Giani:
Grice: “It’s hard for me to judge Giani’s philosophy because I
fought against the Italians during the so-called ‘second world war,’
so-called!” Grice: “But I would be willing to expand: if Giani developed what
he aptly called a ‘mystique’ – so did we at Oxford – Churchill surely held his
‘mystique.’ Of course the Italian, being more scholastic, had to call it ‘scuola
di mistica,’ – and the idea was that of an all-male chivalry order – aptly set
at Milan!” -- Niccolò Giani (Muggia), filosofo. Direttore della Scuola di
mistica fascista Sandro Italico Mussolini e medaglia d'oro al valor militare.
Fondò la corrente di pensiero nota come "Mistica fascista". Partì
come volontario di guerra e morì sul fronte greco-albanese. Dopo aver
frequentato il Liceo ginnasio Dante Alighieri di Trieste si trasferì a Milano,
dove nel 1928 si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza di Milano e quindi ai
Gruppi Universitari Fascisti (GUF) laureandosi nel 1931. Direttore della
Scuola di mistica fascista Magnifying glass icon mgx2.svgScuola di mistica
fascista Sandro Italico Mussolini. Il 4 aprile 1930 Giani anticipò l'imminente
apertura della scuola sul foglio dei GUF "Libro e moschetto" della
Scuola di Mistica Fascista Sandro Italico Mussolini che fu fondata infatti
nella stessa primavera nel capoluogo lombardo con Arnaldo Mussolini. Nel 1931
Giani ne divenne direttore, carica che lasciò alla fine dell'anno seguente dopo
aver scritto il suo ampio discorso da tenersi a Roma tra il 9 e il 15 ottobre
1932 in occasione della XXI riunione della Società Italiana per il Progresso
delle Scienze (SIPS) che coincideva anche con il decennale della Marcia su Roma
in cui enunciò i principi della nuova scuola. Su impulso di Giani si
cominciò inoltre a pubblicare i Quaderni della scuola di mistica. Le
dimissioni Poche settimane dopo la riunione presso la SIPS si dimise da
direttore, con una lettera inviata a Mussolini, per contrasti interni con il
segretario politico dei GUF. Nelle lettera inviata a Mussolini Giani imputò le
dimissioni al mancato trasferimento della Scuola nella vecchia sede de Il
Popolo d'Italia chiamato anche "Il covo" La richiesta di entrare in
possesso de "Il Covo" puntava ad ottenere il possesso di uno degli
ambienti più importanti dell'immaginario fascista. Giani continuò quindi a
collaborare con diversi quotidiani come "Il Popolo d'Italia" e
"Gerarchia". Nel 1934, il saggio "Lineamenti sull'ordinamento
sociale dello Stato" gli fece ottenere la libera docenza in Diritto del
lavoro e previdenza sociale e quindi la cattedra di Storia e dottrina del
fascismo all'Pavia ma nel 1935, dopo essersi sposato con Maria Rosa Sampietro,
partì volontario per la guerra d'Etiopia arruolandosi col grado di capomanipolo
della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale nel CXXVIII Battaglione
Camicie Nere "Vercelli". Il ritorno alla guida della
scuola Rientrato in Italia dall'Etiopia Giani riassunse la guida della
scuola, qui in occasione della chiusura dell'anno scolastico 1937 nell'aula
della casa del Fascio di Milano (Giani sulla destra) Rientrato in Italia
dall'Etiopia, verso la fine del 1936 Giani riassunse la carica di direttore
della "Scuola di Mistica Fascista" lanciando due importanti
iniziative, rilanciò la pubblicazione della serie di "Quaderni" che
affrontavano differenti problematiche e a partire dal 1937 e sempre per sua
iniziativa fu creata nell'ambito della scuola la rivista mensile, Dottrina
fascista che divenne l'organo ufficiale della Scuola di mistica fascista, in
cui pubblicò nel 1939 il "Decalogo dell'italiano nuovo", tratto dagli
scritti e discorsi di Arnaldo Mussolini. Si dedicò inoltre al giornalismo
diventando direttore a Varese del quotidiano "Cronaca prealpina" e
collaborando a diverse testate, tra cui Tempo di Mussolini (Direttore: Alfredo
Acito). Dalle pagine del quotidiano "Cronaca prealpina" prese parte,
nel 1939, alla campagna anti-ebraica fondata sui propri convincimenti di
"razzismo spirituale", contrapposto al "razzismo biologico"
nazista, che lo avevano portato in passato a firmare, nel 1938, il Manifesto
della razza in appoggio alle leggi razziali fasciste e a pubblicare nel 1939
l'articolo Perché siamo antisemiti. La Cronaca prealpina dopo la nomina di
Giani a direttore arrivo nel 1940 a quadruplicare la tiratura.
L'incontro a Roma del 1939 con Mussolini in cui si decise la cessione del
"Covo" ai "mistici" della Scuola Nel 1939, su impulso di
Giani, con una cerimonia presieduta dal segretario del PNF Achille Starace, la
sede ufficiale della Scuola di Mistica si spostò nel medesimo edificio che
ospitò ai suoi primordi il giornale Il Popolo d'Italia, chiamato "il
Covo". Il "Covo" negli anni era stato trasformato in un museo
permanente della Rivoluzione fascista e a partire dal 15 novembre 1939 l'intera
palazzina era stata proclamata "monumento nazionale" con tanto di
"guardia d'onore" svolta da squadristi e combattenti. Il 20 novembre,
per esplicita decisione di Mussolini, fu ufficialmente consegnata ai giovani
mistici della scuola. L'evento fu vissuto come una autentica consacrazione dei
giovani insegnanti riuniti intorno a Giani. In realtà la consegna era già stata
disposta il 18 ottobre 1939, come risulta da un foglio d'ordini del PNF e in
quell'occasione il consiglio direttivo era stato ricevuto a Roma da Mussolini.
Mussolini li aveva spro continuare nella loro attività. Tra il 19 e il 20
febbraio 1940 a Milano, in occasione del decennale dalla fondazione della scuola,
organizzò il "Convegno nazionale di mistica fascista" che nelle sue
intenzioni avrebbe dovuto essere il primo della serie. Obiettivo che sfumò a
causa dell'entrata in guerra. L'incontro vide oltre 500 partecipanti ed ebbe
l'adesione della maggior parte degli intellettuali italiani dell'epoca,
compresi rettori e docenti universitari. La partenza per il fronte Nel
1940, come gran parte dei "mistici", partecipò nuovamente come
volontario alla seconda guerra mondiale, conflitto nel quale vedeva il presagio
di una rivoluzione in vista di una nuova era. Inquadrato nell'11º
reggimento alpini prese parte alla battaglia delle Alpi Occidentali contro la
Francia e venendo decorato con la medaglia d’argento al valor militare per
un'azione compiuta il 24 giugno 1940. Terminata la campagna di Francia in
seguito all'armistizio Giani tornò alla vita civile ma incominciata nel
frattempo la guerra in nord Africa richiese più volte di partire volontario
senza ottenere soddisfazione. Alla fine ottenne di partire il 9 novembre 1940
come corrispondente di guerra de Il Popolo d'Italia, della Cronaca prealpina e
de L'Illustrazione Italiana presso i reparti della Regia aeronautica. Per
quest'ultima realizzò anche diversi servizi fotografici. All'attività di
giornalista affiancò anche quella di militare prendendo parte ad alcune azioni
e ottenendo una medaglia di bronzo al valor militare. Il 28 dicembre 1940 fu
richiamato in Italia dove riassunse la guida de "La cronaca
prealpina" Punta nord Mali Scindeli, foto ripresa nel
1942 durante le ricerche della tomba di Giani La morte in combattimento A
febbraio nuovamente incorporato nell'11º reggimento alpini ripartì infine come
volontario per la campagna di Grecia, dove cadde sul fronte greco-albanese il
14 marzo 1941 nella battaglia per la conquista della Punta Nord del Mali
Scindeli. Giani si offrì volontario per una pericolosa missione che prevedeva
la conquista di una munita postazione greca. L'attacco ebbe inizialmente
successo con la conquista della posizione ma riorganizzatisi i greci condussero
un contrattacco guidati dall'ufficiale greco Giovanni Fouskakis che riconquistò
le posizioni perdute. Nello scontro cadde Giani. Il periodico L'Illustrazione
Italiana scrisse, senza riportare dove o come avrebbe potuto registrare tali parole,
che l'ufficiale greco che lo aveva colpito a morte avrebbe raccontato che nello
scontro Giani gli si era parato davanti "come un dio o un
demone". Il corpo di Giani andò disperso e gli altri assaltatori che
avevano preso parte all'attacco dovettero ritirarsi rapidamente incalzati dai
soldati greci. Fu pochi giorni dopo incaricato delle ricerche il sottotenente
Angelo Carati che era anche vice-direttore della Scuola di mistica ma le sue
ricerche a causa della perdurante situazione di guerra furono nulle, e riuscì
solo ad individuare il luogo in cui Giani era caduto. Un anno dopo Maria
Sampietro, moglie di Giani, fu convocata a Roma per ricevere la medaglia d'oro
al valor militare alla memoria del marito. In quell'occasione, richiesta
un'udienza al Duce, chiese che potessero partire per l'Albania il cognato Guido
Giani e il fratello Aldo Sampietro. Questi ultimi, aiutati dall'ufficiale greco
Giovanni Fouskakis che aveva guidato la pattuglia greca che si era scontrata
con Giani sul Mali Scindeli, il 10 giugno 1942 rinvennero la salma sepolta in
maniera anonima in territorio greco. Di qui la salma fu translata nel piccolo
cimitero militare di Klisura. Pensiero politico Magnifying glass icon
mgx2.svg Mistica fascista. "La marcia sul mondo della Civiltà Fascista"
Benito Mussolini fu preso come principale punto di riferimento dalla Scuola di
Mistica fascista Giani tra il 9 e il 15 ottobre 1932 elaborò un discorso
programmatico in cui enunciò i principi fondanti della Scuola e della Mistica
fascista: «Compito nostro deve essere soltanto quello di coordinare,
interpretare ed elaborare il pensiero del Duce. Ecco perché è sorta una Scuola
di mistica fascista ed ecco il suo compito: elaborare e precisare i nuovi
valori del fascismo che sono nell'opera del Duce.» (Niccolò Giani in La
marcia sul mondo del 9-15 ottobre 1932) Inizialmente i principi esposti da
Giani facevano parte di un discorso più ampio da tenersi a Roma in occasione
della XXI riunione della Società Italiana per il Progresso delle Scienze (SIPS)
che era stata fondata nel 1839. L'ampio discorso fu poi pubblicato alcuni anni
dopo nella serie dei "Quaderni" voluti da Giani con il titolo
"La marcia sul mondo della Civiltà Fascista". Per Giani si
imponeva al fascismo un ritorno alle origini, ovvero al movimentismo
rivoluzionario del 1919 riallacciandosi idealmente all'esperienza delle prime
squadre d'azione e degli arditi della Grande Guerra quindi, secondo Marcello
Veneziani "una più radicale rivoluzione coniugata al recupero di una più
integralistica tradizione". Ma più che legati agli enunciati politici del
manifesto di sansepolcro i mistici di quella esperienza esaltavano soprattutto
la lotta dei giovani contro la borghesia affaristica del primo dopoguerra. La
mistica fascista si considerava rappresentante proprio di questo mondo
giovanile ispirato dall'amore di patria e posta a guardia della rivoluzione
permanente e in contrasto con gli opportunisti e i trasformisti. Giani
individuava nell'epoca contemporanea quattro principali mistiche, destinate ad
apportare in un primo tempo dei benefici ma poi a fallire: liberale,
democratica, socialista e comunista. «Liberalismo, democrazia, socialismo
e comunismo sono le quattro mistiche oggi dominanti nella società moderna. Il
bilanciolo abbiamo già vistoè per tutte negativo. Il liberalismo porta
all'anarchia, la democrazia all'instabilità politica e sociale, alla lotta
civile il socialismo, alla vita primitiva il comunismo. Queste quattro mistiche
sono pertanto antistoriche.» (Niccolò Giani in La marcia sul mondo del
9-15 ottobre 1932) A fronte di esse l'unica mistica in grado di superare tali
crisi era quella fascistacome sviluppato nel capitolo intitolato "La
marcia ideale"[25]la cui conoscenza e diffusione presso le masse era
compito delle élite intellettuali.[26]. Onorificenze Medaglia d'argento
al valor militarenastrino per uniforme ordinariaMedaglia d'argento al valor
militare «Volontario nella guerra d'Africa ove prese parte volontario a diverse
pattuglie esploratori, chiese ed ottenne di essere anche in quest guerra
assegnato ad un reparto combattente. Destinato all'11º alpini volontario a due
azioni del battaglione Bolzano chiese di partecipare alla ardita discesa di due
compagnie del battaglione Trento effettuata in una valle occupata dal nemico e
avanzò con la prima pattuglia sotto intenso bombardamento, sprezzante del grave
pericolo di sorprese e di accerchiamento nemico, esempio trascinante a
ufficiali e soldati, e prova di dedizione alla patria, di alta fede e di
valore.» Medaglia di bronzo al valor militarenastrino per uniforme ordinariaMedaglia
di bronzo al valor militare «Corrispondente di guerra presso una squadra aerea
disimpegnava il suo particolare e delicato servizio con alto senso di
responsabilità. Spesso presente sugli aeroporti più avanzati e maggiormente
battuti dall'offesa nemica allo scopo di rendersi conto di ogni particolare,
partecipava volontariamente a difficili e rischiose missioni di guerra, dando
sicura prova anche nelle più critiche circostanze di sereno sprezzo del
pericolo e completa dedizione al dovere.» Medaglia d'oro al valor militarenastrino
per uniforme ordinaria Medaglia d'oro al valor militare «Volontariamente, come
aveva fatto altre volte, assumeva il comando di una forte pattuglia ardita,
alla quale era stato affidato il compimento di una rischiosa impresa.
Affrontato da forze superiori, con grande ardimento le assaltava a bombe a
mano, facendo prigioniero un ufficiale. Accerchiato, disponeva con calma e
superba decisione gli uomini alla resistenza. Rimasto privo di munizioni, si
lanciava alla testa dei pochi superstiti, alla baionetta, per svincolarsi.
Mentre in piedi lanciava l'ultima bomba a mano ed incitava gli arditi col suo
eroico esempio, al grido di: «Avanti Bolzano! Viva l'Italia», veniva
mortalmente ferito. Magnifico esempio di dedizione al dovere, di altissimo
valore e di amor di Patria.» — Punta NordMali Scindeli (Fronte greco), 14 marzo
1941. Opere: “La via della gloria, anni 20 La marcia sul mondo della
Civiltà Fascista, Lineamenti su l'ordinamento sociale dello Stato fascista,
Giuffré ed. La mistica come dottrina del fascism. Perché siamo antisemiti, A.
Nicola. Perché siamo mistici. Mistica della rivoluzione fascista. Antologia di
scritti, Il Cinabro, Luigi Emilio Longo,
“I vincitori della guerra perduta” (sezione su Niccolò Giani), Edizioni Settimo
sigillo, Roma. Tomas Carini, Niccolò Giani e la scuola di mistica
fascista, Mursia, Giacomo De Antonellis,
Come doveva essere il perfetto giovane fascista, su storia illustrate, Giacomo
De Antonellis, Come doveva essere il perfetto giovane fascista, su storia
illustrata n° 243 del febbraio, Tomas Carini nella prefazione su Niccolò Giani,
La marcia sul mondo, Novantico Editore, Pinerolo, Tomas Carini, Niccolò Giani e
la scuola di mistica fascista, Mursia,Tomas Carini, Niccolò Giani e la scuola
di mistica fascista, Mursia, Tomas
Carini, Niccolò Giani e la scuola di mistica fascista, Mursia, Tomas Carini
nella prefazione su Niccolò Giani, La marcia sul mondo, Novantico Editore,
Pinerolo, ,Aldo Grandi, Gli eroi di Mussolini. Niccolò Giani e la Scuola di mistica
fascista, check. cCfr. a tale proposito le ricerche di Enzo Laforgia, una cui
sommaria sintesi è nel sito varesenews Archiviato. Tomas Carini nella
prefazione su Niccolò Giani, La marcia sul mondo, Novantico Editore, Pinerolo, Il
saggio, edito da Dottrina Fascista, riporta in forma integra la conferenza inaugurale
tenuta da Giani per l'inaugurazione del corso per maestri della Scuola di
Mistica Fascista. Cfr. a tale proposito le ricerche di Enzo Laforgia in
Books.google Aldo Grandi, Gli eroi di Mussolini,
BUR, Milano, Giacomo De Antonellis, Come doveva essere il perfetto giovane fascista,
su storia illustrate, Marcello Veneziani, La rivoluzione conservatrice in
Italia, Sugarcoedizioni, Varese, Luigi Emilio Longo, Gli eroi della guerra
perduta, edizioni settimo sigillo, Roma,
L'Illustrazione italiana, Aldo Grandi, Gli eroi di Mussolini. Niccolò
Giani e la Scuola di mistica fascista, cAldo Grandi, Gli eroi di Mussolini.
Niccolò Giani e la Scuola di mistica fascista, cNiccolò Giani, La marcia sul
mondo, Novantico Editore, Pinerolo, , Tomas Carini nella prefazione su Niccolò
Giani, La marcia sul mondo, Novantico Editore, Pinerolo,Marcello Veneziani, La
rivoluzione conservatrice in Italia, Sugarcoedizioni, Varese, pag 59 Niccolò Giani, La marcia sul mondo, Novantico
Editore, Pinerolo, , Tomas Carini nella prefazione su Niccolò Giani, La marcia
sul mondo, Novantico Editore, Pinerolo, Tomas Carini nella prefazione su
Niccolò Giani, La marcia sul mondo, Novantico Editore, Pinerolo, Tomas Carini, Niccolò Giani e la Scuola di
mistica fascista, prefazione di Marcello Veneziani, Mursia, Milano, Aldo
Grandi, Gli eroi di Mussolini. Niccolò Giani e la Scuola di mistica fascista,
BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, 2004, RaidoSpeciale
Scuola di Mistica Fascista, Raido, Roma, Arnaldo Mussolini, Coscienza e dovere
Archiviato il 18 dicembre in
Archive.is., Raido, Roma.
Giani:Grice:
“I love Giani; for one, he was less fanatic than Nietzsche, even if it is Nietzsche’s
fanaticism that attracts Strawson! For one Giani is more careful: if ‘music’
comes from the muses, which are Apollonian, why has Nietzsche to emphasise in a
piece of bad rhetoric, that tragedy has its birth in the ‘spirit’ of “music” –
surely Nietzsche means ‘Dionysian,’ but there’s no ‘music’ in Dionysus, only
noise! Trust an Italian to correct Nietzsche on that point!” -- Romualdo Giani (Torino), filosofo. Giani
apparteneva ad una famiglia dell'alta borghesia torinese con spiccate
inclinazioni per la musica e per l'arte: lo zio Giuseppe (Cerano
d'Intelvi) fu pittore piuttosto noto, docente all'Accademia Albertina, così
come il figlio di lui Giovanni (Torino). Fin dagli anni giovanili, Giani
si dedicò al violino e condusse contemporaneamente gli studi di Giurisprudenza
fino alla laurea, conseguitaparenon ancora ventenne. Si interessa inoltre al
fermento filosofico di fine Ottocento, al pensiero di Herbert Spencer, ma
soprattutto di Friedrich Nietzsche: di Così parlò Zarathustra egli avrebbe in
seguito dato una traduzione, a partire dalla seconda edizione italiana (Torino,
Bocca, 1906). Si appassiona, inoltre, al teatro musicale di Richard Wagner,
così come altri giovani intellettuali torinesi, e lo difende nei suoi primi
scritti. Al 1894 risale la fondazione, per opera sua e dell'amico editore
Giuseppe Bocca, della Rivista musicale italiana, in cui inizialmente hanno
parte preponderante gli scritti di Giani, soprattutto recensioni sul teatro
musicale contemporaneo e note sui testi poetici da musicare, anche se va
probabilmente ascritto a Giani anche l'editoriale programmatico del primo
numero, all'interno di una rivista che si proponeva di ospitare scritti
musicologici ispirati al metodo positivistico diffuso tra i due secoli, pur
restando aperta all'apporto di altre correnti filosofiche quali quelle
dell'idealismo. Nel 1896 nello scritto Per l'arte aristocratica, Giani dimostra
le doti di polemista che lo avrebbero accompagnato per tutta la vita: in esso
si confuta un giudizio di Luigi Torchi e si afferma che la cosiddetta
"arte per l'arte" non solo non è immorale, ma è anzi la naturale
evoluzione e conclusione dello sviluppo storico di questa manifestazione dello
spirito umano. Nel 1901 Giani dedicò un saggio di più di cento pagine al
libretto del Nerone di Arrigo Boito, che egli da allora considerò
incondizionatamente un maestro: al tempo Boito aveva reso pubblico il solo
testo del Nerone, che venne accolto molto vivacemente e con alterna fortuna
dall'ambiente letterario italiano. La posizione di Giani intorno al Nerone è
singolare e indicativa di quali fossero i requisiti che la cerchia di Giani e
Bocca ricercava nell'opera musicale: questa tragedia farebbe parte del novero
delle tragedie vere, quelle in cui ritmo, suono della parola, gesto, musica
concorrono alla creazione di un che di superiore. Tuttavia, quando la musica
del Nerone fu resa nota postuma (1924), Giani dichiarò privatamente una certa
delusione. Uomo dalla cultura enciclopedica, versato con competenza anche negli
studi di letteratura, Giani pubblicò nel 1904 in volume L'estetica nei pensieri
di Giacomo Leopardi. Giani vede negli scritti filosofici di Leopardi il luogo
in cui le immagini della sua poesia si comporrebbero in un universo etico ed
estetico coerente. All'interno della storia della critica leopardiana, Giani
pare avvicinabile ora alle posizioni crociane di distinzione tra il momento
della poesia e il momento della riflessione, ora a quelle positivistiche.
Singolarmente, Giani parla di musica e dell'analogia tra il ruolo del coro
greco e il ruolo del coro nelle Operette morali solo nella conclusione del
libro, benché in termini acuti. Pochi anni dopo Giani avrebbe contribuito
ad un ulteriore campo degli studi letterari, quello della musica nel mondo
greco: nel 1913 apparve Gli spiriti della musica nella tragedia greca. Fin dal
titolo Giani si richiama alla nota opera di Nietzsche, La nascita della
tragedia, che originariamente suona La nascita della tragedia dallo spirito
della musica. Giani non condivide l'opinione di Nietzsche secondo cui il
razionalismo del teatro di Euripide avrebbe spento la portata dionisiaca della
tragedia greca: secondo Giani il teatro di Euripide permane ad un livello
musicale altissimo. Per affermare questo Giani ricostruisce il ruolo della musica
nei testi tragici sulla base delle fonti antiche, dedicandosi alle singole
parti e forme musicali dei drammi, sempre attento a sottolineare la valenza
estetica complessiva del teatro greco, ma nel contempo senza trascurare le
posizioni metodologiche della scuola filologica. Negli anni dieci del
Novecento Giani, che fino ad allora non aveva stretto profondi legami con i
musicisti coevi (eccettuato Boito), si avvicinò sempre più alle personalità più
giovani del panorama compositivo italiano. Salutò con favore Giannotto
Bastianelli e Ildebrando Pizzetti, approvandone principalmente le posizioni
estetiche e la ricerca di una certa spiritualità nella musica moderna, tipica
dei due esponenti del circolo fiorentino della Voce, ma prese le distanze ben
presto dalle loro prove compositive, in particolare dai drammi musicali di
Pizzetti, che non parvero a Giani opere d'arte totalmente compiute. Un
legame creativo e biografico molto più stretto strinse Giani con il giovane
Giorgio Federico Ghedini, anche per via delle comuni frequentazioni torinesi:
per Ghedini, che all'inizio degli anni venti stava ancora cercando una
personale posizione estetica e andava raggiungendo progressivamente le
conquiste di stile e di linguaggio che lo avrebbero reso famoso alcuni anni dopo,
Giani valse come una sorta di pigmalione, suggerendo testi da musicare per le
liriche e esaminando con occhio critico le composizioni di Ghedini. Giani
stesso fu librettista: ridusse L'Intrusa di Maurice Maeterlinck, musicata da
Ghedini ma mai rappresentata, e scrisse Esther per Guido Pannain, storico della
musica e compositore. Verso il termine della sua vita, Giani divenne
molto noto in tutta Italia per i suoi scritti di radicale confutazione del
pensiero di Benedetto Croce. In gioventù Giani non era particolarmente ostile
all'idealismo di Croce, anzi considerava la teoria dell'arte come intuizione
una delle chiavi per la valutazione della creatività anche musicale e teatrale.
Tuttavia, a mano a mano che l'estetica di Croce veniva sistematizzata dal suo
stesso autore, ma soprattutto da alcuni suoi pedestri seguaci mal tollerati dal
nostro, Giani attaccò tale concezione con il bellicoso pseudonimo di Luigi
Pagano nel volume La fionda di Davide, criticando che in essa non vi fosse
posto per il lato tecnico e materiale della creazione e che addirittura la
stessa musica non fosse stata debitamente considerata da Croce al medesimo
livello delle altre arti che diedero lustro al passato italiano. Critica
Il posto di Romualdo Giani nella storia della musicografia italiana del
Novecento è tutto particolare: Luigi Pestalozza vi ha addirittura visto un
predecessore della moderna fenomenologia musicale. In realtà, ad un attento
esame quantitativo dei suoi scritti, Giani pare essersi dedicato assai poco a
questa o quella musica in particolare, mentre il suo contributo fu
assolutamente preponderante nei temi di estetica musicale: egli fu una voce
originale, fuori dal coro, che inizialmente difese il dramma di Wagner, quindi
auspicò fermamente all'interno dei testi musicati dai compositori qualità come
la purezza e la letterarietà, infine spronò, pur da lontano, i giovani
compositori contemporanei ad una libertà adogmatica e ad una ricerca continua
di stile e di linguaggio, rendendoli attenti alla peculiarità della musica, che
secondo Giani doveva esserecosa che egli ripete spessissimo nei suoi scrittila
"figuratrice dell'invisibile", cioè l'elemento che dà corpo alle
sensazioni, alle suggestioni, alle fantasie suscitate dai testi musicati e non
immediatamente in essi esplicate. Una posizionela suache può essere paragonata
a quella del "critico-artista" teorizzata da Oscar Wilde, che Giani
ben conosceva: un "critico-artista" nel senso di ricreatore dei
percorsi attraverso cui la composizione è venuta alla luce, e ignoti al
compositore stesso, ma nei quali quest'ultimo riesce a identificarsi una volta
che il critico li rivela a lui e al mondo. Giani dispose per testamento
che i suoi libri venissero donati "ad una biblioteca di piccola
Cittàpreferibilmente Pinerolo" e proprio presso la Biblioteca Civica
"Camillo Alliaudi" di Pinerolo ora si trovano, presso il Fondo che
prese il suo nome. Principali scritti Per l'arte aristocratica (in
proposito di uno studio di Luigi Torchi), in “Rivista Musicale Italiana”, III,
1896, 92–127 e p. 577. Il “Nerone” di
Arrigo Boito, in “Rivista Musicale Italiana”, VIII, 1901, 861–1006. L'estetica nei pensieri di Giacomo
Leopardi, Torino, Bocca, 1904 (seconda edizione 1928-1929). con lo pseudonimo
di Anticlo: Gli spiriti della musica nella tragedia greca, in “Rivista
Musicale Italiana”, XX, 1913, 821–887
(ripubblicato poi in volume, Milano, Bottega di Poesia, 1925. L'amore nel
Canzoniere di Francesco Petrarca, Torino, Bocca, 1917. con lo pseudonimo di Luigi
Pagano: La fionda di Davide. Saggi critici (Boito, Pizzetti, Croce),
Torino, Bocca, 1928. Note B. Miccio nel
Dizionario Biografico degli Italiani (vedi ) indica la data del 28 febbraio
1868. Cesare Botto Micca, Romualdo Giani
(lo scrittore e il critico), in “Il Pensiero di Bergamo”, VI, 7, 1º aprile
19313. Luigi Ronga, In morte di Romualdo Giani, in “Rivista Musicale Italiana”,
XXXVIII, 1, 1931, 115–124. Annibale
Pastore, In memoria di Romualdo Giani, in “Rivista Musicale Italiana”, XLV,
1941, 50–53 Massimiliano Vajro, Romualdo
Giani, in “Rivista Musicale Italiana”, LIII, 1951, 337–368. Luigi Pestalozza, Introduzione a «La
Rassegna Musicale». Antologia, Luigi Pestalozza, Milano, Feltrinelli, 1966,
passim Guido M. Gatti, Torino musicale del passato, in «Nuova Rivista Musicale
Italiana». Guglielmo Berutto, Il Piemonte e la musica, 1800-1984, Torino, in
proprio, 1984, ad vocem. Stefano Baldi, Fotografare l'anima. Romualdo Giani e
Giorgio Federico Ghedini, in “Bollettino della Società Storica Pinerolese”,
XVII, 2000, 173-194. Paolo Cavallo ,
Romualdo Giani (1868-1931). La vita, il fondo musicale, le collaborazioni
musicologiche e gli interessi letterari, Pinerolo, Società Storica Pinerolese,
. Con contributi di GianPiero Casagrande, Stefano Baldi, Nicoletta Betta, Paolo
Cavallo, Andrea Balbo, Chiara Fenoglio.
Romualdo Giani, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Romualdo Giani.
Giannantoni:
Grice:
“I love Giannantoni; for one, he believes, with me, that there is Athenian
dialectic, Roman dialectic, Florentine dialectic and Oxonian dialectic; like
me, he has explored mostly ‘Athenian dialectic,’ and he has noted that its
birth (‘nascita’) is in the ‘dialogo socratico,’ so it should surprise nobody
that I have based my philosophy on the facts of conversation!” -- Deputato
della Repubblica Italiana LegislatureV, VI, VII CollegioRoma Incarichi
parlamentari Vicepresidente della VIII Commissione (Istruzione e Belle Arti)
dall'11 luglio 1972 al 26 luglio 1978 Sito istituzionale Dati generali Partito
politicoPCI Titolo di studioLaurea in lettere Professioneocente universitario. Gabriele
Giannantoni (Perugia) filosofo. Giannantoni negli anni Settanta. Gabriele
Giannantoni studiò filosofia presso la Sapienza Roma, dove ebbe come amici e
colleghi Franco Voltaggio, Enzo Siciliano, e Muzi Epifani. Laureatosi a Roma
con Guido Calogero, dal 1963 fu pria assistente, poi professore di Storia della
filosofia antica e infine di Storia della filosofia. Dal 1972 divenne Professore
nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università La Sapienza di Roma. Nel 1979 fu fondatore e direttore del Centro
di Studio del Pensiero Antico del Consiglio Nazionale delle Ricerche. La sua
dedizione alla ricerca e all'insegnamento fu contraddistinta da comprensione e
bonarietà nei confronti degli studenti ma anche da severo impegno di studio.
Dal 1979, molto interessato e attivo nel settore dell'istruzione pubblica e
della scuola, volendo contribuire alla riforma del sistema scolastico,
intraprese un'attiva politica da deputato, ripetuta più volte nelle file del
Partito Comunista Italiano dal 1968 al 1979.
Ritiratosi dalla partecipazione diretta alla vita politica, continuò i
suoi studi, interrotti prematuramente dalla sua morte nel 1998. Una delle sue maggiori opere Dialogo
socratico e nascita della dialettica nella filosofia di Platone , dove
attribuisce a Socrate una concezione molto laica della divinità e della
religiosità («Religiosità, che Socrate, il quale era certamente una personalità
religiosa, intendeva in modo del tutto diverso da come comunemente era sentita
a quell'epoca»), è stata infatti pubblicata postuma e, coerentemente con le convinzioni
dell'autore, sostenitore della diffusione della cultura, messa liberamente a
disposizione degli studiosi sul web.
Pensiero «Ogni storico autentico ha il dovere di farsi filologo rigoroso per avvicinarsi il più possibile al
mondo mentale del pensatore da lui studiato.»
La sua dottrina storico-filosofica si fonda sul principio che ogni seria
riflessione filosofica si debba basare su un'accurata e rigorosa ricerca
filologica delle fonti. Questo spiega l'enorme dispiego di tempo dedicato
all'elaborare la sua opera monumentale Socratis et Socraticorum reliquiae che
doveva essere probabilmente la necessaria premessa per la pubblicazione,
avvenuta postuma, del suo contributo alla complessa e controversa questione
socratica. Giannantoni ha sempre seguito
il criterio, di ispirazione crociana e gramsciana, secondo cui l'esposizione
del pensiero di un autore debba avvenire tramite l'esame storico cronologico
delle sue opere, allo scopo di prendere consapevolezza dell'evoluzione della
dottrina e di separare da questa ogni sovrapposizione interpretativa personale
non adeguatamente basata sulle fonti.
Convinto dell'onestà intellettuale come valore fondamentale cui deve
rifarsi ogni interprete della storia della filosofia, capace perciò di
rinunciare di fronte alla ricostruzione filologica dei testi anche alle proprie
più profonde convinzioni personali. Giannantoni ha tracciato un profilo
“ideale” dello «storico autentico» della filosofia, che ha il «dovere di farsi
filologo rigoroso per avvicinarsi il più possibile al mondo mentale del
pensatore da lui studiato», ben sapendo che ciò «non basta ancora se non è
accompagnato da una sensibilità filosofica e da una consapevolezza teoretica e
storica insieme […]». Di quiconcludevail fascino di una ricerca che, rendendoci
consapevoli di una grande quantità di problemi altrimenti inavvertiti, termina
in un autentico arricchimento spirituale» Il suo insegnamento è stato
caratterizzato dalla volontà di essere semplice e chiaro nell'espressione del
pensiero considerando questo un dovere morale dell'intellettuale nei confronti
degli altri studiosi. Anche allo scopo di realizzare una scrittura filosofica
quanto più scientificamente precisa, ha compiuto studi approfonditi sulla
logica formale aristotelica e sulla filosofia del linguaggio. Nella sua vita e nella dottrina si è sempre
impegnato nel mettere in pratica l'insegnamento socratico, così come fece il
suo maestro Guido Calogero: insegnando il confronto ed il dialogo basati sul
rispetto verso ogni interlocutore. Magnifying
glass icon mgx2.svgGiovanni Reale § Traduzioni e commenti. È del 1969 la sua
traduzione dei Presocratici del Diels-Kranz (Die Fragmente der Vorsokratiker).È
del 1969 la sua edizione dei Presocratici del Diels-Kranz (Die Fragmente der
Vorsokratiker). Opere Aristotele: la
metafisica / G. Giannantoni, W. Kullmann, E. Lledò.[Roma] : Rai Trade,
[2006?].1 DVD (62 min.) Aristotele teoretico.Roma: Istituto della enciclopedia
italiana, 1993. -.: Aristotele teoretico, di Giovanni Reale. -: Aristotele
teoretico: interviste a Gabriele Giannantoni, Andreas Kamp, Wolfang Kullmann,
Emilio Lledó. Che cosa ha veramente detto Socrate / G. Giannantoni.Roma:
Ubaldini, [1971]. Cirenaici: raccolta delle fonti antiche: traduzione e studio
introduttivo / Gabriele Giannantoni.Firenze: Sansoni, stampa 1958.
Considerazioni su un convegno militante / Gabriele Giannantoni Epicureismo
greco e romano: atti del Congresso internazionale: Napoli, 19-26 maggio 1993 /
Gabriele Giannantoni e Marcello Gigante.Napoli: Bibliopolis, 1996 Epicuro: opere,
frammenti, testimonianze sulla sua vita / Ettore Bignone; introduzione di
Gabriele Giannantoni.Bari: Laterza, stampa 1966. La filosofia greca dal 6. al
4. secolo / [di Gabriele Giannantoni, Armando Plebe, Pierluigi Donini].Milano:
Vallardi; Padova: Piccin, c1983. Le filosofie e le scienze contemporanee /
Gabriele Giannantoni.Torino: Loescher, 1981. Le filosofie e le scienze
contemporanee / Gabriele Giannantoni; schede di laboratorio Francesco
Aronadio.Nuova ed.Torino: Loescher, 1992. I fondamenti della logica
aristotelica / Guido Calogero; nuova edizione con appendici integrative di G.
Giannantoni e G. Sillitti.2. ed.Firenze: La nuova Italia, 1968. Le forme
classiche / Gabriele Giannantoni.Torino: Loescher, 1981 Le forme classiche /
Gabriele Giannantoni.Nuova ed.Torino: Loescher, 1992. Il marxismo di Galvano
della Volpe / Gabriele Giannantoni.Roma: Editori riuniti, 1976 Socrate. Tutte
le testimonianze: Da Aristotfane e Senofonte ai Padri cristiani; introduzione
di Gabriele Giannantoni. Bari: Laterza, 1971. Aristotele. Opere; introduzione e
indice dei nomi Gabriele Giannantoni.Roma; Bari: Laterza, 1973. Epicuro. Opere,
frammenti, testimonianze sulla sua vita; Ettore Bignone; introduzione di
Gabriele Giannantoni.Bari: Laterza, stampa 1966. I presocratici: testimonianze
e frammenti / [introduzione di Gabriele Giannantoni].Bari: Laterza, stampa
1969. Profilo di storia della filosofia / Gabriele Giannantoni.Torino:
Loescher. La razionalità moderna / Gabriele Giannantoni.Torino: Loescher, 1981
Socratis et Socraticorum Reliquiae. Collegit, disposuit, apparatibus notisque
instruxit G. Giannantoni, 2090, quattro
volumi, Bibliopolis 1991. Note
Anthropine Sophia. Studi di filologia e storiografia filosofica in
memoria di Gabriele Giannantoni; Introduzione di Francesco Adorno: per Gabriele
Giannantoni: un dialogo, Editore Bibliopolis (collana Elenchos), 2009 Deputati della V, VI, VII legislatura. Op.cit. Bruno Centrone, ed.Bibliopolis, 2005 Enciclopedia Treccani alla voce
"Giannantoni, Gabriele Prefazione a
Gabriele Giannantoni, Dialogo socratico e nascita della dialettica nella
filosofia di Platone, edizione postuma Bruno Centrone, Bibliopolis , Edizioni
di filosofia e scienze,2005 ILIESI CNR La traduzione dei Presocratici da parte di
Giannantoni è stata criticata da Giovanni Reale nell'introduzione alla sua
nuova traduzione dei Presocratici del 2006, critiche riportate in due
articoli-intervista comparsi sul "Corriere della Sera" del 21 e 24
novembre 2006, nei quali, Gabriele Giannantoni, di formazione gramsciana,
scomparso nel 1998, veniva accusato come curatore della "vecchia"
edizione laterziana del 1969 di avervi perpetrato «una certa manomissione del
sapere filosofico», in ossequio all'ideologia e alla «egemonia culturale
marxista». Interpretazioni del pensiero
di Socrate#Socrate: l'interpretazione di Giannantoni Guido Calogero#La teoria
sul pensiero greco arcaico Guido Calogero
Giannantòni, Gabriele, la voce in Enciclopedie on line, sito
"Treccani.it L'Enciclopedia italiana". Socratis et Socraticorum Reliquiae
collegit, disposuit, apparatibus notisue instruxit G. Giannantoni. Edizione
elettronica dei testi Emidio Spinelli; collaborazione tecnica di G. Iannotta,
D. Papitto e A. Manchi. Coordinamento di Vincenza Celluprica.
Giannetti:
Grice:
“I like Giannetti; for one, he is the only philosopher I know whose first name
is ‘Pascasio.’ He taught at Pisa, but not in the tower – Oddly, while he is
from Tuscany, there is a street (‘via’) in La Spezia named after him!” – Grice:
“His logic was considered heretic, at least by the duke, who diligently
expelled him from any obligation of teaching!” -- Pascasio Giannetti (Albiano di Magra) filosofo. Fu professore a Pisa. Quando lascio la
cattedra, gli successe Grandi. Di
formazione galileiana, fu un acceso nemico dei Gesuiti. Sollecitato dal suo
amico Grandi, che lo aveva anche introdotto alle teorie newtoniane , collaborò,
insieme con altri, alla preparazione della seconda edizione delle Opere di
Galilei, pubblicate a Firenze. Rimosso dall'ateneo pisano da Cosimo III de'
Medici, vi fece rientro alla morte di quest'ultimo. NC. Preti, Dizionario Biografico degli
Italiani, riferimenti in . Emanuele
Gerini, Memorie storiche d'illustri scrittori e di uomini insigni dell'antica e
moderna Lunigiana, 2 voll., Massa, per Luigi Frediani tipografo ducale,
1829-1831. Cesare Preti, «GIANNETTI,
Pascasio», in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 54, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 2000. Filosofia Filosofo Professore1661 1742 2
agosto 28 giugnod Albiano Magra Capannoli
Giannetta search – another
time?
Giannone: Grice: “Giannone is
an interesting philosopher. He philosophised on the ‘citta terrena,’ which is a
back-fromation from ‘celestial city,’ and by which he meant Rome! – Then he
compared men – in their collectivity, to apes, even if ingenious ones!” «Non solo i corpi, ma, quel che è più, anche
le anime, i cuori e gli spiriti de' sudditi si sottoposero a' suoi piedi e
strinse fra ceppi e catene.» (Pietro Giannone, Il Triregno. Del regno
terreno, Del regno celeste, Del regno papale. Pietro Giannone (Ischitella),
filosofo.Esponente di spicco dell'Illuinismo italiano. Discendente da una
famiglia di avvocati (anche se il padre era uno speziale), a diciotto anni
lasciò il paese natale Ischitella, nei pressi di Foggia, per intraprendere gli
studi di giurisprudenza a Napoli. Nella città partenopea conseguì la
laurea entrando ben presto in contatto con filosofi vicini a Giambattista Vico
e apprezzando le idee di Cartesio e Nicolas Malebranche. Fu praticante
presso Gaetano Argento, che disponeva di una vasta biblioteca, la
frequentazione della quale fu essenziale per la sua formazione. I suoi
interessi non si limitarono soltanto al diritto ed alla filosofia,
appassionandosi anche agli studi storici e dedicandosi per ben vent'anni alla
stesura della sua opera storica più conosciuta Dell'istoria civile del regno di
Napoli, che gli causò tuttavia numerosi problemi con la Chiesa per il suo
contenuto. Costretto a riparare a Vienna presso la corte asburgica, ottenne
protezione e sovvenzioni dall'imperatore Carlo VI, il che gli permise di
proseguire indisturbato i suoi studi filosofici e storici. Il suo
tentativo di rientrare in patria fu ostacolato dalla Chiesa, nonostante i buoni
uffici dell'arcivescovo di Napoli recatosi a Vienna per convincerlo a tornare a
Napoli, e fu costretto a trasferirsi a Venezia dove, apprezzatissimo
dall'ambiente culturale della città, rifiutò sia la cattedra alla facoltà di
giurisprudenza dell'Padova, sia un posto di consulente giuridico presso la
Serenissima. Nel 1735 il governo della Repubblica lo espulse, dopo averlo
sottoposto a stretti controlli spionistici, per questioni inerenti alle sue
idee sul diritto marittimo e nonostante la sua autodifesa con il trattato
Lettera intorno al dominio del Mare Adriatico. Dopo aver vagato per
l'Italia (fu a Ferrara, Modena, Milano e Torino), giunse a Ginevra, patria del
calvinismo, dove compose un altro lavoro dal forte sapore anticlericale Il
Triregno. Del regno terreno, Del regno celeste, Del regno papale (pubblicato
postumo solo nel 1895) che gli costò nuovamente la persecuzione delle alte
sfere ecclesiastiche culminate con la sua cattura (1º aprile 1736, giorno di
Pasqua) in un villaggio della Savoia, ove fu attirato con un tranello.
Rimasto nelle prigioni sabaude per dodici anni, fu costretto a firmare un atto
di abiura (1738) che non gli valse tuttavia la libertà. Infatti, dal dicembre
1738 fu tenuto prigioniero nella fortezza di Ceva, dove scrisse alcuni dei suoi
componimenti più famosi; vi rimase fino al 1744 per essere poi
trasferito. Morì nella prigione del mastio della Cittadella di Torino il
17 marzo 1748, all'età di 72 anni. Discendenti Giovanni Giannone
(1715-1806) Pietro Giannone II (1806-1869) Raffaele Giannone (1880-?) Augusta
Giannone Catte (1904-1967) Dell'istoria civile del regno di Napoli Pubblicata
nel 1723 in quattro volumi, l'opera ebbe enorme fortuna anche all'estero
(Inghilterra, Francia e Germania), dove fu tradotta e studiata, mentre la
Chiesa ne avversò le tesi ponendola all'Indice dei libri proibiti, comminando
al filosofo una scomunica la quale obbligava il Giannone a riparare all'estero.
I temi trattati nell'Istoria, sviluppati su precisi riferimenti giuridici,
forniscono una lucida descrizione dello stato di degrado civile del Regno di
Napoli, attribuendone le cause all'influenza preponderante della Curia romana.
Il Giannone auspicava in primis con quest'opera, «il rischiaramento delle
nostre leggi patrie e dei nostri propri istituti e costumi». Il Triregno.
Del regno terreno, Del regno celeste, Del regno papale Il Triregno. Del
regno terreno, ed. Laterza, 1940 Nel Triregno, opera aspramente avversata
anch'essa dagli ambienti ecclesiastici, Giannone presenta la religione secondo
un prospetto evolutivo: la Chiesa, col suo "regno papale", si
contrappone al "regno terreno" degli Ebrei ma anche a quello
"celeste" idealizzato dal Cristianesimo e il superamento del male,
che lo Stato Pontificio così incarna, si realizzerà soltanto attraverso un cambiamento
di rotta deciso, mediante ulteriore consapevolezza individuale raggiunta
dall'uomo nel corso della sua vicenda Storica. Giannone indi teorizza uno Stato
laico capace di sottomettere l'istituzione papale, anche mediante
un'espropriazione dei beni materiali del clero. La Chiesa, secondo il filosofo,
porta avanti una forma di negazione di quella libertà individuale che deve
essere posta come fondamento giuridico e sociale. Curiosità Al filosofo
sono intestati vari istituti scolastici, tra cui lo storico Liceo classico Pietro
Giannone di Caserta, dedicatogli nel 1868, quello di Benevento nel 1810, quello
di Foggia nel 1885 e infine quello di San Marco in Lamis. Oggi a Foggia è
intitolato a lui l'IISS "Giannone-Masi". I plagi Nel Capitolo
settimo della Storia della colonna infame, il Manzoni dedica al Giannone ampio
spazio elencandone i numerosissimi plagi e gli errori che anche Voltaire gli
rimprovera. Inizia paragonandolo a Lodovico Muratori e indicandolo come
"scrittore più rinomato di lui" , poi aggiunge un lungo elenco (e
raffronto) delle opere plagiate e degli autori, tra cui Giovan Battista Nani,
Paolo Sarpi, Domenico Parrino, il Bufferio, il Costanzo e il Summonte:
"...e chissà quali altri furti non osservati di costui potrebbe scoprire
chi ne facesse ricerca". E conclude che se non si sa se fosse
"pigrizia o sterilità di mente", fu certo "raro il
coraggio". Altre opere Autobiografia di Pietro Giannone, i suoi
tempi, la sua prigionia, appendici, note e documenti inediti, Augusto
Pierantoni, Roma, E. Perino, 1890; I discorsi storici sopra gli Annali di Tito
Livio Apologia dei teologi scolastici Istoria del pontificato di Gregorio Magno
L'Ape ingegnosa Edizioni online Pietro Giannone, Del regno celeste, Scrittori
d'Italia 177, Bari, Laterza, 1940. 30 aprile . Pietro Giannone, Del regno
papale, Scrittori d'Italia 178, Bari, Laterza, 1940. 30 aprile . Pietro
Giannone, Del regno terreno, Scrittori d'Italia 176, Bari, Laterza, 1940. 30
aprile . Pietro Giannone, Istoria civile del Regno di Napoli. 1, Napoli,
Giovanni Gravier, 1770. 30 aprile . Pietro Giannone, Istoria civile del Regno
di Napoli. 2, Napoli, Giovanni Gravier, 1770. 30 aprile . Pietro Giannone,
Istoria civile del Regno di Napoli. 3, Napoli, Giovanni Gravier, 1770. 30
aprile . Pietro Giannone, Istoria civile del Regno di Napoli. 4, Napoli,
Giovanni Gravier, 1770. 30 aprile . Pietro Giannone, Istoria civile del Regno
di Napoli. 5, Napoli, Giovanni Gravier, 1770. 30 aprile . Note Pietro Giannone, Istoria civile del regno di
Napoli, Capolago, Tipografia Elvetica, 1840.
l'11 febbraio . Ibidem, note da
80 a 89 Fausto Nicolini, Gli scritti e
la fortuna di Pietro Giannone: ricerche bibliografiche, Bari, Laterza, 1913
Lino Marini, Pietro Giannone e il giannonismo a Napoli nel Settecento, Bari,
Laterza, 1950 Brunello Vigezzi, Pietro Giannone riformatore e storico. Milano,
Feltrinelli, 1961 Giannoniana: autografi, manoscritti e documenti della fortuna
di Pietro Giannone, Sergio Bertelli, Milano-Napoli, Ricciardi, 1968 Giuseppe
Ricuperati, L'esperienza civile e religiosa di Pietro Giannone., Milano-Napoli,
Ricciardi, 1970. Lia Mannarino, Le mille favole degli antichi. Ebraismo e
cultura europea nel pensiero religioso di Pietro Giannone, Firenze, Le Lettere,
1999. Giuseppe Ricuperati, La città terrena di Pietro Giannone: un itinerario
tra crisi della coscienza europea e illuminismo radicale, Firenze, Olschki,
2001 Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina
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Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Pietro Giannone, in Enciclopedia Italiana,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Pietro Giannone, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, . Pietro Giannone, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia
Britannica, Inc. Andrea Merlotti, Pietro
Giannone, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Opere di Pietro Giannone, su
Liber Liber. Opere di Pietro Giannone /
Pietro Giannone (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di
Pietro Giannone, . Opere di Pietro Giannone, su Progetto Gutenberg. Pietro
Giannone, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Pietro Giannone, Il Triregno. 1: Del regno terreno, 2: Del regno celeste, 3: Del regno papale (1940), testi integrali
in più volumi dalla collana digitalizzata "Scrittori d'Italia"
Laterza; Vita scritta da lui medesimo (1960), Feltrinelli, testo in versione
digitale della Biblioteca Italiana, 2003.//filosofico.net/giannone.htm.
Gioberti: Grice: “I like
Gioberti; he published ‘Del bene, del bello,’ suggesting they are
etymologically connected, and they are: BONUS alternates with BENE in Roman,
and the dimintuvie, BENETULUS, gives ‘bellus’ – So the Roman implicature is
that the ‘bello’ is a ‘little’ ‘bene’ – or gracious, comfortable, and
proportionate, rather than having to do with ‘bene’ itself. – “like bene” – and
affectionate diminutive, one hopes!” -- gioberti: essential Italian philosopher, He
was imprisoned and exiled for advocating
unification, and became a central political figure during the
Risorgimento. His major political oeuvre, “Del primato morale e civile degli
italiani,” argues for a federation of the
states. Gioberti’s philosophical theory, ontologism, in contrast to
Hegel’s idealism, identifies the dialectics of Being with God’s creation.
Gioberti condensed his theory in the formula: “Being creates the existent.”
“L’essere crea l’essistente.” The dialectics of Being, which is the only
necessary substance, is a “palingenesis,” or a return to its origin, in which
the existent first departs from and imitates its creator (“mimesis”) and then
returns to its creator (“methexis”). By intuition, the human mind comes in
contact with God and discovers truth by retracing the dialectics of Being.
However, knowledge of supernatural truths is given only by God’s revelation.
His oeuvre also includes “Teorica del soprannaturale” and “Introduzione allo
studio della filosofia.” Gioberti criticized modern philosophers such as
Descartes for their psychologism seeking
truth from the human subject instead of from Being itself and its revelation.
His thought is very influential in Italy. Vincenzo
Gioberti (Torino), filosofo -- presbitero, patriota e filosofo italiano, nonché
il primo Presidente della Camera dei deputati del Regno di Sardegna, esponente
di primo piano del Risorgimento italiano. Ricevuta la prima istruzione dai
padri dell'Oratorio di San Filippo Neri con la prospettiva del sacerdozio, si
laureò in teologia nel 1823 e, nel 1825, prese gli ordini sacerdotali.
All'inizio condusse una vita ritirata, ma gradualmente acquisì sempre più
interesse negli affari del suo paese e nelle nuove idee politiche come anche
nella pubblicistica sui temi di attualità. Parzialmente influenzato da Mazzini,
lo scopo principale della sua vita divenne l'unificazione dell'Italia sotto un
unico regime: la sua emancipazione, non solo dai signori stranieri, ma anche da
concetti reputati alieni al suo genio e sprezzanti del primato morale e civile
degli italiani. Questo primato era associato nella sua mente alla supremazia
papale, anche se inteso in un modo più letterario che politico. Fu perciò
notato dal re Carlo Alberto di Savoia, che lo nominò suo cappellano. La sua
popolarità e l'influenza in campo privato, tuttavia, erano ragioni sufficienti
per il partito della corona per costringerlo all'esilio; non era uno di loro e
non poteva dipendervi. Sapendo questo, si ritirò dal suo incarico nel 1833, ma
fu improvvisamente arrestato con l'accusa di complotto e, dopo quattro mesi di
carcere, fu bandito dal Regno sabaudo senza processo. Gioberti andò prima a
Parigi e, un anno dopo, a Bruxelles dove restò fino al 1845 per insegnare
filosofia e assistere un amico nella direzione di una scuola privata.
Nonostante ciò, trovò il tempo di scrivere diverse opere di importanza
filosofica con particolare riferimento al suo paese e alla sua posizione.
Essendo stata dichiarata un'amnistia da Carlo Alberto nel 1846, Gioberti
divenne libero di tornare in patria, ma si rifiutò di farlo fino alla fine del
1847. Al suo ritorno a Torino, il 29 aprile 1848, fu ricevuto con il più grande
entusiasmo. Rifiutò la dignità di senatore che Carlo Alberto gli aveva offerto,
preferendo rappresentare la sua città natale nella Camera dei deputati, della
quale fu presto eletto presidente. Il 16 dicembre 1848 cadde il governo.
Il re nominò Gioberti nuovo presidente del Consiglio. Il suo governo terminò il
21 febbraio 1849. Con la salita al trono di Vittorio Emanuele II, nel marzo del
1849 la sua vita politica giunse alla fine. Per un breve periodo, infatti, ebbe
un posto nel consiglio dei ministri, anche se senza portafoglio, ma un diverbio
irriconciliabile non tardò a maturare. Fu allontanato da Torino con
l'affidamento di una missione diplomatica a Parigi, da cui non fece più
ritorno. Rifiutò la pensione che gli era stata offerta e ogni promozione
ecclesiastica, visse in povertà e passò il resto dei suoi giorni a Bruxelles,
dove si trasferì dedicandosi agli studi letterari. Morì improvvisamente di un
colpo apoplettico il 26 ottobre 1852. I primi due licei istituiti a
Torino, nel 1865, celebrarono uno l'opera diplomatica di Cavour (il Liceo
classico Cavour) e l'altro il pensiero, anche politico, di Gioberti (il Liceo
classico Vincenzo Gioberti). Gli scritti di Gioberti sono più importanti
della sua carriera politica; come le speculazioni di Rosmini-Serbati, contro
cui scrisse, sono state definite l'ultima propaggine del pensiero medievale;
anche il sistema di Gioberti, conosciuto come ontologismo, più nello specifico
nelle sue più importanti opere iniziali, non è connesso con le moderne scuole
di pensiero. Mostra un'armonia con la fede cattolica che spinse Victor Cousin a
sostenere che la filosofia italiana era ancora fra i lacci della teologia e che
Gioberti non era un filosofo. Il metodo per lui è uno strumento
sintetico, soggettivo e psicologico. Ricostruisce, come afferma, l'ontologia e
comincia con la formula ideale, per cui l'Ens crea l'esistente ex nihilo. Dio è
l'unico ente Ens; tutto il resto sono pure esistenze. Dio è l'origine di tutta
la conoscenza umana (le idee), che è una e diciamo che si rispecchia in Dio
stesso. È intuita direttamente dalla ragione, ma per essere utile vi si deve
riflettere, e questo avviene tramite i mezzi del linguaggio. Una conoscenza
dell'ente e delle esistenze (concrete, non astratte) e le loro relazioni
reciproche, sono necessarie per l'inizio della filosofia. Gioberti è, da
un certo punto di vista, un platonico. Identifica la religione con la civiltà e
nel suo trattato Del primato morale e civile degli Italiani giunge alla
conclusione che la chiesa è l'asse su cui il benessere della vita umana si
fonda. In questo afferma che l'idea della supremazia dell'Italia, apportata
dalla restaurazione del papato come dominio morale, è fondata sulla religione e
sull'opinione pubblica; tale opera sarà la base teorica del neoguelfismo. Nelle
sue ultime opere, Rinnovamento e Protologia si dice che abbia spostato il suo
campo sull'influenza degli eventi. La sua prima opera, scritta quando
aveva 37 anni, aveva una ragione personale per la sua esistenza. Un giovane
compagno d'esilio e amico Paolo Pallia, avendo molti dubbi e sfortune per la
realtà della rivelazione e della vita futura, lo ispirò alla stesura de La
teorica del sovrannaturale (1838). Dopo questa, sono passati in rapida
successione dei trattati filosofici. La Teorica è stata seguita
dall'Introduzione allo studio della filosofia in tre volumi (1839-1840), dove
afferma le ragioni per richiedere un nuovo metodo e una nuova terminologia. Qui
riporta la dottrina per cui la religione è la diretta espressione dell'idea in
questa vita ed è un unicum con la vera civiltà nella storia. La Civiltà è una
tendenza alla perfezione mediata e condizionata, alla quale la religione è il
completamento finale se portato a termine. È la fine del secondo ciclo espresso
dalla seconda formula, l'ente redime gli esistenti. I saggi (inediti fino
al 1846) su materie più leggere e più famose, Del bello e Del buono hanno
seguito l'introduzione. Del primato morale e civile degl'Italiani e Prolegomeni
sulla stessa e a breve trionfante esposizione dei Gesuiti, Il Gesuita moderno,
pubblicato clandestinamente a Losanna da Stanislao Antonio Bonamici, ha senza
dubbio accelerato il trasferimento di ruolo dalle mani religiose a quelle
civili. È stata la popolarità di queste opere semi-politiche, aumentata da
altri articoli politici occasionali e dal suo Rinnovamento civile d'Italia, che
ha portato Gioberti ad essere acclamato con entusiasmo al ritorno nel suo paese
natio. Tutte queste opere sono state perfettamente ortodosse e hanno
contribuito ad attirare l'attenzione del clero liberale nel movimento che è
sfociato, sin dai suoi tempi, nell'unificazione italiana. I Gesuiti, tuttavia,
si sono raduttorno al Papa più fermamente dopo il suo ritorno a Roma e alla
fine gli scritti di Gioberti furono messi all'indice. I resti delle sue opere,
specialmente La filosofia della rivelazione e la Prolologia espongono i suoi
punti di vista maturi in molte parti. Tutti gli scritti giobertiani, tra cui
quelli lasciati nei manoscritti, sono stati pubblicati da Giuseppe Massari
(Torino, 1856-1861). Il Ministero dei beni culturali ha affidato la redazione
dell'edizione nazionale all'Istituto di Studi Filosofici "Enrico
Castelli", presso l'Università La Sapienza di Roma Opere Edizione
nazionale delle opere edite e inedite di Vincenzo Gioberti in 38 volumi.
Prolegomeni del Primato morale e civile degli italiani, Enrico Castelli (1938)
Primato morale e civile degli italiani, Ugo Redanò (1938) Introduzione allo
studio della filosofia, Alessandro Cortese (2001) Teorica del sovrannaturale, 3
voll., Alessandro Cortese (1970) Del rinnovamento civile d'Italia (1850)
Vincenzo Gioberti, Del rinnovamento civile d'Italia, Scrittori d'Italia
14, 1, Bari, Laterza, 1911. 29 giugno .
Vincenzo Gioberti, Del rinnovamento civile d'Italia, Scrittori d'Italia
16, 2, Bari, Laterza, 1911. 29 giugno .
Vincenzo Gioberti, Del rinnovamento civile d'Italia, Scrittori d'Italia
24, 3, Bari, Laterza, 1912. 29 giugno
. Note Cfr. lettera di V. Gioberti
a G. Leopardi del 27 ottobre 1833 in Scritti vari inediti di Giacomo Leopardi
dalle carte napoletane, Firenze, Successori Le Monnier, 1906, pagg. 442 sgg..
Gioberti visse in Rue des marais S. Germain, hotel du Pont des Arts n° 3. In lingua latina: "dal nulla", vedi
anche la locuzione Ex nihilo nihil fit di Lucrezio. Bonamici Stanislao Antonio, su Sistema
Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. 17 marzo . Istituto Castelli-Roma Archiviato il 15 marzo
2008 in . Anteprima disponibile su
books.google. Anteprima della II
edizione disponibile su books.google.
Giuseppe Massari, Vita di Vincenzo Gioberti, Firenze, 1848. Antonio
Rosmini Serbati, Vincenzo Gioberti e il panteismo, Milano, 1848. Charles Bohun
Smyth, Christian Metaphysics, 1851. Bertrando Spaventa, La Filosofia di
Gioberti, Napoli, 1854. Achille Mauri, Della vita e delle opere di Vincenzo
Gioberti, Genova, 1853. Giuseppe Prisco, Gioberti e l'ontologismo, Napoli,
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PredecessorePresidente del Consiglio dei ministri del Regno di
SardegnaSuccessoreFlag of Italy (1861–1946).svg Ettore Perrone di San
Martinodicembre 1848febbraio 1849Agostino ChiodoV D M Presidenti del Consiglio
dei ministri del Regno di Sardegna PredecessorePresidente della Camera dei
deputatiSuccessore Nessuno8 maggio 184830 dicembre 1848Lorenzo Pareto. Refs.:
Luigi Speranza, "Grice e Gioberti,"
per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria,
Italia
Gioia: Grice: “I love Gioia;
he is like me, an economist when it comes to pragmatics – see my principle of
ECONOMY of rational effort; I studied thoroughly his fascinating account about
the origin of language, before I ventured with my pritological progressions!”
-- Melchiorre Gioja o Gioia (Piacenza), filosofo. Dopo gli studi nel Collegio
Alberoni veste l'abito talare, mantenendo tuttavia un orientamento di pensiero
tutt'altro che ortodosso tanto in filosofia, per l'influenza dell'utilitarismo
di Jeremy Bentham, dell'empirismo di John Locke e del sensismo di Étienne
Bonnot de Condillac, quanto in teologia per l'influenza del pensiero di
Giansenio. Il suo interesse si rivolge ben presto anche alle questioni
politiche: nel settembre 1796 vince il concorso bandito dalla Società di
Pubblica Istruzione di Milano sul tema "Quale dei governi liberi meglio
convenga alla felicità d'Italia", alla quale partecipano 52 concorrenti.
La sua dissertazione, in cui sostiene la tesi di un'Italia libera,
repubblicana, retta da istituzioni democratiche e basata su comuni elementi
geografici, linguistici, storici e culturali, prefigura, come la maggioranza di
quelle presentate, l'unità italiana, benché questa tesi non sia gradita ai
francesi che in quel periodo occupano il nord Italia. Ugo Foscolo
in un ritratto di Fabre La notizia del premio ricevuto gli giunge però in
carcere: nel frattempo Gioja è stato arrestato con l'accusa di aver celebrato a
scopo di lucro più di una messa al giorno, anche se sono in realtà le sue idee
politiche giacobine a renderlo inviso all'autorità. Gioja viene scarcerato
nello stesso anno 1797 grazie, forse, alle pressioni di Napoleone Bonaparte, e
ripara a Milano. Il Trattato di Campoformio, con la cessione di Venezia
all'Austria da parte della Francia in cambio del riconoscimento austriaco della
Repubblica Cisalpina, lo spinge però ben presto a diventare oppositore della
Francia stessa. Attività: giornalista, storiografo ed economista Dopo
aver rinunciato al sacerdozio, si impegna nella professione giornalistica
fondando diverse testate, ("Il Monitore Italiano"[collegamento
interrotto] con Ugo Foscolo, "Il Censore", "La Gazzetta
nazionale della Cisalpina", "Il Giornale filosofico politico"),
stroncate una dopo l'altra dalla rigida censura austriaca per le posizioni
sempre più apertamente patriottiche che Gioja stesso ed i suoi collaboratori vi
sostengono. È dalle colonne del "Giornale Filosofico Politico" che
nel 1799 scrive una lettera aperta al duca Ferdinando d'Asburgo-Este, in cui
denuncia i danni patiti in carcere nel 1796; nello stesso anno però Napoleone
Bonaparte viene sconfitto dalle truppe austriache nella Battaglia di Novi
Ligure e Melchiorre Gioja viene arrestato nuovamente dagli austriaci, per
essere scarcerato quattordici mesi dopo, in seguito alla vittoria francese
nella Battaglia di Marengo. Carlo Felice Biscarra, Museo Civico di
Saluzzo: Arresto di Maroncelli e Pellico Nel 1801 Gioja viene nominato
storiografo della Repubblica Cisalpina: l'anno successivo pubblica il trattato "Sul
commercio de' commestibili e caro prezzo del vitto" , ispirato dai tumulti
per il rincaro del pane, e "Il Nuovo Galateo". Nel 1803 viene rimosso
dalla carica per le polemiche seguite alla pubblicazione e alla difesa del suo
trattato "Teoria civile e penale del divorzio, ossia necessità, cause,
nuova maniera d'organizzarla" Gli studi di Statistica applicata
all'Economia L'apprezzamento per i suoi solidi e realistici studi di economia e
di statistica, ai quali sono prevalentemente rivolti il suo interesse e la sua
attività, gli valgono però la nomina nel 1807 alla direzione del nascente
Ufficio di Statistica: in questa veste inizia una febbrile attività fatta di
studi corredati da tabelle, quadri sinottici, raffronti demografici, causa di
nuove ed accese polemiche e della rimozione dall'incarico. Tale attività rese
Gioja uno dei primi studiosi ad applicare i concetti di Statistica alla
gestione economica dei conti pubblici (ad esempio per le tasse, gabelle, e così
via). Precursore di concetti giuridici e medico-legali Grazie
alle sue conoscenze statistiche ed economiche elabora concetti fortemente
innovativi per l’epoca che ne fanno il precursore del moderno dibattito
giuridico in materia di risarcimento del danno alla persona con una concezione
che supera la questione patrimoniale. Notissima in medicina legale la sua
regola del calzolaio, che anticipa il concetto di riduzione della capacità
lavorativa specifica: "...un calzolaio, per esempio, eseguisce due
scarpe e un quarto al giorno; voi avete indebolito la sua mano che non riesce
più che a fare una scarpa; voi gli dovete dare il valore di una fattura di una
scarpa e un quarto moltiplicato per il numero dei giorni che gli restano di
vita, meno i giorni festivi.." . E ancora, seppur meno noti,
concetti come: "Ne' casi d'indebolimento o distruzione di forze
industri, considerando il soddisfacimento come uguale al lucro giornaliero
diminuito o distrutto, moltiplicato per la rimanente vita utile dell'offeso,
noi restiamo molto al di sotto del valore reale, giacché una forza umana può
essere riguardata come Mezzo di sussistenzaMezzo di godimentoMezzo di
bellezzaMezzo di difesa Filosofia della Statistica (libro
originale)“Rendendo paralitico, per es., l'altrui braccio destro o la mano, voi
togliete al musico il mezzo con cui si procura il vitto divertendo gli altri,
al proprietario il mezzo con cui si sottrae alla noia divertendo se stesso,
alla donna il mezzo con cui gestisce e porge con grazia, a chiunque il
mezzo con cui si schernisce da mali eventuali difendendosi". Si
tratta di principi rivoluzionari per l’epoca, forse frutto di quel particolare
mix di cultura che derivava dalla sua formazione che inizia da sacerdote e
approda a concezioni rivoluzionarie; è il primo che riesce a prefigurare
nell’uomo non solo una sorta di macchina che produce reddito, ma anche un
soggetto che attraverso il lavoro realizza la propria personalità.
In Italia oltre un secolo e mezzo dopo, negli anni ’80 del novecento, in sede
giuridica inizierà il dibattito sul superamento del risarcimento del mero danno
patrimoniale per tener conto degli aspetti relazionali e dinamici della persona
riassunti nel concetto di danno biologico. Sul filone di queste tematiche nel
1994 gli veniva intestata a Pisa un'ssociazione scientifica medico giuridica che
raccoglie giuristi, medici legali e assicuratori. Il "Nuovo
Galateo" Testo fondamentale nella storia dei Galatei, il "Nuovo
Galateo" di Gioja fu scritto per contribuire alla civilizzazione del
popolo della Repubblica Cisalpina. Il testo conosce ben tre edizioni. La prima
del 1802 si sofferma in particolar modo sulla definizione laica di
"pulitezza" intesa come ramo della civilizzazione, arte di modellare
la persona e le azioni, i sentimenti, i discorsi in modo da rendere gli altri
contenti di noi e di loro stessi. È divisa in tre parti: "Pulitezza
dell'uomo privato", "Pulitezza dell'uomo cittadino",
"Pulitezza dell'uomo di mondo". Nella seconda edizione del
1820, Gioja ridimensiona il concetto di "pulitezza" come l'arte di
modellare la persona, le azioni, i sentimenti, i discorsi in modo da procurarsi
l'altrui stima ed affezione. La vecchia ripartizione è sostituita da:
"Pulitezza Generale", "Pulitezza Particolare",
"Pulitezza Speciale". La terza edizione risale al 1822 dove
Gioja, a differenza dell'edizioni precedenti, enfatizza l'importanza del
concetto di "ragione sociale", considerato dall'autore il fondamento
etico del galateo che avrebbe portato felicità e pace sociale mediante le buone
maniere. Massoneria Gioja fu membro della Loggia massonica "Reale
Amalia Agusta" di Brescia, che prese il nome dalla moglie del principe
Eugenio di Beauharnais, primo Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia, loggia
che fu attiva fino al 1814. A lui è intestata la loggia N. 1114 di Piacenza
all’obbedienza del Grande Oriente d’Italia. Gli ultimi anni dopo il
crollo della Repubblica Cisalpina Del merito e delle ricompense Crollato
il dominio napoleonico nel 1814, negli anni della Restaurazione Gioja produce
le sue opere maggiori: il "Nuovo prospetto delle scienze economiche"
(18151819), il trattato "Del Merito e delle Ricompense" (18181819),
"Sulle manifatture nazionali" (1819), "L'ideologia" (1822):
gli ultimi tre libri vengono messi all'Indice e il suo fecondo lavoro è
interrotto da un nuovo arresto, dal 19 dicembre 1820 al 10 luglio 1821, con
Pietro Maroncelli e Silvio Pellico, per aver cospirato contro l'Austria
partecipando alla setta carbonara dei "Federati". Dopo
quest'ultima peripezia, nonostante i sospetti da parte del governo austriaco,
Gioja ha finalmente davanti a sé qualche anno di serenità e compone la sua
ultima opera, "La filosofia della statistica" (1826). Muore a Milano
nel 1829, trovando sepoltura nel Cimitero della Mojazza, fuori Porta Comasina
(per un periodo di tempo, si pensò erroneamente che il suo corpo fosse stato
sepolto presso il vecchio Fopponino di Porta Vercellina): nel 1855 lo scrittore
Ignazio Cantù, nel suo Milano, nei tempi antico, di mezzo e moderno: Studiato
nelle sue vie; passeggiate storiche ne poteva ancora vedere la lapide tombale
redatta in latino e scriveva: «Nel cimitero vicino (il cimitero della
Mojazza) fra tante ossa ignorate dormono senza fasto di mausoleo le ceneri di
Melchiorre Gioia, di Gianbattista De-Cristoforis, di Luigi Sabatelli, di
Giacomo Albertolli, e d'altri uomini insigni (...)» Prende il suo nome il
Liceo Classico di Piacenza. Antonio Rosmini in un dipinto di Hayez
Le critiche di Antonio Rosmini L'abate Antonio Rosmini, suo avversario in
politica come in religione, lo accusò di pretendere di proporre un nuovo codice
morale, fondato su principi palesemente opportunistici, mentre con disinvoltura
richiedeva sussidi e regali dai titolari del potere politico per elogiarne le
benemerenze nelle proprie pubblicazioni periodiche, e lo dichiarò pubblicamente
un "ciarlatano". Opere Melchiorre Gioia, Del merito e delle
ricompense, 2, Filadelfia, s.n., 1830.
Riflessioni sulla rivoluzione. Scritti politici 1798 Nuovo Galateo 1802 Il
Nuovo prospetto delle scienze economiche 1815-1819 Melchiorre Gioia,
Distribuzione delle ricchezze, Milano, presso Gio. Pirotta in santa Radegonda,
1815. Melchiorre Gioia, Produzione delle ricchezze, 2, Milano, presso Gio. Pirotta in santa
Radegonda, 1815. Melchiorre Gioia, Consumo delle ricchezze, Milano, presso Gio.
Pirotta in santa Radegonda, 1816. Melchiorre Gioia, Azione governativa sulla
produzione, distribuzione, consumo delle ricchezze, 2, Milano, presso Gio. Pirotta in santa
Radegonda, 1817. Sulle manifatture nazionali1819 Dell'ingiuria, dei danni, del
soddisfacimento e relative basi di stima avanti i tribunali civili 1821
l’Ideologia 1822 Filosofia della statistica (1826) Note Francesca Sofia nel Dizionario Biografico
degli Italiani, riferimenti in , indica la data del "19 gennaio"
1767. Ettore Rota nella Enciclopedia Italiana, edizione 1933, riporta "20
settembre" dello stesso anno. Cfr.
Arrigo Solmi, L'idea dell'unità italiana nell'età di Napoleone in Rassegna
storica del Risorgimento, gennaio-marzo 1933. Fonte: Francesca Sofia,
Dizionario Biografico degli Italiani, riferimenti in . Fonte: Treccani.it L'Enciclopedia Italiana,
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L'Italia dei Liberi Muratori,Mimesis-Erasmo, Milano-Roma, 2005146. Ignazio Cantù, Milano, nei tempi antico, di
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strada consolare , Il Sole 24 oreEdagricole, Bologna 2003, pag. 224 Piero Barucci, Il pensiero economico di
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Melchiorre Gioia Melchiorre Gioia, su
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Unlimited srl. Opere di Melchiorre Gioia, .
Melchiorre Gioia Giacobino abstract pubblicazione "MELCHIORRE
GIOIA" e-book, progetto Piacenza Project Science. melchiorregioia.it/la-storia.
Giorello – Grice: “I like
Giorello: he philosophises on evil and good – the devil wrestles with the angel
– but also on Mickey Mouse that he calls ‘topolino’ – “la filosofia del
topolino” – and perhaps ore exotically for us Oxonians, on ‘la filosofia di
Tex,’ a ‘fiumetto’ of 1948!” -- Giulio Giorello (Milano) filosofo. Giulio Giorello conseguì
due lauree: la prima in Filosofia presso l'Università degli Studi di Milano nel
1968 (sotto la guida di Ludovico Geymonat), la seconda in Matematica
all'Università degli Studi di Pavia nel 1971. Insegnò quindi Meccanica
razionale presso la Facoltà di Ingegneria dell'Università degli Studi di Pavia,
per poi passare alla Facoltà di Scienze fisiche e matematiche dell'Università
degli Studi di Catania, di Scienze fisiche presso l'Università degli Studi
dell'Insubria, sede di Como, e al Politecnico di Milano. Ricoprì dal 1978
al la cattedra (già di Ludovico
Geymonat) di Filosofia della scienza presso l'Università degli Studi di Milano;
fu inoltre Presidente della SILFS (Società Italiana di Logica e Filosofia della
Scienza) dal 2004 al 2008. Diresse la collana Scienza e idee di Raffaello
Cortina Editore e collaborò, come elzevirista, alle pagine culturali del quotidiano
milanese Corriere della Sera. Vinse la IV edizione del Premio Nazionale
Frascati Filosofia . Fu attivo in rassegne culturali insieme allo scrittore
Luca Gallesi. È morto a Milano il 15 giugno , presumibilmente per
complicanze dovute al COVID-19. Tre giorni prima del decesso aveva sposato la
compagna Roberta Pelachin. Il corpo è stato cremato al cimitero di Lambrate,
ove le ceneri sono state poi portate nel Giardino del Ricordo, un luogo dove
vengono sparse per essere assorbite dalla natura. Pensiero Giorello
divise i suoi interessi tra lo studio di critica e crescita della conoscenza
con particolare riferimento alle discipline fisico-matematiche e l'analisi dei
vari modelli di convivenza politica; dalle sue prime ricerche in filosofia e
storia della matematica, i suoi interessi si erano poi ampliati verso le
tematiche del cambiamento scientifico e delle relazioni tra scienza, etica e
politica. La sua visione politica era di stampo liberal democratico e si
ispirava, tra gli altri, al filosofo inglese John Stuart Mill. Si occupò
anche di storia della scienzain particolare le dispute novecentesche sul
"metodo"e di storia delle matematiche (Lo spettro e il libertino).
Nel 1981 curò con Marco Mondadori l'edizione italiana di Sulla libertà di John
Stuart Mill. Giulio Giorello era ateo e scrisse al riguardo il libro Senza Dio.
Del buon uso dell'ateismo. Opere Giulio Giorello fra il prof. Peter
Atkins (il primo da sinistra) e Giuseppe Testa, direttore del Laboratorio di
Epigenetica delle cellule staminali, alla conferenza mondiale Science for
PeaceAula Magna Università Bocconi di Milano16 novembre Saggi di storia della matematica, Milano,
FER, 1974. Il pensiero matematico e l'infinito, Milano, UNICOPLI, Lo spettro e
il libertino. Teologia, matematica, libero pensiero, Milano, A. Mondadori,
1985. Le ragioni della scienza, con Ludovico Geymonat, con la partecipazione e
un'appendice di Fabio Minazzi, Roma-Bari, Laterza,Filosofia della scienza,
Milano, Jaca Book, testo di Isabella Colonnello, Le stanze della ricerca,
Milano, Mazzotta, Europa universitas. Tre saggi sull'impresa scientifica
europea, con Tullio Regge e Salvatore Veca, Milano, Feltrinelli, 1993. 88-07-09038-4. Introduzione alla filosofia
della scienza, Milano, R.C.S. libri & grandi opere, Quale Dio per la
sinistra? Note su democrazia e violenza, con Pietro Adamo, Milano, UNICOPLI, La
filosofia della scienza nel XX secolo, con Donald Gillies, Roma-Bari, Laterza, Lo
specchio del reame. Riflessioni su potere e comunicazione, con Roberto
Esposito, Carlo Sini e Danilo Zolo, Ravenna, Longo, Epistemologia applicata.
Percorsi filosofici, e con Michele Di Francesco, Milano, CUEM, I volti del tempo, e con Elio Sindoni, Corrado
Sinigaglia, Milano, Bompiani, Prometeo, Ulisse, Gilgameš. Figure del mito,
Milano, Cortina, Di nessuna chiesa. La
libertà del laico, Milano, Cortina, Dove fede e ragione si incontrano?, con
Bruno Forte, Cinisello Balsamo, San Paolo, La libertà della vita, con Umberto
Veronesi, Milano, Cortina, Il decalogo.
I dieci comandamenti commentati dai filosofi, II, Non nominare il nome di Dio
invano, con Gabriele Mandel, con CD, Milano, Albo Versorio, Giulio Giorello
relatore al convegno internazionale "Science for Peace", Milano 14
novembre La scienza tra le nuvole. Da
Pippo Newton a Mr Fantastic, con Pier Luigi Gaspa, Milano, Cortina, Kos.
Rivista di medicina, cultura e scienze umane,
4: Dio, Patria e Famiglia (con Massimo Cacciari e Carlo Maria Martini),
Milano, Editrice San Raffaele, 2000 Libertà. Un manifesto per credenti e non
credenti, con Dario Antiseri, Milano, Bompiani, Il peso politico della Chiesa, con Francesco
D'Agostino, Cinisello Balsamo, San Paolo, Viaggio intorno all'Evoluzione (con
E. Sciarra, F. Eugeni, C. Venturelli), R. Mascella, Zikkurat Edizioni&Lab,
2008. Harsanyi visto da Giulio Giorello e Simona Morini (con Simona Morini),
Milano, Luiss University press, Lo scimmione intelligente. Dio, natura e
libertà (con Edoardo Boncinelli), Milano, Rizzoli, 2009. Ricerca e carità. Due
voci a confronto su scienza e solidarietà, con Carlo Maria Martini, Milano,
Editrice San Raffaele, Introduzione a
Apostolos Doxiadis e Christos H. Papadimitriou, Logicomix, Parma, Guanda, Lussuria. La passione della conoscenza,
Bologna, Il Mulino, . Senza Dio. Del buon uso dell'ateismo, Milano, Longanesi,
. Il tradimento. In politica, in amore e non solo, Milano, Longanesi, . Premio
Nazionale Rhegium Julii Saggistica. La filosofia di Topolino, con Ilaria
Cozzaglio, Parma, Guanda, . Noi che
abbiamo l'animo libero. Quando Amleto incontra Cleopatra, con Edoardo
Boncinelli, Milano, Longanesi, SILFS Past Presidents, su silfs.it. 20 giugno
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ansa.it/sito/notizie/cultura/libri/approfondimenti//06/15/e-morto-il-filosofo-giulio-giorello_ca38aabe-c76a-47df-97b6-15494a58d870.html corriere.it/cultura/20_giugno_16/morto-giorello-non-si-era-mai-arreso-ricovero-ritorno-ultimi-doni-20e01862-afac-11ea-a957-8b82646448cc.shtml
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Ruff. italiana di Giulio Giorello, su
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RadioRadicale.it, Radio Radicale. Giulio
Giorello, su INDUCKS. Giulio Giorello:
fede e ragione, sul RAI Filosofia, su filosofia.rai.it.
Giorgi: Pierpaolo De Giorgi
(Cavallino) filosofo. Si laurea a Perugia in Filosofia Estetica con Sergio
Givone, studia con l'etnologo Tullio Seppilli e con l'etnomusicologo Piero
Arcangeli, dapprima cantautore solista, suona negli anni Settanta con il Gruppo
popolare salentino e con i Tarantula, del quale è fondatore. Lavora presso la RAI di Perugia e studia a
lungo in senso specialistico il tarantismo e la pizzica.Già negli anni Ottanta
è il primo[senza fonte] a intuire le possibilità della pizzica ed a cantarla
anche come solista. Dal 1984 in poi insegna canti e musiche tradizionali del
Salento in varie scuole statali. Tiene concerti ovunque, anche assieme a gruppi
come la Nuova Compagnia di Canto Popolare.
Nel 1990 assieme al maestro depositario Amedeo de Rosa dà vita al gruppo
Pierpaolo De Giorgi e i Tamburellisti di Torrepaduli, provocando in pochi anni
una vera e propria rinascita della pizzica. Nel 1991 rivaluta la pizzica come
vero e proprio genere musicale, utilizzando i materiali tradizionali e
scrivendo assieme al cantautore Gino Ingrosso l'album Fantastica pizzica. Studia etnomusicologia della “Grecìa
salentina”, rivalutando i brani in "grico". Nel 1992 riceve la
cittadinanza onoraria di Nemea in Grecia per meriti poetici e musicali. Assieme
ai Tamburellisti di Torrepaduli e come solista tiene concerti in tutto il mondo
e suona in teatri famosissimi come quello di Erode Attico ad Atene presso il
Partenone. Molti dei numerosi artisti e
gruppi che si formano successivamente seguono la strada di De Giorgi. Nel 2000
scrive l'album Pizzica e rinascita, il più venduto dei Tamburellisti, che esce
con “La Gazzetta del Mezzogiorno”. È curatore e traduttore del noto volume La
danza delle spade e la tarantella di M. Schneider. È direttore del Centro Regionale Servizi
Educativi e Culturali LE/38. Collabora con la Cattedra di Estetica di Paolo
Pellegrino dell'Università degli Studi di Lecce. Tiene ovunque conferenze e
lezioni di etnomusicologia e di estetica.
Opere Volumi (poesia) Pierpaolo De GiorgiLuigi Marzo, Le strade che
portano al Subasio passando dal Salento, prefazione di Donato Valli e Ilderosa
Laudisa, Ed. Del Grifo, Lecce 1991. Volumi (ricerca) Pierpaolo De Giorgi,
Tarantismo e rinascita: i riti musicali e coreutici della pizzica-pizzica e
della tarantella, Lecce, Argo, 1999. Marius Schneider, La danza delle spade e
la tarantella: saggio musicologico, etnografico e archeologico sui riti di
medicina, traduzione e cura di Pierpaolo De Giorgi, Argo, Lecce 1999. Pierpaolo
De Giorgi, Pizzica-Pizzica, la musica della rinascita. La tarantella del
tarantismo e la sua resurrezione: struttura musicale, stato dell'arte e
neotarantismo, Lecce, Pensa MultiMedia, 2002. Pierpaolo De Giorgi, L'estetica
della tarantella: pizzica, mito e ritmo, Congedo Editore, Galatina, 2004.
Pierpaolo De Giorgi, Pizzica e tarantismo: la carne del mito dall'etnomusicologia
all'estetica musicale, Galatina, Edit Santoro, 2005. Pierpaolo De Giorgi, Il
tarantismo come mito: dagli errori di De Martino alla rivalutazione del
pensiero mitico, Galatina, Congedo, 2007. Pierpaolo De Giorgi, Il mito del
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I Convegno Nazionale di Studi Demologici Salentini, Copertino 15-16 novembre
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Il tarantismo secondo Schneider: nuove prospettive di ricerca, in ,
Quarant'anni dopo De Martino: il tarantismo, Atti del Convegno, Galatina 24-25
ottobre 1998, I, Nardò 2000. Pierpaolo De
Giorgi, La iatromusica carne del mito: la pizzica pizzica tra etnomusicologia
ed estetica musicale, in , Mito e tarantismoPellegrino, Pensa MultiMedia, Lecce
2001. Pierpaolo De Giorgi, La pizzica pizzica immensa risorsa culturale del
Sud, in , Terra salentina: i Sud e le loro arti, materiali del Convegno di
Arnesano del 6-8 settembre 2001, La Stamperia, Leverano 2001. Pierpaolo De
Giorgi, Il ritorno di Dioniso: a proposito di un libro di P. Pellegrino, in
“Segni e comprensione”, a. XIX, n. 55, maggio-agosto 2005. Pierpaolo De Giorgi,
Fra aborigeni e tarantismo, in , Settimana di promozione culturale pugliese a
Sydney, C. Minichiello, Pensa MultiMedia, Lecce 2002. Pierpaolo De Giorgi, a
cura di, Le tradizioni popolari nei disegni di Nino Severino, greco, Copertino
2004. Interventi poetici Pierpaolo De Giorgi, Diario di bordo, in , La czarda e
il vento: antologia di autori contemporanei ungheresi e salentini, G. Conte,
Congedo 1994. Pierpaolo De Giorgi, Poesia sintetica, in , Il cuore di Amleto:
testi, grafiche e fotografie di autori contemporanei salentini e ungheresi,
nota introduttiva di G. Conte, traduzioni di F. Baranyi e A. Menenti, Veszprém
1996. Pierpaolo De Giorgi, I fogli, numero uno, in “L'Immaginazione”. Pierpaolo
De Giorgi, Chiedendo e schiodando, La vita amico è l'arte dell'incontro e
Maestà delle volte, in Omaggio al Salento, Torgraf, Galatina 1990. Pierpaolo De
Giorgi, In marcia di pace verso Assisi e Trilogia del molto e ben comunicare,
in Omaggio a Maglie cuore del Salento,
Torgraf, Galatina 1991. Pierpaolo De Giorgi, Fantastica pizzica, in ,
Salentopoesia 91, settimo festival nazionale di poesia con musica e danza,
Gallipoli 10-11 agosto 1991, Conte, Lecce 1991. Pierpaolo De Giorgi, Gheriglio
in disegno e preghiera, in , Salentopoesia 92, ottavo festival nazionale di
poesia con musica e danza, Lecce, 5-6 dicembre 1992, Conte, Lecce 1992.
Pierpaolo De Giorgi, Isola nel Trasimeno, in , Salentopoesia 95, nono festival
nazionale di poesia con musica e danza, Monteroni, 28-29 ottobre 1995, Conte, Lecce
1995. Pierpaolo De Giorgi, S'è cambiato il mondo? e Leggeri Cieli da Leggere,
in Luigi Marzo: mostra di pittura, Spello 5-13 febbraio 1994, catalogo, Spello
1994. Pierpaolo De Giorgi, Lascio un cielo di luce cinica, in Sulle ali di
Pegaso senza mai cadere. Marzo: mostra di pittura, Città della Pieve, 18
luglio-9 agosto 1998, Tipografia Pievese, Città della Pieve 1998. Discografia
Album 1991Fantastica Pizzica (MCDiscoexpress) 1995Pizzica e Trance
(MCDiscoexpress) 2000Pizzica e Rinascita (CDSorriso) 2003Il tempo della
taranta: pizzica d'autore (CDDrim) 2005Pizzica grica: to paleo cerò (CDPlanet
Music Studio) 2006Pizzica e RinascitaRistampa (CDC&M) 2009Taranta Taranta
(CDIrma records) Sito ufficiale, su pierpaolodegiorgi.it.
Giorgi: Grice: “I love Giorgi,
for various reasons; unlike Sir Geoffrey Warnock, or me, who base our
Kantian-type morality on trust, Giorgi recognises a very apt distinction
between trust and ‘meta-trust’ – fiduccia nella fiduccia: fiduccia nell’altro!”
Raffaele De Giorgi (Vernole), filosofo. Insegna
a Salento. Consegue la maturità classica
e si laurea in filosofia con lode a Roma, discutendo la tesi Prospettive della
logica giuridica: la logica deontica. Dopo aver condotto studi e ricerche in
molte università europee e aver insegnato presso il Max-Planck-Institut für
europäische Rechtsgeschichte (Società Max Planck), la collaborazione più
fruttuosa la ha con Niklas Luhmann, con il quale fonda nel 1990, il Centro
Studi sul Rischio, presso l'Università degli Studi di Lecce, del quale è
tutt'oggi direttore. Conduce molti studi e seminari in America meridionale,
ottiene una Càtedra de Exelcia presso l'Universidad Nacionàl Autònoma de
México. È stato preside di facoltà fino al , anno in cui è stato nominato
direttore del Dipartimento di Studi giuridici dell'Università del Salento. È uno dei maggiori studiosi italiani della
Teoria dei sistemi sociali. Opere Tra i
suoi lavori: Wahrheit und Legitimation
im Recht, 1981 Materiali per una teoria sociologica del diritto, 1981 Manuale
di diritto del lavoro e legislazione sociale, con Realino Marra, 1983 Azione e
imputazione. Semantica e critica di un principio nel diritto penale, 1984
Teoria della società, con Niklas Luhmann, 1992 Direito, democracia e risco.
Vinculos com o futuro, 1988 Scienza del diritto e legittimazione. Critica
dell'epistemologia giuridica tedesca da Kelsen a Luhmann, 1998 Ridescrivere la
questione meridionale, con Giancarlo Corsi, con un saggio di Niklas Luhmann,
1998 Mondi della società del mondo, con Stefano Magnolo, 2005 Direito, tempo e
memoria, 2006 Temi di filosofia del diritto, 2006 Futuri passati. Il mondo
visto da Campone, Adriana Prizreni,
Note Sito Centro Studi sul rischio
di Lecce Curriculum del prof. Raffaele
De Giorgi Facoltà di Giurisprudenza dell'Università del Salento.
Giovanni: Grice: “I like
Giovanni; only in Italy, you write an essay on Marx on cooperation and on
Kelsen; and then of course an Italian philosopher HAS to philosophise on Vico:
‘divvenire della ragione,’ Giovanni calls what I would call a critique of
conversational reason!” -- Europarlamentare LegislatureIII, IV Gruppo
parlamentareGruppo per la Sinistra Unitaria Europea; Gruppo socialista; Gruppo
del Partito del socialismo europeo Incarichi parlamentari Presidente della
Commissione per gli affari istituzionali Sito istituzionale Dati generali
Partito politicoPartito Comunista Italiano; Partito Democratico della Sinistra;
Democratici di Sinistra UniversitàUniversità degli Studi di Napoli Federico II
Biagio De Giovanni (Napoli), filosofo. Ha aderito successivamente alla Rosa nel
Pugno. Simpatizzò per la monarchia e
l'11 giugno 1946 fu tra coloro che presero parte agli scontri che causarono la
strage di via Medina; in seguito avrebbe spiegato la sua partecipazione con
queste parole: «Già leggevo Hegelero monarchico perché credevo all'unita dello
Stato. (...) Scappai quando la situazione s'incanaglì». Laureatosi in filosofia del diritto, alla
facoltà di giurisprudenza all'Università Federico II di Napoli, con una tesi su
Giambattista Vico, è stato docente nello stesso ateneo e successivamente ha
insegnato presso l'Bari. È stato poi
docente di Dottrine politiche presso l'Università degli Studi di Napoli
"L'Orientale" e titolare della cattedra Jean Monnet di Storia e
politica dell'integrazione europea presso lo stesso ateneo. Dal 1981 al 1986 è
stato il direttore della rivista "il Centauro. Rivista di filosofia e
teoria politica", che annoverava, tra gli altri, collaboratori come Angelo
Bolaffi, Massimo Cacciari, Umberto Curi, Roberto Esposito e Giacomo
Marramao. Dal 1987 al 1989 è stato
rettore dell'Orientale. È stato eletto
deputato europeo alle elezioni del 1989, e riconfermato nel 1994, per le liste
del PCI e del PDS. È stato presidente della Commissione per gli affari istituzionali,
membro della Commissione per la gioventù, la cultura, l'istruzione, i mezzi di
comunicazione e lo sport, della Delegazione per le relazioni con l'Unione delle
Repubbliche Socialiste Sovietiche, della Commissione giuridica e per i diritti
dei cittadini, della Delegazione per le relazioni con la Repubblica popolare
cinese, della Delegazione per le relazioni con i paesi del Mashrek e gli Stati
del Golfo. Attualmente è ancora un
intellettuale attivo e interessato alla politica italiana e campana, relatore
in diversi seminari e incontri, su temi non solo filosofici; tuttora è continua
e proficua la sua produzione pubblicistica.
Opere principali: “L'esperienza come oggettivazione: alle origini del
problema moderno della scienza, La teoria politica delle classi nel Capitale,Hegel
e il tempo storico della società borghese, Marx e la costituzione della praxis,
Marx dopo Marx (cf. Luigi Speranza,
“Grice dopo Grice.” Impilcature: Not Grice! -- con Gianfranco Pasquino, La
nottola di Minerva: PCI e nuovo riformismo, 1989. Dopo il comunismo, 1990.
L'ambigua potenza dell'Europa, 2002. Da un secolo all'altro: politica e
istituzioni a partire dal 1968, con Ciriaco De Mita e Roberto Racinaro, 2004.
La filosofia e l'Europa moderna, 2004. Sul partito democratico. Opinioni a
confronto, con Massimo Cacciari e Giuseppe Galasso, 2007. A destra tutta. Dove
si è persa la sinistra?, 2009. Elogio della sovranità politica, Editoriale
scientifica, . Le Forme e la storia.
Scritti in onore di Biagio De Giovanni, M. Montanari, F. Papa, G. Vacca,
Napoli, Bibliopolis, (in appendice di Biagio de Giovanni, Luca Basile). Antonio
Carioti I dimostranti monarchici abbattuti dalla mitraglia Archiviato il 7
marzo in . Opere di Biagio De Giovanni,
. Biagio De Giovanni, su Goodreads.
Biagio De Giovanni, su europarl.europa.eu, Parlamento europeo. Registrazioni di Biagio De Giovanni, su
RadioRadicale.it, Radio Radicale.
Profilo biografico su Rai Educational Biagio De Giovanni, o la parabola
di un intellettuale nel sito "europeanjournal.it.
Giraldi: Grice: Grice: “One
good thing about Giraldi is that he is from Ventimiglia and moved to Noli – the
most charming corners of Italy!” – Grice: “Giraldi calls his position ‘romatnic
essentialism;’ having born in Ventmiglia he would, wouldn’t he?”“I like
Giraldi; nobody in England would dare write “The son of Peter Pan,” but
Giraldi, otherwise known as the author of ‘Essenzialismo,’ did write ‘Il figlio
di Pinocchio’”! Giovanni Battista Giraldi (Ventimiglia) filosofo. Il padre di Giovanni Giraldi, originario di
Dolceacqua e di estrazione contadina, dopo il servizio militare riuscì la
scalata del successo al Casinò di Monte Carlo, affermandosi anche come uomo di
grande saggezza e religiosità. La madre invece era originaria di Ventimiglia,
dove Giovanni Giraldi stesso nacque e trascorse la sua infanzia, nono di undici
figli. Sebbene la famiglia fosse benestante, egli soffriva per la grande
conflittualità interna, continuamente vessato dalla sorella maggiore che non
esitava ad usare violenza nei suoi confronti, mentre la madre non faceva parola
con il padre di quanto assisteva. Giraldi racconta che in questo periodo
riusciva a trovare pace solo in chiesa.
Con una bugia astuta Giraldi riuscì a scappare di casa, entrando in un
collegio, dunque l'anno successivo si trasferì in un altro collegio di Roma,
ove tuttavia non riuscì a trovare la tranquillità sperata. Nel 1939 si sposò
con Armida Saliola, che gli darà due figli e resterà la compagna della sua vita
sino alla morte sopraggiunta nel 1996. Giraldi riuscì a compiere studi classici
a Roma, iscrivendosi poi all'Università. Egli non frequentava le lezioni delle
materie filosofiche o letterarie curricolari, ma studiava per conto proprio.
Tuttavia seguiva abbastanza regolarmente le lezioni di psicologia del professor
Mario Ponzo, anche se non era materia d'esame.
Conseguì la prima laurea nel 1941 e prestò servizio militare durante la
seconda guerra mondiale. Nel frattempo, dopo aver conseguito la prima laurea in
discipline letterarie, si iscrisse per una seconda, questa in discipline
filosofiche, che ottenne discutendo molto animatamente la tesi con Ugo Spirito,
il quale ironizzò sulle sue pretese di "fare una nuova filosofia".
Gli interessi letterari erano però prevalenti, a partire dalla sua prima opera
creativa, il Bàrel, composto all'età di 24 anni in versi e poi rivisto in
prosa, ma soprattutto ricerche letterarie, anche se le occasioni di
pubblicazione si limitarono a degli studi sul Carrara: una ricerca sul Bucolicm
Carmen uscì su Il giornale storico della letteratura italiana e una delle opere su Rinascimento, e uno studio sul
Rinaldo del Tasso pubblicato su Bergomum e sul Convivium diretto da Carlo
Calcaterra. Più facilmente venivano
pubblicati gli studi filosofici di Giraldi che trovarono spazio su Il
Saggiatore, rivista pedagogica e filosofica diretta da Gallo Galli e da Angiolo
Gambaro, sulla Rivista Internazionale della filosofia del diritto di Giorgio
Del Vecchio e molto sulla rivista Filosofia dell'Unicità di Antonio Consentino,
che aveva conosciuto nell'ambiente della rivista milanese Humana. Nel 1959
conseguì finalmente la Libera Docenza e insegnò per molti anni Storia Generale
della Filosofia presso l'Università Statale di Milano. Giovanni Giraldi ha fondato
e diretto la casa editrice Pergamena, dopo la morte della moglie ceduta al
figlio Giancarlo. Pergamena Editrice ha pubblicato due periodici specialistici,
anch'essi fondati e diretti da Giovanni Giraldi: L'Idea liberale (1959-1992) e
Sistematica (1968-). La sua attività
culturale, estesa a tutto lo scibile umano, è racchiusa in centinaia di opere e
in numerosissimi articoli. Si segnalano tra questi le sue collaborazioni anche
per Il Giornale d'Italia. Oltre a libri di filosofia, teologia, filologia e pedagogiaquelli
che hanno goduto di maggiore notorietà sono il monumentale Dizionario di
Estetica e Linguistica generale e la Storia della pedagogia, testi utilizzati
prevalentemente in ambito universitarioGiovanni Giraldi ha scritto anche
poesie, racconti e novelle confluite in alcune raccolte. È stato inoltre
ripetutamente acquisito come consulente dall'Accademia Svedese per
l'attribuzione del Premio Nobel per la letteratura; ha trascorso gli ultimi
anni della sua vita a Noli, ove era cittadino onorario. È morto nel suo centesimo anno di vita il 23
settembre a Milano. Pensiero Partendo dalla teoria gentiliana,
che vede in tutto una "mediazione", e da quella di Antonio
Consentino, che sostiene al contrario la totale "immediatezza",
Giovanni Giraldi afferma che anche l'atto puro di Gentile, in quanto nuovo e
spontaneo, non può che nascere senza alcuna mediazione, quindi è l'equivalente
dell'immediatezza consentiniana, o del sentire puro. Egli pertanto prova a
risolvere le contraddizioni di entrambe le posizioni in una sintesi hegeliana
che possa superare sia il divenirismo gentiliano, sia il coscienzialismo
antidivenirista di Consentino. La soluzione di Giraldi è che l'immediatezza
sarebbe "sostanziata di mediazione, e viceversa". L'immediatezza è
così colma di mediazione, perché senza di essa sarebbe cieca e una mediazione
senza una immediatezza sarebbe nulla. Inoltre, per avere una identità
distinguibile, si dovrebbe avere già dentro di sé quanto necessario per
identificarsi e per distinguersi. In
Etica del sentimento (1955), ancorando il principio morale proprio alla sfera
sentimentale, Giraldi si focalizza sul sentimento di libertà e propone nuove
argomentazioni alla tesi di derivazione stoica del sentirsi responsabili, pur
entro un tutto già dato. In Gnoseologia del Sentimento (1957) egli parte
proprio dalla posizione del Consentino per ripercorrere gli itinerari di una
filosofia dell'essere indiveniente e per affrontare gli aspetti dinamici e
volontaristici dell'Io, cui Consentino, dall'alto della sua posizione
teoretica, non sembrava interessato. In
Filosofia giuridica (1961) espone la concezione di diritto naturale quale
sentimento fondamentale giuridico, condizione trascendentale di ogni diritto
positivo, una posizione abbozzata in un intervento durante il III Congresso di
Filosofia del Diritto a Catania. Pertanto il diritto naturale non sarebbe un
codice sovrapponibile ad altri codici, ma la precondizione che permette alle
leggi positive di essere leggi e non atti religiosi, estetici, scientifici o di
altro tipo. Nella rivista L'Idea Liberale e in alcuni volumi, tra cui Storia
del Liberalismo nel sec. XX (1990), si è occupato anche della riflessione su
temi politici. Notevoli inoltre i saggi di pedagogia, cui ha dedicato anche una
Storia della pedagogia che dagli anni sessanta è tra le più adottate in sede
universitaria. L'opera Storiografia come
rettorica, del 1980, tende ad inquadrare l'unitarietà artistica e scientifica
della ricostruzione storica, coerentemente con la tesi ciceroniana della
historia opus oratorum maxime e con quella aristotelica dell'entimema, in altre
parole quel sillogismo retorico che si differenzia da quello della necessità.
In Epistemologia (1965) invoca una "demitizzazione" anche delle
teorie cosmologiche e scientifiche più accreditate (l'evoluzionismo, la teoria
del Big Bang, la meccanica quantistica), poiché a suo dire tenderebbero pure
esse a cadere in paralogismi e contraddizioni logiche, nonostante gli
apprezzabili sforzi a riferirsi a filosofie anche orientali da parte di alcuni
notevoli scienziati (Albert Einstein, Werner Karl Heisenberg, Erwin
Schrödinger, Paul Dirac). Ad esempio
nota che anche i migliori epistemologi che irridono il concetto di sostanza, di
fatto, riferiscono i dati sperimentali ad una sottintesa sostanza soggiacente.
In numerose opere dedicate alla religione, analizzata nelle molteplici forme di
spiritualità, avanza la tesi che il proprium della religione sia la
soteriologia, quindi non tanto il contenuto di una dottrina, ma la speranza di
salvazione dal negativo della vita e della morte. Il principio cardine diventa
dunque la speranza, e non più la fede, che viene ricondotta ad un ruolo
funzionale alla realizzazione della salvezza.
L'analisi giraldiana della religiosità tenta perciò di emanciparsi dagli
usuali preconcetti teologici o filosofici: se alla religione è stato assegnato
per oggetto l'uomo immediatamente e Dio mediatamente, alla teologia Dio si dà
immediatamente e l'uomo mediatamente. Altresì in Immortalità dell'anima (1992)
mostra come sia improponibile lo sforzo di svincolare l'unità del Pensiero con
la determinazione individualizzata della persona. Il Dizionario di Estetica e
Linguistica generale (1975), con alcune integrazioni filologiche presenti in
alcune successive pubblicazioni, alcune in Sistematica, si distingue anche per
l'attenzione dedicata all'estetica orientale e sulle concezioni dei primitivi
"di ieri e di oggi". Per una
filosofia della scelta e della decisione
Giovanni Giraldi nel La proposta
avanzata da Giovanni Giraldi per una filosofia della scelta e decisione si apre
con una riflessione sul dogmatismo e l'agnosticismo, dalle quali l'autore vuole
prendere le distanza. Non si considera dogmatico, perché gnoseologicamente il
suo metodo gli consente di aderire ad un'idea solamente dopo la caduta di ogni
riserva, ma ciò non lo porta neppure ad approdare ad una concezione scettica né
agnostica, in quanto la non possibilità di dimostrare (ad esempio
l'immortalità, la vita ultraterrena o l'esistenza di Dio) non equivale ad affermare
la loro non esistenza. Tra le numerose
acquisizioni che lo difenderebbero dalle accuse incrociate di scetticismo e
agnosticismo enumera la consapevolezza di un patrimonio di verità circa le
possibilità di pensiero; la ricchezza dell'atto di conoscenza anche nelle forme
meno esplicate; l'emancipazione dalla divisione del conoscere in intuizioni e
concetto, sensazione e concetto; la pretestuosità di coloro che esigono una
purezza del conoscere senza inquinamenti sentimentali; le aporie di una scienza
oggettivante e insieme soggettivante al massimo e dell'arte che, mentre il
mondo odierno nega il reale, si riferisce continuamente ad essa,
particolarmente nella negazione. Non
potendosi dare una irruzione nel trascendente, è tuttavia possibile affermare
la vasta pregnanza del trascendentale, in altre parole di un terreno comune per
l'esperienza e il pensiero. Giraldi si considera pertanto idealista, nel senso
che non esiste pensiero senza pensiero, spirito senza spirito, ideato senza
ideante. Tuttavia, differentemente dalle posizioni gentiliane, non crede che
affatto il pensiero sia liquido, tutt'altro; proprio perché l'idea diventa
comune, e in essa il Pensiero trova la sua pace, occorre una verità
fondamentalmente ferma, non mobilizzabile. Da questi presupposti sorge così una
debita attenzione per la scelta e la decisione.
Distinguendo le scelte apparenti, che sono totalmente arbitrarie, da
quelle reali, quando al termine dell'analisi si opera con un atto di buona volontà,
una decisione autentica ci si trova di fronte ad un bivio metafisico:
impossibilità di afferrare la realtà dei tre nominati reali (Dio, Anima e
Mondo) e impossibilità di negarli. Sorge appunto la decisione autentica, cui si
arriva solamente secondo una corretta formulazione di intenti e seguendo una
fine immanente ad ogni forma di scelta. Aristotelicamentee anche
kantianamentela causa finale riveste una primaria importanza. Se ogni uomo
sceglie per sé, nessuna scelta avrebbe una portata teoretica di cogenza, ma
aprirebbe le vie della libertà vera, dalla quale ne derivano conseguenze
radicali e speculazioni abissali a partire da una decisione, che può essere
quella dell'anima unica immortale, o quella del pensiero che viene ad essere
dopo la materia, o la non esistenza di Dio. Ciò permetterebbe anche di evitare
il depauperamento culturale, con una rivitalizzazione delle esperienze
antiche. La decisione personale di
Giraldi propende per una concezione dell'anima unitaria, di stampo
aristotelico-averroistico; se l'immortalità naturale di tomistica memoria è da
lui considerata "la più materialistica, e più grezza", egli
preferisce pensare ad una immortalità conseguita, oppure chiesta a Chi può
donarla e concessa a chi la chiede. Sul mondo reale fisico resta una
indecisione, ma propende verso un residuo di natura mentale, una sorta di
noumeno mentalesulla scia di Immanuel Kant e Pasquale Galluppioltre il grande
telone dei fenomeni. In questo caso però occorrerebbe rapportarlo ad una mente
divina, perché parlare di mondo senza Dio non avrebbe connotazioni filosofiche.
Infine, riguardo l'esistenza di Dio, punto in cui la scelta diviene decisione
pura, egli tende a negare la validità delle dimostrazioni, pur scorgendo in
esse una bella prova della potenza della mente umana. La conclusione non è però
la non esistenza di Dio, ma la non dimostrazione della sua esistenza. Chi ammette l'esistenza di Dio, tuttavia,
deve assumere la radicalità di tale affermazione "guardando il mondo dagli
occhi di Dio" e non facendo etsi deus non daretur. Chi prendesse la scelta
teistica dovrebbe tacersi per sempre e rinunciare ad intenderlo. Giraldi mette
in risalto anche la Volontà, definendola potenza fattiva dell'Idea, e
constatandone il carattere generativo-spermatico, per collocare in una
prospettiva differente il vitalismo dell'élan vital bergsoniano e della Wille
di Schopenhauer. Questo permette di pensare l'Idea non solo quale conoscenza
filosofica, ma anche negli aspetti attivi, vitali e di sentimento. Ad essere
eroicamente divini non sono pertanto solo i pochi giunti al massime vette di
autocoscienza teoretica, ma anche gli umili che vivono inconsapevoli della
propria dignità divina, folgoranti però di una autocoscienza morale. Bàrel Dal punto di vista poetico, l'opera
principale di Giovanni Giraldi è il Bàrel, iniziato negli anni trenta e sorto
dall'ispirazione di un progetto di Papini esposto nell'autobiografia Un uomo
finito per un poema apocalittico, mai scritto. Altri spunti furono la lettura
di Lord of the World di Robert Hugh Benson e dell'Apocalisse. Il primo dei tre volumi di cui si compone il
Bàrel, terminato in versi nel 1937, fu presentato a Eugenio Giovannetti de Il
Giornale d'Italia, che propose come titolo Il Dio Eroico. Gli anni seguenti,
segnati dalla Seconda Guerra Mondiale, furono l'occasione per trasporlo in
prosa, operazione terminata nel 1944.Questa versione, appena terminata la
guerra, fu proposta a vari editori ma che per una serie di sfortunate
coincidenzeMondadori non disponeva della carta, e dopo alcuni anni, quando la
carta è disponibile, cambia idea sulla pubblicazione; la casa editrice Api di
Mazzucchelli nel frattempo fallìl'idea di pubblicazione venne temporaneamente
accantonata. Nel frattempo alcuni versi furono pubblicati frammentariamente. Il
1964 fu l'anno del riordino delle due versioni in un unico libro che contenesse
sia versi, sia prosa, in uno spiccato pluristilismo sperimentale. La
pubblicazione avverrà, in tre libri, tra gli anni sessanta e gli anni settanta
sotto lo pseudonimo I. Tanarda e poi in raccolte unitarie successive. Il tema è insolito e il contenuto, con
riferimenti religiosi e culturali di ogni tipo, non è di semplice
accessibilità. Se il primo libro può essere collocato in un momento simbolico
dell'arte, il secondo è classico e il terzo romantico, nei canoni dell'estetica
hegeliana. Nel primo, Apocalisse grande, il protagonista Bàrel sovrappone le
passioni alle idee; nel secondo, La cerca di Barel, ritorna in proporzioni
umane e nel terzo, La morte degli dèi, scende negli abissi vertiginosi del
Pensiero, che la poesia tenta di inseguire. È stato tradotto anche in lingua
francese dalla poetessa e latinista Geneviève Immè dell'Pau. Opere Organon Philosophicum Ironia, morale,
educazione, Editrice Gheroni, Torino 1954. Etica del sentimento, Edizioni di
"Filosofia dell'Unicità", 1955. Gnoseologia del sentimento, Pergamena
Editrice, 1957. La filosofia giuridica, Edizioni di "Filosofia
dell'Unicità", Milano 1961. Filosofia della religione. Lezioni
accademiche, Edizioni di "Filosofia dell'Unicità", 1962.
Epistemologia. Una nostra riforma della Logica Hegeliana, Pergamena Editrice,
1965. La Metafisica. Quattro discorsi, Pergamena Editrice, 1971. Iesous
Eléutheros. La liberazione di Gesù: lettera sistematica ai miei figli,
Pergamena Editrice, 1973. Dizionario di Estetica e di Linguistica generale,
Pergamena Editrice, 1975. Studi successivi al 1975 nel periodico Sistematica.
Res Publica. I. Educazione civica, Pergamena Editrice, 1977. Res Publica. II.
Teoria dell'Ineguaglianza, Pergamena Editrice, 1978. Nel Pleròma. Da Dio alla Materia,
Pergamena Editrice, 1979. Storiografia come rettorica. Autobiografia come
filosofia, Pergamena Editrice, 1980. Memoriale Ambrosiano e Memoriale Italico,
Pergamena Editrice, Dio, Pergamena Editrice, 1982. Estetica della Musica,
Pergamena Editrice, 1984; seconda edizione 1997 con Colloquia Edizioni.
Meditazioni Hegeliane, Pergamena Editrice, 1988. Meditazioni Platoniche,
Pergamena Editrice, 1990. Capitoli sulla Scienza Moderna, Pergamena Editrice,
1991. L'immortalità dell'anima, Pergamena Editrice, Ricerche filosofiche La
filosofia del sentimento di A. Consentino, in Quaderni del 2000, Milano 1952.
Rabelais e l'educazione del principe, Edizioni Viola, Milano 1953; ora in
Paideia grande. Un mistico bergamasco: Sisto Cucchi, Secomandi, 1953. Amiel
Morale, pubblicato sulla rivista pedagogica e filosofica Il Saggiatore, Torino
1956. L'educazione dei ciechi, Armando Editore, Roma 1962. Società e Stato da
Spedalieri a Marx, Pergamena Editrice, 1963. L'estetica italiana nella prima
metà del secolo XX : figure e problemi., Nistri-Lischi, Pisa 1963. Storia della
pedagogia, Armando Editore, Roma (I ediz. 1964, X ediz. 1984; "le edizioni
successive alla X sono state scempiate da interventi dell'Editoreriporta
Giraldi in Sistematica). Il pensiero politico tra Ottocento e Novecento,
Pergamena Editrice, Adolfo Ferrière. Psicologia, attivismo, religione, Armando
Editore, Roma 1964. Giuseppe Lomabardo Radice tra poesia e pedagogia, Armando
Editore, Roma 1965 Giovanni Gentile. Filosofo dell'educazionePensatore
politicoRiformatore della Scuola, Armando Editore, Roma 1968. Raffaello
Lambruschini. Un uomo, una pedagogia, Armando Editore, Roma 1969. Silvio Tissi
filosofo dell'ironia, Pergamena Editrice, 1972. Moralistica francese, Pergamena
Editrice, 1972Saggi su Francesco di Sales, il Quietismo, La Rochefoucault,
Prevost. Filosofi teoretici e Morali, Pergamena Editrice, 1975saggi su
Condillac, Senancour, Rensi, Hume, Camus, Barié, Galli, Lazzarini, Castelli,
Capitini. Gramsci e altri miti, Pergamena Editrice, 1979. Storia della
filosofia, Trevisini Editore, Milano 1983. L'Italia nella dittatura e nella non
democrazia, Pergamena Editrice, Paideia Grande, Pergamena Editrice,
1983Rabelais, Rosmini, Boncompagni, Gentile. Storia del Liberalismo nel sec.
XX, Pergamena Editrice, 1990. Riviste Moltissimi saggi e studi di politica,
religione, filosofia, filologia e critica sono stati pubblicati nelle seguenti
riviste fondate da Giraldi stesso:
L'Idea Liberale, attiva dal 1959 al 1992. Sistematica, dal 1968, attiva
sino al . Filologia Giovanni Michele Alberto Carrara, De fato et fortuna.
IntroduzioneTestoNote Giovanni Giraldi, Tipografia A. Ronda, Milano 1954. Studi
sul Rinascimento, Pergamena Editrice, Saggi su: Seneca e la filologia; Petrarca
viaggiatore; Leonardo scrittore; Le fonti del Pontano lirico; Gli errori di
Dante in un poema umanistico inedito; Il Rinaldo di T. Tasso; Il T. Tasso
corregge il Floridante; Rime inedite di Cecco d'Ascoli. G. M. A. Carrara, I, Opere Scelte, Giovanni Giraldi, Pergamena
Editrice,G. M. A. Carrara, II,
Armiranda. Inedito umanistico, Giovanni Giraldi, Pergamena Editrice, 1976.
Commedia inedita, testo latino e traduzione G. M. A. Carrara, III, De choreis Musarum, Giovanni Giraldi,
Pergamena Editrice, 1984. Testo sistematico latino. Segue un Saggio monografico
sull'umanista. G. M. A. Carrara, IV,
Sermones objurgatorii, Giovanni Giraldi, Pergamena Editrice, 1984. Sui tragici
greci. Da mio diario filologico, Pergamena Editrice, 1973. Filologia. Teoria e
saggi, Pergamena Editrice. Su Dante con verità, Pergamena Editrice, 2003. Il
Manzoni, in Sistematica, Pergamena Editrice, 2009. Gesù, Pergamena Editrice, .
Poesia e prosa d'arte Collana dei "Tredici". La Scala, novelle e
poesie; Casa Editrice Mutarsio, Torino 1938 Bàrel. I. Apocalisse grande (1965);
II. La cerca di Bàrel (1971); III. La morte degli dèi (1977); in volume unico, Pergamena Editrice. Hendecasyllabi aliaque
scripta, Pergamena Editrice, 1964. L'aragosta. Romanzo Ligure, Pergamena
Editrice, 1968. Il figlio di Pinocchio, Pergamena Editrice, 1976; Fratelli
Frilli 2001 (recensioni). Il dono delle Muse. Cento novelle, Pergamena
Editrice, 1981. Quadri Intemelii, Pergamena Editrice, 1988. Miniature. Codex
aureus, Codex recens. Codex quadraticus, Pergamena Editrice, 1992. Cento
tavole, alcune con testi latini parzialmente editi in Hendecasyllabi. Il Codex
recens presenta soggetti del Bàrel; il Codex aureus è a soggetto libero e
vario; il Codex quadraticus comprende le figure degli scacchi. Con rubriche
annesse che spiegano tempi, temi, tecniche. Pergamene eseguite dal 1972 al
1977. Musa latina, Pergamena Editrice, 1990. Il ramo d'oro, Pergamena Editrice,
1992. Scritti in Italiano, Latino, Francese, Romanesco, Biblico. Profili di
gente nel mio tempo, Pergamena Editrice, 1993. Splendido novellare, Pergamena
Editrice, Cento racconti e novelle. Musis amicus, Pergamena Editrice, Versi e
prose in Latino. Mimì o E tutto è amore, Pergamena Editrice, Sorridono i gigli.
Liriche e restauro filologico di Saffo, Pergamena Editrice, 2002. Tevere amico,
Pergamena Editrice, 2006. Pedagogia e Filosofia esposte nel dialetto Romanesco
da un popolano di Trastevere. Paradiso, Pergamena Editrice, 2006. Faust
mediterraneo, Pergamena Editrice, 2007. Atlantidos persis, Pergamena Editrice,
2008. François Villon, Il Testamento, traduzione e saggio critico Giovanni Giraldi,
Pergamena Editrice, Amitiés françaises, Pergamena Editrice, 2008. Nel Sublime,
Pergamena Editrice, 2009. Il mio Ponente, Pergamena Editrice, . Letture belle,
Pergamena Editrice, . Note Piero
Pastorino, Pinocchio, un figlio nato da una bugia, in La Repubblica, 4 dicembre
20018 sez. Genova. 3 gennaio . «Giraldi, nato a Ventimiglia, docente
universitario a Milano di Storia generale della filosofia, è stato
ripetutamente consulente all'Accademia di Svezia per il conferimento dei Nobel
per la letteratura. Ha al suo attivo un dizionario di estetica e linguistica,
una storia della pedagogia e ha scritto novelle raccolte in due volumi. Vive a
Noli, di cui è cittadino onorario.».
Piotr Zygulski, È morto Giovanni Giraldi, filosofo liberale, in
Termometro Politico, 23 settembre . 23 settembre . Giraldi37.
Giraldi43. Pierre-Philippe Druet,
Giovanni Giraldi, Silvio Tissi, filosofo dell'ironia, Revue Philosophique de
Louvain, John Dudley, Giovanni Giraldi,
Sui tragici greci. Dal mio diario filologico, Revue Philosophique de Louvain,
1976, 74, nº 23439. Giraldi, Giovanni,
Da "Autobiografia come filosofia" (Milano, 1980) e pagine integrative
(1981 e ss.), in Sistematica, nnº 130-131, Milano, Pergamena, Angelo Grimaldi,
Illuministi inglesi e francesi, in Disegno storico del costituzionalismo
moderno, Roma, Armando, Giancarlo Ottaviani, La scuola del Risorgimento.
Cinquant'anni della scuola italiana 1860-1910, Roma, Armando, 2009. Giovanni
Semerano, La favola dell'indoeuropeo, Milano, Paravia Bruno Mondadori.
Girardi: Giulio Girardi (Il
Cairo), filosofo. Dopo la nascita, vive con la famiglia a Parigi fino al 1931;
si trasferisce in seguito con i genitori a Beirut (Libano), dove riceve la sua
prima istruzione presso la scuola italiana retta dai domenicani. Nel
1937, dopo la separazione dei genitori, con la madre e la sorella si
trasferisce ad Alessandria d'Egitto; qui frequenta la scuola media italiana
presso i salesiani. Nel 1939, maturata la sua scelta vocazionale, viene inviato
in Italia, dove inizia gli studi superiori, poi quelli filosofici e teologici,
per la formazione al sacerdozio nella Società salesiana di San Giovanni
Bosco. Completa gli studi filosofici nel 1950, con il dottorato in
filosofia, discutendo la tesi sulla metafisica di san Tommaso d'Aquino. Compie
inoltre gli studi di teologia presso l'Università Gregoriana di Roma dal 1951
al 1953 e presso la sede di Torino dell'Università Salesiana dal 1953 al 1955.
Sempre a Torino, viene ordinato presbitero il 1º gennaio del 1955.
Docente universitario Già dal 1948 è docente di storia della filosofia e di
metafisica presso la Facoltà salesiana di Torino; dal 1960 tiene gli stessi
corsi anche all'Università Salesiana di Roma. Nonostante l'impegno accademico e
la partecipazione ai lavori del Concilio Vaticano II in qualità di perito, la
sua scelta di impegno con i movimenti di base e la presa di posizione per il
marxismo fanno sì che nel 1969 venga espulso dall'ateneo salesiano per
"divergenze ideologiche"; si trasferisce allora a Parigi, dove è
docente di antropologia presso la facoltà di filosofia dell'Università
Cattolica e di introduzione al marxismo presso l'Istituto di Scienze e Teologia
delle religioni. Negli stessi anni, insegna antropologia, introduzione al
marxismo e teologia della liberazione presso l'Istituto Superiore di Pastorale
Lumen Vitae di Bruxelles. In quegli anni aderisce e promuove, in America Latina
e in Europa, il movimento dei Cristiani per il Socialismo; il suo impegno
esplicito, a livello ideologico e politico, a favore dei movimenti
rivoluzionari e di liberazione, portano alla sua definitiva espulsione
dall'Università Cattolica di Parigi nel 1973 e, l'anno successivo,
dall'Istituto Lumen Vitae di Bruxelles. Si dimettono da quest'ultimo, per
solidarietà, i suoi colleghi di docenza François Houtart, Gustavo Gutiérrez,
Paulo Freire. Prosegue tuttavia la docenza universitaria presso l'Lecce,
insegnando filosofia della storia nell'anno 1977-'78, poi presso l'Sassari, ove
insegna filosofia politica dal 1978 al 1996, quando si congeda
dall'insegnamento. Il Concilio e il suo impegno politico Nel 1962,
Girardi viene invitato come esperto al Concilio Vaticano II, in qualità di
profondo conoscitore del marxismo e delle problematiche dell'ateismo
contemporaneo. Al Concilio, collabora alla progettazione e alla stesura dello
Schema XIII, che darà vita alla Costituzione pastorale Gaudium et Spes.
Nel 1965, inizia la sua partecipazione al dialogo tra cristiani e marxisti,
nelle varie sessioni a livello nazionale e internazionale. Alla sua ricerca
filosofica, affianca un impegno sempre crescente con le realtà di base, in
Italia e nel mondo, che iniziano a coniugare l'aggiornamento conciliare con
l'impegno politico. La sua conoscenza dell'America Latina lo porta sempre più frequentemente
in giro per il mondo; è tra i protagonisti della nascente teologia della
liberazione, di cui è uno dei divulgatori in Europa. Nel 1972, partecipa
al primo incontro continentale dei Cristiani per il Socialismo, a Santiago del
Cile; in seguito, dopo aver conosciuto dal vivo i più diversi paesi
latinoamericani (Cile, Perù, Colombia, Messico, Cuba), trasporta in Europa il
suo impegno nel movimento dei Cristiani per il Socialismo Nel 1974 diventa
membro del Tribunale Russel II sull'America Latina; dal 1976 al , è membro del
Tribunale Permanente dei Popoli. Nel 1977, dopo essere stato espulso da
tutte le università cattoliche in cui era docente, viene anche dimesso dalla
congregazione salesiana e, successivamente, sospeso a divinis. Girardi continua
il suo impegno di solidarietà con i popoli latinoamericani e la sua opera di
animatore e formatore nelle comunità di base, così come negli organismi di
riflessione e di dialogo tra cattolici e comunisti. Nel 1980 compie la
sua prima visita in Nicaragua, ove solidarizza con la rivoluzione sandinista e
esprime la sua collaborazione con i vari movimenti ecumenici, indigeni e
popolari di quella nazione. Il Fronte Sandinista gli assegnerà l'ordine Carlos
Fonseca per il suo lavoro a fianco della popolazione nicaraguense. Dal
1986 si reca anche a Cuba, ogni anno, collaborando con diverse istituzioni
culturali ed ecumeniche; dal 1988 è impegnato nella solidarietà con il
movimento indigeno, specialmente in Messico, Ecuador e Bolivia. Nel 1989
è candidato come capolista alle elezioni per il rinnovo del consiglio comunale
di Roma con Democrazia Proletaria. Dal 1992 è impegnato con il movimento
macroecumenico dell'Assemblea del popolo di Dio, in cui alle tradizionali
tematiche della liberazione, si unisce la riscoperta delle origine etniche e
indigene dei popoli sudamericani. Fino ai primi anni del nuovo secolo, continua
ad occuparsi anche delle tematiche riguardanti l'educazione popolare e il
nascente movimento per la pace. Nel corso degli anni, non ha trascurato
anche l'impegno in Italia, soprattutto nel campo della ricerca partecipativa
sulle condizioni del mondo del lavoro e sulle trasformazioni della coscienza
cristiana di fronte alle mutazioni del contesto sociale. Nel 2005, con il
suo ingresso nel movimento Noi Siamo Chiesa, propone in esso l'aggiornamento
delle tematiche di impegno politico ed ecclesiale da lui coltivate in tanti
anni di studio e di dialogo. Assieme a un gruppo internazionale di
teologi (unico italiano, assieme a Giovanni Franzoni e al giornalista Filippo
Gentiloni), è stato promotore anche di un Appello alla chiarezza, un
"manifesto" contro la beatificazione di Karol Wojtyła, uno dei pochi
segnali critici rivolti al grande pubblico sulla figura di Giovanni Paolo
II. È stato anche cofondatore dell'Associazione Nazionale di Amicizia
Italia-Cuba e della Fondazione Italiana Ernesto Che Guevara. È scomparso
nel all'età di 86 anni, dopo una grave
malattia durata sei anni. Opere Metafisica della causa esemplare in San
Tommaso d'Aquino, Torino, Società Editrice Internazionale, 1954. Ontologia,
Torino, Società Editrice Internazionale, 1962. Theologia naturalis, Torino,
Società Editrice Internazionale, 1962. Marxismo e cristianesimo, Assisi,
Cittadella, 1966; 1969. Cristiani e marxisti a confronto sulla pace. Implicanze
dottrinali, Assisi, Cittadella, 1967. Credenti e non credenti per un mondo
nuovo, Firenze, Vallecchi, 1969. Cristianesimo e lotta di classe, Pistoia,
Centro di documentazione, 1969. Speranza cristiana e speranza marxista, con
Lucio Lombardo Radice, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1970.
Cristianesimo, liberazione umana, lotta di classe, Assisi, Cittadella, La lotta
di classe e gli esclusi, con Nicola Badaloni, Firenze, Libreria Editrice
Fiorentina, 1972. Cristiani per il socialismo, perché? Questione cattolica e
questione socialista, Assisi, Cittadella, 1975. Educare: per quale società?,
Assisi, Cittadella, 1975. Fede cristiana e materialismo storico, Roma, Edizioni
Borla, 1977. Coscienza operaia oggi. I nuovi comportamenti operai in una
ricerca gestita dai lavoratori, a cura di, Bari, De Donato, 1980. Sulla crisi
del marxismo. Relazione del seminario di studi tenuto a Bergamo (12-13 aprile
1980) presso il Centro La Porta, Bergamo, La Porta, Centro studi e
documentazione, 1980. Intervento in Teologia della liberazione, Roma, Sapere
2000, 1985. La tunica lacerata. L'identità cristiana oggi fra liberazione e
restaurazione, Roma, Borla, 1986.
88-263-0614-1. Sandinismo, marxismo, cristianesimo. La confluenza, Roma,
Borla, 1986. 88-263-0640-0. Le rose non
sono borghesi. Popolo e cultura del nuovo Nicaragua, a cura di, Roma, Borla, Rivoluzione
popolare e occupazione del tempio. Il popolo cristiano del Nicaragua sulle
barricate, Roma, Edizioni associate, 1989. Il popolo prende la Parola. Il
Nicaragua per la teologia della liberazione, con José Maria Vigil, Roma, Borla,
Dalla dipendenza alla pratica della libertà. Una comunità d'accoglienza
s'interroga e interroga, ricerca partecipativa coordinata da, Roma, Borla, La conquista dell'America. Dalla parte dei
vinti, Roma, Borla, 1992. 88-263-0925-6.
Il tempio condanna il Vangelo. Il conflitto sulla teologia della Liberazione
fra il Vaticano e la CLAR, San Domenico, Fiesole, Cultura della pace, Gli esclusi costruiranno la nuova storia? Il movimento
indigeno, negro e popolare, Roma, Borla, 1994.
88-263-1076-9. Cuba dopo il crollo del comunismo, Roma, Borla, Samuel
Ruiz. Sui sentieri indigeni della chiesa in Chiapas, con Alberto Grossi e
Aluisi Tosolini, Parma, AlfaZeta, 1996. Cuba dopo la visita del papa. Marxismi,
cristianesimi, religioni afroamericane alle soglie del terzo millennio, Roma,
Borla, 1999. 88-263-1281-8. Riscoprire
Gandhi. La violenza è l'ultima parola della storia?, Roma, Anterem, 1999; Roma,
Icone, Seminando amore come il mais. L'insorgere dei popoli indigeni e il sogno
di Leonidas Proano, Roma, Icone, 2001.
88-87494-19-3. Resistenza e alternativa al liberalismo e ai terrorismi,
Milano, Punto Rosso, Che Guevara visto da un cristiano, Milano, Sperling &
Kupfer, Legalità informazione: girardi
appoggia lo sciopero della fame di pannella e negri. | RadioRadicale.it, su
radioradicale.it. 13 aprile 4 marzo
). L'appello coi firmatari Archiviato,
Il nostro fratello Giulio Girardi ci ha lasciato Noisiamochiesa.org Comunità cristiana di base Cristiani per il
Socialismo Teologia della liberazione Sandinismo Socialismo cristiano Forum
Sociale Mondiale Gli ottant'anni di
Giulio Girardi di Valerio Gigante, 2006, sito Adista, Fatti, notizie, avvenimenti
su mondo cattolico e realtà religiose. Sito Web dedicato a Giulio Girardi
contiene una biografia e altro materiale.
girgenti: Agrigento: Grice: Ritter thinks
Girgenti is related to the Velia – and Pareto to the Crotone – so it’s amazing
that Bruto never liked those three Greeks of the Athenian embassy seeing that
most pre-Platonic philosophy came from Magna Grecia, that is, Italy! Some must
have remained in the genes!” -- Grice: “I like Girgenti; obviously Mussolini
didn’t!” Grice: “I love Girgenti – he philosophised in verse, not prosa – rhyme
being unexistant, it was all about the metre – he talks of ‘amicizia,’ which is
none other than Love that unites all things! And then he fell in the Etna!”
“Mussolini thought it was rude of the Girgentians to call their land
‘Girgenti,’ so he formulated a self-referential ‘decretto’: “From now on,
Girgentians shall be called Agrigentians.’” Peano objected: “Your decree is
self-contradictory or invokes a vicious regressus ad infiniutum!” -- filosofo
italiano. Empedocle (in greco antico: Ἐμπεδοκλῆς, Empedoklês;
... – ...) è stato un filosofo e politico siceliota, vissuto nel V secolo a.C.
ad Akragas (oggi Agrigento)[1]. Empedocle in un'incisione di Thomas
Stanley, in The History of Philosophy (1655) Empedocle (in greco antico: Ἐμπεδοκλῆς,
Empedoklês; ... – ...) è stato un filosofo e politico siceliota, vissuto nel V
secolo a.C. ad Akragas (oggi Agrigento)[1]. Indice 1Biografia
1.1L'anno della nascita 1.2 Vita politica e appartenenza filosofica 1.3Aneddoti
e leggende 2Pensiero e opere 2.1Sulla natura 2.2Le Purificazioni
3Riconoscimenti 4Note 5Bibliografia 5.1Edizioni e traduzioni 5.2Studi 6Voci
correlate 7Altri progetti 8Collegamenti esterni Biografia L'anno della nascita
Stabilire con sufficiente precisione il periodo in cui è vissuto Empedocle è di
importanza fondamentale per cogliere l'originalità di questo filosofo rispetto
ai suoi predecessori, Parmenide e Anassagora[2]. Empedocle
raffigurato nelle medievali Cronache di Norimberga. Secondo Platone[3] Socrate
da giovane incontrò Parmenide che aveva circa sessantacinque anni. Poiché
Socrate morì all'età di settanta o più anni nel 399 a.C., l'incontro tra
Socrate e Parmenide dovrebbe aver avuto luogo prima del 450 a.C., e, siccome
secondo il testo di Platone «Socrate era molto giovane»[4], Denis O'Brien
ritiene che questi non poteva aver superato i vent'anni: quindi Parmenide
dovrebbe essere nato intorno al 515 a.C.. Trasillo, l'astrologo vicino
all'imperatore Tiberio, nonché editore degli scritti di Democrito, indica la
nascita di quest'ultimo filosofo cinquant'anni dopo quella di Parmenide, quindi
nel 470/469 a.C.; Diogene Laerzio sostiene che Democrito fosse «giovane ai
tempi in cui Anassagora era vecchio»: se la differenza di età era intorno ai
trent'anni si può verosimilmente ritenere che Anassagora nacque ai primi del
secolo così come testimoniato dall'erudito Apollodoro di Atene (II secolo a.C.)
mentre Simplicio / Teofrasto sostiene che Empedocle fosse nato «qualche tempo»
dopo Anassagora. Aristotele sostiene che Anassagora fosse hýsteros (ὕστερος)
rispetto a Empedocle, ma tale termine può significare sia
"successivo" che "inferiore" quindi molti esegeti hanno
letto come se Anassagora fosse "successivo" a Empedocle; tuttavia lo
Stagirita attribuendo ad ambedue i filosofi la nozione di "forza motrice"
sostiene che fu scoperta per primo da Anassagora. O'Brien conclude quindi che ὕστερος
vada letto come "inferiore" e non come "posteriore",
ovvero: Anassagora più vecchio di Empedocle, secondo Aristotele, gli fu
"inferiore". «Approdiamo così a una cronologia i cui tratti
essenziali sono ben attestati dai documenti antichi. Parmenide è di una
quindicina di anni più anziano di Anassagora, nato tra il VI e il V secolo.
Empedocle, di qualche anno soltanto più giovane di Anassagora, è dunque più
vecchio di Democrito, nato una trentina di anni dopo Anassagora nel
470/469.» (Denis O'Brien, Empedocle in Il sapere greco. Dizionario
critico, vol. 2 (a cura di Jacques Brunschwig e E.R. Lloyd). Torino, Einaudi,
2007, pp. 81-82) Si sarebbero quindi succeduti per la nascita: Parmenide,
Anassagora, Empedocle e Democrito. Vita politica e appartenenza
filosofica Secondo il racconto di Diogene Laerzio, Empedocle nacque da una
famiglia antica, nobile e ricca di Agrigento[5]. Come suo padre Metone, che
ebbe un ruolo importante nell'allontanamento del tiranno Trasideo da Agrigento
nel 470, egli partecipò alla vita politica della città negli anni fra il 446 e
il 444 a.C., schierandosi dalla parte dei democratici e contribuendo al
rovesciamento dell'oligarchia formatasi all'indomani della fine della
tirannide, un governo chiamato dei "Mille". La tradizione gli
attribuisce uno spirito caritativo nei confronti dei poveri[6] e severo verso
gli aristocratici[7]. Si dice anche che abbia rifiutato il governo della città
che gli era stato offerto[8]. Il tempio di Hera ad Agrigento,
costruito quando Empedocle era vivente. Dai suoi nemici fu poi esiliato nel
Peloponneso, dove forse conobbe Protagora e Erodoto. Tra i suoi discepoli vi fu
anche Gorgia. «Successivamente Empedocle abolì anche l'assemblea dei
Mille, costituita per la durata di tre anni, sì che non solo appartenne ai
ricchi, ma anche a quelli che avevano sentimenti democratici. Anche Timeo
nell'undicesimo e nel dodicesimo libro - spesso infatti fa menzione di lui -
dice che Empedocle sembra aver avuto pensieri contrari al suo atteggiamento
politico. E cita quel luogo dove appare vanitoso ed egoista. Dice infatti:
'Salve: io tra di voi dio immortale, non più mortale mi aggiro'. Etc. Nel tempo
in cui dimorava in Olimpia, era ritenuto degno di maggiore attenzione, sì che
di nessun altro nelle conversazioni si faceva una menzione pari a quella di
Empedocle. In un tempo posteriore, quando Agrigento era in balìa delle contese
civili, si opposero al suo ritorno i discendenti dei suoi nemici; onde si
rifugiò nel Peloponneso ed ivi morì[9].» Secondo il racconto di Diogene
Laerzio, si iscrisse alla Scuola pitagorica divenendo allievo di Telauge, il
figlio di Pitagora. Seguì la dieta pitagorica e rifiutò i sacrifici cruenti:
secondo la leggenda, dopo una vittoria olimpica alla corsa dei carri, per
attenersi all'usanza secondo cui il vincitore doveva sacrificare un bue, ne
fece fabbricare uno di mirra, incenso ed aromi, e lo distribuì secondo la
tradizione[10]. Secondo altri seguì gli insegnamenti di Brontino e di
Epicarpo. Aneddoti e leggende La sua oratoria brillante[11], la sua
conoscenza approfondita della natura, e la reputazione dei suoi poteri
meravigliosi, tra cui la guarigione delle malattie, e il poter scongiurare le
epidemie, hanno prodotto molti miti e storie che circondano il suo nome:
«Scoppiata una pestilenza fra gli abitanti di Selinunte per il fetore derivante
dal vicino fiume, sì che essi stessi perivano e le donne soffrivano nel
partorire, Empedocle pensò allora di portare in quel luogo a proprie spese (le
acque di) altri due fiumi di quelli vicini: con questa mistione le acque
divennero dolci. Così cessò la pestilenza e mentre i Selinuntini banchettavano
presso il fiume, apparve Empedocle; essi balzarono, gli si prostrarono e lo
pregarono come un dio. Volle poi confermare quest'opinione di sé e si lanciò
nel fuoco[12][13].» Il vulcano Etna, dove Empedocle si sarebbe
ucciso.[14] Si diceva che fosse un mago e capace di controllare le tempeste, e
lui stesso, nella sua famosa poesia Le purificazioni sembra avesse affermato di
avere miracolosi poteri, compresa la distruzione del male, la guarigione della
vecchiaia, e il controllo di vento e pioggia. I sicelioti lo veneravano
come profeta e gli attribuivano numerosi miracoli. Le numerose
testimonianze che riguardano la sua biografia sono alquanto discordanti e non
consentono di attribuire un'identità precisa alla sua figura. A conferma di ciò
sono le numerose leggende sul suo conto. I suoi amici e discepoli raccontano ad
esempio che alla morte, essendo amato dagli dèi, fu assunto in cielo; mentre
Eraclide Pontico, Luciano di Samosata e Diogene Laerzio sostengono che si
suicidò gettandosi nel cratere dell'Etna.[15] Il vulcano avrebbe eruttato, dopo
qualche istante, uno dei suoi famosi sandali di bronzo.[16][17] In realtà non
sappiamo neanche se sia morto in patria o forse nel Peloponneso[18]. Secondo
Aristotele Empedocle morì all'età di 60 anni (ca. 430 a.C.), mentre altri
autori affermano che visse fino all'età di 109[19]. Una biografia di
Empedocle scritta da Xanto di Lidia, suo contemporaneo, è andata
perduta[20]. Pensiero e opere A Empedocle la tradizione attribuisce
numerose opere, fra cui anche alcuni trattati – sulla medicina, sulla politica
e sulle guerre persiane – e tragedie. A noi sono giunti però solo frammenti dei
due poemi: Sulle Origini o Sulla natura (Περὶ Φύσεως, Perì phýseōs, titolo per
altro comune a molte opere filosofiche antiche)[21] e Purificazioni (Καθαρμοί,
Katharmoí). Della prima, di carattere cosmologico e naturalistico, sono rimasti
circa 400 frammenti di diseguale ampiezza sugli originali 2000 versi, mentre
della seconda, di carattere teologico e mistico, abbiamo poco meno di un
centinaio rispetto agli originali 3000. La lingua da lui usata è il dialetto
ionico. È stata anche sollevata l'ipotesi,[22] priva di sufficiente fondamento,
che questi due titoli si riferiscano a una singola opera.[23] Sulla
natura Il timore religioso[24] del filosofo di Agrigento appare fin dalle prime
righe del Περί Φύσεως: «o dèi, stornate dalla mia lingua follia di
argomenti, e da sante labbra fate sgorgare una limpida sorgente. E a te, musa
agognata, o vergine dalle candide braccia, io mi rivolgo: ciò che spetta agli
effimeri ascoltare, tu porta, guidando avanti il carro ben governato dell'amore
devoto. Ma non ti turbi il cogliere fiori di nobile gloria fra i mortali con un
discorso, ricolmo di santità, che sia ardimentoso; e allora tu giunga leggera
alla vetta della saggezza» (Empedocle Poema fisico (Περί Φύσεως) Libro I
Proemio (D-K 31 B 3), traduzione di Carlo Gallavotti. Milano,
Mondadori/Fondazione Lorenzo Valla, 2013, p.9) I quattro elementi. La
filosofia di Empedocle si presenta come un tentativo di combinazione sintetica
delle precedenti dottrine ioniche, pitagoriche, eraclitee e parmenidee. Da
quest'ultime accoglie la tesi dell'immutabilità e dell'eternità
dell'Essere,[25] ovvero che nulla nasce e nulla muore. Dalle altre accetta
l'idea del divenire, del continuo e incessante mutamento delle cose. Empedocle
– e come lui anche gli altri fisici pluralisti – cerca di risolvere questa
contraddizione distinguendo la realtà che ci circonda, mutevole, dagli elementi
primi, immutabili, che la compongono.[26]. Empedocle chiama tali elementi
"radici" (ριζώματα, rizòmata), non nate (ἀγένητα)[27] ed eternamente
uguali (ἠνεκὲς αἰὲν ὁμοῖα)[28], e afferma che sono in tutto quattro, associando
ognuno di essi a un particolare dio della mitologia greca, sulla base di
concezioni orfiche e misteriche proprie dei riti iniziatici allora in uso
presso la Sicilia orientale.[29] I quattro elementi (e i rispettivi dèi
associati)[30][31] dunque sono: fuoco (πῦρ, Zeus), aria (αἰθήρ, Era),
terra (γαῖα, Edoneo),[32] acqua (ὕδωρ, Nesti).[33]. L'unione di tali radici
determina la nascita delle cose e la loro separazione, la morte. Si tratta
perciò di apparenti nascite e apparenti morti, dal momento che l'Essere (le
radici) non si crea e non si distrugge, ma è soltanto in continua
trasformazione. (GRC) «ἄλλο δέ τοι ἐρέω˙ φύσις οὐδενὸς ἔστιν ἁπάντων θνητῶν,
οὐδέ τις οὐλομένου θανάτοιο τελευτή, ἀλλὰ μόνον μίξις τε διάλλαξίς τε μιγέντων ἔστι,
φύσις δ' ἐπὶ τοῖς ὀνομάζεται ἀνθρώποισιν.» (IT) «Ma un'altra cosa ti
dirò: non vi è nascita di nessuna delle cose mortali, né fine alcuna di morte
funesta, ma solo c'è mescolanza e separazione di cose mescolate, ma il nome di
nascita, per queste cose, è usato dagli uomini.» (Empedocle, D-K 31 B 8,
traduzione di Gabriele Giannantoni in Presocratici vol.I, Milano, Laterza,
2009) In questo modo «I primi principi si empiono così dell'essenza e del
soffio vitale di poteri divini.»[34]. Particolare dell'anfora del IV
secolo a.C. (opera del cosiddetto "Pittore di Afrodite") conservata
al Museo archeologico nazionale di Paestum. Afrodite, anfora del Pittore di
Afrodite (Museo archeologico di Paestum).jpgLa figura rappresentata è Afrodite,
dea della fertilità, e richiama il suo arrivo sull'isola di Cipro: al suo
passaggio la vegetazione esplode rigogliosa. La dea è circondata da due eroti
con ali di colomba. In Empedocle, Amore (Φιλότης) è indicato anche con il nome
di Afrodite (Ἀφροδίτη)[35], o con il suo appellativo di Kýpris (Κύπρις)[36],
indicando qui la «natura divina che tutto unisce e genera la vita»[37]. Tale
accostamento tra Amore e Afrodite ispirò al poeta romano Lucrezio l'inno a
Venere, collocato nel proemio del De rerum natura. In questa opera Venere non è
la dea dell'amplesso, quanto piuttosto «l'onnipotente forza creatrice che
pervade la natura e vi anima tutto l'essere», venendo poi, come nel caso di
Empedocle, opposta a Marte, dio del conflitto[38]. «Empedocle occupa un posto a
parte nella storia della filosofia presocratica. Se si prescinde da quella
figura poco conosciuta e per qualche verso mitica che è Pitagora, egli appare
in effetti il primo autore dell'Antichità a voler riunire contemporaneamente in
un solo e medesimo sistema concezioni filosofiche e credenze religiose. [....]
nessun pensatore prima di lui aveva inserito all'interno di un quadro
filosofico questa corrente di idee mistiche delle quali si troverà più tardi
l'eco nelle iscrizioni funerarie dell'Italia meridionale e nei dialoghi di
Platone: per Empedocle, infatti, come per gli anonimi autori delle iscrizioni
funerarie, l'uomo, essendo di origine divina, non raggiungerà la vera felicità
che dopo la morte, quando si riunirà alla compagnia degli dèi.» (Denis O'
Brien, Empedocle in Il sapere greco. Dizionario critico, vol. 2. Torino,
Einaudi, 2007, p. 80) Accanto alle quattro "radici", e motore del
loro divenire nei molteplici oggetti della realtà, si pongono due ulteriori
principi: Φιλότης (Amore) e Νεῖκος (Odio, anche Discordia o Contesa); avente il
primo la caratteristica di "legare", "congiungere",
"avvincere" (σχεδύνην δὲ Φιλότητα «Amore che avvince» [39]), mentre
il secondo possiede la qualità di "separare", "dividere"
mediante la "contesa". Così Amore nel suo stato di completezza
è lo Sfero (Σφαῖρος), immobile (μονίη) uguale a se stesso e infinito (ἀλλ' ὅ γε
πάντοθεν ἶσος〈ἑοῖ〉καὶ
πάμπαν ἀπείρων [40]). Egli è Dio e le quattro "radici" le sue
"membra", e quando Odio distrugge lo Sfero: (GRC) «πάντα γὰρ ἑξείης
πελεμίζετο γυῖα θεοῖο.» (IT) «Tutte, l'una dopo l'altra, fremevano le
membra del dio» (Empedocle, D-K 31 B 31) Infatti sotto l'azione dell'Odio
(Νεῖκος), presente alla periferia dello Sfero, le quattro "radici" si
separano dallo Sfero perfetto e beante, dando origine al cosmo e alle sue
creature viventi: prima bisessuate e poi sotto l'azione determinante di Odio,
si differenziano ulteriormente in maschi e femmine, e ancora in esseri mostruosi
e infine in membra isolate; alla fine di questo ciclo, Amore (Φιλότης) riprende
l'iniziativa e dalle membra isolate, nascono esseri mostruosi e a loro volta
maschi e femmine, poi esseri bisessuati che finiscono per riunirsi, con le
quattro "radici" che li compongono, nello Sfero[41].[42] Le
Purificazioni Nel secondo scritto a noi pervenuto, le Purificazioni (Καθαρμοι),
Empedocle riprende la teoria orfica e pitagorica della metempsicosi, affermando
l'esistenza di una legge di natura che fa scontare agli uomini le proprie colpe
attraverso una serie continua di nascite e di morti, tramite cui l'anima, di
origine divina, trasmigra da un essere vivente all'altro (animale o vegetale)
per millenni. In questo poema gli esseri viventi, parti costitutive dello Sfero
di Amore divengono dèmoni (δαίμων) errando nel cosmo. (GRC) «ἔστιν Ἀνάγκης
χρῆμα, θεῶν ψήφισμα παλαιόν, ἀίδιον, πλατέεσσι κατεσφρηγισμένον ὅρκοις˙ εὖτέ
τις ἀμπλακίηισι φόνωι φίλα γυῖα μιήνηι, 〈νείκεΐ θ'〉 ὅς κ(ε)ἐπίορκον ἁμαρτήσας ἐπομόσσηι, δαίμονες οἵτε μακραίωνος
λελάχασι βίοιο, τρίς μιν μυρίας ὧρας ἀπὸ μακάρων ἀλάλησθαι, φυομένους παντοῖα
διὰ χρόνου εἴδεα θνητῶν ἀργαλέας βιότοιο μεταλλάσσοντα κελεύθους. αἰθέριον μὲν
γάρ σφε μένος πόντονδε διώκει, πόντος δ' ἐς χθονὸς οὖδας ἀπέπτυσε, γαῖα δ' ἐς αὐγὰς
ἠελίου φαέθοντος, ὁ δ' αἰθέρος ἔμβαλε δίναις˙ ἄλλος δ' ἐξ ἄλλου δέχεται,
στυγέουσι δὲ πάντες. τῶν καὶ ἐγὼ νῦν εἰμι, φυγὰς θεόθεν καὶ ἀλήτης, νείκεϊ
μαινομένωι πίσυνος.» (IT) «È vaticinio della Necessità, antico decreto
degli dèi ed eterno, suggellato da vasti giuramenti: se qualcuno criminosamente
contamina le sue mani con un delitto o se qualcuno 〈per la
Contesa〉 abbia
peccato giurando un falso giuramento, i demoni che hanno avuto in sorte una
vita longeva, tre volte diecimila stagioni lontano dai beati vadano errando
nascendo sotto ogni forma di creatura mortale nel corso del tempo mutando i
penosi sentieri della vita. L'impeto dell'etere invero li spinge nel mare, il
mare li rigetta sul suolo terrestre, la terra nei raggi del sole splendente,
che a sua volta li getta nei vortici dell'etere: ogni elemento li accoglie da
un altro, ma tutti li odiano. Anch'io sono uno di questi, esule dal dio e
vagante per aver dato fiducia alla furente Contesa.» (Empedocle, D-K 31 B
115, traduzione di Gabriele Giannantoni in Presocratici vol.1, Milano,
Mondadori, 2009, pp.410-411) «L'Amore non interviene nella storia delle
peregrinazioni del "demone" decaduto? Con ogni probabilità, è l'Amore
stesso che ci parla in questo frammento. L'"io" dei due ultimi versi
è l'autore del poema. Ma è anche, se andiamo più a fondo, l'Amore. I
"demoni" esiliati "lontano dagli dèi" saranno allora dei
frammenti espulsi dalla massa centrale dell'Amore e condannati a errare tra i
corpi cosmici sotto l'influenza separatrice del suo nemico, la
Discordia.» (Denis O' Brien, Empedocle in La sapienza greca ... p. 90)
«Quando le parti dell'Amore che sono i "demoni" si riuniscono
nell'unità immobile della sfera, il mondo stesso diviene un essere vivente.
Sotto l'influenza di Amore il mondo stesso si trasforma in dio» (Denis O'
Brien, Empedocle in La sapienza greca ... p. 90) Questa concezione conduce al
rifiuto assoluto dei sacrifici, poiché in ogni essere vivente vi è un'anima
umana, che sta compiendo il suo ciclo di reincarnazione. Se nel corso di questo
ciclo l'anima si è comportata secondo giustizia, al termine potrà tornare nella
sua condizione divina. Dal che, come Pitagora, anche a Empedocle ripugnano i
sacrifici animali e l'alimentazione carnea: (GRC) «διόπερ καὶ κτείνοντες
αὐτὰ καὶ ταῖς σαρξὶν αὐτῶν τρεφόμενοι ἀδικήσομέν τε καὶ ἀσεβήσομεν ὡς συγγενεῖς
ἀναιροῦντες. ἔνθεν καὶ παρήινουν οὗτοι οἱ φιλόσοφοι ἀπέχεσθαι τῶν ἐμψύχων καὶ ἀσεβεῖν
ἔφασκον τοὺς ἀνθρώπους 'βωμὸν ἐρεύθοντας μακάρων θερμοῖσι φόνοισιν', καὶ Ἐ. πού
φησιν 'οὐ ... νόοιο'. οὐ παύσεσθε φόνοιο δυσηχέος; οὐκ ἐσορᾶτε ἀλλήλους
δάπτοντες ἀκηδείηισι νόοιο» (IT) «Onde, uccidendoli e nutrendoci delle
loro carni, commetteremo ingiustizia ed empietà, come se uccidessimo dei
consanguinei; di qui la loro esortazione ad astenersi dagli esseri animali e la
loro affermazione che commettono ingiustizia quegli uomini «che arrossano
l'altare con il caldo sangue dei beati», ed Empedocle dice in qualche luogo:
Non cesserete dall'uccisione che ha un'eco funesta? Non vedete che vi divorate
reciprocamente per la cecità della mente?» (D-K 31 B 136, traduzione di
Gabriele Giannantoni in Presocratici vol.1, Milano, Mondadori, 2009) (GRC)
«μορφὴν δ' ἀλλάξαντα πατὴρ φίλον υἱὸν ἀείρας σφάζει ἐπευχόμενος μέγα νήπιος˙ οἱ
δ' ἀπορεῦνται λισσόμενον θύοντες˙ ὁ δ' αὖ νήκουστος ὁμοκλέων σφάξας ἐν
μεγάροισι κακὴν ἀλεγύνατο δαῖτα. ὡς δ' αὔτως πατέρ' υἱὸς ἑλὼν καὶ μητέρα παῖδες
θυμὸν ἀπορραίσαντε φίλας κατὰ σάρκας ἔδουσιν.» (IT) «Il padre sollevato
l'amato figlio, che ha mutato aspetto, lo immola pregando, grande stolto! e
sono in imbarazzo coloro che sacrificano l'implorante; ma quello sordo ai
clamori dopo averlo immolato prepara l'infausto banchetto nella casa. E allo
stesso modo il figlio prendendo il padre e i fanciulli la madre dopo averne
strappata la vita mangiano le loro carni.» (Empedocle D-K 31 B 137,
traduzione di Gabriele Giannantoni in Presocratici vol.1, Milano, Mondadori,
2009) Rispetto alla sua precedente opera vi sono delle contraddizioni che è
stato difficile per i suoi esegeti conciliare. Ad esempio, ad una visione
naturalistica del poema Sulla natura si contrappone la teoria della
reincarnazione delle Purificazioni: nel primo scritto l'anima è anche detta
mortale, mentre è definita immortale nel secondo. C'è chi ha spiegato tali
incongruenze con la versatilità di Empedocle, scienziato e profeta al tempo
stesso, medico e taumaturgo. C'è invece chi ha ipotizzato una paternità diversa
delle due opere.[43] Uno dei busti ritrovati nella Villa dei Papiri
a Ercolano, identificato dapprima come Eraclito, solo più recentemente con
Empedocle.[44] Riconoscimenti Lo stile di Empedocle viene lodato dagli
antichi: (LA) «Dicantur ei quos physikoús Graeci nominant eidem poetae,
quoniam Empedocles physicus egregium poema fecerit» (IT) «Siano pure
detti poeti anche coloro che i greci chiamano fisici, dal momento che il fisico
Empedocle scrisse un poema egregio» (Cicerone, De Oratore 1, 217) «padre
della retorica» (Aristotele fr. 1, 9, 65) Lucrezio (De rerum natura 727
ss.) lo prende addirittura come modello. Ernest Renan lo definisce «uomo
di multiforme ingegno, mezzo Newton e mezzo Cagliostro»[45]. Nel 1861 gli
viene intitolato il Regio Liceo Classico di Agrigento, dove studiarono, fra gli
altri, Luigi Pirandello e Andrea Camilleri. Note ^ Secondo le discordanti
fonti sulla vita di Empedocle «... la cronologia di Empedocle andrebbe fissata
tra il 484-1 e il 424-1» (Cfr. Gabriele Giannantoni, I presocratici.
Testimonianze e frammenti, Roma-Bari 1986. Vol. I, pp.323-4). Secondo E.
Bignone (in Empedocle: studio critico, traduzione e commentario delle
testimonianze e dei frammenti, Torino 1916) Empedocle sarebbe vissuto tra il
492 a.C. e il 432 a.C. Anche L. Robin ritiene che «La sua vita...sembra sia
scorsa tra il primo decennio del secolo V e il 430 circa» (in Storia del
pensiero greco, Torino 1978, p.131). In uno studio recente M. J. Schiefsky
ritiene che Empedocle sia nato nel 490 a.C. e morto nel 430 a.C. (in
Hippocrates, On ancient Medicine, Leiden-Boston 2005 p.63) ^ Denis O'Brien,
Empedocle in Il sapere greco. Dizionario critico, vol. 2 (a cura di Jacques
Brunschwig e E.R. Lloyd. Torino, Einaudi, 2007, p. 82. ^ Platone, Parmenide,
127 B ^ Platone, Parmenide, 127 C. ^ Diogene Laerzio, VIII. 51 ^ Diogene
Laerzio, VIII. 73. ^ Timeo, ap. Diogene Laerzio, VIII. 64, comp. 65, 66. ^
Aristotele ap. Diogene Laerzio, VIII. 63; cfr. Timeo, ap. Diogene Laerzio, 66,
76. ^ Diogene Laerzio, VIII, 66, 67. ^ Erica Joy Mannucci, La cena di Pitagora,
Carocci editore, 2008, p. 19. ^ Satiro, ap. Diogene Laerzio, VIII. 78; Timeo,
ap. Diogene Laerzio, 67. ^ Diogene Laerzio, VIII. 60, 70, 69. ^ Plutarco, de
Curios. Princ., Adv. Colote, Plinio, HN XXXVI. 27, e altri. ^ Così nella
letteratura antica, come riferisce Bertrand Russel nella sua Storia della
filosofia occidentale, citando un poeta anonimo: «Grande Empedocle che, l'anima
ardente, saltò in Etna, ed è stato arrostito intero». ^ Diogene Laerzio, VIII.
67, 69, 70, 71; Orazio, ad Pison. 464, ecc. ^ «Ippoboto riferisce che egli,
levatosi, si diresse all'Etna e, giunto ai crateri di fuoco, vi si lanciò e
scomparve, volendo confermare la fama che correva intorno a lui, che era
diventato dio. Successivamente fu riconosciuta la verità, poiché uno dei suoi
calzari fu rilanciato in alto; infatti, egli era solito usare calzari di
bronzo.» (Diogene Laerzio, Vite dei Filosofi, 8.68-69). Cfr. anche
Eraclide Pontico, fr. 83 Wehrli, citato in Luciano De Crescenzo, Storia della
filosofia greca. I Presocratici, Mondadori. ^ «E questo tutto
abbrustolito chi è? - Empedocle. - Si può sapere perché ti gettasti nel cratere
dell'Etna? - Per un eccesso di malinconia. - No: per orgoglio, per sparire dal
mondo e farti credere un dio. Ma il fuoco rigettò una scarpa e il trucco fu
scoperto» (Luciano di Samosata, I dialoghi; BUR, Rizzoli, 1990) ^ «Timeo ci
attesta esser lui finito di morte naturale nel Peloponneso. Dicono alcuni che
trovandosi egli in Messina a cagion di una festa sia ivi caduto da un carro, e
rottasi la coscia, sia morto. Credono altri che in mare naufragasse: altri che
si fosse strangolato da sé.» (In Domenico Scinà, Memorie sulla vita e filosofia
d'Empedocle gergentino, ed. Lo Bianco, Palermo 1859, p. 55. ^ Apollonio, ap.
Diogene Laerzio, VIII. 52, comp. 74, 73. ^ Wolfgang Haase, 2, Principat ; 36,
Philosophie, Wissenschaften, Technik 6, Philosophie (Doxographica [Forts.]),
Volume 36, ed. Walter de Gruyter, 1992 p. 4207 nota 111. ^ Franco Volpi,
Dizionario delle opere filosofiche, Bruno Mondadori 2000, p.327) ^ A proporre
tale ipotesi fu Catherine Osborne in Empedocles Recycled, The Classical Quarterly
37 (01):24-50 (1987) ^ Alberto Jori, Empedocle in Dizionario delle opere
filosofiche, Milano, Bruno Mondadori, 2000, p. 327. ^ Avverte infatti il
Jaeger: «Dobbiamo guardarci dal prendere per pura metafora poetica
l'espressione della religiosità che lo trattiene dal seguire sino in fondo i
predecessori troppo sicuri di sé.» (Werner Jaeger, La teologia ... p. 211). ^
Aldo Cardin, Empedocle, in Enciclopedia filosofica, vol.4, Milano, Bompiani,
p.3338. ^ Giovanni Reale, Storia della filosofia greca e romana, vol.1 p.213 ^
D-K 31 B 7. ^ D-K 31 B 17 ^ Peter Kingsley, Misteri e magia nella filosofia
antica. Empedocle e la tradizione pitagorica, Il Saggiatore, 2007, ISBN
978-88-428-1033-9. ^ In corrispondenza con le quattro primarie antitesi del
caldo, del freddo, dell'asciutto e dell'umido (cfr. Werner Jaeger, La teologia
... p. 214) ^ Le quattro "radici" di Empedocle risultano essere poi i
quattro "elementi" di Aristotele e Tolomeo. ^ Edoneo o Aidoneo (Ἀϊδωνεύς)
è un appellativo proprio del dio degli inferi Ade, cfr. in tal senso Esiodo
Teogonia, 913; o anche inno omerico A Demetra. ^ Forse si riferisce a
Persefone; per una dotta riflessione su questo nome, certamente un teonimo poco
conosciuto, si rimanda alla nota 55, p. 173 di Carlo Gallavotti in Empedocle,
Poema fisico e lustrale, Milano, Mondadori/Lorenzo Valla, 2013. ^ Werner
Jaeger, La teologia ... p. 214. ^ D-K 31 B 17, B 22, B 66, B 71 ^ D-K 31 B73, B
75, B 95, B 98. ^ Werner Jaeger, La teologia... p. 215. ^ Werner Jaeger, La
teologia... p. 236. ^ D-K 31 B 19 ^ D-K 31 B 28 ^ Denis O'Brien, Empedocle pp.
85-86. ^ Secondo Empedocle (B 62; 63) i sessi furono determinati dalla
separazione di creature "di natura integra", che si erano a loro
volta evolute da forma di vita più primitive. Secondo la Brhadāraṇyaka
Upanishad (1, 4, 1-3), l'universo iniziò come Io in forma umana. Questo Io era
solo e annoiato:"Ora egli aveva la grandezza di un uomo e di una donna
abbracciati strettamente. Egli divise questo Io in due parti, e da questo
sorsero marito e moglie". (Martin Litchfield West, La filosofia greca
arcaica e l'Oriente, pag. 307, Il Mulino, Bologna, 1993). ^ Un papiro di
recente ritrovamento, contenente nuovi scritti di Empedocle, ha consentito
tuttavia di integrare le due versioni, portando a ritenerle complementari. Le
due opere, quindi, farebbero forse parte di uno stesso trattato, cfr. Empedocle
di Agrigento, su intermed.it. URL consultato il 18 febbraio 2013 (archiviato
dall'url originale il 5 agosto 2010). ^ «In tempi più recenti, è stata avanzata
l'ipotesi che si tratti di Empedocle di Agrigento (492-432 a.C.). Tale proposta
trova conforto sia nella notizia di Diogene Laerzio in merito alla folta chioma
del personaggio sia alla specifica collocazione del bronzo all'interno della
villa dove faceva pendant con il bronzo raffigurante Pitagora (inv. 5607), che
fu suo maestro» (Museo archeologico Nazionale di Napoli Archiviato il 6 agosto
2016 in Internet Archive.). ^ Ernest Renan, Vingt jours en Sicilie. Mélanges
d'histoire et de voyages, p. 103, citato in Luciano De Crescenzo, op. cit.
Bibliografia Frammento del I secolo d.C., del poema Περί Φύσεως (Sulla natura o
Sulle origini) Empedokles fragment Physika I 262–300.jpgL'edizione,
fondamentale dell'opera di Empedocle la si deve al filologo francese Jean Bollack
che nel 1969 tradusse correttamente il titolo come Les Origines. Dei circa
duemila versi che componevano l'opera ne conservavamo, fino a qualche decennio
fa, solo trecentocinquanta. Nel 1990 il filologo belga Alain Martin avviò lo
studio di un papiro conservato presso la Biblioteca Nazionale e Universitaria
di Strasburgo proveniente dall'antica città egiziana di Panopoli (oggi Achmim)
databile intorno al I secolo d.C.. Il papiro era stato acquistato nel 1905
insieme ad altri 52 pezzi di varie dimensioni[1], il cui numero coincide
esattamente con quello dei frammenti in cui il rotolo si frantumò prima di
finire a Berlino ed essere assegnato alla Biblioteca di Strasburgo a seguito di
un tiro a sorte.[2] Nel 1994, lo stesso Martin ne attribuì l'appartenenza ai
primi due libri della Physika .[3][4] La traduzione di questo papiro, che
conteneva per l'appunto l'opera di Empedocle, realizzata dallo stesso Martin
insieme al filologo tedesco Oliver Primavesi, ci ha consegnato complessivi
settantaquattro esametri dei quali venticinque coincidono con quelli già
posseduti. (GRC) «ἀλλ' ὅ γε πάντοθεν ἶσος 〈ἑοῖ〉 καὶ
πάμπαν ἀπείρων Σφαῖρος κυκλοτερὴς μονίηι περιηγέι γαίων.» (IT) «Ma da
ogni parte è uguale a se stesso, e ovunque senza confini, lo sfero rotondo che
gioisce di avvolgente solitudine.» (Empedocle, D-K 31 B 28, traduzione di
Ilaria Ramelli e Angelo Tonelli, in I Presocratici a cura di Giovanni Reale,
Bompiani, Milano 2006-2012, pp. 670-671) Edizioni e traduzioni Carlo
Gallavotti, Empedocle. Poema fisico e Lustrale, Milano, Mondadori, 1975.
L'Empédocle de Strasbourg (P. Strasb. Gr. Inv. 1665-1666), Introduzione,
edizione del testo e commento a cura di Alain Martin e Olivier Primavesi,
Berlino: Walter de Gruyter, 1999. Angelo Tonelli (a cura di), Empedocle di Agrigento.
Frammenti e testimonianze. Origini, Purificazioni, con i frammenti del papiro
di Strasburgo, traduzione delle testimonianze di Angelo Tonelli e Ilaria
Ramelli, Milano: Bompiani, 2002. I presocratici. Prima traduzione integrale con
testi originali a fronte delle testimonianze e dei frammenti di Hermann Diels e
Walther Kranz, a cura di Giovanni Reale, Milano: Bompiani, 2006. Studi Ettore
Bignone, Empedocle. Studio critico, traduzione e commento delle Testimonianze e
dei Frammenti, ristampa, Roma, L'Erma di Bretschneider, 1963 [Torino: Bocca,
1916]. Giorgio Colli, Empedocle, Pisa, La Goliardica, 1949, ISBN non esistente.
Antonio Traglia, Studi sulla lingua di Empedocle, Bari, Adriatica, 1952, ISBN
non esistente. Emilio Bodrero, Il principio fondamentale del sistema di
Empedocle. Studio preceduto da un saggio bibliografico e dalla traduzione dei
frammenti empedoclei, Roma, G. Bretschneider, 1975, ISBN non esistente. Livio
Rossetti e Carlo Santaniello, Studi sul pensiero e sulla lingua di Empedocle,
Bari, Levante, 2004, ISBN 88-7949-355-8. Jacquemard Simonne, Tre mistici greci.
Orfeo, Pitagora, Empedocle, traduzione di M. Marino, Isola del Liri (FR),
Pisani editore, 2004, ISBN 88-87122-42-3. Peter Kingsley, Misteri e magia nella
filosofia antica. Empedocle e la tradizione pitagorica, Milano, Il Saggiatore,
2007, ISBN 978-88-428-1033-9. Federica Montevecchi, Empedocle d'Agrigento,
Napoli, Liguori, 2010 (il volume è corredato da una nuova traduzione con testo
greco a fronte di tutti i frammenti compresi quelli del papiro di Strasburgo),
ISBN 978-88-207-5043-5. Federica Montevecchi, Sull'Empedocle di Giorgio Colli,
Luca Sossella Editore, Milano, 2018 (ISBN 978-88-97356-69-1) Fernanda Decleva
Caizzi, Reviewed Work: L'Empédocle de Strasbourg (P. Strasb. gr. Inv. 1665-1666)
by Alain Martin, Olivier Primavesi, in Rivista di Storia della Filosofia
(1984-), Vol. 55, No. 4 (2000), pp. 691-694, JSTOR 44024580, OCLC 7788166308.
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(EN) K. Scarlett Kingsley, Richard Parry, Empedocles, in Edward N. Zalta (a
cura di), Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of Language
and Information (CSLI), Università di Stanford. (EN) Gordon Campbell,
Empedocles (c. 492—432 B.C.E.), su Internet Encyclopedia of Philosophy. (FR)
Jean-Claude Picot, Empedocles, su sites.google.com. (con ampia bibliografia) V
· D · M Presocratici Controllo di autorità VIAF
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lccn-n79134944 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Magna
Grecia Portale Magna Grecia ^ Fernanda Decleva Caizzi, Review: [Untitled]
Reviewed Work: L'Empédocle de Strasbourg (P. Strasb. gr. Inv. 1665-1666) by
Alain Martin, Olivier Primavesi, in Rivista di Storia della Filosofia (1984-),
vol. 55, n. 4, 2000, pp. 691-694, ISSN 0393-2516 (WC · ACNP), JSTOR 44024580,
OCLC 7788166308. ^ Franco Volpi, Empedocle: i suoi misteri rivelati in una
biblioteca, 13 novembre 1996. ^ Empedocle di Agrigento (PDF), su Università di
Milano, p. 1. ^ Filosofi: Empedocle, scoperto papiro a Strasburgo. Per gli
studiosi è l'unica testimonianza diretta, Strasburgo, Adnkronos, 28 gennaio
1999. URL consultato il 30 novembre 2020. Categorie: Filosofi siceliotiPolitici
siceliotiPersonaggi citati nella Divina Commedia
(Inferno)PitagoriciPresocraticiMagna GreciaMorti per incendioMorti in
SiciliaSostenitori del vegetarianismoAkragasUomini universali[altre] Grice: “If people
call William of Ockham, Surrey, Occam, I shall call Empedocles of Agrigentum
Agrigentum, or Agrigento simpliciter in the vulgar.” Agrigento -- empedocle: one of the most important Italian
philosophers. Grecian preSocratic
philosopher who created a physical theory in response to Parmenides while
incorporating Pythagorean ideas of the soul into his philosophy. Following
Parmenides in his rejection of coming-to-be and perishing, he accounted for
phenomenal change by positing four elements his “roots,” rizomata, earth,
water, air, and fire. When they mix together in set proportions they create
compound substances such as blood and bone. Two forces act on the elements,
Love and Strife, the former joining the different elements, the latter
separating them. In his cyclical cosmogony the four elements combine to form
the Sphere, a completely homogeneous spherical body permeated by Love, which,
shattered by Strife, grows into a cosmos with the elements forming distinct
cosmic masses of earth, water the seas, air, and fire. There is controversy
over whether Empedocles posits one or two periods when living things exist in
the cycle. On one view there are two periods, between which intervenes a stage
of complete separation of the elements. Empedocles accepts the Pythagorean view
of reincarnation of souls, seeing life as punishment for an original sin and
requiring the expiation of a pious and philosophical life. Thus the exile and
return of the individual soul reflects in the microcosm the cosmic movement
from harmony to division to harmony. Empedocles’ four elements became standard
in natural philosophy down to the early modern era, and Aristotle recognized
his Love and Strife as an early expression of the efficient cause. Vide “Italic Griceians”While in the New
World, ‘Grecian philosophy’ is believed to have happened ‘in Greece,’ Grice was
amused that ‘most happened in Italy!’ Refs.: Luigi
Speranza, "Grice ed Empedocle," per Il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Girgenti: -- Giuseppe Girenti
(n. Palermo). Grice: “I love Girgenti for many reasons! For one, he has edited
Boezio ‘as he is’! – then he has elaborated on Socratic irony, a concept that
needs some elucidation, if ever one did! Also, he has edited the ‘logica
retorica’ of Cicero, which is welcome!” -- Giuseppe Girgenti (Palermo),
filosofo. Ha frequentato gli studi classici nella sua città natale presso il
Liceo "Vittorio Emanuele II" (ove, fra gli altri, ha avuto come
docenti Vincenzo Brighina, Mario Franchina, Francesco Armetta, Ubaldo Mirabelli
e padre Pino Puglisi) e poi si è trasferito a Milano per gli studi
universitari, presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore (ove, fra gli
altri, ha seguito i corsi e i seminari di Gustavo Bontadini, Sofia Vanni
Rovighi, Adriano Bausola, Virgilio Melchiorre e don Luigi Giussani); si è
laureato in filosofia con Giovanni Reale nel 1989, con una tesi dal titolo
Platonismo e Cristianesimo in San Giustino Martire; ha poi vinto un dottorato
di ricerca nella stessa università, ed è andato a studiare prima a Monaco di
iera con Werner Beierwaltes e poi a Parigi con Pierre Hadot; ha conseguito il
titolo di dottore di ricerca nel 1994 con una dissertazione dal titolo Porfirio
tra henologia e ontologia riproponendo la questione degli universali come
origine del "pensiero forte". Dopo un biennio post-dottorale presso
l'Università Cattolica di Milano, è diventato Assistenzprofessor presso
l'Accademia Internazionale di Filosofia nel Principato del Liechtenstein, ove
ha insegnato "Storia della Filosofia e Metodologia Filosofica" nel
triennio 19972000; in questo periodo ha tenuto contatti regolari con Hans-Georg
Gadamer; dal 2002 è passato a insegnare Storia della Filosofia Antica alla
Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. È
segretario delle collane Bompiani "Testi a fronte" e "Il
pensiero occidentale". Pensiero I
suoi studi sono concentrati sul rapporto tra filosofia greca e Cristianesimo, e
in particolare nell'influenza che il platonismo ha esercitato sui Padri della
Chiesa. Per analizzare questo tema, ha applicato due categorie ermeneutiche
create da Gadamer: la "storia degli effetti" (Wirkungsgeschichte) e
la "fusione di orizzonti" (Horizontverschmelzung); secondo la storia
degli effetti, come già in Beierwaltes, la storia della Patristica greca e
latina deve essere considerata una fase importante della storia del platonismo
antico, che fa da tramite rispetto a tutto il pensiero cristiano medioevale;
secondo la fusione di orizzonti, il rapporto tra platonismo e Cristianesimo
deve essere analizzato superando due opposte posizioni classiche: la
"Praeparatio evangelica" di Eusebio di Cesarea, secondo cui la
filosofia greca sarebbe stata di per sé una preparazione al Cristianesimo e la
"Ellenizzazione del cristianesimo" di Adolf von Harnack, secondo cui
nell'incontro con la filosofia greca il Cristianesimo avrebbe smarrito la
vocazione originaria (e dovrebbe pertanto de-ellenizzarsi). La posizione
mediana potrebbe contribuire a superare le rigidità del cristianesimo ortodosso
e le chiusure del cristianesimo protestante.
Opere Porfirio negli ultimi 50 anni:
sistematica e ragionata della letteratura primaria e secondaria
riguardante il pensiero porfiriano e i suoi influssi storici, Vita e Pensiero,
Milano 1994; Giustino Martire, il primo cristiano platonico, Vita e Pensiero,
Milano 1995; Il Pensiero forte di Porfirio, Vita e Pensiero, Milano 1996;
Introduzione a Porfirio, Laterza, Roma-Bari 1997; La nuova interpretazione di
Platone, G. Girgenti, Rusconi, Milano 1998; Incontri con Hans-Georg Gadamer, G.
Girgenti, Bompiani, Milano 2000; Platone tra oralità e scrittura, G. Girgenti,
Bompiani, Milano 2001; Atene e Gerusalemme. Una fusione di orizzonti, Il Prato,
Padova ; Il bue squartato e altri macelli. La dolce filosofia, libro-intervista
con Sossio Giametta, Mursia, Milano . Note
G. Giorello, Corriere della Sera, 1º giugno 1995 Scheda biografica, curriculum e nel sito dell'Università Vita-Salute San
Raffaele, su unisr.it.
Girotti: Grice: “I like
Girotti; for one, he has explored the idea of ‘beauty,’ which Sibley should,
but did not!” -- Armando Girotti (Adria), filosofo. Specializzato nelle
metodologie della filosofia. Trasferitosi
da bambino con la famiglia a Pontelongo, Girotti si è laureato all'Padova, dove
si è formato alla scuola dei filosofi Giovanni Santinello e Enrico Berti.
Insieme a quest' ultimo ha pubblicato nel 2000 il libro Filosofia, dedicato
all'insegnamento della materia. Dopo aver lavorato alcuni anni come
docente di storia e filosofia nel liceo Ippolito Nievo di Padova, fin dagli
anni '70 si è interessato alle metodologie di insegnamento e apprendimento
della filosofia, lavorando come consulente esterno per gli IRRSAE di Veneto,
Friuli Venezia Giulia, Trentino ed Emilia-Romagna e come Direttore
dell'aggiornamento didattico per il Provveditorato agli studi di Padova,
Vicenza, Venezia e Treviso. È incaricato dal Ministero della pubblica
istruzione della realizzazione di materiali didattici finalizzati a innovare
l'insegnamento della filosofia e di analizzare la didattica del Giappone
all'interno di un progetto di scambio culturale con il paese asiatico.
Negli anni '80, dopo aver conseguito il Dottorato di ricerca in filosofia,
tiene alcuni seminari per il Corso di Perfezionamento in Metodologia
dell’insegnamento filosofico presso l’Padova. Nel 1990 ha pubblicato
Henri Gouhier e la sua storia storica della filosofia, prima opera in italiano
dedicata al filosofo francese. Ha collaborato alla terza edizione
dell'Enciclopedia filosofica Bompiani, è saggista e redattore di Comunicazione
filosofica, la rivista telematica della Società Filosofica Italiana, e dirige
alcune collane di metodologia filosofica e di storia della filosofia.
Pensiero I suoi lavori iniziano a partire dal rapporto tra storiografia e
filosofia, cioè se sia possibile una storia storica della filosofia (argomento
riguardo al quale pubblica uno studio analizzando il pensiero di Henri Gouhier)
che non scivoli nella storia filosofica della filosofia, cioè in una filosofia
come decodificatrice della storia del pensiero. Il primario interesse è
rivolto alla formazione dei futuri docenti di filosofia, anche con stimolazioni
pratiche. L’attenzione per le nuove metodologie, come la Didattica Breve, lo
portano a definirne la lungimiranza, mostrandone anche l'aspetto pratico.
I suoi studi sulle metodologie di insegnamento lo portano a disapprovare le
tecniche, a difesa delle strategie, quelle che, dice, insegnano a riflettere
filosoficamente. A tal riguardo si è inserito nel dibattito sull’insegnamento
della filosofia sostenendo che la diatriba tra le due scuole di pensiero,
quella inerente alla didattica per problemi o secondo il profilo storico, perde
di vista il dato primario, che non risiede tanto nei contenuti, quanto nel
metodo di approccio finalizzato alla riflessione filosofica, quel metodo che
insegna a “filosofare”. Gli esiti della sua ricerca perciò lo portano a
sostenere l'esigenza di modificare l'insegnamento della filosofia in quanto lo
scopo è che la didattica diventi filosofica e non rimanga semplice didattica della
filosofia, teoreticamente sostenendone le motivazioni. Le sue riflessioni
teoretiche a difesa del Progetto Brocca, mostrandone le peculiarità, lo
inducono a produrre Moduli anche su sollecitazione del Ministero
dell'Istruzione e, per quanto riguarda la Philosophy for Children, trovandola
troppo legata all'interpretazione della filosofia come avvio alla logica, ne
critica la didattica finalizzata alle tecniche, privilegiando invece la
"Filosofia con i bambini" che, cambiando il “for” in “with”, presta
maggior attenzione alla psiche infantile. I suoi studi sulla metodologia
dell'insegnamento filosofico lo portano infine ad inserirsi nel dibattito
"cervello-mente" con riferimenti alla complessità dell'io nel
rapporto tra sapere ed emozione, sulla volontà,[25] nonché sul problema
anima.[26] Onorificenze Nel è
stato insignito della cittadinanza onoraria[27] dal Sindaco di Pontelongo
Fiorella Canova. Opere Henri Gouhier e la sua storia storica della
filosofia, Unipress, Padova 1990. La filosofia per unità didattiche, Pagus,
Treviso 1993. Aristotele, dal platonismo all’autonomia, Polaris, Faenza 1996.
L’insegnamento della filosofia, dalla crisi alle nuove proposte, Unipress,
Padova 1996. La filosofia di Schopenhauer, Polaris, Faenza 1998. GirottiBerti,
Filosofia, Professione docente, La Scuola, Brescia 2000. GirottiMorini, Modelli
di razionalità nella storia del pensiero, Sapere, Padova 2005. Discorso sui
metodi, Pensa, Lecce 2005. Medioevo vs 2009, tra tabula rasa e innatismo,
Sapere, Padova 2009. Riforma Gelmini e insegnamento della filosofia, Sapere,
Padova . Essere e volere, Pensa multimedia, Lecce . Siamo completamente liberi
di volere ciò che vogliamo?, Il Giardino dei Pensieri, Bologna . Aristotele,
Diogene Multimedia, Bologna . Hegel, Diogene Multimedia, Bologna .
Schopenhauer, Diogene Multimedia, Bologna . Siamo liberi di volere ciò che
vogliamo?, Diogene Multimedia, Bologna . Girotti-Paris, Filosofia, bellezza e
responsabilità, Diogene Multimedia, Bologna . Kant, Diogene Multimedia, Bologna
. Cercasi anima disperatamente, Diogene Multimedia, Bologna . Giovanni Gentile,
La filosofia nella scuola secondaria, Diogene Multimedia, Bologna . Il fico
proibito dell’Eden e la giustificazione del male, Diogene Multimedia, Bologna .
Un viaggio intorno all’ioDa Atene a Delfi dialogando, Diogene Multimedia,
Bologna . Sul permesso di morire, Diogene Multimedia, Bologna . Note Anna M. Bianchi, Enrico BertiArmando Girotti,
Filosofia, su sfi.it. l'8 gennaio
. Armando Girotti, su libreriafilosofica.com. l'8 gennaio . Armando Girotti, su
prolocopontelongo.it. l'8 gennaio . Molti sono gli articoli citati anche nel
volume Comunità di ricerca e iniziazione al filosofare, di F. Cesare Manara, Lampi
di stampa255., su books.google.it. Come
ricorda Matteo Mescalchin in Dear Professor, a metaphorical portrait , su
cdn.shopify.com. 15 novembre . Si veda
l’articolo
libreriafilosofica.com,//libreriafilosofica.com/wordpress/wp-content/uploads//12/L%E2%80%99educazione-in-Giappone.pdf. Corso di perfezionamento in Metodologia dell'insegnamento
filosofico presso l'Padova, su sfi.it.
l'8 gennaio . Augusto del Noce,
Voce su Henri Gouhier in Enciclopedia Filosofica Bompiani, 54977.
La collana si chiama Briciole di Filosofia, su libreriafilosofica.com.
14 novembre . La sua tesi, che sviluppa
nel volume Henri Gouhier e la sua «storia storica» della filosofia , su
libreriafilosofica.com. 27 novembre . (p. 151), è che una storia storica che si
fermi all’esibizione dei dati diventa semplice cronaca; infatti, nel momento in
cui si espone il pensiero di un autore, per poter abbracciare l'oggettività si
dovrebbe rimanere all’interno di un'asettica descrizione, quella che Henri
Gouhier definisce con i termini phénoménologie de l'esprit métaphysique. In
questa affermazione Girotti distingue da una parte la phénoménologie come
metodo e dall’altra l'esprit métaphysique come oggetto. Seguendo la prima, lo
storiografo sarebbe invitato a fermarsi alla lettura del dato per descrivere
ciò che esso mostra; seguendo il secondo, lo storiografo ritroverebbe l'oggetto
della sua ricerca, cioè i "faits spirituels". È su questi fatti
spirituali che Girotti diverge da Gouhier in quanto trova che lo stesso autore
francese, quando ha messo le vesti dello storico della filosofia, sia scivolato
in una loro descrizione di tipo bergsoniano, peraltro ammessa anche dallo
stesso Henri Gouhier in uno scambio di lettere tra Girotti e l’Autore , su
libreriafilosofica.com. 14 novembre . (p. 162 nota n.76). Molti sono gli articoli; si veda ad esempio A
proposito delle attività di formazione , su libreriafilosofica.com. 27 dicembre
. pubblicato in «Nuova Secondaria», La Scuola, Brescia 1994, a. XII n. 1, 21-24.
Si veda in «Insegnare Filosofia», Pagus, Treviso Dalla lettura del testo
alle esercitazioni , su libreriafilosofica.com. 27 dicembre . Un articolo nel quale viene esposta in
sintesi la configurazione di tale didattica si trova in T. GuerzoniF. Ferrari,
Filosofia e didattica breve, Irrsae, Bologna 1997, 35-51 La didattica breve come didattica
sensata nelle discipline filosofiche , su libreriafilosofica.com. 27 dicembre
. In «Bollettino della Società
filosofica italiana», 1997, n. 162,
45-56 La distillazione nelle discipline filosofiche , su
libreriafilosofica.com. 27 dicembre .
Una delucidazione su metodi e modelli si trova in Modelli di
insegnamento nella filosofia , su libreriafilosofica.com. 27 dicembre . Si veda Filosofia e metodo , su
libreriafilosofica.com. 14 novembre . A
tal proposito pubblica Discorso sui metodi, Pensa, Lecce 2005. Le finalità dell'insegnamento filosofico , su
libreriafilosofica.com. 27 dicembre . Si
veda Didattica filosofica su YouTube.
Ricordava Luigi Tarca, «Una didattica filosofica ideale è quella nella quale
eventuali tecniche didattiche per l’insegnamento della filosofia vengono
introdotte solo nella misura in cui danno vita a situazioni realmente
filosofiche». Per una didattica filosofica, in
La didattica della filosofia nell’università e nella scuola superiore,
in «Atti del Convegno Nazionale sulla didattica della filosofia all’università
e nella scuola superiore», 1993, La Garangola, Padova 1996, 167-168.
Presenta la sua concezione inizialmente in «nuova secondaria», la
Scuola, Brescia Filosofia: proposta per una didattica filosofica e
definitivamente la approfondisce al Convegno di Lisbona Per una didattica
filosofica, in M.L.R. Ferreira (cur.), Ensinar/aprender filosofia num mundo em
rede, Universidade de Lisboa, ,
24-39. Pubblica a tal riguardo un
volume La filosofia per unità didattiche, Pagus, Treviso 1993. Nominato dal Ministero dell'Istruzione come
formatore dei docenti di Filosofia pubblica Moduli didattici nei Quaderni del
Ministero. Oltre agli articoli
pubblicati su Amica Sofia si veda la relazione presentata al Convegno di Borgia
Catanzaro Dai “modelli di razionalità” alle neuroscienze, ripensando alle
filosofie rivolte ai bambini , su libreriafilosofica.com. 27 dicembre . Pubblica Essere e volere, Pensa, Lecce . Si veda Siamo liberi di volere ciò che
vogliamo?, Diogene Multimedia, Bologna
La principale pubblicazione è Cercasi anima disperatamente, Diogene
Multimedia, Bologna . Foto della serata
circa la cittadinanza onoraria (JPG), su libreriafilosofica.com. 14 novembre
. Armando Girotti con l’elenco delle
pubblicazioni. Armando Girotti Pro loco Pontelongo. F
Giudice: Grice: Grice:
“Giudice amply proves my trust in the worth of the longitudinal unity of
philosophy, for Giudice has unearthed some philosophical minutiae in Bruno –
like his tract to Sir Philip Sidney on ‘Atteone,’ which are jewels of
implicature!” -- “For Italian philosophy, Bruno is interesting: it’s not all
saints like Aquinas; they had hereetics, too – and usually the heretics had a
better philosophical background – into what the Italians called the lovely
‘hermetic tradition’ – we used to have one at Oxford in pre-lib days!” -- Grice:
“If I am a Griceian, Giudice is a Brunoian – the Italians prefer ‘brunista’ or
‘bruniano,’ but I follow Katz is respecting the full surname – if it is
‘bruno,’ you add things, you don’t substract things!” --- giudice:
essential Italian philosopherwho has studied in depth the origin of philosophy
in the Eleatic school. Guido del Giudice (Napoli),
filosofo. Dopo essersi laureato in medicina all'Università degli Studi di
Napoli Federico II nel 1982 inizia a scrivere opere sulla vita e il pensiero di
Giordano Bruno e sulla filosofia del Rinascimento. È membro del comitato
scientifico della Nicolas Benzin Stiftung. Nel 2008 l'Accademia
Internazionale Partenopea Federico II ha assegnato alla sua opera, La disputa
di Cambrai. Camoeracensis acrotismus, il primo posto nel "Premio
internazionale Giordano Bruno", quale "migliore opera d'ingegno dedicata
al filosofo". Dal pubblica i
suoi articoli sulla rivista di letteratura e biblofilia “la Biblioteca di Via
Senato”. Nel ha fondato “The
Giordano Bruno Society”, associazione culturale per la diffusione del pensiero
bruniano nel mondo. Opere Giordano
Bruno, Marotta e Cafiero Editori, Napoli 2001. La coincidenza degli opposti.
Giordano Bruno tra Oriente e Occidente, Di Renzo Editore, Roma 2005. Pubblicata
una seconda edizione con il saggio: Bruno, Rabelais e Apollonio di Tiana, Di
Renzo Editore, Roma 2006. Due Orazioni. Oratio Valedictoria e Oratio
Consolatoria, Di Renzo Editore, Roma 2006; La disputa di Cambrai. Camoeracensis
acrotismus, Di Renzo Editore, Roma 2008. Il Dio dei Geometriquattro dialoghi,
Di Renzo Editore, Roma, 2009. Somma dei termini metafisici, con il saggio:
Bruno in Svizzera, tra alchimisti e Rosacroce, Di Renzo Editore,Roma, . Io dirò
la verità. Intervista a Giordano Bruno, Di Renzo Editore, Roma, . Contro i
matematici, Di Renzo Editore, Roma, . Giordano Bruno. Il profeta dell'universo
infinito, The Giordano Bruno Society, Napoli, . Giordano Bruno. Epistole
latine, Fondazione Mario Luzi, . Giordano Bruno. Scintille d'infinito. Il
pensiero del grande filosofo in 200 aforismi. Di Renzo Editore, Note
Nicolas Benzin Stiftung sito.
Premio Bruno Archiviato l'11 gennaio
in . su giornalewolf. La
Biblioteca di Via Senato di Milano., su bibliotecadiviasenato.it. 20 novembre
. Guido del Giudice su ibs. Guido
del Giudice Archiviato il 20 gennaio in
. su lafeltrinelli. Amazon.com: guido
del giudice, su amazon.com. l'11 gennaio
. Guido del Giudice, su
lafeltrinelli.it. 20 novembre . Giordano
Bruno Rinascimento Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Guido del
Giudice Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o
altri file su Guido del Giudice , opere
in Google Libri , Official website. Refs.: Luigi Speranza,
"Grice, del Giudice, e la filosofia greco-romana," per il Club
Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Giudice: Grice: “Riccardo del
Giudice is a philosopher; he wrote an essay on Telesio.” Deputato del Regno d'Italia LegislatureXXIX
Consigliere nazionale del Regno d'Italia LegislatureXXX Gruppo parlamentareMembri
del Consiglio Nazionale del PNF Dati generali Partito politicoPNF Titolo di
studioLaurea in Lettere UniversitàUniversità “La Sapienza” ProfessioneDocente
universitari. Riccardo Del Giudice
(Lucera), filosofo. Allievo e collaboratore di Gentile, conseguì a ventun anni
la laurea in Filosofia, rivelando i suoi vasti e solidi interessi culturali,
che, insieme ad una rara volontà di studio e ad una seria attività politica
formarono il suo principale merito professionale. Conseguì successivamente
altre sei lauree, tra cui Giurisprudenza, che ne indirizzerà il cammino
professionale. Apprezzato per le doti
oratorie e l'accuratezza nella scrittura, fu parlamentare di chiara fama nella
XXIX e XXX legislatura della Camera dei Deputati, durante il periodo fascista.
Uomo di profonda ed esemplare preparazione filosofica, fu docente a Roma. Testimone
d'eccezione di grandi e travolgenti fatti della vita italiana, fu firmatario dei
Patti Lateranensi e, dal dicembre del
1939 al febbraio del 1943, sottosegretario all'Educazione Nazionale, nonché
intimo amico di Giuseppe Bottai, ministro dell'Educazione Nazionale e figura
critica del regime. Nel 1939, e per i
primi anni Quaranta, fu tra i maggiori promotori dell'ambizioso progetto di
redigere una Storia del Lavoro in Italia (in diversi volumi), progetto al quale
parteciparono — tra gli altri — Federico Chabod, Amintore Fanfani, Luigi Dal
Pane, Renato Spaventa, Gino Barbieri ed Ernesto Sestan. Intimamente legato alla sua città natale,
lasciò generose donazioni di libri alla biblioteca comunale, alla biblioteca
del liceo e a quella del tribunale. Vedi " storico della Camera dei
deputati", riferimenti in .
Giuseppe Parlato, La sinistra fascista: storia di un progetto mancato,
Il Mulino, Bologna 2000, 191-196. Giuseppe Parlato, Riccardo Del Giudice dal
sindacato al governo, Fondazione Ugo Spirito, Roma 1992. Morto Del Giudice storico del diritto
Archiviolastampa.it Riccardo Del
Giudice, su siusa.archivi.beniculturali.it, Sistema Informativo Unificato per
le Soprintendenze Archivistiche.
Riccardo Del Giudice, su storia.camera.it, Camera dei deputati. Filosofia Categorie: Sindacalisti
italianiPolitici italiani del XX secoloAccademici italiani Professore1900 1985
16 luglio 16 febbraio Lucera RomaFilosofi italiani del XX secoloDeputati della
XXIX legislatura del Regno d'ItaliaConsiglieri membri del Consiglio nazionale
del PNFBibliofiliPolitici del Partito Nazionale FascistaStudenti della
SapienzaRomaProfessori della SapienzaRoma
Giudice: Grice: “Giudice has
written an essay that poses a conceptual query for Austin’s conceptual query.
It’s “Sull pudore” – “But do we have that in ordinary language?”” – Grice:
“Giudice has also written on more standard forms of philosophy of language, and
Nietzsche.” -- Santi Lo Giudice (Antillo), filosofo. È nato nell'entroterra della
provincia messinese, figlio di un maestro elementare. Dopo aver espletato studi
classici si è laureato in Pedagogia con lode nel 1969 con tesi in Ideologia e
Sociologia. Ha vissuto gli ultimi anni della sua vita tra Messina e Santa
Teresa di Riva dedicandosi alla scrittura dei suoi ultimi testi e
all'insegnamento. Nel 1980 è entrato
come ricercatore presso l'Istituto di Filosofia della Facoltà di Magistero
dell'Messina, divenendo professore associato nel 2002, professore straordinario
nel 2006 e infine Professore di filosofia teoretica nel 2009. Ha insegnato
Filosofia teoretica, Filosofia della comunicazione, Sociologia dei processi
culturali e comunicativi, Antropologia filosofica, Teoria del mutamento sociale
e Storia e critica del cinema presso l'Messina; ha collaborato alla rivista
Moleskine di Messina e ad altri quotidiani e riviste ed è stato direttore per
la Luigi Pellegrini Editore delle collane "Filosofia Teoretica" e
"Interstizi". Opere: Breve
documento sulla "Nuova Filosofia", Messina, Sortino editore, Indagini
sul discorso filosofico contemporaneo (1984) Gli echi del corpo: saggio su F.
Nietzsche, Verona, Edizioni del Paniere, 1989
30436500 Introduzione al lessico di Nietzsche, prefazione di Armando
Plebe, Roma, Armando, Nietzscheana. Esercizi di lettura, Messina, Alfa, Il
tribunale filosofico di Heine, Nietzsche e i simboli delle cose più alte,
Fedeltà alla terra, Profili della contemporaneità, Cosenza, Pellegrini Editore,
Stare insieme, Cosenza, Pellegrini Editore, Tracce di filosofia del finito,
Cosenza, Pellegrini Editore, Nietzsche e gli echi del corpo, Cosenza,
Pellegrini Editore, Corpo e parola. Studi sul linguaggio e l'espressione,
Cosenza, Pellegrini Editore, Scritti di filosofia ed etica, Cosenza, Pellegrini
Editore, Emozioni e cognitività in Nietzsche. Un approccio fisiologico,
Cosenza, Pellegrini Editore, Sul pudore e sull'osceno, Cosenza, Pellegrini
Editore, Breve documento sulla "nuova filosofia", Cosenza, Pellegrini
Editore, , Scritti di filosofia ed etica, volume secondo, Cosenza, Pellegrini
Editore, , 978-88-6822-034-1. Su Messina
e altri scritti, Cosenza, Pellegrini Editore, Raffaele Morelli, Puoi fidarti di te, Milano,
Edizioni Mondadori, 81 Martino Michele Battaglia, Storia e cultura in Karl
Raimund Popper, Cosenza, L. Pellegrino, 200593 Martino Michele Battaglia,
Francesco Guicciardini tra scienza etica e politica, Cosenza, L. Pellegrino,
, varie Giovanni Coglitore, Kant:
cristianesimo come impegno morale, in Il contributo (), vol 1-243 L'Espresso,
vol 43, 198796 Studi etno-antropologici e sociologici, Volume 1725 Altri
progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o
altri file su Santi Lo Giudice Note
biografiche sul sito web della Pellegrini Editore., su pellegrinieditore.com.
Giuliano – Grice: “When I
think Giuliano, I think Donizetti – and Poliuto’s lions!” -- Flavio Claudio
Giuliano (in latino: Flavius Claudius Iulianus; Costantinopoli), filosofo. L’ultimo
sovrano dichiaratamente pagano, che tentò, senza successo, di riformare e di
restaurare la religione romana dopo che essa era caduta in decadenza di fronte
alla diffusione del cristianesimo.
Giussani: Grice: “I like
Giussiani; of course at Oxford he would be a no-no, being a Catholic; but he
understands the pragmatics of conversation!” -- Luigi Giovanni Giussani
(Desio), filosofo. Fondatore del movimento di Comunione e Liberazione. Luigi
Giussani nacque e trascorse la sua infanzia nella cittadina di Desio, in
Brianza, a pochi chilometri da Milano. Maggiore di cinque fratelli, ricevette
la prima introduzione alla fede cattolica dalla madre Angelina Gelosa, operaia
tessile; il padre Beniamino, disegnatore e intagliatore, era un
socialista. Il 2 ottobre 1933 entrò nel seminario diocesano San Pietro
Martire di Seveso dove frequentò i primi quattro anni di ginnasio. Nel 1937 si
trasferì a Venegono Inferiore, nella sede principale del seminario dove
frequentò l'ultimo anno di ginnasio, i tre anni del liceo e dove svolse i
successivi studi di teologia. Ebbe come docenti, fra gli altri, Giovanni
Colombo (poi cardinale e arcivescovo di Milano), i teologi Gaetano Corti, Carlo
Colombo (in seguito vescovo ausiliare di Milano) e Carlo Figini. In quella sede
conobbe i compagni di studio Enrico Manfredini e Giacomo Biffi che divennero in
seguito entrambi arcivescovi di Bologna. In questi anni si interessò di Giacomo
Leopardi e delle chiese ortodosse. Il 26 maggio 1945 Giussani,
ventitreenne, ricevette l'ordinazione sacerdotale dal cardinale Ildefonso
Schuster. Dopo l'ordinazione, rimase nel seminario di Venegono come
insegnante e si specializzò nello studio della teologia orientale (specie sugli
slavofili), della teologia protestante statunitense e della motivazione
razionale dell'adesione alla Chiesa. Gioventù Studentesca Nel 1954,
trentaduenne, lasciò l'insegnamento in seminario per quello nelle scuole
superiori. Iniziò l'insegnamento della religione nelle scuole superiori, presso
il liceo Berchet di Milano dove fu suo alunno, tra i tanti, anche Giulio
Giorello. Rimase al liceo Berchet per dieci anni, fino al 1964. Le prime
riunioni di suoi studenti si tennero con il nome di Gioventù Studentesca (GS),
che fondò insieme a don Francesco Ricci e che fino agli anni settanta fece
parte dell'Azione Cattolica. Iniziò anche un'attività pubblicistica volta
a porre attenzione sulla questione educativa. Redasse la voce
"Educazione" per l'Enciclopedia Cattolica. Sotto al cardinale
Colombo continuò gli studi di teologia protestante americana per i quali
soggiornò per cinque mesi negli Stati Uniti. Nel 1964, ottenne la cattedra di
Introduzione alla Teologia presso l'Università Cattolica di Milano, che
mantenne fino al 1990. Comunione e Liberazione Magnifying glass icon
mgx2.svg Comunione e Liberazione. «Lo Spirito Santo ha suscitato nella Chiesa,
attraverso di lui, un Movimento, il vostro, che testimoniasse la bellezza di
essere cristiani in un'epoca in cui andava diffondendosi l'opinione che il
cristianesimo fosse qualcosa di faticoso e di opprimente da vivere. don
Giussani s'impegnò allora a ridestare nei giovani l'amore verso Cristo
"Via, Verità e Vita", ripetendo che solo Lui è la strada verso la
realizzazione dei desideri più profondi del cuore dell'uomo, e che Cristo non
ci salva a dispetto della nostra umanità, ma attraverso di essa.»
(Cardinale Joseph Ratzinger durante l'omelia per le esequie di don Giussani,
Duomo di Milano, 24 febbraio 2005.) Negli anni 1969-1970 il movimento da lui
creato prese il nome di Comunione e Liberazione; don Giussani ne assunse la
guida presiedendone il consiglio generale. L'11 febbraio 1982 il
Pontificio Consiglio per i Laici riconobbe la Fraternità di Comunione e
Liberazione e don Giussani ne guidò la Diaconia Centrale. Fu creato
Monsignore da Giovanni Paolo II nel 1983 con il titolo di Prelato d'onore di
Sua Santità. Sei anni dopo, nel 1989, contribuì alla costituzione della
FondazioneBanco Alimentare. Nel 1987 fu nominato consultore del Pontificio
Consiglio per i Laici. Nel 1988 tale organismo riconobbe ufficialmente
l'associazione laicale Memores Domini. Nel 1994 fu nominato consultore della
Congregazione per il Clero. L'11 dicembre 1997 il suo testo, Il senso
religioso, fu presentato nell'edizione inglese al Palazzo dell'ONU di New
York.[senza fonte] Don Luigi Giussani tiene una lezione su Il senso
religioso Fra le sue numerose opere vi è la trilogia del PerCorso, redatta a
partire dagli appunti delle lezioni di religione che aveva tenuto negli anni
cinquanta al liceo Berchet e in seguito all'Università Cattolica. L'opera,
pubblicata in successive edizioni prima da Jaca Book e poi da Rizzoli, è
composta da Il senso religioso, All'origine della pretesa cristiana e Perché la
Chiesa (quest'ultimo inizialmente diviso in due volumi). Propone la
concezione della fede e dell'esperienza cristiana come incontro con Cristo
attraverso la Chiesa cattolica. Per don Giussani la fede è un «riconoscere una
Presenza» ed occupa ogni singolo spazio della vita individuale (i rapporti
umani, l'esperienza lavorativa, la vita sociale e politica). Da ciò nasce anche
una critica alla ragione illuminista. L'idea della ragione come principale
strumento offerto all'uomo nel rapporto con la realtà e della fede come metodo
di conoscenza sono, secondo don Giussani, le premesse metodologiche per
un'analisi dell'esperienza religiosa. Morte Tomba di don Giussani
al Monumentale Don Giussani morì a Milano il 22 febbraio del 2005. Molti gli
resero omaggio nei giorni successivi nella camera ardente, allestita nella
cappella dell'Istituto Sacro Cuore, scuola voluta dallo stesso don Giussani. Il
suo funerale fu celebrato giovedì 24 febbraio 2005 dall'Arcivescovo di Milano
Dionigi Tettamanzi e concelebrato dall'inviato di papa Giovanni Paolo II,
l'allora cardinale Joseph Ratzinger, che a distanza di poche settimane sarebbe
stato scelto come suo successore e che tenne l'omelia, dall'allora Patriarca di
Venezia Angelo Scola, dal successore alla guida del movimento di Comunione e
Liberazione, don Julián Carrón, e da altri sacerdoti. Il funerale fu trasmesso
in diretta da Rai Uno. Don Giussani fu inizialmente tumulato nella Cripta
del Famedio del Cimitero Monumentale di Milano, ma nella notte dell'8 giugno
2006 la tomba venne profanata; in seguito la salma fu traslata in una cappella
dedicata all'interno dello stesso Monumentale. Il 17 gennaio del 2006
venne riconosciuto dalla Santa Sede fondatore delle Suore di Carità
dell'Assunzione insieme a padre Stefano Pernet. Processo di
beatificazione In occasione del settimo anniversario della morte, il 22
febbraio è stato dato l'annuncio della
richiesta di nihil obstat alla Santa Sede per dare inizio alla fase diocesana
del processo per la causa di beatificazione e canonizzazione di don Luigi
Giussani. Dopo l'ottenimento del nihil obstat, annunciata dall'arcivescovo di
Milano Angelo Scola nell'aprile , Luigi Giussani è considerato Servo di
Dio. Onorificenze Titolo di prelato d'onore di Sua Santità (monsignore),
9 dicembre 1983 Premio internazionale medaglia d'oro al merito della
cultura cattolica, Bassano del Grappa, 6 ottobre 1995 Corona Turrita, Comune di
Desio, 14 ottobre 2001 Premio Isimbardi, Provincia di Milano, 2002 Premio Mario
Macchi, Associazione Genitori Scuole cattoliche, 2003 Sigillo Longobardo,
Regione Lombardia, 16 marzo 2004 Intitolazioni La targa a ricordo di don
Giussani a Varigotti nei pressi della chiesa di San Lorenzo. Dopo la morte,
sono stati dedicati a Giussani: Desio: nel paese natale di Giussani, la
piazza retrostante il municipio e un monumento opera di Cristina Mariani
inaugurato nel 2005 Milano: parco Don Giussani, in predenza parco Solari
Trivolzio: il piazzale adibito all'accoglienza delle auto dei pellegrini alla
chiesa parrocchiale che ospita le spoglie di San Riccardo Pampuri[25] Finale
Ligure: l'ultimo tratto del sentiero che porta all'antica chiesa di San Lorenzo
di Varigotti: lì si tennero alcuni dei primi incontri di Comunione e
Liberazione, che ancora si chiamava Gioventù Studentesca[26] Castronno (VA): un
largo presso la rotatoria all'uscita dell'Autostrada dei laghi[27] Ascoli
Piceno: la scuola primaria e dell'infanzia "Don Luigi Giussani"[28]
Portofino: la piazzetta del faro[29] Kampala (Uganda): la scuola secondaria
Luigi Giussani High School[30] Pozzolengo: il parco comunale adiacente al
castello[31] San Leo: un bassorilievo in bronzo, opera dell'artista riminese
Paola Ceccarellia, sulla facciata del convento di Sant'Igne[32] Rimini: la
rotonda davanti al Palacongressi, nei pressi dell'area della demolita Fiera
dove si sono svolte le prime edizioni del Meeting per l'amicizia fra i
popoli[33] Chiavari: un tratto del lungoporto[34] Verona: i giardini presso
ponte Garibaldi a Borgo Trento[35] Cinisello Balsamo: un largo urbano nei
pressi del comune Segrate: il centro sportivo della frazione di Redecesio
Strade comunali sono state intitolate a don Giussani a Cagliari, Morrovalle,
Rapallo, Treviglio, Mestre, ecc. Opere La maggior parte delle opere di Luigi
Giussani, soprattutto a partire dagli anni ottanta, deriva dalla trascrizione
di dialoghi, conversazioni e lezioni svolte in pubblico durante raduni,
convegni, esercizi spirituali.[36] I suoi libri sono stati pubblicati
dall'editore milanese Jaca Book dal 1966 fino al 1991.[37] A partire dagli anni
novanta Rizzoli ha iniziato a rieditare i testi di Giussani in nuove edizioni
aggiornate dotate spesso di un nuovo apparato di note e di nuovi contenuti editoriali
e a volte con titoli diversi. Rizzoli ha anche pubblicato le opere inedite del
sacerdote brianzolo e volumi antologici di conversazioni precedentemente
disponibili sotto forma di fascicoli pro manuscripto o di redazionali per varie
riviste. Volumi di inediti o di riedizioni di vecchi testi sono poi usciti
anche per altri editori, tra i quali Marietti 1820, San Paolo, SEI, Piemme e
Messaggero di Sant'Antonio.[38] Trascrizioni di conversazioni e lezioni
tenute da Giussani nel corso di incontri con i responsabili di Comunione e
Liberazione, di esercizi spirituali e di incontri con appartenenti ai Memores
Domini sono state di norma pubblicate come inserti redazionali o allegate come
fascicoletti nelle riviste Tracce (precedentemente nota come CL-Littere Communionis,
organo ufficiale del movimento), Il Sabato e 30 giorni nella Chiesa e nel
mondo. Un gran numero di questi testi è stato poi pubblicato in volumi
antologici. Dopo la sua morte, è iniziata la catalogazione sistematica
dei testi e degli scritti di Giussani. Sul sito web Luigi Giussani Scritti,
curato dalla Fraternità di Comunione e Liberazione, è iniziata dal 2009 la
pubblicazione di schede riassuntive dei testi del sacerdote, molti dei quali
sono stati resi disponibili in e-book.[39] Dal 1993 e fino alla sua
morte, Luigi Giussani ha diretto la collana editoriale I libri dello spirito
cristiano per la Biblioteca Universale Rizzoli. La collana, proseguita fino al
2009 sotto la direzione di Julián Carrón e poi sostituita da un'analoga
iniziativa sotto il nome di Biblioteca della spirito cristiano, ha pubblicato
circa 80 titoli scelti fra quelli che più hanno segnato l'esperienza di
Giussani e di Comunione e Liberazione.[40] Analogamente, Giussani ha diretto
dal 1997 la collana discografica Spirto gentil, CD musicali di «introduzione
alla musica» con allegato un booklet di norma contenente una nota introduttiva
di Giussani, una scheda storica sui compositori o sui musicisti e una guida
all'ascolto.[41] Molte opere di Giussani, tra le quali Il senso religioso,
All'origine della pretesa cristiana, Perché la Chiesa e Il rischio educativo,
sono state tradotte in varie lingue tra cui l'inglese (pubblicate dalla casa
editrice McGill University Press negli Stati Uniti), spagnolo, portoghese,
ecc.[38] Il senso religioso, Jaca Book, 1966. Reinhold Niebuhr, Jaca
Book, 1969. Teologia protestante americana, La Scuola Cattolica, 1969; Jaca
Book, 1989; Marietti 1820, 2003. L'impegno del cristiano nel mondo, con Hans
Urs von Balthasar, Jaca Book, 1971, . Tracce di esperienza e appunti di metodo
cristiano, Jaca Book, 1972. Dalla liturgia vissuta: una testimonianza, Jaca
Book, 1973, nuova edizione 1991; San Paolo, . Il rischio educativo, Jaca Book,
1977; SEI, 1995; Rizzoli, 2005. Tracce d'esperienza cristiana, Jaca Book, 1977;
nuova edizione 1991. Decisione per l'esistenza, Jaca Book, 1978. L'alleanza,
Jaca Book, 1979. Il senso della nascita, colloquio con Giovanni Testori, BUR
Rizzoli, 1980. Moralità: memoria e desiderio, Jaca Book, 1980. Alla ricerca del
volto umano, Jaca Book, 1984; Rizzoli, 1995. Pregare, illustrazioni di Marina
Molino, Jaca Book, 1984. La fede e le sue immagini, illustrazioni di Marina
Molino, Jaca Book, 1984. La coscienza religiosa nell'uomo moderno, Jaca Book,
1985. Il senso religiosoVolume primo del PerCorso, Jaca Book, 1986; Rizzoli,
1997. All'origine della pretesa cristianaVolume secondo del PerCorso, Jaca
Book, 1988; Rizzoli, 2001. Perché la ChiesaVolume terzo del PerCorso, Jaca
Book, Tomo 1 1990, Tomo 2 1992; volume unico Rizzoli, 2003. Un avvenimento di
vita, cioè una storia, EDITIl Sabato, 1993. L'avvenimento cristiano, BUR
Rizzoli, 1993. Il senso di Dio e l'uomo moderno, BUR Rizzoli, 1994. Si può
vivere così?, BUR Rizzoli, 1994; riedizione Rizzoli 2007. Opere: 1966-1992, 1, Il PerCorso, Jaca Book, 1994. Opere:
1966-1992, 2, Jaca Book, 1994. Il tempo
e il tempio, BUR Rizzoli, 1995. Realtà e giovinezza. La sfida, SEI, 1995;
Rizzoli, . Il cammino al vero è un'esperienza, SEI, 1995; Rizzoli, 2006. Le mie
letture, Rizzoli, 1996. Si può (veramente?!) vivere così?, BUR Rizzoli, 1996.
Porta la speranza, Marietti 1820, 1997. Riconoscere una presenza, San Paolo,
1997. Lettere di fede e di amicizia ad Angelo Majo, San Paolo, 1997. Generare
tracce nella storia del mondo, con Stefano Alberto e Javier Prades, Rizzoli,
1998. L'uomo e il suo destino, Marietti 1820, 1999. Scuola di Religione, SEI,
1999, nuova edizione 2003. L'io, il potere, le opere, Marietti 1820, 2000.
Tutta la terra desidera il Tuo volto, San Paolo, 2000. Che cos'è l'uomo perché
te ne curi?, San Paolo, 2000. Avvenimento di libertà, Marietti 1820, 2002.
L'opera del movimento. La Fraternità di Comunione e Liberazione, San Paolo,
2002. Il miracolo dell'ospitalità, Piemme, 2003, nuova edizione . Il Santo
Rosario, San Paolo 2003. Egli solo è. Via Crucis, San Paolo, 2005. La libertà
di Dio, Marietti 1820, 2005. Come si diventa cristiani, Marietti 1820, 2007. La
familiarità con Cristo, San Paolo, 2008. Vivere intensamente il reale, Editrice
La Scuola, . Spirto gentil, BUR Rizzoli, . Cristo compagnia di Dio all'uomo,
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Quasi Tischreden "Tu" (o dell'amicizia), BUR Rizzoli, 1997.
Vivendo nella carne, BUR Rizzoli, 1998. L'attrattiva Gesù, BUR Rizzoli, 1999.
L'autocoscienza del cosmo, BUR Rizzoli, 2000. Affezione e dimora, BUR Rizzoli,
2001. Dal temperamento un metodo, BUR Rizzoli, 2002. Una presenza che cambia,
BUR Rizzoli, 2004. Collana L'Equipe Dall'utopia alla presenza (1975-1978), BUR
Rizzoli, 2006. Certi di alcune grandi cose (1978-1981), BUR Rizzoli, 2007.
Uomini senza patria (1982-1983), BUR Rizzoli, 2008. Qui e ora (1984-1985), BUR
Rizzoli, 2009. L'io rinasce in un incontro (1986-1987), BUR Rizzoli, . Ciò che
abbiamo di più caro (1988-1989), BUR Rizzoli, . Un evento reale nella vita
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Giusso: Grice: “I like Giusso:
he has explored philosophers from his country like Leopardi and Bruno, and tdhe
whole ‘tradizione ermetica nella filosofia italiana,’ but also French – Bergson
– and especially “Dutch,” i. e. Deutsche or tedesca – Spengler, and Nietsche –
All very Italian!” -- Lorenzo Giusso (Napoli), filosofo. Nato in una famiglia
aristocratica, dal conte Antonio Giusso e da Maria Imperiali d'Afflitto. La sua
maturazione culturale avvenne in un terreno fertile, costituito da un ambiente
familiare che aveva contribuito allo sviluppo non solo culturale della città
(il nonno, Girolamo Giusso, uno dei fondatori del quartiere Bagnoli, ne era
stato sindaco). Tra il 1917 e il 1924 gli studi del Giusso presso l'Napoli
(dove fu allievo, fra gli altri, di Antonio Aliotta), coronati dalla laurea in
lettere e filosofia, si svilupparono in molteplici direzioni. Pur destinato a diventare prevalentemente
filosofo e storico della filosofia, i suoi non dilettanteschi interessi
spaziarono dalla letteratura alla musica, dalla pittura alla poesia, secondo un
percorso eclettico ed estroso, fondato sull'istinto piuttosto che sul metodo,
che lo portò a una conoscenza approfondita ed estesissima nei settori più
diversi. Seguì con passione l'attualismo gentiliano e proprio il suo carattere
passionale lo portò anche nel campo letterario e filosofico ad un tipo di
critica "scenografica", così come fu definita. Aderì al fascismo, della cui ideologia
divenne uno dei più ascoltati divulgatori, soprattutto dalle pagine della
rivista Gerarchia. Ben presto però all'entusiasmo dei suoi vent'anni per il
nuovo corso politico si sostituì l'attività di scrittore (1925). Le sue
"frizioni" con Benedetto Croce, inizialmente orientate su temi
politici, presero più tardi una forma "sotterranea", genericamente
orientata contro l'idealismo del filosofo abruzzese. Giusso si richiamava al
fatalismo di Leopardi, al demiurgo di Nietzsche, allo storicismo di Dilthey, al
nichilismo dello Spengler: e a causa di quest'ultimo, oltre che per la sua
interpretazione della Scienza nuova vichiana (che si attirò una severa
recensione dello stesso Croce, Giusso fu criticato dall'ambiente crociano. Il Giusso critico e storico delle idee
s'identificava con la visione della vita di autori che sentiva a lui vicini per
temperamento ed interessi come Giordano Bruno, Giambattista Vico (dall'analisi
degli scritti del quale nacque l'infastidita reazione di Benedetto Croce),
Salvatore Di Giacomo, Matilde Serao, Riccardo Bacchelli, Bruno Barilli,
Giovanni Papini, Ardengo Soffici, Aldo Palazzeschi, Giuseppe Antonio Borgese,
Guido Gozzano, che molto ispirò la sua composizione poetica Don Giovanni
ammalato. Approfondito conoscitore della lingua francese, spagnola e tedesca fu
un traduttore attento a rendere non solo il senso della frase ma anche a rappresentare
l'idea dell'autore. Entusiasta
ammiratore della cultura spagnola, la critica letteraria ha rivalutato il suo
Autoritratto spagnolo, apparso postumo, come un buon esemplare di prosa
creativa. Anche i suoi Tafferugli a Montecavallo meriterebbero forse di essere
più conosciuti. D'altro canto egli visse una notevole porzione della sua non
lunga vita proprio nella penisola iberica, insegnando nelle Salamanca,
Barcellona, e Madrid dove fu accademico d'onore. Fu collega nonché amico
esegeta e traduttore di José Ortega y Gasset e Miguel de Unamuno. Tra le due guerre, egli partecipò
all'atmosfera culturale della Napoli segnata dal cenacolo di Benedetto Croce,
da cui molto presto si distaccò (come Adriano Tilgher, che egli difese e mostrò
di apprezzare) assumendo posizioni "eretiche" e ispirandosi piuttosto
a un ideale di vitalismo romantico che risulta evidente dai numerosi autori e
dalle molte opere cui dedicò la sua attenzione: in particolare in una fase
iniziale, Oswald Spengler e Nietzsche.
Intelligenza precoce, prima di intraprendere l'insegnamento
universitario che lo avrebbe allontanato da Napoli portandolo ad insegnare
Filosofia morale e teoretica, Letteratura italiana e francese, Storia delle
religioni, Lingua e Letteratura spagnola, in prestigiose università italiane
come Bologna, Pisa, Cagliari, e d'oltralpe come Monaco, Nizza, Breslavia,
Debreczen (oltre alle già citate università spagnole), il Giusso avviò una
copiosa pubblicazione di articoli, collaborando con numerosi quotidiani
italiani come Il Popolo d'Italia, Il Secolo, Il Mattino, Il Resto del Carlino,
ed ancora il Giornale, Il Tempo, Il Messaggero, La Gazzetta di Sicilia, La
Stampa ed altri ancora. Giornali questi
dove fu autore di elzeviri, volti alla diffusione dei più diversi aspetti della
cultura europea e alla conoscenza dei suoi principali esponenti, soprattutto
scrittori. Inoltre, dal 1950 al 1957 tenne a radio rai un programma culturale
di letteratura spagnola e non solo, sotto forma di conversazioni radiofoniche.
Nel dopoguerra, superati i miti dell'irrazionalismo e dell'energia vitalistica,
Giusso si riavvicinò alla fede cristiana; era sua intenzione realizzare una
revisione del pensiero italiano dal Rinascimento all'età barocca, approfondendo
in particolare lo studio e l'interpretazione dell'umanesimo, inteso come vasto
tentativo sincretistico volto a ravvicinare il pensiero dell'antichità
greco-romana e quello cristiano. In
chiave revisionista rispetto alla tradizione laica si era avvicinato anche alla
figura di Giordano Bruno. Di ritorno da un viaggio nella sua adorata Spagna
morì a Roma il giorno 11 aprile del 1957. E a Napoli, sua città natale, pochi
anni dopo la sua dipartita gli venne intitolata una strada. Opere principali: Le dittature democratiche
dell'Italia, Milano, Alpes, Leopardi, Stendhal, Nietzsche, Napoli, Guida, Tre
profili: Dostojewsky, Freud, Ortega y Gasset, Napoli, A. Guida, 1933. Idealismo
e prospettivismo, Napoli, A. Guida, Leopardi e le sue due ideologie, Firenze,
Sansoni, Osvaldo Spengler, Roma, società anonima La nuova antologia, Cadenze di
Sigismondo nella Torre, Modena, Guanda, G. B. Vico fra l'Umanesimo e l'Occasionalismo,
Roma, Perrella, Wilhelm Dilthey e la
filosofia come visione della vita, Napoli, R. Ricciardi, Elegie del torso della
saggezza mutilata, Milano, Corbaccio, Il viandante e le statue: saggi sulla
letteratura contemporanea, Roma, Cremonese, Nietzsche, Milano, Fratelli Bocca, Lo
storicismo tedesco: Dilthey, Simmel, Spengler, Milano, F.lli Bocca, Gioberti,
Milano, A. Garzanti, Bergson, Milano, Bocca, L'anima e il cosmo, Milano, Bocca, La tradizione ermetica nella filosofia
italiana, Milano, Ed. F.lli Bocca, Due scritti sul nazionalsocialismo, Roma,
Settimo Sigillo, Quaderno, Napoli, Università degli Studi Suor Orsola
Benincasa, . Tafferugli a Montecavallo, La Finestra editrice, Lavis, .Dizionario
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pagine sparse, Panteismo e magia in G. Bruno / Sassari, Scienze e filosofia in
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indicem; G. Villaroel, Gente di ieri e di oggi, Bologna 1954, ad indicem; L.
Fiumi, Giunta a Parnaso, Bergamo 1954, ad indicem; G. Artieri, Romantico
napoletano, in Il Tempo, 11 maggio 1957; R. Maran, L. G. e la ricerca d'un
sistema, in Sophia, XXV (1958), 3-4,
265-267; A. Spaini, Ricordo di L. G., in Il Messaggero, 1° febbr. 1960;
G. Toffanin, G. e Ortega, in Nuova Antologia, ottobre 1960, 262 ss.; P. Boni Fellini, G. dieci anni dopo,
in L'Osservatore politico letterario, giugno 1967; Diz. della letteratura
mondiale del '900, sub voce. Lorenzo
Giusso, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Lorenzo Giusso, in Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Givone: Grice: “I like Givone,
especially his two essays on ‘eros’: ‘eros and ethos’ and the more
controversial, ‘eros and knowledge’ -- Sergio Givone (Buronzo), filosofo. Laureato
a Torino con Luigi Pareyson, ha insegnato a Perugia, Torino e Firenze, dove
attualmente è ordinario di Estetica alla Facoltà di Lettere e Filosofia. Nel
1982-83 e nel 1987-88 è stato Humboldt-Stipendiat presso l'Heidelberg. Alcuni suoi lavori riguardano Dostoevskij,
riletto alla luce del problema del nichilismo europeo. Da questa riflessione
nasce anche la sua ricerca sulla storia del nulla e sulle implicazioni in un
nuovo pensiero tragico. Ha scritto anche
opere di narrativa, in cui forte è ancora il richiamo filosofico e l'impronta
della letteratura russa. Collabora col
quotidiano la Repubblica. Il 4
giugno è stato nominato assessore alla
Cultura del Comune di Firenze. Opere: La
storia della filosofia secondo Kant, Milano, Mursia, Hybris e Malinconia. Studi sulle poetiche del
Novecento, Milano, Mursia, William
Blake. Arte e religione, Milano, Mursia, Ermeneutica e romanticismo, Milano,
Mursia, Dostoevskij e la filosofia, Roma-Bari, Laterza, Storia dell'estetica,
Roma-Bari, Laterza, Disincanto del mondo e pensiero tragico, Milano, Il Saggiatore,
La questione romantica, Roma-Bari,
Laterza, Storia del nulla, Roma-Bari, Laterza, Favola delle cose ultime,
Torino, Einaudi, Eros/ethos, Torino, Einaudi, Nel nome di un dio barbaro, Torino,
Einaud, Prima lezione di estetica,
Roma-Bari, Laterza, Il bibliotecario di Leibniz. Filosofia e romanzo, Torino,
Einaudi, Non c'è più tempo, Torino, Einaudi,
Premio Nazionale Rhegium Julii 2008, Narrativa;. Metafisica della peste. Colpa
e destino, Torino, Einaudi, .Luce d'addio. Dialoghi dell'amore ferito, Firenze,
Olschki, Sull'infinito, il Mulino, Fonte: Enciclopedie on line, riferimenti in
. premio Rhegium Julii, su
circolorhegiumjulii.wordpress.com. 3 novembre .
Pantragismo Pensiero tragico Sergio Givone, su Treccani.itEnciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Opere di Sergio Givone, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di
Sergio Givone, . Registrazioni di Sergio
Givone, su RadioRadicale.it, Radio Radicale.
Sergio Givone sulla bellezza speciale di Rai Filosofia.
glanvill: English
philosopher who defended the Royal Society against scholasticism. Glanvill believes
that certainty is possible in the mathematical but not in the empirical realm.
In “The Vanity of Dogmatizing,” he claimed that the human corruption that
resulted from Adam’s fall precludes dogmatic knowledge of nature. Using
traditional sceptical arguments as well as an analysis of causality that
anticipate Hume, Glanvill argues that empirical belief is the probabilistic
variety acquired by piece-meal investigation. Despite his scepticism he argues
for the existence of witches in Witches and Witchcraft (“Probably he was
married to one,” Grice comments).
GNOTUM
– NOTVUM – NOTATURA -- gnosticism: a philosophical movement, especially
important under the leadership of Valentinus and Basilides. They teach that
matter was evil, the result of a cosmic disruption in which an evil archon
often associated with the god of the Old Testament, Yahweh rebelled against the
heavenly pleroma the complete spiritual world. In the process divine sparks
were unleashed from the pleroma and lodged in material human bodies. Jesus was
a high-ranking archon Logos sent to restore those souls with divine sparks to
the pleroma by imparting esoteric knowledge gnosis to them. Gnosticism
influenced and threatened the orthodox church from within and without.
NonChristian gnostic sects rivaled Christianity, and Christian gnostics
threatened orthodoxy by emphasizing salvation by knowledge rather than by
faith. Theologians like Clement of Alexandria and his pupil Origen held that
there were two roads to salvation, the way of faith for the masses and the way
of esoteric or mystical knowledge for the philosophers. Gnosticism profoundly
influenced the C. of E., causing it to define its scriptural canon and to
develop a set of creeds and an episcopal organization (“My mother, Mabel Fenton
Grice, was a bit of a gnostic, if I must say”Grice).
godwin: w. English
philosopher. “An Enquiry concerning Political Justice” arises heated debate.
Godwin argues for radical forms of determinism, anarchism, and utilitarianism. Godwin
thought that government corrupts everyone by encouraging stereotyped thinking
that prevents us from seeing each other as unique individuals. His “Caleb
Williams” portrays a good man corrupted by prejudice. Once we remove prejudice
and artificial inequality we will see that our acts are wholly determined. This
obviously makes punishment pointless. Only in a small anarchic societysuch as
the one he observed outside Oxford -- can people see others as they really are
and thus come to feel a ‘sympathetic concern’ for his well-being. (In this he
influenced Edward Carpenter of “England Arise” infame). Only so can we be
virtuous, because being virtuous is acting from a ‘sympathetic’ (cf. Grice’s
principle of conversational sympathy) feeling to bring the greatest happiness
to the dyad affected. Godwin takes this principle (relabeled “the principle of
conversational sympathy” by Grice) quite literally, and accepts all its consequences.
Truthfulness has no claim on us other than the happiness it brings. If keeping
a promise causes less good than breaking it, there is no reason (or duty) at
all to keep it. If one must choose between saving the life either of a major
human benefactor or of one’s distant uncle, one must choose the benefactor. We
surely need no ‘rules’ in morals. An alleged ‘moral’ “rule” would prevent us
from seeing others properly, thereby impairing the sympathetic feeling that constitutes
virtue. Rights, too, are pointless. Sympathetic people will act to help (or
cooperate with) others. Later utilitarians like Bentham had difficulty in
separating their positions from Godwin’s notorious views. Refs.: H. P. Grice, “Godwin and the ethics of
conversation.’
Gobetti: Grice: “Italian philosophy is political
in a way pinko Oxonian one ain’t: Gobetti is the exception that DISproves the
rule!” -- “Lo Stato non professa un'etica, ma esercita un'azione politica.” (La
Rivoluzione Liberale.) Piero Gobetti (Torino), filosofo. Considerato un
degno erede della tradizione filosofico-politica post-illuminista e liberale
che aveva guidato molte delle migliori menti dell'Italia dal Risorgimento fino
a poco tempo prima, purtuttavia di stampo profondamente sociale e sensibile
alle istanze del socialismo e di conseguenza alle rivendicazioni del movimento
operaio, fondò e diresse le riviste Energie Nove, La Rivoluzione liberale e Il
Baretti, dando fondamentali contributi alla vita politica e culturale, prima
che le sue condizioni di salute, aggravate dalle aggressioni subite, ne
provocassero la morte prematura a nemmeno 25 anni durante l'esilio francese. Gaetano
Salvemini «Era un giovane alto e sottile, disdegnava l'eleganza della persona,
portava occhiali a stanghetta, da modesto studioso: i lunghi capelli arruffati
dai riflessi rossi gli ombreggiavano la fronte» (Carlo Levi, in
«Introduzione agli Scritti politici di Piero Gobetti», XVII, 1960) Gobetti
nacque a Torino il 19 giugno del 1901, figlio unico di Giovanni Battista
Gobetti, di professione commerciante, e di Angela Canuto, una «piccola donna
bruna e tonda, gentile e modesta, capace tuttavia non solo di grande
abnegazione per il figlio unico che adorava, ma anche di strenuo lavoro e di
sagace giudizio». I suoi genitori, originari entrambi di Andezeno (in provincia
di Torino), avevano aperto nel capoluogo piemontese una drogheria nella
centrale via XX Settembre: «Mio padre e mia madre avevano un piccolo commercio.
Lavoravano diciotto ore al giorno. Il mio avvenire era il loro pensiero
dominante [...] L'impegno del loro lavoro era di arricchire [...] permettersi e
permettermi una vita dignitosa. In quanto a me pensavano di dovermi dare
un'istruzione, quella che essi non avevano potuto avere». Dopo gli studi
elementari presso la scuola Giacinto Pacchiotti, s'iscrive al ginnasio Cesare
Balbo: scriverà di sé di quegli anni, in terza persona, che «gli pesava
un'amarezza, uno sconforto, che nei ragazzi di dodici anni segnano inquietudini
fruttuose. Si vedeva troppo poco stimato, troppo solo, troppo malsicuro del
domani. Aveva dei dubbi strani sulle sue stesse attitudini [...] Un'adolescenza
che s'ispirava a motivi così integrali doveva dargli una tragica forza».
Trasferitosi poi, nel 1916, presso il liceo classicoVincenzo Gioberti, dove
conosce Ada Prospero, sua futura moglie, ha per professore d'italiano Umberto
Cosmo e per insegnante di filosofia Balbino Giuliano, un gentiliano che
collabora alla rivista L'Unità di Gaetano Salvemini. Questi gli ispira quei
sentimenti di patriottismo e di interventismo democratico che sono propri del
Salvemini, spingendolo ad anticipare di un anno l'esame di maturità, superato
nell'estate del 1918, per poter così andare, libero da impegni, volontario
nella prima guerra mondiale. Luigi Einaudi La guerra è ormai
conclusa quando Piero, ad ottobre, s'iscrive presso la facoltà di
Giurisprudenza dell'Torino, la stessa che egli aveva già frequentato, ancora
liceale, per seguirvi alcuni corsi di suo interesse: letteratura, arte,
filosofia. Tra i suoi insegnanti vi sono Luigi Einaudi, da cui «rafforza il suo
primitivo, spontaneo antistatalismo, in cui s'incontrano liberalismo, liberismo
e quello stesso libertarismo che gli è congeniale» Luigi Farinelli, Gaetano
Mosca, Giuseppe Prato, Francesco Ruffini e Gioele Solari, con il quale nel
giugno del 1922 sosterrà la tesi di laurea, ottenuta a pieni voti, su La
filosofia politica di Vittorio Alfieri. Non solo: a settembre aveva
scritto all'amica Ada di aver «deciso di fondare un periodico studentesco di
cultura che s'occuperà di arte, letteratura, filosofia, questioni sociali [...]
è fatto di soli giovani [...] si tratta di opera di intensificazione di cultura
e di azione [...] e tutti i giovani devono aiutarla». E così, il 1º novembre
del 1918, esce il primo numero del quindicinale Energie Nove, nel quale scrive
di voler «portare una fresca onda di spiritualità nella gretta cultura di oggi
[...] non c'è mai momento inopportuno per lavorare seriamente». Ispirata
alle idee liberali di Einaudi, è vicina all'Unità di Salvemini, del quale
riporta, nel secondo numero, l'aspra critica alla classe dirigente italiana:
«L'Italia ha vinto. Ma se avesse avuto una classe dirigente meno incolta, più
consapevole delle sue tradizioni e dei suoi doveri, meno avida moralmente,
l'Italia avrebbe vinto assai prima e assai meglio [...] È finita o sta per
finire una guerra. Ne comincia un'altra. Più lunga, più aspra, più spietata».
L'altra «guerra più lunga e spietata» è quella della riforma del Paese, una
riforma che dev'essere, nelle intenzioni di Gobetti, innanzi tutto culturale e
morale, e per la quale occorre «serietà e intensità al lavoro» secondo i motivi
di quell'«idealismo militante che ha animato La Voce» di Giuseppe Prezzolini,
altro nume ispiratore del giovanissimo Gobetti. La Lega democratica
Giuseppe Prezzolini «Per Piero era doveroso partecipare in prima persona al
dibattito politico e intellettuale contemporaneo.» (Carlo Levi, in
«Introduzione agli Scritti politici di Piero Gobetti», XXIII, 1960) Nell'aprile
del 1918, Gobetti sospende la pubblicazione della rivista per poter
partecipare, a Firenze, al I Congresso degli Unitari, i sostenitori della
rivista di Salvemini, della quale egli è fondatore e rappresentante del Gruppo
torinese. Può così conoscere di persona l'intellettuale pugliese e ne è
entusiasta: «Salvemini è un genio. Me lo immaginavo proprio così. L'uomo che
sviscerale questioni, che la fa smettere agli importuni e ti presenta tutte le
soluzioni in due minuti, definitive […] Un'altra persona di cui sono entusiasta
è Prezzolini, franco, semplice, pratico. Editore propriamente come lo pensavo
io. L'editore più intelligente d'Italia». A seguito del Congresso, gli Unitari
fondano la Lega democratica per il rinnovamento della politica nazionale, una
formazione politica che non riuscirà nemmeno a presentarsi alle elezioni e avrà
vita breve. Alle elezioni politiche dell'anno seguente, Salvemini si
candideràcon successoin una formazione di ex-combattenti. Salvemini deve
aver compreso le qualità di Gobetti se arriva a offrirgli la direzione de
L'Unità, una proposta che il giovane torinese, però, lascia cadere. Non si
sente pronto per tanto impegno, come scrive nel suo diario, il 23 agosto:
«Com'è vasta la cultura che devo conquistare! E non basta conquistare il
vecchio. Sono giovane e devo anche produrre, creare quel po' che si può creare.
[…] Ho tutta la vita davanti per sedermi in campagna, davanti al camino, a
mangiare pane e noci. Ho una responsabilità. Devo espormi in prima persona.
Perciò faccio la rivista. […] Voglio impormi nel lavoro». E s'impone un piano
di studi: «Gentile, ciò che non conosco ancora, rileggerò Croce […] avvierò lo
studio del Marxismo: per ora non mi preme. Basta che mi formi un'idea generale
di Marx e della critica marxista (Sorel, Labriola, ecc.). D'altra parte studio
il bolscevismo, minutamente». Un suo grande ispiratore fu certamente il
politico socialista francese Jean Jaurès. Il primo numero di
Energie Nove Queste note sembrano riflettere anche la polemica che, appena
riprese le pubblicazioni il 5 maggio, Energie Nove aveva avuto con L'Ordine
Nuovoal tempo sprezzantemente definito dallo stesso Gobetti un «giornaletto
torinese di propaganda»di Togliatti, che aveva accusato Gobetti di idealismo
astratto, e di Gramsci, che aveva definito velleitaria la Lega democratica, un
«ricettario per cucinare la lepre alla cacciatora senza la lepre». Ora in
Gobetti vi è il segno di un'inquietudine nuova, provocatagli dall'esperienza
della rivoluzione russa e dallo sviluppo del movimento operaio, molto attivo a
Torino. Pubblica due numeri unici sul socialismo, conosce personalmente
Gramsci, stimandolo e venendone apprezzato, del quale pubblica un articolo,
studia il russo con la fidanzataAdainsieme traducono Il figlio dell'uomo di
Leonid Andreev, pubblicato dall'editore Sonzognoed a settembre scrive,
criticando la politica sviluppata da d'Annunzio in forma di retorica, che «la
politica oggi deve essere realizzata come forma di educazione. La simpatia che
io provo per Trotzchi [sic] e Lenin sta nel fatto che essi in un certo modo
sono riusciti a realizzare questo valore». Sebbene restio a sposarla
(emblematica fu la risposta «Grazie, non fumo…»), nella considerazione del
rapporto con la fidanzata si rivela anche la sua profonda maturità e serietà
morale: «Ho dovuto rifarmi un senso morale, un senso della vita forte a sedici
anni, in gran parte a diciassette, e siccome me lo son fatto pensando a lei,
gliene sarò grato sempre. Una fanciulla come io la sognavo sola poteva darmi un
senso immediato di elevazione. Ho creduto in lei e la amo tanto perché mi fa
credere ancora adesso». Il 12 febbraio del 1920, la rivista Energie Nove
cessa le pubblicazioni: «sentivo bisogno di maggiore raccoglimento e pensavo
una elaborazione politica assolutamente nuova, le cui linee mi apparvero di
fatto nel settembre al tempo dell'occupazione delle fabbriche. Devo la mia
rinnovazione dell'esperienza salveminiana al movimento dei comunisti torinesi
da una parte (vivi di un concreto spirito marxista) e dall'altra agli studi sul
Risorgimento e sulla rivoluzione russa che ero venuto compiendo in quel tempo»,
e in giugno si consuma anche il distacco con la Lega democratica degli amici di
Salvemini. Continua le traduzioni dal russo ed intraprende quelle dal francese
dei modernisti cattolici Blondel e Laberthonnièrelo studio sulla filosofia di
quest'ultimo gli è suggerito dal suo professore Gioele Solarie cerca di
rintracciare le radici del Risorgimento italiano studiando la cultura
piemontese del Sette-Ottocento. Il movimento operaio Antonio
Gramsci «Io seguo con simpatia gli sforzi degli operai che realmente
costruiscono un ordine nuovo. Non sento in me la forza di seguirli nell'opera
loro, almeno per ora. Ma mi par di vedere che a poco a poco si chiarisca e si
imposti la più grande battaglia del secolo. Allora il mio posto sarebbe dalla
parte che ha più religiosità e spirito di sacrificio» (Piero Gobetti,
lettera ad Ada Prospero, 1920) Quando, ai primi di settembre, la FIAT e le
altre maggiori fabbriche torinesi sono occupate dagli operai, Gobetti scrive:
«Qui siamo in piena rivoluzione. Io seguo con simpatia gli sforzi degli operai
che realmente costruiscono un mondo nuovo [...] il mio posto sarebbe
necessariamente dalla parte che ha più religiosità e volontà di sacrificio. La
rivoluzione si pone oggi in tutto il suo carattere religioso [...] Si tratta di
un vero e proprio grande tentativo di realizzare non il collettivismo ma una
organizzazione del lavoro in cui gli operai o almeno i migliori di essi siano
quel che sono oggi gli industriali». Si tratta, a suo avviso, di una
rivoluzione che se non rinnoverà gli uomini, e perciò neanche la nazione, potrà
almeno rinnovare lo Stato, creando una nuova classe dirigente: «si può
rinnovare lo Stato solo se la nazione ha in sé certe energie (come ora appunto accade)
che improvvisamente da oscure si fanno chiare e acquistano possibilità e
volontà di espansione». La presa di distanza dall'azione politica di
Salveminila sua ammirazione personale nei suoi confronti resterà comunque
intattaè ora piena: gli rimprovera, come scriverà pochi anni dopo, diintendere
l'azione politica unicamente come «una questione di morale e di educazione»: il
suo «moralismo solenne, mentre costituisce il suo più intimo fascino, appare il
segreto delle sue debolezze [...] La sua concezione razionalista si risolve in
un'azione di illuminismo e di propagandismo, che può riuscire utile a una
società di cultura, non a un partito». Prosegue i suoi studi sul
Risorgimento e sulla Russia, terminando in ottobre La Russia dei Soviet: è la volontà
di comprendere funzioni e limiti di due esperienze rivoluzionarie, al cui
centro è sempre il problema della formazione della classe politica che diriga
un Paese e dei suoi rapporti con la popolazione. Ne conclude che il
Risorgimento non può considerarsi un'esperienza rivoluzionaria, dal momento che
i dirigenti politici che espresse rimasero estranei rispetto al popolo,
diversamente dalla rivoluzione sovietica che, a suo avviso, ha espresso
dirigenti come Lenin e Trotskij, che non sono soltanto dei bolscevichi, ma
«uomini d'azioni che hanno destato un popolo e gli vanno ricreando un'anima» e,
del resto, la creazione dal basso di un nuovo Stato, nel quale il popolo abbia
fiducia proprio in quanto avvertito come opera propria, «è essenzialmente
un'affermazione di liberalismo» Sono concetti ripresi, il 30 novembre, in
un articolo pubblicato su L'Educazione nazionale, il Discorso ai collaboratori
di Energie Nove, nel quale individua nel movimento operaio un «valore
nazionale»: la novità, venuta dalla Russia e che sembra farsi strada anche in
Italia, consiste nel fatto che «il popolo diventa Stato. Nessun pregiudizio del
nostro passato ci può impedire la visione del miracolo. Questo non avrebbero
fatto i liberali, questo non possono fare dei marxisti. Il movimento operaio è
un'affermazione che ha trasceso tutte le premesse. È il primo movimento laico
d'Italia. È la libertà che s'instaura». Il suo avvicinamento alle
posizioni dei giovani comunisti dell'Ordine Nuovo ha anche il concreto effetto
di una collaborazione e, dal gennaio del 1921, Gobetti diventa il critico
teatrale della rivista. A luglio, a Torino, deve assolvere gli obblighi di
leva: «la vita militare è la consacrazione di tutti gli egoismi e di tutte le
meschinità [...] la meccanicità pervade ogni forma di vita; tutto si riduce a
elemento, a vegetazione. La caserma è l'antitesi del pensiero». La
Rivoluzione Liberale La Rivoluzione Liberale Il 12 febbraio del 1922,
esce il primo numero della sua nuova rivista settimanale, La Rivoluzione liberale,
in cui collaboreranno spesso anche Giustino Fortunato, Antonio Gramsci e Luigi
Sturzo: l'obiettivo, come indicato nell'Avviso ai lettori, è pur sempre quello
di Energie Nove, ossia di formare una classe politica nuova ma, ora si
aggiunge, che sia cosciente «delle esigenze sociali nascenti dalla
partecipazione del popolo alla vita dello Stato». E poiché l'Unità di Salvemini
ha cessato le pubblicazioni nel dicembre scorso, La Rivoluzione Liberale
intende proseguire quegli «sforzi di riorganizzazione morale che nell'Unità si
avvertirono». E nel Manifesto inaugurale espone il programma della
rivista: «La Rivoluzione Liberale pone come base storica di giudizio una
visione integrale e rigorosa del nostro Risorgimento; contro l'astrattismo dei
demagoghi e dei falsi realisti esamina i problemi presenti nella loro genesi e
nelle loro relazioni con gli elementi tradizionali della vita italiana; [...] e
inverando le formule empirico-tradizionaliste del liberismo classico
all'inglese, afferma una coscienza moderna dello Stato, [...] che prenda in
considerazione anche i più sottili, ma non di certo trascurabili, trapassamenti
dialettici della storia». Il 26 marzo vi pubblica la Storia dei comunisti
torinesi scritta da un liberale e a maggio dedica un numero intero all'emergente
movimento fascista; il mese successivo consegue la laurea e, l'anno seguente,
pubblicherà la sua tesi sull'Alfieri. Gobetti è vivamente colpito dagli scritti
del patriota e federalista italiano Carlo Cattaneo, del quale è uscita in quei
giorni un'antologia curata da Salvemini, che egli incontra a Torino il 10
agosto: «su Cattaneo ci siamo intesi, egli è assai vicino alle idee che gli ho
espresso». Su Cattaneo scrive, il 17 agosto, un articolo sull'Ordine
Nuovosono i giorni della devastazione fascista della sede della rivista
comunistafirmandosi Giuseppe Baretti: rappresentante della critica del processo
unitario risorgimentale, Cattaneo fu emarginato dalla classe dirigente
moderata. Eppure il Cattaneo «avversò non l'unità, ma l'illusione di risolvere
con il mito dell'unità tutti i problemi che invece si potevano intendere
soltanto nella loro specifica realtà autonoma, regionale [...] senza
atteggiarsi a profeta, senza l'enfasi dell'apostolo, capì che il fondare una
nazione non era impresa di letterati entusiasti, cercò nelle tradizioni un
linguaggio di serietà, un ammaestramento di cautela [...] E lo condannarono
alla solitudine e all'impopolarità, e diedero a lui, uomo positivo e realista,
un ufficio di Cassandra, predicante al deserto». L'avvento del fascismo
Piero Gobetti e Ada Prospero Favorito dall'inerzia dei Savoia e dalla
complicità dei dirigenti liberali, il fascismo procede alla conquista del
potere e Gobetti non s'illude che con esso si possa venire a compromessi e lo
si possa acquistare alla causa democratica. Il 23 novembre scrive L'elogio
della ghigliottina: bisogna sperare «che i tiranni siano tiranni, che la
reazione sia reazione, che ci sia chi abbia il coraggio di levare la
ghigliottina, che si mantengano le posizioni fino in fondo [...] Chiediamo le
frustate, perché qualcuno si svegli, chiediamo il boia, perché si possa veder
chiaro» e che «noi siamo come la dura scorza di una noce: proteggeremo i nostri
ideali dalla sopraffazione con tutte le nostre forze e fin quando
possibile». L'11 gennaio del 1923, sposa Ada Prospero: vanno ad abitare
nella sua casa natale di via XX Settembre 60, che diviene anche la sede della
casa editrice che egli fonda, col suo nome, ad aprile: la Piero Gobetti
editore, che pubblicherà, in poco più di due anni, oltre cento titoli[25]. In
qualità d'editore, Gobetti porta in Italia, traducendoli, alcuni dei libri e
degli autori simbolo del pensiero liberale classico, come John Stuart Mill. È
tra i primi a pubblicare i libri di Luigi Einaudi ed è lui a pubblicare, nel
1925, la prima edizione di Ossi di seppia, una delle più famose raccolte di
poesia di Eugenio Montale. I libri editi da Gobetti furono in molti casi dati
alle fiamme o comunque distrutti sotto il fascismo e, per questo motivo, sono
in molti casi introvabili, come il volume dedicato al deputato socialista
Giacomo Matteotti, di cui esistono pochissime copie. Tutti i suoi libri
riportano in copertina un motto liberale, scritto in greco antico in modo
circolare, che recita testualmente "Cosa ho a che fare io con gli
schiavi?". Gobetti e la Prospero si trasferiranno poi in via Fabro 6,
attuale sede del Centro di studi a lui intitolato. Il 6 febbraio è arrestato
perché sospetto di «appartenenza a gruppi sovversivi che complottano contro lo
Stato»: rilasciato cinque giorni dopo, subisce un nuovo arresto il 29 maggio,
provocando un'interrogazione parlamentare alla quale il governo risponde che
Gobetti «era stato redattore dell'Ordine Nuovo di Torino, giornale
antinazionale; la rivista che egli dirige, conduce da tempo una campagna contro
le istituzioni e il governo fascista; il prefetto si è perciò sentito in
diritto di far operare una perquisizione e il fermo di Gobetti per misure di
ordine pubblico». Gobetti replica con una lettera ai giornali, ribadendo
la sua funzione di oppositore del fascismo, e aggiunge, nei libri stampati
dalle sue edizioni, il motto «Che ho a che fare io con gli schiavi?». Dopo aver
preso le distanze dal Prezzolini, che ha scelto il disimpegno di fronte al
fascismo, rinnega anche il suo originario gentilismo: il Gentile è incapace «di
dar ragione di ogni fatto politico, nel suo semplicismo pratico la filosofia
gentiliana mostra caratteristicamente i suoi limiti e la nessuna aderenza al
reale».[26] La rivoluzione liberale. Saggio sulla lotta politica in
Italia Le tematiche liberali maggiormente sentite trovano una prima e ultima
sistemazione in La rivoluzione liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia,
frutto maturo delle esperienze giornalistiche precedenti, dato alle stampe
nell'aprile del 1924. L'opera è divisa in quattro parti: L'eredità del
Risorgimento, La lotta politica in Italia, La critica liberale, Il fascismo. La
fretta con cui vuol dare alle stampe questo libro di lucida analisi politica
gli impedisce di curare bene le parti marginali. Così succede che
"L'eredità del Risorgimento" venga solo abbozzata: «Il problema
italiano non è di autorità, ma di autonomia: l'assenza di una vita libera fu
attraverso i secoli l'ostacolo fondamentale per la creazione di una classe
dirigente, per il formarsi di un'attività economica moderna e di una classe
tecnica progredita». Un Risorgimento calato dall'alto, che di popolare non
aveva nulla. La sfida era riempire di liberalità le istituzioni liberali
formalmente create. Nel primo dopoguerra Gobetti assiste a qualcosa di
assolutamente nuovo: la nascita dei partiti di massa (Partito Popolare (PPI) e
Partito Comunista (PCd'I) saranno una prima versione dei due partiti più
importanti della cosiddetta Prima Repubblica). Ma questo non basta. «Per
quattro anni la lotta politica non riuscì a dare la misura della lotta
sociale». Una cosa erano le questioni politiche, un'altra le esigenze sociali,
ma queste «non possono essere separate dalla politica al pari di come un felino
astuto non si ciberà del formaggio ma ne farà da esca per il topo».[27] La
seconda parte si divide in sei capitoli. Ciascun capitolo è un fattore della
lotta politica: sono presenti liberali e democratici, popolari (sviluppate le
figure di Giuseppe Toniolo, Filippo Meda e Luigi Sturzo), socialisti, comunisti
(grande spazio dato a Antonio Gramsci), nazionalisti (emblematico il pensiero
di Alfredo Rocco) e repubblicani. Gobetti attorno al 1920 La terza
parte è il cuore pulsante del saggio: una proposta concreta per fare politica
senza dimenticare la società. La lotta di classe è per Gobetti strumento di
formazione di una nuova élite, una via di rinnovamento popolare. Insomma, la
lotta politica deve essere lotta sociale. In politica ecclesiastica, Gobetti si
rifà alla pregiudiziale cavouriana della laicità, come necessità da mantenere
(cosa che verrà invece negata dai Patti Lateranensi). Per la discussione sulle
modalità d'elezione, Gobetti è convinto fautore della proporzionale. Il
collegio uninominale aveva corrotto il rappresentante in tribuno. Solo
con la proporzionale gli interessi si organizzano, così che l'economia venga
elaborata dalla politica. Di grandissima attualità è la parte dedicata al
problema dei contribuenti: «Il contribuente italiano paga bestemmiando lo
Stato. Non ha coscienza di esercitare, pagando, una vera e propria funzione
sovrana. L'imposta gli è imposta. [...] Una rivoluzione di contribuenti in
Italia in queste condizioni non è possibile per la semplice ragione che non
esistono contribuenti». Era quindi necessario per lui raggiungere una maggiore
maturità economica e sociale. Il popolo doveva comprendere l'importanza di
contribuire nello Stato, e imparare il "valore dell'onestà". Per
questo richiamava attenzione sul problema scolastico: in un mondo fatto per
grossa parte da analfabeti o semianalfabeti, la questione era fondamentale.
Mancava un numero sufficiente di maestri, perciò si sarebbe dovuto mobilitare
chiunque in grado di saper insegnare (anche preti, massoni, bolscevichi e così
via). La questione non evitava di trattare l'aspetto economico: contro il
parassitismo pensava che fosse utile tagliare stipendi e investimenti, così da
distinguere la vocazione all'insegnamento dalla vocazione al parassitare. In
politica estera prospettava un ruolo importante per l'Italia a Versailles. Era
convinto della possibilità di ottenere un buon accordo attraverso una
mediazione. Nella quarta ed ultima parte vi è una rapida esposizione del perché
Gobetti si oppone con ogni mezzo al fascismo. Si è detto che per l'autore la lotta
sociale deve essere portata in Parlamento e dar vita a una lotta politica
efficiente ed efficace. Benito Mussolini invece fece in modo da soffocare
la lotta politica, quando questa più di ogni altra cosa era necessaria
all'Italia. Così il Duce, per Gobetti, era «l'eroe rappresentativo di questa
stanchezza e di questa aspirazione di riposo» che si esplicava nel tacito
consenso della popolazione allo sradicamento di ogni lotta politica nella
nazione. In modo profetico, da esperto conoscitore del pensiero di Hegel qual
era, prevede e mette in guardia delle conseguenze della concessione del potere
a Mussolini secondo le dinamiche della dialettica serva-signore, ipotizzando una
guerra civile imminente. Il saggio è fortemente militante. Nella nota a
conclusione dell'edizione, Gobetti è chiaro: cerca collaboratori, non lettori.
Gobetti vuole la "rivoluzione liberale", cioè un nuovo liberalismo;
nutre una forte avversione per il fascismo, anche perché non è qualcosa di
nuovo ma, anzi, il risultato ottenuto da coloro che hanno governato l'Italia: è
quindi una condanna della vecchia classe dirigente liberale. Il fascismo
nasce dall'invadenza del cattolicesimo e dalla demagogia dell'Italia liberale:
"Fascismo come autobiografia della nazione", il fascismo è, insomma,
solo l'incancrenirsi dei mali tradizionali della società italiana. La
società tradizionale italiana reagisce sostenendo una forza conservatrice come
quella del fascismo, anche se in realtà qualcosa di buono nell'Italia del primo
dopoguerra vi era stato: il proletariato (soprattutto quello torinese) che
tenta di assumere su di sé la responsabilità di mutare lo stato delle cose. La
borghesia ha perso ogni funzione propositiva, è una classe parassitaria che si
è adagiata e aspetta tutto dallo Stato; si blocca così ogni istanza di
rinnovamento: la funzione liberale e libertaria è assunta dal proletariato. Le
considerazioni politiche di Gobetti risentono della sua opinione sulla storia
italiana, in Risorgimento senza eroi, Gobetti descrive questo periodo come un'epopea
patriottarda di cui simbolo è Giuseppe Mazzini (tante parole, pochi fatti): al
Risorgimento sono mancati il pragmatismo e il realismo. Ci sono due eroi
nel Risorgimento per Gobetti e sono Carlo Cattaneo e Cavour, due figure assai
distanti tra loro ma accomunabili per il loro pragmatismo: Cattaneo piace a
Gobetti per la sua volontà di operare, per la capacità di propugnare istanze
pragmatiche e vuote di retorica; Cavour è uomo che media per raggiungere degli
obiettivi, ha mire di lungo periodo. Il Risorgimento di Cattaneo è sconfitto,
ma non quello di Cavour; entrambi, però, hanno instillato nella società
italiana lo spirito della competizione e l'ideale di assunzione di
responsabilità. La società italiana si regge su ruoli e cariche già predefiniti,
è statica e stagnante: il proletariato, però, si ribella a ciò, rifugge
situazioni già prestabilite per costruire una società nuova in cui ciascuno
sarà libero di esprimersi. La persecuzione, l'esilio e la morte
Giacomo Matteotti Nel maggio del 1924 Gobetti si reca in Francia, a Parigi e
poi in Sicilia, a Palermo, per incontrare alcuni amici conosciuti durante il
recente viaggio di nozze. I suoi spostamenti sono seguiti dalla polizia
italiana e, il 1º giugno, Mussolini telegrafa al prefetto di Torino, Enrico
Palmieri: «Mi si riferisce che noto Gobetti sia stato recentemente a Parigi e
che oggi sia in Sicilia. Prego informarmi e vigilare per rendere nuovamente
difficile vita questo insulso oppositore di governo e fascismo». Il prefetto
obbedisce e, il 9 giugno, Gobetti viene percosso, la sua abitazione perquisita
e le sue carte sequestrate. Come scrive a Emilio Lussu, la polizia sospetta che
egli intrattenga rapporti in Italia e all'estero per organizzare le forze
antifasciste. È il giorno che precede la scomparsa di Giacomo Matteotti,
il cui corpo verrà ritrovato solo in agosto, ma subito si ha la certezza che si
tratti di un omicidio perpetrato da sicari fascisti. Gobetti ne traccia un
profilo il 1º luglio: «Non ostentava presunzioni teoriche: dichiarava
candidamente di non aver tempo per risolvere i problemi filosofici perché
doveva studiare i bilanci e rivedere i conti degli amministratori socialisti
[...] vide nascere nel Polesine il movimento fascista come schiavismo agrario,
come cortigianeria servile degli spostati verso chi li pagava; come medievale
crudeltà e torbido oscurantismo [...] Sentiva che per combattere utilmente il
fascismo nel campo politico occorreva opporgli esempi di dignità con resistenza
tenace. Farne una questione di carattere, di intransigenza, di
rigorismo». Auspica, dalle colonne della sua rivista, la formazione di
"Gruppi della Rivoluzione Liberale", formati da uomini di tutti i
partiti antifascisti, che combattano il fascismo, questo fenomeno politico che
trae i motivi del suo successo e della sua conservazione dalla creazione di «un
esercito di parassiti dello Stato». Occorre, a questo scopo, formare
un'economia moderna con un'industria «libera da ogni protezionismo e da ogni
paternalismo di Stato» e con «una classe proletaria politicamente
intransigente[29] [...] aiutare i partiti seri e moderni a liberarsi dei
costumi giolittiani [...] La guerra al fascismo è questione di maturità
storica, politica, economica».[30] Questi articoli e quello in cui accusa
il deputato fascista, grande invalido di guerra, Carlo Delcroix, di manovre
parlamentari definite «aborti morali», provocano il sequestro della rivista ed
una violenta aggressione da parte di uno squadrone fascista. Persino un
articolo di Tommaso Fiore contro il criminale fascista Amerigo Dumini, apparso
su La Rivoluzione Liberale del 23 settembre, fornisce il pretesto al prefetto
di Torino di sequestrare la rivista[31]. Con il Fiore e con Guido Dorso
pubblica un Appello ai meridionali e con il Saluto all'altro Parlamento appoggia
l'iniziativa aventiniana, dalla quale si aspetta un'opposizione intransigente e
un esempio di rinnovamento dei costumi parlamentari italiani. Il 23
dicembre del 1924, Gobetti fonda una nuova rivista, Il Baretti, alla quale
collaborano, tra gli altri, Augusto Monti, Natalino Sapegno, Benedetto Croce e
Eugenio Montale. Come La Rivoluzione Liberale è dedicata a temi
storico-politici, così la nuova rivista vuole essere riservata alla critica
letteraria e all'estetica. Il riferimento a Giuseppe Baretti, letterato
italiano vissuto a lungo all'estero, e alla sua Frusta letteraria, esempio di
polemica vivace e irriverente, sottintende, scrive Gobetti nel numero
d'esordio, «una volontà di coerenza con le tradizioni di battaglia contro
culture e letterature costrette nei limiti della provincia, chiuse dalle
frontiere di dogmi angusti e di piccole patrie». In ossequio alle
direttive mussoliniane, proseguono i sequestri della sua rivista: «rimedieremo
ai sequestri rifacendo l'edizione»scrive Gobetti il 1º febbraio del 1925e anche
quel numero viene sequestrato con il pretesto di «scritti diffamatori dei
poteri dello Stato e tendenti a screditare le forze nazionali». Pubblica la
traduzione de La Libertà di John Stuart Mill, con la prefazione di Luigi
Einaudi, il quale scrive che «quando, per fiaccare la voce dei ribelli, si
assevera dai dominatori la unanimità del consenso, giova rileggere i grandi
libri sulla libertà». Anche produrre «citazioni di scrittori del passato» che
non collimino col pensiero del Regime può essere «tendenzioso» e perciò
provocare, l'8 marzo, il sequestro della rivista, come accade anche il 21 marzo
e il 7 giugno: l'8 giugno è arrestato Gaetano Salvemini, che ha pubblicato sul
foglio clandestino Non Mollare l'articolo Mussolini il mandante. Altri
sequestri de La Rivoluzione Liberale avvengono il 28 giugno e il 19
luglio. Un periodo di serenità per Piero e la moglie Adache aspetta un
bambinoè rappresentato da un viaggio a Parigi e a Londra; nella capitale
francese, Gobetti pensa di stabilire una sua casa editrice: «Credo che solo da
Parigi, solo in francese, solo con la solidarietà dello spirito francese un
italiano possa fare con utilità un'opera pratica di intelligenza europea.
S'intende senza chauvinisme francese». D'altra parte, Gobetti intende
ancora rimanere in Italia: «rimarrò in Italia fino all'ultimo. Sono deciso a
non fare l'esule».[32] La tomba di Gobetti A metà agosto fanno
ritorno a Torino e il 5 settembre è nuovamente vittima dei pestaggi squadristi,
ma è ancora intenzionato a rimanere in Italia: «Bisogna amare l'Italia con
orgoglio di europei e con l'austera passione dell'esule in patria»scrive
nell'articolo Lettera a Parigi del 18 ottobre«per capire con quale serena
tristezza e inesorabile volontà di sacrificio noi viviamo nella presente realtà
fascista [...] le nostre malattie e le nostre crisi di coscienza non possiamo
curarle che noi. Dobbiamo trovare da soli la nostra giustizia. E questa è la
nostra dignità di antifascisti: per essere europei dobbiamo su questo argomento
sembrare, comunque la parola ci disgusti, nazionalisti». Il 27 ottobre,
poiché «i ripetuti sequestri a nulla hanno valso, e che il periodico in parola,
sotto l'aspetto di critiche e di discussioni politiche, economiche, morali e
religiose, che vorrebbero assurgere ad affermazioni e sviluppi di principi
dottrinari, mira in realtà, con irriverenti richiami, alla menomazione delle
Istituzioni Monarchiche, della Chiesa, dei Poteri dello Stato, danneggiando il
prestigio nazionale, e nel complesso può dar motivo a reazioni pericolose per
l'ordine pubblico, persistendo in violazioni sempre più gravi ai vigenti
decreti sulla stampa», il prefetto d'Adamo diffida «il Direttore responsabile
del periodico La Rivoluzione Liberale, Prof. Piero Gobetti, ai sensi e per gli
effetti di cui all'art. 2 del R. D. 15 luglio 1923, n. 3288, e del R. D. 10
luglio 1924, n. 1081», ad adeguarsi alle direttive del Regime e poiché l'8
novembre la rivista disattende l'ordine, l'11 novembre il prefetto ingiunge la
cessazione definitiva delle pubblicazioni e la soppressione della stessa casa
editrice per «attività nettamente antinazionale». D'ora in avanti «sarò
palesatamente costretto all'infelice dissenso [...] . La libertà d'opinione è
stata soppressa come una rete che viene sradicata: senza possibilità di
dialogare sono destinato ad essere sopraffatto. A cosa serve più, ora, fare
finta?»[33] Gobetti, che ora soffre anche di scompensi cardiaci,
provocati o aggravati dalle violenze subite, pensa di lasciare l'Italia per
proseguire in Francia l'attività editoriale. Il 28 dicembre, nasce a Torino il
figlio Paolo (1925-1995), che durante la seconda guerra mondiale diventerà
partigiano e poi giornalista per l'Unità, oltreché storico del cinema. Nel
gennaio del 1926 scrive una lettera al suo mentore Giustino Fortunato: «Parto
per Parigi dove farò l'editore francese, ossia il mio mestiere che in Italia mi
è interdetto. A Parigi non intendo fare del libellismo, o della polemica
spicciola come i granduchi spodestati di Russia; vorrei fare un'opera di cultura,
nel senso del liberalismo europeo e della democrazia moderna».[34] Il 3
febbraio del 1926, Gobetti parte da solo per Parigi: alla stazione di Genova
viene a salutarlo Eugenio Montale. L'11 febbraio si ammala di una bronchite,
che esacerba gravemente i suoi problemi cardiaci: trasportato il 13 del mese in
una clinica di Neuilly-sur-Seine, vi muore alla mezzanotte del 15 febbraio del
1926, assistito da Francesco Fausto e Francesco Saverio Nitti, da Prezzolini e
da Luigi Emery. È sepolto nel cimitero parigino di Père-Lachaise. Opere
La filosofia politica di Vittorio Alfieri, Torino, Gobetti, 1923. La frusta
teatrale, Milano, Corbaccio, 1923. (Leggi su Wikisource) Felice Casorati.
Pittore, Torino, Gobetti, 1923. Dal bolscevismo al fascismo. Note di cultura
politica, Torino, Gobetti, 1923. Il teatro di Enrico Pea, in Enrico Pea, Rosa
di Sion, Torino, Gobetti, 1923. Matteotti, Torino, Gobetti, 1924Postfazione di
Marco Scavino, Edizioni di Storia e Letteratura, , 9788863726541col titolo Per Matteotti. Un
ritratto, Il Melangolo, Genova, 1994. La rivoluzione liberale. Saggio sulla
lotta politica in Italia, Bologna, Cappelli, 1924. Opere di Piero Gobetti edite
e inedite I, Risorgimento senza eroi. Studi sul pensiero piemontese nel
Risorgimento, Torino, Edizioni del Baretti, 1926. II, Paradosso dello spirito
russo, Torino, Edizioni del Baretti, 1926. Opera critica I, Arte, religione,
filosofia, Torino, Baretti, 1927. II, Teatro, letteratura, storia, Torino,
Baretti, 1927. Scritti attuali, Roma, Capriotti, 1945. Coscienza liberale e
classe operaia, Paolo Spriano, Torino, Einaudi, 1951. Opere complete di Piero
Gobetti I, Scritti politici, Paolo Spriano, Torino, Einaudi, 1960. II, Scritti
storici, letterari e filosofici, Paolo Spriano, Torino, Einaudi, 1969. III, Scritti
di critica teatrale, Giorgio Guazzotti e Carla Gobetti, Torino, Einaudi, 1974.
L'editore ideale. Frammenti autobiografici con iconografia, Franco Antonicelli,
Milano, All'insegna del pesce d'oro, 1966. (Leggi su Wikisource) Energie nove,
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Lettere dalla Sicilia, nota di Giovanna Finocchiaro Chimirri, introduzione di
Nicola Sapegno, Palermo, Nuova editrice meridionale, 1988. Nella tua breve
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88-06-12536-2.Nuova ed. riveduta e integrata, Collana Piccola
Biblioteca.Nuova serie, Einaudi, Con animo di liberale. Piero Gobetti e i
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Ersilia Alessandrone Perona, Torino, Einaudi, 2003. 88-06-16027-3. Che ho a che fare io con i
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37-38 N. Bobbio, Italia fedele.
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breve esistenza. Lettere P. Gobetti, Energie Nove, n. 2 Lettera ad Ada Prospero, 17 aprile 1919, in
Nella tua breve esistenza, cit., l. 31
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ideale, cit.48 Carlo Levi, in
«Introduzione agli Scritti politici di Piero Gobetti», II, 1960 P. Togliatti, I parassiti della cultura, in
«L'Ordine Nuovo», I, 2; A. Gramsci, Contributi a una nuova dottrina dello Stato
e del colpo di Stato, in «L'Ordine Nuovo», I, 5
Nella tua breve esistenza, cit., l. 162
Alberto Cabella, Elogio della libertà. Biografia di Piero Gobetti,
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375-376 Ivi, l. 385 P. Gobetti, La Rivoluzione liberale, in
«Scritti politici», 1960, 988-989 Scritti politici, 190-192
Nella tua breve esistenza, l. 421
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Malandrini, Gobetti, Piero, in Dizionario Biografico degli Italiani La Rivoluzione Liberale, I miei conti con
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consonanze e concordanze leopardiane, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, Angelo
Fabrizi, «Che ho a che fare io con gli schiavi?». Gobetti e Alfieri, Firenze,
Società Editrice Fiorentina, Flavio Aliquò Mazzei, Piero Gobetti. Profilo di un
rivoluzionario liberale, Firenze, Pugliese, Bartolo Gariglio , L'autunno delle
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libertà è rivoluzionaria: Piero Gobetti, su radicalsocialismo.it. La casa di
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Gobbo -- Federico Gobbo – esperantista
-- He has collaborated with philosophers.
Gonnella: Grice: “Like
Foucault, and a few English philosophers who explored the conceptual
intricacies of the ‘justification’ of punishment, Gonnella’s oeuvre is
brilliant!” -Patrizio Gonnella (Bari), filosofo. Prresidente dell'Associazione
Antigone, che dal 1991 si occupa di giustizia penale, carceri, diritti umani e
prevenzione della tortura. È docente di Sociologia del Diritto presso il
Dipartimento di Giurisprudenza dell'Università Roma Tre. È esperto del Consiglio
d’Europa nel monitoraggio dei luoghi di privazione della libertà. Fa parte
dell’Assessment Committee dell’Npm Observatory. È editorialista del Manifesto,
cura un blog sul sito de l’Espresso e conduce, insieme a Susanna Marietti, la
trasmissione Jailhouse Rock su Radio Popolare che incrocia i temi della musica
con quelli delle prigioni. Tra il e
il è stato presidente della Coalizione
Italiana per le Libertà e i Diritti civili. Attivismo in materia
di giustizia, diritti umani e carceri Si è sempre occupato di giustizia,
carceri e diritti umani. Dal 2005 è presidente nazionale dell'Associazione
Antigone. È stato fondatore dell'Osservatorio europeo sulle condizioni di
detenzione, rete di organizzazioni non governative e universitarie che
coinvolge partner di otto paesi europei. Tra il e il è
presidente della Coalizione Italiana per i Diritti e le Libertà Civili (Cild),
un'organizzazione di secondo livello composta da oltre quaranta associazioni,
nata per rafforzare l'attività di advocacy e di contenzioso giudiziario
strategico su tutte le libertà civili in Italia. Attualmente è componente del
direttivo della Coalizione. Ha partecipato in qualità di esperto a
missioni di monitoraggio dei luoghi di privazione della libertà per conto del
Consiglio d’Europa. Ha svolto diversi incarichi attinenti al mondo della
giustizia e dei diritti umani. Dal 1993 al 1998 ha ricoperto incarichi di
direzione degli istituti penali di Padova, Pisa, Pianosa e San Gimignano. Dal
1998 al 2001 ha svolto le funzioni di collaboratore parlamentare occupandosi
principalmente di diritti umani e giustizia. Tra il 2001 e il ha ricoperto incarichi presso amministrazioni
locali, regionali e nazionali occupandosi principalmente di welfare, giustizia
e diritti umani. Attività giornalistica È editorialista dal 1999 del
quotidiano Il Manifesto sui temi della giustizia, della pena e dei diritti
umani. Ha scritto per vari quotidiani e periodici. Cura il blog “Libertà
civili” sul sito dell'Espresso. Ha scritto tra il 1998 e il sui temi del carcere e della giustizia per il
quotidiano di informazione economica Italia Oggi. È autore e conduttore,
insieme a Susanna Marietti, di una trasmissione radiofonica di musica e
informazione su e dal carcereJailhouse Rockche va in onda su un network di radio
locali. Attività accademica Laureatosi in giurisprudenza nel 1990, si è
specializzato nel 1996 in Istituzioni e Tecniche di promozione e tutela dei
diritti umani presso l'Università degli Studi di Padova, per poi divenire
Dottore di Ricerca nel in Diritto
europeo su base storico comparatistica presso l'Roma Tre. È ricercatore
presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Roma Tre, dove insegna
sociologia del diritto. È animatore della clinica legale in ambito
penitenziario che gestisce propri sportelli di informazione legale presso le
carceri romane. Ha partecipato in qualità di relatore a centinaia di
seminari in Italia e all’estero presso Università, istituti di formazione,
istituzioni. Ha periodicamente svolto attività di formazione sui temi della
pena anche per l’amministrazione penitenziaria e per la Scuola superiore della
magistratura. Opere Monografie Il diritto (non) ci salverà, Il
Manifesto, Detenuti stranieri in Italia.
Norme, numeri e diritti, Editoriale Scientifica, . Carceri. I confini della
dignità, Jacabook, . La tortura in Italia, Derive Approdi, . Jailhouse Rock,
cento musicisti dietro le sbarre, (insieme a Susanna Marietti), Arcana, . Il
carcere spiegato ai ragazzi, (insieme a Susanna Marietti), Il Manifesto libri,
. Patrie galere, (insieme a Stefano Anastasia), Carocci, 2005. Sviluppo urbano
e criminalità a Roma, (insieme a Massimiliano Bagaglini e Francesca Vianello),
Sinnos, 2003. Il collasso delle carceri italiane. Sotto la lente degli
ispettori europei, (insieme a Laura Astarita e Susanna Marietti), Sapere
2000-Consiglio d'Europa, 2003. Volumi curati Bisogna aver visto. Il carcere
nella riflessione degli antifascisti (insieme a Dario Ippolito), Edizioni
dell’Asino, . I paradossi del diritto. Scritti in omaggio a Eligio Resta
(insieme a Stefano Anastasia), Roma TrE-Press,
Giustizia e carceri secondo papa Francesco (insieme a Marco Ruotolo),
Jaca Book, . Onorare gli impegni. L'Italia e le norme internazionali contro la
tortura, (insieme ad Antonio Marchesi), Sinnos, 2006. Inchiesta sulle carceri
italiane, (insieme a Stefano Anastasia), Carocci, 2002. Il Carcere trasparente.
Primo rapporto nazionale sulle condizioni di detenzione (insieme a Stefano
Anastasia e Mauro Palma), Castelvecchi, 2000. Bisogna aver visto. Il carcere
nella riflessione degli antifascisti (insieme a Dario Ippolito), Edizioni
dell’Asino, . I paradossi del diritto. Scritti in omaggio a Eligio Resta
(insieme a Stefano Anastasia), Roma TrE-Press,
Giustizia e carceri secondo papa Francesco (insieme a Marco Ruotolo),
Jaca Book, . Onorare gli impegni. L'Italia e le norme internazionali contro la
tortura, (insieme ad Antonio Marchesi), Sinnos, 2006. Inchiesta sulle carceri
italiane, (insieme a Stefano Anastasia), Carocci, 2002. Il Carcere trasparente.
Primo rapporto nazionale sulle condizioni di detenzione (insieme a Stefano
Anastasia e Mauro Palma), Castelvecchi, 2000. Note Benvenuto sul sito dell'Associazione
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Categorie: Attivisti italiani 1966 BariDiritto penitenziario
Goretti: Cesare Goretti
(Torino), filosofo. Laureatosi in Giurisprudenza all'Torino nel 1909 (relatore
è il filosofo del diritto Gioele Solari), Goretti frequenta successivamente
l'Accademia scientifico-letteraria di Milano (che sarebbe confluita nel 1924
nell'Milano), dove incontra Piero Martinetti; lì nel 1921 si laurea in
Filosofia. Nel 1926 è segretario del VI Congresso Nazionale di Filosofia,
organizzato dalla Società filosofica italiana e presieduto da Piero Martinetti;
il Congresso è sciolto dalle autorità fasciste dopo appena due giorni. Il 31
marzo 1926 Martinetti e Goretti firmano la lettera di protesta indirizzata al
rettore Luigi Mangiagalli, nel quale si "protesta in nome della libertà
degli studi e della tradizione italiana contro un atto di violenza che
impedisce l'esercizio della discussione filosofica ed invano pretende di
vincolare la vita del pensiero". Nel 1931, al momento del giuramento
di fedeltà al Fascismo, necessario per entrare nella carriera universitaria o
per proseguirla, Goretti si rifiuta e resta così al di fuori della carriera
accademica; svolge attività professionale a Milano, effettua traduzioni di
testi filosofici e collabora alla "Rivista di filosofia" (anche quale
componente del comitato direttivo). Frequenta, come altri filosofi
antiscolastici ed antifascisti la casa di Luigi Fossati (1871-1945, bibliofilo
ex sacerdote e docente, poi allievo del Martinetti e direttore di Rivista di
filosofia) in Via Ciro Menotti a Milano. In prossimità della morte,
avvenuta nel 1943, Piero Martinetti lascia la sua biblioteca privata in legato
a Nina Ruffini (nipote di Francesco Ruffini), Gioele Solari e Cesare Goretti.
La Biblioteca verrà poi conferita dai rispettivi eredi nel 1955 alla
"Fondazione Piero Martinetti per gli studi di storia filosofica e
religiosa" di Torino; oggi è posta nel palazzo del Rettorato dell'Torino,
presso la Biblioteca della Facoltà di Lettere e Filosofia. Solo nel
secondo dopoguerra Goretti è riammesso nel mondo universitario e nel 1948
assume per concorso la cattedra di Filosofia del diritto; insegna all'Ferrara
fino alla morte. Il Comune di Ferrara ha intitolato una via a Cesare
Goretti, "filosofopatriota". L'animale come soggetto di diritto
Prolifico filosofo del diritto, autore di scritti su Kant, Sorel, Bradley,
traduttore di varie opere filosofiche (Afrikan Špir, Bradley, Thomas Hill
Green), a Goretti si deve il primo intervento che qualifica l'animale come
“soggetto di diritto”. Nel 1926 Piero Martinetti aveva pubblicato “La psiche
degli animali” in cui aveva sottolineato che gli animali possedevano intelletto
e coscienza e, in generale, un vita interiore, come emergeva dagli
“atteggiamenti, i gesti, la fisionomia”; questa vita interiore è “forse
estremamente diversa e lontana” da quella umana” ma “ha anch'essa i caratteri
della coscienza e non può essere ridotta ad un semplice meccanismo
fisiologico”. Nel 1928 Goretti va oltre, fino ad affermare che gli
animali sono veri e propri “soggetti di diritto” e che l'animale ha una “coscienza
giuridica” e una percezione del giuridico. In tal modo ha anticipato tematiche
proprie della bioetica e dell'etologia; nonostante l'originalità e
l'innovatività delle posizioni assunte, il suo scritto non ha avuto fortuna ed
è stato del tutto trascurato dal dibattito animalista e negli studi di
etologia. «Come non possiamo negare all'animale in modo sia pure
crepuscolare l'uso della categoria della causalità, così non possiamo escludere
che l'animale partecipando al nostro mondo non abbia un senso oscuro di quello
che può essere la proprietà, l'obbligazione. Casi innumerevoli dimostrano come
il cane sia custode geloso della proprietà del suo padrone e come ne
compartecipi all'uso. Oscuramente deve operare in esso questa visione della
realtà esteriore come cosa propria, che nell'uomo civile arriva alle
costruzioni raffinate dei giuristi. È assurdo pensare che l'animale che rende
un servizio al suo padrone che lo mantiene agisca soltanto istintivamente.
[...] Deve pure sentire in sé per quanto oscuramente e in modo sensibile questo
rapporto di servizi resi e scambiati. Naturalmente l'animale non potrà arrivare
al concetto di ciò che è la proprietà, l'obbligazione; basta che dimostri
esteriormente di fare uso di questi principî che in lui operano ancora in modo
oscuro e sensibile.» (Cesare Goretti, L’animale quale soggetto di
diritto, 1928) L'istitutismo giuridico Cesare Goretti è ritenutounitamente al
filosofo del diritto francese Jean Rayesponente dell’istitutismo
giuridico. Nella filosofia del diritto occidentale del XX secolo, si
individuano tre teorie dell'"istituzionalità nel giuridico"
(Lorini): istitutismo: teoria del diritto quale insieme di istituti
giuridici; gli istituti sono concepiti in Goretti "come una sorta di azioni
coordinate, costituenti un equilibrio tipico e costante di finalità che si
fissano in un complesso di mezzi" e in Ray "come costruzioni
giuridiche" istituzionalismo: teoria del diritto quale istituzione (Santi
Romano, Maurice Hauriou). neo-istituzionalismo: il diritto è rappresentato da
fatti istituzionali (Neil McCormick, Ota Weinberger). Opere Monografie Il
carattere formale della filosofia giuridica kantiana, Casa Editrice Isis,
Milano, 1922; Il sentimento giuridico nell'opera di Giorgio Sorel, Casa
Editrice "Il Solco", Città di Castello, 1922; Sorel, Athena, Milano,
1928; I fondamenti del diritto, Libreria Editrice Lombarda, Milano, 1930; Il
liberalismo giuridico di Maurice Hauriou, Tip. Editrice L. Di Pirola, Milano,
1933; Contributo allo studio della norma giuridica in relazione agli atti
giuridici, Tip. G. Bianciardi, Lodi, 1938; Concetti ed istituti giuridici, Tip.
G. Bianciardi, Lodi, 1940; La normatività giuridica, CEDAM, Padova, 1950. Altre
opere L'opera ed il pensiero di Thomas Hill Green, in A. C. Bradley, Thomas Green
Hill, Etica, Bocca, Torino, 1925 Il trattato politico di Spinoza, "Rivista
di filosofia", 1927, 235 L'animale quale soggetto di diritto,
"Rivista di filosofia", 1928, 348 Recensione di Carl Schmitt, Die
Diktatur. Von den Anfängen des modernen Souveränitätsgedankens bis
zum proletarischen Klassenkampf, Duncher & Humblot, München-Leipzig,
ed. 1928, "Rivista di Filosofia", 1929, 375 Recensione di R. Smend,
Verfassung und Verfassungsrecht, 1926, "Rivista di Filosofia", 1929, 386
Introduzione a A. Spir, La giustizia, Libreria Editrice Lombarda, Milano, 1930
Il saggio politico sulla costituzione del Württenberg, "Rivista di
filosofia", 1931, 408 Sul valore della distinzione tra legge e norma,
"Rivista di filosofia", 1932, 125 La filosofia praticaW. Schuppe,
"Rivista di filosofia", 1933, 124 Il valore della filosofia di F. H.
Bradley, "Rivista di filosofia", 1933, 332 Il saggio del Brentano
sull'origine della conoscenza etica, "Rivista di filosofia", 1934,
141 L'idea di patria, "Rivista di filosofia", 1935, 68 L'idealismo
rappresentativo di O. Hamelin, "Rivista di filosofia", 1935, 325
Recensione di Piero Calamandrei, Elogio dei giudici scritto da un avvocato, in
"Rivista di filosofia", 1936, 187 La metafisica della conoscenza in
Thomas Hill Green, "Rivista di filosofia", 1936, 97 Il dolore nel
pessimismo di A. Spir, "Rivista di filosofia", 1937, 227 Il valore
dell'individualità, "Rivista di filosofia", 1938, 226 Dal Saint-Simon
al neo-saintsimonismo, "Rivista di filosofia", 1939, 312 Diritti e
doveri giuridici in relazione alla norma giuridica, "Archivio della
Cultura italiana", 1941, 251 L'istituzione dell'eforato, "Archivio
della Cultura italiana", 1941, 251 Il significato di una valutazione
tecnica della realtà, "Archivio della Cultura italiana", 1943, 5
Piero Martinetti (1872-1943), "Archivio della Cultura italiana",
1943, 81 L'impiego delle categorie o dei concetti puri ed il valore della
coazione e dei postulati nella filosofia giuridica kantiana, "Annali della
Ferrara", VII, parte III (Facoltà
di Giurisprudenza), 1947-48, 87 Recensione di Aurelio Candian, Avvocatura,
Milano, 1949 in "Annali della Ferrara", VII, parte III (Facoltà di Giurisprudenza),
1947-48, 163 Il liberalismo di Emile Faguet, "Rivista internazionale di
filosofia del diritto", 1949, 163 Istituzioni in senso tecnico ed istituti
giuridici nella concezione realistica di Santi Romano, "Annali della
Ferrara", VIII, anni accademici
1948-49 e 1949-50, 183 Il valore delle massime di equità, "Scritti
giuridici in onore di Francesco Carnelutti", I, Filosofia e teoria generale del diritto,
Cedam, Padova, 1950, 295 L'umanesimo critico di Anatole France, "Rivista
internazionale di filosofia del diritto", 1950, 439 Recensione di Rudolf
Muller-Erzbach, "Rivista trimestrale di diritto e procedura civile",
1952, 1170 Rileggendo il Filomusi Guelfi, "Rivista internazionale di
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Filosofia del diritto Piero Martinetti Gioele Solari Jean Ray (giurista)
Giuramento di fedeltà al Fascismo Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio
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politica in onore di Luigi Sturzo", Zanichelli, Bologna, II, 1953, 253 , su luigisturzo.it
Gori: Grice: “My favourite
Gori are “L’eroe e la falce” and “Il mantello d’Arlecchino” – nothing can be
italianita with that!” -- Gino
Gori (Roma), filosofo.È noto soprattutto come autore di narrativa, come critico
e come teorico dell'arte teatrale e specificamente del suo rinnovamento in
chiave modernista. Opere Il mantello di
Arlecchino (Roma 1913); Er libbro rosso de la guera (Roma 1915); Le bruttezze
della Divina Commedia (Alatri 1920); Le bellezze della Divina Commedia (Milano
1921); Studi di estetica dell'irrazionale (Milano 1921); Il mulino della luna
(Milano 1924); L'irrazionale, in due volumi: Filosofia ed estetica. Sistema di
una nuova scienza del bello; L'eroe e la falce. Scorcio architettonico di
letteratura europea dalle origini ai nostri giorni (Foligno 1924); Cagliostro
(Milano 1925); Il teatro contemporaneo e le sue correnti caratteristiche di
pensiero e di vita nelle varie nazioni (Torino-Milano-Roma 1924); L'oca azzurra
(Roma 1925); Il grande amore (Firenze 1926); Scenografia. La tradizione e la
rivoluzione contemporanea (Roma 1926); Il grottesco nell'arte e nella
letteratura (Milano 1927). P.D.
Giovanelli, Gino Gori. L'irrazionale e il teatro, Roma, Bulzoni, 1978. U.
Piscopo, Gino Gori, in E. Godoli , Dizionario del futurismo, Firenze, 2001. U. Piscopo, Gori, Gino, in Dizionario
biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
grammaticum: Grice: “strictly, I’m a grammarian, for I’m a B. A. and M.
A. in litterae humaniores, and litterae is nothing but a rought transliteration
of Grecian ‘grammatike tekhne’ -- Is there a ‘grammar’ of gestures? How loose
can an Oxonian use ‘grammar’? Sometimes geography, sometimes botany“Grammatica”
the Romans never cared to translate. Although ‘literature’ is the cognate.For
some reasons, the Greeks were obsessed with the alphabetIt was a trivial ‘art’.
Like ‘logic,’ and philosophy is NOT an art or ‘techne.’ A philosopher is not a
technicianand hardly an artist like William Morris (his ‘arts and crafts’ is a
joke since it translates in Latin to ‘ars et ars,’ and ‘techne kai techne’).
The sad thing is that at MIT, as Grice knew, Chomsky is appointed professor of
philosophy, and he mainly writes about ‘grammar’! Later, Chomsky tries to get
more philosophical, but chooses the wrong paradigmCartesianism, the ghost in
the machine, in Ryle’s parlance. Odly, Oxonians, who rarely go to grammar
schools, see ‘grammar’ as a divinity, and talk of the logical grammar of a
Ryleian agitation, say. It sounds high class because there is the irony that an
Oxonian philosopher is surely not a common-or-garden grammarian, involved in
the grammar of, say, “Die Deutsche Sprache.” The Oxonian is into the logical
grammar. It is more of a ‘linguistic turn’ expression than the duller
‘conceptual analysis,’ or ‘linguistic philosophy.’ cf. logical form, and Russell,
“grammar is a pretty good guide to logical form.” while philosophers would use
grammar jocularly, Chomsky didnt. The problem, as Grice notes, is that Chomsky
never tells us where grammar ends (“or begins for that matter.”) “Consider the P,
karulising elatically.” When Carnap introduces the P, he talks syntax, not
grammar. But philosophers always took semiotics more seriously than others. So
Carnap is well aware of Morriss triad of the syntactics, the semantics, and the
pragmatics. Philosophers always disliked grammar, because back in the days of
Aelfric, philosophia was supposed to embrace dialectica and grammatica, and
rhetorica. “It is all part of philosophy.” Truth-conditional semantics and implicatura.
grammar,
a system of rules specifying a language. The term has often been used
synonymously with ‘syntax’, the principles governing the construction of
sentences from words perhaps also including the systems of word derivation and
inflection case markings, verbal tense
markers, and the like. In modern linguistic usage the term more often
encompasses other components of the language system such as phonology and
semantics as well as syntax. Traditional grammars that we may have encountered
in our school days, e.g., the grammars of Latin or English, were typically
fragmentary and often prescriptive
basically a selective catalog of forms and sentence patterns, together
with constructions to be avoided. Contemporary linguistic grammars, on the
other hand, aim to be descriptive, and even explanatory, i.e., embedded within
a general theory that offers principled reasons for why natural languages are
the way they are. This is in accord with the generally accepted view of
linguistics as a science that regards human language as a natural phenomenon to
be understood, just as physicists attempt to make sense of the world of
physical objects. Since the publication of Syntactic Structures 7 and Aspects
of the Theory of Syntax 5 by Noam Chomsky, grammars have been almost
universally conceived of as generative devices, i.e., precisely formulated
deductive systems commonly called
generative grammars specifying all and
only the well-formed sentences of a language together with a specification of their
relevant structural properties. On this view, a grammar of English has the
character of a theory of the English language, with the grammatical sentences
and their structures as its theorems and the grammar rules playing the role of
the rules of inference. Like any empirical theory, it is subject to
disconfirmation if its predictions do not agree with the facts if, e.g., the grammar implies that ‘white or
snow the is’ is a wellformed sentence or that ‘The snow is white’ is not. The
object of this theory construction is to model the system of knowledge
possessed by those who are able to speak and understand an unlimited number of
novel sentences of the language specified. Thus, a grammar in this sense is a
psychological entity a component of the
human mind and the task of linguistics
avowedly a mentalistic discipline is to determine exactly of what this
knowledge consists. Like other mental phenomena, it is not observable directly
but only through its effects. Thus, underlying linguistic competence is to be
distinguished from actual linguistic performance, which forms part of the
evidence for the former but is not necessarily an accurate reflection of it,
containing, as it does, errors, false starts, etc. A central problem is how
this competence arises in the individual, i.e., how a grammar is inferred by a
child on the basis of a finite, variable, and imperfect sample of utterances
encountered in the course of normal development. Many sorts of observations
strongly suggest that grammars are not constructed de novo entirely on the
basis of experience, and the view is widely held that the child brings to the
task a significant, genetically determined predisposition to construct grammars
according to a well-defined pattern. If this is so, and since apparently no one
language has an advantage over any other in the learning process, this inborn
component of linguistic competence can be correctly termed a universal grammar.
It represents whatever the grammars of all natural languages, actual or
potential, necessarily have in common because of the innate linguistic
competence of human beings. The apparent diversity of natural languages has
often led to a serious underestimation of the scope of universal grammar. One
of the most influential proposals concerning the nature of universal grammar
was Chomsky’s theory of transformational grammar. In this framework the
syntactic structure of a sentence is given not by a single object e.g., a parse
tree, as in phrase structure grammar, but rather by a sequence of trees
connected by operations called transformations. The initial tree in such a sequence
is specified generated by a phrase structure grammar, together with a lexicon,
and is known as the deep structure. The final tree in the sequence, the surface
structure, contains the morphemes meaningful units of the sentence in the order
in which they are written or pronounced. For example, the English sentences
‘John hit the ball’ and its passive counterpart ‘The ball was hit by John’
might be derived from the same deep structure in this case a tree looking very
much like the surface structure for the active sentence except that the
optional transformational rule of passivization has been applied in the
derivation of the latter sentence. This rule rearranges the constituents of the
tree in such a way that, among other changes, the direct object ‘the ball’ in
deep structure becomes the surface-structure subject of the passive sentence.
It is thus an important feature of this theory that grammatical grammar grammar
352 352 relations such as subject,
object, etc., of a sentence are not absolute but are relative to the level of
structure. This accounts for the fact that many sentences that appear
superficially similar in structure e.g., ‘John is easy to please’, ‘John is
eager to please’ are nonetheless perceived as having different underlying
deep-structure grammatical relations. Indeed, it was argued that any theory of
grammar that failed to make a deep-structure/surface-structure distinction
could not be adequate. Contemporary linguistic theories have, nonetheless,
tended toward minimizing the importance of the transformational rules with
corresponding elaboration of the role of the lexicon and the principles that
govern the operation of grammars generally. Theories such as generalized
phrase-structure grammar and lexical function grammar postulate no transformational
rules at all and capture the relatedness of pairs such as active and passive
sentences in other ways. Chomsky’s principles and parameters approach 1 reduces
the transformational component to a single general movement operation that is
controlled by the simultaneous interaction of a number of principles or
subtheories: binding, government, control, etc. The universal component of the
grammar is thus enlarged and the contribution of languagespecific rules is
correspondingly diminished. Proponents point to the advantages this would allow
in language acquisition. Presumably a considerable portion of the task of
grammar construction would consist merely in setting the values of a small
number of parameters that could be readily determined on the basis of a small
number of instances of grammatical sentences. A rather different approach that
has been influential has arisen from the work of Richard Montague, who applied
to natural languages the same techniques of model theory developed for logical
languages such as the predicate calculus. This so-called Montague grammar uses
a categorial grammar as its syntactic component. In this form of grammar,
complex lexical and phrasal categories can be of the form A/B. Typically such
categories combine by a kind of “cancellation” rule: A/B ! B P A something of
category A/B combines with something of category B to yield something of
category A. In addition, there is a close correspondence between the syntactic
category of an expression and its semantic type; e.g., common nouns such as
‘book’ and ‘girl’ are of type e/t, and their semantic values are functions from
individuals entities, or e-type things to truth-values T-type things, or
equivalently, sets of individuals. The result is an explicit, interlocking
syntax and semantics specifying not only the syntactic structure of grammatical
sentences but also their truth conditions. Montague’s work was embedded in his
own view of universal grammar, which has not, by and large, proven persuasive
to linguists. A great deal of attention has been given in recent years to
merging the undoubted virtues of Montague grammar with a linguistically more
palatable view of universal grammar. Refs.: One source is an essay on ‘grammar’ in the H. P. Grice
Papers, BANC.
gramsci: Grice: “Some
Italians don’t consider Gramsci Italian on account of the fact that Gramsci is
not an Italian last name!” -- a. political leader whose imprisonment by the
Fascists for his involvement with the Communist Party had the ironical result
of sparing him from Stalinism and enabling him to better articulate his distinctive
political philosophy. Gramsci welcomes the Bolshevik Revolution as a
“revolution against Capital” rather than against capitalism: as a revolution
refuting the deterministic Marxism according to which socialism could arise
only by the gradual evolution of capitalism, and confirming the possibility of
the radical transformation of social institutions. In 1 he supported creation
of the Communist Party; as its general
secretary from 4, he tried to reorganize it along more democratic lines. In 6
the Fascists outlawed all opposition parties. Gramsci spent the rest of his
life in various prisons, where he wrote more than a thousand s of notes ranging
from a few lines to chapterlength essays. These Prison Notebooks pose a major
interpretive challenge, but they reveal a keen, insightful, and open mind
grappling with important social and political problems. The most common
interpretation stems from Palmiro Togliatti, Gramsci’s successor as leader of the
Communists. After the fall of Fascism and the end of World War II,
Togliatti read into Gramsci the so-called
road to socialism: a strategy for attaining the traditional Marxist
goals of the classless society and the nationalization of the means of
production by cultural means, such as education and persuasion. In contrast to
Bolshevism, one had to first conquer social institutions, and then their
control would yield the desired economic and political changes. This democratic
theory of Marxist revolution was long regarded by many as especially relevant
to Western industrial societies, and so for this and other reasons Gramsci is a
key figure of Western Marxism. The same theory is often called Gramsci’s theory
of hegemony, referring to a relationship between two political units where one
dominates the other with the consent of that other. This interpretation was a
political reconstruction, based primarily on Gramsci’s Communist involvement
and on highly selective passages from the Notebooks. It was also based on
exaggerating the influence on Gramsci of Marx, Engels, Lenin, and Gentile, and
minimizing influences like Croce, Mosca, Machiavelli, and Hegel. No new
consensus has emerged yet; it would have to be based on analytical and
historical spadework barely begun. One main interpretive issue is whether
Gramsci, besides questioning the means, was also led to question the ends of
traditional Marxism. In one view, his commitment to rational persuasion,
political realism, methodological fallibilism, democracy, and pluralism is much
deeper than his inclinations toward the classless society, the abolition of
private property, the bureaucratically centralized party, and the like; in
particular, his pluralism is an aspect of his commitment to the dialectic as a
way of thinking, a concept he adapted from Hegel through Croce. Antonio Gramsci,
nome completo, così come registrato nell'atto di battesimo, Antonio Sebastiano
Francesco Gramsci (Ales, 22 gennaio 1891Roma, 27 aprile 1937), politico,
filosofo, politologo, giornalista, linguista e critico letterario italiano. Nel
1921 fu tra i fondatori del Partito Comunista d'Italia, divenendone esponente
di primo piano e segretario dal 1924 al 1927, ma nel 1926 venne ristretto dal
regime fascista nel carcere di Turi. Nel 1934, in seguito al grave
deterioramento delle sue condizioni di salute, ottenne la libertà condizionata
e fu ricoverato in clinica, dove trascorse gli ultimi anni di vita.
Considerato uno dei più importanti pensatori del XX secolo, nei suoi scritti,
tra i più originali della tradizione filosofica marxista, Gramsci analizzò la
struttura culturale e politica della società. Elaborò in particolare il
concetto di egemonia, secondo il quale le classi dominanti impongono i propri
valori politici, intellettuali e morali a tutta la società, con l'obiettivo di
saldare e gestire il potere intorno a un senso comune condiviso da tutte le
classi sociali, comprese quelle subalterne. Gli antenati paterni di
Antonio Gramsci erano originari della città di Gramshi in Albania, e potrebbero
essere giunti in Italia fin dal XVI secolo, durante la diaspora albanese
causata dall'invasione turca. Documenti d'archivio attestano che nel Settecento
il trisavolo Gennaro Gramsci, sposato con Domenica Blajotta, possedeva a
Plataci, comunità ‘’arbëreshë’’ del distretto di Castrovillari, delle terre poi
ereditate da Nicola Gramsci (1769-1824). Questi sposò Maria Francesca
Fabbricatore, e dal loro matrimonio nacque a Plataci Gennaro Gramsci
(1812-1873), che intraprese la carriera militare nella gendarmeria del Regno di
Napoli e, quando era di stanza a Gaeta, sposò Teresa Gonzales, figlia di un
avvocato napoletano di origini spagnole. Il loro secondo figlio fu Francesco
(1860-1937), il padre di Antonio Gramsci. Le origini albanesi erano conosciute
dallo stesso Antonio Gramsci, che tuttavia le immaginava più recenti, come
scriverà alla cognata Tatiana Schucht dal carcere di Turi, il 12 ottobre del
1931: «[...] io stesso non ho alcuna razza; mio padre è di origine
albanese (la famiglia scappò dall'Epiro durante la guerra del 1821, ma si
italianizzò rapidamente). Tuttavia la mia cultura è italiana, fondamentalmente
questo è il mio mondo; non mi sono mai accorto di essere dilaniato tra due
mondi. L'essere io oriundo albanese non fu messo in giuoco perché anche Crispi
era albanese, educato in un collegio albanese.» Ghilarza: casa
museo Antonio Gramsci Francesco era studente in legge quando morì il padre;
dovendo trovare subito un lavoro, nel 1881 partì per la Sardegna per impiegarsi
nell'Ufficio del registro di Ghilarza. In questo paese, che allora contava
circa 2.200 abitanti, conobbe Giuseppina Marcias (1861-1932), figlia di un
esattore delle imposte e proprietario di alcune terre. La sposò nel 1883,
malgrado l'opposizione dei familiari, rimasti in Campania, che consideravano i
Marcias una famiglia di rango inferiore alla propria dal punto di vista sociale
e culturale: Giuseppina aveva studiato fino alla terza elementare. Dal
matrimonio nascerà Gennaro (1884-1965) e, dopo che Francesco Gramsci fu trasferito
da Ghilarza ad Ales, Grazietta (1887-1962), Emma (1889-1920). Antonio Gramsci
nasce ad Ales secondo il registro delle nascite dello stato civile del comune
il 22 gennaio 1891 e registrato con i nomi di Antonio, Francesco; secondo il
registro dei battesimi della parrocchia di San Pietro e Paolo nasce il giorno
dopo, il 23 gennaio 1891, e viene registrato con i nomi di Antonio, Sebastiano,
Francesco. Sette mesi dopo la nascita di Antonio, Francesco Gramsci fu
trasferito, come gerente dell'Ufficio del Registro, a Sorgono e qui nacquero
gli altri figli, Mario (1893-1945), Teresina (1895-1976) e Carlo (1897-1968).
Antonio a due anni si ammalò del morbo di Pott, una tubercolosi ossea che in
pochi anni gli deformò la colonna vertebrale e gli impedì una normale crescita:
adulto, Gramsci non supererà il metro e mezzo di altezza; i genitori pensavano
che la sua deformità fosse la conseguenza di una caduta e anche Antonio rimase
convinto di quella spiegazione. Ebbe sempre una salute delicata: a quattro anni,
soffrendo di emorragie e convulsioni, fu dato per spacciato dai medici, tanto
che la madre comprò la bara e il vestito per la sepoltura. Il padre
Francesco fu arrestato il 9 agosto 1898, con l'accusa di peculato, concussione
e falsità in atti, e il 27 ottobre 1900 venne condannato al minimo della pena
con l'attenuante del «lieve valore»: 5 anni, 8 mesi e 22 giorni di carcere, da
scontare a Gaeta; priva del sostegno dello stipendio del padre, la famiglia
Gramsci trascorse anni di estrema miseria, che la madre affrontò vendendo la
sua parte di eredità, tenendo a pensione il veterinario del paese e guadagnando
qualche soldo cucendo camicie. Proprio per le sue delicate condizioni di
salute Antonio cominciò a frequentare la scuola elementare soltanto a sette anni:
la concluse nel 1903 con il massimo dei voti, ma la situazione familiare non
gli permise di iscriversi al ginnasio. Già dall'estate precedente aveva
iniziato a dare il suo contributo all'economia domestica lavorando 10 ore al
giorno nell'Ufficio del catasto di Ghilarza per 9 lire al mesel'equivalente di
un chilo di pane al giornosmuovendo «registri che pesavano più di me e molte
notti piangevo di nascosto perché mi doleva tutto il corpo».
Antonio Gramsci nel 1906 Il 31 gennaio 1904 Francesco Gramsci, grazie a
un'amnistia, anticipò di tre mesi la fine della sua pena: inizialmente guadagnò
qualcosa come segretario in un'assicurazione agricola, poi, riabilitato, fece
il patrocinante in conciliatura e infine fu riassunto come scrivano nel vecchio
Ufficio del catasto, dove lavorò per il resto della sua vita. Così, pur
affrontando gli abituali sacrifici, i genitori poterono iscrivere il
quindicenne Antonio nel Ginnasio comunale di Santu Lussurgiu, a 18 chilometri
da Ghilarza, «un piccolo ginnasio in cui tre sedicenti professori sbrigavano,
con molta faccia tosta, tutto l'insegnamento delle cinque classi». Con
tale preparazione un poco avventurosa, riuscì tuttavia a prendere la licenza
ginnasiale a Oristano nell'estate del 1908 e a iscriversi al Liceo classico
Giovanni Maria Dettori di Cagliari, stando a pensione, prima in un appartamento
in via Principe Amedeo 24, poi, l'anno dopo, in corso Vittorio Emanuele 149,
insieme con il fratello Gennaro, il quale, terminato il servizio di leva a
Torino, lavorava per cento lire al mese in una fabbrica di ghiaccio del
capoluogo sardo. La modesta preparazione ricevuta nel ginnasio si fece
sentire, perché inizialmente Gramsci nelle diverse materie ottenne appena la
sufficienza, ma riuscì a recuperare in fretta: del resto, leggere e studiare
erano i suoi impegni costanti. Non si concedeva distrazioni, non soltanto
perché avrebbe potuto permettersele solo con grandi sacrifici, ma anche perché
l'unico vestito che possedeva, per lo più liso, non lo incoraggiava a
frequentare né gli amici, né i locali pubblici. A scuola, mostrò uno spiccato
interesse per le discipline umanistiche e per lo studio della storia, anche
perché il cattivo insegnamento ricevuto in matematica gli fece perdere
l'interesse per la materia. Nel frattempo, il giovane Gramsci, iniziò a
seguire le vicende politiche. Il fratello Gennaro, che era tornato in Sardegna
militante socialista, ai primi del 1911 divenne cassiere della Camera del
lavoro e segretario della sezione socialista di Cagliari: «Una grande quantità
di materiale propagandistico, libri, giornali, opuscoli, finiva a casa. Nino,
che il più delle volte passava le sere chiuso in casa senza neanche un'uscita
di pochi momenti, ci metteva poco a leggere quei libri e quei giornali».
Leggeva anche i romanzi popolari di Carolina Invernizio, di Anton Giulio
Barrili e quelli di Grazia Deledda, ma questi ultimi non li apprezzava,
considerando folkloristica la visione che della Sardegna aveva la scrittrice
sarda; leggeva Il Marzocco e La Voce di Giuseppe Prezzolini, Papini, Emilio
Cecchi «ma in cima alle sue raccomandazioni, quando mi chiedeva di ritagliare
gli articoli e di custodirli nella cartella, stavano sempre Croce e
Salvemini». Alla fine della seconda classe liceale, alla cattedra di
lettere italiane del Liceo salì il professor Raffa Garzia, radicale e
anticlericale, direttore de L'Unione Sarda, quotidiano legato alle istanze
sarde, rappresentate, in Parlamento da Francesco Cocco-Ortu, allora impegnato
in una dura opposizione al ministero di Luigi Luzzatti. Gramsci instaurò con il
Garzia un buon rapporto, che andava oltre il naturale discepolato: invitato
ogni tanto a visitare la redazione del giornale, ricevette nell'estate del 1910
la tessera di giornalista, con l'invito a «inviare tutte le notizie di pubblico
interesse»: e il 25 luglio Gramsci ebbe la soddisfazione di vedersi stampato il
suo primo scritto pubblico, venticinque righe di cronaca ironica su un fatto
avvenuto nel paese di Aidomaggiore. In un tema dell'ultimo anno di liceo,
che ci è conservato, Gramsci scriveva, tra l'altro, che «Le guerre sono fatte
per il commercio, non per la civiltà [...] la Rivoluzione francese ha abbattuto
molti privilegi, ha sollevato molti oppressi; ma non ha fatto che sostituire
una classe all'altra nel dominio. Però ha lasciato un grande ammaestramento:
che i privilegi e le differenze sociali, essendo prodotto della società e non
della natura, possono essere sorpassate». La sua concezione socialista, qui
chiaramente espressa, va unita, in questo periodo, all'adesione all'indipendentismo
sardo, nel quale egli esprimeva, insieme con la denuncia delle condizioni di
arretratezza dell'isola e delle disuguaglianze sociali, l'ostilità verso le
classi privilegiate del continente, fra le quali venivano compresi, secondo una
polemica mentalità di origine contadina, gli stessi operai, concepiti come una
corporazione elitaria fra i lavoratori salariati. Poco dopo Gramsci
conoscerà da vicino la realtà operaia di una grande città del Nord: nell'estate
del 1911, il conseguimento della licenza liceale con una buona votazionetutti
otto e un nove in italianogli prospetta la possibilità di continuare gli studi
all'Università. Nell'autunno del 1911, il Collegio Carlo Alberto di Torino
bandì un concorso, riservato a tutti gli studenti poveri licenziati dai Licei
del Regno, offrendo 39 borse di studio, ciascuna equivalente a 70 lire al mese
per 10 mesi, per poter frequentare l'Torino: Gramsci fu uno dei due studenti di
Cagliari ammessi a sostenere gli esami a Torino. «Partii per Torino come se
fossi in stato di sonnambulismo. Avevo 55 lire in tasca; avevo speso 45 lire
per il viaggio in terza classe delle 100 avute da casa». Il 27 ottobre 1911
conclude gli esami: li supera classificandosi nono; al secondo posto è uno
studente genovese venuto da Sassari, Palmiro Togliatti. Si iscrive alla
Facoltà di Lettere, ma le settanta lire al mese non bastano nemmeno per le
spese di prima necessità: oltre alle tasse universitarie, deve pagare
venticinque lire al mese per l'affitto della stanza di Lungo Dora Firenze 57,
nel popolare quartiere di Porta Palazzo, e il costo della luce, della pulizia
della biancheria, della carta e dell'inchiostro, e ci sono i pasti«non meno di
due lire alla più modesta trattoria»e la legna e il carbone per il
riscaldamento: privo anche di un cappotto, «la preoccupazione del freddo non mi
permette di studiare, perché o passeggio nella camera per scaldarmi i piedi
oppure devo stare imbacuccato perché non riesco a sostenere la prima gelata».
Sono frequenti le richieste di denaro alla famiglia che però, da parte sua, non
se la passava di certo molto meglio. L'Università degli Studi di Torino
vantava professori di alto livello e di diversa formazione: Luigi Einaudi,
Francesco Ruffini, Vincenzo Manzini, Pietro Toesca, Achille Loria, Gioele
Solari e poi il giovane linguista Matteo Bartoli, che si legò di amicizia con
Gramsci, come fece anche l'incaricato di letteratura italiana Umberto Cosmo,
contro il quale, nel 1920, indirizzò però un articolo violentemente polemico.
Anni dopo, durante la dura esperienza in carcere, continuò comunque a
ricordarlo con simpatia«serbo del Cosmo un ricordo pieno di affetto e direi di
venerazione [...] era e credo sia tuttora di una grande sincerità e dirittura
morale con molte striature di quella ingenuità nativa che è propria dei grandi
eruditi e studiosi»ricordando anche che, con questi e con molti altri
intellettuali dei primi quindici anni del secolo, malgrado divergenze di varia
natura, egli avesse questo in comune: «partecipavamo in tutto o in parte al
movimento di riforma morale e intellettuale promosso in Italia da Benedetto
Croce, il cui primo punto era questo, che l'uomo moderno può e deve vivere
senza religione rivelata o positiva o mitologica o come altro si vuol dire.
Questo punto anche oggi mi pare il maggior contributo alla cultura mondiale che
abbiano dato gli intellettuali moderni italiani». Angelo Tasca
Gramsci si ritrovò a casa per le elezioni politiche del 26 ottobre 1913, dopo
la fine della guerra italo-turca contro l'Impero ottomano per la conquista
della Libia; votavano per la prima volta anche gli analfabeti, ma la corruzione
e le intimidazioni erano le stesse delle elezioni precedenti. In Sardegna, il
timore che l'allargamento della base elettorale favorisse i socialisti portò al
blocco delle candidature di tutte le forze politiche contro i candidati
socialisti, indicati come il comune nemico da battere. In quest'obiettivo,
"sardisti" e "non-sardisti" si trovarono d'accordo e
deposero le vecchie polemiche. Gramsci scrisse di quest'esperienza elettorale
al compagno di studi Angelo Tasca, giovane dirigente socialista torinese, il
quale affermò che Gramsci «era stato molto colpito dalla trasformazione
prodotta in quell'ambiente dalla partecipazione delle masse contadine alle
elezioni, benché non sapessero e non potessero ancora servirsi per conto loro
della nuova arma. Fu questo spettacolo, e la meditazione su di esso, che fece
definitivamente di Gramsci un socialista». Tornò a Torino ai primi di
novembre del 1913, andando ad affittare una stanza all'ultimo piano del palazzo
di via San Massimo 14, oggi Monumento nazionale; dovrebbe datarsi a questo
periodo la sua iscrizione al Partito socialista. Si trovò in ritardo con gli
esami, con il rischio di perdere il contributo della borsa di studio, a causa
di «una forma di anemia cerebrale che mi toglie la memoria, che mi devasta il
cervello, che mi fa impazzire ora per ora, senza che mi riesca di trovare
requie né passeggiando, né disteso sul letto, né disteso per terra a rotolarmi
in certi momenti come un furibondo». Riconosciuto «afflitto da grave nevrosi»
gli fu concesso di recuperare gli esami nella sessione di primavera.[25]
Prese anche lezioni private di filosofia dal professore Annibale Pastore, il
quale scrisse poi che «il suo orientamento era originalmente crociano ma già
mordeva il freno e non sapeva ancora come e perché staccarsi [...] voleva
rendersi conto del processo formativo della cultura agli scopi della
rivoluzione [...] come fa il pensare a far agire [...] come le idee diventano
forze pratiche». Gramsci stesso scriverà di aver sentito anche la necessità di
«superare un modo di vivere e di pensare arretrato, come quello che era proprio
di un sardo del principio del secolo, per appropriarsi un modo di vivere e di
pensare non più regionale e da villaggio, ma nazionale» ma anche «di provocare
nella classe operaia il superamento di quel provincialismo alla rovescia della
palla di piombo [come il Sud Italia era generalmente considerato nel Nord] che
aveva le sue profonde radici nella tradizione riformistica e corporativa del
movimento socialista».[26] L'iscrizione al partito gli permise di
superare in parte un lungo periodo di solitudine: ora frequentava i giovani
compagni di partito, fra i quali erano Tasca, Togliatti, Terracini: «uscivamo
spesso dalle riunioni di partito [...] mentre gli ultimi nottambuli si
fermavano a sogguardarci [...] continuavamo le nostre discussioni,
intramezzandole di propositi feroci, di scroscianti risate, di galoppate nel
regno dell'impossibile e del sogno».[27] Nell'Italia che ha dichiarato la
propria neutralità nella Prima guerra mondiale in corsoneutralità affermata
anche dal Partito socialistascrive per la prima volta sul settimanale
socialista torinese Il Grido del Popolo, il 31 ottobre 1914, l'articolo
Neutralità attiva e operante in risposta a quello apparso il 18 ottobre
sull'Avanti! di Mussolini Dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva e
operante,[28] senza però poter comprendere quale svolta politica stesse
preparando l'allora importante e popolare esponente socialista. Sostenne
il 13 aprile 1915 quello che sarà, senza che lo sapesse ancora, il suo ultimo
esame all'Università; il suo impegno politico si fece crescente con l'entrata
in guerra dell'Italia e con il suo ingresso nella redazione torinese
dell'Avanti!. Dal 1916 Gramsci trascorse gran parte delle sue giornate
all'ultimo piano nel palazzo dell'Alleanza Cooperativa Torinese al numero 12 di
corso Siccardi (oggi Galileo Ferraris), dove, in tre stanze, erano situate la
sezione giovanile del partito socialista e le redazioni de Il Grido del Popolo
e del foglio piemontese dell'Avanti!, che comprendeva la rubrica della cronaca
torinese, Sotto la Mole; in entrambi i giornali Gramsci pubblicava di tutto,
dai commenti sulla situazione interna ed estera agli interventi sulla vita di
partito, dagli articoli di polemica politica alle note di costume, dalle
recensioni dei libri alla critica teatrale.[29] Dirà più tardi di aver scritto
in dieci anni di giornalismo «tante righe da poter costituire quindici o venti
volumi di quattrocento pagine, ma esse erano scritte alla giornata e dovevano
morire dopo la giornata»[30] e di aver contribuito «molto prima di Adriano
Tilgher» a rendere popolare il teatro di Pirandello: «ho scritto sul
Pirandello, dal 1915 al 1920, tanto da mettere insieme un volumetto di duecento
pagine e allora le mie affermazioni erano originali e senza esempio: il
Pirandello era o sopportato amabilmente o apertamente deriso».[31] Della
commedia di Pirandello Pensaci, Giacomino! scrisse che «è tutto uno sfogo di
virtuosismo, di abilità letteraria, di luccichii discorsivi.[32] I tre atti
corrono su un solo binario. I personaggi sono oggetto di fotografia piuttosto
che di approfondimento psicologico: sono ritratti nella loro esteriorità più
che in una intima ricreazione del loro essere morale. È questa del resto la
caratteristica dell'arte di Luigi Pirandello, che coglie della vita la smorfia,
più che il sorriso, il ridicolo, più che il comico: che osserva la vita con
l'occhio fisico del letterato, più che con l'occhio simpatico dell'uomo artista
e la deforma per un'abitudine ironica che è l'abitudine professionale più che
visione sincera e spontanea», mentre considerò Liolà[33] «il prodotto migliore
dell'energia letteraria di Luigi Pirandello. In esso il Pirandello è riuscito a
spogliarsi delle sue abitudini retoriche. Il Pirandello è un umorista per
partito preso [...] troppo spesso la prima intuizione dei suoi lavori viene a
sommergersi in una palude retorica di una moralità inconsciamente predicatoria,
e di molta verbosità inutile». Il fu Mattia Pascal, secondo Gramsci, è
una sorta di prima stesura del Liolà che, liberato dalla zavorra moralistica
della vita, si è rinnovato diventando una pura rappresentazione, «una farsa che
si riattacca ai drammi satireschi della Grecia antica, e che ha il suo
corrispondente pittorico nell'arte figurativa vascolare [...] è una vita
ingenua, rudemente sincera [...] una efflorescenza di paganesimo naturalistico,
per il quale la vita, tutta la vita è bella, il lavoro è un'opera lieta, e la
fecondità irresistibile prorompe da tutta la materia organica». Severo fu
invece il giudizio sul Così è (se vi pare):[34] dalla tesipseudologisticache la
verità in sé non esista, Pirandello «non ha saputo trarre dramma [...] e
neppure motivo a rappresentazione viva e artistica di caratteri, di persone
vive che abbiano un significato fantastico, se non logico. I tre atti di
Pirandello sono un semplice fatto di letteratura [...] puro e semplice
aggregato di parole che non creano né una verità né un'immagine [...] il vero
dramma l'autore l'ha solo adombrato, l'ha accennato: è nei due pseudopazzi che
non rappresentano però la loro vera vita, l'intima necessità dei loro
atteggiamenti esteriori, ma sono presentati come pedine della dimostrazione
logica». Rivolgendosi ai giovani, scrisse da solo il numero unico del
giornale dei giovani socialisti La Città futura, uscito l'11 febbraio 1917. Qui
mostra la sua intransigenza politica, la sua ironia, anche contro i socialisti
riformisti, il fastidio verso ogni espressione retorica ma anche la sua
formazione idealistica, i suoi debiti culturali nei confronti di Croce,
superiori perfino a quelli dovuti a Marx: «in quel tempo»scriverà«il concetto
di unità di teoria e pratica, di filosofia e politica, non era chiaro in me e
io ero tendenzialmente crociano».[35] Nel marzo 1917 lo zar di Russia
Nicola II è facilmente rovesciato da pochi giorni di manifestazioni popolari,
per lo più spontanee, che chiedono pane e la fine dell'autocrazia: viene
instaurato un moderato governo liberale e, insieme, si ricostituiscono i
Soviet, forme di rappresentanza su base popolare già creati nella precedente
Rivoluzione russa del 1905; le notizie giungono in Italia parziali e confuse: i
quotidiani «borghesi» sostengono che si tratta dell'avviamento di un processo
di democratizzazione in Russia, sull'esempio della grande Rivoluzione francese,
mentre Gramsci è convinto che «la rivoluzione russa è [...] un atto proletario
ed essa naturalmente deve sfociare nel regime socialista [...] i rivoluzionari
socialisti non possono essere giacobini: essi in Russia hanno solo attualmente
il compito di controllare che gli organismi borghesi [...] non facciano essi
del giacobinismo».[36] Con il ritorno in Russia di Lenin, che pone subito
il problema della pace immediata e della consegna del potere ai Soviet, la
lotta politica si radicalizza. Gramsci è convinto che Lenin abbia «suscitato
energie che più non morranno. Egli e i suoi compagni bolscevichi sono persuasi
che sia possibile in ogni momento realizzare il socialismo». Gramsci nega
esplicitamente la necessità dell'esistenza di condizioni obiettive affinché una
rivoluzione trionfi, quando scrive che i bolscevichi «sono nutriti di pensiero
marxista. Sono rivoluzionari, non evoluzionisti. E il pensiero rivoluzionario
nega il tempo come fattore di progresso. Nega che tutte le esperienze
intermedie tra la concezione del socialismo e la sua realizzazione debbano
avere nel tempo e nello spazio una riprova assoluta e integrale».[37] È
l'anticipazione dell'articolo, più famoso, che scriverà subito dopo la notizia
del successo della Rivoluzione d'ottobre. Anche in Italia la guerra
interminabile, costata già centinaia di migliaia di morti e di mutilati, la
penuria dei generi alimentari, la sconfitta di Caporetto e la stessa eco
provocata dalla rivoluzione russa portarono a insofferenze che a Torino
sfociarono, il 23 agosto 1917, in un'autentica sommossa spontanea duramente
repressa dal governo: oltre 50 morti, più di duecento feriti, la città
dichiarata zona di guerra con la conseguente applicazione della legge marziale,
arresti a catena che colpirono non solo i diretti responsabili ma,
indiscriminatamente, anche gli elementi politici d'opposizione e segnatamente
l'intero nucleo della sezione socialista, con l'accusa di istigazione alla
rivoluzione. In conseguenza dell'emergenza venutasi a creare, la direzione
della Sezione socialista torinese venne assunta da un comitato di dodici
persone, del quale fece parte anche Gramsci, il quale rimane l'unico redattore
de Il Grido del Popolo che cesserà le pubblicazioni il 19 ottobre 1918.
Gramsci nel 1922 I bolscevichi avevano preso il potere in Russia il 7
novembre 1917, ma per settimane in Europa giunsero solo notizie deformate,
confuse e censurate, finché il 24 novembre l'edizione nazionale dell'Avanti!
uscì con un editoriale dal titolo La rivoluzione contro il Capitale, firmato da
Gramsci:[38] «La rivoluzione dei bolscevichi è materiata di ideologia più
che di fatti [...] essa è la rivoluzione contro il Capitale di Carlo Marx. Il
Capitale di Marx era, in Russia, il libro dei borghesi, più che dei proletari.
Era la dimostrazione critica della fatale necessità che in Russia si formasse
una borghesia, si iniziasse un'era capitalistica, si instaurasse una civiltà di
tipo occidentale prima che il proletariato potesse neppure pensare alla sua
riscossa, alle sue rivendicazioni di classe, alla sua rivoluzione. I fatti
hanno superato le ideologie. I fatti hanno fatto scoppiare gli schemi critici
entro i quali la storia della Russia avrebbe dovuto svolgersi secondo i canoni
del materialismo storico [...] se i bolscevichi rinnegano alcune affermazioni
del Capitale, non ne rinnegano il pensiero immanente, vivificatore. Essi non
sono «marxisti», ecco tutto; non hanno compilato sulle opere del Maestro una
dottrina esteriore di affermazioni dogmatiche e indiscutibili. Vivono il
pensiero marxista, quello che non muore mai, che è la continuazione del
pensiero idealistico italiano e tedesco, che in Marx si era contaminato di
incrostazioni positivistiche e naturalistiche».[39] In realtà Marx,
almeno negli ultimi anni, non aveva escluso che un Paese arretrato potesse
giungere al socialismo saltando fasi di sviluppo capitalistico:[40] ma qui
interessa rilevare tanto la visione di Gramsci ancora idealistica,
volontaristica, dell'azione politica, quanto la critica che di fatto Gramsci
rivolgeva ai dirigenti socialisti europei, e italiani in particolare, di
concepire lo sviluppo storico in modo meccanicistico. Finita la guerra e
usciti dal carcere i dirigenti torinesi del partito, dal 5 dicembre 1918
Gramsci lavorò unicamente all'edizione piemontese dell'Avanti!, che allora si
stampava in via Arcivescovado 3, insieme con alcuni giovani colleghi: Giuseppe
Amoretti, Alfonso Leonetti, Mario Montagnana, Felice Platone; ma egli e altri
giovani socialisti torinesi, come Tasca, Togliatti e Terracini, intendevano
ormai esprimere, dopo l'esperienza della rivoluzione russa, esigenze nuove
nell'attività politica, che non sentivano rappresentate dalla Direzione
nazionale del partito: «L'unico sentimento che ci unisse, in quelle nostre
riunioni, era quello suscitato da una vaga passione di una vaga cultura
proletaria; volevamo fare, fare, fare; ci sentivamo angustiati, senza un
orientamento, tuffati nell'ardente vita di quei mesi dopo l'armistizio, quando
pareva immediato il cataclisma della società italiana».[41] Il 1º maggio 1919
uscì il primo numero dell'Ordine nuovo con Gramsci segretario di redazione e
animatore della rivista. La rivista ebbe un avvio incerto: all'inizio «il
programma fu l'assenza di un programma concreto, per una vana e vaga
aspirazione ai problemi concreti [...] nessuna idea centrale, nessuna
organizzazione intima del materiale letterario pubblicato» Tasca intendeva
farne una pubblicazione culturale: «per "cultura" intendeva
"ricordare", non intendeva "pensare", e intendeva
"ricordare" cose fruste, cose logore, la paccottiglia del pensiero
operaio [...] fu una rassegna di cultura astratta, di informazione astratta, con
la tendenza a pubblicare novelline orripilanti e xilografie bene intenzionate;
ecco cosa fu l'Ordine nuovo nei suoi primi numeri [...]».[42] Gramsci
intendeva invece definirlo su posizioni nettamente operaistiche, ponendo
all'ordine del giorno la necessità d'introdurre nelle fabbriche italiane nuove
forme di potere operaio, i consigli di fabbrica, sull'esempio dei Soviet russi:
«Ordimmo, io e Togliatti, un colpo di Stato redazionale; il problema delle
commissioni interne fu impostato esplicitamente nel n. 7 della rassegna [...]
il problema dello sviluppo della commissione interna divenne problema centrale,
divenne l'idea dell'Ordine nuovo; era esso posto come problema fondamentale
della rivoluzione operaia, era il problema della "libertà" proletaria.
L'Ordine nuovo divenne, per noi e per quanti ci seguivano, "il giornale
dei Consigli di fabbrica"; gli operai amarono l'Ordine nuovo [...] perché
negli articoli del giornale ritrovavano una parte di se stessi, la parte
migliore di se stessi; perché sentivano gli articoli dell'Ordine nuovo pervasi
dallo stesso loro spirito di ricerca interiore: "Come possiamo diventar
liberi? Come possiamo diventare noi stessi?". Perché gli articoli
dell'Ordine nuovo non erano fredde architetture intellettuali, ma sgorgavano dalla
discussione nostra con gli operai migliori, elaboravano sentimenti, volontà,
passioni reali».[42] Diversamente dalle Commissioni interne, già
esistenti all'interno dalle fabbriche, che venivano elette soltanto dagli
operai iscritti ai diversi sindacati, i Consigli dovevano essere eletti
indistintamente da tutti gli operai e avrebbero dovuto, nel progetto degli
ordinovisti, non tanto occuparsi dei consueti problemi sindacali, ma porsi
problemi politici, fino al problema della stessa organizzazione, della gestione
operaia della fabbrica, sostituendosi al capitalista: nel settembre 1919, alla
FIAT furono eletti i primi Consigli. La Confindustria, nella sua
Conferenza nazionale del marzo 1920, espresse chiaramente «la necessità che la
borghesia del lavoro attinga in se stessa [...] il mezzo per un'energica azione
contro deviazioni e illusioni»[43] e il 20 marzo i tre maggiori industriali
torinesi, Olivetti, De Benedetti e Agnelli fecero presente al prefetto Taddei
la loro volontà di ricorrere all'arma della serrata delle fabbriche contro
«l'indisciplina e le continue esorbitanti pretese degli operai».[44] Così
quando in occasione di una controversia sindacale nelle Industrie Metallurgiche
tre membri delle commissioni interne furono licenziati e gli operai protestarono
con lo sciopero, l'Associazione degli industriali metalmeccanici rispose il 29
marzo con la serrata di tutte le fabbriche torinesi. La lotta si estese fino
allo sciopero generale proclamato a Torino il 15 aprile e in alcune province
piemontesi, mentre il governo presidiava il capoluogo con migliaia di soldati.
I tentativi degli ordinovisti di allargare la protesta, se non in tutta
l'Italia, almeno nei maggiori centri industriali del paese, fallì e alla fine
d'aprile gli operai furono costretti a riprendere il lavoro senza avere
ottenuto nulla. Lo sciopero fallì per la resistenza degli industriali ma
anche per l'isolamento in cui la Camera del Lavoro, controllata dai socialisti
riformisti, contrari alla costituzione dei Consigli operai, e lo stesso Partito
socialista lasciarono i lavoratori torinesi; l'8 maggio Gramsci pubblicò
sull'Ordine Nuovo una sua relazione,[45] approvata dalla Federazione torinese,
che denunciava l'inefficienza e l'inerzia del Partito. Dopo aver sostenuto che
era matura la trasformazione dell'«ordine attuale di produzione e di
distribuzione» in un nuovo ordine che desse «alla classe degli operai
industriali e agricoli il potere di iniziativa nella produzione», alla quale si
opponevano gli industriali e i proprietari terrieri, appoggiati dallo Stato,
Gramsci rilevava che «le forze operaie e contadine mancano di coordinamento e
di concentrazione rivoluzionaria perché gli organismi direttivi del Partito
socialista hanno rivelato di non comprendere assolutamente nulla della fase di
sviluppo che la storia nazionale e internazionale attraversa nell'attuale
periodo [...] il Partito socialista assiste da spettatore allo svolgersi degli
eventi, non ha mai un'opinione sua da esprimere [...] non lancia parole
d'ordine che possano essere raccolte dalle masse, dare un indirizzo generale,
unificare e concentrare l'azione rivoluzionaria [...] il Partito socialista è
rimasto, anche dopo il Congresso di Bologna,[46] un mero partito parlamentare,
che si mantiene immobile entro i limiti angusti della democrazia borghese
[...]». Il numero dell'11 dicembre 1920 Rilevò la mancanza di
omogeneità nella composizione del partito, in cui continuavano a essere
presenti riformisti e «opportunisti», contrari agli indirizzi della III
Internazionale. Non solo: «mentre la maggioranza rivoluzionaria del partito non
ha avuto una espressione del suo pensiero e un esecutore della sua volontà
nella direzione e nel giornale, gli elementi opportunisti invece si sono
fortemente organizzati e hanno sfruttato il prestigio e l'autorità del Partito
per consolidare le loro posizioni parlamentari e sindacali [...] se il Partito
non realizza l'unità e la simultaneità degli sforzi, se il Partito si rivela un
mero organismo burocratico, senza anima e senza volontà, la classe operaia
istintivamente tende a costituirsi un altro partito e si sposta verso tendenze
anarchiche [...]». Il Partito socialista non svolge alcuna funzione di
educazione e di spiegazione di quanto sta avvenendo nella scena internazionale,
dalla quale esso è assente, non partecipando nemmeno alle riunioni
dell'Internazionale comunista, le cui tesi non sono riportate nell'Avanti!.
Analogamente, le edizioni socialiste non stampano le pubblicazioni comuniste:
«valga per tutte il volume di Lenin Stato e rivoluzione». Occorre pertanto,
secondo Gramsci, che il Partito socialista acquisti «una sua figura precisa e
distinta: da partito parlamentare piccolo borghese deve diventare il partito
del proletariato rivoluzionario che lotta per l'avvenire della società comunista
[...] i non comunisti rivoluzionari devono essere eliminati dal Partito [...]
ogni avvenimento della vita proletaria nazionale e internazionale deve essere
immediatamente commentata [...] per trarne argomenti di propaganda comunista e
di educazione delle coscienze rivoluzionarie [...] le sezioni devono promuovere
in tutte le fabbriche, nei sindacati, nelle cooperative, nelle caserme la
costituzione di gruppi comunisti [...] l'esistenza di un Partito comunista
coeso e fortemente disciplinato [...] è la condizione fondamentale e
indispensabile per tentare qualsiasi esperimento di Soviet [...] il Partito
deve lanciare un manifesto nel quale la conquista rivoluzionaria del potere
politico sia posta in modo esplicito [...]».[47] La risoluzione dell'Internazionale
comunista che chiedeva ai partiti socialisti l'allontanamento dei riformisti,
venne disattesa dal Partito Socialista Italiano. Infatti, a dispetto
dell'approvazione e dell'avallo ottenuto dagli ordinovisti da parte di Lenin
nel corso del II Congresso dell'Internazionale,[48] alla quale il PSI aveva
aderito con il congresso di Bologna tenuto nell'ottobre del 1919, i vecchi
dirigenti del partito erano riluttanti di fronte alla svolta politica e sociale
realizzatasi nel dopoguerra. In Italia, le rivendicazioni salariali, rese
necessarie dall'elevato indice d'inflazione, non trovavano accoglienza presso
gli industriali. Il 30 agosto 1920, a Milano, a seguito della serrata dell'Alfa
Romeo, 300 fabbriche furono occupate dagli operai: la FIOM appoggiò l'iniziativa,
ordinando l'occupazione di tutte le fabbriche metalmeccaniche d'Italia, con la
speranza che una tale, estrema iniziativa provocasse l'intervento del governo a
favore di una soluzione delle trattative. All'inizio di settembre tutte le
maggiori fabbriche d'Italia erano occupate da mezzo milione di operai, parte
dei quali armati, sia pure in modo rudimentale; alla FIAT di Torino, tuttavia,
ci fu una novità: dell'ufficio di Giovanni Agnelli prese possesso l'operaio
comunista Giovanni Parodi e i Consigli di fabbrica decisero di continuare la
produzione, per dimostrare che una grande fabbrica poteva funzionare anche in
assenza del proprietario. Giovanni Giolitti Di fronte alla
neutralità del governo Giolitti e alla decisione della Confindustria di non
cedere, il 10 settembre, nell'assemblea milanese che vide riuniti i dirigenti
del Partito socialista e della Camera del Lavoro, questi ultimi si dimisero
lasciando la gestione della difficile situazione al Partito, che tuttavia non
aveva alcuna intenzione di prolungare l'agitazione: la proposta estrema
dell'allargamento delle occupazioni a tutte le fabbriche del paese e alle
campagne fu respinta dalla maggioranza dei rappresentanti. Un accordo salariale
raggiunto con la mediazione di Giolitti pose termine, alla fine di settembre,
alle occupazioni delle fabbriche. Quell'esperienza dimostrò tanto la
mancanza di una strategia dei dirigenti socialisti quanto l'impreparazione
degli stessi operai a iniziative rivoluzionarie, per le quali occorrevano
organizzazione e disciplina. In previsione del prossimo XVII Congresso del
Partito socialista, Gramsci scrisse[49] che «la costituzione del Partito
comunista crea le condizioni per intensificare e approfondire l'opera nostra:
liberati dal peso morto degli scettici, dei chiacchieroni, degli
irresponsabili, liberati dall'assillo di dover continuamente, nel seno del
Partito, lottare contro i riformisti e gli opportunisti, di dover sventare le
loro insidie, di dover analizzare e criticare i loro atteggiamenti equivoci e
la loro fraseologia pseudo-rivoluzionaria, noi potremo dedicarci interamente al
lavoro positivo, all'espansione del nostro programma di rinnovamento, di
organizzazione, di risveglio delle coscienze e delle volontà».
Nell'ottobre 1920 si riunì a Milano il gruppo favorevole alla costituzione di
un partito comunista e Amadeo Bordiga, Luigi Repossi, Bruno Fortichiari,
Gramsci, Nicola Bombacci, Francesco Misiano e Umberto Terracini costituirono il
Comitato provvisorio della frazione comunista del Partito Socialista. La
fondazione del Partito comunista Il congresso di Livorno La scissione si
realizzò il 21 gennaio 1921, nel Teatro San Marco di Livorno, con la nascita
del «Partito Comunista d'Italia, sezione italiana dell'Internazionale». Il
comitato centrale fu composto dagli astensionisti (Amadeo Bordiga, Ruggero
Grieco, Giovanni Parodi, Cesare Sessa, Ludovico Tarsia e Bruno Fortichiari),
dagli ex-massimalisti (Nicola Bombacci, Ambrogio Belloni, Egidio Gennari,
Francesco Misiano, Anselmo Marabini, Luigi Repossi e Luigi Polano) e dagli
ordinovisti Gramsci e Terracini. Dal 1º gennaio 1921 Gramsci diresse
l'Ordine nuovo, divenuto ora uno dei quotidiani comunisti insieme con Il
Lavoratore di Trieste e Il Comunista di Roma, quest'ultimo diretto da
Togliatti. Non venne eletto deputato alle elezioni del 15 maggio: Gramsci non
ha capacità oratorie, è ancora giovane e anche la sua conformazione fisica non
lo agevola nell'apprezzamento di molti elettori. Alla fine di maggio
partì per Mosca, designato a rappresentare il Partito italiano nell'esecutivo
dell'Internazionale comunista. Vi arrivò già malato e nell'estate fu ricoverato
in un sanatorio per malattie nervose di Mosca. Qui conobbe una degente russa,
Eugenia Schucht, membro del Partito, figlia di Apollon Schucht, dirigente del
Pcus e amico personale di Lenin,[50] che aveva vissuto alcuni anni in Italia e,
attraverso di lei, la sorella Giulia (Julka) (1896-1980) che, violinista, aveva
abitato diversi anni a Roma diplomandosi al Conservatorio Santa Cecilia.
Giulia, ventiseienne, è bella, alta, ha un aspetto romantico; Gramsci ne è
conquistato: ricorderà «il primo giorno che [...] non osavo entrare nella tua
stanza perché mi avevi intimidito [...] al giorno che sei partita a piedi e io
ti ho accompagnato fino alla grande strada attraverso la foresta e sono rimasto
tanto tempo fermo per vederti allontanare tutta sola, col tuo carico da
viandante, per la grande strada, verso il mondo grande e terribile [...] ho
molto pensato a te, che sei entrata nella mia vita e mi hai dato l'amore e mi
hai dato ciò che mi era sempre mancato e mi faceva spesso cattivo e
torbido».[51] E quell'immagine di lei, viandante in un mondo grande e
terribile, con il suo senso doloroso di distacco, ritornerà ancora dal carcere:
«Ricordi quando sei ripartita dal bosco d'argento [...] ti ho accompagnata fino
all'orlo della strada maestra e sono rimasto a lungo a vederti allontanare
[...] così ti vedo sempre mentre ti allontani a passi brevi, col violino in una
mano e nell'altra la tua borsa da viaggio, così pittoresca».[52] Si sposano nel
1923 e avranno due figli, Delio, nato il 10 agosto 1924, e Giuliano, nato il 30
agosto 1926. Il figlio di quest'ultimo (nato nel 1965), porta il nome del
nonno, vive a Mosca e pratica la musica medievale.[53] Giulia diverrà nel 1924
membro della OGPU, il servizio di Sicurezza sovietico.[54] La
moglie di Gramsci e i figli Delio e Giuliano A differenza di Bordiga, tutto
inteso a salvaguardare la «purezza» programmatica del partito, e perciò
contrario a qualunque iniziativa al di fuori della dittatura del proletariato,
Gramsci guardava anche a obiettivi democratici, intermedi, raggiungibili
utilizzando le contraddizioni presenti negli strati sociali e le forze che
potevano rappresentare elementi di rottura, come il movimento sindacale
cattolico di Guido Miglioli e l'intellettualità progressista liberale di cui
Piero Gobetti è allora tra i maggiori rappresentanti.[55] Tuttavia nei suoi
scritti fino al 1926 ribadisce che l'obiettivo finale era la eliminazione dello
stato borghese e la dittatura del proletariato e anche nei suoi scritti
successivi non si riscontrano critiche al regime sovietico. Nel III
Congresso dell'Internazionale comunista, di fronte al riflusso dell'ondata
rivoluzionaria rappresentata dalle sconfitte delle esperienze comuniste in
Germania e in Ungheria, si decise la tattica del fronte unito con la
socialdemocrazia. Bordiga e la maggioranza dei dirigenti comunisti italiani si
oppose, elaborando le Tesi di Roma, base programmatica del II Congresso del
Partito, tenuto a Roma nel marzo del 1922. Gramsci vi aderì ma scrisse di aver
«accettato le tesi di Amadeo perché esse erano presentate come una opinione per
il Quarto Congresso [dell'Internazionale comunista] e non come un indirizzo di
azione. Ritenevamo di mantenere così unito il partito attorno al suo nucleo
fondamentale, pensavamo che si potesse fare ad Amadeo questa concessione [...]
senza nuove crisi e nuove minacce di scissione nel seno del nostro
movimento».[56] Nel IV Congresso dell'Internazionale, tenutosi dal 5
novembre al 5 dicembre 1922, di fronte all'avvento al potere di Mussolini, ai
delegati comunisti italiani fu posta con ancora maggior forza la necessità di
fondersi con corrente socialista degli internazionalisti, capeggiata da
Giacinto Menotti Serrati, e di costituire un nuovo Esecutivo, mettendo in
minoranza Bordiga, sempre contrario a ogni accordo. Lo stesso Bordiga fu
arrestato al suo rientro in Italia nel febbraio 1923 e, in settembre, a Milano,
furono incarcerati anche i rappresentanti del nuovo Esecutivo: Gramsci restò
così il massimo dirigente del Partito e nel novembre del 1923 si trasferì a
Vienna per seguire più da vicino la situazione italiana. Fu allora che egli
ritenne necessario rompere con la politica di Bordiga: «Il suo stesso carattere
inflessibile e tenace fino all'assurdo ci obbliga [...] a prospettarci il
problema di costruire il partito ed il centro di esso anche senza di lui e
contro di lui. Penso che sulle quistioni di principio non dobbiamo più fare
compromessi come nel passato: vale meglio la polemica chiara, leale, fino in
fondo, che giova al partito e lo prepara ad ogni evenienza».[57] Il 12
febbraio 1924 uscì a Milano il primo numero del nuovo quotidiano comunista
l'Unità e dal primo marzo la nuova serie del quindicinale l'Ordine nuovo. Il
titolo del giornale, da lui scelto, venne giustificato dalla necessità
dell'«unità di tutta la classe operaia intorno al partito, unità degli operai e
dei contadini, unità del Nord e del Mezzogiorno, unità di tutto il popolo
italiano nella lotta contro il fascismo».Alle elezioni del 6 aprile venne
eletto deputato al parlamento, potendo così rientrare a Roma, protetto
dall'immunità parlamentare, il 12 maggio 1924. Quello stesso mese, nei dintorni
di Como, si tenne un convegno illegale dei dirigenti delle Federazioni
comuniste italiane: pubblicamente, si fingevano dipendenti di un'azienda
milanese in gita turistica, con tanto di pubblici discorsi fascisti e inni a
Mussolini,[58] mentre, a parte, discutevano dei problemi del partito. Nel
convegno si affrontò il «caso Bordiga», il quale aveva rifiutato la candidatura
al Parlamento, era in rotta con la maggioranza dell'Internazionale e rifiutava
ogni azione politica comune con le altre forze politiche di sinistra. Delle tre
mozioni presentate, che rispecchiavano le tre correnti in seno al Partito, la
corrente di destra di Tasca, di centro di Gramsci e Togliatti, e di sinistra di
Bordiga, questa raccolse l'adesione della grande maggioranza dei delegati,
confermando la notevole importanza di cui il rivoluzionario napoletano godeva
nel Partito. Il 10 giugno un gruppo di fascisti rapì e uccise il deputato
socialista Giacomo Matteotti; sembrò allora che il fascismo stesse per crollare
per l'indignazione morale che in quei giorni percorse il Paese, ma non fu così;
l'opposizione parlamentare scelse la linea sterile di abbandonare il
Parlamento, dando luogo alla cosiddetta Secessione dell'Aventino: i liberali
speravano in un appoggio della Monarchia, che non venne, i cattolici erano
ostili tanto ai fascisti che ai socialisti e questi ultimi erano ostili a
tutti, comunisti compresi. Gramsci avanzò al «Comitato dei sedici»il nucleo
dirigente dei gruppi aventinianila proposta di proclamare lo sciopero generale
che però fu respinta; i comunisti uscirono allora dal «Comitato delle
opposizioni» aventiniane il quale, secondo Gramsci, non aveva alcuna volontà di
agire: ha una «paura incredibile che noi prendessimo la mano e quindi manovra
per costringerci ad abbandonare la riunione».[59] Giacomo Matteotti
Malgrado le divisioni dell'opposizione antifascista, Gramsci credeva che la
caduta del regime fosse imminente: «Il regime fascista muore perché non solo
non è riuscito ad arrestare, ma anzi ha contribuito ad accelerare la crisi
delle classi medie iniziatasi dopo la guerra. L'aspetto economico di questa
crisi consiste nella rovina della piccola e media azienda [...] il monopolio
del credito, il regime fiscale, la legislazione sugli affitti hanno stritolato
la piccola impresa commerciale e industriale: un vero e proprio passaggio di
ricchezza si è verificato dalla piccola e media alla grande borghesia [...]
L'apparato industriale ristretto ha potuto salvarsi dal completo sfacelo solo
per un abbassamento del livello di vita della classe operaia premuta dalla
diminuzione dei salari, dall'aumento della giornata di lavoro [...] La
disgregazione sociale e politica del regime fascista ha avuto la sua piena
manifestazione di massa nelle elezioni del 6 aprile. Il fascismo è stato messo
nettamente in minoranza nella zona industriale [...] Le elezioni del 6 aprile
[...] segnarono l'inizio di quella ondata democratica che culminò nei giorni
immediatamente successivi all'assassinio dell'on. Matteotti [...] le
opposizioni avevano acquistato dopo le elezioni un'importanza politica enorme;
l'agitazione da esse condotta nei giornali e nel Parlamento per discutere e
negare la legittimità del governo fascista [...] si ripercuoteva nel seno dello
stesso Partito nazionale fascista, incrinava la maggioranza parlamentare. Di
qui l'inaudita campagna di minacce contro le opposizioni e l'assassinio del
deputato unitario [...]» «Il delitto Matteotti dette la prova provata che il
Partito fascista non riuscirà mai a diventare un normale partito di governo,
che Mussolini non possiede dello statista e del dittatore altro che alcune
pittoresche pose esteriori; egli non è un elemento della vita nazionale, è un
fenomeno di folklore paesano, destinato a passare alla storia nell'ordine delle
diverse maschere provinciali italiane, più che nell'ordine dei Cromwell, dei
Bolívar, dei Garibaldi».[60] S'ingannava, perché l'inerzia
dell'opposizione non riuscì a dare alternative del blocco sociale in cui la
piccola borghesia teme il «salto nel buio» della caduta del regime e i fascisti
riprendono coraggio e ricominciano le violenze squadriste: in una delle tante
viene aggredito anche Gobetti. E dopo il 12 settembre, quando il militante
comunista Giovanni Corvi uccide in un tram il deputato fascista Armando
Casalini, per vendicare la morte di Matteotti, la repressione s'inasprisce. Il
20 ottobre Gramsci propose vanamente che l'opposizione aventiniana si
costituisca in «Antiparlamento», in modo da segnare nettamente la distanza e
svuotare di significato un Parlamento di soli fascisti; il 26 partì per la
Sardegna, per intervenire al Congresso regionale del partito e per rivedere i
famigliari. Il 6 novembre si congedò dalla madre, che non avrebbe più
rivisto. Benito Mussolini Il 12 novembre 1924 il deputato comunista
Luigi Repossi rientrò in Parlamento, dove sedevano solo i deputati fascisti e i
loro alleati, per commemorare Matteotti a nome di tutto il suo partito; il 26
vi rientrò anche tutto il gruppo parlamentare comunista, a segnare l'inutilità
dell'esperienza aventiniana. Il 27 dicembre 1924 il quotidiano di Giovanni Amendola
Il Mondo pubblicò le dichiarazioni di Cesare Rossi, già capo ufficio stampa di
Mussolini, a proposito del delitto Matteotti: «Tutto quanto è successo è
avvenuto sempre per la volontà diretta o per l'approvazione o per la complicità
del duce» e il 3 gennaio 1925 Mussolini, in un discorso rimasto famoso, a
confermare quella testimonianza, dichiara alla Camera dei deputati di assumersi
«la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto», dando
il via a una nuova azione repressiva. In febbraio Gramsci andò a Mosca,
per stare con la moglie e conoscere finalmente il figlio Delio. Tornato in
Italia a maggio, il 16 tenne il suo primoe unicodiscorso in Parlamento[61],
davanti all'ex compagno di partito Mussolini, ora Primo ministro, che aveva
descritto l'anno prima come un capo che «è divinizzato, è dichiarato
infallibile, è preconizzato organizzatore e ispiratore di un rinato Sacro
Romano Impero [...] Conosciamo quel viso: conosciamo quel roteare degli occhi
nelle orbite che nel passato dovevano, con la loro ferocia meccanica, far
venire i vermi alla borghesia e oggi al proletariato. Conosciamo quel pugno
sempre chiuso alla minaccia [...] Mussolini [...] è il tipo concentrato del
piccolo-borghese italiano, rabbioso, feroce impasto di tutti i detriti lasciati
sul suolo nazionale da vari secoli di dominazione degli stranieri e dei preti:
non poteva essere il capo del proletariato; divenne il dittatore della
borghesia, che ama le facce feroci quando ridiventa borbonica».[62][63]
Con il pretesto di colpire la Massoneria, il governo aveva predisposto un
disegno di legge per disciplinare l'attività di associazioni, enti e istituti:
continuamente interrotto, Gramsci respinse il pretesto che il governo si era
dato, «perché la Massoneria passerà in massa al Partito fascista e ne
costituirà una tendenza, è chiaro che con questa legge voi sperate di impedire
lo sviluppo di grandi organizzazioni operaie e contadine». E ironizzando:
«Qualche fascista ricorda ancora nebulosamente gli insegnamenti dei suoi vecchi
maestri, di quando era rivoluzionario e socialista, e crede che una classe non
possa rimanere tale permanentemente e svilupparsi fino alla conquista del
potere, senza che essa abbia un partito e un'organizzazione che ne riassuma la
parte migliore e più cosciente. C'è qualcosa di vero, in questa torbida
perversione degli insegnamenti marxisti». Concluse: «Voi potete
conquistare lo Stato, potete modificare i codici, potete cercar di impedire
alle organizzazioni di esistere nella forma in cui sono esistite fino adesso ma
non potete prevalere sulle condizioni obbiettive in cui siete costretti a
muovervi. Voi non farete che costringere il proletariato a ricercare un
indirizzo diverso da quello fin oggi più diffuso nel campo dell'organizzazione
di massa. Ciò noi vogliamo dire al proletariato e alle masse contadine
italiane, da questa tribuna: che le forze rivoluzionarie italiane non si
lasceranno schiantare, il vostro torbido sogno non riuscirà a
realizzarsi». Dal 20 al 26 gennaio 1926 si svolse clandestinamente a Lione
il III Congresso del Partito.[64] Vi parteciparono 70 delegati, con tutti i
maggiori responsabili, Bordiga, Gramsci, Tasca, Togliatti, Grieco, Leonetti,
Scoccimarro: vi era anche Serrati, che aveva lasciato da poco il Partito
socialista di cui era stato a lungo dirigente di primo piano. Assisteva, a nome
dell'Internazionale, Jules Humbert-Droz.[65] Gramsci presentò le Tesi
congressuali elaborate insieme con Togliatti.[66] Con un capitalismo
debole e l'agricoltura base dell'economia nazionale, in Italia si assiste al
compromesso fra industriali del Nord e proprietari fondiari del Sud, ai danni
degli interessi generali della maggioranza della popolazione. Il proletariato,
in quanto forza sociale omogenea e organizzata rispetto alla piccola borghesia
urbana e rurale, che ha interessi differenziati, viene visto, nelle Tesi, «come
l'unico elemento che per la sua natura ha una funzione unificatrice e
coordinatrice di tutta la società.»[67] Secondo Gramsci il fascismo non
è, come invece ritiene Bordiga, l'espressione di tutta la classe dominante, ma
è il frutto politico della piccola borghesia urbana e della reazione degli
agrari che ha consegnato il potere alla grande borghesia, e la sua tendenza
imperialistica è l'espressione della necessità, da parte delle classi
industriali e agrarie, «di trovare fuori del campo nazionale gli elementi per
la risoluzione della crisi della società italiana» che tuttavia permette, per
la sua natura oppressiva e reazionaria, una soluzione rivoluzionaria delle
contraddizioni sociali e politiche; le due forze sociali idonee a dar luogo a
questa soluzione sono il proletariato del Nord e i contadini del
Mezzogiorno.[68] A questo scopo, il Partito andrà bolscevizzato, ossia
organizzato per cellule di fabbrica caratterizzate da una "disciplina di
ferro" negando al suo interno la possibilità dell'esistenza delle
frazioni. Il Congresso approvò le Tesi a grande maggioranza (oltre il
90%) ed elesse il Comitato centrale con Gramsci segretario del Partito.[69] Da
allora, la sinistra comunista di Bordiga non ebbe più un ruolo influente nel
Partito. Le Tesi di Lione, realizzate da Gramsci, ribadirono con una certa
durezza le posizioni del Pcd’I «la socialdemocrazia sebbene abbia ancora la sua
base sociale, per gran parte, nel proletariato per quanto riguarda la sua
ideologia e la sua funzione politica cui adempie, deve essere considerata non
come un'ala destra del movimento operaio, ma come un'ala sinistra della
borghesia e come tale deve essere smascherata». In questa relazione venne
sviluppata la cosiddetta bolscevizzazione del partito: «spetti al partito russo
una funzione predominante e direttiva nella costruzione di una Internazionale
comunista… La organizzazione di un partito bolscevico deve essere, in ogni
momento della vita del partito, una organizzazione centralizzata, diretta dal
Comitato centrale non solo a parole, ma nei fatti. Una disciplina proletaria di
ferro deve regnare nelle sue file… La centralizzazione e la compattezza del
partito esigono che non esistano nel suo seno gruppi organizzati i quali
assumano carattere di frazione. Un partito bolscevico si differenzia per questo
profondamente dai partiti socialdemocratici».[70] Tornato a Romada via
Vesalio si era trasferito in via Morgagniebbe il tempo di passare alcuni mesi
con la famigliala moglie Giulia e il piccolo Delio, oltre alle cognate Eugenia
e Tatianache abitano tuttavia in un altro appartamento, in via Trapani: le
squadre fasciste, superato da tempo lo smarrimento provocato dal delitto
Matteotti, avevano piena libertà d'azione e non era prudente coinvolgere i
familiari in loro possibili aggressioni; il 4 ottobre, a Firenze, era stato
ucciso l'ex-deputato socialista Gaetano Pilati, la stessa casa di Gramsci era
stata messa a soqquadro dalla polizia il 20 ottobre. Mentre gli esponenti
dell'opposizione antifascista prendevano la via dell'emigrazioneGobetti, che
muore il 6 febbraio 1926, venticinquenne, a Parigi, in conseguenza delle
bastonate squadriste, Amendola, Salveminiun processo farsa condannava a una
pena simbolica gli assassini di Matteotti, difesi dal capo-squadrista Roberto
Farinacci. La moglie Giulia, che aspettava il secondo figlio Giuliano,
lasciò l'Italia il 7 agosto e il mese dopo fu la volta della cognata Eugenia a
tornare a Mosca con il figlio Delio: Gramsci non l'avrebbe più rivisto.
Giustino Fortunato Elaborando temi già affrontati nelle Tesi di Lione, in
settembre Gramsci iniziò a scrivere un saggio sulla questione meridionale,
intitolato Alcuni temi sulla quistione meridionale, in cui analizzò il periodo
dello sviluppo politico italiano dal 1894, anno dei moti dei contadini
siciliani, seguito nel 1898 dall'insurrezione di Milano repressa a cannonate
dal governo Di Rudinì. Secondo Gramsci, la borghesia italiana, impersonata
politicamente da Giovanni Giolitti, di fronte all'insofferenza delle classi
emarginate dei contadini meridionali e degli operai del Nord, piuttosto che
allearsi con le forze agrarie, cosa che avrebbe dovuto comportare una politica
di libero scambio e di bassi prezzi industriali, scelse di favorire il blocco
industriale-operaio, con la conseguente scelta del protezionismo doganale,
unita a concessione di libertà sindacali. Di fronte alla persistenza
dell'opposizione operaia, manifestatasi anche contro i dirigenti socialisti
riformisti, Giolitti cercò un accordo con i contadini cattolici del
Centro-Nord. Il problema è allora, per Gramsci, di perseguire una politica di
opposizione che rompa l'alleanza borghesia-contadini, facendo convergere questi
ultimi in un'alleanza con la classe operaia. La società meridionale,
secondo Gramsci, è costituita da tre classi fondamentali: braccianti e
contadini poveri, politicamente inconsapevoli; piccoli e medi contadini, che
non lavorano la terra ma dalla quale ricavano un reddito che permette loro di
vivere in città, spesso come impiegati statali: costoro disprezzano e temono il
lavoratore della terra, e fanno da intermediari al consenso fra i contadini
poveri e la terza classe, costituita dai grandi proprietari terrieri, i quali a
loro volta contribuiscono alla formazione dell'intellettualità nazionale, con
personalità del valore di Benedetto Croce e di Giustino Fortunato e sono, con
quelli, i principali e più raffinati sostenitori della conservazione di questo
blocco agrario. Croce e Fortunato sono, per Gramsci, «i reazionari più operosi
della penisola»,[71] «le chiavi di volta del sistema meridionale e, in un certo
senso, sono le due più grandi figure della reazione italiana».[72] Per
poter spezzare questo blocco occorrerebbe la formazione di un ceto di
intellettuali medi che interrompa il flusso del consenso fra le due classi
estreme, favorendo così l'alleanza dei contadini poveri con il proletariato
urbano. Tuttavia Gramsci non aveva un'opinione positiva sui contadini, nel 1926
scrisse: «Il solo organizzatore possibile della massa contadina meridionale è
l'operaio industriale, rappresentato dal nostro partito»[73] «Non ho mai
voluto mutare le mie opinioni, per le quali sarei disposto a dare la vita e non
solo a stare in prigione [...] vorrei consolarti di questo dispiacere che ti ho
dato: ma non potevo fare diversamente. La vita è così, molto dura, e i figli
qualche volta devono dare dei grandi dolori alle loro mamme, se vogliono
conservare il loro onore e la loro dignità di uomini» (Antonio Gramsci,
Lettera alla madre, 10 maggio 1928) In Unione Sovietica è in corso la lotta fra
la maggioranza di Stalin e Bucharin e la minoranza di sinistra del Partito
comunista, guidata da Trotskij, Zinov'ev e Kamenev, che critica la politica
della NEP, la quale favorisce i contadini ricchi a svantaggio degli operai, e
la rinuncia alla rivoluzione socialista mondiale attraverso la costruzione del
«socialismo in un solo paese» che porterebbe all'involuzione del movimento
rivoluzionario.[74] Il dissidio, che porta all'esclusione di Zinov'ev
dall'Ufficio politico del Partito sovietico, si era fatto sempre più aspro con
la costituzione in frazione della minoranza[75] e si era esteso anche
all'interno del Partito comunista tedesco, provocando una scissione. [senza fonte]
Il 18 ottobre 1926 il New York Times, forse su ispirazione di Lev Trotsky,
pubblicava il testamento di Lenin, con i suoi noti rilievi sul carattere di
Stalin e sul pericolo rappresentato dal troppo potere che la carica di
segretario del Partito gli concedeva.[76] Su incarico dell'Ufficio
politico, Gramsci scrisse a metà ottobre una lettera al Comitato centrale del
Partito sovietico.[77] Egli si mostra preoccupato per «l'acutezza delle
polemiche» che potrebbero portare a una scissione che «può avere le più gravi
ripercussioni, non solo se la minoranza di opposizione non accetta con la
massima lealtà i principi fondamentali della disciplina rivoluzionaria di
Partito, ma anche se essa, nel condurre la sua lotta, oltrepassa certi limiti
che sono superiori a tutte le democrazie formali». Riconosciuto ai dirigenti
sovietici il merito di essere stati «l'elemento organizzatore e propulsore
delle forze rivoluzionarie di tutti i paesi», li rimprovera di star
«distruggendo l'opera vostra, voi degradate e correte il rischio di annullare
la funzione dirigente che il partito comunista dell'URSS aveva conquistato per
l'impulso di Lenin: ci pare che la passione violenta delle quistioni russe vi
faccia perdere di vista gli aspetti internazionali delle quistioni russe stesse,
vi faccia dimenticare che i vostri doveri di militanti russi possono e debbono
essere adempiuti solo nel quadro degli interessi del proletariato
internazionale». Palmiro Togliatti Nel merito del fondamento del
contrastola contraddizione di un proletariato formalmente «dominante» in URSS,
ma in condizioni economiche molto inferiori alla classe «dominata»Gramsci
appoggia la posizione della maggioranza, rilevando che «è facile fare della
demagogia su questo terreno ed è difficile non farla quando la quistione è
stata messa nei termini dello spirito corporativo e non in quelli del
leninismo, della dottrina dell'egemonia del proletariato [...] è in questo
elemento la radice degli errori del blocco delle opposizioni e l'origine dei
pericoli latenti che nella sua attività sono contenuti. Nella ideologia e nella
pratica del blocco delle opposizioni rinasce in pieno tutta la tradizione della
socialdemocrazia e del sindacalismo che ha impedito finora al proletariato
occidentale di organizzarsi in classe dirigente». Gramsci concludeva
esortando all'unità: «I compagni Zinov'ev, Trockij, Kamenev hanno contribuito
potentemente a educarci per la rivoluzione [...] sono stati tra i nostri
maestri. A loro specialmente ci rivolgiamo come ai maggiori responsabili dell'attuale
situazione perché vogliamo essere sicuri che la maggioranza del comitato
centrale del partito comunista dell'URSS non intenda stravincere nella lotta e
sia disposta a evitare le misure eccessive. L'untà del nostro partito fratello
di Russia è necessaria per lo sviluppo e il trionfo delle forze rivoluzionarie
mondiali; a questa necessità ogni comunista e internazionalista deve essere
disposto a fare maggiori sacrifizi. I danni di un errore compiuto dal partito
unito sono facilmente superabili; i danni di una scissione o di una prolungata
condizione di scissione latente possono essere irreparabili e
mortali».[78] Togliatti, allora a Mosca quale rappresentante italiano
all'Internazionale, criticò le ultime considerazioni che ripartivano, seppure
in modo diseguale, le responsabilità delle due fazioni, credendo ancora nella
illusoria possibilità di una compattezza del gruppo dirigente sovietico: a suo
avviso, invece, «d'ora in poi l'unità della vecchia guardia leninista non sarà
più o sarà assai difficilmente realizzata in modo continuo».[79] Non ci
sarà tempo e occasione per approfondire la questione: lo stesso giorno in cui
il Comitato centrale comunista doveva riunirsi clandestinamente a Genova, il 31
ottobre 1926, Mussolini subì a Bologna un attentato senza conseguenze
personali, che provoca una tale pressione poliziesca da far fallire il
convegno. L'attentato Zamboni costituì il pretesto per l'eliminazione degli
ultimi, minimi residui di democrazia: il 5 novembre il governo sciolse i
partiti politici di opposizione e soppresse la libertà di stampa. L'8 novembre,
in violazione dell'immunità parlamentare, Gramsci venne arrestato nella sua
casa e rinchiuso nel carcere di Regina Coeli.[80] Il giorno successivo fu
dichiarato decaduto, insieme agli altri deputati aventiniani.[81] Dopo un
periodo di confino a Ustica, dove ritrovò, tra gli altri, Bordiga, il 7
febbraio 1927 fu detenuto nel carcere milanese di San Vittore. Qui ricevette,
in agosto, la visita del fratello Mario, le cui scelte politiche erano state opposte
alle suegià federale di Varese, ora si occupava di commercioe, soprattutto,
quella della cognata Tatiana, la persona che si manterrà sempre, per quanto
possibile, in contatto con lui. L'istruttoria andò per le lunghe, perché vi
erano difficoltà a montare su di lui accuse credibili: fu anche fatto
avvicinare da due agenti provocatoriprima un tale Dante Romani e poi un certo
Corrado Melanima senza successo.[82] Il processo a ventidue imputati
comunisti, fra i quali Umberto Terracini, Mauro Scoccimarro e Giovanni Roveda,
iniziò finalmente a Roma il 28 maggio 1928; Mussolini aveva istituito il 1º
febbraio 1927 il Tribunale Speciale Fascista. Presidente è un generale,
Alessandro Saporiti, giurati sono cinque consoli della milizia fascista,
relatore l'avvocato Giacomo Buccafurri e accusatore l'avvocato Michele Isgrò,
tutti in uniforme; intorno all'aula, «un doppio cordone di militi in elmetto
nero, il pugnale sul fianco ed i moschetti con la baionetta in canna»[83]
Gramsci è accusato di attività cospirativa, istigazione alla guerra civile,
apologia di reato e incitamento all'odio di classe.[84] Il pubblico ministero
Isgrò concluse la sua requisitoria con una frase rimasta famosa: «Bisogna
impedire a questo cervello di funzionare per venti anni»;[85] e infatti
Gramsci, il 4 giugno, venne condannato a venti anni, quattro mesi e cinque
giorni di reclusione;[86] il 19 luglio raggiunse il carcere di Turi, in
provincia di Bari. Fin da quando si trovava in carcere a Milano, Gramsci
era intenzionato a occuparsi «intensamente e sistematicamente di qualche
soggetto» che lo «assorbisse e centralizzasse la sua vita interiore».[87] L'8
febbraio 1929, nel carcere di Turi, il detenuto 7.047 ottenne finalmente
l'occorrente per scrivere e iniziò la stesura dei suoi Quaderni del carcere. Il
primo quaderno si apre proprio con una bozza di 16 argomenti, alcuni dei quali
saranno abbandonati, altri inseriti e altri ancora svolti solo in parte.
Caratteristico era il suo modo di lavorare: quasi tutti i giorni, per alcune
ore, camminando all'interno della cella, rifletteva sulle frasi da scrivere e
poi si chinava sul tavolino, scrivendo senza sedersi, un ginocchio appoggiato
sullo sgabello, per riprendere a camminare e a pensare.[88] A fare da tramite
tra Gramsci e il mondo esterno, e in particolare con Piero Sraffa e tramite
questi col Pcus e il PCd'I, fu la cognata Tatiana Schucht, essendo la moglie di
Gramsci tornata in Unione Sovietica. Intanto, il VI Congresso
dell'Internazionale comunista, tenutosi a Mosca dal luglio al settembre 1928,
aveva stabilito l'impossibilità di accordi con la socialdemocrazia, che veniva
anzi assimilata allo stesso fascismo.[89] Era la tesi di Stalin il quale,
liquidata l'opposizione di Trockij, eliminava anche l'influenza di Bucharin
che, già suo alleato contro la sinistra di Trockij, era rimasto il suo
principale oppositore da destra.[90] Al nuovo orientamento dell'Internazionale,
riaffermato nel X Plenum del Comitato esecutivo nel luglio 1929, dovevano
adeguarsi i Partiti nazionali, espellendo, se necessario, i dissidenti.[89] Il
Partito comunista d'Italia si adeguò alle scelte dell'Internazionale,
espellendo Angelo Tasca in settembre e in successione, ma con l'accusa di
trotskismo, prima, il 30 marzo del 1930, Bordiga,[91] poi, il 9 giugno, fu la
volta di Alfonso Leonetti, Pietro Tresso e Paolo Ravazzoli.[92] Gramsci
teneva, durante l'ora d'aria, dei "colloqui-lezioni" con i compagni
di partito: non esistono dirette testimonianze delle opinioni espresse da
Gramsci riguardo alla «svolta» politica del movimento comunista, ma può
costituire un indiretto riferimento un rapporto che un suo compagno di carcere,
Athos Lisa, amnistiato nel 1933, inviò subito al Centro estero comunista.[93]
Secondo quella relazione, Gramsci riferì la teoria della necessità dell'alleanza
fra operai del Nord e contadini meridionali che già stava elaborando nei suoi
Quaderni: «L'azione per la conquista degli alleati diviene per il proletariato
cosa estremamente delicata e difficile. D'altra parte, senza la conquista di
questi alleati, è precluso al proletariato ogni serio movimento
rivoluzionario». Qui s'intende che il proletariatola classe operaiadebba
allearsi con i contadini e la piccola borghesia: «Se si tiene conto delle
particolari condizioni nei limiti delle quali va visto il grado di sviluppo
politico degli strati contadini e piccoli borghesi in Italia, è facile
comprendere come la conquista di questi strati sociali comporti per il partito
una particolare azione [...]» Foto segnaletica di Gramsci del 1933
«La lotta per la conquista diretta del potere è un passo al quale questi strati
sociali potranno solo accedere per gradi [...] il primo passo attraverso il
quale bisogna condurre questi strati sociali è quello che li porti a
pronunciarsi sul problema istituzionale e costituzionale. L'inutilità della
Monarchia è ormai compresa da tutti i lavoratori [...] a questo obiettivo deve
improntarsi la tattica del partito senza tema di apparire poco rivoluzionario.
Deve fare sua prima degli altri partiti in lotta contro il fascismo la parola
d'ordine della Costituente». Ma l'azione del partito «deve essere intesa a
svalutare tutti i programmi di riforma pacifica dimostrando alla classe
lavoratrice come la sola soluzione possibile in Italia risieda nella
rivoluzione proletaria». La richiesta di una Costituente, e dunque di
un'iniziativa politica che si ponesse obiettivi intermedi, avrebbe comportato
necessariamente una convergenza, per quanto temporanea, con altre forze
antifasciste, e se è difficile considerare tale linea politica come «socialdemocratica»,
durante le discussioni nel cortile del carcere qualche suo compagno arrivò a
sostenere che egli era ormai fuori del Partito comunista: probabilmente le
reazioni di alcuni «erano esasperate dal clima di detenzione» ma certo le
posizioni di Gramsci dovevano apparire «in contrasto con la linea politica
indicata in quegli anni dal Partito comunista».[94] È in questo periodo
che Gramsci venne a contatto con Sandro Pertini, esponente del PSI e detenuto
anch'egli alla Casa Penale di Turi. I due, nonostante i pensieri politici
differenti, divennero grandi amici e Pertini, anche dopo la scarcerazione,
ricordò spesso nei suoi discorsi il compagno di prigionia e le tristi
condizioni di salute che lo stroncavano[95]. Dal 1931 Gramsci, oltre al morbo di
Pott di cui soffriva fin dall'infanzia, fu colpito da arteriosclerosi e poté
così ottenere una cella individuale; cercò di reagire alla detenzione studiando
ed elaborando le proprie riflessioni politiche, filosofiche e storiche,
tuttavia le condizioni di salute continuarono a peggiorare e in agosto ebbe
un'improvvisa e grave emorragia. La tomba di Gramsci nel Cimitero
acattolico di Roma Anche la moglie Giulia, in Russia, era sofferente di una
seria forma di depressione e rare erano le sue lettere al marito che,
all'oscuro dei motivi dei suoi lunghi silenzi, sentiva crescere intorno a sé il
senso di un opprimente isolamento. Scriveva alla cognata: «Non credere che il
sentimento di essere personalmente isolato mi getti nella disperazione [...] io
non ho mai sentito il bisogno di un apporto esteriore di forze morali per
vivere fortemente la mia vita [...] tanto meno oggi, quando sento che le mie
forze volitive hanno acquistato un più alto grado di concretezza e di validità.
Ma mentre nel passato mi sentivo quasi orgoglioso di sentirmi isolato, ora
invece sento tutta la meschinità, l'aridità, la grettezza di una vita che sia
esclusivamente volontà».[96] Quando la madre morì, il 30 dicembre 1932, i
familiari preferirono non informarlo; il 7 marzo 1933 ebbe una seconda grave
crisi, con allucinazioni e deliri. Si riprese a fatica, senza farsi illusioni
sul suo immediato futuro: «Fino a qualche tempo fa io ero, per così dire,
pessimista con l'intelligenza e ottimista con la volontà [...] Oggi non penso
più così. Ciò non vuol dire che abbia deciso di arrendermi, per così dire. Ma
significa che non vedo più nessuna uscita concreta e non posso più contare su
nessuna riserva di forze».[97] Eppure lo stesso codice penale dell'epoca,
all'art. 176, prevedeva la concessione della libertà condizionata ai carcerati
in gravi condizioni di salute. A Parigi si costituì un comitato, di cui fecero
parte, fra gli altri, Romain Rolland e Henri Barbusse, per ottenere la
liberazione sua e di altri detenuti politici, ma solo il 19 novembre Gramsci
venne trasferito nell'infermeria del carcere di Civitavecchia e poi, il 7
dicembre, nella clinica del dottor Cusumano a Formia, sorvegliato in camera e
all'esterno. Il 25 ottobre 1934 Mussolini accolse finalmente la richiesta di
libertà condizionata, ma Gramsci non rimase libero nei suoi movimenti, tanto
che gli fu impedito di andare a curarsi altrove, perché il governo temeva una
sua fuga all'estero; solo il 24 agosto 1935 poté essere trasferito nella
clinica "Quisisana" di Roma, dove giunse in gravi condizioni, poiché
oltre al morbo di Pott e all'arteriosclerosi soffriva di ipertensione e di
gotta. Il 21 aprile 1937 Gramsci passò dalla libertà condizionata alla
piena libertà, ma era ormai in gravissime condizioni: morì all'alba del 27 aprile,
a quarantasei anni, di emorragia cerebrale, nella stessa clinica Quisisana.[98]
Il giorno seguente la cremazione si svolsero i funerali, cui parteciparono
soltanto il fratello Carlo e la cognata Tatiana: le ceneri, inumate nel
cimitero del Verano, furono trasferite l'anno seguente nel Cimitero acattolico
di Roma, nel Campo Cestio. I 33 Quaderni del carcere, non destinati da Gramsci
alla pubblicazione, contengono riflessioni e appunti elaborati durante la
reclusione; iniziati l'8 febbraio 1929, furono definitivamente interrotti
nell'agosto 1935 a causa della gravità delle sue condizioni di salute. Furono
numerati, senza tener conto della loro cronologia, dalla cognata Tatiana
Schucht, che li affidò all'Ambasciata sovietica a Roma da dove furono inviati a
Mosca e, successivamente, conseg Palmiro Togliatti.[99] Dopo la fine
della guerra i Quaderni, curati dal dirigente comunista Felice Platone sotto la
supervisione di Palmiro Togliatti, furono pubblicati dall'editore
Einaudiunitamente alle sue Lettere dal carcere indirizzate ai familiariin sei
volumi, ordinati per argomenti omogenei, con i titoli: Il materialismo
storico e la filosofia di Benedetto Croce, nel 1948 Gli intellettuali e
l'organizzazione della cultura, nel 1949 Il Risorgimento, nel 1949 Note sul Machiavelli,
sulla politica e sullo Stato moderno, nel 1949 Letteratura e vita nazionale,
nel 1950 Passato e presente, nel 1951 Nel 1975 i Quaderni furono pubblicati
Valentino Gerratana secondo l'ordine cronologico della loro elaborazione. Sono
stati raccolti in volume anche tutti gli articoli scritti da Gramsci
nell'Avanti!, ne Il Grido del Popolo e ne L'Ordine Nuovo. Il pensiero di
Gramsci L'egemonia Magnifying glass icon mgx2.svg Egemonia culturale. Conquistare la
maggioranza politica di un Paese vuol dire che le forze sociali, che di tale
maggioranza sono espressione, dirigono la politica di quel determinato paese e
dominano le forze sociali che a tale politica si oppongono: significa ottenere
l'egemonia. Vi è distinzione fra direzioneegemonia intellettuale e
moralee dominioesercizio della forza repressiva: «Un gruppo sociale è dominante
dei gruppi avversari che tende a liquidare o a sottomettere anche con la forza
armata, ed è dirigente dei gruppi affini e alleati. Un gruppo sociale può e
anzi deve essere dirigente già prima di conquistare il potere governativo (è
questa una delle condizioni principali per la stessa conquista del potere);
dopo, quando esercita il potere ed anche se lo tiene fortemente in pugno,
diventa dominante ma deve continuare ad essere anche dirigente».[100] La
crisi dell'egemonia si manifesta quando, anche mantenendo il proprio dominio,
le classi sociali politicamente dominanti non riescono più a essere dirigenti
di tutte le classi sociali, non riuscendo più a risolvere i problemi di tutta
la collettività e a imporre la propria concezione del mondo. A quel punto, la
classe sociale subalterna, se riesce a indicare concrete soluzioni ai problemi
lasciati irrisolti dalla classe dominante, può diventare dirigente e,
allargando la propria concezione del mondo anche ad altri strati sociali, può
creare un nuovo «blocco sociale», cioè una nuova alleanza di forze sociali,
divenendo egemone. Il cambiamento dell'esercizio dell'egemonia è un momento
rivoluzionario che inizialmente avviene a livello della sovrastrutturain senso
marxiano, ossia politico, culturale, ideale, morale –, ma poi trapassa nella
società nel suo complesso investendo anche la struttura economica, e dunque
tutto il «blocco storico», termine che in Gramsci indica l'insieme della
struttura e della sovrastruttura, ossia i rapporti sociali di produzione e i
loro riflessi ideologici. Analizzando la storia italiana e il Risorgimento
in particolare, Gramsci rileva che la classe popolare non trovò un proprio
spazio politico e una propria identità, poiché la politica dei liberali di
Cavour concepì «l'unità nazionale come allargamento dello Stato piemontese e
del patrimonio della dinastia, non come movimento nazionale dal basso, ma come
conquista regia».[101] Gramsci ritiene che l'azione della borghesia avrebbe
potuto assumere un carattere rivoluzionario se avesse acquisito l'appoggio di
vaste masse popolari, in particolare dei contadini, che costituivano la
maggioranza della popolazione. Il limite della rivoluzione borghese in Italia consistette
nel non essere capeggiata da un partito giacobino, come in Francia, dove le
campagne, appoggiando la Rivoluzione, furono decisive per la sconfitta delle
forze della reazione aristocratica. Cavour Il partito politico
italiano allora più avanzato fu il Partito d'Azione di Mazzini e Garibaldi, che
non seppe impostare il problema dell'alleanza delle forze borghesi progressive
con la classe contadina: Garibaldi in Sicilia distribuì le terre demaniali ai
contadini, ma gli stessi garibaldini repressero le rivolte contadine contro i
baroni latifondisti. Per conquistare l'egemonia contro i moderati guidati da
Cavour, il Partito d'Azione avrebbe dovuto «legarsi alle masse rurali,
specialmente meridionali, essere giacobino [...] specialmente per il contenuto
economico-sociale: il collegamento delle diverse classi rurali che si
realizzava in un blocco reazionario attraverso i diversi ceti intellettuali
legittimisti-clericali poteva essere dissolto per addivenire ad una nuova
formazione liberale-nazionale solo se si faceva forza in due direzioni: sui
contadini di base, accettandone le rivendicazione di base [...] e sugli
intellettuali degli strati medi e inferiori».[102] Al contrario, i
cavourriani seppero mettersi alla testa della rivoluzione borghese, assorbendo
tanto i radicali che una parte dei loro stessi avversari. Questo avvenne perché
i moderati cavourriani ebbero un rapporto organico con i loro intellettuali che
erano proprietari terrieri e dirigenti industriali come i politici che essi
rappresentavano. Le masse popolari restarono passive nel raggiunto compromesso
fra i capitalisti del Nord e i latifondisti del Sud. Il Piemonte assunse
la funzione di classe dirigente, anche se esistevano altri nuclei di classe
dirigente favorevoli all'unificazione: ma «questi nuclei non volevano dirigere
nessuno, cioè non volevano accordare i loro interessi e aspirazioni con gli
interessi e aspirazioni di altri gruppi. Volevano dominare, non dirigere e
ancora: volevano che dominassero i loro interessi, non le loro persone, cioè
volevano che una forza nuova, indipendente da ogni compromesso e condizione,
divenisse arbitra della Nazione: questa forza fu il Piemonte», che ebbe una
funzione paragonabile a quella di un partito. «Questo fatto è della
massima importanza per il concetto di rivoluzione passiva, che cioè non un
gruppo sociale sia il dirigente di altri gruppi, ma che uno Stato, sia pure
limitato come potenza, sia il dirigente del gruppo che di esso dovrebbe essere
dirigente e possa porre a disposizione di questo un esercito e una forza
politica-diplomatica». Che uno Stato si sostituisca ai gruppi sociali locali
nel dirigere la lotta di rinnovamento «è uno dei casi in cui si ha la funzione
di dominio e non di dirigenza di questi gruppi: dittatura senza egemonia».[103]
E dunque per Gramsci il concetto di egemonia si distingue da quello di
dittatura: questa è solo dominio, quella è capacità di direzione. Nei suoi
scritti tuttavia Gramsci non prese mai posizione contro la dittatura del
proletariato né espresse critiche significative al regime sovietico in
Russia. Le classi subalterne Gustave Courbet, Lo spaccapietre Le
classi subalternesottoproletariato, proletariato urbano, rurale e anche parte
della piccola borghesianon sono unificate e la loro unificazione avviene solo
quando giungono a dirigere lo Stato, altrimenti svolgono una funzione
discontinua e disgregata nella storia della società civile dei singoli Stati,
subendo l'iniziativa dei gruppi dominanti anche quando ad essi si
ribellano. Il "blocco sociale", l'alleanza politica di classi
sociali diverse, formato, in Italia, da industriali, proprietari terrieri,
classi medie, parte della piccola borghesia, non è omogeneo, essendo
attraversato da interessi divergenti, ma una politica opportuna, una cultura e
un'ideologia o un sistema di ideologie impediscono che quei contrasti di
interessi, permanenti anche quando siano latenti, esplodano provocando la crisi
dell'ideologia dominante e la conseguente crisi politica dell'intero sistema di
potere. In Italia, l'esercizio dell'egemonia delle classi dominanti è ed
è stata parziale: tra le forze che contribuiscono alla conservazione di tale
blocco sociale è la Chiesa cattolica, che si batte per mantenere l'unione
dottrinale tra fedeli colti e incolti, tra intellettuali e semplici, tra
dominanti e dominati, in modo da evitare fratture irrimediabili che tuttavia
esistono e che essa non è in realtà in grado di sanare, ma solo di controllare:
«la Chiesa romana è sempre stata la più tenace nella lotta per impedire che
ufficialmente si formino due religioni, quella degli intellettuali e quella
delle anime semplici », una lotta che ha fatto risaltare «la capacità
organizzatrice nella sfera della cultura del clero» che ha dato «certe
soddisfazioni alle esigenze della scienza e della filosofia, ma con un ritmo
così lento e metodico che le mutazioni non sono percepite dalla massa dei
semplici, sebbene esse appaiano "rivoluzionarie" e demagogiche agli
"integralisti" ».[104] Anche la dominante cultura d'impronta idealistica,
esercitata dalle scuole filosofiche crociane e gentiliane, non ha «saputo
creare una unità ideologica tra il basso e l'alto, tra i semplici e gli
intellettuali», tanto che essa, anche se ha sempre considerato la religione una
mitologia, non ha nemmeno «tentato di costruire una concezione che potesse
sostituire la religione nell'educazione infantile», e questi pedagogisti, pur
essendo non religiosi, non confessionali e atei, «concedono l'insegnamento
della religione perché la religione è la filosofia dell'infanzia dell'umanità,
che si rinnova in ogni infanzia non metaforica».[105] La cultura laica
dominante utilizza la religione proprio perché non si pone il problema di
elevare le classi popolari al livello di quelle dominanti ma, al contrario,
intende mantenerle in una posizione di subalternità. Le classi dominanti
hanno derubricato a folklore la cultura delle classi subalterne. Gramsci annota
l'8 febbraio 1929, nel I Quaderno, che il folklore «non deve essere concepito
come una bizzarria, una stranezza, una cosa ridicola, una cosa tutt'al più
pittoresca; ma deve essere concepito come una cosa molto seria e da prendere
sul serio», e va studiato in quanto «concezione del mondo e della vita [...] di
certi strati della società [...] determi tempo e nello spazio», cioè del popolo
inteso come «l'insieme delle classi strumentali e subalterne di ogni forma di
società finora esistita». È dunque necessario «mutare lo spirito delle ricerche
folkloriche, oltre che approfondirle ed estenderle».[106][107] La
coscienza di classe Karl Marx La frattura tra gli intellettuali e i
semplici può essere sanata da quella politica che «non tende a mantenere i
semplici nella loro filosofia primitiva del senso comune, ma invece a condurli
a una concezione superiore della vita». L'azione politica realizzata dalla
«filosofia della prassi»così Gramsci chiama il marxismo, non solo per
l'esigenza di celare quanto scrive alla repressiva censura
carcerariaopponendosi alle culture dominanti della Chiesa e dell'idealismo, può
condurre i subalterni a una «superiore concezione della vita. Se afferma
l'esigenza del contatto tra intellettuali e semplici non è per limitare
l'attività scientifica e per mantenere una unità al basso livello delle masse,
ma appunto per costruire un blocco intellettuale-morale che renda politicamente
possibile un progresso intellettuale di massa e non solo di scarsi gruppi
intellettuali».[108] La via che conduce all'egemonia del proletariato passa
dunque per una riforma culturale e morale della società. Tuttavia l'uomo
attivo di massacioè la classe operaia,non è, in generale, consapevole né della
funzione che può svolgere né della sua condizione reale di subordinazione, Il
proletariato, scrive Gramsci, «non ha una chiara coscienza teorica di questo
suo operare che pure è un conoscere il mondo in quanto lo trasforma. La sua
coscienza teorica anzi può essere in contrasto col suo operare»; esso opera
praticamente e nello stesso tempo ha una coscienza teorica ereditata dal
passato, accolta per lo più in modo acritico. La reale comprensione critica di
sé avviene «attraverso una lotta di egemonie politiche, di direzioni
contrastanti, prima nel campo dell'etica, poi della politica per giungere a una
elaborazione superiore della propria concezione del reale». La coscienza
politica, cioè l'essere parte di una determinata forza egemonica, «è la prima
fase per una ulteriore e progressiva autocoscienza dove teoria e pratica
finalmente si unificano».[108] Ma autocoscienza critica significa
creazione di un gruppo di intellettuali, organici alla classe, perché per
distinguersi e rendersi indipendenti occorre organizzarsi, e non esiste
organizzazione senza intellettuali, «uno strato di persone specializzate
nell'elaborazione concettuale e filosofica».[109] Già Machiavelli
indicava nei moderni Stati unitari europei l'esperienza che l'Italia avrebbe
dovuto far propria per superare la drammatica crisi emersa nelle guerre che
devastarono la penisola dalla fine del Quattrocento. Il Principe di Machiavelli
«non esisteva nella realtà storica, non si presentava al popolo italiano con
caratteri di immediatezza obiettiva, ma era una pura astrazione dottrinaria, il
simbolo del capo, del condottiero ideale; ma gli elementi passionali, mitici
[...] si riassumono e diventano vivi nella conclusione, nell'invocazione di un
principe realmente esistente».[110] Niccolò Machiavelli In Italia
non si ebbe una monarchia assoluta che unificasse la nazione perché dalla
dissoluzione della borghesia comunale si creò una situazione interna
economico-corporativa, politicamente «la peggiore delle forme di società
feudale, la forma meno progressiva e più stagnante: mancò sempre, e non poteva
costituirsi, una forza giacobina efficiente, la forza appunto che nelle altre
nazioni ha suscitato e organizzato la volontà collettiva nazional-popolare e ha
fondato gli Stati moderni».[111] A questa forza progressiva si oppose in
Italia la «borghesia rurale, eredità di parassitismo lasciata ai tempi moderni
dallo sfacelo, come classe, della borghesia comunale». Forze progressive sono i
gruppi sociali urbani con un determinato livello di cultura politica, ma non
sarà possibile la formazione di una volontà collettiva nazionale-popolare, «se
le grandi masse dei contadini lavoratori non irrompono simultaneamente nella
vita politica. Ciò intendeva il Machiavelli attraverso la riforma della
milizia, ciò fecero i giacobini nella Rivoluzione francese; in questa
comprensione è da identificare un giacobinismo precoce del Machiavelli, il
germe, più o meno fecondo, della sua concezione della rivoluzione nazionale».[111]
Modernamente, il Principe invocato dal Machiavelli non può essere un individuo
reale, concreto, ma un organismo e «questo organismo è già dato dallo sviluppo
storico ed è il partito politico: la prima cellula in cui si riassumono dei
germi di volontà collettiva che tendono a divenire universali e totali»; il
partito è l'organizzatore di una riforma intellettuale e morale, che
concretamente si manifesta con un programma di riforma economica, divenendo
così «la base di un laicismo moderno e di una completa laicizzazione di tutta
la vita e di tutti i rapporti di costume».[105] Perché un partito esista,
e diventi storicamente necessario, devono confluire in esso tre elementi
fondamentali: «Un elemento diffuso, di uomini comuni, medi, la cui
partecipazione è offerta dalla disciplina e dalla fedeltà, non dallo spirito
creativo ed altamente organizzativo [...] essi sono una forza in quanto c'è chi
li centralizza, organizza, disciplina, ma in assenza di questa forza coesiva si
sparpaglierebbero e si annullerebbero in un pulviscolo impotente» «L'elemento
coesivo principale [...] dotato di forza altamente coesiva, centralizzatrice e
disciplinatrice e anche, anzi forse per questo, inventiva [...] da solo questo
elemento non formerebbe un partito, tuttavia lo formerebbe più che il primo
elemento considerato. Si parla di capitani senza esercito, ma in realtà è più
facile formare un esercito che formare dei capitani» «Un elemento medio, che
articoli il primo col secondo elemento, che li metta a contatto, non solo
fisico, ma morale e intellettuale».[112] Gramsci negli scritti compresi fra il
1919 e il 1926 ribadì i principi espressi dalla Terza Internazionale,
insistendo sulla "disciplina ferrea" del partito e contestando
qualsiasi forma di "frazionismo". Socialisti e sindacalisti venivano
pesantemente criticati e messi sullo stesso piano del regime fascista. Per
Gramsci, tutti gli uomini sono intellettuali, dal momento che «non c'è attività
umana da cui si possa escludere ogni intervento intellettuale, non si può separare
l'homo faber dall'homo sapiens»,[113] in quanto, indipendentemente della sua
professione specifica, ognuno è a suo modo «un filosofo, un artista, un uomo di
gusto, partecipa di una concezione del mondo, ha una consapevole linea di
condotta morale», ma non tutti gli uomini hanno nella società la funzione di
intellettuali. Storicamente si formano particolari categorie di
intellettuali, «specialmente in connessione coi gruppi sociali più importanti e
subiscono elaborazioni più estese e complesse in connessione col gruppo sociale
dominante». Un gruppo sociale che tende all'egemonia lotta «per l'assimilazione
e la conquista ideologica degli intellettuali tradizionali [...] tanto più
rapida ed efficace quanto più il gruppo dato elabora simultaneamente i propri
intellettuali organici».[111] L'intellettuale tradizionale è il
letterato, il filosofo, l'artista e perciò, nota Gramsci, «i giornalisti, che
ritengono di essere letterati, filosofi, artisti, ritengono anche di essere i
veri intellettuali», mentre modernamente è la formazione tecnica a formare la
base del nuovo tipo di intellettuale, un costruttore, organizzatore,
persuasorema non assolutamente il vecchio oratore, formatosi sullo studio
dell'eloquenza «motrice esteriore e momentanea degli affetti e delle
passioni»il quale deve giungere «dalla tecnica-lavoro alla tecnica-scienza e
alla concezione umanistica storica, senza la quale si rimane specialista e non
si diventa dirigente».[114] Il gruppo sociale emergente, che lotta per
conquistare l'egemonia politica, tende a conquistare alla propria ideologia
l'intellettuale tradizionale mentre, nello stesso tempo, forma i propri
intellettuali organici. L'organicità degli intellettuali si misura con la
maggiore o minore connessione con il gruppo sociale cui essi fanno riferimento:
essi operano tanto nella società civilel'insieme degli organismi privati in cui
si dibattono e si diffondono le ideologie necessarie all'acquisizione del
consenso, apparentemente dato spontaneamente dalle grandi masse della popolazione
alle scelte del gruppo sociale dominantequanto nella società politica, dove si
esercita il «dominio diretto o di comando che si esprime nello Stato e nel
governo giuridico». Gli intellettuali sono così «i commessi del gruppo
dominante per l'esercizio delle funzioni subalterne dell'egemonia sociale e del
governo politico, cioè: 1) del consenso spontaneo dato dalle grandi masse della
popolazione all'indirizzo impresso alla vita sociale dal gruppo fondamentale
dominante [...] 2) dell'apparato di coercizione statale che assicura legalmente
la disciplina di quei gruppi che non consentono».[115] Come lo Stato,
nella società politica, tende a unificare gli intellettuali tradizionali con
quelli organici, così nella società civile il partito politico, ancor più compiutamente
e organicamente dello Stato, elabora «i propri componenti, elementi di un
gruppo sociale nato e sviluppatosi come economico, fino a farli diventare
intellettuali politici qualificati, dirigenti, organizzatori di tutte le
attività e le funzioni inerenti all'organico sviluppo di una società integrale,
civile e politica».[109] Il compito della “riforma intellettuale e morale” non
potrà che essere ancora degli intellettuali organici, non cristallizzati, che
la determineranno e organizzeranno, adeguando la cultura anche alle sue
funzioni pratiche, addivenendo a una nuova organizzazione della cultura. Il
partito comunista si pone, per Gramsci, come sintesi attiva di questo processo:
intellettuale collettivo di avanguardia, la direzione politica di classe
lotterà per l'egemonia. Il partito comunista, per Gramsci, è intellettuale
collettivo; e l'intellettuale comunista è organico alla classe e dunque a
questo collettivo perché fa parte del blocco storico-sociale che deve costruire
il nuovo mondo. Pur essendo sempre stati legati alle classi dominanti,
ottenendone spesso onori e prestigio, gli intellettuali italiani non si sono
mai sentiti organici, hanno sempre rifiutato, in nome di un loro astratto
cosmopolitismo, ogni legame con il popolo, del quale non hanno mai voluto
riconoscere le esigenze né interpretare i bisogni culturali. In molte
linguein russo, in tedesco, in franceseil significato dei termini «nazionale» e
«popolare» coincidono: «in Italia, il termine nazionale ha un significato molto
ristretto ideologicamente e in ogni caso non coincide con popolare, perché in
Italia gli intellettuali sono lontani dal popolo, cioè dalla nazione e sono
invece legati a una tradizione di casta, che non è mai stata rotta da un forte
movimento popolare o nazionale dal basso: la tradizione è libresca e astratta e
l'intellettuale tipico moderno si sente più legato ad Annibal Caro o a Ippolito
Pindemonte che a un contadino pugliese o siciliano».[116] Dall'Ottocento,
in Europa, si è assistito a un fiorire della letteratura popolare, dai romanzi
di appendice del Sue o di Ponson du Terrail, ad Alexandre Dumas, ai racconti
polizieschi inglesi e americani; con maggior dignità artistica, alle opere del
Chesterton e di Dickens, a quelle di Victor Hugo, di Émile Zola e di Honoré de
Balzac, fino ai capolavori di Fëdor Michajlovič Dostoevskij e di Lev Tolstoj.
Nulla di tutto questo in Italia: qui la letteratura non si è diffusa e non è
stata popolare, per la mancanza di un blocco nazionale intellettuale e morale
tanto che l'elemento intellettuale italiano è avvertito come più straniero
degli stranieri stessi. Fa eccezione, per Gramsci, il melodramma, che ha tenuto
in qualche modo in Italia il ruolo nazionale-popolare sostenuto altrove dalla
letteratura. Alessandro Manzoni ritratto da Francesco Hayez Il
pubblico italiano cerca la sua letteratura all'estero perché la sente più sua
di quella nazionale: è questa la dimostrazione del distacco, in Italia, fra
pubblico e scrittori: «Ogni popolo ha la sua letteratura, ma essa può venirgli
da un altro popolo [...] può essere subordinato all'egemonia intellettuale e
morale di altri popoli. È questo spesso il paradosso più stridente per molte
tendenze monopolistiche di carattere nazionalistico e repressivo: che mentre si
costruiscono piani grandiosi di egemonia, non ci si accorge di essere oggetto
di egemonie straniere; così come, mentre si fanno piani imperialistici, in
realtà si è oggetto di altri imperialismi». Hanno fallito nel compito di
elaborare la coscienza morale del popolo, non diffondendo in esso un moderno
umanesimo, tanto gli intellettuali laici quanto i cattolici: la loro
insufficienza è «uno degli indizi più espressivi dell'intima rottura che esiste
tra la religione e il popolo: questo si trova in uno stato miserrimo di indifferentismo
e di assenza di una vivace vita spirituale; la religione è rimasta allo stato
di superstizione [...] l'Italia popolare è ancora nelle condizioni create
immediatamente dalla Controriforma: la religione, tutt'al più, si è combinata
col folclore pagano ed è rimasta in questo stadio».[117] Sono rimaste
famose le note di Gramsci sul Manzoni: lo scrittore più autorevole, più
studiato nelle scuole e probabilmente il più popolare, è una dimostrazione del
carattere non nazionale-popolare della letteratura italiana; ecco le parole dai
Quaderni del carcere, confrontandolo con Tolstoj: «Il carattere aristocratico
del cattolicismo manzoniano appare dal compatimento scherzoso verso le figure
di uomini del popolo (ciò che non appare in Tolstoj), come fra Galdino (in
confronto di frate Cristoforo), il sarto, Renzo, Agnese, Perpetua, la stessa
Lucia [...] i popolani, per il Manzoni, non hanno vita interiore, non hanno
personalità morale profonda; essi sono animali e il Manzoni è benevolo verso di
loro proprio della benevolenza di una cattolica società di protezione di
animali [...] niente dello spirito popolare di Tolstoi, cioè dello spirito
evangelico del cristianesimo primitivo. L'atteggiamento del Manzoni verso i
suoi popolani è l'atteggiamento della Chiesa Cattolica verso il popolo: di
condiscendente benevolenza, non di immediatezza umana [...] vede con occhio
severo tutto il popolo, mentre vede con occhio severo i più di coloro che non
sono popolo; egli trova magnanimità, alti pensieri, grandi sentimenti, solo in alcuni
della classe alta, in nessuno del popolo [...] non c'è popolano che non venga
preso in giro e canzonato [...] Vita interiore hanno solo i signori: fra
Cristoforo, il Borromeo, l'Innominato, lo stesso don Rodrigo [...] il suo
atteggiamento verso il popolo non è popolare-nazionale ma
aristocratico».[118] Una classe che muova alla conquista dell'egemonia
non può non creare una nuova cultura, che è essa stessa espressione di una
nuova vita morale, un nuovo modo di vedere e rappresentare la realtà; naturalmente,
non si possono creare artificialmente artisti che interpretino questo nuovo
mondo culturale, ma «un nuovo gruppo sociale che entra nella vita storica con
atteggiamento egemonico, con una sicurezza di sé che prima non aveva, non può
non suscitare dal suo seno personalità che prima non avrebbero trovato una
forza sufficiente per esprimersi compiutamente». Intanto, nella creazione di
una nuova cultura, è parte la critica della civiltà letteraria presente, e
Gramsci vede nella critica svolta da Francesco De Sanctis un esempio
privilegiato: Francesco De Sanctis ritratto da Saverio Altamura «La
critica del De Sanctis è militante, non frigidamente estetica, è la critica di
un periodo di lotte culturali, di contrasti tra concezioni della vita antagonistiche.
Le analisi del contenuto, la critica della struttura delle opere, cioè della
coerenza logica e storica-attuale delle masse di sentimenti rappresentati
artisticamente, sono legate a questa lotta culturale: proprio in ciò pare
consista la profonda umanità e l'umanesimo del De Sanctis [...] Piace sentire
in lui il fervore appassionato dell'uomo di parte che ha saldi convincimenti
morali e politici e non li nasconde». Il De Sanctis opera nel periodo
risorgimentale, in cui si lotta per creare una nuova cultura: di qui la
differenza con il Croce, che vive sì gli stessi motivi culturali, ma nel
periodo della loro affermazione, per cui «la passione e il fervore romantico si
sono composti nella serenità superiore e nell'indulgenza piena di bonomia».
Quando poi quei valori culturali, così affermatisi, sono messi in discussione,
allora in Croce «subentra una fase in cui la serenità e l'indulgenza
s'incrinano e affiora l'acrimonia e la collera a stento repressa: fase
difensiva non aggressiva e fervida, e pertanto non confrontabile con quella del
De Sanctis».[119] Per Gramsci, una critica letteraria marxistica può
avere nel critico campano un esempio, dal momento che essa deve fondere, come
De Sanctis fece, la critica estetica con la lotta per una cultura nuova, criticando
il costume, i sentimenti e le ideologie espresse nella storia della
letteratura, individuandone le radici nella società in cui quegli scrittori si
trovavano a operare. Non a caso, Gramsci progettava nei suoi Quaderni un
saggio che intendeva intitolare «I nipotini di padre Bresciani», dal nome del
gesuita Antonio Bresciani (1798-1862), tra i fondatori e direttore della
rivista La Civiltà Cattolica e scrittore di romanzi popolari d'impronta
reazionaria; uno di essi, L'ebreo di Verona, fu stroncato in un famoso saggio
del De Sanctis. I nipotini di padre Bresciani sono, per Gramsci, gli
intellettuali e i letterati contemporanei portatori di una ideologia
reazionaria, sia essa cattolica che laica, con un «carattere tendenzioso e
propagandistico apertamente confessato».[120] Fra i «nipotini» Gramsci
individua, oltre a molti scrittori ormai dimenticati, Antonio Beltramelli, Ugo
Ojetti«la codardia intellettuale dell'uomo supera ogni misura normale»Alfredo
Panzini, Goffredo Bellonci, Massimo Bontempelli, Umberto Fracchia, Adelchi
Baratono«l'agnosticismo del Baratono non è altro che vigliaccheria morale e
civile [...] Baratono teorizza solo la propria impotenza estetica e filosofica
e la propria coniglieria»Riccardo Bacchelli«nel Bacchelli c'è molto brescianesimo,
non solo politico-sociale, ma anche letterario: la Ronda fu una manifestazione
di gesuitismo artistico»Salvator Gotta, «di Salvator Gotta si può dire ciò che
il Carducci scrisse del Rapisardi: Oremus sull'altare e flatulenze in
sagrestia; tutta la sua produzione letteraria è brescianesca», Giuseppe
Ungaretti. Secondo Gramsci «la vecchia generazione degli intellettuali è
fallita (Papini, Prezzolini, Soffici, ecc.) ma ha avuto una giovinezza. La
generazione attuale non ha neanche questa età delle brillanti promesse, Titta
Rosa, Angioletti, Malaparte, ecc.). Asini brutti anche da
piccoletti».[121] Benedetto Croce, il più autorevole intellettuale
dell'epoca, secondo Gramsci aveva dato alla borghesia italiana gli strumenti
culturali più raffinati per delimitare i confini fra gli intellettuali e la
cultura italiana, da una parte, e il movimento operaio e socialista dall'altra;
è allora necessario mostrare e combattere la sua funzione di maggior
rappresentante dell'egemonia culturale che il blocco sociale dominante esercita
nei confronti del movimento operaio italiano. Come tale, il Croce combatte il
marxismo, cercando di negarne validità nell'elemento che egli individua come
decisivo: quello dell'economia; Il Capitale di Marx sarebbe per lui un'opera di
morale e non di scienza, un tentativo di dimostrare che la società
capitalistica è immorale, diversamente dalla comunista, in cui si realizzerebbe
la piena moralità umana e sociale. La non scientificità dell'opera maggiore di
Marx sarebbe dimostrata dal concetto del plusvalore: per Croce, solo da un
punto di vista morale si può parlare di plusvalore, rispetto al valore,
legittimo concetto economico. Benedetto Croce Questa critica del
Croce è in realtà un semplice sofisma: il plusvalore è esso stesso valore, è la
differenza tra il valore delle merci prodotte dal lavoratore e il valore della
forza-lavoro del lavoratore stesso. Del resto, la teoria del valore di Marx
deriva direttamente da quella dell'economista liberale inglese David Ricardo la
cui teoria del valore-lavoro «non sollevò nessuno scandalo quando fu espressa,
perché allora non rappresentava nessun pericolo, appariva solo, come era, una
constatazione puramente oggettiva e scientifica. Il valore polemico e di
educazione morale e politica, pur senza perdere la sua oggettività, doveva
acquistarla solo con la Economia critica [Il Capitale di Marx]».[122] La
filosofia crociana si qualifica come storicismo, ossia, seguendo il Vico, la
realtà è storia e tutto ciò che esiste è necessariamente storico ma, conformemente
alla natura idealistica della sua filosofia, la storia è storia dello Spirito,
dunque storia speculativa, di astrazionistoria della libertà, della cultura,
del progressonon è la storia concreta delle nazioni e delle classi: «La storia
speculativa può essere considerata come un ritorno, in forme letterarie rese
più scaltre e meno ingenue dallo sviluppo della capacità critica, a modi di
storia già caduti in discredito come vuoti e retorici e registrati in diversi
libri dello stesso Croce. La storia etico-politica, in quanto prescinde dal
concetto di blocco storico, in cui contenuto economico-sociale e forma
etico-politica si identificano concretamente nella ricostruzione dei vari
periodi storici, è niente altro che una presentazione polemica di filosofemi
più o meno interessanti, ma non è storia [...] la storia del Croce rappresenta
figure disossate, senza scheletro, dalle carni flaccide e cascanti anche sotto
il belletto delle veneri letterarie dello scrittore».[123] L'operazione
conservatrice del Croce storico fa il paio con quella del Croce filosofo: se la
dialettica dell'idealista Hegel era una dialettica dei contrariuno svolgimento
della storia che procede per contraddizionila dialettica crociana è una
dialettica dei distinti: commutare la contraddizione in distinzione significa
operare un'attenuazione, se non un annullamento dei contrasti che nella storia,
e dunque nelle società, si presentano. Tale operazione si manifesta nelle opere
storiche del Croce: la sua Storia d'Europa, iniziando dal 1815 e tagliando
fuori il periodo della Rivoluzione francese e quello napoleonico, «non è altro
che un frammento di storia, l'aspetto passivo della grande rivoluzione che si
iniziò in Francia nel 1789, traboccò nel resto d'Europa con le armate
repubblicane e napoleoniche, dando una potente spallata ai vecchi regimi e
determinandone non il crollo immediato come in Francia, ma la corrosione
riformistica che durò fino al 1870».[124] Analoga è l'operazione operata dal
Croce nella sua Storia d'Italia dal 1871 al 1915 la quale affronta unicamente
il periodo del consolidamento del regime dell'Italia unita e si «prescinde dal
momento della lotta, dal momento in cui si elaborano e radunano e schierano le
forze in contrasto [...] in cui un sistema etico-politico si dissolve e un
altro si elabora [...] in cui un sistema di rapporti sociali si sconnette e
decade e un altro sistema sorge e si afferma, e invece [Croce] assume
placidamente come storia il momento dell'espansione culturale o
etico-politico» Gramsci, fin dagli anni universitari, fu un deciso
oppositore di quella concezione fatalistica e positivistica del marxismo,
presente nel vecchio partito socialista, per la quale il capitalismo
necessariamente era destinato a crollare da sé, facendo posto a una società
socialista. Questa concezione mascherava l'impotenza politica del partito della
classe subalterna, incapace di prendere l'iniziativa per la conquista
dell'egemonia. Anche il manuale del bolscevico russo Nikolaj Bucharin,
edito nel 1921, La teoria del materialismo storico manuale popolare di
sociologia, si colloca nel filone positivistico: «la sociologia è stata un
tentativo di creare un metodo della scienza storico-politica, in dipendenza di
un sistema filosofico già elaborato, il positivismo evoluzionistico [...] è diventata
la filosofia dei non filosofi, un tentativo di descrivere e classificare
schematicamente i fatti storici, secondo criteri costruiti sul modello delle
scienze naturali. La sociologia è dunque un tentativo di ricavare
sperimentalmente le leggi di evoluzione della società umana in modo da
prevedere l'avvenire con la stessa certezza con cui si prevede che da una
ghianda si svilupperà una quercia. L'evoluzionismo volgare è alla base della
sociologia che non può conoscere il principio dialettico col passaggio dalla
quantità alla qualità, passaggio che turba ogni evoluzione e ogni legge di
uniformità intesa in senso volgarmente evoluzionistico».[125] La
comprensione della realtà come sviluppo della storia umana è solo possibile
utilizzando la dialettica marxianadella quale non vi è traccia nel Manuale del
Bucharinperché essa coglie tanto il senso delle vicende umane quanto la loro
provvisorietà, la loro storicità determinata dalla prassi, dall'azione politica
che trasforma le società. Le società non si trasformano da sé: già Marx
aveva rilevato come nessuna società si ponga compiti per la cui soluzione non
esistano già le condizioni almeno in via di apparizione né essa si dissolve, se
prima non ha svolto tutte le forme di vita che le sono implicite. Il rivoluzionario
si pone il problema di individuare esattamente i rapporti tra struttura e
sovrastruttura per giungere a una corretta analisi delle forze che operano
nella storia di un determinato periodo. L'azione politica rivoluzionaria, la
prassi, per Gramsci è anche catarsi che segna «il passaggio dal momento
meramente economico (o egoistico-passionale) al momento etico-politico cioè
l'elaborazione superiore della struttura in superstruttura nella coscienza
degli uomini. Ciò significa anche il passaggio dall'oggettivo al soggettivo e
dalla necessità alla libertà. La struttura, da forza esteriore che schiaccia
l'uomo, lo assimila a sé, lo rende passivo, si trasforma in mezzo di libertà,
in strumento per creare una nuova forma etico-politica, in origine di nuove
iniziative. La fissazione del momento catartico diventa così, mi pare, il punto
di partenza di tutta la filosofia della prassi; il processo catartico coincide
con la catena di sintesi che sono risultate dallo svolgimento
dialettico». Friedrich Engels La dialettica è dunque strumento di
indagine storica, che supera la visione naturalistica e meccanicistica della
realtà, è unione di teoria e prassi, di conoscenza e azione. La dialettica è
«dottrina della conoscenza e sostanza midollare della storiografia e della
scienza della politica» e può essere compresa solo concependo il marxismo «come
una filosofia integrale e originale che inizia una nuova fase nella storia e
nello sviluppo mondiale in quanto supera (e superando ne include in sé gli
elementi vitali) sia l'idealismo che il materialismo tradizionali espressione
delle vecchie società. Se la filosofia della prassi [il marxismo] non è pensata
che subordinatamente a un'altra filosofia, non si può concepire la nuova
dialettica, nella quale appunto quel superamento si effettua e si
esprime».[126] Il vecchio materialismo è metafisica; per il senso comune
la realtà oggettiva, esistente indipendentemente dall'uomo, è un ovvio assioma,
confortato dall'affermazione della religione per la quale il mondo, creato da
Dio, si trova già dato di fronte a noi. Ma per Gramsci va rifiutata «la
concezione della realtà oggettiva del mondo esterno nella sua forma più
triviale e acritica» dal momento che «a questa può essere mossa l'obbiezione di
misticismo».[127] Se noi conosciamo la realtà in quanto uomini, ed essendo noi
stessi un divenire storico, anche la conoscenza e la realtà stessa sono un
divenire. Come potrebbe esistere un'oggettività extrastorica ed
extraumana e chi giudicherà di tale oggettività? «La formulazione di Engels che
l'unità del mondo consiste nella sua materialità dimostrata dal lungo e
laborioso sviluppo della filosofia e delle scienze naturali contiene appunto il
germe della concezione giusta, perché si ricorre alla storia e all'uomo per
dimostrare la realtà oggettiva. Oggettivo significa sempre umanamente
oggettivo, ciò che può corrispondere esattamente a storicamente soggettivo
[...] . L'uomo conosce oggettivamente in quanto la conoscenza è reale per tutto
il genere umano storicamente unificato in un sistema culturale unitario; ma
questo processo di unificazione storica avviene con la sparizione delle
contraddizioni interne che dilaniano la società umana, contraddizioni che sono
la condizione della formazione dei gruppi e della nascita delle ideologie [...].
C'è dunque una lotta per l'oggettività (per liberarsi dalle ideologie parziali
e fallaci) e questa lotta è la stessa lotta per l'unificazione culturale del
genere umano. Ciò che gli idealisti chiamano spirito non è un punto di partenza
ma di arrivo, l'insieme delle soprastrutture in divenire verso l'unificazione
concreta e oggettivamente universale e non già un presupposto
unitario».[128] La formazione linguistica di Antonio Gramsci inizia
durante gli anni universitari a Torino con la frequentazione delle lezioni di
linguistica generale del prof. Matteo Bartoli. Dal Bartoli Gramsci apprende che
la lingua è un "prodotto sociale" e che non può essere studiata senza
tenere conto della storia generale: ciò vuol dire che non è possibile comprendere
i mutamenti di una data lingua senza riflettere sui mutamenti sociali,
culturali e politici del popolo che la parla.[129] È stato notato che Gramsci
fece aderire le teorie apprese dal Bartoli alle letture filosofiche che lo
formarono politicamente; in primo luogo all'Ideologia Tedesca di Karl Marx,
dove il filosofo affermava che la lingua, come la coscienza, appartiene alla
sfera degli istituti sovrastrutturali, cioè al mondo dell'organizzazione
politica e giuridica della società.[129] Le più interessanti riflessioni
linguistiche gramsciane sono contenute nei Quaderni del carcere e riguardano da
una parte la questione della lingua in Italia, ovvero lo studio delle ragioni
che hanno reso difficile la diffusione di una lingua nazionale italiana,
dall'altra il tema dell'insegnamento linguistico nelle scuole primarie.
Soprattutto il secondo tema è di fondamentale importanza per Gramsci, perché
riguarda direttamente il riscatto culturale delle grandi masse popolari e la
creazione di uno spirito nazionale in grado di superare ogni forma di
particolarismo regionale. L'indagine storica I Quaderni del carcere sono
costellati in maniera asistematica di molte note dedicate a problemi di
caratteri linguistico; queste note tracciano una vera e propria storia della
lingua italiana e racchiudono le riflessioni di Gramsci in merito alla
cosiddetta questione della lingua in Italia. Questo tipo di argomento si
riallaccia a un altro importante tema dei Quaderni ovvero lo studio delle
responsabilità degli intellettuali italiani per la formazione di uno spirito
nazionale unitario. A tal proposito Gramsci scrive: «mi pare che, intesa la
lingua come elemento della cultura e quindi della storia generale e come
manifestazione precipua della nazionalità e popolarità degli intellettuali,
questo studio non sia ozioso e puramente erudito».[130] Nell'affrontare
una ricostruzione storica delle vicende linguistiche italiane Gramsci cerca dei
termini di confronto con altri paesi europei come la Francia: mentre in Francia
il volgare viene usato per la prima volta nella storia per redigere un
documento ufficiale di carattere politico-istituzionale, in Italia il volgare
appare per la registrazione di documenti privati legati al commercio o a
questioni giuridiche: «l'origine della differenziazione storica tra
Italia e Francia si può trovare testimoniata nel giuramento di Strasburgo
(verso l'841), cioè nel fatto che il popolo partecipa attivamente alla storia
(il popolo-esercito) diventando il garante dell'osservanza dei trattati tra i
discendenti di Carlo Magno; il popolo-esercito garantisce giurando in volgare,
cioè introduce nella storia nazionale la sua lingua, assumendo una funzione
politica di primo piano, presentandosi come volontà collettiva, come elemento
di una democrazia nazionale. Questo fatto demagogico dei Carolingi di
appellarsi al popolo nella loro politica estera è molto significativo per
comprendere lo sviluppo della storia francese e la funzione che vi ebbe la
monarchia come fattore nazionale. In Italia i primi documenti di volgare sono dei
giuramenti individuali per fissare la proprietà su certe terre dei conventi, o
hanno un carattere antipopolare («Traite, traite, fili de le putte»).»
(A. Gramsci, Quaderni del carcere, V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1975646.) In
Francia i gruppi dirigenti si rendono conto dell'importanza del popolo negli
affari di Stato: la demagogia di cui parla Gramsci è da intendere, oltre che
come strumento di propaganda, anche come un nuovo atteggiamento politico in
grado di crearsi «una propria civiltà statale integrale»,[131] in cui si
stabilisce un rapporto diretto tra governati e governanti: il popolo diventa
testimone di un fatto storico legittimato dal suo giuramento. Gramsci
ricorda nei suoi appunti come in Italia l'uso del volgare si diffonda con l'avvento
dell'età comunale, non solo per la redazione di documenti privati, tipo atti
notarili o giuramenti, ma anche per la creazione di opere letterarie: in
particolare, il volgare toscano, lingua della borghesia, ottiene un certo
successo anche nelle altre regioni. Gramsci scrive: «fino al Cinquecento
Firenze esercita una egemonia culturale, connessa alla sua egemonia commerciale
e finanziaria (papa Bonifazio VIII diceva che i fiorentini erano il quinto
elemento del mondo) e c'è uno sviluppo linguistico unitario dal basso, dal
popolo alle persone colte, rinforzato dai grandi scrittori fiorentini e
toscani. Dopo la decadenza di Firenze, l'italiano diventa sempre più la lingua
di una casta chiusa, senza contatto vivo con una parlata storica».[132]
Da questo momento si verifica una cristallizzazione della lingua. I promotori
del nuovo volgare, provenienti dalla borghesia, non scrivono più nella lingua
della loro classe d'origine perché con essa non intrattengono più nessun
rapporto, nella visione di Gramsci essi «vengono assorbiti dalle classi
reazionarie, dalle corti, non sono letterati borghesi, ma aulici».[133] In
questo senso, Gramsci vede sciupata l'occasione di una diffusione graduale del
volgare toscano su scala nazionale, occasione compromessa soprattutto dalla frammentazione
politica della penisola e dal carattere elitario dei ceti intellettuali
italiani. Gramsci affronta con maggior vigore la questione della lingua
italiana in relazione al periodo post-unitario; nella seconda metà
dell'Ottocento il nuovo Stato Italiano era per gran parte dialettofono, mentre
l'italiano veniva usato solo a livello letterario e come lingua delle
istituzioni. La scarsa diffusione di una lingua nazionale testimoniava la
frammentazione politica e culturale del popolo italiano; questo fenomeno veniva
avvertito come un problema politico, soprattutto da molti intellettuali di
tendenze democratiche come Alessandro Manzoni. Nella sua ricostruzione
storica Gramsci scrive che «anche la questione della lingua posta dal Manzoni
riflette questo problema, il problema della unità intellettuale e morale della
nazione e dello Stato, ricercato nell'unità della lingua»;[134] eppure, sebbene
Gramsci riconosca al Manzoni di aver compreso la questione linguistica italiana
come una questione politica e sociale, si distingue dall'autore lombardo nel
modo di interpretare la risoluzione del problema. Graziadio Isaia
Ascoli Durante il suo apprendistato glottologico presso il professor Bartoli a
Torino Gramsci aveva avuto modo di confrontare le posizioni del Manzoni con
quelle di Graziadio Isaia Ascoli, autore del Proemio al primo numero
dell'Archivio Glottologico italiano del 1873. Mentre Manzoni prevedeva la
diffusione di una lingua nazionale sul modello fiorentino imposta per decreto
statale e per mezzo di maestri di scuola di origine toscana, Ascoli concepiva
la nascita di una lingua nazionale come il frutto di un'unificazione culturale
prima ancora che linguistica. Secondo Ascoli l'unità culturale e
linguistica, prima di tutto, deve avere un centro irradiante, cioè un
determinato 'municipio' in cui si concentrano e da cui provengono gli elementi
essenziali della vita nazionale: beni di consumo, stimoli culturali, mode,
ritrovati della tecnica, istituti statali e giuridici, ecc. Se quel dato
municipio riuscirà a stabilire un primato politico, economico e culturale su
tutta la nazione, riuscirà anche a diffondere, per conseguenza, il suo
particolare idioma. Per Ascoli «una lingua nazionale altro non può e non deve
essere, se non l'idioma vivo di una data città; deve cioè per ogni parte
coincidere con l'idioma spontaneamente parlato dagli abitatori contemporanei di
quel dato municipio, che per questo capo viene a farsi principe, o quasi
stromento livellatore, dell'intiera nazione».[135] Ascoli, nel suo Proemio,
prende la Francia come esempio per avvalorare la sua tesi; infatti l'unità
linguistica francese corrisponde all'egemonia politico-culturale della città di
Parigi: «La Francia attinge da Parigi la unità della sua favella, perché
Parigi è il gran crogiuolo in cui si è fusa e si fonde l'intelligenza della
Francia intera. Dal vertiginoso movimento del municipio parigino parte ogni
impulso dell'universa civiltà francese; [...] viene da Parigi il nome, perché
da Parigi vien la cosa. E la Francia avendo in questo municipio l'unità
assorbente del suo pensiero, vi ha naturalmente pur quella dell'animo suo; e
non solo studia e lavora, ma si commuove, e in pianto e in riso, così come la
metropoli vuole; e quindi è necessariamente dell'intiera Francia l'intiera favella
di Parigi».» (G. I. Ascoli, Proemio, AGI, n. I, 1873X) Gramsci ricalca la
lezione ascoliana nei suoi Quaderni, dove scrive: «poiché il processo di
formazione, di diffusione, e di sviluppo di una lingua nazionale unitaria
avviene attraverso tutto un complesso di processi molecolari, è utile avere
consapevolezza di tutto il processo nel suo complesso, per essere in grado di
intervenire attivamente in esso col massimo di risultato. Questo intervento non
bisogna considerarlo come decisivo e immaginare che i fini proposti saranno
tutti raggiunti nei loro particolari, che cioè si otterrà una determinata
lingua unitaria: si otterrà una lingua unitaria, se essa è una necessità e
l'intervento organizzato accelererà i tempi del processo già esistente; quale
sia per essere questa lingua non si può prevedere e stabilire
[...]».[136] L'insegnamento linguistico Gramsci, nel Quaderno 29 alla
nota Focolai di irradiazione linguistiche nella tradizione e di un conformismo
nazionale linguistico nelle grandi masse compila un elenco di tutti gli
strumenti utili alla diffusione di una lingua unitaria: «1) La scuola; 2) i
giornali; 3) gli scrittori d'arte e quelli popolari; 4) il teatro e il
cinematografo sonoro; 5) la radio; 6) le riunioni pubbliche di ogni genere,
comprese quelle religiose; 7) i rapporti di conversazione tra i vari strati
della popolazione più colti e meno colti [...] ; 8) i dialetti locali, intesi
in sensi diversi (dai dialetti più localizzati a quelli che abbracciano
complessi regionali più o meno vasti: così il napoletano per l'Italia
meridionale, il palermitano o il catanese per la Sicilia ecc.)».[137] Al
primo posto di questo elenco troviamo la scuola; per tradizione, a scuola, gli
insegnanti introducono gli alunni allo studio di una lingua attraverso la
grammatica normativa. Gramsci definisce la grammatica normativa come una «fase
esemplare, come la sola degna di diventare, organicamente e totalitarmente, la
lingua comune di una nazione, in lotta e in concorrenza con le altre fasi e
tipi o schemi che esistono già [...]».[138] Le riflessioni gramsciane in
materia di grammatica si pongono in netto contrasto con la riforma della scuola
realizzata da Giovanni Gentile nel 1923. La riforma, in linea con l'impianto
filosofico idealista gentiliano, prevedeva che l'apprendimento della lingua
nazionale nelle classi elementari si basasse sull'espressione viva o parlata e
non sulla grammatica, considerata questa come una disciplina astratta e
meccanica. Nell'ottica gramsciana questo metodo apparentemente liberale racchiude
uno spiccato carattere classista, in quanto gli scolari appartenenti alle
classi sociali più alte sono avvantaggiati dal fatto che apprendono l'italiano
in famiglia, mentre gli scolari del basso popolo possono contare su una
comunicazione familiare realizzata esclusivamente in dialetto. In questo senso
lo studio della grammatica si presenta come uno strumento in grado di livellare
le differenze sociali degli scolari permettendo a tutti la conoscenza della
lingua nazionale. Secondo Gramsci la conoscenza della lingua nazionale
presso le classi subalterne è fondamentale per la loro organizzazione politica.
Un proletariato dialettofono non può partecipare alla vita politica di una
nazione e non può sperare di crearsi un ceto intellettuale in grado di competere
con i ceti intellettuali tradizionali. I dialetti non devono sparire, ma
restare funzionali a un tipo di comunicazione familiare che non può garantire,
per cause interne al suo sistema, «la comunicazione di contenuti culturali
universali, caratteristici della nuova cultura esercitata dal
proletariato»[139] Gramsci prestò attenzione anche alle lingue
morte. Da giovane espresse in più occasioni l'idea che lo studio del latino e
del greco fosse particolarmente utile nella formazione scolastica degli individui,
in quanto esse potevano abituare gli alunni allo studio rigoroso ed educarli a
pensare storicamente. Inoltre, contestò il nazionalismo degli studi e criticò
ripetutamente gli intellettuali che, durante la prima guerra mondiale,
chiedevano che fossero messe al bando le edizioni dei testi antichi e le
grammatiche greche e latine compilate da autori tedeschi[140]. Anche nei
Quaderni del carcere si soffermò sulla questione e ribadì l'utilità intrinseca
del latino e del greco, osservando che erano strumenti importanti nella fase
della formazione scolastica nella quale è necessario un insegnamento
"disinteressato", cioè non legato a questioni pratiche. Gramsci,
però, sottolineò anche che in futuro lo studio delle lingue morte avrebbe
dovuto essere sostituito da altre materie: era un cambiamento difficile, ma
necessario, per promuovere la formazione di un nuovo tipo di
intellettuale.[141] Scrisse nel Quaderno 12: Bisognerà sostituire il
latino e il greco come fulcro della scuola formativa e lo si sostituirà, ma non
sarà agevole disporre la nuova materia o la nuova serie di materie in un ordine
didattico che dia risultati equivalenti di educazione e formazione generale
della personalità, partendo dal fanciullo fino alla soglia della scelta
professionale. In questo periodo infatti lo studio o la parte maggio re dello
studio deve essere (e apparire ai discenti) disinteressato, non avere cioè
scopi pratici immediati o troppo immediati, deve essere formativo, anche se
«istruttivo», cioè ricco di nozioni concrete. (A. Gramsci, Quaderni del
Carcere, V. Gerratana, Einaudi, Torino 19751546)Influenze sul pensiero di
Gramsci Fiabe intrecciate, 2007, Omaggio a Antonio Gramsci, di Maria Lai,
Piazzale del Museo Stazione dell'arte Niccolò Machiavelli — influenzò fortemente
la teoria dello Stato di Gramsci. Karl Marx — filosofo, storico, critico
dell'economia politica e fondatore del materialismo storico Friedrich Engels
Lenin Antonio Labriola — primo notevole teorico marxista italiano, riteneva che
la principale caratteristica del marxismo fosse quella di aver creato uno
stretto nesso fra la storia e la filosofia Georges Sorel — sindacalista
francese e scrittore che ha respinto il principio dell'inevitabilità del
progresso storico. Vilfredo Pareto — economista e sociologo italiano, noto per
la sua teoria sull'interazione fra masse ed élite. Benedetto Croce — liberale
italiano, filosofo anti-marxista e idealista il cui pensiero fu sottoposto da
Gramsci a critica attenta e approfondita. Pensatori influenzati da Gramsci Magnifying
glass icon mgx2.svg Gramscianesimo.
Zackie Achmat Eqbal Ahmad Jalal Al-e-Ahmad Louis Althusser Perry Anderson
Giulio Angioni Michael Apple Giovanni Arrighi Zygmunt Bauman Homi K. Bhabha
Gordon Brown Alberto Burgio Judith Butler Alex Callinicos Partha Chatterjee
Marilena Chauí Noam Chomsky Alberto Mario Cirese Hugo Costa Robert W. Cox Alain
de Benoist Biagio de Giovanni Ernesto de Martino Umberto Eco John Fiske Michel
Foucault Paulo Freire Eugenio Garin Eugene D. Genovese Stephen Gill Paul
Gottfried Stuart Hall Michael Hardt Chris Harman David Harvey Hamish Henderson
Eric Hobsbawm Samuel P. Huntington Alfredo Jaar Bob Jessop Ernesto Laclau
Subcomandante Marcos José Carlos Mariátegui Chantal Mouffe Antonio Negri Luigi
Nono Michael Omi Pier Paolo Pasolini Antonio Pigliaru Michelangelo Pira Juan
Carlos Portantiero Nicos Poulantzas Gyan Prakash William I. Robinson Edward
Saïd Ato Sekyi-Otu Gayatri Chakravorty Spivak Piero Sraffa Edward Palmer
Thompson Giuseppe Vacca Paolo Virno Cornel West Raymond Williams Howard Winant
Ludwig Wittgenstein Eric Wolf Howard Zinn Gramsci al cinema e in
televisione Il delitto Matteotti, regia di Florestano Vancini, (1973) Antonio
GramsciI giorni del carcere, regia di Lino Del Fra, (1977) Vita di Antonio
Gramsci, regia di Raffaele Maielloserie TV (1981) Gramsci, film in forma di
rosa, regia di Gabriele Morleocortometraggio (2005) Gramsci 44, regia di
Emiliano Barbucci () Nel mondo grande e terribile, regia di Daniele Maggioni,
Maria Grazia Perria e Laura Perini () Gramsci nel teatro Compagno Gramsci, di
Maricla Boggio e Franco Cuomo, regia di Maricla Boggio, (1971-72) Gramsci nella
musica Quello lì (compagno Gramsci), canzone di Claudio Lolli contenuta
nell'album Un uomo in crisi. Canzoni di morte. Canzoni di vita (1973) Piazza Fontana,
canzone dei Yu Kung contenuta nell'album Pietre della mia gente (1975) Nino,
canzone dei Gang contenuta nell'album Sangue e Cenere () Gramsci, il teatro e
la musica È nota la passione di Gramsci per il teatro e per la musica, che si
può leggere nelle lettere scritte a Tania[142]. Egli ha scritto circa il
melodrama “verdiano” che per lui segnava l’apertura dei teatri al pubblico,
svolgendo una funzione conoscitiva, pedagogica e politica in senso generale.
Per Gramsci l’opera diviene l’arte più popolare e i teatri aperti i luoghi dove
si esercitava parte del conflitto politico. Una frase quasi ironica di
Gramsci da citare, per quanto riguarda l’importanza dell’opera per l’Italia:
“siccome il popolo non è letterato e di letteratura conosce solo il libretto
d'opera ottocentesco, avviene che gli uomini del popolo
melodrammatizzino”[143]. Nelle sue lettere si può leggere anche riguardo
alla moda europea del jazz; egli sostiene che questa musica aveva conquistato
uno strato dell’Europa colta e aveva creato un vero fanatismo[144].Opere Alcuni
temi della questione meridionale, in Lo Stato Operaio, a. IV, n. 1, gennaio
1930, ma ottobre 1926. Opere di Antonio Gramsci (12 voll.) Lettere dal carcere,
Torino, Einaudi, 1947; premio Viareggio[145], con centodiciannove lettere
inedite, 1965. I quaderni dal carcere Il materialismo storico e la filosofia di
Benedetto Croce, Torino, Einaudi, 1948. Gli intellettuali e l'organizzazione
della cultura, Torino, Einaudi, 1948. Il Risorgimento, Torino, Einaudi, 1949.
Note sul Machiavelli sulla politica e sullo stato moderno, Torino, Einaudi,
1949. Letteratura e vita nazionale, Torino, Einaudi, 1950. Passato e presente,
Torino, Einaudi, 1951. L'Ordine Nuovo. 1919-1920, Torino, Einaudi, 1954.
Scritti giovanili. 1914-1918, Torino, Einaudi, 1958. Sotto la mole. 1916-1920,
Torino, Einaudi, 1960. Socialismo e fascismo. L'Ordine Nuovo 1921-1922, Torino,
Einaudi, 1966. La costruzione del Partito comunista. 1923-1926, Torino,
Einaudi, 1971. L'albero del riccio, Milano, Milano-sera, 1948. Americanismo e
fordismo, Milano, Ed. cooperativa Libro popolare, 1949. Ultimo discorso alla
Camera. 16 maggio 1925, Padova, R. Guerrini, 1958. Antologia popolare degli
scritti e delle lettere di Antonio Gramsci, Roma, Editori Riuniti, 1957. Il
Vaticano e l'Italia, Roma, Editori Riuniti, 1961. Note sulla situazione
italiana 1922-1924, Milano, Rivista storica del socialismo, 1962. 2000 pagine
di Gramsci Nel tempo della lotta. 1914-1926, Milano, Il Saggiatore, 1964.
Lettere edite e inedite. 1912-1937, Milano, Il Saggiatore, 1964. Elementi di
politica, Roma, Editori Riuniti, 1964. La formazione dell'uomo. Scritti di
pedagogia, Roma, Editori Riuniti, 1967. Scritti politici La guerra, la
rivoluzione russa e i nuovi problemi del socialismo italiano, 1916-1919, Roma, Editori
Riuniti, 1967. Il Biennio rosso, la crisi del socialismo e la nascita del
Partito comunista, 1919-1921, Roma, Editori Riuniti, 1967. Il nuovo partito
della classe operaia e il suo programma. La lotta contro il fascismo,
1921-1926, Roma, Editori Riuniti, 1973. Scritti 1915-1921, Milano, I quaderni
de Il corpo, 1968. Dibattito sui Consigli di fabbrica, Roma, La nuova sinistra,
1971. Paolo Spriano , Scritti politici, Roma, Editori Riuniti, 1971.
L'alternativa pedagogica, Firenze, La nuova Italia, 1972. I consigli e la
critica operaia alla produzione, Milano, Servire il popolo, 1972. La lotta per
l'edificazione del Partito comunista, Milano, Servire il popolo, 1972. Il
pensiero di Gramsci, Roma, Editori Riuniti, 1972. Il pensiero filosofico e
storiografico di Antonio Gramsci, Palermo, Palumbo, 1972. Resoconto dei lavori
del III congresso del P.C.D.I. (Lione, 26 gennaio 1926), Milano, Cooperativa
editrice distributrice proletaria, 1972. Scritti sul sindacato, Milano, Sapere,
1972. Sul fascismo, Roma, Editori Riuniti, 1973. Quaderni del carcere Quaderni
1-5. (1929-1932), Torino, Einaudi, 1975. Quaderni 6-11. (1930-1933), Torino,
Einaudi, 1975. Quaderni 12-29. (1932-1935), Torino, Einaudi, 1975. Apparato
critico, Torino, Einaudi, 1975. La rivoluzione italiana, Roma, Newton Compton,
1976. Arte e folclore, Roma, Newton Compton, 1976. Scritti 1915-1921. Inediti
da Il Grido del Popolo e dall'Avanti. Con una antologia da Il Grido del Popolo,
Milano, Moizzi, 1976. Ricordi politici e civili, Pavia 1977. Scritti nella
lotta. Dai consigli di fabbrica, alla fondazione del partito, al Congresso di
Lione, Livorno, Edizioni Gramsci, 1977. Scritti sul sindacato, Roma, Nuove
edizioni operaie, 1977. A Delio e Giuliano, Milano, N. Milano, 1978. I consigli
di fabbrica, Milano, Amici della casa Gramsci di Ghilarza, Centro milanese,
1978. Favole di libertà, Firenze, Vallecchi, 1980. Scritti 1913-1926 Cronache
torinesi. 1913-1917, Torino, Einaudi, 1980. La città futura. 1917-1918, Torino,
Einaudi, 1982. Il nostro Marx. 1918-1919, Torino, Einaudi, 1984. L'Ordine
nuovo, 1919-1920, Torino, Einaudi, 1987. Nuove lettere di Antonio Gramsci. Con
altre lettere di Piero Sraffa, Roma, Editori Riuniti, 1986. Forse rimarrai
lontana.... Lettere a Iulca, 1922-1937, Roma, Editori Riuniti, 1987. Gramsci al
confino di Ustica. Nelle lettere di Gramsci, di Berti e di Bordiga, Roma,
Editori Riuniti, 1987. Le sue idee nel nostro tempo, Milano, l'Unità, 1987.
Lettere dal carcere, con nuove lettere in parte inedite, 2 voll., Roma,
l'Unità, 1988. Il rivoluzionario qualificato. Scritti 1916-1925, Roma, Delotti,
1988. Il giornalismo, Roma, Editori Riuniti, 1991. Lettere, 1908-1926, Torino,
Einaudi, 1992. Per una preparazione ideologica di massa: introduzione al primo
corso della scuola interna di partito, aprile-maggio 1925, Napoli, Laboratorio
politico, 1994. Scritti di economia politica, Bollati Boringhieri, Torino 1994.
Vita attraverso le lettere, 1908-1937, Torino, Einaudi, 1994. Disgregazione
sociale e rivoluzione. Scritti sul Mezzogiorno, Napoli, Liguori, 1996. Piove,
Governo ladro. Satire e polemiche sul costume degli italiani, Roma, Editori
Riuniti, 1996. Contro la legge sulle associazioni segrete, Roma,
Manifestolibri, 1997. Lettere, 1926-1935, Torino, Einaudi, 1997. Le opere,
Roma, Editori Riuniti, 1997. Critica letteraria e linguistica, Roma, Lithos,
1998. Il lettore in catene. La critica letteraria nei Quaderni, Roma, Carocci,
2004. La nostra città futura. Scritti torinesi, 1911-1922, Roma, Carocci, 2004.
Pensare l'Italia, Roma, Nuova iniziativa editoriale, 2004. Scritti sulla
Sardegna. La memoria familiare, l'analisi della questione sarda, Nuoro, Ilisso,
2008. Scritti rivoluzionari. Dal biennio rosso al Congresso di Lione
(1919-1926), Orlando Micucci, Camerano, Gwynplaine, 2008. Quaderni del carcere.
Edizione anastatica dei manoscritti, 18 voll., Roma, Istituto della
Enciclopedia Italiana-Cagliari-L'Unione Sarda, 2009. Epistolario 1906-1922,
Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Epistolario gennaio-novembre
1923, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, . Antologia, Antonio A.
Santucci, prefazione di Guido Liguori, Roma, Editori Riuniti university press,
. Il teatro lancia bombe nei cervelli. Articoli, critiche, recensioni
1915-1920, Fabio Francione, Mimesis Edizioni . La taglia della storia. Idea e
prassi della rivoluzione, NovaEuropa Edizioni, .Note Luigi Manias,
Antonio Sebastiano Francesco Gramsci, Marmilla Cultura, 28 gennaio . 17 aprile
. International Gramsci Society, su
internationalgramscisociety.org.
Genealogia dei Gramsci (JPG), su albanianews.it. Luigi Manias, Ma quando è nato Antonio
Gramsci?, Marmilla Cultura, 21 gennaio . 17 aprile . Luigi Manias, Ales. La sua storia. I suoi
problemi, Marmilla Cultura, 14 marzo . 17 aprile . Così Gramsci ricordava con ironia l'episodio,
nella lettera dal carcere alla cognata Tatiana, il 7 settembre 1931,
aggiungendo che «una zia sosteneva che ero risuscitato quando lei mi unse i
piedini con l'olio di una lampada dedicata a una Madonna e perciò, quando mi
rifiutavo di compiere gli atti religiosi, mi rimproverava aspramente,
ricordando che alla Madonna dovevo la vita»
«Noi eravamo tutti molto piccoli. Lei dunque doveva anche accudire alla
casa. Trovava il tempo per i lavori di cucito rinunziando al sonno». Così
ricordava quegli anni la sorella Teresina Gramsci, in Fiori, 199518 Lettera a Tatiana Schucht, 3 ottobre 1932:
così Gramsci scriveva per invitare la cognata a non eccedere nelle sue
preoccupazioni sulla sua vita di carcerato. La lettera prosegue infatti: «Ho
conosciuto quasi sempre solo l'aspetto più brutale della vita e me la sono
sempre cavata, bene o male» Lettera a
Tatiana Schucht, 12 settembre 1932
Numerose sono le richieste di denaro al padre: il 10 febbraio 1910 gli
scrive di essere «proprio indecente con questa giacca che ha già due anni ed è
spelacchiata e lucida [...] oggi non sono andato a scuola perché mi son dovuto
risuolare le scarpe» e, il 16 febbraio, che «per non farvi vergognare non sono
uscito di casa per dieci giorni interi» Fonzo, 15-22.
Testimonianza in Fiori, 199565
Testimonianza della sorella Teresina in Fiori, 199566 Fiori, 199566. L'articolo è riportato in Fiori, 199569. Riportato in A. Gramsci, Scritti
politici53-55. Antonio Gramsci,
Dizionario di Storia, Treccani [...] «io
pensavo allora che bisognava lottare per l'indipendenza nazionale della
regione: "Al mare i continentali". Poi ho conosciuto la classe
operaia di una città industriale e ho capito ciò che realmente significavano le
cose di Marx che avevo letto prima per curiosità intellettuale». Cfr. A.
Gramsci, lettera a Giulia Schucht, 6 marzo 1924, in A. Gramsci, Lettere
1908-1926, 1992, 271-273. Gramsci e l'isola laboratorio, La Nuova
Sardegna A. Gramsci. Lettere.
1908-192655 Progettando, in carcere, uno
studio di linguistica comparata, mai realizzato, in una lettera dal carcere del
19 marzo 1927 alla cognata Tatiana, ricorda come «uno dei maggiori
"rimorsi" intellettuali della mia vita è il dolore profondo che ho
procurato al mio buon professor Bartoli dell'Torino, il quale era persuaso
essere io l'arcangelo destinato a profligare definitivamente i
"neogrammatici"» della linguistica. Tuttavia già nel 2003
l'economista Amartya Sen aveva avanzato l'ipotesi che il passaggio ai giochi
linguistici di Ludwig Wittgenstein nelle Ricerche filosofiche fosse stato
ispirato dai Quaderni dal carcere. Nel suo recente studio Gramsci and
Wittgenstein: an intriguing connection, Franco Lo Pipero ha aggiunto nuovi
elementi che dimostrano il collegamento fra Gramsci e Wittgenstein tramite
Piero Sraffa. Infatti il filosofo viennese venne a conoscenza del Quaderno 29
nel 1935, grazie proprio al suo amico Sraffa che aveva conosciuto a Cambridge
nel 1929 Lettera dal carcere del 23
febbraio 1931: in essa Gramsci ricorda ancora un simpatico e patetico episodio.
Dopo la rottura avvenuta ala fine del 1920, a causa di quell'articolo che fece
«piangere come un bambino e stette chiuso in casa [il Cosmo] per alcuni
giorni», essi s'incontrarono nel 1922 nell'Ambasciata d'Italia a Berlino, dove
il professore era segretario: «il Cosmo mi si precipitò addosso, inondandomi di
lacrime e di barba e dicendo a ogni momento: Tu capisci perché! Tu capisci
perché! Era in preda a una commozione che mi sbalordì, ma mi fece capire quanto
dolore gli avessi procurato nel 1920 e come egli intendesse l'amicizia per i
suoi allievi di scuola» Lettera dal
carcere a Tatiana Schucht del 17 agosto 1931
In Fiori, 1995103 In Fiori,
1995105 In Fiori, 1995, 108-9
In Fiori, 1995112 In A. Gramsci,
Scritti politici, I56-59 Davico12. Lettera dal carcere a Tatiana Schucht del 7
settembre 1931 Lettera dal carcere a
Tatiana Schucht del 19 marzo 1927
Recensione del 24 marzo 1917
Recensione del 4 aprile 1917
Recensione del 5 ottobre 1917
Spriano, 1972, 373. Note sulla rivoluzione russa, ne Il Grido del
Popolo, 29 aprile 1917, in Gramsci, 1971,
59-60 I massimalisti russi, ne Il
Grido del Popolo, 28 luglio 1917, in Gramsci, 197166 Spriano, 1972260. La rivoluzione contro il «Capitale»,
nell'Avanti!, 24 novembre 1918, in Gramsci, 1971, 80-1
Nella lettera dell'8 marzo 1881 Marx scriveva a Vera Zasulič che la
tipica proprietà comune agricola russa poteva essere salvata dalla distruzione
minacciata dallo sviluppo dei rapporti capitalistici: «Per salvare la comune
russa, occorre una rivoluzione russa. Se la rivoluzione scoppierà a tempo
opportuno, se l'intelligencija concentrerà tutte le forze «vive del paese»
nell'assicurare alla comune agricola un libero spiegamento, allora la comune
ben presto evolverà come elemento di rigenerazione della società russa e,
insieme, di superiorità sui paesi ancora asserviti dal regime capitalistico».
Inoltre, nella prefazione all'edizione russa del Manifesto del 1882, Marx ed
Engels avevano scritto che «l'odierna proprietà comune potrà servire di
partenza per una evoluzione comunista». È anche vero, tuttavia, almeno nel caso
della lettera alla Zasulič, che Gramsci all'epoca non poteva conoscerne il
contenuto, perché il documento sarebbe stato reso pubblico solo nel 1924. (Cfr.
Ettore Cinella, L'altro Marx, Della Porta Editori, Pisa-Genova, ,
142-143). A. Gramsci, Ordine Nuovo, 14
agosto 1920 A. Gramsci, ibidem
Corriere della Sera, 9 marzo 1920
Archivio Centrale dello Stato, Min. Int., Dir. Gen. PS, 1920, C 2, b
50 Ordine Nuovo, 8 maggio 1920, in
Scritti politici, II, 102-108 Concluso l'8 ottobre 1919 con un ordine del
giorno che prospettava la conquista violenta del potere e la dittatura del
proletariato Per un rinnovamento del
Partito socialista, ne L’ordine Nuovo, 8 maggio 1920, in Gramsci, 1971, 315-21
Il 30 luglio Lenin, nel suo discorso all'Internazionale Comunista,
invitando a espellere dal partito socialista l'ala destra riformista, disse che
«all'indirizzo dell'Internazionale Comunista corrisponde l'indirizzo dei
militanti dell'Ordine Nuovo e non l'indirizzo dell'attuale maggioranza dei
dirigenti del partito socialista e del loro gruppo parlamentare». Lenin, Opere,
XXV, p.355 Ordine Nuovo, 4 dicembre
1920, in Scritti politici, II172 GRAMSCI
La sposa mandata da Lenin Lettera del 30
giugno 1924, in A. Gramsci, Lettere 1908-1926
Lettera dal carcere del 18 aprile 1927
Un profilo di Antonio Gramsci junior, su channelingstudio.ru. Su alcune note di uno sconosciuto bolscevico
Vladimir Diogotche sosteneva, fra l'altro, di essere a conoscenza di un
tentativo di rovesciamento della monarchia italiana da parte di Nitti in
accordo con i socialistilo storico Jaroslav Leontiev ha sostenuto nel 1999 che
la conoscenza tra Gramsci e la Schucht sia stata "pilotata" da Lenin
in persona: cfr. Link archivio del Corriere
Amendola, 13 e 97. In Togliatti, In Togliatti, 1974255 Lettera di Gramsci a Giulia Schucht, 21
luglio 1924 Lettera a Giulia Schucht, 22
giugno 1924 La crisi italiana, ne L’Ordine
Nuovo, 1º settembre 1924, in Gramsci, 1971,
577-9 Camera dei Deputati, XXVII
legislatura del Regno d'Italia, Tornata di sabato 16 maggio 1925 . "Capo" , in L'Ordine Nuovo, 1º
marzo 1924; pubblicato successivamente col titolo di Lenin capo rivoluzionario,
in l'Unità, 6 novembre 1924. «Capo», ne
L’ordine Nuovo, 1º marzo 1924, in Gramsci, 1971, 540-3
Anche alle autorità francesi fu nascosto lo svolgimento del Congresso.
Sul III CongressoSpriano, Storia del Partito comunista italiano, I, ca 29-30 Spriano, 1976(1), 498-500.
Spriano, 1976(1)490. Spriano,
1976(1), 491-2. Spriano, 1976(1), 492-4.
Spriano, 1976(1)511. Antonio
Gramsci, Tesi di Lione, Lione, 1925.
Antonio Gramsci, La questione meridionale, Editori Riuniti, 2005,
p.184 «Alcuni temi della quistione
meridionale». Stato operaio, gennaio 1930. Citato in Rosario Villari, Il Sud
nella Storia d'Italia. Antologia della Questione meridionale, Roma-Bari,
Laterza, 1981480 Antonio Gramsci, Cinque
anni di vita del partito, L'Unità, 1926.
Fiori, 1995247. Spriano,
1976(2), 43-5. Aurelio Lepre, Il prigioniero. Vita di Antonio
Gramsci, Editori Laterza, Bari, 199884.
La lettera, non datata, si ritiene scritta il 14 ottobre: fu pubblicata
per la prima volta in Francia da Tasca nel 1938. Su tutta la questione della
lotta interna nel partito comunista sovietico di questo periodoSpriano, cit.,
II, ca 3 e 5 A. Gramsci, Lettere
1908-1926, cit., 455-462. Lettera di Togliatti a Gramsci, 18 ottobre
1926 Commissione di assegnazione al
confino di Roma, ordinanza del 18.11.1926 contro Antonio Gramsci (“Dirigenti e
deputati del PCd'I dichiarati decaduti il 2 novembre 1926”). In: Adriano Dal
Pont, Simonetta Carolini, L'Italia al confino 1926-1943. Le ordinanze di
assegnazione al confino emesse dalle Commissioni provinciali dal novembre 1926
al luglio 1943, Milano 1983 (ANPPIA/La Pietra),
IV1312 Tornata di martedì 9
novembre 1926 , Camera dei deputati6389-6394. 23 marzo . Fiori, 1995, cap. 23. In Fiori, 1995, cap. 24 Sentenza n. 58 del 20.2.1928 contro Antonio
Gramsci e altri (“Ricostituzione di partito disciolto, propaganda, cospirazione,
istigazione alla lotta armata ecc.”). In: Adriano Dal Pont, Simonetta Carolini,
L'Italia dissidente e antifascista. Le ordinanze, le Sentenze istruttorie e le
Sentenze in Camera di consiglio emesse dal Tribunale speciale fascista contro
gli imputati di antifascismo dall'anno 1927 al 1943, Milano 1980 (ANPPIA/La
Pietra), I260-261 Amendola142.
Spriano, 197741. Lettera a
Tatiana Schucht del 19 marzo 1927 Fiori,
1995, cap. 26. Fiori, 1995289.
Fiori, 1995288. Risoluzione per
l'espulsione di Amedeo Bordiga Fiori,
1995291. Pubblicato in «Rinascita», 12
dicembre 1964 In «Rinascita», cit. Dalla biografia di Pertini pubblicata nel
sito web del Circolo Sandro Pertini di Genova: «Chiesi al maresciallo dei
carabinieri che comandava la scorta se poteva dirmi dove mi portavano. Quando
questi fece il nome di Turi me ne rallegrai. Ero contento perché sapevo che là
avrei incontrato Antonio Gramsci, un uomo che avevo sempre ammirato per il suo
coraggio». «A Turi incontrai Gramsci in un angolo del cortile dove coltivava
un'aiuola di fiori; era piccolo di statura e con due gobbe: una davanti ed una
di dietro. Mi avvicinai a lui, mi presentai, gli affermai che venivo da Santo
Stefano e che ero onorato di fare la sua conoscenza. Gli davo del lei e lo
chiamavo Onorevole Gramsci. Lui si mise a ridere, dicendomi: "Perché mi
dai del lei? Siamo antifascisti, vittime del Tribunale speciale tutti e
due", "Io gli ricordai che per loro, i comunisti, noi eravamo dei
social-traditori". Gramsci disse di lasciar stare quella polemica penosa.
Ci vedemmo dopo qualche giorno e Gramsci parlò di Turati e Treves in maniera
che mi sembrò offensiva ed io risposi con durezza. Il giorno dopo Gramsci si
scusò, dicendo che il suo era un giudizio politico, non aveva avuto intenzione
di offendere le persone, e capiva la mia reazione in favore di due compagni che
si trovavano in Francia. Da allora diventammo buoni amici. Parlavamo a lungo
insieme anche perché era stato isolato dai suoi. Per certi versi costoro lo
consideravano un traditore e chiedevano la sua espulsione dal partito, come poi
fecero anche con Camilla Ravera. In cella Gramsci era perseguitato dai
carcerieri: credo che l'ordine di non lasciarlo dormire arrivasse direttamente
da Roma. Io andai dal direttore del carcere a protestare perché i carcerieri,
ogni volta che Gramsci si addormentava, lo svegliavano facendo scorrere sulle
sbarre della finestra dei bastoni, con la scusa di controllare che le sbarre
non fossero state segate per un'evasione. Dissi al direttore che se la situazione
non fosse cambiata, avrei scritto una lettera al ministero. Il risultato fu che
Gramsci, già gravemente malato di tubercolosi poté dormire tranquillo. Le mie
proteste costrinsero il direttore del carcere di Turi a concedere a Gramsci
anche alcuni quaderni, delle matite, un tavolino ed una sedia. Così poterono
nascere i quaderni dal carcere. La mia amicizia con Gramsci mi mise in
contrasto con il direttore del carcere e forse non fu estraneo al mio
trasferimento a Pianosa, all'inizio del 1932».
Lettera a Tatiana Schucht, 3 agosto 1931
Lettera a Tatiana Schucht, 29 maggio 1933 Alla fine degli anni settanta cominciò a
circolare la voce secondo la quale Gramsci in punto di morte si sarebbe
convertito alla fede cattolica. Tale affermazione venne però ritrattata dallo
stesso religioso che l’aveva inavvertitamente messa in circolazione, chiamando
a supporto della smentita l’allora cappellano della clinica Quisisana.
Nonostante le chiare argomentazioni della rettifica, trent’anni dopo la
medesima tesi fu riproposta da un altro sacerdote. Essendo priva di riscontri
documentali e di prove testimoniali, la teoria della conversione di Gramsci non
è mai stata avvalorata dagli storici. Cfr. S.Fio., Antonio Gramsci e il
sacerdote pentito, La Repubblica, 27 novembre 2008. 17 giugno . e Il Vaticano:
«Gramsci trovò la fede», Il Corriere della Sera, 25 novembre 2008. 17 giugno
. C. Daniele , Togliatti editore di
Gramsci, Carocci, 2005, 14-29
Quaderni del carcere, Il Risorgimento70
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Quaderni del carcere, Il materialismo storico e la filosofia di
Benedetto Croce7-8 Quaderni del carcere, cit.8 Quaderni del carcere, ed. Gerratana, Cirese, 197665 e ss.; Baratta, 2007; Giulio
Angioni, Gramsci e il folklore come cosa seria, in Fare, dire, sentire.
L'identico e il diverso nelle culture, Il Maestrale, , 206-221. Quaderni del carcere,
cit.11 Quaderni del carcere, cit.12
Quaderni del carcere, Note sul Machiavelli, 3-4 Quaderni del carcere, cit.7 Quaderni del carcere, cit., 23-24
Quaderni del carcere, Gli intellettuali e l'organizzazione della
cultura, p.6 Quaderni del carcere, cit.,
p.7 Quaderni del carcere, cit.9 Quaderni del carcere, Letteratura e vita
nazionale127 Quaderni del carcere,
cit.131 Quaderni del carcere, cit.86 e
segg. Quaderni del carcere, cit., 5-6
Quaderni del carcere, cit.179
Quaderni del carcere, cit.185
Quaderni del carcere, Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto
Croce210 Quaderni del carcere,
cit.204 Quaderni del carcere,
cit.192-193 Quaderni del carcere,
cit.125 Quaderno del carcere,
cit.132 Quaderni del carcere, cit., 141-142
Quaderni del carcere, cit.142 L. Rosiello, Problemi e orientamenti
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glottologia di Bologna, 195739 A.
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Aqueci PredecessoreSegretario del Partito Comunista d'ItaliaSuccessore Amadeo
Bordiga19241927Palmiro Togliatti V D M Segretari del Partito Comunista Flag of
Italian Committee of National Liberation.svg Resistenza italiana Flag of
Italian Committee of National Liberation.svg.
green: t. h., Grice:
“The rather idiotic German philosopher at Oxford, Schiller, thought that
Dodgson meant Green when he said that the snark may be served with greens.” -- absolute idealist and social philosopher. The
son of a clergyman, Green studied and taught at Oxford. His central concern was
to resolve what he saw as the spiritual crisis of his age by analyzing
knowledge and morality in ways inspired by Kant and Hegel. In his lengthy
introduction to Hume’s Treatise, he argued that Hume had shown knowledge and
morality to be impossible on empiricist principles. In his major work, “Prolegomena
to Ethics,” Green contended that thought imposed relations on sensory feelings and
impulses whose source was an eternal consciousness to constitute objects of
knowledge and of desire. Furthermore, in acting on desires, rational agents
seek the satisfaction of a self that is realized through their own actions.
This requires rational agents to live in harmony among themselves and hence to
act morally. In Lectures on the Principles of Political Obligation Green
transformed classical liberalism by arguing that even though the state has no
intrinsic value, its intervention in society is necessary to provide the
conditions that enable rational beings to achieve self-satisfaction.
gregorio da roma -- il
grande: Grice: “For one, he is the punning Pope!” Grice: “What WAS Gregorio’s implicatura? A
complex one, since he uses the counterfactual: “si angeli fuessent.” Grice: “In
The Sellars/Yeatman rewrite, the meta-implicata is that you must have read
Bede!” Grice: “Poor Gregorio Magno had to fight with the Lonbards, and the sad
thing is he lost!” -- I, Saint, called Gregory the Great, a pope and Roman political leader. Born a
patrician, he was educated for public office and became prefect of Rome in 570.
In 579, he was appointed papal representative in Constantinople, returning to
Rome as counselor to Pope Pelagius II in 586. He was elected Pope Gregory I in
590. When the Lombards attacked Rome in 594, Gregory bought them off.
Constantinople would neither cede nor defend Italy, and Gregory stepped in as
secular ruler of what became the Papal States. He asserted the universal
jurisdiction of the bishop of Rome, and claimed patriarchy of the West. His
writings include important letters; the Moralia, an exposition of the Book of
Job summarizing Christian theology; Pastoral Care, which defined the duties of
the clergy for the Middle Ages; and Dialogues, which deals chiefly with the
immortality of the soul, holding it could enter heaven immediately without
awaiting the Last Judgment. His thought, largely Augustinian, is unoriginal,
but was much quoted in the Middle Ages. Grice takes inspiration on Shropshire’s
argument for the immortality of the soul from Gregorio Magno (Dialogo, IV). Papa Gregorio I, detto papa Gregorio Magno ovvero il Grande
(Roma, 540 circaRoma, 12 marzo 604), è stato il 64º vescovo di Roma e Papa
della Chiesa cattolica, dal 3 settembre 590 fino alla sua morte. La Chiesa
cattolica lo venera come santo e dottore della Chiesa. Anche le Chiese
ortodosse lo venerano come santo. gregorio magnus papa Gregorio Magno
Sebbene il suo pontificato si sia svolto in uno dei periodi più bui della
storia italiana, conservò una incrollabile fiducia nella forza del
Cristianesimo; anima tra le più luminose del Medioevo europeo, svolse il suo
ministero racchiuso in un corpo minuto e sempre malato, ma dotato di una
grandissima forza morale. Gregorio Magno nacque verso la metà del VI
secolo [540?] da Silvia, appartenente a una ricca famiglia siciliana, e da
Gordiano, appartenente all'aristocrazia senatoriale, la classe dominante
dell'antica Roma che aveva mantenuto prestigio economico e sociale, nonostante
la caduta dell'Impero. Non è affatto dimostrata, invece, la sua relazione di
parentela con la Gens Anicia, che spesso è stata richiamata per sottolineare le
nobili origini del futuro Gregorio I. La sua formazione culturale non è
di elevato livello. A differenza di Agostino e Cassiodoro, non si formò con lo
studio dei grandi autori dell'aetas aurea (Sallustio, Orazio, Virgilio,
Ovidio), bensì con quella tradizione letteraria impoverita che era propria
della sua epoca, dell'età tardo-antica. Perciò la sua "ars
grammatica" fu limitata e lo stile che denota i suoi scritti è in linea
con quello degli scrittori tardo-antichi del V e VI secolo. Di questi imitava,
in particolare, solo poche figure retoriche come l'anafora ed il gusto
dell'esempio e dell'aneddoto moralizzante. La sua conoscenza del diritto era
limitata allo studio di Cicerone, da cui riprende anche definizioni e nozioni
filosofiche della scuola stoica e, per come era già stato fatto dalla
tradizione patristica, le inserisce nella dottrina morale cristiana. A
Roma si stava diffondendo la fama di Benedetto da Norcia, monaco e fondatore di
una nuova Regola. Espresse l'intenzione di farsi monaco egli stesso. Ma i
parenti e gli amici, per tenerlo vicino a sé, ottennero dall'imperatore Giustino
II la prestigiosa carica di praefectus urbi Romae (prefetto della città di
Roma), la carica istituzionale più importante di nomina imperiale in Italia
dopo quella di esarca. In questa veste è citato in un documento databile
all'anno 573. Devoto ammiratore di Benedetto da Norcia, Gregorio impegnò
tutte le sue notevoli sostanze per l'assistenza ai bisognosi e per trasformare
i suoi possedimenti a Roma e in Sicilia in altrettanti monasteri. Egli stesso
si fece monaco rinunciando all'altissima carica pubblica; fondò un monastero
nella propria abitazione sul colle Celio intitolandolo a S. Andrea ad Clivum
Scauri. Nella vita cenobitica si dedicò con assiduità alla contemplazione dei
misteri di Dio nella lettura della Bibbia. Non poté dimorare a lungo nel
convento perché nel 578 ricevette un altro incarico importante: divenne, per
nomina di papa Benedetto I, uno dei sette diaconi della Chiesa di Roma. L'anno
dopo il successore Pelagio II lo inviò come apocrisario presso la corte di
Costantinopoli per chiedere aiuti contro i Longobardi. Lì restò per sei anni e
si guadagnò la stima della famiglia imperiale e dello stesso imperatore
Maurizio, salito al trono nel 582, di cui tenne a battesimo il figlio Teodosio.
Nel 584 ottenne per Roma l'aiuto che il papa aveva chiesto, ma fu di tale
modesta entità che non servì a risolvere i problemi per i quali era stato
invocato. Al rientro a Roma, nel 586, Gregorio tornò nel monastero sul
Celio; vi rimase però per pochi anni, perché morto il 7 febbraio 590 papa
Pelagio II, vittima di una pestilenza, fu chiamato al soglio pontificio
dall'entusiasmo dei credenti e dalle insistenze del clero e del senato di Roma.
Gregorio cercò di resistere alle insistenze del popolo, inviando una lettera
all'imperatore Maurizio in cui lo pregava di intervenire non ratificando
l'elezione, ma il praefectus urbi di Roma, di nome Germano, o forse il fratello
di Gregorio, intercettò la lettera e la sostituì con la petizione del popolo
che chiedeva la ratifica della sua elezione a pontefice. In attesa della risposta,
Gregorio si astenne da ogni attività propria del suo ruolo, che venne svolta da
una sorta di triumvirato ecclesiastico. L'arcangelo Michele (detto
l'Angelo di Castello), opera (1753) di Peter Anton von Verschaffelt (1710-1793)
L'inverno 589-590 fu particolarmente funesto per la penisola italiana. Alle
violenze perpetrate dai Longobardi si aggiunse una stagione eccessivamente
inclemente, con nubifragi e inondazioni che colpirono particolarmente il
settentrione, causando vittime e danni incalcolabili. Ma anche il Tevere ebbe
una piena particolarmente consistente, che inondò gran parte della città
provocando vittime e danni ingenti; ne seguì un'epidemia di peste (Pelagio II
morì di peste in questo periodo). Poiché ancora nell'estate del 590 la situazione
non accennava a tornare alla normalità, in una predica del 29 agosto Gregorio
esortò i fedeli alla penitenza, e per implorare l'aiuto divino organizzò una
solenne processione per tre giorni consecutivi alla basilica di Santa Maria
Maggiore. Secondo la tradizione, mentre Gregorio attraversava, alla testa
della processione, il ponte che collegava l'area del Vaticano con il resto
della città (chiamato allora "Ponte Elio" o "Ponte di
Adriano", oggi Ponte Sant'Angelo), ebbe la visione dell'Arcangelo Michele che,
in cima alla Mole Adriana, rinfoderava la sua spada. La visione (che secondo
alcune fonti fu condivisa da tutti i partecipanti alla processione) venne
interpretata come un segno celeste preannunciante l'imminente fine
dell'epidemia, cosa che effettivamente avvenne. Da allora i romani cominciarono
a chiamare la Mole Adriana "Castel Sant'Angelo" e, a ricordo del
prodigio, posero più tardi sullo spalto più alto la statua di un angelo in atto
di rinfoderare la spada. Ancora oggi nel Museo Capitolino è conservata una
pietra circolare con impronte dei piedi che, secondo la tradizione, sarebbero
quelle lasciate dall'Arcangelo quando si fermò per annunciare la fine della
peste. Finalmente arrivò da Costantinopoli la ratifica all'elezione
pontificale; sebbene Gregorio (che probabilmente non sapeva che la sua lettera
era stata sostituita) rinnovasse le sue reticenze alla missione a cui era
chiamato, il 3 settembre 590 venne consacrato papa. L'ascesa quasi
"forzata" al soglio pontificio lo turbò profondamente e provocò in
lui una sincera contrarietà, che solo la fede incrollabile e la convinzione di
poter svolgere un ruolo di guida per la redenzione dell'umanità intera,
riuscirono a fargli superare. Nonostante le riserve all'accettazione del
compito che lo attendeva, fu amministratore energico, sia nelle questioni
sociali e politiche per supportare i bisognosi di aiuto e protezione, sia nelle
questioni interne della Chiesa; sebbene fosse fisicamente piuttosto esile e
cagionevole di salute, si dimostrò uomo di azione, pratico e intraprendente. E
infatti uno dei primi doveri che si impose fu la moralizzazione ed epurazione
della Curia romana, in cui erano presenti troppi personaggi, laici ed
ecclesiastici, che avevano interessi ben diversi da quelli spirituali e di carità;
molti incarichi furono dunque attribuiti a monaci benedettini. L'altro dovere
primario cui si dedicò fu quello insito nel ruolo di vescovo di Roma,
utilizzando i beni propri e quelli derivanti dalle donazioni dei privati, non a
beneficio di vescovi e diaconi, ma in favore del popolo della città di Roma
che, come lamenta in una sua predica, è "oppressa da uno smisurato dolore,
si spopola di cittadini; assalita dal nemico, non è più che un cumulo di
macerie". Molti furono i provvedimenti intesi a un riordino
dell'istituzione monastica e alla regolamentazione dei rapporti di quella con
l'organizzazione ecclesiastica e i vescovi in particolare. Assicurò una
maggiore autonomia giuridica per i monasteri, la cui vita economica non doveva
in alcun modo subire l'ingerenza dei vescovi, chiamati a compiti spirituali;
regolamentò i rapporti tra scelta monacale e vita familiare, generalmente dando
la priorità ai diritti della seconda; sottrasse, quanto più possibile, gli
ecclesiastici ai tribunali civili, non solo in ossequio a una tradizione
radicata, ma soprattutto perché non aveva alcuna fiducia delle autorità
longobarde e bizantine, particolarmente corruttibili; molti vescovi forse non
erano da meno, ma su di loro poteva comunque esercitare la sua autorità.
Preoccupato del sussistere dell'eresia ariana nel 594 rivolse accorate lettere
ai vescovi Costanzo di Milano e Venanzio di Luni per esortarli a porvi
rimedio. Tentativi di pace con i Longobardi Gregorio compì anche mosse
politiche. Nonostante avesse più volte invocato invano l'aiuto militare
dell'Impero, i Longobardi continuavano a devastare l'Italia facendo fuggire il
clero e catturando prigionieri che dovette riscattare direttamente con le sue
sostanze personali. Inoltre nel 591 il duca longobardo di Spoleto Ariulfo
intraprese una politica espansionistica ai danni dei Bizantini, conquistando le
città del corridoio che collegava Roma con Ravenna e assediando la stessa Roma,
da cui si ritirò solo dopo aver estorto un tributo. Nonostante le
richieste, nessun aiuto venne dall'esarca di Ravenna, che «...rifiuta di
combattere i nostri nemici e vieta a noi di concludere la pace». Papa Gregorio,
infatti, premeva per una tregua tra Imperiali e Longobardi affinché ritornasse
la pace nella penisola e si ponesse fine alle devastazioni belliche, ma Romano,
l'esarca, non era d'accordo e fece di tutto per ostacolarlo, al punto che
l'anno successivo si mosse per rompere le trattative che Gregorio aveva
intavolato con il duca di Spoleto per una pace separata, riconquistando le
città del corridoio umbro e rompendo le trattative di pace che Gregorio aveva
avviato con i Longobardi. La campagna di Romano provocò la reazione di re
Agilulfo, che riprese Perugia e poi nel 593 pose l'assedio a Roma. Gregorio si
trovò a dover provvedere, a fronte di un inefficiente esercito imperiale
(oltretutto mal pagato) il cui aiuto latitava, alla difesa di Roma, e per
evitare ulteriori sofferenze e lutti alla città si vide costretto a convincere
Agilulfo a levare l'assedio pagando di tasca propria 5 000 libbre d'oro e
offrendo al re longobardo l'assicurazione del pagamento annuo di un ingente
tributo. In questo modo Gregorio si sostituiva, arbitrariamente, all'autorità
civile cittadina e al senato, che di fatto non avevano ormai più alcun ruolo politico
riconosciuto; e se al re longobardo interessava solo il denaro, il popolo
romano riconobbe in Gregorio l'unico salvatore[25]. Questa, e le
continue, successive, inutili insistenze per una pace, subirono la
disapprovazione dell'imperatore Maurizio che, concordando con la politica
dell'esarca, accusò il papa d'infedeltà all'Impero e di stupidità per i suoi
tentativi di negoziazione. Gregorio scrisse all'imperatrice per ricordarle come
dopo tanti anni di oppressione da parte dei Longobardi, gli imperatori
d'Oriente ben poco avevano fatto e speso in favore di Roma (e molto invece per
Ravenna, loro ultimo avamposto in terra italiana), mentre la città e la Chiesa
avevano bisogno di sopravvivere in pace; ma scrisse anche all'imperatore:
«...Mi è stato detto di essere stato ingannato da Ariulfo, e sono stato
definito "sempliciotto",... che significa indubbiamente che sono uno
sciocco. E io stesso debbo confessare che avete ragione... Se non lo fossi, non
avrei mai accettato di patire tutti i mali che ho sofferto qui per le spade dei
Longobardi. Voi non credete a quello che dico riguardo ad Ariulfo,
riguardo al fatto che sarebbe disposto a passare dalla parte della Repubblica,
accusandomi di dire menzogne. Dato che una delle responsabilità di un prete è di
servire la verità, è un grave insulto essere accusati di menzogna. Sento,
inoltre, che viene riposta più fiducia nelle asserzioni di Leone e Nordulfo,
invece che alle mie... Ma quello che mi affligge è che la stessa tempra che mi
accusa di falsità permette ai Longobardi di condurre giorno dopo giorno tutta
l'Italia prigioniera sotto il loro giogo, e mentre nessuna fiducia è riposta
nelle mie asserzioni, le forze del nemico crescono sempre di più...»
(Papa Gregorio Magno, Epistole, V,40.[26].) E non risparmia le accuse
all'esarca Romano, «la cui malizia è persino peggiore delle spade dei
Longobardi, tanto che i nemici che ci massacrano sembrano dolci in comparazione
con i giudici della Repubblica che ci consumano con la rapina...»[27] Le
trattative con i Longobardi, comunque, continuarono, e subirono
un'accelerazione grazie anche all'aiuto del nuovo esarca di Ravenna Callinico.
Alla fine del 598, Longobardi e Imperiali firmarono finalmente una pace, che
probabilmente però era solo una tregua armata che durò solo tre anni,
nonostante Paolo Diacono la definisca "fermissima". Gregorio ne
approfittò immediatamente per estendere i suoi interventi in favore dei
bisognosi anche a province lontane da Roma che dunque, prive ormai di un vero
potere centrale (a parte quello longobardo che poco si curava di problemi
economici e sociali delle popolazioni italiche), erano sempre più portate a
riconoscere come unica guida di riferimento quella del vescovo di Roma, la cui
azione "non è tuttavia indirizzata al rafforzamento dell'autorità politica
della Chiesa", chiarisce Rosario Villari, in quanto "Gregorio non ha
programmi di potere; aspira anzi in conformità con la sua vocazione monacale al
distacco dal mondo, a convertire il maggior numero di non credenti, a riformare
la Chiesa per renderla più attiva e capace di svolgere in pieno questo compito
urgente"[28]. La regina Teodolinda in una miniatura delle
Cronache di Norimberga Icona di papa Gregorio I In coerenza con questa
visione della missione della Chiesa si pone il suo programma di
evangelizzazione e conversione dei Visigoti di Spagna di re Recaredo I, e dei
Longobardi, coi quali, dopo la pace del 598, riuscì a stabilire rapporti di
buon vicinato avviando la loro conversione dall'eresia ariana grazie anche
all'influente sostegno della regina Teodolinda. Analogo sforzo missionario
svolse in favore dei Britanni, presso i quali Gregorio inviò 40 monaci
benedettini per cristianizzare le popolazioni; fu infatti grazie all'aiuto dei
re dei Franchi, con i quali Gregorio fu in continui rapporti e in eccellente
relazione, e in particolare della regina Brunechilde, che riuscì a ottenere la
conversione della Britannia, affidandola ad Agostino, priore del convento di
Sant'Andrea a Roma, poi consacrato vescovo di Canterbury. Non sono chiari
i motivi che spinsero Gregorio all'opera di cristianizzazione di un paese tanto
lontano (e da tanto tempo perso alla romanità), quando c'erano altri popoli più
vicini a Roma, e mentre era in corso l'emergenza longobarda. Le fonti medievali
hanno tentato di fornire una spiegazione ricorrendo alla leggenda secondo la
quale Gregorio, quand'era ancora monaco, si sarebbe convinto della necessità di
convertire la Britannia per aver visto alcuni giovani schiavi britannici
esposti per la vendita, bellissimi di aspetto e pagani, tanto da aver
esclamato, rammaricato: "Non Angli, ma Angeli dovrebbero esser
chiamati…". Comunque in meno di due anni diecimila Angli, compreso il re
del Kent Ethelbert, si convertirono[29]. Era questo un grande successo della politica
di Gregorio, che mirava a eliminare gli avversari della Chiesa e ad accrescere
l'autorità del papato con la conversione dei "barbari".
Rapporti con Costantinopoli San Gregorio in cattedra, lo scriba e la
colomba, da una miniatura del Registrum Gregorii Oltre che per i problemi
connessi alla pace con i Longobardi, i rapporti con l'imperatore Maurizio non
sempre furono cordiali per vari altri motivi. Quando l'Imperatore, per
fermare la fuga dei decurioni i quali, per sfuggire alle loro responsabilità sicuramente
onerose, entravano in monastero, promulgò un editto con cui vietava ai
funzionari pubblici e ai soldati privati di farsi monaci, Gregorio protestò: se
non aveva nulla da obiettare sulla prima parte della legge (quella riguardante
i funzionari pubblici), obiettò invece sulla proibizione ai soldati imperiali
di diventare «soldati di Cristo», ovvero di entrare a far parte del
clero[30]. Dal 594 al 599 il motivo della disputa fu Massimo, vescovo di
Salona, accusato dal papa di simonia; Massimo, favorito dalla corte imperiale,
poté mantenere il seggio e arrivò addirittura ad accusare Gregorio di aver
fatto uccidere il vescovo dalmata Malco, inviato in Italia per rendere conto su
una presunta cattiva amministrazione del patrimonio papale e deceduto improvvisamente
in esilio[31]. Lo scontro con l'imperatore divenne particolarmente aspro
nel 595. quando il Patriarca di Costantinopoli Giovanni IV Nesteutes si
proclamò "Patriarca ecumenico", dichiarandosi di autorità pari al
papa. Di fronte alle proteste di Gregorio, il patriarca cercò il sostegno
dell'Imperatore, che scrisse al papa esortandolo a porre fine alla questione,
avendo la Chiesa bisogno di pace, e non di controversie religiose. Gregorio
rispose lodando l'Imperatore per la volontà di riportare la pace nella Chiesa,
ma precisando, con toni decisi, che della contesa era responsabile il
Patriarca, che aveva usurpato un titolo non suo: "Quando noi lasciamo la
posizione che ci spetta, e assumiamo noi stessi onori indecenti, alleiamo i
nostri peccati con le forze dei barbari... Maestri di umiltà e generali di
superbia, noi nascondiamo i denti da lupo dietro un volto da pecora. … Colui
che ricevette le chiavi del Regno dei Cieli... non fu mai chiamato Apostolo
Universale; e ora il più Santo Uomo, il mio vescovo collega Giovanni rivendica
il titolo di Vescovo Universale. … Tutta l'Europa è nelle mani dei Barbari...
e, malgrado tutto, i preti ... cercano ancora per se stessi e fanno sfoggio di
nuovi e profani titoli di superbia!"[32]. Ma da Costantinopoli non giunse
alcun segnale distensivo, e anzi il successore di Giovanni Nesteutes, Ciriaco
II, mantenne il titolo di "Patriarca ecumenico" che i patriarchi di
Costantinopoli non abbandonarono più nonostante un decreto dell'Imperatore Foca
(successore di Maurizio) avesse riconosciuto il primato della Chiesa di Roma.
Gregorio reagì assumendo il titolo di Servus Servorum Dei, che da allora fu
mantenuto dai pontefici romani. Amministrazione interna Nei territori
dell'Esarcato d'Italia che ricadevano sotto la responsabilità amministrativa
della Sede di Pietro, i cosiddetti Patrimonia, Gregorio seppe far fronte,
aiutato da una rete di funzionari, ai problemi di approvvigionamento alimentare
che le continue alluvioni, carestie e pestilenze rendevano particolarmente
gravi; ebbe cura degli acquedotti e favorì l'insediamento dei coloni eliminando
ogni residuo di servitù della gleba. Riuscì a intrattenere rapporti epistolari
anche con il re della Barbagia, Ospitone, e cercò di dissuadere quella
popolazione dall'idolatria e dal paganesimo, convertendo Ospitone stesso al
Cristianesimo. L'interesse per le popolazioni delle isole tirreniche, Sicilia,
Sardegna e Corsica[33], lo indusse a intercedere in loro favore presso
l'imperatrice Costantina affinché venisse ridotta l'elevata pressione fiscale e
fosse posto un freno alla rapacità dei funzionari, che costringevano i genitori
a vendere i figli e molti a emigrare in territorio longobardo, mentre le
proprietà venivano arbitrariamente confiscate[34]. Gregorio Magno
protesse la Colonna Traiana. Il monumento, nonostante fosse stato eretto per
celebrare le imprese militari di un imperatore pagano, fu salvaguardato e
conservato per i posteri[35] Papa Gregorio riorganizzò a fondo la liturgia
romana, ordinando le fonti anteriori e componendo nuovi testi. L'epistolario
(ci sono pervenute 848 lettere) e le omelie al popolo documentano ampiamente
sulla sua molteplice attività e dimostrano la sua grande familiarità con i
Testi sacri. Promosse quella modalità di canto tipicamente liturgico che
da lui prese il nome di "gregoriano": il canto rituale in lingua
latina adottato dalla Chiesa cattolica, che comportò, di conseguenza,
l'ampliamento della Schola cantorum. Paolo Diacono (scrive verso il 780), pur
ricordando molte tradizioni giunte fino a lui, non ha una parola sul canto né
sulla Schola. Alcune illustrazioni di manoscritti dal IX al XIII secolo
tramandano una leggenda secondo la quale Gregorio avrebbe dettato i suoi canti
a un monaco, alternando la dettatura a lunghe pause; il monaco, incuriosito,
avrebbe scostato un lembo del paravento di stoffa che lo separava dal
pontefice, per vedere cosa egli facesse durante i lunghi silenzi, assistendo
così al miracolo di una colomba (che rappresenta naturalmente lo Spirito
Santo), posata su una spalla del papa, che gli dettava a sua volta i canti
all'orecchio. In realtà i manoscritti più antichi contenenti i canti del
repertorio gregoriano risalgono al IX secolo e pertanto non si sa se lui stesso
ne abbia composto qualcuno. Opere Pagina delle Homiliae in Evangelia
Scritti esegetici Expositio super Cantica canticorumopera che si compone di un
prologo e di un commento ai primi otto versetti del Cantico dei cantici;
Moralia in Jobopera costituita da 35 libri in cui viene commentato il libro
veterotestamentario di Giobbe; La paternità di un commento al primo libro dei
Re originariamente attribuito a Gregorio è stata recentemente riconosciuta a
Pietro Divinacellus, un monaco di Cava de' Tirreni morto intorno al 1156
[36]. Scritti omiletici Homiliae in Evangelia- opera costituita da 40
omelie sui Vangeli; Homiliae in Hiezechihelem prophetamopera costituita da 22
omelie su Ezechiele; Altre opere Sacramentarium Gregorianumcon cui riformò il
canone della messa, rendendola più semplice ma più solenne; Antiphonarius centola
nuova redazione del libro dei canti liturgici (attribuzione dubbia);
Dialoghiopera costituita da 4 libri: Libro su santi italiani a lui coevi; Libro
monografico su san Benedetto da Norcia; Libro su santi italiani a lui coevi;
Libro sul destino dell'anima dopo la morte e su alcune profezie. Regula
Pastoralisun manuale per la vita e l'opera dei vescovi e in generale di coloro
che ricoprono il ministero pastorale; Le Epistolaeun registrum di circa 850
lettere, fonte primaria di informazioni sull'epoca di Gregorio[37]; Il Liber
Pontificalis, il testo ufficiale che ha riportato per secoli l'attività dei
pontefici di Roma, presenta Gregorio esclusivamente sotto l'aspetto
dell'attività religiosa, stranamente tacendo su tutti i contatti e le scelte
politiche da lui effettuate, sia con i Longobardi sia con i
Bizantini[38]. Papa Gregorio I morì il 12 marzo 604 dopo aver sofferto per
vari anni di gotta e fu sepolto nella Basilica di San Pietro. Nel rito
romano la sua memoria liturgica ricorre il 3 settembre; in rito bizantino il
giorno del suo ricordo è il 12 marzo. Dal Martirologio Romano (ed.
2001): «12 marzoA Roma presso san Pietro, deposizione di san Gregorio I,
papa, detto Magno, la cui memoria si celebra il 3 settembre, giorno della sua
ordinazione.» «3 settembreMemoria di san Gregorio Magno, papa e dottore
della Chiesa: dopo avere intrapreso la vita monastica, svolse l'incarico di
legato apostolico a Costantinopoli; eletto poi in questo giorno alla Sede
Romana, sistemò le questioni terrene e come servo dei servi si prese cura di
quelle sacre. Si mostrò vero pastore nel governare la Chiesa, nel soccorrere in
ogni modo i bisognosi, nel favorire la vita monastica e nel consolidare e
propagare ovunque la fede, scrivendo a tal fine celebri libri di morale e di
pastorale. Morì il 12 marzo.» Il Proprio del santo in rito romano
contiene la seguente colletta:[39] «Deus, qui pópulis tuis indulgéntia
cónsulis et amóre domináris, da spíritum sapiéntiae, intercedénte beáto
Gregório papa, quibus dedísti régimen disciplínae, ut de proféctu sanctárum
óvium fiant gáudia aetérna pastórum. Per Dominum nostrum Iesum Christum»
San Gregorio Magno è patrono principale di: Valdobbiadene (provincia di
Treviso e diocesi di Padova), San Gregorio Magno (provincia di Salerno), San Gregorio
di Catania (provincia e arcidiocesi di Catania), Manduria (provincia di Taranto
e diocesi di Oria), la cui chiesa madre custodisce la reliquia di un frammento
d'osso del suo braccio destro, Vizzini (provincia di Catania e diocesi di
Caltagirone), San Gregorio da Sassola (provincia di Roma e diocesi di Tivoli),
Crispano (città metropolitana di Napoli e diocesi di Aversa), Roverbella
(provincia e diocesi di Mantova), San Gregorio nelle Alpi (provincia di Belluno
e diocesi di Belluno-Feltre), San Gregorio d'Ippona (provincia di Vibo
Valentia), Configni (provincia di Rieti), Casola, frazione del comune di
Domicella (provincia di Avellino e diocesi di Nola), dove sarebbe custodita una
reliquia d'osso della sua mano destra. San Gregorio, fazione del comune di
Veronella (provincia di Verona e diocesi di Vicenza) Note G. Pepe, Il Medio Evo barbarico d'Italia,
1971, pag. 117. Sofia Boesch Gajano,
GREGORIO I, papa, santo, in Dizionario Biografico degli ItalianiVolume 59, Roma
2002 Claudio Mareschini, Gregorio Magno
e la cultura classica, in "Studi Classici e Orientali", 56, ,
87-107 Bernardo Maria Amico,
Leggendario de’ Santi benedettini in cui si espongono le vite di cento Santi
dell’Ordine di S. Benedetto, Venezia, 1726126 e segg. Gregorio I santo, in Enciclopedia dei Papi,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2000. 1º settembre . Gregorio scrisse di sé «ego quoque tunc
urbanam praeturam gerens pariter subscripsi», ma poiché in una variante del
testo praeturam è sostituita da praefecturam, dalle sue epistole non è
possibile sapere con esattezza se fu "prefetto dell'Urbe" o piuttosto
"pretore dell'Urbe".
L'apocrisario era il rappresentante permanente della Santa Sede presso
la corte di Costantinopoli; la carica fu istituita da papa Leone I. C. Rendina, I Papi. Storia e segreti, pagg.
157 e segg. La fonte, Gregorio di Tours
(X, 1), è ambigua: è incerto se Germanus vada interpretato come il nome proprio
del prefetto urbano, oppure in questo caso significhi "fratello". "Dal tempo di Noè non si ricordava un
diluvio simile", commenterà Paolo Diacono (come riportato in C. Rendina,
op. cit., pag. 160). La processione e le
modalità di svolgimento sono riferite puntualmente dal Gregorovius in base a
quanto riportato nelle cronache di Gregorio di Tours e di Paolo Diacono (C.
Rendina, op. cit., pag. 160). Willy
Pocino, Le curiosità di Roma, Roma, Tradizioni italiane Newton, 2009, 91-92.C. Rendina, op. cit., 160 e segg.Indro Montanelli e Roberto Gervaso
L'Italia dei secoli bui, Rizzoli, 1965235.
Castel Sant'Angelo, activitaly.it.
Secondo una tradizione leggendaria risalente all'XI secolo tentò anche
la fuga, nascondendosi nei boschi della Sabina, dove i Romani lo scovarono e lo
riportarono indietro, accolto trionfalmente in città (C. Rendina162). Lo storico tedesco Franz Xaver Seppelt rileva
che nella sua "riluttanza ad accedere alla sede di San Pietro non si dovrà
però scorgere solamente quella modestia convenzionale, che si ha modo di notare
in innumerevoli elezioni di vescovi nel Medio Evo, non sempre sincera. La
tristezza di Gregorio e la sua scarsa condiscendenza ad accettare
l'importantissima carica erano dovute essenzialmente al dover abbandonare
definitivamente la vita di solitudine del monastero, …; i sentimenti di
Gregorio erano senza dubbio radicati profondamente e rispondevano alla natura
del suo animo" (come riportato in C. Rendina162). C.
Rendina162. G. Pepe127. G.Montefinale, Guida turistica alle antiche
chiese ed ai resti cenobitici di Porto Venere
G. Ravegnani, I Bizantini in Italia, 200495. G. Ravegnani, op. cit., 95-99.
Romano non poteva tollerare l'insubordinazione del Pontefice, sia perché
stava trattando con il nemico senza alcuna autorizzazione imperiale, sia perché
la pace in quel momento avrebbe riconosciuto il possesso longobardo del
corridoio umbro Paolo Diacono, Historia
Langobardorum, IV, 8. Nell'occasione
scrisse poi all'imperatore Maurizio: «Con i miei stessi occhi, ho visto i
romani legati come cani da una corda al collo che venivano condotti via per
essere venduti come schiavi in Francia» (G. Ravegnani, op. cit., pag. 98). I. MontanelliR. Gervaso, op. cit., 238 e segg.P. Brezzi, La civiltà del Medioevo
europeo, 1978116. G. Pepe137. Come riportato in G. Ravegnani99. Papa Gregorio Magno, Epistole, V, 42. C. Rendina, op. cit., 162 e segg.
C. Azzara, Le invasioni barbariche, Il Mulino, 1999, 110 e segg.
Papa Gregorio Magno, Epistole, III, 66.
Papa Gregorio Magno, Epistole, IV, 47.
Papa Gregorio Magno, Epistole, V,20.
Queste ultime erano comprese nell'Esarcato d'Africa. Papa Gregorio Magno, Epistole, V,41 Foro di Traiano, su romasegreta.it. 31 maggio
. G. I. Gargano, Introduzione, in
Gregorio Magno, Commento al primo libro dei Re, Roma, Città Nuova, edizione
critica: Dag Norberg, S. Gregorii Magni registrum epistularum libri I-VII,
Corpus Christianorum Series Latina 140, Brepols, Turnhout, 1982Dag Norberg, S.
Gregorii Magni registrum epistularum libri VII-XIV, Corpus Christianorum Series
Latina 140A, Brepols, Turnhout, 1982 S.
Gasperri, Italia longobarda, Laterza, , pag. 76. Missale Romanum cum lectionibus ex decreto
sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum auctoritate Pauli VI promulgatum , 4: tempus per annum:
hebdomadae XXII-XXXIV, Roma, Libreria Editrice Vaticana, 1977688. Papa Gregorio I, Dialogi, Roma, Tipografia
del Senato, 1924. 16 aprile . Papa
Gregorio I, Dialogi. 1, Palermo, Scuola Tip. Boccone Del Povero, 1913. 16
aprile . Papa Gregorio I, Dialogi. 3,
Palermo, Scuola Tip. Boccone Del Povero, 1932. 16 aprile . Papa Gregorio I,
Homiliae in Evangelia, Impresso a Mediolano, mediante la gratia di Dio de li
prudenti homini Leonardo Pachel e Uldericho scinzcenceller de allamagna per
loro industria, MCCCCLXXVIIII adi XX del mese de augusto. 16 aprile . Paolo
Brezzi, La civiltà del Medioevo europeo,
I, Eurodes, Roma, 1978. Indro Montanelli-Roberto Gervaso, L'Italia dei
secoli bui, Rizzoli, Milano, 1965. Gabriele Pepe, Il Medio Evo barbarico
d'Italia, Einaudi, Torino, 1971. Giorgio Ravegnani, I Bizantini in Italia,
Mulino, Bologna, 2004. Claudio Rendina, I Papi. Storia e segreti, Newton
Compton, Roma, 1983. Messe gregoriane
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dell'Enciclopedia Italiana, . Papa Gregorio I / Papa Gregorio I (altra
versione), su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Papa Gregorio I, in Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Papa Gregorio I, su BeWeb, Conferenza
Episcopale Italiana. (DE) Papa Gregorio
I, su ALCUIN, Ratisbona. Opere di Papa
Gregorio I / Papa Gregorio I (altra versione) / Papa Gregorio I (altra
versione) / Papa Gregorio I (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited
srl. Opere di Papa Gregorio I, . di Papa
Gregorio I, su Internet Speculative Fiction Database, Al von Ruff. su Papa Gregorio I / Papa Gregorio I (altra
versione), su Les Archives de littérature du Moyen Âge. Papa Gregorio I, in
Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. David M. Cheney, Papa Gregorio
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I, su Santi, beati e testimoni, santiebeati.it.
Opera Omnia dal Migne patrologia Latina con indici analitici. Sofia
Boesch Gajano, Papa Gregorio I, in Enciclopedia dei Papi, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 2000. Udienza Generale, 4 giugno 2008, Benedetto
XVI, su vatican.va. Fana idolorum destrui minime debeant. Gregorio Magno e la
conversione dei templi pagani al culto cristiano, Palladio, NS, XXVI, 52,
, 5-20., su academia.edu.Scheda di San
Gregorio. Incisione di Anton Wierix. Collezione De Verda, su
colecciondeverda.com. Moralia in Iob (Msc.Bibl.41), una digitalizzazione del
manoscritto dalla Biblioteca di Stato di Bamberga PredecessorePapa della Chiesa
cattolicaSuccessoreEmblem of the Papacy SE.svg Papa Pelagio II3 settembre 59012
marzo 604Papa Sabiniano.
grice: as a count
noun“Lots of grice in the fields.”One Scots to another -- count noun, a noun
that can occur syntactically a with quantifiers ‘each’, ‘every’, ‘many’, ‘few’,
‘several’, and numerals; b with the indefinite article, ‘an’; and c in the
plural form. The following are examples of count nouns CNs, paired with
semantically similar mass nouns MNs: ‘each dollar / silver’, ‘one composition /
music’, ‘a bed / furniture’, ‘instructions / advice’. MNs but not CNs can occur
with the quantifiers ‘much’ and ‘little’: ‘much poetry / poems’, ‘little bread
/ loaf’. Both CNs and MNs may occur with ‘all’, ‘most’, and ‘some’.
Semantically, CNs but not MNs refer distributively, providing a counting
criterion. It makes sense to ask how many CNs?: ‘How many coins / gold?’ MNs
but not CNs refer collectively. It makes sense to ask how much MN?: ‘How much
gold / coins?’ One problem is that these syntactic and semantic criteria yield
different classifications; another problem is to provide logical forms and
truth conditions for sentences containing mass nouns. grice: English
philosopher, born in Harborne, “in the middle of nowhere,” as Strawson put it(“He
was from London, Strawson was”) -- whose work concerns perception and
philosophy of language, and whose most influential contribution is the concept
of a conversational implicaturum and the associated theoretical machinery of
conversational ‘postulates.’ The concept of a conversational implicaturum is
first used in his ‘presentation’ on the causal theory of perception and
reference. Grice distinguishes between the ‘meaning’ of the words used in a
sentence and what is implied by the utterer’s choice of words. If someone says
“It looks as if there is a red pillar box in front of me,” the choice of words
implies that there is some doubt about the pillar box being red. But, Grice
argues, that is a matter of word choice and the sentence itself does not ‘impl’ that there is doubt. The term ‘conversational
implicaturum’ was introduced in Grice’s William James lectures published in 8
and used to defend the use of the material implication as a logical translation
of ‘if’. With Strawson “In Defence of Dogma”, Grice gives a spirited defense of
the analyticsynthetic distinction against Quine’s criticisms. In subsequent
systematic papers Grice attempts, among other things, to give a theoretical
grounding of the distinction. Grice’s oeuvre is part of the Oxford ordinary
language tradition, if formal and theoretical. He also explores metaphysics,
especially the concept of absolute value. There is the H. P. Grice SocietyOther
organisations Grice-related are “The Grice Club,” “The Grice Circle,” and “H.
P. Grice’s Playgroup.” grice’s complexe significabile, plural: -- Grice used to
say jocularly that he wasn’t commited to propositions; only to propositional
complexes -- complexe significabilia, also called complexum significabile, in
medieval philosophy, what is signified only by a complexum a statement or
declarative sentence, by a that-clause, or by a dictum an accusative !
infinitive construction, as in: ‘I want him to go’. It is analogous to the
modern proposition. The doctrine seems to have originated with Adam de Wodeham
in the early fourteenth century, but is usually associated with Gregory of
Rimini slightly later. Complexe significabilia do not fall under any of the
Aristotelian categories, and so do not “exist” in the ordinary way. Still, they
are somehow real. For before creation nothing existed except God, but even then
God knew that the world was going to exist. The object of this knowledge cannot
have been God himself since God is necessary, but the world’s existence is
contingent, and yet did not “exist” before creation. Nevertheless, it was real
enough to be an object of knowledge. Some authors who maintained such a view
held that these entities were not only signifiable in a complex way by a
statement, but were themselves complex in their inner structure; the term
‘complexum significabile’ is unique to their theories. The theory of complexe
significabilia was vehemently criticized by late medieval nominalists. Refs.: The main reference is in ‘Reply to
Richards.’ But there is “Sentence semantics and propositional complexes,” c.
9-f. 12, BANC. grice’s combinatory logic,
a branch of logic that deals with formal systems designed for the study of
certain basic operations for constructing and manipulating functions as rules,
i.e. as rules of calculation expressed by definitions. The notion of a function
was fundamental in the development of modern formal or mathematical logic that
was initiated by Frege, Peano, Russell, Hilbert, and others. Frege was the
first to introduce a generalization of the mathematical notion of a function to
include propositional functions, and he used the general notion for formally
representing logical notions such as those of a concept, object, relation,
generality, and judgment. Frege’s proposal to replace the traditional logical
notions of subject and predicate by argument and function, and thus to conceive
predication as functional application, marks a turning point in the history of
formal logic. In most modern logical systems, the notation used to express
functions, including propositional functions, is essentially that used in
ordinary mathematics. As in ordinary mathematics, certain basic notions are
taken for granted, such as the use of variables to indicate processes of
substitution. Like the original systems for modern formal logic, the systems of
combinatory logic were designed to give a foundation for mathematics. But
combinatory logic arose as an effort to carry the foundational aims further and
deeper. It undertook an analysis of notions taken for granted in the original
systems, in particular of the notions of substitution and of the use of
variables. In this respect combinatory logic was conceived by one of its
founders, H. B. Curry, to be concerned with the ultimate foundations and with
notions that constitute a “prelogic.” It was hoped that an analysis of this
prelogic would disclose the true source of the difficulties connected with the
logical paradoxes. The operation of applying a function to one of its
arguments, called application, is a primitive operation in all systems of
combinatory logic. If f is a function and x a possible argument, then the
result of the application operation is denoted fx. In mathematics this is
usually written fx, but the notation fx is more convenient in combinatory
logic. The G. logician M. Schönfinkel, who started combinatory logic in 4,
observed that it is not necessary to introduce color realism combinatory logic
functions of more than one variable, provided that the idea of a function is
enlarged so that functions can be arguments as well as values of other
functions. A function Fx,y is represented with the function f, which when
applied to the argument x has, as a value, the function fx, which, when applied
to y, yields Fx,y, i.e. fxy % Fx,y. It is therefore convenient to omit
parentheses with association to the left so that fx1 . . . xn is used for . . . fx1 . . . xn. Schönfinkel’s main result
was to show how to make the class of functions studied closed under explicit
definition by introducing two specific primitive functions, the combinators S
and K, with the rules Kxy % x, and Sxyz % xzyz. To illustrate the effect of S
in ordinary mathematical notation, let f and g be functions of two and one
arguments, respectively; then Sfg is the function such that Sfgx % fx,gx.
Generally, if ax1, . . . ,xn is an expression built up from constants and the
variables shown by means of the application operation, then there is a function
F constructed out of constants including the combinators S and K, such that Fx1
. . . xn % ax1, . . . , xn. This is essentially the meaning of the combinatory
completeness of the theory of combinators in the terminology of H. B. Curry and
R. Feys, Combinatory Logic 8; and H. B. Curry, J. R. Hindley, and J. P. Seldin,
Combinatory Logic, II 2. The system of
combinatory logic with S and K as the only primitive functions is the simplest
equation calculus that is essentially undecidable. It is a type-free theory
that allows the formation of the term ff, i.e. self-application, which has
given rise to problems of interpretation. There are also type theories based on
combinatory logic. The systems obtained by extending the theory of combinators
with functions representing more familiar logical notions such as negation,
implication, and generality, or by adding a device for expressing inclusion in
logical categories, are studied in illative combinatory logic. The theory of
combinators exists in another, equivalent form, namely as the type-free
l-calculus created by Church in 2. Like the theory of combinators, it was
designed as a formalism for representing functions as rules of calculation, and
it was originally part of a more general system of functions intended as a
foundation for mathematics. The l-calculus has application as a primitive
operation, but instead of building up new functions from some primitive ones by
application, new functions are here obtained by functional abstraction. If ax
is an expression built up by means of application from constants and the
variable x, then ax is considered to define a function denoted lx.a x, whose
value for the argument b is ab, i.e. lx.a xb % ab. The function lx.ax is
obtained from ax by functional abstraction. The property of combinatory
completeness or closure under explicit definition is postulated in the form of
functional abstraction. The combinators can be defined using functional
abstraction i.e., K % lx.ly.x and S % lx.ly.lz.xzyz, and conversely, in the
theory of combinators, functional abstraction can be defined. A detailed
presentation of the l-calculus is found in H. Barendregt, The Lambda Calculus,
Its Syntax and Semantics 1. It is possible to represent the series of natural
numbers by a sequence of closed terms in the lcalculus. Certain expressions in
the l-calculus will then represent functions on the natural numbers, and these
l-definable functions are exactly the general recursive functions or the Turing
computable functions. The equivalence of l-definability and general
recursiveness was one of the arguments used by Church for what is known as
Church’s thesis, i.e., the identification of the effectively computable
functions and the recursive functions. The first problem about recursive
undecidability was expressed by Church as a problem about expressions in the l
calculus. The l-calculus thus played a historically important role in the
original development of recursion theory. Due to the emphasis in combinatory
logic on the computational aspect of functions, it is natural that its method
has been found useful in proof theory and in the development of systems of
constructive mathematics. For the same reason it has found several applications
in computer science in the construction and analysis of programming languages.
The techniques of combinatory logic have also been applied in theoretical
linguistics, e.g. in so-called Montague grammar. In recent decades combinatory
logic, like other domains of mathematical logic, has developed into a
specialized branch of mathematics, in which the original philosophical and
foundational aims and motives are of little and often no importance. One reason
for this is the discovery of the new technical applications, which were not
intended originally, and which have turned the interest toward several new
mathematical problems. Thus, the original motives are often felt to be less
urgent and only of historical significance. Another reason for the decline of
the original philosophical and foundational aims may be a growing awareness in
the philosophy of mathematics of the limitations of formal and mathematical
methods as tools for conceptual combinatory logic combinatory logic
clarification, as tools for reaching “ultimate foundations.” grice’s
“The Three-Year-Old’s Guide to Russell’s Theory of Types,” with an advice to
parents by P. F. Starwson -- type theory, broadly, any theory according to
which the things that exist fall into natural, perhaps mutually exclusive,
categories or types. In most modern discussions, ‘type theory’ refers to the
theory of logical types first sketched by Russell in The Principles of
Mathematics 3. It is a theory of logical types insofar as it purports only to
classify things into the most general categories that must be presupposed by an
adequate logical theory. Russell proposed his theory in response to his
discovery of the now-famous paradox that bears his name. The paradox is this.
Common sense suggests that some classes are members of themselves e.g., the
class of all classes, while others are not e.g., the class of philosophers. Let
R be the class whose membership consists of exactly those classes of the latter
sort, i.e., those that are not members of themselves. Is R a member of itself?
If so, then it is a member of the class of all classes that are not members of
themselves, and hence is not a member of itself. If, on the other hand, it is
not a member of itself, then it satisfies its own membership conditions, and
hence is a member of itself after all. Either way there is a contradiction. The
source of the paradox, Russell suggested, is the assumption that classes and
their members form a single, homogeneous logical type. To the contrary, he
proposed that the logical universe is stratified into a regimented hierarchy of
types. Individuals constitute the lowest type in the hierarchy, type 0. For
purposes of exposition, individuals can be taken to be ordinary objects like
chairs and persons. Type 1 consists of classes of individuals, type 2 of
classes of classes of individuals, type 3 classes of classes of classes of
individuals, and so on. Unlike the homogeneous universe, then, in the type
hierarchy the members of a given class must all be drawn from a single logical
type n, and the class itself must reside in the next higher type n ! 1.
Russell’s sketch in the Principles differs from this account in certain
details. Russell’s paradox cannot arise in this conception of the universe of
classes. Because the members of a class must all be of the same logical type,
there is no such class as R, whose definition cuts across all types. Rather,
there is only, for each type n, the class Rn of all non-self-membered classes
of that type. Since Rn itself is of type n ! 1, the paradox breaks down: from
the assumption that Rn is not a member of itself as in fact it is not in the
type hierarchy, it no longer follows that it satisfies its own membership
conditions, since those conditions apply only to objects of type n. Most formal
type theories, including Russell’s own, enforce the class membership
restrictions of simple type theory syntactically such that a can be asserted to
be a member of b only if b is of the next higher type than a. In such theories,
the definition of R, hence the paradox itself, cannot even be expressed.
Numerous paradoxes remain unscathed by the simple type hierarchy. Of these, the
most prominent are the semantic paradoxes, so called because they explicitly
involve semantic notions like truth, as in the following version of the liar
paradox. Suppose Epimenides asserts that all the propositions he asserts today
are false; suppose also that that is the only proposition he asserts today. It
follows immediately that, under those conditions, the proposition he asserts is
true if and only if it is false. To address such paradoxes, Russell was led to
the more refined and substantially more complicated system known as ramified
type theory, developed in detail in his 8 paper “Mathematical Logic as Based on
the Theory of Types.” In the ramified theory, propositions and properties or
propositional functions, in Russell’s jargon come to play the central roles in
the type-theoretic universe. Propositions are best construed as the
metaphysical and semantical counterparts of sentences what sentences express and properties as the counterparts of “open
sentences” like ‘x is a philosopher’ that contain a variable ‘x’ in place of a
noun phrase. To distinguish linguistic expressions from their semantic
counterparts, the property expressed by, say, ‘x is a philosopher’, will be
denoted by ‘x is a philosopher’, and the
proposition expressed by ‘Aristotle is a philosopher’ will be denoted by
‘Aristotle is a philosopher’. A property . . .x
. . . is said to be true of an individual a if . . . a . . . is a true
proposition, and false of a if . . . a . . . is a false proposition where ‘. .
. a . . .’ is the result of replacing ‘x
’ with ‘a’ in ‘. . . x . . .’.
So, e.g., x is a philosopher is true of
Aristotle. The range of significance of a property P is the collection of
objects of which P is true or false. a is a possible argument for P if it is in
P’s range of significance. In the ramified theory, the hierarchy of classes is
supplanted by a hierarchy of properties: first, properties of individuals i.e.,
properties whose range of significance is restricted to individuals, then
properties of properties of individuals, and so on. Parallel to the simple
theory, then, the type of a property must exceed the type of its possible
arguments by one. Thus, Russell’s paradox with R now in the guise of the
property x is a property that is not
true of itself is avoided along
analogous lines. Following the
mathematician Henri Poincaré, Russell traced the type theory type theory
935 935 source of the semantic
paradoxes to a kind of illicit self-reference. So, for example, in the liar
paradox, Epimenides ostensibly asserts a proposition p about all propositions,
p itself among them, namely that they are false if asserted by him today. p
thus refers to itself in the sense that it
or more exactly, the sentence that expresses it quantifies over i.e., refers generally to all
or some of the elements of a collection of entities among which p itself is
included. The source of semantic paradox thus isolated, Russell formulated the
vicious circle principle VCP, which proscribes all such self-reference in
properties and propositions generally. The liar proposition p and its ilk were
thus effectively banished from the realm of legitimate propositions and so the
semantic paradoxes could not arise. Wedded to the restrictions of simple type
theory, the VCP generates a ramified hierarchy based on a more complicated form
of typing. The key notion is that of an object’s order. The order of an
individual, like its type, is 0. However, the order of a property must exceed
the order not only of its possible arguments, as in simple type theory, but
also the orders of the things it quantifies over. Thus, type 1 properties like
x is a philosopher and x is as wise as all other philosophers are first-order
properties, since they are true of and, in the second instance, quantify over,
individuals only. Properties like these whose order exceeds the order of their
possible arguments by one are called predicative, and are of the lowest
possible order relative to their range of significance. Consider, by contrast,
the property call it Q x has all the
first-order properties of a great philosopher. Like those above, Q also is a
property of individuals. However, since Q quantifies over first-order properties,
by the VDP, it cannot be counted among them. Accordingly, in the ramified
hierarchy, Q is a second-order property of individuals, and hence
non-predicative or impredicative. Like Q, the property x is a first-order property of all great
philosophers is also second-order, since its range of significance consists of
objects of order 1 and it quantifies only over objects of order 0; but since it
is a property of first-order properties, it is predicative. In like manner it
is possible to define third-order properties of individuals, third-order
properties of first-order properties, third-order properties of second-order
properties of individuals, third-order properties of secondorder properties of
first-order properties, and then, in the same fashion, fourth-order properties,
fifth-order properties, and so on ad infinitum. A serious shortcoming of
ramified type theory, from Russell’s perspective, is that it is an inadequate
foundation for classical mathematics. The most prominent difficulty is that
many classical theorems appeal to definitions that, though consistent, violate
the VCP. For instance, a wellknown theorem of real analysis asserts that every
bounded set of real numbers has a least upper bound. In the ramified theory,
real numbers are identified with certain predicative properties of rationals.
Under such an identification, the usual procedure is to define the least upper
bound of a bounded set S of reals to be the property call it b some real number
in S is true of x , and then prove that
this property is itself a real number with the requisite characteristics.
However, b quantifies over the real numbers. Hence, by the VCP, b cannot itself
be taken to be a real number: although of the same type as the reals, and
although true of the right things, b must be assigned a higher order than the
reals. So, contrary to the classical theorem, S fails to have a least upper
bound. Russell introduced a special axiom to obviate this difficulty: the axiom
of reducibility. Reducibility says, in effect, that for any property P, there
is a predicative property Q that is true of exactly the same things as P.
Reducibility thus assures that there is a predicative property bH true of the
same rational numbers as b. Since the reals are predicative, hence of the same
order as bH, it turns out that bH is a real number, and hence that S has a
least upper bound after all, as required by the classical theorem. The general
role of reducibility is thus to undo the draconian mathematical effects of
ramification without undermining its capacity to fend off the semantic
paradoxes. grice’s play group -- H. P. Grice’s playgroup: after the death of
J. L. Austin, Grice kept the routine of the Saturday morning with a few new
rules. 1. Freedom. 2. Freedom, and 3. Freedom.grice’s theory-theory: Grice’s word for ‘first philosophy.’‘striking
originality, eh?’ grice’s
personalism: Grice: “I finished the thing and did not know what to titlemy
mother said, “Try ‘personal identity.’ She was a personal trinitarian.” -- a
version of personal idealism that flourished in the United States principally
at Boston from the late nineteenth
century to the mid-twentieth century. Its principal proponents were Borden
Parker Bowne 1847 0 and three of his students: Albert Knudson 18733; Ralph
Flewelling 18710, who founded The Personalist; and, most importantly, Edgar
Sheffield Brightman 43. Their personalism was both idealistic and theistic and
was influential in philosophy and in theology. Personalism traced its
philosophical lineage to Berkeley and Leibniz, and had as its foundational
insight the view that all reality is ultimately personal. God is the
transcendent person and the ground or creator of all other persons; nature is a
system of objects either for or in the minds of persons. Both Bowne and Brightman
considered themselves empiricists in the tradition of Berkeley. Immediate
experience is the starting point, but this experience involves a fundamental
knowledge of the self as a personal being with changing states. Given this
pluralism, the coherence, order, and intelligibility of the universe are seen
to derive from God, the uncreated person. Bowne’s God is the eternal and
omnipotent being of classical theism, but Brightman argued that if God is a
real person he must be construed as both temporal and finite. Given the fact of
evil, God is seen as gradually gaining control over his created world, with
regard to which his will is intrinsically limited. Another version of
personalism developed in France out of the neo-Scholastic tradition. E. Mounier
550, Maritain, and Gilson identified themselves as personalists, inasmuch as
they viewed the infinite person God and finite persons as the source and locus
of intrinsic value. They did not, however, view the natural order as
intrinsically personal.grice’s personhood: Grice: “I finished the thing and did
not know how to title. My mother, a confessed personal trinitarian, suggested,
‘personal identity.’’ -- the condition or property of being a person,
especially when this is considered to entail moral and/or metaphysical
importance. Personhood has been thought to involve various traits, including
moral agency; reason or rationality; language, or the cognitive skills language
may support such as intentionality and self-consciousness; and ability to enter
into suitable relations with other persons viewed as members of a self-defining
group. Buber emphasized the difference between the I-It relationship holding
between oneself and an object, and the IThou relationship, which holds between
oneself and another person who can be addressed. Dennett has construed persons
in terms of the “intentional stance,” which involves explaining another’s
behavior in terms of beliefs, desires, intentions, etc. Questions about when
personhood begins and when it ends have been central to debates about abortion,
infanticide, and euthanasia, since personhood has often been viewed as the
mark, if not the basis, of a being’s possession of special moral status. griceian.
Grice disliked the spelling “Gricean” that some people in the New World use.
“Surely my grandmother was right when she said she had become a Griceian by
marrying a Grice!” grice: g. r.Welsh
philosopher who taught at Norwich. Since H. P. Grice and G. R. Grice both wrote
on the contract and morality, one has to be careful. Griceian elenchus: a cross-examination or refutation. Typically in
Plato’s early dialogues, Socrates has a conversation with someone who claims to
have some sort of knowledge, and Socrates refutes this claim by showing the
interlocutor that what he thinks he knows is inconsistent with his other
opinions. This refutation Grice calls a ‘conversational elenchus.’ “It is not
entirely negative, for awareness of his own ignorance is supposed to spur one’s
conversational interlocutor to further inquiry, and the concepts and
assumptions employed in the refutations serve as the basis for positive
Griceian, and implicatural, treatments of the same topic.” “Now, in contrast,
I’ll grant you that a type of “sophistic elenchi” that one sometimes sees at
Oxford, usually displayed by Rhode
scholars from the New World or the Colonies, under the tutelage of me or others
in my group, may be merely eristic.” “They aim simply at the refutation of an
opponent by any means.” “That is why, incidentally, why Aristotle calls a
fallacy that only *appear* to be a refutation a “sophistici elenchi.” Cf. ‘eristic.’ And Grice on the
epagoge/diagoge distinction. Grice’s “sc.”: as the elliptical
disimplicaturum -- ellipsis as implicaturum: an expression from which a ‘part’
has been deleted.. “I distinguish between the expression-whole and the
expression-part.” The term Grice uses for ‘part’ is ‘incomplete’ versus
‘complete,’ and it’s always for metabolical ascriptions primarily. Thus Grice
has "x (utterance-type) means '. . .' " which is a specification of
timeless meaning for an utterance-type ad which can be either (i a) “complete”
or (i b) non-complete (partial) or incomplete]. He also has "x
(utterance-type) meant here '...'", which is a specification of applied
timeless meaning for an utterance-type which again can be either (2a) complete
or (2b) partial, non-complete, or incomplete. So ellipsis can now be redefined
in terms of the complete-incomplete distinction. “Smith is” is incomplete.
“Smith is clever” is complete. “Uusually
for conciseness.” As Grice notes, “an elliptical or incomplete sentence is
often used to answer a questions without repeating material occurring in the
question; e. g. ‘Grice’ may be the
answer to the question of the authorship of “The grounds of morality” or to the
question of the authorship of “Studies in the Way of Words.” ‘Grice’ can be
seen as an ‘elliptical’ name when used as an ellipsis of ‘G. R. Grice’ or “H.
P. Grice” and “Grice” can be seen as an elliptical *sentence* when used as an
ellipsis for ‘G. R. Grice is the author of ‘The Grounds of Morality”” or “H. P.
Grice is the author of Studies in the Way of Words.’Other typical elliptical
sentences are: ‘Grice is a father of two [+> children]’, ‘Grice, or Godot,
arrived for the tutorial past twelve [+> midnight]’. A typical ellipsis that
occurs in discussion of ellipses involves citing the elliptical sentences with
the deleted material added in brackets often with ‘sc.’ or ‘scilicet’“Grice is
a father of two (sc. Children),” Grice, or Godot, as we tutees call him,
arrived for the tutorial past twelve (sc. midnight)” -- instead of also
presenting the complete sentence. As Grice notes, ellipsis can also occurs
above the sentential level, e.g. where well-known premises are omitted in the
course of argumentation, as in “Grice is an Englishman; he is, therefore,
brave.” ‘Enthymeme,’ literally, ‘in-the-breast,’ designates an elliptical
argument expression from which one or more premise-expressions have been
deleted, “or merely implicated.” -- ‘elliptic ambiguity’ designates ambiguity
arising from ellipsis, as does ‘elliptic implicaturum.’ “Sc.” Grice calls
“elliptical disimplicaturum.”Grice’s ego:
“Oddly, while I and we, and thou and you are persons, ‘it’ is notthe “THIRD”
person is a joke!” -- “I follow Buber in distinguishing ‘ego’ from ‘tu.’ With
conversation, there’s the ‘we,’ too.”
“If you were the only girl in the world, there would not be a need for
the personal pronoun ‘ego’”Grice to his wife, on the day of their engagement.
“I went to Oxford. You went to Cambridge. He went to the London School of
Economics.” egocentric particular, a word whose denotation is determined by
identity of the speaker and/or the time, place, and audience of his utterance.
Examples are generally thought to include ‘I,’ ‘you’, ‘here’, ‘there’, ‘this’,
‘that’, ‘now’, ‘past’, ‘present’, and ‘future’. The term ‘egocentric
particular’ was introduced by Russell in An Inquiry into Meaning and Truth 0.
In an earlier work, “The Philosophy of Logical Atomism” Monist, 819, Russell
called such words “emphatic particulars.” Some important questions arise
regarding egocentric particulars. Are some egocentric particulars more basic
than others so that the rest can be correctly defined in terms of them but they
cannot be correctly defined in terms of the rest? Russell thought all
egocentric particulars can be defined by ‘this’; ‘I’, for example, has the same
meaning as ‘the biography to which this belongs’, where ‘this’ denotes a
sense-datum experienced by the speaker. Yet, at the same time, ‘this’ can be
defined by the combination ‘what I-now notice’. Must we use at least some
egocentric particulars to give a complete description of the world? Our ability
to describe the world from a speaker-neutral perspective, so that the
denotations of the terms in our description are independent of when, where, and
by whom they are used, depends on our ability to describe the world without
using egocentric particulars. Russell held that egocentric particulars are not
needed in any part of the description of the world. -- egocentric predicament, each person’s
apparently problematic position as an experiencing subject, assuming that all
our experiences are private in that no one else can have them. Two problems
concern our ability to gain empirical knowledge. First, it is hard to see how
we gain empirical knowledge of what others experience, if all experience is
private. We cannot have their experience to see what it is like, for any
experience we have is our experience and so not theirs. Second, it is hard to
see how we gain empirical knowledge of how the external world is, independently
of our experience. All our empirically justified beliefs seem to rest
ultimately on what is given in experience, and if the empirically given is
private, it seems it can only support justified beliefs about the world as we
experience it. A third major problem concerns our ability to communicate with
others. It is hard to see how we describe the world in a language others
understand. We give meaning to some of our words by defining them by other
words that already have meaning, and this process of definition appears to end
with words we define ostensively; i.e., we use them to name something given in
experience. If experiences are private, no one else can grasp the meaning of
our ostensively defined words or any words we use them to define. No one else
can understand our attempts to describe the world. Egoism: cf. H. P. Grice, “The principle of
conversational self-love and the principle of conversational benevolence,” any
view that, in a certain way, makes the self central. There are several
different versions of egoism, all of which have to do with how actions relate
to the self. Ethical egoism is the view that people ought to do what is in
their own selfinterest. Psychological egoism is a view about people’s motives,
inclinations, or dispositions. One statement of psychological egoism says that,
as a matter of fact, people always do what they believe is in their
self-interest and, human nature being what it is, they cannot do otherwise. Another
says that people never desire anything for its own sake except what they
believe is in their own self-interest. Altruism is the opposite of egoism. Any
ethical view that implies that people sometimes ought to do what is in the
interest of others and not in their self-interest can be considered a form of
ethical altruism. The view that, human nature being what it is, people can do
what they do not believe to be in their self-interest might be called
psychological altruism. Different species of ethical and psychological egoism
result from different interpretations of self-interest and of acting from
self-interest, respectively. Some people have a broad conception of acting from
self-interest such that people acting from a desire to help others can be said
to be acting out of self-interest, provided they think doing so will not, on
balance, take away from their own good. Others have a narrower conception of
acting from selfinterest such that one acts from self-interest only if one acts
from the desire to further one’s own happiness or good. Butler identified
self-love with the desire to further one’s own happiness or good and
self-interested action with action performed from that desire alone. Since we
obviously have other particular desires, such as the desires for honor, for
power, for revenge, and to promote the good of others, he concluded that
psychological egoism was false. People with a broader conception of acting from
self-interest would ask whether anyone with those particular desires would act on
them if they believed that, on balance, acting on them would result in a loss
of happiness or good for themselves. If some would, then psychological egoism
is false, but if, given human nature as it is, no one would, it is true even if
self-love is not the only source of motivation in human beings. Just as there
are broader and narrower conceptions of acting from self-interest, there are
broader and narrower conceptions of self-interest itself, as well as subjective
and objective conceptions of self-interest. Subjective conceptions relate a
person’s self-interest solely to the satisfaction of his desires or to what
that person believes will make his life go best for him. Objective conceptions
see self-interest, at least in part, as independent of the person’s desires and
beliefs. Some conceptions of self-interest are narrower than others, allowing
that the satisfaction of only certain desires is in a person’s self-interest,
e.g., desires whose satisfaction makes that person’s life go better for her.
And some conceptions of self-interest count only the satisfaction of idealized
desires, ones that someone would have after reflection about the nature of
those desires and what they typically lead to, as furthering a person’s
self-interest. See index to all Grice’s
books with indexthe first three of them.Grice’s
genitorial programmeA type of ideal observer theory -- demiurge from
Grecian demiourgos, ‘artisan’, ‘craftsman’, a deity who shapes the material
world from the preexisting chaos. Plato introduces the demiurge in his Timaeus.
Because he is perfectly good, the demiurge wishes to communicate his own
goodness. Using the Forms as a model, he shapes the initial chaos into the best
possible image of these eternal and immutable archetypes. The visible world is
the result. Although the demiurge is the highest god and the best of causes, he
should not be identified with the God of theism. His ontological and
axiological status is lower than that of the Forms, especially the Form of the
Good. He is also limited. The material he employs is not created by him.
Furthermore, it is disorderly and indeterminate, and thus partially resists his
rational ordering. In gnosticism, the demiurge is the ignorant, weak, and evil
or else morally limited cause of the cosmos. In the modern era the term has
occasionally been used for a deity who is limited in power or knowledge. Its
first occurrence in this sense appears to be in J. S. Mill’s Theism 1874. gricese: While
Grice presented Gricese as refutation of Vitters’s idea of a private language
“I soon found out that my wife and my two children were speaking Gricese, as
was my brother Derek!” -- english, being English or the genius of the ordinary.
H. P. Grice refers to “The English tongue.” A refusal to rise above the facts
of ordinary life is characteristic of classical Eng. Phil. from Ireland-born Berkeley to Scotland-born
Hume, Scotland-born Reid, and very English Jeremy Bentham and New-World Phil. ,
whether in transcendentalism Emerson, Thoreau or in pragmatism from James to
Rorty. But this orientation did not become truly explicit until after the linguistic
turn carried out by Vienna-born Witters, translated by C. K. Ogden, very
English Brighton-born Ryle, and especially J. L. Austin and his best companion
at the Play Group, H. P. Grice, when it was radicalized and systematized under
the name of a phrase Grice lauged at: “‘ordinary’-language philosophy.” This
preponderant recourse to the ordinary seems inseparable from certain peculiar
characteristics of the English Midlanders such as H. P. Grice, such as the
gerund that often make it difficult if not impossible to translate. It is all
the more important to emphasize this paradox because English Midlander
philosopher, such as H. P. Grice, claims to be as simple as it is universal,
and it established itself as an important philosophical language in the second
half of the twentieth century, due mainly to the efforts of H. P. Grice.
English, but especially Oxonian Phil.
has a specific relationship to ‘ordinary’ language (even though for
Grice, “Greek and Latin were always more ordinary to meand people who came to
read Eng. at Oxford were laughed at!”), as well as to the requirements of
everyday life, that is not limited to the theories of the Phil. of language, in which an Eng. philosopher
such as H. P. Grice appears as a pioneer. It rejects the artificial linguistic
constructions of philosophical speculation that is, Met. and always prefers to
return to its original home, as Witters puts it: the natural environment of
everyday words Philosophical Investigations. Thus we can discern a continuity
between the recourse to the ordinary in Scots Hume, Irish Berkeley, Scots Reid,
and very English Jeremy Bentham and what will become in Irish London-born G. E.
Moore and Witters after he started using English, at least orally and then J.
L. Austin’s and H. P. Grice’s ‘ordinary’-language philosophy. This continuity
can be seen in several areas. First, in the exploitation of all the resources
of the language, which is considered as a source of information and is valid in
itself. Second, in the attention given to the specificities—and even the
defects, or ‘implicatura,’ as Grice calls them —of the vernacular -- which become so many philosophical
characteristics from which one can learn. Finally, in the affirmation of the
naturalness of the distinctions made in and by ordinary language, seeking to
challenge the superiority of the technical language of Philosophy —the former
being the object of an agreement deeper than the latter. Then there’s The
Variety of Modes of Action. The passive. There are several modes of agency, and
these constitute both part of the genius of the language and a main source of
its problems in tr.. Agency is a strange intersection of points of view that
makes it possible to designate the person who is acting while at the same time
concealing the actor behind the act—and thus locating agency in the passive
subject itself v. AGENCY. A classic difficulty is illustrated by the following
sentence from J. Stuart Mill’s To gauge the naturalness of the passive
construction in English, it suffices to examine a couple of newspaper
headlines. “Killer’s Car Found” On a retrouvé la voiture du tueur, “Kennedy Jr.
Feared Dead.” On craint la mort du fils Kennedy; or the titles of a
philosophical essay, “Epistemology Naturalized,” L’Épistémologie naturalisée;
Tr. J. Largeault as L’Épistémologie
devenue naturelle; a famous article by Quine that was the origin of the
naturalistic turn in American Phil. and
“Consciousness Explained” La conscience expliquée by Daniel Dennett. We might
then better understand why this PASSIVE VOICE kind of construction—which seems
so awkward in Fr. compared with the
active voice— is perceived by its Eng. users as a more direct and effective way
of speaking. More generally, the ellipsis of the agent seems to be a tendency
of Eng. so profound that one can maintain that the phenomenon Lucien Tesnière
called diathèse récessive the loss of the agent has become a characteristic of
the Eng. language itself, and not only of the passive. Thus, e. g. , a Fr. reader irresistibly gains the impression that
a reflexive pronoun is lacking in the following expressions. “This book reads
well.” ce livre se lit agréablement. “His poems do not translate well.” ses
poèmes se traduisent difficilement. “The door opens.” la porte s’ouvre. “The
man will hang.” l’homme sera pendu. In reality, here again, Eng. simply does
not need to mark by means of the reflexive pronoun se the presence of an active
agent. Do, make, have Eng. has several terms to translate the single Fr. word faire, which it can render by to do, to
make, or to have, depending on the type of agency required by the context.
Because of its attenuation of the meaning of action, its value as emphasis and
repetition, the verb “to do” has become omnipresent in English, and it plays a
particularly important role in philosophical texts. We can find a couple of
examples of tr. problems in the Oxonian seminars by J. L. Austin. In Sense and
Considerations on Representative Government: “I must not be understood to say
that” p. To translate such a passive construction, Fr. is forced to resort to the impersonal pronoun
on and to put it in the position of an observer of the “I” je as if it were
considered from the outside: On ne doit pas comprendre que je dis que p. But at
the same time, the network of relations internal to the sentence is modified,
and the meaning transformed. Necessity is no longer associated with the subject
of the sentence and the author; it is made impersonal. Philosophical language
also makes frequent use of the diverse characteristics of the passive. Here we
can mention the crucial turning point in the history of linguistics represented
by Chomsky’s discovery Syntactic Structures,
of the paradigm of the active/ passive relation, which proves the
necessity of the transformational component in grammar. A passive utterance is
not always a reversal of the active and only rarely describes an undergoing, as
is shown by the example She was offered a bunch of flowers. In particular,
language makes use of the fact that this kind of construction authorizes the
ellipsis of the agent as is shown by the common expression Eng. spoken. For a
philosopher, the passive is thus the privileged form of an action when its
agent is unknown, indeterminate, unimportant, or, inversely, too obvious. Thus
without making his prose too turgid, in Sense and Sensibilia Austin can use
five passives in less than a page, and these can be translated in Fr. only by on, an indeterminate subject defined
as differentiated from moi. “It is clearly implied, that “Now this, at least if
it is taken to mean The expression is here put forward We are given, as
examples, familiar objects The expression is not further defined On sous-entend
clairement que Quant à cela, du moins si on l’entend au sens de On avance ici
l’expression On nous donne, comme exemples, des objets familiers On
n’approfondit pas la définition de l’expression . . . 1 Langage, langue,
parole: A virtual distinction. Contrary to what is too often believed, the Eng.
language does not conflate under the term language what Fr. distinguishes following Saussure with the
terms langage, langue, and parole. In reality, Eng. also has a series of three
terms whose semantic distribution makes possible exactly the same trichotomy as
Fr. : First there’s Grice’s “tongue,”which serves to designate a specific
language by opposition to another; speech, which refers more specifically to
parole but which is often translated in Fr.
by discours; and language in the sense of faculté de langage.
Nonetheless, Fr. ’s set of systematic distinctions can only remain
fundamentally virtual in English, notably because the latter refuses to
radically detach langue from parole. Thus in Chrestomathia, Bentham uses
“tongue” (Bentham’s tonguein Chrestomathia) and language interchangeably and
sometimes uses language in the sense of langue: “Of all known languages the
Grecian [Griceian] is assuredly, in its structure, the most plastic and most
manageable. Bentham even uses speech and language as equivalents, since he
speaks of parts of speech. But on the contrary, he sometimes emphasizes
differences that he ignores here. And he proceeds exactly like Hume in his
essay Of the Standard of Taste, where we find, e. g. , But it must also be
allowed, that some part of the seeming harmony in morals may be accounted for
from the very nature of language. The word, virtue, with its equivalent in
every tongue, implies praise; as that of vice does blame. REFS.: Bentham,
Jeremy. ChrestomathiEd. by M. J. Smith
and W. H. Burston. Oxford: Clarendon, . Hume, D. . Of the Standard of Taste. In
Four Dissertations. London: Thoemmes Continuum, . First published in 175
Saussure, F. de. Course in General Linguistics. Ed. by Bally and Sechehaye. Tr. R. Harris. LaSalle, IL: Open Court, . First
published in circulation among these forms. This formal continuity promotes a
great methodological inventiveness through the interplay among the various
grammatical entities that it enables.
The gerund: The form of -ing that is the most difficult to translate
Eng. is a nominalizing language. Any verb can be nominalized, and this ability
gives the Eng. philosophical language great creative power. “Nominalization,”
as Grice calls it, is in fact a substantivization without substantivization:
the verb is not substantivized in order to refer to action, to make it an
object of discourse which is possible in any language, notably in philosophical
Fr. and G. , but rather to nominalize
the verb while at the same time preserving its quality as a verb, and even to
nominalize whole clauses. Fr. can, of
course, nominalize faire, toucher, and sentir le faire, le toucher, even le
sentir, and one can do the same, in a still more systematic manner, in G. .
However, these forms will not have the naturalness of the Eng. expressions: the
making and unmaking the doing and undoing, the feeling, the feeling Byzantine,
the meaning. Above all, in these languages it is hard to construct expressions
parallel to, e. g. , the making of, the making use of, my doing wrongly, “my
meaning this,” (SIGNIFICATUM, COMMUNICATUM), his feeling pain, etc., that is,
mixtures of noun and verb having—and this is the grammatical characteristic of
the gerund — the external distribution of a nominal expression and the internal
distribution of a verbal expression. These forms are so common that they characterize,
in addition to a large proportion of book titles e. g. , The Making of the Eng.
Working Class, by E. P. Thomson; or, in Phil. , The Taming of Chance, or The
taming of the true, by I. Hacking, the language of classical Eng. Phil. . The
gerund functions as a sort of general equivalent or exchanger between
grammatical forms. In that way, it not only makes the language dynamic by
introducing into it a permanent temporal flux, but also helps create, in the
language itself, a kind of indeterminacy in the way it is parsed, which the
translator finds awkward when he understands the message without being able to
retain its lightness. Thus, in A Treatise of Human Nature, Hume speaks,
regarding the idea, of the manner of its being conceived, which a Fr. translator might render as sa façon d’être
conçue or perhaps, la façon dont il lui appartient d’être conçue, which is not
quite the same thing. And we v. agency and the gerund connected in a language
like that of Bentham, who minimizes the gaps between subject and object, verb
and noun: much regret has been suggested at the thoughts of its never having
yet been brought within the reach of the Eng. reader ChrestomathiTranslators
often feel obliged to render the act expressed by a gerund by the expression le
fait de, but this has a meaning almost contrary to the English. With its
gerund, Eng. avoids the discourse of fact by retaining only the event and
arguing only on that basis. The inevitable confusion suggested by Fr. when it translates the Eng. gerund is all the
more unfortunate in this case because it becomes impossible to distinguish when
Eng. uses the fact or the case from when it uses the gerund. The importance of
the event, along with the distinction between trial, case, and event, on the
one hand and happening on the other, is Sensibilia, he has criticized the claim
that we never perceive objects directly and is preparing to criticize its
negation as well: I am not going to maintain that we ought to embrace the
doctrine that we do perceive material things. Je ne vais pas soutenir que nous
devons embrasser la doctrine selon laquelle nous percevons vraiment les choses
matérielles. Finally, let us recall Austin’s first example of the performative,
which plays simultaneously on the anaphoric value of do and on its sense of
action, a duality that v.ms to be at the origin of the theory of the
performative, I do take this woman to be my lawful wedded wife—as uttered in
the course of the marriage ceremony Oui à savoir: je prends cette femme pour
épouse’énoncé lors d’une cérémonie de mariage; How to Do Things with Words. On
the other hand, whereas faire is colored by a causative sense, Eng. uses to
make and to have—He made Mary open her bags il lui fit ouvrir sa valise; He had
Mary pour him a drink il se fit verser un verre—with this difference: that make
can indicate, as we v., coercion, whereas have presupposes that there is no
resistance, a difference that Fr. can
only leave implicit or explain by awkward periphrases. Twentieth-century Eng.
philosophers from Austin to Geach and Anscombe have examined these differences
and their philosophical implications very closely. Thus, in A Plea for Excuses,
Austin emphasizes the elusive meaning of the expression doing something, and
the correlative difficulty of determining the limits of the concept of
action—Is to sneeze to do an action? There is indeed a vague and comforting
idea that doing an action must come down to the making of physical movements.
Further, we need to ask what is the detail of the complicated internal machinery
we use in acting. Philosophical Papers No matter how partial they may be, these
opening remarks show that there is a specific, intimate relation between
ordinary language and philosophical language in English language Phil. . This
enables us to better understand why the most Oxonian philosophers are so
comfortable resorting to idiomatic expressions cf. H. Putnam and even to
clearly popular usage: “Meanings ain’t in the head.” It ain’t necessarily so.As
for the title of Manx-ancestry Quine’s famous book From a Logical Point of
View, which at first seems austere, it is taken from a calypso song: “From a
logical point of view, Always marry women uglier than you. The Operator -ing:
Properties and Antimetaphysical Consequences -ing: A multifunctional operator
Although grammarians think it important to distinguish among the forms of
-ing—present participles, adjectives, the progressive, and the gerund—what
strikes the reader of scientific and philosophical texts is first of all the
free in Phil. , You are v.ing something Austin, Sense and Sensibilia, regarding
a stick in water; I really am perceiving the familiar objects Ayer, Foundations
of Empirical Knowledge. The passage to the form be + verb + -ing indicates,
then, not the progressiveness of the action but rather the transition into the
metalanguage peculiar to the philosophical description of phenomena of
perception. The sole exception is, curiously, to know, which is practically
never used in the progressive: even if we explore the philosophical and epistemological
literature, we do not find “I am knowing” or he was knowing, as if knowledge
could not be conceived as a process. In English, there is a great variety of
what are customarily called aspects, through which the status of the action is
marked and differentiated in a more systematic way than in Fr. or G. , once again because of the -ing
ending: he is working / he works / he worked / he has been working. Unlike what
happens in Slavic languages, aspect is marked at the outset not by a duality of
verbal forms but instead by the use of the verb to be with a verb ending in
-ing imperfect or progressive, by opposition to the simple present or past
perfect. Moreover, Grice mixes several aspects in a single expression:
iterativity, progressivity, completion, as in it cannot fail to have been
noticed Austin, How to Do Things. These are nuances, or implicate, as Labov and
then Pinker recently observed, that are not peculiar to classical or written
Eng. but also exist in certain vernaculars that appear to be familiar or
allegedly ungrammatical. The vernacular seems particularly sophisticated on
this point, distinguishing “he be working” from “he working” —that is, between
having a regular job and being engaged in working at a particular moment,
standard usage being limited to “he is working” Pinker, Language Instinct.
Whether or not the notion of aspect is used, it seems clear that in Eng. there
is a particularly subtle distinction between the different degrees of
completion, of the iterativity or development of an action, that leads Oxonian
philosophers to pay more attention to these questions and even to surprising
inventions, such as that of ‘implicaturum,’ or ‘visum,’ or ‘disimplicaturum.’
The linguistic dissolution of the idea of substance Fictive entities Thus the verb + -ing
operation simply gives the verb the temporary status of a noun while at the
same time preserving some of its syntactic and semantic properties as a verb,
that is, by avoiding substantivization. It is no accident that the
substantiality of the I think asserted by Descartes was opposed by virtually
all the Eng. philosophers of the seventeenth century. If a personal identity
can be constituted by the making our distant perceptions influence each other,
and by giving us a present concern for our past or future pains or pleasures
Hume, Treatise of Human Nature, it does not require positing a substance: the
substantivization of making and giving meets the need. We can also consider the
way in which Russell Analysis of Matter, ch.27 makes his reader understand far
more easily than does Bachelard, and without having to resort to the category
of an epistemological obstacle, that one can perfectly well posit an atom as a
series of events without according it the status of a substance. crucial in discussions
of probability. The very definition of probability with which Bayes operates in
An Essay towards Solving a Problem, the first great treatise on subjective
probability, is based on this status of the happening, the event conceived not
in terms of its realization or accomplishment but in terms of its expectation:
The probability of any event is the ratio between the value at which an
expectation depending on the happening of the event ought to be computed, and
the value of the thing expected upon its happening. The progressive: Tense and aspect If we now
pass from the gerund to the progressive, another construction that uses -ing, a
new kind of problem appears: that of the aspect and temporality of actions. An
interesting case of tr. difficulty is, e. g. , the one posed by Austin
precisely when he attempts, in his presentation of performatives, to
distinguish between the sentence and the act of saying it, between statement
and utterance: there are utterances, such as the uttering of the sentence is, or
is part of, the doing of an action How to Do Things. The tr. difficulty here is
caused by the combination in the construction in -ing of the syntactical
flexibility of the gerund and a progressive meaning. Does the -ing construction
indicate the act, or the progressiveness of the act? Similarly, it is hard to
choose to translate “On Referring” P. F. Strawson as De la référence rather
than as De l’action de référer. Should one translate On Denoting Russell as De
la dénotation the usual tr. or as Du dénoter? The progressive in the strict
sense—be + verb + -ing— indicates an action at a specific moment, when it has
already begun but is not yet finished. A little farther on, Austin allows us to
gauge the ease of Eng. in the whole of these operations. “To utter the sentence
is not to describe my doing of what I should be said in so uttering to be
doing. The Fr. tr. gives, correctly:
Énoncer la phrase, ce n’est pas décrire ce qu’il faut bien reconnaître que je
suis en train de faire en parlant ainsi, but this remains unsatisfying at best,
because of the awkwardness of en train de. Moreover, in many cases, en train de
is simply not suitable insofar as the -ing does not indicate duration: e. g. ,
in At last I am v.ing . It is interesting to examine from this point of view
the famous category of verbs of perception, verbum percipiendi. It is
remarkable that these verbs v., hear can be in some cases used with the
construction be + verb + -ing, since it is generally said even in grammar books
that they can be used only in the present or simple past and not in the
progressive. This rule probably is thought to be connected with something like
the immediacy of perception, and it can be compared with the fact that the
verbs to know and to understand are also almost always in the present or the
simple past, as if the operations of the understanding could not be presented
in the progressive form and were by definition instantaneous; or as if, on the
contrary, they transcended the course of time. In reality, there are counterexamples.
“I don’t know if I’m understanding you correctly”; You are hearing voices; and
often Oxonian Phil. , which makes their tr. particularly indigestible,
especially in Fr. , where -ismes gives a very Scholastic feel to the
classifications translated. In addition to the famous term realism, which has
been the object of so many contradictory definitions and so many debates over
past decades that it has been almost emptied of meaning, we may mention some
common but particularly obscure for anyone not familiar with the theoretical
context terms: “cognitivism,” noncognitivism, coherentism, eliminativism,
consequentialism, connectionism, etSuch terms in which moral Phil. is particularly fertile are in general
transposed into Fr. without change in a
sort of new, international philosophical language that has almost forgone tr..
More generally, in Eng. as in G. , words can be composed by joining two other
words far more easily than in Fr. —without specifying the logical connections
between the terms: toothbrush, pickpocket, lowlife, knownothing; or, for more
philosophical terms: aspect-blind, language-dependent, rule-following,
meaning-holism, observer-relative, which are translatable, of course, but not
without considerable awkwardness.
Oxonian philosophese. Oxonian
Phil. seems to establish a language that
is stylistically neutral and appears to be transparently translatable. Certain
specific problems—the tr. of compound words and constructions that are more
flexible in Eng. and omnipresent in current philosophical discourse, such as
the thesis that la thèse selon laquelle, the question whether la question de
savoir si, and my saying that le fait que je dise que—make Fr. tr.s of contemporary Eng. philosophical texts
very awkward, even when the author writes in a neutral, commonplace style.
Instead, these difficulties, along with the ease of construction peculiar to
English, tend to encourage non-Oxonian analytical philosophers to write
directly in Gricese, following the example of many of their European colleagues,
or else to make use of a technical vernacular we have noted the -isms and
compounds that is frequently heavy going and not very inventive when
transRomang terms which are usually transliterated. This situation is certainly
attributable to the paradoxical character of Gricese, which established itself
as a philosophical language in the second half of the twentieth century: it is
a language that is apparently simple and accessible and that thus claims a kind
of universality but that is structured, both linguistically and
philosophically, around major stumbling blocks to do, -ing, etthat often make
it untranslatable. It is paradoxically this untranslatability, and not its
pseudo-transparency, that plays a crucial role in the process of
universalization. . IThe Austinian Paradigm: Ordinary Language and Phil. The proximity of ordinary language and
philosophical language, which is rooted in classical English-language Phil. ,
was theorized in the twentieth century by Austin and can be summed up in the
expression “‘ordinary’-language philosophy”. Ordinary language Phil. is interested This sort of overall
preeminence in Eng. of the verbal and the subjective over the nominal and the
objective is clear in the difference in the logic that governs the discourse of
affectivity in Fr. and in English. How
would something that one is correspond to something that one has, as in the
case of fear in Fr. avoir peur? It
follows that a Fr. man—who takes it for granted that fear is something that one
feels or senses—cannot feel at home with the difference that Eng. naturally
makes between something that has no objective correlative because it concerns
only feeling like fear; and what is available to sensation, implying that what
is felt through it has the status of an object. Thus in Eng. something is
immediately grasped that in Fr. v.ms a
strange paradox, viz. that passion, as Bentham notes in Deontology, is a
fictive entity. Thus what sounds in Fr. like
a nominalist provocation is implicated in the folds of the Eng. language. A
symbolic theory of affectivity is thus more easily undertaken in Eng. than in
Fr. , and if an ontological conception of affectivity had to be formulated in
English, symmetrical difficulties would be encountered. Reversible derivations Another particularity
of English, which is not without consequences in Phil. , is that its poverty
from the point of view of inflectional morphology is compensated for by the
freedom and facility it offers for the construction of all sorts of
derivatives. Nominal derivatives based on adjectives and using suffixes such as
-ity, -hood, -ness, -y. The resulting compounds are very difficult to
differentiate in Fr. and to translate in
general, which has led, in contemporary Fr.
tr.s, to various incoherent makeshifts. To list the most common
stumbling blocks: privacy privé-ité, innerness intériorité, not in the same
sense as interiority, vagueness caractère vague, goodness bonté, in the sense
of caractère bon, rightness justesse, “sameness,” similarité, in the sense of
mêmeté, ordinariness, “appropriateness,” caractère ordinaire, approprié,
unaccountability caractère de ce dont il est impossible de rendre compte.
Adjectival derivatives based on nouns, using numerous suffixes: -ful, -ous, -y,
-ic, -ish, -al e.g., meaningful, realistic, holistic, attitudinal, behavioral.
Verbal derivatives based on nouns or adjectives, with the suffixes -ize, -ify,
-ate naturalize, mentalize, falsify, and even without suffixes when possible
e.g., the title of an article “How Not to Russell Carnap’s Aufbau,” i.e., how
not to Russell Carnap’s Aufbau. d. Polycategorial derivatives based on verbs,
using suffixes such as -able, -er, -age, -ismrefutable, truthmaker. The
reversibility of these nominalizations and verbalizations has the essential
result of preventing the reification of qualities or acts. The latter is more
difficult to avoid in Fr. and G. , where
nominalization hardens and freezes notions compare intériorité and innerness,
which designates more a quality, or even, paradoxically, an effect, than an
entity or a domain. But this kind of ease in making compounds has its flip
side: the proliferation of -isms in liberties with the natural uses of the
language. The philosophers ask, e. g. , how they can know that there is a real
object there, but the question How do I know? can be asked in ordinary language
only in certain contexts, that is, where it is always possible, at least in
theory, to eliminate doubt. The doubt or question But is it a real one? has
always must have a special basis, there must be some reason for suggesting that
it ’t real, in the sense of some specific way in which it is suggested that
this experience or item may be phoney. The wile of the metaphysician consists
in asking Is it a real table? a kind of object which has no obvious way of
being phoney and not specifying or limiting what may be wrong with it, so that
I feel at a loss how to prove it is a real one. It is the use of the word real
in this manner that leads us on to the supposition that real has a single
meaning the real world, material objects, and that a highly profound and
puzzling one. Austin, Philosophical Papers This analysis of real is taken up
again in Sense and Sensibilia, where Austin criticizes the notion of a sense
datum and also a certain way of raising problems supposedly on the basis of
common opinion e. g. , the common opinion that we really perceive things—but in
reality on the basis of a pure construction. To state the case in this way,
Austin says, is simply to soften up the plain man’s alleged views for the
subsequent treatment; it is preparing the way for, by practically attributing
to him, the so-called philosophers’ view. Phil. ’s frequent recourse to the
ordinary is characterized by a certain condescension toward the common man. The
error or deception consists in arguing the philosopher’s position against the
ordinary position, because if the in what we should say when. It is, in other
words, a Phil. of language, but on the
condition that we never forget that we are looking not merely at words or ‘meanings,’
whatever they may be but also at the realities we use the words to talk about,
as Austin emphasizes A Plea for Excuses, in Philosophical Papers. During the
twentieth century or more precisely, between the 1940s and the s, there was a
division of the paradigms of the Phil.
of language between the logical clarification of ordinary language, on
the one hand, and the immanent examination of ordinary language, on the other.
The question of ordinary language and the type of treatment that it should be
given—a normative clarification or an internal examination—is present in and
even constitutive of the legacy of logical positivism. Wittgenstein’s work
testifies to this through the movement that it manifests and performs, from the
first task of the Phil. of language the
creation of an ideal or formal language to clarify everyday language to the
second the concern to examine the multiplicity of ordinary language’s uses. The
break thus accomplished is such that one can only agree with Rorty’s statement
in his preface to The Linguistic Turn that the only difference between Ideal
Language Philosophers and Ordinary Language Philosophers is a disagreement
about which language is ideal. In the renunciation of the idea of an ideal
language, or a norm outside language, there is a radical change in perspective
that consists in abandoning the idea of something beyond language: an idea that
is omnipresent in the whole philosophical tradition, and even in current
analytical Phil. . Critique of language and Phil. More generally, Austin criticizes traditional
Phil. for its perverse use of ordinary
language. He constantly denounces Phil. ’s abuse of ordinary language—not so
much that it forgets it, but rather that it exploits it by taking 2 A defect in
the Eng. language? Between according to Bentham Eng. philosophers are not very
inclined toward etymology—no doubt because it is often less traceable than it
is in G. or even in Fr. and discourages a certain kind of commentary.
There are, however, certain exceptions, like Jeremy Bentham’s analysis of the
words “in,” “or,” “between,” “and,” etc., -- cf. Grice on “to” and “or”“Does it
make sense to speak of the ‘sense’ of ‘to’?” -- through which Eng. constructs
the kinds of space that belong to a very specific topiLet us take the case of
between, which Fr. can render only by
the word entre. Both the semantics and the etymology of entre imply the number
three in Fr. , since what is entre intervenes as a third term between two
others which it separates or brings closer in Lat., in-ter; in Fr., en tiers;
as a third. This is not the case in English, which constructs between in accord
with the number two in conformity with the etymology of this word, by tween, in
pairs, to the point that it can imagine an ordering, even when it involves
three or more classes, only in the binary mode: comon between three? relation
between three?—the hue of selfcontradictoriness presents itself on the very
face of the phrase. By one of the words in it, the number of objects is
asserted to be three: by another, it is asserted to be no more than two. To the
use thus exclusively made of the word between, what could have given rise, but
a sort of general, howsoever indistinct, perception, that it is only one to one
that objects can, in any continued manner, be commodiously and effectually
compared. The Eng. language labours under a defect, which, when it is compared
in this particular with other European langues, may perhaps be found peculiar
to it. By the derivation, and thence by the inexcludible import, of the word
between i.e., by twain, the number of the objects, to which this operation is
represented as capable of being applied, is confined to two. By the Roman
inter—by its Fr. derivation entre—no
such limitation v.ms to be expressed. Chrestomathia REFS.: Bentham, Jeremy.
ChrestomathiEd. by M. J. Smith and W. H.
Burston. Oxford: Clarendon, To my mind, experience proves amply that we do come
to an agreement on what we should say when such and such a thing, though I
grant you it is often long and difficult. I should add that too often this is
what is missing in Phil. : a preliminary datum on which one might agree at the
outset. We do not claim in this way to discover all the truth that exists
regarding everything. We discover simply the facts that those who have been
using our language for centuries have taken the trouble to notice.
Performatif-Constatif Austinian agreement is possible for two reasons: Ordinary language cannot claim to have the
last word. Only remember, it is the first word Philosophical Papers. The
exploration of language is also an exploration of the inherited experience and
acumen of many generations of men ibid..
Ordinary language is a rich treasury of differences and embodies all the
distinctions men have found worth drawing, and the connections they have found
worth marking, in the lifetimes of many generations. These are certainly more
subtle and solid than any that you or I are likely to think up in our
arm-chairs of an afternoon ibid.. It is this ability to indicate differences that
makes language a common instrument adequate for speaking things in the world.
Who is we? Cavell’s question It is clear that analytical Phil. , especially as
it has developed in the United States since the 1940s, has moved away from the
Austinian paradigm and has at the same time abandoned a certain kind of
philosophical writing and linguistic subtlety. But that only makes all the more
powerful and surprising the return to Austin advocated by Stanley Cavell and
the new sense of ordinary language Phil.
that is emerging in his work and in contemporary American Phil. . What
right do we have to refer to our uses? And who is this we so crucial for Austin
that it constantly recurs in his work? All we have, as we have said, is what we
say and our linguistic agreements. We determine the meaning of a given word by
its uses, and for Austin, it is nonsensical to ask the question of meaning for
instance, in a general way or looking for an entity; v. NONSENSE. The quest for
agreement is founded on something quite different from signification or the
determination of the common meaning. The agreement Austin is talking about has
nothing to do with an intersubjective consensus; it is not founded on a
convention or on actual agreements. It is an agreement that is as objective as
possible and that bears as much on language as on reality. But what is the
precise nature of this agreement? Where does it come from, and why should so
much importance be accorded to it? That is the question Cavell asks, first in
Must We Mean What We Say? and then in The Claim of Reason: what is it that
allows Austin and Witters to say what they say about what we say? A claim is
certainly involved here. That is what Witters means by our agreement in
judgments, and in language it is based only on itself, on the latter exists, it
is not on the same level. The philosopher introduces into the opinion of the
common man particular entities, in order then to reject, amend, or explain it.
The method of ordinary language: Be your size. Small Men. Austin’s immanent
method comes down to examining our ordinary use of ordinary words that have
been confiscated by Phil. , such as ‘true’ and ‘real,’ in order to raise the
question of truth: Fact that is a phrase designed for use in situations where
the distinction between a true statement and the state of affairs about which
it is a truth is neglected; as it often is with advantage in ordinary life,
though seldom in Phil. . So speaking about the fact that is a compendious way
of speaking about a situation involving both words and world. Philosophical
Papers We can, of course, maintain along with a whole trend in analytical
Phil. from Frege to Quine that these are
considerations too small and too trivial from which to draw any conclusions at
all. But it is this notion of fact that Austin relies on to determine the
nature of truth and thus to indicate the pertinence of ordinary language as a
relationship to the world. This is the nature of Austin’s approach: the foot of
the letter is the foot of the ladder ibid.. For Austin, ordinary words are part
of the world: we use words, and what makes words useful objects is their
complexity, their refinement as tools ibid.: We use words to inform ourselves
about the things we talk about when we use these words. Or, if that v.ms too naïve:
we use words as a way of better understanding the situation in which we find
ourselves led to make use of words. What makes this claim possible is the
proximity of dimension, of size, between words and ordinary objects. Thus
philosophers should, instead of asking whether truth is a substance, a quality,
or a relation, take something more nearly their own size to strain at ibid..
The Fr. translators render size by
mesure, which v.ms excessively theoretical; the reference is to size in the
material, ordinary sense. One cannot know everything, so why not try something
else? Advantages of slowness and cooperation. Be your size. Small Men.
Conversation cited by Urmson in A Symposium Austin emphasizes that this
technique of examining words which he ended up calling linguistic phenomenology
(and Grice linguistic botany) is not new and that it has existed since
Socrates, producing its slow successes. But Grice is the first to make a
systematic application of such a method, which is based, on the one hand, on the
manageability and familiarity of the objects concerned and, on the other hand,
on the common agreement at which it arrives in each of its stages. The problem
is how to agree on a starting point, that is, on a given. This given or datum,
for Grice, is Gricese, not as a corpus consisting of utterances or words, but
as the site of agreement about what we should say when. Austin regards language
as an empirical datum or experimental dat -- Bayes, T. . An Essay towards
Solving a Problem in the Doctrine of Chances, with Richard Price’s Foreword and
Discussion. In Facsimiles of Two Papers by Bayes. : Hafner, . First published
in 176 Bentham, Jeremy. ChrestomathiEd.
by M. J. Smith and W. H. Burston. Oxford: Clarendon, . . Deontology.
Ed. by Goldworth. Oxford: Clarendon, . .
Essay on Language. In The Works of Jeremy Bentham, ed. by J. Bowring. Edinburgh: W. Tait, 18384
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The Works, ed. by Luce and T. E. Jessop,
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In Quest of the Ordinary. Chicago: University of Chicago Press, . . Must We
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published in 195 . Philosophical Investigations. Tr. G.E.M. Anscombe. Oxford: Blackwell, 195 we,
as Cavell says in a passage that illustrates many of the difficulties of tr. we
have discussed up to this point: We learn and teach words in certain contexts,
and then we are expected, and expect others, to be able to project them into
further contexts. Nothing ensures that this projection will take place in
particular, not the grasping of universals nor the grasping of books of rules,
just as nothing ensures that we will make, and understand, the same
projections. That we do, on the whole, is a matter of our sharing routes of
interest and feeling, modes of response, senses of humor and ‑of significance
and of fulfillment, of what is outrageous, of what is similar to what else,
what a rebuke, what forgiveness, of when an utterance is an assertion, when an
appeal, when an explanation—all the whirl of organism Witterscalls forms of
life. Human speech and activity, sanity and community, rest upon nothing more,
but nothing less, than this. It is a vision as simple as it is and because it
is terrifying. Must We Mean What We Say?
The fact that our ordinary language is based only on itself is not only a
reason for concern regarding the validity of what we do and say, but also the
revelation of a truth about ourselves that we do not always want to recognize:
the fact that I am the only possible source of such a validity. That is a new
understanding of the fact that language is our form of life, precisely its
ordinary form. Cavell’s originality lies in his reinvention of the nature of
ordinary language in American thought and in the connection he
establishes—notably through his reference to Emerson and Thoreau, American
thinkers of the ordinary—between this nature of language and human nature, finitude.
It is also in this sense that the question of linguistic agreements
reformulates that of the ordinary human condition and that the acceptance of
the latter goes hand in hand with the recognition of the former. In Cavell’s
Americanization of ordinary language Phil.
there thus emerges a radical form of the return to the ordinary. But ’t
this ordinary, e. g. , that of Emerson in his Essays, precisely the one that
the whole of Eng. Phil. has been trying
to find, or rather to feel or taste, since its origins? Thus we can compare the
writing of Emerson or James, in texts like Experience or Essays in Radical
Empiricism, with that of the British empiricists when they discuss experience,
the given, and the sensible. This is no doubt one of the principal dimensions
of philosophical writing in English: always to make the meaning more available
to the senses. J.-Pierre Cléro Sandra Laugier REFS.: Austin, J. L. How to Do
Things with Words. Oxford: Clarendon, . . Performatif-Constatif. In La
philosophie analytique, ed. by J. Wahl
and L. Beck. : Editions du Minuit, . Tr. in Performative-Constative. In
Phil. and Ordinary Language, ed. by E. Caton. Urbana: University of Illinois
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J. O. Urmson and G. J. Warnock. Oxford: Clarendon, . . Sense and
SensibiliOxford: Clarendon, . Ayer, J. The Foundations of Empirical Knowledge.
London: Macmillan, 1940. ENTREPRENEUR 265 form the basis of the kingdom by
means of calculated plans; to the legal domain: someone who contravenes the hierarchical
order of the professions and subverts their rules; finally, to the economic
domain: someone who agrees, on the basis of a prior contract an established
price to execute a project collection of taxes, supply of an army, a merchant
expedition, construction, production, transaction, assuming the hazards related
to exchange and time. This last usage corresponds to practices that became more
and more socially prominent starting in the sixteenth century. Let us focus on
the term in economics. The engagement of the entrepreneur in his project may be
understood in various ways, and the noun entrepreneur translated in various
ways into English: by contractor if the stress is placed on the engagement with
regard to the client to execute the task according to conditions negotiated in
advance a certain time, a fixed price, firm price, tenant farming; by
undertaker now rare in this sense when we focus on the engagement in the
activity, taking charge of the project, its practical realization, the setting
in motion of the transaction; and by adventurer, enterpriser, and projector, to
emphasize the risks related to speculation. At the end of the eighteenth
century, the Fr. word entreprise
acquired the new meaning of an industrial establishment. Entrepreneur accordingly
acquired the sense of the head or direction of a business of production
superintendent, employer, manager. In France, at the beginning of the
eighteenth century, the noun entrepreneur had strong political connotations, in
particular in the abundant pamphlets containing mazarinades denouncing the
entrepreneurs of tax farming. The economist Pierre de Boisguilbert wrote the
Factum de la France, the largest trial ever conducted by pen against the big
financiers, entrepreneurs of the wealth of the kingdom, who take advantage of
its good administration its political economy in the name of the entrepreneurs
of commerce and industry, who contribute to the increase in its wealth.
Boisguilbert failed in his project of reforming the tax farm, or tax business,
and it was left to a clever financier, Richard Cantillon, to create the
economic concept of the entrepreneur. Chance in Business: Risk and Uncertainty
There is no trace of Boisguilbert’s moral indignation in Cantillon’s Essai sur
la nature du commerce en générale Essay on the nature of commerce in general.
Having shown that all the classes and all the men of a State live or acquire
wealth at the expense of the owners of the land bk. 1, ch.12, he suggests that
the circulation and barter of goods and merchandise, like their production, are
conducted in Europe by entrepreneurs and haphazardly bk. 1, of ch.1 He then
describes in detail what composes the uncertain aspect of the action of an
entrepreneur, in which he acts according to his ideas and without being able to
predict, in which he conceives and executes his plans surrounded by the hazard
of events. The uncertainty related to business profits turns especially on the
fact that it is dependent on the forms of consumption of the owners, the only
members of society who are independent—naturally independent, Cantillon
specified. Entrepreneurs are those who are capable of breaking ÉNONCÉ Énoncé,
from the Roman enuntiare to express, divulge; from ex out and nuntiare to make
known; a nuntius is a messenger, a nuncio, ranges over the same type of entity
as do proposition and phrase: it is a basic unit of syntax, the relevant
question being whether or not it is the bearer of truth values. An examination
of the differences among these entities, and the networks they constitute in
different languages especially in English: sentence, statement, utterance,
appears under PROPOSITION. V. also DICTUM and LOGOS, both of which may be
acceptably Tr. énoncé. Cf. PRINCIPLE,
SACHVERHALT, TRUTH, WORD especially WORD, Box
The essential feature of an énoncé is that it is considered to be a
singular occurrence and thus is paired with its énonciation: v. SPEECH ACT; cf.
ENGLISH, LANGUAGE, SENSE, SIGN, SIGNIFIER/SIGNIFIED, WITTICISM. v. DISCOURSE ENTREPRENEUR FR. ENG. adventurer, contractor, employer,
enterpriser, entrepreneur, manager, projector, undertaker, superintendent
v. ACT, AGENCY, BERUF, ECONOMY, LIBERAL,
OIKONOMIA, PRAXIS, UTILITY. Refs.: G. J. Warnock, “English philosophy,” H. P.
Grice, “Gricese,” BANC. griceian
casuistry: the case-analysis approach to the interpretation of general
moral rules. Casuistry starts with paradigm cases of how and when a given
general moral rule should be applied, and then reasons by analogy to cases in
which the proper application of the rule is less obvious e.g., a case in which lying is the only way
for a priest not to betray a secret revealed in confession. The point of
considering the series of cases is to ascertain the morally relevant
similarities and differences between cases. Casuistry’s heyday was the first
half of the seventeenth century. Reacting against casuistry’s popularity with
the Jesuits and against its tendency to qualify general moral rules, Pascal
penned a polemic against casuistry from which the term never recovered see his
Provincial Letters, 1656. But the kind of reasoning to which the term refers is
flourishing in contemporary practical ethics. grice’s handwave. A sort of handwave can mean in a one-off act of
communication something. It’s the example he uses. By a sort of handwave, the
emissor communicates either that he knows the route or that he is about to
leave the addressee. Handwave signals. Code. Cfr. the Beatles’s HELP.
Explicatum: We need some bodyImplicaturum: Not just Any Body. Why does this
matter to the philosopher? The thing is as follows. Grice was provoked by
Austin. To defeat Austin, Grice needs a ‘theory of communication.’ This theory
applies his early reflections on the intentional side to an act of
communication. This allows him to explain the explicatum versus the implicaturum.
By analysing each, Grice notes that there is no need to refer to linguistic
entities. So, the centrality of the handwave is an offshoot of his theory
designed to defeat Austin. Gice: “Blame Paget for my obsession with the
hand.”Refs.: Paget, “Ta-ta: when the hands are full, use your mouth.”H. P.
Grice, The utterer’s hand-wave.”grice’s creatures: the pirots. The
programme he calls ‘creature
construction.’ “I could have used the ‘grice,’ which was extinct by the time I
was born.” grice’s myth. Or Griceian
mythsThe Handbook of Griceian mythology. At one point Grice suggests that his
‘genitorial programme’ a kind of ideal-observer theory is meant as ‘didactic,’
and for expository purposes. It seems easier, as , as Grice and
Plato would agree, to answer a question about the genitorial programme rather
than use a first-person approach and appeal to introspection. Grice refers to the social contract as a ‘myth,’ which may
still explain, as ‘meaning’ does. G. R. Grice built his career on this myth. This
is G. R. Grice, of the social-contract fame. Cf. Strawson and Wiggins comparing
Grice’s myth with Plato’s, and they know what they are talking about. grice’s
martian chronicle -- Twin-Earthas
opposed to Mars -- a fictitious planet first visited by Hilary Putnam in a
thought experiment inspired by H. P. Grice in “Some remarks about the senses”
-- designed to show, among other things, that “ ‘meanings’ just ain’t in the
head” “The Meaning of ‘Meaning’,” 5. Twin-Earth is exactly like Earth with one
notable exception: ponds, rivers, and ice trays on Twin-Earth contain, not H2O,
but XYZ, a liquid
superficially indistinguishable from water but with a different chemical
constitution. According to Putnam, although some inhabitants of Twin-Earth
closely resemble inhabitants of Earth, ‘water’, when uttered by a
Twin-Earthling, does not mean water. Water is H2O, and, on Twin-Earth, the word
‘water’ designates a different substance, XYZ, Twin-water. The moral drawn by
Putnam is that the meanings of at least some of our words, and the significance
of some of our thoughts, depend, in part, on how things stand outside our
heads. Two “molecular duplicates,” two agents with qualitatively similar mental
lives, might mean very different things by their utterances and think very
different thoughts. Although Twin-Earth has become a popular stopping-off place
for philosophers en route to theories of meaning and mental content, others
regard Twin-Earth as hopelessly remote, doubting that useful conclusions can be
drawn about our Earthly circumstances from research conducted there. Suppose that long-awaited invasion of the
Martians takes place, that they turn out to be friendly creatures and teach us
their language. We get on all right, except that we find no verb in their
language which unquestionably corresponds to our verb “see.” Instead we find
two verbs which we decide to render as “x” and “y”: we find that (in their
tongue) they speak of themselves as x-ing, and also as y-ing, things to be of
this and that color, size, and shape. Further, in physical appearance they are
more or less like ourselves, except that in their heads they have, one above
the other, two pairs of organs, not perhaps exactly like one another, but each
pair more or less like our eyes: each pair of organs is found to be sensitive
to light waves. It turns out that for them x-ing is dependent on the operation
of the upper organs, and y-ing on that of the lower organs. The question which
it seems natural to ask is this: Are x-ing and y-ing both cases of seeing, the
difference between them being that x-ing is seeing with the upper organs, and
y-ing is seeing with the lower organs? Or alternatively, do one or both of
these accomplishments constitute the exercise of a new sense, other than that
of sight? If we adopt, to distinguish the senses, a combination of suggestion
(I) with one or both of suggestions (III) or (IV), the answer seems clear: both
x-ing and y-ing are seeing, with different pairs of organs. But is the question
really to be settled so easily? Would we not in fact want to ask whether x-ing
something to be round was like y-ing it to be round, or whether when something
x-ed blue to them this was like or unlike its y-ing blue to them? If in answer
to such questions as these they said, “Oh no, there’s all the difference in the
world!” then I think we should be inclined to say that either x-ing or y-ing
(if not both) must be something other than seeing: we might of course be quite unable
to decide which (if either) was seeing. (I am aware that here those whose
approach is more Wittgensteinian than my own might complain that unless
something more can be said about how the difference between x-ing and y-ing
might “come out” or show itself in publicly observable phenomena, then the
claim by the supposed Martians that x-ing and y-ing are different would be one
of which nothing could be made, which would leave one at a loss how to
understand it. First, I am not convinced of the need for “introspectible”
differences to show themselves in the way this approach demands (I shall not
discuss this point further); second, I think that if I have to meet this
demand, I can. One can suppose that one or more of these Martians acquired the
use of the lower y-ing organs at some comparatively late date in their careers,
and that at the same time (perhaps for experimental purposes) the operation of
the upper x-ing organs was inhibited. One might now be ready to allow that a
difference between Some Remarks about the Senses 47 x-ing and y-ing would have
shown itself if in such a situation the creatures using their y-ing organs for
the first time were unable straightaway, without any learning process, to use
their “color”-words fluently and correctly to describe what they detected
through the use of those organs.) It might be argued at this point that we have
not yet disposed of the idea that the senses can be distinguished by an amalgam
of suggestions (I), (III), and (IV); for it is not clear that in the example of
the Martians the condition imposed by suggestion (I) is fulfilled. The thesis,
it might be said, is only upset if x-ing and y-ing are accepted as being the
exercise of different senses; and if they are, then the Martians’ color-words
could be said to have a concealed ambiguity. Much as “sweet” in English may
mean “sweet-smelling” or “sweet-tasting,” so “blue” in Martian may mean
“blue-x-ing” or “blue-y-ing.” But if this is so, then the Martians after all do
not detect by x-ing just those properties of things which they detect by y-ing.
To this line of argument there are two replies: (1) The defender of the thesis
is in no position to use this argument; for he cannot start by making the
question whether x-ing and y-ing are exercises of the same sense turn on the
question (inter alia) whether or not a single group of characteristics is
detected by both, and then make the question of individuation of the group turn
on the question whether putative members of the group are detected by one, or
by more than one, sense. He would be saying in effect, “Whether, in x-ing and
y-ing, different senses are exercised depends (inter alia) on whether the same
properties are detected by x-ing as by y-ing; but whether a certain x-ed
property is the same as a certain y-ed property depends on whether x-ing and
y-ing are or are not the exercise of a single sense.” This reply seems fatal.
For the circularity could only be avoided by making the question whether “blue”
in Martian names a single property depend either on whether the kinds of
experience involved in x-ing and y-ing are different, which would be to
reintroduce suggestion (II), or on whether the mechanisms involved in x-ing and
y-ing are different (in this case whether the upper organs are importantly
unlike the lower organs): and to adopt this alternative would, I think, lead to
treating the differentiation of the senses as being solely a matter of their
mechanisms, thereby making suggestion (I) otiose. (2) Independently of its
legitimacy or illegitimacy in the present context, we must reject the idea that
if it is accepted that in x-ing and y-ing different senses are being exercised,
then Martian color-words will be ambiguous. For ex hypothesi there will be a
very close correlation between things x-ing blue and their y-ing blue, far
closer 48 H. P. Grice than that between things smelling sweet and their tasting
sweet. This being so, it is only to be expected that x-ing and y-ing should
share the position of arbiters concerning the color of things: that is, “blue”
would be the name of a single property, determinable equally by x-ing and
y-ing. After all, is this not just like the actual position with regard to
shape, which is doubly determinable, by sight and by touch? While I would not
wish to quarrel with the main terms of this second reply, I should like briefly
to indicate why I think that this final quite natural comparison with the case
of shape will not do. It is quite conceivable that the correlation between
x-ing and y-ing , in the case supposed, might be close enough to ensure that
Martian color-words designated doubly determinable properties, and yet that
this correlation should break down in a limited class of cases: for instance,
owing to some differences between the two pairs of organs, objects which transmitted
light of a particular wavelength might (in standard conditions) x blue but y
black. I suggest, then, that given the existence of an object which, for the
Martians, standardly x-ed blue but y-ed black (its real color being
undecidable), no conclusion could be drawn to the effect that other objects do,
or could as a matter of practiSome Remarks about the Senses 51 cal possibility
be made to, x one way and y another way either in respect of color or in
respect of some other feature within the joint province of x-ing and y-ing.
Refs.: H. P. Grice, “Some remarks about the senses,” in WoW --. Coady, “The
senses of the Martians.” Grice’s folksy
psychology: Grice loved Ramsey, “But Ramsey was born before
folk-psychology, so his ‘Theories’ is very dense.”” one sense, a putative
network of principles constituting a commonsense theory that allegedly
underlies everyday explanations of human behavior; the theory assigns a central
role to mental states like belief, desire, and intention. Consider an example
of an everyday commonsense psychological explanation: Jane went to the
refrigerator because she wanted a beer and she believed there was beer in the
refrigerator. Like many such explanations, this adverts to a so-called
propositional attitude a mental state,
expressed by a verb ‘believe’ plus a that-clause, whose intentional content is
propositional. It also adverts to a mental state, expressed by a verb ‘want’
plus a direct-object phrase, whose intentional content appears not to be
propositional. In another, related sense, folk psychology is a network of
social practices that includes ascribing such mental states to ourselves and
others, and proffering explanations of human behavior that advert to these
states. The two senses need distinguishing because some philosophers who
acknowledge the existence of folk psychology in the second sense hold that
commonsense psychological explanations do not employ empirical generalizations,
and hence that there is no such theory as folk psychology. Henceforth, ‘FP’
will abbreviate ‘folk psychology’ in the first sense; the unabbreviated phrase
will be used in the second sense. Eliminativism in philosophy of mind asserts
that FP is an empirical theory; that FP is therefore subject to potential
scientific falsification; and that mature science very probably will establish
that FP is so radically false that humans simply do not undergo mental states
like beliefs, desires, and intentions. One kind of eliminativist argument first
sets forth certain methodological strictures about how FP would have to
integrate with mature science in order to be true e.g., being smoothly
reducible to neuroscience, or being absorbed into mature cognitive science, and
then contends that these strictures are unlikely to be met. Another kind of
argument first claims that FP embodies certain strong empirical commitments
e.g., to mental representations with languagelike syntactic structure, and then
contends that such empirical presuppositions are likely to turn out false. One
influential version of folk psychological realism largely agrees with
eliminativism about what is required to vindicate folk psychology, but also
holds that mature science is likely to provide such vindication. Realists of
this persuasion typically argue, for instance, that mature cognitive science
will very likely incorporate FP, and also will very likely treat beliefs,
desires, and other propositional attitudes as states with languagelike
syntactic structure. Other versions of folkpsychological realism take issue, in
one way or another, with either i the eliminativists’ claims about FP’s
empirical commitments, or ii the eliminativists’ strictures about how FP must
mesh with mature science in order to be true, or both. Concerning i, for
instance, some philosophers maintain that FP per se is not committed to the
existence of languagelike mental representations. If mature cognitive science
turns out not to posit a “language of thought,” they contend, this would not
necessarily show that FP is radically false; instead it might only show that
propositional attitudes are subserved in some other way than via languagelike
representational structures. Concerning ii, some philosophers hold that FP can
be true without being as tightly connected to mature scientific theories as the
eliminativists require. For instance, the demand that the special sciences be
smoothly reducible to the fundamental natural sciences is widely considered an
excessively stringent criterion of intertheoretic compatibility; so perhaps FP
could be true without being smoothly reducible to neuroscience. Similarly, the
demand that FP be directly absorbable into empirical cognitive science is
sometimes considered too stringent as a criterion either of FP’s truth, or of
the soundness of its ontology of beliefs, desires, and other propositional
attitudes, or of the legitimacy of FP-based explanations of behavior. Perhaps
FP is a true theory, and explanatorily legitimate, even if it is not destined
to become a part of science. Even if FP’s ontological categories are not
scientific natural kinds, perhaps its generalizations are like generalizations
about clothing: true, explanatorily usable, and ontologically sound. No one
doubts the existence of hats, coats, or scarves. No one doubts the truth or
explanatory utility of generalizations like ‘Coats made of heavy material tend
to keep the body warm in cold weather’, even though these generalizations are
not laws of any science. Yet another approach to folk psychology, often wedded
to realism about beliefs and desires although sometimes wedded to instrumentalism,
maintains that folk psychology does not employ empirical generalizations, and
hence is not a theory at all. One variant denies that folk psychology employs
any generalizations, empirical or otherwise. Another variant concedes that
there are folk-psychological generalizations, but denies that they are
empirical; instead they are held to be analytic truths, or norms of
rationality, or both at once. Advocates of non-theory views typically regard
folk psychology as a hermeneutic, or interpretive, enterprise. They often claim
too that the attribution of propositional attitudes, and also the proffering
and grasping of folk-psychological explanations, is a matter of imaginatively
projecting oneself into another person’s situation, and then experiencing a
kind of empathic understanding, or Verstehen, of the person’s actions and the
motives behind them. A more recent, hi-tech, formulation of this idea is that
the interpreter “runs a cognitive simulation” of the person whose actions are
to be explained. Philosophers who defend folk-psychological realism, in one or
another of the ways just canvassed, also sometimes employ arguments based on
the allegedly self-stultifying nature of eliminativism. One such argument
begins from the premise that the notion of action is folk-psychological that a behavioral event counts as an action
only if it is caused by propositional attitudes that rationalize it under some
suitable actdescription. If so, and if humans never really undergo
propositional attitudes, then they never really act either. In particular, they
never really assert anything, or argue for anything since asserting and arguing
are species of action. So if eliminativism is true, the argument concludes,
then eliminativists can neither assert it nor argue for it an allegedly intolerable pragmatic paradox.
Eliminativists generally react to such arguments with breathtaking equanimity.
A typical reply is that although our present concept of action might well be
folk-psychological, this does not preclude the possibility of a future
successor concept, purged of any commitment to beliefs and desires, that could
inherit much of the role of our current, folk-psychologically tainted, concept
of action. grice’s computatio sive logica -- computability, roughly, the possibility
of computation on a Turing machine. The first convincing general definition, A.
N. Turing’s 6, has been proved equivalent to the known plausible alternatives,
so that the concept of computability is generally recognized as an absolute
one. Turing’s definition referred to computations by imaginary tape-processing
machines that we now know to be capable of computing the same functions whether
simple sums and products or highly complex, esoteric functions that modern
digital computing machines could compute if provided with sufficient storage
capacity. In the form ‘Any function that is computable at all is computable on
a Turing machine’, this absoluteness claim is called Turing’s thesis. A
comparable claim for Alonzo Church’s 5 concept of lcomputability is called
Church’s thesis. Similar theses are enunciated for Markov algorithms, for S. C.
Kleene’s notion of general recursiveness, etc. It has been proved that the same
functions are computable in all of these ways. There is no hope of proving any
of those theses, for such a proof would require a definition of
‘computable’ a definition that would
simply be a further item in the list, the subject of a further thesis. But
since computations of new kinds might be recognizable as genuine in particular
cases, Turing’s thesis and its equivalents, if false, might be decisively
refuted by discovery of a particular function, a way of computing it, and a
proof that no Turing machine can compute it. The halting problem for say Turing
machines is the problem of devising a Turing machine that computes the function
hm, n % 1 or 0 depending on whether or not Turing machine number m ever halts,
once started with the number n on its tape. This problem is unsolvable, for a
machine that computed h could be modified to compute a function gn, which is
undefined the machine goes into an endless loop when hn, n % 1, and otherwise
agrees with hn, n. But this modified machine
Turing machine number k, say
would have contradictory properties: started with k on its tape, it
would eventually halt if and only if it does not. Turing proved unsolvability
of the decision problem for logic the problem of devising a Turing machine
that, applied to argument number n in logical notation, correctly classifies it
as valid or invalid by reducing the halting problem to the decision problem,
i.e., showing how any solution to the latter could be used to solve the former
problem, which we know to be unsolvable.
computer theory, the theory of the design, uses, powers, and limits of
modern electronic digital computers. It has important bearings on philosophy,
as may be seen from the many philosophical references herein. Modern computers
are a radically new kind of machine, for they are active physical realizations
of formal languages of logic and arithmetic. Computers employ sophisticated
languages, and they have reasoning powers many orders of magnitude greater than
those of any prior machines. Because they are far superior to humans in many
important tasks, they have produced a revolution in society that is as profound
as the industrial revolution and is advancing much more rapidly. Furthermore,
computers themselves are evolving rapidly. When a computer is augmented with
devices for sensing and acting, it becomes a powerful control system, or a robot.
To understand the implications of computers for philosophy, one should imagine
a robot that has basic goals and volitions built into it, including conflicting
goals and competing desires. This concept first appeared in Karel C v apek’s
play Rossum’s Universal Robots 0, where the word ‘robot’ originated. A computer
has two aspects, hardware and programming languages. The theory of each is
relevant to philosophy. The software and hardware aspects of a computer are
somewhat analogous to the human mind and body. This analogy is especially
strong if we follow Peirce and consider all information processing in nature
and in human organisms, not just the conscious use of language. Evolution has
produced a succession of levels of sign usage and information processing:
self-copying chemicals, self-reproducing cells, genetic programs directing the
production of organic forms, chemical and neuronal signals in organisms,
unconscious human information processing, ordinary languages, and technical
languages. But each level evolved gradually from its predecessors, so that the
line between body and mind is vague. The hardware of a computer is typically
organized into three general blocks: memory, processor arithmetic unit and
control, and various inputoutput devices for communication between machine and
environment. The memory stores the data to be processed as well as the program
that directs the processing. The processor has an arithmetic-logic unit for
transforming data, and a control for executing the program. Memory, processor,
and input-output communicate to each other through a fast switching system. The
memory and processor are constructed from registers, adders, switches, cables,
and various other building blocks. These in turn are composed of electronic
components: transistors, resistors, and wires. The input and output devices
employ mechanical and electromechanical technologies as well as electronics.
Some input-output devices also serve as auxiliary memories; floppy disks and
magnetic tapes are examples. For theoretical purposes it is useful to imagine
that the computer has an indefinitely expandable storage tape. So imagined, a
computer is a physical realization of a Turing machine. The idea of an
indefinitely expandable memory is similar to the logician’s concept of an
axiomatic formal language that has an unlimited number of proofs and theorems.
The software of a modern electronic computer is written in a hierarchy of
programming languages. The higher-level languages are designed for use by human
programmers, operators, and maintenance personnel. The “machine language” is
the basic hardware language, interpreted and executed by the control. Its words
are sequences of binary digits or bits. Programs written in intermediate-level
languages are used by the computer to translate the languages employed by human
users into the machine language for execution. A programming language has
instructional means for carrying out three kinds of operations: data operations
and transfers, transfers of control from one part of the program to the other,
and program self-modification. Von Neumann designed the first modern
programming language. A programming language is general purpose, and an
electronic computer that executes it can in principle carry out any algorithm
or effective procedure, including the simulation of any other computer. Thus
the modern electronic computer is a practical realization of the abstract
concept of a universal Turing machine. What can actually be computed in
practice depends, of course, on the state of computer technology and its
resources. It is common for computers at many different spatial locations to be
interconnected into complex networks by telephone, radio, and satellite
communication systems. Insofar as users in one part of the network can control
other parts, either legitimately or illegitimately e.g., by means of a
“computer virus”, a global network of computers is really a global computer.
Such vast computers greatly increase societal interdependence, a fact of
importance for social philosophy. The theory of computers has two branches,
corresponding to the hardware and software aspects of computers. The
fundamental concept of hardware theory is that of a finite automaton, which may
be expressed either as an idealized logical network of simple computer
primitives, or as the corresponding temporal system of input, output, and
internal states. A finite automaton may be specified as a logical net of
truth-functional switches and simple memory elements, connected to one another
by computer theory computer theory idealized wires. These elements function
synchronously, each wire being in a binary state 0 or 1 at each moment of time
t % 0, 1, 2, . . . . Each switching element or “gate” executes a simple
truth-functional operation not, or, and, nor, not-and, etc. and is imagined to
operate instantaneously compare the notions of sentential connective and truth
table. A memory element flip-flop, binary counter, unit delay line preserves
its input bit for one or more time-steps. A well-formed net of switches and memory
elements may not have cycles through switches only, but it typically has
feedback cycles through memory elements. The wires of a logical net are of
three kinds: input, internal, and output. Correspondingly, at each moment of
time a logical net has an input state, an internal state, and an output state.
A logical net or automaton need not have any input wires, in which case it is a
closed system. The complete history of a logical net is described by a
deterministic law: at each moment of time t, the input and internal states of
the net determine its output state and its next internal state. This leads to
the second definition of ‘finite automaton’: it is a deterministic finite-state
system characterized by two tables. The transition table gives the next internal
state produced by each pair of input and internal states. The output table
gives the output state produced by each input state and internal state. The
state analysis approach to computer hardware is of practical value only for
systems with a few elements e.g., a binary-coded decimal counter, because the
number of states increases as a power of the number of elements. Such a rapid
rate of increase of complexity with size is called the combinatorial explosion,
and it applies to many discrete systems. However, the state approach to finite
automata does yield abstract models of law-governed systems that are of
interest to logic and philosophy. A correctly operating digital computer is a
finite automaton. Alan Turing defined the finite part of what we now call a
Turing machine in terms of states. It seems doubtful that a human organism has
more computing power than a finite automaton. A closed finite automaton
illustrates Nietzsche’s law of eternal return. Since a finite automaton has a
finite number of internal states, at least one of its internal states must
occur infinitely many times in any infinite state history. And since a closed
finite automaton is deterministic and has no inputs, a repeated state must be
followed by the same sequence of states each time it occurs. Hence the history
of a closed finite automaton is periodic, as in the law of eternal return.
Idealized neurons are sometimes used as the primitive elements of logical nets,
and it is plausible that for any brain and central nervous system there is a
logical network that behaves the same and performs the same functions. This
shows the close relation of finite automata to the brain and central nervous
system. The switches and memory elements of a finite automaton may be made
probabilistic, yielding a probabilistic automaton. These automata are models of
indeterministic systems. Von Neumann showed how to extend deterministic logical
nets to systems that contain selfreproducing automata. This is a very basic
logical design relevant to the nature of life. The part of computer programming
theory most relevant to philosophy contains the answer to Leibniz’s conjecture
concerning his characteristica universalis and calculus ratiocinator. He held
that “all our reasoning is nothing but the joining and substitution of
characters, whether these characters be words or symbols or pictures.” He
thought therefore that one could construct a universal, arithmetic language
with two properties of great philosophical importance. First, every atomic
concept would be represented by a prime number. Second, the truth-value of any
logically true-or-false statement expressed in the characteristica universalis
could be calculated arithmetically, and so any rational dispute could be
resolved by calculation. Leibniz expected to do the computation by hand with
the help of a calculating machine; today we would do it on an electronic
computer. However, we know now that Leibniz’s proposed language cannot exist,
for no computer or computer program can calculate the truth-value of every
logically true-orfalse statement given to it. This fact follows from a logical
theorem about the limits of what computer programs can do. Let E be a modern
electronic computer with an indefinitely expandable memory, so that E has the
power of a universal Turing machine. And let L be any formal language in which
every arithmetic statement can be expressed, and which is consistent. Leibniz’s
proposed characteristica universalis would be such a language. Now a computer
that is operating correctly is an active formal language, carrying out the
instructions of its program deductively. Accordingly, Gödel’s incompleteness
theorems for formal arithmetic apply to computer E. It follows from these
theorems that no program can enable computer E to decide of an arbitrary
statecomputer theory computer theory 166
166 ment of L whether or not that statement is true. More strongly,
there cannot even be a program that will enable E to enumerate the truths of
language L one after another. Therefore Leibniz’s characteristica universalis
cannot exist. Electronic computers are the first active or “live” mathematical
systems. They are the latest addition to a long historical series of
mathematical tools for inquiry: geometry, algebra, calculus and differential
equations, probability and statistics, and modern mathematics. The most
effective use of computer programs is to instruct computers in tasks for which
they are superior to humans. Computers are being designed and programmed to
cooperate with humans so that the calculation, storage, and judgment
capabilities of the two are synthesized. The powers of such humancomputer
combines will increase at an exponential rate as computers continue to become
faster, more powerful, and easier to use, while at the same time becoming smaller
and cheaper. The social implications of this are very important. The modern
electronic computer is a new tool for the logic of discovery Peirce’s
abduction. An inquirer or inquirers operating a computer interactively can use
it as a universal simulator, dynamically modeling systems that are too complex
to study by traditional mathematical methods, including non-linear systems.
Simulation is used to explain known empirical results, and also to develop new
hypotheses to be tested by observation. Computer models and simulations are
unique in several ways: complexity, dynamism, controllability, and visual
presentability. These properties make them important new tools for modeling and
thereby relevant to some important philosophical problems. A humancomputer
combine is especially suited for the study of complex holistic and hierarchical
systems with feedback cf. cybernetics, including adaptive goal-directed
systems. A hierarchical-feedback system is a dynamic structure organized into
several levels, with the compounds of one level being the atoms or building
blocks of the next higher level, and with cyclic paths of influence operating
both on and between levels. For example, a complex human institution has
several levels, and the people in it are themselves hierarchical organizations
of selfcopying chemicals, cells, organs, and such systems as the pulmonary and
the central nervous system. The behaviors of these systems are in general much
more complex than, e.g., the behaviors of traditional systems of mechanics.
Contrast an organism, society, or ecology with our planetary system as
characterized by Kepler and Newton. Simple formulas ellipses describe the
orbits of the planets. More basically, the planetary system is stable in the
sense that a small perturbation of it produces a relatively small variation in
its subsequent history. In contrast, a small change in the state of a holistic
hierarchical feedback system often amplifies into a very large difference in
behavior, a concern of chaos theory. For this reason it is helpful to model
such systems on a computer and run sample histories. The operator searches for
representative cases, interesting phenomena, and general principles of
operation. The humancomputer method of inquiry should be a useful tool for the study
of biological evolution, the actual historical development of complex adaptive
goal-directed systems. Evolution is a logical and communication process as well
as a physical and chemical process. But evolution is statistical rather than
deterministic, because a single temporal state of the system results in a
probabilistic distribution of histories, rather than in a single history. The
genetic operators of mutation and crossover, e.g., are probabilistic operators.
But though it is stochastic, evolution cannot be understood in terms of
limiting relative frequencies, for the important developments are the repeated
emergence of new phenomena, and there may be no evolutionary convergence toward
a final state or limit. Rather, to understand evolution the investigator must
simulate the statistical spectra of histories covering critical stages of the
process. Many important evolutionary phenomena should be studied by using
simulation along with observation and experiment. Evolution has produced a
succession of levels of organization: selfcopying chemicals, self-reproducing
cells, communities of cells, simple organisms, haploid sexual reproduction,
diploid sexuality with genetic dominance and recessiveness, organisms composed
of organs, societies of organisms, humans, and societies of humans. Most of
these systems are complex hierarchical feedback systems, and it is of interest
to understand how they emerged from earlier systems. Also, the interaction of
competition and cooperation at all stages of evolution is an important subject,
of relevance to social philosophy and ethics. Some basic epistemological and
metaphysical concepts enter into computer modeling. A model is a well-developed
concept of its object, representing characteristics like structure and funccomputer
theory computer theory 167 167 tion. A
model is similar to its object in important respects, but simpler; in
mathematical terminology, a model is homomorphic to its object but not
isomorphic to it. However, it is often useful to think of a model as isomorphic
to an embedded subsystem of the system it models. For example, a gas is a
complicated system of microstates of particles, but these microstates can be
grouped into macrostates, each with a pressure, volume, and temperature
satisfying the gas law PV % kT. The derivation of this law from the detailed
mechanics of the gas is a reduction of the embedded subsystem to the underlying
system. In many cases it is adequate to work with the simpler embedded
subsystem, but in other cases one must work with the more complex but complete
underlying system. The law of an embedded subsystem may be different in kind
from the law of the underlying system. Consider, e.g., a machine tossing a coin
randomly. The sequence of tosses obeys a simple probability law, while the
complex underlying mechanical system is deterministic. The random sequence of
tosses is a probabilistic system embedded in a deterministic system, and a
mathematical account of this embedding relation constitutes a reduction of the
probabilistic system to a deterministic system. Compare the compatibilist’s
claim that free choice can be embedded in a deterministic system. Compare also
a pseudorandom sequence, which is a deterministic sequence with adequate
randomness for a given finite simulation. Note finally that the probabilistic
system of quantum mechanics underlies the deterministic system of mechanics.
The ways in which models are used by goaldirected systems to solve problems and
adapt to their environments are currently being modeled by humancomputer
combines. Since computer software can be converted into hardware, successful
simulations of adaptive uses of models could be incorporated into the design of
a robot. Human intentionality involves the use of a model of oneself in
relation to others and the environment. A problem-solving robot using such a
model would constitute an important step toward a robot with full human powers.
These considerations lead to the central thesis of the philosophy of logical
mechanism: a finite deterministic automaton can perform all human functions.
This seems plausible in principle and is treated in detail in Merrilee Salmon,
ed., The Philosophy of Logical Mechanism: Essays in Honor of Arthur W. Burks,0.
A digital computer has reasoning and memory powers. Robots have sensory inputs
for collecting information from the environment, and they have moving and
acting devices. To obtain a robot with human powers, one would need to put
these abilities under the direction of a system of desires, purposes, and
goals. Logical mechanism is a form of mechanism or materialism, but differs
from traditional forms of these doctrines in its reliance on the logical powers
of computers and the logical nature of evolution and its products. The modern
computer is a kind of complex hierarchical physical system, a system with
memory, processor, and control that employs a hierarchy of programming
languages. Humans are complex hierarchical systems designed by evolution with structural levels of chemicals, cells,
organs, and systems e.g., circulatory, neural, immune and linguistic levels of
genes, enzymes, neural signals, and immune recognition. Traditional
materialists did not have this model of a computer nor the contemporary
understanding of evolution, and never gave an adequate account of logic and
reasoning and such phenomena as goaldirectedness and self-modeling. grice’s four conversational categoriesthe category of
conversational mode:
Only Kant would call it function. While Grice could be jocular, in an English
way, about the number of maxims within each categoryhe surely would not like to
joke as far as to be cavalier about the NUMBER of categories: Four was the
number of functions from which the twelve categories rramify, Kant, or
“Ariskant,” but Grice takes the function for the category -- four is for
Ariskantian Grice. This is Aristotle’s hexis. This category posed a special
conceptual problem to Grice. Recall that his categories are invoked only by
their power to generate conversational implciata. But a conversational
implicaturum is non-detachable. That is, being based on universalistic
principles of general rationality, it cannot attach to an EXPRESSION, less so
to the ‘meaning’ of an EXPRESSION: “if” and “provided” are REALISATIONS of the
concept of the conditionality. Now, the conversational supra-maxim, ‘be
perspicuous’ [sic], is supposed to apply NOT to the content, or matter, but to
the FORM. (Strictly, quantitas and qualitas applies to matter, RELATIO applies to
the link between at least two matters). Grice tweaks things in such a way that
he is happy, and so am I. This is a pun on Aristkant’s Kategorie (Ammonius,
tropos, Boëthius, modus, Kant Modalitat).
Gesichtspuncte der Modalität in assertorische, apodiktische und problematische
hat sich aus der Aristotelischen Eintheilung hervorgebildet (Anal. Dr. 1, 2):
7@ợc gócois atv n 100 incozy h kỹ kvayxns Úndozav û toù {VJÉZEo fai Úndozev:
Doch geht diese Aristotelische Stelle vielmehr auf die analogen objectiven Verhältnisse,
als auf den subjectiven Gewissheitsgrad. Der Zusatz Svvatóv, įvsezóuevov, és
åviyans, jedoch auch eine adverbiale Bestimmung wie taméws in dem Satze ý
σελήνη ταχέως αποκαθίσταται, heisst bei Ammonius τρόπος (zu περί ερμ. Cap. 12)
und bei Boëthius modus. Kant (Kritik der r. Vern. § 9-11; Prolegom. $ 21, Log.
§ 30) gründet die Eintheilung nach der Modalität auf die modalen Kategorien:
Möglichkeit und Unmöglichkeit, Dasein und Nichtsein, Nothwendigkeit und
Zufälligkeit, wobei jedoch die Zusammenstellung der Unmöglichkeit, die eine
negative Nothwendigkeit ist, mit der Möglichkeit, und ebenso der Zufälligkeit,
die das nicht als nothwendig erkannte Dasein bezeichnet, mit der Nothwendigkeit
eine Ungenauigkeit enthält: die Erkenntniss der Unmöglichkeit ist nicht ein
problematisches, sondern ein (negativ-) apodiktisches Urtheil (was Kant in der
Anwendung selbst anerkennt, indem er z. B. Krit. der r. V. S. 191 die Formel:
es ist unmöglich etc. als Ausdruck einer apodiktischen Gewissheit betrachtet),
und die Erkenntniss des Zufälligen ist nicht ein apodiktisches, sondern ein
assertorisches Urtheil. Ausserdem aber hat Kant das subjective und objective
Element in den Kategorien der Qualität und Modalität nicht bestimmt genug
unterschieden.grice’s four conversational
categoriesthe category of conversational quality: Only Kant would call it
‘function.’ While Grice could be cavalier about the number of maxims falling
under the category of conversational quality, he surely would not be cavalier
about the number of categories themselves. Four were the functions from which
the twelve categories ramify for Ariskant, and four were for Grice: he takes
the function from Kant, but the spirit from Aristotle. This is Aristotle’s universal, poiotes. This
was originally the desideratum of conversational candour. At that point, there
was no Kantian scheme of categories in the horizon. Candour Grice arbitrarily
contrasts with clarityand so the desideratum of conversational candour
sometimes clashes with the desideratum of conversational clarity. One may not
be able to provide a less convoluted utterance (“It is raining”) but use the
less clear, but more candid, “It might be raining, for all I know.” A pun on
Aristkan’s Kategorie, poiotes, qualitas, Qualitat. Expressions which are in no way composite
signify substance, quantity, quality, relation, place, time, position, state,
action, or affection. To sketch my meaning roughly, examples of substance are
'man' or 'the horse', of quantity, such terms as 'two cubits long' or 'three cubits
long', of quality, such attributes as 'white', 'grammatical'.grice’s four conversational categoriesthe
category of conversational quantity: Only Kant would call it function. While
Grice could be cavalier about the number of maxims falling under quantity, he
was not about the number of categories itself. Four was the number of functions
out of which the twelve categories spring for Ariskant, and four was for Grice.
He takes the function (the letter) from Kant, but the spirit from Aristotle.
This is Aristotle’s universal, posotes. Grice would often use ‘a fortiori,’ and
then it dawned on him. “All I need is a principle of conversational fortitude.
This will give the Oxonians the Graeco-Roman pedigree they deserve.’ a pun on Ariskant’s Kategorie, posotes, quantitas,
Quantitat. Grice expands this as ‘quantity of information,’ or ‘informative
content’which then as he recognises overlaps with the category of
conversational quality, because ‘false information’ is a momer. Expressions
which are in no way composite signify substance, quantity, quality, relation,
place, time, position, state, action, or affection. To sketch my meaning
roughly, examples of substance are 'man' or 'the horse', of quantity, such
terms as 'two cubits long' or 'three cubits long'grice’s four conversational categoriesthe category of conversational
relation: Only Kant would call it function. While Grice could be cavalier
about the number of maxims under the category of relation, he was not about the
number of categories: four were the number of functions out of which the twelve
categories spring for Ariskant and four were for Grice: he takes the letter
(function) from Kant, and the spirit from Aristotle. This is Aristotle’s ‘pros
ti.’ f there are categories of being, and categories of thought, and categories
of expression, surely there is room for the ‘conversational category.’ A pun on
Ariskant’s Kategorie (pros ti, ad aliquid, Relation). Surely a move has to
relate to the previous move, and should include a tag as to what move will
relate. Expressions which are in no way composite signify substance, quantity,
quality, relation, place, time, position, state, action, or affection. To
sketch my meaning roughly, examples of substance are 'man' or 'the horse', of
quantity, such terms as 'two cubits long' or 'three cubits long', of quality,
such attributes as 'white', 'grammatical'. 'Double', 'half', 'greater', fall under
the category of relation.grice’s predicament. S draws a pic- "one-off predicament"). ... Clarendon, 1976); and Simon Blackburn, Spreading the Word
(Oxford: Clarendon, 1984) ... But there is an obvious way of emending the
account. Grice points
out. ... Blackburn helpfully
suggests that we can cut through much of this complexity by ... The above
account is intended to capture the notion of one-off meaning. Walking in a
forest, having gone some way ahead of the rest of the party, I draw an arrow at
a fork of a path, meaning that those who are following me should go straight
on. Gricean considerations
may be safely ignored. Only when trying to communicate by nonconventional means
("one-off predicament," Blackburn,
1984, chap. Blackburn's mission
is to promote the philosophy of language as a pivotal enquiry ... and
dismissed; the Gricean model
might be suitable to explain one-off acts. The Gricean mechanism
with its complex communicative intentions has a clear point in what Blackburn calls
“a one-off predicament”a
situation in which an ...grice’s shaggy-dog story: While Grice would like to say that it should be in the
range of a rational creature to refer and to predicate, what about the hand
wave? By his handwave, the emissor means that _HE_ (subject) is a knower of the
road (or roate), the predicate after the copula or that he, the emissor,
subject, is (the copula) about to leave his emisseebut there is nothing IN THE
MATTER (the handwave) that can be ‘de-composed’ like that. The FORM attaches to
the communicatum directly. This is strange, but not impossible, and shows
Grice’s programme. Because his idea is that a communicatum need not a vehicile
which is syntactically structured (as “Fido is shaggy”). This is the story that
Grice tells in his lecture. He uses a ‘shaggy-dog’ story to explain TWO main
notions: that of ‘reference’ or denotatio, and that of predicatio. He had
explored that earlier when discussing, giving an illustration “Smith is happy”,
the idea of ‘value,’ as correspondence, where he adds the terms for ‘denote’
and ‘predicatio,’ or actually, ‘designatio’ and ‘indicatio’, need to be
“explained within the theory.” In the utterance ‘Smith is happy,’ the utterer
DESIGNATES an item, Smith. The utterer also INDICATES some class, ‘being
happy.’ Grice introduces a shorthand, ‘assign’, or ‘assignatio,’ previous to
the value-satisfaction, to involve both the ‘designatio’ and the ‘indicatio’. U
assigns the item Smith to the class ‘being happy.’ U’s intention involves A’s
belief that U believes that “the item belongs to the class, or that he ASSIGNS
the item to the class. A predicate, such as 'shaggy,' in my shaggy-dog story, is a
part of a bottom-up, or top-bottom, as I prefer, analysis of this or that
sentences, and a predicate, such as 'shaggy,' is the only indispensable 'part,'
or 'element,' as I prefer, since a predicate is the only 'pars orationis,'
to use the old phrase, that must appear in every sentence. In a later lecture
he ventures with ‘reference.’ Lewis and Short have “rĕferre,” rendered as “to
bear, carry, bring, draw, or give back,” in a “transf.” usage, they render as
“to make a reference, to refer (class.),” asa in “de rebus et obscuris et
incertis ad Apollinem censeo referendum; “ad quem etiam Athenienses publice de
majoribus rebus semper rettulerunt,” Cic. Div. 1, 54, 122.” While Grice uses
‘Fido,’ he could have used ‘Pegasus’ (Martin’s cat, as it happens) and apply
Quine’s adage: we could have appealed to the ex hypothesi unanalyzable,
irreducible attribute of being Pegasus, adopting, for its expression, the verb
'is-Pegasus', or 'pegasizes'. And Grice could have played with ‘predicatio’ and
‘subjectio.’ Grice on subject. Lewis and Short have “sūbĭcĭo,” (less
correctly subjĭcĭo ; post-Aug. sometimes sŭb- ), jēci, jectum, 3, v. a.
sub-jacio. which they render as “to
throw, lay, place, or bring under or near (cf. subdo),” and in philosophy,
“subjectum , i, n. (sc. verbum), as “that which is spoken of, the foundation or
subject of a proposition;” “omne
quicquid dicimus aut subjectum est aut de subjecto aut in subjecto est.
Subjectum est prima substantia, quod ipsum nulli accidit alii inseparabiliter,
etc.,” Mart. Cap. 4, § 361; A Dogm. Plat. 334, 4 et saep.—.” Note that for
Mart. Cap. the ‘subject,’ unlike the ‘predicate’ is not a ‘syntactical
category.’ “Subjectum est prima substantia,” The subject is a prote ousia. As
for correlation, Grice ends up with a reductive analysis. By uttering
utterance-token V, the utterer U correlates predicate P1 with (and only
with) each member of P2 ≡ (∃R)(∃R')
(1) U effects that (∀x)(R P1x ≡ x ∈ P1)
and (2) U intends (1), and (3) U intends that (∀y)(R'
P1y ≡ y ∈
P1), where R' P1 is an expression-type such that utterance-token V is a
sequence consisting of an expression-token p1 of expression-type P1 and an
expression-token p2 of expression-type P2, the R-co-relatum of which is a
set of which y is a member. And he is back with ‘denotare. Lewis and Short have
“dēnŏtare,” which they render as “to mark, set a mark on, with chalk, color,
etc.: “pedes venalium creta,”
It is interesting to trace Grice’s earliest investigations on this. Grice and
Strawson stage a number of joint seminars on topics related to the notions of
meaning, categories, and logical form. Grice and Strawson engage in systematic
and unsystematic philosophical exploration. From these discussions springs work
on predication and categories, one or two reflections of which are acknowledge
at two places (re: the reductive analysis of a ‘particular,’ “the tallest man
that did, does, or will exist” --) in Strawson’s “Particular and general” for
The Aristotelian Societyand “visible” as Grice puts it, but not acknowledged,
in Strawson’s “Individuals: an essay in descriptive metaphysics.””grice’s theory-theory: “I am perhaps
not too happy with the word ‘theory,’ as applied to this, but that’s Ramsey for
you” (WoW: 285). Grice’s theory-theory: A
theory of mind concerning how we come to know about the propositional attitudes
of others. It tries to explain the nature of ascribing certain thoughts,
beliefs, or intentions to other persons in order to explain their actions. The
theory-theory holds that in ascribing beliefs to others we are tacitly (check)
applying a theory that enables us to make inferences about the beliefs behind
the actions of others. The theory that is applied is a set of rules embedded in
folk psychology. Hence, to anticipate and predict the behavior of others, one
engages in an intellectual process
moving by inference from one set of beliefs to another. This position contrasts
with another theory of mind, the simulation theory, which holds that we need to
make use of our own motivational and emotional resources and capacities for
practical reasoning in explaining actions of others. “So called ‘theory-theorists’
maintain that the ability to explain and predict behaviour is underpinned by a
folk-psychological theory of the structure and functioning of the mindwhere the
theory in question may be innate and modularised, learned individually, or
acquired through a process of enculturation.” Carruthers and Smith (eds.),
Theories of Theories of Mind. Grice needs a theory. For those into implicatura
and conversation as rational cooperation, when introducing the implicaturum he
mentions ‘pre-theoretical adequacy’ of the model. So he is thinking of the
conversational theory as a theory in the strict sense, with ‘explanatory’ and
not merely taxonomical power. So one task is to examine in which way the
conversational theory is a theory that explains, rather than merely ad hoc ex
post facto commentary. Not so much for
his approach to mean. He polemises with Rountree, of Somerville, that you dont
need a thory to analyse mean. Indeed, you cannot have a theory to analyse mean,
because mean is a matter of intuition, not a theoretical concept. But Grice
appeals to theory, when dealing with willing. He knows what willing means
because he relies on a concept of folk-science. In this folk-science, willing
is a theoretical concept. Grice arrived at this conclusion by avoiding the
adjective souly, and seeing that there is no word to describe willing other
than by saying it is a psychoLOGICAL concept, i.e. part of a law within that
theory of folk-science. That law will include, by way of ramsified naming or
describing willing as a predicate-constant. Now, this is related to
metaphysics. His liberal or ecunmenical metaphysics is best developed in terms
of his ontological marxism presented just after he has expanded on this idea of
willing as a theoretical concept, within a law involving willing (say, Grices
Optimism-cum-Pesimism law), within the folk-science of psychology that explains
his behaviour. For Aristotle, a theoria, was quite a different animal, but it
had to do with contemplatio, hence the theoretical (vita contemplativa) versus
the practical (vita activa). Grices sticking to Aristotle’srare use of theory
inspires him to develop his fascinating theory of the theory-theory. Grice realised that there is no way to refer
to things like intending except with psychological, which he takes to mean,
belonging to a pscyhological theory. Grice was keen to theorise on
theorising. He thought that Aristotle’s first philosophy (prote
philosophia) is best rendered as Theory-theory. Grice kept using Oxonian
English spelling, theorising, except when he did not! Grice calls himself
folksy: his theories, even if Subjects to various types of Ramseyfication, are
popular in kind! And ceteris paribus! Metaphysical construction is
disciplined and the best theorising the philosopher can hope for! The way
Grice conceives of his theory-theory is interesting to revisit. A route by
which Grice hopes to show the centrality of metaphysics (as prote philosophia)
involves taking seriously a few ideas. If any region of enquiry is to be
successful as a rational enterprise, its deliverance must be
expressable in the shape of one or another of the possibly different types of
theory. A characterisation of the nature and range of a possible kind of
theory θ is needed. Such a body of characterisation must itself be
the outcome of rational enquiry, and so must itself exemplify
whatever requirement it lays down for any theory θ in
general. The characterisation must itself be
expressible as a theory θ, to be called, if you like, Grice
politely puts it, theory-theory, or meta-theory, θ2. Now, the
specification and justification of the ideas and material presupposed
by any theory θ, whether such account falls within the bounds of
Theory-theory, θ2 would be properly called prote philosophia (first
philosophy) and may turn out to relate to what is generally accepted as
belonging to the Subjects matter of metaphysics. It might, for example,
turn out to be establishable that any theory θ has to relate to a
certain range of this or that Subjects item, has to attribute to each item this
or that predicate or attribute, which in turn has to fall within one or another
of the range of types or categories. In this way, the enquiry might lead
to recognised metaphysical topics, such as the nature of being, its range of
application, the nature of predication and a systematic account of
categories. Met. , philosophical eschatology, and Platos Republic,
Thrasymachus, social justice, Socrates, along with notes on Zeno, and topics
for pursuit, repr.in Part II, Explorations in semantics and metaphysics
to WOW , metaphysics, philosophical eschatology, Platos Republic, Socrates,
Thrasymachus, justice, moral right, legal right, Athenian dialectic.
Philosophical eschatology is a sub-discipline of metaphysics concerned with
what Grice calls a category shift. Grice, having applied such a technique to
Aristotle’s aporia on philos (friend) as alter ego, uses it now to tackle
Socratess view, against Thrasymachus, that right applies primarily to morality,
and secondarily to legality. Grice has a specific reason to include this in his
WOW Grices exegesis of Plato on justice displays Grices take on the fact that
metaphysics needs to be subdivided into ontology proper and what he calls
philosophical eschatology, for the study of things like category shift and
other construction routines. The exploration of Platos Politeia thus becomes an
application of Grices philosophically eschatological approach to the item just,
as used by Socrates (morally just) and Thrasymachus (legally just). Grice has
one specific essay on Aristotle in PPQ. So he thought Plato merited his own
essay, too! Grices focus is on Plato’s exploration of dike. Grice is concerned
with a neo-Socratic (versus neo-Thrasymachean) account of moral justice as
conceptually (or axiologically) prior to legal justice. In the proceeding, he
creates philosophical eschatology as the other branch to metaphysics, along
with good ol ontology. To say that just crosses a categorial barrier (from
the moral to the legal) is to make a metaphysical, strictly eschatological,
pronouncement. The Grice Papers locate the Plato essay in s. II, the Socrates essay in s. III, and the Thrasymachus essay, under social
justice, in s. V. Grice is well aware that in his account of fairness, Rawls
makes use of his ideas on personal identity. The philosophical elucidation of
fairness is of great concern for Grice. He had been in touch with such
explorations as Nozicks and Nagels along anti-Rawlsian lines. Grices ideas on
rationality guide his exploration of social justice. Grice keeps revising the
Socrates notes. The Plato essay he actually dates. As it happens, Grices most
extensive published account of Socrates is in this commentary on Platos
Republic: an eschatological commentary, as he puts it. In an entertaining
fashion, Grice has Socrates, and neo-Socrates, exploring the logic and grammar
of just against the attack by Thrasymachus and neo-Thrasymachus. Grices point
is that, while the legal just may be conceptually prior to the moral just, the
moral just is evaluationally or axiologically prior. Refs.: There is a specific
essay on ‘theorising’ in the Grice Papers, but there are scattered sources
elsewhere, such as “Method” (repr. in “Conception”), BANC.grice’s three-year-old’s guide to
Russell’s theory of types, with an advice to parents by Strawson: Grice put forward the empirical hypothesis that a
three-year old CAN understand Russell’s theory of types. “In more than one
way.” This brought confusion in the household, with some members saying they
could not“And I trust few of your tutees do!” Russell’s influential solution to
the problem of logical paradoxes. The theory was developed in particular to
overcome Russell’s paradox, which seemed to destroy the possibility of Frege’s
logicist program of deriving mathematics from logic. Suppose we ask whether the
set of all sets which are not members of themselves is a member of itself. If
it is, then it is not, but if it is not, then it is. The theory of types
suggests classifying objects, properties, relations, and sets into a hierarchy
of types. For example, a class of type 0 has members that are ordinary objects;
type 1 has members that are properties of objects of type 0; type 2 has members
that are properties of the properties in type 1; and so on. What can be true or
false of items of one type can not significantly be said about those of another
type and is simply nonsense. If we observe the prohibitions against classes
containing members of different types, Russell’s paradox and similar paradoxes
can be avoided. The theory of types has two variants. The simple theory of
types classifies different objects and properties, while the ramified theory of
types further sorts types into levels and adds a hierarchy of levels to that of
types. By restricting predicates to those that relate to items of lower types
or lower levels within their own type, predicates giving rise to paradox are
excluded. The simple theory of types is sufficient for solving logical
paradoxes, while the ramified theory of type is introduced to solve semantic
paradoxes, that is, paradoxes depending on notions such as reference and truth.
“Any expression containing an apparent variable is of higher type than that
variable. This is the fundamental principles of the doctrines of types.”
Russell, Logic and Knowledge. Grice’s commentary in “In defense of a
dogma,” The H. P. Grice Papers, BANC. grice’s
complementary class:
the class of all things not in a given class. For example, if C is the class of
all red things, then its complementary class is the class containing everything
that is not red. This latter class includes even non-colored things, like
numbers and the class C itself. Often, the context will determine a less
inclusive complementary class. If B 0 A, then the complement of B with respect
to A is A B. For example, if A is the
class of physical objects, and B is the class of red physical objects, then the
complement of B with respect to A is the class of non-red physical
objects. griceism. Gricese. At Oxford, it was usual to refer to Austin’s
idiolect as Austinese. In analogy with Grecism, we have a Gricism, a Griceian
cliché. Cf. a ‘grice’ and ‘griceful’ in ‘philosopher’s lexicon.’ Gricese is a
Latinism, from -ese, word-forming element, from Old French -eis (Modern French -ois, -ais), from Vulgar Latin, from Latin -ensem, -ensis "belonging
to" or "originating in." Grice’s
grue and grellow, -- and bleen: H. P. Grice was fascinated by Goodman’s
‘grue’ paradox and kept looking for the crucial implicaturum. “The paradox is
believed to be mainly as arising within the theory of induction, but I’ve seen
Strawson struggling with gruesome consequences in his theory of deduction,
too.” According to Nelson Goodman, “a philosopher from the New World,” every
intuitively acceptable inductive argument, call it A, may be mimicked by indefinitely
many other inductive arguments each
seemingly quite analogous to A and therefore seemingly as acceptable, yet each
nonetheless intuitively *unacceptable*, and each yielding a conclusion
contradictory to that of A, given the assumption that sufficiently many and
varied of the sort of things induced upon exist as yet unexamined which is the
only circumstance in which A is of interest. “Goodman then asks us to suppose
an intuitively acceptable inductive argument.”A1 every hitherto observed EMERALD
is GREEN; therefore, every emerald is green. Now introduce the totally
unnatural colour predicate ‘grue’a portmanteau of blue and greenas in Welsh
‘glas’ -- where for some given, as yet wholly future, temporal interval T an
object is ‘grue’ provided it has the property of being green and first examined
before T OR blue and NOT first examined
before T. Then consider the following inductive argument: A2 every hitherto
observed EMERALD is GRUE; therefore, every emerald is grue. The premise is
true, and A2 is formally analogous to A1. But A2 is intuitively unacceptable.
If there is an emerald UNexamined before T, he conclusion of A2 says that this
emerald is blue, whereas the conclusion of A1 says that every emerald is green!
Granted, other counter-intuitive competing arguments could be given, e.g.: A3.
Every hitherto observed emerald is grellow; therefore, every emeralds is
grellow. where an object is ‘grellow’ provided it is green and located on the
earth or yellow otherwise. It would seem, therefore, that some restriction on
induction is required. “Goodman’s alleged of induction offers two challenges.
First, state the restriction i.e.,
demarcate the intuitively acceptable inductions from the unacceptable ones, in
some general way, without constant appeal to intuition.”“Second, justify our
preference for the one group of inductions over the other.”“These two parts of
the paradox are, alas, often conflated.”But it is at least conceivable that one
might solve the analytical, demarcative part without solving the justificatory
part, and, perhaps, vice versa. It will not do to rule out, a priori gruesome”
variances in nature. H2O varies in its physical state along the parameter of
temperature. If so, why might not one emerald vary in colour along the
parameter of time of first examination? One approach to the problem of
restriction is to focus on the conclusions of inductive arguments e.g., every
emerald is green, every emerald is grue and to distinguish those which may
legitimately so serve called “projectible hypotheses” from those which may not.
The question then arises whether only non-gruesome hypotheses those which do
not contain gruesome predicates are projectible. Aside from the task of
defining ‘gruesome predicate’ which could be done structurally relative to a
preferred language, the answer is no. Consider the predicate ‘x is solid and
less than 0; C, or liquid and more than 0; C but less than 100; C, or gaseous
and more than 100; C.’This is gruesome on any plausible structural account of
gruesomeness. Note the similarity to the ‘grue’ equivalent: green and first
examined before T, or blue and not first examined before T. Nevertheless, where
nontransitional water is pure H2O at one atmosphere of pressure save that which
is in a transitional state, i.e., melting/freezing or boiling/condensing, i.e.,
at 0°C or 100; C, we happily project the hypothesis that all non-transitional
water falls under the above gruesome predicate. Perhaps this is because, if we
rewrite the projection about non-transitional water as a conjunction of
non-gruesome hypotheses i water at less
than 0; C is solid, ii water at more than 0; C but less than 100; C is liquid,
and iii water at more than 100; C is gaseous
we note that iiii are all supported there are known positive instances;
whereas if we rewrite the gruesome projection about the emerald as a
conjunction of non-gruesome hypotheses
i* every emerald first examined before T is green, and ii* every emerald
NOT first examined before T is blue we
note that ii* is as yet unsupported. It would seem that, whereas a non-gruesome
hypothesis is projectible provided it is unviolated and supported, a gruesome
hypothesis is projectible provided it is unviolated and equivalent to a
conjunction of non-gruesome hypotheses, each of which is supported. Grice’s formalists: Hilbert, D.G.
mathematician and philosopher of mathematics. Born in Königsberg, he also
studied and served on the faculty there, accepting Weber’s chair in mathematics
at Göttingen in 1895. He made important contributions to many different areas
of mathematics and was renowned for his grasp of the entire discipline. His
more philosophical work was divided into two parts. The focus of the first,
which occupied approximately ten years beginning in the early 1890s, was the
foundations of geometry and culminated in his celebrated Grundlagen der
Geometrie (1899). This is a rich and complex work that pursues a variety of
different projects simultaneously. Prominent among these is one whose aim is to
determine the role played in geometrical reasoning by principles of continuity.
Hilbert’s interest in this project was rooted in Kantian concerns, as is
confirmed by the inscription, in the Grundlagen, of Kant’s synopsis of his
critical philosophy: “Thus all human knowledge begins with intuition, goes from
there to concepts and ends with ideas.” Kant believed that the continuous could
not be represented in intuition and must therefore be regarded as an idea of
pure reasoni.e., as a device playing a purely regulative role in the
development of our geometrical knowledge (i.e., our knowledge of the spatial
manifold of sensory experience). Hilbert was deeply influenced by this view of
Kant’s and his work in the foundations of geometry can be seen, in large part,
as an attempt to test it by determining whether (or to what extent) pure
geometry can be developed without appeal to principles concerning the nature of
the continuous. To a considerable extent, Hilbert’s work confirmed Kant’s
viewshowing, in a manner more precise than any Kant had managed, that appeals
to the continuous can indeed be eliminated from much of our geometrical
reasoning. The same basic Kantian orientation also governed the second phase of
Hilbert’s foundational work, where the focus was changed from geometry to
arithmetic and analysis. This is the phase during which Hilbert’s Program was
developed. This project began to take shape in the 1917 essay “Axiomatisches
Denken.” (The 1904 paper “Über die Grundlagen der Logik und Arithmetik,” which
turned away from geometry and toward arithmetic, does not yet contain more than
a glimmer of the ideas that would later become central to Hilbert’s proof
theory.) It reached its philosophically most mature form in the 1925 essay
“Über das Unendliche,” the 1926 address “Die Grundlagen der Mathematik,” and
the somewhat more popular 1930 paper “Naturerkennen und Logik.” (From a
technical as opposed to a philosophical vantage, the classical statement is
probably the 1922 essay “Neubegründung der Mathematik. Erste Mitteilung.”) The
key elements of the program are (i) a distinction between real and ideal
propositions and methods of proof or derivation; (ii) the idea that the
so-called ideal methods, though, again, playing the role of Kantian regulative
devices (as Hilbert explicitly and emphatically declared in the 1925 paper),
are nonetheless indispensable for a reasonably efficient development of our
mathematical knowledge; and (iii) the demand that the reliability of the ideal
methods be established by real (or finitary) means. As is well known, Hilbert’s
Program soon came under heavy attack from Gödel’s incompleteness theorems
(especially the second), which have commonly been regarded as showing that the
third element of Hilbert’s Program (i.e., the one calling for a finitary proof
of the reliability of the ideal systems of classical mathematics) cannot be
carried out. Hilbert’s Program, a proposal in the foundations of mathematics,
named for its developer, the German mathematician-philosopher David Hilbert,
who first formulated it fully in the 1920s. Its aim was to justify classical
mathematics (in particular, classical analysis and set theory), though only as
a Kantian regulative device and not as descriptive science. The justification
thus presupposed a division of classical mathematics into two parts: the part
(termed real mathematics by Hilbert) to be regulated, and the part (termed
ideal mathematics by Hilbert) serving as regulator. Real mathematics was taken
to consist of the meaningful, true propositions of mathematics and their
justifying proofs. These proofscommonly known as finitary proofswere taken to
be of an especially elementary epistemic character, reducing, ultimately, to
quasi-perceptual intuitions concerning finite assemblages of perceptually
intuitable signs regarded from the point of view of their shapes and sequential
arrangement. Ideal mathematics, on the other hand, was taken to consist of
sentences that do not express genuine propositions and derivations that do not
constitute genuine proofs or justifications. The epistemic utility of ideal
sentences (typically referred to as ideal propositions, though, as noted above,
they do not express genuine propositions at all) and proofs was taken to derive
not from their meaning and/or evidentness, but rather from the role they play
in some formal algebraic or calculary scheme intended to identify or locate the
real truths. It is thus a metatheoretic function of the formal or algebraic
properties induced on those propositions and proofs by their positions in a
larger derivational scheme. Hilbert’s ideal mathematics was thus intended to
bear the same relation to his real mathematics as Kant’s faculty of pure reason
was intended to bear to his faculty of understanding. It was to be a regulative
device whose proper function is to guide and facilitate the development of our
system of real judgments. Indeed, in his 1925 essay “Über das Unendliche,”
Hilbert made just this point, noting that ideal elements do not correspond to
anything in reality but serve only as ideas “if, following Kant’s terminology,
one understands as an idea a concept of reason which transcends all experience
and by means of which the concrete is to be completed into a totality.” The
structure of Hilbert’s scheme, however, involves more than just the division of
classical mathematics into real and ideal propositions and proofs. It uses, in
addition, a subdivision of the real propositions into the problematic and the
unproblematic. Indeed, it is this subdivision of the reals that is at bottom
responsible for the introduction of the ideals. Unproblematic real
propositions, described by Hilbert as the basic equalities and inequalities of
arithmetic (e.g., ‘3 ( 2’, ‘2 ‹ 3’, ‘2 ! 3 % 3 ! 2’) together with their
sentential (and certain of their bounded quantificational) compounds, are the
evidentially most basic judgments of mathematics. They are immediately
intelligible and decidable by finitary intuition. More importantly, they can be
logically manipulated in all the ways that classical logic allows without
leading outside the class of real propositions. The characteristic feature of
the problematic reals, on the other hand, is that they cannot be so
manipulated. Hilbert gave two kinds of examples of problematic real
propositions. One consisted of universal generalizations like ‘for any
non-negative integer a, a ! 1 % 1 ! a’, which Hilbert termed hypothetical
judgments. Such propositions are problematic because their denials do not bound
the search for counterexamples. Hence, the instance of the (classical) law of
excluded middle that is obtained by disjoining it with its denial is not itself
a real proposition. Consequently, it cannot be manipulated in all the ways
permitted by classical logic without going outside the class of real
propositions. Similarly for the other kind of problematic real discussed by Hilbert,
which was a bounded existential quantification. Every such sentence has as one
of its classical consequents an unbounded existential quantification of the
same matrix. Hence, since the latter is not a real proposition, the former is
not a real proposition that can be fully manipulated by classical logical means
without going outside the class of real propositions. It is therefore
“problematic.” The question why full classical logical manipulability should be
given such weight points up an important element in Hilbert’s thinking: namely,
that classical logic is regarded as the preferred logic of human thinkingthe
logic of the optimally functioning human epistemic engine, the logic according
to which the human mind most naturally and efficiently conducts its inferential
affairs. It therefore has a special psychological status and it is because of
this that the right to its continued use must be preserved. As just indicated,
however, preservation of this right requires addition of ideal propositions and
proofs to their real counterparts, since applying classical logic to the truths
of real mathematics leads to a system that contains ideal as well as real
elements. Hilbert believed that to justify such an addition, all that was
necessary was to show it to be consistent with real mathematics (i.e., to show
that it proves no real proposition that is itself refutable by real means).
Moreover, Hilbert believed that this must be done by finitary means. The proof
of Gödel’s second incompleteness theorem in 1931 brought considerable pressure
to bear on this part of Hilbert’s Program even though it may not have
demonstrated its unattainability. Grice
and the humboldts: Born in Potsdam, Wilhelm, with his brother Alexander,
was educated by private tutors in the enlightened style thought suitable for a
Prussian philosopher.This included Grice’s stuff: philosophy and the two
classical languages, with a bit of ancient and modern history. After his
university studies in law at Frankfurt an der Oder and Göttingen, Humboldt’s career
was divided among assorted posts, philosophising on a broad range of topics,
notably his first loves, like Grice’s: philosophy and the classical languages.
Humboldt’s broad-ranging works reveal the important influences of Herder in his
conception of history and culture, Kant and Fichte in philosophy, and the
French “Ideologues” in semiotics. His most enduring work has proved to be the
Introduction to his massive study of language. Humboldt maintains that
language, as a vital and dynamic “organism,” is the key to understanding both
the operations of the soul. A language such as Latin possesses a distinctive
inner form that shapes, in a way reminiscent of Kant’s more general categories,
the subjective experience, the world-view, and ultimately the institutions of
Rome. While all philosophers are indebted to both his empirical studies and his
theoretical insights on culture, such philosophers as Dilthey and Cassirer
acknowledge him as establishing the Latin language as a central concern for the
humanities. H. P. Grice, “Alexander and all the Humboldts.” Griceian ideology: a term used by
Ernest Gellner to refer to Grice’s Clifton/Corpus Christi background. generally
a disparaging term used to describe someone else’s political views which one
regards as unsound. This use derives from Marx’s employment of the term to
signify a false consciousness shared by the members of a particular social
class. For example, according to Marx, members of the capitalist class share
the ideology that the laws of the competitive market are natural and
impersonal, that workers in a competitive market are paid all that they can be
paid, and that the institutions of private property in the means of production
are natural and justified.
grecianism: why was Grice obsessed with Socrates’s convesations? He
does not say. But he implicates it. For the Athenian dialecticians, it is all a
matter of ta legomena. Ditto for the Oxonian dialecticians. Ta legomena becomes
ordinary language. And the task of the philosopher is to provide reductive
analysis of this or that concept in terms of necessary and sufficient
conditions. Cf. Hospers. Grices review of the history of philosophy (Philosophy
is but footnotes to Zeno.). Grice enjoyed Zenos answer, What is a friend? Alter
ego, Allego. ("Only it was the other Zeno." Grice tried to apply the
Socratic method during his tutorials. "Nothing like a heartfelt dedication
to the Socratic art of mid-wifery, seeking to bring forth error and to strangle
it at birth.” μαιεύομαι (A.“μαῖα”), ‘to serve as a midwife, act a; “ἡ
Ἄρτεμις μ.” Luc. D Deor.26.2. 2. cause delivery to take place, “ἱκανὴ ἔκπληξις
μαιεύσασθαι πρὸ τῆς ὥρας” Philostr. VA1.5. 3. c. acc., bring to the birth,
Marin.Procl.6; ὄρνιθας μ. hatch chickens, Anon. ap. Suid.; αἰετὸν κάνθαρος
μαιεύσομαι, prov. of taking vengeance on a powerful enemy, Ar. Lys.695 (cf.
Sch.). 4. deliver a woman, esp. metaph. in Pl. of the Socratic method, Tht.
149b. II. Act., Poll. 4.208, Sch. OH.4.506. Pass., τὰ ὑπ᾽ ἐμοῦ μαιευθέντα
brought into the world by me, Pl. Tht. 150e, cf. Philostr.VA5.13. Refs.: the
obvious references are Grice’s allusions to Aristotle, Plato, Socrates, Zeno,
The H. P. Grice Papers, BANC.
grosseteste: Grice was a
member of the Grosseteste Society. Like Grice’s friend, G. J. Warnock,
Grosseteste was chancellor of Oxford. Only that by the time of Warnock, the
monarch is the chancellor by default, so “Warnock had to allow to be called
‘vice-chancelor’ to Elizabeth II.” “I would never have read Aristotle had it
not been by this great head that grosseteste (“Greathead” is a common surname
in Suffolk).”H. P. Grice. English philosopher who began life on the bottom rung
of feudal society in Suffolk and became one of the most influential figures in
pre-Reformation England. He studied at Oxford, obtaining an “M. A.,” like Grice.
Sometime after this period he joined the household of William de Vere, of
Hereford. Grosseteste associated with the elite at Hereford, several of whose
members were part of an advanced philosophical tradition. It was a centre for
the study of liberal arts. This explains his interest in dialectics. After a
sojourn in Paris, he becomes the first chancellor of Oxford. He was a secular
lecturer in theology to the recently established Franciscan order at Oxford. It
was during his tenure with the Franciscans that he studied Grecian an unusual endeavour for an Oxonian schoolman
then. He later moved to Lincoln. As a
scholar, Grosseteste is an original thinker who used Aristotelian and
Augustinian theses as points of departure. Grosseteste (or “Greathead,” as he
was called by the townif not the gown) believes, with Aristotle, that sense is
the basis of all knowledge, and that the basis for sense is our discovery of
the cause of what is experienced or revealed by experiment. He also believes,
with Augustine, that light plays an important role in creation. Thus he
maintained that God produced the world by first creating prime matter (“materia
prima”) from which issued a point of light lux, the first corporeal form or
power, one of whose manifestations is visible light. The diffusion of this
light resulted in extension or tri-dimensionality in the form of the nine
concentric celestial spheres and the four terrestrial spheres of fire, air,
water, and earth. According to Grosseteste, the diffusion of light takes place
in accordance with laws of mathematical proportionality geometry. Everything,
therefore, is a manifestation of light, and mathematics is consequently
indispensable to science and knowledge generally. The principles Grosseteste employs
to support his views are presented in, e.g., his commentary on Aristotle’s Posterior
Analytics, the De luce, and the De lineis, angulis et figuris. He worked in
areas as seemingly disparate as optics and angelology. Grosseteste is one of
the first to take an interest in and introduce into the Oxford curriculum newly
recovered Aristotelian texts, along with commentaries on them. His work and
interest in natural philosophy, mathematics, the Bible, and languages
profoundly influenced Roger Bacon, and the educational goals of the Franciscan
order. It also helped to stimulate work in these areas.
Grandi: Grice:
“I like Grandi – and Grandy – for one, Grandi (if not Grandy) proves that
geometry is a branch of mathematics with his rose curve – a geniality!” -- Luigi
Guido Grandi, pseudonimo di Francesco Lodovico Grandi (Cremona), filosofo. Nato
da Piero Martire Grandi, ricamatore, e Caterina Legati compì i suoi primi studi
di grammatica sotto la guida del giovane letterato Giambattista Canneti e poi
nel locale Collegio dei Gesuiti, dove ebbe come maestro il futuro matematico
Giovanni Girolamo Saccheri. All'età di 16 anni entrò nel monastero camaldolese
di Classe in Ravenna, assumendo il nome Guido in sostituzione degli originari
Francesco Lodovico, e qui ritrovò l'antico maestro divenuto abate Pietro
Canneti. Proseguiti gli studi teologici
a Roma e quelli geometrici e matematici a Firenze, nel 1700 divenne professore
di filosofia nel monastero camaldolese di Firenze. Nel 1703 pubblicò il libro
La quadratura del cerchio e dell'iperbole, al cui interno scoprì lo stesso
paradosso matematico intuito anche da Leibniz, ossia che la somma parziale di
una serie a segni alterni di numeri può non convergere (serie di Grandi), e
qualche anno dopo, durante una sua visita in Inghilterra (1709), entrò a far
parte della Royal Society. Nel 1714
divenne matematico di corte presso il granduca di Toscana e più tardi
professore di matematica nell'Pisa. Fu anche sovrintendente alle acque del
granducato, contribuendo ai lavori di drenaggio per la bonifica della Val di
Chiana. Collaborò con Tommaso Buonaventuri all'edizione fiorentina delle Opere
di Gaileo Galilei (1718), studiò la curva algebrica da lui chiamata
"rodonea" per la forma che ricorda il rosone delle chiese romaniche e
gotiche (1725 circa) e fu autore degli Elementi di Geometria di Euclide,
pubblicati postumi a Venezia (Savioni, 1780).
Frontespizio del De infinitis infinitorum Fu il primo a usare e a
diffondere in Italia la nuova analisi degli infiniti. Scrisse l'opera De
infinitis infinitorum... nella quale applicò, tra i primi in Italia, i metodi
di Leibniz e Newton. Opere Frontespizio di Trattato delle resistenze di
Vincenzo Viviani completato da Guido Grandi (Firenze, 1718) Geometrica
demonstratio Vivianeorum problematum, Florentiae, ex Typographia Iacobi de
Guiduccis propè Conductam, 1699. De infinitis infinitorum, et infinite parvorum
ordinibus disquisitio geometrica, Pisis, ex Typographia Francisci Bindi
impress. archiepisch., 1710. Epistola mathematica de momento gravium in planis
inclinatis, Lucae, typis Peregrini Frediani, 1711. Dialoghi circa la
controversia eccitatagli contro dal sig. Alessandro Marchetti, In Lucca, ad
istanza di Francesco Maria Gaddi librajo in Pisa, 1712. Prostasis ad
exceptiones clari Varignonii libro De infinitis infinitorum ordinibus oppositas
circa magnitudinum plusquam-infinitarum Vallisii defensionem et anguli
contactus, Pisis, ex Typographia Francisci Bindi impress. archiepisch., 1713.
Del movimento dell'acque trattato geometrico, Firenze. Relazione delle
operazioni fatte circa il padule di Fucecchio, In Lucca, per Leonardo
Venturini, 1718. Trattato delle resistenze, Firenze, per Tartini e Franchi,
1718?. Compendio delle Sezioni coniche d'Apollonio con aggiunta di nuove
proprietà delle medesime sezioni, In Firenze, nella Stamperia di S.A.R. per gli
Tartini e Franchi, 1722. Instituzioni meccaniche, In Firenze, nella Stamperia
di S.A.R. per Gio: Gaetano Tartini e Santi Franchi, 1739. Istituzioni di
aritmetica pratica, In Firenze, nella Stamperia di S.A.R. per Gio: Gaetano
Tartini e Santi Franchi, 1740. Sectionum conicarum synopsis, Florentiae, ex
typographio Ioannis Paulli Giovannelli, 1750. Riconoscimenti Membro della Royal
Societynastrino per uniforme ordinariaMembro della Royal Society Note Baldini, op. cit., indica la data del 10
ottobre 1671. Mario Di Fidio, Claudi
Gandolfi, Idraulici italiani , Fondazione Biblioteca Europea di Informazione e
Cultura, , 141-142. Il termine "rodonea" deriva dal
greco Ροδή, rosa. La curva rodonea è anche chiamata "rosa di Grandi"
in suo onore. Giammaria Ortes, Vita del
padre D. Guido Grandi, abate camaldolese, matematico dello Studio Pisano,
Venezia, Giambatista Pasquali, 1744. Consultabile su Google libri. Nicola
Mangini, Guido Grandi, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. 20 luglio . Amedeo Agostini, Guido Grandi, in
Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Rodonea
Sofisma algebrico Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una
pagina dedicata a Luigi Guido Grandi Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia
Commons contiene immagini o altri file su Luigi Guido Grandi Luigi Guido Grandi, su
Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Luigi Guido Grandi, su accademicidellacrusca.org,
Accademia della Crusca. Luigi Guido Grandi, su MacTutor, University of St
Andrews, Scotland. Opere di Luigi Guido
Grandi, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Luigi Guido Grandi, .
Luigi Guido Grandi, in Galileo Project, Rice University. Carteggi del padre
camaldolese matematico Guido Grandi, su internetculturale.it.
Grassi: Grice: “I like Grassi.
He philosophised, like I did, on the metaphysics of Plato.” Grice: “Grassi has
the gift of the gab: ‘metafora inaudita,’ ‘potenza dell’imagine,’ –“ Grice:
“Grassi has mainly explored Heidegger.” – Grice: “I like Grassi’s general use
of ‘imago’ to re-approach rhetoric!” -- Ernesto Grassi (Milano1) filosofo. EGrassi
si laureò a Milano il 30 giugno 1925; in quegli anni egli aveva trovato il suo
maestro in Piero Martinetti, professore dell'Università Statale di Milano. Già
prima della laurea, Grassi sentì il bisogno di stringere rapporti con la
cultura tedesca e nel 1924 si era recato a Friburgo in Brisgovia per
presentarsi al filosofo Edmund Husserl. Alla ricerca di un luogo dove poter
continuare gli studi, partì per la Provenza nel 1927 dove conobbe Maurice
Blondel; nel 1928 ritornò in Germania, dove incontrò Martin Heidegger. Questo
fu l'inizio di una lunga collaborazione che segnò il destino filosofico di
Grassi; egli continuò la sua attività in Germania, prima come lettore
d'italiano a Friburgo, poi come incaricato di filosofia umanistica ed infine
come professore onorario, titolo grazie al quale poté insegnare a Berlino tra
il 1938 e il 1943. Fu presidente del "Centro Internazionale di Studi
Umanistici" di Monaco ed in seguito professore di "Filosofia
dell'Umanesimo" (Philosophie des Humanismus) presso la
Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco. Fu anche il curatore della Rowohlts
Deutsche Enzyklopädie, la famosa "RDE", la prima collana scientifica
tascabile in Germania, e della Rowohlts Klassiker. Il pensiero Pensatore di grande valore e
critico ingegnoso della filosofia dell'Umanesimo, cercò di ricondurre la
filosofia contemporanea ad una riflessione radicale intorno al suo statuto
epistemologico e a un ripensamento riguardante il valore del suo linguaggio,
ormai specialistico e spesso sterile, per affermare la valenza filosofica del
linguaggio poetico, metaforico e fantastico.
Opere principali e traduzioni italiane Il problema della metafisica
platonica, Laterza, Bari 1932, 227
Dell'apparire e dell'essere (seguito da Linee della filosofia tedesca
contemporanea), La Nuova Italia, Firenze 1933, 97 Von Vorrang des Logos. Das Problem der Antike
in der Auseinandersetzung zwischen italienischer und deutscher Philosophie,
Beck, München 1939, 218 Gedanken zum
Dichterischen und Politischen. Zwei Vorträge zum Bestimmung der geistigen
Tradition Italiens, Küpper, Berlin 1939, 48
Wirklichkeit als Geheimnis und Auftrag. Die Exaktheit der
Naturwissenschaften und die philosophische Erfarung, in collaborazione con
Thure von Uexküll, Francke, Bern 1945,
130. Verteidigung des Individuellen Lebens. Studia humanitatis als
Philosophische Überlieferung, Francke, Bern 1946, 176 Von Ursprung und Grenzen der
Geisteswissenschaften und Naturwissenschaften, in collaborazione con Thure von
Uexküll, Verlag A. Francke, Bern 1950, 254
Die Einheit unseres Wirklichkeitsbildes und die Grenzen der
Einzelwissenschaften, Ernesto Grassi e Thure von Uexküll, Lehnen, München 1951,
196 Reisen ohne anzukommen.
Südamerikanische Meditationen, Rowohlt, Hamburg 1955, 144 Kunst und Mythos, Rowohlt, Hamburg 1957,
167 Die zweite Aufklärung: Enzyklopädie
heute. Mit lexikalischem Register zu Band 1-75, Rowohlt, Hamburg 1958, 304 Die Theorie des Schönen in der Antike, DuMont
Schauberg, Köln 1962, 287 Macht des
Bildes. Ohnmacht der rationalen Sprache. Zur Rettung des Rhetorisches, DuMont
Schauberg, Köln 1970, 231 Arte come
antiarte. Teoria del bello nel mondo antico, traduzione di Carlo Hermanin,
Paravia, Torino 1972, 133. Humanismus
und Marxismus. Zur Kritik der Verselbständigung von Wissenschaft [Mit einem
Anhang “Texte italienischer Humanisten”], Rowohlt, Hamburg 1973, 274 Die Macht der Phantasie. Zur Geschichte
abendländischen Denkens, Athenäum, Königstein/Ts. 1979, 267 Macht des Bildes. Ohnmacht der rationalen
Sprache. Zur Rettung des Rhetorischen, Fink, München 1979, 231 Rhetoric as Philosophy. The Humanist
Tradition, traduzione di John Michael Krois e Azized Azodi, The Pennsylvania
State University Press, University Park and London 1980, 122 (ristampa 2001) Heidegger and the Question of
Renaissance Humanism. Four Studies, traduzione di Ulrich Hemel-John Michael
Krois, State University of New York at Binghamthon, Binghamton/N.Y. 1983, in
Medieval and Renaissance Texts and Studies,
XXI, 103 Heidegger e il problema
dell'umanesimo, traduzione di Enrichetta Valenziani-Giovanna Barbantini, Guida,
Napoli 1985, 105 Einführung in
philosophische Probleme des Humanismus, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt
1986, 171 Folly and Insanity in
Renaissance Literature, in collaborazione con Maristella Lorch, traduzione di
John Michael Krois e Mario A. Di Cesare, University Center at Binghamtom,
Binghamton/N.Y. 1986, in Medieval and Renaissance Texts and Studies, vol XLII,
128 La preminenza della parola
metaforica. Heidegger, Meister Eckhart, Novalis, Mucchi editore, Modena 1987,
77 La filosofia dell'umanesimo. Un
problema epocale, traduzione di Enrichetta Valenziani, Tempi Moderni, Napoli
1988, 218 Renaissance Humanism. Studies
in Philosophy and Poetics, traduzione di Walter Veit, Center for Medieval and
Early Renaissance Studies, Bimhamton/N.Y. 1988, 145 Umanesimo e retorica. Il problema della
follia, traduzione di Enrichetta Valenziani e Giovanna Barbantini, Mucchi,
Modena 1988, 119 Potenza dell'immagine.
Rivalutazione della retorica, traduzione di Liliana Croce e Massimo Marassi,
Guerini e associati, Milano 1989, 267 La
metafora inaudita, Massimo Marassi, Aestetica, Palermo 1990, 167 Potenza della fantasia. Per una storia del
pensiero occidentale, Claudio Gentili, Guida, Napoli 1990, 264 Vico and Humanism. Essays on Vico, Heidegger
and Rhetoric, Peter Lang, New York 1990,
217. Filosofare noetico non metafisico. L'Alcesti e il Don Chisciotte,
in collaborazione con Emilio Hidalgo y Serna, Congedo Editore, Galatina, 1991,
55 Vico e l'umanesimo, traduzione di
Antonio Verri, Guerini e associati, Milano 1992, 244 Il dramma della metafora. Euripide, Eschilo,
Sofocle, Ovidio, Massimo Marassi, L'officina tipografica, Roma 1992, 177 Die unerhörte Metapher, traduzione di Emilio
Hidalgo y Serna, Hain, Frankfurt a. M. 1992, 280 Arte e mito, edizione riveduta ed ampliata
dall'Autore, traduzione e cura di Carlo Gentili, La Città del Sole, Napoli
1996, 240 Retorica come filosofia. La
tradizione umanistica, traduzione di Roberta Moroni, Massimo Marassi, La Città
del Sole, Napoli 1999, 199 Viaggiare ed
errare. Un confronto con il Sudamerica, traduzione di Cristina De Santis,
Massimo Marassi, La Città del Sole, Napoli 1999, 201 Studi su Ernesto Grassi Eberhard Bons, Der
Philosoph Ernesto Grassi, Fink, München 1990. Wilhelm Büttemeyer, Ernesto
GrassiHumanismus zwischen Faschismus und Nationalsozialismus, Alber, Freiburg .
Emilio Hidalgo-Serna (cur.), Studi in memoria di Ernesto Grassi, 2 , Edizione
La Città del Sole, Napoli 1996 (con
estesa). Robert Josef Kozljanic, Ernesto Grassi, Fink, München 2003.
Anna Di Somma, La prospettiva filosofica di Ernesto Grassi tra antropologia,
logica e ontologia, La scuola di Pitagora, Napoli . Ead., Meditazioni
sudamericane: la tappa sudamericana dell'onto-antropo-logia di Ernesto Grassi,
in Studi Interculturali, 1, . Ead., La realtà umana tra disvelamento e
fondazione: l'incidenza di Vico e Leopardi nell'antropologia di Ernesto Grassi,
in ISPF Lab . Ead., Il ruolo di Platone nell’onto-antropo-logia di Ernesto
Grassi, in cds in A. Muni , Platone nel pensiero moderno e contemporaneo,
Limina mentis, . Ead., La Hora de Pan en Reisen ohne anzukommen. Eine
Konfrontation mit Sudamerika de Ernesto Grassi, in AA. VV, Magister et
discipuli. Filosofìa, historia, politica y cultura, Penguin Random House,
Bogotà . Umanesimo Biografia su Rai Educational, su emsf.rai.it.
3 aprile 2006 10 ottobre 2006). Piergiorgio Donatelli, «GRASSI, Ernesto» in Dizionario
Biografico degli Italiani, Volume 58, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, 2002. Claudia Razza, Ernesto Grassi: l'umile potenza del suo
umanesimo nel sito dell'Università Ludwig Maximilian di Monaco, Facoltà di
filosofia.
Grassi: Grice: “I like Grassi;
he wrote on Faust!” -- Leonardo Grassi (Mascali), filosofo. Iniziò gli studi
ginnasiali presso il seminario di Acireale fino alla terza ginnasiale,
proseguendoli poi a Catania, presso il liceo "Nicola
Spedalieri". Assiduo frequentatore
della sala lettura dell'Catania, conobbe il poeta Mario Rapisardi, allora nella
piena maturità del suo ingegno, cui lo legò una profonda stima ed affinità
intellettuale. Seguendo le orme paterne,
conseguì la prima laurea in medicina e chirurgia all'Napoli (1898), con una
tesi in psicologia sperimentale dal titolo Intorno alla memoria delle immagini
acustiche e visive delle parole in rapporto specialmente al tempo di
"fissazione", suggeritagli da Leonardo Bianchi e pubblicata poi sulla
Rivista Sperimentale di Freniatria. Si
trasferì, dunque, a Messina dove divenne assistente di Giovanni Weiss, docente
di patologia generale in quella Università.
Tuttavia cominciò a provare le prime grosse delusioni per
l'inconciliabile contrasto fra le esigenze pratiche della professione, che
rischiavano di piegarlo a umilianti compromessi, e le alte aspirazioni della
sua anima. Mutò bruscamente indirizzo,
iscrivendosi alla facoltà di scienze naturali, conseguendo così la seconda laurea
con Pio Mingazzini sostenendo una tesi intorno ai pesci di Ganzirri e Faro, che
poi fu pubblicata su una rivista veneziana. Mingazzini, chiamato alla cattedra
di Bologna, era felice di averlo come assistente, ma di lì a poco morì
improvvisamente. Il suo spirito inquieto
cercò altre vie ed altri sbocchi, e così intraprese a frequentare le lezioni
che si tenevano nella facoltà di lettere e filosofia dell'Catania,
profondamente influenzato dalle precedenti frequentazioni messinesi dove
campeggiavano figure come Giovanni Pascoli, col quale strinse amicizia,
Giovanni Cesca, Michele Barbi, Augusto Mancini, Roberto Ardigò, del suo
discepolo Giovanni Dandolo ed infine dello storico Gaetano Salvemini. Nel 1904 conseguiva la sua terza ed ultima
laurea in filosofia presso l'ateneo catanese, con una tesi pubblicata
dall'editore Muglia di Messina, dal titolo L'unità dei fatti psichici
fondamentali. Quindi vinse la cattedra
di filosofia nei licei e fu assegnato a Caltagirone dove conobbe e sposò il 25
aprile del 1909 la giovane Giacomina Gerbino appena laureata in lettere
classiche alla quale lo legò un profondo amore ed un'intensa affinità
d'intelletti. Fu capitano medico e
nell'ultima parte della prima guerra mondiale ebbe la direzione di un ospedale
militare di riserva in cui rimase fino alla primavera del 1919. Ritornato all'insegnamento, venne trasferito
a Catania dove fu professore di filosofia presso il liceo "N.
Spedalieri" . Nel 1920 conseguì la
libera docenza presso l'Catania dove insegnò filosofia morale. Iniziò, dunque, un'intensa attività
scientifica che vide tra i suoi maggiori corrispondenti Giovanni Gentile e
Luigi Sturzocon i quali intrattenne un copioso carteggiooltre al letterato
Villaroel, Arturo Farinelli, Bernardino Varisco, Giuseppe Fausto Majelli,
Pantaleo Carabellese e Luigi Fassò. Dal
1945 al 1946 fu ideatore e direttore responsabile della rivista Prisma a cui
collaborò, tra gli altri, anche Manlio Sgalambro. Si spense a Catania il 27 gennaio 1961 a 87
anni, nel suo palazzo in Via Firenze.
Opere e collaborazioni Tra le opere più significative: Leonardo Grassi, Preludi a un commento alla
vita del Faust, Catania, Studio Editoriale Moderno, 1928. Leonardo Grassi,
Commento alla vita di Faust, Torino, F.lli Bocca Editori, 1932. Leonardo Grassi,
Preludi storico attualistici alla Critica della ragion pratica, Catania,
Crisafulli Editore, 1943. Leonardo Grassi, Storia di un medico mancato,
Catania, Studio editoriale La Legione, 1935. Leonardo Grassi, voce assoluto,
Roma, Enciclopedia Treccani, 1930. Leonardo Grassi, voce assoluto, Roma,
Enciclopedia De Carlo, 1942. Collaboratore del Giornale critico della filosofia
italiana diretto da Giovanni Gentile Direttore responsabile di Prisma una delle
riviste culturali-filosofiche catanesi dell'immediato secondo dopoguerra.
Traduzione inedita, della Critica della ragion pratica di Kant e della Logik
und Metafysik del Fischer. Premi e riconoscimenti Socio della Fondazione
Giovanni Gentile per gli Studi Filosofici. Socio onorario del Centro di Studi
Anglo-Franco-Americani sezione per l'Oriente e componente del comitato
nazionale. Socio onorario del Centro Italiano Studi Internazionali. Nel 1966
gli sono state intitolate due scuole medie, una a Mascali in provincia di
Catania e l'altra a Catania, tutt'oggi attive ed operanti Dal 2007 è stato creato
il premio "Leonardo Grassi" per la legalità le cui edizioni annuali o
biennali si svolgono presso l'istituto comprensivo "Leonardo Grassi"
di Mascali. Note Biografia di Leonardo Bianchi Rivista di freniatria diretta da
Tamburini La Storia Istituto Leonardo Grassi Archiviato il 19
dicembre in . Rosario Fisichella, La musica e le idee,
Giannotta editore, Catania, 1966. Rosario Fisichella, Un filosofo dall'anima di
poeta, in Ausonia 4 XIX luglio-Agosto 1964 ed. MAIA Ermanno Scuderi, Poesia e
coscienza critica, Edigraf, Catania, 1970. Ermanno Scuderi, Scrittori e critici
di Sicilia, Cedam, Padova, 1970. Mario Sipala, Da Carducci a Quasimodo, Cedam,
Padova 1970. Salvatore Latora, Il pensiero di Leonardo Grassi in Teoresi
Rivista di cultura Filosofica, diretta da Vincenzo La Via, anno XXIX, 1974.
Rosario Vittorio Cristaldi, in Rivista di Studi Crociani XII, 1975,
fasc.IV, 471–472, "Leonardo
Grassi" Istituto Comprensivo
Statale "Leonardo Grassi", su grassimascali.it. La Musica e le idee,
su openlibrary.org. Comune di Mascali, su comune.mascali.ct.it. Rivista
Sperimentale di Freniatria, su rivistafreniatria.it.
Grataroli: Grice: “I like
Grataoroli, the Pope called him ‘infamous heretic,” which is a good start! He
wrote a book on ‘semiotics’ of the times, but it got lost – you cannot
understand Bruno unless you do Grataroli – he philosophised on many subjects,
including dreams and alchemy!” -- Guglielmo Grataroli Guglielmo Grataroli o
Gratarolo (Bergamo) medico e filosofo italiano. Ritratto di Grataroli da
Giovanni Battista Gallizioli, Della vita degli studi e degli scritti di
Gulielmo Grataroli filosofo e medico, In Bergamo, dalla Stamperia Locatelli,
1788. Il Grataroli nacque all'inizio Professorea Bergamo, in una famiglia
benestante dedita al commercio di tessuti di lana con la città di Venezia.
Questa, originaria del borgo di Oneta, frazione di San Giovanni Bianco in val
Brembana, oltre a possedere gran parte della contrada e dei terreni circostanti
(tra cui anche l'edificio che attualmente ospita la casa di Arlecchino),
annoverava tra i suoi membri una folta schiera di medici (al tempo chiamati
"phisici"), tra i quali si segnalarono Simone, fondatore del collegio
dei medici di Bergamo, e Pellegrino, medico presso la città orobica,
rispettivamente nonno e padre di Guglielmo. Gli studi del giovane
Guglielmo furono quindi indirizzati fin dall'inizio verso l'arte esercitata dal
padre, che lo educò e lo indirizzò allo studio della stessa. Proseguì quindi
gli studi a Padova presso la locale facoltà di medicina, dove nel 1536 si
laureò e l'anno seguente vi assunse la cattedra. Nella città veneta,
oltre a pubblicare la sua prima opera, una piccola dispensa inerente
osservazioni sul mondo della natura, entrò in contatto con studenti e docenti
provenienti da ogni parte d'Europa, venendo contagiato dalle dottrine religiose
predicate da Lutero e Calvino. Si dedicò quindi alla professione
esercitando prima a Milano e poi a Bergamo dove nel 1539 si iscrisse al locale
ordine dei medici. Dopo aver pubblicamente manifestato le proprie idee in
ambito religioso, che stridevano non poco con il pensiero cattolico e che si
avvicinavano notevolmente a quelle proprie della Riforma protestante, si dedicò
attivamente ad un gruppo eterodosso, del quale prese la guida in seguito
all'arresto, con l'accusa di eresia, di don Pietro Pesenti, il precedente
reggente. Anch'egli venne più volte redarguito dalle gerarchie cattoliche
e costretto a comparire davanti ai tribunali ecclesiastici di Bergamo e Milano.
Questi lo invitarono a ritrattare tutte le sue affermazioni considerate
eretiche tanto da costringerlo, il 4 febbraio 1544, ad abiurare. Non
rinunciando alle proprie idee, fu nuovamente sottoposto al giudizio
dell'autorità canonica nel 1550. Il degenerare della situazione lo
obbligò a fuggire dalla città, riparando a Tirano nel Canton Grigioni, dove
dichiarò di non riconoscere l'autorità dell'inquisizione. Qui trovò ospitalità
da esponenti della nobiltà locale presso i quali ebbe la possibilità di
insegnare e praticare la propria disciplina. Nel frattempo, il 23 gennaio
1551 il tribunale ecclesiastico di Bergamo lo dichiarò, in contumacia, eretico
colpevole di «aver molto straparlato de le cose pertinenti a la fede et
di essa fede et de la autorità del papa... negare il purgatorio, le indulgenze,
i suffragi per i defunti, la venerazione dei santi, la presenza del corpo di
Cristo nell'eucaristia... heretico pertinace et scandaloso et infame… peste
contra la fede» vietandogli il ritorno nella città orobica, pena
la decapitazione ed il rogo, ponendo sulla sua testa una somma pari a
cinquecento lire e confiscando tutti i beni suoi e della moglie, nel frattempo
rimasta in città. Il Grataroli cominciò quindi a spostarsi in numerose
città d'Europa, tutte poste in ambienti riformati. Si stabilì prima a
Strasburgo ed in seguito a Basilea, città nella quale ebbe modo sia di
praticare medicina (salvando la vita, tra gli altri, a Girolamo Cardano), che
di assumere la cattedra nella locale università, presso l'ingresso della quale
ancor oggi è presente un suo busto che ne testimonia l'importanza
ricoperta. Morì in terra elvetica, che nel frattempo era diventata la sua
nuova patria, nel 1568. Pensiero Le sue teorie, che gli valsero la fama
di medico e scienziato tra i più illustri dell'Europa del XVI secolo, toccavano
numerosi punti in ambito medico. Noti sono i suoi trattati sul potenziamento e
il mantenimento della memoria, sulle epidemie di peste, sulle proprietà del
vino, su erboristeria e veterinaria. Vi sono anche alcuni scritti inerenti
all'alchimia, disciplina abbondantemente sviluppata da Paracelso, che insegnò
nell'Basilea soltanto qualche anno prima del Grataroli. Si segnalò nel
medesimo ateneo sia per le ricerche che per gli elaborati sulla teoria
fisiognomica, in seguito sviluppata, nel corso Professoreda Cesare
Lombroso. Menzionato anche in poesie del conterraneo Padre Donato Calvi,
scrisse un totale di 25 opere mediche e filosofiche. Tra le altre si segnalano
argomentazioni sulle dottrine del medico greco Galeno di Pergamo e del filosofo
ed umanista italiano Pietro Pomponazzi, consigli medici per letterati e
magistrati, ma anche indicazioni sia per il mantenimento della salute che per
l'utilizzo dei bagni termali, nonché un saggio in cui vengono raccontati i suoi
viaggi e forniti consigli ai viaggiatori di quel tempo. Opere De memoria
reparanda, augenda ser-vandaque. De salute tuenda. De regimine iter argentium,
vel aequitum, vel peditum, vel navi, vel curru, seu rheda. Turba Philosophorum.
De literatorum et eorum qui magistratibus funguntur conservanda
praeservandaeque valetitudine compendium, Pietro Perna, Basilea, 1555. Veræ
alchemiæ artisque metallicae, citra aenigmata, doctrina, certusque..., Pietro
Perna, Basilea, 1561. De fato, libero arbitrio et providentia Dei (in 5 libri)
Pietro Perna, Basilea, 1567. Alchemiae, quam vocant, artisque metallicae,
doctrina, certusque modus,... (in 53 volumi) Pietro Perna, Basilea, 1561. De
balneis, Bergamo, 1582. Note Quaderni
brembani[collegamento interrotto] Storia
di Milano Flavio Caroli, Storia della
fisiognomica Arte e psicologia da Leonardo a Freud Marco Meriggi e Alessandro Pastore , Le
regole dei mestieri e delle professioni: secoli XV-XIX, 259-260.
Alberto Castoldi (coordinamento di), Bergamo ed il suo territorio.
Dizionario enciclopedico, 447–448,
Bergamo, Bolis edizioni 2004.
88-7827-126-8. Giovanni Battista Gallizioli, Della vita degli studi e
degli scritti di Gulielmo Grataroli filosofo e medico, In Bergamo, dalla Stamperia
Locatelli, 1788. l'11 luglio . Marco
Meriggi, Le regole dei mestieri e delle professioni: secoli XV-XIX, 259–260. Cesare Vasoli, Le filosofie del
Rinascimento457. Tarcisio Bottani e Wanda Taufer, Storie del Brembo. Fatti e
personaggi dal Medioevo al Novecento, Ferrari editrice, 1998. Girolamo
Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Napoli, Nella Stamperia de'
classici, 1836-1840542. Maclean, Ian. "Heterodoxy in Natural Philosophy
and Medicine: Pietro Pomponazzi, Guglielmo Gratarolo, Girolamo Cardano,"
in Heterodoxy in Early Modern Science and Religion, edited by John Brooke and
Ian Maclean. Oxford: Oxford University Press, 2005. Fisiognomica Mnemotecnica Peste Altri
progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Guglielmo
Grataroli Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o
altri file su Guglielmo Grataroli
Guglielmo Grataroli, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Opere di
Guglielmo Grataroli, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Guglielmo Grataroli,
. Filosofia Medicina Medicina Categorie:
Medici italianiFilosofi italiani Professore1516 1568 16 maggio 16 aprile
Bergamo BasileaScienziati italiani
Grazia: Grice: “Grazia is
important to understand Galileo, whom Italians consider a philosopher!” Grice:
“Grazia also wrote about architecture – a truly Renaissance man!” -- Deputato
del Parlamento delle Due Sicilie Durata mandatoCircoscrizioneCatanzaro Considerazioni di m. Vincenzo Di Grazia (1613).
Vincenzo De Grazia (Mesoraca), filosofo. Studiò a Napoli dove venne condotto,
dalla natia Calabria, da uno zio dell'ordine dei Teatini all'età di 5 anni. Si
laureò in ingegneria e nel 1811, durante il regno di Gioacchino Murat, si
arruolò nel genio militare nell'esercito delle Due Sicilie. Si dedicò alla
filosofia da autodidatta: il suo pensiero ebbe poca diffusione mentre era in
vita, e non riuscì a succedere a Pasquale Galluppi all'Napoli dopo la morte di
quest'ultimo (1846). Nel 1848 fu eletto
deputato al Parlamento Napoletano per il distretto di Catanzaro. De Grazia si oppose al Criticismo kantiano e
all'Idealismo hegeliano in nome dell'esperienza. Negli ultimi anni cercò di
conciliare il suo realismo gnoseologico con la filosofia tomistica. Opere Vincenzo de Grazia, Discorso su
l'architettura del teatro moderno, di Vincenzo De Grazia. Napoli : dai torchi
di Saverio Giordano, 1825. Vincenzo de Grazia, Saggio su la realtà della
scienza umana, di Vincenzo de Grazia. Napoli : Dalla tipografia Flautina, 1839
(on-line). Vincenzo de Grazia, Su la logica di Hegel e su la filosofia
speculativa, discorsi. Napoli : Dalla tipografia de' Gemelli, 1850 (on-line).
Vincenzo de Grazia, Prospetto della filosofia ortodossa, di Vincenzo de Grazia.
Napoli : Stab. tip. del Poliorama pittoresco, 1851. Vincenzo Di Grazia,
Considerazioni di m. Vincenzo Di Grazia sopra 'l discorso di Galileo Galilei
intorno alle cose che stanno su l'acqua, e che in quella si muouono.
All'Illustriss. ed Eccellentiss. Sig. don Carlo Medici, In Firenze, presso
Zanobi Pignonj, 1613. Note Su la logica
di Hegel e su la filosofia speculativa, 1850
Saggio su la realtà della scienza umana, 1839-42 Prospetto della filosofia ortodossa,
1851 Tancredi De Riso, Cenni biografici
del filosofo calabrese Vincenzo De Grazia. Genova : Lodovico Lavagnino, 1858.
Biagio Miraglia, "Vincenzo de Grazia, filosofo calabrese". In:
Introduzione alla scienza della storia: con altri scritti editi ed inediti.
Torino : Unione Tipografico-Editrice, 1866,
197–202 (on-line). Francesco Fiorentino, Della vita e delle opere di
Vincenzo De Grazia, memoria di Francesco Fiorentino, Catanzaro, Centro
Bibliografico Calabrese, 1989. R. Grita, «DE GRAZIA, Vincenzo». In: Dizionario
Biografico degli Italiani, XXXVI
(on-line). Vincenzo De Grazia, in
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Gregory: Grice: “I like
Gregory; being a Roman, he studied Roman philosophy in one of the most
interesting epochs: the thirties! Then he explored what he calls the ‘lessico
filosofico,’ which Austin detested – “Why do we need the philosopheer’s
‘volition’ when we have ‘would’??” -- Tullio Gregory (Roma), filosofo. Si laureò
in filosofia a Roma "La Sapienza" con Nardi. Di questo ateneo fu Professore
dcome titolare della cattedra di Storia della filosofia medievale e dal 1967 di
quella di Storia della filosofia. Fu anche direttore del Dipartimento di
Ricerche storico-filosofiche e pedagogiche della stessa Università. Dal
1951 fu collaboratore dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana, contribuendo
tra l'altro alla pubblicazione del Dizionario Enciclopedico Italiano. In
seguito divenne direttore della sezione di Storia della filosofia e del
cristianesimo del Lessico Universale Italiano, collaborò alla Terza Appendice, al
Dizionario Biografico degli Italiani, alla Dantesca, alla Virgiliana e diresse
la redazione dell’Enciclopedia della moda. Presso l'Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, del cui Consiglio scientifico era membro, fu direttore
dell’Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere e Arti (Treccani). Dai primi
anni sessanta fu consulente della Casa editrice Laterza per la filosofia; in
tale ruolo, fra le molte altre iniziative, diresse la collana "I
filosofi", divenuta ormai una vera e propria enciclopedia filosofica
d’alto livello. Fu fondatore e direttore, dal 1964, del Centro di Studio
per il Lessico Intellettuale Europeo del Consiglio Nazionale delle Ricerche,
che diresse dal 1970. Inoltre era membro del Comitato direttivo del Centro
italiano di studi sull'alto medioevo e del Consiglio direttivo dell'Istituto
Nazionale di Studi sul Rinascimento di Firenze. Condirettore, prima con
Paul Dibon, poi con Marc Fumaroli e Marta Fattori, delle Nouvelles de la
République des Lettres, era membro del Consiglio scientifico dell'Institut de
la Langue Française di Parigi, directeur d'études all'École Pratique des Hautes
Études della Sorbona e della Société Internationale pour l'Etude de la
Philosophie Médiévale; di questa era Presidente dal 1987. Accademico
Ordinario dell'Accademia delle Arti del Disegno di Firenze e socio nazionale
dell'Accademia Nazionale dei Lincei e dell'Accademia Pontaniana, fu anche
fellow della British Academy di Londra dal 1993 e dell'American Academy of Arts
and Sciences dal 1994. È stato anche consigliere d'amministrazione della Rai
nel 1993-1994, all'epoca dei cosiddetti "Professori". Collaborò
con l'Istituto dell'Enciclopedia Italiana e con l'inserto domenicale de Il Sole
24 ore. In questo inserto espresse il proprio punto di vista su (18 e 25 febbraio 2007); negli articoli sopra
citati si rileva che a suo giudizio, in , «le singole voci sono un coacervo di
notizie che, mancando di sistemazione critica, non offrono neppure una sicura
informazione». È morto a Roma il 2 marzo
a novant'anni. Studi Si occupò soprattutto delle fasi di trapasso
del pensiero filosofico, scientifico e teologico europeo dal medioevo al XVII
secolo. Opere Scritti principali: Anima mundi. La filosofia di
Guglielmo di Conches e la scuola di Chartres, Firenze, Sansoni, 1955.
Platonismo medievale. Studi e ricerche, Roma, Istituto storico italiano per il
Medio Evo, 1958. Scetticismo ed empirismo. Studio su Gassendi, Bari, Laterza,
1961. L'idea di natura nella filosofia medievale prima dell'ingresso della
fisica di Aristotele. Il secolo XII, in III Congresso Internazionale di
Filosofia medievale, La filosofia della natura nel Medioevo (Passo della
Mendola, 31 agosto-5 settembre 1964), Firenze, Sansoni, 1964; poi in La
filosofia della natura nel Medioevo. Atti del Terzo Congresso internazionale di
filosofia medioevale. Passo della Mendola (Trento), 31 agosto-5 settembre 1964,
Milano, Vita e pensiero, 1966, 27–65.
Studi sull'atomismo del Seicento, in "Giornale critico della filosofia italiana",
Aristotelismo, in Grande antologia filosofica, VI, Il pensiero della rinascenza
e della riforma. Protestantesimo e riforma cattolica, Milano, Marzorati, 1964.
Dio ingannatore e genio maligno. Nota in margine alle "Meditationes"
di Descartes, in "Giornale critico della filosofia italiana", anno
LIII (LV), fasc. IV (ott.-dic. 1974),
477–516; poi in Mundana sapientia. Theophrastus redivivus. Erudizione e
ateismo nel Seicento, Napoli, Morano, 1979. Il libertinismo della prima metà
del Seicento. Stato attuale degli studi e prospettive di ricerca, in Ricerche
su letteratura libertina e letteratura clandestina nel Seicento. Atti del
Convegno di studio di Genova, 30 ottobre-1 novembre 1980, Firenze, La Nuova
Italia, 1981, 3–47. Etica e religione
nella critica libertina, Napoli, Guida, Mundana sapientia. Forme di conoscenza
nella cultura medievale, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, Genèse de la
raison classique de Charron à Descartes, Paris, Presses Universitaires de
France, Lo spazio come geografia del sacro nell'Occidente altomedievale, in
“Giornale critico della filosofia italiana”, Anno LXXXI (LXXXIII), Fasc. II,
Maggio-Agosto 2002. Noè ovvero della sobria ebbrezza, in L'ebbrezza di Noè.
Sedici artisti per San Gimignano, Cesena, Il Vicolo, 2003. 88-87369-23-2. Origini della terminologia
filosofica moderna. Linee di ricerca, Firenze, Olschki, Speculum naturale.
Percorsi del pensiero medievale, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, Principe
di questo mondo. Il diavolo in Occidente, Roma-Bari, Laterza, Michel de
Montaigne, o Della modernità, Pisa, Edizioni della Normale, Vie della
modernità, Firenze, Le Monnier Università, Cavaliere di gran croce dell'Ordine
al merito della Repubblica italiananastrino per uniforme ordinariaCavaliere di
gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana — 1º giugno 2002
Inoltre Gregory fu nominato Chevalier officier de l'ordre des arts et des
lettres de France. Note Il Sole 24
ore, 25 febbraio 2007 Morto Tullio
Gregory, filosofo e storico della filosofia. Aveva 90 anni, su Corriere della
Sera, 3 marzo . Presidenza della
Repubblica. Le onorificenze. Dettaglio decorato
Vincenzo Cappelletti, GREGORY, Tullio, in Enciclopedia Italiana, V
Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1992,
tullio-gregory. Tullio Gregory, su
Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Tullio Gregory, su openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Opere di Tullio Gregory, . Registrazioni di Tullio Gregory, su RadioRadicale.it,
Radio Radicale. Cenni biografici e
pubblicazioni dal sito dell'Università La SapienzaRoma. Pagina personale nel
sito di ILIESI., su iliesi.cnr.it. Archivio Tullio Gregory.
Grice, H. P. “A Philosophical Grand Tour to Italyin search of
Vico!” --.
Griffero: Grice: “I like
Griffero; for one, he has a taste for neologisms, like his atmospherelogy – He
has understood that aesthesis, qua sensatio, is the basis for aesthetics, and
he has explored the philosophies of Tarso, Spranger, and Schelling!” -- Tonino
Griffero (Asti), filosofo. Professore di estetica a Roma "Tor
Vergata". Ha studiato presso l'Torino, dove si è laureato in
filosofia sotto la guida di Vattimo con una tesi sull'ermeneutica di E. D. Hirsch.
Insegnante nelle scuole superiori, ha conseguito il dottorato a Bologna e
condotto una ricerca post-dottorato ad Heidelberg come Humboldt-Fellow. È stato
ricercatore presso l'Vercelli, poi da professore associato di estetica presso
l'Roma "Tor Vergata" e dal 2002 ivi Professore. È direttore di
"Sensibilia. Colloquium on Perception and Experience" e del Master in
"Comunicazione estetica e museale" (IAD-Roma "Tor Vergata),
delle collane editoriali "Oltre lo sguardo. Itinerari di Filosofia"
(Armando Editore, Roma, 2007-), "Percezioni. Estetica & Fenomenologia"
(Christian Marinotti, Milano, dal ), "Sensibilia" (Mimesis, Milano
dal 2007), della rivista "Lebenswelt. Aesthetics and Philosophy of
Experience" , del blog "Atmospheric Spaces"
(atmosphericspaces.wordpress.com/) e della collana "Atmospheric Spaces"
(Mimesis International). Durante la formazione, si dedica inizialmente
allo studio di alcune figure e problemi della storia dell'ermeneutica, in
particolare ai lavori di Emilio Betti (Interpretare. La teoria di Emilio Betti
e il suo contesto, Rosemberg & Sellier, Torino 1988) e di Eduard Spranger
(Spirito e forme di vita. La filosofia della cultura di Eduard Spranger, Franco
Angeli, Milano 1990). Come dottorando (1988/1992), si dedica al rapporto
tra arte e mito nel pensiero di Schelling, scrivendo poi Senso e immagine.
Simbolo e mito nel primo Schelling (Guerini & Associati, Milano 1994),
Cosmo Arte Natura. Itinerari schellinghiani (Cuem, Milano 1995), nel quale si
concentra sulle caratteristiche del primo real-idealismo di Schelling, e infine
una ricostruzione dell'apporto dato da questo autore all'estetica filosofica,
L'estetica di Schelling (Laterza, Roma-Bari). La nozione di
"immaginazione transitiva", è invece affrontata nel libro Immagini
Attive. Breve storia dell'immaginazione transitiva (Le Monnier, Firenze, 2003).
Il libro ricostruisce la storia della "credenza" secondo cui una
fantasia particolarmente forte sarebbe in grado di agire, cambiando o
addirittura generando la realtà esterna. Nel libro Oetinger e Schelling.
Teosofia e realismo biblico alle origini dell'Idealismo tedesco (Nike, Segrate
2000) analizza l'influenza di Friedrich Christoph Oetinger e del Pietismo
Speculativo settecentesco sullo sviluppo del pensiero di Schelling. Il tema
della "corporeità spirituale", che è per Oetinger il "fine
ultimo delle opere di Dio", è ciò a cui si rifà anche lo Schelling nel suo
periodo intermedio (teosofico). L'ampia storia del concetto di
Geistleiblichkeit è esposta nella monografia Il corpo spirituale. Ontologie
"sottili" da Paolo di Tarso a Friedrich Christoph Oetinger (Mimesis,
Milano 2006). La ricerca sulla fenomenologia del corpo e della percezione
e l'estetica delle atmosfere è affrontata nel libro Atmosferologia. Estetica
degli spazi emozionali (Laterza, Roma, ), tr. inglese di S. De Sanctis,
Atmospheres. Aesthetics of Emotional Spaces (Ashgate, Farnham ). Nel
libro Quasi-cose. La realtà dei sentimenti (Bruno Mondadori, Milano ) Griffero
indica e analizza sulla scorta dei un'estetica neofenomenologica i sentimenti
atmosferici, il dolore, la vergogna, lo sguardo, il crepuscono, il corpo
vissuto come quasi-cose, entità aggressive e decisive per la nostra esistenza
senza essere riducibili al paradigma cosale tipico della tradizione
occidentale Il libro Il pensiero dei sensi. Atmosfere ed estetica patica
(Guerini & Associati, Milano ) delinea, a partire dalla nozione
estetico-neofenomenologica di “atmosfera”, i contorni di un'estetica orientata
non allo gnosico ma al patico, che non tematizza oggetti speciali come le opere
d'arte ma il modo in cui “ci si sente” quando ci si espone, soprattutto
involontariamente, ai sentimenti presenti nell'ambiente circostante. Il
tema è ulteriormente sviluppato, esteso a considerazioni sull'atmosfericità
dell'educazione e della politica, sulla presenza e la soggettività
reinterpretate in chiave neofenomenologica nel libro Places, Affordances,
Atmospheres. A Pathic Aesthetics (Routledge, London-New York ). Libri
Interpretare. La teoria di Emilio Betti e il suo contesto, prefazione di F.
Moiso, Rosenberg & Sellier, Torino Spirito e forme di vita. La filosofia
della cultura di Eduard Spranger, Franco Angeli, Milano 1990, 88-204-6387-3; Senso e immagine. Simbolo e
mito nel primo Schelling, Guerini, Milano, Cosmo Arte Natura. Itinerari
schellinghiani, Cuem, Milano, L'estetica
di Schelling, Laterza, Roma-Bari, Oetinger e Schelling. Teosofia e realismo
biblico alle origini dell'idealismo tedesco, Nike, Segrate-Milano Immagini
attive. Breve storia dell'immaginazione transitiva, Le Monnier, Firenze, Il
corpo spirituale. Ontologie “sottili” da Paolo di Tarso a Friedrich Christoph
Oetinger, Mimesis, Milano, Storia dell'estetica moderna, Edizioni Nuova
Cultura, Roma Atmosferologia. Estetica degli spazi emozionali, Laterza,
Rome-Bari, 2 ed. riveduta e con nuova pref., Mimesis, Milano-Udine , Quasi-cose.
La realtà dei sentimenti, Bruno Mondadori, Rome, Atmospheres. Aesthetics of
emotional spaces, Ashgate, Farnham , Il pensiero dei sensi. Atmosfere ed
estetica patica, Guerini & Associati, Milano , Quasi-Things. The Paradigm of Atmospheres,
Suny Press, New York , Places, Affordances, Atmospheres. A Pathic Aesthetics,
Routledge, London-New York , Griffero, Facoltà di Scienze della Comunicazione,
Roma Tor Vergata. , Atmospheric Spaces. Aura Stimmung Ambiance completa http://dottoratostoriae filosofiasociale.uniroma2.it/?p=
F
Grimaldi: Grice: “I have
spoken of ‘magic’ – “two kinds of magic’ – actually, for Grimaldi there are
THREE: ‘black magic,’ ‘artificial magic,’ and my favourite, ‘natural magic’!”
-- Costantino Grimaldi (Cava de' Tirreni), filosofo. Nacque da nobile famiglia
locale di origini genovesi. Compì i suoi studi avvicinandosi a Cartesio, di cui
fu seguace e fece parte del gruppo chiamato degli epigoni dell'Accademia degli
Investiganti (che comprendeva anche Giuseppe Valletta e Francesco D'Andrea). Fu
anche famoso giurista e Consigliere Regio.
Scrisse numerose opere, raccolte poi in "Istoria dei libri di don
Costantino Grimaldi. Scritta da lui medesimo". Tra quelle più note si possono
elencare le Considerazioni intorno alle rendite ecclesiastiche del Regno di
Napoli (Napoli 1708), le Discussioni istoriche teologiche e filosofiche (Lucca
1725), le Dissertazione sulle tre magie, naturale, artificiale e diabolica
(Roma 1751, postumo). Morì a Napoli nel
1750. Il figlio Gregorio (1695-1767),
noto giurista, gli dedicò "Ragioni genealogiche a' favore della Famiglia
Grimaldi del Sig. Cons. D. Costantino Grimaldi. Colli signori Grimaldi di
Seminara, e con quelli patrizj di Catanzaro" Altro suo figlio fu Ginesio, anch'egli
noto giurista. F. A. Meschini, nel Dizionario Biografico degli Italiani,
riferimenti in , indica Napoli come città natale. Memorie di un anticurialista del Settecento.
Testo, introduzione note V.I. Comparato. Firenze, Olschki, Biblioteca
dell'«Archivio storico italiano», 15,
1964. 8vo, xxiv-144. Franco Aurelio
Meschini, «GRIMALDI, Costantino», in Dizionario Biografico degli Italiani,
Volume 59, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2003. Anticurialismo Costantino Grimaldi, in Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Costantino Grimaldi, su openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Opere di Costantino Grimaldi.
Grimaldi: Grice: “He was of a
noble family – he was into the free market – so his is a philosophical
economy.” Domenico Grimaldi (Seminara), filosofo. Esponente dell'illuminismo
napoletano. Francesco Mario Pagano. Nato in una famiglia aristocratica
che faceva risalire le proprie origini alla nota famiglia di Genova, ricevette
la prima educazione dal padre, il marchese Pio Grimaldi, un uomo colto che
aveva cominciato a introdurre criteri di conduzione innovativi nelle sue
proprietà terriere, peraltro non molto estese, di Seminara. Non essendo molto
ricco, il padre lo avviò agli studi giuridici, in previsione di una possibile
professione forense, all'Napoli. Nella capitale napoletana Domenico fu
raggiunto dal fratello minore Francescantonio Grimaldi (1741-1784), fece parte
con il fratello dell'Accademia dell'Arboscello, a cui appartenevano anche
Domenico Diodati, Andrea Serrao e Andrea Leone, frequentò le lezioni di
economia di Antonio Genovesi, e divenne amico di giovani intellettuali come
Mario Pagano, Melchiorre Delfico e Antonio Jerocades. Nel 1765 Domenico
Grimaldi si trasferì a Genova, dove nel 1766 ottenne la riammissione nel
patriziato della Repubblica di Genova, ottenendo così il permesso di esercitare
alcune magistrature. In Liguria, tuttavia, Grimaldi ebbe modo di approfondire
gli aspetti tecnici, economici e sociali legati all'agricoltura il cui studio
lo spinse a viaggi in Francia, specie in Provenza, in Piemonte e in Svizzera.
Si interessò in particolare alla colture dell'ulivo e del gelso per
l'allevamento dei bachi da seta. Venne accolto fra l'altro nell'Accademia dei
Georgofili, che premiò una memoria, nella Società economica di Berna, un centro
di cultura fisiocratica, e nella Société royale d'agriculture di Parigi.
Saggio di economia campestre per la Calabria Ultra François Quesnay,
maggior rappresentante della fisiocrazia Frutto delle sue ricerche fu il Saggio
di economia campestre per la Calabria Ultra (1770), esposizione di un piano
che, partendo dalle condizioni di arretratezza dell'economia calabrese del
XVIII secolo, secondo la dottrina fisiocratica, ne indica i mezzi atti a la
trasformare situazione economica della Calabria. All'epoca il settore
produttivo più importante era l'agricoltura in quanto i posti nell'industria
erano pochi, le alternative limitate all'edilizia, ai lavori pubblici e al
settore terziario; l'agricoltura era tuttavia quasi esclusivamente di
sussistenza, e lo scarso reddito determinava un esodo massivo dalle campagne.
Per Grimaldi l'ammodernamento dell'agricoltura e l'integrazione tra agricoltura
e allevamento erano le condizioni prime per avviare la produzione industriale e
il commercio. il successivo aumento del reddito agrario avrebbe dovuto essere
reinvestito nell'industria tessile e in quelle serica, lattiero-casearia e
olearia. La presenza di industrie avrebbe innescato un circolo virtuoso in
quanto avrebbe potuto richiamare un afflusso di capitali per la
ristrutturazione fondiaria e l'aumento delle dimensioni delle aziende agricole,
con successiva formazione e sviluppo di attività miste agricolo-manifatturiere,
specialmente alimentari, con impiego di mano d'opera locale. L'imprenditore
Vecchio frantojo ligure dismesso Attorno al 1770 Grimaldi si impegnò a tradurre
in pratica questi progetti, con l'aiuto finanziario del padre, impegnandosi nel
miglioramento della coltivazione degli olivi, chiamate dalla Liguria maestranze
e tecnici per creare a Seminara nuovi frantoi "alla genovese"; rese
poi pubblici i progetti e i risultati delle sue innovazioni con un'opera del
1773, edita nuovamente nel 1777 con una dedica a Giuseppe Beccadelli, marchese
della Sambuca. Si dedicò più tardi, attorno al 1780, alla produzione
della seta. Grimaldi, che inizialmente intendeva assegnare l'ammodernamento
dell'agricoltura all'iniziativa privata, si rese conto che l'approccio
utilizzato per l'ammodernamento dell'industria olearia (in questo caso, introduzione
in Calabria della lavorazione della seta alla "piemontese") non
sarebbe stato sufficiente nella lavorazione della seta per ostacoli di natura
fiscale nel regno di Napoli, ossia del dazio sulla seta calabrese. Diede
pertanto inizio a vivace polemica nei confronti dei controlli oppressivi
doganali e dei monopoli statali nei settori delle manifatture e del
commercio. Il politico Sir John Acton La riflessione sull'influenza
dello stato nel mercato della seta, diede avvio al dibattito sul problema della
libertà nel commercio internazionale, in particolare nel commercio del grano
che aveva assunto una notevole importanza dopo la carestia del 1764. Una delle
proposte più importanti di Domenico Grimaldi fu la costituzione, nella Calabria
Ultra, di società economiche concepite come centri promotori il miglioramento
della tecnica agraria; ma la proposta non trovò il necessario sostegno né nei
proprietari terrieri né nel clero. In seguito allargò lo sguardo dalla Calabria
Ultra all'intero Regno, proponendo di svolgere un'attività conoscitiva sulla
struttura economica del Regno mediante la predisposizione di piani di visite
alle province napoletane affidati a ispettori di nomina regia, con proposte di
azione sulle "cause fisiche" dell'arretratezza, principalmente la
mancanza di strutture per l'irrigazione innanzitutto nelle Puglie, per le quali
suggeriva il ricorso anche al lavoro coatto. Gaetano Filangieri
Grazie alla notorietà raggiunta con i suoi saggi Grimaldi fu nominato dal primo
ministro John Acton assessore al neocostituito Supremo Consiglio delle Finanze
assieme a Filangieri, Palmieri, Delfico e Galanti. Il terremoto del 1783, che
causò gravi danni e lutti alla famiglia Grimaldi. Grimaldi fu favorevole
all'istituzione della Cassa sacra, proponendo che ricostruzione fosse eseguita
secondo un piano pubblico che prevedesse iniziative strutturali per
l'ammodernamento della produzione agricola e industriale. Si adoperò per
l'apertura a Reggio Calabria di un istituto professionale nel quale si
insegnasse "l'arte di tirar la seta alla piemontese"; la scuola,
diretta dal Grimaldi, ebbe un certo successo, ma venne chiusa nel 1786.
L'interruzione negli anni novanta dell'attività riformatrice di Ferdinando IV
di Napoli in seguito alla crisi collegata alla rivoluzione francese comportò un
atteggiamento di sospetto, da parte del governo napoletano, nei confronti
dell'intellettualità progressista. A Grimaldi venne rifiutata la nomina,
proposta dal Galanti, di presidente della costituenda Società patriottica per
la Calabria in quanto massone. Nel dicembre 1798 fu addirittura arrestato, come
gran parte dei massoni reggini (una cinquantina circa) in seguito
all'assassinio del governatore di Reggio, Giovanni Pinelli, avvenuto il 12
settembre 1797, e trasferito nel carcere di Messina dove si trovava alla
nascita della Repubblica Napoletana (1799). Suo figlio Francescantonio aderì
alla Repubblica Napoletana e fu giustiziato il 22 ottobre 1799. Opere
Memoria diretta all'Accademia de' Gergofili da Genova, 12 settembre 1766, sopra
di una certa specie di pianta pratense chiamata sulla, Firenze, 1768. Saggio di
economia campestre per la Calabria Ultra, Napoli: presso Vincenzo Orsini, 1770
Istruzione sulla nuova manifattura dell'olio introdotta nella Calabria, In
Napoli: presso Raffaele Lanciano, 1773 Osservazioni economiche sopra la
manifattura e commercio delle sete del Regno di Napoli alle sue finanze,
scritte dal marchese Domenico Grimaldi; con alcune riflessioni critiche sopra
del Bando delle Sete del 1754, Napoli: presso Giuseppe Maria Porcelli, 1780
Piano di riforma per la pubblica economia delle provincie del Regno di Napoli,
e per l'agricoltura delle Due Sicilie, scritto dal marchese d. Domenico
Grimaldi,, Napoli: presso Giuseppe Maria Porcelli librajo, 1780 (Rist. anastatica,
Cosenza: Brenner, 1992) Piano per impiegare utilmente i forzati, e col loro
travaglio assicurare ed accrescere le raccolte del grano nella Puglia, e nelle
altre provincie del Regno scritto dal marchese d. Domenico Grimaldi di
Messimeri patrizio genovese.., Napoli: a spese di Giuseppe-Maria Porcelli, Memoria
del marchese Domenico Grimaldi di Messimeri patrizio genovese, diretta al
supremo consiglio di finanze per lo ristabilimento dell'industria olearia, e
dell'agricoltura nelle Calabrie, ed altre provincie del Regno di Napoli,
Napoli: presso Giuseppe-Maria Porcelli, Memoria sulla economia olearia antica e
moderna e sull'antico frantoio da olio trovato negli scavamenti di Stabia, In
Napoli: nella Stamperia Reale, 1783 (Cosenza: L. Pellegrini, 2000) Relazione
d'un disimpegno fatto nella Ulteriore Calabria con alcune osservazioni
economiche relative a quella provincia, Napoli: Giuseppe Maria Porcelli, 1785
Note Franco Venturi , Illuministi
italiani, V: Riformatori napoletani,
Napoli : Ricciardi571 e segg., Antonio Piromalli, La letteratura
calabrese, I, Dalle origini al
posivitismo, Cosenza : LPE, (Google
Libri) Istruzioni sulla nuova
manifattura dell'olio introdotta nel Regno di Napoli dal marchese Domenico
Grimaldi di Messimeri patrizio genovese, socio ordinario, e corrispondente
dell'Accademia de' Georgofili di Firenze, della Società di Agricoltura di
Parigi, e di Berna, In Napoli : presso Vincenzo Orsini, a spese di Giuseppe
Maria Porcelli, Osservazioni economiche sopra la manifattura e commercio delle
sete del Regno di Napoli alle sue finanze, scritte dal marchese Domenico
Grimaldi, con alcune riflessioni critiche sopra del Bando delle Sete del 1754,
Napoli : Porcelli, 1780 Relazione d'un
disimpegno fatto nella Ulteriore Calabria con alcune osservazioni economiche
relative a quella provincia, Napoli : Porcelli, 1785 Piano di riforma per la pubblica economia
delle provincie del Regno di Napoli, e per l'agricoltura delle Due Sicilie,
scritto dal marchese don Domenico Grimaldi, Napoli : Porcelli, 1780; ristampa
anastatica, Cosenza : Brenner, 1992
Piano per impiegare utilmente i forzati, e col loro travaglio assicurare
ed accrescere le raccolte del grano nella Puglia, e nelle altre provincie
del Regno scritto dal marchese don Domenico Grimaldi di Messimeri patrizio
genovese, Napoli : Porcelli, 1781
Relazione d'una scuola da tirar la seta alla piemontese stabilita in
Reggio per ordine di Sua Maestà, sotto la direzione del M. Grimaldi, e
l'approvazione del Vicario generale delle Calabrie don Francesco Pignatelli,
Messina per Giuseppe di Stefano 1785. L'opera apparve anonima ed è attribuita a
Domenico Grimaldi dal Melzi (Gaetano Melzi, Note bibliografiche del fu D.
Gaetano Melzi, edite per cura di un bibliofilo milanese con altre notizie, 2: H-R, Milano : Tip. Bernardoni) Giuseppe Maria Galanti, Giornale di viaggio
in Calabria; introduzione di Luca Addante, Soveria Mannelli : Rubbettino, A.
Ubbidiente, Il pensiero e l'opera di Domenico e Francescantonio Grimaldi. Testi
di Laurea. Università degli Studi di Salerno, Facoltà di Magistero. 1986. M.L.
Perna, «GRIMALDI, Domenico». In: Dizionario Biografico degli Italiani, LIX, Roma: Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, 1998. A. Basile, «Un illuminista calabrese: Domenico Grimaldi da
Seminar»a, in: Archivio Storico per la Calabria e la Lucania, Gaetano Cingari,
Giacobini e Sanfedisti in Calabria, Reggio Cal., "Casa del libro", Cesare
Morisani, Massoni e Giacobini a Reggio Calabria, Reggio Cal., F. Morello, Domenico Romeo, Alcune precisazioni su
Domenico Grimaldi: un riformatore Calabrese del '700, in "Historica",
Antonio Piromalli , L'attualità del pensiero e delle opere del marchese
Domenico Grimaldi, Cosenza: L. Pellegrini, Domenico Luciano , Domenico Grimaldi
e la Calabria nel '700, Salerno, Beniamino Carucci. Grimaldi, Domenico la voce
nella Treccani.it L'Enciclopedia Italiana.
Grimaldi: Grice: “Grimaldi for
some reason did some deep research on cynicism – a wonderful etymology, too!”
-- Francescantonio Grimaldi (Seminara), filosofo. Eponente dell'illuminismo italiano.
Nato in una famiglia aristocratica che faceva risalire le proprie origini alla
nota famiglia di Genova, dei principi di Monaco, ricevette la prima educazione
dal padre, il marchese Pio Grimaldi di Seminara, un uomo colto che aveva
cominciato a introdurre criteri di conduzione innovativi nelle sue proprietà
terriere (peraltro non molto estese). Non essendo molto ricco, il padre lo
avviò agli studi giuridici in previsione di una possibile professione forense.
Francescantonio fu pertanto inviato a Napoli, dove si trovava già il fratello
maggiore Domenico; all'Università conobbe il filosofo Antonio Genovesi e gli
allievi di quest'ultimo. Esercitò per
poco tempo la professione di avvocato, che abbandonò presto per dedicarsi ai
grandi problemi sociali e intellettuali dell'età dei lumi. Se il riformismo di
Giannone, per il suo carattere politico, aveva concentrato l'interesse
speculativo sui rapporti fra lo Stato e la Chiesa, la scuola di Genovesi lo
spostò dal campo giusnaturalistico a quello economico-sociale nel tentativo di
indagare sulle cause dell'arretratezza del Mezzogiorno. Come il fratello Domenico, che nel frattempo
si trasferito a Genova ed era stato accolto nel patriziato locale, anche
Francescantonio Grimaldi cominciò a interessarsi alle vicende culturali e
politiche della Repubblica di Genova: volle anch'egli essere iscritto fra i
patrizi di quella città, esprimendo la convinzione che l'aristocrazia genovese
avrebbe dovuto riprendere la funzione, svolta nei secoli precedenti, di classe
dirigente della Repubblica. La sua cultura giuridica fu alla base della prima
opera, in lingua latina, dedicata al diritto testamentario nel mondo classico.
Fu pertanto fautore, all'opposto degli altri illuministi, del Fedecommesso,
istituzione risalente alla Roma antica e prediletta dalla classe
aristocratica. Nel 1775 Francescantonio
Grimaldi divenne maestro venerabile della loggia massonica Humanité, di rito
francese, mentre alcuni fra i suoi più cari amici (per es., Domenico Cirillo,
Francesco Longano, Francesco Mario Pagano, Gaetano Filangieri) aderivano a
logge di rito inglese. Nel 1777
Francescantonio Grimaldi si dedicherà ad analizzare la questione dell'etica.
Partendo dalla filosofia antica, egli cercò di analizzare il rapporto fra
l'uomo e la società. Al di fuori della società l'uomo, in balia dei
"sentimenti fisici", diventerebbe un bruto. Tali riflessioni saranno
approfondite nel "Saggio sull'ineguaglianza umana" apparso in tre
volumi negli anni 1779-1780. In opposizione al pensiero non solo di Morelly e
Rousseau, ma anche degli altri illuministi napoletani quali Filangieri, Longano
e Pagano, Grimaldi sostenne che, in natura, gli uomini non erano uguali e che
le differenze, sia fisiche che morali, avevano origini soprattutto ambientali
(per es., il clima, la diffusione delle malattie). La società era non uno stato
di corruzione, ma lo stato "naturale" dell'uomo. La struttura
gerarchica dell'Ancien Régime era giustificata dall'ineguaglianza degli uomini.
La stessa educazione dei popoli non sarebbe riuscita ad appianare tali
disuguaglianze. L'ultima grande opera
del Grimaldi furono gli Annali del Regno di Napoli, un'opera storiografica sul
modello degli Annali d'Italia del Muratori. Grimaldi pubblicò i primi cinque
tomi; la morte gli impedì di completare l'opera che fu proseguita per altri tre
tomi dall'amico Giuseppe Cestari, il futuro autore della Costituzione
repubblicana del 1799. L'ultima attività
del Grimaldi fu la Descrizione de' tremuoti accaduti nella Calabria nel 1783,
in seguito al terremoto del 1783, pubblicata postuma Cestari, il quale
nell'introduzione anonima "Lettera a un amico" diede notizia della
morte del Grimaldi. Opere Francisci
AntonI Grimaldi, De successionibus legitimis in vrbe Neapolitana systema. Pars
prima in qua ius Graecum Neapolitanum vetus, & ius omne Romanum a 12
tabulis ad Iustinianum vsque absolutissime expenditur, Neapoli: ex typographia
Simoniana, 1766 Lettera sopra la musica all'eccellentissimo signore Agostino
Lomellini già doge della serenissima repubblica di Genova, Napoli, La vita di Ansaldo Grimaldi patrizio genovese,
illustrata con riflessioni politiche, e morali, e con una brieve narrazione del
governo politico della Repubblica di Genova dalla sua origine insino all'anno
1528, In Napoli: nella Stamperia Raimondiana, 1769 La vita di Diogene Cinico
scritta da Francescantonio Grimaldi, In Napoli: nella stamperia di Vincenzo
Mazzola-Vocola, 1777 Riflessioni sopra l'ineguaglianza fra gli uomini. Di
Francescantonio Grimaldi. Parte I-III, In Napoli: presso Vincenzo Mazzola-Vocola,
impressore di sua maestà, 1779-1780 (Franco Crispini, Vibo Valentia : Sistema
Bibliotecario Vibonese, 2000) Annali del Regno di Napoli di Francescantonio
Grimaldi dedicati a Ferdinando IV. re delle Due Sicilie. Epoca I. Dal primo
anno dell'edificazione di Roma sino alla fine del quarto secolo dell'era
cristiana., Napoli : presso Giuseppe-Maria Porcelli librajo, 1781 Annali del
Regno di Napoli di Francescantonio Grimaldi. Epoca II. Dall'anno 409. dell'era
volgare, sino all'anno 1211, Napoli : presso Giuseppe-Maria Porcelli librajo,
1783 Descrizione de' tremuoti accaduti nelle Calabrie nel 1783, opera postuma
di Francesco Antonio Grimaldi, Napoli : presso Giuseppe-Maria Porcelli, 1784
(Saverio Napolitano, Bordighera: Manago, 1984) Note La vita di Ansaldo Grimaldi patrizio
genovese, Napoli : Raimondiana, 1769 De
successionibus legitimis in urbe Neapolitana, Neapoli : Simoniana, 1766 Nico Perrone, La Loggia della Philantropia.
Un religioso danese a Napoli prima della rivoluzione. Con la corrispondenza
massonica e altri documenti, Palermo, Sellerio, 2006174. La vita di Diogene Cinico, Napoli :
Mazzola-Vocola, 1777 Fulvio Tessitore,
«Francesco Antonio Grimaldi e l'ineguaglianza». In : Fulvio Tessitore, Nuovi
contributi alla storia e alla teoria dello storicismo, Roma : Edizioni di storia
e letteratura, (Google Libri) M. A.
Tallarico, «CESTARI (Cestaro), Giuseppe». In :
XXIV, Roma : Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Franco Crispini, Appartenenze illuministiche
: i calabresi Francesco Saverio Salfi e Francesco Antonio Grimaldi, Cosenza:
Klipper, 2 M.L. Perna, «GRIMALDI, Francescantonio». In: Dizionario Biografico
degli Italiani, LIX, Roma: Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 1998 (on-line) Giuseppe Boccanera, «Grimaldi
Francesc'Antonio». In: Emilio Amedeo De Tipaldo, Biografia degli italiani
illustri nelle scienze, lettere ed arti del secolo 18., e de' contemporanei,
compilata da letterati italiani di ogni provincia e pubblicata per cura del
professore Emilio De Tipaldo, VII,
Venezia : dalla tipografia di Alvisopoli, 1840,
94-97 (on-line) Melchiorre Delfico, Elogio del marchese don
Francescantonio Grimaldi dei signori di Messimeri, patrizio di Genova e
assessore di Guerra e Marina, In Napoli : presso Vincenzo Orsino (ristampato in
Opere complete di Melchiorre Delfico, a cura dei professori Giacinto Pannella e
Luigi Savorini, III, Teramo: Giovanni
Fabbri, 1904, 223-260). Roberto
Ubbidiente, Il pensiero e l'opera di Domenico e Francescantonio Grimaldi. Tesi
di Laurea in Filosofia italiana. Università degli Studi di Salerno, Facoltà di
Magistero, 1986. Francescantonio
Grimaldi, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana.
Gruppi: Grice: “Gruppi is an Italian philosopher; at
Oxford, someone who writes only on politics is not considered usually one!” Luciano
Gruppi (1903), filosofo. Il concetto di egemonia in Gramsci Incipit Antonio
Gramsci è senza alcun dubbio quello che, tra i teorici del marxismo, ha
maggiormente insistito sul concetto di egemonia; e lo ha fatto in modo
particolare richiamandosi a Lenin. Anzi, direi che, se vogliamo vedere il punto
di contatto più costante, più scavato, di Gramsci con Lenin, questo mi pare
essere il concetto di egemonia. L'egemonia è il punto di approccio di Gramsci
con Lenin. Citazioni La scienza si ha
quando si supera il dato immediato, l'apparenza; si ha con un salto dialettico.
(p. 43) In tutte le analisi che Gramsci conduce, io trovo la presenza di un
filo rosso che le guida, presente in tutti i Quaderni. (p. 84) Luciano Gruppi, Il concetto di egemonia in
Gramsci, Editori Riuniti, Roma 1972. Altri progetti Collabora a contiene una voce riguardante Luciano Gruppi
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Guastella: Grice: “Guastella
is an interesting philosopher. A system-builder! He wrote on epistemology and
metaphyusics in a clear style.” Cosmo Guastella (Misilmeri), filosofo. Nato in
un comune dell'attuale area metropolitana di Palermo, da Vincenzo farmacista e
da Marianna Piazza, uno dei quattro figli della coppia, ancorché di famiglia
borghese non ebbe un'infanzia agiata e studiò con l'ausilio di borse di studio
fino a laurearsi in giurisprudenza, presso l'Palermo, nel luglio 1878. È
ritenuto il capostipite del fenomenismo. Insegnò per poco tempo al liceo
Garibaldi di Palermo e poi ad Acireale. Fu professore di filosofia morale e
tenne la cattedra di filosofia teoretica all'Palermo. Scrisse, tra le altre opere, Saggi sulla
teoria della conoscenza, tre volumi, (1877-1905), Filosofia della metafisica,
due volumi, (1905) e Le ragioni del fenomenismo, tre volumi, (1921-1922). Collaboratore di Giuseppe Amato Pojero,
partecipò fin dalla fondazione alla vita della Biblioteca filosofica. Ebbe
rapporti con Franz Brentano (1838-1917), filosofo, psicologo ed ex sacerdote
tedesco. La sua dottrina sul fenomenismo è molto diffusa ed apprezzata anche in
Germania. Una scuola secondaria di primo
grado, nel comune natale, porta il suo nome .
Note Scuola Secondaria di I Grado
“Cosmo Guastella”, su scuolamediaguastella.it. 6 novembre 29 ottobre ).
Domenico Tubiolo, Cosmo Guastella in sito Comune di Misilmeri, sezione
Cultura. Angela Taraborrelli, «GUASTELLA, Cosmo» in Dizionario Biografico degli
Italiani, Volume 60, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2003. ,
«Guastella, Cosmo» in Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, 2009. Fenomenismo Cosmo Guastella, in Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Cosmo Guastella, su openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Opere di Cosmo Guastella, . Filosofia Filosofo del XIX
secoloFilosofi italiani Professore1854 1922 28 gennaioMorti l'11 settembre
Misilmeri PalermoProfessori dell'Università degli Studi di Palermo Menu di
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