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Wednesday, December 23, 2020

il grand tour di grice: impiegato 24/27

 

simone: Simone Pietro Simoni (Lucca), filosofo. La formazione  Girolamo Cardano Simone Simoni. Nacque da Polissena, donna di una famiglia originaria di Vimercate, e da Giovanni Simoni, un modesto mercante lucchese di seta, la cui famiglia era originaria di Vagli, in Garfagnana. Ebbe anche due fratelli, Cesare e Lodovico, che intrapresero il mestiere delle armi.  A Lucca studiò umanità con Antonio Bendinelli e Aonio Paleario, due umanisti in «odore di eresia»il Paleario finì sul rogo a Roma iniziò gli studi universitari. Sostenuto economicamente dal padre, che per farlo studiare dovette vendere alcune proprietà, e poi anche dal patrizio veneziano Lazzaro Mocenigo, peregrinò nei maggiori Studi d'Italia: prima a Bologna, poi a Pavia, a Ferrara, a Padova, a Napoli, ancora a Bologna e finalmente si laureò a Padova in filosofia. Diversi ma tutti autorevoli i suoi professori: da Vincenzo Maggi a Girolamo Cardano, da Niccolò Boldoni ad Antonio Musa Brasavola. La sua formazione era di stampo aristotelico-averroistico, come s'insegnava nello Studio padovano, con una forte esigenza razionalistica che aveva riflessi nel campo religioso, tale da mettere in dubbio l'immortalità dell'anima e a creare sospetti di eresia tra i professori e gli studenti di quella Università. Con questa preparazione, Simoni fece ritorno a Lucca, dove fu tra i fondatori del Collegio medico, esercitò la professione medica e sembra aver scritto i suoi primi saggi di argomento filosofico.  Nall'infanzia del Simoni, Lucca aveva vissuto un periodo concitato di aperti conflitti sociali e poi di tentativi di riforme politiche e religiose, portate avanti dal gonfaloniere Francesco Burlamacchi e dal circolo di intellettuali riuniti intorno a Pietro Martire Vermigli, priore di San Frediano. Quando Simoni era ritornato a Lucca, quella fervida attività era già stata spenta dalla reazione cattolica guidata dal vescovo inquisitore Guidiccioni, ma certo quelle idee di Riforma circolavano ancora sotterraneamente in città, e forse lo stesso Simoni le aveva già raccolte durante i suoi trascorsi nelle diverse Università da lui frequentate.  Sta di fatto che Simoni fu chiamato dalle autorità lucchesi a dare spiegazioni sulle proprie opinioni religiose: per tutta risposta il nostro medico, «non fidandosi troppo delle sue forze», cercò la salvezza con la fuga: «munito solo di un cavallo e dei propri risparmi, dopo aver preso commiato dalla famiglia, fuggì, accompagnato da un servitore, alla volta di Ginevra». Negli atti ufficiali della Repubblica di Lucca, la sua condanna per eresia risulta formalizzata. A Ginevra, patria del calvinismo, si era formata da decenni una numerosa colonia di emigrati italiani per motivi religiosi, e tra questi non pochi erano i lucchesi. La comunità italiana era inserita in una propria chiesa e Simoni vi ebbe l'incarico di catechista; ottenuta la cittadinza ginevrina, sposò Angela Cattani, figlia di Francesco, un concittadino da tempo stabilitosi a Ginevra, e ne ebbe una figlia. Preso a benvolere dall'influente teologo Teodoro di Beza, ottenne di insegnare filosofia all'Accademia di Ginevra: un incarico dapprima senza compenso, poi retribuito insieme con la nomina a Professore. Anche il padre Giovanni si stabilì a Ginevra: in quello stesso periodo gli venne aumentato lo stipendio, ottenne un alloggio gratuito e, nel successivo febbraio, nell'Accademia fu istituita appositamente per lui la cattedra di medicina.  A Ginevrà pubblicò i primi libri. Presso l'editore Jean Crespin apparve il suo In librum Aristotelis de sensuum instrumentis et de his quae sub sensum cadunt commentarius unus: è il commento al De sensu et sensibilibus di Aristotele. In esso Simoni distingue dapprima le verità di fede dalle verità filosoficheuna premessa tipica dell'aristotelismo padovanoma poi cerca di dimostrare che la ragione, indagando la natura, può giungere a Dio, rivelando le verità di fede. In tal modo, Simoni sostiene che anche le questioni teologiche hanno natura razionale e, qualora sorgano contrasti, la ragione è in grado di comporli, indicando la via da seguire per una corretta interpretazione: una conseguenza, seppure non esplicita nel commento del Simoni, della prevalenza della ragione sulla fede, è che il dogmaespressione della tradizionale subordinazione della ragione alla fedenon ha motivo di esistere.   La sede del Concistoro di Ginevra Il suo aristotelismo che poco concede alla teologia cristiana si conferma con i successivi commenti all'Etica Nicomachea e al De anima, mentre dal 1567 Simoni condusse una lunga e dura polemica contro il medico e filosofo Jacob Schegk. Questi, proprio all'opposto del Simoni, usava argomenti tratti dalla teologia scolastica per dimostrare la realtà della teoria, allora caldeggiata in ambienti luterani, della ubiquità del corpo di Cristo. Simoni rispondeva con argomenti di carattere fisico dimostrando l'irrealtà di tale assunto: un solo corpo fisico non può che occupare, nello stesso tempo, un unico spazio determinato e anche Cristo, in vita, fu soggetto alla legge naturale. Dopo la morte, egli aveva mantenuto soltanto una natura divina, e non è sostenibile l'idea che Dio possa mutare le leggi naturali: ente perfetto e primo motore immobilecome l'aveva delineato AristoteleDio agisce sulla natura unicamente attraverso la sua perfezione che indirizza al bene gli esseri naturali.  Il suo carattere collerico e l'alta considerazione che egli aveva di sé lo portò a una lite clamorosa con Niccolò Balbani, un altro lucchese, catechista della comunità italiana. Durante il matrimonio della figlia di questi, Simoni lo coprì d'insulti, con grave scandalo delle autorità di Ginevra, che fecero imprigionare Simoni e lo espulsero dall'Accademia. A nulla valsero le scuse presentate dal Simoni: è del resto probabile che la severità del Consiglio e del Concistoro ginevrino fosse motivata anche dalla freddezza e dallo spirito d'indipendenza dimostrato dal medico lucchese, che pure si dichiarava calvinista, in materia di religione. Tuttavia Teodoro di Beza gli mantenne ancora la sua amicizia e lo fornì di una lettera di raccomandazione con la quale, Simone Simoni lasciò temporaneamente a Ginevra la moglie e la figlia per dirigersi alla volta di Parigi.  A Parigi  Parigi: cortile del Collège Royal, oggi Collège de France Nella capitale francese Simoni ottenne una buona accoglienza: i calvinistiqui chiamati ugonottierano ancora tollerati e le lusinghiere referenze gli fecero ottenere una cattedra di filosofia al Collège Royal, dove le sue lezioni ottennero subito un grande concorso di pubblico. Come scrisse al Beza il 22 settembre 1567, alle sue lezioni assistevano sei o settecento «huomini barbati, dottori, professori, et altri di robba lunga, preti, frati, giesuiti et altra simil razza d'uomini». Si ebbe le congratulazioni di Pietro Ramo, che volle incontrarlo e lo chiamò «felicissimum et praestantissimum ingenium italicum», non però quelle del collega Jacques Charpentier, che temeva che il Simoni fosse stato mandato da Ginevra «per turbare questa scuola».  Sapeva che la sua permanenza a Parigi era precaria: «il nome di Ginevra mi nuoce più che il nome di ugonotto», né poteva valere molto la protezione del cardinale Odet de Coligny, passato al calvinismo. Simoni riferiva di aver rifiutato offerte sostanziose da parte cattolica per insegnare in loro collegi, a prezzo di una sua conversione, e di attendersi un prossimo editto che avrebbe affrontato il problema della convivenza tra cattolici e ugonotti.  Un editto effettivamente ci fu, emanato da Carlo IX alla fine dell'anno, con il quale si proibiva ai protestanti l'insegnamento pubblico. Così, perduti anche i suoi libri che gli furono sequestrati, Simoni fu costretto ad abbandonare la Francia.  In Germania  Cranach: Augusto di Sassonia Si apriva un nuovo periodo di difficoltà per il Simoni, cui morirono la moglie Angela e il fratello Lodovico. Non potendo insegnare a Ginevra, cercò di ottenere un incarico a Zurigo e a Basilea, sollecitando in tal senso altri emigrati italiani come l'editore Perna e l'umanista Celio Curione, ma invano. I sospetti di antitrinitarismo che gravavano sul suo conto, da quando, aveva fatto visita nel carcere di Berna all'«eretico» Valentino Gentile poco prima che questi venisse giustiziato, e il recente scandalo provocato a Ginevra non agevolavano il suo inserimento nelle élite intellettuali delle città svizzere.  Ottenne bensì una raccomandazione dal Bullinger per un posto di insegnante a Heidelberg, ma anche qui rimase poco tempo: la sua amicizia con l'antitrinitario Thomas Erastus, il suo aristotelismo senza compromessidal nulla, nulla si crea, sostenne in una pubblica lezione, cosicché anche Cristo era stato creato da Dio Padree il suo carattere spigoloso gli alienarono ogni simpatia e Simoni dovette riprendere la via di Basilea.  Finalmente, nel 1569, ottenne una cattedra straordinaria di filosofia all'Lipsia. Se Simoni poteva fregiarsi della stima dell'elettore di Sassonia Augusto I, non eguale considerazione ottenne dai suoi colleghi, che fecero gruppo a sé e lo isolarono. Simoni non si perse d'animo: molto popolare tra gli studenti per la vivacità delle sue lezioni e lo spirito critico che infondeva negli allievi, fondò, all'interno dell'Università, un'accademia sul modello umanistico italiano, battezzandola «Academia Acutorum», Accademia degli Acuti.  Di questa istituzione entrò a far parte un gruppo di suoi studenti: «Le discussioni dovevano vertere sulla interpretazione di passi aristotelici. Notevole la mancanza di ogni precetto di osservanza religiosa in senso specifico. I giovani così raggruppati intorno al Simoni dettero ben presto dello spirito critico e dell'idea di esser superiori agli altri, che il vivace professore aveva finito per insinuare nei loro animi. Pasquinate anonime contro un professore, e il giorno dopo, un litigio clamoroso tra questo e il Simoni, iniziarono una serie di incidenti che ebbero termine con la soppressione dell'Accademia».  La soppressione dell'Accademia, decisa dal Senato universitario, testimonia i difficili rapporti intercorrenti tra l'Università e il Simoni, che per altro in città era reputato «ospite illustre, professionista affermato e ricercato, uomo di mondo e di cultura dalla posizione prestigiosa, che godeva della stima e del rispetto dei suoi concittadini, e la cui fama oltrepassavala frontiera del paese che gli dava ospitalità». Egli, infatti, oltre a insegnare filosofia e ad avere allievi anche illustri, come i prìncipi lituani Radziwiłł, esercitava la professione medica, vantando clienti di riguardo, e si era risposato con una nobile del luogo, Magdalena von Hülsen.  La «De vera nobilitate» Pubblicò il suo scritto filosofico più originale, la De vera nobilitate, dedicata all'Elettore di Sassonia. La vera nobiltà è la virtù dell'anima umana, la quale è intesa aristotelicamente come forma del corpo: la virtù dell'anima è perciò strettamente legata alla particolare costituzione del corpo, trasmessa nell'individuo di generazione in generazione dal seme del genitore, che costituisce la causa efficiente del singolo essere. Non per nulla da «genere» deriva «generoso», e se pure «non tutti i nobili sono generosi, chi è generoso è considerato nobile».  Le differenze sociali tra gli individui e le conformazioni dei loro corpi sono egualmente corrispondenti per necessità naturale, secondo Simoni: «la natura vuole infatti fare diversamente i corpi dei liberi da quelli dei servi, questi robusti e con deformità necessarie al loro particolare utilizzo, quelli diritti e belli, perché non desti tali fatiche, ma alla vita civile», anche se non mancano eccezioni alla regola.  Certamente l'educazione ricevuta svolge una funzione per la formazione dell'uomo, ma resta inferiore a quella naturale: di due giovani, di diversa estrazione sociale ma educati allo stesso modo, il nobile risulterà alla fine meglio formato, in quanto la natura lo ha costituito di una «materia» superiore. L'educazione ha lo stesso effetto della medicina: fa recuperare la propria condizione di salute, ma non può migliorarla oltre il limite fissato dalla natura.  Viene da sé che le famiglie nobili diano lustro alla nazione, formando l'élite della società civile sotto l'aspetto culturale e politico. Questo però non avviene in tutte le nazioni, ma soltanto in quelle di antica civiltàin sostanza, in gran parte delle società europeementre presso i barbari non può esistere nobiltà: «essi sono giustamente detti servi per natura e in quanto servi, non portano in loro nessuna virtù, essendo nati per servire sotto una tirannia e non in un regio e civile governo».  Le virtù dei nobili non possono consistere nell'accumulare ricchezze, ma esse sono ugualmente attive e pratiche: sono le virtù civili del politico, che si occupa del benessere dei cittadini, quelle del medico, che si occupa della salute degli individui, del fisiologo, che studia la natura e infine del metafisico, che studia le cose divine. Queste ultime, insieme alla virtù della contemplazione, è però meglio riservarle nella vita che ci attende dopo la morte, quando quei problemi saranno facilmente risolti: «queste cose sono irrise dai politici, tra i quali (non tra gli angeli) si discute di nobiltà». Nel frattempo, è opportuno «dedicarsi alle cose di questo mondo ed essere utili alla società degli uomini: si loda Socrate il quale, trascurate le altre parti della filosofia, coltivò quella sola che era più adatta ai costumi degli uomini e alle istituzioni civili».  Che la vera nobiltà si debba esprimere nell'attività pratica e civile è ribadito più volte dal Simoni: «la nobiltà spunta fuori dalla società civile, non dalla solitudine», e le virtù spirituali, come quelle mostrate dai mistici e dai contemplativi, non sono virtù nobili proprie dell'essere umano. Queste virtù tipicamente cristiane discendono direttamente da Dio e perciò non derivano da generazione naturale, non sono frutto della carne e del sangueil fondamento della vera nobiltàe non essendo ereditarie non possono essere considerate virtù nobili.  Naturalmente, ai non nobili non possono essere affidati incarichi di responsabilità nel governo della società, ma al più solo l'esercizio di magistrature minori. Derivando dal sangue la nobiltà, non si può diventare autenticamente nobili attraverso conferimenti onorifici, anche se concessi da un sovrano mentre, al contrario, un autentico nobile non può essere privato della fama e dell'onore, perché in lui opera sempre «quella forza e quell'efficacia naturale ricevuta dai suoi antenati». Conflitti accademici e religiosi  Lipsia: l'attuale Accademia delle Scienze Dopo questa applicazione dei principi aristotelici al vivere civile e al governo dello Stato, che deve essere affidato a chi per natura fa parte degli ottimati, Simoni si dedicò a trattare temi propriamente medici. Apparve a Lipsia il suo De partibus animalium, ove descrive la conformazione del feto, la De vera ac indubitata ratione continuationis, intermittentiae, periodorum febrium humoralium,  l'Artificiosa curandae pestis methodus, cui seguì l'anno dopo una Synopsis brevissima novae theoriae de humoralium febrium natura: temi di drammatica attualità, a Lipsia, investita da un'epidemia di peste.  Simoni aveva ottenuto il permesso di esercitare la professione medica all'interno dell'Università, pur senza ottenere, oltre quella straordinaria di filosofia, anche una cattedra di medicina. Presentò all'Elettore una proposta di riforma universitaria. S'indicava la necessità di una maggiore cura nell'assunzione dei professori, che dovevano dimostrare non solo di possedere la necessaria scienza, ma anche capacità didattiche. Dovevano anche essere obbligati a tenere un maggior numero di lezionis'imponevano multe ai professori inadempientimentre la durata dell'anno accademico veniva prolungata.  Particolare cura dedicava il Simoni all'insegnamento della medicina. Dovevano tenere lezioni cinque professori, tra i quali un chirurgo che avrebbe tenuto esercitazioni di anatomia e fatto dimostrazioni pratiche di cura delle diverse affezioni. La qualità dell'insegnamento teorico andava migliorata: Simoni riteneva che corressero troppe affermazioni dogmatiche, che sarebbero dovute essere verificate dalla pratica e dal rigore della dimostrazione dialettica. A questo proposito egli opinava che avrebbe giovato un'accurata conoscenza delle opere di Aristotele.  Non mancavano poi critiche severe sull'attuale andamento dell'Lipsia: i rettori erano scelti grazie alle loro aderenze, si promuovevano studenti immeritevoli, vi era scarsa pulizia, la farmacia universitaria era mal tenuta. Tali proposte e simili critiche non potevano che alimentare ancor più l'ostilità dei colleghi. Egli non sembrava preoccuparsene: la stima dell'Elettore Augusto si manteneva immutata, se nel 1579 lo fece nominare Professore di filosofia e lo promosse a suo primo medico personale. Avvenne tuttavia che, su sollecitazione della chiesa luterana, la quale aveva preparato una confessione di fede che in particolare tutti funzionari e gli impiegati, a vario titolo, dello Stato avrebbero dovuto firmare, l'Elettore pretese tale sottoscrizione anche dal professor Simoni, ottenendone un netto rifiuto.  Racconta lo stesso Simoni che, avendo «rifiutato costantemente di sottoscrivere quella che i teologi sassoni denominarono Formula di Concordia, il Principe Elettore rivolse il suo sdegno contro di me». Al che il Simoni «decise di andarsene e, nonostante l'Elettore cercasse d'impedirlo, diede l'ultimo saluto a quelle popolazioni». A Praga: la conversione al cattolicesimo  Praga: portici medievali Si trasferì a Praga, dove venne assunto quale medico personale dell'imperatore Rodolfo II. Tale incarico e il carattere cattolico dell'Impero di cui era ora suddito rendeva necessario un chiarimento sulle sue posizioni religiose, poiché era nota la rottura avvenuta a Ginevra con i calvinisti e a Lipsia con i luterani. Simoni si adeguò facilmente alla nuova situazione e nel febbraio del 1582 abiurò pubblicamente le passate convinzioni, ritrattò quanto nei suoi scritti poteva esservi di «eretico» e abbracciò formalmente il cattolicesimo. Si trattò di una scelta di convenienza, seppure comprensibile nel clima torbido delle persecuzioni e dell'intolleranza. Lo scrisse lui stesso all'amico Nicolas Selnecker, un teologo luterano: «Confesso di aver abiurato, anche se non avrei voluto farlo neppure a costo del mio sangue. Di tale mio atto altri comunque sono i responsabili. In nessun altro modo avrei potuto infatti salvare la mia vita, quella di mia moglie e dei miei figli che speravo di poter condurre con me»la moglie morì poco dopo e i tre figli rimasero affidati a Lipsia al nonno materno«io, un italiano perseguitato a causa della religione luterana, dichiarato nemico della patria, esposto per decreto del Senato all'agguato di sicari». E ricordò la sorte di chi non si era piegato a compromessi: «io che vidi con questi occhi il Paleologo, esule per causa di religione, condotto su richiesta del legato pontificio dalla Moravia a Vienna, e di qui trascinato in catene a Roma (si sente dire che ormai è stato crudelmente arso sul rogo), io che ero circondato da ogni parte da infinite difficoltà e pericoli di ogni genere, che cosa avrei dovuto fare?». Questa lettera non venne agli occhi dei gesuiti, che vantarono il successo ottenuto con la presunta conversione del medico famoso, il quale avrebbe promessoa dir lorodi collaborare nella lotta agli eretici. La loro soddisfazione non dovette però durare a lungo, o forse essi stessi credettero poco alla conversione del Simoni, se lo storico gesuita Francesco Sacchini già nel 1620 poteva qualificarlo di «miserabile uomo che in disprezzo di ogni religione sprofondò nell'empietà», mentre tra i protestanti il Beza, alla notizia della sua conversione, commentò di essere sempre stato convinto che l'unico Dio di Simoni fosse in realtà Aristotele. e Jakob Monau, dopo aver ricordato i suoi continui trascorsi«da cattolico si è fatto calvinista, da calvinista antitrinitario, da antitrinitario luterano, e ora di nuovo papista»lo tratteggiò da «uomo profano ed empio, come indicano sia i suoi costumi, sia i suoi discorsi, sia tutta la sua vita». Forse Simoni stesso sentì di essere circondato da un clima di diffidenza se non di disprezzo, perché solo dopo poco più di un anno, alla fine del 1582, prese la risoluzione di lasciare le terre dell'Impero per trasferirsi in Polonia.  In Polonia Sembra che sia stato un altro italiano, Nicola Buccella, medico personale del re István Báthory, a raccomandarlo come medico della corte di Cracovia. Buccella, di fede anabattista, godeva di notevole considerazione, né la sua fama di eretico gli aveva pregiudicato l'esercizio della professione in quella Polonia che era ancora un paese tollerante. Il prestigioso incarico e la fama stessa di cui da tempo godeva aprì al Simoni le porte della migliore società polacca, e egli sposava Magdalena Krzyźanowska, giovane figlia di Joachim Krzyźanowski, nobile borgomastro della capitale.   Il castello reale di Grodno Riprese a pubblicare alcuni libri: la Disputatio de putredine è una confutazione, sulla scorta di Aristotele, delle teorie del medico svizzero, nonché teologo, Thomas Erastus, mentre la Historia aegritudinis ac mortis magnifici et generosi domini a Niemsta è una relazione sulla morte del borgomastro di Varsavia Jerzy Niemsta, che era stato suo paziente. Sulla malattia di quest'ultimo tornò nel Simonius supplex, insieme con una delle solite polemiche che lo videro ora opporsi al medico di Piombino Marcello Squarcialupi.  Una nuova svolta nella vita del Simoni si verificò con la malattia e la morte del re Stefano. Il 7 dicembre 1586 il Báthory si sentì male nel suo castello di Grodno, e nel consulto tenuto dal Buccella e dal Simoni emersero serie divergenze: il primo giudicò molto grave le condizioni del re, mentre Simoni ritenne che non ci fosse nessun pericolo. Due giorni dopo le condizioni di Stefano Báthory si aggravarono e i due medici si trovarono d'accordo nell'imporre un salasso al re ma in contrasto sulla dieta: Simoni era favorevole a fargli bere del vino, che il Buccella intendeva invece proibire. Nemmeno nella diagnosi si trovarono d'accordo: per il Buccella, il sovrano soffriva di asma, per Simoni, di epilessia.  L'11 dicembre sopravvenne una nuova grave crisi e il re perse conoscenza. Pur giudicando molto gravi le sue condizioni di salute, Simoni rassicurò i circostanti, perché, a suo dire, non c'era ancora pericolo di morte: aveva appena pronunziato queste parole che il re spirava. Simoni lasciò il castello e non volle assistere all'autopsia, sostenendo che fosse inutile, poiché l'epilessia «ab infernis partibus ducit originem» e non lascia tracce nel cadavere. Coordinata dal Buccella, l'autopsia fu effettuata il 14 dicembre dal chirurgo tedesco Johann Zigulitz, che accertò una grave alterazione dei due reni. La ricognizione dello scheletro di Stefano Báthory, confermò che la morte avvenne per degenerazione renale, uremia e calcolosi. Cracovia: chiesa di San Francesco Simoni pubblicò a sua difesa lo Stephani primi sanitas, vita medica, aegritudo, mors, che fu violentemente contestato dal De morbo et obitu serenissimi magni Stephani, scritto dal segretario reale Giorgio Chiakor su ispirazione del Buccella. La polemica proseguì a lungo, coinvolgendo altri amici del Buccella, e degenerando in insulti e attacchi sulle convinzioni religiose dei due protagonisti: contro Simoni, tra gli altri, fu indirizzato l'opuscolo Simonis Simoni lucensis, primum romani, tum calviniani, deinde lutherani, denuo romani, semper autem athei summa religio. Alla fine, il nuovo re Sigismondo III, nell'aprile del 1588, riconfermò Buccella nella carica di medico curante, escludendo Simoni da ogni incarico di corte.  Da allora, le notizie su Simoni si fanno scarse. Pur senza avere incarichi ufficiali, mantenne una ricca clientela e godette della considerazione dello stesso imperatore Rodolfo, dei principi Radziwiłł, del vescovo di Olomouc Jan Pavlowski e dei gesuiti, dai quali si fece rilasciare nel 1600 un salvacondotto per rientrare in Italia e recarsi a Roma. Precauzione necessaria, con i suoi trascorsi: una precauzione maggiore fu però quella di rinunciare al viaggio. La sua vita agitata ebbe così fine a Cracovia nel 1602, vecchio di settant'anni, come lo ricordava la lapide posta dalla moglie Magdalena sulla sua tomba nella chiesa cattolica di San Francesco. Quella lapide, e la sua tomba, non esistono più. La data di nascita si deduce dalla lapide sepolcrale, poi andata distrutta in un incendio, posta nella chiesa di San Francesco, a Cracovia, nella quale era scritto che il Simoni «ultimum diem clausit III non. aprilis A. D. 1602» all'età di 70 anni. Il testo della lapide è in S. Ciampi, Viaggio in Polonia, Queste notizie biografiche si apprendono dallo scritto del Simoni, Scopae, quibus verritur confutatio, ..., G1b-G3b. Per secoli gli storici locali discussero del luogo di nascita del medico toscano.  M. Verdigi, Simone Simoni, filosofo e medico nel '500,  C. Madonia, Simone Simoni da Lucca, C. Lucchesini, Opere edite e inedite, XVII, Come scrive egli stesso: S. Simoni, Synopsis brevissima ..., C. Madonia, Simone Simoni da Lucca,  G. Tommasi, Sommario della storia di Lucca, A. Pascal, Da Lucca a Ginevra. Studi sull'emigrazione religiosa lucchese nel secolo A. Fabris, Il rapporto tra filosofia e teologia in Simone Simoni, in M. Verdigi, Simone Simoni, A. Fabris, Il rapporto tra filosofia e teologia in Simone Simoni, S. Simoni a Teodoro di Beza, in A. Pascal, Da Lucca a Ginevra, e in M. Verdigi, Simone Simoni, cS. Simoni a Teodoro di Beza, in M. Verdigi, Simone Simoni, c D. Cantimori, Un italiano contemporaneo di Bruno a Lipsia, D. Cantimori, Un italiano contemporaneo di Bruno a Lipsia,  C. Madonia, Simone Simoni, S. Simoni, De vera nobilitate, S. Simoni, De vera nobilitate, S. Simoni, De vera nobilitate,  S. Simoni, De vera nobilitate, S. Simoni, De vera nobilitate,   S. Simoni, De vera nobilitate, S. Simoni, De vera nobilitate, cit., ivi.  S. Simoni, De vera nobilitate, S. Simoni, De vera nobilitate, S. Simoni, De vera nobilitate, S. Simoni, De vera nobilitate, D. Cantimori, Un italiano contemporaneo di Bruno a Lipsia, F. Pierro, La vita errabonda di uno spirito eternamente inquieto. Simone Simoni, S. Simoni, Simonius supplex ..., in C. Madonia, Simone Simoni da Lucca, M. Firpo, Alcuni documenti sulla conversione al cattolicesimo dell'eretico lucchese Simone Simoni ,Il Paleologo fu decapitato in carcere  e il cadavere fu arso pubblicamente a Roma, in Campo de' Fiori.  M. Firpo, Alcuni documenti sulla conversione al cattolicesimo dell'eretico lucchese Simone Simoni,  F. Sacchini, Historia Societatis Jesu, citato in M. Verdigi, Simone Simoni, T. di Beza, lettera a Rudolph Gwalther, in A. Pascal, Da Lucca a Ginevra, J. Monau, lettera a Johannes Crato, in D. Caccamo, Eretici italiani in Moravia, Polonia, Transilvania . Pierro, La vita errabonda di uno spirito eternamente inquieto. Simone Simoni, C. Madonia, Simone Simoni da Lucca, Cfr. n. 1. Opere In librum Aristotelis de sensuum instrumentis et de his quae sub sensum cadunt commentarius unus, Genevae, apud Joannem Crispinum, Commentariorum in Ethica Aristotelis ad Nicomachum, liber primus, Genevae, apud Ioannem Crispinum, Interpretatio eorum quae continentur in praefatione Simonis Simonij Lucensis, Doct. Med. & Phil. cuidam libello affixa, cuius inscriptio est: Declaratio eorum quae in libello D. D. Iacobi Schegkii, & c., Genevae, apud Ioannem Crispinum, Phisiologorum omnium principiis Aristotelis De anima libri tres, Lipsiae, Ernst Võgelin, Antischegkianorum liber unus, in quo ad obiecta Schegkii respondetur, vetera etiam nonnulla, dialectica & phisiologica praesertim, errata eiusdem, male defensa & excusata inculcantur, novaque quam plurima peiora prioribus deteguntur, Basileae, apud Petrum Pernam, Responsum ad elegantissimam illam modestissimamque praephationem Jacobi Schegkii, cui titulum fecit Prodromus antisimonii, Ad amicum quendam epistola, in qua vere ostenditur, quid causae fuerit, quod responsum illud, quo maledicus, & multis erroribus refertus Iacobi Schegkij doctoris & professoris Tubingensis liber plene refellitur, nondum in lucem prodierit, Parisiis, in vico Jacobaeo De vera nobilitate, Lipsiae, Ioannes Rhamba excudebat, De partibus animalium, proprie vocatis Solidis, atque obiter de prima foetus conformatione, Lipsiae, Iohannes Rhamba excudebat, De vera ac indubitata ratione continuationis, intermittentiae, periodorum febrium humoralium, Lipsiae, apud haeredes Jacobi Bervaldi, Artificiosa curandae pestis methodus, libellis duobus comprehensa, Lipsiae, apud Ioannes Steinmann  Synopsis brevissima novae theoriae de humoralium frebrium natura, periodis, signis, et curatione, cuius paulo post copiosissima et accuratissima consequentur hypomnemata; annexa eiusdem autoris brevi de humorum differentiis dissertatione. Accessit eiusdem Simonis examen sententiae a Brunone Seidelio latae de iis, quae Jubertus ad axplicandam in paradoxis suis disputavit, Basileae, per Petrum Pernam, Historia aegritudinis ac mortis magnifici et generosi domini a Niemsta, Cracoviae, in officina Lazari, Disputatio de putredine, Cracoviae, in officina typographica Lazari Commentariola medica et phisica ad aliquot scripta cuiusdam Camillomarcelli Squarcialupi nunc medicum agentis in Transilvania, Vilnae, per Iohannem Kartzanum Velicef, Simonius supplex ad incomparabilem virum, praeclarisque suis facinoribus de universa Republica literaria egregie meritum Marcellocamillum quendam Squarcilupum Thuscum Plumbinensem triumphantem: pars prima. Pars altera: in qua de peripneumoniae nothae dignitione curationeque in domino a Niemista, de subiecto febris, de rabie canis, de starnutamento, de infecundis nuptiis agitur, Cracoviae, Alexiius Rodecius, D. Stephani primi Polonorum regis magnique Lithuaniae ducis vita medica, aegritudo, mors, Nyssae, Reinheckelii, Responsum ad epistolam cuiusdam Georgij Chiakor Ungari, de morte Stephani primi,  Responsum ad Refutationem scripti de sanitate, victu medico, aegritudine, obitu, D. Stephani Polonorum regis, Olomutii, Scopae, quibus verritur confutatio, quam advocati Nicolai Buccellae Itali chirurgi anabaptistae innumeris mendaciorum, calumniarum, errorumque purgamentis infartam postremo emiserunt, Olomutii, typis Friderice Milichtaler, Appendix scoparum in Nicolaum Buccellam, Francesco Sacchini, Historiae Societatis Iesu Pars Secunda, Antverpiae, Ex officina filiorum Martini Nutii, Sebastiano Ciampi, Viaggio in Polonia, Firenze, presso Giuseppe Galletti, Cesare Lucchesini, Opere edite e inedite, Lucca, tipografia Giusti, Girolamo Tommasi, Sommario della storia di Lucca, Firenze, G. P. Vieusseaux, Frank Ludwig, Dr. Simon Simonius in Leipzig. Ein Beitrag zur Geschichte der Universität in «Neues Archiv für Sächsische Geschichte», Arturo Pascal, Da Lucca a Ginevra. Studi sull'emigrazione religiosa lucchese nel secolo XVI, in «Rivista storica italiana», Delio Cantimori, Un italiano contemporaneo di Bruno a Lipsia, in «Studi Germanici», Francesco Pierro, La vita errabonda di uno spirito eternamente inquieto. Simone Simoni, in «Minerva Medica», Torino, Domenico Caccamo, Eretici italiani in Moravia, Polonia, Transilvania, Firenze, Sansoni Massimo Firpo, Alcuni documenti sulla conversione al cattolicesimo dell'eretico lucchese Simone Simoni, in «Annali della Scuola normale superiore di Pisa», Claudio Madonia, Simone Simoni da Lucca, in «Rinascimento»,Firenze, Sansoni, Claudio Madonia, Il soggiorno di Simone Simoni in Polonia, in «Studi e ricerche II», Mariano Verdigi, Simone Simoni, filosofo e medico nel '500, Lucca, Maria Pacini Fazzi editore, G. Tiraboschi su Simone Simoni, in «Biblioteca modenese», Modena, su books.google.it. S. Ciampi, Viaggio in Polonia, su books.google.it. C. Lucchesini, Della storia letteraria del Ducato lucchese, su books.google.it. G. Tommasi, Sommario della storia di Lucca,  su books.google.it. S. Simoni, Antischegkianorum liber unus, su books.google.it. S. Simoni, De vera nobilitate, su books.google.it. S. Simoni, Artificiosa curandae pestis methodus, su books.google.it.

 

sini: Grice: “I like Sini; especially his “I segni dell’anima,” since this is, in a nutshell, what my philosophy has been all about: the signs of the soul!” -- Carlo Sini (Bologna), filosofo. Ha studiato a Milano con Barié e Paci, con il quale si è laureato in Filosofia, diventandone in seguito assistente. Dopo aver conseguito la libera docenza, ha insegnato Filosofia ad Aquila. -- è stato chiamato a ricoprire la cattedra di Filosofia teoretica della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Milano, dove ha anche svolto per un triennio la funzione di Preside di facoltà. Membro per molti anni del Collegium Phaenomenologicum di Perugia, del Direttivo Nazionale della Società Filosofica Italiana e dell'Institut International de Philosophie di Parigi, è socio corrispondente dell'Accademia Nazionale dei Lincei, dell'Istituto lombardo di scienze e lettere e dell'Archivio Husserl di Lovanio. Insignito nel 1985 per una sua opera del Premio della Presidenza del Consiglio dello Stato italiano, ha ricevuto nel 2002 la Croce d'onore di I Classe per la Scienza e l'Arte dallo Stato austriaco.  Ha tenuto corsi, seminari e conferenze negli Stati Uniti, in Canada, Argentina, Spagna, Svizzera e altri paesi europei. Ha collaborato per oltre un decennio alle pagine culturali del Corriere della Sera e collabora tuttora con la Rai, con la Radiotelevisione svizzera, con vari settimanali e testate giornalistiche. Dirige per AlboVersorio la collana "Pragmata" ed è membro del comitato scientifico del festival La Festa della Filosofia. Il 7 dicembre  viene premiato dal Comune di Milano con l'Ambrogino d'oro.  Pensiero Ermeneutica Sini è stato tra i primi a segnalare all'attenzione del pubblico italiano l'importanza dell'opera di Charles Sanders Peirce, e ha proposto un filone di ricerca sulla convergenza teoretica dei percorsi filosofici di Peirce e Heidegger sul filo dell'ermeneutica benché la sua formazione didattica fosse di orientamento prevalentemente fenomenologico.  Il tema della scrittura e successivi sviluppi La sua proposta teoretica si è in seguito concentrata sul tema della scrittura e sulla centralità dell'alfabeto greco come forma logica del pensiero occidentale. In particolare, in Figure dell'enciclopedia filosofica, Sini rende conto della radicalità del gesto istitutivo platonico e della nascita della filosofia in modo da illuminare la genealogia della nostra civiltà e le figure del suo destino. Questa pubblicazione si misura con nodi problematici e profondi della nostra cultura. Viene mostrata la verità del gesto filosofico di Platone nel tratto tecnologico della parola alfabetica che trasforma la relazione al mondo in "cosità". La pratica del concetto, infatti, in-forma il paradigma dell'oggettività e traduce le “sterminate antichità” dell'umano all'interno dell'ambito cronotopico della visione logica elaborata dalla scansione alfabetica del mondo (con la conseguente nascita del tempo e del sapere storico).  All'educazione mitologica dell'uomo si sostituisce l'educazione psichica dell'anima nella rimozione delle qualità sensibili della vita vissuta. Prima operazione di ingegneria genetica che comporta sia la nascita del soggetto morale nella paideia del bio-politico (come Nietzsche aveva intuito) sia il conseguente destino nichilista rivelato dall'epoca contemporanea intesa come “epoca del disincanto”, secondo la nota definizione di Max Weber. Ma l'intreccio, che dalla preistoria conduce ai nostri giorni, rinvia al desiderio e all'iscrizione originaria che danza nelle figure della sessualità e della morte. La soglia così dischiusa, annunciata dalla verità analogica dell'evento mimato nella generazione, permette il passaggio del movente desiderante nel “desiderio di vita eterna”. Platone e la logica disgiuntiva hegeliana rappresentano i due poli più rilevanti di questa consapevolezza lancinante. Addirittura, tutta la filosofia platonica è probabilmente da pensare come la domanda più alta e profonda che sia mai stata posta alla sapienza dionisiaca.  E così, dagli ominidi alla società dell'informazione (sul filo delle pratiche che ne circoscrivono le traiettorie) la trama del senso transita dai “signa” ai “segni”, disegnando le coordinate del nostro tempo e il predominio della visione scientifica e delle sue figure che dileguano la consistenza oggettuale dell'oggettività, profilando nel rituale pubblico del potere finanziario, e nella conseguente imposizione dell'universalità oggettiva, un paradosso costitutivo che nasconde nuove e positive opportunità ancora tutte da scoprire (e attualmente mascherate dalla deleteria mercificazione imperante). Delineando nuove occasioni di senso, le Figure dell'enciclopedia invitano a “sognare più vero”, vale a dire ad abitare la conoscenza filosofica nell'esercizio dell'evento del significato nella concretezza delle sue pratiche. Ethos di una nuova scrittura della soggezione del mortale al desiderio, nell'apertura al transito della vita eterna.  Recentemente Sini ha approfondito la questione del logos e della tecnica facendo, sulla scia dei lavori precedenti, del primo (ragione e parola) il fondamento ultimo, della seconda l'essenza. Una posizione di rilievo e in controtendenza all´interno del panorama di questa specifica area della filosofia contemporanea.  Opere: “I Greci e noi,” con Giovanni Emanuele Barié (NABANuova Accademia di Belle Arti Editrice, Milano), “Whitehead e la funzione della filosofia” (Marsilio Editore, Padova) Introduzione alla fenomenologia come scienza (Lampugnani Nigri, Milano) Storia della filosofa (Morano editore, Napoli 1 Il pragmatismo (Laterza, Roma-Bari) Semiotica e filosofia: segno e linguaggio in Peirce, Nietzsche, Heidegger e Foucault (Il Mulino, Bologna, “Passare il segno” (Il Saggiatore, Milano) Kinesis. Saggio d'interpretazione (Spirali, Milano) Metodo e filosofia (Unicopli, Milano 1986) Il silenzio e la parola (Marietti, Genova) I Segni dell'anima (Laterza, Bari) Immagini di verità. Dal segno al simbolo[collegamento interrotto] (Spirali, Milano Il simbolo e l'uomo (Egea, Milano) L'espressione e il profondo (Lanfranchi, Milano 1991) Etica della scrittura (Il Saggiatore, Milano) (Mimesis, Milano) Pensare il progetto (Tranchida, Milano) Filosofia teoretica (Jaca Book, Milano) Variazioni sul foglio-mondo. Peirce, Wittgenstein, la scrittura, con Rossella Fabbrichesi Leo (Hestia, Como) L'incanto del ritmo (Tranchida, Milano Filosofia e scrittura (Laterza, Roma-Bari) Scrivere il silenzio: Wittgenstein e il problema del linguaggio (Egea, Milano) Teoria e pratica del foglio-mondo (Laterza, Roma-Bari) Gli abiti, le pratiche, i saperi (Jaca Book, Milano) Scrivere il fenomeno: fenomenologia e pratica del sapere (Morano, Napoli 1999) Ragione (Clueb, Bologna 2000) Idoli della conoscenza (Cortina, Milano La libertà, la finanza, la comunicazione[collegamento interrotto] (Spirali, Milano) La scrittura e il debito: conflitto tra culture e antropologia (Jaca Book, Milano) Il comico e la vita (Jaca book, Milano) Figure dell'enciclopedia filosofica. Transito verità (Jaca Book, Milano) in 6 volumi: 1: L'analogia della parola: filosofia e metafisica; 2: La mente e il corpo: filosofia e psicologia; 3: Origine del significato: filosofia ed etologia; 4: La virtù politica: filosofia e antropologia; 5: Raccontare il mondo: filosofia e cosmologia; 6: Le arti dinamiche: filosofia e pedagogia La materia delle cose: filosofia e scienza dei materiali (Cuem, Milano) Archivio Spinoza. La verità e la vita (Edizioni Ghibli, Milano) Del viver bene: filosofia ed economia (Cuem, Milano) Distanza un segno: filosofia e semiotica (Cuem, Milano) Il gioco del silenzio (Mondadori, Milano,  Il segreto di Alice e altri saggi (AlboVersorio, Milano) Eracle al bivio. Semiotica e filosofia (Bollati Boringhieri, Torino) Da parte a parte. Apologia del relativo (Edizioni ETS, Pisa) L'uomo, la macchina, l'automa: lavoro e conoscenza tra futuro prossimo e passato remoto (Bollati Boringhieri, Torino) L'Eros dionisiaco (AlboVersorio, Milano, ) Figure d'Occidente. Platone, Nietzsche e Heidegger (con Massimo Donà e Salvatore Natoli, introduzione di Ersamo Silvio Storace)( AlboVersorio, Milano ) La nascita di Eros (AlboVersorio, Milano, ) Scrivere il silenzio: Wittgenstein e il problema del linguaggio (Castelvecchi, Roma ) Spinoza (Book Time, Milano ) Critica Enrico Redaelli, Il nodo dei nodi. L'esercizio del pensiero in Vattimo, Vitiello, Sini, Ets, Pisa  Il filosofo e le pratiche. In dialogo con Carlo Sini (E.Redaelli, con scritti di L. BrovelliCrippa, E. Della Valle, E. Redaelli), Milano, CUEM. Vincenzo Comerci, Filosofia e mondo. Il confronto di Carlo Sini, Milano, Mimesis, . Luciano Cristiano, La filosofia di Carlo Sini. Semiotica, ermeneutica e pensiero delle pratiche, Milano, Mimesis, . Note  Collana Pragmata, in AlboVersorio, Cfr. Copia archiviata, su unimi.it).  Logos e techne, tecnologia e filosofia, su youtube.com. CarloSiniNoema (canale ufficiale), su YouTube.  Carlo Sini, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Carlo Sini / Carlo Sini (altra versione) / Carlo Sini (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Carlo Sini, .  Registrazioni di Carlo Sini, su RadioRadicale.it, Radio Radicale.  Nòema la rivista online di filosofia diretta da Rossella Fabbrichesi e Carlo Sini, su riviste.unimi.it. Archivio Carlo Sini il luogo ove i materiali relativi ai passati corsi universitari del prof. Sini ed altro ancora, su archiviocarlosini.it. Lectio Magistralis di Carlo Sini su La Différance di Jacques Derrida, Arcoiris TV, Riflessioni sul Senso della Vita. Intervista a Carlo Sini, di Ivo Nardi, giugno , sito Riflessioni.it Collana PragmataAlboVersorio, su alboversorio.wordpress.com.

 

siracusa: Alcadino  (Siracusa), filosofo. Vissuto vicino alla corte degli Hohenstaufen. Sebbene non vi siano certezze sull'esatto anno di nascita di Alcadino, a parere di un suo biografo, egli sarebbe nato a Siracusa attorno all'anno 1160. Suo padre, Garsino Siracusano, lo mandò a studiare a Salerno, presso la celebre Scuola Medica Salernitana. Dopo gli studi in lettere, Alcadino si cimentò in quelli di filosofia, raccogliendo attorno a sé una serie di seguaci. Quindi, in seguito alla conclusione del corso regolare degli studi, il siracusano fu scelto per fare da insegnante in medicina e filosofia presso la stessa scuola salernitana.  Divenuto uno dei più stimati medici della scuola, Alcadino fu chiamato alla corte di Enrico VI di Svevia, che nel frattempo era entrato in possesso del Regno di Sicilia, e fu assunto come medico ordinario del sovrano. Dopo la morte di Enrico, il medico siracusano servì il di lui figlio, Federico II, che lo rese degno di confidenza e apprezzamento. Oltre alle ordinarie attività legate alla sua professione, Alcadino si occupò anche di poesia. Scrisse forse un trattato in versi sui bagni minerali di Pozzuoli, il De Balneis Puteolanis (che però alcuni autori attribuiscono a Pietro da Eboli). In quest'opera vengono descritti con precisione il luogo, le qualità e le virtù dei suddetti bagni. Alcadino scrisse inoltre due opere nelle quali celebrava le gesta di Enrico VI e Federico II.  Secondo lo storico Antonio Mongitore, Alcadino di Siracusa morì all'età di 52 anni, quindi si presume verso il 1212 circa.  Opere: De Balneis Puteolanis, De Triumphis Henrici Imperatoris De His Quae a Friderico II Imperatore Praeclare ac Fortifer Gesta Sunt Note  Pasquale Panvini di S. Caterina Salvatore De Renzi405.  Pasquale Panvini di S. Caterina, Biografia degli uomini illustri della Sicilia, Giuseppe Emanuele Ortolani, Tomo I, Napoli, Salvatore De Renzi, Storia documentata della scuola medica di Salerno, Napoli.

 

sirenio: Giulio Sirenio (Brescia), filosofo. Professore di metafisica a Bologna. Opere: De fato, Venetiis, Giordano Ziletti. Anthony Ossa-Richardson, The Devil's Tabernacle: The Pagan Oracles in Early Modern Thought, Princeton.

 

soave: Francesco Soave (Lugano), filosofo. Per qualche tempo maestro di Manzoni, fu il più efficace divulgatore del sensismo italiano. Lapide commemorativa di Soave all'Pavia.  Nacque da Giuseppe Soave e Clara Herrik. La sua numerosa famiglia versava in ristrettezze economiche, ma egli riuscì ad iniziare gli studi presso l'istituto di S. Antonio e, a soli sedici anni, lasciò Lugano per recarsi a Milano dove, nel 1760, prese i voti nella congregazione dei padri Somaschi. Trasferitosi a Pavia, presso il collegio di San Majolo, iniziò gli studi filosofici e nel 1761 fu inviato a Roma al collegio Clementino, che era il più importante della congregazione dei padri Somaschi, per completare gli studi teologici. In questo periodo si dedicò anche allo studio delle lingue greca, inglese, francese, tedesca e spagnola.  Nel 1765 pubblicò le sue traduzioni delle Bucoliche e delle Georgiche di Virgilio, cui aggiunse un poemetto sul modo di tradurre e il volgarizzamento di un sermone di San Basilio Magno. Fu richiamato in seguito alla Scuola dei Paggi di Parma, dal direttore Francesco Venini, a leggere Belle lettere ed a insegnare Poesia latina. Qui rimase fino al 1768 quando Guillaume du Tillot promosse la riforma dell'Università, affidandogli la cattedra di Poesia.  Nel 1770 preparò l'Antologia Latina, per dare agli allievi i migliori esempi di oratoria e di poetica. Ed è proprio in questo momento che prese corpo nel Soave l'idea della Gramatica ragionata, in seguito stampata a Parma nel 1771. L'attività del Soave a Parma finì nel 1772. Tornò così a Milano, dove il conte Carlo Firmian, governatore austriaco della Lombardia, gli affidò, la cattedra di Filosofia a Brera. Oubblicò la versione italiana delle Ricerche intorno all'istituzione naturale di una società e di una lingua e all'influenza dell'una e dell'altra su le umani cognizioni, dissertazione presentata per rispondere al quesito, posto dall'Accademia Reale delle Scienze e delle Lettere di Berlino: "Supponendo degli esseri umani lasciati alle loro facoltà naturali, sarebbero essi in grado di inventare il linguaggio? E con quali mezzi potrebbero giungere a questa invenzione?".  Seguendo una delle classiche questioni filosofiche dibattute nel Sei-Settecento, pubblicò le Riflessioni intorno all'istituzione di una lingua universale, nelle quali Soave teorizzava la formazione di un linguaggio che consentisse a tutti gli uomini di comunicare tra loro, anche se alla fine si dichiarava scettico circa la possibilità di introdurre ex novo una lingua universalmente valida, preferendo l'adozione del francese, che a suo dire svolgeva il ruolo di lingua colta universale, un tempo esclusiva del latino.  Nel 1775 tradusse in italiano il compendio dei saggi di John Locke Saggio filosofico sull'umano intelletto e la Guida dell'intelletto alla ricerca della verità. A quest'ultimo saggio Soave aggiunse, oltre alle consuete annotazioni, anche un'appendice didascalica, sul Metodo che dee tenersi per trovare la verità e per insegnarla ad altrui. Questo commento è ricco di implicazioni, per cogliere il carattere del suo approccio pedagogico. Infatti Soave era soprattutto interessato a dare un'immediata traduzione del pensiero di Locke, nei termini di un discorso didattico ed in particolare a trarre indicazioni per la soluzione del problema di come comporre "buoni libri elementari".  Inoltre, sempre nell'appendice, Soave riprende, da un punto di vista prevalentemente didattico, la questione, per lui fondamentale, di come introdurre i giovani ai primi principi della scienza, suggerendo che il rigore del metodo analitico, il solo valido sul piano conoscitivo, venga attenuato ne' libri elementari. Avvertendo la necessità di superare tutti quegli ostacoli, che si frapponevano in Europa alla libera circolazione delle idee e al continuo e fecondo scambio su un terreno scientifico, letterario e filosofico, Soave fondò nel 1775, con la collaborazione di Carlo Amoretti, il periodico Scelta di opuscoli interessanti tradotti da varie lingue che sarebbe durato fino al 1803, anche se con il nome di Opuscoli scelti. In essi Soave, oltre all'opera di traduzione, pubblicò anche alcuni saggi che testimoniavano il suo eclettismo, tipico dell'epoca. Collaborò con altri studiosi alla realizzazione di una serie di opuscoli (trentasei in tutto), di vario argomento (soprattutto traduzioni), nei quali inserì alcune sue opere.  Nel 1782 scrisse le Novelle morali, alle quali se ne aggiunsero altre, tra il 1784 e il 1786. La loro edizione definitiva risulterà una delle opere più apprezzate ed utilizzata a lungo nelle scuole per l'educazione dei giovani. Ottenne la cattedra di Logica e Metafisica a Brera, alla quale venne incorporata in seguito quella di Etica. Gli anni dal 1786 al 1792 segnarono il momento più intenso della partecipazione di Soave al movimento illuministico e riformatore.  Nel 1786, in seguito all'editto di Giuseppe II sulla riforma delle scuola in Lombardia, Soave venne incaricato di rinnovare le scuole elementari e di preparare alcuni testi scolastici. Per svolgere questo gravoso compito venne nominato membro della Delegazione delle scuole normali, istituita alle dipendenze della giunta delle Pie Fondazioni, e si recò ad osservare il metodo normale, seguito dalle scuole di Rovereto, Trento e Bolzano. Soave avrebbe dovuto innanzitutto fornire una nuova traduzione del Libro del metodo, confrontando quella poco corretta e quindi incapace di servire da codice che era giunta alla delegazione.  In seguito a queste sue ricognizioni, sia territoriali che letterarie, Soave scrisse il Compendio del metodo delle scuole normali ad uso delle scuole della Lombardia austriaca, rivolto in particolare alla formazione dei maestri e contenente i principi educativi del metodo normale, riveduti da lui stesso. A questo libro sono legate indissolubilmente anche: Traduzione del Regolamento generale delle scuole normali, principali e comuni, che era stato emanato da Maria Teresa d'Austria e redatto da Giovanni Ignazio Felbiger, cui Soave aggiunse in un'Appendice Quanto è compreso nel libro del metodo relativamente allo stesso regolamento e inoltre la traduzione di Soave delle Leggi scolastiche da osservarsi nelle Reali scuole normali della Lombardia austriaca.  Fu il fondatore e la mente della prima Scuola normale italiana, inaugurata a Brera. Tentò anche di recarsi in Francia, tuttavia le notizie sulla Rivoluzione che nel frattempo era scoppiata lo convinsero a restare in Italia dove si dedicò a studi filosofici. Stampò le Istituzioni di logica, etica e metafisica, opera pensata per lo studio nei licei e nelle università e, dall'edizione, vi aggiunse gli Opuscoli metafisici. Le truppe di Buonaparte occuparono Milano e Soave si rifugiò a Lugano, poiché nel 1793 aveva scritto, sotto lo pseudonimo di Glice Ceresiano, un opuscolo contro gli ideali rivoluzionari, intitolato Vera idea della rivoluzione di Francia, lettera di Glice Ceresiano ad un amico. Ebbe qualche incarico di supplenza nel collegio di Sant'Antonio e tra i suoi allievi ci fu un giovanissimo Alessandro Manzoni.   Frontespizio dell'Abecedario Il principe di Angri lo invitò a Napoli, per istruire il suo unico figlio, ma, nel 1799, con l'occupazione francese della città, Soave tentò dapprima la fuga in Sicilia e in seguito visse seminascosto, fino a che non gli venne restituita, da parte del governo provvisorio austriaco, la cattedra di Filosofia a Brera. Tuttavia il ritorno dei Francesi  gliela tolse definitivamente e Soave si dedicò agli studi ed alle traduzioni. Con la proclamazione della Repubblica Italiana, fu nominato direttore del Collegio nazionale di Modena, al fine di ridare prestigio ad un istituto educativo di antica data, e gli fu affidata la cattedra di Analisi delle idee. Sempre nello stesso anno fu nominato tra i primi 30 membri dell'Istituto Nazionale. Fece parte della classe di Scienze morali e politiche e si occupò in particolare della Metafisica e dell'Etica.  Attirò numerose critiche, per la pubblicazione dell'opera La filosofia di Kant esposta ed esaminata, nella quale tentava di confutare il filosofo tedesco. Nello stesso anno, non riuscendo ad ottenere risultati a Modena, ottenne la cattedra di Analisi delle idee all'Università degli Studi di Pavia. Fu membro della Società Italiana delle Scienze e collaborò alla realizzazione della collana dei "Classici Italiani", voluta dal governo.  Negli ultimi anni scrisse La mitologia ossia esposizione delle favole e descrizioni dei riti religiosi dei gentili..., con l'aggiunta d'un transunto delle Metamorfosi d'Ovidio e la Storia del popolo ebreo compendiata, ad uso delle scuole. Nel 1804 pubblicò la Memoria sopra il progetto di Elementi di ideologia di Antoine-Louis-Claude Destutt de Tracy e l'Esame dei principi metafisici della Zoonomia di Erasmus Darwin, cercando di contrastarne le teorie, in un estremo tentativo di difesa delle ideali acquisizioni dell'Illuminismo da ogni novità che le minacciasse, segno del carattere ormai "moderato e timido" del suo empirismo, governato dal desiderio di un compromesso tra quella parte d'Illuminismo volta ad aspirazioni razionalistiche, alla crescita dell'identità di un suddito-cittadino e allo sviluppo di forme economiche più moderne, e lo sviluppo della religiosità all'interno di forme canoniche, come occasione di crescita culturale e di consapevolezza di comportamentiː un tentativo che si rivelerà alquanto fragile ed arduo. Ormai la sua consapevolezza critica ed il suo rigore scientifico stavano venendo meno.  Nel 1805 si accinse a riordinare ed a risistemare le sue opere, al fine di preparare alcuni libri sull'istruzione per l'Istituto Nazionale, ma la morte lo colse il 17 gennaio 1806 nella casa della sua congregazione, la Colombina, presso Pavia.  Note  Francesco Soave, in Dizionario storico della Svizzera.  Cfr. la riedizione moderna, con ampio saggio introduttivo: F. Soave, Gramatica ragionata della lingua italiana, S. Fornara, Pescara, Libreria dell'Università Editrice, Giuseppina Benassati e Lauro Rossi , L'Italia nella Rivoluzione, Casalecchio di reno, Grafis, Angelo Grossi, L. Gianella, Francesco Soave. Vita e scritti scelti, Lugano, Giovanni Orelli, La Svizzera italiana, in Alberto Asor Rosa , Letteratura italiana. Storia e geografia. L'età contemporanea, Claudio Marazzini e Simone Fornara , Francesco Soave e la grammatica del Settecento, Atti del convegno di Vercelli (21 marzo 2002), Alessandria, Edizioni dell'Orso. Marina Roggero, La voie italienne vers l'alphabet avant 1860, Histoire de l'éducation,  Sensismo. Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Francesco Soave, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Francesco Soave, su hls-dhs-dss.ch, Dizionario storico della Svizzera.  Francesco Soave, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Francesco Soave, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana.  Opere di Francesco Soave, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Francesco Soave.

 

solari: Gioele Solari (Albino), filosofo. Targa commemorativa sulla casa natale di Gioele Solari presso Albino Solari frequentò in gioventù il prestigioso Collegio San Francesco di Lodi retto dai Padri Barnabiti per poi proseguire gli studi all'Università degli Studi di Messina, da dove poi si trasferì presso l'Università degli Studi di Torino: si formò nel Laboratorio di Economia Politica di Salvatore Cognetti de Martiis, per poi scegliere la filosofia del diritto sotto la guida di Giuseppe Carle. Fu anche membro di una tra le istituzioni culturali più prestigiose a livello nazionale: l'Accademia Nazionale dei Lincei, nel 1946.  Fautore di un idealismo sociale e studioso di Mario Pagano, fu un esponente della scuola di filosofia del diritto dell'Torino, dove tenne questa cattedra dal 1917, quando succedette a Carle, al 1948, anno in cui fu sostituito da Norberto Bobbio. Ebbe tra i suoi allievi lo stesso Bobbio, Renato Treves, Uberto Scarpelli, Piero Gobetti, Alessandro Passerin d'Entrèves, Luigi Pareyson, Luigi Firpo, Giorgio Colli, Bruno Leoni, Mario Einaudi e Cesare Goretti.  Per tutta la vita si dedicò esclusivamente all'insegnamento universitario, rifiutando qualsiasi incarico pubblico (non diventò nemmeno preside della sua facoltà); le cattedre da lui ricoperte sono state nelle Messina (nel 1915), di Cagliari (1922), e di Torino (dal 1918 al 1948).  Prestò il giuramento di fedeltà al fascismo nel 1931.  Opere:  La scuola del diritto naturale nelle dottrine etico-giuridiche dei secoli XVII e XVIII, 1904 La scuola del diritto naturale nelle dottrine etico-giuridiche dei secoli XVII e XVIII, Torino, Fratelli Bocca.  L'idea individuale e l'idea sociale nel diritto privato, 1Lezioni di filosofia del diritto: anno accademico, Giuseppe Carle e Gioele Solari, raccolte dagli studenti Giuseppe Bruno e Francesca Guasco, Editore La cooperativa dispense dell'A.T.U., Torino, 1912. Filosofia del diritto privato, 1930. Lezioni di filosofia del diritto, Studi storici della filosofia del diritto, Giappichelli, Torino Intitolazioni L'Torino gli ha intitolato una biblioteca interdipartimentale. Il comune di Bergamo gli ha intitolato un giardino pubblico e una via. Il comune di Albino gli ha intitolato una via.  Note  Simonetta Fiori, I professori che dissero "NO" al Duce, in La Repubblica, Lezioni di filosofia del diritto: anno accademico, Giuseppe Carle e Gioele Solari, raccolte dagli studenti Giuseppe Bruno e Francesca Guasco, Editore La cooperativa dispense dell'A.T.U., Torino, Studi storici di filosofia del diritto, Giappichelli, Torino, Gioele Solari nella cultura del suo tempo, FrancoAngeli, Milano, Alberto Contu, Questione sarda e filosofia del diritto in Gioele Solari, con un saggio di Norberto Bobbio, Giappichelli, Torino, Davide Cugini, Commemorazione di Gioele Solari, Torinese, Albino, 1952. Francesco D'Agostino , Il problema del diritto e dello Stato nella filosofia del diritto di Giorgio Guglielmo Federico Hegel, G. Giappichelli Editore, Torino, Luigi Firpo , La filosofia politica, 2 voll., Laterza, Bari. Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Gioele Solari, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Gioele Solari, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Gioele Solari, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana.  Opere di Gioele Solari, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Gioele Solari, .  Solari, Gioele, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.

 

soleri: Giacomo Soleri (Pagliero di San Damiano Macra), filosofo. Nato in un piccolo centro della provincia di Cuneo, studiò all'Università Cattolica di Milano, fu ordinato sacerdote nel 1934 e terminò gli studi nel 1940. Ebbe come maestro Francesco Olgiati, uno dei fondatori dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Lavorò a più di 100 scritti fra cui Il problema metafisico del male (del 1952) e Inevitabilità e decisività del problema teologico. È intitolato al suo nome l'Istituto di istruzione superiore "G. Soleri" di Saluzzo, ove il sacerdote insegnò e fu preside. Opere: La proprietà, S.E.I. Torino (II ed. riveduta); Telesio, La Scuola, Brescia; Lucrezio, La Scuola, Brescia; Marco Aurelio, La Scuola, Brescia; L'immortalità dell'anima in Aristotele, S.E.I., Torino; Economia e morale, Borla, Torino,  Il problema metafisico del male in “Sapienza”, Essere, atto, valore in , Il problema del valore, Morcelliana, Brescia, Incisività e decisività del problema teologico, in “Studia Patavina”, Orizzonte della metafisica aristotelica. Sito dell'Istituto Soleri.  Heinz Happ, Hyle: Studien zum aristotelischen Materie-Begriff, Walter de Gruyter,  Riccardo Pozzo, The impact of Aristotelianism on modern philosophy, CUA Press, Dao Ettore, La figura e l'opera di Giacomo Soleri. Saggio di ricerca, Saluzzo, Per iniziativa del Comitato per le onoranze a Giacomo Soleri dell'Istituto magistrale statale Giacomo Soleri.

 

somenzi: Vittorio Somenzi (Redondesco), filosofo. Ufficiale meteorologo dell'Aeronautica, dopo aver partecipato alla Resistenza, lavorò all'ufficio studi dello Stato maggiore. Si divise tra la carriera militare e quella accademica, optando infine per la cattedra di filosofia a Roma. Tra i suoi allievi vi fu Cordeschi.  Pensiero Partendo da un interesse per l'operazionismo di Bridgman, diresse i suoi studi teorici alla cibernetica e fu tra i primi in Italia a interessarsi di intelligenza artificiale e a studiare i rapporti mente-cervello e mente-macchina.  Opere principali: Scritti italiani di filosofia della scienza, Milano, Fratelli Bocca, I fondamenti filosofici della meccanica quantistica, Milano, Fratelli Bocca, L' operazionismo in fisica, Milano, Edizioni di Comunità, La scienza nel suo sviluppo storico, Torino, ERI,  La filosofia degli automi, Vittorio Somenzi con Roberto Cordeschi, Torino, Boringhieri,  (prima edizione, a cura del solo Somenzi, Boringhieri) Tra fisica e filosofia. Roberto Donolato, Abano Terme, Piovan. La materia pensante, Milano, CLUP CittàStudi. Fonte: A. Rainone, Enciclopedia Italiana, riferimenti in. Saggi in onore di Vittorio Somenzi, Roma, Union Printing, Vittorio Somenzii: antologia e testimonianze, Mantova, Fondazione Banca agricola mantovana, Cibernetica Intelligenza artificiale  Antonio Rainone, «Somenzi, Vittorio» la voce nella Enciclopedia ItalianaVI Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Vittorio Somenzi, un maestro del domandare, di Claudio Del Bello, da Giano, n. 45, sito "Metodologia online". Vittorio Somenzi filosofo al servizio della scienza, necrologio di Sandro Modeo, Corriere della Sera, Archivio storico.

 

sordi: Serafino Sordi (Centenaro di Ferriere), filosofo. Terzo di otto figli (7 maschi e 1 femmina) di Agostino Sordi e Giovanna Taschieri, si fece religioso nella Compagnia di Gesù e ben quattro dei suoi fratelli seguirono il suo esempio.  Entrò nel seminario di Piacenza, dove frequentò le classi ginnasiali. Vinse il concorso per l'ammissione al Collegio Alberoni di Piacenza, dove rimase fino al 1813, quando fu costretto a lasciare per motivi di salute. Rientrò in seminario e, sotto la guida del canonico Vincenzo Buzzetti, approfondì il pensiero di San Tommaso la cui filosofia era andata in disuso (s’insegnava la filosofia del secolo: Sarti, Soave, Draghetti, Condillac, Wolfe, Storkenau).  Nel 1816, a 23 anni, divenne sacerdote ed entrò nella Compagnia di Gesù appena ricostituita, fece il noviziato nella Casa di Sant'Ambrogio a Genova, dove incontrò padre Luigi Taparelli D'Azeglio che attraverso i colloqui con il Sordi conobbe e stimò la filosofia di San Tommaso, di cui prima aveva sentito parlare con disprezzo e incominciò a rivedere la sua formazione filosofica.  Nel 1819 divenne insegnante di filosofia nel Collegio di Ferrara e passò a Reggio Emilia come insegnante di logica, metafisica ed etica e con la carica di prefetto della biblioteca civica. A Reggio Emilia si distinse e acquistò stima e fama tanto che il padre Generale della Compagnia Luigi Fortis lo propone al padre Pavani, provinciale d'Italia, come professore di logica nel Collegio Romano. Il Pavani, però pregò il padre Generale di desistere dal suo proposito per motivi di opportunità “si leverebbe un gran rumore tra i professori del Collegio Romano … tanta è la prevenzione contro il padre Sordi perché tomista.”  Dal 1829 al 1834 venne mandato a Modena, al collegio San Bartolomeo, come professore di logica, metafisica ed etica. Qui, ispirandosi ai rivolgimenti culminati con la cattura di Ciro Menotti, pubblicò l'opuscolo “Catechismo delle rivoluzioni”. In questi anni strinse amicizia con il gesuita Giuseppe Pecci. Attraverso quest'amicizia padre Serafino potrà esercitare il suo influsso anche su suo fratello, cardinale Gioacchino Pecci che, divenuto poi Papa, con l'Enciclica Aeterni Patris proporrà a tutte le scuole cattoliche le dottrine di San Tommaso d'Aquino. Venne inviato a Forlì e poi a Spoleto dove insegnò teologia morale. Nel 1836 venne nominato Rettore del Collegio di Orvieto.  Nel 1840 ritornò a Modena come Rettore; carica che esercitò per tre anni, e poi rimase ancora a Modena come Ministro e Padre Spirituale degli alunni.  Nel 1846 fu nominato Rettore del Collegio San Pietro di Piacenza, dove già dal 1839 era stato aperto anche l'AloisianumIstituto di formazione filosofica per giovani gesuiti dell'area Lombardo Veneta. Nel 1848, padre Serafino era ancora a Piacenza, quando il Collegio venne preso d'assalto dai rivoluzionari: “Scoppiarono allora alte grida diAbbasso i gesuiti. Morte ai gesuiti. Mortee qui aggiungevano i nomi or dell'uno or dell'altro Padre del collegio.” Così si legge nel racconto di padre Lombardini, testimone oculare degli avvenimenti. Nel 1851 il P. Generale Jan Roothaan lo chiamò a Roma, desideroso di vedere finito un testo di filosofia che padre Serafino doveva realizzare insieme a padre Carminati. Fu nominato Preposto della Provincia Romana fino al 1856. Padre Serafino governò quella Provincia con rara prudenza e grande spirito di bontà.  Nel 1859 passò al Collegio degli scrittori della Civiltà Cattolica con l'incarico di scrittore e padre spirituale della comunità. Contribuì in questi tre anni al fiorire della rivista componendo con padre Taparelli una serie di articoli. Fu chiamato all'Aloisianum di Verona come Prefetto degli studi dei giovani religiosi che qui studiavano filosofia. A Verona cessò di vivere per malattia cardiaca il 17 maggio 1865.  Pensiero Padre Serafino Sordi fu uno dei più insigni rappresentanti del neotomismo, il movimento di rinnovamento della filosofia di San Tommaso, che, partito dal seminario di Piacenza con il canonico Vincenzo Buzzetti, si diffuse in tutta l'Italia tramite i fratelli Serafino e Domenico Sordi, alunni dello stesso Buzzetti. I due fratelli, entrati nella Compagnia di Gesù, vi portarono il rinnovamento tomista, cioè le grandi idee di San Tommaso studiate e sviluppate ai fini di rispondere agli interrogativi più profondi dell'uomo moderno. L'azione di padre Serafino in favore del neotomismo fu particolarmente efficace per gli incarichi prestigiosi a lui affidati, per il suo insegnamento presso numerosi Collegi dove i suoi scritti di filosofia, trascritti, venivano usati come testo; inoltre molte delle persone da lui avviate allo studio di San Tommaso sono state i protagonisti del rinnovamento tomista e i diretti collaboratori nella preparazione dell'enciclica "Aeterni Patris" in cui il papa Leone XIII esorta a rimettere in uso la sacra dottrina di San Tommaso e a propagarla il più largamente possibile. Il fratello di Serafino, padre Domenico Sordi, diffuse il tomismo nella provincia napoletana, dove operò in varie città (Napoli, Lecce, Maglie, Salerno, Sora, Arpino, Andria). Al Collegio Massimo di Napoli fu collaboratore di P. Luigi Taparelli D'Azeglio promuovendo la diffusione della filosofia di San Tommaso fra gli alunni, alcuni dei quali furono protagonisti del rinnovamento della cultura cattolica dell'800; fra questi va ricordato P. Carlo Maria Curci cofondatore della rivista “La Civiltà Cattolica”, che descrive il suo insegnante con dovizia di particolari nelle sue “Memorie” e P. Matteo Liberatore, cofondatore del periodico “Scienza e Fede”, redattore di “La Civiltà Cattolica” e uno degli estensori dell'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII.  Opere: Appendice al capitolo XII del Catechismo del senso comune” del RorbacherL'Amico d'Italia  XI, 1827, (manoscritto originale presso la biblioteca universitaria di Genova). Theses ex universa Philosophia, Parma  Catechismo delle RivoluzioniModena, Soliani. Lettere intorno al Nuovo saggio sull'origine delle idee dell'Abate Antonio Rosmini SerbatiModena, Vincenzo Rossi 1843,  104 I primi elementi del sistema di V. Gioberti dialogizzati tra lui e un lettore dell'opera sua –Bergamo, Natali 1849, Allocuzione di N. S Papa Pio IX- del 20 aprile 1849, con in fine esposizione della materia a modo di catechismo, del prof S. S.Roma, Tip. Apostolica I misteri di Demofilo per S. S. Professore di filosofiaTorino Castellazzo e De Gaudenzi, Circolare del R. P. Provinciale Serafino Sordi ai Superiori della Provincia Romana –Roma, Civ. Cattolica. De studio Theologiae in nostra societate –Roma, Civ. Cattolica,  Recensione all'opuscolo di Giacomo Oddo “l'Indipendenza, il Cattolicesimo e l'Italia, Milano 1859” Roma, Civ, Cattolica La libertà al tribunale della ragioneRoma, Civ. Cattolica. Se per essere indipendenti abbisogna che il Papa abbia il potere temporale. Di un sacerdote cattolicoRoma Civ. Cattolica. Il movimento nazionale, istruzione popolare in occasione di un opuscolo pubblicato nell'Umbria da un preteso prete galantuomoRoma Civ. Cattolica, opuscolo di  48 Il Sillabo di S. S. Pio Papa IX esposto in forma di catechismo dal P. Serafino Sordi della Compagnia di GesùVerona, Vigentini e Franchini 1865  124 (pubblicato dopo la sua morte) Opere attribuite a Serafino Sordi Saggio intorno alla dialettica e alla religione di Vincenzo GiobertiPiacenza, Tedeschi. Una proposta al Clero Italiano. Ragionamenti sul Gesuita ModernoTorino, Castellazzo e De Gaudenzi 1849,  7 La scomunica: Nel Messaggero di Modena, Lettera sull'Austria, Bergamo, Dottrine di S. Alfonso dei Liquori difese contro le impugnazioni del Sig. Abate RosminiMonza 1850 Opere di P. Serafino Sordi pubblicate nel 1900 Ontologia, pubblicata da P. Dezza nel 1941 Theologia naturalis, pubblicata da P. Dezza nel 1945 Manuale di logica classica, pubblicato da D. Pesce nel 1967 Opere inedite riportate da P. Dezza nel libro “Alle origini del Neotomismo” Ethica generalis et specialis Psicologia Trattato sull'origine delle idee Dissertazione sulla materia e sulla forma Dissertazione sull'evidenza Osservazioni intorno alla filosofia a noi prescritta da S. Ignazio Esortazioni al clero (presso don BalleriniPC) Note  P. Dezza, Alle origini del Neotomismo30  P. Dezza, I neotomisti italiani del XIX secolo,  2-3  E. Silva, Ferriere, cenni storici21  R. Comandini, Nuovi contributi alla conoscenza del canonico Vincenzo Buzzetti e dei discepoli cresciuti alla sua scuola Saggio sulla rinascita del Tomismo, P. Dezza, I neotomisti italiani del XIX secolo. P. Dezza, Alle origini del Neotomismo, Breve storia della Provincia veneta della Compagnia di Gesù dalle sue origini fino ai giorni nostri   La chiesa di S. Pietro in PiacenzaStudi per il IV cent. dalla fond. TEP139  Breve storia della Provincia Veneta della Compagnia di Gesù dalle sue origini fino ai giorni nostri A. M. D. G C. Cenacchi, Tomismo e Neotomismo a FerraraLiber. Edit. Vaticana La Civiltà Cattolica, R. Comandini, Nuovi contributi alla conoscenza del canonico Vincenzo Buzzetti e dei discepoli cresciuti alla sua scuola Saggio sulla rinascita del Tomismo nel sec. XIXLibr. Edit. Vaticana 1974 F. Cordani, Una grande cultura piacentina dimenticata, PC Ed. Berti C. M. Curci, Memorie del Padre Curci, G. Barbera Editore, FI C. M. Cornoldi, Memorie Autobiografiche (Archivio Aloisianum) F. Dante, Storia della Civiltà Cattolica Ed. Studium Roma. P. Dezza, Alle origini del Neotomismo, MI. P. Dezza, I neotomisti italiani del XIX secolo, Bocca ed. MI.  La chiesa di S. Pietro in PiacenzaStudi per il IV cent. dalla fond. TEP, 1987 F. Giarelli, Storia di Piacenza dalle origini ai nostri giorni,  II Ed. Porta PC 1889 L. Ferrari, I fratelli Sordi e il Neotomismo in Italia in il filosofo canonico V. Buzzetti nel centenario della morte, PC G. Martina, La Chiesa nell'età dell'assolutismo, del liberismo, del totalitarismo, Morcelliana BS. U. Padovani, Importanza della critica filosofica di S. Sordi a V. Gilbert, in Riv. Di Filosofia Neoscolastica, MI 1933 ed. Vita e Pensiero A. MONTI, "La Compagnia di Gesù nel territorio della Provincia Torinese, Chieri 1914, 5 volumi Giovanni Paolo II, enciclica Fides et Ratio 1998 S. Panareo, L'istruzione in terra d'Otranto sotto i Borboni, B. Perazzoli, Studi sul Rosminianesimo nell'Ottocento, Ed. Rosminiane Sodalitas, L. Pozzi, S: Sordi filosofo neotomista, Studia Patavina Riv. Di Filos.e Teologia.  V. Rolandetti, Da Buzzetti all'Aeterni Patris Conv. Intern. Tomistico, Trento 1990 V. Rolandetti, Vincenzo Buzzetti teologo, Libr. Ed. Vat. 1974. E. Silva, Ferriere, cenni storici, UTEP, PC 1966 D. Sordi, Pochi e brevi cenni sulla vita menata nel secolo da P.S.Sordi, man. Inedito G. Sordi, Il contributo dei gesuiti piacentini Serafino e Domenico Sordi alla diffusione del neotomismo nella cultura cattolica dell'800, PC , (vedi ) serafinosordi.altervista.org G. Tononi, Condizioni della Chiesa nei ducati parmensi. M. Volpe, I Gesuiti nel Napoletano  Aeterni Patris Aloisianum Carlo Maria Curci Collegio Alberoni Compagnia di Gesù Jan Roothaan La Civiltà Cattolica Luigi Taparelli d'Azeglio Matteo Liberatore Neotomismo  Serafino Sordi, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Serafino Sordi. G. Sordi, Il contributo dei gesuiti piacentini Serafino e Domenico Sordi alla diffusione del neotomismo nella cultura cattolica dell’800, PC su serafinosordi. altervista.org. books.google.it/books?hl=it&id=-G3PUnY3zbEC&q=taparelli+d%27azeglio+e+il+rinnovamento+della+scolastica La Civiltà Cattolica 1927Il P. Taparelli d'Azeglio e il rinnovamento della Scolastica al Collegio Romano (pagg. 107-121 e 399-409)] books.google.it/books?hl=it&id=KcRveZ1rpnwC&q=intorno+alle+origini+del+rinnovamento+tomista+in+italia La Civiltà Cattolica1928Intorno alle origini del rinnovamento tomistico in ItaliaIl P.Taparelli e il P. Sordi parte prima –pagg. 215-229) (parte secondapagg. books.google.it/books?id=_y_qxX2vxrEC&pg=PA229&lpg=%20LA+CIVILTA+CATTOLICA+%C2%AC-+1929#v=onepage&q&f=false La Civiltà Cattolica1929La rinascita del tomismo a Napoli nel 1830 (parte primaI collaboratori del Taparelli pagg. 229-244)(parte secondaIl peripato in azione pagg. 422-433) books.google.it/books?id=7dtNAAAAMAAJ&pg=PA318-IA1&l#v=onepage&q&f=false La Civiltà Cattolica1980Il contributo della Compagnia di Gesù alla preparazione dell'enciclica “Aeterni Patris.”

 

soria: Raccolta di opuscoli Giovanni Gualberto De Soria (Sant'Andrea a Lama filosofo. Nato forse a Pisa, e non a Livorno come sostenuto da alcuni autori, da Enrico e da Maria Elisabetta delle Sedie da Calci, la famiglia paterna risiedeva da tempo a Sant'Ilario in Campo, nell'isola d'Elba ed era probabilmente di origine spagnola. Giovanni Gualberto De Soria fu un filosofo appartenente alla corrente del sensismo, insegnò all'Pisa, combatté il cartesianesimo ed esaltò Galileo Galilei.  Nel 1741 scrisse l'opera Rationalis Philosophiae Institutiones.  Dal 1742 al 1746 fu direttore della Biblioteca universitaria di Pisa.  Nel 1766 pubblicò a Pisa la Raccolta di opuscoli filosofici, e filologici.  Il primo tomo di tale opera comprende Della Immaterialità delle Nature Intelligenti, Della Potenza che ha lo Spirito Umano di determinar se medesimo chiamata Libertà, Il virtuoso Regime del proprio Corpo è un Bene indispensabile per la Felicità della Vita e Della natural dipendenza della Salute Corporea dall'Ilarità dello Spirito. Il secondo tomo comprende Della Simpatia e un Dialogo tra un Cav. Francese, e un Italiano, seguiti dall’Esame del Giudizio di Monsieur Du Fresnoy circa Michelangelo. Nel terzo si trovano Sulle Metamorfosi degl'Insetti e Degl'Influssi Celesti, seguiti da una Dissertazione Accademica sull'Innesto e da La Teoria de' Fosfori, e de' loro divarj.  Giovanni Gualberto De Soria fu allievo di Luigi Guido Grandi, e segnò il passaggio della scuola galileiana verso l'Illuminismo. De Soria individuò, "nello sviluppo economico il centro dell'interesse dell'attività politica".  È sepolto nella chiesa di Sant'Andrea a Lama, in provincia di Pisa, paese di origine della madre.  Note  Il cognome è attestato anche come Soria. Ugo Baldini, De Soria, Giovanni Gualberto, in "Dizionario biografico degli italiani", Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, De Soria (o Soria) è attestato anche a Livorno ed è appartenuto a una nota famiglia ebraica locale di origine sefardita, proveniente dalla Spagna o Portogallo Cfr. Renzo Toaff, La nazione ebrea a Livorno e a Pisa  L.S. Olschki, Firenze, Gualberto De Soria, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Giovanni Gualberto De Soria, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Giovanni Gualberto De Soria / Giovanni Gualberto De Soria (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Giovanni Gualberto De Soria.

 

sorrentino: Sergio Sorrentino (Carbonara di Nola), filosofo. Docente di filosofia a Salerno.  È tra i massimi esperti italiani del filosofo e teologo tedesco Friedrich Schleiermacher, ma oltre alle letture di carattere teologico-religioso, è anche ideatore di una filosofia autonoma ed originale. Sorrentino è infatti convinto che si debba ricercare una connessione tra le varie forme di sapere, spesso rinchiuse nell'ambito dei propri specialismi e pertanto sterili.   Dopo un periodo di studio passato in Italia (Milano, Napoli) e l'estero (Tubinga, Heidelberg) si laurea in Filosofia presso l'Università degli Studi di Napoli "Federico II". Consegue la laurea in teologia presso la facoltà teologica "San Luigi" di Napoli è ricercatore a Salerno. Rceve una borsa di formazione a Gottinga, a Kiel e a Monaco.  Nel 1980 diviene ricercatore confermato a Salerno e dal 1995/96 è docente, tuttora in ruolo, di Filosofia della religione preso la medesima università.  Pensiero Il pensiero di Sorrentino si sviluppa soprattutto intorno a tematiche come il dibattito sulla religione, inteso nel senso di una problematizzazione e di una tematizzazione del religioso nella società moderna e contemporanea, a partire dal tardo Illuminismo fin ai giorni nostri. Sorrentino cerca di inquadrare il pensiero filosofico relativo all'etica e alla religione. Da qui parte il tentativo di una tematizzazione filosofica della dimensione simbolica. Il motore della ricerca è il tentativo di giungere ad una forma di connessione dei saperi che possa superare le difficoltà e le incomprensioni del mondo contemporaneo, non solo in ambito filosofico.  Opere: Monografie (selezione) La teologia della secolarizzazione in Dietrich Bonhoeffer, Chiesa, mondo e storia nel pensiero del secolo XIX, Schleiermacher e la filosofia della religione, Ermeneutica e filosofia trascendentale, Filosofia ed esperienza religiosa, Realtà del senso e universo religioso. Per un approccio trascendentale al fenomeno religioso, Traduzioni (selezione) F. Schleiermacher, La dottrina della fede, F. Schleiermacher, Il valore della vita, F. Schleiermacher, Dialettica, Volumi (selezione) Schleiermacher's Philosophy and the philosophical Tradition, Barth in discussione, Obbedire al tempo. L'attesa nel pensiero filosofico, politico ereligioso di Simone Weil, La dialettica nella cultura romantica, con Terrence N. Tice Religione e religioni a partire dai “Discorsi” di Schleiermacher,Il prisma della rivelazione. Una nozione alla prova di religioni e saperi, L'eredità dell'Illuminismo e la critica della religione, Diversità e rapporto tra culture, Le ragioni del dialogo. Grammatica del rapporto tra le religioni, Nichilismo e questione del senso, Teologia naturale e teologia filosofica, La libertà in discussione, Le ragioni del dialogo. Grammatica del rapporto fra le religioni, con Francesco Saverio Festa, La persona come paradigma di senso. Dibattito sull'eredità di Mounier, con Giuseppe Limone,  La teologia politica in discussione, con Hagar Spano, Università degli Studi di Salerno, su unisa.it. Giornale di filosofia della religione, su aifr.it.

 

sozzini: -- Socinianism, NELLA PRIMA METÀ DEL SEDICESIMO SECOLO NACQUERO IN QUESTA CASA LELIO E FAUSTO SOZZINI LETTERATI INSIGNI FILOSOFI SOMMI DELLA LIBERTÀ DI PENSIERO STRENUI PROPUGNATORI ______ CONTRO IL SOPRANNATURALE VINDICI DELLA UMANA RAGIONE FONDARONO LA CELEBRE SCUOLA SOCINIANA PRECORRENDO DI TRE SECOLI LE DOTTRINE DEL MODERNO RAZIONALISMO. I LIBERALI SENESI AMMIRATORI REVERENTI QUESTA MEMORIA POSERO 1879 a movement originating in the sixteenth century from the work of  reformer Laelius Socinus “Sozzini” and his nephew Faustus Socinus.  Born in Siena of a patrician family, Sozzini is widely read. Influenced by the evangelical movement, Sozzini makes contact with noted Protestant reformers, including Calvin and Melanchthon, some of whom questioned his orthodoxy. In response, Sozzini writes a confession of faith, one of a small number of his writings to have survived. After his death, Sozzini’s oeuvre was carried on by his nephew, Faustus, whose writings including “On the Authority of Scripture,” “On the Savior Jesus Christ,”  and “On Predestination,” expressed heterodox views. Sozzini believed that Christ’s nature is entirely human, that the souls does not possess immortality by nature though there is selective resurrection for believers, that invocation of Christ in prayer is permissible but not required, and he argues, like Grice, Pears, and Thomson, against predestination. After publication of his  writings, Sozzini is invited to Transylvania and Poland to engage in a dispute within the Reformed churches there. He decides to make his permanent residence in Poland, which, through his tireless efforts, became the center of the Socinian movement. The most important document of this movement was the Racovian Catechism, published shortly after Faustus’s death. The Minor church of Poland, centered at Racov, became the focal point of the movement. Its academy attracted hundreds of students and its publishing house produced books in many languages defending Socinian ideas. Socinianism, as represented by the Racovian Catechism and other writings collected by Faustus’s disciples, involves the views of Laelius and especially Faustus Socinus, aligned with the anti-Trinitarian views of the Polish Minor church.. It accepts Christ’s message as the definitive revelation of God, but regards Christ as human, not divine; rejects the natural immortality of the soul, but argues for the selective resurrection of the faithful; rejects the doctrine of the Trinity; emphasizes human free will against predestinationism; defends pacifism and the separation of church and state; and argues that reason  not creeds, dogmatic tradition, or church authority  must be the final interpreter of Scripture. Its view of God is temporalistic: God’s eternity is existence at all times, not timelessness, and God knows future free actions only when they occur. In these respects, the Socinian view of God anticipates aspects of modern process theology. Socinianism was suppressed in Poland in 1658, but it had already spread to other European countries, including Holland where it appealed to followers of Arminius and England, where it influenced the Cambridge Platonists, Locke, and other philosophers, as well as scientists like Newton. In England, it also influenced and was closely associated with the development of Unitarianism.  H. P. Grice, “Sozzini, rationalism, and moi.”

 

solus ipse, solipsism: Grice: “If my theory of conversation has any value, is the refutation of solipsism!” -- the doctrine that there exists a firstperson perspective possessing privileged and irreducible characteristics, in virtue of which we stand in various kinds of isolation from any other persons or external things that may exist. This doctrine is associated with but distinct from egocentricism. On one variant of solipsism Thomas Nagel’s we are isolated from other sentient beings because we can never adequately understand their experience empathic solipsism. Another variant depends on the thesis that the meanings or referents of all words are mental entities uniquely accessible only to the language user semantic solipsism. A restricted variant, due to Vitters, asserts that first-person ascriptions of psychological states have a meaning fundamentally different from that of second- or thirdperson ascriptions psychological solipsism. In extreme forms semantic solipsism can lead to the view that the only things that can be meaningfully said to exist are ourselves or our mental states ontological solipsism. Skepticism about the existence of the world external to our minds is sometimes considered a form of epistemological solipsism, since it asserts that we stand in epistemological isolation from that world, partly as a result of the epistemic priority possessed by firstperson access to mental states. In addition to these substantive versions of solipsism, several variants go under the rubric methodological solipsism. The idea is that when we seek to explain why sentient beings behave in certain ways by looking to what they believe, desire, hope, and fear, we should identify these psychological states only with events that occur inside the mind or brain, not with external events, since the former alone are the proximate and sufficient causal explanations of bodily behavior.

 

sophisma: Grice’s favourite for a time was “Have you stopped beating your wife.” In “Presupposition and conversational implicature,” he does admit that he has grown tired of it, what he calls his having had his eyes glued to “the inquiry whether you have left off beating your wife” --. an utterance illustrating a semantic or logical issue associated with the analysis of a syncategorematic term, or a term lacking independent signification. Typically a sophisma was used from the thirteenth century into the sixteenth century to analyze relations holding between logic or semantics and broader philosophical issues. For example, the syncategorematic term ‘besides’ praeter in ‘Socrates twice sees every man besides Plato’ is ambiguous, because it could mean ‘On two occasions Socrates sees every-man-but-Plato’ and also ‘Except for overlooking Plato once, on two occasions Socrates sees every man’. Roger Bacon used this sophisma to discuss the ambiguity of distribution, in this case, of the scope of the reference of ‘twice’ and ‘besides’. Sherwood used the sophisma to illustrate the applicability of his rule of the distribution of ambiguous syncategoremata, while Pseudo-Peter of Spain uses it to establish the truth of the rule, ‘If a proposition is in part false, it can be made true by means of an exception, but not if it is completely false’. In each case, the philosopher uses the ambiguous signification of the syncategorematic term to analyze broader logical problems. The sophisma ‘Every man is of necessity an animal’ has ambiguity through the syncategorematic ‘every’ that leads to broader philosophical problems. In the 1270s, Boethius of Dacia analyzed this sophisma in terms of its applicability when no man exists. Is the knowledge derived from understanding the proposition destroyed when the object known is destroyed? Does ‘man’ signify anything when there are no men? If we can correctly predicate a genus of a species, is the nature of the genus in that species something other than, or distinct from, what finally differentiates the species? In this case, the sophisma proves a useful approach to addressing metaphysical and epistemological problems central to Scholastic discourse.   sophisma: Grice: “Literally, a wisecrack.” “’Sophisma’ is a very Griceian and Grecian pun on ‘sophos,’ the wise men of Gotham -- any of a number of ancient Grecians, roughly contemporaneous with Socrates, who professed to teach, for a fee, rhetoric, philosophy, and how to succeed in life. They typically were itinerants, visiting much of the Grecian world, and gave public exhibitions at Olympia and Delphi. They were part of the general expansion of Grecian learning and of the changing culture in which the previous informal educational methods were inadequate. For example, the growing litigiousness of Athenian society demanded Solovyov, Vladimir Sophists 862   862 instruction in the art of speaking well, which the Sophists helped fulfill. The Sophists have been portrayed as intellectual charlatans hence the pejorative use of ‘sophism’, teaching their sophistical reasoning for money, and at the other extreme as Victorian moralists and educators. The truth is more complex. They were not a school, and shared no body of opinions. They were typically concerned with ethics unlike many earlier philosophers, who emphasized physical inquiries and about the relationship between laws and customs nomos and nature phusis. Protagoras of Abdera c.490c.420 B.C. was the most famous and perhaps the first Sophist. He visited Athens frequently, and became a friend of its leader, Pericles; he therefore was invited to draw up a legal code for the colony of Thurii 444. According to some late reports, he died in a shipwreck as he was leaving Athens, having been tried for and found guilty of impiety. He claimed that he knew nothing about the gods, because of human limitations and the difficulty of the question. We have only a few short quotations from his works. His “Truth” also known as the “Throws,” i.e., how to overthrow an opponent’s arguments begins with his most famous claim: “Humans are the measure of all things  of things that are, that they are, of things that are not, that they are not.” That is, there is no objective truth; the world is for each person as it appears to that person. Of what use, then, are skills? Skilled people can change others’ perceptions in useful ways. For example, a doctor can change a sick person’s perceptions so that she is healthy. Protagoras taught his students to “make the weaker argument the stronger,” i.e., to alter people’s perceptions about the value of arguments. Aristophanes satirizes Protagoras as one who would make unjust arguments defeat just arguments. This is true for ethical judgments, too: laws and customs are simply products of human agreement. But because laws and customs result from experiences of what is most useful, they should be followed rather than nature. No perception or judgment is more true than another, but some are more useful, and those that are more useful should be followed. Gorgias c.483376 was a student of Empedocles. His town, Leontini in Sicily, sent him as an ambassador to Athens in 427; his visit was a great success, and the Athenians were amazed at his rhetorical ability. Like other Sophists, he charged for instruction and gave speeches at religious festivals. Gorgias denied that he taught virtue; instead, he produced clever speakers. He insisted that different people have different virtues: for example, women’s virtue differs from men’s. Since there is no truth and if there were we couldn’t know it, we must rely on opinion, and so speakers who can change people’s opinions have great power  greater than the power produced by any other skill. In his “Encomium on Helen” he argues that if she left Menelaus and went with Paris because she was convinced by speech, she wasn’t responsible for her actions. Two paraphrases of Gorgias’s “About What Doesn’t Exist” survive; in this he argues that nothing exists, that even if something did, we couldn’t know it, and that even if we could know anything we couldn’t explain it to anyone. We can’t know anything, because some things we think of do not exist, and so we have no way of judging whether the things we think of exist. And we can’t express any knowledge we may have, because no two people can think of the same thing, since the same thing can’t be in two places, and because we use words in speech, not colors or shapes or objects. This may be merely a parody of Parmenides’ argument that only one thing exists. Antiphon the Sophist fifth century is probably although not certainly to be distinguished from Antiphon the orator d. 411, some of whose speeches we possess. We know nothing about his life if he is distinct from the orator. In addition to brief quotations in later authors, we have two papyrus fragments of his “On Truth.” In these he argues that we should follow laws and customs only if there are witnesses and so our action will affect our reputation; otherwise, we should follow nature, which is often inconsistent with following custom. Custom is established by human agreement, and so disobeying it is detrimental only if others know it is disobeyed, whereas nature’s demands unlike those of custom can’t be ignored with impunity. Antiphon assumes that rational actions are selfinterested, and that justice demands actions contrary to self-interest  a position Plato attacks in the Republic. Antiphon was also a materialist: the nature of a bed is wood, since if a buried bed could grow it would grow wood, not a bed. His view is one of Aristotle’s main concerns in the Physics, since Aristotle admits in the Categories that persistence through change is the best test for substance, but won’t admit that matter is substance. Hippias fifth century was from Elis, in the Peloponnesus, which used him as an ambasSophists Sophists 863   863 sador. He competed at the festival of Olympus with both prepared and extemporaneous speeches. He had a phenomenal memory. Since Plato repeatedly makes fun of him in the two dialogues that bear his name, he probably was selfimportant and serious. He was a polymath who claimed he could do anything, including making speeches and clothes; he wrote a work collecting what he regarded as the best things said by others. According to one report, he made a mathematical discovery the quadratrix, the first curve other than the circle known to the Grecians. In the Protagoras, Plato has Hippias contrast nature and custom, which often does violence to nature. Prodicus fifth century was from Ceos, in the Cyclades, which frequently employed him on diplomatic missions. He apparently demanded high fees, but had two versions of his lecture  one cost fifty drachmas, the other one drachma. Socrates jokes that if he could have afforded the fifty-drachma lecture, he would have learned the truth about the correctness of words, and Aristotle says that when Prodicus added something exciting to keep his audience’s attention he called it “slipping in the fifty-drachma lecture for them.” We have at least the content of one lecture of his, the “Choice of Heracles,” which consists of banal moralizing. Prodicus was praised by Socrates for his emphasis on the right use of words and on distinguishing between synonyms. He also had a naturalistic view of the origin of theology: useful things were regarded as gods.

 

sort: Grice, “One of the few technicisms introduced by an English philosopher, in this case Locke.”a sortal predicate, roughly, a predicate whose application to an object says what kind of object it is and implies conditions for objects of that kind to be identical. Person, green apple, regular hexagon, and pile of coal would generally be regarded as sortal predicates, whereas tall, green thing, and coal would generally be regarded as non-sortal predicates. An explicit and precise definition of the distinction is hard to come by. Sortal predicates are sometimes said to be distinguished by the fact that they provide a criterion of counting or that they do not apply to the parts of the objects to which they apply, but there are difficulties with each of these characterizations. The notion figures in recent philosophical discussions on various topics. Robert Ackermann and others have suggested that any scientific law confirmable by observation might require the use of sortal predicates. Thus ‘all non-black things are non-ravens’, while logically equivalent to the putative scientific law ‘all ravens are black’, is not itself confirmable by observation because ‘non-black’ is not a sortal predicate. David Wiggins and others have discussed the sortal sortal predicate 865   865 idea that all identity claims are sortal-relative in the sense that an appropriate response to the claim a % b is always “the same what as b?” John Wallace has argued that there would be advantages in relativizing the quantifiers of predicate logic to sortals. ‘All humans are mortal’ would be rendered Ex[m]Dx, rather than ExMxPDx. Crispin Wright has suggested that the view that natural number is a sortal concept is central to Frege’s or any other number-theoretic platonism. The word ‘sortal’ as a technical term in philosophy apparently first occurs in Locke’s Essay Concerning Human Understanding. Locke argues that the so-called essence of a genus or sort unlike the real essence of a thing is merely the abstract idea that the general or sortal name stands for. But ‘sortal’ has only one occurrence in Locke’s Essay. Its currency in contemporary philosophical idiom probably should be credited to P. F. Strawson’s Individuals. The general idea may be traced at least to the notion of second substance in Aristotle’s Categories.

 

Sotione, teacher of Seneca. In glossary to Roman philosophers, in “Roman philosophers.”

 

Animatum -- soul: -- cf. Grice on “soul-to-soul transfer” -- also called spirit, an entity supposed to be present only in living things, corresponding to the Grecian psyche and Latin anima. Since there seems to be no material difference between an organism in the last moments of its life and the organism’s newly dead body, many philosophers since the time of Plato have claimed that the soul is an immaterial component of an organism. Because only material things are observed to be subject to dissolution, Plato took the soul’s immateriality as grounds for its immortality. Neither Plato nor Aristotle thought that only persons had souls: Aristotle ascribed souls to animals and plants since they all exhibited some living functions. Unlike Plato, Aristotle denied the transmigration of souls from one species to another or from one body to another after death; he was also more skeptical about the soul’s capacity for disembodiment  roughly, survival and functioning without a body. Descartes argued that only persons had souls and that the soul’s immaterial nature made freedom possible even if the human body is subject to deterministic physical laws. As the subject of thought, memory, emotion, desire, and action, the soul has been supposed to be an entity that makes self-consciousness possible, that differentiates simultaneous experiences into experiences either of the same person or of different persons, and that accounts for personal identity or a person’s continued identity through time. Dualists argue that soul and body must be distinct in order to explain consciousness and the possibility of immortality. Materialists argue that consciousness is entirely the result of complex physical processes. 

 

soundness: Grice: “The etymology if fascinating.” The English Grice. "Most of the terms I use are Latinate." "I implicate: a few are not." "I say that System G should be sound." "free from special defect or injury," c. 1200, from Old English gesund "sound, safe, having the organs and faculties complete and in perfect action," from Proto-Germanic *sunda-, from Germanic root *swen-to- "healthy, strong" (source also of Old Saxon gisund, Old Frisian sund, Dutch gezond, Old High German gisunt, German gesund "healthy," as in the post-sneezing interjection gesundheit; also Old English swið "strong," Gothic swinþs "strong," German geschwind "fast, quick"), with connections in Indo-Iranian and Balto-Slavic. Meaning "right, correct, free from error" is from mid-15c. Meaning "financially solid or safe" is attested from c. 1600; of sleep, "undisturbed," from 1540s. Sense of "holding accepted opinions" is from 1520s Grice: “’sound’ is not polysemous, but it has different usages: of an argument the property of being valid and having all true premises; of a system, like Sytem G,  the property of being not too strong in a certain respect. A System G  has weak soundness provided every theorem of G  is valid. And G has strong soundness if for every set S of sentences, every sentence deducible from S using system G is a logical consequence of S.

 

spatium: space, an extended manifold of several dimensions, where the number of dimensions corresponds to the number of variable magnitudes Soto, Domingo de space 866   866 needed to specify a location in the manifold; in particular, the three-dimensional manifold in which physical objects are situated and with respect to which their mutual positions and distances are defined. Ancient Grecian atomism defined space as the infinite void in which atoms move; but whether space is finite or infinite, and whether void spaces exist, have remained in question. Aristotle described the universe as a finite plenum and reduced space to the aggregate of all places of physical things. His view was preeminent until Renaissance Neoplatonism, the Copernican revolution, and the revival of atomism reintroduced infinite, homogeneous space as a fundamental cosmological assumption. Further controversy concerned whether the space assumed by early modern astronomy should be thought of as an independently existing thing or as an abstraction from the spatial relations of physical bodies. Interest in the relativity of motion encouraged the latter view, but Newton pointed out that mechanics presupposes absolute distinctions among motions, and he concluded that absolute space must be postulated along with the basic laws of motion Principia, 1687. Leibniz argued for the relational view from the identity of indiscernibles: the parts of space are indistinguishable from one another and therefore cannot be independently existing things. Relativistic physics has defused the original controversy by revealing both space and spatial relations as merely observer-dependent manifestations of the structure of spacetime. Meanwhile, Kant shifted the metaphysical controversy to epistemological grounds by claiming that space, with its Euclidean structure, is neither a “thing-in-itself” nor a relation of thingsin-themselves, but the a priori form of outer intuition. His view was challenged by the elaboration of non-Euclidean geometries in the nineteenth century, by Helmholtz’s arguments that both intuitive and physical space are known through empirical investigation, and finally by the use of non-Euclidean geometry in the theory of relativity. Precisely what geometrical presuppositions are inherent in human spatial perception, and what must be learned from experience, remain subjects of psychological investigation.  -- space-time: a four-dimensional continuum combining the three dimensions of space with time in order to represent motion geometrically. Each point is the location of an event, all of which together represent “the world” through time; paths in the continuum worldlines represent the dynamical histories of moving particles, so that straight worldlines correspond to uniform motions; three-dimensional sections of constant time value “spacelike hypersurfaces” or “simultaneity slices” represent all of space at a given time. The idea was foreshadowed when Kant represented “the phenomenal world” as a plane defined by space and time as perpendicular axes Inaugural Dissertation, 1770, and when Joseph Louis Lagrange 17361814 referred to mechanics as “the analytic geometry of four dimensions.” But classical mechanics assumes a universal standard of simultaneity, and so it can treat space and time separately. The concept of space-time was explicitly developed only when Einstein criticized absolute simultaneity and made the velocity of light a universal constant. The mathematician Hermann Minkowski showed in 8 that the observer-independent structure of special relativity could be represented by a metric space of four dimensions: observers in relative motion would disagree on intervals of length and time, but agree on a fourdimensional interval combining spatial and temporal measurements. Minkowski’s model then made possible the general theory of relativity, which describes gravity as a curvature of spacetime in the presence of mass and the paths of falling bodies as the straightest worldlines in curved space-time.  -- spatio-temporal continuancy: or continunity, a property of the careers, or space-time paths, of well-behaved objects. Let a space-time path be a series of possible spatiotemporal positions, each represented in a selected coordinate system by an ordered pair consisting of a time its temporal component and a volume of space its spatial component. Such a path will be spatiotemporally continuous provided it is such that, relative to any inertial frame selected as coordinate system, space, absolute spatiotemporal continuity 867   867 1 for every segment of the series, the temporal components of the members of that segment form a continuous temporal interval; and 2 for any two members ‹ti, Vi and ‹tj, Vj of the series that differ in their temporal components ti and tj, if Vi and Vj the spatial components differ in either shape, size, or location, then between these members of the series there will be a member whose spatial component is more similar to Vi and Vj in these respects than these are to each other. This notion is of philosophical interest partly because of its connections with the notions of identity over time and causality. Putting aside such qualifications as quantum considerations may require, material objects at least macroscopic objects of familiar kinds apparently cannot undergo discontinuous change of place, and cannot have temporal gaps in their histories, and therefore the path through space-time traced by such an object must apparently be spatiotemporally continuous. More controversial is the claim that spatiotemporal continuity, together with some continuity with respect to other properties, is sufficient as well as necessary for the identity of such objects  e.g., that if a spatiotemporally continuous path is such that the spatial component of each member of the series is occupied by a table of a certain description at the time that is the temporal component of that member, then there is a single table of that description that traces that path. Those who deny this claim sometimes maintain that it is further required for the identity of material objects that there be causal and counterfactual dependence of later states on earlier ones ceteris paribus, if the table had been different yesterday, it would be correspondingly different now. Since it appears that chains of causality must trace spatiotemporally continuous paths, it may be that insofar as spatiotemporal continuity is required for transtemporal identity, this is because it is required for transtemporal causality. Refs.: H. P. Grice and P. F. Strawson, “Categories,” in The H. P. Grice Papers, BANC MSS 90/135c, The Bancroft Library, The University of California, Berkeley.

 

specious present: the supposed time between past and future. The phrase was first offered by  Clay in “The Alternative: A Study in Psychology,”  and is cited by James in his Principles of Psychology  Clay challenges the assumption that the “present” as a “datum” is given as “present” to us in our experience. “The present to which the datum refers is really a part of the *past*, a recent past  delusively given as benign time that intervenes between the past and the future. Let it be named ‘the specious present,’ and let the past that is given as being the past be known as ‘the obvious past.’” For James, this position is supportive of his contention that consciousness (conscientia) is a stream and can be divided into parts only by conceptual addition, i.e., only by our ascribing past, present, and future to what is, in our actual experience, a seamless flow. James holds that the “practically cognized present is no knife-edge but a saddleback,” a sort of “ducatum” which we experience as a whole, and only upon reflective attention do we “distinguish its beginning from its end.” Whereas Clay refers to the datum of the present as “delusive,” one might rather say that it is perpetually *elusive*, for as we have our experience, now, it is always bathed retrospectively and prospectively. Contrary to common wisdom, no single experience ever is had by our consciousness utterly alone, single and without relations, fore and aft. Refs.: H. P. Grice, “The logical-construction theory of personal identity.”

 

speculatum: Grice: “Philosophy may broadly be divided into ‘philosophia speculativa” and “philosophia practica.”” -- speculative philosophy, a form of theorizing that goes beyond verifiable observation; specifically, a philosophical approach informed by the impulse to construct a grand narrative of a worldview that encompasses the whole of reality. Speculative philosophy purports to bind together reflections on the existence and nature of the cosmos, the psyche, and God. It sets for its goal a unifying matrix and an overarching system whereswith to comprehend the considered judgments of cosmology, psychology, and theology. Hegel’s absolute idealism, particularly as developed in his later thought, paradigmatically illustrates the requirements for speculative philosophizing. His system of idealism offered a vision of the unity of the categories of human thought as they come to realization in and through their opposition to each other. Speculative thought tends to place a premium on universality, totality, and unity; and it tends to marginalize the concrete particularities of the natural and social world. In its aggressive use of the systematic principle, geared to a unification of human experience, speculative philosophy aspires to a comprehensive understanding and explanation of the structural interrelations of the culture spheres of science, morality, art, and religion. Refs.: H. P. Grice, “Practical and doxastic attitudes: why I need exhibitive clauses.”

 

SISTENS -- CUM-SISTENS -- consistens: “There’s consistens, and there’s inconsistens.”H. P. Grice. The inconsistent triad, most generally, any three propositions such that it cannot be the case that all three of them are true. More narrowly, any three categorical propositions such that it cannot be the case that all three of them are true. A categorical syllogism is valid provided the three propositions that are its two premises and the negation (contradiction) of its conclusion are an inconsistent triad; this fact underlies a test for the validity of categorical syllogisms, which test are thus called by Grice the “method of” the inconsistent triad.

 

spencer: English philosopher, social reformer, and editor of The Economist. In epistemology, Spencer adopted the ninespeculative reason Spencer, Herbert 869   869 teenth-century trend toward positivism: the only reliable knowledge of the universe is to be found in the sciences. His ethics were utilitarian, following Bentham and J. S. Mill: pleasure and pain are the criteria of value as signs of happiness or unhappiness in the individual. His Synthetic Philosophy, expounded in books written over many years, assumed both in biology and psychology the existence of Lamarckian evolution: given a characteristic environment, every animal possesses a disposition to make itself into what it will, failing maladaptive interventions, eventually become. The dispositions gain expression as inherited acquired habits. Spencer could not accept that species originate by chance variations and natural selection alone: direct adaptation to environmental constraints is mainly responsible for biological changes. Evolution also includes the progression of societies in the direction of a dynamical equilibrium of individuals: the human condition is perfectible because human faculties are completely adapted to life in society, implying that evil and immorality will eventually disappear. His ideas on evolution predated publication of the major works of Darwin; A. R. Wallace was influenced by his writings. Refs.: H. P. Grice, “Evolutionary pirotology,” in “Method in philosophical psychology: from the banal to the bizarre.”

 

spadaro: Antonio Spadaro, all'anagrafe Antonino (Messina), filosofo. Laureato in Filosofia a Messina, entra subito dopo nel noviziato della Compagnia di Gesù. Insegna lettere a Roma per 2 anni dal 1991 al 1993. Il 21 dicembre 1996 riceve l'ordinazione presbiterale e il 24 maggio 2007 pronuncia i voti solenni nella Compagnia di Gesù. Consegue la licenza in Teologia Fondamentale, il diploma in Comunicazioni Sociali, il dottorato di ricerca in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma. Completa la sua formazione negli Stati Uniti, nella Provincia dei gesuiti di Chicago. Comincia a scrivere per la rivista La Civiltà Cattolica e dal 1998 entra a far parte in maniera stabile della redazione. Si occupa soprattutto di teoria della letteratura e di critica letteraria, in particolare legata ad autori contemporanei italiani (tra questi, Cesare Pavese, Alda Merini, Giorgio Bassani, Mario Luzi, Pier Vittorio Tondelli) e scrittori statunitensi (dai classici come Emily Dickinson, Walt Withman, Flannery O'Connor e Jack London ai contemporanei come Jack Kerouac, Raymond Carver). Tra le materie che tratta vi sono anche la musica (Bruce Springsteen, Tom Waits, Nick Drake, Nick Cave), l'arte contemporanea (Mark Rothko, Edward Hopper, Andy Warhol, J.-M. Basquiat), il cinema e le nuove tecnologie della comunicazione e il loro impatto sul modo di vivere e pensare (in particolare su , Second Life, sulla lettura digitale, sui vari social networks, sulla filosofia Hacker o sulla Cyberteologia).  Ha fondato BombaCarta, un progetto culturale che coordina iniziative di scrittura creativa, produzione video e lettura anche su internet. È curatore della collana di poesia L'Oblò delle edizioni Ancora. Insegna presso il Centro Interdisciplinare di Comunicazione Sociale (CICS) della Pontificia Università Gregoriana --  è a capo del comitato scientifico "La sfida e l'esperienza" che raccoglie docenti e manager interessati ai temi della spiritualità e dell'innovazione. Dal 2004 al 2009 viene incaricato di coordinare le attività culturali della Compagnia di Gesù in Italia. Sabato 24 febbraio 2007 è il relatore principale al primo evento organizzato dai Gesuiti sulla musica rock nel quale riabilita la dignità musicale (non liturgica) del genere nel suo complesso, limitandone la condanna alla valutazione di rari e singoli casi.   Padre Antonio Spadaro davanti alla raccolta completa di La Civiltà Cattolica. Diviene Rettore della Comunità dei gesuiti de La Civiltà Cattolica. Il 6 settembre  è annunciata la sua nomina a direttore della rivista.. Nel numero del 1º ottobre  della rivista è apparso il suo articolo di presentazione nella nuova veste di direttore.  La sua attività in Rete è legata, oltre alla presenza nei social network, anche allun sito personale e di due blog: uno dedicato alla CyberTeologia e uno dedicato alla scrittrice statunitense Flannery O'Connor.  Il 10 dicembre , papa Benedetto XVI lo nomina consultore del Pontificio Consiglio della Cultura e il 29 dicembre anche consultore del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. Nel gennaio  ha ricevuto a Caserta il prestigioso premio "Le Buone NotizieCivitas Casertana", uno dei più importanti premi di giornalismo italiani, unico nel suo genere a livello internazionale.  Ad agosto  incontra più volte papa Francesco per conto de La Civiltà Cattolica e di altre 15 riviste della Compagnia di Gesù. Il contenuto delle conversazioni è stato pubblicato sotto forma di intervista a settembre  ed ampiamente ripreso dalla stampa internazionale.  L'articolo di La Civiltà Cattolica. Spadaro ha dedicato un articolo a . L'articolo analizza il significato di  nel contesto culturale italiano, ne analizza la storia, e ne mette in evidenza pregi e limiti.  La sua conclusione è:  «Dalla descrizione e dalle valutazioni compiute comprendiamo bene come  rappresenti un sogno illuminista di descrivere il mondo, che però si scontra con le difficoltà di accreditarsi come compendio di sapere credibile, mantenendo nel contempo anonimato, flessibilità e continua apertura a nuovi collaboratori. Nello stesso tempo questa «utopia» rovescia il sogno dell'enciclopedia tradizionale, intesa come costruzione autorevole, organica e integrata del sapere. Infatti  è come un organismo vivente: cresce (al ritmo del 7% ogni mese), si "ammala", è sottoposta a composizioni e scomposizioni interne, ad accrescimenti e riduzioni continue. Ma soprattutto  nasconde un'altra utopia, a suo modo, ambigua: la democrazia assoluta del sapere e la collaborazione delle intelligenze molteplici che dà vita a una sorta di intelligenza collettiva. Questa utopia potrebbe nascondere una nuova forma di "torre di Babele", che ha il suo tallone di Achille non solo nell'inaffidabilità, ma anche nel relativismo.»  Concede un'intervista a Wikinotizie-Wiki@Home, pubblicata con il titolo Antonio Spadaro: intervista al gesuita 2.0, nella quale commenta l'articolo e spazia sulle tematiche inerenti  e il mondo della rete internet.  Pubblicazioni Tracce profonde. Il viaggio tra il reale e l'immaginario, Roma, Città Nuova, Radio on. Tra le colonne sonore degli anni ‘90, Napoli, Giannini, 1996 (in collab. con E. Crasto). Lo sguardo presente. Una lettura teologica di “Breve film sull'amore di K. Kieslowski”, Rimini, Guaraldi, Del volume esiste anche una versione elettronica. Pier Vittorio Tondelli. Attraversare l'attesa, Reggio Emilia, Diabasis, “Laboratorio Under 25″. Tondelli e la nuova narrativa italiana, Reggio Emilia, Diabasis, 2000. [Il volume è apparso anche come pubblicazione digitale a puntate settimanali sul sito di RaiLibro della Radio Televisione Italiana]. Carver. Un'acuta sensazione d'attesa, Padova, Messaggero di Sant'Antonio Editrice,  A che cosa «serve» la letteratura?, Leumann (To)-Roma, ElleDiCiLa Civiltà Cattolica,  [Premio Capri per la sezione Letteratura e Premio Crotone sezione Giovane critici italiani] Lontano dentro se stessi. L'attesa di salvezza in Pier Vittorio Tondelli, Milano, Jaca Book, Connessioni. Nuove forme della cultura al tempo di internet, Bologna, Pardes  [qui intervista sul libro a Radio Vaticana] La grazia della parola. Karl Rahner e la poesia, Milano, Jaca Book, Nella melodia della terra. La poesia di Karol Wojtyla, Milano, Jaca Book,  Abitare nella possibilità. L'esperienza della letteratura,  I, Milano, Jaca Book, L'altro fuoco. L'esperienza della letteratura,  II, Milano, Jaca Book, Alla ricerca del lupo. Genio, tensioni, vanità, Bologna, Pardes, 2009. Nell'ombra accesa. Breviario poetico di Natale, Milano, Ancora, . Web 2.0 Reti di relazione, Milano, Paoline, . Svolta di respiro. Spiritualità della vita contemporanea, Milano, Vita & Pensiero, . Cyberteologia. Pensare il cristianesimo al tempo della rete, Milano, Vita & Pensiero, . Curatele Chris Cappell, Lasciami correre via, Padova, Messaggero, 2001. François Varillon, Traversate di un credente, Milano, Jaca Book, 2008. Rowan Williams, La dodicesima notte, Milano, Ancora,  Gerard Manley Hopkins, La freschezza più cara. Poesie scelte, Milano, Rizzoli, Whitman, Canto una vita immensa, Milano, Ancora, Un Dio sempre più grande. Pregare con i gesuiti, Milano, Ancora, . Note  Antonio Spadaro, Antonio Spadarobio, su antoniospadaro.net. Antonio Spadaro, Antonio Spadarobio, su laciviltacattolica.it. Antonio Spadaro, Antonio SpadaroSaggi su "La Civiltà Cattolica", su antoniospadaro.net. Antonio Spadaro, BombaCarta, su bombacarta.com. accesso=16 agosto .  Antonio Spadaro, L'OblòAncora, su ancoralibri.it. Orazio La Rocca, I gesuiti benedicono il rock: "La musica di Springsteen & Co parla all'anima", Repubblica. Padre Antonio Spadaro nuovo direttore di Civiltà Cattolica: cogliere pienamente la sfida digitale, su oecumene.radiovaticana.org. Antonio Spadaro, Antonio Spadarosocial networks, su antoniospadaro.net. Antonio Spadaro, Antonio Spadaro, su antoniospadaro.net. Antonio Spadaro, Cyberteologia, su cyberteologia.it. accesso=16 agosto .  Antonio Spadaro, Flannery O'Connor, su flanneryoconnor.it. accesso=16 agosto .  Nomina di consultori del Pontificio Consiglio della Cultura, su press.catholica.va. Rinunce e nomine, su Bollettino della Santa Sede, Bollettino della Santa Sede.  Su La Civiltà Cattolica la mia intervista a Papa Francesco, su cyberteologia.it, Antonio Spadaro, Intervista a papa Francesco , in La Civiltà Cattolica, Copia archiviata, su laciviltacattolica.it7)., La Civiltà Cattolica Antonio Spadaro: intervista al gesuita, Opere di Antonio Spadaro. Registrazioni di Antonio Spadaro, su RadioRadicale.it, Radio Radicale.  Antonio Spadaro: Cyberteologia, sul  RAI Filosofia, su filosofia.rai.it.

 

sparti: Davide Sparti (Roma), filosofo. È professore a Siena, Pisa, e l'Università della Svizzera italiana. In passato ha insegnato a Milano e l'Bologna. È cofondatore e membro del comitato di direzione della rivista Studi culturali.  Collabora a numerose riviste scientifiche ("Iride", "Paradigmi", "Rivista di estetica", "Rassegna italiana di sociologia", "Intersezioni"). Dagli anni 2000 Sparti ha concentrato la sua attenzione sull'estetica dell'improvvisazione.  Riconoscimenti "Research Fellow" della fondazione Humboldt presso la Johann Wolfgang Goethe-Universität. "Fellow" del Collegium Budapest-Institute For Advanced Study, in Ungheria. Note  USIDati personali: Davide Sparti  . Opere principali: “Se un leone potesse parlare. Indagine sul comprendere e lo spiegare,” Firenze, Sansoni  Sopprimere la lontananza uccide. Davidson e la teoria dell'interpretazione, Firenze, Nuova Italia, Epistemologia delle scienze sociali, Roma, Nuova Italia Scientifica, Soggetti al tempo. Identità personale fra analisi filosofica e costruzione sociale, Milano, Feltrinelli, Identità e coscienza, Bologna, Il Mulino  Wittgenstein politico, (saggi di J. Bouveresse, S. Cavell, D. Davidson, B. Williams, ed altri, introdotti e trascelti da D. Sparti), Milano, Feltrinelli  Die Unheimlichkeit des Gewoehnlichen und andere philosophische Essays von Stanley Cavell, Herausgegeben von Davide Sparti, Fischer Verlag  Epistemologia delle scienze sociali, nuova edizione riscritta ed allargata, Bologna, Mulino  L'importanza di essere umani. Etica del riconoscimento, Milano, Feltrinelli Suoni inauditi. L'improvvisazione nel jazz e nella vita quotidiana, Bologna, Il Mulino  Musica in nero. Il campo discorsivo del jazz, Torino, Bollati  Il corpo sonoro. Oralità e scrittura nel jazz, Bologna, Il Mulino  L'identità incompiuta. Paradossi dell'improvvisazione musicale, Bologna, Il Mulino  Sul tango. L'improvvisazione intima, Bologna, Il Mulin.

 

spaventa: Deputato del Regno d'Italia LegislatureVIII, X, XI, XII Sito istituzionale Dati generali Titolo di studiolaurea ProfessioneDocente universitario. Bertrando Spaventa (Bomba), filosofo. Fratello maggiore del patriota Silvio Spaventa, Bertrando nacque da un'agiata famiglia borghese. Sua madre, Maria Anna Croce, fu prozia di Croce. All'anagrafe venne registrato come Beltrando. Studiò a Chieti  ottenuto l'incarico di docente di matematica, si trasferì col fratello a Montecassino. La sua formazione continuò a Napoli, dove si dedicò anche allo studio del tedesco; fu infatti tra i primi a studiare i filosofi tedesci in tedesco – Grice: “Which is the right thing to do – and which Ryle, or Strawson, for that matter – are unable to!”  Si avvicinò ai circoli liberali e a pensatori come Colecchi e Antonio Tari. Fondò una scuola o academia di filosofia; inoltre partecipò alla redazione de Il Nazionale, il giornale fondato e diretto dal fratello Silvio.  Dopo l'abrogazione della Costituzione da parte di Ferdinando II, fu costretto a lasciare Napoli per trasferirsi prima a Firenze, quindi a Torino, dove divenne giornalista scrivendo su giornali e riviste piemontesi: Il Progresso, Il Cimento, Il Piemonte, Rivista Contemporanea. È nel periodo torinese che Spaventa si avvicinò al pensiero di Hegel ed elaborò il proprio sistema filosofico e il pensiero politico: pubblicò, tra l'altro, una serie di saggi in cui polemizzava con La Civiltà Cattolica, rifiutando l'idea di religione come passo necessario per lo sviluppo umano.  Egli in tal modo condivise con altri esuli napoletani gli stessi fermenti patriottici e liberali che avevano nell'idealismo hegeliano il loro motivo ispiratore.  «[...] In Napoli, sin dal 1843 l'idea hegeliana penetrò nelle menti de' cultori della scienza, i quali mossi come da santo amore si affratellavano, e con la voce e con gli scritti la predicavano. Né i sospetti già desti della polizia, né le minacce e le persecuzioni valsero ad infievolire la fede in questi arditi difensori della indipendenza del pensiero; i numerosi studenti raccolti da tutti i punti del Regno nella grande capitale disertavano le cattedre, ed accorrevano in folla ad ascoltare la nuova parola. Era un bisogno irresistibile ed universale, che li spingeva ad un ignoto e splendido avvenire, all'unità organica dei diversi rami della cognizione umana; ifilosofi, partecipavano al general movimento, ed ambivano soprattutto, come gli antichi italiani, di essere veri filosofi. Chi può ridire la gioia, le speranze, l’entusiasmo di quel tempo? Chi può ridire l’affetto col quale si amavano i maestri e gli allievi, e insieme procedevano alla ricerca della verità? Era un culto, una religione ideale, nella quale si mostravano degni nepoti dell'infelice Nolano.»  Studii sopra la filosofia di Hegel, Torino, «Rivista Italiana». Ottenne la cattedra di Filosofia a Modena, poi quella di Storia della Filosofia presso l'Bologna e Napoli. Tenne le lezioni in cui espose le sue teorie sul rapporto di circolarità tra pensiero italiano ed europeo. Scopo di questa interpretazione era quello di liberare la cultura filosofica italiana dal suo provincialismo, attraverso la diffusione nella penisola dell'idealismo tedesco, in particolare hegeliano. Fu anche deputato del Regno d'Italia per tre legislature: fu sostenitore di una politica laica e legata ad un forte senso dello Stato, considerato come sorgente dei princìpi e dei valori ispiratori di un armonioso sviluppo civile, da cui gli individui e la comunità devono trarre l'alimento necessario per una crescita «ordinata e corretta».  Dottrina Secondo Gentile, il pensiero di Bertrando Spaventa poggia su tre cardini fondamentali:  la tesi della «circolazione europea del pensiero italiano» che dimostri il percorso dinamico della filosofia moderna attraverso l'Europa e il suo ritorno in Italia dove aveva avuto origine; la riforma della dialettica hegeliana, per salvare l'identità di essere e pensiero escludendo ogni presupposto «oggettivo» esterno al pensare; il recupero dell'aspetto pratico nel processo conoscitivo che eviti la caduta in un «astratto idealismo». La circolazione del pensiero europeo La tesi spaventiana della circolazione del pensiero europeo si articola in due passaggi:  l'affermazione che la filosofia italiana del Rinascimento, connotata dal naturalismo e dall'immanentismo, ha precorso la filosofia moderna, giungendo attraverso Spinoza agli idealisti tedeschi Fichte, Schelling, Hegel. il ritorno in Italia della filosofia moderna, con la riappropriazione dei filoni spiritualistici europei da parte di Rosmini e Gioberti. Mentre per la critica tradizionale la filosofia italiana era caratterizzata dalla sua ininterrotta fedeltà alla linea platonico-cristiana, lo Spaventa cercò di dimostrare, con gli studi dedicati al pensiero del Rinascimento, che la filosofia moderna, laica e idealistica, generalmente associata alla Riforma luterana, in realtà era nata in Italia, pur essendosi arrestata poi a causa della Controriforma, per conoscere il suo massimo sviluppo in Germania: egli interpretò con chiave di lettura hegeliana questo progressivo passaggio dello Spirito filosofico dall'Italia all'Europa, e il suo successivo ritorno, sottolineando la continuità del razionalismo di Cartesio col principio innatistico di Tommaso Campanella della cognitio abdita, dell'empirismo di John Locke con la campanelliana cognitio illata («nozione acquisita»), dell'immanentismo di Baruch Spinoza col panteismo di Giordano Bruno, del criticismo di Immanuel Kant con la «metafisica della mente» di Vico, mentre poi Pasquale Galluppi e Antonio Rosmini si sarebbero riappropriati inconsciamente di quello stesso spirito permeato dal kantismo, come Vincenzo Gioberti di quello dell'idealismo tedesco.  «Ripigliare il sacro filo della nostra tradizione filosofica, ravvivare la coscienza del nostro libero pensiero nello studio dei nostri maggiori filosofi, ricercare nelle filosofie delle altre nazioni i germi ricevuti dai primi padri della nostra filosofia e poi ritornati fra noi in forma nuova e più spiegata di sistema, comprendere questa circolazione del pensiero italiano, della quale in gran parte noi avevamo smarrito il sentimento, riconoscere questo ritorno del nostro pensiero a sé stesso nel grande intuito speculativo del nostro ultimo filosofo [Hegel], sapere insomma che cosa noi fummo, che cosa siamo e che cosa dobbiamo essere nel movimento della filosofìa moderna, non come membri isolati e scissi dalla vita universale dei popoli, nè come avvinti al carro trionfale d'un popolo particolare, ma come nazione libera ed eguale nella comunità delle nazioni: tale, o signori, è stato sempre il desiderio e l'occupazione della mia vita.»  (Bertrando Spaventa, Prolusione alle lezioni di Storia della filosofia nell'Bologna, Modena, Regia Tipografia Governativa, 1860) Uno dei propositi di Spaventa, giustificato dalla stessa tesi della circolazione del pensiero europeo, era il tentativo di far uscire gli intellettuali italiani dal provincialismo stagnante in cui versavano, apportando loro gli elementi più innovativi del pensiero idealistico d'oltralpe, per dare un fondamento filosofico-culturale al processo rivoluzionario dell'unificazione nazionale. La rivoluzione storica da attuare, per Spaventa, non era il programma neoguelfo del Primato morale e civile di Gioberti che ripudiava in blocco la filosofia moderna, ma andava intesa hegelianamente come «storia della libertà», nella quale lo spiritualismo non significava un'involuzione, bensì un riallineamento alle nazioni più avanzate.  «Son molti ancora in Italia i quali tacciano di astratta e oscura la filosofia alemanna e, reputandola contraria alla natura speculativa dell'ingegno italiano, si accontentano di una maniera di sapere che non ha nessuna connessione con la nostra tradizione filosofica; è un perpetuo oltraggio alla memoria de' nostri sommi ed infelici pensatori, e la principal cagione del decadimento della scienza tra noi. Costoro dimenticano la storia del pensiero italiano, della quale furono gli eroi e martiri i nostri filosofi; non ricordano i roghi di Giordano Bruno e di Giulio Vanini, la lunga prigionia di Tommaso Campanella, e l'umile pietra che, nel tempio de' Gerolomini in Napoli, ricopre le ceneri di Giovambattista Vico, ultima luce del nostro mondo intellettuale. [...] Non i nostri filosofi degli ultimi duecento anni, ma Spinoza, Kant, Fichte, Schelling ed Hegel, sono stati i veri discepoli di Bruno, di Vanini, di Campanella, di Vico, ed altri illustri.»  (Principii di Filosofia). Spaventa non si limitò a recepire passivamente l'hegelismo, ma diede avvio ad una sua profonda revisione, introducendovi temi originali che cercò di riprendere dalla tradizione autoctona italiana.  In particolare, cercò di rispondere alle critiche di Trendelenburg, il quale non vedeva come dal primo momento della Logica hegeliana, quello dell'Essere puro e indeterminato, potesse scaturire il divenire dialettico del pensiero, se non tramite un'indebita intromissione dal di fuori. Per dimostrare l'identità dell'essere col pensare, e quindi che l'Idea è intrinseca alla realtà storica, avente come scopo la libertà, Spaventa sostenne l'esigenza di «mentalizzare» o «kantianizzare» la logica di Hegel, unificando quest'ultima con la fenomenologia, cioè col percorso conoscitivo del singolo individuo umano, che diventa progressivamente autocosciente di avere in se stesso, nella propria mente, tutta la realtà assoluta logicamente articolata.  Egli riformava così la dialettica hegeliana nell'ottica di Kant e Fichte, ritenendo prevalente l'atto soggettivo della coscienza trascendentale rispetto ad ogni presupposto oggettivistico, valorizzando inoltre il momento finale dello Spirito rispetto alle fasi precedenti della Logica e della Natura, situate fuori dall'autocoscienza. È la Mente la protagonista di ogni originaria produzione.  In maniera simile a Kuno Fischer, infatti, la deduzione hegeliana, che dalla contrapposizione di essere e nulla faceva scaturire il divenire, venne intesa da Spaventa in senso kantiano e fichtiano dando il primato alla sintesi unificatrice del divenire: è il pensare, nel suo perenne fluire, che dà luogo all'essere, il quale, originariamente indeterminato e perciò im-pensabile, si rivela un non-essere, essendo posto all'interno del pensare stesso. Per questo primato assegnato all'atto del pensare, Spaventa farà da apripista all'idealismo attuale di Gentile.  Prassi e concretezza nel processo conoscitivo Per contrastare l'avanzata del positivismo che era penetrato in Italia dopo la raggiunta unità nazionale, di fronte all'esaurirsi delle spinte ideali che avevano caratterizzato il Risorgimento, Spaventa si impegnò nella valorizzazione dell'aspetto pratico del processo conoscitivo, per evitare la caduta in un «astratto idealismo, che non cura né pregia il sapere sperimentale».  In particolare riprese da Vico una concezione pratica e storica della metafisica dell'Assoluto, intendendo l'autocoscienza hegeliana (quale Begierde, cioè «appetizione») come Umanità, ovvero impeto che agisce nel soggetto umano.  Analogamente Spaventa poteva sostenere, nel tracciare la storia spirituale d'Italia, che è il soggetto umano a dare concretezza e coscienza di sè al processo storico. La Riforma della modernità che aveva abolito i vecchi principi della filosofia scolastica si basava per l'appunto sull'immanenza di Dio e sulla capacità della coscienza umana di autodeterminarsi e di accedere direttamente all'Infinito, come già avevano enunciato Bruno e Campanella. Il riconoscimento del valore infinito dell'uomo ebbe ripercussioni anche sulla concezione etico-politica di Spaventa, stimolando studi e interessi sulla filosofia hegeliana del diritto.  Permase in Spaventa una viva concezione etica dello Stato, che lo indusse a rinvenire nell'idealismo hegeliano la sintesi tra la corrente post-illuministica, basata sull'arbitrio individuale e su una concezione meramente contrattualistica dello Stato, ed il cattolicesimo liberale, fondato viceversa sull'arbitrio divino e sull'aderenza dogmatico-confessionale al principio d'autorità. Il liberalismo di Spaventa rigettava l'individualismo che privilegiava l'interesse del singolo portandolo a servirsi dell'organismo universale per i propri fini, distruggendo la società. Allo Stato spetta dunque la funzione "pedagogica" di promuovere gli interessi di tutti, tutelando la famiglia, in cui si forma l'individuo, e al contempo la società civile.  «La famiglia e la società civile hanno la loro verità nello stato. Dove lo stato non è altro che famiglia (stato patriarcale), o una istituzione di pubblica sicurezza (polizia), non solo lo stato non è il vero stato, ma né la famiglia né la società civile esistono nella loro vera forma. Lo stato è l'unità del principio della famiglia e del principio della società civile (della naturalità umana e del libero volere, del diritto e della moralità). Non è una semplice associazione fondata mediante il libero arbitrio, il patto etc, né una associazione puramente naturale. È tutto ciò insieme. [...] È assoluta soggettività etica degli individui. Assoluta, perché è sostanza; soggettività, perché è saputa e voluta dagli individui liberamente come la loro stessa essenza (etica) e universalità. Dove manca tale sapere e volere, lo stato non è libera soggettività, e l'individuo non ha vero valore (individualismo moderno). In altri termini: è la sostanza nazionale, conscia veramente e realmente di se medesima; lo spirito di un popolo (come tale, come spirito etico) nella sua vera e perfetta esistenza.»  (Bertrando Spaventa, Studi sull'etica hegeliana, 1869) Poiché il potere stesso dello Stato può essere utilizzato da un individuo o da una classe in vista dei suoi interessi di parte, Spaventa accetta il modello costituzionale, sebbene non privo di conflitti tra particolarità e universalità, nel quale «la personalità dello Stato sia elevata sopra le lotte sociali». Ripudiando l'astratto cosmopolitismo, lo Stato va dunque inteso come l'immanenza di Dio, dell'universalità dello Spirito calato nella concretezza della «nazionalità» dei popoli, tutti uguali «fratelli dell'umana famiglia».  Fortuna «È con Spaventa soprattutto che la filosofia in Italia cessa d'essere esercitazione accademica e vacua speculazione, si avvia a diventare organica visione del mondo, da cui derivi e consegua una morale, si avvia cioè a diventare religione laica, dando inizio a quel largo movimento di distacco di intellettuali dalla Chiesa cattolica.»  (Gaetano Arfé, L'hegelismo napoletano e Spaventa, in «Società», Firenze, Bertrando Spaventa fu uno dei maggiori teorici che si sforzarono dare un un'impronta ideale e spirituale al percorso risorgimentale verso l'unità d'Italia, non limitata all'ambito accademico, come riconobbero in seguito storici e studiosi del Risorgimento.  «Con Spaventa e De Sanctis era giunta al culmine quella motivazione politica nazionale che fu la caratteristica in forza della quale il movimento sorto a Napoli superò i limiti di un episodio regionale. [...] Da noi, al contrario che in Inghilterra (e in Francia), l'hegelismo non è stato solo un movimento accademico, di professori, ma elemento della vita civile della nazione nel momento culminante del suo Risorgimento.»  (Sergio Landucci, L'hegelismo in Italia nell'età del Risorgimento, in «Studi storici», Roma, L'opera di Spaventa influenzerà profondamente, attraverso la mediazione di Donato Jaja, anche l'idealismo italiano di Giovanni Gentile, il quale portò a termine il lavoro di «kantianizzazione» o «mentalizzazione» di Hegel avviato da Spaventa, trasformando la sua dottrina in un compiuto «attualismo», o filosofia dell'atto, basata cioè sul perenne dinamismo dell'atto del pensiero.  Gentile curò inoltre nel 1908 la pubblicazione della spaventiana Prolusione e introduzione alle lezioni di filosofia nella Napoli, rinominandola significativamente La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, ritenendola un'opera di carattere non solamente storiografico, ma soprattutto fenomenologico, in cui cioè lo Spirito del Pensiero Italiano esprimeva la sua ritrovata coscienza di sè e delle sue relazioni con la storia d'Europa.  Gentile si confrontò ampiamente con Spaventa nella propria Riforma della dialettica hegeliana, oltre a raccogliere e sistemare alcuni suoi scritti inediti (tra cui un Frammento del 1881 giudicato uno snodo importante verso la genesi del proprio attualismo) contribuendo alla riscoperta e alla rinascita degli studi intorno alla dottrina spaventiana.  Anche l'idealista Croce, che dopo la morte dei genitori andò a vivere da Silvio Spaventa, seguì le lezioni di Bertrando, apprezzandone soprattutto lo spirito profondamente liberale.  Altri scolari, o allievi della scuola hegeliana del filosofo abruzzese furono Fiorentino, Maturi, Jaja, Masci, Tocco, Labriola, Alfonso. Nuovi studi sono sorti in occasione del bicentenario della nascita di Spaventa e De Sanctis, entrambi  1817.  Opere principali: La filosofia di Kant e la sua relazione colla filosofia italiana, Unione Tipografica-editrice, Torino, Principii di filosofia, Stabilimento Tip. Ghio, Napoli, Studi sull'etica di Hegel, Stamperia della Regia Università, Napoli 1869. La filosofia di Vincenzo Gioberti, Tip. del Tasso, Napoli, Saggi critici di filosofia, politica e religione, Tip. Giordano Bruno, Roma. La dottrina della conoscenza di Giordano Bruno, Stamperia della Regia Università, Napoli. Principi di etica, Pierro, Napoli. La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, G. Gentile, Laterza, Bari. Logica e metafisica, G. Gentile, Laterza, Bari. Opere, G. Gentile, raccolte e aggiornate da Italo Cubeddu e Simona Giannantoni, "Classici della Filosofia", Sansoni, Firenze. Opere, saggio introduttivo, prefazioni, note e apparati di Francesco Valagussa, postfazione di Vincenzo Vitiello, Bompiani, Milano. Quattro articoli sulla filosofia tedesca (Kant, Fichte, Schelling, Hegel), Giuseppe Landolfi Petrone, Il Prato,  Edizione critica delle Opere psicologiche inedite Domenico D'Orsi: Lezioni di antropologia, Psiche e metafisica  Elementi di psicologia speculativa, Sulle psicopatie in generale. Note  Cit. in B. Spaventa, Antologia degli scritti, G. Vacca, pag. 17, Bari, Laterza. Piero Di Giovanni, Giovanni Gentile: la filosofia italiana tra idealismo e anti-idealismo, FrancoAngeli, Gentile e Spaventa, su treccani.it.  Bertrando Spaventa, su treccani.it.  Bertrando Spaventa: il contributo italiano alla storia del pensiero, su treccani.it.  «In quel tempo, che gli Austriaci — "i Tedeschi" dicevano generalmente in Italia — dimoravano non solo nelle contrade lombarde e venete, ma anche in Toscana, io non avevo il coraggio di dire: filosofia tedesca» (nota di B. Spaventa).  Principii di Filosofia, Napoli, Ghio. Le tradizioni filosofiche nell'Italia unita, di Giovanni Rota.  Ugo e Annamaria Perone, Giovanni Ferretti, Claudio Ciancio, Storia del pensiero filosofico,  Torino, SEI, Cit. di Giovanni Gentile in Della vita e degli scritti di Bertrando Spaventa, prefazione a Bertrando Spaventa, Scritti filosofici, pag. CVII, Napoli, A. Morano & figlio, Fernanda Gallo, Gli hegeliani di Napoli e il Risorgimento, in LEA, «Lingue e letterature d'Oriente e d'Occidente», n. 6, Firenze University Press, .  Spaventa fu autore in proposito anche di saggi psicologici come Sulle psicopatie in generale,  o La legge del più forte, in cui si confrontava tra l'altro col darwinismo.  Studi sull'etica hegeliana, Napoli, Stamperia della R. Università, Il concetto di «nazionalità» segnava in Spaventa un superamento della filosofia hegeliana della storia basata sul susseguirsi di popoli-guida (cfr. Giovanni Pugliese Carratelli, Storia e civiltà della Campania: l'Ottocento, Napoli, Electa,  Bertrando Spaventa, Studii sopra la filosofia di Hegel, cit. in Unificazione nazionale ed egemonia culturale, G. Vacca, Bari, Laterza, Eugenio Garin, La fortuna nella filosofia italiana, in  L'opera e l’eredità di Hegel,  Bari, Laterza, Italo Cubeddu, Da Spaventa a Gentile: Kant e il neoidealismo, in "La tradizione kantiana in Italia", Atti del convegno della Società filosofica italiana, Messina, Edizioni G.B.M., La raccolta gentiliana delle opere di Spaventa venne riedita in tre volumi curati da Italo Cubeddu e Simona Giannantoni, ristampati da Francesco Valagussa e Vincenzo Vitiello in un unico tomo.  Bertrando Spaventa: tra coscienza nazionale e filosofia europea, su treccani.it.  Giovanni Gentile, Bertrando Spaventa, Firenze, Vallecchi, Giuseppe Vacca, Politica e filosofia in Bertrando Spaventa, Bari, Laterza,  Renato Bartot, L'hegelismo di Bertrando Spaventa, Firenze, Olschki, Italo Cubeddu, Bertrando Spaventa. Edizioni e studi, Firenze, Sansoni, Teresa Serra, Bertrando Spaventa: etica e politica, Roma, Bulzoni, Raffaello Franchini , Bertrando Spaventa. Dalla scienza della logica alla logica della scienza, Napoli, Pironti, Eugenio Garin, Filosofia e politica in Bertrando Spaventa, G. Tognon, Napoli, Bibliopolis, Eugenio Garin, Bertrando Spaventa, Napoli, Bibliopolis,  Luigi Gentile, Coscienza Nazionale e pensiero europeo in Bertrando Spaventa, Chieti, Ed. NOUBS, Gaetano Origo, Da Bruno a Spaventa. Perpetuazione e difesa della filosofia italica, Roma, Bibliosofica, Alessandro Savorelli, «Spaventa, Bertrando» in Il contributo italiano alla storia del PensieroFilosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,   Attualismo Hegelismo Idealismo italiano Idealismo tedesco Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Bertrando Spaventa, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Bertrando Spaventa, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, .  Alessandro Savorelli, Bertrando Spaventa, in Dizionario biografico degli italiani,  93, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, .  Opere di Bertrando Spaventa, su Liber Liber.  Opere di Bertrando Spaventa, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Bertrando Spaventa, . Opere di Bertrando Spaventa, su Progetto Gutenberg.  Bertrando Spaventa, su storia.camera.it, Camera dei deputati.  Archivi di Teatro Napoli, Foto di Bertrando Spaventa [collegamento interrotto], su cir.campania.beniculturali.it. 17 luglio . Diego Fusaro, Bertrando Spaventa (sottotitolo: Il far intendere Hegel all'Italia, vorrebbe dire rifare l'Italia), su filosofico.net. 23 ottobre 2008. Silvio e Bertrando Spaventa dal sito del comune di Bomba Gentile e Spaventa, su treccani.it. Scritti filosofici di Bertrando Spaventa, G. Gentile (TXT), su archive.org. Gli hegeliani di Napoli e il Risorgimento, su fupress.net. su Bertrando Spaventa, su treccani.it.

 

spedalieri: Nicola Spedalieri (Bronte), filosofo. Nato da Vincenzo e da Antonina Dinaro, studiò nell'Oratorio di S. Filippo Neri di Bronte e dnel seminario di Monreale dove  insegnò filosofia. Alcune sue tesi, considerate eretiche a Palermo, furono invece approvate e stampate a Roma con il titolo di Propositionum theologicarum specimen. Trasferitosi a Roma, entrò a far parte dell'Arcadia con il nome di Melanzio Alcioneo.  Pio VI gli diede il titolo di beneficiato della Basilica Vaticanache comportava una modesta rendita mensilee l'incaricò di scrivere la storia del prosciugamento dell'Agro pontino, che non riuscì a terminare e fu stampata soltanto col titolo De' Bonificamenti delle terre pontine. NContro l'Enciclopedia degli illuministi, uscì la sua Analisi dell'Esame critico del signor Nicola Fréret sulle prove del Cristianesimo e  il Ragionamento sopra l'arte di governare e il Ragionamento sulla influenza della Religione Cristiana nella società civile.  Scrisse la Confutazione dell'esame critico del cristianesimo fatto dal signor Eduardo Gibbon, contro la famosa opera del Gibbon sulla storia dell'Impero romano, la cui caduta veniva imputata dallo storico inglese all'influenza negativa della religione cristiana.  Opere: Dei diritti dell'uomo libri VI  Busto di Spedalieri nella Biblioteca Nazionale di Roma Nell'opera più importante Dei diritti dell'uomo, pubblicata a Roma ma, per volontà del papa, con la falsa indicazione di Assisi, Spedalieri si rifece alle concezioni rousseauiane relativamente alla dottrina del contratto sociale come origine della società, ma contestandone la tesi di un originario stato di natura a cui occorrerebbe tornare, perché soltanto all'interno della società civile l'uomo può realizzare i suoi bisogni di felicità e di perfezione.  Scrive infatti che «Lo stato, a cui è destinato l'uomo dalla natura, è la Società Civile: ciò fu dimostrato; e vuol dire, che l'uomo non può rinunziare, generalmente parlando, alla Società Civile senza opporsi alla sua propria natura. È parte essenziale della costituzione sociale il Principato [...] il Popolo non ha diritto di disfare il Principato».  Se la forma migliore di governo è, secondo lo Spedalieri, il principato, e al principe il popolo affida «le tre facoltà di giudicare, di decretare e di eseguire», il popolo non può togliergli «il Principato a suo beneplacito, cioè quando gli pare, per motivi leggieri, senza motivi», perché violerebbe il patto sottoscritto, a meno che il principe non violi la condizione essenziale del contratto stipulato, il do ut facias, a meno che egli non faccia ciò che si era impegnato a fare in cambio della proprietà del principato: ossia, custodire «i diritti naturali di ciascuno» e dirigere «tutte le operazioni del Principato alla felicità de' sudditi».  Questa è la base del contratto, e se invece il principe «prendesse a distruggere i diritti naturali di ognuno, a sostituire il capriccio alle leggi, e ad immergere nella miseria i poveri sudditi, il contratto resterebbe sciolto da sé». Lo scioglimento del contratto non significa che il popolo eserciti per proprio conto il governo, ma che debba «investirne un altro con auspici migliori».  Ma chi deciderà che il contratto stabilito con il principe sia nullo? Intanto, osserva Spedalieri, che «il contratto siasi sciolto già da sé stesso, si dee legalmente dichiarare. Prima della quale dichiarazione a niuno è permesso di sottrarsi dall'ubbidienza del Principe. E il diritto di far tale dichiarazione non appartiene a verun privato, né alla unione di alcuni, né anco alla moltitudine». Solo un corpo che rappresenti tutti i sudditi può dichiarare lo scioglimento del patto con il principe: questo «vero corpo» sarà formato da «tutti i Magistrati, tutti gli Ordini de' Cittadini, le persone illuminate, probe, e non soggette all'impeto del momento [...] ogni colta Nazione nella Costituzione fondamentale, che dà a sé stessa, e che inerisce nel contratto che fa con la persona che vuole innalzare al Principato, e che questa giura di mantenere, sempre, forma un corpo o sia un Collegio, per così dire, immortale, che rappresenti permanentemente tutti gl'individui. Laonde basta che la dichiarazione si faccia da questo corpo, per esser legale».   Pietro Tamburini Qualora il principe resista e voglia mantenere il potere non più riconosciutogli, comportandosi così da tiranno, il «Corpo della Nazione»mai però un singolo cittadinopotrà legittimamente giungere fino all'estrema soluzione di condannarlo a morte.  Spedalieri si mostrò avverso sia al dispotismo illuminato, che rifiutava tanto il principio della sovranità popolare quanto il primato della religione nel governo dello Stato, sia i princìpi laici della Rivoluzione francese. La garanzia di assicurare i diritti fondamentali dell'uomo è data, secondo lo Spedalieri, dalla religione cristiana che ha come princìpi essenziali l'amore e la carità verso il prossimo.  Spedalieri polemizzò anche contro i giansenisti che accusò di "giacobinismo" e di "spirito sovvertitore dei troni". Gli rispose con asprezza il teologo e giurista Pietro Tamburini nello scritto Lettere teologico politiche sulla presente situazione delle cose ecclesiastiche.  Il riconoscimento che la sovranità derivi dal popolo e che questi, attraverso i suoi delegati, possa giungere a rovesciarne il potere, procurarono allo Spedalieri violente critiche e inimicizie da parte dei circoli reazionari e in parte anche moderati, e al libro, che ebbe alla sua uscita una notevole diffusione, il divieto di pubblicazione in tutta Europa; soltanto nella seconda metà dell'Ottocento esso poté nuovamente circolare, anche se in Italia, mutato il clima politico e culturale dopo i primi decenni del Novecento, venne nuovamente ignorato.  La morte improvvisa di Nicola Spedalieri fece nascere la diceria che il decesso fosse avvenuto per avvelenamento.  Note  Ludovico Geymonat e Renato Tisato, «Il pensiero filosofico-pedagogico italiano, Filosofi e pedagogisti estranei all'illuminismo». In : Ludovico Geymonat , Storia del pensiero filosofico e scientifico,  III (Il Settecento), Milano, Garzanti, Gaetano Melzi, Dizionario di opere anonime e pseudonime di scrittori italiani: o come che sia aventi relazione all'Italia. Milano : Coi torchi di L. di Giacomo Pirola, N. Nicolini, op. cit..  C. Giurintano, Società e Stato in Nicola Spedalieri, Palermo 1998 A. Pisanò, Una teoria comunitaria dei diritti umani: i diritti dell'uomo di Nicola Spedalieri, Milano. Opere di Nicola Spedalieri, . Nicola Spedalieri, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company.  Biografia, opere e commenti su bronteinsieme.it Nicola Nicolini, Nicola Spedalieri, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,Opere digitalizzate Analisi dell'Esame critico del signor Nicola Frèret sulle prove del cristianesimo Ragionamento sopra l'arte di governare Ragionamento sulla influenza della religione cristiana nella società civile Confutazione dell'esame critico del cristianesimo fatto dal signor Eduardo GibbonI parte Confutazione dell'esame critico del cristianesimo fatto dal signor Eduardo GibbonII parte De' diritti dell'uomo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Spadalieri sul contratto conversazionale.” H. P. Grice, “A critique to conversational quasi-contrastualism.”

 

Arcadia: societa di filosofi. Some members include Spedalieri, etc. Grice: “Stupidly, they were required to change names!” –

 

Speranza

 

Speranza, Ugo

 

Speranza, Alessandro

 

Speranza, Ettore

 

Speranza, Gianni

 

Speranza, Paola

 

Speranza, Anna-Maria

 

Speranza-Ghersi –

 

Ghersi-Speranza, Anna-Maria

Speranza luigi

 

speranza: luigi della --. Italian philosopher, attracted, for some reason, to H. P. Grice. Speranza knows St. John’s very well. He is the author of “Dorothea Oxoniensis.” He is a member of a number of cultivated Anglo-Italian societies, like H. P. Grice’s Playgroup. He is the custodian of Villa Grice, not far from Villa Speranza. He works at the Swimming-Pool Library. Cuisine is one of his hobbiesgrisottoa alla ligure, his specialty. He can be reached via H. P. Grice. Refs.: Luigi Speranza, “Vita ed opinion di Luigi Speranza,” par Luigi Speranza. A. M. Ghersi Speranzavide Ghersi-Speranza. Ghersi is a collaborator of Speranza. Grice: “It’s easy enough to list Speranza’s publications.” Speranza, like Mill, was fortunate to belong to a literary familyand he would read Descartes’s Meditations, which drew him to philosophy. His studies in logic drew him to semanticsHis first love was Oxonian analysis as summarised in Hartnack’s essay on ‘contemporary’ philosophy. One of Speranza’s earliest essays is on Plato’s Cratylus, relying mainly on Cassierer, but also drawing from Austin’s Philosophical Papesr. Spearnza’s idea is that “ … mean …” is a dyadic relation and what’s behind Plato’s theory of forms. This was Speranza’s contribution to a seminar in ancient philosophy. For his contribution on medieaval philosophy, Speranza drew on the modistae, and the Patrologia Latina for the use of ‘intentio’ in various writers, up to AquinoSperanza finds it fascinating that the earliest modistae do find a conceptual link between the ‘intentio’ and the ‘significatio.’ For a seminar on scepticism, Speranza contributed with a paper on Gricedrawing on Sextus Empiricus and Bar-Hillel. It relates to Grice’s problem with the conversational category of fortitude. Speranza concludes that a phenomenalist account is possible, but there are two other options: ‘silence’ (“not to participate in the conversational game”) or the utterance of non-alethic utterances, such as questions and commands. For a seminar on political philosophy, Speranza contributed with an essay on ‘Contractualism’ from Rousseau onwards --. For a seminar on phenomenology and the social sciences, Speranza contributed with an essay on ‘The conversational unit,’ the idea that the emic approach is preferable to the etic approach. For a seminar on argumentation theory on Habermas, Speranza contributed with a “German Grice,” the idea of a ‘strategy’ is a momer. Grice is into co-operative proceduresand those who provide taxonomies of rationality should be made aware of this. For “The Carrollian,” Speranza contributed with “Humpty Dumpty’s Impenetrability.” The idea that Davidson is right and Alice does not mean that there is a knock-down argument, or that she should change the topiche draws on Grice’s collaborator at Oxford, D. F. Pears, for his insights on “Intention and belief.” At the request of the editor of a bibliographical bulletin, M. Costa, Speranza contributed with reviews of oeuvre by R. M. Hare (“Sub-atomic particles of logic”), J. F. Thomson (“if and If”) and work on the English philosopher H. P. Grice (J. Baker, etc.). His review on Way of Words spramg from the same project, and it is an ‘invitation.’ For a congress of philosophy, Speranza presented “On the way of conversation,” playing on Grice’s “way of words”“Surely there’s more than words to conversation.” Speranza focuses on what Grice amusingly calls a ‘minro problem,’ that of expression meaningSperanza’s example: “How do you find Bologna?” “I haven’t been mugged yet” was inspired by a remark of an attendant to the conference. For a congress on conversational reasoning, Speranza contributed with “First time at Bologna?” providing twenty five possible answers“first time in the region, actually.” Etc. Speranza, following Grice, refers to this sort of reasoning as a sort of ‘brooding’to ‘brood’ is to ‘reason’ in a calculated fashion. As an invitation project, Speranza collaborated with “Rational face to rational face: a study in conversational pragmatics from a Griceian perspective.” In his essay “Post-modernist Grice,” he deals with the unary and dyadic connectors. For a congress on “Current Issues,” Speranza presented his “The feast of reason,” three steps in the critique of conversational reason. The first step is empirical, the second is quasi-contractualist, and the third is rational, undersood weakly and strongly. For an essay on relativism, Speranza presented an essay on ‘The cunning of conversational reason.’ Speranza maintains Grice’s jocular references to Kantthe Conversational Immanuel. For an essay on desirability, Speranza explored the issues connected with mise-en-abyme and self-reflectionsome of these were published. There is published correspondence with members of what Speranza calls the Grice Club. Refs.: The H. P. Grice Papers, BANC MSS 90/135c, The Bancroft Library, The University of California, Berkeley. Speranza, villaThe Swimming-Pool LibraryH. P. Grice’s Play Group, Liguria, Italia. Luigi Speranza, “Grice e la storia della filosofia italiana.” Speranza has done crucial research on Griceianism, unearthing some documents by O. P. Wood, J. O. Urmson, P. H. Nowell-Smith, and many many others – not just H. P. Grice. Vide: The Grice Papers, BANC, MSS.

 

speranza

 

speranza: a publishing house in Rome, on Via Firenze, 38. Speranza specializes in philosophy.

 

speroni: Tiziano, Ritratto di Sperone Speroni (1544), Treviso, Museo Civico di Santa Caterina Sperone Speroni (Padova, 12 aprile 1500Padova, 2 giugno 1588) è stato uno scrittore e filosofo italiano. Nacque nell'antica famiglia padovana Speroni degli Alvarotti nell'antico palazzo di famiglia in contrà Sant'Anna. Il padre Bernardino fu archiatra di papa Leone X, la madre Lucia era esponente dei Contarini. Bambino prodigio negli studi, divenne professore di logica dell'Padova a soli diciotto anni. Dopo pochi anni di insegnamento però decise di approfondire gli studi a Bologna, dal famoso filosofo aristotelico Pietro Pomponazzi. Alla morte di costui, nel 1525, tornò a Padova dove insegnò per altri tre anni, fino al decesso del padre; dopo di ciò dovette occuparsi attivamente della sua famiglia.  A questo periodo risale la composizione dei dialoghi che verranno pubblicati dall'amico Daniele Barbaro nel 1542, con il titolo di Dialogi: sono il Dialogo d'amore, quello Della dignità delle donne, quello Del tempo di partorire delle donne e quello Della cura famigliare, i due dialoghi lucianei Della usura e Della discordia, seguiti da quello Delle lingue e da quello Della retorica, e infine quello Delle laudi del Catajo, villa della S. Beatrice Pia degli Obici e quello Intitolato Panico e Bichi. Questi dialoghi sono le opere più note di Speroni, nonostante siano stati pubblicati a sua insaputa e non siano mai stati riconosciuti, e hanno avuto decine di ristampe nel corso del Cinquecento.  A questo periodo risale anche la composizione del Dialogo della vita attiva e contemplativa, che non venne però inserito nei Dialogi del '42, per motivi tuttora sconosciuti.  Membro dell'Accademia degli Infiammati e amico di Torquato Tasso si occupò della revisione della Gerusalemme liberata. Fu autore della Canace, pubblicata a Venezia nel 1546, tragedia che darà seguito a un'accesa polemica tra l'autore e Giambattista Giraldi Cinzio.  In seguito intervenne anche nella polemica tra lo stesso Giraldi Cinzio e Giovan Battista Pigna a proposito dell'Orlando furioso e del romanzo come genere letterario. Nel 1560 si trasferì a Roma dove divenne amico di Annibal Caro. Tornato a Padova compose i Discorsi Su Dante, Sull'Eneide, Sull'Orlando furioso e il Dialogo della istoria.  Fu fautore di un classicismo ancor più estremo di quello del vicentino Giangiorgio Trissino, cui rimproverava di aver tratto dalla storia e non dalla mitologia il soggetto della sua Sofonisba. Conformemente all'uso greco e, naturalmente, nel pieno rispetto delle unità aristoteliche, si ispirò alle Heroides ovidiane per la Canace.  Morì all'età di 88 anni. Fu sepolto nella Cattedrale di Padova negli avelli degli Alvarotti. Nell'andito della porta settentrionale gli venne in seguito eretto un monumento ad opera di Girolamo Campagna.   Sperone Speroni. Opere Sezione vuota Questa sezione sull'argomento letteratura è ancora vuota. Aiutaci a scriverla!  Opere di M. Sperone Speroni degli Alvarotti tratte da' mss. originali, Marco Forcellini, Venezia, Occhi, 1740, 5 voll. Sperone Speroni, in Trattatisti del Cinquecento, Mario Pozzi, Milano-Napoli, Ricciardi, 1978,  471–850 Francesco Cammarosano, La vita e le opere di Sperone Speroni, Empoli, Tipografia R. Noccioli, 1920. Francesco Bruni, Sperone Speroni e l'Accademia degli Infiammati, in « Filologia e letteratura », Francesco Bruni, Sistemi critici e strutture narrative (Ricerche sulla cultura fiorentina del Rinascimento), Napoli, Liguori, 1969. Amelia Fano, Notizie storiche sulla famiglia e particolarmente sul padre e sui fratelli di Sperone Speroni degli Alvarotti, in « Atti e memorie dell'Accademia di Padova », Padova, Tipografica G.B. Randi, Amelia Fano, Sperone Speroni, Saggio sulla vita e sulle opere, I, La vita, Padova, Fratelli Drucker, Piero Floriani, I gentiluomini letterati. Il dialogo culturale nel primo Cinquecento, Napoli, Liguori, 1981. Jean-Louis Fournel, La rhétorique vagabonde et le portrait de la verité dans trois dialogues de Sperone Speroni, in Discours littéraires et pratiques politiques, Adelin Charles Fiorato, Paris, Publications de la Sorbonne, Jean-Louis Fournel, Les dialogues de Sperone Speroni: libertés de la parole et règles de l'écriture, Marburg, Hitzeroth, Jean-Louis Fournel, Le monde des dialogues de Sperone Speroni: langue(s) commune(s) et communauté(s) de culture(s), in Marina Marietti et al., Quêtes d'une identité collective chez les Italiens de la Renaissance. Alberti, Guichardin, Speroni, Sienne au XVIe siècle, le Tasse, Paris, Université de la Sorbonne Nouvelle,  Jean-Louis Fournel, Le travail de la critique dans les écrits sur Virgile de Sperone Speroni, in Les commentaires et la naissance de la critique littéraire (XIVe-XVIe siècles). Actes du Colloque international sur le Commentaire (Paris, mai 1988), Gisèle Mathieu-Castellani, Michel Plaisance, Paris, Aux Amatours de Livres, 1990,  235–243. Jean-Louis Fournel, Il “camaleonte” e il “cuoco”. Sperone Speroni e la critica del romanzo, in « Schifanoia », Stefano Jossa, Rappresentazione e scrittura. La crisi delle forme poetiche rinascimentali, Napoli, Vivarium,  Stefano Jossa, Verso il barocco. Sperone Speroni e Carlo Borromeo (tra retorica e mistica), in « Aprosiana »,  Mario Pozzi, Le lettere familiari di Sperone Speroni, in « Giornale storico della letteratura italiana » Mario Pozzi, La critica fiorentina fra Bembo e Speroni: Varchi, Lenzoni, Borghini, in M. Pozzi, Ai confini della letteratura. Aspetti e momenti di storia della letteratura italiana, Alessandria, Edizioni dell'Orso, Sperone Speroni, volume monografico di « Filologia veneta », Padova, Editoriale Programma, 1989. Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Sperone Speroni Collabora a Wikiquote Citazionio su Sperone Speroni  Sperone Speroni, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Camillo Guerrieri Crocetti, Sperone Speroni, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Sperone Speroni, su sapere.it, De Agostini.  Luca Piantoni, Sperone Speroni, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Sperone Speroni, su Liber Liber.  Opere di Sperone Speroni, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Sperone Speroni, . Audiolibri di Sperone Speroni, su LibriVox.  Michele Messina, Sperone Speroni, in Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.

 

spinelli: Francesco Maria Spinelli (Morano Calabro), filosofo. Fu figlio di Antonio Spinelli, principe di Scalea, marchese di Misuraca e barone di Morano, dal quale ereditò i titoli, e di Anna Beatrice Carafa, dei principi di Belvedere. Fu allievo del filosofo cartesiano Gregorio Caloprese.  Divulgò la filosofia cartesiana, difese alcuni colleghi, anche loro seguaci di Cartesio, accusati di ateismo, ed ebbe un'accesa polemica con Paolo Mattia Doria sull'origine dello spinozismo, in merito alla quale scrisse una prima opera critica, stampata solo in seguito nel 1733.  Opere Riflessioni sulle principali materie della prima filosofia fatte all'occasione di esaminare la prima parte di un libro intitolato: Discorsi Critici Filosofici intorno alla Filosofia degli Antichi e de' Moderni &c. di Paolo Matti Doria [...], Stamperia di Felice Mosca, Napoli, 1733. De origine mali dissertatio, 1750. De bono dissertatio, 1751. Note  Fonte: , Dizionario di filosofia, riferimenti in .  Alfonso Mirto, "Nota sul pensiero di Francesco Maria Spinelli", in Calabria letteraria, 31, 1983, nn. 7-9,  74-76. Fabrizio Lomonaco , Francesco Maria Spinelli, Vita, e studj scritta da lui medesimo in una Lettera, Il Melangolo, Genova 2007. Alfonso Mirto, Spinelli Francesco Maria in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, , ad vocem. Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Francesco Maria Spinelli  Francesco Maria Spinelli, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Francesco Maria Spinelli, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Francesco Maria Spinelli.

 

spinelli: Troiano Spinelli, talvolta scritto Trojano Spinelli (Laurino), filosofo. Duca di Aquara e di Laurino nel Settecento, appartenente alla nobile famiglia napoletana degli Spinelli.  Figlio unico di Giuseppe Spinelli, ottavo duca di Laurino, e di Giovanna Caracciolo, figlia di Ottavio, terzo Principe di Forino, ereditò i titoli paterni nel 1764. Nel 1738, sposò in prime nozze Beatrice Caterina Pinto y Mendoza, terza Principessa di Montacuto, figlia ed erede del principe Gregorio. Nel 1750, sposò in seconde nozze Donna Ottavia Tuttavilla, figlia di Vincenzo II, sesto duca di Calabritto.  Allievo del filosofo Giambattista Vico, si formò al Collegio Clementino a Roma e poi all'Accademia di Loreto dove studiò matematica, fisica e ingegneria. Ritornato a Napoli, divenne amico di vari illuministi napoletani, quali Gaetano Filangieri e Ferdinando Galiani. Fu autore di varie opere di stampo illuministico, in particolare nei campi della storia e dell'economia. La sua opera più importante, le Riflessioni politiche sopra alcuni punti della scienza della moneta, fu data alle stampe nel 1750: rappresenta uno dei primi tentativi di metodo geometrico applicato all'economia. In questo opuscolo, si oppone alle teorie monetarie di Carlo Antonio Broggia. Spinelli fece attivamente parte della massoneria napoletana, all'epoca diretta dal principe di Sansevero, Raimondo di Sangro.  Fu nominato cavalerie del Real Ordine di San Gennaro.  A Napoli, fece ristrutturare il palazzo di famiglia tra il 1766 e il 1768, il palazzo Spinelli di Laurino, trasformandolo in una delle più suggestive realizzazioni del Settecento napoletano. Morì a Napoli nel 1777 e venne sepolto nella cappella di famiglia nella chiesa di Santa Caterina a Formiello.  Opere principali Degli Affetti umani, Napoli, Stamperia Muziana, 1741. Riflessioni politiche sopra alcuni punti della scienza della moneta, Napoli, 1750. Saggio di tavola cronologica de' principi e più ragguardevoli ufficiali che anno signoreggiato, e retto le provincie, che ora compongono il regno di Napoli, Napoli, stamperia di Giuseppe Di Bisogni, 1762. Della nobiltà, dalle stampe del Porsile, 1776. Lettera nella quale si dimostra non esser nota di falsità, che nel diploma di fondazione della chiesa di Bagnara si ritrovi l'anno 1085 segnato coll'indizione sesta correndo l'ottava del computo volgare, s.d.  Troiano Spinelli, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  

 

spirito: Ugo Spirito (Arezzo), filosofo. Allievo di Gentile. Fu firmatario del Manifesto degli intellettuali fascisti e, nel periodo fascista, tra i teorici del Corporativismo. Ebbe cattedre di insegnamento in diverse Università tra cui Pisa, Messina, Genova e Roma. Alla Sapienza di Roma fu ordinario di Filosofia. Era, allora, tra i principali filosofi dell'Ateneo Romano, insieme con Antoni, allievo di Croce, Calogero, filosofo del "dialogo" (Cf. Grice – “dialogo” vs. “conversazione”) -- e Bruno Nardi grande studioso di filosofia dantesca e medievale. Rinomate erano non tanto le sue lezioni quanto i suoi pomeriggi di discussione del giovedì. Tre ore, non di lezione, ma di discussione serrata su un problema filosofico; uno soltanto per un intero anno accademico. Il 1951, ad esempio, fu dedicato al concetto di sogno. Ai giovedì di Ugo Spiritonell'aula grande dell'Istituto di Filosofiaintervenivano tante e diverse persone: gli studenti, i numerosi assistenti e inoltre partecipanti di varie età convinzioni e provenienze. Spirito ascoltava tutti, rilanciava la discussione e guidava la discussione verso nuove prospettive interpretative.  Ugo Spirito in quegli anni pubblicava opere particolarmente connesse a quei giovedì. Tra le altre: il Problematicismo, La Vita come Ricerca, La Vita come Amore, Cattolicesimo e Comunismo, fino all'ultima, autobiografica Vita di un Incosciente. Volendo indicare un tratto distintivo del pensiero di Spirito, si può affermare che esso consisteva nella curiosità e nel rispetto per qualsiasi posizione. Non esisteva per lui una parola definitiva, ma la ricerca della verità doveva essere portata sempre ulteriormente avanti.  In questo senso vanno interpretate le sue riflessioni che spaziano dai campi della speculazione filosofica, al giuridico, al sociale fino all'economico. Dopo la morte del filosofo è stata costituita la Fondazione Ugo Spirito. È sepolto al Cimitero del Verano, a fianco del cosiddetto "Crocione".  Individuo, Stato e Corporativismo Tra i vari livelli di ricerca, spicca nel pensiero di Ugo Spirito la riflessione sulle strutture dello Stato. Allontanandosi nettamente dal pensiero di matrice liberale, il filosofo aretino non vede alcuna contrapposizione tra la figura dell'individuo e quella dello Stato. Con un passo oltre questa interpretazione, che giudica disorganica e arbitraria, Spirito vede al contrario lo Stato come figura entro cui l'individuo viene progressivamente a realizzarsi. Il binomio Stato/individuo diventa così un'equazione, in cui il secondo termine viene a risolversi e quindi realizzarsi pienamente nel primo, che si caratterizza "non [come] una semplice sovrastruttura disciplinatrice, ma come un organismo che esprime un'unica volontà e compone tutti i dissidi individualistici".  In questo senso, l'unica via percorribile nella realizzazione di tale modello è la via corporativa in cui lo Stato, che da Stato di individui diventa Stato di produttori, rappresenta il luogo in cui interesse pubblico ed interesse privato vengono a coincidere, poiché, per dirla con Gentile, in esso non viene (e non deve venire) "annulla[ta] quella sorgente di vita economica e morale che è l'individuo".  La concezione elaborata da Spirito è stata definita immanenza dell'individuo nello Stato, volta alla mobilitazione degli individui nelle e per le strutture create dallo Stato stesso.  Economia Se nell'accezione di Spirito l'economia è politica e se ne deve garantire la subordinazione alle scelte sociali, in questo senso va inquadrato il ruolo che assegna allo Stato in termini di intervento pubblico. Ben lungi dal prospettare una situazione paragonabile al collettivismo, il filosofo è lontano anche dagli eccessi disorganici che imputava ai sistemi liberali. Il funzionario di Stato, che in prospettiva doveva andare a sostituire il capitalista privato, era giudicato da Spirito: «non come un agente del collettivismo o del capitalismo statale (che sappiamo cosa produsse col sovietismo), ma un semplice delegato tecnico, che si fa garante di una diversa realtà: assicurare socialmente, oggi il controllo della produzione, domani la stessa proprietà dei mezzi produttivi.»  (Luca Leonello Rimbotti, dalla prefazione a Pareto. Di Ugo Spirito, Settimo Sigillo, Roma, 2000, pag. 8) Opere scelte: Storia del diritto penale italiano, Il nuovo diritto penale,  Critica dell'economia liberale, “L'idealismo italiano e i suoi critici” – Grice: “A delightfull read, especially for us Oxonians, since he manages to quote extensively from the Proceedings of the Aristotelian Society, seeing that Ryle hated idealism!” -- I fondamenti dell'economia corporativa, Capitalismo e corporativismo, Scienza e filosofia, La vita come ricerca, Rubbettino, Dall'economia liberale al corporativismo, La vita come arte, Il problematicismo, La vita come amore, Critica della democrazia,  Rubbettino, Il comunismo, Dall'attualismo al problematicismo, Memorie di un incosciente, Rusconi, Milano, Vilfredo Pareto, Cadmo Editore, Roma, Critica della democrazia, Luni Ed., Milano-Trento,  Il corporativismo: dall'economia liberale al corporativismo; i fondamenti dell'economia corporativa; capitalismo e corporativismo, raccolta di saggi, Rubbettino,Maria Laura Rodotà , Passeggiando in bicicletta; Bighellonando dentro il Verano, Corriere della Sera, Lino di Stefano, Ugo Spirito. Filosofo, Giurista, Economista, Giovanni Volpe editore, Roma 1Giovanni Gentile, Individuo e Stato,  "Books Received.", Economist [Londra, Inghilterra], Antimo Negri, Dal corporativismo comunista all'umanesimo scientifico. Itinerario teoretico di Ugo Spirito, Manduria, Lacaita, Franco Tamassia , L'opera di Ugo Spirito, Roma, Atti del Convegno Internazionale Il pensiero di Ugo Spirito, Roma, Antonio Russo, Positivismo e idealismo in Ugo Spirito, Roma, Fondazione Ugo Spirito, Giovanni Dessì, Spirito. Filosofia e rivoluzione, Milano, Luni, 1Antonio Russo, Ugo Spirito. Dal positivismo all'antiscienza, Milano, Guerini e Associati, Hervé A. Cavallera, Spirito: la ricerca dell'incontrovertibile, Formello, SEAM, Danilo Breschi, Spirito del Novecento. Il secolo di Ugo Spirito dal fascismo alla contestazione, Rubbettino,  Antonio Cammarana, Proposizioni sulla filosofia di Giovanni Gentile, prefazione del senatore Armando Plebe, Roma, Gruppo parlamentare MSI-DN, Senato della Repubblica,  Pagine, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Antonio Cammarana, Teorica della reazione dialettica: filosofia del postcomunismo, Roma, Gruppo parlamentare MSI-DN, Senato della Repubblica,, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Vincenzo Pirro, Ricordo di Ugo Spirito, in "Nuovi Studi Politici" Ed. Bulzoni, Roma, Alessandra Tarquini, Ugo Spirito, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, . Marcello Mustè, Ugo Spirito, in Enciclopedia machiavelliana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, . Paolo Bettineschi, L'esperienza storica e l'intrascendibilità del conoscere. Sul sapere di non sapere, in Rivista di filosofia neo-scolastica, , Problematicismo Corporativismo Fascismo Corporazione proprietaria. Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Ugo Spirito, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Vito A. Bellezza, Ugo Spirito, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Ugo Spirito, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, .  Alessandra Tarquini, Ugo Spirito, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Ugo Spirito, su siusa.archivi.beniculturali.it, Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Ugo Spirito, su Find a Grave.  Opere di Ugo Spirito, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Ugo Spirito, .  Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice, su fondazionespirito.it. Spirito, Ugo, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.

 

Calogero: Filosofo del dialogo.

 

spisani: Franco Spisani (Ferrara), filosofo. Studioso di solito indicato tra i filosofi della scienza, si laurea all'Padova con una tesi di sull'attualismo italiano. In seguito collabora con la cattedra di Filosofia Teoretica dell'Urbino. A Bologna fonda, nel 1970, la rivista Rassegna internazionale di logica (che verrà pubblicata fino al 1987)  e il Centro superiore di logica e scienze comparate, che aveva nel comitato direttivo Karl Popper e Paul Ricœur. In una lettera del 1969 Rudolf Carnap critica una sua decisione di non pubblicare un'opera. Morì suicida insieme alla moglie.  Gli scritti Ha scritto varie opere, tra le quali: Neutralizzazione dello spazio per sintesi produttiva, Endometria e universo del discorso e Teoria generale dei numeri relativi, legati alla logica e alla matematica trascendentale; nella prefazione della Teoria generale dei numeri relativi, si dice che: "C'è una relazione divisoria che ipotizza il valore M (numero logico trans-infinito) all'origine della neutralizzazione dello spazio transfinito. Aleph ({\displaystyle \aleph }\aleph ) va verso successivi aumenti; ma è la relatività dei numeri (allora espressa nel calcolo per valori di posizione) che ne individua la direzione inversa."  Spisani ha anche pubblicato un altro libro, di taglio più divulgativo, Introduzione alla teoria dei numeri relativi; qui l'autore spiega le sue scoperte in forma di dialogo; tra gli interlocutori (check) la misteriosa figura della piovra Clipso.  Il suo lavoro è stato citato dal filosofo australiano Joseph Wayne Smith, dell'Adelaide, nel suo libro sui limiti della metafisica. Il pensiero di Spisani è ripreso da Bruno Gallo, fondatore della logofenica.  Opere principali: Natura e spirito nell'idealismo attuale, Milano, Fabbri, Neutralizzazione dello spazio per sintesi produttiva, presentazione Gustavo Bontadini e Nicola Dessy, Bologna, Cappelli (poi Milano, Marzorati) Il numero nell'istanza ontologica del rapporto d'identità, Imola, Galeati,  Logica ed esperienza, Milano, Marzorati,  Logica della contestazione, Bologna, Cappelli, (check thi: )The meaning and structure of time, Bologna, Azzoguidi, Philosophical foundations of autogenetic logic, Bologna, CSLSC,  Implicazione, endometria, universo del discorso (Implication, endometry, universe of discourse, testo bilingue, Bologna, International logic review, eoria generale dei numeri relativi con ingresso dei numeri moltiplicatori e divisori, Bologna, International logic review, Introduzione alla teoria generale dei numeri relativi, Bologna, Centro superiore di logica e scienze comparate, Sezione di analisi matematica. Dal catalogo ACNP  Franco Spisani, Teoria Generale dei numeri relativi/General theory of directed numbers, Testo bilingue,  1, Bologna, pubblicato a cura del Centro superiore di logica e scienze comparate; la lista dei direttori di ricerca è sulla quarta di copertina.  «Dear professor Spisani, I am astonished that you insist on your decision not to publish your book. It is essential that you make your number theory known; and I have already emphasized the importance of the presentation of multipliers and divisors.Don't have any doubts. You have my total support. With best wishes, Rudolf Carnap». (Franco Spisani, Teoria Generale dei numeri relativi/General theory of directed numbers, la lettera è in una pagina non numerata tra pag. 14 e pag. 15.)  L'ha vegliato prima di suicidarsi, la Repubblica  La teoria generale dei numeri relativi, Franco Spisani.  Sulla storia della pubblicazione della Teoria generale, importanti ricerche erano già pronte nel 1963; allora, dice l'autore, "ne discussi con Rudolf Carnap. Gli avevo sottoposto i risultati dell'indagine. Gli spiegai anche le ragioni che, al momento, mi inducevano a non diffonderne le conclusioni. Carnap rispose che quella scelta gli sembrava affatto ingiustificata: l'operascrissenon poteva rimanere nel silenzio. Tuttavia non cambiai parere. Non avrei pubblicato, e glielo confermai."  Joseph Wayne Smith, Essay on ultimate questions: critical discussion of the limits of contemporary philosophical inquiry, Avebury, Dai numeri naturali ai numeri relativi, moltiplicatori e divisori di Bruno Gallo  Un uomo geniale, necrologio pubblicato da la Nuova Ferrara, L'ha vegliato prima di suicidarsi, di Carlo Gulotta, la Repubblica, sezione Bologna, Archivio.

 

sraffa: an Italian noble -- vitters, and Grice --  L.cited by H. P. Grice, “Some like Vitters, but Moore’s MY man.” Vienna-born philosopher trained as an enginner at Manchester. Typically referred to Wittgenstein in the style of English schoolboy slang of the time as, “Witters,” pronounced “Vitters.”“I heard Austin said once: ‘Some like Witters, but Moore’s MY man.’ Austin would open the “Philosophical Investigations,” and say, “Let’s see what Witters has to say about this.” Everybody ended up loving Witters at the playgroup.” Witters’s oeuvre was translated first into English by C. K. Ogden. There are interesting twists. Refs.: H. P. Grice, “Vitters.” Grice was sadly discomforted when one of his best friends at Oxford, D. F. Pears, dedicated so much effort to the unveiling of the mysteries of ‘Vitters.’ ‘Vitters’ was all in the air in Grice’s inner circle. Strawson had written a review of Philosophical Investigations. Austin was always mocking ‘Vitters,’ and there are other connections. For Grice, the most important is that remark in “Philosohpical Investigations,” which he never cared to check ‘in the Hun,’ about a horse not being seen ‘as a horse.’ But in “Prolegomena” he mentions Vitters in other contexts, too, and in “Causal Theory,” almost anonymouslybut usually with regard to the ‘seeing as’ puzzle. Grice would also rely on Witters’s now knowing how to use ‘know’ or vice versa. In “Method” Grice quotes verbatim: ‘No psyche without the manifestation the ascription of psyche is meant to explain,” and also to the effect that most ‘-etic’ talk of behaviour is already ‘-emic,’ via internal perspective, or just pervaded with intentionalism. One of the most original and challenging philosophical writers of the twentieth century. Born in Vienna into an assimilated family of Jewish extraction, he went to England as a student and eventually became a protégé of Russell’s at Cambridge. He returned to Austria at the beginning of The Great War I, but went back to Cambridge in 8 and taught there as a fellow and professor. Despite spending much of his professional life in England, Vitters never lost contact with his Austrian background, and his writings combine in a unique way ideas derived from both the insular and the continental European tradition. His thought is strongly marked by a deep skepticism about philosophy, but he retained the conviction that there was something important to be rescued from the traditional enterprise. In his Blue Book 8 he referred to his own work as “one of the heirs of the subject that used to be called philosophy.” What strikes readers first when they look at Vitters’s writings is the peculiar form of their composition. They are generally made up of short individual notes that are most often numbered in sequence and, in the more finished writings, evidently selected and arranged with the greatest care. Those notes range from fairly technical discussions on matters of logic, the mind, meaning, understanding, acting, seeing, mathematics, and knowledge, to aphoristic observations about ethics, culture, art, and the meaning of life. Because of their wide-ranging character, their unusual perspective on things, and their often intriguing style, Vitters’s writings have proved to appeal to both professional philosophers and those interested in philosophy in a more general way. The writings as well as his unusual life and personality have already produced a large body of interpretive literature. But given his uncompromising stand, it is questionable whether his thought will ever be fully integrated into academic philosophy. It is more likely that, like Pascal and Nietzsche, he will remain an uneasy presence in philosophy. From an early date onward Vitters was greatly influenced by the idea that philosophical problems can be resolved by paying attention to the working of language  a thought he may have gained from Fritz Mauthner’s Beiträge zu einer Kritik der Sprache 102. Vitters’s affinity to Mauthner is, indeed, evident in all phases of his philosophical development, though it is particularly noticeable in his later thinking.Until recently it has been common to divide Vitters’s work into two sharply distinct phases, separated by a prolonged period of dormancy. According to this schema the early “Tractarian” period is that of the Tractatus Logico-Philosophicus 1, which Vitters wrote in the trenches of World War I, and the later period that of the Philosophical Investigations 3, which he composed between 6 and 8. But the division of his work into these two periods has proved misleading. First, in spite of obvious changes in his thinking, Vitters remained throughout skeptical toward traditional philosophy and persisted in channeling philosophical questioning in a new direction. Second, the common view fails to account for the fact that even between 0 and 8, when Vitters abstained from actual work in philosophy, he read widely in philosophical and semiphilosophical authors, and between 8 and 6 he renewed his interest in philosophical work and wrote copiously on philosophical matters. The posthumous publication of texts such as The Blue and Brown Books, Philosophical Grammar, Philosophical Remarks, and Conversations with the Vienna Circle has led to acknowledgment of a middle period in Vitters’s development, in which he explored a large number of philosophical issues and viewpoints  a period that served as a transition between the early and the late work. Early period. As the son of a greatly successful industrialist and engineer, Vitters first studied engineering in Berlin and Manchester, and traces of that early training are evident throughout his writing. But his interest shifted soon to pure mathematics and the foundations of mathematics, and in pursuing questions about them he became acquainted with Russell and Frege and their work. The two men had a profound and lasting effect on Vitters even when he later came to criticize and reject their ideas. That influence is particularly noticeable in the Tractatus, which can be read as an attempt to reconcile Russell’s atomism with Frege’s apriorism. But the book is at the same time moved by quite different and non-technical concerns. For even before turning to systematic philosophy Vitters had been profoundly moved by Schopenhauer’s thought as it is spelled out in The World as Will and Representation, and while he was serving as a soldier in World War I, he renewed his interest in Schopenhauer’s metaphysical, ethical, aesthetic, and mystical outlook. The resulting confluence of ideas is evident in the Tractatus Logico-Philosophicus and gives the book its peculiar character. Composed in a dauntingly severe and compressed style, the book attempts to show that traditional philosophy rests entirely on a misunderstanding of “the logic of our language.” Following in Frege’s and Russell’s footsteps, Vitters argued that every meaningful sentence must have a precise logical structure. That structure may, however, be hidden beneath the clothing of the grammatical appearance of the sentence and may therefore require the most detailed analysis in order to be made evident. Such analysis, Vitters was convinced, would establish that every meaningful sentence is either a truth-functional composite of another simpler sentence or an atomic sentence consisting of a concatenation of simple names. He argued further that every atomic sentence is a logical picture of a possible state of affairs, which must, as a result, have exactly the same formal structure as the atomic sentence that depicts it. He employed this “picture theory of meaning”  as it is usually called  to derive conclusions about the nature of the world from his observations about the structure of the atomic sentences. He postulated, in particular, that the world must itself have a precise logical structure, even though we may not be able to determine it completely. He also held that the world consists primarily of facts, corresponding to the true atomic sentences, rather than of things, and that those facts, in turn, are concatenations of simple objects, corresponding to the simple names of which the atomic sentences are composed. Because he derived these metaphysical conclusions from his view of the nature of language, Vitters did not consider it essential to describe what those simple objects, their concatenations, and the facts consisting of them are actually like. As a result, there has been a great deal of uncertainty and disagreement among interpreters about their character. The propositions of the Tractatus are for the most part concerned with spelling out Vitters’s account of the logical structure of language and the world and these parts of the book have understandably been of most interest to philosophers who are primarily concerned with questions of symbolic logic and its applications. But for Vitters himself the most important part of the book consisted of the negative conclusions about philosophy that he reaches at the end of his text: in particular, that all sentences that are not atomic pictures of concatenations of objects or truth-functional composites of such are strictly speaking meaningless. Among these he included all the propositions of ethics and aesthetics, all propositions dealing with the meaning of life, all propositions of logic, indeed all philosophical propositions, and finally all the propositions of the Tractatus itself. These are all strictly meaningless; they aim at saying something important, but what they try to express in words can only show itself. As a result Vitters concluded that anyone who understood what the Tractatus was saying would finally discard its propositions as senseless, that she would throw away the ladder after climbing up on it. Someone who reached such a state would have no more temptation to pronounce philosophical propositions. She would see the world rightly and would then also recognize that the only strictly meaningful propositions are those of natural science; but those could never touch what was really important in human life, the mystical. That would have to be contemplated in silence. For “whereof one cannot speak, thereof one must be silent,” as the last proposition of the Tractatus declared. Middle period. It was only natural that Vitters should not embark on an academic career after he had completed that work. Instead he trained to be a school teacher and taught primary school for a number of years in the mountains of lower Austria. In the mid-0s he also built a house for his sister; this can be seen as an attempt to give visual expression to the logical, aesthetic, and ethical ideas of the Tractatus. In those years he developed a number of interests seminal for his later development. His school experience drew his attention to the way in which children learn language and to the whole process of enculturation. He also developed an interest in psychology and read Freud and others. Though he remained hostile to Freud’s theoretical explanations of his psychoanalytic work, he was fascinated with the analytic practice itself and later came to speak of his own work as therapeutic in character. In this period of dormancy Vitters also became acquainted with the members of the Vienna Circle, who had adopted his Tractatus as one of their key texts. For a while he even accepted the positivist principle of meaning advocated by the members of that Circle, according to which the meaning of a sentence is the method of its verification. This he would later modify into the more generous claim that the meaning of a sentence is its use. Vitters’s most decisive step in his middle period was to abandon the belief of the Tractatus that meaningful sentences must have a precise hidden logical structure and the accompanying belief that this structure corresponds to the logical structure of the facts depicted by those sentences. The Tractatus had, indeed, proceeded on the assumption that all the different symbolic devices that can describe the world must be constructed according to the same underlying logic. In a sense, there was then only one meaningful language in the Tractatus, and from it one was supposed to be able to read off the logical structure of the world. In the middle period Vitters concluded that this doctrine constituted a piece of unwarranted metaphysics and that the Tractatus was itself flawed by what it had tried to combat, i.e., the misunderstanding of the logic of language. Where he had previously held it possible to ground metaphysics on logic, he now argued that metaphysics leads the philosopher into complete darkness. Turning his attention back to language he concluded that almost everything he had said about it in the Tractatus had been in error. There were, in fact, many different languages with many different structures that could meet quite different specific needs. Language was not strictly held together by logical structure, but consisted, in fact, of a multiplicity of simpler substructures or language games. Sentences could not be taken to be logical pictures of facts and the simple components of sentences did not all function as names of simple objects. These new reflections on language served Vitters, in the first place, as an aid to thinking about the nature of the human mind, and specifically about the relation between private experience and the physical world. Against the existence of a Cartesian mental substance, he argued that the word ‘I’ did not serve as a name of anything, but occurred in expressions meant to draw attention to a particular body. For a while, at least, he also thought he could explain the difference between private experience and the physical world in terms of the existence of two languages, a primary language of experience and a secondary language of physics. This duallanguage view, which is evident in both the Philosophical Remarks and The Blue Book, Vitters was to give up later in favor of the assumption that our grasp of inner phenomena is dependent on the existence of outer criteria. From the mid-0s onward he also renewed his interest in the philosophy of mathematics. In contrast to Frege and Russell, he argued strenuously that no part of mathematics is reducible purely to logic. Instead he set out to describe mathematics as part of our natural history and as consisting of a number of diverse language games. He also insisted that the meaning of those games depended on the uses to which the mathematical formulas were put. Applying the principle of verification to mathematics, he held that the meaning of a mathematical formula lies in its proof. These remarks on the philosophy of mathematics have remained among Vitters’s most controversial and least explored writings. Later period. Vitters’s middle period was characterized by intensive philosophical work on a broad but quickly changing front. By 6, however, his thinking was finally ready to settle down once again into a steadier pattern, and he now began to elaborate the views for which he became most famous. Where he had constructed his earlier work around the logic devised by Frege and Russell, he now concerned himself mainly with the actual working of ordinary language. This brought him close to the tradition of British common sense philosophy that Moore had revived and made him one of the godfathers of the ordinary language philosophy that was to flourish in Oxford in the 0s. In the Philosophical Investigations Vitters emphasized that there are countless different uses of what we call “symbols,” “words,” and “sentences.” The task of philosophy is to gain a perspicuous view of those multiple uses and thereby to dissolve philosophical and metaphysical puzzles. These puzzles were the result of insufficient attention to the working of language and could be resolved only by carefully retracing the linguistic steps by which they had been reached. Vitters thus came to think of philosophy as a descriptive, analytic, and ultimately therapeutic practice. In the Investigations he set out to show how common philosophical views about meaning including the logical atomism of the Tractatus, about the nature of concepts, about logical necessity, about rule-following, and about the mindbody problem were all the product of an insufficient grasp of how language works. In one of the most influential passages of the book he argued that concept words do not denote sharply circumscribed concepts, but are meant to mark family resemblances between the things labeled with the concept. He also held that logical necessity results from linguistic convention and that rules cannot determine their own applications, that rule-following presupposes the existence of regular practices. Furthermore, the words of our language have meaning only insofar as there exist public criteria for their correct application. As a consequence, he argued, there cannot be a completely private language, i.e., a language that in principle can be used only to speak about one’s own inner experience. This private language argument has caused much discussion. Interpreters have disagreed not only over the structure of the argument and where it occurs in Vitters’s text, but also over the question whether he meant to say that language is necessarily social. Because he said that to speak of inner experiences there must be external and publicly available criteria, he has often been taken to be advocating a logical behaviorism, but nowhere does he, in fact, deny the existence of inner states. What he says is merely that our understanding of someone’s pain is connected to the existence of natural and linguistic expressions of pain. In the Philosophical Investigations Vitters repeatedly draws attention to the fact that language must be learned. This learning, he says, is fundamentally a process of inculcation and drill. In learning a language the child is initiated in a form of life. In Vitters’s later work the notion of form of life serves to identify the whole complex of natural and cultural circumstances presupposed by our language and by a particular understanding of the world. He elaborated those ideas in notes on which he worked between 8 and his death in 1 and which are now published under the title On Certainty. He insisted in them that every belief is always part of a system of beliefs that together constitute a worldview. All confirmation and disconfirmation of a belief presuppose such a system and are internal to the system. For all this he was not advocating a relativism, but a naturalism that assumes that the world ultimately determines which language games can be played. Vitters’s final notes vividly illustrate the continuity of his basic concerns throughout all the changes his thinking went through. For they reveal once more how he remained skeptical about all philosophical theories and how he understood his own undertaking as the attempt to undermine the need for any such theorizing. The considerations of On Certainty are evidently directed against both philosophical skeptics and those philosophers who want to refute skepticism. Against the philosophical skeptics Vitters insisted that there is real knowledge, but this knowledge is always dispersed and not necessarily reliable; it consists of things we have heard and read, of what has been drilled into us, and of our modifications of this inheritance. We have no general reason to doubt this inherited body of knowledge, we do not generally doubt it, and we are, in fact, not in a position to do so. But On Certainty also argues that it is impossible to refute skepticism by pointing to propositions that are absolutely certain, as Descartes did when he declared ‘I think, therefore I am’ indubitable, or as Moore did when he said, “I know for certain that this is a hand here.” The fact that such propositions are considered certain, Vitters argued, indicates only that they play an indispensable, normative role in our language game; they are the riverbed through which the thought of our language game flows. Such propositions cannot be taken to express metaphysical truths. Here, too, the conclusion is that all philosophical argumentation must come to an end, but that the end of such argumentation is not an absolute, self-evident truth, but a certain kind of natural human practice. Refs.: H. P. Grice, “Il gesto della mano di Sraffa.” Speranza, “Sraffa’s handwave, and his impicaturum.” Refs.: Luigi Speranza, “L’implicatura di Sraffa,” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

standard:  Grice: “People, philosophers included, misuse ‘standard’in Italian, it just means ‘flag’!” -- model, a term that, like ‘non-standard model’, is used with regard to theories that systematize part of our knowledge of some mathematical structure, for instance the structure of natural numbers with addition, multiplication, and the successor function, or the structure of real numbers with ordering, addition, and multiplication. Models isomorphic to this intended mathematical structure are the “standard models” of the theory, while any other, non-isomorphic, model of the theory is a ‘non-standard’ model. Since Peano arithmetic is incomplete, it has consistent extensions that have no standard model. But there are also non-standard, countable models of complete number theory, the set of all true first-order sentences about natural numbers, as was first shown by Skolem in 4. Categorical theories do not have a non-standard model. It is less clear whether there is a standard model of set theory, although a countable model would certainly count as non-standard. The Skolem paradox is that any first-order formulation of set theory, like ZF, due to Zermelo and Fraenkel, has a countable model, while it seems to assert the existence of non-countable sets. Many other important mathematical structures cannot be characterized by a categorical set of first-order axioms, and thus allow non-standard models. The  philosopher Putnam has argued that this fact has important implications for the debate about realism in the philosophy of language. If axioms cannot capture the spontaneity, liberty of standard model 875   875 “intuitive” notion of a set, what could? Some of his detractors have pointed out that within second-order logic categorical characterizations are often possible. But Putnam has objected that the intended interpretation of second-order logic itself is not fixed by the use of the formalism of second-order logic, where “use” is determined by the rules of inference for second-order logic we know about. Moreover, categorical theories are sometimes uninformative. 

 

stabilitatum -- stabilire -- EstablishmentGrice speaks of the Establishment twice. Once re: Gellner: non-Establishment criticizing the English Establishment. Second: to refute Lewis. Something can be ‘established’ and not be conventional. “Surely Lewis should know the Graeco-Roman root of establish to figure that out!” stăbĭlĭo , īvi, ītum (sync. I.imperf. stabilibat, Enn. Ann. 44), 4, v. a. stabilis, to make firm, steadfast, or stable; to fix, stay, establish (class.; esp. in the trop. sense). I. Lit.: semita nulla pedem stabilibat, Enn. ap. Cic. Div. 1, 20, 40 (Ann. v. 44 Vahl.): “eo stabilita magis sunt,” Lucr. 3, 202; cf.: confirmandi et stabiliendi causā singuli ab infimo solo pedes terrā exculcabantur, * Caes. B. G. 7, 73: “vineas,” Col. 4, 33, 1: “loligini pedes duo, quibus se velut ancoris stabiliunt,” Plin. 9, 28, 44, § 83.— II. Trop.: regni stabilita scamna solumque, Enn. ap. Cic. Div. 1, 48 fin. (Ann. v. 99 Vahl.): “alicui regnum suom,” Plaut. Am. 1, 1, 39; cf.: libertatem civibus, Att. ap. Cic. Sest. 58, 123: “rem publicam (o evertere),” Cic. Fin. 4, 24, 65; so, “rem publicam,” id. Sest. 68, 143: “leges,” id. Leg. 1, 23, 62: “nisi haec urbs stabilita tuis consiliis erit,” id. Marcell. 9, 29: “matrimonia firmiter,” id. Rep. 6, 2, 2: pacem, concordiam, Pseud.-Sall. Rep. Ordin. 1 fin. (p. 267 Gerl.): “res Capuae stabilitas Romana disciplina,” Liv. 9, 20: “nomen equestre in consulatu (Cicero),” Plin. 33, 2, 8, § 34: “(aegrum) ad retinendam patientiam,” to strengthen, fortify him, Gell. 12, 5, 3. While Grice’s play with ‘estaablished’ is in the second metabolical stage of his programmewhere ‘means’ applies to things other than the emissor, surely metaphoricallyhe is allowing that ‘estabalish’ may be used in the one-off predicament. By drawing a skull, U is establishing a procedure. Grice notably wants to make ‘established’ a weaker variant of ‘conventional.’ So that x, whatever, may be ‘established’ but not ‘conventional.’ In fact, it can be argued that to establish you have to do it at least once. Cfr. ‘settled. ‘Greenwich, Conn., settled in 1639.’ ‘Established’ Surely it would be obtuse to say that Greenwich, Conn. Was “conventionalized”.

 

status -- state, Grice: “I will use the phrase ‘state of the soul’This may sound pedantic, and it is!”“I will use ‘psychological state,’ where the more correct phrase would be ‘state’ of the ‘soul,’ since theoryas in ‘-logical,’ has nothing to do with it. Now you’ll wonder if the soul has states. A state of the soulor a ‘frame of mind,’ as Strawson wrongly puts itis a physical state on which a ‘state’ of the soul supervenes, alla Funcionalism”“Note that a ’state’ of the soul may be quite specific and involving other states, like the belief that Strawson’s dog is shaggy.”“A state is anything that follows a ‘that’-clause; the way an object or system basically is; the fundamental, intrinsic properties of an object or system, and the basis of its other properties. An instantaneous state is a state at a given time. State variables are constituents of a state whose values may vary with time. In classical or Newtonian mechanics the instantaneous state of an n-particle system consists of the positions and momenta masses multiplied by velocities of the n particles at a given time. Other mechanical properties are functions of those in states. Fundamental and derived properties are often, though possibly misleadingly, called observables. The set of a system’s possible states can be represented as an abstract phase space or state space, with dimensions or coordinates for the components of each state variable. In quantum theory, states do not fix the particular values of observables, only the probabilities of observables assuming particular values in particular measurement situations. For positivism or instrumentalism, specifying a quantum state does nothing more than provide a means for calculating such probabilities. For realism, it does more  e.g., it refers to the basis of a quantum system’s probabilistic dispositions or propensities. Vectors in Hilbert spaces represent possible states, and Hermitian operators on vectors represent observables.  -- state of affairs: Grice: “My poor friend D. F. Pears got himself into a lot of trouble by offering to correct C. K. Ogden’s passe translation of Vitters’s Tractatus!” a possibility, actuality, or impossibility of the kind expressed by a nominalization of a declarative sentence. The declarative sentence ‘This die comes up six’ can be nominalized either through the construction ‘that this die comes up six’ or through the likes of ‘this die’s coming up six’. The resulting nominalizations might be interpreted as naming corresponding propositions or states of affairs. States of affairs come in several varieties. Some are possible states of affairs, or possibilities. Consider the possibility of a certain die coming up six when rolled next. This possibility is a state of affairs, as is its “complement”  the die’s not coming up six when rolled next. There is in addition the state of affairs which conjoins that die’s coming up six with its not coming up six. And this contradictory state of affairs is of course not a possibility, not a possible state of affairs. Moreover, for every actual state of affairs there is a non-actual one, its complement. For every proposition there is hence a state of affairs: possible or impossible, actual or not. Indeed some consider propositions to be states of affairs. Some take facts to be actual states of affairs, while others prefer to define them as true propositions. If propositions are states of affairs, then facts are of course both actual states of affairs and true propositions. In a very broad sense, events are just possible states of affairs; in a narrower sense they are contingent states of affairs; and in a still narrower sense they are contingent and particular states of affairs, involving just the exemplification of an nadic property by a sequence of individuals of length n. In a yet narrower sense events are only those particular and contingent states of affairs that entail change. A baseball’s remaining round throughout a certain period does not count as an event in this narrower sense but only as a state of that baseball, unlike the event of its being hit by a certain bat. 

 

statistics: Grice: “I shall use the singular, ‘statistic’”  -- statistical explanation. Grice: “Jill says, “Jack is an Englishman; he is, therefore, brave.” Is the validty of her reasoning based on statistics?” -- an explanation expressed in an explanatory argument containing premises and conclusions making claims about statistical probabilities. These arguments include deductions of less general from more general laws and differ from other such explanations only insofar as the contents of the laws imply claims about statistical probability. Most philosophical discussion in the latter half of the twentieth century has focused on statistical explanation of events rather than laws. This type of argument was discussed by Ernest Nagel The Structure of Science, 1 under the rubric “probabilistic explanation,” and by Hempel Aspects of Scientific Explanation, 5 as “inductive statistical” explanation. The explanans contains a statement asserting that a given system responds in one of several ways specified by a sample space of possible outcomes on a trial or experiment of some type, and that the statistical probability of an event represented by a set of points in the sample space on the given kind of trial is also given for each such event. Thus, the statement might assert that the statistical probability is near 1 of the relative frequency r/n of heads in n tosses being close to the statistical probability p of heads on a single toss, where the sample space consists of the 2n possible sequences of heads and tails in n tosses. Nagel and Hempel understood such statistical probability statements to be covering laws, so that inductive-statistical explanation and deductivenomological explanation of events are two species of covering law explanation. The explanans also contains a claim that an experiment of the kind mentioned in the statistical assumption has taken place e.g., the coin has been tossed n times. The explanandum asserts that an event of some kind has occurred e.g., the coin has landed heads approximately r times in the n tosses. In many cases, the kind of experiment can be described equivalently as an n-fold repetition of some other kind of experiment as a thousandfold repetition of the tossing of a given coin or as the implementation of the kind of trial thousand-fold tossing of the coin one time. Hence, statistical explanation of events can always be construed as deriving conclusions about “single cases” from assumptions about statistical probabilities even when the concern is to explain mass phenomena. Yet, many authors controversially contrast statistical explanation in quantum mechanics, which is alleged to require a singlecase propensity interpretation of statistical probability, with statistical explanation in statistical mechanics, genetics, and the social sciences, which allegedly calls for a frequency interpretation. The structure of the explanatory argument of such statistical explanation has the form of a direct inference from assumptions about statistical probabilities and the kind of experiment trial which has taken place to the outcome. One controversial aspect of direct inference is the problem of the reference class. Since the early nineteenth century, statistical probability has been understood to be relative to the way the experiment or trial is described. Authors like J. Venn, Peirce, R. A. Fisher, and Reichenbach, among many others, have been concerned with how to decide on which kind of trial to base a direct inference when the trial under investigation is correctly describable in several ways and the statistical probabilities of possible outcomes may differ relative to the different sorts of descriptions. The most comprehensive discussion of this problem of the reference class is found in the work of H. E. Kyburg e.g., Probability and the Logic of Rational Belief, 1. Hempel acknowledged its importance as an “epistemic ambiguity” in inductive statistical explanation. Controversy also arises concerning inductive acceptance. May the conclusion of an explanatory direct inference be a judgment as to the subjective probability that the outcome event occurred? May a judgment that the outcome event occurred is inductively “accepted” be made? Is some other mode of assessing the claim about the outcome appropriate? Hempel’s discussion of the “nonconjunctiveness of inductivestatistical” explanation derives from Kyburg’s earlier account of direct inference where high probability is assumed to be sufficient for acceptance. Non-conjunctiveness has been avoided by abandoning the sufficiency of high probability I. Levi, Gambling with Truth, 7 or by denying that direct inference in inductive-statistical explanation involves inductive acceptance at all R. C. Jeffrey, “Statistical Explanation vs. Statistical Inference,” in Essays in Honor of C. G. Hempel. Refs.: H. P. Grice, “Jack and Jill.”

 

stefani – Grice: “I may well say that my idea of a propositional complex owes much to Stefani’s obsession with ‘sensus’ simplex or ‘divisus, and ‘sensus compositum’ –“ “The opposite of ‘com-posito’ is de-posito, though!” --  Grice: “I like his diagrammes; The Boedlian have loads of his mss!” Grice: “He has a figure for the ‘figura quadrata,’ –“. Grice: “He has a figure for ‘suppositio.’” -- Pergola: Paolo Stefani (Pergola), filosofo. Fu il membro più noto di una famiglia di insegnanti marchigiani. Fu avviato alla carriera ecclesiastica nella città natale, ma presto strasferì a Venezia dove già viveva il nonno Stefano Stefani, gli zii Lino e Pietro, insegnanti, e forse anche il padre Antonio.  Fu allievo di Nicollini. La sua opera più importante è il “De sensu composito et diviso”  Fu insegnante a  Rialto.  Nominato vescovo di Capodistria, rinunciò alla carica per non distaccarsi dalla filosofia.  Fu sepolto nella chiesa di San Giovanni Elemosinario di Venezia dove gli fu anche costruito un monumento a pubbliche spese. Vi resta solo una lapide, in quanto l'edificio fu distrutto da un incendio. Opere: “Dubia in consequentias Strodi,” “In regulas insolubilium,” “De scire e dubitare,” “Compendium Logicae,” “Logica,” “Tractatus de sensu composito et diviso, edito da M. Brown, S Dino Buzzetti, Paolo della Pergola, in Dizionario biografico degli italiani,  81, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Fonte: Dizionario di filosofia, riferimenti. Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  su ALCUIN, Ratisbona.   Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Stefani.”

 

stillingfleet: English divine and controversialist who first made his name with “Irenicum,” using natural-law doctrines to oppose religious sectarianism. His “Origines Sacrae” ostensibly on the superiority of the Scriptural record over other forms of ancient history, was for its day a learned study in the moral certainty of historical evidence, the authority of testimony, and the credibility of miracles. In drawing eclectically on philosophy from antiquity to the Cambridge Platonists, he was much influenced by the Cartesian theory of ideas, but later repudiated Cartesianism for its mechanist tendency. For three decades he pamphleteered on behalf of the moral certainty of orthodox Protestant belief against what he considered the beliefs “contrary to reason” of Roman Catholicism. This led to controversy with Unitarian and deist writers who argued that mysteries like the Trinity were equally contrary to “clear and distinct” ideas. He was alarmed at the use made of Locke’s “new,” i.e. nonCartesian, way of ideas by John Toland in Christianity not Mysterious, and devoted his last years to challenging Locke to prove his orthodoxy. The debate was largely over the concepts of substance, essence, and person, and of faith and certainty. Locke gave no quarter in the public controversy, but in the fourth edition of his Essay he silently amended some passages that had provoked Stillingfleet. 

 

stochasis: stochastic process –“"pertaining to conjecture," from Greek stokhastikos "able to guess, conjecturing," from stokhazesthai "to guess, aim at, conjecture," from stokhos "a guess, aim, fixed target, erected pillar for archers to shoot at," perhaps from PIE *stogh-, variant of root *stegh- "to stick, prick, sting." The sense of "randomly determined" is from 1934, from German stochastik (1917). a process that evolves, as time goes by, according to a probabilistic principle rather than a deterministic principle. Such processes are also called random processes, but ‘stochastic’ does not imply complete disorderliness. The principle of evolution governing a stochastic or random process is precise, though probabilistic, in form. For example, suppose some process unfolds in discrete successive stages. And suppose that given any initial sequence of stages, S1, S2, . . . , Sn, there is a precise probability that the next stage Sn+1 will be state S, a precise probability that it will be SH, and so on for all possible continuations of the sequence of states. These probabilities are called transition probabilities. An evolving sequence of this kind is called a discrete-time stochastic process, or discrete-time random process. A theoretically important special case occurs when transition probabilities depend only on the latest stage in the sequence of stages. When an evolving process has this property it is called a discrete-time Markov process. A simple example of a discrete-time Markov process is the behavior of a person who keeps taking either a step forward or a step back according to whether a coin falls heads or tails; the probabilistic principle of movement is always applied to the person’s most recent position. The successive stages of a stochastic process need not be discrete. If they are continuous, they constitute a “continuous-time” stochastic or random process. The mathematical theory of stochastic processes has many applications in science and technology. The evolution of epidemics, the process of soil erosion, and the spread of cracks in metals have all been given plausible models as stochastic processes, to mention just a few areas of research.  H. P. Grice, “Stochastic implicatum.”

 

Stoa -- Stoicus: stoicism -- Neo-stoicism -- du Vair, Guillaume, philosopher, bishop, and political figure. Du Vair and Justus Lipsius were the two most influential propagators of neo-Stoicism in early modern Europe. Du Vair’s Sainte Philosophie “Holy Philosophy,” 1584 and his shorter Philosophie morale des Stoïques “Moral Philosophy of the Stoics,” 1585, were tr. and frequently reprinted. The latter presents Epictetus in a form usable by ordinary people in troubled times. We are to follow nature and live according to reason; we are not to be upset by what we cannot control; virtue is the good. Du Vair inserts, moreover, a distinctly religious note. We must be pious, accept our lot as God’s will, and consider morality obedience to his command. Du Vair thus Christianized Stoicism, making it widely acceptable. By teaching that reason alone enables us to know how we ought to live, he became a founder of modern rationalism in ethics. Stōĭcus , a, um, adj., = Στωϊκός, I.of or belonging to the Stoic philosophy or to the Stoics, Stoic: “schola,” Cic. Fam. 9, 22 fin.: “secta,” Sen. Ep. 123, 14: “sententia,” id. ib. 22, 7: “libelli,” Hor. Epod. 8, 15: “turba,” Mart. 7, 69, 4: “dogmata,” Juv. 13, 121: “disciplina,” Gell. 19, 1, 1: “Stoicum est,” it is a saying of the Stoics, Cic. Ac. 2, 26, 85: “non loquor tecum Stoicā linguā, sed hac submissiore,” Sen. Ep. 13, 4: “est aliquid in illo Stoici dei: nec cor nec caput habet,” Sen. Apoc. 8.— Subst.: Stōĭcus , i, m., a Stoic philosopher, a Stoic, Cic. Par. praef. § 2; Hor. S. 2, 3, 160; 2, 3, 300; plur., Cic. Mur. 29, 61; and in philosophical writings saepissime.— 2. Stōĭca , ōrum, n. plur., the Stoic philosophy, Cic. N. D. 1, 6, 15.—Adv.: Stōĭcē , like a Stoic, Stoically: “agere austere et Stoice,” Cic. Mur. 35, 74: dicere, id. Par. praef. § 3.H. P. Grice, “The Stoa: from Athenian to Oxonian dialectic,” H. P. Grice, “The Stoa and Athenian dialectic.”  H. P. Grice: “The Stoa and Athenian dialectic.” -- stoicism, one of the three leading movements constituting Hellenistic philosophy. Its founder was Zeno of Citium, who was succeeded as school head by Cleanthes. But the third head, Chrysippus, was its greatest exponent and most voluminous writer. These three are the leading representatives of Early Stoicism. No work by any early Stoic survives intact, except Cleanthes’ short “Hymn to Zeus.” Otherwise we are dependent on doxography, on isolated quotations, and on secondary sources, most of them hostile. Nevertheless, a remarkably coherent account of the system can be assembled. The Stoic world is an ideally good organism, all of whose parts interact for the benefit of the whole. It is imbued with divine reason logos, its entire development providentially ordained by fate and repeated identically from one world phase to the next in a never-ending cycle, each phase ending with a conflagration ekpyrosis. Only bodies strictly “exist” and can interact. Body is infinitely divisible, and contains no void. At the lowest level, the world is analyzed into an active principle, god, and a passive principle, matter, both probably corporeal. Out of these are generated, at a higher level, the four elements air, fire, earth, and water, whose own interaction is analogous to that of god and matter: air and fire, severally or conjointly, are an active rational force called breath Grecian pneuma, Latin spiritus, while earth and water constitute the passive substrate on which these act, totally interpenetrating each other thanks to the non-particulate structure of body and its capacity to be mixed “through and through.” Most physical analysis is conducted at this higher level, and pneuma becomes a key concept in physics and biology. A thing’s qualities are constituted by its pneuma, which has the additional role of giving it cohestochastic process Stoicism 879   879 sion and thus an essential identity. In inanimate objects this unifying pneuma is called a hexis state; in plants it is called physis nature; and in animals “soul.” Even qualities of soul, e.g. justice, are portions of pneuma, and they too are therefore bodies: only thus could they have their evident causal efficacy. Four incorporeals are admitted: place, void which surrounds the world, time, and lekta see below; these do not strictly “exist”  they lack the corporeal power of interaction  but as items with some objective standing in the world they are, at least, “somethings.” Universals, identified with Plato’s Forms, are treated as concepts ennoemata, convenient fictions that do not even earn the status of “somethings.” Stoic ethics is founded on the principle that only virtue is good, only vice bad. Other things conventionally assigned a value are “indifferent” adiaphora, although some, e.g., health, wealth, and honor, are naturally “preferred” proegmena, while their opposites are “dispreferred” apoproegmena. Even though their possession is irrelevant to happiness, from birth these indifferents serve as the appropriate subject matter of our choices, each correct choice being a “proper function” kathekon  not yet a morally good act, but a step toward our eventual end telos of “living in accordance with nature.” As we develop our rationality, the appropriate choices become more complex, less intuitive. For example, it may sometimes be more in accordance with nature’s plan to sacrifice your wealth or health, in which case it becomes your “proper function” to do so. You have a specific role to play in the world plan, and moral progress prokope consists in learning it. This progress involves widening your natural “affinity” oikeiosis: an initial concern for yourself and your parts is later extended to those close to you, and eventually to all mankind. That is the Stoic route toward justice. However, justice and the other virtues are actually found only in the sage, an idealized perfectly rational person totally in tune with the divine cosmic plan. The Stoics doubted whether any sages existed, although there was a tendency to treat at least Socrates as having been one. The sage is totally good, everyone else totally bad, on the paradoxical Stoic principle that all sins are equal. The sage’s actions, however similar externally to mere “proper functions,” have an entirely distinct character: they are renamed ‘right actions’ katorthomata. Acting purely from “right reason,” he is distinguished by his “freedom from passion” apatheia: morally wrong impulses, or passions, are at root intellectual errors of mistaking what is indifferent for good or bad, whereas the sage’s evaluations are always correct. The sage alone is happy and truly free, living in perfect harmony with the divine plan. All human lives are predetermined by the providentially designed, all-embracing causal nexus of fate; yet being the principal causes of their actions, the good and the bad alike are responsible for them: determinism and morality are fully compatible. Stoic epistemology defends the existence of cognitive certainty against the attacks of the New Academy. Belief is described as assent synkatathesis to an impression phantasia, i.e. taking as true the propositional content of some perceptual or reflective impression. Certainty comes through the “cognitive impression” phantasia kataleptike, a self-certifying perceptual representation of external fact, claimed to be commonplace. Out of sets of such impressions we acquire generic conceptions prolepseis and become rational. The highest intellectual state, knowledge episteme, in which all cognitions become mutually supporting and hence “unshakable by reason,” is the prerogative of the wise. Everyone else is in a state of mere opinion doxa or of ignorance. Nevertheless, the cognitive impression serves as a “criterion of truth” for all. A further important criterion is prolepseis, also called common conceptions and common notions koinai ennoiai, often appealed to in philosophical argument. Although officially dependent on experience, they often sound more like innate intuitions, purportedly indubitable. Stoic logic is propositional, by contrast with Aristotle’s logic of terms. The basic unit is the simple proposition axioma, the primary bearer of truth and falsehood. Syllogistic also employs complex propositions  conditional, conjunctive, and disjunctive  and rests on five “indemonstrable” inference schemata to which others can be reduced with the aid of four rules called themata. All these items belong to the class of lekta  “sayables” or “expressibles.” Words are bodies vibrating portions of air, as are external objects, but predicates like that expressed by ‘ . . . walks’, and the meanings of whole sentences, e.g., ‘Socrates walks’, are incorporeal lekta. The structure and content of both thoughts and sentences are analyzed by mapping them onto lekta, but the lekta are themselves causally inert. Conventionally, a second phase of the school is distinguished as Middle Stoicism. It developed largely at Rhodes under Panaetius and Posidonius, both of whom influenced the presentation of Stoicism in Cicero’s influential philosophical treatises mid-first century B.C.. Panaetius Stoicism Stoicism 880   880 c.185c.110 softened some classical Stoic positions, his ethics being more pragmatic and less concerned with the idealized sage. Posidonius c.135c.50 made Stoicism more open to Platonic and Aristotelian ideas, reviving Plato’s inclusion of irrational components in the soul. A third phase, Roman Stoicism, is the only Stoic era whose writings have survived in quantity. It is represented especially by the younger Seneca A.D. c.165, Epictetus A.D. c.55c.135, and Marcus Aurelius A.D. 12180. It continued the trend set by Panaetius, with a strong primary focus on practical and personal ethics. Many prominent Roman political figures were Stoics. After the second century A.D. Stoicism as a system fell from prominence, but its terminology and concepts had by then become an ineradicable part of ancient thought. Through the writings of Cicero and Seneca, its impact on the moral and political thought of the Renaissance was immense. 

 

stoutianism: philosophical psychologist, astudent of Ward, he was influenced by Herbart and especially Brentano. He influenced Grice to the point that Grice called himself “a true Stoutian.”  He was editor of Mind 20. He followed Ward in rejecting associationism and sensationism, and proposing analysis of mind as activity rather than passivity, consisting of acts of cognition, feeling, and conation. Stout stressed attention as the essential function of mind, and argued for the goal-directedness of all mental activity and behavior, greatly influencing McDougall’s hormic psychology. He reinterpreted traditional associationist ideas to emphasize primacy of mental activity; e.g., association by contiguity  a passive mechanical process imposed on mind  became association by continuity of attentional interest. With Brentano, he argued that mental representation involves “thought reference” to a real object known through the representation that is itself the object of thought, like Locke’s “idea.” In philosophy he was influenced by Moore and Russell. His major works are Analytic Psychology 6 and Manual of Psychology 9.

 

strato: Grecian philosopher and polymath nicknamed “the Physicist” for his innovative ideas in natural science. He succeeded Theophrastus as head of the Lyceum. Earlier he served as royal tutor in Alexandria, where his students included Aristarchus, who devised the first heliocentric model. Of Strato’s many writings only fragments and summaries survive. These show him criticizing the abstract conceptual analysis of earlier theorists and paying closer attention to empirical evidence. Among his targets were atomist arguments that motion is impossible unless there is void, and also Aristotle’s thesis that matter is fully continuous. Strato argued that no large void occurs in nature, but that matter is naturally porous, laced with tiny pockets of void. His investigations of compression and suction were influential in ancient physiology. In dynamics, he proposed that bodies have no property of lightness but only more or less weight. 

 

strawson: Grice’s tutee. b.9, London-born, Oxford-educated philosopher who has made major contributions to logic, metaphysics, and the study of Kant. His career has been mainly at Oxford (he spent a term in Wales and visited the New World a lot), where he was the leading philosopher of his generation, due to that famous tutor he had for his ‘logic paper’: H. P. Grice, at St. John’s. His first important work, “On Referring” argues that Baron Russell’s theory of descriptions fails to deal properly with the role of descriptions as “referring expressions” because Russell assumed the “bogus trichotomy” that sentences are true, false, or meaningless: for Strawson, sentences with empty descriptions are meaningful but “neither true nor false” because the general presuppositions governing the use of referring expressions are not fulfilled. One aspect of this argument was Russell’s alleged insensitivity to the ordinary use of definite descriptions. The contrast between the abstract schemata of formal logic and the manifold richness of the inferences inherent in ordinary language is the central theme of Strawson’s “ Introduction to Logical Theory,” where he credits H. P. Grice for making him aware of ‘pragmatic rules’ of conversationGrice was amused that Baron Russell cared to respond to Strawson in “Mind”where Russell’s original “On denoting” had been published. Together, after a joint seminar with Quine, Strawson submitted “In defense of a dogma,” co-written with GriceA year later Strawson submitted on Grice’s behalf “Meaning” to the same journalThey participated with Pears in a Third programme lecture, published by Pears in “The nature of metaphysics” (London, Macmillan”). In Individuals, provocatively entitled “an essay in DESCRIPTIVE (never revisionary) metaphysics,” Strawson, drawing “without crediting” on joint seminars with Grice on Categories and De Interpretatione, Strawson  reintroduced metaphysics as a respectable philosophical discipline after decades of positivist rhetoric. But his project is only “descriptive” metaphysics  elucidation of the basic features of our own conceptual scheme  and his arguments are based on the philosophy of language: “basic” particulars are those like “Grice” or his “cricket bat”, which are basic objects of reference, and it is the spatiotemporal and sortal conditions for their identification and reidentification by speakers that constitute the basic categories. Three arguments are especially famous. First, even in a purely auditory world objective reference on the basis of experience requires at least an analogue of space. Second, because self-reference presupposes reference to others, persons, conceived as bearers of both physical and psychological properties, are a type of basic particularcfr. Grice on “Personal identity.” Third, “feature-placing” discourse, such as ‘it is snowing here now’, is “the ultimate propositional level” through which reference to particulars enters discourse. Strawson’s next book, The Bounds of Sense 6, provides a critical reading of Kant’s theoretical philosophy. His aim is to extricate what he sees as the profound truths concerning the presuppositions of objective experience and judgment that Kant’s transcendental arguments establish from the mysterious metaphysics of Kant’s transcendental idealism. Strawson’s critics have argued, however, that the resulting position is unstable: transcendental arguments can tell us only what we must suppose to be the case. So if Kant’s idealism, which restricts such suppositions to things as they appear to us, is abandoned, we can draw conclusions concerning the way the world itself must be only if we add the verificationist thesis that ability to make sense of such suppositions requires ability to verify them. In his next book, Skepticism and Naturalism: Some Varieties 5, Strawson conceded this: transcendental arguments belong within descriptive metaphysics and should not be regarded as attempts to provide an external justification of our conceptual scheme. In truth no such external justification is either possible or needed: instead  and here Strawson invokes Hume rather than Kant  our reasonings come to an end in natural propensities for belief that are beyond question because they alone make it possible to raise questions. In a famous earlier paper Strawson had urged much the same point concerning the free will debate: defenders of our ordinary attitudes of reproach and gratitude should not seek to ground them in the “panicky metaphysics” of a supra-causal free will; instead they can and need do no more than point to our unshakable commitment to these “reactive” attitudes through which we manifest our attachment to that fundamental category of our conceptual scheme  persons.  strawsonise: verb invented by A. M. Kemmerling. To adopt Strawson’s manoever in the analysis of ‘meaning.’ “A form of ‘disgricing,’”Kemmerling adds.  strawsonismGrice’s favourite Strawsonisms were too many to count. His first was Strawson on ‘true’ for ‘Analysis.’ Grice was amazed by the rate of publishing in Strawson’s case. Strawson kept publishing and Grice kept criticizing. In “Analysis,’ Strawson gives Grice his first ‘strawsonism’ “To say ‘true’ is ditto.’ The second strawsonism is that there is such a thing as ‘ordinary language’ which is not Russellian. As Grice shows, ordinary language IS Russellian. Strawson said that composing “In defence of a dogma” was torture and that it is up to Strawson to finish the thing off.  So there are a few strawonisms there, too. Strawson had the courtesy never to reprint ‘In defence’ in any of his compilations, and of course to have Grice as fist author. There are ‘strawsonisms’ in Grice’s second collaboration with Strawsonthat Grice intentionally ignores in “Life and opinions.” This is a transcript of the talk of the dynamic trio: Grice, Pears, and Strawson, published three years later by Pears in “The nature of metaphysics.” Strawson collaborated with “If and the horseshoe” to PGRICE, but did not really write it for the occasion. It was an essay he had drafted ages ago, and now saw fit to publish. He expands on this in his note on Grice for the British Academy, and in his review of Grice’s compilation. Grice makes an explicit mention of Strawson in a footnote in “Presupposition and conversational implicaturum,” the euphemism he uses is ‘tribute’: the refutation of Strawson’s truth-value gap as a metaphysical excrescence and unnecessary is called a ‘tribute,’ coming from the tutor“in this and other fields,” implicating, “there may be mistakes all over the place.” Kemmerling somewhat ignores Urmson when he says, “Don’t disgrice if you can grice.” To strawsonise, for Kemmerling is to avoid Grice’s direct approach and ask for a higher-level intention. To strawsonise is the first level of disgrice. But Grice first quotes Urmson and refers to Stampe’s briddge example before he does to Strawson’s rat-infested house example. strawson’s rat-infested house. Few in Grice’s playgroup had Grice’s analytic skills. Only a few cared to join him in his analysis of ‘mean.’ The first was Urmson with the ‘bribe.’ The second was Strawson, with his rat-infested house. Grice re-writes Strawson’s alleged counterexample. To deal with his own rat-infested house example, Strawson proposes that the analysans of "U means that p" might be restricted by the addition of a further condition, namely that the utterer U should utter x not only, as already provided, with the intention that his addressee should think that U intends to obtain a certain response from his addressee, but also with the intention that his addressee should think (recognize) that U has the intention just mentioned. In Strawson's example, in The Philosohical Review (that Grice cites on WOW:x) repr. in his "Logico-Linguistic Papers," the potential home buyer is intended to think that the realtor wants him to think that the house is rat-infested. However, the potential house-buyer is not intended by the realtor to think that he is intended to think that the realtor wants him to think that the house is rat infested. The addressee is intended to think that it is only as a result of being too clever for the realtor that he has learned that the potential home buyer wants him to think that the house is rat-infested; the potential home-buyer is to think that he is supposed to take the artificially displayed dead rat  as a evidence that the house is rat infested. U wants to get A to believe that the house A is thinking of buying is rat-infested. S decides tobring about this belief in A by taking into the house and letting loose a big fat sewer rat. For S has the following scheme. He knows that A is watching him and knows that A believes that S is unaware that he, A, is watching him. It isS's intention that A should (wrongly) infer from the fact that S let the rat loose that S did so with the intention that A should arrive at the house, see the rat, and, taking the rat as "natural evidence", infer therefrom that the house is rat-infested. S further intends A to realize that given the nature of the rat's arrival, the existence of the rat cannot be taken as genuine or natural evidence that the house is rat-infested; but S kilows that A will believe that S would not so contrive to get A to believe the house is rat-infested unless Shad very good reasons for thinking that it was, and so S expects and intends A to infer that the house is rat-infested from the fact that Sis letting the rat loose with the intention of getting A to believe that the house is rat-infested. Thus S satisfies the conditions purported to be necessary and sufficient for his meaning something by letting the rat loose: S lets the rat loose intending (4) A to think that the house is rat-infested, intending (1)-(3) A to infer from the fact that S let the rat loose that S did so intending A to think that the house is rat-infested, and intending (5) A's recognition of S's . intention (4) to function as his reason for thinking that the house is rat-infested. But even though S's action meets these conditions, Strawson feels that his scenario fits Grice's conditions in Grice's reductive analysis and not yet Strawson's intuition about his own use of 'communicate.' To minimise Strawson's discomfort, Grice brings an anti-sneaky clause. ("Although I never shared Strawson's intuition about his use of 'communicate;' in fact, I very rarely use 'communicate that...' To exterminate the rats in Strawson's rat-infested house, Grice uses, as he should, a general "anti-deception" clause. It may be that the use of this exterminating procedure is possible. It may be that any 'backward-looking' clauses can be exterminated, and replaced by a general prohibitive, or closure clause, forbidding an intention by the utterer to be sneaky. It is a conceptual point that if you intend your addressee NOT TO REALISE that p, you are not COMMUNICATING that p. (3A) (if) (3r) (ic): (a) U utters x intending (I) A to think x possesses f (2) A to thinkf correlated in way c with the type to which r belongs (3) A to think, on the basis of the fulfillment of (I) and (3) that U intends A to produce r (4) A, on the basis of the fulfillment of (3) to produce r, and (b) There is no inference-element E such that U intends both (I') A in his determination of r to rely on E (2') A to think Uto intend (I') to be false. In the final version Grice reaches after considering alleged counterexamples to the NECESSITY of some of the conditions in the analysans, Grice reformulates. It is not the case that, for some inference element E, U intends x to be such that anyone who has φ both rely on E in coming to ψ, or think that U ψ-s, that p and  think that (Ǝφ) U intends x to be such that anyone who has φ come to ψ (or think that U ψ-s) that p without relying on E. Embedded in the general definition. By uttering x, U means that-ψ­b-d≡ (Ǝφ)(Ǝf)(Ǝc) U utters x  intending x to be such that anyone who has φ think that x has f, f is correlated in way c with ψ-ing that p, and (Ǝφ') U intends x to be such that anyone who has φ' think, via thinking that x has f and that f is correlated in way c with ψ-ing that p, that U ψ-s that p, and in view of (Ǝφ') U intending x to be such that anyone who has φ' think, via thinking that x has f, and f is correlated in way c with ψ-ing that p, that U ψ-s that p, U ψ-s that p, and, for some substituends of ψb-d, U utters x intending that, should there actually be anyone who has φ, he will, via thinking in view of (Ǝφ') U intending x to be such that anyone who has φ' think, via thinking that x has f, and  f is correlated in way c with ψ-ing that p, that U ψ-s that p, U ψ-s that p himself ψ that p, and it is not the case that, for some inference element E, U intends x to be such that anyone who has φ both rely on E in coming to ψ, or think that U ψ-s, that p and  think that (Ǝφ) U intends x to be such that anyone who has φ come to ψ (or think that U ψ-s) that p without relying on E,

 

stimulus-response -- poverty of the stimulus, a psychological phenomenon exhibited when behavior is stimulusunbound, and hence the immediate stimulus characterized in straightforward physical terms does not completely control behavior. Human beings sort stimuli in various ways and hosts of influences seem to affect when, why, and how we respond  our background beliefs, facility with language, hypotheses about stimuli, etc. Suppose a person visiting a museum notices a painting she has never before seen. Pondering the unfamiliar painting, she says, “an ambitious visual synthesis of the music of Mahler and the poetry of Keats.” If stimulus painting controls response, then her utterance is a product of earlier responses to similar stimuli. Given poverty of the stimulus, no such control is exerted by the stimulus the painting. Of course, some influence of response must be conceded to the painting, for without it there would be no utterance. However, the utterance may well outstrip the visitor’s conditioning and learning history. Perhaps she had never before talked of painting in terms of music and poetry. The linguist Noam Chomsky made poverty of the stimulus central to his criticism of B. F. Skinner’s Verbal Behavior 7. Chomsky argued that there is no predicting, and certainly no critical stimulus control of, much human behavior.

 

strozzi: Important Italian philosopher, especially influential at what Grice called Italy’s Oxford, i. e. Firenze“Palla Strozzi was more a mentor than a philosopher, but I would consider him both a Grecian and Griceian in spirit.”  --  Palla Strozzi   Palla e Lorenzo Strozzi, dettaglio dell'Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano (1423) Palla di Onofrio Strozzi (o Palla di Noferi) (Firenze, 1372Padova, 18 maggio 1462) banchiere, politico, letterato, filosofo e filologo italiano.   Stemma degli Strozzi  Grazie alla ricchezza accumulata nelle ultime generazioni dalla sua famiglia degli Strozzi, il padre poté far istruire il figlio da letterati ed umanisti, e grazie all'interesse e all'intelligenza, Palla divenne di fatto uno dei più fini uomini di cultura fiorentini del suo tempo.  Ricco e colto, commissionò numerose opere d'arte, tra le quali la Cappella Strozzi (oggi Sagrestia) nella Basilica di Santa Trinita, opera di Filippo Brunelleschi e Lorenzo Ghiberti (1419-1423). La cappella, progetto irrealizzato del padre Noferi, venne fatta erigere in sua memoria da Palla dopo la morte, e ne ospitò la sepoltura monumentale. Per questo ambiente commissionò l'Adorazione dei Magi a Gentile da Fabriano e la Deposizione dalla Croce a Lorenzo Monaco, terminata poi da Beato Angelico che ne fece uno dei suoi capolavori.  L'opposizione ai Medici Collezionista di libri rari e conoscitore del greco e del latino, si trovò già sessantenne invischiato nell'opposizione strenua contro Cosimo de' Medici.  Cosimo il Vecchio infatti era l'uomo che per la prima volta si era di fatto preso tutto il potere cittadino, grazie a un sistema di clientelismo con uomini chiave alla guida degli uffici della Repubblica fiorentina. Davanti a Cosimo solo due strade erano possibili: l'alleanza accettando un ruolo subordinato o lo scontro frontale; e Palla, forte della sua ricchezza e fiero della propria cultura, fu a capo della fazione antimedicea assieme ad un altro oligarca indomabile, Rinaldo degli Albizi.  In un primo momento la fortuna arrise alla sua fazione, riuscendo ad ottenere prima l'incarcerazione di Cosimo, poi la dichiarazione del medesimo come magnate, cioè tiranno, ed il suo conseguente esilio dalla città (1433). L'obiettivo dello Strozzi comunque non era tanto l'eliminazione di un avversario, ma la restaurazione della libertas fiorentina e in questo fu diverso dall'alleato Rinaldo degli Albizi.  Intanto Cosimo mandava già segni di prepararsi a un rientro, che avvenne puntuale al cambio di governo con il veloce avvicendamento dei gonfalonieri, meno di un anno dopo la sua partenza da Firenze.  L'esilio Tra i primi provvedimenti vi è proprio la vendetta sugli avversari, con l'esilio delle famiglie degli Albizi e degli Strozzi, e in questo Cosimo fu favorito anche dall'appoggio popolare che lui e la sua casata si erano saputi conquistare.  Nel 1434 quindi lo Strozzi parte per Padova, dove si preparava per un rientro che non avvenne mai. La sua casa di Padova, nella quale egli visse una seconda giovinezza, fu un ritrovo di artisti e letterati, nel periodo d'oro quando la città veneta era uno dei centri culturali più notevoli della penisola italiana, per certi risultati artistici più importante della stessa Firenze (si pensi ai capolavori lasciati proprio da due fiorentini come Giotto o Donatello).  Lasciò la sua raccolta di libri rari, arricchita ulteriormente durante il suo soggiorno padovano, al monastero di Santa Giustina. Morì a Padova l'8 maggio 1462, nel suo palazzo verso il Prato della Valle. Fu sepolto nella vicina chiesa di Santa Maria di Betlemme.  Matrimoni e discendenza Dalla moglie Maria Strozzi, sua lontana parente, ebbe undici figli:  Lorenzo (1404-1452) Onofrio (1411-1452) Nicola detto Tita (1412-?) Gianfrancesco (1418-1468 circa) Carlo Bartolomeo Margherita Lena (morta nel 1449, moglie di Felice Brancacci) Ginevra Jacopa (moglie di Giovanni di Paolo Rucellai) Tancia. In tarda età si sposò con una figlia di Felice Brancacci, che lo seguì a Padova.  I suoi discendenti si stabilirono in seguito a Ferrara e diedero origine al ramo ferrarese degli Strozzi (quello di Tito Vespasiano ed Ercole Strozzi).  Onorificenze Cavaliere dello Speron d'oronastrino per uniforme ordinaria Cavaliere dello Speron d'oro  Marcello Vannucci, Le grandi famiglie di Firenze, Roma, Newton Compton Editori, G. Reichenbach, «STROZZI, Palla», in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1936. Roberto Palmarocchi, «La famiglia STROZZI», in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Refs.:Luigi Speranza, "Grice e Strozzi -- Grecian, Griceian," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

structuratum: mid-15c., "action or process of building or construction;" 1610s, "that which is constructed, a building or edifice;" from Latin structura "a fitting together, adjustment; a building, mode of building;" figuratively, "arrangement, order," from structus, past participle of struere "to pile, place together, heap up; build, assemble, arrange, make by joining together," related to strues "heap," from PIE *streu-, extended form of root *stere- "to spread.” structuralism, a distinctive yet extremely wide range of productive research conducted in the social and human sciences from the 0s through the 0s, principally in France. It is difficult to describe structuralism as a movement, because of the methodological constraints exercised by the various disciplines that came to be influenced by structuralism  e.g., anthropology, philosophy, literary theory, psychoanalysis, political theory, even mathematics. Nonetheless, structuralism is generally held to derive its organizing principles from the early twentieth-century work of Saussure, the founder of structural linguistics. Arguing against the prevailing historicist and philological approaches to linguistics, he proposed a “scientific” model of language, one understood as a closed system of elements and rules that account for the production and the social communication of meaning. Inspired by Durkheim’s notion of a “social fact”  that domain of objectivity wherein the psychological and the social orders converge  Saussure viewed language as the repository of discursive signs shared by a given linguistic community. The particular sign is composed of two elements, a phonemic signifier, or distinctive sound element, and a corresponding meaning, or signified element. The defining relation between the sign’s sound and meaning components is held to be arbitrary, i.e., based on conventional association, and not due to any function of the speaking subject’s personal inclination, or to any external consideration of reference. What lends specificity or identity to each particular signifier is its differential relation to the other signifiers in the greater set; hence, each basic unit of language is itself the product of differences between other elements within the system. This principle of differential  and structural  relation was extended by Troubetzkoy to the order of phonemes, whereby a defining set of vocalic differences underlies the constitution of all linguistic phonemes. Finally, for Saussure, the closed set of signs is governed by a system of grammatical, phonemic, and syntactic rules. Language thus derives its significance from its own autonomous organization, and this serves to guarantee its communicative function. Since language is the foremost instance of social sign systems in general, the structural account might serve as an exemplary model for understanding the very intelligibility of social systems as such  hence, its obvious relevance to the broader concerns of the social and human sciences. This implication was raised by Saussure himself, in his Course on General Linguistics6, but it was advanced dramatically by the  anthropologist Claude Lévi-Strauss  who is generally acknowledged to be the founder of modern structuralism  in his extensive analyses in the area of social anthropology, beginning with his Elementary Structures of Kinship 9. Lévi-Strauss argued that society is itself organized according to one form or another of significant communication and exchange  whether this be of information, knowledge, or myths, or even of its members themselves. The organization of social phenomena could thus be clarified through a detailed elaboration of their subtending structures, which, collectively, testify to a deeper and all-inclusive, social rationality. As with the analysis of language, these social structures would be disclosed, not by direct observation, but by inference and deduction from the observed empirical data. Furthermore, since these structures are models of specific relations, which in turn express the differential properties of the component elements under investigation, the structural analysis is both readily formalizable and susceptible to a broad variety of applications. In Britain, e.g., Edmund Leach pursued these analyses in the domain of social anthropology; in the United States, Chomsky applied insights of structuralism to linguistic theory and philosophy of mind; in Italy, Eco conducted extensive structuralist analyses in the fields of social and literary semiotics. With its acknowledgment that language is a rule-governed social system of signs, and that effective communication depends on the resources available to the speaker from within the codes of language itself, the structuralist approach tends to be less preoccupied with the more traditional considerations of “subjectivity” and “history” in its treatment of meaningful discourse. In the post-structuralism that grew out of this approach, the  philosopher Foucault, e.g., focused on the generation of the “subject” by the various epistemic discourses of imitation and representation, as well as on the institutional roles of knowledge and power in producing and conserving particular “disciplines” in the natural and social sciences. These disciplines, Foucault suggested, in turn govern our theoretical and practical notions of madness, criminality, punishment, sexuality, etc., notions that collectively serve to “normalize” the individual subject to their determinations. Likewise, in the domain of psychoanalysis, Lacan drew on the work of Saussure and Lévi-Strauss to emphasize Freud’s concern with language and to argue that, as a set of determining codes, language serves to structure the subject’s very unconscious. Problematically, however, it is the very dynamism of language, including metaphor, metonymy, condensation, displacement, etc., that introduces the social symbolic into the constitution of the subject. Althusser applied the principles of structuralist methodology to his analysis of Marxism, especially the role played by contradiction in understanding infrastructural and superstructural formation, i.e., for the constitution of the historical dialectic. His account followed Marx’s rejection of Feuerbach, at once denying the role of traditional subjectivity and humanism, and presenting a “scientific” analysis of “historical materialism,” one that would be anti-historicist in principle but attentive to the actual political state of affairs. For Althusser, such a philosophical analysis helped provide an “objective” discernment to the historical transformation of social reality. The restraint the structuralists extended toward the traditional views of subjectivity and history dramatically colored their treatment both of the individuals who are agents of meaningful discourse and of the linguistically articulable object field in general. This redirection of research interests particularly in France, due to the influential work of Barthes and Michel Serres in the fields of poetics, cultural semiotics, and communication theory has resulted in a series of original analyses and also provoked lively debates between the adherents of structuralist methodology and the more conventionally oriented schools of thought e.g., phenomenology, existentialism, Marxism, and empiricist and positivist philosophies of science. These debates served as an agency to open up subsequent discussions on deconstruction and postmodernist theory for the philosophical generation of the 0s and later. These post-structuralist thinkers were perhaps less concerned with the organization of social phenomena than with their initial constitution and subsequent dynamics. Hence, the problematics of the subject and history  or, in broader terms, temporality itself  were again engaged. The new discussions were abetted by a more critical appraisal of language and tended to be antiHegelian in their rejection of the totalizing tendency of systematic metaphysics. Heidegger’s critique of traditional metaphysics was one of the major influences in the discussions following structuralism, as was the reexamination of Nietzsche’s earlier accounts of “genealogy,” his antiessentialism, and his teaching of a dynamic “will to power.” Additionally, many poststructuralist philosophers stressed the Freudian notions of the libido and the unconscious as determining factors in understanding not only the subject, but the deep rhetorical and affective components of language use. An astonishing variety of philosophers and critics engaged in the debates initially framed by the structuralist thinkers of the period, and their extended responses and critical reappraisals formed the vibrant, poststructuralist period of  intellectual life. Such figures as Ricoeur, Emmanuel Levinas, Kristeva, Maurice Blanchot, Derrida, Gilles Deleuze, Félix Guattari, Lyotard, Jean Baudrillard, Philippe LacoueLabarthe, Jean-Luc Nancy, and Irigaray inaugurated a series of contemporary reflections that have become international in scope. Refs.: H. P. Grice, “The structure of structure.” . 

 

sub-iectum: sub-iectumsub-iectificatio -- subjectification: Grice is right in distinguishing this from nominalization, because not all nominalization takes the subject position. Grice plays with this. It is a derivation of the ‘subjectum,’ which Grice knows it is Aristotelian. Liddell and Scott have the verb first, and the neuter singular later. “τὸ ὑποκείμενον,” Liddell and Scott note “has three main applications.” The first is “to the matter (hyle) which underlies the form (eidos), as o To both “εἶδος” and “ἐντελέχεια” Met. 983a30; second, to the substantia (hyle + morphe) which underlies the accidents, and as opposed to “πάθη,” and “συμβεβηκότα,” as in Cat. 1a20,27 and Met.1037b16, 983b16; third, and this is the use that ‘linguistic’ turn Grice and Strawson are interested in, “to the logical subject to which attributes are ascribed,” and here o “τὸ κατηγορούμενον,” (which would be the ‘praedicatum’), as per Cat.1b10,21, Ph.189a31. If Grice uses Kiparsky’s factive, he is also using ‘nominalisation’ as grammarians use it. Refs.: Grice, “Reply to Richards,” in PGRICE, also BANC. subjectivism: When Grice speaks of the subjective condition on intention, he is using ‘subject,’ in a way a philosophical psychologist would. He does not mean Kant’s transcendental subject or ego. Grice means the simpler empiricist subject, personal identity, or self. The choice is unfelicitious in that ‘subject’ contrasts with ‘object.’ So when he speaks of a ‘subjective’ person he means an ‘ego-centric’ condition, or a self-oriented condition, or an agent-oriented condition, or an ‘utterer-oriented’ or ‘utterer-relative’ condition. But this is tricky. His example: “Nixon should get that chair of theology.” The utterer may have to put into Nixon’s shoes. He has to perceive Nixon as a PERSON, a rational agent, with views of his own. So, the philosophical psychologist that Grice is has to think of a conception of the self by the self, and the conception of the other by the self. Wisdom used to talk of ‘other minds;’ Grice might speak of other souls. Grice was concerned with intending folloed by a that-clause. Jeffrey defines desirability as doxastically modified. It is entirely possible for someone to desire the love that he already has. It is what he thinks that matters. Cf. his dispositional account to intending. A Subjectsive condition takes into account the intenders, rather than the ascribers, point of view: Marmaduke Bloggs intends to climb Mt. Everest on hands and knees. Bloggs might reason: Given my present state, I should do what is fun. Given my present state, the best thing for me to do would be to do what is fun. For me in my present state it would make for my well-being, to have fun. Having fun is good, or, a good. Climbing a mountain would be fun. Climbing the Everest would be/make for climbing fun. So, I shall climb the Everest. Even if a critic insisted that a practical syllogism is the way to represent Bloggs finding something to be appealing, and that it should be regarded as a respectable evaluation, the assembled propositions dont do the work of a standard argument. The premises do not support or yield the conclusion as in a standard argument. The premises may be said to yield the conclusion, or directive, for the particular agent whose reasoning process it is, only on the basis of a Subjectsive condition: that the agent is in a certain Subjectsive state, e.g. feels like going out for dinner-fun. Rational beings (the agent at some other time, or other individuals) who do not have that feeling, will not accept the conclusion. They may well accept as true. It is fun to climb Everest, but will not accept it as a directive unless they feel like it now. Someone wondering what to do for the summer might think that if he were to climb Everest he would find it fun or pleasant, but right now she does not feel like it. That is in general the end of the matter. The alleged argument lacks normativity. It is not authoritative or directive unless there is a supportive argument that he needs/ought to do something diverting/pleasant in the summer. A practical argument is different. Even if an agent did not feel like going to the doctor, an agent would think I ought to have a medical check up yearly, now is the time, so I should see my doctor to be a directive with some force. It articulates a practical argument. Perhaps the strongest attempt to reconstruct an (acceptable or rational) thought transition as a standard arguments is to treat the Subjectsive condition, I feel like having climbing fun in the summer, as a premise, for then the premises would support the conclusion. But the individual, whose thought transition we are examining, does not regard a description of his psychological state as a consideration that supports the conclusion. It will be useful to look more closely at a variant of the example to note when it is appropriate to reconstruct thinking in the form of argument. Bloggs, now hiking with a friend in the Everest, comes to a difficult spot and says: I dont like the look of that, I am frightened. I am going back. That is usually enough for Bloggs to return, and for the friend to turn back with him. Bloggss action of turning back, admittedly motivated by fear, is, while not acting on reasons, nonetheless rational unless we judge his fear to be irrational. Bloggss Subjectsive condition can serve as a premise, but only in a very different situation. Bloggs resorts to reasons. Suppose that, while his friend does not think Bloggss fear irrational, the friend still attempts to dissuade Bloggs from going back. After listening and reflecting, Bloggs may say I am so frightened it is not worth it. I am not enjoying this climbing anymore. Or I am too frightened to be able to safely go on. Or I often climb the Everest and dont usually get frightened. The fact that I am now is a good indication that this is a dangerous trail and I should turn back. These are reasons, considerations implicitly backed by principles, and they could be the initial motivations of someone. But in Bloggss case they emerged when he was challenged by his friend. They do not express his initial practical reasoning. Bloggs was frightened by the trail ahead, wanted to go back, and didnt have any reason not to. Note that there is no general rational requirement to always act on reasons, and no general truth that a rational individual would be better off the more often he acted on reasons. Faced with his friends objections, however, Bloggs needed justification for acting on his fear. He reflected and found reason(s) to act on his fear. Grice plays with Subjectsivity already in Prolegomena. Consider the use of carefully. Surely we must include the agents own idea of this. Or consider the use of phi and phisurely we dont want the addressee to regard himself under the same guise with which the utterer regards him. Or consider “Aspects”: Nixon must be appointed professor of theology at Oxford. Does he feel the need? Grice raises the topic of Subjectsivity again in the Kant lectures just after his discussion of mode, in a sub-section entitled, Modalities: relative and absolute. He finds the topic central for his æqui-vocality thesis: Subjectsive conditions seem necessary to both practical and alethic considerations. Refs.: The source is his essay on intentions and the subjective condition, The H. P. Grice Papers, BANC. The subject: hypokeimenon -- When Frege turned from ‘term logic’ to ‘predicate logic’ “he didn’t know what he was doing.” Cf. Oxonian nominalization. Grice plays a lot on that. His presentation at the Oxford Philosophical Society he entitled, in a very English way, as “Meaning” (echoing Ogden and Richards). With his “Meaning, Revisited,” it seems more clearly that he is nominalizing. Unless he means, “The essay “Meaning,” revisited,”alla Putnam making a bad joke on Ogden: “The meaning of ‘meaning’”“ ‘Meaning,’ revisited” --  Grice is very familiar with this since it’s the literal transliteration of Aristotle’s hypokeimenon, o in a specific context, to the ‘prae-dicatum,’ or categoroumenon. And with the same sort of ‘ambiguity,’ qua opposite a category of expression, thought, or reality. In philosophical circles, one has to be especially aware of the subject-object distinction (which belong in philosophical psychology) and the thing which belongs in ontology. Of course there’s the substance (hypousia, substantia), the essence, and the sumbebekon, accidens. So one has to be careful. Grice expands on Strawson’s explorations here. Philosophy, to underlie, as the foundation in which something else inheres, to be implied or presupposed by something else, “ἑκάστῳ τῶν ὀνομάτων . . ὑ. τις ἴδιος οὐσία” Pl.Prt.349b, cf. Cra.422d, R.581c, Ti.Locr.97e: τὸ ὑποκείμενον has three main applications: (1) to the matter which underlies the form, o εἶδος, ἐντελέχεια, Arist.Metaph.983a30; (2) to the substance (matter + form) which underlies the accidents, o πάθη, συμβεβηκότα, Id.Cat.1a20,27, Metaph.1037b16, 983b16; (3) to the logical subject to which attributes are ascribed, o τὸ κατηγορούμενον, Id.Cat.1b10,21, Ph.189a31: applications (1) and (2) are distinguished in Id.Metaph.1038b5, 1029a1-5, 1042a26-31: τὸ ὑ. is occasionally used of what underlies or is presupposed in some other way, e. g. of the positive termini presupposed by change, Id.Ph.225a3-7. b. exist, τὸ ἐκτὸς ὑποκείμενον the external reality, Stoic.2.48, cf. Epicur.Ep.112,24 U.; “φῶς εἶναι τὸ χρῶμα τοῖς ὑ. ἐπιπῖπτον” Aristarch. Sam. ap. Placit.1.15.5; “τὸ κρῖνον τί τε φαίνεται μόνον καὶ τί σὺν τῷ φαίνεσθαι ἔτι καὶ κατ᾽ ἀλήθειαν ὑπόκειται” S.E.M.7.143, cf. 83,90,91, 10.240; = ὑπάρχω, τὰ ὑποκείμενα πράγματα the existing state of affairs, Plb.11.28.2, cf. 11.29.1, 15.8.11,13, 3.31.6, Eun.VSp.474 B.; “Τίτος ἐξ ὑποκειμένων ἐνίκα, χρώμενος ὁπλις μοῖς καὶ τάξεσιν αἷς παρέλαβε” Plu.Comp.Phil.Flam.2; “τῆς αὐτῆς δυνάμεως ὑποκειμένης” Id.2.336b; “ἐχομένου τοῦ προσιόντος λόγου ὡς πρὸς τὸν ὑποκείμενον” A.D.Synt.122.17. c. ὁ ὑ. ἐνιαυτός the year in question, D.S.11.75; οἱ ὑ. καιροί the time in question, Id.16.40, Plb.2.63.6, cf. Plu.Comp.Sol.Publ.4; τοῦ ὑ. μηνός the current month, PTeb.14.14 (ii B. C.), al.; ἐκ τοῦ ὑ. φόρου in return for a reduction from the said rent, PCair.Zen.649.18 (iii B. C.); πρὸς τὸ ὑ. νόει according to the context, Gp.6.11.7. Note that both Grice and Strawson oppose Quine’s Humeian dogma that, since the subjectum is beyond comprehension, we can do with a ‘predicate’ calculus, only. Vide Strawson, “Subject and predicate in logic and grammar.” Refs: H. P. Grice, Work on the categories with P. F. Strawson, The H. P. Grice Papers, BANC MSS 90/135c. subjectumGrecian hypokeimenonGrice’s ‘implying,’ qua nominalization, is a category shift, a subjectification, or objectificiation.We have ‘employ,’ ‘imply,’ and then ‘implication,’ ‘implicature, and ‘implying’ Using the participles, we have the active voice present implicans, the active voice future, implicaturum, and the passive perfect ‘impicatum.’ subjectivism, any philosophical view that attempts to understand in a subjective manner what at first glance would seem to be a class of judgments that are objectively either true or false  i.e., true or false independently of what we believe, want, or hope. There are two ways of being a subjectivist. In the first way, one can say that the judgments in question, despite first appearances, are really judgments about our own attitudes, beliefs, emotions, etc. In the second way, one can deny that the judgments are true or false at all, arguing instead that they are disguised commands or expressions of attitudes. In ethics, for example, a subjective view of the second sort is that moral judgments are simply expressions of our positive and negative attitudes. This is emotivism. Prescriptivism is also a subjective view of the second sort; it is the view that moral judgments are really commands  to say “X is good” is to say, details aside, “Do X.” Views that make morality ultimately a matter of conventions or what we or most people agree to can also be construed as subjective theories, albeit of the first type. Subjectivism is not limited to ethics, however. According to a subjective view of epistemic rationality, the standards of rational belief are the standards that the individual or perhaps most members in the individual’s community would approve of insofar as they are interested in believing those propositions that are true and not believing those propositions that are false. Similarly, phenomenalists can be regarded as proposing a subjective account of material object statements, since according to them, such statements are best understood as complex statements about the course of our experiences.  -- -obiectum-abiectumm-exiectum quartet, the: Grice: subject-object dichotomy, the distinction between thinkers and what they think about. The distinction is not exclusive, since subjects can also be objects, as in reflexive self-conscious thought, which takes the subject as its intended object. The dichotomy also need not be an exhaustive distinction in the strong sense that everything is either a subject or an object, since in a logically possible world in which there are no thinkers, there may yet be mind-independent things that are neither subjects nor objects. Whether there are non-thinking things that are not objects of thought in the actual world depends on whether or not it is sufficient in logic to intend every individual thing by such thoughts and expressions as ‘We can think of everything that exists’. The dichotomy is an interimplicative distinction between thinkers and what they think about, in which each presupposes the other. If there are no subjects, then neither are there objects in the true sense, and conversely. A subjectobject dichotomy is acknowledged in most Western philosophical traditions, but emphasized especially in Continental philosophy, beginning with Kant, and carrying through idealist thought in Fichte, Schelling, Hegel, and Schopenhauer. It is also prominent in intentionalist philosophy, in the empirical psychology of Brentano, the object theory of Meinong, Ernst Mally, and Twardowski, and the transcendental phenomenology of Husserl. Subjectobject dichotomy is denied by certain mysticisms, renounced as the philosophical fiction of duality, of which Cartesian mindbody dualism is a particular instance, and criticized by mystics as a confusion that prevents mind from recognizing its essential oneness with the world, thereby contributing to unnecessary intellectual and moral dilemmas.  sub-ordination. Grice must be the only Oxonian philosopher in postwar Oxford that realised the relevance of subordination. Following J. C. Wilson, Grice notes that ‘if’ is a subordinating connective, and the only one of the connectives which is not commutative. This gives Grice the idea to consult Cook Wilson and develop his view of ‘interrogative subordination.’ Who killed Cock Robin. If it was not the Hawk, it was the Sparrow. It was not the Hawk. It was the Sparrow. What Grecian idiom is Romanesque sub-ordinatio translating. The opposite is co-ordination. “And” and “or” are coordinative particles. Interrogative coordination is provided by ‘or,’ but it relates to yes/no questions. Interrogative subordination involves x-question. WHO killed Cock Robin. The Grecians were syntactic and hypotactic. Varro uses jungendi. is the same and wherefrom it is different, in relation to what &c." It may well be doubted whether he has thus improved upon his predecessors. Surely the discernment of sameness and difference is a function necessarily belonging to soul and necessarily included in the catalogue of her functions : yet Stallbaum's rendering excludes it from that catalogue. The fact that we have ory hv $, not orcp ecri, does not really favour his view—" with whatsoever a thing may be the same, she declares it the same.' I coincide then with the other interpreters in regarding the whole sentence from orw t' hv as indirect INTERROGATION SUBORDINATE interrogation subordinateto \iyeiThis mistake in logic carries with it serious mistakes in trans lation. The clause otw t av ti tovtov rj kcu otov hv erepov is made an indirect INTERROGATIVE COORDINATE with itpbs o tC re pu£Aio-ra xai ottt? [ 39 ] k.t.\., which is impossible. Stallbaum rightly makes the clause a substantive clause and subject of elvai or £vp.f}aivei elvai. (3) eKao-ra is of course predicate with elvai to this sthe question, ‘How many sugars would Tom like in his tea?’ is not ‘satisfied’ by the answer ‘Tom loves sugar’. It may well be true that Tom loves sugar, but the question is not satisfied by that form of answer. Conversely the answer ‘one spoonful’ satisfies the question, even though it might be the wrong answer and leave the tea insufficiently sugary for the satisfaction of Tom’s sweet tooth. sub-per-ceptum: This relates to Stich and his sub-doxastic. For Aristotle, “De An.,” the anima leads to the desideratum. Unlike in ‘phuta,’ or vegetables, which are still ‘alive,’ (‘zoa’he had a problem with ‘sponges’ which were IN-animate, to him, most likely) In WoW:139, Grice refers to “the pillar box seems red” as “SUB-PERCEPTUAL,” the first of a trio. The second is the perceptual, “A perceives that the pillar box is red,” and the third, “The pillar box is red.” He wishes to explore the truth-conditons of the subperceptum, and although first in the list, is last in the analsysis. Grice proposes: ‘The pillar box seems red” iff (1) the pillar box is red; (2) A perceives that the pillar box is red; and (3) (1) causes (2). In this there is a parallelism with his quasi-causal account of ‘know’ (and his caveat that ‘literally,’ we may just know that 2 + 2 = 4 (and such) (“Meaning Revisited). In what he calls ‘accented sub-perceptum,’ the idea is that the U is choosing the superceptum (“seems”) as opposed to his other obvious choices (“The pillar box IS red,”) and the passive-voice version of the ‘perceptum’: “The pillar box IS PERCEIVED red.” The ‘accent’ generates the D-or-D implicaturum: By uttering “The pillar box seems red,” U IMPLICATES that it is denied that or doubted that the pillar box is perceived red by U or that the pillar box is red. In this, the accented version contrasts with the unaccented version where the implicaturum is NOT generated, and the U remains uncommitted re: this doubt or denial implicaturum. It is this uncommitment that will allow to disimplicate or cancel the implicaturum should occasion arise. The reference Grice makes between the sub-perceptum and the perceptum is grammatical, not psychological. Or else he may be meaning that in uttering, “I perceive that the pillar box is red,” one needs to appeal to Kant’s apperception of the ego. Refs.: Pecocke, Sense and content, Grice, BANC. sub-perceptual -- subdoxastic, pertaining to states of mind postulated to account for the production and character of certain apparently non-inferential beliefs. These were first discussed by Stephen P. Stich in “Beliefs and Subdoxastic States” 8. I may form the belief that you are depressed, e.g., on the basis of subtle cues that I am unable to articulate. The psychological mechanism responsible for this belief might be thought to harbor information concerning these cues subdoxastically. Although subdoxastic states resemble beliefs in certain respects  they incorporate intentional content, they guide behavior, they can bestow justification on beliefs  they differ from fullyfledged doxastic states or beliefs in at least two respects. First, as noted above, subdoxastic states may be largely inaccessible to introspection; I may be unable to describe, even on reflection, the basis of my belief that you are depressed. Second, subdoxastic states seem cut off inferentially from an agent’s corpus of beliefs; my subdoxastic appreciation that your forehead is creased may contribute to my believing that you are depressed, but, unlike the belief that your forehead is creased, it need not, in the presence of other beliefs, lead to further beliefs about your visage.  Sub-scriptum: Quine thought that Grice’s subscript device was otiose, and that he would rather use brackets, or nothing, any day.  Grice plays with various roots of ‘scriptum.’ He was bound to. Moore had showed that ‘good’ was not ‘descriptive.’ Grice thinks it’s pseudo-descriptive. So here we have the first, ‘descriptum,’ where what is meant is Griceian: By uttering the “The cat is on the mat” U means, by his act of describing, that the cat is on the mat. Then there’s the ‘prae-scriptum.’ Oddly, Grice, when criticizing the ‘descriptive’ fallacy, seldom mentions the co-relative ‘prescriptum.’ “Good” would be understood in terms of a ‘prae-scriptum’ that appeals to his utterer’s intentions. Then there’s the subscriptum. This may have various use, both in Grice. “I subscribe,” and in the case of “Pegasus flies.” Where the utterer subscribes to his ontological commitment. subscript device. Why does Grice think we NEED a subscript device? Obviously, his wife would not use it. I mean, you cannot pronounce a subscript device or a square-bracket device. So his point is ironic. “Ordinary” language does not need it. But if Strawson and Quine are going to be picky about stuffontological commitment, ‘existential presupposition,’ let’s subscribe and bracket! Note that Quine’s response to Grice is perfunctory: “Brackets would have done!” Grice considers a quartet of utterances: Jack wants someone to marry him; Jack wants someone or other to marry him; Jack wants a particular person to marry him, and There is someone whom Jack wants to marry him.Grice notes that there are clearly at least two possible readings of an utterance like our (i): a first reading in which, as Grice puts it, (i) might be paraphrased by (ii). A second reading is one in which it might be paraphrased by (iii) or by (iv). Grice goes on to symbolize the phenomenon in his own version of a first-order predicate calculus. Ja wants that p becomes Wjap where ja stands for the individual constant Jack as a super-script attached to the predicate standing for Jacks psychological state or attitude. Grice writes: Using the apparatus of classical predicate logic, we might hope to represent, respectively, the external reading and the internal reading (involving an intentio secunda or intentio obliqua) as (Ǝx)WjaFxja and Wja(Ǝx)Fxja. Grice then goes on to discuss a slightly more complex, or oblique, scenario involving this second internal reading, which is the one that interests us, as it involves an intentio seconda.Grice notes: But suppose that Jack wants a specific individual, Jill, to marry him, and this because Jack has been deceived into thinking that his friend Joe has a highly delectable sister called Jill, though in fact Joe is an only child. The Jill Jack eventually goes up the hill with is, coincidentally, another Jill, possibly existent. Let us recall that Grices main focus of the whole essay is, as the title goes, emptiness! In these circumstances, one is inclined to say that (i) is true only on reading (vii), where the existential quantifier occurs within the scope of the psychological-state or -attitude verb, but we cannot now represent (ii) or (iii), with Jill being vacuous, by (vi), where the existential quantifier (Ǝx) occurs outside the scope of the psychological-attitude verb, want, since [well,] Jill does not really exist, except as a figment of Jacks imagination. In a manoeuver that I interpret as purely intentionalist, and thus favouring by far Suppess over Chomskys characterisation of Grice as a mere behaviourist, Grice hopes that we should be provided with distinct representations for two familiar readings of, now: Jack wants Jill to marry him and Jack wants Jill to marry him. It is at this point that Grice applies a syntactic scope notation involving sub-scripted numerals, (ix) and (x), where the numeric values merely indicate the order of introduction of the symbol to which it is attached in a deductive schema for the predicate calculus in question. Only the first formulation represents the internal reading (where ji stands for Jill): W2ja4F1ji3ja4 and W3ja4F2ji1ja4. Note that in the second formulation, the individual constant for Jill, ji, is introduced prior to want,jis sub-script is 1, while Ws sub-script is the higher numerical value 3. Grice notes: Given that Jill does not exist, only the internal reading can be true, or alethically satisfactory. Grice sums up his reflections on the representation of the opaqueness of a verb standing for a psychological state or attitude like that expressed by wanting with one observation that further marks him as an intentionalist, almost of a Meinongian type. He is willing to allow for existential phrases in cases of vacuous designata, provided they occur within opaque psychological-state or attitude verbs, and he thinks that by doing this, he is being faithful to the richness and exuberance of ordinary discourse, while keeping Quine happy. As Grice puts it, we should also have available to us also three neutral, yet distinct, (Ǝx)-quantificational forms (together with their isomorphs), as a philosopher who thinks that Wittgenstein denies a distinction, craves for a generality! Jill now becomes x. W4ja5Ǝx3F1x2ja5, Ǝx5W2ja5F1x4ja3, Ǝx5W3ja4F1x2ja4. As Grice notes, since in (xii) the individual variable x (ranging over Jill) does not dominate the segment following the (Ǝx) quantifier, the formulation does not display any existential or de re, force, and is suitable therefore for representing the internal readings (ii) or (iii), if we have to allow, as we do have, if we want to faithfully represent ordinary discourse, for the possibility of expressing the fact that a particular person, Jill, does not actually exist.

 

stupid. Grice loved Plato. They are considering ‘horseness.’ “I cannot see horeseness; I can see horses.” “You are the epitome of stupidity.” “I cannot see stupidity. I see stupid.”

 

società filosofia italiana

 

sub-gestum -- suggestio falsi suggest. To suggest is like to ‘insinuate,’ only different. The root involves a favourite with Grice, ‘a gesture.’ That gesture is very suggesture. Grice explores hint versus suggest in Retrospective epilogue. Also cited by Strawson and Wiggins. The emissor’s implication is exactly this suggestio, for which suggestum. To suggestadvisepromptofferbring to mind: “quoties aequitas restitutionem suggerit,” Dig. 4, 6, 26 fin.; cf.: “quae (ressuggeritut Italicarum rerum esse credantur eae res,” remindsadmonishesib. 28, 5, 35 fin.: “quaedam de republicā,” Aur. Vict. Vir. Ill. 66, 2. — Absol.: “suggerente conjuge,” at the instigation ofAur. Vict. Epit. 41, 11; cf.: “suggerente irā,” id. ib. 12, 10 suggestio falsi. Pl. suggestiones falsi.  [mod.L., = suggestion of what is false.]  A misrepresentation of the truth whereby something incorrect is implied to be true; an indirect lie. Often in contexts with suppressio veri.  QUOTES:  1815 H. Maddock Princ. & Pract. Chancery I. 208  Whenever Suppressio veri or Suggestio falsi occur..they afford a sufficient ground for setting aside any Release or Conveyance.   1855 Newspaper & Gen. Reader's Pocket Compan. i.4  He was bound to say that the suppressio veri on that occasion approached very nearly to a positive suggestio falsi.   1898 Kipling Stalky & Co. (1899) 36  It seems..that they had held back material facts; that they were guilty both of suppressio veri and suggestio falsi.  1907 W. de Morgan Alice-for-Short xxxvi. 389   That's suppressio veri and suggestio falsi! Besides, it's fibs!   1962 J. Wilson Public Schools & Private Practice i. 19  It is rare to find a positively verifiable untruth in a school brochure: but it is equally rare not to find a great many suggestiones falsi, particularly as regards the material comfort and facilities available.   1980 D. Newsome On Edge of Paradise 7  There are undoubted cases of suppressio veri; on the other hand, he appears to eschew suggestio falsi.  --- Fibs indeed. Suppress, suggest.   Write: "Griceland, Inc."   "Yes, I agree to become a Doctor in Gricean Studies"   EXAM QUESTION:  1. Discuss suggestio falsi in terms of detachability.  2. Compare suppresio veri and suggestion falsi in connection with "The king of France is bald" uttered during Napoleon's time.  3. Invent things for 'suppressio falsi' and 'suggestio veri'.  4. No. You cannot go to the bathroom. -- sub-gestum -- suggestum: not necesarilyy ‘falsi.’ The verb is ‘to suggest that…’ which is diaphanous. Note that the ‘su-‘ stands for ‘sub-‘ which conveys the implicitness or covertness of the impicatum. Indirectness. It’s ‘under,’ not ‘above’ board.’ To suggest, advise, prompt, offer, bring to mind: “quoties aequitas restitutionem suggerit,” Dig. 4, 6, 26 fin.; cf.: “quae (res) suggerit, ut Italicarum rerum esse credantur eae res,” reminds, admonishes, ib. 28, 5, 35 fin.: “quaedam de republicā,” Aur. Vict. Vir. Ill. 66, 2. — Absol.: “suggerente conjuge,” at the instigation of, Aur. Vict. Epit. 41, 11; cf.: “suggerente irā,” id. ib. 12, 10.— The implicaturum is a suggestumALWAYS cancellable. Or not? Sometimes not, if ‘reasonable,’ but not ‘rational.’ Jill suggests that Jack is brave when she says, “He is an Englishman, he is; therefore, brave.” The tommy suggests that her povery contrasts with her honesty (“’Tis the same the whole world over.”) So the ‘suggestum’ is like the implicaturum. A particular suggesta are ‘conversational suggestum.’ For Grice this is philosophically important, because many philosophical adages cover ‘suggesta’ which are not part of the philosopher’s import! Vide Holdcroft, “Some forms of indirect communication.” Substantia: hypostasis, the process of regarding a concept or abstraction as an independent or real entity. The verb forms ‘hypostatize’ and ‘reify’ designate the acts of positing objects of a certain sort for the purposes of one’s theory. It is sometimes implied that a fallacy is involved in so describing these processes or acts, as in ‘Plato was guilty of the reification of universals’. The issue turns largely on criteria of ontological commitment.  The exact Greek transliteration is “hypostasis” Arianism, diverse but related teachings in early Christianity that subordinated the Son to God the Father. In reaction the church developed its doctrine of the Trinity, whereby the Son and Holy Spirit, though distinct persons hypostases, share with the Father, as his ontological equals, the one being or substance ousia of God. Arius taught in Alexandria, where, on the hierarchical model of Middle Platonism, he sharply distinguished Scripture’s transcendent God from the Logos or Son incarnate in Jesus. The latter, subject to suffering and humanly obedient to God, is inferior to the immutable Creator, the object of that obedience. God alone is eternal and ungenerated; the Son, divine not by nature but by God’s choosing, is generated, with a beginning: the unique creature, through whom all else is made. The Council of Nicea, in 325, condemned Arius and favored his enemy Athanasius, affirming the Son’s creatorhood and full deity, having the same being or substance homoousios as the Father. Arianism still flourished, evolving into the extreme view that the Son’s being was neither the same as the Father’s nor like it homoiousios, but unlike it anomoios. This too was anathematized, by the Council of 381 at Constantinople, which, ratifying what is commonly called the Nicene Creed, sealed orthodox Trinitarianism and the equality of the three persons against Arian subordinationism.  Sub-positum -- suppositumCicero for ‘hypothesis’, as in ‘hypothetico-deductive’a hypothetico-deductive method, a method of testing hypotheses. Thought to be preferable to the method of enumerative induction, whose limitations had been decisively demonstrated by Hume, the hypothetico-deductive (H-D) method has been viewed by many as the ideal scientific method. It is applied by introducing an explanatory hypothesis resulting from earlier inductions, a guess, or an act of creative imagination. The hypothesis is logically conjoined with a statement of initial conditions. The purely deductive consequences of this conjunction are derived as predictions, and the statements asserting them are subjected to experimental or observational test. More formally, given (H • A) P O, H is the hypothesis, A a statement of initial conditions, and O one of the testable consequences of (H • A). If the hypothesis is ‘all lead is malleable’, and ‘this piece of lead is now being hammered’ states the initial conditions, it follows deductively that ‘this piece of lead will change shape’. In deductive logic the schema is formally invalid, committing the logical fallacy of affirming the consequent. But repeated occurrences of O can be said to confirm the conjunction of H and A, or to render it more probable. On the other hand, the schema is deductively valid (the argument form modus tollens). For this reason, Karl Popper and his followers think that the H-D method is best employed in seeking falsifications of theoretical hypotheses. Criticisms of the method point out that infinitely many hypotheses can explain, in the H-D mode, a given body of data, so that successful predictions are not probative, and that (following Duhem) it is impossible to test isolated singular hypotheses because they are always contained in complex theories any one of whose parts is eliminable in the face of negative evidence. sub-pressum -- suppresum veri: This is a bit like an act of omissionabout which Urmson once asked, “Is that ‘to do,’ Grice?”Strictly, it is implicatural. “Smith has a beautiful handwriting.” Grice’s abductum: “He must be suppressing some ‘veri,’ but surely the ‘suggestio falsi’ is cancellable. On the other hand, my abent-minded uncle, who ‘suppresses,’ is not ‘implicating.’ The ‘suppressio’ has to be ‘intentional,’ as an ‘omission’ is. Since for the Romans, the ‘verum’ applied to a unity (alethic/practical) this was good. No multiplication, but unitycf. untranslatable (think)modality ‘the ‘must’, neutraldesideratum-doxathinkYes, when Untranslatable discuss ‘vero’ they do say it applies to ‘factual’ and sincerity, I think. At Collections, the expectation is that Grice gives a report on the philosopher’s abilitynot on  his handwriting. It is different when Grice applied to St. John’s. “He doesn’t return library books.” G. Richardson. Why did he use this on two occasions? In “Prolegomena,” he uses it for his desideratum of conversational fortitude (“make a strong conversational move”). To suppress. suggestio falsi. Pl. suggestiones falsi.  [mod.L., = suggestion of what is false.]  A misrepresentation of the truth whereby something incorrect is implied to be true; an indirect lie. Often in contexts with suppressio veri.  QUOTES:  1815 H. Maddock Princ. & Pract. Chancery I. 208  Whenever Suppressio veri or Suggestio falsi occur..they afford a sufficient ground for setting aside any Release or Conveyance.   1855 Newspaper & Gen. Reader's Pocket Compan. i.4  He was bound to say that the suppressio veri on that occasion approached very nearly to a positive suggestio falsi.   1898 Kipling Stalky & Co. (1899) 36  It seems..that they had held back material facts; that they were guilty both of suppressio veri and suggestio falsi.  1907 W. de Morgan Alice-for-Short xxxvi. 389   That's suppressio veri and suggestio falsi! Besides, it's fibs!   1962 J. Wilson Public Schools & Private Practice i. 19  It is rare to find a positively verifiable untruth in a school brochure: but it is equally rare not to find a great many suggestiones falsi, particularly as regards the material comfort and facilities available.   1980 D. Newsome On Edge of Paradise 7  There are undoubted cases of suppressio veri; on the other hand, he appears to eschew suggestio falsi.  --- Fibs indeed. Suppress, suggest.   Write: "Griceland, Inc."   "Yes, I agree to become a Doctor in Gricean Studies"   EXAM QUESTION:  1. Discuss suggestio falsi in terms of detachability.  2. Compare suppresio veri and suggestion falsi in connection with "The king of France is bald" uttered during Napoleon's time.  3. Invent things for 'suppressio falsi' and 'suggestio veri'.  4. No. You cannot go to the bathroom.

 

super-knowing. In WoW. A notion Grice detested. Grice, “I detest superknowing.” “For that reason, I propose a closure clausefor a communicatum to count as one, there should not be any sneaky intention.” The use of ‘super’ is Plotinian. If God is super-good, he is not good. If someobody superknows, he doesn’t know. This is an implicaturum. Surely it is cancellable: “God is supergood; therefore, He is good.” “Smith superknows that p; therefore, Smith, as per a semantic entailment, knows that p.” Grice: “The implicature arise out of the postulate of conversational fortitude: why stop at knowing if you can claim that Smith superknows? Why say that God is love, when He is super-love?”

 

Si: Grice: “If Quine likes ‘vel’ to represent ‘or,’ I shall use ‘si’ to represent ‘if.’ -- “if”(Italian: “si”, Roman, “si”). Unlike Austin, Grice never was stuck with an English expression. Part of his rationalism is that for an expression E, if E is to be implicaturum, i.e. the vehicle of an ‘implicatum,’ there must be an expression E2 that does the trick. Implicatura are non-detachable. You cannot detach it from one expression and using another. Grice: “Whitehead lists ‘and,’ ‘or,’ and ‘if,’ but had he known some classical languages, he would have noted, as J. C. Wilson does, that ‘if’ is totally subordinating, and thus totally non-commutative!” -- German “ob,” Latin, “si,” Grecian, “ei” -- conditional, a compound sentence, such as ‘if Abe calls, then Ben answers,’ in which one sentence, the antecedent, is connected to a second, the consequent, by the connective ‘if . . . then’. Propositions statements, etc. expressed by conditionals are called conditional propositions statements, etc. and, by ellipsis, simply conditionals. The ambiguity of the expression ‘if . . . then’ gives rise to a semantic classification of conditionals into material conditionals, causal conditionals, counterfactual conditionals, and so on. In traditional logic, conditionals are called hypotheticals, and in some areas of mathematical logic conditionals are called implications. Faithful analysis of the meanings of conditionals continues to be investigated and intensely disputed.  conditional proof. 1 The argument form ‘B follows from A; therefore, if A then B’ and arguments of this form. 2 The rule of inference that permits one to infer a conditional given a derivation of its consequent from its antecedent. This is also known as the rule of conditional proof or /- introduction. conditioning, a form of associative learning that occurs when changes in thought or behavior are produced by temporal relations among events. It is common to distinguish between two types of conditioning; one, classical or Pavlovian, in which behavior change results from events that occur before behavior; the other, operant or instrumental, in which behavior change occurs because of events after behavior. Roughly, classically and operantly conditioned behavior correspond to the everyday, folk-psychological distinction between involuntary and voluntary or goaldirected behavior. In classical conditioning, stimuli or events elicit a response e.g., salivation; neutral stimuli e.g., a dinner bell gain control over behavior when paired with stimuli that already elicit behavior e.g., the appearance of dinner. The behavior is involuntary. In operant conditioning, stimuli or events reinforce behavior after behavior occurs; neutral stimuli gain power to reinforce by being paired with actual reinforcers. Here, occasions in which behavior is reinforced serve as discriminative stimuli-evoking behavior. Operant behavior is goal-directed, if not consciously or deliberately, then through the bond between behavior and reinforcement. Thus, the arrangement of condiments at dinner may serve as the discriminative stimulus evoking the request “Please pass the salt,” whereas saying “Thank you” may reinforce the behavior of passing the salt. It is not easy to integrate conditioning phenomena into a unified theory of conditioning. Some theorists contend that operant conditioning is really classical conditioning veiled by subtle temporal relations among events. Other theorists contend that operant conditioning requires mental representations of reinforcers and discriminative stimuli. B. F. Skinner 4 90 argued in Walden Two 8 that astute, benevolent behavioral engineers can and should use conditioning to create a social utopia.  conditio sine qua non Latin, ‘a condition without which not’, a necessary condition; something without which something else could not be or could not occur. For example, being a plane figure is a conditio sine qua non for being a triangle. Sometimes the phrase is used emphatically as a synonym for an unconditioned presupposition, be it for an action to start or an argument to get going. I.Bo. Condorcet, Marquis de, title of Marie-JeanAntoine-Nicolas de Caritat 174394,  philosopher and political theorist who contributed to the Encyclopedia and pioneered the mathematical analysis of social institutions. Although prominent in the Revolutionary government, he was denounced for his political views and died in prison. Condorcet discovered the voting paradox, which shows that majoritarian voting can produce cyclical group preferences. Suppose, for instance, that voters A, B, and C rank proposals x, y, and z as follows: A: xyz, B: yzx, and C: zxy. Then in majoritarian voting x beats y and y beats z, but z in turn beats x. So the resulting group preferences are cyclical. The discovery of this problem helped initiate social choice theory, which evaluates voting systems. Condorcet argued that any satisfactory voting system must guarantee selection of a proposal that beats all rivals in majoritarian competition. Such a proposal is called a Condorcet winner. His jury theorem says that if voters register their opinions about some matter, such as whether a defendant is guilty, and the probabilities that individual voters are right are greater than ½, equal, and independent, then the majority vote is more likely to be correct than any individual’s or minority’s vote. Condorcet’s main works are Essai sur l’application de l’analyse à la probabilité des décisions rendues à la pluralité des voix Essay on the Application of Analysis to the Probability of Decisions Reached by a Majority of Votes, 1785; and a posthumous treatise on social issues, Esquisse d’un tableau historique des progrès de l’esprit humain Sketch for a Historical Picture of the Progress of the Human Mind, 1795.  “if” corresponding conditional of a given argument, any conditional whose antecedent is a logical conjunction of all of the premises of the argument and whose consequent is the conclusion. The two conditionals, ‘if Abe is Ben and Ben is wise, then Abe is wise’ and ‘if Ben is wise and Abe is Ben, then Abe is wise’, are the two corresponding conditionals of the argument whose premises are ‘Abe is Ben’ and ‘Ben is wise’ and whose conclusion is ‘Abe is wise’. For a one-premise argument, the corresponding conditional is the conditional whose antecedent is the premise and whose consequent is the conclusion. The limiting cases of the empty and infinite premise sets are treated in different ways by different logicians; one simple treatment considers such arguments as lacking corresponding conditionals. The principle of corresponding conditionals is that in order for an argument to be valid it is necessary and sufficient for all its corresponding conditionals to be tautological. The commonly used expression ‘the corresponding conditional of an argument’ is also used when two further stipulations are in force: first, that an argument is construed as having an ordered sequence of premises rather than an unordered set of premises; second, that conjunction is construed as a polyadic operation that produces in a unique way a single premise from a sequence of premises rather than as a dyadic operation that combines premises two by two. Under these stipulations the principle of the corresponding conditional is that in order for an argument to be valid it is necessary and sufficient for its corresponding conditional to be valid. These principles are closely related to modus ponens, to conditional proof, and to the so-called deduction theorem.  “if” counterfactuals, also called contrary-to-fact conditionals, subjunctive conditionals that presupcorner quotes counterfactuals pose the falsity of their antecedents, such as ‘If Hitler had invaded England, G.y would have won’ and ‘If I were you, I’d run’. Conditionals or hypothetical statements are compound statements of the form ‘If p, then q’, or equivalently ‘q if p’. Component p is described as the antecedent protasis and q as the consequent apodosis. A conditional like ‘If Oswald did not kill Kennedy, then someone else did’ is called indicative, because both the antecedent and consequent are in the indicative mood. One like ‘If Oswald had not killed Kennedy, then someone else would have’ is subjunctive. Many subjunctive and all indicative conditionals are open, presupposing nothing about the antecedent. Unlike ‘If Bob had won, he’d be rich’, neither ‘If Bob should have won, he would be rich’ nor ‘If Bob won, he is rich’ implies that Bob did not win. Counterfactuals presuppose, rather than assert, the falsity of their antecedents. ‘If Reagan had been president, he would have been famous’ seems inappropriate and out of place, but not false, given that Reagan was president. The difference between counterfactual and open subjunctives is less important logically than that between subjunctives and indicatives. Whereas the indicative conditional about Kennedy is true, the subjunctive is probably false. Replace ‘someone’ with ‘no one’ and the truth-values reverse. The most interesting logical feature of counterfactuals is that they are not truth-functional. A truth-functional compound is one whose truth-value is completely determined in every possible case by the truth-values of its components. For example, the falsity of ‘The President is a grandmother’ and ‘The President is childless’ logically entails the falsity of ‘The President is a grandmother and childless’: all conjunctions with false conjuncts are false. But whereas ‘If the President were a grandmother, the President would be childless’ is false, other counterfactuals with equally false components are true, such as ‘If the President were a grandmother, the President would be a mother’. The truth-value of a counterfactual is determined in part by the specific content of its components. This property is shared by indicative and subjunctive conditionals generally, as can be seen by varying the wording of the example. In marked contrast, the material conditional, p / q, of modern logic, defined as meaning that either p is false or q is true, is completely truth-functional. ‘The President is a grandmother / The President is childless’ is just as true as ‘The President is a grandmother / The President is a mother’. While stronger than the material conditional, the counterfactual is weaker than the strict conditional, p U q, of modern modal logic, which says that p / q is necessarily true. ‘If the switch had been flipped, the light would be on’ may in fact be true even though it is possible for the switch to have been flipped without the light’s being on because the bulb could have burned out. The fact that counterfactuals are neither strict nor material conditionals generated the problem of counterfactual conditionals raised by Chisholm and Goodman: What are the truth conditions of a counterfactual, and how are they determined by its components? According to the “metalinguistic” approach, which resembles the deductive-nomological model of explanation, a counterfactual is true when its antecedent conjoined with laws of nature and statements of background conditions logically entails its consequent. On this account, ‘If the switch had been flipped the light would be on’ is true because the statement that the switch was flipped, plus the laws of electricity and statements describing the condition and arrangement of the circuitry, entail that the light is on. The main problem is to specify which facts are “fixed” for any given counterfactual and context. The background conditions cannot include the denials of the antecedent or the consequent, even though they are true, nor anything else that would not be true if the antecedent were. Counteridenticals, whose antecedents assert identities, highlight the difficulty: the background for ‘If I were you, I’d run’ must include facts about my character and your situation, but not vice versa. Counterlegals like ‘Newton’s laws would fail if planets had rectangular orbits’, whose antecedents deny laws of nature, show that even the set of laws cannot be all-inclusive. Another leading approach pioneered by Robert C. Stalnaker and David K. Lewis extends the possible worlds semantics developed for modal logic, saying that a counterfactual is true when its consequent is true in the nearest possible world in which the antecedent is true. The counterfactual about the switch is true on this account provided a world in which the switch was flipped and the light is on is closer to the actual world than one in which the switch was flipped but the light is not on. The main problem is to specify which world is nearest for any given counterfactual and context. The difference between indicative and subjunctive conditionals can be accounted for in terms of either a different set of background conditions or a different measure of nearness. counterfactuals counterfactuals     Counterfactuals turn up in a variety of philosophical contexts. To distinguish laws like ‘All copper conducts’ from equally true generalizations like ‘Everything in my pocket conducts’, some have observed that while anything would conduct if it were copper, not everything would conduct if it were in my pocket. And to have a disposition like solubility, it does not suffice to be either dissolving or not in water: it must in addition be true that the object would dissolve if it were in water. It has similarly been suggested that one event is the cause of another only if the latter would not have occurred if the former had not; that an action is free only if the agent could or would have done otherwise if he had wanted to; that a person is in a particular mental state only if he would behave in certain ways given certain stimuli; and that an action is right only if a completely rational and fully informed agent would choose it. “If the cat is on the mat, she is purring.” INDICATIVE PLUS INDICATIVE“Subjective ‘if’ is a different animal as Julius Caesar well knew!” -- Refs: “If and Macaulay.”

 

iff: Grice: “a silly abbreviation for ‘if and only if’” -- that is used as if it were a single propositional operator (connective). Another synonym for ‘iff’ is ‘just in case’. The justification for treating ‘iff’ as if it were a single propositional connective is that ‘P if and only if Q’ is elliptical for ‘P if Q, and P only if Q’, and this assertion is logically equivalent to ‘P biconditional Q’.

 

sublime: sub-lime, neuter.  sublīmie (collat. form sublīmus , a, um: ex sublimo vertice, Cic. poët. Tusc. 2, 7, 19; Enn. ap. Non. 169; Att. and Sall. ib. 489, 8 sq.; Lucr. 1, 340), adj. etym. dub.; perh. sub-limen, up to the lintel; cf. sublimen (sublimem est in altitudinem elatum, Fest. p. 306 Müll.), I.uplifted, high, lofty, exalted, elevated (mostly poet. and in postAug. prose; not in Cic. or Cæs.; syn.: editus, arduus, celsus, altus). I. Lit. A. In gen., high, lofty: “hic vertex nobis semper sublimis,” Verg. G. 1, 242; cf. Hor. C. 1, 1, 36: “montis cacumen,” Ov. M. 1, 666: “tectum,” id. ib. 14, 752: “columna,” id. ib. 2, 1: “atrium,” Hor. C. 3, 1, 46: “arcus (Iridis),” Plin. 2, 59, 60, § 151: “portae,” Verg. A. 12, 133: “nemus,” Luc. 3, 86 et saep.: os, directed upwards (o to pronus), Ov. M. 1, 85; cf. id. ib. 15, 673; Hor. A. P. 457: “flagellum,” uplifted, id. C. 3, 26, 11: “armenta,” Col. 3, 8: “currus,” Liv. 28, 9.—Comp.: “quanto sublimior Atlas Omnibus in Libyā sit montibus,” Juv. 11, 24.—Sup.: “triumphans in illo sublimissimo curru,” Tert. Apol. 33.— B. Esp., borne aloft, uplifted, elevated, raised: “rapite sublimem foras,” Plaut. Mil. 5, 1: “sublimem aliquem rapere (arripere, auferre, ferre),” id. As. 5, 2, 18; id. Men. 5, 7, 3; 5, 7, 6; 5, 7, 13; 5, 8, 3; Ter. And. 5, 2, 20; id. Ad. 3, 2, 18; Verg. A. 5, 255; 11, 722 (in all these passages others read sublimen, q. v.); Ov. M 4, 363 al.: “campi armis sublimibus ardent,” borne aloft, lofty, Verg. A. 11, 602: sublimes in equis redeunt, id. ib. 7, 285: “apparet liquido sublimis in aëre Nisus,” id. G. 1, 404; cf.: “ipsa (Venus) Paphum sublimis abit,” on high through the air, id. A. 1, 415: “sublimis abit,” Liv. 1, 16; 1, 34: “vehitur,” Ov. M. 5, 648 al.— C. On high, lofty, in a high position: “tenuem texens sublimis aranea telum,” Cat. 68, 49: “juvenem sublimem stramine ponunt,” Verg. A. 11, 67: “sedens solio sublimis avito,” Ov. M. 6, 650: “Tyrio jaceat sublimis in ostro,” id. H. 12, 179.— D. Subst.: sublīme , is, n., height; sometimes to be rendered the air: “piro per lusum in sublime jactato,” Suet. Claud. 27; so, in sublime, Auct. B. Afr. 84, 1; Plin. 10, 38, 54, § 112; 31, 6, 31, § 57: “per sublime volantes grues,” id. 18, 35, 87, § 362: “in sublimi posita facies Dianae,” id. 36, 5, 4, § 13: “ex sublimi devoluti,” id. 27, 12, 105, § 129.—Plur.: “antiquique memor metuit sublimia casus,” Ov. M. 8, 259: “per maria ac terras sublimaque caeli,” Lucr. 1, 340.— II. Trop., lofty, exalted, eminent, distinguished. A. In gen.: “antiqui reges ac sublimes viri,” Varr. R. R. 2, 4, 9; cf. Luc. 10, 378: “mens,” Ov. P. 3, 3, 103: “pectora,” id. F. 1, 301: “nomen,” id. Tr. 4, 10, 121: “sublimis, cupidusque et amata relinquere pernix,” aspiring, Hor. A. P. 165; cf.: “nil parvum sapias et adhuc sublimia cures,” id. Ep. 1, 12, 15.—Comp.: “quā claritate nihil in rebus humanis sublimius duco,” Plin. 22, 5, 5, § 10; Juv. 8, 232.—Sup.: “sancimus supponi duos sublimissimos judices,” Cod. Just. 7, 62, 39.— B. In partic., of language, lofty, elevated, sublime (freq. in Quint.): “sublimia carmina,” Juv. 7, 28: “verbum,” Quint. 8, 3, 18: “clara et sublimia verba,” id. ib.: “oratio,” id. 8, 3, 74: “genus dicendi,” id. 11, 1, 3: “actio (o causae summissae),” id. 11, 3, 153: “si quis sublimia humilibus misceat,” id. 8, 3, 60 et saep.—Transf., of orators, poets, etc.: “natura sublimis et acer,” Hor. Ep. 2, 1, 165: “sublimis et gravis et grandiloquus (Aeschylus),” Quint. 10, 1, 66: “Trachalus plerumque sublimis,” id. 10, 1, 119.—Comp.: “sublimior gravitas Sophoclis,” Quint. 10, 1, 68: “sublimius aliquid,” id. 8, 3, 14: “jam sublimius illud pro Archiā, Saxa atque solitudines voci respondent,” id. 8, 3, 75.—Hence, advv. 1. Lit., aloft, loftily, on high. (α). Form sub-līmĭter (rare ): “stare,” upright, Cato, R. R. 70, 2; so id. ib. 71: “volitare,” Col. 8, 11, 1: “munitur locus,” id. 8, 15, 1.— (β). Form sub-līme (class. ): “Theodori nihil interest, humine an sublime putescat,” Cic. Tusc. 1, 43, 102; cf.: “scuta, quae fuerant sublime fixa, sunt humi inventa,” id. Div. 2, 31, 67: “volare,” Lucr. 2, 206; 6, 97: “ferri,” Cic. Tusc. 1, 17, 40; id. N. D. 2, 39, 101; 2, 56, 141 Orell. N. cr.: “elati,” Liv. 21, 30: “expulsa,” Verg. G. 1, 320 et saep.— b. Comp.: “sublimius altum Attollit caput,” Ov. Hal. 69.— 2. Trop., of speech, in a lofty manner, loftily (very rare): “alia sublimius, alia gravius esse dicenda,” Quint. 9, 4, 130. Grice’s favoured translation of Grecian ‘hypsos’ -- a feeling brought about by objects that are infinitely large or vast such as the heavens or the ocean or overwhelmingly powerful such as a raging torrent, huge mountains, or precipices. The former in Kant’s terminology is the mathematically sublime and the latter the dynamically sublime. Though the experience of the sublime is to an important extent unpleasant, it is also accompanied by a certain pleasure: we enjoy the feeling of being overwhelmed. On Kant’s view, this pleasure results from an awareness that we have powers of reason that are not dependent on sensation, but that legislate over sense. The sublime thus displays both the limitations of sense experience and hence our feeling of displeasure and the power of our own mind and hence the feeling of pleasure. The sublime was an especially important concept in the aesthetic theory of the eighteenth and nineteenth centuries. Reflection on it was stimulated by the appearance of a translation of Longinus’s Peri hypsous On the Sublime in 1674. The “postmodern sublime” has in addition emerged in late twentieth century thought as a basis for raising questions about art. Whereas beauty is associated with that whose form can be apprehended, the sublime is associated with the formless, that which is “unpresentable” in sensation. Thus, it is connected with critiques of “the aesthetic”  understood as that which is sensuously present  as a way of understanding what is important about art. It has also been given a political reading, where the sublime connects with resistance to rule, and beauty connects with conservative acceptance of existing forms or structures of society.  subsidiarium: sub-sidiarium -- subsidiarity, a basic principle of social order and the common good governing the relations between the higher and lower associations in a political community. Positively, the principle of subsidiarity holds that the common good, i.e., the ensemble of social resources and institutions that facilitate human self-realization, depends on fostering the free, creative initiatives of individuals and of their voluntary associations; thus, the state, in addition to its direct role in maintaining public good which comprises justice, public peace, and public morality also has an indirect role in promoting other aspects of the common good by rendering assistance subsidium to those individuals and associations whose activities facilitate cooperative human self-realization in work, play, the arts, sciences, and religion. Negatively, the principle of subsidiarity holds that higher-level i.e., more comprehensive associations  while they must monitor, regulate, and coordinate  ought not to absorb, replace, or undermine the free initiatives and activities of lower-level associations and individuals insofar as these are not contrary to the common good. This presumption favoring free individual and social initiative has been defended on various grounds, such as the inefficiency of burdening the state with myriad local concerns, as well as the corresponding efficiency of unleashing the free, creative potential of subordinate groups and individuals who build up the shared economic, scientific, and artistic resources of society. But the deeper ground for this presumption is the view subjunctive conditional subsidiarity 886   886 that human flourishing depends crucially on freedom for individual self-direction and for the self-government of voluntary associations and that human beings flourish best through their own personal and cooperative initiatives rather than as the passive consumers or beneficiaries of the initiatives of others.  subsistum: sub-sistum -- subsistence translation of G. Bestand, in current philosophy, especially Meinong’s system, the kind of being that belongs to “ideal” objects such as mathematical objects, states of affairs, and abstractions like similarity and difference. By contrast, the kind of being that belongs to “real” wirklich objects, things of the sorts investigated by the sciences other than psychology and pure mathematics, is called existence Existenz. Existence and subsistence together exhaust the realm of being Sein. So, e.g., the subsistent ideal figures whose properties are investigated by geometers do not exist  they are nowhere to be found in the real world  but it is no less true of them that they have being than it is of an existent physical object: there are such figures. Being does not, however, exhaust the realm of objects or things. The psychological phenomenon of intentionality shows that there are in some sense of ‘there are’ objects that neither exist nor subsist. Every intentional state is directed toward an object. Although one may covet the Hope Diamond or desire the unification of Europe, one may also covet a non-existent material object or desire a non-subsistent state of affairs. If one covets a non-existent diamond, there is in some sense of ‘there is’ something that one covets  one’s state of mind has an object  and it has certain properties: it is, e.g., a diamond. It may therefore be said to inhabit the realm of Sosein ‘being thus’ or ‘predication’ or ‘having properties’, which is the category comprising the totality of objects. Objects that do not have any sort of being, either existence or subsistence, belong to non-being Nichtsein. In general, the properties of an object do not determine whether it has being or non-being. But there are special cases: the round square, by its very nature, cannot subsist. Meinong thus maintains that objecthood is ausserseiend, i.e., independent of both existence and subsistence.  substratum: sub-statum: hypoeinai, hypostasis, hypokemeinon -- substantiaGrice: “The Romans never felt the need for the word ‘substantia’ but trust Cicero to force them to use it!” -- Grice lectured on this with J. L. Austin and P. F. Strawson. hypousia -- as defined by Aristotle in the Categories, that which is neither predicable “sayable” of anything nor present in anything as an aspect or property of it. The examples he gives are an individual man and an individual horse. We can predicate being a horse of something but not a horse; nor is a horse in something else. He also held that only substances can remain self-identical through change. All other things are accidents of substances and exist only as aspects, properties, or relations of substances, or kinds of substances, which Aristotle called secondary substances. An example of an accident would be the color of an individual man, and an example of a secondary substance would be his being a man. For Locke, a substance is that part of an individual thing in which its properties inhere. Since we can observe, indeed know, only a thing’s properties, its substance is unknowable. Locke’s sense is obviously rooted in Aristotle’s but the latter carries no skeptical implications. In fact, Locke’s sense is closer in meaning to what Aristotle calls matter, and would be better regarded as a synonym of ‘substratum’, as indeed it is by Locke. Substance may also be conceived as that which is capable of existing independently of anything else. This sense is also rooted in Aristotle’s, but, understood quite strictly, leads to Spinoza’s view that there can be only one substance, namely, the totality of reality or God. A fourth sense of ‘substance’ is the common, ordinary sense, ‘what a thing is made of’. This sense is related to Locke’s, but lacks the latter’s skeptical implications. It also corresponds to what Aristotle meant by matter, at least proximate matter, e.g., the bronze of a bronze statue Aristotle analyzes individual things as composites of matter and form. This notion of matter, or stuff, has great philosophical importance, because it expresses an idea crucial to both our ordinary and our scientific understandings of the world. Philosophers such as Hume who deny the existence of substances hold that individual things are mere bundles of properties, namely, the properties ordinarily attributed to them, and usually hold that they are incapable of change; they are series of momentary events, rather than things enduring through time.  substantialism, the view that the primary, most fundamental entities are substances, everything else being dependent for its existence on them, either as a property of them or a relation between them. Different versions of the view would correspond to the different senses of the word ‘substance’. 

 

salva-veritate/salva-congruitate distinction, the The phrase occurs in two fragments from Gottfried Leibniz's General Science. Characteristics:  In Chapter 19, Definition 1, Leibniz writes: "Two terms are the same (eadem) if one can be substituted for the other without altering the truth of any statement (salva veritate)." In Chapter 20, Definition 1, Leibniz writes: "Terms which can be substituted for one another wherever we please without altering the truth of any statement (salva veritate), are the same (eadem) or coincident (coincidentia). For example, 'triangle' and 'trilateral', for in every proposition demonstrated by Euclid concerning 'triangle', 'trilateral' can be substituted without loss of truth (salva veritate)." ubstitutivity salva veritate: Grice: “The phrase ‘salva veritate’ has been used at Oxford for years, Kneale tells me!” -- a condition met by two expressions when one is substitutable for the other at a certain occurrence in a sentence and the truth-value truth or falsity of the sentence is necessarily unchanged when the substitution is made. In such a case the two expressions are said to exhibit substitutivity or substitutability salva veritate literally, ‘with truth saved’ with respect to one another in that context. The expressions are also said to be interchangeable or intersubstitutable salva veritate in that context. Where it is obvious from a given discussion that it is the truth-value that is to be preserved, it may be said that the one expression is substitutable for the other or exhibits substitutability with respect to the other at that place. Leibniz proposed to use the universal interchangeability salva veritate of two terms in every “proposition” in which they occur as a necessary and sufficient condition for identity  presumably for the identity of the things denoted by the terms. There are apparent exceptions to this criterion, as Leibniz himself noted. If a sentence occurs in a context governed by a psychological verb such as ‘believe’ or ‘desire’, by an expression conveying modality e.g., ‘necessarily’, ‘possibly’, or by certain temporal expressions such as ‘it will soon be the case that’, then two terms may denote the same thing but not be interchangeable within such a sentence. Occurrences of expressions within quotation marks or where the expressions are both mentioned and used cf. Quine’s example, “Giorgione was so-called because of his size” also exhibit failure of substitutivity. Frege urged that such failures are to be explained by the fact that within such contexts an expression does not have its ordinary denotation but denotes instead either its usual sense or the expression itself. Salva congruitate From , the free encyclopedia Jump to navigationJump to search Salva congruitate is a Latin scholastic term in logic, which means "without becoming ill-formed", salva meaning rescue, salvation, welfare and congruitate meaning combine, coincide, agree. Salva Congruitate is used in logic to mean that two terms may be substituted for each other while preserving grammaticality in all contexts.   Contents 1 Remarks on salva congruitate 1.1 Timothy C. Potts 1.2 Bob Hale 2See also 3References Remarks on salva congruitate Timothy C. Potts Timothy C. Potts describes salva congruitate as a form of replacement in the context of meaning. It is a replacement which preserves semantic coherence and should be distinguished from a replacement which preserves syntactic coherence but may yield an expression to which no meaning has been given. This means that supposing an original expression is meaningful, the new expression obtained by the replacement will also be meaningful, though it will not necessarily have the same meaning as the original one, nor, if the expression in question happens to be a proposition, will the replacement necessarily preserve the truth value of the original.  Bob Hale Bob Hale explains salva congruitate, as applied to singular terms, as substantival expressions in natural language, which are able to replace singular terms without destructive effect on the grammar of a sentence. Thus the singular term 'Bob' may be replaced by the definite description 'the first man to swim the English Channel' salva congruitate. Such replacement may shift both meaning and reference, and so, if made in the context of a sentence, may cause a change in truth-value. Thus terms which may be interchanged salva congruitate may not be interchangeable salva veritate (preserving truth). More generally, expressions of any type are interchangeable salva congruitate if and only if they can replace one another preserving grammaticality or well-formedness.  See also Salva veritate Reference principle Referential opacity Crispin Wright Peter Geach References  W.V.O. Quine, Philosophy of logic  Dr. Benjamin Schnieder, Canonical Property Designators, P9  W.V.O. Quine, Quiddities, P204  W.V.O. Quine, Philosophy of Logic, P18  Timothy C. Potts, Structures and categories for the representation of meaning, p57  Bob Hale, Singular Terms, P34 Categories: Concepts in logicPhilosophical logicPhilosophy of languageLatin logical phrases. Refs.: H. P. Grice, “Implicaturum salva veritate,” H. P. Grice, “What I learned from T. C. Potts.”T. C. Potts, “My tutorials with Grice at St. John’s.”

 

summum bonum: Grice: “that in relation to which all other things have at most instrumental value value only insofar as they are productive of what is the highest good. Philosophical conceptions of the summum bonum have for the most part been teleological in character. That is, they have identified the highest good in terms of some goal or goals that human beings, it is supposed, pursue by their very nature. These natural goals or ends have differed considerably. For the theist, this end is God; for the rationalist, it is the rational comprehension of what is real; for hedonism, it is pleasure; etc. The highest good, however, need not be teleologically construed. It may simply be posited, or supposed, that it is known, through some intuitive process, that a certain type of thing is “intrinsically good.” On such a view, the relevant contrast is not so much between what is good as an end and what is good as a means to this end, as between what is good purely in itself and what is good only in combination with certain other elements the “extrinsically good”. Perhaps the best example of such a view of the highest good would be the position of Moore. Must the summum bonum be just one thing, or one kind of thing? Yes, to this extent: although one could certainly combine pluralism the view that there are many, irreducibly different goods with an assertion that the summum bonum is “complex,” the notion of the highest good has typically been the province of monists believers in a single good, not pluralists. -- summum genus. What adjective is the ‘sumum’ translating, Grice wondered. And he soon found out. We know that the Romans were unoriginally enough with their ‘genus’ (cf. ‘gens’) translating Grecian ‘genos.’ The highest category in the ‘arbor griceiana’ -- The categories. There is infimum genus, or sub-summum. Talk of categories becomes informal in Grice when he ‘echoes’ Kant in the mention of four ‘functions’ that generate for Kant twelve categories. Grice however uses the functions themselves, echoing Ariskant, rather, as ‘caegory’. We have then a category of conversational quantity (involved in a principle of maximization of conversational informativeness). We have a category of conversational quality (or a desideratum of conversational candour). We have a category of conversational relation (cf. Strawson’s principle of relevance along with Strawson’s principles of the presumption of knowledge and the presumption of ignorance). Lastly, we have a category of conversational mode. For some reason, Grice uses ‘manner’ sometimes in lieu of Meiklejohn’s apt translation of Kant’s modality into the shorter ‘mode.’ The four have Aristotelian pedigree, indeed Grecian and Graeco-Roman: The quantity is Kant’s quantitat which is Aristotle’s posotes (sic abstract) rendered in Roman as ‘quantitas.’ Of course, Aristotle derives ‘posotes,’ from ‘poson,’ the quantum. No quantity without quantum. The quality is Kant’s qualitat, which again has Grecian and Graeco-Roman pediegree. It is Aristotel’s poiotes (sic in abstract), rendered in Roman as qualitas. Again, derived from the more basic ‘poion,’ or ‘quale.’ Aristotle was unable to find a ‘-tes’ ending form for what Kant has as ‘relation.’ ‘pros it’ is used, and first translated into Roman as ‘relatio.’ We see here that we are talking of a ‘summum genus.’ For who other but a philosopher is going to lecture on the ‘pros it’? What Aristotle means is that Socrates is to the right of Plato. Finally, for Grice’s mode, there is Kant’s wrong ‘modalitat,’ since this refers to Aristotle ‘te’ and translated in Roman as ‘modus,’ which Meiklejohn, being a better classicist than Kant, renders as ‘mode,’ and not the pretentious sounding ‘modality.’ Now for Kant, 12 categories are involved here. Why? Because he subdivides each summum genus into three sub-summum or ‘inferiore’ genus. This is complex. Kant would DISAGREE with Grice’s idea that a subject can JUDGE in generic terms, say, about the quantum. The subject has THREE scenarios. It’s best to reverse the order, for surely unity comes before totality. One scenario, he utters a SINGULAR or individual utterance (Grice on ‘the’). The CATEGORY is the first category, THE UNUM or UNITAS. The one. The unity. Second scenario, he utters a PARTICULAR utterance (Grice’s “some (at least one). Here we encounter the SECOND category, that of PLURALITAS, the plurum, plurality. It’s a good thing Kant forgot that the Greeks had a dual number, and that Urquhart has fourth number, a re-dual. A third scenario: the nirvana. He utters a UNIVERSAL (totum) utterance (Grice on “all”). The category is that of TOTUM, TOTALITAS, totality. Kant does not deign to specify if he means substitutional or non-substitutional. For the quale, there are again three scenarios for Kant, and he would deny that the subject is confronted with the FUNCTION quale and be able to formulate a judgement. The first scenario involves the subject uttering a PROPOSITIO DEDICATIVA (Grice elaborates on this before introducing ‘not’ in “Indicative conditionals”“Let’s start with some unstructured amorophous proposition.” Here the category is NOT AFFIRMATION, but the nirvana “REALITAS,” Reality, reale.Second scenario, subject utters a PROPOSITIO ABDICATIVA (Grice on ‘not’). While Kant does not consider affirmatio a category (why should he?), he does consider NEGATIO a category. Negation. See abdicatum. Third scenario, subject utters an PROPOSITIO INFINITA. Here the category is that of LIMITATION, which is quite like NEGATIO (cf. privatio, stelesis, versus habitus or hexis), but not quite. Possibly LIMITATUM. Regarding the ‘pros ti.’ The first scenario involves a categorema, PROPOSITIO CATEGORICA. Here Kant seems to think that there is ONE category called “INHERENCE AND SUBSTISTENCE or substance and accident. There seem rather two. He will go to this ‘pair’ formulation in one more case in the relation, and for the three under modus. If we count the ‘categorical pairs’ as being two categories. The total would not be 12 categories but 17, which is a rather ugly number for a list of categories, unles it is not. Kant is being VERY serious here, because if he has SUBSTISTENCE or SUBSTANCE as a category, this is SECUNDA SUBSTANTIA or ‘deutero-ousia.’ It is a no-no to count the prote ousia or PRIMA SUBSTANTIA as a category. It is defined as THE THING which cannot be predicated of anything! “SUMBEBEKOS” is a trick of Kant, for surely EVERYTHING BUT THE SUBSTANCE can be seen as an ‘accidens’ (In fact, those who deny categories, reduce them to ‘attribute’, or ‘property.’ The second scenario involves an ‘if’ Grice on ‘if’PROPOSITIO CONDITIONALIShypothetike protasis -- this involves for the first time a MOLECULAR proposition. As in the previous case, we have a ‘category pair’, which is formulated either as CAUSALITY (CAUSALITAS) and DEPENDENCE (Dependentia), or “cause’ (CAUSA) and ‘effect’ (Effectum). Kant is having in mind Strawson’s account of ‘if’ (The influence of P. F. Strawson on Kant). For since this is the hypothetical, Kant is suggeseting that in ‘if p, q’ q depends on p, or q is an effect of its causeAs in “If it rains, the boots are in the closet.” (J). The third scenario also involves a molectural proposition, A DISJUNCTUM. PROPOSITIO DISJUNCTIVA. Note that in Kant, ‘if’ before ‘or’! His implicaturum: subordination before coordination, which makes sense. Grice on ‘or.’ FOR SOME REASON, the category here for Kant is that of COMMUNITAS (community) or RECIPROCITAS, reciprocity. He seems to be suggesting that if you turn to the right or to the left, you are reciprocally forbidden to keep on going straight. For the modus, similar. Here Kant is into modality. Again, it is best to re-order the scenarios in terms of priority. Here it’s the middle which is basic. The first scenario, subject utters an ASSERTORIC. The category is a pair: EXISTENCE (how is this different from REALITY) and NON-EXISTENCE (how is this different from negation?). He has in mind: ‘the cat is in the room,’ ‘the room is empty.’ Second scenario, the subject doubts. subject utters a problematical. (“The pillar box may be red”). Here we have a category pair: POSSIBILITIAS (possibility) and, yes, IMPOSSIBILITASIMPOSSIBILITY. This is odd, because ‘impossibility’ goes rather with the negation of necessity. The third and last scenario, subject utters an APODEICTIC. Here again there is a category pairyielding 17 as the final number --: NECESSITAS, necessity, and guess what, CONTINGENTIA, or contingency. Surely, possibilitas and contingentia are almost the same thing. It may be what Grice has in mind when he blames a philosopher to state that ‘what is actual is not also possible.’ Or not. Refs.: H. P. Grice, “Gilbert Ryle’s criticism of Ariskant’s categories,” Ryle, “Categories.” “The named categories.” Ryle notes that when it comes to ‘relatio,’ Kant just murders Aristotle’s idea of a ‘relation’ as in higher than, or smaller than.“His idea of the molecular propositions has nothing to do with Aristotle’s ‘relation’ or ‘pros ti.’”

 

sub-positum, suppositum(literally, ‘sub-positum,’) -- cf. presuppositum -- in the Middle Ages, reference. The theory of supposition, the central notion in the theory of proprietates terminorum, was developed in the twelfth century, and was refined and discussed into early modern times. It has two parts their names are a modern convenience. 1 The theory of supposition proper. This typically divided suppositio into “personal” reference to individuals not necessarily to persons, despite the name, “simple” reference to species or genera, and “material” reference to spoken or written expressions. Thus ‘man’ in ‘Every man is an animal’ has personal supposition, in ‘Man is a species’ simple supposition, and in ‘Man is a monosyllable’ material supposition. The theory also included an account of how the range of a term’s reference is affected by tense and by modal factors. 2 The theory of “modes” of personal supposition. This part of supposition theory divided personal supposition typically into “discrete” ‘Socrates’ in ‘Socrates is a man’, “determinate” ‘man’ in ‘Some man is a Grecian’, “confused and distributive” ‘man’ in ‘Every man is an animal’, and “merely confused” ‘animal’ in ‘Every man is an animal’. The purpose of this second part of the theory is a matter of some dispute. By the late fourteenth century, it had in some authors become a theory of quantification. The term ‘suppositio’ was also used in the Middle Ages in the ordinary sense, to mean ‘assumption’, ‘hypothesis’. H. P. Grice, “Implicaturum, implicatum, positum, subpositum;” H. P. Grice: “A communicational analogy: explicatum/expositum:implicatum/impositum,” H. P. Grice, “The positum: between the sub-positum and the supra-positum,” H. P. Grice, “The implicaturum, the sous-entendu, and the sub-positum.”

 

survival: discussed by Grice in what he calls the ‘genoritorial programme, where the philosopher posits himself as a creature-constructor. It’s an expository device that allows to ask questions in the third person, “seeing that we can thus avoid the so-called ‘first-person bias’” -- continued existence after one’s biological death. So understood, survival can pertain only to beings that are organisms at some time or other, not to beings that are disembodied at all times as angels are said to be or to beings that are embodied but never as organisms as might be said of computers. Theories that maintain that one’s individual consciousness is absorbed into a universal consciousness after death or that one continues to exist only through one’s descendants, insofar as they deny one’s own continued existence as an individual, are not theories of survival. Although survival does not entail immortality or anything about reward or punishment in an afterlife, many theories of survival incorporate these features. Theories about survival have expressed differing attitudes about the importance of the body. supervenient behaviorism survival 892   892 Some philosophers have maintained that persons cannot survive without their own bodies, typically espousing a doctrine of resurrection; such a view was held by Aquinas. Others, including the Pythagoreans, have believed that one can survive in other bodies, allowing for reincarnation into a body of the same species or even for transmigration into a body of another species. Some, including Plato and perhaps the Pythagoreans, have claimed that no body is necessary, and that survival is fully achieved by one’s escaping embodiment. There is a similar spectrum of opinion about the importance of one’s mental life. Some, such as Locke, have supposed that survival of the same person would require memory of one’s having experienced specific past events. Plato’s doctrine of recollection, in contrast, supposes that one can survive without any experiential memory; all that one typically is capable of recollecting are impersonal necessary truths. Philosophers have tested the relative importance of bodily versus mental factors by means of various thought experiments, of which the following is typical. Suppose that a person’s whole mental life  memories, skills, and character traits  were somehow duplicated into a data bank and erased from the person, leaving a living radical amnesiac. Suppose further that the person’s mental life were transcribed into another radically amnesiac body. Has the person survived, and if so, as whom? 

 

swinburne: Grice: “Those Savoyards among us should never confuse Swinburne, parodied in “Patience,” and the Oxonian theologianhardly an aesthete!” -- English philosopher of religion and of science. In philosophy of science, he has contributed to confirmation theory and to the philosophy of space and time. His work in philosophy of religion is the most ambitious project in philosophical theology undertaken by a British philosopher in the twentieth century. Its first part is a trilogy on the coherence and justification of theistic belief and the rationality of living by that belief: TheCoherence of Theism 7, The Existence of God 9, and Faith and Reason 1. Since 5, when Swinburne became Nolloth Professor of the Philosophy of the Christian Religion at the  of Oxford, he has written a tetralogy about some of the most central of the distinctively Christian religious doctrines: Responsibility and Atonement 9, Revelation 2, The Christian God 4, and Providence and the Problem of Evil 8. The most interesting feature of the trilogy is its contribution to natural theology. Using Bayesian reasoning, Swinburne builds a cumulative case for theism by arguing that its probability is raised sustaining cause Swinburne, Richard 893   893 by such things as the existence of the universe, its order, the existence of consciousness, human opportunities to do good, the pattern of history, evidence of miracles, and religious experience. The existence of evil does not count against the existence of God. On our total evidence theism is more probable than not. In the tetralogy he explicates and defends such Christian doctrines as original sin, the Atonement, Heaven, Hell, the Trinity, the Incarnation, and Providence. He also analyzes the grounds for supposing that some Christian doctrines are revealed truths, and argues for a Christian theodicy in response to the problem of evil. Refs.: H. P. Grice, “Swinburne et moi.”

 

CVM-SENSATIO -- synæsthesia: cum-perceptum: co-sensibilecum-sensibileco-sensatio, co-sensation -- a conscious experience in which qualities normally associated with one sensory modality are or seem to be sensed in another. Examples include auditory and tactile visions such as “loud sunlight” and “soft moonlight” as well as visual bodily sensations such as “dark thoughts” and “bright smiles.” Two features of synaesthesia are of philosophic interest. First, the experience may be used to judge the appropriateness of sensory metaphors and similes, such as Baudelaire’s “sweet as oboes.” The metaphor is appropriate just when oboes sound sweet. Second, synaesthesia challenges the manner in which common sense distinguishes among the external senses. It is commonly acknowledged that taste, e.g., is not only unlike hearing, smell, or any other sense, but differs from them because taste involves gustatory rather than auditory experiences. In synaesthesia, however, one might taste sounds sweet-sounding oboes. G.A.G. syncategoremata, 1 in grammar, words that cannot serve by themselves as subjects or predicates of categorical propositions. The opposite is categoremata, words that can do this. For example, ‘and’, ‘if’, ‘every’, ‘because’, ‘insofar’, and ‘under’ are syncategorematic terms, whereas ‘dog’, ‘smooth’, and ‘sings’ are categorematic ones. This usage comes from the fifth-century Latin grammarian Priscian. It seems to have been the original way of drawing the distinction, and to have persisted through later periods along syllogism, demonstrative syncategoremata 896   896 with other usages described below. 2 In medieval logic from the twelfth century on, the distinction was drawn semantically. Categoremata are words that have a definite independent signification. Syncategoremata do not have any independent signification or, according to some authors, not a definite one anyway, but acquire a signification only when used in a proposition together with categoremata. The examples used above work here as well. 3 Medieval logic distinguished not only categorematic and syncategorematic words, but also categorematic and syncategorematic uses of a single word. The most important is the word ‘is’, which can be used both categorematically to make an existence claim ‘Socrates is’ in the sense ‘Socrates exists’ or syncategorematically as a copula ‘Socrates is a philosopher’. But other words were treated this way too. Thus ‘whole’ was said to be used syncategorematically as a kind of quantifier in ‘The whole surface is white’ from which it follows that each part of the surface is white, but categorematically in ‘The whole surface is two square feet in area’ from which it does not follow that each part of the surface is two square feet in area. 4 In medieval logic, again, syncategoremata were sometimes taken to include words that can serve by themselves as subjects or predicates of categorical propositions, but may interfere with standard logical inference patterns when they do. The most notorious example is the word ‘nothing’. If nothing is better than eternal bliss and tepid tea is better than nothing, still it does not follow by the transitivity of ‘better than’ that tepid tea is better than eternal bliss. Again, consider the verb ‘begins’. Everything red is colored, but not everything that begins to be red begins to be colored it might have been some other color earlier. Such words were classified as syncategorematic because an analysis called an expositio of propositions containing them reveals implicit syncategoremata in sense 1 or perhaps 2. Thus an analysis of ‘The apple begins to be red’ would include the claim that it was not red earlier, and ‘not’ is syncategorematic in both senses 1 and 2. 5 In modern logic, sense 2 is extended to apply to all logical symbols, not just to words in natural languages. In this usage, categoremata are also called “proper symbols” or “complete symbols,” while syncategoremata are called “improper symbols” or “incomplete symbols.” In the terminology of modern formal semantics, the meaning of categoremata is fixed by the models for the language, whereas the meaning of syncategoremata is fixed by specifying truth conditions for the various formulas of the language in terms of the models. H. P. Grice, “Implicatures of synaesthesia,” “Some remarks about the senses.”

 

syneidesis, conscientia -- synderesis: Grice disliked the word as a ‘barbarism.’ Grice: “synderesis was by most of us at the Playgroup reckoned to be a corruption of the Greician “συνείδησις” shared knowledge, literally ‘co-ideatio,’ formed from ‘syn’ and ‘eidesis,’ ‘co-vision,’ or conscience,  the corruption appearing in the medieval manuscripts of what Austin called ‘that ignorant saint,’ Jerome in his Commentary.” Douglas Kries in Traditio  57: Origen, Plato, and Conscience (Synderesis) in Jerome's Ezekiel Commentary67. συνείδησις , εως, ἡ, A. Liddell and Scott render as “knowledge shared with another,” -- τῶν ἀλγημάτων (in a midwife) Sor.1.4. 2. communication, information, εὑρήσεις ς. PPar. p.422 (ii A.D.); “ς. εἰσήνεγκαν τοῖς κολλήγαις αὐτῶν” POxy. 123.13 (iii/iv A.D.). 3. knowledge, λῦε ταῦτα πάντα μὴ διαλείψας ἀγαθῇ ς. (v.l. ἀγαθῇ τύχῃ) Hp.Ep.1. 4. consciousness, awareness, [τῆς αὑτοῦ συστάσεως] ChrysiStoic.3.43, cf. Phld.Rh.2.140 S., 2 Ep.Cor.4.2, 5.11, 1 Ep.Pet.2.19; “τῆς κακοπραγμοσύνης” Democr.297, cf. D.S.4.65, Ep.Hebr.10.2; “κατὰ συνείδησιν ἀτάραχοι διαμενοῦσι” Hero Bel.73; inner consciousness, “ἐν ς. σου βασιλέα μὴ καταράσῃ” LXX Ec. 10.20; in 1 Ep.Cor.8.7 συνειδήσει is f.l. for συνηθείᾳ. 5. consciousness of right or wrong doing, conscience, Periander and Bias ap. Stob.3.24.11,12, Luc.Am.49; ἐὰν ἐγκλήματός τινος ἔχῃ ς. Anon. Oxy.218 (a ii 19; “βροτοῖς ἅπασιν ἡ ς. θεός” Men.Mon.654, cf. LXX Wi.17.11, D.H.Th.8 (but perh. interpol.); “ς. ἀγαθή” Act.Ap.23.1; ἀπρόσκοπος πρὸς τὸν θεόν ib.24.16; “καθαρά” 1 Ep.Ti.3.9, POsl.17.10 (ii A.D.); “κολαζομένους κατὰ συνείδησιν” Vett.Val.210.1; “θλειβομένη τῇ ς. περὶ ὧν ἐνοσφίσατο” PRyl.116.9 (ii A.D.); τὸν . . θεὸν κεχολωμένον ἔχοιτο καὶ τὴν ἰδίαν ς. Ath.Mitt.24.237 (Thyatira); conscientiousness, Arch.Pap.3.418.13 (vi A.D.).--Senses 4 and 5 sts. run one into the other, v. 1 Ep.Cor.8.7, 10.27 sq. 6. complicity, guilt, crime, “περὶ τοῦ πεφημίσθαι αὐτὴν ἐν ς. τοιαύτῃ” SuEpigr.4.648.13 (Lydia, ii A.D.). Grice: “The rough Romans could not do with the ‘cum-‘ of the ‘syn-‘ but few of us at Oxford think of Laurel and Hardy or Grice and Strawson when they say ‘conscientia’!” con-scĭo , īre, v. a. * I. To be conscious of wrong: nil sibi, * Hor. Ep. 1, 1, 61.— II. To know well (late Lat.): “consciens Christus, quid esset,” Tert. Carn. Chr. 3. moral theology, conscience. Jerome used ‘synderesis.’ ‘Synderesis’ becomes a fixture because of Peter Lombard’s inclusion of it in his Sentences. Despite this origin, Grecian ‘synderesis’ is distinguished from Roman ‘conscience’ (from cum-scire) --  by Aquinas. For Aquinas, Grecian ‘synderesis’ is the quasi-habitual grasp of the most common principles of the moral order i.e., natural law, whereas ‘conscienntia’ is the *application* of such knowledge to fleeting and unrepeatable circumstances. ’Conscientia,’ Aquinas misleadingly claims, is allegedly ambiguous in the way in which ‘knowledge’ is. Knowledge (Scientia) can be the mental state of the knower or what the knower knows (scitum, cognitum)Grice: “In fact, Roman has four participles, active present, sciens, passive perfect, sctium, future active, sciendus, future passive, sciturus -- But ‘conscientia’  like ‘synderesis’, is typically used for the state of the soul. Sometimes, however, conscientia is taken to include general moral knowledge as well as its application here and now; but the content of synderesis is the most general precepts, whereas the content of conscience, if general knowledge, will be less general precepts. Since conscience can be erroneous, the question arises as to whether synderesis and its object, natural law precepts, can be obscured and forgotten because of bad behavior or upbringing. Aquinas holds that while great attrition can take place, such common moral knowledge cannot be wholly expunged from the soul. This is a version of the Aristotelian doctrine that there are starting points of knowledge so easily grasped that the grasping of them is a defining mark of the human being. However perversely the human agent behaves there will remain not only the comprehensive realization that good (bonum) is to be done and evil (malum) avoided, but also the recognition of some substantive human goods. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ad Aquino,” Villa Grice --. H. P. Grice, “Kenny on Aquinas,” “Kenny uses barbaric Griceian and Grecian.”

 

synergism: in soteriology, the cooperation within human consciousness of free will and divine grace in the processes of conversion and regeneration. Synergism became an issue in sixteenth-century Lutheranism during a controversy prompted by Philip Melanchthon 1497 syncategorematic synergism 897   897 1569. Under the influence of Erasmus, Melanchthon mentioned, in the 1533 edition of his Common Places, three causes of good actions: “the Word, the Holy Spirit, and the will.” Advocated by Pfeffinger, a Philipist, synergism was attacked by the orthodox, predestinarian, and monergist party, Amsdorf and Flacius, who retorted with Gnesio-Lutheranism. The ensuing Formula of Concord 1577 officialized monergism. Synergism occupies a middle position between uncritical trust in human noetic and salvific capacity Pelagianism and deism and exclusive trust in divine agency Calvinist and Lutheran fideism. Catholicism, Arminianism, Anglicanism, Methodism, and nineteenth- and twentieth-century liberal Protestantism have professed versions of synergism. 

 

systems theory: the transdisciplinary study of the abstract organization of phenomena, independent of their substance, type, or spatial or temporal scale of existence. It investigates both the principles common to all complex entities and the usually mathematical models that can be used to describe them. Systems theory was proposed in the 0s by the biologist Ludwig von Bertalanffy and furthered by Ross Ashby Introduction to Cybernetics, 6. Von Bertalanffy was both reacting against reductionism and attempting to revive the unity of science. He emphasized that real systems are open to, and interact with, their environments, and that they can acquire qualitatively new properties through emergence, resulting in continual evolution. Rather than reduce an entity e.g. the human body to the properties of its parts or elements e.g. organs or cells, systems theory focuses on the arrangement of and relations among the parts that connect them into a whole cf. holism. This particular organization determines a system, which is independent of the concrete substance of the elements e.g. particles, cells, transistors, people. Thus, the same concepts and principles of organization underlie the different disciplines physics, biology, technology, sociology, etc., providing a basis for their unification. Systems concepts include: system environment boundary, input, output, process, state, hierarchy, goal-directedness, and information. The developments of systems theory are diverse Klir, Facets of Systems Science, 1, including conceptual foundations and philosophy e.g. the philosophies of Bunge, Bahm, and Laszlo; mathematical modeling and information theory e.g. the work of Mesarovic and Klir; and practical applications. Mathematical systems theory arose from the development of isomorphies between the models of electrical circuits and other systems. Applications include engineering, computing, ecology, management, and family psychotherapy. Systems analysis, developed independently of systems theory, applies systems principles to aid a decision maker with problems of identifying, reconstructing, optimizing, and controlling a system usually a socio-technical organization, while taking into account multiple objectives, constraints, and resources. It aims to specify possible courses of action, together with their risks, costs, and benefits. Systems theory is closely connected to cybernetics, and also to system dynamics, which models changes in a network of synergy systems theory 898   898 coupled variables e.g. the “world dynamics” models of Jay Forrester and the Club of Rome. Related ideas are used in the emerging “sciences of complexity,” studying self-organization and heterogeneous networks of interacting actors, and associated domains such as far-from-equilibrium thermodynamics, chaotic dynamics, artificial life, artificial intelligence, neural networks, and computer modeling and simulation. 

 

taddio: Luca Taddio (Udine), filosofo. Si occupa in particolare di fenomenologia della percezione, ontologia e teoria della conoscenza a cavallo tra estetica e metafisica. È direttore editoriale, con Pierre dalla Vigna, della casa editrice Mimesis Edizioni. Luca Taddio nasce a Udine nel 1974. Dopo i primi studi artistici si laurea in Filosofia a Trieste, successivamente, trascorre un periodo di studio presso il dipartimento di Filosofia dell'Edimburgo: completa la sua formazione all'Trieste conseguendo il titolo di dottore di ricerca. È stato allievo dello psicologo sperimentale Paolo Bozzi e del filosofo Giorgio Derossi.  Il primo libro, Spazi immaginali (Prefazione di Maurizio Ferraris), è un testo di narrativa filosofica che si inserisce all'interno della tradizione del realismo magico: l'esistenza viene espressa da una sequenza di istantanee emergenti dallo spazio immaginale.  Tutti gli scritti dell'autore sono di matrice realista: Fenomenologia eretica è un libro incentrato sull'analisi di un unico esempio considerato dall'autore paradigmatico per l'intera tradizione fenomenologica, la percezione di un cubo. L'analisi critica dell'esperienza è sviluppata, da un lato, in rapporto alla fenomenologia sperimentale di Paolo Bozzi e, dall'altro, in risposta alle critiche che Emanuele Severino rivolge alla fenomenologia.  A partire dall'opera pittorica di René Magritte, ne I due misteri viene applicata la teoria della percezione diretta, elaborata in Fenomenologia eretica, al problema della raffigurazione pittorica. Il pensiero di Magritte viene discusso alla fine del volume in un dialogo con Massimo Donà.  L'insegnamento di estetica alla facoltà di Architettura lo porta a realizzare, con Damiano Cantone, il testo: L'affermazione dell'architettura. La relazione filosofia-architettura sta al centro di altri due libri da lui curati: Costruire abitare pensare e Città metropoli territorio; il concetto di affermazione sarà nuovamente preso in esame in un numero di aut aut dedicato a Derrida e l'architettura.  In Verso un nuovo realismo si delinea un'ontologia della metastabilità, il libro si conclude con un dialogo con Maurizio Ferraris sul Nuovo realismo. Sul tema del Nuovo realismo avvia un articolato confronto con Maurizio Ferraris ed Emanuele Severino.   Le riflessioni sul Nuovo realismo si sono sviluppate in diversi direzioni: politica, architettura, cinema, ontologia ed epistemologia (Si veda: Alfabeta2; “aut aut”; “Cinema&Cie”; “Teoria & Modelli”; “La Filosofia Futura”; “Philosophical Readings”;). Fonda, con Pierre dalla Vigna, Mimesis Edizioni: la società è detentrice dei marchi editoriali di Mimesis in Italia e all'estero. Nel 2006 costituisce, con Marco Brollo, lo studio grafico Mimesis Communication.  Nel  progetta e realizza la rivista di approfondimento culturale Scenari diretta da Damiano Cantone e nello stesso anno crea e dirige il Festival MimesisTerritori delle idee.  A partire da una prima formazione politica di stampo liberal-socialista lavora in direzione di un rilancio della cultura cosmopolita in rapporto alle nuove forme di partecipazione democratica  (interventi: Festival Vicino Lontano, Pop Sophia, Radio Radicale).  Nel  viene nominato dal Ministro Dario Franceschini nel Cda di Palazzo Reale a Genova. Dall'anno accademico -19 è professore associato di estetica presso l'Università degli studi di Udine.  Monografie Spazi immaginali, Campanotto Editore, Fenomenologia eretica. Saggio sull'esperienza immediata della cosa, Mimesis,  L'affermazione dell'architettura. Una riflessione introduttiva (con Damiano Cantone), Mimesis,  Global Revolution, Mimesis,  I due misteri. Da Magritte alla natura delle rappresentazioni pittoriche, Mimesis,  Verso un nuovo realismo. Osservazioni sulla stabilità tra estetica e metafisica, Jouvence,  Curatele Paolo Bozzi, Un mondo sotto osservazione, Mimesis, La guerra e il mortale. A lezione da Emanuele Severino, Mimesis, 2009 Costruire Abitare Pensare, Mimesis, 2009 Quale filosofia per il partito democratico e la sinistra, Mimesis,  La Terra e il Sacro. A lezione da Massimo Donà, Mimesis,  Città Metropoli Territorio, Mimesis,  David Cronenberg. Un metodo pericoloso, Mimesis,  Manifesto per una sinistra cosmopolita, Mimesis,  Radicalmente liberi. A partire da Marco Pannella, con L. Caffo, Mimesis  In dialogo con Maurizio Ferraris, Mimesis  Note  Curriculum Luca Taddio , su lucataddio.com 1º giugno ).  Massimo DonàL'apparire della CosaLa Fenomenologia Eretica Di Luca Taddio, su youtube.com.  Uno scandalo per il pensiero, su ilsole24ore.com.  “aut aut” n. 368/, su autaut.ilsaggiatore.com.  Ma il realismo non è tutto nuovo, su corriere.it.  È il crepuscolo delle tradizioni, su corriere.it.  Sinistra e Nuovo Realismo, su alfabeta2.it.  Vuoti di sapere, su autaut.ilsaggiatore.com.  The Geopolitics of Cinema and the Study of Film, su cinemaetcie.net 24 settembre ).  Teorie & Modelli, su pitagoragroup.it 7 maggio ).  La Filosofia Futura, su lafilosofiafutura.it.  PHILOSOPHICAL READINGSSpecial Issue on: REALISM AND ANTI-REALISM: NEW PERSPECTIVES , su philosophicalreadings.files.wordpress.com.  Passione politica e democrazia. Con U. Curi, M. Pacini, M. Panarari e L.Taddio, su youtube.com.  "Marionette al potere" Curi, Marramao, Taddio, su youtube.com.  Oratore: Luca Taddio, su radioradicale.it.  CDA Palazzo Reale Genova , su beniculturali.it.  Sito ufficiale, su lucataddio.it.  Registrazioni di Luca Taddio, su RadioRadicale.it, Radio Radicale.  Intervista a E. Severino Artribune: intervista di Davide Dal.

 

Tagliabue:  Guido Morpurgo-Tagliabue (Milano), filosofo. Nato da padre ignoto e da giovane Giovanna Tagliabue, poi moglie del maturo avvocato, assessore e filantropo Gerolamo Morpurgo, si formò a Milano, laureandosi in Filosofia. Dopo diverse collaborazioni a riviste come critico letterario e teatrale, si occupò lui stesso di filosofia a partire da due saggi del dopoguerra, Le strutture del trascendentale e Il concetto dello stile (entrambi pubblicati nel 1951), che gli fecero avere il posto di professore di Estetica all'Università degli Studi di Milano (fino al 1961), poi quello di Filosofia teoretica all'Università degli Studi di Trieste (dal 1964 al 1982).  In precedenza aveva collaborato dal 1931 al 1938 alla rivista Il Convegno, ma scrisse anche su La Lettura e La Rassegna d'Italia, e più di recente su Rivista critica di storia della filosofia, Rivista di filosofia, Belfagor, Giornale critico della filosofia italiana, Rivista di estetica, Il pensiero, Aretusa , Lingua e stile, Studi di estetica, Studi tedeschi, aut aut ecc.  Si occupò di germanistica, gnoseologia, semantica, estetica e poetica, attraverso numerosi saggi di taglio fenomenologico.  Come per Adelchi Baratono e Antonio Banfi, la sua analisi dell'estetica e delle scelte poetiche e stilistiche degli artisti si distacca dall'impostazione di Benedetto Croce e poi di Guido Calogero per orientarsi verso l'aspetto pratico (influenzato anche dall'esistenzialismo positivo di Nicola Abbagnano) del fare arte, che non può ridursi alla sola conoscenza, ed è fortemente legato alla tecnica, intesa anche come gesto manuale e meccanico, e allo stile, inteso come rapporto tra gli elementi formali e quelli contenutistici dell'opera (sede, inoltre, dell'unità nel rapporto tra percezione e immaginazione).  Nel 1960 i suoi studi sono ripresi e sistemati in L'esthétique contemporaine, pubblicato in francese e tradotto in diverse lingue. Qui organizza le teorie d'artista e le dottrine estetiche non tanto in senso cronologico, ma per tipi: estetiche vitalistiche, psicologistiche, formalistiche, fenomenologiche ecc.  In Linguistica e stilistica di Aristotele (1967) e Demetrio, dello stile (1980) si occupa di retorica e stilistica antiche. Aristotelismo e Barocco (1954) e Il Barocco e noi (1986) (poi riuniti in Anatomia del Barocco, 1987) indagano sul Barocco (artistico e letterario). Si è anche occupato di estetica del XVIII secolo, degli scritti pre-critici di Kant, della polemica Nietzsche-Wagner, di Goethe, Musil, Roth, Kafka ecc.  Fu critico con la contestazione studentesca del 1968, eppure non evitò il confronto con il movimento. Una grave malattia gli levò l'uso della voce, ma continuò a tenere lezione con l'aiuto di un sintetizzatore vocale.  Morì senza figli e senza essersi mai sposato a 90 anni, nel 1997.  A suo ricordo la sorella Ernesta ha aperto una fondazione e un premio per gli studi di filosofia a Trieste.  Opere principali I processi di Galileo e l'epistemologia, Milano: F.lli Bocca, 1947; Milano: Ed. di Comunità, 1963; Roma: Armando, 1981 Il concetto dello stile. Saggio di una fenomenologia dell'arte, Milano: F.lli Bocca, 1951 Le strutture del trascendentale. Piccola inchiesta sul pensiero critico, dialettico, esistenziale, Milano: F.lli Bocca, Dai romantici a noi, Milano: Marzorati, 1953 Aristotelismo e barocco, Milano: F.lli Bocca, L'esthétique contemporaine. Une enquête, Milano: Marzorati, 1960 Il concetto del "gusto" nell'Italia del Settecento, Firenze: La Nuova Italia, 1962 Linguistica e stilistica di Aristotele, Roma: Ed. dell'Ateneo, 1967 Fenomenologia dei giudizi di valore, Trieste: Istituto di Filosofia, 1973 La semantica e i suoi problemi, Trieste: Istituto di Filosofia, 1974 Demetrio, dello stile, Roma: Ed. dell'Ateneo, 1980 La nevrosi austriaca. Saggi sul romanzo, Casale Monferrato: Marietti, 1983 Nietzsche contro Wagner, Pordenone: Studio Tesi, 1984 Geologia letteraria, Milano: Garzanti, 1986 Anatomia del barocco, Palermo: Aesthetica, 1987 Goethe e il romanzo, Torino: Einaudi, 1991 Il gusto nell'estetica del Settecento, Luigi Russo e Giuseppe Sertoli, Palermo: Centro internazionale studi di estetica, 2002 Introduzioni e prefazioni Herbert Read, Arte e alienazione. Il ruolo dell'artista nella societa, Milano: Marzorati, 1975 Immanuel Kant, I sogni di un visionario spiegati coi sogni della metafisica, Milano: Rizzoli, 1982 Immanuel Kant, Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime, Milano: Rizzoli, 1989 Charles-Louis Montesquieu, Sul gusto, Genova: Marietti, 1990 Note  Crf. la pagina sul sito dell'Trieste.  Numero speciale di "Esercizi filosofici", n. 4, 1998. Luigi Russo , Guido Morpurgo-Tagliabue e l'estetica del Settecento, in "Aesthetica Pre-Print", 67, aprile 2003. Paolo D'Angelo, «MORPURGO-TAGLIABUE, Guido», in Dizionario Biografico degli Italiani,  77, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, .  Morpurgo  Guido Morpurgo-Tagliabue, in Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Morpurgo Tagliabue, ritratto di un genio politicamente scorretto necrologio di Claudio Magris, Corriere della Sera.

 

Tagliagambe: Silvano Tagliagambe (Legnano), filosofo. Si  è trasferito poi a Milano dove ha studiato Filosofia alla Statale come allievo Geymonat con cui si è laureato con la lode attraverso una tesi sull'interpretazione della meccanica quantistica di Hans Reichenbach. Ha proseguito i suoi studi specializzandosi in Fisica quantistica all'Università degli Studi Lomonosov di Mosca sotto la direzione di Ja.P. Terleckij e poi presso l'Accademia delle Scienze dell'URSS, Istituti di Filosofia e di Fisica dal 1971 al 1974 dove si è perfezionato in Filosofia della fisica con la supervisione di V.A. Fock e M.E. Terleckij.  La sua attività scientifica e didattica si è sviluppata attraverso un variegato percorso universitario che l'ha portato ad insegnare presso diversi atenei dal 1974 al 2008 e a collaborare con differenti centri di ricerca ed enti istituzionali come consulente scientifico.  Pensiero Il lavoro di ricerca di Tagliagambe si è concentrato inizialmente sul rapporto tra filosofia e fisica (soprattutto quantistica) nella cultura russa tra '800 e '900, in particolare sul concetto di realtà fisica (Bohr, Heisenberg, Born) e sui rapporti tra materialismo dialettico e sviluppi della fisica del '900.  Dagli anni '90 ha rivolto l'attenzione sui temi del rapporto tra realtà osservata e sistema osservante, le interazioni reciproche e il ruolo del linguaggio, della comunicazione intersoggettiva, della mediazione linguistica e della semiotica nel pensiero scientifico. Ha elaborato il ruolo e il significato di interfaccia, il rapporto tra intelligenza naturale e intelligenza artificiale, in particolare il ruolo progressivamente avuto dalle tecnologie di informazione e comunicazione.  Ha elaborato i contributi sul profondo significato del concetto di "margine", sia esso su un essere vivente, un'interfaccia o il rapporto tra corpo e mente, nei sistemi sociali e nella comunicazione. Ha studiato le forti interconnessioni tra artificiale e naturale, il profondo senso dell'interdisciplinarità, e il libro Il Sogno di Dostoevskij, attraverso una visitazione storica dal dibattito tra lo scrittore e lo scienziato Secënov, fino alle recenti scoperte della neurofisiologia, mettendo a fuoco il senso del rapporto tra le mente e il corpo e il significato e la funzione dell'inconscio.  Ha ricostruito e interpretato l'intenso scambio dialogico tra il premio Nobel della fisica Wolfgang Pauli e il fondatore della psicologia analitica Carl Gustav Jung, nel quale emerge il profondo rapporto tra filosofia, fisica e psicanalisi.   L'analisi tra visibile e invisibile, il ruolo dell'arte e il senso epistemologico dello spazio intermedio e del confine sono stati da lui sviluppati anche attraverso un'esegesi del pensiero di Florenskij.  Le ricadute del suo pensiero sulle scienze sociali ed economiche trovano approfondimenti nelle opere dedicate all'analisi dei sistemi organizzativi socio-economici. L'attività presso la facoltà di Architettura l'ha portato a riflettere sulla'"epistemologia del progetto", sulla relazione tra possibilità e realtà, sul rapporto tra l'Io, lo spazio, il tempo, l'ambiente, tra urbs e civitas, sul concetto di paesaggio, sul ruolo delle città globali e sul nesso tra globale e locale. Gli sviluppi delle tecnologie digitali e poi della rete come fenomeno prima tecnologico poi culturale e sociale vengono elaborati e incorporati nel suo pensiero. La sua riflessione teorica è indirizzata anche ai temi dell'apprendimento e dell'organizzazione della conoscenza soprattutto alla luce delle reali esperienze della scuola, dei processi di modernizzazione e innovazione che la coinvolgono e delle nuove esigenze che essa deve affrontare Nel  ha diretto il rifacimento del manuale di filosofia di Ludovico Geymonat e pubblicato da Garzanti Scuola con il titolo La realtà e il pensiero. La ricerca filosofica e scientifica in collaborazione con Edoardo Boncinelli.[25]  Collabora dal  con il CNI per il premio Scintille dedicato all'innovazione (AD).  Note  (Pisa, Cagliari, Roma La Sapienza, Sassari: Facoltà di Architettura di Alghero)  (Vicepresidente CRS4(1994-2000) , Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca per la Riforma, CIES, FIESEC, Direttore scientifico del progetto “Scuola digitale” della Regione Sardegna).  Vedi L'interpretazione materialistica della meccanica quantistica. Fisica e filosofia in URSS. Vedi Scienza, filosofia, politica in Unione Sovietica.Vedi Materialismo e dialettica nella filosofia sovietica. Vedi Scienza e marxismo in Urss.  Vedi La mediazione linguistica. Il rapporto pensiero-linguaggio da Leibniz a Hegel  Vedi Epistemologia del confine  Vedi Il Sogno di Dostoevskij  (vedi Pauli e Jung. Un confronto su materia e psiche  Vedi recensione di Edoardo Boncinelli in Corriere della Sera lunedì 24 ottobre  che cita “con quest'opera Tagliagambe va avanti sul progetto di esplorare una originalissima «epistemologia del confine»”.  Vedi Come leggere Florenskij  Vedi La tecnica e il corpo. Riflessioni su uno scritto di Pavel Florenskij  vedi Organizzazioni. Soggetti umani e sviluppo socio-economico  Vedi Individui e imprese: centralità delle relazioni  Vedi La politica che non c'è. Idee guida per un progetto tra razionalità e valori  Vedi L'albero flessibile. La cultura della progettualità  Vedi Le due vie della percezione e l'epistemologia del progetto  Vedi La città possibile  Vedi People and Space. New Forms of interaction in City Project  Vedi: Epistemologia del cyberspazio  Vedi La comunicazione nell'era di Internet  Vedi Lo spazio intermedio, poi tradotto anche in spagnolo, che riprende, rielabora ed estende il concetto di confine.  Vedi La didattica e la rete  Vedi Più colta e meno Gentile  Vedi Saper fare la scuola: il triangolo che non c'è  Vedi Nuovi percorsi per l'obbligo formativo  Vedi La realtà e il pensiero 1. La ricerca filosofica e scientifica, Garzanti Scuola,  La realtà e il pensiero 2. La ricerca filosofica e scientifica, Garzanti Scuola, La realtà e il pensiero 3. La ricerca filosofica e scientifica, Garzanti scuola. Opere: È autore di oltre 200 opere tra cui:  L'interpretazione materialistica della meccanica quantistica. Fisica e filosofia in URSS, Feltrinelli, Milano, Scienza, filosofia, politica in Unione Sovietica. Feltrinelli, Milano, Materialismo e dialettica nella filosofia sovietica, Loescher, Torino, 1979; Scienza e marxismo in Urss, Loescher, Torino, 1979; La mediazione linguistica. Il rapporto pensiero-linguaggio da Leibniz a Hegel, Feltrinelli, Milano, D.I. Mendeleev, Scritti sullo spiritismo. . Traduzione e studio storico-critico introduttivo di S. Tagliagambe, Bollati-Boringhieri, Torino; L'impresa tra ipotesi, miti e realtà (in collaborazione con G.Usai), ISEDI, Torino, 1994; Epistemologia del confine, Il Saggiatore, Milano, La politica che non c'è. Idee guida per un progetto tra razionalità e valori, Demos, Cagliari, Il sequestro dell'identità, CUEC, Cagliari, La città possibile, (in collaborazione con G. Maciocco), Dedalo, Bari, Epistemologia del cyberspazio, Demos, Cagliari,  L'albero flessibile. La cultura della progettualità, Masson, Milano, Il profilo del tempo, ‘Nuova civiltà delle Macchine', Organizzazioni. Soggetti umani e sviluppo socio-economico, (in collaborazione con G.Usai), Giuffré, Milano, La didattica e la rete, Pitagora Editrice, Bologna, La comunicazione nell'era di Internet, (in collaborazione con C. Crespellani Porcella e G. Usai, Collana Fondazione IBMEtas Libri, Milano, Il destino del marxismo in Russia: dall'idolatria al rifiuto, (in collaborazione con V. Mironov), Luiss Edizioni, Collana di studi metodologici, Roma, La vittoria di Babele. Dalla filosofia naturale alla separazione dei linguaggi, ‘ Civiltà delle macchine', Il sogno di Dostoevskij. Come la mente emerge dal cervello, Raffaello Cortina Editore, Milano, Filosofia della scienza (in collaborazione con G. Boniolo, M.L. Dalla Chiara, G. Giorello, C. Sinigaglia), Cortina, Milano,  Nuovi percorsi per l'obbligo formativo, Edizioni PLUS. Pisa, Pisa; Il pensiero unitario di Ludovico Geymonat, in collaborazione cn  Edizioni Nuova Cultura, Teramo, 2004; Le due vie della percezione e l'epistemologia del progetto, Franco Angeli, Milano; Più colta e meno gentile. Una scuola di massa e di qualità, Armando, Roma, 2006; Come leggere Florenskij, Bompiani, Milano, La tecnica e il corpo. Riflessioni su uno scritto di Pavel Florenskij, (in collaborazione con B. Antomarini) Franco Angeli, Milano,  Individui e imprese: centralità delle relazioni, (in collaborazione con G. Usai) Giuffrè, Milano, Saper fare la scuola: il triangolo che non c'è, (in collaborazione con V.Campione) Einaudi, Torino, Lo spazio intermedio, Università Bocconi Editore, Milano, Storia della filosofia,  XIII, Filosofi italiani del Novecento, (in collaborazione con D.Antiseri) Bompiani, Milano, Storia della filosofia,  Filosofi italiani del Novecento, (in collaborazione con D.Antiseri) Bompiani, Milano, 2008; “People and Space. New Forms of interaction in City Project”, (in collaborazione con G.Maciocco) Springer-Verlag Berlin, Heidelberg, New York, El espacio intermedio. Red, individuo y comunidad, Fragua Editorial, Madrid, Pauli e Jung. Un confronto su materia e psiche,(in collaborazione con A. Malinconico) Raffaello Cortina, Milano, ; La libertà, le lettere, il potere, (in collaborazione con D.Antiseri e P.Maninchedda) Rubbettino, Soveria Mannelli, ; La realtà e il pensiero 1. La ricerca filosofica e scientifica Garzanti Scuola   La realtà e il pensiero 2. La ricerca filosofica e scientifica Garzanti Scuola   La realtà e il pensiero 3. La ricerca filosofica e scientifica Garzanti scuola. Opere di Silvano Tagliagambe, su openMLOL, Horizons Unlimited srl.

 

Taglialatela: Pietro Taglialatela (Mondragone), filosofo. Studiò al Seminario vescovile di Sessa. Ordinato sacerdote, insegnò teologia al Seminario vescovile di Cava dei Tirreni dal 1852 al 1856.  Dal 1860, lasciato il sacerdozio, tentò di arruolarsi nelle truppe di Garibaldi, per poi decidere di predicare nell'Italia meridionale i nuovi ideali del movimento unitario.  Nel 1861, fu nominato professore di teologia all'Napoli. A seguito della soppressione di tale cattedra aprì, sempre a Napoli, una scuola privata.  Incominciò da questo periodo a riscoprire lo studio e la saggistica, in particolare riprendendo e sposando le tesi di Vincenzo Gioberti, che lo avevano affascinato in gioventù. Su questo indirizzo filosofico è stato imperniato il manuale Istituzioni di filosofia del 1864 che, seppur non prescelto come testo d'insegnamento liceale, in quanto particolarmente complesso, ricevette le lodi di Bertrando Spaventa.  Non mancò, in seguito, avendo aderito al protestantesimo, di compiere opere missionarie, in particolare in Puglia e in Abruzzo. A tal riguardo è documentato il viaggio di Pescasseroli nel 1886, sul quale scrisse Benedetto Croce, che segnalò anche come Taglialatela fosse considerato, assieme a Bonaventura Mazzarella e Enrico Caporali, fra le «menti più forti del movimento protestante in Italia».  Scritti: “Istituzioni di filosofia, Tip. all'Insegna del Diogene, Napoli 1864; Apologia delle dottrine filosofiche di V. Gioberti, Tip. all'Insegna del Diogene, Napoli, “La scienza, la vita e Francesco de Sanctis. Discorso, Tip. all'insegna del Diogene, Napoli 1872; Giuseppe Garibaldi. Conferenza, La Speranza, Roma s.d.; Il Papa-re nelle profezie e nella storia, La Speranza, Roma 1902; In Dio. Saggi, discorsi, frammenti di filosofia cristiana, ed. postuma, La Speranza, Roma 1927; Fede, speranza e carità. Meditazioni, ed. postuma, La Speranza, Roma 1927; Teoria evangelica della vita, ed. postuma, La Speranza, Roma 1929;  D. Ciampoli, L'opera letteraria di Pietro Taglialatela, Tip. Unione editrice, Roma 1913; B. Croce, Pescasseroli, Laterza, Bari 1922 (poi in Storia del Regno di Napoli); R. Fiore, Pietro Taglialatela, in «Civiltà Aurunca», XVIII (2002), n. 47,  7-16; G. Iurato, Pietro Taglialatela. Dalla filosofia del Gioberti all'evangelismo antipapale, Claudiana, Torino, Vincenzo Gioberti Protestantesimo in Italia  Pietro Taglialatela. Biografia, pubblicazioni e  in "Dizionario biografico dei protestanti in Italia". Sito della Società di studi valdesi. il 1º gennaio . Pietro Tagliatela, Apologia della dottrina filosofica di V. Gioberti (il testo in Google Libri).

 

Tagliapietra: Andrea Tagliapietra (Venezia), filosofo. Dopo la maturità classica al Foscarini di Venezia, ha compiuto studi di medicina e di filosofia, laureandosi in filosofia teoretica all'Università Ca' Foscari con una tesi discussa con Emanuele Severino e Romano Madera. In quegli stessi anni perfeziona gli studi di ermeneutica biblica sotto la guida di Carlo Enzo. Ha insegnato Storia della filosofia moderna e contemporanea presso l'Università degli studi di Sassari (1997-2004). Attualmente è Professore di Storia della filosofia presso la Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano dove insegna Storia delle idee, Filosofia della cultura e Storia della filosofia.  Fonde nelle sue ricerche un'indagine storico filosofica sul pensiero greco, sulla tradizione apocalittica ebraica e cristiana e sul canone del pensiero moderno, con un'attenzione a temi contemporanei legati al mondo delle immagini e della comunicazione, allo studio del linguaggio e delle metafore, nonché all'intreccio storico e teorico fra teatro e filosofia. In quest'ultima prospettiva si orientano i suoi studi sull'idea di sincerità e sul significato della bugia nel quadro di una costruzione drammaturgica dell'individuo, sul ridere e sulla natura del personaggio comico. Ha curato, per Feltrinelli, Bollati Boringhieri e Bruno Mondadori edizioni importanti: L'Apocalisse di Giovanni, raccolte di scritti sull'Illuminismo e sul tema della "catastrofe"; opere di Platone, Gioacchino da Fiore, Kant, Benjamin Constant, Voltaire, Jean-Jacques Rousseau, Alessandro Manzoni, Constantin-François de Chassebœuf de Volney, Ludwig Andreas Feuerbach, Louis-Sébastien Mercier.  Dal 2007 sta curando l'edizione delle opere complete di Italo Valent. Collabora saltuariamente a Il Gazzettino, il quotidiano della sua città, e ha collaborato a varie testate giornalistiche (Capital; Panorama; Il Sole 24 Ore; l'inserto culturale "Saturno" de Il fatto quotidiano, ecc.), con interventi di carattere culturale o legati all'attualità sociale e politica. Con La virtù crudele. Filosofia e storia della sincerità  ha vinto nel 2004 il Premio Viareggio per la saggistica. Nel  gli è stato conferito il premio di filosofia "Viaggio a Siracusa" per il saggio Gioacchino da Fiore e la filosofia.  È direttore, insieme a Sebastiano Ghisu, della rivista internazionale di filosofia Giornale critico di storia delle idee. È fondatore e direttore del Centro di Ricerca Interdisciplinare di Storia delle Idee (CRISI), che ha sede presso la Facoltà di Filosofia del San Raffaele, e di ICONE, Centro Europeo di Ricerca di storia e teoria dell'immagine di Palazzo Arese Borromeo .  Opere principali: La metafora dello specchio. Lineamenti per una storia simbolica, Feltrinelli, Milano (2ª ed. riveduta e accresciuta, Bollati Boringhieri, Torino) Il velo di Alcesti. La filosofia e il teatro della morte, Feltrinelli, Milano Filosofia della bugia. Figure della menzogna nella storia del pensiero occidentale, Bruno Mondadori, Milano  (2ª ed. riveduta, Bruno Mondadori, Milano ) La virtù crudele. Filosofia e storia della sincerità, Einaudi, Torino La forza del pudore: per una filosofia dell'inconfessabile, Rizzoli, Milano (tr. francese, a c. di Robert Kremer, La force de la pudeur. Pour une philosophie de l'inavouable, Salvator, Paris ) Il dono del filosofo: sul gesto originario della filosofia, Einaudi, Torino, Icone della fine. Immagini apocalittiche, filmografie, miti, il Mulino, Bologna  Sincerità, Raffaello Cortina, Milano  (tr. francese, a c. di Robert Kremer, La sincérité, Salvator, Paris ) Gioacchino da Fiore e la filosofia, il Prato, Padova  Non ci resta che ridere, il Mulino, Bologna  Alfabeto delle proprietà. Filosofia in metafore e storie, Moretti & Vitali Editori, Bergamo  Esperienza. Filosofia e storia di un'idea, Raffaello Cortina, Milano  Filosofia dei cartoni animati. Una mitologia contemporanea, Bollati Boringhieri, Torino  Opere costituite da raccolte di lezioni Cartografia intellettuale dell'Europa. La migrazione dello spirito, a c. di Erminio Maglione, introduzione di Renato Rizzi, Mimesis Edizioni, Milano-Udine  Tempo a termine e tempo senza fine. Breve storia figurale della temporalità, a c. di Caterina Piccione, con DVD-ROM delle lezioni, Mimesis Edizioni, Milano-Udine  Opere in collaborazione con altri autori con Gianfranco Ravasi, Non desiderare la donna e la roba d'altri, il Mulino, Bologna  (tr. francese, a c. di Robert Kremer, Tu ne convoiteras pas la femme d'autrui ni son bien, Salvator, Paris ) con Renato Corrado, Il senso del dolore. Testimonianza e argomenti, Editrice San Raffaele, Milano  con Claudio Bartocci e Piero Martin, Zerologia. Sullo zero, il vuoto e il nulla, il Mulino, Bologna  Edizioni scientifiche, curatele e traduzioni Apocalisse di Giovanni, testo latino a fronte, prefazione di Andrea Tagliapietra, traduzione e postfazione di Massimo Bontempelli, Feltrinelli, Milano, Platone, Fedone o sull'anima, testo greco a fronte, traduzione, introduzione e cura di Andrea Tagliapietra, saggio critico di Elisa Tetamo, Feltrinelli, Milano (7ª ed., ) Gioacchino da Fiore, Sull'Apocalisse, testo latino a fronte, introduzione, traduzione e cura di Andrea Tagliapietra, Feltrinelli, Milano, Immanuel Kant-Benjamin Constant, La verità e la menzogna. Dialogo sulla fondazione morale della politica, introduzione e cura di Andrea Tagliapietra, traduzioni di Silvia Manzoni e di Elisa Tetamo, Bruno Mondadori, Milano, Che cos'è l'Illuminismo? I testi e la genealogia del concetto, introduzione e cura di Andrea Tagliapietra, traduzioni di Silvia Manzoni e di Elisa Tetamo, Bruno Mondadori, Milano, Rudolf Otto, Il sacro, introduzione, note e apparati di Andrea Tagliapietra, traduzione di Ernesto Buonaiuti, Gallone Editore, Milano 1998 Voltaire-Rousseau-Kant, Sulla catastrofe. L'illuminismo e la filosofia del disastro, introduzione e cura di Andrea Tagliapietra, traduzioni di Silvia Manzoni e di Elisa Tetamo, con un saggio di Paola Giacomoni, Bruno Mondadori, Milano  Immanuel Kant, La fine di tutte le cose, a cura e con un saggio di Andrea Tagliapietra, traduzione di Elisa Tetamo, Bollati Boringhieri, Torino, Alessandro Manzoni, La storia e l'invenzione. Scritti filosofici, introduzione, note e apparati di Andrea Tagliapietra, il Prato, Padova  Constantin-François de Chassebœuf de Volney, Le rovine, ossia meditazione sulle rivoluzioni degli imperi, Andrea Tagliapietra e Marco Bruni, introduzione di Andrea Tagliapietra, postfazione e traduzione di Marco Bruni, Mimesis Edizioni, Milano-Udine  Ludwig Feuerbach, L'uomo è ciò che mangia, a cura e con un saggio di Andrea Tagliapietra, traduzione e nota biobibliografica di Elisa Tetamo, Bollati Boringhieri, Torino  Louis-Sébastien Mercier, Montesquieu a Marsiglia, Andrea Tagliapietra e Caterina Piccione, traduzione di Andrea Tagliapietra e Caterina Piccione, Inschibboleth, Roma  Immanuel Kant, Bisogna sempre dire la verità?, Andrea Tagliapietra, traduzione di Elisa Tetamo, Raffaello Cortina Editore, Milano  Alcuni saggi e articoli Kant e l'idea della fine, di Andrea Tagliapietra, in Agalma, Il rischio e il limite, di Andrea Tagliapietra, in Magazine, n. 1 (dossier Energia), Pearson, marzo . L'ultimo gesto di Socrate. Il pudore e l'enigma, di Andrea Tagliapietra, in Spazio Filosofico, n. 5, maggio . Tipologia del riso, di Andrea Tagliapietra, in Fillide, n. 5, settembre . Kant and the Idea of the End di Andrea Tagliapietra, in European Journal of Psychoanalysis, n. 1, /1, The End. Corpo di pazienza di Andrea Tagliapietra, in European Journal of Psychoanalysis, ISAP, Saggi ed Articoli (). Testi in rete Esser contro di Andrea Tagliapietra, in XÁOS. Giornale di confine, Il dono del filosofo. Il dono della filosofia di Andrea Tagliapietra, in XÁOS. Giornale di confine, Il giallo della filosofia, di Andrea Tagliapietra, in XÁOS. Giornale di confine, Il volto del potere di Andrea Tagliapietra, in XÁOS. Giornale di confine, Anno II, n. 1 marzo-giugno 2003. La Lotteria di Babele. Appunti filosofici su caso e fortuna nella società della comunicazione di Andrea Tagliapietra, in XÁOS. Giornale di confine, Anno II, n. 2 luglio-ottobre 2003. L'apocalisse delle immagini. Esegesi del cinema di Wim Wenders a partire da "Fino alla fine del mondo", di Andrea Tagliapietra, in XÁOS. Giornale di confine, Anno II, n. 3 novembre-febbraio 2003/2004. La gola del filosofo. Il mangiare come metafora del pensare di Andrea Tagliapietra in XÁOS. Giornale di confine Anno IV, n. 1 marzo -giugno 2005/2006. Dire la verità. L'insistenza della critica di Andrea Tagliapietra, in Giornale critico di storia delle idee, Anno IV, n. 8, . Interviste e video L'uomo è un animale che esita. Intervista con Andrea Tagliapietra di Marco Dotti, in Vita, n. 6, . Presentazione. Il dono del filosofo. Sul gesto originario della filosofia in Inschibboleth WEB TV. Presentazione. Icone della fine. Immagini apocalittiche, filmografie, miti Del senso della fine. Dialogo con Andrea Tagliapietra di Marco Dotti, in Communitas, n. 4, . RAI Cultura: Andrea Tagliapietra: futuro, progresso e possibilità Lezione magistrale al Festival di Filosofia (Modena ), Inganni. Finzioni di verità e storia naturale dell'intelligenza. Eigentlichkeit und Dichtung? La filosofia della sincerità di Andrea Tagliapietra, di Vincenzo Pinto  Il riso è il proprio dell'uomo. Commento in margine a Non ci resta che ridere di Andrea Tagliapietra, di Claudio Tugnoli  Se essere sinceri è una virtù crudele. Uno studio fra storia e filosofia, di Umberto Galimberti, in "La Repubblica", Recensione ad Andrea Tagliapietra, La virtù crudele. Filosofia e storia della sincerità, di Claudio Tugnoli, in "Dialeghestai. Rivista telematica di filosofia", anno VI, 2004  Premio letterario Viareggio-Rèpaci, su premioletterarioviareggiorepaci.it. 9 agosto .  Home page del Giornale Critico di Storia delle Idee  Home page del Centro di Ricerca in Storia delle IdeeCRISI  Home page di ICONE, Centro Europeo di Ricerca di storia e teoria dell'immagine, su centroeuropeopalazzoborromeo.it. 17 giugno  17 giugno ).  Ciclo di dieci lezioni teoriche, dette "Decadi", tenuto nell'Aula Tafuri di Palazzo Badoer, a Venezia, dall'11 novembre  al 29 gennaio , nel quadro del Laboratorio di Progettazione Architettonica dello IUAV diretto da Renato Rizzi e costituente il  I, Libro dello Studio, del progetto "Lampedusa. La cattedrale di Solomon". Opere di Andrea Tagliapietra, .  Registrazioni di Andrea Tagliapietra, su RadioRadicale.it, Radio Radicale.  Pagina docente con informazioni biografiche e bibliografiche sito dell'Università Vita-Salute San Raffaele.

 

Tamburino: Tommaso Tamburini o Tamburino (Caltanissetta), filosofo.Figlio del giudice Fabrizio e di Agata Adelicia Tramontana. Entrò nella compagnia di Gesù a quindici anni, restò a Caltanissetta dopo aver ricevuto gli ordini, successivamente fu incaricato dell'insegnamento di retorica, di filosofia e di teologia sistematica nel locale collegio gesuitico. A trent'anni fu trasferito nel collegio di Messina per insegnare teologia morale e a quarantacinque anni passò in quello di Palermo. Resse i collegi gesuitici di Caltanissetta, Monreale e Palermo. Fu esaminatore delle curie arcivescovili di Palermo e Monreale, consigliere e qualificatore nel Sant'Uffizio della Inquisizione spagnola, ossia di esaminatore dei reati prima della loro attribuzione alla competenza dell'Inquisizione.  Tommaso Tamburini durante un soggiorno romano, quale rappresentante della provincia gesuitica siciliana alla undicesima congregazione generale della compagnia di Gesù, conobbe lo scultore Johann Friedrich Greuter, che in quel periodo lavorava per la casa generalizia dei gesuiti. Il teologo siciliano, apprezzandone le doti, gli affidò l'incarico di incidere le immagini della Madonna. Realizzava finalmente il progetto, da qualche anno vagheggiato, di dare alle stampe le notizie preparate dal confratello Ottavio Gajetano, riguardanti appunto i luoghi del culto mariano nell'isola, facendo illustrare l'opera con tavole riproducenti le relative icone della Madonna.  Così accanto all'imponente produzione filosofica del Tamburini, restano anche due edizioni, una in latino ed una in volgare, di un volume con 36 incisioni del ‘600, di raro pregio per la raffinatezza dei disegni di Greuter; l'opera non fu firmata dal gesuita. Di queste due edizioni si trovano rari esemplari che, per le limitazioni derivanti dall'esaurimento delle "matrici", sono, per buona parte, prive delle pagine in cui sono stampate le incisioni.  Pensiero Il gesuita siciliano nella conoscenza del peccato attribuisce importanza primaria alla cognitio singulorum cioè alla capacità di valutazione dei singoli. Diverso è, infatti, il peso delle colpe a seconda se a commettere l'infrazione è l'individuo colto oppure l'ignorante. Nel primo prevale la vis ratiocinandi (forza della ragione) e nel secondo la vis sentiendi (forza del sentimento). Ancora differenza c'è tra l'actio humana e l'actio hominis essendo la prima compiuta in perfetta consapevolezza, mentre nella seconda la coscienza è spesso condizionata dal patire passionale, che può essere violentum, coactum, necessarium (violento, costretto, necessario), venendo così a mitigare la colpa.  Nel trasporto passionale c'è dell'involontario, spesso frutto di ignoranza che rende la coscienza erronea. Il tutto si traduce in una interpretazione benignista della epieìcheia (prudenza), riprendendo in un certo modo la tradizione tomista. A sostenere questa intensa produzione sul probabilismo, col rientro da Palermo a Genova di Diana, rimase il Tamburino, le cui opere ebbero ampia diffusione in tutta Europa, dalla metà del Seicento fino al riconoscimento della validità delle tesi probabiliste ad opera di S. Alfonso de' Liguori che con la sua Theologia Moralis mise sostanzialmente fine al rigorismo giansenista.  Il probabilismo del Tamburini incontrò ostilità negli ambienti religiosi più vicini al rigorismo dei giansenisti. A contrastare le tesi del probabilismo i più influenti furono i domenicani francesi, che spinsero il cardinale Retz, a farsi portavoce presso la Santa Sede per l'emanazione di un provvedimento di condanna. Nel 1665, papa Alessandro VII, sollecitato più volte, condannò il probabilismo, furono censurate solo le tesi più estreme, senza peraltro indicare i nomi degli autori.  Nel 1679, un'altra condanna del probabilismo veniva promulgata da papa Innocenzo XI, quattro anni dopo la morte del Tamburini. Però questa volta il gesuita siciliano non subiva sanzioni ad personam, così Tommaso Tamburini passò alla storia della teologia morale, come padre della probabilità tenue. Con esso si chiuse il periodo d'oro della esportazione della cultura teologica siciliana. Nel 1753 fu sancita la completa riabilitazione del gesuita siciliano con la pubblicazione di Verità Vindicata che Carlo Niceti diede alle stampe a Roma.  Opere (Confronta anche la "voce Tommaso Tamburini" in lingua inglese.) Gli scritti di teologia morale del Tamburini sono stati riuniti nella Opera Omnia, edita più volte in Italia e all'estero dal 1689.  Methodus Expeditae Confessionis (1647) Opuscola Tria de Confessione, Comunione et Sacrificio Missae (1649) Expedita Decaloghi Explicatio. Libris decem digesta (1654) De Sacrificio Missae Expedite Celebrando. Libri tres. (1656) Della Consolazione della Filosofia di Anicio Manlio Boezio. Libri cinque. Traduzione di Tommaso Tamburino.(1657) Juris Divini. Naturalis et Ecclesiastici Expedita Moralis Explicatio, Complectens Tractationes tres, de Sacramentis, quae sunt de Jure Divino, de Contrattibus, quos dirigit Jus Naturale, de Censuris et Irregularitate, quae sunt de Jure Ecclesiastico. (1661) Tractatus de Bulla cruciata. (1663) Sanctissimae Deiparae Cultus in Sicilia. (Nomen sublatum) (et 1663) Ragguagli delli Ritratti della SS. Vergine Nostra Signora più celebri, che si riveriscono in varie Chiese nell'isola di Sicilia. Opera postuma del R. P. Ottavio Cajetano della Compagnia di Gesù. Trasportato nella lingua volgare. (1664) Germana Doctrina R. P. Thomae Tamburini S. J. perspicue refellens impugnationes R. P. Vincentii Baronii adversus illam allatas. (1666) Tractatus in Quinque Ecclesiae Praecepta. (1694) [opera postuma] Tractatus de Jubileo Manoscritto.(senza data) Additamentum continens aliquot epistolas, et levem vindicationem contra Joannem Sinichium hybernum authorem libri Saul et Rex. Manoscritto. Bibl.Naz.Roma. Fondo Gesuitico, ms.1236, cc278r-301v.(senza data) Traduzioni De consolatione philosophiae (della Consolazione della Filosofia di Anicio Manlio Boezio. Libri cinque. (1657) L'Anno dei Giorni Memorabili, scritto dal P. Gio. Nadasi della Compagnia di Gesù. (senza data)  V. Baron, Theologia moralis adversus laxiores probabilistas, Parigi, Piget, 1665. R. Brouillard, Dictionnaire de Théologie Catholique, Parigi, Letouzej, 1930. S. Burgio, Il probabilismo in Sicilia, Catania, Soc. Storia Patria, 1998. V. Contenson, Theologiae mentis of cordis, Tolosa, 1671. T. Deman, Probabilisme, Colonia, 1658. C. Hebermann, Enciclopedia cattolica, R. Appelton Company, 1913 M. Petrocchi, Il problema del lassismo nel secolo XVII, Roma, Storia e letteratura, 1953. J. Sinnichins, Saul et Pax, Lovanio, Nempaei, 1662.  Tommaso Tamburino, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Pietro Tacchi Venturi, Tommaso Tamburino, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Tommaso Tamburino, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Tommaso Tamburino, . Tommaso Tamburino, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company.

 

Tafuri Matteo: Matteo Tafuri (Soleto), filosofo. Fu un versatile e bizzarro ingegno, che dopo studi universitari a Napoli, Parigi, Salamanca si ritirò nella sua natia Soleto (nel Salento) dove aveva un cenacolo di allievi filosofi del platonismo esoterico.   Il "Socrate di Soleto", illustre rappresentante del Rinascimento, fu una personalità eclettica ed un affascinante intellettuale dei suoi tempi, amante della conoscenza e studioso e di molteplici campi del sapere: alchimia, filosofia, astronomia, astrologia, medicina, fisiognomica, magia naturale. Al centro dei suoi interessi vi era l'interesse e lo studio dei fenomeni della Natura, l'Anima del Mondo, il miracolo e le meraviglie del Creato e l'unicità irripetibile di ogni Essere Umano.  Considerato alla stregua di un "Nostradamus salentino" fu onorato e temuto per le sue capacità divinatorie e fisiognomiche tanto da attribuirgli poteri occulti e demonologici.  Un suo ritratto col rosso copricapo della Sorbona si trova nel dipinto del 1580 (ad opera del galatinese Lavinio Zappa) della Madonna del Rosario nella navata sinistra della Chiesa Matrice di Soleto. Fu sepolto dapprima nella chiesetta di "S.Lorenzo (delli Tafuri)" adiacente alla sua abitazione e poi, dopo la demolizione della cappella nel 1672, nel Monastero di San Nicola in una cassa di legno con lo stemma della famiglia.  Sull'architrave della sua casa natale è inciso il motto:  «HUMILE SO ET HUMILTA' ME BASTA. DRAGON DIVENTARO' SE ALCUN ME TASTA»   Lo stemma della famiglia Tafuri nella casa natale di Soleto Con quest'iscrizione Matteo Tafuri esprimeva e manifestava ai cittadini e a chiunque passasse dalla sua dimora la sua mite natura caratteriale, mortificata dalle ingiurie e maldicenze in conseguenza delle quali poteva trasformarsi, ironicamente, attraverso alchimia e magia, in un dragone. Nella Soleto del Cinquecento era diffusa la consuetudine di incidere sulle architravi delle finestre, sui cornicioni dei balconi o all'interno di uno stemma, delle epigrafi con la finalità di motto. Un proverbio, una citazione, un passo letterario, filosofico, o religioso, e un pensiero personale descrivevano la personalità e le attitudini del padrone di casa o invitavano il passante a riflettere su un tema o un monito saggio e profondo. Lo stemma della famiglia, presente sulla porta della casa natia, è costituito da un albero di quercia con due fulmini che si scagliano contro ma non lo colpiscono. Un'aquila bicipite scolpita sopra fa pensare ad un'origine albanese della famiglia già presente a Soleto nel XIV sec. Infatti molte famiglie albanesi e greche di confessione cristiano-ortodossa e cattolica dal XIII al XVI secolo furono costrette a fuggire ed alcune emigrarono nel Salento a causa dell'avanzata dei Turchi mussulmani che occupavano i loro territori.  "Del salentin suol gloria ed onore" lo definisce il De Tommasi. E davvero egli fu, tra i molti filosofi, scienziati ed eruditi che fiorirono in Puglia tra la metà Professoree l'inizio del XVII, il più universalmente noto.  Partito da Soleto per Napoli poco più che ventenne, per approfondirsi nella matematica e nella medicina dopo la preparazione umanistica ricevuta a Zollino da Sergio Stiso, vi tornò avanti negli anni, famoso in tutto il mondo e pieno di gloria.  Desideroso solo di pace fisica e mentale, aprì una pubblica scuola di greco, latino, matematica, fisica e medicina.  Tra i suoi allievi:  Giovan Tommaso CavazzaalchimistaGalatina (1540-1611) Giovan Paolo VernaleonematematicoGalatina (1527-1602) Francesco ScarpafilosofoSoleto (XVI sec) Quinto Mario Corradofilosofo umanistaOria (1508-1575) "Assiduo verso gli infermi", esercitò con zelo e successo la professione di medico ma mentre era "di modello coi suoi scritti, di ammirazione e rispetto coi suoi consulti" fu dalla ignoranza popolana ritenuto un "Mago" perché cultore di scienze inusitate quali l'Astronomia e l'Astrologia.  Tornando da Padova, Parigi e Salamanca, cioè dai più grandi centri culturali del tempo, sollevò certo le gelosie interessate di coloro che non sapevano rassegnarsi al suo prestigio professionale. A ciò si aggiunse il vigile sospetto della Curia Arcivescovile messa sull'avviso dal Concilio di Trento.  Egli che portò per tutto il mondo l'amore per il suolo natio col nome di Matteo da Soleto, proprio in patria ebbe a difendersi da accuse di stregoneria come spesso avviene a chi, uomo di scienza, si rende filantropo. Fu più volte interrogato per le sue capacità di previsione del futuro (divinatorie) ma fu sempre rilasciato innocente.  Il Codice Vaticano 2264, è testimonianzapressoché l'unica superstitedell'impegno speculativo di Matteo Tafuri.  Da questo capostipite molti furono i Tafuri medici o giureconsulti che da Soleto trasferirono poi la loro residenza a GallipoliNardò e LecceGalatone.Così troviamo nel "Liber baptesimorum" dell'Archivio Parrocchiale di Soleto un Clericus Phisicus Honofrius Taphurus filius eccellentissimi Doctori Francisci che nel 1670 è padrino al battesimo di Diego Carrozzini. Il pronipote di Onofrio, Vincenzo Maria fu sindaco di Gallipoli nel 1789 mentre il fratello di Onofrio, dottore in giurisprudenza, visse presso la corte di Napoli dove morì nel 1699. Svariati giureconsulti, medici e sindaci a Lecce e Galatone. Ricordiamo, non per ultimo, fra Diego da Lequile (al secolo Diego Tafuri 1604-1673).  Note  Manni, La guglia di...30 Luigi Galante, Matteo Tafuri. Nuove rivelazioni da un manoscritto secentesco, pag.12, in 'Il filo di aracne'  Galatina,   Manni, La guglia, l'astrologo..., p.41  Bernari42  Istoria scrittori Regno di Napoli G.B.Tafuri. Bernari. Bernari, A., Il mago di Soleto: Matteo Tafuri, Milano, 2009. De Tommasi, G.B., Matteo Tafuri in "Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli" tomo VIII, Napoli, 1822. del Balzo di Presenzano, A., I del Balzo ed il loro tempo, Napoli, 2003. Manni, L., Guida di Soleto, Galatina, 1992. Manni, L., La guglia di Soleto, Galatina, 1994. Manni, L., La guglia, l'astrologo, la macàra, Galatina, Montinari, M., Soleto, Fasano, Tafuri, G.B., Istoria degli Scrittori del Regno di Napoli, Napoli, 1D. Bacca "Personaggi del sole culturale", Lecce 2008  Alchimia Galatina Giovanni Battista Della Porta Orsini Orsini Del Balzo Guglia di Raimondello Soleto.

 

Filippo Tarantino (Gravina), filosofo.. In ambito filosofico è noto per i suoi studi sul filosofo Giuseppe Tarantino, col quale è imparentato, e per aver fondato insieme a Gerardo Marotta la sezione dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli (intitolata a Giuseppe Tarantino) di cui è stato anche presidente[senza fonte]. Come scrittore, ha anche scritto alcuni saggi su temi quali la pedagogia, la psicologia e l'Umanesimo.   Indice 1Biografia 2Cariche ricoperte 3Opere 4Note 5 6 Biografia Filippo Tarantino nasce nel 1943. Dopo la laurea in storia e filosofia, diviene insegnante delle stesse materie per i licei italiani; in particolare, insegnerà al liceo scientifico Federico II di Svevia di Altamura dove uno dei suoi studenti sarà l'attore Sergio Rubini.  Nel 1991 viene nominato dirigente scolastico del Liceo classico Luca de Samuele Cagnazzi di Altamura, portando la scuola al più alto numero di studenti mai raggiunto. Manterrà la carica fino al raggiungimento della pensione, avvenuta agli inizi degli anni .  Nel , in qualità di dirigente scolastico, si recò a Tokyo, in Giappone insieme a sua moglie per una "visita preparatoria di incontro tra scuole". Durante la sua permanenza si verificò un violento terremoto, che gli causò paura e notevoli disagi con un volo di ritorno pagato 4000 euro e un'assistenza a quanto pare insufficiente da parte delle autorità consolari del posto.   Cariche ricoperte Dirigente scolastico del Liceo classico Luca de Samuele Cagnazzi (1991- inizi anni ) Presidente di circoscrizione del Lions Club Puglia Consigliere di Club del Lions Club Altamura Host Presidente dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici (IISF) di Napoli[senza fonte] Opere Speranze e proposte formative nel primo Novecento. La lezione di Giuseppe Tarantino, Bari, 1995. Dietro la ruota. Infanzia pregiata, Levante, Lezioni di volo, Bari,  L'inconscio e la coscienza nel pensiero di Giuseppe Tarantino, Bari, . L'Umanesimo mediterraneo. Orizzonte storico-culturale per la costruzione di una cittadinanza cosmopolita, , Storia antica e moderna dell'Ordine del Tempio, Nisroch, L'Umanesimo scientifico di Giuseppe Tarantino, Aracne Editrice, Note //aracneeditrice.it/index.php/autori.html?auth-id=407986 //teatro.liceocagnazzi.edu.it/storia-della-rassegna/  altamuralife.it/notizie/la-testimonianza-di-un-gravinese-in-giappone-durante-il-terremoto/  lions108ab.it/wp-content/uploads//06/Rivista-Lions-numero-4.compressed.pdf  lions.it/data/club.php?id=21110  Giuseppe Tarantino Liceo classico Luca de Samuele Cagnazzi  Sito web ufficiale e blog di Filippo Tarantino

 

Tarantino: Giuseppe Tarantino (Gravina), filosofo. Docente a Pisa. Nacque da Filippo Tarantino, nobile locale, e Arcangela Maria Letizia Spagnuolo.  Studiò nel ginnasio della sua città, sotto la guida dello zio materno Nicola. Compì gli studi superiori a Pisa, dapprima come studente all'università della stessa città e successivamente come allievo della Scuola normale superiore di Pisa. Iniziò gli studi sotto la guida di Francesco Fiorentino. A ventidue anni conseguì la laurea in Lettere e Filosofia e seguì a Napoli il maestro Fiorentino fino alla sua morte, nel 1884.  In sua memoria dedicò al suo maestro il suo primo libro, intitolato I Saggi Filosofici e pubblicato nel gennaio; nello stesso anno ottenne la docenza in filosofia teoretica. Inizia ad acquisire notorietà grazie ai saggi critici che pubblica sul Giornale Napoletano. Nel 1887 ottiene la cattedra di filosofia nel Liceo Antonio Genovesi di Napoli. Per ben dieci anni, lavorò all'opera Saggio sulla Volontà, pubblicato nel 1897. Ebbe anche una breve relazione con la fiorentina Bice, anche se era sentimentalmente legato ad un'altra donna di Gravina, conosciuta a Napoli, alla quale dedicò particolare cura. Dopo aver vinto il relativo concorso, gli fu assegnata la cattedra di filosofia teoretica all'Palermo, ma per motivi sentimentali vi rinunciò.  Insegnò dal 1886 al 1888 al Liceo Marciano, anno in cui ottiene la cattedra di filosofia nel Liceo Genovesi. Per un periodo abbandonò la sua relazione sentimentale per ritornare a lavorare sulle sue opere. Agli inizi del Novecento, vinse il concorso per la cattedra di filosofia morale dell'Pisa e questa volta accettò. A Pisa insegnò anche alla Scuola di Pedagogia, dove tra i suoi insegnanti figurò anche il futuro ministro Giovanni Gentile. La sua notorietà crebbe sempre più grazie ad alcuni suoi saggi critici pubblicati sulla Rivista di Filosofia Scientifica di Morselli, il più noto dei quali è su Locke.  Tra i suoi ex-studenti di Pisa più noti figurano Enrico De Nicola e il marchese Francesco Dentice di Accadia, prefetto di Pisa. Nell'ultima parte della sua vita tornò nella sua città natale Gravina in Puglia, dove visse nella casa di un nipote suo omonimo che aveva studiato sotto la sua egida a Pisa. Nel 1947 donò alla biblioteca "Ettore Pomarici Santomasi" di Gravina in Puglia una parte cospicua dei suoi libri.  A lui è stato intitolato il liceo scientifico della sua città natale Gravina in Puglia.  Opere: Appunti di Filosofia ad uso dei giovani del Liceo, Filippo Toso, Aversa. Saggi filosofici, Napoli, Vincenzo Morano. Studio storico su Giovanni Locke, in Rivista di Filosofia, II, Milano-Torino, F.lli Dumolard, 1886. Saggio sul criticismo e sull'associazionismo di Davide Hume, Napoli, Vincenzo Morano,  In morte di Michelangelo Calderoni, Vecchi, Trani, Saggio sulla volontà, Napoli, Tip. editrice F. di Gennaro e A. Morano.  In morte di Antonietta Cagiati, nella necrologia per Gaetano e Antonietta Cagiati, Napoli. Saggio sulle idee morali e politiche di Tommaso Hobbes, Napoli, Tip. F. Giannini & Figli,  Il problema della morale di fronte al positivismo e alla metafisica, Pisa, Tip. A. Valenti, 1901. Il principio dell'etica e la crisi morale contemporanea, Napoli, A. Tessitore & figlio,  Il concetto dello stato ed il principio di nazionalità, Napoli. Discorso preposto alle traduzioni dal latino, dall’inglese e dal francese di G. Sottile. Napoli. Leonardo da Vinci e la scienza della natura. Nel centenario di L. da Vinci, La politica e la morale. Discorso , Pisa, Tipografia editrice cav. F. Mariotti,  Sulla riforma universitaria, in «Rivista di filosofia».  Cfr. Gabriele Turi, Giovanni Gentile: una biografia, Firenze, Giunti,  (Parzialmente consultabile in Google Libri.)  tarantino-inconscio-,  tarantino-inconscio-, tarantino-inconscio-, Filippo Tarantino, Liborio Dibattista, Rosalba Pappalardi e Angelo Recchia-Luciani, L’inconscio e la coscienza nel pensiero di Giuseppe Tarantino , Filippo Tarantino, Mario Adda Editore, Filippo Tarantino, Speranze e proposte formative nel primo Novecento. La lezione di Giuseppe Tarantino, Bari, Levante, Beniamino D'Amato, Orazione funebre in onore di Giuseppe Tarantino .  Filippo Tarantino  Scheda biografica nel sito del Liceo statale Giuseppe Tarantino di Gravina in Puglia.

 

Tari Antonio: Antonio Tari (Villa Santa Maria Maggiore), filosofo. Epigrafe situata alla destra del portone d'ingresso del palazzo dove nacque Antonio Tari Di famiglia originaria di Terelle, nel Frusinate, nacque in un palazzo seicentesco della non distante Villa Santa Maria Maggiore, l'odierna Santa Maria Capua Vetere, anch'essa rientrante in Terra di Lavoro, da un impiegato che si trovava lì di passaggio . Il palazzo natìo, conosciuto come palazzo Mazzocchi, ove aveva schiuso gli occhi anche l'archeologo Alessio Simmaco Mazzocchi , era situato nell'allora strada della Croce, l'odierna via Mazzocchi, ed è oggi gravemente degradato.  Studiò a Montecassino, dove conobbe Silvio Spaventa. Nel 1830 si trasferì a Napoli dove si laureò in giurisprudenza e iniziò la professione di avvocato .  Ben presto però all'avvocatura preferì la filosofia, la letteratura e la musica, unendosi all'amico Spaventa, a Cusano, a Francesco de Sanctis e ad altri pensatori liberali dell'epoca e collaborando a vari giornali letterari partenopei. Nel 1861 fu eletto deputato per il collegio di S. Germano, ma rifiutò il mandato per dedicarsi all'insegnamento. Infatti lo stesso anno era entrato per concorso nella Regia Napoli, divenendo il primo cattedratico di estetica in Italia, nello stesso periodo in cui vi insegnavano anche Francesco de Sanctis, Luigi Settembrini, Silvio Spaventa e Giovanni Bovio . Vi insegnò per oltre un ventennio, fino alla sua morte.  Si dedicò a vari rami della filosofia e delle scienze del linguaggio, traducendo anche, per la casa editrice Detken, opere di autori stranieri all'epoca non molto noti come Leon Brothier , Sigismond Zaborowski-Moindron  e Eugene Noel , traduzioni pubblicate tra il 1881 e il 1885.  Il suo sistema estetico, variamente criticato, in particolare per la scarsa originalità, si caratterizzava per una vivacità espressiva, con ricche e talvolta variopinte esemplificazioni, che peraltro ne resero celebri e molto frequentate le lezioni universitarie. Parte significativa dei suoi studi filosofici fu pubblicata postuma.  Il filosofo “giullare di Dio” Benedetto Croce, nei saggi critici della Letteratura della Nuova Italia, definì Tari «giullare di Dio», vale a dire, per riprendere le parole dello stesso Croce, il «lieto giullare della filosofia». Il pensatore abruzzese spiegava, al riguardo, che Tari non ebbe mai nemici, riuscendo a farsi ben volere sia dagli amici sia dagli avversari, che «prendeva a braccetto, e li menava a spasso con sé, divertendosi a contradirli e a sentirsi contradetto».  Quasi ad avallare la definizione sopra riportata, il pensatore abruzzese ebbe anche a rilevare che la bizzarra genialità di Tari «gli faceva trovare piacere nei ravvicinamenti e collegamenti più disparati e più comici: della frase sublime con la scherzosa, del ricordo solenne con l'aneddoto salace, del linguaggio latino o del tedesco col vernacolo napoletano. Parla in gergo, ma in gergo che è quintessenza di cultura e stravagante miscuglio di elementi geniali» .  A proposito dell'opera "Manuale di estetica" del Tari (inedita), Croce disse:  «Filosofo di professione ed uomo di dottrina enciclopedica, nonostante tutta la sua perizia filosofica, la sua sterminata dottrina e il suo molto acume, il Tari fu soprattutto un bizzarro artista. La sua concezione metafisica non gli concedeva una trattazione veramente logica dei problemi. Ma la sua personalità, vibrante di commozione innanzi alle opere dell'arte, riboccante di entusiasmo, dotata di bontà e di nobiltà di sentire, gli ispirava pagine che sono di una specie assai rara nella nostra letteratura.»  Musica ed Estetica L'essenza giocosa si mischiava, confondendosi, con un'acuta critica, che si rivolgeva a tutti i campi in cui l'estetica si sostanziava e, in particolare, ad una delle “arti” al quale Tari era più attratto: la musica.  Tra il serio e il faceto, infatti, il filosofo, dopo aver pubblicato nel 1879 un interessante studio critico su Serietà e ludo, compose un saggio musicale, con tanto di note, dal titolo in tal senso emblematico di Lezioni di estetica generale .  Questo indirizzo lo portò ad occuparsi, scrivendone nel 1883, anche sulla celebre pastorale di Beethoven .  Opere principali: “Estetica ideale, Tip. del Fibreno, Napoli. Ente spirito e reale. Confessioni filosofiche, Stamperia della Regia Università, Napoli 1872; Opera, melodramma, dramma: nota critica, Tip. della Regia Università, Napoli 1878; Serietà e ludo: saggio critico, Tip. della Regia Università, Napoli; Saggi di critica, con prefazione di R. Cotugno, Tip. Vecchi, Trani 1886; Saggi di estetica e metafisica, B. Croce, Laterza, Bari; Estetica esistenziale, M. Leotta, Morano, Napoli  L'estetica reale, F. Solitario, Prometheus, Milano. A. Lauri, Dizionario dei cittadini notevoli di Terra di Lavoro antichi e moderni, Arnaldo Forni Editore, Bologna (ed. or. Sora 1915).  A. Perconte Licatese, Alessio Simmaco Mazzocchi, Ed. Spartaco, Santa Maria Capua Vetere,  A. Perconte Licatese, Santa Maria di Capua. Storia e monumenti della città di Santa Maria Capua Vetere,  II, Tip. Stampa Sud, Curti. A. Lauri L. Brothier, Storia popolare della filosofia, trad. di A. Tari, Detken, Napoli.  S. Zaborowski-Moindron, Origine del linguaggio, trad. di A. Tari, Detken, Napoli. E. Noel, Voltaire e Rousseau, trad. di A. Tari, Detken, Napoli. B. Croce, La letteratura della Nuova Italia. Saggi critici,  I, Laterza, Bari A. Tari, Lezioni di estetica generale, C. Scamaccia-Luvara, Tocco, Napoli A. Tari, Beethoven e la sua sinfonia pastorale. Saggio critico, Tip. della Regia Università, Napoli Benedetto Croce, La letteratura della nuova Italia. Saggi critici,  I, Laterza, Bari. Massimo Leotta, La filosofia di Antonio Tari, Istituto Italiano per gli Studi Storici, Napoli. Francesco Solitario, Antonio Tari nella "Critica" di Benedetto Croce. Contributo per un recupero, Prometheus, Milano 1998. Francesco Solitario , L'Estetica di Antonio Tari e la cultura filosofica meridionale del suo tempo, Prometheus, Milano. Antonio Tari, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Antonio Tari, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Antonio Tari, Antonio Tari, su storia.camera.it, Camera dei deputati.  , «Tari, Antonio» in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Archivi di Teatro Napoli, Foto di Antonio Tari su cir.campania.beniculturali.it.

 

Tartarotti: Girolamo Tartarotti (Rovereto), filosofo. Chiamato anche Gerolamo Tartarotti, divenne famoso per aver contrastato i processi contro le streghe e per aver osteggiato la devozione per il vescovo del XII secolo Adelpreto, mettendone in discussione santità e martirio. Girolamo Tartarotti nacque a Rovereto dal giureconsulto Francesco Antonio e da Olimpia Camilla Volani, discendente dell'antica famiglia dei Serbati.  Impersonò la figura dell'intellettuale che non si lascia limitare dal luogo nel quale nasce, cioè nel Trentino, lontano dai grandi centri culturali del tempo. Egli seppe anzi sfruttare le opportunità e le peculiarità della città di Rovereto, al confine tra mondo tedesco e italiano, in un periodo storico nel quale rifiorirono i commerci e i rapporti economici, grazie al suo trovarsi su una delle principali vie di comunicazione in Europa. Suo merito fu la capacità di saper tessere legami con intellettuali italiani e stranieri che risiedevano a Venezia, Roma, Salisburgo, Torino, Brescia, Vienna, Innsbruck. Utrecht e Parigi.  Studiò inizialmente nell'Imperial Regio Ginnasio di Rovereto e poi continuò come autodidatta. Si interessò di filosofia, che seguì presso l'Padova sino a quando difficoltà economiche familiari non lo obbligarono a tornare nelle città natale.  Al suo ritorno si interessò personalmente per far insediare nella Città della Quercia la stamperia del tipografo veronese Pierantonio Berno e, nel 1730, fondò la prima accademia cittadina, l'Accademia dei Dodonei. Compì viaggi a Verona, dove conobbe Scipione Maffei e altri studiosi, poi ad Innsbruck, dove rimase alcuni mesi come precettore, e in seguito si trasferì a Roma, come segretario del Cardinale Domenico Silvio Passionei.   Casa dove abitò Girolamo Tartarotti, in Via Garibaldi 61, a Rovereto, prima di trasferirsi in Via della Terra Dal 1730 al 1751, durante le sue permanenze roveretane, visse nella stessa casa dove abitavano Giuseppe Valeriano Vannetti e Bianca Laura Saibante, e dove questi iniziarono a tenere un vivace salotto letterario che portò, probabilmente su ispirazione dello stesso Tartarotti, alla nascita dell'Accademia degli Agiati.[nota 1]  Il soggiorno romano fu relativamente breve, per contrasti col Cardinale, quindi fece ritorno a Rovereto. Nel 1739, morì il fratello Jacopo, e nel 1741 si trasferì a Venezia, come collaboratore del futuro Doge Marco Foscarini. Nel 1743 ebbe discussioni anche con Foscarini e tornò ancora una volta a Rovereto, da dove non si allontanò più.  I viaggi di Girolamo Tartarotti furono in definitiva relativamente pochi e di breve durata, e trascorse la maggior parte della sua vita matura a Rovereto. Si dimostrò poco propenso ad accettare l'aiuto di ricchi mecenati che lo avrebbero limitato nella sua libertà e approfittò delle occasioni che gli venivano offerte lontano dalla sua città per comprare libri o incontrare altri studiosi.  Lo studioso Sin dagli anni giovanili Tartarotti si dedicò agli studi letterari interessandosi della poesia toscana e scrivendo egli stesso varie composizioni poetiche. Approfondì tematiche della filosofia scolastica e scrisse trattati critici nei confronti di questa. Collaborò con Angelo Calogerà per la sua Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici, e venne in polemica con Trento dimostrando, in una sua pubblicazione, che la città tridentina divenne sede episcopale solo nel IV secolo e non al tempo dei primi apostoli.  Nel 1749 pubblicò Congresso notturno delle Lammie, la sua opera più nota, nella quale dichiarò inesistente la stregoneria come la si voleva descrivere al suo tempo, e questo sulla base della logica, della scienza e della stessa ortodossia dei cattolici.  Collaborò con Ludovico Antonio Muratori pubblicando nel suo venticinquesimo tomo dei Rerum Italicarum scriptores le sue conclusioni relative alla cronaca di Andrea Dandolo e correggendone le fonti nelle sue basi documentarie.  Durante i suoi ultimi anni continuò nelle indagini storiche alla quali aveva dedicato gran parte della sua vita e arrivò a dimostrare, ad esempio, che era sbagliata la venerazione dei trentini per Adelpreto, Vescovo di Trento. La sua tesi era spiegata nella Lettera intorno alla santità e martirio di Alberto vescovo di Trento, del 1754. Uno dei suoi ultimi lavori, sempre legato a questo tema: Notizie istorico-critiche intorno al B.M. Adalpreto vescovo di Trento venne messa al rogo su disposizione del principe vescovo Francesco Felice Alberti di Enno nel 1761. Intanto la salute di Girolamo Tartarotti peggiorava, e lo studioso morì il 16 maggio dello stesso anno, senza sapere del suo libro bruciato a Trento. Fu sepolto nella chiesa arcipretale di San Marco dove una targa a lato della porta d'ingresso lo ricorda.  La biblioteca Sempre amante dei libri, quando non gli fu possibile viaggiare per acquistarli personalmente si affidò a contatti che col tempo divennero per lui preziosi per procurarseli. A Verona poté contare su Ottolino Ottolini, a Brescia su Gianmaria Mazzucchelli, a Modena su Ludovico Antonio Muratori e a Venezia su Gian Rinaldo Carli. A Rovereto fu molto vicino a Giuseppe Valeriano Vannetti, dal 1750 segretario dell'Accademia Roveretana degli Agiati, e anche da lui ebbe aiuti per procurasi i testi dei quali aveva bisogno per i suoi studi. Al Vannetti fu legato anche per altri motivi, essendo stato per vari anni precettore di Bianca Laura Saibante, futura moglie di Giuseppe Valeriano, e del fratello di lei, Francesco.  Il Tartarotti si procurò libri anche grazie a donazioni, eredità e prestiti.  Al momento della sua morte, per esplicita volontà testamentaria, la sua ricca biblioteca venne donata all'Ospedale dei Poveri Infermi di Loreto, retta dalla Confraternita dei Santi Rocco e Sebastiano. La Confraternita tuttavia, poco dopo, decise di metterla in vendita, offrendola per primo al Comune di Rovereto. In quell'occasione Giuseppe Valeriano Vannetti e Francesco Saibante si spesero affinché tale importante acquisizione culturale per Rovereto avesse successo, e l'atto di compravendita venne registrato il 22 gennaio 1764.  La prima biblioteca pubblica a Rovereto Nel 1764, tre anni dopo la morte di Tartarotti, venne così creata la prima biblioteca aperta al pubblico a Rovereto. Le intenzioni dello studioso non furono queste, tuttavia fu proprio il nucleo dei suoi testi ad essere destinato a questa importante iniziativa culturale, perché sino a quel momento esistevano in città solo biblioteche appartenenti a privati, come ad esempio quella dei Rosmini, dei Vannetti, dei Saibante, oppure conservate in conventi; si stava formando anche quella dell'Accademia Roveretana degli Agiati, sicuramente molto importante, ma nessuna di queste destinata alla consultazione di chiunque.  Il totale delle opere appartenenti a Tartarotti che confluì nella biblioteca ammontava originariamente a 2.027 volumi e a 13 manoscritti. Per quanto riguarda i luoghi di pubblicazione dei volumi, quasi il 30% di essi proveniva da Venezia.  I volumi raccolti durante tutta la vita da Girolamo Tartarotti costituirono così il primo nucleo della Biblioteca Civica di Rovereto, che in seguito fu a lui dedicata.  Tartarotti e gli agiati Lo studioso, come sopra ricordato, fu molto attivo a Rovereto e si spese per portare una maggior apertura culturale in città facilitando l'arrivo di un tipografo, fondando l'Accademia dei Dodonei, svolgendo il ruolo di precettore per due dei fondatori dell'Accademia Roveretana degli Agiati, ma non divenne mai un socio di quella istituzione.  Le ragioni del suo rifiuto di far parte di quell'Accademia, che pure rispondeva a molte delle esigenze che sentiva anche sue, furono diverse. La principale fu la forte inimicizia con Scipione Maffei, e il fatto che l'uomo di lettere veronese fosse entrato tra i primi come socio aggregato dell'associazione. Questo fece sì che non partecipasse alle riunioni del nascente sodalizio culturale roveretano.  Opere  Casa di Girolamo Tartarotti, in via della Terra 15, a Rovereto Si riporta qui una piccola selezione di alcuni lavori di Girolamo Tartarotti, da non intendersi come fonti di questa pagina ma come approfondimento e confronto.  Ragionamento intorno alla poesia lirica Toscana, Delle disfide letterarie, o sia pubbliche difese di conclusion,  De auctoribus ab Andrea Dandulo laudatis in Chronico Veneto, Apologia del Congresso notturno delle Lammie, Memorie antiche di Rovereto e dei luoghi circonvicini (1754) Apologia delle Memorie antiche di Rovereto (1758) Lettera seconda di un giornalista d'Italia ad un giornalista oltramontano sopra il libro intitolato: Notizie istorico-critiche intorno al b.m. Adalpreto Vescovo di Trento, Alcune opere pubblicate nella Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici curata da Angelo Calogerà:  Relazione d'un manoscritto dell'Istoria manoscritta di Giovanni Diacono veronese, Dissertazione intorno all'arte critica (1740) Lettera al sig. N.N. intorno alla sua tragedia intitolata il Costantino (1741) Lettera intorno alla differenza delle voci nella lingua italiana (1745) Alcune opere pubblicate postume:  Osservazioni sopra la Sofonisba del Trissino con prefazione del cav. Clementino Vannetti, La conclusione dei frati francescani riformati (postumo, Annotazioni al Dialogo delle false esercitazioni delle scuole d'Aonio Paleario. Annotazioni  Ipotesi avanzata da Gianmario Baldi, Direttore della Biblioteca civica G. Tartarotti e membro dell'Accademia Roveretana degli Agiati G.Baldi, p.50. Fonti  M.Farina, 9-14.  Mostra Tartarotti, p.4.  Mostra Tartarotti, p.11.   Lodovico Antonio Muratori, Rerum Italicarum scriptores. Mediolani, ex typographia Societatis Palatinae in Regia Curia, Tartarotti, (check). R.Trinco, Mostra Tartarotti,  Mostra Tartarotti, Mostra Tartarotti,  Mostra Tartarotti, Sito Biblioteca Civica G. Tartarotti, su bibliotecacivica.rovereto.tn.it, Comune di Rovereto. 23 giugno .  Gianmario Baldi, La Biblioteca civica Girolamo Tartarotti di Rovereto: contributo per una storia, Calliano,Trento, Manfrini, Marino Berengo, La letteratura italianaStoria e testi" XLIVtomo I, Milano-Napoli, Ricciardi, 1978. Leonardo Franchini, Adversum malleum maleficarum, biografia del filosofo pre-illuminista roveretano Girolamo Tartarotti, Rovereto, Stella, Nicola Cusumano, Ebrei e accusa di omicidio rituale nel Settecento. Il carteggio tra Girolamo Tartarotti e Benedetto Bonelli (1740-1748), Milano, Unicopli, . Marcello Farina, Antonio Rosmini e l'Accademia degli Agiati, Brescia, Morcelliana Edizioni, testi di Serena Gagliardi, Elena Leveghi e Rinaldo Filosi, La Biblioteca di Girolamo Tartarotti: intellettuale roveretano del Settecento : Rovereto, Palazzo Alberti, Rovereto, Provincia autonoma, Servizio beni librari e archivistici,Comune di Rovereto, Biblioteca civica G. Tartarotti, 1995,  88-86602-03-0. Renato Trinco, San Marco in Rovereto : la chiesa arcipretale tra storia, arte e devozione, Mori, La grafica, Accademia Roveretana degli Agiati Bianca Laura Saibante Biblioteca civica G. Tartarotti Clementino Vannetti. Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Girolamo Tartarotti, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Girolamo Tartarotti, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Girolamo Tartarotti, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Girolamo Tartarotti.

 

Tataranni: Onofrio Tataranni (Matera), filosofo. Lucano di origine, fu esponente dell'Illuminismo napoletano.  Nacque in Basilicata, a Matera, da Angelo Bruno e Nunzia Pistoia. Non sappiamo a quale ceto appartenesse la sua famiglia, ma sicuramente essa era fornita dei mezzi economici e delle relazioni sociali necessarie per avviare il figlio verso la carriera ecclesiastica: non a caso, quando fu battezzato (il 19 ottobre 1727) nella Chiesa cattedrale di Matera, i suoi genitori scelsero come padrini i nobili Giovan Battista Ferraù e Giovanna Cordova.  Sin da ragazzo maturò quella che doveva essere la sua vocazione, tanto che divenne prima allievo e poi docente del seminario diocesano materano. Sebbene avesse una posizione di un certo rilievo sia in ambito ecclesiastico, sia in ambito educativo, il Tataranni non mostrò alcun tentennamento nell'accettare l'invito di Michele Imperiali, principe di Francavilla, che lo volle a Napoli per affidargli la direzione della sua Paggeria.  Grazie all'incarico conferitogli dal principe di Francavilla, Tataranni accrebbe ancor di più la stima di cui già godeva, stringendo rapporti amichevoli con le personalità più illustri ed autorevoli del tempo, incardinate nella Reale Accademia delle Scienze e Belle Lettere. Il Tataranni ebbe la possibilità di frequentare proprio tali stimolanti dibattiti, che del resto avrebbero formato l'humus delle sue future riflessioni, in qualità prima di Direttore della Paggeria, poi della Scuola militare del Real Collegio militare, ufficialmente Reale Accademia Militare, fondata il 18 novembre 1787 e fortemente voluta da re Ferdinando IV, che mostrò di aderire al generale clima di rinnovamento e consolidamento delle istituzioni militari del Regno. Proprio in questi anni Onofrio Tataranni ebbe l'onore di esserne il direttore, partecipando vivamente, dunque, al graduale svilupparsi e moltiplicarsi dell'alveo della cultura politica riformatrice, che, negli anni Ottanta, ancora auspicava un reale cambiamento all'interno dello stesso apparato monarchico. Così, nell'arco di un settennio, pubblicò delle opere molto significative, in cui era evidente il suo tracciato ideale di società.  Tuttavia, in seguito agli avvenimenti del 1791 e del 1794, quindi dopo il Concordato e dopo la fallita congiura di Carlo Lauberg, le sue posizioni rispetto alla politica e allo Stato cambiarono considerevolmente. Con questa disillusione coincide il silenzio dell'intellettuale materano, che in quegli anni si limitò, a quanto noto, a proseguire i suoi studi come Direttore. La delusione, si può ipotizzare, lo spinse a tacere fino alla proclamazione della Repubblica Napoletana, quandodichiaravasicuro dell'importanza dell'istruzione del popolo e del “nuovo cittadino”, elaborò il Catechismo Nazionale pe'l Cittadino, nel quale incoraggiava il popolo a difendere i principi della Rivoluzione a vantaggio dell'umanità intera. Il catechismo vinse il primo premio indetto dal governo provvisorio e venne adottato come catechismo ufficiale della Repubblica Napoletana, pubblicato il 12 febbraio 1799 ebbe il compito di educare i sudditi a divenire cittadini.  Alla caduta della Repubblica, nel giugno, Tataranni riuscì a porsi in salvo, rifugiandosi a Matera, nei cui tribunali, in tale periodo, venivano esaminate le posizioni di ben 1370 «rei di Stato» lucani, 228 dei quali furono condanll'«esportazione» e sette a morte. Comunque, a Matera il Tataranni poté contare su solide relazioni interne al locale Capitolo cattedrale, morendovi il 27 marzo 1803.  Pensiero Più volte Tataranni tiene a sottolineare l'importanza della triade Dio-Ragione-Sentimento, in una sorta di compromesso tra Illuminismo, sensismo e religione.  Inoltre, caratteristica del suo pensiero è una forte connotazione politica, mirando alla figura del sovrano quale principale esempio per i sudditi, capace di governare un Regno che si sarebbe dovuto fondare su solidi valori, legati all'importanza della famiglia, della civiltà contadina e della piccola proprietà terriera, quest'ultima ottenuta con un giusto ed onesto lavoro. È da evidenziare come il Tataranni avesse maturato idee di una peculiare modernità, al punto da convincersi che il passaggio verso una nuova stagione dell'umanità sarebbe potuto avvenire attraverso la Costituzione di una «Dieta Universale»: egli sosteneva, infatti, che, ad ogni rappresentante di questo nuovo organismo, essa avrebbe espresso «i giusti diritti del suo Monarca», al fine di raggiungere la «felicità comune» e la «pubblica sicurezza», ponendosi, negli ordini e nelle attività sociali, sull'unica distinzione del «Merito».  Notevole importanza era, poi, assegnata al ruolo dell'educazione e dell'istruzione, poiché Tataranni affermava l'importanza dello studio delle humanae litterae, unico mezzo, per i giovani, per riscoprire i principali temi della letteratura e della filosofia morale antica ed attualizzarli. Inoltre, egli si faceva anche sostenitore dell'istruzione scientifica, dando priorità alla geometria e, ancora una volta, seguendo il modello greco, suggeriva di avviare gli alunni sin «dall'età più tenera» al processo educativo, seguendo le direttive di grandi pensatori. Il sacerdote-riformatore auspicava tutto questo in un contesto socio-economico che riservasse particolare attenzione all'attività agraria e ad una pratica religiosa «semplice pura e brieve».  Dunque, il Tataranni predicava il ritorno alla religione delle origini, costruita sull'aiuto reciproco tra gli individui, in modo che «gli Uomini si rassomiglino in qualche modo all'Ente Supremo d'infinità Bontà». Pertanto, affermava che i sacerdoti dovessero essere «esenti dalle Pubbliche Cariche» e che come gli altri uomini dovessero essere soggetti «alla Giurisdizione dei Giudici Laici nelle loro Cause Civili».  Opere La prima, monumentale, opera del Tataranni fu il Saggio d'un filosofo politicoamico dell'uomo, pubblicata a Napoli, in cinque tomi, dal 1784 al 1788: il primo tomo nel 1784, il secondo e il terzo nel 1785, il quarto nel 1786 e il quinto nel 1788. on la composizione di quest'opera, Tataranni si proponeva di delineare il suo tracciato ideale di società, confidando nella figura del sovrano. Infatti, già il titolo dell'opera risulta molto significativo, in quanto l'autore si presentava come un filosofo con atteggiamento filantropico nei confronti di Ferdinando IV, al fine di mostrargli la retta direzione per guidare un giusto governo ed attuare delle riforme interne allo stesso apparato monarchico, favorevoli alle idee democratiche.  La fiducia che Tataranni riponeva nei riguardi del monarca veniva ancora espressa nel Ragionamento sul carattere religioso di Carlo III umiliato a Ferdinando IV re delle Due Sicilie, pubblicato a Napoli nel 1789. Sostanzialmente, si trattava di un panegirico riferito al padre del sovrano, Carlo di Borbone, che, spentosi l'anno precedente, veniva proposto come esempio da seguire al suo erede. In tal senso, egli si rivolgeva ancora pieno di ammirazione nei confronti di Ferdinando IV nel Ragionamento sulle sovrane leggi della nascente popolazione di S. Leucio umiliata alla maestà di Ferdinando IV re delle Due Sicilie, pubblicata a Napoli il 25 luglio 1789.  Nella Brieve memoria sull'educazione nazionale della nobile gioventù guerriera l'autore affrontava il tema, a lui caro come Direttore di istituti di formazione, dell'educazione dei giovani (1790).  Negli anni Novanta, benché il canonico avesse raggiunto un'età avanzata, non solo decise di aderire alla Repubblica Napoletana, ma, convinto dell'importanza che rivestiva la formazione del popolo e del nuovo cittadino, decise di scrivere, come detto, un Catechismo Nazionale pe'l Cittadino, che fu dato alle stampe il 12 febbraio 1799.  Note  Archivio Diocesano di Matera, Cattedrale, Battesimi Antonio Lerra, Onofrio Tataranni. Catechismo nazionale pe' l cittadino. Progetto di cultura politica e ruolo dell'anticoXV.  Antonio LerraXVII.  Elvira Chiosi, Lo spirito del secolo. Politica e religione a Napoli nell'età dell'illuminismo, Napoli, Giannini, Patrizia Di Maggio, Nunziatella, Castellammare di Stabia, Longobardi Editore. Antonio LerraXXXVI.  Salvatore Bruno, Onofrio Tataranni e il suo "Catechismo nazionale pe' il cittadino". Contributo alla storia della Repubblica Partenopea del 1799, in "Studi Meridionali", Cronache di una rivoluzione: Napoli 1799, FrancoAngeli, Milano, Antonio Lerra, L'albero e la croce. Istituzioni e ceti dirigenti nella Basilicata del 1799, Napoli, ESI, Salvatore Bruno, Onofrio Tataranni e il suo "catechismo nazionale pe' il cittadino" (noterelle di storia napoletana), in Scritti in onore di Romualdo Trifone, Storia Meridionale,  II, Sapri, Ed. del Centro Librario, Salvatore Bruno, Onofrio Tataranni e il suo "Catechismo nazionale pe' il cittadino". Contributo alla storia della Repubblica Partenopea del 1799, in Studi Meridionali, Luciano Guerci, Istruire alle verità repubblicane. La letteratura politica per il popolo nell'Italia in rivoluzione (1796-1799), Bologna, il Mulino, 1999. Giovanni Caserta, Onofrio Tataranni. Teologo della rivoluzione napoletana del 1799, Napoli, Vivarium, Rosaria Capobianco, La pedagogia dei catechismi laici nella Repubblica napoletana, Napoli, Liguori Editore, 2007. Antonio Lerra, Onofrio Tataranni. Catechismo nazionale pe' l cittadino. Progetto di cultura politica e ruolo dell'antico, Manduria-Roma-Bari, Lacaita, 2006. Antonio D'Andria, Onofrio Tataranni. Un riformatore napoletano in limine , in Sguardi sul Mezzogiorno in età moderna e contemporanea, Quaderni eretici | Cahiers hérétiques. Studi sul dissenso politico, religioso e letterario, fascicolo  Illuminismo in Italia Repubblica Napoletana. Storia della Basilicata  Un'analisi dei concetti politici nel Catechismo, su nuovomonitorenapoletano.it. L'indice ragionato del Filosofo Politico amico dell'Uomo La Brieve memoria in edizione integrale.

 

Tasso: Ritratto anonimo del Tasso, intorno al 1590 Torquato Tasso (Sorrento, 11 marzo 1544Roma, 25 aprile 1595) poeta, scrittore, drammaturgo e filosofo italiano.   Stemma dei Tasso di Cornello. La sua opera più importante, conosciuta e tradotta in molte lingue, è la Gerusalemme liberata (1581), in cui vengono cantati gli scontri tra cristiani e musulmani durante la prima crociata, culminanti nella presa cristiana di Gerusalemme.   Il padre Bernardo Tasso. Torquato nacque a Sorrento l'11 marzo 1544, ultimo dei tre figli di Bernardo Tasso, letterato e cortigiano nato a Venezia, ma di antica nobiltà bergamasca, poi al servizio del principe di Salerno Ferrante Sanseverino del regno di Napoli, compreso nella monarchia spagnola, e di Porzia de' Rossi, nobildonna napoletana di origini toscane, pistoiesi da parte paterna e pisane da parte materna. La primogenita Cornelia era venuta alla luce nel 1537.  Di Sorrento e della «dolce terra natìa» il poeta conserverà sempre un magnifico ricordo, rimpiangendo  «... le piagge di Campagna amene, pompa maggior de la natura, e i colli che vagheggia il Tirren fertili e molli.»  (Gerusalemme liberata, I, 390-92) Quando Torquato era ancora bambino, il principe di Salerno fu bandito dal regno e Bernardo seguì il suo protettore. All'età di 6 anni si recò in Sicilia e dalla fine del 1550 fu con la famiglia a Napoli, dove lo seguì il precettore privato Giovanni d'Angeluzzo. Frequentò per due anni la scuola dei Gesuiti appena istituita e conobbe Ettore Thesorieri con il quale poi restò in corrispondenza epistolare.  Ebbe un'educazione cattolica e da giovane frequentò spesso il monastero benedettino di Cava de' Tirreni (dove si trovava la tomba di Urbano II, il papa che aveva indetto la prima crociata), e ricevette il sacramento dell'Eucaristia quando «non avea anco forse i nov'anni», come scrisse egli stesso. Due anni dopo la sorella Cornelia, che nel frattempo si era sposata con il nobile sorrentino Marzio Sersale, rischiò di essere rapita durante un'incursione ottomana a Sorrento, e questo rimase impresso nella sua memoria.   Guidobaldo II Della Rovere. Rimase a Napoli fino ai dieci anni, poi seguì il padre a Roma, abbandonando con grande dolore la madre che fu costretta a rimanere nella città partenopea perché i suoi fratelli «rifiutavano di sborsarle la dote». Nella città pontificia fu Bernardo a educare privatamente il figlio, ed entrambi subirono un grave trauma quando nel febbraio 1556 vennero a sapere della morte di Porzia, probabilmente avvelenata dai fratelli per motivi d'interesse.  La situazione politica a Roma subì però uno sviluppo che preoccupò Bernardo: era scoppiato un dissidio tra Filippo II e Paolo IV e gli spagnoli sembravano sul punto di attaccare l'Urbe. Mandò allora Torquato a Bergamo presso Palazzo Tasso e la Villa dei Tasso da alcuni parenti e si rifugiò presso la corte urbinate di Guidobaldo II Della Rovere, dove fu raggiunto dal figlio pochi mesi dopo.  A Urbino Torquato studiò assieme a Francesco Maria II Della Rovere, figlio di Guidobaldo, e a Guidobaldo Del Monte, poi illustre matematico. In questo periodo ebbe maestri di assoluto livello quali il poligrafo Girolamo Muzio, il poeta locale Antonio Galli e il matematico Federico Commandino. Torquato passava a Urbino solo l'estate, dal momento che la corte trascorreva l'inverno a Pesaro, dove Tasso entrò in contatto con il poeta Bernardo Cappello e con Dionigi Atanagi, e scrisse il primo componimento a noi noto: un sonetto in lode della corte.  Bernardo si spostò intanto a Venezia, indiscussa capitale dell'editoria, per occuparsi della pubblicazione del suo Amadigi. Poco tempo dopo, quindi, anche il figlio cambiò una volta di più città, stabilendosi in laguna nella primavera del 1559. Sembra che proprio a Venezia, non ancora sedicenne, abbia cominciato a mettere mano al poema sulla prima crociata e al Rinaldo. Il Libro I del Gierusalemme (conservato dal Codice vaticano-urbinate 413) fu scritto dietro consiglio di Giovanni Maria Verdizzotti e Danese Cataneo, due poeti mediocri che allora frequentava e che già avevano scorto nel Tasso un talento straordinario.  Periodo universitario  Sperone Speroni Nel novembre 1560 Torquato si iscrisse per volere paterno alla facoltà di legge dello Studio patavino, raccomandato a Sperone Speroni, la cui casa frequentò più delle aule universitarie, affascinato dalla vastissima cultura dell'autore della Canace. Tasso non amava la giurisprudenza, tanto che attendeva più alla produzione poetica che allo studio del diritto. Così, dopo il primo anno ottenne dal padre il consenso per frequentare i corsi di filosofia ed eloquenza con illustri professori tra cui spicca il nome di Carlo Sigonio. Quest'ultimo rimarrà un modello costante per le dissertazioni teoriche tassesche futureprime fra tutte quelle dei Discorsi dell'arte poetica, in cui si nota anche l'influsso dello Speronie lo avvicinò allo studio della Poetica aristotelica.  È in quest'epoca che si colloca il primo innamoramento del ragazzo, già molto sensibile e sognatore. Il padre era stato introdotto nella corte del cardinale Luigi d'Este, e nel settembre 1561 si era recato col figlio a fare la conoscenza dei familiari del suo protettore. Torquato conobbe nell'occasione Lucrezia Bendidio, dama di Eleonora d'Este, sorella di Luigi.  Lucrezia, quindicenne, era molto bella ed eccelleva nel canto, anche se era piuttosto frivola. Avendo notato un interessamento della fanciulla, Tasso cominciò a dedicarle rime petrarcheggianti, ma dovette presto essere ricondotto alla realtà, poiché nel febbraio 1562 scoprì che la ragazza era promessa sposa al conte Baldassarre Macchiavelli. Non si arrese, continuando a cantarla in poesia, ma dopo le nozze si lasciò andare al risentimento e alla delusione.  Intanto, l'entourage cominciava ad avvedersi del talento del Tassino (come veniva chiamato per essere distinto dal padre), e nel 1561 e 1562 gli furono commissionate delle rime per alcuni funerali. Confluendo in due raccolte, furono le prime poesie pubblicate da Torquato.  Ancora più notevoli erano gli sforzi prodigati per il Rinaldo, composto in soli dieci mesi e dedicato a Luigi d'Este. Il poema epico cavalleresco, incentrato sulle avventure del cugino di Orlando, fu stampato a Venezia nel 1562 e contribuì a diffondere il nome di Tasso, che aveva ancora soltanto diciotto anni.  Il padre intanto lo aveva messo nel 1561 al servizio del nobile Annibale Di Capua, e il duca d'Urbino gli aveva procurato una borsa di studio di cinquanta scudi annui per permettergli di continuare i corsi universitari. Dopo due anni a Padova, Tasso proseguì gli studi all'Bologna, ma durante il secondo anno di permanenza nella città felsinea, nel gennaio 1564, fu accusato di essere l'autore di un testo che attaccava pesantemente, con una satira sferzante, alcuni studenti e professori dello Studio. Espulso e privato della borsa di studio, fu costretto a ritornare a Padova, dove poté beneficiare dell'ospitalità di Scipione Gonzaga, che gli fornì il necessario per continuare il percorso di formazione.  Ritrovò tra i maestri Francesco Piccolomini e seguì le lezioni di Federico Pendasio. In casa del principe Gonzaga era appena stata istituita l'Accademia degli Eterei, ritrovo di seguaci dello Speroni che miravano alla perfezione della forma, non senza scadere nell'artificiosità. Tasso vi entrò assumendo il nome di Pentito e leggendovi molti componimenti, tra cui quelli scritti per Lucrezia Bendidio e per una donna che la critica ha per lungo tempo identificato in Laura Peperara.  Secondo questa versione Torquato conobbe Laura nell'estate del 1563, quando aveva raggiunto a Mantova Bernardo, nel frattempo messosi al servizio del duca Guglielmo Gonzaga. La delicatezza nei modi della giovane fece dimenticare presto al Nostro le ancor fresche pene amorose per Lucrezia Bendidio. Lo spirito del Petrarca rivisse allora nelle liriche del ragazzo nuovamente innamorato. L'anno dopo, rivedendola, fu però deluso, e pur continuando a cantarla dovette ben presto rassegnarsi al secondo scacco.  Ricerche recenti hanno tuttavia collocato la nascita della Peperara nel 1563, rendendo quindi impossibile che fosse lei la seconda musa del Tasso.  I due canzonieri amorosi andarono in parte a finire tra le Rime degli Accademici Eterei, stampate a Padova nel 1567, assieme ad alcune che scriverà nel primo anno ferrarese.  Si legò anche all'Accademia degli Infiammati.  A Ferrara  Torquato Tasso all'eta di 22 anni ritratto da Jacopo Bassano Nell'ottobre 1565 giunse a Ferrara in occasione del secondo matrimonio (quello con Barbara d'Austria) del duca Alfonso II d'Este, al servizio del cardinale Luigi d'Este, fratello del duca, spesato di vitto e alloggio, mentre dal 1572 sarà al servizio del duca stesso. I primi dieci anni ferraresi furono il periodo più felice della vita di Tasso, in cui il poeta visse apprezzato dalle dame e dai gentiluomini per le sue doti poetiche e per l'eleganza mondana.  Il cardinale lasciò al Nostro la possibilità di attendere solamente all'attività poetica, e Tasso poté così continuare il poema maggiore. Rapporti particolarmente intensi intercorsero con le due sorelle del duca, Lucrezia e Leonora. La prima era uno spirito libero e incarnava ideali di vivacità e vitalità, mentre la seconda, malata e fragile, fuggiva la vita mondana e conduceva un'esistenza ritirata. Per quanto Tasso fosse attratto da entrambe e per quanto si sia avallata l'ipotesi di una relazione amorosa con Leonora, la critica tassesca ha concluso che non si andò al di là di forti simpatie.  La ricchezza culturale della corte estense costituì per lui un importante stimolo; ebbe infatti modo di conoscere Battista Guarini, Giovan Battista Pigna e altri intellettuali dell'epoca. In questo periodo riprese il poema sulla prima crociata, dandogli il nome di Gottifredo. Nel 1566 i canti erano già sei, e aumenteranno negli anni appresso.  Nel 1568 diede alle stampe le Considerazioni sopra tre canzoni di M. G. B. Pigna, dove emerge la concezione platonica e stilnovistica che il Tasso aveva dell'amore, con alcune note però affatto peculiari, che lo portavano a ravvisare il divino in tutto ciò che è bello, e a definire di matrice soprannaturale anche l'amore puramente fisico. I concetti vennero ribaditi nelle cinquanta Conclusioni amorose pubblicate due anni più tardi.  Compose anche i quattro Discorsi dell'arte poetica e in particolare sopra il poema eroico, anche se videro la luce solo nel 1587 a Venezia, per i tipi di Licino.  Nell'ottobre 1570 partì per la Francia al seguito del cardinale e, temendo gli potesse accadere qualche disgrazia nel lungo e pericoloso viaggio, volle dettare le proprie volontà all'amico Ercole Rondinelli, richiedendo la pubblicazione dei sonetti amorosi e dei madrigali, mentre precisava che «gli altri, o amorosi o in altra materia, c'ho fatti per servizio di alcun amico, desidero che restino sepolti con esso meco», ad eccezione di Or che l'aura mia dolce altrove spira.  Per il Gottifredo afferma di voler far conoscere «i sei ultimi canti, e de' due primi quelle stanze che saranno giudicate men ree», il che prova che il numero dei canti era salito almeno a otto.  Intanto, sempre nel 1570, Lucrezia d'Este sposò Francesco Maria II Della Rovere, compagno di studi di Torquato nel periodo urbinate.  Il soggiorno transalpino fu di sei mesi, ma, siccome Luigi aveva messo a disposizione del poeta poco denaro, questi trascorse il periodo francese sostanzialmente nell'ombra, con il solo onore di essere ricevuto da Caterina de' Medici, la moglie di Enrico II. Di ritorno a Ferrara, il 12 aprile 1571 decise di lasciare il seguito del cardinale.  Credeva incorrere in miglior fortuna presso Ippolito II, e scese pertanto a Roma. Anche il cardinale di villa d'Este però lo deluse, e Tasso decise di risalire la penisola, facendosi ospitare qualche tempo da Lucrezia e Francesco a Urbino, prima di entrare, nel maggio 1572, al servizio di Alfonso II.  In questo periodo continuò ad attendere al capolavoro, ma si diede anche al teatro, e scrisse l'Aminta, celebre favola pastorale che rientrava nei gusti delle corti cinquecentesche. Rappresentata con ogni probabilità il 31 luglio 1573 all'isola di Belvedere, dov'era una delle «delizie» estensi, ebbe un grande successo e fu richiesta anche da Lucrezia d'Este a Urbino l'anno successivo. Nell'euforia del successo, nello stesso 1573 Tasso cominciò a scrivere una tragedia, Galealto re di Norvegia, ma la abbandonò all'inizio del secondo atto, salvo rimettervi mano molto più tardi trasformandola nel Re Torrismondo.  Il capolavoro e la revisione L'impegno principale rimaneva comunque il poema epico, per il quale l'autore non aveva ancora stabilito un titolo. Nel novembre '74 l'opera era quasi completa, visto che «io aveva comincio quest'agosto l'ultimo canto», ma si deve aspettare fino al 6 aprile 1575 per avere l'annuncio del completamento del testo, quando in una lettera al cardinale Giovan Girolamo Albano leggiamo: «Sappia dunque Vostra Signoria illustrissima, che dopo una fastidiosa quartana sono ora per la Dio grazia assai sano, e dopo lunghe vigilie ho condotto finalmente al fine il poema di Goffredo».  Completato quindi nel 1575 il poema maggiore, si aprì per Tasso il periodo della nevrosi e del terrore di aver portato a termine un lavoro non gradito all'Inquisizione, allora in una fase di rigidità estrema (il concilio di Trento si era concluso da soli dodici anni). Da una lettera emerge l'inquietudine del poeta: «Qui va pur intorno questo benedetto romore de la proibizione d'infiniti poeti: vorrei sapere se ve n'è cosa alcuna di vero».[25]   Scipione Gonzaga Tasso sottopose il testo al giudizio di cinque autorevoli personaggi romanigaranzia di validi consigli concernenti l'estetica e la moralenevroticamente insoddisfatto delle proprie scelte estetiche ma principalmente preoccupato, come s'è visto, dalle questioni religiose.  I cinque erano il maestro ed erudito Sperone Speroni, il principe e cardinale Scipione Gonzaga, il cardinale Silvio Antoniano, il poeta Pier Angelio Bargeo e il grecista Flaminio de' Nobili.  Torquato condivise in parte i consigli degli illustri letterati, che gli avevano rivolto critiche di stampo moralistico, ma talvolta li respinse bruscamente. Ne nacquero missive quasi quotidiane che mettono in luce un autore intimamente travagliato e continuamente bisognoso di dimostrare (forse soprattutto a sé stesso) di non trasgredire principi di poetica né tanto meno di fede.  Ossessivo nell'apportare modifiche al testo, era continuamente combattuto e incerto sul da farsi, al punto che nell'ottobre arrivò a scrivere al Gonzaga: «Forse a questao condotto finalmente al fine il poema di Goffredo».  Completato quindi nel 1575 il poema maggiore, si aprì per Tasso il periodo della nevrosi e del terrore di aver portato a termine un lavoro non gradito all'Inquisizione, allora in una fase di rigidità estrema (il concilio di Trento si era concluso da soli dodici anni). Da una lettera emerge l'inquietudine del poeta: «Qui va pur intorno questo benedetto romore de la proibizione d'infiniti poeti: vorrei sapere se ve n'è cosa alcuna di vero».[25]   Scipione Gonzaga Tasso sottopose il testo al giudizio di cinque autorevoli personaggi romanigaranzia di validi consigli concernenti l'estetica e la moralenevroticamente insoddisfatto delle proprie scelte estetiche ma principalmente preoccupato, come s'è visto, dalle questioni religiose.  I cinque erano il maestro ed erudito Sperone Speroni, il principe e cardinale Scipione Gonzaga, il cardinale Silvio Antoniano, il poeta Pier Angelio Bargeo e il grecista Flaminio de' Nobili.  Torquato condivise in parte i consigli degli illustri letterati, che gli avevano rivolto critiche di stampo moralistico, ma talvolta li respinse bruscamente. Ne nacquero missive quasi quotidiane che mettono in luce un autore intimamente travagliato e continuamente bisognoso di dimostrare (forse soprattutto a sé stesso) di non trasgredire principi di poetica né tanto meno di fede.  Ossessivo nell'apportare modifiche al testo, era continuamente combattuto e incerto sul da farsi, al punto che nell'ottobre arrivò a scrivere al Gonzaga: «Forse a questa particolare istoria di Goffredo si conveniva altra trattazione; e forse anco io non ho avuto tutto quel riguardo che si doveva al rigor de' tempi presenti [...] E le giuro che se le condizioni del mio stato non m'astringessero a questo, ch'io non farei stampare il mio poema né così tosto, né per alcun anno, né forse in vita mia; tanto dubito de la sua riuscita».[26] Nemmeno l'entusiastica ammirazione di Lucrezia d'Este cui leggeva il poema ogni giorno «molte ore in secretis»[27], né l'essere venuto a conoscenza del grande piacere con cui da più parti l'opera veniva letta, poterono placare le sue angosce.[28]  Nel 1576 scrisse Allegoria, con cui rivisitava tutto il poema in chiave allegorica cercando di emanciparsi dalle possibili accuse di immoralità. Ma non bastava: gli scrupoli di carattere religioso assunsero la forma di vere e proprie manie di persecuzione. Per mettere alla prova la propria ortodossia nella fede cristiana si sottopose spontaneamente al giudizio dell'Inquisizione di Ferrara, ricevendo nel 1575 e nel 1577 due sentenze di assoluzione.[29]   Barbara Sanseverino Disagi presso la corte estense e fughe Due belle signore, giunte alla corte nel 1575 e protrattesi presso il duca fino all'anno dopo, costituirono un intermezzo piacevoleforse l'ultimoin mezzo a tante preoccupazioni. Per loro, la contessa di Sala Barbara Sanseverino e la contessa di Scandiano Leonora Sanvitale, cantò gioiosamente in alcune rime amorose, che, com'era accaduto per Lucrezia e Leonora d'Este, obbediscono alle conventions de genre e non rivelano altro che una sincera amicizia.[30]  Ma il Tasso si era stancato anche di Alfonso, e sognava diandare a Firenze, presso la corte medicea. Non è chiaro perché volesse abbandonare Ferrara, ma i motivi adducibili sono vari e variamente intriganti, e tutti hanno in loro almeno una parte di verità. «Ch'io desideri sommamente di mutar paese, e ch'io abbia intenzione di farlo, assai per se stesso può essere manifesto, a chi considera le condizioni del mio stato»[31], scriveva a Scipione Gonzaga.  Le «condizioni del mio stato» possono avere una valenza materiale: Tasso riceveva dal duca solo cinquantotto lire marchesane mensili, che sommate alle centocinquanta percepite in qualità di lettore all'Università (carica che ricopriva per i soli giorni festivi) danno una cifra sicuramente bassa che a un poeta ormai affermato doveva parere stretta, anche solo per una questione di dignità, senza voler pensare a motivazioni di pretta bramosia.[32]  L'espressione tassesca può assumere però anche una connotazione morale e psicologica: si erano in effetti verificati alcuni episodi spiacevoli presso la corte estense. Nel 1576 Torquato aveva avuto una lite con il cortigiano Ercole Fucci. Provocato, aveva rifilato uno schiaffo al Fucci, che in risposta lo colpì più volte con un bastone.  Un servo aveva inoltre rivelato al Tasso che, durante una sua assenza, un altro cortigiano, Ascanio Giraldini, aveva fatto forzare la porta della sua camera, nel tentativo di appropriarsi di alcuni manoscritti. Tasso sarebbe anche riuscito a rintracciare il magnano ottenendone una confessione, come risulta da un'altra lettera al Gonzaga, in cui si ipotizzano altre trame ordite alle sue spalle, anche se «io non me ne posso accertare».[33]  A far precipitare il rapporto con il duca e la corte furono però gli scrupoli religiosi del poeta. Nell'aprile 1577 Tasso si autoaccusò presso l'Inquisizione ferrarese (dopo l'autoaccusa presso il tribunale bolognese avvenuta due anni prima[34]), attaccando inoltre influenti personaggi di corte. Si cercò allora di far desistere il poeta dall'intenzione di confermare le sue affermazioni negli interrogatori successivi, senza risparmiargli punizioni corporali che non riuscirono afar cambiare idea al Tasso, che si presentò altre due volte davanti all'inquisitore.[35]  Le accuseerano rivolte in particolare contro Montecatini, il segretario ducale. Siccome Torquato voleva recarsi a deporre presso il Tribunale capitolino, l'inquisitore ferrarese, conscio del fatto che una simile azione poteva mettere a repentaglio i rapporti con la Santa Sede,vitali per casa d'Esteinformò immediatamente il duca con una missiva del 7 giugno.[36] Alfonso mise il poeta sotto sorveglianza, e il 17 giugno Tasso, ritenendosi spiato da un servo, gli scagliò contro un coltello.   Il Castello Estense Tasso rimase nella prigione del Castello fino all'11 luglio, quando Alfonso lo fece liberare e lo accolse presso la villeggiatura di Belriguardo, dove però rimase pochi giorni, venendo rimandato a Ferrara per essere consegnato ai frati del convento di S. Francesco.[37]  Il poeta supplicò allora i cardinali dell'Inquisizione romana affinché lo sollevassero da una situazione ormai insopportabile trovandogli una sistemazione nell'Urbe, e nel contempo si lamentava con Scipione Gonzaga per il trattamento ricevuto, ma pochi giorni dopo si ritrovò nuovamente nella prigione del Castello. Tentò quindi un'altra via e chiese invano perdono al suo signore.[38]  Tasso era indubbiamente provato dalle fatiche della Gerusalemme, e le lettere del periodo rivelano un animo inquieto e agitato, spesso preoccupato di smentire chi voleva vedere in lui i germi della pazzia. Le manie di persecuzione e l'instabilità si erano impadronite di lui, ma fino a qual punto? Fino a qual punto invece certe manifestazioni del poeta, che mantiene nelle missive una lucidità pressoché completa, funsero da pretesto per emarginare un personaggio divenuto pericoloso? Su questo punto i critici non sono mai riusciti a trovare un accordo.  Intanto la prigionia el Castello si prolungava, e non restava che la fuga: nella notte tra il 26 e il 27 luglio si travestì da contadino e fuggì nei campi. Raggiunta Bologna, proseguì fino a Sorrento, dove, ancora sotto mentite spoglie e fisicamente distrutto, si recò dalla sorella, annunciandole la propria morte, così da vedere la sua reazione, e svelandole la sua vera identità solo dopo aver osservato la reazione realmente addolorata della donna.[39]  A Sorrento rimase parecchi mesi ma, volendo riprendere parte alla vita di corte, fece inviare da Cornelia una supplica al duca, in data 4 dicembre 1577, chiedendo di essere riammesso alle sue dipendenze, in un testo che fu certamente dettato, almeno in parte, dal poeta stesso: «La maggior colpa che io credo sia in lui, è la poca sicurezza, che ha mostrata d'avere nella parola di V.A., e il molto diffidarsi della sua benignità».[40]  Così, nell'aprile 1578 ritornò a Ferrara, ma, tempo tre mesi, era di nuovo in fuga; Mantova, Padova, Venezia. Presa la via di Pesaro, da Cattolica mandò ad Alfonso una missiva in cui cerca di spiegare i motivi dell'abbandono, che restano, anche nella testimonianza diretta del Tasso, criptici: «ora me ne dono partito. per non consentire a quello, a che non dee consentire uomo, che faccia alcuna professione d'onore, o ch'abbia nell'animo alcuno spirito di nobiltà».[41] Paura, instabilità?  Quello che è certo è che nello stesso mese le parole di Maffio Venierche lo aveva incontrato a Veneziasembrano far perdere credibilità alle ipotesi di follia: «sebbene si può dire che egli non sia di sano intelletto, scuopre tuttavia più tosto segni di afflizione che pazzia».[42]  Anche gli scambi epistolari intrattenuti con Francesco Maria Della Rovere paiono rivelare una personalità afflitta e agitata più che folle. Il Leitmotiv, adesso più che mai, è il dolore.[43] Il dolore si fa allora poiesis, creazione. È proprio questo il periodo in cui vengono composti i versi dell'incompiuta canzone Al Metauro, tra i più citati e famosi dell'opera tassesca. Qui, in una rievocazione della propria vita sub specie doloris[44], affiorano i ricordi delle proprie sofferenze e della morte dei genitori. Il poeta è un esiliato, concretamente e metaforicamente, sin da quando bambino dovette lasciare il luogo natìo:  «In aspro esiglio e 'n dura povertà crebbi in quei sì mesti errori; intempestivo senso ebbi a gli affanni: ch'anzi stagion, matura l'acerbità de' casi e de' dolori in me rendé l'acerbità degli anni»  Intanto continuava a vagare. Percorse a piedi il tratto che separa Urbino da Torino, ma non sarebbe riuscito a entrare nella cittàera stato respinto dai doganieri perché in stato pietosose Angelo Ingegneri, amico di Torquato da alcuni anni, non lo avesse riconosciuto e aiutato a entrare. A Torino ricevette l'ospitalità del marchese Filippo d'Este, genero del duca di Savoia[45], e godette di una certa tranquillità che gli permise di comporre poesie e iniziare tre dialoghi, la Nobiltà, la Dignità e la Precedenza.[43]  Prigionia a Sant'Anna In seguito a nuovi pentimenti e nuove nostalgie della corte ferrarese, il poeta si adoperò ancora una volta per il rientro nella città ducale, facendo leva sulle intercessioni del cardinale Albano e di Maurizio Cataneo, e infine riguadagnò la capitale estense tra il 21 e il 22 febbraio, proprio mentre fervevano i preparativi per le terze nozze di Alfonso, quelle con Margherita Gonzaga, figlia del duca di Mantova Guglielmo.  Fu ospitato da Luigi d'Este, ma nessuno badava a lui: «Ora le fo sapere, che io qui ho trovato quelle difficoltà che m'imaginava, non superate né dal favore di monsignor illustrissimo, né da alcuna sorte d'umanità ch'io abbia saputo usare», scrisse a Maurizio Cataneo il 24 febbraio.[46] In una missiva al cardinale Albano, recante la data del 12 marzo, Tasso chiede almeno gli si faccia riottenere lo stipendio precedente.[47]  A questo punto i fatti precipitano: «Iersera l'altra si mandò il povero Tasso a Sant'Anna, per le insolenti pazzie ch'avea fatte intorno alle donne del Signor Cornelio, e che era poi venuto a fare con le Dame di Sua Altezza, quali, per quanto m'è stato rifferto, furono così brutte e disoneste, che indussero il Signor Duca a quella risoluzione».[48] Non è chiaro quando accadesse esattamente il fatto, si oscilla tra l'11 e il 12 marzo, ma è certo che in quest'ultima data il poeta fosse già stato recluso nella prigione di Sant'Anna.[49]  Pare sicuro anche che le parole offensive pronunciate in preda all'ira si siano indirizzate poi in modo esplicito allo stesso duca, ed è probabile che si trattasse di gravi accuse (forse legate ancora una volta alla vicenda dell'Inquisizione) che, fatte in pubblico, chiedevano una risoluzione drastica.  Il duca Alfonso II rinchiuse quindi Tasso nell'Ospedale Sant'Anna, nella celebre cella detta poi "del Tasso", dove rimase per sette anni. Qui, alle manie di persecuzione, si aggiunsero tendenze autopunitive.   Delacroix: Tasso all'ospedale di Sant'Anna Nell'Ospedale veniva trattato alla stregua dei «forsennati», ricevendo poche razioni di cibo scadente, privato di ogni comodità materiale e di ogni conforto spirituale, visto che il cappellano, «se ben io ne l'ho pregato, non ha voluto mai o confessarmi o comunicarmi».[50] È vero che dopo nove mesi ci fu un miglioramento del vitto, ma dovette trattarsi di ben poca cosa, e i primi tre anni coincisero con una sorta di isolamento.  Scrisse comunque ininterrottamente a principi, prelati, signori e intellettuali pregandoli di liberarlo e difendere la propria persona. Le suppliche erano rivolte al solito Gonzaga, alla mai dimenticata Lucrezia d'Este, a Francesco Panigarola (che sarebbe divenuto vescovo di Asti), a Ercole Tasso e molti altri.[51] I primi anni di reclusione non impedirono a Torquato di scrivere; anzi, le tre canzoni del periodo rivelano una poesia essenziale, magistrale nella gestione delle armonie, simbolo di un'ormai indiscussa maturità e dimostrazione, una volta di più, di come le facoltà mentali del poeta fossero ancora intatte. Ecco quindi A Lucrezia e Leonora, con la celebre invocazione alle «figlie di Renata», in una nostalgico ricordo dei tempi sereni trascorsi a corte, messo in contrasto con la durezza del tempo presente, ecco Ad Alfonso, nuova supplica al duca che, rimasta inascoltata, diventò un inno Alla Pietà nell'omonima canzone.  Le condizioni mutarono con gli anni: a partire dal 1580 gli fu permesso di uscire qualche volta e di ricevere visite, nel novembre 1582 il vitto migliorò ulteriormente, mentre dal 1583 poté lasciare Sant'Anna più volte alla settimana, «accompagnato da gentiluomini e qualche volta fu condotto anche a corte».[52] Tuttavia il trattamento rimaneva molto duro e, a distanza di secoli, pare spropositato se il motivo dovesse ridursi alla pazzia o a delle offese personali.  Certo, il Tasso soffriva di turbe psichiche. A questo proposito è illuminante la lettera di aiuto che indirizzò il 28 giugno 1583 al celebre medico forlivese Girolamo Mercuriale. Qui troviamo un elenco e una descrizione dei mali che affliggono il poeta: «rodimento d'intestino, con un poco di flusso di sangue; tintinni ne gli orecchi e ne la testa, [...] imaginazione continua di varie cose, e tutte spiacevoli: la qual mi perturba in modo ch'io non posso applicar la mente a gli studi per un sestodecimo d'ora», fino alla sensazione che gli oggetti inanimati si mettano a parlare. È da notare tuttavia come tutte queste sofferenze non l'abbiano reso «inetto al comporre».[53]  Si può poi ammettere che «il Tasso non fu semplicemente un melanconico, ma di tratto in tratto veniva sorpreso da eccessi di mania, da riescire pericoloso a sé ed agli altri»[54], ma, anche se questi squilibri dovessero essersi manifestati realmente, essi non giustificano né la tesi della pazzia né la necessità di allontanare il Tasso dalla corte per un periodo così lungo. Con buone probabilità, quindi, la ragione principale deve essere riallacciata ancora una volta ai tentativi tasseschi di ricorrere all'Inquisizione romana, e l'imprigionamento era il solo modo per non compromettere il rapporto con lo Stato Pontificio.  Dopo l'edizione veneziana "pirata" e mutila di Celio Malespini (estate 1580), nel 1581, sempre durante la prigionia, vennero pubblicatenel tentativo di porre rimedio alla sciagurata operazionea Parma e Casalmaggiore, ancora senza il suo consenso, due edizioni del poema iniziato all'età di quindici anni. Il titolo di Gerusalemme liberata fu scelto dal curatore di queste ultime versioni, Angelo Ingegneri, senza l'avallo dell'autore. L'opera ebbe un grande successo.  Siccome anche le stampe dell'Ingegneri presentavano delle imperfezioni e la Gerusalemme era ormai di dominio pubblico, bisognava approntare la versione migliore possibile, ma per far questo era necessaria l'autorizzazione e la collaborazione del Tasso. Così, seppur riluttante, il poeta diede il proprio consenso a Febo Bonnà, che diede alla luce la Gerusalemme liberata il 24 giugno 1581 a Ferrara, restituendola in modo ancora più preciso pochi mesi dopo.[55]  Queste traversie editoriali addolorarono il Tasso, che avrebbe voluto mettere mano al poema in modo da renderlo conforme alla propria volontà. All'amarezza per le pubblicazioni seguì ben presto quella che gli fu causata dallapolemica con la neonata Accademia della Crusca. La diatriba non fu scatenata, per la verità, né dal poeta né dall'Accademia. La sua origine va ricercata nel dialogo Il Carrafa, o vero della epica poesia, che il poeta capuano Camillo Pellegrino stampò presso l'editore fiorentino Sermartelli all'inizio di novembre del 1584. Nel dialogo Torquato viene esaltato assieme alla sua opera, in quanto fautore di una poesia etica e fedele ai dettami aristotelici, mentre l'Ariosto viene duramente condannato a causa della leggerezza, delle fantasiose invenzioni e dell'eccessiva dispersione che si possono riscontrare nell'Orlando Furioso.[56]   Leonardo Salviati Il testo provocò la reazione dell'Accademia, che rispose nel febbraio dell'anno seguente con la Difesa dell'Orlando Furioso degli Accademici della Crusca, stroncando il Tasso ed esaltando invece «il palagio perfettissimo di modello, magnificentissimo, ricchissimo, e ornatissimo»[57], che era il Furioso. La Difesa fu fondamentalmente opera di Leonardo Salviati e di Bastiano de' Rossi. Tasso decise di scendere in campo con l'Apologia in difesa della Gerusalemme Liberata, edita a Ferrara dal Licino il 20 luglio. Rivendicando la necessità di un'invenzione che si fondi sulla storia, il poeta si opponeva alle opinioni dei paladini del volgare fiorentino, e respingeva le accuse di un lessico intriso di barbarismi e poco chiaro.[58]  La polemica continuò, visto che il Salviati replicò in settembre con la Risposta all'Apologia di Torquato Tasso (testo noto anche come Infarinato primo[59]), cui seguirono un nuovo opuscolo di Pellegrino e un Discorso del Nostro, dopo di chese si esclude un ulteriore scritto del Salviati, l'Infarinato secondo (1588)per qualche tempo le acque si calmarono, ma la querelle tra ariosteschi e tasseschi proseguì fino al secolo successivo, e fu una delle più infiammate della storia della letteratura italiana.  Durante la reclusione Tasso scrisse principalmente discorsi e dialoghi[60]: fra i primi quello Della gelosia (redatto già nel 1577 ma pubblicato nel 1585), Dell'amor vicendevole tra 'l padre e 'l figliuolo (1581), Della virtù eroica e della carità (1583), Della virtù femminile e donnesca (1583), Dell'arte del dialogo (1586), Il Secretario (1587), cui si deve aggiungere il Discorso intorno alla sedizione nata nel regno di Francia l'anno 1585 (composto nel 1585, edito solo nel 1817) e il Trattato della Dignità, già iniziato a Torino, come si è visto.[61]  Queste opere sviluppano tematiche morali, psicologiche o strettamente religiose. La virtù cristiana è proclamata come superiore alla pur nobile virtù eroica, si afferma la comune origine di amore e gelosia, si valutano i talenti specifici della donna, il tutto arricchito dal racconto di esperienze personali che giustificano l'opinione dell'autore. Vengono affrontate anche questioni politiche, in special modo nel Secretario, diviso in due parti, la prima dedicata a Cesare d'Este, la seconda ad Antonio Costantini. Qui, nella descrizione del principe ideale, si enucleano alcune caratteristiche come la clemenza (chiaro il riferimento alla propria condizione), l'esser filosofo, e soprattutto «un gentiluomo a la cui fede ed al cui sapere si possono confidare gli Stati e la vita e l'onor del principe».[62]  Più copiosa ancora fu la composizione di dialoghi, scritti sotto il nume ideale di Platone, ma paragonabili più obiettivamente a quelli del sedicesimo secolo. Quasi ogni tematica morale viene sviscerata in una serie davvero lunga di opere più o meno prolisse e più o meno felici.  Tasso scrisse, nell'ordine[63], Il Forno, o vero de la Nobiltà (1579, 1581, modificato nel 1586 e ripubblicato l'anno seguente); il Gonzaga, o vero del Piacer onesto (1580, 1583), in seguito rivisto e stampato con il titolo Il Nifo, o vero del piacere; Il Messaggero (1580, 1582. Qui immaginò di interagire amichevolmente con il folletto da cui si credeva perseguitato nella realtà. Questo dialogo ispirò la celebre operetta morale leopardiana Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare), con una seconda lezione del 1586; Il padre di famiglia (1580, 1583, ispirato a un gentiluomo che lo ospitò a Borgo Sesia prima dell'arrivo a Torino); Il cavalier amante e la gentildonna amata (1580, 1583, con dedica a Giulio Mosti, giovane ammiratore del poeta); Romeo o vero del giuoco (1580, 1581), rivisto e dato alle stampe con titolo Il Gonzaga secondo, o vero del giuoco (1581, 1582); La Molza, o vero de l'Amore (1583, 1587, prende spunto dalla conoscenza che il Tasso fece della celebre poetessa Tarquinia Molza a Modena, nel dicembre 1576, ed è dedicato a Marfisa d'Este); Il Malpiglio, o vero della corte (1583, 1586, con riferimento al gentiluomo ferrarese Lorenzo Malpiglio); Il Malpiglio secondo o vero del fuggir la moltitudine (1583, 1666); Il Beltramo, overo de la Cortesia (1584, 1586); Il Rangone, o vero de la Pace (1584, 1586, in risposta a uno scritto di Fabio Albergati); Il Ghirlinzone, o vero l'Epitafio (1585, 1586); Il Forestiero napolitano, o vero de la Gelosia (1585, 1586); Il Cataneo, o vero de gli Idoli (1585, 1586) e, infine, La Cavalletta, o vero de la poesia toscana (1584, 1587).  In tutto questo non aveva dimenticato l'opera principe, dimostrando di avere al riguardo idee piuttosto lontane da quella che sarà la realizzazione finale. A Lorenzo Malpiglio espose intenzioni sostanzialmente opposte agli interventi che avrebbe apportato negli anni successivi: parla di portare la Liberata da venti a ventiquattro canti (secondo l'idea originaria) e di accrescere il numero delle stanze, tagliando anche dei passaggi ma con il risultato che «la diminuzione sarà molto minor de l'accrescimento».[64]  Nel 1586 qualche segnale, magari anche dettato da semplice interesse, lasciava intravedere un astio meno severo nei confronti del Nostro. Prima della reclusione, nel marzo del 1577, a Comacchio era stata rappresentata una commedia tassesca alla presenza della corte.[65] Ora Virginia de' Medici voleva che il testo fosse perfezionato e completato per essere interpretato durante i festeggiamenti del suo matrimonio con Cesare d'Este. Tasso si mise al lavoro ed esaudì la richiesta. L'opera fu poi pubblicata nel 1603 e ricevette il titoloGli intrichi d'amoredal Perini, uno degli attori dell'Accademia di Caprarola, che aveva messo in scena la commedia nel 1598.[66]  L'opera, ricolma di intrecci amorosi e di agnizioni secondo il costume dell'epoca, è sofisticata e inverosimile, ma non mancano pagine vivaci ed episodi ispirati all'Aminta. Vi si possono inoltre vedere alcuni elementi che confluiranno nella commedia dell'arte: il personaggio del Napoletano, parlando in dialetto e «profondendosi in spiritosaggini sbardellate», richiama alla mente la futura maschera di Pulcinella.[67] La critica è stata piuttosto concorde nel ritenerla infelice, tutta una goffaggine pedantesca e superficiale, nel giudizio di Francesco D'Ovidio.[68]   F. Pourbus: Vincenzo Gonzaga Dopo la prigionia: le delusioni, le sofferenze, le peregrinazioni Il 13 luglio 1586 finì la prigionia: Tasso venne affidato a Vincenzo Gonzaga[69], che lo volle alla sua corte di Mantova. Nelle intenzioni di Alfonso, Tasso doveva restare presso il figlio di Guglielmo Gonzaga solo per un breve periodo[70], ma di fatto il poeta non tornò più a Ferrara, e restò presso Vincenzo, in un ambiente in cui conobbe Ascanio de' Mori da Ceno, diventandone amico.  A Mantova Tasso ritrovò qualche barlume di tranquillità; riprese in mano il Galealto re di Norvegia, la tragedia che aveva lasciato interrotta alla seconda scena del secondo attoe che aveva frattanto avuto un'edizione nel 1582 -, e la trasformò nel Re Torrismondo, conglobando nei primi due atti quanto aveva precedentemente scritto ma cambiando i nomi, e procedendo alla stesura dei tre atti successivi in modo da arrivare ai cinque canonici. Quando nell'agosto si recò a Bergamo, ritrovando amici e parenti, si mise subito in azione per dare alle stampe la tragedia, e l'opera uscì, a cura del Licino e per i tipi del Comin Ventura, con dedica a Vincenzo Gonzaga, nuovo duca di Mantova.[71]  Si trattava comunque di una "libertà vigilata", e i fatti dell'autunno 1587 lo dimostrano chiaramente. Dopo essere tornato a Mantova, deluso e preoccupato di una possibile venuta di Alfonso, Tasso andò a Bologna e a Roma senza chiedere al Gonzaga l'autorizzazione e questi, sotto la pressione del duca di Ferrara, tentò in ogni modo di farlo tornare indietro. Antonio Costantini, sedicente amico del poeta che metteva al primo posto l'ambizione e l'obiettivo di essere tenuto in onore presso la corte mantovana, e Scipione Gonzaga si mobilitarono, ma Torquato capì la situazione e rifiutò di ritornare, rendendo impossibile qualsiasi mossa, dal momento che un intervento che lo riportasse nel ducato mantovano con la forza non sarebbe mai stato tollerato dal Pontefice.[72] Il fatto che nessuno impedisse il viaggio a Bergamo mentre ci fosse una mobilitazione generale per allontanare il poeta dall'Urbe rimane comunque un segnale che pare ulteriormente ridimensionare il peso della presunta follia di Torquato nelle preoccupazioni dei duchi del settentrione.   Il santuario di Loreto in un'incisione di Francisco de Hollanda (prima meta del sec. XVI) Nel corso del tragitto Tasso passò da Loreto, raccogliendosi in preghiera nel santuario e concependo quella canzone «a la gloriosa Vergine» che può forse richiamare il Petrarca della Canzone alla Vergine in qualche scelta lessicale, ma, in mezzo alla lode e alla supplica, è tanto più intessuta di travaglio e sofferenza:  «Vedi, che fra' peccati egro rimango, qual destrier, che si volve nell'alta polve, e nel tenace fango.»  Torquato fu a Roma nell'autunno 1587 e fino alla primavera successiva. L'irrequietudine era di nuovo alle stelle: le lettere registrano le sue richieste di denaro e le lamentele per la propria condizione di salute. Il poeta è ormai disilluso, e fa meno affidamento sulla possibilità che gli altri lo aiutino. Come scrisse alla sorella in una lettera del 14 novembre, gli uomini «non hanno voluto sanarmi, ma ammaliarmi».[73] Tuttavia, il Nostro è in preda al bisogno materiale e continua ad autoumiliarsi, scrivendo versi encomiastici per Scipione Gonzaga, divenuto cardinale, senza ottenere alcunché. Anche la speranza di essere ricevuto dal papa Sisto V viene delusa, nonostante le lodi che Tasso rivolge al pontefice in varie poesie, confluite assieme ad altre del periodo in un volumetto del 1589, stampato a Venezia.[74]  Vista l'inutilità del soggiorno romano, il peregrinante poeta pensò trovare maggior fortuna nell'amata Napoli. Così, ai primi di aprile del 1588 Tasso ritornò nella città vesuviana fortemente intenzionato a risolvere a proprio favore le cause contro i parenti per il recupero della dote paterna e di quella materna. Benché potesse contare su amici e congiunti, e sulle conoscenze altolocate partenopee, tra cui i Carafa (o Carrafa) di Nocera, i Gesualdo, i Caracciolo di Avellino, i Manso, preferì accettare l'ospitalità di un convento di frati olivetani. Qui conobbe l'amico più caro degli ultimi anni: Giovan Battista Manso, signore di Bisaccia e primo entusiasta biografo dell'autore dopo la sua morte.  Il clima amichevole in cui fu accolto, la stima di amici e letterati, e il conforto di una «bellissima città, la quale è quasi una medicina al mio dolore»[75], riuscirono a risollevare per un breve periodol'infelice animo tassiano. Per ringraziare i monaci scrisse il poemetto, rimasto incompiuto, Monte Oliveto, in riferimento al convento in cui sorgeva il complesso monastico che attualmente ospita la caserma dei carabinieri (resta visitabile la chiesa Sant'Anna dei Lombardi). L'operaun resoconto encomiastico delle principali tappe esistenziali e delle principali virtù di Bernardo Tolomei, il fondatore della Congregazioneè fortemente intessuta di spirito cristiano, in un severo richiamo ad una vita sobria, lontana dalle vanità del mondo. Dedicata al cardinale Antonio Carafa, si interrompe alla centoduesima ottava.[76]  Al pari del Re Torrismondo e di molta parte dell'ultima produzione tassesca, il Monte Oliveto non ha goduto dei favori della critica. Guido Mazzoni vi vide più una predica che un poema[77], mentre Eugenio Donadoni utilizzò quasi le medesime parole che gli erano servite per stroncare il Torrismondo (v. Re Torrismondo): questa è «l'opera non più di un poeta, ma di un letterato, che cerca di dare forma e tono epico a una convenzionale vita di santo».[78] Come per la tragedia nordica, la rivalutazione è arrivata con l'analisi di Luigi Tonelli e di alcuni studiosi più recenti.  In ogni caso, anche questo periodo napoletano si rivelò problematico per Tasso, a causa delle precarie condizioni di salute e delle ristrettezze economiche, a cui si aggiunsero anche nuove polemiche letterarie e religiose sulla Gerusalemme liberata. Spostatosi a Bisaccia, Tasso poté vivere un periodo di maggiore tranquillità. Manso ricorda un episodio curioso: mentre sedeva con l'amico davanti al fuoco, questi disse di vedere uno «Spirito, col quale entrò in ragionamenti così grandi e meravigliosi per l'altissime cose in essi contenute, e per un certo modo non usato di favellare, ch'io rimaso da nuovo stupore sopra me inalzato, non ardiva interrompergli». Alla fine della visione, Manso confessò di non aver visto nulla, ma il poeta gli si rivolse sorridendo: «Assai più veduto hai tu, di quello che forse... E qui si tacque».[79] Viste le rare manifestazioni allucinatorie di cui abbiamo notizia, (si ricordino quelle che erano state descritte, nel 1580, nel dialogo Il messaggero, in cui è descritto uno spirito amoroso che appare a Tasso sotto la figura di un giovanetto dagli occhi azzurri, simili a quelli che Omero alla dea d'Atene attribuisce), la risposta del Nostro assume una valenza indubbiamente ambigua, e non può escludersi che avesse voluto mettere alla prova il Manso per vedere se anche lui lo avrebbe considerato un "folle".   Ferdinando I de' Medici A dicembre era di nuovo a Roma, dove giunse nella speranza di poter essere ospitato dal Papa in Vaticano, confidando negli illusori pareri di alcuni amici.[80] Ad ospitare Tasso fu invece Scipione Gonzaga, e il poeta si sentì di nuovo «più infelice che mai».[81] Ricominciava la routine: richieste d'aiuto a destra e a sinistra, con l'obiettivo di ricevere i cento scudi che gli erano stati promessi per la stampa delle sue opere: «vorrei in tutti i modi trovar questi cento ducati, per dar principio a la stampa, avendo ferma opinione che di sì gran volume se ne ritrarrebbero molto più», scrisse ad Antonio Costantini.[82] I destinatari erano ancora una volta i più disparati: il principe di Molfetta, il Costantini, il duca di Mantova Vincenzo Gonzaga, gli editori. Il Nostro si umiliò per l'ennesima volta anche con Alfonso, cui chiese nuovamente perdono, mentre al Granduca di Toscana Ferdinando I domandò l'intercessione del cardinal Del Monte, lo stesso che prenderà sotto la propria protezione Caravaggio. Tutte le speranze, però, furono disattese.  Al tempo stesso anche le missive ai medici si rifecero intense. Tuttavia, in mezzo a tante delusioni e a tanto affanno non venne meno la verve creativa: oltre ad aver raccolto le Rime in tre volumi, e avervi scritto il commento, Tasso compose anche un poema pastorale che riprende, anche se solo nel nome, alcuni personaggi dell'Aminta. È Il rogo di Corinna, dedicato a Fabio Orsino. La prima pubblicazione dell'opera fu postuma (1608).[83]  Per quanto Grazioso Graziosi, agente del duca di Urbino, dicesse al suo signore del modo eccellente in cui il Tasso era trattato presso il cardinale Gonzaga, egli rilevava al contempo le infermità fisiche e mentali di Torquato, che privavano la sua età «del maggior ingegno che abbian prodotto molte delle passate».[84] Tuttavia, è bene diffidare della prima quanto della seconda affermazione. Se «il povero Signor Tasso è veramente degno di molta pietà per le infelicità della sua fortuna»[85], come si legge in una missiva del Graziosi di due settimane dopo, perché cacciare il poeta in malo modo, mentre Scipione Gonzaga non era presente, e costringerlo a una nuova situazione di bisogno? In aiuto del Tasso vennero ancora i monaci della Congregazione del Tolomei, che lo ospitarono a Santa Maria Nuova degli Olivetani.[86]  Gli ultimi anni del Tasso, però, non conobbero pace duratura: le sofferenze psichiche si acuirono nuovamente, certo per le nuove delusioni derivanti da richieste di denaro non esaudite, dall'obbligo di piegarsi alla composizione di poesie a pagamento, e il poeta fu costretto a farsi ricoverare nell'Ospedale dei Pazzarelli, adiacente alla chiesa dei Santi Bartolomeo e Alessandro dei Bergamaschi, la cui costruzione era appena stata ultimata. Il dolore emerge in modo chiaro in una lettera inviata il primo dicembre 1589 ad Antonio Costantini, divenuto ormai suo confidente.[87]  A febbraio ritornò presso Scipione Gonzaga, sempre lamentandosi per la scarsa considerazione in cui era tenuto e sempre scrivendo della propria infelicità.[88] Tasso premeva, come già più volte in passato, per essere accolto a Firenze dal Granduca di Toscana, e accettò quindi con gioia l'invito di Ferdinando de' Medici. A Firenze giunse in aprile, ospite prima dei fidati Olivetani, poi di ricchi e illustri cittadini quali Pannucci e Gherardi. Alla tranquillità necessaria per rivedere la Gerusalemme si aggiunsero anche relative soddisfazioni economiche (sempre comunque in cambio di versi encomiastici): dal Granduca ricevette centocinquanta scudi[89], da Giovanni III di Ventimiglia, marchese di Geraci, sembrerebbe, duecento scudi.[90]  Il motivo di gioia principale era tuttavia un altro, era l'avvicinarsi dell'evento più ambito da chi si sentiva, sopra ogni cosa, poeta: «Penso a la mia coronazione, la qual dovrebbe esser più felice per me, che quella de' principi, perché non chiedo altra corona per acquetarmi».[91] Non ci fu nessuna incoronazione. C'è chi ha asserito che questa lettera contenesse solo una bislacca speranza del Tasso, senza alcun legame con la realtà.[92] Tuttavia, la sicurezza con cui l'evento viene ormai dato per certo lascia pensare che le illusioni del Nostro avessero un fondamento, e non fossero una pura chimera.  Un nuovo evento lo indusse all'ennesimo spostamento: papa Urbano VII era succeduto a Sisto V, incoraggiando il Tasso a fare nuovamente affidamento sugli aiuti pontifici. Tasso scese così a Roma, accolto dagli Olivetani di Santa Maria del Popolo. Giovanni Battista Castagna morì tredici giorni dopo l'elezione, lasciando il posto a Gregorio XIV. Anche questa volta le lettere del poeta registrano un amaro scacco: «Ho perduto tutti gli appoggi; m'hanno abbandonato tutti gli amici, e tutte le promesse ingannato», confidò, sempre più afflitto, a Niccolò degli Oddi.[93]   Il Palazzo Ducale di Mantova, residenza dei Gonzaga L'autore della Gerusalemme è ogni giorno che passa più confuso, sballottato qua e là dagli eventi come una barca in mezzo al mare. Tutto questo riflette la condizione interiore di una persona disincantata ma al tempo stesso ancora ingenuamente pronta a fidarsi delle fallaci promesse che giungono dal mondo intorno, riflette un'instabilità ormai cronica. È vero che la fede andò radicandosi sempre più in Tasso, ma il fatto che al duca di Mantova scrivesse di volersi ritirare in un monastero e pochi giorni dopo accettasse il suo invito a tornare a corte è l'evidente manifestazione di un'anima senza pace.[94]  Ritornato quindi sul Mincio (marzo 1591), accolto con tutti gli onori, poté dedicarsi totalmente al lavoro letterario, e in particolare alla revisione del capolavoro. La missiva a Maurizio Cataneo del 4 luglio ci informa del fatto che il poeta era già a buon punto, e illustra le linee direttrici della propria opera correttrice: «sono al fine del penultimo libro; e ne l'ultimo mi serviranno molte di quelle stanze che si leggono nello stampeato. Desidero che la riputazione di questo mio accresciuto ed illustrato e quasi riformato poema toglia il credito a l'altro, datogli dalla pazzia de gli uomini più tosto che dal mio giudicio».[95] Sono parole che possono parere sciagurate, ma riflettono gli scrupoli religiosi sempre più pressanti.  Non si era comunque concentrato solo sul poema: aveva raccolto le Rime in quattro volumi, e con l'editore veneziano Giolito parlava della possibilità di stampare tutte le opere (esclusa la Gerusalemme) in sei libri. A tutto questo va aggiunto un nuovo lavoro che aveva intrapreso, lasciandolo poi incompiuto. La genealogia di Casa Gonzaga, con dedica a Vincenzo, si interruppe dopo centodiciannove ottave, per essere pubblicato solo nel 1666, tra le Opere non più stampate dell'edizione romana Dragondelli.[96] Il poemetto è sicuramente trascurabile, fatto di una versificazione fredda, appesantita da nozioni e nomi. Tra le fonti il ruolo principale è stato svolto da un regesto di Cesare Campana, Arbori delle famiglie... e principalmente della Gonzaga, uscito a Mantova l'anno prima, e dall'Historia sui temporis di Paolo Giovio, accanto a cui va ricordata la tradizione orale legata alla battaglia del Taro.[97]  La calma, tuttavia, era ormai un ricordo di gioventù, e ogni soggiorno diventava insopportabile dopo un certo numero di mesi. Così, ridiscese la penisola, con l'intenzione di raggiungere nuovamente Roma. Il viaggio fu travagliato e appesantito dal fatto che Tasso si ammalò più volte durante il tragitto, costretto a sostare in varie località, fra cui Firenze. Giunto nell'Urbe il 5 dicembre 1591, ricevette l'ospitalità di Maurizio Cataneo. Poche settimane dopo era ancora in viaggio, diretto a Napoli.[98]  Ultimi anni  Cinzio Aldobrandini A questo punto, inaspettatamente, ci fu spazio per qualche luce e qualche reale soddisfazione. Il soggiorno napoletano, durato dal febbraio alla fine di aprile del 1592, non tradì, né per quanto riguarda l'accoglienza ricevuta (fu ospitato dal principe di Conca Matteo di Capua e poi da Manso con grandi onori e affetto), né sulle questioni letterarie, né su quelle relative alla salute dell'artista. In effetti, in virtù della «purità dell'aria»[99], Tasso cominciò a sentirsi meglio, e di conseguenza poté dedicarsi in modo più proficuo alle proprie attività. In questi mesi completò la Conquistata, e, sempre durante il soggiorno partenopeo, mise mano all'ultima opera significativa, Le sette giornate del Mondo creato.[100]  Gli ultimi tre anni di vita lo videro prevalentemente a Roma: nell'aprile 1592 l'elezione al soglio pontificio di Clemente VIII lo fece venire nell'Urbe, e anche qui ebbe un trattamento decisamente migliore rispetto alle recenti esperienze. Poté infatti alloggiare nel palazzo dei nipoti del Papa, Pietro e CinzioAldobrandini, in procinto di diventare cardinali. Cinzio sarà di fatto il vero mecenate dell'ultimo periodo. La produzione letteraria ebbe nuovi sussulti, consacrandosi ormai quasi esclusivamente agli argomenti sacri: compose i Discorsi del poema eroico e altri Dialoghi, carmi latini e rime religiose. Addolorato per la morte di Scipione Gonzaga, gli dedicò, nel marzo 1593, Le lagrime di Maria Vergine e Le lagrime di Gesù Cristo.Tasso aveva intanto finito di rivedere il poema, e sempre nel 1593 vide la luce a Roma, per i tipi di Guglielmo Facciotti, la Gerusalemme conquistata.  Esistono inoltre chiare testimonianze del fatto che ci fosse l'intenzione di incoronare Tasso in Campidoglio, nonostante alcuni studiosi si siano osti negarlo e a considerarla un'invenzione del poeta.[102] «È veramente degno il Signor Torquato Tasso di esser celebrato in questi medesimi tempi come raro per la sua poesia, ed è parimente degno della grandezza dell'animo del Signor Cinzio Aldobrandini di erigergli una statua laureata, con mill'altre cerimonie e specie, come dicono che tosto si vedrà, e dargli luogo in Campidoglio fra le più degne ed antiche cerimonie [...]», rivela Matteo Parisetti in una lettera ad Alfonso II, risalente all'agosto del 1593.[103]  Lo stesso Tasso è esplicito al riguardo: «Qui in Roma mi voglion coronar di lauro», scrive al Granduca di Toscana il 20 dicembre 1594, «o d'altra foglia».[104] Sennonché, pur essendo ancora bisognoso di soldi e continuando a fare richiesta per ottenerli, il poeta sentiva sempre più lontane le preoccupazioni del mondo, e sempre meno si curava della vanità e dei successi terreni. La salute, dopo la parentesi napoletana, andava aggravandosi nuovamente, e Torquato cominciava a capire che la fine non era lontana. Per questo ritornò alle falde del Vesuvio, per concludere rapidamente in proprio favore la questione legata all'eredità materna: il risultato fu soddisfacente, acconsentendo il principe di Avellino a versargli duecento ducati all'anno, ai quali vanno aggiunti cento ducati annui che il Papa si risolverà a dargli a partire dal febbraio 1595.  A Napoli rimase dal giugno al novembre del 1594, alloggiato al monastero benedettino di san Severino, sempre più votato alla vita monastica e attratto ancora dalla letteratura agiografica. Fu probabilmente nei mesi trascorsi presso i benedettini che Tasso abbozzò l'incompiuta Vita di San Benedetto. Alla fine dell'anno ritornò a Roma.  Cambiò città per l'ultima volta: la fine era dietro l'angolo. Riconosciuta la definitiva infermità che gli rendeva ormai impossibile scrivere e correggere, non sentì più che un ultimo bisogno, tralasciando tutto il resto, il bisogno della «fuga dal mondo». Il 1º aprile entrò al monastero di S. Onofrio, sul Gianicolo, senza più nemmeno curarsi del fatto che il Mondo creato non era stato ancora rivisto. Tutto svaniva, di fronte all'importanza di prepararsi al trapasso: «Che dirà il mio signor Antonio, quando udirà la morte del suo Tasso? E per mio avviso non tarderà molto la novella, perch'io mi sento al fine de la mia vita [...] Non è più tempo ch'io parli de la mia ostinata fortuna, per non dire de l'ingratitudine del mondo». Tutto perdeva importanza, a fronte della dolcezza della «conversazione di questi divoti padri», che cominciava «la mia conversazione in cielo».[106]   Monumento in Sant'Onofrio Il 25 aprile, all'«undecima ora»[107], Torquato Tasso moriva all'età di 51 anni. Era una morte serena, ricevuta con tutti i conforti dei sacramenti: «La morte  del Tasso è stata accompagnata da una particolar grazia di Dio benedetto, perché in questi ultimi giorni le duplicate confessioni, le lagrime e insegnamenti spirituali pieni di pietà e di giudizio, mostrarono che fosse affatto guarito dall'umor malinconico, e che quasi uno spirito gli avesse accostato al naso l'ampolle del suo cervello».[108] Venne sepolto nella Chiesa di Sant'Onofrio al Gianicolo.  Presso il monastero, accanto alla strada è ancora visibile la rampa della quercia, dove si trova il tronco nero di una quercia secolare sostenuto da un sopporto metallico. Secondo la tradizione locale si tratta della cosiddetta quercia del Tasso, l'albero alla cui ombra il poeta spesso sedeva per riposarsi.  Albero genealogico Reinerius de Tassis[109] (1117) SconosciutaOmedeo Tasso (1290)[110] SconosciutaRuggero Tasso[111] SconosciutaBenedetto Tasso[112] SconosciutaPalazzo de Tassis Tonola de Magnasco (†1504)Pasimo (o Paxio) de Tassis. (†1496) SconosciutaPietro Tasso. SconosciutaGiovanni Tasso[116] Catalina de Tassi[117]Gabriel Tasso Porzia de RossiBernardo Tasso Torquato Tasso Opere  Un ritratto a Sorrento. Gerusalemme Scritto quando egli aveva solo 15 anni il Gierusalemme rappresenta il primissimo tentativo di Tasso di maneggiare il genere epico nonché il suo primo impegno letterario di rilievo. Se ne possiedono soltanto centosedici stanze del canto I. Oltre a condividere con la Liberata l'argomento (la prima Crociata), si notano pure alcune somiglianze tra il proemio di questo esordio poetico giovanile e quello del capolavoro della maturità.  Rinaldo All'età di diciotto anni Tasso riprese la materia del romanzo cavalleresco e nel 1562 pubblicò il Rinaldo, poema in ottave che narra in dodici canti (circa 8000 versi) la giovinezza del paladino della tradizione carolingia e le sue imprese di armi e di amori. Nella prefazione al poema Tasso dichiara di voler imitare in parte gli "antichi" (Omero e Virgilio), in parte i "moderni" (Ariosto). Si concentra però su un unico protagonista, secondo le esigenze di unità proposte dall'aristotelismo. Si tratta di un'opera tipicamente giovanile, ancora priva di originalità, ma compaiono già alcuni temi e toni fondamentali che caratterizzeranno il Tasso maturo e formato culturalmente.  Rime Torquato Tasso compose un gran numero di poesie liriche, lungo l'arco di tutta la sua vita. Le prime furono pubblicate nel 1567 col titolo di Rime degli Accademici Eterei. Nel 1581 uscirono Rime e prose. Tasso lavorò fino al 1593 ad un riordino complessivo dei testi, distinguendo rime amorose e rime encomiastiche. Previde poi una terza sezione, dedicata alle rime religiose e una quarta di rime per musica, ma non realizzò il progetto.  Nelle Rime amorose è ben riconoscibile l'influenza della poesia petrarchesca e della vasta produzione petrarchistica del Quattrocento e Cinquecento; contemporaneamente, però, il gusto per le preziosità linguistiche e l'intensa sensualità rivelano l'evoluzione verso un linguaggio nuovo che maturerà nel Seicento. L'uso frequente di forme metriche poco usate dai poeti precedenti, come il madrigale, e la raffinata musicalità dei versi fecero sì che molti di essi fossero musicati da grandi autori come Claudio Monteverdi e Gesualdo da Venosa.  Più solenni e classicheggianti le Rime encomiastiche, dedicate alle figure e alle famiglie signorili che ebbero rilievo nella vita del poeta. Per la loro creazione si ispira a Pindaro, Orazio e al celebre Monsignor della Casa. Fra tutte, la più famosa è la Canzone al Metauro, intessuta di elementi autobiografici.  Le Rime religiose sono caratterizzate dal tono cupo e plumbeo, forse dovuto al fatto che le scrisse negli ultimi anni di vita. Qui il poeta manifesta il desiderio di sconfiggere l'ansia esistenziale e il tormentoso senso del peccato attraverso la fede e l'espiazione.  Discorsi dell'arte poetica Attorno alla metà degli Anni Sessanta scrisse i quattro libri dei Discorsi dell'arte poetica ed in particolare sopra il poema eroico, letti all'Accademia Ferrarese e pubblicati molto più tardi, nel 1587, dal Licino. Il testo fornisce una chiara visione della concezione tassesca del poema eroico, piuttosto distante da quella ariostesca, che dava la prevalenza all'invenzione e all'intrattenimento del pubblico.  Perché possa essere giudicato di buon livello, deve basarsi su un evento storico, da rielaborare in modo inedito. Infatti, «la novità del poema non consiste principalmente in questo, cioè che la materia sia finta, e non più udita; ma consiste nella novità del nodo e dello scioglimento della favola».[118]  Al verosimile deve essere unito il meraviglioso, e Tasso trova l'unione perfetta di queste due componenti nella religione cristiana.[119] Intiera, l'opera deve essere una, ossia prevedere l'unità d'azione, ma senza schemi rigidi: ci può essere largo spazio per la varietà, e per la creazione di numerosi racconti nel racconto, e in questo senso la Gerusalemme liberata costituisce una piena realizzazione delle idee dell'autore. Lo stile, infine, deve adeguarsi alla materia, e variare tra il sublime e il mediocre a seconda dei casi.  Aminta Magnifying glass icon mgx2.svg Aminta (Tasso).  Le sofferenze di Aminta, dipinto di Bartolomeo Cavarozzi «L'Aminta non è un dramma pastorale e neppure un dramma. Sotto nomi pastorali e sotto forma drammatica è un poemetto lirico, narrazione drammatizzata, anzi che vera rappresentazione, com'erano le tragedie e le commedie e i così detti drammi pastorali in Italia … Essa è in fondo una novella allargata a commedia, di quel carattere romanzesco che dominava nell'immaginazione italiana, aggiuntavi la parte del buffone, che è il Ruffo, la cui volgarità fa contrasto con la natura cavalleresca de' due protagonisti, Virginia e il principe di Salerno. Gli avvenimenti più strani si accavallano con magica rapidità, appena abbozzati, e quasi semplice occasione a monologhi e capitoli, dove paion fuori i sentimenti dei personaggi misti alla narrazione … L'Aminta è un'azione fuori del teatro, narrata da testimoni o da partecipi con le impressioni e le passioni in loro suscitate. L'interesse è tutto nella narrazione sviluppata liricamente e intramessa di cori, il cui concetto è l'apoteosi della vita pastorale e dell'amore: "s'ei piace, ei lice". Il motivo è lirico, sviluppo di sentimenti idillici, anzi che di caratteri e di avvenimenti. Abbondano descrizioni vivaci, soliloqui, comparazioni, sentenze, movimenti appassionati. Vi penetra una mollezza musicale, piena di grazia e delicatezza, che rende voluttuosa anche la lacrima. Semplicità molta è nell'ordito, e anche nello stile, che senza perder di eleganza guadagna di naturalezza, con una sprezzatura che pare negligenza ed è artificio finissimo. Ed è perciò semplicità meccanica e manifatturata, che dà un'apparenza pastorale a un mondo tutto vezzi e tutto concetti. È un mondo raffinato, e la stessa semplicità è un raffinamento. A' contemporanei parve un miracolo di perfezione, e certo non ci è opera d'arte così finamente lavorata.»  (Francesco De Sanctis) L'Aminta è una favola pastorale composta nel 1573 e pubblicata nel 1580 ca. Presenta un prologo, 5 atti, un coro. Ogni canto si conclude a lieto fine.  Ha ispirato la composizione della favola pastorale Flori di Maddalena Campiglia lodata dallo stesso Torquato Tasso.  Re Torrismondo Intorno al 1573-1574, sulle ali dell'entusiasmo per il successo dell'Aminta Tasso incominciò una tragedia, Galealto re di Norvegia, che però interruppe alla seconda scena del secondo atto. Il poeta la riprese e la completò a Mantova, subito dopo la liberazione dall'Ospedale di Sant'Anna cambiando però il titolo, diventato Re Torrismondo, e il nome del protagonista. L'ambientazione è nordica: in essa sono frequenti le immagini di distese boschive. In questo, il Tasso mostra la sua forte curiosità per le leggende nordiche, come ad esempio mostra la lettura dell'Historia de gentibus septentrionalibus di Olao Magno.  L'editio princeps è quella bergamasca del 1587; seguirono a ruota le edizioni di Mantova, Ferrara, Venezia e Torino, ma poi ci fu un lungo silenzio. L'opera fu rappresentata per la prima volta soltanto nel 1618 al Teatro Olimpico di Vicenza.  Trama Torrismondo è intimamente segnato dal conflitto tra amore e amicizia: il sovrano (d'una ignota regione nordica, non di Norvegia) ama Alvida, che a causa di un debito passato (Germondo aveva salvato la vita a Torrismondo) deve sposarsi con l'amico Germondo, re di Svezia, regno nemico a quello di Alvida poiché Germondo stesso era stato accusato di omicidio del fratello di Alvida. Germondo dunque non può sposarsi con la donna amata poiché il padre di quest'ultima lo odia. Germondo decide allora che Torrismondo per sdebitarsi avrebbe dovuto chiedere la mano di Alvida e al momento delle nozze avrebbe dovuto scambiare la sposa. Ottenuta da Torrismondo la mano di Alvida i due consumano l'amore. La storia prenderà un'altra china quando Torrismondo scoprirà che la donna amata non è altri che la sorella, la situazione culminerà nel suicidio dei due. Il Re Torrismondo è molto importante perché anticipa le tragedie barocche, nelle quali si riprendono alcune caratteristiche fondamentali delle tragedie senecane: la meditatio mortis (il Memento mori) e il gusto dell'orrido. Nel Tasso, però, ciò che compare fortemente e caratterizza le sue tragedie è il conflitto intimo che dilania l'animo dei personaggi: l'uomo si sente intrappolato dal fato, poiché impossibilitato all'agire, a modificare il corso degli eventi ormai già predisposti.  Tuttavia, la critica non si è espressa positivamente in merito all'opera: Angelo Solerti e Francesco D'Ovidio si sono mostrati ostili verso il Torrismondo come lo erano stati nei confronti degli Intrichi d'amore[120], e severo si è dimostrato anche Umberto Renda, che alla tragedia ha dedicato una monografia.[121] Ancora più duro il giudizio di Eugenio Donadoni, che arrivò a parlare di «opera di un ex-poeta, non più di un poeta»[122], e nemmeno Giosuè Carducci, pur apprezzando lo sforzo di unire elementi pagani e religiosi, classici ed esotici, ha ritenuto il dramma degno dell'ingegno tassesco.[123] Solo Luigi Tonelli, nel 1935, ha fatto presente che superava pur sempre «la maggior parte delle tragedie cinquecentesche e rivaleggiava con le migliori del tempo».[124]  Gerusalemme liberata Magnifying glass icon mgx2.svg Gerusalemme liberata.  Torquato Tasso con la sua Gerusalemme liberata La Gerusalemme liberata è considerata il capolavoro di Tasso. Il poema tratta di un avvenimento realmente accaduto, ossia la prima crociata. Tasso iniziò a scrivere l'opera con il titolodi Gierusalemme nel 1559 durante il soggiorno a Venezia e la concluse nel 1575. L'opera fu pubblicata integralmente nel 1581 con il titolo di Gerusalemme liberata. In seguito alla pubblicazione del poema il poeta rimise mano all'opera e la riscrisse eliminando tutte le scene amorose e accentuando il tono religioso ed epico della trama. Cambiò anche il titolo in Gerusalemme conquistata. In realtà la Conquistata fu immediatamente dimenticata e la redazione che continuò ad avere grande successo e ad essere ristampata, in Italia e nei paesi stranieri, fu la Liberata.  Trama Goffredo di Buglione nel sesto anno di guerra raduna i crociati, viene eletto comandante supremo e stringe d'assedio Gerusalemme. Uno dei guerrieri musulmani decide di sfidare a duello il crociato Tancredi. Chi vince il duello vince la guerra. Il duello però viene sospeso per il sopraggiungere della notte e rinviato. I diavoli decidono di aiutare i musulmani a vincere la guerra. Uno strumento di Satana è la maga Armida che con uno stratagemma riesce a rinchiudere tutti i migliori eroi cristiani, tra cui Tancredi, in un castello incantato. L'eroe Rinaldo per aver ucciso un altro crociato che lo aveva offeso viene cacciato via dal campo. Il giorno del duello arriva e poiché Tancredi è scomparso viene sostituito da un altro crociato aiutato da un angelo. I diavoli aiutano il musulmano e trasformano il duello in battaglia generale. I crociati sembrano perdere la guerra quando arrivano gli eroi imprigionati liberati da Rinaldo che rovesciano la situazione e fanno vincere la battaglia ai cristiani. Goffredo ordina ai suoi di costruire una torre per dare l'assalto a Gerusalemme ma Argante e Clorinda (di cui Tancredi è innamorato) la incendiano di notte. Clorinda non riesce a entrare nelle mura e viene uccisa in duello proprio da colui che l'ama, Tancredi, che non l'aveva riconosciuta. Tancredi è addolorato per aver ucciso la donna che amava e solo l'apparizione in sogno di Clorinda gli impedisce di suicidarsi. Il mago Ismeno lancia un incantesimo sul bosco in modo che i crociati non possano ricostruire la torre. L'unico in grado di spezzare l'incantesimo è Rinaldo, prigioniero della maga Armida. Due guerrieri vengono inviati da Goffredo per cercarlo e alla fine lo trovano e lo liberano. Rinaldo vince gli incantesimi della selva e permette ai crociati di assalire e conquistare Gerusalemme. I Dialoghi La stesura di prose dialogiche impegnò Tasso fin dal 1578, anno della composizione del Forno overo de la Nobiltà.  La dialogistica tassiana è stata da sempre relegata al margine dalla critica: De Sanctis accenna soltanto al Minturo overo della Bellezza, limitandosi ad asserire che Tasso da giovane fu “infetto dalla peste filosofica”. Un giudizio a dir poco sminuente se si considera che il poeta compose venticinque dialoghi (e questa è solo la cifra canonica; non si fa riferimento, infatti, agli abbozzi e ai rimaneggiamenti) e vi pose il suo impegno fino alla morte.  Una valutazione più precisa è fornita da Donadoni: lo studioso dedica un intero capitolo della sua monografia ai Dialoghi indagandone trame, fonti e suggestioni. La prima edizione moderna del corpus dialogico tassiano è quella di Guasti (1858-1859), il quale, però, non riuscendo a reperire tutti i manoscritti dei Dialoghi si basa sui testimoni a stampa, dando vita ad un’edizione, che presenta corruttele da far rabbrividire i moderni filologi.  Un grande passo in avanti nella fortuna dei Dialoghi è rappresentato dall’edizione critica di Ezio Raimondi pubblicata nel 1958, di capitale importanza per gli studiosi tassiani i quali, ancora oggi, continuano a considerarla punto di riferimento. Raimondi considerò i Dialoghi tassiani come opere postume, scegliendo la versione più attendibile fra manoscritti e stampe in base alla loro storia individuale.  Questo criterio non è stato accettato da Stefano Prandi e Carlo Ossola, i quali hanno proposto un’edizione storica dei Dialoghi che tenesse conto dei testi effettivamente circolanti all’epoca dello scrittore. L’edizione in realtà non ha mai visto la luce e si è fermata al 1996 ad uno specimen che avrebbe dovuto anticipare una successiva edizione completa.  Negli ultimi anni gli studiosi della prosa tassiana sono aumentati: si è posta attenzione al Tasso politico, con due edizioni commentate della Risposta di Roma a Plutarco[125][126] e al Tasso egittologo di cui si è occupato Bruno Basile. Non mancano letture dei singoli dialoghi: Basile e Arnaldo Di Benedetto si sono occupati del Padre di Famiglia (rispettivamente, Fonti culturali e invenzione letteraria nel «Padre di famiglia» di Torquato Tasso; e Torquato Tasso, «Il padre di famiglia»); Emilio Russo del Manso (Amore e elezione nel "Manso" di Torquato Tasso), Massimo Rossi del Malpiglio Secondo e del Rangone (Io come filosofo era stato dubbio. La retorica dei "Dialoghi" di Tasso); Maiko Favaro, dopo la monografia di Prandi/Ossola, ha offerto una puntuale lettura del Forno, premiata con il premio Tasso  (Le virtù del tiranno e le passioni dell’eroe. Il “Forno overo de la Nobiltà” e la trattatistica sulla virtù eroica); Angelo Chiarelli si è, invece, occupato del Malpiglio overo de la corte (Una «congregazione di uomini raccolti per onore». Tentativi di aggiornamento della teoria cortigiana nella dialogistica e nella prosa tassiana[127]), preceduto dal contributo di Massimo Lucarelli sullo stesso argomento (Il nuovo «Libro del Cortegiano»: una lettura del «Malpiglio» di Tasso) e del Costante («Questa concordia è sempre nelle cose vere». Note per una contestualizzazione de «Il Costante overo de la clemenza» di Tasso[128]).  L'edizione critica di Raimondi fornisce il testo dei venticinque dialoghi tassiani, con un'appendice che ci permette di conoscere i manoscritti superstiti e le stampe. Questo il titolo dei vari dialoghi:  Il Forno overo de la Nobiltà; Il Beltramo overo de la cortesia; Il Forestiero Napoletano overo de la gelosia; Il N. overo de la pietà; Il Nifo overo del piacere; Il messaggiero; Il padre di famiglia; De la dignità; Il Gonzaga secondo overo del giuoco; Dialogo; Il Rangone overo de la pace; Il Malpiglio overo de la corte; Il Malpiglio secondo overo del fuggir la moltitudine; La Cavalletta overo de la poesia toscana; Il Gianluca overo de le maschere; Il Cataneo overo de gli idoli; Il Ghirlinzone overo l'epitaffio; La Molza overo de l'amore; Il Costante overo de la clemenza; Il Cataneo overo de le conclusioni amorose; Il Manso overo de l'amicizia; Il Ficino overo de l'arte; Il Minturno overo de la bellezza; Il Porzio overo de le virtù; Il Conte overo de le imprese. Le sette giornate del mondo creato È un poema in endecasillabi sciolti, composto tra il 1592 e il 1594, accanto ad altre opere di contenuto religioso di impronta chiaramente controriformistica. Il poema venne pubblicato postumo nel 1607. Si fonda sul racconto biblico della creazione ed è suddiviso in sette parti, corrispondenti come dice il titolo ai sette giorni nei quali Dio creò il mondo, e presenta una continua esaltazione della grandezza divina della quale la realtà terrena è un pallido riflesso.  Le lacrime di Maria Vergine e Le lacrime di Gesù Cristo Si tratta, come nel caso de Le sette giornate del mondo creato, di due scritti facenti parte delle cosiddette "opere devote" del Tasso. Nello specifico, sono due poemetti in ottave che riprendono la tradizione della "poesia delle lacrime", in voga nella seconda metà del Cinquecento, scritti e pubblicati nel 1593, appena qualche anno prima della morte.  Influenze culturali  Statua di Tasso a Sorrento La figura del Tasso, anche per la sua pazzia, divenne subito popolare. La lucidità delle opere scritte durante il periodo di prigionia nell'Ospedale di Sant'Anna fece diffondere la leggenda secondo cui il poeta non era veramente pazzo ma fu fatto passare per tale dal duca Alfonso che voleva punirlo per aver avuto una relazione con sua sorella, imprigionandolo (anche se, come si è visto, è assai più probabile che la vera ragione della reclusione consistesse nell'autoaccusa del poeta di fronte al tribunale dell'Inquisizione). Questa leggenda si diffuse rapidamente e rese particolarmente popolare la figura del Tasso, fino a ispirare a Goethe il dramma Torquato Tasso (1790)[129].  In età romantica il poeta divenne il simbolo del conflitto individuo-società, del genio incompreso e perseguitato da tutti coloro che non sono in grado di comprendere il suo talento straordinario. In particolare Giacomo Leopardi, che quando si recò a Roma il giorno venerdì 15 febbraio del 1823 pianse sul sepolcro del Poeta in S. Onofrio (commentando in una lettera che quella esperienza era stata per lui "il primo e l'unico piacere che ho provato in Roma"), considerava Torquato Tasso come un fratello spirituale, ricordandolo in numerosi passi dei propri scritti (tra cui quello citato) e nel Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare (una delle Operette morali).  Molta parte della poesia recanatese è impregnata di stile tassesco: i notturni di alcuni canti, come La sera del dì di festa o Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, richiamano quelli della Gerusalemme, mentre nella canzone Ad Angelo Mai Leopardi crea una forte empatia con il «misero Torquato»[130], spirito fraterno «concepito come un alter ego».[131] I due nomi femminili più celebri presenti nei Canti, Silvia e Nerina, furono ripresi dall'Aminta.  In generale, l'attenzione si spostò dai personaggi della Liberata al dramma esistenziale vissuto dal suo autore. Pochi anni dopo, nel 1833, Jacopo Ferretti scrisse le parole del Torquato Tasso, melodramma in tre atti musicato da Gaetano Donizetti e rappresentato per la prima volta al Teatro Valle.[132] Il "mito" conquistò anche Franz Liszt: era il 1849 quando l'apostolo del Romanticismo metteva in musica l'opera byroniana Il lamento del Tasso, dando vita al poema sinfonico Tasso. Lamento e Trionfo.  Il poeta vicentino ottocentesco Jacopo Cabianca ha dedicato al Tasso un poema in dodici canti intitolato appunto Il Torquato Tasso.  Nei primi anni del ventesimo secolo il compositore catanese Pietro Moro si concentrò sugli ultimi momenti di vita del poeta con Ultime ore di Torquato Tasso, carme in un atto sulle parole di Giovanni Prati (riviste per l'occasione da Rojobe Fogo).  Torquato Tasso nel cinema Torquato Tasso, regia di Luigi Maggi (1909) Torquato Tasso, regia di Roberto Danesi (1914) Adattamenti cinematografici de La Gerusalemme liberata Il primo regista a girare un film sull'opera fu Enrico Guazzoni. Lo stesso nel 1913 e nel 1918 ne farà due remake;  Gerusalemme liberata, di Enrico Guazzoni (1910); La Gerusalemme liberata, di E. Guazzoni (1918); La Gerusalemme liberata, di Carlo Ludovico Bragaglia (1957); I due crociati, parodia di Giuseppe Orlandini con Franco e Ciccio (1968).  Nel 2009 Alitalia gli ha dedicato uno dei suoi Airbus A320-216 (EI-DTH). Laurea poetica (postuma) nastrino per uniforme ordinariaLaurea poetica (postuma) — Roma, 1595  Biografie Giovan Pietro D'Alessandro, Vita di Torquato Tasso (1604), ed. da C. Gigante, in «Giornale storico della Letteratura Italiana», Giovan Battista Manso, Vita di Torquato Tasso (1621), B. Basile, Roma, Salerno Editrice, 1995 Pier Antonio Serassi, La vita di Torquato Tasso, Bergamo, Stamp. Locatelli, 1790², 2 to. Angelo Solerti, Vita di Torquato Tasso, Torino-Roma, Loescher, 1895, 3 voll. Luigi Tonelli, Tasso, Torino, Paravia, 1935 Giulio Natali, Torquato Tasso, Roma, Tariffi, 1943 Capitoli di storie letterarie Ettore Bonora, in Storia della letteratura italiana, dir. E. Cecchi e N. Sapegno, Milano, Garzanti, Marziano Guglielminetti, in Storia della civiltà letteraria italiana, dir. G. Barberi Squarotti, Torino, Utet, 1990,  III,  303–355 Guido Baldassarri, in Storia generale della letteratura italiana, N. Borsellino e W. Pedullà,  V. L'età della Controriforma. Il tardo Cinquecento, Milano, Motta, 1999,  281–446. Monografie critiche Francesco Falco, Dottrine filosofiche di Torquato Tasso, Lucca, Serchio, 1895. Felice Vismara, L'animo di Torquato Tasso rispecchiato ne' suoi scritti, Milano, Hoepli, 1895. Giuseppe Bianchini, Il pensiero filosofico di Torquato Tasso, Verona, Drucker, 1897. Augusto Sainati, La lirica di Torquato Tasso, Pisa, Nistri, 1912. Eugenio Donadoni, Tasso, Venezia, La Nuova Italia, 1928². Giovanni Getto, Interpretazione del Tasso, Napoli, ESI, 1966. Mario Fubini, La poesia del Tasso, in Studi sulla letteratura del Rinascimento, Firenze, La Nuova Italia, 1971 (seconda edizione),  248-86. Walter Moretti, Torquato Tasso, Roma-Bari, Laterza, 1974. Arnaldo Di Benedetto, Con e intorno a Torquato Tasso, Napoli, Liguori, 19963. 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Lettere poetiche, C. Molinari, Parma-[Milano], Guanda-Fondazione Pietro Bembo («Biblioteca di scrittori italiani»), 1995. Mondo creato, G. Petrocchi, Firenze, Le Monnier, 1951. Opere minori in versi, A. Solerti, Bologna, Zanichelli, 1891, 2 voll. Prose, E. Mazzali, Milano-Napoli, Ricciardi, 1959,  410–85. Rinaldo, L. Bonfigli, Bari, Laterza («Scrittori d'Italia»), 1936. Risposta di Roma a Plutarco, E. Russo, commento di E. Russo e C. Gigante, Torino, RES, 2007. Teatro, M. Guglielminetti, Milano, Garzanti, Risposta di Roma a Plutarco e Marginalia, Paola Volpe Cacciatore, Roma, ESL, Studi critici Sulla vita di Tasso e sulla fortuna Arnaldo Di Benedetto, «La sua vita stessa è una poesia»: sul mito romantico di Torquato Tasso, in Dal tramonto dei Lumi al Romanticismo. Valutazioni, Modena, Mucchi, 2000,  203–242. Maria Luisa Doglio, Origini e icone del mito di Torquato Tasso, Roma, Bulzoni, 2002. Anderson Magalhães, «Uno scrittore di cose secrete»: la fortuna de Il Secretario di Torquato Tasso fra Italia e Francia, in «Il Segretario è come un angelo». Trattati, raccolte epistolari, vite paradigmatiche, ovvero come essere un buon segretario nel Rinascimento, Atti del XIV Convegno Internazionale di Studio organizzato dal Gruppo di Studio sul Cinquecento francese, Verona 25-27 maggio 2006, Rosanna Gorris Camos, Fasano, Schena, 2008,  109–142. Umberto Lorenzetti, Cristina Belli Montanari, L'Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Tradizione e rinnovamento all'alba del Terzo Millennio, Fano (PU), settembre . Sulle Rime Arnaldo Di Benedetto, Fra petrarchismo e Barocco: le «Rime» di Torquato Tasso, «A me versato il mio dolor sia tutto», Lo sguardo di Armida (Un'icona della «Gerusalemme liberata»), Per un anonimo in meno: l'autore del dialogo «Il Tasso», in Tra Rinascimento e Barocco. Dal petrarchismo a Torquato Tasso, Firenze, Società Editrice Fiorentina, Massimo Colella, «Parmi ne’ sogni di veder Diana». Emersioni seleniche nelle Rime di Torquato Tasso, in «Griseldaonline», 14, .[133] Sull'«Aminta» Mario Fubini, L'«Aminta»: intermezzo alla tragedia della «Liberata», in Studi sulla letteratura del Rinascimento, cit.,  200-15. Maria Grazia Accorsi, «Aminta»: ritorno a Saturno, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1998. Arnaldo Di Benedetto, Il sorriso dell'«Aminta», in «Giornale storico della letteratura italiana», Arnaldo Di Benedetto, Tasso, Haller, Ungaretti, in «Studi tassiani», LIX-LXI (-),  89-95. Sui Dialoghi Arnaldo Di Benedetto, Torquato Tasso, «Il padre di famiglia», in L'«incipit» e la tradizione letteraria italiana. Dal Trecento al tardo Cinquecento, Pasquale Guaragnella e Stefania De Toma, Lecce-Brescia, Pensa MultiMedia, ,  365–376. Angelo Chiarelli, «Questa concordia è sempre nelle cose vere». Note per una contestualizzazione de «Il Costante overo de la clemenza» di Tasso, in «Filologia e Critica», Angelo Chiarelli, Una «congregazione di uomini raccolti per onore». Tentativi di aggiornamento della teoria cortigiana nella dialogistica e nella prosa tassiana, in «La Rassegna della letteratura italiana», ,  121, nº1,  34-43. Raimondi Ezio, Il Problema Filologico e Letterario dei Dialoghi di T. Tasso, in Rinascimento Inquieto, Einaudi, Torino 1994,  189-217. Bozzola Sergio, «Questo quasi arringo del ragionare». La Tecnica dei «Dialoghi» Tassiani, in «Italianistica, Rivista di Letteratura Italiana», LIX 1998,  71-79. Baldassarri Guido, L’arte del dialogo in Torquato Tasso, in «Studi Tassiani», XX 1970,  5-46. Note  Guido Armellini e Adriano Colombo, Torquato TassoL'uomo, in Letteratura italianaGuida storica: Dal Duecento al Cinquecento, Zanichelli Editore, Luperini, Cataldi, Marchiani, La scrittura e l'interpretazione, Palumbo, 1997,  3, pag. 91; L. Tonelli, Tasso, Torino 193540  Lettere di Torquato Tasso, Firenze, Le Monnier, 1901,  II90  L. Tonelli, cit.42  G. Natali, Torquato Tasso, Roma, 1943,  13-14.  G. Natali, cit.,  14-16  A. Solerti, Vita di Torquato Tasso, Torino 1895,  I,  51-52. Altri pensano invece che queste sperimentazioni risalgano al periodo patavino o addirittura a quello bolognese.  G. Natali, cit.,   Luperini, Cataldi, Marchiani, La scrittura e l'interpretazione, Palumbo, 1997,  3, pag. 96  G. Natali, cit.,  21-22  G. Natali, cit.20  L. Tonelli, cit.68  G. Natali, cit.22; L. Tonelli, cit.60  E. Durante, A. Martellotti, «Giovinetta Peregrina». La vera storia di Laura Peperara e Torquato Tasso, Firenze, Olschki,   W. Moretti, Torquato Tasso, Roma-Bari 198110  Baldi, Giusso, Razetti, Zaccaria, Dal testo alla storia. Dalla storia al testo, Milano: Paravia, 1994,  2/1653  L. Tonelli, cit.,  72-73; il rapporto amoroso è stato ipotizzato in particolare da Angelo de Gubernatis in T. Tasso, Roma, Tipografia popolare, 1908  L. Tonelli, cit.82  Lettere, cit., I22  L. Tonelli, cit.89  L. Tonelli, cit.,  99-100  Lettere, cit., I49  Secondo Maria Luisa Doglio la data non è casuale e si inserirebbe nella tradizione petrarchesca. Petrarca avrebbe infatti visto per l'unica volta Laura il 6 aprile 1327; cfr. M. L. Doglio, Origini e icone del mito di Torquato Tasso, Roma 200221  Lettere, cit., I61  Lettere, cit., I67  Lettere, cit., I114  Si tratta di un'epistola al Gonzaga del luglio 1575; Lettere, cit., I103  L. Tonelli117  S. Guglielmino, H. Grosser, Il sistema letterario, Milano, Principato, 1996,  2/A367  L. Tonelli, cit.,  94-95  Lettere, cit, I141  Si trattava comunque di uno stipendio oggettivamente basso, che a una persona comune avrebbe garantito a stento la sopravvivenza; L. Tonelli, cit.172  Lettere, L. Chiappini, Gli Estensi, Milano, Dall'Oglio, 1967303  A. Solerti, cit., II,  118-119  A. Solerti, cit., II,  120-121  A. Solerti, cit., II124  L. Tonelli, cit.176  G. B. Manso, Vita del Tasso, in Opere del Tasso, Firenze, 1724,  IXXVIII  M. Vattasso, Di un gruppo sconosciuto di preziosi codici tasseschi, Torino, 192519  M. Vattasso, cit.8  A. Solerti, cit., II139  L. Tonelli, cit.181  M. L. Doglio, cit.23  I. De Bernardi, F. Lanza, G. Barbero, Letteratura Italiana,  2, SEI, Torino, 1987  Lettere, cit., I298  Lettere, cit., I299  A. Solerti, cit., II143; così scrive al cardinale Luigi un suo informatore il 14 marzo  L. Tonelli, cit.182  Lettere, cit., II89  L. Tonelli, cit.187  A. Solerti, cit., I,  313-314  T. Tasso, Lettere, Cesare Guasti, Napoli, Rondinella, 1857, I,  166-168  A. Corradi, Delle infermità di Torquato Tasso, Regio Instituto Lombardo548  L. Tonelli, cit.,  118-119  M. L. Doglio, cit.,  41 e ss.  Opere di Torquato Tasso, Firenze, Tartini e Franchi, 1724,  V412  L. Tonelli, cit.,  207-211  Infarinato era il nome accademico assunto dal Salviati  Tra parentesi sono indicate le date di pubblicazione  L. Tonelli, cit.216  Opere, cit., II276  Tra parentesi si indicano due date, quella di composizione e quella di pubblicazione  Lettere, cit., II56  La prima versione di quelli che saranno Gli intrichi d'amore non ci è pervenuta  L. Tonelli, cit.238  L. Tonelli, F. D'Ovidio, Saggi critici, Napoli, Morano, Non fu più tenero il Solerti; cfr. op. cit., I475  L. Chiappini, cit303  L. Tonelli, cit.188  L.Tonelli,  247-248  A. Solerti, cit., II,  277 e ss.  Lettere, cit., IV,  8-9  L. Tonelli, cit.,  266-267  Lettere, cit., IV55  L. Tonelli, cit.,  270-273  G. Mazzoni, Del Monte Oliveto e del Mondo creato di Torquato Tasso, in Opere minori in versi di Torquato Tasso, Bologna, Zanichelli, IIXI  E. Donadoni, Torquato Tasso, Firenze, Battistelli, 1921,  II225  G. B. Manso, Vita di T. Tasso, in Opere di Torquato Tasso, Firenze 1724, cit.,  XLVI-XLVII  Lettere, cit., IV, p.152  Così al Costantini; Lettere, cit., IV149  Lettere, IV180  L. Tonelli, cit.275  Passo riportato in A. Solerti, cit., II323  A. Solerti, cit., II326  L. Tonelli, cit.276  Lettere, cit., IV265  Lettere, cit., IV,  296-297  Lettere, cit., IV334  Lettere, cit., IV333: "A niuno sono più obligato che a Vostra Eccellenza, ed a niuno vorrei essere maggiormente; perché è cosa da animo grato l'esser capace de le grazie e de gli oblighi. Laonde non ho voluto più lungamente ricusare il secondo suo dono di cento scudi, bench'io non abbia mostrato ancora alcuna gratitudine del primo; ma la conservo ne l'animo, e ne le scritture: e ne l'uno sarà forse eterna, e ne l'altre durerà tanto, quanto la memoria de le mie fatiche. Niuno de' presenti o de' posteri saprà chi mi sia, che non sappia insieme quant'io sia debitore a la cortesia di Vostra Eccellenza, ed a la sua liberalità; con la quale supera tutti coloro che possono superar la fortuna." Così scrive il Tasso al marchese Giovanni Ventimiglia da Firenze nella primavera del 1590. Soltanto nello stesso 1590, il Tasso dedicherà al marchese due composizioni encomiastiche, non portando però a compimento il promessogli poema Tancredi normando.  Lettera a Scipione Gonzaga, Lettere. E. Rossi, Il Tasso in Campidoglio, in Cultura, aprile-giugno 1933,  310-311  Lettere, cit., V6  L. Tonelli, cit.278  Lettere, cit., V62  L. Tonelli, cit.,  278-279  C. Cipolla, Le fonti storiche della «Genealogia di Casa Gonzaga», in Opere minori in versi di Torquato Tasso, cit.,  I  L. Tonelli, cit.281  G. B. Manso, cit.LXVI  L.Tonelli, cit.,  282-283  L. Tonelli, cit.284  E. Rossi, c A. Solerti, cit.,  II  Lettere, cit., V194  Lettere, cit., V200  Lettera ad Antonio Costantini, in Lettere, cit., V203  Lettera di Maurizio Cataneo a Ercole Tasso, 29 aprile 1595; A. Solerti, cit., II363  Lettera di monsignor Quarenghi a Giovan Battista Strozzi, 28 aprile 1595; A. Solerti, cit., II361   Almanach du gotha, de J.-H. de Randeck, Les plus anciennes familles du monde: répertoire encyclopédique des 1.400 plus anciennes familles du monde, encore existantes, originaires d'Europe,   de Karl Hopf, Historisch-genealogischer Atlas: Seit Christi Geburt bis auf unsere Zeit433.   de A. M. H. J. Stokvis, Manuel d'histoire: Les états de Europe et leurs colonies, 1893.  de Pierantonio Serassi, La vita de Torquato Tasso8.  de Niccolò Morelli di Gregorio, Della vita di Torquato Tasso7.  de Pierantonio Serassi, La vita di Torquato Tasso10.  (DE) de Karl Hopf, Historisch-genealogischer Atlas: Seit Christi Geburt bis auf unsere Zeit434.   de Heinrich Léo Dochez, Histoire d'Italie pendant le Moyen-âge125.  T. Tasso, Discorsi dell'arte poetica, I, 12 in Le prose diverse di Torquato Tasso (C. Guasti), Firenze, Le Monnier, 1875  Discorsi dell'arte poetica, cit., I, 15  A. Solerti, cit, I556; F. D'Ovidio, Saggi critici, Napoli, Morano, U. Renda, Il Torrismondo di Torquato Tasso e la tecnica tragica nel Cinquecento, Teramo, E. Donadoni, cit.,  II,  91-92  G. Carducci, Il Torrismondo, testo premesso all'ed. Solerti delle Opere minori in versi di Torquato Tasso, cit.,  LXXXIV  L. Tonelli, cit.253  Torquato Tasso, Risposta di Roma a Plutarco, Res, 2007,  978-88-85323-53-7. 12 agosto .  Risposta di Roma a Plutarco e marginalia | Edizioni di Storia e Letteratura, su storiaeletteratura.it. 12 agosto  12 agosto ). Angelo Chiarelli, Una «congregazione di uomini raccolti per onore». Tentativi di aggiornamento della teoria cortigiana nella dialogistica e nella prosa tassiana, in «La Rassegna della letteratura italiana», ,  121, n°1,  34-43.. 12 agosto . «Questa concordia è sempre nelle cose vere». Note per una contestualizzazione de «Il Costante overo de la clemenza» di Tasso, in «Filologia e Critica», a. XLI, 2 ,  257-70.pdf . 12 agosto .  Sul muro esterno della Chiesa di S. Onofrio, a Roma, una tavola con iscrizione tedesca ricorda il soggiorno di Goethe e l'ispirazione che lo portò a scrivere il dramma, dopo aver veduto la tomba del poeta custodita all'interno dell'edificio sacro  Ad Angelo Mai, v. 124  G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria, Dal testo alla storia dalla storia al testo, Milano, Paravia, 2001,  3/A570  S. E. Failla, Ante Musicam Musica. Torquato Tasso nell'Ottocento musicale italiano, Acireale-Roma, Bonanno, Emersioni seleniche nelle Rime di Torquato Tasso | Massimo Colella | Griselda Online, su griseldaonline.it. 29 marzo .  Torquato Tasso, commedia goldoniana Torquato Tasso, dramma di Goethe (1790) Torquato Tasso, opera di Gaetano Donizetti Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare, dalle Operette morali di Giacomo Leopardi Thurn und Taxis, ramo austriaco della famiglia Tasso di Bergamo, fondatori delle prime poste europee Museo tassiano, museo dedicato a Torquato Tasso Accademia dei Catenati Cella del Tasso, attuale ubicazione a Ferrara Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Torquato Tasso Collabora a Wikiquote Citazionio su Torquato Tasso Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Torquato Tasso  Torquato Tasso, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Torquato Tasso, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Torquato Tasso, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.  Torquato Tasso, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana.  Opere di Torquato Tasso, su Liber Liber.  Opere di Torquato Tasso, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Torquato Tasso, . Opere di Torquato Tasso, su Progetto Gutenberg. Audiolibri di Torquato Tasso, su LibriVox. Torquato Tasso, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Spartiti o libretti di Torquato Tasso, su International Music Score Library Project, Project Petrucci LLC. Torquato Tasso, su Internet Movie Database, IMDb.com.  Torquato Tasso Testi completi e cronologia delle opere. Opere integrali in più volumi dalla collana digitalizzata "Scrittori d'Italia" Laterza Opere di Torquato Tasso, testi con concordanze, lista delle parole e lista di frequenza Due segregazioni: il Cantico spirituale di Giovanni della Croce e Il Re Torrismondo di Torquato Tasso, su midesa.it. 2 luglio 2009 19 maggio ). Opere di Torquato Tasso colle controversie sulla Gerusalemme poste in migliore ordine, ricorrette sull'edizione fiorentina, ed. illustrate dal professore Gio. Rosini, 33 voll., Pisa, presso Niccolò Capurro, Le lettere di Torquato Tasso disposte per ordine di tempo e illustrate da Cesare Giusti, 5 voll., Firenze, Felice Le Monnier, I dialoghi, Cesare Guasti, Firenze, Felice Le Monnier, Le rime di Torquato Tasso. Edizione critica su i manoscritti e le antiche stampe Angelo Solerti, 4 voll., Bologna, presso Romagnoli-Dall'Acqua, Opere di Torquato Tasso

 

tautologum: The difference between a truth and a tautological truth is part of the dogma Grice defends. “A three-year old cannot understand Russell’s theory of types” is possibly true. “It is not the case that a three-year old is an adult” is TAUTOLOGICALLY true. As Strawson and Wiggins note, by coining implicaturum Grice is mainly interested in having the MAN implying this or that, as opposed to what the man implies implying this or that. So, in Strawson and Wiggins’s rephrasing, the implicaturum is to be distinguished with the logical and necessary implication, i. e., the ‘tautological’ implication. Grice uses ‘tautological’ variously. It is tautological that we smell smells, for example. This is an extension of ‘paradigm-case,’ re: analyticity. Without ‘analytic’ there is no ‘tautologicum.’ tautŏlŏgĭa , ae, f., = ταυτολογία,I.a repetition of the same meaning in different wordstautologyMart. Cap. 5, § 535; Charis242 P. ταὐτολογ-έω ,A.repeat what has been said, “περί τινος” Plb.1.1.3; “ὑπέρ τινος” Id.1.79.7; “ττὸν λόγον” Str.12.3.27:—abs., Plb.36.12.2Phld. Po.Herc.994.30Hermog.Inv.3.15. Oddly why Witters restricts tautology to truth-table propositional logic, Grice’s two examples are predicate calculus: Women are women and war is war. 4.46 GER [→OGD | →P/M] Unter den möglichen Gruppen von Wahrheitsbedingungen gibt es zwei extreme Fälle. In dem einen Fall ist der Satz für sämtliche Wahrheitsmöglichkeiten der Elementarsätze wahr. Wir sagen, die Wahrheitsbedingungen sind t a u t o l o g i s c h. Im zweiten Fall ist der Satz für sämtliche Wahrheitsmöglichkeiten falsch: Die Wahrheitsbedingungen sind k o n t r a d i k t o r i s c h. Im ersten Fall nennen wir den Satz eine Tautologie, im zweiten Fall eine Kontradiktion. 4.461 GER [→OGD | →P/M] Der Satz zeigt was er sagt, die Tautologie und die Kontradiktion, dass sie nichts sagen. Die Tautologie hat keine Wahrheitsbedingungen, denn sie ist bedingungslos wahr; und die Kontradiktion ist unter keiner Bedingung wahr. Tautologie und Kontradiktion sind sinnlos. (Wie der Punkt, von dem zwei Pfeile in entgegengesetzter Richtung auseinandergehen.) (Ich weiß z. B. nichts über das Wetter, wenn ich weiß, dass es regnet oder nicht regnet.) 4.4611 GER [→OGD | →P/M] Tautologie und Kontradiktion sind aber nicht unsinnig; sie gehören zum Symbolismus, und zwar ähnlich wie die „0“ zum Symbolismus der Arithmetik. 4.462 GER [→OGD | →P/M] Tautologie und Kontradiktion sind nicht Bilder der Wirklichkeit. Sie stellen keine mögliche Sachlage dar. Denn jene lässt j e d e mögliche Sachlage zu, diese k e i n e. In der Tautologie heben die Bedingungen der Übereinstimmung mit der Welt—die darstellenden Beziehungen—einander auf, so dass sie in keiner darstellenden Beziehung zur Wirklichkeit steht. 4.463 GER [→OGD | →P/M] Die Wahrheitsbedingungen bestimmen den Spielraum, der den Tatsachen durch den Satz gelassen wird. (Der Satz, das Bild, das Modell, sind im negativen Sinne wie ein fester Körper, der die Bewegungsfreiheit der anderen beschränkt; im positiven Sinne, wie der von fester Substanz begrenzte Raum, worin ein Körper Platz hat.) Die Tautologie lässt der Wirklichkeit den ganzen—unendlichen—logischen Raum; die Kontradiktion erfüllt den ganzen logischen Raum und lässt der Wirklichkeit keinen Punkt. Keine von beiden kann daher die Wirklichkeit irgendwie bestimmen. 4.464 GER [→OGD | →P/M] Die Wahrheit der Tautologie ist gewiss, des Satzes möglich, der Kontradiktion unmöglich. (Gewiss, möglich, unmöglich: Hier haben wir das Anzeichen jener Gradation, die wir in der Wahrscheinlichkeitslehre brauchen.) 4.465 GER [→OGD | →P/M] Das logische Produkt einer Tautologie und eines Satzes sagt dasselbe, wie der Satz. Also ist jenes Produkt identisch mit dem Satz. Denn man kann das Wesentliche des Symbols nicht ändern, ohne seinen Sinn zu ändern. 4.466 GER [→OGD | →P/M] Einer bestimmten logischen Verbindung von Zeichen entspricht eine bestimmte logische Verbindung ihrer Bedeutungen; j e d e b e l i eb i g e Verbindung entspricht nur den unverbundenen Zeichen. Das heißt, Sätze, die für jede Sachlage wahr sind, können überhaupt keine Zeichenverbindungen sein, denn sonst könnten ihnen nur bestimmte Verbindungen von Gegenständen entsprechen. (Und keiner logischen Verbindung entspricht k e i n e Verbindung der Gegenstände.) Tautologie und Kontradiktion sind die Grenzfälle der Zeichenverbindung, nämlich ihre Auflösung. 4.4661 GER [→OGD | →P/M] Freilich sind auch in der Tautologie und Kontradiktion die Zeichen noch mit einander verbunden, d. h. sie stehen in Beziehungen zu einander, aber diese Beziehungen sind bedeu- tungslos, dem S y m b o l unwesentlich. 4.46 OGD [→GER | →P/M] Among the possible groups of truthconditions there are two extreme cases. In the one case the proposition is true for all the truth-possibilities of the elementary propositions. We say that the truth-conditions are tautological. In the second case the proposition is false for all the truth-possibilities. The truth-conditions are self-contradictory. In the first case we call the proposition a tautology, in the second case a contradiction. 4.461 OGD [→GER | →P/M] The proposition shows what it says, the tautology and the contradiction that they say nothing. The tautology has no truth-conditions, for it is unconditionally true; and the contradiction is on no condition true. Tautology and contradiction are without sense. (Like the point from which two arrows go out in opposite directions.) (I know, e.g. nothing about the weather, when I know that it rains or does not rain.) 4.4611 OGD [→GER | →P/M] Tautology and contradiction are, however, not nonsensical; they are part of the symbol- ism, in the same way that “0” is part of the symbolism of Arithmetic. 4.462 OGD [→GER | →P/M] Tautology and contradiction are not pictures of the reality. They present no possible state of affairs. For the one allows every possible state of affairs, the other none. In the tautology the conditions of agreement with the world—the presenting relations— cancel one another, so that it stands in no presenting relation to reality. 4.463 OGD [→GER | →P/M] The truth-conditions determine the range, which is left to the facts by the proposition. (The proposition, the picture, the model, are in a negative sense like a solid body, which restricts the free movement of another: in a positive sense, like the space limited by solid substance, in which a body may be placed.) Tautology leaves to reality the whole infinite logical space; contradiction fills the whole logi- cal space and leaves no point to reality. Neither of them, therefore, can in any way determine reality. 4.464 OGD [→GER | →P/M] The truth of tautology is certain, of propositions possible, of contradiction impossible. (Certain, possible, impossible: here we have an indication of that gradation which we need in the theory of probability.) 4.465 OGD [→GER | →P/M] The logical product of a tautology and a proposition says the same as the proposition. Therefore that product is identical with the proposition. For the essence of the symbol cannot be altered without altering its sense. 4.466 OGD [→GER | →P/M] To a definite logical combination of signs corresponds a definite logical combination of their meanings; every arbitrary combination only corresponds to the unconnected signs. That is, propositions which are true for ev- ery state of affairs cannot be combinations of signs at all, for otherwise there could only correspond to them definite combinations of objects. (And to no logical combination corresponds no combination of the objects.) Tautology and contradiction are the limiting cases of the combination of symbols, namely their dissolution. 4.4661 OGD [→GER | →P/M] Of course the signs are also combined with one another in the tautology and contradiction, i.e. they stand in relations to one another, but these relations are meaningless, unessential to the symbol. 4.46 P/M [→GER | →OGD] Among the possible groups of truthconditions there are two extreme cases. In one of these cases the proposition is true for all the truth-possibilities of the elementary propositions. We say that the truth-conditions are tautological. In the second case the proposition is false for all the truth-possibilities: the truth-conditions are contradictory. In the first case we call the proposition a tautology; in the second, a contradiction. 4.461 P/M [→GER | →OGD] Propositions show what they say: tautolo- gies and contradictions show that they say nothing. A tautology has no truth-conditions, since it is unconditionally true: and a contradiction is true on no condition. Tautologies and contradictions lack sense. (Like a point from which two arrows go out in opposite directions to one another.) (For example, I know nothing about the weather when I know that it is either raining or not raining.) 4.4611 P/M [→GER | →OGD] Tautologies and contradictions are not, however, nonsensical. They are part of the symbolism, much as ‘0’ is part of the symbolism of arithmetic. 4.462 P/M [→GER | →OGD] Tautologies and contradictions are not pictures of reality. They do not represent any possible situations. For the former admit all possible situations, and latter none. In a tautology the conditions of agreement with the world—the representational relations—cancel one another, so that it does not stand in any representational relation to reality. 4.463 P/M [→GER | →OGD] The truth-conditions of a proposition determine the range that it leaves open to the facts. (A proposition, a picture, or a model is, in the negative sense, like a solid body that restricts the freedom of movement of others, and, in the positive sense, like a space bounded by solid substance in which there is room for a body.) A tautology leaves open to reality the whole—the infinite whole—of logical space: a contradiction fills the whole of logical space leaving no point of it for reality. Thus neither of them can determine reality in any way. 4.464 P/M [→GER | →OGD] A tautology’s truth is certain, a proposition’s possible, a contradiction’s impossible. (Certain, possible, impossible: here we have the first indication of the scale that we need in the theory of probability.) 4.465 P/M [→GER | →OGD] The logical product of a tautology and a proposition says the same thing as the proposition. This product, therefore, is identical with the proposition. For it is impossible to alter what is essential to a symbol without altering its sense. 4.466 P/M [→GER | →OGD] What corresponds to a determinate logical combination of signs is a determinate logical combination of their meanings. It is only to the uncombined signs that absolutely any combination corresponds. In other words, propositions that are true for every situation cannot be combinations of signs at all, since, if they were, only determinate combinations of objects could correspond to them. (And what is not a logical combination has no combination of objects corresponding to it.) Tautology and contradiction are the limiting cases—indeed the disintegration—of the combination of signs. 4.4661 P/M [→GER | →OGD] Admittedly the signs are still combined with one another even in tautologies and contradictions—i.e. they stand in certain relations to one another: but these relations have no meaning, they are not essential to the symbol. Grice would often use ‘tautological,’ and ‘self-contradiction’ presupposes ‘analyticity,’ or rather the analytic-synthetic distinction. Is it contradictory, or a self-contradiction, to say that one’s neighbour’s three-year-old child is an adult? Is there an implicaturum for ‘War is not war’? Grice refers to Bayes in WOW re Grices paradox, and to crazy Bayesy, as Peter Achinstein does (Newton was crazy, but not Bayesy).  We can now, in principle, characterize the desirability of the action a 1 , relative to each end (E1 and E2), and to each combination of ends (here just E1 and E2), as a function of the desirability of the end and the probability that the action a 1 will realize that end, or combination of ends. If we envisage a range of possible actions, which includes a 1 together with other actions, we can imagine that each such action has a certain degree of desirability relative to each end (E1 and (or) E2) and to their combination. If we suppose that, for each possible action, these desirabilities can be compounded (perhaps added), then we can suppose that one particular possible action scored higher (in actiondesirability relative to these ends) than any alternative possible action; and that this is the action which wins out; that is, is the action which is, or at least should, end p.105 be performed. (The computation would in fact be more complex than I have described, once account is taken of the fact that the ends involved are often not definite (determinate) states of affairs  (like becoming President), but are variable in respect of the degree to which they might be realized (if ones end is to make a profit from a deal, that profit might be of a varying magnitude); so one would have to consider not merely the likelihood of a particular actions realizing the end of making a profit, but also the likelihood of its realizing that end to this or that degree; and this would considerably complicate the computational problem.) No doubt most readers are far too sensible ever to have entertained any picture even remotely resembling the "Crazy-Bayesy" one I have just described. Grice was fascinated by the fact that paradox translates the Grecian neuter paradoxon. Some of the paradoxes of entailment, entailment and paradoxes. This is not the first time Grice uses paradox. As a classicist, he was aware of the nuances between paradox (or paradoxon, as he preferred, via Latin paradoxum, and aporia, for example. He was interested in Strawsons treatment of this or that paradox of entailment. He even called his own paradox involving if and probablility Grices paradox. tautologicum: Grice gives two examples: War is war, and Women are women“Note that “Men are men” sounds contingent.” tautology, a proposition whose negation is inconsistent, or self- contradictory, e.g. ‘Socrates is Socrates’, ‘Every human is either male or nonmale’, ‘No human is both male and non-male’, ‘Every human is identical to itself’, ‘If Socrates is human then Socrates is human’. A proposition that is or is logically equivalent to the negation of a tautology is called a self-contradiction. According to classical logic, the property of being Tao Te Ching tautology 902   902 implied by its own negation is a necessary and sufficient condition for being a tautology and the property of implying its own negation is a necessary and sufficient condition for being a contradiction. Tautologies are logically necessary and contradictions are logically impossible. Epistemically, every proposition that can be known to be true by purely logical reasoning is a tautology and every proposition that can be known to be false by purely logical reasoning is a contradiction. The converses of these two statements are both controversial among classical logicians. Every proposition in the same logical form as a tautology is a tautology and every proposition in the same logical form as a contradiction is a contradiction. For this reason sometimes a tautology is said to be true in virtue of form and a contradiction is said to be false in virtue of form; being a tautology and being a contradiction tautologousness and contradictoriness are formal properties. Since the logical form of a proposition is determined by its logical terms ‘every’, ‘some’, ‘is’, etc., a tautology is sometimes said to be true in virtue of its logical terms and likewise mutatis mutandis for a contradiction. Since tautologies do not exclude any logical possibilities they are sometimes said to be “empty” or “uninformative”; and there is a tendency even to deny that they are genuine propositions and that knowledge of them is genuine knowledge. Since each contradiction “includes” implies all logical possibilities which of course are jointly inconsistent, contradictions are sometimes said to be “overinformative.” Tautologies and contradictions are sometimes said to be “useless,” but for opposite reasons. More precisely, according to classical logic, being implied by each and every proposition is necessary and sufficient for being a tautology and, coordinately, implying each and every proposition is necessary and sufficient for being a contradiction. Certain developments in mathematical logic, especially model theory and modal logic, seem to support use of Leibniz’s expression ‘true in all possible worlds’ in connection with tautologies. There is a special subclass of tautologies called truth-functional tautologies that are true in virtue of a special subclass of logical terms called truthfunctional connectives ‘and’, ‘or’, ‘not’, ‘if’, etc.. Some logical writings use ‘tautology’ exclusively for truth-functional tautologies and thus replace “tautology” in its broad sense by another expression, e.g. ‘logical truth’. Tarski, Gödel, Russell, and many other logicians have used the word in its broad sense, but use of it in its narrow sense is widespread and entirely acceptable. Propositions known to be tautologies are often given as examples of a priori knowledge. In philosophy of mathematics, the logistic hypothesis of logicism is the proposition that every true proposition of pure mathematics is a tautology. Some writers make a sharp distinction between the formal property of being a tautology and the non-formal metalogical property of being a law of logic. For example, ‘One is one’ is not metalogical but it is a tautology, whereas ‘No tautology is a contradiction’ is metalogical but is not a tautology. 

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