Enriques: Grice: “I like
Enriques; of course his “Problemi della scienza’ implicates that philosophy
does not have any!” -- Federigo Enriques (Livorno), filosofo. Il Dipartimento
"Federigo Enriques" di Matematica dell'Università degli Studi di Milanovia
Saldini, Milano Nato in una famiglia ebrea, si trasferì a Pisa. Suo fratello
Paolo Enriques, uno zoologo, fu padre di Enzo Enriques Agnoletti e Anna Maria
Enriques Agnoletti. Dopo gli studi liceali, compì gli studi universitari presso
l'Pisa e la Scuola Normale Superiore; si laureò in matematica nel 1891.
Federigo frequentò in seguito un anno di perfezionamento a Pisa e uno a Roma,
dove ebbe modo di incontrare e collaborare col matematico Guido Castelnuovo,
che poi divenne marito di sua sorella Elbina. Iniziò inoltre a collaborare con
i matematici Luigi Cremona, Corrado Segre e Ugo Amaldi. Fu socio dell'Accademia
dei Lincei. Nel 1894 si trasferì a Bologna, dove insegnò presso l'ateneo
della città geometria descrittiva e geometria proiettiva (di cui fu titolare di
cattedra a partire dal 1896). Nel 1922 fu invitato presso l'Roma, per
occupare la cattedra di matematiche superiori e di geometria superiore. Nel
1937 venne invitato da Otto Neurath a divenire un collaboratore
dell'Encyclopaedia of Unified Science, la cui pubblicazione era stata
individuata come lo strumento per lo sviluppo del movimento per l'unità della
scienza. Quando però furono promulgate le leggi razziali antiebraiche, nel
1938, fu espulso dall'insegnamento e da qualsiasi altra occupazione legata
all'attività culturale. Durante l'occupazione tedesca fu dapprima nascosto in
casa dell'allievo Attilio Frajese e poi fu nascosto a San Giovanni in Laterano.
Negli anni della segregazione, insegnò a Roma nella scuola ebraica clandestina
fondata dal cognato Guido Castelnuovo per i giovani ebrei estromessi dalle
università italiane, e riuscì a pubblicare alcuni articoli in forma anonima sul
Periodico delle Matematiche (di cui era stato direttore). Tornò a insegnare
all'Università nel 1944 per altri due anni e morì a Roma il 14 giugno
1946. Tra i fondatori della scuola italiana di geometria algebrica,
Enriques allargò gli orizzonti del dibattito scientifico occupandosi di
filosofia, storia e didattica della matematica. Nel 1906 fondò la Società filosofica
italiana (di cui fu presidente fino al 1913), nel 1907 (assieme a Giuseppe
Bruni, Antonio Dionisi, Eugenio Rignano e Andrea Giardina) fondò la rivista
internazionale Rivista di Scienza e nel 1921 fu nominato direttore del
Periodico di matematiche (diretto fino alla morte), organo della Mathesis (che
presiedette dal 1922 al 1934). Diresse, tra l'altro, la sezione di matematica
dell'Enciclopedia Italiana. Opere di matematica Enriques fu un matematico
di notevole livello e la sua fama fu internazionalmente riconosciuta. I suoi
contributi allo sviluppo della geometria algebrica furono rilevanti, per
importanza e originalità. Il periodo in cui si trovò a vivere era un periodo di
cambiamenti epocali, cambiamenti che interessarono anche i concetti base della
matematica e della fisica. Enriques recepì immediatamente la portata delle
novità introdotte dalle opere di Einstein, che fu da lui invitato a tenere una
conferenza all'Bologna, nel 1921. Nel campo della didattica e dei
fondamenti della matematica si ricordano i testi scolastici di grande
diffusione, rivolto all'insegnamento nei licei e scuole superiori, nei quali la
geometria euclidea, l'algebra elementare e la trigonometria vengono presentate
con il metodo razionale deduttivo. Fra le sue opere più diffuse di matematica
elementare si ricordano: Questioni riguardanti le matematiche elementari
(1912) (v.1 e v. 2) Questioni riguardanti la geometria elementare, Bologna
Zanichelli 1900 Elementi di Geometria ad uso delle scuole superiori (con U. Amaldi),
Zanichelli Bologna 1903 e successive edizioni e ristampe fino al 1992 Nozioni
di matematica ad uso dei licei moderni (con U. Amaldi), Zanichelli Bologna 1914
Gli elementi di Euclide e la critica antica e moderna, 4 volumi, Roma e Bologna
1925 Le matematiche nella storia e nella cultura, Bologna 1938 Come opere
principali di matematica superiore si ricordano in particolare: Lezioni
di geometria proiettiva, (1894) (it, de). Lezioni di geometria descrittiva,
Bologna 1893 Lezioni sulla teoria geometrica delle equazioni e delle funzioni
algebriche. Bologna, 1915-1934. Volume 1, Volume 2, Volume 3-4 Lezioni di
geometria descrittiva, 1920. Le superficie algebriche, 1949 Opere di storia e
filosofia della scienza Federigo Enriques, oltre alla sua attività come matematico,
sviluppò significative ricerche di epistemologia, storia della scienza e
filosofia della scienza. Questo suo impegno per il rinnovamento della cultura,
avvenne in un periodo non facile, sia per gli eventi bellici, sia per la
cultura dominante nella prima metà del Novecento, caratterizzata dalla
filosofia idealistica e dal ridotto interesse verso la cultura scientifica. Fra
le sue numerose opere in queste materie si ricordano: Problemi della
scienza, Zanichelli, Bologna 1906. Razionalismo e storicismo in "Rivista
di Scienza", Zanichelli, Bologna, 1909. Il pragmatismo in
"Scientia", Zanichelli, Bologna, 1910. Scienza e razionalismo,
Zanichelli, Bologna (1912). Matematiche e teoria della conoscenza in
"Scientia", Zanichelli, Bologna, 1912. Per la storia della logica,
Zanichelli, Bologna, 1921. Storia del pensiero scientifico, Bologna (1932)
scritta con G. Santillana. Il significato della storia del pensiero
scientifico, Bologna 1936, ripubblicato da Barbieri, 9788875330125. La teoria della conoscenza scientifica
da Kant ai nostri giorni, Bologna 1938. Le dottrine di Democrito d'Abdera.
Testi e commenti, 1948 con M. Mazziotti, ripubblicato per Edizioni
immanenza, 978-88-98926-70-1 Federigo
Enriques nelle sue opere dedicate alla storia e filosofia della scienza
sviluppò una corrente di pensiero vicina al razionalismo. Assieme a Giuseppe
Peano si può considerare uno dei principali scienziati italiani che si sono
dedicati allo studio della logica e della filosofia della scienza nella prima
metà del Novecento. In generale Enriques ha messo in luce due aspetti
fondamentali del pensiero scientifico internazionale nella prima metà del sec
XX: la sempre maggiore specializzazione delle discipline fisiche, tecniche,
ecc. e la tendenza al rinnovamento che si è avuta sia nei fondamenti della
matematica, sia nella fisica moderna. Scientia Magnifying glass icon
mgx2.svg Scientia. Nel 1907, assieme al
chimico Giuseppe Bruni, al medico Antonio Dionisi, allo zoologo Andrea Giardina
e all'ingegnere Eugenio Rignano, Enriques fondò la rivista di ricerca e
divulgazione scientifica Rivista di scienza (rinominata successivamente
Scientia), con l'obiettivo dichiarato di superare le divisioni disciplinari in
nome dell'unità del sapere scientifico e filosofico e contro l'eccessiva specializzazione
accademica: «Contro codesti criterii ristretti intende reagire
soprattutto il movimento nuovo di pensiero verso la sintesi; una Filosofia
libera da legami diretti coi sistemi tradizionali, sorge appunto a promuovere
la coordinazione del lavoro, la critica dei metodi e delle teorie, e ad
affermare un apprezzamento più largo dei problemi della Scienza. Pel quale il
particolarismo stesso viene compreso in un aspetto più adeguato nella interezza
del processo scientifico.» (Programma, Rivista di Scienza, volume I,
pag.2) Enriques condusse la rivista dal 1907 al 1915, quando un articolo di
Rignano sulle cause della guerra lo costrinse a rassegnare le dimissioni. Tornò
alla direzione nel 1922, alla morte di quest'ultimo (e sotto sua esplicita richiesta)
fino al 1938, anno delle leggi razziali. Abbandonato ogni incarico, ritornò
infine alla guida di Scientia a due anni dalla morte, nel 1944. Problemi
della scienza Il primo libro significativo dedicato da Enriques a questioni di
metodo e filosofia della conoscenza è l'opera Problemi della scienza (1906)
nella quale compie un'analisi articolata delle varie discipline della
matematica, della geometria, della meccanica, della fisica edella chimica alla
fine del XIX secolo. Enriques mette in evidenza l'importanza che lo scienziato
deve analizzare con la massima attenzione, sia i fondamenti logici
e sperimentali delle diverse discipline, sia il contesto storico e le
situazioni in cui i principi scientifici sono stati scoperti. In
quest'opera Enriques indica che: "... una visione dinamica della scienza,
porta naturalmente nel terreno della storia". I fondamenti della scienza
quindi non possono essere capiti completamente se non si analizza anche il
contesto storico e culturale nel quale sono stati formulati. L'opera ebbe
maggiore fortuna e diffusione all'estero, che non in Italia, dominata agli
inizi del Novecento dalla cultura letteraria e della filosofia
idealistica. Negli anni 1909-1914 il saggio "Problemi della
scienza" fu tradotto in tedesco, francese, inglese, russo e spagnolo. Il
suo pensiero trova riscontro nelle teorie elaborate dai massimi epistemologi Professorefra
cui l'austriaco Karl Popper (1902-1994) l'ungherese Imre Lakatos (1922-1974), e
l'americano Thomas Kuhn (1922-1996). In particolare nel pensiero di Lakatos e
di Kuhn viene sviluppata la concezione della formazione storica dei concetti
scientifici, come opera di più autori e ricercatori, che in un determinato
periodo storico elaborano una serie di principi-base sui quali viene sviluppata
una teoria ipotetico-deduttiva e le successive verifiche sperimentali.
Importante è anche la presa di posizione sia rispetto alla filosofie
idealistiche del ‘900, che hanno tralasciato gli aspetti della filosofia della
scienza, sia la sua posizione critica rispetto alla filosofia di Kant. In
particolare Enriques critica il concetto di giudizio sintetico a priori di
Immanuel Kant (Critica della ragion pura 1787). Secondo Enriques i principi
fondamentali delle scienze sono elaborazioni razionali derivate per induzione
dall'esperienza e dalla percezione sensoriale e non sono giudizi sintetici a
priori. In questo saggio Enriques porta alcuni esempio fondamentali: i
postulati della geometria sono generalizzazioni, per astrazione, di semplici
esperienze geometriche, che ogni allievo compie fin dalle prime osservazioni
razionali del mondo esterno, svolte anche in ambito scolastico. Per Enriques i
principi della geometria sono generalizzazioni di esperienze sensoriali
concrete. Allo stesso modo anche i principi della Fisica e della Chimica
derivano direttamente da generalizzazioni di esperimenti reali: ad esempio la
Legge di conservazione della massa dovuta al chimico Antoine Lavoisier non è un
giudizio sintetico a priori, come credeva Kant. È noto infatti che deriva da
semplici esperimenti fisici, svolti pesando i composti chimici prima e dopo una
reazione chimica. La nuova impostazione razionalistica e storica fu
avviata in Italia da Enriques, in Francia da Pierre Duhem e in Austria da Ernst
Mach e da altri autori riunitisi intorno al Circolo di Vienna. Fu poi
sviluppata ulteriormente in Italia da Ludovico Geymonat (1908-1991) e dalla sua
scuola milanese che nella seconda metà Professoreha ripreso gli studi di
Enriques, sviluppando i temi di storia della scienza e di filosofia della
scienza. Per la storia della logica Un'altra opera fondamentale di
Enriques è Per la storia della logica (1921) che mette in evidenza l'importanza
della deduzione, della induzione e gli altri aspetti interpretativi ed
epistemologici della logica. Il saggio ha un approccio storico e
descrittivo della logica è ricco di citazioni originali, e affronta questo
difficile argomento anche con una certa ironia ed eleganza letteraria.
Nell'opera, sono illustrati in modo semplice e sintetico i contributi portati a
questa disciplina dai vari filosofi e scienziati nelle varie epoche. Si può
considerare uno dei pochi testi in cui la materia è esposta in modo chiaro,
essenziale e interessante. Storia del pensiero scientifico Di notevole
interesse per le fonti storiche citate e per la narrazione della genesi dei
concetti scientifici sono la serie di opere dedicate alla storia della scienza.
Il primo trattato fu la Storia del pensiero scientifico (1932) scritto in
collaborazione con G. Santilana. Quest'opera ripercorre la storia delle scienze
matematiche, geometriche, astronomiche, meccaniche e fisiche dall'antica Grecia
fino ai giorni nostri, con numerose citazioni e fonti storiche degli autori
originari. A esso seguirono altri testi di approfondimento, sia in lingua
italiana sia in altre lingue europee, fra cui Il significato della storia del
pensiero scientifico (1936) e La teoria della conoscenza scientifica da Kant ai
nostri giorni (1938). Lineamenti di filosofia della scienza Delle
numerose opere di Federigo Enriques dedicate agli aspetti storici e filosofici
della scienza si desumono i principali lineamenti del suo pensiero
razionalista, che, a titolo orientativo si possono cercare di sintetizzare nei
seguenti punti: Equilibrio fra intuizione e ragionamento logico: nelle
opere scientifiche di Enriques gli argomenti sono esposti in modo intuitivo,
evidenziando i motivi sperimentali e oggettivi alla base di alcuni concetti
astratti. Dopo la descrizione dei suoi principi, si sviluppa poi la materia con
criteri logici, deducendo razionalmente le principali leggi, teoremi e
applicazioni. Questo carattere, comune anche ai grandi scienziati del passato
(Galilei, Cartesio, Newton, Eulero, Coulomb, ecc.) contraddistingue il metodo
di Enriques, rispetto agli indirizzi formalisti che si sono avuti
nella logica e nella matematica del XX secolo. Problema della specializzazione
delle scienze: Enriques ha colto questo aspetto critico delle numerose
edeterogenee discipline scientifiche nel XIX e XX secolo. Per superare il
problema della eccessiva frammentazione del sapere scientifico ha proposto di
ripensare i concetti fondamentali della fisica, della geometria, della
matematica e delle altre scienze naturali con criteri unitari, approfondendone
il significato intuitivo, sperimentale e la sua genesi storica. Approccio
storico alla conoscenza scientifica: questo aspetto caratterizza il metodo di
Enriques, che ha sviluppato con passione e impegno moltissimi aspetti di storia
della scienza. Secondo Enriques la storia della scienza fa parte della scienza
stessa. Per capire veramente un teorema, secondo Enriques non è sufficiente
capire solo la sua dimostrazione, ma anche il contesto storico nel quale è
stato formulato, quali sono stati i problemi tecnici che hanno portato alla sua
formulazione e come sono stati risolti tali problemi con l'applicazione delle
teorie scientifiche. Enriques ha sviluppato in Italia il nuovo approccio di
storia della scienza avviato dal fisico tedesco Ernst Mach (1838-1916) e dal
fisico Pierre Duhem (1861-1916) precursori del gruppo di filosofi e scienziati Professoredel
Circolo di Vienna. Valenza fisica dei concetti geometrici: secondo Enriques la
geometria può essere considerata come il primo capitolo della fisica (Problemi
della Scienza, capitolo IV), diversamente dai matematici e filosofici
formalisti che la considerano una scienza astratta. L'orientamento formalista
nella geometria è stato delineato da Immanuel Kant (Critica della ragion pura,
1787) per il quale i postulati geometrici non derivano solo dall'esperienza
visiva, ma sono giudizi sintetici a priori di carattere soggettivo e
indipendenti dalle percezioni sensoriali. La tesi di Kant è stata discussa dai
massimi esperti di filosofia teoretica del XIX e XX secolo con orientamenti contrastanti.
Nel XIX secolo in opposizione a Kant si è delineato un approccio
fisico-sperimentale ai principi geometrici, al quale hanno aderito molti
storici e filosofi della scienza. Enriques ha contribuito alla riscoperta del
significato più autentico, di carattere storico, intuitivo e sperimentale alla
base della geometria, della matematica e delle scienze fisiche. Contributi su
Scientia Articoli Eredità ed evoluzione, su amshistorica.cib.unibo.it. I numeri
e l'infinito, su amshistorica.cib.unibo.it. Il pragmatismo, su
amshistorica.cib.unibo.it. Il principio di ragion sufficiente nel pensiero
greco, su amshistorica.cib.unibo.it. Il problema della realtà, su
amshistorica.cib.unibo.it. Il significato della critica dei principii nello
sviluppo delle matematiche, su amshistorica.cib.unibo.it. Importanza della
storia del pensiero scientifico nella cultura nazionale, su
amshistorica.cib.unibo.it. L'infini dans
la pensee des grecs, su amshistorica.cib.unibo.it. L'infinito nella storia del
pensiero, su amshistorica.cib.unibo.it.
L'oeuvre mathematique de Klein, su amshistorica.cib.unibo.it. La connaissance historique et la connaissance
scientifique dans la critique de Enrico De Michelis, su
amshistorica.cib.unibo.it. La filosofia positiva e la classificazione delle scienze
[collegamento interrotto], su it.wikisource.org. I motivi della filosofia di
Eugenio Rignano, su amshistorica.cib.unibo.it. Recensioni (in francese) Ailly (D'),Imago mundi, 60, 1936, 109–110
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su amshistorica.cib.unibo.it. Archibald,
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filosofica di Epicuro, su amshistorica.cib.unibo.it. Blanche, R.Le rationalisme de Wewell, su
amshistorica.cib.unibo.it. Bouasse
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Science et la Metaphysique devant l'analyse logique du langage, su
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M.La science francaise depuis le XVII siecle, su
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papers of Charles Sanders Peirce, su amshistorica.cib.unibo.it. Correspondance du P. Marin Mersenne, su
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temps modernes, su amshistorica.cib.unibo.it.
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amshistorica.cib.unibo.it. Reflexions
sur l'art d'ecrire un traite: a propos d'un traite de mathematiques, su
amshistorica.cib.unibo.it. Rensi, G.Le
ragioni dell'Irrazionalismo, su amshistorica.cib.unibo.it. Rey, A.Rey, A.Les mathematiques en Grece au
milieu du V siecle, su amshistorica.cib.unibo.it. Servien, P.Principes d'esthetique. Problemes
d'art et langage des sciences, su amshistorica.cib.unibo.it. Smith, D. E.The Poetry of Mathematics and
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amshistorica.cib.unibo.it. Stefanini,
L.Platone, su amshistorica.cib.unibo.it.
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amshistorica.cib.unibo.it. Wind, E.Das
Experiment und die Metaphysik, su amshistorica.cib.unibo.it. Wolf, A.A History of Science, Technology and
Philosophy in the 16 and 17 Centuries, su amshistorica.cib.unibo.it. Edizione
nazionale È in corso una edizione nazionale delle opere di Federigo Enriques.
L'autore ha curato una decina di manuali didattici di geometria e algebra
elementare e oltre 20 trattati di matematica superiore. Ha inoltre pubblicato
un'ampia serie di testi di storia e di filosofia della scienza e numerosi
articoli specializzati. L'elenco completo delle sue opere comprende oltre 300
titoli, fra saggi, articoli e trattati scientifici. Questo testo proviene in parte dalla relativa
voce del progetto Mille anni di scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto
Museo di Storia della Scienza di Firenze (home page), pubblicata sotto licenza
Creative Commons CC-BY-3.0 Spoglio di articoli e recensioni disponibile sul
Catalogo Italiano dei Periodici (ACNP). Informazioni sulla storia editoriale di
Scientia. Silvia Haia Antonucci e Giuliana Piperno Beer, Sapere ed essere nella
Roma razzista. Gli ebrei nelle scuole e nell’università (1938-1943), Roma,
Gangemi editore, Collana Roma ebraica-7,
Tina Nastasi,Federico Enriquez e la civetta di Atena, ed plus,Pisa,2003 Comunità ebraica di Livorno Altri progetti
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versione), in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Federigo Enriques, in Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Federigo Enriques, su
MacTutor, University of St Andrews, Scotland. Federigo Enriques, su Mathematics
Genealogy Project, North Dakota State University. Opere di Federigo Enriques, su Liber
Liber. Opere di Federigo Enriques, su
openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Federigo Enriques, . Gaspare Polizzi, ENRIQUES, Federigo, in Il
contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, . Edizione nazionale delle opere. Digitalizzazione
completa di Scientia e Rivista di Scienza su AMS Historica. Sito ufficiale del
Centro Studi Enriques di Livorno. "Le Armonie Nascoste", un recente
documentario su Enriques [collegamento interrotto], su lalimonaia.pisa.it.
Enzo: Grice: “I like Enzo; for one, his
“Ubi es?” is a classic – only in Italy they take the Bible so seriously – “Ubi
es” can be interpreted literally – sans implicature. And that’s what Enzo
does.” Carlo Enzo (Burano), filosofo italiano. Il padre, Alessandro, è vetraio
in una vetreria di Murano, un mestiere estremamente usurante, morirà appena
cinquantenne. Uomo concreto e critico nella sua essenziale bontà. La madre, Flaminia Vio, è una bravissima
maestra merlettaia. Da lei Carlo, il maggiore di quattro figli, apprende il
rigore e lo spirito di rispetto verso l'istituzione. È lei, una cattolicalaica, che vive al
servizio della Chiesa, ad accompagnare il piccolo Carlo dalle suore perché
serva come chierichetto alla prima Messa.
È lei che, nel 1938, accoglie la proposta del parroco di mandare il
figlio in seminario a Venezia per permettergli di continuare gli studi, ma
preferisce ritardarne l'entrata e chiede alla nipote di ospitare a Venezia il
cugino che potrà così frequentare i primi anni come esterno. Negli anni di studio ginnasiale Carlo si
imbatte per la seconda volta nella lettura della Bibbia. Il primo contatto era
stato quando, a 7 anni, aveva deciso di leggere ai fratelli, nella traduzione
di Antonio Martini, una vecchia Bibbia trovata in casa, per accompagnarli al
sonno. Dal 1938 il contatto è più
corposo e sistematico, ma come nel 1934 la lettura lo entusiasma e nello stesso
tempo lo delude, intuisce infatti la mancanza di adeguate conoscenze e
strumenti concettuali per poter penetrare pienamente il messaggio biblico. Ha
la stessa reazione anche quando, finito il liceo, sceglie gli studi teologici,
dove la lettura della Bibbia è seria e critica, ma rimane, per importanza,
sempre la seconda o la terza materia dopo la dogmatica e la morale. Ordinato sacerdote nel 1950, viene mandato a
fare cura pastorale come vicario cooperatore a Caorle, dove nel 1951 accoglie
350 alluvionati del Polesine. Qui, meta preferita di turisti tedeschi, studia
da autodidatta la lingua tedesca per "meglio servire la Chiesa". Nel
gennaio 1954 viene trasferito con lo stesso incarico nella vicina frazioncina
di Ca' Cotoni per divergenze con il parroco di Caorle e a settembre dello
stesso anno nella popolare parrocchia di S. Giuseppe di Castello a
Venezia. Carlo aveva conosciuto questa
comunità quando vi era stato per una stazione quaresimale con il patriarca
(Adeodato Piazza) e l'accoglienza ostile degli operai verso una personalità
vista come filofascista aveva reso necessaria la scorta della polizia. A S. Giuseppe di Castello Carlo compera un
appartamento, indebitandosi, per fare patronato con doposcuola tutti i
pomeriggi sino alle 20, e a sera gli incontri con i ragazzi più grandi. Dal 1954 al '57 insegna alle scuole medie,
prima del Lido e poi nella vicina "P.F.Calvi", organizzando anche uno
spettacolo per un concorso al teatro "Goldoni". Nell'ottobre del 1957 il vicario generale
Alessandro Mari Gottardi, dopo essersi consultato con monsignore Loris
Francesco Capovilla, segretario del cardinale Angelo Giuseppe Roncalli, gli
comunica che andrà a studiare a Roma presso la Pontificia S. Tommaso d'Aquino.
Gottardi era stato suo insegnante di teologia e scienze bibliche in seminario e
aveva conosciuto il suo profondo interesse per gli studi biblici, ne aveva poi
apprezzato la tesi redatta nell'ultimo anno di teologia, dal titolo "La
'Giustificazione' nella Lettera ai Romani", in cui analizzava le varie
interpretazioni bibliche in maniera diacronica risalendo sino alle tradizioni
patristiche. Le due omelie di Carlo a S.Giuseppe di Castello ascoltate dallo
stesso vicario generale avevano poi confermato quella scelta. A Roma è ospite presso il Pontificio Collegio
Nepomuceno in via Concordia ed è lì che lo viene a prelevare mons. Capovilla
per una visita guidata alla città, alla vigilia del Conclave da cui uscirà papa
il cardinale Roncalli. A fargli da cicerone è proprio il futuro papa Giovanni
XXIII e le bellezze della città illustrate da una guida tanto preziosa assieme
al paterno congedo di mons. Capovilla costituiranno il ricordo più bello della
sua vita. Dal 1957 Carlo frequenta
quindi il 4º anno presso la Pontificia S.Tommaso d'Aquino dove consegue la
Licenza in Theologia Universa in un solo anno con una tesi su "I
Carismi" e contemporaneamente i corsi in scienze bibliche presso il
Pontificio Istituto Biblico, dove perfeziona lo studio dell'ebraico già
iniziato in seminario, ma soprattutto ha l'incontro, decisivo per i suoi studi,
con il grande biblista, il gesuita Luis Alonso Schoekel. L'anno successivo
segue i corsi del quinto anno che gli avrebbero permesso di redigere la tesi su
"Grazia e benevolenza" per la laurea, tesi che non può però portare a
termine perché nel 1960 torna a Venezia , chiamato dal Patriarca Urbani a
svolgere la funzione di vicerettore del Seminario Patriarcale, nel burrascoso
periodo tra il rettorato di Valentino Vecchi e quello di Aldo Da Villa. Da vicerettore del seminario insegna anche
scienze bibliche, diviene in seguito prorettore, sino a quando, nel 1963,
chiede di essere sollevato dall'incarico per poter assistere la madre
paralizzata ed è quindi ascritto alla parrocchia di S.Zaccaria, dove abiterà
con la madre sino al 1975. Qui si fa
promotore dell'allestimento e della conduzione di un teatro,
dell'organizzazione del cinema per ragazzi, del cineforum, dell'istituzione della
biblioteca, mentre cura anche l'esecuzione di opere di risanamento e
ristrutturazione di tutti gli ambienti frequentati dai ragazzi. Continua ad
insegnare in seminario, e dal rettore viene mandato nel Benedektinerkloster di
Metten a Degendorf (Germania) per preparare alla maturità i seminaristi che
studiano la lingua italiana. Dal 1963 compensa l'esiguo stipendio con
l'insegnamento nella scuola pubblica, come il liceo classico "M.
Polo", dove matura la sua sottoscrizione nel 1968 delle tesi del
"Manifesto". Il 15 dicembre
1969 viene nominato patriarca di Venezia Albino Luciani e pochi giorni dopo il
suo insediamento emerge il suo diverso sentire con Carlo, che, nella mensile
lezione culturale al clero, trattando il tema della "Consumatio
saeculi" o secolarizzazione nella Bibbia, provoca una dura reazione del
presule. Carlo dà le dimissioni dall'insegnamento in seminario, dapprima
ritirate, dopo alcuni mesi definitive, perché lui, che da tempo nella santa
messa pratica l'omelia dialogata, non si sente in consonanza con le direttive
indicategli. Sino a questo momento i
patriarchi veneziani che avevano conosciuto Carlo, Adeodato Piazza, Carlo
Agostini, Angelo Roncalli e Giovanni Urbani, gli avevano dimostrato la loro stima.
Proprio il patriarca Giovanni Urbani aveva chiesto al giovane Carlo un
commentario al Vangelo di Marco nel 1966.
Sin dagli inizi, accompagna la vita sacerdotale di Carlo una costante e
intensa cura pastorale, rivolta sia ai ragazzi che agli adulti, e non solo
nelle sue sedi parrocchiali. Più che trentennale è a questo proposito la
collaborazione che gli chiede don Aldo Marangoni nella parrocchia di Marghera,
nel quartiere Cita, nei difficili anni Settanta e, dagli anni Ottanta, a San
Giacomo dell'Orio a Venezia, a testimoniare la stima e l'affetto maturati dagli
anni del seminario. Nel 1975 Carlo si
laurea in filosofia presso l'Università Ca' Foscari di Venezia con una tesi che
verrà pubblicata nel 1983, Alle origini dell'utopia messianica. Insegna quindi filosofia al Liceo classico
"M. Foscarini" di Venezia e successivamente alle scuole medie della
provincia (Oriago e Mestre) e città (Giudecca).
Nel 1989 va in pensione dall'insegnamento. Dal 1976 al 1989 tiene alla facoltà di
Lettere e Filisofia di Ca' Foscari dei cicli di seminari di esegesi biblica
nell'ambito dei corsi tenuti dal prof. Arnaldo Petterlini, dal 1990 al 2003 dal
prof. Romano Madera, e dal 2004 al allo
IUAV di Venezia seminari di antropologia biblica ed esegesi invitato dal prof. Renato
Rizzi. Muore all'ospedale Fatebenefratelli
di Venezia il 30 gennaio . Alcune note
sul metodo Al liceo, Carlo studia filosofia scolastica, propedeutica alla
teologia. Nel manuale di Calcagno, "Elementa philosophiae
scolasticae" trova il capitolo dedicato alle filosofie immanentistiche, che
consideravano Dio la natura o non consideravano affatto Dio e consideravano
solo la natura. Lo colpisce la figura di B. Spinoza per la sua vita nascosta,
dimessa , umile, scriveva infatti solo per gli amici. Ne legge l"Ethica
more geometrico", commentata da G. Gentile, più facile a reperire perché
considerata meno sospetta del "Tractatus theologicus politicus" che
studierà in seguito, dedicando particolare attenzione al capitolo "De
interpretatione". Spinoza afferma che la Bibbia va letta e interpretata con
la Bibbia, era quanto Carlo aveva intuito sin da ragazzo, ma aveva abbandonato
quella strada in seminario dove si praticava il metodo storico-critico. Alla
Pontificia S. Tommaso a Roma, il Nuovo Testamento viene studiato ed
interpretato secondo il metodo della storia delle forme
(Formengeschichtemethode) che applica al testo biblico le regole dello scrivere
greco-latino, mentre per il Vecchio Testamento si segue la teoria dei generi
letterari. Al Pontificio Istituto Biblico ha luogo l'incontro con il gesuita
spagnolo Luis Alonso Schoekel, insegnante di teologia, esegesi ed ermeneutica
biblica, Schoekel ha un'attenzione speciale alle particolarità stilistiche e
semantiche del lessico biblico che schiudono un nuovo orizzonte metodologico e
tematico. Considera fondamentale per la comprensione dell'intera Bibbia lo
studio dei primi tre capitoli di Genesi e incoraggia Carlo, verso cui dimostra
profonda stima e un'amicizia che durerà sino alla propria scomparsa (1998), ad
affinarne l'esegesi e a continuare il suo lavoro. E Carlo torna a Venezia con
l'intenzione di mettere a frutto quanto appreso applicando le indicazioni
metodologiche spinoziane. Gli studi di Schoekel su Genesi 1-3 vengono
pubblicati in un numero della rivista "Biblica" del 1963. La interpretazione
di Genesi è alla base di diversi testi di Carlo, dalla tesi di laurea del 1983,
all'articolo su Servitium del 1996, al testo "Adamo dove sei?" del
2002. In parallelo Carlo decide di approfondire la connessione tra i testi di
Genesi e il vangelo di Matteo e dal 1975 scrive diversi appunti che
continuamente rivede nel corso degli anni. Da questi nasce il progetto
dell'opera in 8 volumi che prende il nome di "La generazione di Gesù
Cristo nel vangelo di Matteo" che vedrà la pubblicazione a partire dal
2002 ed è tuttora in corso. Note Morto a Venezia don Carlo Enzo, su
VeneziaToday. 1º febbraio . Scritti Testo e interpretazione in Weber e
Bultmann, Unicopli, Milano 1982 Alle origini dell'utopia messianica, Antenore,
Padova 1983 Sulla nascita della filosofia medievale, Venezia 1984 Sitz im Leben
e interpretazione, Venezia 1984 Individuo e comunità, nella riflessione biblica
delle scritture antiche Servitium: Quaderni di ricerca spirituale, 1996 n. 107
Adamo dove sei?, il Saggiatore, Milano 2002 La terza delle dieci parole di
“Esodo” 20 nell’interpretazione di Gesù in Le parole dell'essere: per Emanuele
Severino Petterlini A., Brianese G. e Goggi G., Pearson Italia S.p.a 2005 Il
Progetto di Mondo e di Uomo delle Generazioni di Israele (Genesi 1-4), Mimesis,
Milano (Opera, 1) La Generazione di Gesù Cristo nel Vangelo
secondo Matteo. I. Gli Inizi, Mimesis, Milano
(Opera, 2) La Generazione di Gesù
Cristo nel Vangelo secondo Matteo. II. La Legge, Mimesis, Milano (Opera,
3) Le prime dieci parole di YHWH a Israele in Panta , Decalogo, Donà M.
e Toffolo R., Bompiani, n. 29 La
Generazione di Gesù Cristo nel Vangelo secondo Matteo. III. La Regola
dell'Apostolo, Mimesis, Milano (Opera, 4) La Generazione di Gesù Cristo nel Vangelo
secondo Matteo. IV. Il Regno dei Cieli, Mimesis, Milano (Opera,
5) La Generazione di Gesù Cristo nel Vangelo secondo Matteo. V. La
Ecclesia di Gesù Cristo, Mimesis, Milano
(Opera, 6) La Generazione di Gesù
Cristo nel Vangelo secondo Matteo. VII. La consegna del figlio dell'Adamo, Mimesis,
Milano (Opera, 8) Genere adamico. Riflessioni sui testi
fondativi della tradizione spirituale occidentale che si trovano nei primi
quattro capitoli di Genesi, Servitium: Quaderni di ricerca spirituale, n. 228 Interventi alla radio Giuda:
consegnare e tradire: Marco 14,43-52 con Ludwig Monti, 3 marzo Sulla barca le parole del regnoMatteo 13, con
Romano Madera, 18 novembre Le parole del
regno Matteo 13 Attività didattica Carlo Enzo. Due lezioni bibliche: Il “mondo”
del nostro Dio, Rovato 2.3.2005 e L’ “uomo” del nostro Dio, Rovato 9.3.2005 Lo
Spirito di Cristo nel progetto messianico, comunità della parrocchia di S.
Giacomo, Venezia La rivelazione secondo la Bibbia, Università degli studi di
Venezia, Dipartimento di filosofia e Teoria della scienza, Anno accademico
2003-2004, 2003 Seminario sul “Der Mann Moses und die monotheistische
religion”, 2008 Incontro tra Carlo Enzo e Romano Madera, 13 marzo , IUAV
(Venezia) ‘ôLaM, il progetto consegnato, Le decadi, dieci incontri con
pensatori eccellenti sul tema “Le potenze invisibili”, 27 febbraio , IUAV
(Venezia) Scritti su Carlo Enzo e testimonianze Tagliapietra A. La Bibbia,
libro sempre “aperto”, Gazzettino on line 13. 6. 2002 Tattara G. e altri Per
una rilettura del vangelo di Matteo, Mosaico di pace (on line), Madera R. Date al cielo quello che è del
cielo, L’Unità, 6.3. Gnoli A. Rileggere la Bibbia, La Repubblica 28.12. Della
Pergola F. Parola di biblista, Della
Pergola F. La Bibbia svelata, e in
Left, n. 22 Lamonaca L. Su una nuova
lettura della Genesi , 28.5. Patrignani C. Laicità: il biblista Carlo Enzo
batte i marxisti ratzingheriani, Moretto
P. Un mondo possibile, [collegamento interrotto] Della Pergola F. Il problema
dell’unicità e della trascendenza di Dio nella Bibbia ebraica[collegamento interrotto]
Della Pergola F. Il Dio del nulla Tattara G. e altri Gesù e le donne nel
vangelo di Matteo, Della Pergola F. La
lunga battaglia contro la Bibbia e in Left, 1 aprile Video Da Burano a Roma, parte I, dal progetto
Memoro. La Banca della Memoria La prima visita di Roma, parte II, dal progetto
Memoro. La Banca della Memoria Dal Biblico a Baruch Spinoza, parte III, dal
progetto Memoro. La Banca della Memoria Gesù Maestro ed Elohîm dell'Ecclesìa,
parte IV, dal progetto Memoro. La Banca della Memoria Vai, vai per te, parte V,
dal progetto Memoro. La Banca della Memoria Dalla Bibbia Ebraica alla
generazione di Gesù Cristo. Un'intervista di Romano Màdera La Bibbia non dice
quello che ci hanno fatto credere. Un’intervista a Carlo Enzo Date al cielo quello che è del cielo di
Romano Madera, in L'Unità del 6 marzo
Rileggere la Bibbia di Antonio Gnoli, in La Repubblica.
Epicoco: Grice: “I like
Epicoco; he has a way with words – e.g. ‘only the sick heal.” Is that synthetic
a priori?” Grice: “My favourite is Epicoco’s emphasis on some symbols, like
blood, and Canova’s Eros – and ‘l’amore che decide.’”Nato a Mesagne Ordinato
presbitero6 gennaio 2005 dal Vescovo Giuseppe Molinari Incarichi diocesanifino
al è stato Assistente spirituale presso
Movimento ecclesiale di impegno culturale, Parroco, Direttore presso Ufficio
per la Cultura, Direttore presso Ufficio per la Pastorale Universitaria, Membro
presso Consiglio Presbiterale Diocesano, Direttore presso Biblioteca Cardinale
Carlo Confalonieri, Professore presso Istituto Superiore di Scienze Religiose.
Incarichi pontificidal è docente
incaricato di filosofia presso la Pontificia Università Lateranense e dal è preside dell’Istituto Superiore Scienze
Religiose Fides et Ratio Issr dell'Aquila Template-Priest.svg -- Luigi Maria Epicoco
(Mesagne), filosofo. Preside dell’Istituto Superiore Scienze Religiose Fides et
Ratio ISSR dell'Aquila. Sacerdote dell'arcidiocesi dell'Aquila ordinato il 6
gennaio 2005 dal Vescovo Giuseppe Molinari, scrittore di libri e articoli scientifici
di carattere filosofico e teologico . Ha
una cattedra in filosofia alla Pontificia Università Lateranense. Fino al è stato insegnante all'ISSR Fides et ratio
dell'Aquila, direttore della residenza universitaria San Carlo Borromeo
all'Aquila e parroco della parrocchia universitaria San Giuseppe Artigiano,
dove ha vissuto la tragica vicenda del terremoto occupandosi in prima linea
della ricostruzione per l'arcidiocesi. Comunicatore in diverse trasmissioni sia
in radio sia in televisione in particolare Radio Vaticana, Telepace, TV2000,
Rai2, Rai Radio 2. Nel web è attivo nei social e in diversi blog. Nel ha curato il commento al Vangelo della
rivista Credere Edizioni San Paolo. Membro Cavaliere della Luce. Ha costituito
una fraternità con gli studenti universitari che segue. Da novembre è nato il progetto editoriale di un nuovo
messalino edito da Edizioni San Paolo don Luigi Maria Epicoco. Nel ha pubblicato un libro con la prefazione di
Massimo Recalcati. Nell'estate il
Cardinale Angelo De Donatis in qualità di Gran Cancelliere della Pontificia
Università Lateranense ha nominato Epicoco preside dell’Istituto Superiore
Scienze Religiose Fides et Ratio Issr dell'Aquila. È regolarmente invitato a tenere delle conferenze,
condurre degli esercizi spirituali e dei ritiri spirituali sul territorio
italiano. Il 13 novembre , tiene la sua prima conferenza nella città francese
di Nizza. Libri Vergine Madre figlia del
tuo figlio; Itaca editrice 2006 Jesu dulcis memoria; Itaca editrice 2007 Il
grido di Benedetto XVI; con Michele G. Masciarelli; Tau editrice 2009 Futuro
presente. Contributi sull'enciclica Spe salvi di Benedetto XVI; con Angelo
Amato e Paola Bignardi; Tau editrice 2009 L'Immacolata perfezione. Sentieri in
preparazione alla festa dell'Immacolata; Tau editrice Io vedo il tuo volto. Arte e liturgia; Tau
editrice Ex coelesti virtute.
Miscellanea di studi in onore di S. E. Mons. Giuseppe Molinari nel Suo 50º di
Sacerdozio; Tau editrice Etty Hillesum.
Introduzione ad una donna; Tau editrice
Piccola introduzione alla Bibbia; Tau editrice Qualcuno accenda la luce. Conversazioni
sull'Enciclica Lumen Fidei di papa Francesco; Tau editrice Giovanni Paolo II. Ricordi di un papa santo;
con Mons. Piero Marini; Tau editrice La
misericordia ha un volto. Il Giubileo straordinario della Misericordia secondo
papa Francesco; Tau editrice Preghiere
di ogni giorno; Tau editrice Nati per
amare. I giovani raccontano la famiglia; LUP
Solo i malati guariscono. L'umano del (non) credente; San Paolo,
Milano Educare è meglio che curare; Tau
editrice, La malattia è un dono di vita.
Storia di Teresa Ruocco; Tau editrice La
stella, il cammino, il bambino. Il natale del viandante; San Paolo, Milano Quello che sei per me. Parole sull'intimità;
San Paolo, Milano Amen. La Parola che
salva; San Paolo, Milano Sale non miele.
Per una fede che brucia; San Paolo, Milano . Telemaco non si sbagliava. O del
perché la giovinezza non è una malattia; San Paolo, Milano L’amore che decide; Tau editrice, Camminando tra pastori e Re Magi. Trenta
piccole meditazioni e un "quaderno" per la riflessione personale: un
percorso di preparazione al Natale, San Paolo, Cinisello Balsamo, Qualcuno a cui guardare. Per una spiritualità
della testimonianza, Città Nuova, Roma, . Note
A L'Aquila Epicoco diventa il nuovo preside dell’Istituto Superiore
Scienze Religiose, in Abruzzo Web, 25 luglio .
Giovani: don Epicoco (filosofo), “proporre un incontro che può cambiare
la loro vita”, in Servizio Informazione Religiosa, 11 settembre . Intervista a Il Faro di Roma Archiviato il 22
novembre in . Scheda in Itaca libri Scheda sito San Paolo Scheda del docente nel sito dell'Università
Pontificia Articolo incarichi
diocesani Intervista a Credere Sito della Parrocchia Universitaria L'Aquila
Archiviato il 27 agosto in . Incarichi nel Sito Ufficiale della Diocesi,
su diocesilaquila.it. 24 agosto 27
agosto ). Scheda sul profilo di don
Luigi Maria Epicoco Radio Radicale TV2000 Comunicato stampa Sito Rai Caterpillar Rai Due intervento a NemoNessuno escluso in
prima serata Membri Cavalieri della Luce
Archiviato il 18 gennaio in . Testimonianza nella rivista Credere Roma Sette sul nuovo Messalino edito da San
Paolo Intervista e nuovo libro sul sito
Aleteia La prefazione di Massimo
Recalcati al libro di don Luigi Maria Epicoco
Don Epicoco nuovo preside dell’Issr L’Aquila Conferenza di don Luigi Maria Epicoco a Nizza
il 13 novembre . Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Luigi Maria
Epicoco Luigi Maria Epicoco (canale
ufficiale), su YouTube. Sito Ufficiale
della Parrocchia Universitaria Pagina pubblica ufficiale su Facebook Blog
ufficiale 304907550 I0000 0004 1029 4276 o103711 Identitieslccn-no103711 Biografie Biografie:
di biografie Categorie:
Presbiteri italianiTeologi italianiScrittori italiani Professore1980 21 ottobre
Mesagne
Epitteto
Ercole -- Grice: “I like it when Ercole emphasizes that
bit in De Interpretatione which I love – every ‘logos’ is ‘significant’
(significativo, semantikos, -- adds Ercole quoting from the Greek) of this or
that – even a prayer!” -- Grice: “I must say I love Ercole; for one, he expands
on my idea of the longitudinal unity of philosophy, being an Oxfordian
Hegelian, almost, he thinks history can be regarded LOGICALLY: scepticism has
to follow dogmatism – this is pretty interesting; for another, he tutored for
years on the very same topics I did, notably “De interpretation” and
“Categoriae” – The former being a theory of semiotics, of course!” -- Pasquale
D'Ercole (Spinazzola) filosofo. Studente di giurisprudenza nell'Napoli,
Pasquale D'Ercole manifestò ben presto i suoi interessi per gli studi
filosofici e per il pensiero di Hegel. Si trasferì a Berlino ove perfezionò i
suoi studi, seguì i corsi dello storico Jules Michelet ed ebbe modo di
conoscere il filosofo Trendelenburg e l'insigne classicista Mommsen. Aderì
anche alla "Società filosofica hegeliana". Tornato in Italia, D'Ercole insegnò filosofia
teoretica a Pavia e Torino ove ebbe tra i suoi allievi Martinetti, che con lui
discusse la sua tesi di laurea. Membro della Società crematoria torinese, le
sue ceneri sono custodite nel Tempio crematorio di quella città. Il pensiero Dall'hegelismo iniziale, con
l'affermarsi del positivismo, passò a posizioni di adesione all'evoluzionismo
di Darwin e di Spencer. Polemizzò con il
teismo (Il teismo filosofico cristiano, 1884) giudicato contraddittorio e
illusorio, manifestò interesse per la riforma della scuola (Alcune proposte di
riforma nella istruzione secondaria, 1874) e per i problemi pedagogici
(L'educazione del bambino secondo Pestalozzi, Fröbel e Spencer, 1886). Opere Alcune proposte di riforma nella
istruzione secondaria, Pavia, Stabilimento tipografico Successori Bizzoni,
1874. La pena di morte e la sua abolizione dichiarate teoricamente e
storicamente secondo la filosofia hegeliana, Milano, U. Hoepli, 1875. Il teismo
filosofico cristiano. Teoricamente e storicamente considerato, con speciale
riguardo a S. Tommaso e al teismo italiano del secolo XIX, Torino, Loescher,
1884. L'educazione del bambino secondo Pestalozzi, Fröbel e Spencer, Roma,
Tipografia della Reale Accademia dei Lincei, 1886. L'origine indiana del
pitagorismo secondo L. von Schröder, Roma, Tipografia Terme Diocleziane di G.
Balbi, 1891 La filosofia della natura di Pietro Ceretti, 3 voll., Torino,
Unione tipografico-editrice, 1892-1905. Il saggio di panlogica, ovvero
l'Enciclopedia filosofica dell'hegeliano Pietro Ceretti, 2 voll., Torino,
Fratelli Bocca, 1911. Comprende I prolegomeni al saggio di panlogica ; La
dottrina logico-metafisica (ossia l'esologia). La filosofia della natura (ossia
l'esologia) ; La filosofia dello spirito (ossia la sinautologia) ;
Apprezzamento della filosofia cerettiana. La logica aristotelica, la logica
kantiana ed hegeliana e la logica matematica con accenno alla logica indiana,
Torino, Vincenzo Bona, 1912. L'antico Egitto e la Caldea come precursori
dell'ebraismo e del cristianesimo in morale e in religione, Bologna,
Stabilimento poligrafico emiliano, 1913. Note
Fonte: F. Cambi, Dizionario Biografico degli Italiani, riferimenti in . "Ebbe molta influenza sulla scelta che
Martinetti fece di iscriversi alla facoltà di Filosofia, fu suo professore, ma
non un Maestro. [...] Scrisse di lui Martinetti: Era un uomo; quando andai a
visitarlo l'ultima volta, pochi giorni prima della sua morte, mi disse di avere
un'unica certezza, che dopo questa vita non c'è nulla. Le mie idee erano
assolutamente opposte alle sue, su questo come su tutti gli altri punti. Ma non
potei non ammirare la fermezza delle sue convinzioni." Angelo Paviolo,
Piero Martinetti aneddotico. L'uomo, il filosofo, la sua terra, Le Château
Edizioni, Aosta121 Cfr. la scheda nel
sito "Memoteca", . Galvano
Della Volpe, «D'ERCOLE, Pasquale» in Enciclopedia Italiana, Volume 12, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1931. Franco Cambi, «D'ERCOLE, Pasquale»
in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 39, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 1991.
Hegelismo Evoluzione Teismo
Pasquale D'Ercole, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Opere di Pasquale D'Ercole, su
openMLOL, Horizons Unlimited srl.
Pasquale D'Ercole in "Memoteca Il luogo della memoria" sito
della SocremSocietà per la cremazione di Torino.
Esposito: Grice: “I like Esposito; of course,
his ‘origine della filosofia italiana’ owes a bit to the historians of Roman
literature and that infamous embassy of the very best of Grecianism: Carneade,
Critolao, and Diogene!” 599 ab urbe condita!”
Roberto Esposito (Piano di Sorrento), filosofo. Professore di di
filosofia teoretica presso la Scuola Normale Superiore . Fuori dall'Italia è considerato uno degli
autori di riferimento dell'Italian Theory. Ha tenuto lezioni e conferenze in
molte università europee e americane. I suoi libri sono tradotti in una decina
di lingue. Roberto Esposito parte dalla constatazione dell'esaurirsi del
tradizionale lessico della politica e dalla consapevolezza della necessità di
una sua diversa formulazione. Su questo presupposto, la sua ricerca si incentra
sulla ripresa e sulla rielaborazione di questa tradizione all'interno di nuove
esigenze, a partire da una reinterpretazione delle categorie classiche della
filosofia. A tal fine nelle sue opere lascia interagire saperi e linguaggi
differenti, dalla filosofia alla letteratura, all'arte, alla poesia,
all'antropologia, alla teologia. Dopo i
primi studi sul pensiero di Vico e Machiavelli, il suo lavoro si è concentrato
intorno a quattro nuclei tematici. La
riflessione sull'impolitico L'impolitico viene inteso come rovescio impensato
dalla politica. Le riflessioni su questo tema sono confluite nei tre volumi
Categorie dell'impolitico (il Mulino, Bologna 1988, 1999), Nove pensieri sulla
politica (Bologna, il Mulino, 1993, ), L'origine della politica (Roma,
Donzelli, 1996, ). Il lavoro su comunità
e biopolitica Le ricerche su questi temi sono confluite nella trilogia
(Communitas, Immunitas, Bìos).
Communitas è un tentativo concettuale di ridefinire l'idea di comunità,
al di fuori di ogni riferimento ai comunitarismi passati e presenti,
privilegiando piuttosto gli autorida Rousseau a Kant, da Heidegger a Bataillein
cui prevale una concezione della comunità in quanto legge comune dell'«essere
insieme», ma anche la coscienza tragica di ciò che contiene di irrealizzabile
da un punto di vista politico. Immunitas
è una lettura biopolitica dei conflitti in seno al «corpo sociale». Questo
libro persegue il lavoro di scavo teorico cominciato in Communitas e pone la
categoria dell'immunità al centro di questa riflessione sulle contraddittorie strategie
di difesa della società rispetto ai rischi, reali e immaginari, che la
insidiano. In questo senso l’immunizzazione è allo stesso tempo una protezione
e una negazione della vita che rischia sempre di diventare una sorta di
malattia immune del corpo sociale. Bios
è una rilettura, a partire dall'opera di Michel Foucault, della storia del
pensiero biopolitico alla luce del concetto d'immunità. Essendo l'immunitas una
«protezione negativa della vita», la biopolitica che ne incorpora le procedure
è sempre a rischio di trasformarsi in tanatopolitica. Ciò non toglie che possa
profilarsi una, sia pur problematica, nozione affermativa di biopolitica. La decostruzione del paradigma di persona e
il pensiero dell'impersonale Al concetto di persona e di impersonale ha
dedicato Terza persona, Politica della vita e filosofia dell’impersonale; Due.
La macchina della teologia politica e il posto del pensiero e Le persone e le
cose. A partire da una critica del concetto, giuridico romano e teologico
cristiano, di persona, inteso come un dispositivo che separa la vita umana da
se stessa, l’impersonale è inteso come la forma di una possibile riunificazione
tra vita biologica e vita intellettuale, corpo e persona. Pensiero italiano e filosofia europea Nel
dittico costituito dai due volumi Pensiero vivente. Origine a attualità della
filosofia italiana e Da fuori. Una filosofia per l'Europa ha ricostruito i
caratteri prevalenti della tradizione filosofica italiana, a partire da
Machiavelli, Bruno e Vico, fino a quella che viene definita Italian Theory,
inserendola nell’orizzonte del pensiero europeo novecentesco. Essi riguardano
la connessione tra le categorie di storia, politica e vita. Opere: La politica e la storia. Machiavelli e
Vico (Liguori, Napoli4) è tradotto in giapponese: Geiritsu Shuppan, Tokyo 1986.
Categorie dell'impolitico (Il Mulino, Bologna1988; 1999) è tradotto in inglese:
Fordham, New York ; in spagnolo: Katz, Buenos Aires 2006; in francese: Seuil,
Paris 2005; è in corso una traduzione in cinese: Chongqing Univ. Press. Nove
pensieri sulla politica (il Mulino, Bologna 1993; ) è tradotto in spagnolo:
Trotta, Madrid 1996; in spagnolo per l’America latina: Fondo de cultura
económica, Buonos Aires ; è in corso di traduzione in inglese: Minnesota Un.
Press, Minneapolis. L'origine della politica (Donzelli, Roma 1996; ), è
tradotto in spagnolo: Paidós, Barcelona ed è in corso di traduzione inglese:
Fordham, New York. Communitas. Origine e destino della comunità, (Einaudi,
Torino 1998; 2006) è tradotto in inglese: Stanford Univ. Press, ; in francese:
Puf, Paris 2000; in spagnolo: Amorrortu, Buenos Aires-Madrid 2003; in tedesco:
Diaphanes, Zürich-Berlin 2005; in portoghese: Comp. De Freud, Lisboa ; in
coreano: Nanjang, Seul . Immunitas. Protezione e negazione della vita (Einaudi,
Torino, 2002) è tradotto in inglese: Polity Press, London ; in tedesco:
Diaphanes, Zürich-Berlin 2004; in spagnolo: Amorrortu, Buenos Aires-Madrid
2005; in coreano: Nanjang, Seul ; in sloveno: Koda, Beletrina, ; è in corso di
traduzione in portoghese: UFMG. Bios. Biopolitica e filosofia (Einaudi, Torino
2004), è tradotto in inglese: Minnesota, Minneapolis 2008; in spagnolo:
Amorrortu, Buenos Aires-Madrid 20; in portoghese: Edições 70, Lisboa ; è in
corso di traduzione in portoghese (per il Brasile: UFMG); in sloveno: Zalozba,
Lubiana; in cinese: Henan University Press; in coreano: Nanjang, Seul. Terza
persona. Politica della vita e filosofia dell'impersonale (Einaudi, Torino,
2007) è tradotto in inglese: Polity Press, London ; in spagnolo: Amorrortu,
Buenos Aires-Madrid 2009; in giapponese: Kodansha, Tokyo ; in tedesco
parzialmente, col titolo Person und menschliches Leben: Diaphanes,
Zürich-Berlin . Termini della politica. Comunità, immunità, biopolitica
(Mimesis, Milano 2008) è tradotto in inglese: Fordham, New York ; spagnolo:
Herder, Barcelona 2009, in francese: Les Prairies Ordinaires, Paris ; in
portoghese (Brasile), UFPR, Curitiba ; è in corso di traduzione in polacco.
Pensiero vivente. Origine e attualità della filosofia italiana Einaudi, Torino
, è tradotto in inglese: Stanford Un. Press, Stanford ; in spagnolo: Amorrortu,
Buenos Aires-Madrid ; in portoghese (Brasile), UFMG, . Due. La macchina della
teologia politica e il posto del pensiero (Einaudi, Torino, ) è tradotto in
inglese: Fordham, New York, ; in spagnolo: Amorrortu, Buenos Aires ; è in corso
di traduzione in francese: Diaphanes-Francia; in tedesco: Diaphanes-Germania;
in portoghese: UFMG. Le persone e le cose (Einaudi, Torino ) è tradotto in
inglese: Polity Press, London, ; è in corso di traduzione in spagnolo: Katz; in
coreano: Chaos Book; in cinese; Henan. Da fuori. Una filosofia per l’Europa,
Einaudi, Torino ; è in corso di traduzione in inglese: Polity Press; in
spagnolo: Amorrortu. Politica e negazione. Per una filosofia affermativa,
Einaudi, Torino, . Note Curriculum
Vitae Recensione di Marcello Serra Corrado Claverini, La filosofia italiana come
problema. Da Bertrando Spaventa all’Italian Theory, "Giornale Critico di
Storia delle Idee" 15/16, , su
giornalecritico.it. 26 dicembre 26
dicembre ). Una biopolítica afirmativa. Entrevista con Roberto Esposito, di
Antonio Valdecantos. Minerva, 2009
Autour de Communitas. Origine et destin de la communauté (PUF, 2000) et
Immunitas. Protezione e negazione della vita (Einaudi, Turin, 2002) de Roberto
Esposito. Interventions de Rada Ivekovic, Frédéric Neyrat, Boyan Manchev,
Roberto Esposito. Papiers n°59. 2008 Collège international de philosophie
(presentazione di Rada Ivekovic al Collège international de philosophie, 18
giugno 2005, e, più largamente, documenti di tutti gli interventi ripresi, con
le risposte dell'autore).Vivimos una suerte de infarto del mundo, intervista
del 3 gennaio 2007 in «La Nacion» (Buenos Aires) . Politiche della vita sul
margine pericoloso dell'impersonale, intervista del 21 giugno 2007 di Roberto
Ciccarelli per il «Centro per la Riforma dello Stato» . (PT) Aproximações à
biopolítica, presentazione delle conferenze del 14 e 15 marzo 2008 a Lisbona .
L'impolitico e l'impersonale. Lettura di Roberto Esposito, di Davide
D'Alessandro, Morlacchi, Perugia . “Bíos, immunity, Life. The Thought of
Roberto Esposito", in Diacritics”,n. 2, summer 2006. R. Ivekovic, B.
Manchev, F. Neyrat, "Autour de Roberto Esposito“, in "Papiers” n. 59,
2008, del Collège International de Philosophie. A. Zagari, B. Gercman, A.
Gonzales, Roberto Esposito, Tres Ensayos sobre una teorìa im-politica,
Ediciones del signo, Buenos Aires 2009. , Incomunidad. El pensamiento politico
de la comunidad a partir de Roberto Esposito, M. Caraceda e G. Velasco, Arena
Libros, Madrid . “Law, Culture and the Humanities”, n. 8, , ‘Symposium on the
Work of Roberto Esposito'. D. Calabrò, Les Détours d’un pensée vivante.
Transpositions et changements de paradigme dans la réflexion de Roberto
Esposito, Mimerais Francia . G. Bird, Containing Community: From Political
Economy to Ontology in Agamben, Esposito, and Nancy, State University of New
York Press, Albany . G.Bird, J. Short Roberto Esposito, community and the
proper’, Routledge, London . , Wissen und LebenWissen für das Leben.
Herausforderungen einer affirmativen Biopolitik, Trascript Verlag, Bielefeld .
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London . A. Ulbricht, Multicultural Immnunisation. Liberalism and Esposito,
Edinburgh Un. Press. Edinburgh . V. Manolache, Ecce Philosophia politica.
‘Diferenta’ Lui Roberto Esposito, ISPRI, Bucarest . Altri progetti Collabora a
Wikiquote Citazionio su Roberto Esposito Collabora a Wikimedia Commons
Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Roberto Esposito Roberto Esposito, su Treccani.itEnciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Opere di Roberto Esposito, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di
Roberto Esposito, . Registrazioni di
Roberto Esposito, su RadioRadicale.it, Radio Radicale. degli scritti di Roberto Esposito (1976-)C.
Claverini Filmato audio Video n. 4 e altre parti di "New Paths" (1,
2, 3, 5, 6), su YouTube. 10 aprile . Le
Concept d'impolitique[collegamento interrotto], conferenza del 6 dicembre 2000
per l'Université de tous les savoirs, a Parigi.Interpreting the 20th century:
totalitarianism or biopolitics ?, sul sito Barcelona Metropolis
evola: Grice: “Evola was a bit of a
linguistic philosopher; I enjoyed his rambling on the proper use of “Latin”
versus “Roman;” Evola notes that the implicatures differ. ‘Roman’ he links with
Spartan, and he opposes to the formation, ‘greco-romano’ o ‘classico’ – “Latin”
he applies to “lingua romana,” as Orazio and Tacitus had done!” – Grice: “If I
had to think of the equivalent linguistic analysis by an English philosopher, I
can only think of DeFoe, and his satire on what constitutes an Englishman!
Later parodied by Gilbert and Sullivan and put to good effect in “Chariots of
Fire,” where Abrams is seen referred to as “HE IS.. an Englishman! For he
himself has said it!” -- - Italian philosopher -- Giulio Cesare Andrea Evola, meglio conosciuto
come Julius Evola (n. Roma), filosofo. Fu personalità poliedrica nel panorama
culturale italiano del Novecento, in ragione dei suoi molteplici interessi:
arte, filosofia, storia, politica, esoterismo, religione, costume, studi sulla
razza. Le sue posizioni si inquadrano nell'ambito di una cultura di tipo
aristocratico-tradizionale e di tendenze ideologiche in gran parte presenti
anche nel fascismo e nel nazionalsocialismo, pur esprimendosi talvolta in
chiave critica nei confronti dei due regimi. Mussolini ne apprezza alcune
impostazioni: in particolare il ritorno alla romanità e una teoria della razza
in chiave spirituale. Da parte sua il filosofo nutre una pacata ammirazione nei
confronti del Duce. Evola ha una sua influenza, anche se difficilmente
quantificabile, nel variegato mondo della cultura fascista: con lo scopo di
indirizzarne l'impostazione culturale ed ideologica verso posizioni più affini
al suo pensiero, scrive numerosi saggi, collabora intensamente con riviste e
giornali di grande tiratura e partecipa alla vita accademica del suo tempo in
veste di conferenziere, sia presso alcune prestigiose università italiane e
straniere che nell'ambito dei corsi di mistica fascista. Ma è lo stesso
Evola, nel primo numero della rivista da lui diretta, La Torre, quando espone
il suo pensiero sul mondo della tradizione, a sintetizzare la sua posizione
verso il fascismo: «Nella misura che il fascismo segua e difenda tali principi,
in questa stessa misura noi possiamo considerarci fascisti. E questo è tutto».
C'è anche chi ritiene che in sede diplomatica Evola svolgesse missioni ad
altissimi livelli per conto dello stesso governo italiano. Nonostante
ciò, le sue idee eterodosse non sempre sono ben accette dalla classe dirigente
italiana del tempo e gli valgono la sospensione di alcune pubblicazioni da
parte dello stesso PNF e in Germania il sospetto delle gerarchie naziste. Evola
contribuisce alla divulgazione in Italia di importanti autori europei del XIX e
del XX secolo: Bachofen, Guénon, Jünger, Ortega y Gasset, Spengler, Weininger,
traducendo alcune loro opere e pubblicando saggi critici. La complessità
del suo pensiero gli procura, anche dopo la fine della guerra, un grande
seguito negli ambienti conservatori italiani ed europei, da quelli più
tradizionalisti del neofascismo (Pino Rauti ed Enzo Erra del Centro Studi
Ordine Nuovo) fino a quelli rappresentati da esponenti della destra più
moderata (Giano Accame, Marcello Veneziani). Le sue opere vengono tradotte e
pubblicate in Germania, Francia, Spagna, Portogallo, Belgio, Grecia, Svizzera,
Gran Bretagna, Russia, Stati Uniti, Messico, Canada, Romania, Argentina,
Brasile, Ungheria, Polonia, Turchia. Giulio Cesare Evola nacque a Roma. I
genitori di Giulio Cesare Evola furono Vincenzo Evola, nato il 4 maggio 1854 e
Concetta Mangiapane, nata il 15 agosto 1865. Entrambi i genitori erano
siciliani, Cinisi, un comune della
Provincia di Palermo. I nonni paterni di Giulio Cesare Evola erano Giuseppe
Evola e Maria Cusumano. Giuseppe Evola è riportato come falegname nell'atto di
nascita di Vincenzo. I nonni materni di Giulio Cesare Evola erano Cesare
Mangiapane e Caterina Munacó. Cesare Mangiapane è riportato come bottegaio nel
registro delle nascite di Concetta. Vincenzo Evola e Concetta Mangiapane si
sposarono a Cinisi il 25 novembre 1892. Nell'atto di matrimonio Vincenzo Evola
è riportato come capo meccanico telegrafico e già residente a Roma, mentre
Concetta Mangiapane è riportata come possidente. Giulio Cesare Evola aveva un
fratello maggiore, Giuseppe Gaspare Dinamo Evola, nato a Roma il 7 Agosto 1895,
per cui, essendo il secondo figlio maschio, seguendo la convenzione di denominazione
siciliana dell'epoca, seppur con una leggera variazione, Giulio Cesare Evola fu
in parte denominato in onore al nonno materno. Benché non lo fosse,
Giulio Cesare Evola è stato spesso riportato come barone, in riferimento a un
presunto distante rapporto di discendenza con una famiglia aristocratica
siciliana di antica origine normanna (gli Evoli, baroni di Castropignano in
Molise, nel Tardo Medioevo, poi passati in Sicilia) del Regno di Sicilia. Evola
studiò all'Istituto Tecnico "Leonardo da Vinci" di Roma. Le poche
notizie sui suoi anni di formazione si possono ricavare dall'autobiografia
intitolata Il cammino del cinabro, pubblicata nel 1963 dall'editore Scheiwiller
e che, nelle intenzioni dell'autore, sarebbe dovuta uscire postuma:
«Nella prima adolescenza, mentre seguivo studi tecnici e matematici, si
sviluppò in me un interesse naturale e vivo per le esperienze del pensiero e
dell'arte. Da giovinetto, sùbito dopo il periodo dei romanzi d'avventure, mi
ero messo in mente di compilare, insieme ad un amico, una storia della
filosofia, a base di sunti. D'altra parte, se mi ero già sentito attratto da
scrittori, come Wilde e D'Annunzio, presto il mio interesse si estese, da essi,
a tutta la letteratura e l'arte più recenti. Passavo intere giornate in biblioteca,
in un regime serrato ma libero di letture. In particolare, per me ebbe
importanza l'incontro con pensatori, come Nietzsche, Michelstaedter e
Weininger. Esso valse ad alimentare una tendenza di base, anche se, a tutta
prima, in forme confuse e in parte distorte, quindi con una mescolanza del
positivo col negativo» (Julius Evola, Il cammino del cinabro5.) La
lettura delle opere degli autori su citati (in particolare Nietzsche), ha sul
giovane Evola alcune dirette conseguenze: in primo luogo un'opposizione al
Cristianesimo, soprattutto in riferimento alla teoria del peccato e della
redenzione, del sacrificio divino e della grazia. In secondo luogo una sorta di
insofferenza verso il mondo borghese, la sua piccola morale e il suo
conformismo. Decide dunque di svincolarsi dalla routine borghese,
soprattutto nei suoi aspetti più concreti e quotidiani: famiglia, lavoro,
amicizie. Si iscrive alla facoltà di ingegneria, ma rifiuta di discutere la
tesi per disprezzo dei titoli accademici, poiché «l'apparire come un
"dottore" o un "professore" in veste autorizzata e per
scopi pratici, mi sembrò cosa intollerabile, benché in seguito dovessi vedermi
continuamente applicati titoli che non ho». Prosegue nello studio
dell'arte e della filosofia: «A parte gli autori accennati, va menzionata
l'influenza che su me adolescente esercitò anche il movimento che alla vigilia
della prima guerra mondiale e durante la prima parte di essa ebbe per centro
Giovanni Papini con le riviste Leonardo e Lacerba, in seguito in parte anche
con La Voce. Fu il periodo dell'unico vero Sturm und Drang che la nostra
nazione abbia conosciuto, dell'urgere di forze insofferenti del clima
soffocante dell'Italietta borghese del primo novecento […] A lui e al suo
gruppo si deve il nostro venire a contatto con le correnti straniere più varie
e interessanti del pensiero e dell'arte d'avanguardia, con l'effetto di un
rinnovamento e di un ampliamento di orizzonti» (Julius Evola, Il cammino
del cinabro5.) Successivamente si distacca anche da Papini, soprattutto per la
sua conversione al cattolicesimo ed a seguito della pubblicazione del libro
Storia di Cristo (1921). Inizia giovane l'attività in campo artistico: i
primi quadri risalgono al 1915, le prime poesie al 1916. Attraverso
Giovanni Papini entra in contatto con alcuni esponenti del Futurismo quali
Giacomo Balla e Filippo Tommaso Marinetti. Nel 1919 partecipa alla "Grande
Esposizione Nazionale Futurista" di Palazzo Cova a Milano. Ben presto si
stacca da questo movimento per ragioni che lui stesso espone: «Non tardai però
a riconoscere che, a parte il lato rivoluzionario, l'orientamento del futurismo
si accordava assai poco con le mie inclinazioni. In esso mi infastidiva il
sensualismo, la mancanza di interiorità, tutto il lato chiassoso e esibizionistico,
una grezza esaltazione della vita e dell'istinto curiosamente mescolata con
quella del macchinismo e di una specie di americanismo, mentre, per un altro
verso, ci si dava a forme sciovinistiche di nazionalismo. A quest'ultimo
riguardo la divergenza mi apparve netta allo scoppio della prima guerra
mondiale, a causa della violenta campagna interventista svolta sia dai
futuristi che dal gruppo di Lacerba. Per me era inconcepibile che tutti
costoro, con alla testa l'iconoclasta Papini, sposassero a cuor leggero i più
vieti luoghi comuni patriottardi della propaganda antigermanica, credendo sul
serio che si trattasse di una guerra per la difesa della civiltà e della
libertà contro il barbaro e l'aggressore» (Julius Evola, Il cammino del
cinabro8.) A questa prima fase, definita dallo stesso Evola idealismo
sensoriale, appartengono le opere: Fucina, studio di rumori; Five o'clock tea;
e Mazzo di fiori. Gli anni della Prima
guerra mondiale Monte Cimone di Tonezza, 1917 Frequenta a Torino un corso
per allievi ufficiali e partecipa alla Prima guerra mondiale come ufficiale di
artiglieria sull'altopiano di Asiago dal 1917 al 1918. Rientra a Roma dopo il
conflitto ed attraversa una profonda crisi esistenziale che lo porta al bordo
del suicidio, come egli stesso riporta ne Il cammino del cinabro: «Questa
soluzione [...] fu evitata grazie a qualcosa di simile ad una illuminazione,
che io ebbi nel leggere un testo del buddhismo delle origini. Fu per me una
luce improvvisa: in quel momento deve essersi prodotto in me un mutamento, e il
sorgere di una fermezza capace di resistere a qualsiasi crisi» (Julius
Evola, Il cammino del cinabro10.) Il passo cui si riferisce Evola è il
seguente: «Chi prende l'estinzione come estinzione e, presa l'estinzione come
estinzione, pensa all'estinzione, pensa sull'estinzione, pensa "Mia è
l'estinzione" e si rallegra dell'estinzione, costui, io dico, non conosce
l'estinzione». Si tratta di una traduzione e rielaborazione di una frase del
Buddha contenuta nel discorso del Mulapariyâya Sutta (Canone pāli, Majjhima
Nikaya, I). Il secondo periodo artistico: l'astrattismo mistico Nel 1920
aderisce al Dadaismo ed entra in contatto epistolare con Tristan Tzara. Come
pittore diviene uno dei massimi esponenti del Dadaismo in Italia. Questa
seconda fase viene definita, sempre da Evola, astrattismo mistico ovvero una
reinterpretazione dada in chiave di spiritualismo e di idealismo. A questa fase
appartengono alcune importanti opere: Paesaggio interiore 10,30 (1918-20) e
Astrazione (1918-20). Questo periodo vede Evola impegnato in due mostre
personali: quella del gennaio 1920 alla casa d'arte Bragaglia di Roma, e quella
del gennaio 1921 alla galleria Der Sturm di Berlino in cui presenta sessanta
dipinti.[25] Pubblica nel 1920, per la Collection Dada, l'opuscolo Arte
astratta. Sempre nello stesso anno fonda con Gino Cantarelli la rivista Bleu e
pubblica a Zurigo il poema dada La parole obscure du paysage intérieur.
Collabora inoltre con Cronache d'attualità di Anton Giulio Bragaglia e con Noi
di Enrico Prampolini. Nel 1923 cessa l'attività pittorica e fino al 1925 fa uso
di sostanze stupefacenti con il fine di raggiungere stati alterati di coscienza:
«In questo contesto, vi è anche da accennare all'effetto di alcune esperienze
interiori da me affrontate a tutta prima senza una precisa tecnica e coscienza
del fine, con l'aiuto di certe sostanze che non sono gli stupefacenti più in
uso [...] Mi portai, per tal via, verso forme di coscienza in parte staccate
dai sensi fisici».[26] Il mancato suicidio è per Evola il momento di
passaggio più significativo: fine del periodo artistico e inizio del periodo
filosofico. Esce nel 1925 il primo libro di filosofia: Saggi sull'idealismo
magico. Coerentemente con le posizioni teoriche della sua seconda fase
artistica (astrattismo mistico) Evola si distacca dall'idealismo hegeliano in
favore di una libertà interiore assoluta. Il pensiero deve prefiggersi il
compito di superare i limiti dell'umano per andare verso l'oltre-uomo
teorizzato da Nietzsche. L'attualismo gentiliano diventa dunque il punto di
partenza: dall'Io come principio attivo della realtà su un piano
logico-astratto, all'Io come criterio di potenza capace di affermare
l'individuo assoluto.[30] Secondo Evola l'individuo assoluto è
immediatamente sé nelle infinite affermazioni individuali ed in ciascuna di
esse si fruisce come libertà, come incondizionata agilità ed arbitrio
assoluto.[31] Termina nel 1924 la Teoria e fenomenologia dell'individuo
assoluto che inizia a scrivere già in trincea (nel 1917) e che viene pubblicata
in due volumi (nel 1927 e nel 1930) dall'editore Bocca. In questo testo Evola
si interessa delle dottrine riguardanti il sovrarazionale, il sacro e la gnosi,
con l'obiettivo di tentare il superamento della dualità io/non-io. Il suo
interesse verso le tradizioni orientali si manifesta in L'uomo come potenza,
pubblicato nel 1926, dove compare una concezione dell'io ispirata ai dettami del
tantrismo e del taoismo. Queste ultime opere segnano un'ulteriore svolta:
passaggio da una posizione filosofica di tipo teoretico ad una di tipo
pragmatico. Evola cerca infatti di individuare strumenti concreti per mezzo dei
quali calare nella vita quotidiana la teoria dell'Individuo assoluto. A partire
dal 1924 inizia un'intensa esperienza giornalistica: partecipa alla redazione
di Lo Stato democratico, una rivista contemporaneamente antifascista ed
antidemocratica, e tra il 1924 e il 1926 collabora a riviste come Ultra,
Bilychnis, Ignis, Atanor e Il mondo. In questo periodo Evola frequenta i
circoli esoterici romani e partecipa alla vita notturna della capitale
intrattenendo un tempestoso rapporto sentimentale con Sibilla Aleramo, come lei
stessa riporta nel libro Amo dunque sono del 1927: «Disumano qual è,
gelido architetto di teorie funambolesche, vanitoso, perverso, s'è trovato
dinanzi a me come a cosa tutta viva, tutta schietta, mentre aveva fantasticato
chissà... quale avventura necrofila. E questa cosa tutta schietta l'ha turbato,
l'ha commosso, segretamente […]» (Sibilla Aleramo, Amo dunque sono,
Milano, Mondadori, 1927104.) La versione tedesca di Imperialismo pagano
Tra il 1927 e il 1929 coordina il Gruppo di Ur, che si occupa di esoterismo e
di ricerche sulle tradizioni extra europee: un'antologia dei fascicoli editi
viene più tardi pubblicata in tre volumi (tra il 1955 e il 1956) con il titolo
Introduzione alla magia quale scienza dell'Io. Conosce Arturo Reghini e legge i
suoi scritti. Anche sulla scorta di esperienze condivise con il noto
esoterista, nel 1928 pubblica un libro che gli procura grande fama:
Imperialismo pagano. In questo pamphlet (poi tradotto in tedesco nel 1933[32])
Evola attacca violentemente il Cristianesimo ed esorta il Fascismo a ritrovare
l'antica grandezza della civiltà romana: «Oserà dunque il fascismo
assumere qui, qui donde già le aquile imperiali partirono per il dominio del
mondo sotto la potenza augustea, solare, regale […] oserà qui riprendere la
fiaccola della tradizione mediterranea?» (Julius Evola, Imperialismo
pagano, Padova, Edizioni di Ar, 199624.) Influenzato dalla lettura delle opere
di René Guénon abbandona in seguito le tesi estremiste di Imperialismo pagano a
favore del concetto di "tradizione" e fonda con Emilio Servadio la
rivista La Torre (uscita in soli dieci numeri tra febbraio e giugno del 1930),
destinata a difendere principi sovrapolitici, in realtà «una tribuna di
intellettuali che si battevano per un fascismo più radicale e più
intrepido».[33] Critiche mosse ad alcuni personaggi del Regime dalle pagine de
La Torre, provocano l'intervento di Starace che prima diffida Evola dal
continuare la pubblicazione, poi proibisce a tutte le tipografie romane di
stampare la rivista la cui pubblicazione, alla fine, viene sospesa. Evola
viene sorvegliato dal regime in quanto accusato di affiliazione all'Ordo Templi
Orientis ed è costretto ad assumere alcune guardie del corpo (come testimoniato
da Massimo Scaligero) . Inizia un periodo dedicato interamente all'alpinismo.
Nel 1930, con la guida alpina Eugenio David, affronta la scalata della parete
settentrionale del Lyskamm Orientale.[34] Di questa e di altre esperienze viene
poi redatto un libro nel 1973: Meditazioni delle vette.[35] Evola intende
l'alpinismo come pratica ascetica e meditazione spirituale: superamento dei
limiti della condizione umana attraverso l'azione e la contemplazione, che
divengono due elementi inseparabili, «un'ascesa che si trasforma in ascesi». Successivamente
pubblica due opere: La tradizione ermetica e Maschera e volto dello spiritualismo
contemporaneo. La prima è una disamina dell'aspetto magico, esoterico e
simbolico dell'alchimia. La seconda è un saggio critico su quelle correnti di
pensiero che, secondo Evola, «invece di elevare l'uomo dal razionalismo moderno
e dal materialismo, lo portano ancora più in basso: spiritismo, teosofia, antroposofia
e psicoanalisi». Nel 1934 appare la sua opera fondamentale, Rivolta contro il
mondo moderno, nella quale traccia un affresco della storia letta secondo lo
schema ciclico tradizionale delle quattro età: oro, argento, bronzo e ferro
nella tradizione occidentale e satya, treta, dvapara e Kali Yuga in quella
induista. In Rivolta Evola oppone il mondo tradizionale al mondo moderno.
Nella prima parte analizza le categorie qualificanti l'uomo della tradizione e
le antiche "razze divine"; nella seconda analizza la genesi del mondo
moderno ed i processi a causa dei quali la civiltà tradizionale è crollata (dal
dominio dell'autorità spirituale al dominio del "quarto stato").
Partendo da questi presupposti, tre anni dopo, esamina a fondo Il mistero del
Graal (1937) e le sue implicazioni dottrinarie nelle visioni dei diversi
periodi storici, impostando tutta la sua disamina sul concetto di "tradizione
ghibellina dell'impero", cercando di svincolare il Graal e la sua portata
simbolica dalla tradizione cristiana. A partire dal 1934 Evola collabora
attivamente con la Scuola di mistica fascista, fondata da Niccolò Giani nel
1930, tenendo alcune conferenze e figurando nel comitato di redazione della
rivista Dottrina fascista. La maggior parte degli interventi di Evola in
conferenze e scritti, riguardano principalmente il tema del razzismo, argomento
che trova appoggio sia da parte di Giani che da parte dello stesso Mussolini.
Secondo Evola, tuttavia, l'espressione mistica fascista rappresenta
un'incongruenza potendo parlare, al più, di etica fascista. Questo perché in
realtà il fascismo, secondo Evola, «non affronta il problema dei valori
superiori, i valori del sacro, solo in relazione ai quali si può parlare di
mistica».[38] Jean-Paul Lippigiurista e saggista francese, tra i più
importanti studiosi d'oltralpe del pensatore tradizionalerileva di come Evola
ravveda nella mistica «un elemento rilevatore di una spiritualità lunare e del
polo femminile dello spirito». E infatti il sottotitolo di Diorama filosoficola
pagina prima mensile e poi quindicinale curata da Evola nel quotidiano Il
Regime Fascista di Cremona tra il 1934 e il 1943è: Problemi dello spirito
nell'etica fascista. Nel 2009 una serie di scritti di Evola relativi alla
scuola di mistica fascista, sono stati pubblicati dall'editore Controcorrente
di Napoli,[40] e aiutano in parte a chiarire le posizioni assunte dal filosofo
all'interno della suddetta corrente. Le tesi sulla razza «Sia
razzialmente, sia in fatto di ideali, esiste una grande opposizione fra l'uomo
ariano e tradizionale europeo e il giudeo. Fin dalle origini il giudeo ci è
apparso come un essere diviso in se stesso. A differenza dell’ariano egli fu
sempre incapace di concepire e di realizzare un'armonia fra spirito e corpo. Il
corpo significò per lui la carne, cioè una crassa e peccaminosa materialità, da
cui deve redimersi per raggiungere lo spirito che per lui sta in una sfera
astratta, fuori della vita. Ma nel giudeo questo impulso alla liberazione
fallisce ed allora le prospettive si invertono: colui che era tormentato dal
pungolo della redenzione si precipita disperatamente nella materia, si
abbandona ad una brama illimitata per la materia, per la potenza materiale e
per il piacere. Voi così vedete un uomo che si sente schiavo della carne e per
questo vuol vedere intorno a sé solo degli schiavi come lui. Perciò egli gode
dovunque egli scopra l’illusorietà dei valori superiori, dovunque torbidi
retroscena si palesino dietro la facciata della spiritualità, della sacralità,
della giustizia e dell’innocenza.» (Julius Evola, La civiltà occidentale
e l’intelligenza ebraica) A metà degli anni trenta Evola inizia ad
orientare i propri studi su aspetti più propriamente politici, legati in
particolar modo alla "questione della razza". Riprende l'attività
giornalistica scrivendo su quotidiani: Il Regime Fascista, Corriere Padano, Il
Giornale della Domenica, Roma, Il Popolo d'Italia, La Stampa e Il Mattino; su
stampe e periodici: Logos, Educazione Fascista, La Rivista del Club Alpino
Italiano, Politica, Nuova Antologia, '900, Il progresso religioso, La difesa
della razza, Augustea, Carattere, Insegnare e Scuola e cultura.[56] Nel
1937 pubblica Il Mito del Sangue (poi riedito nel 1942) dove ricostruisce le
concezioni sulla razza dalle civiltà antiche fino alle teorie Professore(de
Gobineau, Woltmann, de Lapouge, Chamberlain), contrapponendole alla versione
moderna del razzismo biologico di stampo nazionalsocialista. Segue nel 1941
Sintesi di dottrina della razza. In questi testi esprime le sue concezioni
antisemite non basate su un razzismo biologico, ma spirituale. Gli ebrei, per
Evola, non possono essere considerati una razza: «Già la Bibbia parla di 7 popoli
che avrebbero concorso a formare il sangue ebraico [...] Come da questo
composto etnico abbia potuto sorgere un sentimento così vivo di solidarietà e
di fedeltà al sangue [...] tale da far pensare che il popolo ebraico
praticamente sia stato fra i popoli più razzisti della storiaquesto è un
mistero [...] La formula, in ogni modo, è che gli ebrei non sono una razza ma
solo una Nazione». Edizione russa dei Protocolli del 1912 Egli oppone a livello
tradizionale "Giudei" ed "Ariani" (da "Arya") nel
nome di una differenza di spirito. Nel 1937 pubblica la Introduzione alla
quinta edizione italiana dei Protocolli dei savi di Sion, manifestando adesione
al feroce e maniacale antisemitismo di Giovanni Preziosi, traduttore ed editore
del pamphlet. In questa Introduzione afferma che non avrebbe importanza la non
autenticità storica dell'opuscolo, visto che comunque lo stesso manifesta
veridicità secondo lui attendibile nel descrivere i maneggi ebraici per il
controllo della società (banche, stampa, mercato, politica). L'ebraismo è per
Evola una colpa senza redenzione: «nemmeno il battesimo e la crocefissione
cambia la natura ebraica».[58] Si esprime negativamente sul colonialismo
giudicando l'Etiopia conquistata dall'Italia nient'altro che una «contraffazione
degenerescente di un organismo tradizionale».[59] Sempre in quegli anni tiene
un ciclo di conferenze presso le Firenze e di Milano su richiesta del Ministro
dell'Educazione Nazionale Bottai. Benché non ve ne sia traccia nella biografia
dell'autore, il saggista Franco Cuomo scrive che Evola, nel 1938, è tra i
firmatari del cosiddetto Manifesto della razza.[60] Tutt'oggi la
"questione razziale" di Evola rimane un tema molto dibattuto tra gli
studiosi[senza fonte]. A partire dagli anni sessanta, Evola, a più riprese,
cerca di ribadirein alcuni casi rivedendo certe posizioni giovanilila sua
concezione sulla razza. Già ne Il mito del sangue Evola, in riferimento
alla concezione biologica che i tedeschi fanno del razzismo, espone le sue
perplessità: «È ben possibile che in questo stato il razzismo avrebbe potuto
aver la possibilità di sviluppare più proficuamente gli elementi valevoli che
esso può comprendere in sé. Invece, con l'assurgere a ideologia ufficiale di
una rivoluzione [quella nazionalsocialista germanica], il razzismo ha finito
con il pregiudicare siffatti elementi»[61] facendo riferimenti espliciti alla
figura di Hitler: «[...] l'idea razzista da parte dello Hitler [...] quanto a
idee nuove rispetto a quel che finora abbiamo conosciuto, non ve ne è quasi nessuna».[62]
Dedica un intero capitolo (Il problema della razza) della sua autobiografia a
questo tema in cui ribadisce la necessità di interpretare il concetto di razza
da un punto di vista spirituale e non biologico, contestando ad Alfred Rosenberg
(il principale esponente del razzismo nazionalsocialista) la strada del
razzismo materialistico intrapresa a suo tempo dalla Germania, definendola
«materialismo zoologico»[63] e condannando apertamente il «fanatismo
antisemita». Fanatismo verso il quale, nel 1963, dichiara: «né io, né i miei
amici in Germania sapevamo degli eccessi nazisti contro gli ebrei [...] e se ne
avessimo saputo in alcun modo avremmo potuto approvarli». Evola ha una
concezione dell'uomo come essere costituito da corpo, anima e spirito, dove la
parte spirituale deve avere il primato su quella corporea. Secondo Evola
«l'opportunità di questa formulazione risiede nel fatto che una razza può
degenerare, anche restando biologicamente pura, se la parte interiore e
spirituale è morta, diminuita o obnubilata, se ha perso la propria forza (come
presso certi tipi nordici attuali). Inoltre gli incroci, di cui oggi pochissime
stirpi sono esenti, possono avere come conseguenza che ad un corpo di una data
razza siano legati, in un individuo, il carattere e l'orientamento spirituale
propri di un'altra razza, donde una più complessa concezione del
meticciato».[65] Lo storico Renzo De Felice, pur molto critico e severo
rispetto al pensiero e alle tesi di Evola, testimonia di come lo stesso Evola
respinge «anche più recisamente [dell'Acerbo] ogni teorizzazione del razzismo
in chiave esclusivamente biologica», ponendo il pensatore tradizionale tra coloro
che «imboccata una certa strada, la seppero percorrere, in confronto con tanti
che scelsero quella della menzogna, dell'insulto, del completo obnubilamento di
ogni valore culturale e morale, con dignità e persino con serietà». A tale
proposito De Felice segnala anche che Evola non è il solo a prendere le
distanze dal razzismo biologico di matrice nazionalsocialista. Altre note
figure della cultura fascista del tempo, come Giacomo Acerbo, e meno note, come
Vincenzo Mazzei, se ne dissociano.[67] L'impostazione critica data da De Felice
su questo passaggio del pensiero di Evola è particolarmente apprezzata dagli
autori filo-evoliani.[68] Anche Paolo Orano sviluppa, secondo taluni, una
forma di antisemitismo etico-sociale che rinvia a Il mito del sangue di Evola L'approccio al "problema della
razza" di Evola, come quello di Acerbo ed Orano, pur se sviluppato da posizioni
e secondo logiche diverse, viene apprezzato da Mussolini che ne intravede gli
elementi differenziatori da quello germanico, anche se successivamente il
"Duce" non si farà scrupolo di dare patente di legittimità anche
all'antisemitismo di un Preziosi, di un Interlandi e di un Gayda. Altri
autori, invece, ritengono che l'opera e il pensiero di Evola continuino ad
essere razzisti tout court o addirittura emuli delle tesi di Paolo Orano. È di
questo avviso Attilio Milano che, a proposito della campagna antiebraica
fascista, scrive: «Primo, in ordine di tempo, e per notorietà personale, come
già ricordato, fu Paolo Orano [...] dietro di lui, con una vena più scadente,
comparvero anche Ebrei, Cristianesimo, Fascismo, di Alfredo Romanini, Tre
aspetti del problema ebraico, di Giulio Evola [...]» Lo storico Francesco Germinario nel suo saggio
Razza del Sangue, razza dello Spirito[ analizza in particolare il progressivo
avvicinamento di Evola al nazionalsocialismo, specialmente in relazione
all'ammirazione che il filosofo aveva nei confronti delle SS. La tesi di
maggior rilievo del saggio di Germinario consiste nel tentativo di interpretare
il razzismo evoliano come una sorta di differenzialismo in nuce, ovvero un
razzismo che identifica il suo obiettivo principale nella ricomposizione dei
cosiddetti tre ordini di razza: corpo, anima, spirito. Dunque, secondo
Germinario, Evola riprende, seppur in maniera meno esplicita, alcune delle
teorie del de Gobineu che cercano di identificare una gerarchia ideale nei gruppi
delle razze umane. Lo storico torinese Francesco Cassata, che ha dedicato molti
suoi scritti al rapporto tra fascismo e razzismo e agli studi sull'eugenetica,
nel suo A destra del fascismo,[73] sottolinea di come il razzismo sia un
aspetto centrale del pensiero evoliano, e che in realtà lo stesso è volutamente
depotenziato e purificato dai suoi estimatori con lo scopo di dare una visione
edulcorata delle teorie del filosofo. Più dura la posizione del
giornalista Gianni Scipione Rossi, che con il volume Il razzista totalitario.
cerca di mettere in luce quegli aspetti contraddittori del pensiero evoliano
rispetto al tema della razza. Ma soprattutto Il razzista totalitario tenta di
dimostrare che quella di Evola non è una parentesi razzista, ma una costruzione
originale ed autonoma di una teoria che accompagna tutta l'opera evoliana. Per
il germanista Furio Jesi Evola è «un razzista così sporco che ripugna toccarlo
con le dita». Lo storico e saggista
torinese infatti dubita fortemente della definizione spiritualistica attribuita
al razzismo di Evola[76] e ritiene anzi che le sue teorie farmeticanti e
triviali conducano direttamente ad Auschwitz: «Egli [Evola] non si è mai
dichiarato paladino dei roghi dei libri, anche se bisogna precisare che
implicitamente, da intellettuale, s'intende, ha dato una mano ai forni
crematori non per libri ma per uomini». La maggior parte delle critiche mosse a
Evola e ai suoi studi sulla razza (per esempio da Dana Lloyd Thomas, Gianni
Scipione Rossi, Francesco Germinario, Francesco Cassata), sostanzialmente,
cercano di dimostrare che il cosiddetto razzismo spirituale in realtà è una
sofisticata costruzione teorica utilizzata dall'autore e ancor più dai suoi
epigoni per celare il convincimento di un vero e proprio razzismo di matrice
biologica, e che dunque c'è in realtà un filo diretto tra le teorie
nazionalsocialiste e quelle evoliane, queste ultime solo apparentemente diverse
In ogni caso è in concomitanza con la
campagna antiebraica scatenata dal regime fascista a partire dal 1937 che
Julius Evola, grazie al suo "razzismo spirituale", entra
definitivamente a far parte, a pieno titolo, della cultura e
dell'intelligencija fascista di quegli anni. Secondo Fabio Venzi, in maniera
del tutto infondata, ciò non impedisce ad Evola di avere una "doppia
affiliazione" ed essere pure membro della Massoneria. Evola non aderisce
al Partito fascista e tale mancata adesione gli impedisce nel 1940 di
arruolarsi come volontario contro l'Unione Sovietica nel corso della Seconda
guerra mondiale. Nel 1942 viene pubblicato un suo saggio dal titolo Per un
allineamento politico-culturale dell'Italia e della Germania[80] nel quale
esprime ammirazione per il nazismo tedesco, considerandolo superiore al
fascismo in ragione del coraggio nel risvegliare l'antico spirito ariano e
germanico. Critica tuttavia l'incompletezza nell'attuazione di questo
programma, non abbastanza radicale e aderente ai principi della
"Tradizione": per esempio una difesa della razza improntata
giuridicamente ad una sorta di "igiene razziale" e il potere del
Führer derivato dal popolo e non un potere regale di origine divina come
nell'ideale società ario-germanica delle origini. Evola teorizza dunque
il tradizionalismo puro, ideale e radicale, capace di attuare i propri principi
e di far trionfare la cultura romana e pagana delle origini. Tra l'Unione
Sovietica bolscevica e gli Stati Uniti d'America capitalistici, il
nazionalsocialismo tedesco gli sembra proporre una terza via: un impero europeo
e pagano sotto la guida egemonica della Germania di Hitler. Nel 1943,
riprendendo temi già trattati nei suoi anni giovanili, pubblica La dottrina del
risveglio, un saggio sull'ascesi buddhista. Nel 1951 l'opera viene poi tradotta
in inglese da Harold Edward Musson (Ñāṇavīra Thera) con l'avallo della Pali
Society, anche se l'unica fonte che riporta questa informazione è lo stesso
Evola: «L'edizione inglese aveva avuto il crisma della Pali Society, noto
istituto accademico di studi sul buddhismo delle origini, che aveva
riconosciuto la validità della mia trattazione». Ancor oggi rimane aperto, tra
gli studiosi, il dibattito sull'adesione di Evola alla Repubblica Sociale, alla
quale fanno accenno saggi ed opere enciclopediche di larga diffusione.In realtà
subito dopo l'8 settembre, il filosofo romano, che si trova in Germania per
tenere alcune conferenze, raggiunge a Monaco gli altri esuli fascisti «[...]
osservando con distacco reazionario scelte che non lo convincono». Farà ritorno
nell'Italia liberata solo al termine della guerra. Essendo Evola rigorosamente
contrario all'abrogazione della Monarchia e alla trasformazione dell'Italia in
una Repubblica, intraprende tentativi di influenza sulle SS e sui nazisti
tedeschi, compreso lo stesso Heinrich Himmler. Si scopre poi, nel dopoguerra,
che Evola èsia in Germania che in Italiatenuto sotto stretta sorveglianza
dall'Ahnenerbe.Le SS gli permettono di avere ruoli culturali di rilievo solo
nei casi in cui questo giovi alla causa tedesca. Tuttavia Evola collaborò con
la sezione delle SS che si occupava di studiare e combattere le trame occulte e
antitradizionali della massoneria e dei poteri forti in genere[86]. Nel
1945 Evola si trova a Vienna e nell'intento «di non schivare anzi di cercare i
pericoli, nel senso di un tacito interrogare la sorte»[87] si avventura in una
passeggiata durante i bombardamenti sovietici che colpiscono la capitale
austriaca. Sbalzato da uno spostamento d'aria, subisce una lesione al midollo
spinale che gli provoca una paralisi permanente agli arti inferiori.[88] Solo
nel 1948, grazie all'interessamento di Umberto Zanotti Biancopresidente della
Croce Rossa Internazionaleviene trasferito prima al sanatorio di Cuasso al
Monte, poi a Bologna e infine, nel 1951, a Roma, come egli stesso riporta in
una lettera inviata all'amico poeta Girolamo Comi.[89 A partire dal 1949
inizia la collaborazione con la rivista La Sfida fondata da Enzo Erra, Pino
Rauti ed Egidio Sterpa, ispirando poi la nascita della nuova rivista Imperium
che vede la luce nel 1950. Nel 1950 pubblica su Imperium l'opuscolo
Orientamenti nel quale vengono sintetizzate in undici punti le sue idee (poi
sviluppate nei libri successivi e riedite nel 1970). Nel 1951 Evola viene
arrestato con le accuse di apologia di fascismo e di essere l'ispiratore di
alcuni gruppi neofascisti: si tratta del processo ai FAR (Fasci di Azione
Rivoluzionaria). In questa occasione Evola viene difeso gratuitamente
dall'avvocato Francesco Carnelutti[90] e dall'ex ministro dell'RSI Piero
Pisenti ed egli stesso tiene dinanzi al Tribunale un'autodifesa poi pubblicata
integralmente dalla Fondazione Julius Evola.[91] Scrive Evola: «Dissi che
attribuirmi idee fasciste era un assurdo, non in quanto erano fasciste, ma solo
in quanto, rappresentavano, nel fascismo, la riapparizione di principi della grande
tradizione Politica europea di Destra in genere. Io potevo aver difeso e potevo
continuare a difendere certe concezioni in fatto di dottrina dello Stato. Si
era liberi di fare il processo a tali concezioni. Ma in tal caso si dovevano
far sedere sullo stesso banco degli accusati: Platone, un Metternich, un
Bismarck, il Dante del De Monarchia e via dicendo» (Julius Evola, Il
cammino del cinabro, op. cit., 94-95.)
Pino Rauti ricorda che Evola viene portato dall'infermeria di Regina Coeli
nella I sezione della Corte d'Assise di Roma su un telo retto da quattro
detenuti, per l'occasione trasformati in infermieri, in quanto in tutta la
Corte non vi è una sedia a rotelle.[92] Una rara fotografia degli
anni cinquanta Il processo ai FAR si conclude il 20 novembre del 1951 con
l'assoluzione di Evola con formula piena. Successivamente lo scrittore
Marcello Veneziani, in relazione all'accusa mossa ad Evola di essere
l'ispiratore e ideologo dei FAR, scrive che «[...] gli errori compiuti da chi
ha cercato di tradurre Evola sul terreno sismico della politica, appartengono a
chi li ha compiuti e non ad Evola».[93] Analoga tesi sostiene Giorgio
Galli,[94] sottolineando inoltre di come lo stesso Evola è molto polemico nei
confronti delle ristampe cosiddette "non autorizzate" che alcuni
fanno dei suoi testi, soprattutto in relazione agli scritti giovanili
(Imperialismo pagano in particolare) e a quelli relativi al problema della
razza (Il mito del sangue, Indirizzi per una educazione razziale, Sintesi di
dottrina della razza). Scrive Evola in L'Italiano: «Non è certo colpa mia
se alcuni giovani hanno fatto un uso arbitrario, confuso e poco serio di alcune
idee dei miei libri, scambiando piani molto diversi».[95] Secondo Gianfranco De
Turris, non potendo accusare Evola direttamente per i suoi scritti, si tenta di
effettuare una "doppia lettura" dei suoi testi: una lettura palese
per il volgo ed una "esoterica" per gli "iniziati". Furio
Jesi è il primo ad avanzare questa teoria nel suo famoso Cultura di destra del
1979. Altri autori sostengono invece che Evola sia un vero e proprio cattivo
maestro. Felice Pallavicinipartigiano e frequentatore di Evolacosì stigmatizza
l'influenza del pensatore tradizionale sui giovani neofascisti: «Non ha
fabbricato ordigni esplosivi, non è stato il capo di una banda di dinamitardi,
ma le idee producono fatti, conseguenze [...] Ebbene l'evolismo ha prodotto
fascismo, razzismo e antisemitismo. La rivolta ha senso solo se alla
distruzione segue la ricostruzione, ma Evola ha badato solo a distruggere».[97] Nel
1953 pubblica Gli uomini e le rovinetesto che esercita grande influenza negli
ambienti della destra italiananel quale spiega la decadenza del mondo moderno
in seguito alla distruzione del principio di autorità e di ogni possibilità di
trascendenza per l'affermarsi del razionalismo, in contrasto con le antiche
civiltà e i valori della Tradizione. Nel 1958 esce la Metafisica del sesso
sulla forza magica e potentissima dell'atto sessuale, attraverso lo studio dei
simboli esteso a numerose tradizioni. Nel 1959 esce un testo sul pensiero di
Jünger: L'«Operaio» nel pensiero di Ernst Jünger. Nel 1961 è la volta di
Cavalcare la tigre in cui prosegue la sua critica al mondo moderno, offrendo
una guida per coloro che pur non sentendo di appartenere interiormente a questo
mondo, hanno intenzione di non cedervi psicologicamente ed
esistenzialmente. Scrive anche su alcune riviste ispirate al concetto
metafisico ed immanente di Tradizione, come Il Ghibellino. Gli uomini e le
rovine e Cavalcare la tigre sono considerati due testi fondamentali grazie ai
quali c'è «una fattiva adesione dei giovani di destra al ribellismo antisistema
partito dalle università»[98] alla fine degli anni sessanta. Scrive Pino Tosca:
«Se si medita bene, ci si accorgerà che la posizione dei tradizionalisti nei
fatti del '68, proviene in massima parte dalla lettura miscellanea di questi
due testi».[99] Nel 1963 pubblica Il cammino del cinabro, la sua autobiografia,
e nel 1968 un volume di saggi: L'arco e la clava. In questi anni torna
all'attenzione del pubblico la sua produzione artistica: nel 1963 Enrico
Crispolti organizza una mostra dei suoi quadri alla galleria La Medusa di Roma;
nel 1969 viene pubblicata da Scheiwiller Raâga Blanda, una raccolta di tutte le
sue poesie, tra cui alcuni lavori inediti. Riprende anche l'attività
giornalistica e scrive su Meridiano d'Italia, Monarchia, Barbarossa, Ordine
Nuovo, Domani, Il Conciliatore, Totalità, Vie della Tradizione e Il Borghese.
In questo periodo Evola assiste alla costituzione del Gruppo dei Dioscuri,
sodalizio dedito al ripristino della cultualità romana ed italica, di cui è uno
degli ispiratori,[100] attraverso i suoi scritti sulla romanità, il paganesimo
e le idee imperiali, oltre che attraverso un particolare rapporto di intimità
intellettuale con i fondatori dei Dioscuri. Gli ultimi anni Julius
Evola in una fotografia del 1973 Vive gli ultimi anni con una pensione di
invalido di guerra facendo traduzioni e scrivendo articoli, sostenuto
economicamente da alcuni ammiratori guidati da Sergio Bonifazi, direttore del
trimestrale Solstitivm. Un primo scompenso cardiaco si manifesta nel 1968, un
secondo nel 1970. In quest'ultima occasione viene fatto ricoverare in ospedale
da Placido Procesi, suo medico personale. Evola è infastidito dalle suore che
lo assistono e minaccia di denunciarle per sequestro di persona. Viene fatto
rientrare nella sua abitazione. La sua salute continua costantemente a
peggiorare: inizia ad avere difficoltà respiratorie ed epatiche. Poco
prima della morte detta lo statuto originario di quella che sarebbe diventata
la Fondazione Julius Evola per la difesa dei valori di una cultura conforme
alla Tradizione.[101] Muore nella sua casa romana di corso Vittorio Emanuele
l'11 giugno del 1974. Pierre Pascal così lo ricorda nei suoi ultimi
giorni: «Gli dissi il desiderio supremo di Henry de Montherlant: essere ridotto
in ceneri dal fuoco, affinché fossero disperse a brezza leggera del Foro, tra i
Rostri e il Tempio di Vesta. Allora quest'uomo, che era davanti a me, disteso, con
le belle mani incrociate sul petto mi mormorò dolcemente e quasi
impercettibilmente: "Io vorrei... ho disposto... che le mie fossero
lanciate dall'alto di una montagna"». L'esecuzione testamentaria è
affidata all'avvocato Paolo Andriani, condirettore della rivista Civiltà e
amico fraterno, il quale riesce, dopo molte peripezie, a far cremare il corpo
di Evolacome da sua esplicita richiestapresso il cimitero di Spoleto. L'amica
di Evola Amalia Baccelli ricorda che il feretro rimane per molti giorni bloccato
al Cimitero del Verano nella stanza mortuaria.[103] Un'urna contenente le
ceneri viene consegnata alla guida emerita del CAI Eugenio Davidcompagno di
scalate di Evola in giovinezzae calata nel crepaccio del Lyskamm Orientale sul
Monte Rosa dal Direttore del Centro Studi Evoliani di Genova Renato Del
Ponte[104]. Una seconda urna si trova invece presso la tomba di famiglia al
cimitero del Verano. Evola è propugnatore del Tradizionalismo, un modello
ideale e sovratemporale di società caratterizzato in senso spirituale,
aristocratico e gerarchico. Secondo l'autore tale modello si riscontra, da un
punto di vista storico, in civiltà quali quella egiziana, romana e indiana.
Tali civiltà non si basano su criteri economici, materiali e biologici, ma sono
suddivise e gestite in base a criteri di gerarchia sociale di carattere
ereditario e spirituale. L'essere e il divenire Secondo Evola ogni azione
che avviene durante la vita biologica (il divenire) rispecchia direttamente una
medesima azione di carattere metafisico (l'essere) e dunque imperitura e
sovratemporale. Il tempo e l'involuzione dell'uomo Il cammino dell'uomo
durante la sua involuzione (come la definisce lo stesso Evola in aperto
contrasto con le teorie darwiniane) avviene attraverso un percorso di tipo circolare,
non lineare. Traccia di questa teoria la si trova, ad esempio, nello schema
proposto da Esiodo relativo alla cosiddetta teoria delle cinque età (dell'oro,
dell'argento, del bronzo, degli eroi, del ferro), corrispondenti ai quattro
yuga dell'induismo. Queste civiltà menzionateritenute superiori da Evolasi
basano dunque su una più elevata dimensione metafisica e spirituale
dell'esistenza, anziché su criteri di ordine materiale. La naturale decadenza
di queste società è direttamente proporzionale all'aumento del progresso e
della modernità. Tale processo di decadenza ha inizio con la perdita
dell'unico polo che in passato racchiude sia l'autorità spirituale che quella
temporale e prosegue con la spinta propulsiva dei valori illuministi espressi
con la Rivoluzione francese: si arriva così alla società odierna dove la
dimensione spirituale dell'esistenza è andata definitivamente perduta. In
particolare Evola rifiuta totalmente il concetto di egualitarismo, in favore di
una visione differenziatrice della natura umana. Ne consegue un netto rifiuto
per la democrazia (intesa come strumento di massa) e parimenti per ogni forma
di totalitarismo, anch'esso ritenuto uno strumento di massa che si basa non su
un'autorità spirituale, bensì su un'autorità esclusivamente di tipo
temporale. La via iniziatica Secondo Evola l'uomo ha la possibilità di
elevarsi alla sfera divina e metafisica attraverso precise strade (il rito e
l'iniziazione), utilizzando determinati strumenti (l'azione e la
contemplazione) all'interno di contesti sociali predeterminati (la casta,
l'impero). In aperto contrasto con le teorie di Sant'Agostino espresse nel De
civitate dei ed in sintonia con i dettami del buddhismo delle origini, Evola
sostiene che non esiste differenza quantitativa tra l'uomo e il dio. Per
l'autore ogni uomo è un dio mortale e ogni dio un uomo immortale. Il razzismo
"spirituale" Conseguenza di questo pensiero è che le differenze
naturali tra gli esseri umani si rispecchierebbero anche nelle razze. Il
filosofo rifiuta una visione razzista della vita in senso biologico, sostenendo
invece la sua teoria del cosiddetto "razzismo spirituale". La
"razza interiore" di cui parla Evola è definita come un patrimonio di
tendenze e attitudini che, a seconda delle influenze ambientali, giungerebbero
o meno a manifestarsi compiutamente. L'appartenenza a una razza si
individuerebbe dunque sulla base delle caratteristiche spirituali, e in seguito
di quelle fisiche, diventandone col tempo queste ultime il segno visibile.
Partendo da questi presupposti assiomatici, Evola definisce gli ebrei come
razza materialista e spiritualmente inferiore rispetto alla razza ariana, in
sintonia con alcune idee del nazismo tedesco. Nonostante il rifiuto della
concezione pseudo-scientifica del razzismo biologico, nei confronti degli ebrei
il "razzismo spirituale" di Evola non rappresenta una versione
attenuata dell'antisemitismo nazista, ma un suo ribaltamento in senso
metafisico: secondo Enzo Collotti, «il razzismo spirituale del quale parla
Evola vuole partire appunto dal dato biologico, che gli pare ancora troppo
rozzo e deterministico, per sublimarlo e portarlo a pieno compimento "sul
piano dello spirito", ossia sul piano metafisico. In tal modo Evola
intendeva potenziare e nobilitare, e non già attenuare, il razzismo,
avvolgendolo in una nebulosa filosofeggiante e scrostandolo di quel tanto di
ruvido antropologismo»[107]. Nel 1994 vengono ritrovate presso l'archivio
crociano di Napoli sette lettere scritte da Evola a Benedetto Croce (più una,
l'ottava, indirizzata all'editore Laterza). Tale ritrovamento, ad opera di
Stefano Arcellafunzionario dei Beni Culturali presso la biblioteca di
Napolipermette di ricostruire almeno in parte i rapporti tra Evola e il
filosofo del liberalismo. Evola invia inizialmente a Croce, in una lettera del
13 aprile 1925, la richiesta di intercedere presso l'editore Laterza per la
pubblicazione dei Saggi sull'idealismo magico e Teoria dell'individuo assoluto.
Pochi giorni dopo Evola risponde ad una cartolina postale di Croce ringraziandolo
per il giudizio di apprezzamento sul lato formale dei due manoscritti.
Laterza, nonostante l'appoggio favorevole di Benedetto Croce, scrive ad Evola
una lettera il 14 settembre 1925 in cui precisa di volersi riservare «la
massima libertà di decidere anche nei riguardi di autorevoli amici». Evola
scrive nuovamente a Croce chiedendo aiuto per la sua nuova opera sull'alchimia:
La tradizione ermetica. In una successiva, breve lettera, Evola ringrazia Croce
per l'interessamento e l'anno successivo, il manoscritto esce per i tipi
dell'editore barese. Secondo Stefano Arcella[109] in questo periodo si
realizza un collegamento tra due opposizioni culturali al fascismo: una in
senso tradizionale (Evola) ed una in senso liberale (Croce). Secondo Gianfranco
De Turris[110] Evola si rivolge a Croce in quanto preferisce aperture presso
uomini e gruppi non dogmatici, più che presso l'ufficialità del regime
fascista. Poiché Evola non lascia un archivio epistolare, non è possibile
analizzare le risposte date da Croce alle missive dello stesso Evola. Senza le
risposte di Croce diventa infatti difficile valutare l'apertura del pensatore
liberale verso i contributi filosofici del pensatore tradizionale.
Lettere a Giovanni Gentile Giovanni Gentile Evola invia, tra il 1927 e il
1929, quattro lettere al Senatore Gentile. Nonostante le marcate divergenze sul
piano filosoficoEvola si discosta dall'attualismo gentiliano in favore di una
rigida codificazione teoretica (l'idealismo magico)il pensatore tradizionale
cerca un confronto con uno dei massimi esponenti del mondo accademico. Tale
confronto, secondo Stefano Arcella[111]curatore del volume Lettere di Julius
Evola a Giovanni Gentile non produce risvolti interessanti sotto il profilo
speculativo in quanto i due filosofi sono su posizioni eccessivamente distanti,
ed anche i presupposti dottrinali e religiosi sono inconciliabili. Sempre
Arcella afferma che «il tentativo evoliano di aprire un colloquio costruttivo
rimane un fiore che non sboccia». Evola cerca di costruire, pur senza risultati
apprezzabili, un punto di riferimento culturale alternativo all'ambiente
gentiliano. Nel Cammino dei cinabro tenta di spiegare così le ragioni di questo
mancato incontro: «Tutti i riferimenti extra-filosofici di cui il mio
sistema filosofico era ricco servirono come un comodo pretesto per
l'ostracismo. Si poteva liquidare con un'alzata di spalle un sistema che
accordava un posto perfino al mondo dell'iniziazione, della "magia" e
di altri relitti superstiziosi. Che tutto ciò da me fosse fatto valere nei
termini di un rigoroso pensiero speculativo, a poco servì. Però anche da parte
mia vi era un equivoco, nei riguardi di coloro ai quali, sul piano pratico, la
mia fatica speculativa poteva servire a qualcosa. Si trattava di una
introduzione filosofica ad un mondo non filosofico, la quale poteva avere un
significato nei soli rarissimi casi in cui la filosofia ultima avesse dato
luogo ad una profonda crisi esistenziale. Ma vi era anche da considerare (e di
questo in seguito mi resi sempre più conto) che i precedenti filosofici, cioè
l'abito del pensiero astratto discorsivo, rappresentavano la qualificazione più
sfavorevole affinché tale crisi potesse essere superata nel senso positivo da
me indicato, con un passaggio a discipline realizzatrici» (Julius Evola,
Il cammino del cinabro61.) Gentile tuttavia riconosce ad Evola una certa
competenza in campo esoterico-alchemico ed infatti chiede al filosofo della
tradizione di curare la voce Atanor per l'Enciclopedia Italiana.[113] Anche
alcuni allievi di Gentile riconoscono ad Evola una certa stima, in particolare
Guido Calogero. Alessandro Giuli successivamente riporta altre informazioni,
relative al carteggio Evola-Gentile, reperite all'interno della
"Fondazione Giovanni Gentile per gli studi filosofici", occupandosi
in particolare dei vari volumi[116] che Evola invia con dedica al
Senatore. Lettere a Carl Schmitt Carl Schmitt Si tratta di sette
lettere inviate da Evola a Schmitt tra il 1951 e il 1963, conservate nel
Nachlass Carl Schmitt dell'Archivio di Stato di Düsseldorf L'epistolario mette
in luce da una parte alcune amicizie e conoscenze in comune tra i due pensatori
(Ernst Jünger, Armin Mohler e il principe di Rohan), dall'altra il tentativo di
proporre la pubblicazione in italiano del saggio di Schmitt sul tradizionalista
cattolico Donoso Cortés.Tale tentativo non va in porto, così come fallisce
anche il secondo progetto editoriale, risalente al 1963, di pubblicare
un'antologia schmittiana. Di rilievo, all'interno dello scambio
epistolare, le due divergenti visioni rispetto alle teorie di Donoso Cortés sul
ruolo dell'uomo politico e la sua autonomia. Evola interpreta il concetto di
dictatura coronada come «necessità di un potere che decida assolutamente, ma ad
un livello di una dignità superiore, indicata dall'aggettivo coronada».[119]
Per il giurista tedesco, invece, esiste prima di tutto un passaggio
significativo che porta dal concetto della legittimità del regnare a quello
della dittatura. Per Cortés, scrive Schmitt, «la dittatura incoronata, la dictadura
coronada, significava solo un pis-aller pratico [...] mai ha concepito questo
espediente pragmatico come una forma di salvezza religiosa o
teologica».[120] Anche in questo casocosì come già ampiamente esposto in
Rivolta contro il mondo moderno[121]il costante rimando evoliano ad un
fondamento trascendente dell'ordine politico rimane «quell'ineliminabile
discrimine che non può essere in alcun modo occultato o minimizzato». Antonio
Caracciolo sottolinea anche di come l'epistolario assume rilievo in relazione
al tentativo di «fornire di solidi contrafforti ideologici e culturali il mondo
conservatore che, nel dopoguerra italiano, si trovava a combattere la sua
battaglia politica».[123] Lettere a Gottfried Benn Gottfried Benn
Evola entra in contatto epistolare con Gottfried Bennmedico e poeta tedesco
appartenente alla cosiddetta Rivoluzione conservatricefin dal 1930. Il primo
incontro risale invece al 1934, durante la tappa berlinese di un viaggio che
Evola effettua in Germania. Da quell'incontro scaturisce una famosa
recensione-saggio di Benn alla traduzione tedesca di Rivolta contro il mondo
moderno[124] che appare nel 1935 sulla rivista Die Literatur di Stoccarda. Nel
presentare l'opera, Benn espone le sue teorie convergendo con la visione del
mondo di Evola. Successivamente Francesco Tedeschi rintraccia nello
Schiller-Nationalmuseum Deutsches Literaturarchiv di Marbach due lettere
manoscritte (la prima del 30 luglio e la seconda del 9 agosto 1934) più una
dattiloscritta del 13 settembre 1955 che Evola invia a Benn. Le prime due
lettere sono importanti in quanto chiariscono la comunanza di vedute dei due
autori rispetto al tema della tradizione e di una visione del mondo
conservatrice, oltre al fatto che entrambi non si riconoscono nel nazismo tedesco.
Dalla lettera del 9 agosto: «Sono sempre più convinto che a chi voglia
difendere e realizzare senza compromessi di sorta una tradizione spirituale e
aristocratica non rimanga purtroppo, oggi e nel mondo moderno, alcun margine di
spazio; a meno che non si pensi unicamente a un lavoro elitario». La terza
lettera è importante in quanto testimonia il tentativo di Evola di riprendere,
nel dopoguerra, i rapporti con quegli esponenti conservatori che conosce negli
anni trenta e quaranta. Lettere a Tristan Tzara Tristan Tzara in un
ritratto di Lajos Tihanyi Nel 1975 compaiono, in un articolo di Giovanni
Lista,[128] brani di due lettere inviate da Evola a Tristan Tzara, il fondatore
del Dadaismo. Dall'articolo non si evince però la loro collocazione. Solo nel
1989, grazie al lavoro di ricerca della studiosa Elisabetta Valento, tutta la
corrispondenza viene trovata presso l'archivio della Fondation Jaques Doucet
della biblioteca Sainte-Geneviève di Parigi. Si tratta di una trentina di
documenti tra lettere e cartoline: la prima è del 7 ottobre 1919, l'ultima del
1º agosto 1923. Molte tappe del cammino artistico del filosofo romano sono già
note prima del rinvenimento della corrispondenza con Tzara: in parte perché lo
stesso Evola ne parla nella sua autobiografia, in parte perché dedotte dai
critici e dagli studiosi nelle partecipazioni, in qualità di articolista, che
Evola ha in alcune riviste d'arte dell'epoca: Noi, Cronache d'Attualità, Dada e
Bleu. Secondo la Valento, ciò che invece non è noto prima del rinvenimento
della corrispondenza, sono «le modalità dell'avventura evoliana nella sfera
artistica, ovvero come essa si attuò, come fu vissuta, a che mirava». L'archivio della corrispondenza tra i due
artisti ha, inoltre, il pregio di colmare il vuoto di un periodo giovanile poco
conosciuto di Evola. Questo vuoto si colma sia attraverso la ricostruzione di
tappe cronologiche (il recupero di alcune date, partecipazioni a mostre,
riviste, incontri) sia attraverso il recupero di tappe più specificamente
«psicologiche».[131] In particolare quelle che portano Evola ad annunciare il
proprio suicidio (lettera 24 del 2 luglio 1921) e che raccontano di un uomo
colto nel pieno male di vivere, di una sperimentazione del travaglio interiore
che l'artista vive tra il 1920 e il 1921, dove la «sofferenza acuta si alterna
alla disperazione». Opere dell'autore Julius Evola, Arte Astratta, posizione
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L'estinzione vale a lui come estinzione, allora egli deve non pensare all'estinzione,
non pensare sull'estinzione, non pensare 'Mia è l'estinzione', non rallegrarsi
dell'estinzione: e perché? Perché impari a conoscerla, dico io.» Per un approfondimento: Gianfranco De Turris
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Archiviato il 24 luglio in
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pittorica di Evola si rimanda a due cataloghi:
Julius Evola e l'arte delle avanguardie. Tra Futurismo, Dada e Alchimia,
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Turris, Julius Evola. Un filosofo in guerra 1943 1945, Milano, Ugo Mursia
Editore, , 978-88-425-5675-6. Rene
Guenon, Lettere a Julius Evola, edizioni Arktos, 2005 Heliodromos, n. 6 Nuova
Serie, 1995Speciale Evola, Catania In altre lingue Christophe Boutin, Politique et tradition:
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metaphysicien et penseur politique: Essai d'analyse structurale, Éditions L'Âge
d'Homme, Jean-Paul Lippi, Julius Evola:
qui suis-je?, Pardès, 1999.
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Democracy), London, Routledge, . Documentari Dalla Trincea a Dada di Maurizio
Murelli. DVD pubblicato nel 2006 dalla Società Editrice Barbarossa di Milano,
della durata di 101 min., che ripercorre il periodo artistico di Evola. Con
musiche di: Ain Soph, Kaiserbund, Roma, Wien, Zetazeroalfa. Arte e
cultura Avanguardia Dadaismo Futurismo Gruppo di Ur Idealismo magico
Rivoluzione conservatrice Sturm und Drang Autori e pensatori tradizionali
Johann Jakob Bachofen René Guénon Pio Filippani Ronconi Ernst Jünger Friedrich
Nietzsche José Ortega y Gasset Arturo Reghini Giulio Parise Carl Schmitt Oswald
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italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
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Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
EX-DVCTVM -- eductum: eduction, the process of initial clarification, as of
a phenomenon, text, or argument, that normally takes place prior to logical
analysis. Out of the flux of vague and confused experiences certain
characteristics are drawn into some kind of order or intelligibility in order
that attention can be focused on them Aristotle, Physics I. These
characteristics often are latent, hidden, or implicit. The notion often is used
with reference to texts as well as experience. Thus it becomes closely related to
exegesis and hermeneutics, tending to be reserved for the sorts of
clarification that precede formal or logical analyses.
EX-FECTVM --
effectum: causa efficiencis --
effective procedure for the generation of a conversational implicaturum --, a
step-by-step recipe for computing the values of a function. It determines what
is to be done at each step, without requiring any ingenuity of anyone or any
machine executing it. The input and output of the procedure consist of items
that can be processed mechanically. Idealizing a little, inputs and outputs are
often taken to be strings on a finite alphabet. It is customary to extend the
notion to procedures for manipulating natural numbers, via a canonical
notation. Each number is associated with a string, its numeral. Typical
examples of effective procedures are the standard grade school procedures for
addition, multiplication, etc. One can execute the procedures without knowing
anything about the natural numbers. The term ‘mechanical procedure’ or
‘algorithm’ is sometimes also used. A function f is computable if there is an
effective procedure A that computes f. For every m in the domain of f, if A
were given m as input, it would produce fm as output. Turing machines are
mathematical models of effective procedures. Church’s thesis, or Turing’s
thesis, is that a function is computable provided there is a Turing machine
that computes it. In other words, for every effective procedure, there is a
Turing machine that computes the same function.
EX-HIBITVM -- inhibitium/exhibitum
distinction, the: exhibitum: Grice: “For one, I will introduce a pair of not
really antonyms: the exhibitive and not the inhibitive, but the protreptic.”
Grice contrasts this with the protrepticumA piece of a communicatum is an
exhitibum if it is a communication-device for the emisor to display his
psychological attitude. It is protrepticum if the emisor intends the sendee to
entertain a state other than the uptakei. e. form a volition to close the door,
for how else will he comply with the order in the imperative modeprotrepticum:
the opposite of the exhibitium.
EX-MISSVM -- emissum: emissor. A construction out of ex- and ‘missum,’ cf. Grice
on psi-trans-mis-sion. Grice’s utterer, but turned Griceian, To emit, to
translate some Gricism or other. Cf. proffer. emissum. emissor-emissum distinction.
Frequently ignored by Austin. Grice usually formulates it ‘roughly.’ Strawson
for some reason denied the reducibility of the emissum to the emissor. Vide his
footnote in his Inaugural lecture at Oxford. it is a truth implicitly
acknowledged by communication theorists themselves -- this acknowledgement is
is certainly implicit in Grice's distinction between what speakers actually
say, in a favored sense of 'say', and what they imply (see "Utterer's
Meaning, SentenceMeaning and Word-Meaning," in Foundations of Language,
1968) -- that in almost all the things we should count as sentences there is a
substantial central core of meaning which is explicable either in terms of
truth-conditions or in terms of some related notion quite simply derivable from
that of a truth-condition, for example the notion, as we might call it, of a
compliance condition in the case of an imperative sentence or a
fulfillment-condition in the case of an optative. If we suppose, therefore,
that an account can be given of the notion of a truthcondition itself, an
account which is indeed independent of reference to communicationintention,
then we may reasonably think that the greater part of the task of a general
theory of meaning has been accomplished without such reference. So let us see
if we can rephrase the distinction for a one-off predicament. By drawing a
skull, Blackburn communicates to his fellow Pembrokite that there is danger
around. The proposition is ‘There is danger around’. Of the claims, one is
literal; the other metabolical. Blackburn means that there is danger around.
Blackburn communicates that there is danger around, possibly leading to death.
The emissum, Blackburn’s drawing of the skull ‘means’ that there is danger
around. Since the fact that Blackburn communicates that p is diaphanous, we
have yet another way of posing the distinction: Blackburn communicates that
there is danger around. What is communicated by Blackburnhis emissumis true.
Note that in this diaphanous change from ‘Blackburn communicates that there is
danger around’ and ‘What Blackburn communicates, viz. that there is danger
around, is true’ we have progressed quite a bit. There are ways of involving
‘true’ in the first stage. Blackburn communicates that there is danger around,
and he communicates something true. In the classical languages, this is done in
the accusative case. emissum. emit. V. emissor. A good
verb used by Grice. It gives us ‘emitter, and it is more Graeco-Roman than his
‘utterer,’ which Cicero would think a barbarism.
EX-MOTVM -- emotum: the emotum, the motum. Grice enjoyed a bit of history of
philosophy. Cf. conatum. And Urmson’s company helped. Urmson produced a
brilliant study of the ‘emotive’ theory of ethics, which is indeed linguistic
and based on Ogden. Diog. Laert. of Zeno of Citium. πρὸς τὸν εἰπόντα,
"πολλοί σου καταγελῶσιν," "ἀλλ ἐγώ," ἔφη, "οὐ κατα-
γελῶμαι; to the question, who is a friend?, Zeno’s answer is, ‘a second self
(alter ego). One direct way to approach friend is via emotion, as
Aristotle did, and found it aporetic as did Grice. Aristotle discusses philia
in Eth. Nich. but it is in Rhet. where he allows for phulia to be an emotion.
Grice was very fortunate to have Hardie as his tutor. He overused Hardies
lectures on Aristotle, too, and instilled them on his own tutees! Grice is
concerned with the rather cryptic view by Aristotle of the friend (philos,
amicus) as the alter ego. In Grice’s cooperative, concerted, view of
things, a friend in need is a friend indeed! Grice is interested in Aristotle
finding himself in an aporia. In Nicomachean Ethics IX.ix, Aristotle poses the
question whether the happy man will need friends or not. Kosman correctly
identifies this question as asking not whether friends are necessary in order
to achieve eudæmonia, but why we require friends even when we are happy. The
question is not why we need friends to become happy, but why we need friends
when we are happy, since the eudæmon must be self-sufficient. Philia is
required for the flourishing of the life of practical virtue. The solution by
Aristotle to the aporia here, however, points to the requirement of friendships
even for the philosopher, in his life of theoretical virtue. The olution
by Aristotle to the aporia in Nicomachean Ethics IX.ix is opaque, and the
corresponding passage in Eudeiman Ethics VII.xii is scarcely better. Aristotle
thinks he has found the solution to this aporia. We must take two things into
consideration, that life is desirable and also that the good is, and thence
that it is desirable that such a nature should belong to oneself as it belongs
to them. If then, of such a pair of corresponding s. there is always one s. of
the desirable, and the known and the perceived are in general constituted by
their participation in the nature of the determined, so that to wish to
perceive ones self is to wish oneself to be of a certain definite
character,—since, then we are not in ourselves possessed of each such
characters, but only in participation in these qualities in perceiving and
knowing—for the perceiver becomes perceived in that way in respect in which he
first perceives, and according to the way in which and the object which he
perceives; and the knower becomes known in the same way— therefore it is for
this reason that one always desires to live, because one always desires to
know; and this is because he himself wishes to be the object known. emotion, as
conceived by philosophers and psychologists, any of several general types of
mental states, approximately those that had been called “passions” by earlier
philosophers, such as Descartes and Hume. Anger, e.g., is one emotion, fear a
second, and joy a third. An emotion may also be a content-specific type, e.g.,
fear of an earthquake, or a token of an emotion type, e.g., Mary’s present fear
that an earthquake is imminent. The various states typically classified as emotions
appear to be linked together only by overlapping family resemblances rather
than by a set of necessary and sufficient conditions. Thus an adequate
philosophical or psychological “theory of emotion” should probably be a family
of theories. Even to label these states “emotions” wrongly suggests that they
are all marked by emotion, in the older sense of mental agitation a
metaphorical extension of the original sense, agitated motion. A person who is,
e.g., pleased or sad about something is not typically agitated. To speak of
anger, fear, joy, sadness, etc., collectively as “the emotions” fosters the
assumption which James said he took for granted that these are just
qualitatively distinct feelings of mental agitation. This exaggerates the
importance of agitation and neglects the characteristic differences, noted by
Aristotle, Spinoza, and others, in the types of situations that evoke the
various emotions. One important feature of most emotions is captured by the
older category of passions, in the sense of ‘ways of being acted upon’. In many
lanemotion emotion 259 259 guages
nearly all emotion adjectives are derived from participles: e.g., the English
words ‘amused’, ‘annoyed’, ‘ashamed’, ‘astonished’, ‘delighted’, ‘embarrassed’,
‘excited’, ‘frightened’, ‘horrified’, ‘irritated’, ‘pleased’, ‘terrified’,
‘surprised’, ‘upset’, and ‘worried’. When we are, e.g., embarrassed, something
acts on us, i.e., embarrasses us: typically, some situation or fact of which we
are aware, such as our having on unmatched shoes. To call embarrassment a
passion in the sense of a way of being acted upon does not imply that we are
“passive” with respect to it, i.e., have no control over whether a given
situation embarrasses us and thus no responsibility for our embarrassment. Not
only situations and facts but also persons may “do” something to us, as in love
and hate, and mere possibilities may have an effect on us, as in fear and hope.
The possibility emotions are sometimes characterized as “forward-looking,” and
emotions that are responses to actual situations or facts are said to be
“backward-looking.” These temporal characterizations are inaccurate and
misleading. One may be fearful or hopeful that a certain event occurred in the
past, provided one is not certain as to whether it occurred; and one may be,
e.g., embarrassed about what is going to occur, provided one is certain it will
occur. In various passions the effect on us may include involuntary
physiological changes, feelings of agitation due to arousal of the autonomic nervous
system, characteristic facial expressions, and inclinations toward intentional
action or inaction that arise independently of any rational warrant.
Phenomenologically, however, these effects do not appear to us to be alien and
non-rational, like muscular spasms. Rather they seem an integral part of our
perception of the situation as, e.g., an embarrassing situation, or one that
warrants our embarrassment. emotive
conjugation: I went to Oxford; you went to Cambridge; he went to the London
School of Economics”: a humorous verbal conjugation, designed to expose and
mock first-person bias, in which ostensibly the same action is described in
successively more pejorative terms through the first, second, and third persons
e.g., “I am firm, You are stubborn, He is a pig-headed fool”. This example was
used by Russell in the course of a BBC Radio “Brains’ Trust” discussion. It was
popularized later that year when The New Statesman ran a competition for other
examples. An “unprecedented response” brought in 2,000 entries, including: “I
am well informed, You listen to gossip, He believes what he reads in the
paper”; and “I went to Oxford, You went to Cambridge, He went to the London
School of Economics” Russell was educated at Cambridge and later taught there. -- emotivism, a noncognitivist metaethical
view opposed to cognitivism, which holds that moral judgments should be
construed as assertions about the moral properties of actions, persons,
policies, and other objects of moral assessment, that moral predicates purport
to refer to properties of such objects, that moral judgments or the
propositions that they express can be true or false, and that cognizers can
have the cognitive attitude of belief toward the propositions that moral
judgments express. Noncognitivism denies these claims; it holds that moral
judgments do not make assertions or express propositions. If moral judgments do
not express propositions, the former can be neither true nor false, and moral
belief and moral knowledge are not possible. The emotivist is a noncognitivist
who claims that moral judgments, in their primary sense, express the
appraiser’s attitudes approval or
disapproval toward the object of
evaluation, rather than make assertions about the properties of that object.
Because emotivism treats moral judgments as the expressions of the appraiser’s
pro and con attitudes, it is sometimes referred to as the boohurrah theory of
ethics. Emotivists distinguish their thesis that moral judgments express the
appraiser’s attitudes from the subjectivist claim that they state or report the
appraiser’s attitudes the latter view is a form of cognitivism. Some versions
of emotivism distinguish between this primary, emotive meaning of moral
judgments and a secondary, descriptive meaning. In its primary, emotive
meaning, a moral judgment expresses the appraiser’s attitudes toward the object
of evaluation rather than ascribing properties to that object. But secondarily,
moral judgments refer to those non-moral properties of the object of evaluation
in virtue of which the appraiser has and expresses her attitudes. So if I judge
that your act of torture is wrong, my judgment has two components. Its primary,
emotive sense is to express my disapproval of your act. Its secondary,
descriptive sense is to denote those non-moral properties of your act upon
which I base my disapproval. These are presumably the very properties that make
it an act of torture roughly, a causing
of intense pain in order to punish, coerce, or afford sadistic pleasure. By
making emotive meaning primary, emotivists claim to preserve the univocity of
moral language between speakers who employ different criteria of application
for their moral terms. Also, by stressing the intimate connection between moral
judgment and the agent’s non-cognitive attitudes, emotivists claim to capture
the motivational properties of moral judgment. Some emotivists have also
attempted to account for ascriptions of truth to moral judgments by accepting
the redundancy account of ascriptions of truth as expressions of agreement with
the original judgment. The emotivist must think that such ascriptions of truth
to moral judgments merely reflect the ascriber’s agreement in noncognitive
attitude with the attitude expressed by the original judgment. Critics of
emotivism challenge these alleged virtues. They claim that moral agreement need
not track agreement in attitude; there can be moral disagreement without
disagreement in attitude between moralists with different moral views, and
disagreement in attitude without moral disagreement between moralists and
immoralists. By distinguishing between the meaning of moral terms and speakers’
beliefs about the extension of those terms, critics claim that we can account
for the univocity of moral terms in spite of moral disagreement without
introducing a primary emotive sense for moral terms. Critics also allege that
the emotivist analysis of moral judgments as the expression of the appraiser’s
attitudes precludes recognizing the possibility of moral judgments that do not
engage or reflect the attitudes of the appraiser. For instance, it is not clear
how emotivism can accommodate the amoralist
one who recognizes moral requirements but is indifferent to them.
Critics also charge emotivism with failure to capture the cognitive aspects of
moral discourse. Because emotivism is a theory about moral judgment or
assertion, it is difficult for the emotivist to give a semantic analysis of
moral predicates in unasserted contexts, such as in the antecedents of
conditional moral judgments e.g., “If he did wrong, then he ought to be
punished”. Finally, one might want to recognize the truth of some moral
judgments, perhaps in order to make room for the possibility of moral mistakes.
If so, then one may not be satisfied with the emotivist’s appeal to redundancy
or disquotational accounts of the ascription of truth. Emotivism was introduced
by Ayer in Language, Truth, and Logic 2d ed., 6 and refined by C. L. Stevenson
in Facts and Values 3 and Ethics and Language 4. Refs.:
Luigi Speranza, “Croce, Collingwood, and Grice on the expression of emotion” --
There is an essay on “Emotions and akrasia,” but the topic is scattered in
various places, such as Grice’s reply to Davidson on intending. Grice has an
essay on ‘Kant and friendship,’ too, The H. P. Grice Papers, BANC.
EX-PERITVM -- Experitumex-periIn Roman, ex- preferred, in
Grecian, im-preferred, ex-pĕrĭor , pertus ( I.act. experiero, Varr. L. L. 8, 9, 24 dub.),
4, v. dep. a. [ex- and root per-; Sanscr. par-, pi-parmi, conduct; Gr. περάω,
pass through; πόρος, passage; πεῖρα, experience; Lat. porta, portus, peritus,
periculum; Germ. fahren, erfahren; Eng. fare, ferry], to try a thing; viz.,
either by way of testing or of attempting it. I. To try, prove, put to the
test. A. In tem praes. constr. with the acc., a rel. clause, or absol. (α).
With acc.: “habuisse aiunt domi (venenum), vimque ejus esse expertum in servo
quodam ad eam rem ipsam parato,” Cic. Cael. 24, 58: “taciturnitatem nostram,”
id. Brut. 65, 231: “amorem alicujus,” id. Att. 16, 16, C, 1: “his persuaserant,
uti eandem belli fortunam experirentur,” Caes. B. G. 2, 16, 3: “judicium
discipulorum,” Quint. 2, 5, 12: “in quo totas vires suas eloquentia
experiretur,” id. 10, 1, 109: “imperium,” Liv. 2, 59, 4: “cervi cornua ad
arbores subinde experientes,” Plin. 8, 32, 50, § 117 et saep.— “With a personal
object: vin' me experiri?” make trial of me, Plaut. Merc. 4, 4, 29: “hanc
experiamur,” Ter. Hec. 5, 2, 12 Ruhnk.: “tum se denique errasse sentiunt, cum
eos (amicos) gravis aliquis casus experiri cogit,” Cic. Lael. 22, 84: “in
periclitandis experiendisque pueris,” id. Div. 2, 46, 97.—So with se. reflex.,
to make trial of one's powers in any thing: “se heroo (versu),” Plin. Ep. 7, 4,
3 variis se studiorum generibus, id. ib. 9, 29, 1: “se in foro,” Quint. 12, 11,
16.— (β). With a rel.-clause, ut, etc.: vosne velit an me regnare era quidve
ferat Fors, Virtute experiamur, Enn. ap. Cic. Off. 1, 12, 38 (Ann. v. 204, ed.
Vahl.): “lubet experiri, quo evasuru'st denique,” Plaut. Trin. 4, 2, 93:
“experiri libet, quantum audeatis,” Liv. 25, 38, 11; cf. Nep. Alcib. 1, 1: “in
me ipso experior, ut exalbescam, etc.,” Cic. de Or. 1, 26, 121; cf. with si:
“expertique simul, si tela artusque sequantur,” Val. Fl. 5, 562.— (γ). Absol.:
“experiendo magis quam discendo cognovi,” Cic. Fam. 1, 7, 10: “judicare
difficile est sane nisi expertum: experiendum autem est in ipsa amicitia: ita
praecurrit amicitia judicium tollitque experiendi potestatem,” id. Lael. 17,
62.— B. In the tem perf., to have tried, tested, experienced, i. e. to find or
know by experience: “benignitatem tuam me experto praedicas,” Plaut. Merc. 2,
2, 18: “omnia quae dico de Plancio, dico expertus in nobis,” Cic. Planc. 9, 22:
“experti scire debemus, etc.,” id. Mil. 26, 69: “illud tibi expertus promitto,”
id. Fam. 13, 9, 3: “dicam tibi, Catule, non tam doctus, quam, id quod est
majus, expertus,” id. de Or. 2, 17, 72: “puellae jam virum expertae,” Hor. C.
3, 14, 11; 4, 4, 3; cf. Quint. 6, 5, 7: “mala captivitatis,” Sulp. Sev. 2, 22,
5: “id opera expertus sum esse ita,” Plaut. Bacch. 3, 2, 3: “expertus sum
prodesse,” Quint. 2, 4, 13: “expertus, juvenem praelongos habuisse sermones,”
id. 10, 3, 32: “ut frequenter experti sumus,” id. 1, 12, 11.— “Rarely in other
tenses: et exorabile numen Fortasse experiar,” may find, Juv. 13, 103.— C. To
make trial of, in a hostile sense, to measure strength with, to contend with:
“ut interire quam Romanos non experiri mallet,” Nep. Ham. 4, 3: “maritimis
moribus mecum experitur,” Plaut. Cist. 2, 1, 11: “ipsi duces cominus invicem
experti,” Flor. 3, 21, 7; 4, 10, 1; cf.: “hos cum Suevi, multis saepe bellis
experti, finibus expellere non potuissent,” Caes. B. G. 4, 3, 4: “Turnum in
armis,” Verg. A. 7, 434. II. To undertake, to attempt, to make trial of,
undergo, experience a thing. A. In gen.: “qui desperatione debilitati experiri
id nolent, quod se assequi posse diffidant. Sed par est omnes omnia experiri,
qui, etc.,” Cic. Or. 1, 4; cf.: “istuc primum experiar,” Plaut. Truc. 2, 7, 47:
“omnia experiri certum est, priusquam pereo,” Ter. And. 2, 1, 11: “omnia prius
quam, etc.,” Caes. B. G. 7, 78, 1: “extrema omnia,” Sall. C. 26, 5; cf. “also:
sese omnia de pace expertum,” Caes. B. C. 3, 57, 2: “libertatem,” i. e. to make
use of, enjoy, Sall. J. 31, 5: “late fusum opus est et multiplex, etc. ... dicere
experiar,” Quint. 2, 13, 17: “quod quoniam me saepius rogas, aggrediar, non tam
perficiundi spe quam experiundi voluntate,” Cic. Or. 1, 2.—With ut and subj.:
“nunc si vel periculose experiundum erit, experiar certe, ut hinc avolem,” Cic.
Att. 9, 10, 3: “experiri, ut sine armis propinquum ad officium reduceret,” Nep.
Dat. 2, 3.— B. In partic., jurid. t. t., to try or test by law, to go to law:
“aut intra parietes aut summo jure experietur,” Cic. Quint. 11, 38; cf.: “in
jus vocare est juris experiundi causa vocare,” Dig. 2, 4, 1; 47, 8, 4: “a me
diem petivit: ego experiri non potui: latitavit,” Cic. Quint. 23, 75; Liv. 40,
29, 11: “sua propria bona malaque, cum causae dicendae data facultas sit, tum
se experturum,” Liv. 3, 56, 10: “postulare ut judicium populi Romani experiri
(liceat),” id. ib.—Hence, 1. expĕrĭens , entisa. (acc. to II.), experienced,
enterprising, active, industrious (class.): “homo gnavus et industrius,
experientissimus ac diligentissimus arator,” Cic. Verr. 2, 3, 21, § 53:
“promptus homo et experiens,” id. ib. 2, 4, 17, § “37: vir fortis et
experiens,” id. Clu. 8, 23: “vir acer et experiens,” Liv. 6, 34, 4: “comes
experientis Ulixei,” Ov. M. 14, 159: “ingenium,” id. Am. 1, 9, 32. —With gen.:
“genus experiens laborum,” inured to, patient of, Ov. M. 1, 414: “rei militaris
experientissimi duces,” Arn. 2, 38 init.; cf. Vulg. 2 Macc. 8, 9.—Comp. appears
not to occur.— 2. expertus , a, uma. (acc. to I.), in pass. signif., tried,
proved, known by experience (freq. after the Aug. per.): “vir acer et pro causa
plebis expertae virtutis,” Liv. 3, 44, 3: “per omnia expertus,” id. 1, 34, 12:
“indignitates homines expertos,” id. 24, 22, 2: “dulcedo libertatis,” id. 1,
17, 3: “industria,” Suet. Vesp. 4: “artes,” Tac. A. 3, 17: saevitia, Prop. 1,
3, 18: “confidens ostento sibi expertissimo,” Suet. Tib. 19.—With gen.:
“expertos belli juvenes,” Verg. A. 10, 173; cf. Tac. H. 4, 76.—Comp. and adv.
appear not to occur.
Empeireiaexperiential -- empiricism: One of Grice’s
twelve labours -- Condillac, Étienne Bonnot de, philosopher, an empiricist who
was considered the great analytical mind of his generation. Close to Rousseau
and Diderot, he stayed within the church. He is closely perhaps excessively
identified with the image of the statue that, in the Traité des sensations
Treatise on Sense Perception, 1754, he endows with the five senses to explain
how perceptions are assimilated and produce understanding cf. also his Treatise
on the Origins of Human Knowledge, 1746. He maintains a critical distance from
precursors: he adopts Locke’s tabula rasa but from his first work to Logique
Logic, 1780 insists on the creative role of the mind as it analyzes and
compares sense impressions. His Traité des animaux Treatise on Animals, 1755,
which includes a proof of the existence of God, considers sensate creatures
rather than Descartes’s animaux machines and sees God only as a final cause. He
reshapes Leibniz’s monads in the Monadologie Monadology, 1748, rediscovered in
0. In the Langue des calculs Language of Numbers, 1798 he proposes mathematics
as a model of clear analysis. The origin of language and creation of symbols
eventually became his major concern. His break with metaphysics in the Traité
des systèmes Treatise on Systems, 1749 has been overemphasized, but Condillac does
replace rational constructs with sense experience and reflection. His
empiricism has been mistaken for materialism, his clear analysis for
simplicity. The “ideologues,” Destutt de Tracy and Laromiguière, found Locke in
his writings. Jefferson admired him. Maine de Biran, while critical, was
indebted to him for concepts of perception and the self; Cousin disliked him;
Saussure saw him as a forerunner in the study of the origins of language.
Empiricismone of Grice’s twelve laboursThis implicates he saw himself as a
Rationalist, rather -- Cordemoy, Géraud de, philosopher and member of the
Cartesian school. His most important work is his Le discernement du corps et de
l’âme en six discours, published in 1666 and reprinted under slightly different
titles a number of times thereafter. Also important are the Discours physique
de la parole 1668, a Cartesian theory of language and communication; and Une
lettre écrite à un sçavant religieux 1668, a defense of Descartes’s orthodoxy
on certain questions in natural philosophy. Cordemoy also wrote a history of
France, left incomplete at his death. Like Descartes, Cordemoy advocated a
mechanistic physics explaining physical phenomena in terms of size, shape, and
local motion, and converse Cordemoy, Géraud de 186 186 held that minds are incorporeal thinking
substances. Like most Cartesians, Cordemoy also advocated a version of
occasionalism. But unlike other Cartesians, he argued for atomism and admitted
the void. These innovations were not welcomed by other members of the Cartesian
school. But Cordemoy is often cited by later thinkers, such as Leibniz, as an
important seventeenth-century advocate of atomism. Empiricism: one of Grice’s twelve labours --
Cousin, V., philosopher who set out to merge the psychological tradition with the pragmatism
of Locke and Condillac and the inspiration of the Scottish Reid, Stewart and G.
idealists Kant, Hegel. His early courses at the Sorbonne 1815 18, on “absolute”
values that might overcome materialism and skepticism, aroused immense
enthusiasm. The course of 1818, Du Vrai, du Beau et du Bien Of the True, the
Beautiful, and the Good, is preserved in the Adolphe Garnier edition of student
notes 1836; other early texts appeared in the Fragments philosophiques
Philosophical Fragments, 1826. Dismissed from his teaching post as a liberal
1820, arrested in G.y at the request of the
police and detained in Berlin, he was released after Hegel intervened
1824; he was not reinstated until 1828. Under Louis-Philippe, he rose to
highest honors, became minister of education, and introduced philosophy into
the curriculum. His eclecticism, transformed into a spiritualism and cult of
the “juste milieu,” became the official philosophy. Cousin rewrote his work
accordingly and even succeeded in having Du Vrai third edition, 1853 removed
from the papal index. In 1848 he was forced to retire. He is noted for his
educational reforms, as a historian of philosophy, and for his translations
Proclus, Plato, editions Descartes, and portraits of ladies of seventeenth-century
society. Empiricismone of Grice’s twelve labours -- empirical decision theory,
the scientific study of human judgment and decision making. A growing body of
empirical research has described the actual limitations on inductive reasoning.
By contrast, traditional decision theory is normative; the theory proposes
ideal procedures for solving some class of problems. The descriptive study of
decision making was pioneered by figures including Amos Tversky, Daniel
Kahneman, Richard Nisbett, and Lee Ross, and their empirical research has
documented the limitations and biases of various heuristics, or simple rules of
thumb, routinely used in reasoning. The representativeness heuristic is a rule
of thumb used to judge probabilities based on the degree to which one class
represents or resembles another class. For example, we assume that basketball
players have a “hot hand” during a particular game producing an uninterrupted string of
successful shots because we
underestimate the relative frequency with which such successful runs occur in
the entire population of that player’s record. The availability heuristic is a
rule of thumb that uses the ease with which an instance comes to mind as an
index of the probability of an event. Such a rule is unreliable when salience
in memory misleads; for example, most people incorrectly rate death by shark
attack as more probable than death by falling airplane parts. For an overview,
see D. KahnemanSlovic, and A. Tversky, eds., Judgment Under Uncertainty:
Heuristics and Biases, 2. These biases, found in laypeople and statistical
experts alike, have a natural explanation on accounts such as Herbert Simon’s 7
concept of “bounded rationality.” According to this view, the limitations on
our decision making are fixed in part by specific features of our psychological
architecture. This architecture places constraints on such factors as
processing speed and information capacity, and this in turn produces
predictable, systematic errors in performance. Thus, rather than proposing highly
idealized rules appropriate to an omniscient Laplacean genius more characteristic of traditional normative
approaches to decision theory empirical
decision theory attempts to formulate a descriptively accurate, and thus
psychologically realistic, account of rationality. Even if certain simple rules
can, in particular settings, outperform other strategies, it is still important
to understand the causes of the systematic errors we make on tasks perfectly
representative of routine decision making. Once the context is specified,
empirical decision-making research allows us to study both descriptive decision
rules that we follow spontaneously and normative rules that we ought to follow
upon reflection. empiricism from
empiric, ‘doctor who relies on practical experience’, ultimately from Grecian
empeiria, ‘experience’, a type of theory in epistemology, the basic idea behind
all examples of the type being that experience has primacy in human knowledge
and justified belief. Because empiricism is not a single view but a type of
view with many different examples, it is appropriate to speak not just of
empiricism but of empiricisms. Perhaps the most fundamental distinction to be
drawn among the various empiricisms is that between those consisting of some
claim about concepts and those consisting of some empirical empiricism 262 262 claim about beliefs call these, respectively, concept-empiricisms
and belief-empiricisms. Concept-empiricisms all begin by singling out those
concepts that apply to some experience or other; the concept of dizziness,
e.g., applies to the experience of dizziness. And what is then claimed is that
all concepts that human beings do and can possess either apply to some
experience that someone has had, or have been derived from such concepts by
someone’s performing on those concepts one or another such mental operation as
combination, distinction, and abstraction. How exactly my concepts are and must
be related to my experience and to my performance of those mental operations
are matters on which concept-empiricists differ; most if not all would grant we
each acquire many concepts by learning language, and it does not seem plausible
to hold that each concept thus acquired either applies to some experience that
one has oneself had or has been derived from such by oneself. But though
concept-empiricists disagree concerning the conditions for linguistic
acquisition or transmission of a concept, what unites them, to repeat, is the
claim that all human concepts either apply to some experience that someone has
actually had or they have been derived from such by someone’s actually
performing on those the mental operations of combination, distinction, and
abstraction. Most concept-empiricists will also say something more: that the
experience must have evoked the concept in the person having the experience, or
that the person having the experience must have recognized that the concept
applies to his or her experience, or something of that sort. What unites all
belief-empiricists is the claim that for one’s beliefs to possess one or
another truth-relevant merit, they must be related in one or another way to
someone’s experience. Beliefempiricisms differ from each other, for one thing,
with respect to the merit concerning which the claim is made. Some belief-empiricists
claim that a belief does not have the status of knowledge unless it has the
requisite relation to experience; some claim that a belief lacks warrant unless
it has that relation; others claim that a belief is not permissibly held unless
it stands in that relation; and yet others claim that it is not a properly
scientific belief unless it stands in that relation. And not even this list
exhausts the possibilities. Belief-empiricisms also differ with respect to the
specific relation to experience that is said to be necessary for the merit in
question to be present. Some belief-empiricists hold, for example, that a
belief is permissibly held only if its propositional content is either a report
of the person’s present or remembered experience, or the belief is held on the
basis of such beliefs and is probable with respect to the beliefs on the basis
of which it is held. Kant, by contrast, held the rather different view that if
a belief is to constitute empirical knowledge, it must in some way be about experience.
Third, belief-empiricisms differ from each other with respect to the person to
whose experience a belief must stand in the relation specified if it is to
possess the merit specified. It need not always be an experience of the person
whose belief is being considered. It might be an experience of someone giving
testimony about it. It should be obvious that a philosopher might well accept
one kind of empiricism while rejecting others. Thus to ask philosophers whether
they are empiricists is a question void for vagueness. It is regularly said of
Locke that he was an empiricist; and indeed, he was a concept-empiricist of a
certain sort. But he embraced no version whatsoever of belief-empiricism. Up to
this point, ‘experience’ has been used without explanation. But anyone
acquainted with the history of philosophy will be aware that different
philosophers pick out different phenomena with the word; and even when they
pick out the same phenomenon, they have different views as to the structure of
the phenomenon that they call ‘experience.’ The differences on these matters
reflect yet more distinctions among empiricisms than have been delineated
above.
EX-PLANATVM
-- explanatum:
cf. iustificatumThat the distinction is not absolute shows in that explanatum
cannot be non-iustificatum or vice versa. To explain is in part to justifybut
Grice was in a hurry, and relying on an upublication not meant for publication!
Grice on explanatory versus justificatory reasons -- early 15c., explanen, "make (something) clear
in the mind, to make intelligible," from Latin explanare "to explain, make
clear, make plain," literally "make level, flatten," from ex "out" (see ex-) + planus "flat" (from PIE root *pele- (2) "flat; to
spread"). The spelling was altered by influence of plain. Also see plane (v.2). In 17c.,
occasionally used more literally, of the unfolding of material things: Evelyn
has buds that "explain into leaves" ["Sylva, or, A discourse of
forest-trees, and the propagation of timber in His Majesties dominions,"
1664]. Related: Explained; explaining; explains. To explain
(something) away "to deprive of significance by explanation,
nullify or get rid of the apparent import of," generally with an adverse
implication, is from 1709. I
think we may find, in our talk about reasons, three main kinds of case. (1) The
first is that class of cases exemplified by the use of such a sentence as
"The reason why the bridge collapsed was that the girders were made of
cellophane". Variant forms would be exemplified in "The (one) reason
for the collapse of the bridge was that . . ." and "The fact that the
girders were made of cellophane was the (one) reason for the collapse of the
bridge (why the bridge collapsed)", and so on. This type of case includes
cases in which that for which the (a) reason is being given is an action. We
can legitimately use such a sentence form as "The reason why he resigned
his office (for his resigning his office) was that p"; and, so far as I
can see, the same range of variant forms will be available. I shall take as
canonical (paradigmatic) for this type of case (type (1)) the form "The
(a) reason why A was (is) that B". The significant features of a type (1)
case seem to me to include the following. (a) The canonical form is 'factive'
both with respect to A and to B. If I use it, I imply both that it is true that
A and that it is true that B. (b) If the reason why A was that B, then B is the
explanation of its being the case that A; and if one reason why A was (that) B,
then B is one explanation of its being the case that A, and if there are other
explanations (as it is implicated that there are, or may be) then A is
overdetermined; and (finally) if a part of the reason why A was that B, then B
is a part of the explanation of A's being so. This feature is not unconnected
with the previous one; if B is the explanation of A, then both B and A must be
facts; and if one fact is a reason for another fact, then it looks as if the
connection between them must be that the first explains the second. (c) In
some, but not all, cases in which the reason why A was that B, we can speak of
B as causing, or being the cause of, A (A's being the case). If the reason why
the bridge collapsed was that the girders were made of cellophane, then we can
say that the girders' being made of cellophane caused the bridge to collapse
(or, at least, caused it to collapse when the bus drove onto it). But not end
p.37 in all cases; it might be true that the reason why X took offence was that
all Tibetans are specially sensitive to comments on their appearance, though it
is very dubious whether it would be proper to describe the fact, or
circumstance, that all Tibetans have this particular sensitivity as the cause
of, or as causing, X to take offence. However, it may well be true that if B
does cause A, then the (or a) reason why A is that B. (d) The canonical form
employs 'reason' as a count-noun; it allows us to speak (for example) of the
reason why A, of there being more than one reason why A, and so on. But for
type (1) cases we have, at best, restricted licence to use variants in which
'reason' is used as a massnoun. "There was considerable reason why the
bridge collapsed (for the bridge collapsing)" and "The weakness of
the girders was some reason why the bridge collapsed" are oddities; so is
"There was good reason why the bridge collapsed", though "There
was a good reason why the bridge collapsed" is better; but "There was
(a) bad reason why the bridge collapsed" is terrible. The discomforts
engendered by attempts to treat 'reason' as a mass-noun persist even when A specifies an
action; "There was considerable reason why he resigned his office" is
unhappy, though one would not object to, for example, "There was
considerable reason for him to resign his office", which is not a type (1)
case. (e) Relativization to a person is, I think, excluded, unless (say) the
relativizing 'for X' means "in X's opinion", as in "for me, the
reason why the bridge collapsed was . . .". Again, this feature persists
even when A specifies an action: "For him, the reason why he resigned was
. . ." and "The reason for him why he resigned was . . ." are
both unnatural (for different reasons). I shall call type (1) cases
"reasons why" or "explanatory reasons"for etymologically,
they make something ‘plain’out of nothing, almostvide Latin explanarebut never
IM-planareand in any case, not to be confused with what Carnap calls an
‘explication’! (2) The cases which I am allocating to type (2) are a slightly
less tidy family than those of type (1). Examples are: "The fact that they
were a day late was some (a)reason for thinking that the bridge had
collapsed." "The fact that they were a day late was a reason for
postponing the conference." We should particularly notice the following
variants and allied examples (among others): end p.38 That they were a day late
was reason to think that the bridge had collapsed. There was no reason why the
bridge should have collapsed. The fact that they were so late was a (gave) good
reason for us to think that . . . He had reason to think that . . . (to
postpone . . .) but he seemed unaware of the fact. The fact that they were so
late was a reason for wanting (for us to want) to postpone the meeting. I shall
take as the paradigmatic form for type (2) "That B was (a) reason (for X)
to A", where "A" may conceal a psychological verb like
"think", "want", or "decide", or may specify an
action. Salient features seem to me to include the following. (a) Unlike type
(1), where there is double factivity, the paradigmatic form is non-factive with
respect to A, but factive with respect to B; with regard to B, however,
modifications are available which will cancel factivity; for example, "If
it were (is) the case that B, that would be a reason to A." (b) In
consonance with the preceding feature, it is not claimed that B explains A
(since A may not be the case), nor even that if A were the case B would explain
it (since someone who actually does the action or thinks the thought specified
by A may not do so because of B). It is, however, in my view (though some might
question my view) claimed that B is a justification (final or provisional) for
doing, wanting, or thinking whatever is specified in A. The fact that B goes at
least some way towards making it the case that an appropriate person or persons
should (or should have) fulfil (fulfilled) A. (c) The word "cause" is
still appropriate, but in a different grammatical construction from that used
for type (1). In Example (1), the fact that they were so late is not claimed to
cause anyone to think that the bridge had collapsed, but it is claimed to be
(or to give) cause to think just that. (d) Within type (2), 'reason' may be
treated either as a count-noun or as a mass-noun. Indeed, the kinds of case
which form type (2) seem to be the natural habitat of 'reason' as a mass-noun.
A short version of an explanation of this fact (to which I was helped end p.39
by George Myro) seems to me to be that (i) there are no degrees of explanation:
there may be more than one explanation, and something may be a part (but only a
part) of the explanation, but a set of facts either does explain something or
it does not. There are, however, degrees of justification (justifiability); one
action or belief may be more justifiable, in a given situation, than another
(there may be a better case for it). (ii) Justifiability is not just a matter
of the number of supporting considerations, but rather of their combined weight
(together with their outweighing the considerations which favour a rival action
or belief). So a mass-term is needed, together with specifications of degree or
magnitude. (e) That B may plainly be a reason for a person or people to A;
indeed, when no person is mentioned or implicitly referred to, it is very
tempting to suppose that it is being claimed that the fact that B would be a
reason for anyone, or any normal person, to A. One might call type (2) cases "justificatory reasons" or
"reasons for (to)". (3) Examples: John's reason for thinking Samantha
to be a witch was that he had suddenly turned into a frog. John's reason for
wanting Samantha to be thrown into the pond was that (he thought that) she was
a witch. John's reason for denouncing Samantha was that she kept turning him
into a frog. John's reason for denouncing Samantha was to protect himself
against recurrent metamorphosis. If X's reason for doing (thinking) A was that
B, it follows that X A-ed because B (because X knew (thought) that B). If X's
reason for doing (wanting, etc.) A was to B, it follows that X A-ed in order to
(so as to) B. The sentence form "X had several reasons for A-ing, such as
that (to) B" falls, in my scheme, under type (3), unlike the seemingly
similar sentence "X had reason to A, since B", which I locate under
type (2). The paradigmatic form I take as being "X's reason(s) for A-ing
was that B (to B)". Salient features of type (3) cases should be fairly
obvious. end p.40 (a) In type (3) cases reasons may be either of the form that
B or of the form to B. If they are of the former sort, then the paradigmatic
form is doubly factive, factive with respect both to A and to B. It is always
factive with respect to A (A-ing). When it is factive with respect to B,
factivity may be cancelled by inserting "X thought that" before B.
(b) Type (3) reasons are "in effect explanatory". If X's reason for
A-ing was that (to) B, X's thinking that B (or wanting to B) explains his
A-ing. The connection between type (3) reasons being, in effect, explanatory,
and their factivity is no doubt parallel to the connection which obtains for
type (1) reasons. I reserve the question of the applicability of
"cause" to a special concluding comment. (c) So far as I can see,
"reason" cannot, in type (3) cases, be treated as a mass-noun. This
may be accounted for by the explanatory character of reasons of this type. We
can, however, here talk of reasons as being bad; X's reasons for A-ing may be
weak or appalling. In type (2) cases, we speak of there being little reason, or
even no reason, to A. But in type (3) cases, since X's reasons are explanatory
of his actions or thoughts, they have to exist. (I doubt if this is the full
story, but it will have to do for the moment.) (d) Of their very nature, type
(3) reasons are relative to persons. Because of their hybrid nature (they seem,
as will in a moment, I hope, emerge, in a way to partake of the character both
of type (1) and of type (2)) one might call them
"Justificatory-Explanatory" reasons. Strawson said my explanation
required an explanation. ex-plāno ,
āvi, ātum, 1, v. a. * I. Lit., to flatten or spread out: “suberi cortex in
denos pedes undique explanatus,” Plin. 16, 8, 13, § 34.— II. Trop., of speech,
to make plain or clear, to explain (class.: “syn.: explico, expono,
interpretor): qualis differentia sit honesti et decori, facilius intelligi quam
explanari potest,” Cic. Off. 1, 27, 94; cf. Quint. 5, 10, 4: “rem latentem
explicare definiendo, obscuram explanare interpretando, etc.,” Cic. Brut. 42,
152: “explanare apertiusque dicere aliquid,” id. Fin. 2, 19, 60: “docere et
explanare,” id. Off. 1, 28, 101: “aliquid conjecturā,” id. de Or. 2, 69, 280:
“rem,” id. Or. 24, 80: “quem amicum tuum ais fuisse istum, explana mihi,” Ter.
Ph. 2, 3, 33: “de cujus hominis moribus pauca prius explananda sunt, quam
initium narrandi faciam,” Sall. C. 4, 5.—Pass. impers.: “juxta quod flumen, aut
ubi fuerit, non satis explanatur,” Plin. 6, 23, 26, § 97.— 2. To utter
distinctly: “et ille juravit, expressit, explanavitque verba, quibus, etc.,”
Plin. Pan. 64, 3.—Hence, explānātus , a, uma. (acc. to II.), plain, distinct
(rare): “claritas in voce, in lingua etiam explanata vocum impressio,” i. e. an
articulate pronunciation, Cic. Ac. 1, 5, 19: parum explanatis vocibus sermo
praeruptus, Sen. de Ira, 1, 1, 4.—Adv. ex-plānāte , plainly, clearly,
distinctly: “scriptum,” Gell. 16, 8, 3.—Comp.: “ut definire rem cum explanatius,
tum etiam uberius (o presse et anguste),” Cic. Or. 33, 117.
EX-PLICATVM --
implicaturum-explicaturum distinction, the:“I
am aware that with ‘implicaturum,’ as opposed to ‘implicaturum,’ the
distinction with ‘implicatio’ is lostfor ‘what is implied,’ in contrast, sounds
vulgar.” And then there’s ‘entailment” is not as figurative as it sounds: it
inovolves property and limitation -- “Paradoxes of entailment,” “Paradoxes of
implication.” Philo and his teacher. Grice is not sure about ‘implicaturum.’
The quote by Moore, 1919 being:"It might be suggested that we should say
"p ent q" 'means' "p ) q AND this proposition is an instance of
a formal implication, which is not merely true but self-evident, like the laws
of formal logic." This proposed definitions would avoid the paradoxes
involved in Strachey's definition, since such true formal implications as 'All
the persons in this room are more than five years old' are certainly not
self-evident; and, so far as I can see, it may state something which is in fact
true of p and q, whenever and only whenp ent q. I do not myself think that it
gives the meaning of 'p ent q,' since the kind of relation which I see to hold
between the premises and a conclusion of a syllogism seems to me one which is
purely 'objective' in the sense that no psychological term, such as is involved
in the meaning of 'self-evident' is involved in its definition (it it has one).
I am not, however, concerned to dispute that some such definition of "p
ent q" as this may be true." --- and so on. So, it is apparently all
Strachey's fault. This
view as to what φA . ent . ψA means has, for instance, if I understand him rightly,
been asserted by Mr. O. Strachey in Mind, N.S., 93; since he asserts that, in
his opinion, this is what Professor C. I. Lewis means by “φA strictly implies
ψA,” and undoubtedly what Professor Lewis means by this is what I mean by φA .
ent . ψA. And the same view has been frequently suggested (though I do not know
that he has actually asserted it) by Mr. Russell himself (e.g., Principia
Mathematica21). I 1903
B. Russell Princ. Math. ii.
14 How far formal implication is definable in terms of implication
simply, or material implication as it may be called, is a difficult
question. Source : Principles : Chapter III. Implication and Formal Implication.
Source : Principia, page 7 : "When it is necessary explicitly to
discriminate "implication" [i.e. "if p, then q" ] from
"formal implication," it is called "material
implication."Source : Principia, page 20 : "When an implication, say ϕx.⊃.ψx, is said to
hold always, i.e. when (x):ϕx.⊃.ψx, we shall say that ϕx formally implies ψx"Many logicians did use ‘implicaturum’ not necessarily to
mean ‘conversational implicaturum,’ but as the result of ‘implicatio’.
‘Implicatio’ was often identified with the Megarian or Philonian ‘if.’ Why?
thought that we probably did need an entailment. The symposium was held in New
York with Dana Scott and R. K. Meyer. The notion had been mis-introduced
(according to Strawson) in the philosophical literature by Moore. Grice is
especially interested in the entailment + implicaturum pair. A philosophical
expression may be said to be co-related to an entailment (which is rendered in
terms of a reductive analysis). However, the use of the expression may
co-relate to this or that implicaturum which is rendered reasonable in the
light of the assumption by the addressee that the utterer is ultimately abiding
by a principle of conversational helfpulness. Grice thinks many philosophers
take an implicaturum as an entailment when they surely shouldnt! Grice was more
interested than Strawson was in the coinage by Moore of entailment for logical
consequence. As an analyst, Grice knew that a true conceptual analysis needs to
be reductive (if not reductionist). The prongs the analyst lists are thus
entailments of the concept in question. Philosophers, however, may misidentify
what is an entailment for an implicaturum, or vice versa. Initially, Grice was
interested in the second family of cases. With his coinage of disimplicaturum,
Grice expands his interest to cover the first family of cases, too. Grice
remains a philosophical methodologist. He is not so much concerned with any
area or discipline or philosophical concept per se (unless its rationality),
but with the misuses of some tools in the philosophy of language as committed
by some of his colleagues at Oxford. While entailment, was, for Strawson
mis-introduced in the philosophical literature by Moore, entailment seems to be
less involved in paradoxes than if is. Grice connects the two, as indeed his
tutee Strawson did! As it happens, Strawsons Necessary propositions and
entailment statements is his very first published essay, with Mind, a re-write
of an unpublication unwritten elsewhere, and which Grice read. The relation of
consequence may be considered a meta-conditional, where paradoxes
arise. Grices Bootstrap is a principle designed to impoverish the
metalanguage so that the philosopher can succeed in the business of pulling
himself up by his own! Grice then takes a look at Strawsons very first
publication (an unpublication he had written elsewhere). Grice finds Strawson
thought he could provide a simple solution to the so-called paradoxes of
entailment. At the time, Grice and Strawson were pretty sure that nobody then
accepted, if indeed anyone ever did and did make, the identification of the
relation symbolised by the horseshoe with the relation which Moore calls
entailment, p⊃q, i. e. ~(pΛ~q) is rejected as an analysis of p entails q
because it involves this or that allegedly paradoxical implicaturum, as that
any false proposition entails any proposition and any true proposition is
entailed by any proposition. It is a commonplace that Lewiss amendment had
consequences scarcely less paradoxical in terms of the implicatura. For if p is
impossible, i.e. self-contradictory, it is impossible that p and ~q. And
if q is necessary, ~q is impossible and it is impossible that p and ~q; i. e.,
if p entails q means it is impossible that p and ~q any necessary proposition
is entailed by any proposition and any self-contradictory proposition entails
any proposition. On the other hand, Lewiss definition of entailment (i.e. of
the relation which holds from p to q whenever q is deducible from p) obviously
commends itself in some respects. Now, it is clear that the emphasis laid on
the expression-mentioning character of the intensional contingent statement by
writing pΛ~q is impossible instead of It is impossible that p and ~q does not
avoid the alleged paradoxes of entailment. But it is equally clear that the
addition of some provision does avoid them. One may proposes that one
should use “entails” such that no necessary statement and no negation of a
necessary statement can significantly be said to entail or be entailed by any
statement; i. e. the function p entails q cannot take necessary or
self-contradictory statements as arguments. The expression p entails q is to be
used to mean p⊃q is necessary, and neither p nor q is either necessary or
self-contradictory, or pΛ~q is impossible and neither p nor q, nor either of
their contradictories, is necessary. Thus, the paradoxes are avoided. For let
us assume that p1 expresses a contingent, and q1 a necessary, proposition. p1
and ~q1 is now impossible because ~q1 is impossible. But q1 is necessary. So,
by that provision, p1 does not entail q1. We may avoid the paradoxical
assertion that p1 entails q2 as merely falling into the equally paradoxical
assertion that p1 entails q1 is necessary. For: If q is necessary, q is
necessary is, though true, not necessary, but a contingent intensional
(Latinate) statement. This becomes part of the philosophers lexicon: intensĭo,
f. intendo, which L and S render as a stretching out, straining, effort.
E. g. oculorum, Scrib. Comp. 255. Also an intensifying, increase. Calorem suum
(sol) intensionibus ac remissionibus temperando fovet,” Sen. Q. N. 7, 1, 3. The
tune: “gravis, media, acuta,” Censor. 12. Hence:~(q is necessary) is,
though false, possible. Hence “p1Λ~(q1 is necessary)” is, though false,
possible. Hence p1 does NOT entail q1 is necessary. Thus, by adopting the view
that an entailment statement, and other intensional statements, are
non-necessary, and that no necessary statement or its contradictory can entail
or be entailed by any statement, Strawson thinks he can avoid the paradox that
a necessary proposition is entailed by any proposition, and indeed all the
other associated paradoxes of entailment. Grice objected that Strawsons cure
was worse than Moores disease! The denial that a necessary proposition can
entail or be entailed by any proposition, and, therefore, that necessary
propositions can be related to each other by the entailment-relation, is too
high a price to pay for the solution of the paradoxes. And here is where Grices
implicaturum is meant to do the trick! Or not! When Levinson proposed + for
conversationally implicaturum, he is thinking of contrasting it with ⊢. But things aint that easy.
Even the grammar is more complicated: By uttering He is an adult, U explicitly
conveys that he is an adult. What U explicitly conveys entails that he is not a
child. What U implies is that he should be treated accordingly. Refs.: One
good reference is the essay on “Paradoxes of entailment,” in the Grice papers;
also his contribution to a symposium for the APA under a separate series, The
H. P. Grice Papers, BANC. EX-PLICATVM -- Implicaturum/explicaturum
distinction, the: explicatum: Grice is
clear here. There is explicat- and explicit-. Both yield different fields. The
explicit- has to do with what is shown. The explicat- does not. But both are
cognate. And of course, the ambiguity replicates in implicit- and implicat-
Short and Lewis have both ‘explicatus’ and ‘explicitus’ as Part.
and P. a., from explico. “I wonder why they had to have TWO!”Grice.He once asked this to his master at Clifton. And he said,
“because this is a participium heteroclitum.” Grice never forgot that! An
Heteroclite Participle. R E D U N D A N S abounding. Art'cipium the
Participle faepe o/?em redundat abounds, ut as Perfe&tum the perfe&?
ter/? [aid] priùs before ; ut as explico to unfold conduplicat doubles [its
Participle] explicitus explicatufque, making both explicitus and explicatus. Et
and fic /3 fevi I have plantea folet is wont dare to give fatus planted, &
and ferui I have put fertus placed. Cello to bcat vult will mittere produce
-celfus ab -ui from [the perfe&* tenfe in] -ui ; fed but -culfus ab -i
-cu!fus from [its perfr&7 in] -i. Compofitum à fto the Compound offlo to
/fand [ makes]ftaturus, pariterque amd aff? -ftiturus [in the future
Participle.] Etiam alfo duplex two Participles fit are made à fimplice perfeéto
from one perfe&i tenfe ; tendo to/lretch habet hath tentus, and tenfus;
pando to opem takes fibi to itfejf paffus, and panfus : Item affo mifcui I have
mixed miftus, vel or mixtus ; alo to breed up, altus and alitus ; Poto to drink
makes potatus & and potus ; lavo to wa/h, lautus and lotus. A tundo from
[tundo] to knock down -tufus is made ; retundo to blunt [makes] both -tufus and
-tunfus. Pinfo to bake effert makes triplex three Participles piftus,
pinfufque, & pinfitus, piftus, and pinfus, and pinfitus. Civi, the
perfe&? tenfe à cieo ofcieo to provoke makes the participle citus [with the
i. -- Vult tendo tenfus, tentus , vult flectere pandoPanfus Panfus paffus
5 pinfo vult piftus dare pinfus Pinfitus ; & fevi fatus,
& ferui dare fertus. Compofitum à fto-ftaturus meliufque-ftiturus.
* Conftaturus Lucan. Mart. Obftaturus Quint.
_ Tundo in compofitis -tufus ; -tunfufque retundo Congeminat ;
plico & explicitus facit, éx-que-plicatus. Verba in-uo
&-vo-ütus tendunt ; ruo fed breve-ütus dat. A cieo pariter manat
citus , à cio citus. Cello ab -ui celfus , fed ab-i vult mittere -culfus. At Oxford, nobody was interested in the explication. That’s
too explicit. It was, being English, all about the ‘innuendo,’ the
‘understatement,’ the implication. The first Oxonian was C. K. Grant, with his
‘pragmatic implication.’ Then came Nowell-Smith with his ‘contextual
implication.’ Urmson was there with his ‘implied’ claims. And Strawson was
saying that ‘the king of France is not bald’ implies that thereis a king of
France. So, it was enough, Grice thought! We have to analyse what we imply by
imply, or at least what _I_ do. He thought publishing was always vulgar. But
when he was invited for one of those popularisations, when he was invited to
contribute to a symposium on a topic of his choicehe chose “The causal theory
of perception” and dedicates an ‘extensum excursus’ on ‘implication.’ The
conclusion is simple: “The pillar box seems red” implies. And implies a LOT. So
much so that neo-Wittgensteinians were saying that what Grice implies is part
of what Grice is committed in terms of ‘satisfactoriness’ of what he is
expressing. Not so! What Grice implies is, surely, that the pillar box may not
be red. But surely he can cancel that EXPLICITLY “The pillar box seems red and is
red.” So, what he implies is not part of what he explicitly commits in terms of
value satisfactoriness. In terms of value satisfactoriness, Grice distinguishes
between the subperceptual (“The pillar box seems red”) and the perceptual
proper (“Grice perceives that the pillar box is red”). The causal theory merely
states that “Grice perceives that the pillar box is red” (a perceptum for the
subperceptum, “the pillar box seems red”) if and only if, first, the pillar box is red; second, the
subperceptum: the pillar box seems red; and third and last, the fact that the
pillar box is red CAUSES the pillar box seeming red. None of that is explicit,
but none of it is implicit. It is merely a philosophical reductive analysis
which has cleared away an unnecessary implication out of the picture. The
philosopher, involved in conceptual analysis, has freed from the ‘pragmatic
implication’ and can provide, for his clearly stated ‘analysans,’ three
different prongs which together constitute the necessary and sufficient conditionsthe
analysandum. And his problem is resolved. Grice’s cavalier attitude towards the
explicit is obvious in the way he treats “Wilson is a great man,” versus “the
prime minister is a great man” “I don’t care if I’m not sure if I want to say
that an emissor of (i) and an emissor of (ii) have put forward, in an explicit
fashion, the same proposition. His account of ‘disambiguation’ is meant even
more jocularly. He knows that in the New World, they spell ‘vice’ as ‘vyse’So Wilson being in the grip of a vyse
is possibly the same thing put forward as the prime minister being caught in
the grip of either a carpenter’s tool or a sort of something like a sinif not
both. (Etymologically, ‘vice’ and ‘vice’ are cognate, since they are ‘violent’
thingscf. violence. While ‘implicare’ developed into vulgar Engish as ‘employ,’
“it’s funny explicature did not develop into ‘exploy.’”A logical construction
is an explication. A reductive analysis is an explication. Cf. Grice on
Reductionism as a bete noire, sometimes misquoted as Reductivism. Grice used
both ‘explanation’ and ‘explication’, so one has to be careful. When he said
that he looked for a theory that would explain conversation or the
implicaturum, he did not mean explication. What is the difference, etymologically,
between explicate and explain? Well,
explain is from ‘explanare,’ which gives ‘explanatum.’Trop., of speech, to make
plain or clear, to explain (class.:“syn.: explico, expono, interpretor): qualis
differentia sit honesti et decori, facilius intelligi quam explanari potest,”
Cic.Off. 1, 27, 94; cf. Quint. 5, 10, 4: “rem latentem explicare definiendo,
obscuram explanare interpretando, etc.,” Cic. Brut. 42, 152: “explanare
apertiusque dicere aliquid,” id. Fin. 2, 19, 60: “docere et explanare,” id.
Off. 1, 28, 101: “aliquid conjecturā,” id. de Or. 2, 69, 280: “rem,” id. Or.
24, 80: “quem amicum tuum ais fuisse istum, explana mihi,” Ter. Ph. 2, 3, 33:
“de cujus hominis moribus pauca prius explananda sunt, quam initium narrandi
faciam,” Sall. C. 4, 5.—Pass.impers.: “juxta quod flumen, aut ubi fuerit, non
satis explanatur,” Plin. 6, 23, 26, § 97.—2. To utter distinctly: “et ille
juravit, expressit, explanavitque verba, quibus, etc.,” Plin. Pan. 64, 3.Hence,
explānātus , a, uma. (acc. to II.), plain, distinct (rare): “claritas in voce,
in lingua etiam explanata vocum impressio,” i. e. an articulate pronunciation,
Cic. Ac. 1, 5, 19: parum explanatis vocibus sermo praeruptus, Sen. de Ira, 1,
1, 4. Adv. ex-plānāte , plainly, clearly, distinctly: “scriptum,” Gell. 16, 8,
3.—Comp.: “ut definire rem cum explanatius, tum etiam uberius (o presse et
anguste),” Cic. Or. 33, 117.Cr. Occam. M. O. R. the necessity is explanatory
necessity. Senses or conventional implicaturata (not reachable by ‘argument’)
and Strawson do not explain. G. A. Paul does not explain. Unlike Austin, who
was in love with a taxonomy, Grice loved an explanation. “Ἀρχὴν δὲ τῶν πάντων
ὕδωρ ὑπεστήσατο, καὶ τὸν κόσμον ἔμψυχον καὶ δαιμόνων πλήρη. “Arkhen de ton
panton hudor hupestesato.” Thales’s doctrine is that water is the universal
primary substance, and that the world is animate and full of divinities. “Ἀλλὰ
Θαλῆς μὲν ὁ τῆς τοιαύτης ἀρχηγὸς φιλοσοφίας ὕδωρ φησὶν εἶναι (διὸ καὶ τὴν γῆν
ἐφ᾽ ὕδατος ἀπεφήνατο εἶναι), λαβὼν ἴσως τὴν ὑπόληψιν ταύτην ἐκ τοῦ πάντων ὁρᾶν
τὴν τροφὴν ὑγρὰν οὖσαν καὶ αὐτὸ τὸ θερμὸν ἐκ τούτου γιγνόμενον καὶ τούτῳ ζῶν
(τὸ δ᾽ ἐξ οὗ γίγνεται, τοῦτ᾽ ἐστὶν ἀρχὴ πάντων)διά τε δὴ τοῦτο τὴν ὑπόληψιν
λαβὼν ταύτην καὶ διὰ τὸ πάντων τὰ σπέρματα τὴν φύσιν ὑγρὰν ἔχειν, τὸ δ᾽ ὕδωρ
ἀρχὴν τῆς φύσεως εἶναι τοῖς ὑγροῖς. εἰσὶ δέ τινες οἳ καὶ τοὺς παμπαλαίους καὶ
πολὺ πρὸ τῆς νῦν γενέσεως καὶ πρώτους θεολογήσαντας οὕτως οἴονται περὶ τῆς
φύσεως ὑπολαβεῖν‧
Ὠκεανόν τε γὰρ καὶ Τηθὺν ἐποίησαν τῆς γενέσεως πατέρας [Hom. Ξ 201], καὶ τὸν
ὅρκον τῶν θεῶν ὕδωρ, τὴν καλουμένην ὑπ᾽ αὐτῶν Στύγα τῶν ποιητῶν‧ τιμιώτατον μὲν γὰρ τὸ πρεσβύτατον, ὅρκος δὲ τὸ τιμιώτατόν
ἐστιν. εἰ μὲν οὖν [984a] ἀρχαία τις αὕτη καὶ παλαιὰ τετύχηκεν οὖσα περὶ τῆς
φύσεως ἡ δόξα, τάχ᾽ ἂν ἄδηλον εἴη, Θαλῆς μέντοι λέγεται οὕτως ἀποφήνασθαι περὶ
τῆς πρώτης αἰτίας. (Ἵππωνα γὰρ οὐκ ἄν τις ἀξιώσειε θεῖναι μετὰ τούτων διὰ τὴν
εὐτέλειαν αὐτοῦ τῆς διανοίας)‧
Ἀναξιμένης δὲ ἀέρα καὶ Διογένης πρότερον ὕδατος καὶ μάλιστ᾽ ἀρχὴν τιθέασι τῶν
ἁπλῶν σωμάτων.” De caelo: “Οἱ δ᾽ ἐφ᾽ ὕδατος κεῖσθαι [sc. τὴν γὴν]. τοῦτον γὰρ
ἀρχαιότατον παρειλήφαμεν τὸν λόγον, ὅν φασιν εἰπεῖν Θαλῆν τὸν Μιλήσιον, ὡς διὰ
τὸ πλωτὴν εἶναι μένουσαν ὥσπερ ξύλον ἤ τι τοιοῦτον ἕτερον (καὶ γὰρ τούτων ἐπ᾽
ἀέρος μὲν οὐθὲν πέφυκε μένειν, ἀλλ᾽ ἐφ᾽ ὕδατος), ὥσπερ οὐ τὸν αὐτὸν λόγον ὄντα
περὶ τῆς γῆς καὶ τοῦ ὕδατος τοῦ ὀχοῦντος τὴν γῆν‧ οὐδὲ γὰρ τὸ ὕδωρ πέφυκε μένειν μετέωρον, ἀλλ᾽ ἐπί τινός
[294b] ἐστιν. ἔτι δ᾽ ὥσπερ ἀὴρ ὕδατος κουφότερον, καὶ γῆς ὕδωρ‧ ὥστε πῶς οἷόν τε τὸ κουφότερον κατωτέρω κεῖσθαι τοῦ
βαρυτέρου τὴν φύσιν; ἔτι δ᾽ εἴπερ ὅλη πέφυκε μένειν ἐφ᾽ ὕδατος, δῆλον ὅτι καὶ
τῶν μορίων ἕκαστον [αὐτῆς]‧
νῦν δ᾽ οὐ φαίνεται τοῦτο γιγνόμενον, ἀλλὰ τὸ τυχὸν μόριον φέρεται εἰς βυθόν,
καὶ θᾶττον τὸ μεῖζον. The problem of the nature of matter, and its
transformation into the myriad things of which the universe is made, engaged
the natural philosophers, commencing with Thales. For his hypothesis to be
credible, it was essential that he could explain how all things could come into
being from water, and return ultimately to the originating material. It is inherent
in Thaless hypotheses that water had the potentiality to change to the myriad
things of which the universe is made, the botanical, physiological,
meteorological and geological states. In Timaeus, 49B-C, Plato had Timaeus
relate a cyclic process. The passage commences with that which we now call
“water” and describes a theory which was possibly that of Thales. Thales would
have recognized evaporation, and have been familiar with traditional views,
such as the nutritive capacity of mist and ancient theories about spontaneous
generation, phenomena which he may have observed, just as Aristotle believed
he, himself had, and about which Diodorus Siculus, Epicurus (ap. Censorinus,
D.N. IV.9), Lucretius (De Rerum Natura) and Ovid (Met. I.416-437) wrote. When Aristotle
reported Thales’s pronouncement that the primary principle is water, he made a
precise statement: Thales says that it [the nature of things] is water, but he
became tentative when he proposed reasons which might have justified Thaless
decision. Thales’s supposition may have arisen from observation. It is
Aristotle’s opinion that Thales may have observed, that the nurture of all
creatures is moist, and that warmth itself is generated from moisture and lives
by it; and that from which all things come to be is their first principle.
Then, Aristotles tone changed towards greater confidence. He declared: Besides
this, another reason for the supposition would be that the semina of all things
have a moist nature. In continuing the criticism of Thales, Aristotle wrote:
That from which all things come to be is their first principle (Metaph. 983
b25). Simple metallurgy had been
practised long before Thales presented his hypotheses, so Thales knew that heat
could return metals to a liquid state. Water exhibits sensible changes more
obviously than any of the other so-called elements, and can readily be observed
in the three states of liquid, vapour and ice. The understanding that water
could generate into earth is basic to Thaless watery thesis. At Miletus it could
readily be observed that water had the capacity to thicken into earth. Miletus
stood on the Gulf of Lade through which the Maeander river emptied its waters.
Within living memory, older Milesians had witnessed the island of Lade
increasing in size within the Gulf, and the river banks encroaching into the
river to such an extent that at Priene, across the gulf from Miletus the
warehouses had to be rebuilt closer to the waters edge. The ruins of the once
prosperous city-port of Miletus are now ten kilometres distant from the coast
and the Island of Lade now forms part of a rich agricultural plain. There would
have been opportunity to observe other areas where earth generated from water,
for example, the deltas of the Halys, the Ister, about which Hesiod wrote
(Theogony, 341), now called the Danube, the Tigris-Euphrates, and almost
certainly the Nile. This coming-into-being of land would have provided
substantiation of Thaless doctrine. To Thales water held the potentialities for
the nourishment and generation of the entire cosmos. Aëtius attributed to
Thales the concept that even the very fire of the sun and the stars, and indeed
the cosmos itself is nourished by evaporation of the waters (Aëtius,
Placita). It is not known how Thales
explained his watery thesis, but Aristotle believed that the reasons he
proposed were probably the persuasive factors in Thaless considerations. Thales
gave no role to the Olympian gods. Belief in generation of earth from water was
not proven to be wrong until A.D. 1769 following experiments of Antoine
Lavoisier, and spontaneous generation was not disproved until the nineteenth
century as a result of the work of Louis Pasteur.The first philosophical
explanation of the world was speculative not practical. has its intelligibility
in being identified with one of its parts (the world is water). First
philosophical explanation for Universe human is rational and the world in
independent; He said the arché is water; Monist: He believed reality is
one Thales of Miletus, first philosophical
explanation of the origin and nature of justice (and Why after all, did a Thales is Water.” Without the millions of species
that make up the biosphere, and the billions of interactions between them that
go on day by day,.Oddly, Grice had spent some time on x-questions in the Kant
lectures. And why is an x-question. A philosophical explanation of
conversation. A philosophical explanation of implicaturum. Description vs.
explanation. Grice quotes from Fisher, Never contradict. Never explain.
Taxonomy, is worse than explanation, always. Grice is exploring the
taxonomy-description vs. explanation dichotomy. He would often criticise
ordinary-language philosopher Austin for spending too much valuable time on
linguistic botany, without an aim in his head. Instead, his inclination, a
dissenting one, is to look for the big picture of it all, and disregard a
piece-meal analysis. Conversation is a good example. While Austin would
Subjectsify Language (Linguistic Nature), Grice rather places rationality squarely
on the behaviour displayed by utterers as they make conversational moves that
their addressees will judge as rational along specific lines. Observation
of the principle of conversational helpfulness is rational (reasonable) along
the following lines: anyone who cares about the two goals which are central to
conversation, viz. giving and receiving information, and influencing and being
influenced by others, is expected to have an interest in taking part in a
conversation which will only be profitable (if not possible) under the
assumption that it is conducted along the lines of the principle of
conversational helpfulness. Grice is not interested in conversation per se, but
as a basis for a theory that explains the mistakes ordinary-language
philosophers are making. The case of What is known to be the case is not
believed to be the case. EXPLICATUM
-- “to understand”to explain -- Dilthey, W. philosopher and historian whose
main project was to establish the conditions of historical knowledge, much as
Kant’s Critique of Pure Reason had for our knowledge of nature. He studied
theology, history, and philosophy at Heidelberg and Berlin and in 2 accepted
the chair earlier held by Hegel at the
of Berlin. Dilthey’s first attempt at a critique of historical reason is
found in the Introduction to the Human Sciences 3, the last in the Formation of
the Historical World in the Human Sciences 0. He is also a recognized
contributor to hermeneutics, literary criticism, and worldview theory. His Life
of Schleiermacher and essays on the Renaissance, Enlightenment, and Hegel are
model works of Geistesgeschichte, in which philosophical ideas are analyzed in
relation to their social and cultural milieu. Dilthey holds that life is the
ultimate nexus of reality behind which we cannot go. Life is viewed, not
primarily in biological terms as in Nietzsche and Bergson, but as the
historical totality of human experience. The basic categories whereby we
reflect on life provide the background for the epistemological categories of
the sciences. According to Dilthey, Aristotle’s category of acting and
suffering is rooted in prescientific experience, which is then explicated as
the category of efficacy or influence Wirkung in the human sciences and as the
category of cause Ursache in the natural sciences. Our understanding of
influence in the human sciences is less removed from the full reality of life
than are the causal explanations arrived at in the natural sciences. To this
extent the human sciences can claim a priority over the natural sciences.
Whereas we have direct access to the real elements of the historical world
psychophysical human beings, the elements of the natural world are merely
hypothetical entities such as atoms. The natural sciences deal with outer
experiences, while the human sciences are based on inner experience. Inner
experience is reflexive and implicitly self-aware, but need not be
introspective or explicitly self-conscious. In fact, we often have inner
experiences of the same objects that outer experience is about. An outer experience
of an object focuses on its physical properties; an inner experience of it on
our felt responses to it. A lived experience Erlebnis of it includes both. The
distinction between the natural and the human sciences is also related to the
methodological difference between explanation and understanding. The natural
sciences seek causal explanations of nature
connecting the discrete representations of outer experience through
hypothetical generalizations. The human sciences aim at an understanding Verstehen
that articulates the typical structures of life given in lived experience.
Finding lived experience to be inherently connected and meaningful, Dilthey
opposed traditional atomistic and associationist psychologies and developed a
descriptive psychology that Husserl recognized as anticipating phenomenological
psychology. In Ideas 4 Dilthey argued that descriptive psychology could provide
a neutral foundation for the other human sciences, but in his later
hermeneutical writings, which influenced Heidegger and Hans-Georg Gadamer, he
rejected the possibility of a foundational discipline or method. In the
Formation, he asserted that all the human sciences are interpretive and
mutually dependent. Hermeneutically conceived, understanding is a process of
interpreting the “objectifications of life,” the external expressions of human
experience and activity. The understanding of others is mediated by these
common objectifications and not immediately available through empathy
Einfühlung. Moreover, to fully understand myself I must interpret the
expressions of my life just as I interpret the expressions of others. Whereas
the natural sciences aim at ever broader generalizations, the human sciences
place equal weight on understanding individuality and universality. Dilthey
regarded individuals as points of intersection of the social and cultural
systems in which they participate. Any psychological contribution to
understanding human life must be integrated into this more public framework.
Although universal laws of history are rejected, particular human sciences can
establish uniformities limited to specific social and cultural systems. In a
set of sketches 1 supplementing the Formation, Dilthey further developed the
categories of life in relation to the human sciences. After analyzing formal
categories such as the partwhole relation shared by all the sciences, he
distinguished the real categories of the human sciences from those of the
natural sciences. The most important human science categories are value,
purpose, and meaning, but they by no means exhaust the concepts needed to
reflect on the ultimate sense of our existence. Such reflection receives its
fullest expression in a worldview Weltanschauung, such as the worldviews
developed in religion, art, and philosophy. A worldview constitutes an overall
perspective on life that sums up what we know about the world, how we evaluate
it emotionally, and how we respond to it volitionally. Since Dilthey
distinguished three exclusive and recurrent types of worldview naturalism e.g.,
Democritus, Hume, the idealism of freedom e.g., Socrates, Kant, and objective
idealism e.g., Parmenides, Hegel he is
often regarded as a relativist. But Dilthey thought that both the natural and
the human sciences could in their separate ways attain objective truth through
a proper sense of method. Metaphysical formulations of worldviews are relative
only because they attempt an impossible synthesis of all truth. Explicatum --
explanation, an act of making something intelligible or understandable, as when
we explain an event by showing why or how it occurred. Just about anything can
be the object of explanation: a concept, a rule, the meaning of a word, the
point of a chess move, the structure of a novel. However, there are two sorts
of things whose explanation has been intensively discussed in philosophy:
events and human actions. Individual events, say the collapse of a bridge, are
usually explained by specifying their cause: the bridge collapsed because of
the pressure of the flood water and its weakened structure. This is an example
of causal explanation. There usually are indefinitely many causal factors
responsible for the occurrence of an event, and the choice of a particular
factor as “the cause” appears to depend primarily on contextual considerations.
Thus, one explanation of an automobile accident may cite the icy road
condition; another the inexperienced driver; and still another the defective
brakes. Context may determine which of these and other possible explanations is
the appropriate one. These explanations of why an event occurred are sometimes
contrasted with explanations of how an event occurred. A “how” explanation of
an event consists in an informative description of the process that has led to
the occurrence of the event, and such descriptions are likely to involve
descriptions of causal processes. The covering law model is an influential
attempt to represent the general form of such explanations: an explanation of
an event consists in “subsuming,” or “covering,” it under a law. When the
covering law is deterministic, the explanation is thought to take the form of a
deductive argument: a statement the
explanandum describing the event to be
explained is logically derived from the explanans the law together with statements of antecedent
conditions. Thus, we might explain why a given rod expanded by offering this
argument: ‘All metals expand when heated; this rod is metallic and it was
heated; therefore, it expanded’. Such an explanation is called a
deductive-nomological explanation. On the other hand, probabilistic or
statistical laws are thought to yield statistical explanations of individual
events. Thus, the explanation of the contraction of a contagious disease on the
basis of exposure to a patient with the disease may take the form of a
statistical explanation. Details of the statistical model have been a matter of
much controversy. It is sometimes claimed that although explanations, whether
in ordinary life or in the sciences, seldom conform fully to the covering law
model, the model nevertheless represents an ideal that all explanations must
strive to attain. The covering law model, though influential, is not
universally accepted. Human actions are often explained by being
“rationalized’ i.e., by citing the
agent’s beliefs and desires and other “intentional” mental states such as
emotions, hopes, and expectations that constitute a reason for doing what was
done. You opened the window because you wanted some fresh air and believed that
by opening the window you could secure this result. It has been a controversial
issue whether such rationalizing explanations are causal; i.e., whether they
invoke beliefs and desires as a cause of the action. Another issue is whether
existential polarity explanation 298
298 these “rationalizing” explanations must conform to the covering law
model, and if so, what laws might underwrite such explanations. Refs.:
One good source is the “Prejudices and predilections.” Also the first set of
‘Logic and conversation.” There is also an essay on the ‘that’ versus the
‘why.’ The H. P. Grice Papers, BANC.
EX-PORTATVM -- Importatum/exportatum
distinction, the: exportatumexportation: in classical logic, the principle that A
8 B / C is logically equivalent to A / B / C. 2 The principle A 8 B P C P A P B
P C, which relevance logicians hold to be fallacious when ‘P’ is read as
‘entails’. 3 In discussions of propositional attitude verbs, the principle that
from ‘a Vs that b is an f’ one may infer ‘a Vs f-hood of b’, where V has its
relational transparent sense. For example, exportation in sense 3 takes one
from ‘Ralph believes that Ortcutt is a spy’ to ‘Ralph believes spyhood of
Ortcutt’, wherein ‘Ortcutt’ can now be replaced by a bound variable to yield
‘Dx Ralph believes spyhood of x’.
EX-POSITVM
-- impositum/expositum distinction, the: expositum: Grice: “My
preferred term for what Strawson calls the exponible.’ In dialectica, an
exponible proposition is that which needs to be expounded, i.e., elaborated or
explicated in order to make clear their true ‘form,’ as opposed to its mere
‘matter.’ ‘Giorgione is so called because of his size.’ ‘Giorgione is so called
because of his size’ has a misleading ‘matter’ (implicating at least two
forms). It may suggestin a simple predication. In fact, it means, ‘Giorgione is
called ‘Giorgione’ because of his size’. Grice’s examples: “An English pillar
box is called ‘red’ because it is red,” “Grice is called ‘Grice’ because he is
Grice.” “Grice is called ‘Grice’ because his Anglo-Norman ancestors had ‘grey’
in their coat of arms.” “Grice is called ‘Grice’ because his ancestor kept
grice, i. e. pigs.” Another example by Grice: ‘Every man except Strawson is
running’, expounded as ‘Strawson is not running and every man other than
Strawson is running (for Prime Minister)’; and ‘Only Strawson says something
true’, uttered by Grice. Grice claims ‘Only Strawson says something true’
should be expounded (or explicated, or explciited, or exposed, or provided
‘what is expositum, or the expositum provided: not only as ‘Strawson says
something true and no one other than Strawson says something true’, but needs
an implicated third clause, ‘Grice says something false’ for surely Grice is
being self-referentially ironic. If only Strawson says something truethat
proposition can only be uttered by Strawson. Grice borrowed it from Descartes:
“Only Descarets says something ture.” This last example brings out an important
aspect of exponible propositions, viz., their use in a sophisma. Sophismatic
treatises are a common genre at Oxford in which this or that semantic issue is
approached dialectically (what Grice calls “the Oxonian dialectic”) by its
application in solving a puzzle case. Another important ingredient of an
exponible proposition is its containing a particular term, sometimes called the
exponible term (terminus exponibilis in Occam). Attention on such a term is
focused in the study of the implicaturum of a syncategorematic expression, Note
that such an exponible term could only be expounded in context, not by an
explicit definition. A syncategorematic term that generates an exponible
proposition is one such as: ‘twice’, ‘except’, ‘begins’ and ‘ceases [to eat
iron, or ‘beat your wife,’ to use Grice’s example in “Causal Theory of
Perception”]’, and ‘insofar as’ e.g. ‘Strawson insofar as he is rational is
risible’. H. P. Grice, “Implicaturum and
explicaturum”
EX-PRESSVM -- impressum-expressum distinction, the: expressum: At
one time, Oxford was all about the Croceans! It all changed! The oppositum is
the impressum, or sense-datum. In a functionalist model, you have perceptual
INPUT and behavioural OUTPUT, the expressum. In between, the black box of the
soul. Darwin, Eckman. Drawing a skull
meaning there is danger. cf. impressum. Inside out. Expression of Impressions.
As an empiricist, Grice was into ‘impress.’ But it’s always good to have a
correlatum. Grice liked an abbreviation, especially because he loved
subscripts. So, he starts to analyse the ‘ordinary-language’ philosohper’s
mistake by using a few symbols: there’s the phrase, or utterance, and there’s
the expression, for which Grice uses ‘e’ for a ‘token,’ and ‘E’ for a type. So,
suppose we are considering Hart’s use of ‘carefully.’ ‘Carefully’ would be the
‘expression,’ occurring within an utterance. Surely, since Grice uses
‘expression’ in that way, he also uses to say what Hart is doing, Hart is
expressing. Grice notes that ‘expressing’ may be too strong. Hart is expressing
the belief THAT if you utter an utterance containing the ‘expression’
‘carefully,’ there is an implicaturum to the effect that the agent referred to
is taking RATIONAL steps towards something. IRRATIONAL behaviour does not count
as ‘careful’ behaviour. Grice uses the same abbreviations in discussing
philosophy as the ‘conceptual analysis’ of this or that expression. It is all
different with Ogden, Collingwood, and Croce, that Collingwood loved! "Ideas, we may say generally, are
symbols, as serving to express some actual moment or phase of experience and
guiding towards fuller actualization of what is, or seems to be, involved in
its existence or MEANING . That no idea is ever wholly adequate MEANS that the
suggestiveness of experience is inexhaustible" Forsyth, English
Philosophy, 1910, . Thus the significance of sound, the meaning of an utterance
is here identical with the active response to surroundings and with the natural
expression of emotions According to Husserl, the function of expression is only
directly and immediately adapted to what is usually described as the meaning
(Bedeutung) or the sense (Sinn) of the speech or parts of speech. Only because
the meaning associated with a wordsowid expresses something, is that word-sound
called 'expres- sion' (Ideen256 f). "Between the ,nearnng and the what is
meant, or what it expresses, there exists an essential relation, because the
meaning is the expression of the meant through its own content (Gehalt) What is
meant (dieses Bedeutete) lies in the 'object' of the thought or speech. We must
therefore distinguish these three-Word, Meaning, Object "1 Geyser, Gp cit
p z8 PDF compression, OCR, web optimization using a watermarked evaluation copy
of CVISION PDFCompresso These complexities are mentioned here to show how vague
are most of the terms which are commonly thought satisfactory in this topic.
Such a word as 'understand' is, unless specially treated, far too vague to
serve except provisionally or at levels of discourse where a real understanding
of the matter (in the reference sense) is not possible. The multiple functions
of speech will be classified and discussed in the following chapter. There it
will be seen that the expression of the speaker's intention is one of the five
regular language functions. Grice hated Austin’s joke, the utteratum, “I use
‘utterance’ only as equivalent to 'utteratum;' for 'utteratio' I use ‘the issue
of an utterance,’” so he needed something for ‘what is said’ in general, not
just linguistic, ‘what is expressed,’ what is explicitly conveyed,’ ex-prĭmo ,
pressi, pressum, 3, v. a. premo. express (mostly poet. and in postAug. prose;
“freq. in the elder Pliny): (faber) et ungues exprimet et molles imitabitur
aere capillos,” Hor. A. P. 33; cf.: “alicujus furorem ... verecundiae ruborem,”
Plin. 34, 14, 40, § 140: “expressa in cera ex anulo imago,” Plaut. Ps. 1, 1,
54: “imaginem hominis gypso e facie ipsa,” Plin. 35, 12, 44, § 153; cf.:
“effigiem de signis,” id. ib.: “optime Herculem Delphis et Alexandrum, etc.,”
id. 34, 8, 19, § 66 et saep.: “vestis stricta et singulos artus exprimens,”
exhibiting, showing, Tac. G. 17: “pulcher aspectu sit athleta, cujus lacertos
exercitatio expressit,” has well developed, made muscular, Quint. 8, 3, 10.
EX-SISTERE
-- The insistens/existens distinction, the: exsistentia: Grice: “A rather
complex Ciceronian construction!”Grice: “The correct spelling, at Clifton, was
‘ex-sistentia.’” -- ex-sisto or existo , stĭti,
stĭtum, 3, v. n. ( I.act. August. Civ. D. 14, 13), to step out or forth, to
come forth, emerge, appear (very freq. and class.). I. Prop. A. In gen.: “e
latebris,” Liv. 25, 21, 3: “ab inferis,” Cic. Verr. 2, 1, 37, § 94; Liv. 39,
37, 3: “anguem ab ara exstitisse,” Cic. Div. 2, 80 fin.; cf.: vocem ab aede
Junonis ex arce exstitisse (shortly before: voces ex occulto missae; and:
“exaudita vox est a luco Vestae),” id. ib. 1, 45, 101: “est bos cervi figura,
cujus a media fronte inter aures unum cornu exsistit excelsius,” Caes. B. G. 6,
26, 1: “submersus equus voraginibus non exstitit,” Cic. Div. 1, 33, 73; cf.
Cic. Verr. 2, 4, 48, § 107: “nympha gurgite medio,” Ov. M. 5, 413: “hoc vero
occultum, intestinum ac domesticum malum, non modo non exsistit, verum, etc.,”
does not come to light, Cic. Verr. 2, 1, 15, § 39.— B. In partic., with the
accessory notion of originating, to spring, proceed, arise, become: “vermes de
stercore,” Lucr. 2, 871: “quae a bruma sata sunt, quadragesimo die vix
exsistunt,” Varr. R. R. 1, 34, 1: “ut si qui dentes et pubertatem natura dicat
exsistere, ipsum autem hominem, cui ea exsistant, non constare natura, non
intelligat, etc.,” Cic. N. D. 2, 33 fin.: “ex hac nimia licentia ait ille, ut
ex stirpe quadam, exsistere et quasi nasci tyrannum,” id. Rep. 1, 44; id. Off.
2, 23, 80; cf.: “ex luxuria exsistat avaritia necesse est,” id. Rosc. Am. 27,
75; “ut exsistat ex rege dominus, ex optimatibus factio, ex populo turba et
confusio,” id. Rep. 1, 45: “ut plerumque in calamitate ex amicis inimici
exsistunt,” Caes. B. C. 3, 104, 1; “for which: videte igitur, ut de rege
dominus exstiterit? etc.,” Cic. Rep. 2, 26: “ex quo exsistit id civitatis
genus,” id. ib. 3, 14: “hujus ex uberrimis sermonibus exstiterunt doctissimi
viri,” id. Brut. 8, 31; cf. id. Or. 3, 12: “ex qua (disserendi ratione) summa
utilitas exsistit,” id. Tusc. 5, 25, 72: “sermo admirantium, unde hoc
philosophandi nobis subito studium exstitisset,” id. N. D. 1, 3, 6: “exsistit
hoc loco quaestio subdifficilis,” id. Lael. 19, 67: “magna inter eos exsistit
controversia,” Caes. B. G. 5, 28, 2: “poëtam bonum neminem sine inflammatione
animorum exsistere posse,” Cic. de Or. 2, 46 fin.: exsistit illud, ut, etc., it
ensues, follows, that, etc., id. Fin. 5, 23, 67; cf.: “ex quo exsistet, ut de
nihilo quippiam fiat,” id. Fat. 9, 18. II. Transf., to be visible or manifest
in any manner, to exist, to be: “ut in corporibus magnae dissimilitudines sunt,
sic in animis exsistunt majores etiam varietates,” Cic. Off. 1, 30, 107: “idque
in maximis ingeniis exstitit maxime et apparet facillime,” id. Tusc. 1, 15, 33:
“si exstitisset in rege fides,” id. Rab. Post. 1, 1: “cujus magnae exstiterunt
res bellicae,” id. Rep. 2, 17: “illa pars animi, in qua irarum exsistit ardor,”
id. Div. 1, 29, 61: “si quando aliquod officium exstitit amici in periculis
adeundis,” id. Lael. 7, 24 et saep.: “neque ullum ingenium tantum exstitisse
dicebat, ut, etc.,” Cic. Rep. 2, 1; cf.: “talem vero exsistere eloquentiam,
qualis fuit in Crasso, etc.,” id. de Or. 2, 2, 6; “nisi Ilias illa
exstitisset,” id. Arch. 10, 24: “cujus ego dignitatis ab adolescentia fautor,
in praetura autem et in consulatu adjutor etiam exstitissem,” id. Fam. 1, 9,
11; cf.: “his de causis ego huic causae patronus exstiti,” id. Rosc. Am. 2, 5:
“timeo, ne in eum exsistam crudelior,” id. Att. 10, 11, 3: “sic insulsi
exstiterunt, ut, etc.,” id. de Or. 2, 54, 217.Grice learned to use \/x
for the existential quantifier, since “it shows the analogy with ‘or’ and
avoids you fall into any ontological trap, of existential generalization, a
rule of inference admissible in classical quantification theory. It allows one to
infer an existentially quantified statement DxA from any instance A a/x of it.
Intuitively, it allows one to infer ‘There exists a liar’ from ‘Epimenides is a
liar’. It is equivalent to universal instantiation the rule that allows one to infer any instance
A a/x of a universally quantified statement ExA from ExA. Intuitively, it
allows one to infer ‘My car is valuable’ from ‘Everything is valuable’. Both
rules can also have equivalent formulations as axioms; then they are called
specification ExA / A a/x and particularization Aa/x / DxA. All of these
equivalent principles are denied by free logic, which only admits weakened
versions of them. In the case of existential generalization, the weakened
version is: infer DxA from Aa/x & E!a. Intuitively: infer ‘There exists a
liar’ from ‘Epimenides is a liar and Epimenides exists’. existential import, a commitment to the
existence of something implied by a sentence, statement, or proposition. For
example, in Aristotelian logic though not in modern quantification theory, any
sentence of the form ‘All F’s are G’s’ implies ‘There is an F that is a G’ and
is thus said to have as existential import a commitment to the existence of an
F that is a G. According to Russell’s theory of descriptions, sentences
containing definite descriptions can likewise have existential import since
‘The F is a G’ implies ‘There is an F’. The presence of singular terms is also
often claimed to give rise to existential commitment. Underlying this notion of
existential import is the idea long
stressed by W. V. Quine that ontological
commitment is measured by existential sentences statements, propositions of the
form Dv f. existential instantiation, a
rule of inference admissible in classical quantification theory. It allows one
to infer a statement A from an existentially quantified statement DxB if A can
be inferred from an instance Ba/x of DxB, provided that a does not occur in
either A or B or any other premise of the argument if there are any.
Intuitively, it allows one to infer a contradiction C from ‘There exists a
highest prime’ if C can be inferred from ‘a is a highest prime’ and a does not
occur in C. Free logic allows for a stronger form of this rule: with the same
provisions as above, A can be inferred from DxB if it can be inferred from Ba/x
& E!a. Intuitively, it is enough to infer ‘There is a highest natural
number’ from ‘a is a highest prime and a exists’. existentialism, a philosophical and literary
movement that came to prominence in Europe, particularly in France, immediately
after World War II, and that focused on the uniqueness of each human individual
as distinguished from abstract universal human qualities. Historians differ as
to antecedents. Some see an existentialist precursor in Pascal, whose
aphoristically expressed Catholic fideism questioned the power of rationalist
thought and preferred the God of Scripture to the abstract “God of the
philosophers.” Many agree that Kierkegaard, whose fundamentally similar but
Protestant fideism was based on a profound unwillingness to situate either God
or any individual’s relationship with God within a systematic philosophy, as
Hegel had done, should be exact similarity existentialism 296 296 considered the first modern
existentialist, though he too lived long before the term emerged. Others find a
proto-existentialist in Nietzsche, because of the aphoristic and
anti-systematic nature of his writings, and on the literary side, in
Dostoevsky. A number of twentiethcentury novelists, such as Franz Kafka, have
been labeled existentialists. A strong existentialist strain is to be found in
certain other theist philosophers who have written since Kierkegaard, such as
Lequier, Berdyaev, Marcel, Jaspers, and Buber, but Marcel later decided to
reject the label ‘existentialist’, which he had previously employed. This
reflects its increasing identification with the atheistic existentialism of
Sartre, whose successes, as in the novel Nausea, and the philosophical work
Being and Nothingness, did most to popularize the word. A mass-audience lecture,
“Existentialism Is a Humanism,” which Sartre to his later regret allowed to be
published, provided the occasion for Heidegger, whose early thought had greatly
influenced Sartre’s evolution, to take his distance from Sartre’s
existentialism, in particular for its self-conscious concentration on human
reality over Being. Heidegger’s Letter on Humanism, written in reply to a admirer, signals an important turn in his
thinking. Nevertheless, many historians continue to classify Heidegger as an
existentialist quite reasonably, given
his early emphasis on existential categories and ideas such as anxiety in the
presence of death, our sense of being “thrown” into existence, and our
temptation to choose anonymity over authenticity in our conduct. This
illustrates the difficulty of fixing the term ‘existentialism’. Other thinkers of the time, all acquaintances of
Sartre’s, who are often classified as existentialists, are Camus, Simone de
Beauvoir, and, though with less reason, Merleau-Ponty. Camus’s novels, such as
The Stranger and The Plague, are cited along with Nausea as epitomizing the
uniqueness of the existentialist antihero who acts out of authenticity, i.e.,
in freedom from any conventional expectations about what so-called human nature
a concept rejected by Sartre supposedly requires in a given situation, and with
a sense of personal responsibility and absolute lucidity that precludes the
“bad faith” or lying to oneself that characterizes most conventional human
behavior. Good scholarship prescribes caution, however, about superimposing too
many Sartrean categories on Camus. In fact the latter, in his brief
philosophical essays, notably The Myth of Sisyphus, distinguishes
existentialist writers and philosophers, such as Kierkegaard, from absurdist
thinkers and heroes, whom he regards more highly, and of whom the mythical
Sisyphus condemned eternally by the gods to roll a huge boulder up a hill
before being forced, just before reaching the summit, to start anew is the
epitome. Camus focuses on the concept of the absurd, which Kierkegaard had used
to characterize the object of his religious faith an incarnate God. But for
Camus existential absurdity lies in the fact, as he sees it, that there is
always at best an imperfect fit between human reasoning and its intended
objects, hence an impossibility of achieving certitude. Kierkegaard’s leap of
faith is, for Camus, one more pseudo-solution to this hard, absurdist reality.
Almost alone among those named besides Sartre who himself concentrated more on
social and political thought and became indebted to Marxism in his later years,
Simone de Beauvoir 886 unqualifiedly accepted the existentialist label. In The
Ethics of Ambiguity, she attempted, using categories familiar in Sartre, to
produce an existentialist ethics based on the recognition of radical human
freedom as “projected” toward an open future, the rejection of inauthenticity,
and a condemnation of the “spirit of seriousness” akin to the “spirit of
gravity” criticized by Nietzsche whereby individuals identify themselves wholly
with certain fixed qualities, values, tenets, or prejudices. Her feminist
masterpiece, The Second Sex, relies heavily on the distinction, part
existentialist and part Hegelian in inspiration, between a life of immanence,
or passive acceptance of the role into which one has been socialized, and one
of transcendence, actively and freely testing one’s possibilities with a view
to redefining one’s future. Historically, women have been consigned to the
sphere of immanence, says de Beauvoir, but in fact a woman in the traditional
sense is not something that one is made, without appeal, but rather something
that one becomes. The Sartrean ontology of Being and Nothingness, according to
which there are two fundamental asymmetrical “regions of being,” being-in-itself
and being-for-itself, the latter having no definable essence and hence, as
“nothing” in itself, serving as the ground for freedom, creativity, and action,
serves well as a theoretical framework for an existentialist approach to human
existence. Being and Nothingness also names a third ontological region,
being-for-others, but that may be disregarded here. However, it would be a
mistake to treat even Sartre’s existentialist insights, much less those of
others, as dependent on this ontology, to which he himself made little direct
existentialism existentialism 297 297
reference in his later works. Rather, it is the implications of the common
central claim that we human beings exist without justification hence “absurdly”
in a world into which we are “thrown,” condemned to assume full responsibility
for our free actions and for the very values according to which we act, that
make existentialism a continuing philosophical challenge, particularly to
ethicists who believe right choices to be dictated by our alleged human essence
or nature.
EX-TENSVM
-- extensum -- extensionalism: one of the twelve labours of H. P. Grice
-- a family of ontologies and semantic theories restricted to existent
entities. Extensionalist ontology denies that the domain of any true theory
needs to include non-existents, such as fictional, imaginary, and impossible
objects like Pegasus the winged horse or round squares. Extensionalist
semantics reduces meaning and truth to set-theoretical relations between terms
in a language and the existent objects, standardly spatiotemporal and abstract
entities, that belong to the term’s extension. The extension of a name is the
particular existent denoted by the name; the extension of a predicate is the
set of existent objects that have the property represented by the predicate.
The sentence ‘All whales are mammals’ is true in extensionalist semantics
provided there are no whales that are not mammals, no existent objects in the
extension of the predicate ‘whale’ that are not also in the extension of
‘mammal’. Linguistic contexts are extensional if: i they make reference only to
existent objects; ii they support substitution of codesignative terms referring
to the same thing, or of logically equivalent propositions, salva veritate
without loss of truthvalue; and iii it is logically valid to existentially
quantify conclude that There exists an object such that . . . etc. objects
referred to within the context. Contexts that do not meet these requirements
are intensional, non-extensional, or referentially opaque. The implications of
extensionalism, associated with the work of Frege, Russell, Quine, and
mainstream analytic philosophy, are to limit its explanations of mind and
meaning to existent objects and material-mechanical properties and relations
describable in an exclusively extensional idiom. Extensionalist semantics must
try to analyze away apparent references to nonexistent objects, or, as in
Russell’s extensionalist theory of definite descriptions, to classify all such
predications as false. Extensionalist ontology in the philosophy of mind must
eliminate or reduce propositional attitudes or de dicto mental states,
expressed in an intensional idiom, such as ‘believes that ————’, ‘fears that
————’, and the like, usually in favor of extensional characterizations of
neurophysiological states. Whether extensionalist philosophy can satisfy these
explanatory obligations, as the thesis of extensionality maintains, is
controversial.
Fabri:
Grice:
“I like Fabri; especially the ardour by which he fought Duns Scotus – a
furriner! – and his malignant influence on the Continent – he was a
thoroughbred Aristotelian, like me!” --
Disputationes theologicae de restitutione et extrema unction. Filippo
Fabri o Fabbri (Spinata di Brisighella) filosofo. Insegnò, presso la
universitas artistarum dello Studio di Padova in via Scoti, metafisica. Criticò
Francesco Patrizi, Gianfrancesco Pico, Francisco Suárez e Galileo Galilei, in
difesa di Aristotele, dell'unità della metafisica e della separazione di matematica
e fisica. Opere Filippo Fabbri, Disputationes theologicae de
restitutione et extrema unctione, Venetiis, ex officina Marci Ginammi, 1624. 21
aprile . Forlivesi, Marco () Filippo
Fabri vs Patrizi, Suárez e Galilei: il valore della "Metafisica" di
Aristotele e la distinzione delle scienze speculative. In: Innovazione
filosofica e università tra Cinquecento e primo NovecentoPhilosophical
Innovation and the University from the 16th Century to the Early 20th. La
filosofia e il suo passato, 40 . CLEUP, Opere di Filippo Fabri, su openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Filippo Fabri, in Catholic Encyclopedia, Robert
Appleton Company. Filosofia Categorie:
Fabro:
Grice: “I like Fabro; my favourite of his essays is on Giorgio
Hegel, “La dialettica,” which is really about Socrates and Alcibiades! My
Athenian Dialectic which I turned into Oxonian!” -- Cornelio Fabro (Talmassons, 24 agosto
1911Roma, 4 maggio 1995) presbitero, teologo, filosofo, storico della
filosofia, traduttore e accademico italiano, membro della Congregazione delle
Sacre Stimmate di Nostro Signore Gesù Cristo. Nacque in Flumignano,
frazione del comune di Talmassons. Entrò come aspirante nel seminario degli
stimmatini. Compiuti tutti gli studi inferiori e superiori, nel 1931 si laureò
in Filosofia presso la Pontificia Università Lateranense (con il massimo dei
voti, la lode e l'assegnazione di un premio speciale). Il titolo della sua tesi
di laurea è: L'oggettività del principio di causa e la critica di D. Hume. Alla
Lateranense, il Fabro era stato in precedenza allievo del biologo Giuseppe
Reverberi. Il 20 aprile 1935 riceve l'ordinazione sacerdotale a San Giovanni
Laterano, e il 7 luglio consegue (con pieni voti e lode) la licenza in Teologia
presso la Pontificia Università San Tommaso d'Aquino. Si dedica quindi
allo studio da una parte delle scienze naturali e biologiche, per le quali
sembra avviarsi alla docenza universitaria, dall'altra, e soprattutto, della
filosofia: nel 1938 consegue il dottorato in Teologia nella Pontificia
Università «Angelicum» con la dissertazione teologica La nozione metafisica di
partecipazione secondo San Tommaso, che diventa un'opera capitale per la
comprensione della quarta via e di tutto il pensiero tomista. Nel 1939 è
docente straordinario di Metafisica nell'Ateneo Urbaniano (dal 1941 diventa
ordinario). Gli studi e le pubblicazioni si susseguono a ritmo serrato.
Nel 1948 consegue la «libera docenza» di Filosofia teoretica all'Roma, ed è
anche nominato professore honoris causa di Filosofia nell'Buenos Aires. Continua
a insegnare nelle università pontificie, ma dal 1949 ha anche un incarico di
Filosofia all'Roma. Nel 1954 diventa straordinario di Filosofia teoretica
presso l'Istituto Universitario Pareggiato di Magistero «Maria Ss. Assunta» di
Roma, divenendone al contempo direttore fino al 1956. Nel 1954 risulta
vincitore della cattedra di Filosofia teoretica presso l'Napoli come secondo
ternato. Nel 1965 è nominato Professore di Filosofia nell'Università
degli Studi di Perugia, e preside della Facoltà di Magistero nella stessa
Università. Di qui in avanti è un seguito ininterrotto d'incarichi sia
accademici sia culturali e istituzionali del più alto prestigio, nella Chiesa, in
Italia e nel mondo. Nonostante il susseguirsi instancabile di studi, di
pubblicazioni, d'impegni, e la fama che ne consegue, il padre Fabro continua a
vivere modestamente e semplicemente nella parrocchia romana di Santa Croce al
Flaminio, retta dai suoi confratelli stimmatini, dedicandosi alla pastorale
parrocchiale, e non tirandosi mai indietro da scalmanate partite a pallone coi
"regazzini" dell'oratorio, inconsapevoli di star marcando
chiassosamente un centravanti così illustre. Il pensiero Cornelio Fabro
si inscrive nell'alveo della neoscolastica, o, più precisamente, del
neotomismo. Il suo apporto più profondo alla metafisica classica, sulle orme di
san Tommaso d'Aquino, è la distinzione reale tra essentia ("essenza")
e actus essendi ("atto d'essere"). È questa tesi che lo porterà a
riconoscere con sicurezza le debolezze e le aporie del pensiero moderno, il
quale, movendo dall'immanentismo del cogito cartesiano, sfocia ineluttabilmente
nell'ateismo. Inoltre combatté e condannò l'eterodosso pensiero modernista.
Nel saggio Introduzione all'ateismo moderno (Studium, Roma, 1964) egli ha
sviluppato un ampio esame del pensiero ateo moderno, trovandone l'origine nel
pensiero di Cartesio e con successivi importanti apporti di quello di Spinoza.
Secondo Fabro con alcune premesse poste da essi l'ateismo ha trovato basi di
sviluppo importanti. In buona sintesi: tutto nasce da una visione filosofica
dell'"immanenza" che ha danneggiato fortemente il riferimento alla
"trascendenza". Altri pensatori moderni su cui si è esercitata
l'acribìa fabriana sono Emanuele Severino e Karl Rahner. Sul fronte opposto, il
Fabro ha valorizzato in misura importante il pensiero cristiano,
esistenzialista, anti-idealista di Søren Kierkegaard, facendosi traduttore
(dall'originale in lingua danese), editore e commentatore delle sue
opere. Opere Nell'arco temporale 1934-1994 Fabro pubblicò 38 libri, ciò
che fa di lui uno scrittore con una produzione media superiore a un libro ogni
due anni. Ma la sua produzione letteraria viene quasi raddoppiata quando si
considerino i suoi contributi in diverse opere in collaborazione (circa venti);
le voci per Dizionari, per Enciclopedie italiane ed estere (per la sola
Enciclopedia Cattolica [1948] scrive 113 voci); gli articoli su riviste,
giornali, periodici (quasi novecento); le recensioni (centinaia); ecc. La
nozione metafisica di partecipazione secondo S. Tommaso d'Aquino, S.E.I.,
Torino, 1939 Neotomismo e suarezismo, Piacenza, 1941 La fenomenologia della
percezione, Vita e Pensiero, Milano, 1941 Percezione e pensiero, Vita e
Pensiero, Milano, 1941 Introduzione all'esistenzialismo, Vita e Pensiero,
Milano, 1943 Problemi dell'esistenzialismo, A.V.E., Roma, 1945 Tra Kierkegaard
e Marx: per una definizione dell'esistenza, Vallecchi, Firenze, 1952 Dio. Introduzione
al problema teologico, Studium, Roma, 1953 L'Assoluto nell'esistenzialismo,
Miano-Catania, 1953 L'anima, Studium, Roma, 1955 Dall'essere all'esistente,
Morcelliana, Brescia, 1957 Profili di Santi, Istituto Padano di Arti Grafiche,
Rovigo, 1957 Vangeli delle domeniche, Morcelliana, Brescia, 1959 Breve
introduzione al Tomismo, Desclée, Roma, 1960 Georg W.F. Hegel: La dialettica,
La Scuola Editrice, Brescia, 1960 Participation et causalité selon S. Thomas
D'Aquin, Paris-Louvain, 1961 Partecipazione e causalità, S.E.I., Torino, 1960
Feuerbach-Marx-Engels. Materialismo dialettico e materialismo storico, La
Scuola Editrice, Brescia, 1962 Introduzione all'ateismo moderno, Studium, Roma,
1964 L'uomo e il rischio di Dio, Studium, Roma, 1967 Esegesi tomistica,
Pontificia Università Lateranense, Roma, 1969 Tomismo e pensiero moderno,
Pontificia Università Lateranense, Roma, 1969 La svolta antropologica di Karl
Rahner, Rusconi, Milano, 1974 L'avventura della teologia progressista, Rusconi,
Milano, 1974 Søren Kierkegaard. Il problema della Fede, La Scuola Editrice,
Brescia, 1978 La trappola del compromesso storico: da Togliatti a Berlinguer,
Logos, Roma, 1979 La preghiera nel pensiero moderno, Edizioni di Storia e
Letteratura, Roma, 1979 L'alienazione dell'Occidente. Osservazioni sul pensiero
di Emanuele Severino, Quadrivium, Genova, 1981 Momenti dello spirito I, Sala
Francescana di cultura «P. Antonio Giorgi», AssisiS. Damiano, 1983 Momenti
dello spirito II, Sala Francescana di cultura «P. Antonio Giorgi», AssisiS.
Damiano, 1983 Introduzione a San Tommaso, Ares, Milano, 1983 Riflessioni sulla
libertà, Maggioli, Rimini, 1983 Gemma Galgani. Testimone del soprannaturale,
Cipi, Roma, 1987 L'enigma Rosmini, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1988
Le prove dell'esistenza di Dio, La Scuola, Brescia, 1989 Commento al Pater
Noster, (postumo), Pontificia Accademia di San Tommaso d'Aquino, Città del
Vaticano, 2002 Traduzioni Ludwig Feuerbach, L'essenza del Cristianesimo,
L'Aquila, Japadre, 1977. Letteratura su Cornelio Fabro Antonio Pieretti ,
Essere e libertà. Studi in onore di Cornelio Fabro, Maggioli, Rimini, 1984.
Giuseppe Mario Pizzuti , Veritatem in caritate. Studi in onore di C. Fabro,
Ermes, Potenza, 1991. Rosa Goglia, La novità metafisica in Cornelio Fabro, Marsilio,
Venezia, 2004. Federico Costantini , Cornelio Fabro e il problema della
libertà, Forum, Udine, 2007. Elvio Celestino Fontana, Fabro all'Angelicum,
EDIVI, Segni, 2008. Idem, Fabro e l'Esistenzialismo, EDIVI, Segni, . Rosa
Goglia, Cornelio Fabro. Profilo biografico, cronologico, tematico da inediti,
note di archivio, testimonianze, EDIVI, Segni, . Ariberto Acerbi , Crisi e
destino della filosofia. Studi su Cornelio Fabro, EDUSC, Roma, . Note Goglia, Rosa, Cornelio Fabro : profilo
biografico cronologico tematico da inediti, note di archivio, testimonianze,
EDIVI, Søren Kierkegaard Neotomismo
Ateismo Cornelio Fabro, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, 2009. Pagina su Cornelio Fabro e sulle sue opere., su
corneliofabro.org. Pagina dell'Trieste relativa a Convegno internazionale su
Cornelio Fabro., su units.it. Il Fondo Fabro presso la Biblioteca della
Pontificia Università della Santa Croce., su pusc.it.
Faggin:
Grice:
“I like Faggin: he is obsessed with love; he translated Fedro, he selected some
passages from the Roman philosopher Plotino and titled it, implicaturally “Dal
bello al divino,” but surely for Plotino, via hypernegation, the divine IS
beautiful – and finally, being an Italian, he became interested in “Dutch Protestantism”
– “il Pellegrino cherubico”!” -- Giuseppe Faggin (Isola Vicentina) filosofo. Laureatosi nel 1930 con Erminio Troilo, Faggin
è stato professore di filosofia all'Padova e nei licei classici di Bassano del
Grappa, Campobasso e Vicenza. Studioso del
platonismo, della tradizione mistica e dell'occultismo, ha tradotto per la
prima volta in Italia le Enneadi di Plotino, pubblicate nel 1947–48 per
l'Istituto Editoriale, e riedite nel 1992 da Rusconi. Altri suoi lavori riguardano Meister Eckhart
e la mistica medioevale tedesca, il filosofo Schopenhauer, la stregoneria e
l'occultismo rinascimentale. Suo figlio
Federico è un importante fisico e inventore: sua l'invenzione nel 1971 del
microprocessore. Pubblicazioni
Monografie Van Gogh, Padova, CEDAM, 1945. Plotino, Milano, Garzanti, 1945 (2ª
ed. aggiornata: Plotino, Roma, Āśram Vidyā, 1988). Meister Eckhart e la mistica
tedesca preprotestante, Bocca, Milano, 1946. Schopenhauer: il mistico senza
Dio, Firenze, La nuova Italia, 1951. Le streghe: trentatré incisioni
dell'epoca, Milano, Longanesi & C., 1959. Gli occultisti dell'età
rinascimentale, Milano, Marzorati, 1960. Storia della filosofia: ad uso dei
licei classici, Milano, Principato, 1963–65. Dal Rinascimento a Immanuel Kant,
Milano, Principato, 1969. Il pensiero antico e medievale, Milano, Principato,
1972. Diabolicità del rospo, Vicenza, Neri Pozza, 1973. Dal Romanticismo alla
scuola di Francoforte, Milano, Principato, 1977. Traduzioni Plotino, Enneadi, 3
voll., Introduzione, testo critico, traduzione e note di Giuseppe Faggin,
Milano, Istituto Editoriale, 1947–48. Arthur Schopenhauer, I due problemi
fondamentali dell'etica: 1. Sulla libertà del volere; 2. Sul fondamento della
morale, Introduzione, traduzione e note di Giuseppe Faggin, Torino, Boringhieri,
1961. Meister Eckhart, Trattati e prediche, Giuseppe Faggin, Milano, Rusconi,
1982. Inni orfici, Giuseppe Faggin, Roma, Āśram Vidyā, 1991. Plotino, Enneadi.
Testo greco a fronte, Giuseppe Faggin, coadiuvato da Roberto Radice, Milano,
Rusconi, 1992. Note In ricordo di
Giuseppe Faggin. Franco Volpi, Ars
majeutica. Studi in onore di Giuseppe Faggin, pag. 3, Neri Pozza, 1985. Estratti del testo su Plotino pubblicato da
Giuseppe Faggin per Garzanti. Franco
Volpi , ARS MAJEUTICA. Scritti in onore di Giuseppe Faggin, Vicenza, Neri Pozza
Editrice, 1985. Giuseppe Faggin. Le
ragioni dell'insegnante, dagli Atti della commemorazione.
Falamonica – Grice: “It seems every philosopher has
a catabasis – as Eneas did!” “Falamonica spends a ‘stagione’ in hell, too!” -- “I
do like Falamonica – the way he makes ‘Aristoteil’ rhyme! “E vidi alfin colui,
che fra’ mortali / più degno par di tutto quell Collegio, / levarsi contra
tutti, e batter l’ali; / dico Aristotil.” – Grice: Falamonica is interesting:
there is Socrates teaching Alcibiades, and Socrates teaching Plato, and Plato
teaching Aristotle, and Aristotle teaching Alexander!” -- From Taggia, near
Bordighera --. Gentile: Bartolomeo Fallamonica Gentile Bartolomeo Fallamonica Gentile (Genova),
filosofo. Should be under “F”? It is Bartolomeo Gentile Fallamonica” -- Poeta
ligure di cui si hanno notizie dal 1469 al 1511, nacque probabilmente intorno
al 1450 da Pancrazio e Violantina Piccamiglio; la famiglia Falamonica
apparteneva all'albergo Gentile dal 1345. Venne in contatto con il
pensiero filosofico di Ramon Llull durante il suo lungo soggiorno nel regno
d'Aragona. In Aragona si fece promotore del Lullismo, favorendo la
pubblicazione di varie opere ad esso collegate. Sempre in terra iberica diede
alle stampe alcuni componimenti poetici, permeati dal pensiero lullista.
Ritornato in patria, ispirato dal pensiero di Llull, compose i Canti, poema
dottrinale in terzine di 42 canti , chiaramente derivato dalla Commedia di
Dante, in cui il personaggio di Virgilio è sostituito proprio dal
catalano. Opere Canti Note Le
famiglie nobili genovesii, pag.87. S.
Foà, Dizionario Biografico degli Italiani, riferimenti in . Fiorenzo Toso, La letteratura ligure in
genovese e nei dialetti locali, 2, Le
Mani, Recco 2009. Raffaele Soprani, Li scrittori della Liguria: e
particolarmente della maritima, pag.49, su books.google.it. Raimondo Lullo «FALLAMONICA, Bartolomeo Gentile», in
Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1932. Simona
Foà, «FALLAMONICA GENTILE, Bartolomeo», in Dizionario Biografico degli
Italiani, Volume 44, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1994. Angelo
M.G. Scorza, Le famiglie nobili genovesi, Fratelli Frilli Editori,
Trebaseleghe.
Falciglia
– Grice:
“I like Falciglia; for one, he took dialectic seriously, as any Aristotelian
does! So he wrote on sensus compositum, on ‘definitio,’ on ‘demonstratio,’ and
he even ventured on moral philosophy – in a nutshell, the perfect
Aristotelite!” -- Giuliano
Falciglia (Salemi), filosofo. Professoree
giovanissimo entrò nel convento di Sant'Agostino della sua città natale per
essere poi trasferito nel 1419 a Padova per proseguine negli studi dove divenne
allievo di Paolo da Venezia e Giovanni di Cipro. Fu poi più volte trasferito:
nel 1422 a Siena e due anni dopo a Bologna, dove fu eletto definitore
dell'ordine dell'isola sicula durante il capitolo del 4 luglio 1430 tenutosi
nel convento di Montpelier. Fu nominato
baccelliere sentenziario a Padova dove insegnò teologia nel biennio 1430-32. Fu
quindi nominato reggente di Rimini e socio del Generale dell'ordine durante il
concilio di Basilea sostituendolo nell'incarico dal 1443. Restò fino al 1459
Generale dell'Ordine agostiniano. Questa carica gli venne più volte rinnovata
nei diversi Capitoli dell'ordine tenutesi a Burges 1441, Ferrara (1451) e ad
Avignone (1455) restando presumibilmente in carica fino alla sua morte, tanto
che il successore Alessandro Oliva fu eletto solo il 12 maggio 1459. La data
della sua morte che il Perdini indica come il 20 maggio è quindi non da tutti
considerata esatta, ma si presume che possa essere deceduto entro la prima
decate del mese di maggio. In questo lungo periodo a causa dei suoi gravi
problemi di salute dal 1448 incaricò suo collaboratore Alessandro Oliva di Sassoforte,
poi suo successore. La salma fu sepolta
nel convento agostiniano di Messina.
Opere Statuta pro conventu Parisiensi del 1447 De sensu composito De
medio demostrationis Note Giuliano da
Salemi, Associazione Storico culturale S. Agostino. 30 luglio .. La chiesa e i salemitani, su
matricesalemi.blogspot.com. 30 luglio ..
Nicola Crusenio, Agostiniana,
D.Perini, Firenze, 193144-45. Giuliano
Falciglia da Salemi, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. B
Falzea:
Grice: “I like Falzea; for one he applies Apollonian principles to
H. L. A. Hart’s analysis of ‘discorso giuridico’ – alla ‘discorso musicale’ –
after all, there is ‘armonia’ in justice!” -- Angelo Falzea (Messina),
filosofo. Laureatosi in Giurisprudenza nel 1936 e allievo di Salvatore
Pugliatti, ha svolto l'intera carriera accademica alla Facoltà di
Giurisprudenza dell'Messina (intervallata da periodi di parallelo insegnamento
in alcune università calabresi), prima come assistente poi, dal 1943 in poi,
come ordinario, di Istituzioni di diritto privato e, dal 1984, di diritto
civile, fino alla nomina a professore emerito, dopo essere stato collocato a
riposo. Dal 1959 al 1986, fu anche preside della Facoltà di
Giurisprudenza. Socio nazionale dell'Accademia Nazionale dei Lincei e
decano dei civilisti italiani fra i più noti a livello mondiale, Falzea è stato
anche il più anziano ed illustre esponente della Scuola messinese di diritto
civile, fondata da Salvatore Pugliatti. Condirettore della Rivista di Diritto
Civile, dal 1997 al 2002 è stato anche il direttore scientifico
dell'Enciclopedia del Diritto, voluta dall'editore Antonino Giuffrè, e di cui è
stato uno dei fondatori. Docente esigente, rigoroso e integerrimo,
maestro della tradizione italiana della scienza del diritto, con le sue
ricerche di teoria generale e dogmatica giuridica, nonché con i suoi numerosi
contributi ai più diversi istituti civilistici, ha segnato, in più di
sessant'anni di intensa e ricca operosità scientifica, un profondo avanzamento
ed un decisivo rinnovamento degli studi giuridici in Italia. Tra i suoi
allievi: Vincenzo Scalisi, Angelo Federico, Giovanni D'Amico, Attilio
Gorassini, Enzo Campagna e Mario Trimarchi. Tra i molti riconoscimenti
ricevuti da Falzea nel corso degli anni, la laurea honoris causa in Scienze
Politiche, conferitagli dall'Siena nel 2006, e il primo premio internazionale
Bonino. Attività scientifica e pensiero Falzea pioniere delle scienze
giuridiche teoriche e della filosofia del diritto, contribuendo, con un
originale metodo interdisciplinare (ma non eclettico), a mettere in relazione
aree disciplinari apparentemente distanti fra loro, ma tutte convergenti a
conferire più solidità ed autonomia al diritto. Sua costante preoccupazione è
stata quella di integrare, sempre ed opportunamente, la prospettiva astratta
logico-formale e filosofica con quella pragmatica del diritto mirante a fornire
quel necessario ordine giuridico indispensabile alla coesistenza pacifica di
vita materiale, vita spirituale e vita sociale. Fra i suoi maggiori risultati,
la centralità della nozione di ”soggetto“, pensato sia astrattamente che in
relazione alla correlativa persona fisica e reale, la fondazione di una etica
giuridica e l'elaborazione di una teoria assiologica del diritto, frutto
rispettivamente della sua incisiva indagine critica ed ampia comprensione
concettuale delle nozioni di ”valore“da porre, per Falzea, al centro del
pensiero giuridico, assieme a quello di ”interesse“e di ”categoria giuridica“
formale, quali nuclei fondanti del corpus dottrinario della giurisprudenza. Da
qui, la constatazione di principio secondo cui il ”fenomeno giuridico“, nella
sua accezione più ampia come fatto storico-sociale dinamico e non statico, deve
essere analizzato nelle sue due componenti principali, quella ”formale“ e
quella ”sostanziale“, da considerarsi sempre in un reciproco, razionale
equilibrio correlativo garante di quella realtà umana fattuale di interessi e
di valori. Epistemologia giuridica e interdisciplinarità Il perno
epistemologico dell'impianto teorico delineato da Falzea, quale presupposto
ineludibile per l'esistenza di un qualsiasi stato di diritto, è quello che fa
leva sull'imprescindibile ruolo formalizzante che ogni determinazione giuridica
cogente deve avere nel catturare, indi razionalizzare (componente formale),
quel nucleo affettivo-emotivo (componente sostanziale) insito in ogni fatto
umano consuetudinario della vita reale. Il diritto, come realtà assiologica, è
quella naturale concezione, Falzea fa notare, cui si perviene allorché si
abbandona quella riduttiva visione formalistica ed astratta della
giurisprudenza la quale, invece, come scienza viva e positiva, deve guardare
alla realtà fattuale ed alle sue dinamiche complesse e multifattoriali, ai suoi
contenuti pragmatici, di valori ed interessi. Da qui, la necessaria
interdisciplinarità cui deve sottostarepur mantenendo la propria autonomiala
costante giurisprudenza per non cadere in un anacronistico e sterile formalismo
privo di sostanzialità. La «forte, quasi esasperata dimensione teoretica»
(ma mai grettamente dogmatica) che ha caratterizzato l'opera di Falzea,
espressa non solo da un punto di vista meramente logico-formale ma sempre
contestualizzata alla variegata problematicità e storicità della realtà umana,
si evince, in tutta la sua evidenza, dagli scritti dedicati ai problemi di
teoria generale del diritto, affrontati, oltre che in alcuni suoi lavori
monografici, in certe voci la lui redatte per l'Enciclopedia del Diritto, tra
gli anni '50 e '60, sì da costituire dei veri "classici" della
letteratura giuridica contemporanea: fra queste, le voci “Accertamento” ( I,
1958), “Apparenza” ( II, 1958), “Efficacia Giuridica” ( XIV, 1965), “Fatto
giuridico” ( XVI, 1967). Fra i molti contributi dati da Falzea
all'elaborazione teorica dell'ordinamento giuridico, in raccordo a quanto detto
sopra, degno di nota è l'aver egli richiamata l'attenzionenella voce ”I fatti
del sentimento“, sulla scia di parte del pensiero di Pugliattisulla rilevanza
giuridica del sentimento, inteso non come un principio generale
dell'ordinamento, bensì come un vero e proprio sentimento individuale o
collettivo, fattualmente rilevante per il comportamento umano, che le norme
giuridiche, specie quelle del diritto civile e penale, classificano come un
valore positivo, da rispettare dunque, o negativo (disvalore), da reprimere
invece. Da questa presupposizione quindi, con metodo contraddistinto da
ampiezza dell'indagine storica e improntato al rigore filosofico, Falzea
consegue uno dei suoi maggiori risultati, riguardante l'analisi del concetto
generale di diritto, quale diritto positivo, cioè effettivamente vigente,
scritto o no, incardinato entro un sistema assiologico fondato su un ordine
razionale dello spirito umano che permette di classificare i valori umani, di
una determinata società in un assegnato luogo ed in un certo tempo (storicità
del diritto), secondo una scala della loro importanza. Quest'ordinamento
razionale è un tratto distintivo sia del sistema culturale umano generale che
dei suoi sottosistemi, fra i quali preminenti sono quello linguistico, che è il
principale sistema di comunicazione, e quello giuridico, che è il sistema
normativo attualizzato dell'azione umana individuale e collettiva.[25] Da
questa prospettiva, anche sulla base di un parallelo analogico-concettuale con
la struttura della logica, Falzea perviene, tra l'altro, ad una elementare
quanto fondamentale distinzione metagiuridica fra teoria generale del diritto e
dogmatica giuridica, argomentando solidamente a favore della tesi per cui
la teoria generale del diritto opera ad un livello superiore di generalità
rispetto a quello in cui si colloca la dogmatica giacché quest'ultima è sempre
inerente a diritti positivi storicamente attualizzati, oggetti di studio della
teoria generale che, in quanto tale, non discende dunque da alcun diritto
positivo particolare, e quindi neppure dalla dogmatica. La teoria generale del
diritto è piuttosto riflessione metateorica su quei particolari sistemi
culturali individuati dalle varie attuazioni storiche del diritto positivo,
sistemi che verranno quindi interpretati speculativamente e spiegati
razionalmente (interpretazione giuridica) tramite metodi centrati sulla
individuazione e ordinazione concettuale. Solo in questi termini, Falzea
ribadisce, si può allora più propriamente parlare, da un punto di vista
positivistico, di ”scienza del diritto“, piuttosto che di semplice ”filosofia
del diritto“.[26] Nel 1991 è stata pubblicata, in sei volumi, una
raccolta di scritti in suo onore, comprendente contributi tecnici e scientifici
di alcuni fra i maggiori giuristi italiani, fra cui Guido Alpa, Pietro
Barcellona, Paolo Barile, Cesare Massimo Bianca, Antonino Cataudella, Paolo
Grossi, Elio Fazzalari, Vittorio Frosini, Nicolò Lipari, Enrico Opocher,
Giorgio Oppo, Pietro Rescigno, Rodolfo Sacco, Paolo Spada, Michele Taruffo,
Alberto Trabucchi. Opere principali Il soggetto nel sistema dei fenomeni
giuridici, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano, 1939. La condizione e gli elementi
dell'atto giuridico, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano, 1941 (con successive
edizioni). La separazione personale, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano, 1943.
L'offerta reale e la liberazione coattiva del debitore, Dott. A. Giuffrè
Editore, Milano, (ristampa della prima
edizione del 1947, con nuova prefazione dell'autore). Il fatto naturale,
CEDAM-Casa Editrice Dott. Antonio Milani, Padova, 1969. Voci di teoria generale
del diritto, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano, 1978 (con successive edizioni).
Il gene giuridico (con Danilo Mainardi), Dott. A. Giuffrè Editore, Milano,
1983. Introduzione alle scienze giuridiche. Parte I: Il concetto di diritto, VI
edizione (I edizione, 1975), Dott. A. Giuffrè Editore, Milano, 2008. Teoria
generale del diritto, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano, 1999 (Fa parte di
Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica, I). Dogmatica Giuridica, Dott. A. Giuffrè
Editore, Milano, 1997 (Fa parte di Ricerche di teoria generale del diritto e di
dogmatica giuridica, II). Scritti
d'occasione, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano,
(Fa parte di Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica
giuridica, III). Note Messaggio di cordoglio Archiviato il 16
febbraio in . sul sito
dell'Messina. Cfr. P. Grossi, ”La
cultura del civilista italiano“1215, in: Scienza e insegnamento del diritto
civile in Italia, Convegno di studio in onore del prof. Angelo Falzea, Messina,
4-7 giugno 2002, V. Scalisi, Dott. A. Giuffrè Editore,Cfr. la testimonianza
dello stesso Falzea in: M. Sabbioneti, ”Salvatore Pugliatti“, Dizionario
Biografico degli Italiani, .
Cfr.//messinaierieoggi.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2801:falzea-il-preside-angelo-&catid=92:antonino-condorelli&Itemid=2906 Cfr. ”Omaggio ad Angelo Falzea“ (p. 191), in:
P. Grossi, Nobiltà del diritto. Profili di giuristi, Dott. A. Giuffrè Editore,
Milano, 2008, 189-215. Cfr. pure A. Falzea, ”Salvatore Pugliatti, il
maestro“, in: L'opera di Salvatore
Pugliatti, fascicolo speciale dedicato in sua memoria, Rivista di Diritto
Civile, Parte I, 1978, 534-540. Angelo Falzea nell'Enciclopedia Treccani Sull'importanza del contributo di Falzea alla
giuscivilistica italiana, cfr., per esempio, ”Omaggio ad Angelo Falzea“,
cit. A cui dedicava il corso annuale
speciale, da lui introdotto per la prima volta nella Facoltà di Giurisprudenza
di Messina, di Introduzione alle Scienze Giuridiche. Cfr. V. Scalisi, ”Presentazione“XVIII, in:
Scienza e insegnamento del diritto civile in Italia, Convegno di studio in
onore del prof. Angelo Falzea, Messina, 4-7 giugno 2002, V. Scalisi, Dott. A.
Giuffrè Editore, Milano, 2004,
XVII-XXVII. Cfr. Motivazione
della laurea honoris causa in scienze Politiche conferita dall'Università degli
Studi di Siena il 6 marzo 2006 ad Angelo Falzea, in: Oltre il ”positivismo
giuridico“: in onore di Angelo FalzeaSirena, ESI, Napoli, XI. Cfr. F. Santoro-Passarelli, ”Sguardo
all'opera di un giurista“ (p. 3), in: Scritti in onore di Angelo Falzea, Dott.
A. Giuffrè Editore, Milano, Cfr. ”Omaggio ad Angelo Falzea“, cit., 208-209.
Cfr. ”Omaggio ad Angelo Falzea“, cit.205. Molti dei quali riguardanti tematiche,
metodologie ed indirizzi già aperti da Pugliatti (cfr. la sua biografia
scientifica ”Salvatore Pugliatti, giurista inquieto“, in: P. Grossi, Nobiltà
del diritto. Profili di giuristi, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano, 2008, 531-555), seppur ottenuti, da Falzea, secondo
una sua propria visione condotta da un'originale prospettiva storica e per
altre vie. Per un raffronto storico-critico fra il pensiero di Pugliatti e
quello di Falzea, così come per più approfondite notizie storiche sulla ”Scuola
giuridica messinese“, rinviamo a V. Scalisi, Fonti-Teoria-Metodo. Alla ricerca
della «regola giuridica» nell'epoca della postmodernità, Dott. A. Giuffrè
Editore, Milano, , Parte II, ed alle referenze ivi citate. Cfr. G. Benedetti, ”La contemporaneità del
civilista“, 1274-1275, in: Scienza e
insegnamento del diritto civile in Italia, Convegno di studio in onore del
prof. Angelo Falzea, Messina, 4-7 giugno 2002, V. Scalisi, Dott. A. Giuffrè
Editore, Milano, 2004, 1229-1299. Cfr. ”Omaggio ad Angelo Falzea“, cit., 203-205.
Cfr. ”Omaggio ad Angelo Falzea“, cit.,
201-202, 212, che riprende quanto Falzea sostiene alle 9-10 della voce Sistema normativo e analitica
della norma, dell'Enciclopedia del Diritto.
Per Falzea, il nesso fra la fattispecie, ossia la premessa normativa
(ovvero, il caso particolare fattuale), e la conseguenza, ossia il suo
possibile effetto giuridico, sarebbe di fondamentale importanza per chiarire la
natura delle norme giuridiche, e quindi per strutturare il mondo del diritto.
Cfr. F. Viola, G. Zaccaria, Diritto e interpretazione. Lineamenti di teoria
ermeneutica del diritto, Editori Laterza, Roma-Bari, 1999, Cap. II, §
8144. In merito a ciò, è utile
rammentare come gli studi antropologici abbiano messo in luce il fatto saliente
per il quale, in un certo senso, tutto il diritto può essere considerato come
consuetudinario; cfr. U. Fabietti, F. Remotti , Dizionario di Antropologia.
Etnologia, Antropologia Culturale, Antropologia Sociale, Zanichelli Editore,
Bologna, 1997239; sull'importanza, poi, della consuetudine dal punto di vista
dell'antropologia giuridica, cfr. pure A. Facchi, M.P. Mittica , Concetti e
norme. Teorie e ricerche di antropologia giuridica, FrancoAngeli, Milano, 2000;
L. Assier-Andrieu, Le Droit dans les sociétés humaines, Éditions Nathan, Paris,
1996, e "Penser le temps culturel du droit. Le destin du concept de
coutume en anthropologie", L'Homme, 160 (2001) 67-90. Inoltre, per i fondamentali contributi
dell'opera di Falzea all'antropologia giuridica, cfr. R. Sacco, Antropologia
giuridica. Contributo ad una macrostoria del diritto, Società editrice il
Mulino, Bologna, 2007. Cfr. ”Omaggio ad
Angelo Falzea“, cit., 206-207. Cfr. ”Omaggio ad Angelo Falzea“,
cit.203. Cfr. soprattutto la sua
Introduzione alle Scienze Giuridiche.
Cfr. ”Sguardo all'opera di un giurista“, Cfr. ”Sguardo all'opera di un giurista“,
cit.4. Cfr. A. Falzea, Teoria generale
del diritto, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano, 1999, 278-279.
Scritti catanzaresi in onore di Angelo Falzea, ESI-Edizioni Scientifiche
Italiane, Napoli, 1987. Scritti in onore di Angelo Falzea, 6 voll., Dott. A.
Giuffrè Editore, Milano, 1991. Giornate in onore di Angelo Falzea, Messina,
15-16 febbraio 1991, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano, 1993. Scienza e
insegnamento del diritto civile in Italia, Convegno di studio in onore del
prof. Angelo Falzea, Messina, 4-7 giugno 2002, V. Scalisi, Dott. A. Giuffrè
Editore, Milano, 2004. Oltre il ”positivismo giuridico“: in onore di Angelo
FalzeaSirena, ESI-Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, . V. Scalisi,
Fonti-Teoria-Metodo. Alla ricerca della «regola giuridica» nell'epoca della
postmodernità, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano, . Centenario di Angelo Falzea, su gazzettadelsud.it.
Ricordo di Angelo Falzea, su gazzettadelsud.it.
Fano:
Grice: “I like Fano; for one, he took very seriously Plato’s
Cratilo – “origine e natura del linguaggio,’ he has also explored a rather
extravagant trend for Italian philosophers, when philosophy is reduced to
‘analisi del linguaggio’!” -- Giorgio
Fano (Trieste), filosofo. Pensatore neoidealista, apparteneva a quel gruppo di
artisti, letterati, e scrittori che hanno reso famosa la Trieste del primo
Novecento. Egli ha letto in modo originale l'opera di Croce e Gentile. In
particolare ha sottolineato l'importanza delle scienze naturali e della
matematica, che nel suo sistema non sono governate dagli pseudoconcetti.
Inoltre ha dato molta importanza agli aspetti più semplici e ferini dello
spirito seguendo le riflessioni di Giambattista Vico. Giorgio Fano nacque
a Trieste il 17 aprile 1885. Suo padre Guglielmo era un medico affermato, sua
madre Amalia Sanguinetti, da molti anni gravemente sofferente, morì quando lui
era ancora bambino. Il padre Guglielmo fu uno dei pochi ebrei di allora che
passarono al cattolicesimo per sincera fede. Ma tale conversione fu
accompagnata da manie religiose e disordini mentali precoci. Giovinezza e
interazione con gli intellettuali giuliani Fin dall'adolescenza Fano ebbe un
impulso di rivolta contro gli adulti, il loro conformismo, il loro spirito
oppressivo. Nel romanzo Quasi una fantasia di Ettore Cantoni si parla di due
ragazzi, in cui è facile riconoscere l'autore Ettore e il suo amico Giorgio
Fano, che viaggiano e arrivano addirittura in Africa, appunto per sfuggire
all'atmosfera pesante instaurata dagli adulti. Fano fu un ragazzo
ribelle, non volle accettare la disciplina della scuola; un piccolo episodio
contraddistingue il suo carattere, quando gettò nella stufa il registro di
classe. Frequentò le scuole austriache del tempo con scarso profitto; egli
affermava che una parte delle sue difficoltà era dovuta al fatto di avere poca
memoria (non quella concettuale, in cui eccelleva, ma quella specifica, dettagliata,
necessaria ad es. nello studio della storia e della geografia). Così abbandonò
gli studi assai prima di aver conseguito la maturità. Ritiratosi da
scuola, i suoi congiunti gli procurarono un posto di impiegato. Ma egli
abbandonò l’impiego e affittò, assieme ad alcuni coetanei, una cameretta sul
colle di Scorcola, dove si dedicò non solo a discussioni senza fine con gli
amici, ma passò ore e ore a leggere i classici della filosofia. Più tardi a
Vienna poté sentire le lezioni universitarie di alcuni luminari del tempo. Fu
la lettura dei classici tedeschi, da Leibnitz a Schopenhauer, da Kant a Fichte
e Hegel, a dare al suo pensiero un indirizzo al quale egli sarebbe rimasto
fedele per tutta la vita, a fargli trovare le armi per la sua personale battaglia
contro il dogmatismo, il fideismo, il clericalismo del proprio ambiente
familiare. Certo alla formazione di Fano ha contribuito anche l'ambiente
eccezionale della Trieste di allora; fu suo amico Umberto Poli, il cui
pseudonimo, Saba, fu inventato proprio da lui. Si ispira certamente alla
figura di Fano anche il sesto de I prigioni (1924) di Saba: «L’Appassionato. /
Natura, perché ardo, m’ha di rosso / pelo le guance rivestite e il mento. / Non
è una brezza lo spirito: è un vento / impetuoso, onde anche il Fato è scosso.
/…../ Ero Mosè che ti trasse d’Egitto, / ed ho sofferto per te sulla croce. /
Mi chiamano in Arabia Maometto». Nel 1919 Saba e Fano comprarono in
società la libreria antiquaria Mayländer, la futura "Libreria antica e
moderna", ma non andavano d’accordo, perché Fano non era persona da
accollarsi diligentemente troppi compiti "noiosi". Così i due
decisero di separarsi e, poiché entrambi volevano rimanere proprietari, Fano
propose di giocare questo diritto a testa o croce e vinse. Ma Saba, che era
amante e cultore di libri antichi, non accettò il verdetto della sorte e
convinse l’amico a cedergli ugualmente la libreria. Un'altra persona
dell'ambiente triestino con cui Fano ebbe grande amicizia è stato Virgilio
Giotti. Scrive Fano[senza fonte]: «Il nostro fu un incontro come di un artista
toscano con un profeta ebreo. Io ne ebbi un grande giovamento. Egli leggeva a
quel tempo Zola, Maupassant e Flaubert che io non conoscevo. Per il suo
carattere indolente, in molte cose esteriori della vita egli fece ciò che gli
consigliavo io. Se ne venne via da Trieste, poi fece venire la famiglia a
Firenze e cose simili». Ma l'amicizia fra i due subì un tremendo contraccolpo a
causa delle drammatiche vicende in cui fu coinvolta Maria, sorella di Virgilio,
che Fano sposò nel 1914: ebbero un figlio minorato mentale, Piero, che nel 1929
fu ucciso dalla madre, la quale si tolse a sua volta la vita. Fu una tragedia
che scosse profondamente tutta la città. In seconde nozze, nel 1931
Giorgio Fano sposò Anna Curiel, da cui ebbe un figlio di nome Guido.
Studi e insegnamenti Durante il periodo della prima guerra mondiale fu
irredentista, come molti dei suoi amici, Benco, Saba, Giotti, Schiffrer e
altri. In seguito il suo atteggiamento fu molto simile a quello di Benedetto
Croce, e per analoghi motivi ideologici. Gli ideali egalitari non facevano
presa su di lui e gli sembrava utopistico, e comunque non desiderabile,
l’instaurare una società comunista. Anzi, negli anni subito dopo la prima
guerra mondiale si oppose con decisione al socialismo massimalista e turbolento
di allora, tanto da dimostrare, per un breve periodo, una certa comprensione
per la reazione fascista. Ma, già prima di Croce, Giorgio Fano divenne un
antifascista, che non perdeva alcuna occasione per manifestare apertamente le
sue opinioni. Fano si laureò in filosofia col massimo dei voti a Padova
nel 1923, con una tesi dal titolo Dell’universo ovvero di me stesso: saggio di
una filosofia solipsistica, tesi che fu poi pubblicata nel 1926 sulla Rivista
d’Italia. Probabilmente non frequentò le lezioni universitarie a Padova, anche
perché era già sposato e doveva pensare a mantenere la sua famiglia. Semmai la
sua formazione universitaria si compì, oltre che a Vienna, a Firenze, dove
aveva trascorso qualche anno prima della guerra e dove aveva frequentato
l’ambiente de La Voce. «Professore di filosofia presso vari licei
di Trieste dal 1925, il Fano aspirava tuttavia all’insegnamento universitario,
a cui giunse dopo molte traversie causate da intralci posti dalle autorità. Il
motivo di queste difficoltà si deve alla fama di antifascista che egli si
procurò quando, commemorando il cugino Enrico Elia, volontario nella grande
guerra e morto sul Podgora nel 1915, tenne un discorso in cui traspariva, in
maniera non molto velata, la convinzione che il sacrificio di tante vite per la
libertà veniva rinnegato dal regime politico allora dominante. Questa sua presa
di posizione gli costò alcuni giorni di carcere nella fortezza di Capodistria e
la fama di antifascista si ripercosse sulla sua carriera universitaria».
Attorno a quegli anni a Trieste si andavano diffondendo le idee della
psicoanalisi, in particolare ad opera di Edoardo Weiss che era stato discepolo
di Freud. A Fano non piaceva questa teoria, affermando che si basava su
supposte attività del pensiero immaginarie e non verificabili; il concetto di
inconscio non poteva venir accettato da chi come lui basava tutto
sull'autocoscienza. Studioso di Croce, che aveva conosciuto fin dal 1912
Fano pubblicò vari articoli sulla filosofia crociana; un suo articolo, dal
titolo La negazione della filosofia nell’idealismo attuale (1932) gli procurò
l’attenzione di Giuseppe Lombardo Radice, che gli offrì un posto di assistente
volontario di pedagogia presso la facoltà di magistero dell’Roma, dove Fano si
trasferì assieme alla sua nuova famiglia. Da notare che il suo primo libro, in
cui veniva esposto organicamente il suo pensiero, Il sistema dialettico
dello spirito apparve solo nel 1937, quando egli aveva già 52 anni. Nel 1938,
in seguito alle leggi razziali, fu allontanato dall'insegnamento universitario;
riuscì però a mantenere un posto di professore presso la Scuola Militare
di Roma. Dopo l'invasione tedesca successiva all'8 settembre 1943, Fano
trovò rifugio a Rocca di Mezzo, in Abruzzo dove rimase per quasi un anno. La
tranquilla sicurezza, la noncuranza dei pericoli non gli vennero mai meno, né
per il rischio di venir scoperti dai tedeschi (lui e la moglie avevano
falsificato le carte d’identità), né per i bombardamenti alleati. Anzi, nel
lungo inverno 1943-44 i tedeschi lo usarono spesso come interprete e poiché la
sua casa stava proprio sulla strada maestra, spesso la cucina era piena di
soldati che avevano bisogno di qualcosa. Lì, in quella cucina mal riscaldata, incurante
dei rischi immediati, egli lavorò forse più di quanto non avesse mai fatto in
precedenza e portò a termine l'opera: La filosofia del Croce. Saggi di critica
e primi lineamenti di un sistema dialettico dello spirito, che venne poi
pubblicata nel 1946. Finita la guerra ritrovò il suo posto presso l’Roma,
e anzi per un breve periodo ricoprì anche la carica provvisoria di direttore
dell’Istituto di pedagogia del Magistero, ma non si preoccupò di ottenere una
sistemazione stabile, tanto che alla fine della sua carriera accademica non
ebbe neanche diritto alla pensione. In compenso lavorò con continuità per quasi
vent'anni, fino alla sua morte, portando a termine altri saggi rilevanti. Nel
già citato saggio sul Croce aveva rivendicato l'importanza delle scienze
empiriche, che nella filosofia crociana non avevano dignità conoscitiva. Nel
testo Teosofia orientale e filosofia greca
troviamo una descrizione dello sviluppo storico del pensiero umano, in
cui tra l'altro viene rivendicata l'importanza della matematica, mentre il
Croce sosteneva che la matematica è uno pseudoconcetto. Inoltre curò la
traduzione integrale dei Prolegomena ad ogni futura metafisica di Kant, di cui
aveva già pubblicato degli estratti. Infine le sue ricerche lo portarono
ad esaminare il problema dell'origine della lingua, su cui espresse il suo
pensiero nel Saggio sulle origini del linguaggio, poi riedito accresciuto a
cura di Guido Fano. Morì mentre presiedeva una commissione di
esami. Opere: Il sistema dialettico dello spirito, Roma, Servizi
editoriali del GUF/ La filosofia del Croce. Saggi di critica e primi lineamenti
di un sistema dialettico dello spirito, Milano, Istituto editoriale italiano,
1946. Teosofia orientale e filosofia greca. Preliminari ad ogni storiografia
filosofica, Firenze, La nuova Italia, Saggio sulle origini del linguaggio. Con
una storia critica delle dottrine glottogoniche, Torino, Einaudi, riedizione
postuma, con parti inedite, Anna e Guido Fano, col titolo Origini e natura del
linguaggio, Torino, Einaudi. Neopositivismo, analisi del linguaggio e cibernetica,
Torino, Einaudi/ Traduzioni Emanuele Kant, Prolegomeni ad ogni futura
metafisica: estratti, traduzione, introduzione e note Giorgio Fano, Firenze, G.
C. Sansoni, 1935. Emanuele Kant, Prolegomena ad ogni futura metafisica, Giorgio
Fano, Milano, Istituto Editoriale Italiano, 1948. Note Ettore Cantoni, Quasi una fantasia: romanzo,
Milano, Treves, 1926. Cantóni, Ettore,
su treccani.it. Giorgio Voghera su Il
Piccolo del 4 gennaio 1995. Nel 1919
viene venduta a Giorgio Fano e Umberto Poli, il poeta Umberto Saba, che in data
12 settembre 1919 ne diventa proprietario unico (Rino Alessi). Lantier. Anna Fano. Franco Laicini, in
Dizionario Biografico degli Italiani, cit. infra. Giorgio Voghera, Gli anni della psicanalisi,
Pordenone, Edizioni Studio Tesi: «Egli diceva, ad esempio, che una teoria può
essere accettata solo se si prospettano anche delle ipotesi — che poi
appariranno assurde e non si verificheranno concretamente — nelle quali essa
dovrebbe venir respinta. La psicanalisi, invece, si mette accuratamente al
coperto da ogni prova contraria».
L'estetica nel sistema di B. Croce, L'Anima, dicembre 1911; la filosofia
di B. Croce, Giornale critico della filosofia italiana, Un episodio illustra
bene sia l’importanza che egli annetteva al suo lavoro, sia il suo coraggio:
«Una mattina, scendendo in cucina, che era diventata il suo studio, la trovò
invasa da soldati tedeschi che cercavano acqua ed altro. E allora, con
l’abituale tono tranquillo, dimenticando con chi aveva a che fare, lui l’ebreo,
col suo viso di profeta biblico, additò ai soldati della Wehrmacht la porta:
Pregodisse in tedescose lorsignori avessero la compiacenza di andare da
un’altra parte. Io avrei da lavorare. Senza fiatare i soldati infilarono la
porta ed egli si rimise tranquillamente al suo tavolo di lavoro per battagliare
con Croce, dimentico che la più superficiale inchiesta sarebbe stata
sufficiente a convogliarlo assieme alla sua famiglia verso i campi di
sterminio» (Anna Fano 199347). Il saggio
è stato tradotto in inglese: The Origins and Nature of Language, translated by
Susan Petrilli, Bloomington, Indianapolis, Indiana University Press, 1992. Anna Fano, Noi ebrei, Gorizia, Istituto
giuliano di storia, cultura e documentazione, 1993. Anna Fano, Giorgio e io: un
grande amore nella Trieste del primo '900, Guido Fano, Venezia, Marsilio,
2005, 88-317-8689-X. Guido Fano,
L'ottimismo di Giorgio Fano e il pessimismo di Giorgio Voghera. Brani da lettere
e testi, Milano, Mimesis, Silvano Lantier, Il pensiero di Giorgio Fano: il
linguaggio tra filosofia e scienza, Trieste, Riva, 1976. Silvano Lantier,
Giambattista Vico e Giorgio Fano: motivi di un'affinità ideale, Udine, Del
Bianco, 1981. Franco Laicini, Giorgio
Fano, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. 15 gennaio . Dal sito "Giorgio Fano Filosofo" si possono
scaricare in formato PDF molti suoi scritti editi e inediti.
Fardella.
Grice:
“I like Fardella; for one, he is a systematic philosopher; for another, he
compares Aristotle (‘demonstratio peripatetica’) with Cartesio, as the Italians
call him (‘demonstratio cartesiana’) – And while Italians consider him a
reactionary Cartesian, I deem him a
closet Aristotelian!” -- Ritratto. Michelangelo
Fardella (Trapani), filosofo. Fardella studiò a Messina, allievo di Giovanni
Alfonso Borelli, dal quale accettò la teoria atomistica di Democrito, ma
abbracciò il pensiero di Cartesio, dopo averne appreso gli insegnamenti durante
il suo soggiorno a Parigi dal 1678 al 1680, grazie alle conversazioni con
Antoine Arnauld, Nicolas Malebranche e Bernard Lamy. Membro dell'ordine francescano, insegnò
matematica a Roma e poi a Modena, mentre a Padova, dal 1693, anno in cui divenne
prete secolare, insegnò astronomia e poi filosofia. Nel 1709 lasciò lo Studio
padovano, recandosi a Barcellona, e ritornando in Italia nel 1712. Tenne una lunga corrispondenza con Leibniz e
polemizzò con Matteo Giorgi, che con il suo Saggio della nuova dottrina di
Renato Descartes aveva attaccato il cartesianesimo. Pensiero Il cartesianesimo del Fardella, per
quanto riconosca che «solo Cartesio trovò, fra gli antichi e i moderni, il
retto e naturale metodo di filosofare», è tuttavia relativo, adeguato com'è al
platonismo di Agostino. La struttura del mondo è organizzata secondo principi
matematici:«Dio ha creato ogni cosa secondo peso, numero e misura, ossia
secondo le leggi statiche, aritmetiche e geometriche»; mediante la matematica
si comprende il mondo e si comprende così la logica di Dio. Nel punto, che non ha peso, non ha grandezza,
non è divisibile, è tuttavia l'origine di ogni estensione: «nel punto, come il
numero nell'unità, si risolve l'estensione». L'anima, che non ha estensione, è
un punto. Per Fardella, non è possibile
dimostrare l'esistenza indipendente delle realtà materiali: «La stessa
esperienza ci insegna che spesso nel sogno percepiamo oggetti che veramente non
possiamo ammettere realmente esistenti. Quante volte, la notte, mentre dormo,
vedo splendere il sole sopra l'orizzonte e vedo muoversi in vari modi
moltissime cose prodigiose, che non sono niente extra ideam?. Dunque, quel che
sento e vedo non può in nessun modo essere dedotto come realmente esistente». E
se si obbietta che una cosa è sognare, altra cosa è la veglia, per lui le cose
che percepiamo nella veglia potrebbe anche essere soltanto cose percepite «con
maggiore chiarezza, distinzione e ordine, benché non siano niente» in sé. I
sensi non danno certezza del mondo, la quale può ritrovarsi, per il Fardella
come per Cartesio, soltanto in Dio.
Opere Universae philosophiae systema, in qua nova quadam et extricata
Methodo, Naturalis scientiae et Moralis fundamenta explanantur, Venezia, 1691
Universae usualis mathematicae theoria, Venezia, 1691. Utraque dialectica rationalis
et mathemathica, Amsterdam, 1695. Animae humanae natura ab Augustino detecta in
libris de Animae Quantitate, decimo de Trinitate, et de Animae Immortalitate,
Venezia, 1698 Pensieri scientifici, Napoli, 1986. Lettera antiscolastica,
Napoli, 1986. Note Recensito
immediatamente dopo la pubblicazione del primo e unico volume sulla rivista
scientifica Acta Eruditorum Universae Philosophae Systema. Tomus I, Leipzig,
169239. 10 settembre . Descartes e
l'eredità cartesiana nell'Europa sei-settecentesca, Lecce, 2002. Professori e
scienziati a Padova nel Settecento, Treviso, 2002. Franco Aureluio Meschini,
FARDELLA, Michelangelo, in Dizionario biografico degli italiani, 44, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, 1994. FARDELLA, Michelangelo,
in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Opere di Michelangelo Fardella, su openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Opere su Open Library, Internet Archive.
farquharsonismGrice enjoyed reading Cook Wilson, and was grateful to A S L
Farquharson for making that possible.
Fasso:
Grice: “I like Fassò; for one, he was, like my friend H. L. A. Hart, a
philosophical lawyer! But unlike Hart, Fassò, being a Roman, knew what he was
talking about!” “My favourite is his explication of Bruto’s reaction when being
brought the corpses of his two sons!” -- «Guido Fassò, mi viene a conforto col
suo ottimo lavoro, che dà una diligentissima ed acuta interpretazione ed
esposizione del corso non già logico ma storico, o per meglio dire, psicologico
della formazione della Scienza nuova; esposizione che è utile possedere e che
si segue con curiosità. Con pari bravura è condotta la ricerca di quel che il
Vico attinse o credette di attingere ai quattro suoi autori.» (Benedetto
Croce, Illusione degli autori sui “loro” autori, in Quaderni della Critica,
luglio 1949, n. 14) Guido Fassò. Guido Fassò (Bologna), filosofo. Frontespizio
de La storia come esperienza giuridica, Giuffrè, Milano 1953. Giuseppe
Saitta, esponente della cosiddetta «sinistra gentiliana», seguì Fassò nella
redazione della tesi di laurea in Filosofia, avviandolo, per mezzo
dell'indagine su Michelet, agli studi vichiani. Nato a Bologna, il 18 ottobre
1915, da Ernesto, generale dell'esercito, e Caterina Barbieri, discendente
dalle famiglie Barbieri (il di lei nonno era Lodovico Barbieri) e Dallolio
(Maria Sofia, moglie di Lodovico, era sorella di Alberto e Alfredo Dallolio),
Guido Fassò trascorre i suoi primi anni, fino all'adolescenza, fra il Piemonte
(Mondovì), l'Emilia-Romagna (Parma) e la Lombardia (Mantova). Temperamento
religioso, ereditato dall'educazione famigliare e dalla frequentazione con un
anziano sacerdote, egli si caratterizzò sempre per il rigore negli studi
(perciò Mazzetti, suo compagno di gioventù, poté definirlo «schivo degli
incontri e quasi della società, teso in un impegno di chiarezza mentale, di
serietà e finezza di sentire»). Conseguita, nel 1932, la maturità classica al
"Virgilio" di Mantova, si laurea, presso l'Alma Mater Studiorum di
Bologna, in Giurisprudenza (1936), discutendo, con Umberto Borsi, una tesi di
Legislazione del lavoro, intitolata L'elemento demografico nelle provvidenze
assistenziali a favore dei lavoratori. Dopo aver rinunciato ad impiegarsi come
funzionario nell'Unione industriale, Fassò ottiene anche la laurea in Filosofia
(1940), sotto la supervisione di Giuseppe Saitta, con una tesi di Storia della
filosofia su Il pensiero filosofico e politico di Giulio Michelet. Confiderà
poi al suo allievo, Enrico Pattaro, che la scelta della filosofia, lungi dall'essere
redditizia, è un matrimonio con «madonna povertà», cui egli, tuttavia, non
volle sottrarsi, non essendo versato, come rivelò a Fausto Nicolini, nella
«professione forense». Svolse, quindi, l'attività di docente di storia e
filosofia, inizialmente come supplente al "Galvani" di Bologna
(1939), poi a Forlì (1939-1940) e, infine, al Liceo scientifico "Augusto
Righi" di Bologna (1949-1953). Nel 1942, convola a nozze con una sua
vecchia alunna del Liceo "Galvani", Margherita Osti, figlia di
Giuseppe Osti, Professore di Diritto privato all'Bologna, del quale lo
stesso Fassò era stato allievo. Dall'unione nasceranno Alberto, Andrea (1945),
Federico (1952) e Silvia. Nell'anno delle nozze, Fassò completava il suo primo
saggio, dedicato a Il Vico nel pensiero del suo primo traduttore francese, che,
però, a causa dell'indisponibilità degli editori, sarebbe stato pubblicato,
grazie all'intervento di Giuseppe Saitta, solo nel 1947, come memoria
dell'Accademia delle scienze dell'Istituto di Bologna. Vicino al Partito
Liberale Italiano, a guerra conclusa, nel 1951, accettò di candidarsi, per il
medesimo partito, alle elezioni comunali bolognesi. Divenuto assistente
volontario di Filosofia del diritto nell'Ateneo felsineo (1947), fu convinto da
Felice Battaglia a concorrere per la libera docenza, che ottenne nel 1949. Nel
medesimo anno, all'Parma, gli viene quindi assegnato l'incarico in Filosofia
del diritto. Aggiudicatosi l'ordinariato (1957), si trasferì successivamente a
Bologna (1963), dove insegnò filosofia giuridica, presso la Facoltà di
Giurisprudenza, e Storia delle dottrine politiche, nella Facoltà di Lettere e
Filosofia. Si occupò di studi vichiani (della cui validità scientifica è
testimonianza una epistola di Gioele Solari del 17 maggio 1949, in cui si apprende
che «l'interpretazione giuridica della Scienza nuova [proposta da Fassò] [...]
supera la visione Croce-Nicolini», ponendosi al livello qualitativo di quelle
del Fubini e del Donati) e groziani, della cura e traduzione dei Prolegomeni al
diritto della guerra e della pace di Grozio (1949), e scrisse Vico e Grozio
(1971), nonché, fra il 1966 e il 1970, la Storia della filosofia del diritto in
tre volumi, giudicata da Bobbio come la «storia della filosofia del diritto
[...] più completa» esistente «sulla faccia della terra». Oltre
Croce, Fassò criticò anche Gentile, autore di una «concezione speculativa
indubbiamente grandiosa», che si risolveva, però, in «vana retorica», negante,
entro la dialettica dello spirito, la realtà del fenomeno giuridico. Fra le
altre opere, La democrazia in Grecia, del 1959 (tradotta in neogreco nel 1971,
col titolo Η Δημοκρατία στην Ελλάδα [I Dimokratìa stin Ellàda], e fatta
circolare durante la dittatura dei colonnelli); Il diritto naturale, del 1964;
dello stesso anno è La legge della ragione, considerata una «tra le opere
migliori di filosofia del diritto uscite in Italia» al tempo, e consistente in
una «appassionata rivalutazione» del diritto naturale; Società, legge e
ragione, apparso nell'anno della morte (i due ultimi volumi citati, tuttavia,
ripropongono scritti precedenti). Le pubblicazioni in cui si esprime con più
chiarezza l'ispirazione teoretica di Fassò sono, invece, La storia come
esperienza giuridica del 1953 (in cui, ha commentato Bobbio, si dimostra che «tutti
i rapporti che l'uomo ha con gli altri uomini, contengono un germe di
organizzazione, e quindi sono istituzioni giuridiche») e Cristianesimo e
società del 1956, che susciterà un vivace dibattito nell'ambiente cattolico,
incontrando financo il favore di Prezzolini[25]. Colpito dalla malattia,
Fassò spira nella notte del 30 ottobre 1974[26]. Il suo testamento, composto
già nel 1955, disponeva funerali semplici, «senza fiori e senza seguito di
estranei». In un codicillo del 1967, inoltre, soggiungeva che, «se si
trovassero miei scritti incompiuti, manoscritti o dattilografati, non si
stampino, perché non possono essere stati riveduti come avrei ritenuto
necessario», congiuntamente all'invito a non raccogliere «in volume opuscoli
sparsi o "scritti minori", operazione che non dovrebbe mai esser
fatta se non dall'autore»[27]. Alla memoria di Fassò, oltre che a quella
di Augusto Gaudenzi, è intitolato il Centro Interdipartimentale di Ricerca in
Storia del Diritto, Filosofia e Sociologia del Diritto e Informatica Giuridica
(CIRSFID) dell’Bologna, istituito nel 1986[28]. Benché Fassò abbia
apprezzato il Romano sostenitore della concezione non normativistica del
diritto, egli non poté tacerne il limite, consistente nell'assenza di una
«definizione esauriente» dell'istituzione, dovuto alla volontà di Romano di
tenersi «fuori dal campo della filosofia»[29]. Sinossi del pensiero Secondo
Giuliano Marini fu «il più limpido storico del giusnaturalismo»[30].
Formatosi filosoficamente nella temperie culturale neoidealistica, Fassò se ne
distaccò, rifiutandone soprattutto l'immanentismo[31], con La storia come
esperienza giuridica[32], opera ispirata dalle suggestioni istituzionalistiche
di Santi Romano (ma di questi deplorerà, nella successiva Storia della
filosofia del diritto, il «circolo vizioso», per cui una «istituzione è
giuridica [solo] quando è giuridica» A Croce, che faceva coincidere storia e
filosofia[35][36], Fassò replicava con l'identificazione di storia e
giuridicità[37], estendendo il concetto di istituzione — contrariamente a
quanto aveva fatto Romano, e risolvendone così il «circolo vizioso» — a «tutti
gli aspetti della vita sociale, cioè della vita dell'uomo nella storia, che è
sempre vita dell'uomo in società»[33]. L'elisione dell'identità fra realtà (storica)
e razionalità (filosofica) non implicava, per Fassò, la rimozione
dell'Assoluto, ma egli ne negava ogni possibilità conoscitiva, ricadendo la
«concreta unità del reale» (sotto l'aspetto gnoseologico) nell'ambito del privo
di senso[38], sebbene restasse attingibile in uno slancio mistico, descritto,
in una pagina de La legge della ragione, come partecipazione dell'«uomo [al]
Valore divino, ma solo quando si faccia anch'egli Dio per unirsi a lui,
trascendendo la propria umanità, la propria soggettività empirica,
storica»[39]. È importante tener fermo come Fassò, quantunque abbia legato
l'Assoluto a uno slancio mistico, non si sia fatto teorico di un irrazionalismo
misticheggiante[40], ma — giusta l'osservazione di Lombardi Vallauri — abbia
formulato un «dittico» in cui si afferma, da un lato, la «sopragiuridicità
dell'etica intesa come esperienza religiosa» e, dall'altro, «la funzione
essenziale della ragione giuridica nel mondo»[41]. Proprio il riconoscimento
della centralità della ragione giuridica nel governo della «concreta
molteplicità del reale»[42] costituì, per Fassò, un ulteriore motivo critico
nei confronti dell'antigiusnaturalismo crociano, da cui, dopo l'approfondimento
della storia del giusnaturalismo, prese più convintamente le distanze[43]. La
concezione giusnaturalistica fassoiana, infatti, cerca di non cadere
nell'errore proprio della tradizione precedente (errore che Fassò, nella Storia
della filosofia del diritto, non esitò a indicare quale «difetto capitale»
della scuola del diritto naturale, consistente nell'«astrattismo [e nel]
conseguente antistoricismo»[44]), intendendo il diritto naturale quale «ordine
che nasce dalla storia, e nel quale l'uomo non può non essere inserito proprio
per la sua dimensione storica, che è la sua dimensione essenziale»[45]. Medaglia
d'oro ai benemeriti della scuola della cultura e dell'artenastrino per uniforme
ordinariaMedaglia d'oro ai benemeriti della scuola della cultura e dell'arte. B.
Croce, Illusione degli autori sui “loro” autori , su Quaderni della Critica,
Laterza, luglio 1949, n. 14, 89-90. 26 agosto . Ora anche in Id., Indagini su
Hegel e schiarimenti filosofici, A. Savorelli, Napoli, Bibliopolis, Cfr. E.
Garin, Cronache di filosofia italiana, Bari, Laterza, . «La sua ricerca
[: di Saitta], anche storica, sembra inscindibile da una polemica e da una
protesta. Polemica e protesta che attraversano ugualmente l'attività così del
Calogero come dello Spirito, annoverati talora col Saitta fra gli esponenti
della "sinistra" gentiliana, e come lui accusati a volte, e non certo
benevolmente, di crocianesimo». E.
Pattaro, Sull'Assoluto. Contributo allo studio del pensiero di Guido Fassò, in
G. Fassò, Scritti di filosofia del diritto, 3 voll., E. Pattaro, C. Faralli, G.
Zucchini, 1, Milano, Giuffrè, «[Fassò
seguì] con particolare attenzione i corsi di Giuseppe Saitta, che gli suggerì
di approfondire Michelet (che lo avrebbe condotto a Vico)». Scheda senatore DALLOLIO Alberto, su
senato.it. 18 agosto . Scheda senatore
DALLOLIO Alfredo, su senato.it. 18 agosto . F. Tamassia, FASSÒ, Guido, in
Dizionario biografico degli italiani,
45, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Le parole di Mazzetti
sono riportate in Carla Faralli, Il maestro e lo studioso, in Rivista di
filosofia del diritto, Bologna, Il Mulino, Elenco dei laureati e diplomati
nell'Anno Scolastico 1935-36 (e loro tesi) (JPG), in Annuario dell'Anno
Accademico 1936-1937, Bologna, Società Tipografica già Compositori,Elenco dei
laureati e diplomati nell'Anno Scolastico 1939-40 (e loro tesi) (JPG), in
Annuario dell'Anno Accademico 1940-1941, Bologna, Tipografia Compositori, E.
Pattaro, Alcuni ricordi personali e cenni sulla gnoseologia, ontologia e
concezione della filosofia di Fassò, in Rivista di filosofia del diritto,
Bologna, Il Mulino, «Sul finire del 1965
Fassò mi disse che ci sarebbe stato un concorso per assistente ordinario alla
cattedra e mi chiese se fossi interessato a partecipare. Ma mi prevenne con due
avvertimenti sui quali avrei dovuto meditare prima di dargli una risposta. Essi
sono: "chi fa filosofia del diritto in una facoltà di Giurisprudenza sposa
madonna povertà", e "nell'università occorre sapere ingoiare amaro e
sputare dolce perché l'intelligenza degli accademici è di regola superiore a
quella dei comuni mortali, e ciò implica che essi siano capaci di cattiverie
più raffinate e perfide di quelle di cui sono capaci i comuni
mortali"». La citazione è tratta
dal carteggio Fassò-Nicolini, richiamato da E. Pattaro, nel suo Sull'Assoluto.
Contributo allo studio del pensiero di Guido Fassò, premesso a G. Fassò,
Scritti di filosofia del diritto, 3 voll., E. Pattaro, C. Faralli, G.
Zucchini, 1, Milano, Giuffrè «In altre lettere allo stesso Nicolini, del 23
febbraio e del 4 marzo 1948, Fassò scrive di […] non sent[ire] "nessuna
vocazione per la professione forense"».
Curriculum vitae di Andrea Fassò, su unibo.it. 22 agosto . Consiglio Nazionale del Notariato, su
notariato.it. 22 agosto . C. Faralli,
Prefazione a G. Fassò, Storia della filosofia del diritto, 3 voll., edizione
aggiornata C. Faralli, 1, Roma-Bari,
Laterza, E. Pattaro, Gli studi vichiani
di Guido Fassò , in Bollettino del Centro Studi Vichiani, 5, Napoli, Guida, 197587, nota 1. 18 agosto
. «Fassò aveva ultimato [Il Vico nel pensiero del suo primo traduttore
francese] nel maggio-giugno 1942, ma — causa la difficoltà di trovare un
editore — non gli fu possibile pubblicarlo allora: soltanto il 29 marzo 1947
egli poté presentarlo all'Accademia delle scienze di Bologna per il tramite di
Giuseppe Saitta». E. Pattaro, Sull'Assoluto.
Contributo allo studio del pensiero di Guido Fassò, in G. Fassò, Scritti di
filosofia del diritto, 3 voll., E. Pattaro, C. Faralli, G. Zucchini, 1, Milano, Giuffrè. «Nel '45-'46, dopo
i disagi della guerra, [Fassò] aveva ripreso le proprie ricerche incoraggiato
da Felice Battaglia, che lo convinse ad affrontare l'esame di libera docenza in
filosofia del diritto […]. Conseguita la libera docenza in filosofia del
diritto nel 1949, nello stesso anno Fassò ebbe il suo primo incarico in questa
materia, all'Parma». F. Tamassia, FASSÒ,
Guido, in Dizionario biografico degli italiani,
45, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, F. Battaglia, Guido
Fassò: in memoria, in Rivista internazionale di filosofia del diritto, n. 2,
1975301. «Nel 1949 [giunse] alla libera docenza, e nello stesso anno lo
abilitarono a tenere l'incarico della filosofia del diritto nella Parma, ove
divenne professore della materia nel 1954 e infine ordinario nel 1957. Nel 1963
il Fassò passò all'Bologna, dove rimase titolare della disciplina, tenuta con
alto prestigio e qualificata dignità fino alla morte che ne chiuse la laboriosa
giornata». Enrico Pattaro, Gli studi
vichiani di Guido Fassò, in Bollettino del Centro Studi Vichiani, 5, Napoli, Guida, 1975, 94-95 e nota 12. «Tra le carte
personali di Guido Fassò ho trovato una cartolina postale, vergata fitta fitta
da Gioele Solari. In essa, tra le altre cose, è scritto: ‘Da tempo ero convinto
della verità della interpretazione giuridica della S.[cienza] Nuova: ma Lei
[Fassò] ne ha dato ampia, profonda, persuasiva dimostrazione. La cautela con
cui è sostenuta è frutto della Sua modestia, e della Sua serietà di studioso.
Il Suo saggio sui «quattro autori» può stare a paro cogli scritti vichiani del
Donati e del Fubini e supera la visione Croce-Nicolini che sul punto della
genesi giuridica della S.[cienza] N.[uova] stanno ancora sulle generali’ [cfr.
nota 12: La cartolina [...] fu scritta il 17 maggio 1949]». Guido Fassò, Prefazione, in Carla Faralli ,
Storia della filosofia del diritto, 1,
Roma-Bari, Laterza, «‘Finalmente esiste in Italia (dico in Italia, ma potrei
dire sulla faccia della terra) una storia della filosofia del diritto, non
angustamente scolastica, non puramente nozionistica e per di più completa’:
così Norberto Bobbio in due lettere a Guido Fassò del 27 aprile 1966 e del 18
gennaio 1971 salutava l'uscita della Storia della filosofia del diritto». G. Fassò, Storia della filosofia del diritto,
3 voll., edizione aggiornata C. Faralli,
3, Roma-Bari, Laterza, «In tutta la filosofia del Gentile si ha
una concezione speculativa indubbiamente grandiosa, ma che si risolve in vana
retorica, negante l'esperienza della realtà effettuale. Non è tuttavia dalla
negazione della molteplicità dei soggetti che discende la negazione della
realtà del diritto nella filosofia gentiliana. Come in quella del Croce, essa è
compiuta in relazione alla dialettica dello spirito, cioè del soggetto
assoluto». C. Faralli, Presentazione, in
G. Fassò, La democrazia in Grecia, C. Faralli, E. Pattaro, G. Zucchini, 2ª ed.,
Milano, Giuffrè, 1999X,
88-14-07833-5. «È importante, infine, sottolineare il valore di
impegno civile che il filosofo bolognese riconosceva al testo e che ad esso
venne riconosciuto dalla traduzione greca del 1971 [cfr. nota 8: Thessalonike,
Poseidonas], all'epoca della dittatura militare in Grecia». Norberto Bobbio, Giusnaturalismo e
positivismo giuridico, prefazione di Luigi Ferrajoli, Roma-Bari, Laterza, Norberto Bobbio, La filosofia del diritto in
Italia , in Jus, Milano, Carla Faralli,
I momenti della riflessione critica su Guido Fassò, in Guido Fassò, Scritti di
filosofia del diritto, 3, Milano,
Giuffrè, «Prezzolini chiosa Cristianesimo e società sia in un articolo su
‘Il resto del carlino’ sia nel libro Cristo e/o Machiavelli. ‘Conservo la prima
edizione di Cristianesimo e società — egli scrive —... La volli come compagna
perché dovevo moltissimo a quel libro, cioè non dirò l'apertura, ma la conferma
dotta, serena, eppure appassionata di un punto di vista importante’. Prezzolini
ritiene di aver trovato in Fassò, argomentate con un'alta filologia, sempre al
corrente della produzione critica e accompagnata dalla conoscenza dei testi
filosofici, quelle stesse idee che anch'egli aveva manifestato fin dal 1908
‘lanciate piuttosto da un intuito che da un sapere storico’». Guido Fassò , in Annuario dell'Anno
Accademico 1973-1974, Bologna, Tipografia Compositori, E. Pattaro, Ricordo di
Guido Fassò, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, n. 3,
Milano, Giuffrè, CIRSFIDCentro Interdipartimentale di Ricerca in Storia del
Diritto, Filosofia e Sociologia del Diritto e Informatica Giuridica, su
cirsfid.unibo.it. 23 agosto . G. Fassò,
Storia della filosofia del diritto, 3 voll., edizione aggiornata C.
Faralli, 3, Roma-Bari, Laterza,
«Romano si tiene deliberatamente fuori dal campo della filosofia, non
sfruttando neppure quegli indirizzi di essa, primo fra tutti quello del Croce,
che potevano valere a suffragar la sua tesi. Questa è sostenuta unicamente sul
terreno della considerazione empirica del diritto, e non vuole avere né
premesse né conclusioni che stiano al di fuori o al di sopra di essa. […]
Neppure il Romano dà del concetto di istituzione una definizione
esauriente». G. Marini, Il
giusnaturalismo nella cultura filosofica italiana del Novecento [1976], in Id.,
Storicità del diritto e dignità dell'uomo, Napoli, Morano, Cfr. N. Matteucci,
recensione a G. Fassò, Cristianesimo e società, Giuffrè, Milano 1956, in Il Mulino,
«L'esigenza filosofica fondamentale che
si palesa nei lavori del Fassò […] è quella di uscire dallo storicismo
immanentistico dei Croce e dei Gentile che vedeva nella storia la
manifestazione di un principio assoluto (lo Spirito, l'Atto)». Cfr. E. Pattaro, In che senso la storia è
esperienza giuridica: l'istituzionalismo trascendentale di Guido Fassò [1983],
in appendice a G. Fassò, La storia come esperienza giuridica, C. Faralli,
Soveria Mannelli, Rubbettino, «L'esperienza che Fassò aveva avuto della
filosofia idealistica egemone in Italia nella prima metà del secolo, la quale
all'interno dei suoi precedenti studi vichiani, condotti in chiave di storia
della filosofia, non necessariamente costituiva un'ipoteca con cui dover fare
conti precisi, in sede teoretica — sia pure di filosofia del diritto — venne
chiamata ad un inevitabile redde rationem». G. Fassò, Storia della
filosofia del diritto, 3 voll., edizione aggiornata C. Faralli, 3, Roma-Bari, Laterza, Il giudizio, tuttavia,
è già presente in G. Fassò, La storia come esperienza giuridica, C. Faralli,
Soveria Mannelli, Rubbettino, «È proprio
questo, del resto, il punto debole della dottrina del Romano, che fu subito
rilevato dai suoi critici: il circolo vizioso in cui egli si aggira,
presupponendo la giuridicità di quella istituzione che poi identifica con il
diritto. In altre parole, il Romano afferma che sono istituzione, ossia
ordinamento giuridico, ossia diritto, quegli enti o corpi sociali che hanno
carattere giuridico». B. Croce, Logica
come scienza del concetto puro, C. Farnetti, con una nota al testo di G. Sasso,
Napoli, Bibliopolis, B. Croce, La storia come pensiero e come azione, M.
Conforti, con una nota al testo di G. Sasso, Napoli, Bibliopolis, «Si può dire
che, con la critica storica della filosofia trascendente, la filosofia stessa,
nella sua autonomia, sia morta, perché la sua pretesa di autonomia era fondata
appunto nel carattere suo di metafisica. Quella che ne ha preso il luogo, non è
più filosofia, ma storia, o, che viene a dire il medesimo, filosofia in quanto
storia e storia in quanto filosofia: la filosofia-storia, che ha per suo
principio l'identità di universale ed individuale, d'intelletto e intuizione, e
dichiara arbitrario o illegittimo ogni distacco dei due elementi, i
quali realmente sono un solo». G.
Fassò, La storia come esperienza giuridica, C. Faralli, Soveria Mannelli,
Rubbettino, «L'esperienza giuridica non
[è] altro che l'esperienza umana nella sua totalità, la storia stessa insomma
dell'uomo». Enrico Pattaro, In che senso
la storia è esperienza giuridica: l'istituzionalismo trascendentale di Guido
Fassò, cit.153. «La concreta unità del reale, l'universale concreto, è un
residuato della grandiosa retorica metafisica idealistica. Fassò, con l'onore
delle armi, lo colloca nella dimensione che gli compete, ossia
dell'inconoscibile, indicibile, incomunicabile per definizione:
dell'indiscutibile che è tale non perché sia vero o certo di là da ogni
ragionevole dubbio, bensì perché non è possibile oggetto di discorso, non è
suscettibile di ragionamento, sfugge ad ogni comprensione e spiegazione
razionale. Lo colloca nella dimensione del privo di senso» Guido Fassò, La legge della ragione, Carla
Faralli, Enrico Pattaro e Giampaolo Zucchini, 2ª ed., Milano, Giuffrè, Enrico
Pattaro, In che senso la storia è esperienza giuridica: l'istituzionalismo
trascendentale di Guido Fassò, cit.155, nota 10. «Resti chiaro, peraltro, che
Fassò rinvia sì al piano mistico l'unità del reale, l'assoluto, l'universale
concreto, ecc., ma che, non per questo, egli professa una filosofia mistica
(intuizionistica)» Il giudizio di
Lombardi Vallauri è espresso nel suo Amicizia, carità, diritto, Giuffrè, Milano
1969238 («Considerata nel suo arco complessivo, l'opera di Fassò risulta
formare come un dittico, che da un lato ribadisce rigorosamente la
sopragiuridicità della esperienza cristiana giunta al suo culmine (identificato
nella carità), e dall'altro lato riconosce la funzione preziosa della ragione
giuridica ‘nel mondo, dove ogni individuo limita e contraddice l'altro e dove
una norma di coesistenza è indispensabile’») e accolto in Guido Fassò, Società,
legge e ragione, Milano, Edizioni di Comunità, Enrico Pattaro, In che senso la
storia è esperienza giuridica: l'istituzionalismo trascendentale di Guido
Fassò, cit.158. «La ‘(concreta) molteplicità del reale’, il ‘flusso eracliteo
dei particolari concrerti’, l'eterogeneo continuum di cui Fassò parla
richiamando Ross, è la realtà empirica, fenomenica: molteplicità infinita di
eventi originali e irripetibili, ‘non essendovi nello spazio, e più ancora nel
tempo, due fenomeni perfettamente identici’» Sulla posizione crociana rispetto al
giusnaturalismo cfr., per esempio, Benedetto Croce, Filosofia della pratica.
Economica ed etica, M. Tarantino, con una nota al testo di G. Sasso, Napoli,
Bibliopolis, «Contraddittorio è altresì
il concetto di un codice eterno, di una legislazione-limite o modello, di un
diritto universale, razionale o naturale, o come altro lo si è venuto
variamente intitolando. Il diritto naturale, la legislazione universale, il
codice eterno, che pretende fissare il transeunte, urta contro il principio
della mutevolezza delle leggi, che è conseguenza necessaria del carattere
contingente e storico del loro contenuto. Se al diritto naturale si lasciasse
fare quel che esso annunzia, se Dio permettesse che gli affari della Realtà
fossero amministrati secondo le astratte idee degli scrittori e dei professori,
si vedrebbe, con la formazione e applicazione del Codice eterno, arrestarsi di
colpo lo Svolgimento, concludersi la Storia, morire la Vita, disfarsi la
Realtà». Sulla presa esplicita di distanza di Fassò da Croce, cfr. Società,
legge e ragione, cit., 7-8. «Ho
continuato a ripetere la stessa cosa: che il diritto nasce dalla natura umana,
la quale è natura storica e natura sociale. Ho rifiutato dapprima, sotto la
suggestione dell'antigiusnaturalismo del tempo in cui ero cresciuto, di
chiamare naturale un siffatto diritto; più tardi, dopo avere approfondito la
conoscenza storica del giusnaturalismo ed essermi meglio chiarito la parte che
esso ha avuto nella difesa della libertà contro l'assolutismo politico, mi sono
deciso a designare con quell'aggettivo in realtà equivoco il diritto che la
ragione trova nella natura della società»
Guido Fassò, Storia della filosofia del diritto, Carla Faralli, 2, Roma-Bari, Laterza, Guido Fassò, Sicietà,
legge e ragione, Milano, Edizioni di Comunità. Sito web del Quirinale:
dettaglio decorato. Gazzetta Ufficiale
della Repubblica Italiana, L'ordine delle opere, ivi compreso quello delle
curatele e della letteratura critica, segue l'anno originario di pubblicazione.
Laddove, invece, si è riscontrata coincidenza cronologica, si è preferito
seguire l'ordine alfabetico. Opere Per una più completa degli scritti di Guido Fassò, si rinvia a
Giampaolo Zucchini, degli scritti
filosofico-giuridici di Guido Fassò, in appendice al terzo volume degli Scritti
di filosofia del diritto dello stesso Fassò, Enrico Pattaro, Carla Faralli,
Giampaolo Zucchini, Giuffrè, Milano Guido Fassò, I «quattro auttori» del Vico.
Saggio sulla genesi della Scienza nuova, Milano, Giuffrè, Guido Fassò, La
storia come esperienza giuridica, Carla Faralli, Soveria Mannelli, Rubbettino, Guido Fassò, Cristianesimo e società, 2ª ed.,
Milano, Giuffrè, Guido Fassò, La democrazia in Grecia, Carla Faralli, Enrico
Pattaro e Giampaolo Zucchini, 2ª ed., Milano, Giuffrè, Guido Fassò, Il diritto
naturale, 2ª ed., Torino, ERI, Guido Fassò, La legge della ragione, Carla
Faralli, Enrico Pattaro e Giampaolo Zucchini, 2ª ed., Milano, Giuffrè, Guido Fassò,
Storia della filosofia del diritto, Carla Faralli, 1, Roma-Bari, Laterza,Guido Fassò, Storia
della filosofia del diritto, Carla Faralli,
2, Roma-Bari, Laterza, Guido Fassò, Storia della filosofia del diritto,
Carla Faralli, 3, Roma-Bari, Laterza, Guido
Fassò, Vico e Grozio, Napoli, Guida, Guido Fassò, Società, legge e ragione, Milano,
Edizioni di Comunità, Guido Fassò, Scritti di filosofia del diritto, Carla
Faralli, Enrico Pattaro e Giampaolo Zucchini,
1, Milano, Giuffrè, 1982, . Guido
Fassò, Scritti di filosofia del diritto, Carla Faralli, Enrico Pattaro e
Giampaolo Zucchini, 2, Milano, Giuffrè, Guido
Fassò, Scritti di filosofia del diritto, Carla Faralli, Enrico Pattaro e
Giampaolo Zucchini, 3, Milano, Giuffrè,
Curatele Ugo Grozio, Prolegomeni al diritto della guerra e della pace,
traduzione, introduzione e note di Guido Fassò, aggiornamento di Carla Faralli,
3ª ed., Napoli, Morano. Franco Tamassia, Fassò, Guido, in Dizionario biografico
degli italiani, 45, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana,Carla Faralli, Fassò, Guido, in Dizionario
biografico dei giuristi italiani (XIIXX secolo), 2 diretto da Italo Birocchi,
Ennio Cortese, Antonello Mattone, Marco Nicola Miletti, con la collaborazione
della Biblioteca del Senato, 1, Bologna,
Il Mulino, , Letteratura critica Per una
più completa degli scritti su Guido
Fassò, almeno fino agli anni Ottanta, si rinvia a Carla Faralli, I momenti
della riflessione critica su Guido Fassò, in appendice al terzo volume degli
Scritti di filosofia del diritto dello stesso Fassò, Enrico Pattaro, Carla
Faralli, Giampaolo Zucchini, Giuffrè, Milano, che passa in rassegna i
contributi dedicati all'opera del filosofo felsineo. Segue, del suddetto terzo
volume, la degli scritti su Guido
Fassò. Enrico Pattaro, Gli studi vichiani di Guido Fassò , in Bollettino
del Centro Studi Vichiani, 5, Napoli,
Guida, Enrico Pattaro, Ricordo di Guido Fassò, in Rivista trimestrale di
diritto e procedura civile, n. 3, Milano, Giuffrè (con delle opere di Guido Fassò, Giampaolo
Zucchini, Felice Battaglia, Guido Fassò:
in memoria, in Rivista internazionale di filosofia del diritto, Antonio-Enrique
Pérez Luño, L'itinerario intellettuale di Guido Fassò, in Rivista
internazionale di filosofia del diritto, Milano, Giuffrè, Enrico Pattaro,
Sull'Assoluto. Contributo allo studio del pensiero di Guido Fassò, in Guido
Fassò, Scritti di filosofia del diritto, Carla Faralli, Enrico Pattaro e
Giampaolo Zucchini, 1, Milano, Giuffrè, Enrico
Pattaro, In che senso la storia è esperienza giuridica: l'istituzionalismo
trascendentale di Guido Fassò, in Rivista trimestrale di diritto e procedura
civile, Milano, Giuffrè, Antonio-Enrique
Pérez Luño, Razon y historia en la experiencia filosofica y juridica de Guido
Fassó, in Carla Faralli e Enrico Pattaro , Reason in Law. Proceedings of the
Conference Held in Bologna, Milano, Giuffrè, Giuliano Marini, Lo storicismo di Guido Fassò,
in Carla Faralli e Enrico Pattaro , Reason in Law. Proceedings of the
Conference Held in Bologna, Milano, Giuffrè, Dario Quaglio, Guido Fassò. Della
ragione come legge, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, Fernando Higinio
Llano Alonso, El pensamiento iusfilosófico de Guido Fassò, Madrid,
Editorial Tecnos, S.A., Carla Faralli, Norberto Bobbio e Guido Fassò. Sulla annosa
e ricorrente disputa tra positivisti e giusnaturalisti, in Antonio Punzi ,
Metodo, linguaggio, scienza del diritto. Omaggio a Norberto Bobbio (1909-2004),
Milano, Giuffrè, Paolo Grossi, Carla Faralli, Antonio-Enrique Pérez Luño,
Francesco D'Agostino, Franco Todescan, Luigi Ferrajoli, Eugenio Ripepe, Luigi
Lombardi Vallauri e Enrico Pattaro, Guido Fassò. Una tavola rotonda, in Rivista
di filosofia del diritto, Bologna, Il Mulino,Fernando Higinio Llano Alonso,
L'idea di storia come esperienza giuridica in Guido Fassò, in Rivista di
filosofia del diritto, Bologna, Il Mulino, dGiuseppe Russo, Guido Fassò. Un
itinerario filosofico tra diritto e natura umana, in Il Pensiero Italiano.
Rivista di studi filosofici, Guido
FassòArchivio storico dell'Bologna. Franco Tamassia, «FASSÒ, Guido» in
Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 45, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. «FASSÒ, Guido» in Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana.
Fazzini:
Grice: “I like Fazzini; he can be too theological, but that’s okay!” -- Lorenzo
Fazzini (Vieste), filosofo. Divulgatore di materie filosofiche e il fondatore dell'omonima scuola
privata, una delle più celebri nel Regno delle Due Sicilie. Via dedicata
a Lorenzo Fazzini a Vieste Lorenzo Fazzini nacque a Vieste, in provincia di
Foggia, da Tommaso e Porzia Medina, che appartenevano a due delle famiglie più
agiate della città.. Ebbe tre fratelli minori, Gaetano, Antonio e Matteo;
Gaetano e Antonio in seguito collaborarono alla scuola fondata da Lorenzo a
Napoli. Formazione Lorenzo Fazzini trascorse l'infanzia a Vieste. Il suo
talento per la matematica fu notato fin dai primi anni; i genitori decisero
quindi di far proseguire i suoi studi in ambienti che potessero garantire una
formazione adeguata. Fazzini si trasferì così a Foggia, poi a Benevento e in
ultimo nel seminario di Nusco, in provincia di Avellino. Qui trascorse
l'adolescenza approfondendo anche lo studio dei classici. A diciotto anni,
terminato il seminario, Fazzini tornò a Vieste. Lì, poco dopo il suo rientro,
recitò in Duomo un'orazione in lode dell'Arcangelo Michele che fu molto
apprezzata dal clero e dai fedeli. Il rientro nella città natale fu
comunque di breve durata: desiderando continuare i suoi studi, Fazzini si
trasferì infatti a Napoli, dove rimase per il resto della vita. Nel 1809 venne
ordinato sacerdote e nello stesso anno ebbe come insegnante di matematica il
napoletano Nicola Fergola. La scuola di quest'ultimo era un rinomato centro per
la formazione di matematici e un punto di incontro per studiosi e ricercatori
del Mezzogiorno; Fazzini ne fu uno degli allievi più illustri. Fazzini
proseguì anche gli studi in teologia, diritto canonico, storia della Chiesa,
filosofia, scienze fisico-matematiche. Nel frattempo, tuttavia, si era
avvicinato alla filosofia sensista. Nel 1817 ottenne dalla Chiesa il permesso
di acquisire testi proibiti su questa corrente filosofica, a patto che non ne
divulgasse i contenuti. Questo aspetto della formazione filosofica di Fazzini
influirà sulla sua docenza e sulla sua personalità, determinando una
contraddizione che, secondo le testimonianze di allievi e amici, lo accompagnò
per tutta la vita. Attività come insegnante Nel 1810, Fazzini aprì una
scuola privata in cui venivano insegnate filosofia, matematica e fisica. La
scuola aveva sede nella Strada nuova dei Pellegrini, nel quartiere di
Montecalvario, e divenne uno dei centri di studio più rinomati di Napoli. Nel
periodo di maggior successo la scuola arrivò a contare tra i 300 e i 400
allievi. In una data non precisabile, Fazzini dovette quindi spostare la scuola
in una sede più grande, in via Magnacavallo, nello stesso quartiere.
Anche dopo aver aperto la propria scuola, comunque, Fazzini insegnò presso
altre scuole private. Secondo diverse testimonianze del tempo, dedicava quindi
all'insegnamento sei o sette ore al giorno. Uno dei suoi allievi fu Francesco
De Sanctis, che nella sua autobiografia La giovinezza ha lasciato una
descrizione molto vivace di Fazzini e del suo insegnamento, particolarmente
coinvolgente per quanto riguardava la fisica. Sembra comunque che la
maggior parte del tempo di insegnamento di Fazzini fosse dedicata alla
matematica. Al servizio di questa attività Fazzini pubblicò tre volumi, riediti
più volte e dedicati rispettivamente all'aritmetica, alla geometria piana e
alla geometria solida. Questi lavori non avevano tuttavia solo finalità
didattiche: in particolare, secondo Raffaele Santoro, nei due volumi dedicati
alla geometria piana e alla geometria solida, traduzione degli Elementi di
Euclide, Fazzini tenne conto di diverse traduzioni precedenti, esaminandole in
modo critico anche alla luce degli sviluppi recenti della geometria.
Laboratorio Oltre all'insegnamento della filosofia e delle materie
scientifiche, Fazzini si dedicava alla ricerca e alla divulgazione. Al servizio
di queste tre attività allestì anche un laboratorio scientifico, considerato
all'epoca uno dei migliori di Napoli. Dopo la morte di Fazzini, le attrezzature
del laboratorio vennero acquistate dall'Napoli. Morte Il 4 maggio del
1837, Fazzini morì di colera, di cui era ammalato da mesi, durante la prima
grande epidemia del morbo in Italia. La salma fu provvisoriamente
depositata nella chiesa di San Tommaso d'Aquino; al termine dell'epidemia,
venne trasferita in quella di Santa Maria ad Ogni Bene dei Sette Dolori. Qui
furono celebrate le esequie solenni; alla celebrazione parteciparono molti
giovani allievi e amici che manifestarono la loro venerazione e gratitudine per
il maestro. Per la cerimonia venne composta da Gaetano Donizetti una Messa da
Requiem oggi perduta, mentre Basilio Puoti recitò un elogio di Fazzini, di cui
era amico. Nei mesi successivi, numerose commemorazioni a stampa esaltarono le qualità
di Fazzini come persona e come scienziato. Dopo la sua morte, l'attività
della scuola di Lorenzo Fazzini venne proseguita per un certo periodo dai
fratelli Antonio e Gaetano. A Lorenzo sopravvissero anche i genitori, che nel
frattempo si erano trasferiti con lui a Napoli: dopo la sua morte, il padre
rientrò a Vieste mentre la madre rimase a Napoli. Ricerche scientifiche
Fazzini si occupò a lungo di ricerche scientifiche in vari campi della fisica.
In particolare, studiò l'induzione elettromagnetica, il magnetismo in generale
e la relazione tra luce e magnetismo. Non pubblicò però quasi nulla a proposito
di queste ricerche, che sono note soprattutto attraverso le testimonianze di
Emanuele Tellini e di Gaetano Fazzini. Fazzini era convinto che diverse
delle forze naturali allora note, e in particolare il calorico, la luce,
l’elettricismo, il galvanismo e il magnetismo, fossero in realtà diverse
manifestazioni di un'unica forza. Partendo da questa idea di base, studiò
soprattutto il magnetismo, e in particolare due fenomeni di induzione, oggi
spiegati in base alla Legge di Faraday, che erano stati scoperti negli anni
immediatamente precedenti: il magnetismo di rotazione, scoperto nel 1825
da Arago: il fenomeno per cui un ago magnetico posto sopra un disco di rame in
rotazione inizia a sua volta a ruotare l'induzione tellurica, scoperta nel 1831
da Faraday: la generazione di una corrente elettrica indotta in un circuito che
si muove attraverso il campo geomagnetico Per quanto riguarda il magnetismo di
rotazione, Fazzini ripeté e approfondì le esperienze di Arago notando che la
rotazione dell'ago magnetico si verificava anche quando al di sopra del disco
di rame si sovrapponeva materiale isolante, mentre non si verificava se il
disco di rame veniva sostituito da un disco di materiale isolante. Per
quanto riguarda l'induzione tellurica, Fazzini ne identificò con maggiore
chiarezza le modalità. Cercò poi di combinare lo studio di questo fenomeno con
quello del magnetismo di rotazione, costruendo per questo tre diversi
apparecchi. Una ricostruzione dettagliata del modo in cui gli apparecchi
operavano è stata fornita da Raffaele Santoro sulla base delle testimonianze
lasciate da Filippo Cirelli e Gaetano Fazzini. Lorenzo Fazzini descrisse una
delle sue esperienze sull'induzione tellurica in una lettera scritta in
francese a Faraday e datata 3 aprile 1832; pubblicata postuma,[26] questa
lettera è l'unica descrizione lasciata da Fazzini in persona riguardo ai propri
esperimenti.[27] Fazzini eseguì inoltre esperimenti sul rapporto tra luce
e magnetismo, proiettando raggi di luce su un ago magnetico. Le testimonianze
rimaste, tutte indirette, non permettono però, secondo Raffaele Santoro, di
ricostruire in modo sicuro le intenzioni di Fazzini e i risultati dei suoi
esperimenti.[28] Opere: “I primi sei libri degli elementi di Euclide
tradotti in Italiano dall'abate Fazzini (Geometria piana), Napoli, dalla
stamperia francese, 1825 (ripubblicato nel 1828 presso la stessa stamperia e
nel 1834 presso la stamperia del Fibreno). I libri undecimo, e duodecimo degli
elementi di Euclide tradotti in italiano dall'abate Fazzini ed i teoremi scelti
di Archimede sulla sfera e sul cilindro, e la misura del cerchio aggiunti dal
medesimo (Geometria solida), Napoli, dalla stamperia di C. Cataneo, 1825
(ripubblicato nel 1829 presso la stamperia francese e nel 1843 presso la
stamperia di Gennaro Agrelli). Elementi di aritmetica, Napoli, dalla stamperia
francese, 1827 (ripubblicato nel 1829 presso la stessa stamperia e nel 1834
presso la stamperia del Fibreno). Note I
biografi di Lorenzo Fazzini hanno tradizionalmente riportato come sua data di
nascita il 17 gennaio. La data corretta è stata ricavata da Raffaele Santoro in
base a informazioni contenute nel registro dei Battezzati della Cattedrale di
Vieste, 12236 (Santoro1). Dalla stessa
fonte risulta, inoltre, che Fazzini venne battezzato col nome completo di
Laurentius Maria Antonius (Santoro1).
Santoro1. LaTosa. Santoro3.
Puoti81. Taddei54. Santoro4.
Santoro, 8-9. Santoro10. De Sanctis, 31-38.
Santoro12. Santoro, 12-13.
Santoro34. Santoro35. Puoti stima che per l'allestimento del
laboratorio Fazzini avesse speso complessivamente 10 000 ducati: Puoti86. De Sanctis35.
Santoro25. L'elogio di Puoti fu
in seguito inserito dall'autore nella raccolta dei suoi Elogi: Puoti. In particolare: Brayda, Malpica. Santoro52.
Puoti84. Santoro57. Santoro63.
Santoro, 68-69. Santoro,
7 L. Pearce Williams , The Selected Correspondence of Michael
Faraday, 11812-1848, Cambridge University
Press, 1971219. Santoro, 69-81.
Santoro, 82-94. Francesco De Sanctis, La giovinezza. Ricordi,
Gennaro Savarese, Napoli, Guida editori, 1983 [1889],Giuseppe La Tosa, Fazzini,
Gaetano Emanuele, in Dizionario biografico degli italiani, 45, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, 1995. 23 luglio . Cesare Malpica, Necrologia di Lorenzo Fazzini, in
Poliorama Pittoresco, II, n. 41, 1837,
317-391. 28 luglio . Basilio Puoti, L'elogio di Lorenzo Fazzini, in Elogi,
Firenze, Giunti Editore, Raffaele Santoro, Fazzini, Lorenzo, in Dizionario
biografico degli italiani, 45, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1995. 31 luglio . Raffaele Santoro,
Lorenzo Fazzini, Bologna, Vecchiarelli Editore, , Emanuele Taddei, Necrologia
di Lorenzo Fazzini, in Annali Civili del Regno delle Due Sicilie, XIX,
1837, XVIII-XIX. Carlo Tortora Brayda,
Necrologia di Lorenzo Fazzini, in Il progresso delle scienze, delle lettere e
delle arti, XVI, n. 32, marzo-aprile,
298-302. Michael Faraday
Francesco De Sanctis Interazione elettromagnetica Altri progetti Collabora a
Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Lorenzo
Fazzini Pagina dedicata a Lorenzo
Fazzini, su web.tiscali.it. ViesteLORENZO FAZZINI, IL PIU' FAMOSO DEI VIESTANI
ILLUSTRI, su retegargano.it.
Feliceto
search.
Ferdinando:
Grice: “I like Ferdinando; for one he describes himself as a ‘philosophus,’
which is good – second, he deals with ‘philosophia’ in terms of this or that
‘theorema,’ which is good, and third he follows Aristotle!” -- Epifanio
Ferdinando (Mesagne), filosofo. Chiamato "il Vecchio" per
distinguerlo dal figlio, fu docente di medicina e filosofia oltre che Primo
Cittadino di Mesagne per ben due volte, e uno dei medici più famosi e colti della
Puglia di inizio Seicento. Nasce a Mesagne, in provincia di Brindisi, il 2
novembre 1569 e ivi muore nel 1638. L'attenzione di questo medico-filosofo,
laureatosi presso l'Napoli in filosofia e medicina il 24 agosto 1594, per campi
non strettamente connessi a quello medico quali l'astronomia, l'astrologia, la
storia e la teologia, ne testimoniano la poliedricità. Nella sua vita si
dedicò, oltre che alla professione di medico, anche all'insegnamento declinando
però l'offerta di una cattedra di medicina avanzatagli dall'Padova, luogo di
insegnamento di menti geniali come Andrea Vesalio e Galileo Galilei, per il suo
grande attaccamento al Salento e soprattutto alla sua città natale, Mesagne, di
cui fu anche eletto Primo Cittadino nel 1605.
Copertina del Centum Historiae
Dedica alla Marchesa Giulia Farnese
Copertina del Theoremata Medica et Philosophica Cenni biografici ed
opere principali Epifanio Ferdinando (il Vecchio), definito dai suoi
concittadini “Socrate Salentino”, studiò grammatica, poetica, greco e latino
sotto la sapiente guida, in Mesagne, di Francesco Riccio, intimo amico di Paolo
e Aldo Manuzio. Si trasferì successivamente a Napoli nel 1588 dove studiò
medicina , filosofia, geometria e matematica prima di conseguire la laurea in
filosofia e medicina nel 1594. Tornò poi a Mesagne dove prese in moglie la
ventinovenne Giordana Longo Pecoraio, da cui ebbe dieci figli, ed esercitò la
professione di medico fino alla sua morte avvenuta il 7 dicembre del 1638. Tra
le opere principali del Ferdinando grande rilievo assumono i Teoremi Medici e
Filosofici, dedicati alla sua amata città natale; Morso della tarantola, che
testimonia l'importanza del tarantismo e della tradizione salentina nel suo
pensiero; Centum Historie o Casi Medici, raccolta di cento casi clinici più
peculiari analizzati dal medico nella sua vita professionale; infine Antiqua
Messapographia, attenta e appassionata analisi della storia di Mesagne. Tutte le sue opere edite e inedite furono
redatte in lingua latina e solo successivamente furono raccolte e tradotte in
italiano, probabilmente dai suoi allievi. Dal punto di vista medico, ma anche
culturale, l'opera di riferimento per eccellenza del Ferdinando è fuor di
dubbio Centum Historiae. Pubblicata nel 1621 e scritta completamente in latino,
l'opera è dedicata a Giulia Farnese, Marchesa di Mesagne, di cui l'autore fu
medico di fiducia, intimo amico e compagno di viaggio, come quello che li
condusse a Roma dove Epifanio conobbe Cinzio Clemente, medico di Paolo V e fu
contattato, per la sua fama, da noti scienziati e medici romani dell'epoca tra
cui Marco Aurelio Severino, con cui ebbe una disputa riguardo al metodo
migliore di operare l'incisione della salvatella, la vena presente sul dorso
della mano che parte dalla base del mignolo e si connette con la vena
ulnare. Cultura e amore per la medicina
Profondo conoscitore dei classici e seguace non solo delle teorie di Ippocrate
di Kos, Galeno e Avicenna, ma anche di quelle formulate da Girolamo Mercuriale,
Bartolomeo Eustachio, Falloppia e Fracastoro, attento alle tradizioni della sua
terra, Epifanio Ferdinando propose un nuovo metodo di insegnamento con lezioni
al letto del malato, anticipando, in una certa misura, quello che sarebbe stato
lo stile del Johns Hopkins statunitense: una perfetta sinergia tra lo studio
teorico e la sua applicazione clinica. Per la sua grande cultura e competenza
fu richiesto non solo in tutta la provincia, ma anche a Bari, Napoli e Lecce.
Noto fra i concittadini per la sua bontà d'animo, curava anche senza compenso
somministrando farmaci costosi pure ai poveri. Nelle sue diagnosi si
concentrava sull'importanza delle analisi del sangue valutandone consistenza,
opacità, densità e colore e riteneva centrale per la terapia attenersi ad una
adeguata dieta. Per curare i suoi pazienti si serviva non solo di salassi,
purghe e clisteri, secondo la prassi ordinaria, ma preparava anche dei farmaci
di origine vegetale ottenuti miscelando quantità variabili di erbe mediche a
seconda della terapia. Nella sua vita si
occupò anche di due casi di interesse neurologico e pediatrico, descritti nei
particolari nelle Centum Historiae, e nutrì anche uno spiccato interesse nei
confronti del tarantismo e della musica come terapia “certissima”. Grazie alle
sue opere, in cui l'impostazione medico-scientifica si compenetra con quella
storica, grazie ad uno stile tendente al genere narrativo, ed ai contatti che
mantenne con i medici napoletani, Epifanio Ferdinando fu uno dei più importanti
intermediari fra la cultura medica napoletana e quella di Terra d'Otranto del
1600. Epifanio Ferdinando e il
Tarantismo Molti studiosi, soprattutto medici come il Ferdinando, si sono
interrogati sulla natura del tarantismo, o tarantolismo, dopo essere venuti a
conoscenza delle cure previste dalla tradizione popolare per questo morbo, tra
cui la più importante di tutte è senza dubbio la “musico-terapia”somministrata
al malato da vere e proprie orchestre composte da violinisti, chitarristi e
soprattutto tamburellisti a pagamento. Proprio il tamburello assume una funzione
fondamentale in questo tipo di terapia poiché scandisce il tempo modificando
via via il ritmo del brano che, divenuto frenetico, viene assecondato dai
movimenti della danza del tarantato. La credenza vuole che il malato dopo
essere stato morso dovesse espellere il veleno scatenandosi a ritmo di musica,
ma non di una qualunque: il tema musicale doveva essere scelto in base al
colore della tarantola responsabile del morso. Il primo documento che
testimonia il legame tra musica e taranta è il Sertum Papale de Venenis
redatto, presumibilmente da Guglielmo di Marra da Padova, nel primo anno del
pontificato di Urbano V, nel 1362, ma il secondo a documentare per esperienza
diretta questa connessione fu il medico di Mesagne Epifanio Ferdinando, vissuto
nel XVII secolo. Nelle sue Centum Historiae egli analizza, tra gli altri, il
caso di un suo giovane concittadino, tale Pietro Simeone, pizzicato mentre
dormiva di notte in un campo. Il medico credette fermamente nella musica come
terapia “certissima” criticando chi sosteneva che il tarantismo non fosse
necessariamente scatenato da un morso tanto reale quanto velenoso. Inoltre, fu
il primo a proporre come metodo di cura per i tarantati morsi da tarantole le
malinconiche (nenie funebri).
Testimonianza del tarantismo Il gesuita Atanasio Kircher riferisce nel
suo Magnes un episodio accaduto ad Andria, nel barese, talmente singolare da
destare ragionevoli sospetti su quanto starebbe alla base di questa
terapia: “Come il veleno stimolato dalla
musica spinge l'uomo alla danza mediante continua eccitazione dei muscoli, lo
stesso fa con la tarantola; il che non avrei mai creduto se non l'avessi
appreso per testimonianza dei Padri ricordati, che son degnissimi di fede. Essi
infatti mi scrivono che in proposito fu tenuto un esperimento nel palazzo
ducale di Andria, in presenza di uno dei nostri Padri, e d tutti i cortigiani.
La duchessa infatti, per mostrare nel modo più adatto questo ammirabile
prodigio della natura, ordinò che si trovasse a bella posta una taranta, la si
collocasse, librata su una piccola festuca, in un vasetto colmo d'acqua, e che
fossero quindi chiamati i suonatori. In un primo momento la taranta non dette
alcun segno di muoversi al suono della chitarra, ma poi, allorché il suonatore
dette inizio ad una musica proporzionata al suo umore, la bestiola non soltanto
faceva le viste di eseguire una danza saltellando sulle zampe e agitando il
corpo, ma addirittura danzava sul serio, rispettando il tempo: e se il
suonatore cessava di suonare anche la bestiola sospendeva il ballo. I Padri
vennero a sapere che ciò che in Andria ammirarono in quella circostanza come
episodio straordinario, era a Taranto fato consueto: infatti i suonatori di
Taranto, i quali erano soliti curare con la musica questo morbo anche in qualità
di pubblici funzionari retribuiti con regolari stipendi (e ciò per venire
incontro ai più poveri, e sollevarli dalle spese), per accelerare la cura dei
pazienti in modo più certo e più facile, sogliono chiedere ai colpiti il luogo
dove la taranta li ha morsicati, e il suo colore. Dopo ciò i medici citaredi
sogliono portarsi subito sul luogo indicato, dove in gran numero le diverse
specie di tarante si adoperano a tessere le loro tele: e quivi tentano vari
generi di armonie, a cui, cosa mirabile a dirsi, or queste or quelle saltano… E
quando abbiano scorto saltare una taranta di quel colore indicata dal paziente,
tengono per segno certissimo di aver trovato con ciò il modulo esattamente
proporzionato all'umore velenoso del tarantato e adattissimo alla cura,
eseguendo la quale essi dicono che ne deriva un sicuro effetto
terapeutico.” Opere edite ed inedite Le
opere edite sono: Theoremata medica et
philosophica, Venetiis 1611 apud Thomam Ballionum in folio. De vita proroganda
seu iuventute conservanda et senectute retardanda, Neapoli 1612 apud Io. Bapt.
Garganum et Lucretium Muccium- in quarto. Centum Historiae seu Observationes et
Casus medici, Venetiis 1621 apud Thomam Ballionum in folio. Aureus De Peste
Libellus, Neapoli 1626 apud Dominicum Maccaranum in 4°. Alcune opere
inedite: Libellus de apibus in 4°
Tractatus de natura Leporis De coelo Messapiensi De bonitate aquae cisternae
Libellus de morsu tarantolae Note
Ernesto De Martino La terra del rimorso,Milano,Est, 1996,cit.136 Magnes sive de arte magnetica opus
tripartitum, Colonia, 1643770 Le notizie
biografiche sono tratte da: Mario Marti
e Domenico Urgesi , Epifanio Ferdinando, medico e storico del Seicento. Atti
del convegno di studi (Mesagne, 28-29 maggio 1999), Besa Editrice, Nardò, 1999
Altre fonti: Atanasio Kircher, Magnes
sive de arte magnetica opus tripartitum, Colonia, 1643 Ernesto De Martino, La
terra del rimorso, Est, Milano, 1996 M. Luisa Portulano Scoditti, A. Elio
Distante, Roberto Alfonsetti, Enzo Poci , Epifanio Ferdinando Medico, Storico,
Filosofo (Mesagne 1569-1638), Edizione Assessorato alla Cultura Città di
Mesagne, Mesagne, 1999 Nicola Caputo, De tarantulae anatome et morsu, Lecce,
1741 Altre opere pubblicate su Epifanio Ferdinando: M. Luisa Portulano Scoditti e Amedeo Elio Distante,
La peste, 2001, traduzione italiana del De peste aureus libellus, Napoli, 1626
M. Luisa Portulano Scoditti e Amedeo Elio Distante, Epifanio FerdinandoLe
centum historiae e la medicina del suo tempo, Città di Mesagne, 2000 M. Luisa
Portulano Scoditti e Amedeo Elio Distante, Epifanio FerdinandoDe Vita
Proroganda, Città di Mesagne, 2004, traduzione italiana del De Vita Proroganda
seu juventute conservanda..., Napoli, 1612 M. Luisa Portulano Scoditti e Amedeo
Elio Distante, , Atti del XLI Congresso Nazionale della Società Italiana Storia
della Medicina, Mesagne, 2001 Altri progetti Collabora a Wikimedia Commons
Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Ferdinando Epifanio Opere di Epifanio Ferdinando, su openMLOL,
Horizons Unlimited srl.
Fergnani:
Grice: “I love Fergnani; especially his “Il gesto e la passione,” which I apply
to them extravagant Victorian male-only interactions!” -- Franco Fergnani
(Milano), filosofo. Esistenzialista. Di famiglia dotata di ampia cultura e
fortemente schierata contro il regime fascista, si unisce appena sedicenne alla
Resistenza italiana con un deciso spirito attivista, fatto che gli costerà un
arresto e la breve reclusione nel carcere di San Vittore. La passione per la
filosofia lo porterà a laurearsi nel 1953 all’Università degli Studi di Milano
con Antonio Banfi; dopo l’insegnamento in licei come l’Alessandro Racchetti di
Crema e il Filippo Lussana di Bergamo e diverse pubblicazioni di saggi e
articoli su riviste come “Il pensiero critico”, “Rivista di filosofia”, “aut
aut”, “Rivista critica di storia della filosofia” e “Nuova corrente”, ottiene
la cattedra di Filosofia Morale II dell’Università degli Studi di Milano nel
1971 e la mantiene ininterrottamente fino al pensionamento, avvenuto nel 2000.
Fu figura di spicco nella riflessione esistenzialista novecentesca: egli può
essere infatti considerato il portatore del pensiero di Jean-Paul Sartre in
Italia, traducendo e curando numerosi testi del filosofo francese. Oltre che al
pensiero sartriano, Fergnani dedicò molte riflessioni al marxismo occidentale e
ad autori come Maurice Merleau-Ponty, Bloch, lo stesso Marx, Lukács e
Althusser, tenendo inoltre corsi universitari su Martin Heidegger, Emmanuel
Lévinas, Henri Bergson. Alle lezioni tenute da Fergnani, Massimo Recalcati
dedica parole estremamente rilevanti, con le quali esprime al meglio le
caratteristiche e il lavoro del professore: «Lezioni che apparivano ai nostri
occhi come piccoli diamanti: Essere e tempo di Heidegger o L'essere e il nulla
di Sartre diventavano incredibilmente vivi, pulsanti, straripavano dalle loro
cornici prestabilite per entrarci dentro. La parola del professore sapeva
scuoterci scuotendo i testi che commentava» . Collaborò e strinse amicizia con
Fulvio Papi, Pier Aldo Rovatti e Remo Cantoni, figure anch’esse di estrema
rilevanza nel panorama filosofico italiano. Le sue ceneri sono in una celletta
al Cimitero Maggiore di Milano. Opere
Marxismo e filosofia contemporanea, Padus, Cremona, 1964. Lukács critico di se stesso, 1971. Etica-Trattato
teologico-politico, Baruch Spinoza, a c. di Remo Cantoni e Franco Fergnani,
UTET, Torino, 1972. Antonio Gramsci. La
filosofia della prassi nei «Quaderni del carcere», Unicopli, Milano. Materialismo
e rivoluzione, Jean-Paul Sartre, a c. e introduzioni di Franco Fergnani, Pier
Aldo Rovatti, traduzioni di Franco Fergnani, Augusta Mattioli, Domenico
Tarizzo, il Saggiatore, Milano, 1977. La
cosa umana: esistenza e dialettica nella filosofia di Sartre, Feltrinelli,
Milano, 1978. L'essere e il nulla, Jean-Paul
Sartre, Traduzione di G. Del Bo, revisione Franco Fergnani e Marina Lazzari, Il
Saggiatore, Milano, Da Heidegger a
Sartre, Farina Editore, Milano, .La coscienza sadica. Ripercorrendo l’analisi
di Jean-Paul Sartre, Farina Editore, Milano, . Nietzsche e la filosofia
dell’esistenza, Farina Editore, Milano, .Introduzione a Sartre, Franco
Fergnani, Mauro Trentadue, Farina Editore, Milano, -5 Kierkegaard, A c. di Mauro Trentadue e
Lorenza Mantovani, Postfazione di Patrizia De Capua, Farina Editore, Milano, Il gesto e la passione. Sull’insegnamento di
Franco Fergnani (Opera dedicata a Franco Fergnani), , Farina Editore, Milano, .
Merleau-Ponty, Farina Editore, Milano . L’Esistenzialismo ieri e oggi, Carini E.,
Farina G., Fergnani F., Trentadue M., Toscani F., Farina Editore, Milano, .Lezioni
su Sartre, Farina Editore, Milano, . Jaspers, Farina Editore, Milano, E.I.
Rambaldi, “Gli insegnamenti filosofici nella Facoltà di Lettere (1924-1968)”,
Annali di Storia delle Università italiane F. Manzoni, “Franco Fergnani, il filosofo che
ci “spiegò” Sartre”, Corriere della Sera, 19 gennaio 9. Si confronti M. Bellini, "La filosofia
come vita: la lezione di Franco Fergnani", in Materiali di Estetica,Massimo
Recalcati, L'ora di lezione, Einaudi, Torino, F. Papi, “Ricordo di Franco Fergnani”,
Materiali di Estetica, n. 3, 1, 170.
Comune di Milano, app di ricerca defunti "Not 2 4get".
ferguson: a. philosopher. His
main theme was the rise and fall of virtue in individuals and societies. In his
most important work, An Essay on the History of Civil Society Ferguson argues
that human happiness of which virtue is a constituent is found in pursuing
social goods rather than private ends. Ferguson thought that ignoring social
goods not only prevented social progress but led to moral corruption and
political despotism. To support this he used classical texts and travelers’
writings to reconstruct the history of society from “rude nations” through
barbarism to civilization. This allowed him to express his concern for the
danger of corruption inherent in the increasing selfinterest manifested in the
incipient commercial civilization of his day. He attempted to systematize his
moral philosophy in The Principles of Moral and Social Science 1792. J.W.A.
Fermat’s last theorem.
Ferrabino: Grice: “I like Ferrabino; if I
were not into the unity of philosophy, I would say he is a philosophical
historian – and a Roman historian, too! Strictly, a philosopher of Roman
history, alla Gibbon!” «Si compie il mio
ottantesimo anno. Declinano le stelle della sera sulla diuturna milizia di
storia e di magistero che fu la mia vocazione, non tradita ma superata.
Misticamente m'accoglie la dimora del Verbo dove l'Io s'incontra col suo Dio
nascosto.» Aldo Ferrabino Aldo Ferrabino
senato.jpg Senatore della Repubblica Italiana LegislatureI Gruppo parlamentaredemocratico
cristiano Incarichi parlamentari 6ª Commissione permanente (Istruzione pubblica
e belle arti) Commissione speciale ddl ratifica decreti legislativi Comitato
per l'incremento della ricerca scientifica Sito istituzionale Dati generali
Partito politicoDC Titolo di studiolaurea in lettere UniversitàTorino
Professionestorico, filosofo, accademico, rettore. Aldo Ferrabino (Cuneo),
filosofo. Pprimo dei tre figli di Angelica Toesca, donna sensibile e generosa e
di Vincenzo Agostino, funzionario dello Stato, uomo dalla natura affettuosa e
sobria e di idee agnostiche, che per questo motivo non volle far battezzare i
figli. L'infanzia di Aldo trascorse serena circondato com'era dalle premure della
madre e del padre che, avendo perduto il precedente figlio, dedicarono molte
attenzioni al fanciullo nato di costituzione debole e di salute
cagionevole. A Cuneo compì il primo
ciclo di studi dimostrandosi subito allievo modello e con rare doti di intelligenza.
Proseguì gli studi classici a Cremona, dove il padre era stato trasferito per
lavoro, e quando la famiglia dovette nuovamente trasferirsi in Alessandria, il
giovane, che aveva terminato il Liceo, si iscrisse nell'ottobre del 1910,
all'Torino presso la facoltà di Lettere.
Aldo Ferrabino nel suo studio a Torino A Torino, dove viveva in una
camera ammobiliata, iniziò a frequentare assiduamente l'ambiente universitario
dedicandosi con il massimo impegno allo studio e dando lezioni private per non
dover pesare troppo sulle finanze paterne.
Il suo primo maestro fu Arturo Graf, docente di Letteratura italiana
presso la stessa università, ma verso il terzo anno iniziò a seguire con
crescente interesse la storia antica frequentando le lezioni dello storico
Gaetano De Sanctis, con il quale si laureò nel 1914, con una tesi su
Kalypso. Insegnò presso vari Licei, a
Torino, Palermo, Napoli fintanto che, ottenuta la libera docenza, divenne nel
1921 professore di storia antica dapprima presso l'Torino e in seguito presso
l'Padova. Nel 1947 venne nominato rettore dell'Ateneo, incarico che durò fino
al 1949, anno in cui ottenne la cattedra di Storia romana presso l'Roma,
cattedra che detenne fino al 1962. Aldo
Ferrabino nel suo studio di Roma il 28 giugno 1948 Aldo Ferrabino ad Assisi nel 1954 Morta la
prima moglie Mercedes dopo lunga malattia il 4 giugno 1945, Ferrabino concluse
il suo periodo di avvicinamento alla religione cattolica facendosi battezzare
nel dicembre 1945. Sposò poi Paola Zancan, sua collega nell'Padova, proveniente
da agiata e cattolica famiglia, con la quale si stabilì a Roma, dove vivrà fino
alla morte. Iniziò in quel periodo a
frequentare "La Cittadella di Assisi" diventando grande amico di don
Giovanni Rossi, fondatore dell'Associazione «Pro Civitate Christiana» e della
rivista La Rocca. Ad Assisi, Ferrabino
prese l'abitudine di trascorrere con la moglie e le nipoti lunghi periodi
durante le vacanze estive alternate a quelle trascorse a Fregene. Nel 1948
venne eletto senatore della Repubblica Italiana per la Democrazia Cristiana e
rimase al Senato fino al 1954. Nel 1954
divenne presidente della Enciclopedia Italiana, incarico che detenne, insieme a
quello di direttore scientifico avuto nel 1966, fino al 1972. Nel 1949 era stato intanto incaricato di
presiedere al Consiglio Superiore delle Accademie e nel 1950 promosse il Centro
nazionale per il catalogo unico delle biblioteche italiane e per le
informazioni bibliografiche diventandone il presidente. Nel 1950 divenne corrispondente dell'Accademia
del Lincei e nel 1955 corrispondente nazionale della stessa e presidente
dell'Istituto italiano per la storia antica.
Nel 1956 fu eletto presidente della Società Nazionale "Dante
Alighieri" e nel 1957, insieme a Vincenzo Cappelletti, fondò la Rivista di
italianistica "Il Veltro".
Pubblicò circa 200 lavori sulla storia di Atene e dei Greci, sull'Italia
romana, l'età dei Cesari, la filosofia della storia, la cristologia. Opere Kalipso, saggio d’una storia di un
mito, Bocca, Torino, 1914 Arato di Sicione e l'idea federale, Le Monnier,
Firenze, 1921 L'impero ateniese, 1927 La dissoluzione della libertà nella
Grecia antica, cedam, Padova, 1929 L'Italia romana, Mondadori, Milano, 1934
Cesare, 244, Unione Tipografica,
Edizione Torinese, 1941 La vocazione umana,
248, Nuova Edizione Ivrea, Ivrea, 1943 L'esperienza cristiana, Libreria
Draghi, Padova, 1944 Le speranze immortali, Casa Editrice Società per Azioni,
Padova, 1945 Trilogia del Cristo, 3 voll., Casa editrice Le tre venezie,
1946-47 Adamo, 172, Morcelliana, 1950,
Brescia Le vie della storia, 241,
Sansoni, Firenze, 1955 Rivelazione e cultura,
189, La Scuola, Brescia, 1956 Storia dell'uomo avanti e dopo Cristo, 190, Edizioni Pro Civitate Christiana,
Assisi, 1957 L'essenza del Romanesimo,
291, Tumminelli, Roma, 1957 L'inno del Simposio di S. Metodio Martire,
G. Giappichelli, Torino, 1958 Nuova storia di Roma, Tumminelli, Roma, 1959,
seconda edizione [ 1ª edizione 1942], 3 voll. Scritti di filosofia della
Storia, XVIII-810, G. C. Sansoni, 1962
Trasfigurazioni, Aldo Martello, Milano, 1965 Pagine italiane, 332, Il Veltro, Roma, 1969, 88-85015-09-3 Misticamente, 179, Stamperia Valdonega, Verona, 1972 Opere
in collaborazione La bonifica benedettina, Aldo Ferrabino, Augusto Jandolo,
Luigina Fasoli, Georges Duby e altri,
199, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1970 Enciclopedia dell'Arte
Antica: Classica e Orientale, A. Ferrabino (presidente), Istituto della
Enciclopedia Italiana, Roma, 1966 Dizionario Enciclopedico Illustrato, 12
voll., A. Ferrabino, Jannaccone, Sturzo, Istituto della Enciclopedia italiana
fondata da Giovanni Treccani, Roma, 1955 Nel Centenario Della Battaglia Del
Volturno1-2 ottobre, Gino Doria, Aldo Ferrabino, Nino Cortese, Francesco Flora,
Ente Autonomo Volturno, Napoli, 1960 Note
da Prefazione in Aldo Ferrabino, Misticamente, Verona, 1972, pag. 5 Ripubblicato da L'Erma di
Bretschneider[collegamento interrotto], 1972,
88-7062-263-0 Ripubblicato da
L'Erma di Bretschneider[collegamento interrotto], 1972, 88-7062-262-2
Fonte BookFinder I : Il figlio
dell'uomo (nella testimonianza di S. Matteo) II : Il figlio di Dio (nella
testimonianza di S. Giovanni) III : Il risorto (nella testimonianza di S.
Paolo) Voce "Aldo Ferrabino"
in Biografie e bibliografie degli Accademici Lincei, Roma, Accademia Nazionale
dei Lincei, 1976, 907–908 Giorgio De
Gregori, Simonetta Buttò, Per una storia dei bibliotecari italiani del XX
secolo. Dizionario bio-bibliografico, con la collaborazione di Giuliana Zagra,
presentazione di Alberto Petrucciani, Roma, Associazione Italiana Biblioteche,
199984 Altri progetti Collabora a
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Ferrabino Aldo Ferrabino, su
Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Aldo Ferrabino / Aldo Ferrabino (altra
versione), in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Aldo Ferrabino, in Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Aldo Ferrabino, su openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Opere di Aldo Ferrabino, . Aldo Ferrabino, su senato.it, Senato della
Repubblica.
Ferrando: Grice: “I like Ferarndo; for
one, he is what I would call an Anglo-Italian – cf. Anglo-Argentine; so he
philosophised on Otello, Coroliano, la creazione di Carpenter and the forces of
Prentice Mulford; on Byron’s Manfredi, and more beyond!” -- Guido Ferrando (Roma),
filosofo. Si laureò in filosofia a Pisa. Divenne titolare della cattedra di
letteratura inglese presso la facoltà di lettere dell'Firenze e per oltre un
decennio fu vicedirettore e preside del British Institute della stessa città;
fu anche direttore della Biblioteca Filosofica fiorentina. In qualità di
anglista s'interessò a Shakespeare, Coleridge, Yeats e i trascendentalisti
Emerson e Thoreau, dando di alcuni di questi anche delle versioni. Scrisse per
La Voce nei primi anni della sua pubblicazione. Fu inoltre studioso di
psicologia e redattore della rivista Psiche. Collaborò con Gaetano Salvemini
alla propaganda antifascista e firmò il Manifesto di Benedetto Croce
(1925). Nel 1932 espatriò negli Stati
Uniti, a New York, dove continuò la sua attività antifascista, divenne
professore d'italiano e filosofia presso il Vassar College e nel 1934 sposò
Wilhelmina Anieka Leggett, con cui adottò la figlia Vasanti. Contribuì più
tardi a fondare la Besant Hill School di Ojai, California, praticandovi l'insegnamento
more socratico: "l'istruzione è un processo d'indagine dove gli studenti
imparano come pensare, non cosa pensare".
Note RootsWeb's WorldConnect
Project: LEGGETT of ELY, CAMBRIDGESHIRE, ENGLAND and WEST FARMS (BRONX), NEW
YORK Guido Ferrando appointed Chairman
of italian dept. in «Vassar Miscellany News», Volume XVII, N. 30, 25 febbraio
1933. Guido Ferrando in Internet
Culturale Besanthill.org 27 marzo ). Mccurdyfamilylineage.com.
ferrari: Grice: “Ferrari is important in at
least two fronts: as a philosopher, he promotes what has been called a
‘critical illuminism’ – and who but an Italian philosopher can have as a claim
to fame a treatise on ‘the philosophy of revolution’? The second front is my
proof of the latitudinal unity of philosophy; for Ferrari counts as the best
interpreters, with his ‘La strana sorte di Vico,’ of Vico!” essential Italian
philosopher. Giuseppe Ferrari (Milano), filosofo. Federalista, repubblicano, di
posizioni democratiche e socialiste, fu deputato della Sinistra nel Parlamento
italiano per sei legislature dal 1860 al 1876, e senatore del Regno dal 15
maggio al 2 luglio 1876. Nato a Milano da una famiglia borgheseil padre
era medicodopo la morte dei suoi genitori, avvenuta quando era ancora giovane,
poté godere di una piccola rendita grazie alla quale visse senza particolari
problemi economici. Ferrari fece i suoi studî nel ginnasio S. Alessandro,
fu poi alunno dell'Almo Collegio Borromeo e si laureò in utroque iure a Pavia
nel 1831. Fu però più interessato dalla filosofia, che coltivò nel cerchio
della gioventù milanese che si riuniva attorno a Gian Domenico Romagnosi.
Gli anni in Francia Giunto a posizioni irreligiose e scettiche, nutriva per la
cultura filosofica, storica e politica francese un'ammirazione che nell'aprile
1838 lo portò a Parigi. Ferrari trascorse in Francia i successivi 21 anni. Il
27 agosto del 1840 sostenne l'esame di dottorato in filosofia alla Sorbona, con
la presentazione di due tesi intitolate De religiosis Campanellae opinionibus e
De l'Erreur, nella prima delle quali presentava positivamente il pensiero
religioso di Tommaso Campanella, mentre nella seconda giungeva ad una
conclusione scettica a proposito dei giudizî. Essi infatti non consentono di
giungere alla verità assoluta in quanto essa è indissolubilmente intrecciata
all'errore, così che si può dire che la verità sia un errore relativo e
l'errore una verità relativa. Dal 1838 al 1847 collaborò regolarmente alla
«Revue des Deux Mondes». Introdotto nei circoli intellettuali della capitale
francese da lettere di presentazione di Amedeo Peyron e Lorenzo Valerio (due
allievi piemontesi di Cattaneo) e di Pierre-Simon Ballanche, Ferrari frequentò
Victor Cousin, Augustin Thierry, Claude Fauriel, Jules Michelet e Edgar Quinet,
come pure gli intellettuali e gli emigrati italiani che si riunivano nel
salotto della principessa di Belgiojoso. Nel 1840 fu docente di filosofia al
Liceo di Rochefort-sur-mer, e nel novembre di quell'anno richiese un permesso
di residenza permanente in Francia, poi nel 1841 fu nominato professore
supplente all'Strasburgo dove, attaccato dalla Chiesa e dal partito cattolico
per le affermazioni irreligiose e scettiche espresse nel suo corso sulla
filosofia del Rinascimento e per la sua presentazione favorevole della Riforma
luterana nel dicembre del 1841, fu anche accusato di insegnare dottrine atee e
socialiste e sospeso dall'insegnamento nel 1842 e, benché avesse ottenuto la
nazionalità francese e nel 1843 il titolo di "professore aggregato"
di filosofia, che lo abilitava ad insegnare all'università, non fu più
reintegrato nell'insegnamento universitario francese, poiché la raccomandazione
di Edgar Quinet per una sua nomina a professore supplente al Collège de France
nel 1847, benché accettata dalla Facoltà, fu rifiutata dal ministero
dell'Educazione. L'allontanamento dalla cattedra di Strasburgo fu
all'origine del suo lungo rapporto con Proudhon che, avendo appreso il
"caso Ferrari" dalla stampa, s'interessò a lui e ai suoi scritti e
dette inizio ad un'amicizia che durò sino alla morte di Proudhon, nel 1865. A
partire dal 1847 Ferrari fu tra gli avversari repubblicani della monarchia
orleanista, con Victor Schoelcher e Félicité de Lamennais. Durante il
sollevamento delle cinque giornate di Milano contro il governo austriaco nel
marzo del 1848 fu accanto a Carlo Cattaneo ma, deluso dai risultati della
rivoluzione, fece rientro in Francia, dove fece un altro tentativo infruttuoso
(per l'opposizione di Victor Cousin) di ottenere una cattedra all'Strasburgo.
Da gennaio a giugno del 1849 insegnò la filosofia al Liceo di Bourges. Il
2 dicembre 1851 avvenne il colpo di Stato che mise fine alla Seconda Repubblica
francese e portò al trono Napoleone III; Ferrari, ricercato come repubblicano,
si rifugiò à Bruxelles per sfuggire alla polizia. Il ritorno in Italia
Pur conservando il suo appartamento a Parigi, Ferrari ritornò definitivamente a
Milano a metà dicembre del 1859, per partecipare alle vicende che porteranno
all'unificazione e alla nascita dello stato italiano. Fu eletto deputato al
Parlamento del Regno di Sardegna nel collegio di Luino nel 1859 (elezioni
suppletive), confermato nelle elezioni del 27 gennaio-3 febbraio del 1861
(eletto in secondo scrutinio nello stesso collegio di Luino, nel frattempo
allargato a Gavirate). Confermato per quindici anni, Ferrari sedette ala Camera
dei deputati sui banchi della Sinistra ininterrottamente per sei legislature,
fino al 1876 (XII Legislatura). Nel 1870 (XI Legislatura) fu pure eletto nel
primo collegio di Como, ma si mantenne fedele ai suoi primi elettori. Il
suo programma politico può essere riassunto nella formula: " irreligione e
legge agraria", cioè lotta contro la Chiesa e il clericalismo e riforma
della proprietà terriera dei latifondi, con la distribuzione di terre coltivabili
ai contadini. La Chiesa e i proprietari terrieri, sostenendosi a vicenda, erano
per lui i nemici naturali dell'uguaglianza, non teorica ma concreta e
reale. Per quel che concerne la forma del nuovo stato italiano, Ferrari
domandava una costituzione federale di tipo svizzero o statunitense, con un
esercito, delle finanze e delle leggi federali comuni, ma anche con la più
ampia decentralizzazione amministrativa possibile. Nell'agosto del 1861,
dopo essersi recato sul posto, scrisse una relazione parlamentare sul Massacro
di Pontelandolfo e Casalduni. Nel giugno del 1862, contro la sua volontà,
Ferrari fu nominato dal re Cavaliere Ufficiale dell'Ordine dei Santi Maurizio e
Lazzaro, e rimandò immediatamente il decreto di nomina al ministro della
Pubblica Istruzione, che glielo aveva inviato. Ma la nomina era irrevocabile,
essendo stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale. Nominato professore di
filosofia della storia all'Accademia scientifico-letteraria di Milano, benché
non ci fosse a quel tempo nessuna indennità parlamentare e i parlamentari non
godessero di nessun beneficio, Ferrari rinunciò allo stipendio per poter
rimanere in Parlamento pur continuando a insegnare. In Parlamento, Ferrari
prese posizione in sede di discussione sull'intitolazione degli atti del governo,
contro la denominazione di secondo, e non primo re d'Italia, assunta da
Vittorio Emanuele, a più riprese contro uno stato unitario, in favore di una
costituzione federale e dell'autonomia delle regioni, in particolare del
Mezzogiorno. Nonostante il Ferrari riconoscesse nell'articolo "La
révolution et les réformes en Italie" del 1848 che: «L'unité italienne n'existe que dans les
régions de la littérature et de la poésie; dans ces régions, on ne trouve pas
de peuples, on ne peut pas recruter d'armées, on ne peut organiser aucun
gouvernement.» «L'unità italiana non esiste che nelle regioni della
letteratura e della poesia; in queste regioni non si trovano popoli, non si
possono reclutare eserciti, non si può organizzare nessun governo.» (Joseph
Ferrari, La révolution et les réformes en Italie, Parigi, 184810.) esprimeva
ugualmente, nello stesso testo, l'auspicio che l'Unità Italiana si potesse
prima o poi realizzare: «L'Italie doit
tout demander à la liberté: elle n'a ni lois, ni mœurs politiques , elle ne
s'appartient pas; elle n'est ni une, ni confédérée; elle n'avancera qu'en
demandant d'abord des chartes, puis la confédération, ensuite la guerre, enfin
l'unité, si la fatalité le permet.» «L’Italia tutto deve domandare alla
libertà: essa non ha leggi, né costumi politici, essa non appartiene a se
medesima; essa non è né una né confederata; essa non progredirà se non col
cominciare a chiedere costituzioni, poi la confederazione, indi la guerra, da
ultimo l’Unità, se la fatalità lo permette» (Joseph Ferrari, La
révolution et les réformes en Italie, Parigi, 1848) L'8 Ottobre 1860 nel
Parlamento di Torino sconfessò queste sue parole scritte 12 anni prima dicendo
: Io non muto d'avviso: sono stato avversario dell'unità italiana, la credo
tragica nell'azione sua, destinata a creare immemorabili martirii e
crudelissimi disinganni, benché necessaria come gli scandali alla storia, come
i sacrifizi e gli olocausti alle religioni. Si è pure pronunciato contro
la cessione di Nizza e della Savoia alla Francia (1860), contro il trattato di
commercio con la Francia (1863) e contro gli accordi con il governo francese
per la ripartizione del debito già pontificio (1867) (lui, "francese al
peggiorativo", come amava definirlo il suo irriducibile avversario,
Mazzini), in difesa di Garibaldi per i fatti d'Aspromonte (1862), in favore
della Polonia (1863) e dello spostamento della capitale da Torino a Firenze
(1864), prese parte attiva ai dibattiti parlamentari sulla proclamazione di
Roma capitale, sul brigantaggio, sulla situazione finanziaria del nuovo regno.
Il 15 maggio del 1876 fu fatto senatore. Morì improvvisamente nella notte tra
il 1º e il 2 luglio del 1876. Assolutamente solitario e totalmente
estraneo ad ogni gruppo politico e ad ogni consorteria, Ferrari non ebbe
seguito e, come disse il politico Francesco Crispi intervenendo alla Camera il
3 agosto 1862: «Ferrari, tutti lo sanno, è una delle illustrazioni del
parlamento, ma non esprime se non che le sue idee individuali» La sua
azione parlamentare è stata così caratterizzata e riassunta: «Ferrari
sedeva sui banchi della Sinistra difendendo le opinioni liberali, combattendo
gli arbitri e gli errori dell'amministrazione, denunciando nel piemontesismo
l'indebita preminenza di una consorteria, vagheggiando la demolizione di ogni
privilegio ecclesiastico, e per tutto questo poteva sembrare d'accordo con i
suoi colleghi dell'Estrema, anche se talvolta si divertiva a pungerli e
sgomentarli con l'indisciplinata libertà dei suoi atteggiamenti; ma intimamente
non era con loro.» Discorsi parlamentari Dal 1860 al 1875: 1860, 27
maggio, Contro la cessione di Nizza e della Savoia alla Francia. 1860, 8 e 11
ottobre, Contro le annessioni incondizionate. 1861, 26 marzo, Sulla
interpellanza del deputato Audinot intorno alla questione romana. 1861, 4
aprile, Interpellanza relativa alle condizioni delle province meridionali.
1861, 16 e 17 aprile, Il battesimo del Regno. 1861, 26 e 30 giugno, Contro il
prestito di 500 milioni. 1861, 2 dicembre, La questione romana e le condizioni
delle province meridionali. 1862, 15 marzo, La ferrovia da Gallarate al Lago
Maggiore. 1862, 26 marzo, Sull'esercizio provvisorio (bilancio 1862). 1862, 3
agosto, Interpellanza sul proclama del Re (Aspromonte). 1862, 29 e 30 novembre,
Interpellanza sugli affari di Roma. 1863, 27 marzo, Sulla questione della
Polonia. 1863, 25 e 7 novembre, Contro il trattato di commercio con la Francia.
1864, 6 maggio, Intorno al bilancio dell'Interno. 1864, 2, 4 e 5 luglio, Sulla
situazione del Tesoro e sulle condizioni finanziarie del Regno. 1864, 10
novembre, Il trasporto della capitale. 1865, 17 gennaio, sul giuramento
politico. 1865, 23 gennaio, sulle giornate di Torino. 1867, Interpellanza al
Ministero sulla crisi del Ministero Ricasoli. 1867, 10 e 24 aprile, Contro la convenzione
col governo francese per l'assunzione del debito pubblico degli ex Stati
pontifici. 1867, 21 giugno, 1, 4 e 13 luglio, Contro le trattative con Roma e
la nomina dei vescovi da parte del Papa. 1867, 7 e 30 luglio, Sulla violazione
del diritto del non intervento. 1867, 11 e 19 dicembre, Interpellanza su
Mentana. 1868, 7 marzo, Inchiesta sul corso forzoso. 1868, 15 marzo, Per la
guardia nazionale. 1868, 14 e 16 marzo, Legge sul macinato. 1868, 27 e 29
aprile, Sulla sospensione dei professori all'Bologna. 1868, 4 agosto, Sulla
Regia cointeressata dei tabacchi. 1868, 25 novembre, 6, 7 e 9 dicembre,
Sull'assassinio di Monti e Tognetti. 1869, 13, 21, 22 e 25 gennaio, Sui
disordini per la legge sul macinato. 1869, 31 maggio, 1, 2, 4 e 5 giugno,
Inchiesta sulla Regia. 1870, 11 aprile, Sul bilancio dell'Interno. 1870, 12
aprile, Sul consiglio Superiore d'Istruzione. 1870, 19 agosto, I fatti di
Francia. 1870, 21 dicembre, Contro la convalidazione del decreto di
accettazione del plebiscito di Roma. 1872, 19 aprile, Interpellanza per la
pubblicazione del Libro verde. 1872, 14 maggio, Contro la politica estera.
1872, 25 e 27 maggio, Sulla nomina dei vescovi. 1872, 21 novembre,
Interpellanza intorno al divieto del comizio popolare al Colosseo. 1872, 28
novembre, Sulla politica estera. 1873, 18 marzo, Sul ripristinamento
dell'appannaggio al principe Amedeo. 1873, 12 e 25 maggio, La soppressione
degli ordini religiosi in Roma. 1875, 25 gennaio, Gli arresti di Villa
Ruffi.Carriera universitaria Dal 1841 al 1876: 1841, autunno, Professore
supplente di storia all'Strasburgo. 1862, 9 febbraio, Professore onorario
dell'Napoli. 1862, 28 marzo, Professore di Filosofia della storia all'Accademia
scientifico-letteraria di Milano 1864, Professore di Filosofia all'Torino.
1865, 28 giugno, Professore di Filosofia della storia all'Istituto di studi
superiori pratici e di perfezionamento di Firenze. Cariche e titoli Dal 1836 al
1876: 1836, Direttore e fondatore della rivista L'Ateneo. 1861, 21 febbraio,
Membro corrispondente dell'Istituto lombardo di scienze e lettere di Milano.
1862, 20 maggio, Membro ordinario della Società reale di Napoli. 1864, 18
gennaio, Membro effettivo dell'Istituto lombardo di scienze e lettere di
Milano. 1864, 6 novembre, Membro straordinario del Consiglio superiore della
pubblica istruzione. 1865, 6 dicembredicembre 1866, Membro ordinario del
Consiglio superiore della pubblica istruzione. 1870, Socio corrispondente della
Deputazione di storia patria per le antiche province modenesi. 1876, 19 marzo,
Socio nazionale dell'Accademia dei Lincei di Roma. Onorificenze Cavaliere
dell'Ordine al Merito Civile di Savoianastrino per uniforme ordinariaCavaliere
dell'Ordine al Merito Civile di Savoia — 30 aprile 1876 Ufficiale dell'Ordine dei
Santi Maurizio e Lazzaronastrino per uniforme ordinariaUfficiale dell'Ordine
dei Santi Maurizio e Lazzaro — giugno 1862 Ufficiale dell'Ordine della Corona
d'Italianastrino per uniforme ordinariaUfficiale dell'Ordine della Corona
d'Italia — 1862 Il socialismo di Ferrari Come tutti i teorici socialisti
italiani del primo Ottocento, Ferrari è fortemente influenzato dalle teorie
francesi, e in particolare dall'Illuminismo e da Proudhon. Il suo socialismo si
costituisce come una radicalizzazione del principio di uguaglianza affermato
dalla rivoluzione francese. Ferrari riconosce come unico fondamento della
proprietà il lavoro: propone quindi un socialismo che, non strettamente in
opposizione al liberalismo, fosse fondato sul merito individuale e sul diritto di
godere dei frutti del proprio lavoro. Più che con la nascente borghesia,
Ferrari si pone dunque in contrasto con i residui feudali ancora presenti in
Italia, e auspica uno sviluppo industriale e una rivoluzione borghese.
Partecipa anche attivamente al dibattito risorgimentale: contrario
all'unificazione della penisola, propone come obiettivo la formazione di una
federazione di repubbliche, in modo da tutelare le particolarità e l'unicità
delle singole regioni. Questo progetto doveva essere attuato attraverso
un'insurrezione armata, aiutata dall'intervento francese. Al contrario della
maggioranza dei teorici risorgimentali (in particolare Giuseppe Mazzini), i
quali credevano che l'Italia avesse una missione storica, egli
credevaabbastanza pragmaticamenteche fosse necessario l'intervento di uno stato
estero per sconfiggere gli eserciti organizzati dei diversi stati
italiani. L'opinione pubblica doveva essere preparata alla rivoluzione
(che doveva avvenire spontaneamente e non guidata da un gruppo di cospiratori)
da un partito di stampo democratico, repubblicano, federalista e socialista (la
questione sociale era infatti inscindibile da quella istituzionale). Il futuro
stato federale sarebbe stato gestito da un'assemblea nazionale e da tante
assemblee regionali. Insieme a Guglielmo Pepe elaborò il termine
neoguelfismo, per sottolineare il carattere reazionario di restaurare la
presenza attiva della Chiesa nella vita politica dello Stato; Ferrari era
critico verso la formula liberale Libera Chiesa in libero Stato, e affermava la
necessità di una superiorità dello Stato rispetto alla Chiesa, corrispondente
alla superiorità della ragione rispetto alla credenza religiosa, un rapporto
Stato-Chiesa che si riallaccia alla politica ecclesiastica di Giuseppe II in Lombardia
e a quella di Leopoldo I di Toscana. Note
"Consta dai registri della Parrocchia di S. Satiro , che Giuseppe
Michele Giovanni Francesco dei coniugi Giovanni e Rosalinda Ferrari nacque il 7
di marzo 1811.", "Cenno su Giuseppe Ferrari e le sue dottrine",
di Luigi Ferri, : G. Ferrari, La mente di G. D. Romagnosi, O. Campa, Milano,
1913145, nota 1. Giuseppe Ferrari, Sulle
opinioni religiose di Campanella, Milano, FrancoAngeli, 2009 "La fede in Dio è l'errore più
primitivo, più naturale del genere umano [...]. La religione è la pratica della
servitù [...] Il cristianesimo presenta tutti i vizi della rivelazione
soprannaturale [...] l'autorità cristiana conduce alla dominazione dell'uomo
sull'uomo [...] il cristiano è morto, l'uomo deve nascere, è nato, ha già
respinto dallo Stato gli apostoli e la Chiesa.", Giuseppe Ferrari,
Filosofia della rivoluzione, in: Scritti politici di Giuseppe Ferrari, Silvia
Rota Ghibaudi, Torino, UTET, Camera dei Deputati, Atti del Parlamento
Italianosessione del 1861, III discussioni
della Camera dei Deputati, Torino, Eredi Botta, Atti del parlamento italiano
(1861) Giuseppe Ferrari, La révolution
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Scrittori italiani scelte da scrittori viventi. Giuseppe Ferrari, Milano,
Garzanti, 1944261. Opere La mente di G. D. Romagnosi, 1835 (ried. 1913, 1924)
La mente di Vico, 1837 Vico et l'Italie,
1839 De l'Erreur, 1840 Idées sur la politique de Platon et
d'Aristote, 1842 Essai sur le principe
et les limites de la philosophie de l'histoire, 1843 La philosophie catholique en Italie, 1844 La révolution et les révolutionnaires en
Italie, 1844-1845 Des idées et de
l'école de Fourier depuis 1830, 1845 La
révolution et les réformes en Italie, 1848
Machiavel juge des révolutions de notre temps, 1849 (trad. it 1921) Les philosophes salariés, 1849 (ried. 1980)
La Federazione repubblicana, 1851 Filosofia della rivoluzione ( 1), 1851 (ried.
1873, 1922, 1928, 1942) Filosofia della rivoluzione ( 2), 1851 L'Italia dopo il
colpo di Stato del 2 dicembre 1851, 1852 Opuscoli politici e letterari ora per
la prima volta tradotti, 1852 La mente di Giambattista Vico, 1854 Histoire des révolutions d'Italie, ou,
Guelfes et Gibelins, 1856-1858 (ried. )
Histoire de la raison d'Etat, 1860 (ried. ) L'annexion des deux Siciles, 1860 Corso sugli
scrittori politici italiani, 1862 (ried. 1929 con pref. di Adriano Olivetti)
Corso sugli scrittori politici italiani e stranieri, 1863 Il governo a Firenze,
1865 La Chine et l'Europe, 1867 La mente
di Pietro Giannone, 1868 Lettere chinesi sull'Italia, 1869 Storia delle
Rivoluzioni d'Italia, 1872 (ried. 1921) Teoria dei periodi politici, 1874
L'aritmetica nella storia, 1875 Proudhon, 1875, (ried. Andrea Girardi, Napoli,
Edizioni Immanenza, 9788898926541) La
Rivoluzione e i rivoluzionari in Italia (dal 1796 al 1844), 1900 (ried. 1952)
Il genio di Vico, 1916 (ried. 1928) I partiti politici italiani (dal 1789 al
1848), 1921 Le più belle pagine di Giuseppe Ferrari, 1927 (ried. 1941) Opere di
Giandomenico Romagnosi, Carlo Cattaneo e Giuseppe Ferrari, Ernesto Sestan, 1957
Scritti politici, Silvia Rota Ghibaudi, 1973 I filosofi salariati, L. La Puma,
1988 (trad. dal francese) Scritti di filosofia e di politica, M. Martirano, Il
genio di Vico, 2009 Sulle opinioni religiose di Campanella, 2009 Epistolario
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Ferrari", in: Franco Della Peruta, I democratici e la rivoluzione
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Lodovico Frapolli Pierre-Joseph Proudhon Giuseppe Mazzini Carlo Pisacane
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primo radicalsocialista italiano, dal sito del Movimento RadicalSocialista Jean Vinatier, Giuseppe Ferrari: la Chine et
l'Europe su Seriatim, n. 288, 2ème année.Filosofia Politica Politica Risorgimento Risorgimento Storia Storia Università Università Filosofo del XIX secoloStorici
italiani del XIX secoloPolitici italiani Professore1811 1876 7 marzo 2 luglio
Milano RomaFilosofi ateiCavalieri dell'Ordine civile di SavoiaUfficiali
dell'Ordine dei Santi Maurizio e LazzaroUfficiali dell'Ordine della Corona
d'ItaliaPersonalità del RisorgimentoSenatori della XII legislatura del Regno
d'ItaliaDeputati della VII legislatura del Regno di SardegnaDeputati dell'VIII
legislatura del Regno d'ItaliaDeputati della IX legislatura del Regno
d'ItaliaDeputati della X legislatura del Regno d'ItaliaDeputati dell'XI
legislatura del Regno d'ItaliaSepolti nel Cimitero Monumentale di
MilanoFederalisti. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Ferrari," per Il
Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
ferrari: Grice: “I like
Ferrari; he was a philosopher AND a poet – a combo we don’t find too often at
Oxford!” -- Ferrari (alias Novatore) Renzo Novatore «Oggi
cerco un'ora sola di furibonda anarchia e per quell'ora darei tutti i miei
sogni, tutti i miei amori, tutta la mia vita.» (Renzo Novatore)
Renzo Novatore Renzo Novatore, pseudonimo di Abele Ricieri Ferrari (Arcola),
filosofo. Refrattario a ogni disciplina fin da giovanissimo, Abele Ricieri
Ferrari frequentò la scuola soltanto per alcuni mesi prima di abbandonarla
definitivamente ed essere costretto dal padre a lavorare nei campi. Il suo
profondo desiderio di conoscenza, unito ad una notevole forza di volontà, lo
spinse però ad un personalissimo studio da autodidatta che lo portò a leggere
Max Stirner, Friedrich Nietzsche, Georges Palante, Oscar Wilde, Henrik Ibsen,
Arthur Schopenhauer, Charles Baudelaire. Non rinunciò comunque ad
elaborare una visione autonoma, che costruì giorno dopo giorno, come ricorda il
suo amico Auro D'Arcola, attraverso una costante attività meditativa. Si
sposò con Emma Rolla e con lei ebbe tre figli, uno dei quali morto in tenera
età. Gli altri due, Renzo e Stelio, proseguirono sulle orme paterne una
personalissima riflessione esistenzialista che svilupparono nell'ambito della
produzione artistica e letteraria. Questo nonostante fosse contrario alla
famiglia tradizionale e alla visione idealizzata della donna: «O ciniche
prostitute, o espropriatrici audaci, ergetevi sopra la putredine ove il mondo
sta immerso e fatelo impallidire sotto la luce perversa dei vostri grandi occhi
profondi. Voi siete il sole più bello che oggi il sole bacia. Voi siete di
un'altra razza. E l'anima vostra è un canto, un sogno la vostra vita.
Scardinate il mondo o libere prostitute, o espropriatrici audaci. Io canterò
per voi. Il resto è fango!» (Le mie sentenze) L'anarchico disertore La
prima volta in cui le cronache s'interessarono di lui fu nel 1910, quando un
incendio distrusse la chiesa della Madonna degli Angeli nella notte tra il 15 e
il 16 maggio: le indagini dei regi carabinieri portarono infatti a identificare
i responsabili del gesto in un gruppo di giovani anarchici del posto, tra i
quali anche Abele Ferrari. Contrario alla guerra, nel 1915 venne
richiamato sotto le armi ma si rese irreperibile. Venne dunque imputato di
diserzione e condannato in contumacia alla pena di morte. Sarà poi arrestato e
scarcerato in seguito ad amnistia. «E le rane partirono... Partirono
verso il regno della suprema viltà umana. Partirono verso il fango di tutte le
trincee. Partirono.... E la morte venne! Venne ebbra di sangue e danzò macabramente
sul mondo. Danzò con piedi di folgore... Danzò e rise... Rise e danzò... Per
cinque lunghi anni. Ah, Come è volgare la morte che danza senza avere sul dorso
le ali di un'idea... Che cosa idiota morire senza sapere il perché...»
(Dal poema Verso il nulla creatore) Anarchico individualista, assunto lo
pseudonimo di Renzo Novatore, fu protagonista con i suoi compagni Dante
Carnesecchi e Tintino Persio Rasi di alcuni dei più importanti episodi della
lotta operaia del biennio rosso nella Provincia della Spezia: episodi la cui
importanza non si comprende se non tenendo conto che allora La Spezia era una
delle più importanti roccaforti militari italiane, circondata da una serie di
forti e polveriere che ne dominavano il golfo, e caratterizzata dalla presenza
di un arsenale militare e di alcune delle più importanti industrie belliche. In
quel periodo molti lavoratori anelavano a "fare come in Russia",
tanto che era in molti anarchici, come Errico Malatesta, la convinzione che la
rivoluzione fosse dietro l'angolo e bastasse dare solo una spallata
decisa. L'antifascismo e la morte Coerente fino alla fine nella prima
lotta al nascente fascismo, entrò nel mirino delle camicie nere, coadiuvate
dalla polizia di Stato, e dovette fuggire per garantirsi l'incolumità; per sopravvivere
si unì al bandito piemontese Sante Pollastri che era noto anche per proteggere
e finanziare gli anarchici con la sua banda di rapinatori, data la simpatia
politica che aveva per loro e il suo odio per il fascismo. Qualche tempo dopo
la banda di Pollastri rapinò un importante cassiere di una banca, che portava
una borsa piena d'oro: durante la colluttazione il ragionier Achille Casalegno
venne colpito da un proiettile e morì; sebbene probabilmente fu Pollastri, che
aveva già diversi omicidi di poliziotti e fascisti alle spalle, ad esplodere il
colpo, al processo del 1931 costui avrebbe accusato il defunto Novatore.
Le forze dell'ordine, su incarico del governo Mussolini, intensificarono la
caccia alla banda Pollastri. Il 29 novembre 1922, intorno a mezzogiorno, il
maresciallo Lupano e i carabinieri Corbella e Marchetti entrarono in abiti
civili nell'Osteria della Salute di Teglia, nel genovese, perché avevano
individuato Pollastro ed intendevano arrestarlo. Novatore era seduto accanto al
celebre bandito e ad un altro componente del gruppo, e probabilmente fu proprio
lui il primo a sparare sui carabinieri, scatenando la risposta di quest'ultimi.
Nello scontro a fuoco rimasero uccisi il maresciallo Lupano e un amico del
bandito, il cui corpo crivellato di colpi si rivelò essere quello
dell'anarchico Abele Ricieri Ferrari, noto come Renzo Novatore, ricercato per
attività sovversiva e antifascismo, mentre Pollastri e l'altro compagno
riuscirono a scappare. Novatore, al momento della morte, aveva con sé una
pistola Browning, due caricatori di riserva, una bomba a mano ed un anello con
spazio nascosto contenente una dose letale di cianuro, per suicidarsi se fosse
caduto vivo nelle mani dei fascisti, oltre ad un documento falso recante il
nome di Giovanni Governato. Il pensiero Novatore si definiva anarchico
individualista. Lottava per la libertà e per i diritti delle masse, ma era
anche sicuro, dopo il fallimento delle insurrezioni del 1919, che non si
potesse fare affidamento sul popolo: «Le masse che sembrano adoratrici di
Errico Malatesta sono vili e impotenti. Il governo e la borghesia lo sanno e
sogghignano.» «Io so, noi sappiamo, che cento uominidegni di questo
nomepotrebbero fare quello che cinquecentomila "organizzati"
incoscienti non sono e non saranno mai capaci di fare.» Il suo pensiero
nichilista, anticlericale, anarchico e iconoclasta si caratterizzava
soprattutto per il fortissimo individualismo, un individualismo fine a sé
stesso che lo pose spesso in conflitto con altri membri del movimento anarchico
di quegli anni, come Camillo Berneri (di ispirazione anarco-comunista).
«L'individualismo com'io lo sento, lo comprendo e lo intendo, non ha per fine
né il Socialismo, né il Comunismo, né l'Umanità. L'individualismo ha per fine
sé stesso.» (Dallo scritto Il mio individualismo iconoclasta in
Iconoclasta!, 1920) «L'anarchia è per me un mezzo per giungere alla
realizzazione dell'individuo; e non l'individuo un mezzo per la realizzazione
di quella. Se così fosse anche l'anarchia sarebbe un fantasma. Se i deboli
sognano l'anarchia per un fine sociale; i forti praticano l'anarchia come un
mezzo d'individuazione.» «Nella vita io cerco la gioia dello spirito e la
lussuriosa voluttà dell'istinto. E non m'importa sapere se queste abbiano le
loro radici perverse entro la caverna del bene o entro i vorticosi abissi del
male. Nessun avvenire e nessuna umanità, nessun comunismo e nessuna anarchia
valgono il sacrificio della mia vita. Dal giorno che mi sono scoperto ho
considerato me stesso come meta suprema.» Rimaneva salda nel suo pensiero
la convinzione che agire e schierarsi fosse una necessità irrinunciabile tanto
che di lui si disse che scriveva come un angelo, combatteva come un
demonio. Su di lui restò sempre fortissima l'ispirazione di Max Stirner e
di Nietzsche. Opere scritte Le opere e il ricordo del Novatore sono
state in gran parte distrutte dal regime fascista e sostanzialmente a lungo
dimenticate anche da alcune parti del movimento anarchico. Le sue firme
compaiono con molti pseudonimi diversi (oltre al già citato "Renzo
Novatore", anche "Mario Ferrento", "Andrea Del Ferro",
"Sibilla Vane", "Brunetta l'Incendiaria") su svariate
pubblicazioni anarchiche dell'epoca, tra cui Il Libertario (pubblicato a La
Spezia), Gli Scamiciati (Pegli), Cronaca Libertaria (Milano), Il Proletario
(Pontremoli), Pagine Libertarie, Iconoclasta! (Pistoia), L'Avvenire Anarchico,
Vertice (La Spezia), Nichilismo, L'Adunata dei Refrattari (New York) e Veglia
(Parigi). Da ricordare inoltre due libri di pubblicazione postuma:
"Verso il nulla creatore" e "Al di sopra dell'arco".
Libri ed opuscoli Renzo Novatore, prefazione de Il figlio dell'Etna,
Verso il nulla creatore, Siracusa, "Figli dell'Etna", 1924. Renzo
Novatore, prefazione biografica di Auro d'Arcola, appendice di Totò Di Mauro,
illustrazioni di G. Scaccia, Al di sopra dell'arco, Siracusa, "Figli
dell'Etna", 1924. Renzo Novatore, prefazioni di Virginio De Martin e Il
figlio dell'Etna, Verso il nulla creatore, New York, Renzo Novatore, prefazione
di Auro d'Arcola, Il mio individualismo iconoclasta, Firenze, Pistoia,
Albatros, Renzo Novatore, Camillo da Lodi [Camillo Berneri], Mario Senigallesi,
Polemica, Firenze, Pistoia, Albatros, 1950. Renzo Novatore, prefazioni di Totò
Di Mauro, Tito Eschini e Lato Latini, illustrazioni di G. Scaccia, Al di sopra
dell'arco, Firenze, Pistoia, Albatros, 1951. Renzo Novatore, prefazione
biografica di Auro d'Arcola, appendice di Totò Di Mauro, illustrazioni di G.
Scaccia, Al di sopra dell'arco, Torino, Reprint Assandri, 1978. Renzo Novatore,
Verso il nulla creatore, Catania, Centrolibri, Renzo Novatore, Alberto Ciampi,
Un fiore selvaggio. Scritti scelti e note biografiche, Pisa, BFS Edizioni, Renzo
Novatore, Toward the Creative Nothing, Portland, Venomous Butterfly
Publications, Renzo Novatore, introduzione di Alfredo M. Bonanno, Verso il
nulla creatore, Trieste, Edizioni Anarchismo. Renzo Novatore, Novatore, Ardent
Press, . Renzo Novatore, Le rose, dove sono le rose?, Gratis Edizioni, . Renzo
Novatore, Flores silvestres, Lisbona, Textos Subterraneos, . Note
Novatore: una biografia Archiviato il 22 luglio
in . Renzo NovatoreAnarchopedia,
su ita.anarchopedia.org. 17 dicembre .
dal personaggio di Sybil Vane, presente nel romanzo Il ritratto di
Dorian Gray di Oscar Wilde Maurizio
Antonioli (diretto da), Dizionario biografico degli anarchici italiani, 2
voll., Pisa, Biblioteca Franco Serantini, Massimo Novelli, La furibonda
anarchia. Renzo Novatore poeta, Bra (CN), Araba Fenice, Scritti, citazioni e
aforismi di Renzo Novatore Archivio di testi di Renzo Novatore
Ferraris: Grice: “I like
Ferraris – he analyses all the implicata of The Lord’s Prayer – pretty
complicated – my favourite is his excursus on the implicatum of ‘thy will be
done’” -- Antonio De Ferraris, detto il Galateo Antonio De Ferraris, a volte
scritto “De Ferrariis”, detto il Galateo (Galatone), filosofo. Dal luogo di
nascita derivò il nome “Galateo”. Il padre, il notaio Pietro De Ferraris, morì
quando Antonio era ancora in giovanissima età, e perciò la madre Giovanna
d'Alessandro lo affidò ai frati basiliani del paese che gli impartirono le
nozioni formative di base. Chiuso il primo ciclo scolastico, proseguì gli studi
a Nardò spaziando fra filosofia antica, letteratura greca e latina, medicina e
geografia, discipline verso le quali mostrò vivo interesse. Passò quindi a
Napoli, dove dal 1465 approfondì le discipline umanistiche e la medicina.
Antonius Galateus.JPG Molte furono le conoscenze che fece all'Accademia
napoletana, dove fu ammesso attorno al 1470. Lì entrò in contatto con un gran
numero di intellettuali: Benedetto Gareth detto il Chariteo, Paolo e Giovanni
Attaldi, Giovanni Pontano, Teodoro Gaza, Giovan Francesco e Galeazzo
Caracciolo, Giovanni Pardo, fra' Roberto da Lecce, Jacopo Sannazaro. Con
l'aiuto di Girolamo Castello ottenne il diploma di medicina a Ferrara, dove
soggiornò praticando la professione di medico; si trasferì poi a Venezia per
poi ritornare a Napoli ed entrare nel giro della reggia partenopea, stimato a
tal punto da divenire medico della corte di Ferdinando I d’Aragona. Verso
il 1478, per il suo carattere riservato e modesto, si adattò a svolgere la
funzione di medico condotto a Gallipoli, dove si sposò con l'aristocratica
Maria Lubelli dei baroni di Sanarica. La coppia ebbe cinque figli: Antonino,
Lucrezia, Galeno, Betta e Francesca. La serenità della sua vita fu turbata nel
1480 dall'invasione di Otranto da parte dei Turchi, e De Ferraris cercò rifugio
a Lecce annotando gli eventi drammatici che in seguito sarebbero stati il
canovaccio per un'opera composta in latino. Fra il 1481 e il 1495, ormai medico
affermato, si spostò ripetutamente fra Napoli, apprezzato dottore al servizio
della corte aragonese, e la Puglia, sua zona d'origine e di residenza. Iniziò
anche a scrivere, inizialmente in forma epistolare: in Ad Hermolaum Barbarum
mandò i ringraziamenti a Ermolao Barbaro per la dedica ricevuta; è seguente la
redazione di Altilio Galateus εὐ πράττειν e Ad M. Antonium Lupiensem episcopum
de distinctione humani generis et nobilitate; e ancora, negli anni novanta del
XV secolo, una seconda epistola a Barbaro e il saggio Ad Marinum Pancratium de
dignitate disciplinarum. Dopo la morte del re Ferdinando e quella, nel
1495, di Alfonso II che gli era succeduto, De Ferraris abbandonò Napoli non
prima di avere composto l’Antonius Galateus medicus in Alphonsum regem
epitaphium, e tornò a Lecce dove formò assieme ad altri amici studiosi
l'Accademia lupiense, e dove scrisse Ad Chrysostomum De villae incendio, per
celebrare la propria villa di Trepuzzi che era andata distrutta dal fuoco. Dal
1498 al 1501 fu a Napoli, convocato dal re Federico d’Aragona che lo volle con
sé, ma l'inasprimento del conflitto franco-spagnolo lo spinse a ritornare nella
provincia salentina. Dal 1503 godette dell'ospitalità di Isabella d’Aragona,
presso cui ebbe modo di comporre in latino lavori filosofici, cronachistici e
commemorativi, assieme all’Esposizione del Pater Noster, unico scritto in
volgare che ci è stato tramandato. Una delle pochissime trasferte dal
Salento fu quella che l'accademico effettuò a Roma presso il Papa Giulio II, a
cui offrì una copia dell'atto di Donazione di Costantino, che era conservata
nella biblioteca di Casole. Divenuto prete di rito greco a seguito della morte
della moglie, De Ferraris morì a Lecce nel 1517. A lui è dedicato il
cenotafio nella chiesa della Madonna del Rosario (eretto nel 1788
dall'Arditi). Il profilo culturale Antonio De Ferraris De Ferraris
fu uno studioso che, come gli intellettuali suoi contemporanei, riuscì a
coniugare una vasta erudizione umanistica con nozioni scientifiche e, nel suo
caso, anche con una apprezzata pratica medica. Le sue conoscenze erano di ampio
respiro, e il suo bagaglio filosofico includeva la cultura classica di
Aristotele, Platone ed Euclide, e quella araba di Avicenna e Averroè. Considerò
che la filosofia classica era stata traviata dai pensatori medievali, come
Alberto Magno e Duns Scoto, e dei filosofi dei secoli bui salvò solo Severino
Boezio e la sua Consolatio philosophiae. In campo letterario era un estimatore
della lingua spagnola, anche se prediligeva la civiltà classica e autori come
Omero, Senofonte e Plutarco; Terenzio, Catullo, Ovidio, Seneca, Svetonio,
Virgilio e Orazio; e insieme il mondo del volgare, con letture di Dante,
Petrarca, il Morgante e Sannazaro fra i tanti. De Ferraris si interessò anche
delle opere geografiche di Strabone, Tolomeo e Plinio. A questo patrimonio di
conoscenze associò lo studio di medicina, cominciando dai dottori del mondo
classico (fra gli altri Ippocrate, Galeno) e arabo (Serapione il
Vecchio). Nonostante questa cultura ampia e poliedrica, De Ferraris non
trascurò gli usi e i costumi della sua terra d'origine, e descrisse in termini
molto particolareggiati le zone del salentino, illustrando con realismo
Gallipoli ed esaltando uno stile di vita meditativo in alcune sue opere. Ma non
sfuggì all'intellettuale il quadro generale della società dei suoi tempi e
della corruzione morale e politica che la attanagliava; e che fu anch'essa
soggetto degli scritti di De Ferraris nei quali criticò la diffusione delle
consuetudini spagnole. Il suo De Situ Japygiae, scritto nel 1510-11,
circolò a lungo manoscritto fino alla sua pubblicazione a Basilea (1553) ad
opera del duca di Oria Giovanni Bernardino Bonifacio, e fu per secoli il più
autorevole trattato storico-geografico sul Salento. Mentre era a Bari
(1503) come medico di Isabella d'Aragona (vedova di Gian Galeazzo Sforza) e
precettore di sua figlia Bona Sforza (futura regina di Polonia), ebbe notizia
della "Disfida di Barletta" e ne narrò per primo la storia nel suo De
pugna tredecim equitum. Opere Oltre a decine di saggi e trattatelli la
cui datazione è vaga o impossibile da determinare, De Ferraris compose le
seguenti epistole in latino: 1495-1502Ad Accium Sincerum de inconstantia humani
animi 1495-1502Ad Accium Sincerum de villa Laurentii Vallae 1495-1502Ad
Franciscum Caracciolum de beneficio indignis collato 1495-1502Marco Antonio
Ptolomaeo Lupiensi episcopo Antonius Galateus medicus 1495-1502Antonio
Ptolomaeo Lupiensi episcopo Antonius Galateus medicus 1495-1502Dialogus de
Heremita 1495-1502De podagra 1495-1502Ad Chrysostomum, Antonius Galateus
Gelasio suo salutem de nobilitate 1495-1502Ad Chrysostomum de morte fratris
1495-1502Ad illustrem comitem Potentiae 1495-1502Ad comitem potentiarum
1495-1502Ad Maramontium de pugna singulari veterani et tyronis militis Ad
Belisarium Aquevivum marchionem Neritonorum Federico Aragonio regi Apuliae
Antonius Galateus medicus sanitatem 1495-1502Ad Chrysostomum de morte Lucii
Pontani Ad Ferdinandum ducem Calabriae 1503Antonius Galateus salutem
1503Galateus ad Chrysostomum de pugna tredecim equitum 1503Ad Hieronymum
Carbonem de morte Pontani 1504-5Ad Prosperum Columnam 1504-5Galateus medicus ad
Chrysostomum de Prospero Columna 1504-5Antonii Galatei Liciensis phiilosophi et
medici praestantissimi de situ elementorum ad Accium Syncerum Sannazarium
1504-8Esposizione del Pater noster De educatione Ad illustrem dominam Bonam
Sforciam 1507-10Antonius Galateus ad Antonium de Caris Neritinum episcopum
1510Ad Catholicum regem Ferdinandum 1510Beatissimo Iulio II pontifici maximo Antonius Galateus
1510-1Antonii Galatei philosophi et medici praestantissimi De situ Japigiae ad
clarissimum virum Ioannem Baptistam Spinellum, comitem Choriati 1512Antonii
Galatei medici Lupiensis epistola ad Nicolaum Leonicenum medicum 1512-3Petro
Summontio Antonius Galateus medicus bene valere (De suo scribendi genere)
1512-3Antonius Galateus medicus Summontio suo bonam valetudinem (Callipolis
descriptio) 1512-4Ad Pyrrum Castriotam 1513Illustri viro Belisario Aquevivo
Galateus medicus bene valere (Vituperatio litterarum) 1513Ad Ioannem et
Alfonsum Castriotas 1513-4Galateus medicus Ugoni Martello episcopo Lupiensi B.
V. De Situ Japygiae (Basilea 1553), trad. italiana di Gabriella Miccoli La
Iapigia. Itinerari e luoghi dell'antico Salento, a c. di Vittorio Zacchino
(Lecce, Messapica Editrice, 1975) Callipolis Descriptio (trad. italiana di
Amleto Pallara, Gallipoli, a c. di V. Zacchino, Lecce, Messapica Editrice
1977). Riconoscimenti Diverse città pugliesi hanno intitolato una via
"Antonio De Ferraris", come Bari, Collepasso (LE), Manduria (TA),
Poggiardo (LE), Santa Maria al Bagno (Nardò) o Taurisano (LE). Galatone,
che ha una strada "Antonio Galateo", onorato il poeta nel marzo con l’apposizione di una lapide dedicata alla
sua memoria, in Piazza Crocefisso, evento inserito nel programma delle
Celebrazioni del V centenario della morte di Antonio De Ferraris.
Note Leuzzi . Antonio Galateo, su
scienzasalento.unile.it. 1º settembre . Antonio De Ferraris Galateo,
Città di Galatone. 1º settembre 2 luglio
). A. Romano, Antonio De Ferraris, in Dizionario biografico degli
italiani, 33, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, 1987. 31 agosto . Angelo
Romano, DE FERRARIIS, Antonio, in Dizionario biografico degli italiani, XXXIII
, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1987. 1º novembre . Altri progetti
Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file
su Antonio De Ferrariis De Ferràriis,
Antonio, in Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. 1º novembre . Galatone, in Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. 1º novembre . «De Ferràriis, Antonio.Umanista
(Galatone 1444 o 1448Lecce 1517), detto il Galateo dalla sua patria».
Ferraris: Grice: “Ferraris is
what the in the Renaissance used to be called a ‘Renaissance man.’ My favourite
of his essays is “La svolta testuale” – he is into Derrida and Yale, but I’m
into Grice and Harvard, and I still connect!” -- Maurizio Ferraris (Torino),
filosofo. Professore di filosofia a Torino. Presso l'ateneo torinese dirige il
LabOnt (Laboratorio di Ontologia dal
Centro interdipartimentale di ontologia) di cui è stato Direttore dal
1999 al e di cui è Presidente dal . Ha studiato
a Torino, Parigi (prendendo un diploma d'études approfondies con Derrida alla Ecole des Hautes Etudes en
Sciences Sociales), all'Heidelberg e insegnato in importanti università
europee. Dirige la Rivista di Estetica ed è nel comitato direttivo di Critique,
del Círculo Hermenéutico editorial e di aut aut. Ha collaborato al supplemento
culturale de Il Sole 24 ORE; dal scrive
per le pagine culturali de la Repubblica. È inoltre editorialista per la Neue
Zürcher Zeitung. Dopo aver scritto e condotto ZettelFilosofia in movimento per
Rai Cultura, dal conduce Lo Stato
dell'Arte su Rai 5, dedicato all'approfondimento di temi d'attualità, politica
e cultura. In ambito teorico, ha legato il suo nome al rilancio dell'estetica
come teoria della sensibilità, a un'ontologia sociale intesa come ontologia dei
documenti (documentalità) e a un superamento del postmodernismo attraverso la
proposta di un nuovo realismo. Ha scritto Henning Klüver, nella Süddeutsche
Zeitung del 3 gennaio : «Uno spettro si aggira, e non solo per l'Europa.
Lo spettro del “nuovo realismo”. Il concetto di “nuovo realismo” è stato
coniato dal filosofo italiano Maurizio Ferraris dell'Torino. [...] Il dibattito
sul realismo è oggi condotto in diverse parti del mondo, dall'argentino José
Luis Jerez, passando dal messicano Manuel De Landa e dall'americano Graham
Harman, per arrivare fino al tedesco Markus Gabriel. [...] Grazie ai suoi
innumerevoli contributi come colonnista di quotidiani come Il Sole 24 Ore e la
Repubblica e a una sua trasmissione televisiva per il canale culturale Rai
Scuola (ZettelFilosofia in movimento), Ferraris è divenuto nel frattempo una
celebrità della scena filosofica italiana, sapendo abbinare il lavoro
scientifico alle comparse pubblicheattirandosi però allo stesso tempo aspre
critiche.» ( Henning Klüver, Ich bin, also denke ich , in Süddeutsche
Zeitung, traduzione italiana di Simone Maestrone, 3 gennaio . 10 ottobre .). Ferraris
si laurea in Filosofia a Torino nel 1979, sotto la guida di Gianni Vattimo. Nei
primi anni la sua attività si divide tra insegnamento, ricerca e giornalismo
culturale. Dal 1979 al 1988 è redattore, poi condirettore, di Alfabeta, il cui
comitato direttivo comprende, tra gli altri, Antonio Porta, Nanni Balestrini,
Maria Corti, Umberto Eco, Francesco Leonetti, Pier Aldo Rovatti e Paolo
Volponi. All'inizio degli anni ottanta inizia il suo rapporto con Jacques
Derrida, che segna profondamente la sua formazione. Sul piano accademico, dopo
due anni di insegnamento a Macerata (1982-83), nel 1984 inizia a insegnare a
Trieste, inframmezzando l'attività didattica con una serie di soggiorni a
Heidelberg dove, a contatto con Hans-Georg Gadamer, intraprende studi di
ermeneutica. Nel 1995 Ferraris viene chiamato a Torino, come Professore di
Estetica. Passerà all'insegnamento di Filosofia Teoretica nel 1999. Direttore
di programma (cioè insegnante) al Collège international de philosophie dal 1998
al 2004, nel 1999 fonda il Laboratorio di Ontologia (LabOnt) e il Centro
interuniversitario di Ontologia Teorica e Applicata (CTAO). Pensiero
L'ermeneutica I primi interessi di Ferraris si rivolgono alla filosofia
post-strutturalista francese, con autori come Jean-François Lyotard, Michel
Foucault, Jacques Lacan, Gilles Deleuze. Un ruolo particolare nella formazione
del pensiero del filosofo italiano è stato rivestito indubbiamente da Jacques
Derrida, con cui Ferraris intrattiene un rapporto di ricerca, e poi di
amicizia, a partire dal 1981. Sono testimonianza di questa fase del suo
pensiero le opere: Differenze (1981), Tracce (1983) e La svolta testuale
(1984). Specificamente a Derrida, Ferraris ha dedicato: Postille a Derrida
(1990), Honoris causa a Derrida (1998), Introduzione a Derrida (2003), Il gusto
del segreto (1997) e, infine, Jackie Derrida. Ritratto a memoria (2006).
Lavorando invece a contatto con Gadamer, a partire dai primi anni Ottanta
Ferraris si rivolge all'ermeneutica, scrivendo: Aspetti dell'ermeneutica del
Novecento (1986), Ermeneutica di Proust (1987), Nietzsche e la filosofia del
Novecento (1989) e soprattutto Storia dell'ermeneutica (1988). La svolta
Alla fine degli anni ottanta Ferraris sviluppa un'articolata critica alla
tradizione heideggeriana e gadameriana (si veda in particolare Cronistoria di
una svolta, del 1990, postfazione alla conferenza di Heidegger La svolta), che
fa valere, in particolare, l'apporto del post-strutturalismo come contestazione
del retaggio romantico e idealistico che condiziona tale tradizione. La
conclusione di questo percorso critico sfocia nella riconsiderazione del rapporto
tra lo spirito e la lettera e in un ribaltamento della loro contrapposizione
tradizionale. Spesso i filosofi e gli uomini comuni disprezzano la letterale
norme e i vincoli che sono istituiti attraverso documenti e iscrizioni di vario
genereanteponendole lo spiritoil pensiero e la volontàe riconoscendo la libera
creatività del secondo rispetto alla prima. Per Ferraris è la lettera a
precedere e fondare lo spirito. Si consuma così il passaggio alla seconda fase
del pensiero del filosofo italiano. Il realismo e l'ontologia critica
Ferraris abbandona il relativismo ermeneutico e la decostruzione di Derrida per
abbracciare una forma di oggettivismo realistico secondo cui l'«oggettività e
realtà, considerate dall'ermeneutica radicale come principi di violenza e di
sopraffazione, sono di fattoe proprio in conseguenza della contrapposizione tra
spirito e lettera di cui si è dettola sola tutela nei confronti dell'arbitrio».
Questo principio, valido in ambito morale, ha nel riconoscimento di una sfera
di realtà indipendente dalle interpretazioni il suo fondamento teorico (si
veda, in particolare, L'ermeneutica del 1998). Il mondo esterno, riconosciuto
come inemendabile, e il rapporto tra schemi concettuali ed esperienza sensibile
(l'estetica, riportata al suo significato etimologico di “scienza della
percezione sensibile”, acquisisce una rilevanza primariasi vedano, in
particolare, Analogon rationis (1994), Estetica (1996, con altri autori),
L'immaginazione (1996), Experimentelle Ästhetik (2001) ed Estetica razionale
(1997)) sono i temi dominanti della seconda fase del pensiero ferrarisiano, che
rilegge Kant attraverso la fisica ingenua del percettologo triestino Paolo
Bozzi (Il mondo esterno (2001) e Goodbye Kant! (2004)). La “ontologia
critica” ferrarisiana riconosce il mondo della vita quotidiana come largamente
impenetrabile rispetto agli schemi concettuali. Il mancato riconoscimento di
questo principio risale alla confusione tra ontologia (la sfera dell'essere) ed
epistemologia (la sfera del sapere), di cui Ferraris articola una
tematizzazione critica fondata sulcarattere di inemendabilità che è proprio
dell'essere rispetto al sapere (si vedano in particolare: Ontologia (2003)
e Storia dell'ontologia (2008, con altri autori). La sua riflessione sul
realismo sfocia, nel , nell'elaborazione del Manifesto del New Realism.
Dall'ontologia sociale alla Documentalità L'esito naturale dell'ontologia
critica è il riconoscimentoaccanto al mondo inemendabiledi un dominio di
oggetti in cui la filosofia trascendentale kantiana trova la sua adeguata
applicazione: gli oggetti sociali. Questa nuova fase del suo pensiero si apre
idealmente con la pubblicazione di Dove sei? Ontologia del telefonino (2005) e
prosegue con Babbo Natale, Gesù adulto (2006), Sans Papier (2007), La fidanzata
automatica (2007), Il tunnel delle multe (2008). La tesi di fondo è che la
distinzione tra ontologia ed epistemologia, unita al riconoscimento
dell'autonomia ontologica della sfera degli oggetti sociali (regolata dalla
legge costitutiva “oggetto = atto iscritto”), consente di correggere la tesi
derridiana secondo cui "nulla esiste al di fuori del testo"
(letteralmente, e asemanticamente, “non c'è fuori testo”) per teorizzare,
contro Searle, che “niente di sociale esiste fuori del testo”. Si approda
così alla fase più matura del pensiero di Ferraris, esposta compiutamente e
sistematizzata in quella che può essere considerata la sua summa,
Documentalità. Perché è necessario lasciar tracce (2009). In seguito la
sua si arricchisce di piccole ma
significative metafisiche dei costumi artistici e scritturalifinanche
ultratecnologicicon Piangere e ridere davvero () e Filosofia per dame (), vere
e proprie grammatologies, insomma, ma ri-viste, e robustamente visionarie,
oltre che re-visionate, come del resto tutti gli articoli di intervento
culturale (si cfr. esemplarmente quelli per Alfabeta e Alfabeta2). Nuovo
Realismo e critiche La svolta realista compiuta da Maurizio Ferraris a partire
dalla formulazione dell'estetica non come filosofia dell'arte, ma come ontologia
della percezione e dell'esperienza sensibile (Estetica razionale 1997, nuova
edizione ), trova un'ulteriore declinazione nel Manifesto del nuovo realismo
(). Il Nuovo realismo, i cui principi sono anticipati da Ferraris in un
articolo uscito su Repubblica l'8 agosto
e che avvia un imponente dibattito, è in primo luogo un consuntivo di
alcuni fenomeni storici, culturali, politici (l'analisi del postmoderno sino al
suo deteriorarsi in populismo mediatico); da queste considerazioni consegue la
messa in chiaro degli esiti prodotti dalle derive del postmoderno nel pensiero
contemporaneo (l'interpretazione dei realismi filosofici e delle “teorie della
verità” che si sviluppano a partire dalla fine del secolo scorso come reazione
a una devianza del rapporto tra individuo e realtà); da questo scaturisce la
proposta di un antidoto alla degenerazione dell'ideologia postmodernista, alla
prassi degradata e mendace della relazione con il mondo che questa ha indotto:
il Nuovo Realismo si identifica infatti nell'azione sinergica di tre
parole-chiave, Ontologia, Critica, Illuminismo. Il Nuovo Realismo è stato
oggetto di discussioni e convegni nazionali e internazionali e ha sollecitato
una serie di pubblicazioni che implicano il concetto di realtà come paradigma anche
in ambiti extrafilosofici. In effetti, il dibattito sul nuovo realismo,
per quantità di contributi e media implicati, non ha equivalenti nella storia
culturale recente, tanto da essere stato assunto 'case study' per analisi di
sociologia della comunicazione e linguistica. In campo internazionale, il
Manifesto del nuovo realismo ha già avuto due traduzioni (cilena e spagnola,
quest'ultima accresciuta con un nuovo saggio di Ferraris e accompagnata da
ampia introduzione di Francisco José Martín anticipata sulla Revista de
Occidente) seguite dall'uscita delle traduzioni inglese (Suny Press), tedesca
(Klostermann), francese (Hermann), svedese (Daidalos) e dalla recente
traduzione cinese (BIT Press). Sempre sul piano internazionale, il nuovo
realismo è stato discusso dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung, dalla Neue
Zürcher Zeitung e dalla Süddeutsche Zeitung e si annuncia un fascicolo
monografico del "Monist". Inoltre, il tema è rielaborato sia in
Warum es die Welt nicht gibt di Markus Gabriel (Berlin, Ullstein Verlag ), sia
nel Manifiesto del nuevo realismo analógico (Buenos Aires, Círculo Herméneutico
) di Mauricio Beuchot (México-UNAM) e José Luis Jerez (Argentina-UNCo). Per ciò
che riguarda l'Italia, il nuovo realismo ha sollecitato una serie di pubblicazioni
che ne discutono le tesi, a cominciare da Della realtà: fini della filosofia,
Milano, Garzanti di Gianni Vattimo e
Inattualità del pensiero debole, Udine, Forum,
di Pier Aldo Rovatti sino a Il senso dell'esistenza. Per un nuovo
realismo ontologico, Roma, Carocci, , di Markus Gabriel, Bentornata Realtà. Il
nuovo realismo in discussione (M. De Caro e M. Ferraris), Torino, Einaudi, e a Sociologia e nuovo realismo,
Milano-Udine, Mimesis, di Luca
Martignani (che fa parte della collana “Nuovo Realismo” diretta da Ferraris e
De Caro, che conta numerose pubblicazioni). Al Nuovo Realismo di Ferraris
hanno aderito sia filosofi di formazione analitica, come Mario De Caro (cfr.
Bentornata Realtà, a c. di De Caro e Ferraris, ), sia filosofi di formazione continentale,
come Mauricio Beuchot (Manifesto del realismo analogico, ), Luca Taddio (Verso
un nuovo realismo, ), e Markus Gabriel (Campi di senso. Un'ontologia
neorealista, ), che ha raccolto il sostegno di pensatori come Umberto Eco,
Hilary Putnam e John Searle, e che si incrocia con altri movimenti realisti
sorti in modo indipendente ma rispondendo a esigenze affini, come il “realismo
speculativo” del filosofo francese Quentin Meillassoux e del filosofo
statunitense Graham Harman. Per il nuovo realismo, il fatto che sia sempre più
evidente che la scienza non è sistematicamente la misura ultima della verità e
della realtà non comporta che si debba dire addio alla realtà, alla verità o
alla oggettività, come aveva concluso molta filosofia del secolo scorso.
Significa piuttosto che anche la filosofia, così come la giurisprudenza, la
linguistica o la storia, ha qualcosa di importante e di vero da dirci a
proposito del mondo. In questo quadro, il nuovo realismo si presenta anzitutto
come un realismo negativo: la resistenza che il mondo esterno oppone ai nostri
schemi concettuali non va considerata come uno scacco, ma come una risorsa,
come una prova dell'esistenza di un mondo solido e indipendente. Se le cose
stannoin questi termini, però, il realismo negativo si trasforma in un realismo
positivo (Cfr. M. Ferraris, Realismo Positivo, Rosenber e Sellier ): nella sua
resistenza larealtà non costituisce soltanto un limite, ma offre anche delle
possibilità e delle risorse, il che spiega come, nel mondo naturale, forme di vita
differenti possano interagire nello stesso ambiente senza condividere alcuno
schema concettuale; e come, nel mondo sociale, le intenzioni e i comportamenti
umani siano resi possibili da una realtà che è anzitutto data, e che solo in un
secondo momento potrà essere interpretata e, se necessario, trasformata.
Esauritasi la stagione del postmoderno, il nuovo realismo ha intercettato un
diffuso bisogno di rinnovamento in ambiti extradisciplinari come
l'architettura, la letteratura, la pedagogia, la medicina. L'ultima
corrente filosofica inaugurata da Maurizio Ferraris ha provocato resistenze e
critiche da parte dei sostenitori del postmodernismo e del pensiero
debole. Premi Foto del 2007 1990 Premio filosofico
"Claretta" 2005 Premio filosofico "Valitutti" 2006 Premio
filosofico "Castiglioncello" 2007 Premio "Ringrose",
Berkeley 2008 Premio filosofico "Viaggio a Siracusa" Premio filosofico "Capalbio" Premio "Humboldt Forschung",
Univeristà di Monaco Premio filosofico
"Elio Matassi" Opere 1981 Differenze. La filosofia francese dopo lo
strutturalismo, Milano: Multhipla, 228,
seconda edizione, 2007 Milano: Edizioni Albo Versorio, 158 1983 Tracce. Nichilismo moderno
postmoderno, Milano: Multhipla, 174;
seconda edizione, Milano: Mimesis, La svolta testuale. Il decostruzionismo in
Derrida, Lyotard, gli “Yale Critics”, Pavia: Cluep, 145; seconda edizione, 1986 Milano:
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Pascal Engel, Parigi: Editions de l'éclat, 2009, 176 (sr) Goodbye Kant! Šta ostaje danas od
Kritike čistog uma, tr. di Ivo Kara-Pešić, Belgrado: Paideia, Goodbye, Kant!,
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ontológiája, tr. di Judit Gál, Budapest: Európa, 2008, 448Where are you? An Ontology of the Cell
Phone, New York: Fordham UP, 248 (sr)
Gde si? Ontologija mobilnog telefona, tr. di Ivo Kara-Pešić, Belgrado:
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adulto. In cosa crede chi crede?, Milano: Bompiani, 151 2006 Jackie Derrida. Ritratto a memoria,
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2007 La fidanzata automatica, Milano: Bompiani,
204 2008 Il tunnel delle multe. Ontologia degli oggetti quotidiani,
Torino: Einaudi, 284 2008 Storia
dell'ontologia (con altri), Milano: Bompiani,
Una Ikea di università. Alla prova dei fatti, nuova edizione, Milano:
Raffaello Cortina, 161 2009 Piangere e
ridere davvero. Feuilleton, Genova: Il melangolo, 100 2009 Documentalità. Perché è necessario
lasciar tracce, Roma-Bari: Laterza,
XV-429, seconda edizione Documentality: Why It Is Necessary to Leave
Traces, Oxford USA: Oxford University Press,
Ricostruire la decostruzione. Cinque saggi a partire da Jacques Derrida,
Milano: Bompiani, 120 Filosofia per dame, Parma: Guanda, 202
Anima e iPad, Parma: Guanda, 185,
seconda edizione Âme et iPad, Montréal:
coll. Parcours Numériques, Les Presses de l'Université de Montréal, , 216 (anche in open access) (de) Die Seeleein
i-Pad?, Basel: Schwabe, , 194 Manifesto del nuovo realismo, Roma-Bari:
Laterza, 113 (ch) Manifiesto del Nuevo
Realismo por Maurizio Ferraris, Ariadna, ,
134Manifiesto del Nuevo Realismo, Madrid: Actas, , 134
Manifeste du nouveau réalisme, Paris: Hermann, , 122Manifesto of New Realism, New York: Suny,
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Frankfurt/M: Klosterman, , 90 (se)
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Torino: Einaudi, XI 230 Lasciar tracce: documentalità e architettura,
F. Visconti e R. Capozzi, Milano: Mimesis,
96 Filosofia Globalizzata, con
Leonardo Caffo, Milano: Mimesis,
104 From Fictionalism to Realism
, con C. Barbero, A. Voltolini, Newcastle: Cambridge Scholars Publishing, 160
Realismo Positivo, Torino: Rosenberg & Sellier, 120Positive Realism, London: Zer0 Books, Spettri di Nietzsche, Guanda: Parma, 272 (de) Nietzsches Gespenster, Frankfurt/M:
Klosterman, , 252 Introduction to New Realism, London:
Bloomsbury, 168Introducción al Nuevo
Realismo, Neuquén, Argentina: Circulo Hermenéutico, , 117
Mobilitazione Totale, Roma-Bari: Laterza, 120
Mobilitation totale. L'appelle du portable, Paris: Presses Universitaire
de France, , 152Movilización total, Barcelona: Herder, , 152 I
modi dell'amicizia, con Achille Varzi, Napoli-Salerno: Orthothes, 60
Emergenza, Torino: Einaudi,
128 L'imbecillità è una cosa
seria, Bologna: il Mulino, 132 Filosofia teoretica, con Enrico Terrone,
Bologna: il Mulino, 333 Postverità e altri enigmi, Bologna: il
Mulino, 181 Il denaro e i suoi inganni, con John R.
Searle, Torino: Einaudi, 136 Intorno agli unicorni. Supercazzole,
ornitorinchi, ircocervi, Bologna: il Mulino,
144 Il capitale documediale.
Prolegomeni, in Scienza Nuova. Ontologia della trasformazione digitale, Torino:
Rosenberg&Sellier, 11-120 From Fountain to Moleskine, Brill Research
Perspectives in Art and Law, 2/4,
87 Cinema and Ontology, with E.
Terrone, Milano-Udine: Mimesis, 200
Media e divulgazione Maurizio Ferraris è responsabile scientifico del seguente
manuale in tre volumi per le scuole superiori: "Pensiero in movimento", Pearson
Libri in collana di quotidiani: Oltre che diverse curatele e interventi per il
"Caffè Filosofico" del settimanale l'Espresso (2009) e la collana
"Capire la Filosofia" de la Repubblica si segnalano: "Felicità. Cos'è la ricerca della
felicità?", Roma, la Repubblica, venerdì 9 novembre, 96
"Libertà. Quando si è davvero liberi?", Roma, la Repubblica,
sabato 10 novembre, 96 "Arte. Perché certe cose sono opere
d'arte?", Roma, la Repubblica, venerdì 16 novembre, 96
"Male. È possibile vivere senza il male?", Roma, la
Repubblica, sabato 17 novembre, 96 "Uguaglianza. C'è qualcuno più uguale
degli altri?", Roma, la Repubblica, venerdì 23 novembre, 95
"Bellezza. C'è una regola del bello?", Roma, la Repubblica,
sabato 24 novembre, 95 "Mente. La mente è soltanto il
cervello?", Roma, la Repubblica, venerdì 30 novembre, 95
"Morale. C'è un solo modo giusto di vivere?", Roma, la
Repubblica, sabato 1º dicembre, 95 "Potere. Perché si lotta per il
potere?", Roma, la Repubblica, venerdì 7 dicembre, 96
"Pensiero. Che cosa significa pensare?", Roma, la Repubblica,
sabato 8 dicembre, 96 "Violenza: La violenza è
inevitabile?", Roma, la Repubblica, venerdì 14 dicembre, 96
"Passione: Chi decide, la ragione o la passione?", Roma, la
Repubblica, sabato 15 dicembre, 96 "Senso: Che cosa ci manca quando diciamo
che la vita non ha senso?", Roma, la Repubblica, venerdì 21 dicembre, 96
"Linguaggio: Si può pensare senza parole", Roma, la
Repubblica, sabato 22 dicembre, 96 "Scienza: Che cosa sanno gli scienziati?",
Roma, la Repubblica, venerdì 28 dicembre,
96 "Filosofia: A cosa
servono i filosofi?", Roma, la Repubblica, sabato 29 dicembre, 96 Dal settembre ha curato, oltre a partecipare con singoli
interventi, la seconda serie del "Caffè Filosofico" di Repubblica
curandone gli epiloghi. Nel biennio - ha diretto e condotto tre serie del
programma televisivo ZettelFilosofia in movimento in onda su Rai Scuola.
Nel e nel ha continuato tale lavoro nel programma
televisivo "Lo stato dell'arte", in onda su RAI5. Ha condotto la
rubrica di Rai cultura "Opera aperta", in onda sullo stesso
canale. Note "Maurizio
Ferraris", in D. Antiseri e S. Tagliagambe , Filosofi italiani
contemporanei, Milano: Bompiani,
226-235. "Maurizio
Ferraris", la Repubblica, 8 agosto ,//alfabeta2.it//09/09/manifesto-del-new-realism/#more-1513.
Per una rassegna completa del dibattito sorto intorno al "Manifesto del
New Realism" si veda Copia archiviata, su labont.it. Nuovo Realismo | Il
sito ufficiale della rassegna nuovo realismo
R. Scarpa, Ilcaso Nuovo Realismo. La lingua del dibattito filosofico
contemporaneo, Milano-Udine, Mimesis, .
Reperibileonline, fascicolo di
Giugno://ortegaygasset.edu/fog/ver/552/revista-de-occidente/junio- Questi ealtri riferimenti, con resoconti e
presentazioni degli incontri, sono quireperibili:
nuovorealismo.wordpress.com/rassegna/-2/
//themonist.com/wp-content/uploads//06/98-4CFP.html Si vedano ancora, tra gli altri, Emiliano
Bazzanella, La filosofia e il suo consumo. Il nuovo New Realism, Trieste,
Asterios, ; Perché essere realisti? Una sfida filosofica, Andrea Lavazza e
Vittorio Possenti, Milano-Udine, Mimesis, ; L. Somigli (a curadi), Negli
archivi e per le strade. Il ritorno alla realtà nella narrativa di terzo
millennio, Roma, Aracne, ; Architettura e realismo, Milano Maggioli, . Âme et iPad e disponibile in francese in open
access sulla
parcoursnumeriques-pum.ca Il
Caffè Filosofico. La filosofia raccontata dai filosofi Lo stato dell`arteIl di RAI Cultura dedicato alla filosofia, in
Il di RAI Cultura dedicato alla
filosofia. 17 ottobre . 2009
"Maurizio Ferraris", in D. Antiseri e S. Tagliagambe , Filosofi
italiani contemporanei, Milano: Bompiani,
226-235; 2009 "Ontologia analitica e ontologie continentali:
Maurizio Ferraris e i filosofi italiani di impostazione analitica", in C.
Esposito e P. Porro , Filosofia contemporanea, Roma-Bari: Laterza, 692-693. dal
Rassegna Stampa Nuovo Realismo, sul sito del Labont: raccolta estesa di
tutti gli interventi a proposito della proposta teorica sul realismo di Maurizio
Ferraris. Documentalità Ontologia
Ermeneutica Realismo (filosofia) Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio
su Maurizio Ferraris Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene
immagini o altri file su Maurizio Ferraris Sito ufficiale, su
maurizioferraris.it 31 luglio ).
Maurizio Ferraris, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Opere di
Maurizio Ferraris, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Maurizio
Ferraris, . Pubblicazioni di Maurizio
Ferraris, su Persée, Ministère de l'Enseignement supérieur, de la Recherche et
de l'Innovation. CTAOCentro
Interuniversitario di Ontologia Teoretica ed Applicata, su ctaorg.org. l'11 novembre 2008 12 gennaio ).
LABONTLaboratorio di Ontologia, su labont.it. Il «questionario Proust» a
Maurizio Ferraris, su elapsus.it. Maurizio Ferraris, il Nuovo Realismo,
sul RAI Filosofia, su filosofia.rai.it.
ferrero:
Grice: “Just for having written on the influence of Pythagoras on the Roman
world, Ferrero is highly commendable! Pythagoras is crucial for Plato; and
Pythagoras taught of course at what would be a Roman cives, ‘Croto.’ So it all
relates!” -- Italian philosopher, author of “Pigatorismo nel mondo romano.” La
Storia del Pitagorismo nel mondo romano di Leonardo Ferrero vide la luce grazie
al contributo della Fondazione Parini-Chirio e della Facoltà di Lettere
dell’Torino e rappresenta ancora oggi uno dei contributi più alti alla Storia
della Filosofia Romana. Animato da uno
spirito che potrebbe senza dubbio definirsi per mezzo del sentimento
dell’importanza maggiore, nella storia delle idee dell’Antichità, di coloro che
Aristotele chiamava “i filosofi italiani”, di coloro che hanno fatto fiorire
sulla terra d’Italia uno dei rami più vigorosi del pensiero filosofico
occidentale. Ricco di elementi ed agile nella prosa, il libro è uno dei più
importanti, se non l’unico, contributo che rende ragione della relazione tra
filosofia romana e pitagorica,
rinvenendo l’importanza del pensiero speculativo alla base della cultura romana
classica. Su questa base l’a. arriva a
sostenere l’idea nuova ed originale dell’ideale che l’organizzazione pitagorica
ha, in ogni tempo, proposto alla classe dirigente romana che l’accolto e
realizzato, non dimenticando che il fine della filosofia pitagorica è la
formazione del politico. Il piano
dell’opera è semplice e chiaro. Due parti e cinque capitoli solamente
permettonodi abbracciare una storia che si estende sui secoli storici della
Roma prima dell’era cristiana, arricchite da un’ampia consultazione delle fonti
e da un indice analitico che ne facilita la consultazione. L’autore
Leonardo Ferrero allievo del filologo concittadino Rostagni, nel 1937 si
laurea all’Torino ed inizia subito l’insegnamento. Docente all’Istituto
Universitario di Magistero dell’Aquila e, poi, Ordinario di Letteratura Latina
presso l’Trieste di cui è eletto Preside. L’anno successivo è nominato socio
corrispondente dell’Accademia delle Scienze di Torino. Leonardo Ferrero muore a
Trieste il 31 dicembre 1965.
FERRETTI:
Grice: “I like Ferretti, for one, he wrote on
intersubjectivity which is a problem for Husserl: cogitamus; nobody speaks of
‘cogitamus --; one has to distinguish between my favoured –‘inter-subjectivity’
and ‘alterity’!” – Grice: “Ferretti has also philosophised on the infinite,
which poses a problem to my principle of conversational helpfulness.” -- Giovanni
Ferretti (Brusasco), filosofo. Professore di filosofia teoretica a Macerata. Si è laureato in filosofia presso l'Università
Cattolica del Sacro Cuore nel febbraio de ha ottenuto la licenza in Sacra
Teologia presso la Pontificia Facoltà Teologica di Milano con sede in Venegono
Inferiore nell'ottobre del 1962. Dal 1968 al 1976 ha insegnato filosofia della
religione presso la Facoltà teologica dell'Italia settentrionale, nella sede
centrale di Milano, e filosofia nella sede parallela di Torino. Dal 1979 al
1985 è stato Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia presso l'Università
degli Studi di Macerata; dal 1985 al 1991 è stato Rettore della medesima
Università e dal 1995 al 1998 ne è stato Presidente del Nucleo di
valutazione. Dal 1995 al 1998 è stato
Presidente del Centro di studi filosofico-religiosi Luigi Pareyson. È Direttore
del Dipartimento di filosofia e scienze umane dell'Università degli studi di
Macerata dal 1999. È membro della Giunta direttiva del Comitato scientifico del
Centro Studi filosofici di Gallarate. È fondatore e fa parte della Direzione
della rivista «Filosofia e Teologia» dal 1987. È tra i fondatori ed è membro
del consiglio di amministrazione del Centro di studi filosofico-religiosi Luigi
Pareyson, con sede a Torino, dal 1995. Dal 1995 fa parte del Comitato direttivo
dell’Annuario filosofico, pubblicato dal medesimo centro. Orientamento di pensiero Sezione vuota Questa
sezione sugli argomenti biografie e filosofia è ancora vuota. Aiutaci a
scriverla! Pubblicazioni Max Scheler. I. Fenomenologia e antropologia personalistica,
Vita e Pensiero, Milano 1972; Max Scheler. II. Filosofia della religione, Vita
e Pensiero, Milano 1972; Introduzione alla teologia contemporanea. Profilo
storico e antologia (in con F. Ardusso, A. Pastore Perone, U. Perone), SEI,
Torino 1972, 2ª ed. ampliata e rinnovata collaborazione con il titolo La
teologia contemporanea. Introduzione e brani antologici, Marietti, Torino 1980;
Storia del pensiero filosofico (in collaborazione con Ugo Perone, A. Pastore
Perone, C. Ciancio), 3 voll., SEI, Torino 1975; Filosofia della religione, in
Dizionario Teologico Interdisciplinare,
I, Marietti, Torino 1977,
151–181; Filosofia e pedagogia. Profilo storico e analisi delle istituzione
educative (in collaborazione con B. Bellerate, C. Ciancio, A. Perone, U. Perone),
voll. 3, SEI, Torino 1978; In lotta con l'angelo. La filosofia degli ultimi due
secoli di fronte al Cristianesimo, SEI, Torino 1989 (in collaborazione con U.
Perone, A. Pastore Perone, C. Ciancio, Maurizio Pagano); Filosofia: i testi, la
storia (in collaborazione con C. Ciancio, U. Perone, A. Pastore), SEI, Torino
1991; Soggettività, intersoggettività, alterità. In dialogo con Husserl e
Levinas, I, Le meditazioni cartesiane di Husserl (Quaderni di ricerca e
didattica, VI), Dipartimento di filosofia e scienze umane, Macerata, Macerata
1993; Soggettività, intersoggettività, alterità. In dialogo con Husserl e
Levinas, II, Totalità e infinito di Emmanuel Levinas (Quaderni di ricerca e
didattica, VIII), Dipartimento di Filosofia e Scienze umane, Macerata, Macerata
1993; Alterità e trascendenza. Introduzione e commento ad Altrimenti che essere
di E. Levinas (Quaderni di ricerca e didattica, XI), Dipartimento di Filosofia
e Scienze Umane, Macerata, Macerata 1994; Ontologia e teologia in Kant. Con
commentari di testi kantiani (Quaderni di ricerca e didattica, XIV),
Dipartimento di Filosofia e Scienze Umane, Macerata, Macerata 1995; La
filosofia di Levinas. Alterità e trascendenza, Rosenberg & Sellier, Torino
1996; Soggettività e intersoggettività. Le Meditazioni cartesiane di Husserl,
Rosenberg & Sellier, Torino 1997; Ontologia e teologia in Kant, Rosenberg
& Sellier, Torino 1997 (tradotta in francese come Ontologie et Theologie
chez Kant, Cerf, Paris 2001). Università-Macerata,
su unimc.it.
FERRI
– Grice:
“I love Ferri; for one, he wrote on Ficino’s ‘dottrina dell’amore,’ which is of
course Plato’s – and which I may call the most complicated philosophical
doctrine of love ever conceived!” -- Luigi Ferri (Bologna), filosofo. Insegnò a
Firenze e 'Roma/ Venne nominato Socio Nazionale dell'Accademia dei Lincei. Discusse in tre lettere le Confessioni di un
metafisico del suo amico Terenzio Mamiani ed elaborò in tre memorie le sue
concezioni. Pubblicò la “Rivista
italiana di filosofia.” Opere”: Essai
sur l'histoire de la philosophie en Italie au dixnèuvieme siècle (1869) Luca Lo Bianco, FERRI, Luigi, in Dizionario
biografico degli italiani, 47, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana.
ficino: Grice: “If Ficino
had JUST commented on Plato’s symposium that would be already a magnificient
achievement! So Renaissance – it taught the Romans and the Italians, and us,
that the dialogue IS the philosophical form per tradition, whatever Cicero
tried!” -- one of the most important Italian philosophers, neoplatonic
philosopher who played a leading role in the cultural life of Florence.
Ordained a priest in 1473, he hoped to draw people to Christ by means of
Platonism. It was through Ficino’s translation and commentaries that the works
of Plato first became accessible to the Latin-speaking West, but the impact of
Plato’s work was considerably affected by Ficino’s other interests. He accepted
Neoplatonic interpretations of Plato, including those of Plotinus, whom he tr.;
and he saw Plato as the heir of Hermes Trismegistus, a mythical Egyptian sage
and supposed author of the hermetic corpus, which he tr. early in his career.
He embraced the notion of a prisca theologia, an ancient wisdom that
encapsulated philosophic and religious truth, was handed on to Plato, and was
later validated by the Christian revelation. The most popular of his original
works was Three Books on Life 1489, which contains the fullest Renaissance
exposition of a theory of magic, based mainly on Neoplatonic sources. He
postulated a living cosmos in which the World-Soul is linked to the world-body
by spirit. This relationship is mirrored in man, whose spirit or astral body
links his body and soul, and the resulting correspondence between microcosm and
macrocosm allows both man’s control of natural objects through magic and his
ascent to knowledge of God. Other popular works were his commentary on Plato’s
Symposium 1469, which presents a theory of Platonic love; and his Platonic
Theology 1474, in which he argues for the immortality of the soul. Marsilio Ficino (Figline Valdarno, 19 ottobre 1433Careggi,
1º ottobre 1499) filosofo, umanista e astrologo italiano. Nato dal medico
personale di Cosimo il Vecchio, Diotifeci d'Agnolo, e da Alessandra di Nanoccio,
studia a Firenze sotto Luca de Bernardi e Comando Comandi e apprende le prime
nozioni di greco da Francesco da Castiglione, mentre sarebbe da smentire la
notizia riportata nella Vita Ficini di Giovanni Corsi, scritta del 1506, che
sia stato allievo del Platina. Il suo primo maestro di filosofia è il
folignate Niccolò Tignosi, medico aristotelico autore di un De anima e di un De
ideis. Conseguenza di questi insegnamenti è la sua Summa philosophiae, un
gruppo di scritti in latino dedicati a Michele Mercati intorno al 1454 in cui
il Ficino tratta di fisica, di logica, di Dio e di aliae multae quaestiones.
Nella dedica all'amico scrive di volerlo introdurre «a quegli studi che devono
impegnare la nostra età, secondo la regola del nostro Platone». Studia
Epicuro e Lucrezio, scrivendo intorno al 1457 i Commentariola in Lucretium, che
distruggerà nel 1492, il De voluptate ad Antonium Calisianum, il De virtutibus
moralibus e il De quattuor sectis philosophorum, dove tratta di questioni
morali e dell'anima riportando opinioni platoniche, aristoteliche, epicuree e
stoiche, e l'exercendae memoriae gratia, come esercitazione mnemonica e senza
pretese sistematiche. Nel 1456 scrive vari libri di Institutionum ad
platonicam disciplinam, perduti, tratti da fonti latine e per questo motivo
trascurati per la sentita esigenza di abbeverarsi alla diretta fonte greca.
Sembra che il suo interesse al platonismo abbia indotto l'arcivescovo
fiorentino Antonino Pierozzi, preoccupato di possibili deviazioni del Ficino
verso eresie platoniche, a consigliargli di studiare sia medicina a Bologna sia
l'opera di Tommaso d'Aquino. Ma la permanenza a Bologna dal 1457 al 1458,
testimoniata da Zanobi Acciaiuoli, non è documentata e resta certo
l'ininterrotto interesse per la filosofia platonica e neo-platonica. Intorno al
1460 traduce Alcinoo, Speusippo, i versi attribuiti a Pitagora e l'Assioco
attribuito a Senocrate. Tradotti gli inni di Orfeo, di Omero, di Proclo e la
Teogonìa di Esiodo, riceve in dono da Cosimo de' Medici un codice platonico e
una villa a Careggi, che diverrà nel 1459 sede della nuova Accademia Platonica,
fondata dallo stesso Ficino per volere di Cosimo, con il compito di studiare le
opere di Platone e dei platonici, al fine di promuoverne la diffusione. Qui
inizia la traduzione, nell'aprile del 1463, dei Libri ermetici (Corpus
hermeticum), portati in Italia dalla Macedonia da Leonardo da Pistoia; la sua
opera di traduzione avrà un notevole influsso nel pensiero rinascimentale
europeo. Il Ficino vede in quella sapienza antica la presenza di una
rivelazione, di una pia philosophia che si è attuata nel Cristianesimo ma della
quale l'umanità di tutti i tempi era sempre stata partecipe. Nella dedica a
Cosimo, scrive che Ermete Trismegisto «per primo disputò con grandissima
sapienza della maestà divina, della gerarchia degli spiriti» (daemonum ordine),
«della trasmigrazione delle anime. Per primo fu chiamato teologo: lo seguì,
secondo teologo, Orfeo, poi Aglaofemo, Pitagora e Filolao, maestro del nostro
divino Platone». Esiste dunque, secondo Ficino, una concorde e antica
tradizione teologica, una priscae theologiae undique sibi consona secta, che
nasce con Ermete e culmina con Platone. La «pia filosofia», antitetica alle
correnti di pensiero atee e materialiste, si propone di sottrarre l'anima dagli
inganni dei sensi e della fantasia per elevarla alla mente; questa percepisce
la verità, l'ordine di tutte le cose, sia esistenti in Dio che emanate da Lui,
grazie all'illuminazione divina, affinché l'uomo, tornato fra i suoi simili,
possa renderli partecipi delle verità rivelategli dalla fonte divina (divino
numine revelata). La sua traduzione latina del Corpus hermeticum, già
tradotto in volgare nel 1463 da Tommaso Benci, viene stampata nel 1471; nel
1463 inizia la traduzione latina dei dialoghi platonici, conclusa forse nel
1468, e vi aggiunge nel tempo i suoi commenti: intorno al 1474 quelli al
Filebo, al Fedro e al Convivio (tradotto anche in italiano), nel 1484 al Timeo,
e nel 1494 al Parmenide. Dal 1469 al 1474 stende l'opera più importante, i
diciotto libri della Theologia platonica de immortalitate animarum, dedicata a
Lorenzo de' Medici. Dopo aver preso i voti sacerdotali il 18 dicembre 1473,
compone la Religione cristiana, in italiano, di cui darà poi la versione latina
nella De christiana religione. Dal 1475 al 1476 scrive la Disputatio contra
iudicium astrologorum e nel 1481 viene dato alle stampe il suo Consiglio contro
la pestilenza, dopo il flagello dell'epidemia del 1478. Busto di
Marsilio Ficino ad opera di Andrea Ferrucci (1522) in Santa Maria del Fiore,
Firenze Nel 1484 inizia la traduzione delle Enneadi di Plotino e dal 1488 al
1493 traduce le opere di Giamblico, Proclo, Prisciano, Porfirio, Sinesio,
Teofrasto, Michele Psello, la Mistica teologia e i Nomi divini dello
Pseudo-Dionigi, e i frammenti di Atenagora di Atene: con questo ampio corpus
platonico il Ficino persegue la sua teorizzazione della continuità della
tradizione teologica da Ermete ai platonici prolungatasi attraverso Dionigi
Areopagita, Agostino, Apuleio, Boezio, Macrobio, Avicebron, Al-Farabi,
Avicenna, Duns Scoto, Bessarione e il Cusano. I tre libri del De vita,
usciti nel 1489, gli procurano accuse di magia dalle quali si difende con
un'Apologia; nel 1495 pubblica dodici libri di Epistulae che comprendono anche
opuscoli scritti dal 1476 al 1491, come il De furore divino, la Laus
philosophiae, il De raptu Pauli, le Quinque claves Platonicae sapientiae, il De
vita Platonis, i De laudibus philosophiae, l'Orphica comparatio Solis ad Deum,
la Concordia Mosis et Platonis, gli Apologi de voluptate quattuor. Lascia
incompiuto un Commento a San Paolo per la morte sopraggiunta a sessantasei
anni, nel 1499. È sepolto nel duomo di Santa Maria del Fiore, dove un monumento
lo celebra come il maggior filosofo fiorentino. È noto come
Aristotele concepisca l'essere umano come sinolo, unità ordinata e
indissolubile di materia e forma, di corpo e anima, cosicché il suo principale
commentatore dell'antichità Alessandro di Afrodisia poteva ben dedurne esplicitamente
la mortalità dell'anima contemporanea a quella del corpo. Al contrario, Platone
aveva già distinto le due sostanze, concedendo all'anima una vita separata e
indipendente dal destino del corpo. A questa concezione aderisce Ficino,
che in polemica contro Aristotele esalta la dottrina platonica, al punto da
interpretarla come una forma di religiosità propedeutica alla fede cristiana.
La sua Theologia platonica o De immortalitate animarum si apre dunque con
un «Soluamus obsecro caelestes animi
caelestis patriae cupidi, soluamus quamprimum uincula compedum terrenarum ut
alis sublati Platonicis, ac Deo duce, in sedem aetheream liberius peruolemus,
ubi statim nostri generis excellentiam feliciter
contemplabimur.» «Liberiamoci in fretta, spiriti celesti desiderosi della
patria celeste, dai lacci delle cose terrene, per volare con ali platoniche e
con la guida di Dio, alla sede celeste dove contempleremo beati l'eccellenza
del genere nostro.» (Ficino, Theologia Platonica, I, 1) Delle
divine lettere del gran Marsilio Ficino, frontespizio di una edizione del 1563
Per comprendere la sostanza dell'anima è necessario comprendere la struttura
dell'universo, composto da cinque livelli gerarchici: Dio; gli angeli; le
anime; le qualità; la materia. Al grado inferiore sta la materia, concepita,
seguendo Averroè, come pura quantità: «la materia non ha di per sé nessuna
forza che possa produrre le forme», diversamente da chi, come Avicebron, la
concepisce come «sostanza produttrice di forme, fonte piuttosto che soggetto delle
forme». È la qualità il principio formale che dà sostanza alle realtà
corporee, grazie a «una sostanza incorporea che penetra attraverso i corpi,
della quale sono strumento le qualità corporee»: questa sostanza incorporea
nell'uomo si eleva al rango di anima «che genera la vita e il senso della vita
anche dal fango non vivente». Al di sopra delle anime sono gli angeli:
«Sopra quelli intelletti che alli corpi s'accostano, cioè l'anime ragionevoli,
non è dubbio che sono assai menti, dal commercio dei corpi al tutto divise»; e
se l'intelletto dell'anima «è mobile e parte interrotto e dubbio», l'intelletto
angelico è «stabile tutto, continuo e certissimo». Al di sopra del tutto
è Dio, che è unità, bontà e verità assoluta, fonte di ogni verità e di ogni
vita, è atto e vita assoluta: «Dove un continuo atto e una continua vita dura,
quivi è un immenso lume d'una assolutissima intelligenza» che è luce per gli
uomini perché si riflette in tutte le cose. Attraverso Dio «tutte le cose son
fatte, e però Iddio si trova in tutte le cose e tutte le cose si veggono in
lui... Iddio è principio, perché da lui ogni cosa procede; Iddio è fine, perché
a lui ogni cosa ritorna, Iddio è vita e intelligenza, perché per lui vivono le
anime e le menti intendono».[25] Dio e materia rappresentano i due
estremi della natura, e la funzione dell'anima, che è considerata, diversamente
da Aristotele e da Tommaso, realtà in sé e non solamente forma del corpo, è
quella di incarnarsi per riunire lo spirito e la corporeità: Amore
sacro e amor profano (Tiziano): eros come mediatore dei contrari «[L'anima] … è
tale da cogliere le cose superiori senza trascurare le inferiori... per istinto
naturale, sale in alto e scende in basso. E quando sale, non lascia ciò che sta
in basso e quando scende, non abbandona le cose sublimi; infatti, se
abbandonasse un estremo, scivolerebbe verso l'altro e non sarebbe più la copula
del mondo.» (Ficino, Theologia Platonica, 1474[26]) La "copula
mundi" è l'anima razionale che «ha sede nella terza essenza, possiede la
regione mediana della natura» (obtinet naturae mediam regionem) «e tutto
connette in unità». La sua opera unificatrice è resa possibile dall'amore,
inteso come movimento circolare attraverso il quale Dio si disperde nel mondo a
causa della sua bontà infinita, per poi produrre nuovamente negli uomini il
desiderio di ricongiungersi a Lui. L'amore di cui parla Ficino è l'eros di
Platone, che per l'antico filosofo greco svolgeva appunto la funzione di
tramite fra il mondo sensibile e quello intelligibile, ma Ficino lo intende
anche in un senso cristiano perché, a differenza di quello platonico, l'amore
per lui non è solo attributo dell'uomo ma anche di Dio.[27] Lo stesso
Platone viene interpretato in una chiave di lettura che oggi definiamo
piuttosto neoplatonica, sebbene Ficino non faccia distinzione tra platonismo e
neoplatonismo.[28] Per lui esiste una sola filosofia, che consiste nella
riflessione su quelle verità eterne, le Idee, che in quanto tali restano
inalterate nel tempo e trascendono la storia. Congiungendo tutti i campi del
reale secondo una concezione propria peraltro dell'astrologia e della magia, a
cui Ficino rivolge notevoli interessi in virtù dell'unione vitale del mondo da
essi presupposta,[29] filosofia e religione si fondono così in una visione
d'insieme di reciproca complementarità, sottolineata anche nell'accostamento di
termini come «pia philosophia», o «teologia platonica». Strumento dell'amore
nel suo farsi portavoce dell'Uno è principalmente la Bellezza.[30] Nel
pensiero di Marsilio Ficino, Gesù Cristo è considerato un maestro spirituale
spirito-guida, inviato da Dio per il bene dell'umanità:[31] «Cos'altro
era Cristo se non una specie di manuale di etica, cioè di filosofia divina, il
quale visse come un inviato dal cielo, essendo lui stesso una divina Idea di
virtù, manifestata agli occhi degli uomini.» (De Christiana religione,
cap. 4) Elevando il cristianesimo a religione suprema,[31] Ficino asserì che
l'Incarnazione del Cristo era avvenuta anche perché Dio si potesse riunire «a tutti
gli aspetti della creazione».[32] Pur esercitando un fortissimo impulso al
rinnovamento del panorama filosofico dell'Europa, in cui da diversi paesi si
faceva costante richiesta delle sue opere,[33] dopo la fine del Rinascimento
Ficino venne tradotto e commentato sempre meno, fino ad essere accusato,
immeritatamente,[31] di un ritorno al paganesimo. In Italia, dove è
riconosciuta la sua influenza sull'ermetismo cinquecentesco,[34] e in
particolare su Giordano Bruno,[35] sarà Giambattista Vico a raccogliere nel
Settecento l'eredità neoplatonica di Ficino, di cui lesse l'opera di
traduzione, rammaricandosi del fatto che la filosofia moderna si fosse
allontanata da lui, rinchiudendosi nelle angustie mentali di
Cartesio.[36] Sottoposto ad attacchi nel corso del Novecento che
giudicarono «retorici» e «privi di valore» i suoi scritti,[37] Ficino è stato
rivalutato dallo psicanalista scrittore James Hillman, che lo definì uno
«psicologo del profondo» e «precursore della psicologia junghiana», per il suo
incitamento a leggere e interpretare ogni affermazione proveniente dai campi
più disparati, sia della scienza che della teologia, nell'ottica
dell'esperienza psicologica dell'anima, la quale viene vista cioè come
«mediazione e compendio» dell'universo.[38] La conoscenza dell'anima è infatti
per Hillman la «quintessenza del neoplatonismo italiano», in cui giacciono
sepolte le «fantasie mistiche» di questo «strano uomo che suonava inni orfici
sul liuto, che studiava la magia e componeva canti astrologici, quest'uomo
gobbo, bleso, politicamente timido, senza amore, malinconico traduttore di
Platone, Plotino, Proclo, Esiodo, dei Libri Ermetici, autore lui stesso di
alcuni tra gli scritti più diffusi e influenti (Commento al Simposio) e
scandalosamente pericolosi (Liber de vita) del suo tempo».[39] La
centralità attribuita da Ficino all'anima, per la quale, ancora ragazzo, Cosimo
de' Medici lo considerava «prescelto alla cura delle anime» come suo padre
medico lo era dei corpi,[40] convinse anche Erwin Panofsky che egli «ebbe un
impatto paragonabile per estensione ed intensità solo a quello prodotto oggi
dalla psicoanalisi».[41] Notevole è ad esempio l'intuizione di Ficino del
potere psicosomatico nella cura delle malattie, e in quello che la medicina
moderna considera un effetto placebo: «Io sono del parere che
l'intenzione dell'immaginazione abbia il suo peso su immagini e medicine, non
tanto al momento della preparazione, quanto in quello dell'applicazione: ad
esempio, se un tale, a quel che si dice, porta indosso un'immagine fatta nei
modi debiti, o certamente, se facendo uso analogo di una medicina, desidera
intensamente soccorso da quella e crede senza ombra di dubbio e spera con
incrollabile fermezza, da questo atteggiamento deriva certo il massimo di
incremento all'aiuto che essa può dare.» (Ficino, De vita[42])
Opere Frontespizio di una edizione del 1560 del De triplici vita. De
Voluptate (1457-8) De Amore o Commentarium in Convivium Platonis (1469) De
religione Christiana et fidei pietate (1475–6) Theologia Platonica de
immortalitate animarum (1482) Compendium in Timaeum (1484) De triplici vita
(1489) De lumine (1492) In Epistolas Pauli commentaria (Venezia 1491; Firenze
1497) El libro dell'amore De vita Teologia platonica (1474) Sopra lo amore
ovvero Convito di Platone La religione cristiana Epistolarum familiarum, liber
I. Note Rosanna Zerilli, Marsilio
Ficino: alla lente dell'astrologia, Edizioni Capone, . Ove non diversamente riportato, le notizie
sulla vita e la dottrina di Ficino sono tratte da: Eugenio Garin, Storia della
filosofia italiana, I, Einaudi,
1966, 373-436. Giuseppe Saitta,
Marsilio Ficino e la filosofia dell'umanesimo, pag. 2, Fiammenghi & Nanni,
1954. Giornale storico della letteratura
italiana, voll. 111-112, Francesco Novati, Egidio Gorra, Vittorio Cian, Giulio
Bertoni, Carlo Calcaterra, Loescher, 1938, pag. 339. Arthur M. Field, The Origins of the Platonic
Academy of Florence, pag. 140, Princeton University Press, . Giorgio
Bàrberi Squarotti, Storia della civiltà letteraria italiana: Umanesimo e
Rinascimento, II, pag. 815, UTET,
1996. E. Garin, pag. 231. Giovanni
Semprini, I platonici italiani, pag. 40, Edizioni Athena, 1926. La Letteratura italiana: Storia e
testi, XIII, pag. 929, E. Garin,
Riccardo Ricciardi Editore, 1950-60. A.
Della Torre, Storia dell'Accademia Platonica di Firenze, Istituto di Studi
Superiori Pratici e di Perfezionamento in Firenze, 1902. Eugenio Garin, Ermetismo del Rinascimento,
pag. 72, Ed. Riuniti, 1988. «Primus de
maiestate Dei, daemonum ordine, animarum mutationibus sapientissime disputavit.
Primus igitur theologiae appellatus est autor. Eum secutus Orpheus, secundas
antiquae theologiae partes obtinuit. Orphei sacris initiatus est Aglaophemo
successit in theologia Pythagoras, quem Philolaus sectatus est, divi Platonis
nostri praeceptor». James D. Heiser,
Prisci Theologi and the Hermetic Reformation in the Fifteenth Century,
Repristination Press, . Andrea Cusimano, Storia del pensiero occidentale,
pag. 167, Lulu.com, . L'immenso lavoro di traduzione compiuto da Marsilio
Ficino è stato documentato in particolare da Paul Oskar Kristeller, in
Supplementum ficinianum: Marsilii Ficini florentini philosophi platonici
Opuscula inedita et dispersa, 2 voll., Firenze, Leo S. Olschki, 1937. Cfr.
anche: P. O: Kristeller, The First Printed Edition of Plato's Works and the
Date of Its Publication (1484), in "Science and History: Studies in Honor
of Edward Rosen", Erna Hilfstein, Pawel Czartoryski, e Frank D.
Grande, 25–35, Wroclaw, 1978; Marsilio
Ficino as a Beginning Student of Plato, in "Scriptorium", n. 20, 41–54, 1966; Marsilio Ficino and His Work
after Five Hundred Years, in "Quaderni di Rinascimento", n. 7,
Firenze, 1987. E. Garin,
241-243. Arnaldo Della Torre,
Storia dell'Accademia Platonica di Firenze (1902), pag. 623, Istituto di Studi
Superiori Pratici e di Perfezionamento in Firenze, 1960. Alessandro di Afrodisia, L'animaAccattino e
P. Donini, Roma-Bari, Laterza, 1996. Marsilio
Ficino su Parodos.
isentieridellaragione.weebly.com, isentieridellaragione.weebly.com/ficino.html. Ficino, cit. in E. Garin, pag. 251. Le divine lettere del gran Marsilio
Ficino, 1, pag. 137, S. Gentile, Edizioni
di storia e letteratura, 2001. Ficino, Sopra lo amore o ver' Convito di
Platone, pag. 118, G. Ottaviano, Celuc, 1973.
Ficino, cit. in E. Garin, pag. 253.
Le divine lettere del gran Marsilio Ficino, 1, pag. 157, S. Gentile, op. cit. Trad. in Storia sociale e culturale d'Italia:
La cultura filosofica e scientifica, Guido Ceriotti, 5, pag. 305, Bramante, 1988. Ioan P. Couliano, Eros and the Magic in the
Reinassance, University of Chicago Press, 1987.
Il termine "neoplatonismo" è stato coniato solo nel XIX secolo
per indicare le interpretazioni platoniche che si erano andate via via
sovrapponendo a partire dall'età ellenistica, ma che erano sempre state
identificate col pensiero stesso di Platone, ritenuto quasi un loro capostipite
(cfr. Cenni sulla tradizione platonica).
Sebastiano Gentile, Il ritorno di Platone, dei platonici e del
"corpus" ermetico. Filosofia, teologia e astrologia nell'opera di
Marsilio Ficino, in C. Vasoli, Le filosofie del Rinascimento, P.C.
Pissavino, 193-228, Milano, Bruno
Mondadori, 2002. La prospettiva storiografica
di Marsilio Ficino, di E. Lo Presti, Università degli Studi di Bologna.
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«Artist, Scientist, Genius: Notes on the 'Renaissance-Dämmerung'», in
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De vita, trad it, Edizioni Biblioteca dell'Immagine, Pordenone 1991185. Testi Marsilio Ficino, Commentarius in
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Torino, Bottega d’Erasmo, 1959–1962. (ristampa anastatica dell'edizione di
Basilea, 1576) Marsilio Ficino, Opere. Lettere e carteggi, in Vinegia, appresso
Gabriel Giolito de' Ferrari, 1563. Marsilio Ficino, Opere. Lettere e carteggi,
in Vinegia, appresso Gabriel Giolito de' Ferrari, 1548. Marsilio Ficino, De
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dell'Immagine, Pordenone 1991, XXXV-501.
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Marsilio Ficino. Das Problem der Vermittlung von Denken und Welt in einer
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Nicola Cusano, in “Bruniana & Campanelliana”, XIV (2008), n.2, 523–534. Cesare Catà, L'idea di “anima stellata”
nel Quattrocento fiorentino. Andrea da Barberino e la teoria psico-astrologica
in Marsilio Ficino, in “Bruniana & Campanelliana”, XVI, 2 (), 629–639. Giovanni Dall'Orto, Socratic Love as
a Disguise for Same-sex Love in the Italian Renaissance", in "Journal
of homosexuality", XVI, n. 1/2 1989,
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Vitali, 2009. Erwin Panofsky, Il movimento neoplatonico a Firenze e nell'Italia
settentrionale, in Studi di iconologia (1939), Einaudi, Torino, 1999, 184–235. Alessandro Polcri, L'etica del
perfetto cittadino: la magnificenza a Firenze tra Cosimo de' Medici, Timoteo
Maffei e Marsilio Ficino, in "Interpres: rivista di studi
quattrocenteschi", volume 26, Roma–Salerno (2007), 195–223. Michele Schiavone, Problemi
filosofici in Marsilio Ficino, Milano, 1957. Angela Voss, Marsilio Ficino,
Berkeley, North Atlantic Books, 2006. Rosanna Zerilli, Marsilio Ficino alla
lente dell'astrologia, Edizioni Federico Capone, Torino, . Altri progetti
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Britannica, Inc. Marsilio Ficino, in
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
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University. Opere di Marsilio Ficino /
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società ficiniana, su ficino.it.Christopher S. Celenza, Marsilio Ficino, su
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della magia alla "magicizzazione" del cristianesimo, su aispes.net.
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Hillman, Plotino, Ficino e Vico precursori della psicologia Junghiana , su
rivistapsicologianalitica.it. Il mito greco alla corte dei Medici , su
memoriedalmediterraneo.com. V D M Platonici Filosofia Filosofo del XV
secoloUmanisti italianiAstrologi italiani 1433 1499 19 ottobre 1º ottobre
Figline Valdarno CareggiAlchimisti italianiCabalisti italianiErmetisti
italianiFilosofi cattoliciNeoplatoniciMembri dell'Accademia
neoplatonicaTraduttori dal greco al latino. Refs.: Ficino’s
“Commentaries on Plato,” Tatti -- Luigi
Speranza, "Grice e Ficino," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool
Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
fictum: in the widest
usage, whatever contrasts with what is a matter of fact. As applied to works of
fiction, however, this is not the appropriate contrast. For a work of fiction,
such as a historical novel, might turn out to be true regarding its historical
subject, without ceasing to be fiction. The correct contrast of fiction is to
non-fiction. If a work of fiction might turn out to be true, how is ‘fiction’
best defined? According to some philosophers, such as Searle, the writer of
nonfiction performs illocutionary speech acts, such as asserting that
such-and-such occurred, whereas the writer of fiction characteristically only
pretends to perform these illocutionary acts. Others hold that the core idea to
which appeal should be made is that of making-believe or imagining certain
states of affairs. Kendall Walton Mimesis as Make-Believe, 0, for instance,
holds that a work of fiction is to be construed in terms of a prop whose
function is to serve in games of make-believe. Both kinds of theory allow for
the possibility that a work of fiction might turn out to be true.
fidanza: Grice: “Italians
call Fidanza an ‘anti-dialectician’ but then they have Aquinas, who is an
hypoer-dialectiician!” essential Italian philosopher, b. Bagnoreggio
(Bagnorea), he was educated at Paris, earning a master’s degree in arts and a
doctorate in theology. He joined the Franciscans about 1243, while still a
student, and was elected minister general of the order in 1257. Made cardinal
bishop of Albano by Pope Gregory X in 1274, Bonaventure helped organize the
Second Ecumenical Council of Lyons, during the course of which he died, in July
1274. He was canonized in 1482 and named a doctor of the church in 1587. Bonaventure
wrote and preached extensively on the relation between philosophy and theology,
the role of reason in spiritual and religious life, and the extent to which
knowledge in God is obtainable by the “wayfarer.” His basic position is nicely
expressed in De reductione artium ad theologiam “On the Reduction of the Arts
to Theology”: “the manifold wisdom of God, which is clearly revealed in sacred
scripture, lies hidden in all knowledge and in all nature.” He adds, “all
divisions of knowledge are handmaids of theology.” But he is critical of those
theologians who wish to sever the connection between faith and reason. As he
argues in another famous work, Itinerarium mentis ad deum “The Mind’s Journey
unto God,” 1259, “since, relative to our life on earth, the world is itself a
ladder for ascending to God, we find here certain traces, certain images” of
the divine hand, in which God himself is mirrored. Although Bonaventure’s own
philosophical outlook is Augustinian, he was also influenced by Aristotle,
whose newly available works he both read and appreciated. Thus, while
upholdBonaventure, Saint Bonaventure, Saint 94
94 ing the Aristotelian ideas that knowledge of the external world is
based on the senses and that the mind comes into existence as a tabula rasa, he
also contends that divine illumination is necessary to explain both the
acquisition of universal concepts from sense images, and the certainty of
intellectual judgment. His own illuminationist epistemology seeks a middle
ground between, on the one hand, those who maintain that the eternal light is
the sole reason for human knowing, providing the human intellect with its
archetypal and intelligible objects, and, on the other, those holding that the
eternal light merely influences human knowing, helping guide it toward truth.
He holds that our intellect has certain knowledge when stable; eternal
archetypes are “contuited by us [a nobis contuita],” together with intelligible
species produced by its own fallible powers. In metaphysics, Bonaventure
defends exemplarism, the doctrine that all creation is patterned after exemplar
causes or ideas in the mind of God. Like Aquinas, but unlike Duns Scotus, he
argues that it is through such ideas that God knows all creatures. He also
adopts the emanationist principle that creation proceeds from God’s goodness,
which is self-diffusive, but differs from other emanationists, such as
al-Farabi, Avicenna, and Averroes, in arguing that divine emanation is neither
necessary nor indirect i.e., accomplished by secondary agents or intelligences.
Indeed, he sees the views of these Islamic philosophers as typical of the
errors bound to follow once Aristotelian rationalism is taken to its extreme.
He is also well known for his anti-Aristotelian argument that the eternity of
the world something even Aquinas
following Maimonides concedes as a theoretical possibility is demonstrably false. Bonaventure also
subscribes to several other doctrines characteristic of medieval
Augustinianism: universal hylomorphism, the thesis, defended by Ibn Gabirol and
Avicenna among others, that everything other than God is composed of matter and
form; the plurality of forms, the view that subjects and predicates in the
category of substance are ordered in terms of their metaphysical priority; and
the ontological view of truth, according to which truth is a kind of rightness
perceived by the mind. In a similar vein, Bonaventure argues that knowledge
ultimately consists in perceiving truth directly, without argument or
demonstration. Bonaventure also wrote several classic works in the tradition of
mystical theology. His bestknown and most popular mystical work is the
aforementioned Itinerarium, written in 1259 on a pilgrimage to La Verna, during
which he beheld the six-winged seraph that had also appeared to Francis of
Assisi when Francis received the stigmata. Bonaventure outlines a seven-stage
spiritual journey, in which our mind moves from first considering God’s traces
in the perfections of irrational creatures, to a final state of peaceful
repose, in which our affections are “transferred and transformed into God.”
Central to his writings on spiritual life is the theme of the “three ways”: the
purgative way, inspired by conscience, which expels sin; the illuminative way,
inspired by the intellect, which imitates Christ; and the unitive way, inspired
by wisdom, which unites us to God through love. Bonaventure’s writings most
immediately influenced the work of other medieval Augustinians, such as Matthew
of Aquasparta and John Peckham, and later, followers of Duns Scotus. But his
modern reputation rests on his profound contributions to philosophical
theology, Franciscan spirituality, and mystical thought, in all three of which
he remains an authoritative source.Bonaventura da
Bagnoregio (Bagnoregio, 1217/1221 circaLione, 15 luglio 1274) cardinale,
filosofo e teologo italiano. Denominato Doctor Seraphicus, insegnò alla Sorbona
di Parigi e fu amico di san Tommaso d'Aquino. Vescovo e cardinale, dopo
la morte venne canonizzato da papa Sisto IV nel 1482 e proclamato Dottore della
Chiesa da papa Sisto V nel 1588. È considerato uno tra i più importanti
biografi di san Francesco d'Assisi. Infatti alla sua biografia — la Legenda
Maior — si ispirò Giotto per il ciclo delle storie sul Santo nella basilica di
Assisi. Per diciassette anni — dal 1257 — fu ministro generale
dell'Ordine francescano, del quale è ritenuto uno dei padri: quasi un secondo
fondatore. Sotto la sua guida furono pubblicate le Costituzioni narbonesi, su
cui si basarono tutte le successive costituzioni dell'Ordine. La visione
filosofica di Bonaventura partiva dal presupposto che ogni conoscenza derivi
dai sensi: l'anima conosce Dio e se stessa senza l'aiuto dei sensi esterni.
Risolse il problema del rapporto tra ragione e fede in chiave platonico-agostiniana.
È venerato come santo dalla Chiesa cattolica, che celebra la sua memoria
obbligatoria il 15 luglio o il giorno precedente nella forma
straordinaria. La data in cui Bonaventura venne alla luce non è certa e
viene collocata tra il 1217 e il 1221. Nacque a Civita di Bagnoregio, in
Tuscia, oggi provincia di Viterbo. Era figlio di Giovanni di Fidanza, medico, e
di Rita (o Ritella). Iniziò i suoi studi giovanili nel convento di San
Francesco "vecchio", situato a metà strada tra Bagnoregio e Civita.
Nel 1235 si recò a Parigi a studiare nella facoltà delle Arti e
successivamente, nel 1243, nella facoltà di teologia. Probabilmente in quello
stesso anno entrò tra i Frati Minori (Minoriti). I suoi studi di teologia
terminarono nel 1253, quando divenne magister (cioè "maestro") di
teologia e ottiene la licentia docendi (la "licenza
d'insegnare"). Tra il 1262 e il 1264 Bonaventura fu priore del
convento di San Francesco ad Orvieto che fece ristrutturare. I francescani
erano di casa ad Orvieto. I Mendicanti di Francesco dovevano essere in città
almeno fin dal 1216 (ben prima dell'approvazione della Regola) nel luogo stesso
dove sarà edificato il complesso attuale di San Francesco, chiesa e convento;
presumibilmente sul preesistente sito della citata S. Maria in Pulzella chiesa
“detta Nunziata” nel quartiere di Serancia: dove sorgerà il quartier generale
dei Monaldeschi. Quello dei Frati Minori fu il primo Ordine ad insediarsi
ufficialmente in Orvieto nel 1228 o 1229 presso S. Pietro in Vetera: dove è il
sito del santuario federale Fanum Voltumnae di Velsna, Volsinii Etruriae capita
(Tito Livio), Orvieto etrusca. Francesco era morto il 3 ottobre 1226. La Regola
era stata approvata da Onorio III nell'ottobre 1223. Tracce del passaggio di
Francesco nel territorio orvietano restano a La Scarzuola, dove è raffigurato
il suo ritratto più antico; a Pantanelli, dove dimorò e predicò ai pesci sul
Tevere; ad Alviano e Lugnano, dove predicò agli uccelli. Insegnamento San
Bonaventura, francescano, venti giorni dopo l'indizione della festa del Corpus
Domini predicò il Sermo de sanctissimo corpore Christi alla presenza di papa
Urbano IV e del concistoro generale. Bonaventura, con Tommaso d'Aquino, è stato
tra i protagonisti di quell'evento rilevante nella storia religiosa ma anche nella
storia della cultura: veniva istituita, infatti, una nuova festa per la Chiesa
latina, incentrata sul mistero dell'eucaristia. Bonaventura e Tommaso, i
dottori "seraphicus" ed "angelicus", furono due
protagonisti del pensiero filosofico e teologico del tempo: erano stati
entrambi cattedratici presso lo Studium orvietano, l'antica università della
città. Nel 1250 il papa aveva autorizzato il cancelliere dell'Università a
conferire la licenza di insegnamento a religiosi degli ordini mendicanti,
sebbene ciò contrastasse con il diritto di cooptare i nuovi maestri rivendicato
dalla corporazione universitaria. Nel 1253, di fatti, scoppiò uno sciopero al
quale tuttavia i membri degli ordini mendicanti non si associarono. La
corporazione universitaria richiese loro un giuramento di obbedienza agli
statuti, ma essi rifiutarono e pertanto vennero esclusi
dall'insegnamento. Questa esclusione colpì anche Bonaventura, che fu
maestro reggente fra il 1253 e il 1257. Nel 1254 i maestri secolari
denunciarono a papa Innocenzo IV il libro del francescano Gerardo di Borgo San
Donnino, Introduzione al Vangelo eterno. In questo testo fra' Gerardo,
rifacendosi al pensiero di Gioacchino da Fiore, annunciava l'avvento di una
«nuova età dello Spirito Santo» e di una «Chiesa cattolica puramente spirituale
fondata sulla povertà», profezia che si doveva realizzare attorno al 1260. In
conseguenza di questo il Papa — poco prima di morire — annullò i privilegi
concessi agli ordini mendicanti. Il nuovo pontefice papa Alessandro IV
condannò il libro di Gerardo con una bolla nel 1255, prendendo tuttavia
posizione a favore degli ordini mendicanti e senza più porre limiti al numero
delle cattedre che essi potevano ricoprire. I secolari rifiutarono queste
decisioni, venendo così scomunicati, anche per il boicottaggio da loro operato
ai danni dei corsi tenuti dai frati degli ordini mendicanti. Tutto questo
nonostante che i primi avessero l'appoggio del clero e dei vescovi, mentre il
re di Francia Luigi IX si trovava a sostenere le posizioni dei
mendicanti. Nel 1257 Bonaventura venne riconosciuto magister. Nello stesso
anno fu eletto Ministro generale dell'Ordine francescano, rinunciando così alla
cattedra. A partire da questa data, preso dagli impegni del nuovo servizio,
accantonò gli studi e compì vari viaggi per l'Europa. Il suo obiettivo
principale fu quello di conservare l'unità dei Frati Minori, prendendo
posizione sia contro la corrente spirituale (influenzata dalle idee di
Gioacchino da Fiore e incline ad accentuare la povertà del francescanesimo
primitivo), sia contro le tendenze mondane insorte in seno all'Ordine.
Favorevole a coinvolgere l'Ordine francescano nel ministero pastorale e nella
struttura organizzativa della Chiesa, nel Capitolo generale di Narbona del 1260
contribuì a definire le regole che dovevano guidare la vita dei suoi membri: le
Costituzioni, dette appunto Narbonensi. A lui, in questo Capitolo, venne
affidato l'incarico di redigere una nuova biografia di san Francesco d'Assisi
che, intitolata Legenda Maior, diventerà la biografia ufficiale
nell'Ordine. Incipit del Legenda maior Infatti il Capitolo generale
successivo, del 1263 (Pisa), approvò l'opera composta dal Ministro generale;
mentre il Capitolo del 1266, riunito a Parigi, giunse a decretare la distruzione
di tutte le biografie precedenti alla Legenda Maior, probabilmente per proporre
all'Ordine una immagine univoca del proprio fondatore, in un momento in cui le
diverse interpretazioni fomentavano contrapposizioni e conducevano verso la
divisione. In modo analogo a Tommaso d'Aquino che rifiutò ripetutamente
la proposta di essere nominato Arcivescovo di Napoli, nel 1265 fu nominato
arcivescovo di York dal neoeletto papa Clemente IV (mai beatificato), incarico
che, dopo numerose richieste al Sommo Pontefice, gli fu consentito di lasciare
l'anno seguente. Ultimi anni Negli ultimi anni della sua vita Bonaventura
intervenne nelle lotte contro l'aristotelismo e nella rinata polemica fra
maestri secolari e mendicanti. A Parigi, tra il 1267 e il 1269, tenne una serie
di conferenze sulla necessità di subordinare e finalizzare la filosofia alla
teologia. Nel 1270 lasciò Parigi per farvi però ritorno nel 1273, quando tenne
altre conferenze nelle quali attaccava quelli che erano a suo parere gli errori
dell'aristotelismo. Peraltro, negli anni tra il 1269 ed il 1271, fu spesso a
Viterbo ove si svolgeva il famoso, lunghissimo conclave, per tenere numerosi
sermoni volti ad accelerare ed indirizzare la scelta dei cardinali; alla fine
fu eletto papa Gregorio X, cioè quel Tedaldo Visconti di cui Bonaventura era
amico da molti anni Fu proprio papa Gregorio X a crearlo cardinale
vescovo con titolo di Albano nel concistoro del 3 giugno 1273, mentre
Bonaventura soggiornava nel convento del Bosco ai Frati presso Firenze; l'anno
successivo partecipò al Concilio di Lione (in cui favorì un riavvicinamento fra
la Chiesa latina e quella greca), nel corso del quale morì, forse a causa di un
avvelenamento, stando almeno a quanto affermò in seguito il suo segretario,
Pellegrino da Bologna.[senza fonte] Pierre de Tarentaise, futuro papa
Innocenzo V, ne celebrò le esequie e Bonaventura venne inumato nella chiesa
francescana di Lione. Intorno all'anno 1450 la salma venne traslata in una
nuova chiesa, dedicata a San Francesco d'Assisi; la tomba venne aperta e la sua
lingua venne trovata in perfetto stato di conservazione: questo fatto ne
facilitò la canonizzazione, che avvenne ad opera del papa francescano Sisto IV
il 14 aprile 1482, e la nomina a dottore della Chiesa, compiuta il 14 marzo1588
da un altro francescano, papa Sisto V. Le reliquie: il «santo braccio» Il
14 marzo 1490, a seguito della ricognizione del corpo del santo a Lione, venne
estratta una parte del braccio destro del santo e composta in un reliquiario
d'argento che l'anno seguente fu portato a Bagnoregio. Oggi il «santo braccio»
è la più grande delle reliquie rimaste di san Bonaventura dopo la profanazione
del suo sepolcro e la dispersione dei suoi resti compiuta dagli Ugonotti nel
1562. Si trova custodito a Bagnoregio nella concattedrale di San Nicola. Da
esso, nel corso degli anni, sono state ricavate alcune reliquie
minori. Frontespizio delle Meditationes Bonaventura è considerato uno dei
pensatori maggiori della tradizione francescana, che anche grazie a lui si
avviò a diventare una vera e propria scuola di pensiero, sia dal punto di vista
teologico che da quello filosofico. Difese e ripropose la tradizione
patristica, in particolare il pensiero e l'impostazione di sant'Agostino. Egli
combatté apertamente l'aristotelismo, anche se ne acquisì alcuni concetti,
fondamentali per il suo pensiero. Inoltre valorizzò alcune tesi della filosofia
arabo-ebraica, in particolare quelle di Avicenna e di Avicebron, ispirate al
neoplatonismo. Nelle sue opere ricorre continuamente l'idea del primato della
sapienza, come alternativa ad una razionalità filosofica isolata dalle altre
facoltà dell'uomo. Egli sostiene, infatti, che: «(...) la scienza
filosofica è una via verso altre scienze. Chi si ferma resta immerso nelle
tenebre.» Secondo Bonaventura è il Cristo la via a tutte le scienze, sia
per la filosofia che per la teologia. Il progetto di Bonaventura è una
riduzione (reductio artium) non nel senso di un depotenziamento delle arti
liberali, bensì della loro unificazione sotto la luce della verità rivelata, la
sola che possa orientarle verso l'obiettivo perfetto a cui tende
imperfettamente ogni conoscenza, il vero in sé che è Dio. La distinzione delle
nove arti in tre categorie, naturali (fisica, matematica, meccanica), razionali
(logica, retorica, grammatica) e morali (politica, monastica, economica)
riflette la distinzione di res, signa ed actiones la cui verticalità non è
altro che cammino iniziatico per gradi di perfezione verso l'unione mistica. La
parzialità delle arti è per Bonaventura non altro che il rifrangersi della luce
con la quale Dio illumina il mondo: prima del peccato originale Adamo sapeva
leggere indirettamente Dio nel Liber Naturae (nel creato), ma la caduta è stata
anche perdita di questa capacità. Per aiutare l'uomo nel recupero della
contemplazione della somma verità, Dio ha inviato all'uomo il Liber Scripturae,
conoscenza supplementare che unifica ed orienta la conoscenza umana, che
altrimenti smarrirebbe se stessa nell'autoreferenzialità. Attraverso
l'illuminazione della rivelazione, l'intelletto agente è capace di comprendere
il riflesso divino delle verità terrene inviate dall'intelletto passivo, quali
pallidi riflessi delle verità eterne che Dio perfettamente pensa mediante il
Verbo. Ciò rappresenta l'accesso al terzo libro, Liber Vitae, leggibile solo
per sintesi collaborativa tra fede e ragione: la perfetta verità, assoluta ed
eterna in Dio, non è un dato acquisito, ma una forza la cui dinamica si attua
storicamente nella reggenza delle verità con le quali Dio mantiene l'ordine del
creato. Lo svelamento di quest'ordine è la lettura del terzo libro che per
segni di dignità sempre maggior avvicina l'uomo alla fonte di ogni
verità. La primitas divina o "primalità di Dio" è il sostegno a
tutto l'impianto teologico di Bonaventura. Nella sua prima opera, il
Breviloquium, egli definisce i caratteri della teologia affermando che, poiché
il suo oggetto è Dio, essa ha il compito di dimostrare che la verità della
sacra scrittura è da Dio, su Dio, secondo Dio ed ha come fine Dio. L'unita del
suo oggetto determina come unitaria ed ordinata la teologia perché la sua
struttura corrisponde ai caratteri del suo oggetto. Nella sua opera più famosa,
l'Itinerarium mentis in Deum ("L'itinerario della mente verso Dio"),
Bonaventura spiega che il criterio di valore e la misura della verità si
acquisiscono dalla fede, e non dalla ragione (come sostenevano gli
averroisti). Da ciò fa conseguire che la filosofia serve a dare aiuto
alla ricerca umana di Dio, e può farlo, come diceva sant'Agostino, solo riportando
l'uomo alla propria dimensione interiore (cioè l'anima), e, attraverso questa,
ricondurlo infine a Dio. Secondo Bonaventura, dunque, il «viaggio» spirituale
verso Dio è frutto di una illuminazione divina, che proviene dalla «ragione
suprema» di Dio stesso. Per giungere a Dio, quindi, l'uomo deve passare
attraverso tre gradi, che, tuttavia, devono essere preceduti dall'intensa ed
umile preghiera, poiché: «(...) nessuno può giungere alla beatitudine se
non trascende sé stesso, non con il corpo, ma con lo spirito. Ma non possiamo
elevarci da noi se non attraverso una virtù superiore. Qualunque siano le
disposizioni interiori, queste non hanno alcun potere senza l'aiuto della
Grazia divina. Ma questa è concessa solo a coloro che la chiedono (...) con
fervida preghiera. È la preghiera il principio e la sorgente della nostra
elevazione. (...) Così pregando, siamo illumi conoscere i gradi dell'ascesa a
Dio.» La "scala" dei 3 gradi dell'ascesa a Dio è simili alla
"scala" dei 4 gradi dell'amore di Bernardo di Chiaravalle, anche se
non uguale; tali gradi sono: 1) Il grado esteriore: «(...) è necessario
che prima consideriamo gli oggetti corporei, temporali e fuori di noi, nei
quali è l'orma di Dio, e questo significa incamminarsi per la via di Dio.»
2) Il grado interiore: «È necessario poi rientrare in noi stessi, perché la
nostra mente è immagine di Dio, immortale, spirituale e dentro di noi, il che
ci conduce nella verità di Dio.» 3) Il grado eterno: «Infine, occorre
elevarci a ciò che è eterno, spiritualissimo e sopra di noi, aprendoci al primo
principio, e questo dona gioia nella conoscenza di Dio e omaggio alla Sua
maestà.» Inoltre, afferma Bonaventura, in corrispondenza a tali gradi
l'anima ha anche tre diverse direzioni: «(...) L'una si riferisce alle
cose esteriori, e si chiama animalità o sensibilità; l'altra ha per oggetto lo
spirito, rivolto in sé e a sé; la terza ha per oggetto la mente, che si eleva
spiritualmente sopra di sé. Tre indirizzi che devono disporre l'uomo a elevarsi
a Dio, perché l'ami con tutta la mente, con tutto il cuore, con tutta l'anima
(...).» (San Bonaventura da Bagnoregio, Itinerarium mentis in Deum)
Dunque, per Bonaventura, l'unica conoscenza possibile è quella contemplativa,
cioè la via dell'illuminazione, che porta a cogliere le essenze eterne, e ad
alcuni permette persino di accostarsi a Dio misticamente. L'illuminazione guida
anche l'azione umana, in quanto solo essa determina la sinderesi, cioè la
disposizione pratica al bene. Bonaventura elaborò una teologia trinitaria
di derivazione agostiniana, in quanto volle evidenziare l'unità del Dio-Trino,
come forza, che unisce le tre persone. Ma tale unità è conciliabile con la
pluralità delle persone: unità e trinità sono sempre insieme. I dati presenti
nella Scrittura presentano all'uomo la verità rivelata: in Dio vi sono tre
persone. Due sono le fasi dell'auto-rivelazione di Dio: la prima nella
creazione, la seconda in Cristo. Il mondo, per Bonaventura, è come un libro da
cui traspare la Trinità che l'ha creato. Noi possiamo ritrovare la Trinità
extra nos (cioè "fuori di noi"), intra nos ("in noi") e
super nos ("sopra di noi"). Infatti, la Trinità si rivela in 3
modi: come vestigia (o impronta) di Dio, che si manifesta in ogni essere,
animato o inanimato che sia; come immagine di Dio, che si trova solo nelle
creature dotate d'intelletto, in cui risplendono memoria, intelligenza e
volontà; come similitudine di Dio, che è qualità propria delle creature giuste
e sante, toccate dalla Grazia e animate da fede, speranza e carità; quindi,
quest'ultima è ciò che ci rende "figli di Dio". La Creazione dunque è
ordinata secondo una scala gerarchica trinitaria e la natura non ha sua
consistenza, ma si rivela come segno visibile del principio divino che l'ha
creata; solo in questo, quindi, trova il suo significato. Bonaventura trae
questo principio anche da un passo evangelico, in cui i discepoli di Gesù
dissero: ««Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace
in cielo e gloria nel più alto dei cieli!» Alcuni farisei tra la folla gli
dissero: «Maestro, rimprovera i tuoi discepoli.» Ma egli rispose: «Vi dico che,
se questi taceranno, grideranno le pietre.»» (Lc, 19,38-40) Le creature,
dunque, sono impronte, immagini, similitudini di Dio, e persino le pietre
"gridano" tale loro legame col divino. Opere Breviloquium
(Breviloquio) Collationes de decem praeceptis (Raccolte su dieci precetti)
Collationes de septem donis Spiritus Sanctis (Raccolte sui sette doni dello
Spirito Santo) Collationes in Hexaemeron (Raccolte nei Sei Giorni della
Creazione) Commentaria in quattuor libros sententiarum Magistri Petri Lombardi
(Commentari in quattro libri delle sentenze del maestro Pietro Lombardo) De
mysterio Trinitatis (Il mistero della Trinità; questione disputata) De
perfectione vitae ad sorores (La perfezione della vita alle sorelle) De
reductione artium ad theologiam (La riduzione della arti alla teologia) De
Regno Dei descripto in parabolis evangelicis (Il Regno di Dio descritto nelle
parabole evangeliche) De scientia Christi et mysterio Trinitatis (La conoscenza
di Cristo ed il mistero della Trinità) De sex alis Seraphin (Le sei ali dei
Serafini) De triplici via (La triplice via) Itinerarium mentis in Deum
(Itinerario della mente verso Dio) Legenda majior Sancti Francisci (La leggenda
maggiore di San Francesco) Legenda minor Sancti Francisci (La leggenda minore
di San Francesco) Lignum vitae (L'Albero della vita) Officium de passione
Domini (L'Ufficio della passione del Signore) Quaestiones de perfectione
evangelica (Questioni sopra la perfezione evangelica) Soliloquium (Soliloquio)
Summa theologiae (Complesso di teologia) Vitis mystica (La vite
mistica) Note Eletto Ramacci, S.
Bonaventura e il Santo Braccio, Bagnoregio, Associazione Organum, 1991. Oggi del convento restano solo i ruderi. Grado Giovanni Merlo, Storia di frate
Francesco e dell'Ordine dei Minori, in Maria Pia Alberzoni, et al., Francesco
d'Assisi e il primo secolo di storia francescana, Torino, Einaudi, 1997. 28-30.
G. Bosco, Storia ecclesiastica ad uso della gioventù utile ad ogni grado
di persone, Torino, Libreria Salesiana Editore, 1904284. 4 novembre (archiviato il 4 novembre )., con
l'approvazione del card. Lorenzo Gastaldi, arcivescovo di Torino Cesare Pinzi,Storia della Città di
Viterbo,Tip.Camera dei Deputati, Roma, 1887-89,lib.VII. Il Pinzi parla
dettagliatamente degli interventi di Bonaventura a Viterbo in occasione del
Conclave e dell'amicizia con Gregorio X.
Testi Bonaventura da Bagnorea (presunto), Meditationes vitae Christi,
Venezia, Nicolaus Jenson, circa 1478. Bonaventura da Bagnorea, Legenda maior,
Milano, Ulrich Scinzenzeler, 1495. Bonaventura da Bagnorea, Opera omnia, Lyon,
Borde, Philippe ; Borde, Pierre ; Arnaud, Laurent, 1668. Bonaventura da
Bagnorea, Expositiones in Testamentum novum, Lyon, Borde, Philippe ; Borde,
Pierre ; Arnaud, Laurent, 1668. Bonaventura da Bagnorea, Sermones de tempore ac
de sanctis, Lyon, Borde, Philippe ; Borde, Pierre ; Arnaud, Laurent, 1668.
Bonaventura da Bagnorea, Opuscula, 1, Lyon,
Borde, Philippe ; Borde, Pierre ; Arnaud, Laurent, 1668. Bonaventura da
Bagnorea, Opuscula, 2, Lyon, Borde,
Philippe ; Borde, Pierre ; Arnaud, Laurent, 1668. Bonaventura da Bagnorea,
Commentaria in libros sententiarum, 1,
Lyon, Borde, Philippe ; Borde, Pierre ; Arnaud, Laurent, 1668. Bonaventura da
Bagnorea, Commentaria in libros sententiarum,
2, Lyon, Borde, Philippe ; Borde, Pierre ; Arnaud, Laurent, 1668. Studi
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pensatore, Città Nuova, Roma 2006. Cuttini E., Ritorno a Dio. Filosofia,
teologia, etica della “mens” nel pensiero di Bonaventura da Bagnoregio,
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Biblioteca Francescana, Milano . Mathieu V., La Trinità creatrice secondo san
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parole in sant'Agostino e san Bonaventura, Anicia, Roma 1994. Vanni Rovighi S.,
San Bonaventura, Vita e Pensiero, Milano 1974. Raoul Manselli, BONAVENTURA da
Bagnoregio, santo, in Dizionario biografico degli italiani, 11, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
1969. 19 dicembre . Emiliano Ramacci, Un
Inno per S. Bonaventura (1560), Associazione Organum, Bagnoregio, . Emiliano
Ramacci, S. Bonaventura da BagnoregioMiracoli, Associazione Organum,
Bagnoregio, . Dottore della Chiesa
Filosofia scolastica. Il Quadragesimale de Contemptu Mundi Pontificia Facoltà
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Bagnoregio, su LibriVox. Bonaventura da Bagnoregio, in Catholic Encyclopedia,
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Bagnoregio Itinerario della mente in Dio , su lamelagrana.net. Itinerarium mentis in Deum, su
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spirituelles, su abbaye-saint-benoit.ch. 26 aprile 2007 30 aprile 2007). S. Bonaventura: Opera Omnia Peltiero Edente,
su documentacatholicaomnia.eu. San
Bonaventura online, su dionysiana.wordpress.com. L'Opera omnia nell'edizione
dei padri francescani di QuaracchiSalvador Miranda, BONAVENTURA, O.F.M., su
fiu.eduThe Cardinals of the Holy Roman Church, Florida International
University. PredecessoreMinistro generale dell'Ordine dei Frati
MinoriSuccessoreFrancescocoa.png Giovanni da Parma2 febbraio 125715 luglio
1274Girolamo Masci d'Ascoli PredecessoreCardinale vescovo di
AlbanoSuccessoreCardinalCoA PioM.svg Raoul Grosparmi3 giugno 127315 luglio
1274Bentivegna de' Bentivegni, O.F.M.V D M Padri e dottori della Chiesa cattolica
V D M Francescanesimo Filosofia Medioevo
Medioevo Categorie: Cardinali italiani del XIII secoloFilosofi italiani
del XIII secoloTeologi italiani 1274 15 luglio Bagnoregio LioneBonaventura da
BagnoregioSanti canonizzati da Sisto IVCardinali nominati da Gregorio XDottori
della Chiesa cattolicaFrancescani italianiInnatistiNeoplatoniciPersonaggi
citati nella Divina Commedia (Paradiso)Santi per nomeSanti italiani del XIII
secoloSanti minoritiScolasticiCardinali francescani del XIII secoloVescovi e
cardinali vescovi di AlbanoVescovi e arcivescovi cattolici di YorkFilosofi
cattoliciScrittori medievali in lingua latinaVescovi francescani. Refs.:
Luigi Speranza, "Grice e Fidanza," per
Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria,
Italia.
figura: Grice: “Italian aestheticians use ‘figure’ very
broadly – an iconic symbol, for example, has a figure – cf. pittura figurativa –
Figura relates to imago, immagine -- figure-ground, the discrimination of an
object or figure from the context or background against which it is set. Even
when a connected region is grouped together properly, as in the famous figure
that can be seen either as a pair of faces or as a vase, it is possible to
interpret the region alternately as figure and as ground. This fact was originally
elaborated in 1 by Edgar Rubin 6 1. Figureground effects and the existence of
other ambiguous figures such as the Necker cube and the duck-rabbit challenged
the prevailing assumption, Vitters thought, in classical theories of
perception maintained, e.g., by H. P.
Grice and J. S. Mill and H. von Helmholtz
that complex perceptions could be understood in terms of primitive
sensations constituting them. The underdetermination of perception by the
visual stimulus, noted by Berkeley in his Essay of 1709, takes account of the
fact that the retinal image is impoverished with respect to threedimensional
information. Identical stimulation at the retina can result from radically
different distal sources. Within Gestalt psychology, the Gestalt, or pattern, was
recognized to be underdetermined by constituent parts available in proximal
stimuli. M. Wertheimer 03 observed in 2 that apparent motion could be induced
by viewing a series of still pictures in rapid succession. He concluded that
perception of the whole, as involving movement, was fundamentally different
from the perception of the static images of which it is composed. W. Köhler An
example of visual reversal from Edgar Rubin: the object depicted can be seen
alternately as a vase or as a pair of faces. The reversal occurs whether there
is a black ground and white figure or white figure and black ground. figure
figure ground 310 310 77 observed that there was no figure
ground articulation in the retinal image, and concluded that inherently
ambiguous stimuli required some autonomous selective principles of perceptual
organization. As subsequently developed by Gestalt psychologists, form is taken
as the primitive unit of perception. In philosophical treatments, figureground
effects are used to enforce the conclusion that interpretation is central to
perception, and that perceptions are no more than hypotheses based on sensory
data. Refs.: Grice, “You can’t see a knife as a knife,” “The Causal Theory of
Perception,” Vitters on ‘seeing-as’”. figura -- schema (Latin ‘figura,’ as in Grice,
‘figure of speech’), also schema plural: schemata, a metalinguistic frame or
template used to specify an infinite set of sentences, its instances, by finite
means, often taken with a side condition on how its blanks or placeholders are
to be filled. The sentence ‘Either Abe argues or it is not the case that Abe
argues’ is an instance of the excluded middle scheme for English: ‘Either . . .
or it is not the case that . . .’, where the two blanks are to be filled with
one and the same well-formed declarative English sentence. Since first-order
number theory cannot be finitely axiomatized, the mathematical induction scheme
is used to effectively specify an infinite set of axioms: ‘If zero is such that
. . . and the successor of every number such that . . . is also such that . . .
, then every number is such that . . .’, where the four blanks are to be filled
with one and the same arithmetic open sentence, such as ‘it precedes its own
successor’ or ‘it is finite’. Among the best-known is Tarski’s scheme T: ‘. . .
is a true sentence if and only if . . .’, where the second blank is filled with
a sentence and the first blank by a name of the sentence. And then there’s the figura quadrata: square of oppositionfigura
quadrataGrice: “It is clear that the apparatus of Modernism does not give a
faithful account of the character of semantic phenomena. One such less than
faithful account, indeed, deviant account, appears in the treatment of the
square of opposition.” cited by Grice in “Retrospective epilogue.” Since
tutoring Strawson on this for Strawson’s ‘logic paper,’ Grice kept an interest,
if only to witness Strwson’s playing with the squareand ‘uselessly trying to
circle it’ -- a graphic representation of various logical relations among categorical
propositions. Relations among modal and even among hypothetical propositions
have also been represented on the square. Two propositions are said to be each
other’s 1 contradictories if exactly one of them must be true and exactly one
false; 2 contraries if they could not both be true although they could both be
false; and 3 subcontraries if at least one of them must be true although both
of them may be true. There is a relation of 4 subalternation of one
proposition, called subaltern, to another called superaltern, if the truth of
the latter implies the truth of the former, but not conversely. Applying these
definitions to the four types of categorical propositions, we find that SaP and
SoP are contradictories, and so are SeP and SiP. SaP and SeP are contraries.
SiP and SoP are subcontraries. SiP is subaltern to SaP, and SoP is subaltern to
SeP. These relations can be represented graphically in a square of opposition:
The four relations on the traditional square are expressed in the following
theses: Contradictories: SaP S -SoP, SeP S -SiP Contraries: -SaP & SeP or
SaP P -SeP Subcontraries: SiP 7 SoP Subalterns: SaP P SiP, SeP P SoP For these
relations to hold, an underlying existential assumption must be satisfied: the
terms serving as subjects of propositions must be satisfied, not empty e.g.,
‘man’ is satisfied and ‘elf’ empty. Only the contradictory opposition remains
without that assumption. Modern interpretations of categorical propositions
exclude the existential assumption; thus, only the contradictory opposition
remains in the square. Refs.: H. P.
Grice, “Apuleius on the square of opposition,” H. P. Grice, “Boethius and the
square of opposition.”
filmer: r. English
political writer who produced, most importantly, the posthumous Patriarcha It
is remembered because Locke attacked it in the first of his Two Treatises of
Government 1690. Filmer argued that God gave complete authority over the world
to Adam, and that from him it descended to his eldest son when he became the
head of the family. Thereafter only fathers directly descended from Adam could
properly be rulers. Just as Adam’s rule was not derived from the consent of his
family, so the king’s inherited authority is not dependent on popular consent.
He rightly makes laws and imposes taxes at his own good pleasure, though like a
good father he has the welfare of his subjects in view. Filmer’s
patriarchalism, intended to bolster the absolute power of the king, is the
classic English statement of the doctrine.
find
playwhere
Grice’s implicaturum finds play Strawson Wiggins p. 523
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