simone: Simone Pietro Simoni (Lucca), filosofo. La
formazione Girolamo Cardano Simone Simoni. Nacque da Polissena, donna di una
famiglia originaria di Vimercate, e da Giovanni Simoni, un modesto mercante
lucchese di seta, la cui famiglia era originaria di Vagli, in Garfagnana. Ebbe
anche due fratelli, Cesare e Lodovico, che intrapresero il mestiere delle
armi. A Lucca studiò umanità con Antonio Bendinelli e Aonio Paleario, due
umanisti in «odore di eresia»il Paleario finì sul rogo a Roma iniziò gli studi
universitari. Sostenuto economicamente dal padre, che per farlo studiare
dovette vendere alcune proprietà, e poi anche dal patrizio veneziano Lazzaro
Mocenigo, peregrinò nei maggiori Studi d'Italia: prima a Bologna, poi a Pavia,
a Ferrara, a Padova, a Napoli, ancora a Bologna e finalmente si laureò a Padova
in filosofia. Diversi ma tutti autorevoli i suoi professori: da Vincenzo Maggi
a Girolamo Cardano, da Niccolò Boldoni ad Antonio Musa Brasavola. La sua
formazione era di stampo aristotelico-averroistico, come s'insegnava nello
Studio padovano, con una forte esigenza razionalistica che aveva riflessi nel
campo religioso, tale da mettere in dubbio l'immortalità dell'anima e a creare
sospetti di eresia tra i professori e gli studenti di quella Università. Con
questa preparazione, Simoni fece ritorno a Lucca, dove fu tra i fondatori del
Collegio medico, esercitò la professione medica e sembra aver scritto i suoi
primi saggi di argomento filosofico. Nall'infanzia del Simoni, Lucca
aveva vissuto un periodo concitato di aperti conflitti sociali e poi di
tentativi di riforme politiche e religiose, portate avanti dal gonfaloniere
Francesco Burlamacchi e dal circolo di intellettuali riuniti intorno a Pietro
Martire Vermigli, priore di San Frediano. Quando Simoni era ritornato a Lucca,
quella fervida attività era già stata spenta dalla reazione cattolica guidata
dal vescovo inquisitore Guidiccioni, ma certo quelle idee di Riforma
circolavano ancora sotterraneamente in città, e forse lo stesso Simoni le aveva
già raccolte durante i suoi trascorsi nelle diverse Università da lui frequentate.
Sta di fatto che Simoni fu chiamato dalle autorità lucchesi a dare spiegazioni
sulle proprie opinioni religiose: per tutta risposta il nostro medico, «non
fidandosi troppo delle sue forze», cercò la salvezza con la fuga: «munito solo
di un cavallo e dei propri risparmi, dopo aver preso commiato dalla famiglia,
fuggì, accompagnato da un servitore, alla volta di Ginevra». Negli atti
ufficiali della Repubblica di Lucca, la sua condanna per eresia risulta
formalizzata. A Ginevra, patria del calvinismo, si era formata da decenni una
numerosa colonia di emigrati italiani per motivi religiosi, e tra questi non
pochi erano i lucchesi. La comunità italiana era inserita in una propria chiesa
e Simoni vi ebbe l'incarico di catechista; ottenuta la cittadinza ginevrina,
sposò Angela Cattani, figlia di Francesco, un concittadino da tempo stabilitosi
a Ginevra, e ne ebbe una figlia. Preso a benvolere dall'influente teologo
Teodoro di Beza, ottenne di insegnare filosofia all'Accademia di Ginevra: un
incarico dapprima senza compenso, poi retribuito insieme con la nomina a Professore.
Anche il padre Giovanni si stabilì a Ginevra: in quello stesso periodo gli
venne aumentato lo stipendio, ottenne un alloggio gratuito e, nel successivo
febbraio, nell'Accademia fu istituita appositamente per lui la cattedra di
medicina. A Ginevrà pubblicò i primi libri. Presso l'editore Jean Crespin
apparve il suo In librum Aristotelis de sensuum instrumentis et de his quae sub
sensum cadunt commentarius unus: è il commento al De sensu et sensibilibus di
Aristotele. In esso Simoni distingue dapprima le verità di fede dalle verità
filosoficheuna premessa tipica dell'aristotelismo padovanoma poi cerca di
dimostrare che la ragione, indagando la natura, può giungere a Dio, rivelando
le verità di fede. In tal modo, Simoni sostiene che anche le questioni
teologiche hanno natura razionale e, qualora sorgano contrasti, la ragione è in
grado di comporli, indicando la via da seguire per una corretta
interpretazione: una conseguenza, seppure non esplicita nel commento del
Simoni, della prevalenza della ragione sulla fede, è che il dogmaespressione
della tradizionale subordinazione della ragione alla fedenon ha motivo di
esistere. La sede del Concistoro di Ginevra Il suo aristotelismo
che poco concede alla teologia cristiana si conferma con i successivi commenti
all'Etica Nicomachea e al De anima, mentre dal 1567 Simoni condusse una lunga e
dura polemica contro il medico e filosofo Jacob Schegk. Questi, proprio
all'opposto del Simoni, usava argomenti tratti dalla teologia scolastica per
dimostrare la realtà della teoria, allora caldeggiata in ambienti luterani,
della ubiquità del corpo di Cristo. Simoni rispondeva con argomenti di
carattere fisico dimostrando l'irrealtà di tale assunto: un solo corpo fisico
non può che occupare, nello stesso tempo, un unico spazio determinato e anche
Cristo, in vita, fu soggetto alla legge naturale. Dopo la morte, egli aveva
mantenuto soltanto una natura divina, e non è sostenibile l'idea che Dio possa
mutare le leggi naturali: ente perfetto e primo motore immobilecome l'aveva delineato
AristoteleDio agisce sulla natura unicamente attraverso la sua perfezione che
indirizza al bene gli esseri naturali. Il suo carattere collerico e
l'alta considerazione che egli aveva di sé lo portò a una lite clamorosa con
Niccolò Balbani, un altro lucchese, catechista della comunità italiana. Durante
il matrimonio della figlia di questi, Simoni lo coprì d'insulti, con grave
scandalo delle autorità di Ginevra, che fecero imprigionare Simoni e lo
espulsero dall'Accademia. A nulla valsero le scuse presentate dal
Simoni: è del resto probabile che la severità del Consiglio e del
Concistoro ginevrino fosse motivata anche dalla freddezza e dallo spirito
d'indipendenza dimostrato dal medico lucchese, che pure si dichiarava
calvinista, in materia di religione. Tuttavia Teodoro di Beza gli mantenne
ancora la sua amicizia e lo fornì di una lettera di raccomandazione con la
quale, Simone Simoni lasciò temporaneamente a Ginevra la moglie e la figlia per
dirigersi alla volta di Parigi. A Parigi Parigi: cortile del
Collège Royal, oggi Collège de France Nella capitale francese Simoni ottenne
una buona accoglienza: i calvinistiqui chiamati ugonottierano ancora tollerati
e le lusinghiere referenze gli fecero ottenere una cattedra di filosofia al
Collège Royal, dove le sue lezioni ottennero subito un grande concorso di
pubblico. Come scrisse al Beza il 22 settembre 1567, alle sue lezioni
assistevano sei o settecento «huomini barbati, dottori, professori, et altri di
robba lunga, preti, frati, giesuiti et altra simil razza d'uomini». Si ebbe le
congratulazioni di Pietro Ramo, che volle incontrarlo e lo chiamò «felicissimum
et praestantissimum ingenium italicum», non però quelle del collega Jacques
Charpentier, che temeva che il Simoni fosse stato mandato da Ginevra «per
turbare questa scuola». Sapeva che la sua permanenza a Parigi era
precaria: «il nome di Ginevra mi nuoce più che il nome di ugonotto», né poteva
valere molto la protezione del cardinale Odet de Coligny, passato al
calvinismo. Simoni riferiva di aver rifiutato offerte sostanziose da parte
cattolica per insegnare in loro collegi, a prezzo di una sua conversione, e di
attendersi un prossimo editto che avrebbe affrontato il problema della
convivenza tra cattolici e ugonotti. Un editto effettivamente ci fu, emanato
da Carlo IX alla fine dell'anno, con il quale si proibiva ai protestanti
l'insegnamento pubblico. Così, perduti anche i suoi libri che gli furono
sequestrati, Simoni fu costretto ad abbandonare la Francia. In
Germania Cranach: Augusto di Sassonia Si apriva un nuovo periodo di
difficoltà per il Simoni, cui morirono la moglie Angela e il fratello Lodovico.
Non potendo insegnare a Ginevra, cercò di ottenere un incarico a Zurigo e a
Basilea, sollecitando in tal senso altri emigrati italiani come l'editore
Perna e l'umanista Celio Curione, ma invano. I sospetti di antitrinitarismo che
gravavano sul suo conto, da quando, aveva fatto visita nel carcere di Berna
all'«eretico» Valentino Gentile poco prima che questi venisse giustiziato, e il
recente scandalo provocato a Ginevra non agevolavano il suo inserimento nelle
élite intellettuali delle città svizzere. Ottenne bensì una
raccomandazione dal Bullinger per un posto di insegnante a Heidelberg, ma anche
qui rimase poco tempo: la sua amicizia con l'antitrinitario Thomas Erastus, il
suo aristotelismo senza compromessidal nulla, nulla si crea, sostenne in una
pubblica lezione, cosicché anche Cristo era stato creato da Dio Padree il suo
carattere spigoloso gli alienarono ogni simpatia e Simoni dovette riprendere la
via di Basilea. Finalmente, nel 1569, ottenne una cattedra straordinaria
di filosofia all'Lipsia. Se Simoni poteva fregiarsi della stima dell'elettore
di Sassonia Augusto I, non eguale considerazione ottenne dai suoi colleghi, che
fecero gruppo a sé e lo isolarono. Simoni non si perse d'animo: molto popolare
tra gli studenti per la vivacità delle sue lezioni e lo spirito critico che infondeva
negli allievi, fondò, all'interno dell'Università, un'accademia sul modello
umanistico italiano, battezzandola «Academia Acutorum», Accademia degli
Acuti. Di questa istituzione entrò a far parte un gruppo di suoi
studenti: «Le discussioni dovevano vertere sulla interpretazione di passi
aristotelici. Notevole la mancanza di ogni precetto di osservanza religiosa in
senso specifico. I giovani così raggruppati intorno al Simoni dettero ben
presto dello spirito critico e dell'idea di esser superiori agli altri, che il
vivace professore aveva finito per insinuare nei loro animi. Pasquinate anonime
contro un professore, e il giorno dopo, un litigio clamoroso tra questo e il
Simoni, iniziarono una serie di incidenti che ebbero termine con la
soppressione dell'Accademia». La soppressione dell'Accademia, decisa dal
Senato universitario, testimonia i difficili rapporti intercorrenti tra
l'Università e il Simoni, che per altro in città era reputato «ospite illustre,
professionista affermato e ricercato, uomo di mondo e di cultura dalla
posizione prestigiosa, che godeva della stima e del rispetto dei suoi
concittadini, e la cui fama oltrepassavala frontiera del paese che gli dava
ospitalità». Egli, infatti, oltre a insegnare filosofia e ad avere allievi
anche illustri, come i prìncipi lituani Radziwiłł, esercitava la professione
medica, vantando clienti di riguardo, e si era risposato con una nobile del
luogo, Magdalena von Hülsen. La «De vera nobilitate» Pubblicò il suo
scritto filosofico più originale, la De vera nobilitate, dedicata all'Elettore
di Sassonia. La vera nobiltà è la virtù dell'anima umana, la quale è intesa
aristotelicamente come forma del corpo: la virtù dell'anima è perciò
strettamente legata alla particolare costituzione del corpo, trasmessa
nell'individuo di generazione in generazione dal seme del genitore, che
costituisce la causa efficiente del singolo essere. Non per nulla da «genere»
deriva «generoso», e se pure «non tutti i nobili sono generosi, chi è generoso
è considerato nobile». Le differenze sociali tra gli individui e le
conformazioni dei loro corpi sono egualmente corrispondenti per necessità naturale,
secondo Simoni: «la natura vuole infatti fare diversamente i corpi dei liberi
da quelli dei servi, questi robusti e con deformità necessarie al loro
particolare utilizzo, quelli diritti e belli, perché non desti tali fatiche, ma
alla vita civile», anche se non mancano eccezioni alla regola. Certamente
l'educazione ricevuta svolge una funzione per la formazione dell'uomo, ma resta
inferiore a quella naturale: di due giovani, di diversa estrazione sociale ma
educati allo stesso modo, il nobile risulterà alla fine meglio formato, in
quanto la natura lo ha costituito di una «materia» superiore. L'educazione ha
lo stesso effetto della medicina: fa recuperare la propria condizione di
salute, ma non può migliorarla oltre il limite fissato dalla natura. Viene
da sé che le famiglie nobili diano lustro alla nazione, formando l'élite della
società civile sotto l'aspetto culturale e politico. Questo però non avviene in
tutte le nazioni, ma soltanto in quelle di antica civiltàin sostanza, in gran
parte delle società europeementre presso i barbari non può esistere nobiltà:
«essi sono giustamente detti servi per natura e in quanto servi, non portano in
loro nessuna virtù, essendo nati per servire sotto una tirannia e non in un
regio e civile governo». Le virtù dei nobili non possono consistere
nell'accumulare ricchezze, ma esse sono ugualmente attive e pratiche: sono le
virtù civili del politico, che si occupa del benessere dei cittadini, quelle
del medico, che si occupa della salute degli individui, del fisiologo, che
studia la natura e infine del metafisico, che studia le cose divine. Queste
ultime, insieme alla virtù della contemplazione, è però meglio riservarle nella
vita che ci attende dopo la morte, quando quei problemi saranno facilmente
risolti: «queste cose sono irrise dai politici, tra i quali (non tra gli
angeli) si discute di nobiltà». Nel frattempo, è opportuno «dedicarsi alle cose
di questo mondo ed essere utili alla società degli uomini: si loda Socrate il
quale, trascurate le altre parti della filosofia, coltivò quella sola che era
più adatta ai costumi degli uomini e alle istituzioni civili». Che la
vera nobiltà si debba esprimere nell'attività pratica e civile è ribadito più
volte dal Simoni: «la nobiltà spunta fuori dalla società civile, non dalla solitudine»,
e le virtù spirituali, come quelle mostrate dai mistici e dai
contemplativi, non sono virtù nobili proprie dell'essere umano. Queste virtù
tipicamente cristiane discendono direttamente da Dio e perciò non derivano da
generazione naturale, non sono frutto della carne e del sangueil fondamento
della vera nobiltàe non essendo ereditarie non possono essere considerate virtù
nobili. Naturalmente, ai non nobili non
possono essere affidati incarichi di responsabilità nel governo della società,
ma al più solo l'esercizio di magistrature minori. Derivando dal sangue la
nobiltà, non si può diventare autenticamente nobili attraverso conferimenti
onorifici, anche se concessi da un sovrano mentre, al contrario, un autentico
nobile non può essere privato della fama e dell'onore, perché in lui opera
sempre «quella forza e quell'efficacia naturale ricevuta dai suoi antenati». Conflitti
accademici e religiosi Lipsia: l'attuale Accademia delle Scienze Dopo
questa applicazione dei principi aristotelici al vivere civile e al governo
dello Stato, che deve essere affidato a chi per natura fa parte degli ottimati,
Simoni si dedicò a trattare temi propriamente medici. Apparve a Lipsia il suo
De partibus animalium, ove descrive la conformazione del feto, la De vera ac indubitata
ratione continuationis, intermittentiae, periodorum febrium humoralium, l'Artificiosa curandae pestis methodus, cui
seguì l'anno dopo una Synopsis brevissima novae theoriae de humoralium febrium
natura: temi di drammatica attualità, a Lipsia, investita da un'epidemia di
peste. Simoni aveva ottenuto il permesso di esercitare la professione
medica all'interno dell'Università, pur senza ottenere, oltre quella
straordinaria di filosofia, anche una cattedra di medicina. Presentò
all'Elettore una proposta di riforma universitaria. S'indicava la necessità di
una maggiore cura nell'assunzione dei professori, che dovevano dimostrare non
solo di possedere la necessaria scienza, ma anche capacità didattiche. Dovevano
anche essere obbligati a tenere un maggior numero di lezionis'imponevano multe
ai professori inadempientimentre la durata dell'anno accademico veniva
prolungata. Particolare cura dedicava il Simoni all'insegnamento della
medicina. Dovevano tenere lezioni cinque professori, tra i quali un chirurgo
che avrebbe tenuto esercitazioni di anatomia e fatto dimostrazioni pratiche di
cura delle diverse affezioni. La qualità dell'insegnamento teorico andava
migliorata: Simoni riteneva che corressero troppe affermazioni dogmatiche, che
sarebbero dovute essere verificate dalla pratica e dal rigore della
dimostrazione dialettica. A questo proposito egli opinava che avrebbe giovato
un'accurata conoscenza delle opere di Aristotele. Non mancavano poi
critiche severe sull'attuale andamento dell'Lipsia: i rettori erano scelti
grazie alle loro aderenze, si promuovevano studenti immeritevoli, vi era scarsa
pulizia, la farmacia universitaria era mal tenuta. Tali proposte e simili
critiche non potevano che alimentare ancor più l'ostilità dei colleghi. Egli
non sembrava preoccuparsene: la stima dell'Elettore Augusto si manteneva
immutata, se nel 1579 lo fece nominare Professore di filosofia e lo promosse a suo
primo medico personale. Avvenne tuttavia che, su sollecitazione della chiesa
luterana, la quale aveva preparato una confessione di fede che in particolare
tutti funzionari e gli impiegati, a vario titolo, dello Stato avrebbero dovuto
firmare, l'Elettore pretese tale sottoscrizione anche dal professor Simoni,
ottenendone un netto rifiuto. Racconta lo stesso Simoni che, avendo
«rifiutato costantemente di sottoscrivere quella che i teologi sassoni
denominarono Formula di Concordia, il Principe Elettore rivolse il suo sdegno
contro di me». Al che il Simoni «decise di andarsene e, nonostante l'Elettore
cercasse d'impedirlo, diede l'ultimo saluto a quelle popolazioni». A Praga: la
conversione al cattolicesimo Praga: portici medievali Si trasferì a
Praga, dove venne assunto quale medico personale dell'imperatore Rodolfo II.
Tale incarico e il carattere cattolico dell'Impero di cui era ora suddito
rendeva necessario un chiarimento sulle sue posizioni religiose, poiché era
nota la rottura avvenuta a Ginevra con i calvinisti e a Lipsia con i luterani.
Simoni si adeguò facilmente alla nuova situazione e nel febbraio del 1582
abiurò pubblicamente le passate convinzioni, ritrattò quanto nei suoi scritti
poteva esservi di «eretico» e abbracciò formalmente il cattolicesimo. Si trattò
di una scelta di convenienza, seppure comprensibile nel clima torbido delle
persecuzioni e dell'intolleranza. Lo scrisse lui stesso all'amico Nicolas
Selnecker, un teologo luterano: «Confesso di aver abiurato, anche se non avrei
voluto farlo neppure a costo del mio sangue. Di tale mio atto altri comunque
sono i responsabili. In nessun altro modo avrei potuto infatti salvare la mia
vita, quella di mia moglie e dei miei figli che speravo di poter condurre con
me»la moglie morì poco dopo e i tre figli rimasero affidati a Lipsia al nonno
materno«io, un italiano perseguitato a causa della religione luterana,
dichiarato nemico della patria, esposto per decreto del Senato all'agguato di
sicari». E ricordò la sorte di chi non si era piegato a compromessi: «io che
vidi con questi occhi il Paleologo, esule per causa di religione, condotto su
richiesta del legato pontificio dalla Moravia a Vienna, e di qui trascinato in
catene a Roma (si sente dire che ormai è stato crudelmente arso sul rogo), io
che ero circondato da ogni parte da infinite difficoltà e pericoli di ogni
genere, che cosa avrei dovuto fare?». Questa lettera non venne agli occhi dei
gesuiti, che vantarono il successo ottenuto con la presunta conversione del
medico famoso, il quale avrebbe promessoa dir lorodi collaborare nella lotta
agli eretici. La loro soddisfazione non dovette però durare a lungo, o forse
essi stessi credettero poco alla conversione del Simoni, se lo storico gesuita
Francesco Sacchini già nel 1620 poteva qualificarlo di «miserabile uomo che in
disprezzo di ogni religione sprofondò nell'empietà», mentre tra i protestanti
il Beza, alla notizia della sua conversione, commentò di essere sempre stato
convinto che l'unico Dio di Simoni fosse in realtà Aristotele. e Jakob Monau,
dopo aver ricordato i suoi continui trascorsi«da cattolico si è fatto
calvinista, da calvinista antitrinitario, da antitrinitario luterano, e ora di
nuovo papista»lo tratteggiò da «uomo profano ed empio, come indicano sia i suoi
costumi, sia i suoi discorsi, sia tutta la sua vita». Forse Simoni stesso sentì
di essere circondato da un clima di diffidenza se non di disprezzo, perché
solo dopo poco più di un anno, alla fine del 1582, prese la risoluzione di
lasciare le terre dell'Impero per trasferirsi in Polonia. In Polonia
Sembra che sia stato un altro italiano, Nicola Buccella, medico personale del
re István Báthory, a raccomandarlo come medico della corte di Cracovia.
Buccella, di fede anabattista, godeva di notevole considerazione, né la sua
fama di eretico gli aveva pregiudicato l'esercizio della professione in quella
Polonia che era ancora un paese tollerante. Il prestigioso incarico e la fama
stessa di cui da tempo godeva aprì al Simoni le porte della migliore società
polacca, e egli sposava Magdalena Krzyźanowska, giovane figlia di Joachim
Krzyźanowski, nobile borgomastro della capitale. Il castello reale
di Grodno Riprese a pubblicare alcuni libri: la Disputatio de putredine è una
confutazione, sulla scorta di Aristotele, delle teorie del medico svizzero,
nonché teologo, Thomas Erastus, mentre la Historia aegritudinis ac mortis
magnifici et generosi domini a Niemsta è una relazione sulla morte del
borgomastro di Varsavia Jerzy Niemsta, che era stato suo paziente. Sulla
malattia di quest'ultimo tornò nel Simonius supplex, insieme con una delle
solite polemiche che lo videro ora opporsi al medico di Piombino Marcello
Squarcialupi. Una nuova svolta nella vita del Simoni si verificò con la
malattia e la morte del re Stefano. Il 7 dicembre 1586 il Báthory si sentì male
nel suo castello di Grodno, e nel consulto tenuto dal Buccella e dal Simoni
emersero serie divergenze: il primo giudicò molto grave le condizioni del re,
mentre Simoni ritenne che non ci fosse nessun pericolo. Due giorni dopo le
condizioni di Stefano Báthory si aggravarono e i due medici si trovarono
d'accordo nell'imporre un salasso al re ma in contrasto sulla dieta: Simoni era
favorevole a fargli bere del vino, che il Buccella intendeva invece proibire.
Nemmeno nella diagnosi si trovarono d'accordo: per il Buccella, il sovrano
soffriva di asma, per Simoni, di epilessia. L'11 dicembre sopravvenne una
nuova grave crisi e il re perse conoscenza. Pur giudicando molto gravi le sue
condizioni di salute, Simoni rassicurò i circostanti, perché, a suo dire, non
c'era ancora pericolo di morte: aveva appena pronunziato queste parole che il
re spirava. Simoni lasciò il castello e non volle assistere all'autopsia,
sostenendo che fosse inutile, poiché l'epilessia «ab infernis partibus ducit
originem» e non lascia tracce nel cadavere. Coordinata dal Buccella, l'autopsia
fu effettuata il 14 dicembre dal chirurgo tedesco Johann Zigulitz, che accertò
una grave alterazione dei due reni. La ricognizione dello scheletro di Stefano
Báthory, confermò che la morte avvenne per degenerazione renale, uremia e
calcolosi. Cracovia: chiesa di San Francesco Simoni pubblicò a sua difesa lo
Stephani primi sanitas, vita medica, aegritudo, mors, che fu violentemente
contestato dal De morbo et obitu serenissimi magni Stephani, scritto dal
segretario reale Giorgio Chiakor su ispirazione del Buccella. La polemica
proseguì a lungo, coinvolgendo altri amici del Buccella, e degenerando in
insulti e attacchi sulle convinzioni religiose dei due protagonisti: contro
Simoni, tra gli altri, fu indirizzato l'opuscolo Simonis Simoni lucensis,
primum romani, tum calviniani, deinde lutherani, denuo romani, semper autem
athei summa religio. Alla fine, il nuovo re Sigismondo III, nell'aprile del
1588, riconfermò Buccella nella carica di medico curante, escludendo Simoni da
ogni incarico di corte. Da allora, le notizie su Simoni si fanno scarse.
Pur senza avere incarichi ufficiali, mantenne una ricca clientela e godette
della considerazione dello stesso imperatore Rodolfo, dei principi Radziwiłł,
del vescovo di Olomouc Jan Pavlowski e dei gesuiti, dai quali si fece
rilasciare nel 1600 un salvacondotto per rientrare in Italia e recarsi a Roma.
Precauzione necessaria, con i suoi trascorsi: una precauzione maggiore fu però
quella di rinunciare al viaggio. La sua vita agitata ebbe così fine a Cracovia
nel 1602, vecchio di settant'anni, come lo ricordava la lapide posta dalla
moglie Magdalena sulla sua tomba nella chiesa cattolica di San Francesco.
Quella lapide, e la sua tomba, non esistono più. La data di nascita si deduce
dalla lapide sepolcrale, poi andata distrutta in un incendio, posta nella
chiesa di San Francesco, a Cracovia, nella quale era scritto che il Simoni
«ultimum diem clausit III non. aprilis A. D. 1602» all'età di 70 anni. Il testo
della lapide è in S. Ciampi, Viaggio in Polonia, Queste notizie biografiche si
apprendono dallo scritto del Simoni, Scopae, quibus verritur confutatio, ..., G1b-G3b.
Per secoli gli storici locali discussero del luogo di nascita del medico
toscano. M. Verdigi, Simone Simoni, filosofo
e medico nel '500, C. Madonia, Simone
Simoni da Lucca, C. Lucchesini, Opere edite e inedite, XVII, Come scrive egli
stesso: S. Simoni, Synopsis brevissima ..., C. Madonia, Simone Simoni da Lucca,
G. Tommasi, Sommario della storia di Lucca,
A. Pascal, Da Lucca a Ginevra. Studi sull'emigrazione religiosa lucchese nel
secolo A. Fabris, Il rapporto tra filosofia e teologia in Simone Simoni, in M.
Verdigi, Simone Simoni, A. Fabris, Il rapporto tra filosofia e teologia in
Simone Simoni, S. Simoni a Teodoro di Beza, in A. Pascal, Da Lucca a Ginevra, e
in M. Verdigi, Simone Simoni, cS. Simoni a Teodoro di Beza, in M. Verdigi,
Simone Simoni, c D. Cantimori, Un italiano contemporaneo di Bruno a Lipsia, D.
Cantimori, Un italiano contemporaneo di Bruno a Lipsia, C. Madonia, Simone Simoni, S. Simoni, De vera
nobilitate, S. Simoni, De vera nobilitate, S. Simoni, De vera nobilitate, S. Simoni, De vera nobilitate, S. Simoni, De
vera nobilitate, S. Simoni, De vera
nobilitate, S. Simoni, De vera nobilitate, cit., ivi. S. Simoni, De vera nobilitate, S. Simoni, De
vera nobilitate, S. Simoni, De vera nobilitate, S. Simoni, De vera nobilitate, D.
Cantimori, Un italiano contemporaneo di Bruno a Lipsia, F. Pierro, La vita
errabonda di uno spirito eternamente inquieto. Simone Simoni, S. Simoni,
Simonius supplex ..., in C. Madonia, Simone Simoni da Lucca, M. Firpo, Alcuni
documenti sulla conversione al cattolicesimo dell'eretico lucchese Simone
Simoni ,Il Paleologo fu decapitato in carcere e il cadavere fu arso pubblicamente a Roma, in
Campo de' Fiori. M. Firpo, Alcuni
documenti sulla conversione al cattolicesimo dell'eretico lucchese Simone
Simoni, F. Sacchini, Historia Societatis
Jesu, citato in M. Verdigi, Simone Simoni, T. di Beza, lettera a Rudolph
Gwalther, in A. Pascal, Da Lucca a Ginevra, J. Monau, lettera a Johannes Crato,
in D. Caccamo, Eretici italiani in Moravia, Polonia, Transilvania . Pierro, La
vita errabonda di uno spirito eternamente inquieto. Simone Simoni, C. Madonia,
Simone Simoni da Lucca, Cfr. n. 1. Opere In librum Aristotelis de sensuum
instrumentis et de his quae sub sensum cadunt commentarius unus, Genevae, apud
Joannem Crispinum, Commentariorum in Ethica Aristotelis ad Nicomachum, liber
primus, Genevae, apud Ioannem Crispinum, Interpretatio eorum quae continentur
in praefatione Simonis Simonij Lucensis, Doct. Med. & Phil. cuidam libello
affixa, cuius inscriptio est: Declaratio eorum quae in libello D. D. Iacobi
Schegkii, & c., Genevae, apud Ioannem Crispinum, Phisiologorum omnium
principiis Aristotelis De anima libri tres, Lipsiae, Ernst Võgelin, Antischegkianorum
liber unus, in quo ad obiecta Schegkii respondetur, vetera etiam nonnulla,
dialectica & phisiologica praesertim, errata eiusdem, male defensa &
excusata inculcantur, novaque quam plurima peiora prioribus deteguntur, Basileae,
apud Petrum Pernam, Responsum ad elegantissimam illam modestissimamque
praephationem Jacobi Schegkii, cui titulum fecit Prodromus antisimonii, Ad
amicum quendam epistola, in qua vere ostenditur, quid causae fuerit, quod
responsum illud, quo maledicus, & multis erroribus refertus Iacobi Schegkij
doctoris & professoris Tubingensis liber plene refellitur, nondum in lucem
prodierit, Parisiis, in vico Jacobaeo De vera nobilitate, Lipsiae, Ioannes
Rhamba excudebat, De partibus animalium, proprie vocatis Solidis, atque obiter
de prima foetus conformatione, Lipsiae, Iohannes Rhamba excudebat, De vera ac
indubitata ratione continuationis, intermittentiae, periodorum febrium
humoralium, Lipsiae, apud haeredes Jacobi Bervaldi, Artificiosa curandae pestis
methodus, libellis duobus comprehensa, Lipsiae, apud Ioannes Steinmann Synopsis brevissima novae theoriae de
humoralium frebrium natura, periodis, signis, et curatione, cuius paulo post
copiosissima et accuratissima consequentur hypomnemata; annexa eiusdem autoris
brevi de humorum differentiis dissertatione. Accessit eiusdem Simonis examen
sententiae a Brunone Seidelio latae de iis, quae Jubertus ad axplicandam in
paradoxis suis disputavit, Basileae, per Petrum Pernam, Historia aegritudinis
ac mortis magnifici et generosi domini a Niemsta, Cracoviae, in officina
Lazari, Disputatio de putredine, Cracoviae, in officina typographica Lazari Commentariola
medica et phisica ad aliquot scripta cuiusdam Camillomarcelli Squarcialupi nunc
medicum agentis in Transilvania, Vilnae, per Iohannem Kartzanum Velicef, Simonius
supplex ad incomparabilem virum, praeclarisque suis facinoribus de universa
Republica literaria egregie meritum Marcellocamillum quendam Squarcilupum
Thuscum Plumbinensem triumphantem: pars prima. Pars altera: in qua de
peripneumoniae nothae dignitione curationeque in domino a Niemista, de subiecto
febris, de rabie canis, de starnutamento, de infecundis nuptiis agitur, Cracoviae,
Alexiius Rodecius, D. Stephani primi Polonorum regis magnique Lithuaniae ducis
vita medica, aegritudo, mors, Nyssae, Reinheckelii, Responsum ad epistolam
cuiusdam Georgij Chiakor Ungari, de morte Stephani primi, Responsum ad Refutationem scripti de sanitate,
victu medico, aegritudine, obitu, D. Stephani Polonorum regis, Olomutii, Scopae,
quibus verritur confutatio, quam advocati Nicolai Buccellae Itali chirurgi
anabaptistae innumeris mendaciorum, calumniarum, errorumque purgamentis
infartam postremo emiserunt, Olomutii, typis Friderice Milichtaler, Appendix
scoparum in Nicolaum Buccellam, Francesco Sacchini, Historiae Societatis Iesu
Pars Secunda, Antverpiae, Ex officina filiorum Martini Nutii, Sebastiano
Ciampi, Viaggio in Polonia, Firenze, presso Giuseppe Galletti, Cesare Lucchesini,
Opere edite e inedite, Lucca, tipografia Giusti, Girolamo Tommasi, Sommario
della storia di Lucca, Firenze, G. P. Vieusseaux, Frank Ludwig, Dr. Simon
Simonius in Leipzig. Ein Beitrag zur Geschichte der Universität in «Neues
Archiv für Sächsische Geschichte», Arturo Pascal, Da Lucca a Ginevra. Studi
sull'emigrazione religiosa lucchese nel secolo XVI, in «Rivista storica italiana»,
Delio Cantimori, Un italiano contemporaneo di Bruno a Lipsia, in «Studi
Germanici», Francesco Pierro, La vita errabonda di uno spirito eternamente
inquieto. Simone Simoni, in «Minerva Medica», Torino, Domenico Caccamo, Eretici
italiani in Moravia, Polonia, Transilvania, Firenze, Sansoni Massimo Firpo,
Alcuni documenti sulla conversione al cattolicesimo dell'eretico lucchese
Simone Simoni, in «Annali della Scuola normale superiore di Pisa», Claudio
Madonia, Simone Simoni da Lucca, in «Rinascimento»,Firenze, Sansoni, Claudio
Madonia, Il soggiorno di Simone Simoni in Polonia, in «Studi e ricerche II», Mariano
Verdigi, Simone Simoni, filosofo e medico nel '500, Lucca, Maria Pacini Fazzi
editore, G. Tiraboschi su Simone Simoni, in «Biblioteca modenese», Modena, su
books.google.it. S. Ciampi, Viaggio in Polonia, su books.google.it. C.
Lucchesini, Della storia letteraria del Ducato lucchese, su books.google.it. G.
Tommasi, Sommario della storia di Lucca, su books.google.it. S. Simoni, Antischegkianorum
liber unus, su books.google.it. S. Simoni, De vera nobilitate, su
books.google.it. S. Simoni, Artificiosa curandae pestis methodus, su books.google.it.
sini: Grice: “I like Sini; especially his “I
segni dell’anima,” since this is, in a nutshell, what my philosophy has been
all about: the signs of the soul!” -- Carlo Sini (Bologna), filosofo. Ha
studiato a Milano con Barié e Paci, con il quale si è laureato in Filosofia,
diventandone in seguito assistente. Dopo aver conseguito la libera docenza, ha
insegnato Filosofia ad Aquila. -- è stato chiamato a ricoprire la cattedra di
Filosofia teoretica della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Milano, dove ha
anche svolto per un triennio la funzione di Preside di facoltà. Membro per
molti anni del Collegium Phaenomenologicum di Perugia, del Direttivo Nazionale
della Società Filosofica Italiana e dell'Institut International de Philosophie
di Parigi, è socio corrispondente dell'Accademia Nazionale dei Lincei,
dell'Istituto lombardo di scienze e lettere e dell'Archivio Husserl di Lovanio.
Insignito nel 1985 per una sua opera del Premio della Presidenza del Consiglio
dello Stato italiano, ha ricevuto nel 2002 la Croce d'onore di I Classe per la
Scienza e l'Arte dallo Stato austriaco.
Ha tenuto corsi, seminari e conferenze negli Stati Uniti, in Canada,
Argentina, Spagna, Svizzera e altri paesi europei. Ha collaborato per oltre un
decennio alle pagine culturali del Corriere della Sera e collabora tuttora con
la Rai, con la Radiotelevisione svizzera, con vari settimanali e testate
giornalistiche. Dirige per AlboVersorio la collana "Pragmata" ed è
membro del comitato scientifico del festival La Festa della Filosofia. Il 7
dicembre viene premiato dal Comune di
Milano con l'Ambrogino d'oro. Pensiero
Ermeneutica Sini è stato tra i primi a segnalare all'attenzione del pubblico
italiano l'importanza dell'opera di Charles Sanders Peirce, e ha proposto un
filone di ricerca sulla convergenza teoretica dei percorsi filosofici di Peirce
e Heidegger sul filo dell'ermeneutica benché la sua formazione didattica fosse
di orientamento prevalentemente fenomenologico.
Il tema della scrittura e successivi sviluppi La sua proposta teoretica
si è in seguito concentrata sul tema della scrittura e sulla centralità
dell'alfabeto greco come forma logica del pensiero occidentale. In particolare,
in Figure dell'enciclopedia filosofica, Sini rende conto della radicalità del
gesto istitutivo platonico e della nascita della filosofia in modo da
illuminare la genealogia della nostra civiltà e le figure del suo destino.
Questa pubblicazione si misura con nodi problematici e profondi della nostra
cultura. Viene mostrata la verità del gesto filosofico di Platone nel tratto
tecnologico della parola alfabetica che trasforma la relazione al mondo in
"cosità". La pratica del concetto, infatti, in-forma il paradigma
dell'oggettività e traduce le “sterminate antichità” dell'umano all'interno
dell'ambito cronotopico della visione logica elaborata dalla scansione
alfabetica del mondo (con la conseguente nascita del tempo e del sapere
storico). All'educazione mitologica
dell'uomo si sostituisce l'educazione psichica dell'anima nella rimozione delle
qualità sensibili della vita vissuta. Prima operazione di ingegneria genetica
che comporta sia la nascita del soggetto morale nella paideia del bio-politico
(come Nietzsche aveva intuito) sia il conseguente destino nichilista rivelato
dall'epoca contemporanea intesa come “epoca del disincanto”, secondo la nota
definizione di Max Weber. Ma l'intreccio, che dalla preistoria conduce ai
nostri giorni, rinvia al desiderio e all'iscrizione originaria che danza nelle
figure della sessualità e della morte. La soglia così dischiusa, annunciata
dalla verità analogica dell'evento mimato nella generazione, permette il
passaggio del movente desiderante nel “desiderio di vita eterna”. Platone e la
logica disgiuntiva hegeliana rappresentano i due poli più rilevanti di questa
consapevolezza lancinante. Addirittura, tutta la filosofia platonica è
probabilmente da pensare come la domanda più alta e profonda che sia mai stata
posta alla sapienza dionisiaca. E così,
dagli ominidi alla società dell'informazione (sul filo delle pratiche che ne
circoscrivono le traiettorie) la trama del senso transita dai “signa” ai
“segni”, disegnando le coordinate del nostro tempo e il predominio della
visione scientifica e delle sue figure che dileguano la consistenza oggettuale
dell'oggettività, profilando nel rituale pubblico del potere finanziario, e
nella conseguente imposizione dell'universalità oggettiva, un paradosso
costitutivo che nasconde nuove e positive opportunità ancora tutte da scoprire
(e attualmente mascherate dalla deleteria mercificazione imperante). Delineando
nuove occasioni di senso, le Figure dell'enciclopedia invitano a “sognare più
vero”, vale a dire ad abitare la conoscenza filosofica nell'esercizio
dell'evento del significato nella concretezza delle sue pratiche. Ethos di una
nuova scrittura della soggezione del mortale al desiderio, nell'apertura al
transito della vita eterna. Recentemente
Sini ha approfondito la questione del logos e della tecnica facendo, sulla scia
dei lavori precedenti, del primo (ragione e parola) il fondamento ultimo, della
seconda l'essenza. Una posizione di rilievo e in controtendenza all´interno del
panorama di questa specifica area della filosofia contemporanea. Opere: “I Greci e noi,” con Giovanni Emanuele
Barié (NABANuova Accademia di Belle Arti Editrice, Milano), “Whitehead e la
funzione della filosofia” (Marsilio Editore, Padova) Introduzione alla
fenomenologia come scienza (Lampugnani Nigri, Milano) Storia della filosofa (Morano
editore, Napoli 1 Il pragmatismo (Laterza, Roma-Bari) Semiotica e filosofia:
segno e linguaggio in Peirce, Nietzsche, Heidegger e Foucault (Il Mulino,
Bologna, “Passare il segno” (Il Saggiatore, Milano) Kinesis. Saggio d'interpretazione
(Spirali, Milano) Metodo e filosofia (Unicopli, Milano 1986) Il silenzio e la
parola (Marietti, Genova) I Segni dell'anima (Laterza, Bari) Immagini di
verità. Dal segno al simbolo[collegamento interrotto] (Spirali, Milano Il simbolo
e l'uomo (Egea, Milano) L'espressione e il profondo (Lanfranchi, Milano 1991)
Etica della scrittura (Il Saggiatore, Milano) (Mimesis, Milano) Pensare il progetto
(Tranchida, Milano) Filosofia teoretica (Jaca Book, Milano) Variazioni sul
foglio-mondo. Peirce, Wittgenstein, la scrittura, con Rossella Fabbrichesi Leo
(Hestia, Como) L'incanto del ritmo (Tranchida, Milano Filosofia e scrittura
(Laterza, Roma-Bari) Scrivere il silenzio: Wittgenstein e il problema del
linguaggio (Egea, Milano) Teoria e pratica del foglio-mondo (Laterza, Roma-Bari)
Gli abiti, le pratiche, i saperi (Jaca Book, Milano) Scrivere il fenomeno:
fenomenologia e pratica del sapere (Morano, Napoli 1999) Ragione (Clueb,
Bologna 2000) Idoli della conoscenza (Cortina, Milano La libertà, la finanza,
la comunicazione[collegamento interrotto] (Spirali, Milano) La scrittura e il
debito: conflitto tra culture e antropologia (Jaca Book, Milano) Il comico e la
vita (Jaca book, Milano) Figure dell'enciclopedia filosofica. Transito verità
(Jaca Book, Milano) in 6 volumi: 1: L'analogia della parola: filosofia e
metafisica; 2: La mente e il corpo: filosofia e psicologia; 3: Origine del
significato: filosofia ed etologia; 4: La virtù politica: filosofia e
antropologia; 5: Raccontare il mondo: filosofia e cosmologia; 6: Le arti
dinamiche: filosofia e pedagogia La materia delle cose: filosofia e scienza dei
materiali (Cuem, Milano) Archivio Spinoza. La verità e la vita (Edizioni
Ghibli, Milano) Del viver bene: filosofia ed economia (Cuem, Milano) Distanza
un segno: filosofia e semiotica (Cuem, Milano) Il gioco del silenzio
(Mondadori, Milano, Il segreto di Alice
e altri saggi (AlboVersorio, Milano) Eracle al bivio. Semiotica e filosofia (Bollati
Boringhieri, Torino) Da parte a parte. Apologia del relativo (Edizioni ETS,
Pisa) L'uomo, la macchina, l'automa: lavoro e conoscenza tra futuro prossimo e
passato remoto (Bollati Boringhieri, Torino) L'Eros dionisiaco (AlboVersorio,
Milano, ) Figure d'Occidente. Platone, Nietzsche e Heidegger (con Massimo Donà
e Salvatore Natoli, introduzione di Ersamo Silvio Storace)( AlboVersorio,
Milano ) La nascita di Eros (AlboVersorio, Milano, ) Scrivere il silenzio:
Wittgenstein e il problema del linguaggio (Castelvecchi, Roma ) Spinoza (Book
Time, Milano ) Critica Enrico Redaelli, Il nodo dei nodi. L'esercizio del pensiero
in Vattimo, Vitiello, Sini, Ets, Pisa Il
filosofo e le pratiche. In dialogo con Carlo Sini (E.Redaelli, con scritti di
L. BrovelliCrippa, E. Della Valle, E. Redaelli), Milano, CUEM. Vincenzo
Comerci, Filosofia e mondo. Il confronto di Carlo Sini, Milano, Mimesis, .
Luciano Cristiano, La filosofia di Carlo Sini. Semiotica, ermeneutica e
pensiero delle pratiche, Milano, Mimesis, . Note Collana Pragmata, in AlboVersorio, Cfr. Copia
archiviata, su unimi.it). Logos e
techne, tecnologia e filosofia, su youtube.com. CarloSiniNoema (canale
ufficiale), su YouTube. Carlo Sini, su
Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Carlo Sini / Carlo Sini (altra versione)
/ Carlo Sini (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di
Carlo Sini, . Registrazioni di Carlo
Sini, su RadioRadicale.it, Radio Radicale.
Nòema la rivista online di filosofia diretta da Rossella Fabbrichesi e
Carlo Sini, su riviste.unimi.it. Archivio Carlo Sini il luogo ove i materiali
relativi ai passati corsi universitari del prof. Sini ed altro ancora, su
archiviocarlosini.it. Lectio Magistralis di Carlo Sini su La Différance di
Jacques Derrida, Arcoiris TV, Riflessioni sul Senso della Vita. Intervista a
Carlo Sini, di Ivo Nardi, giugno , sito Riflessioni.it Collana
PragmataAlboVersorio, su alboversorio.wordpress.com.
siracusa: Alcadino (Siracusa), filosofo. Vissuto vicino alla
corte degli Hohenstaufen. Sebbene non vi siano certezze sull'esatto anno
di nascita di Alcadino, a parere di un suo biografo, egli sarebbe nato a
Siracusa attorno all'anno 1160. Suo padre, Garsino Siracusano, lo mandò a
studiare a Salerno, presso la celebre Scuola Medica Salernitana. Dopo gli studi
in lettere, Alcadino si cimentò in quelli di filosofia, raccogliendo attorno a
sé una serie di seguaci. Quindi, in seguito alla conclusione del corso regolare
degli studi, il siracusano fu scelto per fare da insegnante in medicina e
filosofia presso la stessa scuola salernitana. Divenuto uno dei più
stimati medici della scuola, Alcadino fu chiamato alla corte di Enrico VI di
Svevia, che nel frattempo era entrato in possesso del Regno di Sicilia, e fu
assunto come medico ordinario del sovrano. Dopo la morte di Enrico, il medico
siracusano servì il di lui figlio, Federico II, che lo rese degno di confidenza
e apprezzamento. Oltre alle ordinarie attività legate alla sua professione,
Alcadino si occupò anche di poesia. Scrisse forse un trattato in versi sui
bagni minerali di Pozzuoli, il De Balneis Puteolanis (che però alcuni autori
attribuiscono a Pietro da Eboli). In quest'opera vengono descritti con
precisione il luogo, le qualità e le virtù dei suddetti bagni. Alcadino scrisse
inoltre due opere nelle quali celebrava le gesta di Enrico VI e Federico
II. Secondo lo storico Antonio Mongitore, Alcadino di Siracusa morì
all'età di 52 anni, quindi si presume verso il 1212 circa. Opere: De
Balneis Puteolanis, De Triumphis Henrici Imperatoris De His Quae a Friderico II
Imperatore Praeclare ac Fortifer Gesta Sunt Note Pasquale Panvini di S.
Caterina Salvatore De Renzi405. Pasquale
Panvini di S. Caterina, Biografia degli uomini illustri della Sicilia, Giuseppe
Emanuele Ortolani, Tomo I, Napoli, Salvatore De Renzi, Storia documentata della
scuola medica di Salerno, Napoli.
sirenio: Giulio Sirenio (Brescia), filosofo. Professore
di metafisica a Bologna. Opere: De fato, Venetiis, Giordano Ziletti. Anthony
Ossa-Richardson, The Devil's Tabernacle: The Pagan Oracles in Early Modern
Thought, Princeton.
soave: Francesco Soave (Lugano), filosofo. Per
qualche tempo maestro di Manzoni, fu il più efficace divulgatore del sensismo
italiano. Lapide commemorativa di Soave all'Pavia. Nacque da
Giuseppe Soave e Clara Herrik. La sua numerosa famiglia versava in ristrettezze
economiche, ma egli riuscì ad iniziare gli studi presso l'istituto di S.
Antonio e, a soli sedici anni, lasciò Lugano per recarsi a Milano dove, nel
1760, prese i voti nella congregazione dei padri Somaschi. Trasferitosi a
Pavia, presso il collegio di San Majolo, iniziò gli studi filosofici e nel 1761
fu inviato a Roma al collegio Clementino, che era il più importante della
congregazione dei padri Somaschi, per completare gli studi teologici. In questo
periodo si dedicò anche allo studio delle lingue greca, inglese, francese,
tedesca e spagnola. Nel 1765 pubblicò le sue traduzioni delle Bucoliche e
delle Georgiche di Virgilio, cui aggiunse un poemetto sul modo di tradurre e il
volgarizzamento di un sermone di San Basilio Magno. Fu richiamato in seguito
alla Scuola dei Paggi di Parma, dal direttore Francesco Venini, a leggere Belle
lettere ed a insegnare Poesia latina. Qui rimase fino al 1768 quando Guillaume
du Tillot promosse la riforma dell'Università, affidandogli la cattedra di
Poesia. Nel 1770 preparò l'Antologia Latina, per dare agli allievi i
migliori esempi di oratoria e di poetica. Ed è proprio in questo momento che
prese corpo nel Soave l'idea della Gramatica ragionata, in seguito stampata a
Parma nel 1771. L'attività del Soave a Parma finì nel 1772. Tornò così a Milano,
dove il conte Carlo Firmian, governatore austriaco della Lombardia, gli affidò,
la cattedra di Filosofia a Brera. Oubblicò la versione italiana delle Ricerche
intorno all'istituzione naturale di una società e di una lingua e all'influenza
dell'una e dell'altra su le umani cognizioni, dissertazione presentata per
rispondere al quesito, posto dall'Accademia Reale delle Scienze e delle Lettere
di Berlino: "Supponendo degli esseri umani lasciati alle loro facoltà
naturali, sarebbero essi in grado di inventare il linguaggio? E con quali mezzi
potrebbero giungere a questa invenzione?". Seguendo una delle
classiche questioni filosofiche dibattute nel Sei-Settecento, pubblicò le
Riflessioni intorno all'istituzione di una lingua universale, nelle quali Soave
teorizzava la formazione di un linguaggio che consentisse a tutti gli uomini di
comunicare tra loro, anche se alla fine si dichiarava scettico circa la
possibilità di introdurre ex novo una lingua universalmente valida, preferendo
l'adozione del francese, che a suo dire svolgeva il ruolo di lingua colta
universale, un tempo esclusiva del latino. Nel 1775 tradusse in italiano
il compendio dei saggi di John Locke Saggio filosofico sull'umano intelletto e
la Guida dell'intelletto alla ricerca della verità. A quest'ultimo saggio Soave
aggiunse, oltre alle consuete annotazioni, anche un'appendice didascalica, sul
Metodo che dee tenersi per trovare la verità e per insegnarla ad altrui. Questo
commento è ricco di implicazioni, per cogliere il carattere del suo approccio
pedagogico. Infatti Soave era soprattutto interessato a dare un'immediata
traduzione del pensiero di Locke, nei termini di un discorso didattico ed in
particolare a trarre indicazioni per la soluzione del problema di come comporre
"buoni libri elementari". Inoltre, sempre nell'appendice, Soave
riprende, da un punto di vista prevalentemente didattico, la questione, per lui
fondamentale, di come introdurre i giovani ai primi principi della scienza,
suggerendo che il rigore del metodo analitico, il solo valido sul piano
conoscitivo, venga attenuato ne' libri elementari. Avvertendo la necessità di
superare tutti quegli ostacoli, che si frapponevano in Europa alla libera
circolazione delle idee e al continuo e fecondo scambio su un terreno
scientifico, letterario e filosofico, Soave fondò nel 1775, con la
collaborazione di Carlo Amoretti, il periodico Scelta di opuscoli interessanti
tradotti da varie lingue che sarebbe durato fino al 1803, anche se con il nome
di Opuscoli scelti. In essi Soave, oltre all'opera di traduzione, pubblicò
anche alcuni saggi che testimoniavano il suo eclettismo, tipico dell'epoca. Collaborò
con altri studiosi alla realizzazione di una serie di opuscoli (trentasei in
tutto), di vario argomento (soprattutto traduzioni), nei quali inserì alcune
sue opere. Nel 1782 scrisse le Novelle morali, alle quali se ne
aggiunsero altre, tra il 1784 e il 1786. La loro edizione definitiva risulterà
una delle opere più apprezzate ed utilizzata a lungo nelle scuole per l'educazione
dei giovani. Ottenne la cattedra di Logica e Metafisica a Brera, alla quale
venne incorporata in seguito quella di Etica. Gli anni dal 1786 al 1792
segnarono il momento più intenso della partecipazione di Soave al movimento
illuministico e riformatore. Nel 1786, in seguito all'editto di Giuseppe
II sulla riforma delle scuola in Lombardia, Soave venne incaricato di rinnovare
le scuole elementari e di preparare alcuni testi scolastici. Per svolgere
questo gravoso compito venne nominato membro della Delegazione delle scuole normali,
istituita alle dipendenze della giunta delle Pie Fondazioni, e si recò ad
osservare il metodo normale, seguito dalle scuole di Rovereto, Trento e
Bolzano. Soave avrebbe dovuto innanzitutto fornire una nuova traduzione del
Libro del metodo, confrontando quella poco corretta e quindi incapace di
servire da codice che era giunta alla delegazione. In seguito a
queste sue ricognizioni, sia territoriali che letterarie, Soave scrisse il
Compendio del metodo delle scuole normali ad uso delle scuole della Lombardia
austriaca, rivolto in particolare alla formazione dei maestri e contenente i
principi educativi del metodo normale, riveduti da lui stesso. A questo libro
sono legate indissolubilmente anche: Traduzione del Regolamento generale delle
scuole normali, principali e comuni, che era stato emanato da Maria Teresa
d'Austria e redatto da Giovanni Ignazio Felbiger, cui Soave aggiunse in
un'Appendice Quanto è compreso nel libro del metodo relativamente allo stesso
regolamento e inoltre la traduzione di Soave delle Leggi scolastiche da
osservarsi nelle Reali scuole normali della Lombardia austriaca. Fu il
fondatore e la mente della prima Scuola normale italiana, inaugurata a Brera. Tentò
anche di recarsi in Francia, tuttavia le notizie sulla Rivoluzione che nel
frattempo era scoppiata lo convinsero a restare in Italia dove si dedicò a
studi filosofici. Stampò le Istituzioni di logica, etica e metafisica, opera
pensata per lo studio nei licei e nelle università e, dall'edizione, vi
aggiunse gli Opuscoli metafisici. Le truppe di Buonaparte occuparono
Milano e Soave si rifugiò a Lugano, poiché nel 1793 aveva scritto, sotto lo
pseudonimo di Glice Ceresiano, un opuscolo contro gli ideali rivoluzionari,
intitolato Vera idea della rivoluzione di Francia, lettera di Glice Ceresiano
ad un amico. Ebbe qualche incarico di supplenza nel collegio di Sant'Antonio e
tra i suoi allievi ci fu un giovanissimo Alessandro Manzoni.
Frontespizio dell'Abecedario Il principe di Angri lo invitò a Napoli, per
istruire il suo unico figlio, ma, nel 1799, con l'occupazione francese della
città, Soave tentò dapprima la fuga in Sicilia e in seguito visse seminascosto,
fino a che non gli venne restituita, da parte del governo provvisorio
austriaco, la cattedra di Filosofia a Brera. Tuttavia il ritorno dei Francesi gliela tolse definitivamente e Soave si dedicò
agli studi ed alle traduzioni. Con la proclamazione della Repubblica Italiana,
fu nominato direttore del Collegio nazionale di Modena, al fine di ridare
prestigio ad un istituto educativo di antica data, e gli fu affidata la
cattedra di Analisi delle idee. Sempre nello stesso anno fu nominato tra i
primi 30 membri dell'Istituto Nazionale. Fece parte della classe di Scienze
morali e politiche e si occupò in particolare della Metafisica e
dell'Etica. Attirò numerose critiche, per la pubblicazione dell'opera La
filosofia di Kant esposta ed esaminata, nella quale tentava di confutare il
filosofo tedesco. Nello stesso anno, non riuscendo ad ottenere risultati a
Modena, ottenne la cattedra di Analisi delle idee all'Università degli Studi di
Pavia. Fu membro della Società Italiana delle Scienze e collaborò alla
realizzazione della collana dei "Classici Italiani", voluta dal
governo. Negli ultimi anni scrisse La mitologia ossia esposizione delle
favole e descrizioni dei riti religiosi dei gentili..., con l'aggiunta d'un
transunto delle Metamorfosi d'Ovidio e la Storia del popolo ebreo compendiata,
ad uso delle scuole. Nel 1804 pubblicò la Memoria sopra il progetto di Elementi
di ideologia di Antoine-Louis-Claude Destutt de Tracy e l'Esame dei principi
metafisici della Zoonomia di Erasmus Darwin, cercando di contrastarne le
teorie, in un estremo tentativo di difesa delle ideali acquisizioni
dell'Illuminismo da ogni novità che le minacciasse, segno del carattere ormai
"moderato e timido" del suo empirismo, governato dal desiderio di un
compromesso tra quella parte d'Illuminismo volta ad aspirazioni
razionalistiche, alla crescita dell'identità di un suddito-cittadino e allo
sviluppo di forme economiche più moderne, e lo sviluppo della religiosità
all'interno di forme canoniche, come occasione di crescita culturale e di
consapevolezza di comportamentiː un tentativo che si rivelerà alquanto fragile
ed arduo. Ormai la sua consapevolezza critica ed il suo rigore scientifico
stavano venendo meno. Nel 1805 si accinse a riordinare ed a risistemare
le sue opere, al fine di preparare alcuni libri sull'istruzione per l'Istituto
Nazionale, ma la morte lo colse il 17 gennaio 1806 nella casa della sua congregazione,
la Colombina, presso Pavia. Note
Francesco Soave, in Dizionario storico della Svizzera. Cfr. la riedizione moderna, con ampio saggio
introduttivo: F. Soave, Gramatica ragionata della lingua italiana, S. Fornara,
Pescara, Libreria dell'Università Editrice, Giuseppina Benassati e Lauro Rossi
, L'Italia nella Rivoluzione, Casalecchio di reno, Grafis, Angelo Grossi, L.
Gianella, Francesco Soave. Vita e scritti scelti, Lugano, Giovanni Orelli, La
Svizzera italiana, in Alberto Asor Rosa , Letteratura italiana. Storia e
geografia. L'età contemporanea, Claudio Marazzini e Simone Fornara , Francesco
Soave e la grammatica del Settecento, Atti del convegno di Vercelli (21 marzo
2002), Alessandria, Edizioni dell'Orso. Marina Roggero, La voie italienne vers
l'alphabet avant 1860, Histoire de l'éducation,
Sensismo. Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Francesco Soave, in
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Francesco Soave, su
hls-dhs-dss.ch, Dizionario storico della Svizzera. Francesco Soave, in Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Francesco Soave, su BeWeb, Conferenza
Episcopale Italiana. Opere di Francesco
Soave, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Francesco Soave.
solari: Gioele Solari (Albino), filosofo. Targa
commemorativa sulla casa natale di Gioele Solari presso Albino Solari frequentò
in gioventù il prestigioso Collegio San Francesco di Lodi retto dai Padri
Barnabiti per poi proseguire gli studi all'Università degli Studi di Messina,
da dove poi si trasferì presso l'Università degli Studi di Torino: si formò nel
Laboratorio di Economia Politica di Salvatore Cognetti de Martiis, per poi
scegliere la filosofia del diritto sotto la guida di Giuseppe Carle. Fu anche
membro di una tra le istituzioni culturali più prestigiose a livello nazionale:
l'Accademia Nazionale dei Lincei, nel 1946. Fautore di un idealismo
sociale e studioso di Mario Pagano, fu un esponente della scuola di filosofia
del diritto dell'Torino, dove tenne questa cattedra dal 1917, quando succedette
a Carle, al 1948, anno in cui fu sostituito da Norberto Bobbio. Ebbe tra i suoi
allievi lo stesso Bobbio, Renato Treves, Uberto Scarpelli, Piero Gobetti,
Alessandro Passerin d'Entrèves, Luigi Pareyson, Luigi Firpo, Giorgio Colli,
Bruno Leoni, Mario Einaudi e Cesare Goretti. Per tutta la vita si dedicò
esclusivamente all'insegnamento universitario, rifiutando qualsiasi incarico
pubblico (non diventò nemmeno preside della sua facoltà); le cattedre da lui
ricoperte sono state nelle Messina (nel 1915), di Cagliari (1922), e di Torino
(dal 1918 al 1948). Prestò il giuramento di fedeltà al fascismo nel
1931. Opere: La scuola del diritto
naturale nelle dottrine etico-giuridiche dei secoli XVII e XVIII, 1904 La
scuola del diritto naturale nelle dottrine etico-giuridiche dei secoli XVII e
XVIII, Torino, Fratelli Bocca. L'idea
individuale e l'idea sociale nel diritto privato, 1Lezioni di filosofia del diritto:
anno accademico, Giuseppe Carle e Gioele Solari, raccolte dagli studenti
Giuseppe Bruno e Francesca Guasco, Editore La cooperativa dispense dell'A.T.U.,
Torino, 1912. Filosofia del diritto privato, 1930. Lezioni di filosofia del
diritto, Studi storici della filosofia del diritto, Giappichelli, Torino Intitolazioni
L'Torino gli ha intitolato una biblioteca interdipartimentale. Il comune di
Bergamo gli ha intitolato un giardino pubblico e una via. Il comune di Albino
gli ha intitolato una via. Note
Simonetta Fiori, I professori che dissero "NO" al Duce, in La
Repubblica, Lezioni di filosofia del diritto: anno accademico, Giuseppe Carle e
Gioele Solari, raccolte dagli studenti Giuseppe Bruno e Francesca Guasco,
Editore La cooperativa dispense dell'A.T.U., Torino, Studi storici di filosofia
del diritto, Giappichelli, Torino, Gioele Solari nella cultura del suo tempo,
FrancoAngeli, Milano, Alberto Contu, Questione sarda e filosofia del diritto in
Gioele Solari, con un saggio di Norberto Bobbio, Giappichelli, Torino, Davide
Cugini, Commemorazione di Gioele Solari, Torinese, Albino, 1952. Francesco
D'Agostino , Il problema del diritto e dello Stato nella filosofia del diritto
di Giorgio Guglielmo Federico Hegel, G. Giappichelli Editore, Torino, Luigi
Firpo , La filosofia politica, 2 voll., Laterza, Bari. Treccani.itEnciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Gioele Solari, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Gioele Solari, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Gioele Solari,
su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana.
Opere di Gioele Solari, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di
Gioele Solari, . Solari, Gioele, in
Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
soleri: Giacomo Soleri (Pagliero di San Damiano
Macra), filosofo. Nato in un piccolo centro della provincia di Cuneo, studiò
all'Università Cattolica di Milano, fu ordinato sacerdote nel 1934 e terminò
gli studi nel 1940. Ebbe come maestro Francesco Olgiati, uno dei fondatori
dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Lavorò a più di 100 scritti fra cui
Il problema metafisico del male (del 1952) e Inevitabilità e decisività del problema
teologico. È intitolato al suo nome l'Istituto di istruzione superiore "G.
Soleri" di Saluzzo, ove il sacerdote insegnò e fu preside. Opere: La
proprietà, S.E.I. Torino (II ed. riveduta); Telesio, La Scuola, Brescia; Lucrezio,
La Scuola, Brescia; Marco Aurelio, La Scuola, Brescia; L'immortalità dell'anima
in Aristotele, S.E.I., Torino; Economia e morale, Borla, Torino, Il problema metafisico del male in “Sapienza”,
Essere, atto, valore in , Il problema del valore, Morcelliana, Brescia, Incisività
e decisività del problema teologico, in “Studia Patavina”, Orizzonte della
metafisica aristotelica. Sito dell'Istituto Soleri. Heinz Happ, Hyle: Studien zum aristotelischen
Materie-Begriff, Walter de Gruyter, Riccardo Pozzo, The impact of Aristotelianism
on modern philosophy, CUA Press, Dao Ettore, La figura e l'opera di Giacomo
Soleri. Saggio di ricerca, Saluzzo, Per iniziativa del Comitato per le onoranze
a Giacomo Soleri dell'Istituto magistrale statale Giacomo Soleri.
somenzi: Vittorio Somenzi (Redondesco), filosofo. Ufficiale
meteorologo dell'Aeronautica, dopo aver partecipato alla Resistenza, lavorò
all'ufficio studi dello Stato maggiore. Si divise tra la carriera militare
e quella accademica, optando infine per la cattedra di filosofia a Roma. Tra i
suoi allievi vi fu Cordeschi. Pensiero Partendo da un interesse per l'operazionismo
di Bridgman, diresse i suoi studi teorici alla cibernetica e fu tra i primi in
Italia a interessarsi di intelligenza artificiale e a studiare i rapporti
mente-cervello e mente-macchina. Opere principali: Scritti italiani di
filosofia della scienza, Milano, Fratelli Bocca, I fondamenti filosofici della
meccanica quantistica, Milano, Fratelli Bocca, L' operazionismo in fisica, Milano,
Edizioni di Comunità, La scienza nel suo sviluppo storico, Torino, ERI, La filosofia degli automi, Vittorio Somenzi
con Roberto Cordeschi, Torino, Boringhieri, (prima edizione, a cura del solo Somenzi,
Boringhieri) Tra fisica e filosofia. Roberto Donolato, Abano Terme, Piovan. La
materia pensante, Milano, CLUP CittàStudi. Fonte: A. Rainone, Enciclopedia
Italiana, riferimenti in. Saggi in onore di Vittorio Somenzi, Roma, Union
Printing, Vittorio Somenzii: antologia e testimonianze, Mantova, Fondazione
Banca agricola mantovana, Cibernetica Intelligenza artificiale Antonio Rainone, «Somenzi, Vittorio» la voce
nella Enciclopedia ItalianaVI Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Vittorio Somenzi, un maestro del domandare, di Claudio Del Bello, da
Giano, n. 45, sito "Metodologia online". Vittorio Somenzi filosofo al
servizio della scienza, necrologio di Sandro Modeo, Corriere della Sera, Archivio
storico.
sordi: Serafino Sordi (Centenaro di Ferriere),
filosofo. Terzo di otto figli (7 maschi e 1 femmina) di Agostino Sordi e
Giovanna Taschieri, si fece religioso nella Compagnia di Gesù e ben quattro dei
suoi fratelli seguirono il suo esempio. Entrò nel seminario di Piacenza,
dove frequentò le classi ginnasiali. Vinse il concorso per l'ammissione al
Collegio Alberoni di Piacenza, dove rimase fino al 1813, quando fu costretto a
lasciare per motivi di salute. Rientrò in seminario e, sotto la guida del
canonico Vincenzo Buzzetti, approfondì il pensiero di San Tommaso la cui
filosofia era andata in disuso (s’insegnava la filosofia del secolo: Sarti,
Soave, Draghetti, Condillac, Wolfe, Storkenau). Nel 1816, a 23 anni,
divenne sacerdote ed entrò nella Compagnia di Gesù appena ricostituita, fece il
noviziato nella Casa di Sant'Ambrogio a Genova, dove incontrò padre Luigi
Taparelli D'Azeglio che attraverso i colloqui con il Sordi conobbe e stimò la
filosofia di San Tommaso, di cui prima aveva sentito parlare con disprezzo e
incominciò a rivedere la sua formazione filosofica. Nel 1819 divenne
insegnante di filosofia nel Collegio di Ferrara e passò a Reggio Emilia come
insegnante di logica, metafisica ed etica e con la carica di prefetto della
biblioteca civica. A Reggio Emilia si distinse e acquistò stima e fama tanto
che il padre Generale della Compagnia Luigi Fortis lo propone al padre Pavani,
provinciale d'Italia, come professore di logica nel Collegio Romano. Il Pavani,
però pregò il padre Generale di desistere dal suo proposito per motivi di
opportunità “si leverebbe un gran rumore tra i professori del Collegio Romano …
tanta è la prevenzione contro il padre Sordi perché tomista.” Dal 1829 al
1834 venne mandato a Modena, al collegio San Bartolomeo, come professore di
logica, metafisica ed etica. Qui, ispirandosi ai rivolgimenti culminati con la
cattura di Ciro Menotti, pubblicò l'opuscolo “Catechismo delle rivoluzioni”. In
questi anni strinse amicizia con il gesuita Giuseppe Pecci. Attraverso quest'amicizia
padre Serafino potrà esercitare il suo influsso anche su suo fratello,
cardinale Gioacchino Pecci che, divenuto poi Papa, con l'Enciclica Aeterni
Patris proporrà a tutte le scuole cattoliche le dottrine di San Tommaso
d'Aquino. Venne inviato a Forlì e poi a Spoleto dove insegnò teologia
morale. Nel 1836 venne nominato Rettore del Collegio di Orvieto. Nel 1840
ritornò a Modena come Rettore; carica che esercitò per tre anni, e poi rimase
ancora a Modena come Ministro e Padre Spirituale degli alunni. Nel 1846
fu nominato Rettore del Collegio San Pietro di Piacenza, dove già dal 1839 era
stato aperto anche l'AloisianumIstituto di formazione filosofica per giovani
gesuiti dell'area Lombardo Veneta. Nel 1848, padre Serafino era ancora a
Piacenza, quando il Collegio venne preso d'assalto dai rivoluzionari:
“Scoppiarono allora alte grida diAbbasso i gesuiti. Morte ai gesuiti. Mortee
qui aggiungevano i nomi or dell'uno or dell'altro Padre del collegio.” Così si
legge nel racconto di padre Lombardini, testimone oculare degli avvenimenti.
Nel 1851 il P. Generale Jan Roothaan lo chiamò a Roma, desideroso di vedere
finito un testo di filosofia che padre Serafino doveva realizzare insieme a
padre Carminati. Fu nominato Preposto della Provincia Romana fino al 1856.
Padre Serafino governò quella Provincia con rara prudenza e grande spirito di
bontà. Nel 1859 passò al Collegio degli scrittori della Civiltà Cattolica
con l'incarico di scrittore e padre spirituale della comunità. Contribuì in
questi tre anni al fiorire della rivista componendo con padre Taparelli una
serie di articoli. Fu chiamato all'Aloisianum di Verona come Prefetto
degli studi dei giovani religiosi che qui studiavano filosofia. A Verona cessò
di vivere per malattia cardiaca il 17 maggio 1865. Pensiero Padre
Serafino Sordi fu uno dei più insigni rappresentanti del neotomismo, il
movimento di rinnovamento della filosofia di San Tommaso, che, partito dal
seminario di Piacenza con il canonico Vincenzo Buzzetti, si diffuse in tutta
l'Italia tramite i fratelli Serafino e Domenico Sordi, alunni dello stesso
Buzzetti. I due fratelli, entrati nella Compagnia di Gesù, vi portarono il
rinnovamento tomista, cioè le grandi idee di San Tommaso studiate e sviluppate
ai fini di rispondere agli interrogativi più profondi dell'uomo moderno.
L'azione di padre Serafino in favore del neotomismo fu particolarmente efficace
per gli incarichi prestigiosi a lui affidati, per il suo insegnamento presso
numerosi Collegi dove i suoi scritti di filosofia, trascritti, venivano usati come
testo; inoltre molte delle persone da lui avviate allo studio di San Tommaso
sono state i protagonisti del rinnovamento tomista e i diretti collaboratori
nella preparazione dell'enciclica "Aeterni Patris" in cui il papa
Leone XIII esorta a rimettere in uso la sacra dottrina di San Tommaso e a
propagarla il più largamente possibile. Il fratello di Serafino, padre Domenico
Sordi, diffuse il tomismo nella provincia napoletana, dove operò in varie città
(Napoli, Lecce, Maglie, Salerno, Sora, Arpino, Andria). Al Collegio Massimo di
Napoli fu collaboratore di P. Luigi Taparelli D'Azeglio promuovendo la
diffusione della filosofia di San Tommaso fra gli alunni, alcuni dei quali
furono protagonisti del rinnovamento della cultura cattolica dell'800; fra questi
va ricordato P. Carlo Maria Curci cofondatore della rivista “La Civiltà
Cattolica”, che descrive il suo insegnante con dovizia di particolari nelle sue
“Memorie” e P. Matteo Liberatore, cofondatore del periodico “Scienza e Fede”,
redattore di “La Civiltà Cattolica” e uno degli estensori dell'enciclica Rerum
Novarum di Leone XIII. Opere: Appendice al capitolo XII del Catechismo
del senso comune” del RorbacherL'Amico d'Italia
XI, 1827, (manoscritto originale presso la biblioteca universitaria di
Genova). Theses ex universa Philosophia, Parma Catechismo delle RivoluzioniModena, Soliani. Lettere
intorno al Nuovo saggio sull'origine delle idee dell'Abate Antonio Rosmini
SerbatiModena, Vincenzo Rossi 1843, 104
I primi elementi del sistema di V. Gioberti dialogizzati tra lui e un lettore
dell'opera sua –Bergamo, Natali 1849, Allocuzione di N. S Papa Pio IX- del 20
aprile 1849, con in fine esposizione della materia a modo di catechismo, del
prof S. S.Roma, Tip. Apostolica I misteri di Demofilo per S. S. Professore di
filosofiaTorino Castellazzo e De Gaudenzi, Circolare del R. P. Provinciale
Serafino Sordi ai Superiori della Provincia Romana –Roma, Civ. Cattolica. De
studio Theologiae in nostra societate –Roma, Civ. Cattolica, Recensione all'opuscolo di Giacomo Oddo
“l'Indipendenza, il Cattolicesimo e l'Italia, Milano 1859” Roma, Civ, Cattolica
La libertà al tribunale della ragioneRoma, Civ. Cattolica. Se per essere
indipendenti abbisogna che il Papa abbia il potere temporale. Di un sacerdote
cattolicoRoma Civ. Cattolica. Il movimento nazionale, istruzione popolare in
occasione di un opuscolo pubblicato nell'Umbria da un preteso prete galantuomoRoma
Civ. Cattolica, opuscolo di 48 Il
Sillabo di S. S. Pio Papa IX esposto in forma di catechismo dal P. Serafino
Sordi della Compagnia di GesùVerona, Vigentini e Franchini 1865 124 (pubblicato dopo la sua morte) Opere
attribuite a Serafino Sordi Saggio intorno alla dialettica e alla religione di
Vincenzo GiobertiPiacenza, Tedeschi. Una proposta al Clero Italiano.
Ragionamenti sul Gesuita ModernoTorino, Castellazzo e De Gaudenzi 1849, 7 La scomunica: Nel Messaggero di Modena, Lettera
sull'Austria, Bergamo, Dottrine di S. Alfonso dei Liquori difese contro le
impugnazioni del Sig. Abate RosminiMonza 1850 Opere di P. Serafino Sordi
pubblicate nel 1900 Ontologia, pubblicata da P. Dezza nel 1941 Theologia
naturalis, pubblicata da P. Dezza nel 1945 Manuale di logica classica,
pubblicato da D. Pesce nel 1967 Opere inedite riportate da P. Dezza nel libro
“Alle origini del Neotomismo” Ethica generalis et specialis Psicologia Trattato
sull'origine delle idee Dissertazione sulla materia e sulla forma Dissertazione
sull'evidenza Osservazioni intorno alla filosofia a noi prescritta da S.
Ignazio Esortazioni al clero (presso don BalleriniPC) Note P. Dezza, Alle origini del Neotomismo30
P. Dezza, I neotomisti italiani del XIX secolo,
2-3 E. Silva, Ferriere, cenni
storici21 R. Comandini, Nuovi contributi
alla conoscenza del canonico Vincenzo Buzzetti e dei discepoli cresciuti alla
sua scuola Saggio sulla rinascita del Tomismo, P. Dezza, I neotomisti italiani
del XIX secolo. P. Dezza, Alle origini del Neotomismo, Breve storia della
Provincia veneta della Compagnia di Gesù dalle sue origini fino ai giorni
nostri La chiesa di S. Pietro in PiacenzaStudi
per il IV cent. dalla fond. TEP139 Breve
storia della Provincia Veneta della Compagnia di Gesù dalle sue origini fino ai
giorni nostri A. M. D. G C. Cenacchi, Tomismo e Neotomismo a FerraraLiber.
Edit. Vaticana La Civiltà Cattolica, R. Comandini, Nuovi contributi alla
conoscenza del canonico Vincenzo Buzzetti e dei discepoli cresciuti alla sua
scuola Saggio sulla rinascita del Tomismo nel sec. XIXLibr. Edit. Vaticana 1974
F. Cordani, Una grande cultura piacentina dimenticata, PC Ed. Berti C. M.
Curci, Memorie del Padre Curci, G. Barbera Editore, FI C. M. Cornoldi, Memorie
Autobiografiche (Archivio Aloisianum) F. Dante, Storia della Civiltà Cattolica
Ed. Studium Roma. P. Dezza, Alle origini del Neotomismo, MI. P. Dezza, I
neotomisti italiani del XIX secolo, Bocca ed. MI. La chiesa di S. Pietro in PiacenzaStudi per il
IV cent. dalla fond. TEP, 1987 F. Giarelli, Storia di Piacenza dalle origini ai
nostri giorni, II Ed. Porta PC 1889 L.
Ferrari, I fratelli Sordi e il Neotomismo in Italia in il filosofo canonico V.
Buzzetti nel centenario della morte, PC G. Martina, La Chiesa nell'età
dell'assolutismo, del liberismo, del totalitarismo, Morcelliana BS. U.
Padovani, Importanza della critica filosofica di S. Sordi a V. Gilbert, in Riv.
Di Filosofia Neoscolastica, MI 1933 ed. Vita e Pensiero A. MONTI, "La
Compagnia di Gesù nel territorio della Provincia Torinese, Chieri 1914, 5
volumi Giovanni Paolo II, enciclica Fides et Ratio 1998 S. Panareo,
L'istruzione in terra d'Otranto sotto i Borboni, B. Perazzoli, Studi sul
Rosminianesimo nell'Ottocento, Ed. Rosminiane Sodalitas, L. Pozzi, S: Sordi
filosofo neotomista, Studia Patavina Riv. Di Filos.e Teologia. V. Rolandetti, Da Buzzetti all'Aeterni Patris
Conv. Intern. Tomistico, Trento 1990 V. Rolandetti, Vincenzo Buzzetti teologo,
Libr. Ed. Vat. 1974. E. Silva, Ferriere, cenni storici, UTEP, PC 1966 D. Sordi,
Pochi e brevi cenni sulla vita menata nel secolo da P.S.Sordi, man. Inedito G.
Sordi, Il contributo dei gesuiti piacentini Serafino e Domenico Sordi alla diffusione
del neotomismo nella cultura cattolica dell'800, PC , (vedi )
serafinosordi.altervista.org G. Tononi, Condizioni della Chiesa nei ducati parmensi.
M. Volpe, I Gesuiti nel Napoletano Aeterni
Patris Aloisianum Carlo Maria Curci Collegio Alberoni Compagnia di Gesù Jan
Roothaan La Civiltà Cattolica Luigi Taparelli d'Azeglio Matteo Liberatore
Neotomismo Serafino Sordi, su
Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di
Serafino Sordi. G. Sordi, Il contributo dei gesuiti piacentini Serafino e
Domenico Sordi alla diffusione del neotomismo nella cultura cattolica dell’800,
PC su serafinosordi. altervista.org.
books.google.it/books?hl=it&id=-G3PUnY3zbEC&q=taparelli+d%27azeglio+e+il+rinnovamento+della+scolastica
La Civiltà Cattolica 1927Il P. Taparelli d'Azeglio e il rinnovamento della
Scolastica al Collegio Romano (pagg. 107-121 e 399-409)]
books.google.it/books?hl=it&id=KcRveZ1rpnwC&q=intorno+alle+origini+del+rinnovamento+tomista+in+italia
La Civiltà Cattolica1928Intorno alle origini del rinnovamento tomistico in
ItaliaIl P.Taparelli e il P. Sordi parte prima –pagg. 215-229) (parte
secondapagg. books.google.it/books?id=_y_qxX2vxrEC&pg=PA229&lpg=%20LA+CIVILTA+CATTOLICA+%C2%AC-+1929#v=onepage&q&f=false
La Civiltà Cattolica1929La rinascita del tomismo a Napoli nel 1830 (parte
primaI collaboratori del Taparelli pagg. 229-244)(parte secondaIl peripato in
azione pagg. 422-433)
books.google.it/books?id=7dtNAAAAMAAJ&pg=PA318-IA1&l#v=onepage&q&f=false
La Civiltà Cattolica1980Il contributo della Compagnia di Gesù alla preparazione
dell'enciclica “Aeterni Patris.”
soria: Raccolta di opuscoli Giovanni Gualberto
De Soria (Sant'Andrea a Lama filosofo. Nato forse a Pisa, e non a Livorno come
sostenuto da alcuni autori, da Enrico e da Maria Elisabetta delle Sedie da
Calci, la famiglia paterna risiedeva da tempo a Sant'Ilario in Campo,
nell'isola d'Elba ed era probabilmente di origine spagnola. Giovanni Gualberto
De Soria fu un filosofo appartenente alla corrente del sensismo, insegnò all'Pisa,
combatté il cartesianesimo ed esaltò Galileo Galilei. Nel 1741 scrisse l'opera Rationalis
Philosophiae Institutiones. Dal 1742 al
1746 fu direttore della Biblioteca universitaria di Pisa. Nel 1766 pubblicò a Pisa la Raccolta di
opuscoli filosofici, e filologici. Il
primo tomo di tale opera comprende Della Immaterialità delle Nature
Intelligenti, Della Potenza che ha lo Spirito Umano di determinar se medesimo
chiamata Libertà, Il virtuoso Regime del proprio Corpo è un Bene indispensabile
per la Felicità della Vita e Della natural dipendenza della Salute Corporea
dall'Ilarità dello Spirito. Il secondo tomo comprende Della Simpatia e un
Dialogo tra un Cav. Francese, e un Italiano, seguiti dall’Esame del Giudizio di
Monsieur Du Fresnoy circa Michelangelo. Nel terzo si trovano Sulle Metamorfosi
degl'Insetti e Degl'Influssi Celesti, seguiti da una Dissertazione Accademica
sull'Innesto e da La Teoria de' Fosfori, e de' loro divarj. Giovanni Gualberto De Soria fu allievo di
Luigi Guido Grandi, e segnò il passaggio della scuola galileiana verso
l'Illuminismo. De Soria individuò, "nello sviluppo economico il centro
dell'interesse dell'attività politica".
È sepolto nella chiesa di Sant'Andrea a Lama, in provincia di Pisa,
paese di origine della madre. Note Il cognome è attestato anche come Soria. Ugo
Baldini, De Soria, Giovanni Gualberto, in "Dizionario biografico degli
italiani", Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, De Soria (o Soria)
è attestato anche a Livorno ed è appartenuto a una nota famiglia ebraica locale
di origine sefardita, proveniente dalla Spagna o Portogallo Cfr. Renzo Toaff,
La nazione ebrea a Livorno e a Pisa L.S.
Olschki, Firenze, Gualberto De Soria, su Treccani.itEnciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Giovanni Gualberto De Soria, in Dizionario biografico degli italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Opere di Giovanni Gualberto De Soria / Giovanni Gualberto De Soria
(altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Giovanni
Gualberto De Soria.
sorrentino: Sergio Sorrentino (Carbonara di Nola),
filosofo. Docente di filosofia a Salerno.
È tra i massimi esperti italiani del filosofo e teologo tedesco
Friedrich Schleiermacher, ma oltre alle letture di carattere
teologico-religioso, è anche ideatore di una filosofia autonoma ed originale.
Sorrentino è infatti convinto che si debba ricercare una connessione tra le
varie forme di sapere, spesso rinchiuse nell'ambito dei propri specialismi e
pertanto sterili. Dopo un periodo di
studio passato in Italia (Milano, Napoli) e l'estero (Tubinga, Heidelberg) si
laurea in Filosofia presso l'Università degli Studi di Napoli "Federico
II". Consegue la laurea in teologia presso la facoltà teologica "San
Luigi" di Napoli è ricercatore a Salerno. Rceve una borsa di formazione a
Gottinga, a Kiel e a Monaco. Nel 1980
diviene ricercatore confermato a Salerno e dal 1995/96 è docente, tuttora in
ruolo, di Filosofia della religione preso la medesima università. Pensiero Il pensiero di Sorrentino si
sviluppa soprattutto intorno a tematiche come il dibattito sulla religione,
inteso nel senso di una problematizzazione e di una tematizzazione del
religioso nella società moderna e contemporanea, a partire dal tardo
Illuminismo fin ai giorni nostri. Sorrentino cerca di inquadrare il pensiero
filosofico relativo all'etica e alla religione. Da qui parte il tentativo di
una tematizzazione filosofica della dimensione simbolica. Il motore della
ricerca è il tentativo di giungere ad una forma di connessione dei saperi che
possa superare le difficoltà e le incomprensioni del mondo contemporaneo, non
solo in ambito filosofico. Opere: Monografie
(selezione) La teologia della secolarizzazione in Dietrich Bonhoeffer, Chiesa,
mondo e storia nel pensiero del secolo XIX, Schleiermacher e la filosofia della
religione, Ermeneutica e filosofia trascendentale, Filosofia ed esperienza
religiosa, Realtà del senso e universo religioso. Per un approccio trascendentale
al fenomeno religioso, Traduzioni (selezione) F. Schleiermacher, La dottrina
della fede, F. Schleiermacher, Il valore della vita, F. Schleiermacher,
Dialettica, Volumi (selezione) Schleiermacher's Philosophy and the
philosophical Tradition, Barth in discussione, Obbedire al tempo. L'attesa nel
pensiero filosofico, politico ereligioso di Simone Weil, La dialettica nella
cultura romantica, con Terrence N. Tice Religione e religioni a partire dai “Discorsi”
di Schleiermacher,Il prisma della rivelazione. Una nozione alla prova di
religioni e saperi, L'eredità dell'Illuminismo e la critica della religione, Diversità
e rapporto tra culture, Le ragioni del dialogo. Grammatica del rapporto tra le
religioni, Nichilismo e questione del senso, Teologia naturale e teologia
filosofica, La libertà in discussione, Le ragioni del dialogo. Grammatica del rapporto
fra le religioni, con Francesco Saverio Festa, La persona come paradigma di
senso. Dibattito sull'eredità di Mounier, con Giuseppe Limone, La teologia politica in discussione, con Hagar
Spano, Università degli Studi di Salerno, su unisa.it. Giornale di filosofia
della religione, su aifr.it.
sozzini: -- Socinianism, NELLA PRIMA METÀ DEL SEDICESIMO SECOLO NACQUERO IN QUESTA CASA LELIO E
FAUSTO SOZZINI LETTERATI INSIGNI FILOSOFI SOMMI DELLA LIBERTÀ DI PENSIERO
STRENUI PROPUGNATORI ______ CONTRO IL SOPRANNATURALE VINDICI DELLA UMANA
RAGIONE FONDARONO LA CELEBRE SCUOLA SOCINIANA PRECORRENDO DI TRE SECOLI LE
DOTTRINE DEL MODERNO RAZIONALISMO. I LIBERALI SENESI AMMIRATORI REVERENTI
QUESTA MEMORIA POSERO 1879 a movement originating in the sixteenth century
from the work of reformer Laelius
Socinus “Sozzini” and his nephew Faustus Socinus. Born in Siena of a patrician family, Sozzini
is widely read. Influenced by the evangelical movement, Sozzini makes contact
with noted Protestant reformers, including Calvin and Melanchthon, some of whom
questioned his orthodoxy. In response, Sozzini writes a confession of faith,
one of a small number of his writings to have survived. After his death,
Sozzini’s oeuvre was carried on by his nephew, Faustus, whose writings
including “On the Authority of Scripture,” “On the Savior Jesus Christ,” and “On Predestination,” expressed heterodox
views. Sozzini believed that Christ’s nature is entirely human, that the souls
does not possess immortality by nature though there is selective resurrection
for believers, that invocation of Christ in prayer is permissible but not
required, and he argues, like Grice, Pears, and Thomson, against
predestination. After publication of his writings, Sozzini is invited to Transylvania
and Poland to engage in a dispute within the Reformed churches there. He
decides to make his permanent residence in Poland, which, through his tireless
efforts, became the center of the Socinian movement. The most important
document of this movement was the Racovian Catechism, published shortly after
Faustus’s death. The Minor church of Poland, centered at Racov, became the
focal point of the movement. Its academy attracted hundreds of students and its
publishing house produced books in many languages defending Socinian ideas.
Socinianism, as represented by the Racovian Catechism and other writings
collected by Faustus’s disciples, involves the views of Laelius and especially
Faustus Socinus, aligned with the anti-Trinitarian views of the Polish Minor
church.. It accepts Christ’s message as the definitive revelation of God, but
regards Christ as human, not divine; rejects the natural immortality of the
soul, but argues for the selective resurrection of the faithful; rejects the
doctrine of the Trinity; emphasizes human free will against predestinationism;
defends pacifism and the separation of church and state; and argues that
reason not creeds, dogmatic tradition,
or church authority must be the final
interpreter of Scripture. Its view of God is temporalistic: God’s eternity is
existence at all times, not timelessness, and God knows future free actions
only when they occur. In these respects, the Socinian view of God anticipates
aspects of modern process theology. Socinianism was suppressed in Poland in
1658, but it had already spread to other European countries, including Holland
where it appealed to followers of Arminius and England, where it influenced the
Cambridge Platonists, Locke, and other philosophers, as well as scientists like
Newton. In England, it also influenced and was closely associated with the
development of Unitarianism. H. P.
Grice, “Sozzini, rationalism, and moi.”
solus ipse, solipsism: Grice: “If my theory of conversation has
any value, is the refutation of solipsism!” -- the doctrine that there exists a
firstperson perspective possessing privileged and irreducible characteristics,
in virtue of which we stand in various kinds of isolation from any other
persons or external things that may exist. This doctrine is associated with but
distinct from egocentricism. On one variant of solipsism Thomas Nagel’s we are
isolated from other sentient beings because we can never adequately understand
their experience empathic solipsism. Another variant depends on the thesis that
the meanings or referents of all words are mental entities uniquely accessible
only to the language user semantic solipsism. A restricted variant, due to
Vitters, asserts that first-person ascriptions of psychological states have a
meaning fundamentally different from that of second- or thirdperson ascriptions
psychological solipsism. In extreme forms semantic solipsism can lead to the
view that the only things that can be meaningfully said to exist are ourselves
or our mental states ontological solipsism. Skepticism about the existence of
the world external to our minds is sometimes considered a form of
epistemological solipsism, since it asserts that we stand in epistemological
isolation from that world, partly as a result of the epistemic priority
possessed by firstperson access to mental states. In addition to these
substantive versions of solipsism, several variants go under the rubric
methodological solipsism. The idea is that when we seek to explain why sentient
beings behave in certain ways by looking to what they believe, desire, hope,
and fear, we should identify these psychological states only with events that
occur inside the mind or brain, not with external events, since the former
alone are the proximate and sufficient causal explanations of bodily behavior.
sophisma: Grice’s favourite for a time was “Have you stopped
beating your wife.” In “Presupposition and conversational implicature,” he does
admit that he has grown tired of it, what he calls his having had his eyes
glued to “the inquiry whether you have left off beating your wife” --. an
utterance illustrating a semantic or logical issue associated with the analysis
of a syncategorematic term, or a term lacking independent signification.
Typically a sophisma was used from the thirteenth century into the sixteenth
century to analyze relations holding between logic or semantics and broader
philosophical issues. For example, the syncategorematic term ‘besides’ praeter
in ‘Socrates twice sees every man besides Plato’ is ambiguous, because it could
mean ‘On two occasions Socrates sees every-man-but-Plato’ and also ‘Except for
overlooking Plato once, on two occasions Socrates sees every man’. Roger Bacon
used this sophisma to discuss the ambiguity of distribution, in this case, of
the scope of the reference of ‘twice’ and ‘besides’. Sherwood used the sophisma
to illustrate the applicability of his rule of the distribution of ambiguous
syncategoremata, while Pseudo-Peter of Spain uses it to establish the truth of
the rule, ‘If a proposition is in part false, it can be made true by means of
an exception, but not if it is completely false’. In each case, the philosopher
uses the ambiguous signification of the syncategorematic term to analyze
broader logical problems. The sophisma ‘Every man is of necessity an animal’
has ambiguity through the syncategorematic ‘every’ that leads to broader
philosophical problems. In the 1270s, Boethius of Dacia analyzed this sophisma
in terms of its applicability when no man exists. Is the knowledge derived from
understanding the proposition destroyed when the object known is destroyed?
Does ‘man’ signify anything when there are no men? If we can correctly
predicate a genus of a species, is the nature of the genus in that species
something other than, or distinct from, what finally differentiates the
species? In this case, the sophisma proves a useful approach to addressing
metaphysical and epistemological problems central to Scholastic discourse. sophisma: Grice: “Literally, a
wisecrack.” “’Sophisma’ is a very Griceian and Grecian pun on ‘sophos,’ the
wise men of Gotham -- any of a number of ancient Grecians, roughly
contemporaneous with Socrates, who professed to teach, for a fee, rhetoric,
philosophy, and how to succeed in life. They typically were itinerants,
visiting much of the Grecian world, and gave public exhibitions at Olympia and
Delphi. They were part of the general expansion of Grecian learning and of the
changing culture in which the previous informal educational methods were
inadequate. For example, the growing litigiousness of Athenian society demanded
Solovyov, Vladimir Sophists 862 862
instruction in the art of speaking well, which the Sophists helped fulfill. The
Sophists have been portrayed as intellectual charlatans hence the pejorative
use of ‘sophism’, teaching their sophistical reasoning for money, and at the
other extreme as Victorian moralists and educators. The truth is more complex.
They were not a school, and shared no body of opinions. They were typically
concerned with ethics unlike many earlier philosophers, who emphasized physical
inquiries and about the relationship between laws and customs nomos and nature
phusis. Protagoras of Abdera c.490c.420 B.C. was the most famous and perhaps
the first Sophist. He visited Athens frequently, and became a friend of its
leader, Pericles; he therefore was invited to draw up a legal code for the
colony of Thurii 444. According to some late reports, he died in a shipwreck as
he was leaving Athens, having been tried for and found guilty of impiety. He
claimed that he knew nothing about the gods, because of human limitations and
the difficulty of the question. We have only a few short quotations from his
works. His “Truth” also known as the “Throws,” i.e., how to overthrow an
opponent’s arguments begins with his most famous claim: “Humans are the measure
of all things of things that are, that
they are, of things that are not, that they are not.” That is, there is no
objective truth; the world is for each person as it appears to that person. Of
what use, then, are skills? Skilled people can change others’ perceptions in
useful ways. For example, a doctor can change a sick person’s perceptions so
that she is healthy. Protagoras taught his students to “make the weaker
argument the stronger,” i.e., to alter people’s perceptions about the value of
arguments. Aristophanes satirizes Protagoras as one who would make unjust
arguments defeat just arguments. This is true for ethical judgments, too: laws
and customs are simply products of human agreement. But because laws and customs
result from experiences of what is most useful, they should be followed rather
than nature. No perception or judgment is more true than another, but some are
more useful, and those that are more useful should be followed. Gorgias
c.483376 was a student of Empedocles. His town, Leontini in Sicily, sent him as
an ambassador to Athens in 427; his visit was a great success, and the
Athenians were amazed at his rhetorical ability. Like other Sophists, he
charged for instruction and gave speeches at religious festivals. Gorgias
denied that he taught virtue; instead, he produced clever speakers. He insisted
that different people have different virtues: for example, women’s virtue
differs from men’s. Since there is no truth and if there were we couldn’t know
it, we must rely on opinion, and so speakers who can change people’s opinions
have great power greater than the power
produced by any other skill. In his “Encomium on Helen” he argues that if she
left Menelaus and went with Paris because she was convinced by speech, she
wasn’t responsible for her actions. Two paraphrases of Gorgias’s “About What
Doesn’t Exist” survive; in this he argues that nothing exists, that even if
something did, we couldn’t know it, and that even if we could know anything we
couldn’t explain it to anyone. We can’t know anything, because some things we
think of do not exist, and so we have no way of judging whether the things we
think of exist. And we can’t express any knowledge we may have, because no two
people can think of the same thing, since the same thing can’t be in two
places, and because we use words in speech, not colors or shapes or objects.
This may be merely a parody of Parmenides’ argument that only one thing exists.
Antiphon the Sophist fifth century is probably although not certainly to be
distinguished from Antiphon the orator d. 411, some of whose speeches we
possess. We know nothing about his life if he is distinct from the orator. In
addition to brief quotations in later authors, we have two papyrus fragments of
his “On Truth.” In these he argues that we should follow laws and customs only
if there are witnesses and so our action will affect our reputation; otherwise,
we should follow nature, which is often inconsistent with following custom.
Custom is established by human agreement, and so disobeying it is detrimental
only if others know it is disobeyed, whereas nature’s demands unlike those of
custom can’t be ignored with impunity. Antiphon assumes that rational actions
are selfinterested, and that justice demands actions contrary to
self-interest a position Plato attacks
in the Republic. Antiphon was also a materialist: the nature of a bed is wood,
since if a buried bed could grow it would grow wood, not a bed. His view is one
of Aristotle’s main concerns in the Physics, since Aristotle admits in the
Categories that persistence through change is the best test for substance, but
won’t admit that matter is substance. Hippias fifth century was from Elis, in
the Peloponnesus, which used him as an ambasSophists Sophists 863 863 sador. He competed at the festival of
Olympus with both prepared and extemporaneous speeches. He had a phenomenal
memory. Since Plato repeatedly makes fun of him in the two dialogues that bear
his name, he probably was selfimportant and serious. He was a polymath who
claimed he could do anything, including making speeches and clothes; he wrote a
work collecting what he regarded as the best things said by others. According
to one report, he made a mathematical discovery the quadratrix, the first curve
other than the circle known to the Grecians. In the Protagoras, Plato has
Hippias contrast nature and custom, which often does violence to nature.
Prodicus fifth century was from Ceos, in the Cyclades, which frequently
employed him on diplomatic missions. He apparently demanded high fees, but had
two versions of his lecture one cost
fifty drachmas, the other one drachma. Socrates jokes that if he could have
afforded the fifty-drachma lecture, he would have learned the truth about the
correctness of words, and Aristotle says that when Prodicus added something
exciting to keep his audience’s attention he called it “slipping in the
fifty-drachma lecture for them.” We have at least the content of one lecture of
his, the “Choice of Heracles,” which consists of banal moralizing. Prodicus was
praised by Socrates for his emphasis on the right use of words and on
distinguishing between synonyms. He also had a naturalistic view of the origin
of theology: useful things were regarded as gods.
sort: Grice, “One of the few technicisms introduced by an
English philosopher, in this case Locke.”a sortal predicate, roughly, a
predicate whose application to an object says what kind of object it is and
implies conditions for objects of that kind to be identical. Person, green apple,
regular hexagon, and pile of coal would generally be regarded as sortal
predicates, whereas tall, green thing, and coal would generally be regarded as
non-sortal predicates. An explicit and precise definition of the distinction is
hard to come by. Sortal predicates are sometimes said to be distinguished by
the fact that they provide a criterion of counting or that they do not apply to
the parts of the objects to which they apply, but there are difficulties with
each of these characterizations. The notion figures in recent philosophical
discussions on various topics. Robert Ackermann and others have suggested that
any scientific law confirmable by observation might require the use of sortal
predicates. Thus ‘all non-black things are non-ravens’, while logically
equivalent to the putative scientific law ‘all ravens are black’, is not itself
confirmable by observation because ‘non-black’ is not a sortal predicate. David
Wiggins and others have discussed the sortal sortal predicate 865 865 idea that all identity claims are
sortal-relative in the sense that an appropriate response to the claim a % b is
always “the same what as b?” John Wallace has argued that there would be
advantages in relativizing the quantifiers of predicate logic to sortals. ‘All
humans are mortal’ would be rendered Ex[m]Dx, rather than ExMxPDx. Crispin
Wright has suggested that the view that natural number is a sortal concept is
central to Frege’s or any other number-theoretic platonism. The word ‘sortal’
as a technical term in philosophy apparently first occurs in Locke’s Essay
Concerning Human Understanding. Locke argues that the so-called essence of a
genus or sort unlike the real essence of a thing is merely the abstract idea
that the general or sortal name stands for. But ‘sortal’ has only one
occurrence in Locke’s Essay. Its currency in contemporary philosophical idiom
probably should be credited to P. F. Strawson’s Individuals. The general idea
may be traced at least to the notion of second substance in Aristotle’s
Categories.
Sotione, teacher of Seneca. In glossary to Roman
philosophers, in “Roman philosophers.”
Animatum -- soul: -- cf. Grice on “soul-to-soul transfer” -- also
called spirit, an entity supposed to be present only in living things,
corresponding to the Grecian psyche and Latin anima. Since there seems to be no
material difference between an organism in the last moments of its life and the
organism’s newly dead body, many philosophers since the time of Plato have
claimed that the soul is an immaterial component of an organism. Because only
material things are observed to be subject to dissolution, Plato took the
soul’s immateriality as grounds for its immortality. Neither Plato nor
Aristotle thought that only persons had souls: Aristotle ascribed souls to
animals and plants since they all exhibited some living functions. Unlike
Plato, Aristotle denied the transmigration of souls from one species to another
or from one body to another after death; he was also more skeptical about the
soul’s capacity for disembodiment
roughly, survival and functioning without a body. Descartes argued that
only persons had souls and that the soul’s immaterial nature made freedom possible
even if the human body is subject to deterministic physical laws. As the
subject of thought, memory, emotion, desire, and action, the soul has been
supposed to be an entity that makes self-consciousness possible, that
differentiates simultaneous experiences into experiences either of the same
person or of different persons, and that accounts for personal identity or a
person’s continued identity through time. Dualists argue that soul and body
must be distinct in order to explain consciousness and the possibility of
immortality. Materialists argue that consciousness is entirely the result of
complex physical processes.
soundness: Grice: “The etymology if fascinating.” The English
Grice. "Most of the terms I use are
Latinate." "I implicate: a few are not." "I say that System
G should be sound." "free from special defect or injury," c.
1200, from Old English gesund "sound, safe, having the organs and
faculties complete and in perfect action," from Proto-Germanic *sunda-,
from Germanic root *swen-to- "healthy, strong" (source also of Old
Saxon gisund, Old Frisian sund, Dutch gezond, Old High German gisunt, German
gesund "healthy," as in the post-sneezing interjection gesundheit;
also Old English swið "strong," Gothic swinþs "strong,"
German geschwind "fast, quick"), with connections in Indo-Iranian and
Balto-Slavic. Meaning "right, correct, free from error" is from
mid-15c. Meaning "financially solid or safe" is attested from c.
1600; of sleep, "undisturbed," from 1540s. Sense of "holding
accepted opinions" is from 1520s Grice: “’sound’ is not polysemous,
but it has different usages: of an argument the property of being valid and
having all true premises; of a system, like Sytem G, the property of being not too strong in a
certain respect. A System G has weak
soundness provided every theorem of G is
valid. And G has strong soundness if for every set S of sentences, every
sentence deducible from S using system G is a logical consequence of S.
spatium: space, an extended manifold of several dimensions, where
the number of dimensions corresponds to the number of variable magnitudes Soto,
Domingo de space 866 866 needed to
specify a location in the manifold; in particular, the three-dimensional
manifold in which physical objects are situated and with respect to which their
mutual positions and distances are defined. Ancient Grecian atomism defined
space as the infinite void in which atoms move; but whether space is finite or
infinite, and whether void spaces exist, have remained in question. Aristotle
described the universe as a finite plenum and reduced space to the aggregate of
all places of physical things. His view was preeminent until Renaissance
Neoplatonism, the Copernican revolution, and the revival of atomism
reintroduced infinite, homogeneous space as a fundamental cosmological
assumption. Further controversy concerned whether the space assumed by early
modern astronomy should be thought of as an independently existing thing or as
an abstraction from the spatial relations of physical bodies. Interest in the
relativity of motion encouraged the latter view, but Newton pointed out that
mechanics presupposes absolute distinctions among motions, and he concluded
that absolute space must be postulated along with the basic laws of motion
Principia, 1687. Leibniz argued for the relational view from the identity of
indiscernibles: the parts of space are indistinguishable from one another and
therefore cannot be independently existing things. Relativistic physics has
defused the original controversy by revealing both space and spatial relations
as merely observer-dependent manifestations of the structure of spacetime.
Meanwhile, Kant shifted the metaphysical controversy to epistemological grounds
by claiming that space, with its Euclidean structure, is neither a
“thing-in-itself” nor a relation of thingsin-themselves, but the a priori form
of outer intuition. His view was challenged by the elaboration of non-Euclidean
geometries in the nineteenth century, by Helmholtz’s arguments that both
intuitive and physical space are known through empirical investigation, and
finally by the use of non-Euclidean geometry in the theory of relativity.
Precisely what geometrical presuppositions are inherent in human spatial
perception, and what must be learned from experience, remain subjects of
psychological investigation. -- space-time: a four-dimensional
continuum combining the three dimensions of space with time in order to
represent motion geometrically. Each point is the location of an event, all of
which together represent “the world” through time; paths in the continuum
worldlines represent the dynamical histories of moving particles, so that
straight worldlines correspond to uniform motions; three-dimensional sections
of constant time value “spacelike hypersurfaces” or “simultaneity slices”
represent all of space at a given time. The idea was foreshadowed when Kant
represented “the phenomenal world” as a plane defined by space and time as
perpendicular axes Inaugural Dissertation, 1770, and when Joseph Louis Lagrange
17361814 referred to mechanics as “the analytic geometry of four dimensions.”
But classical mechanics assumes a universal standard of simultaneity, and so it
can treat space and time separately. The concept of space-time was explicitly
developed only when Einstein criticized absolute simultaneity and made the
velocity of light a universal constant. The mathematician Hermann Minkowski
showed in 8 that the observer-independent structure of special relativity could
be represented by a metric space of four dimensions: observers in relative
motion would disagree on intervals of length and time, but agree on a
fourdimensional interval combining spatial and temporal measurements.
Minkowski’s model then made possible the general theory of relativity, which
describes gravity as a curvature of spacetime in the presence of mass and the
paths of falling bodies as the straightest worldlines in curved
space-time. -- spatio-temporal continuancy: or continunity, a property of the
careers, or space-time paths, of well-behaved objects. Let a space-time path be
a series of possible spatiotemporal positions, each represented in a selected
coordinate system by an ordered pair consisting of a time its temporal
component and a volume of space its spatial component. Such a path will be
spatiotemporally continuous provided it is such that, relative to any inertial
frame selected as coordinate system, space, absolute spatiotemporal continuity
867 867 1 for every segment of the
series, the temporal components of the members of that segment form a
continuous temporal interval; and 2 for any two members ‹ti, Vi and ‹tj, Vj of
the series that differ in their temporal components ti and tj, if Vi and Vj the
spatial components differ in either shape, size, or location, then between
these members of the series there will be a member whose spatial component is
more similar to Vi and Vj in these respects than these are to each other. This
notion is of philosophical interest partly because of its connections with the
notions of identity over time and causality. Putting aside such qualifications
as quantum considerations may require, material objects at least macroscopic
objects of familiar kinds apparently cannot undergo discontinuous change of
place, and cannot have temporal gaps in their histories, and therefore the path
through space-time traced by such an object must apparently be spatiotemporally
continuous. More controversial is the claim that spatiotemporal continuity,
together with some continuity with respect to other properties, is sufficient
as well as necessary for the identity of such objects e.g., that if a spatiotemporally continuous
path is such that the spatial component of each member of the series is
occupied by a table of a certain description at the time that is the temporal
component of that member, then there is a single table of that description that
traces that path. Those who deny this claim sometimes maintain that it is
further required for the identity of material objects that there be causal and
counterfactual dependence of later states on earlier ones ceteris paribus, if
the table had been different yesterday, it would be correspondingly different
now. Since it appears that chains of causality must trace spatiotemporally
continuous paths, it may be that insofar as spatiotemporal continuity is
required for transtemporal identity, this is because it is required for
transtemporal causality. Refs.: H. P. Grice and P. F. Strawson, “Categories,”
in The H. P. Grice Papers, BANC MSS 90/135c, The Bancroft Library, The
University of California, Berkeley.
specious
present: the supposed time between
past and future. The phrase was first offered by Clay in “The Alternative: A Study in
Psychology,” and is cited by James in his
Principles of Psychology Clay challenges
the assumption that the “present” as a “datum” is given as “present” to us in
our experience. “The present to which the datum refers is really a part of the *past*,
a recent past delusively given as benign
time that intervenes between the past and the future. Let it be named ‘the
specious present,’ and let the past that is given as being the past be known as
‘the obvious past.’” For James, this position is supportive of his contention
that consciousness (conscientia) is a stream and can be divided into parts only
by conceptual addition, i.e., only by our ascribing past, present, and future
to what is, in our actual experience, a seamless flow. James holds that the
“practically cognized present is no knife-edge but a saddleback,” a sort of
“ducatum” which we experience as a whole, and only upon reflective attention do
we “distinguish its beginning from its end.” Whereas Clay refers to the datum
of the present as “delusive,” one might rather say that it is perpetually *elusive*,
for as we have our experience, now, it is always bathed retrospectively and
prospectively. Contrary to common wisdom, no single experience ever is had by
our consciousness utterly alone, single and without relations, fore and aft.
Refs.: H. P. Grice, “The logical-construction theory of personal identity.”
speculatum: Grice: “Philosophy may broadly be divided into ‘philosophia
speculativa” and “philosophia practica.”” -- speculative philosophy, a form of
theorizing that goes beyond verifiable observation; specifically, a
philosophical approach informed by the impulse to construct a grand narrative
of a worldview that encompasses the whole of reality. Speculative philosophy
purports to bind together reflections on the existence and nature of the
cosmos, the psyche, and God. It sets for its goal a unifying matrix and an
overarching system whereswith to comprehend the considered judgments of
cosmology, psychology, and theology. Hegel’s absolute idealism, particularly as
developed in his later thought, paradigmatically illustrates the requirements
for speculative philosophizing. His system of idealism offered a vision of the
unity of the categories of human thought as they come to realization in and
through their opposition to each other. Speculative thought tends to place a
premium on universality, totality, and unity; and it tends to marginalize the
concrete particularities of the natural and social world. In its aggressive use
of the systematic principle, geared to a unification of human experience,
speculative philosophy aspires to a comprehensive understanding and explanation
of the structural interrelations of the culture spheres of science, morality,
art, and religion. Refs.: H. P. Grice, “Practical and doxastic attitudes: why I
need exhibitive clauses.”
SISTENS
-- CUM-SISTENS -- consistens: “There’s
consistens, and there’s inconsistens.”H. P. Grice. The inconsistent triad, most
generally, any three propositions such that it cannot be the case that all
three of them are true. More narrowly, any three categorical propositions such
that it cannot be the case that all three of them are true. A categorical
syllogism is valid provided the three propositions that are its two premises
and the negation (contradiction) of its conclusion are an inconsistent triad;
this fact underlies a test for the validity of categorical syllogisms, which
test are thus called by Grice the “method of” the inconsistent triad.
spencer: English philosopher, social reformer, and editor of
The Economist. In epistemology, Spencer adopted the ninespeculative reason
Spencer, Herbert 869 869 teenth-century
trend toward positivism: the only reliable knowledge of the universe is to be
found in the sciences. His ethics were utilitarian, following Bentham and J. S.
Mill: pleasure and pain are the criteria of value as signs of happiness or
unhappiness in the individual. His Synthetic Philosophy, expounded in books
written over many years, assumed both in biology and psychology the existence
of Lamarckian evolution: given a characteristic environment, every animal
possesses a disposition to make itself into what it will, failing maladaptive
interventions, eventually become. The dispositions gain expression as inherited
acquired habits. Spencer could not accept that species originate by chance
variations and natural selection alone: direct adaptation to environmental
constraints is mainly responsible for biological changes. Evolution also
includes the progression of societies in the direction of a dynamical
equilibrium of individuals: the human condition is perfectible because human faculties
are completely adapted to life in society, implying that evil and immorality
will eventually disappear. His ideas on evolution predated publication of the
major works of Darwin; A. R. Wallace was influenced by his writings. Refs.: H.
P. Grice, “Evolutionary pirotology,” in “Method in philosophical psychology:
from the banal to the bizarre.”
spadaro: Antonio Spadaro, all'anagrafe Antonino
(Messina), filosofo. Laureato in Filosofia a Messina, entra subito dopo nel
noviziato della Compagnia di Gesù. Insegna lettere a Roma per 2 anni dal 1991
al 1993. Il 21 dicembre 1996 riceve l'ordinazione presbiterale e il 24 maggio
2007 pronuncia i voti solenni nella Compagnia di Gesù. Consegue la licenza in
Teologia Fondamentale, il diploma in Comunicazioni Sociali, il dottorato di
ricerca in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma.
Completa la sua formazione negli Stati Uniti, nella Provincia dei gesuiti di
Chicago. Comincia a scrivere per la rivista La Civiltà Cattolica e dal 1998
entra a far parte in maniera stabile della redazione. Si occupa soprattutto di
teoria della letteratura e di critica letteraria, in particolare legata ad
autori contemporanei italiani (tra questi, Cesare Pavese, Alda Merini, Giorgio
Bassani, Mario Luzi, Pier Vittorio Tondelli) e scrittori statunitensi (dai
classici come Emily Dickinson, Walt Withman, Flannery O'Connor e Jack London ai
contemporanei come Jack Kerouac, Raymond Carver). Tra le materie che tratta vi
sono anche la musica (Bruce Springsteen, Tom Waits, Nick Drake, Nick Cave),
l'arte contemporanea (Mark Rothko, Edward Hopper, Andy Warhol, J.-M. Basquiat),
il cinema e le nuove tecnologie della comunicazione e il loro impatto sul modo
di vivere e pensare (in particolare su , Second Life, sulla lettura digitale, sui
vari social networks, sulla filosofia Hacker o sulla Cyberteologia). Ha fondato BombaCarta, un progetto culturale
che coordina iniziative di scrittura creativa, produzione video e lettura anche
su internet. È curatore della collana di poesia L'Oblò delle edizioni Ancora. Insegna
presso il Centro Interdisciplinare di Comunicazione Sociale (CICS) della
Pontificia Università Gregoriana -- è a
capo del comitato scientifico "La sfida e l'esperienza" che raccoglie
docenti e manager interessati ai temi della spiritualità e dell'innovazione.
Dal 2004 al 2009 viene incaricato di coordinare le attività culturali della
Compagnia di Gesù in Italia. Sabato 24 febbraio 2007 è il relatore principale
al primo evento organizzato dai Gesuiti sulla musica rock nel quale riabilita
la dignità musicale (non liturgica) del genere nel suo complesso, limitandone
la condanna alla valutazione di rari e singoli casi. Padre Antonio Spadaro davanti alla raccolta
completa di La Civiltà Cattolica. Diviene Rettore della Comunità dei gesuiti de
La Civiltà Cattolica. Il 6 settembre è
annunciata la sua nomina a direttore della rivista.. Nel numero del 1º
ottobre della rivista è apparso il suo
articolo di presentazione nella nuova veste di direttore. La sua attività in Rete è legata, oltre alla
presenza nei social network, anche allun sito personale e di due blog: uno
dedicato alla CyberTeologia e uno dedicato alla scrittrice statunitense
Flannery O'Connor. Il 10 dicembre , papa
Benedetto XVI lo nomina consultore del Pontificio Consiglio della Cultura e il
29 dicembre anche consultore del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni
Sociali. Nel gennaio ha ricevuto a
Caserta il prestigioso premio "Le Buone NotizieCivitas Casertana",
uno dei più importanti premi di giornalismo italiani, unico nel suo genere a
livello internazionale. Ad agosto incontra più volte papa Francesco per conto
de La Civiltà Cattolica e di altre 15 riviste della Compagnia di Gesù. Il contenuto
delle conversazioni è stato pubblicato sotto forma di intervista a settembre ed ampiamente ripreso dalla stampa
internazionale. L'articolo di La Civiltà
Cattolica. Spadaro ha dedicato un articolo a . L'articolo analizza il
significato di nel contesto culturale
italiano, ne analizza la storia, e ne mette in evidenza pregi e limiti. La sua conclusione è: «Dalla descrizione e dalle valutazioni
compiute comprendiamo bene come
rappresenti un sogno illuminista di descrivere il mondo, che però si
scontra con le difficoltà di accreditarsi come compendio di sapere credibile,
mantenendo nel contempo anonimato, flessibilità e continua apertura a nuovi
collaboratori. Nello stesso tempo questa «utopia» rovescia il sogno
dell'enciclopedia tradizionale, intesa come costruzione autorevole, organica e
integrata del sapere. Infatti è come un
organismo vivente: cresce (al ritmo del 7% ogni mese), si "ammala", è
sottoposta a composizioni e scomposizioni interne, ad accrescimenti e riduzioni
continue. Ma soprattutto nasconde
un'altra utopia, a suo modo, ambigua: la democrazia assoluta del sapere e la
collaborazione delle intelligenze molteplici che dà vita a una sorta di
intelligenza collettiva. Questa utopia potrebbe nascondere una nuova forma di
"torre di Babele", che ha il suo tallone di Achille non solo
nell'inaffidabilità, ma anche nel relativismo.»
Concede un'intervista a Wikinotizie-Wiki@Home, pubblicata con il titolo
Antonio Spadaro: intervista al gesuita 2.0, nella quale commenta l'articolo e
spazia sulle tematiche inerenti e il
mondo della rete internet. Pubblicazioni
Tracce profonde. Il viaggio tra il reale e l'immaginario, Roma, Città Nuova, Radio
on. Tra le colonne sonore degli anni ‘90, Napoli, Giannini, 1996 (in collab.
con E. Crasto). Lo sguardo presente. Una lettura teologica di “Breve film
sull'amore di K. Kieslowski”, Rimini, Guaraldi, Del volume esiste anche una
versione elettronica. Pier Vittorio Tondelli. Attraversare l'attesa, Reggio
Emilia, Diabasis, “Laboratorio Under 25″. Tondelli e la nuova narrativa
italiana, Reggio Emilia, Diabasis, 2000. [Il volume è apparso anche come
pubblicazione digitale a puntate settimanali sul sito di RaiLibro della Radio
Televisione Italiana]. Carver. Un'acuta sensazione d'attesa, Padova, Messaggero
di Sant'Antonio Editrice, A che cosa
«serve» la letteratura?, Leumann (To)-Roma, ElleDiCiLa Civiltà Cattolica, [Premio Capri per la sezione Letteratura e
Premio Crotone sezione Giovane critici italiani] Lontano dentro se stessi.
L'attesa di salvezza in Pier Vittorio Tondelli, Milano, Jaca Book, Connessioni.
Nuove forme della cultura al tempo di internet, Bologna, Pardes [qui intervista sul libro a Radio Vaticana] La
grazia della parola. Karl Rahner e la poesia, Milano, Jaca Book, Nella melodia
della terra. La poesia di Karol Wojtyla, Milano, Jaca Book, Abitare nella possibilità. L'esperienza della
letteratura, I, Milano, Jaca Book,
L'altro fuoco. L'esperienza della letteratura,
II, Milano, Jaca Book, Alla ricerca del lupo. Genio, tensioni, vanità,
Bologna, Pardes, 2009. Nell'ombra accesa. Breviario poetico di Natale, Milano,
Ancora, . Web 2.0 Reti di relazione, Milano, Paoline, . Svolta di respiro.
Spiritualità della vita contemporanea, Milano, Vita & Pensiero, .
Cyberteologia. Pensare il cristianesimo al tempo della rete, Milano, Vita &
Pensiero, . Curatele Chris Cappell, Lasciami correre via, Padova, Messaggero,
2001. François Varillon, Traversate di un credente, Milano, Jaca Book, 2008.
Rowan Williams, La dodicesima notte, Milano, Ancora, Gerard Manley Hopkins, La freschezza più cara.
Poesie scelte, Milano, Rizzoli, Whitman, Canto una vita immensa, Milano,
Ancora, Un Dio sempre più grande. Pregare con i gesuiti, Milano, Ancora, .
Note Antonio Spadaro, Antonio
Spadarobio, su antoniospadaro.net. Antonio Spadaro, Antonio Spadarobio, su laciviltacattolica.it.
Antonio Spadaro, Antonio SpadaroSaggi su "La Civiltà Cattolica", su antoniospadaro.net.
Antonio Spadaro, BombaCarta, su bombacarta.com. accesso=16 agosto . Antonio Spadaro, L'OblòAncora, su
ancoralibri.it. Orazio La Rocca, I gesuiti benedicono il rock: "La musica
di Springsteen & Co parla all'anima", Repubblica. Padre Antonio
Spadaro nuovo direttore di Civiltà Cattolica: cogliere pienamente la sfida
digitale, su oecumene.radiovaticana.org. Antonio Spadaro, Antonio Spadarosocial
networks, su antoniospadaro.net. Antonio Spadaro, Antonio Spadaro, su antoniospadaro.net.
Antonio Spadaro, Cyberteologia, su cyberteologia.it. accesso=16 agosto . Antonio Spadaro, Flannery O'Connor, su
flanneryoconnor.it. accesso=16 agosto .
Nomina di consultori del Pontificio Consiglio della Cultura, su
press.catholica.va. Rinunce e nomine, su Bollettino della Santa Sede,
Bollettino della Santa Sede. Su La
Civiltà Cattolica la mia intervista a Papa Francesco, su cyberteologia.it, Antonio
Spadaro, Intervista a papa Francesco , in La Civiltà Cattolica, Copia archiviata,
su laciviltacattolica.it7)., La Civiltà Cattolica Antonio Spadaro: intervista
al gesuita, Opere di Antonio Spadaro. Registrazioni di Antonio Spadaro, su
RadioRadicale.it, Radio Radicale.
Antonio Spadaro: Cyberteologia, sul
RAI Filosofia, su filosofia.rai.it.
sparti: Davide Sparti (Roma), filosofo. È professore
a Siena, Pisa, e l'Università della Svizzera italiana. In passato ha insegnato
a Milano e l'Bologna. È cofondatore e membro del comitato di direzione della
rivista Studi culturali. Collabora a
numerose riviste scientifiche ("Iride", "Paradigmi",
"Rivista di estetica", "Rassegna italiana di sociologia",
"Intersezioni"). Dagli anni 2000 Sparti ha concentrato la sua
attenzione sull'estetica dell'improvvisazione.
Riconoscimenti "Research Fellow" della fondazione Humboldt
presso la Johann Wolfgang Goethe-Universität. "Fellow" del Collegium
Budapest-Institute For Advanced Study, in Ungheria. Note USIDati personali: Davide Sparti . Opere principali: “Se un leone potesse
parlare. Indagine sul comprendere e lo spiegare,” Firenze, Sansoni Sopprimere la lontananza uccide. Davidson e la
teoria dell'interpretazione, Firenze, Nuova Italia, Epistemologia delle scienze
sociali, Roma, Nuova Italia Scientifica, Soggetti al tempo. Identità personale
fra analisi filosofica e costruzione sociale, Milano, Feltrinelli, Identità e
coscienza, Bologna, Il Mulino Wittgenstein politico, (saggi di J.
Bouveresse, S. Cavell, D. Davidson, B. Williams, ed altri, introdotti e
trascelti da D. Sparti), Milano, Feltrinelli Die Unheimlichkeit des Gewoehnlichen und
andere philosophische Essays von Stanley Cavell, Herausgegeben von Davide Sparti,
Fischer Verlag Epistemologia delle
scienze sociali, nuova edizione riscritta ed allargata, Bologna, Mulino L'importanza di essere umani. Etica del
riconoscimento, Milano, Feltrinelli Suoni inauditi. L'improvvisazione nel jazz
e nella vita quotidiana, Bologna, Il Mulino Musica in nero. Il campo discorsivo del jazz,
Torino, Bollati Il corpo sonoro. Oralità
e scrittura nel jazz, Bologna, Il Mulino
L'identità incompiuta. Paradossi dell'improvvisazione musicale, Bologna,
Il Mulino Sul tango. L'improvvisazione
intima, Bologna, Il Mulin.
spaventa: Deputato del Regno d'Italia LegislatureVIII,
X, XI, XII Sito istituzionale Dati generali Titolo di studiolaurea ProfessioneDocente
universitario. Bertrando Spaventa (Bomba), filosofo. Fratello maggiore del
patriota Silvio Spaventa, Bertrando nacque da un'agiata famiglia borghese. Sua
madre, Maria Anna Croce, fu prozia di Croce. All'anagrafe venne registrato come
Beltrando. Studiò a Chieti ottenuto
l'incarico di docente di matematica, si trasferì col fratello a Montecassino.
La sua formazione continuò a Napoli, dove si dedicò anche allo studio del
tedesco; fu infatti tra i primi a studiare i filosofi tedesci in tedesco –
Grice: “Which is the right thing to do – and which Ryle, or Strawson, for that
matter – are unable to!” Si avvicinò ai
circoli liberali e a pensatori come Colecchi e Antonio Tari. Fondò una scuola o
academia di filosofia; inoltre partecipò alla redazione de Il Nazionale, il
giornale fondato e diretto dal fratello Silvio. Dopo l'abrogazione della
Costituzione da parte di Ferdinando II, fu costretto a lasciare Napoli per
trasferirsi prima a Firenze, quindi a Torino, dove divenne giornalista
scrivendo su giornali e riviste piemontesi: Il Progresso, Il Cimento, Il
Piemonte, Rivista Contemporanea. È nel periodo torinese che Spaventa si
avvicinò al pensiero di Hegel ed elaborò il proprio sistema filosofico e il
pensiero politico: pubblicò, tra l'altro, una serie di saggi in cui polemizzava
con La Civiltà Cattolica, rifiutando l'idea di religione come passo necessario
per lo sviluppo umano. Egli in tal modo condivise con altri esuli
napoletani gli stessi fermenti patriottici e liberali che avevano
nell'idealismo hegeliano il loro motivo ispiratore. «[...] In Napoli, sin
dal 1843 l'idea hegeliana penetrò nelle menti de' cultori della scienza, i
quali mossi come da santo amore si affratellavano, e con la voce e con gli
scritti la predicavano. Né i sospetti già desti della polizia, né le minacce e
le persecuzioni valsero ad infievolire la fede in questi arditi difensori della
indipendenza del pensiero; i numerosi studenti raccolti da tutti i punti del
Regno nella grande capitale disertavano le cattedre, ed accorrevano in folla ad
ascoltare la nuova parola. Era un bisogno irresistibile ed universale, che li
spingeva ad un ignoto e splendido avvenire, all'unità organica dei diversi rami
della cognizione umana; ifilosofi, partecipavano al general movimento, ed
ambivano soprattutto, come gli antichi italiani, di essere veri filosofi. Chi
può ridire la gioia, le speranze, l’entusiasmo di quel tempo? Chi può
ridire l’affetto col quale si amavano i maestri e gli allievi, e insieme
procedevano alla ricerca della verità? Era un culto, una religione ideale,
nella quale si mostravano degni nepoti dell'infelice Nolano.» Studii
sopra la filosofia di Hegel, Torino, «Rivista Italiana». Ottenne la cattedra di
Filosofia a Modena, poi quella di Storia della Filosofia presso l'Bologna e
Napoli. Tenne le lezioni in cui espose le sue teorie sul rapporto di
circolarità tra pensiero italiano ed europeo. Scopo di questa
interpretazione era quello di liberare la cultura filosofica italiana dal suo
provincialismo, attraverso la diffusione nella penisola dell'idealismo tedesco,
in particolare hegeliano. Fu anche deputato del Regno d'Italia per tre
legislature: fu sostenitore di una politica laica e legata ad un forte senso
dello Stato, considerato come sorgente dei princìpi e dei valori ispiratori di
un armonioso sviluppo civile, da cui gli individui e la comunità devono trarre
l'alimento necessario per una crescita «ordinata e corretta». Dottrina
Secondo Gentile, il pensiero di Bertrando Spaventa poggia su tre cardini
fondamentali: la tesi della «circolazione europea del pensiero italiano»
che dimostri il percorso dinamico della filosofia moderna attraverso l'Europa e
il suo ritorno in Italia dove aveva avuto origine; la riforma della dialettica
hegeliana, per salvare l'identità di essere e pensiero escludendo ogni
presupposto «oggettivo» esterno al pensare; il recupero dell'aspetto pratico
nel processo conoscitivo che eviti la caduta in un «astratto idealismo». La
circolazione del pensiero europeo La tesi spaventiana della circolazione del
pensiero europeo si articola in due passaggi: l'affermazione che la
filosofia italiana del Rinascimento, connotata dal naturalismo e
dall'immanentismo, ha precorso la filosofia moderna, giungendo attraverso
Spinoza agli idealisti tedeschi Fichte, Schelling, Hegel. il ritorno in Italia
della filosofia moderna, con la riappropriazione dei filoni spiritualistici
europei da parte di Rosmini e Gioberti. Mentre per la critica tradizionale la
filosofia italiana era caratterizzata dalla sua ininterrotta fedeltà alla linea
platonico-cristiana, lo Spaventa cercò di dimostrare, con gli studi dedicati al
pensiero del Rinascimento, che la filosofia moderna, laica e idealistica,
generalmente associata alla Riforma luterana, in realtà era nata in Italia, pur
essendosi arrestata poi a causa della Controriforma, per conoscere il suo
massimo sviluppo in Germania: egli interpretò con chiave di lettura hegeliana
questo progressivo passaggio dello Spirito filosofico dall'Italia all'Europa, e
il suo successivo ritorno, sottolineando la continuità del razionalismo di
Cartesio col principio innatistico di Tommaso Campanella della cognitio abdita,
dell'empirismo di John Locke con la campanelliana cognitio illata («nozione
acquisita»), dell'immanentismo di Baruch Spinoza col panteismo di Giordano
Bruno, del criticismo di Immanuel Kant con la «metafisica della mente» di Vico,
mentre poi Pasquale Galluppi e Antonio Rosmini si sarebbero riappropriati
inconsciamente di quello stesso spirito permeato dal kantismo, come Vincenzo
Gioberti di quello dell'idealismo tedesco. «Ripigliare il sacro filo
della nostra tradizione filosofica, ravvivare la coscienza del nostro libero
pensiero nello studio dei nostri maggiori filosofi, ricercare nelle filosofie
delle altre nazioni i germi ricevuti dai primi padri della nostra filosofia e
poi ritornati fra noi in forma nuova e più spiegata di sistema, comprendere
questa circolazione del pensiero italiano, della quale in gran parte noi
avevamo smarrito il sentimento, riconoscere questo ritorno del nostro pensiero
a sé stesso nel grande intuito speculativo del nostro ultimo filosofo [Hegel],
sapere insomma che cosa noi fummo, che cosa siamo e che cosa
dobbiamo essere nel movimento della filosofìa moderna, non come membri
isolati e scissi dalla vita universale dei popoli, nè come avvinti al carro
trionfale d'un popolo particolare, ma come nazione libera ed eguale nella
comunità delle nazioni: tale, o signori, è stato sempre il desiderio e
l'occupazione della mia vita.» (Bertrando Spaventa, Prolusione alle
lezioni di Storia della filosofia nell'Bologna, Modena, Regia Tipografia
Governativa, 1860) Uno dei propositi di Spaventa, giustificato dalla stessa
tesi della circolazione del pensiero europeo, era il tentativo di far uscire
gli intellettuali italiani dal provincialismo stagnante in cui versavano,
apportando loro gli elementi più innovativi del pensiero idealistico
d'oltralpe, per dare un fondamento filosofico-culturale al processo
rivoluzionario dell'unificazione nazionale. La rivoluzione storica da attuare,
per Spaventa, non era il programma neoguelfo del Primato morale e civile di
Gioberti che ripudiava in blocco la filosofia moderna, ma andava intesa
hegelianamente come «storia della libertà», nella quale lo spiritualismo non
significava un'involuzione, bensì un riallineamento alle nazioni più
avanzate. «Son molti ancora in Italia i quali tacciano di astratta e
oscura la filosofia alemanna e, reputandola contraria alla natura speculativa
dell'ingegno italiano, si accontentano di una maniera di sapere che non ha
nessuna connessione con la nostra tradizione filosofica; è un perpetuo
oltraggio alla memoria de' nostri sommi ed infelici pensatori, e la principal
cagione del decadimento della scienza tra noi. Costoro dimenticano la storia
del pensiero italiano, della quale furono gli eroi e martiri i nostri filosofi;
non ricordano i roghi di Giordano Bruno e di Giulio Vanini, la lunga prigionia
di Tommaso Campanella, e l'umile pietra che, nel tempio de' Gerolomini in
Napoli, ricopre le ceneri di Giovambattista Vico, ultima luce del nostro mondo
intellettuale. [...] Non i nostri filosofi degli ultimi duecento anni, ma
Spinoza, Kant, Fichte, Schelling ed Hegel, sono stati i veri discepoli di
Bruno, di Vanini, di Campanella, di Vico, ed altri illustri.» (Principii
di Filosofia). Spaventa non si limitò a recepire passivamente l'hegelismo, ma
diede avvio ad una sua profonda revisione, introducendovi temi originali che
cercò di riprendere dalla tradizione autoctona italiana. In particolare,
cercò di rispondere alle critiche di Trendelenburg, il quale non vedeva come
dal primo momento della Logica hegeliana, quello dell'Essere puro e indeterminato,
potesse scaturire il divenire dialettico del pensiero, se non tramite
un'indebita intromissione dal di fuori. Per dimostrare l'identità dell'essere
col pensare, e quindi che l'Idea è intrinseca alla realtà storica, avente come
scopo la libertà, Spaventa sostenne l'esigenza di «mentalizzare» o
«kantianizzare» la logica di Hegel, unificando quest'ultima con la
fenomenologia, cioè col percorso conoscitivo del singolo individuo umano, che
diventa progressivamente autocosciente di avere in se stesso, nella propria
mente, tutta la realtà assoluta logicamente articolata. Egli riformava
così la dialettica hegeliana nell'ottica di Kant e Fichte, ritenendo prevalente
l'atto soggettivo della coscienza trascendentale rispetto ad ogni presupposto
oggettivistico, valorizzando inoltre il momento finale dello Spirito rispetto
alle fasi precedenti della Logica e della Natura, situate fuori
dall'autocoscienza. È la Mente la protagonista di ogni originaria
produzione. In maniera simile a Kuno Fischer, infatti, la deduzione
hegeliana, che dalla contrapposizione di essere e nulla faceva scaturire il
divenire, venne intesa da Spaventa in senso kantiano e fichtiano dando il
primato alla sintesi unificatrice del divenire: è il pensare, nel suo perenne
fluire, che dà luogo all'essere, il quale, originariamente indeterminato e
perciò im-pensabile, si rivela un non-essere, essendo posto all'interno del
pensare stesso. Per questo primato assegnato all'atto del pensare, Spaventa
farà da apripista all'idealismo attuale di Gentile. Prassi e concretezza
nel processo conoscitivo Per contrastare l'avanzata del positivismo che era
penetrato in Italia dopo la raggiunta unità nazionale, di fronte all'esaurirsi
delle spinte ideali che avevano caratterizzato il Risorgimento, Spaventa si
impegnò nella valorizzazione dell'aspetto pratico del processo conoscitivo, per
evitare la caduta in un «astratto idealismo, che non cura né pregia il sapere
sperimentale». In particolare riprese da Vico una concezione pratica e
storica della metafisica dell'Assoluto, intendendo l'autocoscienza
hegeliana (quale Begierde, cioè «appetizione») come Umanità, ovvero impeto
che agisce nel soggetto umano. Analogamente Spaventa poteva sostenere,
nel tracciare la storia spirituale d'Italia, che è il soggetto umano a dare
concretezza e coscienza di sè al processo storico. La Riforma della modernità
che aveva abolito i vecchi principi della filosofia scolastica si basava per
l'appunto sull'immanenza di Dio e sulla capacità della coscienza umana di
autodeterminarsi e di accedere direttamente all'Infinito, come già avevano
enunciato Bruno e Campanella. Il riconoscimento del valore infinito dell'uomo
ebbe ripercussioni anche sulla concezione etico-politica di Spaventa,
stimolando studi e interessi sulla filosofia hegeliana del diritto.
Permase in Spaventa una viva concezione etica dello Stato, che lo indusse a
rinvenire nell'idealismo hegeliano la sintesi tra la corrente
post-illuministica, basata sull'arbitrio individuale e su una concezione
meramente contrattualistica dello Stato, ed il cattolicesimo liberale, fondato
viceversa sull'arbitrio divino e sull'aderenza dogmatico-confessionale al
principio d'autorità. Il liberalismo di Spaventa rigettava l'individualismo che
privilegiava l'interesse del singolo portandolo a servirsi dell'organismo
universale per i propri fini, distruggendo la società. Allo Stato spetta dunque
la funzione "pedagogica" di promuovere gli interessi di tutti,
tutelando la famiglia, in cui si forma l'individuo, e al contempo la società
civile. «La famiglia e la società civile hanno la loro verità nello
stato. Dove lo stato non è altro che famiglia (stato patriarcale), o una
istituzione di pubblica sicurezza (polizia), non solo lo stato non è il vero
stato, ma né la famiglia né la società civile esistono nella loro vera forma.
Lo stato è l'unità del principio della famiglia e del principio della società
civile (della naturalità umana e del libero volere, del diritto e della
moralità). Non è una semplice associazione fondata mediante il libero arbitrio,
il patto etc, né una associazione puramente naturale. È tutto ciò insieme.
[...] È assoluta soggettività etica degli individui. Assoluta, perché è
sostanza; soggettività, perché è saputa e voluta dagli individui liberamente
come la loro stessa essenza (etica) e universalità. Dove manca tale sapere e
volere, lo stato non è libera soggettività, e l'individuo non ha vero valore
(individualismo moderno). In altri termini: è la sostanza nazionale, conscia
veramente e realmente di se medesima; lo spirito di un popolo (come tale, come
spirito etico) nella sua vera e perfetta esistenza.» (Bertrando Spaventa,
Studi sull'etica hegeliana, 1869) Poiché il potere stesso dello Stato può
essere utilizzato da un individuo o da una classe in vista dei suoi interessi
di parte, Spaventa accetta il modello costituzionale, sebbene non privo di
conflitti tra particolarità e universalità, nel quale «la personalità dello
Stato sia elevata sopra le lotte sociali». Ripudiando l'astratto
cosmopolitismo, lo Stato va dunque inteso come l'immanenza di Dio,
dell'universalità dello Spirito calato nella concretezza della «nazionalità»
dei popoli, tutti uguali «fratelli dell'umana famiglia». Fortuna «È con
Spaventa soprattutto che la filosofia in Italia cessa d'essere esercitazione
accademica e vacua speculazione, si avvia a diventare organica visione del
mondo, da cui derivi e consegua una morale, si avvia cioè a diventare religione
laica, dando inizio a quel largo movimento di distacco di intellettuali dalla
Chiesa cattolica.» (Gaetano Arfé, L'hegelismo napoletano e Spaventa, in
«Società», Firenze, Bertrando Spaventa fu uno dei maggiori teorici che si
sforzarono dare un un'impronta ideale e spirituale al percorso risorgimentale
verso l'unità d'Italia, non limitata all'ambito accademico, come riconobbero in
seguito storici e studiosi del Risorgimento. «Con Spaventa e De Sanctis
era giunta al culmine quella motivazione politica nazionale che fu la
caratteristica in forza della quale il movimento sorto a Napoli superò i limiti
di un episodio regionale. [...] Da noi, al contrario che in Inghilterra (e in
Francia), l'hegelismo non è stato solo un movimento accademico, di professori,
ma elemento della vita civile della nazione nel momento culminante del suo
Risorgimento.» (Sergio Landucci, L'hegelismo in Italia nell'età del
Risorgimento, in «Studi storici», Roma, L'opera di Spaventa influenzerà
profondamente, attraverso la mediazione di Donato Jaja, anche l'idealismo
italiano di Giovanni Gentile, il quale portò a termine il lavoro di
«kantianizzazione» o «mentalizzazione» di Hegel avviato da Spaventa,
trasformando la sua dottrina in un compiuto «attualismo», o filosofia
dell'atto, basata cioè sul perenne dinamismo dell'atto del pensiero.
Gentile curò inoltre nel 1908 la pubblicazione della spaventiana Prolusione e
introduzione alle lezioni di filosofia nella Napoli, rinominandola
significativamente La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia
europea, ritenendola un'opera di carattere non solamente storiografico, ma
soprattutto fenomenologico, in cui cioè lo Spirito del Pensiero Italiano
esprimeva la sua ritrovata coscienza di sè e delle sue relazioni con la storia
d'Europa. Gentile si confrontò ampiamente con Spaventa nella propria
Riforma della dialettica hegeliana, oltre a raccogliere e sistemare alcuni suoi
scritti inediti (tra cui un Frammento del 1881 giudicato uno snodo importante
verso la genesi del proprio attualismo) contribuendo alla riscoperta e alla
rinascita degli studi intorno alla dottrina spaventiana. Anche
l'idealista Croce, che dopo la morte dei genitori andò a vivere da Silvio
Spaventa, seguì le lezioni di Bertrando, apprezzandone soprattutto lo spirito
profondamente liberale. Altri scolari, o allievi della scuola hegeliana
del filosofo abruzzese furono Fiorentino, Maturi, Jaja, Masci, Tocco,
Labriola, Alfonso. Nuovi studi sono sorti in occasione del bicentenario della
nascita di Spaventa e De Sanctis, entrambi
1817. Opere principali: La filosofia di Kant e la sua relazione
colla filosofia italiana, Unione Tipografica-editrice, Torino, Principii di
filosofia, Stabilimento Tip. Ghio, Napoli, Studi sull'etica di Hegel, Stamperia
della Regia Università, Napoli 1869. La filosofia di Vincenzo Gioberti, Tip.
del Tasso, Napoli, Saggi critici di filosofia, politica e religione, Tip.
Giordano Bruno, Roma. La dottrina della conoscenza di Giordano Bruno, Stamperia
della Regia Università, Napoli. Principi di etica, Pierro, Napoli. La filosofia
italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, G. Gentile, Laterza,
Bari. Logica e metafisica, G. Gentile, Laterza, Bari. Opere, G. Gentile,
raccolte e aggiornate da Italo Cubeddu e Simona Giannantoni, "Classici
della Filosofia", Sansoni, Firenze. Opere, saggio introduttivo,
prefazioni, note e apparati di Francesco Valagussa, postfazione di Vincenzo
Vitiello, Bompiani, Milano. Quattro articoli sulla filosofia tedesca (Kant,
Fichte, Schelling, Hegel), Giuseppe Landolfi Petrone, Il Prato, Edizione critica delle Opere psicologiche
inedite Domenico D'Orsi: Lezioni di antropologia, Psiche e metafisica Elementi di psicologia speculativa, Sulle
psicopatie in generale. Note Cit. in B.
Spaventa, Antologia degli scritti, G. Vacca, pag. 17, Bari, Laterza. Piero Di
Giovanni, Giovanni Gentile: la filosofia italiana tra idealismo e
anti-idealismo, FrancoAngeli, Gentile e Spaventa, su treccani.it. Bertrando Spaventa, su treccani.it.
Bertrando Spaventa: il contributo italiano alla storia del pensiero, su
treccani.it. «In quel tempo, che gli
Austriaci — "i Tedeschi" dicevano generalmente in Italia — dimoravano
non solo nelle contrade lombarde e venete, ma anche in Toscana, io non avevo il
coraggio di dire: filosofia tedesca» (nota di B. Spaventa). Principii di Filosofia, Napoli, Ghio. Le
tradizioni filosofiche nell'Italia unita, di Giovanni Rota. Ugo e
Annamaria Perone, Giovanni Ferretti, Claudio Ciancio, Storia del pensiero
filosofico, Torino, SEI, Cit. di
Giovanni Gentile in Della vita e degli scritti di Bertrando Spaventa,
prefazione a Bertrando Spaventa, Scritti filosofici, pag. CVII, Napoli, A.
Morano & figlio, Fernanda Gallo, Gli hegeliani di Napoli e il Risorgimento,
in LEA, «Lingue e letterature d'Oriente e d'Occidente», n. 6, Firenze
University Press, . Spaventa fu autore
in proposito anche di saggi psicologici come Sulle psicopatie in generale, o La legge del più forte, in cui si
confrontava tra l'altro col darwinismo.
Studi sull'etica hegeliana, Napoli, Stamperia della R. Università, Il
concetto di «nazionalità» segnava in Spaventa un superamento della filosofia
hegeliana della storia basata sul susseguirsi di popoli-guida (cfr. Giovanni
Pugliese Carratelli, Storia e civiltà della Campania: l'Ottocento, Napoli,
Electa, Bertrando Spaventa, Studii sopra
la filosofia di Hegel, cit. in Unificazione nazionale ed egemonia culturale, G.
Vacca, Bari, Laterza, Eugenio Garin, La fortuna nella filosofia italiana,
in L'opera e l’eredità di Hegel, Bari, Laterza, Italo Cubeddu, Da Spaventa a
Gentile: Kant e il neoidealismo, in "La tradizione kantiana in
Italia", Atti del convegno della Società filosofica italiana, Messina,
Edizioni G.B.M., La raccolta gentiliana delle opere di Spaventa venne riedita in
tre volumi curati da Italo Cubeddu e Simona Giannantoni, ristampati da
Francesco Valagussa e Vincenzo Vitiello in un unico tomo. Bertrando Spaventa: tra coscienza nazionale e
filosofia europea, su treccani.it.
Giovanni Gentile, Bertrando Spaventa, Firenze, Vallecchi, Giuseppe
Vacca, Politica e filosofia in Bertrando Spaventa, Bari, Laterza, Renato Bartot, L'hegelismo di Bertrando Spaventa,
Firenze, Olschki, Italo Cubeddu, Bertrando Spaventa. Edizioni e studi, Firenze,
Sansoni, Teresa Serra, Bertrando Spaventa: etica e politica, Roma, Bulzoni, Raffaello
Franchini , Bertrando Spaventa. Dalla scienza della logica alla logica della
scienza, Napoli, Pironti, Eugenio Garin, Filosofia e politica in Bertrando
Spaventa, G. Tognon, Napoli, Bibliopolis, Eugenio Garin, Bertrando Spaventa,
Napoli, Bibliopolis, Luigi Gentile,
Coscienza Nazionale e pensiero europeo in Bertrando Spaventa, Chieti, Ed.
NOUBS, Gaetano Origo, Da Bruno a Spaventa. Perpetuazione e difesa della
filosofia italica, Roma, Bibliosofica, Alessandro Savorelli, «Spaventa,
Bertrando» in Il contributo italiano alla storia del PensieroFilosofia, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
Attualismo Hegelismo Idealismo italiano Idealismo tedesco Treccani.itEnciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Bertrando Spaventa, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
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di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, . Alessandro Savorelli, Bertrando Spaventa, in
Dizionario biografico degli italiani,
93, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, . Opere di Bertrando Spaventa, su Liber
Liber. Opere di Bertrando Spaventa, su
openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Bertrando Spaventa, . Opere di
Bertrando Spaventa, su Progetto Gutenberg.
Bertrando Spaventa, su storia.camera.it, Camera dei deputati. Archivi di Teatro Napoli, Foto di Bertrando
Spaventa [collegamento interrotto], su cir.campania.beniculturali.it. 17 luglio
. Diego Fusaro, Bertrando Spaventa (sottotitolo: Il far intendere Hegel
all'Italia, vorrebbe dire rifare l'Italia), su filosofico.net. 23 ottobre 2008.
Silvio e Bertrando Spaventa dal sito del comune di Bomba Gentile e Spaventa, su
treccani.it. Scritti filosofici di Bertrando Spaventa, G. Gentile (TXT), su
archive.org. Gli hegeliani di Napoli e il Risorgimento, su fupress.net. su
Bertrando Spaventa, su treccani.it.
spedalieri: Nicola Spedalieri (Bronte), filosofo. Nato
da Vincenzo e da Antonina Dinaro, studiò nell'Oratorio di S. Filippo Neri di
Bronte e dnel seminario di Monreale dove insegnò filosofia. Alcune sue tesi,
considerate eretiche a Palermo, furono invece approvate e stampate a Roma con
il titolo di Propositionum theologicarum specimen. Trasferitosi a Roma, entrò a
far parte dell'Arcadia con il nome di Melanzio Alcioneo. Pio VI gli diede
il titolo di beneficiato della Basilica Vaticanache comportava una modesta
rendita mensilee l'incaricò di scrivere la storia del prosciugamento dell'Agro
pontino, che non riuscì a terminare e fu stampata soltanto col titolo De'
Bonificamenti delle terre pontine. NContro l'Enciclopedia degli illuministi,
uscì la sua Analisi dell'Esame critico del signor Nicola Fréret sulle prove del
Cristianesimo e il Ragionamento sopra
l'arte di governare e il Ragionamento sulla influenza della Religione Cristiana
nella società civile. Scrisse la Confutazione dell'esame critico del
cristianesimo fatto dal signor Eduardo Gibbon, contro la famosa opera del
Gibbon sulla storia dell'Impero romano, la cui caduta veniva imputata dallo
storico inglese all'influenza negativa della religione cristiana. Opere: Dei
diritti dell'uomo libri VI Busto di Spedalieri nella Biblioteca Nazionale
di Roma Nell'opera più importante Dei diritti dell'uomo, pubblicata a Roma ma,
per volontà del papa, con la falsa indicazione di Assisi, Spedalieri si rifece
alle concezioni rousseauiane relativamente alla dottrina del contratto sociale
come origine della società, ma contestandone la tesi di un originario stato di
natura a cui occorrerebbe tornare, perché soltanto all'interno della società
civile l'uomo può realizzare i suoi bisogni di felicità e di perfezione.
Scrive infatti che «Lo stato, a cui è destinato l'uomo dalla natura, è la
Società Civile: ciò fu dimostrato; e vuol dire, che l'uomo non può rinunziare,
generalmente parlando, alla Società Civile senza opporsi alla sua propria
natura. È parte essenziale della costituzione sociale il Principato [...] il
Popolo non ha diritto di disfare il Principato». Se la forma migliore di
governo è, secondo lo Spedalieri, il principato, e al principe il popolo affida
«le tre facoltà di giudicare, di decretare e di eseguire», il popolo non può
togliergli «il Principato a suo beneplacito, cioè quando gli pare, per motivi
leggieri, senza motivi», perché violerebbe il patto sottoscritto, a meno che il
principe non violi la condizione essenziale del contratto stipulato, il do ut
facias, a meno che egli non faccia ciò che si era impegnato a fare in cambio
della proprietà del principato: ossia, custodire «i diritti naturali di
ciascuno» e dirigere «tutte le operazioni del Principato alla felicità de'
sudditi». Questa è la base del contratto, e se invece il principe
«prendesse a distruggere i diritti naturali di ognuno, a sostituire il
capriccio alle leggi, e ad immergere nella miseria i poveri sudditi, il
contratto resterebbe sciolto da sé». Lo scioglimento del contratto non
significa che il popolo eserciti per proprio conto il governo, ma che debba
«investirne un altro con auspici migliori». Ma chi deciderà che il
contratto stabilito con il principe sia nullo? Intanto, osserva Spedalieri, che
«il contratto siasi sciolto già da sé stesso, si dee legalmente dichiarare.
Prima della quale dichiarazione a niuno è permesso di sottrarsi dall'ubbidienza
del Principe. E il diritto di far tale dichiarazione non appartiene a verun
privato, né alla unione di alcuni, né anco alla moltitudine». Solo un corpo che
rappresenti tutti i sudditi può dichiarare lo scioglimento del patto con il
principe: questo «vero corpo» sarà formato da «tutti i Magistrati, tutti gli
Ordini de' Cittadini, le persone illuminate, probe, e non soggette all'impeto
del momento [...] ogni colta Nazione nella Costituzione fondamentale, che dà a
sé stessa, e che inerisce nel contratto che fa con la persona che vuole
innalzare al Principato, e che questa giura di mantenere, sempre, forma un
corpo o sia un Collegio, per così dire, immortale, che rappresenti
permanentemente tutti gl'individui. Laonde basta che la dichiarazione si faccia
da questo corpo, per esser legale». Pietro Tamburini Qualora il
principe resista e voglia mantenere il potere non più riconosciutogli,
comportandosi così da tiranno, il «Corpo della Nazione»mai però un singolo
cittadinopotrà legittimamente giungere fino all'estrema soluzione di
condannarlo a morte. Spedalieri si mostrò avverso sia al dispotismo
illuminato, che rifiutava tanto il principio della sovranità popolare quanto il
primato della religione nel governo dello Stato, sia i princìpi laici della
Rivoluzione francese. La garanzia di assicurare i diritti fondamentali
dell'uomo è data, secondo lo Spedalieri, dalla religione cristiana che ha come
princìpi essenziali l'amore e la carità verso il prossimo. Spedalieri
polemizzò anche contro i giansenisti che accusò di "giacobinismo" e
di "spirito sovvertitore dei troni". Gli rispose con asprezza il
teologo e giurista Pietro Tamburini nello scritto Lettere teologico politiche
sulla presente situazione delle cose ecclesiastiche. Il riconoscimento
che la sovranità derivi dal popolo e che questi, attraverso i suoi delegati,
possa giungere a rovesciarne il potere, procurarono allo Spedalieri violente
critiche e inimicizie da parte dei circoli reazionari e in parte anche
moderati, e al libro, che ebbe alla sua uscita una notevole diffusione, il
divieto di pubblicazione in tutta Europa; soltanto nella seconda metà
dell'Ottocento esso poté nuovamente circolare, anche se in Italia, mutato il
clima politico e culturale dopo i primi decenni del Novecento, venne nuovamente
ignorato. La morte improvvisa di Nicola Spedalieri fece nascere la
diceria che il decesso fosse avvenuto per avvelenamento. Note Ludovico Geymonat e Renato Tisato, «Il
pensiero filosofico-pedagogico italiano, Filosofi e pedagogisti estranei
all'illuminismo». In : Ludovico Geymonat , Storia del pensiero filosofico e
scientifico, III (Il Settecento), Milano,
Garzanti, Gaetano Melzi, Dizionario di opere anonime e pseudonime di scrittori
italiani: o come che sia aventi relazione all'Italia. Milano : Coi torchi di L.
di Giacomo Pirola, N. Nicolini, op. cit..
C. Giurintano, Società e Stato in Nicola Spedalieri, Palermo 1998 A.
Pisanò, Una teoria comunitaria dei diritti umani: i diritti dell'uomo di Nicola
Spedalieri, Milano. Opere di Nicola Spedalieri, . Nicola Spedalieri, in
Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company.
Biografia, opere e commenti su bronteinsieme.it Nicola Nicolini, Nicola
Spedalieri, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana,Opere digitalizzate Analisi dell'Esame critico del signor Nicola
Frèret sulle prove del cristianesimo Ragionamento sopra l'arte di governare
Ragionamento sulla influenza della religione cristiana nella società civile
Confutazione dell'esame critico del cristianesimo fatto dal signor Eduardo
GibbonI parte Confutazione dell'esame critico del cristianesimo fatto dal
signor Eduardo GibbonII parte De' diritti dell'uomo. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Spadalieri sul contratto conversazionale.” H. P. Grice, “A critique to
conversational quasi-contrastualism.”
Arcadia: societa di filosofi. Some members
include Spedalieri, etc. Grice: “Stupidly, they were required to change names!”
–
Speranza
Speranza, Ugo
Speranza, Alessandro
Speranza, Ettore
Speranza, Gianni
Speranza, Paola
Speranza, Anna-Maria
Speranza-Ghersi –
Ghersi-Speranza, Anna-Maria
Speranza luigi
speranza: luigi della --. Italian philosopher, attracted, for
some reason, to H. P. Grice. Speranza knows St. John’s very well. He is the
author of “Dorothea Oxoniensis.” He is a member of a number of cultivated Anglo-Italian
societies, like H. P. Grice’s Playgroup. He is the custodian of Villa Grice,
not far from Villa Speranza. He works at the Swimming-Pool Library. Cuisine is
one of his hobbiesgrisottoa alla ligure, his specialty. He can be reached via
H. P. Grice. Refs.: Luigi Speranza, “Vita ed opinion di Luigi Speranza,” par
Luigi Speranza. A. M. Ghersi Speranzavide Ghersi-Speranza. Ghersi is a
collaborator of Speranza. Grice: “It’s easy enough to list Speranza’s
publications.” Speranza, like Mill, was fortunate to belong to a literary
familyand he would read Descartes’s Meditations, which drew him to philosophy.
His studies in logic drew him to semanticsHis first love was Oxonian analysis
as summarised in Hartnack’s essay on ‘contemporary’ philosophy. One of
Speranza’s earliest essays is on Plato’s Cratylus, relying mainly on Cassierer,
but also drawing from Austin’s Philosophical Papesr. Spearnza’s idea is that “
… mean …” is a dyadic relation and what’s behind Plato’s theory of forms. This
was Speranza’s contribution to a seminar in ancient philosophy. For his
contribution on medieaval philosophy, Speranza drew on the modistae, and the
Patrologia Latina for the use of ‘intentio’ in various writers, up to
AquinoSperanza finds it fascinating that the earliest modistae do find a
conceptual link between the ‘intentio’ and the ‘significatio.’ For a seminar on
scepticism, Speranza contributed with a paper on Gricedrawing on Sextus Empiricus
and Bar-Hillel. It relates to Grice’s problem with the conversational category
of fortitude. Speranza concludes that a phenomenalist account is possible, but
there are two other options: ‘silence’ (“not to participate in the
conversational game”) or the utterance of non-alethic utterances, such as
questions and commands. For a seminar on political philosophy, Speranza
contributed with an essay on ‘Contractualism’ from Rousseau onwards --. For a
seminar on phenomenology and the social sciences, Speranza contributed with an
essay on ‘The conversational unit,’ the idea that the emic approach is
preferable to the etic approach. For a seminar on argumentation theory on
Habermas, Speranza contributed with a “German Grice,” the idea of a ‘strategy’
is a momer. Grice is into co-operative proceduresand those who provide
taxonomies of rationality should be made aware of this. For “The Carrollian,”
Speranza contributed with “Humpty Dumpty’s Impenetrability.” The idea that
Davidson is right and Alice does not mean that there is a knock-down argument,
or that she should change the topiche draws on Grice’s collaborator at Oxford,
D. F. Pears, for his insights on “Intention and belief.” At the request of the
editor of a bibliographical bulletin, M. Costa, Speranza contributed with reviews
of oeuvre by R. M. Hare (“Sub-atomic particles of logic”), J. F. Thomson (“if
and If”) and work on the English philosopher H. P. Grice (J. Baker, etc.). His
review on Way of Words spramg from the same project, and it is an ‘invitation.’
For a congress of philosophy, Speranza presented “On the way of conversation,”
playing on Grice’s “way of words”“Surely there’s more than words to
conversation.” Speranza focuses on what Grice amusingly calls a ‘minro
problem,’ that of expression meaningSperanza’s example: “How do you find
Bologna?” “I haven’t been mugged yet” was inspired by a remark of an attendant
to the conference. For a congress on conversational reasoning, Speranza
contributed with “First time at Bologna?” providing twenty five possible
answers“first time in the region, actually.” Etc. Speranza, following Grice,
refers to this sort of reasoning as a sort of ‘brooding’to ‘brood’ is to
‘reason’ in a calculated fashion. As an invitation project, Speranza
collaborated with “Rational face to rational face: a study in conversational
pragmatics from a Griceian perspective.” In his essay “Post-modernist Grice,”
he deals with the unary and dyadic connectors. For a congress on “Current Issues,”
Speranza presented his “The feast of reason,” three steps in the critique of
conversational reason. The first step is empirical, the second is
quasi-contractualist, and the third is rational, undersood weakly and strongly.
For an essay on relativism, Speranza presented an essay on ‘The cunning of
conversational reason.’ Speranza maintains Grice’s jocular references to
Kantthe Conversational Immanuel. For an essay on desirability, Speranza
explored the issues connected with mise-en-abyme and self-reflectionsome of
these were published. There is published correspondence with members of what
Speranza calls the Grice Club. Refs.: The H. P. Grice Papers, BANC MSS 90/135c,
The Bancroft Library, The University of California, Berkeley. Speranza,
villaThe Swimming-Pool LibraryH. P. Grice’s Play Group, Liguria, Italia. Luigi
Speranza, “Grice e la storia della filosofia italiana.” Speranza has done
crucial research on Griceianism, unearthing some documents by O. P. Wood, J. O.
Urmson, P. H. Nowell-Smith, and many many others – not just H. P. Grice. Vide:
The Grice Papers, BANC, MSS.
speranza
speranza:
a publishing house in
Rome, on Via Firenze, 38. Speranza specializes in philosophy.
speroni: Tiziano, Ritratto di Sperone Speroni
(1544), Treviso, Museo Civico di Santa Caterina Sperone Speroni (Padova, 12
aprile 1500Padova, 2 giugno 1588) è stato uno scrittore e filosofo italiano. Nacque
nell'antica famiglia padovana Speroni degli Alvarotti nell'antico palazzo di
famiglia in contrà Sant'Anna. Il padre Bernardino fu archiatra di papa Leone X,
la madre Lucia era esponente dei Contarini. Bambino prodigio negli studi,
divenne professore di logica dell'Padova a soli diciotto anni. Dopo pochi anni
di insegnamento però decise di approfondire gli studi a Bologna, dal famoso
filosofo aristotelico Pietro Pomponazzi. Alla morte di costui, nel 1525, tornò
a Padova dove insegnò per altri tre anni, fino al decesso del padre; dopo di
ciò dovette occuparsi attivamente della sua famiglia. A questo periodo
risale la composizione dei dialoghi che verranno pubblicati dall'amico Daniele
Barbaro nel 1542, con il titolo di Dialogi: sono il Dialogo d'amore, quello
Della dignità delle donne, quello Del tempo di partorire delle donne e quello
Della cura famigliare, i due dialoghi lucianei Della usura e Della discordia,
seguiti da quello Delle lingue e da quello Della retorica, e infine quello
Delle laudi del Catajo, villa della S. Beatrice Pia degli Obici e quello
Intitolato Panico e Bichi. Questi dialoghi sono le opere più note di Speroni, nonostante
siano stati pubblicati a sua insaputa e non siano mai stati riconosciuti, e
hanno avuto decine di ristampe nel corso del Cinquecento. A questo
periodo risale anche la composizione del Dialogo della vita attiva e
contemplativa, che non venne però inserito nei Dialogi del '42, per motivi
tuttora sconosciuti. Membro dell'Accademia degli Infiammati e amico di
Torquato Tasso si occupò della revisione della Gerusalemme liberata. Fu autore
della Canace, pubblicata a Venezia nel 1546, tragedia che darà seguito a
un'accesa polemica tra l'autore e Giambattista Giraldi Cinzio. In seguito
intervenne anche nella polemica tra lo stesso Giraldi Cinzio e Giovan Battista
Pigna a proposito dell'Orlando furioso e del romanzo come genere letterario.
Nel 1560 si trasferì a Roma dove divenne amico di Annibal Caro. Tornato a
Padova compose i Discorsi Su Dante, Sull'Eneide, Sull'Orlando furioso e il
Dialogo della istoria. Fu fautore di un classicismo ancor più estremo di
quello del vicentino Giangiorgio Trissino, cui rimproverava di aver tratto
dalla storia e non dalla mitologia il soggetto della sua Sofonisba.
Conformemente all'uso greco e, naturalmente, nel pieno rispetto delle unità
aristoteliche, si ispirò alle Heroides ovidiane per la Canace. Morì
all'età di 88 anni. Fu sepolto nella Cattedrale di Padova negli avelli degli
Alvarotti. Nell'andito della porta settentrionale gli venne in seguito eretto
un monumento ad opera di Girolamo Campagna. Sperone Speroni. Opere
Sezione vuota Questa sezione sull'argomento letteratura è ancora vuota. Aiutaci
a scriverla! Opere di M. Sperone Speroni
degli Alvarotti tratte da' mss. originali, Marco Forcellini, Venezia, Occhi,
1740, 5 voll. Sperone Speroni, in Trattatisti del Cinquecento, Mario Pozzi,
Milano-Napoli, Ricciardi, 1978, 471–850
Francesco Cammarosano, La vita e le opere di Sperone Speroni, Empoli,
Tipografia R. Noccioli, 1920. Francesco Bruni, Sperone Speroni e l'Accademia
degli Infiammati, in « Filologia e letteratura », Francesco Bruni, Sistemi
critici e strutture narrative (Ricerche sulla cultura fiorentina del
Rinascimento), Napoli, Liguori, 1969. Amelia Fano, Notizie storiche sulla
famiglia e particolarmente sul padre e sui fratelli di Sperone Speroni degli
Alvarotti, in « Atti e memorie dell'Accademia di Padova », Padova, Tipografica
G.B. Randi, Amelia Fano, Sperone Speroni, Saggio sulla vita e sulle opere, I,
La vita, Padova, Fratelli Drucker, Piero Floriani, I gentiluomini letterati. Il
dialogo culturale nel primo Cinquecento, Napoli, Liguori, 1981. Jean-Louis Fournel,
La rhétorique vagabonde et le portrait de la verité dans trois dialogues de
Sperone Speroni, in Discours littéraires et pratiques politiques, Adelin
Charles Fiorato, Paris, Publications de la Sorbonne, Jean-Louis Fournel, Les
dialogues de Sperone Speroni: libertés de la parole et règles de l'écriture,
Marburg, Hitzeroth, Jean-Louis Fournel, Le monde des dialogues de Sperone
Speroni: langue(s) commune(s) et communauté(s) de culture(s), in Marina
Marietti et al., Quêtes d'une identité collective chez les Italiens de la
Renaissance. Alberti, Guichardin, Speroni, Sienne au XVIe siècle, le Tasse,
Paris, Université de la Sorbonne Nouvelle, Jean-Louis Fournel, Le travail de la critique
dans les écrits sur Virgile de Sperone Speroni, in Les commentaires et la
naissance de la critique littéraire (XIVe-XVIe siècles). Actes du Colloque
international sur le Commentaire (Paris, mai 1988), Gisèle Mathieu-Castellani,
Michel Plaisance, Paris, Aux Amatours de Livres, 1990, 235–243. Jean-Louis Fournel, Il “camaleonte”
e il “cuoco”. Sperone Speroni e la critica del romanzo, in « Schifanoia », Stefano
Jossa, Rappresentazione e scrittura. La crisi delle forme poetiche
rinascimentali, Napoli, Vivarium, Stefano Jossa, Verso il barocco. Sperone
Speroni e Carlo Borromeo (tra retorica e mistica), in « Aprosiana », Mario Pozzi, Le lettere familiari di Sperone
Speroni, in « Giornale storico della letteratura italiana » Mario Pozzi, La
critica fiorentina fra Bembo e Speroni: Varchi, Lenzoni, Borghini, in M. Pozzi,
Ai confini della letteratura. Aspetti e momenti di storia della letteratura
italiana, Alessandria, Edizioni dell'Orso, Sperone Speroni, volume monografico
di « Filologia veneta », Padova, Editoriale Programma, 1989. Altri progetti
Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Sperone
Speroni Collabora a Wikiquote Citazionio su Sperone Speroni Sperone Speroni, su Treccani.itEnciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Camillo Guerrieri Crocetti, Sperone Speroni, in Enciclopedia Italiana,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Sperone Speroni, su sapere.it, De Agostini. Luca Piantoni, Sperone Speroni, in Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Sperone Speroni, su Liber
Liber. Opere di Sperone Speroni, su
openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Sperone Speroni, . Audiolibri di
Sperone Speroni, su LibriVox. Michele
Messina, Sperone Speroni, in Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana.
spinelli: Francesco Maria Spinelli (Morano Calabro),
filosofo. Fu figlio di Antonio Spinelli, principe di Scalea, marchese di
Misuraca e barone di Morano, dal quale ereditò i titoli, e di Anna Beatrice
Carafa, dei principi di Belvedere. Fu allievo del filosofo cartesiano Gregorio
Caloprese. Divulgò la filosofia
cartesiana, difese alcuni colleghi, anche loro seguaci di Cartesio, accusati di
ateismo, ed ebbe un'accesa polemica con Paolo Mattia Doria sull'origine dello
spinozismo, in merito alla quale scrisse una prima opera critica, stampata solo
in seguito nel 1733. Opere Riflessioni
sulle principali materie della prima filosofia fatte all'occasione di esaminare
la prima parte di un libro intitolato: Discorsi Critici Filosofici intorno alla
Filosofia degli Antichi e de' Moderni &c. di Paolo Matti Doria [...],
Stamperia di Felice Mosca, Napoli, 1733. De origine mali dissertatio, 1750. De
bono dissertatio, 1751. Note Fonte: ,
Dizionario di filosofia, riferimenti in .
Alfonso Mirto, "Nota sul pensiero di Francesco Maria
Spinelli", in Calabria letteraria, 31, 1983, nn. 7-9, 74-76. Fabrizio Lomonaco , Francesco Maria
Spinelli, Vita, e studj scritta da lui medesimo in una Lettera, Il Melangolo,
Genova 2007. Alfonso Mirto, Spinelli Francesco Maria in Dizionario Biografico
degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, , ad vocem. Altri
progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Francesco Maria Spinelli Francesco Maria Spinelli, su
Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Francesco Maria Spinelli, in Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di
Francesco Maria Spinelli.
spinelli: Troiano Spinelli, talvolta scritto
Trojano Spinelli (Laurino), filosofo. Duca di Aquara e di Laurino nel
Settecento, appartenente alla nobile famiglia napoletana degli Spinelli. Figlio
unico di Giuseppe Spinelli, ottavo duca di Laurino, e di Giovanna Caracciolo,
figlia di Ottavio, terzo Principe di Forino, ereditò i titoli paterni nel 1764.
Nel 1738, sposò in prime nozze Beatrice Caterina Pinto y Mendoza, terza
Principessa di Montacuto, figlia ed erede del principe Gregorio. Nel 1750,
sposò in seconde nozze Donna Ottavia Tuttavilla, figlia di Vincenzo II, sesto
duca di Calabritto. Allievo del filosofo Giambattista Vico, si formò al
Collegio Clementino a Roma e poi all'Accademia di Loreto dove studiò
matematica, fisica e ingegneria. Ritornato a Napoli, divenne amico di vari
illuministi napoletani, quali Gaetano Filangieri e Ferdinando Galiani. Fu
autore di varie opere di stampo illuministico, in particolare nei campi della
storia e dell'economia. La sua opera più importante, le Riflessioni politiche
sopra alcuni punti della scienza della moneta, fu data alle stampe nel 1750:
rappresenta uno dei primi tentativi di metodo geometrico applicato all'economia.
In questo opuscolo, si oppone alle teorie monetarie di Carlo Antonio Broggia.
Spinelli fece attivamente parte della massoneria napoletana, all'epoca diretta
dal principe di Sansevero, Raimondo di Sangro. Fu nominato cavalerie del
Real Ordine di San Gennaro. A Napoli, fece ristrutturare il palazzo di
famiglia tra il 1766 e il 1768, il palazzo Spinelli di Laurino, trasformandolo
in una delle più suggestive realizzazioni del Settecento napoletano. Morì a
Napoli nel 1777 e venne sepolto nella cappella di famiglia nella chiesa di
Santa Caterina a Formiello. Opere principali Degli Affetti umani, Napoli,
Stamperia Muziana, 1741. Riflessioni politiche sopra alcuni punti della scienza
della moneta, Napoli, 1750. Saggio di tavola cronologica de' principi e più
ragguardevoli ufficiali che anno signoreggiato, e retto le provincie, che ora
compongono il regno di Napoli, Napoli, stamperia di Giuseppe Di Bisogni, 1762.
Della nobiltà, dalle stampe del Porsile, 1776. Lettera nella quale si dimostra
non esser nota di falsità, che nel diploma di fondazione della chiesa di
Bagnara si ritrovi l'anno 1085 segnato coll'indizione sesta correndo l'ottava
del computo volgare, s.d. Troiano
Spinelli, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana.
spirito: Ugo Spirito (Arezzo), filosofo. Allievo
di Gentile. Fu firmatario del Manifesto degli intellettuali fascisti e, nel
periodo fascista, tra i teorici del Corporativismo. Ebbe cattedre di
insegnamento in diverse Università tra cui Pisa, Messina, Genova e Roma. Alla
Sapienza di Roma fu ordinario di Filosofia. Era, allora, tra i principali
filosofi dell'Ateneo Romano, insieme con Antoni, allievo di Croce, Calogero,
filosofo del "dialogo" (Cf. Grice – “dialogo” vs. “conversazione”) --
e Bruno Nardi grande studioso di filosofia dantesca e medievale. Rinomate erano
non tanto le sue lezioni quanto i suoi pomeriggi di discussione del giovedì.
Tre ore, non di lezione, ma di discussione serrata su un problema filosofico;
uno soltanto per un intero anno accademico. Il 1951, ad esempio, fu dedicato al
concetto di sogno. Ai giovedì di Ugo Spiritonell'aula grande dell'Istituto di
Filosofiaintervenivano tante e diverse persone: gli studenti, i numerosi
assistenti e inoltre partecipanti di varie età convinzioni e provenienze. Spirito
ascoltava tutti, rilanciava la discussione e guidava la discussione verso nuove
prospettive interpretative. Ugo Spirito
in quegli anni pubblicava opere particolarmente connesse a quei giovedì. Tra le
altre: il Problematicismo, La Vita come Ricerca, La Vita come Amore,
Cattolicesimo e Comunismo, fino all'ultima, autobiografica Vita di un
Incosciente. Volendo indicare un tratto distintivo del pensiero di Spirito, si
può affermare che esso consisteva nella curiosità e nel rispetto per qualsiasi
posizione. Non esisteva per lui una parola definitiva, ma la ricerca della
verità doveva essere portata sempre ulteriormente avanti. In questo senso vanno interpretate le sue
riflessioni che spaziano dai campi della speculazione filosofica, al giuridico,
al sociale fino all'economico. Dopo la morte del filosofo è stata costituita la
Fondazione Ugo Spirito. È sepolto al Cimitero del Verano, a fianco del
cosiddetto "Crocione".
Individuo, Stato e Corporativismo Tra i vari livelli di ricerca, spicca
nel pensiero di Ugo Spirito la riflessione sulle strutture dello Stato.
Allontanandosi nettamente dal pensiero di matrice liberale, il filosofo aretino
non vede alcuna contrapposizione tra la figura dell'individuo e quella dello
Stato. Con un passo oltre questa interpretazione, che giudica disorganica e
arbitraria, Spirito vede al contrario lo Stato come figura entro cui
l'individuo viene progressivamente a realizzarsi. Il binomio Stato/individuo
diventa così un'equazione, in cui il secondo termine viene a risolversi e
quindi realizzarsi pienamente nel primo, che si caratterizza "non [come]
una semplice sovrastruttura disciplinatrice, ma come un organismo che esprime
un'unica volontà e compone tutti i dissidi individualistici". In questo senso, l'unica via percorribile
nella realizzazione di tale modello è la via corporativa in cui lo Stato, che
da Stato di individui diventa Stato di produttori, rappresenta il luogo in cui
interesse pubblico ed interesse privato vengono a coincidere, poiché, per dirla
con Gentile, in esso non viene (e non deve venire) "annulla[ta] quella
sorgente di vita economica e morale che è l'individuo". La concezione elaborata da Spirito è stata
definita immanenza dell'individuo nello Stato, volta alla mobilitazione degli
individui nelle e per le strutture create dallo Stato stesso. Economia Se nell'accezione di Spirito
l'economia è politica e se ne deve garantire la subordinazione alle scelte
sociali, in questo senso va inquadrato il ruolo che assegna allo Stato in
termini di intervento pubblico. Ben lungi dal prospettare una situazione
paragonabile al collettivismo, il filosofo è lontano anche dagli eccessi
disorganici che imputava ai sistemi liberali. Il funzionario di Stato, che in
prospettiva doveva andare a sostituire il capitalista privato, era giudicato da
Spirito: «non come un agente del collettivismo o del capitalismo statale (che
sappiamo cosa produsse col sovietismo), ma un semplice delegato tecnico, che si
fa garante di una diversa realtà: assicurare socialmente, oggi il controllo
della produzione, domani la stessa proprietà dei mezzi produttivi.» (Luca Leonello Rimbotti, dalla prefazione a
Pareto. Di Ugo Spirito, Settimo Sigillo, Roma, 2000, pag. 8) Opere scelte: Storia
del diritto penale italiano, Il nuovo diritto penale, Critica dell'economia liberale, “L'idealismo
italiano e i suoi critici” – Grice: “A delightfull read, especially for us
Oxonians, since he manages to quote extensively from the Proceedings of the
Aristotelian Society, seeing that Ryle hated idealism!” -- I fondamenti dell'economia
corporativa, Capitalismo e corporativismo, Scienza e filosofia, La vita come
ricerca, Rubbettino, Dall'economia liberale al corporativismo, La vita come
arte, Il problematicismo, La vita come amore, Critica della democrazia, Rubbettino, Il comunismo, Dall'attualismo al
problematicismo, Memorie di un incosciente, Rusconi, Milano, Vilfredo Pareto,
Cadmo Editore, Roma, Critica della democrazia, Luni Ed., Milano-Trento, Il corporativismo: dall'economia liberale al
corporativismo; i fondamenti dell'economia corporativa; capitalismo e
corporativismo, raccolta di saggi, Rubbettino,Maria Laura Rodotà , Passeggiando
in bicicletta; Bighellonando dentro il Verano, Corriere della Sera, Lino di
Stefano, Ugo Spirito. Filosofo, Giurista, Economista, Giovanni Volpe editore,
Roma 1Giovanni Gentile, Individuo e Stato, "Books Received.", Economist
[Londra, Inghilterra], Antimo Negri, Dal corporativismo comunista all'umanesimo
scientifico. Itinerario teoretico di Ugo Spirito, Manduria, Lacaita, Franco
Tamassia , L'opera di Ugo Spirito, Roma, Atti del Convegno Internazionale Il
pensiero di Ugo Spirito, Roma, Antonio Russo, Positivismo e idealismo in Ugo
Spirito, Roma, Fondazione Ugo Spirito, Giovanni Dessì, Spirito. Filosofia e rivoluzione,
Milano, Luni, 1Antonio Russo, Ugo Spirito. Dal positivismo all'antiscienza, Milano,
Guerini e Associati, Hervé A. Cavallera, Spirito: la ricerca dell'incontrovertibile,
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dal fascismo alla contestazione, Rubbettino,
Antonio Cammarana, Proposizioni sulla filosofia di Giovanni Gentile,
prefazione del senatore Armando Plebe, Roma, Gruppo parlamentare MSI-DN, Senato
della Repubblica, Pagine, Biblioteca
Nazionale Centrale di Firenze, Antonio Cammarana, Teorica della reazione
dialettica: filosofia del postcomunismo, Roma, Gruppo parlamentare MSI-DN,
Senato della Repubblica,, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Vincenzo
Pirro, Ricordo di Ugo Spirito, in "Nuovi Studi Politici" Ed. Bulzoni,
Roma, Alessandra Tarquini, Ugo Spirito, in Il contributo italiano alla storia
del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, . Marcello Mustè,
Ugo Spirito, in Enciclopedia machiavelliana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, . Paolo Bettineschi, L'esperienza storica e l'intrascendibilità del
conoscere. Sul sapere di non sapere, in Rivista di filosofia neo-scolastica, , Problematicismo
Corporativismo Fascismo Corporazione proprietaria. Treccani.itEnciclopedie on
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Italiana. Vito A. Bellezza, Ugo Spirito,
in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Ugo Spirito, in Dizionario di storia,
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Alessandra Tarquini, Ugo Spirito, in Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Ugo Spirito, su siusa.archivi.beniculturali.it, Sistema Informativo
Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Ugo Spirito, su Find a
Grave. Opere di Ugo Spirito, su
openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Ugo Spirito, . Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice, su
fondazionespirito.it. Spirito, Ugo, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana.
Calogero: Filosofo del dialogo.
spisani: Franco Spisani (Ferrara), filosofo. Studioso
di solito indicato tra i filosofi della scienza, si laurea all'Padova con una
tesi di sull'attualismo italiano. In seguito collabora con la cattedra di
Filosofia Teoretica dell'Urbino. A Bologna fonda, nel 1970, la rivista Rassegna
internazionale di logica (che verrà pubblicata fino al 1987) e il Centro superiore di logica e scienze
comparate, che aveva nel comitato direttivo Karl Popper e Paul Ricœur. In una
lettera del 1969 Rudolf Carnap critica una sua decisione di non pubblicare
un'opera. Morì suicida insieme alla moglie.
Gli scritti Ha scritto varie opere, tra le quali: Neutralizzazione dello
spazio per sintesi produttiva, Endometria e universo del discorso e Teoria
generale dei numeri relativi, legati alla logica e alla matematica
trascendentale; nella prefazione della Teoria generale dei numeri relativi, si
dice che: "C'è una relazione divisoria che ipotizza il valore M (numero
logico trans-infinito) all'origine della neutralizzazione dello spazio
transfinito. Aleph ({\displaystyle \aleph }\aleph ) va verso successivi
aumenti; ma è la relatività dei numeri (allora espressa nel calcolo per valori
di posizione) che ne individua la direzione inversa." Spisani ha anche pubblicato un altro libro,
di taglio più divulgativo, Introduzione alla teoria dei numeri relativi; qui
l'autore spiega le sue scoperte in forma di dialogo; tra gli interlocutori
(check) la misteriosa figura della piovra Clipso. Il suo lavoro è stato citato dal filosofo
australiano Joseph Wayne Smith, dell'Adelaide, nel suo libro sui limiti della
metafisica. Il pensiero di Spisani è ripreso da Bruno Gallo, fondatore della
logofenica. Opere principali: Natura e
spirito nell'idealismo attuale, Milano, Fabbri, Neutralizzazione dello spazio
per sintesi produttiva, presentazione Gustavo Bontadini e Nicola Dessy,
Bologna, Cappelli (poi Milano, Marzorati) Il numero nell'istanza ontologica del
rapporto d'identità, Imola, Galeati, Logica ed esperienza, Milano, Marzorati, Logica della contestazione, Bologna, Cappelli,
(check thi: )The meaning and structure of time, Bologna, Azzoguidi, Philosophical
foundations of autogenetic logic, Bologna, CSLSC, Implicazione, endometria, universo del
discorso (Implication, endometry, universe of discourse, testo bilingue,
Bologna, International logic review, eoria generale dei numeri relativi con
ingresso dei numeri moltiplicatori e divisori, Bologna, International logic
review, Introduzione alla teoria generale dei numeri relativi, Bologna, Centro
superiore di logica e scienze comparate, Sezione di analisi matematica. Dal
catalogo ACNP Franco Spisani, Teoria
Generale dei numeri relativi/General theory of directed numbers, Testo
bilingue, 1, Bologna, pubblicato a cura
del Centro superiore di logica e scienze comparate; la lista dei direttori di
ricerca è sulla quarta di copertina.
«Dear professor Spisani, I am astonished that you insist on your
decision not to publish your book. It is essential that you make your number
theory known; and I have already emphasized the importance of the presentation
of multipliers and divisors.Don't have any doubts. You have my total support.
With best wishes, Rudolf Carnap». (Franco Spisani, Teoria Generale dei numeri
relativi/General theory of directed numbers, la lettera è in una pagina non
numerata tra pag. 14 e pag. 15.) L'ha
vegliato prima di suicidarsi, la Repubblica
La teoria generale dei numeri relativi, Franco Spisani. Sulla storia della pubblicazione della Teoria
generale, importanti ricerche erano già pronte nel 1963; allora, dice l'autore,
"ne discussi con Rudolf Carnap. Gli avevo sottoposto i risultati
dell'indagine. Gli spiegai anche le ragioni che, al momento, mi inducevano a
non diffonderne le conclusioni. Carnap rispose che quella scelta gli sembrava
affatto ingiustificata: l'operascrissenon poteva rimanere nel silenzio.
Tuttavia non cambiai parere. Non avrei pubblicato, e glielo
confermai." Joseph Wayne Smith,
Essay on ultimate questions: critical discussion of the limits of contemporary
philosophical inquiry, Avebury, Dai numeri naturali ai numeri relativi,
moltiplicatori e divisori di Bruno Gallo
Un uomo geniale, necrologio pubblicato da la Nuova Ferrara, L'ha
vegliato prima di suicidarsi, di Carlo Gulotta, la Repubblica, sezione Bologna,
Archivio.
sraffa: an Italian noble -- vitters, and Grice -- L.cited by H. P. Grice, “Some like Vitters,
but Moore’s MY man.” Vienna-born philosopher trained as an enginner at
Manchester. Typically referred to Wittgenstein in the style of English schoolboy
slang of the time as, “Witters,” pronounced “Vitters.”“I heard Austin said
once: ‘Some like Witters, but Moore’s MY man.’ Austin would open the
“Philosophical Investigations,” and say, “Let’s see what Witters has to say
about this.” Everybody ended up loving Witters at the playgroup.” Witters’s
oeuvre was translated first into English by C. K. Ogden. There are interesting
twists. Refs.: H. P. Grice, “Vitters.” Grice was sadly discomforted when one of
his best friends at Oxford, D. F. Pears, dedicated so much effort to the
unveiling of the mysteries of ‘Vitters.’ ‘Vitters’ was all in the air in
Grice’s inner circle. Strawson had written a review of Philosophical
Investigations. Austin was always mocking ‘Vitters,’ and there are other
connections. For Grice, the most important is that remark in “Philosohpical
Investigations,” which he never cared to check ‘in the Hun,’ about a horse not
being seen ‘as a horse.’ But in “Prolegomena” he mentions Vitters in other
contexts, too, and in “Causal Theory,” almost anonymouslybut usually with
regard to the ‘seeing as’ puzzle. Grice would also rely on Witters’s now
knowing how to use ‘know’ or vice versa. In “Method” Grice quotes verbatim: ‘No
psyche without the manifestation the ascription of psyche is meant to explain,”
and also to the effect that most ‘-etic’ talk of behaviour is already ‘-emic,’
via internal perspective, or just pervaded with intentionalism. One of the most
original and challenging philosophical writers of the twentieth century. Born
in Vienna into an assimilated family of Jewish extraction, he went to England
as a student and eventually became a protégé of Russell’s at Cambridge. He
returned to Austria at the beginning of The Great War I, but went back to
Cambridge in 8 and taught there as a fellow and professor. Despite spending
much of his professional life in England, Vitters never lost contact with his
Austrian background, and his writings combine in a unique way ideas derived
from both the insular and the continental European tradition. His thought is
strongly marked by a deep skepticism about philosophy, but he retained the
conviction that there was something important to be rescued from the
traditional enterprise. In his Blue Book 8 he referred to his own work as “one
of the heirs of the subject that used to be called philosophy.” What strikes
readers first when they look at Vitters’s writings is the peculiar form of
their composition. They are generally made up of short individual notes that
are most often numbered in sequence and, in the more finished writings,
evidently selected and arranged with the greatest care. Those notes range from
fairly technical discussions on matters of logic, the mind, meaning,
understanding, acting, seeing, mathematics, and knowledge, to aphoristic
observations about ethics, culture, art, and the meaning of life. Because of
their wide-ranging character, their unusual perspective on things, and their
often intriguing style, Vitters’s writings have proved to appeal to both
professional philosophers and those interested in philosophy in a more general
way. The writings as well as his unusual life and personality have already
produced a large body of interpretive literature. But given his uncompromising
stand, it is questionable whether his thought will ever be fully integrated
into academic philosophy. It is more likely that, like Pascal and Nietzsche, he
will remain an uneasy presence in philosophy. From an early date onward Vitters
was greatly influenced by the idea that philosophical problems can be resolved
by paying attention to the working of language
a thought he may have gained from Fritz Mauthner’s Beiträge zu einer
Kritik der Sprache 102. Vitters’s affinity to Mauthner is, indeed, evident in
all phases of his philosophical development, though it is particularly
noticeable in his later thinking.Until recently it has been common to divide
Vitters’s work into two sharply distinct phases, separated by a prolonged
period of dormancy. According to this schema the early “Tractarian” period is
that of the Tractatus Logico-Philosophicus 1, which Vitters wrote in the
trenches of World War I, and the later period that of the Philosophical
Investigations 3, which he composed between 6 and 8. But the division of his
work into these two periods has proved misleading. First, in spite of obvious
changes in his thinking, Vitters remained throughout skeptical toward
traditional philosophy and persisted in channeling philosophical questioning in
a new direction. Second, the common view fails to account for the fact that
even between 0 and 8, when Vitters abstained from actual work in philosophy, he
read widely in philosophical and semiphilosophical authors, and between 8 and 6
he renewed his interest in philosophical work and wrote copiously on
philosophical matters. The posthumous publication of texts such as The Blue and
Brown Books, Philosophical Grammar, Philosophical Remarks, and Conversations
with the Vienna Circle has led to acknowledgment of a middle period in
Vitters’s development, in which he explored a large number of philosophical
issues and viewpoints a period that
served as a transition between the early and the late work. Early period. As
the son of a greatly successful industrialist and engineer, Vitters first
studied engineering in Berlin and Manchester, and traces of that early training
are evident throughout his writing. But his interest shifted soon to pure
mathematics and the foundations of mathematics, and in pursuing questions about
them he became acquainted with Russell and Frege and their work. The two men had
a profound and lasting effect on Vitters even when he later came to criticize
and reject their ideas. That influence is particularly noticeable in the
Tractatus, which can be read as an attempt to reconcile Russell’s atomism with
Frege’s apriorism. But the book is at the same time moved by quite different
and non-technical concerns. For even before turning to systematic philosophy
Vitters had been profoundly moved by Schopenhauer’s thought as it is spelled
out in The World as Will and Representation, and while he was serving as a
soldier in World War I, he renewed his interest in Schopenhauer’s metaphysical,
ethical, aesthetic, and mystical outlook. The resulting confluence of ideas is
evident in the Tractatus Logico-Philosophicus and gives the book its peculiar
character. Composed in a dauntingly severe and compressed style, the book
attempts to show that traditional philosophy rests entirely on a
misunderstanding of “the logic of our language.” Following in Frege’s and
Russell’s footsteps, Vitters argued that every meaningful sentence must have a
precise logical structure. That structure may, however, be hidden beneath the
clothing of the grammatical appearance of the sentence and may therefore
require the most detailed analysis in order to be made evident. Such analysis,
Vitters was convinced, would establish that every meaningful sentence is either
a truth-functional composite of another simpler sentence or an atomic sentence
consisting of a concatenation of simple names. He argued further that every atomic
sentence is a logical picture of a possible state of affairs, which must, as a
result, have exactly the same formal structure as the atomic sentence that
depicts it. He employed this “picture theory of meaning” as it is usually called to derive conclusions about the nature of the
world from his observations about the structure of the atomic sentences. He
postulated, in particular, that the world must itself have a precise logical
structure, even though we may not be able to determine it completely. He also
held that the world consists primarily of facts, corresponding to the true
atomic sentences, rather than of things, and that those facts, in turn, are
concatenations of simple objects, corresponding to the simple names of which
the atomic sentences are composed. Because he derived these metaphysical
conclusions from his view of the nature of language, Vitters did not consider
it essential to describe what those simple objects, their concatenations, and
the facts consisting of them are actually like. As a result, there has been a
great deal of uncertainty and disagreement among interpreters about their
character. The propositions of the Tractatus are for the most part concerned
with spelling out Vitters’s account of the logical structure of language and
the world and these parts of the book have understandably been of most interest
to philosophers who are primarily concerned with questions of symbolic logic
and its applications. But for Vitters himself the most important part of the
book consisted of the negative conclusions about philosophy that he reaches at
the end of his text: in particular, that all sentences that are not atomic
pictures of concatenations of objects or truth-functional composites of such
are strictly speaking meaningless. Among these he included all the propositions
of ethics and aesthetics, all propositions dealing with the meaning of life,
all propositions of logic, indeed all philosophical propositions, and finally
all the propositions of the Tractatus itself. These are all strictly
meaningless; they aim at saying something important, but what they try to
express in words can only show itself. As a result Vitters concluded that
anyone who understood what the Tractatus was saying would finally discard its
propositions as senseless, that she would throw away the ladder after climbing
up on it. Someone who reached such a state would have no more temptation to
pronounce philosophical propositions. She would see the world rightly and would
then also recognize that the only strictly meaningful propositions are those of
natural science; but those could never touch what was really important in human
life, the mystical. That would have to be contemplated in silence. For “whereof
one cannot speak, thereof one must be silent,” as the last proposition of the
Tractatus declared. Middle period. It was only natural that Vitters should not
embark on an academic career after he had completed that work. Instead he
trained to be a school teacher and taught primary school for a number of years
in the mountains of lower Austria. In the mid-0s he also built a house for his
sister; this can be seen as an attempt to give visual expression to the
logical, aesthetic, and ethical ideas of the Tractatus. In those years he
developed a number of interests seminal for his later development. His school
experience drew his attention to the way in which children learn language and
to the whole process of enculturation. He also developed an interest in
psychology and read Freud and others. Though he remained hostile to Freud’s
theoretical explanations of his psychoanalytic work, he was fascinated with the
analytic practice itself and later came to speak of his own work as therapeutic
in character. In this period of dormancy Vitters also became acquainted with
the members of the Vienna Circle, who had adopted his Tractatus as one of their
key texts. For a while he even accepted the positivist principle of meaning
advocated by the members of that Circle, according to which the meaning of a
sentence is the method of its verification. This he would later modify into the
more generous claim that the meaning of a sentence is its use. Vitters’s most
decisive step in his middle period was to abandon the belief of the Tractatus
that meaningful sentences must have a precise hidden logical structure and the
accompanying belief that this structure corresponds to the logical structure of
the facts depicted by those sentences. The Tractatus had, indeed, proceeded on
the assumption that all the different symbolic devices that can describe the
world must be constructed according to the same underlying logic. In a sense,
there was then only one meaningful language in the Tractatus, and from it one
was supposed to be able to read off the logical structure of the world. In the
middle period Vitters concluded that this doctrine constituted a piece of
unwarranted metaphysics and that the Tractatus was itself flawed by what it had
tried to combat, i.e., the misunderstanding of the logic of language. Where he
had previously held it possible to ground metaphysics on logic, he now argued
that metaphysics leads the philosopher into complete darkness. Turning his
attention back to language he concluded that almost everything he had said
about it in the Tractatus had been in error. There were, in fact, many
different languages with many different structures that could meet quite
different specific needs. Language was not strictly held together by logical
structure, but consisted, in fact, of a multiplicity of simpler substructures
or language games. Sentences could not be taken to be logical pictures of facts
and the simple components of sentences did not all function as names of simple
objects. These new reflections on language served Vitters, in the first place,
as an aid to thinking about the nature of the human mind, and specifically
about the relation between private experience and the physical world. Against
the existence of a Cartesian mental substance, he argued that the word ‘I’ did
not serve as a name of anything, but occurred in expressions meant to draw
attention to a particular body. For a while, at least, he also thought he could
explain the difference between private experience and the physical world in
terms of the existence of two languages, a primary language of experience and a
secondary language of physics. This duallanguage view, which is evident in both
the Philosophical Remarks and The Blue Book, Vitters was to give up later in
favor of the assumption that our grasp of inner phenomena is dependent on the
existence of outer criteria. From the mid-0s onward he also renewed his
interest in the philosophy of mathematics. In contrast to Frege and Russell, he
argued strenuously that no part of mathematics is reducible purely to logic.
Instead he set out to describe mathematics as part of our natural history and
as consisting of a number of diverse language games. He also insisted that the
meaning of those games depended on the uses to which the mathematical formulas
were put. Applying the principle of verification to mathematics, he held that the
meaning of a mathematical formula lies in its proof. These remarks on the
philosophy of mathematics have remained among Vitters’s most controversial and
least explored writings. Later period. Vitters’s middle period was
characterized by intensive philosophical work on a broad but quickly changing
front. By 6, however, his thinking was finally ready to settle down once again
into a steadier pattern, and he now began to elaborate the views for which he
became most famous. Where he had constructed his earlier work around the logic
devised by Frege and Russell, he now concerned himself mainly with the actual
working of ordinary language. This brought him close to the tradition of
British common sense philosophy that Moore had revived and made him one of the godfathers
of the ordinary language philosophy that was to flourish in Oxford in the 0s.
In the Philosophical Investigations Vitters emphasized that there are countless
different uses of what we call “symbols,” “words,” and “sentences.” The task of
philosophy is to gain a perspicuous view of those multiple uses and thereby to
dissolve philosophical and metaphysical puzzles. These puzzles were the result
of insufficient attention to the working of language and could be resolved only
by carefully retracing the linguistic steps by which they had been reached.
Vitters thus came to think of philosophy as a descriptive, analytic, and
ultimately therapeutic practice. In the Investigations he set out to show how
common philosophical views about meaning including the logical atomism of the
Tractatus, about the nature of concepts, about logical necessity, about
rule-following, and about the mindbody problem were all the product of an
insufficient grasp of how language works. In one of the most influential
passages of the book he argued that concept words do not denote sharply
circumscribed concepts, but are meant to mark family resemblances between the
things labeled with the concept. He also held that logical necessity results
from linguistic convention and that rules cannot determine their own
applications, that rule-following presupposes the existence of regular
practices. Furthermore, the words of our language have meaning only insofar as
there exist public criteria for their correct application. As a consequence, he
argued, there cannot be a completely private language, i.e., a language that in
principle can be used only to speak about one’s own inner experience. This
private language argument has caused much discussion. Interpreters have
disagreed not only over the structure of the argument and where it occurs in
Vitters’s text, but also over the question whether he meant to say that
language is necessarily social. Because he said that to speak of inner
experiences there must be external and publicly available criteria, he has
often been taken to be advocating a logical behaviorism, but nowhere does he,
in fact, deny the existence of inner states. What he says is merely that our
understanding of someone’s pain is connected to the existence of natural and
linguistic expressions of pain. In the Philosophical Investigations Vitters
repeatedly draws attention to the fact that language must be learned. This
learning, he says, is fundamentally a process of inculcation and drill. In
learning a language the child is initiated in a form of life. In Vitters’s
later work the notion of form of life serves to identify the whole complex of
natural and cultural circumstances presupposed by our language and by a
particular understanding of the world. He elaborated those ideas in notes on
which he worked between 8 and his death in 1 and which are now published under
the title On Certainty. He insisted in them that every belief is always part of
a system of beliefs that together constitute a worldview. All confirmation and
disconfirmation of a belief presuppose such a system and are internal to the
system. For all this he was not advocating a relativism, but a naturalism that
assumes that the world ultimately determines which language games can be
played. Vitters’s final notes vividly illustrate the continuity of his basic
concerns throughout all the changes his thinking went through. For they reveal
once more how he remained skeptical about all philosophical theories and how he
understood his own undertaking as the attempt to undermine the need for any
such theorizing. The considerations of On Certainty are evidently directed
against both philosophical skeptics and those philosophers who want to refute
skepticism. Against the philosophical skeptics Vitters insisted that there is
real knowledge, but this knowledge is always dispersed and not necessarily
reliable; it consists of things we have heard and read, of what has been
drilled into us, and of our modifications of this inheritance. We have no
general reason to doubt this inherited body of knowledge, we do not generally
doubt it, and we are, in fact, not in a position to do so. But On Certainty
also argues that it is impossible to refute skepticism by pointing to
propositions that are absolutely certain, as Descartes did when he declared ‘I think,
therefore I am’ indubitable, or as Moore did when he said, “I know for certain
that this is a hand here.” The fact that such propositions are considered
certain, Vitters argued, indicates only that they play an indispensable,
normative role in our language game; they are the riverbed through which the
thought of our language game flows. Such propositions cannot be taken to
express metaphysical truths. Here, too, the conclusion is that all
philosophical argumentation must come to an end, but that the end of such
argumentation is not an absolute, self-evident truth, but a certain kind of
natural human practice. Refs.: H. P. Grice, “Il gesto della mano di Sraffa.”
Speranza, “Sraffa’s handwave, and his impicaturum.” Refs.: Luigi Speranza,
“L’implicatura di Sraffa,” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool
Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
standard: Grice:
“People, philosophers included, misuse ‘standard’in Italian, it just means
‘flag’!” -- model, a term that, like ‘non-standard model’, is used with regard
to theories that systematize part of our knowledge of some mathematical
structure, for instance the structure of natural numbers with addition,
multiplication, and the successor function, or the structure of real numbers
with ordering, addition, and multiplication. Models isomorphic to this intended
mathematical structure are the “standard models” of the theory, while any
other, non-isomorphic, model of the theory is a ‘non-standard’ model. Since
Peano arithmetic is incomplete, it has consistent extensions that have no
standard model. But there are also non-standard, countable models of complete
number theory, the set of all true first-order sentences about natural numbers,
as was first shown by Skolem in 4. Categorical theories do not have a
non-standard model. It is less clear whether there is a standard model of set
theory, although a countable model would certainly count as non-standard. The
Skolem paradox is that any first-order formulation of set theory, like ZF, due
to Zermelo and Fraenkel, has a countable model, while it seems to assert the
existence of non-countable sets. Many other important mathematical structures
cannot be characterized by a categorical set of first-order axioms, and thus
allow non-standard models. The
philosopher Putnam has argued that this fact has important implications
for the debate about realism in the philosophy of language. If axioms cannot
capture the spontaneity, liberty of standard model 875 875 “intuitive” notion of a set, what could?
Some of his detractors have pointed out that within second-order logic
categorical characterizations are often possible. But Putnam has objected that
the intended interpretation of second-order logic itself is not fixed by the
use of the formalism of second-order logic, where “use” is determined by the
rules of inference for second-order logic we know about. Moreover, categorical
theories are sometimes uninformative.
stabilitatum
-- stabilire
-- EstablishmentGrice speaks of the Establishment twice. Once re: Gellner:
non-Establishment criticizing the English Establishment. Second: to refute
Lewis. Something can be ‘established’ and not be conventional. “Surely Lewis
should know the Graeco-Roman root of establish to figure that out!” stăbĭlĭo ,
īvi, ītum (sync. I.imperf. stabilibat, Enn. Ann. 44), 4, v. a. stabilis, to
make firm, steadfast, or stable; to fix, stay, establish (class.; esp. in the
trop. sense). I. Lit.: semita nulla pedem stabilibat, Enn. ap. Cic. Div. 1, 20,
40 (Ann. v. 44 Vahl.): “eo stabilita magis sunt,” Lucr. 3, 202; cf.:
confirmandi et stabiliendi causā singuli ab infimo solo pedes terrā
exculcabantur, * Caes. B. G. 7, 73: “vineas,” Col. 4, 33, 1: “loligini pedes
duo, quibus se velut ancoris stabiliunt,” Plin. 9, 28, 44, § 83.— II. Trop.:
regni stabilita scamna solumque, Enn. ap. Cic. Div. 1, 48 fin. (Ann. v. 99
Vahl.): “alicui regnum suom,” Plaut. Am. 1, 1, 39; cf.: libertatem civibus,
Att. ap. Cic. Sest. 58, 123: “rem publicam (o evertere),” Cic. Fin. 4, 24, 65;
so, “rem publicam,” id. Sest. 68, 143: “leges,” id. Leg. 1, 23, 62: “nisi haec
urbs stabilita tuis consiliis erit,” id. Marcell. 9, 29: “matrimonia firmiter,”
id. Rep. 6, 2, 2: pacem, concordiam, Pseud.-Sall. Rep. Ordin. 1 fin. (p. 267
Gerl.): “res Capuae stabilitas Romana disciplina,” Liv. 9, 20: “nomen equestre
in consulatu (Cicero),” Plin. 33, 2, 8, § 34: “(aegrum) ad retinendam
patientiam,” to strengthen, fortify him, Gell. 12, 5, 3. While Grice’s play
with ‘estaablished’ is in the second metabolical stage of his programmewhere
‘means’ applies to things other than the emissor, surely metaphoricallyhe is
allowing that ‘estabalish’ may be used in the one-off predicament. By drawing a
skull, U is establishing a procedure. Grice notably wants to make ‘established’
a weaker variant of ‘conventional.’ So that x, whatever, may be ‘established’
but not ‘conventional.’ In fact, it can be argued that to establish you have to
do it at least once. Cfr. ‘settled. ‘Greenwich, Conn., settled in 1639.’
‘Established’ Surely it would be obtuse to say that Greenwich, Conn. Was
“conventionalized”.
status -- state, Grice: “I will use the phrase ‘state of the soul’This
may sound pedantic, and it is!”“I will use ‘psychological state,’ where the
more correct phrase would be ‘state’ of the ‘soul,’ since theoryas in
‘-logical,’ has nothing to do with it. Now you’ll wonder if the soul has
states. A state of the soulor a ‘frame of mind,’ as Strawson wrongly puts itis
a physical state on which a ‘state’ of the soul supervenes, alla Funcionalism”“Note
that a ’state’ of the soul may be quite specific and involving other states,
like the belief that Strawson’s dog is shaggy.”“A state is anything that
follows a ‘that’-clause; the way an object or system basically is; the fundamental,
intrinsic properties of an object or system, and the basis of its other
properties. An instantaneous state is a state at a given time. State variables
are constituents of a state whose values may vary with time. In classical or
Newtonian mechanics the instantaneous state of an n-particle system consists of
the positions and momenta masses multiplied by velocities of the n particles at
a given time. Other mechanical properties are functions of those in states.
Fundamental and derived properties are often, though possibly misleadingly,
called observables. The set of a system’s possible states can be represented as
an abstract phase space or state space, with dimensions or coordinates for the
components of each state variable. In quantum theory, states do not fix the
particular values of observables, only the probabilities of observables
assuming particular values in particular measurement situations. For positivism
or instrumentalism, specifying a quantum state does nothing more than provide a
means for calculating such probabilities. For realism, it does more e.g., it refers to the basis of a quantum
system’s probabilistic dispositions or propensities. Vectors in Hilbert spaces
represent possible states, and Hermitian operators on vectors represent observables. -- state
of affairs: Grice: “My poor friend D. F. Pears got himself into a lot of
trouble by offering to correct C. K. Ogden’s passe translation of Vitters’s
Tractatus!” a possibility, actuality, or impossibility of the kind expressed by
a nominalization of a declarative sentence. The declarative sentence ‘This die
comes up six’ can be nominalized either through the construction ‘that this die
comes up six’ or through the likes of ‘this die’s coming up six’. The resulting
nominalizations might be interpreted as naming corresponding propositions or
states of affairs. States of affairs come in several varieties. Some are
possible states of affairs, or possibilities. Consider the possibility of a
certain die coming up six when rolled next. This possibility is a state of
affairs, as is its “complement” the
die’s not coming up six when rolled next. There is in addition the state of
affairs which conjoins that die’s coming up six with its not coming up six. And
this contradictory state of affairs is of course not a possibility, not a
possible state of affairs. Moreover, for every actual state of affairs there is
a non-actual one, its complement. For every proposition there is hence a state
of affairs: possible or impossible, actual or not. Indeed some consider
propositions to be states of affairs. Some take facts to be actual states of
affairs, while others prefer to define them as true propositions. If
propositions are states of affairs, then facts are of course both actual states
of affairs and true propositions. In a very broad sense, events are just
possible states of affairs; in a narrower sense they are contingent states of
affairs; and in a still narrower sense they are contingent and particular
states of affairs, involving just the exemplification of an nadic property by a
sequence of individuals of length n. In a yet narrower sense events are only
those particular and contingent states of affairs that entail change. A baseball’s
remaining round throughout a certain period does not count as an event in this
narrower sense but only as a state of that baseball, unlike the event of its
being hit by a certain bat.
statistics: Grice: “I shall use the singular, ‘statistic’” -- statistical explanation. Grice: “Jill
says, “Jack is an Englishman; he is, therefore, brave.” Is the validty of her
reasoning based on statistics?” -- an explanation expressed in an explanatory
argument containing premises and conclusions making claims about statistical
probabilities. These arguments include deductions of less general from more
general laws and differ from other such explanations only insofar as the
contents of the laws imply claims about statistical probability. Most
philosophical discussion in the latter half of the twentieth century has
focused on statistical explanation of events rather than laws. This type of
argument was discussed by Ernest Nagel The Structure of Science, 1 under the
rubric “probabilistic explanation,” and by Hempel Aspects of Scientific
Explanation, 5 as “inductive statistical” explanation. The explanans contains a
statement asserting that a given system responds in one of several ways
specified by a sample space of possible outcomes on a trial or experiment of
some type, and that the statistical probability of an event represented by a
set of points in the sample space on the given kind of trial is also given for
each such event. Thus, the statement might assert that the statistical
probability is near 1 of the relative frequency r/n of heads in n tosses being
close to the statistical probability p of heads on a single toss, where the
sample space consists of the 2n possible sequences of heads and tails in n
tosses. Nagel and Hempel understood such statistical probability statements to
be covering laws, so that inductive-statistical explanation and
deductivenomological explanation of events are two species of covering law
explanation. The explanans also contains a claim that an experiment of the kind
mentioned in the statistical assumption has taken place e.g., the coin has been
tossed n times. The explanandum asserts that an event of some kind has occurred
e.g., the coin has landed heads approximately r times in the n tosses. In many
cases, the kind of experiment can be described equivalently as an n-fold
repetition of some other kind of experiment as a thousandfold repetition of the
tossing of a given coin or as the implementation of the kind of trial
thousand-fold tossing of the coin one time. Hence, statistical explanation of
events can always be construed as deriving conclusions about “single cases”
from assumptions about statistical probabilities even when the concern is to
explain mass phenomena. Yet, many authors controversially contrast statistical
explanation in quantum mechanics, which is alleged to require a singlecase
propensity interpretation of statistical probability, with statistical
explanation in statistical mechanics, genetics, and the social sciences, which
allegedly calls for a frequency interpretation. The structure of the
explanatory argument of such statistical explanation has the form of a direct
inference from assumptions about statistical probabilities and the kind of
experiment trial which has taken place to the outcome. One controversial aspect
of direct inference is the problem of the reference class. Since the early
nineteenth century, statistical probability has been understood to be relative
to the way the experiment or trial is described. Authors like J. Venn, Peirce,
R. A. Fisher, and Reichenbach, among many others, have been concerned with how
to decide on which kind of trial to base a direct inference when the trial
under investigation is correctly describable in several ways and the
statistical probabilities of possible outcomes may differ relative to the
different sorts of descriptions. The most comprehensive discussion of this
problem of the reference class is found in the work of H. E. Kyburg e.g.,
Probability and the Logic of Rational Belief, 1. Hempel acknowledged its
importance as an “epistemic ambiguity” in inductive statistical explanation.
Controversy also arises concerning inductive acceptance. May the conclusion of
an explanatory direct inference be a judgment as to the subjective probability
that the outcome event occurred? May a judgment that the outcome event occurred
is inductively “accepted” be made? Is some other mode of assessing the claim
about the outcome appropriate? Hempel’s discussion of the “nonconjunctiveness
of inductivestatistical” explanation derives from Kyburg’s earlier account of
direct inference where high probability is assumed to be sufficient for
acceptance. Non-conjunctiveness has been avoided by abandoning the sufficiency
of high probability I. Levi, Gambling with Truth, 7 or by denying that direct
inference in inductive-statistical explanation involves inductive acceptance at
all R. C. Jeffrey, “Statistical Explanation vs. Statistical Inference,” in Essays
in Honor of C. G. Hempel. Refs.: H. P. Grice, “Jack and Jill.”
stefani – Grice: “I may
well say that my idea of a propositional complex owes much to Stefani’s
obsession with ‘sensus’ simplex or ‘divisus, and ‘sensus compositum’ –“ “The
opposite of ‘com-posito’ is de-posito, though!” -- Grice: “I like his diagrammes; The Boedlian
have loads of his mss!” Grice: “He has a figure for the ‘figura quadrata,’ –“.
Grice: “He has a figure for ‘suppositio.’” -- Pergola: Paolo
Stefani (Pergola), filosofo. Fu il membro più noto di una famiglia di
insegnanti marchigiani. Fu avviato alla carriera ecclesiastica nella città
natale, ma presto strasferì a Venezia dove già viveva il nonno Stefano Stefani,
gli zii Lino e Pietro, insegnanti, e forse anche il padre Antonio. Fu
allievo di Nicollini. La sua opera più importante è il “De sensu composito et
diviso” Fu insegnante a Rialto. Nominato vescovo di
Capodistria, rinunciò alla carica per non distaccarsi dalla filosofia. Fu
sepolto nella chiesa di San Giovanni Elemosinario di Venezia dove gli fu anche
costruito un monumento a pubbliche spese. Vi resta solo una lapide, in quanto
l'edificio fu distrutto da un incendio. Opere: “Dubia in consequentias Strodi,”
“In regulas insolubilium,” “De scire e dubitare,” “Compendium Logicae,” “Logica,”
“Tractatus de sensu composito et diviso, edito da M. Brown, S Dino Buzzetti,
Paolo della Pergola, in Dizionario biografico degli italiani, 81, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Fonte: Dizionario di filosofia, riferimenti. Treccani.itEnciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
su ALCUIN, Ratisbona. Dizionario di filosofia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Stefani.”
stillingfleet: English divine and controversialist who first made
his name with “Irenicum,” using natural-law doctrines to oppose religious
sectarianism. His “Origines Sacrae” ostensibly on the superiority of the
Scriptural record over other forms of ancient history, was for its day a
learned study in the moral certainty of historical evidence, the authority of
testimony, and the credibility of miracles. In drawing eclectically on
philosophy from antiquity to the Cambridge Platonists, he was much influenced
by the Cartesian theory of ideas, but later repudiated Cartesianism for its
mechanist tendency. For three decades he pamphleteered on behalf of the moral
certainty of orthodox Protestant belief against what he considered the beliefs
“contrary to reason” of Roman Catholicism. This led to controversy with
Unitarian and deist writers who argued that mysteries like the Trinity were
equally contrary to “clear and distinct” ideas. He was alarmed at the use made
of Locke’s “new,” i.e. nonCartesian, way of ideas by John Toland in Christianity
not Mysterious, and devoted his last years to challenging Locke to prove his
orthodoxy. The debate was largely over the concepts of substance, essence, and
person, and of faith and certainty. Locke gave no quarter in the public
controversy, but in the fourth edition of his Essay he silently amended some
passages that had provoked Stillingfleet.
stochasis: stochastic process –“"pertaining
to conjecture," from Greek stokhastikos "able to guess,
conjecturing," from stokhazesthai "to guess, aim at,
conjecture," from stokhos "a guess, aim, fixed target, erected pillar
for archers to shoot at," perhaps from PIE *stogh-, variant of root
*stegh- "to stick, prick, sting." The sense of "randomly
determined" is from 1934, from German stochastik (1917). a process
that evolves, as time goes by, according to a probabilistic principle rather
than a deterministic principle. Such processes are also called random
processes, but ‘stochastic’ does not imply complete disorderliness. The
principle of evolution governing a stochastic or random process is precise,
though probabilistic, in form. For example, suppose some process unfolds in
discrete successive stages. And suppose that given any initial sequence of
stages, S1, S2, . . . , Sn, there is a precise probability that the next stage
Sn+1 will be state S, a precise probability that it will be SH, and so on for
all possible continuations of the sequence of states. These probabilities are
called transition probabilities. An evolving sequence of this kind is called a
discrete-time stochastic process, or discrete-time random process. A
theoretically important special case occurs when transition probabilities
depend only on the latest stage in the sequence of stages. When an evolving
process has this property it is called a discrete-time Markov process. A simple
example of a discrete-time Markov process is the behavior of a person who keeps
taking either a step forward or a step back according to whether a coin falls
heads or tails; the probabilistic principle of movement is always applied to the
person’s most recent position. The successive stages of a stochastic process
need not be discrete. If they are continuous, they constitute a
“continuous-time” stochastic or random process. The mathematical theory of
stochastic processes has many applications in science and technology. The
evolution of epidemics, the process of soil erosion, and the spread of cracks
in metals have all been given plausible models as stochastic processes, to
mention just a few areas of research. H.
P. Grice, “Stochastic implicatum.”
Stoa -- Stoicus: stoicism -- Neo-stoicism -- du Vair,
Guillaume, philosopher, bishop, and political figure. Du Vair and Justus
Lipsius were the two most influential propagators of neo-Stoicism in early
modern Europe. Du Vair’s Sainte Philosophie “Holy Philosophy,” 1584 and his
shorter Philosophie morale des Stoïques “Moral Philosophy of the Stoics,” 1585,
were tr. and frequently reprinted. The latter presents Epictetus in a form
usable by ordinary people in troubled times. We are to follow nature and live
according to reason; we are not to be upset by what we cannot control; virtue
is the good. Du Vair inserts, moreover, a distinctly religious note. We must be
pious, accept our lot as God’s will, and consider morality obedience to his
command. Du Vair thus Christianized Stoicism, making it widely acceptable. By
teaching that reason alone enables us to know how we ought to live, he became a
founder of modern rationalism in ethics. Stōĭcus , a,
um, adj., = Στωϊκός, I.of or belonging to the Stoic philosophy or to the
Stoics, Stoic: “schola,” Cic. Fam. 9, 22 fin.: “secta,” Sen. Ep. 123, 14:
“sententia,” id. ib. 22, 7: “libelli,” Hor. Epod. 8, 15: “turba,” Mart. 7, 69,
4: “dogmata,” Juv. 13, 121: “disciplina,” Gell. 19, 1, 1: “Stoicum est,” it is
a saying of the Stoics, Cic. Ac. 2, 26, 85: “non loquor tecum Stoicā linguā,
sed hac submissiore,” Sen. Ep. 13, 4: “est aliquid in illo Stoici dei: nec cor
nec caput habet,” Sen. Apoc. 8.— Subst.: Stōĭcus , i, m., a Stoic philosopher,
a Stoic, Cic. Par. praef. § 2; Hor. S. 2, 3, 160; 2, 3, 300; plur., Cic. Mur.
29, 61; and in philosophical writings saepissime.— 2. Stōĭca , ōrum, n. plur.,
the Stoic philosophy, Cic. N. D. 1, 6, 15.—Adv.: Stōĭcē , like a Stoic,
Stoically: “agere austere et Stoice,” Cic. Mur. 35, 74: dicere, id. Par. praef.
§ 3.H. P. Grice, “The Stoa: from Athenian to Oxonian dialectic,” H. P.
Grice, “The Stoa and Athenian dialectic.”
H. P. Grice: “The Stoa and Athenian dialectic.” -- stoicism, one of the
three leading movements constituting Hellenistic philosophy. Its founder was
Zeno of Citium, who was succeeded as school head by Cleanthes. But the third
head, Chrysippus, was its greatest exponent and most voluminous writer. These
three are the leading representatives of Early Stoicism. No work by any early
Stoic survives intact, except Cleanthes’ short “Hymn to Zeus.” Otherwise we are
dependent on doxography, on isolated quotations, and on secondary sources, most
of them hostile. Nevertheless, a remarkably coherent account of the system can
be assembled. The Stoic world is an ideally good organism, all of whose parts
interact for the benefit of the whole. It is imbued with divine reason logos,
its entire development providentially ordained by fate and repeated identically
from one world phase to the next in a never-ending cycle, each phase ending
with a conflagration ekpyrosis. Only bodies strictly “exist” and can interact.
Body is infinitely divisible, and contains no void. At the lowest level, the
world is analyzed into an active principle, god, and a passive principle,
matter, both probably corporeal. Out of these are generated, at a higher level,
the four elements air, fire, earth, and water, whose own interaction is
analogous to that of god and matter: air and fire, severally or conjointly, are
an active rational force called breath Grecian pneuma, Latin spiritus, while
earth and water constitute the passive substrate on which these act, totally
interpenetrating each other thanks to the non-particulate structure of body and
its capacity to be mixed “through and through.” Most physical analysis is
conducted at this higher level, and pneuma becomes a key concept in physics and
biology. A thing’s qualities are constituted by its pneuma, which has the
additional role of giving it cohestochastic process Stoicism 879 879 sion and thus an essential identity. In
inanimate objects this unifying pneuma is called a hexis state; in plants it is
called physis nature; and in animals “soul.” Even qualities of soul, e.g.
justice, are portions of pneuma, and they too are therefore bodies: only thus
could they have their evident causal efficacy. Four incorporeals are admitted:
place, void which surrounds the world, time, and lekta see below; these do not
strictly “exist” they lack the corporeal
power of interaction but as items with
some objective standing in the world they are, at least, “somethings.”
Universals, identified with Plato’s Forms, are treated as concepts ennoemata,
convenient fictions that do not even earn the status of “somethings.” Stoic
ethics is founded on the principle that only virtue is good, only vice bad.
Other things conventionally assigned a value are “indifferent” adiaphora,
although some, e.g., health, wealth, and honor, are naturally “preferred”
proegmena, while their opposites are “dispreferred” apoproegmena. Even though
their possession is irrelevant to happiness, from birth these indifferents
serve as the appropriate subject matter of our choices, each correct choice
being a “proper function” kathekon not
yet a morally good act, but a step toward our eventual end telos of “living in
accordance with nature.” As we develop our rationality, the appropriate choices
become more complex, less intuitive. For example, it may sometimes be more in
accordance with nature’s plan to sacrifice your wealth or health, in which case
it becomes your “proper function” to do so. You have a specific role to play in
the world plan, and moral progress prokope consists in learning it. This
progress involves widening your natural “affinity” oikeiosis: an initial
concern for yourself and your parts is later extended to those close to you,
and eventually to all mankind. That is the Stoic route toward justice. However,
justice and the other virtues are actually found only in the sage, an idealized
perfectly rational person totally in tune with the divine cosmic plan. The
Stoics doubted whether any sages existed, although there was a tendency to
treat at least Socrates as having been one. The sage is totally good, everyone
else totally bad, on the paradoxical Stoic principle that all sins are equal.
The sage’s actions, however similar externally to mere “proper functions,” have
an entirely distinct character: they are renamed ‘right actions’ katorthomata.
Acting purely from “right reason,” he is distinguished by his “freedom from
passion” apatheia: morally wrong impulses, or passions, are at root
intellectual errors of mistaking what is indifferent for good or bad, whereas
the sage’s evaluations are always correct. The sage alone is happy and truly
free, living in perfect harmony with the divine plan. All human lives are
predetermined by the providentially designed, all-embracing causal nexus of
fate; yet being the principal causes of their actions, the good and the bad
alike are responsible for them: determinism and morality are fully compatible.
Stoic epistemology defends the existence of cognitive certainty against the
attacks of the New Academy. Belief is described as assent synkatathesis to an
impression phantasia, i.e. taking as true the propositional content of some
perceptual or reflective impression. Certainty comes through the “cognitive
impression” phantasia kataleptike, a self-certifying perceptual representation
of external fact, claimed to be commonplace. Out of sets of such impressions we
acquire generic conceptions prolepseis and become rational. The highest
intellectual state, knowledge episteme, in which all cognitions become mutually
supporting and hence “unshakable by reason,” is the prerogative of the wise.
Everyone else is in a state of mere opinion doxa or of ignorance. Nevertheless,
the cognitive impression serves as a “criterion of truth” for all. A further
important criterion is prolepseis, also called common conceptions and common
notions koinai ennoiai, often appealed to in philosophical argument. Although
officially dependent on experience, they often sound more like innate
intuitions, purportedly indubitable. Stoic logic is propositional, by contrast
with Aristotle’s logic of terms. The basic unit is the simple proposition
axioma, the primary bearer of truth and falsehood. Syllogistic also employs
complex propositions conditional,
conjunctive, and disjunctive and rests
on five “indemonstrable” inference schemata to which others can be reduced with
the aid of four rules called themata. All these items belong to the class of
lekta “sayables” or “expressibles.”
Words are bodies vibrating portions of air, as are external objects, but
predicates like that expressed by ‘ . . . walks’, and the meanings of whole
sentences, e.g., ‘Socrates walks’, are incorporeal lekta. The structure and
content of both thoughts and sentences are analyzed by mapping them onto lekta,
but the lekta are themselves causally inert. Conventionally, a second phase of
the school is distinguished as Middle Stoicism. It developed largely at Rhodes
under Panaetius and Posidonius, both of whom influenced the presentation of
Stoicism in Cicero’s influential philosophical treatises mid-first century
B.C.. Panaetius Stoicism Stoicism 880
880 c.185c.110 softened some classical Stoic positions, his ethics being
more pragmatic and less concerned with the idealized sage. Posidonius c.135c.50
made Stoicism more open to Platonic and Aristotelian ideas, reviving Plato’s
inclusion of irrational components in the soul. A third phase, Roman Stoicism,
is the only Stoic era whose writings have survived in quantity. It is
represented especially by the younger Seneca A.D. c.165, Epictetus A.D.
c.55c.135, and Marcus Aurelius A.D. 12180. It continued the trend set by
Panaetius, with a strong primary focus on practical and personal ethics. Many
prominent Roman political figures were Stoics. After the second century A.D.
Stoicism as a system fell from prominence, but its terminology and concepts had
by then become an ineradicable part of ancient thought. Through the writings of
Cicero and Seneca, its impact on the moral and political thought of the
Renaissance was immense.
stoutianism: philosophical psychologist, astudent of Ward, he was
influenced by Herbart and especially Brentano. He influenced Grice to the point
that Grice called himself “a true Stoutian.” He was editor of Mind 20. He followed Ward in
rejecting associationism and sensationism, and proposing analysis of mind as
activity rather than passivity, consisting of acts of cognition, feeling, and
conation. Stout stressed attention as the essential function of mind, and
argued for the goal-directedness of all mental activity and behavior, greatly
influencing McDougall’s hormic psychology. He reinterpreted traditional
associationist ideas to emphasize primacy of mental activity; e.g., association
by contiguity a passive mechanical
process imposed on mind became
association by continuity of attentional interest. With Brentano, he argued
that mental representation involves “thought reference” to a real object known
through the representation that is itself the object of thought, like Locke’s
“idea.” In philosophy he was influenced by Moore and Russell. His major works
are Analytic Psychology 6 and Manual of Psychology 9.
strato: Grecian philosopher and polymath nicknamed “the
Physicist” for his innovative ideas in natural science. He succeeded
Theophrastus as head of the Lyceum. Earlier he served as royal tutor in
Alexandria, where his students included Aristarchus, who devised the first heliocentric
model. Of Strato’s many writings only fragments and summaries survive. These
show him criticizing the abstract conceptual analysis of earlier theorists and
paying closer attention to empirical evidence. Among his targets were atomist
arguments that motion is impossible unless there is void, and also Aristotle’s
thesis that matter is fully continuous. Strato argued that no large void occurs
in nature, but that matter is naturally porous, laced with tiny pockets of
void. His investigations of compression and suction were influential in ancient
physiology. In dynamics, he proposed that bodies have no property of lightness
but only more or less weight.
strawson: Grice’s tutee. b.9, London-born, Oxford-educated philosopher
who has made major contributions to logic, metaphysics, and the study of Kant.
His career has been mainly at Oxford (he spent a term in Wales and visited the
New World a lot), where he was the leading philosopher of his generation, due
to that famous tutor he had for his ‘logic paper’: H. P. Grice, at St. John’s. His
first important work, “On Referring” argues that Baron Russell’s theory of
descriptions fails to deal properly with the role of descriptions as “referring
expressions” because Russell assumed the “bogus trichotomy” that sentences are
true, false, or meaningless: for Strawson, sentences with empty descriptions
are meaningful but “neither true nor false” because the general presuppositions
governing the use of referring expressions are not fulfilled. One aspect of
this argument was Russell’s alleged insensitivity to the ordinary use of
definite descriptions. The contrast between the abstract schemata of formal
logic and the manifold richness of the inferences inherent in ordinary language
is the central theme of Strawson’s “ Introduction to Logical Theory,” where he
credits H. P. Grice for making him aware of ‘pragmatic rules’ of
conversationGrice was amused that Baron Russell cared to respond to Strawson in
“Mind”where Russell’s original “On denoting” had been published. Together,
after a joint seminar with Quine, Strawson submitted “In defense of a dogma,”
co-written with GriceA year later Strawson submitted on Grice’s behalf
“Meaning” to the same journalThey participated with Pears in a Third programme
lecture, published by Pears in “The nature of metaphysics” (London,
Macmillan”). In Individuals, provocatively entitled “an essay in DESCRIPTIVE
(never revisionary) metaphysics,” Strawson, drawing “without crediting” on
joint seminars with Grice on Categories and De Interpretatione, Strawson reintroduced metaphysics as a respectable
philosophical discipline after decades of positivist rhetoric. But his project
is only “descriptive” metaphysics
elucidation of the basic features of our own conceptual scheme and his arguments are based on the philosophy
of language: “basic” particulars are those like “Grice” or his “cricket bat”,
which are basic objects of reference, and it is the spatiotemporal and sortal
conditions for their identification and reidentification by speakers that
constitute the basic categories. Three arguments are especially famous. First, even
in a purely auditory world objective reference on the basis of experience
requires at least an analogue of space. Second, because self-reference
presupposes reference to others, persons, conceived as bearers of both physical
and psychological properties, are a type of basic particularcfr. Grice on
“Personal identity.” Third, “feature-placing” discourse, such as ‘it is snowing
here now’, is “the ultimate propositional level” through which reference to
particulars enters discourse. Strawson’s next book, The Bounds of Sense 6,
provides a critical reading of Kant’s theoretical philosophy. His aim is to
extricate what he sees as the profound truths concerning the presuppositions of
objective experience and judgment that Kant’s transcendental arguments
establish from the mysterious metaphysics of Kant’s transcendental idealism.
Strawson’s critics have argued, however, that the resulting position is
unstable: transcendental arguments can tell us only what we must suppose to be
the case. So if Kant’s idealism, which restricts such suppositions to things as
they appear to us, is abandoned, we can draw conclusions concerning the way the
world itself must be only if we add the verificationist thesis that ability to
make sense of such suppositions requires ability to verify them. In his next
book, Skepticism and Naturalism: Some Varieties 5, Strawson conceded this:
transcendental arguments belong within descriptive metaphysics and should not
be regarded as attempts to provide an external justification of our conceptual
scheme. In truth no such external justification is either possible or needed:
instead and here Strawson invokes Hume
rather than Kant our reasonings come to
an end in natural propensities for belief that are beyond question because they
alone make it possible to raise questions. In a famous earlier paper Strawson
had urged much the same point concerning the free will debate: defenders of our
ordinary attitudes of reproach and gratitude should not seek to ground them in
the “panicky metaphysics” of a supra-causal free will; instead they can and
need do no more than point to our unshakable commitment to these “reactive”
attitudes through which we manifest our attachment to that fundamental category
of our conceptual scheme persons. strawsonise:
verb invented by A. M. Kemmerling. To adopt Strawson’s manoever in the analysis
of ‘meaning.’ “A form of ‘disgricing,’”Kemmerling adds. strawsonismGrice’s favourite Strawsonisms were
too many to count. His first was Strawson on ‘true’ for ‘Analysis.’ Grice was
amazed by the rate of publishing in Strawson’s case. Strawson kept publishing
and Grice kept criticizing. In “Analysis,’ Strawson gives Grice his first
‘strawsonism’ “To say ‘true’ is ditto.’ The second strawsonism is that there is
such a thing as ‘ordinary language’ which is not Russellian. As Grice shows,
ordinary language IS Russellian. Strawson said that composing “In defence of a
dogma” was torture and that it is up to Strawson to finish the thing off. So there are a few strawonisms there, too.
Strawson had the courtesy never to reprint ‘In defence’ in any of his
compilations, and of course to have Grice as fist author. There are ‘strawsonisms’
in Grice’s second collaboration with Strawsonthat Grice intentionally ignores
in “Life and opinions.” This is a transcript of the talk of the dynamic trio:
Grice, Pears, and Strawson, published three years later by Pears in “The nature
of metaphysics.” Strawson collaborated with “If and the horseshoe” to PGRICE,
but did not really write it for the occasion. It was an essay he had drafted
ages ago, and now saw fit to publish. He expands on this in his note on Grice
for the British Academy, and in his review of Grice’s compilation. Grice makes
an explicit mention of Strawson in a footnote in “Presupposition and
conversational implicaturum,” the euphemism he uses is ‘tribute’: the
refutation of Strawson’s truth-value gap as a metaphysical excrescence and
unnecessary is called a ‘tribute,’ coming from the tutor“in this and other
fields,” implicating, “there may be mistakes all over the place.” Kemmerling
somewhat ignores Urmson when he says, “Don’t disgrice if you can grice.” To
strawsonise, for Kemmerling is to avoid Grice’s direct approach and ask for a
higher-level intention. To strawsonise is the first level of disgrice. But
Grice first quotes Urmson and refers to Stampe’s briddge example before he does
to Strawson’s rat-infested house example. strawson’s
rat-infested house. Few in Grice’s playgroup had Grice’s analytic skills.
Only a few cared to join him in his analysis of ‘mean.’ The first was Urmson
with the ‘bribe.’ The second was Strawson, with his rat-infested house. Grice
re-writes Strawson’s alleged counterexample. To deal with his own rat-infested
house example, Strawson proposes that the analysans of "U means that
p" might be restricted by the addition of a further condition, namely that
the utterer U should utter x not only, as already provided, with the intention
that his addressee should think that U intends to obtain a certain response
from his addressee, but also with the intention that his addressee should think
(recognize) that U has the intention just mentioned. In Strawson's
example, in The Philosohical Review (that Grice cites on WOW:x) repr. in his
"Logico-Linguistic Papers," the potential home buyer is intended to
think that the realtor wants him to think that the house is rat-infested.
However, the potential house-buyer is not intended by the realtor to think that
he is intended to think that the realtor wants him to think that the house is
rat infested. The addressee is intended to think that it is only as a
result of being too clever for the realtor that he has learned that the
potential home buyer wants him to think that the house is
rat-infested; the potential home-buyer is to think that he is supposed to
take the artificially displayed dead rat as a evidence that the
house is rat infested. U wants to get A to believe that the house A is thinking
of buying is rat-infested. S decides tobring about this belief in A by taking
into the house and letting loose a big fat sewer rat. For S has the
following scheme. He knows that A is watching him and knows that A
believes that S is unaware that he, A, is watching him. It isS's intention
that A should (wrongly) infer from the fact that S let the rat loose that S did
so with the intention that A should arrive at the house, see the rat, and,
taking the rat as "natural evidence", infer therefrom that the house
is rat-infested. S further intends A to realize that given the nature of the
rat's arrival, the existence of the rat cannot be taken as genuine or natural
evidence that the house is rat-infested; but S kilows that A will believe that
S would not so contrive to get A to believe the house is rat-infested unless
Shad very good reasons for thinking that it was, and so S expects and intends A
to infer that the house is rat-infested from the fact that Sis letting the rat
loose with the intention of getting A to believe that the house is
rat-infested. Thus S satisfies the conditions purported to be necessary and
sufficient for his meaning something by letting the rat loose: S lets the rat
loose intending (4) A to think that the house is rat-infested, intending
(1)-(3) A to infer from the fact that S let the rat loose that S did so
intending A to think that the house is rat-infested, and intending (5) A's
recognition of S's . intention (4) to function as his reason for thinking that
the house is rat-infested. But even though S's action meets these
conditions, Strawson feels that his scenario fits Grice's conditions in
Grice's reductive analysis and not yet Strawson's intuition about his own use
of 'communicate.' To minimise Strawson's discomfort, Grice brings an
anti-sneaky clause. ("Although I never shared Strawson's intuition about
his use of 'communicate;' in fact, I very rarely use 'communicate that...' To
exterminate the rats in Strawson's rat-infested house, Grice uses, as he
should, a general "anti-deception" clause. It may be that
the use of this exterminating procedure is possible. It may be that any
'backward-looking' clauses can be exterminated, and replaced by a general
prohibitive, or closure clause, forbidding an intention by the utterer to be
sneaky. It is a conceptual point that if you intend your addressee NOT TO
REALISE that p, you are not COMMUNICATING that p. (3A) (if) (3r)
(ic): (a) U utters x intending (I) A to think x possesses
f (2) A to thinkf correlated in way c with the type to which r
belongs (3) A to think, on the basis of the fulfillment of (I) and (3)
that U intends A to produce r (4) A, on the basis of the fulfillment of (3) to
produce r, and (b) There is no inference-element E such that U
intends both (I') A in his determination of r to rely on E (2') A to think Uto
intend (I') to be false. In the final version Grice reaches after considering
alleged counterexamples to the NECESSITY of some of the conditions in the
analysans, Grice reformulates. It is not the case that, for some inference
element E, U intends x to be such that anyone who
has φ both rely on E in coming to ψ, or think that U ψ-s, that p and think that (Ǝφ) U intends x to be
such that anyone who has φ come to ψ (or think that U ψ-s) that
p without relying on E. Embedded in the general definition. By uttering x,
U means that-ψb-dp ≡ (Ǝφ)(Ǝf)(Ǝc) U
utters x intending x to be such that anyone who
has φ think that x has f, f is correlated in way c
with ψ-ing that p, and (Ǝφ') U intends x to be such
that anyone who has φ' think, via thinking that x has
f and that f is correlated in way c with ψ-ing that p, that U ψ-s that
p, and in view of (Ǝφ') U intending x to be such
that anyone who has φ' think, via thinking that x has
f, and f is correlated in way c with ψ-ing that p, that U ψ-s that
p, U ψ-s that p, and, for some
substituends of ψb-d, U utters x
intending that, should there actually be anyone who
has φ, he will, via thinking in view of (Ǝφ') U
intending x to be such that anyone who has φ' think, via
thinking that x has f, and f is correlated in way c
with ψ-ing that p, that U ψ-s that p, U ψ-s that
p himself ψ that p, and it is not
the case that, for some inference element E, U intends x to be such
that anyone who has φ both rely on E in coming to ψ, or think that U ψ-s, that p and think that (Ǝφ) U intends x to be
such that anyone who has φ come to ψ (or think that U ψ-s) that
p without relying on E,
stimulus-response -- poverty of the
stimulus, a psychological phenomenon exhibited when behavior is
stimulusunbound, and hence the immediate stimulus characterized in
straightforward physical terms does not completely control behavior. Human
beings sort stimuli in various ways and hosts of influences seem to affect
when, why, and how we respond our
background beliefs, facility with language, hypotheses about stimuli, etc.
Suppose a person visiting a museum notices a painting she has never before
seen. Pondering the unfamiliar painting, she says, “an ambitious visual
synthesis of the music of Mahler and the poetry of Keats.” If stimulus painting
controls response, then her utterance is a product of earlier responses to
similar stimuli. Given poverty of the stimulus, no such control is exerted by
the stimulus the painting. Of course, some influence of response must be
conceded to the painting, for without it there would be no utterance. However,
the utterance may well outstrip the visitor’s conditioning and learning
history. Perhaps she had never before talked of painting in terms of music and
poetry. The linguist Noam Chomsky made poverty of the stimulus central to his
criticism of B. F. Skinner’s Verbal Behavior 7. Chomsky argued that there is no
predicting, and certainly no critical stimulus control of, much human behavior.
strozzi: Important Italian
philosopher, especially influential at what Grice called Italy’s Oxford, i. e.
Firenze“Palla Strozzi was more a mentor than a philosopher, but I would
consider him both a Grecian and Griceian in spirit.” -- Palla Strozzi
Palla e Lorenzo Strozzi, dettaglio dell'Adorazione dei Magi di Gentile
da Fabriano (1423) Palla di Onofrio Strozzi (o Palla di Noferi) (Firenze,
1372Padova, 18 maggio 1462) banchiere, politico, letterato, filosofo e filologo
italiano. Stemma degli Strozzi Grazie alla ricchezza accumulata nelle ultime
generazioni dalla sua famiglia degli Strozzi, il padre poté far istruire il
figlio da letterati ed umanisti, e grazie all'interesse e all'intelligenza,
Palla divenne di fatto uno dei più fini uomini di cultura fiorentini del suo
tempo. Ricco e colto, commissionò
numerose opere d'arte, tra le quali la Cappella Strozzi (oggi Sagrestia) nella
Basilica di Santa Trinita, opera di Filippo Brunelleschi e Lorenzo Ghiberti
(1419-1423). La cappella, progetto irrealizzato del padre Noferi, venne fatta
erigere in sua memoria da Palla dopo la morte, e ne ospitò la sepoltura
monumentale. Per questo ambiente commissionò l'Adorazione dei Magi a Gentile da
Fabriano e la Deposizione dalla Croce a Lorenzo Monaco, terminata poi da Beato
Angelico che ne fece uno dei suoi capolavori.
L'opposizione ai Medici Collezionista di libri rari e conoscitore del
greco e del latino, si trovò già sessantenne invischiato nell'opposizione
strenua contro Cosimo de' Medici. Cosimo
il Vecchio infatti era l'uomo che per la prima volta si era di fatto preso
tutto il potere cittadino, grazie a un sistema di clientelismo con uomini
chiave alla guida degli uffici della Repubblica fiorentina. Davanti a Cosimo
solo due strade erano possibili: l'alleanza accettando un ruolo subordinato o
lo scontro frontale; e Palla, forte della sua ricchezza e fiero della propria
cultura, fu a capo della fazione antimedicea assieme ad un altro oligarca
indomabile, Rinaldo degli Albizi. In un
primo momento la fortuna arrise alla sua fazione, riuscendo ad ottenere prima
l'incarcerazione di Cosimo, poi la dichiarazione del medesimo come magnate,
cioè tiranno, ed il suo conseguente esilio dalla città (1433). L'obiettivo
dello Strozzi comunque non era tanto l'eliminazione di un avversario, ma la
restaurazione della libertas fiorentina e in questo fu diverso dall'alleato
Rinaldo degli Albizi. Intanto Cosimo
mandava già segni di prepararsi a un rientro, che avvenne puntuale al cambio di
governo con il veloce avvicendamento dei gonfalonieri, meno di un anno dopo la
sua partenza da Firenze. L'esilio Tra i
primi provvedimenti vi è proprio la vendetta sugli avversari, con l'esilio
delle famiglie degli Albizi e degli Strozzi, e in questo Cosimo fu favorito
anche dall'appoggio popolare che lui e la sua casata si erano saputi conquistare. Nel 1434 quindi lo Strozzi parte per Padova,
dove si preparava per un rientro che non avvenne mai. La sua casa di Padova,
nella quale egli visse una seconda giovinezza, fu un ritrovo di artisti e
letterati, nel periodo d'oro quando la città veneta era uno dei centri
culturali più notevoli della penisola italiana, per certi risultati artistici
più importante della stessa Firenze (si pensi ai capolavori lasciati proprio da
due fiorentini come Giotto o Donatello).
Lasciò la sua raccolta di libri rari, arricchita ulteriormente durante
il suo soggiorno padovano, al monastero di Santa Giustina. Morì a Padova l'8
maggio 1462, nel suo palazzo verso il Prato della Valle. Fu sepolto nella
vicina chiesa di Santa Maria di Betlemme.
Matrimoni e discendenza Dalla moglie Maria Strozzi, sua lontana parente,
ebbe undici figli: Lorenzo (1404-1452)
Onofrio (1411-1452) Nicola detto Tita (1412-?) Gianfrancesco (1418-1468 circa)
Carlo Bartolomeo Margherita Lena (morta nel 1449, moglie di Felice Brancacci)
Ginevra Jacopa (moglie di Giovanni di Paolo Rucellai) Tancia. In tarda età si
sposò con una figlia di Felice Brancacci, che lo seguì a Padova. I suoi discendenti si stabilirono in seguito
a Ferrara e diedero origine al ramo ferrarese degli Strozzi (quello di Tito
Vespasiano ed Ercole Strozzi).
Onorificenze Cavaliere dello Speron d'oronastrino per uniforme ordinaria
Cavaliere dello Speron d'oro Marcello
Vannucci, Le grandi famiglie di Firenze, Roma, Newton Compton Editori, G.
Reichenbach, «STROZZI, Palla», in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 1936. Roberto Palmarocchi, «La famiglia STROZZI»,
in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Refs.:Luigi Speranza, "Grice e Strozzi -- Grecian,
Griceian," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa
Grice, Liguria, Italia.
structuratum: mid-15c.,
"action or process of building or construction;" 1610s, "that
which is constructed, a building or edifice;" from Latin structura "a
fitting together, adjustment; a building, mode of building;" figuratively,
"arrangement, order," from structus, past participle of struere
"to pile, place together, heap up; build, assemble, arrange, make by
joining together," related to strues "heap," from PIE *streu-,
extended form of root *stere- "to spread.” structuralism, a
distinctive yet extremely wide range of productive research conducted in the
social and human sciences from the 0s through the 0s, principally in France. It
is difficult to describe structuralism as a movement, because of the
methodological constraints exercised by the various disciplines that came to be
influenced by structuralism e.g.,
anthropology, philosophy, literary theory, psychoanalysis, political theory,
even mathematics. Nonetheless, structuralism is generally held to derive its organizing
principles from the early twentieth-century work of Saussure, the founder of
structural linguistics. Arguing against the prevailing historicist and
philological approaches to linguistics, he proposed a “scientific” model of
language, one understood as a closed system of elements and rules that account
for the production and the social communication of meaning. Inspired by
Durkheim’s notion of a “social fact”
that domain of objectivity wherein the psychological and the social
orders converge Saussure viewed language
as the repository of discursive signs shared by a given linguistic community.
The particular sign is composed of two elements, a phonemic signifier, or
distinctive sound element, and a corresponding meaning, or signified element.
The defining relation between the sign’s sound and meaning components is held
to be arbitrary, i.e., based on conventional association, and not due to any
function of the speaking subject’s personal inclination, or to any external
consideration of reference. What lends specificity or identity to each
particular signifier is its differential relation to the other signifiers in
the greater set; hence, each basic unit of language is itself the product of
differences between other elements within the system. This principle of
differential and structural relation was extended by Troubetzkoy to the
order of phonemes, whereby a defining set of vocalic differences underlies the
constitution of all linguistic phonemes. Finally, for Saussure, the closed set
of signs is governed by a system of grammatical, phonemic, and syntactic rules.
Language thus derives its significance from its own autonomous organization,
and this serves to guarantee its communicative function. Since language is the
foremost instance of social sign systems in general, the structural account
might serve as an exemplary model for understanding the very intelligibility of
social systems as such hence, its
obvious relevance to the broader concerns of the social and human sciences.
This implication was raised by Saussure himself, in his Course on General
Linguistics6, but it was advanced dramatically by the anthropologist Claude Lévi-Strauss who is generally acknowledged to be the
founder of modern structuralism in his
extensive analyses in the area of social anthropology, beginning with his
Elementary Structures of Kinship 9. Lévi-Strauss argued that society is itself
organized according to one form or another of significant communication and
exchange whether this be of information,
knowledge, or myths, or even of its members themselves. The organization of
social phenomena could thus be clarified through a detailed elaboration of
their subtending structures, which, collectively, testify to a deeper and
all-inclusive, social rationality. As with the analysis of language, these
social structures would be disclosed, not by direct observation, but by
inference and deduction from the observed empirical data. Furthermore, since
these structures are models of specific relations, which in turn express the differential
properties of the component elements under investigation, the structural
analysis is both readily formalizable and susceptible to a broad variety of
applications. In Britain, e.g., Edmund Leach pursued these analyses in the
domain of social anthropology; in the United States, Chomsky applied insights
of structuralism to linguistic theory and philosophy of mind; in Italy, Eco
conducted extensive structuralist analyses in the fields of social and literary
semiotics. With its acknowledgment that language is a rule-governed social
system of signs, and that effective communication depends on the resources
available to the speaker from within the codes of language itself, the
structuralist approach tends to be less preoccupied with the more traditional considerations
of “subjectivity” and “history” in its treatment of meaningful discourse. In
the post-structuralism that grew out of this approach, the philosopher Foucault, e.g., focused on the
generation of the “subject” by the various epistemic discourses of imitation
and representation, as well as on the institutional roles of knowledge and
power in producing and conserving particular “disciplines” in the natural and
social sciences. These disciplines, Foucault suggested, in turn govern our
theoretical and practical notions of madness, criminality, punishment,
sexuality, etc., notions that collectively serve to “normalize” the individual
subject to their determinations. Likewise, in the domain of psychoanalysis,
Lacan drew on the work of Saussure and Lévi-Strauss to emphasize Freud’s
concern with language and to argue that, as a set of determining codes,
language serves to structure the subject’s very unconscious. Problematically,
however, it is the very dynamism of language, including metaphor, metonymy, condensation,
displacement, etc., that introduces the social symbolic into the constitution
of the subject. Althusser applied the principles of structuralist methodology
to his analysis of Marxism, especially the role played by contradiction in
understanding infrastructural and superstructural formation, i.e., for the
constitution of the historical dialectic. His account followed Marx’s rejection
of Feuerbach, at once denying the role of traditional subjectivity and
humanism, and presenting a “scientific” analysis of “historical materialism,”
one that would be anti-historicist in principle but attentive to the actual
political state of affairs. For Althusser, such a philosophical analysis helped
provide an “objective” discernment to the historical transformation of social
reality. The restraint the structuralists extended toward the traditional views
of subjectivity and history dramatically colored their treatment both of the
individuals who are agents of meaningful discourse and of the linguistically
articulable object field in general. This redirection of research interests
particularly in France, due to the influential work of Barthes and Michel
Serres in the fields of poetics, cultural semiotics, and communication theory
has resulted in a series of original analyses and also provoked lively debates
between the adherents of structuralist methodology and the more conventionally
oriented schools of thought e.g., phenomenology, existentialism, Marxism, and
empiricist and positivist philosophies of science. These debates served as an
agency to open up subsequent discussions on deconstruction and postmodernist
theory for the philosophical generation of the 0s and later. These
post-structuralist thinkers were perhaps less concerned with the organization
of social phenomena than with their initial constitution and subsequent
dynamics. Hence, the problematics of the subject and history or, in broader terms, temporality itself were again engaged. The new discussions were
abetted by a more critical appraisal of language and tended to be antiHegelian
in their rejection of the totalizing tendency of systematic metaphysics.
Heidegger’s critique of traditional metaphysics was one of the major influences
in the discussions following structuralism, as was the reexamination of
Nietzsche’s earlier accounts of “genealogy,” his antiessentialism, and his
teaching of a dynamic “will to power.” Additionally, many poststructuralist
philosophers stressed the Freudian notions of the libido and the unconscious as
determining factors in understanding not only the subject, but the deep
rhetorical and affective components of language use. An astonishing variety of
philosophers and critics engaged in the debates initially framed by the
structuralist thinkers of the period, and their extended responses and critical
reappraisals formed the vibrant, poststructuralist period of intellectual life. Such figures as Ricoeur,
Emmanuel Levinas, Kristeva, Maurice Blanchot, Derrida, Gilles Deleuze, Félix
Guattari, Lyotard, Jean Baudrillard, Philippe LacoueLabarthe, Jean-Luc Nancy,
and Irigaray inaugurated a series of contemporary reflections that have become
international in scope. Refs.: H. P. Grice, “The structure of structure.” .
sub-iectum: sub-iectumsub-iectificatio -- subjectification: Grice
is right in distinguishing this from nominalization, because not all
nominalization takes the subject position. Grice plays with this. It is a
derivation of the ‘subjectum,’ which Grice knows it is Aristotelian. Liddell
and Scott have the verb first, and the neuter singular later. “τὸ ὑποκείμενον,”
Liddell and Scott note “has three main applications.” The first is “to the
matter (hyle) which underlies the form (eidos), as o To both “εἶδος” and
“ἐντελέχεια” Met. 983a30; second, to the substantia (hyle + morphe) which
underlies the accidents, and as opposed to “πάθη,” and “συμβεβηκότα,” as in
Cat. 1a20,27 and Met.1037b16, 983b16; third, and this is the use that
‘linguistic’ turn Grice and Strawson are interested in, “to the logical subject
to which attributes are ascribed,” and here o “τὸ κατηγορούμενον,” (which would
be the ‘praedicatum’), as per Cat.1b10,21, Ph.189a31. If Grice uses Kiparsky’s
factive, he is also using ‘nominalisation’ as grammarians use it. Refs.: Grice,
“Reply to Richards,” in PGRICE, also BANC. subjectivism: When Grice speaks of
the subjective condition on intention, he is using ‘subject,’ in a way a
philosophical psychologist would. He does not mean Kant’s transcendental
subject or ego. Grice means the simpler empiricist subject, personal identity,
or self. The choice is unfelicitious in that ‘subject’ contrasts with ‘object.’
So when he speaks of a ‘subjective’ person he means an ‘ego-centric’ condition,
or a self-oriented condition, or an agent-oriented condition, or an
‘utterer-oriented’ or ‘utterer-relative’ condition. But this is tricky. His
example: “Nixon should get that chair of theology.” The utterer may have to put
into Nixon’s shoes. He has to perceive Nixon as a PERSON, a rational agent,
with views of his own. So, the philosophical psychologist that Grice is has to
think of a conception of the self by the self, and the conception of the other
by the self. Wisdom used to talk of ‘other minds;’ Grice might speak of other
souls. Grice was concerned with intending folloed by a that-clause. Jeffrey
defines desirability as doxastically modified. It is entirely possible for
someone to desire the love that he already has. It is what he thinks that
matters. Cf. his dispositional account to intending. A Subjectsive
condition takes into account the intenders, rather than the ascribers, point of
view: Marmaduke Bloggs intends to climb Mt. Everest on hands and knees.
Bloggs might reason: Given my present state, I should do what is
fun. Given my present state, the best thing for me to do would be to do
what is fun. For me in my present state it would make for my well-being,
to have fun. Having fun is good, or, a good. Climbing a mountain would be
fun. Climbing the Everest would be/make for climbing fun. So, I shall
climb the Everest. Even if a critic insisted that a practical syllogism is
the way to represent Bloggs finding something to be appealing, and that it
should be regarded as a respectable evaluation, the assembled propositions dont
do the work of a standard argument. The premises do not support or yield the
conclusion as in a standard argument. The premises may be said to yield the
conclusion, or directive, for the particular agent whose reasoning process it
is, only on the basis of a Subjectsive condition: that the agent is in a
certain Subjectsive state, e.g. feels like going out for dinner-fun. Rational
beings (the agent at some other time, or other individuals) who do not have
that feeling, will not accept the conclusion. They may well accept as true. It
is fun to climb Everest, but will not accept it as a directive unless they feel
like it now. Someone wondering what to do for the summer might think that if he
were to climb Everest he would find it fun or pleasant, but right now she does
not feel like it. That is in general the end of the matter. The alleged
argument lacks normativity. It is not authoritative or directive unless there
is a supportive argument that he needs/ought to do something diverting/pleasant
in the summer. A practical argument is different. Even if an agent did not feel
like going to the doctor, an agent would think I ought to have a medical check
up yearly, now is the time, so I should see my doctor to be a directive with
some force. It articulates a practical argument. Perhaps the strongest
attempt to reconstruct an (acceptable or rational) thought
transition as a standard arguments is to treat the Subjectsive
condition, I feel like having climbing fun in the summer, as a premise, for
then the premises would support the conclusion. But the individual, whose
thought transition we are examining, does not regard a description of his
psychological state as a consideration that supports the conclusion. It
will be useful to look more closely at a variant of the example to note when it
is appropriate to reconstruct thinking in the form of argument. Bloggs,
now hiking with a friend in the Everest, comes to a difficult spot and
says: I dont like the look of that, I am frightened. I am going back. That
is usually enough for Bloggs to return, and for the friend to turn back with
him. Bloggss action of turning back, admittedly motivated by fear, is, while
not acting on reasons, nonetheless rational unless we judge his fear to be
irrational. Bloggss Subjectsive condition can serve as a
premise, but only in a very different situation. Bloggs resorts to reasons.
Suppose that, while his friend does not think Bloggss fear irrational, the
friend still attempts to dissuade Bloggs from going back. After listening and
reflecting, Bloggs may say I am so frightened it is not worth it. I am not
enjoying this climbing anymore. Or I am too frightened to be able to safely go
on. Or I often climb the Everest and dont usually get frightened. The fact that
I am now is a good indication that this is a dangerous trail and I should turn
back. These are reasons, considerations implicitly backed by principles, and
they could be the initial motivations of someone. But in Bloggss case they
emerged when he was challenged by his friend. They do not express his initial
practical reasoning. Bloggs was frightened by the trail ahead, wanted to go
back, and didnt have any reason not to. Note that there is no general
rational requirement to always act on reasons, and no general truth that a
rational individual would be better off the more often he acted on
reasons. Faced with his friends objections, however, Bloggs needed
justification for acting on his fear. He reflected and found reason(s) to act
on his fear. Grice plays with Subjectsivity already in Prolegomena. Consider the
use of carefully. Surely we must include the agents own idea of this. Or
consider the use of phi and phisurely we dont want the addressee to regard
himself under the same guise with which the utterer regards him. Or consider “Aspects”:
Nixon must be appointed professor of theology at Oxford. Does he feel the need?
Grice raises the topic of Subjectsivity again in the Kant lectures just after
his discussion of mode, in a sub-section entitled, Modalities: relative and
absolute. He finds the topic central for his æqui-vocality thesis: Subjectsive
conditions seem necessary to both practical and alethic considerations. Refs.:
The source is his essay on intentions and the subjective condition, The H. P. Grice
Papers, BANC. The subject: hypokeimenon -- When Frege turned from ‘term logic’
to ‘predicate logic’ “he didn’t know what he was doing.” Cf. Oxonian
nominalization. Grice plays a lot on that. His presentation at the Oxford
Philosophical Society he entitled, in a very English way, as “Meaning” (echoing
Ogden and Richards). With his “Meaning, Revisited,” it seems more clearly that
he is nominalizing. Unless he means, “The essay “Meaning,” revisited,”alla
Putnam making a bad joke on Ogden: “The meaning of ‘meaning’”“ ‘Meaning,’
revisited” -- Grice is very familiar
with this since it’s the literal transliteration of Aristotle’s hypokeimenon, o
in a specific context, to the ‘prae-dicatum,’ or categoroumenon. And with the
same sort of ‘ambiguity,’ qua opposite a category of expression, thought, or
reality. In philosophical circles, one has to be especially aware of the
subject-object distinction (which belong in philosophical psychology) and the
thing which belongs in ontology. Of course there’s the substance (hypousia,
substantia), the essence, and the sumbebekon, accidens. So one has to be
careful. Grice expands on Strawson’s explorations here. Philosophy, to
underlie, as the foundation in which something else inheres, to be implied or
presupposed by something else, “ἑκάστῳ τῶν ὀνομάτων . . ὑ. τις ἴδιος οὐσία”
Pl.Prt.349b, cf. Cra.422d, R.581c, Ti.Locr.97e: τὸ ὑποκείμενον has three main
applications: (1) to the matter which underlies the form, o εἶδος, ἐντελέχεια,
Arist.Metaph.983a30; (2) to the substance (matter + form) which underlies the
accidents, o πάθη, συμβεβηκότα, Id.Cat.1a20,27, Metaph.1037b16, 983b16; (3) to
the logical subject to which attributes are ascribed, o τὸ κατηγορούμενον,
Id.Cat.1b10,21, Ph.189a31: applications (1) and (2) are distinguished in
Id.Metaph.1038b5, 1029a1-5, 1042a26-31: τὸ ὑ. is occasionally used of what
underlies or is presupposed in some other way, e. g. of the positive termini
presupposed by change, Id.Ph.225a3-7. b. exist, τὸ ἐκτὸς ὑποκείμενον the
external reality, Stoic.2.48, cf. Epicur.Ep.112,24 U.; “φῶς εἶναι τὸ χρῶμα τοῖς
ὑ. ἐπιπῖπτον” Aristarch. Sam. ap. Placit.1.15.5; “τὸ κρῖνον τί τε φαίνεται
μόνον καὶ τί σὺν τῷ φαίνεσθαι ἔτι καὶ κατ᾽ ἀλήθειαν ὑπόκειται” S.E.M.7.143, cf.
83,90,91, 10.240; = ὑπάρχω, τὰ ὑποκείμενα πράγματα the existing state of
affairs, Plb.11.28.2, cf. 11.29.1, 15.8.11,13, 3.31.6, Eun.VSp.474 B.; “Τίτος
ἐξ ὑποκειμένων ἐνίκα, χρώμενος ὁπλις μοῖς καὶ τάξεσιν αἷς παρέλαβε”
Plu.Comp.Phil.Flam.2; “τῆς αὐτῆς δυνάμεως ὑποκειμένης” Id.2.336b; “ἐχομένου τοῦ
προσιόντος λόγου ὡς πρὸς τὸν ὑποκείμενον” A.D.Synt.122.17. c. ὁ ὑ. ἐνιαυτός the
year in question, D.S.11.75; οἱ ὑ. καιροί the time in question, Id.16.40,
Plb.2.63.6, cf. Plu.Comp.Sol.Publ.4; τοῦ ὑ. μηνός the current month, PTeb.14.14
(ii B. C.), al.; ἐκ τοῦ ὑ. φόρου in return for a reduction from the said rent,
PCair.Zen.649.18 (iii B. C.); πρὸς τὸ ὑ. νόει according to the context,
Gp.6.11.7. Note that both Grice and Strawson oppose Quine’s Humeian dogma that,
since the subjectum is beyond comprehension, we can do with a ‘predicate’
calculus, only. Vide Strawson, “Subject and predicate in logic and grammar.”
Refs: H. P. Grice, Work on the categories with P. F. Strawson, The H. P. Grice
Papers, BANC MSS 90/135c. subjectumGrecian hypokeimenonGrice’s ‘implying,’ qua
nominalization, is a category shift, a subjectification, or objectificiation.We
have ‘employ,’ ‘imply,’ and then ‘implication,’ ‘implicature, and ‘implying’
Using the participles, we have the active voice present implicans, the active
voice future, implicaturum, and the passive perfect ‘impicatum.’ subjectivism,
any philosophical view that attempts to understand in a subjective manner what
at first glance would seem to be a class of judgments that are objectively
either true or false i.e., true or false
independently of what we believe, want, or hope. There are two ways of being a
subjectivist. In the first way, one can say that the judgments in question,
despite first appearances, are really judgments about our own attitudes,
beliefs, emotions, etc. In the second way, one can deny that the judgments are
true or false at all, arguing instead that they are disguised commands or
expressions of attitudes. In ethics, for example, a subjective view of the
second sort is that moral judgments are simply expressions of our positive and
negative attitudes. This is emotivism. Prescriptivism is also a subjective view
of the second sort; it is the view that moral judgments are really
commands to say “X is good” is to say,
details aside, “Do X.” Views that make morality ultimately a matter of conventions
or what we or most people agree to can also be construed as subjective
theories, albeit of the first type. Subjectivism is not limited to ethics,
however. According to a subjective view of epistemic rationality, the standards
of rational belief are the standards that the individual or perhaps most
members in the individual’s community would approve of insofar as they are
interested in believing those propositions that are true and not believing
those propositions that are false. Similarly, phenomenalists can be regarded as
proposing a subjective account of material object statements, since according
to them, such statements are best understood as complex statements about the
course of our experiences. -- -obiectum-abiectumm-exiectum quartet, the:
Grice: subject-object dichotomy, the distinction between thinkers and what they
think about. The distinction is not exclusive, since subjects can also be
objects, as in reflexive self-conscious thought, which takes the subject as its
intended object. The dichotomy also need not be an exhaustive distinction in
the strong sense that everything is either a subject or an object, since in a
logically possible world in which there are no thinkers, there may yet be
mind-independent things that are neither subjects nor objects. Whether there
are non-thinking things that are not objects of thought in the actual world
depends on whether or not it is sufficient in logic to intend every individual
thing by such thoughts and expressions as ‘We can think of everything that
exists’. The dichotomy is an interimplicative distinction between thinkers and
what they think about, in which each presupposes the other. If there are no
subjects, then neither are there objects in the true sense, and conversely. A
subjectobject dichotomy is acknowledged in most Western philosophical
traditions, but emphasized especially in Continental philosophy, beginning with
Kant, and carrying through idealist thought in Fichte, Schelling, Hegel, and
Schopenhauer. It is also prominent in intentionalist philosophy, in the
empirical psychology of Brentano, the object theory of Meinong, Ernst Mally,
and Twardowski, and the transcendental phenomenology of Husserl. Subjectobject
dichotomy is denied by certain mysticisms, renounced as the philosophical
fiction of duality, of which Cartesian mindbody dualism is a particular
instance, and criticized by mystics as a confusion that prevents mind from
recognizing its essential oneness with the world, thereby contributing to
unnecessary intellectual and moral dilemmas.
sub-ordination. Grice must be the only Oxonian philosopher in postwar
Oxford that realised the relevance of subordination. Following J. C. Wilson,
Grice notes that ‘if’ is a subordinating connective, and the only one of the
connectives which is not commutative. This gives Grice the idea to consult Cook
Wilson and develop his view of ‘interrogative subordination.’ Who killed Cock
Robin. If it was not the Hawk, it was the Sparrow. It was not the Hawk. It was
the Sparrow. What Grecian idiom is Romanesque sub-ordinatio translating. The
opposite is co-ordination. “And” and “or” are coordinative particles.
Interrogative coordination is provided by ‘or,’ but it relates to yes/no
questions. Interrogative subordination involves x-question. WHO killed Cock
Robin. The Grecians were syntactic and hypotactic. Varro uses jungendi. is the
same and wherefrom it is different, in relation to what &c." It may
well be doubted whether he has thus improved upon his predecessors. Surely the
discernment of sameness and difference is a function necessarily belonging to
soul and necessarily included in the catalogue of her functions : yet
Stallbaum's rendering excludes it from that catalogue. The fact that we have
ory hv $, not orcp ecri, does not really favour his view—" with whatsoever
a thing may be the same, she declares it the same.' I coincide then with the
other interpreters in regarding the whole sentence from orw t' hv as indirect
INTERROGATION SUBORDINATE interrogation subordinateto \iyeiThis mistake in
logic carries with it serious mistakes in trans lation. The clause otw t av ti
tovtov rj kcu otov hv erepov is made an indirect INTERROGATIVE COORDINATE with
itpbs o tC re pu£Aio-ra xai ottt? [ 39 ] k.t.\., which is impossible. Stallbaum
rightly makes the clause a substantive clause and subject of elvai or
£vp.f}aivei elvai. (3) eKao-ra is of course predicate with elvai to this sthe
question, ‘How many sugars would Tom like in his tea?’ is not ‘satisfied’ by
the answer ‘Tom loves sugar’. It may well be true that Tom loves sugar, but the
question is not satisfied by that form of answer. Conversely the answer ‘one
spoonful’ satisfies the question, even though it might be the wrong answer and
leave the tea insufficiently sugary for the satisfaction of Tom’s sweet tooth. sub-per-ceptum: This relates to Stich
and his sub-doxastic. For Aristotle, “De An.,” the anima leads to the
desideratum. Unlike in ‘phuta,’ or vegetables, which are still ‘alive,’ (‘zoa’he
had a problem with ‘sponges’ which were IN-animate, to him, most likely) In
WoW:139, Grice refers to “the pillar box seems red” as “SUB-PERCEPTUAL,” the
first of a trio. The second is the perceptual, “A perceives that the pillar box
is red,” and the third, “The pillar box is red.” He wishes to explore the
truth-conditons of the subperceptum, and although first in the list, is last in
the analsysis. Grice proposes: ‘The pillar box seems red” iff (1) the pillar
box is red; (2) A perceives that the pillar box is red; and (3) (1) causes (2).
In this there is a parallelism with his quasi-causal account of ‘know’ (and his
caveat that ‘literally,’ we may just know that 2 + 2 = 4 (and such) (“Meaning
Revisited). In what he calls ‘accented sub-perceptum,’ the idea is that the U
is choosing the superceptum (“seems”) as opposed to his other obvious choices
(“The pillar box IS red,”) and the passive-voice version of the ‘perceptum’:
“The pillar box IS PERCEIVED red.” The ‘accent’ generates the D-or-D implicaturum:
By uttering “The pillar box seems red,” U IMPLICATES that it is denied that or
doubted that the pillar box is perceived red by U or that the pillar box is
red. In this, the accented version contrasts with the unaccented version where
the implicaturum is NOT generated, and the U remains uncommitted re: this doubt
or denial implicaturum. It is this uncommitment that will allow to disimplicate
or cancel the implicaturum should occasion arise. The reference Grice makes
between the sub-perceptum and the perceptum is grammatical, not psychological.
Or else he may be meaning that in uttering, “I perceive that the pillar box is
red,” one needs to appeal to Kant’s apperception of the ego. Refs.: Pecocke,
Sense and content, Grice, BANC. sub-perceptual -- subdoxastic, pertaining to
states of mind postulated to account for the production and character of
certain apparently non-inferential beliefs. These were first discussed by
Stephen P. Stich in “Beliefs and Subdoxastic States” 8. I may form the belief
that you are depressed, e.g., on the basis of subtle cues that I am unable to
articulate. The psychological mechanism responsible for this belief might be
thought to harbor information concerning these cues subdoxastically. Although
subdoxastic states resemble beliefs in certain respects they incorporate intentional content, they
guide behavior, they can bestow justification on beliefs they differ from fullyfledged doxastic states
or beliefs in at least two respects. First, as noted above, subdoxastic states
may be largely inaccessible to introspection; I may be unable to describe, even
on reflection, the basis of my belief that you are depressed. Second,
subdoxastic states seem cut off inferentially from an agent’s corpus of beliefs;
my subdoxastic appreciation that your forehead is creased may contribute to my
believing that you are depressed, but, unlike the belief that your forehead is
creased, it need not, in the presence of other beliefs, lead to further beliefs
about your visage. Sub-scriptum: Quine thought that Grice’s subscript device was
otiose, and that he would rather use brackets, or nothing, any day. Grice plays with various roots of ‘scriptum.’
He was bound to. Moore had showed that ‘good’ was not ‘descriptive.’ Grice
thinks it’s pseudo-descriptive. So here we have the first, ‘descriptum,’ where
what is meant is Griceian: By uttering the “The cat is on the mat” U means, by
his act of describing, that the cat is on the mat. Then there’s the
‘prae-scriptum.’ Oddly, Grice, when criticizing the ‘descriptive’ fallacy,
seldom mentions the co-relative ‘prescriptum.’ “Good” would be understood in
terms of a ‘prae-scriptum’ that appeals to his utterer’s intentions. Then
there’s the subscriptum. This may have various use, both in Grice. “I
subscribe,” and in the case of “Pegasus flies.” Where the utterer subscribes to
his ontological commitment. subscript device. Why does Grice think we NEED a
subscript device? Obviously, his wife would not use it. I mean, you cannot
pronounce a subscript device or a square-bracket device. So his point is
ironic. “Ordinary” language does not need it. But if Strawson and Quine are
going to be picky about stuffontological commitment, ‘existential
presupposition,’ let’s subscribe and bracket! Note that Quine’s response to
Grice is perfunctory: “Brackets would have done!” Grice considers a quartet of
utterances: Jack wants someone to marry him; Jack wants someone or
other to marry him; Jack wants a particular person to marry him,
and There is someone whom Jack wants to marry him.Grice notes that
there are clearly at least two possible readings of an utterance
like our (i): a first reading in which, as Grice puts it, (i) might be
paraphrased by (ii). A second reading is one in which it might be
paraphrased by (iii) or by (iv). Grice goes on to symbolize the
phenomenon in his own version of a first-order predicate calculus. Ja wants
that p becomes Wjap where ja stands for the individual constant Jack
as a super-script attached to the predicate standing for Jacks psychological
state or attitude. Grice writes: Using the apparatus of classical predicate
logic, we might hope to represent, respectively, the external reading and the
internal reading (involving an intentio secunda or intentio obliqua)
as (Ǝx)WjaFxja and Wja(Ǝx)Fxja. Grice then goes on
to discuss a slightly more complex, or oblique, scenario involving this second
internal reading, which is the one that interests us, as it involves an
intentio seconda.Grice notes: But suppose that Jack wants a specific
individual, Jill, to marry him, and this because Jack has been deceived
into thinking that his friend Joe has a highly delectable sister called Jill,
though in fact Joe is an only child. The Jill Jack eventually goes up the hill
with is, coincidentally, another Jill, possibly existent. Let us
recall that Grices main focus of the whole essay is, as the title goes,
emptiness! In these circumstances, one is inclined to say that (i)
is true only on reading (vii), where the existential quantifier
occurs within the scope of the psychological-state or -attitude verb,
but we cannot now represent (ii) or (iii), with Jill being vacuous,
by (vi), where the existential quantifier (Ǝx) occurs outside the
scope of the psychological-attitude verb, want, since [well,] Jill does
not really exist, except as a figment of Jacks imagination. In a manoeuver that
I interpret as purely intentionalist, and thus favouring by far Suppess over
Chomskys characterisation of Grice as a mere behaviourist, Grice hopes that
we should be provided with distinct representations
for two familiar readings of, now: Jack wants Jill to marry him and
Jack wants Jill to marry him. It is at this point that Grice applies a
syntactic scope notation involving sub-scripted numerals, (ix) and (x),
where the numeric values merely indicate the order of introduction of the
symbol to which it is attached in a deductive schema for the predicate calculus
in question. Only the first formulation represents the internal reading (where
ji stands for Jill): W2ja4F1ji3ja4 and
W3ja4F2ji1ja4. Note
that in the second formulation, the individual constant for Jill, ji, is
introduced prior to want,jis sub-script is 1, while Ws sub-script is the higher
numerical value 3. Grice notes: Given that Jill does not exist, only the
internal reading can be true, or alethically satisfactory. Grice sums up
his reflections on the representation of the opaqueness of a verb standing for
a psychological state or attitude like that expressed by wanting with one
observation that further marks him as an intentionalist, almost of a Meinongian
type. He is willing to allow for existential phrases in cases of vacuous
designata, provided they occur within opaque psychological-state or attitude
verbs, and he thinks that by doing this, he is being faithful to the richness
and exuberance of ordinary discourse, while keeping Quine happy. As Grice
puts it, we should also have available to us also three neutral, yet distinct,
(Ǝx)-quantificational forms (together with their isomorphs), as a philosopher
who thinks that Wittgenstein denies a distinction, craves for a generality!
Jill now becomes x. W4ja5Ǝx3F1x2ja5, Ǝx5W2ja5F1x4ja3, Ǝx5W3ja4F1x2ja4. As Grice
notes, since in (xii) the individual variable x (ranging over Jill) does not
dominate the segment following the (Ǝx) quantifier, the formulation does not
display any existential or de re, force, and is suitable therefore for
representing the internal readings (ii) or (iii), if we have to allow, as we do
have, if we want to faithfully represent ordinary discourse, for the
possibility of expressing the fact that a particular person, Jill, does not
actually exist.
stupid. Grice loved Plato. They are considering
‘horseness.’ “I cannot see horeseness; I can see horses.” “You are the epitome
of stupidity.” “I cannot see stupidity. I see stupid.”
società
filosofia italiana
sub-gestum -- suggestio falsi suggest. To suggest is
like to ‘insinuate,’ only different. The root involves a favourite with Grice,
‘a gesture.’ That gesture is very suggesture. Grice explores hint versus
suggest in Retrospective epilogue. Also cited by Strawson and Wiggins. The
emissor’s implication is exactly this suggestio, for which suggestum. To suggest, advise, prompt, offer, bring to mind: “quoties aequitas restitutionem suggerit,” Dig. 4, 6, 26 fin.;
cf.: “quae (res) suggerit, ut Italicarum rerum esse credantur eae res,” reminds, admonishes, ib. 28, 5, 35 fin.: “quaedam de republicā,” Aur. Vict. Vir. Ill. 66, 2. — Absol.: “suggerente conjuge,” at the instigation of, Aur. Vict. Epit. 41, 11; cf.: “suggerente irā,” id. ib. 12, 10 suggestio falsi. Pl. suggestiones
falsi. [mod.L., = suggestion of what is false.] A misrepresentation
of the truth whereby something incorrect is implied to be true; an indirect
lie. Often in contexts with suppressio veri. QUOTES: 1815 H.
Maddock Princ. & Pract. Chancery I. 208 Whenever Suppressio veri or
Suggestio falsi occur..they afford a sufficient ground for setting aside any
Release or Conveyance. 1855 Newspaper & Gen. Reader's Pocket
Compan. i.4 He was bound to say that the suppressio veri on that occasion
approached very nearly to a positive suggestio falsi. 1898 Kipling
Stalky & Co. (1899) 36 It seems..that they had held back material
facts; that they were guilty both of suppressio veri and suggestio falsi.
1907 W. de Morgan Alice-for-Short xxxvi. 389 That's suppressio veri
and suggestio falsi! Besides, it's fibs! 1962 J. Wilson Public
Schools & Private Practice i. 19 It is rare to find a positively
verifiable untruth in a school brochure: but it is equally rare not to find a
great many suggestiones falsi, particularly as regards the material comfort and
facilities available. 1980 D. Newsome On Edge of Paradise 7
There are undoubted cases of suppressio veri; on the other hand, he appears to
eschew suggestio falsi. --- Fibs indeed. Suppress, suggest.
Write: "Griceland, Inc." "Yes, I agree to
become a Doctor in Gricean Studies" EXAM QUESTION: 1.
Discuss suggestio falsi in terms of detachability. 2. Compare suppresio
veri and suggestion falsi in connection with "The king of France is
bald" uttered during Napoleon's time. 3. Invent things for
'suppressio falsi' and 'suggestio veri'. 4. No. You cannot go to the
bathroom. -- sub-gestum -- suggestum:
not necesarilyy ‘falsi.’ The verb is ‘to suggest that…’ which is diaphanous.
Note that the ‘su-‘ stands for ‘sub-‘ which conveys the implicitness or
covertness of the impicatum. Indirectness. It’s ‘under,’ not ‘above’ board.’ To
suggest, advise, prompt, offer, bring to mind: “quoties aequitas restitutionem
suggerit,” Dig. 4, 6, 26 fin.; cf.: “quae (res) suggerit, ut Italicarum rerum
esse credantur eae res,” reminds, admonishes, ib. 28, 5, 35 fin.: “quaedam de
republicā,” Aur. Vict. Vir. Ill. 66, 2. — Absol.: “suggerente conjuge,” at the
instigation of, Aur. Vict. Epit. 41, 11; cf.: “suggerente irā,” id. ib. 12,
10.— The implicaturum is a suggestumALWAYS cancellable. Or not? Sometimes not,
if ‘reasonable,’ but not ‘rational.’ Jill suggests that Jack is brave when she
says, “He is an Englishman, he is; therefore, brave.” The tommy suggests that
her povery contrasts with her honesty (“’Tis the same the whole world over.”)
So the ‘suggestum’ is like the implicaturum. A particular suggesta are
‘conversational suggestum.’ For Grice this is philosophically important,
because many philosophical adages cover ‘suggesta’ which are not part of the
philosopher’s import! Vide Holdcroft, “Some forms of indirect communication.” Substantia: hypostasis, the process of
regarding a concept or abstraction as an independent or real entity. The verb
forms ‘hypostatize’ and ‘reify’ designate the acts of positing objects of a
certain sort for the purposes of one’s theory. It is sometimes implied that a
fallacy is involved in so describing these processes or acts, as in ‘Plato was guilty
of the reification of universals’. The issue turns largely on criteria of
ontological commitment. The exact Greek
transliteration is “hypostasis” Arianism, diverse but related teachings in
early Christianity that subordinated the Son to God the Father. In reaction the
church developed its doctrine of the Trinity, whereby the Son and Holy Spirit,
though distinct persons hypostases, share with the Father, as his ontological
equals, the one being or substance ousia of God. Arius taught in Alexandria, where,
on the hierarchical model of Middle Platonism, he sharply distinguished
Scripture’s transcendent God from the Logos or Son incarnate in Jesus. The
latter, subject to suffering and humanly obedient to God, is inferior to the
immutable Creator, the object of that obedience. God alone is eternal and
ungenerated; the Son, divine not by nature but by God’s choosing, is generated,
with a beginning: the unique creature, through whom all else is made. The
Council of Nicea, in 325, condemned Arius and favored his enemy Athanasius,
affirming the Son’s creatorhood and full deity, having the same being or
substance homoousios as the Father. Arianism still flourished, evolving into
the extreme view that the Son’s being was neither the same as the Father’s nor
like it homoiousios, but unlike it anomoios. This too was anathematized, by the
Council of 381 at Constantinople, which, ratifying what is commonly called the
Nicene Creed, sealed orthodox Trinitarianism and the equality of the three
persons against Arian subordinationism. Sub-positum -- suppositumCicero for
‘hypothesis’, as in ‘hypothetico-deductive’a hypothetico-deductive method, a
method of testing hypotheses. Thought to be preferable to the method of
enumerative induction, whose limitations had been decisively demonstrated by
Hume, the hypothetico-deductive (H-D) method has been viewed by many as the
ideal scientific method. It is applied by introducing an explanatory hypothesis
resulting from earlier inductions, a guess, or an act of creative imagination.
The hypothesis is logically conjoined with a statement of initial conditions.
The purely deductive consequences of this conjunction are derived as
predictions, and the statements asserting them are subjected to experimental or
observational test. More formally, given (H • A) P O, H is the hypothesis, A a
statement of initial conditions, and O one of the testable consequences of (H •
A). If the hypothesis is ‘all lead is malleable’, and ‘this piece of lead is
now being hammered’ states the initial conditions, it follows deductively that
‘this piece of lead will change shape’. In deductive logic the schema is
formally invalid, committing the logical fallacy of affirming the consequent.
But repeated occurrences of O can be said to confirm the conjunction of H and A,
or to render it more probable. On the other hand, the schema is deductively
valid (the argument form modus tollens). For this reason, Karl Popper and his
followers think that the H-D method is best employed in seeking falsifications
of theoretical hypotheses. Criticisms of the method point out that infinitely
many hypotheses can explain, in the H-D mode, a given body of data, so that
successful predictions are not probative, and that (following Duhem) it is
impossible to test isolated singular hypotheses because they are always
contained in complex theories any one of whose parts is eliminable in the face
of negative evidence. sub-pressum -- suppresum
veri: This is a bit like an act of omissionabout which Urmson once asked,
“Is that ‘to do,’ Grice?”Strictly, it is implicatural. “Smith has a beautiful
handwriting.” Grice’s abductum: “He must be suppressing some ‘veri,’ but surely
the ‘suggestio falsi’ is cancellable. On the other hand, my abent-minded uncle,
who ‘suppresses,’ is not ‘implicating.’ The ‘suppressio’ has to be
‘intentional,’ as an ‘omission’ is. Since for the Romans, the ‘verum’ applied
to a unity (alethic/practical) this was good. No multiplication, but unitycf.
untranslatable (think)modality ‘the ‘must’, neutraldesideratum-doxathinkYes,
when Untranslatable discuss ‘vero’ they do say it applies to ‘factual’ and
sincerity, I think. At Collections, the expectation is that Grice gives a
report on the philosopher’s abilitynot on
his handwriting. It is different when Grice applied to St. John’s. “He
doesn’t return library books.” G. Richardson. Why did he use this on two
occasions? In “Prolegomena,” he uses it for his desideratum of conversational
fortitude (“make a strong conversational move”). To suppress. suggestio falsi.
Pl. suggestiones falsi. [mod.L., = suggestion of what is false.] A
misrepresentation of the truth whereby something incorrect is implied to be
true; an indirect lie. Often in contexts with suppressio veri.
QUOTES: 1815 H. Maddock Princ. & Pract. Chancery I. 208 Whenever
Suppressio veri or Suggestio falsi occur..they afford a sufficient ground for
setting aside any Release or Conveyance. 1855 Newspaper & Gen.
Reader's Pocket Compan. i.4 He was bound to say that the suppressio veri
on that occasion approached very nearly to a positive suggestio falsi.
1898 Kipling Stalky & Co. (1899) 36 It seems..that they had
held back material facts; that they were guilty both of suppressio veri and
suggestio falsi. 1907 W. de Morgan Alice-for-Short xxxvi. 389
That's suppressio veri and suggestio falsi! Besides, it's fibs!
1962 J. Wilson Public Schools & Private Practice i. 19 It is
rare to find a positively verifiable untruth in a school brochure: but it is
equally rare not to find a great many suggestiones falsi, particularly as
regards the material comfort and facilities available. 1980 D.
Newsome On Edge of Paradise 7 There are undoubted cases of suppressio
veri; on the other hand, he appears to eschew suggestio falsi. --- Fibs
indeed. Suppress, suggest. Write: "Griceland, Inc."
"Yes, I agree to become a Doctor in Gricean Studies"
EXAM QUESTION: 1. Discuss suggestio falsi in terms of
detachability. 2. Compare suppresio veri and suggestion falsi in
connection with "The king of France is bald" uttered during Napoleon's
time. 3. Invent things for 'suppressio falsi' and 'suggestio veri'.
4. No. You cannot go to the bathroom.
super-knowing. In WoW. A notion Grice detested. Grice,
“I detest superknowing.” “For that reason, I propose a closure clausefor a
communicatum to count as one, there should not be any sneaky intention.” The
use of ‘super’ is Plotinian. If God is super-good, he is not good. If someobody
superknows, he doesn’t know. This is an implicaturum. Surely it is cancellable:
“God is supergood; therefore, He is good.” “Smith superknows that p; therefore,
Smith, as per a semantic entailment, knows that p.” Grice: “The implicature
arise out of the postulate of conversational fortitude: why stop at knowing if
you can claim that Smith superknows? Why say that God is love, when He is
super-love?”
Si: Grice:
“If Quine likes ‘vel’ to represent ‘or,’ I shall use ‘si’ to represent ‘if.’ --
“if”(Italian:
“si”, Roman, “si”). Unlike Austin, Grice never was stuck with an English
expression. Part of his rationalism is that for an expression E, if E is to be
implicaturum, i.e. the vehicle of an ‘implicatum,’ there must be an expression
E2 that does the trick. Implicatura are non-detachable. You cannot detach it
from one expression and using another. Grice: “Whitehead lists ‘and,’ ‘or,’ and
‘if,’ but had he known some classical languages, he would have noted, as J. C.
Wilson does, that ‘if’ is totally subordinating, and thus totally
non-commutative!” -- German “ob,” Latin, “si,” Grecian, “ei” -- conditional, a
compound sentence, such as ‘if Abe calls, then Ben answers,’ in which one
sentence, the antecedent, is connected to a second, the consequent, by the
connective ‘if . . . then’. Propositions statements, etc. expressed by
conditionals are called conditional propositions statements, etc. and, by
ellipsis, simply conditionals. The ambiguity of the expression ‘if . . . then’
gives rise to a semantic classification of conditionals into material
conditionals, causal conditionals, counterfactual conditionals, and so on. In traditional
logic, conditionals are called hypotheticals, and in some areas of mathematical
logic conditionals are called implications. Faithful analysis of the meanings
of conditionals continues to be investigated and intensely disputed. conditional proof. 1 The argument form ‘B
follows from A; therefore, if A then B’ and arguments of this form. 2 The rule
of inference that permits one to infer a conditional given a derivation of its
consequent from its antecedent. This is also known as the rule of conditional
proof or /- introduction. conditioning, a form of associative learning that
occurs when changes in thought or behavior are produced by temporal relations
among events. It is common to distinguish between two types of conditioning;
one, classical or Pavlovian, in which behavior change results from events that
occur before behavior; the other, operant or instrumental, in which behavior
change occurs because of events after behavior. Roughly, classically and
operantly conditioned behavior correspond to the everyday, folk-psychological
distinction between involuntary and voluntary or goaldirected behavior. In
classical conditioning, stimuli or events elicit a response e.g., salivation;
neutral stimuli e.g., a dinner bell gain control over behavior when paired with
stimuli that already elicit behavior e.g., the appearance of dinner. The
behavior is involuntary. In operant conditioning, stimuli or events reinforce
behavior after behavior occurs; neutral stimuli gain power to reinforce by
being paired with actual reinforcers. Here, occasions in which behavior is
reinforced serve as discriminative stimuli-evoking behavior. Operant behavior
is goal-directed, if not consciously or deliberately, then through the bond
between behavior and reinforcement. Thus, the arrangement of condiments at
dinner may serve as the discriminative stimulus evoking the request “Please
pass the salt,” whereas saying “Thank you” may reinforce the behavior of
passing the salt. It is not easy to integrate conditioning phenomena into a
unified theory of conditioning. Some theorists contend that operant
conditioning is really classical conditioning veiled by subtle temporal
relations among events. Other theorists contend that operant conditioning
requires mental representations of reinforcers and discriminative stimuli. B.
F. Skinner 4 90 argued in Walden Two 8 that astute, benevolent behavioral
engineers can and should use conditioning to create a social utopia. conditio sine qua non Latin, ‘a condition without
which not’, a necessary condition; something without which something else could
not be or could not occur. For example, being a plane figure is a conditio sine
qua non for being a triangle. Sometimes the phrase is used emphatically as a
synonym for an unconditioned presupposition, be it for an action to start or an
argument to get going. I.Bo. Condorcet, Marquis de, title of
Marie-JeanAntoine-Nicolas de Caritat 174394,
philosopher and political theorist who contributed to the Encyclopedia
and pioneered the mathematical analysis of social institutions. Although
prominent in the Revolutionary government, he was denounced for his political
views and died in prison. Condorcet discovered the voting paradox, which shows
that majoritarian voting can produce cyclical group preferences. Suppose, for
instance, that voters A, B, and C rank proposals x, y, and z as follows: A:
xyz, B: yzx, and C: zxy. Then in majoritarian voting x beats y and y beats z,
but z in turn beats x. So the resulting group preferences are cyclical. The
discovery of this problem helped initiate social choice theory, which evaluates
voting systems. Condorcet argued that any satisfactory voting system must
guarantee selection of a proposal that beats all rivals in majoritarian
competition. Such a proposal is called a Condorcet winner. His jury theorem
says that if voters register their opinions about some matter, such as whether
a defendant is guilty, and the probabilities that individual voters are right
are greater than ½, equal, and independent, then the majority vote is more likely
to be correct than any individual’s or minority’s vote. Condorcet’s main works
are Essai sur l’application de l’analyse à la probabilité des décisions rendues
à la pluralité des voix Essay on the Application of Analysis to the Probability
of Decisions Reached by a Majority of Votes, 1785; and a posthumous treatise on
social issues, Esquisse d’un tableau historique des progrès de l’esprit humain
Sketch for a Historical Picture of the Progress of the Human Mind, 1795. “if” corresponding conditional of a given
argument, any conditional whose antecedent is a logical conjunction of all of
the premises of the argument and whose consequent is the conclusion. The two
conditionals, ‘if Abe is Ben and Ben is wise, then Abe is wise’ and ‘if Ben is
wise and Abe is Ben, then Abe is wise’, are the two corresponding conditionals
of the argument whose premises are ‘Abe is Ben’ and ‘Ben is wise’ and whose
conclusion is ‘Abe is wise’. For a one-premise argument, the corresponding
conditional is the conditional whose antecedent is the premise and whose
consequent is the conclusion. The limiting cases of the empty and infinite
premise sets are treated in different ways by different logicians; one simple
treatment considers such arguments as lacking corresponding conditionals. The
principle of corresponding conditionals is that in order for an argument to be
valid it is necessary and sufficient for all its corresponding conditionals to
be tautological. The commonly used expression ‘the corresponding conditional of
an argument’ is also used when two further stipulations are in force: first,
that an argument is construed as having an ordered sequence of premises rather
than an unordered set of premises; second, that conjunction is construed as a
polyadic operation that produces in a unique way a single premise from a
sequence of premises rather than as a dyadic operation that combines premises
two by two. Under these stipulations the principle of the corresponding
conditional is that in order for an argument to be valid it is necessary and
sufficient for its corresponding conditional to be valid. These principles are
closely related to modus ponens, to conditional proof, and to the so-called
deduction theorem. “if” counterfactuals,
also called contrary-to-fact conditionals, subjunctive conditionals that
presupcorner quotes counterfactuals pose the falsity of their antecedents, such
as ‘If Hitler had invaded England, G.y would have won’ and ‘If I were you, I’d
run’. Conditionals or hypothetical statements are compound statements of the
form ‘If p, then q’, or equivalently ‘q if p’. Component p is described as the
antecedent protasis and q as the consequent apodosis. A conditional like ‘If
Oswald did not kill Kennedy, then someone else did’ is called indicative,
because both the antecedent and consequent are in the indicative mood. One like
‘If Oswald had not killed Kennedy, then someone else would have’ is
subjunctive. Many subjunctive and all indicative conditionals are open,
presupposing nothing about the antecedent. Unlike ‘If Bob had won, he’d be
rich’, neither ‘If Bob should have won, he would be rich’ nor ‘If Bob won, he
is rich’ implies that Bob did not win. Counterfactuals presuppose, rather than
assert, the falsity of their antecedents. ‘If Reagan had been president, he would
have been famous’ seems inappropriate and out of place, but not false, given
that Reagan was president. The difference between counterfactual and open
subjunctives is less important logically than that between subjunctives and
indicatives. Whereas the indicative conditional about Kennedy is true, the
subjunctive is probably false. Replace ‘someone’ with ‘no one’ and the
truth-values reverse. The most interesting logical feature of counterfactuals
is that they are not truth-functional. A truth-functional compound is one whose
truth-value is completely determined in every possible case by the truth-values
of its components. For example, the falsity of ‘The President is a grandmother’
and ‘The President is childless’ logically entails the falsity of ‘The President
is a grandmother and childless’: all conjunctions with false conjuncts are
false. But whereas ‘If the President were a grandmother, the President would be
childless’ is false, other counterfactuals with equally false components are
true, such as ‘If the President were a grandmother, the President would be a
mother’. The truth-value of a counterfactual is determined in part by the
specific content of its components. This property is shared by indicative and
subjunctive conditionals generally, as can be seen by varying the wording of
the example. In marked contrast, the material conditional, p / q, of modern
logic, defined as meaning that either p is false or q is true, is completely
truth-functional. ‘The President is a grandmother / The President is childless’
is just as true as ‘The President is a grandmother / The President is a
mother’. While stronger than the material conditional, the counterfactual is
weaker than the strict conditional, p U q, of modern modal logic, which says
that p / q is necessarily true. ‘If the switch had been flipped, the light
would be on’ may in fact be true even though it is possible for the switch to
have been flipped without the light’s being on because the bulb could have
burned out. The fact that counterfactuals are neither strict nor material
conditionals generated the problem of counterfactual conditionals raised by
Chisholm and Goodman: What are the truth conditions of a counterfactual, and
how are they determined by its components? According to the “metalinguistic” approach,
which resembles the deductive-nomological model of explanation, a
counterfactual is true when its antecedent conjoined with laws of nature and
statements of background conditions logically entails its consequent. On this
account, ‘If the switch had been flipped the light would be on’ is true because
the statement that the switch was flipped, plus the laws of electricity and
statements describing the condition and arrangement of the circuitry, entail
that the light is on. The main problem is to specify which facts are “fixed”
for any given counterfactual and context. The background conditions cannot
include the denials of the antecedent or the consequent, even though they are
true, nor anything else that would not be true if the antecedent were. Counteridenticals,
whose antecedents assert identities, highlight the difficulty: the background
for ‘If I were you, I’d run’ must include facts about my character and your
situation, but not vice versa. Counterlegals like ‘Newton’s laws would fail if
planets had rectangular orbits’, whose antecedents deny laws of nature, show
that even the set of laws cannot be all-inclusive. Another leading approach
pioneered by Robert C. Stalnaker and David K. Lewis extends the possible worlds
semantics developed for modal logic, saying that a counterfactual is true when
its consequent is true in the nearest possible world in which the antecedent is
true. The counterfactual about the switch is true on this account provided a
world in which the switch was flipped and the light is on is closer to the
actual world than one in which the switch was flipped but the light is not on.
The main problem is to specify which world is nearest for any given
counterfactual and context. The difference between indicative and subjunctive
conditionals can be accounted for in terms of either a different set of
background conditions or a different measure of nearness. counterfactuals
counterfactuals Counterfactuals turn
up in a variety of philosophical contexts. To distinguish laws like ‘All copper
conducts’ from equally true generalizations like ‘Everything in my pocket
conducts’, some have observed that while anything would conduct if it were
copper, not everything would conduct if it were in my pocket. And to have a
disposition like solubility, it does not suffice to be either dissolving or not
in water: it must in addition be true that the object would dissolve if it were
in water. It has similarly been suggested that one event is the cause of
another only if the latter would not have occurred if the former had not; that
an action is free only if the agent could or would have done otherwise if he
had wanted to; that a person is in a particular mental state only if he would
behave in certain ways given certain stimuli; and that an action is right only
if a completely rational and fully informed agent would choose it. “If the cat
is on the mat, she is purring.” INDICATIVE PLUS INDICATIVE“Subjective ‘if’ is a
different animal as Julius Caesar well knew!” -- Refs: “If and Macaulay.”
iff: Grice: “a silly
abbreviation for ‘if and only if’” -- that is used as if it were a single
propositional operator (connective). Another synonym for ‘iff’ is ‘just in
case’. The justification for treating ‘iff’ as if it were a single
propositional connective is that ‘P if and only if Q’ is elliptical for ‘P if
Q, and P only if Q’, and this assertion is logically equivalent to ‘P
biconditional Q’.
sublime: sub-lime, neuter. sublīmie (collat.
form sublīmus , a, um: ex sublimo vertice, Cic. poët. Tusc. 2, 7, 19; Enn. ap.
Non. 169; Att. and Sall. ib. 489, 8 sq.; Lucr. 1, 340), adj. etym. dub.; perh.
sub-limen, up to the lintel; cf. sublimen (sublimem est in altitudinem elatum,
Fest. p. 306 Müll.), I.uplifted, high, lofty, exalted, elevated (mostly poet.
and in postAug. prose; not in Cic. or Cæs.; syn.: editus, arduus, celsus,
altus). I. Lit. A. In gen., high, lofty: “hic vertex nobis semper sublimis,”
Verg. G. 1, 242; cf. Hor. C. 1, 1, 36: “montis cacumen,” Ov. M. 1, 666:
“tectum,” id. ib. 14, 752: “columna,” id. ib. 2, 1: “atrium,” Hor. C. 3, 1, 46:
“arcus (Iridis),” Plin. 2, 59, 60, § 151: “portae,” Verg. A. 12, 133: “nemus,”
Luc. 3, 86 et saep.: os, directed upwards (o to pronus), Ov. M. 1, 85; cf. id.
ib. 15, 673; Hor. A. P. 457: “flagellum,” uplifted, id. C. 3, 26, 11:
“armenta,” Col. 3, 8: “currus,” Liv. 28, 9.—Comp.: “quanto sublimior Atlas
Omnibus in Libyā sit montibus,” Juv. 11, 24.—Sup.: “triumphans in illo
sublimissimo curru,” Tert. Apol. 33.— B. Esp., borne aloft, uplifted, elevated,
raised: “rapite sublimem foras,” Plaut. Mil. 5, 1: “sublimem aliquem rapere
(arripere, auferre, ferre),” id. As. 5, 2, 18; id. Men. 5, 7, 3; 5, 7, 6; 5, 7,
13; 5, 8, 3; Ter. And. 5, 2, 20; id. Ad. 3, 2, 18; Verg. A. 5, 255; 11, 722 (in
all these passages others read sublimen, q. v.); Ov. M 4, 363 al.: “campi armis
sublimibus ardent,” borne aloft, lofty, Verg. A. 11, 602: sublimes in equis
redeunt, id. ib. 7, 285: “apparet liquido sublimis in aëre Nisus,” id. G. 1,
404; cf.: “ipsa (Venus) Paphum sublimis abit,” on high through the air, id. A.
1, 415: “sublimis abit,” Liv. 1, 16; 1, 34: “vehitur,” Ov. M. 5, 648 al.— C. On
high, lofty, in a high position: “tenuem texens sublimis aranea telum,” Cat.
68, 49: “juvenem sublimem stramine ponunt,” Verg. A. 11, 67: “sedens solio
sublimis avito,” Ov. M. 6, 650: “Tyrio jaceat sublimis in ostro,” id. H. 12,
179.— D. Subst.: sublīme , is, n., height; sometimes to be rendered the air:
“piro per lusum in sublime jactato,” Suet. Claud. 27; so, in sublime, Auct. B.
Afr. 84, 1; Plin. 10, 38, 54, § 112; 31, 6, 31, § 57: “per sublime volantes
grues,” id. 18, 35, 87, § 362: “in sublimi posita facies Dianae,” id. 36, 5, 4,
§ 13: “ex sublimi devoluti,” id. 27, 12, 105, § 129.—Plur.: “antiquique memor
metuit sublimia casus,” Ov. M. 8, 259: “per maria ac terras sublimaque caeli,”
Lucr. 1, 340.— II. Trop., lofty, exalted, eminent, distinguished. A. In gen.:
“antiqui reges ac sublimes viri,” Varr. R. R. 2, 4, 9; cf. Luc. 10, 378:
“mens,” Ov. P. 3, 3, 103: “pectora,” id. F. 1, 301: “nomen,” id. Tr. 4, 10,
121: “sublimis, cupidusque et amata relinquere pernix,” aspiring, Hor. A. P.
165; cf.: “nil parvum sapias et adhuc sublimia cures,” id. Ep. 1, 12,
15.—Comp.: “quā claritate nihil in rebus humanis sublimius duco,” Plin. 22, 5,
5, § 10; Juv. 8, 232.—Sup.: “sancimus supponi duos sublimissimos judices,” Cod.
Just. 7, 62, 39.— B. In partic., of language, lofty, elevated, sublime (freq.
in Quint.): “sublimia carmina,” Juv. 7, 28: “verbum,” Quint. 8, 3, 18: “clara
et sublimia verba,” id. ib.: “oratio,” id. 8, 3, 74: “genus dicendi,” id. 11,
1, 3: “actio (o causae summissae),” id. 11, 3, 153: “si quis sublimia humilibus
misceat,” id. 8, 3, 60 et saep.—Transf., of orators, poets, etc.: “natura
sublimis et acer,” Hor. Ep. 2, 1, 165: “sublimis et gravis et grandiloquus
(Aeschylus),” Quint. 10, 1, 66: “Trachalus plerumque sublimis,” id. 10, 1,
119.—Comp.: “sublimior gravitas Sophoclis,” Quint. 10, 1, 68: “sublimius
aliquid,” id. 8, 3, 14: “jam sublimius illud pro Archiā, Saxa atque solitudines
voci respondent,” id. 8, 3, 75.—Hence, advv. 1. Lit., aloft, loftily, on high.
(α). Form sub-līmĭter (rare ): “stare,” upright, Cato, R. R. 70, 2; so id. ib.
71: “volitare,” Col. 8, 11, 1: “munitur locus,” id. 8, 15, 1.— (β). Form
sub-līme (class. ): “Theodori nihil interest, humine an sublime putescat,” Cic.
Tusc. 1, 43, 102; cf.: “scuta, quae fuerant sublime fixa, sunt humi inventa,”
id. Div. 2, 31, 67: “volare,” Lucr. 2, 206; 6, 97: “ferri,” Cic. Tusc. 1, 17,
40; id. N. D. 2, 39, 101; 2, 56, 141 Orell. N. cr.: “elati,” Liv. 21, 30:
“expulsa,” Verg. G. 1, 320 et saep.— b. Comp.: “sublimius altum Attollit
caput,” Ov. Hal. 69.— 2. Trop., of speech, in a lofty manner, loftily (very
rare): “alia sublimius, alia gravius esse dicenda,” Quint. 9, 4, 130. Grice’s
favoured translation of Grecian ‘hypsos’ -- a feeling brought about by objects
that are infinitely large or vast such as the heavens or the ocean or
overwhelmingly powerful such as a raging torrent, huge mountains, or
precipices. The former in Kant’s terminology is the mathematically sublime and
the latter the dynamically sublime. Though the experience of the sublime is to
an important extent unpleasant, it is also accompanied by a certain pleasure:
we enjoy the feeling of being overwhelmed. On Kant’s view, this pleasure
results from an awareness that we have powers of reason that are not dependent
on sensation, but that legislate over sense. The sublime thus displays both the
limitations of sense experience and hence our feeling of displeasure and the
power of our own mind and hence the feeling of pleasure. The sublime was an
especially important concept in the aesthetic theory of the eighteenth and
nineteenth centuries. Reflection on it was stimulated by the appearance of a
translation of Longinus’s Peri hypsous On the Sublime in 1674. The “postmodern
sublime” has in addition emerged in late twentieth century thought as a basis
for raising questions about art. Whereas beauty is associated with that whose
form can be apprehended, the sublime is associated with the formless, that
which is “unpresentable” in sensation. Thus, it is connected with critiques of
“the aesthetic” understood as that which
is sensuously present as a way of
understanding what is important about art. It has also been given a political
reading, where the sublime connects with resistance to rule, and beauty
connects with conservative acceptance of existing forms or structures of
society. subsidiarium: sub-sidiarium -- subsidiarity, a basic principle of
social order and the common good governing the relations between the higher and
lower associations in a political community. Positively, the principle of
subsidiarity holds that the common good, i.e., the ensemble of social resources
and institutions that facilitate human self-realization, depends on fostering
the free, creative initiatives of individuals and of their voluntary
associations; thus, the state, in addition to its direct role in maintaining
public good which comprises justice, public peace, and public morality also has
an indirect role in promoting other aspects of the common good by rendering
assistance subsidium to those individuals and associations whose activities
facilitate cooperative human self-realization in work, play, the arts,
sciences, and religion. Negatively, the principle of subsidiarity holds that
higher-level i.e., more comprehensive associations while they must monitor, regulate, and
coordinate ought not to absorb, replace,
or undermine the free initiatives and activities of lower-level associations
and individuals insofar as these are not contrary to the common good. This
presumption favoring free individual and social initiative has been defended on
various grounds, such as the inefficiency of burdening the state with myriad
local concerns, as well as the corresponding efficiency of unleashing the free,
creative potential of subordinate groups and individuals who build up the
shared economic, scientific, and artistic resources of society. But the deeper
ground for this presumption is the view subjunctive conditional subsidiarity
886 886 that human flourishing depends
crucially on freedom for individual self-direction and for the self-government
of voluntary associations and that human beings flourish best through their own
personal and cooperative initiatives rather than as the passive consumers or beneficiaries
of the initiatives of others. subsistum: sub-sistum -- subsistence
translation of G. Bestand, in current philosophy, especially Meinong’s system,
the kind of being that belongs to “ideal” objects such as mathematical objects,
states of affairs, and abstractions like similarity and difference. By
contrast, the kind of being that belongs to “real” wirklich objects, things of
the sorts investigated by the sciences other than psychology and pure
mathematics, is called existence Existenz. Existence and subsistence together
exhaust the realm of being Sein. So, e.g., the subsistent ideal figures whose
properties are investigated by geometers do not exist they are nowhere to be found in the real
world but it is no less true of them
that they have being than it is of an existent physical object: there are such
figures. Being does not, however, exhaust the realm of objects or things. The
psychological phenomenon of intentionality shows that there are in some sense
of ‘there are’ objects that neither exist nor subsist. Every intentional state
is directed toward an object. Although one may covet the Hope Diamond or desire
the unification of Europe, one may also covet a non-existent material object or
desire a non-subsistent state of affairs. If one covets a non-existent diamond,
there is in some sense of ‘there is’ something that one covets one’s state of mind has an object and it has certain properties: it is, e.g., a
diamond. It may therefore be said to inhabit the realm of Sosein ‘being thus’
or ‘predication’ or ‘having properties’, which is the category comprising the
totality of objects. Objects that do not have any sort of being, either
existence or subsistence, belong to non-being Nichtsein. In general, the
properties of an object do not determine whether it has being or non-being. But
there are special cases: the round square, by its very nature, cannot subsist.
Meinong thus maintains that objecthood is ausserseiend, i.e., independent of
both existence and subsistence. substratum: sub-statum: hypoeinai,
hypostasis, hypokemeinon -- substantiaGrice: “The Romans never felt the need
for the word ‘substantia’ but trust Cicero to force them to use it!” -- Grice
lectured on this with J. L. Austin and P. F. Strawson. hypousia -- as defined
by Aristotle in the Categories, that which is neither predicable “sayable” of
anything nor present in anything as an aspect or property of it. The examples
he gives are an individual man and an individual horse. We can predicate being
a horse of something but not a horse; nor is a horse in something else. He also
held that only substances can remain self-identical through change. All other
things are accidents of substances and exist only as aspects, properties, or
relations of substances, or kinds of substances, which Aristotle called
secondary substances. An example of an accident would be the color of an
individual man, and an example of a secondary substance would be his being a
man. For Locke, a substance is that part of an individual thing in which its
properties inhere. Since we can observe, indeed know, only a thing’s
properties, its substance is unknowable. Locke’s sense is obviously rooted in
Aristotle’s but the latter carries no skeptical implications. In fact, Locke’s
sense is closer in meaning to what Aristotle calls matter, and would be better
regarded as a synonym of ‘substratum’, as indeed it is by Locke. Substance may
also be conceived as that which is capable of existing independently of
anything else. This sense is also rooted in Aristotle’s, but, understood quite
strictly, leads to Spinoza’s view that there can be only one substance, namely,
the totality of reality or God. A fourth sense of ‘substance’ is the common,
ordinary sense, ‘what a thing is made of’. This sense is related to Locke’s,
but lacks the latter’s skeptical implications. It also corresponds to what
Aristotle meant by matter, at least proximate matter, e.g., the bronze of a
bronze statue Aristotle analyzes individual things as composites of matter and
form. This notion of matter, or stuff, has great philosophical importance,
because it expresses an idea crucial to both our ordinary and our scientific
understandings of the world. Philosophers such as Hume who deny the existence
of substances hold that individual things are mere bundles of properties,
namely, the properties ordinarily attributed to them, and usually hold that
they are incapable of change; they are series of momentary events, rather than
things enduring through time.
substantialism, the view that the primary, most fundamental entities are
substances, everything else being dependent for its existence on them, either
as a property of them or a relation between them. Different versions of the
view would correspond to the different senses of the word ‘substance’.
salva-veritate/salva-congruitate distinction, the The phrase occurs in two fragments from Gottfried Leibniz's
General Science. Characteristics: In Chapter 19, Definition 1, Leibniz
writes: "Two terms are the same (eadem) if one can be substituted for the
other without altering the truth of any statement (salva veritate)." In
Chapter 20, Definition 1, Leibniz writes: "Terms which can be substituted
for one another wherever we please without altering the truth of any statement
(salva veritate), are the same (eadem) or coincident (coincidentia). For
example, 'triangle' and 'trilateral', for in every proposition demonstrated by
Euclid concerning 'triangle', 'trilateral' can be substituted without loss of
truth (salva veritate)." ubstitutivity salva veritate: Grice: “The
phrase ‘salva veritate’ has been used at Oxford for years, Kneale tells me!” --
a condition met by two expressions when one is substitutable for the other at a
certain occurrence in a sentence and the truth-value truth or falsity of the
sentence is necessarily unchanged when the substitution is made. In such a case
the two expressions are said to exhibit substitutivity or substitutability
salva veritate literally, ‘with truth saved’ with respect to one another in
that context. The expressions are also said to be interchangeable or
intersubstitutable salva veritate in that context. Where it is obvious from a
given discussion that it is the truth-value that is to be preserved, it may be
said that the one expression is substitutable for the other or exhibits substitutability
with respect to the other at that place. Leibniz proposed to use the universal
interchangeability salva veritate of two terms in every “proposition” in which
they occur as a necessary and sufficient condition for identity presumably for the identity of the things
denoted by the terms. There are apparent exceptions to this criterion, as
Leibniz himself noted. If a sentence occurs in a context governed by a
psychological verb such as ‘believe’ or ‘desire’, by an expression conveying
modality e.g., ‘necessarily’, ‘possibly’, or by certain temporal expressions
such as ‘it will soon be the case that’, then two terms may denote the same
thing but not be interchangeable within such a sentence. Occurrences of
expressions within quotation marks or where the expressions are both mentioned
and used cf. Quine’s example, “Giorgione was so-called because of his size”
also exhibit failure of substitutivity. Frege urged that such failures are to
be explained by the fact that within such contexts an expression does not have
its ordinary denotation but denotes instead either its usual sense or the
expression itself. Salva congruitate From , the free encyclopedia Jump to
navigationJump to search Salva congruitate is a Latin scholastic term in logic,
which means "without becoming ill-formed", salva meaning rescue,
salvation, welfare and congruitate meaning combine, coincide, agree. Salva
Congruitate is used in logic to mean that two terms may be substituted for each
other while preserving grammaticality in all contexts. Contents 1 Remarks on salva congruitate 1.1
Timothy C. Potts 1.2 Bob Hale 2See also 3References Remarks on salva
congruitate Timothy C. Potts Timothy C. Potts describes salva congruitate as a
form of replacement in the context of meaning. It is a replacement which
preserves semantic coherence and should be distinguished from a replacement
which preserves syntactic coherence but may yield an expression to which no
meaning has been given. This means that supposing an original expression is
meaningful, the new expression obtained by the replacement will also be
meaningful, though it will not necessarily have the same meaning as the
original one, nor, if the expression in question happens to be a proposition,
will the replacement necessarily preserve the truth value of the original. Bob Hale Bob Hale explains salva congruitate,
as applied to singular terms, as substantival expressions in natural language,
which are able to replace singular terms without destructive effect on the
grammar of a sentence. Thus the singular term 'Bob' may be replaced by the
definite description 'the first man to swim the English Channel' salva
congruitate. Such replacement may shift both meaning and reference, and so, if
made in the context of a sentence, may cause a change in truth-value. Thus
terms which may be interchanged salva congruitate may not be interchangeable
salva veritate (preserving truth). More generally, expressions of any type are
interchangeable salva congruitate if and only if they can replace one another
preserving grammaticality or well-formedness.
See also Salva veritate Reference principle Referential opacity Crispin
Wright Peter Geach References W.V.O.
Quine, Philosophy of logic Dr. Benjamin
Schnieder, Canonical Property Designators, P9
W.V.O. Quine, Quiddities, P204
W.V.O. Quine, Philosophy of Logic, P18
Timothy C. Potts, Structures and categories for the representation of
meaning, p57 Bob Hale, Singular Terms,
P34 Categories: Concepts in logicPhilosophical logicPhilosophy of languageLatin
logical phrases. Refs.: H. P. Grice, “Implicaturum salva veritate,” H. P.
Grice, “What I learned from T. C. Potts.”T. C. Potts, “My tutorials with Grice
at St. John’s.”
summum bonum: Grice: “that in relation to which all other things
have at most instrumental value value only insofar as they are productive of
what is the highest good. Philosophical conceptions of the summum bonum have
for the most part been teleological in character. That is, they have identified
the highest good in terms of some goal or goals that human beings, it is
supposed, pursue by their very nature. These natural goals or ends have
differed considerably. For the theist, this end is God; for the rationalist, it
is the rational comprehension of what is real; for hedonism, it is pleasure;
etc. The highest good, however, need not be teleologically construed. It may
simply be posited, or supposed, that it is known, through some intuitive
process, that a certain type of thing is “intrinsically good.” On such a view,
the relevant contrast is not so much between what is good as an end and what is
good as a means to this end, as between what is good purely in itself and what
is good only in combination with certain other elements the “extrinsically
good”. Perhaps the best example of such a view of the highest good would be the
position of Moore. Must the summum bonum be just one thing, or one kind of
thing? Yes, to this extent: although one could certainly combine pluralism the
view that there are many, irreducibly different goods with an assertion that
the summum bonum is “complex,” the notion of the highest good has typically
been the province of monists believers in a single good, not pluralists. -- summum genus. What adjective is the
‘sumum’ translating, Grice wondered. And he soon found out. We know that the
Romans were unoriginally enough with their ‘genus’ (cf. ‘gens’) translating
Grecian ‘genos.’ The highest category in the ‘arbor griceiana’ -- The
categories. There is infimum genus, or sub-summum. Talk of categories becomes
informal in Grice when he ‘echoes’ Kant in the mention of four ‘functions’ that
generate for Kant twelve categories. Grice however uses the functions
themselves, echoing Ariskant, rather, as ‘caegory’. We have then a category of
conversational quantity (involved in a principle of maximization of
conversational informativeness). We have a category of conversational quality
(or a desideratum of conversational candour). We have a category of
conversational relation (cf. Strawson’s principle of relevance along with
Strawson’s principles of the presumption of knowledge and the presumption of
ignorance). Lastly, we have a category of conversational mode. For some reason,
Grice uses ‘manner’ sometimes in lieu of Meiklejohn’s apt translation of Kant’s
modality into the shorter ‘mode.’ The four have Aristotelian pedigree, indeed
Grecian and Graeco-Roman: The quantity is Kant’s quantitat which is Aristotle’s
posotes (sic abstract) rendered in Roman as ‘quantitas.’ Of course, Aristotle
derives ‘posotes,’ from ‘poson,’ the quantum. No quantity without quantum. The
quality is Kant’s qualitat, which again has Grecian and Graeco-Roman pediegree.
It is Aristotel’s poiotes (sic in abstract), rendered in Roman as qualitas. Again,
derived from the more basic ‘poion,’ or ‘quale.’ Aristotle was unable to find a
‘-tes’ ending form for what Kant has as ‘relation.’ ‘pros it’ is used, and
first translated into Roman as ‘relatio.’ We see here that we are talking of a
‘summum genus.’ For who other but a philosopher is going to lecture on the
‘pros it’? What Aristotle means is that Socrates is to the right of Plato.
Finally, for Grice’s mode, there is Kant’s wrong ‘modalitat,’ since this refers
to Aristotle ‘te’ and translated in Roman as ‘modus,’ which Meiklejohn, being a
better classicist than Kant, renders as ‘mode,’ and not the pretentious
sounding ‘modality.’ Now for Kant, 12 categories are involved here. Why?
Because he subdivides each summum genus into three sub-summum or ‘inferiore’ genus.
This is complex. Kant would DISAGREE with Grice’s idea that a subject can JUDGE
in generic terms, say, about the quantum. The subject has THREE scenarios. It’s
best to reverse the order, for surely unity comes before totality. One
scenario, he utters a SINGULAR or individual utterance (Grice on ‘the’). The
CATEGORY is the first category, THE UNUM or UNITAS. The one. The unity. Second
scenario, he utters a PARTICULAR utterance (Grice’s “some (at least one). Here
we encounter the SECOND category, that of PLURALITAS, the plurum, plurality.
It’s a good thing Kant forgot that the Greeks had a dual number, and that
Urquhart has fourth number, a re-dual. A third scenario: the nirvana. He utters
a UNIVERSAL (totum) utterance (Grice on “all”). The category is that of TOTUM,
TOTALITAS, totality. Kant does not deign to specify if he means substitutional
or non-substitutional. For the quale, there are again three scenarios for Kant,
and he would deny that the subject is confronted with the FUNCTION quale and be
able to formulate a judgement. The first scenario involves the subject uttering
a PROPOSITIO DEDICATIVA (Grice elaborates on this before introducing ‘not’ in
“Indicative conditionals”“Let’s start with some unstructured amorophous
proposition.” Here the category is NOT AFFIRMATION, but the nirvana “REALITAS,”
Reality, reale.Second scenario, subject utters a PROPOSITIO ABDICATIVA (Grice
on ‘not’). While Kant does not consider affirmatio a category (why should he?),
he does consider NEGATIO a category. Negation. See abdicatum. Third scenario,
subject utters an PROPOSITIO INFINITA. Here the category is that of LIMITATION,
which is quite like NEGATIO (cf. privatio, stelesis, versus habitus or hexis),
but not quite. Possibly LIMITATUM. Regarding the ‘pros ti.’ The first scenario
involves a categorema, PROPOSITIO CATEGORICA. Here Kant seems to think that
there is ONE category called “INHERENCE AND SUBSTISTENCE or substance and
accident. There seem rather two. He will go to this ‘pair’ formulation in one
more case in the relation, and for the three under modus. If we count the
‘categorical pairs’ as being two categories. The total would not be 12
categories but 17, which is a rather ugly number for a list of categories,
unles it is not. Kant is being VERY serious here, because if he has
SUBSTISTENCE or SUBSTANCE as a category, this is SECUNDA SUBSTANTIA or
‘deutero-ousia.’ It is a no-no to count the prote ousia or PRIMA SUBSTANTIA as
a category. It is defined as THE THING which cannot be predicated of anything!
“SUMBEBEKOS” is a trick of Kant, for surely EVERYTHING BUT THE SUBSTANCE can be
seen as an ‘accidens’ (In fact, those who deny categories, reduce them to
‘attribute’, or ‘property.’ The second scenario involves an ‘if’ Grice on
‘if’PROPOSITIO CONDITIONALIShypothetike protasis -- this involves for the first
time a MOLECULAR proposition. As in the previous case, we have a ‘category
pair’, which is formulated either as CAUSALITY (CAUSALITAS) and DEPENDENCE
(Dependentia), or “cause’ (CAUSA) and ‘effect’ (Effectum). Kant is having in
mind Strawson’s account of ‘if’ (The influence of P. F. Strawson on Kant). For
since this is the hypothetical, Kant is suggeseting that in ‘if p, q’ q depends
on p, or q is an effect of its causeAs in “If it rains, the boots are in the
closet.” (J). The third scenario
also involves a molectural proposition, A DISJUNCTUM. PROPOSITIO DISJUNCTIVA.
Note that in Kant, ‘if’ before ‘or’! His implicaturum: subordination before
coordination, which makes sense. Grice on ‘or.’ FOR SOME REASON, the category
here for Kant is that of COMMUNITAS (community) or RECIPROCITAS, reciprocity.
He seems to be suggesting that if you turn to the right or to the left, you are
reciprocally forbidden to keep on going straight. For the modus, similar. Here
Kant is into modality. Again, it is best to re-order the scenarios in terms of
priority. Here it’s the middle which is basic. The first scenario, subject
utters an ASSERTORIC. The category is a pair: EXISTENCE (how is this different
from REALITY) and NON-EXISTENCE (how is this different from negation?). He has
in mind: ‘the cat is in the room,’ ‘the room is empty.’ Second scenario, the
subject doubts. subject utters a problematical. (“The pillar box may be red”).
Here we have a category pair: POSSIBILITIAS (possibility) and, yes,
IMPOSSIBILITASIMPOSSIBILITY. This is odd, because ‘impossibility’ goes rather
with the negation of necessity. The third and last scenario, subject utters an
APODEICTIC. Here again there is a category pairyielding 17 as the final number
--: NECESSITAS, necessity, and guess what, CONTINGENTIA, or contingency.
Surely, possibilitas and contingentia are almost the same thing. It may be what
Grice has in mind when he blames a philosopher to state that ‘what is actual is
not also possible.’ Or not. Refs.: H. P. Grice, “Gilbert Ryle’s criticism of
Ariskant’s categories,” Ryle, “Categories.” “The named categories.” Ryle notes
that when it comes to ‘relatio,’ Kant just murders Aristotle’s idea of a
‘relation’ as in higher than, or smaller than.“His idea of the molecular
propositions has nothing to do with Aristotle’s ‘relation’ or ‘pros ti.’”
sub-positum, suppositum(literally, ‘sub-positum,’) -- cf.
presuppositum -- in the Middle Ages, reference. The theory of supposition, the
central notion in the theory of proprietates terminorum, was developed in the
twelfth century, and was refined and discussed into early modern times. It has
two parts their names are a modern convenience. 1 The theory of supposition
proper. This typically divided suppositio into “personal” reference to
individuals not necessarily to persons, despite the name, “simple” reference to
species or genera, and “material” reference to spoken or written expressions.
Thus ‘man’ in ‘Every man is an animal’ has personal supposition, in ‘Man is a
species’ simple supposition, and in ‘Man is a monosyllable’ material
supposition. The theory also included an account of how the range of a term’s
reference is affected by tense and by modal factors. 2 The theory of “modes” of
personal supposition. This part of supposition theory divided personal
supposition typically into “discrete” ‘Socrates’ in ‘Socrates is a man’,
“determinate” ‘man’ in ‘Some man is a Grecian’, “confused and distributive”
‘man’ in ‘Every man is an animal’, and “merely confused” ‘animal’ in ‘Every man
is an animal’. The purpose of this second part of the theory is a matter of
some dispute. By the late fourteenth century, it had in some authors become a
theory of quantification. The term ‘suppositio’ was also used in the Middle
Ages in the ordinary sense, to mean ‘assumption’, ‘hypothesis’. H. P. Grice,
“Implicaturum, implicatum, positum, subpositum;” H. P. Grice: “A
communicational analogy: explicatum/expositum:implicatum/impositum,” H. P.
Grice, “The positum: between the sub-positum and the supra-positum,” H. P.
Grice, “The implicaturum, the sous-entendu, and the sub-positum.”
survival: discussed by Grice in what he calls the ‘genoritorial
programme, where the philosopher posits himself as a creature-constructor. It’s
an expository device that allows to ask questions in the third person, “seeing
that we can thus avoid the so-called ‘first-person bias’” -- continued
existence after one’s biological death. So understood, survival can pertain
only to beings that are organisms at some time or other, not to beings that are
disembodied at all times as angels are said to be or to beings that are
embodied but never as organisms as might be said of computers. Theories that
maintain that one’s individual consciousness is absorbed into a universal
consciousness after death or that one continues to exist only through one’s
descendants, insofar as they deny one’s own continued existence as an
individual, are not theories of survival. Although survival does not entail
immortality or anything about reward or punishment in an afterlife, many
theories of survival incorporate these features. Theories about survival have
expressed differing attitudes about the importance of the body. supervenient
behaviorism survival 892 892 Some
philosophers have maintained that persons cannot survive without their own
bodies, typically espousing a doctrine of resurrection; such a view was held by
Aquinas. Others, including the Pythagoreans, have believed that one can survive
in other bodies, allowing for reincarnation into a body of the same species or
even for transmigration into a body of another species. Some, including Plato
and perhaps the Pythagoreans, have claimed that no body is necessary, and that
survival is fully achieved by one’s escaping embodiment. There is a similar
spectrum of opinion about the importance of one’s mental life. Some, such as
Locke, have supposed that survival of the same person would require memory of
one’s having experienced specific past events. Plato’s doctrine of
recollection, in contrast, supposes that one can survive without any
experiential memory; all that one typically is capable of recollecting are
impersonal necessary truths. Philosophers have tested the relative importance
of bodily versus mental factors by means of various thought experiments, of
which the following is typical. Suppose that a person’s whole mental life memories, skills, and character traits were somehow duplicated into a data bank and
erased from the person, leaving a living radical amnesiac. Suppose further that
the person’s mental life were transcribed into another radically amnesiac body.
Has the person survived, and if so, as whom?
swinburne: Grice: “Those Savoyards among us should never confuse
Swinburne, parodied in “Patience,” and the Oxonian theologianhardly an
aesthete!” -- English philosopher of religion and of science. In philosophy of
science, he has contributed to confirmation theory and to the philosophy of
space and time. His work in philosophy of religion is the most ambitious
project in philosophical theology undertaken by a British philosopher in the
twentieth century. Its first part is a trilogy on the coherence and
justification of theistic belief and the rationality of living by that belief:
TheCoherence of Theism 7, The Existence of God 9, and Faith and Reason 1. Since
5, when Swinburne became Nolloth Professor of the Philosophy of the Christian
Religion at the of Oxford, he has
written a tetralogy about some of the most central of the distinctively
Christian religious doctrines: Responsibility and Atonement 9, Revelation 2,
The Christian God 4, and Providence and the Problem of Evil 8. The most
interesting feature of the trilogy is its contribution to natural theology.
Using Bayesian reasoning, Swinburne builds a cumulative case for theism by arguing
that its probability is raised sustaining cause Swinburne, Richard 893 893 by such things as the existence of the
universe, its order, the existence of consciousness, human opportunities to do
good, the pattern of history, evidence of miracles, and religious experience.
The existence of evil does not count against the existence of God. On our total
evidence theism is more probable than not. In the tetralogy he explicates and
defends such Christian doctrines as original sin, the Atonement, Heaven, Hell,
the Trinity, the Incarnation, and Providence. He also analyzes the grounds for
supposing that some Christian doctrines are revealed truths, and argues for a
Christian theodicy in response to the problem of evil. Refs.: H. P. Grice,
“Swinburne et moi.”
CVM-SENSATIO
-- synæsthesia: cum-perceptum: co-sensibilecum-sensibileco-sensatio,
co-sensation -- a conscious experience in which qualities normally associated
with one sensory modality are or seem to be sensed in another. Examples include
auditory and tactile visions such as “loud sunlight” and “soft moonlight” as
well as visual bodily sensations such as “dark thoughts” and “bright smiles.”
Two features of synaesthesia are of philosophic interest. First, the experience
may be used to judge the appropriateness of sensory metaphors and similes, such
as Baudelaire’s “sweet as oboes.” The metaphor is appropriate just when oboes
sound sweet. Second, synaesthesia challenges the manner in which common sense
distinguishes among the external senses. It is commonly acknowledged that
taste, e.g., is not only unlike hearing, smell, or any other sense, but differs
from them because taste involves gustatory rather than auditory experiences. In
synaesthesia, however, one might taste sounds sweet-sounding oboes. G.A.G. syncategoremata,
1 in grammar, words that cannot serve by themselves as subjects or predicates
of categorical propositions. The opposite is categoremata, words that can do
this. For example, ‘and’, ‘if’, ‘every’, ‘because’, ‘insofar’, and ‘under’ are
syncategorematic terms, whereas ‘dog’, ‘smooth’, and ‘sings’ are categorematic
ones. This usage comes from the fifth-century Latin grammarian Priscian. It
seems to have been the original way of drawing the distinction, and to have
persisted through later periods along syllogism, demonstrative syncategoremata
896 896 with other usages described
below. 2 In medieval logic from the twelfth century on, the distinction was
drawn semantically. Categoremata are words that have a definite independent
signification. Syncategoremata do not have any independent signification or,
according to some authors, not a definite one anyway, but acquire a
signification only when used in a proposition together with categoremata. The
examples used above work here as well. 3 Medieval logic distinguished not only
categorematic and syncategorematic words, but also categorematic and
syncategorematic uses of a single word. The most important is the word ‘is’,
which can be used both categorematically to make an existence claim ‘Socrates
is’ in the sense ‘Socrates exists’ or syncategorematically as a copula
‘Socrates is a philosopher’. But other words were treated this way too. Thus
‘whole’ was said to be used syncategorematically as a kind of quantifier in
‘The whole surface is white’ from which it follows that each part of the
surface is white, but categorematically in ‘The whole surface is two square
feet in area’ from which it does not follow that each part of the surface is
two square feet in area. 4 In medieval logic, again, syncategoremata were
sometimes taken to include words that can serve by themselves as subjects or
predicates of categorical propositions, but may interfere with standard logical
inference patterns when they do. The most notorious example is the word
‘nothing’. If nothing is better than eternal bliss and tepid tea is better than
nothing, still it does not follow by the transitivity of ‘better than’ that
tepid tea is better than eternal bliss. Again, consider the verb ‘begins’.
Everything red is colored, but not everything that begins to be red begins to
be colored it might have been some other color earlier. Such words were
classified as syncategorematic because an analysis called an expositio of
propositions containing them reveals implicit syncategoremata in sense 1 or perhaps
2. Thus an analysis of ‘The apple begins to be red’ would include the claim
that it was not red earlier, and ‘not’ is syncategorematic in both senses 1 and
2. 5 In modern logic, sense 2 is extended to apply to all logical symbols, not
just to words in natural languages. In this usage, categoremata are also called
“proper symbols” or “complete symbols,” while syncategoremata are called
“improper symbols” or “incomplete symbols.” In the terminology of modern formal
semantics, the meaning of categoremata is fixed by the models for the language,
whereas the meaning of syncategoremata is fixed by specifying truth conditions
for the various formulas of the language in terms of the models. H. P. Grice,
“Implicatures of synaesthesia,” “Some remarks about the senses.”
syneidesis,
conscientia -- synderesis: Grice
disliked the word as a ‘barbarism.’ Grice: “synderesis was by most of us at the Playgroup
reckoned to be a corruption of the Greician
“συνείδησις” shared knowledge, literally
‘co-ideatio,’ formed from ‘syn’ and ‘eidesis,’ ‘co-vision,’ or
conscience, the corruption appearing in the medieval manuscripts of what
Austin called ‘that ignorant saint,’ Jerome in his Commentary.” Douglas Kries in Traditio
57: Origen, Plato, and Conscience (Synderesis) in Jerome's Ezekiel
Commentary67. συνείδησις , εως, ἡ, A.
Liddell and Scott render as “knowledge shared with another,” -- τῶν ἀλγημάτων
(in a midwife) Sor.1.4. 2. communication, information, εὑρήσεις ς. PPar. p.422
(ii A.D.); “ς. εἰσήνεγκαν τοῖς κολλήγαις αὐτῶν” POxy. 123.13 (iii/iv A.D.). 3.
knowledge, λῦε ταῦτα πάντα μὴ διαλείψας ἀγαθῇ ς. (v.l. ἀγαθῇ τύχῃ) Hp.Ep.1. 4.
consciousness, awareness, [τῆς αὑτοῦ συστάσεως] ChrysiStoic.3.43, cf.
Phld.Rh.2.140 S., 2 Ep.Cor.4.2, 5.11, 1 Ep.Pet.2.19; “τῆς κακοπραγμοσύνης”
Democr.297, cf. D.S.4.65, Ep.Hebr.10.2; “κατὰ συνείδησιν ἀτάραχοι διαμενοῦσι”
Hero Bel.73; inner consciousness, “ἐν ς. σου βασιλέα μὴ καταράσῃ” LXX Ec.
10.20; in 1 Ep.Cor.8.7 συνειδήσει is f.l. for συνηθείᾳ. 5. consciousness of
right or wrong doing, conscience, Periander and Bias ap. Stob.3.24.11,12,
Luc.Am.49; ἐὰν ἐγκλήματός τινος ἔχῃ ς. Anon. Oxy.218 (a) ii 19; “βροτοῖς ἅπασιν ἡ ς. θεός” Men.Mon.654, cf. LXX
Wi.17.11, D.H.Th.8 (but perh. interpol.); “ς. ἀγαθή” Act.Ap.23.1; ἀπρόσκοπος
πρὸς τὸν θεόν ib.24.16; “καθαρά” 1 Ep.Ti.3.9, POsl.17.10 (ii A.D.);
“κολαζομένους κατὰ συνείδησιν” Vett.Val.210.1; “θλειβομένη τῇ ς. περὶ ὧν
ἐνοσφίσατο” PRyl.116.9 (ii A.D.); τὸν . . θεὸν κεχολωμένον ἔχοιτο καὶ τὴν ἰδίαν
ς. Ath.Mitt.24.237 (Thyatira); conscientiousness, Arch.Pap.3.418.13 (vi
A.D.).--Senses 4 and 5 sts. run one into the other, v. 1 Ep.Cor.8.7, 10.27 sq.
6. complicity, guilt, crime, “περὶ τοῦ πεφημίσθαι αὐτὴν ἐν ς. τοιαύτῃ”
SuEpigr.4.648.13 (Lydia, ii A.D.). Grice: “The rough Romans could not do with
the ‘cum-‘ of the ‘syn-‘ but few of us at Oxford think of Laurel and Hardy or
Grice and Strawson when they say ‘conscientia’!” con-scĭo , īre, v. a. * I. To
be conscious of wrong: nil sibi, * Hor. Ep. 1, 1, 61.— II. To know well (late
Lat.): “consciens Christus, quid esset,” Tert. Carn. Chr. 3. moral theology, conscience. Jerome used ‘synderesis.’
‘Synderesis’ becomes a fixture because of Peter Lombard’s inclusion of it in
his Sentences. Despite this origin, Grecian ‘synderesis’ is distinguished from Roman
‘conscience’ (from cum-scire) -- by
Aquinas. For Aquinas, Grecian ‘synderesis’ is the quasi-habitual grasp of the
most common principles of the moral order i.e., natural law, whereas ‘conscienntia’
is the *application* of such knowledge to fleeting and unrepeatable
circumstances. ’Conscientia,’ Aquinas misleadingly claims, is allegedly ambiguous
in the way in which ‘knowledge’ is. Knowledge (Scientia) can be the mental
state of the knower or what the knower knows (scitum, cognitum)Grice: “In fact,
Roman has four participles, active present, sciens, passive perfect, sctium,
future active, sciendus, future passive, sciturus -- But ‘conscientia’ like ‘synderesis’, is typically used for the
state of the soul. Sometimes, however, conscientia is taken to include general
moral knowledge as well as its application here and now; but the content of
synderesis is the most general precepts, whereas the content of conscience, if
general knowledge, will be less general precepts. Since conscience can be
erroneous, the question arises as to whether synderesis and its object, natural
law precepts, can be obscured and forgotten because of bad behavior or
upbringing. Aquinas holds that while great attrition can take place, such common
moral knowledge cannot be wholly expunged from the soul. This is a version of
the Aristotelian doctrine that there are starting points of knowledge so easily
grasped that the grasping of them is a defining mark of the human being.
However perversely the human agent behaves there will remain not only the
comprehensive realization that good (bonum) is to be done and evil (malum) avoided,
but also the recognition of some substantive human goods. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice ad Aquino,” Villa Grice --. H. P. Grice, “Kenny on Aquinas,”
“Kenny uses barbaric Griceian and Grecian.”
synergism: in soteriology, the cooperation within human
consciousness of free will and divine grace in the processes of conversion and
regeneration. Synergism became an issue in sixteenth-century Lutheranism during
a controversy prompted by Philip Melanchthon 1497 syncategorematic synergism
897 897 1569. Under the influence of
Erasmus, Melanchthon mentioned, in the 1533 edition of his Common Places, three
causes of good actions: “the Word, the Holy Spirit, and the will.” Advocated by
Pfeffinger, a Philipist, synergism was attacked by the orthodox,
predestinarian, and monergist party, Amsdorf and Flacius, who retorted with
Gnesio-Lutheranism. The ensuing Formula of Concord 1577 officialized monergism.
Synergism occupies a middle position between uncritical trust in human noetic
and salvific capacity Pelagianism and deism and exclusive trust in divine
agency Calvinist and Lutheran fideism. Catholicism, Arminianism, Anglicanism, Methodism,
and nineteenth- and twentieth-century liberal Protestantism have professed
versions of synergism.
systems
theory: the transdisciplinary study of
the abstract organization of phenomena, independent of their substance, type,
or spatial or temporal scale of existence. It investigates both the principles
common to all complex entities and the usually mathematical models that can be
used to describe them. Systems theory was proposed in the 0s by the biologist
Ludwig von Bertalanffy and furthered by Ross Ashby Introduction to Cybernetics,
6. Von Bertalanffy was both reacting against reductionism and attempting to
revive the unity of science. He emphasized that real systems are open to, and
interact with, their environments, and that they can acquire qualitatively new
properties through emergence, resulting in continual evolution. Rather than
reduce an entity e.g. the human body to the properties of its parts or elements
e.g. organs or cells, systems theory focuses on the arrangement of and
relations among the parts that connect them into a whole cf. holism. This
particular organization determines a system, which is independent of the
concrete substance of the elements e.g. particles, cells, transistors, people.
Thus, the same concepts and principles of organization underlie the different
disciplines physics, biology, technology, sociology, etc., providing a basis
for their unification. Systems concepts include: system environment boundary,
input, output, process, state, hierarchy, goal-directedness, and information.
The developments of systems theory are diverse Klir, Facets of Systems Science,
1, including conceptual foundations and philosophy e.g. the philosophies of
Bunge, Bahm, and Laszlo; mathematical modeling and information theory e.g. the
work of Mesarovic and Klir; and practical applications. Mathematical systems
theory arose from the development of isomorphies between the models of
electrical circuits and other systems. Applications include engineering,
computing, ecology, management, and family psychotherapy. Systems analysis,
developed independently of systems theory, applies systems principles to aid a
decision maker with problems of identifying, reconstructing, optimizing, and
controlling a system usually a socio-technical organization, while taking into
account multiple objectives, constraints, and resources. It aims to specify
possible courses of action, together with their risks, costs, and benefits.
Systems theory is closely connected to cybernetics, and also to system
dynamics, which models changes in a network of synergy systems theory 898 898 coupled variables e.g. the “world
dynamics” models of Jay Forrester and the Club of Rome. Related ideas are used
in the emerging “sciences of complexity,” studying self-organization and
heterogeneous networks of interacting actors, and associated domains such as
far-from-equilibrium thermodynamics, chaotic dynamics, artificial life,
artificial intelligence, neural networks, and computer modeling and simulation.
taddio: Luca Taddio (Udine), filosofo.
Si occupa in particolare di fenomenologia della percezione, ontologia e teoria
della conoscenza a cavallo tra estetica e metafisica. È direttore editoriale,
con Pierre dalla Vigna, della casa editrice Mimesis Edizioni. Luca Taddio
nasce a Udine nel 1974. Dopo i primi studi artistici si laurea in Filosofia a
Trieste, successivamente, trascorre un periodo di studio presso il dipartimento
di Filosofia dell'Edimburgo: completa la sua formazione all'Trieste conseguendo
il titolo di dottore di ricerca. È stato allievo dello psicologo sperimentale
Paolo Bozzi e del filosofo Giorgio Derossi. Il primo libro, Spazi
immaginali (Prefazione di Maurizio Ferraris), è un testo di narrativa
filosofica che si inserisce all'interno della tradizione del realismo magico:
l'esistenza viene espressa da una sequenza di istantanee emergenti dallo spazio
immaginale. Tutti gli scritti dell'autore sono di matrice realista:
Fenomenologia eretica è un libro incentrato sull'analisi di un unico esempio
considerato dall'autore paradigmatico per l'intera tradizione fenomenologica,
la percezione di un cubo. L'analisi critica dell'esperienza è sviluppata, da un
lato, in rapporto alla fenomenologia sperimentale di Paolo Bozzi e, dall'altro,
in risposta alle critiche che Emanuele Severino rivolge alla
fenomenologia. A partire dall'opera pittorica di René Magritte, ne I due
misteri viene applicata la teoria della percezione diretta, elaborata
in Fenomenologia eretica, al problema della raffigurazione pittorica. Il
pensiero di Magritte viene discusso alla fine del volume in un dialogo con
Massimo Donà. L'insegnamento di estetica alla facoltà di Architettura lo
porta a realizzare, con Damiano Cantone, il testo: L'affermazione
dell'architettura. La relazione filosofia-architettura sta al centro di altri
due libri da lui curati: Costruire abitare pensare e Città metropoli
territorio; il concetto di affermazione sarà nuovamente preso in esame in un
numero di aut aut dedicato a Derrida e l'architettura. In Verso un nuovo
realismo si delinea un'ontologia della metastabilità, il libro si conclude con
un dialogo con Maurizio Ferraris sul Nuovo realismo. Sul tema del Nuovo
realismo avvia un articolato confronto con Maurizio Ferraris ed Emanuele
Severino. Le riflessioni sul Nuovo realismo si sono sviluppate in
diversi direzioni: politica, architettura, cinema, ontologia ed epistemologia
(Si veda: Alfabeta2; “aut aut”; “Cinema&Cie”; “Teoria & Modelli”; “La
Filosofia Futura”; “Philosophical Readings”;). Fonda, con Pierre dalla
Vigna, Mimesis Edizioni: la società è detentrice dei marchi editoriali di
Mimesis in Italia e all'estero. Nel 2006 costituisce, con Marco Brollo, lo
studio grafico Mimesis Communication. Nel
progetta e realizza la rivista di approfondimento culturale Scenari
diretta da Damiano Cantone e nello stesso anno crea e dirige il Festival
MimesisTerritori delle idee. A partire da una prima formazione politica
di stampo liberal-socialista lavora in direzione di un rilancio della cultura
cosmopolita in rapporto alle nuove forme di partecipazione
democratica (interventi: Festival Vicino Lontano, Pop Sophia, Radio
Radicale). Nel viene nominato dal
Ministro Dario Franceschini nel Cda di Palazzo Reale a Genova. Dall'anno
accademico -19 è professore associato di estetica presso l'Università degli
studi di Udine. Monografie Spazi immaginali, Campanotto Editore,
Fenomenologia eretica. Saggio sull'esperienza immediata della cosa,
Mimesis, L'affermazione
dell'architettura. Una riflessione introduttiva (con Damiano Cantone),
Mimesis, Global Revolution,
Mimesis, I due misteri. Da Magritte alla
natura delle rappresentazioni pittoriche, Mimesis, Verso un nuovo realismo. Osservazioni sulla
stabilità tra estetica e metafisica, Jouvence,
Curatele Paolo Bozzi, Un mondo sotto osservazione, Mimesis, La guerra e
il mortale. A lezione da Emanuele Severino, Mimesis, 2009 Costruire Abitare
Pensare, Mimesis, 2009 Quale filosofia per il partito democratico e la
sinistra, Mimesis, La Terra e il Sacro.
A lezione da Massimo Donà, Mimesis,
Città Metropoli Territorio, Mimesis,
David Cronenberg. Un metodo pericoloso, Mimesis, Manifesto per una sinistra cosmopolita,
Mimesis, Radicalmente liberi. A partire
da Marco Pannella, con L. Caffo, Mimesis
In dialogo con Maurizio Ferraris, Mimesis Note
Curriculum Luca Taddio , su lucataddio.com 1º giugno ). Massimo DonàL'apparire della CosaLa
Fenomenologia Eretica Di Luca Taddio, su youtube.com. Uno scandalo per il pensiero, su ilsole24ore.com. “aut aut” n. 368/, su
autaut.ilsaggiatore.com. Ma il realismo
non è tutto nuovo, su corriere.it. È il
crepuscolo delle tradizioni, su corriere.it.
Sinistra e Nuovo Realismo, su alfabeta2.it. Vuoti di sapere, su
autaut.ilsaggiatore.com. The Geopolitics
of Cinema and the Study of Film, su cinemaetcie.net 24 settembre ). Teorie & Modelli, su pitagoragroup.it 7
maggio ). La Filosofia Futura, su
lafilosofiafutura.it. PHILOSOPHICAL
READINGSSpecial Issue on: REALISM AND ANTI-REALISM: NEW PERSPECTIVES , su
philosophicalreadings.files.wordpress.com.
Passione politica e democrazia. Con U. Curi, M. Pacini, M. Panarari e
L.Taddio, su youtube.com.
"Marionette al potere" Curi, Marramao, Taddio, su
youtube.com. Oratore: Luca Taddio, su
radioradicale.it. CDA Palazzo Reale
Genova , su beniculturali.it. Sito
ufficiale, su lucataddio.it.
Registrazioni di Luca Taddio, su RadioRadicale.it, Radio Radicale. Intervista a E. Severino Artribune:
intervista di Davide Dal.
Tagliabue: Guido Morpurgo-Tagliabue (Milano), filosofo.
Nato da padre ignoto e da giovane Giovanna Tagliabue, poi moglie del maturo
avvocato, assessore e filantropo Gerolamo Morpurgo, si formò a Milano,
laureandosi in Filosofia. Dopo diverse collaborazioni a riviste come critico
letterario e teatrale, si occupò lui stesso di filosofia a partire da due saggi
del dopoguerra, Le strutture del trascendentale e Il concetto dello stile
(entrambi pubblicati nel 1951), che gli fecero avere il posto di professore di
Estetica all'Università degli Studi di Milano (fino al 1961), poi quello di
Filosofia teoretica all'Università degli Studi di Trieste (dal 1964 al
1982). In precedenza aveva collaborato
dal 1931 al 1938 alla rivista Il Convegno, ma scrisse anche su La Lettura e La
Rassegna d'Italia, e più di recente su Rivista critica di storia della
filosofia, Rivista di filosofia, Belfagor, Giornale critico della filosofia
italiana, Rivista di estetica, Il pensiero, Aretusa , Lingua e stile, Studi di
estetica, Studi tedeschi, aut aut ecc.
Si occupò di germanistica, gnoseologia, semantica, estetica e poetica,
attraverso numerosi saggi di taglio fenomenologico. Come per Adelchi Baratono e Antonio Banfi, la
sua analisi dell'estetica e delle scelte poetiche e stilistiche degli artisti
si distacca dall'impostazione di Benedetto Croce e poi di Guido Calogero per
orientarsi verso l'aspetto pratico (influenzato anche dall'esistenzialismo
positivo di Nicola Abbagnano) del fare arte, che non può ridursi alla sola
conoscenza, ed è fortemente legato alla tecnica, intesa anche come gesto
manuale e meccanico, e allo stile, inteso come rapporto tra gli elementi
formali e quelli contenutistici dell'opera (sede, inoltre, dell'unità nel
rapporto tra percezione e immaginazione).
Nel 1960 i suoi studi sono ripresi e sistemati in L'esthétique
contemporaine, pubblicato in francese e tradotto in diverse lingue. Qui
organizza le teorie d'artista e le dottrine estetiche non tanto in senso
cronologico, ma per tipi: estetiche vitalistiche, psicologistiche,
formalistiche, fenomenologiche ecc. In
Linguistica e stilistica di Aristotele (1967) e Demetrio, dello stile (1980) si
occupa di retorica e stilistica antiche. Aristotelismo e Barocco (1954) e Il
Barocco e noi (1986) (poi riuniti in Anatomia del Barocco, 1987) indagano sul
Barocco (artistico e letterario). Si è anche occupato di estetica del XVIII
secolo, degli scritti pre-critici di Kant, della polemica Nietzsche-Wagner, di
Goethe, Musil, Roth, Kafka ecc. Fu
critico con la contestazione studentesca del 1968, eppure non evitò il
confronto con il movimento. Una grave malattia gli levò l'uso della voce, ma
continuò a tenere lezione con l'aiuto di un sintetizzatore vocale. Morì senza figli e senza essersi mai sposato
a 90 anni, nel 1997. A suo ricordo la
sorella Ernesta ha aperto una fondazione e un premio per gli studi di filosofia
a Trieste. Opere principali I processi
di Galileo e l'epistemologia, Milano: F.lli Bocca, 1947; Milano: Ed. di
Comunità, 1963; Roma: Armando, 1981 Il concetto dello stile. Saggio di una
fenomenologia dell'arte, Milano: F.lli Bocca, 1951 Le strutture del
trascendentale. Piccola inchiesta sul pensiero critico, dialettico, esistenziale,
Milano: F.lli Bocca, Dai romantici a noi, Milano: Marzorati, 1953 Aristotelismo
e barocco, Milano: F.lli Bocca, L'esthétique contemporaine. Une enquête,
Milano: Marzorati, 1960 Il concetto del "gusto" nell'Italia del
Settecento, Firenze: La Nuova Italia, 1962 Linguistica e stilistica di
Aristotele, Roma: Ed. dell'Ateneo, 1967 Fenomenologia dei giudizi di valore, Trieste:
Istituto di Filosofia, 1973 La semantica e i suoi problemi, Trieste: Istituto
di Filosofia, 1974 Demetrio, dello stile, Roma: Ed. dell'Ateneo, 1980 La
nevrosi austriaca. Saggi sul romanzo, Casale Monferrato: Marietti, 1983
Nietzsche contro Wagner, Pordenone: Studio Tesi, 1984 Geologia letteraria,
Milano: Garzanti, 1986 Anatomia del barocco, Palermo: Aesthetica, 1987 Goethe e
il romanzo, Torino: Einaudi, 1991 Il gusto nell'estetica del Settecento, Luigi
Russo e Giuseppe Sertoli, Palermo: Centro internazionale studi di estetica,
2002 Introduzioni e prefazioni Herbert Read, Arte e alienazione. Il ruolo
dell'artista nella societa, Milano: Marzorati, 1975 Immanuel Kant, I sogni di
un visionario spiegati coi sogni della metafisica, Milano: Rizzoli, 1982 Immanuel
Kant, Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime, Milano: Rizzoli,
1989 Charles-Louis Montesquieu, Sul gusto, Genova: Marietti, 1990 Note Crf. la pagina sul sito dell'Trieste. Numero speciale di "Esercizi
filosofici", n. 4, 1998. Luigi Russo , Guido Morpurgo-Tagliabue e
l'estetica del Settecento, in "Aesthetica Pre-Print", 67, aprile
2003. Paolo D'Angelo, «MORPURGO-TAGLIABUE, Guido», in Dizionario Biografico
degli Italiani, 77, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, .
Morpurgo Guido Morpurgo-Tagliabue,
in Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Morpurgo Tagliabue, ritratto di un genio politicamente scorretto necrologio di
Claudio Magris, Corriere della Sera.
Tagliagambe: Silvano Tagliagambe
(Legnano), filosofo. Si è trasferito poi
a Milano dove ha studiato Filosofia alla Statale come allievo Geymonat con cui
si è laureato con la lode attraverso una tesi sull'interpretazione della
meccanica quantistica di Hans Reichenbach. Ha proseguito i suoi studi specializzandosi
in Fisica quantistica all'Università degli Studi Lomonosov di Mosca sotto la
direzione di Ja.P. Terleckij e poi presso l'Accademia delle Scienze dell'URSS,
Istituti di Filosofia e di Fisica dal 1971 al 1974 dove si è perfezionato in
Filosofia della fisica con la supervisione di V.A. Fock e M.E. Terleckij.
La sua attività scientifica e didattica si è sviluppata attraverso un variegato
percorso universitario che l'ha portato ad insegnare presso diversi atenei dal
1974 al 2008 e a collaborare con differenti centri di ricerca ed enti
istituzionali come consulente scientifico. Pensiero Il lavoro di ricerca
di Tagliagambe si è concentrato inizialmente sul rapporto tra filosofia e
fisica (soprattutto quantistica) nella cultura russa tra '800 e '900, in
particolare sul concetto di realtà fisica (Bohr, Heisenberg, Born) e sui
rapporti tra materialismo dialettico e sviluppi della fisica del '900.
Dagli anni '90 ha rivolto l'attenzione sui temi del rapporto tra realtà
osservata e sistema osservante, le interazioni reciproche e il ruolo del
linguaggio, della comunicazione intersoggettiva, della mediazione linguistica e
della semiotica nel pensiero scientifico. Ha elaborato il ruolo e il
significato di interfaccia, il rapporto tra intelligenza naturale e intelligenza
artificiale, in particolare il ruolo progressivamente avuto dalle tecnologie di
informazione e comunicazione. Ha elaborato i contributi sul profondo
significato del concetto di "margine", sia esso su un essere vivente,
un'interfaccia o il rapporto tra corpo e mente, nei sistemi sociali e nella
comunicazione. Ha studiato le forti interconnessioni tra artificiale e
naturale, il profondo senso dell'interdisciplinarità, e il libro Il Sogno di
Dostoevskij, attraverso una visitazione storica dal dibattito tra lo scrittore
e lo scienziato Secënov, fino alle recenti scoperte della neurofisiologia,
mettendo a fuoco il senso del rapporto tra le mente e il corpo e il significato
e la funzione dell'inconscio. Ha ricostruito e interpretato l'intenso scambio
dialogico tra il premio Nobel della fisica Wolfgang Pauli e il fondatore della
psicologia analitica Carl Gustav Jung, nel quale emerge il profondo rapporto
tra filosofia, fisica e psicanalisi. L'analisi tra visibile e
invisibile, il ruolo dell'arte e il senso epistemologico dello spazio
intermedio e del confine sono stati da lui sviluppati anche attraverso
un'esegesi del pensiero di Florenskij. Le ricadute del suo pensiero sulle
scienze sociali ed economiche trovano approfondimenti nelle opere dedicate all'analisi
dei sistemi organizzativi socio-economici. L'attività presso la facoltà di
Architettura l'ha portato a riflettere sulla'"epistemologia del
progetto", sulla relazione tra possibilità e realtà, sul rapporto tra
l'Io, lo spazio, il tempo, l'ambiente, tra urbs e civitas, sul concetto di
paesaggio, sul ruolo delle città globali e sul nesso tra globale e locale. Gli
sviluppi delle tecnologie digitali e poi della rete come fenomeno prima
tecnologico poi culturale e sociale vengono elaborati e incorporati nel suo
pensiero. La sua riflessione teorica è indirizzata anche ai temi
dell'apprendimento e dell'organizzazione della conoscenza soprattutto alla luce
delle reali esperienze della scuola, dei processi di modernizzazione e
innovazione che la coinvolgono e delle nuove esigenze che essa deve affrontare
Nel ha diretto il rifacimento del
manuale di filosofia di Ludovico Geymonat e pubblicato da Garzanti Scuola con
il titolo La realtà e il pensiero. La ricerca filosofica e scientifica in
collaborazione con Edoardo Boncinelli.[25] Collabora dal con il CNI per il premio Scintille dedicato
all'innovazione (AD). Note (Pisa,
Cagliari, Roma La Sapienza, Sassari: Facoltà di Architettura di Alghero) (Vicepresidente CRS4(1994-2000) , Ministero
dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca per la Riforma, CIES, FIESEC,
Direttore scientifico del progetto “Scuola digitale” della Regione
Sardegna). Vedi L'interpretazione
materialistica della meccanica quantistica. Fisica e filosofia in URSS.
Vedi Scienza, filosofia, politica in Unione Sovietica.Vedi Materialismo e
dialettica nella filosofia sovietica. Vedi Scienza e marxismo in Urss. Vedi La mediazione linguistica. Il rapporto
pensiero-linguaggio da Leibniz a Hegel
Vedi Epistemologia del confine
Vedi Il Sogno di Dostoevskij
(vedi Pauli e Jung. Un confronto su materia e psiche Vedi recensione di Edoardo Boncinelli in
Corriere della Sera lunedì 24 ottobre
che cita “con quest'opera Tagliagambe va avanti sul progetto di
esplorare una originalissima «epistemologia del confine»”. Vedi Come leggere Florenskij Vedi La tecnica e il corpo. Riflessioni su
uno scritto di Pavel Florenskij vedi
Organizzazioni. Soggetti umani e sviluppo socio-economico Vedi Individui e imprese: centralità delle
relazioni Vedi La politica che non c'è.
Idee guida per un progetto tra razionalità e valori Vedi L'albero flessibile. La cultura della
progettualità Vedi Le due vie della
percezione e l'epistemologia del progetto
Vedi La città possibile Vedi
People and Space. New Forms of interaction in City Project Vedi: Epistemologia del cyberspazio Vedi La comunicazione nell'era di
Internet Vedi Lo spazio intermedio, poi
tradotto anche in spagnolo, che riprende, rielabora ed estende il concetto di
confine. Vedi La didattica e la
rete Vedi Più colta e meno Gentile Vedi Saper fare la scuola: il triangolo che
non c'è Vedi Nuovi percorsi per
l'obbligo formativo Vedi La realtà e il
pensiero 1. La ricerca filosofica e scientifica, Garzanti Scuola, La realtà e il pensiero 2. La ricerca filosofica
e scientifica, Garzanti Scuola, La realtà e il pensiero 3. La ricerca
filosofica e scientifica, Garzanti scuola. Opere: È autore di oltre 200 opere
tra cui: L'interpretazione materialistica della meccanica quantistica.
Fisica e filosofia in URSS, Feltrinelli, Milano, Scienza, filosofia, politica in
Unione Sovietica. Feltrinelli, Milano, Materialismo e dialettica nella
filosofia sovietica, Loescher, Torino, 1979; Scienza e marxismo in Urss,
Loescher, Torino, 1979; La mediazione linguistica. Il rapporto
pensiero-linguaggio da Leibniz a Hegel, Feltrinelli, Milano, D.I. Mendeleev,
Scritti sullo spiritismo. . Traduzione e studio storico-critico introduttivo di
S. Tagliagambe, Bollati-Boringhieri, Torino; L'impresa tra ipotesi, miti e
realtà (in collaborazione con G.Usai), ISEDI, Torino, 1994; Epistemologia del
confine, Il Saggiatore, Milano, La politica che non c'è. Idee guida per un
progetto tra razionalità e valori, Demos, Cagliari, Il sequestro dell'identità,
CUEC, Cagliari, La città possibile, (in collaborazione con G. Maciocco),
Dedalo, Bari, Epistemologia del cyberspazio, Demos, Cagliari, L'albero flessibile. La cultura della
progettualità, Masson, Milano, Il profilo del tempo, ‘Nuova civiltà delle
Macchine', Organizzazioni. Soggetti umani e sviluppo socio-economico, (in
collaborazione con G.Usai), Giuffré, Milano, La didattica e la rete, Pitagora
Editrice, Bologna, La comunicazione nell'era di Internet, (in collaborazione
con C. Crespellani Porcella e G. Usai, Collana Fondazione IBMEtas Libri,
Milano, Il destino del marxismo in Russia: dall'idolatria al rifiuto, (in
collaborazione con V. Mironov), Luiss Edizioni, Collana di studi metodologici,
Roma, La vittoria di Babele. Dalla filosofia naturale alla separazione dei
linguaggi, ‘ Civiltà delle macchine', Il sogno di Dostoevskij. Come la mente
emerge dal cervello, Raffaello Cortina Editore, Milano, Filosofia della scienza
(in collaborazione con G. Boniolo, M.L. Dalla Chiara, G. Giorello, C. Sinigaglia),
Cortina, Milano, Nuovi percorsi per
l'obbligo formativo, Edizioni PLUS. Pisa, Pisa; Il pensiero unitario di
Ludovico Geymonat, in collaborazione cn
Edizioni Nuova Cultura, Teramo, 2004; Le due vie della percezione e
l'epistemologia del progetto, Franco Angeli, Milano; Più colta e meno gentile.
Una scuola di massa e di qualità, Armando, Roma, 2006; Come leggere Florenskij,
Bompiani, Milano, La tecnica e il corpo. Riflessioni su uno scritto di Pavel
Florenskij, (in collaborazione con B. Antomarini) Franco Angeli, Milano, Individui e imprese: centralità delle
relazioni, (in collaborazione con G. Usai) Giuffrè, Milano, Saper fare la
scuola: il triangolo che non c'è, (in collaborazione con V.Campione) Einaudi,
Torino, Lo spazio intermedio, Università Bocconi Editore, Milano, Storia della
filosofia, XIII, Filosofi italiani del
Novecento, (in collaborazione con D.Antiseri) Bompiani, Milano, Storia della
filosofia, Filosofi italiani del
Novecento, (in collaborazione con D.Antiseri) Bompiani, Milano, 2008; “People
and Space. New Forms of interaction in City Project”, (in collaborazione con
G.Maciocco) Springer-Verlag Berlin, Heidelberg, New York, El espacio
intermedio. Red, individuo y comunidad, Fragua Editorial, Madrid, Pauli e Jung.
Un confronto su materia e psiche,(in collaborazione con A. Malinconico)
Raffaello Cortina, Milano, ; La libertà, le lettere, il potere, (in
collaborazione con D.Antiseri e P.Maninchedda) Rubbettino, Soveria Mannelli, ;
La realtà e il pensiero 1. La ricerca filosofica e scientifica Garzanti
Scuola La realtà e il pensiero 2. La
ricerca filosofica e scientifica Garzanti Scuola La
realtà e il pensiero 3. La ricerca filosofica e scientifica Garzanti scuola. Opere
di Silvano Tagliagambe, su openMLOL, Horizons Unlimited srl.
Taglialatela: Pietro Taglialatela (Mondragone),
filosofo. Studiò al Seminario vescovile di Sessa. Ordinato sacerdote, insegnò
teologia al Seminario vescovile di Cava dei Tirreni dal 1852 al 1856. Dal 1860, lasciato il sacerdozio, tentò di
arruolarsi nelle truppe di Garibaldi, per poi decidere di predicare nell'Italia
meridionale i nuovi ideali del movimento unitario. Nel 1861, fu nominato professore di teologia
all'Napoli. A seguito della soppressione di tale cattedra aprì, sempre a
Napoli, una scuola privata. Incominciò
da questo periodo a riscoprire lo studio e la saggistica, in particolare
riprendendo e sposando le tesi di Vincenzo Gioberti, che lo avevano affascinato
in gioventù. Su questo indirizzo filosofico è stato imperniato il manuale
Istituzioni di filosofia del 1864 che, seppur non prescelto come testo
d'insegnamento liceale, in quanto particolarmente complesso, ricevette le lodi
di Bertrando Spaventa. Non mancò, in
seguito, avendo aderito al protestantesimo, di compiere opere missionarie, in
particolare in Puglia e in Abruzzo. A tal riguardo è documentato il viaggio di
Pescasseroli nel 1886, sul quale scrisse Benedetto Croce, che segnalò anche
come Taglialatela fosse considerato, assieme a Bonaventura Mazzarella e Enrico
Caporali, fra le «menti più forti del movimento protestante in Italia». Scritti: “Istituzioni di filosofia, Tip.
all'Insegna del Diogene, Napoli 1864; Apologia delle dottrine filosofiche di V.
Gioberti, Tip. all'Insegna del Diogene, Napoli, “La scienza, la vita e
Francesco de Sanctis. Discorso, Tip. all'insegna del Diogene, Napoli 1872;
Giuseppe Garibaldi. Conferenza, La Speranza, Roma s.d.; Il Papa-re nelle
profezie e nella storia, La Speranza, Roma 1902; In Dio. Saggi, discorsi,
frammenti di filosofia cristiana, ed. postuma, La Speranza, Roma 1927; Fede,
speranza e carità. Meditazioni, ed. postuma, La Speranza, Roma 1927; Teoria
evangelica della vita, ed. postuma, La Speranza, Roma 1929; D. Ciampoli, L'opera letteraria di Pietro
Taglialatela, Tip. Unione editrice, Roma 1913; B. Croce, Pescasseroli, Laterza,
Bari 1922 (poi in Storia del Regno di Napoli); R. Fiore, Pietro Taglialatela,
in «Civiltà Aurunca», XVIII (2002), n. 47,
7-16; G. Iurato, Pietro Taglialatela. Dalla filosofia del Gioberti
all'evangelismo antipapale, Claudiana, Torino, Vincenzo Gioberti Protestantesimo
in Italia Pietro Taglialatela.
Biografia, pubblicazioni e in
"Dizionario biografico dei protestanti in Italia". Sito della Società
di studi valdesi. il 1º gennaio . Pietro Tagliatela, Apologia della dottrina
filosofica di V. Gioberti (il testo in Google Libri).
Tagliapietra: Andrea Tagliapietra
(Venezia), filosofo. Dopo la maturità classica al Foscarini di Venezia, ha
compiuto studi di medicina e di filosofia, laureandosi in filosofia teoretica
all'Università Ca' Foscari con una tesi discussa con Emanuele Severino e Romano
Madera. In quegli stessi anni perfeziona gli studi di ermeneutica biblica sotto
la guida di Carlo Enzo. Ha insegnato Storia della filosofia moderna e
contemporanea presso l'Università degli studi di Sassari (1997-2004).
Attualmente è Professore di Storia della filosofia presso la Facoltà di
Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano dove insegna
Storia delle idee, Filosofia della cultura e Storia della filosofia.
Fonde nelle sue ricerche un'indagine storico filosofica sul pensiero greco,
sulla tradizione apocalittica ebraica e cristiana e sul canone del pensiero
moderno, con un'attenzione a temi contemporanei legati al mondo delle immagini
e della comunicazione, allo studio del linguaggio e delle metafore, nonché
all'intreccio storico e teorico fra teatro e filosofia. In quest'ultima
prospettiva si orientano i suoi studi sull'idea di sincerità e sul significato
della bugia nel quadro di una costruzione drammaturgica dell'individuo, sul
ridere e sulla natura del personaggio comico. Ha curato, per Feltrinelli,
Bollati Boringhieri e Bruno Mondadori edizioni importanti: L'Apocalisse di
Giovanni, raccolte di scritti sull'Illuminismo e sul tema della
"catastrofe"; opere di Platone, Gioacchino da Fiore, Kant, Benjamin
Constant, Voltaire, Jean-Jacques Rousseau, Alessandro Manzoni,
Constantin-François de Chassebœuf de Volney, Ludwig Andreas Feuerbach,
Louis-Sébastien Mercier. Dal 2007 sta curando l'edizione delle opere
complete di Italo Valent. Collabora saltuariamente a Il Gazzettino, il
quotidiano della sua città, e ha collaborato a varie testate giornalistiche (Capital;
Panorama; Il Sole 24 Ore; l'inserto culturale "Saturno" de Il fatto
quotidiano, ecc.), con interventi di carattere culturale o legati all'attualità
sociale e politica. Con La virtù crudele. Filosofia e storia della sincerità ha vinto nel 2004 il Premio Viareggio per la
saggistica. Nel gli è stato conferito il
premio di filosofia "Viaggio a Siracusa" per il saggio Gioacchino da
Fiore e la filosofia. È direttore, insieme a Sebastiano Ghisu, della rivista
internazionale di filosofia Giornale critico di storia delle idee. È fondatore
e direttore del Centro di Ricerca Interdisciplinare di Storia delle Idee
(CRISI), che ha sede presso la Facoltà di Filosofia del San Raffaele, e di
ICONE, Centro Europeo di Ricerca di storia e teoria dell'immagine di Palazzo Arese
Borromeo . Opere principali: La metafora dello specchio. Lineamenti per
una storia simbolica, Feltrinelli, Milano (2ª ed. riveduta e accresciuta,
Bollati Boringhieri, Torino) Il velo di Alcesti. La filosofia e il teatro della
morte, Feltrinelli, Milano Filosofia della bugia. Figure della menzogna nella
storia del pensiero occidentale, Bruno Mondadori, Milano (2ª ed. riveduta, Bruno Mondadori, Milano ) La
virtù crudele. Filosofia e storia della sincerità, Einaudi, Torino La forza del
pudore: per una filosofia dell'inconfessabile, Rizzoli, Milano (tr. francese, a
c. di Robert Kremer, La force de la pudeur. Pour une philosophie de
l'inavouable, Salvator, Paris ) Il dono del filosofo: sul gesto originario
della filosofia, Einaudi, Torino, Icone della fine. Immagini apocalittiche,
filmografie, miti, il Mulino, Bologna
Sincerità, Raffaello Cortina, Milano
(tr. francese, a c. di Robert Kremer, La sincérité, Salvator, Paris )
Gioacchino da Fiore e la filosofia, il Prato, Padova Non ci resta che ridere, il Mulino,
Bologna Alfabeto delle proprietà.
Filosofia in metafore e storie, Moretti & Vitali Editori, Bergamo Esperienza. Filosofia e storia di un'idea,
Raffaello Cortina, Milano Filosofia dei
cartoni animati. Una mitologia contemporanea, Bollati Boringhieri, Torino Opere costituite da raccolte di lezioni
Cartografia intellettuale dell'Europa. La migrazione dello spirito, a c. di
Erminio Maglione, introduzione di Renato Rizzi, Mimesis Edizioni, Milano-Udine Tempo a termine e tempo senza fine. Breve
storia figurale della temporalità, a c. di Caterina Piccione, con DVD-ROM delle
lezioni, Mimesis Edizioni, Milano-Udine
Opere in collaborazione con altri autori con Gianfranco Ravasi, Non
desiderare la donna e la roba d'altri, il Mulino, Bologna (tr. francese, a c. di Robert Kremer, Tu ne
convoiteras pas la femme d'autrui ni son bien, Salvator, Paris ) con Renato
Corrado, Il senso del dolore. Testimonianza e argomenti, Editrice San Raffaele,
Milano con Claudio Bartocci e Piero
Martin, Zerologia. Sullo zero, il vuoto e il nulla, il Mulino, Bologna Edizioni scientifiche, curatele e traduzioni
Apocalisse di Giovanni, testo latino a fronte, prefazione di Andrea
Tagliapietra, traduzione e postfazione di Massimo Bontempelli, Feltrinelli,
Milano, Platone, Fedone o sull'anima, testo greco a fronte, traduzione,
introduzione e cura di Andrea Tagliapietra, saggio critico di Elisa Tetamo,
Feltrinelli, Milano (7ª ed., ) Gioacchino da Fiore, Sull'Apocalisse, testo
latino a fronte, introduzione, traduzione e cura di Andrea Tagliapietra,
Feltrinelli, Milano, Immanuel Kant-Benjamin Constant, La verità e la menzogna.
Dialogo sulla fondazione morale della politica, introduzione e cura di Andrea
Tagliapietra, traduzioni di Silvia Manzoni e di Elisa Tetamo, Bruno Mondadori,
Milano, Che cos'è l'Illuminismo? I testi e la genealogia del concetto,
introduzione e cura di Andrea Tagliapietra, traduzioni di Silvia Manzoni e di
Elisa Tetamo, Bruno Mondadori, Milano, Rudolf Otto, Il sacro, introduzione,
note e apparati di Andrea Tagliapietra, traduzione di Ernesto Buonaiuti,
Gallone Editore, Milano 1998 Voltaire-Rousseau-Kant, Sulla catastrofe.
L'illuminismo e la filosofia del disastro, introduzione e cura di Andrea
Tagliapietra, traduzioni di Silvia Manzoni e di Elisa Tetamo, con un saggio di Paola
Giacomoni, Bruno Mondadori, Milano Immanuel Kant, La fine di tutte le cose, a
cura e con un saggio di Andrea Tagliapietra, traduzione di Elisa Tetamo, Bollati
Boringhieri, Torino, Alessandro Manzoni, La storia e l'invenzione. Scritti
filosofici, introduzione, note e apparati di Andrea Tagliapietra, il Prato,
Padova Constantin-François de Chassebœuf
de Volney, Le rovine, ossia meditazione sulle rivoluzioni degli imperi, Andrea
Tagliapietra e Marco Bruni, introduzione di Andrea Tagliapietra, postfazione e
traduzione di Marco Bruni, Mimesis Edizioni, Milano-Udine Ludwig Feuerbach, L'uomo è ciò che mangia, a
cura e con un saggio di Andrea Tagliapietra, traduzione e nota biobibliografica
di Elisa Tetamo, Bollati Boringhieri, Torino
Louis-Sébastien Mercier, Montesquieu a Marsiglia, Andrea Tagliapietra e
Caterina Piccione, traduzione di Andrea Tagliapietra e Caterina Piccione,
Inschibboleth, Roma Immanuel Kant,
Bisogna sempre dire la verità?, Andrea Tagliapietra, traduzione di Elisa
Tetamo, Raffaello Cortina Editore, Milano
Alcuni saggi e articoli Kant e l'idea della fine, di Andrea
Tagliapietra, in Agalma, Il rischio e il limite, di Andrea Tagliapietra, in
Magazine, n. 1 (dossier Energia), Pearson, marzo . L'ultimo gesto di Socrate.
Il pudore e l'enigma, di Andrea Tagliapietra, in Spazio Filosofico, n. 5,
maggio . Tipologia del riso, di Andrea Tagliapietra, in Fillide, n. 5,
settembre . Kant and the Idea of the End di Andrea Tagliapietra, in European
Journal of Psychoanalysis, n. 1, /1, The End. Corpo di pazienza di Andrea
Tagliapietra, in European Journal of Psychoanalysis, ISAP, Saggi ed Articoli
(). Testi in rete Esser contro di Andrea Tagliapietra, in XÁOS. Giornale di
confine, Il dono del filosofo. Il dono della filosofia di Andrea Tagliapietra,
in XÁOS. Giornale di confine, Il giallo della filosofia, di Andrea
Tagliapietra, in XÁOS. Giornale di confine, Il volto del potere di Andrea
Tagliapietra, in XÁOS. Giornale di confine, Anno II, n. 1 marzo-giugno 2003. La
Lotteria di Babele. Appunti filosofici su caso e fortuna nella società della
comunicazione di Andrea Tagliapietra, in XÁOS. Giornale di confine, Anno II, n.
2 luglio-ottobre 2003. L'apocalisse delle immagini. Esegesi del cinema di Wim
Wenders a partire da "Fino alla fine del mondo", di Andrea Tagliapietra,
in XÁOS. Giornale di confine, Anno II, n. 3 novembre-febbraio 2003/2004. La
gola del filosofo. Il mangiare come metafora del pensare di Andrea Tagliapietra
in XÁOS. Giornale di confine Anno IV, n. 1 marzo -giugno 2005/2006. Dire la
verità. L'insistenza della critica di Andrea Tagliapietra, in Giornale critico
di storia delle idee, Anno IV, n. 8, . Interviste e video L'uomo è un animale
che esita. Intervista con Andrea Tagliapietra di Marco Dotti, in Vita, n. 6, .
Presentazione. Il dono del filosofo. Sul gesto originario della filosofia in
Inschibboleth WEB TV. Presentazione. Icone della fine. Immagini apocalittiche,
filmografie, miti Del senso della fine. Dialogo con Andrea Tagliapietra di
Marco Dotti, in Communitas, n. 4, . RAI Cultura: Andrea Tagliapietra: futuro,
progresso e possibilità Lezione magistrale al Festival di Filosofia (Modena ),
Inganni. Finzioni di verità e storia naturale dell'intelligenza. Eigentlichkeit
und Dichtung? La filosofia della sincerità di Andrea Tagliapietra, di Vincenzo
Pinto Il riso è il proprio dell'uomo.
Commento in margine a Non ci resta che ridere di Andrea Tagliapietra, di
Claudio Tugnoli Se essere sinceri è una
virtù crudele. Uno studio fra storia e filosofia, di Umberto Galimberti, in
"La Repubblica", Recensione ad Andrea Tagliapietra, La virtù
crudele. Filosofia e storia della sincerità, di Claudio Tugnoli, in
"Dialeghestai. Rivista telematica di filosofia", anno VI, 2004 Premio letterario Viareggio-Rèpaci, su
premioletterarioviareggiorepaci.it. 9 agosto .
Home page del Giornale Critico di Storia delle Idee Home page del Centro di Ricerca in Storia
delle IdeeCRISI Home page di ICONE,
Centro Europeo di Ricerca di storia e teoria dell'immagine, su
centroeuropeopalazzoborromeo.it. 17 giugno
17 giugno ). Ciclo di dieci
lezioni teoriche, dette "Decadi", tenuto nell'Aula Tafuri di Palazzo
Badoer, a Venezia, dall'11 novembre al
29 gennaio , nel quadro del Laboratorio di Progettazione Architettonica dello
IUAV diretto da Renato Rizzi e costituente il
I, Libro dello Studio, del progetto "Lampedusa. La cattedrale di
Solomon". Opere di Andrea Tagliapietra, .
Registrazioni di Andrea Tagliapietra, su RadioRadicale.it, Radio
Radicale. Pagina docente con
informazioni biografiche e bibliografiche sito dell'Università Vita-Salute San
Raffaele.
Tamburino: Tommaso Tamburini o Tamburino
(Caltanissetta), filosofo.Figlio del giudice Fabrizio e di Agata Adelicia
Tramontana. Entrò nella compagnia di Gesù a quindici anni, restò a
Caltanissetta dopo aver ricevuto gli ordini, successivamente fu incaricato
dell'insegnamento di retorica, di filosofia e di teologia sistematica nel
locale collegio gesuitico. A trent'anni fu trasferito nel collegio di Messina
per insegnare teologia morale e a quarantacinque anni passò in quello di Palermo.
Resse i collegi gesuitici di Caltanissetta, Monreale e Palermo. Fu esaminatore
delle curie arcivescovili di Palermo e Monreale, consigliere e qualificatore
nel Sant'Uffizio della Inquisizione spagnola, ossia di esaminatore dei reati
prima della loro attribuzione alla competenza dell'Inquisizione. Tommaso
Tamburini durante un soggiorno romano, quale rappresentante della provincia
gesuitica siciliana alla undicesima congregazione generale della compagnia di
Gesù, conobbe lo scultore Johann Friedrich Greuter, che in quel periodo
lavorava per la casa generalizia dei gesuiti. Il teologo siciliano,
apprezzandone le doti, gli affidò l'incarico di incidere le immagini della
Madonna. Realizzava finalmente il progetto, da qualche anno vagheggiato, di
dare alle stampe le notizie preparate dal confratello Ottavio Gajetano,
riguardanti appunto i luoghi del culto mariano nell'isola, facendo illustrare
l'opera con tavole riproducenti le relative icone della Madonna. Così
accanto all'imponente produzione filosofica del Tamburini, restano anche due
edizioni, una in latino ed una in volgare, di un volume con 36 incisioni del
‘600, di raro pregio per la raffinatezza dei disegni di Greuter; l'opera non fu
firmata dal gesuita. Di queste due edizioni si trovano rari esemplari che, per
le limitazioni derivanti dall'esaurimento delle "matrici", sono, per
buona parte, prive delle pagine in cui sono stampate le incisioni.
Pensiero Il gesuita siciliano nella conoscenza del peccato attribuisce
importanza primaria alla cognitio singulorum cioè alla capacità di valutazione
dei singoli. Diverso è, infatti, il peso delle colpe a seconda se a commettere
l'infrazione è l'individuo colto oppure l'ignorante. Nel primo prevale la vis
ratiocinandi (forza della ragione) e nel secondo la vis sentiendi (forza del
sentimento). Ancora differenza c'è tra l'actio humana e l'actio hominis essendo
la prima compiuta in perfetta consapevolezza, mentre nella seconda la coscienza
è spesso condizionata dal patire passionale, che può essere violentum, coactum,
necessarium (violento, costretto, necessario), venendo così a mitigare la
colpa. Nel trasporto passionale c'è dell'involontario, spesso frutto di
ignoranza che rende la coscienza erronea. Il tutto si traduce in una
interpretazione benignista della epieìcheia (prudenza), riprendendo in un certo
modo la tradizione tomista. A sostenere questa intensa produzione sul
probabilismo, col rientro da Palermo a Genova di Diana, rimase il Tamburino, le
cui opere ebbero ampia diffusione in tutta Europa, dalla metà del Seicento fino
al riconoscimento della validità delle tesi probabiliste ad opera di S. Alfonso
de' Liguori che con la sua Theologia Moralis mise sostanzialmente fine al
rigorismo giansenista. Il probabilismo del Tamburini incontrò ostilità
negli ambienti religiosi più vicini al rigorismo dei giansenisti. A contrastare
le tesi del probabilismo i più influenti furono i domenicani francesi, che
spinsero il cardinale Retz, a farsi portavoce presso la Santa Sede per
l'emanazione di un provvedimento di condanna. Nel 1665, papa Alessandro VII,
sollecitato più volte, condannò il probabilismo, furono censurate solo le tesi
più estreme, senza peraltro indicare i nomi degli autori. Nel 1679,
un'altra condanna del probabilismo veniva promulgata da papa Innocenzo XI,
quattro anni dopo la morte del Tamburini. Però questa volta il gesuita
siciliano non subiva sanzioni ad personam, così Tommaso Tamburini passò alla
storia della teologia morale, come padre della probabilità tenue. Con esso si
chiuse il periodo d'oro della esportazione della cultura teologica siciliana.
Nel 1753 fu sancita la completa riabilitazione del gesuita siciliano con la
pubblicazione di Verità Vindicata che Carlo Niceti diede alle stampe a
Roma. Opere (Confronta anche la "voce Tommaso Tamburini" in
lingua inglese.) Gli scritti di teologia morale del Tamburini sono stati
riuniti nella Opera Omnia, edita più volte in Italia e all'estero dal
1689. Methodus Expeditae Confessionis (1647) Opuscola Tria de
Confessione, Comunione et Sacrificio Missae (1649) Expedita Decaloghi
Explicatio. Libris decem digesta (1654) De Sacrificio Missae Expedite
Celebrando. Libri tres. (1656) Della Consolazione della Filosofia di Anicio
Manlio Boezio. Libri cinque. Traduzione di Tommaso Tamburino.(1657) Juris
Divini. Naturalis et Ecclesiastici Expedita Moralis Explicatio, Complectens
Tractationes tres, de Sacramentis, quae sunt de Jure Divino, de Contrattibus,
quos dirigit Jus Naturale, de Censuris et Irregularitate, quae sunt de Jure
Ecclesiastico. (1661) Tractatus de Bulla cruciata. (1663) Sanctissimae Deiparae
Cultus in Sicilia. (Nomen sublatum) (et 1663) Ragguagli delli Ritratti della
SS. Vergine Nostra Signora più celebri, che si riveriscono in varie Chiese
nell'isola di Sicilia. Opera postuma del R. P. Ottavio Cajetano della Compagnia
di Gesù. Trasportato nella lingua volgare. (1664) Germana Doctrina R. P. Thomae
Tamburini S. J. perspicue refellens impugnationes R. P. Vincentii Baronii
adversus illam allatas. (1666) Tractatus in Quinque Ecclesiae Praecepta. (1694)
[opera postuma] Tractatus de Jubileo Manoscritto.(senza data) Additamentum
continens aliquot epistolas, et levem vindicationem contra Joannem Sinichium
hybernum authorem libri Saul et Rex. Manoscritto. Bibl.Naz.Roma. Fondo
Gesuitico, ms.1236, cc278r-301v.(senza data) Traduzioni De consolatione
philosophiae (della Consolazione della Filosofia di Anicio Manlio Boezio. Libri
cinque. (1657) L'Anno dei Giorni Memorabili, scritto dal P. Gio. Nadasi della
Compagnia di Gesù. (senza data) V.
Baron, Theologia moralis adversus laxiores probabilistas, Parigi, Piget, 1665.
R. Brouillard, Dictionnaire de Théologie Catholique, Parigi, Letouzej, 1930. S.
Burgio, Il probabilismo in Sicilia, Catania, Soc. Storia Patria, 1998. V.
Contenson, Theologiae mentis of cordis, Tolosa, 1671. T. Deman, Probabilisme,
Colonia, 1658. C. Hebermann, Enciclopedia cattolica, R. Appelton Company, 1913
M. Petrocchi, Il problema del lassismo nel secolo XVII, Roma, Storia e
letteratura, 1953. J. Sinnichins, Saul et Pax, Lovanio, Nempaei, 1662. Tommaso Tamburino, su Treccani.itEnciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Pietro Tacchi Venturi, Tommaso Tamburino, in Enciclopedia Italiana,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Opere di Tommaso Tamburino, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere
di Tommaso Tamburino, . Tommaso Tamburino, in Catholic Encyclopedia, Robert
Appleton Company.
Tafuri Matteo: Matteo Tafuri (Soleto),
filosofo. Fu un versatile e bizzarro ingegno, che dopo studi universitari a
Napoli, Parigi, Salamanca si ritirò nella sua natia Soleto (nel Salento) dove
aveva un cenacolo di allievi filosofi del platonismo esoterico. Il
"Socrate di Soleto", illustre rappresentante del Rinascimento, fu una
personalità eclettica ed un affascinante intellettuale dei suoi tempi, amante
della conoscenza e studioso e di molteplici campi del sapere: alchimia,
filosofia, astronomia, astrologia, medicina, fisiognomica, magia naturale. Al
centro dei suoi interessi vi era l'interesse e lo studio dei fenomeni della
Natura, l'Anima del Mondo, il miracolo e le meraviglie del Creato e l'unicità
irripetibile di ogni Essere Umano. Considerato alla stregua di un
"Nostradamus salentino" fu onorato e temuto per le sue capacità
divinatorie e fisiognomiche tanto da attribuirgli poteri occulti e demonologici.
Un suo ritratto col rosso copricapo della Sorbona si trova nel dipinto del 1580
(ad opera del galatinese Lavinio Zappa) della Madonna del Rosario nella navata
sinistra della Chiesa Matrice di Soleto. Fu sepolto dapprima nella chiesetta di
"S.Lorenzo (delli Tafuri)" adiacente alla sua abitazione e poi, dopo
la demolizione della cappella nel 1672, nel Monastero di San Nicola in una
cassa di legno con lo stemma della famiglia. Sull'architrave della sua
casa natale è inciso il motto: «HUMILE SO ET HUMILTA' ME BASTA. DRAGON
DIVENTARO' SE ALCUN ME TASTA» Lo stemma della famiglia Tafuri nella
casa natale di Soleto Con quest'iscrizione Matteo Tafuri esprimeva e
manifestava ai cittadini e a chiunque passasse dalla sua dimora la sua mite
natura caratteriale, mortificata dalle ingiurie e maldicenze in conseguenza
delle quali poteva trasformarsi, ironicamente, attraverso alchimia e magia, in
un dragone. Nella Soleto del Cinquecento era diffusa la consuetudine di
incidere sulle architravi delle finestre, sui cornicioni dei balconi o
all'interno di uno stemma, delle epigrafi con la finalità di motto. Un
proverbio, una citazione, un passo letterario, filosofico, o religioso, e un
pensiero personale descrivevano la personalità e le attitudini del padrone di
casa o invitavano il passante a riflettere su un tema o un monito saggio e
profondo. Lo stemma della famiglia, presente sulla porta della casa natia, è
costituito da un albero di quercia con due fulmini che si scagliano contro ma
non lo colpiscono. Un'aquila bicipite scolpita sopra fa pensare ad un'origine
albanese della famiglia già presente a Soleto nel XIV sec. Infatti molte
famiglie albanesi e greche di confessione cristiano-ortodossa e cattolica dal
XIII al XVI secolo furono costrette a fuggire ed alcune emigrarono nel Salento
a causa dell'avanzata dei Turchi mussulmani che occupavano i loro
territori. "Del salentin suol gloria ed onore" lo definisce il
De Tommasi. E davvero egli fu, tra i molti filosofi, scienziati ed eruditi che
fiorirono in Puglia tra la metà Professoree l'inizio del XVII, il più
universalmente noto. Partito da Soleto per Napoli poco più che ventenne,
per approfondirsi nella matematica e nella medicina dopo la preparazione
umanistica ricevuta a Zollino da Sergio Stiso, vi tornò avanti negli anni,
famoso in tutto il mondo e pieno di gloria. Desideroso solo di pace
fisica e mentale, aprì una pubblica scuola di greco, latino, matematica, fisica
e medicina. Tra i suoi allievi: Giovan Tommaso
CavazzaalchimistaGalatina (1540-1611) Giovan Paolo VernaleonematematicoGalatina
(1527-1602) Francesco ScarpafilosofoSoleto (XVI sec) Quinto Mario
Corradofilosofo umanistaOria (1508-1575) "Assiduo verso gli infermi",
esercitò con zelo e successo la professione di medico ma mentre era "di modello
coi suoi scritti, di ammirazione e rispetto coi suoi consulti" fu dalla
ignoranza popolana ritenuto un "Mago" perché cultore di scienze
inusitate quali l'Astronomia e l'Astrologia. Tornando da Padova, Parigi e
Salamanca, cioè dai più grandi centri culturali del tempo, sollevò certo le
gelosie interessate di coloro che non sapevano rassegnarsi al suo prestigio
professionale. A ciò si aggiunse il vigile sospetto della Curia Arcivescovile
messa sull'avviso dal Concilio di Trento. Egli che portò per tutto il mondo
l'amore per il suolo natio col nome di Matteo da Soleto, proprio in patria ebbe
a difendersi da accuse di stregoneria come spesso avviene a chi, uomo di
scienza, si rende filantropo. Fu più volte interrogato per le sue capacità di
previsione del futuro (divinatorie) ma fu sempre rilasciato innocente. Il
Codice Vaticano 2264, è testimonianzapressoché l'unica superstitedell'impegno
speculativo di Matteo Tafuri. Da questo capostipite molti furono i Tafuri
medici o giureconsulti che da Soleto trasferirono poi la loro residenza a
GallipoliNardò e LecceGalatone.Così troviamo nel "Liber baptesimorum"
dell'Archivio Parrocchiale di Soleto un Clericus Phisicus Honofrius Taphurus
filius eccellentissimi Doctori Francisci che nel 1670 è padrino al battesimo di
Diego Carrozzini. Il pronipote di Onofrio, Vincenzo Maria fu sindaco di
Gallipoli nel 1789 mentre il fratello di Onofrio, dottore in giurisprudenza,
visse presso la corte di Napoli dove morì nel 1699. Svariati giureconsulti,
medici e sindaci a Lecce e Galatone. Ricordiamo, non per ultimo, fra Diego da
Lequile (al secolo Diego Tafuri 1604-1673). Note Manni, La guglia di...30 Luigi Galante,
Matteo Tafuri. Nuove rivelazioni da un manoscritto secentesco, pag.12, in 'Il filo
di aracne' Galatina, Manni, La guglia, l'astrologo..., p.41 Bernari42
Istoria scrittori Regno di Napoli G.B.Tafuri. Bernari. Bernari, A., Il
mago di Soleto: Matteo Tafuri, Milano, 2009. De Tommasi, G.B., Matteo Tafuri in
"Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli" tomo VIII,
Napoli, 1822. del Balzo di Presenzano, A., I del Balzo ed il loro tempo,
Napoli, 2003. Manni, L., Guida di Soleto, Galatina, 1992. Manni, L., La guglia
di Soleto, Galatina, 1994. Manni, L., La guglia, l'astrologo, la macàra,
Galatina, Montinari, M., Soleto, Fasano, Tafuri, G.B., Istoria degli Scrittori
del Regno di Napoli, Napoli, 1D. Bacca "Personaggi del sole
culturale", Lecce 2008 Alchimia
Galatina Giovanni Battista Della Porta Orsini Orsini Del Balzo Guglia di
Raimondello Soleto.
Filippo Tarantino (Gravina), filosofo.. In
ambito filosofico è noto per i suoi studi sul filosofo Giuseppe Tarantino, col
quale è imparentato, e per aver fondato insieme a Gerardo Marotta la sezione
dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli (intitolata a
Giuseppe Tarantino) di cui è stato anche presidente[senza fonte]. Come
scrittore, ha anche scritto alcuni saggi su temi quali la pedagogia, la
psicologia e l'Umanesimo. Indice 1Biografia 2Cariche ricoperte
3Opere 4Note 5 6 Biografia Filippo Tarantino nasce nel 1943. Dopo la laurea in
storia e filosofia, diviene insegnante delle stesse materie per i licei
italiani; in particolare, insegnerà al liceo scientifico Federico II di Svevia
di Altamura dove uno dei suoi studenti sarà l'attore Sergio Rubini. Nel
1991 viene nominato dirigente scolastico del Liceo classico Luca de Samuele
Cagnazzi di Altamura, portando la scuola al più alto numero di studenti mai
raggiunto. Manterrà la carica fino al raggiungimento della pensione, avvenuta
agli inizi degli anni . Nel , in qualità di dirigente scolastico, si recò
a Tokyo, in Giappone insieme a sua moglie per una "visita preparatoria di
incontro tra scuole". Durante la sua permanenza si verificò un violento
terremoto, che gli causò paura e notevoli disagi con un volo di ritorno pagato
4000 euro e un'assistenza a quanto pare insufficiente da parte delle autorità
consolari del posto. Cariche ricoperte Dirigente scolastico del Liceo
classico Luca de Samuele Cagnazzi (1991- inizi anni ) Presidente di
circoscrizione del Lions Club Puglia Consigliere di Club del Lions Club
Altamura Host Presidente dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici (IISF)
di Napoli[senza fonte] Opere Speranze e proposte formative nel primo Novecento.
La lezione di Giuseppe Tarantino, Bari, 1995. Dietro la ruota. Infanzia
pregiata, Levante, Lezioni di volo, Bari, L'inconscio e la coscienza nel pensiero di
Giuseppe Tarantino, Bari, . L'Umanesimo mediterraneo. Orizzonte
storico-culturale per la costruzione di una cittadinanza cosmopolita, , Storia
antica e moderna dell'Ordine del Tempio, Nisroch, L'Umanesimo scientifico di
Giuseppe Tarantino, Aracne Editrice, Note //aracneeditrice.it/index.php/autori.html?auth-id=407986
//teatro.liceocagnazzi.edu.it/storia-della-rassegna/ altamuralife.it/notizie/la-testimonianza-di-un-gravinese-in-giappone-durante-il-terremoto/
lions108ab.it/wp-content/uploads//06/Rivista-Lions-numero-4.compressed.pdf lions.it/data/club.php?id=21110 Giuseppe Tarantino Liceo classico Luca de
Samuele Cagnazzi Sito web ufficiale e
blog di Filippo Tarantino
Tarantino: Giuseppe Tarantino (Gravina),
filosofo. Docente a Pisa. Nacque da Filippo Tarantino, nobile locale, e
Arcangela Maria Letizia Spagnuolo.
Studiò nel ginnasio della sua città, sotto la guida dello zio materno
Nicola. Compì gli studi superiori a Pisa, dapprima come studente all'università
della stessa città e successivamente come allievo della Scuola normale
superiore di Pisa. Iniziò gli studi sotto la guida di Francesco Fiorentino. A
ventidue anni conseguì la laurea in Lettere e Filosofia e seguì a Napoli il
maestro Fiorentino fino alla sua morte, nel 1884. In sua memoria dedicò al suo maestro il suo
primo libro, intitolato I Saggi Filosofici e pubblicato nel gennaio; nello
stesso anno ottenne la docenza in filosofia teoretica. Inizia ad acquisire
notorietà grazie ai saggi critici che pubblica sul Giornale Napoletano. Nel
1887 ottiene la cattedra di filosofia nel Liceo Antonio Genovesi di Napoli. Per
ben dieci anni, lavorò all'opera Saggio sulla Volontà, pubblicato nel 1897.
Ebbe anche una breve relazione con la fiorentina Bice, anche se era
sentimentalmente legato ad un'altra donna di Gravina, conosciuta a Napoli, alla
quale dedicò particolare cura. Dopo aver vinto il relativo concorso, gli fu
assegnata la cattedra di filosofia teoretica all'Palermo, ma per motivi
sentimentali vi rinunciò. Insegnò dal
1886 al 1888 al Liceo Marciano, anno in cui ottiene la cattedra di filosofia
nel Liceo Genovesi. Per un periodo abbandonò la sua relazione sentimentale per
ritornare a lavorare sulle sue opere. Agli inizi del Novecento, vinse il
concorso per la cattedra di filosofia morale dell'Pisa e questa volta accettò.
A Pisa insegnò anche alla Scuola di Pedagogia, dove tra i suoi insegnanti
figurò anche il futuro ministro Giovanni Gentile. La sua notorietà crebbe
sempre più grazie ad alcuni suoi saggi critici pubblicati sulla Rivista di
Filosofia Scientifica di Morselli, il più noto dei quali è su Locke. Tra i suoi ex-studenti di Pisa più noti
figurano Enrico De Nicola e il marchese Francesco Dentice di Accadia, prefetto
di Pisa. Nell'ultima parte della sua vita tornò nella sua città natale Gravina
in Puglia, dove visse nella casa di un nipote suo omonimo che aveva studiato
sotto la sua egida a Pisa. Nel 1947 donò alla biblioteca "Ettore Pomarici
Santomasi" di Gravina in Puglia una parte cospicua dei suoi libri. A lui è stato intitolato il liceo scientifico
della sua città natale Gravina in Puglia.
Opere: Appunti di Filosofia ad uso dei giovani del Liceo, Filippo Toso,
Aversa. Saggi filosofici, Napoli, Vincenzo Morano. Studio storico su Giovanni
Locke, in Rivista di Filosofia, II, Milano-Torino, F.lli Dumolard, 1886. Saggio
sul criticismo e sull'associazionismo di Davide Hume, Napoli, Vincenzo Morano, In morte di Michelangelo Calderoni, Vecchi,
Trani, Saggio sulla volontà, Napoli, Tip. editrice F. di Gennaro e A. Morano. In morte di Antonietta Cagiati, nella
necrologia per Gaetano e Antonietta Cagiati, Napoli. Saggio sulle idee morali e
politiche di Tommaso Hobbes, Napoli, Tip. F. Giannini & Figli, Il problema della morale di fronte al
positivismo e alla metafisica, Pisa, Tip. A. Valenti, 1901. Il principio
dell'etica e la crisi morale contemporanea, Napoli, A. Tessitore & figlio, Il concetto dello stato ed il principio di
nazionalità, Napoli. Discorso preposto alle traduzioni dal latino, dall’inglese
e dal francese di G. Sottile. Napoli. Leonardo da Vinci e la scienza della
natura. Nel centenario di L. da Vinci, La politica e la morale. Discorso ,
Pisa, Tipografia editrice cav. F. Mariotti, Sulla riforma universitaria, in «Rivista di
filosofia». Cfr. Gabriele Turi, Giovanni
Gentile: una biografia, Firenze, Giunti, (Parzialmente consultabile in Google
Libri.) tarantino-inconscio-, tarantino-inconscio-, tarantino-inconscio-, Filippo
Tarantino, Liborio Dibattista, Rosalba Pappalardi e Angelo Recchia-Luciani,
L’inconscio e la coscienza nel pensiero di Giuseppe Tarantino , Filippo
Tarantino, Mario Adda Editore, Filippo Tarantino, Speranze e proposte formative
nel primo Novecento. La lezione di Giuseppe Tarantino, Bari, Levante, Beniamino
D'Amato, Orazione funebre in onore di Giuseppe Tarantino . Filippo Tarantino Scheda biografica nel sito del Liceo statale
Giuseppe Tarantino di Gravina in Puglia.
Tari Antonio: Antonio Tari (Villa Santa
Maria Maggiore), filosofo. Epigrafe situata alla destra del portone d'ingresso
del palazzo dove nacque Antonio Tari Di famiglia originaria di Terelle, nel
Frusinate, nacque in un palazzo seicentesco della non distante Villa Santa
Maria Maggiore, l'odierna Santa Maria Capua Vetere, anch'essa rientrante in
Terra di Lavoro, da un impiegato che si trovava lì di passaggio . Il palazzo
natìo, conosciuto come palazzo Mazzocchi, ove aveva schiuso gli occhi anche
l'archeologo Alessio Simmaco Mazzocchi , era situato nell'allora strada della
Croce, l'odierna via Mazzocchi, ed è oggi gravemente degradato. Studiò a
Montecassino, dove conobbe Silvio Spaventa. Nel 1830 si trasferì a Napoli dove
si laureò in giurisprudenza e iniziò la professione di avvocato . Ben
presto però all'avvocatura preferì la filosofia, la letteratura e la musica,
unendosi all'amico Spaventa, a Cusano, a Francesco de Sanctis e ad altri
pensatori liberali dell'epoca e collaborando a vari giornali letterari
partenopei. Nel 1861 fu eletto deputato per il collegio di S. Germano, ma
rifiutò il mandato per dedicarsi all'insegnamento. Infatti lo stesso anno era
entrato per concorso nella Regia Napoli, divenendo il primo cattedratico di
estetica in Italia, nello stesso periodo in cui vi insegnavano anche Francesco
de Sanctis, Luigi Settembrini, Silvio Spaventa e Giovanni Bovio . Vi insegnò
per oltre un ventennio, fino alla sua morte. Si dedicò a vari rami della
filosofia e delle scienze del linguaggio, traducendo anche, per la casa editrice
Detken, opere di autori stranieri all'epoca non molto noti come Leon Brothier ,
Sigismond Zaborowski-Moindron e Eugene
Noel , traduzioni pubblicate tra il 1881 e il 1885. Il suo sistema
estetico, variamente criticato, in particolare per la scarsa originalità, si
caratterizzava per una vivacità espressiva, con ricche e talvolta variopinte
esemplificazioni, che peraltro ne resero celebri e molto frequentate le lezioni
universitarie. Parte significativa dei suoi studi filosofici fu pubblicata
postuma. Il filosofo “giullare di Dio” Benedetto Croce, nei saggi critici
della Letteratura della Nuova Italia, definì Tari «giullare di Dio», vale a
dire, per riprendere le parole dello stesso Croce, il «lieto giullare della
filosofia». Il pensatore abruzzese spiegava, al riguardo, che Tari non ebbe mai
nemici, riuscendo a farsi ben volere sia dagli amici sia dagli avversari, che
«prendeva a braccetto, e li menava a spasso con sé, divertendosi a contradirli
e a sentirsi contradetto». Quasi ad avallare la definizione sopra
riportata, il pensatore abruzzese ebbe anche a rilevare che la bizzarra
genialità di Tari «gli faceva trovare piacere nei ravvicinamenti e collegamenti
più disparati e più comici: della frase sublime con la scherzosa, del ricordo
solenne con l'aneddoto salace, del linguaggio latino o del tedesco col
vernacolo napoletano. Parla in gergo, ma in gergo che è quintessenza di cultura
e stravagante miscuglio di elementi geniali» . A proposito dell'opera
"Manuale di estetica" del Tari (inedita), Croce disse: «Filosofo
di professione ed uomo di dottrina enciclopedica, nonostante tutta la sua
perizia filosofica, la sua sterminata dottrina e il suo molto acume, il Tari fu
soprattutto un bizzarro artista. La sua concezione metafisica non gli concedeva
una trattazione veramente logica dei problemi. Ma la sua personalità, vibrante
di commozione innanzi alle opere dell'arte, riboccante di entusiasmo, dotata di
bontà e di nobiltà di sentire, gli ispirava pagine che sono di una specie assai
rara nella nostra letteratura.» Musica ed Estetica L'essenza giocosa si
mischiava, confondendosi, con un'acuta critica, che si rivolgeva a tutti i
campi in cui l'estetica si sostanziava e, in particolare, ad una delle “arti”
al quale Tari era più attratto: la musica. Tra il serio e il faceto,
infatti, il filosofo, dopo aver pubblicato nel 1879 un interessante studio
critico su Serietà e ludo, compose un saggio musicale, con tanto di note, dal
titolo in tal senso emblematico di Lezioni di estetica generale . Questo
indirizzo lo portò ad occuparsi, scrivendone nel 1883, anche sulla celebre
pastorale di Beethoven . Opere principali: “Estetica ideale, Tip. del
Fibreno, Napoli. Ente spirito e reale. Confessioni filosofiche, Stamperia della
Regia Università, Napoli 1872; Opera, melodramma, dramma: nota critica, Tip.
della Regia Università, Napoli 1878; Serietà e ludo: saggio critico, Tip. della
Regia Università, Napoli; Saggi di critica, con prefazione di R. Cotugno, Tip.
Vecchi, Trani 1886; Saggi di estetica e metafisica, B. Croce, Laterza, Bari;
Estetica esistenziale, M. Leotta, Morano, Napoli L'estetica reale, F. Solitario, Prometheus,
Milano. A. Lauri, Dizionario dei cittadini notevoli di Terra di Lavoro antichi
e moderni, Arnaldo Forni Editore, Bologna (ed. or. Sora 1915). A. Perconte Licatese, Alessio Simmaco
Mazzocchi, Ed. Spartaco, Santa Maria Capua Vetere, A. Perconte Licatese, Santa Maria di Capua.
Storia e monumenti della città di Santa Maria Capua Vetere, II, Tip. Stampa Sud, Curti. A. Lauri L.
Brothier, Storia popolare della filosofia, trad. di A. Tari, Detken, Napoli. S. Zaborowski-Moindron, Origine del
linguaggio, trad. di A. Tari, Detken, Napoli. E. Noel, Voltaire e Rousseau,
trad. di A. Tari, Detken, Napoli. B. Croce, La letteratura della Nuova Italia.
Saggi critici, I, Laterza, Bari A. Tari,
Lezioni di estetica generale, C. Scamaccia-Luvara, Tocco, Napoli A. Tari,
Beethoven e la sua sinfonia pastorale. Saggio critico, Tip. della Regia
Università, Napoli Benedetto Croce, La letteratura della nuova Italia. Saggi critici,
I, Laterza, Bari. Massimo Leotta, La
filosofia di Antonio Tari, Istituto Italiano per gli Studi Storici, Napoli. Francesco
Solitario, Antonio Tari nella "Critica" di Benedetto Croce.
Contributo per un recupero, Prometheus, Milano 1998. Francesco Solitario ,
L'Estetica di Antonio Tari e la cultura filosofica meridionale del suo tempo,
Prometheus, Milano. Antonio Tari, su Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Antonio
Tari, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di
Antonio Tari, Antonio Tari, su storia.camera.it, Camera dei deputati. , «Tari, Antonio» in Dizionario di filosofia,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Archivi di Teatro Napoli, Foto di
Antonio Tari su cir.campania.beniculturali.it.
Tartarotti: Girolamo Tartarotti (Rovereto),
filosofo. Chiamato anche Gerolamo Tartarotti, divenne famoso per aver
contrastato i processi contro le streghe e per aver osteggiato la devozione per
il vescovo del XII secolo Adelpreto, mettendone in discussione santità e
martirio. Girolamo Tartarotti nacque a Rovereto dal giureconsulto
Francesco Antonio e da Olimpia Camilla Volani, discendente dell'antica famiglia
dei Serbati. Impersonò la figura dell'intellettuale che non si lascia
limitare dal luogo nel quale nasce, cioè nel Trentino, lontano dai grandi
centri culturali del tempo. Egli seppe anzi sfruttare le opportunità e le
peculiarità della città di Rovereto, al confine tra mondo tedesco e italiano,
in un periodo storico nel quale rifiorirono i commerci e i rapporti economici,
grazie al suo trovarsi su una delle principali vie di comunicazione in Europa.
Suo merito fu la capacità di saper tessere legami con intellettuali italiani e
stranieri che risiedevano a Venezia, Roma, Salisburgo, Torino, Brescia, Vienna,
Innsbruck. Utrecht e Parigi. Studiò inizialmente nell'Imperial Regio
Ginnasio di Rovereto e poi continuò come autodidatta. Si interessò di
filosofia, che seguì presso l'Padova sino a quando difficoltà economiche
familiari non lo obbligarono a tornare nelle città natale. Al suo ritorno
si interessò personalmente per far insediare nella Città della Quercia la
stamperia del tipografo veronese Pierantonio Berno e, nel 1730, fondò la prima
accademia cittadina, l'Accademia dei Dodonei. Compì viaggi a Verona, dove
conobbe Scipione Maffei e altri studiosi, poi ad Innsbruck, dove rimase alcuni
mesi come precettore, e in seguito si trasferì a Roma, come segretario del
Cardinale Domenico Silvio Passionei. Casa dove abitò Girolamo
Tartarotti, in Via Garibaldi 61, a Rovereto, prima di trasferirsi in Via della
Terra Dal 1730 al 1751, durante le sue permanenze roveretane, visse nella
stessa casa dove abitavano Giuseppe Valeriano Vannetti e Bianca Laura Saibante,
e dove questi iniziarono a tenere un vivace salotto letterario che portò,
probabilmente su ispirazione dello stesso Tartarotti, alla nascita
dell'Accademia degli Agiati.[nota 1] Il soggiorno romano fu relativamente
breve, per contrasti col Cardinale, quindi fece ritorno a Rovereto. Nel 1739,
morì il fratello Jacopo, e nel 1741 si trasferì a Venezia, come collaboratore
del futuro Doge Marco Foscarini. Nel 1743 ebbe discussioni anche con Foscarini
e tornò ancora una volta a Rovereto, da dove non si allontanò più. I
viaggi di Girolamo Tartarotti furono in definitiva relativamente pochi e di
breve durata, e trascorse la maggior parte della sua vita matura a Rovereto. Si
dimostrò poco propenso ad accettare l'aiuto di ricchi mecenati che lo avrebbero
limitato nella sua libertà e approfittò delle occasioni che gli venivano
offerte lontano dalla sua città per comprare libri o incontrare altri
studiosi. Lo studioso Sin dagli anni giovanili Tartarotti si dedicò agli
studi letterari interessandosi della poesia toscana e scrivendo egli stesso
varie composizioni poetiche. Approfondì tematiche della filosofia scolastica e
scrisse trattati critici nei confronti di questa. Collaborò con Angelo Calogerà
per la sua Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici, e venne in polemica
con Trento dimostrando, in una sua pubblicazione, che la città tridentina
divenne sede episcopale solo nel IV secolo e non al tempo dei primi
apostoli. Nel 1749 pubblicò Congresso notturno delle Lammie, la sua opera
più nota, nella quale dichiarò inesistente la stregoneria come la si voleva
descrivere al suo tempo, e questo sulla base della logica, della scienza e
della stessa ortodossia dei cattolici. Collaborò con Ludovico Antonio
Muratori pubblicando nel suo venticinquesimo tomo dei Rerum Italicarum
scriptores le sue conclusioni relative alla cronaca di Andrea Dandolo e
correggendone le fonti nelle sue basi documentarie. Durante i suoi ultimi
anni continuò nelle indagini storiche alla quali aveva dedicato gran parte
della sua vita e arrivò a dimostrare, ad esempio, che era sbagliata la venerazione
dei trentini per Adelpreto, Vescovo di Trento. La sua tesi era spiegata nella
Lettera intorno alla santità e martirio di Alberto vescovo di Trento, del 1754.
Uno dei suoi ultimi lavori, sempre legato a questo tema: Notizie
istorico-critiche intorno al B.M. Adalpreto vescovo di Trento venne messa al
rogo su disposizione del principe vescovo Francesco Felice Alberti di Enno nel
1761. Intanto la salute di Girolamo Tartarotti peggiorava, e lo studioso morì
il 16 maggio dello stesso anno, senza sapere del suo libro bruciato a Trento.
Fu sepolto nella chiesa arcipretale di San Marco dove una targa a lato della
porta d'ingresso lo ricorda. La biblioteca Sempre amante dei libri,
quando non gli fu possibile viaggiare per acquistarli personalmente si affidò a
contatti che col tempo divennero per lui preziosi per procurarseli. A Verona
poté contare su Ottolino Ottolini, a Brescia su Gianmaria Mazzucchelli, a
Modena su Ludovico Antonio Muratori e a Venezia su Gian Rinaldo Carli. A
Rovereto fu molto vicino a Giuseppe Valeriano Vannetti, dal 1750 segretario
dell'Accademia Roveretana degli Agiati, e anche da lui ebbe aiuti per procurasi
i testi dei quali aveva bisogno per i suoi studi. Al Vannetti fu legato anche
per altri motivi, essendo stato per vari anni precettore di Bianca Laura
Saibante, futura moglie di Giuseppe Valeriano, e del fratello di lei,
Francesco. Il Tartarotti si procurò libri anche grazie a donazioni,
eredità e prestiti. Al momento della sua morte, per esplicita volontà
testamentaria, la sua ricca biblioteca venne donata all'Ospedale dei Poveri
Infermi di Loreto, retta dalla Confraternita dei Santi Rocco e Sebastiano. La
Confraternita tuttavia, poco dopo, decise di metterla in vendita, offrendola
per primo al Comune di Rovereto. In quell'occasione Giuseppe Valeriano
Vannetti e Francesco Saibante si spesero affinché tale importante
acquisizione culturale per Rovereto avesse successo, e l'atto di compravendita
venne registrato il 22 gennaio 1764. La prima biblioteca pubblica a
Rovereto Nel 1764, tre anni dopo la morte di Tartarotti, venne così creata la
prima biblioteca aperta al pubblico a Rovereto. Le intenzioni dello studioso
non furono queste, tuttavia fu proprio il nucleo dei suoi testi ad essere
destinato a questa importante iniziativa culturale, perché sino a quel momento
esistevano in città solo biblioteche appartenenti a privati, come ad esempio
quella dei Rosmini, dei Vannetti, dei Saibante, oppure conservate in conventi;
si stava formando anche quella dell'Accademia Roveretana degli Agiati, sicuramente
molto importante, ma nessuna di queste destinata alla consultazione di
chiunque. Il totale delle opere appartenenti a Tartarotti che confluì
nella biblioteca ammontava originariamente a 2.027 volumi e a 13 manoscritti.
Per quanto riguarda i luoghi di pubblicazione dei volumi, quasi il 30% di essi
proveniva da Venezia. I volumi raccolti durante tutta la vita da Girolamo
Tartarotti costituirono così il primo nucleo della Biblioteca Civica di
Rovereto, che in seguito fu a lui dedicata. Tartarotti e gli agiati Lo
studioso, come sopra ricordato, fu molto attivo a Rovereto e si spese per
portare una maggior apertura culturale in città facilitando l'arrivo di un
tipografo, fondando l'Accademia dei Dodonei, svolgendo il ruolo di precettore
per due dei fondatori dell'Accademia Roveretana degli Agiati, ma non divenne
mai un socio di quella istituzione. Le ragioni del suo rifiuto di far
parte di quell'Accademia, che pure rispondeva a molte delle esigenze che
sentiva anche sue, furono diverse. La principale fu la forte inimicizia con
Scipione Maffei, e il fatto che l'uomo di lettere veronese fosse entrato tra i
primi come socio aggregato dell'associazione. Questo fece sì che non
partecipasse alle riunioni del nascente sodalizio culturale roveretano. Opere
Casa di Girolamo Tartarotti, in via della Terra 15, a Rovereto Si riporta qui
una piccola selezione di alcuni lavori di Girolamo Tartarotti, da non
intendersi come fonti di questa pagina ma come approfondimento e
confronto. Ragionamento intorno alla poesia lirica Toscana, Delle disfide
letterarie, o sia pubbliche difese di conclusion, De auctoribus ab Andrea Dandulo laudatis in
Chronico Veneto, Apologia del Congresso notturno delle Lammie, Memorie antiche
di Rovereto e dei luoghi circonvicini (1754) Apologia delle Memorie antiche di
Rovereto (1758) Lettera seconda di un giornalista d'Italia ad un giornalista
oltramontano sopra il libro intitolato: Notizie istorico-critiche intorno al
b.m. Adalpreto Vescovo di Trento, Alcune opere pubblicate nella Raccolta
d'opuscoli scientifici e filologici curata da Angelo Calogerà: Relazione
d'un manoscritto dell'Istoria manoscritta di Giovanni Diacono veronese, Dissertazione
intorno all'arte critica (1740) Lettera al sig. N.N. intorno alla sua tragedia
intitolata il Costantino (1741) Lettera intorno alla differenza delle voci
nella lingua italiana (1745) Alcune opere pubblicate postume:
Osservazioni sopra la Sofonisba del Trissino con prefazione del cav. Clementino
Vannetti, La conclusione dei frati francescani riformati (postumo, Annotazioni
al Dialogo delle false esercitazioni delle scuole d'Aonio Paleario. Annotazioni Ipotesi avanzata da Gianmario Baldi,
Direttore della Biblioteca civica G. Tartarotti e membro dell'Accademia
Roveretana degli Agiati G.Baldi, p.50. Fonti M.Farina, 9-14. Mostra Tartarotti, p.4. Mostra Tartarotti, p.11. Lodovico Antonio Muratori, Rerum Italicarum
scriptores. Mediolani, ex typographia Societatis Palatinae in Regia Curia, Tartarotti,
(check). R.Trinco, Mostra Tartarotti, Mostra Tartarotti, Mostra Tartarotti, Mostra Tartarotti, Sito Biblioteca Civica G.
Tartarotti, su bibliotecacivica.rovereto.tn.it, Comune di Rovereto. 23 giugno
. Gianmario Baldi, La Biblioteca civica
Girolamo Tartarotti di Rovereto: contributo per una storia, Calliano,Trento,
Manfrini, Marino Berengo, La letteratura italianaStoria e testi" XLIVtomo
I, Milano-Napoli, Ricciardi, 1978. Leonardo Franchini, Adversum malleum
maleficarum, biografia del filosofo pre-illuminista roveretano Girolamo Tartarotti,
Rovereto, Stella, Nicola Cusumano, Ebrei e accusa di omicidio rituale nel
Settecento. Il carteggio tra Girolamo Tartarotti e Benedetto Bonelli
(1740-1748), Milano, Unicopli, . Marcello Farina, Antonio Rosmini e l'Accademia
degli Agiati, Brescia, Morcelliana Edizioni, testi di Serena Gagliardi, Elena
Leveghi e Rinaldo Filosi, La Biblioteca di Girolamo Tartarotti: intellettuale
roveretano del Settecento : Rovereto, Palazzo Alberti, Rovereto, Provincia
autonoma, Servizio beni librari e archivistici,Comune di Rovereto, Biblioteca
civica G. Tartarotti, 1995,
88-86602-03-0. Renato Trinco, San Marco in Rovereto : la chiesa
arcipretale tra storia, arte e devozione, Mori, La grafica, Accademia
Roveretana degli Agiati Bianca Laura Saibante Biblioteca civica G. Tartarotti
Clementino Vannetti. Treccani.itEnciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Girolamo
Tartarotti, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Girolamo Tartarotti, in Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Girolamo Tartarotti, su openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Opere di Girolamo Tartarotti.
Tataranni: Onofrio Tataranni (Matera),
filosofo. Lucano di origine, fu esponente dell'Illuminismo napoletano. Nacque
in Basilicata, a Matera, da Angelo Bruno e Nunzia Pistoia. Non sappiamo a quale
ceto appartenesse la sua famiglia, ma sicuramente essa era fornita dei mezzi
economici e delle relazioni sociali necessarie per avviare il figlio verso la
carriera ecclesiastica: non a caso, quando fu battezzato (il 19 ottobre 1727)
nella Chiesa cattedrale di Matera, i suoi genitori scelsero come padrini i
nobili Giovan Battista Ferraù e Giovanna Cordova. Sin da ragazzo maturò
quella che doveva essere la sua vocazione, tanto che divenne prima allievo e
poi docente del seminario diocesano materano. Sebbene avesse una posizione di
un certo rilievo sia in ambito ecclesiastico, sia in ambito educativo, il
Tataranni non mostrò alcun tentennamento nell'accettare l'invito di Michele
Imperiali, principe di Francavilla, che lo volle a Napoli per affidargli la
direzione della sua Paggeria. Grazie all'incarico conferitogli dal
principe di Francavilla, Tataranni accrebbe ancor di più la stima di cui già
godeva, stringendo rapporti amichevoli con le personalità più illustri ed
autorevoli del tempo, incardinate nella Reale Accademia delle Scienze e Belle
Lettere. Il Tataranni ebbe la possibilità di frequentare proprio tali
stimolanti dibattiti, che del resto avrebbero formato l'humus delle sue future
riflessioni, in qualità prima di Direttore della Paggeria, poi della Scuola
militare del Real Collegio militare, ufficialmente Reale Accademia Militare,
fondata il 18 novembre 1787 e fortemente voluta da re Ferdinando IV, che mostrò
di aderire al generale clima di rinnovamento e consolidamento delle istituzioni
militari del Regno. Proprio in questi anni Onofrio Tataranni ebbe l'onore di
esserne il direttore, partecipando vivamente, dunque, al graduale svilupparsi e
moltiplicarsi dell'alveo della cultura politica riformatrice, che, negli anni
Ottanta, ancora auspicava un reale cambiamento all'interno dello stesso
apparato monarchico. Così, nell'arco di un settennio, pubblicò delle opere
molto significative, in cui era evidente il suo tracciato ideale di
società. Tuttavia, in seguito agli avvenimenti del 1791 e del 1794,
quindi dopo il Concordato e dopo la fallita congiura di Carlo Lauberg, le sue
posizioni rispetto alla politica e allo Stato cambiarono considerevolmente. Con
questa disillusione coincide il silenzio dell'intellettuale materano, che in
quegli anni si limitò, a quanto noto, a proseguire i suoi studi come Direttore.
La delusione, si può ipotizzare, lo spinse a tacere fino alla proclamazione
della Repubblica Napoletana, quandodichiaravasicuro dell'importanza dell'istruzione
del popolo e del “nuovo cittadino”, elaborò il Catechismo Nazionale pe'l
Cittadino, nel quale incoraggiava il popolo a difendere i principi della
Rivoluzione a vantaggio dell'umanità intera. Il catechismo vinse il primo
premio indetto dal governo provvisorio e venne adottato come catechismo
ufficiale della Repubblica Napoletana, pubblicato il 12 febbraio 1799 ebbe il
compito di educare i sudditi a divenire cittadini. Alla caduta della
Repubblica, nel giugno, Tataranni riuscì a porsi in salvo, rifugiandosi a
Matera, nei cui tribunali, in tale periodo, venivano esaminate le posizioni di
ben 1370 «rei di Stato» lucani, 228 dei quali furono condanll'«esportazione» e
sette a morte. Comunque, a Matera il Tataranni poté contare su solide relazioni
interne al locale Capitolo cattedrale, morendovi il 27 marzo 1803.
Pensiero Più volte Tataranni tiene a sottolineare l'importanza della triade
Dio-Ragione-Sentimento, in una sorta di compromesso tra Illuminismo, sensismo e
religione. Inoltre, caratteristica del suo pensiero è una forte
connotazione politica, mirando alla figura del sovrano quale principale esempio
per i sudditi, capace di governare un Regno che si sarebbe dovuto fondare su
solidi valori, legati all'importanza della famiglia, della civiltà contadina e
della piccola proprietà terriera, quest'ultima ottenuta con un giusto ed onesto
lavoro. È da evidenziare come il Tataranni avesse maturato idee di una
peculiare modernità, al punto da convincersi che il passaggio verso una nuova
stagione dell'umanità sarebbe potuto avvenire attraverso la Costituzione di una
«Dieta Universale»: egli sosteneva, infatti, che, ad ogni rappresentante di
questo nuovo organismo, essa avrebbe espresso «i giusti diritti del suo
Monarca», al fine di raggiungere la «felicità comune» e la «pubblica
sicurezza», ponendosi, negli ordini e nelle attività sociali, sull'unica
distinzione del «Merito». Notevole importanza era, poi, assegnata al
ruolo dell'educazione e dell'istruzione, poiché Tataranni affermava
l'importanza dello studio delle humanae litterae, unico mezzo, per i giovani,
per riscoprire i principali temi della letteratura e della filosofia morale
antica ed attualizzarli. Inoltre, egli si faceva anche sostenitore
dell'istruzione scientifica, dando priorità alla geometria e, ancora una volta,
seguendo il modello greco, suggeriva di avviare gli alunni sin «dall'età più
tenera» al processo educativo, seguendo le direttive di grandi pensatori. Il
sacerdote-riformatore auspicava tutto questo in un contesto socio-economico che
riservasse particolare attenzione all'attività agraria e ad una pratica
religiosa «semplice pura e brieve». Dunque, il Tataranni predicava il
ritorno alla religione delle origini, costruita sull'aiuto reciproco tra gli
individui, in modo che «gli Uomini si rassomiglino in qualche modo all'Ente
Supremo d'infinità Bontà». Pertanto, affermava che i sacerdoti dovessero essere
«esenti dalle Pubbliche Cariche» e che come gli altri uomini dovessero essere
soggetti «alla Giurisdizione dei Giudici Laici nelle loro Cause Civili».
Opere La prima, monumentale, opera del Tataranni fu il Saggio d'un filosofo
politicoamico dell'uomo, pubblicata a Napoli, in cinque tomi, dal 1784 al 1788:
il primo tomo nel 1784, il secondo e il terzo nel 1785, il quarto nel 1786 e il
quinto nel 1788. on la composizione di quest'opera, Tataranni si proponeva di
delineare il suo tracciato ideale di società, confidando nella figura del
sovrano. Infatti, già il titolo dell'opera risulta molto significativo, in
quanto l'autore si presentava come un filosofo con atteggiamento filantropico
nei confronti di Ferdinando IV, al fine di mostrargli la retta direzione per
guidare un giusto governo ed attuare delle riforme interne allo stesso apparato
monarchico, favorevoli alle idee democratiche. La fiducia che Tataranni
riponeva nei riguardi del monarca veniva ancora espressa nel Ragionamento sul
carattere religioso di Carlo III umiliato a Ferdinando IV re delle Due Sicilie,
pubblicato a Napoli nel 1789. Sostanzialmente, si trattava di un panegirico riferito
al padre del sovrano, Carlo di Borbone, che, spentosi l'anno precedente, veniva
proposto come esempio da seguire al suo erede. In tal senso, egli si rivolgeva
ancora pieno di ammirazione nei confronti di Ferdinando IV nel Ragionamento
sulle sovrane leggi della nascente popolazione di S. Leucio umiliata alla
maestà di Ferdinando IV re delle Due Sicilie, pubblicata a Napoli il 25 luglio
1789. Nella Brieve memoria sull'educazione nazionale della nobile
gioventù guerriera l'autore affrontava il tema, a lui caro come Direttore di
istituti di formazione, dell'educazione dei giovani (1790). Negli anni
Novanta, benché il canonico avesse raggiunto un'età avanzata, non solo decise
di aderire alla Repubblica Napoletana, ma, convinto dell'importanza che rivestiva
la formazione del popolo e del nuovo cittadino, decise di scrivere, come detto,
un Catechismo Nazionale pe'l Cittadino, che fu dato alle stampe il 12 febbraio
1799. Note Archivio Diocesano di
Matera, Cattedrale, Battesimi Antonio Lerra, Onofrio Tataranni. Catechismo
nazionale pe' l cittadino. Progetto di cultura politica e ruolo
dell'anticoXV. Antonio LerraXVII. Elvira Chiosi, Lo spirito del secolo.
Politica e religione a Napoli nell'età dell'illuminismo, Napoli, Giannini, Patrizia
Di Maggio, Nunziatella, Castellammare di Stabia, Longobardi Editore. Antonio
LerraXXXVI. Salvatore Bruno, Onofrio
Tataranni e il suo "Catechismo nazionale pe' il cittadino".
Contributo alla storia della Repubblica Partenopea del 1799, in "Studi Meridionali",
Cronache di una rivoluzione: Napoli 1799, FrancoAngeli, Milano, Antonio Lerra,
L'albero e la croce. Istituzioni e ceti dirigenti nella Basilicata del 1799,
Napoli, ESI, Salvatore Bruno, Onofrio Tataranni e il suo "catechismo
nazionale pe' il cittadino" (noterelle di storia napoletana), in Scritti
in onore di Romualdo Trifone, Storia Meridionale, II, Sapri, Ed. del Centro Librario, Salvatore
Bruno, Onofrio Tataranni e il suo "Catechismo nazionale pe' il
cittadino". Contributo alla storia della Repubblica Partenopea del 1799,
in Studi Meridionali, Luciano Guerci, Istruire alle verità repubblicane. La
letteratura politica per il popolo nell'Italia in rivoluzione (1796-1799),
Bologna, il Mulino, 1999. Giovanni Caserta, Onofrio Tataranni. Teologo della
rivoluzione napoletana del 1799, Napoli, Vivarium, Rosaria Capobianco, La
pedagogia dei catechismi laici nella Repubblica napoletana, Napoli, Liguori
Editore, 2007. Antonio Lerra, Onofrio Tataranni. Catechismo nazionale pe' l
cittadino. Progetto di cultura politica e ruolo dell'antico,
Manduria-Roma-Bari, Lacaita, 2006. Antonio D'Andria, Onofrio Tataranni. Un
riformatore napoletano in limine , in Sguardi sul Mezzogiorno in età moderna e
contemporanea, Quaderni eretici | Cahiers hérétiques. Studi sul dissenso
politico, religioso e letterario, fascicolo Illuminismo in Italia Repubblica Napoletana. Storia
della Basilicata Un'analisi dei concetti politici nel Catechismo, su
nuovomonitorenapoletano.it. L'indice ragionato del Filosofo Politico amico
dell'Uomo La Brieve memoria in edizione integrale.
Tasso: Ritratto anonimo del Tasso, intorno
al 1590 Torquato Tasso (Sorrento, 11 marzo 1544Roma, 25 aprile 1595) poeta,
scrittore, drammaturgo e filosofo italiano. Stemma dei Tasso di
Cornello. La sua opera più importante, conosciuta e tradotta in molte lingue, è
la Gerusalemme liberata (1581), in cui vengono cantati gli scontri tra
cristiani e musulmani durante la prima crociata, culminanti nella presa cristiana
di Gerusalemme. Il padre Bernardo
Tasso. Torquato nacque a Sorrento l'11 marzo 1544, ultimo dei tre figli di
Bernardo Tasso, letterato e cortigiano nato a Venezia, ma di antica nobiltà
bergamasca, poi al servizio del principe di Salerno Ferrante Sanseverino del
regno di Napoli, compreso nella monarchia spagnola, e di Porzia de' Rossi,
nobildonna napoletana di origini toscane, pistoiesi da parte paterna e pisane
da parte materna. La primogenita Cornelia era venuta alla luce nel 1537.
Di Sorrento e della «dolce terra natìa» il poeta conserverà sempre un magnifico
ricordo, rimpiangendo «... le piagge di Campagna amene, pompa maggior de
la natura, e i colli che vagheggia il Tirren fertili e molli.»
(Gerusalemme liberata, I, 390-92) Quando Torquato era ancora bambino, il
principe di Salerno fu bandito dal regno e Bernardo seguì il suo protettore.
All'età di 6 anni si recò in Sicilia e dalla fine del 1550 fu con la famiglia a
Napoli, dove lo seguì il precettore privato Giovanni d'Angeluzzo. Frequentò per
due anni la scuola dei Gesuiti appena istituita e conobbe Ettore Thesorieri con
il quale poi restò in corrispondenza epistolare. Ebbe un'educazione
cattolica e da giovane frequentò spesso il monastero benedettino di Cava de'
Tirreni (dove si trovava la tomba di Urbano II, il papa che aveva indetto la
prima crociata), e ricevette il sacramento dell'Eucaristia quando «non avea
anco forse i nov'anni», come scrisse egli stesso. Due anni dopo la sorella
Cornelia, che nel frattempo si era sposata con il nobile sorrentino Marzio
Sersale, rischiò di essere rapita durante un'incursione ottomana a Sorrento, e
questo rimase impresso nella sua memoria. Guidobaldo II Della
Rovere. Rimase a Napoli fino ai dieci anni, poi seguì il padre a Roma,
abbandonando con grande dolore la madre che fu costretta a rimanere nella città
partenopea perché i suoi fratelli «rifiutavano di sborsarle la dote». Nella
città pontificia fu Bernardo a educare privatamente il figlio, ed entrambi
subirono un grave trauma quando nel febbraio 1556 vennero a sapere della
morte di Porzia, probabilmente avvelenata dai fratelli per motivi
d'interesse. La situazione politica a Roma subì però uno sviluppo che
preoccupò Bernardo: era scoppiato un dissidio tra Filippo II e Paolo IV e gli
spagnoli sembravano sul punto di attaccare l'Urbe. Mandò allora Torquato a
Bergamo presso Palazzo Tasso e la Villa dei Tasso da alcuni parenti e si
rifugiò presso la corte urbinate di Guidobaldo II Della Rovere, dove fu
raggiunto dal figlio pochi mesi dopo. A Urbino Torquato studiò assieme a
Francesco Maria II Della Rovere, figlio di Guidobaldo, e a Guidobaldo Del
Monte, poi illustre matematico. In questo periodo ebbe maestri di assoluto
livello quali il poligrafo Girolamo Muzio, il poeta locale Antonio Galli e il
matematico Federico Commandino. Torquato passava a Urbino solo l'estate, dal
momento che la corte trascorreva l'inverno a Pesaro, dove Tasso entrò in
contatto con il poeta Bernardo Cappello e con Dionigi Atanagi, e scrisse il
primo componimento a noi noto: un sonetto in lode della
corte. Bernardo si spostò intanto a Venezia, indiscussa capitale dell'editoria,
per occuparsi della pubblicazione del suo Amadigi. Poco tempo dopo, quindi,
anche il figlio cambiò una volta di più città, stabilendosi in laguna nella
primavera del 1559. Sembra che proprio a Venezia, non ancora sedicenne, abbia
cominciato a mettere mano al poema sulla prima crociata e al Rinaldo. Il Libro
I del Gierusalemme (conservato dal Codice vaticano-urbinate 413) fu scritto
dietro consiglio di Giovanni Maria Verdizzotti e Danese Cataneo, due poeti
mediocri che allora frequentava e che già avevano scorto nel Tasso un talento
straordinario. Periodo universitario Sperone Speroni Nel novembre
1560 Torquato si iscrisse per volere paterno alla facoltà di legge dello Studio
patavino, raccomandato a Sperone Speroni, la cui casa frequentò più delle aule
universitarie, affascinato dalla vastissima cultura dell'autore della Canace.
Tasso non amava la giurisprudenza, tanto che attendeva più alla produzione
poetica che allo studio del diritto. Così, dopo il primo anno ottenne dal padre
il consenso per frequentare i corsi di filosofia ed eloquenza con illustri
professori tra cui spicca il nome di Carlo Sigonio. Quest'ultimo rimarrà un
modello costante per le dissertazioni teoriche tassesche futureprime fra tutte
quelle dei Discorsi dell'arte poetica, in cui si nota anche l'influsso dello
Speronie lo avvicinò allo studio della Poetica aristotelica. È in
quest'epoca che si colloca il primo innamoramento del ragazzo, già molto
sensibile e sognatore. Il padre era stato introdotto nella corte del cardinale
Luigi d'Este, e nel settembre 1561 si era recato col figlio a fare la
conoscenza dei familiari del suo protettore. Torquato conobbe nell'occasione
Lucrezia Bendidio, dama di Eleonora d'Este, sorella di Luigi. Lucrezia,
quindicenne, era molto bella ed eccelleva nel canto, anche se era piuttosto
frivola. Avendo notato un interessamento della fanciulla, Tasso cominciò a
dedicarle rime petrarcheggianti, ma dovette presto essere ricondotto alla
realtà, poiché nel febbraio 1562 scoprì che la ragazza era promessa sposa al
conte Baldassarre Macchiavelli. Non si arrese, continuando a cantarla in
poesia, ma dopo le nozze si lasciò andare al risentimento e alla
delusione. Intanto, l'entourage cominciava ad avvedersi del talento
del Tassino (come veniva chiamato per essere distinto dal padre), e nel 1561 e
1562 gli furono commissionate delle rime per alcuni funerali. Confluendo in due
raccolte, furono le prime poesie pubblicate da Torquato. Ancora più
notevoli erano gli sforzi prodigati per il Rinaldo, composto in soli dieci mesi
e dedicato a Luigi d'Este. Il poema epico cavalleresco, incentrato sulle
avventure del cugino di Orlando, fu stampato a Venezia nel 1562 e contribuì a
diffondere il nome di Tasso, che aveva ancora soltanto diciotto anni. Il
padre intanto lo aveva messo nel 1561 al servizio del nobile Annibale Di Capua,
e il duca d'Urbino gli aveva procurato una borsa di studio di cinquanta scudi
annui per permettergli di continuare i corsi universitari. Dopo due anni a
Padova, Tasso proseguì gli studi all'Bologna, ma durante il secondo anno di
permanenza nella città felsinea, nel gennaio 1564, fu accusato di essere
l'autore di un testo che attaccava pesantemente, con una satira sferzante,
alcuni studenti e professori dello Studio. Espulso e privato della borsa di
studio, fu costretto a ritornare a Padova, dove poté beneficiare
dell'ospitalità di Scipione Gonzaga, che gli fornì il necessario per continuare
il percorso di formazione. Ritrovò tra i maestri Francesco Piccolomini e
seguì le lezioni di Federico Pendasio. In casa del principe Gonzaga era appena
stata istituita l'Accademia degli Eterei, ritrovo di seguaci dello Speroni che
miravano alla perfezione della forma, non senza scadere nell'artificiosità.
Tasso vi entrò assumendo il nome di Pentito e leggendovi molti componimenti,
tra cui quelli scritti per Lucrezia Bendidio e per una donna che la critica ha
per lungo tempo identificato in Laura Peperara. Secondo questa
versione Torquato conobbe Laura nell'estate del 1563, quando aveva raggiunto a
Mantova Bernardo, nel frattempo messosi al servizio del duca Guglielmo Gonzaga.
La delicatezza nei modi della giovane fece dimenticare presto al Nostro le
ancor fresche pene amorose per Lucrezia Bendidio. Lo spirito del Petrarca
rivisse allora nelle liriche del ragazzo nuovamente innamorato. L'anno dopo,
rivedendola, fu però deluso, e pur continuando a cantarla dovette ben presto
rassegnarsi al secondo scacco. Ricerche recenti hanno tuttavia collocato
la nascita della Peperara nel 1563, rendendo quindi impossibile che fosse lei
la seconda musa del Tasso. I due canzonieri amorosi andarono in parte a
finire tra le Rime degli Accademici Eterei, stampate a Padova nel 1567, assieme
ad alcune che scriverà nel primo anno ferrarese. Si legò anche
all'Accademia degli Infiammati. A Ferrara Torquato Tasso all'eta di
22 anni ritratto da Jacopo Bassano Nell'ottobre 1565 giunse a Ferrara in
occasione del secondo matrimonio (quello con Barbara d'Austria) del duca
Alfonso II d'Este, al servizio del cardinale Luigi d'Este, fratello del duca,
spesato di vitto e alloggio, mentre dal 1572 sarà al servizio del duca
stesso. I primi dieci anni ferraresi furono il periodo più felice della
vita di Tasso, in cui il poeta visse apprezzato dalle dame e dai gentiluomini
per le sue doti poetiche e per l'eleganza mondana. Il cardinale lasciò al
Nostro la possibilità di attendere solamente all'attività poetica, e Tasso poté
così continuare il poema maggiore. Rapporti particolarmente intensi
intercorsero con le due sorelle del duca, Lucrezia e Leonora. La prima era uno
spirito libero e incarnava ideali di vivacità e vitalità, mentre la seconda,
malata e fragile, fuggiva la vita mondana e conduceva un'esistenza ritirata.
Per quanto Tasso fosse attratto da entrambe e per quanto si sia avallata l'ipotesi
di una relazione amorosa con Leonora, la critica tassesca ha concluso che non
si andò al di là di forti simpatie. La ricchezza culturale della corte
estense costituì per lui un importante stimolo; ebbe infatti modo di conoscere
Battista Guarini, Giovan Battista Pigna e altri intellettuali dell'epoca. In
questo periodo riprese il poema sulla prima crociata, dandogli il nome di
Gottifredo. Nel 1566 i canti erano già sei, e aumenteranno negli anni
appresso. Nel 1568 diede alle stampe le Considerazioni sopra tre canzoni
di M. G. B. Pigna, dove emerge la concezione platonica e stilnovistica che il
Tasso aveva dell'amore, con alcune note però affatto peculiari, che lo
portavano a ravvisare il divino in tutto ciò che è bello, e a definire di
matrice soprannaturale anche l'amore puramente fisico. I concetti vennero
ribaditi nelle cinquanta Conclusioni amorose pubblicate due anni più
tardi. Compose anche i quattro Discorsi dell'arte poetica e in
particolare sopra il poema eroico, anche se videro la luce solo nel 1587 a
Venezia, per i tipi di Licino. Nell'ottobre 1570 partì per la Francia al
seguito del cardinale e, temendo gli potesse accadere qualche disgrazia nel
lungo e pericoloso viaggio, volle dettare le proprie volontà all'amico Ercole
Rondinelli, richiedendo la pubblicazione dei sonetti amorosi e dei madrigali,
mentre precisava che «gli altri, o amorosi o in altra materia, c'ho fatti per
servizio di alcun amico, desidero che restino sepolti con esso meco», ad
eccezione di Or che l'aura mia dolce altrove spira. Per il Gottifredo
afferma di voler far conoscere «i sei ultimi canti, e de' due primi quelle
stanze che saranno giudicate men ree», il che prova che il numero dei canti era
salito almeno a otto. Intanto, sempre nel 1570, Lucrezia d'Este sposò
Francesco Maria II Della Rovere, compagno di studi di Torquato nel periodo
urbinate. Il soggiorno transalpino fu di sei mesi, ma, siccome Luigi
aveva messo a disposizione del poeta poco denaro, questi trascorse il periodo
francese sostanzialmente nell'ombra, con il solo onore di essere ricevuto da
Caterina de' Medici, la moglie di Enrico II. Di ritorno a Ferrara, il 12 aprile
1571 decise di lasciare il seguito del cardinale. Credeva incorrere in
miglior fortuna presso Ippolito II, e scese pertanto a Roma. Anche il cardinale
di villa d'Este però lo deluse, e Tasso decise di risalire la penisola,
facendosi ospitare qualche tempo da Lucrezia e Francesco a Urbino, prima di
entrare, nel maggio 1572, al servizio di Alfonso II. In questo periodo
continuò ad attendere al capolavoro, ma si diede anche al teatro, e scrisse
l'Aminta, celebre favola pastorale che rientrava nei gusti delle corti
cinquecentesche. Rappresentata con ogni probabilità il 31 luglio 1573 all'isola
di Belvedere, dov'era una delle «delizie» estensi, ebbe un grande successo e fu
richiesta anche da Lucrezia d'Este a Urbino l'anno successivo. Nell'euforia del
successo, nello stesso 1573 Tasso cominciò a scrivere una tragedia, Galealto re
di Norvegia, ma la abbandonò all'inizio del secondo atto, salvo rimettervi mano
molto più tardi trasformandola nel Re Torrismondo. Il capolavoro e la
revisione L'impegno principale rimaneva comunque il poema epico, per il quale
l'autore non aveva ancora stabilito un titolo. Nel novembre '74 l'opera era
quasi completa, visto che «io aveva comincio quest'agosto l'ultimo canto», ma
si deve aspettare fino al 6 aprile 1575 per avere l'annuncio del completamento
del testo, quando in una lettera al cardinale Giovan Girolamo Albano leggiamo:
«Sappia dunque Vostra Signoria illustrissima, che dopo una fastidiosa
quartana sono ora per la Dio grazia assai sano, e dopo lunghe vigilie ho
condotto finalmente al fine il poema di Goffredo». Completato quindi nel
1575 il poema maggiore, si aprì per Tasso il periodo della nevrosi e del terrore
di aver portato a termine un lavoro non gradito all'Inquisizione, allora in una
fase di rigidità estrema (il concilio di Trento si era concluso da soli dodici
anni). Da una lettera emerge l'inquietudine del poeta: «Qui va pur intorno
questo benedetto romore de la proibizione d'infiniti poeti: vorrei sapere se ve
n'è cosa alcuna di vero».[25] Scipione Gonzaga Tasso sottopose il
testo al giudizio di cinque autorevoli personaggi romanigaranzia di validi
consigli concernenti l'estetica e la moralenevroticamente insoddisfatto delle
proprie scelte estetiche ma principalmente preoccupato, come s'è visto, dalle
questioni religiose. I cinque erano il maestro ed erudito Sperone
Speroni, il principe e cardinale Scipione Gonzaga, il cardinale Silvio Antoniano,
il poeta Pier Angelio Bargeo e il grecista Flaminio de' Nobili. Torquato
condivise in parte i consigli degli illustri letterati, che gli avevano rivolto
critiche di stampo moralistico, ma talvolta li respinse bruscamente. Ne
nacquero missive quasi quotidiane che mettono in luce un autore intimamente
travagliato e continuamente bisognoso di dimostrare (forse soprattutto a sé
stesso) di non trasgredire principi di poetica né tanto meno di fede.
Ossessivo nell'apportare modifiche al testo, era continuamente combattuto e
incerto sul da farsi, al punto che nell'ottobre arrivò a scrivere al Gonzaga:
«Forse a questao condotto finalmente al fine il poema di Goffredo».
Completato quindi nel 1575 il poema maggiore, si aprì per Tasso il periodo
della nevrosi e del terrore di aver portato a termine un lavoro non gradito
all'Inquisizione, allora in una fase di rigidità estrema (il concilio di Trento
si era concluso da soli dodici anni). Da una lettera emerge l'inquietudine del
poeta: «Qui va pur intorno questo benedetto romore de la proibizione d'infiniti
poeti: vorrei sapere se ve n'è cosa alcuna di vero».[25] Scipione
Gonzaga Tasso sottopose il testo al giudizio di cinque autorevoli personaggi
romanigaranzia di validi consigli concernenti l'estetica e la moralenevroticamente
insoddisfatto delle proprie scelte estetiche ma principalmente preoccupato,
come s'è visto, dalle questioni religiose. I cinque erano il maestro ed
erudito Sperone Speroni, il principe e cardinale Scipione Gonzaga, il cardinale
Silvio Antoniano, il poeta Pier Angelio Bargeo e il grecista Flaminio de'
Nobili. Torquato condivise in parte i consigli degli illustri letterati,
che gli avevano rivolto critiche di stampo moralistico, ma talvolta li respinse
bruscamente. Ne nacquero missive quasi quotidiane che mettono in luce un autore
intimamente travagliato e continuamente bisognoso di dimostrare (forse
soprattutto a sé stesso) di non trasgredire principi di poetica né tanto meno
di fede. Ossessivo nell'apportare modifiche al testo, era continuamente combattuto
e incerto sul da farsi, al punto che nell'ottobre arrivò a scrivere al Gonzaga:
«Forse a questa particolare istoria di Goffredo si conveniva altra
trattazione; e forse anco io non ho avuto tutto quel riguardo che si doveva al
rigor de' tempi presenti [...] E le giuro che se le condizioni del mio stato
non m'astringessero a questo, ch'io non farei stampare il mio poema né così
tosto, né per alcun anno, né forse in vita mia; tanto dubito de la sua
riuscita».[26] Nemmeno l'entusiastica ammirazione di Lucrezia d'Este cui
leggeva il poema ogni giorno «molte ore in secretis»[27], né l'essere venuto a
conoscenza del grande piacere con cui da più parti l'opera veniva letta,
poterono placare le sue angosce.[28] Nel 1576 scrisse Allegoria, con cui
rivisitava tutto il poema in chiave allegorica cercando di emanciparsi dalle
possibili accuse di immoralità. Ma non bastava: gli scrupoli di carattere
religioso assunsero la forma di vere e proprie manie di persecuzione. Per
mettere alla prova la propria ortodossia nella fede cristiana si sottopose
spontaneamente al giudizio dell'Inquisizione di Ferrara, ricevendo nel 1575 e
nel 1577 due sentenze di assoluzione.[29] Barbara Sanseverino
Disagi presso la corte estense e fughe Due belle signore, giunte alla corte nel
1575 e protrattesi presso il duca fino all'anno dopo, costituirono un
intermezzo piacevoleforse l'ultimoin mezzo a tante preoccupazioni. Per loro, la
contessa di Sala Barbara Sanseverino e la contessa di Scandiano Leonora
Sanvitale, cantò gioiosamente in alcune rime amorose, che, com'era accaduto per
Lucrezia e Leonora d'Este, obbediscono alle conventions de genre e non rivelano
altro che una sincera amicizia.[30] Ma il Tasso si era stancato anche di
Alfonso, e sognava diandare a Firenze, presso la corte medicea. Non è chiaro
perché volesse abbandonare Ferrara, ma i motivi adducibili sono vari e
variamente intriganti, e tutti hanno in loro almeno una parte di verità. «Ch'io
desideri sommamente di mutar paese, e ch'io abbia intenzione di farlo, assai
per se stesso può essere manifesto, a chi considera le condizioni del mio
stato»[31], scriveva a Scipione Gonzaga. Le «condizioni del mio stato»
possono avere una valenza materiale: Tasso riceveva dal duca solo cinquantotto
lire marchesane mensili, che sommate alle centocinquanta percepite in qualità
di lettore all'Università (carica che ricopriva per i soli giorni festivi)
danno una cifra sicuramente bassa che a un poeta ormai affermato doveva parere
stretta, anche solo per una questione di dignità, senza voler pensare a
motivazioni di pretta bramosia.[32] L'espressione tassesca può assumere
però anche una connotazione morale e psicologica: si erano in effetti
verificati alcuni episodi spiacevoli presso la corte estense. Nel 1576 Torquato
aveva avuto una lite con il cortigiano Ercole Fucci. Provocato, aveva rifilato
uno schiaffo al Fucci, che in risposta lo colpì più volte con un bastone.
Un servo aveva inoltre rivelato al Tasso che, durante una sua assenza, un altro
cortigiano, Ascanio Giraldini, aveva fatto forzare la porta della sua camera,
nel tentativo di appropriarsi di alcuni manoscritti. Tasso sarebbe anche
riuscito a rintracciare il magnano ottenendone una confessione, come risulta da
un'altra lettera al Gonzaga, in cui si ipotizzano altre trame ordite alle sue
spalle, anche se «io non me ne posso accertare».[33] A far precipitare il
rapporto con il duca e la corte furono però gli scrupoli religiosi del poeta.
Nell'aprile 1577 Tasso si autoaccusò presso l'Inquisizione ferrarese (dopo
l'autoaccusa presso il tribunale bolognese avvenuta due anni prima[34]),
attaccando inoltre influenti personaggi di corte. Si cercò allora di far
desistere il poeta dall'intenzione di confermare le sue affermazioni negli
interrogatori successivi, senza risparmiargli punizioni corporali che non
riuscirono afar cambiare idea al Tasso, che si presentò altre due volte davanti
all'inquisitore.[35] Le accuseerano rivolte in particolare contro
Montecatini, il segretario ducale. Siccome Torquato voleva recarsi a deporre
presso il Tribunale capitolino, l'inquisitore ferrarese, conscio del fatto che
una simile azione poteva mettere a repentaglio i rapporti con la Santa
Sede,vitali per casa d'Esteinformò immediatamente il duca con una missiva del 7
giugno.[36] Alfonso mise il poeta sotto sorveglianza, e il 17 giugno Tasso,
ritenendosi spiato da un servo, gli scagliò contro un coltello. Il
Castello Estense Tasso rimase nella prigione del Castello fino all'11 luglio,
quando Alfonso lo fece liberare e lo accolse presso la villeggiatura di
Belriguardo, dove però rimase pochi giorni, venendo rimandato a Ferrara per
essere consegnato ai frati del convento di S. Francesco.[37] Il poeta
supplicò allora i cardinali dell'Inquisizione romana affinché lo sollevassero
da una situazione ormai insopportabile trovandogli una sistemazione nell'Urbe,
e nel contempo si lamentava con Scipione Gonzaga per il trattamento ricevuto,
ma pochi giorni dopo si ritrovò nuovamente nella prigione del Castello. Tentò
quindi un'altra via e chiese invano perdono al suo signore.[38] Tasso era
indubbiamente provato dalle fatiche della Gerusalemme, e le lettere del periodo
rivelano un animo inquieto e agitato, spesso preoccupato di smentire chi voleva
vedere in lui i germi della pazzia. Le manie di persecuzione e l'instabilità si
erano impadronite di lui, ma fino a qual punto? Fino a qual punto invece certe
manifestazioni del poeta, che mantiene nelle missive una lucidità pressoché
completa, funsero da pretesto per emarginare un personaggio divenuto
pericoloso? Su questo punto i critici non sono mai riusciti a trovare un
accordo. Intanto la prigionia el Castello si prolungava, e non restava
che la fuga: nella notte tra il 26 e il 27 luglio si travestì da contadino e
fuggì nei campi. Raggiunta Bologna, proseguì fino a Sorrento, dove, ancora
sotto mentite spoglie e fisicamente distrutto, si recò dalla sorella,
annunciandole la propria morte, così da vedere la sua reazione, e svelandole la
sua vera identità solo dopo aver osservato la reazione realmente addolorata
della donna.[39] A Sorrento rimase parecchi mesi ma, volendo riprendere
parte alla vita di corte, fece inviare da Cornelia una supplica al duca, in
data 4 dicembre 1577, chiedendo di essere riammesso alle sue dipendenze, in un
testo che fu certamente dettato, almeno in parte, dal poeta stesso: «La maggior
colpa che io credo sia in lui, è la poca sicurezza, che ha mostrata d'avere
nella parola di V.A., e il molto diffidarsi della sua benignità».[40]
Così, nell'aprile 1578 ritornò a Ferrara, ma, tempo tre mesi, era di nuovo in
fuga; Mantova, Padova, Venezia. Presa la via di Pesaro, da Cattolica mandò ad
Alfonso una missiva in cui cerca di spiegare i motivi dell'abbandono, che
restano, anche nella testimonianza diretta del Tasso, criptici: «ora me ne dono
partito. per non consentire a quello, a che non dee consentire uomo, che faccia
alcuna professione d'onore, o ch'abbia nell'animo alcuno spirito di
nobiltà».[41] Paura, instabilità? Quello che è certo è che nello stesso
mese le parole di Maffio Venierche lo aveva incontrato a Veneziasembrano far
perdere credibilità alle ipotesi di follia: «sebbene si può dire che egli non
sia di sano intelletto, scuopre tuttavia più tosto segni di afflizione che
pazzia».[42] Anche gli scambi epistolari intrattenuti con Francesco Maria
Della Rovere paiono rivelare una personalità afflitta e agitata più che folle.
Il Leitmotiv, adesso più che mai, è il dolore.[43] Il dolore si fa allora
poiesis, creazione. È proprio questo il periodo in cui vengono composti i versi
dell'incompiuta canzone Al Metauro, tra i più citati e famosi dell'opera
tassesca. Qui, in una rievocazione della propria vita sub specie doloris[44],
affiorano i ricordi delle proprie sofferenze e della morte dei genitori. Il
poeta è un esiliato, concretamente e metaforicamente, sin da quando bambino
dovette lasciare il luogo natìo: «In aspro esiglio e 'n dura povertà
crebbi in quei sì mesti errori; intempestivo senso ebbi a gli affanni: ch'anzi
stagion, matura l'acerbità de' casi e de' dolori in me rendé l'acerbità degli
anni» Intanto continuava a vagare. Percorse a piedi il tratto che separa
Urbino da Torino, ma non sarebbe riuscito a entrare nella cittàera stato
respinto dai doganieri perché in stato pietosose Angelo Ingegneri, amico di
Torquato da alcuni anni, non lo avesse riconosciuto e aiutato a entrare. A
Torino ricevette l'ospitalità del marchese Filippo d'Este, genero del duca di
Savoia[45], e godette di una certa tranquillità che gli permise di comporre
poesie e iniziare tre dialoghi, la Nobiltà, la Dignità e la Precedenza.[43]
Prigionia a Sant'Anna In seguito a nuovi pentimenti e nuove nostalgie della
corte ferrarese, il poeta si adoperò ancora una volta per il rientro nella
città ducale, facendo leva sulle intercessioni del cardinale Albano e di
Maurizio Cataneo, e infine riguadagnò la capitale estense tra il 21 e il 22
febbraio, proprio mentre fervevano i preparativi per le terze nozze di Alfonso,
quelle con Margherita Gonzaga, figlia del duca di Mantova Guglielmo. Fu
ospitato da Luigi d'Este, ma nessuno badava a lui: «Ora le fo sapere, che io
qui ho trovato quelle difficoltà che m'imaginava, non superate né dal favore di
monsignor illustrissimo, né da alcuna sorte d'umanità ch'io abbia saputo
usare», scrisse a Maurizio Cataneo il 24 febbraio.[46] In una missiva al cardinale
Albano, recante la data del 12 marzo, Tasso chiede almeno gli si faccia
riottenere lo stipendio precedente.[47] A questo punto i fatti
precipitano: «Iersera l'altra si mandò il povero Tasso a Sant'Anna, per le
insolenti pazzie ch'avea fatte intorno alle donne del Signor Cornelio, e che
era poi venuto a fare con le Dame di Sua Altezza, quali, per quanto m'è stato
rifferto, furono così brutte e disoneste, che indussero il Signor Duca a quella
risoluzione».[48] Non è chiaro quando accadesse esattamente il fatto, si
oscilla tra l'11 e il 12 marzo, ma è certo che in quest'ultima data il poeta
fosse già stato recluso nella prigione di Sant'Anna.[49] Pare sicuro
anche che le parole offensive pronunciate in preda all'ira si siano indirizzate
poi in modo esplicito allo stesso duca, ed è probabile che si trattasse di
gravi accuse (forse legate ancora una volta alla vicenda dell'Inquisizione)
che, fatte in pubblico, chiedevano una risoluzione drastica. Il duca
Alfonso II rinchiuse quindi Tasso nell'Ospedale Sant'Anna, nella celebre cella
detta poi "del Tasso", dove rimase per sette anni. Qui, alle manie di
persecuzione, si aggiunsero tendenze autopunitive.
Delacroix: Tasso all'ospedale di Sant'Anna Nell'Ospedale veniva
trattato alla stregua dei «forsennati», ricevendo poche razioni di cibo
scadente, privato di ogni comodità materiale e di ogni conforto spirituale,
visto che il cappellano, «se ben io ne l'ho pregato, non ha voluto mai o
confessarmi o comunicarmi».[50] È vero che dopo nove mesi ci fu un miglioramento
del vitto, ma dovette trattarsi di ben poca cosa, e i primi tre anni coincisero
con una sorta di isolamento. Scrisse comunque ininterrottamente a
principi, prelati, signori e intellettuali pregandoli di liberarlo e difendere
la propria persona. Le suppliche erano rivolte al solito Gonzaga, alla mai
dimenticata Lucrezia d'Este, a Francesco Panigarola (che sarebbe divenuto
vescovo di Asti), a Ercole Tasso e molti altri.[51] I primi anni di reclusione
non impedirono a Torquato di scrivere; anzi, le tre canzoni del periodo
rivelano una poesia essenziale, magistrale nella gestione delle armonie,
simbolo di un'ormai indiscussa maturità e dimostrazione, una volta di più, di
come le facoltà mentali del poeta fossero ancora intatte. Ecco quindi A
Lucrezia e Leonora, con la celebre invocazione alle «figlie di Renata», in una
nostalgico ricordo dei tempi sereni trascorsi a corte, messo in contrasto con
la durezza del tempo presente, ecco Ad Alfonso, nuova supplica al duca che,
rimasta inascoltata, diventò un inno Alla Pietà nell'omonima canzone. Le
condizioni mutarono con gli anni: a partire dal 1580 gli fu permesso di uscire
qualche volta e di ricevere visite, nel novembre 1582 il vitto migliorò
ulteriormente, mentre dal 1583 poté lasciare Sant'Anna più volte alla
settimana, «accompagnato da gentiluomini e qualche volta fu condotto anche a
corte».[52] Tuttavia il trattamento rimaneva molto duro e, a distanza di
secoli, pare spropositato se il motivo dovesse ridursi alla pazzia o a delle
offese personali. Certo, il Tasso soffriva di turbe psichiche. A questo
proposito è illuminante la lettera di aiuto che indirizzò il 28 giugno
1583 al celebre medico forlivese Girolamo Mercuriale. Qui troviamo un
elenco e una descrizione dei mali che affliggono il poeta: «rodimento
d'intestino, con un poco di flusso di sangue; tintinni ne gli orecchi e ne la
testa, [...] imaginazione continua di varie cose, e tutte spiacevoli: la qual
mi perturba in modo ch'io non posso applicar la mente a gli studi per un
sestodecimo d'ora», fino alla sensazione che gli oggetti inanimati si mettano a
parlare. È da notare tuttavia come tutte queste sofferenze non l'abbiano reso
«inetto al comporre».[53] Si può poi ammettere che «il Tasso non fu
semplicemente un melanconico, ma di tratto in tratto veniva sorpreso da eccessi
di mania, da riescire pericoloso a sé ed agli altri»[54], ma, anche se questi
squilibri dovessero essersi manifestati realmente, essi non giustificano né la
tesi della pazzia né la necessità di allontanare il Tasso dalla corte per un
periodo così lungo. Con buone probabilità, quindi, la ragione principale deve
essere riallacciata ancora una volta ai tentativi tasseschi di ricorrere
all'Inquisizione romana, e l'imprigionamento era il solo modo per non
compromettere il rapporto con lo Stato Pontificio. Dopo l'edizione
veneziana "pirata" e mutila di Celio Malespini (estate 1580), nel
1581, sempre durante la prigionia, vennero pubblicatenel tentativo di porre
rimedio alla sciagurata operazionea Parma e Casalmaggiore, ancora senza il suo
consenso, due edizioni del poema iniziato all'età di quindici anni. Il titolo
di Gerusalemme liberata fu scelto dal curatore di queste ultime versioni,
Angelo Ingegneri, senza l'avallo dell'autore. L'opera ebbe un grande
successo. Siccome anche le stampe dell'Ingegneri presentavano delle
imperfezioni e la Gerusalemme era ormai di dominio pubblico, bisognava
approntare la versione migliore possibile, ma per far questo era necessaria
l'autorizzazione e la collaborazione del Tasso. Così, seppur riluttante, il
poeta diede il proprio consenso a Febo Bonnà, che diede alla luce la
Gerusalemme liberata il 24 giugno 1581 a Ferrara, restituendola in modo ancora
più preciso pochi mesi dopo.[55] Queste traversie editoriali addolorarono
il Tasso, che avrebbe voluto mettere mano al poema in modo da renderlo conforme
alla propria volontà. All'amarezza per le pubblicazioni seguì ben presto quella
che gli fu causata dallapolemica con la neonata Accademia della Crusca. La
diatriba non fu scatenata, per la verità, né dal poeta né dall'Accademia.
La sua origine va ricercata nel dialogo Il Carrafa, o vero della epica poesia,
che il poeta capuano Camillo Pellegrino stampò presso l'editore fiorentino
Sermartelli all'inizio di novembre del 1584. Nel dialogo Torquato viene esaltato
assieme alla sua opera, in quanto fautore di una poesia etica e fedele ai
dettami aristotelici, mentre l'Ariosto viene duramente condannato a causa della
leggerezza, delle fantasiose invenzioni e dell'eccessiva dispersione che si
possono riscontrare nell'Orlando Furioso.[56] Leonardo Salviati Il
testo provocò la reazione dell'Accademia, che rispose nel febbraio dell'anno
seguente con la Difesa dell'Orlando Furioso degli Accademici della Crusca,
stroncando il Tasso ed esaltando invece «il palagio perfettissimo di modello,
magnificentissimo, ricchissimo, e ornatissimo»[57], che era il Furioso. La
Difesa fu fondamentalmente opera di Leonardo Salviati e di Bastiano de' Rossi.
Tasso decise di scendere in campo con l'Apologia in difesa della Gerusalemme Liberata,
edita a Ferrara dal Licino il 20 luglio. Rivendicando la necessità di
un'invenzione che si fondi sulla storia, il poeta si opponeva alle opinioni dei
paladini del volgare fiorentino, e respingeva le accuse di un lessico intriso
di barbarismi e poco chiaro.[58] La polemica continuò, visto che il
Salviati replicò in settembre con la Risposta all'Apologia di Torquato Tasso
(testo noto anche come Infarinato primo[59]), cui seguirono un nuovo opuscolo
di Pellegrino e un Discorso del Nostro, dopo di chese si esclude un ulteriore
scritto del Salviati, l'Infarinato secondo (1588)per qualche tempo le acque si
calmarono, ma la querelle tra ariosteschi e tasseschi proseguì fino al secolo
successivo, e fu una delle più infiammate della storia della letteratura italiana.
Durante la reclusione Tasso scrisse principalmente discorsi e dialoghi[60]: fra
i primi quello Della gelosia (redatto già nel 1577 ma pubblicato nel 1585),
Dell'amor vicendevole tra 'l padre e 'l figliuolo (1581), Della virtù
eroica e della carità (1583), Della virtù femminile e donnesca (1583),
Dell'arte del dialogo (1586), Il Secretario (1587), cui si deve aggiungere il
Discorso intorno alla sedizione nata nel regno di Francia l'anno 1585 (composto
nel 1585, edito solo nel 1817) e il Trattato della Dignità, già iniziato a
Torino, come si è visto.[61] Queste opere sviluppano tematiche morali,
psicologiche o strettamente religiose. La virtù cristiana è proclamata come
superiore alla pur nobile virtù eroica, si afferma la comune origine di amore e
gelosia, si valutano i talenti specifici della donna, il tutto arricchito dal
racconto di esperienze personali che giustificano l'opinione dell'autore.
Vengono affrontate anche questioni politiche, in special modo nel Secretario,
diviso in due parti, la prima dedicata a Cesare d'Este, la seconda ad Antonio
Costantini. Qui, nella descrizione del principe ideale, si enucleano alcune
caratteristiche come la clemenza (chiaro il riferimento alla propria
condizione), l'esser filosofo, e soprattutto «un gentiluomo a la cui fede ed al
cui sapere si possono confidare gli Stati e la vita e l'onor del
principe».[62] Più copiosa ancora fu la composizione di dialoghi, scritti
sotto il nume ideale di Platone, ma paragonabili più obiettivamente a quelli
del sedicesimo secolo. Quasi ogni tematica morale viene sviscerata in una serie
davvero lunga di opere più o meno prolisse e più o meno felici. Tasso
scrisse, nell'ordine[63], Il Forno, o vero de la Nobiltà (1579, 1581,
modificato nel 1586 e ripubblicato l'anno seguente); il Gonzaga, o vero del
Piacer onesto (1580, 1583), in seguito rivisto e stampato con il titolo Il
Nifo, o vero del piacere; Il Messaggero (1580, 1582. Qui immaginò di interagire
amichevolmente con il folletto da cui si credeva perseguitato nella realtà. Questo
dialogo ispirò la celebre operetta morale leopardiana Dialogo di Torquato Tasso
e del suo Genio familiare), con una seconda lezione del 1586; Il padre di
famiglia (1580, 1583, ispirato a un gentiluomo che lo ospitò a Borgo Sesia
prima dell'arrivo a Torino); Il cavalier amante e la gentildonna amata (1580,
1583, con dedica a Giulio Mosti, giovane ammiratore del poeta); Romeo o vero
del giuoco (1580, 1581), rivisto e dato alle stampe con titolo Il Gonzaga
secondo, o vero del giuoco (1581, 1582); La Molza, o vero de l'Amore
(1583, 1587, prende spunto dalla conoscenza che il Tasso fece della celebre
poetessa Tarquinia Molza a Modena, nel dicembre 1576, ed è dedicato a Marfisa
d'Este); Il Malpiglio, o vero della corte (1583, 1586, con riferimento al
gentiluomo ferrarese Lorenzo Malpiglio); Il Malpiglio secondo o vero del fuggir
la moltitudine (1583, 1666); Il Beltramo, overo de la Cortesia (1584, 1586); Il
Rangone, o vero de la Pace (1584, 1586, in risposta a uno scritto di Fabio
Albergati); Il Ghirlinzone, o vero l'Epitafio (1585, 1586); Il Forestiero
napolitano, o vero de la Gelosia (1585, 1586); Il Cataneo, o vero de gli Idoli
(1585, 1586) e, infine, La Cavalletta, o vero de la poesia toscana (1584,
1587). In tutto questo non aveva dimenticato l'opera principe,
dimostrando di avere al riguardo idee piuttosto lontane da quella che sarà la
realizzazione finale. A Lorenzo Malpiglio espose intenzioni sostanzialmente
opposte agli interventi che avrebbe apportato negli anni successivi: parla di
portare la Liberata da venti a ventiquattro canti (secondo l'idea originaria) e
di accrescere il numero delle stanze, tagliando anche dei passaggi ma con il
risultato che «la diminuzione sarà molto minor de l'accrescimento».[64]
Nel 1586 qualche segnale, magari anche dettato da semplice interesse, lasciava
intravedere un astio meno severo nei confronti del Nostro. Prima della
reclusione, nel marzo del 1577, a Comacchio era stata rappresentata una
commedia tassesca alla presenza della corte.[65] Ora Virginia de' Medici voleva
che il testo fosse perfezionato e completato per essere interpretato durante i
festeggiamenti del suo matrimonio con Cesare d'Este. Tasso si mise al lavoro ed
esaudì la richiesta. L'opera fu poi pubblicata nel 1603 e ricevette il
titoloGli intrichi d'amoredal Perini, uno degli attori dell'Accademia di
Caprarola, che aveva messo in scena la commedia nel 1598.[66] L'opera,
ricolma di intrecci amorosi e di agnizioni secondo il costume dell'epoca, è
sofisticata e inverosimile, ma non mancano pagine vivaci ed episodi ispirati
all'Aminta. Vi si possono inoltre vedere alcuni elementi che confluiranno nella
commedia dell'arte: il personaggio del Napoletano, parlando in dialetto e
«profondendosi in spiritosaggini sbardellate», richiama alla mente la futura
maschera di Pulcinella.[67] La critica è stata piuttosto concorde nel ritenerla
infelice, tutta una goffaggine pedantesca e superficiale, nel giudizio di
Francesco D'Ovidio.[68] F. Pourbus: Vincenzo Gonzaga Dopo la
prigionia: le delusioni, le sofferenze, le peregrinazioni Il 13 luglio 1586
finì la prigionia: Tasso venne affidato a Vincenzo Gonzaga[69], che lo volle
alla sua corte di Mantova. Nelle intenzioni di Alfonso, Tasso doveva restare
presso il figlio di Guglielmo Gonzaga solo per un breve periodo[70], ma di
fatto il poeta non tornò più a Ferrara, e restò presso Vincenzo, in un ambiente
in cui conobbe Ascanio de' Mori da Ceno, diventandone amico. A Mantova
Tasso ritrovò qualche barlume di tranquillità; riprese in mano il Galealto re
di Norvegia, la tragedia che aveva lasciato interrotta alla seconda scena del
secondo attoe che aveva frattanto avuto un'edizione nel 1582 -, e la trasformò
nel Re Torrismondo, conglobando nei primi due atti quanto aveva precedentemente
scritto ma cambiando i nomi, e procedendo alla stesura dei tre atti successivi
in modo da arrivare ai cinque canonici. Quando nell'agosto si recò a Bergamo,
ritrovando amici e parenti, si mise subito in azione per dare alle stampe la
tragedia, e l'opera uscì, a cura del Licino e per i tipi del Comin Ventura, con
dedica a Vincenzo Gonzaga, nuovo duca di Mantova.[71] Si trattava
comunque di una "libertà vigilata", e i fatti dell'autunno 1587 lo
dimostrano chiaramente. Dopo essere tornato a Mantova, deluso e preoccupato
di una possibile venuta di Alfonso, Tasso andò a Bologna e a Roma senza
chiedere al Gonzaga l'autorizzazione e questi, sotto la pressione del duca di
Ferrara, tentò in ogni modo di farlo tornare indietro. Antonio Costantini,
sedicente amico del poeta che metteva al primo posto l'ambizione e l'obiettivo
di essere tenuto in onore presso la corte mantovana, e Scipione Gonzaga si
mobilitarono, ma Torquato capì la situazione e rifiutò di ritornare, rendendo
impossibile qualsiasi mossa, dal momento che un intervento che lo riportasse
nel ducato mantovano con la forza non sarebbe mai stato tollerato dal
Pontefice.[72] Il fatto che nessuno impedisse il viaggio a Bergamo mentre ci
fosse una mobilitazione generale per allontanare il poeta dall'Urbe rimane
comunque un segnale che pare ulteriormente ridimensionare il peso della
presunta follia di Torquato nelle preoccupazioni dei duchi del
settentrione. Il santuario di Loreto in un'incisione di Francisco
de Hollanda (prima meta del sec. XVI) Nel corso del tragitto Tasso passò da
Loreto, raccogliendosi in preghiera nel santuario e concependo quella canzone
«a la gloriosa Vergine» che può forse richiamare il Petrarca della Canzone alla
Vergine in qualche scelta lessicale, ma, in mezzo alla lode e alla supplica, è
tanto più intessuta di travaglio e sofferenza: «Vedi, che fra' peccati
egro rimango, qual destrier, che si volve nell'alta polve, e nel tenace
fango.» Torquato fu a Roma nell'autunno 1587 e fino alla primavera
successiva. L'irrequietudine era di nuovo alle stelle: le lettere registrano le
sue richieste di denaro e le lamentele per la propria condizione di salute. Il
poeta è ormai disilluso, e fa meno affidamento sulla possibilità che gli altri
lo aiutino. Come scrisse alla sorella in una lettera del 14 novembre, gli
uomini «non hanno voluto sanarmi, ma ammaliarmi».[73] Tuttavia, il Nostro è in
preda al bisogno materiale e continua ad autoumiliarsi, scrivendo versi
encomiastici per Scipione Gonzaga, divenuto cardinale, senza ottenere alcunché.
Anche la speranza di essere ricevuto dal papa Sisto V viene delusa, nonostante
le lodi che Tasso rivolge al pontefice in varie poesie, confluite assieme ad
altre del periodo in un volumetto del 1589, stampato a Venezia.[74] Vista
l'inutilità del soggiorno romano, il peregrinante poeta pensò trovare maggior
fortuna nell'amata Napoli. Così, ai primi di aprile del 1588 Tasso ritornò
nella città vesuviana fortemente intenzionato a risolvere a proprio favore le
cause contro i parenti per il recupero della dote paterna e di quella materna.
Benché potesse contare su amici e congiunti, e sulle conoscenze altolocate
partenopee, tra cui i Carafa (o Carrafa) di Nocera, i Gesualdo, i Caracciolo di
Avellino, i Manso, preferì accettare l'ospitalità di un convento di frati
olivetani. Qui conobbe l'amico più caro degli ultimi anni: Giovan Battista
Manso, signore di Bisaccia e primo entusiasta biografo dell'autore dopo la sua
morte. Il clima amichevole in cui fu accolto, la stima di amici e
letterati, e il conforto di una «bellissima città, la quale è quasi una medicina
al mio dolore»[75], riuscirono a risollevare per un breve periodol'infelice
animo tassiano. Per ringraziare i monaci scrisse il poemetto, rimasto
incompiuto, Monte Oliveto, in riferimento al convento in cui sorgeva il
complesso monastico che attualmente ospita la caserma dei carabinieri (resta
visitabile la chiesa Sant'Anna dei Lombardi). L'operaun resoconto encomiastico
delle principali tappe esistenziali e delle principali virtù di Bernardo
Tolomei, il fondatore della Congregazioneè fortemente intessuta di spirito
cristiano, in un severo richiamo ad una vita sobria, lontana dalle vanità del
mondo. Dedicata al cardinale Antonio Carafa, si interrompe alla centoduesima
ottava.[76] Al pari del Re Torrismondo e di molta parte dell'ultima
produzione tassesca, il Monte Oliveto non ha goduto dei favori della critica.
Guido Mazzoni vi vide più una predica che un poema[77], mentre Eugenio Donadoni
utilizzò quasi le medesime parole che gli erano servite per stroncare il
Torrismondo (v. Re Torrismondo): questa è «l'opera non più di un poeta, ma di
un letterato, che cerca di dare forma e tono epico a una convenzionale vita di
santo».[78] Come per la tragedia nordica, la rivalutazione è arrivata con
l'analisi di Luigi Tonelli e di alcuni studiosi più recenti. In ogni
caso, anche questo periodo napoletano si rivelò problematico per Tasso, a causa
delle precarie condizioni di salute e delle ristrettezze economiche, a cui si
aggiunsero anche nuove polemiche letterarie e religiose sulla Gerusalemme
liberata. Spostatosi a Bisaccia, Tasso poté vivere un periodo di maggiore
tranquillità. Manso ricorda un episodio curioso: mentre sedeva con l'amico
davanti al fuoco, questi disse di vedere uno «Spirito, col quale entrò in
ragionamenti così grandi e meravigliosi per l'altissime cose in essi contenute,
e per un certo modo non usato di favellare, ch'io rimaso da nuovo stupore sopra
me inalzato, non ardiva interrompergli». Alla fine della visione, Manso
confessò di non aver visto nulla, ma il poeta gli si rivolse sorridendo: «Assai
più veduto hai tu, di quello che forse... E qui si tacque».[79] Viste le rare
manifestazioni allucinatorie di cui abbiamo notizia, (si ricordino quelle che
erano state descritte, nel 1580, nel dialogo Il messaggero, in cui è descritto
uno spirito amoroso che appare a Tasso sotto la figura di un giovanetto dagli
occhi azzurri, simili a quelli che Omero alla dea d'Atene attribuisce), la
risposta del Nostro assume una valenza indubbiamente ambigua, e non può
escludersi che avesse voluto mettere alla prova il Manso per vedere se anche
lui lo avrebbe considerato un "folle". Ferdinando I de'
Medici A dicembre era di nuovo a Roma, dove giunse nella speranza di poter
essere ospitato dal Papa in Vaticano, confidando negli illusori pareri di
alcuni amici.[80] Ad ospitare Tasso fu invece Scipione Gonzaga, e il poeta si
sentì di nuovo «più infelice che mai».[81] Ricominciava la routine: richieste
d'aiuto a destra e a sinistra, con l'obiettivo di ricevere i cento scudi che
gli erano stati promessi per la stampa delle sue opere: «vorrei in tutti i modi
trovar questi cento ducati, per dar principio a la stampa, avendo ferma
opinione che di sì gran volume se ne ritrarrebbero molto più», scrisse ad
Antonio Costantini.[82] I destinatari erano ancora una volta i più disparati:
il principe di Molfetta, il Costantini, il duca di Mantova Vincenzo
Gonzaga, gli editori. Il Nostro si umiliò per l'ennesima volta anche con
Alfonso, cui chiese nuovamente perdono, mentre al Granduca di Toscana
Ferdinando I domandò l'intercessione del cardinal Del Monte, lo stesso che
prenderà sotto la propria protezione Caravaggio. Tutte le speranze, però,
furono disattese. Al tempo stesso anche le missive ai medici si rifecero
intense. Tuttavia, in mezzo a tante delusioni e a tanto affanno non venne meno
la verve creativa: oltre ad aver raccolto le Rime in tre volumi, e avervi
scritto il commento, Tasso compose anche un poema pastorale che riprende, anche
se solo nel nome, alcuni personaggi dell'Aminta. È Il rogo di Corinna, dedicato
a Fabio Orsino. La prima pubblicazione dell'opera fu postuma (1608).[83]
Per quanto Grazioso Graziosi, agente del duca di Urbino, dicesse al suo signore
del modo eccellente in cui il Tasso era trattato presso il cardinale Gonzaga,
egli rilevava al contempo le infermità fisiche e mentali di Torquato, che
privavano la sua età «del maggior ingegno che abbian prodotto molte delle
passate».[84] Tuttavia, è bene diffidare della prima quanto della seconda
affermazione. Se «il povero Signor Tasso è veramente degno di molta pietà per
le infelicità della sua fortuna»[85], come si legge in una missiva del Graziosi
di due settimane dopo, perché cacciare il poeta in malo modo, mentre Scipione
Gonzaga non era presente, e costringerlo a una nuova situazione di bisogno? In
aiuto del Tasso vennero ancora i monaci della Congregazione del Tolomei, che lo
ospitarono a Santa Maria Nuova degli Olivetani.[86] Gli ultimi anni del
Tasso, però, non conobbero pace duratura: le sofferenze psichiche si acuirono
nuovamente, certo per le nuove delusioni derivanti da richieste di denaro non
esaudite, dall'obbligo di piegarsi alla composizione di poesie a pagamento, e
il poeta fu costretto a farsi ricoverare nell'Ospedale dei Pazzarelli,
adiacente alla chiesa dei Santi Bartolomeo e Alessandro dei Bergamaschi, la
cui costruzione era appena stata ultimata. Il dolore emerge in modo chiaro in
una lettera inviata il primo dicembre 1589 ad Antonio Costantini, divenuto
ormai suo confidente.[87] A febbraio ritornò presso Scipione Gonzaga,
sempre lamentandosi per la scarsa considerazione in cui era tenuto e sempre
scrivendo della propria infelicità.[88] Tasso premeva, come già più volte in
passato, per essere accolto a Firenze dal Granduca di Toscana, e accettò quindi
con gioia l'invito di Ferdinando de' Medici. A Firenze giunse in aprile, ospite
prima dei fidati Olivetani, poi di ricchi e illustri cittadini quali Pannucci e
Gherardi. Alla tranquillità necessaria per rivedere la Gerusalemme si
aggiunsero anche relative soddisfazioni economiche (sempre comunque in cambio
di versi encomiastici): dal Granduca ricevette centocinquanta scudi[89], da
Giovanni III di Ventimiglia, marchese di Geraci, sembrerebbe, duecento
scudi.[90] Il motivo di gioia principale era tuttavia un altro, era
l'avvicinarsi dell'evento più ambito da chi si sentiva, sopra ogni cosa, poeta:
«Penso a la mia coronazione, la qual dovrebbe esser più felice per me, che
quella de' principi, perché non chiedo altra corona per acquetarmi».[91] Non ci
fu nessuna incoronazione. C'è chi ha asserito che questa lettera contenesse
solo una bislacca speranza del Tasso, senza alcun legame con la realtà.[92]
Tuttavia, la sicurezza con cui l'evento viene ormai dato per certo lascia
pensare che le illusioni del Nostro avessero un fondamento, e non fossero una
pura chimera. Un nuovo evento lo indusse all'ennesimo spostamento: papa
Urbano VII era succeduto a Sisto V, incoraggiando il Tasso a fare nuovamente
affidamento sugli aiuti pontifici. Tasso scese così a Roma, accolto dagli
Olivetani di Santa Maria del Popolo. Giovanni Battista Castagna morì tredici
giorni dopo l'elezione, lasciando il posto a Gregorio XIV. Anche questa volta
le lettere del poeta registrano un amaro scacco: «Ho perduto tutti gli appoggi;
m'hanno abbandonato tutti gli amici, e tutte le promesse ingannato», confidò,
sempre più afflitto, a Niccolò degli Oddi.[93] Il Palazzo Ducale di
Mantova, residenza dei Gonzaga L'autore della Gerusalemme è ogni giorno che
passa più confuso, sballottato qua e là dagli eventi come una barca in mezzo al
mare. Tutto questo riflette la condizione interiore di una persona disincantata
ma al tempo stesso ancora ingenuamente pronta a fidarsi delle fallaci promesse
che giungono dal mondo intorno, riflette un'instabilità ormai cronica. È vero
che la fede andò radicandosi sempre più in Tasso, ma il fatto che al duca di
Mantova scrivesse di volersi ritirare in un monastero e pochi giorni dopo
accettasse il suo invito a tornare a corte è l'evidente manifestazione di
un'anima senza pace.[94] Ritornato quindi sul Mincio (marzo 1591), accolto
con tutti gli onori, poté dedicarsi totalmente al lavoro letterario, e in
particolare alla revisione del capolavoro. La missiva a Maurizio Cataneo del 4
luglio ci informa del fatto che il poeta era già a buon punto, e illustra le
linee direttrici della propria opera correttrice: «sono al fine del penultimo
libro; e ne l'ultimo mi serviranno molte di quelle stanze che si leggono nello
stampeato. Desidero che la riputazione di questo mio accresciuto ed illustrato
e quasi riformato poema toglia il credito a l'altro, datogli dalla pazzia de
gli uomini più tosto che dal mio giudicio».[95] Sono parole che possono parere
sciagurate, ma riflettono gli scrupoli religiosi sempre più pressanti.
Non si era comunque concentrato solo sul poema: aveva raccolto le Rime in
quattro volumi, e con l'editore veneziano Giolito parlava della
possibilità di stampare tutte le opere (esclusa la Gerusalemme) in sei libri. A
tutto questo va aggiunto un nuovo lavoro che aveva intrapreso, lasciandolo poi
incompiuto. La genealogia di Casa Gonzaga, con dedica a Vincenzo, si interruppe
dopo centodiciannove ottave, per essere pubblicato solo nel 1666, tra le Opere
non più stampate dell'edizione romana Dragondelli.[96] Il poemetto è
sicuramente trascurabile, fatto di una versificazione fredda, appesantita da
nozioni e nomi. Tra le fonti il ruolo principale è stato svolto da un regesto
di Cesare Campana, Arbori delle famiglie... e principalmente della Gonzaga,
uscito a Mantova l'anno prima, e dall'Historia sui temporis di Paolo Giovio,
accanto a cui va ricordata la tradizione orale legata alla battaglia del
Taro.[97] La calma, tuttavia, era ormai un ricordo di gioventù, e ogni
soggiorno diventava insopportabile dopo un certo numero di mesi. Così,
ridiscese la penisola, con l'intenzione di raggiungere nuovamente Roma. Il
viaggio fu travagliato e appesantito dal fatto che Tasso si ammalò più volte
durante il tragitto, costretto a sostare in varie località, fra cui Firenze.
Giunto nell'Urbe il 5 dicembre 1591, ricevette l'ospitalità di Maurizio Cataneo.
Poche settimane dopo era ancora in viaggio, diretto a Napoli.[98] Ultimi
anni Cinzio Aldobrandini A questo punto, inaspettatamente, ci fu spazio
per qualche luce e qualche reale soddisfazione. Il soggiorno napoletano, durato
dal febbraio alla fine di aprile del 1592, non tradì, né per quanto riguarda
l'accoglienza ricevuta (fu ospitato dal principe di Conca Matteo di Capua e poi
da Manso con grandi onori e affetto), né sulle questioni letterarie, né su
quelle relative alla salute dell'artista. In effetti, in virtù della «purità
dell'aria»[99], Tasso cominciò a sentirsi meglio, e di conseguenza poté
dedicarsi in modo più proficuo alle proprie attività. In questi mesi completò
la Conquistata, e, sempre durante il soggiorno partenopeo, mise mano all'ultima
opera significativa, Le sette giornate del Mondo creato.[100] Gli ultimi
tre anni di vita lo videro prevalentemente a Roma: nell'aprile 1592 l'elezione
al soglio pontificio di Clemente VIII lo fece venire nell'Urbe, e anche qui
ebbe un trattamento decisamente migliore rispetto alle recenti esperienze. Poté
infatti alloggiare nel palazzo dei nipoti del Papa, Pietro e
CinzioAldobrandini, in procinto di diventare cardinali. Cinzio sarà di fatto il
vero mecenate dell'ultimo periodo. La produzione letteraria ebbe nuovi
sussulti, consacrandosi ormai quasi esclusivamente agli argomenti sacri:
compose i Discorsi del poema eroico e altri Dialoghi, carmi latini e rime
religiose. Addolorato per la morte di Scipione Gonzaga, gli dedicò, nel marzo
1593, Le lagrime di Maria Vergine e Le lagrime di Gesù Cristo.Tasso aveva
intanto finito di rivedere il poema, e sempre nel 1593 vide la luce a Roma, per
i tipi di Guglielmo Facciotti, la Gerusalemme conquistata. Esistono
inoltre chiare testimonianze del fatto che ci fosse l'intenzione di incoronare
Tasso in Campidoglio, nonostante alcuni studiosi si siano osti negarlo e a
considerarla un'invenzione del poeta.[102] «È veramente degno il Signor
Torquato Tasso di esser celebrato in questi medesimi tempi come raro per la sua
poesia, ed è parimente degno della grandezza dell'animo del Signor Cinzio
Aldobrandini di erigergli una statua laureata, con mill'altre cerimonie e
specie, come dicono che tosto si vedrà, e dargli luogo in Campidoglio fra le
più degne ed antiche cerimonie [...]», rivela Matteo Parisetti in una lettera
ad Alfonso II, risalente all'agosto del 1593.[103] Lo stesso Tasso è
esplicito al riguardo: «Qui in Roma mi voglion coronar di lauro», scrive al
Granduca di Toscana il 20 dicembre 1594, «o d'altra foglia».[104] Sennonché,
pur essendo ancora bisognoso di soldi e continuando a fare richiesta per
ottenerli, il poeta sentiva sempre più lontane le preoccupazioni del mondo, e
sempre meno si curava della vanità e dei successi terreni. La salute, dopo la
parentesi napoletana, andava aggravandosi nuovamente, e Torquato cominciava a
capire che la fine non era lontana. Per questo ritornò alle falde del Vesuvio,
per concludere rapidamente in proprio favore la questione legata all'eredità
materna: il risultato fu soddisfacente, acconsentendo il principe di Avellino a
versargli duecento ducati all'anno, ai quali vanno aggiunti cento ducati annui
che il Papa si risolverà a dargli a partire dal febbraio 1595. A Napoli
rimase dal giugno al novembre del 1594, alloggiato al monastero benedettino di
san Severino, sempre più votato alla vita monastica e attratto ancora dalla
letteratura agiografica. Fu probabilmente nei mesi trascorsi presso i
benedettini che Tasso abbozzò l'incompiuta Vita di San Benedetto. Alla fine
dell'anno ritornò a Roma. Cambiò città per l'ultima volta: la fine era
dietro l'angolo. Riconosciuta la definitiva infermità che gli rendeva ormai
impossibile scrivere e correggere, non sentì più che un ultimo bisogno,
tralasciando tutto il resto, il bisogno della «fuga dal mondo». Il 1º aprile
entrò al monastero di S. Onofrio, sul Gianicolo, senza più nemmeno curarsi del
fatto che il Mondo creato non era stato ancora rivisto. Tutto svaniva, di
fronte all'importanza di prepararsi al trapasso: «Che dirà il mio signor Antonio,
quando udirà la morte del suo Tasso? E per mio avviso non tarderà molto la
novella, perch'io mi sento al fine de la mia vita [...] Non è più tempo ch'io
parli de la mia ostinata fortuna, per non dire de l'ingratitudine del mondo».
Tutto perdeva importanza, a fronte della dolcezza della «conversazione di
questi divoti padri», che cominciava «la mia conversazione in
cielo».[106] Monumento in Sant'Onofrio Il 25 aprile, all'«undecima
ora»[107], Torquato Tasso moriva all'età di 51 anni. Era una morte serena,
ricevuta con tutti i conforti dei sacramenti: «La morte del Tasso è
stata accompagnata da una particolar grazia di Dio benedetto, perché in questi
ultimi giorni le duplicate confessioni, le lagrime e insegnamenti spirituali
pieni di pietà e di giudizio, mostrarono che fosse affatto guarito dall'umor
malinconico, e che quasi uno spirito gli avesse accostato al naso l'ampolle del
suo cervello».[108] Venne sepolto nella Chiesa di Sant'Onofrio al
Gianicolo. Presso il monastero, accanto alla strada è ancora visibile la
rampa della quercia, dove si trova il tronco nero di una quercia secolare
sostenuto da un sopporto metallico. Secondo la tradizione locale si tratta
della cosiddetta quercia del Tasso, l'albero alla cui ombra il poeta spesso
sedeva per riposarsi. Albero genealogico Reinerius de Tassis[109] (1117)
SconosciutaOmedeo Tasso (1290)[110] SconosciutaRuggero Tasso[111] SconosciutaBenedetto
Tasso[112] SconosciutaPalazzo de Tassis Tonola de Magnasco (†1504)Pasimo (o
Paxio) de Tassis. (†1496) SconosciutaPietro Tasso. SconosciutaGiovanni Tasso[116]
Catalina de Tassi[117]Gabriel Tasso Porzia de RossiBernardo Tasso Torquato
Tasso Opere Un ritratto a Sorrento. Gerusalemme Scritto quando egli aveva
solo 15 anni il Gierusalemme rappresenta il primissimo tentativo di Tasso di
maneggiare il genere epico nonché il suo primo impegno letterario di rilievo.
Se ne possiedono soltanto centosedici stanze del canto I. Oltre a condividere
con la Liberata l'argomento (la prima Crociata), si notano pure alcune somiglianze
tra il proemio di questo esordio poetico giovanile e quello del capolavoro
della maturità. Rinaldo All'età di diciotto anni Tasso riprese la materia
del romanzo cavalleresco e nel 1562 pubblicò il Rinaldo, poema in ottave che
narra in dodici canti (circa 8000 versi) la giovinezza del paladino della
tradizione carolingia e le sue imprese di armi e di amori. Nella prefazione al
poema Tasso dichiara di voler imitare in parte gli "antichi" (Omero e
Virgilio), in parte i "moderni" (Ariosto). Si concentra però su un
unico protagonista, secondo le esigenze di unità proposte dall'aristotelismo.
Si tratta di un'opera tipicamente giovanile, ancora priva di originalità, ma
compaiono già alcuni temi e toni fondamentali che caratterizzeranno il Tasso
maturo e formato culturalmente. Rime Torquato Tasso compose un gran
numero di poesie liriche, lungo l'arco di tutta la sua vita. Le prime furono
pubblicate nel 1567 col titolo di Rime degli Accademici Eterei. Nel 1581
uscirono Rime e prose. Tasso lavorò fino al 1593 ad un riordino complessivo dei
testi, distinguendo rime amorose e rime encomiastiche. Previde poi una terza
sezione, dedicata alle rime religiose e una quarta di rime per musica, ma non
realizzò il progetto. Nelle Rime amorose è ben riconoscibile l'influenza
della poesia petrarchesca e della vasta produzione petrarchistica del
Quattrocento e Cinquecento; contemporaneamente, però, il gusto per le
preziosità linguistiche e l'intensa sensualità rivelano l'evoluzione verso un
linguaggio nuovo che maturerà nel Seicento. L'uso frequente di forme metriche
poco usate dai poeti precedenti, come il madrigale, e la raffinata musicalità
dei versi fecero sì che molti di essi fossero musicati da grandi autori come
Claudio Monteverdi e Gesualdo da Venosa. Più solenni e classicheggianti
le Rime encomiastiche, dedicate alle figure e alle famiglie signorili che
ebbero rilievo nella vita del poeta. Per la loro creazione si ispira a Pindaro,
Orazio e al celebre Monsignor della Casa. Fra tutte, la più famosa è la Canzone
al Metauro, intessuta di elementi autobiografici. Le Rime religiose sono
caratterizzate dal tono cupo e plumbeo, forse dovuto al fatto che le scrisse
negli ultimi anni di vita. Qui il poeta manifesta il desiderio di sconfiggere
l'ansia esistenziale e il tormentoso senso del peccato attraverso la fede e
l'espiazione. Discorsi dell'arte poetica Attorno alla metà degli Anni
Sessanta scrisse i quattro libri dei Discorsi dell'arte poetica ed in
particolare sopra il poema eroico, letti all'Accademia Ferrarese e pubblicati
molto più tardi, nel 1587, dal Licino. Il testo fornisce una chiara visione
della concezione tassesca del poema eroico, piuttosto distante da quella
ariostesca, che dava la prevalenza all'invenzione e all'intrattenimento del
pubblico. Perché possa essere giudicato di buon livello, deve basarsi su
un evento storico, da rielaborare in modo inedito. Infatti, «la novità del
poema non consiste principalmente in questo, cioè che la materia sia finta, e
non più udita; ma consiste nella novità del nodo e dello scioglimento della
favola».[118] Al verosimile deve essere unito il meraviglioso, e Tasso
trova l'unione perfetta di queste due componenti nella religione
cristiana.[119] Intiera, l'opera deve essere una, ossia prevedere l'unità
d'azione, ma senza schemi rigidi: ci può essere largo spazio per la varietà, e
per la creazione di numerosi racconti nel racconto, e in questo senso la
Gerusalemme liberata costituisce una piena realizzazione delle idee
dell'autore. Lo stile, infine, deve adeguarsi alla materia, e variare tra il
sublime e il mediocre a seconda dei casi. Aminta Magnifying glass icon
mgx2.svg Aminta (Tasso). Le sofferenze di Aminta, dipinto di Bartolomeo
Cavarozzi «L'Aminta non è un dramma pastorale e neppure un dramma. Sotto nomi
pastorali e sotto forma drammatica è un poemetto lirico, narrazione
drammatizzata, anzi che vera rappresentazione, com'erano le tragedie e le
commedie e i così detti drammi pastorali in Italia … Essa è in fondo una
novella allargata a commedia, di quel carattere romanzesco che dominava
nell'immaginazione italiana, aggiuntavi la parte del buffone, che è il Ruffo,
la cui volgarità fa contrasto con la natura cavalleresca de' due protagonisti,
Virginia e il principe di Salerno. Gli avvenimenti più strani si accavallano
con magica rapidità, appena abbozzati, e quasi semplice occasione a monologhi e
capitoli, dove paion fuori i sentimenti dei personaggi misti alla narrazione …
L'Aminta è un'azione fuori del teatro, narrata da testimoni o da partecipi con
le impressioni e le passioni in loro suscitate. L'interesse è tutto nella
narrazione sviluppata liricamente e intramessa di cori, il cui concetto è
l'apoteosi della vita pastorale e dell'amore: "s'ei piace, ei lice".
Il motivo è lirico, sviluppo di sentimenti idillici, anzi che di caratteri e di
avvenimenti. Abbondano descrizioni vivaci, soliloqui, comparazioni, sentenze,
movimenti appassionati. Vi penetra una mollezza musicale, piena di grazia e
delicatezza, che rende voluttuosa anche la lacrima. Semplicità molta è
nell'ordito, e anche nello stile, che senza perder di eleganza guadagna di
naturalezza, con una sprezzatura che pare negligenza ed è artificio finissimo.
Ed è perciò semplicità meccanica e manifatturata, che dà un'apparenza pastorale
a un mondo tutto vezzi e tutto concetti. È un mondo raffinato, e la stessa
semplicità è un raffinamento. A' contemporanei parve un miracolo di perfezione,
e certo non ci è opera d'arte così finamente lavorata.» (Francesco
De Sanctis) L'Aminta è una favola pastorale composta nel 1573 e pubblicata nel
1580 ca. Presenta un prologo, 5 atti, un coro. Ogni canto si conclude a lieto
fine. Ha ispirato la composizione della favola pastorale Flori di
Maddalena Campiglia lodata dallo stesso Torquato Tasso. Re Torrismondo
Intorno al 1573-1574, sulle ali dell'entusiasmo per il successo dell'Aminta
Tasso incominciò una tragedia, Galealto re di Norvegia, che però interruppe
alla seconda scena del secondo atto. Il poeta la riprese e la completò a
Mantova, subito dopo la liberazione dall'Ospedale di Sant'Anna cambiando però
il titolo, diventato Re Torrismondo, e il nome del protagonista.
L'ambientazione è nordica: in essa sono frequenti le immagini di distese
boschive. In questo, il Tasso mostra la sua forte curiosità per le leggende
nordiche, come ad esempio mostra la lettura dell'Historia de gentibus
septentrionalibus di Olao Magno. L'editio princeps è quella bergamasca
del 1587; seguirono a ruota le edizioni di Mantova, Ferrara, Venezia e Torino,
ma poi ci fu un lungo silenzio. L'opera fu rappresentata per la prima volta
soltanto nel 1618 al Teatro Olimpico di Vicenza. Trama Torrismondo è
intimamente segnato dal conflitto tra amore e amicizia: il sovrano (d'una
ignota regione nordica, non di Norvegia) ama Alvida, che a causa di un debito
passato (Germondo aveva salvato la vita a Torrismondo) deve sposarsi con
l'amico Germondo, re di Svezia, regno nemico a quello di Alvida poiché Germondo
stesso era stato accusato di omicidio del fratello di Alvida. Germondo dunque
non può sposarsi con la donna amata poiché il padre di quest'ultima lo odia.
Germondo decide allora che Torrismondo per sdebitarsi avrebbe dovuto chiedere
la mano di Alvida e al momento delle nozze avrebbe dovuto scambiare la sposa.
Ottenuta da Torrismondo la mano di Alvida i due consumano l'amore. La storia
prenderà un'altra china quando Torrismondo scoprirà che la donna amata non è
altri che la sorella, la situazione culminerà nel suicidio dei due. Il Re
Torrismondo è molto importante perché anticipa le tragedie barocche, nelle
quali si riprendono alcune caratteristiche fondamentali delle tragedie
senecane: la meditatio mortis (il Memento mori) e il gusto dell'orrido. Nel
Tasso, però, ciò che compare fortemente e caratterizza le sue tragedie è il
conflitto intimo che dilania l'animo dei personaggi: l'uomo si sente
intrappolato dal fato, poiché impossibilitato all'agire, a modificare il corso
degli eventi ormai già predisposti. Tuttavia, la critica non si è
espressa positivamente in merito all'opera: Angelo Solerti e Francesco D'Ovidio
si sono mostrati ostili verso il Torrismondo come lo erano stati nei confronti
degli Intrichi d'amore[120], e severo si è dimostrato anche Umberto Renda, che
alla tragedia ha dedicato una monografia.[121] Ancora più duro il giudizio di
Eugenio Donadoni, che arrivò a parlare di «opera di un ex-poeta, non più di un
poeta»[122], e nemmeno Giosuè Carducci, pur apprezzando lo sforzo di unire
elementi pagani e religiosi, classici ed esotici, ha ritenuto il dramma degno
dell'ingegno tassesco.[123] Solo Luigi Tonelli, nel 1935, ha fatto presente che
superava pur sempre «la maggior parte delle tragedie cinquecentesche e
rivaleggiava con le migliori del tempo».[124] Gerusalemme liberata
Magnifying glass icon mgx2.svg Gerusalemme liberata. Torquato Tasso con
la sua Gerusalemme liberata La Gerusalemme liberata è considerata il capolavoro
di Tasso. Il poema tratta di un avvenimento realmente accaduto, ossia la prima
crociata. Tasso iniziò a scrivere l'opera con il titolodi Gierusalemme nel 1559
durante il soggiorno a Venezia e la concluse nel 1575. L'opera fu pubblicata
integralmente nel 1581 con il titolo di Gerusalemme liberata. In seguito alla
pubblicazione del poema il poeta rimise mano all'opera e la riscrisse
eliminando tutte le scene amorose e accentuando il tono religioso ed epico
della trama. Cambiò anche il titolo in Gerusalemme conquistata. In realtà la
Conquistata fu immediatamente dimenticata e la redazione che continuò ad avere
grande successo e ad essere ristampata, in Italia e nei paesi stranieri, fu la
Liberata. Trama Goffredo di Buglione nel sesto anno di guerra raduna i
crociati, viene eletto comandante supremo e stringe d'assedio Gerusalemme. Uno
dei guerrieri musulmani decide di sfidare a duello il crociato Tancredi. Chi
vince il duello vince la guerra. Il duello però viene sospeso per il
sopraggiungere della notte e rinviato. I diavoli decidono di aiutare i
musulmani a vincere la guerra. Uno strumento di Satana è la maga Armida che con
uno stratagemma riesce a rinchiudere tutti i migliori eroi cristiani, tra cui Tancredi,
in un castello incantato. L'eroe Rinaldo per aver ucciso un altro crociato che
lo aveva offeso viene cacciato via dal campo. Il giorno del duello arriva e
poiché Tancredi è scomparso viene sostituito da un altro crociato aiutato da un
angelo. I diavoli aiutano il musulmano e trasformano il duello in battaglia
generale. I crociati sembrano perdere la guerra quando arrivano gli eroi
imprigionati liberati da Rinaldo che rovesciano la situazione e fanno vincere
la battaglia ai cristiani. Goffredo ordina ai suoi di costruire una torre per
dare l'assalto a Gerusalemme ma Argante e Clorinda (di cui Tancredi è
innamorato) la incendiano di notte. Clorinda non riesce a entrare nelle mura e
viene uccisa in duello proprio da colui che l'ama, Tancredi, che non l'aveva
riconosciuta. Tancredi è addolorato per aver ucciso la donna che amava e solo
l'apparizione in sogno di Clorinda gli impedisce di suicidarsi. Il mago Ismeno
lancia un incantesimo sul bosco in modo che i crociati non possano ricostruire
la torre. L'unico in grado di spezzare l'incantesimo è Rinaldo, prigioniero
della maga Armida. Due guerrieri vengono inviati da Goffredo per cercarlo e
alla fine lo trovano e lo liberano. Rinaldo vince gli incantesimi della selva e
permette ai crociati di assalire e conquistare Gerusalemme. I Dialoghi La
stesura di prose dialogiche impegnò Tasso fin dal 1578, anno della composizione
del Forno overo de la Nobiltà. La dialogistica tassiana è stata da sempre
relegata al margine dalla critica: De Sanctis accenna soltanto al Minturo overo
della Bellezza, limitandosi ad asserire che Tasso da giovane fu “infetto dalla
peste filosofica”. Un giudizio a dir poco sminuente se si considera che il
poeta compose venticinque dialoghi (e questa è solo la cifra canonica; non si
fa riferimento, infatti, agli abbozzi e ai rimaneggiamenti) e vi pose il suo
impegno fino alla morte. Una valutazione più precisa è fornita da
Donadoni: lo studioso dedica un intero capitolo della sua monografia ai
Dialoghi indagandone trame, fonti e suggestioni. La prima edizione moderna
del corpus dialogico tassiano è quella di Guasti (1858-1859), il quale, però,
non riuscendo a reperire tutti i manoscritti dei Dialoghi si basa sui testimoni
a stampa, dando vita ad un’edizione, che presenta corruttele da far rabbrividire
i moderni filologi. Un grande passo in avanti nella fortuna dei Dialoghi
è rappresentato dall’edizione critica di Ezio Raimondi pubblicata nel 1958, di
capitale importanza per gli studiosi tassiani i quali, ancora oggi, continuano
a considerarla punto di riferimento. Raimondi considerò i Dialoghi tassiani
come opere postume, scegliendo la versione più attendibile fra manoscritti e
stampe in base alla loro storia individuale. Questo criterio non è stato
accettato da Stefano Prandi e Carlo Ossola, i quali hanno proposto un’edizione
storica dei Dialoghi che tenesse conto dei testi effettivamente circolanti
all’epoca dello scrittore. L’edizione in realtà non ha mai visto la luce e si è
fermata al 1996 ad uno specimen che avrebbe dovuto anticipare una successiva
edizione completa. Negli ultimi anni gli studiosi della prosa tassiana
sono aumentati: si è posta attenzione al Tasso politico, con due edizioni
commentate della Risposta di Roma a Plutarco[125][126] e al Tasso egittologo di
cui si è occupato Bruno Basile. Non mancano letture dei singoli dialoghi:
Basile e Arnaldo Di Benedetto si sono occupati del Padre di Famiglia
(rispettivamente, Fonti culturali e invenzione letteraria nel «Padre di
famiglia» di Torquato Tasso; e Torquato Tasso, «Il padre di famiglia»); Emilio
Russo del Manso (Amore e elezione nel "Manso" di Torquato Tasso),
Massimo Rossi del Malpiglio Secondo e del Rangone (Io come filosofo era stato
dubbio. La retorica dei "Dialoghi" di Tasso); Maiko Favaro, dopo la
monografia di Prandi/Ossola, ha offerto una puntuale lettura del Forno,
premiata con il premio Tasso (Le virtù
del tiranno e le passioni dell’eroe. Il “Forno overo de la Nobiltà” e la
trattatistica sulla virtù eroica); Angelo Chiarelli si è, invece, occupato del
Malpiglio overo de la corte (Una «congregazione di uomini raccolti per onore».
Tentativi di aggiornamento della teoria cortigiana nella dialogistica e nella
prosa tassiana[127]), preceduto dal contributo di Massimo Lucarelli sullo
stesso argomento (Il nuovo «Libro del Cortegiano»: una lettura del «Malpiglio»
di Tasso) e del Costante («Questa concordia è sempre nelle cose vere». Note per
una contestualizzazione de «Il Costante overo de la clemenza» di
Tasso[128]). L'edizione critica di Raimondi fornisce il testo dei venticinque
dialoghi tassiani, con un'appendice che ci permette di conoscere i manoscritti
superstiti e le stampe. Questo il titolo dei vari dialoghi: Il Forno
overo de la Nobiltà; Il Beltramo overo de la cortesia; Il Forestiero Napoletano
overo de la gelosia; Il N. overo de la pietà; Il Nifo overo del piacere; Il
messaggiero; Il padre di famiglia; De la dignità; Il Gonzaga secondo overo del
giuoco; Dialogo; Il Rangone overo de la pace; Il Malpiglio overo de la corte;
Il Malpiglio secondo overo del fuggir la moltitudine; La Cavalletta overo de la
poesia toscana; Il Gianluca overo de le maschere; Il Cataneo overo de gli
idoli; Il Ghirlinzone overo l'epitaffio; La Molza overo de l'amore; Il Costante
overo de la clemenza; Il Cataneo overo de le conclusioni amorose; Il Manso
overo de l'amicizia; Il Ficino overo de l'arte; Il Minturno overo de la
bellezza; Il Porzio overo de le virtù; Il Conte overo de le imprese. Le sette
giornate del mondo creato È un poema in endecasillabi sciolti, composto tra il
1592 e il 1594, accanto ad altre opere di contenuto religioso di impronta
chiaramente controriformistica. Il poema venne pubblicato postumo nel 1607. Si
fonda sul racconto biblico della creazione ed è suddiviso in sette parti,
corrispondenti come dice il titolo ai sette giorni nei quali Dio creò il mondo,
e presenta una continua esaltazione della grandezza divina della quale la
realtà terrena è un pallido riflesso. Le lacrime di Maria Vergine e Le
lacrime di Gesù Cristo Si tratta, come nel caso de Le sette giornate del mondo
creato, di due scritti facenti parte delle cosiddette "opere devote"
del Tasso. Nello specifico, sono due poemetti in ottave che riprendono la
tradizione della "poesia delle lacrime", in voga nella seconda metà
del Cinquecento, scritti e pubblicati nel 1593, appena qualche anno prima della
morte. Influenze culturali Statua di Tasso a Sorrento La figura del
Tasso, anche per la sua pazzia, divenne subito popolare. La lucidità delle
opere scritte durante il periodo di prigionia nell'Ospedale di Sant'Anna fece
diffondere la leggenda secondo cui il poeta non era veramente pazzo ma fu fatto
passare per tale dal duca Alfonso che voleva punirlo per aver avuto una
relazione con sua sorella, imprigionandolo (anche se, come si è visto, è assai
più probabile che la vera ragione della reclusione consistesse nell'autoaccusa
del poeta di fronte al tribunale dell'Inquisizione). Questa leggenda si diffuse
rapidamente e rese particolarmente popolare la figura del Tasso, fino a
ispirare a Goethe il dramma Torquato Tasso (1790)[129]. In età romantica
il poeta divenne il simbolo del conflitto individuo-società, del genio
incompreso e perseguitato da tutti coloro che non sono in grado di comprendere
il suo talento straordinario. In particolare Giacomo Leopardi, che quando si recò
a Roma il giorno venerdì 15 febbraio del 1823 pianse sul sepolcro del Poeta in
S. Onofrio (commentando in una lettera che quella esperienza era stata per lui
"il primo e l'unico piacere che ho provato in Roma"), considerava
Torquato Tasso come un fratello spirituale, ricordandolo in numerosi passi dei
propri scritti (tra cui quello citato) e nel Dialogo di Torquato Tasso e del
suo Genio familiare (una delle Operette morali). Molta parte della poesia
recanatese è impregnata di stile tassesco: i notturni di alcuni canti, come La
sera del dì di festa o Canto notturno di un pastore errante dell'Asia,
richiamano quelli della Gerusalemme, mentre nella canzone Ad Angelo Mai
Leopardi crea una forte empatia con il «misero Torquato»[130], spirito fraterno
«concepito come un alter ego».[131] I due nomi femminili più celebri presenti
nei Canti, Silvia e Nerina, furono ripresi dall'Aminta. In generale,
l'attenzione si spostò dai personaggi della Liberata al dramma esistenziale
vissuto dal suo autore. Pochi anni dopo, nel 1833, Jacopo Ferretti scrisse le
parole del Torquato Tasso, melodramma in tre atti musicato da Gaetano Donizetti
e rappresentato per la prima volta al Teatro Valle.[132] Il "mito"
conquistò anche Franz Liszt: era il 1849 quando l'apostolo del Romanticismo
metteva in musica l'opera byroniana Il lamento del Tasso, dando vita al poema
sinfonico Tasso. Lamento e Trionfo. Il poeta vicentino ottocentesco
Jacopo Cabianca ha dedicato al Tasso un poema in dodici canti intitolato
appunto Il Torquato Tasso. Nei primi anni del ventesimo secolo il
compositore catanese Pietro Moro si concentrò sugli ultimi momenti di vita del
poeta con Ultime ore di Torquato Tasso, carme in un atto sulle parole di
Giovanni Prati (riviste per l'occasione da Rojobe Fogo). Torquato Tasso
nel cinema Torquato Tasso, regia di Luigi Maggi (1909) Torquato Tasso, regia di
Roberto Danesi (1914) Adattamenti cinematografici de La Gerusalemme liberata Il
primo regista a girare un film sull'opera fu Enrico Guazzoni. Lo stesso nel
1913 e nel 1918 ne farà due remake; Gerusalemme liberata, di Enrico
Guazzoni (1910); La Gerusalemme liberata, di E. Guazzoni (1918); La Gerusalemme
liberata, di Carlo Ludovico Bragaglia (1957); I due crociati, parodia di
Giuseppe Orlandini con Franco e Ciccio (1968). Nel 2009 Alitalia gli ha dedicato uno dei suoi
Airbus A320-216 (EI-DTH). Laurea poetica (postuma) nastrino per uniforme
ordinariaLaurea poetica (postuma) — Roma, 1595
Biografie Giovan Pietro D'Alessandro, Vita di Torquato Tasso (1604), ed.
da C. Gigante, in «Giornale storico della Letteratura Italiana», Giovan
Battista Manso, Vita di Torquato Tasso (1621), B. Basile, Roma, Salerno
Editrice, 1995 Pier Antonio Serassi, La vita di Torquato Tasso, Bergamo, Stamp.
Locatelli, 1790², 2 to. Angelo Solerti, Vita di Torquato Tasso, Torino-Roma,
Loescher, 1895, 3 voll. Luigi Tonelli, Tasso, Torino, Paravia, 1935 Giulio
Natali, Torquato Tasso, Roma, Tariffi, 1943 Capitoli di storie letterarie
Ettore Bonora, in Storia della letteratura italiana, dir. E. Cecchi e N. Sapegno,
Milano, Garzanti, Marziano Guglielminetti, in Storia della civiltà letteraria
italiana, dir. G. Barberi Squarotti, Torino, Utet, 1990, III,
303–355 Guido Baldassarri, in Storia generale della letteratura
italiana, N. Borsellino e W. Pedullà, V.
L'età della Controriforma. Il tardo Cinquecento, Milano, Motta, 1999, 281–446. Monografie critiche Francesco Falco,
Dottrine filosofiche di Torquato Tasso, Lucca, Serchio, 1895. Felice Vismara,
L'animo di Torquato Tasso rispecchiato ne' suoi scritti, Milano, Hoepli, 1895.
Giuseppe Bianchini, Il pensiero filosofico di Torquato Tasso, Verona, Drucker,
1897. Augusto Sainati, La lirica di Torquato Tasso, Pisa, Nistri, 1912. Eugenio
Donadoni, Tasso, Venezia, La Nuova Italia, 1928². Giovanni Getto,
Interpretazione del Tasso, Napoli, ESI, 1966. Mario Fubini, La poesia del
Tasso, in Studi sulla letteratura del Rinascimento, Firenze, La Nuova Italia,
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Moretti, Torquato Tasso, Roma-Bari, Laterza, 1974. Arnaldo Di Benedetto, Con e
intorno a Torquato Tasso, Napoli, Liguori, 19963. Franco Fortini, Dialoghi col
Tasso, Torino, Bollati Boringhieri, 1999
88-339-1132-2. «Nel mondo mutabile e leggiero» Torquato Tasso e la
cultura del suo tempo, Pasquale Sabbatino, Dante Della Terza, Giuseppina
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Torino, UTET, Appendice alle opere in prosa, A. Solerti, Firenze, Successori Le
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Documenti di lingua pubblicati dall'Accademia della Crusca»), 1958, 3 voll. (4
tomi). Discorsi dell'arte poetica e del poema eroico, L. Poma, Bari, Laterza
(«Scrittori d'Italia»), 1964. Discorso della virtù feminile e donnesca, M.L.
Doglio, Palermo, Sellerio, 1997. Gerusalemme conquistata, L. Bonfigli,
Bari, Laterza («Scrittori d'Italia»), 1934, 2 voll. Gerusalemme conquistata.
Ms. Vind. Lat. 72 della Biblioteca Nazionale di Napoli, C. Gigante, Alessandria,
Edizioni dell'Orso, . Gerusalemme liberata, L. Caretti, Milano, Mondadori («I
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Salerno Editrice («Testi e documenti di letteratura e di lingua», XX), 2000. Il
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Parma-[Milano], Guanda-Fondazione Pietro Bembo («Biblioteca di scrittori
italiani»), 1993. Intrichi d'amore, E. Malato, Roma, Salerno Editrice («Testi e
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per ordine di tempo ed illustrate da C. Guasti, Firenze, Le Monnier, Le prose
diverse, C. Guasti, 2 voll., Firenze, Le Monnier, 1875. Le Rime, B. Basile, 2
voll., Roma, Salerno Editrice, 1994. Le Rime, edizione critica su i manoscritti
e le antiche stampe A. Solerti, Bologna, Romagnoli-Dall'Acqua, 1898-1902, 4
voll. Lettere poetiche, C. Molinari, Parma-[Milano], Guanda-Fondazione Pietro
Bembo («Biblioteca di scrittori italiani»), 1995. Mondo creato, G. Petrocchi,
Firenze, Le Monnier, 1951. Opere minori in versi, A. Solerti, Bologna,
Zanichelli, 1891, 2 voll. Prose, E. Mazzali, Milano-Napoli, Ricciardi, 1959, 410–85. Rinaldo, L. Bonfigli, Bari, Laterza
(«Scrittori d'Italia»), 1936. Risposta di Roma a Plutarco, E. Russo, commento
di E. Russo e C. Gigante, Torino, RES, 2007. Teatro, M. Guglielminetti, Milano,
Garzanti, Risposta di Roma a Plutarco e Marginalia, Paola Volpe Cacciatore,
Roma, ESL, Studi critici Sulla vita di Tasso e sulla fortuna Arnaldo Di
Benedetto, «La sua vita stessa è una poesia»: sul mito romantico di Torquato
Tasso, in Dal tramonto dei Lumi al Romanticismo. Valutazioni, Modena, Mucchi,
2000, 203–242. Maria Luisa Doglio,
Origini e icone del mito di Torquato Tasso, Roma, Bulzoni, 2002. Anderson
Magalhães, «Uno scrittore di cose secrete»: la fortuna de Il Secretario di
Torquato Tasso fra Italia e Francia, in «Il Segretario è come un angelo». Trattati,
raccolte epistolari, vite paradigmatiche, ovvero come essere un buon segretario
nel Rinascimento, Atti del XIV Convegno Internazionale di Studio organizzato
dal Gruppo di Studio sul Cinquecento francese, Verona 25-27 maggio 2006,
Rosanna Gorris Camos, Fasano, Schena, 2008,
109–142. Umberto Lorenzetti, Cristina Belli Montanari, L'Ordine Equestre
del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Tradizione e rinnovamento all'alba del Terzo
Millennio, Fano (PU), settembre . Sulle Rime Arnaldo Di Benedetto, Fra
petrarchismo e Barocco: le «Rime» di Torquato Tasso, «A me versato il mio dolor
sia tutto», Lo sguardo di Armida (Un'icona della «Gerusalemme liberata»), Per
un anonimo in meno: l'autore del dialogo «Il Tasso», in Tra Rinascimento e
Barocco. Dal petrarchismo a Torquato Tasso, Firenze, Società Editrice
Fiorentina, Massimo Colella, «Parmi ne’ sogni di veder Diana». Emersioni
seleniche nelle Rime di Torquato Tasso, in «Griseldaonline», 14, .[133]
Sull'«Aminta» Mario Fubini, L'«Aminta»: intermezzo alla tragedia della «Liberata»,
in Studi sulla letteratura del Rinascimento, cit., 200-15. Maria Grazia Accorsi, «Aminta»:
ritorno a Saturno, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1998. Arnaldo Di Benedetto, Il
sorriso dell'«Aminta», in «Giornale storico della letteratura italiana», Arnaldo
Di Benedetto, Tasso, Haller, Ungaretti, in «Studi tassiani», LIX-LXI (-), 89-95. Sui Dialoghi Arnaldo Di Benedetto,
Torquato Tasso, «Il padre di famiglia», in L'«incipit» e la tradizione
letteraria italiana. Dal Trecento al tardo Cinquecento, Pasquale Guaragnella e
Stefania De Toma, Lecce-Brescia, Pensa MultiMedia, , 365–376. Angelo Chiarelli, «Questa
concordia è sempre nelle cose vere». Note per una contestualizzazione de «Il
Costante overo de la clemenza» di Tasso, in «Filologia e Critica», Angelo
Chiarelli, Una «congregazione di uomini raccolti per onore». Tentativi di
aggiornamento della teoria cortigiana nella dialogistica e nella prosa
tassiana, in «La Rassegna della letteratura italiana», , 121, nº1,
34-43. Raimondi Ezio, Il Problema Filologico e Letterario dei Dialoghi
di T. Tasso, in Rinascimento Inquieto, Einaudi, Torino 1994, 189-217. Bozzola Sergio, «Questo quasi
arringo del ragionare». La Tecnica dei «Dialoghi» Tassiani, in «Italianistica,
Rivista di Letteratura Italiana», LIX 1998,
71-79. Baldassarri Guido, L’arte del dialogo in Torquato Tasso, in
«Studi Tassiani», XX 1970, 5-46.
Note Guido Armellini e Adriano Colombo, Torquato TassoL'uomo, in
Letteratura italianaGuida storica: Dal Duecento al Cinquecento, Zanichelli
Editore, Luperini, Cataldi, Marchiani, La scrittura e l'interpretazione,
Palumbo, 1997, 3, pag. 91; L. Tonelli,
Tasso, Torino 193540 Lettere di Torquato
Tasso, Firenze, Le Monnier, 1901,
II90 L. Tonelli, cit.42 G. Natali, Torquato Tasso, Roma, 1943, 13-14.
G. Natali, cit., 14-16 A. Solerti, Vita di Torquato Tasso, Torino
1895, I,
51-52. Altri pensano invece che queste sperimentazioni risalgano al
periodo patavino o addirittura a quello bolognese. G. Natali, cit., Luperini, Cataldi, Marchiani, La scrittura e l'interpretazione,
Palumbo, 1997, 3, pag. 96 G. Natali, cit., 21-22
G. Natali, cit.20 L. Tonelli,
cit.68 G. Natali, cit.22; L. Tonelli,
cit.60 E. Durante, A. Martellotti,
«Giovinetta Peregrina». La vera storia di Laura Peperara e Torquato Tasso, Firenze,
Olschki, W. Moretti, Torquato Tasso,
Roma-Bari 198110 Baldi, Giusso, Razetti,
Zaccaria, Dal testo alla storia. Dalla storia al testo, Milano: Paravia, 1994, 2/1653
L. Tonelli, cit., 72-73; il
rapporto amoroso è stato ipotizzato in particolare da Angelo de Gubernatis in
T. Tasso, Roma, Tipografia popolare, 1908
L. Tonelli, cit.82 Lettere, cit.,
I22 L. Tonelli, cit.89 L. Tonelli, cit., 99-100
Lettere, cit., I49 Secondo Maria
Luisa Doglio la data non è casuale e si inserirebbe nella tradizione
petrarchesca. Petrarca avrebbe infatti visto per l'unica volta Laura il 6
aprile 1327; cfr. M. L. Doglio, Origini e icone del mito di Torquato Tasso,
Roma 200221 Lettere, cit., I61 Lettere, cit., I67 Lettere, cit., I114 Si tratta di un'epistola al Gonzaga del
luglio 1575; Lettere, cit., I103 L.
Tonelli117 S. Guglielmino, H. Grosser,
Il sistema letterario, Milano, Principato, 1996, 2/A367
L. Tonelli, cit., 94-95 Lettere, cit, I141 Si trattava comunque di uno stipendio
oggettivamente basso, che a una persona comune avrebbe garantito a stento la
sopravvivenza; L. Tonelli, cit.172
Lettere, L. Chiappini, Gli Estensi, Milano, Dall'Oglio, 1967303 A. Solerti, cit., II, 118-119
A. Solerti, cit., II,
120-121 A. Solerti, cit.,
II124 L. Tonelli, cit.176 G. B. Manso, Vita del Tasso, in Opere del
Tasso, Firenze, 1724, IXXVIII M. Vattasso, Di un gruppo sconosciuto di
preziosi codici tasseschi, Torino, 192519
M. Vattasso, cit.8 A. Solerti,
cit., II139 L. Tonelli, cit.181 M.
L. Doglio, cit.23 I. De Bernardi, F.
Lanza, G. Barbero, Letteratura Italiana,
2, SEI, Torino, 1987 Lettere,
cit., I298 Lettere, cit., I299 A. Solerti, cit., II143; così scrive al
cardinale Luigi un suo informatore il 14 marzo
L. Tonelli, cit.182 Lettere,
cit., II89 L. Tonelli, cit.187 A. Solerti, cit., I, 313-314
T. Tasso, Lettere, Cesare Guasti, Napoli, Rondinella, 1857, I, 166-168
A. Corradi, Delle infermità di Torquato Tasso, Regio Instituto
Lombardo548 L. Tonelli, cit., 118-119
M. L. Doglio, cit., 41 e ss. Opere di Torquato Tasso, Firenze, Tartini e
Franchi, 1724, V412 L. Tonelli, cit., 207-211
Infarinato era il nome accademico assunto dal Salviati Tra parentesi sono indicate le date di
pubblicazione L. Tonelli, cit.216 Opere, cit., II276 Tra parentesi si indicano due date, quella di
composizione e quella di pubblicazione
Lettere, cit., II56 La prima
versione di quelli che saranno Gli intrichi d'amore non ci è pervenuta L. Tonelli, cit.238 L. Tonelli, F. D'Ovidio, Saggi critici, Napoli,
Morano, Non fu più tenero il Solerti; cfr. op. cit., I475 L. Chiappini, cit303 L. Tonelli, cit.188 L.Tonelli,
247-248 A. Solerti, cit.,
II, 277 e ss. Lettere, cit., IV, 8-9 L.
Tonelli, cit., 266-267 Lettere, cit., IV55 L. Tonelli, cit., 270-273
G. Mazzoni, Del Monte Oliveto e del Mondo creato di Torquato Tasso, in
Opere minori in versi di Torquato Tasso, Bologna, Zanichelli, IIXI E. Donadoni, Torquato Tasso, Firenze,
Battistelli, 1921, II225 G. B. Manso, Vita di T. Tasso, in Opere di
Torquato Tasso, Firenze 1724, cit.,
XLVI-XLVII Lettere, cit., IV,
p.152 Così al Costantini; Lettere, cit.,
IV149 Lettere, IV180 L. Tonelli, cit.275 Passo riportato in A. Solerti, cit.,
II323 A. Solerti, cit., II326 L. Tonelli, cit.276 Lettere, cit., IV265 Lettere, cit., IV, 296-297
Lettere, cit., IV334 Lettere,
cit., IV333: "A niuno sono più obligato che a Vostra Eccellenza, ed a
niuno vorrei essere maggiormente; perché è cosa da animo grato l'esser capace
de le grazie e de gli oblighi. Laonde non ho voluto più lungamente ricusare il
secondo suo dono di cento scudi, bench'io non abbia mostrato ancora alcuna
gratitudine del primo; ma la conservo ne l'animo, e ne le scritture: e ne l'uno
sarà forse eterna, e ne l'altre durerà tanto, quanto la memoria de le mie fatiche.
Niuno de' presenti o de' posteri saprà chi mi sia, che non sappia insieme
quant'io sia debitore a la cortesia di Vostra Eccellenza, ed a la sua
liberalità; con la quale supera tutti coloro che possono superar la
fortuna." Così scrive il Tasso al marchese Giovanni Ventimiglia da Firenze
nella primavera del 1590. Soltanto nello stesso 1590, il Tasso dedicherà al
marchese due composizioni encomiastiche, non portando però a compimento il
promessogli poema Tancredi normando.
Lettera a Scipione Gonzaga, Lettere. E. Rossi, Il Tasso in Campidoglio,
in Cultura, aprile-giugno 1933,
310-311 Lettere, cit., V6 L. Tonelli, cit.278 Lettere, cit., V62 L. Tonelli, cit., 278-279
C. Cipolla, Le fonti storiche della «Genealogia di Casa Gonzaga», in
Opere minori in versi di Torquato Tasso, cit.,
I L. Tonelli, cit.281 G. B. Manso, cit.LXVI L.Tonelli, cit., 282-283
L. Tonelli, cit.284 E. Rossi, c
A. Solerti, cit., II Lettere, cit., V194 Lettere, cit., V200 Lettera ad Antonio Costantini, in Lettere,
cit., V203 Lettera di Maurizio Cataneo a
Ercole Tasso, 29 aprile 1595; A. Solerti, cit., II363 Lettera di monsignor Quarenghi a Giovan
Battista Strozzi, 28 aprile 1595; A. Solerti, cit., II361 Almanach du gotha, de J.-H. de Randeck, Les
plus anciennes familles du monde: répertoire encyclopédique des 1.400 plus
anciennes familles du monde, encore existantes, originaires d'Europe, de
Karl Hopf, Historisch-genealogischer Atlas: Seit Christi Geburt bis auf unsere
Zeit433. de A. M. H. J. Stokvis, Manuel
d'histoire: Les états de Europe et leurs colonies, 1893. de Pierantonio Serassi, La vita de Torquato
Tasso8. de Niccolò Morelli di Gregorio,
Della vita di Torquato Tasso7. de
Pierantonio Serassi, La vita di Torquato Tasso10. (DE) de Karl Hopf, Historisch-genealogischer
Atlas: Seit Christi Geburt bis auf unsere Zeit434. de Heinrich Léo Dochez, Histoire d'Italie
pendant le Moyen-âge125. T. Tasso,
Discorsi dell'arte poetica, I, 12 in Le prose diverse di Torquato Tasso (C.
Guasti), Firenze, Le Monnier, 1875
Discorsi dell'arte poetica, cit., I, 15
A. Solerti, cit, I556; F. D'Ovidio, Saggi critici, Napoli, Morano, U.
Renda, Il Torrismondo di Torquato Tasso e la tecnica tragica nel Cinquecento,
Teramo, E. Donadoni, cit., II, 91-92
G. Carducci, Il Torrismondo, testo premesso all'ed. Solerti delle Opere
minori in versi di Torquato Tasso, cit.,
LXXXIV L. Tonelli, cit.253 Torquato Tasso, Risposta di Roma a Plutarco,
Res, 2007, 978-88-85323-53-7. 12 agosto
. Risposta di Roma a Plutarco e
marginalia | Edizioni di Storia e Letteratura, su storiaeletteratura.it. 12
agosto 12 agosto ). Angelo Chiarelli,
Una «congregazione di uomini raccolti per onore». Tentativi di aggiornamento
della teoria cortigiana nella dialogistica e nella prosa tassiana, in «La
Rassegna della letteratura italiana», ,
121, n°1, 34-43.. 12 agosto .
«Questa concordia è sempre nelle cose vere». Note per una contestualizzazione
de «Il Costante overo de la clemenza» di Tasso, in «Filologia e Critica», a.
XLI, 2 , 257-70.pdf . 12 agosto . Sul muro esterno della Chiesa di S. Onofrio,
a Roma, una tavola con iscrizione tedesca ricorda il soggiorno di Goethe e
l'ispirazione che lo portò a scrivere il dramma, dopo aver veduto la tomba del
poeta custodita all'interno dell'edificio sacro
Ad Angelo Mai, v. 124 G. Baldi,
S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria, Dal testo alla storia dalla storia al
testo, Milano, Paravia, 2001, 3/A570 S. E. Failla, Ante Musicam Musica. Torquato
Tasso nell'Ottocento musicale italiano, Acireale-Roma, Bonanno, Emersioni
seleniche nelle Rime di Torquato Tasso | Massimo Colella | Griselda Online, su
griseldaonline.it. 29 marzo . Torquato
Tasso, commedia goldoniana Torquato Tasso, dramma di Goethe (1790) Torquato
Tasso, opera di Gaetano Donizetti Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio
familiare, dalle Operette morali di Giacomo Leopardi Thurn und Taxis, ramo
austriaco della famiglia Tasso di Bergamo, fondatori delle prime poste europee
Museo tassiano, museo dedicato a Torquato Tasso Accademia dei Catenati Cella
del Tasso, attuale ubicazione a Ferrara Altri progetti Collabora a Wikisource
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Tasso, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Torquato Tasso, su BeWeb, Conferenza
Episcopale Italiana. Opere di Torquato
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IMDb.com. Torquato Tasso Testi completi
e cronologia delle opere. Opere integrali in più volumi dalla collana
digitalizzata "Scrittori d'Italia" Laterza Opere di Torquato Tasso,
testi con concordanze, lista delle parole e lista di frequenza Due
segregazioni: il Cantico spirituale di Giovanni della Croce e Il Re Torrismondo
di Torquato Tasso, su midesa.it. 2 luglio 2009 19 maggio ). Opere di Torquato
Tasso colle controversie sulla Gerusalemme poste in migliore ordine, ricorrette
sull'edizione fiorentina, ed. illustrate dal professore Gio. Rosini, 33 voll.,
Pisa, presso Niccolò Capurro, Le lettere di Torquato Tasso disposte per ordine
di tempo e illustrate da Cesare Giusti, 5 voll., Firenze, Felice Le Monnier, I
dialoghi, Cesare Guasti, Firenze, Felice Le Monnier, Le rime di Torquato Tasso.
Edizione critica su i manoscritti e le antiche stampe Angelo Solerti, 4 voll.,
Bologna, presso Romagnoli-Dall'Acqua, Opere di Torquato Tasso
tautologum: The difference between a truth and a tautological
truth is part of the dogma Grice defends. “A three-year old cannot understand
Russell’s theory of types” is possibly true. “It is not the case that a three-year
old is an adult” is TAUTOLOGICALLY true. As Strawson and Wiggins note, by
coining implicaturum Grice is mainly interested in having the MAN implying this
or that, as opposed to what the man implies implying this or that. So, in
Strawson and Wiggins’s rephrasing, the implicaturum is to be distinguished with
the logical and necessary implication, i. e., the ‘tautological’ implication.
Grice uses ‘tautological’ variously. It is tautological that we smell smells,
for example. This is an extension of ‘paradigm-case,’ re: analyticity. Without
‘analytic’ there is no ‘tautologicum.’ tautŏlŏgĭa , ae, f., = ταυτολογία,I.a repetition of the same meaning in different words, tautology, Mart. Cap. 5, § 535; Charis242
P. ταὐτολογ-έω ,A.repeat what has been
said, “περί τινος” Plb.1.1.3; “ὑπέρ τινος” Id.1.79.7; “τ. τὸν λόγον” Str.12.3.27:—abs., Plb.36.12.2, Phld. Po.Herc.994.30, Hermog.Inv.3.15.
Oddly why Witters restricts tautology to truth-table propositional logic,
Grice’s two examples are predicate calculus: Women are women and war is war.
4.46 GER [→OGD | →P/M] Unter den möglichen Gruppen von Wahrheitsbedingungen
gibt es zwei extreme Fälle. In dem einen Fall ist der Satz für sämtliche
Wahrheitsmöglichkeiten der Elementarsätze wahr. Wir sagen, die
Wahrheitsbedingungen sind t a u t o l o g i s c h. Im zweiten Fall ist der Satz
für sämtliche Wahrheitsmöglichkeiten falsch: Die Wahrheitsbedingungen sind k o
n t r a d i k t o r i s c h. Im ersten Fall nennen wir den Satz eine
Tautologie, im zweiten Fall eine Kontradiktion. 4.461 GER [→OGD | →P/M] Der
Satz zeigt was er sagt, die Tautologie und die Kontradiktion, dass sie nichts
sagen. Die Tautologie hat keine Wahrheitsbedingungen, denn sie ist
bedingungslos wahr; und die Kontradiktion ist unter keiner Bedingung wahr.
Tautologie und Kontradiktion sind sinnlos. (Wie der Punkt, von dem zwei Pfeile
in entgegengesetzter Richtung auseinandergehen.) (Ich weiß z. B. nichts über
das Wetter, wenn ich weiß, dass es regnet oder nicht regnet.) 4.4611 GER [→OGD
| →P/M] Tautologie und Kontradiktion sind aber nicht unsinnig; sie gehören zum
Symbolismus, und zwar ähnlich wie die „0“ zum Symbolismus der Arithmetik. 4.462
GER [→OGD | →P/M] Tautologie und Kontradiktion sind nicht Bilder der
Wirklichkeit. Sie stellen keine mögliche Sachlage dar. Denn jene lässt j e d e
mögliche Sachlage zu, diese k e i n e. In der Tautologie heben die Bedingungen
der Übereinstimmung mit der Welt—die darstellenden Beziehungen—einander auf, so
dass sie in keiner darstellenden Beziehung zur Wirklichkeit steht. 4.463 GER
[→OGD | →P/M] Die Wahrheitsbedingungen bestimmen den Spielraum, der den Tatsachen
durch den Satz gelassen wird. (Der Satz, das Bild, das Modell, sind im
negativen Sinne wie ein fester Körper, der die Bewegungsfreiheit der anderen
beschränkt; im positiven Sinne, wie der von fester Substanz begrenzte Raum,
worin ein Körper Platz hat.) Die Tautologie lässt der Wirklichkeit den
ganzen—unendlichen—logischen Raum; die Kontradiktion erfüllt den ganzen
logischen Raum und lässt der Wirklichkeit keinen Punkt. Keine von beiden kann
daher die Wirklichkeit irgendwie bestimmen. 4.464 GER [→OGD | →P/M] Die
Wahrheit der Tautologie ist gewiss, des Satzes möglich, der Kontradiktion
unmöglich. (Gewiss, möglich, unmöglich: Hier haben wir das Anzeichen jener
Gradation, die wir in der Wahrscheinlichkeitslehre brauchen.) 4.465 GER [→OGD |
→P/M] Das logische Produkt einer Tautologie und eines Satzes sagt dasselbe, wie
der Satz. Also ist jenes Produkt identisch mit dem Satz. Denn man kann das
Wesentliche des Symbols nicht ändern, ohne seinen Sinn zu ändern. 4.466 GER
[→OGD | →P/M] Einer bestimmten logischen Verbindung von Zeichen entspricht eine
bestimmte logische Verbindung ihrer Bedeutungen; j e d e b e l i eb i g e
Verbindung entspricht nur den unverbundenen Zeichen. Das heißt, Sätze, die für
jede Sachlage wahr sind, können überhaupt keine Zeichenverbindungen sein, denn
sonst könnten ihnen nur bestimmte Verbindungen von Gegenständen entsprechen.
(Und keiner logischen Verbindung entspricht k e i n e Verbindung der
Gegenstände.) Tautologie und Kontradiktion sind die Grenzfälle der
Zeichenverbindung, nämlich ihre Auflösung. 4.4661 GER [→OGD | →P/M] Freilich
sind auch in der Tautologie und Kontradiktion die Zeichen noch mit einander
verbunden, d. h. sie stehen in Beziehungen zu einander, aber diese Beziehungen
sind bedeu- tungslos, dem S y m b o l unwesentlich. 4.46 OGD [→GER | →P/M]
Among the possible groups of truthconditions there are two extreme cases. In
the one case the proposition is true for all the truth-possibilities of the
elementary propositions. We say that the truth-conditions are tautological. In
the second case the proposition is false for all the truth-possibilities. The
truth-conditions are self-contradictory. In the first case we call the
proposition a tautology, in the second case a contradiction. 4.461 OGD [→GER |
→P/M] The proposition shows what it says, the tautology and the contradiction
that they say nothing. The tautology has no truth-conditions, for it is
unconditionally true; and the contradiction is on no condition true. Tautology
and contradiction are without sense. (Like the point from which two arrows go
out in opposite directions.) (I know, e.g. nothing about the weather, when I
know that it rains or does not rain.) 4.4611 OGD [→GER | →P/M] Tautology and
contradiction are, however, not nonsensical; they are part of the symbol- ism,
in the same way that “0” is part of the symbolism of Arithmetic. 4.462 OGD
[→GER | →P/M] Tautology and contradiction are not pictures of the reality. They
present no possible state of affairs. For the one allows every possible state
of affairs, the other none. In the tautology the conditions of agreement with
the world—the presenting relations— cancel one another, so that it stands in no
presenting relation to reality. 4.463 OGD [→GER | →P/M] The truth-conditions
determine the range, which is left to the facts by the proposition. (The
proposition, the picture, the model, are in a negative sense like a solid body,
which restricts the free movement of another: in a positive sense, like the
space limited by solid substance, in which a body may be placed.) Tautology
leaves to reality the whole infinite logical space; contradiction fills the
whole logi- cal space and leaves no point to reality. Neither of them,
therefore, can in any way determine reality. 4.464 OGD [→GER | →P/M] The truth
of tautology is certain, of propositions possible, of contradiction impossible.
(Certain, possible, impossible: here we have an indication of that gradation
which we need in the theory of probability.) 4.465 OGD [→GER | →P/M] The
logical product of a tautology and a proposition says the same as the
proposition. Therefore that product is identical with the proposition. For the
essence of the symbol cannot be altered without altering its sense. 4.466 OGD
[→GER | →P/M] To a definite logical combination of signs corresponds a definite
logical combination of their meanings; every arbitrary combination only
corresponds to the unconnected signs. That is, propositions which are true for
ev- ery state of affairs cannot be combinations of signs at all, for otherwise
there could only correspond to them definite combinations of objects. (And to
no logical combination corresponds no combination of the objects.) Tautology
and contradiction are the limiting cases of the combination of symbols, namely
their dissolution. 4.4661 OGD [→GER | →P/M] Of course the signs are also
combined with one another in the tautology and contradiction, i.e. they stand
in relations to one another, but these relations are meaningless, unessential
to the symbol. 4.46 P/M [→GER | →OGD] Among the possible groups of truthconditions
there are two extreme cases. In one of these cases the proposition is true for
all the truth-possibilities of the elementary propositions. We say that the
truth-conditions are tautological. In the second case the proposition is false
for all the truth-possibilities: the truth-conditions are contradictory. In the
first case we call the proposition a tautology; in the second, a contradiction.
4.461 P/M [→GER | →OGD] Propositions show what they say: tautolo- gies and
contradictions show that they say nothing. A tautology has no truth-conditions,
since it is unconditionally true: and a contradiction is true on no condition.
Tautologies and contradictions lack sense. (Like a point from which two arrows
go out in opposite directions to one another.) (For example, I know nothing
about the weather when I know that it is either raining or not raining.) 4.4611
P/M [→GER | →OGD] Tautologies and contradictions are not, however, nonsensical.
They are part of the symbolism, much as ‘0’ is part of the symbolism of arithmetic.
4.462 P/M [→GER | →OGD] Tautologies and contradictions are not pictures of
reality. They do not represent any possible situations. For the former admit
all possible situations, and latter none. In a tautology the conditions of
agreement with the world—the representational relations—cancel one another, so
that it does not stand in any representational relation to reality. 4.463 P/M
[→GER | →OGD] The truth-conditions of a proposition determine the range that it
leaves open to the facts. (A proposition, a picture, or a model is, in the
negative sense, like a solid body that restricts the freedom of movement of
others, and, in the positive sense, like a space bounded by solid substance in
which there is room for a body.) A tautology leaves open to reality the
whole—the infinite whole—of logical space: a contradiction fills the whole of
logical space leaving no point of it for reality. Thus neither of them can
determine reality in any way. 4.464 P/M [→GER | →OGD] A tautology’s truth is
certain, a proposition’s possible, a contradiction’s impossible. (Certain,
possible, impossible: here we have the first indication of the scale that we
need in the theory of probability.) 4.465 P/M [→GER | →OGD] The logical product
of a tautology and a proposition says the same thing as the proposition. This
product, therefore, is identical with the proposition. For it is impossible to
alter what is essential to a symbol without altering its sense. 4.466 P/M [→GER
| →OGD] What corresponds to a determinate logical combination of signs is a
determinate logical combination of their meanings. It is only to the uncombined
signs that absolutely any combination corresponds. In other words, propositions
that are true for every situation cannot be combinations of signs at all,
since, if they were, only determinate combinations of objects could correspond
to them. (And what is not a logical combination has no combination of objects
corresponding to it.) Tautology and contradiction are the limiting cases—indeed
the disintegration—of the combination of signs. 4.4661 P/M [→GER | →OGD]
Admittedly the signs are still combined with one another even in tautologies
and contradictions—i.e. they stand in certain relations to one another: but
these relations have no meaning, they are not essential to the symbol. Grice
would often use ‘tautological,’ and ‘self-contradiction’ presupposes
‘analyticity,’ or rather the analytic-synthetic distinction. Is it
contradictory, or a self-contradiction, to say that one’s neighbour’s
three-year-old child is an adult? Is there an implicaturum for ‘War is not
war’? Grice refers to Bayes in WOW re Grices paradox, and to crazy Bayesy, as
Peter Achinstein does (Newton was crazy, but not Bayesy). We can
now, in principle, characterize the desirability of the action a 1 , relative
to each end (E1 and E2), and to each combination of ends (here just E1 and E2),
as a function of the desirability of the end and the probability that the
action a 1 will realize that end, or combination of ends. If we envisage a
range of possible actions, which includes a 1 together with other actions, we
can imagine that each such action has a certain degree of desirability relative
to each end (E1 and (or) E2) and to their combination. If we suppose that, for
each possible action, these desirabilities can be compounded (perhaps added),
then we can suppose that one particular possible action scored higher (in
actiondesirability relative to these ends) than any alternative possible
action; and that this is the action which wins out; that is, is the action
which is, or at least should, end p.105 be performed. (The computation would in
fact be more complex than I have described, once account is taken of the fact
that the ends involved are often not definite (determinate) states of
affairs (like becoming President), but are variable in respect of the
degree to which they might be realized (if ones end is to make a profit from a
deal, that profit might be of a varying magnitude); so one would have to
consider not merely the likelihood of a particular actions realizing the end of
making a profit, but also the likelihood of its realizing that end to this or
that degree; and this would considerably complicate the computational problem.)
No doubt most readers are far too sensible ever to have entertained any picture
even remotely resembling the "Crazy-Bayesy" one I have just
described. Grice was fascinated by the fact that paradox translates the
Grecian neuter paradoxon. Some of the paradoxes of entailment, entailment and
paradoxes. This is not the first time Grice uses paradox. As a classicist, he
was aware of the nuances between paradox (or paradoxon, as he preferred, via
Latin paradoxum, and aporia, for example. He was interested in Strawsons
treatment of this or that paradox of entailment. He even called his own paradox
involving if and probablility Grices paradox. tautologicum: Grice gives two examples: War is war, and Women are
women“Note that “Men are men” sounds contingent.” tautology, a proposition
whose negation is inconsistent, or self- contradictory, e.g. ‘Socrates is
Socrates’, ‘Every human is either male or nonmale’, ‘No human is both male and
non-male’, ‘Every human is identical to itself’, ‘If Socrates is human then
Socrates is human’. A proposition that is or is logically equivalent to the negation
of a tautology is called a self-contradiction. According to classical logic,
the property of being Tao Te Ching tautology 902 902 implied by its own negation is a
necessary and sufficient condition for being a tautology and the property of
implying its own negation is a necessary and sufficient condition for being a
contradiction. Tautologies are logically necessary and contradictions are
logically impossible. Epistemically, every proposition that can be known to be
true by purely logical reasoning is a tautology and every proposition that can
be known to be false by purely logical reasoning is a contradiction. The
converses of these two statements are both controversial among classical
logicians. Every proposition in the same logical form as a tautology is a
tautology and every proposition in the same logical form as a contradiction is
a contradiction. For this reason sometimes a tautology is said to be true in
virtue of form and a contradiction is said to be false in virtue of form; being
a tautology and being a contradiction tautologousness and contradictoriness are
formal properties. Since the logical form of a proposition is determined by its
logical terms ‘every’, ‘some’, ‘is’, etc., a tautology is sometimes said to be
true in virtue of its logical terms and likewise mutatis mutandis for a
contradiction. Since tautologies do not exclude any logical possibilities they
are sometimes said to be “empty” or “uninformative”; and there is a tendency
even to deny that they are genuine propositions and that knowledge of them is
genuine knowledge. Since each contradiction “includes” implies all logical
possibilities which of course are jointly inconsistent, contradictions are
sometimes said to be “overinformative.” Tautologies and contradictions are
sometimes said to be “useless,” but for opposite reasons. More precisely,
according to classical logic, being implied by each and every proposition is
necessary and sufficient for being a tautology and, coordinately, implying each
and every proposition is necessary and sufficient for being a contradiction.
Certain developments in mathematical logic, especially model theory and modal
logic, seem to support use of Leibniz’s expression ‘true in all possible
worlds’ in connection with tautologies. There is a special subclass of
tautologies called truth-functional tautologies that are true in virtue of a
special subclass of logical terms called truthfunctional connectives ‘and’,
‘or’, ‘not’, ‘if’, etc.. Some logical writings use ‘tautology’ exclusively for
truth-functional tautologies and thus replace “tautology” in its broad sense by
another expression, e.g. ‘logical truth’. Tarski, Gödel, Russell, and many
other logicians have used the word in its broad sense, but use of it in its
narrow sense is widespread and entirely acceptable. Propositions known to be
tautologies are often given as examples of a priori knowledge. In philosophy of
mathematics, the logistic hypothesis of logicism is the proposition that every
true proposition of pure mathematics is a tautology. Some writers make a sharp
distinction between the formal property of being a tautology and the non-formal
metalogical property of being a law of logic. For example, ‘One is one’ is not
metalogical but it is a tautology, whereas ‘No tautology is a contradiction’ is
metalogical but is not a tautology.
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