nothing in
Tarski’s writings determines whether the semantic facts expressed by the
theorems of an absolute truth semantic atomism semantic holism 829 829 theory are holistic or not. Yet
Davidson, a semantic holist, argued that the correct form for a semantic theory
for a natural language L is an absolute truth theory for L. Semantic theories,
like other theories, need not wear their metaphysical commitments on their
sleeves. Holism has some startling consequences. Consider this. Franklin D.
Roosevelt who died when the United States still had just forty-eight states did
not believe there were fifty states, but I do; semantic holism says that what
‘state’ means in our mouths depends on the totality of our beliefs about states,
including, therefore, our beliefs about how many states there are. It seems to
follow that he and I must mean different things by ‘state’; hence, if he says
“Alaska is not a state” and I say “Alaska is a state” we are not disagreeing.
This line of argument leads to such surprising declarations as that natural
langauges are not, in general, intertranslatable Quine, Saussure; that there
may be no fact of the matter about the meanings of texts Putnam, Derrida; and
that scientific theories that differ in their basic postulates are “empirically
incommensurable” Paul Feyerabend, Kuhn. For those who find these consequences
of semantic holism unpalatable, there are three mutually exclusive responses:
semantic atomism, semantic molecularism, or semantic nihilism. Semantic
atomists hold that the meaning of any representation linguistic, mental, or
otherwise is not determined by the meaning of any other representation.
Historically, Anglo- philosophers in the eighteenth and nineteenth centuries
thought that an idea of an X was about X’s in virtue of this idea’s physically
resembling X’s. Resemblance theories are no longer thought viable, but a number
of contemporary semantic atomists still believe that the basic semantic
relation is between a concept and the things to which it applies, and not one
among concepts themselves. These philosophers include Dretske, Dennis Stampe,
Fodor, and Ruth Millikan. Semantic molecularism, like semantic holism, holds
that the meaning of a representation in a language L is determined by its
relationships to the meanings of other expressions in L, but, unlike holism,
not by its relationships to every other expression in L. Semantic molecularists
are committed to the view, contrary to Quine, that for any expression e in a
language L there is an in-principle way of distinguishing between those
representations in L the meanings of which determine the meaning of e and those
representations in L the meanings of which do not determine the meaning of e.
Traditionally, this inprinciple delimitation is supported by an
analytic/synthetic distinction. Those representations in L that are
meaning-constituting of e are analytically connected to e and those that are
not meaning-constituting are synthetically connected to e. Meaning molecularism
seems to be the most common position among those philosophers who reject
holism. Contemporary meaning molecularists include Michael Devitt, Dummett, Ned
Block, and John Perry. Semantic nihilism is perhaps the most radical response
to the consequences of holism. It is the view that, strictly speaking, there
are no semantic properties. Strictly speaking, there are no mental states;
words lack meanings. At least for scientific purposes and perhaps for other
purposes as well we must abandon the notion that people are moral or rational
agents and that they act out of their beliefs and desires. Semantic nihilists
include among their ranks Patricia and Paul Churchland, Stephen Stich, Dennett,
and, sometimes, Quine. -- semantic
paradoxes, a collection of paradoxes involving the semantic notions of truth,
predication, and definability. The liar paradox is the oldest and most widely
known of these, having been formulated by Eubulides as an objection to
Aristotle’s correspondence theory of truth. In its simplest form, the liar
paradox arises when we try to assess the truth of a sentence or proposition
that asserts its own falsity, e.g.: A Sentence A is not true. It would seem
that sentence A cannot be true, since it can be true only if what it says is
the case, i.e., if it is not true. Thus sentence A is not true. But then, since
this is precisely what it claims, it would seem to be true. Several alternative
forms of the liar paradox have been given their own names. The postcard
paradox, also known as a liar cycle, envisions a postcard with sentence B on
one side and sentence C on the other: B The sentence on the other side of this
card is true. semantic molecularism semantic paradoxes 830 830 C The sentence on the other side of
this card is false. Here, no consistent assignment of truth-values to the pair
of sentences is possible. In the preface paradox, it is imagined that a book
begins with the claim that at least one sentence in the book is false. This
claim is unproblematically true if some later sentence is false, but if the
remainder of the book contains only truths, the initial sentence appears to be
true if and only if false. The preface paradox is one of many examples of
contingent liars, claims that can either have an unproblematic truth-value or
be paradoxical, depending on the truth-values of various other claims in this
case, the remaining sentences in the book. Related to the preface paradox is
Epimenedes’ paradox: Epimenedes, himself from Crete, is said to have claimed
that all Cretans are liars. This claim is paradoxical if interpreted to mean
that Cretans always lie, or if interpreted to mean they sometimes lie and if no
other claim made by Epimenedes was a lie. On the former interpretation, this is
a simple variation of the liar paradox; on the latter, it is a form of
contingent liar. Other semantic paradoxes include Berry’s paradox, Richard’s
paradox, and Grelling’s paradox. The first two involve the notion of
definability of numbers. Berry’s paradox begins by noting that names or
descriptions of integers consist of finite sequences of syllables. Thus the
three-syllable sequence ‘twenty-five’ names 25, and the seven-syllable sequence
‘the sum of three and seven’ names ten. Now consider the collection of all
sequences of English syllables that are less than nineteen syllables long. Of
these, many are nonsensical ‘bababa’ and some make sense but do not name
integers ‘artichoke’, but some do ‘the sum of three and seven’. Since there are
only finitely many English syllables, there are only finitely many of these sequences,
and only finitely many integers named by them. Berry’s paradox arises when we
consider the eighteen-syllable sequence ‘the smallest integer not nameable in
less than nineteen syllables’. This phrase appears to be a perfectly
well-defined description of an integer. But if the phrase names an integer n,
then n is nameable in less than nineteen syllables, and hence is not described
by the phrase. Richard’s paradox constructs a similarly paradoxical description
using what is known as a diagonal construction. Imagine a list of all finite
sequences of letters of the alphabet plus spaces and punctuation, ordered as in
a dictionary. Prune this list so that it contains only English definitions of
real numbers between 0 and 1. Then consider the definition: “Let r be the real
number between 0 and 1 whose kth decimal place is if the kth decimal place of the number named
by the kth member of this list is 1, and 0 otherwise’. This description seems
to define a real number that must be different from any number defined on the
list. For example, r cannot be defined by the 237th member of the list, because
r will differ from that number in at least its 237th decimal place. But if it
indeed defines a real number between 0 and 1, then this description should
itself be on the list. Yet clearly, it cannot define a number different from
the number defined by itself. Apparently, the definition defines a real number
between 0 and 1 if and only if it does not appear on the list of such
definitions. Grelling’s paradox, also known as the paradox of heterologicality,
involves two predicates defined as follows. Say that a predicate is
“autological” if it applies to itself. Thus ‘polysyllabic’ and ‘short’ are
autological, since ‘polysyllabic’ is polysyllabic, and ‘short’ is short. In
contrast, a predicate is “heterological” if and only if it is not autological.
The question is whether the predicate ‘heterological’ is heterological. If our
answer is yes, then ‘heterological’ applies to itself and so is autological, not heterological. But
if our answer is no, then it does not apply to itself and so is heterological, once again
contradicting our answer. The semantic paradoxes have led to important work in
both logic and the philosophy of language, most notably by Russell and Tarski.
Russell developed the ramified theory of types as a unified treatment of all
the semantic paradoxes. Russell’s theory of types avoids the paradoxes by
introducing complex syntactic conditions on formulas and on the definition of
new predicates. In the resulting language, definitions like those used in
formulating Berry’s and Richard’s paradoxes turn out to be ill-formed, since
they quantify over collections of expressions that include themselves,
violating what Russell called the vicious circle principle. The theory of types
also rules out, on syntactic grounds, predicates that apply to themselves, or
to larger expressions containing those very same predicates. In this way, the
liar paradox and Grelling’s paradox cannot be constructed within a language
conforming to the theory of types. Tarski’s attention to the liar paradox made
two fundamental contributions to logic: his development of semantic techniques
for defining the truth predicate for formalized languages and his proof of
Tarski’s theorem. Tarskian semantics avoids the liar paradox by starting with a
formal language, call it L, in which no semantic notions are expressible, and
hence in which the liar paradox cannot be formulated. Then using another
language, known as the metalanguage, Tarski applies recursive techniques to
define the predicate true-in-L, which applies to exactly the true sentences of
the original language L. The liar paradox does not arise in the metalanguage,
because the sentence D Sentence D is not true-in-L. is, if expressible in the metalanguage,
simply true. It is true because D is not a sentence of L, and so a fortiori not
a true sentence of L. A truth predicate for the metalanguage can then be
defined in yet another language, the metametalanguage, and so forth, resulting
in a sequence of consistent truth predicates. Tarski’s theorem uses the liar
paradox to prove a significant result in logic. The theorem states that the
truth predicate for the first-order language of arithmetic is not definable in
arithmetic. That is, if we devise a systematic way of representing sentences of
arithmetic by numbers, then it is impossible to define an arithmetical
predicate that applies to all and only those numbers that represent true
sentences of arithmetic. The theorem is proven by showing that if such a
predicate were definable, we could construct a sentence of arithmetic that is
true if and only if it is not true: an arithmetical version of sentence A, the
liar paradox. Both Russell’s and Tarski’s solutions to the semantic paradoxes
have left many philosophers dissatisfied, since the solutions are basically
prescriptions for constructing languages in which the paradoxes do not arise.
But the fact that paradoxes can be avoided in artificially constructed
languages does not itself give a satisfying explanation of what is going wrong
when the paradoxes are encountered in natural language, or in an artificial
language in which they can be formulated. Most recent work on the liar paradox,
following Kripke’s “Outline of a Theory of Truth” 5, looks at languages in
which the paradox can be formulated, and tries to provide a consistent account
of truth that preserves as much as possible of the intuitive notion.
semeiotics: semiological: or is it semiotics? Cf. semiological,
semotic. Since Grice uses ‘philosophical psychology’ and ‘philosopical
biology,’ it may do to use ‘semiology,’ indeed ‘philosophical semiology,’ here.
Oxonian semiotics is unique. Holloway
published his “Language and Intelligence” and everyone was excited. It is best
to see this as Grices psychologism. Grice would rarely use ‘intelligent,’ less
so the more pretentious, ‘intelligence,’ as a keyword. If he is doing it, it is
because what he saw as the misuse of it by Ryle and Holloway. Holloway, a PPE,
is a tutorial fellow in philosophy at All Souls. He acknowledges Ryle as his
mentor. (Holloway also quotes from Austin). Grice was amused that J. N.
Findlay, in his review of Holloway’s essay in “Mind,” compares Holloway to C.
W. Morris, and cares to cite the two relevant essay by Morris: The Foundation
in the theory of signs, and Signs, Language, and Behaviour. Enough for Grice to
feel warmly justified in having chosen another New-World author, Peirce, for
his earlier Oxford seminar. Morris studied under G. H. Mead. But is
‘intelligence’ part of The Griceian Lexicon?Well, Lewis and Short have
‘interlegere,’ to chose between. Lewis and Short have ‘interlĕgo , lēgi, lectum,
3, v. a., I’.which they render it as “to cull or pluck off here and there
(poet. and postclass.).in tmesi) uncis Carpendae manibus frondes, interque
legendae, Verg. G. 2, 366: “poma,” Pall. Febr. 25, 16; id. Jun. 5, 1.intellĕgo
(less correctly intellĭgo), exi, ectum (intellexti for intellexisti, Ter. Eun.
4, 6, 30; Cic. Att. 13, 32, 3: I.“intellexes for intellexisses,” Plaut. Cist.
2, 3, 81; subj. perf.: “intellegerint,” Sall. H. Fragm. 1, 41, 23 Dietsch);
“inter-lego,” “to see into, perceive, understand.” I. Lit. A. Lewis and Short
render as “to perceive, understand, comprehend.” Cf. Grice on his handwriting
being legible to few. And The child is an adult as being UNintelligible until
the creature is produced. In “Aspects,” he mentions flat rationality, and
certain other talents that are more difficult for the philosopher to
conceptualise, such as nose (i.e. intuitiveness), acumen, tenacity, and
such. Grices approach is Pological. If Locke had used intelligent to refer
to Prince Maurices parrot, Grice wants to find criteria for intelligent as
applied to his favourite type of P, rather (intelligent, indeed rational.). semiosis
from Grecian semeiosis, ‘observation of signs’, the relation of signification
involving the three relata of sign, object, and mind. Semiotic is the science
or study of semiosis. The semiotic of John of Saint Thomas and of Peirce
includes two distinct components: the relation of signification and the
classification of signs. The relation of signification is genuinely triadic and
cannot be reduced to the sum of its three subordinate dyads: sign-object,
sign-mind, object-mind. A sign represents an object to a mind just as A gives a
gift to B. Semiosis is not, as it is often taken to be, a mere compound of a
sign-object dyad and a sign-mind dyad because these dyads lack the essential
intentionality that unites mind with object; similarly, the gift relation
involves not just A giving and B receiving but, crucially, the intention
uniting A and B. In the Scholastic logic of John of Saint Thomas, the
sign-object dyad is a categorial relation secundum esse, that is, an essential
relation, falling in Aristotle’s category of relation, while the sign-mind dyad
is a transcendental relation secundum dici, that is, a relation only in an
analogical sense, in a manner of speaking; thus the formal rationale of
semiosis is constituted by the sign-object dyad. By contrast, in Peirce’s
logic, the sign-object dyad and the sign-mind dyad are each only potential
semiosis: thus, the hieroglyphs of ancient Egypt were merely potential signs
until the discovery of the Rosetta Stone, just as a road-marking was a merely
potential sign to the driver who overlooked it. Classifications of signs
typically follow from the logic of semiosis. Thus John of Saint Thomas divides
signs according to their relations to their objects into natural signs smoke as
a sign of fire, customary signs napkins on the table as a sign that dinner is
imminent, and stipulated signs as when a neologism is coined; he also divides
signs according to their relations to a mind. An instrumental sign must first
be cognized as an object before it can signify e.g., a written word or a
symptom; a formal sign, by contrast, directs the mind to its object without
having first been cognized e.g., percepts and concepts. Formal signs are not
that which we cognize but that by which we cognize. All instrumental signs
presuppose the action of formal signs in the semiosis of cognition. Peirce
similarly classified signs into three trichotomies according to their relations
with 1 themselves, 2 their objects, and 3 their interpretants usually minds;
and Charles Morris, who followed Peirce closely, called the relationship of
signs to one another the syntactical dimension of semiosis, the relationship of
signs to their objects the semantical dimension of semiosis, and the
relationship of signs to their interpreters the pragmatic dimension of
semiosis. Refs.: The most specific essay
is his lecture on Peirce, listed under ‘communication, above. A reference to
‘criteria of intelligence relates. The H. P. Grice Papers, BANC.
mittente – trasmittente – destinatario – ricevente --. sender: Grice: “Italian has it easy: there’s
the mittente – from the Latin, of course – and there’s the destinatario --; but
even if it is not “linguaggio filosofico,” Italian philosophers like to play:
so there’s also the “trasmittente” and the “ricevente.” My theory exactly.”
Grice: “Surely, if there is a ‘recipient,’ there must be a ‘sender.’” Grice: “I
prefer ‘sender’ as correlative for ‘recipient,’ since there is an embedded
intentionality about it.” Cf. Sting, “Message in a bottlesending out an S. O.
S.”Grice: “Addresser and addressee sound otiose.”Grice: “Then there’s this
jargon of the ‘target’ addressee’while we are in the metaphorical mode!” --
emissor: utterer: cf. emissum,
emissor. Usually Homo sapiens sapiensand usually Oxonian, the Homo sapiens
sapiens Grice interactes with. Sometimes tutees, sometimes tutor. There is
something dualistic about the ‘utterer.’ It is a vernacularism from English
‘out.’ So the French impressionists were into IM-pressing, out to in; the
German expressionists were into EX-pressing, in to out. Or ‘man’. The important
thing is for Grice to avoid ‘speaker.’ He notes that ‘utterance’ has a nice
fuzziness about it. He still notes that he is using ‘utter’ in a ‘perhaps
artificial’ way. He was already wedded to ‘utter’ in his talk for the Oxford Philosopical Society.
Grice does not elaborate much on general gestures or signals. His main example
is a sort of handwave by which the emissor communicates that either he knows
the route or that he is about to leave the addressee. Even this is complex.
Let’s try to apply his final version of communication to the hand-wave. The
question of “Homo sapiens sapiens” is an interesting one. Grice is all for
ascribing predicates regarding the soul to what he calls the ‘lower animals’.
He is not ready to ascribe emissor’s meaning to them. Why? Because of Schiffer!
I mean, when it comes to the conditions of necessity of the reductive analysis,
he seems okay. When it comes to the sufficiency, there are two types of
objection. One by Urmson, easily dismissed. The second, first by Stampe and
Strawson, not so easily. But Grice agrees to add a clause limiting intentions
to be ‘in the open.’ Those who do not have a philosophical background usually
wonder about this. So for their sake, it may be worth considering Grice’s
synthetic a posteriori argument to refuse an emissor other than a Homo sapiens
sapiens to be able to ‘mean,’ if not ‘communicate,’ or ‘signify.’ There is an objection which is not mentioned by his
editors, which seems to Grice to be one to which Grice must respond. The
objection may be stated thus. One of the leading strands in Grice’s reductive
analysis of an emissor communicating that p is that communication is not to be
regarded exclusively, or even primarily, as a ‘feature’ of emissors who use what
philosophers of language call ‘language’ (Sprache, Taal, Langage, Linguaggioto
restrict to the philosophical lexicon, cf. Plato’s Cratylus), and a fortiori of
an emissor who emits this or that “linguistic” ‘utterance.’ There are many
instances of NOTABLY NON-“linguistic” vehicles or devices of communication,
within a communication-system, which fulfil this or that
communication-function; these vehicles or devices are mostly syntactically
un-structured or amorphous. Sometimes, a device may exhibit at least some
rudimentary syntactic structure, in that we may distinguish a totum from a pars
and identify a ‘simplex’ within a ‘complexum.’ Grice’s intention-based
reductive analysis of a communicatum, based on Aristotle, Locke, and Peirce, is
designed to allow for the possibility that a non-“linguistic,” and, further,
indeed a non-“conventional” 'utterance' token, perhaps even manifesting some
degree of syntactic structure, and not just a block of an amorphous signal, may
be within the ‘repertoire’ of ‘procedures’ of this or that organism, or
creature, or agent, which, even if not relying on any apparatus for
communication of the kind that that we may label ‘linguistic’ or otherwise
‘conventional,’ ‘do’ this or that ‘thing’
thereby ‘communicating’ that p, or q. To provide for this possibility, it is
plainly necessary that the key ingredient in any representation of
‘communicating,’ viz. intending that p, should be a ‘state’ of the emissor’s
soul the capacity for which does not require what we may label the ‘possession’
of, shall we say, a ‘faculty,’ of what philosophers call ‘a’ ‘language’
(Sprache, Taal, langue, linguanote that in German we do not distinguish between
‘die Deutsche Sprache’ and ‘Sprache’ as ‘ein Facultat.’). Now a philosopher,
relying on this or that neo-Prichardian reductive analysis of ‘intending that
p,’ may not be willing to allow the possibility of such, shall we call it,
pre-linguistic intending that p, or non-linguistic intending that p. Surely if
the emissor realizes that his addressee does not share what the Germans call
‘die Deutsche Sprache,” the emissor may still communicate with his addresse
this or that by doing this or that. E. g. he may simulate that he wants to
smoke a cigarette and wonders if his addressee has one to spare. Against that
objection, Grice surely wins the day. But Grice grants that winning the day on
THAT front may not be enough. And that is because, as far as Grice’s Oxonian
explorations on communication go, in a succession of increasingly elaborate
movesending with a ‘closure’ clause which cut this succession of increasingly
elaborate moves -- designed to thwart this or that scenario, later deemed
illegitimate, involving two rational agents where the emissor relies on an
‘inference-element’ that it is not the case that he intends his addressee will
recogiseGrice is led to restrict the ‘intending’ which is to constitute a case
of an emissor communicating that p to C-intending. Grice suspects that whatever
may be the case in general with regard to ‘intending,’ C-intending seems for
some reason to Grice to be unsophisticatedly, viz. plainly, too sophisticated a
‘state’ of a soul to be found in an organism, ‘pirot,’ creature, that we may
not want to deem ‘rational,’ or as the Germans would say, a creature that is
destitute of “Die Deutsche Sprache.” We need the pirot to be “very intelligent,
indeed rational.”Grice regrets that some may think that what he thought were
unavoidable rear-guard actions (ending with a complex reductive analysis of
C-intending) seem to have undermined the raison d'etre of the Griciean
campaign.”Unfortunately, Grice provides what he admittedly labels “a brief
reply” which “will have to suffice.” Why? Because “a full treatment would
require delving deep into crucial problems concerning the boundaries between
vicious and virtuous circularity.” Which is promising. It is not something
totally UNATTAINABLE. It reduces to the philosopher being virtuously circular,
only! Why is the ‘virtuous circle’ so crucialvide ‘circulus virtuosus.’ virtŭōsus , a, um, adj. virtus, I.virtuous, good (late
Lat.), Aug. c. Sec. Man. 10. A circle is virtuous if it is not that bad. In
this case, we need the ‘virtuous circle’ because we are dealing with ‘a loop.’
This is exactly Schiffer’s way of putting it in his ‘Introduction’ to Meaning
(second edition). There is a ‘conceptual loop.’ Schiffer is not interested in
‘communicating;’ only ‘meaning.’ But his point can be transferred. He is saying
that ‘U means that p,’ may rely on ‘U intends that p,’ where ‘U intends that p’
relies on ‘U means that p.’ There is a loop. In more generic terms:We have a
creature, call it a pirot P1 that, by doing thing T, communicates that p. Are
we talking of the OBSERVER? I hope so, because Grice’s favourite pirot is the
parrot. So we have Prince Maurice’s Parrot. Locke: Since I think I may be
confident, that, whoever should see a CREATURE of his own shape or make, though
it had no more reason all its life than a cat or a PARROT, would call him still
A MAN; or whoever should hear a cat or a parrot discourse, reason, and philosophize,
would call or think it nothing but a cat or a PARROT; and say, the one was A
DULL IRRATIONAL MAN, and the other A VERY INTELLIGENT RATIONAL PARROT. A
relation we have in an author of great note, is sufficient to countenance the
supposition of A RATIONAL PARROT. The author’s words are: I had a mind to know,
from Prince Maurice's own mouth, the account of a common, but much credited
story, that I had heard so often from many others, of an old parrot he has,
that speaks, and asks, and answers common questions, like A REASONABLE
CREATURE. So that those of his train there generally conclude it to be witchery
or possession; and one of his chaplains, would never from that time endure A
PARROT, but says all PARROTS have a devil in them. I had heard many particulars
of this story, and as severed by people hard to be discredited, which made me
ask Prince Maurice what there is of it. Prince Maurice says, with his usual
plainness and dryness in talk, there is something true, but a great deal false
of what is reported. I desired to know of him what there was of the first.
Prince Maurice tells me short and coldly, that he had HEARD of such A PARROT;
and though he believes nothing of it, and it was a good way off, yet he had so
much curiosity as to send for the parrot: that it was a very great parrot; and
when the parrot comes first into the room where Prince Maurice is, with a great
many men about him, the parrot says presently, What a nice company is here. One
of the men asks the parrot, ‘What thinkest thou that man is?,’ ostending his
finger, and pointing to Prince Maurice. The parrot answers, ‘Some general -- or
other.’ When the man brings the parrot close to Prince Maurice, Prince Maurice
asks the parrot., “D'ou venez-vous?” The parrot answers, “De Marinnan.” Then Prince
Maurice goes on, and poses a second question to the parrot. “A qui estes-vous?”
The Parrot answers: “A un Portugais.” Prince Maurice asks a third question.
“Que fais-tu la?” The parrot answers: “Je garde les poulles.”Prince Maurice
smiles, which pleases the Parrot. Prince Maurice, violating a Griceian maxim,
and being just informed that p, asks whether p. This is his fourth question.
“Vous gardez les poulles?” The Parrot answers, “Oui, moi; et je scai bien
faire.” The Parrott appeals to Peirce’s iconic system and makes the chuck four
or five times that a man uses to make to chickens when a man calls them. I set
down the words of this worthy dialogue in French, just as Prince Maurice said
them to me. I ask Prince Maurice in what ‘language’ the parrot speaks. Prince
Maurice says that the parrot speaks in Brazilian. I ask Prince William whether
he understands the Brazilian language. Prince Maurice says: No, but he has
taken care to have TWO interpreters by him, the one a Dutchman that spoke
Brazilian, and the other a Brazilian that spoke Dutch; that Prince Maurice
asked them separatelyand privately, and both of them AGREED in telling Prince
Maurice just the same thing that the parrot had said. I could not but tell this
ODD story, because it is so much out of the way, and from the first hand, and
what may pass for a good one; for I dare say Prince Maurice at least believed
himself in all he told me, having ever passed for a very honest and pious man.
I leave it to naturalists to reason, and to other men to believe, as they
please upon it. However, it is not, perhaps, amiss to relieve or enliven a busy
scene sometimes with such digressions, whether to the purpose or no.Locke takes
care that the reader should have the story at large in the author's own words, because
he seems to me not to have thought it incredible.For it cannot be imagined that
so able a man as he, who had sufficiency enough to warrant all the testimonies
he gives of himself, should take so much pains, in a place where it had nothing
to do, to pin so close, not only on a man whom he mentions as his friend, but
on a prince in whom he acknowledges very great honesty and piety, a story
which, if he himself thought incredible, he could not but also think
RIDICULOUS. Prince Maurice, it is plain, who vouches this story, and our
author, who relates it from him, both of them call this talker A PARROT. And
Locke asks any one else who thinks such a story fit to be told, whether, if
this PARROT, and all of its kind, had always talked, as we have a prince's word
for it this one did,- whether, I say, they would not have passed for a race of
RATIONAL ANIMALS; but yet, whether, for all that, they would have been allowed
to be MEN, and not PARROTS? For I presume it is not the idea of A THINKING OR
RATIONAL BEING alone that makes the idea of A MAN in most people's sense: but
of A BODY, so and so shaped, joined to it: and if that be the idea of a MAN,
the same successive body not shifted all at once, must, as well as THE SAME
IMMATERIAL SPIRIT, go to the making of the same MAN. So back to Grice’s pirotology.But first a precis of the
conversation, or languaging:PARROT: What a nice company is here.MAN (pointing
to Prince Maurice): What thinkest thou that man is?PARROT: Some general -- or
other. (i. e. the parrot displays what Grice calls ‘up-take.’ The parrot
recognizes the man’s c-intention. So far is ability to display uptake.PRINCE
MAURICE: D'ou venez-vous?PARROT: De Marinnan.PRINCE MAURICE: A qui
estes-vous?PARROT: A un Portugais.PRINCE MAURICE: Que fais-tu la?PARROT: Je
garde les poulles.PRINCE MAURICE SMILES and flouts a Griceian maxim: Vous
gardez les poulles?PARROT (losing patience, and grasping the Prince’s
implicaturum that he doubts it): Oui, moi. Et je scai bien faire.(The Parrott
then appeals to Peirce’s iconic system and makes the chuck five times that a
man uses to make to chickens when a man calls them.)So back to Grice:“According
to my most recent speculations about communication, one should distinguish
between what I call the ‘factual’ or ‘de facto’ character of behind the state
of affairs that one might describe as ‘rational agent A communicates that p,’
for those communication-relevant features which obtain or are present in the
circumstances) the ‘titular’ or ‘de jure’ character, viz. the nested C-intending
which is only deemed to be present. And the reason Grice calls it ‘nested’ is
that it involves three sub-intentions:(C) Emissor E communicates that (psi*) p
iff Emissor E c-intends that A recognises that E psi-s that p iffC1: Emissor E
intends A to recognise that A psi-s that p.C2: Emissor intends that A recognise
C1 by A recognising C2C3: There is no inference-element which is C-constitutive
such that Emissor relies on it and yet does not intend A to
recognise.Grice:“The titular or de jure character of the state of affairs that
is described as “Emissor communicates that p,” involves self-reference in the
closure clause regarding the third intention, C3, may be thought as being
‘regressive,’ or involving what mathematicians mean when they use “, …;” and
the translators of Aristotle, ‘eis apeiron,’ translated as ‘ad infinitum.’There
may be ways of UNDEEMING this, i. e. of stating that self-reference and closure
are meant to BLOCK an infinite regress. Hence the circle, if there is oneone
feature of a virtuous circle is that it doesn’t look like a circle simpliciter
-- would be virtuous. The ‘de jure’
character stands for a situation which, in Grice’s words, is “infinitely
complex,” and so cannot be actually present in totoonly DEEMED to be.”“In which
case,” Grice concludes pointing to the otiosity or rendering inoperative, “to
point out that THE INCONCEIVABLE actual presence of the ‘de jure’ character of
‘Emissor communicates that p’ WOULD, still, be possible, or would be
detectable, only via the ‘use’ of something like ‘die Deutsche Sprache’ seem to
serve little, if any, purpose.”“At its most meagre, the factual or ‘de facto’
character consists merely in the pre-rational ‘counterpart’ of the state of
affairs describable by “Emissor E communicates that p,” which might amount to
no more than making a certain sort of utterance in order thereby to get some
creature to think or want some particular thing.This meagre condition does not
involve a reference to any expertise regarding anything like ‘die Deutsche Sprache.’Let’s
reformulate the condition.It’s just a pirot, at a ‘pre-rational’ level. The
pirot does a thing T IN ORDER THEREBY to get some other pirot to think or do
some particular thing. To echo Hare,Die Tur ist geschlossen, ja.Die Tur ist
geschlossen, bitte.Grice continues as a corollary: “Maybe in a less
straightforward instance of “Emissor E communicates that p” there is actually
present the C-intention whose feasibility as an ‘intention’ suggests some
ability to use ‘die Deutsche Sprache.’But vide “non-verbal communication,”
pre-verbal communication, languaging, pre-conventional communication, gestural
communicationas in What Grice has as “a gesture (a signal).” Not necessary
‘conventional,’ and MAYBE ‘established’is one-off sufficient for ‘established’?
I think so. By waving his hand in a particular way (“a particular sort of hand
wave”), the emissor communicates that he knows the route (or is about to leave
the addressee). Grice concludes about
the less straightforward instances, that there can be no advance guarantee when
this will be so, i. e. that there is actually present the C-intention whose
feasibility as an intention points to some capacity to use ‘die Deutsche
Sprache.’Grice adds: “It is in any case arguable that the use of ‘die Deutsche
Sprache’ would here be an indispensable aid to philosophising about
communication, rather than it being an element in the PHILOSOPHISING about
communication! Philosophers of Grice’s generation use ‘man’ on purpose to mean
‘mankind’. What a man means. What a man utters. The utterer is the man. In
semiotics one can use something more Latinate, like gesturer, or emitteror
profferer. The distinction is between what an utterer means and what the
logical and necessary implication. He doesn’t need to say this since ‘imply’ in
the logical usage does not take utterer as subject. It’s what the utterer SAYS
that implies this or that. (Strawson and Wiggins519). The utterer is possibly
the ‘expresser.’ sender and sendee: Emissee: this is crucial. There’s loads of references on this.
Apparently, some philosopher cannot think of communication without the emissee.
But surely Grice loved Virginia Woolf. “And when she was writing ‘The Hours,’
I’m pretty sure she cared a damn whether the rest of the world existed!” Let's explore the issue of the UTTERER'S OCCASION-MEANING
IN THE ABSENCE OF A (so-called) AUDIENCE -- or sender without sendee, as it
were. There
are various scenarios of utterances by which the utterer or sender is correctly
said to have communicated that so-and-so, such that there is no actual person
or set of persons (or sentient beings) whom the utterer or sender is addressing
and in whom the sender intends to induce a response. The range of these
scenarios includes, or might be thought to include, such items as -- the
posting of a notice, like "Keep out" or "This bridge is
dangerous," -- an entry in a diary, -- the writing of a note to
clarify one's thoughts when working on some problem, --
soliloquizing, -- rehearsing a part in a projected conversation,
and -- silent thinking. At least some of these scenarios are
unprovided for in the reductive analysis so far proposed. The examples
which Grice's account should cover fall into three groups: (a) Utterances
for which the utterer or sender thinks there may (now or later) be an audience
or sendee (as when Grice's son sent a letter to Santa). U may think that
some particular person, e. g. himself at a future date in the case of a diary
entry, may (but also may not) encounter U's utterance.Or U may think that there
may or may not be some person or other who is or will be an auditor or sendee
or recipient of his utterance. (b) An utterances which the utterer knows
that it is not to be addressed to any actual sendee, but which the utterer
PRETENDS to address or send to some particular person or type of person, OR
which he thinks of as being addressed (or sent) to some imagined sendee or type
of sendee (as in the rehearsal of a speech or of his part in a projected
conversation, or Demosthenes or Noel Coward talking to the gulls.(c) An
utterances (including what Occam calls an "internal" utterance) with
respect to which the utterer NEITHER thinks it possible that there may be an
actual sendee nor imagines himself as addressing sending so-and-so to a sendee,
but nevertheless intends his utterance to be such that it would induce a
certain sort of response in a certain perhaps fairly indefinite kind of sendee
were it the case that such a sendee *were* present.In the case of silent
thinking the idea of the presence of a sendee will have to be interpreted
'liberally,' as being the idea of there being a sendee for a public
counter-part of the utterer's internal, private speech, if there is
one. Austin refused to discuss Vitters's private-language argument.In this
connection it is perhaps worth noting that some cases of verbal thinking
(especially the type that Vitters engages in) do fall outside the scope of
Grice's account. When a verbal though merely passes through
Vitters's head (or brain) as distinct from being "framed" by Vitters,
it is utterly inappropriate (even in Viennese) to talk of Vitters as having
communicated so-and-so by "the very thought of you," to echo Noble. Vitters is,
perhaps, in such a case, more like a sendee than a sender -- and wondering who
such an intelligent sender might (or then might not) be. In any case, to
calm the neo-Wittgensteinians, Grice propose a reductive analysis which surely
accounts for the examples which need to be accounted for, and which will allow
as SPECIAL (if paradigmatic) cases (now) the range of examples in which there
is, and it is known by the utterer that there is, an actual sendee. A
soul-to-soul transfer. This redefinition is relatively informal. Surely Grice could
present a more formal version which would gain in precision at the cost of ease
of comprehension. Let "p" (and k') range over properties of
persons (possible sendees); appropriate substituends for "O" (and i')
will include such diverse expressions as "is a passer-by,"
"is a passer-by who sees this notice," "understands the
Viennese cant," "is identical with Vitters." As will
be seen, for Grice to communicate that so-and-so it will have to be possible to
identify the value of "/" (which may be fairly indeterminate) which U
has in mind; but we do not have to determine the range from which U makes a
selection. "U means by uttering x that *iP" is true iff (30) (3f
(3c): I. U utters x intending x to be such that anyone who has q
would think that (i) x has f (2) f is correlated in way c with M-ing
that p (3) (3 0'): U intends x to be such that anyone who has b' would
think, via thinking (i) and (2), that U4's that p (4) in view of (3), U O's
that p; and II. (operative only for certain substituends for
"*4") U utters x intending that, should there actually be anyone
who has 0, he would via thinking (4), himself a that p; ' and III. It is
not the case that, for some inference-element E, U intends x to be such that
anyone who has 0 will both (i') rely on E in coming to O+ that p and (2') think
that (3k'): Uintends x to be such that anyone who has O' will come to /+ that p
without relying on E. Notes: (1) "i+" is to be read as
"p" if Clause II is operative, and as "think that UO's" if
Clause II is non-operative. (2) We need to use both "i" and
"i'," since we do not wish to require that U should intend his
possible audience to think of U's possible audience under the same description
as U does himself. Explanatory comments: (i) It is essential that the
intention which is specified in Clause II should be specified as U's intention "that
should there be anyone who has 0, he would (will) . . ." rather than,
analogously with Clauses I and II, as U's intention "that x should be such
that, should anyone be 0, he would ... ." If we adopt the latter
specification, we shall be open to an objection, as can be shown with the aid
of an example.Suppose that, Vitters is married, and further, suppose he married
an Englishwoman. Infuriated by an afternoon with his mother-in-law, when he is
alone after her departure, Vitters relieves his feelings by saying, aloud and
passionately, in German:"Do not ye ever comest near me again!"It will
no doubt be essential to Vitters's momentary well-being that Vitters should
speak with the intention that his remark be such that were his mother-in-law
present, assuming as we say, that he married and does have one who, being an
Englishwoman, will most likely not catch the Viennese cant that Vitters is
purposively using, she should however, in a very Griceian sort of way, form the
intention not to come near Vitters again. It would, however, be pretty
unacceptable if it were represented as following from Vitters's having THIS
intention (that his remark be such that, were his mother-in-law be present, she
should form the intnetion to to come near Vitters again) that what Vitters is communicating
(who knows to who) that the denotatum of 'Sie' is never to come near Vitters
again.For it is false that, in the circumstances, Vitters is communicating that
by his remark. Grice's reductive analysis is formulated to avoid that
difficulty. (2) Suppose that in accordance with the definiens o U intends x to be
such that anyone who is f will think ... , and suppose that the value of
"O" which U has in mind is the property of being identical with a
particular person A. Then it will follow that U intends A to think . . . ;
and given the further condition, fulfilled in any normal (paradigmatic,
standard, typical, default) case, that U intends the sendee to think that the
sendee is the intended sendee, we are assured of the truth of a statement from
which the definiens is inferrible by the rule of existential generalisation
(assuming the legitimacy of this application of existential generalisation to a
statement the expression of which contains such "intensional" verbs
as "intend" and "think"). It can also be shown that,
for any case in which there is an actual sendee who knows that he is the
intended sendee, if the definiens in the standard version is true then the
definiens in the adapted version will be true. If that is so, given the
definition is correct, for any normal case in which there IS an actual sendee
the fulfillment of the definiens will constitute a necessary and sufficient
condition for U's having communicated that *1p. sendeeless: ‘audienceless’ “One good example of a sendeeless
implicaturum is Sting’s “Message in a bottle.”Grice. Grice: “When Sting says,
“I’m sending out an ‘s.o.s’ he is being Peirceian.” Latin sensus "perception, feeling, undertaking,
meaning," from sentire "perceive, feel, know," probably a
figurative use of a literally meaning "to find one's way," or
"to go mentally," from PIE root *sent- "to go" (source also
of Old High German sinnan "to go, travel, strive after, have in mind,
perceive," German Sinn "sense, mind," Old English sið "way,
journey." Refs.: Grice, “The
utterer as the sender.” Grice: “This is jargon, as used by the postal service,
and it should be translatable to any language spoken in a country with postal
service!”
senone: cf. senofane,
parmenide -- Velia -- (or as Strawson would prefer, Zeno). "Senone
*loved* his native Velia. Vivid evidence of the
cultural impact of Senone's arguments in Italia is to be found in the interior
of a red-figure drinking cup (Roma, Villa Giulia, inv. 3591) discovered in the
Etrurian city of Falerii. It depicts a heroic figure racing nimbly ahead
of a large tortoise and has every appearance of being the first known
‘response’ to the Achilles (or Mercurio, Ermete) paradox. “Was ‘Senone’ BORN
in Velia?”that is the question!”Grice. Italian
philosopher, as as such, or as Grice prefers, ‘senone’ -- Zenos paradoxes.
“Since Elea is in Italy, we can say Zeno is Italian.”H. P. Grice. “Linguistic
puzzles, in nature.” H. P. Grice. four
paradoxes relating to space and motion attributed to Zeno of Elea fifth century
B.C.: the racetrack, Achilles and the tortoise, the stadium, and the arrow.
Zeno’s work is known to us through secondary sources, in particular Aristotle.
The racetrack paradox. If a runner is to reach the end of the track, he must
first complete an infinite number of different journeys: getting to the
midpoint, then to the point midway between the midpoint and the end, then to
the point midway between this one and the end, and so on. But it is logically
impossible for someone to complete an infinite series of journeys. Therefore
the runner cannot reach the end of the track. Since it is irrelevant to the
argument how far the end of the track is
it could be a foot or an inch or a micron away this argument, if sound, shows that all
motion is impossible. Moving to any point will involve an infinite number of
journeys, and an infinite number of journeys cannot be completed. The paradox
of Achilles and the tortoise. Achilles can run much faster than the tortoise,
so when a race is arranged between them the tortoise is given a lead. Zeno
argued that Achilles can never catch up with the tortoise no matter how fast he
runs and no matter how long the race goes on. For the first thing Achilles has
to do is to get to the place from which the tortoise started. But the tortoise,
though slow, is unflagging: while Achilles was occupied in making up his
handicap, the tortoise has advanced a little farther. So the next thing
Achilles has to do is to get to the new place the tortoise occupies. While he
is doing this, the tortoise will have gone a little farther still. However
small the gap that remains, it will take Achilles some time to cross it, and in
that time the tortoise will have created another gap. So however fast Achilles
runs, all that the tortoise has to do, in order not to be beaten, is not to
stop. The stadium paradox. Imagine three equal cubes, A, B, and C, with sides
all of length l, arranged in a line stretching away from one. A is moved
perpendicularly out of line to the right by a distance equal to l. At the same
time, and at the same rate, C is moved perpendicularly out of line to the left
by a distance equal to l. The time it takes A to travel l/2 relative to B
equals the time it takes A to travel to l relative to C. So, in Aristotle’s
words, “it follows, Zeno thinks, that half the time equals its double” Physics
259b35. The arrow paradox. At any instant of time, the flying arrow “occupies a
space equal to itself.” That is, the arrow at an instant cannot be moving, for
motion takes a period of time, and a temporal instant is conceived as a point,
not itself having duration. It follows that the arrow is at rest at every
instant, and so does not move. What goes for arrows goes for everything:
nothing moves. Scholars disagree about what Zeno himself took his paradoxes to
show. There is no evidence that he offered any “solutions” to them. One view is
that they were part of a program to establish that multiplicity is an illusion,
and that reality is a seamless whole. The argument could be reconstructed like
this: if you allow that reality can be successively divided into parts, you
find yourself with these insupportable paradoxes; so you must think of reality
as a single indivisible One. Refs.: H.
P. Grice, “Zeno’s sophisma;” Luigi Speranza,
"Senone e Grice," The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria,
Italia.
Senso – Grice: “Austin would say that ‘sense’ belongs to
‘philosophical’ and not ‘ordinary’ language; but Visconti – and all the Italian
philosoophers behind him, would disagree!” -- “sensus: Grice: “The Italians are directd: there is ‘sensismo’ as a
movement in Italia – due to Condillac, of course!” -- sensationalism, the
belief that all mental states
particularly cognitive states are
derived, by composition or association, from sensation. It is often joined to
the view that sensations provide the only evidence for our beliefs, or more
rarely to the view that statements about the world can be reduced, without
loss, to statements about sensation. Hobbes was the first important
sensationalist in modern times. “There is no conception in man’s mind,” he
wrote, “which hath not at first, totally, or by parts, been begotten upon the
organs of sense. The rest are derived from that original.” But the belief
gained prominence in the eighteenth century, due largely to the influence of
Locke. Locke himself was not a sensationalist, because he took the mind’s
reflection on its own operations to be an independent source of ideas. But his
distinction between simple and complex ideas was used by eighteenthcentury
sensationalists such as Condillac and Hartley to explain how conceptions that
seem distant from sense might nonetheless be derived from it. And to account
for the particular ways in which simple ideas are in fact combined, Condillac
and Hartley appealed to a second device described by Locke: the association of
ideas. “Elementary” sensations the
building blocks of our mental life were
held by the sensationalists to be non-voluntary, independent of judgment, free
of interpretation, discrete or atomic, and infallibly known. Nineteenth-century
sensationalists tried to account for perception in terms of such building
blocks; they struggled particularly with the perception of space and time. Late
nineteenth-century critics such as Ward and James advanced powerful arguments
against the reduction of perception to sensation. Perception, they claimed,
involves more than the passive reception or recombination and association of
discrete pellets of incorrigible information. They urged a change in
perspective to a functionalist viewpoint
more closely allied with prevailing trends in biology from which sensationalism never fully
recovered. sensibile: Austin, “Sense and
sensibile,” as used by Russell, those entities that no one is at the moment
perceptually aware of, but that are, in every other respect, just like the
objects of perceptual awareness. If one is a direct realist and believes that
the objects one is aware of in sense perception are ordinary physical objects,
then sensibilia are, of course, just physical objects of which no one is at the
moment aware. Assuming with common sense that ordinary objects continue to
exist when no one is aware of them, it follows that sensibilia exist. If,
however, one believes as Russell did that what one is aware of in ordinary
sense perception is some kind of idea in the mind, a so-called sense-datum,
then sensibilia have a problematic status. A sensibile then turns out to be an
unsensed sense-datum. On some the usual conceptions of sense-data, this is like
an unfelt pain, since a sense-datum’s existence not as a sense-datum, but as
anything at all depends on our someone’s perception of it. To exist for such
things is to be perceived see Berkeley’s “esse est percipii“. If, however, one
extends the notion of sense-datum as Moore was inclined to do to whatever it is
of which one is directly aware in sense perception, then sensibilia may or may
not exist. It depends on what physical
objects or ideas in the mind we are
directly aware of in sense perception and, of course, on the empirical facts
about whether objects continue to exist when they are not being perceived. If
direct realists are right, horses and trees, when unobserved, are sensibilia.
So are the front surfaces of horses and trees things Moore once considered to
be sensedata. If the direct realists are wrong, and what we are perceptually
aware of are “ideas in the mind,” then whether or not sensibilia exist depends
on whether or not such ideas can exist apart from any mind. sensorium, the seat and cause of sensation in
the brain of humans and other animals. The term is not part of contemporary
psychological parlance; it belongs to prebehavioral, prescientific psychology,
especially of the seventeenth and eighteenth centuries. Only creatures
possessed of a sensorium were thought capable of bodily and perceptual
sensations. Some thinkers believed that the sensorium, when excited, also
produced muscular activity and motion. sensus communis, a cognitive faculty to
which the five senses report. It was first argued for in Aristotle’s On the
Soul II.12, though the term ‘common sense’ was first introduced in Scholastic
thought. Aristotle refers to properties such as magnitude that are perceived by
more than one sense as common sensibles. To recognize common sensibles, he
claims, we must possess a single cognitive power to compare such qualities,
received from the different senses, to one another. Augustine says the “inner
sense” judges whether the senses are working properly, and perceives whether
the animal perceives De libero arbitrio II.35. Aquinas In De anima II, 13.370
held that it is also by the common sense that we perceive we live. He says the
common sense uses the external senses to know sensible forms, preparing the
sensible species it receives for the operation of the cognitive power, which
recognizes the real thing causing the sensible species. sentential connective, also called sentential
operator, propositional connective, propositional operator, a word or phrase,
such as ‘and’, ‘or’, or ‘if . . . then’, that is used to construct compound
sentences from atomic i.e.,
non-compound sentences. A sentential
connective can be defined formally as an expression containing blanks, such
that when the blanks are replaced with sentences the result is a compound
sentence. Thus, ‘if ——— then ———’ and ‘——— or ———’ are sentential connectives,
since we can replace the blanks with sentences to get the compound sentences
‘If the sky is clear then we can go swimming’ and ‘We can go swimming or we can
stay home’. Classical logic makes use of truth-functional connectives only, for
which the truth-value of the compound sentence can be determined uniquely by
the truth-value of the sentences that replace the blanks. The standard
truth-functional sensibilia sentential connective 834 834 connectives are ‘and’, ‘or’, ‘not’, ‘if
. . . then’, and ‘if and only if’. There are many non-truth-functional
connectives as well, such as ‘it is possible that ———’ and ‘——— because
———’. sentimentalism, the theory, prominent
in the eighteenth century, that epistemological or moral relations are derived
from feelings. Although sentimentalism and sensationalism are both empiricist
positions, the latter view has all knowledge built up from sensations,
experiences impinging on the senses. Sentimentalists may allow that ideas
derive from sensations, but hold that some relations between them are derived
internally, that is, from sentiments arising upon reflection. Moral
sentimentalists, such as Shaftesbury, Hutcheson, and Hume, argued that the
virtue or vice of a character trait is established by approving or disapproving
sentiments. Hume, the most thoroughgoing sentimentalist, also argued that all
beliefs about the world depend on sentiments. On his analysis, when we form a
belief, we rely on the mind’s causally connecting two experiences, e.g., fire
and heat. But, he notes, such causal connections depend on the notion of
necessity that the two perceptions will
always be so conjoined and there is
nothing in the perceptions themselves that supplies that notion. The idea of
necessary connection is instead derived from a sentiment: our feeling of
expectation of the one experience upon the other. Likewise, our notions of
substance the unity of experiences in an object and of self the unity of
experiences in a subject are sentimentbased. But whereas moral sentiments do
not purport to represent the external world, these metaphysical notions of
necessity, substance, and self are “fictions,” creations of the imagination
purporting to represent something in the outside world. -- sententia: For some reason, perhaps of his eccentricity, J. L.
Austin was in love with Chomsky. He would read “Syntactic Structures” aloud to
the Play Group. And Grice was listening. This stuck with Grice, who started to
use ‘sentence,’ even in Polish, when translating Tarski. Hardie had taught him
that ‘sententia’ was a Roman transliteration of ‘dia-noia,’ which helped. Since
“Not when the the of dog” is NOT a sentence, not even an ‘ill-formed sentence,’
Grice concludes that like ‘reason,’ and ‘cabbage,’ sentence is a
value-paradeigmatic concept. His favourite sentence was “Fido is shaggy,”
uttered to communicate that Smith’s dog is hairy coated. One of Grice’s
favourite sentences was Carnap’s “Pirots karulise elatically,” which Carnap
borrowed from (but never returned to) Baron Russell. (“I later found out a
‘pirot’ is an extinct fish, which destroyed my whole implicaturumtalk of
ichthyological necessity!” (Carnap contrasted, “Pirots karulise elatically,”
with “The not not if not the dog the.”
shaggy-dog story, v. Grice’s shaggy-dog story.
shared experience: WoW: 286. Grice was fascinated by the
etymology of ‘share,’“which is so difficult to translate to
Grecian!”“Co-operation can be regarded as a shared experience. You cooperate
not just when you help, but, as the name indicates, when you operate along with
anotherwhen you SHARE some taskin this case influencing the other in the dyad,
and being influenced by him.”
ensieme – Grice: “Few like Rigamononti have explored the sorry
story of set theory --.” Grice: “Rigamonti uses ‘insieme,’ which is of course
cognate with ‘ensemble,’ – why some at Oxford use ‘set,’ as in the ‘jet set’
escapes me!” -- rclasse -- set: “Is the idea of a one-member
set implicatural?”Grice. “I distinguish between a class and a set, but Strawson
does not.”Grice -- the study of
collections, ranging from familiar examples like a set of encyclopedias or a
deck of cards to mathematical examples like the set of natural numbers or the
set of points on a line or the set of functions from a set A to another set B.
Sets can be specified in two basic ways: by a list e.g., {0, 2, 4, 6, 8} and as
the extension of a property e.g., {x _ x is an even natural number less than
10}, where this is read ‘the set of all x such that x is an even natural number
less than 10’. The most fundamental relation in set theory is membership, as in
‘2 is a member of the set of even natural numbers’ in symbols: 2 1 {x _ x is an
even natural number}. Membership is determinate, i.e., any candidate for
membership in a given set is either in the set or not in the set, with no room
for vagueness or ambiguity. A set’s identity is completely determined by its
members or elements i.e., sets are extensional rather than intensional. Thus {x
_ x is human} is the same set as {x _ x is a featherless biped} because they
have the same members. The smallest set possible is the empty or null set, the
set with no members. There cannot be more than one empty set, by
extensionality. It can be specified, e.g., as {x _ x & x}, but it is most
often symbolized as / or { }. A set A is called a subset of a set B and B a
superset of A if every member of A is also a member of B; in symbols, A 0 B.
So, the set of even natural numbers is a subset of the set of all natural
numbers, and any set is a superset of the empty set. The union of two sets A
and B is the set whose members are the members of A and the members of B in symbols, A 4 B % {x _ x 1 A or x 1 B} so the union of the set of even natural
numbers and the set of odd natural numbers is the set of all natural numbers.
The intersection of two sets A and B is the set whose members are common to
both A and B in symbols, A 3 B % {x _ x
1 A and x 1 B} so the intersection of
the set of even natural numbers and the set of prime natural numbers is the
singleton set {2}, whose only member is the number 2. Two sets whose
intersection is empty are called disjoint, e.g., the set of even natural
numbers and the set of odd natural numbers. Finally, the difference between a
set A and a set B is the set whose members are members of A but not members of
B in symbols, A B % {x _ x 1 A and x 2 B} so the set of odd numbers between 5 and 20
minus the set of prime natural numbers is {9, 15}. By extensionality, the order
in which the members of a set are listed is unimportant, i.e., {1, 2, 3} % {2,
3, 1}. To introduce the concept of ordering, we need the notion of the ordered
pair of a and b in symbols, a, b or .
All that is essential to ordered pairs is that two of them are equal only when
their first entries are equal and their second entries are equal. Various sets
can be used to simulate this behavior, but the version most commonly used is
the Kuratowski ordered pair: a, b is defined to be {{a}, {a, b}}. On this
definition, it can indeed be proved that a, b % c, d if and only if a % c and b
% d. The Cartesian product of two sets A and B is the set of all ordered pairs
whose first entry is in A and whose second entry is B in symbols, A $ B % {x _ x % a, b for some a
1 A and some b 1 B}. This set-theoretic reflection principles set theory
836 836 same technique can be used to
form ordered triples a, b, c % a, b, c;
ordered fourtuples a, b, c, d % a, b, c,
d; and by extension, ordered n-tuples for all finite n. Using only these simple
building blocks, substitutes for all the objects of classical mathematics can
be constructed inside set theory. For example, a relation is defined as a set
of ordered pairs so the successor
relation among natural numbers becomes {0, 1, 1, 2, 2, 3 . . . } and a function is a relation containing no
distinct ordered pairs of the form a, b and a, c so the successor relation is a function. The
natural numbers themselves can be identified with various sequences of sets,
the most common of which are finite von Neumann ordinal numbers: /, {/}, {/,
{/}, {/}, {/}, {/, {/}}}, . . . . On this definition, 0 % /, 1 % {/}, 2 % {/,
{/}}, etc., each number n has n members, the successor of n is n 4 {n}, and n ‹
m if and only if n 1 m. Addition and multiplication can be defined for these numbers,
and the Peano axioms proved from the axioms of set theory; see below. Negative,
rational, real, and complex numbers, geometric spaces, and more esoteric
mathematical objects can all be identified with sets, and the standard theorems
about them proved. In this sense, set theory provides a foundation for
mathematics. Historically, the theory of sets arose in the late nineteenth
century. In his work on the foundations of arithmetic, Frege identified the
natural numbers with the extensions of certain concepts; e.g., the number two
is the set of all concepts C under which two things fall in symbols, 2 % {x _ x is a concept, and
there are distinct things a and b which fall under x, and anything that falls
under x is either a or b}. Cantor was led to consider complex sets of points in
the pursuit of a question in the theory of trigonometric series. To describe
the properties of these sets, Cantor introduced infinite ordinal numbers after
the finite ordinals described above. The first of these, w, is {0, 1, 2, . .
.}, now understood in von Neumann’s terms as the set of all finite ordinals.
After w, the successor function yields w ! 1 % w 4 {w} % {0, 1, 2, . . . n, n +
1, . . . , w}, then w ! 2 % w ! 1 ! 1 % {0, 1, 2, . . . , w , w ! 1}, w ! 3 % w
! 2 ! 1 % {0, 1, 2, . . . , w, w ! 1, w ! 2}, and so on; after all these comes
w ! w % {0, 1, 2, . . . , w, w ! 1, w ! 2, . . . , w ! n, w ! n ! 1, . . .},
and the process begins again. The ordinal numbers are designed to label the
positions in an ordering. Consider, e.g., a reordering of the natural numbers
in which the odd numbers are placed after the evens: 0, 2, 4, 6, . . . 1, 3, 5,
7, . . . . The number 4 is in the third position of this sequence, and the
number 5 is in the w + 2nd. But finite numbers also perform a cardinal
function; they tell us how many so-andso’s there are. Here the infinite
ordinals are less effective. The natural numbers in their usual order have the
same structure as w, but when they are ordered as above, with the evens before
the odds, they take on the structure of a much larger ordinal, w ! w. But the
answer to the question, How many natural numbers are there? should be the same
no matter how they are arranged. Thus, the transfinite ordinals do not provide
a stable measure of the size of an infinite set. When are two infinite sets of
the same size? On the one hand, the infinite set of even natural numbers seems
clearly smaller than the set of all natural numbers; on the other hand, these
two sets can be brought into one-to-one correspondence via the mapping that
matches 0 to 0, 1 to 2, 2 to 4, 3 to 6, and in general, n to 2n. This puzzle
had troubled mathematicians as far back as Galileo, but Cantor took the
existence of a oneto-one correspondence between two sets A and B as the
definition of ‘A is the same size as B’. This coincides with our usual
understanding for finite sets, and it implies that the set of even natural
numbers and the set of all natural numbers and w ! 1 and w! 2 and w ! w and w !
w and many more all have the same size. Such infinite sets are called
countable, and the number of their elements, the first infinite cardinal
number, is F0. Cantor also showed that the set of all subsets of a set A has a
size larger than A itself, so there are infinite cardinals greater than F0, namely
F1, F2, and so on. Unfortunately, the early set theories were prone to
paradoxes. The most famous of these, Russell’s paradox, arises from
consideration of the set R of all sets that are not members of themselves: is R
1 R? If it is, it ’t, and if it ’t, it is. The Burali-Forti paradox involves
the set W of all ordinals: W itself qualifies as an ordinal, so W 1 W, i.e., W
‹ W. Similar difficulties surface with the set of all cardinal numbers and the
set of all sets. At fault in all these cases is a seemingly innocuous principle
of unlimited comprehension: for any property P, there is a set {x _ x has P}.
Just after the turn of the century, Zermelo undertook to systematize set theory
by codifying its practice in a series of axioms from which the known derivations
of the paradoxes could not be carried out. He proposed the axioms of
extensionality two sets with the same members are the same; pairing for any a
and b, there is a set {a, b}; separation for any set A and property P, there is
a set {x _ x 1 A and x has P}; power set for any set A, there is a set {x _ x0
A}; union for any set of sets F, there is a set {x _ x 1 A for some A 1 F} this yields A 4 B, when F % {A, B} and {A, B}
comes from A and B by pairing; infinity w exists; and choice for any set of
non-empty sets, there is a set that contains exactly one member from each. The
axiom of choice has a vast number of equivalents, including the well-ordering
theorem every set can be well-ordered and Zorn’s lemma if every chain in a partially ordered set has
an upper bound, then the set has a maximal element. The axiom of separation
limits that of unlimited comprehension by requiring a previously given set A
from which members are separated by the property P; thus troublesome sets like
Russell’s that attempt to collect absolutely all things with P cannot be
formed. The most controversial of Zermelo’s axioms at the time was that of
choice, because it posits the existence of a choice set a set that “chooses” one from each of
possibly infinitely many non-empty sets
without giving any rule for making the choices. For various
philosophical and practical reasons, it is now accepted without much debate.
Fraenkel and Skolem later formalized the axiom of replacement if A is a set,
and every member a of A is replaced by some b, then there is a set containing
all the b’s, and Skolem made both replacement and separation more precise by
expressing them as schemata of first-order logic. The final axiom of the
contemporary theory is foundation, which guarantees that sets are formed in a
series of stages called the iterative hierarchy begin with some non-sets, then
form all possible sets of these, then form all possible sets of the things
formed so far, then form all possible sets of these, and so on. This iterative
picture of sets built up in stages contrasts with the older notion of the
extension of a concept; these are sometimes called the mathematical and the
logical notions of collection, respectively. The early controversy over the
paradoxes and the axiom of choice can be traced to the lack of a clear
distinction between these at the time. Zermelo’s first five axioms all but
choice plus foundation form a system usually called Z; ZC is Z with choice
added. Z plus replacement is ZF, for Zermelo-Fraenkel, and adding choice makes
ZFC, the theory of sets in most widespread use today. The consistency of ZFC
cannot be proved by standard mathematical means, but decades of experience with
the system and the strong intuitive picture provided by the iterative
conception suggest that it is. Though ZFC is strong enough for all standard
mathematics, it is not enough to answer some natural set-theoretic questions
e.g., the continuum problem. This has led to a search for new axioms, such as
large cardinal assumptions, but no consensus on these additional principles has
yet been reached. Then there are the set-theoretica paradoxes, a collection of
paradoxes that reveal difficulties in certain central notions of set theory.
The best-known of these are Russell’s paradox, Burali-Forti’s paradox, and
Cantor’s paradox. Russell’s paradox, discovered in 1 by Bertrand Russell, is
the simplest and so most problematic of the set-theoretic paradoxes. Using it,
we can derive a contradiction directly from Cantor’s unrestricted comprehension
schema. This schema asserts that for any formula Px containing x as a free
variable, there is a set {x _ Px} whose members are exactly those objects that
satisfy Px. To derive the contradiction, take Px to be the formula x 1 x, and
let z be the set {x _ x 2 x} whose existence is guaranteed by the comprehension
schema. Thus z is the set whose members are exactly those objects that are not
members of themselves. We now ask whether z is, itself, a member of z. If the
answer is yes, then we can conclude that z must satisfy the criterion of
membership in z, i.e., z must not be a member of z. But if the answer is no,
then since z is not a member of itself, it satisfies the criterion for
membership in z, and so z is a member of z. All modern axiomatizations of set
theory avoid Russell’s paradox by restricting the principles that assert the
existence of sets. The simplest restriction replaces unrestricted comprehension
with the separation schema. Separation asserts that, given any set A and
formula Px, there is a set {x 1 A _ Px}, whose members are exactly those
members of A that satisfy Px. If we now take Px to be the formula x 2 x, then
separation guarantees the existence of a set zA % {x 1 A _ x 2 x}. We can then
use Russell’s reasoning to prove the result that zA cannot be a member of the
original set A. If it were a member of A, then we could prove that it is a
member of itself if and only if it is not a member of itself. Hence it is not a
member of A. But this result is not problematic, and so the paradox is avoided.
The Burali-Forte paradox and Cantor’s paradox are sometimes known as paradoxes
of size, since they show that some collections are too large to be considered
sets. The Burali-Forte paradox, discovered by Cesare Burali-Forte, is concerned
with the set of all ordinal numbers. In Cantor’s set theory, an ordinal number
can be assigned to any well-ordered set. A set is wellordered if every subset
of the set has a least element. But Cantor’s set theory also guarantees the
existence of the set of all ordinals, again due to the unrestricted
comprehension schema. This set of ordinals is well-ordered, and so can be
associated with an ordinal number. But it can be shown that the associated
ordinal is greater than any ordinal in the set, hence greater than any ordinal
number. Cantor’s paradox involves the cardinality of the set of all sets.
Cardinality is another notion of size used in set theory: a set A is said to
have greater cardinality than a set B if and only if B can be mapped one-to-one
onto a subset of A but A cannot be so mapped onto B or any of its subsets. One
of Cantor’s fundamental results was that the set of all subsets of a set A
known as the power set of A has greater cardinality than the set A. Applying
this result to the set V of all sets, we can conclude that the power set of V
has greater cardinality than V. But every set in the power set of V is also in
V since V contains all sets, and so the power set of V cannot have greater
cardinality than V. We thus have a contradiction. Like Russell’s paradox, both of
these paradoxes result from the unrestricted comprehension schema, and are
avoided by replacing it with weaker set-existence principles. Various
principles stronger than the separation schema are needed to get a reasonable
set theory, and many alternative axiomatizations have been proposed. But the
lesson of these paradoxes is that no setexistence principle can entail the
existence of the Russell set, the set of all ordinals, or the set of all sets,
on pain of contradiction.
Selvatico-Estense?
semerari: Grice: “Wheereas it would be
considered in bad taste at Oxford, the Italians pun on names – and there is an
essay on the ‘seme’ of ‘semerari’ Witty!” -- Grice: “Perhaps Semerari is right
and the philosopher MUST metaphorise. What better title to an essay on
Calabellse than ‘La sabbia e la roccia”?” -- Grice: “I like Semerari: His
‘principio del dialogo in Socrate” is reprinted in his invaluable collection on
“Dialogo.”” – Grice: “In a way, we may say that Calogero, Semerari, and myself,
belong to the school of the philosophy of conversation – not to mention Apel!”
-- Giuseppe Semerari (Taranto), filosofo. Laureato aa Roma, dove fu allievo di
Carabellese, fu poi professore di filosofia a Bari --(a lui è dedicata la
biblioteca del dipartimento). Con Paci
ha collaborato «aut aut», di cui era in redazione. Collaborò anche a «Critica
storica», «Giornale critico della filosofia italiana», «Clizia», «Historica», «
Rivista internazionale di filosofia del diritto», «Rivista di filosofia», «Il
pensiero», «Archivio di filosofia» e altre riviste specialistiche. Fondò la
rivista «Paradigmi», e ne fu il direttore.
Si è dedicato per lo più a Spinoza, a Schelling, alla fenomenologia di
Husserl e Merleau-Ponty e al materialismo storico di Marx. Opere: “I problemi dello spinozismo,” Vecchi,
Trani, “Storia e storicismo: saggio sul problema della storia nella filosofia
Carabellése,” Vecchi, Trani; “Storicismo e ontologismo critico,” Lacaita,
Manduria, Dialogo, storia, valori: studi di filosofia.” Ciranna, Siracusa; Interpretazione di Schelling, Libreria
scientifica, Napoli; “L'esistenzialismo
italiano,” (Grice: “This reminds me of parochial Warnock and his “English
philosophy,” or Sorley for that matter!”) -- Cressati, Bari; “Questioni di
etica contemporanea,” Adriatica, Bari; Responsabilità e comunità umana.
Ricerche etiche, Lacaita, Manduria; La filosofia come relazione, Quaderni di
cultura, Sapri; Ferruccio De Natale, Guerini e Associati, Milano Scienza nuova
e ragione, Lacaita, Manduria; Furio Semerari, premessa di Carlo Sini, Guerini e
Associati, Milano Da Schelling a Merleau-Ponty. Studi sulla filosofia contemporanea,
Cappelli, Bologna; La lotta per la
scienza, Silva, Milano; Francesco Valerio, premessa di Fulvio Papi, Guerini e
Associati, Milano, Spinoza, Marzorati, Milano; Esperienze del pensiero moderno,
Argalia, Urbino; La filosofia dell'esistenza in Kant, Adriatica, Bar; Introduzione a Schelling, Laterza, Bari Filosofia
e potere, Dedalo, Bari Civiltà dei mezzi, civiltà dei fini. Per un razionalismo
filosofico-politico, Bertani, Verona; La
scienza come problema: dai modelli teorici alla produzione di tecnologie, De
Donato, Bari; Insecuritas. Tecniche e paradigmi della salvezza, Spirali,
Milano; La sabbia e la roccia. L'ontologia critica di Pantaleo Carabellése,
Dedalo, Bar; Dentro la storiografia filosofica. Questioni di teoria e
didattica, Dedalo, Bari (a cura di, con
Vito Carofiglio) Jean-Paul Sartre. Teoria, scrittura, impegno, Edizioni del
Sud, Bari; Novecento filosofico italiano. Situazioni e problemi, Guida, Napoli;
Skepsis. Studi husserliani (con Ferruccio De Natale), Dedalo, Bari; Filosofia.
Lezioni preliminari, Guerini e Associati, Milano Confronti con Heidegger,
Dedalo, Bari prefazione a Edmund Husserl, La filosofia come scienza rigorosa,
Laterza, Bari, Frammenti di diario; l'anno di Istanbul, Schena, Fasano. “La
cosa stessa.” Seminari fenomenologici, Dedalo, Bari; Schelling, Lettere
filosofiche su dommatismo e criticismo e Nuova deduzione del diritto naturale ,
Laterza, Bari. Pensiero e narrazioni. Modelli di storiografia filosofica,
Dedalo, Bari; Frammenti di diario; l'anno del Messico, Schena, Fasano; Fenomenologia
delle relazioni, Palomar, Bari; Ragione e storia. Studi in memoria di Giuseppe
Semerari, Francesco Tateo, Schena, Fasano; Dalla materia alla coscienza. Studi su
Schelling in ricordo di Giuseppe Semerari, Carlo Tatasciore, Guerini, Milano; ‘La
certezza incerta” Scritti su Giuseppe Semerari con due inediti dell'autore,
Furio Semerari, Guerini, Milano; Augusto Ponzio, Il significato della filosofia
per Giuseppe Semerari, in "BariSera", Luciano Niro, Giuseppe
Semerari. Il problema morale, Atheneum, Firenze, Julia Ponzio e Filippo
Silvestri, Il seme umanissimo della filosofia. Sul pensiero di Giuseppe
Semerari, Mimesis, Milano Giuseppe Semerari, in Treccani.itEnciclopedie on
line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
semmola: Grice: “I find it difficult to sea if
Semmola endorses formalism or informalism in his monumental “Logica.”” Grice:
“While Ayer never liked it, metaphysics is very popular in Italy, as Semmola’s
monumental “Metafisica” testifies.” Grice: “It’s good to see philosophy as an
institution, in the Italian way of using this word, as per Semmola,
“Istituzione di Filosofia.” Mariano Semmola (Napoli), filosofo. Fu senatore del
Regno d'Italia nella XVI legislature. (check). Figlio di Giovanni Semmola uno
dei più grandi esponenti della scuola napoletana, Mariano fu docente e poi
Segretario del Parlamento del Regno d'Italia; partecipò ai moti di Marigliano. Ha
scritto, tra l'altro, “Istituzioni di Filosofia,” “Logica,” “Metafisica”
(presso la Biblioteca Nazionale di Napoli).
Questo è l'epitaffio sul monumento a lui dedicato e sito nel Recinto o
Quadrilatero degli Uomini Illustri del Cimitero Monumentale di Napoli-Poggioreale: «Mente divinatrice ardente spirito
investigatore Che nello studio della natura morbosa dell'uomo Produsse miracoli
di arte e di scienza Scolare e presto emulo del suo gran più ai giovann
Conchiuse alla novità delle dottrine una sapienza antica Procacciandosi fama in
patria e fuori Di sommo maestro in medicina Ne rifulse lo ingegno incomparabile
Dalla cattedra nell'università napoletana Nelle accademie e negli ospedali Nei
consessi legislativi e nei congressi scientifici Nella parola negli scritti
Membro della commissione legislativa riunita in Firenze. Principale autore di
un codice sanitario italiano Inviato unico plenipotenziario Alla conferenza
sanitaria internazionale di Vienna il 1874 Fu deputato e poi senatore nel
patrio parlamento Onorato due volte di medaglia d'oro Dal proprio governo per
le cure ai colerosi Da quello del Brasile per la guarigione del suo imperatore
Socio di gran numero di accademie italiane e straniere Insignito di molti tra i
maggiori gradi cavallereschi. Morì nella
fede catolica avita Questo marmo per
voce del comune Si fa eco della pubblica solenne onoranza cittadina Le spoglie
mortali riposano nella cappella mortuaria di famiglia Ove le vollero la vedova
ed i figliuoli A rendere vieppiù paghi La loro pietà ed il riconoscente
affetto.Grand'Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italianastrino per uniforme
ordinariaGrand'Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia Commendatore
dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaronastrino per uniforme ordinariaCommendatore
dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro Onorificenze straniere Gran Croce
dell'Ordine di Isabella la Cattolica (Spagna)nastrino per uniforme ordinariaGran
Croce dell'Ordine di Isabella la Cattolica (Spagna) Cavaliere di Gran Croce
dell'Ordine dell'Immacolata Concezione di Vila Viçosa (Portogallo )nastrino per
uniforme ordinariaCavaliere di Gran Croce dell'Ordine dell'Immacolata
Concezione di Vila Viçosa (Portogallo) Commendatore di Numero dell'Ordine di
Carlo III (Spagna)nastrino per uniforme ordinariaCommendatore di Numero
dell'Ordine di Carlo III (Spagna) Commendatore di I classe dell'Ordine della
Stella Polare (Svezia)nastrino per uniforme ordinariaCommendatore di I classe
dell'Ordine della Stella Polare (Svezia) Grand'Ufficiale dell'Ordine di Nichan
Iftikar (Tunisia)nastrino per uniforme ordinariaGrand'Ufficiale dell'Ordine di
Nichan Iftikar (Tunisia) Commendatore dell'Ordine Imperiale di Leopoldo (Impero
austro-ungarico)nastrino per uniforme ordinariaCommendatore dell'Ordine
Imperiale di Leopoldo (Impero austro-ungarico) Cavaliere dell'Ordine della
Legion d'Onore (Francia)nastrino per uniforme ordinariaCavaliere dell'Ordine
della Legion d'Onore (Francia) Opere di Mariano Semmola, su openMLOL, Horizons
Unlimited srl. Mariano Semmola, su
storia.camera.it, Camera dei deputati.
Mariano Semmola, su Senatori d'Italia, Senato della Repubblica.
senòfane: Velia. Grice: “There is Athenian
dialectic, but there is a prior Veliaian dialectic, at Velia, in Italy.” Senòfane
(Colofone), filosofo. Le poche notizie sulla sua vita sono fornite da Diogene
Laerzio: "Senofane di Colofone, figlio di Dexio o di Ortomeno... lasciata
la patria, dimorò a Zancle (l'odierna Messina) di Sicilia e poi prese parte
alla colonia diretta a Velia e qui insegnò. Abitò anche a Catania. Secondo
alcuni non fu discepolo di nessuno, secondo altri, dell'ateniese Betone o di
Archelao. Sozione il Peripatetico dice che fu contemporaneo di Anassimandro.
Scrisse versi epici, elegie e giambi, censurando quanto Omero ed Esiodo hanno
detto sugli dei. Cantava egli stesso le sue composizioni. Si dice che abbia
polemizzato contro Talete, Pitagora ed Epimenide. Visse fino a tardissima età. cantò
anche La fondazione di Colofone e La deduzione di colonia a Elea in duemila
versi. Fiorì nella 60ª olimpiade. Demetrio Falereo in Sulla vecchiaia e lo
stoico Panezio in Sulla tranquillità dell'animo dicono che abbia sepolto i
figli con le sue mani, come Anassagora. Pare che sia stato comprato e poi
riscattato dai pitagorici Parmenisco e Orestade. Restano frammenti di elegie e
di silli, versi satirici. Critica l'antropomorfismo religioso, quale si
trova nei poemi di Omero e di Esiodo e quale, del resto, era comune patrimonio
delle credenze religiose del suo tempo: «Omero ed Esiodo hanno attribuito
agli dei tutto quello che per gli uomini è oggetto di vergogna e di biasimo:
rubare, fare adulterio e ingannarsi. I mortali credono che gli dei siano nati e
che abbiano abito, linguaggio e aspetto come loro. Gli Etiopi credono che gli
dei siano camusi e neri, i Traci, che abbiano occhi azzurri e capelli rossi ma
se buoi, cavalli e leoni avessero le mani e sapessero disegnare, i cavalli disegnerebbero gli dei simili a
cavalli e i buoi gli dei simili a buoi.In realtà, uno, dio, tra gli dei e tra
gli uomini il più grande, non simile agli uomini né per aspetto né per
intelligenza. Tutto intero vede, tutto intero pensa, tutto intero sente. Snza
fatica tutto scuote con la forza del pensiero. Sempre nell'identico luogo
permane senza muoversi, né gli si addice recarsi qui o là. Da tutto questo si ricava la concezione di un
dio-universo e nient'altro si può dire della sua concezione della divinità e
dell'essere, diversamente da tarde interpretazioni che vogliono fare di
Senofane un precursore della scuola di Velia e il maestro di Parmenide. Egli è legato
alla scuola ionica di Mileto, quella di Talete, Anassimandro e Anassimene, a
cui egli aggiunge uno spirito, che si potrebbe definire laico, di critica alle
concezioni religiose correnti. Non a caso sostiene che "il certo, nessuno
lo ha mai colto né ci sarà nessuno che possa coglierlo, sia per quanto riguarda
gli dei che per ogni cosa. Infatti, se pure ci si trovasse a dire qualcosa di
vero, non lo si saprebbe per esperienza diretta; noi possiamo avere solo
opinioni", aggiungendo che "non è che da principio gli dei abbiano
rivelato tutto ai mortali, ma col tempo, cercando, gli uomini trovano il
meglio". In queste ultime affermazioni si rileva uno spirito di
concretezza razionalistica sui limiti della conoscenza umana ma anche la
consapevolezza che non da interventi soprannaturali l'uomo può acquisire
conoscenza o costruire la propria cultura. Oltre a schierarsi contro i
valori propri del mito e della epopea omerica, affermò contrariamente ai valori
in voga tra i contemporanei, la netta superiorità dei valori spirituali quali
la virtù, l'intelligenza e la sapienza, sui valori puramente vitali, come la
forza e il vigore fisico degli atleti. Da quelli la città ha ordinamenti
migliori e felicità maggiore che non da questi."Perché vale di più la nostra
saggezza che non la forza fisica degli uomini e dei cavalli. Difatti, che ci
sia tra il popolo un abile pugilatore o un valente nel pentatlo o nella lotta, non
per questo ne è avvantaggiato il buon ordine della città. Sulla sua
concezione della natura restano pochi frammenti. Achilles, nell’Isagoge in
Aratum, riporta che "questo limite della terra lo vediamo ai nostri piedi
che viene a contatto con l'aria, l'estremo inferiore si stende invece
indefinitamente"; da Aezio deriva che "il mare è fonte dell'acqua e del
vento. Infatti il vento né dalle nubi né dall'interno spira, senza il grande
mare, né le correnti dei fiumi, né nell'atmosfera l'acqua piovana. Il grande
mare genera nubi, venti e fiumi"; Ippolito, nella Refutatio contra omnes
haereses, riassume che, per Senofane, nella terra ferma e nei monti si trovano
conchiglie, a Siracusa, nelle latomie, si sono trovate impronte di pesci e
di foche, a Paro l'impronta di una sarda nella pietra viva e a Malta impronte
di ogni sorta di pesci. Questo è avvenuto quando anticamente tutto fu ridotto a
fango e l'impronta del fango si è disseccata. La specie umana scompare quando
la terra, sprofondatasi nel mare, diventa fango e poi di nuovo la terra
ricomincia a formarsi e a tale trasformazione sono soggetti tutti i mondi".
E, citato da Aezio, Teodoreto e Sesto Empirico, tutti siamo nati dalla terra e
dall'acqua. Moderni commentatori hanno tacciato queste ultime considerazioni di
grossolano materialismo che non si collegherebbero con un suo presunto
principio fondamentale dell'unità e dell'immobilità dell'universo, avendo essi
consideratolo attendibile, relativamente a Senofane, lo PseudoAristotele del De
Melisso Xenophane Gorgia, che è un trattato neoplatonico con nessuna
attendibilità storica, e pertanto inserendo erroneamente Senofane nella scuola
eleatica. In realtà, anche da queste poche citazioni, si conferma filosofo
ionico, interessato all'osservazione diretta della natura, lontano da
problematiche ontologiche e dall'ipotizzare un mondo trascendente l'esperienza
e quindi non vicino alla dottrina eleatica erratamente attribuitagli. Diels-Kranz,
Presocratici I, Gabriele Giannantoni, Bari,
Laterza, Testi I presocratici. Prima traduzione integrale con testi originali a
fronte delle testimonianze e dei frammenti di Hermann Diels e Walther Kranz,
Giovanni Reale, Milano: Bompiani, Mario Untersteiner, Senofane. Testimonianze e
Frammenti, Testo greco a fronte, Milano, Bompiani 2008. Mario Untersteiner,
Giovanni Reale, Eleati. Parmenide, Zenone, Melisso. Testimonianze e Frammenti,
Testo greco a fronte, Milano, Bompiani . Angelo Tonelli, Le parole dei
sapienti. Senofane, Parmenide, Zenone, Melisso, Testo greco a fronte, Milano,
Feltrinelli, Studi Maurizio Bugno , Senofane ed Elea tra Ionia e Magna Grecia,
Napoli, Luciano Editore, Renzo Vitali, Senofane di Colofone e la scuola
eleatica, Cesena, Società Editrice "Il Ponte Vecchio.” A Senofane è stato
intitolato il cratere Senofane, sulla superficie della Luna. Wikibooks contiene
un approfondimento su Il dio di Senofane e la critica alle credenze
tradizionali Senofane, su
Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Senofane, in Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Senofane, su
sapere.it, De Agostini. Senofane, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia
Britannica, Inc. Opere di Senofane. James Lesher, Xenophanes, su Stanford
Encyclopedia of Philosophy.
serra: Antonio Serra (Dipignano), filosofo.-- è
considerato il primo filosofo dell’economia politica in Italia, e uno dei primi
in Europa. A Serra va «il merito di avere composto per primo un trattato
scientifico, seppure non sistematico, sui principi e sulla politica economica».
Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni d'oro e
d'argento dove non sono miniere Poco si conosce della sua vita: laureato
probabilmente in utroque, nel 1613 Serra fu imprigionato nelle carceri della
Vicarìa di Napoli forse a causa della sua partecipazione al complotto
architettato da Tommaso Campanella per liberare la Calabria dalla dominazione
spagnola, ma più probabilmente dietro accusa di falso monetario. Mentre
era in carcere compose il Breve trattato delle cause che possono far abbondare
li regni d'oro e d'argento dove non sono miniere e lo dedicò al viceré Pedro
Fernández de Castro y Andrade, conte de Lemos, che aveva già conosciuto e di
cui sperava l'aiuto. Il 6 settembre 1617 riuscì a farsi ricevere dal nuovo
viceré, Pedro Téllez-Girón, III duca di Osuna, per proporgli un programma di
riforme utili al Regno, ma l'incontro fu infruttuoso e Serra fu rimandato nelle
carceri della Vicarìa, dove probabilmente morì. Essendo molto gravi
all'inizio Professorele condizioni finanziarie del Regno di Napoli (esausto il
tesoro pubblico e l'onere del fisco già così gravoso da indurre molti a
lasciare la città per sottrarvisi), Marc'Antonio De Santis (Discorsi) aveva
proposto di limitare l'esportazione della moneta e di abbassare i tassi di cambio
con le piazze estere. La polemica con De Santis è alla base del Breve Trattato
di Antonio Serra, che dimostra con esempi tratti dalla storia antica e
contemporanea l'inutilità e anzi il danno di questi presunti rimedi, e da ciò
trae occasione per spiegare le vere cause della prosperità delle nazioni.
Serra comincia analizzando le cause della scarsità di moneta nel Regno di
Napoli e i fattori che avrebbero potuto invertire questa tendenza economica.
Egli fu il primo ad analizzare e comprendere appieno il concetto di bilancia
commerciale sia per i beni visibili che per quelli invisibili (i servizi e i
movimenti di capitali). Ha spiegato come la scarsità di moneta nel Regno di
Napoli fosse causata dal deficit della bilancia dei pagamenti. Utilizzando le sue
scoperte fu in grado di respingere l'idea, all'epoca più diffusa, per cui la
scarsità di denaro era dovuta al tasso di cambio. La soluzione prospettata al
problema era indicata nella promozione attiva delle esportazioni. L'opera segna
il distacco dalle concezioni moralistiche scolastiche per passare ad una
visione laica ed è assolutamente innovativa per l'epoca tanto che Benedetto
Croce la definì "lampada di vita". Sua influenza nella storia
del pensiero economico Fu l'abate Ferdinando Galiani a riscoprire l'opera,
tessendone un elogio nella nota XXIX del suo celebre trattato Della Moneta.
"Chiunque leggerà questo trattato" scrive Galiani "resterà
sicuramente sorpreso ed ammirato in vedere quanto in un secolo di totale
ignoranza della scienza economica avesse il suo autore chiare e giuste le idee
della materia di cui scrisse e quanto sanamente giudicasse delle cause de
nostri mali e de soli rimedi efficaci." Galiani paragona Serra al francese
Jean-François Melon e all'inglese John Locke, considerandolo superiore a loro
per avere vissuto molti anni prima in un'epoca di ignoranza della scienza
economica. Serra, che in vita era stato del tutto trascurato e per
secoli, tranne appunto quell'elogio di Galiani, completamente dimenticato, dopo
molto tempo è stato finalmente riscoperto. L'opera di Serra ed il suo breve
trattato figurano con molta evidenza nei lavori dell'economista norvegese Erik
Reinert. Note Friedrich List, National system of political economy, J.B.
Lippincott & Co., Joseph Alois Schumpeter (1959)236. Luca Addante, Cosenza e i cosentini: un volo
lungo tre millenni, Rubbettino Editore, 2001105, 88-498-0127-0. Francesco Martelloni, Regno di Napoli e Terra
d'Otranto al tempo di Masaniello. Aspetti economici e sociali di una
"crisi", in C. Perrotta , La scienza è una curiosità. Scritti in
onore di Umberto Cerroni, Manni Editori, Rodolfo Benini, Benedetto Croce,
Storia del Regno di Napoli, Editori Laterza. «Avendo ottenuto di parlare al
viceré duca di Ossuna per comunicargli cose utili allo stato, fu udito,
presenti i consiglieri, ma, giudicandosi che avesse detto « ciarle e
chiacchiere senz'altro concludere », fu rimandato al suo carcere.». Anna Casella, Marc'Antonio De Santis, in
Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Manuel Serra Moret, Diccionario Económico de Nuestro Tiempo, su
eumed.net, Theodore A. Sumberg. Oreste
Parise, Antonio Serra e il suo tempo. Vita e pensiero del primo economista
moderno, , Ecra,
978-88-6558-082-0. Breve trattato delle cause che possono far
abbondare li regni d'oro e d'argento dove non sono miniere, Volume 1, Antonio
Serra, Destefanis, Illuministi Italiani, Tomo VI Della Moneta, Opere di
Ferdinando Galiani, Milano-Napoli 1975. Rosario Patalano e Sophus A. Reinert ,
Antonio Serra and the Economics of Good Government, Palgrave Macmillan, Erik S.
Reinert, How Rich Countries Got Rich and Why Poor Countries Stay Poor, PublicAffairs,
Erik S. Reinert, Giovanni Botero (1588) and Antonio Serra (1613): Italy and the
birth of development economics, in Handbook of Alternative Theories of Economic
Development, Edward Elgar Publishing, Ferdinando Galiani, Della moneta, Napoli
1780, 409 s.; Francesco Saverio Salfi,
Elogio di Antonio Serra primo scrittore di economia civile, in Luca Addante, Patriottismo
e libertà. L'Elogio di Antonio Serra di Francesco Salfi, Cosenza 2009, 133–233; Pietro Custodi, Notizie degli autori
contenuti nel presente volume: Serra, in Scrittori classici italiani di
economia politica, Parte antica, I, Milano, Giuseppe Pecchio, Storia della
economia pubblica in Italia, Lugano, Narrazioni tratte dai giornali del governo
di Don Pietro Girone duca d'Ossuna viceré di Napoli scritti da Francesco
Zazzera (1616-1620), in Archivio storico italiano, Giacomo Savarese, Trattato
di economia politica, I, Napoli, Francesco Ferrara, Prefazione, in Trattati
italiani del secolo XVIII, Torino, Lodovico Bianchini, Della scienza del ben
vivere sociale e della economia pubblica e degli Stati, Napoli, Davide
Andreotti, Storia dei cosentini, II, Napoli 1869, 284, 363 s.; Luigi Accattatis, Le biografie
degli uomini illustri delle Calabrie, II, Cosenza; Tommaso Fornari, Studii
sopra Antonio Serra e Marc'Antonio De Santis, Pavia 1879; Luigi Amabile, Fra
Tommaso Antonio Serra (economista)
Antonio Serra (Dipignano, metà XVI secoloNapoli, primi anni XVII secolo)
economista e filosofo italiano della scuola mercantilista. Serra è considerato
il primo scrittore di economia politica in Italia, e uno dei primi in Europa. A
Serra va «il merito di avere composto per primo un trattato scientifico,
seppure non sistematico, sui principi e sulla politica economica».
Indice 1Biografia 2Sua influenza nella storia del pensiero economico
3Note 4 5 6Altri progetti 7 Biografia Breve trattato delle cause che
possono far abbondare li regni d'oro e d'argento dove non sono miniere Poco si
conosce della sua vita: laureato probabilmente in utroque, fu imprigionato
nelle carceri della Vicarìa di Napoli forse a causa della sua partecipazione al
complotto architettato da Tommaso Campanella per liberare la Calabria dalla
dominazione spagnola, ma più probabilmente dietro accusa di falso
monetario. Mentre era in carcere compose il Breve trattato delle cause
che possono far abbondare li regni d'oro e d'argento dove non sono miniere e lo
dedicò al viceré Pedro Fernández de Castro y Andrade, conte de Lemos, che aveva
già conosciuto e di cui sperava l'aiuto. Riuscì a farsi ricevere dal nuovo
viceré, Pedro Téllez-Girón, III duca di Osuna, per proporgli un programma di
riforme utili al Regno, ma l'incontro fu infruttuoso e Serra fu rimandato nelle
carceri della Vicarìa, dove probabilmente morì. Essendo molto gravi
all'inizio Professorele condizioni finanziarie del Regno di Napoli (esausto il
tesoro pubblico e l'onere del fisco già così gravoso da indurre molti a
lasciare la città per sottrarvisi), Marc'Antonio De Santis (Discorsi) aveva
proposto di limitare l'esportazione della moneta e di abbassare i tassi di
cambio con le piazze estere. La polemica con De Santis è alla base del Breve Trattato
di Antonio Serra, che dimostra con esempi tratti dalla storia antica e
contemporanea l'inutilità e anzi il danno di questi presunti rimedi, e da ciò
trae occasione per spiegare le vere cause della prosperità delle nazioni.
Serra comincia analizzando le cause della scarsità di moneta nel Regno di
Napoli e i fattori che avrebbero potuto invertire questa tendenza economica.
Egli fu il primo ad analizzare e comprendere appieno il concetto di bilancia
commerciale sia per i beni visibili che per quelli invisibili (i servizi e i
movimenti di capitali). Ha spiegato come la scarsità di moneta nel Regno di
Napoli fosse causata dal deficit della bilancia dei pagamenti. Utilizzando le
sue scoperte fu in grado di respingere l'idea, all'epoca più diffusa, per cui
la scarsità di denaro era dovuta al tasso di cambio. La soluzione prospettata
al problema era indicata nella promozione attiva delle esportazioni. L'opera
segna il distacco dalle concezioni moralistiche scolastiche per passare ad una
visione laica ed è assolutamente innovativa per l'epoca tanto che Benedetto
Croce la definì "lampada di vita". Sua influenza nella storia
del pensiero economico Fu l'abate Ferdinando Galiani a riscoprire l'opera,
tessendone un elogio nella nota XXIX del suo celebre trattato Della Moneta.
"Chiunque leggerà questo trattato" scrive Galiani "resterà
sicuramente sorpreso ed ammirato in vedere quanto in un secolo di totale
ignoranza della scienza economica avesse il suo autore chiare e giuste le idee
della materia di cui scrisse e quanto sanamente giudicasse delle cause de
nostri mali e de soli rimedi efficaci." Galiani paragona Serra al francese
Jean-François Melon e all'inglese John Locke, considerandolo superiore a loro
per avere vissuto molti anni prima in un'epoca di ignoranza della scienza
economica. Serra, che in vita era stato del tutto trascurato e per
secoli, tranne appunto quell'elogio di Galiani, completamente dimenticato, dopo
molto tempo è stato finalmente riscoperto. L'opera di Serra ed il suo breve
trattato figurano con molta evidenza nei lavori dell'economista norvegese Erik
Reinert. Note Friedrich List, National system of political economy, J.B.
Lippincott & Co., Joseph Alois Schumpeter, Luca Addante, Cosenza e i
cosentini: un volo lungo tre millenni, Rubbettino Editore, Francesco
Martelloni, Regno di Napoli e Terra d'Otranto al tempo di Masaniello. Aspetti
economici e sociali di una "crisi", in C. Perrotta , La scienza è una
curiosità. Scritti in onore di Umberto Cerroni, Manni Editori, Rodolfo Benini, Benedetto
Croce, Storia del Regno di Napoli, Editori Laterza. «Avendo ottenuto di parlare
al viceré duca di Ossuna per comunicargli cose utili allo stato, fu udito,
presenti i consiglieri, ma, giudicandosi che avesse detto « ciarle e
chiacchiere senz'altro concludere », fu rimandato al suo carcere.». Anna Casella, Marc'Antonio De Santis, in
Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Manuel Serra Moret, Diccionario Económico de Nuestro Tiempo, su
eumed.net, Theodore A. Sumberg (1991).
Oreste Parise, Antonio Serra e il suo tempo. Vita e pensiero del primo
economista moderno, , Ecra, Breve
trattato delle cause che possono far abbondare li regni d'oro e d'argento dove
non sono miniere, Volume 1, Antonio Serra, Destefanis, Illuministi Italiani, Tomo VI Della Moneta,
Opere di Ferdinando Galiani, Milano-Napoli 1975. Rosario Patalano e Sophus A.
Reinert , Antonio Serra and the Economics of Good Government, Palgrave
Macmillan, Erik S. Reinert, How Rich Countries Got Rich and Why Poor Countries
Stay Poor, PublicAffairs, 2008,
978-1586486686. Erik S. Reinert, Giovanni Botero and Antonio Serra: Italy and the birth of
development economics, in Handbook of Alternative Theories of Economic
Development, Edward Elgar Publishing, Ferdinando Galiani, Della moneta, Napoli,
Francesco Saverio Salfi, Elogio di
Antonio Serra primo scrittore di economia civile in Luca Addante, Patriottismo e libertà.
L'Elogio di Antonio Serra di Francesco Salfi, Cosenza 2009, 133–233; Pietro Custodi, Notizie degli autori
contenuti nel presente volume: Serra, in Scrittori classici italiani di
economia politica, Parte antica, I, Milano Giuseppe Pecchio, Storia della
economia pubblica in Italia, Lugano, Narrazioni tratte dai giornali del governo
di Don Pietro Girone duca d'Ossuna viceré di Napoli scritti da Francesco
Zazzera in Archivio storico italiano, Giacomo Savarese, Trattato di economia
politica, I, Napoli; Francesco Ferrara, Prefazione, in Trattati italiani del
secolo XVIII, Torino; Lodovico Bianchini, Della scienza del ben vivere sociale
e della economia pubblica e degli Stati, Napoli, Davide Andreotti, Storia dei
cosentini, II, Napoli, Luigi Accattatis, Le biografie degli uomini illustri
delle Calabrie, II, Cosenza, Tommaso Fornari, Studii sopra Antonio Serra e Marc'Antonio
De Santis, Pavia 1879; Luigi Amabile, Fra Tommaso ampanella. La sua congiura, i
suoi processi e la sua pazzia, INapoli, Antonio De Viti de Marco, Le teorie
economiche di Antonio Serra, in Memorie del R. Istituto lombardo di scienze e
lettere, classe di lettere e scienze storiche e morali, Rodolfo Benini, Sulle
dottrine economiche di Antonio Serra Appunti critici, in Giornale degli
economisti, Economisti del Cinque e
Seicento, A. Graziani, Bari, G. Arias, Il pensiero economico di Antonio Serra, in
Politica, B. Croce, Storia del Regno di Napoli, Bari, Economisti napoletani dei
sec. XVII e XVIII, Giorgio Tagliacozzo, Bologna, Luigi Einaudi, Saggi
bibliografici e storici intorno alle dottrine economiche, Roma, Joseph Alois
Schumpeter, Storia dell'analisi economica, Torino, Luigi De Rosa, Antonio Serra
e i suoi critici, in Atti del 3º Congresso storico calabrese, Napoli, Giuseppe
Galasso, Economia e società nella Calabria del Cinquecento, Guida Editori, Oscar
Nuccio, Sul significato storico del «Breve trattato» di Antonio Serra, in
Rivista storica del Mezzogiorno, Raffaele Colapietra, Introduzione, in Problemi
monetari negli scrittori napoletani del Seicento, R. Colapietra, Roma Antonio
Aquino, Antonio Serra e l'approccio monetario all'analisi della bilancia dei
pagamenti, in Studi economici, Raffaele
Colapietra, Genovesi in Calabria nel Cinque e Seicento, in Rivista storica calabrese,
Manoscritti napoletani di Paolo Mattia Doria, Giulia Belgioioso, I, Galatina, Tullio Toscano, Il "Breve trattato"
di Antonio Serra e la disputa sui cambi esteri del Regno di Napoli, in Rivista
di politica economica, Clemente Secondo Rije, Notizie biografiche su Antonio
Serra, in A. Serra, Breve trattato, ed. anast., introduzione di Sergio Ricossa,
Napoli, Peter Groenewegen, Serra, Antonio in The New Palgrave: a dictionary of
economics, John Eatwell, Murray Milgate, Peter Kenneth Newman, IV, London; Sergio
Ricossa, Cento trame di classici dell’economia, Milano, Theodore A. Sumberg,
Antonio Serra: A Neglected Herald of the Acquisitive System, in American
Journal of Economics and Sociology, Oscar
Nuccio, Il pensiero economico italiano, II, 2, Sassari, Antonio Serra und sein
Breve trattato: Vademecum zu einem Unbekannten Klassiker, Bertram Schefold,
Düssendorlf, Il Mezzogiorno agli inizi
del Seicento, L. De Rosa, Roma-Bari , Alle origini del pensiero economico in
Italia, I, Moneta e sviluppo negli economisti napoletani dei secoli XVII-XVIII,
A. Roncaglia, Bologna 1995 (in partic. E. Zagari, Moneta e sviluppo nel «Breve
trattato» di Antonio Serra, A. Rosselli, Antonio Serra e la teoria dei
cambi, Antonio Landolfi, Domenico
Luciano, Prefazione, in A. Serra, Breve trattato delle cause che possono far
abbondare li regni d’oro e argento..., Antonio Landolfi, Domenico Luciano, Vibo
Valentia, Augusto Placanica, Storia della Calabria dall’antichità ai giorni
nostri, Roma, Alessandro Roncaglia, Antonio Serra, in Rivista italiana degli economisti,
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Antonio Serra Antonio Serra, su
Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Anna Maria Ratti, Antonio Serra, in
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Luca Addante, Antonio Serra, in Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Alessandro Roncaglia, Antonio Serra, in Il
contributo italiano alla storia del Pensiero: Economia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana
settala: Lodovico Settala (Milano), filosofo.
Nacque dal medico Francesco Settala e da Giulia Ripa, figlia del giureconsulto
pavese Giovanni Francesco Ripa. Studiò nel collegio dei Gesuiti di Brera
e si laureò a Pavia. Due anni dopo ottenne la prima cattedra straordinaria di
Medicina a Pavia; ma vi rinunciò poco tempo dopo per svolgere l'attività medica
a Milano. Ebbe tuttavia le cattedre di politica e di morale nelle Scuole
canobiane di Milano e l'incarico di protofisico generale dello stato di Milano.
Si prodigò in occasione delle epidemie di peste che si svilupparono a Milano e la
famosa peste dei I promessi sposi. Manzoni lo nomina ne I promessi sposi, una prima
volta quando parla del figlio, Senatore
Settala, medico, membro, insieme ad Alessandro Tadino del tribunale della
sanità ai tempi della vicenda di Renzo e Lucia; e una seconda volta nel
capitolo XXXI, allorché è tra i primi ad accorgersi che la "strana
malattia" che si stava diffondendo nella zona lecchese, era la
peste. Opere Lodovico Settala scrisse numerose opere, di medicina,
filosofia e di storia naturale, altre di morale e di politica. Fra le sue opere
si ricordano la traduzione latina, con commento, dei libri ippocratici De
aëribus, aquis et locis (In librum Hippocratis Coi de aeribus, aquis, locis,
commentarii V. Appositus est Graecus Hippocratis contextus ope antiquorum
exemplarium, restitutus, ... Cum indice rerum et verborum locupletissimo,
Coloniae: Ioan. Baptistae Ciotti Senensis aere, 1590) e dei Problemata di
Aristotele (Commentariorum in Aristotelis problemata Tomus I-II, Francoforte
sul Meno: apud haeredes Andreae Wecheli, Claudium Marnium, & Ioannem
Aubrium, 1602). Ludovico Settala,
In Librum Hippocratis Coi de aeribus, aquis, locis Commentarii V. appositus est
graecus Hippocratis contextus ... restitutus et ... emendatus, una cum nova
eiusdem in Latinum versione, Colonia, Giovanni Battista Ciotti, 1590. 3 marzo
. Ludovico Settala, Ludovici Septalii
Patricii Mediolanensis Commentariorum in Aristotelis Problemata, septem primas
sectiones continens, ab eodem Latine factas,
1, Francoforte, Apud Claudium Marnium & heredes Ioannis Aubrii,
1602. 3 marzo . Ludovico Settala,
Ludovici Septalii Patricii Mediolanensis Commentariorum in Aristotelis
Problemata, secundam heptadem continens, ab eodem Latine factam, 2, Francoforte, Apud Claudium Marnium &
heredes Ioannis Aubrii, 1607. 3 marzo . Animaduersionum, & cautionum
medicarum libri septem. Quorum materiam sequens pagina indicabit, Mediolani:
apud Io. Bapt. Bidell., 1614 De peste, & pestiferis affectibus. Libri
quinque., Mediolani: apud Ioannem Baptistam Bidellium, De peste et pestiferis
affectibus, Ludouici Septalij patrici et medici Mediolanensis, De ratione
instituendae, & gubernandae familiae. Libri quinque. Senator F. edidit,
& Iulio Aresio Senatus Mediolanensis principi dicauit, Mediolani: apud Io.
Baptistam Bidellium, 1626 Della ragion di stato libri sette. Di Lodouico
Settala. All'illustrissimo, & eccellentissimo signore Don Emanuelle de
Fonseca e Zugniga, Milano: appresso Gio. Battista Bidelli, Cura locale de'
tumori pestilentiali, che sono il bubone, l'antrace, o carboncolo, & i
furoncoli. Contenente tutto quello, che si ha da fare esteriormente nellquesti
mali. Tolta dal libro della cura della peste. Del signor profisico Lodouico
Settala, Milano: per Giouan Battista Bidelli, 1629 Preseruatione dalla peste
scritta dal sig. protomedico Lodouico Settala, Brescia: per Bartholomeo Fontana,
Commentaria in Aristotelis Problemata, Lugduni, Sumptibus Claudi Landry, Antidotario
romano latino, et volgare tradotto da Hippolito Cesarelli romano. Con
l'aggionta dell'elettione de semplici, e prattica delle compositioni. E di due
trattati, vno della teriaca romana, ... l'altro della teriaca egittia.
Aggiontoui in questa vltima impressione le auertenze, & osseruationi
appartenenti alla compositione de medicamenti del sig. Lodovico Settala,
Milano: per Gio. Battista Bidelli, Auertenze, et osseruationi appartenenti al
curar le ferite, tradotte dall'ottavo libro delle osseruationi del signor
Ludouico Settala, da Alessandro Tadino, Milano: per Gio. Pietro Cardi, Breue
compendio per curare ogni sorte de tumori esterni, & cutanee turpitudini,
raccolto dalle osseruationi fisice, & chirurgice nelli vltimi anni fatte
dal sig. Lodouico Settala medico collegiato ,,, d'Alessandro Tadino medico
collegiato, Milano: per Lodouico Monza: ad instan. di Altobello Pisani, 1646
Ludovici Septalii mediolanensis, Opera de ratione familiae cum
instituendae, tum gubernandae libri V et De ratione status libris VII, Editio
nova, Ulmae: prostat apud Jo. Frid. Gaum, 1755 Note CERL Thesaurus, «Ripa, Giovanni Francesco
(1480-1535)» Giuseppe Ferrario,
Statistica medica di Milano: dal secolo XV fino ai nostri giorni, 2, Milano, Guglielmini e Redaelli, Luigi
Belloni, Carlo Borromeo e la Storia della Medicina, in San Carlo e il suo
tempo: atti del convegno internazionale nel IV centenario della morte (Milano).
Edizioni di Storia e Letteratura, Bartolomeo Corte, Notizie istoriche intorno a
medici scrittori milanesi, Milano 1718,
137-146. Filippo Argelati, Bibliotheca scriptorum mediolanensium seu
acta, et elogia virorum omnigena eruditione illustrium, qui in metropoli
Insubriae, oppidisque circumjacentibus orti sunt, II, Mediolani, Paolo
Sangiorgio, Cenni storici sulle due Pavia e di Milano e notizie intorno ai più
celebri medici, chirurghi e speziali di Milano dal ritorno delle scienze sino
all’anno 1816. Opera postuma, F. Longhena, Milano 1831, 258-272. Salvatore De Renzi, Storia della
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Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giorgio Giacomo Mellerio, Ludovico Settala,
in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere su openMLOL, Horizons Unlimited srl.
severino: Emanuele Severino (Brescia), filosofo. È considerato da parte della critica come uno
dei più grandi filosofi italiani del '900 e uno dei più grandi filosofi di
tutti i tempi. Il suo pensiero filosofico intende collocarsi oltre tutta la
storia della filosofia occidentale che secondo Severino è permeata dal
Nichilismo. Il padre era un militare di carriera siciliano originario di
Mineo trasferitosi a Brescia, mentre la madre era una bresciana di Bovegno in
alta Val Trompia. Si laureò a Pavia come
alunno dell'Almo Collegio Borromeo, discutendo una tesi su Heidegger e la
metafisica, sotto la supervisione di Bontadini. L'anno successivo ottenne la
libera docenza in filosofia teoretica. Insegnò a Milano. I libri pubblicati in
quegli anni entrarono in forte conflitto con la dottrina ufficiale della Chiesa
cattolica, suscitando vivaci discussioni all'interno dell'Università Cattolica
e nella Congregazione per la dottrina della fede (l'ex Sant'Uffizio). Dopo un
lungo e accurato esame (condotto da Cornelio Fabro) la Chiesa proclamò
ufficialmente nel 1969 l'insanabile opposizione tra il pensiero di Severino e
il cristianesimo. Lasciata l'Università Cattolica, Severino venne
chiamato all'Università Ca' Foscari Venezia, dove fu tra i fondatori della
Facoltà di lettere e filosofia, nella quale hanno insegnato o insegnano alcuni
dei suoi allievi (Umberto Galimberti, Carmelo Vigna, Luigi Ruggiu, Salvatore
Natoli, Italo Valent). Dal 1970 fu Professore di Filosofia teoretica, diresse
l'Istituto di filosofia (diventato poi Dipartimento di Filosofia e Teoria delle
scienze e, oggi, Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali) fino al 1989 e
insegnò anche logica, storia della filosofia moderna e contemporanea e sociologia.
Cominciò una serie di pubblici colloqui col teologo tomista Giuseppe
Barzaghi in cui pareva aprirsi lo spiraglio di una riconsiderazione della
possibilità cristiana. Nel 2005 l'Università Ca' Foscari Venezia lo
proclamò Professore emerito; insegnò Ontologia fondamentale presso la Facoltà
di Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano; fu Accademico
dei Lincei e Cavaliere di gran croce, inoltre collaborò per alcuni
decenni[senza fonte] con il Corriere della Sera e dal 1974 per pochi anni[senza
fonte] con Bresciaoggi. Il 23 dicembre
il Consiglio comunale di Bovegno gli conferì la cittadinanza onoraria
con la seguente motivazione: "Discendente per parte di madre da antica
famiglia bovegnese, ha contribuito con la sua opera in maniera rilevante al
pensiero filosofico occidentale contemporaneo, sulle orme degli antichi
filosofi greci. Nella sua autobiografia ha espresso il suo legame con la terra
avìta di Bòvegno che onorata, lo vuole annoverare tra i suoi concittadini più
illustri". È morto a Brescia il 17 gennaio dopo una lunga malattia. Politica e
società Severino ha spesso criticato sia il capitalismo sia il comunismo, fonti
dell'heideggeriana "vita inautentica" in quanto espressioni di
"dominio della tecnica" (come d'altronde il fascismo), ma anche la
sinistra in quanto "non è più socialdemocrazia", rilasciando anche
dichiarazioni sul suo punto di vista sul passato e sull'avvenire dell'Italia:
«Le spiegazioni della crisi del nostro tempo rimangono molto in superficie
anche quando vogliono andare in profondità. Il fenomeno di fondo, che non viene
adeguatamente affrontato, è l'abbandono, nel mondo, dei valori della tradizione
occidentale; e questo mentre le forme della modernità dell'Occidente si
sono affermate dovunque. Un abbandono che si porta via ogni forma di assolutoe
innanzitutto Dio.(...) Muore, dicevo, ogni forma di assolutezza e di
assolutismo, dunque anche quella forma di assoluto che è lo Stato moderno, che
detienedice Weber"il monopolio legittimo della violenza". Questo
grande turbine che si porta via tutte le forme della tradizione è guidato dalla
tecnica modernaed è irresistibile nella misura in cui ascolta la voce che
proviene dal sottosuolo del pensiero filosofico del nostro tempo. Il turbine
travolge anche le strutture statuali. Investe innanzitutto le forme più deboli
di Stato. La trasformazione epocale di cui parlo non è indolore: il vecchio
ordine non intende morire, ma è sempre più incapace di funzionare, soprattutto
in Paesi come l'Italia. E il nuovo ordine non ha ancora preso le redini. È la
fase più pericolosa (non solo per l'Italia).» e criticando "l'assolutismo
cattolico e comunista", oltre che tacciando la magistratura di
"ingenuità", poiché processando una classe politica a fondo ha
rivelato la contiguità anche con la criminalità organizzata, figlia della
guerra fredda e, secondo Severino, impossibile da debellare
integralmente in pochi anni senza debellare lo Stato stesso, causando notevoli
problemi. «L'Italia è uno Stato acerbo. Ha 150 anni su per giù. Ma
soprattutto ha alle proprie spalle una storia di frazionamento
politico-economico-sociale, dove si sono imposte forze che hanno avuto nel
mondo un peso ben maggiore di quello dell'Italia unita.. Sull'evasione fiscale:
Una tara storica, come prima le dicevo. L'evasione fiscale è un furto ai danni
di tutti. Se c'è da costruire una strada io devo metterci anche la parte degli
evasori. Certo, molti artigiani e piccoli imprenditori, se non evadessero,
fallirebbero. Tutti sanno queste cose. Però conosco anche tanti cattolici ai
quali molti uomini di Chiesa facevano capire che se non avessero ritenuto
"giusto" pagare le tasse dello Stato, avrebbero fatto bene a non
pagarle. Questo Papa, da buon pastore, sta cercando di cambiare le cose. Ma non
vorrei che si perdesse di vista che la "corruzione" di fondo è
l'"evasione" del mondo dal passato dell'Occidente.» Critiche Oltre
alle citate critiche cattoliche, Martin Heidegger parlando con Cornelio Fabro a
Roma ebbe a dire a proposito di "Ritornare a Parmenide rmenide"
di Severino: "Severino ha immobilizzato il mio Dasein!" Già da molto
prima prima, alcuni appunti di lavoro heideggeriani testimoniano come Martin
Heidegger seguisse il giovanissimo Severino (da uno studio di Francesco Alfieri
e Friedrich von Herrmann). Severino è stato criticato dal matematico e logico
Piergiorgio Odifreddi, in risposta a un giudizio critico dello stesso Severino
su un'opera di Odifreddi, ovvero l'introduzione scritta per l'edizione italiana
di L'ABC della relatività di Bertrand Russell, dove venivano citati alcuni
filosofi (tra cui Severino stesso, Heidegger, Croce e Deleuze), secondo
Severino in maniera non congrua e "alla rinfusa"; il matematico ha
accusato invece Severino di non considerare l'importanza della scienza (come
già fecero i neoidealisti, come Croce e Gentile), a differenza di grandi
filosofi del passato che avevano studiato a fondo alcune teorie (facendo
l'esempio di Kant, Nietzsche e Cartesio, matematico lui stesso). Nel dialogo
tra Severino e Alessandro Di Chiara, Oltre l'uomo e oltre Dio (2002) la
filosofia della necessità si contrappone alla filosofia della libertà.
Pensiero Nei suoi scritti fa spesso riferimento a pensatori come Parmenide,
Eraclito, Aristotele, Hegel, Nietzsche, Leopardi, Heidegger e Gentile. Secondo
Severino il pensiero di Giacomo Leopardi, Nietzsche e di Giovanni Gentile è
l'apice della follia del nichilismo. Severino considera questi tre filosofi
come i tre più grandi geni che hanno portato all'estremo la concezione greca
del Nulla ovvero l'entrare e l'uscire degli enti dal Nulla. L'eternità di
tutti gli essenti Severino affronta l'antico problema radicalizzato da Platone
e Aristotele e ripreso poi in epoca moderna da Heidegger: il problema
dell'essere. Per Severino, tutte le filosofie costituitesi precedentemente sono
caratterizzate da un errore di fondo: la fede nel senso greco del
divenire. Sin dagli antichi greci, infatti, un ente (ovvero un qualcosa che è)
viene considerato come proveniente dal nulla, dotato temporaneamente di
esistenza e successivamente ritornante nel nulla. Rifacendosi al pensiero
di Parmenide, Severino è stato definito come fondatore di un neoparmenidismo,
di cui sarebbe l'unico esponente, peraltro criticato in senso anti-metafisico
da Gennaro Sasso e da Mauro Visentin, i quali sostengono, rovesciando la sua
tesi, come, contrariamente all'opinione diffusa, in Parmenide esista invece un
deciso rifiuto della metafisica.. Severino, riflettendo sull'opposizione
assoluta tra essere e non-essere, dato che tra i due termini non vi è nulla in
comune, ritiene evidente che l'essere non può non rimanere costantemente uguale
a se stesso, evitando di rimanere alterato dall'altro da sé. Anzi, essendo
l'essere la totalità di ciò che esiste, non può esserci altro al di fuori di
esso dotato di esistenza (Severino rifiuta, quindi, il concetto di differenza
ontologica così come è stato avanzato da Heidegger). Per Severino, quindi,
tutta la storia della filosofia occidentale è basata sull'errata
convinzione che l'essere possa diventare un nulla, sebbene alcuni filosofi,
come Schopenhauer, abbiano tentato di negare tale assunto. Ma, mentre
Parmenide tentava di risolvere il conflitto tra il divenire e l'immutabilità
dell'essere affermando l'illusorietà del divenire (negando l'esistenza delle
cose del mondo e cadendo quindi in un'aporia), Severino sceglie una via
differente, portando il suo pensiero a delle tesi estreme. Dato che
l'essere è, e non può mai diventare un nulla, «ogni essente è eterno». Ogni
cosa, ogni pensiero, ogni attimo sono eterni. Il divenire temporale non può,
quindi, che rappresentare l'apparire successivo degli eterni stati dell'essere,
così come i fotogrammi di una pellicola si susseguono sino a formare lo
svolgimento completo di un film. Gli enti entrano ed escono da quello che
Severino chiama "cerchio dell'apparire". Ciò significa che, quando un
ente esce dal cerchio dell'apparire, non diviene un nulla, ma si sottrae
semplicemente alla vista: dunque, le cose esistono anche quando scompaiono
ovvero non si vedono ("vedere senza vedere", dice Donato Sperduto in
una tragicommedia sul pensiero severiniano). Riprendendo la metafora di Plotino,
afferma che il divenire degli enti è come lo scorrere degli oggetti sulla
superficie di uno specchio. Le cose, infatti, esistono prima di entrare nel
campo visivo dello specchio e ovviamente continuano ad esistere anche dopo
esserne uscite. Non solo Plotino, ma anche Agostino di Ippona, con un'immagine
simile, definì il tempo come immagine mobile dell'Eterno. Nel pensiero di
Severino, tuttavia, l'eternità non è limitata a un Dio che dà e toglie la vita
agli Enti, facendoli entrare e uscire dallo specchio (senza che nulla esista
prima e dopo), ma si estende anche a tutti gli enti che nel divenire si
manifestano. Dimostrazione dell'eternità di tutti gli essenti Magnifying
glass icon mgx2.svg Divenire § Severino.
La dimostrazione severiniana dell'eternità di tutti gli essenti, si basa
sostanzialmente sul principio di non contraddizione, ma non nella versione che
ne dà Aristotele nel De Interpretatione. In essa anzi "il discorso del
tramonto del senso dell'essere...trova la sua formulazione più rigorosa e più
esplicita". Bisogna invece "ritornare a Parmenide",
correggernecon Platonel'esito aporetico, dimostrando che l'evidenza fenomenica
non è in contrasto col principio di non contraddizione, ma scoprendo anche che
il divenire così come Platone lo pensa, come uscire dal nulla e ritornare nel
nulla, non appare affatto, non è affatto "evidente". Di qui si
potrà proseguire su una via (quella indicata da Parmenide, il "sentiero
del giorno") ben diversa da quella imboccata con Platone dal pensiero
occidentale. Consideriamo la proposizione parmenidea: "...è infatti
l'essere, il nulla non è": tale proposizione esprime l'opposizione
"assoluta" tra i termini "essere" e "non essere";
pertanto ogni essente, in quanto ent-e, è assolutamente opposto al nulla e non
ci può essere né un tempo né uno stato in cui un ente non sia, come pensa
invece il principio di non contraddizione aristotelico: "è necessario che
l'essere sia, quando è, e che il non-essere non sia, quando non è".
Quest'enunciato esprime il pensiero di un tempo, una condizione, in cui l'ente
è nulla, in cui essere=nulla. Questa impossibile ed impensabile contraddizione
costituisce la "follia essenziale" in cui cresce e sta, senza esserne
consapevole, tutto il pensiero occidentale. Infatti il pensiero occidentale
pensa sì, consapevolmente, l'ente come essere, ma insieme come diveniente
(pensa cioè che esca dal nulla e ritorni nel nulla). Ad esso sfugge invece che
ciò equivale a pensare l'ente come nulla; e questo è il nichilismo più proprio,
la follia che si annida nell'inconscio della filosofia, della scienza e della
tecnica. La differenza ontologica Per Heidegger, l'essere non è un ente
tra gli enti. Esso rappresenta piuttosto l'apparire ontologico degli enti, e
per questo motivo viene definito un transcendens rispetto all'ente. Severino
rigetta la concezione heideggeriana, affermando che la totalità dell'essere è
costituita dalla totalità degli enti. La vera differenza ontologica è quindi
per Severino quella che si costituisce tra l'essere (l'ente) diveniente e
quello immutabile. L'essere che appare e scompare non è lo stesso essere
immutabile, ma è anch'esso eterno. Entrambi esistono, ma in differenti
dimensioni. L'essere come fondamento è una struttura eterna e non soggetta ad
alcun mutamento. Tutto è avvolto (fino alla morte) dal nichilismo Un po'
tutti i filosofi che l'hanno avuto sottomano hanno inteso il nichilismo come
allontanamento dalla verità, e l'hanno dunque declinato a seconda dell'idea di
verità a cui stavano pensando. Nella prospettiva severiniana dell'eternità di
tutte le cose, il nichilismo è dunque il credere che le cose siano mortali,
ovvero che l'essere possa non essere,ed uscire e rientrare nel nulla, ovvero
credere nel divenire delle cose. Credere infatti che le cose escano dal nulla e
vi ritornino equivale ad identificare l'essere con il nulla: quindi si parla di
pura "follia". Al di fuori della follia appare l'eternità di ogni
cosa e di ogni evento. Al di fuori del nichilismo il sopraggiungere dell'ente è
il comparire o lo sparire dell'eterno. Il divenire dell'essere è un'opinione
senza verità. L'Occidente non domina il mondo casualmente o perché ha una
possibilità offensiva superiore; ma, al contrario, ha una possibilità offensiva
superiore perché domina il mondo che crede nelle sue stesse imprescindibili
idee guida (scienza, potenza, tecnica, salvezza, ecc.) e quindi in una cultura
che ritiene più avanzatae dove dunque l'avanzamento non è una virtù morale, ma
la capacità di capire e fare più cose per sopravvivere all'imprevedibilità dell'esistenza.
Nichilismo, morte e destino Severino ritiene che la filosofia abbia sempre
cercato riparo contro il terrore che scaturisce dall'imprevedibilità
dell'esistenza perché innanzitutto si è sempre creduto nell'evidenza del
divenire degli enti, del loro uscire dal nulla e rientrarvi. Anche le grandi
forme di epistème come quelle di Aristotele ed Hegel, che tendono a dare un
ordine ed una configurazione prestabiliti all'esistenza, si muovono sullo
stesso terreno. L'intera storia dell'Occidente è quindi per Severino
storia del nichilismo. La radicale distruzione dell'epistème operata da parte
della filosofia contemporanea e la rapida ascesa della scienza moderna ai
vertici del sapere sono conseguenze inevitabili di questa forma di pensiero (la
civiltà della tecnica è, infatti, la forma estrema di volontà di potenza).
Secondo la logica severiniana, tutto ciò che appare appare in maniera
necessaria ed il progressivo manifestarsi degli eterni non segue, quindi, una
sequenza casuale. Ciò significa che la libertà dell'uomo non esiste, ma appare
all'interno di quell'essente (anch'esso eterno) che è il nichilismo
dell'Occidente. Ed è proprio all'interno dell'Occidente che appare il
"mortale" come noi lo conosciamo. Ma, per Severino, l'Occidente
è destinato al tramonto, per fare spazio al Destino della verità, la verità che
testimonia la follia della fede nel divenire. Solo all'interno del Destino
della verità la morte acquista un significato inaudito: in realtà la morte è la
persuasione dell'assentarsi dell'eterno. Dio e il Superdio Da quanto
detto precedentemente appare chiaro come nel pensiero di Severino non ci sia
posto per il Dio comunemente inteso; da qui il contrasto insanabile con la
Chiesa Cattolica. Nel corso della storia della filosofia, e nel pensiero
della Chiesa cattolica in particolare, l'affermazione dell'esistenza di
qualcosa di immutabile (tra cui Dio in tutti i diversi modi nei quali filosofia
e religione lo hanno concepito) è sempre stata fatta partendo dal presupposto
che il divenire non significhi necessariamente la nascita dal nulla e il
tornare nel nulla delle cose che in esso si presentano. Quest'affermazione è,
inoltre, sempre avvenuta con l'intento di risolvere le varie contraddizioni che
quel presupposto implica e di inventare un "rimedio" per
l'"angoscia" che il pensiero dell'annientamento provoca. Questo
genere di immutabilità è, quindi, di segno diverso da quella che compete agli
enti sulla base dell'impossibilità assoluta che qualcosa si annulli. Per questo
motivo è impossibile che esista un Dio come è stato pensato dalla religione e
dalla filosofia. A maggior ragione è impossibile per Severino che esista il Dio
del cristianesimo, che è tradizionalmente concepito come dotato della capacità
di creare gli enti dal nulla e di mantenerli in esistenza grazie alla sua
libera volontà (altrettanto libero potrebbe essere, per Dio,
l'"annichilimento"diverso dal concetto fisico di annichilazione -, e
cioè la volontà di far cessare la durata della loro esistenza per farli
ritornare nel nulla). Essendo ogni ente eterno, non può esserci né
creazione né annientamento, e quindi neanche un Dio comunemente inteso. Alla
luce del "Destino della verità", ogni ente, anche il più
insignificante, acquista un significato inaudito. L'uomo si porta quindi radicalmente
al di là del superuomo e della volontà di potenza: l'uomo è un
"superdio", ben più grande del Dio della tradizione religiosa.
L'inconciliabilità fra la dottrina dell'Essere di Severino e il Tomismo è stata
sostenuta da Cornelio Fabro.[26] Il teologo e frate domenicano tomista
Giuseppe Barzaghi, con cui Severino ha più volte dialogato pubblicamente dal
1995, ha mostrato la possibilità di utilizzare le intuizioni severiniane
sull'eternità dell'essente proprio per affermare l'esistenza di Dio e ricondurre
il pensiero del filosofo all'alveo cristiano da cui si è staccato (entrambi
sono stati alunni, all'Università Cattolica, del filosofo cattolico e apologeta
Gustavo Bontadini). Severino, pur non rivedendo pubblicamente il suo punto di
vista sull'esistenza di Dio, ha apprezzato ed elogiato la proposta di padre
Barzaghi. Necessità dell'oltrepassamento Nessuna nota a piè di pagina
Questa voce o sezione sull'argomento filosofia è priva o carente di note e
riferimenti bibliografici puntuali. Sebbene vi siano una e/o dei , manca la contestualizzazione delle
fonti con note a piè di pagina o altri riferimenti precisi che indichino
puntualmente la provenienza delle informazioni. Puoi migliorare questa voce
citando le fonti più precisamente. Segui i suggerimenti del progetto di
riferimento. Con il libro La Gloria, Severino giunge, tra le altre cose, alla
dimostrazione necessaria dell'esistenza degli "altri". Quando
Cartesio infatti scopre che la carta vincente della scienza è la conferma delle
ipotesi da parte dell'"esperienza", e cioè da parte della
"presenza certa a me" da parte delle cose, si apre il problema della
fondazione dell'esistenza appunto di altre dimensioni che come la mia accolgono
l'accadere del mondo, ma che a differenza della mia non sono apparenti, non
sono cioè da me "visibili". I fallimenti dei tentativi di soluzione a
tale problema (eminentemente proposti ad opera della fenomenologia, sì che
questo problema fu certamente uno dei più cogenti all'interno del discorso
filosofico di Husserl), a cominciare da quello di Cartesio, si determineranno
essenzialmente per l'assenza del senso autentico dell'essente e del senso
dell'"oltrepassamento"."L'oltrepassamento dell'attualità nella
costellazione infinita di cerchi finiti dell'apparire del Destino" è necessità
dell'esistenza di un altro apparire finito, diverso da quello attuale.
Nella Gloria, Severino perviene alla fondazione del senso autentico
dell'"oltrepassamento", dopo aver stabilito nelle opere precedenti
che il divenire autentico (cioè non nichilistico) non è il crearsi e
l'annullarsi dell'essente, ma il comparire e lo sparire di ciò che è
eterno. Ma è in questa sede innanzitutto fondamentale precisare, a
partire da considerazioni svolte dallo stesso Severino in Destino della
Necessità (1980) che le cose della "terra" (termine con il quale
Severino designa la dimensione degli essenti che via via appaionoe che, per
contro, il nichilismo pensa come fuoriuscenti dal nulla ed al nulla ritornanti)
"incominciano" ad apparire (il loro apparire esce cioè dall'ombra del
non-apparire ed entra nel cerchio dell'apparire). Con "cerchio
dell'apparire" si intende, qui, la totalità degli enti che appaiono: è,
cioè, l'apparire in quanto ha come contenuto tutto ciò che appare (ossia è
l'apparire "trascendentale"); l'apparire delle cose della terra,
quell'apparire incominciante di cui sopra, è, perciò, la relazione tra il
cerchio dell'apparire (l'apparire trascendentale) e una parte del suo
contenuto. È altrettanto fondamentale precisare che l'incominciare della
terra (a sua volta eterna), non aggiunge alcunché al Tutto eternoche è, con
Parmenide, appunto "non incompiuto" [ouk ateleuteton], "non
manchevole" [oulon achineton] (Parmenide, fr. 8, vv 38, 33, 38). Anche
l'incominciante apparire, difatti, è eterno: il suo incominciare è il suo
entrare nel cerchio dell'apparire. Entrandovi, naturalmente, apparema questo
apparire dell'entrare è lo stesso entrare, ossia è quello stesso di cui si dice
che, eterno, entra nel cerchio dell'apparire. E, così come ogni ente, anche
l'appartenenza della terra al cerchio dell'apparire è eterna. L'eterna
appartenenza al cerchio dell'apparire entra nel cerchio eterno dell'apparire.
Entrandovi, appare, e quest'ultimo apparire è lo stesso apparire incominciante
in cui consiste l'incominciante appartenenza della terra al cerchio
dell'apparire. L'apparire incominciante è cioè apparire di sé stesso (e di
tutte le altre cose che incominciano ad apparire), ed è questa autoriflessione
dell'apparire incominciante ciò che entra nel cerchio dell'apparire e
incomincia a far parte del contenuto di questo cerchio. Ma ogni essente
che incomincia ad apparire (ogni oltrepassante) è destinato ad essere
oltrepassato: diventerebbe, altrimenti, condizione indispensabile dell'apparire
degli essenti e quindi originarietà che sarebbe dovuta apparire già da sempre.
Un oltrepassante che sia non oltrepassabile è impossibile, perché altrimenti
esso dovrebbe iniziare ad appartenere allo "Sfondo" (e Severino
intende, con questo termine, quel complesso di significati, o "costanti
persintattiche"costanti sintattiche di ogni significato –, senza i quali
non apparirebbe nulla, motivo per cui non possono non essere sempre presenti.
Tra questi ad esempio vi sono i significati «essere» e «nulla»[27]. Inoltre, la
serie progressiva degli essenti che via via appaiono è necessariamente finita;
infatti, se in direzione del passato fosse estensibile all'infinito, ci
vorrebbe un percorso infinito, e quindi mai concluso, per giungere al momento
attuale. C'è quindi un primo passo compiuto dalla terra. La totalità
attuale di ciò che è destinato ad apparire è, per quanto sopra esposto,
necessariamente oltrepassata. Ma in che senso? Essa non è, difatti,
oltrepassata dall'apparire infinitogiacché l'apparire infinito (l'infinito
oltrepassarsi da parte delle forme proprie dell'apparire finitodove la Gloria
è, per Severino, proprio questo infinito dispiegarsi) non è un
oltrepassamento incominciante, ma è l'oltrepassamento già da sempre ed
eternamente compiuto della totalità del finito. La totalità attuale
dell'incominciante è, dunque, necessariamente oltrepassata da un
incomincianteil quale non può apparire attualmente, ma è tuttavia necessario
che appaia (in quanto l'incominciare è incominciare ad apparire), e che quindi
è necessario che appaia sopraggiungendo in un cerchio diverso, altro, dal
cerchio originario dell'apparire. La totalità simpliciter degli
essenti-che-sono-degli-oltrepassanti (la totalità dell'oltrepassante, cioè, che
include come parte la totalità attuale dell'oltrepassante) non può essere a sua
volta oltrepassata, perché ciò che la oltrepasserebbe sarebbe un oltrepassante
non incluso nella totalità dell'oltrepassante; e se l'oltrepassante (cioè
l'incominciante) che oltrepassa la totalità degli oltrepassanti non fosse a sua
volta oltrepassato, esso sarebbe quel contenuto impossibile che è, appunto (per
quanto sopra esposto), l'incominciante non-oltrepassabile. Poiché la
terra oltrepassa anche l'attualità dell'apparire del cerchio originario,
sopraggiungendo in un cerchio diverso, il contenuto incominciante che appare
nel cerchio originario dell'apparire attuale, è oltrepassato (infinitamente) in
due direzioni: (a) In quanto contenuto incominciante, esso è oltrepassato
lungo il dispiegamento infinito del contenuto attuale del cerchio originario
(o, per utilizzare il lessico severiniano, lungo la Gloria del dispiegamento
infinito della terra che si inoltra nel cerchio originario). Ma non è in quanto
tale contenuto è attuale che esso viene oltrepassato lungo il dispiegamento infinito
del contenuto attuale. (b) In quanto contenuto attuale (in quanto, cioè,
alla sua attualità) il contenuto incominciante è oltrepassato invece in un
altro cerchioe in un'infinità di altri cerchi dell'apparire.
L'oltrepassante-incominciante, qui, entra nell'apparire non attuale. Anche
questa seconda direzione dell'oltrepassamento è un dispiegamento infinito nella
Gloria, ma, appunto, nella gloria che consiste nell'infinito sopraggiungere,
nel cerchio originario, della costellazione infinita degli altri cerchi. La
gloria è l'unità di queste due dimensioni. La dimensione dell'essente,
che incomincia cioè ad apparire nel cerchio originario, è necessariamente
oltrepassata da un'altra dimensione dell'essente (perché l'incominciante non
può incominciare ad appartenere all'essenza dello Sfondo, non incominciante e
non tramontante, del cerchio originario); ma anche l'attualità dell'essente che
incomincia ad apparireossia anche l'apparire (che, in quanto tale, è apparire
attuale) dell'essente che incomincia ad apparireincomincia ad apparire, sì che
(per lo stesso motivo) è necessariamente oltrepassata in un altro cerchio
dell'apparire; e anche la sintesi tra l'attualità del cerchio originario e
l'attualità in sé dell'altro cerchio incomincia ad apparire nel cerchio
originario, quando in esso incomincia ad apparire ciò che ne oltrepassa
l'attualità; e dunque (per lo stesso motivo) tale sintesi è oltrepassata in un
terzo cerchio (e, cioè, l'attualità in sé dell'altro cerchio non è oltrepassata
solo nel cerchio originario, ma necessariamente in un terzo cerchio)e così
all'infinito. In definitiva, l'oltrepassamento dell'attualità di un
cerchio non avviene solo lungo la dimensione "verticale" del singolo
cerchio, ma anche lungoquella "orizzontale" della costellazione di cerchi
del Destino. L'oltrepassamento hegeliano, invece, conserva
"idealmente", cioè astrattamente, ciò che oltrepassa, e non
realmente, determinandone la distruzione. In un contesto siffatto è fondata
l'impossibilità dell'esistenza degli "altri", perché l'altro, che è
il mio oltrepassante, determinerebbe il mio superamento, e mi consegnerebbe ad
una dimensione puramente ideale. Infatti nel sistema hegeliano l'esistenza
degli altri significa l'esistenza di soggetti empirici, sensibili, che è quindi
comunque interna all'esistenza produttiva dell'unico "Io". Il
nichilismo è un essente che incomincia ad apparire, ed è quindi destinato ad
essere oltrepassato. L'essente che oltrepassa il nichilismo è l'essente che
porta al tramonto l'isolamento del senso delle cose dalla verità. Il nichilismo
è, infatti, pensare e vivere le cose come nulla in quanto delle cose non appare
il legame alla struttura originaria della verità, e quindi non appare
l'eternità. L'essente, o la dimensione di essenti, che porta al tramonto l'isolamento
del senso delle cose dalla verità è la "Gloria" (cioè la
manifestazione) della verità stessa. L'ampiezza dell'isolamento non coinvolge
solo il legame tra i singoli essenti e la verità, ma anche il legame tra gli
infiniti cerchi dell'apparire, il loro passato e il futuro del percorso che la
terra è destinata a compiere in essi. Nella Gloria non si è Dio, perché Dio
crea ed annienta le cose anche e soprattutto quando ama; e dunque appartiene al
regno dell'errore perché l'amore è volontà e la volontà è voler alterare il
senso proprio ed eterno, cancellarne l'identità. Dio è, quindi, infinitamente
meno della più umbratile tra le cose vere. Tutto è oltre Dioe oltre ogni forma
di mortalità, compresa la vita umana come credenza nel poter creare e annientare
gli essenti. Opere: “La struttura originaria,” Brescia, La Scuola; Nuova
ediz. riveduta, Introduzione del Milano, Adelphi, Per un rinnovamento nella
interpretazione della filosofia fichtiana, Brescia, La Scuola, poi in
Fondamento della contraddizione, Collezione Scritti di E. Severino n.5, Milano,
Adelphi, Studi di filosofia della prassi, Milano, Vita e Pensiero, nuova ediz. ampliata, Collezione Scritti di E.
Severino, Milano, Adelphi, Ritornare a Parmenide, in «Rivista di filosofia neoscolastica»,
poi in Essenza del nichilismo, Brescia, Paideia, 13–66; nuova edizione ampliata, Milano,
Adelphi, Ritornare a Parmenide. Poscritto, in «Rivista di filosofia neoscolastica»,
poi in Essenza del nichilismo, Brescia, Paideia, nuova edizione ampliata, Milano,
Adelphi, Essenza del nichilismo. Saggi, Brescia, Paideia, II ediz. ampliata,
Milano, Adelphi, Gli abitatori del tempo. Cristianesimo, marxismo, tecnica,
Roma, Armando, nuova edizione ampliata, Téchne.
Le radici della violenza, Milano, Rusconi, II ediz., ivi, nuova edizione ampliata,
Milano, Rizzoli, Legge e caso, Piccola Biblioteca n.89, Milano, Adelphi, Destino
della necessità. Κατὰ τὸ χρεών, Biblioteca Filosofica n.1, Milano, Adelphi, A
Cesare e a Dio, Milano, Rizzoli, nuova edizione, La strada, Milano, Rizzoli,
nuova edizione, La filosofia antica,
Milano, Rizzoli, nuova edizione
ampliata, La filosofia moderna, Milano, Rizzoli, nuova edizione ampliata, Il parricidio
mancato, Collana Saggi n.31, Milano, Adelphi, La filosofia contemporanea. Da Schopenhauer
a Wittgenstein, Milano, Rizzoli, nuova
edizione ampliata, Traduzione e interpretazione dell'«Orestea» di Eschilo,
Milano, Rizzoli, La tendenza
fondamentale del nostro tempo, Milano, Adelphi, 1nuova edizione, Il giogo. Alle origini della ragione: Eschilo,
Biblioteca Filosofica n.6, Milano, Adelphi, Antologia filosofica dai Greci al
nostro tempo, Milano, Rizzoli, 1989; nuova edizione ampliata, La filosofia
futura, Milano, Rizzoli, nuova edizione ampliata, . Il nulla e la poesia. Alla
fine dell'età della tecnica: Leopardi, Milano, Rizzoli, nuova edizione, Filosofia.
Lo sviluppo storico e le fonti, 3 voll., Firenze, Sansoni, Oltre il linguaggio,
Collana Saggi. Nuova serie n.7, Milano, Adelphi, La guerra, Milano, Rizzoli, La
bilancia. Pensieri sul nostro tempo, Milano, Rizzoli, Il declino del capitalismo, Milano,
Rizzoli, nuova edizione, Sortite.
Piccoli scritti sui rimedi (e la gioia), Milano, Rizzoli, Heidegger e la metafisica, Collezione Scritti
di E. Severino n.4, Milano, Adelphi, Pensieri sul Cristianesimo, Milano,
Rizzoli, nuov edizione, . Tautótēs,
Biblioteca Filosofica n.13, Milano, Adelphi, La filosofia dai Greci al nostro tempo,
Milano, Rizzoli, La follia dell'angelo: conversazioni intorno alla filosofia.
Ines Testoni, Milano, Rizzoli, 1997; nuova edizione, Milano, Mimesis, 2006.
Cosa arcana e stupenda. L'Occidente e Leopardi, Milano, Rizzoli, nuova
edizione, Il destino della tecnica,
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La buona fede, Milano, Rizzoli, L'anello
del ritorno, Biblioteca Filosofica n.18, Milano, Adelphi, Crisi della
tradizione occidentale, Milano, Marinotti, 1999. La legna e la cenere.
Discussioni sul significato dell'esistenza, Milano, Rizzoli, 2000. Il mio
scontro con la Chiesa, Milano, Rizzoli, 2001. La Gloria. ἄσσα οὐκ ἔλπονται:
risoluzione di «destino della necessità», Biblioteca Filosofica n.20, Milano,
Adelphi, Oltre l'uomo e oltre Dio,con Alessandro Di Chiara (interventi di Carlo
Angelino), Genova, il melangolo, Lezioni sulla politica. I Greci e la tendenza
fondamentale del nostro tempo, Milano, Marinotti, Tecnica e architettura,
Milano, Raffaello Cortina Editore, Dall'Islam a Prometeo, Milano, Rizzoli, Fondamento
della contraddizione, Milano, Adelphi, . Nascere. E altri problemi della
coscienza religiosa, Milano, Rizzoli, Milano, BUR, . Sull'embrione, Milano, Rizzoli,
Il muro di pietra. Sul tramonto della tradizione filosofica, Milano, Rizzoli, 2Ricordati
di santificare le feste, con Vincenzo Vitiello, Milano, AlboVersorio, (con CD audio). L'identità della follia.
Lezioni veneziane, Giorgio Brianese, Giulio Goggi, Ines Testoni, Milano,
Rizzoli, 2007. Oltrepassare, Biblioteca Filosofica n.25, Milano, Adelphi, Dialogo
su Etica e Scienza, con Edoardo Boncinelli, Milano, Editrice San Raffaele, Immortalità e destino, Milano, Rizzoli, La
buona fede. Sui fondamenti della morale, Milano, Rizzoli, 2008. Volontà, fede e
destino, Davide Grossi, con un saggio di Massimo Donà, Milano-Udine, Mimesis, (con due CD audio). L'etica del capitalismo e
lo spirito della tecnica, con un saggio inedito sulla pena di morte, Milano,
AlboVersorio, La ragione, la fede, Milano, AlboVersorio, L'identità del destino. Lezioni veneziane,
Milano, Rizzoli, Il diverso come icona del male, Torino, Bollati Boringhieri, Democrazia, tecnica, capitalismo, Brescia,
Morcelliana, Discussioni intorno al
senso della verità, Pisa, Edizioni ETS, La guerra e il mortale, Luca Taddio,
con un saggio di G. Brianese, Milano-Udine, Mimesis, (con due CD audio). Macigni e spirito di
gravità. Riflessione sullo stato attuale del mondo, Milano, Rizzoli, . L'intima
mano, Biblioteca Filosofica n.28, Milano, Adelphi, . Volontà, destino,
linguaggio. Filosofia e storia dell'Occidente, Ugo Perone, Torino, Rosenberg
& Sellier, Istituzioni di filosofia, Brescia, Morcelliana. [dispense
del corso tenuto nel 1968 all'Università Cattolica di Milano] Il mio ricordo
degli eterni. Autobiografia, Milano, Rizzoli, ; Milano, BUR, . La bilancia.
Pensieri sul nostro tempo, Milano, BUR, Del bello, Milano, Mimesis, , La morte e la terra, Biblioteca Filosofica
n.30, Milano, Adelphi, . Capitalismo senza futuro, Rizzoli, Milano, . Educare
al pensiero, Sara Bignotti, Brescia, Editrice La Scuola, . Pòlemos, Nicoletta
Cusano, Milano, Mimesis, Intorno al senso del nulla, Saggi. Nuova serie n.70,
Milano, Adelphi, . L'etica del capitalismo e lo spirito della tecnica. Con un
saggio inedito sulla pena di morte, Milano, AlboVersorio, . La potenza
dell'errare. Sulla storia dell'Occidente, Milano, Rizzoli, . Il morire tra
ragione e fede, con Angelo Scola, Venezia, Marcianum Press, . Parliamo della
stessa realtà? Per un dialogo tra Oriente ed Occidente, con Raimon Panikkar,
Milano, Jaca Book, . Sul divenire. Dialogo con Biagio De Giovanni, Modena, Mucchi,
. Piazza della Loggia. Una strage politica, I. Bertoletti, Brescia,
Morcelliana, . In viaggio con Leopardi. La partita sul destino dell'uomo,
Milano, Rizzoli, . Dike, Biblioteca Filosofica, Milano, Adelphi, . Cervello,
mente, anima, Brescia, Morcelliana, Storia, Gioia, Biblioteca Filosofica n.36,
Milano, Adelphi, .Il tramonto della politica. Considerazioni sul futuro del
mondo, Milano, Rizzoli, L'essere e l'apparire. Una disputa, con Gustavo
Bontadini, Brescia, Morcelliana, Dell'essere e del possibile, con Vincenzo
Vitiello, Milano, Mimesis, . Dispute
sulla verità e la morte, Milano, Rizzoli, Lezioni milanesi. Il nichilismo e la
terra (-), Nicoletta Cusano, Milano, Mimesis, Testimoniando il destino,
Biblioteca Filosofica n.39, Milano, Adelphi, Ontologia e violenza. Lezioni milanesi (-),
Nicoletta Cusano, Milano, Mimesis, Curatele Aristotele, I principi del divenire.
Libro primo della Fisica, trad., introd. e commento di E. Severino, Brescia, La
Scuola, Medaglia d'oro ai benemeriti della scuola della cultura e
dell'artenastrino per uniforme ordinaria Medaglia d'oro ai benemeriti della
scuola della cultura e dell'arte — Roma, Cavaliere di gran croce dell'Ordine al
merito della Repubblica italiananastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di
gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana «Di iniziativa del
Presidente della Repubblica» — Roma, 1º giugno 2001[29] immagine del nastrino
non ancora presente Cittadinanza onoraria del Comune di Bovegno — Bovegno. Mauro
Bonazzi, Morto il filosofo Emanuele Severino, su Corriere della Sera, Addio
Severino, filosofo dell'eternoMorto a Brescia il 17 gennaio, solo il 21 la
notizia, su ansa.it E. Severino, Il mio ricordo degli eterni. Autobiografia,
Milano, Rizzoli, È morto Emanuele
Severino, l'ultimo filosofo parmenideo, su la Repubblica, 21 gennaio . 4 agosto
. Adriano Scianca, Addio a Emanuele
Severino: ecco chi era il grande filosofo dell'essere, su Il Primato Nazionale,
Bovegno, il filosofo Severino cittadino onorario,
su giornaledibrescia.it «L'esperimento
di Barzaghi è importante e va seguito con attenzione. [...] Immerso
nell'alienazione, il cristianesimo è come una casa invisibile di cui qualcuno
dice, indicando un banco di nebbia: "Là c'è una casa". Che cosa si
riuscirebbe a vedere se la nebbia (l'alienazione) diradasse? Forse una casa. Ma
forse nulla. Nel primo caso, [...] il cristianesimo avrebbe ancora qualcosa da
dire, e di grande» (E. Severino, Nascere. E altri problemi della coscienza
religiosa). «Rigoroso fino alla fine.
Solo un po' più triste», in Bresciaoggi, 22 gennaio . 14 luglio . Emanuele Severino, il tributo si celebrerà a
Palazzo Loggia, in Bresciaoggi, 11 febbraio . 14 luglio . Silvia Truzzi,
Emanuele Severino, l'intervista: "Ecco perché la giovane Italia va in
malora", su il Fatto Quotidiano, Piergiorgio Odifreddi, LA SCIENZA SOTTO
TIRO, su la Repubblica.it, Diego Fusaro e Daniele Didero, Emanuele Severino, su
Filosofico.net. Gianluca Miligi et al., "Sguardo su Emanuele
Severino" , su filosofia.it.). il
cui "pensiero poetante", titolo di un saggio di Antonio Prete, che
riprende la metafora di Heidegger su Friedrich Hölderlin, è stato analizzato da
Severino cf. La Guerra , « [...] occorre riconoscere che le sue
posizioni, qualunque sia il giudizio che si pensa di dover dare su di esse, non
sembrano aver avuto, perlomeno fino ad ora, un vero e proprio seguito tra
coloro che si occupano professionalmente di filosofia.» (Cfr. Mauro Visentin,
Il neoparmenidismo italiano. Le premesse storiche e filosofiche, Napoli,
Bibliopolis) Neoparmenidismo, su filosofia.it. «Se noi potessimo mai non essere, già adesso
non saremmo. La prova più certa della nostra immortalità è il fatto che noi ora
siamo. Perché ciò dimostra che su di noi il tempo non può nulla: in quanto è
già trascorso un tempo infinito. È del tutto impensabile che qualcosa che è
esistito una volta, per un momento, con tutta la forza della realtà, dopo un
tempo infinito possa non esistere: la contraddizione è troppo grossa. Su questo
si fondano la dottrina cristiana del ritorno di tutte le cose, quella induista
della creazione del mondoche si ripete continuamente a opera di Brahma, e dogmi
analoghi di Platone e altri filosofi.» (A. Schopenhauer) D. Sperduto, Vedere senza vedere ovvero
Il crepuscolo della morte, Prefazione di E. Severino, Schena ed., Fasano di
Brindisi 2007. E. Severino,
"Ritornare a Parmenide", in Essenza del Nichilismo, Brescia, DK
B 6, 1-2 Aristotele, Liber de
Interpretatione, 19 a 23
"...essenza del nichilismo" ... follia estrema ed estremamente
nascosta: la persuasione che gli esse nti, in quanto tali, escano dal loro
non essere e vi ritornino: la persuasione che vi sia un tempo in cui l'essente
(prima di essere e dopo il suo essere) sia nulla, che il non niente sia niente:
la persuasione che è il culmine in cui si mantiene l'intera storia
dell'Occidente."La morte e la terra21 E. Severino, Pensieri sul
cristianesimo, su books.google.it. 7 settembre
(archiviato il 17 settembre ). E.
Severino, Destino della necessità, Milano, Adelphi, 198093. L'alienazione dell'Occidente: osservazioni
sul pensiero di Emanuele Severino, ed. Quadrivium, Genova, Cfr. Severino E., La
struttura originaria, Milano, Adelphi, 1981,
444–449. Sito web del Quirinale:
dettaglio decorato. Sito web del
Quirinale: dettaglio decorato. Amadori
F., Il libero arbitrio: Schopenhauer e Severino, in "Filosofia" Antonelli
A., Verità, nichilismo, prassi. Saggio sul pensiero di Emanuele Severino, Roma,
Armando, 2003. Berto F., La dialettica della struttura originaria, Padova, Il
Poligrafo, Crapanzano G.E., L'immutabilità del diveniente. Saggio sul pensiero
di Emanuele Severino, Roma, Gruppo Albatros Il Filo, 2008. Cusano N., Capire
Severino. La risoluzione dell'aporetica del nulla, Prefazione di Emanuele Severino,
Milano, Mimesis Edizioni, . Cusano N., Emanuele Severino. Oltre il nichilismo,
Prefazione di Emanuele Severino, Brescia, Morcelliana, . Dal Sasso A., Dal
divenire all'oltrepassare. La differenza ontologica nel pensiero di Emanuele
Severino, Prefazione di Giorgio Brianese, Roma, Aracne, Dal Sasso A., Creatio
ex nihilo. Le origini del pensiero di Emanuele Severino tra attualismo e
metafisica, Prefazione di Emanuele Severino, Milano, Mimesis Edizioni, . De
Giovanni B., Disputa sul divenire. Gentile e Severino, Napoli, Editoriale
Scientifica, . De Paoli M., Furor Logicus. L'eternità nel pensiero di Emanuele
Severino, Milano, Franco Angeli, Donà M., Aporia del fondamento, Napoli, Città
del Sole, nuova edizione ampliata: Milano, Mimesis Edizioni, Fabro C.,
L'alienazione dell'Occidente. Osservazioni sul pensiero di Emanuele Severino,
Genova, Quadrivium, Goggi G., Al cuore del destino. Scritti sul pensiero di
Emanuele Severino, Milano, Mimesis Edizioni, . Goggi, G., Emanuele Severino,
Città del Vaticano, Lateran University Press, . Greyer C.-F., Der Nihilismus,
Europa und eine neue Ontologie. Emanuele Severinos Analyse über das 'Wesen des
Nihilismus', Franziskanische Studien,Hoffmann T. S., 'Alles ist voll von Sein'.
Emanuele Severinos Rückgriff auf Parmenides und die Überwindung des Nihilismus,
Wiener Jahrbücher für Philosophie, Hoffmann T. S., Philosophie in Italien. Eine
Einführung in 20 Porträts, Wiesbaden, Marix Verlag, 2007. Magliulo, N.,
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L., La hybris originaria. Massimo Cacciari ed Emanuele Severino,
Napoli-Salerno, Orthotes Editrice, . Messinese L., L'apparire del mondo.
Dialogo con Emanuele Severino sulla “struttura originaria” del sapere, Milano,
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Dedalo, . Petterlini A., Brianese G. e Goggi G. , Le parole dell'Essere. Per
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(BR), Schena Editore, 2007. Sperduto D., Maestri futili? Gabriele D'Annunzio,
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Messinese, Roma, Aracne, . Testoni I. , Emanuele Severino, La follia dell'angelo,
Milano, Mimesis, Tarca L.V., Verità, alienazione e metafisica. Rilettura
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Washington, Valent I. , Cura e salvezza. Saggi dedicati a Emanuele Severino,
Bergamo, Moretti & Vitali, 2000. Visentin M., Tra struttura e problema.
Note intorno al pensiero di E. Severino, Venezia, Marsilio [ora in Il
neoparmenidismo italiano, II, Dal neoidealismo al neoparmenidismo, Napoli,
Bibliopolis, Metafisica Ontologia Episteme Nichilismo Giacomo Leopardi
Friedrich Nietzsche Parmenide Martin Heidegger Rasoio di Occam Italo Valent
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Severino, su RadioRadicale.it, Radio Radicale.
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ricerca.repubblica.it. 30 settembre . Rassegna stampa di e su Severino, su lgxserver.uniba.it.
Rassegna stampa di e su Severino, su lgxserver.uniba.it. Video intervista a
Emanuele Severino, su asia.it., sito ASIA, Associazione spazio interiore
ambiente Emanuele Severino, sul RAI
Filosofia, su filosofia.rai.it. pensiero di Emanuele Severino, su
emanueleseverino.com. Vasco Ursini.
sforza: Widar Cesarini Sforza (Forlì), filosofo. Direttore
del Resto del Carlino e docente alla SapienzaRoma dal 1939, fu autore di
importanti opere di filosofia del diritto quali Il concetto, il diritto e la giurisprudenza
naturale, Filosofia del diritto e filosofia della storia, Idee e problemi di
filosofia giuridica, ecc. Widar Cesarini Sforza, in Dizionario biografico degli
italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. PredecessoreDirettore de il Resto del
CarlinoSuccessore Tomaso Monicelli
sgalambro: important Italian philosopherManlio
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''[[Titolo]]'', come da linee guida. Contribuisci a migliorarla secondo le
convenzioni di . Segui i suggerimenti dei progetti di riferimento 1, 2. Manlio
Sgalambro Manlio Sgalambro.jpg Nazionalità Italia Italia Genere Musica d'autore
Pop Periodo di attività musicale 1993 Album pubblicati 1 Sito ufficiale
Modifica dati su Wikidata Manuale Manlio Sgalambro (Lentini, 9 dicembre
1924Catania, 6 marzo ) filosofo, scrittore, poeta, aforista, paroliere e
cantautore italiano. La sua opera filosofica è stata definita di orientamento
nichilista, definizione spesso respinta da Sgalambro stesso, ma talvolta anche
accettata, e si può piuttosto definire un'originale sintesi tra la filosofia
della vita di Arthur Schopenhauer e il materialismo e pessimismo di Giuseppe
Rensi, con le influenze dell'esistenzialismo sui generis di Emil Cioran, di
alcuni temi della scolastica e della "teologia empia" e naturalistica
di Vanini e Mauthner. Sgalambro è noto anche per la collaborazione con il
cantautore Franco Battiato, delle cui canzoni fu autore dei testi tra il 1995 e
il . Manlio Sgalambro nacque a Lentini nel 1924, da una famiglia
benestante (il padre era un farmacista). Ha sempre osservato un riserbo quasi
"conventuale" nella sua vita privata, fornendo tuttavia alcuni
elementi biografici nelle sue interviste o presentazioni. Dopo l'infanzia
trascorsa a Lentini, si trasferisce a Catania, dove rimane per tutta la vita.
Nel 1947 si iscrive all'Università degli studi di Catania:
«All'università decisi di non iscrivermi in Filosofia perché la coltivavo già
autonomamente. Mi piaceva il diritto penale e per questo scelsi la facoltà di
Giurisprudenza.» (Manlio Sgalambro) Inoltre non si trovava d'accordo con
la cultura filosofica dominante allora nelle accademie, troppo legata
all'idealismo di Croce e Gentile: «Erano loro che occupavano tutto lo
spazio culturale, ma io non mi ritrovavo affatto in quei sistemi complessi e
completi, dove ogni cosa era già stata incasellata. Per me pensare era una
destructio piuttosto che una costructio: ero uno che notava le rovine,
piuttosto che la bellezza. Questo era un po' scomodo, e non certamente
accademico.» Nel 1963, a 39 anni, si sposa, e dal matrimonio nascono
cinque figli (Elena, Simona, Riccardo, Irene, Elisa). Il reddito che proveniva
da un agrumeto (lasciatogli in eredità dal padre) non basta più, così sceglie
di integrarlo compilando tesi di laurea e facendo supplenze nelle scuole:
«Il matrimonio è un momento, come dice Hegel, in cui «la realtà determinata
entra in un individuo». Dunque il matrimonio non coincide semplicemente con
l'amore per una persona, ma con la durata: ecco dove sta l'essenza, quasi
teologica, del matrimonio.» (Manlio Sgalambro) Muore il 6 marzo a Catania, all'età di 89 anni. Sgalambro era
dichiaratamente ateo anche se credeva nella reincarnazione, come ricordato
anche dall'amico Battiato, e ha avuto un funerale religioso. Da molti anni
viveva da solo nella sua casa catanese. La produzione filosofica «Che non
ci sia niente di peggiore del mondo, non si deve dimostrare.» (La conoscenza
del peggio) Sgalambro ripeteva spesso che non possedeva titoli né lauree «per i
biglietti da visita» e quindi come sia riuscito a diventare uno scrittore di
filosofiai cui libri sono tradotti in francese, tedesco e spagnoloera «un
mistero» che egli stesso stentava a spiegarsi. Il suo primo contatto con
un'opera filosofica avviene nel periodo dell'adolescenza, quando legge La
formazione naturale nel fatto del sistema solare di Roberto Ardigò nella
biblioteca di un parente. Seguono i Principi di psicologia di William James, le
Ricerche logiche di Husserl (un'opera che ritornerà più volte nella sua
riflessione), e, soprattutto, Il mondo come volontà e rappresentazione di
Schopenhauer. L'incontro con il pensatore tedesco spinge Sgalambro ad un
interesse sempre crescente per la cultura nordeuropea, che sfocerà poi nella
scoperta di Kant, Hegel, Friedrich Nietzsche, e Kierkegaard, a cui dedica i
suoi primi saggi. Nel 1945 inizia a collaborare alla rivista catanese
Prisma (diretta da Leonardo Grassi): il primo scritto è Paralipomeni
all'irrazionalismo, dove, influenzato da Rensi, sviluppa un attacco
all'idealismo crociano allora in piena egemonia. Egli si ispira anche
all'ironia di Karl Kraus di cui ama lo stile aforistico ("Se Karl Kraus
avesse scritto Il Capitale lo avrebbe fatto in tre righe"). Dal
1959, assieme a Sebastiano Addamo, scrive per il periodico Incidenze (fondato
da Antonio Corsano): il primo articolo è Crepuscolo e notte (che viene
ristampato nel ), un breve saggio di "esistenzialismo negativo", ispirato
ad Heidegger e Céline. Frattanto inizia a scrivere anche per la rivista Tempo
presente (diretta da Nicola Chiaromonte ed Ignazio Silone). Alla fine
degli anni settanta decide di organizzare il suo pensiero in un'opera
sistematica: a 55 anni Sgalambro manda il suo primo libro, La morte del sole,
con un biglietto di due righe alla casa editrice Adelphi; al proposito
dirà: «E lì è rimasto due anni. Ma siccome io sono fatto in questo modo,
non ho chiesto niente. Poi è arrivata una telefonata a mia moglie. Mi
chiedevano di andare a Milano, per prendere contatto con l'editore. Roberto
Calasso mi disse che quel libro non era maturo, era marcio: ed era esattamente
così”.» (Manlio Sgalambro) Negli anni seguenti, con lo stesso editore,
pubblica anche: Trattato dell'empietà (1987), Anatol (1990), Del pensare breve
(1991), Dialogo teologico (1993), Dell'indifferenza in materia di società
(1994), La consolazione (1995), Trattato dell'età (1999), De mundo pessimo
(2004), La conoscenza del peggio (2007), Del delitto (2009) e Della misantropia
(). Spesso viene avvicinato alla corrente nichilista; talvolta ha
respinto la definizione, mentre altre volte l'ha accettata, nel senso di un
nichilismo attivo e demolitore, non passivo e chiuso: «Indubbiamente questa visione
è nell'intimo di me stesso. Per un nichilista le coseil Papa, Mussolini, un
vaso di terracottasi equivalgono. Questo non significa che non si ha il senso
di ciò che vale: significa piuttosto che si prova a romperlo come si può, per
esempio con il martello del pensare.» Intanto, all'inizio degli anni
novanta, con alcuni amici avvia una piccola attività editoriale a Catania:
nasce così la De Martinis. All'interno di questa casa editrice, Sgalambro si
occupa di saggistica, pubblicando un paio di propri testi (Dialogo sul
comunismo e Contro la musica) e ristampando alcune opere di Giulio Cesare
Vanini e di Julien Benda. Nel 2005 suscita polemiche una sua intervista a
Francesco Battistini sulla mafia, dove critica anche Leonardo Sciascia e il
mito dell'antimafia "militante" (che tra l'altro fu criticata da
Sciascia stesso negli ultimi anni di vita): «L'immagine della Sicilia… C'è,
come no? Ma cercarla in faccende di Cuffaro e di Gabanelli è come cercare un
tesoro fra le spine dei fichi d'India. Cercare che cosa, poi? La griglia
mafiosa è una gabbia. È chiaro che ha ragione la Gabanelli e che Cuffaro vuole
cancellare a suo modo la mafia, con un tratto di parole. Ma contesto che la
mafiosità sia una chiave di conoscenza... Non cambio idea. La mafia è un
concetto astratto. E gli astratti si distruggono con la logica, non con la
polizia... La polizia può arrestare la mafia. Eliminarla, mai. Quello che
importa è la Mafia maiuscola, concetto generale e perciò indistruttibile... La
mafia in sé non mi fa venire in mente nulla. Come la patria, i morti di
Solferino. Cose vetuste. Leonardo Sciascia era lo scrittore sociale, un maestro
di scuola che voleva insegnarci le buone maniere sociali. Ma rivisitarlo oggi è
come rileggere Silvio Pellico. La sua funzione si è esaurita... La mafia è
l'unica economia reale di quest'isola... Ci sono fenomeni della storia,
ricchezze che non si possono fare con le mani pulite. Qui la ricchezza è sempre
stata fondiaria, senza investimenti... La ricchezza è per sua natura sporca...
Basta col gioco della spartizione: è mafioso o no? Domande da periodo di lotte
religiose: è luterano o cattolico? In Sicilia sono arrivati anche i laici, per
fortuna.» Definisce poi Claudio Fava "quel piagnone",
affermando che "i famosi Cavalieri", soprannome dato dal padre di
Fava a quattro imprenditori catanesi considerati collusi con Cosa nostra,
«erano l'unica economia possibile» per la città. Nel è tornato in maniera sarcastica
sull'argomento: «Considero la Sicilia come un fenomeno estetico e non ne
cambierei nulla. In questo senso potrei dire che mi considero un mafioso…». Già
nel 1995 era stato attaccato dal sociologo Franco Ferrarotti che lo definì
"un neo-reazionario" e di "intolleranza aristocratica e silenzio
sulla mafia". Alla sua isola ha dedicato l'opera Teoria della
Sicilia: «Là dove domina l'elemento insulare è impossibile salvarsi. Ogni
isola attende impaziente di inabissarsi. Una teoria dell'isola è segnata da
questa certezza. Un'isola può sempre sparire. Entità talattica, essa si
sorregge sui flutti, sull'instabile. Per ogni isola vale la metafora della
nave: vi incombe il naufragio.» Oltre ai saggi per Adelphi, ha pubblicato
per Bompiani Teoria della canzone (1997), Variazioni e capricci morali () e due
raccolte di poesie, Nietzsche (frammenti di una biografia per versi e voce)
(1998) e Marcisce anche il pensiero (frammenti di un poema) (), dedicato
all'ultima mezz'ora di vita di Immanuel Kant, nonché L'impiegato di Filosofia
(), nel quale ironicamente afferma di aver rinunciato alla filosofia ritrovandosi
più filosofo che mai, curioso libretto stampato in un museo della stampa con
caratteri mobili, edito da La Pietra Infinita. Infine, ha pubblicato con
Il Girasole: Del metodo ipocondriaco (1989), Quaternario (racconto parigino)
(2006), la raccolta di poesie Nell'anno della pecora di ferro (), la pièce
teatrale L'illusion comique () e Dal ciclo della vita (, postumo). Le
collaborazioni con Franco Battiato ed altri «La matematica è il tribunale del
mondo. Il numero è ordine e disciplina. Ciò con cui si indica lo scopo della
scienza, tradisce col termine la cosa. L'ordine, già il termine ha qualcosa di
bieco, che sa di polizia, adombra negli adepti le forze dell'ordine cosmico, i
riti cosmici. L'autentico sentimento scientifico è impotente davanti all'universo.
L'inflazione che caccia nelle mani dell'individuo, in un gesto solo, miliardi
di marchi, lasciandolo più miserabile di prima, dimostra punto per punto che il
denaro è un'allucinazione collettiva» (M. Sgalambro, La morte del sole,
frasi recitate da Franco Battiato in 23 coppie di cromosomi) Nel 1993 avviene
l'incontro con Franco Battiato, del tutto casualmente, perché presentavano
insieme un volume di poesie dell'amico comune Angelo Scandurra. Dopo pochi
giorni da quell'incontro, Battiato gli chiede un appuntamento per proporgli di
scrivere il libretto dell'opera Il cavaliere dell'intelletto: «Un anno fa
non ci conoscevamo neppure. Da allora non abbiamo fatto altro che lavorare
insieme. Lui sarà anche un filosofo, ma per me è un talento che mi stimola e
arricchisce. Mi sembra impossibile, oggi, tornare a scrivere i testi delle mie
cose.» (Franco Battiato) «In mezzo a tutto questo, mi capitò tra i piedi
Franco Battiato. Per un certo verso direi che è stato uno di quegli incontri
che ti portano fuori strada, ma questa è una percezione che ho avuto molto
tardi. A volte trovo che è come se tutto quel tempo io lo abbia perduto: la
questione starebbe nel vedere se sia possibile recuperarlo…»
Sgalambro a Conegliano nel 2007 Sgalambro accetta e risponde ironicamente
all'invito di Battiato chiedendogli di scrivere insieme un disco di musica pop.
Tra Sgalambro e Battiato si sviluppa un sodalizio artistico e umano, anche se
non sempre facile: «Anche perché io non sono un grande seguace dell'amicizia.
Con Battiato abbiamo avuto lunghe liti, che duravano parecchio. Poi uno dei
due, in genere lui, telefonava e il rapporto riprendeva. Tutti i litigi erano
per un rigo da cambiare in una canzone: io non accettavo le esigenze della
musica e per lui questo era costoso. Il suo impegno in politica? Non ho mai
capito come si sia potuto lasciare tentare, tutti i giorni ho cercato di
convincerlo a levarsi, solo ora per fortuna sta tornando in se stesso.» A
partire dal 1994 collabora a quasi tutti i progetti di Franco Battiato, per cui
scrive: i libretti delle opere Il cavaliere dell'intelletto (su Federico
II di Svevia), Socrate impazzito, Gli Schopenhauer e Telesio (su Bernardino
Telesio), e del balletto Campi magnetici; i testi di svariati album musicali
(L'ombrello e la macchina da cucire, L'imboscata, Gommalacca, Ferro battuto,
Dieci stratagemmi, Il vuoto, Apriti sesamo) e vari inediti, presenti ad esempio
nell'album Fleurs; le sceneggiature dei film Perduto amor, Musikanten (sugli
ultimi anni della vita di Beethoven) e Niente è come sembra, del programma
televisivo Bitte, keine Réclame e del documentario Auguri don Gesualdo (su
Gesualdo Bufalino). Benché affermasse che la canzone era per lui "una
distrazione", dal 1998 scrive testi di canzoni anche per Patty Pravo (Emma),
Alice (Come un sigillo, Eri con me), Fiorella Mannoia (Il movimento del dare),
Carmen Consoli (Marie ti amiamo), Milva (Non conosco nessun Patrizio), Adriano
Celentano (Facciamo finta che sia vero) e Ornella Vanoni (Aurora). Dopo
essere intervenuto anche ai concerti di Battiato, nel 2000 si cimenta lui
stesso con la musica e pubblica il singolo La mer, contenente la cover del
celebre brano di Charles Trenet. In una rappresentazione de L'histoire du
soldat di Igor' Stravinskij (2000) interpretò la voce narrante, con Franco
Battiato nella parte del soldato e Giovanni Lindo Ferretti in quella del
Diavolo. Nel 2001 pubblica l'album Fun club, prodotto da Franco Battiato
e Saro Cosentino, che contiene «evergreen» del calibro di La vie en rose (di
Édith Piaf) e Moon river (di Henry Mancini), ma anche l'ironica Me gustas tú
(di Manu Chao): «Un alleggerimento che considero doveroso. Dobbiamo
sgravare la gente dal peso del vivere, invece che dare pane e brioches. Questa
volta, mi sono sgravato anch'io. E poi, la musica leggera ha questo di bello,
che in tre minuti si può dire quanto in un libro di 400 pagine o in un'opera
completa a teatro.» (Manlio Sgalambro) Nel 2007 dà la voce all'aereo DC-9
Itavia nell'opera Ultimo volo di Pippo Pollina sulla strage di Ustica.
Nel 2009 pubblica il singolo La canzone della galassia, contenente la cover di
The galaxy song (tratto da Il senso della vita dei Monty Python), cantata
assieme al gruppo sardo-inglese Mab. Nel 2009 torna dopo 40 anni ad
esibirsi in un pub di Catania, assieme al filosofo Salvatore Massimo Fazio e il
curatore del suo sito Alessio Cantarella. Finita l'esibizione alla presenza di
Pippo Russo e Franco Battiato, seguì il concerto delle Lilies on Mars, band
formata da due ex componenti del gruppo MAB (Lisa Masia e Marina Cristofalo),
band che si era esibita con Battiato nella canzone Il vuoto, su testo di
Sgalambro. Partecipazioni dirette alle opere di Battiato Canzoni In Di
passaggio (da L'imboscata) recita in greco antico: (EL) «Ταὐτὸ τενὶ ζῶν καὶ
τεθνηκὸς καὶ ἐγρηγορὸς καὶ καθεῦδον καὶ νέον καὶ γηραιόν' τάδε γὰρ μεταπεσόντα ἐκεινά
ἐστι κἀκεῖνα πάλιν ταῦτα.» «La stessa cosa sono il vivente e il morto, lo
sveglio e il dormiente, il giovane e il vecchio: questi infatti mutando son
quelli e quelli mutando son questi.» (Eraclito, Frammenti, 88) Interviene
recitando in Shakleton, dall'album Gommalacca. In Invito al viaggio (da Fleurs)
recita: «Ti invito al viaggio in quel paese che ti somiglia tanto. I soli
languidi dei suoi cieli annebbiati hanno per il mio spirito l'incanto dei tuoi
occhi quando brillano offuscati. Laggiù, tutto è ordine e bellezza, calma e
voluttà; il mondo s'addormenta in una calda luce di giacinto e d'oro; dormono
pigramente i vascelli vagabondi, arrivati da ogni confine per soddisfare i tuoi
desideri.» (Charles Baudelaire, I fiori del male) In Corpi in movimento
(da Campi magnetici) recita: «Se io, come miei punti, penso quali si vogliano
sistemi di cose, per esempio, il sistema: amore, legge, spazzacamino… e poi non
faccio altro che assumere tutti i miei assiomi come relazioni tra tali cose,
allora le mie proposizioni, per esempio, il teorema di Pitagora, valgono anche
per queste cose.» (David Hilbert, Lettera a Frege del 29 dicembre 1899)
Dal 1996 partecipa a quasi tutti i tour di Franco Battiato: Nel tour del
'97 recita versi in latino sul brano di Battiato Areknames (da Pollution),
ribattezzato per l'occasione Canzone chimica: «Bacterium flourescens
liquefaciens, Bacterium histolyticum, Bacterium mesentericum, Bacterium
sporagenes, Bacterium putrificus…» (Manlio Sgalambro, Canzone chimica)
Nel tour del 2002 esegue una nuova versionecon il testo riadattato in chiave
filosoficadi Accetta il consiglio (tratto da The Big Kahuna), che viene
pubblicato l'anno dopo nell'album live Last Summer Dance. Nel 2004 canta due
brevi strofe dei suoi versi nella canzone La porta dello spavento supremo,
dall'album Dieci stratagemmi di Battiato: «Quello che c'è / ciò che verrà / ciò
che siamo stati / e comunque andrà /tutto si dissolverà (...) Sulle scogliere
fissavo il mare / che biancheggiava nell'oscurità / tutto si dissolverà.»
(La porta dello spavento supremo/Il sogno, testo di Manlio Sgalambro e Carlotta
Wieck) Opere Libri Manlio Sgalambro, La morte del sole, Milano, Adelphi, 1982
Manlio Sgalambro, Trattato dell'empietà, Milano, Adelphi, Manlio Sgalambro, Vom
Tod der Sonne (edizione tedesca de La morte del sole), traduzione di Dora
Winkler, Monaco (Germania), Hanser, 1988 Manlio Sgalambro, Del metodo
ipocondriaco, Valverde (CT), Il Girasole, 1989 Manlio Sgalambro, Anatol,
Milano, Adelphi, Manlio Sgalambro, Anatol (edizione francese), traduzione di
Dominique Bouveret, Saulxures (Francia), Circé, 1991 Manlio Sgalambro, Del pensare
breve, Milano, Adelphi, Manlio Sgalambro, Dialogo teologico, Milano, Adelphi,
1993 Manlio Sgalambro, Contro la musica. (Sull'ethos dell'ascolto), Catania, De
Martinis, 1994 Manlio Sgalambro, Dell'indifferenza in materia di società,
Milano, Adelphi, 1994 Manlio Sgalambro, De la pensée brève (edizione francese
di Del pensare breve), traduzione di Carole Walter, Saulxures (Francia), Circé,
1995 Manlio Sgalambro, Dialogo sul comunismo, Catania, De Martinis, Manlio
Sgalambro, La consolazione, Milano, Adelphi, 1995 Manlio Sgalambro, La morte
del sole (seconda edizione), Milano, Adelphi, 1996 Manlio Sgalambro, Teoria
della canzone, Milano, Bompiani, 1997 Manlio Sgalambro-Jacques Robaud, Deux
dialogues philosophiques (contiene l'edizione francese di Dialogo teologico),
traduzione di Carole Walter, Saulxures (Francia), Circé, Manlio Sgalambro,
Nietzsche. (Frammenti di una biografia per versi e voce), Bompiani, Milano,
1998 Manlio Sgalambro, Poesie (edizione a tiratura limitata di 72 esemplari
numerati), Antonio Contiero, Reggio Emilia, La Pietra Infinita, 1999 Manlio
Sgalambro, Trattato dell'età. Una lezione di metafisica, Milano, Adelphi, Manlio
Sgalambro-Davide Benati, Segrete (edizione a tiratura limitata di 30 esemplari
numerati), Antonio Contiero, Reggio Emilia, La Pietra Infinita, 2001 Manlio
Sgalambro, Traité de l'âge. Une leçon de métaphysique (edizione francese di
Trattato dell'età), traduzione di Dominique Férault, Parigi (Francia), Payot,
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poesia (edizione a tiratura limitata di 32 esemplari numerati), Antonio
Contiero, Reggio Emilia, La Pietra Infinita, 2003 Manlio Sgalambro, De mundo
pessimo (contiene Contro la musica. (Sull'ethos dell'ascolto) e Dialogo sul
comunismo), Milano, Adelphi, 2004 Manlio Sgalambro, Trattato dell'empietà
(seconda edizione), Milano, Adelphi, 2005 Manlio Sgalambro, Quaternario.
Racconto parigino, Valverde (CT), Il Girasole, 2006 Manlio Sgalambro,
Nietzsche. Frammenti di una biografia per versi e voce (seconda edizione),
Milano, Bompiani, Manlio Sgalambro, La conoscenza del peggio, Milano, Adelphi,
2007 Manlio Sgalambro, Del delitto, Milano, Adelphi, 2009 Manlio Sgalambro, La
consolación (edizione spagnola de La consolazione), traduzione di Martín
López-Vega, Valencia (Spagna), Pre-Textos, 2009 Manlio Sgalambro, L'impiegato
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Sgalambro, Dal ciclo della vita, Valverde (CT), Il Girasole, (postumo) Saggi Manlio Sgalambro, Devozione
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facile, si può fare, lo facciamo. La città, le regole, la cultura, Catania,
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critica in Anna Vasta, Di un fantasma e di mari, Catania, Prova d'Autore,
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Villafranca Lunigiana (MS), Cicorivolta, Manlio Sgalambro, prefazione in
Selenia Bellavia, Pourparler, Catania, Prova d'Autore, Manlio Sgalambro,
Apologia del teologo in Fabio Presutti, Deleuze e Sgalambro: dell'espressione
avversa, Catania, Prova d'Autore, , ???
Manlio Sgalambro, Breve riflessione in Massimiliano Scuriatti, Mico è tornato coi
baffi, Milano, Bietti, Manlio Sgalambro, Presentazione in Armando Rotoletti,
Circoli di conversazione a Biancavilla, Modugno (BA), Arti Grafiche Favia, Manlio
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Discografia leggera, discografia classica, filmografia, pittura, Firenze, Della
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Il Garufi, 109 Manlio Sgalambro, La città dei morti in Luigi Spina,
Monumentale. Un viaggio fotografico all'interno del gran camposanto di Messina,
Milano, Electa, Manlio Sgalambro, prefazione in Ghesia Bellavia, Fermo
immagine, Catania, Il Garufi, , ???
Manlio Sgalambro, Sulla mia morte in Franco Battiato, Attraversando il bardo.
Sguardi sull'aldilà, Milano, Bompiani, Album Manlio Sgalambro, Fun club,
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Sgalambro, Me gustas tú, Milano, Sony, 2001 Manlio Sgalambro feat. Mab, La
canzone della galassia, Milano, Sony, Collaborazioni Album testi (L'ombrello e
la macchina da cucire, Breve invito a rinviare il suicidio, Piccolo pub,
Fornicazione, Gesualdo da Venosa, Moto browniano, Tao, Un vecchio cameriere,
L'esistenza di Dio) in Franco Battiato, L'ombrello e la macchina da cucire,
Milano, EMI, 1995 testi (Di passaggio, Strani giorni, La cura, Ein Tag aus dem
Leben des kleinen Johannes, Amata solitudine, Splendide previsioni, Ecco com'è
che va il mondo, Segunda-feira, Memorie di Giulia, Serial killer) e voce (Di
passaggio) in Franco Battiato, L'imboscata, Milano, Polygram, 1996 voce (Canzone
chimica) in Franco Battiato, L'imboscata live tour (registrazione video di un
concerto), Milano, Polygram, 1997 testo (Emma Bovary) in Patty Pravo, Notti,
guai e libertà, Milano, Sony, testi (Shock in my town, Auto da fé, Casta diva,
Il ballo del potere, La preda, Il mantello e la spiga, È stato molto bello,
Quello che fu, Vite parallele, Shackleton) e voce (Shackleton) in Franco
Battiato, Gommalacca, Milano, Polygram, 1998 testi (Medievale, Invito al
viaggio) e voce (Invito al viaggio) in Franco Battiato, Fleurs. Esempi affini
di scritture e simili, Milano, Universal, 1999 testi (Running against the
grain, Bist du bei mir, La quiete dopo un addio, Personalità empirica, Il
cammino interminabile, Lontananze d'azzurro, Sarcofagia, Scherzo in minore, Il
potere del canto) e voce (Personalità empirica) in Franco Battiato, Ferro
battuto, Milano, Sony, 2001 testo (Invasione di campo) in Invasioni, ???, New Scientist, 2001 testo
(Come un sigillo) in Franco Battiato, Fleurs 3 (album), Milano, Sony, 2002 voce
(Non dimenticar le mie parole) in Franco Battiato, Colonna sonora di Perduto
amor (colonna sonora del film), Milano, Sony, 2003 voce (Shackleton, Accetta il
consiglio) in Franco Battiato, Last summer dance (registrazione audio di un
concerto), Milano, Sony, testi (Tra sesso e castità, Le aquile non volano a
stormi, Ermeneutica, Fortezza Bastiani, Odore di polvere da sparo, I'm that,
Conforto alla vita, 23 coppie di cromosomi, Apparenza e realtà, La porta dello
spavento supremo) e voce (La porta dello spavento supremo) in Franco Battiato,
Dieci stratagemmi. Attraversare il mare per ingannare il cielo, Milano, Sony,
2004 voce (La porta dello spavento supremo) in Franco Battiato, Un soffio al
cuore di natura elettrica (registrazione audio e video di un concerto), Milano,
Sony, testi (Il vuoto, I giorni della monotonia, Aspettando l'estate, Niente è
come sembra, Tiepido aprile, The game is over, Io chi sono?, Stati di gioia) e
dell'adattamento in italiano di Era l'inizio della primavera (da Aleksej
Nikolaevič Tolstoj, It was in the early days of spring) in Franco Battiato, Il
vuoto, Milano, Universal, testo (Maori legend) in Lilies on Mars, Lilies on
Mars, testo (Il movimento del dare) in Fiorella Mannoia, Il movimento del dare,
Milano, Sony, 2008 testi (Tutto l'universo obbedisce all'amore, Tibet) e
dell'adattamento in italiano di Del suo veloce volo (da Antony Hegarthy,
Frankenstein) in Franco Battiato, Fleurs 2, Universal, 2008 testo (Marie ti
amiamo) in Carmen Consoli, Elettra, Milano, Universal, 2009 testi (Inneres
Auge, 'U cuntu) e voce ('U cuntu) in Franco Battiato, Inneres Auge. Il tutto è
più della somma delle sue parti, Milano, Universal, testo (Non conosco nessun
Patrizio!) in Milva, Non conosco nessun Patrizio!, Milano, Universal, testo (Facciamo finta che sia vero) in
Adriano Celentano, Facciamo finta che sia vero, Milano, Universal, testo (Eri con me) in Alice, Samsara, ???,
Arecibo, testi (Un irresistibile
richiamo, Testamento, Quand'ero giovane, Eri con me, Passacaglia, La polvere
del branco, Caliti junku, Aurora, Il serpente, Apriti sesamo) in Franco
Battiato, Apriti sesamo, Milano, Universal,
Singoli testi (Strani giorni, Decline and fall of the Roman empire) in
Franco Battiato, Strani giorni, Milano, Polygram, testo in Patty Pravo, Emma
Bovary, Milano, Sony, 1998 testi (Shock in my town, Stage door) in Franco
Battiato, Shock in my town, Milano, Polygram, 1998 testi (Il ballo del potere,
Stage door, Emma, L'incantesimo) in Franco Battiato, Il ballo del potere,
Milano, Polygram, testi (Running against the grain, Sarcofagia, In trance) in
Franco Battiato, Running against the grain, Milano, Sony, 2001 testo in Franco
Battiato, Il vuoto, Milano, Universal, 2007 testo in Franco Battiato feat.
Carmen Consoli, Tutto l'universo obbedisce all'amore, Milano, Universal, 2008
testo in Franco Battiato, Inneres Auge, Milano, Universal, 2009 testo in Franco
Battiato, Passacaglia, Milano, Universal,
Opere teatrali testi in Franco Battiato, Il cavaliere dell'intelletto,
inedito (prima rappresentazione: Palermo, testi e attore in Martin Kleist,
Socrate impazzito, inedito (prima rappresentazione: Catania) testi e attore in
Franco Battiato, Gli Schopenhauer, inedito (prima rappresentazione: Fano (PU),
8 agosto 1998) attore in Igor' Fëdorovič Stravinskij, L'histoire du soldat,
inedito, 1999 (prima rappresentazione: Roma, libretto e voce (Corpi in movimento, La mer)
in Franco Battiato, Campi magnetici. I numeri non si possono amare, Milano,
Sony, 2000 (prima rappresentazione: Firenze) voce (Volare è un'arte, Negli
abissi, Pratica di mare, A tu per tu con il Mig, Verso Bologna, Simulacro) in
Pippo Pollina, Ultimo volo. Orazione civile per Ustica, Bologna, Storie di
Note, 2007 (prima rappresentazione: Bologna) attore in Manlio SgalambroRosalba
BentivoglioCarlo Guarrera, Frammenti per versi e voce, inedito (prima
rappresentazione: Catania, testi in Franco Battiato, Telesio. Opera in due atti
e un epilogo, Milano, Sony, (prima
rappresentazione: Cosenza, 7 maggio ) Film sceneggiatura e attore (Martino
Alliata) in Franco Battiato, Perduto amor, Giarre (CT), L'Ottava, sceneggiatura
e attore (nobile senese) in Franco Battiato, Musikanten, Giarre (CT), L'Ottava,
2005 sceneggiatura in Franco Battiato, Niente è come sembra, Milano, Bompiani, Documentari
intervento in Daniele Consoli, La verità sul caso del signor Ciprì e Maresco,
Zelig, intervento in Franco Battiato, Auguri don Gesualdo, Milano,
Bompiani, intervento in Massimiliano
Perrotta, Sicilia di sabbia, Movie Factory,
intervento in Franco Battiato, Attraversando il bardo. Sguardi sull'aldilà,
Milano, Bompiani, Videoclip attore in
Franco Battiato, L'ombrello e la macchina da cucire, 1995 attore in Franco
Battiato, Di passaggio, attore in Franco Battiato, Strani giorni, 1996 attore
in Franco Battiato, Shock in my town, 1998 attore in Franco Battiato, Running
against the grain, attore in Franco Battiato, Bist du bei mir, attore in Franco
Battiato, Ermeneutica, attore in Franco Battiato, La porta dello spavento
supremo, 2004 attore in Franco Battiato, Il vuoto, attore in Franco Battiato,
Inneres Auge, Programmi televisivi Franco Battiato, Bitte, keine Réclame, Libri Francesco Saverio Niso, Comunità dello
sguardo. Halbwachs, Sgalambro, Cordero, Torino, Giappichelli, 2001 Mariacatena
De LeoLuigi Ingaliso, Nell'antro del filosofo. Dialogo con Manlio Sgalambro,
Catania, Prova d'Autore, Lina Passione, La notte e il tempo. Divagazioni su
Franco Battiato, Manlio Sgalambro e… altro, Catania, CUECM, Alessandro Max
Cantello, Sgalambro speaks. Uno scherzo mimetico che possa introdurre ad una
filosofia, Mas Club, Manlio Sgalambro.
L'ultimo chierico, Rita Fulco, Messina, Mesogea, Caro misantropo. Saggi e testimonianze per
Manlio Sgalambro, Antonio CarulliFrancesco Iannello, Napoli, La Scuola di
Pitagora, Salvatore Massimo Fazio,
Regressione suicida. Dell'abbandono disperato di Emil Cioran e Manlio
Sgalambro, Barrafranca , Bonfirraro,
Manlio Sgalambro. Breve invito all'opera, Davide Miccione, Caltagirone
(CT), Lettere da Qalat, Antonio Carulli,
Introduzione a Sgalambro, Genova, Il Melangolo,
Patrizia TrovatoAntonio CarulliPiercarlo NecchiManuel Pérez Cornejo, La
piccola verità. Quattro saggi su Manlio Sgalambro, Milano, Mimesis, Saggi Sergio Zavoli, Le ombre della sera in
Di questo passo. Cinquecento domande per capire dove andiamo, Torino, Nuova ERI,
Calogero Rizzo, De consolatione theologie in Massimo Iiritano, Sergio Quinzio.
Profezie di un'esistenza, Soveria Mannelli (CZ), Rubettino, Armando Matteo,
Manlio Sgalambro: il dovere dell'empietà in Della fede dei laici. Il
cristianesimo di fronte alla mentalità postmoderna, Soveria Mannelli (CZ), Rubettino,
Stefano Lanuzza, Il filosofo insulare in Erranze in Sicilia, Napoli, Guida, Leonor
Sáez Méndez, Zwischen der kritischen Bedingung der praktischen Erfahrung und
der Doktrin: Dechiffrierung der Perversion (Zwei Beispiele) in Kant ein
illusionist? Das retorsive und kompositive Verfahren der kantischen
Urteilskraft nach dem philosophischen Empirismus, Murcia (Spagna), Universidad
de Murcia, Pino Aprile, La morte del sole in Giù al sud. Perché i terroni
salveranno l'Italia, Segrate (MI), Piemme, Marco Risadelli, Note su “Dell'indifferenza
in materia di società” di Manlio Sgalambro in Alessandra MallamoAngelo Nizza,
Polisofia, Roma, Nuova Cultura, , Giuseppe
Raciti, Until the end of the world. Sgalambro lettore di Spengler in Per la
critica della notte. Saggio sul “Tramonto dell’Occidente” di Oswald Spengler,
Milano, Mimesis, Articoli Enrico Arosio, Ora Sgalambro il mondo in L'Espresso, Stefano
Lanuzza, Il pensiero ipocondriaco in Il Ponte, Gerd Bergfleth, Finis mundi.
Manlio Sgalambro und der Weltuntergang in Der Pfahl. Jahrbuch aus dem
Niemandsland zwischen Kunst und Wissenschaft, Alberto Corda, Profilo di Manlio
Sgalambro, filosofo “irregolare” in Arenaria, Giuseppe Raciti, Sgalambro
maestro “cattivo” per elezione in Ideazione, Ferdinando Raffaele, Intorno alla
creatività filosofica. A colloquio con il filosofo Manlio Sgalambro in Parolalibera,
Francesco Saverio Nisio, Sgalambro, l'unico che canta. Mille sguardi, II in
Democrazia e diritto. Guerra e individuo, Marcello Faletra, Dialogo con Manlio
Sgalambro, Cyberzone Fabio Presutti, Manlio Sgalambro, Giorgio Agamben: on
metaphysical suspension of language and the destiny of its inorganic
re-absorption in Italica, Concetta Bonini, Manlio Sgalambro. Il cavaliere
dell'intelletto in Freetime. Sicilia, Marcello
Faletra, La pistola di Sgalambro,
in//peppinoimpastato.com/visualizza.asp?val=2115 Marcello Faletra,
L'azzardo del pensiero o il filosofo della crudeltà: Manlio Sgalambro.
Cyberzone Marcello Faletra, In ricordo di Manlio Sgalambro, Artribune, Manuel
Pérez Cornejo, En la estela de Schopenhauer y Mainländer: la filosofía
«peorista» de Manlio Sgalambro in Schopenhaueriana. Revista española de
estudios sobre Schopenhauer, Tesi di laurea Salvatore Massimo Fazio, Cioran e
Sgalambro: un confronto, Università degli Studi di Catania, Fatima Scaglione,
BattiatoSgalambro. Tra musica e filosofia, Università degli Studi di Palermo, Cecilia
Comparoni, L'impossibilità di essere consolati. L'itinerario tragico di Manlio
Sgalambro, Università degli Studi di Genova, a.a. - Filmografia Guido Cionini,
Manlio Sgalambro. Il consolatore, inedito (2006) Guido Cionini, Another side of
Sgalambro, inedito (2008) Marcello Faletra, Mario Bellone, Manlio Sgalambro.
Del pensare breve, inedito () Note
Franco Battiato su Storia della musica.it Articolo su Repubblica, Manlio Sgalambro:
adesso il filosofo diventa crooner
Intervista a Battiato e SgalambroYouTube
Intervista a Manlio Sgalambro: Il filosofo rock che dà del “lei” a
Battiato livesicilia.it | elena giordano Manlio Sgalambro, l'ultima
intervista "Teoria della
canzone", Bompiani, e la prefazione a "La filosofia delle
università", Adelphi Sgalambro, il
ricordo commosso di Cacciari: “Con lui incontro straordinario”Video Il Fatto
Quotidiano TV, su tv.ilfattoquotidiano.it. 30 maggio 31 maggio ).
“A un tratto ci si accorge di quella cosa che chiamiamo pensare”: Addio
a Sgalambro. La sua ultima intervista.
cfr. "De mundo pessimo", "Frammenti di storia
dell'empietismo", "Trattato dell'empietà" Adelphi GAP
Speciali. Manlio SgalambroUn viaggio oltre il luogo comuneRai Scuola
Mariacatena De Leo & Luigi Ingaliso, Nell'antro del filosofo: dialogo
con Manlio Sgalambro (Prova d'autore È morto Manlio Sgalambro, il filosofo di
Franco Battiato, radiomusik.it, 6 marzo .
Franco Battiato choc a Napoli: «Sento la fine vicina, meglio cogliere il
giorno». Sgalambro, il filosofo che cantò il nichilismo Giovanni Tesio,
"In ginocchio davanti a Nietzsche", TuttoLibri, "La conoscenza del peggio", pag.58,
Adelphi La scrittura aforistica di
Manlio Sgalambro | Intervista a Manlio
Sgalambro:: LaRecherche.it Paralipomeni
all'irrazionalismo Archiviato il 7 marzo
in . Giorgio Calcagno, Sgalambro:
il filosofo è uno spione (da La Stampa Francesco Battistini, Sgalambro:
Sciascia addio, non servi più, Corriere della Sera. Carlo Formenti, Ferrarotti
accusa: «Sgalambro neoreazionario», in “Corriere della Sera”, Liliana Madeo, Battiato: note per un filosofo
(da La Stampa del 19 settembre 1994).
Marinella Venegoni, Così Sgalambro canta la sua filosofia (da La Stampa
del 20 ottobre Sito ufficiale, su sgalambro.altervista.org. Manlio Sgalambro,
su AllMusic, All Media Network. Manlio Sgalambro, su Discogs, Zink Media.
Manlio Sgalambro, su MusicBrainz, MetaBrainz Foundation. Manlio Sgalambro, su
Internet Movie Database, IMDb.com.
Manlio Sgalambro. Il filosofo cantante maestro dell'ironia: "Sono
un uomo felice di stare su quest'Isola", in la Repubblica, 20 febbraio .
Incontro con Sgalambro , in Le conversazioni di Perelandra. Refs.:
Luigi Speranza, "Grice e Sgalamabro," per il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
shaftesbury, Lord, in full, Third Earl of Shaftesbury, title of Anthony
Ashley Cooper, English philosopher and politician who originated the moral
sense theory. He was born at Wimborne St. Giles, Dorsetshire. As a Country Whig
he served in the House of Commons for three years and later, as earl, monitored
meetings of the House of Lords. Shaftesbury introduced into British moral
philosophy the notion of a moral sense, a mental faculty unique to human
beings, involving reflection and feeling and constituting their ability to
discern right and wrong. He sometimes represents the moral sense as analogous
to a purported aesthetic sense, a special capacity by which we perceive,
through our emotions, the proportions and harmonies of which, on his Platonic
view, beauty is composed. For Shaftesbury, every creature has a “private good
or interest,” an end to which it is naturally disposed by its constitution. But
there are other goods as well notably,
the public good and the good without qualification of a sentient being. An
individual creature’s goodness is defined by the tendency of its “natural
affections” to contribute to the “universal system” of nature of which it is a
part i.e., their tendency to promote the
public good. Because human beings can reflect on actions and affections,
including their own and others’, they experience emotional responses not only
to physical stimuli but to these mental objects as well e.g., to the thought of
one’s compassion or kindness. Thus, they are capable of perceiving and acquiring through their actions a particular species of goodness, namely,
virtue. In the virtuous person, the person of integrity, natural appetites and
affections are in harmony with each other wherein lies her private good and in
harmony with the public interest. Shaftesbury’s attempted reconciliation of
selflove and benevolence is in part a response to the egoism of Hobbes, who
argued that everyone is in fact motivated by self-interest. His defining
morality in terms of psychological and public harmony is also a reaction to the
divine voluntarism of his former tutor, Locke, who held that the laws of nature
and morality issue from the will of God. On Shaftesbury’s view, morality exists
independently of religion, but belief in God serves to produce the highest
degree of virtue by nurturing a love for the universal system. Shaftesbury’s
theory led to a general refinement of eighteenth-century ideas about moral
feelings; a theory of the moral sense emerged, whereby sentiments are under certain conditions perceptions of, or constitutive of, right and
wrong. In addition to several essays collected in three volumes under the title
Characteristics of Men, Manners, Opinions, Times second edition, 1714,
Shaftesbury also wrote stoical moral and religious meditations reminiscent of
Epictetus and Marcus Aurelius. His ideas on moral sentiments exercised
considerable influence on the ethical theories of Hutcheson and Hume, who later
worked out in detail their own accounts of the moral sense. H. P. Grice, “My favourite Cooper.”
shyreswood: “I prefer the spelling shyreswood, since it SAYS what
‘sherwood’ merely implicates.” -- Sherwood, William, also called William
Shyreswood, English logician who taught logic at Oxford and at Paris between
1235 and 1250. He was the earliest of the three great “summulist” writers, the
other two whom he influenced strongly being Peter of Spain and Lambert of
Auxerre. His main works are “Introductiones in Logicam,” “Syncategoremata,” “De
insolubilibus,” and “Obligationes.” Some serious doubts have recently arisen
about the authorship of the latter work. Since M. Grabmann published Sherwood’s
Introductiones, philosophers have paid considerable attention to this seminal
Griceian. While the first part of Introductiones offer the basic ideas of
Aristotle’s Organon, and the latter part neatly lays out the Sophistical
Refutations, the final tract expounds the doctrine of the four properties of a
term. First, signification. Second, supposition. Third, conjunction, Fourth, appellation
-- hence the label ‘terminist’ for this sort of logic. These logico-semantic
discussions, together with the discussions of syncategorematic words,
constitute the “logica moderna,” (Grice’s ‘mdoernism’) as opposed to the more
strictly Aristotelian contents of the earlier logica vetus (Grice’s
neo-traditionalism) and logica nova (“It took me quite a while to explain to
Strawson the distinction between ‘logica nova’ and ‘logica moderna,’ only to
have him tell me, “worry not, GriceI’ll be into ‘logica vetus’ anyways!””. The
doctrine of properties of terms and the analysis of syncategorematic terms,
especially those of ‘all’ (or every) ‘no’ (or not or it is not the case) and
‘nothing’, ‘only’, ‘not’, ‘begins’ and ‘ceases (to eat iron) ‘necessarily’,
‘if’ (Latin ‘si,’ Grecian ‘ei’), ‘and’ (Latin ‘et’, Grecian ‘kai’) and ‘or’
(Latin ‘vel’) may be said to constitute
Sherwood’s or Shyrewood’s philosophy of logic. Shyrewood not only distinguishes
categorematic descriptive and syncategorematic logical words but also shows how
some terms are used categorematically in some contexts and syncategorematically
in others“he doesn’t explain which, and that’s one big map in his opus.”–
Grice. He recognizes the importance of the order of words (hence Grice, ‘be
orderly’) and of the scope of logical functors; he also anticipates the variety
of composite and divided senses of propositions. Obligationes, if indeed his,
attempts to state conditions under which a formal disputation may take place.
De Insolubilibus deals with paradoxes of self-reference and with ways of
solving them. Understanding Sherwood’s logic is important for understanding the
later medieval developments of logica moderna down to Occam whom Grice laughed
at (“modified Occam’s razor.”). Refs.: Grice, “Shyreswood at Oxford.”
All figures of rhetoric
All fallaciesargumentum ad:
ship of
Theseus: the ship of the Grecian hero
Theseus, which, according to Plutarch “Life of Theseus,” 23, the Athenians
preserved by gradually replacing its timbers. A classic debate ensued
concerning identity over time. Suppose a ship’s timbers are replaced one by one
over a period of time; at what point, if any, does it cease to be the same
ship? What if the ship’s timbers, on removal, are used to build a new ship,
identical in structure with the first: which ship has the best claim to be the
original ship?
shpet: phenomenologist and highly regarded friend of
Husserl. Shpet plays a major role in the development of phenomenology. Graduating
from Kiev in 6, Shpet accompanied his mentor
Chelpanov to Moscow, ommencing graduate studies at Moscow M.A., 0; Ph.D., 6. He attends Husserl’s
seminars at Göttingen during 213, out of which developed a continuing
friendship between the two, recorded in correspondence extending through 8. In
4 Shpet published a meditation, “Iavlenie i smysl,” nspired by Husserl’s
Logical Investigations and, especially, Ideas I, which had appeared in 3.
Between 4 and 7 he published six additional books on such disparate topics as
the concept of history, Herzen, philosophy, aesthetics, ethnic psychology, and
language. He founds and edited the philosophical yearbook Mysl’ i slovo Thought
and Word between 8 and 1, publishing an important article on skepticism in it.
He was arrested and sentenced to internal exile. Under these conditions he made
a running commentary of Hegel’s Phenomenology. He was executed.
sidgwick: English
philosopher. Best known for “The Methods of Ethics,” he also wrote “Outlines of
the History of Ethics.” In the “Methods,” Sidgwick tries to assess the
rationality of the main ways in which ordinary people go about making this or
that moral decision. Sidgwick thinks that our common “methods of ethics” fall
into three main patterns. The first pattern is articulated by the philosophical
theory known as intuitionism. This is the view that we can just see straight
off either what particular act is right or what binding rule or general principle
we ought to follow. A second pattern is spelled out by what self-love or egoism,
the view that we ought in each act to get as much good as we can for ourselves.vide:
H. P. Grice, “The principle of conversational self-love and the principle of
conversational benevolence,” H. P.
Grice, “Conversational benevolence, not conversational self-love.” The
third widely used method is represented by utilitarianism, the view that we ought
in each case to bring about as much good as possible for everyone affected. Can
any or all of the methods prescribed by these views be rationally defended? And
how are they related to one another? By framing his philosophical questions in
these terms, Sidgwick makes it centrally important to examine the chief
philosophical theories of morality in the light of the common-sense morals of
his time. Sidgwick thinks that no theory wildly at odds with common-sense
morality would be acceptable. Intuitionism, a theory originating with Butler
(of ‘self-love and benevolence’ fame), transmitted by Reid, and most
systematically expounded during the Victorian era by Whewell, is widely held to
be the best available defense of Christian morals. Egoism (Self-love) was thought
by many to be the clearest pattern of practical (or means-end) rationality and
is frequently said to be compatible with Christianity. And J. S. Mill had
argues that utilitarianism is both rational and in accord with common sense.
But whatever their relation to ordinary morality, the three methods or patterns
seem to be seriously at odds with one another. Examining all the chief
commonsense precepts and rules of morality, such as that promises ought to be
kept, Sidgwick argues that none is truly self-evident or intuitively certain.
Each fails to guide us at certain points where we expect it to answer our
practical questions. Utilitarianism, he found, could provide a complicated
method for filling these gaps. But what ultimately justifies utilitarianism is
certain very general axioms seen intuitively to be true. Among them are the
principles that what is right in one case must be right in any similar case,
and that we ought to aim at good generally, not just at some particular part of
it. Thus intuitionism and utilitarianism can be reconciled. When taken together
they yield a complete and justifiable method of ethics that is in accord with
common sense. What then of egoism and self-love? Self love and egoirm can
provide as complete a method as utilitarianism, and it also involves a
self-evident axiom. But the results of
egoism and self-love often contradict those of utilitarianism. Hence there is a
serious problem. The method that instructs us to act always for the good
generally and the method that tells one to act solely for one’s own good are
equally rational. Since the two methods give contradictory directions, while
each method rests on self-evident axioms, it seems that practical reason is
fundamentally incoherent. Sidgwick could see no way to solve the problem. Sidgwick’s
bleak conclusion is not generally accepted (especially at Oxford), but his
Methods is widely viewed as one of the best works of moral philosophy ever
written in what Grice calls ‘insular’ philosophy (as opposed to mainland
philosophy). Sidgwick’s account of
classical utilitarianism is unsurpassed. Sidwick’s discussions of the general
status of morality and of particular moral concepts are enduring models of
clarity and acumen. His insights about the relations between egoism (self-love)
and utilitarianism have stimulated much valuable research. And his way of
framing moral problems, by asking about the relations between commonsense
beliefs and the best available theories, has set much of the agenda for
ethics.
sì/no -- “sic” et “ne”modus interrogativus. Grice: “Oddly that the Italians call
themselves as speaking the ‘lingua del si,’ contra the Gallics, who speak the
‘lingua del’oc,” or worse, the ‘lingua d’oil”!! -- Grice: Or yes/no question.
“Cicero has this as ‘sic’ and ‘non.’ For Grice, tertium non datur. Grice’s
example is “Have you stopped beating
your wife, Smith?” “Smith is tricked into having to say ‘yes,’ which
makes him a criminal, or “no,” which doesn’t but *implicates* him in a crime.”
“The explicit cancellation would be, “No, because I never started it.”“But
usually Smith is never so intelligently Griceian like *that*! Vide: modus
interrogatives. Grice finds the
formalisation of a yes-no question more complicated than that of an x-question.
Like Carnap, he concludes that the distinction is otiose, because a yes/no question
also is after a variable to be filled by a definite value, regarding the
truth-value of the proposition as a whole rather than a part thereof. Grice:
“While I’ll casually use ‘yes,’ I’m well aware that the ‘s,’ as every German
schoolboy knows, is otioseit’s ‘yeah’ which is the correct form!” -- Refs.: H.
P. Grice, “Cicero on ‘sic’ and ‘ne’.” BANC, Speranza, “First time in Corpus?”
segno -- signum
-- Grice: “I prefer token, so
Anglo-Saxon! Plus I’m a ‘teacher’“to teach philosophy” --” whose explorations
on the Nicomachean Ethics, in one of their earlier incarnations, as a set of
lecture notes, sees me through terms of teaching Aristotle's moral theory.” “My
own philosophical life in this period involves two especially important
aspects.” ROBBING PETER TO PAY PAUL.. “The first is my prolonged collaboration
with my tutee at St. John’sF. Strawson.”“Strawson’s and my efforts are partly
directed towards the giving of joint seminars.”“Strawson and I stage a number
of joint seminars on topics related to the notions of meaning, categories, and
logical form.” “But my association with P. F. Strawson is much more than an
alliance for the purpose of teaching.” -- theory of signs, the philosophical
and scientific theory of information-carrying entities, communication, and
information transmission. The term ‘semiotic’ was introduced by Locke for the
science of signs and signification. The term became more widely used as a
result of the influential work of Peirce and Charles Morris. With regard to
linguistic signs, three areas of semiotic were distinguished: pragmatics the study of the way people, animals, or
machines such as computers use signs; semantics
the study of the relations between signs and their meanings, abstracting
from their use; and syntax the study of
the relations among signs themselves, abstracting both from use and from
meaning. In Europe, the near-equivalent term ‘semiology’ was introduced by
Ferdinand de Saussure, the Swiss linguist. Broadly, a sign is any
information-carrying entity, including linguistic and animal signaling tokens,
maps, road signs, diagrams, pictures, models, etc. Examples include smoke as a
sign of fire, and a red light at a highway intersection as a sign to stop.
Linguistically, vocal aspects of speech such as prosodic features intonation,
stress and paralinguistic features loudness and tone, gestures, facial
expressions, etc., as well as words and sentences, are signs in the most
general sense. Peirce defined a sign as “something that stands for something in
some respect or capacity.” Among signs, he distinguished symbols, icons, and
indices. A symbol, or conventional sign, is a sign, typical of natural language
forms, that lacks any significant relevant physical correspondence with or
resemblance to the entities to which the form refers manifested by the fact
that quite different forms may refer to the same class of objects, and for
which there is no correlation between the occurrence of the sign and its
referent. An index, or natural sign, is a sign whose occurrence is causally or
statistically correlated with occurrences of its referent, and whose production
is not intentional. Thus, yawning is a natural sign of sleepiness; a bird call
may be a natural sign of alarm. Linguistically, loudness with a rising pitch is
a sign of anger. An icon is a sign whose form corresponds to or resembles its
referent or a characteristic of its referent. For instance, a tailor’s swatch
is an icon by being a sign that resembles a fabric in color, pattern, and
texture. A linguistic example is onomatopoeia
as with ‘buzz’. In general, there are conventional and cultural aspects
to a sign being an icon. signatum: Cf. “to sign” as a verbfrom
French. Grice uses designatum, toobut more specifically within the ‘propositio’
as a compound of a subjectum and a predicatum. The subject-item indicates a
thing; and the predicate-item designates a property. As Grice notes, there is a
distinction between Aristotle’s use, in De Int., of ‘sumbolon,’ for which
Aristotle sometimes means ‘semeion,’ and their Roman counterparts, ‘signum’
sounds otiose enough. But ‘significo’ does not. There is this –fico thing that
sounds obtrusive. The Romans, however, were able to distinguish between ‘make a
sign,’ and just ‘signal.’ The point is important when Grice tries to apply the
Graeco-Roman philosophical terminology to a lexeme which does not belong in
there: “mean.” His example is someone in pain, uttering “Oh.” If he later gains
voluntary control, by uttering “Oh” he means that he is in pain, and even at a
later stage, provided he learns ‘lupe,’ he may utter the expression which is
somewhat correlated in a non-iconic fashion with something which iconically is
a vehicle for U to mean that he is in pain. In this way, in a
communication-system, a communication-device, such as “Oh” does for the state
of affairs something that the state of affairs cannot do for itself, govern the
addresee’s thoughts and behaviour (very much as the Oxfordshire cricket team
does for Oxfordshire what Oxfordshire cannot do for herself, viz. to engage in
a game of cricket. There’s rae-presentatum, for you! Short and Lewis have
‘signare,’ from ‘signum,’ and which they render as ‘to set a mark upon, to
mark, mark out, designate (syn.: noto, designo),’ Lit. A. In gen. (mostly poet.
and in post-Aug. prose): discrimen non facit neque signat linea alba, Lucil.
ap. Non. 405, 17: “signata sanguine pluma est,” Ov. M. 6, 670: “ne signare
quidem aut partiri limite campum Fas erat,” Verg. G. 1, 126: “humum limite
mensor,” Ov. M. 1, 136; id. Am. 3, 8, 42: “moenia aratro,” id. F. 4, 819: “pede
certo humum,” to print, press, Hor. A. P. 159; cf.: “vestigia summo pulvere,”
to mark, imprint, Verg. G. 3, 171: auratā cyclade humum, Prop. 4 (5), 7, 40.
“haec nostro signabitur area curru,” Ov. A. A. 1, 39: “locum, ubi ea (cistella)
excidit,” Plaut. Cist. 4, 2, 28: “caeli regionem in cortice signant,” mark,
cut, Verg. G. 2, 269: “nomina saxo,” Ov. M. 8, 539: “rem stilo,” Vell. 1, 16,
1: “rem carmine,” Verg. A. 3, 287; “for which: carmine saxum,” Ov. M. 2, 326:
“cubitum longis litteris,” Plaut. Rud. 5, 2, 7: “ceram figuris,” to imprint,
Ov. M. 15, 169: “cruor signaverat herbam,” had stained, id. ib. 10, 210; cf.
id. ib. 12, 125: “signatum sanguine pectus,” id. A. A. 2, 384: “dubiā lanugine
malas,” id. M. 13, 754: “signata in stirpe cicatrix,” Verg. G. 2, 379: “manibus
Procne pectus signata cruentis,” id. ib. 4, 15: “vocis infinitios sonos paucis
notis,” Cic. Rep. 3, 2, 3: “visum objectum imprimet et quasi signabit in animo
suam speciem,” id. Fat. 19, 43.— B. In partic. 1. To mark with a seal; to seal,
seal up, affix a seal to a thing (usually obsignare): “accepi a te signatum
libellum,” Cic. Att. 11, 1, 1: “volumina,” Hor. Ep. 1, 13, 2: locellum tibi
signatum remisi, Caes. ap. Charis. p. 60 P.: “epistula,” Nep. Pel. 3, 2:
“arcanas tabellas,” Ov. Am. 2, 15, 15: “signatis quicquam mandare tabellis,”
Tib. 4, 7, 7: “lagenam (anulus),” Mart. 9, 88, 7: “testamentum,” Plin. Ep. 2,
20, 8 sq.; cf. Mart. 5, 39, 2: “nec nisi signata venumdabatur (terra),” Plin.
35, 4, 14, § 33.—Absol., Mart. 10, 70, 7; Quint. 5, 7, 32; Suet. Ner. 17.— 2.
To mark with a stamp; hence, a. Of money, to stamp, to coin: “aes argentum
aurumve publice signanto,” Cic. Leg. 3, 3, 6; cf.: “qui primus ex auro denarium
signavit ... Servius rex primus signavit aes ... Signatum est nota pecudum,
unde et pecunia appellata ... Argentum signatum est anno, etc.,” Plin. 33, 3,
13, § 44: “argentum signatum,” Cic. Verr. 2, 5, 25, § 63; Quint. 5, 10, 62; 5,
14, 26: “pecunia signata Illyriorum signo,” Liv. 44, 27, 9: “denarius signatus
Victoriā,” Plin. 33, 3, 13, § 46: “sed cur navalis in aere Altera signata est,”
Ov. F. 1, 230: “milia talentūm argenti non signati formā, sed rudi pondere,”
Curt. 5, 2, 11.— Hence, b. Poet.: “signatum memori pectore nomen habe,”
imprinted, impressed, Ov. H. 13, 66: “(filia) quae patriā signatur imagine
vultus,” i. e. closely resembles her father, Mart. 6, 27, 3.— c. To stamp, i.
e. to license, invest with official authority (late Lat.): “quidam per ampla
spatia urbis ... equos velut publicos signatis, quod dicitur, calceis agitant,”
Amm. 14, 6, 16.— 3. Pregn., to distinguish, adorn, decorate (poet.): “pater
ipse suo superūm jam signat honore,” Verg. A. 6, 781 Heyne: caelum corona,
Claud. Nupt. Hon. et Mar. 273. to point out, signify, indicate, designate,
express (rare; more usually significo, designo; in Cic. only Or. 19, 64, where
dignata is given by Non. 281, 10; “v. Meyer ad loc.): translatio plerumque
signandis rebus ac sub oculos subiciendis reperta est,” Quint. 8, 6, 19:
“quotiens suis verbis signare nostra voluerunt (Graeci),” id. 2, 14, 1; cf.:
“appellatione signare,” id. 4, 1, 2: “utrius differentiam,” id. 6, 2, 20; cf.
id. 9, 1, 4; 12, 10, 16: “nomen (Caieta) ossa signat,” Verg. A. 7, 4: “fama
signata loco est,” Ov. M. 14, 433: “miratrixque sui signavit nomine terras,”
designated, Luc. 4, 655; cf.: “(Earinus) Nomine qui signat tempora verna suo,”
Mart. 9, 17, 4: “Turnus ut videt ... So signari oculis,” singled out, looked
to, Verg. A. 12, 3: signare responsum, to give a definite or distinct answer,
Sen. Ben. 7, 16, 1.—With rel.-clause: “memoria signat in quā regione quali
adjutore legatoque fratre meo usus sit,” Vell. 2, 115.— B. To distinguish,
recognize: “primi clipeos mentitaque tela Adgnoscunt, atque ora sono discordia
signant,” Verg. A. 2, 423; cf.: “sonis homines dignoscere,” Quint. 11, 3, 31:
“animo signa quodcumque in corpore mendum est,” Ov. R. Am. 417.— C. To seal,
settle, establish, confirm, prescribe (mostly poet.): “signanda sunt jura,”
Prop. 3 (4), 20, 15. “signata jura,” Luc. 3, 302: jura Suevis, Claud. ap. Eutr.
1, 380; cf.: “precati deos ut velint ea (vota) semper solvi semperque signari,”
Plin. Ep. 10, 35 (44). To close, end: “qui prima novo signat quinquennia
lustro,” Mart. 4, 45, 3.—Hence, A. signan-ter , adv. (acc. to II. A.),
expressly, clearly, distinctly (late Lat. for the class. significanter):
“signanter et breviter omnia indicare,” Aus. Grat. Act. 4: “signanter et
proprie dixerat,” Hier. adv. Jovin. 1, 13 fin. signātus, a, uma. 1. (Acc. to I.
B. 1. sealed; hence) Shut up, guarded, preserved (mostly ante- and post-class.):
signata sacra, Varr. ap. Non. 397, 32: limina. Prop. 4 (5), 1, 145. Chrysidem
negat signatam reddere, i. e. unharmed, intact, pure, Lucil. ap. Non. 171, 6;
cf.: “assume de viduis fide pulchram, aetate signatam,” Tert. Exhort. 12.— 2.
(Acc. to II. A.) Plain, clear, manifest (post-class. for “significans”a back
formation!): “quid expressius atque signatius in hanc causam?” Tert. Res.
Carn.Adv.: signātē , clearly, distinctly (post-class.): “qui (veteres) proprie
atque signate locuti sunt,” Gell. 2, 6, 6; Macr. S. 6, 7 Comp.: “signatius
explicare aliquid,” Amm. 23, 6, 1. Refs.: H. P. Grice, “Sign and sign-makingthe
Roman signi-ficare, and beyond.” significatum:
or better ‘signatum.’ Grice knew that in old Roman, signatum was intransitive,
as originally ‘significatum’ was“He is signifying,” i. e. making signs. In the
Middle Ages it was applied to ‘utens’ of this or that expression, as was an
actum, ‘agitur,’ Thus an expression was not said to ‘signify’ in the same way.
Grice plays with the expression-communication distinction. When dealing with a
lexeme that does NOT belong in the Graeco-Roman tradition, that of “mean,” he
is never sure. His doubts were hightlighted in essays on “Grice without an
audience.” While Grice explicitly says that a ‘word’ is not a sign, he would
use ‘signify’ at a later stage, including the implicaturum as part of the
significatum. There is indeed an entry for signĭfĭcātĭo, f. significare. L
and S render it, unhelpfully, as “a pointing
out, indicating, denoting, signifying; an expression, indication, mark, sign, token,
= indicium, signum, ἐπισημασία, etc., freq. and class. As with Stevenson’s
‘communico,’ Grice goes sraight to ‘signĭfĭco,’ also dep. “signĭfĭcor,” f.
‘significare,’ from signum-facere, to make sign, signum-facio, I make sign,
which L and S render as to signify, which is perhaps not too helpful. Grice, if
not the Grecians, knew that. Strictly, L and S render significare as to show by
signs; to show, point out, express, publish, make known, indicate; to intimate,
notify, signify, etc. Note that the cognate signify almost comes last, but not
least, if not first. Enough to want to coin a word to do duty for them all.
Which is what Grice (and the Grecians) can, but the old Romans cannot, with
mean. If that above were not enough, L and S go on, also, to betoken,
prognosticate, foreshow, portend, mean (syn. praedico), as in to betoken a
change of weather (post-Aug.): “ventus Africus tempestatem significat,
etc.,”cf. Grice on those dark clouds mean a storm is coming. Short
and Lewis go on, to say that significare may be rendered as to call, name; to
mean, import, signify. Hence, ‘signĭfĭcans,’ in rhet. lang., of
speech, full of meaning, expressive, significant; graphic, distinct,
clear: adv.: signĭfĭcanter, clearly, distinctly, expressly, significantly,
graphically: “breviter ac significanter ordinem rei protulisse;” “rem indicare
(with proprie),” “dicere (with
ornate),” “apertius, significantius
dignitatem alicujus defendere,” “narrare,”“disponere,” “appellare aliquid (with
consignatius);” “dicere (with probabilius).” -- signifier, a vocal sound or a
written symbol. The concept owes its modern formulation to the Swiss linguist
Saussure. Rather than using the older conception of sign and referent, he
divided the sign itself into two interrelated parts, a signifier and a
signified. The signified is the concept and the signifier is either a vocal
sound or writing. The relation between the two, according to Saussure, is
entirely arbitrary, in that signifiers tend to vary with different languages.
We can utter or write ‘vache’, ‘cow’, or ‘vaca’, depending on our native
language, and still come up with the same signified i.e., concept. H. P. Grice,
“Significatum and English ‘meaning.’”
simulatum: Grice: “If x simulates y, x is not yor is this an
implicatureif x is x, is x LIKE x?” -- simulation theory: Grice: “How does one
simulate an implicature? I challenge AI, so-called, to do it!” -- the view that one represents the mental
activities and processes of others by mentally simulating them, i.e.,
generating similar activities and processes in oneself. By simulating them, one
can anticipate their product or outcome; or, where this is already known, test
hypotheses about their starting point. For example, one anticipates the product
of another’s theoretical or practical inferences from given premises by making
inferences from the same premises oneself; or, knowing what the product is, one
retroduces the premises. In the case of practical reasoning, to reason from the
same premises would typically require indexical adjustments, such as shifts in
spatial, temporal, and personal “point of view,” to place oneself in the
other’s physical and epistemic situation insofar as it differs from one’s own.
One may also compensate for the other’s reasoning capacity and level of
expertise, if possible, or modify one’s character and outlook as an actor
might, to fit the other’s background. Such adjustments, even when insufficient
for making decisions in the role of the other, allow one to discriminate
between action options likely to be attractive or unattractive to the agent.
One would be prepared for the former actions and surprised by the latter. The
simulation theory is usually considered an alternative to an assumption
sometimes called the “theory theory” that underlies much recent philosophy of
mind: that our commonsense understanding of people rests on a speculative
theory, a “folk psychology” that posits mental states, events, and processes as
unobservables that explain behavior. Some hold that the simulation theory
undercuts the debate between philosophers who consider folk psychology a
respectable theory and those the eliminative materialists who reject it. Unlike
earlier writing on empathic understanding and historical reenactment,
discussions of the simulation theory often appeal to empirical findings,
particularly experimental results in developmental psychology. They also
theorize about the mechanism that would accomplish simulation: presumably one
that calls up computational resources ordinarily used for engagement with the
world, but runs them off-line, so that their output is not “endorsed” or acted
upon and their inputs are not limited to those that would regulate one’s own
behavior. Although simulation theorists agree that the ascription of mental states
to others relies chiefly on simulation, they differ on the nature of
selfascription. Some especially Robert Gordon and simple supposition simulation
theory 845 845 Jane Heal, who
independently proposed the theory give a non-introspectionist account, while
others especially Goldman lean toward a more traditional introspectionist
account. The simulation theory has affected developmental psychology as well as
branches of philosophy outside the philosophy of mind, especially aesthetics
and philosophy of the social sciences. Some philosophers believe it sheds light
on traditional topics such as the problem of other minds, referential opacity,
broad and narrow content, and the peculiarities of self-knowledge.
Singolare, singulare: Grice: “I use ‘singular’ in triadic
opposition to plural and singular, and reject Urquart’s bi-dual -- singular
term -- singŭlāris , e, adj. singuli. I. Lit. A. In
gen., one by one, one at a time, alone, single, solitary; alone of its kind,
singular (class.; “syn.: unus, unicus): non singulare nec solivagum genus (sc.
homines),” i. e. solitary, Cic. Rep. 1, 25, 39: “hostes ubi ex litore aliquos
singulares ex navi egredientes conspexerant,” Caes. B. G. 4, 26: “homo,” id.
ib. 7, 8, 3; so, “homo (with privatus, and o isti conquisiti coloni),” Cic.
Agr. 2, 35, 97: “singularis mundus atque unigena,” id. Univ. 4 med.:
“praeconium Dei singularis facere,” Lact. 4, 4, 8; cf. Cic. Ac. 1, 7, 26:
“natus,” Plin. 28, 10, 42, § 153: “herba (o fruticosa),” id. 27, 9, 55, § 78:
singularis ferus, a wild boar (hence, Fr. sanglier), Vulg. Psa. 79, 14:
“hominem dominandi cupidum aut imperii singularis,” sole command, exclusive
dominion, Cic. Rep. 1, 33, 50; so, “singulare imperium et potestas regia,” id.
ib. 2, 9, 15: “sunt quaedam in te singularia ... quaedam tibi cum multis
communia,” Cic. Verr. 2, 3, 88, § 206: “singulare beneficium (o commune
officium civium),” id. Fam. 1, 9, 4: “odium (o communis invidia),” id. Sull. 1,
1: “quam invisa sit singularis potentia et miseranda vita,” Nep. Dion, 9, 5:
“pugna,” Macr. S. 5, 2: “si quando quid secreto agere proposuisset, erat illi
locus in edito singularis,” particular, separate, Suet. Aug. 72.— B. In partic.
1. In gram., of or belonging to unity, singular: “singularis casus,” Varr. L.
L. 7, § 33 Müll.; “10, § 54 ib.: numerus,” Quint. 1, 5, 42; 1, 6, 25; 8, 3, 20;
Gell. 19, 8, 13: “nominativus,” Quint. 1, 6, 14: “genitivus,” id. 1, 6, 26 et
saep. —Also absol., the singular number: “alii dicunt in singulari hac ovi et
avi, alii hac ove et ave,” Varr. L. L. 8, § 66 Müll.; Quint. 8, 6, 28; 4, 5, 25
al.— 2. In milit lang., subst.: singŭlāris , is, m. a. In gen., an orderly man
(ordonance), assigned to officers of all kinds and ranks for executing their
orders (called apparitor, Lampr. Alex. Sev. 52): “SINGVLARIS COS (consulis),”
Inscr. Orell. 2003; cf. ib. 3529 sq.; 3591; 6771 al.— b. Esp., under the
emperors, equites singulares Augusti, or only equites singulares, a select
horse body-guard (selected from barbarous nations, as Bessi, Thraces, Bæti,
etc.), Tac. H. 4, 70; Hyg. m. c. §§ 23 and 30; Inscr. Grut. 1041, 12 al.; cf.
on the Singulares, Henzen, Sugli Equiti Singolari, Roma, 1850; Becker, Antiq.
tom. 3, pass. 2387 sq.— 3. In the time of the later emperors, singulares, a
kind of imperial clerks, sent into the provinces, Cod. Just. 1, 27, 1, § 8; cf.
Lyd. Meg. 3, 7.— II. Trop., singular, unique, matchless, unparalleled,
extraordinary, remarkable (syn.: unicus, eximius, praestans; “very freq. both
in a good and in a bad sense): Aristoteles meo judicio in philosophiā prope
singularis,” Cic. Ac. 2, 43, 132: “Cato, summus et singularis vir,” id. Brut.
85, 293: “vir ingenii naturā praestans, singularis perfectusque undique,”
Quint. 12, 1, 25; so, “homines ingenio atque animo,” Cic. Div. 2, 47, 97:
“adulescens,” Plin. Ep. 7, 24, 2.—Of things: “Antonii incredibilis quaedam et
prope singularis et divina vis ingenii videtur,” Cic. de Or. 1, 38, 172:
“singularis eximiaque virtus,” id. Imp. Pomp. 1, 3; so, “singularis et
incredibilis virtus,” id. Att. 14, 15, 3; cf. id. Fam. 1, 9, 4: “integritas
atque innocentia singularis,” id. Div. in Caecil. 9, 27: “Treviri, quorum inter
Gallos virtutis opinio est singularis,” Caes. B. G. 2, 24: “Pompeius gratias
tibi agit singulares,” Cic. Fam. 13, 41, 1; cf.: “mihi gratias egistis
singularibus verbis,” id. Cat. 4, 3: “fides,” Nep. Att. 4: “singulare omnium
saeculorum exemplum,” Just. 2, 4, 6.—In a bad sense: “nequitia ac turpitudo
singularis,” Cic. Verr. 2, 3, 44, § 106; so, “nequitia,” id. ib. 2, 2, 54, §
134; id. Fin. 5, 20, 56: “impudentia,” Cic. Verr. 2, 2, 7, § 18: audacia (with
scelus incredibile), id. Fragm. ap. Quint. 4, 2, 105: “singularis et nefaria
crudelitas,” Caes. B. G. 7, 77.— Hence, adv.: singŭlārĭter (singlā-rĭter ,
Lucr. 6, 1067). 1. One by one, singly, separately. a. In gen. (ante- and
post-class.): “quae memorare queam inter se singlariter apta, Lucr. l. l. Munro
(Lachm. singillariter): a juventā singulariter sedens,” apart, separately,
Paul. Nol. Carm. 21, 727.— b. In partic. (acc. to I. B. 1.), in the singular
number: “quod pluralia singulariter et singularia pluraliter efferuntur,”
Quint. 1, 5, 16; 1, 7, 18; 9, 3, 20: “dici,” Gell. 19, 8, 12; Dig. 27, 6, 1
al.— 2. (Acc. to II.) Particularly, exceedingly: “aliquem diligere,” Cic. Verr.
2, 2, 47, § 117: “et miror et diligo,” Plin. Ep. 1, 22, 1: “amo,” id. ib. 4,
15, 1. Grice: “I would define a ‘singular implicaturum’ as any vehicle
of communicatum such as an expression, like ‘Zeus’, ‘Pegasus,’ ‘the President’,
‘Strawson’s dog,’ ‘Fido,’ or ‘my favorite chair’, that can be the grammatical
subject of what is semantically a subject-predicate sentence.” Grice: “By
contrast, what one might call a ‘general,’ or ‘non-singular term, such as ‘horse,’
‘dog,’‘table’ or ‘swam’ is one that can serve in predicative position.” It is
also often said that a singular term (‘nomen singularis,’ ‘expressio
singularis’) is a word or phrase that could refer or ostensibly refer, on a
given occasion of use, only to a single (or ‘singular’) objectunless you show
me a ‘general’ object --, whereas a general term is predicable of *more than
one* singular object, if not a ‘general’ object, which does not exist. A
singular term is thus the expression that replace, or are replaced by, an individual
variable (x, y, z, …) in applications of such quantifier rules as universal
instantiation and existential generalization or flank ‘%’ in identity
statements.” H. P. Grice, “System G: the rudiments.”
situazione --
situation ethics: what Grice calls the
‘particularised’prior obviously to the ‘generalised.’ -- a kind of anti-theoretical, case-by-case
applied ethics in vogue largely in some European and religious circles for twenty years or so
following World War II. It is characterized by the insistence that each moral
choice must be determined by one’s particular context or situation i.e., by a consideration of the outcomes that
various possible courses of action might have, given one’s situation. To that
degree, situation ethics has affinities to both act utilitarianism and
traditional casuistry. But in contrast to utilitarianism, situation ethics
rejects the idea that there are universal or even fixed moral principles beyond
various indeterminate commitments or ideals e.g., to Christian love or
humanism. In contrast to traditional casuistry, it rejects the effort to
construct general guidelines from a case or to classify the salient features of
a case so that it can be used as a precedent. The anti-theoretical stance of
situation ethics is so thoroughgoing that writers identified with the position
have not carefully described its connections to consequentialism,
existentialism, intuitionism, personalism, pragmatism, relativism, or any other
developed philosophical view to which it appears to have some affinity.
Giiovanni –
san Giovanni – Grice: “I often
wondered why my college was called “St John’s.”” st. john’s: st. john’s keeps
a record of all of H. P. Grice’s tutees. It is fascinating that Strawson’s
closest collaboration, as Plato with Socrates, and Aristotle with Plato, was
with his tutee Strawsonwhom Grice calls a ‘pupil,’ finding ‘tutee’ too French
to his taste. G. J. Warnock recalls that, of all the venues that the play group
held, their favourite one was the room overlooking the garden at st. john’s.
“It’s one of the best gardens in England, you know. Very peripathetic.” In
alphabetical order, some of his English ‘gentlemanly’ tutees include: London-born
J. L. Ackrill, London-born David Bostock, London-born A. G. N. Flew, Leeds-born
T. C. Potts, London-born P. F. Strawson. They were happy to have Grice as a
tutorial fellow, since he, unlike Mabbot, was English, and did not instill on
the tutees a vernacular furrin to the area.
Grice, “philosophical semanticist.”
smart and
place: Cambridge-born Australian philosopher
whose name is associated with three very non-Oxonian doctrines in particular:
the mind-body identity theory, scientific realism, and utilitarianism. A
student of Ryle’s at Oxford, from the other place, he rejected logical
behaviorism in favor of what came to be known as Australian or ‘colonial’ or
“Dominion” materialism. This is the view that mental processes and, as, -- “the other colonial,”Grice -- Armstrong
brought Smart to see, mental states
cannot be explained simply in terms of behavioristic dispositions. In
order to make good sense of how the ordinary person talks of them we have to
see them as brain processes and
states under other names. Smart
developed this identity theory of mind and brain, under the stimulus of his
colleague, Yorkshire-born, Rugby and Corpus-Christi (via Open Scholarship),
tutee of Ryle, U. T. Place, in “Sensations and Brain Processes” Philosophical
Review. It became a mainstay of twentieth-century philosophy. Smart endorsed
the materialist analysis of mind on the grounds that it gave a simple picture
that was consistent with the findings of science. He took a realist view of the
claims of science, rejecting phenomenalism, instrumentalism, and the like, and
he argued that commonsense beliefs should be maintained only so far as they are
plausible in the light of total science. Philosophy and Scientific Realism 3
gave forceful expression to this physicalist picture of the world, as did some
later works. He attracted attention in particular for his argument that if we
take science seriously then we have to endorse the four-dimensional picture of
the universe and recognize as an illusion the experience of the passing of
time. He published a number of defenses of utilitarianism, the best known being
his contribution to J. J. C. Smart and Bernard Williams, Utilitarianism, For
and Against 3. He gave new life to act utilitarianism at a time when
utilitarians were few and most were attached to rule utilitarianism or other
restricted forms of the doctrine. Refs.: H. P. Grice, “Ryle and the devil of
scientism,” H. P. Grice, “What Smart learned from Ryle.”
saggio: Grice: “’saggio’ is tricky; one can say that Grice is
an essayist, but Grice is a philosopher. To be a philousopher involves more
than writing a philosophical essay. Indeed, the mastery in philosophy, as in
lecturing, involves keeping away from your written copy of your essay, and,
well, philosophise. Note that a philosophical dialogue, or a tutorial, for that
matter, is not an ‘essay.’”. Grice: “This is the best proof that philosophy is
above ‘letters,’ and why Oxford needed a sub-faculty of PHILOSOPHY, even if it
provided the Lit. Hum. degree. philosophical essay: ‘saggio filosofico.’a
subgenre of the prose genre of ‘essay.’ Grice seems to prefer ‘study’ (“Studies
in the way of words”) but surely each piece is an essay. Austin preferred
“papers” (vide his “Philosophical Papers.”). “The implicature,” Grice says,
“seems to be that an essay is too sketchy!” --. “Storia del saggio filosofico
in Italia” --. Grice: “It is strictly not true that a philosopher needs to
engage in the subgenre of the ‘philosophical essay;’ after all, at Oxford, we
always thought Jowett’s dialogues were the epitome of philosophyand they are!”
società italiana per lo studio del pensiero medievale: Grice:
“It always amazed me that the mediaevals at Bologna and Oxford ‘knew’ that they
were in the middle of it!” -- the title of this Society is telling. For the
Italians, they do not want to distinguish Politics, Economics, Theology, and
PhilosophyIt is all covered under ‘thought,’ ‘pensiero.’ This is in accordance
with de Sanctis’s view of philosophy as one of the belles lettres (“if perhaps
less ‘belle’ than the rest). The subgenre of the essay‘philosophical essay.’ Grice:
“While it is easy to take ‘mediaeval’ in a boring chronological fashion, the
mediaevals themselves saw themselves to be in the ‘middle’ of it, of the
‘aevus,’ that is.”
siciliani: Pietro Siciliani (Galatina), filosofo. Figlio
di un commerciante di pelli, dopo gli studi nel seminario di Otranto frequentò
il Collegio gesuitico di Lecce e, il Collegio medico-cerusico di Napoli, dal
quale fuggì dopo essere stato segnalato alla polizia borbonica a causa delle
sue simpatie liberali. A Pisa si laureò
sotto la guida di Studiati, stringendo inoltre un proficuo rapporto di
collaborazione con lo iatrofilosofo Puccinotti (1794-1872), che influì molto
sui suoi studi filosofici. Sempre in Toscana strinse rapporti di profonda
amicizia con personalità importanti e influenti della cultura dell'Ottocento,
quali: Silvestro Centofanti, Filippo Pacini, Gino Capponi, Maurizio Bufalini e
altri. Seguendo la sua vocazione,
orientò i propri studi verso le discipline filosofiche e ottenne, nel 1862, la
cattedra di Filosofia speculativa e morale nel Regio liceo "Dante
Alighieri" di Firenze, dove insegnò fino al 1867. A Firenze sposò, nel
1864, la letterata e filantropa Cesira Pozzolini, nipote del senatore Vincenzo Malenchini e
appartenente a una famiglia di forte fede unitaria e liberale (la madre,
Gesualda Malenchini, ispettrice nelle scuole femminili di Firenze e fondatrice
di una scuola rurale gratuita per i figli dei contadini del piccolo centro di
Bivigliano, era stata la prima donna ad aver portato a Firenze il tricolore nei
moti del 1848 e il fratello Giorgio Pozzolini aveva combattuto nelle maggiori
battaglie risorgimentali affiancando Giuseppe Garibaldi e Nino Bixio). Da questa
unione nacque il console Vito Siciliani conte di Morreale. In questo periodo fu
iniziato in massoneria nella loggia fiorentina "La Concordia.” Fu nominato
professore straordinario di filosofia teoretica a Bologna dal ministro Cesare
Correnti e incaricato dell'insegnamento di pedagogia. Nel 1879, poi, divenne
docente ordinario della stessa disciplina sempre nell'Ateneo felsineo. A Bologna
tenne anche il secondo corso italiano di sociologia teoretica. Qui, inoltre,
strinse amicizia col poeta Giosuè Carducci, anch'egli accademico a Bologna ed
entrò in contatto con Francesco Fiorentino e Bertrando Spaventa. Dal 1868 al 1869 fu co-direttore della
"Rivista bolognese di scienze, lettere, arti e scuole" con Francesco
Fiorentino, Cesare Albicini ed Enrico Panzacchi. Ne abbandonò la direzione per
divergenze maturate in seno alla direzione generate, probabilmente,
dall'impostazione (eclettica) che Siciliani intendeva dare alla Rivista e che
contrastava con l'indirizzo idealistico voluto da Fiorentino. A Bologna istituì un centro di studi
pedagogici, contribuendo all'elevazione della pedagogia al rango di scienza. Fu
un convinto assertore della valorizzazione della persona e perciò la sua azione
educativa, per giungere alla conquista della libertà e del carattere morale da
parte del soggetto da educare, prevedeva l'intervento della famiglia e della
società. Altro suo pensiero fondamentale fu il principio dell'autodidattica
che, pur non escludendo l'azione dell'educatore, mette in primo piano il
protagonismo del soggetto da educare. Alla sua morte, avvenuta nel 1885,
ricevette onoranze e attestati di stima da parte di molti studiosi europei e americani,
mentre in Italia la sua fama fu oscurata da giudizi negativi, espressi
anzitutto da Giovanni Gentile che vedeva in lui un'espressione (benché
autonoma) della scuola positivistica . Di recente è stata rivalutata
l'influenza vichiana sul suo pensiero. A
lui è dedicata la Biblioteca civica di Galatina, nella quale è conservato il
"Fondo Siciliani" la raccolta, cioè, dei libri appartenuti al
pensatore e dolla biblioteca dalla moglie Cesira Pozzolini. A Pietro Siciliani
è dedicato anche il Liceo Socio-Psicopedagogico di Lecce. È sepolto nel
Cimitero delle Porte Sante di Firenze.
Il pensiero filosofico Di formazione giobertiana, Siciliani si accostò
al pensiero di Vico già negli anni fiorentini, tentando di inaugurare una
filosofia mediana (detta della "terza via") che individuasse una
sintesi tra opposte e differenti discipline. Dal suo punto di vista, infatti,
ogni pensiero contiene del buono e delle esagerazioni. Metodo del pensiero
"mediano" sarà, dunque, quello di salvare ciò che c'è di buono di una
scuola di pensiero per rigettarne le astrattezze e le esagerazioni. Con lo scritto La Critica nella filosofia
zoologica del XIX secolo, approdò nel più ampio dibattito europeo, ricevendo
apprezzamenti e pareri favorevoli dai più illustri scienziati internazionali.
Nel frattempo approfondì e diede il suo contributo speculativo alle nuove
discipline che in quegli anni muovevano alla ricerca di un'identità
epistemologica: la sociologia (Socialismo, darwinismo e sociologia moderna; Teorie
sociali e socialismo) e la psicologia (Prolegomeni alla moderna psicogenia, tradotta
in francese da Alessandro Herzen con il titolo Prolègoménes a la psychogénie
moderne). I Congressi Pedagogici. Il ministro
Francesco De Sanctis conferì a Siciliani la presidenza di vari congressi
pedagogici che si tennero a Firenze, Venezia, Genova, Milano, e Siciliani presiedette la prima sezione
dell'XI Congresso pedagogico romano. Queste esperienze lo portarono a un
approfondimento sempre maggiore della pedagogia, alla quale egli contribuì a
conferire un indirizzo scientifico, positivista e ampiamente laico (si vedano
le sue opere Rivoluzione e pedagogia moderna, La scienza nell'educazione). Opere: “Introduzione alla filosofia delle
scienze naturali e storiche (Firenze1); Il metodo numerico e la statistica in
medicina (Firenze); Della legge storica e dell'odierno momento filosofico e
politico del pensiero italiano (Firenze); Della libertà ed unità organica
dell'insegnamento filosofico nei licei e nelle università (Firenze); Della
fisiologia e delle lezioni fisiologiche sperimentali del prof. Maurizio Schiff
(Pisa); Su la storia della medicina di Francesco Puccinotti (Firenze); Sommario
delle conferenze di filosofia secondo i principi metafisici di G. B. Vico
(Firenze); Il triumvirato nella storia del pensiero italiano, ossia Dante, Galileo
e Vico (Firenze); Ai popoli salentini e al gonfalone di Galatina un saluto e un
augurio (Firenze); Del criterio filosofico nell'arte di scrivere e negli studi
critici storici e bibliografici (Bologna); Critica del positivismo (Bologna);
Sulle fonti storiche della filosofia positiva in Italia; 1-Galileo Galilei
(Bologna) Gli hegeliani in Italia (Bologna); La condanna del positivismo
(Bologna); Della pedagogia positiva e della scienza dell'educazione in Italia (Bologna);
Su la scienza dell'educazione (Bologna, 1870); Sul rinnovamento della filosofia
positiva in Italia (Firenze); La critica sulla filosofia zoologica del sec. XIX
(Napoli); Prolegomeni alla moderna psicogenia (Bologna); Socialismo, darwinismo
e sociologia moderna (Bologna); La scienza dell'educazione nelle scuole
italiane come antitesi alla pedagogia ortodossa (Bologna); Teorie sociali e
socialismo (Firenze); Dei massimi problemi della pedagogia moderna (Roma); Su
l'insegnamento religioso ai bambini secondo i dettami della filosofia
scientifica (Firenze); Riforma nello insegnamento della pedagogia (Torino);
Della pedagogia scientifica in Italia (Milano); Rivoluzione e pedagogia moderna
(Torino); Storia critica delle teorie pedagogiche e sociali (Bologna); Fra
vescovi e cardinali (Roma); Rivoluzione e pedagogia moderna (Torino); La
scienza nell'educazione secondo i principi della sociologia moderna (Bologna);
Rinnovamento e filosofia internazionale (Bologna); La nuova biologia (Milano)
Le questioni contemporanee e la libertà morale nell'ordine giuridico (Bologna).
G. Calogero, nella Enciclopedia Italiana, V. Gnocchini, L'Italia dei Liberi
Muratori, Mimesis-Erasmo, Milano-Roma,Giovanni Gentile, Le origini della
filosofia contemporanea in Italia Guido Calogero, «SICILIANI, Pietro» in
Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Giovanni
Invitto e Nicola Paparella , Rileggere Pietro Siciliani, Lecce, Capone Editore,
1988. Galatinesi illustri, Guida
Biografica, Galatina, TorGraf Galatina, Pietro Siciliani, Carteggio familiar, Francesco
Luceri, Centro Studi Salentini, Lecce, Pietro Siciliani e Cesira Pozzolini. Filosofia
e Letteratura (Atti del Convegno Nazionale. Galatina, Francesco Luceri con
prefazione di Fulvio Tessitore, Centro Studi Salentini, Lecce. Enciclopedie on
line, sito "Treccani.it L'Enciclopedia italiana".
«http://aspi.unimib.it/index.php?id=1591», la voce in Archivio Storico della
Psicologia Italiana.
signa: Boncompagno (Signa), filosofo. Fu
professore di retorica (ars dictaminis) a Bologna e Padova. Visse in varie
città, spostandosi ad Ancona, Venezia, Bologna e Padova, per poi finire la sua
vita a Firenze. Tra le opere più
significative si ricordano una storia dell'assedio di Ancona (unico suo lavoro
di tipo storico), il Boncompagnus, e diviso in sei parti, un trattato di
retorica, Rethorica novissima, composto da tredici libri, un trattato di
scacchi e il Libellus de malo senectutis et senis nel quale, con spirito
arguto, prende in giro le affermazioni di Cicerone che idealizzavano la
vecchiaia. Il suo Liber de obsidione
Ancone, pubblicato nel 1937 dall'editore Zanichelli, è stato ristampato in
edizione italiana (L'assedio di Ancona) nel 1999 dall'editore Viella di Roma. Il breve trattato di epistolografia amorosa,
la Rota Veneris, è stato pubblicato nel 1996 dalla Salerno Editrice. Opere: “Liber
de amicitia Ysagoge Boncompagnus Tractatus virtutum Rhetorica novissima
Libellus de malo senectutis et senis Palma Oliva Cedrum Mirra Quinque tabulae
salutationum Rota veneris Liber de obsidione Ancone Bonus Socius e Civis
Bononiae (disputed authorship) Fonti (LA, DE) Boncompagno da Signa, Rota
Veneris. Ein Liebesbriefsteller des 13. Jahrhunderts, Friedrich Baethgen, Roma,
Walter Regenberg, Boncompagno da Signa, Rota Veneris. A facsimile reproduction
of the Strassburg Incunabulum, traduzione di Josef Purkart, Delmar, NY (United
States), Scholars' Facsimiles & Reprints, Boncompagno da Signa, Rota
Veneris, Paolo Garbini, Roma, Salerno Editrice, Carl Sutter, Aus Leben und
Schriften des Magisters Boncompagnus, Friburgo, Akademische Verlagsbuchhandlung
von J. C. B. Mohr Annibale Gabrielli, Le epistole di Cola di Rienzo e
l'epistolografia medievale, in Archivio della Società romana di storia patria, Augusto
Gaudenzi, Sulla cronologia delle opere dei dettatori bolognesi da Buoncompagno
a Bene da Lucca, in Bullettino dell'Istituto storico italiano, Giuseppe
Manacorda, Storia della scuola in Italia, II, Palermo Francesco Tateo,
Boncompagno da Signa, in Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Boncompagno da Signa, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Francesco Di
Capua, Boncompagno da Signa, in Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Boncompagno
da Signa, su sapere.it, De Agostini. Virgilio Pini, Boncompagno da Signa, in
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Boncompagno
da Signa, su ALCUIN, Ratisbona. Opere su
openMLOL, Horizons Unlimited srl., su Les Archives de littérature du Moyen
Âge. Steven M. Wight: Boncompagno's charter
doctrine (Bologna), in: Medieval Diplomatic and the 'ars dictandi', Scrineum.
simioni: Corrado Simioni (Venezia), filosofo. Tra
i principali studiosi di Luigi Pirandello, iniziò la sua attività politica
militando nelle file del Movimento giovanile socialista con Bettino Craxi. Tuttavia
venne espulso dal partito per indegnità morale (circostanza questa che sarà da
lui negata successivamente). Secondo alcune fonti collaborò con l'USIS (United States
Information Service). In seguito si trasferì a Monaco di iera per approfondire
gli studi di latino e teologia, per poi ritornare a Milano all'inizio del
Sessantotto. Leader di un collettivo operai-studenti, mentre lavorava alla
Arnoldo Mondadori Editore, l'8 settembre 1969 fondò insieme a Renato Curcio il
"collettivo politico metropolitano" milanese. Il gruppo, che teorizzava lo scontro aperto,
viene considerato il progenitore delle Brigate Rosse. Insieme a circa settanta
persone, tra cui componenti del collettivo (quali Renato Curcio, Margherita
Cagol, Giorgio Semeria, e Vanni Mulinaris) ed elementi cattolici del dissenso,
partecipò al convegno di Chiavari nella sala Marchesani, adiacente la pensione
"Stella Maris", nel quale un gruppo di partecipanti guidati da Curcio
dichiarò la propria adesione ad una visione di lotta armata ed il successivo
passaggio alla clandestinità. La data di questo convegno viene da taluni
considerata come la data di nascita delle Brigate Rosse; altri, come Alberto
Franceschini, affermano che la formazione di lotta armata sia nata con il
convegno di Pecorile (Reggio Emilia) nell'agosto 1970. L'ultima attività, prima di passare alla
completa clandestinità sul territorio italiano, Simioni la compì all'inizio
degli anni settanta come redattore (assieme a Mulinaris e Curcio) di alcuni
numeri della rivista "Sinistra proletaria", l'ultimo dei quali
riporta in copertina uno sfondo rosso con disegnato al centro un cerchio nero
attorniante le sagome di quattordici mitra. Trasferitosi in Francia, fondò a
Parigiassieme a Duccio Berio e Vanni Mulinarisla scuola di lingue Hyperion, la
quale secondo alcuni ebbe la funzione di una vera centrale internazionale del
terrorismo. Si afferma che fu anche il capo del Superclan, organizzazione nata
da una costola delle BR. A Parigi
Simioni si inserì nella vita cittadina, ricominciando a frequentare gli
ambienti cattolici progressisti e divenendo vicepresidente della
"Fondazione Abbé Pierre". E proprio quale accompagnatore dell'Abbé
Pierre, venne ricevuto da papa Giovanni Paolo II in udienza privata.
Successivamente si avvicinò al buddhismo tibetano. Qui inoltre conobbe una
donna da cui in seguito ebbe un figlio che si trasferì in Italia. Simioni si
appartò nella campagna di Truinas, nella Drôme, dove gestì un B&B insieme
alla sua compagna fino alla morte, avvenuta nell'ottobre all'età di 74 anni. Il grande vecchio Nell'aprile 1980 Bettino
Craxi, alludendo alla esistenza di un "grande vecchio" delle Brigate
rosse (l'eminenza grigia ipotizzata da alcuni che dall'estero avrebbe guidato,
come un burattinaio, molte delle azioni terroristiche sul suolo italiano),
dichiarò che costui poteva essere cercato «tra quei personaggi che avevano
cominciato a fare politica con noi e poi sono scomparsi, magari sono a Parigi a
lavorare per il partito armato», frase che venne da molti ritenuto indicasse
come "grande vecchio" proprio Simioni. L'organizzazione di sinistra
extraparlamentare Lotta Continua lo accusò di essere un confidente della
polizia e in contatto con i servizi segreti..
All'inizio degli anni novanta, durante la fase iniziale di Mani pulite,
Simioni fu nuovamente accusato da Silvano Larini di essere il "grande
vecchio", accuse respinte da Simioni che le ritenne parte di un'azione
contro Bettino Craxi, vista la comune militanza nel Movimento giovanile
socialista. Valerio Lucarelli L'istituto francese Hyperion era realmente una
scuola di lingue o la stanza di compensazione di diversi servizi segreti? Antonio Ferrari, In teleselezione dalla
Francia gli ordini ai terroristi italiani? Corriere della Sera 26 aprile
1979 Entrambi gli edifici sono proprietà
della curia Il convegno di Pecorile in
AnnidiPiombo.wordpress Il "nucleo
storico" delle BR Sylviane Stein
L'abbé Pierre: un sacré destin L'Express E morto Simioni, il misterioso grande
vecchio, in la Tribuna di Treviso,
Stefano Fratini, Hyperion: scuola di lingue chiacchierata, -ANSA, //repubblica.it/cronaca//10/27/news/caso_moro_il_bierre_franceschini_moretti_una_spia_riduttivo_si_sentiva_lenin_-
Corrado Simioni, Dalla lotta armata al buddhismo , in Critica Sociale, Anni di
piombo Superclan Hyperion (Parigi)VeneziaAnni di piombo
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