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Wednesday, December 23, 2020

il grand tour di grice: impiegato 23/27

 

scarpelli: Uberto Scarpelli (Vicenza), filosofo. Studioso di analisi del linguaggio, è stato uno dei fondatori della cosiddetta scuola analitica italiana di filosofia del diritto assieme a Bobbio. È stato, insieme allo stesso Bobbio e a Giovanni Tarello, uno dei massimi esponenti della filosofia del diritto analitica italiana del Novecento, insegnando in varie università italiane anche Teoria generale del diritto, dottrine dello Stato, Filosofia morale e Filosofia della politica ed occupandosi costantemente, per l'intera vita, di problemi di etica e politica. Il pensiero filosofico-giuridico scarpelliano può essere raccolto attorno a due grandi temi: la semiotica del linguaggio prescrittivo e il metodo giuridico. Scarpelli contribuisce in misura fondamentale alla cosiddetta svolta prescrittivistica in campo semiotico ed è fautore di una giustificazione etico-politica del positivismo giuridico. Oltre ad approfondire lo studio del metodo del ragionamento morale, si è impegnato attivamente in relazione a questioni di etica e bioetica quali per esempio l'aborto e l'eutanasia. Ha compiuto inoltre studi sulla democrazia e i concetti di libertà politica e di partecipazione politica.   Nasce a Vicenza il 9 febbraio 1924 da una famiglia di origine pugliese trasferitasi poi in Lucchesia; il padre è magistrato. Dopo avere frequentato il liceo, si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Torino. La formazione di Scarpelli è all'insegna del pensiero filosofico idealistico allora dominante in Italia e fondata, tra gli altri, sui testi di Benedetto Croce e Giovanni Gentile. Durante gli anni universitari, desta l'interesse di Scarpelli in particolare il pensiero di Mario Allara, maestro della scuola civilistica torinese, e la filosofia del diritto. Nell'a.a. 1944-1945 segue le lezioni del corso di Filosofia del diritto di Norberto Bobbio, che ha l'incarico per quell'anno di ricoprire la cattedra di Gioele Solari. Sotto la guida del filosofo e giurista italiano Solari, Scarpelli si laurea nel 1946 discutendo una tesi sul tema della persona nella filosofia giuridica moderna. Già in questo lavorolo ricorda Bobbio, molti anni più tardi, nel ritratto dell'allievoScarpelli rivela un orientamento critico verso le versioni organicistiche della filosofia al tempo in auge.  Due anni dopo, nel 1948, si laurea anchein Scienze politiche sempre sotto la guida di Solari. Risale a questo anno la pubblicazione nella Rivista del diritto commerciale di una breve nota intitolata Scienza giuridica e analisi del linguaggio; in questa nota Scarpelli precorre il celebre saggio di Norberto Bobbio del 1950 che porta lo stesso titolo e che è considerato il manifesto della scuola analitica italiana di filosofia del diritto. Scarpelli, sino da giovanissimo, prende le distanze dalle correnti filosofiche idealistiche, organicistiche ed attualistiche accreditate sul continente per accostarsi al positivismo logico e, più in generale, alla filosofia analitica e agli studi di semiotica. È tra i primi a proporne una applicazione in campo giuridico e ad evidenziare la rilevanza della analisi del linguaggio per la teoria e la dogmatica giuridica.  Appena dopo la laurea, diviene assistente volontario di Bobbio; in seguito, negli a.a. 1948-1949 e 1949-1950, in qualità di assistente incaricato, collabora con Bobbio alla preparazione di due seminari, uno sulla giustizia nel materialismo storico e l'altro sulla interpretazione giuridica. La giustizia e il marxismo sono temi a cui Scarpelli dedica il primo libro intitolato Esistenzialismo e marxismo, il quale reca come sottotitolo Saggio sulla giustizia. Nonostante alcuni cambiamenti intervenuti nel corso degli anni, nel libro si rintracciano alcuni motivi del pensiero scarpelliano che lo stesso Scarpelli riconosce di non avere mai abbandonato: anzitutto, l'idea che la filosofia debba proporsi come forma di pensiero mondano, legato esclusivamente a ciò che gli uomini sono e fanno al mondo, e l'idea della scelta e dell'impegno come basi della esistenza di ciascun uomo.  La magistratura Risultato vincitore del concorso per l'accesso in magistratura, lascia la carriera universitaria con qualche rimpianto; ne è testimonianza la corrispondenza epistolare col maestro Norberto Bobbio. Durante gli anni di magistratura, i rapporti con l'università non si interrompono però completamente: nel 1954 consegue la libera docenza in Filosofia del diritto presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Milano; nei due anni successivi svolge corsi liberi nella stessa disciplina e nell'a.a. 1956-1957 svolge su incarico il corso di dottrina dello Stato al fianco di Renato Treves. Godendo di una borsa Rockefeller, ottenuta soprattutto grazie ad Alessandro Passerin d'Entrèves, per un anno si dedica ininterrottamente allo studio ponendo le basi di una delle sue opere principali: il Contributo alla semantica del linguaggio normativo, pubblicato nel 1959. Scarpelli esercita la professione di magistrato a Milano fino al 1962, anno in cui lascia definitivamente la carica per ritornare a tempo pieno all'insegnamento universitario.  La carriera universitaria Negli a.a. 1960-1961 e 1961-1962 tiene per incarico il corso di Filosofia del diritto nella Facoltà di Giurisprudenza di Perugia. Dal 1º dicembre 1962 è professore straordinario di Filosofia del diritto presso la medesima Facoltà; al compimentodel triennio, nel 1965, è Professore sempre a Perugia. Dal 1º febbraio 1968 è Professore di Filosofia morale nella Facoltà di Lettere e filosofia del diritto dell'Università degli Studi di Pavia, presso la cui Facoltà di Giurisprudenza tiene anche le lezioni di Filosofia del diritto alla morte di Bruno Leoni avvenuta nel 1967.  Dal 1º marzo 1971, succedendo a Bobbio, è titolare della cattedra di Filosofia del diritto della Facoltà di Giurisprudenza di Torino. Mantiene l'incarico fino al 1982 quando si trasferisce accanto a Treves all'Università degli Studi di Milano ricoprendo la cattedra di Filosofia del diritto di cui è già titolare dal 1974. Nel 1981 promuove il dottorato in Filosofia analitica e teoria generale del diritto; ancora oggi attivo, tale dottorato è uno dei tre curricula che compongono l'attuale dottorato in Filosofia del diritto della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Milano. Durante gli anni di docenza, oltre ai corsi di Filosofia del diritto e Filosofia morale, Scarpelli insegna su incarico Teoria generale del diritto, Filosofia della politica e Analisi del linguaggio politico.  L'opera incompiuta Negli ultimi anni Uberto Scarpelli lavora appassionatamente e alacremente a un'opera sistematica rimasta incompiuta: si tratta di un trattato di teoria generale del diritto di cui resta solo la struttura del lavoro, dettagliata fino alla scansione dei paragrafi. A tale opera Scarpelli pensa per lunghi anni, almeno dieci, come dimostra quanto egli scrive nel saggio del 1983 intitolato La teoria generale del diritto: prospettive per un trattato; eccettuate le anticipazioni presenti in questo lavoro e in altri saggi successivi, tra le carte rimaste di Scarpelli, non v'è alcuna parte di testo scritta di pugno dal filosofo. Come attestano gli allievi, il modo di lavorare di Scarpelli avrebbe portato ad una stesura unitaria a partire dalle citazioni e dai riferimenti raccolti e ordi corso degli anni. Ad oggi, questa mole di documenti resta l'ultima testimonianza del lavoro di Scarpelli, la traccia degli ultimi sviluppi del suo pensiero di filosofo del diritto e studioso di analisi del linguaggio.  Scarpelli muore a Milano il 16 luglio 1993 all'età di sessantanove anni. Tra gli scritti pubblicati postumi e ancora incompiuti, si ricorda soprattutto il testo di una conferenza mai tenuta intitolato La mia meta-etica e la mia esperienza etica in cui Scarpelli esplicita le due problematiche che hanno dominato la sua ricerca meta-etica: quella della razionalità interna dell'etica e quella della sua fondazione.  L'attività scientifica Scarpelli ricopre numerose cariche in istituzioni dedite alla ricerca e partecipa a numerosi convegni, incontri di studio e simposi di rilievo nazionale ed internazionale. È stato membro del Centro di studi metodologici di Torino e dello Institut international de philosophie politique; è stato socio corrispondente dell'Accademia delle scienze di Torino e socio dell'Istituto Lombardo Accademia delle scienze e delle lettere. Dal 1973 è stato direttore dell'Istituto per la Scienza per la amministrazione pubblica. Ha fatto parte dei consigli direttivi della Rivista internazionale di filosofia del diritto e di Sociologia del diritto. Nel 1961 entra a far parte del comitato di redazione della Rivista di filosofia di cui cura numeri monografici dedicati al concetto di libertà, alla logica deontica e alla bioetica. È stato condirettore della collana Diritto e cultura moderna e direttore della collana Luoghi critici per le edizioni di Comunità. Presidente della Società italiana di filosofia giuridica e politica dal 1985 al 1989, è stato vicepresidente del Comitato nazionale di bioetica negli anni 1990-1991 ed è stato nominato presidente onorario della Società italiana di filosofia analitica nel 1992.  All'inizio degli anni Cinquanta contribuisce alla nascita, dovuta all'iniziativa soprattutto di Ludovico Geymonat, del Centro Studi metodologici di Torino. In qualità di affiliato, riceve il compito di fare una relazione sulla Enciclopedia delle scienze unificate; lavoro a cui fanno seguito negli anni Cinquanta alcuni contributi sulla analisi del linguaggio così come concepita dal movimento del positivismo logico. In questi anni Scarpelli si avvicina sempre di più alla filosofia anglosassone e in particolare agli studi oxoniensi sul linguaggio della morale e della politica, partecipando anche ad incontri di studio ad Oxford.  Seguendo inizialmente le ricerche del filosofo statunitense Charles W. Morris (1901-1979), negli anni Cinquanta Scarpelli è fra i protagonisti della cosiddetta svolta linguistica della filosofia italiana. Si deve a lui l'introduzione nel nostro Paese del pensiero e delle opere del filosofo della morale Richard M. Hare (1919-2002) e del filosofo della politica Felix E. Oppenheim. Ad ambedue i filosofi, Scarpelli dedica alcuni lavori; sono da ricordare anzitutto le note, che in realtà sono ampi saggi di analisi del linguaggio normativo e contributi di meta-etica, ai due libri di Hare: The Language of Morals (1952) e Freedom and Reason (1963). Con Oppenheim, Bobbio e Passerin d'Entreves, Scarpelli intraprende un vivace dibattito sul concetto di libertà politica che porta alla stesura di vari lavori; tra essi, si può ricordare anzitutto il saggio dal titolo Libertà come fatto e come valore del 1965 ed il volume, curato da Passerin d'Entreves, La libertà politica del 1972.  Si devono a Scarpelli i primi studi in Italia sulla analisi del linguaggio giuridico in cui v'è una sistematica applicazione degli strumenti della semiotica ai suoi tre livelli: la sintattica (lo studio dei rapporti tra i segni), la semantica (lo studio dei rapporti tra i segni e i significati), la pragmatica (lo studio dei rapporti tra i segni e i loro utenti). Tutta la speculazione e la produzione scientifica di Scarpelli è basata sulla tesi della grande distinzione tra linguaggio descrittivo e linguaggio prescrittivo; ma negli anni si evolve progressivamente il livello a cui è individuato il tratto differenziale tra l'uno e l'altro, individuato dapprima sul piano pragmatico e poi sul piano semantico. L'esposizione compiuta del pensiero scarpelliano sulla significanza del linguaggio prescrittivo si ha nell'opera del 1969 Semantica, morale e diritto, trasfusa nella voce Semantica giuridica dello stesso anno. L'idea che il linguaggio prescrittivo (le norme, i comandi, gli ordini, le preghiere, ecc.) abbiano significato trae origine dalla distinzione tra il principio di significanza e il principio di verificazione. Alcuni spunti in tal senso sono rintracciabili già nel Contributo alla semantica del linguaggio normativo (1959) il cui nucleo concettuale ancora vicino al positivismo logico sta nell'intuizione che gli enunciati normativi, quantunque non possano essere verificati o falsificati, debbano nondimeno riferirsi alla realtà. Questa idea è alla base anche del libro Cos'è il positivismo giuridico (1965) in cui Scarpelli propone una giustificazione etico-politica del positivismo giuridico, criticando sia la versione bobbiana del positivismo giuridico come approach sia la versione proposta da Herbert L. A. Hart.  Fonti Le indicazioni sulla produzione scientifica di Uberto Scarpelli più ampie, seppur non complete, si rintracciano al momento nei seguenti contributi: Riccardo Guastini, Variazioni su temi di Scarpelli. Con un'appendice bibliografica, in «Materiali per una storia della cultura giuridica italiana», XII, 1982560 ss.;  degli scritti di Uberto Scarpelli. Nota Bibliografica, in Filosofia analitica 1993, Donatelli e Luciano Floridi, Lithos editrice, Roma, 199317 ss. (con anche l'indicazione delle note sul “Monitore dei Tribunali” e degli articoli comparsi su alcuni giornali, quotidiani e periodici: “L'Opinione”, “Panorama”, “Il Sole 24 Ore”, “Il Mondo economico”); Mario Jori, Uberto Scarpelli, giurista e filosofo, in «Rivista internazionale di filosofia del diritto», 1994191 ss.; Norberto Bobbio, La mia Italia, Polito, Passigli Editori, Firenze, 2000, nelle pagine dedicate al ritratto di Uberto Scarpelli155 ss.; Uberto Scarpelli. Semantica del linguaggio normativo, in Amedeo Giovanni Conte, Paolo Di Lucia, Luigi Ferrajoli, Mario Jori, Filosofia del diritto, (Paolo Di Lucia), Raffaello Cortina Editore, Milano, Félix Morales, "La filosofía del Derecho de Uberto Scarpelli. Análisis del lenguaje normativo y positivismo jurídico", Universidad de Alicante. La presente  non è completa e non contempla i numerosissimi scritti e note apparsi sui giornali, quotidiani e periodici. Esistenzialismo e marxismo. Saggio sulla giustizia, Taylor, Torino, Filosofia analitica e giurisprudenza, Istituto editoriale Cisalpino, Milano, Il problema della definizione e il concetto di diritto, Istituto editoriale Cisalpino, Milano, Contributo alla semantica del linguaggio normativo, Accademia delle Scienze, Torino, (nuova edizione con introduzione e Anna Pintore, Giuffrè, Milano,  Filosofia analitica, norme e valori, Comunità, Milano, Validità, legittimità, effettività del diritto, e positivismo giuridico, Cluep, Perugia, ciclostilato Cos'è il positivismo giuridico, Comunità, Milano, (nuova edizione con introduzione di Alfonso Catania e Mario Jori, ESI, Napoli) Diritto e analisi del linguaggio, Uberto Scarpelli, Comunità, Milano, Letture filosofiche e politiche. Introduzione agli studi politici, Uberto Scarpelli, Cisalpino-Goliardica, Milano, Thomas Hobbes. Linguaggio e leggi naturali. Il tempo e la pena, Giuffrè, Milano, L'etica senza verità, Il Mulino, Bologna, La teoria generale del diritto. Problemi e tendenze attuali. Studi dedicati a Norberto Bobbio, Uberto Scarpelli, Comunità, Milano, Il linguaggio del diritto, Uberto Scarpelli e Paolo Di Lucia, prefazione di Mario Jori, Led, Milano, Bioetica Laica, Maurizio Mori, Baldini e Castoldi, Milano, Saggi Scienza del diritto e analisi del linguaggio, Rivista del diritto commerciale, Dissertazione (check) per la libera docenza, Giurisprudenza italiana,  L'Unità della scienza nella “International Encyclopedia of Unified Science”, Rivista di filosofia, Il giudice e la legge, Occidente. Rivista mensile (saggio compreso nel fascicolo speciale dedicato a Il potere giurisdizionale nello stato moderno e in particolare nella costituzione italiana, Uberto Scarpelli) Liberalismo e democrazia nella Costituzione italiana, Occidente. Rivista bimestrale di studi politici, Elementi di analisi della proposizione giuridica, Jus, (riedito in Atti del congresso di studi metodologici promosso dal Centro di Studi metodologici, Ramella, Torino, Diritto naturale vigente, Occidente. Rivista bimestrale di studi politici, Alcuni problemi della teoria analitica del valore nel libro “Elementi di filosofia analitica” di Arthur Pap, Rivista di filosofia,  Linguaggio valutativo e prescrittivo, Jus, La Filosofia di Giovanni Gentile e le critiche di Gioele Solari, in Studi in memoria di Gioele Solari, Ramella, Torino, Responsabilità del magistrato, Occidente. Rivista bimestrale di studi politici, Behaviourism, positivismo logico e fascismo, Rivista bimestrale di cultura e di politica, Gli Stati Uniti e “il grande cambiamento”, Rivista bimestrale di cultura e di politica, Etica e linguaggio, Rivista di filosofia, Società e natura nel pensiero di Hans Kelsen, Rivista internazionale di filosofia del diritto, Osservazioni sul concetto di segno nel pensiero di Charles Morris, Rivista di filosofia, La natura della analisi del linguaggio, Rivista di filosofia, La natura della metodologia giuridica, Rivista internazionale di filosofia del diritto (incluso anche in Filosofia e scienza del diritto. Atti del II Congresso nazionale di filosofia del diritto, Giuffrè, Milano, La «Filosofia del diritto» di Widar Cesarini Sforza, Rivista di diritto civile, I compiti della filosofia del diritto, in La ricerca filosofica nella coscienza delle nuove generazioni, Carlo Arata e altri, Il Mulino, Bologna, I fondamenti e il metodo della analisi del linguaggio, in Il pensiero contemporaneo. Filosofia, epistemologia, logica, Ferruccio Rossi-Landi, Comunità, Milano,Retribuzione (voce), Enciclopedia Filosofica, IV, Sansoni, Firenze, 1958, col. 82 ss. La définition en droit, Logique et Analyse,ss. poi tradotto come La definizione nel diritto, Jus, 4, Imperativi e asserzioni (Grice: “Or is it indicatives and imperatives?”) Rivista di filosofia, La libertà, la democrazia e il magistrato, Monitore dei Tribunali,  Relazione, in Dibattito bolognese sui valori, Augusto Guzzo e Uberto Scarpelli, Edizioni di Filosofia, Torino,  Libertà, ragione e giustizia, Rivista di filosofia, Marxismo, sociologia neopositivistica e lotta delle classi, Quaderni di Sociologia, Il permesso, il dovere e la completezza degli ordinamenti normativi (a proposito di un libro di Amedeo G. Conte), Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, La dimensione normativa della libertà, Rivista di filosofia, 1Positivismo logico e società contemporanea, Rivista di filosofia,  Libertà come fatto e come valore, (coautori Noberto Bobbio, Alessandro Passerin d'Entreves e Felix Oppenheim), Rivista di filosofia, Illuminismo e legislazione, La Magistratura, Le “proposizioni giuridiche” come precetti reiterati, Rivista internazionale di filosofia del diritto, Risposta di Uberto Scarpelli, in Quaderni della Rivista “Il politico”. Tavola rotonda sul positivismo giuridico (Pavia), Milano, Giuffrè, L'educazione del giurista, Rivista di diritto processuale, Semantica giuridica, voce del Novissimo digesto italiano, XVI, UTET, Torino, . (Semantica, morale e diritto, Giappichelli, Torino) Problemi e idee circa l'insegnamento del dirittoGruppo di lavoro per il diritto G. Pugliese, in Le scienze dell'uomo e la riforma universitaria, Laterza, Bari,  I magistrati e le tre democrazie, Rivista di diritto processuale, Le argomentazioni dei giudici: prospettive di analisi, Il Foro italiano, suppl. ai Quaderni. Serie II. La formazione extralegislativa del diritto nell'esperienza italiana. Atti delle giornate di studio di Ancona, “Moore in Italia,” (cf. Luigi Speranza, “Grice in Italia”), Rivista di filosofia,  La «grande divisione» e la filosofia della politica, introduzione a Felix Oppenheim, Etica e filosofia politica, Il Mulino, Bologna,  Il metodo giuridico, Rivista di diritto processuale  (riedito come voce della Enciclopedia Feltrinelli-Fisher. Diritto 2, Giuliano Crifò, Feltrinelli, Milano.) Dovere morale, obbligo giuridico, impegno politico, Rivista di filosofia, ss. (riedito in Studi sassaresi, Giuffrè, Milano) Impegno politico e conoscenza sociologica, Quaderni di Sociologia, Il diritto nella società industriale: una strategia di accostamento, Rivista di diritto processuale. (edito anche in Il diritto della società industriale. Obbligazione politica e libertà di coscienza. Atti del IX Convegno nazionale della Società italiana di Filosofia giuridica e politica (Pergia), Giuffrè, Milano, Prefazione a Dagobert D. Runes, Dizionario di filosofia, Mondadori, Milano, La facoltà di scienze politiche di Milano e il potere negativo, Politica del diritto, Intervento in Autonomia e diritto di resistenza, Studi sassaresi, Giuffrè, Milano, Insegnamento del diritto, filosofia del diritto e società in trasformazione, Rivista trimestrale di diritto pubblico, (riedito in L'educazione giuridica, Libreria Universitaria, Perugia,  Per una sociologia del diritto come scienza, Sociologia del diritto, 1974266 ss. (riedito in La sociologia del diritto: un dibattito, Giuffrè, Milano, 1974 e in Diritto e trasformazione sociale, Laterza, Bari, 1978) La conoscenza sociologica, Sociologia del diritto, Etica, linguaggio e ragione, in Atti del XXV Convegno Nazionale di Filosofia (Pavia, 19-23 settembre 1975), Società filosofica italiana, Roma,  Democrazie e competenze, Amministrare, Giuffrè, Milano, 1975189 ss. Introduzione. La Filosofia. La filosofia dell'etica. La filosofia del diritto di indirizzo analitico in Italia e Introduzione all'analisi delle argomentazioni dei giudici, in Diritto e analisi del linguaggio, Uberto Scarpelli, Milano, Comunità, 1Lawrence M. Friedman e il sistema giuridico, Sociologia del diritto, 2, 1976299 ss. Etica, linguaggio e ragione, Rivista di filosofia, 19763 ss. Intervento al convegno del PSI di Milano, 23 gennaio 1976, in I socialisti e la cultura. Materiali e contributi per una politica culturale alternativa, Marsilio, Venezia, Le condizioni metagiuridiche della partecipazione, Atti del XXII Convegno di Studi di Scienza dell'amministrazione, 23-25 settembre 1976, Giuffrè, Milano245 ss. Le “entità strane dette norme” ed i guastini di Guastini, Sociologia del diritto, Santi Romano, teorico conservatore, teorico progressista, in Le dottrine giuridiche di oggi e l'insegnamento di Santi Romano, Paolo Biscaretti di Ruffìa, Giuffrè, Milano,  Intervento in La partecipazione popolare nella Costituzione repubblicana: prevenzione sociale e controllo della criminalità. Atti del convegno di Senigallia (8-10 dicembre 1977), Giustizia e Costituzione, 197882 ss. Intervento nella presentazione di Luciano Gallino, Dizionario di sociologia, in Milano, Sala del Grechetto, pubblicata in UTETPanorama di Lettere e Scienze, 125, 19783 ss. Thomas Hobbes e l'obbligazione politica come obbligazione in coscienza, in Studi in onore di Enrico Tullio Liebman, IV, Giuffrè, Milano, 19793147 ss. Idea dell'università e diritto allo studio, in Atti del Convegno su Il diritto allo studio nel quadro dei rapporti fra Università e Regione, Quaderni della Regione Lombardia,  Teoria formale o teoria strutturale del diritto. Per la dissoluzione della metafora formalistica, in Studi in onore di C. Grassetti, III, Giuffrè, Milano, 1980 p. 1669 ss. La partecipazione politica, Sociologia del diritto, 2, 19807 ss. La meta-etica e la sua rilevanza etica, Rivista di filosofia,  Intervento in Giudici separati? Magistratura, società e istituzioni negli anni '80. Atti del I Convegno Emilio Alessandrini (Senigallia, 9-10-11 novembre 1979), Giustizia e Costituzione, 1980170 ss. La critica analitica a Kelsen, Rivista di filosofia, 1981481 ss. (riedito in Hans Kelsen nella cultura filosofico-giuridica del novecento, Carlo Roehrssen, Istituto delle Enciclopedia italiana, Roma, 198369 ss.) La responsabilità politica, XIII Congresso nazionale della Società Italiana di Filosofia giuridica e politica. Pavia, 28-31 maggio 1981, Giuffrè, Milano, 1981. Responsabilità politica o virtù repubblicana, in Garanzie processuali o responsabilità del giudice, Franco Angeli, Milano, 1981167 ss. Riflessioni sulla responsabilità politica. Responsabilità, libertà, visione dell'uomo, Rivista internazionale di filosofia del diritto, 1, 198127 ss. Interventi (pubblicati senza essere rivisti dall'autore) nella giornata di studi 15 ottobre 1981 su Le ragioni della libertà: degenerazione dello stato burocratico e risposte neoliberali per l'Italia, Einaudinotiziecircolare ai soci della Fondazione Einaudi, Il tempo e la pena, in Piacere e felicità: fortuna e declino. Atti del 3º Convegno di studiosi di Filosofia morale (Chiavari-S. Margherita Ligure, 15-17 maggio 1980), Romeo Crippa, Liviana Editrice, Padova, 1982163 ss. Filosofia e diritto, in La cultura filosofica italiana dal 1945 al 1980 nelle sue relazioni con altri campi del sapere. Atti del convegno di Anacapri, giugno 1981, Guida Editori, Napoli,  Bruno Leoni e l'analisi del linguaggio, Il politico. Rivista italiana di Scienze politiche,  La democrazia e il segreto, in Il segreto nella realtà giuridica italiana. Atti del convegno nazionale, Roma, 26-28 ottobre 1981, Cedam, Padova, La teoria generale del diritto: prospettive per un trattato, in La teoria generale del diritto. Problemi e tendenze attuali. Studi dedicati a Noberto Bobbio, Uberto Scarpelli, Comunità, Milano,  L'interpretazione premesse alla teoria dell'interpretazione giuridica, in Società norme e valori. Studi in onore di Renato Treves, Uberto Scarpelli e Vincenzo Tomeo, Giuffrè, Milano, Auctoritas non veritas facit legem, in Linguaggio persuasione verità: atti del 28º Congresso nazionale di filosofia tenutosi in Verona dal 28 aprile al 1º maggio 1983, Cedam, Padova  (anche in Rivista di filosofia, 198429 ss.) Intervento in Il Welfare State possibile. Saggi e interventi di Francesco Barone, … Uberto Scarpelli …, prefazione di Enrico Mattei, Le Monnier, 198483 ss. Scienze dell'uomo e potere sull'uomo: oltre la libertà e la dignità, in Baudrillard e altri, Sapere e potere, I, Viviana Conti, Multhipla edizioni, Milano, 198465 ss. Un filosofo a disagio, Bollettino della Società Filosofica italiana. Nuova Serie, Voci: Diritto, Interpretazione, Istituzione, Norma, Validità, in Gli strumenti del sapere contemporaneo, I, Le discipline e II, I concetti, UTET, Torino, 1985. Le porte della stalla, Quadrimestre. Rivista di diritto privato, 3, 1985378 ss. Gli orizzonti della giustificazione, Rivista di filosofia, 19853 ss. (poi in Etica e diritto, Letizia Gianformaggio e Eugenio Lecaldano, Laterza, Roma-Bari, 19863 ss.) Scienza, sapere, sapienza, Rivista internazionale di filosofia del diritto, 2, 1986245 ss. Di alcune difficoltà culturali e di una tentazione perversa inerenti ai “diritti degli animali”, in “I diritti degli animali”. Atti del convegno nazionale Genova, Silvana Castignone e Luisella Battaglia, Centro di Bioetica, Genova, La filosofia nella Facoltà di Giurisprudenza, Rivista di filosofia, 1986409 ss. La bioetica. Alla ricerca dei principi, in Biblioteca della libertà, 99, 19878 ss. Un modello di ragione giuridica: il diritto reale razionale, in Reason in Law. Volume One. Proceedings of the Conference held in BolognaCarla Faralli e Enrico Pattaro, Giuffrè, Milano, 1987247 ss. Dalla legge al codice, dal codice ai principi, Atti dell'Accademia delle Scienze di Torino. Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche, 121, 198713 ss. (Rivista di filosofia, 19873 ss.) La Camera di consiglio come scuola, Quadrimestre. Rivista di diritto privato, 1, 198732 ss. Cosmo e universo, in Corpo e cosmo nell'esperienza morale. Atti del 4º Convegno tra studiosi di Filosofia morale (Pietrasanta, 30 settembre-2 ottobre 1982), Romeo Crippa, Padeia Editrice, Brescia,  Eutanasia. Intervista al Prof. Uberto Scarpelli, Hospital, II, 1, 198867 ss. Il concetto di libertà politica nel pensiero di Alessandro Passerin d'Entreves, Rivista internazionale di filosofia del diritto, 1988116 ss. Amministrazione della giustizia, rapporti umani e funzioni del diritto, in Amministrazione della giustizia e rapporti umani. Atti del Convegno di Sassari 14-16 novembre 1986, Maggioli, Rimini, 198819 ss. Beccaria e l'Italia civile, L'Indice penale, 1988217 ss. Classi logiche e discriminazione fra i sessi, Lavoro e diritto, 4, 1988615 ss. Hobbes e lo stato totalitario, Bollettino della Società Filosofica italiana. Nuova Serie (intervento nella Tavola Rotonda su Attualità e presenza di Hobbes, in Hobbes oggi, Andrea Napoli, FrancoAngeli, Milano, Introduzione ai lavori in Interpretazione e decisione. Diritto ed economia. Atti del XVI Congresso nazionale della Società italiana di Filosofia giuridica e politica (Padova, 21-23 maggio 1987), Francesco Gentile, Giuffrè, Milano, 198813 ss. Intervento in Diritto di sciopero, autonomia collettiva ed intervento del legislatore (Viareggio, 18-20 novembre 1988), Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, Il diritto pubblico italiano di Santi Romano, Materiali per una storia della cultura giuridica,  Il positivismo giuridico rivisitato, Rivista di filosofia, 1989461 ss. La bioetica: alla ricerca dei principi, in Studi in memoria di Giovanni Ambrosetti, I, Giuffrè, Milano, 1989343 ss. Bioetica: prospettive e principi fondamentali, in La bioetica. Questioni morali e politiche per il futuro dell'uomo, Convegno, Roma, marzo 1990, Bibliotechne, Milano, 199120 ss. I compiti dell'etica laica nella cultura italiana di oggi, Notizie di Politeia, 23, 19913 ss. Relazione su Charles L. Stevenson, ‘Ethics and Language', in Il neoilluminismo italiano. Cronache di filosofia, Mirella Pasini e Daniele Rolando, Il Saggiatore, Milano, 199164 ss. Diritti positivi, diritti naturali: un'analisi semiotica, in Diritti umani e civiltà giuridica. Atti del convegno organizzato dalla Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Perugia nei giorni 9-11 novembre 1989, Savino Caprioli e Ferdinando Treggiari, Stabilimento Tipografico Pliniana Perugia, Etica della libertà, Bioetica. Rivista interdisciplinare,  Filosofia del diritto, in La Filosofia, I, Le filosofie speciali, diretta da Pietro Rossi, Torino, UTET, 1995221 ss. Il linguaggio giuridico: un ideale illuministico, in Nomografia. Linguaggio e redazione delle leggi. Contributi al seminario promosso dalla Banca d'Italia e dalla prima cattedra di filosofia del diritto dell'Milano (19 novembre 1991), Paolo Di Lucia, Giuffrè, Milano, La mia meta-etica e la mia esperienza etica, in Scritti per Uberto Scarpelli, Letizia Gianformaggio e Mario Jori, Giuffrè, Milano,Il linguaggio e la politica dei giuristi, Notizie di Politeia, 71, 20038 ss. Sui compiti della filosofia del diritto, Notizie di Politeia, Formanti, dattiloscritto inedito. Note a sentenza, note bibliografiche, recensioni e schede libro Nota a sentenza del Tribunale di Milano, 28 aprile 1948, soc. Acc. Compra Vendita immobili S.A.C.V.I. c. Della Beffa, su Locazione di coseLocazione di immobili urbaniProroga ecc., in Giurisprudenza,  Nota a sentenzaDegli effetti dell'abolizione del commissariato alloggi e di una possibile applicazione dell'azione surrogatoria, Il Foro Padano, 194950 ss. Note bibliografiche a Renato Scognamiglio, Contributo alla teoria del negozio giuridico, Jovene, Napoli, Carattere della prestazione e carattere dell'interesse, Rivista del diritto commerciale, 195033 ss. Tacita riconduzione e novazione, Rivista del diritto commerciale, 195095 ss. Il cosiddetto conflitto tra diritti personali di godimento e l'art. 1380 del codice civile, Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, Recensione a Sturzo, I discorsi politici, Roma, 1951 in Quaderni di Sociologia, Recensione a Bellezza, L'esistenzialismo positivo di Giovanni Gentile, Firenze, 1954, in Rivista di filosofia, Nuovi libri: Logic and Language. Studies dedicated to Professor Carnap on the Occasion of His Seventieth Birthday, Dordrecht, 1962; Piovesan, Analisi filosofica e fenomenologia linguistica, Padova, 1962; Morality and the Language of Conduct, (eds. Castaneda e Nakhnikian), Detroit, 1963, in Rivista di filosofia, Recensione a Findlay, Language, Mind and Value, London, 1963, in Rivista di filosofia, 196476 ss. Nuovi libri: Philosophy and Ordinary Language (ed. Caton), Urbana, 1963 e Lumia, Empirismo logico e positivismo giuridico, Milano, 1963, in Rivista di filosofia, 1964111 ss. e 370 ss. Recensione a Rescher, The logic of commands, London, , in Rivista di filosofia, 1, 196768 ss. Nuovi libri: Pasquinelli, Nuovi principi di epistemologia, Milano, 1964, in Rivista di filosofia, 1965212 Recensione a De Mauro, Introduzione alla semantica, Bari, 1965, in Rivista di filosofia, 1966343 ss. Recensione a Chomsky, Cartesian linguistics. A Chapter in the History of Rationalist Thought, London, 1966, in Rivista di filosofia, 196765 ss. Recensione a Antiseri, Dopo Wittgenstein: dove va la filosofia analitica, Roma, 1966, in Rivista di filosofia, Nuovi libri: Orecchia, La filosofia del diritto nelle università italiane: Saggio di bibliografia , Milano, 1967, in Rivista di filosofia, 1968245 ss. Recensione a Amato, Logica simbolica e diritto, Milano, 1969, in Rivista di filosofia, 3, 1969356 ss. Nuovi libri: Waxman (ed.), The End of Ideology Debate, New York, 1968, in Rivista di filosofia, 1969228 ss. Recensione a Care and Landesman (eds.), Readings in the Theory of Action, London,  in Rivista di filosofia, Nuovi libri: Rescher, (ed.), Studies in the Philosophy of Science, Oxford, 1969; Raphael (ed.), British Moralists. 1650-1800, Oxford, Vax, L'empirisme logique, Paris, 1970, in Rivista di filosofia, Recensione a Fann (ed.), Symposium on L. J. Austin, London, 1969, Rivista di filosofia, 197190 ss. Recensione a Gulotta , Trattato di psicologia giudiziaria nel sistema penale, Milano,  in L'Indice Penale, Note  La filosofía del Derecho de Uberto Scarpelli , rua.ua.es.

 

scettico -- sceptis: Cicero translated as ‘dubitatio.’ For some reason, Grice was irritated by Wood’s sobriquet of Russell as a “passionate sceptic”: ‘an oxymoron.” The most specific essay by Grice on this is an essay he kept after many years, that he delivered back in the day at Oxford, entitled, “Scepticism and common sense.” Both were traditional topics at Oxford at the time. Typically, as in the Oxonian manner, he chose two authors, New-World’s Malcolm’s treatment of Old-World Moore, and brings in Austin’s ‘ordinary-language’ into the bargain. He also brings in his own obsession with what an emissor communicates. In this case, the “p” is the philosopher’s sceptical proposition, such as “That pillar box is red.” Grice thinks ‘dogmatic’ is the opposite of ‘sceptic,’ and he is right! Liddell and Scott have “δόγμα,” from “δοκέω,” and which they render as “that which seems to one, opinion or belief;” Pl.R.538c; “δ. πόλεως κοινόν;” esp. of philosophical doctrines, Epicur.Nat.14.7; “notion,” Pl.Tht.158d; “decision, judgement,” Pl. Lg.926d; (pl.); public decree, ordinance,  esp. of Roman Senatus-consulta, “δ. συγκλήτου”  “δ. τῆς βουλῆς” So note that there is nothing ‘dogmatic’ about ‘dogma,’ as it derives from ‘dokeo,’ and is rendered as ‘that which seems to one.’ So the keyword should be later Grecian, and in the adjectival ‘dogmatic.’ Liddell and Scott have “δογματικός,” which they render as “of or for doctrines, didactic, [διάλογοι] Quint.Inst.2.15.26, and “of persons, δ. ἰατροί,” “physicians who go by general principles,” o “ἐμπειρικοί and μεθοδικοί,” Dsc.Ther.Praef., Gal.1.65; in Philosophy, S.E.M.7.1, D.L.9.70, etc.; “δ. ὑπολήψεις” Id.9.83; “δ. φιλοσοφία” S.E. P.1.4. Adv. “-κῶς” D.L.9.74, S.E.P.1.197: Comp. “-κώτερον” Id.M. 6.4. Why is Grice interested in scepticism. His initial concern, the one that Austin would authorize, relates to ‘ordinary language.’ What if ‘ordinary language’ embraces scepticism? What if it doesn’t? Strawso notes that the world of ordinary language is a world of things, causes, and stuff. None of the good stuff for the sceptic. what is Grice’s answer to the sceptic’s implicaturum? The sceptic’s implicaturum is a topic that always fascinated Girce. While Grice groups two essays as dealing with one single theme, strictly, only this or that philosopher’s paradox (not all) may count as sceptical. This or that philosopher’s paradox may well not be sceptical at all but rather dogmatic. In fact, Grice defines philosophers paradox as anything repugnant to common sense, shocking, or extravagant ‒ to Malcolms ears, that is! While it is, strictly, slightly odd to quote this as a given date just because, by a stroke of the pen, Grice writes that date in the Harvard volume, we will follow his charming practice. This is vintage Grice. Grice always takes the sceptics challenge seriously, as any serious philosopher should. Grices takes both the sceptics explicatum and the scepticss implicaturum as self-defeating, as a very affront to our idea of rationality, conversational or other. V: Conversations with a sceptic: Can he be slightly more conversational helpful? Hume’ sceptical attack is partial, and targeted only towards practical reason, though.  Yet, for Grice, reason is one. You cannot really attack practical or buletic reason without attacking theoretical or doxastic reason. There is such thing as a general rational acceptance, to use Grice’s term, that the sceptic is getting at. Grice likes to play with the idea that ultimately every syllogism is buletic or practical. If, say, a syllogism by Eddington looks doxastic, that is because Eddington cares to omit the practical tail, as Grice puts it. And Eddington is not even a philosopher, they say. Grice is here concerned with a Cantabrigian topic popularised by Moore. As Grice recollects, Some like Witters, but Moore’s my man. Unlike Cambridge analysts such as Moore, Grice sees himself as a linguistic-turn Oxonian analyst. So it is only natural that Grice would connect time-honoured scepticism of Pyrrhos vintage, and common sense with ordinary language, so mis-called, the elephant in Grices room. Lewis and Short have “σκέψις,” f. σκέπτομαι, which they render as “viewing, perception by the senses, ἡ διὰ τῶν ὀμμάτων ςκέψις, Pl. Phd. 83a; observation of auguries; also as examination, speculation, consideration, τὸ εὕρημα πολλῆς σκέψιος; βραχείας ςκέψις; ϝέμειν ςκέψις take thought of a thing; ἐνθεὶς τῇ τέχνῃ ςκέψις; ςκέψις ποιεῖσθαι; ςκέψις προβέβληκας; ςκέψις λόγων; ςκέψις περί τινος inquiry into, speculation on a thing; περί τι Id. Lg. 636d;ἐπὶ σκέψιν τινὸς ἐλθεῖν; speculation, inquiry,ταῦτα ἐξωτερικωτέρας ἐστὶ σκέψεως; ἔξω τῆς νῦν ςκέψεως; οὐκ οἰκεῖα τῆς παρούσης ςκέψις; also hesitation, doubt, esp. of the Sceptic or Pyrthonic philosophers, AP 7. 576 (Jul.); the Sceptic philosophy, S. E. P. 1.5; οἱ ἀπὸ τῆς ςκέψεως, the Sceptics, ib. 229. in politics, resolution, decree, συνεδρίον Hdn. 4.3.9, cf. Poll. 6.178. If scepticism attacks common sense and fails, Grice seems to be implicating, that ordinary language philosophy is a good antidote to scepticism. Since what language other than ordinary language does common sense speak? Well, strictly, common sense doesnt speak. The man in the street does. Grice addresses this topic in a Mooreian way in a later essay, also repr. in Studies, Moore and philosophers paradoxes, repr. in Studies. As with his earlier Common sense and scepticism, Grice tackles Moores and Malcolms claim that ordinary language, so-called, solves a few of philosophers paradoxes. Philosopher is Grices witty way to generalise over your common-or-garden, any, philosopher, especially of the type he found eccentric, the sceptic included. Grice finds this or that problem in this overarching Cantabrigian manoeuvre, as over-simplifying a pretty convoluted terrain. While he cherishes Austins Some like Witters, but Moores MY man! Grice finds Moore too Cantabrigian to his taste. While an Oxonian thoroughbred, Grice is a bit like Austin, Some like Witters, but Moores my man, with this or that caveat. Again, as with his treatment of Descartes or Locke, Grice is hardly interested in finding out what Moore really means. He is a philosopher, not a historian of philosophy, and he knows it. While Grice agrees with Austins implicaturum that Moore goes well above Witters, if that is the expression (even if some like him), we should find the Oxonian equivalent to Moore. Grice would not Names Ryle, since he sees him, and his followers, almost every day. There is something apostolic about Moore that Grice enjoys, which is just as well, seeing that Moore is one of the twelve. Grice found it amusing that the members of The Conversazione Society would still be nickNamesd apostles when their number exceeded the initial 12. Grice spends some time exploring what Malcolm, a follower of Witters, which does not help, as it were, has to say about Moore in connection with that particularly Oxonian turn of phrase, such as ordinary language is. For Malcolms Moore, a paradox by philosopher [sic], including the sceptic, arises when philosopher [sic], including the sceptic, fails to abide by the dictates of ordinary language. It might merit some exploration if Moore’s defence of common sense is against: the sceptic may be one, but also the idealist. Moore the realist, armed with ordinary language attacks the idealists claim. The idealist is sceptical of the realists claim. But empiricist idealism (Bradley) has at Oxford as good pedigree as empiricist realism (Cook Wilson). Malcolm’s simplifications infuriate Grice, and ordinary language has little to offer in the defense of common sense realism against sceptical empiricist idealism. Surely the ordinary man says ridiculous, or silly, as Russell prefers, things, such as Smith is lucky, Departed spirits walk along this road on their way to Paradise, I know there are infinite stars, and I wish I were Napoleon, or I wish that I had been Napoleon, which does not mean that the utterer wishes that he were like Napoleon, but that he wishes that he had lived not in the his century but in the XVIIIth century. Grice is being specific about this. It is true that an ordinary use of language, as Malcolm suggests, cannot be self-contradictory unless the ordinary use of language is defined by stipulation as not self-contradictory, in which case an appeal to ordinary language becomes useless against this or that paradox by Philosopher. I wish that I had been Napoleon seems to involve nothing but an ordinary use of language by any standard but that of freedom from absurdity. I wish that I had been Napoleon is not, as far as Grice can see, philosophical, but something which may have been said and meant by numbers of ordinary people. Yet, I wish that I had been Napoleon is open to the suspicion of self-contradictoriness, absurdity, or some other kind of meaninglessness. And in this context suspicion is all Grice needs. By uttering I wish that I had been Napoleon U hardly means the same as he would if he uttered I wish I were like Napoleon. I wish that I had been Napoleon is suspiciously self-contradictory, absurd, or meaningless, if, as uttered by an utterer in a century other than the XVIIIth century, say, the utterer is understood as expressing the proposition that the utterer wishes that he had lived in the XVIIIth century, and not in his century, in which case he-1 wishes that he had not been him-1? But blame it on the buletic. That Moore himself is not too happy with Malcolms criticism can be witnessed by a cursory glimpse at hi reply to Malcolm. Grice is totally against this view that Malcolm ascribes to Moore as a view that is too broad to even claim to be true. Grices implicaturum is that Malcolm is appealing to Oxonian turns of phrase, such as ordinary language, but not taking proper Oxonian care in clarifying the nuances and stuff in dealing with, admittedly, a non-Oxonian philosopher such as Moore. When dealing with Moore, Grice is not necessarily concerned with scepticism. Time is unreal, e.g. is hardly a sceptic utterance. Yet Grice lists it as one of Philosophers paradoxes. So, there are various to consider here. Grice would start with common sense. That is what he does when he reprints this essay in WOW, with his attending note in both the preface and the Retrospective epilogue on how he organizes the themes and strands. Common sense is one keyword there, with its attending realism. Scepticism is another, with its attending empiricist idealism. It is intriguing that in the first two essays opening Grices explorations in semantics and metaphysics it seems its Malcolm, rather than the dryer Moore, who interests Grice most. While he would provide exegeses of this or that dictum by Moore, and indeed, Moore’s response to Malcolm, Grice seems to be more concerned with applications of his own views. Notably in Philosophers paradoxes. The fatal objection Grice finds for the paradox propounder (not necessarily a sceptic, although a sceptic may be one of the paradox propounders) significantly rests on Grices reductive analysis of meaning that  as ascribed to this or that utterer U. Grice elaborates on circumstances that hell later take up in the Retrospective epilogue. I find myself not understanding what I mean is dubiously acceptable. If meaning, Grice claims, is about an utterer U intending to get his addressee A to believe that U ψ-s that p, U must think there is a good chance that A will recognise what he is supposed to believe, by, perhaps, being aware of the Us practice or by a supplementary explanation which might come from U. In which case, U should not be meaning what Malcolm claims U might mean. No utterer should intend his addressee to believe what is conceptually impossible, or incoherent, or blatantly false (Charles Is decapitation willed Charles Is death.), unless you are Queen in Through the Looking Glass. I believe five impossible things before breakfast, and I hope youll soon get the proper training to follow suit. Cf. Tertulian, Credo, quia absurdum est. Admittedly, Grice edits the Philosophers paradoxes essay. It is only Grices final objection which is repr. in WOW, even if he provides a good detailed summary of the previous sections. Grice appeals to Moore on later occasions. In Causal theory, Grice lists, as a third philosophical mistake, the opinion by Malcolm that Moore did not know how to use knowin a sentence. Grice brings up the same example again in Prolegomena. The use of factive know of Moore may well be a misuse. While at Madison, Wisconsin, Moore lectures at a hall eccentrically-built with indirect lighting simulating sun rays, Moore infamously utters, I know that there is a window behind that curtain, when there is not. But it is not the factiveness Grice is aiming at, but the otiosity Malcolm misdescribes in the true, if baffling, I know that I have two hands. In Retrospective epilogue, Grice uses M to abbreviate Moore’s fairy godmotheralong with G (Grice), A (Austin), R (Ryle) and Q (Quine)! One simple way to approach Grices quandary with Malcolm’s quandary with Moore is then to focus on know. How can Malcolm claim that Moore is guilty of misusing know? The most extensive exploration by Grice on know is in Grices third James lecture (but cf. his seminar on Knowledge and belief, and his remarks on some of our beliefs needing to be true, in Meaning revisited. The examinee knows that the battle of Waterloo was fought in 1815. Nothing odd about that, nor about Moores uttering I know that these are my hands. Grice is perhaps the only one of the Oxonian philosophers of Austins play group who took common sense realsim so seriously, if only to crticise Malcoms zeal with it. For Grice, common-sense realism = ordinary language, whereas for the typical Austinian, ordinary language = the language of the man in the street. Back at Oxford, Grice uses Malcolm to contest the usual criticism that Oxford ordinary-language philosophers defend common-sense realist assumptions just because the way non-common-sense realist philosopher’s talk is not ordinary language, and even at Oxford. Cf. Flews reference to Joness philosophical verbal rubbish in using self as a noun. Grice is infuriated by all this unclear chatter, and chooses Malcolms mistreatment of Moore as an example. Grice is possibly fearful to consider Austins claims directly! In later essays, such as ‘the learned’ and ‘the lay,’ Grice goes back to the topic criticising now the scientists jargon as an affront to the ordinary language of the layman that Grice qua philosopher defends. scepticism, in the most common sense, the refusal to grant that there is any knowledge or justification. Skepticism can be either partial or total, either practical or theoretical, and, if theoretical, either moderate or radical, and either of knowledge or of justification. Skepticism is partial iff if and only if it is restricted to particular fields of beliefs or propositions, and total iff not thus restricted. And if partial, it may be highly restricted, as is the skepticism for which religion is only opium, or much more general, as when not only is religion called opium, but also history bunk and metaphysics meaningless. Skepticism is practical iff it is an attitude of deliberately withholding both belief and disbelief, accompanied perhaps but not necessarily by commitment to a recommendation for people generally, that they do likewise. Practical skepticism can of course be either total or partial, and if partial it can be more or less general. Skepticism is theoretical iff it is a commitment to the belief that there is no knowledge justified belief of a certain kind or of certain kinds. Such theoretical skepticism comes in several varieties. It is moderate and total iff it holds that there is no certain superknowledge superjustified belief whatsoever, not even in logic or mathematics, nor through introspection of one’s present experience. It is radical and total iff it holds that there ’t even any ordinary knowledge justified belief at all. It is moderate and partial, on the other hand, iff it holds that there is no certain superknowledge superjustified belief of a certain specific kind K or of certain specific kinds K1, . . . , Kn less than the totality of such kinds. It is radical and partial, finally, iff it holds that there ’t even any ordinary knowledge justified belief at all of that kind K or of those kinds K1, . . . , Kn. Grecian skepticism can be traced back to Socrates’ epistemic modesty. Suppressed by the prolific theoretical virtuosity of Plato and Aristotle, such modesty reasserted itself in the skepticism of the Academy led by Arcesilaus and later by Carneades. In this period began a long controversy pitting Academic Skeptics against the Stoics Zeno and later Chrysippus, and their followers. Prolonged controversy, sometimes heated, softened the competing views, but before agreement congealed Anesidemus broke with the Academy and reclaimed the arguments and tradition of Pyrrho, who wrote nothing, but whose Skeptic teachings had been preserved by a student, Timon in the third century B.C.. After enduring more than two centuries, neoPyrrhonism was summarized, c.200 A.D., by Sextus Empiricus Outlines of Pyrrhonism and Adversus mathematicos. Skepticism thus ended as a school, but as a philosophical tradition it has been influential long after that, and is so even now. It has influenced strongly not only Cicero Academica and De natura deorum, St. Augustine Contra academicos, and Montaigne “Apology for Raimund Sebond”, but also the great historical philosophers of the Western tradition, from Descartes through Hegel. Both on the Continent and in the Anglophone sphere a new wave of skepticism has built for decades, with logical positivism, deconstructionism, historicism, neopragmatism, and relativism, and the writings of Foucault knowledge as a mask of power, Derrida deconstruction, Quine indeterminacy and eliminativism, Kuhn incommensurability, and Rorty solidarity over objectivity, edification over inquiry. At the same time a rising tide of books and articles continues other philosophical traditions in metaphysics, epistemology, ethics, etc. It is interesting to compare the cognitive disengagement recommended by practical skepticism with the affective disengagement dear to stoicism especially in light of the epistemological controversies that long divided Academic Skepticism from the Stoa, giving rise to a rivalry dominant in Hellenistic philosophy. If believing and favoring are positive, with disbelieving and disfavoring their respective negative counterparts, then the magnitude of our happiness positive or unhappiness negative over a given matter is determined by the product of our belief/disbelief and our favoring/disfavoring with regard to that same matter. The fear of unhappiness may lead one stoically to disengage from affective engagement, on either side of any matter that escapes one’s total control. And this is a kind of practical affective “skepticism.” Similarly, if believing and truth are positive, with disbelieving and falsity their respective negative counterparts, then the magnitude of our correctness positive or error negative over a given matter is determined by the product of our belief/disbelief and the truth/falsity with regard to that same matter where the positive or negative magnitude of the truth or falsity at issue may be determined by some measure of “theoretical importance,” though alternatively one could just assign all truths a value of !1 and all falsehoods a value of †1. The fear of error may lead one skeptically to disengage from cognitive engagement, on either side of any matter that involves risk of error. And this is “practical cognitive skepticism.” We wish to attain happiness and avoid unhappiness. This leads to the disengagement of the stoic. We wish to attain the truth and avoid error. This leads to the disengagement of the skeptic, the practical skeptic. Each opts for a conservative policy, but one that is surely optional, given just the reasoning indicated. For in avoiding unhappiness the stoic also forfeits a corresponding possibility of happiness. And in avoiding error the skeptic also forfeits a corresponding possibility to grasp a truth. These twin policies appeal to conservatism in our nature, and will reasonably prevail in the lives of those committed to avoiding risk as a paramount objective. For this very desire must then be given its due, if we judge it rational. Skepticism is instrumental in the birth of modern epistemology, and modern philosophy, at the hands of Descartes, whose skepticism is methodological but sophisticated and well informed by that of the ancients. Skepticism is also a main force, perhaps the main force, in the broad sweep of Western philosophy from Descartes through Hegel. Though preeminent in the history of our subject, skepticism since then has suffered decades of neglect, and only in recent years has reclaimed much attention and even applause. Some recent influential discussions go so far as to grant that we do not know we are not dreaming. But they also insist one can still know when there is a fire before one. The key is to analyze knowledge as a kind of appropriate responsiveness to its object truth: what is required is that the subject “track” through his belief the truth of what he believes. S tracks the truth of P iff: S would not believe P if P were false. Such an analysis of tracking, when conjoined with the view of knowledge as tracking, enables one to explain how one can know about the fire even if for all one knows it is just a dream. The crucial fact here is that even if P logically entails Q, one may still be able to track the truth of P though unable to track the truth of Q. Nozick, Philosophical Explanations, 1. Many problems arise in the literature on this approach. One that seems especially troubling is that though it enables us to understand how contingent knowledge of our surroundings is possible, the tracking account falls short of enabling an explanation of how such knowledge on our part is actual. To explain how one knows that there is a fire before one F, according to the tracking account one presumably would invoke one’s tracking the truth of F. But this leads deductively almost immediately to the claim that one is not dreaming: Not D. And this is not something one can know, according to the tracking account. So how is one to explain one’s justification for making that claim? Most troubling of all here is the fact that one is now cornered by the tracking account into making combinations of claims of the following form: I am quite sure that p, but I have no knowledge at all as to whether p. And this seems incoherent. A Cartesian dream argument that has had much play in recent discussions of skepticism is made explicit by Barry Stroud, The Significance of Philosophical Scepticism, 4 as follows. One knows that if one knows F then one is not dreaming, in which case if one really knows F then one must know one is not dreaming. However, one does not know one is not dreaming. So one does not know F. Q.E.D. And why does one fail to know one is not dreaming? Because in order to know it one would need to know that one has passed some test, some empirical procedure to determine whether one is dreaming. But any such supposed test  say, pinching oneself  could just be part of a dream, and dreaming one passes the test would not suffice to show one was not dreaming. However, might one not actually be witnessing the fire, and passing the test  and be doing this in wakeful life, not in a dream  and would that not be compatible with one’s knowing of the fire and of one’s wakefulness? Not so, according to the argument, since in order to know of the fire one needs prior knowledge of one’s wakefulness. But in order to know of one’s wakefulness one needs prior knowledge of the results of the test procedure. But this in turn requires prior knowledge that one is awake and not dreaming. And we have a vicious circle. We might well hold that it is possible to know one is not dreaming even in the absence of any positive test result, or at most in conjunction with coordinate not prior knowledge of such a positive indication. How in that case would one know of one’s wakefulness? Perhaps one would know it by believing it through the exercise of a reliable faculty. Perhaps one would know it through its coherence with the rest of one’s comprehensive and coherent body of beliefs. Perhaps both. But, it may be urged, if these are the ways one might know of one’s wakefulness, does not this answer commit us to a theory of the form of A below? A The proposition that p is something one knows believes justifiably if and only if one satisfies conditions C with respect to it. And if so, are we not caught in a vicious circle by the question as to how we know  what justifies us in believing  A itself? This is far from obvious, since the requirement that we must submit to some test procedure for wakefulness and know ourselves to test positively, before we can know ourselves to be awake, is itself a requirement that seems to lead equally to a principle such as A. At least it is not evident why the proposal of the externalist or of the coherentist as to how we know we are awake should be any more closely related to a general principle like A than is the foundationalist? notion that in order to know we are awake we need epistemically prior knowledge that we test positive in a way that does not presuppose already acquired knowledge of the external world. The problem of how to justify the likes of A is a descendant of the infamous “problem of the criterion,” reclaimed in the sixteenth century and again in this century by Chisholm, Theory of Knowledge, 6, 7, and 8 but much used already by the Skeptics of antiquity under the title of the diallelus. About explanations of our knowledge or justification in general of the form indicated by A, we are told that they are inadequate in a way revealed by examples like the following. Suppose we want to know how we know anything at all about the external world, and part of the answer is that we know the location of our neighbor by knowing the location of her car in her driveway. Surely this would be at best the beginning of an answer that might be satisfactory in the end if recursive, e.g., but as it stands it cannot be satisfactory without supplementation. The objection here is based on a comparison between two appeals: the appeal of a theorist of knowledge to a principle like A in the course of explaining our knowledge or justification in general, on one side; and the appeal to the car’s location in explaining our knowledge of facts about the external world, on the other side. This comparison is said to be fatal to the ambition to explain our knowledge or justification in general. But are the appeals relevantly analogous? One important difference is this. In the example of the car, we explain the presence, in some subject S, of a piece of knowledge of a certain kind of the external world by appeal to the presence in S of some other piece of knowledge of the very same kind. So there is an immediate problem if it is our aim to explain how any knowledge of the sort in question ever comes to be unless the explication is just beginning, and is to turn recursive in due course. Now of course A is theoretically ambitious, and in that respect the theorist who gives an answer of the form of A is doing something similar to what must be done by the protagonist in our car example, someone who is attempting to provide a general explanation of how any knowledge of a certain kind comes about. Nevertheless, there is also an important difference, namely that the theorist whose aim it is to give a general account of the form of A need not attribute any knowledge whatsoever to a subject S in explaining how that subject comes to have a piece of knowledge or justified belief. For there is no need to require that the conditions C appealed to by principle A must be conditions that include attribution of any knowledge at all to the subject in question. It is true that in claiming that A itself meets conditions C, and that it is this which explains how one knows A, we do perhaps take ourselves to know A or at least to be justified in believing it. But if so, this is the inevitable lot of anyone who seriously puts forward any explanation of anything. And it is quite different from a proposal that part of what explains how something is known or justifiably believed includes a claim to knowledge or justified belief of the very same sort. In sum, as in the case of one’s belief that one is awake, the belief in something of the form of A may be said to be known, and in so saying one does not commit oneself to adducing an ulterior reason in favor of A, or even to having such a reason in reserve. One is of course committed to being justified in believing A, perhaps even to having knowledge that A. But it is not at all clear that the only way to be justified in believing A is by way of adduced reasons in favor of A, or that one knows A only if one adduces strong enough reasons in its favor. For we often know things in the absence of such adduced reasons. Thus consider one’s knowledge through memory of which door one used to come into a room that has more than one open door. Returning finally to A, in its case the explanation of how one knows it may, once again, take the form of an appeal to the justifying power of intellectual virtues or of coherence  or both. Recent accounts of the nature of thought and representation undermine a tradition of wholesale doubt about nature, whose momentum is hard to stop, and threatens to leave the subject alone and restricted to a solipsism of the present moment. But there may be a way to stop skepticism early  by questioning the possibility of its being sensibly held, given what is required for meaningful language and thought. Consider our grasp of observable shape and color properties that objects around us might have. Such grasp seems partly constituted by our discriminatory abilities. When we discern a shape or a color we do so presumably in terms of a distinctive impact that such a shape or color has on us. We are put systematically into a certain distinctive state X when we are appropriately related, in good light, with our eyes open, etc., to the presence in our environment of that shape or color. What makes one’s distinctive state one of thinking of sphericity rather than something else, is said to be that it is a state tied by systematic causal relations to skepticism skepticism 849   849 the presence of sphericity in one’s normal environment. A light now flickers at the end of the skeptic’s tunnel. In doubt now is the coherence of traditional skeptical reflection. Indeed, our predecessors in earlier centuries may have moved in the wrong direction when they attempted a reduction of nature to the mind. For there is no way to make sense of one’s mind without its contents, and there is no way to make sense of how one’s mind can have such contents except by appeal to how one is causally related to one’s environment. If the very existence of that environment is put in doubt, that cuts the ground from under one’s ability reasonably to characterize one’s own mind, or to feel any confidence about its contents. Perhaps, then, one could not be a “brain in a vat.” Much contemporary thought about language and the requirements for meaningful language thus suggests that a lot of knowledge must already be in place for us to be able to think meaningfully about a surrounding reality, so as to be able to question its very existence. If so, then radical skepticism answers itself. For if we can so much as understand a radical skepticism about the existence of our surrounding reality, then we must already know a great deal about that reality.  Sceptics, those ancient thinkers who developed sets of arguments to show either that no knowledge is possible Academic Skepticism or that there is not sufficient or adequate evidence to tell if any knowledge is possible. If the latter is the case then these thinkers advocated suspending judgment on all question concerning knowledge Pyrrhonian Skepticism. Academic Skepticism gets its name from the fact that it was formulated in Plato’s Academy in the third century B.C., starting from Socrates’ statement, “All I know is that I know nothing.” It was developed by Arcesilaus c.268241 and Carneades c.213129, into a series of arguments, directed principally against the Stoics, purporting to show that nothing can be known. The Academics posed a series of problems to show that what we think we know by our senses may be unreliable, and that we cannot be sure about the reliability of our reasoning. We do not possess a guaranteed standard or criterion for ascertaining which of our judgments is true or false. Any purported knowledge claim contains some element that goes beyond immediate experience. If this claim constituted knowledge we would have to know something that could not possibly be false. The evidence for the claim would have to be based on our senses and our reason, both of which are to some degree unreliable. So the knowledge claim may be false or doubtful, and hence cannot constitute genuine knowledge. So, the Academics said that nothing is certain. The best we can attain is probable information. Carneades is supposed to have developed a form of verification theory and a kind of probabilism, similar in some ways to that of modern pragmatists and positivists. Academic Skepticism dominated the philosophizing of Plato’s Academy until the first century B.C. While Cicero was a student there, the Academy turned from Skepticism to a kind of eclectic philosophy. Its Skeptical arguments have been preserved in Cicero’s works, Academia and De natura deorum, in Augustine’s refutation in his Contra academicos, as well as in the summary presented by Diogenes Laertius in his lives of the Grecian philosophers. Skeptical thinking found another home in the school of the Pyrrhonian Skeptics, probably connected with the Methodic school of medicine in Alexandria. The Pyrrhonian movement traces its origins to Pyrrho of Elis c.360275 B.C. and his student Timon c.315225 B.C.. The stories about Pyrrho indicate that he was not a theoretician but a practical doubter who would not make any judgments that went beyond immediate experience. He is supposed to have refused to judge if what appeared to be chariots might strike him, and he was often rescued by his students because he would not make any commitments. His concerns were apparently ethical. He sought to avoid unhappiness that might result from accepting any value theory. If the theory was at all doubtful, accepting it might lead to mental anguish. The theoretical formulation of Pyrrhonian Skepticism is attributed to Aenesidemus c.100 40 B.C.. Pyrrhonists regarded dogmatic philosophers and Academic Skeptics as asserting too much, the former saying that something can be known and the latter that nothing can be known. The Pyrrhonists suspended judgments on all questions on which there was any conflicting evidence, including whether or not anything could be known. The Pyrrhonists used some of the same kinds of arguments developed by Arcesilaus and Carneades. Aenesidemus and those who followed after him organized the arguments into sets of “tropes” or ways of leading to suspense of judgment on various questions. Sets of ten, eight, five, and two tropes appear in the only surviving writing of the Pyrrhonists, the works of Sextus Empiricus, a third-century A.D. teacher of Pyrrhonism. Each set of tropes offers suggestions for suspending judgment about any knowledge claims that go beyond appearances. The tropes seek to show that for any claim, evidence for and evidence against it can be offered. The disagreements among human beings, the variety of human experiences, the fluctuation of human judgments under differing conditions, illness, drunkenness, etc., all point to the opposition of evidence for and against each knowledge claim. Any criterion we employ to sift and weigh the evidence can also be opposed by countercriterion claims. Given this situation, the Pyrrhonian Skeptics sought to avoid committing themselves concerning any kind of question. They would not even commit themselves as to whether the arguments they put forth were sound or not. For them Skepticism was not a statable theory, but rather an ability or mental attitude for opposing evidence for and against any knowledge claim that went beyond what was apparent, that dealt with the non-evident. This opposing produced an equipollence, a balancing of the opposing evidences, that would lead to suspending judgment on any question. Suspending judgment led to a state of mind called “ataraxia,” quietude, peace of mind, or unperturbedness. In such a state the Skeptic was no longer concerned or worried or disturbed about matters beyond appearances. The Pyrrhonians averred that Skepticism was a cure for a disease called “dogmatism” or rashness. The dogmatists made assertions about the non-evident, and then became disturbed about whether these assertions were true. The disturbance became a mental disease or disorder. The Pyrrhonians, who apparently were medical doctors, offered relief by showing the patient how and why he should suspend judgment instead of dogmatizing. Then the disease would disappear and the patient would be in a state of tranquillity, the peace of mind sought by Hellenistic dogmatic philosophers. The Pyrrhonists, unlike the Academic Skeptics, were not negative dogmatists. The Pyrrhonists said neither that knowledge is possible nor that it is impossible. They remained seekers, while allowing the Skeptical arguments and the equipollence of evidences to act as a purge of dogmatic assertions. The purge eliminates all dogmas as well as itself. After this the Pyrrhonist lives undogmatically, following natural inclinations, immediate experience, and the laws and customs of his society, without ever judging or committing himself to any view about them. In this state the Pyrrhonist would have no worries, and yet be able to function naturally and according to law and custom. The Pyrrhonian movement disappeared during the third century A.D., possibly because it was not considered an alternative to the powerful religious movements of the time. Only scant traces of it appear before the Renaissance, when the texts of Sextus and Cicero were rediscovered and used to formulate a modern skeptical view by such thinkers as Montaigne and Charron.  Refs.: The obvious source is the essay on scepticism in WoW, but there are allusions in “Prejudices and predilections, and elsewhere, in The H. P. Grice Papers, BANC

 

ozio – scuola -- otium -- schole“ The Grecian term for ‘otium.’” “Not to be confused with ‘studium’ as in ‘studium generale.’ Scholasticism, a set of scholarly and instructional techniques developed in Western European schools of the late medieval period, including the use of commentary and disputed question. ‘Scholasticism’ is derived from Latin scholasticus, which in the twelfth century meant the master of a school. The Scholastic method is usually presented as beginning in the law schools  notably at Bologna  and as being then transported into theology and philosophy by a series of masters including Abelard and Peter Lombard. Within the new universities of the thirteenth century the standardization of the curriculum and the enormous prestige of Aristotle’s work despite the suspicion with which it was initially greeted contributed to the entrenchment of the method and it was not until the educational reforms of the beginning of the sixteenth century that it ceased to be dominant. There is, strictly speaking, no such thing as Scholasticism. As the term was originally used it presupposed that a single philosophy was taught in the universities of late medieval Europe, but there was no such philosophy. The philosophical movements working outside the universities in the late sixteenth and early seventeenth centuries and the “neo-Scholastics” of the late nineteenth and early twentieth centuries all found such a presupposition useful, and their influence led scholars to assume it. At first this generated efforts to find a common core in the philosophies taught in the late medieval schools. More recently it has led to efforts to find methods characteristic of their teaching, and to an extension of the term to the schools of late antiquity and of Byzantium. Both among the opponents of the schools in the seventeenth century and among the “neoScholastics,” ‘Scholasticism’ was supposed to designate a doctrine whose core was the doctrine of substance and accidents. As portrayed by Descartes and Locke, the Scholastics accepted the view that among the components of a thing were a substantial form and a number of real accidental forms, many of which corresponded to perceptible properties of the thing  its color, shape, temperature. They were also supposed to have accepted a sharp distinction between natural and unnatural motion. 

 

sciacca: Giuseppe Maria Sciacca (Messina), filosofo. Allievo e assistente a Palermo di Renda, volse il suo interesse verso la filosofia kantiana, tema a cui dedicò un primo lavoro nel 1945, La funzione della libertà nella formazione del sistema kantiano a cui fece seguito, nel 1963, il saggio L'idea della libertà. Fondamento della coscienza etico-politica, che riproduceva, in appendice, la memoria del 1945.  Professore Emerito di Storia della filosofia presso la Facoltà di Lettere dell'Palermo, è stato presidente della Società filosofica italiana Autore di numerosi saggi, il filosofo si è espresso attraverso una ricca . Opere; Filosofi che si confessano, Guido D'Anna editore, Messina,  Il fondamento della sterēsis nella "Filosofia dell'azione", Accademia di Scienze, Lettere ed Arti, Palermo, Il concetto di tiranno, dai greci a Coluccio Salutati, U. Manfredi editore Palermo, 1953; La visione della vita nell'Umanesimo e Coluccio Salutati, Palermo Politica e vita spirituale, ed. Palumbo, Palermo, Gli Dei in Protagora, ed. Palumbo, Esistenza e realtà in Husserl, ed. Palumbo, Palermo, Esistenza e realtà, Palermo, L'Idea della libertà in Kant. Fondamento della coscienza etico-politica, ed. Palumbo, Palermo, Scetticismo cristiano, ed. Palumbo, Palermo, Ritorno alla saggezza, ed. Palumbo, Palermo, L'uomo senza Adamo, ed. Palumbo6; Sapere e alienazione, ed. Palumbo, Palermo, 1 Il Segno, quel Segno, ed. Cappelli, Bologna. Pubblicato l'anno dopo in "Reale accademia di lettere scienze e arti", «La filosofia per cambiare il mondo», La Repubblica.  Alessandro De Bono, Giuseppe Maria Sciacca. La vita e la filosofia, Alessandria della Rocca, M.K.N.,Caterina Genna, «Antonio Renda e Giuseppe Maria Sciacca: due testimoni della tradizione neokantiana», in Piero di Giovanni, Le avanguardie della filosofia italiana nel XX secolo, FrancoAngeli, "Bollettino quadrimestrale della Società Filosofica Italiana", Piero Di Giovanni, L'opera e il pensiero di Giuseppe Maria Sciacca M. , Scritti di Giuseppe Maria Sciacca  Armando Plebe Piero Di Giovanni

 

sciacca: Lapide commemorativa in onore di Sciacca posta all'interno del liceo classico "Michele Amari" di Giarre «La filosofia non asciuga lacrime né dispensa sorrisi, ma dice la sua parola sulla "verità" delle lacrime e dei sorrisi.»  (da Atto ed essere) Michele Federico Sciacca (Giarre), filosofo. Dopo gli studi liceali classici si trasferì a Napoli, nella cui università si laureò in filosofia, nel 1930, con Antonio Aliotta. Cominciò quindi, dopo aver conseguito la libera docenza in filosofia, la carriera universitaria a Napoli, come assistente incaricato di storia della filosofia antica e collaborando come condirettore alla rivista Logos fondata e diretta da Aliotta. Fondò la rivista Il Giornale di Metafisica. Molto intenso fu il suo rapporto filosofico e di stima reciproca con Giovanni Gentile, un sodalizio iniziato nel 1933 e testimoniato dalla fitta corrispondenza tra i due filosofi, da cui però ben presto Sciacca si allontanò, in particolare dal filone di pensiero idealistico, per condurre la sua propria ricerca filosofica in modo più ampio, tanto da condurlo a studiare per un certo periodo, grazie alle sue conoscenze pure in campo teologico, sia la corrente del misticismo cristiano che quella dello spiritualismo cristiano.  Conseguì l'ordinariato nel 1938, con cattedra all'Pavia, quindi insegnò, dal 1947 alla morte prematura, filosofia teoretica presso l'Genova, che in seguito gli intitolò il proprio Dipartimento di Studi sulla Storia del Pensiero Europeo. Dal 1959 al 1974, ricoprì anche la carica di presidente dell'Accademia di studi italo-tedeschi di Merano. A Genova morì nel 1975.  Storico della filosofia, studioso e profondo conoscitore del pensiero del sacerdote e filosofo Antonio Rosmini, promotore della fondazione del "Centro Internazionale di Studi Rosminiani" di Stresa nel 1966, Sciacca è una delle principali figure dello spiritualismo filosofico del Novecento, a cui pervenne dopo i primi interessi per l'attualismo gentiliano ed i successivi, più impegnativi studi sullo spiritualismo cristiano, anche interpretandolo in modo originale, delineando un particolare percorso di continuità che, connettendo la metafisica classica al pensiero filosofico moderno, perviene a concepire un'apertura del soggetto personalecome creaturaverso l'attualità assoluta dell'Essere («filosofia dell'integralità»). La sua memoria è ricordata principalmente attraverso le opere dei suoi due allievi, Maria Adelaide Raschini e Pier Paolo Ottonello, entrambi docenti dell'ateneo genovese.  È sepolto presso il Sacro Monte di Domodossola, casa madre dei rosminiani, dove infatti riposano le spoglie di molti membri appartenuti alla congregazione.  Opere principali S. AgostinoMorcelliana, Brescia. L'Anima Morcelliana, Brescia. La filosofia morale di Antonio Rosmini Fratelli Bocca, Torino. Atto ed essere Fratelli Bocca, Torino. Interpretazioni rosminiane Marzorati, Milano. Come si vince a WaterlooMarzorati, Milano.  La filosofia e la scienza nel loro sviluppo storico. Per i licei scientificiCremonese, Roma. PlatoneMarzorati, Milano.Filosofia e antifilosofia Marzorati, Milano. La Chiesa e la civiltà moderna Marzorati, Milano. Pagine di critica letteraria Marzorati, Milano. L'oscuramento dell'intelligenza Marzorati, Milano. Studi sulla filosofia antica. Con un'appendice sulla filosofia medioevale Marzorati, Milano. Ontologia triadica e trinitaria. Discorso metafisico-teologico Marzorati, Milano. L'Insegnamento della filosofia: atti del II Convegno di studi, Messina, maggio Editrice peloritana, Messina. Reflexiones inactuales sobre el historicismo hegeliano Fundación Universitaria Española, Madrid. Ontologia triadica e trinitariaL'Epos, Palermo. Atto ed essereL'Epos, Palermo.  Il magnifico oggiL'Epos, Palermo. In Spirito e VeritàL'Epos, Palermo.  La clessidraL'Epos, Palermo. L'ora di Cristo L'Epos, Palermo. La principale fonte biografica qui seguita è: Pier Paolo Ottonello, "Sciacca, Michele Federico", Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 91, Anno .  Cfr. CSFG-Centro di Studi Filosofici di Gallarate, Dizionario dei Filosofi, Firenze, G.C. Sansoni Editore, 1 Pier Paolo Ottonello, "Sciacca, Michele Federico", Dizionario Biografico degli Italiani, CSFG-Centro di Studi Filosofici di Gallarate, Dizionario dei Filosofi, Firenze, G.C. Sansoni Editore, Michele Schiavone, L'idealismo di M.F. Sciacca come sviluppo del rosminianismo, Stresa (VB), Edizioni Rosminiane Sodalitas, Antimo Negri, Michele Federico Sciacca: dall'attualismo alla filosofia dell'integralità, Forlì, Edizioni di Ethica,  Emilio Pignologni, Genesi e sviluppo del rosminianesimo nel pensiero di Michele F. Sciacca, Milano, Marzorati, La filosofia di M.F. Sciacca, Bologna, Quaderni del Giornale di Metafisica, Michele Federico Sciacca, Stresa (VB), Estratti della Rivista Rosminiana, Maria Adelaide Raschini, Incontrare Sciacca, Venezia, Marsilio Editori, Pier Paolo Ottonello, Sciacca. L'anticonformismo costruttivo, Venezia, Marsilio Editori, 2000. Alessandra Modugno, Heidegger e Sciacca. Essere, persona, libertà, tempo, Venezia, Marsilio Editori, H.M. Ortiz, "Muerte e inmortalidad" de Sciacca, Firenze, Leo S. Olschki Editore, . Michele Shiavone, L'idealismo di M.F. Sciacca come sviluppo del rosminianesimo , Collana di studi filosofici rosminiani (n. 14), Domodossola (NO) ; Milano, Sodalitas, Ospitato su Bontadini e la metafisica. Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Michele Federico Sciacca  Michele Federico Sciacca, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Michele Federico Sciacca, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana.   Pubblicazioni di Michele Federico Sciacca, su Persée, Ministère de l'Enseignement supérieur, de la Recherche et de l'Innovation.  Sito dedicato alla vita ed alle opere di M.F. Sciacca, su fondazionesciacca.it. Profilo biografico, su pensierofilosoficoreligiosoitaliano.org. F

 

scitum: Grice: “The Italians are witty. They have ‘sciente,’ and ‘consciente.’ The etymology is fascinating: and analogous to Greek ‘criterion.’ To ‘know’ is to be able to separate, to analyse.’” scire -- sapio -- sapientia: wisdom, an understanding of the highest principles of things that functions as a guide for living a truly exemplary human life. From the preSocratics through Plato this was a unified notion. But Aristotle introduced a distinction between theoretical wisdom sophia and practical wisdom phronesis, the former being the intellectual virtue that disposed one to grasp the nature of reality in terms of its ultimate causes metaphysics, the latter being the ultimate practical virtue that disposed one to make sound judgments bearing on the conduct of life. The former invoked a contrast between deep understanding versus wide information, whereas the latter invoked a contrast between sound judgment and mere technical facility. This distinction between theoretical and practical wisdom persisted through the Middle Ages and continues to our own day, as is evident in our use of the term ‘wisdom’ to designate both knowledge of the highest kind and the capacity for sound judgment in matters of conduct. Grice: “The etymology of ‘sapientia’ is excellentit’s like taste!” săpĭo , īvi or ĭi (sapui, Aug. Civ. Dei, 1, 10; id. Ep. 102, 10; but sapivi, Nov. ap. Prisc. p. 879 P.; id. ap. Non. 508, 21: I.“saPisti,” Mart. 9, 6, 7: “sapisset,” Plaut. Rud. 4, 1, 8), 3, v. n. and a. [kindr. with ὀπός, σαφής, and σοφός], to taste, savor; to taste, smack, or savor of, to have a taste or flavor of a thing (cf. gusto). I. Lit. (so only in a few examples). 1. Of things eaten or drunk: “oleum male sapiet,” Cato, R. R. 66, 1: “occisam saepe sapere plus multo suem,” Plaut. Mil. 2, 6, 104: “quin caseus jucundissime sapiat,” Col. 7, 8, 2: “nil rhombus nil dama sapit,” Juv. 11, 121.—With an acc. of that of or like which a thing tastes: “quis (piscis) saperet ipsum mare,” Sen. Q. N. 3, 18, 2: “cum in Hispaniā multa mella herbam eam sapiunt,” Plin. 11, 8, 8, § 18: “ipsum aprum (ursina),” Petr. 66, 6.—Poet.: anas plebeium sapit, has a vulgar taste, Petr. poët. 93, 2: “quaesivit quidnam saperet simius,” Phaedr. 3, 4, 3.—* 2. Of that which tastes, to have a taste or a sense of taste (perh. so used for the sake of the play upon signif. II.): “nec sequitur, ut, cui cor sapiat, ei non sapiat palatus,” Cic. Fin. 2, 8, 24.— 3. Transf., of smell, to smell of or like a thing (syn.: oleo, redoleo; very rare): Cicero, Meliora, inquit, unguenta sunt, quae terram quam crocum sapiunt. Hoc enim maluit dixisse quam redolent. Ita est profecto; “illa erit optima, quae unguenta sapiat,” Plin. 17, 5, 3, § 38: “invenitur unguenta gratiosiora esse, quae terram, quam quae crocum sapiunt,” id. 13, 3, 4, § 21.—In a lusus verbb. with signif. II.: istic servus quid sapit? Ch. Hircum ab alis, Plaut. Ps. 2, 4, 47.— II. Trop. 1. To taste or smell of, savor of, i. e., a. To resemble (late Lat.): “patruos,” Pers. 1, 11.— b. To suggest, be inspired by: “quia non sapis ea quae Dei sunt,” Vulg. Matt. 16, 23; id. Marc. 8, 33.— c. Altum or alta sapere, to be high-minded or proud: “noli altum sapere,” Vulg. Rom. 11, 20: “non alta sapientes,” id. ib. 12, 16.— 2. To have good taste, i.e. to have sense or discernment; to be sensible, discreet, prudent, wise, etc. (the predominant signif. in prose and poetry; most freq. in the P. a.). (α). Neutr., Plaut. Ps. 2, 3, 14: “si aequum siet Me plus sapere quam vos, dederim vobis consilium catum, etc.,” id. Ep. 2, 2, 73 sq.: “jam diu edepol sapientiam tuam abusa est haec quidem. Nunc hinc sapit, hinc sentit,” id. Poen. 5, 4, 30; cf.: “populus est moderatior, quoad sentit et sapit tuerique vult per se constitutam rem publicam,” Cic. Rep. 1, 42, 65; “so (with sentire),” Plaut. Am. 1, 1, 292; id. Bacch. 4, 7, 19; id. Merc. 2, 2, 24; id. Trin. 3, 2, 10 sq.; cf.: “qui sapere et fari possit quae sentiat,” Hor. Ep. 1, 4, 9; Plaut. Bacch. 1, 2, 14: “magna est admiratio copiose sapienterque dicentis, quem qui audiunt intellegere etiam et sapere plus quam ceteros arbitrantur,” Cic. Off. 2, 14, 48: “veluti mater Plus quam se sapere Vult (filium),” Hor. Ep. 1, 18, 27: “qui (puer) cum primum sapere coepit,” Cic. Fam. 14, 1, 1; Poët. ap. Cic. Fam. 7, 16, 1: “malo, si sapis, cavebis,” if you are prudent, wise, Plaut. Cas. 4, 4, 17; so, “si sapis,” id. Eun. 1, 1, 31; id. Men. 1, 2, 13; id. Am. 1, 1, 155; id. Aul. 2, 9, 5; id. Curc. 1, 1, 28 et saep.; Ter. Eun. 4, 4, 53; id. Heaut. 2, 3, 138: “si sapias,” Plaut. Merc. 2, 3, 39; 4, 4, 61; id. Poen. 1, 2, 138; Ter. Heaut. 3, 3, 33; Ov. H. 5, 99; 20, 174: “si sapies,” Plaut. Bacch. 4, 9, 78; id. Rud. 5, 3, 35; Ter. Heaut. 4, 4, 26; Ov. M. 14, 675: “si sapiam,” Plaut. Men. 4, 2, 38; id. Rud. 1, 2, 8: “si sapiet,” id. Bacch. 4, 9, 74: “si saperet,” Cic. Quint. 4, 16: hi sapient, * Caes. B. G. 5, 30: Ph. Ibo. Pl. Sapis, you show your good sense, Plaut. Mil. 4, 8, 9; id. Merc. 5, 2, 40: “hic homo sapienter sapit,” id. Poen. 3, 2, 26: “quae (meretrix) sapit in vino ad rem suam,” id. Truc. 4, 4, 1; cf. id. Pers. 1, 3, 28: “ad omnia alia aetate sapimus rectius,” Ter. Ad. 5, 3, 46: “haud stulte sapis,” id. Heaut. 2, 3, 82: “te aliis consilium dare, Foris sapere,” id. ib. 5, 1, 50: “pectus quoi sapit,” Plaut. Bacch. 4, 4, 12; id. Mil. 3, 1, 191; id. Trin. 1, 2, 53; cf.: “cui cor sapiat,” Cic. Fin. 2, 8, 24: “id (sc. animus mensque) sibi solum per se sapit, id sibi gaudet,” Lucr. 3, 145.— (β). Act., to know, understand a thing (in good prose usually only with general objects): “recte ego rem meam sapio,” Plaut. Ps. 1, 5, 81: “nullam rem,” id. Most. 5, 1, 45: qui sibi semitam non sapiunt, alteri monstrant viam, Poët. ap. Cic. Div. 1, 58, 132; Cic. Att. 14, 5, 1; Plaut. Mil. 2, 3, 65; cf.: “quamquam quis, qui aliquid sapiat, nunc esse beatus potest?” Cic. Fam. 7, 28, 1: “quantum ego sapio,” Plin. Ep. 3, 6, 1: “jam nihil sapit nec sentit,” Plaut. Bacch. 4, 7, 22: “nihil,” Cic. Tusc. 2, 19, 45: “plane nihil,” id. Div. in Caecil. 17, 55: nihil parvum, i. e. to occupy one's mind with nothing trivial (with sublimia cures), Hor. Ep. 1, 12, 15; cf.: cum sapimus patruos, i.e. resemble them, imitate them in severity, Pers. 1, 11. — 3. Prov.: sero sapiunt Phryges, are wise behind the time; or, as the Engl. saying is, are troubled with afterwit: “sero sapiunt Phryges proverbium est natum a Trojanis, qui decimo denique anno velle coeperant Helenam quaeque cum eā erant rapta reddere Achivis,” Fest. p. 343 Müll.: “in Equo Trojano (a tragedy of Livius Andronicus or of Naevius) scis esse in extremo, Sero sapiunt. Tu tamen, mi vetule, non sero,” Cic. Fam. 7, 16, 1.—Hence, să-pĭens , entis (abl. sing. sapiente, Ov. M. 10, 622; gen. plur. sapientum, Lucr. 2, 8; Hor. S. 2, 3, 296; “but sapientium,” id. C. 3, 21, 14)a. (acc. to II.), wise, knowing, sensible, well-advised, discreet, judicious (cf. prudens). A. In gen.: “ut quisque maxime perspicit, quid in re quāque verissimum sit, quique acutissime et celerrime potest et videre et explicare rationem, is prudentissimus et sapientissimus rite haberi solet,” Cic. Off. 1, 5, 16; cf.: “sapientissimum esse dicunt eum, cui quod opus sit ipsi veniat in mentem: proxume acceder illum, qui alterius bene inventis obtemperet,” id. Clu. 31, 84: “M. Bucculeius, homo neque meo judicio stultus et suo valde sapiens,” id. de Or. 1, 39, 179: “rex aequus ac sapiens,” id. Rep. 1, 26, 42; cf.: “Cyrus justissimus sapientissimusque rex,” id. ib. 1, 27, 43: “bonus et sapiens et peritus utilitatis civilis,” id. ib. 2, 29, 52: “o, Neptune lepide, salve, Neque te aleator ullus est sapientior,” Plaut. Rud. 2, 3, 29: “quae tibi mulier videtur multo sapientissima?” id. Stich. 1, 2, 66: “(Aurora) ibat ad hunc (Cephalum) sapiens a sene diva viro,” wise, discreet, Ov. H. 4, 96 Ruhnk.; so, “puella,” id. M. 10, 622: “mus pusillus quam sit sapiens bestia,” Plaut. Truc. 4, 4, 15; id. As. 3, 3, 114 et saep.—With gen. (analogous to gnarus, peritus, etc.): “qui sapiens rerum esse humanarum velit,” Gell. 13, 8, 2.—Subst.: săpĭens , entis, m., a sensible, shrewd, knowing, discreet, or judicious person: “semper cavere hoc sapientes aequissimumst,” Plaut. Rud. 4, 7, 20; cf.: “omnes sapientes suom officium aequom est colere et facere,” id. Stich. 1, 1, 38; id. Trin. 2, 2, 84: “dictum sapienti sat est,” id. Pers. 4, 7, 19; Ter. Phorm. 3, 3, 8; Plaut. Rud. 2, 4, 15 sq.: “insani sapiens nomen ferat, aequus iniqui,” Hor. Ep. 1, 6, 15: “sapiens causas reddet,” id. S. 1, 4, 115: “quali victu sapiens utetur,” id. ib. 2, 2, 63; 1, 3, 132.—In a lusus verbb. with the signif. of sapio, I., a person of nice taste: “qui utuntur vino vetere sapientes puto Et qui libenter veteres spectant fabulas,” good judges, connoisseurs, Plaut. Cas. prol. 5: fecundae leporis sapiens sectabitur armos, Hor. S. 2, 4, 44.—As a surname of the jurists Atilius, C. Fabricius, M'. Curius, Ti. Coruncanius, Cato al., v. under B. fin.— b. Of abstract things: “opera,” Plaut. Pers. 4, 5, 2: “excusatio,” Cic. Att. 8, 12, 2: “modica et sapiens temperatio,” id. Leg. 3, 7, 17: “mores,” Plaut. Rud. 4, 7, 25: “verba,” Ter. Ad. 5, 1, 7: “consilium,” Ov. M. 13, 433: “Ulixes, vir sapienti facundiā praeditus,” Gell. 1, 15, 3: “morus, quae novissima urbanarum germinat, nec nisi exacto frigore, ob id dicta sapientissima arborum,” Plin. 16, 25, 41, § 102.— B. After the predominance of Grecian civilization and literature, particularly of the Grecian philosophy, like σοφός, well acquainted with the true value of things, wise; and subst., a wise man, a sage (in Cic. saepiss.): ergo hic, quisquis est, qui moderatione et constantiā quietus animo est sibique ipse placatus ut nec tabescat molestiis nec frangatur timore nec sitienter quid expetens ardeat desiderio nec alacritate futili gestiens deliquescat; “is est sapiens quem quaerimus, is est beatus,” Cic. Tusc. 4, 17, 37: “sapientium praecepta,” id. Rep. 3, 4, 7: “si quod raro fit, id portentum putandum est: sapientem esse portentum est. Saepius enim mulam peperisse arbitror, quam sapientem fuisse,” id. Div. 2, 28, 61: “statuere quid sit sapiens, vel maxime videtur esse sapientis,” id. Ac. 2, 3, 9; cf. id. Rep. 1, 29, 45.—So esp. of the seven wise men of Greece: “ut ad Graecos referam orationem ... septem fuisse dicuntur uno tempore, qui sapientes et haberentur et vocarentur,” Cic. de Or. 3, 34, 137: “eos vero septem quos Graeci sapientes nominaverunt,” id. Rep. 1, 7, 12: “sapienti assentiri ... se sapientem profiteri,” id. Fin. 2,3, 7.—Ironically: “sapientum octavus,” Hor. S. 2, 3, 296.—With the Romans, an appellation of Lœlius: te, Laeli, sapientem et appellant et existimant. Tribuebatur hoc modo M. Catoni: scimus L. Atilium apud patres nostros appellatum esse sapientem, sed uterque alio quodam modo: Atilius, qui prudens esse in jure civili putabatur; “Cato quia multarum rerum usum habebat ... propterea quasi cognomen jam habebat in senectute sapientis ... Athenis unum accepimus et eum quidem etiam Apollinis oraculo sapientissimum judicatum,” Cic. Lael. 2, 6; cf.: “numquam ego dicam C. Fabricium, M'. Curium, Ti. Coruncanium, quos sapientes nostri majores judicabant, ad istorum normam fuisse sapientes,” id. ib. 5, 18: “ii, qui sapientes sunt habiti, M. Cato et C. Laelius,” id. Off. 3, 4, 16; Val. Max. 4, 1, ext. 7; Lact. 4, 1.—Hence, adv.: săpĭen-ter , sensibly, discreetly, prudently, judiciously, wisely: “recte et sapienter facere,” Plaut. Am. 1, 1, 133; id. Mil. 3, 3, 34: “consulere,” id. ib. 3, 1, 90: “insipienter factum sapienter ferre,” id. Truc. 4, 3, 33: “factum,” id. Aul. 3, 5, 3: “dicta,” id. Rud. 4, 7, 24: “quam sapienter jam reges hoc nostri viderint,” Cic. Rep. 2, 17, 31: “provisa,” id. ib. 4, 3, 3: “a majoribus prodita fama,” id. ib. 2, 2, 4: “considerate etiam sapienterque fecerunt,” id. Phil. 4, 2, 6; 13, 6, 13: “vives sapienter,” Hor. Ep. 1, 10, 44: “agendum,” Ov. M. 13, 377: “temporibus uti,” Nep. Epam. 3, 1; Hor. C. 4, 9, 48.—Comp.: “facis sapientius Quam pars latronum, etc.,” Plaut. Curc. 4, 3, 15; id. Poen. prol. 7: “nemo est, qui tibi sapientius suadere possit te ipso,” Cic. Fam. 2, 7, 1: “sapientius fecisse,” id. Brut. 42, 155.—Sup.: “quod majores nostros et proisse maxime et retinuisse sapientissime judico,” Cic. Rep. 2, 37, 63. Vide H. P. Grice, “Philosophy: love of wisdom, love of taste,” BANC.

 

res: reale: Grice: “Possibly the philosophically most important Roman neuter expression,” -- is res! "Unfortunately, the etymology is dubious." "Perhaps "res" comes from a root ra- of reor, ratus."- to reckon, calculate, believe, think, suppose, imagine, judge, deem, as in English 'ratify,' and 'reason.'  "I am reminded of German "ding;" English "thing," from "denken," to think; prop., that which is thought of." "I am also reminded of "λόγος," Lid. and Scott, 9, a thing, object, being; a matter, affair, event, fact, circumstance, occurrence, deed, condition, case, etc.; and sometimes merely = something (cf.: causa, ratio, negotium)." realism, the view that the subject matter of common sense or scientific research and scientific theories exists independently of our knowledge of it, and that the goal of science is the description and explanation of both observable and unobservable aspects of the world. Scientific realism is contrasted with logical empiricism and social constructivism. Early arguments for scientific realism simply stated that, in light of the impressive products and methods of science, realism is the only philosophy that does not make the success of science a miracle. Formulations of scientific realism focus on the objects of theoretical knowledge: theories, laws, and entities. One especially robust argument for scientific realism due to Putnam and Richard Boyd is that the instrumental reliability of scientific methodology in the mature sciences such as physics, chemistry, and some areas of biology can be explained adequately only if we suppose that theories in the mature sciences are at least approximately true and their central theoretical terms are at least partially referential Putnam no longer holds this view. More timid versions of scientific realism do not infer approximate truth of mature theories. For example, Ian Hacking’s “entity realism” 3 asserts that the instrumental manipulation of postulated entities to produce further effects gives us legitimate grounds for ontological commitment to theoretical entities, but not to laws or theories. Paul Humphreys’s “austere realism” 9 states that only theoretical commitment to unobserved structures or dispositions could explain the stability of observed outcomes of scientific inquiry. Distinctive versions of scientific realism can be found in works by Richard Boyd 3, Philip Kitcher 3, Richard Miller 7, William Newton-Smith 1, and J. D. Trout 8. Despite their differences, all of these versions of realism are distinguished  against logical empiricism  by their commitment that knowledge of unobservable phenomena is not only possible but actual. As well, all of the arguments for scientific realism are abductive; they argue that either the approximate truth of background theories or the existence of theoretical entities and laws provides the best explanation for some significant fact about the scientific theory or practice. Scientific realists address the difference between real entities and merely useful constructs, arguing that realism offers a better explanation for the success of science. In addition, scientific realism recruits evidence from the history and practice of science, and offers explanations for the success of science that are designed to honor the dynamic and uneven character of that evidence. Most arguments for scientific realism cohabit with versions of naturalism. Anti-realist opponents argue that the realist move from instrumental reliability to truth is question-begging. However, realists reply that such formal criticisms are irrelevant; the structure of explanationist arguments is inductive and their principles are a posteriori. 

 

applicatum, extensum -- extensio: scope, the “part” of the sentence or proposition to which a given term “applies” under a given interpretation of the sentence. If the sentence ‘Abe does not believe Ben died’ is interpreted as expressing the proposition that Abe believes that it is not the case that Ben died, the scope of ‘not’ is ‘Ben died’; interpreted as “It is not the case that Abe believes that Ben died,” the scope is the rest of the sentence, i.e., ‘Abe believes Ben died’. In the first case we have narrow scope, in the second wide scope. If ‘Every number is not even’ is interpreted with narrow scope, it expresses the false proposition that every number is non-even, which is logically equivalent to the proposition that no number is even. Taken with wide scope it expresses the truth that not every number is even, which is equivalent to the truth that some number is non-even. Under normal interpretations of the sentences, ‘hardened’ has narrow scope in ‘Carl is a hardened recidivist’, whereas ‘alleged’ has wide scope in ‘Dan is an alleged criminal’. Accordingly, ‘Carl is a hardened recidivist’ logically implies ‘Carl is a recidivist’, whereas ‘Dan is an alleged criminal’, being equivalent to ‘Allegedly, Dan is a criminal’, does not imply ‘Dan is a criminal’. Scope considerations are useful in analyzing structural ambiguity and in understanding the difference between the grammatical form of a sentence and the logical form of a proposition it expresses. In a logically perfect language grammatical form mirrors logical form, there is no scope ambiguity, and the scope of a given term is uniquely determined by its context. 

 

scupoli: very important Italian philosopher. Lorenzo Scupoli (Laurentius Scupulus) (Otranto), filosofo. Ricevette come nome di battesimo Francesco. Entrò nell'ordine dei teatini quasi quarantenne, nel 1569, per ricevere gli ordini sacri in soli otto anni. Fu discepolo di sant'Andrea Avellino, appartenente al suo stesso ordine.  Al 1585 risale l'accusa di violazione della regola, per cui fu arrestato per un anno e sospeso a divinis. Per la sua assoluzione dovette attendere quasi la morte; intanto, sopportò l'ingiusta accusa e la pena conseguente con umiltà e umanità.  Il combattimento spirituale  «"Con l’orazione porrai la spada in mano a Dio, perché combatta e vinca per te." La preghiera è dunque l’arma di tutte le vittorie. Essa è la debolezza di Dio e la forza dell’uomo perché il cuore del Padre non sa negare nulla di buono ai suoi figli.»  (Padre Lino Pedron. Opere:  Il combattimento spirituale, come afferma V. Gambi nell'introduzione all'opera delle ed. Paoline del 1960, è un trattato di strategia spirituale che come altre opere e vicino alla spiritualità ignaziana conduce l'anima a una perfezione tutta interiore. L'opera indica cinque mezzi per raggiungere la perfezione spirituale: 1. Sfiducia in sé 2. pienissima confidenza in Dio 3. combattimento e uso metodico delle facoltà per correggere i propri difetti, quindi per trionfare del demonio e per conquistare le virtù 4. preghiera e meditazione 5. comunione.   Spiritualità Imitazione di Cristo A Testo del Combattimento spirituale, su monasterovirtuale.it. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Scupoli," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

stabile: Giampiero Stabile (Sapri), filosofo.  Laureatosi a Napoli con una tesi sulla filosofia dei valori, divenne ricercatore a Salerno. Pubblicò saggi su Eugène Dupréel, sulla scuola di Budapest, su Montaigne e sulla Heller apparsi su "Prassi e teoria", "Aut Aut", "Studi di filosofia politica e diritto", "il Centauro", "Ombre rosse", riviste tra le più prestigiose nel panorama della pubblicistica filosofica italiana; collaborò inoltre, con Schiera, alla direzione della collana di testi e studi "Relox" della casa editrice Bibliopolis di Napoli.. Salerno dedicò un convegno di studi alla sua memoria: "La saggezza moderna. Temi e problemi dell'opera di Pierre Charron".  Biblioteca personale Il fondo, acquisito nella seconda metà degli anni Ottanta, rappresenta solo una piccola porzione della biblioteca di Stabile, infatti la consistenza attuale si aggira intorno ai 650 volumi altri libri sono in possesso del Dipartimento di Filosofia a Salerno. Le edizioni presenti nel fondo coprono un arco di tempo che va dal 1925 al 1984. Tuttavia la consistenza maggiore ricopre gli anni Settanta, periodo intorno a cui si è formata la personalità scientifica di Stabile. I libri del fondo sottolineano l'interesse verso la critica marxista e la scuola di Budapest (moltissimi i volumi degli Editori Riuniti). Degni di attenzione alcuni esemplari caratteristici degli anni Settanta, come ad esempio quelli della collana "I gabbiani" del Saggiatore o ancora la collana quasi completa degli "Opuscoli marxisti" (poi "Opuscoli") della Feltrinelli, i volumi della collana "Biblioteca di nuova cultura" della Mazzotta, e quelli della "Scienza nuova" della Dedalo: collane radicalmente trasformate nei successivi anni o sostituite da altre; talora nate solamente per offrire testi economici che rispondessero ai bisogni di una maggiore diffusione culturale. Sono presenti anche dei volumetti allegati a periodici di partito (PCI e PSI) e le pubblicazioni dell'Istituto di Filosofia dell'Salerno.  Pubblicazioni Monografie  Valore morale e società nel pensiero di Eugène Dupréel, Salerno, Università degli studi di Salerno, Facoltà di magistero, Soggetti e bisogni : saggi su Agnes Heller e la teoria dei bisogni, Firenze, La Nuova Italia,  Monografie in collaborazione e  Vittorio Dini e Giampiero Stabile, Saggezza e prudenza : studi per la ricostruzione di un'antropologia in prima età moderna, Napoli, Liguori, Pierre Charron, Piccolo trattato sulla saggezza, Napoli, Bibliopolis, Articoli di riviste  Umanesimo e rivoluzione nel pensiero di Agnés Heller, in «Prassi e teoria : rivista di filosofia della cultura», Vittorio Dini e Domenico Taranto , La saggezza moderna: temi e problemi dell'opera di Pierre Charron : atti del Convegno di studi in memoria di Giampiero Stabile, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, Vittorio Dini e Domenico Taranto , La saggezza moderna: temi e problemi dell’opera di Pierre Charron : atti del Convegno di studi in memoria di Giampiero Stabile, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, Pierre Charron Storia della filosofia Università degli Studi di Salerno  Giampiero Stabile in SHARE Catalogue Fondo Stabile in ARiEL Discovery tool di Ateneo dell'Salerno. Most likely a replica from now on: sttabile: Giampiero Stabile (Sapri), filosofo. Laureatosi a Napoli con una tesi sulla filosofia europea dei valori, divenne ricercatore di Storia della Filosofia all'Salerno. Già in giovanissima età pubblicò saggi su Eugène Dupréel, sulla scuola di Budapest, su Montaigne e sulla Heller apparsi su "Prassi e teoria", "Aut Aut", "Studi di filosofia politica e diritto", "il Centauro", "Ombre rosse", riviste tra le più prestigiose nel panorama della pubblicistica filosofica italiana; collaborò inoltre, con Pierangelo Schiera, alla direzione della collana di testi e studi "Relox" della casa editrice Bibliopolis di Napoli.. Nel 1985 l'Salerno dedicò un convegno di studi alla sua memoria: "La saggezza moderna. Temi e problemi dell'opera di Pierre Charron".  Biblioteca personale Il fondo, acquisito nella seconda metà degli anni Ottanta, rappresenta solo una piccola porzione della biblioteca privata di Giampiero Stabile, infatti la consistenza attuale si aggira intorno ai 650 volumi altri libri sono in possesso del Dipartimento di Filosofia dell'Salerno. Le edizioni presenti nel fondo coprono un arco di tempo che va dal 1925 al 1984. Tuttavia la consistenza maggiore ricopre gli anni Settanta, periodo intorno a cui si è formata la personalità scientifica di Giampiero Stabile. I libri del fondo sottolineano l'interesse verso la critica marxista e la scuola di Budapest (moltissimi i volumi degli Editori Riuniti). Degni di attenzione alcuni esemplari caratteristici degli anni Settanta, come ad esempio quelli della collana "I gabbiani" del Saggiatore o ancora la collana quasi completa degli "Opuscoli marxisti" (poi "Opuscoli") della Feltrinelli, i volumi della collana "Biblioteca di nuova cultura" della Mazzotta, e quelli della "Scienza nuova" della Dedalo: collane radicalmente trasformate nei successivi anni o sostituite da altre; talora nate solamente per offrire testi economici che rispondessero ai bisogni di una maggiore diffusione culturale. Sono presenti anche dei volumetti allegati a periodici di partito (PCI e PSI) e le pubblicazioni dell'Istituto di Filosofia dell'Salerno.  Pubblicazioni Monografie  Valore morale e società nel pensiero di Eugène Dupréel, Salerno, Università degli studi di Salerno, Facoltà di magistero, 1976, 116 p. Soggetti e bisogni : saggi su Agnes Heller e la teoria dei bisogni, Firenze, La Nuova Italia, Monografie in collaborazione e  Vittorio Dini e Giampiero Stabile, Saggezza e prudenza : studi per la ricostruzione di un'antropologia in prima età moderna, Napoli, Liguori,  Pierre Charron, Piccolo trattato sulla saggezza, Napoli, Bibliopolis, 1985, 130 p. Articoli di riviste  Umanesimo e rivoluzione nel pensiero di Agnés Heller, in «Prassi e teoria : rivista di filosofia della cultura», Vittorio Dini e Domenico Taranto , La saggezza moderna: temi e problemi dell'opera di Pierre Charron : atti del Convegno di studi in memoria di Giampiero Stabile, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, Vittorio Dini e Domenico Taranto , La saggezza moderna: temi e problemi dell’opera di Pierre Charron : atti del Convegno di studi in memoria di Giampiero Stabile, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1987437.  Pierre Charron Storia della filosofia Università degli Studi di Salerno  Giampiero Stabile in SHARE Catalogue Fondo Stabile in ARiEL Discovery tool di Ateneo dell'Salerno Filosofia Università  Università.

 

stefanini: Grice: “Italians are obsessed with personalismo, I am with interpersonalismo!” “L’essere è personale.” “Tutto ciò che non è personale nell’essere rientra nella produttività della persona, come mezzo di manifestazione della persona e di *comunicazione* o conversazione *tra* due persone,” “La mia prospettiva filosofica). Luigi Stefanini (Treviso), filosofo. Secondogenito di quattro fratelli, in una famiglia cattolica il cui padre Giovanni gestisce una tintoria, mentre la madre Lucia de Mori, diplomata maestra elementare, si dedica interamente alla casa e la cura dei suoi figli. --  è attivo nelle associazioni e nei movimenti cattolici del trevigiano, iscrivendosi a Gioventù Cattolica dove assumerà presto l'incarico di presidente diocesano. Qui maturerà la vocazione di educatore, seguendo, in particolare, gli insegnamenti contenuti nell'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII. Opera pure nel sindacato cattolico dei lavoratori.  Dopo il diploma presso il Liceo Classico Antonio Canova, dove ha fra gli altri Paolo Rotta come insegnante di storia e filosofia, nello stesso anno si iscrive alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Padova. Nell'ateneo patavino, la corrente del positivismo è tra le più seguite, ma in controtendenza Stefanini decide di scrivere la propria tesi su Maurice Blondel, esponendovi le proprie critiche sull'opera del filosofo francese, avendo Antonio Aliotta come relatore, con cui si laurea in filosofia nel 1914. Nel periodo di studi padovano, inizia a frequentare anche il circolo universitario cattolico di Giacomo Zanella e, subito dopo la laurea, inizia a insegnare nelle scuole pubbliche.  Mentre completa gli studi universitari, inizia già a respirarsi aria di guerra in Italia, ma come molti giovani cattolici, pur favorevole ad una posizione di neutralità nei confronti della guerra, viene comunque chiamato alle armi nel 1915. Terminato il conflitto, uscendone con il grado di capitano e una croce al merito di guerra, nel 1919 consegue pure una seconda laurea in lettere all'Padova, con una tesi sul pensiero estetico di Gian Vincenzo Gravina, nonché riprende l'insegnamento nelle scuole.  Nel 1920 è eletto consigliere del Comune di Treviso ma, nel 1921, la violenza dello squadrismo fascista investe anche il trevigiano. Stefanini si oppone con fermezza a tale ideologia, evidenziando l'inconciliabilità di cristianesimo e fascismo, dimettendosi e dedicandosi completamente all'insegnamento, che ora è la sua occupazione principale e che condurrà sempre secondo una pedagogia ispirata ai principi cristiani, costantemente attento e sensibile sia ai bisogni che agli interessi degli studenti. Nello stesso periodo, si dedica con scrupolo alla stesura di apprezzati testi didattici di storia e filosofia, nonché di pedagogia secondo un indirizzo cristiano.  Conseguita la libera docenza in pedagogia nel 1925, nello stesso anno ottiene, per incarico, l'insegnamento di questa disciplina all'Padova, nonché si sposa con Maria Javicoli, da cui avrà tre figli, Elena, Paolo e Lucia. In quegli anni, oltre ad iscriversi al Partito Nazionale Fascista, affianca l'insegnamento nelle scuole pubbliche a quello universitario fino al 1936 quando, vinto l'ordinariato, ha una cattedra di storia della filosofia alla Facoltà di Magistero dell'Messina che tiene fino al 1938 quando si trasferisce a Padova, alla cattedra di pedagogia, quindi a quella di storia della filosofia nel 1940 che terrà fino alla morte prematura, nel 1956. Al contempo, tiene per incarico l'insegnamento di estetica a Padova e quello di pedagogia all'Venezia, nonché sarà preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'ateneo patavino nel triennio 1941-43.  Nel dopoguerra, riabilitato alla propria cattedra e all'insegnamento universitario, si dedica prevalentemente allo studio e la ricerca, ma partecipando anche alla riorganizzazione della filosofia cattolica italiana, in particolare promuovendo incontri, convegni e riunioni all'Istituto Aloisianum dei padri gesuiti di Gallarate, che diventerà poi il Centro di studi filosofici di Gallarate, per primo diretto da Carlo Gianon.  Socio corrispondente dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, nonché socio effettivo dell’Accademia patavina di scienze, lettere ed arti, ricevette il premio della R. Accademia d'Italia nel 1933 per le discipline filosofiche, e il premio Marzotto per la filosofia nel 1953, nonché fu membro dei consigli direttivi della Società filosofica italiana e del Centro Studi filosofici di Gallarate. Nel 1956 ha poi fondato a Padova la Rivista di estetica, della quale ha potuto dirigere solo il primo fascicolo dell'annata 1956, e a cui gli subentrerà Luigi Pareyson. Fra i suoi allievi, ricordiamo Armando Rigobello, Giovanni Santinello, Ezio Riondato, Giovanni M. Pozzo.  Gli saranno intitolate delle scuole medie statali di Treviso e Padova, nonché l'ex Istituto magistrale di Mestre.  Attività e pensiero Stefanini è stato uno dei più importanti filosofi italiani di ispirazione cristiana, nonché uno dei maggiori rappresentati dello spiritualismo cristiano. Partendo sempre dalla filosofia cristiana, ha riesaminato storicamente e criticamente diverse correnti del pensiero filosofico, fra cui lo storicismo, la filosofia dell'azione, il neoidealismo, la fenomenologia, l'esistenzialismo, lungo il corso della storia della filosofia, dagli antichi (fra i quali Platone, Sant'Agostino, Bonaventura, San Tommaso), fino ai moderni (Vincenzo Gioberti, Maurice Blondel, Antonio Rosmini ed altri), sulla scia della sua prima formazione giovanile incentrata su uno stretto connubio fra prospettiva storica e dimensione teoretica.  Interessato pure all'estetica, su cui ha scritto molti lavori, il contributo più importante dello Stefanini è frutto della sua costante riflessione su personalismo e spiritualismo, grazie alla quale il rapporto soggetto-oggetto viene interpretato in termini di alterità, di altro da sé, prospettivaquestache permetterà di concepire il singolo individuo come membro di una comunità. Questo rapporto soggetto-oggetto, da un tale punto di vista, sarà concepito come il momento fondante di ogni comunità di esseri umani in relazione fra loro. Le più importanti problematiche connesse a questi principi di base, saranno poi affrontate dallo Stefanini nelle due opere fondamentali Metafisica della persona” – cf. Strawson, “The concept of a person” -- e Personalismo sociale, o interpersonalismo. Strettamente connesse a queste tematiche filosofiche, poi, sono quelle didattico-pedagogiche aperte e portate avanti dallo Stefanini pressoché durante l'intero suo periodo di attività, dai primi anni formativi fino agli ultimi della maturità, in continuo ripensamento e progressiva rivisitazione.  Per quanto concerne poi la sua vasta produzione scientifica, ricordiamo solo che, nel periodo compreso fra il 1940 e il 1950, dà alle stampe le seguenti, notevoli pubblicazioni: “L'esistenzialismo di M. Heidegger,” “Spiritualismo Cristiano,” Gioberti (1947), Il dramma filosofico della Germania (1948), Metafisica della persona ed altri saggi (1950), Esistenzialismo ateo ed esistenzialismo teistico (1952), Personalismo sociale (1952), Estetica (1953), Trattato di estetica (1955); viene pubblicata postuma poi la raccolta di scritti intitolata Personalismo filosofico. Ci riferiamo principalmente a: Gregorio Piaia, "Stefanini, Luigi", in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 94, Anno . Si veda pure: Laura Corrieri, Luigi Stefanini, un pensiero attuale, Edizioni Prometheus, Milano, 2002.  Citando sue testuali parole, «[...] l'opera del Blondel è più arte che filosofia. I passaggi più ardui superati con immagini ardite, anziché con logiche dimostrazioni; affermate le più inconciliabili antitesi affinché queste rendano vivo e tragico il contrasto; i mezzi dialettici atti più a trascinare che a convincere: tutto ciò ci conferma pienamente nella nostra interpretazione. L'opera del Blondel è, più che una dottrina filosofica, un romanzo psicologico che descrive le esitazioni e le incertezze, le vane pretese e le supreme aspirazioni dell'umana volontà, che alfine si appaga e riposa in Dio. Per ciò che al di là del filosofo si riesca ad afferrare l'uomo, al di là del sistema si riesca ad afferrare il programma generoso del credente, la filosofia dell'azione può essere efficacemente educativa, può esercitare nella coscienza contemporanea l'influsso salutare che essa si era proposta» (da Luigi Stefanini, L'Azione. Saggio critico sulla filosofia di M. Blondel, Padova, 1914).  Cfr. Laura Corrieri, cit.  Il quale, a sua volta, prende le mosse dalle concezioni personalistiche mounieriane e giobertiane; cfr. Gregorio Piaia, cit. Opere principal: Il problema della conoscenza in Cartesio e Gioberti, Torino, Sei, Il problema religioso in Platone e S. Bonaventura. Sommario storico e critica di testi, Torino, Sei, 1926. Idealismo cristiano, Padova, R. Zannoni Editore, 1931. Platone, 2 voll., Padova, Cedam, 1932-35 (ristampa: Istituto di Filosofia, Padova, 1991). Il problema estetico in Platone, Torino, Sei, Imaginismo come problema filosofico,  I, Padova, Cedam, Problemi attuali d'arte, Padova, Cedam, 1La Chiesa Cattolica, Milano-Messina, Principato, Vincenzo Gioberti. Vita e pensiero, Milano, F.lli Bocca,  Metafisica dell'arte e altri saggi, Padova, Editoria Liviana, La mia prospettiva filosofica, Treviso, Edizioni Canova (prima edizione del 1950). Esistenzialismo ateo ed esistenzialismo teistico. Esposizione e critica costruttiva, Padova, Cedam, 1Itinéraires métaphysiques, trad. par J. Chaix-Ruiy, Paris, Aubier, Estetica, Roma, Edizioni Studium, Trattato di Estetica,  I: L'arte nella sua autonomia e nel suo processo, Brescia, Editrice Morcelliana, 1960 (prima edizione del 1955). Personalismo educativo, Roma, F.lli Bocca, 1955. Per l'elenco completo degli scritti di Stefanini si rimanda alla relativa pagina online curata dalla Fondazione "Luigi Stefanini".  Dialettica dell'immagine. Studi sull'imaginismo di Luigi Stefanini, a cura dell'Associazione filosofica trevigiana, Genova, 1991. Luciano Caimi, Educazione e persona in Luigi Stefanini, Editrice La Scuola, Brescia, 1985. Glory Cappello, Luigi Stefanini. Dalle opere e dal carteggio del suo archivio, Europrint, Treviso, 2006. Per una antropologia in Luigi Stefanini: metafisica, personalismo, umanesimo, Glory Cappello, Edizioni R. Pagotto, Padova, . Michele Lasala, Una ragione vivente. L'immagine e l'ulteriore, in  Frammenti di filosofia contemporanea, I.v.a.n. Project, Limina Mentis Editore, Villasanta (MB), ,  XXI. Matteo De Boni, Le ragioni dell’esistenza. Esistenzialismo e ragione in Luigi Stefanini, Mimesis Edizioni, Milano-Udine, , Armando Rigobello , Scritti in onore di Luigi Stefanini, Liviana editrice, Padova, Sul pensiero di Luigi Stefanini, in Rivista Rosminiana, Luigi Stefanini, su treccani.it. STEFANINI, Luigi, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, luigi-stefanini. Fondazione Luigi Stefanini, su fondazionestefanini.it. Most likely a replica as from now: s“L’essere è personale e tutto ciò che non è personale nell’essere rientra nella produttività della persona, come mezzo di manifestazione della persona e di comunicazione tra le persone»  (Luigi Stefanini, da La mia prospettiva filosofica). Luigi Stefanini (Treviso), filosofo. Secondogenito di quattro fratelli, in una famiglia cattolica il cui padre Giovanni gestisce una tintoria, mentre la madre Lucia de Mori, diplomata maestra elementare, si dedica interamente alla casa e la cura dei suoi figli.  Fin da giovane, è attivo nelle associazioni e nei movimenti cattolici del trevigiano, iscrivendosi a Gioventù Cattolica dove assumerà presto l'incarico di presidente diocesano. Qui maturerà la vocazione di educatore, seguendo, in particolare, gli insegnamenti contenuti nell'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII. Opera pure nel sindacato cattolico dei lavoratori.  Dopo il diploma presso il Liceo Classico Antonio Canova nel 1910, dove ha fra gli altri Paolo Rotta come insegnante di storia e filosofia, nello stesso anno si iscrive alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Padova. Nell'ateneo patavino, la corrente del positivismo è tra le più seguite, ma in controtendenza Stefanini decide di scrivere la propria tesi su Maurice Blondel, esponendovi le proprie critiche sull'opera del filosofo francese, avendo Antonio Aliotta come relatore, con cui si laurea in filosofia nel 1914. Nel periodo di studi padovano, inizia a frequentare anche il circolo universitario cattolico di Giacomo Zanella e, subito dopo la laurea, inizia a insegnare nelle scuole pubbliche.  Mentre completa gli studi universitari, inizia già a respirarsi aria di guerra in Italia, ma come molti giovani cattolici, pur favorevole ad una posizione di neutralità nei confronti della guerra, viene comunque chiamato alle armi nel 1915. Terminato il conflitto, uscendone con il grado di capitano e una croce al merito di guerra, nel 1919 consegue pure una seconda laurea in lettere all'Padova, con una tesi sul pensiero estetico di Gian Vincenzo Gravina, nonché riprende l'insegnamento nelle scuole.  Nel 1920 è eletto consigliere del Comune di Treviso ma, nel 1921, la violenza dello squadrismo fascista investe anche il trevigiano. Stefanini si oppone con fermezza a tale ideologia, evidenziando l'inconciliabilità di cristianesimo e fascismo, dimettendosi nel 1922 e dedicandosi completamente all'insegnamento, che ora è la sua occupazione principale e che condurrà sempre secondo una pedagogia ispirata ai principi cristiani, costantemente attento e sensibile sia ai bisogni che agli interessi degli studenti. Nello stesso periodo, si dedica con scrupolo alla stesura di apprezzati testi didattici di storia e filosofia, nonché di pedagogia secondo un indirizzo cristiano.  Conseguita la libera docenza in pedagogia nel 1925, nello stesso anno ottiene, per incarico, l'insegnamento di questa disciplina all'Padova, nonché si sposa con Maria Javicoli, da cui avrà tre figli, Elena, Paolo e Lucia. In quegli anni, oltre ad iscriversi al Partito Nazionale Fascista, affianca l'insegnamento nelle scuole pubbliche a quello universitario fino al 1936 quando, vinto l'ordinariato, ha una cattedra di storia della filosofia alla Facoltà di Magistero dell'Messina che tiene fino al 1938 quando si trasferisce a Padova, alla cattedra di pedagogia, quindi a quella di storia della filosofia che terrà fino alla morte prematura, nel 1956. Al contempo, tiene per incarico l'insegnamento di estetica a Padova e quello di pedagogia all'Venezia, nonché sarà preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'ateneo patavino nel triennio 1941-43.  Nel dopoguerra, riabilitato alla propria cattedra e all'insegnamento universitario, si dedica prevalentemente allo studio e la ricerca, ma partecipando anche alla riorganizzazione della filosofia cattolica italiana, in particolare promuovendo incontri, convegni e riunioni all'Istituto Aloisianum dei padri gesuiti di Gallarate, che diventerà poi il Centro di studi filosofici di Gallarate, per primo diretto da Carlo Gianon.  Socio corrispondente dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, nonché socio effettivo dell’Accademia patavina di scienze, lettere ed arti, ricevette il premio della R. Accademia d'Italia nper le discipline filosofiche, e il premio Marzotto per la filosofia nel 1953, nonché fu membro dei consigli direttivi della Società filosofica italiana e del Centro Studi filosofici di Gallarate. Ha poi fondato a Padova la Rivista di estetica, della quale ha potuto dirigere solo il primo fascicolo dell'annata 1956, e a cui gli subentrerà Luigi Pareyson. Fra i suoi allievi, ricordiamo Armando Rigobello, Giovanni Santinello, Ezio Riondato, Giovanni M. Pozzo.  Gli saranno intitolate delle scuole medie statali di Treviso e Padova, nonché l'ex Istituto magistrale di Mestre. Stefanini è stato uno dei più importanti filosofi italiani di ispirazione cristiana, nonché uno dei maggiori rappresentati dello spiritualismo cristiano. Partendo sempre dalla filosofia cristiana, ha riesaminato storicamente e criticamente diverse correnti del pensiero filosofico, fra cui lo storicismo, la filosofia dell'azione, il neoidealismo, la fenomenologia, l'esistenzialismo, lungo il corso della storia della filosofia, dagli antichi (fra i quali Platone, Sant'Agostino, Bonaventura, San Tommaso), fino ai moderni (Vincenzo Gioberti, Maurice Blondel, Antonio Rosmini ed altri), sulla scia della sua prima formazione giovanile incentrata su uno stretto connubio fra prospettiva storica e dimensione teoretica.  Interessato pure all'estetica, su cui ha scritto molti lavori, il contributo più importante dello Stefanini è frutto della sua costante riflessione su personalismo e spiritualismo, grazie alla quale il rapporto soggetto-oggetto viene interpretato in termini di alterità, di altro da sé, prospettivaquestache permetterà di concepire il singolo individuo come membro di una comunità. Questo rapporto soggetto-oggetto, da un tale punto di vista, sarà concepito come il momento fondante di ogni comunità di esseri umani in relazione fra loro. Le più importanti problematiche connesse a questi principi di base, saranno poi affrontate dallo Stefanini nelle due opere fondamentali Metafisica della persona  e Personalismo sociale. Strettamente connesse a queste tematiche filosofiche, poi, sono quelle didattico-pedagogiche aperte e portate avanti dallo Stefanini pressoché durante l'intero suo periodo di attività, dai primi anni formativi fino agli ultimi della maturità, in continuo ripensamento e progressiva rivisitazione.  Per quanto concerne poi la sua vasta produzione scientifica, ricordiamo solo che, nel periodo compreso fra il 1940 e il 1950, dà alle stampe le seguenti, notevoli pubblicazioni: L'esistenzialismo di M. Heidegger, Spiritualismo Cristiano, Gioberti, Il dramma filosofico della Germania, Metafisica della persona ed altri saggi (1950), Esistenzialismo ateo ed esistenzialismo teistico; Personalismo sociale; Estetica; Trattato di estetica; viene pubblicata postuma poi la raccolta di scritti intitolata Personalismo filosofico. Ci riferiamo principalmente a: Gregorio Piaia, "Stefanini, Luigi", in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 94, Anno . Si veda pure: Laura Corrieri, Luigi Stefanini, un pensiero attuale, Edizioni Prometheus, Milano, Citando sue testuali parole, «[...] l'opera del Blondel è più arte che filosofia. I passaggi più ardui superati con immagini ardite, anziché con logiche dimostrazioni; affermate le più inconciliabili antitesi affinché queste rendano vivo e tragico il contrasto; i mezzi dialettici atti più a trascinare che a convincere: tutto ciò ci conferma pienamente nella nostra interpretazione. L'opera del Blondel è, più che una dottrina filosofica, un romanzo psicologico che descrive le esitazioni e le incertezze, le vane pretese e le supreme aspirazioni dell'umana volontà, che alfine si appaga e riposa in Dio. Per ciò che al di là del filosofo si riesca ad afferrare l'uomo, al di là del sistema si riesca ad afferrare il programma generoso del credente, la filosofia dell'azione può essere efficacemente educativa, può esercitare nella coscienza contemporanea l'influsso salutare che essa si era proposta» (da Luigi Stefanini, L'Azione. Saggio critico sulla filosofia di M. Blondel, Padova,  Cfr. Laura Corrieri, cit.  Il quale, a sua volta, prende le mosse dalle concezioni personalistiche mounieriane e giobertiane; cfr. Gregorio Piaia, cit. Opere principali Il problema della conoscenza in Cartesio e Gioberti, Torino, Sei, Il problema religioso in Platone e S. Bonaventura. Sommario storico e critica di testi, Torino, Sei, Idealismo cristiano, Padova, R. Zannoni Editore, 1Platone, 2 voll., Padova, Cedam,  (ristampa: Istituto di Filosofia, Padova,  Il problema estetico in Platone, Torino, Sei,  Imaginismo come problema filosofico,  I, Padova, Cedam, Problemi attuali d'arte, Padova, Cedam, La Chiesa Cattolica, Milano-Messina, Principato, Vincenzo Gioberti. Vita e pensiero, Milano, F.lli Bocca, Metafisica dell'arte e altri saggi, Padova, Editoria Liviana, La mia prospettiva filosofica, Treviso, Edizioni Canova (prima edizione del 1950). Esistenzialismo ateo ed esistenzialismo teistico. Esposizione e critica costruttiva, Padova, Cedam, Itinéraires métaphysiques, trad. par J. Chaix-Ruiy, Paris, Aubier, Estetica, Roma, Edizioni Studium, Trattato di Estetica,  I: L'arte nella sua autonomia e nel suo processo, Brescia, Editrice Morcelliana, Personalismo educativo, Roma, F.lli Bocca,  Per l'elenco completo degli scritti di Stefanini si rimanda alla relativa pagina online curata dalla Fondazione "Luigi Stefanini". Dialettica dell'immagine. Studi sull'imaginismo di Luigi Stefanini, a cura dell'Associazione filosofica trevigiana, Genova, Luciano Caimi, Educazione e persona in Luigi Stefanini, Editrice La Scuola, Brescia, 1985. Glory Cappello, Luigi Stefanini. Dalle opere e dal carteggio del suo archivio, Europrint, Treviso, Per una antropologia in Luigi Stefanini: metafisica, personalismo, umanesimo, Glory Cappello, Edizioni R. Pagotto, Padova, . Michele Lasala, Una ragione vivente. L'immagine e l'ulteriore, in  Frammenti di filosofia contemporanea, I.v.a.n. Project, Limina Mentis Editore, Villasanta (MB), ,  XXI. Matteo De Boni, Le ragioni dell’esistenza. Esistenzialismo e ragione in Luigi Stefanini, Mimesis Edizioni, Milano-Udine, , Armando Rigobello , Scritti in onore di Luigi Stefanini, Liviana editrice, Padova, Sul pensiero di Luigi Stefanini, in Rivista Rosminiana, Numero 2, Anno 1952.  Luigi Stefanini, su treccani.it. STEFANINI, Luigi, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, luigi-stefanini. Fondazione Luigi Stefanini, su fondazionestefanini.it.

 

stella: Grice: “What is it with Italian philosoophers that they are all into what at Oxford we would call jurisprudence?” Grice: “It seems like all Italian philosophers are like Italian versions of H. L. A. Hart!” --. Federico Stella (Sernaglia della Battaglia), filosofo. Dopo aver frequentato il liceo presso il Collegio di Treviso si iscrisse a Milano, dove vinse una borsa di studio presso il Collegio Augustinianum e fu allievo di Crespi. Divenne professore, dapprima a Catania, e, successivamente, a Milano. I suoi studi si diressero, dapprima, su alcune tipologie di reati, successivamente sugli elementi strutturali del reato.  Il suo contributo scientifico più noto, presso gli operatori del diritto penale e la comunità accademica, è “Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale,” monografia in cui  ricostruisce il problema del nesso di causalità penale prospettando il criterio della sussunzione sotto leggi scientifiche come strumento per la soluzione di casi dubbi. Solo mediante una legge scientifica di copertura, atta a spiegare il rapporto fra condotta del presunto autore del reato ed evento dannoso, sarà possibile formulare un giudizio di responsabilità penale.  Ad es. solo dopo aver dimostrato, sulla base di una legge scientifica, che l'ingestione di determinati farmaci determina malformazioni del feto, sarà possibile imputare alla ditta produttrice il reato di lesioni gravissime (colpose o dolose). In difetto di una dimostrazione scientifica, non potrà formularsi alcuna imputazione penale. Propose che la regola di giudizio dell'"oltre ogni ragionevole dubbio" trovasse applicazione anche nel processo penale italiano. Dapprima avversato da parte della dottrina processual penalistica, il principio venne accoltoin tema di nesso causaledalla corte suprema di cassazione, anche a Sezioni Unite. Oggi è norma codicistica. ADiresse riviste giuridiche di diritto penale e fu fra i curatori di raccolte normative di largo successo presso la comunità forense.  Nei successivi decenni gli interessi scientifici  si volsero alla teoria generale del diritto ed alla filosofia del diritto, mediante pubblicazione di scritti maggiormente agili rispetto alle monografie ed ai saggi penalistici, rivolti ad un pubblico relativamente più vasto. Esercitò la professione di avvocato, partecipando, in qualità di difensore di alcuni imputati, al processo del Petrolchimico di Porto Marghera, dove fece applicazione, a livello pratico, delle teorie relative alla causalità scientifica.  Principali pubblicazioni: “L'alterazione di stato mediante falsità, Milano, “ La descrizione dell'evento,”Milano, “Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale,” Milano, “Giustizia e modernità, Milano,”  “I saperi del giudice,” Milano, “ll giudice corpuscolariano,” Milano, “La giustizia e le ingiustizie,” Bologna. Note  Addio A Federico Stella, il «galantumo del diritto» di Paolo Biondani, Corriere della Sera, 1Archivio storico.  Il centro di ricerca Federico Stella biografia e . Università Cattolica del Sacro Cuore. Most likely a replica from now on: stella: Federico Stella (Sernaglia della Battaglia), filosofo. È stato inoltre Professore di Diritto penale e filosofo del diritto. Nato a Sernaglia della Battaglia, piccolo centro in provincia di Treviso, dopo aver frequentato il liceo presso il Collegio Vescovile Pio X di Treviso si iscrisse all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove vinse una borsa di studio presso il Collegio Augustinianum e fu allievo di Alberto Crespi. Divenne professore di diritto penale nel 1970, dapprima nell'Università degli Studi di Catania, e, successivamente, presso l'Università Cattolica di Milano, dove insegnò fino alla propria scomparsa, avvenuta nel 2006.  Causalità e leggi scientifiche I suoi studi si diressero, dapprima, su alcune tipologie di reati, successivamente sugli elementi strutturali del reato.  Il suo contributo scientifico più noto, presso gli operatori del diritto penale e la comunità accademica, è Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale,  monografia in cui Stella ricostruisce il problema del nesso di causalità penale prospettando il criterio della sussunzione sotto leggi scientifiche come strumento per la soluzione di casi dubbi: solo mediante una legge scientifica di copertura, atta a spiegare il rapporto fra condotta del presunto autore del reato ed evento dannoso, sarà possibile formulare un giudizio di responsabilità penale.  Ad es. solo dopo aver dimostrato, sulla base di una legge scientifica, che l'ingestione di determinati farmaci determina malformazioni del feto, sarà possibile imputare alla ditta produttrice il reato di lesioni gravissime (colpose o dolose). In difetto di una dimostrazione scientifica, non potrà formularsi alcuna imputazione penale.  Propose, attraverso i suoi scritti e le sue lezioni, che la regola di giudizio dell'"oltre ogni ragionevole dubbio" trovasse applicazione anche nel processo penale italiano. Dapprima avversato da parte della Dottrina processual penalistica, il principio venne accoltoin tema di nesso causaledalla Corte suprema di cassazione, anche a Sezioni Unite; oggi è norma codicistica.  Attività ulteriori Diresse riviste giuridiche di diritto penale e fu fra i curatori di raccolte normative di largo successo presso la comunità forense.  Nei successivi decenni gli interessi scientifici di Stella si volsero alla teoria generale del diritto ed alla filosofia del diritto, mediante pubblicazione di scritti maggiormente agili rispetto alle monografie ed ai saggi penalistici, rivolti ad un pubblico relativamente più vasto.  Esercitò la professione di avvocato, partecipando, in qualità di difensore di alcuni imputati, al processo del Petrolchimico di Porto Marghera, dove fece applicazione, a livello pratico, delle teorie relative alla causalità scientifica.  Principali pubblicazioni L'alterazione di stato mediante falsità, Milano, La descrizione dell'evento, Milano. Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale, Milano, seconda edizione Giustizia e modernità, Milano, 3ª ed. I saperi del giudice, Milano, ll giudice corpuscolariano, Milano, La giustizia e le ingiustizie, Bologna, Addio A Federico Stella, il «galantumo del diritto» di Paolo Biondani, Corriere della Sera, Archivio storico.  Il centro di ricerca Federico Stella biografia.

 

stellini: Jacopo Stellini (Cividale), filosofo. La sua fama è dovuta soprattutto al saggio “De ortu et progressu morum.”  La sua concezione morale è di stampo aristotelico e sotto alcuni aspetti può essere considerato uno dei precursori della sociologia. A lui è stato dedicato il liceo classico di Udine e che nella sua biblioteca contiene gli scritti autografi di Stellini. Enciclopedia Treccani, su treccani.it. Dizionario biografico friulano, su friul.net. Most likely a replica from now on: stellini: Jacopo Stellini (Cividale), filosofo. Nato a Cividale (e non, come appare su altre fonti basatesi sull'errata lettura dell'atto di battesimo di un Jacopo Stulin, a Tribil di Sopra) nel 1699, si interessò di medicina, matematica e critica letteraria. Sebbene autore di svariate poesie, la sua fama è dovuta soprattutto al saggio in latino De ortu et progressu morum stampato nel 1740.  La sua concezione morale è di stampo aristotelico e sotto alcuni aspetti può essere considerato uno dei precursori della sociologyia.  A lui è stato dedicato l'omonimo liceo classico di Udine, fondato nel 1808 e che nella sua biblioteca contiene gli scritti autografi di Stellini.   Enciclopedia Treccani, su treccani.it. Dizionario biografico friulano, su friul.net.

 

sterlich: Romualdo De Sterlich (Chieti), filosofo. Figlio del marchese Rinaldo De Sterlich (di famiglia originaria dei paesi di lingua tedesca) e della marchesina aquilana Margherita Alfieri, studiò a Napoli nel Collegio dei Nobili, gestito dalla Compagnia di Gesù. Fu proprio questa esperienza che lo portò a concepire la sua profonda ostilità verso i Gesuiti, che fu uno dei tratti caratteristici del suo pensiero filosofico. All'età di vent'anni tornò a Chieti e sposò Giuditta Castiglione (di famiglia aristocratica di Penne) da cui ebbe una numerosa prole (una ventina di figli di cui solo una decina sopravvissero ai primi anni mentre gli altri si spensero in tenera età). La cura della famiglia e dei beni ereditati dal padre (di cui era l'unico figlio maschio) lo portarono a dover compromettere le sue aspirazioni letterarie. Ma la cultura rimase sempre la sua prima passione e, alla metà del secolo XVIII, per superare l'isolamento culturale che gli veniva imposto dal dover vivere a Chieti, cominciò a costituire la sua personale biblioteca. Questa crebbe in misura esponenziale di anno in anno, tanto che nel 1776 contava 12.000 volumi, divenendo così una delle migliori biblioteche del Regno. L'intento di de Sterlich era di mettere la stessa a disposizione della città di Chieti per la sua crescita culturale. Sfortunatamente il suo desiderio fu reso vano dall'incuria di chi gestì la stessa dopo la sua morte. Cospicue parti di quella grande biblioteca sono stati individuate in tutta Italia: nella Biblioteca Provinciale «G. D'Annunzio» di Pescara, nella Biblioteca Provinciale «A.C. De Meis» di Chieti, nella Biblioteca Nazionale di Napoli, etc. Sarebbe molto riduttivo considerare de Sterlich come solo un collezionista di libri. Egli li raccoglieva per elaborarli e per creare le sue riflessioni e i suoi pensieri. De Sterlich si rivela così aggiornatissimo sui dibattiti culturali europei del Settecento ed è tra i primi italiani a leggere e commentare le opere di Montesquieu, Rousseau, Voltaire, e di altri illuministi europei. Di questa partecipazione alla cultura illuministica europea ne è testimonianza un copioso scambio di lettere con altri intellettuali (Antonio Genovesi, Giovanni Antonio Battarra, Giovanni Lami, Giovanni Bianchi, Gaspare de Torres) dell'epoca. Questo ricco carteggio è un documento prezioso per delineare il passaggio in Italia alla cultura illuministica e rappresenta l'impronta da lui lasciata nel panorama culturale del Settecento Italiano. Romualdo de Sterlich lasciò anche alcune testimonianze scritte del suo pensiero: due Dialoghi di Fra' Cipolla e la Nanna. In essi trova largo spazio la sua antipatia per i Gesuiti. Tramite la solida amicizia con Giovanni Lami, de Sterlich entrò a far parte dell'Accademia della Crusca e dell'Accademia dei Georgofili. Romualdo de Sterlich si spense a Chieti e fu sepolto nella Chiesa di S. Francesco di Paola. Cepparrone Luigi, L'illuminismo europeo nell'epistolario di Romualdo De Sterlich, Sestante Ed., Collana Bergamo University Press.  Il sito dell'Istituto Tecnico Statale Commerciale e per Programmatori “R. de Sterlich”Chieti Scalo, su desterlich.ch.it.

 

steuco: vescovo della Chiesa cattolica Template-Bishop -- Incarichi ricopertiVescovo di Kissamos   Nato1497 a Gubbio Consacrato vescovo 1538 dal Papa Paolo III Deceduto1548 a Venezia. Agostino Steuco (Gubbio), filosofo. Della famiglia Steuchi o Stucchi. Acuto esegeta dei testi biblici e profondo conoscitore delle lingue latina, greca ed ebraica, si oppose tenacemente alla riforma protestante e prese parte al Concilio di Trento.  Nel novembre del 1513 entrò nella congregazione dell'Ordine dei Canonici Agostiniani di San Salvatore di Bologna, poi nel monastero di San Secondo, a Gubbio, mutando il suo nome di battesimo Guido in Agostino.  Nel 1524 andò al Monastero di Bologna, ove frequentò i corsi di ebraico e retorica presso l'Università bolognese. Fu inviato dalla sua congregazione al Monastero di Sant'Antonio di Castello a Venezia, dove, per l'ampia conoscenza dei linguaggi biblici e l'acume filologico, gli fu affidata la biblioteca del monastero, donata ai canonici dal cardinal Domenico Grimani, della quale una buona parte del patrimonio librario era appartenuto a Pico della Mirandola.  Steuco scrisse una serie di opere polemiche contro Lutero ed Erasmo, accusandoli di fomentare la rivolta contro la Chiesa. Questi lavori rivelano il solido sostegno che Steuco dà alle tradizioni e alle pratiche della Chiesa, difendendo risolutamente l'autorità papale. Parte della sua produzione risalente a questo periodo include un intenso lavoro filologico sull'Antico Testamento, culminato con la pubblicazione del Veteris testamenti ad Hebraicam veritatem recognitio, per la composizione del quale egli si basò su manoscritti ebraici e greci, tratti della biblioteca Grimani, utili a correggere il testo della traduzione latina redatta da San Gerolamo. Nel revisionare e spiegare il testo, egli mai deviò dal significato letterale e storico.  Contemporanea a questo lavoro di esegesi biblica fu la composizione di un'opera d'impianto enciclopedico che egli scrisse in questo periodo, al quale diede il nome di Cosmopœia. Le sue opere polemiche ed esegetiche destarono l'attenzione favoravole di Papa Paolo III, e nel 1538 questi ordinò Steuco vescovo di Kissamos, nell'isola di Creta, e bibliotecario della collezione papale di manoscritti e stampe del Vaticano. Si recò a Lucca con Paolo III e l'imperatore Carlo V.  Quantunque mai fosse andato a visitare il suo vescovado a Creta, Steuco adempì attivamente con scrupolo il suo ruolo di bibliotecario del Vaticano fino alla sua morte  Nel frattempo a Roma redasse i Commenti al Vecchio Testamento riguardanti i Salmi di Giacobbe, aiutando ad annotare e correggere i testi di parte della Vulgata alla luce degli originali ebraici. A questo periodo risale la composizione della celeberrima opera De perenni philosophia libri X, dedicata a Paolo III, nella quale egli tenta di mostrare che molte delle idee esposte dai saggi, poeti e filosofi dell'Antichità (ad es. Orfeo, Talete, Pitagora, Parmenide, Platone, Aristotele, Plutarco, Numenio, i neoplatonici, l'ebreo Filone, nonché opere come gli Oracoli caldaici, gli Oracoli sibillini, i trattati ermetici e i frammenti teosofici) erano essenzialmente in armonia con la sostanza delle dottrine della fede cattolica. Questo lavoro contiene una polemica indiretta a margine, poiché Steuco elaborò un numero di questi argomenti per sostenere molte posizioni teologiche recentemente poste in questione in Italia da riformatori e critici della fede cattolica traditionale.  Come umanista egli ebbe un profondo interesse per le rovine della Roma antica, e nell'operare un rinnovamento urbano dell'Urbe. A tal proposito, degne d'essere menzionate, sono una serie di brevi orazioni in cui raccomandò espressamente a Papa Paolo III di risistemare l'acquedotto conosciuto come Aqua Virgo, in modo da supplire adeguatamente il fabbisogno di acqua fresca per la città di Roma.  Steuco fu mandato da papa Paolo III a presenziare il Concilio di Trento, che doveva celebrarsi a Bologna, affidandogli il compito di sostenere l'autorità e le prerogative papali. Morì mentre si trovava a Venezia per problemi di salute, e dove cercava di ristabilirsi durante un periodo di sospensione del Concilio. .e sue ossa furono traslate nell'Eremo di Sant'Ambrogio a Gubbio. De perenni philosophia libri IX, Basileæ, per Nicolaum Bryling et Sebastianum Francken, Concilio di Trento Esegesi biblica Ermetismo (filosofia) Teosofia di Tubinga Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Agostino Steuco  Agostino Steuco, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Giuseppe Ricciotti, Agostino Steuco, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Vincenzo Lavenia, Agostino Steuco, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Agostino Steuco, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Agostino Steuco, . Michael Ott, Agostino Steuco, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. David M. Cheney, Agostino Steuco, in Catholic Hierarchy. Hugh Chisholm , Steuco, Agostino, in Enciclopedia Britannica, XI, Cambridge University Press. Associazione Centro Culturale Leone XIII, su leonexiii.org. Canonici Regolari Lateranensi di Gubbio, su bibliotecasteuco.it. Most likely a replica from now on: steuco: vescovo della Chiesa cattolica Template-Bishop.svg   Incarichi ricopertiVescovo di Kissamos. Consacrato vescovo 1538 dal Papa Paolo III Deceduto1548 a Venezia. Agostino Steuco (Gubbio), filosofo. Della famiglia Steuchi o Stucchi. Acuto esegeta dei testi biblici e profondo conoscitore delle lingue latina, greca ed ebraica, si oppose tenacemente alla riforma protestante e prese parte al Concilio di Trento. Nel novembre del 1513 entrò nella congregazione dell'Ordine dei Canonici Agostiniani di San Salvatore di Bologna, poi nel monastero di San Secondo, a Gubbio, mutando il suo nome di battesimo Guido in Agostino.  Nel 1524 andò al Monastero di Bologna, ove frequentò i corsi di ebraico e retorica presso l'Università bolognese. Nel 1529 fu inviato dalla sua congregazione al Monastero di Sant'Antonio di Castello a Venezia, dove, per l'ampia conoscenza dei linguaggi biblici e l'acume filologico, gli fu affidata la biblioteca del monastero, donata ai canonici dal cardinal Domenico Grimani, della quale una buona parte del patrimonio librario era appartenuto a Pico della Mirandola.  Negli anni successive Steuco scrisse una serie di opere polemiche contro Lutero ed Erasmo, accusandoli di fomentare la rivolta contro la Chiesa. Questi lavori rivelano il solido sostegno che Steuco dà alle tradizioni e alle pratiche della Chiesa, difendendo risolutamente l'autorità papale. Parte della sua produzione risalente a questo periodo include un intenso lavoro filologico sull'Antico Testamento, culminato con la pubblicazione del Veteris testamenti ad Hebraicam veritatem recognitio, per la composizione del quale egli si basò su manoscritti ebraici e greci, tratti della biblioteca Grimani, utili a correggere il testo della traduzione latina redatta da San Gerolamo. Nel revisionare e spiegare il testo, egli mai deviò dal significato letterale e storico.  Contemporanea a questo lavoro di esegesi biblica fu la composizione di un'opera d'impianto enciclopedico che egli scrisse in questo periodo, al quale diede il nome di Cosmopœia. Le sue opere polemiche ed esegetiche destarono l'attenzione favoravole di Papa Paolo III, e nel 1538 questi ordinò Steuco vescovo di Kissamos, nell'isola di Creta, e bibliotecario della collezione papale di manoscritti e stampe del Vaticano. Nel 1541 si recò a Lucca con Paolo III e l'imperatore Carlo V.  Quantunque mai fosse andato a visitare il suo vescovado a Creta, Steuco adempì attivamente con scrupolo il suo ruolo di bibliotecario del Vaticano fino alla sua morte nel 1548.  Nel frattempo a Roma redasse i Commenti al Vecchio Testamento riguardanti i Salmi di Giacobbe, aiutando ad annotare e correggere i testi di parte della Vulgata alla luce degli originali ebraici. A questo periodo risale la composizione della celeberrima opera De perenni philosophia libri X, dedicata a Paolo III, nella quale egli tenta di mostrare che molte delle idee esposte dai saggi, poeti e filosofi dell'Antichità (ad es. Orfeo, Talete, Pitagora, Parmenide, Platone, Aristotele, Plutarco, Numenio, i neoplatonici, l'ebreo Filone, nonché opere come gli Oracoli caldaici, gli Oracoli sibillini, i trattati ermetici e i frammenti teosofici) erano essenzialmente in armonia con la sostanza delle dottrine della fede cattolica. Questo lavoro contiene una polemica indiretta a margine, poiché Steuco elaborò un numero di questi argomenti per sostenere molte posizioni teologiche recentemente poste in questione in Italia da riformatori e critici della fede cattolica traditionale.  Come umanista egli ebbe un profondo interesse per le rovine della Roma antica, e nell'operare un rinnovamento urbano dell'Urbe. A tal proposito, degne d'essere menzionate, sono una serie di brevi orazioni in cui raccomandò espressamente a Papa Paolo III di risistemare l'acquedotto conosciuto come Aqua Virgo, in modo da supplire adeguatamente il fabbisogno di acqua fresca per la città di Roma.  Fu mandato da papa Paolo III a presenziare il Concilio di Trento, che doveva celebrarsi a Bologna, affidandogli il compito di sostenere l'autorità e le prerogative papali. Morì nel 1548, all'età di cinquantatré anni, mentre si trovava a Venezia per problemi di salute, e dove cercava di ristabilirsi durante un periodo di sospensione del Concilio. Lle sue ossa furono traslate nell'Eremo di Sant'Ambrogio a Gubbio.   Agostino Steuco, De perenni philosophia libri IX, Basileæ, per Nicolaum Bryling et Sebastianum Francken, 1542.  Concilio di Trento Esegesi biblica Ermetismo (filosofia) Teosofia di Tubinga Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Agostino Steuco  Agostino Steuco, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Giuseppe Ricciotti, Agostino Steuco, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Vincenzo Lavenia, Agostino Steuco, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Agostino Steuco, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Agostino Steuco, . Michael Ott, Agostino Steuco, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. David M. Cheney, Agostino Steuco, in Catholic Hierarchy. Hugh Chisholm , Steuco, Agostino, in Enciclopedia Britannica, XI, Cambridge University Press, Associazione Centro Culturale Leone XIII, su leonexiii.org. Canonici Regolari Lateranensi di Gubbio, su bibliotecasteuco.it.

 

Primus, secundus, tertius -- first-order predicate calculus with time-relative identity:second-order logic, the logic of languages that contain, in addition to variables ranging over objects, variables ranging over properties, relations, functions, or classes of those objects. A model, or interpretation, of a formal language usually contains a domain of discourse. This domain is what the language is about, in the model in question. Variables that range over this domain are called first-order variables. If the language contains only first-order variables, it is called a first-order language, and it is within the purview of first-order logic. Some languages also contain variables that range over properties, relations, functions, or classes of members of the domain of discourse. These are second-order variables. A language that contains first-order and second-order variables, and no others, is a secondorder language. The sentence ‘There is a property shared by all and only prime numbers’ is straightforwardly rendered in a second-order language, because of the bound variable ranging over properties. There are also properties of properties, relations of properties, and the like. Consider, e.g., the property of properties expressed by ‘P has an infinite extension’ or the relation expressed by ‘P has a smaller extension than Q’. A language with variables ranging over such items is called thirdorder. This construction can be continued, producing fourth-order languages, etc. A language is called higher-order if it is at least second-order. Deductive systems for second-order languages are obtained from those for first-order languages by adding straightforward extensions of the axioms and rules concerning quantifiers that bind first-order variables. There may also be an axiom scheme of comprehension: DPExPx S Fx, one instance for each formula F that does not contain P free. The scheme “asserts” that every formula determines the extension of a property. If the language has variables ranging over functions, there may also be a version of the axiom of choice: ERExDyRxy P DfExRxfx. In standard semantics for second-order logic, a model of a given language is the same as a model for the corresponding first-order language. The relation variables range over every relation over the domain-of-discourse, the function variables range over every function from the domain to the domain, etc. In non-standard, or Henkin semantics, each model consists of a domain-ofdiscourse and a specified collection of relations, functions, etc., on the domain. The latter may not include every relation or function. The specified collections are the range of the second-order variables in the model in question. In effect, Henkin semantics regards second-order languages as multi-sorted, first-order languages. 

 

secundum quid: in a certain respect, or with a qualification. Fallacies can arise from confusing what is true only secundum quid with what is true simpliciter ‘without qualification’, ‘absolutely’, ‘on the whole’, or conversely. Thus a strawberry is red simpliciter on the whole. But it is black, not red, with respect to its seeds, secundum quid. By ignoring the distinction, one might mistakenly infer that the strawberry is both red and not red. Again, a certain thief is a good cook, secundum quid; but it does not follow that he is good simpliciter without qualification. Aristotle was the first to recognize the fallacy secundum quid et simpliciter explicitly, in his Sophistical Refutations. On the basis of some exceptionally enigmatic remarks in the same work, the liar paradox was often regarded in the Middle Ages as an instance of this fallacy. 

 

De-ceptum – per-ceptum – trans-ceptum – in-ceptum, prae-ceptum – post-ceptum: deceptum sui: Auto-deceptionD. F. Pears -- self-deception, 1 purposeful action to avoid unpleasant truths and painful topics about oneself or the world; 2 unintentional processes of denial, avoidance, or biased perception; 3 mental states resulting from such action or processes, such as ignorance, false belief, wishful thinking, unjustified opinions, or lack of clear awareness. Thus, parents tend to exaggerate the virtues of their children; lovers disregard clear signs of unreciprocated affection; overeaters rationalize away the need to diet; patients dying of cancer pretend to themselves that their health is improving. In some contexts ‘self-deception’ is neutral and implies no criticism. Deceiving oneself can even be desirable, generating a vital lie that promotes happiness or the ability to cope with difficulties. In other contexts ‘self-deception’ has negative connotations, suggesting bad faith, false consciousness, or what Joseph Butler called “inner hypocrisy”  the refusal to acknowledge our wrongdoing, character flaws, or onerous responsibilities. Existentialist philosophers, like Kierkegaard, Heidegger, and most notably Sartre Being and Nothingness, 3, denounced self-deception as an inauthentic dishonest, cowardly refusal to confront painful though significant truths, especially about freedom, responsibility, and death. Herbert Fingarette, however, argued that self-deception is morally ambiguous  neither clearly blameworthy nor clearly faultless  because of how it erodes capacities for acting rationally Self-Deception, 9. The idea of intentionally deceiving oneself seems paradoxical. In deceiving other people I usually know a truth that guides me as I state the opposite falsehood, intending thereby to mislead them into believing the falsehood. Five difficulties seem to prevent me from doing anything like that to myself. 1 With interpersonal deception, one person knows something that another person does not. Yet self-deceivers know the truth all along, and so it seems they cannot use it to make themselves ignorant. One solution is that self-deception occurs over time, with the initial knowledge becoming gradually eroded. Or perhaps selfdeceivers only suspect rather than know the truth, and then disregard relevant evidence. 2 If consciousness implies awareness of one’s own conscious acts, then a conscious intention to deceive myself would be self-defeating, for I would remain conscious of the truth I wish to flee. Sartre’s solution was to view self-deception as spontaneous and not explicitly reflected upon. Freud’s solution was to conceive of self-deception as unconscious repression. 3 It seems that self-deceivers believe a truth that they simultaneously get themselves not to believe, but how is that possible? Perhaps they keep one of two conflicting beliefs unconscious or not fully conscious. 4 Self-deception suggests willfully creating beliefs, but that seems impossible since beliefs cannot voluntarily be chosen. Perhaps beliefs can be indirectly manipulated by selectively ignoring and attending to evidence. 5 It seems that one part of a person the deceiver manipulates another part the victim, but such extreme splits suggest multiple personality disorders rather than self-deception. Perhaps we are composed of “subselves”  relatively unified clusters of elements in the personality. Or perhaps at this point we should jettison interpersonal deception as a model for understanding self-deception.  .

 

terminatum – de-terminatum -- determinatum sui: auto-determination -- self-determination, the autonomy possessed by a community when it is politically independent; in a strict sense, territorial sovereignty. Within international law, the principle of self-determination appears to grant every people a right to be self-determining, but there is controversy over its interpretation. Applied to established states, the principle calls for recognition of state sovereignty and non-intervention in internal affairs. By providing for the self-determination of subordinate communities, however, it can generate demands for secession that conflict with existing claims of sovereignty. Also, what non-self-governing groups qualify as beneficiaries? The national interpretation of the principle treats cultural or national units as the proper claimants, whereas the regional interpretation confers the right of self-determination upon the populations of well-defined regions regardless of cultural or national affiliations. This difference reflects the roots of the principle in the doctrines of nationalism and popular sovereignty, respectively, but complicates its application. 

 

evidens sui: (after ‘causa sui’), self-evidence, the property of being self-evident. Only true propositions or truths are self-evident, though false propositions can appear to be self-evident. It is widely held that a true proposition is self-evident if and only if one would be justified in believing it if one adequately understood it. Some would also require that self-evident propositions are known if believed on the basis of such an understanding. Some self-evident propositions are obvious, such as the proposition that all stags are male, but others are not, since it may take considerable reflection to achieve an adequate understanding of them. That slavery is wrong and that there is no knowledge of falsehoods are perhaps examples of the latter. Not all obvious propositions are self-evident, e.g., it is obvious that a stone will fall if dropped, but adequate understanding of that claim does not by itself justify one in believing it. An obvious proposition is one that immediately seems true for anyone who adequately understands it, but its obviousness may rest on wellknown and commonly accepted empirical facts, not on understanding. All analytic propositions are self-evident but not all self-evident propositions are analytic. The propositions that if A is older than B, then B is younger than A, and that no object can be red and green all over at the same time and in the same respects, are arguably self-evident but not analytic. All self-evident propositions are necessary, for one could not be justified in believing a contingent proposition simply in virtue of understanding it. However, not all necessary propositions are self-evident, e.g., that water is H2O and that temperature is the measure of the molecular activity in substances are necessary but not self-evident. A proposition can appear to be selfevident even though it is not. For instance, the proposition that all unmarried adult males are bachelors will appear self-evident to many until they consider that the pope is such a male. A proposition may appear self-evident to some but not to others, even though it must either have or lack the property of being self-evident. Self-evident propositions are knowable non-empirically, or a priori, but some propositions knowable a priori are not self-evident, e.g., certain conclusions of long and difficult chains of mathematical reasoning. 

 

auto-present: self-presenting, in the philosophy of Meinong, having the ability  common to all mental states  to be immediately present to our thought. “Meinong was too German to be Englishtake ‘wahrnehmen,’ to perceive, to take notice, to ‘verum’-sit.!” Warhnehmungvorstellung is perceptual representationChisholm, alas, never gives, typically in a second-tier varsity, to give the correct citation, when he claims, to impress, that he is ‘borrowing’ from Meinong, never to return! (“also typical of a second-tier!” -- Grice). In Meinong’s view, no mental state can be presented to our thought in any other way  e.g., indirectly, via a Lockean “idea of reflection.” The only way to apprehend a mental state is to experience or “live through” it. The experience involved in the apprehension of an external object has thus a double presentational function: 1 via its “content” it presents the object to our thought; 2 as its own “quasi-content” it presents itself immediately to our thought. In the contemporary era, Roderick Chisholm has based his account of empirical knowledge in part on a related concept of the self-presenting. In Chisholm’s sense  the definition of which we omit here  all self-presenting states are mental, but not conversely; for instance, being depressed because of the death of one’s spouse would not be self-presenting. In Chisholm’s epistemology, self-presenting states are a source of certainty in the following way: if F is a self-presenting state, then to be certain that one is in state F it is sufficient that one is, and believes oneself to be in state F. Cf. untranslatable, ‘sui,’ ‘ipse,’ ‘idem’. Presentatum de se.

 

auto- self-reproducing automaton: a formal model of self-reproduction of a kind introduced by von Neumann. He worked with an intuitive robot model and then with a well-defined cellular automaton model. Imagine a class of robotic automata made of robot parts and operating in an environment of such parts. There are computer parts switches, memory elements, wires, input-output parts sensing elements, display elements, action parts grasping and moving elements, joining and cutting elements, and straight bars to maintain structure and to employ in a storage tape. There are also energy sources that enable the robots to operate and move around. These five categories of parts are sufficient for the construction of robots that can make objects of various kinds, including other robots. These parts also clearly suffice for making a robot version of any finite automaton. Sensing and acting parts can then be added to this robot so that it can make an indefinitely expandable storage tape from straight bars. A “blank tape” consists of bars joined in sequence, and the robot stores information on this tape by attaching bars or not at the junctions. If its finite automaton part can execute programs and is sufficiently powerful, such a robot is a universal computing robot cf. a universal Turing machine. A universal computing robot can be augmented to form a universal constructing robot  a robot that can construct any robot, given its description. Let r be any robot with an indefinitely expandable tape, let Fr be the description of its finite part, and let Tr be the information on its tape. Now take a universal computing robot and augment it with sensing and acting devices and with programs so that when Fr followed by Tr is written on its tape, this augmented universal computer performs as follows. First, it reads the description Fr, finds the needed parts, and constructs the finite part of r. Second, it makes a blank tape, attaches it to the finite part of r, and then copies the information Tr from its own tape onto the new tape. This augmentation of a universal computing robot is a universal constructor. For when it starts with the information Fr,Tr written on its tape, it will construct a copy of r with Tr on its tape. Robot self-reproduction results from applying the universal constructor to itself. Modify the universal constructor slightly so that when only a description Fr is written on its tape, it constructs the finite part of r and then attaches a tape with Fr written on it. Call this version of the universal constructor Cu. Now place Cu’s description FCu on its own tape and start it up. Cu first reads this description and constructs a copy of the finite part of itself in an empty region of the cellular space. Then it adds a blank tape to the new construction and copies FCu onto it. Hence Cu with FCu on its tape has produced another copy of Cu with FCu on its tape. This is automaton self-reproduction. This robot model of self-reproduction is very general. To develop the logic of self-reproduction further, von Neumann first extended the concept of a finite automaton to that of an infinite cellular automaton consisting of an array or “space” of cells, each cell containing the same finite automaton. He chose an infinite checkerboard array for modeling self-reproduction, and he specified a particular twenty-nine-state automaton for each square cell. Each automaton is connected directly to its four contiguous neighbors, and communication between neighbors takes one or two time-steps. The twenty-nine states of a cell fall into three categories. There is a blank state to represent the passivity of an empty area. There are twelve states for switching, storage, and communication, from which any finite automaton can be constructed in a sufficiently large region of cells. And there are sixteen states for simulating the activities of construction and destruction. Von Neumann chose these twenty-nine states in such a way that an area of non-blank cells could compute and grow, i.e., activate a path of cells out to a blank region and convert the cells of that region into a cellular automaton. A specific cellular automaton is embedded in this space by the selection of the initial states of a finite area of cells, all other cells being left blank. A universal computer consists of a sufficiently powerful finite automaton with a tape. The tape is an indefinitely long row of cells in which bits are represented by two different cell states. The finite automaton accesses these cells by means of a construction arm that it extends back and forth in rows of cells contiguous to the tape. When activated, this finite automaton will execute programs stored on its tape. A universal constructor results from augmenting the universal computer cf. the robot model. Another construction arm is added, together with a finite automaton controller to operate it. The controller sends signals into the arm to extend it out to a blank region of the cellular space, to move around that region, and to change the states of cells in that region. After the universal constructor has converted the region into a cellular automaton, it directs the construction arm to activate the new automaton and then withdraw from it. Cellular automaton selfreproduction results from applying the universal constructor to itself, as in the robot model. Cellular automata are now studied extensively by humans working interactively with computers as abstract models of both physical and organic systems. See Arthur W. Burks, “Von Neumann’s Self-Reproducing Automata,” in Papers of John von Neumann on Computers and Computer Theory, edited by William Aspray and Arthur Burks, 7. The study of artificial life is an outgrowth of computer simulations of cellular automata and related automata. Cellular automata organizations are sometimes used in highly parallel computers. 

 

semantic: semanticGrice saw ‘semantics’ (he detested the pretentious ‘pragmatics’) as a branch of philosophy. “Surely we cannot expect someone whose training includes phonetics, a totally physical science, to have any saying on the nuances of the communicatum, which is all semantics is about!” -- H. P. Grice, “Logic and conversation”“Meaning,” in P. F. Strawson, “Philosophical Logic,” Oxford -- the arena of philosophy devoted to examining the scope and nature of logic. Aristotle considered logic an organon, or foundation, of knowledge. Certainly, inference is the source of much human knowledge. Logic judges inferences good or bad and tries to justify those that are good. One need not agree with Aristotle, therefore, to see logic as essential to epistemology. Philosophers such as Vitters, additionally, have held that the structure of language reflects the structure of the world. Because inferences have elements that are themselves linguistic or are at least expressible in language, logic reveals general features of the structure of language. This makes it essential to linguistics, and, on a Vittersian view, to metaphysics. Moreover, many philosophical battles have been fought with logical weaponry. For all these reasons, philosophers have tried to understand what logic is, what justifies it, and what it tells us about reason, language, and the world. The nature of logic. Logic might be defined as the science of inference; inference, in turn, as the drawing of a conclusion from premises. A simple argument is a sequence, one element of which, the conclusion, the others are thought to support. A complex argument is a series of simple arguments. Logic, then, is primarily concerned with arguments. Already, however, several questions arise. 1 Who thinks that the premises support the conclusion? The speaker? The audience? Any competent speaker of the language? 2 What are the elements of arguments? Thoughts? Propositions? Philosophers following Quine have found these answers unappealing for lack of clear identity criteria. Sentences are more concrete and more sharply individuated. But should we consider sentence tokens or sentence types? Context often affects interpretation, so it appears that we must consider tokens or types-in-context. Moreover, many sentences, even with contextual information supplied, are ambiguous. Is a sequence with an ambiguous sentence one argument which may be good on some readings and bad on others or several? For reasons that will become clear, the elements of arguments should be the primary bearers of truth and falsehood in one’s general theory of language. 3 Finally, and perhaps most importantly, what does ‘support’ mean? Logic evaluates inferences by distinguishing good from bad arguments. This raises issues about the status of logic, for many of its pronouncements are explicitly normative. The philosophy of logic thus includes problems of the nature and justification of norms akin to those arising in metaethics. The solutions, moreover, may vary with the logical system at hand. Some logicians attempt to characterize reasoning in natural language; others try to systematize reasoning in mathematics or other sciences. Still others try to devise an ideal system of reasoning that does not fully correspond to any of these. Logicians concerned with inference in natural, mathematical, or scientific languages tend to justify their norms by describing inferential practices in that language as actually used by those competent in it. These descriptions justify norms partly because the practices they describe include evaluations of inferences as well as inferences themselves. The scope of logic. Logical systems meant to account for natural language inference raise issues of the scope of logic. How does logic differ from semantics, the science of meaning in general? Logicians have often treated only inferences turning on certain commonly used words, such as ‘not’, ‘if’, ‘and’, ‘or’, ‘all’, and ‘some’, taking them, or items in a symbolic language that correspond to them, as logical constants. They have neglected inferences that do not turn on them, such as My brother is married. Therefore, I have a sister-in-law. Increasingly, however, semanticists have used ‘logic’ more broadly, speaking of the logic of belief, perception, abstraction, or even kinship.  Such uses seem to treat logic and semantics as coextensive. Philosophers who have sought to maintain a distinction between the semantics and logic of natural language have tried to develop non-arbitrary criteria of logical constancy. An argument is valid provided the truth of its premises guarantees the truth of its conclusion. This definition relies on the notion of truth, which raises philosophical puzzles of its own. Furthermore, it is natural to ask what kind of connection must hold between the premises and conclusion. One answer specifies that an argument is valid provided replacing its simple constituents with items of similar categories while leaving logical constants intact could never produce true premises and a false conclusion. On this view, validity is a matter of form: an argument is valid if it instantiates a valid form. Logic thus becomes the theory of logical form. On another view, an argument is valid if its conclusion is true in every possible world or model in which its premises are true. This conception need not rely on the notion of a logical constant and so is compatible with the view that logic and semantics are coextensive. Many issues in the philosophy of logic arise from the plethora of systems logicians have devised. Some of these are deviant logics, i.e., logics that differ from classical or standard logic while seeming to treat the same subject matter. Intuitionistic logic, for example, which interprets the connectives and quantifiers non-classically, rejecting the law of excluded middle and the interdefinability of the quantifiers, has been supported with both semantic and ontological arguments. Brouwer, Heyting, and others have defended it as the proper logic of the infinite; Dummett has defended it as the correct logic of natural language. Free logic allows non-denoting referring expressions but interprets the quantifiers as ranging only over existing objects. Many-valued logics use at least three truthvalues, rejecting the classical assumption of bivalence  that every formula is either true or false. Many logical systems attempt to extend classical logic to incorporate tense, modality, abstraction, higher-order quantification, propositional quantification, complement constructions, or the truth predicate. These projects raise important philosophical questions. Modal and tense logics. Tense is a pervasive feature of natural language, and has become important to computer scientists interested in concurrent programs. Modalities of several sorts  alethic possibility, necessity and deontic obligation, permission, for example  appear in natural language in various grammatical guises. Provability, treated as a modality, allows for revealing formalizations of metamathematics. Logicians have usually treated modalities and tenses as sentential operators. C. I. Lewis and Langford pioneered such approaches for alethic modalities; von Wright, for deontic modalities; and Prior, for tense. In each area, many competing systems developed; by the late 0s, there were over two hundred axiom systems in the literature for propositional alethic modal logic alone. How might competing systems be evaluated? Kripke’s semantics for modal logic has proved very helpful. Kripke semantics in effect treats modal operators as quantifiers over possible worlds. Necessarily A, e.g., is true at a world if and only if A is true in all worlds accessible from that world. Kripke showed that certain popular axiom systems result from imposing simple conditions on the accessibility relation. His work spawned a field, known as correspondence theory, devoted to studying the relations between modal axioms and conditions on models. It has helped philosophers and logicians to understand the issues at stake in choosing a modal logic and has raised the question of whether there is one true modal logic. Modal idioms may be ambiguous or indeterminate with respect to some properties of the accessibility relation. Possible worlds raise additional ontological and epistemological questions. Modalities and tenses seem to be linked in natural language, but attempts to bring tense and modal logic together remain young. The sensitivity of tense to intra- and extralinguistic context has cast doubt on the project of using operators to represent tenses. Kamp, e.g., has represented tense and aspect in terms of event structure, building on earlier work by Reichenbach. Truth. Tarski’s theory of truth shows that it is possible to define truth recursively for certain languages. Languages that can refer to their own sentences, however, permit no such definition given Tarski’s assumptions  for they allow the formulation of the liar and similar paradoxes. Tarski concluded that, in giving the semantics for such a language, we must ascend to a more powerful metalanguage. Kripke and others, however, have shown that it is possible for a language permitting self-reference to contain its own truth    680 predicate by surrendering bivalence or taking the truth predicate indexically. Higher-order logic. First-order predicate logic allows quantification only over individuals. Higher-order logics also permit quantification over predicate positions. Natural language seems to permit such quantification: ‘Mary has every quality that John admires’. Mathematics, moreover, may be expressed elegantly in higher-order logic. Peano arithmetic and Zermelo-Fraenkel set theory, e.g., require infinite axiom sets in firstorder logic but are finitely axiomatizable  and categorical, determining their models up to isomorphism  in second-order logic. Because they quantify over properties and relations, higher-order logics seem committed to Platonism. Mathematics reduces to higher-order logic; Quine concludes that the latter is not logic. Its most natural semantics seems to presuppose a prior understanding of properties and relations. Also, on this semantics, it differs greatly from first-order logic. Like set theory, it is incomplete; it is not compact. This raises questions about the boundaries of logic. Must logic be axiomatizable? Must it be possible, i.e., to develop a logical system powerful enough to prove every valid argument valid? Could there be valid arguments with infinitely many premises, any finite fragment of which would be invalid? With an operator for forming abstract terms from predicates, higher-order logics easily allow the formulation of paradoxes. Russell and Whitehead for this reason adopted type theory, which, like Tarski’s theory of truth, uses an infinite hierarchy and corresponding syntactic restrictions to avoid paradox. Type-free theories avoid both the restrictions and the paradoxes, as with truth, by rejecting bivalence or by understanding abstraction indexically. Refs.: H. P. Grice, “Why I don’t use ‘logic,’ but I use ‘semantic.’”Grice was careful with what he felt was an abuse of ‘semantic’v. Evans: “Meaning and truth: essayis in semantics.” “Well, that’s what ‘meaning’ means, right?” The semantics is more reated to the signatum than to the significatum. The Grecians did not have anything remotely similar to the significatum, which is all about the making (facere) of a sign (as in Grice’s example of the handwave). This is the meaning Grice gives to ‘semantics.’ There is no need for the handwave to be part of a system of communication, or have syntactic structure, or be ‘arbitrary.’ Still, one thing is communicated from the emissor to his recipient, and that is all count. “I know the route” is the message, or “I will leave you soon.” The handwave may be ambiguous. Grice is aware that formalists like Hilbert and Gentzen think that they can do without semanticsbut as long as there is something ‘transmitted,’ or ‘messaged,’ it cannot. In the one-off predicament, Emissor E emits x and communicates that p. Since an intention with a content involving a psychological state is involved and attached, even in a one-off, to ‘x,’ we can legitimately say the scenario may be said to describe a ‘semantic’ phenomenon. Grice would freely use ‘semantic,’ and the root for ‘semantics,’ that Grice does use, involves the richest root of all Grecian roots: the ‘semion.’ Liddell and Scott have “τό σημεῖον,” Ion. σημήϊον , Dor. σα_μήϊον IG12(3).452 (Thera, iv B.C.), σα_μεῖον IPE12.352.25 (Chersonesus, ii B.C.), IG5(1).1390.16 (Andania, i B.C.), σα_μᾶον CIG5168 (Cyrene); = σῆμα in all senses, and more common in Prose, but never in Hom. or Hes.; and which they render as “mark by which a thing is known,” Hdt.2.38;” they also have “τό σῆμα,” Dor. σᾶμα Berl.Sitzb.1927.161 (Cyrene), etc.; which they render as “sign, mark, token,” “ Il.10.466, 23.326, Od.19.250, etc.” Grice lectured not only on Cat. But the next, De Int. As Arsitotle puts it, an expression is a symbol (symbolon) or sign (semeion) of an affections or impression (pathematon) of the soul (psyche). An affection of the soul, of which a word is  primarily a sign, are the same for the whole of mankind, as is also objects (pragmaton) of which the affections is a representation or likenes, image, or copiy (homoiomaton).  [De Int., 1.16a4]  while Grice is NOT concerned about the semantics of utterers meaning (how could he, when he analyses  means  in terms of  intends , he is about the semantics of  expression-meaning. Grices second stage (expression meaing) of his programme about meaning begins with specifications of means as applied to x, a token of X. He is having Tarski and Davidson in their elaborations of schemata like ‘p’ ‘means’ that p. ‘Snow is white’ ‘means’ that snow is white, and stuff! Grice was especially concerned with combinatories, for both unary and dyadic operators, and with multiple quantifications within a first-order predicate calculus with identity. Since in Grice’s initial elaboration on meaning he relies on Stevenson, it is worth exploring how ‘semantics’ and ‘semiotics’ were interpreted by Peirce and the emotivists. Stevenson’s main source is however in the other place, though, under Stevenson. SemanticscommunicationH. P. Grice, “Implicaturum and Explicature: The basis of communication”“Communication and Intention” -- philosophy of language, the philosophical study of natural language and its workings, particularly of linguistic meaning and the use of language. A natural language is any one of the thousands of various tongues that have developed historically among populations of human beings and have been used for everyday purposes  including English, , Swahili, and Latin  as opposed to the formal and other artificial “languages” invented by mathematicians, logicians, and computer scientists, such as arithmetic, the predicate calculus, and LISP or COBOL. There are intermediate cases, e.g., Esperanto, Pig Latin, and the sort of “philosophese” that mixes English words with logical symbols. Contemporary philosophy of language centers on the theory of meaning, but also includes the theory of reference, the theory of truth, philosophical pragmatics, and the philosophy of linguistics. The main question addressed by the theory of meaning is: In virtue of what are certain physical marks or noises meaningful linguistic expressions, and in virtue of what does any particular set of marks or noises have the distinctive meaning it does? A theory of meaning should also give a comprehensive account of the “meaning phenomena,” or general semantic properties of sentences: synonymy, ambiguity, entailment, and the like. Some theorists have thought to express these questions and issues in terms of languageneutral items called propositions: ‘In virtue of what does a particular set of marks or noises express the proposition it does?’; cf. ‘ “La neige est blanche” expresses the proposition that snow is white’, and ‘Synonymous sentences express the same proposition’. On this view, to understand a sentence is to “grasp” the proposition expressed by that sentence. But the explanatory role and even the existence of such entities are disputed. It has often been maintained that certain special sentences are true solely in virtue of their meanings and/or the meanings of their component expressions, without regard to what the nonlinguistic world is like ‘No bachelor is married’; ‘If a thing is blue it is colored’. Such vacuously true sentences are called analytic. However, Quine and others have disputed whether there really is such a thing as analyticity. Philosophers have offered a number of sharply competing hypotheses as to the nature of meaning, including: 1 the referential view that words mean by standing for things, and that a sentence means what it does because its parts correspond referentially to the elements of an actual or possible state of affairs in the world; 2 ideational or mentalist theories, according to which meanings are ideas or other psychological phenomena in people’s minds; 3 “use” theories, inspired by Vitters and to a lesser extent by J. L. Austin: a linguistic expression’s “meaning” is its conventionally assigned role as a game-piece-like token used in one or more existing social practices; 4 H. P. Grice’s hypothesis that a sentence’s or word’s meaning is a function of what audience response a typical utterer would intend to elicit in uttering it. 5 inferential role theories, as developed by Wilfrid Sellars out of Carnap’s and Vitters’s views: a sentence’s meaning is specified by the set of sentences from which it can correctly be inferred and the set of those which can be inferred from it Sellars himself provided for “language-entry” and “language-exit” moves as partly constitutive of meaning, in addition to inferences; 6 verificationism, the view that a sentence’s meaning is the set of possible experiences that would confirm it or provide evidence for its truth; 7 the truth-conditional theory: a sentence’s meaning is the distinctive condition under which it is true, the situation or state of affairs that, if it obtained, would make the sentence true; 8 the null hypothesis, or eliminativist view, that “meaning” is a myth and there is no such thing  a radical claim that can stem either from Quine’s doctrine of the indeterminacy of translation or from eliminative materialism in the philosophy of mind. Following the original work of Carnap, Alonzo Church, Hintikka, and Richard Montague in the 0s, the theory of meaning has made increasing use of “possible worlds”based intensional logic as an analytical apparatus. Propositions sentence meanings considered as entities, and truth conditions as in 7 above, are now commonly taken to be structured sets of possible worlds  e.g., the set of worlds in which Aristotle’s maternal grandmother hates broccoli. And the structure imposed on such a set, corresponding to the intuitive constituent structure of a proposition as the concepts ‘grandmother’ and ‘hate’ are constituents of the foregoing proposition, accounts for the meaning-properties of sentences that express the proposition. Theories of meaning can also be called semantics, as in “Gricean semantics” or “Verificationist semantics,” though the term is sometimes restricted to referential and/or truth-conditional theories, which posit meaning-constitutive relations between words and the nonlinguistic world. Semantics is often contrasted with syntax, the structure of grammatically permissible ordering relations between words and other words in well-formed sentences, and with pragmatics, the rules governing the use of meaningful expressions in particular speech contexts; but linguists have found that semantic phenomena cannot be kept purely separate either from syntactic or from pragmatic phenomena. In a still more specialized usage, linguistic semantics is the detailed study typically within the truth-conditional format of particular types of construction in particular natural languages, e.g., belief-clauses in English or adverbial phrases in Kwakiutl. Linguistic semantics in that sense is practiced by some philosophers of language, by some linguists, and occasionally by both working together. Montague grammar and situation semantics are common formats for such work, both based on intensional logic. The theory of referenceis pursued whether or not one accepts either the referential or the truthconditional theory of meaning. Its main question is: In virtue of what does a linguistic expression designate one or more things in the world? Prior to theorizing and defining of technical uses, ‘designate’, ‘denote’, and ‘refer’ are used interchangeably. Denoting expressions are divided into singular terms, which purport to designate particular individual things, and general terms, which can apply to more than one thing at once. Singular terms include proper names ‘Cindy’, ‘Bangladesh’, definite descriptions ‘my brother’, ‘the first baby born in the New World’, and singular pronouns of various types ‘this’, ‘you’, ‘she’. General terms include common nouns ‘horse’, ‘trash can’, mass terms ‘water’, ‘graphite’, and plural pronouns ‘they’, ‘those’. The twentieth century’s dominant theory of reference has been the description theory, the view that linguistic terms refer by expressing descriptive features or properties, the referent being the item or items that in fact possess those properties. For example, a definite description does that directly: ‘My brother’ denotes whatever person does have the property of being my brother. According to the description theory of proper names, defended most articulately by Russell, such names express identifying properties indirectly by abbreviating definite descriptions. A general term such as ‘horse’ was thought of as expressing a cluster of properties distinctive of horses; and so forth. But the description theory came under heavy attack in the late 0s, from Keith Donnellan, Kripke, and Putnam, and was generally abandoned on each of several grounds, in favor of the causal-historical theory of reference. The causal-historical idea is that a particular use of a linguistic expression denotes by being etiologically grounded in the thing or group that is its referent; a historical causal chain of a certain shape leads backward in time from the act of referring to the referents. More recently, problems with the causal-historical theory as originally formulated have led researchers to backpedal somewhat and incorporate some features of the description theory. Other views of reference have been advocated as well, particularly analogues of some of the theories of meaning listed above  chiefly 26 and 8. Modal and propositional-attitude contexts create special problems in the theory of reference, for referring expressions seem to alter their normal semantic behavior when they occur within such contexts. Much ink has been spilled over the question of why and how the substitution of a term for another term having exactly the same referent can change the truth-value of a containing modal or propositional-attitude sentence. Interestingly, the theory of truth historically predates articulate study of meaning or of reference, for philosophers have always sought the nature of truth. It has often been thought that a sentence is true in virtue of expressing a true belief, truth being primarily a property of beliefs rather than of linguistic entities; but the main theories of truth have also been applied to sentences directly. The correspondence theory maintains that a sentence is true in virtue of its elements’ mirroring a fact or actual state of affairs. The coherence theory instead identifies truth as a relation of the true sentence to other sentences, usually an epistemic relation. Pragmatic theories have it that truth is a matter either of practical utility or of idealized epistemic warrant. Deflationary views, such as the traditional redundancy theory and D. Grover, J. Camp, and N. D. Belnap’s prosentential theory, deny that truth comes to anything more important or substantive than what is already codified in a recursive Tarskian truth-definition for a language. Pragmatics studies the use of language in context, and the context-dependence of various aspects of linguistic interpretation. First, one and the same sentence can express different meanings or propositions from context to context, owing to ambiguity or to indexicality or both. An ambiguous sentence has more than one meaning, either because one of its component words has more than one meaning as ‘bank’ has or because the sentence admits of more than one possible syntactic analysis ‘Visiting doctors can be tedious’, ‘The mouse tore up the street’. An indexical sentence can change in truth-value from context to context owing to the presence of an element whose reference fluctuates, such as a demonstrative pronoun ‘She told him off yesterday’, ‘It’s time for that meeting now’. One branch of pragmatics investigates how context determines a single propositional meaning for a sentence on a particular occasion of that sentence’s use. Speech act theory is a second branch of pragmatics that presumes the propositional or “locutionary” meanings of utterances and studies what J. L. Austin called the illocutionary forces of those utterances, the distinctive types of linguistic act that are performed by the speaker in making them. E.g., in uttering ‘I will be there tonight’, a speaker might be issuing a warning, uttering a threat, making a promise, or merely offering a prediction, depending on conventional and other social features of the situation. A crude test of illocutionary force is the “hereby” criterion: one’s utterance has the force of, say, a warning, if it could fairly have been paraphrased by the corresponding “explicitly performative” sentence beginning ‘I hereby warn you that . . .’..Speech act theory interacts to some extent with semantics, especially in the case of explicit performatives, and it has some fairly dramatic syntactic effects as well. A third branch of pragmatics not altogether separate from the second is the theory of conversation or theory of implicaturum, founded by H. P. Grice. Grice notes that sentences, when uttered in particular contexts, often generate “implications” that are not logical consequences of those sentences ‘Is Jones a good philosopher?’  ’He has very neat handwriting’. Such implications can usually be identified as what the speaker meant in uttering her sentence; thus for that reason and others, what Grice calls utterer’s meaning can diverge sharply from sentence-meaning or “timeless” meaning. To explain those non-logical implications, Grice offered a now widely accepted theory of conversational implicaturum. Conversational implicaturums arise from the interaction of the sentence uttered with mutually shared background assumptions and certain principles of efficient and cooperative conversation. The philosophy of linguistics studies the academic discipline of linguistics, particularly theoretical linguistics considered as a science or purported science; it examines methodology and fundamental assumptions, and also tries to incorporate linguists’ findings into the rest of philosophy of language. Theoretical linguistics concentrates on syntax, and took its contemporary form in the 0s under Zellig Harris and Chomsky: it seeks to describe each natural language in terms of a generative grammar for that language, i.e., a set of recursive rules for combining words that will generate all and only the “well-formed strings” or grammatical sentences of that language. The set must be finite and the rules recursive because, while our informationprocessing resources for recognizing grammatical strings as such are necessarily finite being subagencies of our brains, there is no limit in any natural language either to the length of a single grammatical sentence or to the number of grammatical sentences; a small device must have infinite generative and parsing capacity. Many grammars work by generating simple “deep structures” a kind of tree diagram, and then producing multiple “surface structures” as variants of those deep structures, by means of rules that rearrange their parts. The surface structures are syntactic parsings of natural-language sentences, and the deep structures from which they derive encode both basic grammatical relations between the sentences’ major constituents and, on some theories, the sentences’ main semantic properties as well; thus, sentences that share a deep structure will share some fundamental grammatical properties and all or most of their semantics. As Paul Ziff and Davidson saw in the 0s, the foregoing syntactic problem and its solution had semantic analogues. From small resources, human speakers understand  compute the meanings of  arbitrarily long and novel sentences without limit, and almost instantaneously. This ability seems to require semantic compositionality, the thesis that the meaning of a sentence is a function of the meanings of its semantic primitives or smallest meaningful parts, built up by way of syntactic compounding. Compositionality also seems to be required by learnability, since a normal child can learn an infinitely complex dialect in at most two years, but must learn semantic primitives one at a time. A grammar for a natural language is commonly taken to be a piece of psychology, part of an explanation of speakers’ verbal abilities and behavior. As such, however, it is a considerable idealization: it is a theory of speakers’ linguistic “competence” rather than of their actual verbal performance. The latter distinction is required by the fact that speakers’ considered, reflective judgments of grammatical correctness do not line up very well with the class of expressions that actually are uttered and understood unreflectively by those same speakers. Some grammatical sentences are too hard for speakers to parse quickly; some are too long to finish parsing at all; speakers commonly utter what they know to be formally ungrammatical strings; and real speech is usually fragmentary, interspersed with vocalizations, false starts, and the like. Actual departures from formal grammaticality are ascribed by linguists to “performance limitations,” i.e., psychological factors such as memory failure, weak computational capacity, or heedlessness; thus, actual verbal behavior is to be explained as resulting from the perturbation of competence by performance limitations.  Refs.: The main sources are his lectures on language and realitypart of them repr. in WOW. The keywords under ‘communication,’ and ‘signification,’ that Grice occasionally uses ‘the total signification’ of a remark, above, BANC. -- semantic holism, a metaphysical thesis about the nature of representation on which the meaning of a symbol is relative to the entire system of representations containing it. Thus, a linguistic expression can have meaning only in the context of a language; a hypothesis can have significance only in the context of a theory; a concept can have intentionality only in the context of the belief system. Holism about content has profoundly influenced virtually every aspect of contemporary theorizing about language and mind, not only in philosophy, but in linguistics, literary theory, artificial intelligence, psychology, and cognitive science. Contemporary semantic holists include Davidson, Quine, Gilbert Harman, Hartry Field, and Searle. Because semantic holism is a metaphysical and not a semantic thesis, two theorists might agree about the semantic facts but disagree about semantic holism. So, e.g., nothing in Tarski’s writings determines whether the semantic facts expressed by the theorems of an absolute truth semantic atomism semantic holism 829    829 theory are holistic or not. Yet Davidson, a semantic holist, argued that the correct form for a semantic theory for a natural language L is an absolute truth theory for L. Semantic theories, like other theories, need not wear their metaphysical commitments on their sleeves. Holism has some startling consequences. Consider this. Franklin D. Roosevelt who died when the United States still had just forty-eight states did not believe there were fifty states, but I do; semantic holism says that what ‘state’ means in our mouths depends on the totality of our beliefs about states, including, therefore, our beliefs about how many states there are. It seems to follow that he and I must mean different things by ‘state’; hence, if he says “Alaska is not a state” and I say “Alaska is a state” we are not disagreeing. This line of argument leads to such surprising declarations as that natural langauges are not, in general, intertranslatable Quine, Saussure; that there may be no fact of the matter about the meanings of texts Putnam, Derrida; and that scientific theories that differ in their basic postulates are “empirically incommensurable” Paul Feyerabend, Kuhn. For those who find these consequences of semantic holism unpalatable, there are three mutually exclusive responses: semantic atomism, semantic molecularism, or semantic nihilism. Semantic atomists hold that the meaning of any representation linguistic, mental, or otherwise is not determined by the meaning of any other representation. Historically, Anglo- philosophers in the eighteenth and nineteenth centuries thought that an idea of an X was about X’s in virtue of this idea’s physically resembling X’s. Resemblance theories are no longer thought viable, but a number of contemporary semantic atomists still believe that the basic semantic relation is between a concept and the things to which it applies, and not one among concepts themselves. These philosophers include Dretske, Dennis Stampe, Fodor, and Ruth Millikan. Semantic molecularism, like semantic holism, holds that the meaning of a representation in a language L is determined by its relationships to the meanings of other expressions in L, but, unlike holism, not by its relationships to every other expression in L. Semantic molecularists are committed to the view, contrary to Quine, that for any expression e in a language L there is an in-principle way of distinguishing between those representations in L the meanings of which determine the meaning of e and those representations in L the meanings of which do not determine the meaning of e. Traditionally, this inprinciple delimitation is supported by an analytic/synthetic distinction. Those representations in L that are meaning-constituting of e are analytically connected to e and those that are not meaning-constituting are synthetically connected to e. Meaning molecularism seems to be the most common position among those philosophers who reject holism. Contemporary meaning molecularists include Michael Devitt, Dummett, Ned Block, and John Perry. Semantic nihilism is perhaps the most radical response to the consequences of holism. It is the view that, strictly speaking, there are no semantic properties. Strictly speaking, there are no mental states; words lack meanings. At least for scientific purposes and perhaps for other purposes as well we must abandon the notion that people are moral or rational agents and that they act out of their beliefs and desires. Semantic nihilists include among their ranks Patricia and Paul Churchland, Stephen Stich, Dennett, and, sometimes, Quine.  -- semantic paradoxes, a collection of paradoxes involving the semantic notions of truth, predication, and definability. The liar paradox is the oldest and most widely known of these, having been formulated by Eubulides as an objection to Aristotle’s correspondence theory of truth. In its simplest form, the liar paradox arises when we try to assess the truth of a sentence or proposition that asserts its own falsity, e.g.: A Sentence A is not true. It would seem that sentence A cannot be true, since it can be true only if what it says is the case, i.e., if it is not true. Thus sentence A is not true. But then, since this is precisely what it claims, it would seem to be true. Several alternative forms of the liar paradox have been given their own names. The postcard paradox, also known as a liar cycle, envisions a postcard with sentence B on one side and sentence C on the other: B The sentence on the other side of this card is true. semantic molecularism semantic paradoxes 830    830 C The sentence on the other side of this card is false. Here, no consistent assignment of truth-values to the pair of sentences is possible. In the preface paradox, it is imagined that a book begins with the claim that at least one sentence in the book is false. This claim is unproblematically true if some later sentence is false, but if the remainder of the book contains only truths, the initial sentence appears to be true if and only if false. The preface paradox is one of many examples of contingent liars, claims that can either have an unproblematic truth-value or be paradoxical, depending on the truth-values of various other claims in this case, the remaining sentences in the book. Related to the preface paradox is Epimenedes’ paradox: Epimenedes, himself from Crete, is said to have claimed that all Cretans are liars. This claim is paradoxical if interpreted to mean that Cretans always lie, or if interpreted to mean they sometimes lie and if no other claim made by Epimenedes was a lie. On the former interpretation, this is a simple variation of the liar paradox; on the latter, it is a form of contingent liar. Other semantic paradoxes include Berry’s paradox, Richard’s paradox, and Grelling’s paradox. The first two involve the notion of definability of numbers. Berry’s paradox begins by noting that names or descriptions of integers consist of finite sequences of syllables. Thus the three-syllable sequence ‘twenty-five’ names 25, and the seven-syllable sequence ‘the sum of three and seven’ names ten. Now consider the collection of all sequences of English syllables that are less than nineteen syllables long. Of these, many are nonsensical ‘bababa’ and some make sense but do not name integers ‘artichoke’, but some do ‘the sum of three and seven’. Since there are only finitely many English syllables, there are only finitely many of these sequences, and only finitely many integers named by them. Berry’s paradox arises when we consider the eighteen-syllable sequence ‘the smallest integer not nameable in less than nineteen syllables’. This phrase appears to be a perfectly well-defined description of an integer. But if the phrase names an integer n, then n is nameable in less than nineteen syllables, and hence is not described by the phrase. Richard’s paradox constructs a similarly paradoxical description using what is known as a diagonal construction. Imagine a list of all finite sequences of letters of the alphabet plus spaces and punctuation, ordered as in a dictionary. Prune this list so that it contains only English definitions of real numbers between 0 and 1. Then consider the definition: “Let r be the real number between 0 and 1 whose kth decimal place is  if the kth decimal place of the number named by the kth member of this list is 1, and 0 otherwise’. This description seems to define a real number that must be different from any number defined on the list. For example, r cannot be defined by the 237th member of the list, because r will differ from that number in at least its 237th decimal place. But if it indeed defines a real number between 0 and 1, then this description should itself be on the list. Yet clearly, it cannot define a number different from the number defined by itself. Apparently, the definition defines a real number between 0 and 1 if and only if it does not appear on the list of such definitions. Grelling’s paradox, also known as the paradox of heterologicality, involves two predicates defined as follows. Say that a predicate is “autological” if it applies to itself. Thus ‘polysyllabic’ and ‘short’ are autological, since ‘polysyllabic’ is polysyllabic, and ‘short’ is short. In contrast, a predicate is “heterological” if and only if it is not autological. The question is whether the predicate ‘heterological’ is heterological. If our answer is yes, then ‘heterological’ applies to itself  and so is autological, not heterological. But if our answer is no, then it does not apply to itself  and so is heterological, once again contradicting our answer. The semantic paradoxes have led to important work in both logic and the philosophy of language, most notably by Russell and Tarski. Russell developed the ramified theory of types as a unified treatment of all the semantic paradoxes. Russell’s theory of types avoids the paradoxes by introducing complex syntactic conditions on formulas and on the definition of new predicates. In the resulting language, definitions like those used in formulating Berry’s and Richard’s paradoxes turn out to be ill-formed, since they quantify over collections of expressions that include themselves, violating what Russell called the vicious circle principle. The theory of types also rules out, on syntactic grounds, predicates that apply to themselves, or to larger expressions containing those very same predicates. In this way, the liar paradox and Grelling’s paradox cannot be constructed within a language conforming to the theory of types. Tarski’s attention to the liar paradox made two fundamental contributions to logic: his development of semantic techniques for defining the truth predicate for formalized languages and his proof of Tarski’s theorem. Tarskian semantics avoids the liar paradox by starting with a formal language, call it L, in which no semantic notions are expressible, and hence in which the liar paradox cannot be formulated. Then using another language, known as the metalanguage, Tarski applies recursive techniques to define the predicate true-in-L, which applies to exactly the true sentences of the original language L. The liar paradox does not arise in the metalanguage, because the sentence D Sentence D is not true-in-L. is, if expressible in the metalanguage, simply true. It is true because D is not a sentence of L, and so a fortiori not a true sentence of L. A truth predicate for the metalanguage can then be defined in yet another language, the metametalanguage, and so forth, resulting in a sequence of consistent truth predicates. Tarski’s theorem uses the liar paradox to prove a significant result in logic. The theorem states that the truth predicate for the first-order language of arithmetic is not definable in arithmetic. That is, if we devise a systematic way of representing sentences of arithmetic by numbers, then it is impossible to define an arithmetical predicate that applies to all and only those numbers that represent true sentences of arithmetic. The theorem is proven by showing that if such a predicate were definable, we could construct a sentence of arithmetic that is true if and only if it is not true: an arithmetical version of sentence A, the liar paradox. Both Russell’s and Tarski’s solutions to the semantic paradoxes have left many philosophers dissatisfied, since the solutions are basically prescriptions for constructing languages in which the paradoxes do not arise. But the fact that paradoxes can be avoided in artificially constructed languages does not itself give a satisfying explanation of what is going wrong when the paradoxes are encountered in natural language, or in an artificial language in which they can be formulated. Most recent work on the liar paradox, following Kripke’s “Outline of a Theory of Truth” 5, looks at languages in which the paradox can be formulated, and tries to provide a consistent account of truth that preserves as much as possible of the intuitive notion.

 

semeiotics: semiological: or is it semiotics? Cf. semiological, semotic. Since Grice uses ‘philosophical psychology’ and ‘philosopical biology,’ it may do to use ‘semiology,’ indeed ‘philosophical semiology,’ here.  Oxonian semiotics is unique. Holloway published his “Language and Intelligence” and everyone was excited. It is best to see this as Grices psychologism. Grice would rarely use ‘intelligent,’ less so the more pretentious, ‘intelligence,’ as a keyword. If he is doing it, it is because what he saw as the misuse of it by Ryle and Holloway. Holloway, a PPE, is a tutorial fellow in philosophy at All Souls. He acknowledges Ryle as his mentor. (Holloway also quotes from Austin). Grice was amused that J. N. Findlay, in his review of Holloway’s essay in “Mind,” compares Holloway to C. W. Morris, and cares to cite the two relevant essay by Morris: The Foundation in the theory of signs, and Signs, Language, and Behaviour. Enough for Grice to feel warmly justified in having chosen another New-World author, Peirce, for his earlier Oxford seminar. Morris studied under G. H. Mead. But is ‘intelligence’ part of The Griceian Lexicon?Well, Lewis and Short have ‘interlegere,’ to chose between. Lewis and Short have ‘interlĕgo , lēgi, lectum, 3, v. a., I’.which they render it as “to cull or pluck off here and there (poet. and postclass.).in tmesi) uncis Carpendae manibus frondes, interque legendae, Verg. G. 2, 366: “poma,” Pall. Febr. 25, 16; id. Jun. 5, 1.intellĕgo (less correctly intellĭgo), exi, ectum (intellexti for intellexisti, Ter. Eun. 4, 6, 30; Cic. Att. 13, 32, 3: I.“intellexes for intellexisses,” Plaut. Cist. 2, 3, 81; subj. perf.: “intellegerint,” Sall. H. Fragm. 1, 41, 23 Dietsch); “inter-lego,” “to see into, perceive, understand.” I. Lit. A. Lewis and Short render as “to perceive, understand, comprehend.” Cf. Grice on his handwriting being legible to few. And The child is an adult as being UNintelligible until the creature is produced. In “Aspects,” he mentions flat rationality, and certain other talents that are more difficult for the philosopher to conceptualise, such as nose (i.e. intuitiveness), acumen, tenacity, and such. Grices approach is Pological. If Locke had used intelligent to refer to Prince Maurices parrot, Grice wants to find criteria for intelligent as applied to his favourite type of P, rather (intelligent, indeed rational.). semiosis from Grecian semeiosis, ‘observation of signs’, the relation of signification involving the three relata of sign, object, and mind. Semiotic is the science or study of semiosis. The semiotic of John of Saint Thomas and of Peirce includes two distinct components: the relation of signification and the classification of signs. The relation of signification is genuinely triadic and cannot be reduced to the sum of its three subordinate dyads: sign-object, sign-mind, object-mind. A sign represents an object to a mind just as A gives a gift to B. Semiosis is not, as it is often taken to be, a mere compound of a sign-object dyad and a sign-mind dyad because these dyads lack the essential intentionality that unites mind with object; similarly, the gift relation involves not just A giving and B receiving but, crucially, the intention uniting A and B. In the Scholastic logic of John of Saint Thomas, the sign-object dyad is a categorial relation secundum esse, that is, an essential relation, falling in Aristotle’s category of relation, while the sign-mind dyad is a transcendental relation secundum dici, that is, a relation only in an analogical sense, in a manner of speaking; thus the formal rationale of semiosis is constituted by the sign-object dyad. By contrast, in Peirce’s logic, the sign-object dyad and the sign-mind dyad are each only potential semiosis: thus, the hieroglyphs of ancient Egypt were merely potential signs until the discovery of the Rosetta Stone, just as a road-marking was a merely potential sign to the driver who overlooked it. Classifications of signs typically follow from the logic of semiosis. Thus John of Saint Thomas divides signs according to their relations to their objects into natural signs smoke as a sign of fire, customary signs napkins on the table as a sign that dinner is imminent, and stipulated signs as when a neologism is coined; he also divides signs according to their relations to a mind. An instrumental sign must first be cognized as an object before it can signify e.g., a written word or a symptom; a formal sign, by contrast, directs the mind to its object without having first been cognized e.g., percepts and concepts. Formal signs are not that which we cognize but that by which we cognize. All instrumental signs presuppose the action of formal signs in the semiosis of cognition. Peirce similarly classified signs into three trichotomies according to their relations with 1 themselves, 2 their objects, and 3 their interpretants usually minds; and Charles Morris, who followed Peirce closely, called the relationship of signs to one another the syntactical dimension of semiosis, the relationship of signs to their objects the semantical dimension of semiosis, and the relationship of signs to their interpreters the pragmatic dimension of semiosis.  Refs.: The most specific essay is his lecture on Peirce, listed under ‘communication, above. A reference to ‘criteria of intelligence relates. The H. P. Grice Papers, BANC.

 

mittente – trasmittente – destinatario – ricevente --. sender: Grice: “Italian has it easy: there’s the mittente – from the Latin, of course – and there’s the destinatario --; but even if it is not “linguaggio filosofico,” Italian philosophers like to play: so there’s also the “trasmittente” and the “ricevente.” My theory exactly.” Grice: “Surely, if there is a ‘recipient,’ there must be a ‘sender.’” Grice: “I prefer ‘sender’ as correlative for ‘recipient,’ since there is an embedded intentionality about it.” Cf. Sting, “Message in a bottlesending out an S. O. S.”Grice: “Addresser and addressee sound otiose.”Grice: “Then there’s this jargon of the ‘target’ addressee’while we are in the metaphorical mode!” -- emissor: utterer: cf. emissum, emissor. Usually Homo sapiens sapiensand usually Oxonian, the Homo sapiens sapiens Grice interactes with. Sometimes tutees, sometimes tutor. There is something dualistic about the ‘utterer.’ It is a vernacularism from English ‘out.’ So the French impressionists were into IM-pressing, out to in; the German expressionists were into EX-pressing, in to out. Or ‘man’. The important thing is for Grice to avoid ‘speaker.’ He notes that ‘utterance’ has a nice fuzziness about it. He still notes that he is using ‘utter’ in a ‘perhaps artificial’ way. He was already wedded to ‘utter’ in  his talk for the Oxford Philosopical Society. Grice does not elaborate much on general gestures or signals. His main example is a sort of handwave by which the emissor communicates that either he knows the route or that he is about to leave the addressee. Even this is complex. Let’s try to apply his final version of communication to the hand-wave. The question of “Homo sapiens sapiens” is an interesting one. Grice is all for ascribing predicates regarding the soul to what he calls the ‘lower animals’. He is not ready to ascribe emissor’s meaning to them. Why? Because of Schiffer! I mean, when it comes to the conditions of necessity of the reductive analysis, he seems okay. When it comes to the sufficiency, there are two types of objection. One by Urmson, easily dismissed. The second, first by Stampe and Strawson, not so easily. But Grice agrees to add a clause limiting intentions to be ‘in the open.’ Those who do not have a philosophical background usually wonder about this. So for their sake, it may be worth considering Grice’s synthetic a posteriori argument to refuse an emissor other than a Homo sapiens sapiens to be able to ‘mean,’ if not ‘communicate,’ or ‘signify.’ There is an objection which is not mentioned by his editors, which seems to Grice to be one to which Grice must respond. The objection may be stated thus. One of the leading strands in Grice’s reductive analysis of an emissor communicating that p is that communication is not to be regarded exclusively, or even primarily, as a ‘feature’ of emissors who use what philosophers of language call ‘language’ (Sprache, Taal, Langage, Linguaggioto restrict to the philosophical lexicon, cf. Plato’s Cratylus), and a fortiori of an emissor who emits this or that “linguistic” ‘utterance.’ There are many instances of NOTABLY NON-“linguistic” vehicles or devices of communication, within a communication-system, which fulfil this or that communication-function; these vehicles or devices are mostly syntactically un-structured or amorphous. Sometimes, a device may exhibit at least some rudimentary syntactic structure, in that we may distinguish a totum from a pars and identify a ‘simplex’ within a ‘complexum.’ Grice’s intention-based reductive analysis of a communicatum, based on Aristotle, Locke, and Peirce, is designed to allow for the possibility that a non-“linguistic,” and, further, indeed a non-“conventional” 'utterance' token, perhaps even manifesting some degree of syntactic structure, and not just a block of an amorphous signal, may be within the ‘repertoire’ of ‘procedures’ of this or that organism, or creature, or agent, which, even if not relying on any apparatus for communication of the kind that that we may label ‘linguistic’ or otherwise ‘conventional,’  ‘do’ this or that ‘thing’ thereby ‘communicating’ that p, or q. To provide for this possibility, it is plainly necessary that the key ingredient in any representation of ‘communicating,’ viz. intending that p, should be a ‘state’ of the emissor’s soul the capacity for which does not require what we may label the ‘possession’ of, shall we say, a ‘faculty,’ of what philosophers call ‘a’ ‘language’ (Sprache, Taal, langue, linguanote that in German we do not distinguish between ‘die Deutsche Sprache’ and ‘Sprache’ as ‘ein Facultat.’). Now a philosopher, relying on this or that neo-Prichardian reductive analysis of ‘intending that p,’ may not be willing to allow the possibility of such, shall we call it, pre-linguistic intending that p, or non-linguistic intending that p. Surely if the emissor realizes that his addressee does not share what the Germans call ‘die Deutsche Sprache,” the emissor may still communicate with his addresse this or that by doing this or that. E. g. he may simulate that he wants to smoke a cigarette and wonders if his addressee has one to spare. Against that objection, Grice surely wins the day. But Grice grants that winning the day on THAT front may not be enough. And that is because, as far as Grice’s Oxonian explorations on communication go, in a succession of increasingly elaborate movesending with a ‘closure’ clause which cut this succession of increasingly elaborate moves -- designed to thwart this or that scenario, later deemed illegitimate, involving two rational agents where the emissor relies on an ‘inference-element’ that it is not the case that he intends his addressee will recogiseGrice is led to restrict the ‘intending’ which is to constitute a case of an emissor communicating that p to C-intending. Grice suspects that whatever may be the case in general with regard to ‘intending,’ C-intending seems for some reason to Grice to be unsophisticatedly, viz. plainly, too sophisticated a ‘state’ of a soul to be found in an organism, ‘pirot,’ creature, that we may not want to deem ‘rational,’ or as the Germans would say, a creature that is destitute of “Die Deutsche Sprache.” We need the pirot to be “very intelligent, indeed rational.”Grice regrets that some may think that what he thought were unavoidable rear-guard actions (ending with a complex reductive analysis of C-intending) seem to have undermined the raison d'etre of the Griciean campaign.”Unfortunately, Grice provides what he admittedly labels “a brief reply” which “will have to suffice.” Why? Because “a full treatment would require delving deep into crucial problems concerning the boundaries between vicious and virtuous circularity.” Which is promising. It is not something totally UNATTAINABLE. It reduces to the philosopher being virtuously circular, only! Why is the ‘virtuous circle’ so crucialvide ‘circulus virtuosus.’ virtŭōsus , a, um, adj. virtus, I.virtuousgood (late Lat.), Aug. c. Sec. Man. 10. A circle is virtuous if it is not that bad. In this case, we need the ‘virtuous circle’ because we are dealing with ‘a loop.’ This is exactly Schiffer’s way of putting it in his ‘Introduction’ to Meaning (second edition). There is a ‘conceptual loop.’ Schiffer is not interested in ‘communicating;’ only ‘meaning.’ But his point can be transferred. He is saying that ‘U means that p,’ may rely on ‘U intends that p,’ where ‘U intends that p’ relies on ‘U means that p.’ There is a loop. In more generic terms:We have a creature, call it a pirot P1 that, by doing thing T, communicates that p. Are we talking of the OBSERVER? I hope so, because Grice’s favourite pirot is the parrot. So we have Prince Maurice’s Parrot. Locke: Since I think I may be confident, that, whoever should see a CREATURE of his own shape or make, though it had no more reason all its life than a cat or a PARROT, would call him still A MAN; or whoever should hear a cat or a parrot discourse, reason, and philosophize, would call or think it nothing but a cat or a PARROT; and say, the one was A DULL IRRATIONAL MAN, and the other A VERY INTELLIGENT RATIONAL PARROT. A relation we have in an author of great note, is sufficient to countenance the supposition of A RATIONAL PARROT. The author’s words are: I had a mind to know, from Prince Maurice's own mouth, the account of a common, but much credited story, that I had heard so often from many others, of an old parrot he has, that speaks, and asks, and answers common questions, like A REASONABLE CREATURE. So that those of his train there generally conclude it to be witchery or possession; and one of his chaplains, would never from that time endure A PARROT, but says all PARROTS have a devil in them. I had heard many particulars of this story, and as severed by people hard to be discredited, which made me ask Prince Maurice what there is of it. Prince Maurice says, with his usual plainness and dryness in talk, there is something true, but a great deal false of what is reported. I desired to know of him what there was of the first. Prince Maurice tells me short and coldly, that he had HEARD of such A PARROT; and though he believes nothing of it, and it was a good way off, yet he had so much curiosity as to send for the parrot: that it was a very great parrot; and when the parrot comes first into the room where Prince Maurice is, with a great many men about him, the parrot says presently, What a nice company is here. One of the men asks the parrot, ‘What thinkest thou that man is?,’ ostending his finger, and pointing to Prince Maurice. The parrot answers, ‘Some general -- or other.’ When the man brings the parrot close to Prince Maurice, Prince Maurice asks the parrot., “D'ou venez-vous?” The parrot answers, “De Marinnan.” Then Prince Maurice goes on, and poses a second question to the parrot. “A qui estes-vous?” The Parrot answers: “A un Portugais.” Prince Maurice asks a third question. “Que fais-tu la?” The parrot answers: “Je garde les poulles.”Prince Maurice smiles, which pleases the Parrot. Prince Maurice, violating a Griceian maxim, and being just informed that p, asks whether p. This is his fourth question. “Vous gardez les poulles?” The Parrot answers, “Oui, moi; et je scai bien faire.” The Parrott appeals to Peirce’s iconic system and makes the chuck four or five times that a man uses to make to chickens when a man calls them. I set down the words of this worthy dialogue in French, just as Prince Maurice said them to me. I ask Prince Maurice in what ‘language’ the parrot speaks. Prince Maurice says that the parrot speaks in Brazilian. I ask Prince William whether he understands the Brazilian language. Prince Maurice says: No, but he has taken care to have TWO interpreters by him, the one a Dutchman that spoke Brazilian, and the other a Brazilian that spoke Dutch; that Prince Maurice asked them separatelyand privately, and both of them AGREED in telling Prince Maurice just the same thing that the parrot had said. I could not but tell this ODD story, because it is so much out of the way, and from the first hand, and what may pass for a good one; for I dare say Prince Maurice at least believed himself in all he told me, having ever passed for a very honest and pious man. I leave it to naturalists to reason, and to other men to believe, as they please upon it. However, it is not, perhaps, amiss to relieve or enliven a busy scene sometimes with such digressions, whether to the purpose or no.Locke takes care that the reader should have the story at large in the author's own words, because he seems to me not to have thought it incredible.For it cannot be imagined that so able a man as he, who had sufficiency enough to warrant all the testimonies he gives of himself, should take so much pains, in a place where it had nothing to do, to pin so close, not only on a man whom he mentions as his friend, but on a prince in whom he acknowledges very great honesty and piety, a story which, if he himself thought incredible, he could not but also think RIDICULOUS. Prince Maurice, it is plain, who vouches this story, and our author, who relates it from him, both of them call this talker A PARROT. And Locke asks any one else who thinks such a story fit to be told, whether, if this PARROT, and all of its kind, had always talked, as we have a prince's word for it this one did,- whether, I say, they would not have passed for a race of RATIONAL ANIMALS; but yet, whether, for all that, they would have been allowed to be MEN, and not PARROTS? For I presume it is not the idea of A THINKING OR RATIONAL BEING alone that makes the idea of A MAN in most people's sense: but of A BODY, so and so shaped, joined to it: and if that be the idea of a MAN, the same successive body not shifted all at once, must, as well as  THE SAME IMMATERIAL SPIRIT, go to the making of the same MAN. So back to Grice’s pirotology.But first a precis of the conversation, or languaging:PARROT: What a nice company is here.MAN (pointing to Prince Maurice): What thinkest thou that man is?PARROT: Some general -- or other. (i. e. the parrot displays what Grice calls ‘up-take.’ The parrot recognizes the man’s c-intention. So far is ability to display uptake.PRINCE MAURICE: D'ou venez-vous?PARROT: De Marinnan.PRINCE MAURICE: A qui estes-vous?PARROT: A un Portugais.PRINCE MAURICE: Que fais-tu la?PARROT: Je garde les poulles.PRINCE MAURICE SMILES and flouts a Griceian maxim: Vous gardez les poulles?PARROT (losing patience, and grasping the Prince’s implicaturum that he doubts it): Oui, moi. Et je scai bien faire.(The Parrott then appeals to Peirce’s iconic system and makes the chuck five times that a man uses to make to chickens when a man calls them.)So back to Grice:“According to my most recent speculations about communication, one should distinguish between what I call the ‘factual’ or ‘de facto’ character of behind the state of affairs that one might describe as ‘rational agent A communicates that p,’ for those communication-relevant features which obtain or are present in the circumstances) the ‘titular’ or ‘de jure’ character, viz. the nested C-intending which is only deemed to be present. And the reason Grice calls it ‘nested’ is that it involves three sub-intentions:(C) Emissor E communicates that (psi*) p iff Emissor E c-intends that A recognises that E psi-s that p iffC1: Emissor E intends A to recognise that A psi-s that p.C2: Emissor intends that A recognise C1 by A recognising C2C3: There is no inference-element which is C-constitutive such that Emissor relies on it and yet does not intend A to recognise.Grice:“The titular or de jure character of the state of affairs that is described as “Emissor communicates that p,” involves self-reference in the closure clause regarding the third intention, C3, may be thought as being ‘regressive,’ or involving what mathematicians mean when they use “, …;” and the translators of Aristotle, ‘eis apeiron,’ translated as ‘ad infinitum.’There may be ways of UNDEEMING this, i. e. of stating that self-reference and closure are meant to BLOCK an infinite regress. Hence the circle, if there is oneone feature of a virtuous circle is that it doesn’t look like a circle simpliciter --  would be virtuous. The ‘de jure’ character stands for a situation which, in Grice’s words, is “infinitely complex,” and so cannot be actually present in totoonly DEEMED to be.”“In which case,” Grice concludes pointing to the otiosity or rendering inoperative, “to point out that THE INCONCEIVABLE actual presence of the ‘de jure’ character of ‘Emissor communicates that p’ WOULD, still, be possible, or would be detectable, only via the ‘use’ of something like ‘die Deutsche Sprache’ seem to serve little, if any, purpose.”“At its most meagre, the factual or ‘de facto’ character consists merely in the pre-rational ‘counterpart’ of the state of affairs describable by “Emissor E communicates that p,” which might amount to no more than making a certain sort of utterance in order thereby to get some creature to think or want some particular thing.This meagre condition does not involve a reference to any expertise regarding anything like ‘die Deutsche Sprache.’Let’s reformulate the condition.It’s just a pirot, at a ‘pre-rational’ level. The pirot does a thing T IN ORDER THEREBY to get some other pirot to think or do some particular thing. To echo Hare,Die Tur ist geschlossen, ja.Die Tur ist geschlossen, bitte.Grice continues as a corollary: “Maybe in a less straightforward instance of “Emissor E communicates that p” there is actually present the C-intention whose feasibility as an ‘intention’ suggests some ability to use ‘die Deutsche Sprache.’But vide “non-verbal communication,” pre-verbal communication, languaging, pre-conventional communication, gestural communicationas in What Grice has as “a gesture (a signal).” Not necessary ‘conventional,’ and MAYBE ‘established’is one-off sufficient for ‘established’? I think so. By waving his hand in a particular way (“a particular sort of hand wave”), the emissor communicates that he knows the route (or is about to leave the addressee).  Grice concludes about the less straightforward instances, that there can be no advance guarantee when this will be so, i. e. that there is actually present the C-intention whose feasibility as an intention points to some capacity to use ‘die Deutsche Sprache.’Grice adds: “It is in any case arguable that the use of ‘die Deutsche Sprache’ would here be an indispensable aid to philosophising about communication, rather than it being an element in the PHILOSOPHISING about communication!  Philosophers of Grice’s generation use ‘man’ on purpose to mean ‘mankind’. What a man means. What a man utters. The utterer is the man. In semiotics one can use something more Latinate, like gesturer, or emitteror profferer. The distinction is between what an utterer means and what the logical and necessary implication. He doesn’t need to say this since ‘imply’ in the logical usage does not take utterer as subject. It’s what the utterer SAYS that implies this or that. (Strawson and Wiggins519). The utterer is possibly the ‘expresser.’ sender and sendee: Emissee: this is crucial. There’s loads of references on this. Apparently, some philosopher cannot think of communication without the emissee. But surely Grice loved Virginia Woolf. “And when she was writing ‘The Hours,’ I’m pretty sure she cared a damn whether the rest of the world existed!” Let's explore the issue of the UTTERER'S OCCASION-MEANING IN THE ABSENCE OF A (so-called) AUDIENCE -- or sender without sendee, as it were. There are various scenarios of utterances by which the utterer or sender is correctly said to have communicated that so-and-so, such that there is no actual person or set of persons (or sentient beings) whom the utterer or sender is addressing and in whom the sender intends to induce a response. The range of these scenarios includes, or might be thought to include, such items as -- the posting of a notice, like "Keep out" or "This bridge is dangerous," -- an entry in a diary, -- the writing of a note to clarify one's thoughts when working on some problem, -- soliloquizing, -- rehearsing a part in a projected conversation, and -- silent thinking. At least some of these scenarios are unprovided for in the reductive analysis so far proposed. The examples which Grice's account should cover fall into three groups: (a) Utterances for which the utterer or sender thinks there may (now or later) be an audience or sendee (as when Grice's son sent a letter to Santa). U may think that some particular person, e. g. himself at a future date in the case of a diary entry, may (but also may not) encounter U's utterance.Or U may think that there may or may not be some person or other who is or will be an auditor or sendee or recipient of his utterance. (b) An utterances which the utterer knows that it is not to be addressed to any actual sendee, but which the utterer PRETENDS to address or send to some particular person or type of person, OR which he thinks of as being addressed (or sent) to some imagined sendee or type of sendee (as in the rehearsal of a speech or of his part in a projected conversation, or Demosthenes or Noel Coward talking to the gulls.(c) An utterances (including what Occam calls an "internal" utterance) with respect to which the utterer NEITHER thinks it possible that there may be an actual sendee nor imagines himself as addressing sending so-and-so to a sendee, but nevertheless intends his utterance to be such that it would induce a certain sort of response in a certain perhaps fairly indefinite kind of sendee were it the case that such a sendee *were* present.In the case of silent thinking the idea of the presence of a sendee will have to be interpreted 'liberally,' as being the idea of there being a sendee for a public counter-part of the utterer's internal, private speech, if there is one. Austin refused to discuss Vitters's private-language argument.In this connection it is perhaps worth noting that some cases of verbal thinking (especially the type that Vitters engages in) do fall outside the scope of Grice's account. When a verbal though  merely passes through Vitters's head (or brain) as distinct from being "framed" by Vitters, it is utterly inappropriate (even in Viennese) to talk of Vitters as having communicated so-and-so by "the very thought of you," to echo Noble. Vitters is, perhaps, in such a case, more like a sendee than a sender -- and wondering who such an intelligent sender might (or then might not) be. In any case, to calm the neo-Wittgensteinians, Grice propose a reductive analysis which surely accounts for the examples which need to be accounted for, and which will allow as SPECIAL (if paradigmatic) cases (now) the range of examples in which there is, and it is known by the utterer that there is, an actual sendee. A soul-to-soul transfer. This redefinition is relatively informal. Surely Grice could present a more formal version which would gain in precision at the cost of ease of comprehension. Let "p" (and k') range over properties of persons (possible sendees); appropriate substituends for "O" (and i') will include such diverse expressions as "is a passer-by," "is a passer-by who sees this notice," "understands the Viennese cant," "is identical with Vitters." As will be seen, for Grice to communicate that so-and-so it will have to be possible to identify the value of "/" (which may be fairly indeterminate) which U has in mind; but we do not have to determine the range from which U makes a selection. "U means by uttering x that *iP" is true iff (30) (3f (3c):  I. U utters x intending x to be such that anyone who has q would think that (i) x has f (2) f is correlated in way c with M-ing that p (3) (3 0'): U intends x to be such that anyone who has b' would think, via thinking (i) and (2), that U4's that p (4) in view of (3), U O's that p; and II. (operative only for certain substituends for "*4") U utters x intending that, should there actually be anyone who has 0, he would via thinking (4), himself a that p; ' and III. It is not the case that, for some inference-element E, U intends x to be such that anyone who has 0 will both (i') rely on E in coming to O+ that p and (2') think that (3k'): Uintends x to be such that anyone who has O' will come to /+ that p without relying on E. Notes: (1) "i+" is to be read as "p" if Clause II is operative, and as "think that UO's" if Clause II is non-operative. (2) We need to use both "i" and "i'," since we do not wish to require that U should intend his possible audience to think of U's possible audience under the same description as U does himself. Explanatory comments: (i) It is essential that the intention which is specified in Clause II should be specified as U's intention "that should there be anyone who has 0, he would (will) . . ." rather than, analogously with Clauses I and II, as U's intention "that x should be such that, should anyone be 0, he would ... ." If we adopt the latter specification, we shall be open to an objection, as can be shown with the aid of an example.Suppose that, Vitters is married, and further, suppose he married an Englishwoman. Infuriated by an afternoon with his mother-in-law, when he is alone after her departure, Vitters relieves his feelings by saying, aloud and passionately, in German:"Do not ye ever comest near me again!"It will no doubt be essential to Vitters's momentary well-being that Vitters should speak with the intention that his remark be such that were his mother-in-law present, assuming as we say, that he married and does have one who, being an Englishwoman, will most likely not catch the Viennese cant that Vitters is purposively using, she should however, in a very Griceian sort of way, form the intention not to come near Vitters again. It would, however, be pretty unacceptable if it were represented as following from Vitters's having THIS intention (that his remark be such that, were his mother-in-law be present, she should form the intnetion to to come near Vitters again) that what Vitters is communicating (who knows to who) that the denotatum of 'Sie' is never to come near Vitters again.For it is false that, in the circumstances, Vitters is communicating that by his remark. Grice's reductive analysis is formulated to avoid that difficulty. (2) Suppose that in accordance with the definiens o U intends x to be such that anyone who is f will think ... , and suppose that the value of "O" which U has in mind is the property of being identical with a particular person A. Then it will follow that U intends A to think . . . ; and given the further condition, fulfilled in any normal (paradigmatic, standard, typical, default) case, that U intends the sendee to think that the sendee is the intended sendee, we are assured of the truth of a statement from which the definiens is inferrible by the rule of existential generalisation (assuming the legitimacy of this application of existential generalisation to a statement the expression of which contains such "intensional" verbs as "intend" and "think"). It can also be shown that, for any case in which there is an actual sendee who knows that he is the intended sendee, if the definiens in the standard version is true then the definiens in the adapted version will be true. If that is so, given the definition is correct, for any normal case in which there IS an actual sendee the fulfillment of the definiens will constitute a necessary and sufficient condition for U's having communicated that *1p. sendeeless: ‘audienceless’ “One good example of a sendeeless implicaturum is Sting’s “Message in a bottle.”Grice. Grice: “When Sting says, “I’m sending out an ‘s.o.s’ he is being Peirceian.” Latin sensus "perception, feeling, undertaking, meaning," from sentire "perceive, feel, know," probably a figurative use of a literally meaning "to find one's way," or "to go mentally," from PIE root *sent- "to go" (source also of Old High German sinnan "to go, travel, strive after, have in mind, perceive," German Sinn "sense, mind," Old English sið "way, journey." Refs.: Grice, “The utterer as the sender.” Grice: “This is jargon, as used by the postal service, and it should be translatable to any language spoken in a country with postal service!”

 

senone: cf. senofane, parmenide -- Velia -- (or as Strawson would prefer, Zeno). "Senone *loved* his native Velia. Vivid evidence of the cultural impact of Senone's arguments in Italia is to be found in the interior of a red-figure drinking cup (Roma, Villa Giulia, inv. 3591) discovered in the Etrurian city of Falerii. It depicts a heroic figure racing nimbly ahead of a large tortoise and has every appearance of being the first known ‘response’ to the Achilles (or Mercurio, Ermete) paradox. “Was ‘Senone’ BORN in Velia?”that is the question!”Grice. Italian philosopher, as as such, or as Grice prefers, ‘senone’ -- Zenos paradoxes. “Since Elea is in Italy, we can say Zeno is Italian.”H. P. Grice. “Linguistic puzzles, in nature.”  H. P. Grice. four paradoxes relating to space and motion attributed to Zeno of Elea fifth century B.C.: the racetrack, Achilles and the tortoise, the stadium, and the arrow. Zeno’s work is known to us through secondary sources, in particular Aristotle. The racetrack paradox. If a runner is to reach the end of the track, he must first complete an infinite number of different journeys: getting to the midpoint, then to the point midway between the midpoint and the end, then to the point midway between this one and the end, and so on. But it is logically impossible for someone to complete an infinite series of journeys. Therefore the runner cannot reach the end of the track. Since it is irrelevant to the argument how far the end of the track is  it could be a foot or an inch or a micron away  this argument, if sound, shows that all motion is impossible. Moving to any point will involve an infinite number of journeys, and an infinite number of journeys cannot be completed. The paradox of Achilles and the tortoise. Achilles can run much faster than the tortoise, so when a race is arranged between them the tortoise is given a lead. Zeno argued that Achilles can never catch up with the tortoise no matter how fast he runs and no matter how long the race goes on. For the first thing Achilles has to do is to get to the place from which the tortoise started. But the tortoise, though slow, is unflagging: while Achilles was occupied in making up his handicap, the tortoise has advanced a little farther. So the next thing Achilles has to do is to get to the new place the tortoise occupies. While he is doing this, the tortoise will have gone a little farther still. However small the gap that remains, it will take Achilles some time to cross it, and in that time the tortoise will have created another gap. So however fast Achilles runs, all that the tortoise has to do, in order not to be beaten, is not to stop. The stadium paradox. Imagine three equal cubes, A, B, and C, with sides all of length l, arranged in a line stretching away from one. A is moved perpendicularly out of line to the right by a distance equal to l. At the same time, and at the same rate, C is moved perpendicularly out of line to the left by a distance equal to l. The time it takes A to travel l/2 relative to B equals the time it takes A to travel to l relative to C. So, in Aristotle’s words, “it follows, Zeno thinks, that half the time equals its double” Physics 259b35. The arrow paradox. At any instant of time, the flying arrow “occupies a space equal to itself.” That is, the arrow at an instant cannot be moving, for motion takes a period of time, and a temporal instant is conceived as a point, not itself having duration. It follows that the arrow is at rest at every instant, and so does not move. What goes for arrows goes for everything: nothing moves. Scholars disagree about what Zeno himself took his paradoxes to show. There is no evidence that he offered any “solutions” to them. One view is that they were part of a program to establish that multiplicity is an illusion, and that reality is a seamless whole. The argument could be reconstructed like this: if you allow that reality can be successively divided into parts, you find yourself with these insupportable paradoxes; so you must think of reality as a single indivisible One.  Refs.: H. P. Grice, “Zeno’s sophisma;” Luigi Speranza, "Senone e Grice," The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Senso – Grice: “Austin would say that ‘sense’ belongs to ‘philosophical’ and not ‘ordinary’ language; but Visconti – and all the Italian philosoophers behind him, would disagree!” -- “sensus: Grice: “The Italians are directd: there is ‘sensismo’ as a movement in Italia – due to Condillac, of course!” -- sensationalism, the belief that all mental states  particularly cognitive states  are derived, by composition or association, from sensation. It is often joined to the view that sensations provide the only evidence for our beliefs, or more rarely to the view that statements about the world can be reduced, without loss, to statements about sensation. Hobbes was the first important sensationalist in modern times. “There is no conception in man’s mind,” he wrote, “which hath not at first, totally, or by parts, been begotten upon the organs of sense. The rest are derived from that original.” But the belief gained prominence in the eighteenth century, due largely to the influence of Locke. Locke himself was not a sensationalist, because he took the mind’s reflection on its own operations to be an independent source of ideas. But his distinction between simple and complex ideas was used by eighteenthcentury sensationalists such as Condillac and Hartley to explain how conceptions that seem distant from sense might nonetheless be derived from it. And to account for the particular ways in which simple ideas are in fact combined, Condillac and Hartley appealed to a second device described by Locke: the association of ideas. “Elementary” sensations  the building blocks of our mental life  were held by the sensationalists to be non-voluntary, independent of judgment, free of interpretation, discrete or atomic, and infallibly known. Nineteenth-century sensationalists tried to account for perception in terms of such building blocks; they struggled particularly with the perception of space and time. Late nineteenth-century critics such as Ward and James advanced powerful arguments against the reduction of perception to sensation. Perception, they claimed, involves more than the passive reception or recombination and association of discrete pellets of incorrigible information. They urged a change in perspective  to a functionalist viewpoint more closely allied with prevailing trends in biology  from which sensationalism never fully recovered.  sensibile: Austin, “Sense and sensibile,” as used by Russell, those entities that no one is at the moment perceptually aware of, but that are, in every other respect, just like the objects of perceptual awareness. If one is a direct realist and believes that the objects one is aware of in sense perception are ordinary physical objects, then sensibilia are, of course, just physical objects of which no one is at the moment aware. Assuming with common sense that ordinary objects continue to exist when no one is aware of them, it follows that sensibilia exist. If, however, one believes as Russell did that what one is aware of in ordinary sense perception is some kind of idea in the mind, a so-called sense-datum, then sensibilia have a problematic status. A sensibile then turns out to be an unsensed sense-datum. On some the usual conceptions of sense-data, this is like an unfelt pain, since a sense-datum’s existence not as a sense-datum, but as anything at all depends on our someone’s perception of it. To exist for such things is to be perceived see Berkeley’s “esse est percipii“. If, however, one extends the notion of sense-datum as Moore was inclined to do to whatever it is of which one is directly aware in sense perception, then sensibilia may or may not exist. It depends on what  physical objects or ideas in the mind  we are directly aware of in sense perception and, of course, on the empirical facts about whether objects continue to exist when they are not being perceived. If direct realists are right, horses and trees, when unobserved, are sensibilia. So are the front surfaces of horses and trees things Moore once considered to be sensedata. If the direct realists are wrong, and what we are perceptually aware of are “ideas in the mind,” then whether or not sensibilia exist depends on whether or not such ideas can exist apart from any mind.  sensorium, the seat and cause of sensation in the brain of humans and other animals. The term is not part of contemporary psychological parlance; it belongs to prebehavioral, prescientific psychology, especially of the seventeenth and eighteenth centuries. Only creatures possessed of a sensorium were thought capable of bodily and perceptual sensations. Some thinkers believed that the sensorium, when excited, also produced muscular activity and motion. sensus communis, a cognitive faculty to which the five senses report. It was first argued for in Aristotle’s On the Soul II.12, though the term ‘common sense’ was first introduced in Scholastic thought. Aristotle refers to properties such as magnitude that are perceived by more than one sense as common sensibles. To recognize common sensibles, he claims, we must possess a single cognitive power to compare such qualities, received from the different senses, to one another. Augustine says the “inner sense” judges whether the senses are working properly, and perceives whether the animal perceives De libero arbitrio II.35. Aquinas In De anima II, 13.370 held that it is also by the common sense that we perceive we live. He says the common sense uses the external senses to know sensible forms, preparing the sensible species it receives for the operation of the cognitive power, which recognizes the real thing causing the sensible species.  sentential connective, also called sentential operator, propositional connective, propositional operator, a word or phrase, such as ‘and’, ‘or’, or ‘if . . . then’, that is used to construct compound sentences from atomic  i.e., non-compound  sentences. A sentential connective can be defined formally as an expression containing blanks, such that when the blanks are replaced with sentences the result is a compound sentence. Thus, ‘if ——— then ———’ and ‘——— or ———’ are sentential connectives, since we can replace the blanks with sentences to get the compound sentences ‘If the sky is clear then we can go swimming’ and ‘We can go swimming or we can stay home’. Classical logic makes use of truth-functional connectives only, for which the truth-value of the compound sentence can be determined uniquely by the truth-value of the sentences that replace the blanks. The standard truth-functional sensibilia sentential connective 834    834 connectives are ‘and’, ‘or’, ‘not’, ‘if . . . then’, and ‘if and only if’. There are many non-truth-functional connectives as well, such as ‘it is possible that ———’ and ‘——— because ———’.  sentimentalism, the theory, prominent in the eighteenth century, that epistemological or moral relations are derived from feelings. Although sentimentalism and sensationalism are both empiricist positions, the latter view has all knowledge built up from sensations, experiences impinging on the senses. Sentimentalists may allow that ideas derive from sensations, but hold that some relations between them are derived internally, that is, from sentiments arising upon reflection. Moral sentimentalists, such as Shaftesbury, Hutcheson, and Hume, argued that the virtue or vice of a character trait is established by approving or disapproving sentiments. Hume, the most thoroughgoing sentimentalist, also argued that all beliefs about the world depend on sentiments. On his analysis, when we form a belief, we rely on the mind’s causally connecting two experiences, e.g., fire and heat. But, he notes, such causal connections depend on the notion of necessity  that the two perceptions will always be so conjoined  and there is nothing in the perceptions themselves that supplies that notion. The idea of necessary connection is instead derived from a sentiment: our feeling of expectation of the one experience upon the other. Likewise, our notions of substance the unity of experiences in an object and of self the unity of experiences in a subject are sentimentbased. But whereas moral sentiments do not purport to represent the external world, these metaphysical notions of necessity, substance, and self are “fictions,” creations of the imagination purporting to represent something in the outside world. -- sententia: For some reason, perhaps of his eccentricity, J. L. Austin was in love with Chomsky. He would read “Syntactic Structures” aloud to the Play Group. And Grice was listening. This stuck with Grice, who started to use ‘sentence,’ even in Polish, when translating Tarski. Hardie had taught him that ‘sententia’ was a Roman transliteration of ‘dia-noia,’ which helped. Since “Not when the the of dog” is NOT a sentence, not even an ‘ill-formed sentence,’ Grice concludes that like ‘reason,’ and ‘cabbage,’ sentence is a value-paradeigmatic concept. His favourite sentence was “Fido is shaggy,” uttered to communicate that Smith’s dog is hairy coated. One of Grice’s favourite sentences was Carnap’s “Pirots karulise elatically,” which Carnap borrowed from (but never returned to) Baron Russell. (“I later found out a ‘pirot’ is an extinct fish, which destroyed my whole implicaturumtalk of ichthyological necessity!” (Carnap contrasted, “Pirots karulise elatically,” with “The not not if not the dog the.”

 

shaggy-dog story, v. Grice’s shaggy-dog story.

 

shared experience: WoW: 286. Grice was fascinated by the etymology of ‘share,’“which is so difficult to translate to Grecian!”“Co-operation can be regarded as a shared experience. You cooperate not just when you help, but, as the name indicates, when you operate along with anotherwhen you SHARE some taskin this case influencing the other in the dyad, and being influenced by him.”

 

ensieme – Grice: “Few like Rigamononti have explored the sorry story of set theory --.” Grice: “Rigamonti uses ‘insieme,’ which is of course cognate with ‘ensemble,’ – why some at Oxford use ‘set,’ as in the ‘jet set’ escapes me!” --  rclasse -- set: “Is the idea of a one-member set implicatural?”Grice. “I distinguish between a class and a set, but Strawson does not.”Grice --  the study of collections, ranging from familiar examples like a set of encyclopedias or a deck of cards to mathematical examples like the set of natural numbers or the set of points on a line or the set of functions from a set A to another set B. Sets can be specified in two basic ways: by a list e.g., {0, 2, 4, 6, 8} and as the extension of a property e.g., {x _ x is an even natural number less than 10}, where this is read ‘the set of all x such that x is an even natural number less than 10’. The most fundamental relation in set theory is membership, as in ‘2 is a member of the set of even natural numbers’ in symbols: 2 1 {x _ x is an even natural number}. Membership is determinate, i.e., any candidate for membership in a given set is either in the set or not in the set, with no room for vagueness or ambiguity. A set’s identity is completely determined by its members or elements i.e., sets are extensional rather than intensional. Thus {x _ x is human} is the same set as {x _ x is a featherless biped} because they have the same members. The smallest set possible is the empty or null set, the set with no members. There cannot be more than one empty set, by extensionality. It can be specified, e.g., as {x _ x & x}, but it is most often symbolized as / or { }. A set A is called a subset of a set B and B a superset of A if every member of A is also a member of B; in symbols, A 0 B. So, the set of even natural numbers is a subset of the set of all natural numbers, and any set is a superset of the empty set. The union of two sets A and B is the set whose members are the members of A and the members of B  in symbols, A 4 B % {x _ x 1 A or x 1 B}  so the union of the set of even natural numbers and the set of odd natural numbers is the set of all natural numbers. The intersection of two sets A and B is the set whose members are common to both A and B  in symbols, A 3 B % {x _ x 1 A and x 1 B}  so the intersection of the set of even natural numbers and the set of prime natural numbers is the singleton set {2}, whose only member is the number 2. Two sets whose intersection is empty are called disjoint, e.g., the set of even natural numbers and the set of odd natural numbers. Finally, the difference between a set A and a set B is the set whose members are members of A but not members of B  in symbols, A  B % {x _ x 1 A and x 2 B}  so the set of odd numbers between 5 and 20 minus the set of prime natural numbers is {9, 15}. By extensionality, the order in which the members of a set are listed is unimportant, i.e., {1, 2, 3} % {2, 3, 1}. To introduce the concept of ordering, we need the notion of the ordered pair of a and b  in symbols, a, b or . All that is essential to ordered pairs is that two of them are equal only when their first entries are equal and their second entries are equal. Various sets can be used to simulate this behavior, but the version most commonly used is the Kuratowski ordered pair: a, b is defined to be {{a}, {a, b}}. On this definition, it can indeed be proved that a, b % c, d if and only if a % c and b % d. The Cartesian product of two sets A and B is the set of all ordered pairs whose first entry is in A and whose second entry is B  in symbols, A $ B % {x _ x % a, b for some a 1 A and some b 1 B}. This set-theoretic reflection principles set theory 836    836 same technique can be used to form ordered triples  a, b, c % a, b, c; ordered fourtuples  a, b, c, d % a, b, c, d; and by extension, ordered n-tuples for all finite n. Using only these simple building blocks, substitutes for all the objects of classical mathematics can be constructed inside set theory. For example, a relation is defined as a set of ordered pairs  so the successor relation among natural numbers becomes {0, 1, 1, 2, 2, 3 . . . }  and a function is a relation containing no distinct ordered pairs of the form a, b and a, c  so the successor relation is a function. The natural numbers themselves can be identified with various sequences of sets, the most common of which are finite von Neumann ordinal numbers: /, {/}, {/, {/}, {/}, {/}, {/, {/}}}, . . . . On this definition, 0 % /, 1 % {/}, 2 % {/, {/}}, etc., each number n has n members, the successor of n is n 4 {n}, and n ‹ m if and only if n 1 m. Addition and multiplication can be defined for these numbers, and the Peano axioms proved from the axioms of set theory; see below. Negative, rational, real, and complex numbers, geometric spaces, and more esoteric mathematical objects can all be identified with sets, and the standard theorems about them proved. In this sense, set theory provides a foundation for mathematics. Historically, the theory of sets arose in the late nineteenth century. In his work on the foundations of arithmetic, Frege identified the natural numbers with the extensions of certain concepts; e.g., the number two is the set of all concepts C under which two things fall  in symbols, 2 % {x _ x is a concept, and there are distinct things a and b which fall under x, and anything that falls under x is either a or b}. Cantor was led to consider complex sets of points in the pursuit of a question in the theory of trigonometric series. To describe the properties of these sets, Cantor introduced infinite ordinal numbers after the finite ordinals described above. The first of these, w, is {0, 1, 2, . . .}, now understood in von Neumann’s terms as the set of all finite ordinals. After w, the successor function yields w ! 1 % w 4 {w} % {0, 1, 2, . . . n, n + 1, . . . , w}, then w ! 2 % w ! 1 ! 1 % {0, 1, 2, . . . , w , w ! 1}, w ! 3 % w ! 2 ! 1 % {0, 1, 2, . . . , w, w ! 1, w ! 2}, and so on; after all these comes w ! w % {0, 1, 2, . . . , w, w ! 1, w ! 2, . . . , w ! n, w ! n ! 1, . . .}, and the process begins again. The ordinal numbers are designed to label the positions in an ordering. Consider, e.g., a reordering of the natural numbers in which the odd numbers are placed after the evens: 0, 2, 4, 6, . . . 1, 3, 5, 7, . . . . The number 4 is in the third position of this sequence, and the number 5 is in the w + 2nd. But finite numbers also perform a cardinal function; they tell us how many so-andso’s there are. Here the infinite ordinals are less effective. The natural numbers in their usual order have the same structure as w, but when they are ordered as above, with the evens before the odds, they take on the structure of a much larger ordinal, w ! w. But the answer to the question, How many natural numbers are there? should be the same no matter how they are arranged. Thus, the transfinite ordinals do not provide a stable measure of the size of an infinite set. When are two infinite sets of the same size? On the one hand, the infinite set of even natural numbers seems clearly smaller than the set of all natural numbers; on the other hand, these two sets can be brought into one-to-one correspondence via the mapping that matches 0 to 0, 1 to 2, 2 to 4, 3 to 6, and in general, n to 2n. This puzzle had troubled mathematicians as far back as Galileo, but Cantor took the existence of a oneto-one correspondence between two sets A and B as the definition of ‘A is the same size as B’. This coincides with our usual understanding for finite sets, and it implies that the set of even natural numbers and the set of all natural numbers and w ! 1 and w! 2 and w ! w and w ! w and many more all have the same size. Such infinite sets are called countable, and the number of their elements, the first infinite cardinal number, is F0. Cantor also showed that the set of all subsets of a set A has a size larger than A itself, so there are infinite cardinals greater than F0, namely F1, F2, and so on. Unfortunately, the early set theories were prone to paradoxes. The most famous of these, Russell’s paradox, arises from consideration of the set R of all sets that are not members of themselves: is R 1 R? If it is, it ’t, and if it ’t, it is. The Burali-Forti paradox involves the set W of all ordinals: W itself qualifies as an ordinal, so W 1 W, i.e., W ‹ W. Similar difficulties surface with the set of all cardinal numbers and the set of all sets. At fault in all these cases is a seemingly innocuous principle of unlimited comprehension: for any property P, there is a set {x _ x has P}. Just after the turn of the century, Zermelo undertook to systematize set theory by codifying its practice in a series of axioms from which the known derivations of the paradoxes could not be carried out. He proposed the axioms of extensionality two sets with the same members are the same; pairing for any a and b, there is a set {a, b}; separation for any set A and property P, there is a set {x _ x 1 A and x has P}; power set for any set A, there is a set {x _ x0 A}; union for any set of sets F, there is a set {x _ x 1 A for some A 1 F}  this yields A 4 B, when F % {A, B} and {A, B} comes from A and B by pairing; infinity w exists; and choice for any set of non-empty sets, there is a set that contains exactly one member from each. The axiom of choice has a vast number of equivalents, including the well-ordering theorem  every set can be well-ordered  and Zorn’s lemma  if every chain in a partially ordered set has an upper bound, then the set has a maximal element. The axiom of separation limits that of unlimited comprehension by requiring a previously given set A from which members are separated by the property P; thus troublesome sets like Russell’s that attempt to collect absolutely all things with P cannot be formed. The most controversial of Zermelo’s axioms at the time was that of choice, because it posits the existence of a choice set  a set that “chooses” one from each of possibly infinitely many non-empty sets  without giving any rule for making the choices. For various philosophical and practical reasons, it is now accepted without much debate. Fraenkel and Skolem later formalized the axiom of replacement if A is a set, and every member a of A is replaced by some b, then there is a set containing all the b’s, and Skolem made both replacement and separation more precise by expressing them as schemata of first-order logic. The final axiom of the contemporary theory is foundation, which guarantees that sets are formed in a series of stages called the iterative hierarchy begin with some non-sets, then form all possible sets of these, then form all possible sets of the things formed so far, then form all possible sets of these, and so on. This iterative picture of sets built up in stages contrasts with the older notion of the extension of a concept; these are sometimes called the mathematical and the logical notions of collection, respectively. The early controversy over the paradoxes and the axiom of choice can be traced to the lack of a clear distinction between these at the time. Zermelo’s first five axioms all but choice plus foundation form a system usually called Z; ZC is Z with choice added. Z plus replacement is ZF, for Zermelo-Fraenkel, and adding choice makes ZFC, the theory of sets in most widespread use today. The consistency of ZFC cannot be proved by standard mathematical means, but decades of experience with the system and the strong intuitive picture provided by the iterative conception suggest that it is. Though ZFC is strong enough for all standard mathematics, it is not enough to answer some natural set-theoretic questions e.g., the continuum problem. This has led to a search for new axioms, such as large cardinal assumptions, but no consensus on these additional principles has yet been reached. Then there are the set-theoretica paradoxes, a collection of paradoxes that reveal difficulties in certain central notions of set theory. The best-known of these are Russell’s paradox, Burali-Forti’s paradox, and Cantor’s paradox. Russell’s paradox, discovered in 1 by Bertrand Russell, is the simplest and so most problematic of the set-theoretic paradoxes. Using it, we can derive a contradiction directly from Cantor’s unrestricted comprehension schema. This schema asserts that for any formula Px containing x as a free variable, there is a set {x _ Px} whose members are exactly those objects that satisfy Px. To derive the contradiction, take Px to be the formula x 1 x, and let z be the set {x _ x 2 x} whose existence is guaranteed by the comprehension schema. Thus z is the set whose members are exactly those objects that are not members of themselves. We now ask whether z is, itself, a member of z. If the answer is yes, then we can conclude that z must satisfy the criterion of membership in z, i.e., z must not be a member of z. But if the answer is no, then since z is not a member of itself, it satisfies the criterion for membership in z, and so z is a member of z. All modern axiomatizations of set theory avoid Russell’s paradox by restricting the principles that assert the existence of sets. The simplest restriction replaces unrestricted comprehension with the separation schema. Separation asserts that, given any set A and formula Px, there is a set {x 1 A _ Px}, whose members are exactly those members of A that satisfy Px. If we now take Px to be the formula x 2 x, then separation guarantees the existence of a set zA % {x 1 A _ x 2 x}. We can then use Russell’s reasoning to prove the result that zA cannot be a member of the original set A. If it were a member of A, then we could prove that it is a member of itself if and only if it is not a member of itself. Hence it is not a member of A. But this result is not problematic, and so the paradox is avoided. The Burali-Forte paradox and Cantor’s paradox are sometimes known as paradoxes of size, since they show that some collections are too large to be considered sets. The Burali-Forte paradox, discovered by Cesare Burali-Forte, is concerned with the set of all ordinal numbers. In Cantor’s set theory, an ordinal number can be assigned to any well-ordered set. A set is wellordered if every subset of the set has a least element. But Cantor’s set theory also guarantees the existence of the set of all ordinals, again due to the unrestricted comprehension schema. This set of ordinals is well-ordered, and so can be associated with an ordinal number. But it can be shown that the associated ordinal is greater than any ordinal in the set, hence greater than any ordinal number. Cantor’s paradox involves the cardinality of the set of all sets. Cardinality is another notion of size used in set theory: a set A is said to have greater cardinality than a set B if and only if B can be mapped one-to-one onto a subset of A but A cannot be so mapped onto B or any of its subsets. One of Cantor’s fundamental results was that the set of all subsets of a set A known as the power set of A has greater cardinality than the set A. Applying this result to the set V of all sets, we can conclude that the power set of V has greater cardinality than V. But every set in the power set of V is also in V since V contains all sets, and so the power set of V cannot have greater cardinality than V. We thus have a contradiction. Like Russell’s paradox, both of these paradoxes result from the unrestricted comprehension schema, and are avoided by replacing it with weaker set-existence principles. Various principles stronger than the separation schema are needed to get a reasonable set theory, and many alternative axiomatizations have been proposed. But the lesson of these paradoxes is that no setexistence principle can entail the existence of the Russell set, the set of all ordinals, or the set of all sets, on pain of contradiction. 

 

Selvatico-Estense?

 

semerari: Grice: “Wheereas it would be considered in bad taste at Oxford, the Italians pun on names – and there is an essay on the ‘seme’ of ‘semerari’ Witty!” -- Grice: “Perhaps Semerari is right and the philosopher MUST metaphorise. What better title to an essay on Calabellse than ‘La sabbia e la roccia”?” -- Grice: “I like Semerari: His ‘principio del dialogo in Socrate” is reprinted in his invaluable collection on “Dialogo.”” – Grice: “In a way, we may say that Calogero, Semerari, and myself, belong to the school of the philosophy of conversation – not to mention Apel!” -- Giuseppe Semerari (Taranto), filosofo. Laureato aa Roma, dove fu allievo di Carabellese, fu poi professore di filosofia a Bari --(a lui è dedicata la biblioteca del dipartimento).  Con Paci ha collaborato «aut aut», di cui era in redazione. Collaborò anche a «Critica storica», «Giornale critico della filosofia italiana», «Clizia», «Historica», « Rivista internazionale di filosofia del diritto», «Rivista di filosofia», «Il pensiero», «Archivio di filosofia» e altre riviste specialistiche. Fondò la rivista «Paradigmi», e ne fu il direttore.  Si è dedicato per lo più a Spinoza, a Schelling, alla fenomenologia di Husserl e Merleau-Ponty e al materialismo storico di Marx.  Opere: “I problemi dello spinozismo,” Vecchi, Trani, “Storia e storicismo: saggio sul problema della storia nella filosofia Carabellése,” Vecchi, Trani; “Storicismo e ontologismo critico,” Lacaita, Manduria, Dialogo, storia, valori: studi di filosofia.” Ciranna, Siracusa;  Interpretazione di Schelling, Libreria scientifica, Napoli;  “L'esistenzialismo italiano,” (Grice: “This reminds me of parochial Warnock and his “English philosophy,” or Sorley for that matter!”) -- Cressati, Bari; “Questioni di etica contemporanea,” Adriatica, Bari; Responsabilità e comunità umana. Ricerche etiche, Lacaita, Manduria; La filosofia come relazione, Quaderni di cultura, Sapri; Ferruccio De Natale, Guerini e Associati, Milano Scienza nuova e ragione, Lacaita, Manduria; Furio Semerari, premessa di Carlo Sini, Guerini e Associati, Milano Da Schelling a Merleau-Ponty. Studi sulla filosofia contemporanea, Cappelli, Bologna;  La lotta per la scienza, Silva, Milano; Francesco Valerio, premessa di Fulvio Papi, Guerini e Associati, Milano, Spinoza, Marzorati, Milano; Esperienze del pensiero moderno, Argalia, Urbino; La filosofia dell'esistenza in Kant, Adriatica, Bar;  Introduzione a Schelling, Laterza, Bari Filosofia e potere, Dedalo, Bari Civiltà dei mezzi, civiltà dei fini. Per un razionalismo filosofico-politico, Bertani, Verona;  La scienza come problema: dai modelli teorici alla produzione di tecnologie, De Donato, Bari; Insecuritas. Tecniche e paradigmi della salvezza, Spirali, Milano; La sabbia e la roccia. L'ontologia critica di Pantaleo Carabellése, Dedalo, Bar; Dentro la storiografia filosofica. Questioni di teoria e didattica, Dedalo, Bari  (a cura di, con Vito Carofiglio) Jean-Paul Sartre. Teoria, scrittura, impegno, Edizioni del Sud, Bari; Novecento filosofico italiano. Situazioni e problemi, Guida, Napoli; Skepsis. Studi husserliani (con Ferruccio De Natale), Dedalo, Bari; Filosofia. Lezioni preliminari, Guerini e Associati, Milano Confronti con Heidegger, Dedalo, Bari prefazione a Edmund Husserl, La filosofia come scienza rigorosa, Laterza, Bari, Frammenti di diario; l'anno di Istanbul, Schena, Fasano. “La cosa stessa.” Seminari fenomenologici, Dedalo, Bari; Schelling, Lettere filosofiche su dommatismo e criticismo e Nuova deduzione del diritto naturale , Laterza, Bari. Pensiero e narrazioni. Modelli di storiografia filosofica, Dedalo, Bari; Frammenti di diario; l'anno del Messico, Schena, Fasano; Fenomenologia delle relazioni, Palomar, Bari; Ragione e storia. Studi in memoria di Giuseppe Semerari, Francesco Tateo, Schena, Fasano;  Dalla materia alla coscienza. Studi su Schelling in ricordo di Giuseppe Semerari, Carlo Tatasciore, Guerini, Milano; ‘La certezza incerta” Scritti su Giuseppe Semerari con due inediti dell'autore, Furio Semerari, Guerini, Milano; Augusto Ponzio, Il significato della filosofia per Giuseppe Semerari, in "BariSera", Luciano Niro, Giuseppe Semerari. Il problema morale, Atheneum, Firenze, Julia Ponzio e Filippo Silvestri, Il seme umanissimo della filosofia. Sul pensiero di Giuseppe Semerari, Mimesis, Milano Giuseppe Semerari, in Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.

 

semmola: Grice: “I find it difficult to sea if Semmola endorses formalism or informalism in his monumental “Logica.”” Grice: “While Ayer never liked it, metaphysics is very popular in Italy, as Semmola’s monumental “Metafisica” testifies.” Grice: “It’s good to see philosophy as an institution, in the Italian way of using this word, as per Semmola, “Istituzione di Filosofia.” Mariano Semmola (Napoli), filosofo. Fu senatore del Regno d'Italia nella XVI legislature. (check). Figlio di Giovanni Semmola uno dei più grandi esponenti della scuola napoletana, Mariano fu docente e poi Segretario del Parlamento del Regno d'Italia; partecipò ai moti di Marigliano. Ha scritto, tra l'altro, “Istituzioni di Filosofia,” “Logica,” “Metafisica” (presso la Biblioteca Nazionale di Napoli).  Questo è l'epitaffio sul monumento a lui dedicato e sito nel Recinto o Quadrilatero degli Uomini Illustri del Cimitero Monumentale di Napoli-Poggioreale:  «Mente divinatrice ardente spirito investigatore Che nello studio della natura morbosa dell'uomo Produsse miracoli di arte e di scienza Scolare e presto emulo del suo gran più ai giovann Conchiuse alla novità delle dottrine una sapienza antica Procacciandosi fama in patria e fuori Di sommo maestro in medicina Ne rifulse lo ingegno incomparabile Dalla cattedra nell'università napoletana Nelle accademie e negli ospedali Nei consessi legislativi e nei congressi scientifici Nella parola negli scritti Membro della commissione legislativa riunita in Firenze. Principale autore di un codice sanitario italiano Inviato unico plenipotenziario Alla conferenza sanitaria internazionale di Vienna il 1874 Fu deputato e poi senatore nel patrio parlamento Onorato due volte di medaglia d'oro Dal proprio governo per le cure ai colerosi Da quello del Brasile per la guarigione del suo imperatore Socio di gran numero di accademie italiane e straniere Insignito di molti tra i maggiori gradi cavallereschi. Morì  nella fede catolica avita  Questo marmo per voce del comune Si fa eco della pubblica solenne onoranza cittadina Le spoglie mortali riposano nella cappella mortuaria di famiglia Ove le vollero la vedova ed i figliuoli A rendere vieppiù paghi La loro pietà ed il riconoscente affetto.Grand'Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italianastrino per uniforme ordinariaGrand'Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia Commendatore dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaronastrino per uniforme ordinariaCommendatore dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro Onorificenze straniere Gran Croce dell'Ordine di Isabella la Cattolica (Spagna)nastrino per uniforme ordinariaGran Croce dell'Ordine di Isabella la Cattolica (Spagna) Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine dell'Immacolata Concezione di Vila Viçosa (Portogallo )nastrino per uniforme ordinariaCavaliere di Gran Croce dell'Ordine dell'Immacolata Concezione di Vila Viçosa (Portogallo) Commendatore di Numero dell'Ordine di Carlo III (Spagna)nastrino per uniforme ordinariaCommendatore di Numero dell'Ordine di Carlo III (Spagna) Commendatore di I classe dell'Ordine della Stella Polare (Svezia)nastrino per uniforme ordinariaCommendatore di I classe dell'Ordine della Stella Polare (Svezia) Grand'Ufficiale dell'Ordine di Nichan Iftikar (Tunisia)nastrino per uniforme ordinariaGrand'Ufficiale dell'Ordine di Nichan Iftikar (Tunisia) Commendatore dell'Ordine Imperiale di Leopoldo (Impero austro-ungarico)nastrino per uniforme ordinariaCommendatore dell'Ordine Imperiale di Leopoldo (Impero austro-ungarico) Cavaliere dell'Ordine della Legion d'Onore (Francia)nastrino per uniforme ordinariaCavaliere dell'Ordine della Legion d'Onore (Francia) Opere di Mariano Semmola, su openMLOL, Horizons Unlimited srl.  Mariano Semmola, su storia.camera.it, Camera dei deputati.  Mariano Semmola, su Senatori d'Italia, Senato della Repubblica.

 

senòfane: Velia. Grice: “There is Athenian dialectic, but there is a prior Veliaian dialectic, at Velia, in Italy.” Senòfane (Colofone), filosofo. Le poche notizie sulla sua vita sono fornite da Diogene Laerzio: "Senofane di Colofone, figlio di Dexio o di Ortomeno... lasciata la patria, dimorò a Zancle (l'odierna Messina) di Sicilia e poi prese parte alla colonia diretta a Velia e qui insegnò. Abitò anche a Catania. Secondo alcuni non fu discepolo di nessuno, secondo altri, dell'ateniese Betone o di Archelao. Sozione il Peripatetico dice che fu contemporaneo di Anassimandro. Scrisse versi epici, elegie e giambi, censurando quanto Omero ed Esiodo hanno detto sugli dei. Cantava egli stesso le sue composizioni. Si dice che abbia polemizzato contro Talete, Pitagora ed Epimenide. Visse fino a tardissima età. cantò anche La fondazione di Colofone e La deduzione di colonia a Elea in duemila versi. Fiorì nella 60ª olimpiade. Demetrio Falereo in Sulla vecchiaia e lo stoico Panezio in Sulla tranquillità dell'animo dicono che abbia sepolto i figli con le sue mani, come Anassagora. Pare che sia stato comprato e poi riscattato dai pitagorici Parmenisco e Orestade. Restano frammenti di elegie e di silli, versi satirici. Critica l'antropomorfismo religioso, quale si trova nei poemi di Omero e di Esiodo e quale, del resto, era comune patrimonio delle credenze religiose del suo tempo:  «Omero ed Esiodo hanno attribuito agli dei tutto quello che per gli uomini è oggetto di vergogna e di biasimo: rubare, fare adulterio e ingannarsi. I mortali credono che gli dei siano nati e che abbiano abito, linguaggio e aspetto come loro. Gli Etiopi credono che gli dei siano camusi e neri, i Traci, che abbiano occhi azzurri e capelli rossi ma se buoi, cavalli e leoni avessero le mani e sapessero disegnare,  i cavalli disegnerebbero gli dei simili a cavalli e i buoi gli dei simili a buoi.In realtà, uno, dio, tra gli dei e tra gli uomini il più grande, non simile agli uomini né per aspetto né per intelligenza. Tutto intero vede, tutto intero pensa, tutto intero sente. Snza fatica tutto scuote con la forza del pensiero. Sempre nell'identico luogo permane senza muoversi, né gli si addice recarsi qui o là.  Da tutto questo si ricava la concezione di un dio-universo e nient'altro si può dire della sua concezione della divinità e dell'essere, diversamente da tarde interpretazioni che vogliono fare di Senofane un precursore della scuola di Velia e il maestro di Parmenide. Egli è legato alla scuola ionica di Mileto, quella di Talete, Anassimandro e Anassimene, a cui egli aggiunge uno spirito, che si potrebbe definire laico, di critica alle concezioni religiose correnti. Non a caso sostiene che "il certo, nessuno lo ha mai colto né ci sarà nessuno che possa coglierlo, sia per quanto riguarda gli dei che per ogni cosa. Infatti, se pure ci si trovasse a dire qualcosa di vero, non lo si saprebbe per esperienza diretta; noi possiamo avere solo opinioni", aggiungendo che "non è che da principio gli dei abbiano rivelato tutto ai mortali, ma col tempo, cercando, gli uomini trovano il meglio".  In queste ultime affermazioni si rileva uno spirito di concretezza razionalistica sui limiti della conoscenza umana ma anche la consapevolezza che non da interventi soprannaturali l'uomo può acquisire conoscenza o costruire la propria cultura.  Oltre a schierarsi contro i valori propri del mito e della epopea omerica, affermò contrariamente ai valori in voga tra i contemporanei, la netta superiorità dei valori spirituali quali la virtù, l'intelligenza e la sapienza, sui valori puramente vitali, come la forza e il vigore fisico degli atleti. Da quelli la città ha ordinamenti migliori e felicità maggiore che non da questi."Perché vale di più la nostra saggezza che non la forza fisica degli uomini e dei cavalli. Difatti, che ci sia tra il popolo un abile pugilatore o un valente nel pentatlo o nella lotta, non per questo ne è avvantaggiato il buon ordine della città. Sulla sua concezione della natura restano pochi frammenti. Achilles, nell’Isagoge in Aratum, riporta che "questo limite della terra lo vediamo ai nostri piedi che viene a contatto con l'aria, l'estremo inferiore si stende invece indefinitamente"; da Aezio deriva che "il mare è fonte dell'acqua e del vento. Infatti il vento né dalle nubi né dall'interno spira, senza il grande mare, né le correnti dei fiumi, né nell'atmosfera l'acqua piovana. Il grande mare genera nubi, venti e fiumi"; Ippolito, nella Refutatio contra omnes haereses, riassume che, per Senofane, nella terra ferma e nei monti si trovano conchiglie, a Siracusa, nelle latomie, si sono trovate impronte di pesci e di foche, a Paro l'impronta di una sarda nella pietra viva e a Malta impronte di ogni sorta di pesci. Questo è avvenuto quando anticamente tutto fu ridotto a fango e l'impronta del fango si è disseccata. La specie umana scompare quando la terra, sprofondatasi nel mare, diventa fango e poi di nuovo la terra ricomincia a formarsi e a tale trasformazione sono soggetti tutti i mondi". E, citato da Aezio, Teodoreto e Sesto Empirico, tutti siamo nati dalla terra e dall'acqua. Moderni commentatori hanno tacciato queste ultime considerazioni di grossolano materialismo che non si collegherebbero con un suo presunto principio fondamentale dell'unità e dell'immobilità dell'universo, avendo essi consideratolo attendibile, relativamente a Senofane, lo PseudoAristotele del De Melisso Xenophane Gorgia, che è un trattato neoplatonico con nessuna attendibilità storica, e pertanto inserendo erroneamente Senofane nella scuola eleatica. In realtà, anche da queste poche citazioni, si conferma filosofo ionico, interessato all'osservazione diretta della natura, lontano da problematiche ontologiche e dall'ipotizzare un mondo trascendente l'esperienza e quindi non vicino alla dottrina eleatica erratamente attribuitagli.  Diels-Kranz, Presocratici  I, Gabriele Giannantoni, Bari, Laterza, Testi I presocratici. Prima traduzione integrale con testi originali a fronte delle testimonianze e dei frammenti di Hermann Diels e Walther Kranz, Giovanni Reale, Milano: Bompiani, Mario Untersteiner, Senofane. Testimonianze e Frammenti, Testo greco a fronte, Milano, Bompiani 2008. Mario Untersteiner, Giovanni Reale, Eleati. Parmenide, Zenone, Melisso. Testimonianze e Frammenti, Testo greco a fronte, Milano, Bompiani . Angelo Tonelli, Le parole dei sapienti. Senofane, Parmenide, Zenone, Melisso, Testo greco a fronte, Milano, Feltrinelli, Studi Maurizio Bugno , Senofane ed Elea tra Ionia e Magna Grecia, Napoli, Luciano Editore, Renzo Vitali, Senofane di Colofone e la scuola eleatica, Cesena, Società Editrice "Il Ponte Vecchio.” A Senofane è stato intitolato il cratere Senofane, sulla superficie della Luna. Wikibooks contiene un approfondimento su Il dio di Senofane e la critica alle credenze tradizionali  Senofane, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Senofane, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Senofane, su sapere.it, De Agostini. Senofane, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Opere di Senofane.  James Lesher, Xenophanes, su Stanford Encyclopedia of Philosophy.

 

serra: Antonio Serra (Dipignano), filosofo.-- è considerato il primo filosofo dell’economia politica in Italia, e uno dei primi in Europa. A Serra va «il merito di avere composto per primo un trattato scientifico, seppure non sistematico, sui principi e sulla politica economica».   Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni d'oro e d'argento dove non sono miniere Poco si conosce della sua vita: laureato probabilmente in utroque, nel 1613 Serra fu imprigionato nelle carceri della Vicarìa di Napoli forse a causa della sua partecipazione al complotto architettato da Tommaso Campanella per liberare la Calabria dalla dominazione spagnola, ma più probabilmente dietro accusa di falso monetario.  Mentre era in carcere compose il Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni d'oro e d'argento dove non sono miniere e lo dedicò al viceré Pedro Fernández de Castro y Andrade, conte de Lemos, che aveva già conosciuto e di cui sperava l'aiuto. Il 6 settembre 1617 riuscì a farsi ricevere dal nuovo viceré, Pedro Téllez-Girón, III duca di Osuna, per proporgli un programma di riforme utili al Regno, ma l'incontro fu infruttuoso e Serra fu rimandato nelle carceri della Vicarìa, dove probabilmente morì.  Essendo molto gravi all'inizio Professorele condizioni finanziarie del Regno di Napoli (esausto il tesoro pubblico e l'onere del fisco già così gravoso da indurre molti a lasciare la città per sottrarvisi), Marc'Antonio De Santis (Discorsi) aveva proposto di limitare l'esportazione della moneta e di abbassare i tassi di cambio con le piazze estere. La polemica con De Santis è alla base del Breve Trattato di Antonio Serra, che dimostra con esempi tratti dalla storia antica e contemporanea l'inutilità e anzi il danno di questi presunti rimedi, e da ciò trae occasione per spiegare le vere cause della prosperità delle nazioni.  Serra comincia analizzando le cause della scarsità di moneta nel Regno di Napoli e i fattori che avrebbero potuto invertire questa tendenza economica. Egli fu il primo ad analizzare e comprendere appieno il concetto di bilancia commerciale sia per i beni visibili che per quelli invisibili (i servizi e i movimenti di capitali). Ha spiegato come la scarsità di moneta nel Regno di Napoli fosse causata dal deficit della bilancia dei pagamenti. Utilizzando le sue scoperte fu in grado di respingere l'idea, all'epoca più diffusa, per cui la scarsità di denaro era dovuta al tasso di cambio. La soluzione prospettata al problema era indicata nella promozione attiva delle esportazioni. L'opera segna il distacco dalle concezioni moralistiche scolastiche per passare ad una visione laica ed è assolutamente innovativa per l'epoca tanto che Benedetto Croce la definì "lampada di vita".  Sua influenza nella storia del pensiero economico Fu l'abate Ferdinando Galiani a riscoprire l'opera, tessendone un elogio nella nota XXIX del suo celebre trattato Della Moneta. "Chiunque leggerà questo trattato" scrive Galiani "resterà sicuramente sorpreso ed ammirato in vedere quanto in un secolo di totale ignoranza della scienza economica avesse il suo autore chiare e giuste le idee della materia di cui scrisse e quanto sanamente giudicasse delle cause de nostri mali e de soli rimedi efficaci." Galiani paragona Serra al francese Jean-François Melon e all'inglese John Locke, considerandolo superiore a loro per avere vissuto molti anni prima in un'epoca di ignoranza della scienza economica.  Serra, che in vita era stato del tutto trascurato e per secoli, tranne appunto quell'elogio di Galiani, completamente dimenticato, dopo molto tempo è stato finalmente riscoperto. L'opera di Serra ed il suo breve trattato figurano con molta evidenza nei lavori dell'economista norvegese Erik Reinert.  Note Friedrich List, National system of political economy, J.B. Lippincott & Co., Joseph Alois Schumpeter (1959)236.  Luca Addante, Cosenza e i cosentini: un volo lungo tre millenni, Rubbettino Editore, 2001105,  88-498-0127-0.  Francesco Martelloni, Regno di Napoli e Terra d'Otranto al tempo di Masaniello. Aspetti economici e sociali di una "crisi", in C. Perrotta , La scienza è una curiosità. Scritti in onore di Umberto Cerroni, Manni Editori, Rodolfo Benini, Benedetto Croce, Storia del Regno di Napoli, Editori Laterza. «Avendo ottenuto di parlare al viceré duca di Ossuna per comunicargli cose utili allo stato, fu udito, presenti i consiglieri, ma, giudicandosi che avesse detto « ciarle e chiacchiere senz'altro concludere », fu rimandato al suo carcere.».  Anna Casella, Marc'Antonio De Santis, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Manuel Serra Moret, Diccionario Económico de Nuestro Tiempo, su eumed.net, Theodore A. Sumberg.  Oreste Parise, Antonio Serra e il suo tempo. Vita e pensiero del primo economista moderno, , Ecra,  978-88-6558-082-0.  Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni d'oro e d'argento dove non sono miniere, Volume 1, Antonio Serra, Destefanis, Illuministi Italiani, Tomo VI Della Moneta, Opere di Ferdinando Galiani, Milano-Napoli 1975. Rosario Patalano e Sophus A. Reinert , Antonio Serra and the Economics of Good Government, Palgrave Macmillan, Erik S. Reinert, How Rich Countries Got Rich and Why Poor Countries Stay Poor, PublicAffairs, Erik S. Reinert, Giovanni Botero (1588) and Antonio Serra (1613): Italy and the birth of development economics, in Handbook of Alternative Theories of Economic Development, Edward Elgar Publishing, Ferdinando Galiani, Della moneta, Napoli 1780,  409 s.; Francesco Saverio Salfi, Elogio di Antonio Serra primo scrittore di economia civile, in Luca Addante, Patriottismo e libertà. L'Elogio di Antonio Serra di Francesco Salfi, Cosenza 2009,  133–233; Pietro Custodi, Notizie degli autori contenuti nel presente volume: Serra, in Scrittori classici italiani di economia politica, Parte antica, I, Milano, Giuseppe Pecchio, Storia della economia pubblica in Italia, Lugano, Narrazioni tratte dai giornali del governo di Don Pietro Girone duca d'Ossuna viceré di Napoli scritti da Francesco Zazzera (1616-1620), in Archivio storico italiano, Giacomo Savarese, Trattato di economia politica, I, Napoli, Francesco Ferrara, Prefazione, in Trattati italiani del secolo XVIII, Torino, Lodovico Bianchini, Della scienza del ben vivere sociale e della economia pubblica e degli Stati, Napoli, Davide Andreotti, Storia dei cosentini, II, Napoli 1869,  284, 363 s.; Luigi Accattatis, Le biografie degli uomini illustri delle Calabrie, II, Cosenza; Tommaso Fornari, Studii sopra Antonio Serra e Marc'Antonio De Santis, Pavia 1879; Luigi Amabile, Fra Tommaso Antonio Serra (economista)  Antonio Serra (Dipignano, metà XVI secoloNapoli, primi anni XVII secolo) economista e filosofo italiano della scuola mercantilista. Serra è considerato il primo scrittore di economia politica in Italia, e uno dei primi in Europa. A Serra va «il merito di avere composto per primo un trattato scientifico, seppure non sistematico, sui principi e sulla politica economica».   Indice 1Biografia 2Sua influenza nella storia del pensiero economico 3Note 4 5 6Altri progetti 7 Biografia  Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni d'oro e d'argento dove non sono miniere Poco si conosce della sua vita: laureato probabilmente in utroque, fu imprigionato nelle carceri della Vicarìa di Napoli forse a causa della sua partecipazione al complotto architettato da Tommaso Campanella per liberare la Calabria dalla dominazione spagnola, ma più probabilmente dietro accusa di falso monetario.  Mentre era in carcere compose il Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni d'oro e d'argento dove non sono miniere e lo dedicò al viceré Pedro Fernández de Castro y Andrade, conte de Lemos, che aveva già conosciuto e di cui sperava l'aiuto. Riuscì a farsi ricevere dal nuovo viceré, Pedro Téllez-Girón, III duca di Osuna, per proporgli un programma di riforme utili al Regno, ma l'incontro fu infruttuoso e Serra fu rimandato nelle carceri della Vicarìa, dove probabilmente morì.  Essendo molto gravi all'inizio Professorele condizioni finanziarie del Regno di Napoli (esausto il tesoro pubblico e l'onere del fisco già così gravoso da indurre molti a lasciare la città per sottrarvisi), Marc'Antonio De Santis (Discorsi) aveva proposto di limitare l'esportazione della moneta e di abbassare i tassi di cambio con le piazze estere. La polemica con De Santis è alla base del Breve Trattato di Antonio Serra, che dimostra con esempi tratti dalla storia antica e contemporanea l'inutilità e anzi il danno di questi presunti rimedi, e da ciò trae occasione per spiegare le vere cause della prosperità delle nazioni.  Serra comincia analizzando le cause della scarsità di moneta nel Regno di Napoli e i fattori che avrebbero potuto invertire questa tendenza economica. Egli fu il primo ad analizzare e comprendere appieno il concetto di bilancia commerciale sia per i beni visibili che per quelli invisibili (i servizi e i movimenti di capitali). Ha spiegato come la scarsità di moneta nel Regno di Napoli fosse causata dal deficit della bilancia dei pagamenti. Utilizzando le sue scoperte fu in grado di respingere l'idea, all'epoca più diffusa, per cui la scarsità di denaro era dovuta al tasso di cambio. La soluzione prospettata al problema era indicata nella promozione attiva delle esportazioni. L'opera segna il distacco dalle concezioni moralistiche scolastiche per passare ad una visione laica ed è assolutamente innovativa per l'epoca tanto che Benedetto Croce la definì "lampada di vita".  Sua influenza nella storia del pensiero economico Fu l'abate Ferdinando Galiani a riscoprire l'opera, tessendone un elogio nella nota XXIX del suo celebre trattato Della Moneta. "Chiunque leggerà questo trattato" scrive Galiani "resterà sicuramente sorpreso ed ammirato in vedere quanto in un secolo di totale ignoranza della scienza economica avesse il suo autore chiare e giuste le idee della materia di cui scrisse e quanto sanamente giudicasse delle cause de nostri mali e de soli rimedi efficaci." Galiani paragona Serra al francese Jean-François Melon e all'inglese John Locke, considerandolo superiore a loro per avere vissuto molti anni prima in un'epoca di ignoranza della scienza economica.  Serra, che in vita era stato del tutto trascurato e per secoli, tranne appunto quell'elogio di Galiani, completamente dimenticato, dopo molto tempo è stato finalmente riscoperto. L'opera di Serra ed il suo breve trattato figurano con molta evidenza nei lavori dell'economista norvegese Erik Reinert.  Note Friedrich List, National system of political economy, J.B. Lippincott & Co., Joseph Alois Schumpeter, Luca Addante, Cosenza e i cosentini: un volo lungo tre millenni, Rubbettino Editore, Francesco Martelloni, Regno di Napoli e Terra d'Otranto al tempo di Masaniello. Aspetti economici e sociali di una "crisi", in C. Perrotta , La scienza è una curiosità. Scritti in onore di Umberto Cerroni, Manni Editori, Rodolfo Benini, Benedetto Croce, Storia del Regno di Napoli, Editori Laterza. «Avendo ottenuto di parlare al viceré duca di Ossuna per comunicargli cose utili allo stato, fu udito, presenti i consiglieri, ma, giudicandosi che avesse detto « ciarle e chiacchiere senz'altro concludere », fu rimandato al suo carcere.».  Anna Casella, Marc'Antonio De Santis, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Manuel Serra Moret, Diccionario Económico de Nuestro Tiempo, su eumed.net, Theodore A. Sumberg (1991).  Oreste Parise, Antonio Serra e il suo tempo. Vita e pensiero del primo economista moderno, , Ecra,  Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni d'oro e d'argento dove non sono miniere, Volume 1, Antonio Serra, Destefanis,  Illuministi Italiani, Tomo VI Della Moneta, Opere di Ferdinando Galiani, Milano-Napoli 1975. Rosario Patalano e Sophus A. Reinert , Antonio Serra and the Economics of Good Government, Palgrave Macmillan, Erik S. Reinert, How Rich Countries Got Rich and Why Poor Countries Stay Poor, PublicAffairs, 2008,  978-1586486686. Erik S. Reinert, Giovanni Botero  and Antonio Serra: Italy and the birth of development economics, in Handbook of Alternative Theories of Economic Development, Edward Elgar Publishing, Ferdinando Galiani, Della moneta, Napoli,  Francesco Saverio Salfi, Elogio di Antonio Serra primo scrittore di economia civile  in Luca Addante, Patriottismo e libertà. L'Elogio di Antonio Serra di Francesco Salfi, Cosenza 2009,  133–233; Pietro Custodi, Notizie degli autori contenuti nel presente volume: Serra, in Scrittori classici italiani di economia politica, Parte antica, I, Milano Giuseppe Pecchio, Storia della economia pubblica in Italia, Lugano, Narrazioni tratte dai giornali del governo di Don Pietro Girone duca d'Ossuna viceré di Napoli scritti da Francesco Zazzera in Archivio storico italiano, Giacomo Savarese, Trattato di economia politica, I, Napoli; Francesco Ferrara, Prefazione, in Trattati italiani del secolo XVIII, Torino; Lodovico Bianchini, Della scienza del ben vivere sociale e della economia pubblica e degli Stati, Napoli, Davide Andreotti, Storia dei cosentini, II, Napoli, Luigi Accattatis, Le biografie degli uomini illustri delle Calabrie, II, Cosenza, Tommaso Fornari, Studii sopra Antonio Serra e Marc'Antonio De Santis, Pavia 1879; Luigi Amabile, Fra Tommaso ampanella. La sua congiura, i suoi processi e la sua pazzia, INapoli, Antonio De Viti de Marco, Le teorie economiche di Antonio Serra, in Memorie del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, classe di lettere e scienze storiche e morali, Rodolfo Benini, Sulle dottrine economiche di Antonio Serra Appunti critici, in Giornale degli economisti,  Economisti del Cinque e Seicento, A. Graziani, Bari, G. Arias, Il pensiero economico di Antonio Serra, in Politica, B. Croce, Storia del Regno di Napoli, Bari, Economisti napoletani dei sec. XVII e XVIII, Giorgio Tagliacozzo, Bologna, Luigi Einaudi, Saggi bibliografici e storici intorno alle dottrine economiche, Roma, Joseph Alois Schumpeter, Storia dell'analisi economica, Torino, Luigi De Rosa, Antonio Serra e i suoi critici, in Atti del 3º Congresso storico calabrese, Napoli, Giuseppe Galasso, Economia e società nella Calabria del Cinquecento, Guida Editori, Oscar Nuccio, Sul significato storico del «Breve trattato» di Antonio Serra, in Rivista storica del Mezzogiorno, Raffaele Colapietra, Introduzione, in Problemi monetari negli scrittori napoletani del Seicento, R. Colapietra, Roma Antonio Aquino, Antonio Serra e l'approccio monetario all'analisi della bilancia dei pagamenti, in Studi economici,  Raffaele Colapietra, Genovesi in Calabria nel Cinque e Seicento, in Rivista storica calabrese, Manoscritti napoletani di Paolo Mattia Doria, Giulia Belgioioso, I, Galatina,  Tullio Toscano, Il "Breve trattato" di Antonio Serra e la disputa sui cambi esteri del Regno di Napoli, in Rivista di politica economica, Clemente Secondo Rije, Notizie biografiche su Antonio Serra, in A. Serra, Breve trattato, ed. anast., introduzione di Sergio Ricossa, Napoli, Peter Groenewegen, Serra, Antonio in The New Palgrave: a dictionary of economics, John Eatwell, Murray Milgate, Peter Kenneth Newman, IV, London; Sergio Ricossa, Cento trame di classici dell’economia, Milano, Theodore A. Sumberg, Antonio Serra: A Neglected Herald of the Acquisitive System, in American Journal of Economics and Sociology,  Oscar Nuccio, Il pensiero economico italiano, II, 2, Sassari, Antonio Serra und sein Breve trattato: Vademecum zu einem Unbekannten Klassiker, Bertram Schefold, Düssendorlf,  Il Mezzogiorno agli inizi del Seicento, L. De Rosa, Roma-Bari , Alle origini del pensiero economico in Italia, I, Moneta e sviluppo negli economisti napoletani dei secoli XVII-XVIII, A. Roncaglia, Bologna 1995 (in partic. E. Zagari, Moneta e sviluppo nel «Breve trattato» di Antonio Serra, A. Rosselli, Antonio Serra e la teoria dei cambi,  Antonio Landolfi, Domenico Luciano, Prefazione, in A. Serra, Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni d’oro e argento..., Antonio Landolfi, Domenico Luciano, Vibo Valentia, Augusto Placanica, Storia della Calabria dall’antichità ai giorni nostri, Roma, Alessandro Roncaglia, Antonio Serra, in Rivista italiana degli economisti, Luca Addante, Repubblicanesimo e mito di Venezia nel Breve trattato di Antonio Serra, in Clio, Erik S. Reinert, Sophus A. Reinert, An early national innovation system: the case of Antonio Serra's Breve trattato, in Institutions and economic development / Istituzioni e sviluppo economico, Alessandro Roncaglia, La ricchezza delle idee. Storia del pensiero economico, Roma-Bari, Enzo Grilli, Serra visto da Enzo Grilli, Roma 2006; Rosario Villari, Politica barocca. Inquietudini, mutamento e prudenza, Roma-Bari , Sophus A. Reinert, Introduction, in A. Serra, A short treatise on the wealth and poverty of nations, Sophus A. Reinert, London ,  1–93; Alessandro Roncaglia, Antonio Serra, in Il contributo italiano alla storia del pensiero. Economia, Roma,  Rosario Villari, Un sogno di libertà. Napoli nel declino di un impero, Milano; Oreste Parise, Antonio Serra e il suo tempo. Vita e pensiero del primo economista moderno, Roma ; Cosimo Perrotta, Antonio Serra's development economics: mercantilism, backwardness, dependence, in History of economic thought and policy, Luca Addante, La politica del Breve trattato, in A. Serra, Breve trattato..., trad. in italiano moderno di Giuseppe Nicoletti, Soveria Mannelli, Antonio Serra and the economics of good government, Rosario Patalano, Sophus A. Reinert, Basingstoke-New York  (in partic. Rosario Patalano, Serra's Brief treatise in a world-system perspective: the Dutch miracle and Italian decline in the early 17th century,  63–88); Gaetano Sabatini, The influence of Portuguese economic thought on the Breve trattato: Antonio Serra and Miguel Vaaz in Spanish Naples,  Luca Addante, The republic of wealth and liberty: the politics of Antonio Serra,  143–165; André Tiran, Real and monetary factors in the de Santis-Serra controversy, Cosimo Perrotta, Serra and underdevelopment, Francesco Di Battista, Serra's discovery and ill fate in the liberal 19th century,  281–298; Alessandro Roncaglia, The heritage of Antonio Serra,  299–314.  Mercantilismo Storia del pensiero economico Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Antonio Serra  Antonio Serra, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Anna Maria Ratti, Antonio Serra, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Luca Addante, Antonio Serra, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Alessandro Roncaglia, Antonio Serra, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Economia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana

 

settala: Lodovico Settala (Milano), filosofo. Nacque dal medico Francesco Settala e da Giulia Ripa, figlia del giureconsulto pavese Giovanni Francesco Ripa.  Studiò nel collegio dei Gesuiti di Brera e si laureò a Pavia. Due anni dopo ottenne la prima cattedra straordinaria di Medicina a Pavia; ma vi rinunciò poco tempo dopo per svolgere l'attività medica a Milano. Ebbe tuttavia le cattedre di politica e di morale nelle Scuole canobiane di Milano e l'incarico di protofisico generale dello stato di Milano. Si prodigò in occasione delle epidemie di peste che si svilupparono a Milano e la famosa peste dei I promessi sposi. Manzoni lo nomina ne I promessi sposi, una prima volta  quando parla del figlio, Senatore Settala, medico, membro, insieme ad Alessandro Tadino del tribunale della sanità ai tempi della vicenda di Renzo e Lucia; e una seconda volta nel capitolo XXXI, allorché è tra i primi ad accorgersi che la "strana malattia" che si stava diffondendo nella zona lecchese, era la peste.  Opere Lodovico Settala scrisse numerose opere, di medicina, filosofia e di storia naturale, altre di morale e di politica. Fra le sue opere si ricordano la traduzione latina, con commento, dei libri ippocratici De aëribus, aquis et locis (In librum Hippocratis Coi de aeribus, aquis, locis, commentarii V. Appositus est Graecus Hippocratis contextus ope antiquorum exemplarium, restitutus, ... Cum indice rerum et verborum locupletissimo, Coloniae: Ioan. Baptistae Ciotti Senensis aere, 1590) e dei Problemata di Aristotele (Commentariorum in Aristotelis problemata Tomus I-II, Francoforte sul Meno: apud haeredes Andreae Wecheli, Claudium Marnium, & Ioannem Aubrium, 1602).   Ludovico Settala, In Librum Hippocratis Coi de aeribus, aquis, locis Commentarii V. appositus est graecus Hippocratis contextus ... restitutus et ... emendatus, una cum nova eiusdem in Latinum versione, Colonia, Giovanni Battista Ciotti, 1590. 3 marzo .  Ludovico Settala, Ludovici Septalii Patricii Mediolanensis Commentariorum in Aristotelis Problemata, septem primas sectiones continens, ab eodem Latine factas,  1, Francoforte, Apud Claudium Marnium & heredes Ioannis Aubrii, 1602. 3 marzo .  Ludovico Settala, Ludovici Septalii Patricii Mediolanensis Commentariorum in Aristotelis Problemata, secundam heptadem continens, ab eodem Latine factam,  2, Francoforte, Apud Claudium Marnium & heredes Ioannis Aubrii, 1607. 3 marzo . Animaduersionum, & cautionum medicarum libri septem. Quorum materiam sequens pagina indicabit, Mediolani: apud Io. Bapt. Bidell., 1614 De peste, & pestiferis affectibus. Libri quinque., Mediolani: apud Ioannem Baptistam Bidellium, De peste et pestiferis affectibus, Ludouici Septalij patrici et medici Mediolanensis, De ratione instituendae, & gubernandae familiae. Libri quinque. Senator F. edidit, & Iulio Aresio Senatus Mediolanensis principi dicauit, Mediolani: apud Io. Baptistam Bidellium, 1626 Della ragion di stato libri sette. Di Lodouico Settala. All'illustrissimo, & eccellentissimo signore Don Emanuelle de Fonseca e Zugniga, Milano: appresso Gio. Battista Bidelli, Cura locale de' tumori pestilentiali, che sono il bubone, l'antrace, o carboncolo, & i furoncoli. Contenente tutto quello, che si ha da fare esteriormente nellquesti mali. Tolta dal libro della cura della peste. Del signor profisico Lodouico Settala, Milano: per Giouan Battista Bidelli, 1629 Preseruatione dalla peste scritta dal sig. protomedico Lodouico Settala, Brescia: per Bartholomeo Fontana, Commentaria in Aristotelis Problemata, Lugduni, Sumptibus Claudi Landry, Antidotario romano latino, et volgare tradotto da Hippolito Cesarelli romano. Con l'aggionta dell'elettione de semplici, e prattica delle compositioni. E di due trattati, vno della teriaca romana, ... l'altro della teriaca egittia. Aggiontoui in questa vltima impressione le auertenze, & osseruationi appartenenti alla compositione de medicamenti del sig. Lodovico Settala, Milano: per Gio. Battista Bidelli, Auertenze, et osseruationi appartenenti al curar le ferite, tradotte dall'ottavo libro delle osseruationi del signor Ludouico Settala, da Alessandro Tadino, Milano: per Gio. Pietro Cardi, Breue compendio per curare ogni sorte de tumori esterni, & cutanee turpitudini, raccolto dalle osseruationi fisice, & chirurgice nelli vltimi anni fatte dal sig. Lodouico Settala medico collegiato ,,, d'Alessandro Tadino medico collegiato, Milano: per Lodouico Monza: ad instan. di Altobello Pisani, 1646 Ludovici Septalii mediolanensis, Opera de ratione familiae cum instituendae, tum gubernandae libri V et De ratione status libris VII, Editio nova, Ulmae: prostat apud Jo. Frid. Gaum, 1755 Note  CERL Thesaurus, «Ripa, Giovanni Francesco (1480-1535)»  Giuseppe Ferrario, Statistica medica di Milano: dal secolo XV fino ai nostri giorni,  2, Milano, Guglielmini e Redaelli, Luigi Belloni, Carlo Borromeo e la Storia della Medicina, in San Carlo e il suo tempo: atti del convegno internazionale nel IV centenario della morte (Milano). Edizioni di Storia e Letteratura,  Bartolomeo Corte, Notizie istoriche intorno a medici scrittori milanesi, Milano 1718,  137-146. Filippo Argelati, Bibliotheca scriptorum mediolanensium seu acta, et elogia virorum omnigena eruditione illustrium, qui in metropoli Insubriae, oppidisque circumjacentibus orti sunt, II, Mediolani, Paolo Sangiorgio, Cenni storici sulle due Pavia e di Milano e notizie intorno ai più celebri medici, chirurghi e speziali di Milano dal ritorno delle scienze sino all’anno 1816. Opera postuma, F. Longhena, Milano 1831,  258-272. Salvatore De Renzi, Storia della medicina italiana, III, Napoli 1845,  509 s., passim. Ercole Ferrario, Intorno alla vita ed alle opere mediche di Ludovico Settala. Cenni, Milano, Pietro Capparoni, Profili biobibliografici di medici e naturalisti celebri italiani, Roma, Angelo Francesco La Cava, La peste di S. Carlo. Note storico mediche sulla peste, Milano, Silvia Rota Ghibaudi, Ricerche su Ludovico Settala, Firenze 1959 (con elenco delle opere e delle loro edizioni a stampa). Filippo Maria Ferro, La peste nella cultura lombarda, Milano, Giorgio Cosmacini, Il medico e il cardinale, Milano. Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Firenze, Presso Molini, Landi, e Company, Laura Facchin, Ludovico Settala: un intellettuale barocco fra scienza e arte, su enbach.eu. Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Pietro Capparoni, Ludovico Settala, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Giorgio Giacomo Mellerio, Ludovico Settala, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere su openMLOL, Horizons Unlimited srl.

 

severino: Emanuele Severino (Brescia), filosofo.  È considerato da parte della critica come uno dei più grandi filosofi italiani del '900 e uno dei più grandi filosofi di tutti i tempi. Il suo pensiero filosofico intende collocarsi oltre tutta la storia della filosofia occidentale che secondo Severino è permeata dal Nichilismo. Il padre era un militare di carriera siciliano originario di Mineo trasferitosi a Brescia, mentre la madre era una bresciana di Bovegno in alta Val Trompia. Si laureò a Pavia  come alunno dell'Almo Collegio Borromeo, discutendo una tesi su Heidegger e la metafisica, sotto la supervisione di Bontadini. L'anno successivo ottenne la libera docenza in filosofia teoretica. Insegnò a Milano. I libri pubblicati in quegli anni entrarono in forte conflitto con la dottrina ufficiale della Chiesa cattolica, suscitando vivaci discussioni all'interno dell'Università Cattolica e nella Congregazione per la dottrina della fede (l'ex Sant'Uffizio). Dopo un lungo e accurato esame (condotto da Cornelio Fabro) la Chiesa proclamò ufficialmente nel 1969 l'insanabile opposizione tra il pensiero di Severino e il cristianesimo.  Lasciata l'Università Cattolica, Severino venne chiamato all'Università Ca' Foscari Venezia, dove fu tra i fondatori della Facoltà di lettere e filosofia, nella quale hanno insegnato o insegnano alcuni dei suoi allievi (Umberto Galimberti, Carmelo Vigna, Luigi Ruggiu, Salvatore Natoli, Italo Valent). Dal 1970 fu Professore di Filosofia teoretica, diresse l'Istituto di filosofia (diventato poi Dipartimento di Filosofia e Teoria delle scienze e, oggi, Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali) fino al 1989 e insegnò anche logica, storia della filosofia moderna e contemporanea e sociologia. Cominciò una serie di pubblici colloqui col teologo tomista Giuseppe Barzaghi in cui pareva aprirsi lo spiraglio di una riconsiderazione della possibilità cristiana.  Nel 2005 l'Università Ca' Foscari Venezia lo proclamò Professore emerito; insegnò Ontologia fondamentale presso la Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano; fu Accademico dei Lincei e Cavaliere di gran croce, inoltre collaborò per alcuni decenni[senza fonte] con il Corriere della Sera e dal 1974 per pochi anni[senza fonte] con Bresciaoggi.  Il 23 dicembre  il Consiglio comunale di Bovegno gli conferì la cittadinanza onoraria con la seguente motivazione: "Discendente per parte di madre da antica famiglia bovegnese, ha contribuito con la sua opera in maniera rilevante al pensiero filosofico occidentale contemporaneo, sulle orme degli antichi filosofi greci. Nella sua autobiografia ha espresso il suo legame con la terra avìta di Bòvegno che onorata, lo vuole annoverare tra i suoi concittadini più illustri".  È morto a Brescia il 17 gennaio  dopo una lunga malattia.  Politica e società Severino ha spesso criticato sia il capitalismo sia il comunismo, fonti dell'heideggeriana "vita inautentica" in quanto espressioni di "dominio della tecnica" (come d'altronde il fascismo), ma anche la sinistra in quanto "non è più socialdemocrazia", rilasciando anche dichiarazioni sul suo punto di vista sul passato e sull'avvenire dell'Italia: «Le spiegazioni della crisi del nostro tempo rimangono molto in superficie anche quando vogliono andare in profondità. Il fenomeno di fondo, che non viene adeguatamente affrontato, è l'abbandono, nel mondo, dei valori della tradizione occidentale; e questo mentre le forme della modernità dell'Occidente si sono affermate dovunque. Un abbandono che si porta via ogni forma di assolutoe innanzitutto Dio.(...) Muore, dicevo, ogni forma di assolutezza e di assolutismo, dunque anche quella forma di assoluto che è lo Stato moderno, che detienedice Weber"il monopolio legittimo della violenza". Questo grande turbine che si porta via tutte le forme della tradizione è guidato dalla tecnica modernaed è irresistibile nella misura in cui ascolta la voce che proviene dal sottosuolo del pensiero filosofico del nostro tempo. Il turbine travolge anche le strutture statuali. Investe innanzitutto le forme più deboli di Stato. La trasformazione epocale di cui parlo non è indolore: il vecchio ordine non intende morire, ma è sempre più incapace di funzionare, soprattutto in Paesi come l'Italia. E il nuovo ordine non ha ancora preso le redini. È la fase più pericolosa (non solo per l'Italia).»  e criticando "l'assolutismo cattolico e comunista", oltre che tacciando la magistratura di "ingenuità", poiché processando una classe politica a fondo ha rivelato la contiguità anche con la criminalità organizzata, figlia della guerra fredda e, secondo  Severino, impossibile da debellare integralmente in pochi anni senza debellare lo Stato stesso, causando notevoli problemi.  «L'Italia è uno Stato acerbo. Ha 150 anni su per giù. Ma soprattutto ha alle proprie spalle una storia di frazionamento politico-economico-sociale, dove si sono imposte forze che hanno avuto nel mondo un peso ben maggiore di quello dell'Italia unita.. Sull'evasione fiscale: Una tara storica, come prima le dicevo. L'evasione fiscale è un furto ai danni di tutti. Se c'è da costruire una strada io devo metterci anche la parte degli evasori. Certo, molti artigiani e piccoli imprenditori, se non evadessero, fallirebbero. Tutti sanno queste cose. Però conosco anche tanti cattolici ai quali molti uomini di Chiesa facevano capire che se non avessero ritenuto "giusto" pagare le tasse dello Stato, avrebbero fatto bene a non pagarle. Questo Papa, da buon pastore, sta cercando di cambiare le cose. Ma non vorrei che si perdesse di vista che la "corruzione" di fondo è l'"evasione" del mondo dal passato dell'Occidente.»  Critiche Oltre alle citate critiche cattoliche, Martin Heidegger parlando con Cornelio Fabro a Roma ebbe a dire a proposito di "Ritornare a Parmenide rmenide" di Severino: "Severino ha immobilizzato il mio Dasein!" Già da molto prima prima, alcuni appunti di lavoro heideggeriani testimoniano come Martin Heidegger seguisse il giovanissimo Severino (da uno studio di Francesco Alfieri e Friedrich von Herrmann). Severino è stato criticato dal matematico e logico Piergiorgio Odifreddi, in risposta a un giudizio critico dello stesso Severino su un'opera di Odifreddi, ovvero l'introduzione scritta per l'edizione italiana di L'ABC della relatività di Bertrand Russell, dove venivano citati alcuni filosofi (tra cui Severino stesso, Heidegger, Croce e Deleuze), secondo Severino in maniera non congrua e "alla rinfusa"; il matematico ha accusato invece Severino di non considerare l'importanza della scienza (come già fecero i neoidealisti, come Croce e Gentile), a differenza di grandi filosofi del passato che avevano studiato a fondo alcune teorie (facendo l'esempio di Kant, Nietzsche e Cartesio, matematico lui stesso). Nel dialogo tra Severino e Alessandro Di Chiara, Oltre l'uomo e oltre Dio (2002) la filosofia della necessità si contrappone alla filosofia della libertà.  Pensiero Nei suoi scritti fa spesso riferimento a pensatori come Parmenide, Eraclito, Aristotele, Hegel, Nietzsche, Leopardi, Heidegger e Gentile. Secondo Severino il pensiero di Giacomo Leopardi, Nietzsche e di Giovanni Gentile è l'apice della follia del nichilismo. Severino considera questi tre filosofi come i tre più grandi geni che hanno portato all'estremo la concezione greca del Nulla ovvero l'entrare e l'uscire degli enti dal Nulla.  L'eternità di tutti gli essenti Severino affronta l'antico problema radicalizzato da Platone e Aristotele e ripreso poi in epoca moderna da Heidegger: il problema dell'essere. Per Severino, tutte le filosofie costituitesi precedentemente sono caratterizzate da un errore di fondo: la  fede nel senso greco del divenire. Sin dagli antichi greci, infatti, un ente (ovvero un qualcosa che è) viene considerato come proveniente dal nulla, dotato temporaneamente di esistenza e successivamente ritornante nel nulla.  Rifacendosi al pensiero di Parmenide, Severino è stato definito come fondatore di un neoparmenidismo, di cui sarebbe l'unico esponente, peraltro criticato in senso anti-metafisico da Gennaro Sasso e da Mauro Visentin, i quali sostengono, rovesciando la sua tesi, come, contrariamente all'opinione diffusa, in Parmenide esista invece un deciso rifiuto della metafisica..  Severino, riflettendo sull'opposizione assoluta tra essere e non-essere, dato che tra i due termini non vi è nulla in comune, ritiene evidente che l'essere non può non rimanere costantemente uguale a se stesso, evitando di rimanere alterato dall'altro da sé. Anzi, essendo l'essere la totalità di ciò che esiste, non può esserci altro al di fuori di esso dotato di esistenza (Severino rifiuta, quindi, il concetto di differenza ontologica così come è stato avanzato da Heidegger). Per Severino, quindi, tutta  la storia della filosofia occidentale è basata sull'errata convinzione che l'essere possa diventare un nulla, sebbene alcuni filosofi, come Schopenhauer, abbiano tentato di negare tale assunto.  Ma, mentre Parmenide tentava di risolvere il conflitto tra il divenire e l'immutabilità dell'essere affermando l'illusorietà del divenire (negando l'esistenza delle cose del mondo e cadendo quindi in un'aporia), Severino sceglie una via differente, portando il suo pensiero a delle tesi estreme.  Dato che l'essere è, e non può mai diventare un nulla, «ogni essente è eterno». Ogni cosa, ogni pensiero, ogni attimo sono eterni. Il divenire temporale non può, quindi, che rappresentare l'apparire successivo degli eterni stati dell'essere, così come i fotogrammi di una pellicola si susseguono sino a formare lo svolgimento completo di un film. Gli enti entrano ed escono da quello che Severino chiama "cerchio dell'apparire". Ciò significa che, quando un ente esce dal cerchio dell'apparire, non diviene un nulla, ma si sottrae semplicemente alla vista: dunque, le cose esistono anche quando scompaiono ovvero non si vedono ("vedere senza vedere", dice Donato Sperduto in una tragicommedia sul pensiero severiniano). Riprendendo la metafora di Plotino, afferma che il divenire degli enti è come lo scorrere degli oggetti sulla superficie di uno specchio. Le cose, infatti, esistono prima di entrare nel campo visivo dello specchio e ovviamente continuano ad esistere anche dopo esserne uscite. Non solo Plotino, ma anche Agostino di Ippona, con un'immagine simile, definì il tempo come immagine mobile dell'Eterno. Nel pensiero di Severino, tuttavia, l'eternità non è limitata a un Dio che dà e toglie la vita agli Enti, facendoli entrare e uscire dallo specchio (senza che nulla esista prima e dopo), ma si estende anche a tutti gli enti che nel divenire si manifestano.  Dimostrazione dell'eternità di tutti gli essenti Magnifying glass icon mgx2.svg  Divenire § Severino. La dimostrazione severiniana dell'eternità di tutti gli essenti, si basa sostanzialmente sul principio di non contraddizione, ma non nella versione che ne dà Aristotele nel De Interpretatione. In essa anzi "il discorso del tramonto del senso dell'essere...trova la sua formulazione più rigorosa e più esplicita".  Bisogna invece "ritornare a Parmenide", correggernecon Platonel'esito aporetico, dimostrando che l'evidenza fenomenica non è in contrasto col principio di non contraddizione, ma scoprendo anche che il divenire così come Platone lo pensa, come uscire dal nulla e ritornare nel nulla, non appare affatto, non è affatto "evidente".  Di qui si potrà proseguire su una via (quella indicata da Parmenide, il "sentiero del giorno") ben diversa da quella imboccata con Platone dal pensiero occidentale.  Consideriamo la proposizione parmenidea: "...è infatti l'essere, il nulla non è": tale proposizione esprime l'opposizione "assoluta" tra i termini "essere" e "non essere"; pertanto ogni essente, in quanto ent-e, è assolutamente opposto al nulla e non ci può essere né un tempo né uno stato in cui un ente non sia, come pensa invece il principio di non contraddizione aristotelico: "è necessario che l'essere sia, quando è, e che il non-essere non sia, quando non è". Quest'enunciato esprime il pensiero di un tempo, una condizione, in cui l'ente è nulla, in cui essere=nulla. Questa impossibile ed impensabile contraddizione costituisce la "follia essenziale" in cui cresce e sta, senza esserne consapevole, tutto il pensiero occidentale.  Infatti il pensiero occidentale pensa sì, consapevolmente, l'ente come essere, ma insieme come diveniente (pensa cioè che esca dal nulla e ritorni nel nulla). Ad esso sfugge invece che ciò equivale a pensare l'ente come nulla; e questo è il nichilismo più proprio, la follia che si annida nell'inconscio della filosofia, della scienza e della tecnica.  La differenza ontologica Per Heidegger, l'essere non è un ente tra gli enti. Esso rappresenta piuttosto l'apparire ontologico degli enti, e per questo motivo viene definito un transcendens rispetto all'ente. Severino rigetta la concezione heideggeriana, affermando che la totalità dell'essere è costituita dalla totalità degli enti. La vera differenza ontologica è quindi per Severino quella che si costituisce tra l'essere (l'ente) diveniente e quello immutabile.  L'essere che appare e scompare non è lo stesso essere immutabile, ma è anch'esso eterno. Entrambi esistono, ma in differenti dimensioni. L'essere come fondamento è una struttura eterna e non soggetta ad alcun mutamento.  Tutto è avvolto (fino alla morte) dal nichilismo Un po' tutti i filosofi che l'hanno avuto sottomano hanno inteso il nichilismo come allontanamento dalla verità, e l'hanno dunque declinato a seconda dell'idea di verità a cui stavano pensando. Nella prospettiva severiniana dell'eternità di tutte le cose, il nichilismo è dunque il credere che le cose siano mortali, ovvero che l'essere possa non essere,ed uscire e rientrare nel nulla, ovvero credere nel divenire delle cose. Credere infatti che le cose escano dal nulla e vi ritornino equivale ad identificare l'essere con il nulla: quindi si parla di pura "follia". Al di fuori della follia appare l'eternità di ogni cosa e di ogni evento. Al di fuori del nichilismo il sopraggiungere dell'ente è il comparire o lo sparire dell'eterno. Il divenire dell'essere è un'opinione senza verità. L'Occidente non domina il mondo casualmente o perché ha una possibilità offensiva superiore; ma, al contrario, ha una possibilità offensiva superiore perché domina il mondo che crede nelle sue stesse imprescindibili idee guida (scienza, potenza, tecnica, salvezza, ecc.) e quindi in una cultura che ritiene più avanzatae dove dunque l'avanzamento non è una virtù morale, ma la capacità di capire e fare più cose per sopravvivere all'imprevedibilità dell'esistenza.  Nichilismo, morte e destino Severino ritiene che la filosofia abbia sempre cercato riparo contro il terrore che scaturisce dall'imprevedibilità dell'esistenza perché innanzitutto si è sempre creduto nell'evidenza del divenire degli enti, del loro uscire dal nulla e rientrarvi. Anche le grandi forme di epistème come quelle di Aristotele ed Hegel, che tendono a dare un ordine ed una configurazione prestabiliti all'esistenza, si muovono sullo stesso terreno.  L'intera storia dell'Occidente è quindi per Severino storia del nichilismo. La radicale distruzione dell'epistème operata da parte della filosofia contemporanea e la rapida ascesa della scienza moderna ai vertici del sapere sono conseguenze inevitabili di questa forma di pensiero (la civiltà della tecnica è, infatti, la forma estrema di volontà di potenza). Secondo la logica severiniana, tutto ciò che appare appare in maniera necessaria ed il progressivo manifestarsi degli eterni non segue, quindi, una sequenza casuale. Ciò significa che la libertà dell'uomo non esiste, ma appare all'interno di quell'essente (anch'esso eterno) che è il nichilismo dell'Occidente. Ed è proprio all'interno dell'Occidente che appare il "mortale" come noi lo conosciamo.  Ma, per Severino, l'Occidente è destinato al tramonto, per fare spazio al Destino della verità, la verità che testimonia la follia della fede nel divenire. Solo all'interno del Destino della verità la morte acquista un significato inaudito: in realtà la morte è la persuasione dell'assentarsi dell'eterno.  Dio e il Superdio Da quanto detto precedentemente appare chiaro come nel pensiero di Severino non ci sia posto per il Dio comunemente inteso; da qui il contrasto insanabile con la Chiesa Cattolica.  Nel corso della storia della filosofia, e nel pensiero della Chiesa cattolica in particolare, l'affermazione dell'esistenza di qualcosa di immutabile (tra cui Dio in tutti i diversi modi nei quali filosofia e religione lo hanno concepito) è sempre stata fatta partendo dal presupposto che il divenire non significhi necessariamente la nascita dal nulla e il tornare nel nulla delle cose che in esso si presentano. Quest'affermazione è, inoltre, sempre avvenuta con l'intento di risolvere le varie contraddizioni che quel presupposto implica e di inventare un "rimedio" per l'"angoscia" che il pensiero dell'annientamento provoca. Questo genere di immutabilità è, quindi, di segno diverso da quella che compete agli enti sulla base dell'impossibilità assoluta che qualcosa si annulli. Per questo motivo è impossibile che esista un Dio come è stato pensato dalla religione e dalla filosofia. A maggior ragione è impossibile per Severino che esista il Dio del cristianesimo, che è tradizionalmente concepito come dotato della capacità di creare gli enti dal nulla e di mantenerli in esistenza grazie alla sua libera volontà (altrettanto libero potrebbe essere, per Dio, l'"annichilimento"diverso dal concetto fisico di annichilazione -, e cioè la volontà di far cessare la durata della loro esistenza per farli ritornare nel nulla).  Essendo ogni ente eterno, non può esserci né creazione né annientamento, e quindi neanche un Dio comunemente inteso. Alla luce del "Destino della verità", ogni ente, anche il più insignificante, acquista un significato inaudito. L'uomo si porta quindi radicalmente al di là del superuomo e della volontà di potenza: l'uomo è un "superdio", ben più grande del Dio della tradizione religiosa. L'inconciliabilità fra la dottrina dell'Essere di Severino e il Tomismo è stata sostenuta da Cornelio Fabro.[26]  Il teologo e frate domenicano tomista Giuseppe Barzaghi, con cui Severino ha più volte dialogato pubblicamente dal 1995, ha mostrato la possibilità di utilizzare le intuizioni severiniane sull'eternità dell'essente proprio per affermare l'esistenza di Dio e ricondurre il pensiero del filosofo all'alveo cristiano da cui si è staccato (entrambi sono stati alunni, all'Università Cattolica, del filosofo cattolico e apologeta Gustavo Bontadini). Severino, pur non rivedendo pubblicamente il suo punto di vista sull'esistenza di Dio, ha apprezzato ed elogiato la proposta di padre Barzaghi.  Necessità dell'oltrepassamento Nessuna nota a piè di pagina Questa voce o sezione sull'argomento filosofia è priva o carente di note e riferimenti bibliografici puntuali. Sebbene vi siano una  e/o dei , manca la contestualizzazione delle fonti con note a piè di pagina o altri riferimenti precisi che indichino puntualmente la provenienza delle informazioni. Puoi migliorare questa voce citando le fonti più precisamente. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento. Con il libro La Gloria, Severino giunge, tra le altre cose, alla dimostrazione necessaria dell'esistenza degli "altri". Quando Cartesio infatti scopre che la carta vincente della scienza è la conferma delle ipotesi da parte dell'"esperienza", e cioè da parte della "presenza certa a me" da parte delle cose, si apre il problema della fondazione dell'esistenza appunto di altre dimensioni che come la mia accolgono l'accadere del mondo, ma che a differenza della mia non sono apparenti, non sono cioè da me "visibili". I fallimenti dei tentativi di soluzione a tale problema (eminentemente proposti ad opera della fenomenologia, sì che questo problema fu certamente uno dei più cogenti all'interno del discorso filosofico di Husserl), a cominciare da quello di Cartesio, si determineranno essenzialmente per l'assenza del senso autentico dell'essente e del senso dell'"oltrepassamento"."L'oltrepassamento dell'attualità nella costellazione infinita di cerchi finiti dell'apparire del Destino" è necessità dell'esistenza di un altro apparire finito, diverso da quello attuale.  Nella Gloria, Severino perviene alla fondazione del senso autentico dell'"oltrepassamento", dopo aver stabilito nelle opere precedenti che il divenire autentico (cioè non nichilistico) non è il crearsi e l'annullarsi dell'essente, ma il comparire e lo sparire di ciò che è eterno.  Ma è in questa sede innanzitutto fondamentale precisare, a partire da considerazioni svolte dallo stesso Severino in Destino della Necessità (1980) che le cose della "terra" (termine con il quale Severino designa la dimensione degli essenti che via via appaionoe che, per contro, il nichilismo pensa come fuoriuscenti dal nulla ed al nulla ritornanti) "incominciano" ad apparire (il loro apparire esce cioè dall'ombra del non-apparire ed entra nel cerchio dell'apparire). Con "cerchio dell'apparire" si intende, qui, la totalità degli enti che appaiono: è, cioè, l'apparire in quanto ha come contenuto tutto ciò che appare (ossia è l'apparire "trascendentale"); l'apparire delle cose della terra, quell'apparire incominciante di cui sopra, è, perciò, la relazione tra il cerchio dell'apparire (l'apparire trascendentale) e una parte del suo contenuto.  È altrettanto fondamentale precisare che l'incominciare della terra (a sua volta eterna), non aggiunge alcunché al Tutto eternoche è, con Parmenide, appunto "non incompiuto" [ouk ateleuteton], "non manchevole" [oulon achineton] (Parmenide, fr. 8, vv 38, 33, 38). Anche l'incominciante apparire, difatti, è eterno: il suo incominciare è il suo entrare nel cerchio dell'apparire. Entrandovi, naturalmente, apparema questo apparire dell'entrare è lo stesso entrare, ossia è quello stesso di cui si dice che, eterno, entra nel cerchio dell'apparire. E, così come ogni ente, anche l'appartenenza della terra al cerchio dell'apparire è eterna. L'eterna appartenenza al cerchio dell'apparire entra nel cerchio eterno dell'apparire. Entrandovi, appare, e quest'ultimo apparire è lo stesso apparire incominciante in cui consiste l'incominciante appartenenza della terra al cerchio dell'apparire. L'apparire incominciante è cioè apparire di sé stesso (e di tutte le altre cose che incominciano ad apparire), ed è questa autoriflessione dell'apparire incominciante ciò che entra nel cerchio dell'apparire e incomincia a far parte del contenuto di questo cerchio.  Ma ogni essente che incomincia ad apparire (ogni oltrepassante) è destinato ad essere oltrepassato: diventerebbe, altrimenti, condizione indispensabile dell'apparire degli essenti e quindi originarietà che sarebbe dovuta apparire già da sempre. Un oltrepassante che sia non oltrepassabile è impossibile, perché altrimenti esso dovrebbe iniziare ad appartenere allo "Sfondo" (e Severino intende, con questo termine, quel complesso di significati, o "costanti persintattiche"costanti sintattiche di ogni significato –, senza i quali non apparirebbe nulla, motivo per cui non possono non essere sempre presenti. Tra questi ad esempio vi sono i significati «essere» e «nulla»[27]. Inoltre, la serie progressiva degli essenti che via via appaiono è necessariamente finita; infatti, se in direzione del passato fosse estensibile all'infinito, ci vorrebbe un percorso infinito, e quindi mai concluso, per giungere al momento attuale. C'è quindi un primo passo compiuto dalla terra.  La totalità attuale di ciò che è destinato ad apparire è, per quanto sopra esposto, necessariamente oltrepassata. Ma in che senso?  Essa non è, difatti, oltrepassata dall'apparire infinitogiacché l'apparire infinito (l'infinito oltrepassarsi da parte delle forme proprie dell'apparire finitodove la Gloria è, per Severino, proprio questo infinito dispiegarsi) non è un oltrepassamento incominciante, ma è l'oltrepassamento già da sempre ed eternamente compiuto della totalità del finito. La totalità attuale dell'incominciante è, dunque, necessariamente oltrepassata da un incomincianteil quale non può apparire attualmente, ma è tuttavia necessario che appaia (in quanto l'incominciare è incominciare ad apparire), e che quindi è necessario che appaia sopraggiungendo in un cerchio diverso, altro, dal cerchio originario dell'apparire. La totalità simpliciter degli essenti-che-sono-degli-oltrepassanti (la totalità dell'oltrepassante, cioè, che include come parte la totalità attuale dell'oltrepassante) non può essere a sua volta oltrepassata, perché ciò che la oltrepasserebbe sarebbe un oltrepassante non incluso nella totalità dell'oltrepassante; e se l'oltrepassante (cioè l'incominciante) che oltrepassa la totalità degli oltrepassanti non fosse a sua volta oltrepassato, esso sarebbe quel contenuto impossibile che è, appunto (per quanto sopra esposto), l'incominciante non-oltrepassabile.  Poiché la terra oltrepassa anche l'attualità dell'apparire del cerchio originario, sopraggiungendo in un cerchio diverso, il contenuto incominciante che appare nel cerchio originario dell'apparire attuale, è oltrepassato (infinitamente) in due direzioni:  (a) In quanto contenuto incominciante, esso è oltrepassato lungo il dispiegamento infinito del contenuto attuale del cerchio originario (o, per utilizzare il lessico severiniano, lungo la Gloria del dispiegamento infinito della terra che si inoltra nel cerchio originario). Ma non è in quanto tale contenuto è attuale che esso viene oltrepassato lungo il dispiegamento infinito del contenuto attuale.  (b) In quanto contenuto attuale (in quanto, cioè, alla sua attualità) il contenuto incominciante è oltrepassato invece in un altro cerchioe in un'infinità di altri cerchi dell'apparire. L'oltrepassante-incominciante, qui, entra nell'apparire non attuale. Anche questa seconda direzione dell'oltrepassamento è un dispiegamento infinito nella Gloria, ma, appunto, nella gloria che consiste nell'infinito sopraggiungere, nel cerchio originario, della costellazione infinita degli altri cerchi. La gloria è l'unità di queste due dimensioni.  La dimensione dell'essente, che incomincia cioè ad apparire nel cerchio originario, è necessariamente oltrepassata da un'altra dimensione dell'essente (perché l'incominciante non può incominciare ad appartenere all'essenza dello Sfondo, non incominciante e non tramontante, del cerchio originario); ma anche l'attualità dell'essente che incomincia ad apparireossia anche l'apparire (che, in quanto tale, è apparire attuale) dell'essente che incomincia ad apparireincomincia ad apparire, sì che (per lo stesso motivo) è necessariamente oltrepassata in un altro cerchio dell'apparire; e anche la sintesi tra l'attualità del cerchio originario e l'attualità in sé dell'altro cerchio incomincia ad apparire nel cerchio originario, quando in esso incomincia ad apparire ciò che ne oltrepassa l'attualità; e dunque (per lo stesso motivo) tale sintesi è oltrepassata in un terzo cerchio (e, cioè, l'attualità in sé dell'altro cerchio non è oltrepassata solo nel cerchio originario, ma necessariamente in un terzo cerchio)e così all'infinito.  In definitiva, l'oltrepassamento dell'attualità di un cerchio non avviene solo lungo la dimensione "verticale" del singolo cerchio, ma anche lungoquella "orizzontale" della costellazione di cerchi del Destino.  L'oltrepassamento hegeliano, invece, conserva "idealmente", cioè astrattamente, ciò che oltrepassa, e non realmente, determinandone la distruzione. In un contesto siffatto è fondata l'impossibilità dell'esistenza degli "altri", perché l'altro, che è il mio oltrepassante, determinerebbe il mio superamento, e mi consegnerebbe ad una dimensione puramente ideale. Infatti nel sistema hegeliano l'esistenza degli altri significa l'esistenza di soggetti empirici, sensibili, che è quindi comunque interna all'esistenza produttiva dell'unico "Io".  Il nichilismo è un essente che incomincia ad apparire, ed è quindi destinato ad essere oltrepassato. L'essente che oltrepassa il nichilismo è l'essente che porta al tramonto l'isolamento del senso delle cose dalla verità. Il nichilismo è, infatti, pensare e vivere le cose come nulla in quanto delle cose non appare il legame alla struttura originaria della verità, e quindi non appare l'eternità. L'essente, o la dimensione di essenti, che porta al tramonto l'isolamento del senso delle cose dalla verità è la "Gloria" (cioè la manifestazione) della verità stessa. L'ampiezza dell'isolamento non coinvolge solo il legame tra i singoli essenti e la verità, ma anche il legame tra gli infiniti cerchi dell'apparire, il loro passato e il futuro del percorso che la terra è destinata a compiere in essi. Nella Gloria non si è Dio, perché Dio crea ed annienta le cose anche e soprattutto quando ama; e dunque appartiene al regno dell'errore perché l'amore è volontà e la volontà è voler alterare il senso proprio ed eterno, cancellarne l'identità. Dio è, quindi, infinitamente meno della più umbratile tra le cose vere. Tutto è oltre Dioe oltre ogni forma di mortalità, compresa la vita umana come credenza nel poter creare e annientare gli essenti.  Opere: “La struttura originaria,” Brescia, La Scuola; Nuova ediz. riveduta, Introduzione del Milano, Adelphi, Per un rinnovamento nella interpretazione della filosofia fichtiana, Brescia, La Scuola, poi in Fondamento della contraddizione, Collezione Scritti di E. Severino n.5, Milano, Adelphi, Studi di filosofia della prassi, Milano, Vita e Pensiero,  nuova ediz. ampliata, Collezione Scritti di E. Severino, Milano, Adelphi, Ritornare a Parmenide, in «Rivista di filosofia neoscolastica», poi in Essenza del nichilismo, Brescia, Paideia,  13–66; nuova edizione ampliata, Milano, Adelphi, Ritornare a Parmenide. Poscritto, in «Rivista di filosofia neoscolastica», poi in Essenza del nichilismo, Brescia, Paideia, nuova edizione ampliata, Milano, Adelphi, Essenza del nichilismo. Saggi, Brescia, Paideia, II ediz. ampliata, Milano, Adelphi, Gli abitatori del tempo. Cristianesimo, marxismo, tecnica, Roma, Armando,  nuova edizione ampliata, Téchne. Le radici della violenza, Milano, Rusconi, II ediz., ivi, nuova edizione ampliata, Milano, Rizzoli, Legge e caso, Piccola Biblioteca n.89, Milano, Adelphi, Destino della necessità. Κατὰ τὸ χρεών, Biblioteca Filosofica n.1, Milano, Adelphi, A Cesare e a Dio, Milano, Rizzoli, nuova edizione, La strada, Milano, Rizzoli, nuova edizione,  La filosofia antica, Milano, Rizzoli,  nuova edizione ampliata, La filosofia moderna, Milano, Rizzoli,  nuova edizione ampliata, Il parricidio mancato, Collana Saggi n.31, Milano, Adelphi, La filosofia contemporanea. Da Schopenhauer a Wittgenstein, Milano, Rizzoli,  nuova edizione ampliata, Traduzione e interpretazione dell'«Orestea» di Eschilo, Milano, Rizzoli,  La tendenza fondamentale del nostro tempo, Milano, Adelphi, 1nuova edizione,  Il giogo. Alle origini della ragione: Eschilo, Biblioteca Filosofica n.6, Milano, Adelphi, Antologia filosofica dai Greci al nostro tempo, Milano, Rizzoli, 1989; nuova edizione ampliata, La filosofia futura, Milano, Rizzoli, nuova edizione ampliata, . Il nulla e la poesia. Alla fine dell'età della tecnica: Leopardi, Milano, Rizzoli, nuova edizione, Filosofia. Lo sviluppo storico e le fonti, 3 voll., Firenze, Sansoni, Oltre il linguaggio, Collana Saggi. Nuova serie n.7, Milano, Adelphi, La guerra, Milano, Rizzoli, La bilancia. Pensieri sul nostro tempo, Milano, Rizzoli,  Il declino del capitalismo, Milano, Rizzoli,  nuova edizione, Sortite. Piccoli scritti sui rimedi (e la gioia), Milano, Rizzoli,  Heidegger e la metafisica, Collezione Scritti di E. Severino n.4, Milano, Adelphi, Pensieri sul Cristianesimo, Milano, Rizzoli,  nuov edizione, . Tautótēs, Biblioteca Filosofica n.13, Milano, Adelphi,  La filosofia dai Greci al nostro tempo, Milano, Rizzoli, La follia dell'angelo: conversazioni intorno alla filosofia. Ines Testoni, Milano, Rizzoli, 1997; nuova edizione, Milano, Mimesis, 2006. Cosa arcana e stupenda. L'Occidente e Leopardi, Milano, Rizzoli, nuova edizione,  Il destino della tecnica, Milano, Rizzoli,  nuova edizione, 2009. La buona fede, Milano, Rizzoli,  L'anello del ritorno, Biblioteca Filosofica n.18, Milano, Adelphi, Crisi della tradizione occidentale, Milano, Marinotti, 1999. La legna e la cenere. Discussioni sul significato dell'esistenza, Milano, Rizzoli, 2000. Il mio scontro con la Chiesa, Milano, Rizzoli, 2001. La Gloria. ἄσσα οὐκ ἔλπονται: risoluzione di «destino della necessità», Biblioteca Filosofica n.20, Milano, Adelphi, Oltre l'uomo e oltre Dio,con Alessandro Di Chiara (interventi di Carlo Angelino), Genova, il melangolo, Lezioni sulla politica. I Greci e la tendenza fondamentale del nostro tempo, Milano, Marinotti, Tecnica e architettura, Milano, Raffaello Cortina Editore,  Dall'Islam a Prometeo, Milano, Rizzoli, Fondamento della contraddizione, Milano, Adelphi, . Nascere. E altri problemi della coscienza religiosa, Milano, Rizzoli,  Milano, BUR, . Sull'embrione, Milano, Rizzoli, Il muro di pietra. Sul tramonto della tradizione filosofica, Milano, Rizzoli, 2Ricordati di santificare le feste, con Vincenzo Vitiello, Milano, AlboVersorio,  (con CD audio). L'identità della follia. Lezioni veneziane, Giorgio Brianese, Giulio Goggi, Ines Testoni, Milano, Rizzoli, 2007. Oltrepassare, Biblioteca Filosofica n.25, Milano, Adelphi, Dialogo su Etica e Scienza, con Edoardo Boncinelli, Milano, Editrice San Raffaele,  Immortalità e destino, Milano, Rizzoli, La buona fede. Sui fondamenti della morale, Milano, Rizzoli, 2008. Volontà, fede e destino, Davide Grossi, con un saggio di Massimo Donà, Milano-Udine, Mimesis,  (con due CD audio). L'etica del capitalismo e lo spirito della tecnica, con un saggio inedito sulla pena di morte, Milano, AlboVersorio, La ragione, la fede, Milano, AlboVersorio,  L'identità del destino. Lezioni veneziane, Milano, Rizzoli, Il diverso come icona del male, Torino, Bollati Boringhieri,  Democrazia, tecnica, capitalismo, Brescia, Morcelliana,  Discussioni intorno al senso della verità, Pisa, Edizioni ETS, La guerra e il mortale, Luca Taddio, con un saggio di G. Brianese, Milano-Udine, Mimesis,  (con due CD audio). Macigni e spirito di gravità. Riflessione sullo stato attuale del mondo, Milano, Rizzoli, . L'intima mano, Biblioteca Filosofica n.28, Milano, Adelphi, . Volontà, destino, linguaggio. Filosofia e storia dell'Occidente, Ugo Perone, Torino, Rosenberg & Sellier, Istituzioni di filosofia, Brescia, Morcelliana. [dispense del corso tenuto nel 1968 all'Università Cattolica di Milano] Il mio ricordo degli eterni. Autobiografia, Milano, Rizzoli, ; Milano, BUR, . La bilancia. Pensieri sul nostro tempo, Milano, BUR, Del bello, Milano, Mimesis, ,  La morte e la terra, Biblioteca Filosofica n.30, Milano, Adelphi, . Capitalismo senza futuro, Rizzoli, Milano, . Educare al pensiero, Sara Bignotti, Brescia, Editrice La Scuola, . Pòlemos, Nicoletta Cusano, Milano, Mimesis, Intorno al senso del nulla, Saggi. Nuova serie n.70, Milano, Adelphi, . L'etica del capitalismo e lo spirito della tecnica. Con un saggio inedito sulla pena di morte, Milano, AlboVersorio, . La potenza dell'errare. Sulla storia dell'Occidente, Milano, Rizzoli, . Il morire tra ragione e fede, con Angelo Scola, Venezia, Marcianum Press, . Parliamo della stessa realtà? Per un dialogo tra Oriente ed Occidente, con Raimon Panikkar, Milano, Jaca Book, . Sul divenire. Dialogo con Biagio De Giovanni, Modena, Mucchi, . Piazza della Loggia. Una strage politica, I. Bertoletti, Brescia, Morcelliana, . In viaggio con Leopardi. La partita sul destino dell'uomo, Milano, Rizzoli, . Dike, Biblioteca Filosofica, Milano, Adelphi, . Cervello, mente, anima, Brescia, Morcelliana, Storia, Gioia, Biblioteca Filosofica n.36, Milano, Adelphi, .Il tramonto della politica. Considerazioni sul futuro del mondo, Milano, Rizzoli, L'essere e l'apparire. Una disputa, con Gustavo Bontadini, Brescia, Morcelliana, Dell'essere e del possibile, con Vincenzo Vitiello, Milano, Mimesis, .  Dispute sulla verità e la morte, Milano, Rizzoli, Lezioni milanesi. Il nichilismo e la terra (-), Nicoletta Cusano, Milano, Mimesis, Testimoniando il destino, Biblioteca Filosofica n.39, Milano, Adelphi,  Ontologia e violenza. Lezioni milanesi (-), Nicoletta Cusano, Milano, Mimesis,  Curatele Aristotele, I principi del divenire. Libro primo della Fisica, trad., introd. e commento di E. Severino, Brescia, La Scuola, Medaglia d'oro ai benemeriti della scuola della cultura e dell'artenastrino per uniforme ordinaria Medaglia d'oro ai benemeriti della scuola della cultura e dell'arte — Roma, Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiananastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana «Di iniziativa del Presidente della Repubblica» — Roma, 1º giugno 2001[29] immagine del nastrino non ancora presente Cittadinanza onoraria del Comune di Bovegno — Bovegno. Mauro Bonazzi, Morto il filosofo Emanuele Severino, su Corriere della Sera, Addio Severino, filosofo dell'eternoMorto a Brescia il 17 gennaio, solo il 21 la notizia, su ansa.it E. Severino, Il mio ricordo degli eterni. Autobiografia, Milano, Rizzoli,  È morto Emanuele Severino, l'ultimo filosofo parmenideo, su la Repubblica, 21 gennaio . 4 agosto .  Adriano Scianca, Addio a Emanuele Severino: ecco chi era il grande filosofo dell'essere, su Il Primato Nazionale,  Bovegno, il filosofo Severino cittadino onorario, su giornaledibrescia.it  «L'esperimento di Barzaghi è importante e va seguito con attenzione. [...] Immerso nell'alienazione, il cristianesimo è come una casa invisibile di cui qualcuno dice, indicando un banco di nebbia: "Là c'è una casa". Che cosa si riuscirebbe a vedere se la nebbia (l'alienazione) diradasse? Forse una casa. Ma forse nulla. Nel primo caso, [...] il cristianesimo avrebbe ancora qualcosa da dire, e di grande» (E. Severino, Nascere. E altri problemi della coscienza religiosa).  «Rigoroso fino alla fine. Solo un po' più triste», in Bresciaoggi, 22 gennaio . 14 luglio .  Emanuele Severino, il tributo si celebrerà a Palazzo Loggia, in Bresciaoggi, 11 febbraio . 14 luglio .  Silvia Truzzi, Emanuele Severino, l'intervista: "Ecco perché la giovane Italia va in malora", su il Fatto Quotidiano, Piergiorgio Odifreddi, LA SCIENZA SOTTO TIRO, su la Repubblica.it, Diego Fusaro e Daniele Didero, Emanuele Severino, su Filosofico.net. Gianluca Miligi et al., "Sguardo su Emanuele Severino" , su filosofia.it.).  il cui "pensiero poetante", titolo di un saggio di Antonio Prete, che riprende la metafora di Heidegger su Friedrich Hölderlin, è stato analizzato da Severino  cf. La Guerra ,  « [...] occorre riconoscere che le sue posizioni, qualunque sia il giudizio che si pensa di dover dare su di esse, non sembrano aver avuto, perlomeno fino ad ora, un vero e proprio seguito tra coloro che si occupano professionalmente di filosofia.» (Cfr. Mauro Visentin, Il neoparmenidismo italiano. Le premesse storiche e filosofiche, Napoli, Bibliopolis)  Neoparmenidismo, su filosofia.it.  «Se noi potessimo mai non essere, già adesso non saremmo. La prova più certa della nostra immortalità è il fatto che noi ora siamo. Perché ciò dimostra che su di noi il tempo non può nulla: in quanto è già trascorso un tempo infinito. È del tutto impensabile che qualcosa che è esistito una volta, per un momento, con tutta la forza della realtà, dopo un tempo infinito possa non esistere: la contraddizione è troppo grossa. Su questo si fondano la dottrina cristiana del ritorno di tutte le cose, quella induista della creazione del mondoche si ripete continuamente a opera di Brahma, e dogmi analoghi di Platone e altri filosofi.» (A. Schopenhauer)  D. Sperduto, Vedere senza vedere ovvero Il crepuscolo della morte, Prefazione di E. Severino, Schena ed., Fasano di Brindisi 2007.  E. Severino, "Ritornare a Parmenide", in Essenza del Nichilismo, Brescia, DK B 6, 1-2  Aristotele, Liber de Interpretatione, 19 a 23  "...essenza del nichilismo" ... follia estrema ed estremamente nascosta: la persuasione che gli esse nti, in quanto tali, escano dal loro non essere e vi ritornino: la persuasione che vi sia un tempo in cui l'essente (prima di essere e dopo il suo essere) sia nulla, che il non niente sia niente: la persuasione che è il culmine in cui si mantiene l'intera storia dell'Occidente."La morte e la terra21  E. Severino, Pensieri sul cristianesimo, su books.google.it. 7 settembre  (archiviato il 17 settembre ).  E. Severino, Destino della necessità, Milano, Adelphi, 198093.  L'alienazione dell'Occidente: osservazioni sul pensiero di Emanuele Severino, ed. Quadrivium, Genova, Cfr. Severino E., La struttura originaria, Milano, Adelphi, 1981,  444–449.  Sito web del Quirinale: dettaglio decorato.  Sito web del Quirinale: dettaglio decorato.  Amadori F., Il libero arbitrio: Schopenhauer e Severino, in "Filosofia" Antonelli A., Verità, nichilismo, prassi. Saggio sul pensiero di Emanuele Severino, Roma, Armando, 2003. Berto F., La dialettica della struttura originaria, Padova, Il Poligrafo, Crapanzano G.E., L'immutabilità del diveniente. Saggio sul pensiero di Emanuele Severino, Roma, Gruppo Albatros Il Filo, 2008. Cusano N., Capire Severino. La risoluzione dell'aporetica del nulla, Prefazione di Emanuele Severino, Milano, Mimesis Edizioni, . Cusano N., Emanuele Severino. Oltre il nichilismo, Prefazione di Emanuele Severino, Brescia, Morcelliana, . Dal Sasso A., Dal divenire all'oltrepassare. La differenza ontologica nel pensiero di Emanuele Severino, Prefazione di Giorgio Brianese, Roma, Aracne, Dal Sasso A., Creatio ex nihilo. 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Emanuele Severinos Rückgriff auf Parmenides und die Überwindung des Nihilismus, Wiener Jahrbücher für Philosophie, Hoffmann T. S., Philosophie in Italien. Eine Einführung in 20 Porträts, Wiesbaden, Marix Verlag, 2007. Magliulo, N., Cacciari e Severino. Quaestiones disputatae, Milano-Udine, Mimesis, . Mauceri, L., La hybris originaria. Massimo Cacciari ed Emanuele Severino, Napoli-Salerno, Orthotes Editrice, . Messinese L., L'apparire del mondo. Dialogo con Emanuele Severino sulla “struttura originaria” del sapere, Milano, Mimesis, 2008. Messinese L., Il paradiso della verità. Incontro con il pensiero di Emanuele Severino, Pisa, ETS, . Messinese L., Stanze della metafisica. Heidegger, Löwith, Carlini, Bontadini, Severino, Brescia, Morcelliana, . Messinese L., Né laico, né cattolico. Severino, la Chiesa, la filosofia, Bari, Dedalo, . Petterlini A., Brianese G. e Goggi G. , Le parole dell'Essere. Per Emanuele Severino, Milano, Mondadori, Poma P., Necessità del divenire. 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Messinese, Roma, Aracne, . Testoni I. , Emanuele Severino, La follia dell'angelo, Milano, Mimesis, Tarca L.V., Verità, alienazione e metafisica. Rilettura critica della proposta filosofica di Emanuele Severino, Treviso, Mevio Washington, Valent I. , Cura e salvezza. Saggi dedicati a Emanuele Severino, Bergamo, Moretti & Vitali, 2000. Visentin M., Tra struttura e problema. Note intorno al pensiero di E. Severino, Venezia, Marsilio [ora in Il neoparmenidismo italiano, II, Dal neoidealismo al neoparmenidismo, Napoli, Bibliopolis, Metafisica Ontologia Episteme Nichilismo Giacomo Leopardi Friedrich Nietzsche Parmenide Martin Heidegger Rasoio di Occam Italo Valent Umberto Galimberti Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Emanuele Severino Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Emanuele Severino  Sito ufficiale, su emanueleseverino.it.  Emanuele Severino, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Emanuele Severino, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana.  Opere di Emanuele Severino, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Emanuele Severino, . Emanuele Severino, su Goodreads.  Registrazioni di Emanuele Severino, su RadioRadicale.it, Radio Radicale.  Vi racconto il mio scontro con la Chiesa Cattolica, su ricerca.repubblica.it. 30 settembre . Rassegna stampa di e su Severino, su lgxserver.uniba.it. Rassegna stampa di e su Severino, su lgxserver.uniba.it. Video intervista a Emanuele Severino, su asia.it., sito ASIA, Associazione spazio interiore ambiente Emanuele Severino, sul  RAI Filosofia, su filosofia.rai.it. pensiero di Emanuele Severino, su emanueleseverino.com. Vasco Ursini.

 

sforza: Widar Cesarini Sforza (Forlì), filosofo. Direttore del Resto del Carlino e docente alla SapienzaRoma dal 1939, fu autore di importanti opere di filosofia del diritto quali Il concetto, il diritto e la giurisprudenza naturale, Filosofia del diritto e filosofia della storia, Idee e problemi di filosofia giuridica, ecc. Widar Cesarini Sforza, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  PredecessoreDirettore de il Resto del CarlinoSuccessore Tomaso Monicelli

 

sgalambro: important Italian philosopherManlio Sgalambro  Questa voce è da wikificare Questa voce o sezione sugli argomenti filosofia e musica non è ancora formattata secondo gli standard. Commento: Gli elenchi a fine voce (Collaborazioni) sono fuori standard, didascalici, pieni di informazioni non enciclopedici. Vanno riordile rispettive sezioni (, Discografia, Filmografia). In particolare per la discografia indicare solo * ANNO[[Autore]] ''[[Titolo]]'', come da linee guida. Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di . Segui i suggerimenti dei progetti di riferimento 1, 2. Manlio Sgalambro Manlio Sgalambro.jpg Nazionalità Italia Italia Genere Musica d'autore Pop Periodo di attività musicale 1993 Album pubblicati 1 Sito ufficiale Modifica dati su Wikidata Manuale Manlio Sgalambro (Lentini, 9 dicembre 1924Catania, 6 marzo ) filosofo, scrittore, poeta, aforista, paroliere e cantautore italiano.  La sua opera filosofica è stata definita di orientamento nichilista, definizione spesso respinta da Sgalambro stesso, ma talvolta anche accettata, e si può piuttosto definire un'originale sintesi tra la filosofia della vita di Arthur Schopenhauer e il materialismo e pessimismo di Giuseppe Rensi, con le influenze dell'esistenzialismo sui generis di Emil Cioran, di alcuni temi della scolastica e della "teologia empia" e naturalistica di Vanini e Mauthner.  Sgalambro è noto anche per la collaborazione con il cantautore Franco Battiato, delle cui canzoni fu autore dei testi tra il 1995 e il .  Manlio Sgalambro nacque a Lentini nel 1924, da una famiglia benestante (il padre era un farmacista). Ha sempre osservato un riserbo quasi "conventuale" nella sua vita privata, fornendo tuttavia alcuni elementi biografici nelle sue interviste o presentazioni. Dopo l'infanzia trascorsa a Lentini, si trasferisce a Catania, dove rimane per tutta la vita. Nel 1947 si iscrive all'Università degli studi di Catania:  «All'università decisi di non iscrivermi in Filosofia perché la coltivavo già autonomamente. Mi piaceva il diritto penale e per questo scelsi la facoltà di Giurisprudenza.»  (Manlio Sgalambro) Inoltre non si trovava d'accordo con la cultura filosofica dominante allora nelle accademie, troppo legata all'idealismo di Croce e Gentile:  «Erano loro che occupavano tutto lo spazio culturale, ma io non mi ritrovavo affatto in quei sistemi complessi e completi, dove ogni cosa era già stata incasellata. Per me pensare era una destructio piuttosto che una costructio: ero uno che notava le rovine, piuttosto che la bellezza. Questo era un po' scomodo, e non certamente accademico.»  Nel 1963, a 39 anni, si sposa, e dal matrimonio nascono cinque figli (Elena, Simona, Riccardo, Irene, Elisa). Il reddito che proveniva da un agrumeto (lasciatogli in eredità dal padre) non basta più, così sceglie di integrarlo compilando tesi di laurea e facendo supplenze nelle scuole:  «Il matrimonio è un momento, come dice Hegel, in cui «la realtà determinata entra in un individuo». Dunque il matrimonio non coincide semplicemente con l'amore per una persona, ma con la durata: ecco dove sta l'essenza, quasi teologica, del matrimonio.»  (Manlio Sgalambro) Muore il 6 marzo  a Catania, all'età di 89 anni. Sgalambro era dichiaratamente ateo anche se credeva nella reincarnazione, come ricordato anche dall'amico Battiato, e ha avuto un funerale religioso. Da molti anni viveva da solo nella sua casa catanese.  La produzione filosofica «Che non ci sia niente di peggiore del mondo, non si deve dimostrare.»  (La conoscenza del peggio) Sgalambro ripeteva spesso che non possedeva titoli né lauree «per i biglietti da visita» e quindi come sia riuscito a diventare uno scrittore di filosofiai cui libri sono tradotti in francese, tedesco e spagnoloera «un mistero» che egli stesso stentava a spiegarsi.  Il suo primo contatto con un'opera filosofica avviene nel periodo dell'adolescenza, quando legge La formazione naturale nel fatto del sistema solare di Roberto Ardigò nella biblioteca di un parente. Seguono i Principi di psicologia di William James, le Ricerche logiche di Husserl (un'opera che ritornerà più volte nella sua riflessione), e, soprattutto, Il mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer. L'incontro con il pensatore tedesco spinge Sgalambro ad un interesse sempre crescente per la cultura nordeuropea, che sfocerà poi nella scoperta di Kant, Hegel, Friedrich Nietzsche, e Kierkegaard, a cui dedica i suoi primi saggi.  Nel 1945 inizia a collaborare alla rivista catanese Prisma (diretta da Leonardo Grassi): il primo scritto è Paralipomeni all'irrazionalismo, dove, influenzato da Rensi, sviluppa un attacco all'idealismo crociano allora in piena egemonia. Egli si ispira anche all'ironia di Karl Kraus di cui ama lo stile aforistico ("Se Karl Kraus avesse scritto Il Capitale lo avrebbe fatto in tre righe").  Dal 1959, assieme a Sebastiano Addamo, scrive per il periodico Incidenze (fondato da Antonio Corsano): il primo articolo è Crepuscolo e notte (che viene ristampato nel ), un breve saggio di "esistenzialismo negativo", ispirato ad Heidegger e Céline. Frattanto inizia a scrivere anche per la rivista Tempo presente (diretta da Nicola Chiaromonte ed Ignazio Silone).  Alla fine degli anni settanta decide di organizzare il suo pensiero in un'opera sistematica: a 55 anni Sgalambro manda il suo primo libro, La morte del sole, con un biglietto di due righe alla casa editrice Adelphi; al proposito dirà:  «E lì è rimasto due anni. Ma siccome io sono fatto in questo modo, non ho chiesto niente. Poi è arrivata una telefonata a mia moglie. Mi chiedevano di andare a Milano, per prendere contatto con l'editore. Roberto Calasso mi disse che quel libro non era maturo, era marcio: ed era esattamente così”.»  (Manlio Sgalambro) Negli anni seguenti, con lo stesso editore, pubblica anche: Trattato dell'empietà (1987), Anatol (1990), Del pensare breve (1991), Dialogo teologico (1993), Dell'indifferenza in materia di società (1994), La consolazione (1995), Trattato dell'età (1999), De mundo pessimo (2004), La conoscenza del peggio (2007), Del delitto (2009) e Della misantropia ().  Spesso viene avvicinato alla corrente nichilista; talvolta ha respinto la definizione, mentre altre volte l'ha accettata, nel senso di un nichilismo attivo e demolitore, non passivo e chiuso: «Indubbiamente questa visione è nell'intimo di me stesso. Per un nichilista le coseil Papa, Mussolini, un vaso di terracottasi equivalgono. Questo non significa che non si ha il senso di ciò che vale: significa piuttosto che si prova a romperlo come si può, per esempio con il martello del pensare.»  Intanto, all'inizio degli anni novanta, con alcuni amici avvia una piccola attività editoriale a Catania: nasce così la De Martinis. All'interno di questa casa editrice, Sgalambro si occupa di saggistica, pubblicando un paio di propri testi (Dialogo sul comunismo e Contro la musica) e ristampando alcune opere di Giulio Cesare Vanini e di Julien Benda.  Nel 2005 suscita polemiche una sua intervista a Francesco Battistini sulla mafia, dove critica anche Leonardo Sciascia e il mito dell'antimafia "militante" (che tra l'altro fu criticata da Sciascia stesso negli ultimi anni di vita): «L'immagine della Sicilia… C'è, come no? Ma cercarla in faccende di Cuffaro e di Gabanelli è come cercare un tesoro fra le spine dei fichi d'India. Cercare che cosa, poi? La griglia mafiosa è una gabbia. È chiaro che ha ragione la Gabanelli e che Cuffaro vuole cancellare a suo modo la mafia, con un tratto di parole. Ma contesto che la mafiosità sia una chiave di conoscenza... Non cambio idea. La mafia è un concetto astratto. E gli astratti si distruggono con la logica, non con la polizia... La polizia può arrestare la mafia. Eliminarla, mai. Quello che importa è la Mafia maiuscola, concetto generale e perciò indistruttibile... La mafia in sé non mi fa venire in mente nulla. Come la patria, i morti di Solferino. Cose vetuste. Leonardo Sciascia era lo scrittore sociale, un maestro di scuola che voleva insegnarci le buone maniere sociali. Ma rivisitarlo oggi è come rileggere Silvio Pellico. La sua funzione si è esaurita... La mafia è l'unica economia reale di quest'isola... Ci sono fenomeni della storia, ricchezze che non si possono fare con le mani pulite. Qui la ricchezza è sempre stata fondiaria, senza investimenti... La ricchezza è per sua natura sporca... Basta col gioco della spartizione: è mafioso o no? Domande da periodo di lotte religiose: è luterano o cattolico? In Sicilia sono arrivati anche i laici, per fortuna.»  Definisce poi Claudio Fava "quel piagnone", affermando che "i famosi Cavalieri", soprannome dato dal padre di Fava a quattro imprenditori catanesi considerati collusi con Cosa nostra, «erano l'unica economia possibile» per la città. Nel  è tornato in maniera sarcastica sull'argomento: «Considero la Sicilia come un fenomeno estetico e non ne cambierei nulla. In questo senso potrei dire che mi considero un mafioso…». Già nel 1995 era stato attaccato dal sociologo Franco Ferrarotti che lo definì "un neo-reazionario" e di "intolleranza aristocratica e silenzio sulla mafia".  Alla sua isola ha dedicato l'opera Teoria della Sicilia:  «Là dove domina l'elemento insulare è impossibile salvarsi. Ogni isola attende impaziente di inabissarsi. Una teoria dell'isola è segnata da questa certezza. Un'isola può sempre sparire. Entità talattica, essa si sorregge sui flutti, sull'instabile. Per ogni isola vale la metafora della nave: vi incombe il naufragio.»  Oltre ai saggi per Adelphi, ha pubblicato per Bompiani Teoria della canzone (1997), Variazioni e capricci morali () e due raccolte di poesie, Nietzsche (frammenti di una biografia per versi e voce) (1998) e Marcisce anche il pensiero (frammenti di un poema) (), dedicato all'ultima mezz'ora di vita di Immanuel Kant, nonché L'impiegato di Filosofia (), nel quale ironicamente afferma di aver rinunciato alla filosofia ritrovandosi più filosofo che mai, curioso libretto stampato in un museo della stampa con caratteri mobili, edito da La Pietra Infinita.  Infine, ha pubblicato con Il Girasole: Del metodo ipocondriaco (1989), Quaternario (racconto parigino) (2006), la raccolta di poesie Nell'anno della pecora di ferro (), la pièce teatrale L'illusion comique () e Dal ciclo della vita (, postumo).  Le collaborazioni con Franco Battiato ed altri «La matematica è il tribunale del mondo. Il numero è ordine e disciplina. Ciò con cui si indica lo scopo della scienza, tradisce col termine la cosa. L'ordine, già il termine ha qualcosa di bieco, che sa di polizia, adombra negli adepti le forze dell'ordine cosmico, i riti cosmici. L'autentico sentimento scientifico è impotente davanti all'universo. L'inflazione che caccia nelle mani dell'individuo, in un gesto solo, miliardi di marchi, lasciandolo più miserabile di prima, dimostra punto per punto che il denaro è un'allucinazione collettiva»  (M. Sgalambro, La morte del sole, frasi recitate da Franco Battiato in 23 coppie di cromosomi) Nel 1993 avviene l'incontro con Franco Battiato, del tutto casualmente, perché presentavano insieme un volume di poesie dell'amico comune Angelo Scandurra. Dopo pochi giorni da quell'incontro, Battiato gli chiede un appuntamento per proporgli di scrivere il libretto dell'opera Il cavaliere dell'intelletto:  «Un anno fa non ci conoscevamo neppure. Da allora non abbiamo fatto altro che lavorare insieme. Lui sarà anche un filosofo, ma per me è un talento che mi stimola e arricchisce. Mi sembra impossibile, oggi, tornare a scrivere i testi delle mie cose.»  (Franco Battiato) «In mezzo a tutto questo, mi capitò tra i piedi Franco Battiato. Per un certo verso direi che è stato uno di quegli incontri che ti portano fuori strada, ma questa è una percezione che ho avuto molto tardi. A volte trovo che è come se tutto quel tempo io lo abbia perduto: la questione starebbe nel vedere se sia possibile recuperarlo…»   Sgalambro a Conegliano nel 2007 Sgalambro accetta e risponde ironicamente all'invito di Battiato chiedendogli di scrivere insieme un disco di musica pop. Tra Sgalambro e Battiato si sviluppa un sodalizio artistico e umano, anche se non sempre facile: «Anche perché io non sono un grande seguace dell'amicizia. Con Battiato abbiamo avuto lunghe liti, che duravano parecchio. Poi uno dei due, in genere lui, telefonava e il rapporto riprendeva. Tutti i litigi erano per un rigo da cambiare in una canzone: io non accettavo le esigenze della musica e per lui questo era costoso. Il suo impegno in politica? Non ho mai capito come si sia potuto lasciare tentare, tutti i giorni ho cercato di convincerlo a levarsi, solo ora per fortuna sta tornando in se stesso.»  A partire dal 1994 collabora a quasi tutti i progetti di Franco Battiato, per cui scrive:  i libretti delle opere Il cavaliere dell'intelletto (su Federico II di Svevia), Socrate impazzito, Gli Schopenhauer e Telesio (su Bernardino Telesio), e del balletto Campi magnetici; i testi di svariati album musicali (L'ombrello e la macchina da cucire, L'imboscata, Gommalacca, Ferro battuto, Dieci stratagemmi, Il vuoto, Apriti sesamo) e vari inediti, presenti ad esempio nell'album Fleurs; le sceneggiature dei film Perduto amor, Musikanten (sugli ultimi anni della vita di Beethoven) e Niente è come sembra, del programma televisivo Bitte, keine Réclame e del documentario Auguri don Gesualdo (su Gesualdo Bufalino). Benché affermasse che la canzone era per lui "una distrazione", dal 1998 scrive testi di canzoni anche per Patty Pravo (Emma), Alice (Come un sigillo, Eri con me), Fiorella Mannoia (Il movimento del dare), Carmen Consoli (Marie ti amiamo), Milva (Non conosco nessun Patrizio), Adriano Celentano (Facciamo finta che sia vero) e Ornella Vanoni (Aurora).  Dopo essere intervenuto anche ai concerti di Battiato, nel 2000 si cimenta lui stesso con la musica e pubblica il singolo La mer, contenente la cover del celebre brano di Charles Trenet.  In una rappresentazione de L'histoire du soldat di Igor' Stravinskij (2000) interpretò la voce narrante, con Franco Battiato nella parte del soldato e Giovanni Lindo Ferretti in quella del Diavolo.  Nel 2001 pubblica l'album Fun club, prodotto da Franco Battiato e Saro Cosentino, che contiene «evergreen» del calibro di La vie en rose (di Édith Piaf) e Moon river (di Henry Mancini), ma anche l'ironica Me gustas tú (di Manu Chao):  «Un alleggerimento che considero doveroso. Dobbiamo sgravare la gente dal peso del vivere, invece che dare pane e brioches. Questa volta, mi sono sgravato anch'io. E poi, la musica leggera ha questo di bello, che in tre minuti si può dire quanto in un libro di 400 pagine o in un'opera completa a teatro.»  (Manlio Sgalambro) Nel 2007 dà la voce all'aereo DC-9 Itavia nell'opera Ultimo volo di Pippo Pollina sulla strage di Ustica.  Nel 2009 pubblica il singolo La canzone della galassia, contenente la cover di The galaxy song (tratto da Il senso della vita dei Monty Python), cantata assieme al gruppo sardo-inglese Mab.  Nel 2009 torna dopo 40 anni ad esibirsi in un pub di Catania, assieme al filosofo Salvatore Massimo Fazio e il curatore del suo sito Alessio Cantarella. Finita l'esibizione alla presenza di Pippo Russo e Franco Battiato, seguì il concerto delle Lilies on Mars, band formata da due ex componenti del gruppo MAB (Lisa Masia e Marina Cristofalo), band che si era esibita con Battiato nella canzone Il vuoto, su testo di Sgalambro.  Partecipazioni dirette alle opere di Battiato Canzoni In Di passaggio (da L'imboscata) recita in greco antico: (EL) «Ταὐτὸ τενὶ ζῶν καὶ τεθνηκὸς καὶ ἐγρηγορὸς καὶ καθεῦδον καὶ νέον καὶ γηραιόν' τάδε γὰρ μεταπεσόντα ἐκεινά ἐστι κἀκεῖνα πάλιν ταῦτα.» «La stessa cosa sono il vivente e il morto, lo sveglio e il dormiente, il giovane e il vecchio: questi infatti mutando son quelli e quelli mutando son questi.»  (Eraclito, Frammenti, 88) Interviene recitando in Shakleton, dall'album Gommalacca. In Invito al viaggio (da Fleurs) recita: «Ti invito al viaggio in quel paese che ti somiglia tanto. I soli languidi dei suoi cieli annebbiati hanno per il mio spirito l'incanto dei tuoi occhi quando brillano offuscati. Laggiù, tutto è ordine e bellezza, calma e voluttà; il mondo s'addormenta in una calda luce di giacinto e d'oro; dormono pigramente i vascelli vagabondi, arrivati da ogni confine per soddisfare i tuoi desideri.»  (Charles Baudelaire, I fiori del male) In Corpi in movimento (da Campi magnetici) recita: «Se io, come miei punti, penso quali si vogliano sistemi di cose, per esempio, il sistema: amore, legge, spazzacamino… e poi non faccio altro che assumere tutti i miei assiomi come relazioni tra tali cose, allora le mie proposizioni, per esempio, il teorema di Pitagora, valgono anche per queste cose.»  (David Hilbert, Lettera a Frege del 29 dicembre 1899) Dal 1996 partecipa a quasi tutti i tour di Franco Battiato:  Nel tour del '97 recita versi in latino sul brano di Battiato Areknames (da Pollution), ribattezzato per l'occasione Canzone chimica: «Bacterium flourescens liquefaciens, Bacterium histolyticum, Bacterium mesentericum, Bacterium sporagenes, Bacterium putrificus…»  (Manlio Sgalambro, Canzone chimica) Nel tour del 2002 esegue una nuova versionecon il testo riadattato in chiave filosoficadi Accetta il consiglio (tratto da The Big Kahuna), che viene pubblicato l'anno dopo nell'album live Last Summer Dance. Nel 2004 canta due brevi strofe dei suoi versi nella canzone La porta dello spavento supremo, dall'album Dieci stratagemmi di Battiato: «Quello che c'è / ciò che verrà / ciò che siamo stati / e comunque andrà /tutto si dissolverà (...) Sulle scogliere fissavo il mare / che biancheggiava nell'oscurità / tutto si dissolverà.»  (La porta dello spavento supremo/Il sogno, testo di Manlio Sgalambro e Carlotta Wieck) Opere Libri Manlio Sgalambro, La morte del sole, Milano, Adelphi, 1982 Manlio Sgalambro, Trattato dell'empietà, Milano, Adelphi, Manlio Sgalambro, Vom Tod der Sonne (edizione tedesca de La morte del sole), traduzione di Dora Winkler, Monaco (Germania), Hanser, 1988 Manlio Sgalambro, Del metodo ipocondriaco, Valverde (CT), Il Girasole, 1989 Manlio Sgalambro, Anatol, Milano, Adelphi, Manlio Sgalambro, Anatol (edizione francese), traduzione di Dominique Bouveret, Saulxures (Francia), Circé, 1991 Manlio Sgalambro, Del pensare breve, Milano, Adelphi, Manlio Sgalambro, Dialogo teologico, Milano, Adelphi, 1993 Manlio Sgalambro, Contro la musica. (Sull'ethos dell'ascolto), Catania, De Martinis, 1994 Manlio Sgalambro, Dell'indifferenza in materia di società, Milano, Adelphi, 1994 Manlio Sgalambro, De la pensée brève (edizione francese di Del pensare breve), traduzione di Carole Walter, Saulxures (Francia), Circé, 1995 Manlio Sgalambro, Dialogo sul comunismo, Catania, De Martinis, Manlio Sgalambro, La consolazione, Milano, Adelphi, 1995 Manlio Sgalambro, La morte del sole (seconda edizione), Milano, Adelphi, 1996 Manlio Sgalambro, Teoria della canzone, Milano, Bompiani, 1997 Manlio Sgalambro-Jacques Robaud, Deux dialogues philosophiques (contiene l'edizione francese di Dialogo teologico), traduzione di Carole Walter, Saulxures (Francia), Circé, Manlio Sgalambro, Nietzsche. (Frammenti di una biografia per versi e voce), Bompiani, Milano, 1998 Manlio Sgalambro, Poesie (edizione a tiratura limitata di 72 esemplari numerati), Antonio Contiero, Reggio Emilia, La Pietra Infinita, 1999 Manlio Sgalambro, Trattato dell'età. Una lezione di metafisica, Milano, Adelphi, Manlio Sgalambro-Davide Benati, Segrete (edizione a tiratura limitata di 30 esemplari numerati), Antonio Contiero, Reggio Emilia, La Pietra Infinita, 2001 Manlio Sgalambro, Traité de l'âge. Une leçon de métaphysique (edizione francese di Trattato dell'età), traduzione di Dominique Férault, Parigi (Francia), Payot, 2001 Manlio Sgalambro, Opus postumissimum. (Frammento di un poema), Silvia BatistiRossella Lisi, Firenze, Giubbe Rosse, 2002 Manlio Sgalambro, Dolore e poesia (edizione a tiratura limitata di 32 esemplari numerati), Antonio Contiero, Reggio Emilia, La Pietra Infinita, 2003 Manlio Sgalambro, De mundo pessimo (contiene Contro la musica. (Sull'ethos dell'ascolto) e Dialogo sul comunismo), Milano, Adelphi, 2004 Manlio Sgalambro, Trattato dell'empietà (seconda edizione), Milano, Adelphi, 2005 Manlio Sgalambro, Quaternario. Racconto parigino, Valverde (CT), Il Girasole, 2006 Manlio Sgalambro, Nietzsche. Frammenti di una biografia per versi e voce (seconda edizione), Milano, Bompiani, Manlio Sgalambro, La conoscenza del peggio, Milano, Adelphi, 2007 Manlio Sgalambro, Del delitto, Milano, Adelphi, 2009 Manlio Sgalambro, La consolación (edizione spagnola de La consolazione), traduzione di Martín López-Vega, Valencia (Spagna), Pre-Textos, 2009 Manlio Sgalambro, L'impiegato di filosofia (edizione a tiratura limitata di 100 esemplari numerati), Reggio Emilia, La Pietra Infinita,  Manlio Sgalambro, Crepuscolo e notte, Messina, Mesogea,  Manlio Sgalambro, Nell'anno della pecora di ferro, Valverde (CT), Il Girasole,  Manlio Sgalambro, Marcisce anche il pensiero. Frammenti di un poema (seconda edizione di Opus postumissimum. (Frammento di un poema)), Milano, Bompiani,  Manlio Sgalambro, Della misantropia, Milano, Adelphi,  Manlio Sgalambro, Teoria della canzone (seconda edizione con una nuova introduzione dell'autore), Milano, Bompiani,  Manlio Sgalambro, L'illusion comique, Valverde (CT), Il Girasole,  Manlio Sgalambro, Variazioni e capricci morali, Milano, Bompiani,  Manlio Sgalambro, Dal ciclo della vita, Valverde (CT), Il Girasole,  (postumo) Saggi Manlio Sgalambro, Devozione allo spazio in Giuseppe Raciti, Dello spazio, Catania, CUECM, Manlio Sgalambro, Sciascia e le aporie del fare in Sciascia. Scrittura e verità, Palermo, Flaccovio, Manlio Sgalambro, Carpe veritatem in Arthur Schopenhauer, La filosofia delle università, Milano, Adelphi,  Manlio Sgalambro, Empedocle o della fine del ciclo cosmico in Antonio Di Grado, Grandi siciliani. Tre millenni di civiltà, v. 1, Catania, Maimone,  29–31 Manlio Sgalambro, Gentile o del pensare in Antonio Di Grado, Grandi siciliani. Tre millenni di civiltà, v. 2, Catania, Maimone, Manlio Sgalambro, Post scriptum in Pietro Barcellona, Lo spazio della politica. Tecnica e democrazia, Roma, Riuniti, Manlio Sgalambro, postfazione in Julien Benda, Saggio di un discorso coerente sui rapporti tra Dio e il mondo, Catania, De Martinis, 1993,  185–190 Manlio Sgalambro, Rensi in Giuseppe Rensi, La filosofia dell'autorità, Catania, De Martinis, 1993, quarta di copertina Manlio Sgalambro, prefazione in Angelo Scandurra, Trigonometria di ragni, Milano, All'Insegna del Pesce d'Oro, Manlio Sgalambro, La malattia dello spazio in Insulæ. L'arte dell'esilio, Genova, Costa & Nolan, Manlio Sgalambro, Vanini e l'empietà in Giulio Cesare Vanini, Confutazione delle religioni, Catania, De Martinis, Manlio Sgalambro, Breve introduzione in Giuseppe Tornatore, Una pura formalità, Catania, De Martinis, Manlio Sgalambro, Piccola glossa al “Trattato della concupiscenza” in Jacques Bénigne Bossuet, Trattato della concupiscenza, Catania, De Martinis, Manlio Sgalambro, postfazione in Ernst JüngerKlaus Ulrich Leistikov, Mantrana. Un gioco, Catania, De Martinis, 1995, quarta di copertina Manlio Sgalambro, Gentile e il tedio del pensare in Giovanni Gentile, L'atto del pensare come atto puro, Catania, De Martinis, Manlio Sgalambro, Il bene non può fondarsi su un Dio omicida in Carlo Maria MartiniUmberto Eco, In cosa crede chi non crede?, Roma, Liberal, Manlio Sgalambro, Sciascia e le aporie del fare in Leonardo Sciascia. La memoria, il futuro, Matteo Collura, Milano, Bompiani, 1998,  69–72 Manlio Sgalambro, prefazione in Tommaso Ottonieri, Elegia sanremese, Milano, Bompiani, 1998V Manlio Sgalambro, La morale di un cavallo in Ottavio Cappellani, La morale del cavallo, Scordia (CT), Nadir, Manlio Sgalambro, Prefazione in Maurizio Cosentino, I sistemi morali, Catania, Boemi, 19987 Manlio Sgalambro, postfazione in Domenico Trischitta, Daniela Rocca. Il miraggio in celluloide, Catania, Boemi, Manlio Sgalambro, Piccole note in margine a Salvo Basso in Salvo Basso, Dui, Catania, Prova d'Autore, 19995 Manlio Sgalambro, Il fabbricante di chiavi in Mariacatena De LeoLuigi Ingaliso, Nell'antro del filosofo. Dialogo con Manlio Sgalambro, Catania, Prova d'Autore, Manlio Sgalambro, postfazione in Alessandro Pumo, Il destino del corpo. L'uomo e le nuove frontiere della scienza medica, Palermo, Nuova Ipsa, Manlio Sgalambro, Sodalizio in Franco Battiato. L'alba dentro l'imbrunire (allegato a Franco Battiato. Parole e canzoni), Vincenzo Mollica, Torino, Einaudi, 2004V Manlio Sgalambro, Del vecchio in Riccardo MondoLuigi Turinese, Caro Hillman… Venticinque scambi epistolari con James Hillman, Torino, Bollati Boringhieri, Manlio Sgalambro, prefazione in Anna Vasta, I malnati, Porretta Terme (BO), I Quaderni del Battello Ebbro, seconda di copertina Manlio Sgalambro, Lettera a un giovane poeta in Luca Farruggio, Bugie estatiche, Roma, Il Filo, Manlio Sgalambro, prefazione in Toni Contiero, Galleria Buenos Aires, Reggio Emilia, Aliberti, Manlio Sgalambro, Teoria della Sicilia in Guido Guidi Guerrera, Battiato. Another link, Baiso (RE), Verdechiaro, Manlio Sgalambro, Nota introduttiva in Michele Falzone, Franco Battiato. La Sicilia che profuma d'oriente, Palermo, Flaccovio,  Manlio Sgalambro, Una nota in Franco Battiato, In fondo sono contento di aver fatto la mia conoscenza (allegato a Niente è come sembra), Milano, Bompiani, Manlio Sgalambro, Nadia Boulanger e l'ethos della musica in Bruno Monsaingeon, Incontro con Nadia Boulanger, Palermo, rueBallu, Manlio Sgalambro, prefazione in Arnold de Vos, Il giardino persiano, Fanna (PN), Samuele, Manlio Sgalambro, prefazione in Angelo Scandurra, Quadreria dei poeti passanti, Milano, Bompiani, 2009, seconda di copertina Manlio Sgalambro, Sull'idea di nazione in Catania. Non vi sarà facile, si può fare, lo facciamo. La città, le regole, la cultura, Catania, ANCE, Manlio Sgalambro, Dicerie in Franco Battiato, Don Gesualdo (allegato a Auguri don Gesualdo), Milano, Bompiani, Manlio Sgalambro, postfazione in Carlo Guarrera, Occhi aperti spalancati, Messina, Mesogea, Manlio Sgalambro, Nota critica in Anna Vasta, Di un fantasma e di mari, Catania, Prova d'Autore, ,  Manlio Sgalambro, Nota in Georges Bataille, W.C., Antonio Contiero, Massa, Transeuropa, Massa, Manlio Sgalambro, prefazione in Giampaolo Bellucci, Un grappolo di rose appese al sole, Villafranca Lunigiana (MS), Cicorivolta, Manlio Sgalambro, prefazione in Selenia Bellavia, Pourparler, Catania, Prova d'Autore, Manlio Sgalambro, Apologia del teologo in Fabio Presutti, Deleuze e Sgalambro: dell'espressione avversa, Catania, Prova d'Autore, ,  ??? Manlio Sgalambro, Breve riflessione in Massimiliano Scuriatti, Mico è tornato coi baffi, Milano, Bietti, Manlio Sgalambro, Presentazione in Armando Rotoletti, Circoli di conversazione a Biancavilla, Modugno (BA), Arti Grafiche Favia, Manlio Sgalambro, Il senso della bellezza in Franco Battiato, Jonia me genuit. Discografia leggera, discografia classica, filmografia, pittura, Firenze, Della Bezuga, 168 Manlio Sgalambro, Moralità plutarchee in Domenico Trischitta, Catania, Il Garufi, 109 Manlio Sgalambro, La città dei morti in Luigi Spina, Monumentale. Un viaggio fotografico all'interno del gran camposanto di Messina, Milano, Electa, Manlio Sgalambro, prefazione in Ghesia Bellavia, Fermo immagine, Catania, Il Garufi, ,  ??? Manlio Sgalambro, Sulla mia morte in Franco Battiato, Attraversando il bardo. Sguardi sull'aldilà, Milano, Bompiani, Album Manlio Sgalambro, Fun club, Milano, Sony, 2001 Singoli Manlio Sgalambro, La mer, Milano, Sony,Manlio Sgalambro, Me gustas tú, Milano, Sony, 2001 Manlio Sgalambro feat. Mab, La canzone della galassia, Milano, Sony, Collaborazioni Album testi (L'ombrello e la macchina da cucire, Breve invito a rinviare il suicidio, Piccolo pub, Fornicazione, Gesualdo da Venosa, Moto browniano, Tao, Un vecchio cameriere, L'esistenza di Dio) in Franco Battiato, L'ombrello e la macchina da cucire, Milano, EMI, 1995 testi (Di passaggio, Strani giorni, La cura, Ein Tag aus dem Leben des kleinen Johannes, Amata solitudine, Splendide previsioni, Ecco com'è che va il mondo, Segunda-feira, Memorie di Giulia, Serial killer) e voce (Di passaggio) in Franco Battiato, L'imboscata, Milano, Polygram, 1996 voce (Canzone chimica) in Franco Battiato, L'imboscata live tour (registrazione video di un concerto), Milano, Polygram, 1997 testo (Emma Bovary) in Patty Pravo, Notti, guai e libertà, Milano, Sony, testi (Shock in my town, Auto da fé, Casta diva, Il ballo del potere, La preda, Il mantello e la spiga, È stato molto bello, Quello che fu, Vite parallele, Shackleton) e voce (Shackleton) in Franco Battiato, Gommalacca, Milano, Polygram, 1998 testi (Medievale, Invito al viaggio) e voce (Invito al viaggio) in Franco Battiato, Fleurs. Esempi affini di scritture e simili, Milano, Universal, 1999 testi (Running against the grain, Bist du bei mir, La quiete dopo un addio, Personalità empirica, Il cammino interminabile, Lontananze d'azzurro, Sarcofagia, Scherzo in minore, Il potere del canto) e voce (Personalità empirica) in Franco Battiato, Ferro battuto, Milano, Sony, 2001 testo (Invasione di campo) in  Invasioni, ???, New Scientist, 2001 testo (Come un sigillo) in Franco Battiato, Fleurs 3 (album), Milano, Sony, 2002 voce (Non dimenticar le mie parole) in Franco Battiato, Colonna sonora di Perduto amor (colonna sonora del film), Milano, Sony, 2003 voce (Shackleton, Accetta il consiglio) in Franco Battiato, Last summer dance (registrazione audio di un concerto), Milano, Sony, testi (Tra sesso e castità, Le aquile non volano a stormi, Ermeneutica, Fortezza Bastiani, Odore di polvere da sparo, I'm that, Conforto alla vita, 23 coppie di cromosomi, Apparenza e realtà, La porta dello spavento supremo) e voce (La porta dello spavento supremo) in Franco Battiato, Dieci stratagemmi. Attraversare il mare per ingannare il cielo, Milano, Sony, 2004 voce (La porta dello spavento supremo) in Franco Battiato, Un soffio al cuore di natura elettrica (registrazione audio e video di un concerto), Milano, Sony, testi (Il vuoto, I giorni della monotonia, Aspettando l'estate, Niente è come sembra, Tiepido aprile, The game is over, Io chi sono?, Stati di gioia) e dell'adattamento in italiano di Era l'inizio della primavera (da Aleksej Nikolaevič Tolstoj, It was in the early days of spring) in Franco Battiato, Il vuoto, Milano, Universal, testo (Maori legend) in Lilies on Mars, Lilies on Mars, testo (Il movimento del dare) in Fiorella Mannoia, Il movimento del dare, Milano, Sony, 2008 testi (Tutto l'universo obbedisce all'amore, Tibet) e dell'adattamento in italiano di Del suo veloce volo (da Antony Hegarthy, Frankenstein) in Franco Battiato, Fleurs 2, Universal, 2008 testo (Marie ti amiamo) in Carmen Consoli, Elettra, Milano, Universal, 2009 testi (Inneres Auge, 'U cuntu) e voce ('U cuntu) in Franco Battiato, Inneres Auge. Il tutto è più della somma delle sue parti, Milano, Universal, testo (Non conosco nessun Patrizio!) in Milva, Non conosco nessun Patrizio!, Milano, Universal,  testo (Facciamo finta che sia vero) in Adriano Celentano, Facciamo finta che sia vero, Milano, Universal,  testo (Eri con me) in Alice, Samsara, ???, Arecibo,  testi (Un irresistibile richiamo, Testamento, Quand'ero giovane, Eri con me, Passacaglia, La polvere del branco, Caliti junku, Aurora, Il serpente, Apriti sesamo) in Franco Battiato, Apriti sesamo, Milano, Universal,  Singoli testi (Strani giorni, Decline and fall of the Roman empire) in Franco Battiato, Strani giorni, Milano, Polygram, testo in Patty Pravo, Emma Bovary, Milano, Sony, 1998 testi (Shock in my town, Stage door) in Franco Battiato, Shock in my town, Milano, Polygram, 1998 testi (Il ballo del potere, Stage door, Emma, L'incantesimo) in Franco Battiato, Il ballo del potere, Milano, Polygram, testi (Running against the grain, Sarcofagia, In trance) in Franco Battiato, Running against the grain, Milano, Sony, 2001 testo in Franco Battiato, Il vuoto, Milano, Universal, 2007 testo in Franco Battiato feat. Carmen Consoli, Tutto l'universo obbedisce all'amore, Milano, Universal, 2008 testo in Franco Battiato, Inneres Auge, Milano, Universal, 2009 testo in Franco Battiato, Passacaglia, Milano, Universal,  Opere teatrali testi in Franco Battiato, Il cavaliere dell'intelletto, inedito (prima rappresentazione: Palermo, testi e attore in Martin Kleist, Socrate impazzito, inedito (prima rappresentazione: Catania) testi e attore in Franco Battiato, Gli Schopenhauer, inedito (prima rappresentazione: Fano (PU), 8 agosto 1998) attore in Igor' Fëdorovič Stravinskij, L'histoire du soldat, inedito, 1999 (prima rappresentazione: Roma,  libretto e voce (Corpi in movimento, La mer) in Franco Battiato, Campi magnetici. I numeri non si possono amare, Milano, Sony, 2000 (prima rappresentazione: Firenze) voce (Volare è un'arte, Negli abissi, Pratica di mare, A tu per tu con il Mig, Verso Bologna, Simulacro) in Pippo Pollina, Ultimo volo. Orazione civile per Ustica, Bologna, Storie di Note, 2007 (prima rappresentazione: Bologna) attore in Manlio SgalambroRosalba BentivoglioCarlo Guarrera, Frammenti per versi e voce, inedito (prima rappresentazione: Catania, testi in Franco Battiato, Telesio. Opera in due atti e un epilogo, Milano, Sony,  (prima rappresentazione: Cosenza, 7 maggio ) Film sceneggiatura e attore (Martino Alliata) in Franco Battiato, Perduto amor, Giarre (CT), L'Ottava, sceneggiatura e attore (nobile senese) in Franco Battiato, Musikanten, Giarre (CT), L'Ottava, 2005 sceneggiatura in Franco Battiato, Niente è come sembra, Milano, Bompiani, Documentari intervento in Daniele Consoli, La verità sul caso del signor Ciprì e Maresco, Zelig, intervento in Franco Battiato, Auguri don Gesualdo, Milano, Bompiani,  intervento in Massimiliano Perrotta, Sicilia di sabbia, Movie Factory,  intervento in Franco Battiato, Attraversando il bardo. Sguardi sull'aldilà, Milano, Bompiani,  Videoclip attore in Franco Battiato, L'ombrello e la macchina da cucire, 1995 attore in Franco Battiato, Di passaggio, attore in Franco Battiato, Strani giorni, 1996 attore in Franco Battiato, Shock in my town, 1998 attore in Franco Battiato, Running against the grain, attore in Franco Battiato, Bist du bei mir, attore in Franco Battiato, Ermeneutica, attore in Franco Battiato, La porta dello spavento supremo, 2004 attore in Franco Battiato, Il vuoto, attore in Franco Battiato, Inneres Auge, Programmi televisivi Franco Battiato, Bitte, keine Réclame,  Libri Francesco Saverio Niso, Comunità dello sguardo. Halbwachs, Sgalambro, Cordero, Torino, Giappichelli, 2001 Mariacatena De LeoLuigi Ingaliso, Nell'antro del filosofo. Dialogo con Manlio Sgalambro, Catania, Prova d'Autore, Lina Passione, La notte e il tempo. Divagazioni su Franco Battiato, Manlio Sgalambro e… altro, Catania, CUECM, Alessandro Max Cantello, Sgalambro speaks. Uno scherzo mimetico che possa introdurre ad una filosofia, Mas Club,  Manlio Sgalambro. L'ultimo chierico, Rita Fulco, Messina, Mesogea,  Caro misantropo. Saggi e testimonianze per Manlio Sgalambro, Antonio CarulliFrancesco Iannello, Napoli, La Scuola di Pitagora,  Salvatore Massimo Fazio, Regressione suicida. Dell'abbandono disperato di Emil Cioran e Manlio Sgalambro, Barrafranca , Bonfirraro,  Manlio Sgalambro. Breve invito all'opera, Davide Miccione, Caltagirone (CT), Lettere da Qalat,  Antonio Carulli, Introduzione a Sgalambro, Genova, Il Melangolo,  Patrizia TrovatoAntonio CarulliPiercarlo NecchiManuel Pérez Cornejo, La piccola verità. Quattro saggi su Manlio Sgalambro, Milano, Mimesis,  Saggi Sergio Zavoli, Le ombre della sera in Di questo passo. Cinquecento domande per capire dove andiamo, Torino, Nuova ERI, Calogero Rizzo, De consolatione theologie in Massimo Iiritano, Sergio Quinzio. Profezie di un'esistenza, Soveria Mannelli (CZ), Rubettino, Armando Matteo, Manlio Sgalambro: il dovere dell'empietà in Della fede dei laici. Il cristianesimo di fronte alla mentalità postmoderna, Soveria Mannelli (CZ), Rubettino, Stefano Lanuzza, Il filosofo insulare in Erranze in Sicilia, Napoli, Guida, Leonor Sáez Méndez, Zwischen der kritischen Bedingung der praktischen Erfahrung und der Doktrin: Dechiffrierung der Perversion (Zwei Beispiele) in Kant ein illusionist? Das retorsive und kompositive Verfahren der kantischen Urteilskraft nach dem philosophischen Empirismus, Murcia (Spagna), Universidad de Murcia, Pino Aprile, La morte del sole in Giù al sud. Perché i terroni salveranno l'Italia, Segrate (MI), Piemme, Marco Risadelli, Note su “Dell'indifferenza in materia di società” di Manlio Sgalambro in Alessandra MallamoAngelo Nizza, Polisofia, Roma, Nuova Cultura, ,  Giuseppe Raciti, Until the end of the world. Sgalambro lettore di Spengler in Per la critica della notte. Saggio sul “Tramonto dell’Occidente” di Oswald Spengler, Milano, Mimesis, Articoli Enrico Arosio, Ora Sgalambro il mondo in L'Espresso, Stefano Lanuzza, Il pensiero ipocondriaco in Il Ponte, Gerd Bergfleth, Finis mundi. Manlio Sgalambro und der Weltuntergang in Der Pfahl. Jahrbuch aus dem Niemandsland zwischen Kunst und Wissenschaft, Alberto Corda, Profilo di Manlio Sgalambro, filosofo “irregolare” in Arenaria, Giuseppe Raciti, Sgalambro maestro “cattivo” per elezione in Ideazione, Ferdinando Raffaele, Intorno alla creatività filosofica. A colloquio con il filosofo Manlio Sgalambro in Parolalibera, Francesco Saverio Nisio, Sgalambro, l'unico che canta. Mille sguardi, II in Democrazia e diritto. Guerra e individuo, Marcello Faletra, Dialogo con Manlio Sgalambro, Cyberzone Fabio Presutti, Manlio Sgalambro, Giorgio Agamben: on metaphysical suspension of language and the destiny of its inorganic re-absorption in Italica, Concetta Bonini, Manlio Sgalambro. Il cavaliere dell'intelletto in Freetime. Sicilia,  Marcello Faletra, La pistola di Sgalambro,  in//peppinoimpastato.com/visualizza.asp?val=2115 Marcello Faletra, L'azzardo del pensiero o il filosofo della crudeltà: Manlio Sgalambro. Cyberzone Marcello Faletra, In ricordo di Manlio Sgalambro, Artribune, Manuel Pérez Cornejo, En la estela de Schopenhauer y Mainländer: la filosofía «peorista» de Manlio Sgalambro in Schopenhaueriana. Revista española de estudios sobre Schopenhauer, Tesi di laurea Salvatore Massimo Fazio, Cioran e Sgalambro: un confronto, Università degli Studi di Catania, Fatima Scaglione, BattiatoSgalambro. Tra musica e filosofia, Università degli Studi di Palermo, Cecilia Comparoni, L'impossibilità di essere consolati. L'itinerario tragico di Manlio Sgalambro, Università degli Studi di Genova, a.a. - Filmografia Guido Cionini, Manlio Sgalambro. Il consolatore, inedito (2006) Guido Cionini, Another side of Sgalambro, inedito (2008) Marcello Faletra, Mario Bellone, Manlio Sgalambro. Del pensare breve, inedito () Note  Franco Battiato su Storia della musica.it  Articolo su Repubblica, Manlio Sgalambro: adesso il filosofo diventa crooner  Intervista a Battiato e SgalambroYouTube  Intervista a Manlio Sgalambro: Il filosofo rock che dà del “lei” a Battiato livesicilia.it | elena giordano  Manlio Sgalambro, l'ultima intervista  "Teoria della canzone", Bompiani, e la prefazione a "La filosofia delle università", Adelphi  Sgalambro, il ricordo commosso di Cacciari: “Con lui incontro straordinario”Video Il Fatto Quotidiano TV, su tv.ilfattoquotidiano.it. 30 maggio  31 maggio ).  “A un tratto ci si accorge di quella cosa che chiamiamo pensare”: Addio a Sgalambro. La sua ultima intervista.  cfr. "De mundo pessimo", "Frammenti di storia dell'empietismo", "Trattato dell'empietà" Adelphi  GAP Speciali. Manlio SgalambroUn viaggio oltre il luogo comuneRai Scuola  Mariacatena De Leo & Luigi Ingaliso, Nell'antro del filosofo: dialogo con Manlio Sgalambro (Prova d'autore È morto Manlio Sgalambro, il filosofo di Franco Battiato, radiomusik.it, 6 marzo .  Franco Battiato choc a Napoli: «Sento la fine vicina, meglio cogliere il giorno». Sgalambro, il filosofo che cantò il nichilismo  Giovanni Tesio, "In ginocchio davanti a Nietzsche", TuttoLibri,  "La conoscenza del peggio", pag.58, Adelphi  La scrittura aforistica di Manlio Sgalambro |  Intervista a Manlio Sgalambro:: LaRecherche.it  Paralipomeni all'irrazionalismo Archiviato il 7 marzo  in .  Giorgio Calcagno, Sgalambro: il filosofo è uno spione (da La Stampa Francesco Battistini, Sgalambro: Sciascia addio, non servi più, Corriere della Sera. Carlo Formenti, Ferrarotti accusa: «Sgalambro neoreazionario», in “Corriere della Sera”,   Liliana Madeo, Battiato: note per un filosofo (da La Stampa del 19 settembre 1994).  Marinella Venegoni, Così Sgalambro canta la sua filosofia (da La Stampa del 20 ottobre Sito ufficiale, su sgalambro.altervista.org. Manlio Sgalambro, su AllMusic, All Media Network. Manlio Sgalambro, su Discogs, Zink Media. Manlio Sgalambro, su MusicBrainz, MetaBrainz Foundation. Manlio Sgalambro, su Internet Movie Database, IMDb.com.  Manlio Sgalambro. Il filosofo cantante maestro dell'ironia: "Sono un uomo felice di stare su quest'Isola", in la Repubblica, 20 febbraio . Incontro con Sgalambro , in Le conversazioni di Perelandra. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Sgalamabro," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

shaftesbury, Lord, in full, Third Earl of Shaftesbury, title of Anthony Ashley Cooper, English philosopher and politician who originated the moral sense theory. He was born at Wimborne St. Giles, Dorsetshire. As a Country Whig he served in the House of Commons for three years and later, as earl, monitored meetings of the House of Lords. Shaftesbury introduced into British moral philosophy the notion of a moral sense, a mental faculty unique to human beings, involving reflection and feeling and constituting their ability to discern right and wrong. He sometimes represents the moral sense as analogous to a purported aesthetic sense, a special capacity by which we perceive, through our emotions, the proportions and harmonies of which, on his Platonic view, beauty is composed. For Shaftesbury, every creature has a “private good or interest,” an end to which it is naturally disposed by its constitution. But there are other goods as well  notably, the public good and the good without qualification of a sentient being. An individual creature’s goodness is defined by the tendency of its “natural affections” to contribute to the “universal system” of nature of which it is a part  i.e., their tendency to promote the public good. Because human beings can reflect on actions and affections, including their own and others’, they experience emotional responses not only to physical stimuli but to these mental objects as well e.g., to the thought of one’s compassion or kindness. Thus, they are capable of perceiving  and acquiring through their actions  a particular species of goodness, namely, virtue. In the virtuous person, the person of integrity, natural appetites and affections are in harmony with each other wherein lies her private good and in harmony with the public interest. Shaftesbury’s attempted reconciliation of selflove and benevolence is in part a response to the egoism of Hobbes, who argued that everyone is in fact motivated by self-interest. His defining morality in terms of psychological and public harmony is also a reaction to the divine voluntarism of his former tutor, Locke, who held that the laws of nature and morality issue from the will of God. On Shaftesbury’s view, morality exists independently of religion, but belief in God serves to produce the highest degree of virtue by nurturing a love for the universal system. Shaftesbury’s theory led to a general refinement of eighteenth-century ideas about moral feelings; a theory of the moral sense emerged, whereby sentiments are  under certain conditions  perceptions of, or constitutive of, right and wrong. In addition to several essays collected in three volumes under the title Characteristics of Men, Manners, Opinions, Times second edition, 1714, Shaftesbury also wrote stoical moral and religious meditations reminiscent of Epictetus and Marcus Aurelius. His ideas on moral sentiments exercised considerable influence on the ethical theories of Hutcheson and Hume, who later worked out in detail their own accounts of the moral sense.  H. P. Grice, “My favourite Cooper.”

 

shyreswood: “I prefer the spelling shyreswood, since it SAYS what ‘sherwood’ merely implicates.” -- Sherwood, William, also called William Shyreswood, English logician who taught logic at Oxford and at Paris between 1235 and 1250. He was the earliest of the three great “summulist” writers, the other two whom he influenced strongly being Peter of Spain and Lambert of Auxerre. His main works are “Introductiones in Logicam,” “Syncategoremata,” “De insolubilibus,” and “Obligationes.” Some serious doubts have recently arisen about the authorship of the latter work. Since M. Grabmann published Sherwood’s Introductiones, philosophers have paid considerable attention to this seminal Griceian. While the first part of Introductiones offer the basic ideas of Aristotle’s Organon, and the latter part neatly lays out the Sophistical Refutations, the final tract expounds the doctrine of the four properties of a term. First, signification. Second, supposition. Third, conjunction, Fourth, appellation -- hence the label ‘terminist’ for this sort of logic. These logico-semantic discussions, together with the discussions of syncategorematic words, constitute the “logica moderna,” (Grice’s ‘mdoernism’) as opposed to the more strictly Aristotelian contents of the earlier logica vetus (Grice’s neo-traditionalism) and logica nova (“It took me quite a while to explain to Strawson the distinction between ‘logica nova’ and ‘logica moderna,’ only to have him tell me, “worry not, GriceI’ll be into ‘logica vetus’ anyways!””. The doctrine of properties of terms and the analysis of syncategorematic terms, especially those of ‘all’ (or every) ‘no’ (or not or it is not the case) and ‘nothing’, ‘only’, ‘not’, ‘begins’ and ‘ceases (to eat iron) ‘necessarily’, ‘if’ (Latin ‘si,’ Grecian ‘ei’), ‘and’ (Latin ‘et’, Grecian ‘kai’) and ‘or’ (Latin ‘vel’)  may be said to constitute Sherwood’s or Shyrewood’s philosophy of logic. Shyrewood not only distinguishes categorematic descriptive and syncategorematic logical words but also shows how some terms are used categorematically in some contexts and syncategorematically in others“he doesn’t explain which, and that’s one big map in his opus.”– Grice. He recognizes the importance of the order of words (hence Grice, ‘be orderly’) and of the scope of logical functors; he also anticipates the variety of composite and divided senses of propositions. Obligationes, if indeed his, attempts to state conditions under which a formal disputation may take place. De Insolubilibus deals with paradoxes of self-reference and with ways of solving them. Understanding Sherwood’s logic is important for understanding the later medieval developments of logica moderna down to Occam whom Grice laughed at (“modified Occam’s razor.”). Refs.: Grice, “Shyreswood at Oxford.”

 

All figures of rhetoric

 

All fallaciesargumentum ad:

 

ship of Theseus: the ship of the Grecian hero Theseus, which, according to Plutarch “Life of Theseus,” 23, the Athenians preserved by gradually replacing its timbers. A classic debate ensued concerning identity over time. Suppose a ship’s timbers are replaced one by one over a period of time; at what point, if any, does it cease to be the same ship? What if the ship’s timbers, on removal, are used to build a new ship, identical in structure with the first: which ship has the best claim to be the original ship?

 

shpet: phenomenologist and highly regarded friend of Husserl. Shpet plays a major role in the development of phenomenology. Graduating from Kiev  in 6, Shpet accompanied his mentor Chelpanov to Moscow, ommencing graduate studies at Moscow  M.A., 0; Ph.D., 6. He attends Husserl’s seminars at Göttingen during 213, out of which developed a continuing friendship between the two, recorded in correspondence extending through 8. In 4 Shpet published a meditation, “Iavlenie i smysl,” nspired by Husserl’s Logical Investigations and, especially, Ideas I, which had appeared in 3. Between 4 and 7 he published six additional books on such disparate topics as the concept of history, Herzen, philosophy, aesthetics, ethnic psychology, and language. He founds and edited the philosophical yearbook Mysl’ i slovo Thought and Word between 8 and 1, publishing an important article on skepticism in it. He was arrested and sentenced to internal exile. Under these conditions he made a running commentary of Hegel’s Phenomenology. He was executed.

 

sidgwick:  English philosopher. Best known for “The Methods of Ethics,” he also wrote “Outlines of the History of Ethics.” In the “Methods,” Sidgwick tries to assess the rationality of the main ways in which ordinary people go about making this or that moral decision. Sidgwick thinks that our common “methods of ethics” fall into three main patterns. The first pattern is articulated by the philosophical theory known as intuitionism. This is the view that we can just see straight off either what particular act is right or what binding rule or general principle we ought to follow. A second pattern is spelled out by what self-love or egoism, the view that we ought in each act to get as much good as we can for ourselves.vide: H. P. Grice, “The principle of conversational self-love and the principle of conversational benevolence,” H. P.  Grice, “Conversational benevolence, not conversational self-love.” The third widely used method is represented by utilitarianism, the view that we ought in each case to bring about as much good as possible for everyone affected. Can any or all of the methods prescribed by these views be rationally defended? And how are they related to one another? By framing his philosophical questions in these terms, Sidgwick makes it centrally important to examine the chief philosophical theories of morality in the light of the common-sense morals of his time. Sidgwick thinks that no theory wildly at odds with common-sense morality would be acceptable. Intuitionism, a theory originating with Butler (of ‘self-love and benevolence’ fame), transmitted by Reid, and most systematically expounded during the Victorian era by Whewell, is widely held to be the best available defense of Christian morals. Egoism (Self-love) was thought by many to be the clearest pattern of practical (or means-end) rationality and is frequently said to be compatible with Christianity. And J. S. Mill had argues that utilitarianism is both rational and in accord with common sense. But whatever their relation to ordinary morality, the three methods or patterns seem to be seriously at odds with one another. Examining all the chief commonsense precepts and rules of morality, such as that promises ought to be kept, Sidgwick argues that none is truly self-evident or intuitively certain. Each fails to guide us at certain points where we expect it to answer our practical questions. Utilitarianism, he found, could provide a complicated method for filling these gaps. But what ultimately justifies utilitarianism is certain very general axioms seen intuitively to be true. Among them are the principles that what is right in one case must be right in any similar case, and that we ought to aim at good generally, not just at some particular part of it. Thus intuitionism and utilitarianism can be reconciled. When taken together they yield a complete and justifiable method of ethics that is in accord with common sense. What then of egoism and self-love? Self love and egoirm can provide as complete a method as utilitarianism, and it also involves a self-evident axiom. But  the results of egoism and self-love often contradict those of utilitarianism. Hence there is a serious problem. The method that instructs us to act always for the good generally and the method that tells one to act solely for one’s own good are equally rational. Since the two methods give contradictory directions, while each method rests on self-evident axioms, it seems that practical reason is fundamentally incoherent. Sidgwick could see no way to solve the problem. Sidgwick’s bleak conclusion is not generally accepted (especially at Oxford), but his Methods is widely viewed as one of the best works of moral philosophy ever written in what Grice calls ‘insular’ philosophy (as opposed to mainland philosophy).  Sidgwick’s account of classical utilitarianism is unsurpassed. Sidwick’s discussions of the general status of morality and of particular moral concepts are enduring models of clarity and acumen. His insights about the relations between egoism (self-love) and utilitarianism have stimulated much valuable research. And his way of framing moral problems, by asking about the relations between commonsense beliefs and the best available theories, has set much of the agenda for ethics. 

 

sì/no -- “sic” et “ne”modus interrogativus. Grice: “Oddly that the Italians call themselves as speaking the ‘lingua del si,’ contra the Gallics, who speak the ‘lingua del’oc,” or worse, the ‘lingua d’oil”!! -- Grice: Or yes/no question. “Cicero has this as ‘sic’ and ‘non.’ For Grice, tertium non datur. Grice’s example is “Have you stopped beating  your wife, Smith?” “Smith is tricked into having to say ‘yes,’ which makes him a criminal, or “no,” which doesn’t but *implicates* him in a crime.” “The explicit cancellation would be, “No, because I never started it.”“But usually Smith is never so intelligently Griceian like *that*! Vide: modus interrogatives.  Grice finds the formalisation of a yes-no question more complicated than that of an x-question. Like Carnap, he concludes that the distinction is otiose, because a yes/no question also is after a variable to be filled by a definite value, regarding the truth-value of the proposition as a whole rather than a part thereof. Grice: “While I’ll casually use ‘yes,’ I’m well aware that the ‘s,’ as every German schoolboy knows, is otioseit’s ‘yeah’ which is the correct form!” -- Refs.: H. P. Grice, “Cicero on ‘sic’ and ‘ne’.” BANC, Speranza, “First time in Corpus?”

 

segno -- signum -- Grice: “I prefer token, so Anglo-Saxon! Plus I’m a ‘teacher’“to teach philosophy” --” whose explorations on the Nicomachean Ethics, in one of their earlier incarnations, as a set of lecture notes, sees me through terms of teaching Aristotle's moral theory.” “My own philosophical life in this period involves two especially important aspects.” ROBBING PETER TO PAY PAUL.. “The first is my prolonged collaboration with my tutee at St. John’sF. Strawson.”“Strawson’s and my efforts are partly directed towards the giving of joint seminars.”“Strawson and I stage a number of joint seminars on topics related to the notions of meaning, categories, and logical form.” “But my association with P. F. Strawson is much more than an alliance for the purpose of teaching.” -- theory of signs, the philosophical and scientific theory of information-carrying entities, communication, and information transmission. The term ‘semiotic’ was introduced by Locke for the science of signs and signification. The term became more widely used as a result of the influential work of Peirce and Charles Morris. With regard to linguistic signs, three areas of semiotic were distinguished: pragmatics  the study of the way people, animals, or machines such as computers use signs; semantics  the study of the relations between signs and their meanings, abstracting from their use; and syntax  the study of the relations among signs themselves, abstracting both from use and from meaning. In Europe, the near-equivalent term ‘semiology’ was introduced by Ferdinand de Saussure, the Swiss linguist. Broadly, a sign is any information-carrying entity, including linguistic and animal signaling tokens, maps, road signs, diagrams, pictures, models, etc. Examples include smoke as a sign of fire, and a red light at a highway intersection as a sign to stop. Linguistically, vocal aspects of speech such as prosodic features intonation, stress and paralinguistic features loudness and tone, gestures, facial expressions, etc., as well as words and sentences, are signs in the most general sense. Peirce defined a sign as “something that stands for something in some respect or capacity.” Among signs, he distinguished symbols, icons, and indices. A symbol, or conventional sign, is a sign, typical of natural language forms, that lacks any significant relevant physical correspondence with or resemblance to the entities to which the form refers manifested by the fact that quite different forms may refer to the same class of objects, and for which there is no correlation between the occurrence of the sign and its referent. An index, or natural sign, is a sign whose occurrence is causally or statistically correlated with occurrences of its referent, and whose production is not intentional. Thus, yawning is a natural sign of sleepiness; a bird call may be a natural sign of alarm. Linguistically, loudness with a rising pitch is a sign of anger. An icon is a sign whose form corresponds to or resembles its referent or a characteristic of its referent. For instance, a tailor’s swatch is an icon by being a sign that resembles a fabric in color, pattern, and texture. A linguistic example is onomatopoeia  as with ‘buzz’. In general, there are conventional and cultural aspects to a sign being an icon.  signatum: Cf. “to sign” as a verbfrom French. Grice uses designatum, toobut more specifically within the ‘propositio’ as a compound of a subjectum and a predicatum. The subject-item indicates a thing; and the predicate-item designates a property. As Grice notes, there is a distinction between Aristotle’s use, in De Int., of ‘sumbolon,’ for which Aristotle sometimes means ‘semeion,’ and their Roman counterparts, ‘signum’ sounds otiose enough. But ‘significo’ does not. There is this –fico thing that sounds obtrusive. The Romans, however, were able to distinguish between ‘make a sign,’ and just ‘signal.’ The point is important when Grice tries to apply the Graeco-Roman philosophical terminology to a lexeme which does not belong in there: “mean.” His example is someone in pain, uttering “Oh.” If he later gains voluntary control, by uttering “Oh” he means that he is in pain, and even at a later stage, provided he learns ‘lupe,’ he may utter the expression which is somewhat correlated in a non-iconic fashion with something which iconically is a vehicle for U to mean that he is in pain. In this way, in a communication-system, a communication-device, such as “Oh” does for the state of affairs something that the state of affairs cannot do for itself, govern the addresee’s thoughts and behaviour (very much as the Oxfordshire cricket team does for Oxfordshire what Oxfordshire cannot do for herself, viz. to engage in a game of cricket. There’s rae-presentatum, for you! Short and Lewis have ‘signare,’ from ‘signum,’ and which they render as ‘to set a mark upon, to mark, mark out, designate (syn.: noto, designo),’ Lit. A. In gen. (mostly poet. and in post-Aug. prose): discrimen non facit neque signat linea alba, Lucil. ap. Non. 405, 17: “signata sanguine pluma est,” Ov. M. 6, 670: “ne signare quidem aut partiri limite campum Fas erat,” Verg. G. 1, 126: “humum limite mensor,” Ov. M. 1, 136; id. Am. 3, 8, 42: “moenia aratro,” id. F. 4, 819: “pede certo humum,” to print, press, Hor. A. P. 159; cf.: “vestigia summo pulvere,” to mark, imprint, Verg. G. 3, 171: auratā cyclade humum, Prop. 4 (5), 7, 40. “haec nostro signabitur area curru,” Ov. A. A. 1, 39: “locum, ubi ea (cistella) excidit,” Plaut. Cist. 4, 2, 28: “caeli regionem in cortice signant,” mark, cut, Verg. G. 2, 269: “nomina saxo,” Ov. M. 8, 539: “rem stilo,” Vell. 1, 16, 1: “rem carmine,” Verg. A. 3, 287; “for which: carmine saxum,” Ov. M. 2, 326: “cubitum longis litteris,” Plaut. Rud. 5, 2, 7: “ceram figuris,” to imprint, Ov. M. 15, 169: “cruor signaverat herbam,” had stained, id. ib. 10, 210; cf. id. ib. 12, 125: “signatum sanguine pectus,” id. A. A. 2, 384: “dubiā lanugine malas,” id. M. 13, 754: “signata in stirpe cicatrix,” Verg. G. 2, 379: “manibus Procne pectus signata cruentis,” id. ib. 4, 15: “vocis infinitios sonos paucis notis,” Cic. Rep. 3, 2, 3: “visum objectum imprimet et quasi signabit in animo suam speciem,” id. Fat. 19, 43.— B. In partic. 1. To mark with a seal; to seal, seal up, affix a seal to a thing (usually obsignare): “accepi a te signatum libellum,” Cic. Att. 11, 1, 1: “volumina,” Hor. Ep. 1, 13, 2: locellum tibi signatum remisi, Caes. ap. Charis. p. 60 P.: “epistula,” Nep. Pel. 3, 2: “arcanas tabellas,” Ov. Am. 2, 15, 15: “signatis quicquam mandare tabellis,” Tib. 4, 7, 7: “lagenam (anulus),” Mart. 9, 88, 7: “testamentum,” Plin. Ep. 2, 20, 8 sq.; cf. Mart. 5, 39, 2: “nec nisi signata venumdabatur (terra),” Plin. 35, 4, 14, § 33.—Absol., Mart. 10, 70, 7; Quint. 5, 7, 32; Suet. Ner. 17.— 2. To mark with a stamp; hence, a. Of money, to stamp, to coin: “aes argentum aurumve publice signanto,” Cic. Leg. 3, 3, 6; cf.: “qui primus ex auro denarium signavit ... Servius rex primus signavit aes ... Signatum est nota pecudum, unde et pecunia appellata ... Argentum signatum est anno, etc.,” Plin. 33, 3, 13, § 44: “argentum signatum,” Cic. Verr. 2, 5, 25, § 63; Quint. 5, 10, 62; 5, 14, 26: “pecunia signata Illyriorum signo,” Liv. 44, 27, 9: “denarius signatus Victoriā,” Plin. 33, 3, 13, § 46: “sed cur navalis in aere Altera signata est,” Ov. F. 1, 230: “milia talentūm argenti non signati formā, sed rudi pondere,” Curt. 5, 2, 11.— Hence, b. Poet.: “signatum memori pectore nomen habe,” imprinted, impressed, Ov. H. 13, 66: “(filia) quae patriā signatur imagine vultus,” i. e. closely resembles her father, Mart. 6, 27, 3.— c. To stamp, i. e. to license, invest with official authority (late Lat.): “quidam per ampla spatia urbis ... equos velut publicos signatis, quod dicitur, calceis agitant,” Amm. 14, 6, 16.— 3. Pregn., to distinguish, adorn, decorate (poet.): “pater ipse suo superūm jam signat honore,” Verg. A. 6, 781 Heyne: caelum corona, Claud. Nupt. Hon. et Mar. 273. to point out, signify, indicate, designate, express (rare; more usually significo, designo; in Cic. only Or. 19, 64, where dignata is given by Non. 281, 10; “v. Meyer ad loc.): translatio plerumque signandis rebus ac sub oculos subiciendis reperta est,” Quint. 8, 6, 19: “quotiens suis verbis signare nostra voluerunt (Graeci),” id. 2, 14, 1; cf.: “appellatione signare,” id. 4, 1, 2: “utrius differentiam,” id. 6, 2, 20; cf. id. 9, 1, 4; 12, 10, 16: “nomen (Caieta) ossa signat,” Verg. A. 7, 4: “fama signata loco est,” Ov. M. 14, 433: “miratrixque sui signavit nomine terras,” designated, Luc. 4, 655; cf.: “(Earinus) Nomine qui signat tempora verna suo,” Mart. 9, 17, 4: “Turnus ut videt ... So signari oculis,” singled out, looked to, Verg. A. 12, 3: signare responsum, to give a definite or distinct answer, Sen. Ben. 7, 16, 1.—With rel.-clause: “memoria signat in quā regione quali adjutore legatoque fratre meo usus sit,” Vell. 2, 115.— B. To distinguish, recognize: “primi clipeos mentitaque tela Adgnoscunt, atque ora sono discordia signant,” Verg. A. 2, 423; cf.: “sonis homines dignoscere,” Quint. 11, 3, 31: “animo signa quodcumque in corpore mendum est,” Ov. R. Am. 417.— C. To seal, settle, establish, confirm, prescribe (mostly poet.): “signanda sunt jura,” Prop. 3 (4), 20, 15. “signata jura,” Luc. 3, 302: jura Suevis, Claud. ap. Eutr. 1, 380; cf.: “precati deos ut velint ea (vota) semper solvi semperque signari,” Plin. Ep. 10, 35 (44). To close, end: “qui prima novo signat quinquennia lustro,” Mart. 4, 45, 3.—Hence, A. signan-ter , adv. (acc. to II. A.), expressly, clearly, distinctly (late Lat. for the class. significanter): “signanter et breviter omnia indicare,” Aus. Grat. Act. 4: “signanter et proprie dixerat,” Hier. adv. Jovin. 1, 13 fin. signātus, a, uma. 1. (Acc. to I. B. 1. sealed; hence) Shut up, guarded, preserved (mostly ante- and post-class.): signata sacra, Varr. ap. Non. 397, 32: limina. Prop. 4 (5), 1, 145. Chrysidem negat signatam reddere, i. e. unharmed, intact, pure, Lucil. ap. Non. 171, 6; cf.: “assume de viduis fide pulchram, aetate signatam,” Tert. Exhort. 12.— 2. (Acc. to II. A.) Plain, clear, manifest (post-class. for “significans”a back formation!): “quid expressius atque signatius in hanc causam?” Tert. Res. Carn.Adv.: signātē , clearly, distinctly (post-class.): “qui (veteres) proprie atque signate locuti sunt,” Gell. 2, 6, 6; Macr. S. 6, 7 Comp.: “signatius explicare aliquid,” Amm. 23, 6, 1. Refs.: H. P. Grice, “Sign and sign-makingthe Roman signi-ficare, and beyond.” significatum: or better ‘signatum.’ Grice knew that in old Roman, signatum was intransitive, as originally ‘significatum’ was“He is signifying,” i. e. making signs. In the Middle Ages it was applied to ‘utens’ of this or that expression, as was an actum, ‘agitur,’ Thus an expression was not said to ‘signify’ in the same way. Grice plays with the expression-communication distinction. When dealing with a lexeme that does NOT belong in the Graeco-Roman tradition, that of “mean,” he is never sure. His doubts were hightlighted in essays on “Grice without an audience.” While Grice explicitly says that a ‘word’ is not a sign, he would use ‘signify’ at a later stage, including the implicaturum as part of the significatum. There is indeed an entry for signĭfĭcātĭo, f. significare. L and S render it, unhelpfully, as “a pointing out, indicating, denoting, signifying; an expression, indication, mark, sign, token, = indicium, signum, ἐπισημασία, etc., freq. and class. As with Stevenson’s ‘communico,’ Grice goes sraight to ‘signĭfĭco,’ also dep. “signĭfĭcor,” f. ‘significare,’ from signum-facere, to make sign, signum-facio, I make sign, which L and S render as to signify, which is perhaps not too helpful. Grice, if not the Grecians, knew that. Strictly, L and S render significare as to show by signs; to show, point out, express, publish, make known, indicate; to intimate, notify, signify, etc. Note that the cognate signify almost comes last, but not least, if not first. Enough to want to coin a word to do duty for them all. Which is what Grice (and the Grecians) can, but the old Romans cannot, with mean. If that above were not enough, L and S go on, also, to betoken, prognosticate, foreshow, portend, mean (syn. praedico), as in to betoken a change of weather (post-Aug.): “ventus Africus tempestatem significat, etc.,”cf. Grice on those dark clouds mean a storm is coming.  Short and Lewis go on, to say that significare may be rendered as to call, name; to mean, import, signify. Hence, ‘signĭfĭcans,’ in rhet. lang., of speech, full of meaning, expressive, significant; graphic, distinct, clear: adv.: signĭfĭcanter, clearly, distinctly, expressly, significantly, graphically: “breviter ac significanter ordinem rei protulisse;” “rem indicare (with proprie),”  “dicere (with ornate),”  “apertius, significantius dignitatem alicujus defendere,” “narrare,”“disponere,” “appellare aliquid (with consignatius);” “dicere (with probabilius).” -- signifier, a vocal sound or a written symbol. The concept owes its modern formulation to the Swiss linguist Saussure. Rather than using the older conception of sign and referent, he divided the sign itself into two interrelated parts, a signifier and a signified. The signified is the concept and the signifier is either a vocal sound or writing. The relation between the two, according to Saussure, is entirely arbitrary, in that signifiers tend to vary with different languages. We can utter or write ‘vache’, ‘cow’, or ‘vaca’, depending on our native language, and still come up with the same signified i.e., concept. H. P. Grice, “Significatum and English ‘meaning.’”

 

simulatum: Grice: “If x simulates y, x is not yor is this an implicatureif x is x, is x LIKE x?” -- simulation theory: Grice: “How does one simulate an implicature? I challenge AI, so-called, to do it!” --  the view that one represents the mental activities and processes of others by mentally simulating them, i.e., generating similar activities and processes in oneself. By simulating them, one can anticipate their product or outcome; or, where this is already known, test hypotheses about their starting point. For example, one anticipates the product of another’s theoretical or practical inferences from given premises by making inferences from the same premises oneself; or, knowing what the product is, one retroduces the premises. In the case of practical reasoning, to reason from the same premises would typically require indexical adjustments, such as shifts in spatial, temporal, and personal “point of view,” to place oneself in the other’s physical and epistemic situation insofar as it differs from one’s own. One may also compensate for the other’s reasoning capacity and level of expertise, if possible, or modify one’s character and outlook as an actor might, to fit the other’s background. Such adjustments, even when insufficient for making decisions in the role of the other, allow one to discriminate between action options likely to be attractive or unattractive to the agent. One would be prepared for the former actions and surprised by the latter. The simulation theory is usually considered an alternative to an assumption sometimes called the “theory theory” that underlies much recent philosophy of mind: that our commonsense understanding of people rests on a speculative theory, a “folk psychology” that posits mental states, events, and processes as unobservables that explain behavior. Some hold that the simulation theory undercuts the debate between philosophers who consider folk psychology a respectable theory and those the eliminative materialists who reject it. Unlike earlier writing on empathic understanding and historical reenactment, discussions of the simulation theory often appeal to empirical findings, particularly experimental results in developmental psychology. They also theorize about the mechanism that would accomplish simulation: presumably one that calls up computational resources ordinarily used for engagement with the world, but runs them off-line, so that their output is not “endorsed” or acted upon and their inputs are not limited to those that would regulate one’s own behavior. Although simulation theorists agree that the ascription of mental states to others relies chiefly on simulation, they differ on the nature of selfascription. Some especially Robert Gordon and simple supposition simulation theory 845   845 Jane Heal, who independently proposed the theory give a non-introspectionist account, while others especially Goldman lean toward a more traditional introspectionist account. The simulation theory has affected developmental psychology as well as branches of philosophy outside the philosophy of mind, especially aesthetics and philosophy of the social sciences. Some philosophers believe it sheds light on traditional topics such as the problem of other minds, referential opacity, broad and narrow content, and the peculiarities of self-knowledge. 

 

Singolare, singulare: Grice: “I use ‘singular’ in triadic opposition to plural and singular, and reject Urquart’s bi-dual -- singular term -- singŭlāris , e, adj. singuli. I. Lit. A. In gen., one by one, one at a time, alone, single, solitary; alone of its kind, singular (class.; “syn.: unus, unicus): non singulare nec solivagum genus (sc. homines),” i. e. solitary, Cic. Rep. 1, 25, 39: “hostes ubi ex litore aliquos singulares ex navi egredientes conspexerant,” Caes. B. G. 4, 26: “homo,” id. ib. 7, 8, 3; so, “homo (with privatus, and o isti conquisiti coloni),” Cic. Agr. 2, 35, 97: “singularis mundus atque unigena,” id. Univ. 4 med.: “praeconium Dei singularis facere,” Lact. 4, 4, 8; cf. Cic. Ac. 1, 7, 26: “natus,” Plin. 28, 10, 42, § 153: “herba (o fruticosa),” id. 27, 9, 55, § 78: singularis ferus, a wild boar (hence, Fr. sanglier), Vulg. Psa. 79, 14: “hominem dominandi cupidum aut imperii singularis,” sole command, exclusive dominion, Cic. Rep. 1, 33, 50; so, “singulare imperium et potestas regia,” id. ib. 2, 9, 15: “sunt quaedam in te singularia ... quaedam tibi cum multis communia,” Cic. Verr. 2, 3, 88, § 206: “singulare beneficium (o commune officium civium),” id. Fam. 1, 9, 4: “odium (o communis invidia),” id. Sull. 1, 1: “quam invisa sit singularis potentia et miseranda vita,” Nep. Dion, 9, 5: “pugna,” Macr. S. 5, 2: “si quando quid secreto agere proposuisset, erat illi locus in edito singularis,” particular, separate, Suet. Aug. 72.— B. In partic. 1. In gram., of or belonging to unity, singular: “singularis casus,” Varr. L. L. 7, § 33 Müll.; “10, § 54 ib.: numerus,” Quint. 1, 5, 42; 1, 6, 25; 8, 3, 20; Gell. 19, 8, 13: “nominativus,” Quint. 1, 6, 14: “genitivus,” id. 1, 6, 26 et saep. —Also absol., the singular number: “alii dicunt in singulari hac ovi et avi, alii hac ove et ave,” Varr. L. L. 8, § 66 Müll.; Quint. 8, 6, 28; 4, 5, 25 al.— 2. In milit lang., subst.: singŭlāris , is, m. a. In gen., an orderly man (ordonance), assigned to officers of all kinds and ranks for executing their orders (called apparitor, Lampr. Alex. Sev. 52): “SINGVLARIS COS (consulis),” Inscr. Orell. 2003; cf. ib. 3529 sq.; 3591; 6771 al.— b. Esp., under the emperors, equites singulares Augusti, or only equites singulares, a select horse body-guard (selected from barbarous nations, as Bessi, Thraces, Bæti, etc.), Tac. H. 4, 70; Hyg. m. c. §§ 23 and 30; Inscr. Grut. 1041, 12 al.; cf. on the Singulares, Henzen, Sugli Equiti Singolari, Roma, 1850; Becker, Antiq. tom. 3, pass. 2387 sq.— 3. In the time of the later emperors, singulares, a kind of imperial clerks, sent into the provinces, Cod. Just. 1, 27, 1, § 8; cf. Lyd. Meg. 3, 7.— II. Trop., singular, unique, matchless, unparalleled, extraordinary, remarkable (syn.: unicus, eximius, praestans; “very freq. both in a good and in a bad sense): Aristoteles meo judicio in philosophiā prope singularis,” Cic. Ac. 2, 43, 132: “Cato, summus et singularis vir,” id. Brut. 85, 293: “vir ingenii naturā praestans, singularis perfectusque undique,” Quint. 12, 1, 25; so, “homines ingenio atque animo,” Cic. Div. 2, 47, 97: “adulescens,” Plin. Ep. 7, 24, 2.—Of things: “Antonii incredibilis quaedam et prope singularis et divina vis ingenii videtur,” Cic. de Or. 1, 38, 172: “singularis eximiaque virtus,” id. Imp. Pomp. 1, 3; so, “singularis et incredibilis virtus,” id. Att. 14, 15, 3; cf. id. Fam. 1, 9, 4: “integritas atque innocentia singularis,” id. Div. in Caecil. 9, 27: “Treviri, quorum inter Gallos virtutis opinio est singularis,” Caes. B. G. 2, 24: “Pompeius gratias tibi agit singulares,” Cic. Fam. 13, 41, 1; cf.: “mihi gratias egistis singularibus verbis,” id. Cat. 4, 3: “fides,” Nep. Att. 4: “singulare omnium saeculorum exemplum,” Just. 2, 4, 6.—In a bad sense: “nequitia ac turpitudo singularis,” Cic. Verr. 2, 3, 44, § 106; so, “nequitia,” id. ib. 2, 2, 54, § 134; id. Fin. 5, 20, 56: “impudentia,” Cic. Verr. 2, 2, 7, § 18: audacia (with scelus incredibile), id. Fragm. ap. Quint. 4, 2, 105: “singularis et nefaria crudelitas,” Caes. B. G. 7, 77.— Hence, adv.: singŭlārĭter (singlā-rĭter , Lucr. 6, 1067). 1. One by one, singly, separately. a. In gen. (ante- and post-class.): “quae memorare queam inter se singlariter apta, Lucr. l. l. Munro (Lachm. singillariter): a juventā singulariter sedens,” apart, separately, Paul. Nol. Carm. 21, 727.— b. In partic. (acc. to I. B. 1.), in the singular number: “quod pluralia singulariter et singularia pluraliter efferuntur,” Quint. 1, 5, 16; 1, 7, 18; 9, 3, 20: “dici,” Gell. 19, 8, 12; Dig. 27, 6, 1 al.— 2. (Acc. to II.) Particularly, exceedingly: “aliquem diligere,” Cic. Verr. 2, 2, 47, § 117: “et miror et diligo,” Plin. Ep. 1, 22, 1: “amo,” id. ib. 4, 15, 1. Grice: “I would define a ‘singular implicaturum’ as any vehicle of communicatum such as an expression, like ‘Zeus’, ‘Pegasus,’ ‘the President’, ‘Strawson’s dog,’ ‘Fido,’ or ‘my favorite chair’, that can be the grammatical subject of what is semantically a subject-predicate sentence.” Grice: “By contrast, what one might call a ‘general,’ or ‘non-singular term, such as ‘horse,’ ‘dog,’‘table’ or ‘swam’ is one that can serve in predicative position.” It is also often said that a singular term (‘nomen singularis,’ ‘expressio singularis’) is a word or phrase that could refer or ostensibly refer, on a given occasion of use, only to a single (or ‘singular’) objectunless you show me a ‘general’ object --, whereas a general term is predicable of *more than one* singular object, if not a ‘general’ object, which does not exist. A singular term is thus the expression that replace, or are replaced by, an individual variable (x, y, z, …) in applications of such quantifier rules as universal instantiation and existential generalization or flank ‘%’ in identity statements.” H. P. Grice, “System G: the rudiments.”

 

situazione -- situation ethics: what Grice calls the ‘particularised’prior obviously to the ‘generalised.’ --  a kind of anti-theoretical, case-by-case applied ethics in vogue largely in some European and  religious circles for twenty years or so following World War II. It is characterized by the insistence that each moral choice must be determined by one’s particular context or situation  i.e., by a consideration of the outcomes that various possible courses of action might have, given one’s situation. To that degree, situation ethics has affinities to both act utilitarianism and traditional casuistry. But in contrast to utilitarianism, situation ethics rejects the idea that there are universal or even fixed moral principles beyond various indeterminate commitments or ideals e.g., to Christian love or humanism. In contrast to traditional casuistry, it rejects the effort to construct general guidelines from a case or to classify the salient features of a case so that it can be used as a precedent. The anti-theoretical stance of situation ethics is so thoroughgoing that writers identified with the position have not carefully described its connections to consequentialism, existentialism, intuitionism, personalism, pragmatism, relativism, or any other developed philosophical view to which it appears to have some affinity. 

 

Giiovanni – san Giovanni – Grice: “I often wondered why my college was called “St John’s.””  st. john’s: st. john’s keeps a record of all of H. P. Grice’s tutees. It is fascinating that Strawson’s closest collaboration, as Plato with Socrates, and Aristotle with Plato, was with his tutee Strawsonwhom Grice calls a ‘pupil,’ finding ‘tutee’ too French to his taste. G. J. Warnock recalls that, of all the venues that the play group held, their favourite one was the room overlooking the garden at st. john’s. “It’s one of the best gardens in England, you know. Very peripathetic.” In alphabetical order, some of his English ‘gentlemanly’ tutees include: London-born J. L. Ackrill, London-born David Bostock, London-born A. G. N. Flew, Leeds-born T. C. Potts, London-born P. F. Strawson. They were happy to have Grice as a tutorial fellow, since he, unlike Mabbot, was English, and did not instill on the tutees a vernacular furrin to the area.

 

Grice, “philosophical semanticist.”

 

smart and place: Cambridge-born Australian philosopher whose name is associated with three very non-Oxonian doctrines in particular: the mind-body identity theory, scientific realism, and utilitarianism. A student of Ryle’s at Oxford, from the other place, he rejected logical behaviorism in favor of what came to be known as Australian or ‘colonial’ or “Dominion” materialism. This is the view that mental processes  and, as, -- “the other colonial,”Grice -- Armstrong brought Smart to see, mental states  cannot be explained simply in terms of behavioristic dispositions. In order to make good sense of how the ordinary person talks of them we have to see them as brain processes  and states  under other names. Smart developed this identity theory of mind and brain, under the stimulus of his colleague, Yorkshire-born, Rugby and Corpus-Christi (via Open Scholarship), tutee of Ryle, U. T. Place, in “Sensations and Brain Processes” Philosophical Review. It became a mainstay of twentieth-century philosophy. Smart endorsed the materialist analysis of mind on the grounds that it gave a simple picture that was consistent with the findings of science. He took a realist view of the claims of science, rejecting phenomenalism, instrumentalism, and the like, and he argued that commonsense beliefs should be maintained only so far as they are plausible in the light of total science. Philosophy and Scientific Realism 3 gave forceful expression to this physicalist picture of the world, as did some later works. He attracted attention in particular for his argument that if we take science seriously then we have to endorse the four-dimensional picture of the universe and recognize as an illusion the experience of the passing of time. He published a number of defenses of utilitarianism, the best known being his contribution to J. J. C. Smart and Bernard Williams, Utilitarianism, For and Against 3. He gave new life to act utilitarianism at a time when utilitarians were few and most were attached to rule utilitarianism or other restricted forms of the doctrine. Refs.: H. P. Grice, “Ryle and the devil of scientism,” H. P. Grice, “What Smart learned from Ryle.”

 

saggio: Grice: “’saggio’ is tricky; one can say that Grice is an essayist, but Grice is a philosopher. To be a philousopher involves more than writing a philosophical essay. Indeed, the mastery in philosophy, as in lecturing, involves keeping away from your written copy of your essay, and, well, philosophise. Note that a philosophical dialogue, or a tutorial, for that matter, is not an ‘essay.’”. Grice: “This is the best proof that philosophy is above ‘letters,’ and why Oxford needed a sub-faculty of PHILOSOPHY, even if it provided the Lit. Hum. degree. philosophical essay: ‘saggio filosofico.’a subgenre of the prose genre of ‘essay.’ Grice seems to prefer ‘study’ (“Studies in the way of words”) but surely each piece is an essay. Austin preferred “papers” (vide his “Philosophical Papers.”). “The implicature,” Grice says, “seems to be that an essay is too sketchy!” --. “Storia del saggio filosofico in Italia” --. Grice: “It is strictly not true that a philosopher needs to engage in the subgenre of the ‘philosophical essay;’ after all, at Oxford, we always thought Jowett’s dialogues were the epitome of philosophyand they are!”

 

società italiana per lo studio del pensiero medievale: Grice: “It always amazed me that the mediaevals at Bologna and Oxford ‘knew’ that they were in the middle of it!” -- the title of this Society is telling. For the Italians, they do not want to distinguish Politics, Economics, Theology, and PhilosophyIt is all covered under ‘thought,’ ‘pensiero.’ This is in accordance with de Sanctis’s view of philosophy as one of the belles lettres (“if perhaps less ‘belle’ than the rest). The subgenre of the essay‘philosophical essay.’ Grice: “While it is easy to take ‘mediaeval’ in a boring chronological fashion, the mediaevals themselves saw themselves to be in the ‘middle’ of it, of the ‘aevus,’ that is.”

 

siciliani: Pietro Siciliani (Galatina), filosofo. Figlio di un commerciante di pelli, dopo gli studi nel seminario di Otranto frequentò il Collegio gesuitico di Lecce e, il Collegio medico-cerusico di Napoli, dal quale fuggì dopo essere stato segnalato alla polizia borbonica a causa delle sue simpatie liberali.  A Pisa si laureò sotto la guida di Studiati, stringendo inoltre un proficuo rapporto di collaborazione con lo iatrofilosofo Puccinotti (1794-1872), che influì molto sui suoi studi filosofici. Sempre in Toscana strinse rapporti di profonda amicizia con personalità importanti e influenti della cultura dell'Ottocento, quali: Silvestro Centofanti, Filippo Pacini, Gino Capponi, Maurizio Bufalini e altri.  Seguendo la sua vocazione, orientò i propri studi verso le discipline filosofiche e ottenne, nel 1862, la cattedra di Filosofia speculativa e morale nel Regio liceo "Dante Alighieri" di Firenze, dove insegnò fino al 1867. A Firenze sposò, nel 1864, la letterata e filantropa Cesira Pozzolini,  nipote del senatore Vincenzo Malenchini e appartenente a una famiglia di forte fede unitaria e liberale (la madre, Gesualda Malenchini, ispettrice nelle scuole femminili di Firenze e fondatrice di una scuola rurale gratuita per i figli dei contadini del piccolo centro di Bivigliano, era stata la prima donna ad aver portato a Firenze il tricolore nei moti del 1848 e il fratello Giorgio Pozzolini aveva combattuto nelle maggiori battaglie risorgimentali affiancando Giuseppe Garibaldi e Nino Bixio). Da questa unione nacque il console Vito Siciliani conte di Morreale. In questo periodo fu iniziato in massoneria nella loggia fiorentina "La Concordia.” Fu nominato professore straordinario di filosofia teoretica a Bologna dal ministro Cesare Correnti e incaricato dell'insegnamento di pedagogia. Nel 1879, poi, divenne docente ordinario della stessa disciplina sempre nell'Ateneo felsineo. A Bologna tenne anche il secondo corso italiano di sociologia teoretica. Qui, inoltre, strinse amicizia col poeta Giosuè Carducci, anch'egli accademico a Bologna ed entrò in contatto con Francesco Fiorentino e Bertrando Spaventa.  Dal 1868 al 1869 fu co-direttore della "Rivista bolognese di scienze, lettere, arti e scuole" con Francesco Fiorentino, Cesare Albicini ed Enrico Panzacchi. Ne abbandonò la direzione per divergenze maturate in seno alla direzione generate, probabilmente, dall'impostazione (eclettica) che Siciliani intendeva dare alla Rivista e che contrastava con l'indirizzo idealistico voluto da Fiorentino.  A Bologna istituì un centro di studi pedagogici, contribuendo all'elevazione della pedagogia al rango di scienza. Fu un convinto assertore della valorizzazione della persona e perciò la sua azione educativa, per giungere alla conquista della libertà e del carattere morale da parte del soggetto da educare, prevedeva l'intervento della famiglia e della società. Altro suo pensiero fondamentale fu il principio dell'autodidattica che, pur non escludendo l'azione dell'educatore, mette in primo piano il protagonismo del soggetto da educare. Alla sua morte, avvenuta nel 1885, ricevette onoranze e attestati di stima da parte di molti studiosi europei e americani, mentre in Italia la sua fama fu oscurata da giudizi negativi, espressi anzitutto da Giovanni Gentile che vedeva in lui un'espressione (benché autonoma) della scuola positivistica . Di recente è stata rivalutata l'influenza vichiana sul suo pensiero.  A lui è dedicata la Biblioteca civica di Galatina, nella quale è conservato il "Fondo Siciliani" la raccolta, cioè, dei libri appartenuti al pensatore e dolla biblioteca dalla moglie Cesira Pozzolini. A Pietro Siciliani è dedicato anche il Liceo Socio-Psicopedagogico di Lecce. È sepolto nel Cimitero delle Porte Sante di Firenze.  Il pensiero filosofico Di formazione giobertiana, Siciliani si accostò al pensiero di Vico già negli anni fiorentini, tentando di inaugurare una filosofia mediana (detta della "terza via") che individuasse una sintesi tra opposte e differenti discipline. Dal suo punto di vista, infatti, ogni pensiero contiene del buono e delle esagerazioni. Metodo del pensiero "mediano" sarà, dunque, quello di salvare ciò che c'è di buono di una scuola di pensiero per rigettarne le astrattezze e le esagerazioni.  Con lo scritto La Critica nella filosofia zoologica del XIX secolo, approdò nel più ampio dibattito europeo, ricevendo apprezzamenti e pareri favorevoli dai più illustri scienziati internazionali. Nel frattempo approfondì e diede il suo contributo speculativo alle nuove discipline che in quegli anni muovevano alla ricerca di un'identità epistemologica: la sociologia (Socialismo, darwinismo e sociologia moderna; Teorie sociali e socialismo) e la psicologia (Prolegomeni alla moderna psicogenia, tradotta in francese da Alessandro Herzen con il titolo Prolègoménes a la psychogénie moderne).  I Congressi Pedagogici. Il ministro Francesco De Sanctis conferì a Siciliani la presidenza di vari congressi pedagogici che si tennero a Firenze, Venezia, Genova, Milano,  e Siciliani presiedette la prima sezione dell'XI Congresso pedagogico romano. Queste esperienze lo portarono a un approfondimento sempre maggiore della pedagogia, alla quale egli contribuì a conferire un indirizzo scientifico, positivista e ampiamente laico (si vedano le sue opere Rivoluzione e pedagogia moderna, La scienza nell'educazione).  Opere: “Introduzione alla filosofia delle scienze naturali e storiche (Firenze1); Il metodo numerico e la statistica in medicina (Firenze); Della legge storica e dell'odierno momento filosofico e politico del pensiero italiano (Firenze); Della libertà ed unità organica dell'insegnamento filosofico nei licei e nelle università (Firenze); Della fisiologia e delle lezioni fisiologiche sperimentali del prof. Maurizio Schiff (Pisa); Su la storia della medicina di Francesco Puccinotti (Firenze); Sommario delle conferenze di filosofia secondo i principi metafisici di G. B. Vico (Firenze); Il triumvirato nella storia del pensiero italiano, ossia Dante, Galileo e Vico (Firenze); Ai popoli salentini e al gonfalone di Galatina un saluto e un augurio (Firenze); Del criterio filosofico nell'arte di scrivere e negli studi critici storici e bibliografici (Bologna); Critica del positivismo (Bologna); Sulle fonti storiche della filosofia positiva in Italia; 1-Galileo Galilei (Bologna) Gli hegeliani in Italia (Bologna); La condanna del positivismo (Bologna); Della pedagogia positiva e della scienza dell'educazione in Italia (Bologna); Su la scienza dell'educazione (Bologna, 1870); Sul rinnovamento della filosofia positiva in Italia (Firenze); La critica sulla filosofia zoologica del sec. XIX (Napoli); Prolegomeni alla moderna psicogenia (Bologna); Socialismo, darwinismo e sociologia moderna (Bologna); La scienza dell'educazione nelle scuole italiane come antitesi alla pedagogia ortodossa (Bologna); Teorie sociali e socialismo (Firenze); Dei massimi problemi della pedagogia moderna (Roma); Su l'insegnamento religioso ai bambini secondo i dettami della filosofia scientifica (Firenze); Riforma nello insegnamento della pedagogia (Torino); Della pedagogia scientifica in Italia (Milano); Rivoluzione e pedagogia moderna (Torino); Storia critica delle teorie pedagogiche e sociali (Bologna); Fra vescovi e cardinali (Roma); Rivoluzione e pedagogia moderna (Torino); La scienza nell'educazione secondo i principi della sociologia moderna (Bologna); Rinnovamento e filosofia internazionale (Bologna); La nuova biologia (Milano) Le questioni contemporanee e la libertà morale nell'ordine giuridico (Bologna). G. Calogero, nella Enciclopedia Italiana, V. Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori, Mimesis-Erasmo, Milano-Roma,Giovanni Gentile, Le origini della filosofia contemporanea in Italia Guido Calogero, «SICILIANI, Pietro» in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Giovanni Invitto e Nicola Paparella , Rileggere Pietro Siciliani, Lecce, Capone Editore, 1988.  Galatinesi illustri, Guida Biografica, Galatina, TorGraf Galatina, Pietro Siciliani, Carteggio familiar, Francesco Luceri, Centro Studi Salentini, Lecce,  Pietro Siciliani e Cesira Pozzolini. Filosofia e Letteratura (Atti del Convegno Nazionale. Galatina, Francesco Luceri con prefazione di Fulvio Tessitore, Centro Studi Salentini, Lecce. Enciclopedie on line, sito "Treccani.it L'Enciclopedia italiana". «http://aspi.unimib.it/index.php?id=1591», la voce in Archivio Storico della Psicologia Italiana.

 

signa: Boncompagno (Signa), filosofo. Fu professore di retorica (ars dictaminis) a Bologna e Padova. Visse in varie città, spostandosi ad Ancona, Venezia, Bologna e Padova, per poi finire la sua vita a Firenze.  Tra le opere più significative si ricordano una storia dell'assedio di Ancona (unico suo lavoro di tipo storico), il Boncompagnus, e diviso in sei parti, un trattato di retorica, Rethorica novissima, composto da tredici libri, un trattato di scacchi e il Libellus de malo senectutis et senis nel quale, con spirito arguto, prende in giro le affermazioni di Cicerone che idealizzavano la vecchiaia.  Il suo Liber de obsidione Ancone, pubblicato nel 1937 dall'editore Zanichelli, è stato ristampato in edizione italiana (L'assedio di Ancona) nel 1999 dall'editore Viella di Roma.  Il breve trattato di epistolografia amorosa, la Rota Veneris, è stato pubblicato nel 1996 dalla Salerno Editrice. Opere: “Liber de amicitia Ysagoge Boncompagnus Tractatus virtutum Rhetorica novissima Libellus de malo senectutis et senis Palma Oliva Cedrum Mirra Quinque tabulae salutationum Rota veneris Liber de obsidione Ancone Bonus Socius e Civis Bononiae (disputed authorship) Fonti (LA, DE) Boncompagno da Signa, Rota Veneris. Ein Liebesbriefsteller des 13. Jahrhunderts, Friedrich Baethgen, Roma, Walter Regenberg, Boncompagno da Signa, Rota Veneris. A facsimile reproduction of the Strassburg Incunabulum, traduzione di Josef Purkart, Delmar, NY (United States), Scholars' Facsimiles & Reprints, Boncompagno da Signa, Rota Veneris, Paolo Garbini, Roma, Salerno Editrice, Carl Sutter, Aus Leben und Schriften des Magisters Boncompagnus, Friburgo, Akademische Verlagsbuchhandlung von J. C. B. Mohr Annibale Gabrielli, Le epistole di Cola di Rienzo e l'epistolografia medievale, in Archivio della Società romana di storia patria, Augusto Gaudenzi, Sulla cronologia delle opere dei dettatori bolognesi da Buoncompagno a Bene da Lucca, in Bullettino dell'Istituto storico italiano, Giuseppe Manacorda, Storia della scuola in Italia, II, Palermo Francesco Tateo, Boncompagno da Signa, in Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Boncompagno da Signa, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Francesco Di Capua, Boncompagno da Signa, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Boncompagno da Signa, su sapere.it, De Agostini. Virgilio Pini, Boncompagno da Signa, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Boncompagno da Signa, su ALCUIN, Ratisbona.  Opere su openMLOL, Horizons Unlimited srl., su Les Archives de littérature du Moyen Âge.  Steven M. Wight: Boncompagno's charter doctrine (Bologna), in: Medieval Diplomatic and the 'ars dictandi', Scrineum.

 

simioni: Corrado Simioni (Venezia), filosofo. Tra i principali studiosi di Luigi Pirandello, iniziò la sua attività politica militando nelle file del Movimento giovanile socialista con Bettino Craxi. Tuttavia venne espulso dal partito per indegnità morale (circostanza questa che sarà da lui negata successivamente). Secondo alcune fonti collaborò con l'USIS (United States Information Service). In seguito si trasferì a Monaco di iera per approfondire gli studi di latino e teologia, per poi ritornare a Milano all'inizio del Sessantotto. Leader di un collettivo operai-studenti, mentre lavorava alla Arnoldo Mondadori Editore, l'8 settembre 1969 fondò insieme a Renato Curcio il "collettivo politico metropolitano" milanese.  Il gruppo, che teorizzava lo scontro aperto, viene considerato il progenitore delle Brigate Rosse. Insieme a circa settanta persone, tra cui componenti del collettivo (quali Renato Curcio, Margherita Cagol, Giorgio Semeria, e Vanni Mulinaris) ed elementi cattolici del dissenso, partecipò al convegno di Chiavari nella sala Marchesani, adiacente la pensione "Stella Maris", nel quale un gruppo di partecipanti guidati da Curcio dichiarò la propria adesione ad una visione di lotta armata ed il successivo passaggio alla clandestinità. La data di questo convegno viene da taluni considerata come la data di nascita delle Brigate Rosse; altri, come Alberto Franceschini, affermano che la formazione di lotta armata sia nata con il convegno di Pecorile (Reggio Emilia) nell'agosto 1970.  L'ultima attività, prima di passare alla completa clandestinità sul territorio italiano, Simioni la compì all'inizio degli anni settanta come redattore (assieme a Mulinaris e Curcio) di alcuni numeri della rivista "Sinistra proletaria", l'ultimo dei quali riporta in copertina uno sfondo rosso con disegnato al centro un cerchio nero attorniante le sagome di quattordici mitra. Trasferitosi in Francia, fondò a Parigiassieme a Duccio Berio e Vanni Mulinarisla scuola di lingue Hyperion, la quale secondo alcuni ebbe la funzione di una vera centrale internazionale del terrorismo. Si afferma che fu anche il capo del Superclan, organizzazione nata da una costola delle BR.  A Parigi Simioni si inserì nella vita cittadina, ricominciando a frequentare gli ambienti cattolici progressisti e divenendo vicepresidente della "Fondazione Abbé Pierre". E proprio quale accompagnatore dell'Abbé Pierre, venne ricevuto da papa Giovanni Paolo II in udienza privata. Successivamente si avvicinò al buddhismo tibetano. Qui inoltre conobbe una donna da cui in seguito ebbe un figlio che si trasferì in Italia. Simioni si appartò nella campagna di Truinas, nella Drôme, dove gestì un B&B insieme alla sua compagna fino alla morte, avvenuta nell'ottobre  all'età di 74 anni.  Il grande vecchio Nell'aprile 1980 Bettino Craxi, alludendo alla esistenza di un "grande vecchio" delle Brigate rosse (l'eminenza grigia ipotizzata da alcuni che dall'estero avrebbe guidato, come un burattinaio, molte delle azioni terroristiche sul suolo italiano), dichiarò che costui poteva essere cercato «tra quei personaggi che avevano cominciato a fare politica con noi e poi sono scomparsi, magari sono a Parigi a lavorare per il partito armato», frase che venne da molti ritenuto indicasse come "grande vecchio" proprio Simioni. L'organizzazione di sinistra extraparlamentare Lotta Continua lo accusò di essere un confidente della polizia e in contatto con i servizi segreti..  All'inizio degli anni novanta, durante la fase iniziale di Mani pulite, Simioni fu nuovamente accusato da Silvano Larini di essere il "grande vecchio", accuse respinte da Simioni che le ritenne parte di un'azione contro Bettino Craxi, vista la comune militanza nel Movimento giovanile socialista. Valerio Lucarelli L'istituto francese Hyperion era realmente una scuola di lingue o la stanza di compensazione di diversi servizi segreti?  Antonio Ferrari, In teleselezione dalla Francia gli ordini ai terroristi italiani? Corriere della Sera 26 aprile 1979  Entrambi gli edifici sono proprietà della curia  Il convegno di Pecorile in AnnidiPiombo.wordpress  Il "nucleo storico" delle BR   Sylviane Stein L'abbé Pierre: un sacré destin L'Express E morto Simioni, il misterioso grande vecchio, in la Tribuna di Treviso,  Stefano Fratini, Hyperion: scuola di lingue chiacchierata, -ANSA, //repubblica.it/cronaca//10/27/news/caso_moro_il_bierre_franceschini_moretti_una_spia_riduttivo_si_sentiva_lenin_- Corrado Simioni, Dalla lotta armata al buddhismo , in Critica Sociale, Anni di piombo Superclan Hyperion (Parigi)VeneziaAnni di piombo

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