COSMI (Casteltermini).
Filosofo. Grice: “I love Cosmi – for one he uses the very exact phrase I do,
‘the general principles of discourse,’ and he also finds them to have a
rational (‘razionale’) basis – they involve those desiderata for helpful
communication, a co-operative principle – concerning most constraints I refer
to: the necessity to avoid superfluity (supperfluita) and to maximize clarity
(chiarezza) – so that’s genial!” – Grice: “Cosmi actually has two treatise, a
more theoretical one, “General principles of discourse,” and an applied tract,
“Metodo’ – of the “general principles of discourse’ – he had already elaborated
on all the figures of rhetoric, so he knew what he was talking about and where
he was leading --.” Grice: “The fact that he like me also loved Locke – and
perhaps was more of a ‘sensista’ than I am, makes him great, too!” Fu
un'imponente filosofo, no italiano, ma siciliano (Grice: “Sicily is not
considered part of the ‘peninsola italiana’). Formatosi nel Seminario dei
Chierici di Agrigento, ricopre la carica di rettore a Catania. Riceve dal re Ferdinando
l'incarico di redigere il piano regolatore della filosofia siciliana. Da un
rilevante contributo all'innovazione del illuministimo. Fu un grande filosofo,
il primo e il più geniale del regno meridionale e uno dei primi e più geniali
del Settecento italiano. Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Principi generali del discorso, e della ortografia
italiana ad uso delle regie scuole normali di Sicilia by Giovanni Agostino De
Cosmi( Book ) 1 edition published in 1984 in Italian and held by 2
WorldCat member libraries worldwide. E
primo forne il D2 Cosmi. Questo e un aureo libretto dei "Principi Generali
del discorso" – i. e. un principio comune a ogni discorso. Questo affinchè
il filosofo a una nozione direttrice, non superflue. In questo trattato invano
cercheresti quella immensa farragine di precetti disordinati, e quelle infinite
minuterie non necessarie, con cui si sostitoleva confondere e stancare la
prattica conversazionale del giovanetto. Si spone un solo principio generale e
fondamentale, sintetizzato nell'antico ma verissimo motto: precetto uno. Il
resto e uso. Questa mia preziosa filosofia è un sapientissimo essamine pel
filosofo che vuole adoperare il "metodo conversazionale." Quivi si ricorda
dapprimà quanto in occasione di filosofare sulla maniera di dare la prima
istruzione conversazionale al ragazzo, in caso la necessita. Si ricorda come
puo potè attuare la mia prammatica conversazionale, mettendo in esecuzione un
maniobra chiara, spedita, uniforme per ogni topico conversazionale adattata
alla maniera del civil conversare -- è cosa necessaria il sapere la
semantica e le implicature conversazionale del volgare linguaggio. Il
pirincipio della conversazionale e un principio di chiarezza (perspicuita) -- e
un principio di aggiustatezza (approprio_ -- e un principio di mezzana eleganza
(stilo estetico), e un principio senza oscurità, e un principio con univoci e senza
cattive equivoci (un buon aequi-voce e accettable)– sensa non sunt
multiplicanda praeter necessitatem --, e un principio senza superfluità (economia
dello sforzo conversazionale, fortitudine conversazionale, candore
conversazionale -- e un principio senza barbarismi -- imperciochè la perfezione
e efficenza del volgare linguaggio guidato dalla semantica formale e il segno
del reale. E vuole che al giovane si da un principio generale e fondamentale --
e un principio generale della conversazione, esposto con metodo ragionabile e
calculable e con chiarezza. Un solo principio o imperativo categorico, un
principio di efficenza communicative -- un principio soggetto il meno che si può
all'eccezione o la violazione involuntaria si non a la splotazione retorica --
e un principio stesso ben capito e ben esercitato, chi forma il corpo di
ogni parte della filosofia. Ebbe un giorno a scrivere
di Marco Tullio Cicerone, che questo ingegno eminente prende a gradi la sua maturità
e si perfezionava coll’uso, colla riflessione e col maneggio dei grandi affair.
Or quello che osservo su Cicerone, intervenne proprio me medesimo, i cui Elementi
di filologia, non prometto continuazione; ma osservazioni su l'uso dei Principj
del Discorso, e qualche riflessione su i primi pensieri, da cui era partito
nell'immaginar il mio metodo, gli somministrarono la materia di un secondo, e
anche di un terzo volume di preziose nozioni di metodica prammatica. Il
secondo volume e come il primo, è diviso
in due parti. La prima parte ha per titolo, “Principj generali del
Discorso applicati alla lingua volgare”, per la quale avverto che, sebbene
nelle parti già pubblicate dei “Principj generalie del discorso” siesi detto
ciò che basta per l'istruzione della prima età; la sperienza mi ha fatto
conoscere, che, volendosi col metodo intrapreso tirare innanzi il cammino, per
la piena intelligenza, 1 G. A. De Cosmi, Elem. di filol. ecc., tomo I,
pag. 231. • LO STESSO, Elem. di filol, ital. e latina, tomo II, Palermo;
pag. III ed imitazione dei classici principalmente italiani, era
necessario ad entrare in qualche più esteso rischiarimento, *non per
multiplicare l’imperativo conversazionale, ma per agevolarne l'uso, senza di
cui inutili sempre la massima conversazionale universalisable si rimarranno.
Dietro di che, in cinque paragrafi, filosofo, con la solita competenza, “Del
Pro-nome in generale”, “Del Pro-nome ed dell’Articolo”; “Del pronomi e del
verbo che ne dipendono; Della Preposizione, detta “segnacasi”, e “Della Costruzione
irregolare”. I quali cinque paragrafi, con la giunta delle prime due parti dei
Principj Generali del Discorso già stampati a riprese. Egli fece riunire in
separato volumetto per uso degli scolari 3 Io non mi stancherei, dirò col
Mollica Di Blasi, di riportare varie altre sentenze, che oggi pajono roba
fresca, e pure da presso a un secolo il nostro l'aveva annunziato con tanta
chiarezza da farla scorgere anco ai ciechi ; ed è per tanto che riferisco
qualche altro criterio, che dovrebbe aver nell'animo e nella coscienza ognuno,
che si dà all'educazione specialmente elementare: Invece di sorprendere,
cosi il De Cosmi, l'età fanciullesca coll' apparenza dottrinale di parole
incognite, ingegnerassi il maestro a far vedere, che ciò che s'insegna di
nuovo, è presso a poco quanto sapeva il fanciullo o quanto avrebbe potuto
agevolmente sapere con un poco di riflessione 5. Anzi che ad un giuoco di
memoria desiderava che lo studio fosse diretto allo sviluppo dell'intendimento
; inculcava lo studio dell' aritmetica fatto a norma delle regole predette, e
indi tornava a ribadire che: Per mantenere sempre desta l'attività nella
mente degli allievi, è di somma importanza il non sgomentarli giammai
coll'apparenza di gravi difficoltà nelle operazioni che loro si propongono;
anzi colla frequenza degli esempi il far loro osservare, che avrebbero da se
sciolto le domande, se avessero fatto riflessione alle cose sa pute 6. E
poi seguiva cosi : Che se alle volte occorrerà di dovere insegnare delle
cose difficili, allora il maestro procurerà di scemare la difficoltà colla
curiosità della ricerca , perchè il piacere della scoverta l'incoraggisca al
tedio dell'operazione. Ma qualora la curiosità non è infiammata, il fanciullo
non sente altro che la fatica, e la fatica sola da se ributta 7. Poi
chiedeva a se stesso : É necessario il rappresentare al naturale lo stato
presente della educazione ncstra letteraria? Lo farò con coraggio. Si è
caricata la nostra memoria; perciò è rimasto senza energia e senza originalità
l'intelletto. La nostra filosofia, in vece 1 G. A. De Cosmi, Metodo
dei principj generali del Discorso, Palermo, 1792, p. 1-6. . Lo
stesso, Metodo cit., p. 5. 3 Lo stesso, Op. cit., p. 8. * GAETANO
MOLLIGA DE BLABI, Note storiche di G. A. De Cosmi; Palermo, 1883, p. 18.
• G. A. De Cosmi, Metodo ecc., p. 8-9. . Lo stesso, Op. cit., p.
14. . Lo stesso, Op. cit., p. 15. d'essere l'arte di
pensare, è stata l'arte di parlare di ciò che non s'intende; la nostra rettɔrica,
l'arte di csaggerare con parole, e di parlare a controsen 30. Gran servigio,
gran servigio, ridico, si presta al pubblico da chi indirizza per la strada
regia del sipere la presente gioventù, da chi coltiva la loro ragione e il loro
cuore. Era tempo oramai di aprirsi a tutti la strada alla coltura delle
scienze e delle arti; di venire nella comune estimazione le cognizioni
realmente utili all'umanità, di siudiarsi la Natura nei suoi varj regni e nel
suo vero prospetto. Era già il tempo ce la pubblica e la privata utilità
fossero rico 103ciute ch.n: la misar di calcolare l'importanza delle
cognizioni; che la Religione s'impari nella sua storia, nei suoi Dogmi, nella
sua Morale, mi senza il pru:ito della costroversia ; che nelle lingue doite si
cerchi il gusto, ma senza pedanteria; che le matematiche, e l'analisi ci
servano di guida nelle cognizioni astratte; che nelle scienze naturali si
cerchino i mezzi per accrescere, o conservare la sanità dei nostri corpi, o per
influire ne la ricchezza nazionale, coltivando e migliorando i prodotti
dell'arte e della natura; e che finalmente la volgare e popolare lingua, vero
termometro della coltura nazionale, si perfezioni; che non pud perfezionarsi,
senza che si eserciti la ragione nello stesso tempo '. [ocr errors] IV.
A questa stupenda Direzione pei maestri, il De Cosmi unì la prima parte dei
Principj Generali del Discor30, che già aveva stampato a solo sin. dal 1790 ;
cui fece seguire ora dalla parte secondo, che delle proposizioni, dei verbi,
dei pronomi, delle congiunzioni s'intertiene, chiudendola con alcune regole
primarie ad illustrazione delle altre, messe in fine della prima parte; e
terminando l'aureo librettino con un capitolo sulla Scelta dei libri necessari
allo studio della lingua italiana; dove vuole che siano preferiti i libri del
Trecento; additando per libro di prima lettura il Fiore di virtù o il
Volgarizzamento dei Gradi di S. Girolamo, 'od anche gli Ammaestra. minti degli
antichi di frate Bartolomeo da San Concordio; e per la seconda classe, il
Trattato del Governo della famiglia di Agnolo Pandolfini 5. A sintesi di
tutto il libretto il De Cosmi conchiude così: Ciò che i maestri debbono
inculcar continuamente alle tenere orecchie degli scolari sarà la necessità
delle regole e dell'uso; perchè l'uso e le regole sono i veri arbitri di ogni
lingua. Nulla contro le regole, nissuna parola fuori dell'uso",
Questo pregevole volumetto incontrò l'applauso di tutti i letterati; e un di
essi, che si volle occultare sotto le iniziali 0. G. R. P., ne fece una bellissima
ed estesa rivista nelle Notizie Letterarie di Cesena-agosto 1792 “.
1 G. A. De Cosmi, Op. cit., p. 17-18. . Vedi sopra pag. 166.
• G. A. De Cosat, Metodo ecc., p. 56-57." • Lo stesso, Op. cit., p.
60-61. * Pag. 55 e seg. L'articolo dell' O. G. R. P. venne
riprodotto da Giov. D'Angelo nelle 840 Memorie per servire alla Storia
letteraria di Sicilia; vol. III, Ms. della Biblioteca Comunale V.
Giovanni Agostino De Cosmi. Giovanni Cosmi.
COSOTTINI (Figline
Valdarno). Filosofo. Grice: “Cosotini considers ‘Home, sweet home,’ in terms of
linearity – surely Miss X can ‘improve’ on the score! Especially if she did
visit Payne’s little cottage by the sea – in Easthampton, and shed a tear!”. Si
laurea a Firenze con “Fenomenologia”. Fonda GRIM, Gruppo per la Reserccia
dell’Improvisazione Musicale. GRICE Gruppo por la research dell’Improvisazione
conversazione espressiva. Insegna Improvvisazione Musicale. Le Fanfole, canzoni
composte su testi del poemetto meta-semantico di Fosco Maraini Gnosi delle
Fanfole. Linearità e Nonlinearita in semiotica – sintagma lineare, sintagma
soprasegmentale – the volume of a sound – a ‘natural’ expression of pain – the
higher the volume, the higher the pine --. Grice on stress, intonation and
implicature. I KNOW it. I KNOW it (you don’t have to tell me). SMITH paid the
bill. Due conversazionaliste si muovono pacatamente per le loro vie, variando
direzioni e anche versi, ascoltandosi sempre, ma con dialoghi liberi e mai
serrati. “La musica dei matti” creazione dialogica di suoni del tutto libera e
interamente legata all'istante, tale da produrre mozzione conversazionale dallo
sviluppo verticale. Improvvisare la verità. Il concetto di ‘improvvisare’
improvissato – cf. English ‘improved’. Improvisation – improvised. Musica e
Filosofia. Realizza la partitura grafica Dettagliper tre esecutori, che
consiste di una mappa e ottantuno carte con segni grafici codificati (la mappa
e le carte sono i “veicoli” e il modo in cui si legge la grafia genera
molteplici possibilità di implicature. “wordless novel”. I suoi studi si
concentrano sulla filosofia della musica e sull’improvvisazione musicale,
scrivendo numerosi saggi per riviste specializzate come Musica Domani,
Perspectives of New Music, Aisthesis, Musicheria e la rivista online De Musica.
Inoltre pubblica un saggio sul silenzio
e sulle sue potenzialità performative. Metodologia dell'Improvvisazione
Musicale. Tra Linearità e Nonlinearità, un libro di metodologia
dell’improvvisazione musicale nel quale Cosottini teorizza la dicotomia tra
Linearità e Nonlineairtà come strumento per l’analisi dell’improvvisazione
musicale. Non-linearita EDT, il silenzio in contesto non lineare, Filosofia
della Musica. Non-linearità. Metodi non
lineari. EDT Non linearità. EDT Ascolto creativo e scrittura creativa di
un’improvvisazione musicale. Metodologia dell’improvvisazione musicale. Tra
Linearità e Nonlinearità Edizioni ETS, L’estetica dell’improvvisazione tra
suono e silenzio in Musica Domani, improvisation-research-center--musica-e-filosofia.
Do You Need A Sign. Mirio
Cosottini. Grice: “I am sure that a suprasegmental or non-linear segment adds
to what a conversationalist means – he means THAT Smith did not pay the bill,
and that somebody else did” – By stressing on LOVE he means that he likes her
AND that he loves her.” Keywords: prosodia, Hjelmslev, Hockett, fonema, tratto
sopra-segmentale, stress – Grice’s examples: “Smith kicked the cat” – “Smith
didn’t pay the bill. Nowell did.” “Smith didn’t pay the bill”. “I knew it” “I
love her” -- segno, nonlinearita, codice, soprasegmento. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Cossottini” – The Swimming-Pool Library.
COSTA (Torre
del Greco). Filosofo. Grice: “I love Costa; if I have to chose three of my
favourite essays of his, those would be, “Le passioni,” “L’uomo fuori di se:
l’esternalissazione’ and above all, his sublime, “l’estetica della communicazione,’
which is what my philosophy is all about!” --
Mario Costa (Torre del Greco), filosofo. È conosciuto, in particolare,
per aver studiato le conseguenze, nell’arte e nell’estetica, delle nuove
tecnologie, introducendo nel dibattito filosofico una nuova prospettiva
teorica, attraverso concetti come "estetica della comunicazione",
"sublime tecnologico", "blocco comunicante", "estetica
del flusso". È stato Professore
di Estetica all'Salerno e, come professore incaricato di Metodologia e storia
della critica letteraria e di Etica ed estetica della comunicazione, ha
contemporaneamente insegnato per molti anni nelle Università degli Studi di
Napoli "L'Orientale" e di Nizza (Sophia-Antipolis). A Salerno ha
fondato e diretto, daArtmedia, Laboratorio permanente dedicato al rapporto tra
tecno-scienza, filosofia ed estetica, organizzando su queste tematiche decine
di iniziative di studio, mostre e convegni internazionali. L'estetica dei media
ha ottenuto il Premio Nazionale "Diego Fabbri". Pubblicato una
trentina di libri; alcuni di essi e numerosi suoi saggi sono tradotti e
pubblicati in Europa e in America. Il suo lavoro teorico si è svolto in
due momenti successivi ed ha seguito due fondamentali direzioni di ricerca:
l'interpretazione socio-politica e filosofica delle avanguardie artistiche, e
l'elaborazione di una filosofia della tecnica costruita soprattutto attraverso
l'analisi dei cambiamenti che la nuova situazione tecno-antropologica ha
indotto nell'arte e nell'estetico. Per quanto riguarda la prima delle due
direzioni indicate, ha fornito un complesso di interpretazioni filosofiche ed
estetiche di numerosi movimenti dell'avanguardia artistica e letteraria.
Momenti di particolare rilievo in questo ambito di ricerca possono essere
considerati i suoi lavori su Duchamp e sulle funzioni della moderna critica
d'arte, nonché i suoi studi sul "lettrismo" e sullo
"schematismo", movimenti artistici di grande importanza, anche
estetologica, ma, all'epoca, pressoché ignoti in Italia. Per quanto riguarda la
seconda delle direzioni indicate, il suo pensiero si è a sua volta sviluppato
secondo due assi fondamentali: uno riguardante le conseguenze sociali ed etiche
della comunicazione tecnologica, riassunte soprattutto nel libro La televisione
e le passioni che analizza gli effetti disgreganti e distruttivi della
televisione, e poi nel più recente La disumanizzazione tecnologica, e l'altro,
dominante rispetto al primo, consistente in un ripensamento del senso che
l'"estetico" e l'"artistico" vanno assumendo nella fase
attuale delle nuove tecnologie elettro-elettroniche e digitali della scrittura,
dell'immagine, della spazialità, del suono e della comunicazione, ciò che lo ha
condotto ad una radicale ed originale reimpostazione teoretica di tutto il
campo investigato. Negli ultimi suoi lavori (Ontologia dei media, e Dopo la
tecnica) la prospettiva teoretica si è andata ulteriormente approfondendo dando
luogo ad una compiuta filosofia dei media e della tecnica in quanto tale.
Alcune opere rappresentative L'estetica dei media può considerarsi, per i
contenuti trattati e per la inedita metodologia di indagine instaurata e
seguita, un libro che apre un nuovo campo di ricerca, prima del tutto ignorato
ed inesplorato dalle discipline estetologiche, quello appunto della "estetica
dei media", da non confondere, ad esempio, con l'estetica della fotografia
o con quella del cinema, alle quali ha comunque dedicato altri suoi importanti
lavori. Il libro in questione segue ai diversi contributi teorici relativi
all'estetica della comunicazione le cui identificazione, nominazione e
formulazione teorica risalgono al 1983, e che è ora rappresentata, nella sola
Italia, da numerose Cattedre e indirizzi universitari. Il sublime tecnologico è
considerato il lavoro più noto e più innovativo di tutta la sua produzione
teorica; è in esso che, considerando le conseguenze indotte nel campo dell'arte
e dell'estetico dalla nuova situazione tecno-antropologica, si parla
dell'oltrepassamento della dimensione dell'arte e delle categorie ad essa connesse,
nella direzione di una nuova forma di sublime, quella appunto del sublime
tecnologico, con tutto quello che questo concetto implica e comporta. La
nozione del sublime tecnologico è stata diffusamente accolta e seguita sul
piano internazionale della teoria estetica ed ha sollecitato un incalcolabile
numero di sperimentazioni da parte di artisti di tutto il mondo. Arte contemporanea
ed estetica del flusso traccia le linee di una nuova estetica e della
sperimentazione artistica che da essa può scaturire. Si tratta da una parte di
un violento e argomentato pamphlet contro l'arte contemporanea, ritenuta “una
congerie più o meno sgradevole di nullità mercantili”, e dall'altra della
tematizzazione ed elaborazione del concetto di “flusso estetico tecnologico”, considerato
come ultima e residua possibilità di sperimentazione per gli artisti e come
chiave per comprendere alcuni aspetti dell'ontologia contemporanea. Dopo la
tecnica () ripercorre la storia delle varie epoche della tecnica
sottolineandone la discontinuità e la capacità di agire configurando, ogni
volta in maniera diversa, l'organizzazione antropologica di chi da esse è
abitato. Sulla base di questi presupposti, si mostra come la tecnica, una volta
connessa e dipendente dai bisogni umani, si va rendendo incondizionatamente
autonoma forzando l'uomo a vivere dentro di essa, ad appartenerle e a favorire
il suo sviluppo. Altre opere: “Arte come soprastruttura”, Napoli, CIDED, Teoria
e Sociologia dell'arte, Napoli, Guida Editori, Sulle funzioni della critica d'arte
e una messa a punto a proposito di Marcel Duchamp, Napoli, M.Ricciardi Editore,
Il ‘lettrismo' di Isidore Isou. Creatività e Soggetto nell'avanguardia
artistica parigina posteriore, Roma, Carucci Editore, Le immagini, la folla e
il resto. Il dominio dell'immagine nella società contemporanea, Napoli, Edizioni
Scientifiche Italiane, Il sublime tecnologico, Salerno, Edisud, L'estetica dei
media. Tecnologie e produzione artistica, Lecce, Capone Editore, Il
‘lettrismo'. Storia e Senso di un'avanguardia, Napoli, Morra, La televisione e
le passioni, Napoli, A.Guida, 1Lo ‘schematismo'. Avanguardia e psicologia,
Napoli, Morra, Lo ‘schématisme parisien'.Tra post-informale ed estetica della
comunicazione, Fondazione G.E.Ghirardi, Piazzola sul Brenta (Padova), Sentimento
del sublime e strategie del simbolico, Salerno, Edisud, Della fotografia senza
soggetto. Per una teoria dell'oggetto tecnologico, Genova/Milano, Costa &
Nolan, Il sublime tecnologico. Piccolo trattato di estetica della tecnologia,
Roma, Castelvecchi, Tecnologie e costruzione del testo, Napoli, L'Orientale, L'estetica
dei media. Avanguardie e tecnologia, Roma, Castelvecchi, L'estetica della
comunicazione. Come il medium ha polverizzato il messaggio. Sull'uso estetico
della simultaneità a distanza, Roma, Castelvecchi, Dall'estetica dell'ornamento
alla computerart, Napoli, Tempo Lungo, Internet e globalizzazione estetica,
Napoli, Tempo Lungo, New Technologies, Artmedia-Museo del Sannio, oDimenticare
l'arte. Nuovi orientamenti nella teoria e nella sperimentazione estetica,
Milano, Franco Angeli, L'oggetto estetico e la critica, Salerno, Edisud, La
disumanizzazione tecnologica. Il destino dell'arte nell'epoca delle nuove
tecnologie, Milano, Costa & Nolan, Della fotografia senza soggetto. Per una
teoria dell'oggetto estetico tecnologico, Milano, Costa & Nolan, Arte
contemporanea ed estetica del flusso, Vercelli, Mercurio Edizioni, Ontologia dei media, Milano, Post media books, Dopo la tecnica. Dal chopper alle similcose, Napoli,
Liguori Editore. Il lavoro teorico di Costa teso, tra l'altro, a definire la
nuova epoca dell'estetico connessa alle neo-tecnologie elettro-elettroniche e
digitali, e a fare in modo che questa si andasse ben configurando e definendo,
si è, per ciò stesso, sempre accompagnato ad un'intensa attività di promozione
estetico-culturale: agli inizi degli anni ottanta organizza a Napoli, col
supporto della RAI-TV, una grande esposizione di videoarte (Differenzavideo); per
sollecitare una riflessione sugli effetti estetico-antropologici indotti dalle
tecnologie della comunicazione, co-organizza (conPerniola) presso l'Salerno, il
Convegno Estetica e antropologia i cui Atti sono, in parte, pubblicati sulla
Rivista di estetica di Torino, necrea, con l'artista francese Fred Forest, il
movimento internazionale dell'Estetica della comunicazione che presenta in vari
contesti (Electra di Frank Popper, al
Centre Pompidou a La Revue parlée di Blaise Gautier, ialla Sorbonne, al
Séminaire de Philosophie de l'art di Olivier Revault D'Allonnes); nei mesi di
marzo-aprile del 1984 dà luogo al primo evento/rassegna di estetica della
comunicazione (L'immaginario tecnologico, Benevento, Museo del Sannio); a
partire dal 1985 concepisce e dirige, presso l'Salerno, Artmedia, Convegno
Internazionale di Estetica dei Media e della Comunicazione; organizza presso
l'Salerno un Convegno Internazionale su estetica e tecnologia; nel febbraio
1989 organizza presso la stessa Università il Convegno "Il suono da
lontano". Eventi sonori e tecnologie della comunicazione"; realizza,
per la RAI-TV (Dipartimento Scuola e Educazione) la trasmissione televisiva in
tre puntate: Un'estetica per i media; fa svolgere, presso la settecentesca
Villa Bruno (S.GiorgioNapoli) Technettronica. Laboratorio di Estetica dei Media
e della Comunicazione; nel 1990 presenta per la prima volta in Italia presso
l'Salerno due videoplays di Samuel Beckett; nel 1995 fonda e dirige, la Rivista
Internazionale Multilingue Epipháneia. Ricerca estetica e tecnologie, fonda e
dirige, presso le Edizioni Tempo Lungo di Napoli, Vertici, una «Collana di
Estetica e Poetiche» aperta alle questioni estetologiche connesse ai nuovi
media (testi di Francesco Piselli, Anne Cauquelin, Theodor W. Adorno, Costa,
Marie-Claude Vettraino-Solulard, Dorfles);
co-organizza a Parigi la VIII Edizione di Artmedia; nell'ottobre 2003
co-organizza presso l'Salerno il Convegno Internazionale Tecnologie e forme
nell'arte e nella scienza; organizza presso il Museo del Sannio di Benevento la
Mostra New Technologies (Roy Ascott, Maurizio Bolognini, Fred Forest, Richard
Kriesche, Mit Mitropoulos); norganizza presso l'Salerno la IX Edizione di
Artmedia; nco-organizza a Parigi la X Edizione di Artmedia; nell'ottobre 2009
organizza presso l'Salerno un seminario conclusivo di Artmedia dal titolo
"L'oggetto estetico dell'avvenire". Sulle funzioni della critica
d'arte e una messa a punto a proposito di Marcel Duchamp, Napoli, Ricciardi
Editore, 1976; Mario Costa, L'oggetto estetico e la critica, Edisud, Salerno. Mario
Costa, Il 'lettrismo' di Isidore Isou. Creatività e Soggetto nell'avanguardia
artistica parigina, Carucci Editore, Roma,Il 'lettrismo'. Storia e Senso di
un'avanguardia, Morra, Napoli, Si veda anche Signe, forme, schéma, ornement, in
"Schéma et schématisation", 57, Parigi 2002, L'estetica dei media. Avanguardie e tecnologia,
Castelvecchi, Roma, Mario Costa, Il sublime tecnologico. Piccolo trattato di
estetica della tecnologia, Castelvecchi, Roma, Arte contemporanea ed estetica
del flusso, Mercurio, Vercelli . Inoltre: Technology, Artistic Production and
the "Aesthetics of communication", in "Leonardo", Tecnologie
e costruzione del testo, L'Orientale, Napoli, Reti e destino della scrittura. Sulla
diffusione e la rilevanza del suo pensiero, si vedano tra gli altri: Philippe
Bootz, The thesis of Walter Benjamin and Mario Costa, in Philippe Bootz, Sandy
Baldwin, Regards Croisés, West Virginia University Press, Alberto Abruzzese, Il
compiersi della pubblicità dal manifesto metropolitano ai linguaggi elettronici
del presente: pretesti, testi e questioni, in
(Riccardo Lattuada), Nuove tendenze ed esperienze nella comunicazione e
nell'estetico, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane. Derrick de Kerckhove,
L'estetica dei media e la sensibilità spaziale. Riflessioni su un libro di
Mario Costa, in "Mass Media",Frank Popper, L'art à l'âge
électronique, Paris, Hazan, Mario Costa, professore di estetica, in
MCmicrocomputer, n. 208, Roma, Pluricom. Grice: “Costa uses words in ways we
don’t allow at Oxford: a sign by which nobody signs; and so on.Mario Costa. Keywords:
blocco comunicante, communicazione sine contenuto, communicazione fatica,
semiotica, estetica della comunicazione, significante sine significato – segno
sine segnato – autoreferenzialita – asemanticita – sintassi – retorica – codice
– intenzione communicative, medio, messaggio, recursivita, self-reference,
meta-linguaggio – linguaggio come metalinguaggio -- - Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Costa” – The Swimming-Pool Library.
Costa (Ravenna). Filosofo. Grice: “My favourite keyword for Costa
is ‘contrassegnare’!” – Grice: ““I love Costa; for one, he improves on Locke;
on the composition of ideas and how to ‘countersignal’ them with ‘vocaboli
precisi’ – I explored that a little in my ‘Prejudices and Predilections,’ when
I attack minimalism and extensionalism, and provide a way which is meant to
resemble Locke’s way of words, or rather Locke’s way of ‘complex’ words, or
‘composite’ (Costa’s ‘comporre’) out of ‘simple’ ones – as in Quine’s worn-out
‘bachelor’ unmarried male that I play with with Strawson in “In defense of a
dogma.” In this respect, it is interesting to see that Costa also wrote on
‘ellocution’ and ‘sintesi’ versus ‘analisi’!” Figlio di Domenico e Lucrezia
Ricciarelli, studia a Ravenna e Padova. Insegna a Treviso e Bologna, a Villa
Costa, Bologna -- è costretto a riparare a Corfù perché sospettato di essere
affiliato alla Carboneria. Può rientrare a Bologna. Altre opere: “I trattati
della elocuzione e del modo di esprimere l’idea e di segnarla con una
espressione precisa a fine di ben ragionare” – Colla profferenza, “Fa fredo,”
Costa segna che fa freddo. Il trattato filosofico della sintesi e dell'analisi;
i quattro sermoni dell'arte poetica, un commento alla Divina Commedia, la Vita
di Dante, il Dizionario della lingua italiana, poesie (Laocoonte), lettere e
traduzioni. Letterato neo-classico e
dunque tipicamente italiano e anti-romantico, ammira i corregionali Monti e Giordani
e sostenitore del purismo e del “sensismo” lucreziano in filosofia. Nella
lettera a Ranalli di introduzione al Della sintesi e dell'analisi così riassume
le sue concezioni filosofiche. È necessario, per togliere la infinita
confusione che è nelle scienze ideologiche, di dare all’espressione un
determinato valore. Sostengo che questo non si può ottenere, come crede Locke,
colla de-finizione (horismos) (la quale e una scomposizioni di una idea o di
piu idee), se prima la idea non sia stata ben composta. Sostengo che questa non
si puo compor bene, se prima non si conosce quale ne sieno gli elementi
semplici – soggetto e predicato, il S e P -- Sostengo che un elemento semplice
e una reminiscenza relative a una sensazione, e che la idea si compone di almenno
due di sì fatti elementi – il S e P – la proposizione, ‘segno che p’ -- e del
sentimento del rapporto di una reminiscenza e dell’altra, cioè dei proposizione
– nel indicativo o imperative – il giudizio – il giudicato – e la volizione –
il volute. Da ciò conséguita che l'esperienza (se l'esperienza vale ciò che si
sente mediante l'attenzione) è il fondamento della scienza umana. I kantisti ed
altri filosofi distinguono una idea in una idea soggettiva e in una idea
oggettiva, ed attribuiscono un'origine a posteriori e sintetico alla una ed
un'origine a priori e analitico all’ltra. Questa distinzione può esser buona, ma
non è buona l'ammettere che abbiano origini di natura diversa: a
posteriori/sintetico, dal senso – e a priori/analitico – dall’intelleto – nihil
est in intellectus quod prior non fuerit in sensu. Ogni idea ha un stesso origine. e questo si fa
palese per un solo esempio. Da una idea soggettiva puo nascere sue proposizioni. Una proposizione: "La
reminiscenza S1 e la reminicenza S2 sono in me”. Altra proposizione: “La
reminiscenza S si associa con la reminiscenza P”. Qual è l'origine dell’idea
dalla quale deriva sì fatta proposizione? Il sentimento. Dire che la
reminiscenza del color di rosa è in me, è dire che sento che è in me, e dico:
“Vedo una macchia rosa”. Così direte dell'altra proposizione. Dall’idea
oggettiva puo nascere una proposizione e altra proposizione. Il corpo pesa. La
rosa manda odore. Da che nasce la proposizione? Dal sentimento (senso).
Perciocché dire che questo corpo pesa è lo stesso che dire che sento il peso di
questo corpo; giu-dico, ovvero, sento che la cagione (causante, causans) della
mia sensazione tattile del senso del tattoo è in questo corpo. Così dire che la
rose manda odore è lo stesso che dire che sento l'odore della rosa, giu-dico,
ovvero, sento che l'odore dela rosa ha una delle cagioni in cose fuori, cioè
che non sono in me. Fra una idea soggettiva e una idea oggettiva non vi è altra
differenza, se non che nella che si suppone oggetiva sento che la cagione (causans) è nella nostra
persona. Nell’idea che si suppone oggetiva sento che la cagione (causans) è in
me (o noi entrambi – nella diada --), nell’idea soggetiva nella cosa (il
reale). fuori. Ma come sentiamo noi che vi sia una cosa (il reale) fuori?
Questo è il gran problema dagl'ideologi non ancora solute. Ma l'ignoranza in
che siamo non dà facoltà legittima alla scuola trascendentali di concludere che
il giudizio dell’idea soggetiva non dipende dal sentire. Il giudicio è un
sentimento, cioè, un rapporto sentito fra una sensazione e altre sensazione,
una reminicenza (il S) e altra reminiscenza (il P); ché se tale non fosse,
nessuno potrebbe dire che l'idea che abiamo di una rosa p.e. ha la sue cagioni
fuori di noi entrambi, perciocché una sì fatta proposizione suppone che l'uomo
che proferisce questa proposizione o explicatura (spiegato) abbia o la
sensazione S e la sensazione P, o le reminiscenza S e la reminiscenza P in
relazione alla sensazione prodotte dalla rosa, e l'idea del sentente. Voi
vedete chiaramente, che nell'uno e nell'altro degli addotti esempii la
modificazione che chiamamo ‘idea,’ e il sentimento dei loro rapporti sono nella
nostre anime ambidue, e che quindi si esprimono falsamente coloro, che dicono
che sentiamo il corpo fuori di noi. Dovrebbero dire, strettamente, che sentiamo
che la cagione (causans) del nostro sentire (sentito) non è in noi entrambe.
Coi fondamenti da me posti si può stabilire una dottrina, se il buon desiderio
non mi acceca, per la quale vadano a terra le opinioni di coloro che disprezzano
il sensismo, e che con odiosa espressione la chiamano dottrina de' “sensuali”.
Con che danno a divedere, che essi mattamente opinano che il materiale organo
del senso (i cinque organi, i cinque sensi) senta e percepisca, senza
accorgersi che se gli occhi (visum) e le orecchie (auditum) e il naso (odore) sentissero
ciascuno separatamente, non potrebbe giammai nascere giudizio alcuno circa la
qualità della sensazione di natura
diversa. L’uomo non potrebbe mai dire che l’odore della rosa mi diletta più del
colore della rosa, e così via discorrendo. Il sentimento di un solo centro,
nostre anime ambidue: e nostre anima ambidue senteno in sé mesima, e non fuori
di sé. Puo parere che questa dottrina del sensismo sia la stessa che quella
dell'idealista irlandese Bercleio; ma essa è diversa, poiché ammette che oltre
la idea vi sieno fuori dell'uomo la cagione (causans) di essa idea. Di questa
cagione (causans) – il reale, il noumeno -- noi conosciamo l'esistenza, e nulla
più. Che cosa e un corpo in se stesso? A questa interrogazione non si può
rispondere se non dicendo che e ignota la cagione della nostra sensazione
condivisa. Sappiamo che esiste, sappiamo che si modifica, e tutto ciò sappiamo,
perché fa della mutazione nell'animo nostro ambedue o nell’anima nostra ambedue.
Dal che si deduce ciò che dianzi vi dissi, che ogni idea ha per loro due primitivi
elementi (il S e P) la sensazione, la reminiscenza, il sentimento che e nelle
nostre anime ambidue, e non fuori di lei. Così la pensa il filosofo chiamato
per beffa dal cattolico romano col nome di sensualista e di materialista.
Materialista a buona ragione si puo chiamare i nostri avversario, o almeno
materialista per metà, giacché ammette che il sentimento del corpo
percepiscano, e giudichino relativamente alla qualità del reale, della cosa
esterna. Leggete le lettere filosofiche di Galluppi stampate non è guari in
Firenze. In Galluppi troverete chiaramente esposte la dottrine sensista, quelle
di Hume circa la cagione, e segnatamente quelle di Kant. Se dalle mie teoriche
si possono ricavare gli argomenti validi a confutare le opinioni del filosofo
trascendentale, o di coloro, che oggi si danno il nome di eclettico – come ha
tempo Cicerone --, io vi prego di compilare alcune note, o vogliam dire
corollarii, pei quali si vegga manifesta la falsità di alcuni principii del
irlandese Bercleio, del scozzese Reid e del scozzese-tedesco Kant, la filosofia
dei quali è fonte della massima parte della moderne follia (Della Sintesi e
dell'Analisi, ed. Liber Liber / Fara Editore). Altre opere: “Alighieri”; “Della
elocuzione” Fara editore, S. Arcangelo di Romagna); “Della sintesi e
dell'analisi” (Giovanni Battista Borghi e Melchiorre Missirini); “La divina
commedia, con le note di Paolo Costa, e gli argomenti dell'Ab.G. Borghi. Adorna
de 500 vignette” (Giovanni Battista Niccolini e Giuseppe Bezzuoli, Firenze, Stabilimento
artistico Fabris,Claudio Chiancone, La scuola di Cesarotti e gli esordi del
giovane Foscolo, Pisa, Edizioni ETS (sulla formazione padovana del Costa, e sulla
sua amicizia giovanile col Foscolo) Filippo Mordani, Vite di ravegnani
illustri, Ravenna, Stampe de' Roveri. Dizionario biografico degli italiani. Una
delle facoltà, onde l'uomo è tanto superiore alle bestie, si è la favella
[fabula – da ‘fa’, speak – cf. fama], mercè della quale i primi uomini non solo
si strinsero in comunanza civile, ed ordinarono la legge ed il governo; ma a
fare più beata e gloriosa la vita crebbero le scienze e le arti, ed ispirarono
con queste l'odio al vizio ed al falso; l'amore della virtù, del vero, del bello;
e i fatti e i nomi degni di memoria ai tardi secoli tramandarono. E qual cosa è
più utile ai privati, ed alla repubblica e più degna e di maggiore onore, che
l'arte di gentilmenle parlare? Per questa ci è aperta la via alla dignità, alla
fortune ed alla fama; per questa le città si mantene ordinata e pacifica; per
questa sono animati i guerrieri – come
Niso ed Eurialo --, encomiato un principio; per questa con più degni modi si
loda e si prega il supremo autore elle cose, e pura e viva si mantiene nel cuor
degli uomini la religione. Laonde, se desiderate onore o giovamento a voi
stessi ed alla Italia, ardentemente volgete l'animo a questo nobilissimo studio
del parlare o discorsare civile. Che se vi fu dolce fatica l'interpretare e
l'imitare gli antichi filosofi romani, non meno dolce vi e il venire meco
investigando il magistero, che è nelle opere loro; imperciocchè, essendo la
favella [la lingua, il parlare] istrumento col quale si commovono e si traggono
gli animi degli uomini, uopo è di volgere sovente la considerazione alle
proprietà dell'intelletto e del cuore umano; il che , pel naturale desiderio,
che abbi mo di conoscere noi stessi, è dilettevolissimo. Mettiamoci dunque
volentieri a quest'opera; e per cominciare con ordine , poniam subitomente al
fine, che si propone chi scrive, perocche non sarà poi difficile temperare ed
ordinare secondo quello il modo del favellare. La favella – nella diada
conversazionale -- intende a *manifestare* (cfr. Vitters) ad altro un pensiero
e un affetto proprio con soddisfazione dell’altro. Ad ottenere questo FINE,
sono necessarie due codizioni. Prima: che la elocuzione sia chiarà – Grice:
“imperative of conversational clarity). Seconda condizione: che l’elocuzione
sia ornata convenevolmente. Parliamo tosto della chiarezza conversazionale, che
poco appresso diremo dell' ornament. La chiarezza da due cose procede. Prima:
dalla qualità dell’espresione, che si pone in uso. Secondo: dalla collocazione –
cum-locatio, syn-taxis -- loro. Prima diciamo della qualità dell’espressione,
L’espressione, che e un *segno* [cf. Grice: Words are not signs] di una idea,
fa perfettamente l'ufficio suo ogni qual volta sia ben determinata, cioè
appropriata a ciascuna idea singolare per nodo, che non possa a verun' altra
appartenere. Per meglio iutendere in che consista la natura loro, bisogna
considerare che ogni idea e composta – il S e P - ; e che alcune, differendo da
altre in pochi elementi, abbisognano di segno particolare, per apparire
distinte. Quell’espressione che la distingue dicesi “proprio”. Vaglia un
esempio. L'idea di ‘frutto’ ha per suoi elementi le idee delle qualità comuni a
ogni frutto; l'idea di “melagrana,” oltre i detti elementi , comprende le idee
delle qualità particolari della melagrana: perciò è che, se chiameremo frutto
la melagrana, quando è mestieri distinguerla, non parleremo con proprietà. (cf.
Lawrence: What is that? E un fiore). Ho qui recato il materiale esempio di un
errore, in che è diſficile di cadere, affinché si vegga chiaramente non essere molto
dissimile da questo l'errore di coloro, che d'altre cose ragionando usano i
vocaboli generali (fiore) per ignoranza' de'particolari (tulipano). Tanto
sconvenevol cosa si repula l 'usare una espressione impropria, dice il Casa,
che si hanno per non costumali coloro, i quali, non dan dosene gran pensiero,
pare che amino di essere frantesi, e nulla curino il fastidio di chi si sforza
d'intenderli: all'incontro coloro, i quali usano l’espressione propria,
mostrano di essere civili, essendo solleciti di alleviare altrui la fatica [cf.
Grice, prinzipio di economia dello sforzo razionale], poichè pare che mercè
della espressione proprie le cose si mostrino, non coll’espressione, ma con
esso il dito. I poeti, che sono lodali per la evidenza, onde le cose ci pongono
dinanzi agli occhi ci somministrano
esempi del modo assai proprio. Giovi recarne qui alcuno a schiarimenlo di
quanto abbiamo detto: Come d'un tizzo verde, ch'arso sia dall'un de capi che
dall'altro geme, e cigola per vento, che va via. È qui da notare come
l’espressione “tizzo” e l’espressione “cigola” meglio ci rappresentano la cosa,
che arde, e l'effetto del fuoco, di quello che se Alighieri avesse detto: un
ramo verde fa romore per vento che va via, essendo questa SIGNIFICAZIONE alta a
denotare altra idea non simili in tutto a quella che si voleva esprimere. Cosi
Petrarca disse propriamente: raffigurato alle fattezze conte, piuttosto che
dire alla persona; e Alighieri: levando i moncherin per Ľaria fosca, in vece di
dire, levando le braccia tronche. Qui si vede come l’espressione “fattezza” e l’espressione
“moncherino” sieno meglio usati per essere espressione di SIGNIFICAZIONE
SINGOLARE. Se la proprietà [cf. be as informative as is required – avoid
ambiguity] è si necessaria a SIGNIFICARE la cosa che cade sotto i sensi, quanto
maggiormente nol sarà ella, quando si vogliono esprimere le idee intellettuali
e le morali, che se non fossero determinata in virtù dell’espressione, o svanirebbero
dalla mente nostra, o vi starebbero disordinate e mal ferme? A quel modo che
dalla precisione delle cifre dell'aritmetica dipende la esattezza de’ calcoli,
cosi dalla proprietà dell’espressione dipende quella delle idee e de'
ragionamenti in qualsivoglia delle scienze astratte; e quindi ottima è quella
sentenza del filosofo: consistere il sommo dell'arte di ragionare nel l'uso di
un discorso bene ordinata. Anche Piccolomini ha detto della sua parafrasi di
Aristotele, che la base e il fondamento della elocuzione si ha da stimar che
sia la purità, la netlezza e candidezza – cf. Grice, the imperative of
conversational candour -- di quel discorso, nella quale l'uom parla. Ad
acquistare l'abito di discurrire con proprietà tre cose si richieggono.
Prima, il saper bene dividere le idee
fino ai primi loro elementi. Secondo, il conoscere l'etimologia
dell’espressione (etimo: il vero), per quanto è possibile. Terzo, il rendersi
famigliari le opere degli antichi filosofi romani, ne'quali è dovizia di voci
pure e di modi assai propri. Chi non ha uso delle delle cose è spesso costretto
di adoperare le noiose circonlocuzioni in luogo di un solo vocabolo o di una
breve sentenza, e di abusare de sinonimi. Si dice “sinonimo” l’espressione di una
medesima sigoificazione, o quelli, che rappresentando le stesse idee
principali, differiscono in qualche accessoria. Della prima generazione sono i
seguenti: fine e finimenio; abbadia e badia; consenso e consentimenlo e simili.
Aliri ne trov po nella formazione de' tempi, e de'partecipii, come rendei e
rendetli ; visto e veduto; parso e paruto; ma colali sinonimi non sono in gran
numero. La più parle è di quelli che differiscono per aumento, o diſelto di
qualche idea accessoria. Cavallo, corridore, destriero , palafreno, poledro,
rozza, sono espressioni istituite a significare il medesimo animale; ma ognuna
differisce dall'altra. “Cavallo” denola la qualità della specie; “corridore” la
particolarità d'esser veloce; “destriero” ricorda l'uso di menare il cavallo a
mano destra; “palafreno” quello di frenarlo colla mano; “poledro” la qualità
dell'essere giovane; “rozza” quella dell'essere vecchio e disadalto. Le voci
unico e solo sembrano per avventura la stessa cosa; ma il Petrarca disse la sua
donna essere “unica e sola” (one and only), volendo significare che nessun'altra
è nella schiera di Laura, e che nessuna può esserle dala in compagnia. Incontra
alle volte, che le parole istituile a significare un'idea stessa differiscono
per la virtù, che haono di richiainarne alla mente alcun'altra più o men nobile,
o per cagione del suono o vobile o rimesso, o per cagione dell'uso, che di
quella suol esser fatlo in umile o in illustre componimento. Tali sono , a
cagione d'esempio, i vocaboli “adesso” ed “ora”, che significano ‘il momento
presente’, ma “adesso” non sarebbe ricevuto in nobile componimento ; dal che si
vede che sebbene ei denoli il punto presente del tempo, come fa l'altro, pure
trae in sua compagnia alcune idee, che il fanno parere di bassa condizione. É
dunque da por wenle che l’espressione, che si dice sinonimo, non sempre ci
rappresentano stesso complesso d'idee ; e quindi può intervenire, che ingannali
dall'apparenza, alcuna votla siamo lralli ad usarli impropriamenle. È da
avvertire per ultimo, che ogni espressione antiquale, cioè quelle, che pel consenso
universale de’ filosofi sono stale abolite, non hanno più luogo tra le voci
proprie. Si uilmente sono improprie ogni espressione dei dialelli parlicolari,
e l’espressione forastiera, che dall'uso de' wigliori filosofi non hanno avuto
la cile tadinanza. Le quali tutte non sarebbero bene intese dall'intera Italia;
e perciò denuo essere, da chi desidera di discurrire chiaramente, a lullo
polere schivale. Questo basli aver dello della proprietà, che è la prima cosa,
che si richiede a render chiara le elocuzione. Direino poi a suo luogo come il
trasporlare con altra legge di proprietà l’espressione dal significato proprio
all'improprio giovi maravigliosamente alla chiarezza. In virtù dell’espressione
esprimiamo i nostri giudizii, e collegando insieme il giudizio espresso formiamo
i raziocioii, i quali verranno chiari alla menle altrui , qualvolta sieno
osservate le leggi, di che ora faremo parola; ma prima si vuole avvertire, cha
talora il discorso può es sere ordinato secondo le leggi, per le quali ' riesce
chiaro, ma non avere poi quella forza, quella virtù e quella eſficacia, che
avrebbe, se si disponessero le parole diversamente senza però offendere le
delle leggi. A suo luogo direno della disposizione (sintassi) delle parole, che
agagiunge efficacia al discorso. Ora è a dire solo tanto di quella, che lo fa
chiaro. Ogni giudizio espresso dicesi proposizione. Nel ragionamento, il quale
di nolle proposizioni si compone, alcuna vene ba, che viene modificata dalle
altre. Quella, che è modificata, dicesi principale, le allre suballerne (o
minore). Vaglia a ben distinguerle il seguente esempio del Casa. Menire i
nostri nobili cittadini gli agi e le morbidezze e i privuli loro comodi
abbracciano e stringono, l'impera lore, non dormendo nè riposandu , mu travagliando
e fabbricando, ha la sua fierezza e la sua forza accresciuta. L'imperatore ha
la sua fierezza e la sua forza accresciuta è la proposizione (premessa) principale
(maiore), le altre, che lei modificano, sono le subaltern (premessa minore). La
proposizio ne principale, a somiglianza della principale figura in un dipinto,
dee fra tutte le subalterne campeggiare e risplendere; per ciò è che vuolsi
evitare la frequenza di queste ultime, le quali, allorchè fossero troppe, invece
di raflorzare la principale o premessa maiore, siccome è loro officio,
verrebbero ad indebolirla. Questa si è la prima avvertenza , che circa le
proposizioni subalterne aver dee colui che discurre; indi si prenderà cura di
ben' collocarle. Prima che veniamo a dire quale sia la buona collocazione loro,
è necessario di osservare, che le delle proposizioni subalterne si distin guono
in espresse ed in implicite. Diconsi espresse quelle, nelle quali tutte le
parli loro sono manifeste, come nella seguente : ľuomo è ragionevole. Diconsi
implicite quando il giudizio che si esprime, e significati dall nome addiettivo
o dal nome sustantivo con preposizione o dall’avverbio, come nelle seguenti.
L’uomo GIUSTO è lodato. Pilade ama Oreste. CON. I romani amarono GRANDEMENTE la
patria. Quando si dice “l'uomo giusto” si viene ad affermare che ad esso si
appartiene la giustizia, che è quanto dire giudichiamo che egli è giusto. Si
dica il medesimo delle altre due proposizioni. Ama con FEDE GRANDEMENTE, La
proposizione IMPLICITA (entimema, implicatura) serve a significar del giudizio,
che per abilo la mente umana FEDE amarono suol fare rapidamente; perciò è che
non si denno usare in vece di quelle la proposizione espressa, SPLICITA
(splicatura), perciocchè impedirebbero la spedi tezza dell' intelletto di
nostro compagno conversazionale. Si dovranno ancora nello scegliere la
proposizione implicita (implicatura, impiegato) schivare le inutili, cioè
quelle, che risveglierebbero le idee, che in virtù del solo sustantivo o del
solo verbo possono essere richiamate a mente, e scegliere quelle, che meglio
qualificano il significato. Sarebbe, a cagione d ' esempio, vano (redundante) e
noioso l'aggiunto di “bianca” alla “neve” (salvo se il caso richiedesse di far
conoscere parti colarmente questa qualità), essendo che l’espressione “neve”
trae seco, senz'altro aiulo, la idea di ‘bianco’ (cf. ‘atleta’ ‘longo’).
Rispello alla collocazione della proposiziona suballerna, sia ella implicite o
espresse, la regola (massima, imperativo) si mostra di per sé: imperciocchè, essendo
intese a denotare alcuna qualità del signato o da' sustantivo o da' verbo o da'
participio, deve chiaramente apparire a quali di queste parti dell'orazione (l’otto
parti dell’orazione – partes orationis) vogliono appartenere; e perciò fa mestieri
collocarle in luogo tale, che mai non venga dubbio se sia poste a modificare
piuttosto l'uno, che l' altro o verbo o participio o sustantivo. Quao do a ciò
si manca nasce perplessità (“misleading, but true) come nel seguente luogo di
Boccaccio. E comechè Aligheri aver questo libretto fallo nell'età più matura si
vergognasse. Qui può sembrare che il libretto sia stato falto nell' età più
matura; che se avesse dello: comechè egli aver futto questo libretto si
vergognasse nell'età più matura, la proposizione sarebbe stata chiarissima.
Alcuna perplessità è ancora in quest'a tro di Passavanti: Leggesi, ed è scritto
dal venerabile dottor Beda, che negli anni domini ottocento sei un uomo passò
di questa vila in Inghilterra. Comechè non sia per cadere nel pensiero di
alcuno che colui, che si parle di questa vita, possa andare in Inghilterra,
nulladimeno, per quella collocazione di parole, la mente di chi legge resla
alcun poco sospesa. Molte traspposizioni, che si bia simano nella lingua
italiana, sono spesso con venevoli nella lingua latina, perchè nella lingua
romana gli aggettivi, che per le desinenze diverse nei generi, nei numeri e nei
casi si accordano coi sustantivi, rade volte lasciano dubbio a cui vogliano
appartenere, e rade volte i casi obliqui si confondono col caso retto, comunque
nella proposizione sieno collocati. Bellissimo è in latino il seguente luogo di
Crasso, riportato da Cicerone. Haec tibi est excidenda lingua, qua vel evulsa
spiritu ipso libidinem tuam libertas mea refutabit. Tenendo l'ordine di queste
parole nella lingua italiana si produce falsità nella sentenza: sconvolgendolo
si perde tutta l'efficacia. Se diremo. Questa lingua li è d'uopo recidere:
recisa questa, col fiato stesso la tua sfrenatezza la libertà mia reprimerà,
apparirà che la sfrenatezza reprima la libertà. Se per lo contrario tradurremo.
La libertà mia reprimerà la tua sfrenatezza, toglieremo alla sentenza molto
della sua forza. Vedremo a suo luogo la ragione, per cui la diversa
collocazione di una espressione semplice rafforza o snerva l'espressione
complessa. Ora ci basti osservare, poichè cade in acconcio, che le varie lingue
(parlando ora della sola facoltà, che hanno di permutare il luogo alle parole),
luttochè sieno alle a qua. Junque specie di componimento, nol sono ad esprimere
uno stesso concetto nella stessa forma; perciò è che quando si trasportano le
scritture da una favella ad un'altra non dovrà l'espositore darsi briga di
ritrarre espressione per espressione, ma, avendo rispetto al genio della sua
lingua, cercherà di produrre per altro conve pevol modo negli animi di nostro
compagno conversazionale gli effetti, che l’espressione in lui operarono. Per
fuggire le equivocazioni [cf. Grice, avoid ambiguity] gioverà ancora badare ne'
verbi alla prima voce dell'imperfetto dell'indicativo, la quale è simile alla
terza, dicendosi io amava, colui amava; perciò a distinguerle è sovente bisogno
di pre ineltere all’espressione ‘amava’ il nome o il pronome. Giova spesso alla
chiarezza, e segnatamente nell’espressione complessa o composita, il ben distinguere
le persone e le cose, delle quali si parla (il topico); e perciò sta bene
talvolta il *ripetere* il nome per non confondere l’una coll'altra;
imperciocchè i prononi e i relativi sogliono spesso essere cagione di equivoco
– confusione – cf. avoid ambiguity, be perspicuous [sic], the imperative of
conversational clarity; e questo interviene specialmente, quando nella
proposizione antecedente sono più sustantivi di un medesimo genere e numero,
che si possono accordare coi relativi delle susseguenti; perciò conviene tal
volta o giovarsi di un sinonimo onde porre in luogo di alcun nome mascolino un
femminino, o inulare il numero del più in quello del meno, o viceversa. Può ancora
geverarsi perplessità nell'usare il possessivo “suo” e “suoi” invece de
relativo lei, lui e loro; e perciò alle volle è necessario adoperar questo per
quello, come nel caso seguente. Mai da sè partir nol potè, infino a lanto che
egli (Cimone) non l'ebbe fino alla casa di lei accompagnata. Se Boccaccio
avesse detto, fino alla casa sua accompagnata, si sarebbe potuto credere essere
quella di Cimone. Per far maniſesta (esplicita, chiarissima) la connessione
de'ragionamenti sono assai opportune le particelle copulative (“e”(,
avversative (“ma”), illative (“se”) e somiglianti – disgiuntiva (“o”). Molli
fra' filosofi italiani, ad imitazione de’ filosofi francesi, sogliono scrivere
a piccoli membri senza congiungerli insieme colle particelle, e in ciò sono da
biasimare, iaperciocchè costringono la mente di nostro compagno conversazionale
a passare “di salto” da una proposizione all'altra senza dargli occasione di
scorgere subitamente le attenenze (pertinenza, relevanza – cf. Grice, category
of relation – be relevant – a ‘platitude’ -- Strawson) loro. Affinchè si vegga
manifestamente quanto la mancanza de' legamenti tolga di chiarezza al discorso,
leverò dal seguente luogo del Passavanti le particelle che ne conneltono le
parti. Qualunque persona sogna, pensi se il suo sogno corrisponde all affezione
sua, a quella che più ta sprona. Se vede che si , non a . spetti che al sogno
suo debba altro segui. tare. Quel sogno non è cagione, alla quale debba altro
effetto seguitare; è l'effetto dell'affezione della persona. Tale sogno oseservare,
cioè considerare donde proceda, non è in sè male: è l'effetto di naturale cagione.
Facciamo congiunti questi membri colla particella “e”, la
particella”imperciocchè, la particella “ma” e vedremo il discorso apparire più
chiaro (“She was poor and she was honest”) Qualunque persona sogna, pensi se il
suo sogno corrisponde all’affezione sua, a quella, che più lu sprona. E se vede
che si, non aspetti che al sogno suo debba altro seguilare; *imperciocchè* quel
sogno non è cagione, alla quale debba altro effetto seguitare; *ma* è l'effetto
del l'affezione della persona; e tale sogno osservare, cioè considerare donde
proceda, non è in sè male: imperciocchè è l'effetto di natural cagione. Quesli
pochi avvertimenti basteranno, se io non erro, a render cauti i conversatori,
che desiderano di conversare chiaramente. Tralascio le wolle cose, che i
filosofi hanno ragionato in torno la proposizione, poichè mi pare che, qual
volta siasi imparato a distinguere la proposizione principale (premessa maiore)
dalle proposizione subalterna (premessa minore), e siasi conosciuto che la
virtù di queste si è di modificare le parti dell'altra, non faccia mestieri di
*molto sottile* ragionamento a sapere in che modo elle si debbono collocare
nella orazione o espressione complessa; perciò senza più entro a parlare dell'
ornamento. La perſezione dell'arte del conversare, secondo Cicerone, consiste
nell'esporre chiaramente, or nataniente e convenevolmente le cose o il topico,
che a trattare imprendiamo. Di quella chiarezza e di quell'ornamento e decoro,
che dalla invenzione e disposizione della materia procede, si ragiona in altre
due parti della rettorica. Accade qui di parlare delle suddette tre qualità
solamente rispetto al modo di significare (modus significandi) il concetto
ritrovati. Avendo abbastanza detto della prima, diremo ora delle altre due, che
fanno il discorso – la mozione conversazionale -- accetto a nostro compagno
conversazionale. Prima di tullo si vuole osservare che la proprietà delle voci
e l'ordinata (cf. Grice, be orderly) composizione loro generano gran parte
della bellezza del discorso; imperciocchè fanno sì, che esso sia inleso senza
fatica, che è quanto dire con qualche sorta di piacere. Ma questo non basta;
chè nessuno per verità loda il conversatore solamente perchè si fa intendere
dal suo compagno conversazionale; ma lo biasima e sprezza, s ' ei ſa
altrimenti. Chi è dunque che faccia meravigliare gli uomini e tragga a sua
voglia le volontà loro? Chi è applaudito e chi è venerato più che more tale?
Colui, che nel conversare è distinto, copioso, splendido, armonioso, e che
queste qualità, onde si forma l'ornamento, congiunge al decoro. Que' che
conversa co'rispetti, che la qualità delle materia e del compagno
conversazionale richiede, solo merita lode: che qualsivoglia ornamento
disgiunto dal decoro diviene sconcezza e deformità. Di questo decoro diremo più
particolarmente a suo luogo; ora veniamo a discorrere le parti dell'ornamento.
Molto leggiadre ed efficaci sono le voci proprie, che per cagione del loro suono
hanno somiglianza col significato, o quelle che ne ricordano qualche
particolare qualità. E espressiona, che ricorda il significato per somiglianza
di suono le seguenti: “belato”; “ruggito”; “soffio”; “nitrito”; “boato”;
“rimbombo”; “tonfo”, e molte al tre, che per alcuni furono chiamate termini
figure, a differenza di quelle, che, non avendo soosiglianza veruna col
significato , furono delle termini memorativi o cifre. Fra i termini figure voglionsi
annoverare, oltre le voci che abbiamo teste accennat , quelle che o provengono da
altr’espressione, che è segno di cosa somigliante al signficato che si vuol
esprimere o communicare (cf. Grice on the circularity of analyising ‘signare’ e
‘communicare’), o ricordano l'origine o gli usi del significato. L’espressione
“spirito” è bella per certa tal qual somiglianza, che il significato, cioè
l’immateriale sostanza, sembra avere col fialo o con qualsivoglia altra sottil
materia, che spiri. Belle similmente e l’espressione “moneta” e l’espressione
“pecunia”. la prima delle quali, venen do da “moneo”, significa che il metallo
ed il conio ammoniscono la gente circa il valore di essa moneta. La seconda,
venendo da pecus, ricorda l'origine del denaro, che fu sostituito ai buoi ed
alle pecore, antica inisura delle cose mercatabili. Ho qui posti questi due
esempi ancora perchè si vegga ' quanto giovi alcuna volta l'investigare
l’etimologia. Concorrono co' termini propri e co' termini figure a far bella la
mozione conversazionale le parole nobili, qualvolta sieno convenevolmente
adoperate. Accade delle parole, dice Pallavicini, che comunemente accade degli
uomini nel civil conversare. Questi acquistano ripulazione o vilipendio dalla
qualità delle persone colle quali usano farnigliarmente; e le parole dalla
qualità delle persone da cui sono sovente proſerite; e ciò interviene perchè
tutti hanno per fermo, che i personaggi illustri e gli uomini letterati sieno
esperti a conversare con legge, e che la plebe allo incontro parli e cianci barbaramente.
Avviene da ciò che alcune voci, che significano cose vili o laide, sono
tuttavia tenute per nobilissime. All 'opposito altre ve a'ba, che, nobili cose
significando, in grave componimento non sarebbero lodate. Della prima spezie
sono in Italia l’espressione “lordo”; “lezzo”; “tube”; “piaga”, ed altre, che
nelle più nobili conversazione sogliono essere usate. Dall'altro canto
l’espressione “papa”, siccome osserva il lodato cardinale Pallavicini , la
quale nobilissimo personaggio rappresenta, non sarebbe ricevuta in grave
componimento poetico. In tre schiere vengono separate dal Pallavicini le parole
rispetto la maggiore o minore nobiltà loro. Nella prima si collocano quelle,
che dal conversatiore in nobile conversazione e usata a significare un concetto
grande ed il lustre. Vocaboli di questa specie non si potran no senza affettazione
adoperare in tenue argomento o in famigliare discorso. Che se alcuno
famigliarmente usasse l’espressione “pugna” in vece di “battaglia”; “luci” in
vece di “occhi”; “accento” o “nota” in vece di “parola”, certo è che move rebbe
a riso il compagno conversazionale. La seconda schiera è di quella espressione,
che vanno egualmente per le bocche degli uomini ragguardevoli e del popolo, e
che si possono senza biasimo usare in ogni occorrenza. La terza poi è di
quelle, che furono avvilite nella bocca della plebe, come e l’espressione
“pancia”; “budella”; “corala” e simili , le quali possono essere opportune in
una conversazione intesa ad avvilire alcuna cosa, come e la mozione
conversazionale ‘satirica’. Anche le espressione antiche, qualvolta elle abbiano
convenevole forma e non sieno passate ad altro significato [non multiplicare
sensi piu di la necessita], vagliono à nobilitare la conversazione; ma si richiede
somma cautela in co lui che a vila le richiama, poichè, siccome ė detto di sopra,
una espressione antiquata, ollrechè spesso portano seco oscurità [cf. Grice,
‘avoid obscurity of expression, procrastinate obfuscation], più spesso fanno
l'orazione ricercata e deforme. E chi oggi p trebbe, senza indurre a riso il
compagno conversazionale, l’espressione “beninanza”; “bellore”; “dolzore”;
“piota”, “spingare” ed altre simili d’usare. Ora diremo della metafora (“You
are the cream in my coffee), la quale usata opportunamente è lume e vaghezza
della orazione. Prima è a sapere che gli uomini selvaggi per essere scarsi di
cognizioni mancarono dell’espressione, e che volendo eglino significare alcuna
cosa non ancora significata, fecero uso naturalmente di quella espressione gia
usata, la quale e stata inventate a contras-segnare *altra* cosa somigliante in
qualche parte all'idea novella (“You are LIKE the cream in my coffee”).
Occorrendo loro, per esempio, di significare alcun uomo crudele, il chiamarono “tigre”
per la somiglianza dell'indole di colal bestia con quella dell'uomo crudele.
Cosi dissero assetate le campagne asciulle, “volpe” 1'uomo astuto (“sly as a
fox” – he is a fox), “capo del monte” la cima, e “piè” del monte la falda di
quello. Per gli addotti esempi si vede questo trasporlamento (meta-bole,
transferenza, trans-latio) di una expression da un significato propio e vero ad
un significato impropio e falso (“You are the cream”) altro non essere che una
similitudine ristretta in una espressione (“You are like the cream –
simplifcata a “You are the cream”); impercioc chè la seguente similitudine
spiegata. La comparazione vera “Costui è crudele COME una tigre” si restringe (per
brevita) in questa forma metaforica falsa. “Costui è una tigre”. È dunque la
metafora una abbreviata similitudine [an elliptical simile], che si fa recando
una espressione dal significato proprio al signficato improprio: e perciò da
Aristotele è detta imposizione del nome d'altri. Siccome la metaſora fu da
principio usata per *necessità*, potrà parere ad alcuno che crescendo il numero
delle idee determinate e della espressione propria, la metafora divenga
pressochè inutile – o una figura di retorica --; ma non accade cosi: perocchè,
sebbene fra le conversatori civili e culle non sia tanto necessaria quanto fra
le selvagge e rozze, pure la metafora è e sarà sempre luce e vaghezza della
conversazione per virtù e forza di quelle sue qualità, che ora verrewo
particolarmente esponendo. La metafora presenta spesso all'animo più chiaramente
ogni sorta di concetti, poichè, veslendo di forma *sensibile* una idea non-sensibile,
o intelleltuale (nihil est in intellectu quod prior non fuerit in sensu), ce le
pone davanli agli cinque sensi. Voleva Alighieri significare che non è
meraviglia se per la le nuità della nostra fantasia non possiamo per venire ad
imaginare le cose, che Alighieri desiderava narrare del Cielo; e questo con una
metafora dicendo. E se le fantasie nostre son basse a tant'altezza non è
maraviglia. Per tal modo il concetto, che era tutto non-sensibile e intelettuale,
divenne sensibile e per conseguente più chiaro (cfr. Grice, ‘be perspicuous
[sic] – the imperative of conversational clarity] e più popolare. E se taluno
volendo dire che gli uomini bugiardi saono talvolta infingersi e comporre gli
atti e le parole a modo di parer verilieri, dicesse che la menzogna prende talvolta
il manto della verità, non significherebbe egli il suo concetto assai
vivamente. (He said that she was the cream in her coffee, By uttering ‘You’re
the cream in my coffee” U signs – explicitly – THAT the addressee is the cream
in the utterer’s coffee. Fra tutte le metafore poi e più efficace quella
metafora che si cava da una qualità sensibile, corporea, materiale, che si
mostra a le cinque sensi, e forse la ragione si è questa. Alla reminiscenza
della qualità di un corpo, la quale ci vengono all'animo per i cinque sensi,
più tenacemente si associano le idee, che di essi ci vengono per gli altri
sentimenti; quindi è che ogni qualvolta ci riduciamo a memoria una della
qualità sensibile (in questo caso visibile) del reale (un oggetto) quasi tutte
le altre appartenenti a quello pur si risvegliano , e vivamente ed intero lo ci
pongono dinanzi agli “occhi” dell'intelletto. Laonde se belle sono le metafore
– parola dolce. che si cá vano dalla qualità, da cui sono affetto: l'odorato
(secondo senso dell’odore), il tatto (terzo senso del tatto), l'udito (quarto
senso dell’audizione) e il gustato (quinto senso del gusto), come queste: odore
di santità – odore santo, durezza di cuore – duro cuore, ruggir di venti, vento
ruggente -- dolcezza di parole; parola dolce -- più bella, per che più viva si
presenta all'animo, entrando quasi per gli cinque organi de’cinqe sensi, sono
le seguenti. Splende la gloriu (visum). Folgoreggiano gli scudi; ridono i prali
(udito); si rasserena la fronte ; l’anima è oscurata per tristezza. Piacquero
ad Aristotele sommamente quella metafora, che ci rappresenta (re-praesentatum,
rappresentato) la cosa in mozzo, e principalmente quando la metafora
attribuisce a una in-animato una operazione di un animato.Tali sono queste di
Omero. Le saette di volar desiose; inorridisce il mare. Anche Virgilio,
parlando di una satta entrata nel petto di una vergine, disse. Harsit
virgineumque alle bibit hasta cruorem. Si dalla metafora ci pone la cosa
vivamente quasi innanzi agli organi dei cinque sensi, e per la “novità” o vita
(no morte) loro ci fanno maravigliare. La metafora, siccome dice Aristotele,
partorisce dottrina, facendo conoscere fra le idee alcuna attenenza dianzi non
osservata. Quale attenenza scorgesi tosto fra un manto e la no billà della
prosapia? Certamente nessuna: pure veggasi come Alighieri ce la fa scorgere. Opoca
nostra nobiltà di sangue, ben tu se'manto, che tosto raccorce, sì che se non
s'appon di die in die lo tempo ya d'intorno co' la for Coine un bello e ricco
manto adorna la persona di colui che sen veste, così adorna l'animo d' alcuni
uomini quell'onore che ricevono pei pregi degli avi loro, e che chiamasi
nobillà: ma, se per virtù novella non si rinfranca, ei viene di giorno in
giorno scemando. Questi pensieri il divino poeta ci reca alla mente colla nuova
similitudine, e ci dilella e ci illumina. Vale eziandio la metafora a muovere
con maggior forza l’affeto, perciocchè, laddove alcuna volta parole proprie
astretti a recare alla mente di nostro compagno conversazionale le idee una
dopo l'altra, la metafora, rappre sentandole tutte ad un tempo, assale l’animo
con veemenza. Basti un solo esempio del Petrarca, il quale rivolto alla morte
così le dice: con saremmo me dove lasci sconsolato e cieco, poscia che il dolce
ed amoroso e piano lume degli occhi miei non è più meco? Quali e quanli
pensieri si destano nella mente all’espessione “cieco” e la frase/espressione
frasale “lume degli ocehi miei”! Ma circa l'uso della metaſora nell’aſſetto si
vuole por menle che ella non mostra il
lavoro e la fatica dell’intelletto, perocchè non è verisimile che colui, che ha
l'animo perturbato, si perda a far cerca d'ingegnosi concetti e figure
retoriche. È ancora pregio della metafora di coprire con velo di modestia e di
gentilezza il segnato, che espressa con un termino proprio (e non un termino
figura como e la metafora) sarebbero odioso o turpo. Ecco un bell’esempio del
Passavanti. La innata concupiscenza , che nella s vecchia carne e nell'ossa
aride era addor meniata , si cominciò a svegliare : la favilla, quasi spenta si
raccese in fiamma ; e le frigide membra, che come morte si giacevano in prima,
si risentirono con oltraggioso orgoglio. E Virgilio disse. O luce magis dilecta
sorori, Sola ne perpetua moerens curpere juventa? Nec dulces natos, Veneris nec
praemia noris? Questo e i principale vantaggio della metaſora, onde sovente
viene preferita al termino proprio. Diremo ora dei vizii che talvolta elle
possono avere. Se bella e la metafora che fa scorgere una maniſesta somiglianza
tra due segnati (‘you’ ‘the cream in my coffee’), da che si toglie il vocabolo
e l'altra, a cui si reca, chiaro è che deformi saravno quelle, che tengono ji
paragone di rose o polla e poco somiglianti, e che sono male acconcie al pro
posto dne (“a woman without a man is a fish without a bycicle”). Nessuna
somiglianza si vede fra le cose paragonale nella seguente metafora del Marini,
Folendo egli lodare un maestro, che formara bellissimi esempi da scrivere,
esalta la penna di lui, dicendo ch'ella deve essere divina: Perchè una penna
sela, Benchè s'alzi per sè pronto e sicura, Se divina non è tanto non rola. E
qual somiglianza è mai tra il relare e lo scrivere? E tolta da peca somiglianza
quella metafora che volendo segnare una cosa piccola prende da una cosa grande
l'imagine, e al contrario. Mariai assomiglia le lacrime della sua douna
a'lesori dell'Oriente, e Tertulliano il diluvio universale al bucato. Erro
similmente colui che disse a suo amante. Son gli occhi resiri archiòugiati a
ruote, Ele ciglia inarcale archi turcheschi. È bellissina la metafora che
Poliziano tolse al Boccaccio. E le biade ondeggiar come fa il mare. Sarebbe
difettosa quest’altra. E tremolare il mar come le biade. Viziose come le
sopraddeile erano la più parte delle metafore usate dagli scrittori del secolo
XVII, e soprattutto dai poeti, i quali sriscerarano i monti per estrarne i
metalli, face vano sudare i fuochi, ed avvelenavano l'obolio colp inchiostro.
Parmi inutile cosa l'estendermi in questa materia, essendochè il nostro secolo,
sebbene incorra in altri vizii, di così falle baie si mostra nemico. Della
metafora e l’analogia che e alquanto dura, ė da sapere che puo essere
mollificata per certa maniera di dire, quali sarebbero: quasi – per dir cosi e
che alcune ve nha, che sono state ammollite dall'uso, come la se. guente:
Fabbro del bel parlare. Ė da biasimare ancora la metafora , che la sorvenire il
nostro compagno conversazionale di qualche bruttura, o di cosa rile, o che disconvenga
alla gravità della trattata materia o topico. Perciò meritamente Casa
rimprovera Dante per essere talvolta caduto in questo difeilo , siccome quando
disse. L'allo fato di Dio sarebbe rotto se Lete si passasse, e lal vivanda fosse
gustala senza alcuno scollo di pentinento. E altrove. E vedervi, se avessi
avuto di tal tigna brama, colui poteri ec. Questa e una imagine plebea e
sconvenienti alla gravità del subbietto. Cosi merita biasimo Pallavicini,
comechè sia maestro sommo nel l'arte dello stile conversazionale, quando disse,
che il cardinal Bentivoglio aveca saputo illustrar la porpora coll' inchiostro,
e quando per accennare la qualità, ond'è costituita l'eleganza della elocuzione,
disse: saputi distintamente quali ingredienti compongono quesla salsa, cioè
l'eleganza; i quali modi sono da biasimare, essendochè nel primo esempio li
vedi dinanzi agli occhi la porpora brullala d'inchiostro, e nell’altro t’infastidisce
l'abbietta voce che sa di cucina. Similmente non paiono degni di lode coloro,
che sogliono usare per vezzo della conversazione un idiotismo, e segnatamente
quello, che ha origine da certa anticha costumanze dimenticata oggidi. Non
merita lode Davanzali quando volendo dire: o nulla o lullo: disse: o asso o
sette. Questo proverbio, oltre chè si è di vilissima condizione, è tolto da un giuoco,
che potrebbe essere sconosciuto a molli. E proverbio, del quale non si sa
l'origine, il seguente; e perciò freddo od oscuro: Maria per Ravenna, invece di
cercar la cosa dove ella non e. Bastino questi pochi pro verbi per moltissimi ,
che qui si po ebbero recare, e de' quali vanno in traccia alcuni mal accorti
conversatori, onde parere versali nella lingua antica. Aucora è biasimevole
alcune volte la metaſora , che si deriva dalle materie filosofiche ;
imperciocchè, se il fine, pel quale il conversatore usa di quella, si è di
rendere più chiaro e più vivo i concetto, questo non si potrà ottenere traendo
la similitudine da cose poco nole o malagevoli ad intendere, come a la
metafisica, che spesso, ond'essere chiarita, hanno bisogno delle similitudini tolle
dalle cose materiali; ma di rado somministrano imagini, che vagliano a cercar recar
luce alle prose ed alle poesie. Pure in questi tempi sono alcuni conversatori,
i quali hanno per vezzo l'usare siffatta metafora, avvisando d'illustrarne la
sua mozzione conversazionale, e di mo strarsi intendente e sottile; ma va
grandemente errato, perciocchè non solamente appor tano ombra ed oscurità (‘avoid
obscurity of expression, be clear) alla sentenza, ma danno segno di
affettazione che è vizio sopra tutti spiacevole. si è dello di sopra che la
metafora diletta, non solamenle perchè ci pone dinanzi agli oc ebi in forma
quasi sensibile un pensiero astratto, ma ancora perchè ci porge ammaestramento
col farci apprendere fra le idee alcuna attenenze prima non osservata; dal che
si deduce che il conversatore, i quali vogliono recar maraviglia, de guardarsi
dall' usare una metafora troppo comunale, come quelle, che, a somiglianza della
monete passata per molle mani, sono rimase senza vaghezza. Non ogni metafora
poi, comechè sia ben derivata, potrà convenire ad ogni conversazione. Poichè
tra le metafore ve n'ha delle più o meno illustri, converrà avvertire che il
grado della nobiltà loro non disconvenga alla qualità del componimenlo.
Similmente nel formare la metafora si vuole avere riguardo al pensare della gente
nella cui lingua si conversa. La diversità de'luoghi e de' climi fa che gli
uomini abbiano diversi i costumi e le usanze , e perciò diverse ancora le idee
e le significazioni di esse. Impercioc chè, traendo ciascuna gente le
similitudini dalle cose, che più spesso le sono dinanzi agli occhi , incontra che
alcun popolo deriva una metafora da una cosa campestre, lal altro da una cosa marittima,
tal altro dal combinercio o dalle arti, secondo suo silo e costume. Il rigore o
la benignità del clima poi è spesso cagione che l'umana imaginativa sia più
vivace in un luogo e meno altrove; e quindi è che una metafora naturalissime
nel Trastevere appaia ardila e strana nel Tevere. Anche l’essere le geoli più o
meno civili cambia la natura della metafora; perciocchè dove sono leggi meno
buone, ivi è più ignoranza del vero; e dove è più ignoranza del vero è più
amore del verisimil ; il che torna il medesimo, ove è minor virtù intelleltiva,
ivi abbonda la forza della fantasia. Cadono perciò in gravissimo errore coloro,
che, imilando il volgarizzamento di Ossian falio da Cesarolli, sperano di
venire in fama di sommi poeli toglieodo sempre la metafora da'venti e dalle
tempeste, dai torrenti, dalle nebbie e dalle nuvole. Paiono a costoro
inaravigliose squisitezze e delizie i seguenti, e simili modi: sparger lagrime di
bellà - i figli dell'acaciaro il tempestoso figlio della guerra siede sul
brando distruzione di eroi dar. deggiano gli sguardi rotola la morle - urlano i
torrenti. Cotale metaſora, che per avventura e naturale a'popoli selvaggi, sono
in Italia ridevoli e sciocche fantasie. Alla diversa indole delle genti debbe
anche por mente chi dall' una lingua all'allra trasporla i versi e le prose, se
non vuole produrre nell'animo di nostro compagno conversazionale effetto
contrario a quello che l'autore straniero o forastiero o del Trastevere
produsse in coloro, ai quali volse le sue parole. Affiuché si vegga
manifestamente che non lutte lete. metafore convengono a tulti i popoli, recherò
qui alcuni esempi che a questo proposito Tagliazucchi toglie dalla lingua
latina. Bella metafora si è questa presso Virgilio: classique im millit habenas;
deformità sarebbe tradu re in italiano: melte le briglie alla flolla. Così per
segnare il pane corrotto dall'acqua dice lo stesso poeta. Cererem corruptam
undis; mal si tradurrebbe: Cerere corrolla dall'onde. Orazio disse. lene caput
aquae sacrae; e si tradurrebbe malissimo in italiano: il dolce capo dell'acqua
sacra. Per segnare il liero sdegno d'Achille dice: gravem sioma chum Pelidae; e
malissimo si tradurrebbe: il grave stomaco del Pelide. Moltssime altre metaſore
potrei qui recare, che sono proprie solamente della lingua latina; ma chi ha
cognizione della lingua latina conoscerà di per sè la verità di quello che io
dico, ed argomenterà quanto debbono differire nella metafora la lingua italiana
e quelle de'popoli da noi disgiunli e per costume e per clima, se tanto
differiscono l'italiana e latina con islrelto vincolo di parentela congiunte.
Una regola o massima o omperativo da osservarsi nell'uso della metafora si è di
non aminassarle nella conversazione, ma collocarvele parcamente e di guisa, che
paiano, come dice Cicerone, esserci venule volonterosamente, e non per forza nė
per invadere il luogo altrui. È da avvertire in secondo luogo, che la metafora
o non si dee congiungere con altra metafora o con voci proprie di maniera, che
fra queste e quella si scorga opposizione maniſesta. Se per esempio avrai detto
che Scipione è un fulmine di guerra, non dirai tosto che egli trioníò in
Campidoglio. Se paragonerai eloquenza ad un torrente, non le attribuirai poco
appresso la qualità del fuoco, ma avrai cura che la metafora sia sempre collegata
(e no mista) colle idee prossime di guise, che nostro compagno conversazionale
non trovi mai contrarietà ne' tuo concetto. In questo difetto caddero anche
alcuni autori eccellenti, come Petrarca nel Sonetto XXXII, dove, cominciando
dal dire metaforicamente, ch' egli ordisce una tela, prosegue: ſ ' farò forse
un mio lavor si doppio fra lo stil de'moderni e il sermon prisco, Che
(paventosamente a dirlo ardisco) Infino a Roma ne udirai lo scoppio. Ma non
così egli fece nel Sonetto che comincia Passa la nave mia colma d'obblio, chè
in esso avendo preso ad assomigliare gli amorosi affanni suoi alla nave, da
questa imagine non si diparte sino alla fine. Non intendo io però di affermare
coll’esempio di questa allegoria, che in breve discorso non possano star bene
insieme più metafore di natura diversa; ma di avveitire che assai disconviene
il trapassare da una similitudine ad un'altra inconsideratamente e quasi per
salto. Giova moltissimo talvolta a render chiare e naturali quella metafora,
che per se medesime sarebbero ardite e spiacenti, il preparare per convenevole
modo l'animo di nostro compagno conversazionale. Se taluno volendo dire che gli
uomini per mal esempio altrui caggiono in errore, dicesse caggiono nella “fossa”
della falsa opinione, use rebbe certamente ardita e spiacevole metafora: nulladimeno
ella diviene bellissima, qualvolta per le cose antecedenti ne siamo disposti.
Va. glia l'esempio di Alighieri. Dopo aver ricordata la nota sentenza se il
cieco al cieco sarà guida cadranno ambedue nella fossa prosegue: i ciechi
soprannominati, che sono quasi infiniti, con la mano in sula spalla a questi
mentitori sono caduti nella fossa della falsa opinione. Cosi l’ardita metafora
divenla parte di una vaghissima dipintura, che viene quasi per gli occhi alla
mente, ed ivi s'imprime e lungamente rimane. Sono certi scrittori, i quali
riducono le idee astratte a termini più astratti (obscurus per obscurius) di
quello che si converrebbe cercand a tulto potere di al lontanarle da' sensi: indi
a questi loro soltilis simi concelti uniscono molte metafore repugnanti fra
loro, il che fa che la mente di nostro compagno conversazionale tra questi
estremi e tra questi contrari confusa nulla comprenda, come si può di leggeri
conoscere nel seguente esempio tolto da un libro moderno: A giudizio dei savi
scorgesi palesement , che nelle vedute su blimi della gran madre anche
l'emulazione, principio avvedutamente inserito nella costituzione dell'uom , '
concorrer deve a scuotere ed a sferzare l'industria , on de riguardo allo
sviluppamento di questa Costa. Vol. Un. 3 50 ec . ( 1 ) Oh quanta confusione ed
oscurità in tanta pompa di parole! Pare che il conversatore volesse dire, che i
savi conobbero che la natura ha posto nel cuore dell' uomo il desiderio
d'emulare gli altri; e che da questo procede l'industri ; ma accoppiando i
vocaboli principio e costituzione, che sono segni d'idee molto astratte, colla
melaforica voce “inserire” ha composto un enigma; perciocchè nessuno polrà
imaginare chiaramente siffallo innesto. Più strana poi diviene la metafor , quando
l'astratto segnato dalla espressione “principio” si fa a scuolere ed a sferzare
l'ind stria falla inopportunamente persona per trasformarsi losto in altra cosa,
che si sviluppa a guisa di una malassa. In questa forma la metafora, che e
vaghezza e luce della favella, diviene tenebre alla mente e vano suono (flatus
vocis) agli orecchi. Conciossiache L’INTENZIONE del conversatore non sia
solamente di render chiaro il concetto, ma di farlo talvolta dilettevole e
maraviglioso, interviene che alcuni, per recare altrui dilelto e maraviglia, si
fango a derivare dalla metafora certe loro conseguenze, come se in quella non
già una simililudine si contenessa, ma come se la cosa a cui si reca il nome
novello, veramente si trasformasse nella cosa, donde esso nome si toglie. Di
questa specie di concetti si presero diletto i prosatori ed i poeti del secolo
decimo settimo, forse per desiderio di avanzare gli scrittori delle altre elà,
ed in fastidirono tutti i sani intellelli . Basti di ques 1 ( 1 ) Atti dell'
Costitulo pazionale. era sti vizi un solo esempio. Ugone Grozio, per mostrare
che non a dolere la morte di Giovanna d'Arco, dopo aver lodate nel principio di
un epigramma le virtù di lei , sog giunse: Necfas est de morte queri, namque
ignea tota aut numquam, aut solo debuit igne mori. Con l’espressione “fuoco”, imposta
a cagione di similitudine, viene il conversatore a trasformare la misera vergine
in vero fuoco materiale; e quindi trae la strana conseguenza, che ella mai non
dovesse morire, o morire nel fuoco. Similmente si è frivolo modo e sciocco il
derivare la metafora dalla somiglianza ed uguaglianza de'noni imposti a cose
diverse, ALLUDENDO all' una di esse mentre si fa mostra di ſavellare
dell'allra. In questo difetto incorse anche il primo de'nostri poeti lirici
quando, piangendo la sua donna, parla del lauro, ed allude freddamente al nome
di lei, come nella canzone, che comincia, Alla dolce ombra delle belle fronde
ed in molti altri luoghi si può vedere. Essendosi fin qui parlato de' pregi e
de'vizi delle metafore, cadrebbe in acconcio il ragionare degli altri traslati
di parole e di concetto e della figura: ma , perciocchè queste cose sono state
definite e largamente dichiarate da tutti i retlorici, stimo che qui basti il
ricordare che siffatte maniera di favellare non e bella, se non in quanto vengono
dal conversatore opportunamente adoperate. Per lo stesso fine, che la metafora
si propone, cioè di rendere più vivo il concetto, melte bene talvolta il
trasportare l’espressione a un segnato improprio o nominando invece del tutto
la parte (metonimia), o invece della cosa la materia, ond'ella è composta, o il
genere per la specie o il plurale pel singolare (majestic plural – We are not
amused), e viceversa. Si può cadere in difetto usando questo traslato, che fu
chiamato “sinedoche”, ogni qualvolla l'imagine della cosa, da cui si prende
l’espressione, non sia bene associata alle idee, che si vo gliono svegliare in
altrui, non sia atta a fare impressione nell'animo più che le altre ide , che
vanno in sua compagnia. Vaglia a dichiarazione di ciò un solo esempio. Si dirà
con maggior efficacia: fuggono per ſalto mare le vele , di quello ch : fuggono
per l'alto mare le prore; poichè l’imagine delle vele gonfiate dal vento, come
quella, che maggiormente percuote la vista di colui, che mira la nave in alto,
più strettamente d'ogni altra idea si associa all'idea del fuggire: in altro
caso però tornerà meglio chiamar la nave o poppa o carena, cioè quando l'azione,
che essa fa, o la passione, che riceve, meno con venga alla vela che alle altre
parti. Veggasi come ne ua Virgilio: vela dabant laeti. Submersas obrue puppes si
nomida ancora talvolla la causa per l’effetto , o questo per quella: il
contenente pel contenuto: il possessore per la cosa posseduta: la virtù ed il
vizio invece dell'uomo virtuoso e del vizioso: il segno per il segnato ed il
contrario; e questa figura, che dicesi “metonimia”, giova per le delle ragioni,
essa pure adoperala opportunamente, a dare evidenza alla elocuzione. Ma di
questi traslati e di quelli di concetto, che consistono in sentenze da intendersi
a contra-senso (ironia), tanto se ne parla, come già dissi, in tutte le scuole,
che qui, facendo la definizione dell'”allegoria”, dell'”ironia” e di altri
simili traslali, avvertirò solamente che questi saranno diſellosi se verranno a
collocarsi nella conversazione senza essere mossi dagli affetti. Anche rispetto
a quelle forme, che sovente adoperiamo per rendere più efficaci i pensieri, e
che si chiama con ispecial nome figura, ricorderò che alcune ve n'ha, come l’
“interrogazione” e l’ “apostrophe”, che nascono dall'affetto, ed alcune altre
dall'ingegno, come l'”antitesi” (contrapposizione) e la distribuzione; e che
perciò vuolsi avvertire di non far uso di queste seconde ne'luoghi, ove si
possa credere che colui, che favella, abbia l'animo perturbato. Ma nessuno
avvertimento, per ' vero dire, è giovevole a chi non sente nell'animo la forza
degli affetti. Il più delle figure, come detto è di sopra, muovono dalla
passione, e, se dall'ingegno vengo. no cercal , riescono fredde e di nessuna
virtù: perciò è che male s'imparano da' rettorici. Con più figure favella la
rivendugliola, secondo il detto di un illustre scrittore, contrattando sua
merce, che il retſorico in suo studiato serino ne: tanto egli è vero che
procedono più dalla natura che dall'arte. Questo vogliamo che ci basli aver
dello così alla grossa delle figure. Dappoichè abbiamo detto in che consista la
proprietà dell’espressione e della metafore, e come queste e quelle si debbano
collegare per rendere chiaro ed accelto la mozzione conversazionale a nostro
compagno conversazionale, e fatto alcun cenno de' traslati e delle figure,
vérreio a dire, seguitando le dottrine del Palavicini, degli elementi, onde è
costituita la “eleganza” (cf. Grice, ‘aesthetic maxims’), senza della quale
ogni altro ornamento quasi vano riuscirebbe. L’espressione “eleganza”deriva dal
verbo “eligere” ed è usata a segnare quella certa tersezza e gentilezza, per la
quale una mozzione conversazionale non solamente viene ad essere scevro da ogni
errore, ma in ogni sua parte ornato di qualità che da tutto ciò che ha del
plebeo si allontana. Diciamo delle parti, delle quali ella si compone, che sono
quattro. La prima e la brevità (Grice, ‘be brief – avoid unnecessary prolixity
[sic].” La seconda e l'osservanza delle regole morfosintattiche. Terzo, la
civilita o l'urbanità. Quarta, la varietà (non-detachability). Sebbene la
chiarezza (conversational clarity, be perspicuous [sic]) spesso si ottenga col
l'ampio e largo mozzione conversazionale, pure talvolta colla brevità si rende
il pensiero più lucido e più penetranti (Brevity is the soul of wit). Le
parole, dice Seneca, vogliono essere sparse a guisa della semenza, la quale comechè
sia poca, molto fruttifica. La sovrabbondanza (over-informativeness) delle
parole all'incontro empie le orecchie di vano suono (flatus vocis) e lascia
vuote le menti. Perciò è da guardare non solo che nostro compagno
conversazionale non sia distratto da una vana proposizione subaltern (premessa
minore), ma che non sieno affetti più da un segno che dall’idea segnata.
Saranno perciò utili a togliere questo inconveniente ed acconce a rendere elegante
l'elocuzione quella espressione, che somigliante alla moneta d'oro equivale al
valore di più altre, come le seguenti: disamare, disvolere, rileggere, ed altre
molte, e con queste i diminutivi, gli accrescitivi, i vezzeggiativi, i
peggiorativi, de' quali abbonda la nostra lingua. Vi sono ancora molti modi,
che abbreviano la mozzione conversazione, e questi consistono nel tralasciare o
il verbo o il pronome o la particella o l’affissi, che racchiusi nella diretta
favella puo essere SOTTINTESO. (Implicatura). Basta qui recarne alcuni ad
esempio. Se io grido ho di che dammi bere quo ha di belle cose onde fosti &
cui figliuolo andovui il cielo imbianca - vergognando tacque a baldanza del
signore il baltè иот da faccende non se da ciò vedi cui do mangiare il mio, ed
altri moltissimi somiglianti modi, coi quali si ottiene questa importantissima
parle della eleganza, onde rice. ve nerbo l'orazione, Avend’io delto che la
brevità costituisce gran parte della eleganza, non intesi di affermare che agli
scrillori non sia lecito di esporre le cose particolarizzando; chè questa anzi
è l'arte colla quale si produce l'evidenza; ma volli avvertire chi brama
dilettare altrui colle proprie scritture, di ben ponderare quali sieno le
particolarità, che hanno virtù di far luminoso il concetto, e di tralasciar
quelle, che l'offuscano e pongono l’altrui mente in falica. Secondo, dobbiamo
eziandio osservare la regola morfosintattica, cioè quelle leggi che la volontà
de’ primi favellalori e l'uso di coloro, che vennero dopo, banno imposto alla
lingua italiana. Comechè il trascurarle non induca sempre oscurità (avoid
obscurity of expression) pure importa moltissimo che sieno osservata, poichè
ogni elocuzione irregolare apparisce plebea (un solecismo). E perciò grande si
è la stoltezza di coloro, che vando cercando negli autori antichi i costrutti
contro grammatica, e quelli come pellegrine eleganze pongono nelle scritture:
dal che ottengono effetto contrario al buon desiderio: per ciocchè o portano
oscurità nella sentenza, o in fastidiscono i lettori facendo ridere gli uomini
di lettere, non ignari che quelle strane forme sono la più parte errori, o di
amanuensi o di stampatori o di autori plebei, de'quali non fu piccol numero
anche nel bel secolo dell'oro (errata). Terzo, siccome sono molli' vocaboli,
secondo che è dello, i quali usati già da ' buoni scrittori han no acquistata
certa nobiltà e fanno nobile il conversare, così pure sono molli modi, i quali,
avendo in sè certa gentilezza, il fanno elegante, e non essendo propri degli
stranieri, gli danno quel paliyo colore, e direi quasi fisonomia , per cui
ciascuna favella da ogni allra si distingue. In che precisamente sia riposta
que sta vaghezza, che si chiama civilita o “urbanità”, si è difficile
dichiarare; e perciò assal meglio che con parole, si può mostrare cogli esempi.
Porrò qui dunque alcuni modi volgari, ed al fianco di essi i moderni urbani o
civile. Ciò che loro venisse in grado. A chicsa non usava giammai. Seppegli
reo. Ciò che loro piacesse. Non era solita di andare in chiesa. Gli parve cosa
calli va. Fece rivivere. Il prese per marito. “Era il giorno in cui” -- Egli
domandò al servo certa cosa. Ben io mi ricordo. A vila recò. Il prese a marito.
“Era il giorno che” – “Egli domandò il servo di certa cosa” -- Ben mi ricorda,
o ben mi torna a mente. Vicino di quell'isola. Non-Upper: Viveva a modo di bestia.
“Vicino a quell'isola” Upper: “Viveva come una bestia” Moltissime sono le forme
somiglianti a que ste, le quali, sebbene non vadano per la bocca de ' comunali
scrittori, pure sono chiare e naturali , e per cerla loro indicibile gentilezza
recano diletto. Vogliono però essere parcamenle adoperate, perocchè in troppa
copia ſarebbero il discorso ricercato; e questo difetto dobbia mo schivare anche
a pericolo di parere negligenti . La negligenza è mancanza di virtù (salvo
quando e falsa – nulla piu difficile che falsare la negligenza), che rende meno
lodevole il discorso, ma non meno credibile: e l'affettazione è deforme vizio,
che al dicitore toglie autorità e fede. Modo più sconcio si è quello di coloro,
i quali, per vaghezza di parere eleganti ed SUO esperti della PATRIA LINGUA –
LINGUA PATRIA -- patria lingua, compongono prose con parole e modi fuor d'uso,
e costruzioni contorte alla boccaccesca; e della stessa guisa fanno versi
oscuri e senza grazia e senza per bo, e si argomentano poi di avere imitato
Aligheri o Petrarca. Ma che altro per verità fanno costoro, se non se muovere a
sdegno i buoni ingegni, e dare occasione al volgo di ridersi di quei pochi, che
studiano a’libri antichi? Un'altra generazione di scrillori (e questa è dei più
), alzato il segno dell'anarchia, gridando che l’USO è l'ARBITRO della lingua
(Wittgenstein), si fa beffe di ogni gentilezza e di ogni proprietà: guida per
entro l'idioma nativo parole e forme forestiere, e il guasta sì, che non gli
lascia di se non la sola terminazione delle voci. Cosi due sette di contraria
opinione vorrebbero partire la repubblica letteraria. L'una tiinida e
superstiziosa restringe la lingua a que' termini, in cui stette nel trecento:
l'altra licenziosa ed arrogante vuole che ogni ar gine si rompa sì, che le purissime
fonti del civil conversare si facciano torbide e limacciose. Affinchè appaia
manifesto il torlo di questi se diziosi, dirò che cosa sia lingua ; e dalla sua
definizione trarrò alcune conseguenze. La serie de' segni e dei modi vocali
instituiti a rappre sentare ogni generazione di pensieri, o, per meglio dire,
ad esprimerc tulle quante le idee, ond’è formata la scienza di una patria, è
ciò che dicesi lingua (come l’italiano dal latino, o il pidgin e il creole che
e il francese). Da questa definizione si deduce che nè una sola città nè un'età
sola può essere autrice e signora della lingua italiana – Roma e la citta della
lingua romana; ma che è forza che alla formazione di questa abbia avuto parte
la nazione intera, cioè tutti gli uomini congiunti di luogo e di costumi, che
hanno idee proprie da manifestare; e che a scernere il fiore dalla crusca
abbiano dato e diano opera gl'illustri scrittori . E così avvenne di vero nella
formazione e nell'incremento di questo, che Alighieri chiamò, ironicamente, il
volgare d'Italia, poichè, come dice il Bembo, e un siciliano e un Pugliese e un
Toscano e e un Marchegiano e un romagnolo e un lombardo e un veneto vi posero
mano. Tutte le parole dunque per tal guisa formate, che vagliono ad esprimere
con chiarezza i pensieri, potranno essere con lode usate, sieno elle an tiche o
moderne; chè le moderne ancora deb bono essere benignamente accolle, quando sie
no necessarie a segnare una idea novella. Quella facoltà, che fu conceduta agli
antichi, non si può togliere ai presenti uomini; perciocchè, se non si possono
prescrivere limiti all'umano sapere, nè meno alla quantità dei segni delle idee
si potrà prescrivere (quark, querk). Per la qual cosa ſu e sarà sempre lecito
a' sapienti, qualvolla la necessità il richiegga, l'inventare una nuova
espressione (“Deutero-Esperanto”) e un nuovo modo. Questa risposta è alla selta
dei superstiziosi. Ora ai libertini (Bennett – meaning-liberalismo –
libertinismo semiotico – Locke – liberty) brevemente diremo che la lingua
italica non è la lingua del volgo, ma, come è delto, si è quella, che gli
illustri scrittori di ogni secolo hanno ricevuta per buona, e che perciò quando
si dice che appo l'uso è la signoria, la ragione e la regola del parlare, non
si vuol dire l'uso del volgo, ma de' buoni scrittori. I più antichi die dero
vita e forma alla lingua romana, ed i posleri loro la arricchirono e la
potranno arricchire, non senza grande biasimo potranno toglierle l’essere suo.
Siccome ad ogni mazione è spe ma ciale la fisonomia e certa foggia di vestire,
cosi e speciale al idio-letto le voci ed i modi propri e figurati, i quali
hanno attenenza co'diversi costumi delle diverse genti; e perciò coloro, i
quali vogliono introdurre licenziosamente nell'idioma nativo espressione e modi
forestieri – implicate, non impiegato -- operano “contro ragione”, e, mentre ambiscono di essere tenuti uomini liberi
e filosofi, fanno mostra d'obbrobriosa ignoranza. Non si lascino dunque
sopraffare i gio vanelli da quei beffardi filosofastri, che con trassegnano per
derisione col nome di purista chi studia scrivere italianamente ; ma alla co
storo petulanza coll'autorità di Cicerone ri spondano arditamente che colui ,
il quale la patria favella vilipende e deforma, non solo non è oratore, non è
poela , ma non è uomo (Cic. de orat. I. 3.). Quarta e ultima, se le parole
fossero sempre composte ugualmente, non sarebbero graziose a chi ascolla o
legge; e perciò un altro elemento della eleganza si è la variet . Il discorso
può ricevere varietà da sei luogh , che ad uno ad uno ver remo a dichiarare
brevemente, seguitando Pallavicini. Accade tante volte di dover nominare replicatamente
la cosa medesima, e ciò produce noia agli orecchi, i quali sopra tutti i sentimenti
del corpo sono vaghi di varietà; onde per isfuggire la ripetizione delle voci
sono molto giovevole il sinonimo, quando la piccola differenza, che è in essi,
non tolga al discorso laproprietà necessaria ; per non peccare contro la quale
sarà mestieri aver considerazione, co me allrove si è detto, al vero
intendimento de vocaboli. Se, a cagion d'esempio, dovendo si cambiare
l’espressione “fanciullo”, si prendesse l’espressione “infante”, si osserverà
che questa, venendo dal verbo fari, segna non parlante, e che perciò non può strettamente
essere sempre sostituita a quella di “fanciullo”. Il secondo dai sei luogo
della varietà sta nel ra presentare una cosa pe' suoi effetti congiunti, come,
a cagion d'esempio, se poeticamente dicessimo; il sole velava i pesci, per dire
era il fine dell'inverno: al germogliare delle piante, per dire al tornare
della primavera. Con somma grazia e novità Aligheri rappresentò la sera pe'
suoi effetti dicendo: Era già l'ora, che volge il desio a' naviganti, e
inlenerisce il core lo di, che han detto a' dolci amici addio; E che lo nuovo
peregrin d'amore punge, se ode squilla di lontano, Che par il giorno pianger,
che si muore. Questo fonte di varietà è abbondantissimo, e possiamo vederne un
esempio in Bernardo Tasso, che in cento modi segna il sorgere del giorno. Nel
rappresentare le cose pe' suoi effetti porrai cura che questi non destino al
cun pensiero sordido od abbietlo, e che nel le scritture famigliari la
congiunzione loro coll'oggetto sia mollo nola, sicchè non paia puplo ricercata.
Il terzo luogo dai sei modi sono le definizioni o epiteto o apposizione delle
cose, o sia le brevi descrizioni loro, le quali si possono prendere invece
delle cose stesse , o que ste indicare per alcuna loro speciale proprietà; come
chi per nominare Giove dicesse il padre degli uomini e degli Dei, o per dire la
fortuna, Colei, che a suo senno gi infimi innalza ed i sovrani deprime. Il
quarto luogo dai sei modo si è l'uso promiscuo del signato attivo, medio, o
passivo da un verbio Potrai dire : Raffaele colori questa tavola , ovvero, da
Raffaele fu colorita questa tavola; e secon do che chiederà il bisogno, userai o
questo o quello segno. Il quinto luogo dai sei luoghi è la qualita (categoria
d’Aristotelel'uso negativo (o infinito – privazione) invece dell’affirmativo o
positivo; come chi sosliluisse alla proposizione positiva o affirmative seguente,
ma con signato negativo: Il sole si oscurò, quest' altra proposizione
splicitamente negative, per mezzo dell’adverbo di negazione, “non”: Il sole non
isplendette”. Il sesto luogo dai se luoghi e la metafora (you’re the cream in
my coffee), per la quale si può maravigliosamente variare il discorso, ora volgendo
in “senso” (segnato, strettamente) metaforico – Sensi non sunt multiplicanda
praeter necessitatem – uso metaforico -- un concetto allre volle espresso con
termini propri: ora usando una metafora tolta o dal genere o dalla specie o da
cose animate o da cose inanimate: ora quelle, che si presentano ai sensi : ora
le altre, che si riferiscono agli altri sentimenti del corpo. Ornamento, dal
quale l'elocuzione riceve molta gravità, e la sentenza. La sentenza o dogma o
assioma o principio o adagio o gnomico o proverbo (“Methinks the lady doth
protest too much” what the eye no longer sees the heart no longer grieves for”)
si è verità morale ed universale, segnata con la brevità, che all'intelletto
sia lieve il comprenderla ed il ritenerla. Tali sono le seguenti. Ipsa quidem
virlus sibimet pulcherri. ma ncrces. Quidquid erit, superanda omnis for tuna
ferendo est. La mala ineple non ha mai allegrezza di pace. Proprio de'tiranni è
il temere. La buona coscienza è sempre sicura . Avvegnachè la sentenze sia più
accomodata a quella conversazione che tratta di materie gravi, nulladimeno
possono adornare molte altre specie di componimenti, e perfino le lettere
famigliari, se ivi con moderazione sieno adoperate. Dico che sieno adoperate
con moderazione, perchè il soverchio uso delle sentenze, anche nelle materie
più gravi, è indizio che lo scrittore vuol ostentare sapienza, e perciò il fa
parere affettato . In cotal vizio cadde ro molli scrittori del secol nostro, i
quali me ritamente furono tacciali di “filosofismo” di Borsa, che in una sua dissertazione ra giopò
del presente gusto degl'italiani. Scon venevolissimo è l'abuso e talvolta anche
l'uso della sentenza pe' discorsi, che trattano di cose mediocri o umili. Ma
che diremo poi росо senno di coloro, che guidano in teatro i servied altre persone
rozze ed agresli a parlamentare ed a spular tondo, come se dal pergamo
predicassero? Questo è modo tanto sconcio, che il volgo slesso ne rimane
infastidito, on d'è qui da passare con silenzio. È da lodarsi segnatamente
nelle opere morali o politiche l'elocuzione, che a quando a quando sia ornata,
ma non tessuta di sentenze, la copia soverchia delle quali, stanca i lettori
invece di sollevarli, come si può sperimentare leggendo le opere morali di
Seneca. Lo scrittore dal quale più che da ogni altro si apprende a fare buon
uso della sentenza, è Cicerone, nelle cui filosofia mai non pare che quelle
sieno condotte nel discorso a pompa, ina sempre vi nascono naturalmenle per recar
luce e diletto. Diciamo alcuna cosa anche del concetto, onde viene grazia o
piacevolezza ai componimenti. Concetto propriamente si dice una certa
proposizione, che per essere nuove ed espresso con brevi parole recano altrui
diletto e maraviglia e scuoprono il sottile ingegno di chi le dice. Ve n'ha di
due maniere. La prima è dei delti gravi, l'altra dei ridevoli, che con proprio
nome si chiama una facezia. Gli uni e gli altri nascono da’ medesimi luo ghi, e
differiscono, secondo Cicerone, solamente in questo: che i gravi si traggono da
cose oneste; i ridevoli da cose deformi o alcun poco turpi: ma pare veramente
che a far ri devole un dello, sia necessario, il più delle 1 volle, che esso
comprenda in sè alcune idee discrepanti congiunte insieme di maniera, che la
congiunzione loro ben si convenga con una terza idea. Ciò sia chiaro per un
esempio. Un buon ingegno de' nostri tempi fcce incidere in rame la figura di un
vecchio venerabile con lunga barba, vestito alla francese, ornato di frangie e
di feltucce e tutto cascante di vezzi, e sotto vi pose queste parole. Traduzione
d' Omero di M. C. Tultii ne fecero le risa grandi. Se il ridicolo di questa
figura consistesse nel solo accoppiamento dell'imagine dell'uomo antico e grave
con quella de' giovani leziosi, ci ſarebbe ridere anche l'imagine di una sirena,
che è composta di due contrarie nature; lo che per verità non accade, ed
accadrebbe solamente qualora si dicesse che la bella donna , che termina in
pesce, figura delle folli poesie ricordate da Orazio nella Poetica. Pare dunque
manifesto che il ridicolo di sì falta deformità si generi dalla convenienza che
è tra esse e la cosa, cui si vogliono assomigliare. Per ciò s'intende quanto
diriltamente Castiglione dichiari che si ride di quelle cose, che hanno in sè
disconvenienza, e par che slieno male senza però slar male. Affinchè prima di
tutto si vegga che da’ luoghi, donde si cava la grave sentenza, si possono ancora
cavare i molli da ridere, re cherò l'esempio, che ne dà Castiglione. Lodando un
uom liberale, che fa comuni cogli amici le cose proprie, si polrà dire, che ciò
ch'egli ha, non è suo: il medesimo si può dire per biasimo di chi abbia rubato,
o con male arti acquistato quello che tiene. Di un buon servo fedele si suol
dire: non vi ha cosa che a lui sia chiusa e sigillata: e que sto similmente si
dirà di un servo malvagio destro a rubare. Le maniere de concelli ingegnosi
sono pres sochè infinile , e di moltissime ha ragionalo Cicerone nel terzo
libro dell'Oratore, ma noi toccheremo qui solamenle alcune principali .
Cicerone distingue primieramente le maniere graziose , che consistono nelle
parole, da quelle che stanno nella cosa , o che si esprimono col parlare
continuato. Egli dice che consistono nella cosa quelle (sieno gravi o piacevoli
), che mulale le parole non cessano di generare maraviglia o riso: tali sono le
narrazioni verisimili, e fatte secondo il costume e le varie condizioni degli
uomini, e di queste molte ve n'ha nel Decamerone di Boccaccio. Una seconda
consiste nella imitazione de’ costumi altrui fatta per modo di parlare continuato,
come quella che fece Crasso, il quale in una sua orazione contraffacendo un uom
supplichevole con queste parole, per la tua nobiltà, per la tua famiglia, ne
imitò cosi bene la voce e gli alti, che mosse la gente a ridere; e proseguendo,
per le statue, distese il braccio, ed accompagnò la voce con geslo e con
imitazione si naturale, che le risa scoppiarono maggiori. Queste sono le due
maniere, che consistono nella cosa, e che si esprimono col parlar continuato. Quelle
che maggiormente si attengono alla materia che qui si tratta sono le maniere di
que'concetti, la grazia de quali sta nella parola. Recbiamone esempi. Alcuni
molli graziosi si generano in virtù della metafora. Avendo Lodovico Sforza duca
di Milano eletta per sua impresa una spazzetta, con che voleva segare se essere
disposto a cacciare dall'Italia gli oltremontani, domanda alcuni ambasciatori
fiorentini, che loro ne paresse. Quelli risposero. Bene ce ne pare, salvochè
molle volle avviene che chi spazza tira la polvere sopra di sè. Più grazioso ė
il motto, quando ad alcuno, che metaforicamente abbia parlato, si risponde cosa
inaspettata continuando la metafora stessa. Tale si fu detto il Cosimo de'
Medici, il quale a' Fiorentini ſuoruscili, che gli mandarono a dire che la
gallina cova, rispose. Male potrà covare fuori del nido. Anche il paragonare
cose vili e piccole a cose grandi è spesso cagione di ridere, come in questi
versi del Berni: E prima , iodanzi tutto, è da sapere che l’orinale è a quel modo
tondo, Acciocchè possa più cose tenere, E falto proprio come è falto il mondo.
Dobbiamo in questa maniera della facezia guardarci dal fare sovvenire il
compagno conversazionale di cose laide e stomachevoli, affiochè la piacevolezza
non degeneri in buffoneria: lo che sovente accade a coloro, che non sono
piacevoli per naturale disposizione. Molti molti ridevoli si formano per via di
iperbole [“Every nice girl loves a sailor”] accrescendo o diminuendo alcuna
cosa. Diminui ed accrebbe a un tempo le cose Cicerone parlando giocosamente di
suo fratello, che essendo di piccola slatura aveva cinto il fianco di una
spada' smisurata. Chi ha, disse, cosi legato mio fratello a quella spada?
Dall’equivoco procede spesso i motti freddi ed insulsi, ma spesse volte ancora
gli arguli. Argulo parmi il seguente in biasimo di una donna, che fosse di
molli. Ella è donna d'assai: il qual molio potrebbe ancora essere usato per
lodare alcuna femmina prudente e buona. Molla venustà è in que’ delli, che
invece di esprimere due cose ne esprimono una sola, per la quale l'altra
s'intende (IMPLICATURA, SOTTITESSO). Assai leggiadro è questo in cui si favella di un'amazzone dormiente,
recato ad un esempio da Demetrio Falereo: in terra aveva posto l'arco, piena
era la faretr , e sotto il capo aveva lo scud: il cinto esse non isciolgono
mai. Similmente è grazioso il nominare con buone parole le cose non buone, come
fece lo Scipione, secondo che narra M. Tullio, con quel centurione, che non si
era trovato al conflitto di Paolo Emilio contro Annibale. Il centurione
scusavasi di sua negligenza col dire. Io sono rimasto agli alloggiamenti per
farli sicuri; perchè, o Scipione, vuoi dunque tormi la civiltà? Cui rispose
Scipione. Perchè non amo gli uomini troppo diligenti. Sono assai argute quelle
risposte, per le quali si DEDUCE da una medesima cosa il contrario di quello
che altri deduceva. Appio Claudio disse a Scipione. Lo maraviglio che un uomo ďalto
affare, quale tu sei, ignori il nome di tante persone. Non maravigliare,
rispose Scipione, perocchè io non sono mai 69 blato sollecito d’imparare a
conoscer molti, ma a far si, che molti conoscano me. Per egual modo Parnone
rispose a colui che chiamava sapientissimo il tempo: Di pari dunque potrai
chiamarlo “ignorantissimo”, perchè col tempo tutte le cose si dimenticano. Il
concetto della risposta conversazionale può essere grazioso solamente perchè
racchiude alcun insegnamento non aspettato da colui che fa la domanda. Fu
chiesto ad uno spartano, perchè si facesse crescere la barba, e quegli rispose.
Acciocchè mirando in essa i peli canuli io non faccia cosa, che all età mia
disconvenga. Hauno grazia similmente alcuni detti, perchè mollo convengono al
costume della persona, alla quale si attribuiscono. Essendo un colal uomo beone
caduto inſermo, era assai mole stalo dalla sete. I medici a piè del suo letto
parlavano tra loro del modo di trargli quella molestia, quando l'infermo disse
: Ponsate di grazia, o signori, a togliermi di dosso la febbre, e del cacciar
via la sete lasciate la briga a me solo. loducono a ridere anche que’ detti,
che procedono da sciocchezza o goffezz , finta o vera che ella sia. Tali sono
le due seguenti terzine del Berni: lo ho sentito dir che Mecenale Diede un
fanciullo a Virgilio Marone, che per martel voleva farsi frate; E questo fece
per compassione, ch'egli ebbe di quel povero cristiano, Che non si desse alla
disperazione. si può similmente cavare il ridicolo dalle parole composte di
nuov , che esprimono al cuna deformità del corpo, o dell'animo, come furono
queste usate dal Boccaccio: picchia. pello ; madonna poco.fila ; lava-ceci ;
bacia santi. Si falte maniere, che direi quasi deſormità della lingua, poichè
dall'uso si allonta pano, essendo convenienti alla cosa segnata stanno bene, e
perciò inducono a ridere e han lode di graziose ; ma se poi in forza dell'uso
divengono proprie, perdono , a somiglianza delle vecchie metafore, alquanto
della grazia primiera. Osserva Demetrio Falereo che la grazia del detto proviene
alcuna volla dall'ordine solamente, quando una cosa posta nel fine produce un
effetto, che posta nel mezzo o nel principio nol produrrebbe, o il produrrebbe
minore. Egli reca l'esempio seguente di Senofoole, che, parlando dei doni dali
da Ciro a certo Siennesi, disse. Gli donò un cavallo, una vesle, una collana, e
che i suoi campi non fossero guasti. L'ullimo dono è quello dove sta la grazia,
parendo cosa nuova, che si donasse a siennesi ciò che egli possedeva: se quel
dono fosse stalo collocato prima degli altri non avrebbe avuto grazia alcuna.
Bello pel medesimo artificio ci pare un detto di Benedetto XIV. Accomiatandosi
da lui due personaggi di religione luterana, egli avvisa di benedirli e di
ammonirli. Era di vero assai agevol cosa il fare che egli no ricevessero con
grato animo quell'atto di amore paterno: ma il venerabile vecchio ollenne il
buon effetto parlando così. Figliuoli, la benedizio ne de vecchi è acceita a
tutte le genti; il Signore v'illumini. Ingegnosissimo si è que sto detto per
l'ordine suo maraviglioso. Colla prima affeltuosa parola, “Figliuolo,” il papa
procacciasi la benevolenza del compagno conversazionale. Nella sentenza , la
benedizione de’vecchi è accetta a tulle le genti, chiude la prova della con
venevolezza di ciò ch'egli vuol fare. In quel l'io io vi benedico, trae la
conseguenza delle promesse. Nella precazione poi ripiglia la dignità di
pontefice, che accortamente aveva quasi deposta da principio e solto cortesi pa
role nasconde il documento, che a lui si ad dice di porgere a chi è fuori della
chiesa romana. Questo ci basti d'aver ragionato pei delli graziosi e piacevol ,
chè il voler parlare di tulle le maniere loro o semplici o miste sarebbe
officio di chi volesse trattare solamente di questa materia: e diciamo con
maggior brevità de’ concetli sublimi. Alcuni haimo chiamato sublime
qualsivoglia concetto, coi nulla manchi di grazia e di perfezione ; ina qui si
vuol prendere la parola nel segnato , in che viene usata da ' più de' moderni
reltorici e perciò così detiniamo i concetto sublime. Concetto sublime si
dicono quelli, che rappresentano con brevi parole l'idea di alcuna potenza o
forza straordinaria, per la quale chi ode resla compreso di alla maraviglia.
Tali sono i seguenti . Giove nel primo libro dell'Iliade promette a Teli di
vendicare Achill , e dopo il conforto delle sue parole i neri Sopraccigli
inchinò: sull immortale Capo del sire le divine chiome Ondeggiaro, e tremonne
il vasto Olimpo. Questo concetto, il quale ci fa maravigliare della potenza di
Giove, cesserebbe di essere sublime se con lunghezza di parole fosse segnato:
perchè quella lunghezza sarebbe contraria alla rapidità dell'alto divino e farebbe
che il pensiero del poeta non venisse improvviso alla mente di nostro compagno
conversazionale, che è quanto dire non generasse maraviglia. Sublime è ancora
quel luogo di T. Livio nella allocuzione di Annibale a Scipione. Ego Annibal
pelo pacem, poichè la parola Annibal reca al pensiero la virtù, le imprese, la
fero cia di quel capitano. Medesigiamente si fa maniſesta una straordinaria
fortezza di animo ne'due luoghi seguenti. Seneca, nella Medea, fa dire alla
nudrice: Abiere Colchi: conjugis nulla est fides, Nihilque superest opibus e
tantis tibi. Medea risponde: Medea superesto Corneille, ad imitazione di Senec
: Nerine: Dans un si grand revers que vous reste- t- il ? Med. Moi. In luogo
del nome di Medea il poeta francese pose il pronone, ed ottenne effetto
maraviglioso e colla brevità e con quella cotal pienezza di suono, che è nella
voce “moi”. Il poeta latino col nome di Medea destò nel compagno
conversazionale la memoria della potenza, della sapienza e della magnanimità di
quella maga. Divisata così la natura de' motti graziosi e piacevoli e de'
sublimi, e restando a dire al cuna cosa dell'uso, che se ne può fare, ripe
teremo ciò, che già detto abbiamo delle sentenze, cioè che lo scrittore si
guardi dal fare troppo uso de' concetti ingegnosi e graziosi e de' sublimi,
poichè non è cosa tanto contraria alla grazia e alla grandezza, quanto l'artificio
manifesto e l'affettazione. Le grazie si dipinsero ignude appunto per insegnare
che elle sono nemiche di tutto che non è ingenuo e naturale. La grandezza
similmente non va mai disgiunta dalla semplicità, e piccole appaiono sempre quelle
cose, che sono piene d'ornamenti; imperciocchè la mente soffermandosi in
ciascun d'essi riceve molle e divise imaginet le in luogo di quella imagine
sola, che ci rappresenta la cosa continuata ed una. Male adoperano coloro che
non avendo rispetto alla materia, di che favellano, nè alle persone ne alla
modestia nè alla gravità conveniente allo scrittore, colgono tutte le
occasioni, che loro porgono o le cose o le parole, per trar materia di
motleggiare; perocchè invece di mo strare acutezza d'ingegno appaiono loquaci
ed insulsi. Che dovrà dirsi poi di que , che abusano dell'ingegno per empiere
le scritture di freddi e falsi concelti, di riboboli, di bislicci e
d'indovinelli? di que', che tengono per finis sime arguzie le allusioni delle
parole, che erano la delizia del Marino e de' suoi seguaci? Diremo che nali non
sono per ricreare gli ani mi e sollevarli dalla fatica, e per indur ſesta e
riso, ma per noia, fastidio e sfinimento di chi è costretto di udirli. Se il
discorso si fa strada all’animo per gli orecchi, è necessario che egli sia accompagnato
dall' armonia, della quale niuna cosa ha maggior forza negli uomini. L'armonia
ci dispone al pianto e all'ira, e ci rallegra e ci placa; e lulle le genti,
avvegnachè barbare, sono tocche dalla dolcezza di lei; laonde gran de
mancamento sarebbe, se lo scrittore ad ac crescere efficacia alle sue parole
non se ne valesse. Dalla greca voce d.gpótely (armosin), che segna connettere,
è derivata la voce “armonia”. I maestri di musica insegnano, che essa consiste
nell'accordo di più voci sonanti nel medesimo punto; ma coloro, che parlano del
l'arte retorica e della poelica, presero questa parola quasi nel significato ,
che i maestri di musica prendono quella di melodia , come si vede aver fatto
Aristotele, che usò in questa significazione ora la voce melos, ora la voce
armonia. La melodia consiste nella altenenza, che hanno rispettivamente i gradi
successivi di un suono nel salire dal grave all'acut : e noi direino che
rispetto al discorso l'armo nia sta nell'altenenze delle lettere o delle sil
labe o delle parole, che si succedono con quel la certa legge che si affà alla
natura dell'or gano dell'udito. L'armonia, di che parliamo, è di due maniere,
semplice o imitative. L’una ba per fine soltanto la dileltazio ne degli orecchi,
l'altra, oltre la dilettazione degli orecchi, la imitazione del suono e dei
movimenti delle cose inanimate e delle animate, e quella degli umani affetti:
colle quali imitazioni inaggiormente ella si rende accetta all'intelletto e gli
animi sigrioreggia. La dilettazione degli orecchi si ottiene con parole
costrutte e disposte in modo analogo, come è dello , alla natura dell'organo
del l'udito e fuggendo tutte le voci e tutti gli accozzamenli di esse, che
producono sensazio ne spiacevole. L'imitazione poi si fa adope. rando e
componendo suoni o gravi o acuti o inolli o robusti, secondo che meglio si
affanno a ciò che si vuole imitare. Diciamo alcuna cosa più largamente e dell'
una e dell'altra armonia, l’armonia semplice e l’armonia composita o imitativa.
Le parole, le quali, come tutti sanno , si compongono di vocali e di consonanti
, sono più o meno armoniche, secondo che le lettere delle due specie suddelte
si trovano disposte con certa proporzione. Le vocali fanno dolce il vocabolo le
consonanti robusto. Ma le troppe vocali, che si succedono , producono quel
suono spiacevole, che si dice iato; le troppe consonanti fanno le parole aspre
e diſficili a pronunciare: così l'incontro delle sillabe somiglianti produce la
cacofonia, Circa le parole non molto armoniche, ma approvate dall' uso, diremo
chę elle non si banno a rigettare; ma si deve aver cura di collocarle in guisa,
che il loro suono disarmonico serva al l'armonia di tutto il discorso. Anzi sono
da commendare quelle lingue che ricche si trovano di vocaboli diversi di suono,
i quali , giunti insieme con bell'arte, sogliono rendere maravigliosa l'armonia
del conversare. Sebbene, circa l'arte del collocare le parole con armonia, non
possa darsi maestro infuori dell' orecchio avvezzo alla lettura de' classici
scrittori, pure non sarà del tutto vano il dire più particolarmente alcuna cosa
delle parti, onde l'armonia si coropone. E prima di tutto è a sapere che
l’altenenza tra le lettere, le sillabe e le parole, dalle quali risulta
l'armonia, sono di due ragioni: cioè altenenze di tempo, poichè si pronunciano
o in tempi uguali o disuguali; e attenenza di suono, poichè ogni sillaba
differisce dall'altra per aculezza e gravità e per più o meno di dolcezza o di
asprezza. Diciamo prima delle attenenze di tempo. Pie chiamamo i Latini quella
certa quantità di sillabe, che pronunciandosi in tempi eguali, si potevano
misurare colla battuta del piede nel modo che oggi ancora fanno i suonatori. E,
poichè si pronunciavano più o meno sillabe (attesa la varia conformazione delle
parole) in ispazi uguali di tempo, avvenne che lunghe si dissero quelle che
occupavano la maggior parte del tempo misurato dalla battuta, e brevi le altre,
che occupavano la parte minore. “Coelum”, per esempio , si compone di due
sillabe e si pronuncia in ugual tempo che ful-mi-na, che è di tre : perciò
coelum è un piede di due lunghe, e ſulmina è un pie de di una lunga e di due
brevi. I piedi sono di molte specie, e ciascuna ha il suo nome. Ve n'ha de'
semplici di due sillabe, che sono o due brevi o due lunghe , una breve e una lunga
, o una lunga e una breve: ve n'ha di tre sillabe, che per la varia
combinazione delle brevi e delle lunghe risultano di otto specie: ve n'ha
finalmente più di cento specie dei composti, cioè formali dall' unione di due
piedi semplici. Dall'indelernipala quantità di piedi disposti con legge analoga
alla natura dell'organo del l'udito umano, la qual legge si sente nell'anima e
definire non si può, nasce il numero; e similmeple dall ' unione determinata di
varii piedi, i versi, che sono molle maniere, se condo la qualità de' piedi,
onde sono composti. Dalla varia qualità e quantità de’ versi nascono poi le differenti
specie del metro. A rendere armonioso il verso si congiunge al pu nero il
suono, che, siccome abbiamo accennato, si genera dalla proporzione, con che
sono di sposte le consonanti e le vocali. Da ciò nasce che, sebbene talvolta i
versi abbiano il medesimo número, non hanno il medesimo suono, ma variano nella
loro armonia maravigliosamente: per la qual cosa interviene che dalla unione di
molti versi che abbiano il medesimo numero, come a cagion d'esempio, di
esametri, si possono generare molle ed assai varie armo pie: la diversa upione
di queste armonie di cesi, “ritmo”. Come nella poesia dal ipovimento di molti versi
upili nasce il ritmo poetico , così da quello di minuti membri d' indeterminala
mi sura nasce quello della prosa, il quale pure è di varie sorla, siccome
avremo occasione di osservare in appresso. Ora veniamo a dire del l'armonia
della favella italiana. Gl’italiani non hanno determinata la quantità nelle
sillabe, come si vede aver fatto i latini , per la qual cosa nemmeno i piedi
hanno potuto determinare. Alcuni letterali del sesto decimo secolo, fra' quali
il Caro, tentarono di rinnovare fra noi i versi esametri ed i pentametri, ma
quanto poco (per la in sufficienza della lingua nostra) al buon volere
rispondesse l'effett , apparirà dai seguenti versi di Claudio Tolomei, i quali,
se non sono molto aiutati dall'arte del recitante, non possono ricevere
soavità. Ecco il chiaro rio, pien eccolo d'acque soavi, Ecco di verdi erbe
carca la terra ride. Scacciano gli alni i soli co' le frondi e co'ra (mi
coprendo; Spiraci con dolce fato auretta vaga. A noi servono invece di piedi le
sillabe é gli accenti, e quindi è che da un determinato numero di sillabe e da
una determinata positura di accenti nasce il numero, onde si generano molte
specie di versi. Omettendo le di spute de'rettorici e le loro opinioni circa
questa materia, faremo qui alcun cenno solamente rispetto agli accenti. Le
parole sono di una o più sillabe : se di una soltanto , l'accento è su quella,
come in tu , me, no, si : se di più o egli è nell'ullima, come in mori, o nella
pri 79 ma, come in tempo, o nella penullima come in andarono, o prima di essa,
come in concedea glisi. L’indicati accento si dice “acuto”, perchè alzano la
pronuncia : dove questi non sono, si trova il “grave”, che l'abbassano. Gli
acuto e il grave alzando ed abbassando
il discorso, por tano seco certa proporzione di tempo, e perciò tengono fra noi
il luogo de' piedi Jalini, e formano varie specie di versi, che, secondo, la
quantità delle sillabe, si dicono o pentasillabi o senarii o seltenarii o
ottonarii o novenarii o decasillabi o endecasillabi. Dalle varie unioni di questi
nascono i diversi metri. E il ritmo nasce nel modo, che si è detto parlando
della lingua latina, e circa il verso e circa la prosa. Non si contenta l'animo
upano dell'armonia, onde è ricreato solamente l'orecchio, ma gran demente si
piace di que' suoni, che più vivamenle ci pougono innanzi il segnato; e questo
specialmente egli ricerca nella poesia, la quale o avendo, o mostrando di avere
per suo principal fine il diletto, dee apparire più d'ogni altro discorso
ordinala, e splendida: sarà quindi utile cosa l'investigare quale sia la virtù
imitativa delle parole. Questa e l’armonia imitativa. Dalla mescolanza delle
lettere liquide e delle vocali risulta infinita varietà di vocaboli dell’imitazione
delle grida, de’suoni, de’romori e de’movimenti, e chi, porrà mente alla nostra
lingua troverà, secondo che osserva il Bembo, voci sciolle, languide, dense,
aride, morbide, riserrate, tarde, mutole, rolle, impedite, scorrevoli e
strepitanti. Perciò è che variando la composizione di questi suoni si potranno
ordinare .e versi e ritmi, che ogni grido o romore o movimento vagliano ad imi.
tare. Jofinili esempi bellissimi di si ſalta imi. tazione sono nella Divina
Commedia : ma basti qui la sola descrizione dello strepito, che Dante udi
nell'Inferno: Quivi' sospiri, pianti, ed alti guai risonavan per l'äer senza
stelle, Perch'io al cominciar ne lagrimai. Diverse lingue, orribili favelle, parole
di dolore, accenti d'ira, voci alte ' e fioche, e suon di man con elle facevano
un tumulto, il qual s'aggira sempre in quell'aria senza tempo tinta, Come
l'arena, quando il turbo spira . Del medesimo genere sono i seguenti versi del
Poliziano. Di stormir, d'abbaiar cresce il romore: Di fischi e bussi tutto il
bosco suon : Del rimbombar de' corni il ciel rintrona. Con tal romor, qualor
l'äer discorda, Di Giove il foco d'alta nube piomba : Con tal tumulto, onde la
gente assorda, dall'alte cataratte il nil rimbomba. Con tal orror del latin
sangue ingorda Sonò Megera la tartarea tromba.Il Parioi ci fece sentir il
guaire di una ca goolina, e il risponder dell' eco in questi bellissimi vers.
Aita, aita, Parea dicesse ; e dall'arcate volte a lei l'impielosita eco
rispose. Siccome il succedersi delle parole ora va lento or celere, è manifesto
che questo, che si può chiamare movimento del discorso, ba somiglianza coi
movimenti delle cose, e che per ciò aver dee virtù d'imitare le azioni loro.
Recherò qui per maniera d'esempio alcuni luo ghi cavali da' poeti. Odesi il
furore e l'impeto del vento in questi versi di Dante : Non altrimenti fatto che
d'un vento Impetüoso per gli avversi ardori, Che fier la selva senza alcuu
rallento , E i rami schianta , abbatte, e porta i fiori; Dinanzi polveroso va
superbo, E fa fuggir le belve ed i pastori . Mirabilmente Virgilio descrisse il
tumullo dei venti all'uscire della grotta di Eolo : Qua data porta ruunt et
terras turbine per flant. Incubuere mari, totumque a sedibus imis Una Eurusque,
Notusque ruunt, creber que procellis Africus, et vaslos volvunt ad sidera flu
clus. Insequitur clamorque virum , stridorque rudentum. Fra i versi che
esprimono la caduta de corpi sono bellissimi i seguenti : E caddi come corpo
morto cade ; il qual verso è cadente, come il corpo che cade. Insequitur
praeruplus aquae mons. In queste parole di Virgilio si sente il piom bare
dell'acqua precipitosa : ed eccellentemente fece sentire il medesimo suono il
Caro: E d' acque un monte intanto Venne come dal cielo a cader giù . In virtù
di quest'altro verso dello stesso Caro, una nave sparisce in un subito, e si
sente il romor dell'acqua che l'inghiotte : Calossi gorgogliando e s'aſfondò.
Lo stesso con una sola parola lunga e scor revole dipinse il procedere del
carro di Net tuno : Poscia sovra il suo carro d'ogni intorno Scorrendo
lievemente, ovunque apparve Agguagliò il mare e lo ripose in calma. Nelle
seguenti parole di Virgilio quasi sen tiamo a stramazzare il bue ; Procumbit
humi bos. Dell’armonia che imita gli affetti col suono , Onde conoscere per
qual modo gli affelli vengano imitati dall'armonia , uopo è d'inve sligare
quali altenenze essi abbiano col suono e quali col namero. In quanto alle
altenenze si ponga mente che ad ogni sorta di affetli (1) risponde un
particolar molo del l'organo vocale , per cui si formano voci di verse secondo
la diversità de' medesimi affetli ; all'allegrezza risponde il riso , alla
mestizia il pianto ; ed il riso ed il pianto si manifestano con suono al tutto
diverso : così presso tutte le geoli la subita maraviglia è significata dal
l'esclamazione ah , ovvero oh ; il lamento dall' eh, o dall’ahi ; e la paura
dall'uh. Que ste voci, che da principio sono elfelti naturali delle aſſezioni
dell'animo, diventano poi, merce dell'esperienza , segni di quelle : per la
qual cosa interviene che i vocaboli composti di ma, niera , che facciano mollo
sentire il suono di quelle leltere, che alle predette voci primitive si
assomigliano , avranno virtù d'imitare o questa o quella affezione. Le parole,
che s'in, nalzano per la a o per l'o , che sono lettere di largo suono, saranno
acconce ad esprimere l'allegrezza e gli affetti nobili ed alli : quelle, che
declinano per la é e per l'i , che sono lettere di molle suono , saranno
convenienti alla malinconia ed agli umili e miti affetti. (1) Omnis enim motus
animi suum quemdam a natura habet vullum , et sonum et gesium (Cic. de Orat. ).
84 quelle , che si abbassano nell' u potranno e sprimere le cose paurose e le
perturbazioni dell'animo, che ne procedono. Questa particolare virtù delle
parole viene poi rafforzata dalle attenenze , che le passioni hanno col numero.
Volgendo la considerazione alle varie passioni , si potrà conoscere che l' uomo'nell'ira
è fatto impetuoso , frettoloso nell'allegrezza , lento nella mestizia ,
svarialo nell' amore, immobile nella paura. Quindi av. viene che la musica non
solamente si giova delle note gravi o delle acute, ma delle rapi de e delle
tarde modulazioni a risvegliare ogni sorta d'affetto . A somiglianza di quest'
arte maravigliosa , anche la naturale favella, il suono ed il numero adoperando
, innalza o abbassa gli accenli, rallenta od accelera il corso delle parole,
secondo la natura degli affetti , che di esprimere intende. Con quest' arte
medesima l'accorto scrittore compone i ritmi diversi secondo la tenuità o la
gravità della materia, e secondo le qualità della persona che parla. Ma di
questo avremo altrove occasione di favellare. Ora in confer . mazione di quanto
abbiamo detto intorno gli affetti, recheremo alcuni esempi. Come la lettera a
innalzi il verso e lieto il faccia, si può conoscere da quel solo verso del
Petrarca : Voi ch* ascoltate in rime sparse il suono; il qual verso sarebbe
rimesso se dicesse: O voi, che udite in dolci rime il suono ; sostituendo 1'i
alla a. Veggasi come Dante seppe significare uno stesso concetto con due
diverse armonie, che rispondono a due diversi affelti. Il conte Ugo lino
sdegnalo, e Francesca d' Arimino dolente dicono all’Alighieri di esser presti a
rispon dere alla sua domanda. Ma lo sdegnato dice con suono aspro e terribile :
Parlare e lagrimar vedrai insieme ; e quella mesta con dolcissimo e tenue suono
: Farò come colui che piange e dice. Maravigliosamente esprime Dante con voci
aspre lo sdegno : E disse, taci, maladelto lupo, Consuma dentro le con la tua
rabbia. La velocità de' pensieri, che procedono dal l'aſſello , apparisce in
questo esempio dello stesso poeta : Dunque che è, perchè perchè ristai? Perchè
tanta viltà nel core allelte ? Perchè ardire e franchezza non bai ? Un verso,
che esprime luogo pauroso e cupo, si è questo : 10 venni in loco d'ogni luce
mulo. Dove si vede che se Dante, in vece di muto, avesse delto privo, il verso
non avrebbe messo nell'animo quel sentimento d'orrore. La e , che è lettera di
suono lento, basso ed oscuro , rende sommamente imitativi i se gucnti versi :
Buio d'inferno e di notte privata D'ogni pianeta solto pover cielo Quant' esser
può di nuvol tenebrata. In virtù di somiglianli armonie producono gli scriltori
que' maravigliosi effetti, che la più parte degli uomini sentono nell'animo ,
ene ignorano il magistero. Di queslo cercai mani. festare la natura , non già
perchè io pensi che colui che scrive debba avere di continuo alle mani la
regola ; chè anzi ho sempre creduto la dolcezza e proprietà del suono, al pari
d'ogni allra vaghezza poetica ed oratoria , nascere spontaneamente ; ma questo
volli fare, perchè stimai che l'investigar le occulte ragioni del. l'arte aiuti
l ' intelletto a dirittamente giudi carne , e quindi a formare quell'interior
senso si necessario a comporre lodevolmente, e quel l'abito , che prendono gli
orecchi alla lettura de'ben giudicati esemplari. Nulladimeno per compiacere
agli orecchi non si vuol mai turbare quell'ordine delle parole, in virtù del
quale diventa chiara l'elocuzione. Se per esprimere qualsisia o movimento o
suono od affello coll'armonia, o per formare un pe riodo numeroso e grave ci
faremo oscuri, nes suna lode al certo ce ne verrà. Nè solamente dobbiam sempre
conciliare l'ordine domandato dagli orecchi con l'ordine sopraddello , ma
spesso ancora con quello , che rende più evi. denti o più efficaci i concetti ,
del quale ora ci rimane a parlare, siccome di sopra abbiamo promesso. Parliemo
della collocazione dell’espressione, per la quale si rende ‘efficace’ la
mozzione conversazionale. È manifesto che in ciascun periodo le pa role o le
proposizioni si possono , senza to gliere la chiarezza , alcuna volta posporre
o anteporre l'una all'altra in più maniere ; ma è da por mente che , fra le
molte possibili permutazioni, poche sono quelle che meritino di essere lodate ,
e che spesso una solamente si è l'ottima. Ho udito dire da molti che il più
delle volte l'ordine migliore delle parole nella proposizione si è l'ordine
diretto, e que sto in verità nell'italiana favella è spesso da preferirsi
all'inverso , segnatamente nei die scorsi didascalici o in quelli ove non si ma
nifesta alcun affetto ; ma certo egli è che l'or. dine diretto ( prescindendo
dai mancamenti che aver può rispello all'armonia) è alcuna volla degno di
biasimo, siccome freddo ed inefficace. A quale legge dunque dovremo ubbidire ,
ol. tre a quella già stabilita circa la chiarezza e l'armonia, nel collocare le
parole e le propo. sizioni a fine di rendere più vive le descri zioni e più
efficace l'espressione degli affetti ? La filosofia ci mostra che le idee
tornano alla mente associate in quell' ordine , che vennero all' anima per
l'impressione delle cose ester 88ne, o in quello , che si genera in virtù della
forza particolare di ciascuna idea, essendo che le più vivaci, o quelle che
maggiormente si attengono a' nostri bisogni, si risvegliano pri ma dell'altre ;
e questo mostrandoci , ella ne insegna che , se vogliamo fedelmente ritrarre nelle
menli altrui cio che abbiamo veduto o imaginiamo di vedere, v ciò, che
sentiamo, ci è duopo di formare la catena delle parole se. condo quella delle
nostre idee, per quanto il comporta il genio della lingua. Questa verità
verremo ora con alcuni esempi mostrando, Si osservi primieramente nel seguente
esem pio, tolto dall'Ariosto, come nella descrizione delle cose, che non sono
in moto, sieno poste innanzi all'animo dell'ascoltalore quelle idee, che prima
farebbero impressione ne' sensi del riguardante, e poscia succedano a mano a
mano le altre secondo loro qualità e silo : La stanza quadra e spazïosa pare
Una devola e venerabil chiesa , Che su colonne alabastrine e rare Con bella
architellura era sospesa . Sorgea nel mezzo un ben locato altare, Che avea d'innanzi
una lampada accesa, E quella di splendente e chiaro ſoco Rendea gran lume
all'uno e all'altro loco. La prima impressione, che riceverebbero gli occhi di
chi mirasse un somigliante luogo, sa rebbe certamente la forma e l'ampiezza di
esso, e tosto occorrerebbe alla ' mente la cosa alla quale somiglia , cioè la
devota e venerabil chiesa : indi l'allenzione del riguardante si indirizzerebbe
alle parti del luogo più appari scenti, le colonne alabastrine e rare : queste
chiamano il pensiere a fermarsi alcun poco sulle qualità dell'architellura ,
indi alle parli . più minute, cioè all'altare, alla lampada, alla luce, che si
spande d'intorno . Quanto giovi disporre le parole nell'ordine, in che le idee
sono naturalmente impresse nei sensi dalle successive modificazioni delle ester
ne cose, si può conoscere da questo esempio di Virgilio , il quale , volendo
rappresentare all'imaginazione nostra il greco Sinone trallo al cospetto di
Priamo, si esprime cosi : Namque ut conspectu in medio turbatus, inermis Constitit
, atque oculis Phrygia agmina circumspexit. La collocazione di queste parole è
secondo l' ordine , nel quale avrebbero proceduto le sensazioni di colui , che
avesse veduto cogli occhi propri sinone, e che l'imagine di quella vista si
riducesse a memoria. La prima cosa, che gli verrebbe all'animo , sarebbe il
luogo ov'era condotto Sipone, conspectu in medio; indi la persona di lui colle
sue più distinte qualità , turbatus , inermis ; poi l'azione, constitit ; poi
la parte del' vollo , che subito chiama a sè l'altenzione del riguardante , co
Die quella , che è indizio dello stato dell'ani ma, oculis ; poi le cose ,
sopra le quali gli occhi si volsero , Phrygia agmina; infine l'ultima e lenla
azione degli occhi dipinta colla tarda parola circumspesil. go Un altro esempio
dello stesso Virgilio dimo. slrerà come sieno poste nel proprio luogo pro
posizioni e parole. Ecce autem gemini a Tenedo tranquilla per alla ( Horresco
referens ) immensis orbibus (angues Incumbunt pelago , pariterque ad litora
tendunt : Pectora quorum inter fluctus arrecta , jubacque Sanguineae exsuperant
undas : pars cae lera pontum Pone legit, sinualque immensa volumine lerga. Fit
Sonitus, spumante salo , jamque arva tenebant ; Ardentesque oculos suffecti
sanguine et igni, Sibila lambebant linguis vibrantibus ora . و Colui che fosse
presente al descritto caso , osserverebbe primamente di lontano due cose
indistinte venir del luogo che gli fosse al co spetto, gemini a Tenedo ; indi
le acque per le quali nuotassero, tranquilla per alta ; al l'avvicinarsi di
quelle due indistinte cose, egli comiocerebbe a distinguere il loro divincolare
; poi ecco che le due cose, che da prima indi stinte si mostravano , si
vedrebbe essere due serpenti, angues, i quali più s'accostano e più li vedi , e
più discerni l'azione loro ; prima del gittarsi sul mare , poi del girarsi al
lido , incumbunt pelago , pariterque ad litora lendunt ; ed a mano a mano più
visibili la . cendosi le qualità de' serpenti , si vedrebbero i pelti erti sui
flutti ed alte le creste sangui. gne, e il rimanente de'corpi con grandi volute
nuolare, pectora quorum ec . Finalmente udi rebbe il suono dell' acque , e ne
vedrebbe le spume. Pervenuti al lido i serpenli, discerne rebbe i loro occhi
ardenli e sanguigni , ne ascollerebbe i fischi, e vedrebbe a vibrare le lingue,
fit sonitus ec. Per l'addotto esempio maniſestamente si vede che nel collocare
le parole secondo la catena di quelle sole idee, che verrebbero al. l'animo di
chi il descritto caso avesse veduto, sta l'arte di rendere evidenti le
descrizioni : di qualità che all'uditore sia avviso non di udir raccontare ma
di vedere cogli occhi pro pri. Nel rappresentare colle parole le sole idee che
vengono naturalmente all'animo di chi mira le cose , e di chi è mosso dagli
affetti, consiste l'arte del particolareggiare : chi tra passasse Test limite
cadrebbe nella prolissi tà, e nella minutezza , la quale rende stucche voli
que' poeti che eccessivamente particola reggiando si pensano di produrre
l'evidenza. Siccome poi le cose hanno più o meno di forza sull'animo nostro a
misura che più o meno vagliano a concitare l'amore o l'odio, o a mettere timore
; così interviene talvolta , che esse al tornar che fanno alla mente tengono
quell'ordine , che è secondo i gradi della ri. spettiva loro forza. Perciò è
che qualvolta le idee in virtù delle parole sieno ordinate con formemente a
siffatta legge, il discorso è caldo e passionato; e freddo e di nessun efletto
se l'ordine delle parole discorda da quello delle idee. Nel libro IX
dell'Eneide veggendo Niso l'amico Eurialo già presso ad esser morto dai Rutuli,
cosi esclama: Me me (adsum qui feci) , in me conver : tite ferrum , O Rutuli ,
mea fraus onnis : nihil iste nec , ausus, Nec potuit : coelum hoc , et conscia
si dera testor. Volendo il poeta esprimere le veemenza della passione di Niso,
soppresse il verbo interficile, e pose innanzi alle altre la voce me quarto
caso, poichè la prima idea, che viene all'ani. mo del giovanetlo , si è quella
della propria persona , che egli vuole sacrificare per l'amico suo ; poi
vengono le altre parole ordinata Diente seguitando la della legge. Similipente
il Petrarca : E i cor, che indura e serra Marle superbo e fero, Apri tu, padre,
inlenerisci e spoda . Se invece egli avesse dello : Apri tu , padre,
intenerisci e snoda I cor, che indura e serra Marte superbo e ſero,
l'elocuzione sarebbe riuscita fredda, perciocchè la prima imagine che si
presenta al commosso animo del poeta, sono i cuori, i quali egli con quelle
prime parole quasi pone innanzi a Dio, affinchè si piaccia d'intenerirli.
Accade alcuna volta che lo scrittore vuole accrescere vigore alla propria
sentenza , e in questo caso non dee disporre le sue parole a modo, che
all'uditore paia di aver inteso tutto al prinio detto, ma far sì , che le idee
vengano all' animo di lui crescendo gradatamente, come nel seguente esempio :
Tu se' buono, santo, divino. E in quest'altro del Boccaccio : Ri.
prenderannomi, morderannomi, lacereran nomi costoro. Similmente metterà bene il
collocare l'ay verbio dopo il verbo e l'addiettivo dopo il sustantivo ,
qualvolla sieno posti nel discorso alfine di accrescergli vigore. Perciò è che
me. glio si dirà : io ti amerò sempre , che io sempre ti amerò: è facile il
sentire come questa seconda collocazione riesca fredda. Molli preclari ingegni,
e Ira questi il Caro, hanno biasimato il Boccaccio, perchè troppo
frequentemente pone il verbo alla fine del pe riodo; e per verità l'hanno
biasimato a ragio ne ; perchè non solo con ciò si toglie al di. scorso la
varietà, ma anche perchè il più delle volle si viene a turbare la naturale
associa zione delle idee. Alla quale associazione se porrà mente lo scrittore
troverà sempre molivo onde approvare o disapprovare l'ordine che egli avrà
posto nelle sue parole. Lunga opera sarebbe il trattare qui minutamente questa
ma teria e il prescrivere le regole applicabili a tutti i casi particolari ;
queste si possono age volmente dedurre dalla regola generale, che abbiamo
assegnata , e perciò stimiamo che qui 94 basti fare qualche altra osservazione
intorno ad alcuni luoghi, ne'quali il verbo è posto in ultimo. Avendo il
principe Tancredi, presso il Boc caccio, rimproverato Ghismonda di avere eletto
per suo amatore Guiscardo di nazione vile, e non uomo dicevole alla nobiltà di
lei, così ella, rinfacciandogli il fatto rimprovero, gli dice : in che non
taccorgi che non il mio pec cato , ma quello della fortuna riprendi. Qui chiaro
si vede che se Ghismonda avesse dello : non taccorgi che non riprendi il mio
pec cato , ma quello della fortuna, avrebbe par. lalo freddamente. Il figliuolo
di Perolla, in T. Livio, sdegnato che il padre suo gli abbia in. pedito di
uccidere Annibale, si volge alla pa tria dicendo: o Patria , ferrurn , quo pro
te armatus hanc arcem defendere colebam, hodie minime parcens, quando pater
extor. que, accipe. Ne'due cilati luoghi son poste innanzi le idee, che prima
si presentano ale l'animo passionato di colui che favella, e in ullimo è il
verbo, che apporta luce alla mente sospesa dell'ascollatore. Se T. Livio avesse
detto : 0 Patrin , accipe ferrum ec. , oltrechè avrebbe parlalo fuori del modo
naturale di colui che ha l'animo commosso, avrebbe an cora mancato di
quell'arte, che l'altenzione altrui si procaccia: imperciocchè qualvolta egli
ci porge innanzi il ferro, col quale il giovane voleva difendere ostinatamente
la rocca, subito la niente nostra sta attendendo impaziente menle che cosa
esser debba di quel ferro; e, poiché ode la risoluzione di esso giovane, re sla
preso da subita maraviglia e ne riceve dilelto. Nel collocare le parole secondo
la catena delle idee, si vuol porre ' grande cura di con ciliare quest' ordine
con quello che è richiesto dall'orecchio e dal genio della lingua , al quale
non si può contrariare. Qualvolta 10 scrittore ciò pervenga ad ottenere, sembra
che le sue parole siensi di per sé poste al luogo loro, e che chiunque avesse
voluto dire la stessa cosa l'avrebbe detta a quel modo. Que sta si è quella
facilità, che molti avvisano di poter conseguire , ma spesso invano a ciò si
affaticano e sudano. Parliamo del carattere del discorso. Avendovi posti
innanzitulli gli elemenli, onde si compongono le prose e le poesie , ac cade
ora di ragionare più parlicolarmente delle leggi della convenevolezza , o sia
del decoro , di che abbiamo di sopra falto cenno alcuna volta. Come dalla
mescolanza de'selle colori fatta con legge si genera la varietà e la vaghezza
nella imagine delle cose dal pittore imitate, cosi dalla mescolanza degli
elementi predetti , similmente falta con legge, nasce la varietà e la venustà
delle prose e delle poesie . Colui che si facesse ad accozzare e ad ammassare
alla rinfusa parole nobili , modi urbani, mela fore, traslali, igure , sentenze,
ec. , verrebbe certamente a comporre di buona materia as sai deforme Perſella
riuscirà posizione, allorchè le parole e i modi e l'ar monia e le figure
verranno e ben divisale le une con le altre e lulle insieme, secondo i fini che
lo scrillore si propone, secondo la maleria della quale ſavella, secondo la
condi. zione sua e di coloro che l'odono , secondo i luoghi in cui parla ; chè
in queste tulle cose consiste il decoro. Dal decoro nasce la leggia dria , che
risplende nelle più belle opere del. l'arle, e senza di esso nessuna cosa al
mondo è pregevole. Conciossiachè poi varii sono i fini speciali , che lo
scrittore si propone , varii i subbielli, di che può ragionare, varie le uma ne
condizioni e le circostanze, conseguita che varii pur sieno i generi e le
specie de' con ponimenti per loro proprio carattere distinti. Il qual
carallere, per le cose delle di sopra, definiremo nel modo seguente : Il
carattere del discorso si è la contemperanza degli ele nepli, da ' quali
risultano la chiarezza e l'or. namenlo, ſalta secondo le leggi del decoro. E
perciocchè la principal legge del decoro si è quella , che riguarda il fine,
che ci pro poniano , quando altrui manifestiamo i nostri concelli , a questo
volgeremo tosto la nostra considerazione, Chi scrive inlende o a convincere o ä
pero suadere o dilellare altrui. Secondo questi tre fini nasceno tre generi di
scrivere o tre caralleri si diversi , che vogliono essere di stigli e
particolarmente considerati ; cioè il fi losofico , il persuasivo, il poelico.
Di questi di reno prima alcuna cosa in generale , indi ne accenneremo le
specie. In quanto al carattere del discorso filosofico, Ufficio de'flosofi si è
il mostrare altrui la verità, e perciò le loro scritture intendono a fare che
il lettore od ascoltatore non sola . menle venga di buona voglia nella sentenza
a lui esposta , ma che sia costretto anche suo malgrado a vevirvi, che è quanto
dire ch'egli rimanga convinto . Se pertanto ci verrà fallo di scuoprire quella
virtù del linguaggio , per la quale si genera il convincimento , ci saranno
subito manifeste le qualità , onde il carallere filosofico si distingue dagli
altri. Il convincimento si genera nell'animo o qual volta per via de' sensi
percepiamo l'attenenza ſra alcune qualità, e in questo caso diciamo esser
convinti dal fatto, o qualvolta ci vien posta innanzi una serie di proposizioni
insie me collegate ' e procedenti da una o da più altre conformi a'falli , le
quali si chiamano principii ; ed in questo secondo caso diciamo di essere
convinti con evidenza di ragione. A costringere gli animi con questa evidenza
in . lendono i filosofi, ed a tal fine son loro neces sarii i vocaboli di singolare
significazione ed i modi precisi ; imperciocchè se nella catena delle
proposizioni che formano il ragionamento , una sola vi fosse di perplesso
significalo, o che accrescesse o menomasse di un solo elemento iniportanle
alcuna idea, si mulerebbero le at tenenze delle dette proposizioni, dal che
proce derebbe l'errore , come accade nelle operazioni arilmeliche, qualvolta ,
no solo numero si ponga iu luogo di un altro, Se agli uomini venisse dalo (che
Dio volesse) di ordinare la lin gua a modo che dalle percezioni delle qualità
semplici delle cose fino alle più complesse idee d'ogni maniera non fosse
vocabolo di mal fer ma significazione, non sarebbe malagevole il ragionare
dirittamente in qualsivoglia altra Ina teria , come si ragiona nella matemalica
; inn perciocchè in virtù de'segni ben determinali si verrebbe al conoscimento
delle allenenze delle idee complesse grado per grado fino ai loro principii; e
per tal forma ciascuno potreb be sempre rendersi certo della enunciata verità .
Da tutto ciò si raccoglie che nella precisio ne delle parole e dei modi sta la
virtù di con vincere ; e che perciò essa precisione esser dee la prerogativa
dello scrivere filosofico. L'uso della metafora pertantoe delle figure può
divenire larghissima fonte d'errori, per ciocchè è facile che l'animo umano
ingannato dalle similitudini, di che si formano le meta fore, e commosso dagli
artificii travegga, e quindi si faccia a comporre le nozioni, non secondo la
natura delle cose , ma secondo le apparenze e la capricciosa indole della
fantasia. Il sistema del Malebranche , ch'ebbe tanti se. guaci e disputatori
(per lacere di molli altri ) procede da una similitudine. E si dovrà dunque
nello scrivere insegnali vo schivare ogni metafora ed ogni figura, e renderlo
secco e ruvido, come quello de'ma temalici? V'hanno certamente alcune malerie (
e tale è per avventura la ideologia ) , le quali richieggono un linguaggio
pressochè simile a quello della geometria o dell'algebra ; ma non è perciò che
le altre parti della filosofia, ed anche talvolta la stessa austera scienza
delle idee, non dimandino ornamento sobrio e ve recondo. Niuna materia
filosofica vuol essere molto mollo fregiala, acciocchè il verisimile, in forza
degli artifizii oratorii , non venga ad invadere . il luogo del vero, nė paia
che il filosofo voglia invescare e prendere altrui : nulladimeno è necessario
che a quando a quando l'intelletto del leggitore, affaticato dal lungo
ragionare, trovi riposo, e venga alleltato, senza che la esposta verità rimanga
oscurala . Perciò il filo soro collo schivare le parole barbare, rance , oscure
e disarmoniche toglierà ogni ruvidezza al suo discorso, e gli darà grazia e
leggiadria convenevole co' modi urbani e gentili , colle vereconde metafore
scelte a maggiore schiari. mento di quanto per le parole ben determi nate fu
espresso ; colla brevilà e colla varietà de'modi, con alcune naturali figure,
quale sa rebbe l'interrogazione, e specialmente coll’ar. monia facile e piana ,
e con tutti gli allri modi naturali alla tempérala favella. Questo carallere
filosofico fu si ben divisato da Cicerone, che io stimo convenevole cosa di
recare le sue parole Temperata e famigliare è l'orazione de’ filosofi: non è
composta» di modi popolari; non è legata a cerle regole d'armonia, ma discorre
liberamente. Niente sa d'iralo, niente d'invidioso, niente di inirabile, niente
di astulo. Casla, vereconda, quasi pudica vergine, onde piuttosto ragionamento
che orazione può nominarsi. Parliamo del discorso di carattere persuasive o protrettico. Poichè
abbiamo dato contrassegno del carattere filosofico, veniamo a fare il medesimo della
mozzione conversazionale persuasiva. “Persuadere” segna propriamente far
credere altrui alcuna cosa; dal che manifeslo apparisce essere grande la
differenza tra il “convincimento” e la “persuasion”. Perchè siamo convinti è
forza che conosciamo ogni proposizione che compone un ragionamento fino alla
prima percezione, dalle quali dipende il principio fondamentale di quello. Perchè
siamo “persuasi” basta che il ragionare abbia per fondamento o l'opinione o
l'apparenza o l'autorità (non come l’intende Courmayeur). Molti dicono, a
cagion d' esempio, di essere “persuasi” che il sole si giri intorno la terra,
ed altri che la terra si volga intorno al proprio asse. Gli uni prestano fede
all'apparenza, gli allri al detto degli uomini sapienti. Ma di quello che
credono non sanno porgere altrui vera dimostrazione. Da questo esempio, e da
infiniti altri, si può vedere che la persuasione non è sempre generata dal
conoscimento di ogni proposizioe che si richieg
gono nella dimostrazione, e che per conseguente a trarre le volontà, ed a
tenere le menti del più degli uomini, non importa semipre il dimostrare
sollilmente alla maniera del filosofo, ma giova di far uso di qualsi voglia
verisimile principio: di comporre imaginazioni che abbiano faccia di verità: di
adoperare figure che, perlurbando l'aninmo di nostro compagno conversazionale,
conformino i pensieri di lui secondo la nostra volontà di guisa, che, se egli
sia per venire nella nostra sentenza, precipitosamente vi corra . Ma tutte
queste cose si vogliono ado perare a modo, che il discorso abbia sempre
apparenza di vera dimostrazione; perciocchè gli uditori di qualsivoglia condizione
sempre domandano a conversatore che sia loro mostra la verità. Converrà quindi
dedurre il discorso, per natural guisa e chiaramente, e da esso rimovere ogni
proposizione ed ogni artificio, nel quale apparisca alcuna ombra di falsità.
Primo ufficio del conversatore si è il provare la sua proposizione nella
divisata maniera. Secondo, il dilellare. Terzo, il commovere; accorgimento si
richiede nelle prove; sobriela degli ornamenti che intendono al diletto;
veemenza nel concitare gli affetli. Con queste arti si perviene a trionfare ed
a governare la volontà di nostro compagno conversazionale. Per le cose dette si
conosce che il conversatore, comechè dice di voler dare esatta dimostrazione di
quanto afferma, questo non fa sempr : del che si può aver prova nella disputa,
che fa in contraddilorin, per le quali talvolta appaiono vere due sentenze, una
delle quali, essendo opposta all'altra, deve di necessità esser ſalsa
(reduction ad absurdum, introduduzione della negazione). Non è dunque l'arte
della conversazione veramente l'arte di dimostrare (prendendo questa parola
nello stretto segnato del filosofo) ma, come la define Dionigi d'Alicarnasso, “l'arte
di farsi credere”. Ma qui potrà per avventura sembrare che, avendo io nel sopra
indicato inodo divisata la natura di una mozzione conversazionale persuasiva,
de abbia fat 10 un'arte d'inganno. Chi però cosi pensasse а porterebbe opinione
falsissima; perciocchè non si ſa inganno agli uomini adoperando a bene
quell'arte, che sola si conſà all'indole della più parte di essi. Pochi sono
coloro, che pos sono essere falli capaci della verità per via di sollile ed
esatto ragionamento; anzi avviene il più delle volte che, sembrando molti
falsissimo il vero e piacesse a Dio che così non fosse), è forz , per
guadagnare l'opinione foro, venire ad alcuna utile verità per le strade del
verisimile; e questo non è certo ingannare, ma giovare la umana famiglia. Vero
ufficio dei conversatori si è l ' usare l'eloquenza non ad inganno, ma per
indurre gli uomini a fuggire il vizio, a seguitare la virtù e la verità; per
metter fine alle conlese, per sedare i tumulli, per sollevare l'autorità della
legge contro il volere di coloro, che il privato bene antepongono a quello
della repubblica: che se alcuni malvagi intellelli abusano di tutte le arli
civili, dovremo per questo sbandirle dal Roma e ricondurre gli uomini a viver
di ghiaude? Finalmente e la mozzion conversazionale di carattere poetico, come
in Heidegger. La poesia fou dai romani inventata per proprio diletto, e poscia
dagli autori della vila civile ad ammaestramento di esso popolo adoperala.
Piacque ad aleuni a solo ricreamen to dell'animo usarla, ma i più nobili poeti
sotto il velame delle favole, delle imitazioni e dei mirabili concetti
pascosero la dottrina , e con locuzione accesa nella fantasia e con soavi armonie
si aprirono la strada alle menli volgari, le quali all'insegnamento dei
filosofi sarebbero stale ritrose. Per lo che niuno può dubitare che chiunque si
dispone a fare una mozzione conversazionale poetica non debba cercare di
piacere alla più parte degli uomini. Questo fece ad imagine degli antichi il
nostro Alighieri, la cui divina Commedia leggevano anche le persone d'umile
condizione, e ne traevano documenti a ben vivere. Questo ſecero l'Ariosto e il
Tasso, e cosi dee fare chiunque ha vaghezza di essere salutato un autore di una
mozzione conversazionale poetica. Se dunque investigheremo quali sieno quei
modi che dilettano il più degli uomini, e quali sieno que' che li noiano,
giungeremo a conoscere quali convengano e quali disconvengano al carattere
della mozzione conversazionale poetica . E primieramente e palese che le
espressione apportano diletto e colla materiale struttura loro e colla qualità
delle idea, che recano alla mente; perciò è che l'essere del carattere poetico
dall'una e dall'altra di queste cose dovrà generarsi. Una delle qualità
necessarie alla mozzione conversazionale poetica sarà dunque la più squisita
armonia, onde siano dilettati i sensi ed appagato l'intelletto in virtù della
imitazione. Dell'armonia abbiamo dello abbastanza, perchè passeremo tosto a dire
della natura delle idee dilettevoli. Il diletto si genera negli animi da ciò
che, dolcemente i sensi movendo, fa operare la mente senza tenerla in fatica: e
perciò è che le imagini dei corpi diversi e tulte quelle cose e que’ concetti,
che hanno virtù di risvegliare gli affetti, ci recano maraviglioso piacere e le
idee astratte all'incontro non lo ci recano, perciocchè, se non sono mollo
complesse, fanno lieve impressione nell’animo; se molto complesse, abbisognano
di molta attenzione, e perciò affaticano la mente. Proprii, saranno dunque del
carattere poetico i vocaboli e i modi acconci a svegliare ad un tempo la rimembranza
di molte sensazioni dilettevoli ed a concitare le varie passioni ed a rendere
sensibili coll'aiuto delle similitudini tolte dalle cose corporee i più sottili
concetti della mente. Cogli aggiunti opportunamente scelti vengono segnata la
passione o l’azione, e gli usi delle cose e le qualità loro proprie, le quali
in virtù dei soli nomi sustantivi non verrebbero all'animo di nostro compagno
conversazionale, o ci verrebbero debolmente; perciò al poeta conviene
l'adoperare essi aggiunti più frequentemente che all'oralore, quale dipinge
meno parli colarmente le cose, siccoine colui che non ha per fine principale il
diletto. Colla metafora si dà corpo a una nozione astratta, coi tropi si pone
dinanzi agli occhi della mente quella sola parte o qualità dell'obbietlo, che
prima si presenterebbe al senso di colui che cogli occhi del corpo il mirasse.
Adoperando i predetti modi, si perviene a dare a’ concetti intellettuali forma
sensibile guisa, che nostro compagno conversazionale, direi quasi, non più per
segni percepisce le cose, ma le vede, e con mano le tocca. Affincho palesemente
si vegga questa prerogativa, che sopra tutt e rende il carattere poetico
distinto dagli altri, recherò ad esempio alcuni concetti intellettuali,
convertendoli in forma sensibile. Tutti i viventi muoiono. La sede del romano
impero fu da Costantino trasferitu a Bisanzio Il popolo facilmente mula
consiglio. Quello ch' ei fece dai tempi di Romolo, sino a quello dei Tarquinii.
Quello concetto si dice intellettuale, siccome quelli che si denno giudicare
secondo il segnato proprio di ciascuna parola; sensibili saranno, qualvolla
sieno espressi di maniera che giudicare si debbano secondo l'apparenza o la
similitudine, siccome divengono i predelti Trasformandoli nel modo seguente. La
morte batte egualmente alle capanne de poveri ed a’ palagi de’ re. Posciachè
Costantin lo quila volse contro il corso del ciel, che la seguiu Dietro quel
grande , che Lavinia Wolse. Infida è ľaura popolare. E guel cliei fe' dal mal
delle Sabine Al do Tor di Lucrezia. Queste finzioni che assai di lettano, e perchè
contengono manifeste similitudini e perchè racchiudono veri intellettuali
concetti, sono talmente proprie della mozzione conversazionale poetica, ch'elle
sarebbero sconvenevoli nei discorsi, che non hanno per fine primario il diletto.
Come queste poi si addicano più a cerle specie, che a certe altre, vedrenio a
suo Juogo. Ora bastea di avere in genere contra-segnata la natura del carattere
poetico, onde apparisca che tengono mala strada coloro, i quali cercando
"fama tra i poeti fanno pompa ne’loro versi di dottrina e di soltile
ingegno, ed espongono i loro pensieri con ordine troppo minuto e distinto. I
concetti che si cavano dall’intrinseco della filosofia, recanó seco molta
oscurità e difficoltà, specialmente quando vengono segnato co' vocaboli e
commodi loro proprii, e perciò sono contrarii al diletto, che è il fine del
poet , o, come altri vuole, il mezzo necessario ad indurre il giovamento. E
quando si dice che il poeta dev'essere filosofo, non si vuol dire che a modo
dei filosofi debba scegliere, ordinare e segnare il concetto, ma che egli usi
molto di filosofia nello scegliere le materie più utili agli uomini, e nel dare
a quelle e forma e veste conveniente alla natura di ciascuna. Che se talvolta egli
vorrà togliere alcun concetto dalla filosofia, lo toglierà dalla superficie e
non dal profondo seno di lei, in quel modo, che ha fatto il Petrarca, qualvolta
si è giovato della filosofia di Platone, come si vede nel seguente esempio. Per
le cose mortali, che son scala al fattor chi ben le stima, D'una in altra
sembianza potea levarsi all'alta cagion prima. E in altri luoghi moltissimi si
vede con qual arle e cautela dalla flosofia nella poesia egli abbia trasportati
i concetti, gli abbia temperati ed ornati, sicchè non hanno nè ruvidezza alcuna
nè oscurità, ma naturalezza, novità, e magnificenza, che sono qualità popolari,
che è quanto a dire poetiche. C’e una e altra specia del discourse di carattere
filosofico. Le materie, intorno le quali cade l'insegnamento, sono: la
matematica, la fisica , la metafisica, la morale, la politica, l'arte oratoria
e la poetica, le arti liberali e le meccaniche, e tutte le conoscenze che da
queste principali procedono, ciascuna delle quali essendo più o meno astratta ,
richiede o maggiore o minore soltigliezza d'ingegno e forza di attenzione in
chi le consider: per la qual cosa interviene che dovendo i conversatori usar
parole e modi con venevoli alla natura di ciascuna delle dette materie, ne risultano
diverse specie di caratteri insegnativi più o meno austeri. Rispelto poi alle
persone, cui vuolsi mostrare la verità, giova osservare che elle sono di due
maniere. Alcune letterale ed alcune mezzanamente istruite. Alle prime, che sono
avvezze al ragionamento, si converrà stretto sermone: più diffuso alle altre,
le quali hanno bisogno che le cose sieno esposte loro per minuto, ed anche
talvolta per via di similitudini e di esempi chiarile. Per tal cagione il
discorso filosofico prende spesso alcuna delle forme del persuasivo, senza mai
perdere però la precisione, che forma l'essenziale sua proprietà. Di tal sorta
sono molte mozzione conversazionale indirizzati all'insegnamento de' giovani, e
i dialoghi e le epistole filosofiche, le quali vengono usate affinchè certe
materie depongano alquanto della nativa loro austerità, ed allin cbè i
conversatori affaticati trovino riposo nelle digressioni e in altre parti
accessorie. C’e una e altra specia di discourse di carattere pesuasivo o
protrettico. Se al mondo fossero uomini dirittamente sapienti e perfettamente
savi, sicchè astuzia e lusinga di oratore non potessero negli animi loro, vana
riuscirebbe l'arte del persuadere, perciocchè tutti richiederebbero di essere
convinti con precisa e poco adorna favella: ma Blo non sono quaggiù nel mondo
cose perfette, e perciò è che, sebbene tutti gli uomini avvisando di poter
essere condotti alla verità per via di vera dimostrazione, sdegnino i manifesti
artificii; pure non v'ha alcuno, che vaglia a resistere alla seduzione di
astuta eloquenza; dal che si ricava che l'arte del persuadere si può adoperare
con ogni sorta di persone; po pendo menle però che quanto maggiore negli ascoltanti
è l'aculezza dell'intelletto e la sapienza, altrellanto esser deve la cura
nell'ora tore di occultare l’artificio. Dovranno dunqne i modi del discorso
persuasivo tanto più avvicinarsi a quelli del filosofico, quanto piu le
persone, cui si favella, sono sapienti ed arcorte; ed all'incontro tanto più
dovranno lingersi, direi quasi, del COLORE (Farbung) poetico, quanto nel
conversatore è minore l'altitudine ad argo nentare sottilmente: e la ragione di
questo si è che, a misura che negli uomini manca l'acı fezza dello intelletto,
cresce la forza della fan. tasia, dell'opinione e delle passioni. Ma no è
perciò che, anche favellando a sì falte persone, debba l'oratore ornare il
discorso d'imagini fantastiche a modo che esso perda le apparenze della buona
dimostrazione; essendo che' il popolo stesso, il qual pure, come è detto,
presume di sapere ragionare sottilmente, sde gna quella orazione che gli par
vuota di ragioni. Dovrà dunque il discorso persuasivo aver sempre l'aspetto di
vera dimostrazione; ma colale aspetto poi sarà diverso, secondo la maggiore o
minor perspicacia delle persone, che si vogliono persuadere, le quali si
possono dividere in tre schiere. La prima è degli uomini letterati : la seconda
degli uomini che banno convenevole discrezione di mente: la terza del popolo
basso. Per le quali tre schiere tre specie di carattere persuasivo procedono.
La prima partecipa alquanto delle qualità del genere filosofico: la terza di
quelle del poelico: la seconda è stile medio e media fra le due. Della prima
specie e le allegazione, che l’avvocato pronuncia al cospetto de' giudici;
della seconda i discorsi morali, la storia, l’elogio, ed altre opere intese a
persuadere circa il giusto e l'onesto le persone discrete; della terza la
predica e la allocuzione e il parlamento, che si fanno al popolo ed a; soldati.
Siccome poi varia si è la condizione delle persone che favellano, e varie le
cose di cui si può favellare, interviene che secondo queste e quelle verrà il
carattere persuasivo a dividersi in altre specie: e perciocchè le per le cose
si possono considerare di tre ragioni, cioè di nobili, di mezzane e di umili,
piacque a' retorici di restringere sotto tre soli nomi i molli membri del
carallere persuasivo, e questi sono: il sublime, il temperato ed il tenue. Che
a ciascuna di queste specie si addicano e voci e modi particolari, è facile
comprendere e chi non vede che al discorso rivolto a celebrare le lodi di un
eroe o di un sapiente si convengono maniere diverse da quelle , che sarebbero
accomodate a descrivere o a lodare l’amenità della villa? Che la lettera
famigliare intenla a persuadere qualsivoglia verità ad alcuno, dev'e di natura
diversa dall' orazione che tralla della cosa medesima? Paren sone e I 2 domi
che qui non sia bisogno di allargarsi troppo in parole, una sola cosa ricorderò
, cioè, che von solamente si addicano a cfascuna spe. cie particolari maniere,
ma ancora particolare collocazione di parole e particolare armonia .
Imperciocchè l'animo di chi favella , essendo secondo i varii casi o tranquillo
o perturbato, o elevato o umiliato , non è dubbio che, nel seguitare questi
diversi affetti, variamente si devono ordinare le idee, e colle idee le paro
le, e che similmente dee variare l'armonia , se vero è ch'ella soglia naturalmente
, qualvolta favelliamo, accompagnare i moti dell'animo, Oltre di che vuolsi
considerare che que' che parlano alla moltitudine, o scrivono cose da
proferirsi ad alla voce , sogliono muoverla e modularla con diverso andamento
da quello che userebbe colui, il quale famigliarmente ragionasse e
tranquillamente in angusto loco alcun fatto narrasse ; e perciò il ritmo di que
ste due specie di favellare è fatto diverso dalla necessità di pronunciare a
modo, che le nostre parole sieno ascoltate volentieri, e quan do in luogo
pubblico di gravi negozii a molti parliamo, e quando in camera a pochi di qual
sivoglia materia. Quale sia poi quella deter minala armonia, che in ciascun
caso convenga, insegnare uon si può. Qui basti l'avvertimento, chè l’esempio de
classici scrittori assai meglio ne può ammaestrare. Penso che sia convenevole
cosa il collocare fra le specie del carattere persuasivo anche quello che si
addice alla istoria; e ciò per le seguenti ni. Uſlicio dell'istorico si è di produrre
coll'insegnamenlo la prudenza civile e militare, il che si ottiene col porre
innanzi all ' animo del lettore i fatti importanti e le cagioni e gli effelli
di quelli. Al qual line, è mestieri di descrivere avvenimenti d'ogni ma piera e
particolari e generali, assalti , uccisioni , incendii, battaglie, saccheggi,
trattazioni, páci congiure, delilli e
virtù; di palesare nelle concioni poste in bocca ai re, ai magistrati, ai
capilani, i gravi consigli e i documenti della politica ; di esprimere i caratteri
delle passioni, e di usare le più luminose sentenze. Le quali tulle cose
vogliono essere significate con modi che varino secondo il variare della
maleria. Comechè uguale a sè medesimo sia sempre il carattere della storia,
cioè grave , siccome si addice a chi le gravi cose racconta , certo egli è che
secondo la differenza degli avvenimenti dovrà variare nel sostenersi e nello
innalzarsi, ed apparire nelle concioni più alto ed eſti cace, nelle descrizioni
più ameno ed ordinato, e spesso più veemenle nella persona degli uo mini ivi
introdolli a parlare, ma sempre temperato in quella dello scrittore, che da
ogni parteggiare dee mostrarsi lontano. Non può dunque convenire al caraltere
storico nè l'autorità filosofica, la quale sarebbe contraria alle malerie , nè
la poetica pompa , che torrebbe fede alla narrazione ; perciò é forza che gli
sieno proprie le prerogative generali del ca. rattere persuasivo, dal quale
differisce sola mente per le qualità speciali di sopra accennale. C’e una e
altra specia del discourse di carattere poetico. Se ſu bisogno dividere in
alcune specie il carattere persuasivo a cagione della maggiore o minore
altitudine delle menti umane a di scerncre la verità, ciò non occorrerà circa
il carallere poetico ; imperciocchè tanto gli uo. mini di sottile ingegno ,
quanto quelli , in cui la fantasia prevale all'intelletto, hanno tulli dinanzi
al poela una medesima disposizione. Se il popolo porge orecchio alle finzioni
noe. tiche , quasi come a cose vere, i sapienti le riguardano come simboli
della verità e quasi come leggiadri sogni della filosofia , e in questo loro
dolce ricreamento sdegnano ogni austerilà e fino l'apparenza delle faticose
forme filoso . fiche . Perciò è palese che il poeta rivolge sem . pre le parole
ad vomini, i quali, sieno di qual sivoglia condizione , amano che la mente loro
şia condotta ad operare senza fatica . Da que. sto si ricava che ogni specie di
carattere poe tico dovrà avere sempre la prerogativa di schivare, come dicemmo
di sopra, le idee che tengono in falica l'intelletto, e rappresentare quelle ,
che vestile di forme sensibili, eserci. citano la imaginativa. Non sarà dunque
diviso in ispecie questo genere per rispelto della diversità degl'intel letti ,
ma della condizione del poeta o delle persone che introduce a parlare, e delle
varie cose , che ei ſa subbietto del canto. Ma, prima di entrare in questo
proposito , parni che sia da togliere una falsa opinione circa la natura della
poesia. Sono alcuni i quali avvisano che 115 ma il l'essenza di lei consista
nel metro, e fra que sti è il Melaslasio , il quale nella sua esposi zione
della Poetica d'Aristotele sostiene che la lavella metrica, per essere
l'istrumenlo con che l'imitazione si fa , ne forma l'essenza . Ma io domanderei
voleplieri a coloro che cosi la pensano , qual nome vorrebbono dare all'Eneide
tradolla in favella sciolta dal metro? Le daranno per avventura nome di prosa?
L’espressione “prosa” altro non segna che discorso senza metro, e per ciò
verranno a dire solamente che quell'illustre racconto è fatto sce. mo di quella
sola qualità, di che grandemente si diletta l'orecchio, ma non già di tutte le
altre, che stabiliscono la natura dei discorsi composti a fine di diletto. Dal
che appare manifesto che un altro general nome è bisogno per distinguere i
discorsi composti per dilettare. E quale è a ciò più accomodalo vocabolo che
quello di poesia? L’espressione “poeta”, secondo sua origine , significa facilore
o vogliam dire fabbricatore; e perciò poesia sonerà lo stesso che fabbricazione
o finzione, e tali sono di necessità quasi tutti i discorsi, che si compongono
a fine di dilellare, essendo che il nudo vero non è dilettevole sempre e in
ogni sua parle: perciò Varchi dice nell'Erco laro, che il verso non è quello
che faccia principalmente il poeta; e che Boccaccio talvolla più poeta si
mostra in una delle sue Novelle, che in tutta la Teseide. Ed Orazio afferma che
a distinguere la poesia da ciò che essa non è, basta disgiungerne le membra,
cioè loglierle il metro, e allora si vede manifestamente che il carattere non
le si toglie. Conchiudiamo pertanto, che il metro induce diſſerenza di specie
ma non determina la natura del genere; e stabiliamo che a tutti i discorsi che hanno per fine il dilettare con metro o
senza , si conviene il nome di “poesia”. Ora veniamo alle specie. Talvolta il poeta
rappresenta la persona d'uomo, che cantando, dice laudi degli Dei e degli Eroi;
talvolta quella , ch'esprime i moti dell'allegrezza, dell'affanno o dell’amore,
o solamente gli scherzevoli con cetli. Le poesie di questa maniera solevano
dagli antichi essere cantate sulla “lira,” e perciò presero il pome di “lirica”,
e tuttora il conservano. Varie essendo le passioni e le cose che esprimere si
possono dal conversatore lirico, interviene che ancora il canto si divide in
varie specie, che tutte poi si riducono a tre, come nel carattere persuasivo:
cioè al sublime, al mediocre ed al tenue. Ciascuno di questi canti ha qualità
sue proprie. Magnificenza e gravità di mod , di sentenze e di arinonia , e
splendore d'illustri parole e di concetti fantastici convengono a chi celebra
le laudi degli Dei e degli Eroi, ed esprime alte e generose passioni: più tenui
maniere e parole e più soave armonia a chi esprime gli affelli meno gravi e
canta di subbielli meno nobili: quegli poi , che dice i mili affetti o gli
scherzi o le umili cose, avrà nelle sue parole piacevolezza e semplicità da
ogni fasto lontana, ed armonia soave e varia , ma sempre tenue. Alla detta
varietà d'armonie, mirabilmente poi servono i metri, alcuni de' quali portano
secofl'umiltà , altri la mediocrità , altri l'allezza dell'armonia. Sono molti
esempi di questa varietà in Petrarca, Si ponga mente ai modi, al metro, al
ritmo delle due canzoni d'amore , una delle quali comincia, Chiure, fresche e
dolci ucque; e l'altra, Di pensiero in pensier, di monte in monte; e si vedrà
la prima essere in tutte le sue parti piena di soavità, di gentilezza e di grazia,
e l'allra di robustezza e di gravità. Talvolta il poeta narra gl ' illustri
ſalli ; tal volla i mediocri; e talvolta i piacevoli: indi si generano i poemi
epici, i romanzi , i poemi burleschi e le novelle. Talvolta poi introduce a
parlare o le persone illustri o le mediocri o le umili , e quindi provengono le
tragedie, le commedie , le egloghe pastorali e le pisca torie . Ognuna di
queste specie, siccome è pa lese , ha modi ed armonia convenevole alla maleria
ed alla condizione delle persone. Perciò è che il poeta , specialmente nella
tragedia, nella commedia e nell' egloga, ove se medesimo nasconde introducendo
altri a par lare, dee rendere alquanto umili i modi, l'ar monia di guisa , che
lo spettatore , ascollando le tragiche persone o le coniche, abbia a dire :
così parlerebbero gli uomini di questa o di quella condizione, se loro naturale
favella fos sero i versi . Giovi questo generale avverli mento , perciocchè non
si possono mostrare i certi limili, fra i quali dee slarsi ciascuna spe 118 rie
. Tutte hanno nell'intero loro corpo faltezze particolari , alle quali colui
che ben vede di stintamente le raffigura : pure a quando a quando or questa or
quella viene a parteci. pare dell ' altrui colore di guisa , che l'epico nelle
forti passioni innalza le parole e i modi al pari del cantore degl'inni; e il
più sublime lirico parra alcuna volla , siccome fa l'epico. Lo stesso
interviene delle allre specie , fra le quali per fino la commedia talora si
leva a gareggiare colla Tragedia , e la tragedia al dire l'Orazio , spesso , si
duole con sermone pe destre. Nelle opere dell'arle, siccome in quelle dels la
nalura, si scorge infinita diversilà , ma per questa spesso non è tolto che
moltissimi indi vidui della medesima specie , sebbene molto dissimili, non
sieno egualmente belli e prege voli. Questo vedesi manifestamente per le la
vole colorite da' celebri dipinlori, de'quali uno essendo il fine, cioè quello
dell'imitare la bella natura, non in tutti una apparisce la sembianza del loro
dipingere. Raffaello, Correggio, Domenichino, Caraccio, Tiziano e Paolo, i
quali cerlo non mancano nelle regole invaria bili dell'arte , sono fra loro
assai differenti. Tutti mostrano invenzione lodevole e lodevole composizione,
belle forme , ben disposto colo. rito e conveniente a ciascuna cosa: tutti esprimono
i costumi e gli affelli, ma ciascuno d'essi ſa delle predette e di altre virtù
una cotale mislura, che siamo condolti a dire che nessu. 1 Til no di loro ha la
maniera dell'altro, comechè Tulli sieno eccellenti. Questa, che i pillori chia
mano maniera, è similmente comune a' filosofi, agli oratori, agli storici ed
a'poeli. Quanti scriltori sono tenuli meritevoli di pari commendazione, sebbene
tale fra loro sia la diſſerenza, che spesso ciascuno solamente a sè me, desinio
ed a nessun altro assomiglia ? La rinsposizione dell'ingegno e delle affezioni
dela l'animo, che in ciascun uomo è diversa, è cagione che le dette maniere sieno
di numero pressochè infinito. Alcuno de' famosi scriitori ha il pregio della
perspicuità, alcuno della eleganza, allri della grazia, altri dell'aculezza.
Questi è grave e maestoso: quegli delicato e molle: chi è breve e robusto: chi
copioso , chi úrbano e chi veemente: ma tali poi sono tutti, che, se alcuno di
noi desiderasse di ottener gloria di ottimo scrillore, sarebbe incerto a quale
di loro volesse essere somigliante. L'accennata maniera particolare, per la
quale ciascuno scrittore è distinto dagli altri, si è quella che gli antichi
chiamarono “stile” (cf. Tannen, Conversational style), prendendo questa voce
dall'istrumento che per iscrivere adoperavano. La stessa parola “stile”, presa
più largamente che non fanno i filosofi, segna comunemente il carattere in
genere o in ispecie : ma è palese che, filosoficamente parlando, si è bene
d'usarla nel senso leste dichiarato. Ond'è che assai propriamente diremo in
generale, carattere filosofico, caruilere persuasivo o poetico; ed in ispecie
carattere oralorio, lirico, epico, tragico, sublime, medi cre e tenue : e stile
di Demostene, di Cicerone, di Ortensio, di Omero, di Virgilio: percioc chè nei
primi fu il solo carattere persuasivo, negli altri il poelico; ma in ciascuno
ebbe una particolare maniera, che modificando il carattere, l’essere suo non
gli tolse. E chi volesse invesligare le cagioni da che proceda colale maniera,
che stile si appella, vedrebbe ch'elle sono le qualità dell'intellello, della
fantasia di ciascuno scrillore, e le qualità degli affetti, a cui egli ha l'
animo disposto : laonde volendo dare alcuna definizione dello stile, paroi che
far si potesse nel modo seguente. Lo stile si è il carattere modificato secondo
le qualità dell'intellelto , della fantasia e degli affelli dello scrittore. Parliamo
sommeramente del modo di acquistare la qualita necessaria a conversare
civilmente. Ora che abbiamo poluto conoscere che cosa sia lo stile , non sarà
indarno l'investigare co me si possa acquistare forza, grazia e vaghezza nello
scrivere ; e che è quanto dire come si possa formare lo stile convenevole e
pulito. Se lo stile si genera per la qualilà dell ' in tellelto , della
fantasia e degli affetti dello scrit tore, vera cosa è che, a formarlo convenevole
e pulito , bisognerà rendere perfette le mento vate tre cagioni il più che si
può. L'uomo nasce fornilo dell'intelletto, cioè della facollâ di sentire, di
percepire , di alten. dere, di paragonare, di giudicare, di astrarre, di
ricordarsi, di imaginare , ma d'uopo è che queste lacollà vengano poscia diriltamente
usate ed esercitale, onde sia generala quella virtù pressochè divina , che si
appella la ragione, la quale consiste nell'abito di . paragonare in sieme i
sentimenti distinti dell'anima e le idee, di derivar dai falli pariicolari le
nozioni gene. rali ; di anteporre o posporre le une alle altre, di congiungerie
o di separarle, secondo la con venienza o disconvenienza loro , e secondo i
loro gradi di più o di meno. A formare que sl’abito , sarà bisogno di studiare
le opere de' filosoti, che trattano soltilmente delle cose na lurali, delle
proprietà dell'intelletto e del cuore umano ; di apprendere l ' istoria , senza
la co gnizion della quale, al dire di Cicerone, l'uo mo si rimane sempre fanciullo
; di osservare la nalura , di pralicare fra le diverse condi. zioni degli
uomini , e di operare ne privati negozii e ne' pubblici . Ad arriccbire
l'imagi. nativa, la quale è l'abito di recare all'animo la reminiscenza delle
qualità sensibili che più ci muovono e dilellano ; di congiugnere insie me con
verisimiglianza quelle , che sono di. sgiunte in nalura , e di significare per
siinili tudine delle cose corporee i concelli astralli, non solo metterà bene
di leggere gl'inventori di nuove e vaghe fantasie , ina di por menle a tutto
ciò che ai sensi porge diletlo , sia nelle azioni degli uomini e degli anigali
sia nel l’esteriore aspelto e movimento delle cose inanimate ; e soprattullo
gioverà di ben con siderare le somiglianze che fanno fra loro le cose di qualsivoglia
genere e specie ; chè que sto si è il fonte , dal quale si derivano le vuo ve e
maravigliose metafore. Di molla ulilità sarà poi all'intellelto ed
all'immaginativa lo sludio de' precelli dell'arte oratoria e della poetica, i
quali, essendo il compendio di quanto ove i filosofi hanno osservato intorno le
cagioni, onde piacciono e dispiacciono le opere degli scrillori, apportano
quella luce, che un uomo solo nel breve spazio della vila studierebbe indarno
di procacciarsi colla sola virtù del proprio ingegno. Vuolsi però sull'osservanza
de'precelli avvertire ciò che nell'arle poetica osserva Zanotti; cioè che le
cagioni del piacere e del dispiacere trovate da’ filosofi, essendo cagioni
universali ed indeterminale, mostrano bensi i luoghi , non vogliono che si
ecceda o si manchi, ma non prescrivono poi a qual segno si debba giugnere o
rimanere , per non ecce dere o non mancare; ond' è che, a fare buon uso del
precello , è bisogno di quella discre. zione , che si acquista con lungo sludio
e fatica . Rispetto agli affelli, io mi penso che, sel) bene sieno da natura,
pure a conciliarli in al trui grande aiuto si possa trarre dall'arte . Se
l'amore, l'odio, l'ira, la mansuetudine , la misericordia ed allre affezioni
dell'animo na. scono da cagioni determinale, come per eseni. pio l'amore da
bellezza e da virtù, l’odio da male qualità del corpo o dell'animo altrui, non
v'ha dubbio che gli aſſelti medesimi si deb bono in chi legge risvegliare per
virtù della viva' rappresentazione di quelle cagioni : dal che si raccoglie che
lo scrittore, considerando le varie disposizioni degli uomini passionali, e le
cagioni, per le quali la passione si genera, avrà materia onde gli animi
perlurbare. Cosi per aiuto dell'arte verrà ad operare in altrui quell'eſello, che
imperſellamente avrebbe operalo mercè della sola naturale sua disposi. zione.
Da quanto è dello apparisce che la scienza avvalora l'intellelto e
l'immaginativa , ed aiuta a muovere gli affetti, e che perciò ella si è il
fonte dello scrivere rettamente. La scienza poi è generala negli umani
intellelli da due cagioni: queste sono: la naturale disposizione delle organo
corporale e l'azione delle cose esterne sopra di esso; sì falte ca. gioni sono
di necessità diverse in ciascuno ; perocchè non è da credere che si possano tro
vare due corpi nella stessa maniera conforma li ; ed è poi certamente
impossibile che uno riceva dalle cose esterne nell'animo le mede sime
impressioni che un altro. Per la qual cosa avviene che diversa in ciascuno si
generi la scienza , e quindi diversa la forza dell'in gegno e dell'imaginaliya,
diversa la qualilà degli affetti, e per conseguente anche lo stile, che da
queste procede, deve riuscire diverso . Dal che si vede che imprendono opera
dispe rala coloro, che si affaticano ad imitare lo stile d'altri. E alcuni pur
sono che andando passo passo sull' orme di Dante, del Petrarca o del Boccaccio
, avvisano alla costoro gloria di per venire ; ma le opere loro per verità , in
fuori di un poco di pulita buccia, niun sugo hanno. Che cosa dovremo dunque
apprendere dagli scrittori ? Rispondo che si vuole apprendere la lingua e i
modi acconci ad esprimere chia ramente, ornatamente e convenevolmente i no stri
concelli. Da questo scrillore ci sludieremo di procacciare una cosa , da quello
un'altra , a seguileremo sempre la nostra natura , secondo l'esempio di Dante,
il quale lasciò scritto di sè : lo mi son un che, quando amore spira , nolo, ed
a quel modo che delta dentro, vo significando. Che se allrove disse a Virgilio:
Tu se' lo mio maestro e lo mio autore, Tu se' solo colui , da cui io loisi Lo
bello stile, che mi ha fallo onore, non intese già d'avere tolto al maestro la
ma niera propria di quel poeta , ma sibbene la qualità , onde il carattere
poetico é differente dal filosofico e dal persuasivo. E chi è che pon senta la
differenza che è dallo stile di Dante a quello di Virgilio? Rimane per ultimo a
dire degli autori , che coloro che amano di scrivere nell'italiana favella , devono
scegliere a maestri. Nulla dirò dello studio della lingua greca e della latina,
perciocchè essendo notissimo che nell'una e nell'altra scrissero coloro, che
insegnarono a tutto il mondo, e che questa nostra da quelle procede, ciascuno
conosce di per sé quanta ulilità trarre se ne possa. Mi ristringerò dunque a
fare alcuna parola de' solo il conversatore italiano, che agli altri si devono
preporre. E prima è a sapere che nel secolo XIV alcuni prosatori ed alcuni
poeti diedero al volgar nostro tanta proprietà e grazia, che nessuno ha poi
polulo eguagliarli: che nel secolo XV questo volgare ſu quasi abbandonalo per
soverchio amore della lingua latina e per pusillanimità degli uomini d’Italia :
che nel secolo XVI ſu dal Fortunio e dal Bembo ridollo a regole deter. minate ;
e da molti ſu nobilmente adoperato in varii generi di scritture : che nel
secolo XVII fu da talupo acconciamente impiegato ed ar ricchito di voci
perlinenti alle scienze , fu da alcun altro scrillo con eleganza, ma venne da
moltissimi in parte corrotto e rivolto in vanilà di falsi concelli: che nel
XVIII finalmente ſu da pochi bene usato , e da moltissimi con pa role e modi
forestieri vituperato . Tale essendo stata la fortuna di questa bellissima
lingua, chi potrà dubitare che oggi non sia a noi sa lutevole il consiglio, che
ci porgono gli uomini sapienli , cioè quello di studiare agli antichi esemplari?
Se nel buon secolo della lingua la lina si stimava essere opera di gran probllo
ai giovani il molto leggere gli antichi scrittori del Lazio, quanto
maggiormente non si dee credere che lo studiare i nostri sia per giovare a noi,
che viviamo in un secolo , ove gl'ita liani, pressoché tutti , più delle cose
forestiere che delle proprie dilettandosi, scrivono sì, che punto non pare alle
loro scritture che sieno stali allevati in Italia? Verissimo si ė (anche parlando
delle arti) quello che dicono i politi ci, cioè che qualvolta le cose sieno
pervenule a corruzione, bisogna richiamarle ai loro principii. Questa sentenza
dovrebbe essere dinanzi all'animo di tutti coloro, che amano il profitto de'
giovani nelle lettere umane ; pure sono al cuni cbe , deridendo coloro che
studiano i lesti della lingua, dicono essere sciocchezza il darsi tanto
pensiero delle parole ogni qualvolta si 1centisti , abbia cura dei concelli ;
come se il recare alla mente altrui i nostri concelli non dipenda dalla virtù
di ben accoviodate parole. Colali persone, avendo posla loro usanza o ne' soli
domestici negozii o in alcuna scienza o arte, nè mai data opera allo studio
della lingua, vilipendono ciò che non conoscono, e perciò, non avendo au.
torità , non meritano alcuna risposta. Tutti gli uomini di mente discreta non
si maraviglie ranno, se qui vengono consigliati i giovanetti a studiare prima
nelle opere de’ trecentisti, ne’ quali è dovizia di vocaboli proprii e di forme
gentili, e chiarezza e semplicità e urba nità e maravigliosa dolcezza , ed a
riserbare agli anni loro più maturi lo studio dei cinque che scrissero
eloquentemenle di cose gravi e magnifiche. Ma per avventura alcuno dirà: non
dobbia. ino noi essere intesi dagli uomini del nostro secolo e cercare di
piacer loro seguendo l'usanza? Perchè dunque vorremo che la gioventù studii
ancora quelle opere, ove si trovano, ol tre le voci ed i modi, che sono fuor
d'uso, e barbarismi e pleonasmi e solecismi ed equivocazioni, e talvolta negligenza
e stranezza nel costrutti? Perchè non vorremo consigliarla piullosto a leggere
i soli scrillori del cinquecento, i quali seguitando le regole grammati. cali
dettate dal Fortunio e da Bembo, non solo scrissero correttamente, ma
trattarono eloquen temente di varie ed importanti materie? A queste obbiezioni
risponderemo che si dee se guire l'usanza, del buon conversatore, l'usanza del
volgo; che non si vuole negare che in molle opere del trecento non si trovino
ma non fra la copia delle maniere proprie, nobili e graziose, varii difelli; ma
che per questo non ci rimarremo da consigliare la gioventù di avere sempre caro
sopra tutti quel secolo beato, e di leggere per tempo i suoi eccellenti
scrittori, poichè ci teniamo certi che quanto è difficile il rendersi
famigliari e domestiche le maniere native e gentili, altrettanto è facile di
perdere l’abito di peccare contro la grammatica e contro l’uso. La predetta
virtù non si può acquistare se non con lungo esercizio : il diſello si può
togliere assai agevolmente dopo lo studio della grammatica, e dopoche per la filosofia
e per la erudizione ci verrà dato di ben conoscere il valore delle parole e di
ben distinguere la lingua nobile dalla plebea, e le maniere, che per vecchiezza
ban no perduta la grazia e la forza pativa, da quel le che sono ancora belle ed
efficaci. Quanto allo studio de'cinquecentisti, non du bitiamo che ei sia per
essere ulilissimo, essen do che molli eccellenti scrittori di quel tempo
adoperarono la lingua, che appresero da Alighieri, da Boccacio, da Petrarca e
dagli altri tre centisti , emulando mirabilmente i romani in molli generi di
scrilture: ma teniamo per ſermo che convenga alla gioventù di avvezzarsi al
candore ed alla semplicità del trecento prima di cercare lo splendore, la ma
gnificenza, la copia e l'altezza de' pensieri nei cinquecentisti. Perciocché
lulti coloro, che sfor zano di parere magnifici e splendidi primaché dalla
filosofia sieno ſalli ricchi di cognizioni, fanno l'orazione loro bella nella
buccia, una nell'intrinseco vana e puerile. Non potendo i giovanelli esprimere
con verila se non quei pensieri e quegli allelli, che sono proprii del la
tenera età , troveranno assai comodale al bi sogno le parole ed i modi usati
da'trecentisti, la più parte de'quali, come que' che vissero nell'infanzia
dell'italico sapere, scrissero di tenui materie. Verrà poi quel tempo maturo,
in che a'giovani farà mestiero di alzare a'gravi concelli lo stile, ed allora
apprenderanno da Guicciardini gravità e nerbo; dal Segretario fiorentino
sobrietà ed evidenza; dal Caro copia, efficacia e gentilezza; dal Casa
splendore e magnificenza ; dal Galileo ordine e precisione; d’Ariosto e da Tasso
i pregi lulli, ond' ė divina la poesia. Ma allo studio di quesli e degli altri
molli, che fecero glorioso il secolo di papa Leone, non avranno l'animo ben di
. sposto se non coloro, cui prima sarà piaciuto di allingere ai puri fonti del
trecento, da'quali derivarono i sopraddetli abbondantissimi fiumi. Questo, o
Giovani, è quanto ho stimato op portuno di porvi dinanzi per indirizzarvi nel
cammino delle lettere, alle quali inolti vanno per vie distorte e per lo
contrario. Vi ho mo strato quali sieno gli elementi della Elocuzio ne; come nel
contemperarli secondo le leggi del decoro si loronino i varii caratteri; e final.
mente come lo stile proceda da naturale di sposizione e come col sapere si
perfezioni. Darò fine coll'avvertirvi, se vero è che la scienza e l'esempio
fanno l'arte, è vero altresì che arte senza uso poco giova: onde, se dallo
stile cercate onore, vi sarà bisogno di neditare mollo, di leggere molto e di
scrivere mollissimo. Grice: “It may be said that my transcendental Kantian approach
to cooperative rational conversation is a response to Costa’s totally
empiricist (or ‘sensista’ as he prefers) invocations of ‘chiarezza’ (my
imperative of conversational clarity), and brevita, eleganza, and all the
categories that inform the maxims. Paolo Costa. Keywords: la teoria sensista
della communicazione – idea dei chi proferisce la proposizione “Me diletta
l’odore di questa rosa piu del colore”, cooperiamo, e la risponsa di nostre
anime e “Contrariamente, a me mi diletta il colore di questa rosa piu
dell’odore” -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Costa” – The Swimming-Pool
Library.
Costanzi (Pozzuolo Umbro).
Filosofo. Grice: “I like Costanzi; possibly my favourite of his essays is the
one on ‘amore’ and ‘morte’ – eros and Thanatos for the Oxonian!” Si laurea a Bologna.
Ensegna a Bologna. Altre opere: “Pensiero ed essere” (Perrella, Roma);
“Varisco: l’uno e i molti” (Perrella, Roma); “Noluntas” (Perrella, Roma); “Schopenhauer”
(Roma); “L'asceta moderno” – L’asceta -- Arte e storia, Roma; Spinoza,
Universitas, Roma); “Il sentito in Platone” -- Arte e storia, Roma); “L'ascetica
di Heidegger” Arte e storia, Roma); “L'ascesi di coscienza e l'argomento
d’Aosta”, Arte e storia, Roma); “Meditazioni inattuali sull'essere e il senso
della vita” Arte e storia, Roma); “La terrenità edenica del Cristianesimo e la
contaminazione spiritualistica” (Patron, Bologna); “La donna angelicata e il
senso della femminilità nel Cristianesimo” (Patron, Bologna); “La filosofia
pura, Alfa, Bologna); “Il senso della storia, Alfa, Bologna); “Sul prologo di
Zarathustra (Nietzsche e Schopenhauer) con trad. dello stesso Prologo, in
Ethica; “L'etica nelle sue condizioni necessarie, Ed.ni di Ethica, Bologna); “L'estetica
pia, Patron, Bologna); “L'ora della filosofia, R. Patron, Bologna); “L'uomo
come disgrazia e Dio come fortuna” (Alfa, Bologna; “La critica disvelatrice” (Ed.ne dell'Istituto
di Filosofia dell'Bologna, Bologna); “Amore e morte” (L. Parma, Bologna); “La singolarità
della diada: compimento di un itinerario senza vie” (Cooperativa libraria universitaria
editrice, Bologna); “L'equivoco della filosofia cristiana e il cristianesimo-filosofia”
(Clueb, Bologna; e ragioni della miscredenza e quelle cristiane della fede,
Clueb, Bologna); “La fede sapiente e il Cristo storico” (Sala francescana di
cultura Antonio Giorgi, Assisi); “La rivelazione filosofica” (Sala francescana
di culturaAntonio Giorgi, Assisii); Il Cristianesimo: filosofia come tradizione
di realtà” (Sala francescana di cultura, Assisi); “Breviloquio della sera” (Sala
francescana di culturaAntonio Giorgi, Assisi); “L’immagine sacra” (Sala francescana
di cultura, Assisi); “L'identità del Lumen publicum nelle privatezze di Anselmo
e Tommaso” (Il Cristianesimo-filosofia, Le Lettere, Roma); Opere, E. Mirri e M.
Moschini, Bompiani, Milano). Sgarbi torna a Tuoro per presentare l'opera omnia
del filosofo Teodorico Moretti-Costanzi, "UmbriaLeft. Il filosofo imagliato dal Sessantotto,
"il Giornale"Dizionario Biografico degli Italiani. Teodorico Moretti
Costanzi. Keywords: l’essere, il sentito, ascesi (verbo?), Zarathustra, il
singolo della diada, l’uno e i molti, nolere, nolitum, volitum, amore/morte,
eros/tanatos, immagine sacra, imaginatum, essere, un essere, due esseri, le due
esseri entrambi – rivelazione – la rivelazione filosofica – a new discourse on
metaphysics: from genesis to revelations – un nuovo discorso di metafisica: del
genesi alle rivelazione. – Zarathustra e cristita -- nollere in Schopenhauer --. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Costanzi” – The Swimming-Pool Library.
Courmayeur (Torino).
Filosofo. Grice: “The most interesting thing about Courmayeur’s philosophy is
that he is a count; unlike Locke, or the common-or-garden English Oxonian
philosopher who doesn’t have a dime, this one has, as the Italians say, ‘all
the money in the world’! That helps with philosophy! His forte is moral
philosophy AND HEGEL, which proves that Hegel becomes the taste of aristocrats
and not just dons like Bosanquet!” - Dall'antica famiglia valdostana dei Passerin
d'Entrèves et Courmayeur. Ottenuta la maturità classica al Massimo d'Azeglio di
Torino, si laurea con Solari con “Hegel” (Torino, Gobetti). Studia sotto
Ruffini e Einaudi la filosofia politica del medio evo e il concetto di costituzione.
Insegna a Torino. Fu capitano di complemento degli Alpini e membro del CLN, dal
quale venne nominato, primo prefetto di Aosta. Fu all'origine dello statuto
della regione autonoma Valle d'Aosta.
Fra le sue opere più note, Il concetto dello stato, è considerata da
molti la sintesi del suo pensiero storico-filosofico. Oltre che filosofo del diritto e storico del
pensiero politico, viene considerato il fondatore della filosofia politica
italiana come disciplina a sé stante, finalmente distinta dalla filosofia dello
stato. Paradossalmente ciò avviene proprio col saggio, “Il concetto dello
stato”. Ben diversamente dall'ordinamento tematico della “Staatslehre” come
pure dall'ordinamento cronologico per filosofi in uso nella filosofia politica,
ordina la filosofia politica secondo uno schema concettuale schiettamente
filosofico: "il concetto di forza – forzare ", "il concetto di
potere" (il verbo ‘potere’); "il concetto di autorità – auctoritas
--". Il concetto di faccia dello stato, secondo una scala di qualificazione
crescente. Il concetto di "forza" (il forzare) e qualificato di un
imperativo, un mando o commando efficace. Il concetto di "potere"
(potere del giurato) contiene il concetto di forza (il forzare – come un mando
o imperativo efficace), ma organizzato in una istituzione e qualificato dal
‘giurato’. Finalmente la terza faccia, il concetto di "autorità" come
contenendo la second faccia del potere del giurato, qualificato da una concetto
di legge variable: la promozione del giurato, la promozione del bene comune (la
res publica), o la promozione della piccolo patria. Altre opere: Il concetto
dello stato (Torino: Giappichelli); “La Valle d'Aosta, Bologna: Boni); “La
filosofia della politica, Torino: UTET); “Filosofia politica nel medio evo
italiano” (Torino: G. Giappichelli); “La filosofia politica d’Alighieri”
(Einaudi, Torino); “Morale, diritto ed economia, Pavia: Libreria Internazionale
F.lli Treves); “Morale, Roma: Athenaeum); “Appunti di storia delle dottrine
politiche: la filosofia politica medioevale, Torino: Giappichelli); “Il concetto dello stato in Zwingli", in
Filosofia del diritto, Roma); La teoria del diritto e della politica in
Inghilterra all'inizio dell'età moderna, Torino: Istituto giuridico della R.
Università); “Obbedienza e resistenza” (Roma/Ivrea, Edizioni di Comunità). La
piccola patria, Milano: Franco Angeli); Obbligazione Politica, Pensa
Multimedia. Dizionario biografico degli
italiani. Biblioteca civica Passerin d'Entrèves. Grice: “It’s only natural that
Courmayeur had such an intricate concept of ‘state’ – he was born in a
minority, like Russell, who was born in a place which some called England, some
called Wales. The situation is so borderline that it reminded me of my
ancestors, the Ingvaeonic – and see all the problem the Frisians are having in
Germany! Now they do recognise the ‘anglo-frisiche’ – but hardly allow them to
vote!” “It is not clear how the collectivity has any bearing on the third state
of ‘state’ – the ‘auctoritas’ – but then perhaps ‘auctoritas’ is the wrong
concept, since it just means ‘author’ – Courmayeur is making the point that all
authority is legitimate authority. “You have no authority” means ‘you have no legitimate power’ – and you have no power,
means you have no legal force, and you have no force means you cannot command!”
As Courmayeur would say: it’s all different in valaestan, the vernacular of
Aosta, which hardly has the same status as Italian (since giuridically Aosta
belongs to Italy) or French (since French is the official language, along with
Italian). But don’t ask that imperialist Crystal for an answer!” Alexandre Passerin
d'Entrèves et Courmayeur. Alessandro Passerin d’Entrèves et Courmayeur.
Courmayeur. Keywords: piccolo patria, il concetto dello stato, filosofia
politica versus staatslehre, prima faccia: il forzare come imperativo efficace;
seconda faccia: il potere come il forzare organizzato in una istituzione e qualificato
dal giurato; la terza e ultima faccia: l’autorita, come il potere qualificator
da una legge centrata in un concetto ideale variabile: il giurato, il bene
comune (res publica), la piccolo patria. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Courmayeur” – The Swimming-Pool Library.
COTRONEO
(Campo
Calabro). Filosofo. Si laurea Messina sotto Volpe con “L’implicatura di Kierkegaard”.
Ensegna a Messina. “Scritti”. “Lo storicismo di Cotroneo”. Altre opere: “Bodin
teorico della storia” (Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane); “Croce e
l'Illuminismo” (Napoli, Giannini); “I trattatisti dell'arte storica” (Napoli, Giannini);
“Storicismo antico e moderno” (Roma, Bulzoni); “Rareta e storia” (Napoli,
Guida); “Societa chiusa, società aperta” (Messina, Armando Siciliano Editore);
“La ragione della libertà” (Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane); “Trittico
siciliano: Scinà, Castiglia, Menza” (Roma, Cadmo); “Momenti della filosofia
italiana” (Napoli, Morano); “Questione post-crociane” (Napoli, Edizioni
Scientifiche Italiane); “Tra filosofia e politica” (Soveria Mannelli,
Rubbettino); “Le idee del tempo. L'etica. La bioetica. I diritti. La pace,
Soveria Mannelli, Rubbettino); “Un viandante della complessità. Morin filosofo
a Messina, Annamaria Anselmo, Messina, Armando Siciliano Editore); “Croce e
altri ancora, Soveria Mannelli, Rubbettino); “Etica ed economica” (Messina,
Armando Siciliano Editore); “La virtù” (Soveria Mannelli, Rubbettino); “Croce
filosofo italiano, Firenze, Le Lettere); “Illuminismo, Napoli, La scuola di Pitagora);
“Libertà” (Napoli, La scuola di Pitagora); “Storia della filosofia, Napoli, La
scuola di Pitagora); “Positivismo, Napoli, La scuola di Pitagora); “Filosofia
della storia, Napoli, La scuola di Pitagora); “Rinascimento, Napoli, La scuola
di Pitagora); “Aristotele e Perelman, Retorica vecchia e nuova” introduzione
(Napoli, Il Tripode); La retorica di Aristotele, retorica antica, Perelman, Itinerari
dell'idealismo italiano, Napoli, Giannini, Raffaello Franchini, Teoria della pre-visione”
(Messina, Armando Siciliano Editore, Croce, La religione della libertà.
Antologia degli scritti politici, Soveria Mannelli, Rubbettino, Il diritto alla
filosofia, Atti del Seminario di studi su Raffaello Franchini” (Soveria
Mannelli, Rubbettino); “Croce filosofo, Atti del Convegno di studi, Napoli-Messina”
(Soveria Mannelli, Rubbettino); La Fenomenologia dello spirito” (Napoli,
Bibliopolis); Cavour, Discorsi su Stato e Chiesa” (Soveria Mannelli, Rubbettino,
Letteratura critica Giovanni Reale, Girolamo Cotroneo , in Dario Antiseri e
Silvano Tagliagambe , Storia della filosofia, Milano, Bompiani, Lo storicismo
di Cotroneo, Soveria Mannelli, Rubbettino, Giuseppe Giordano, Tra Storia della
Filosofia e Liberalismo, in Bollettino della Società Filosofica Italiana, Roma, Carocci, Giuseppe Giordano, Rivista di
storia della filosofia, Milano, Franco Angeli, Girolamo Cotroneo, in Treccani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Girolamo Cotroneo. Keywords: retorica, retorica di
Aristotele, retorica nuova, retorica moderna, Perelman, rareta e storia, Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Cotroneo” – The Swimming-Pool Library.
COTTA (Firenze).
Filosofo. Grice: “My favourite explorations by Cotta are three: ‘per che
violenza?” – “dalla guerra alla pace: un itinerario filosofico” and a
secondary-literature study on ‘i concordati’ --- which is MY philosophy. You
see, Plato thought that the soul resided in the brain – cool as he was – but
Aristotle corrected him: it resides in the HEART – Cicero loved that and coined
‘cum-cor’ – i.e . something like my cum-operare: your hearts convene!” --
Grice: “I would say Cotta is Italy’s H. L. A. Hart, with a bonus – he wrote on
essentialism, deontic logic, and from war to peace!” Figlio di Alberto, studioso di scienze
forestali, e Maria Nicolis di Robilant. Da parte di madre è discendente diretto
di Eulero. Studia a Firenze presso l'istituto dei barnabiti La Querce. Si
laurea a Firenze. Chiamato alle armi con il grado di sottotenente, il giorno
dell'annuncio dell'armistizio, è in Friuli. Scioltosi l'esercito, scende in
barca lungo l'Adriatico per raggiungere l'Italia non ancora occupata dai
tedeschi. Ammalatosi di malaria, dopo svariate traversie decide di raggiungere
il Piemonte, dove partecipa alla guerra di resistenza come comandante di una
brigata partigiana nella VII Divisione Autonoma "Monferrato". È tra i
primi ad entrare a Torino nei giorni della liberazione. Per la sua partecipazione
alla guerra partigiana gli vengono attribuite la Medaglia di bronzo al valor
militare e la Croce di guerra. Dopo gli studi sul pensiero politico
dell'Illuminismo i suoi interessi si sono incentrati sulla filosofia
giusnaturalistica, che è stato in grado di fondere con elementi della
fenomenologia. Autore di saggi sulla visione politica di Montesquieu,
Filangieri, Aquino ed Agostino, dedicandosi in seguito a riflessioni teoriche
sul diritto e sulla politica. Insegna a Torino, Perugia, Trieste, Trento,
Firenze, Roma, e Teramo. Fu tra i componenti del comitato promotore del
referendum abrogativo della legge sul divorzio. Altre opere: “La società; “Il
concetto di ‘legge’ in Filangieri” (Torino, Giappichelli); “Il concetto di ‘legge’
in Aquino” (Torino, Giappichelli). “Il concetto di Roma come città in
Agostino”; “Filosofia e politica nell'opera di Rousseau”; “La sfida
tecnologica”; “L'uomo tolemaico” – la ferita narcissista di Galileo – “Quale
Resistenza?, Perché la violenza; “Il normato: tra il giurato e l’obbligato”; “Il
diritto nell'esistenza. Linee di ontofenomenologia giuridica”; “Dalla guerra
alla pace”; “l’uomo, la persona, il diritto umano”; “Il pensiero politico di Montesquieu,
Bari, Laterza); “L’inter-soggetivo giurato”; “I limiti della politica, “Il
sistema di valori e il diritto”; Perché il diritto Quid ius?” (Brescia, La
Scuola). Stante la concessione chirografata dall'ex re Umberto II, Cotta puo
fregiarsi del titulo nobiliare di “conte”, sia pure del tutto informalmente
stante l'instaurazione dell'ordinamento repubblicano e la XIV disposizione
finale e transitoria della Costituzione. Il conte Sergio Cotta. Keywords:
l’inter-soggetivo, il giurato, il normato. La prima ferita narcissista, Filangieri,
giurato, l’uomo galileano, l’obbligato, il normato, Latin ‘normare’ – not
recognized in Dizionario etimologico – il giurato d’entrambi – il concordato
d’entrambi – fenomenologia – Roma citta – polis, politea, res publica –
pubblico e privato -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cotta” – The Swimming-Pool
Library.
CREDARO (Sondrio).
Filosofo. Grice: “I like Credaro; it is as if he invented the universities! I
especially love the way he connects it all, in that uniquely Italian way, with
the ‘assoluto’!” Si laurea a Pavia, dove
fu convittore del Collegio Ghislieri, divenne insegnante di liceo. Wi recò a
Lipsia per perfezionarsi nella psicologia filosofica sotto Wundt. Insegna a
Pavia. Ministro della Pubblica Istruzione del Regno d'Italia nei governi Luzzatti
e Giolitti IV -- istituì il Liceo moderno.
Relatore nella presentazione della Legge che istitutiva dei Corsi di
perfezionamento, o più comunemente Scuole pedagogiche, di durata biennale, di
preparazione per l'esercizio all'ispettorato o per la direzione didattica delle
scuole. Fu l'ispiratore della legge Daneo-Credaro, che stabiliva che lo
stipendio dei maestri delle scuole elementari fosse a carico del bilancio dello
Stato, e non più dei Comuni, contribuendo così in maniera determinante
all'eliminazione dell'analfabetismo in Italia. Prima di questa legge, infatti,
i comuni di campagna e quelli più poveri, specie nel Sud, non erano in grado di
istituire e mantenere scuole elementari e pertanto rendevano di fatto inapplicata
la legge Coppino sull'obbligo scolastico.
Si interessa attivamente dei problemi agricoli e forestali di Sondrio.
Autore di numerosi saggi, in particolare sui Kant eHerbart. Commissario Generale Civile della Venezia
Tridentina, ossia la suprema autorità del Trentino-Alto Adige che sta per essere
fannesso all'Italia. In tale veste tentò una politica particolarmente
conciliante verso la minoranza di lingua tedesca e rispettosa dell'ordinamento
amministrativo de-centrato della regione. In seguito, anche a causa delle
pressioni dei nazionalisti, la sua politica nei confronti della minoranza di
lingua tedesca si fece più intransigente. Testimonianza ne è la cosiddetta Lex
Corbino,elaborata da Credaro, sull'istituzione di scuole elementari nelle nuove
province che è considerata da una parte della storiografia strumento per
potenziare la presenza italiana soprattutto nel territorio misti-lingue della
regione a danno della minoranza tedesca. Ciononostante, sube l'assalto di una
squadra d'azione fascista che lo costrinse alle dimissioni per far luogo
all'insediamento di un prefetto di Trento. Termina quindi la sua carriera
politica in disparte rispetto al regime che si andava consolidando. Altre
opere: “Lo scetticismo degli platonisti (Roma, Tip. alle Terme Diocleziane); La
libertà di volere (Milano, Tip. Bernardoni); G. F. Herbart, Torino, Paravia),
“Razionalismo trascendente in Italia” Catania, Battiato); Wundt (Milano,
Società Anonima Editrice Dante Alighieri). Andrea Di Michele,
L’italianizzazione imperfetta. L’amministrazione pubblica dell’Alto Adige tra
Italia liberale e fascismo, Alessandria, Edizioni dell’Orso, Analfabetismo, Dizionario
biografico degli italiani, Credaro un italiano d'altri tempi articolo di Sergio
Romano, Corriere della Sera, Sondrio. Se il nome di Carneade non è completamente ignorato dalle
persone colte, che non si occupano di storia della filosofia, si deve alla parte
giuridica del suo pensiero, la cui conoscenza è tratta quasi interamente da
pochi frammenti della famosa orazione (quasi-Trasimaco) *contro* il concetto
dello giusto tenuta a Roma frammenti conservati da Lattanzio, il quale li ha
presi dal trattato della repubblica di Cicerone. Questa orazione alla Trasimaco
*contro* la coerenza del concetto dello giusto – gius – giustiziato, juratum,
giurato cf. Cicero jusjuratum -- , che fa epoca nella storia della cultura del
popolo romano, non deve essere considerata solamente un episodio della vita di
Carneade, una semplice millanteria del facondo oratore, che volesse fare impressione
sugli animi dei Romani; ma il suo contenuto deve venire integrato colle altre vedute
di Carneade per cercarne il legame ed esaminarne il valore. A tale fine bisogna
anche qui muovere dallo stoicismo. L'orazione *contro* lo giurato
(Cicerone – iusiuratum) giustiziato ha qualche rapporto con esso? Si sa che
tutti e tre i filosofi ambasciatori -- Carneade accademico, Diogene stoico e
Critolao peripatetico -- durante il lungo soggiorno a Roma, sia per invito
avuto dalla cittadinanza, che in quel tempo godeva la pice decorsa tra la
battaglia di Pidna e la terza guerra punica, sia di propria iniziativa, per
desiderio di far mostra di tutta la potenza della loro parola e della loro
scienza filosofica, a beneficio eziandio della causa che patrocinavano, aprirono
un corso di conferenze (A. Gell . Noct. Att. VI, 14, 8-10. Macrob. Saturn., 5,
I , p.147-150). É probabile che tutti e tre filosofi – Carneade accademico,
Critolao peripatetico del liceo – e Diogene stoico -- abbiano scelto
l'argomento delle loro orazioni dalla filosofia pratica, come quella che interessa
vivamente i loro ospiti, tutti dati alle armi, agli affari, alla politica,
all'amministrazione; anzi e le cito supporre che ciascuno abbia esposte le idee
della sua scuola – l’accademia, il liceo, e la stoa -- intorno al “giurato” –
Cicerone iusiuratum, il principio o imperativo più importante della vita
pubblica e privata. Il soggetto del giurato – Cicerone, iusiuratum – dove
soddisfare pienamente le esigenze e i desideri dell'uditorio, poichè i romani,
a ragione o a torto, si credeno gli uomini più giusti (giuratura, iusiuraturus)
e alla virtù del giurato (Cicerone iusiuratum) attribuivano la grandezza, alla
quale era pervenuta la propria patria. In questa ipotesi lo stoico Diogene, con
parola modesta e sobria, come attesta Polibio, che ebbe opportunità di
ascoltarlo, spiega ai Romani l'idealismo morale e il cosmo-politismo della sua
setta. L'anima di tutti gli uomini è uguale; e come tutte le cose uguali si
attraggono, cosi anche gli esseri razionali; per ciò l'istinto della società è
insito nella stessa ragione, la quale insegna a ciascuno di noi che esiste una
sola città , un solo stato, la grande società umana; ciascuno si sente parte
integrante di questo immenso organismo governato da una sola legge (ius) e da
un solo diritto, la retta ragione (ius). Questa legge (ius) conforme alla
natura si fa sentire in tutti, immutabile, sempiterna, divina; invita col
comando al dovere, col divieto allontana dalla frode. È suprema, assoluta; non
è lecito crearne altre contrarie, nè abrogarla totalmente o parzialmente; non
voto di popolo, non decreto di senato possono dispensare dall'ubbidirla;
nessuno ha bisogno d'interprete per comprenderla; è la medesima in Atene e in
Roma, oggi e domani e sempre; l'inventore e il promulgatore di essa è uno solo,
il maestro e il comandante di tutti, Dio. Chi non vi obbedisce, va contro la
natura e per questo fatto solo soffrirà tutte le pene. L'uomo pensa e opera moralmente
(mos: costume) solo in quanto conformasi a questa unica legge; e poichè questa
è la medesima in tutti gli uomini, tutti debbono tendere allo stesso scopo, al
bene universale. Il uomo non deve vivere per sè, ma per l'umanità; l'interesse
personale deve essere asso lutarnente subordinato a quello umano (1) Cic. , de
fin . III , 64 ; de rep ; III, 33 ; Plut. , de comm. notit. XXXIV, 6. Zeller,
p. 285 e 8). In questo stato politico ed etico regna perfetta concordia ed
armonia. Tutti i cittadini hanno vivo il sentimento dell'ordine, coltivano la
virtù e reprimono gli appetiti irrazionali, che sono la causa dell’inimicizia e
della guerra (bellum, polemos). Sono sottomessi alla volontà divina, al fato,
alla serie universale e interminabile delle cause e degli effetti. I doveri
fondamentali sono il giurato (iusiuratum), in qua virtutis splendor est
maximus, e la benevolenza e la beneficenza.Questedue virtù sono le basi della
società civile (Cic. , de fin . III, 67). Intorno ad esse Diogene puo parlare a
lungo ai Romani, perchè nella Stoa e stato soggetto di molte dispute e di scritti.
Il suo tutore Crisippo gli aveva insegnato in proposito una dottrina propria. Tutti
gli altri esseri sono nati per il bene degli uomini e degli dei, due uomini per
formare una popolazione, una società, una comunanza, una communita, un comune;
è inerente alla natura che tra l'uomo e il genere umano, come tra parte e
tutto, interceda un diritto naturale. Colui che lo osserva è giusto (promuove
il giurato – iusiurato); ingiusto chi lo trasgredisce. Tra il diritto pubblico
e quello privato non avvi opposizione (Cic. , de fin . III, 67). Un uomo non si
trova in rapporti giuridici con una bestia, ma solo con suo simile. Affinchè si
realizzi il regno del giurato (iusiuratum) e della moralità occorre che la
perfetta ragione sia presente in tutti. La ragione invece si trova solamente
nel sapiente; si formarono quindi gli stati singoli, che tengono divisa
l'umanità. Come gli stati, così le istituzioni che li governano sono effetto di
errore e stoltezza: quali l’istituzione del matrimonio, l’istituzione della
famiglia, l’istituzione della proprietà, l’istituzione dela moneta, l’istituzione
del ribunale, l’istituzione del ginnasio (Diog. L. VII, 33 e 131). Stato
conforme alla natura umana, con istituzioni veramente buone, non esiste. Edotto
di questo idealismo politico, puo sul Campidoglio il pretore romano A. Albino,
uomo erudito e versato nella lingua greca, dire per ischerzo volgendosi a
Carneade. “A te, Carneade, non sembra io sia un pretore, nè questa una città,
nè in essa abitino cittadini). A cui Carneade, che subito capisce di essere stato
preso per il collega della Stoa. “A questo stoico non sembra cosi.” I filosofi
ateniesi non lasciano di contendere neppure in paese straniero; o certo
Carneade e stato assai lieto di osservare che al senso pratico dei romani la
dottrina de' suoi avversari si presenta come assolutamente *ridicola*; e
tornato in patria , credette il fatto degno di essere raccontato a' suoi
discepoli (L'aneddoto è ricordato da Clitomaco. Cic. , Ac. II , 137). Sogliono
gli storici narrarci che Carneade tenne a Roma *due* discorsi ispirati a scopo
opposto. Il primo giorno dimostra l'esistenza del diritto naturale e loda la
giustizia (il giurato – il iusiuratum – dike – cf. lex). Il secondo giorno
sostenne tutto il contrario; onde gridano all'immoralità, all’audacia e alla
sfacciataggine del filosofo, che non si vergognò di difendere contraddizione si
anorme. Anche non tenendo conto che, se si applicasse questo criterio , tutta
la filosofia dei accademici sarebbe un' immoralità, perchè il loro metodo e di
difendere in ogni quistione le soluziori opposte. Idue discorsi (tesi ed
antitesi, positio e contra-positio, posizione e contra-posizione), tenuti in
giorni successivi, abbiano un'unità perfetta (la sintesi, o com-posizione) e si
propongano il medesimo fine: mostrare la falsità della dottrina della tesi di
Diogene intorno al giurato; e siccome costoro in questa parte della filosofia,
molto più che in altre, sono dipendenti da Platone e da Aristotele, bisogna
prendere le mosse da questi. Leggiamo in Lattanzio. Carneades autem, ut Aristotelem
refelleret ac Platonem, justitiae patronos, prima illa disputatione collegit ea
omnia , quae pro justitia dicebantur, ut posset illa, sicut fecit, evertere. Carneades,
quoniam erant infirma, quæ a philosophis adserebantur, sumsit audaciam
refellendi, quia refelli posse intellexit (Lattanzio , Instit. div. V , 14 ; V
, 17. 2-4.). E al trove. Nec immerito extitit Carneades, homo summo ingenio et
acumine, qui refelleret istorum (Platone e Aristotele ) orationem et iustitiam,
quæ fundamentum stabile non habebat, everteret, non quia vituperandam esse
iustitiam sentiebat, sed ut illos defensores eius ostenderet nihil certi, nihil
firmi de iustitia disputare (Ibid. Epit. 55, 5-8). Di qui è evidente che la
prima orazione non era che un esordio, un'introduzione, uno sguardo storico
alla questione, un'esposizione delle idee accettate da Diogene, che Carneade
s'appresta a confutare nel vegnente giorno (Cic., de rep. III, 12);
confutazione, la quale non aveva per iscopo di vituperare la giustizia in sé,
ma di colpire i filosofi avversari, o almeno la loro teoria dommatica – il
domma.Non è la virtù stoica, che Carneade demole, ma il sapere. Su questo si dovrà
tornare più innanzi. E caso a noi pervennero frammenti solamente della seconda
orazione. Questa sola offriva una filosofia nuova, dava una scossa inaspettata
e forte all'intelligenza dei romani. Perciò eam disputationem, qua iustitia
evertitur, apud Ciceronem L. Furius recordatur (Lattanzio , Instit. dio. I.
c.). E noi ora possiamo tentare di ricostruire questo singolare di scorso nelle
sue linee generali. Per Carneade, non esiste una giustizia (giurato –
iusiurato) naturale nè verso due uomini. Se esso esistesse le medesimecose
sarebbero giurate (iusiurata) giuste o ingiuste, buone o cattive, morali o
immorali, per ogni uomo, come le cose calde e le fredde, le dolci e le amare.
Invece chi conosce il mondo e la storia, sa che regna una grandissima diversità
di apprezzamenti morali e giuridici, di consuetudini tra il popolo romano e il popolo
sabino, da Roma a Sabinia, dal Tevere al Trastevere, da tempo a tempo. I
cretesi e gli etoli reputano cosa onesta il brigantaggio. I Lacedemoni
dichiarano loro proprietà tutti i campi che potevano toccare col giavellotto. Gli
Ateniesi solevano annunciare pubblicamente che loro apparteneva ogni terra che
producesse olive e biade. I barbari galli stimano disonorevole cosa procurarsi
il frumento col lavoro, invece che colle armi. I romani vietano ai Transalpini
la coltivazione dell'ulivo e della vite, per impedire la concorrenza ai loro
prodotti e dar a questi un valore più elevato. Gli semitici egiziani, che hanno
una storia di moltissimi secoli, adorano come divinità il bue e belve di ogni
genere. I semitici Persiani, disprezzano gli dei dell'Ellade, ne incendiarono i
tempii, persuasi essere cosa illecita che gli dei, i quali hanno per abitazione
tutto il mondo, fossero rinchiusi tra pareti. Filippo il Macedone idea e
Alessandro manda ad esecuzione la guerra contro i greci per punire quei numi. I
Tauri, gli Egiziani, i barbari galli (“Norma”) e i Fenici credeno che tornassero
assai accetti alle loro deità il sacrifizio umano. Si dice: E dovere dell'uomo
che fa il giurato (iusiuratum) ubbidire alla legge. Quale legge? A la legge di
ieri, o alla legge di oggi? A quelle fatte in questo lato del Tevere, o nel
Trastevere? Se una un imperativo o una legge suprema, universale, trascendente,
kantiana, costante s'impone alla coscienza dell’uomo, come pretende Diogene,
coteste variazioni non sarebbero possibili. Perciò non esiste un diritto
naturale, nè un uomo che per natura arriva al giurato (iusiuratum). Il diritto (ius)
è una invenzione dell’uomo a scopo di utilità e didifesa; come prova anche il
fatto che non raramente la legge, le quale e fatta dal sesso maschile, assicura
a questo sesso un particolare vantaggio a danno di quello femminile. Nessuna ‘legislazione’,
attentamente esaminata, appare l'espressione di un imperative o principio
fisso, naturale, vero, immutabile, divino. Invece al profondo osservatore non
isfugge che ogni disposizione legale move da ragione di utile e viene cambiata
appena non risponde più ai bisogni e agl'interessi di coloro che hanno nelle
mani il potere. Ogni nazione cerca di provvedere al proprio bene e considera,
per istinto di natura, gli animali e le altre nazione come istrumenti della
propria conservazione e felicità (Cic., de rep . III, 12-21). La storia insegna
che ogni popolo che diventa grande, potente, ricco, non pensa ai vantaggi
altrui, ma unicamente ai proprii. Voi stessi o Romani, disse Carneade parlando
a un Scipione Emiliano, il futuro distruttore di Cartagine e di Numanzia, a
Lelio il saggio, al letterato Furio Filo, a Scevola il futuro giureconsult ,
all'erudito Sulpicio Gallo, algrande oratore Galba, al vecchio Catone,
l'implacabile nemico di Cartagine, al fiore di tutta la cittadinanza e alla
presenza dei colti ostaggi achei trasportati in Italia, tra i quali il grande
storico e generale Polibio. Voi stessi, o Romani, non vi siete impadroniti del
mondo colla giustizia. Se volete essere giusti, restituite le cose tolte agli
altri, ritornate alle vostre capanne a vivere nella povertà e nella miseria. Il
criterio direttivo della vostra vita non e il
giurato (iusiuratum), bensi l'utilità, che invano cercate di mascherara;
poichè voi, coll'intimare la guerra per mezzo di araldi, col recare *in-giurie*
sotto un pretesto di legalità, col desiderare l'altrui , col rubire, siete per
venuti al possesso di tutto il mondo. Ma per temperare il cattivo effetto, che
avesse potuto produrre negli animi dei Romani questa audace analisi dei fattori
della loro grandezza politica, l'avveduto ambasciatore ateniese ricorda altri
esempi, che sono celebri e lodati in tutto il mondo. Rammenta la ben nota
risposta data dal pirata catturato ad Alessandro il grande. Io infesto breve
tratto di mare con una sola fusta, con quel medesiino diritto, col quale tu, o
Alessandro, infesti tutto il mondo con grande esercito e flotta. Il
patriottismo, questa virtù somma e perfetta, che suole essere portata fino al
cielo colle lodi, è la negazione del giurato (iusiuratum), perchè si alimenta
della discordia seminata tra gli uomini e consiste nell'aumentare la prosperità
del proprio paese, naturalmente a danno di un altro, coll’nvadere violentemente
il territorio altrui, estendere il dominio, aumentare le gabelle. Patriotta è
colui che acquista dei beni alla patria colla distruzione di altre città e
nazioni, colma l'erario di denaro, rese più ricchi i concittadini. E, quel che
è peggio, non solo il popolo e la classe incolta, ma eziandio i filosofi
esortano e incoraggiano a commettere cotali atti ingiusti. Cosicchè alla malvagità
non manca neppure l'autorità della scienza. Ovunque regnano inganno e ingiustizia,
che invano si tentano di nascondere e legittimare. Tutti quelli che hanno
diritto di vita e di morte sul popolo sono tiranni. Ma essi preferiscono chiamarsire
per volontà divina. Quando alcuni, o per ricchezze, o per ischiatta , o per
potenza, hanno nelle mani l'amministrazione di una città, costituiscono una
setta. Ma i membri prendono il nome di “ottimato”. Se il popolo ha il
sopravvento nel maneggio dei pubblici affari, la forma di governo si chiama
libertà; ma è licenza. Ma poichè gli uomini si temono l'un l'altro, e una
classe ha paura dell'altra, interviene una specie di *patto* o contratto fra
popolo e potenti e si costituisce una forma mista di governo, dove la giustizia
è un effetto non di natura o di volontà, ma di debolezza. Ed è naturale che
cosi avvenga. Se l'uomo deve scegliere tra le seguenti condizioni: recare *in-giuria*
e non riceverne; e farne e riceverne; nè farne, nè riceverne, egli repute ottima
la prima, perchè soddisfa meglio i suoi istinti. Poscia la terza, che dona
quiete e sicurezza; ultima e più infelice la condizione di chi sia costretto ad
essere continuamente in armi, sia perchè faccia, sia perché riceva *in-giurie”.
Adunque alla Hobbes lo stato naturale dei rapporti tra uomo e uomo è la lotta
(uomo uominis lupo), la guerra, la discordia , la rapina, la violenza ,
l'inganno, in una parola, la negazione del giurato (giusgiurato). La giustizia
è una virtù che si esercita per effetto di debolezza e per proprio tornaconio.
Ma Diogene, come vedemmo, considera il giurato (iusiuratum) verso gli uomini.
Carneade dove notare che l’istituzione del tempio esiste solamente nel
l'immaginazione de' suoi avversari e dei filosofi, dai quali essi attinsero i loro
principii. Non si acquista, non si allarga potere, non si fonda regno senza le
armi, le guerre, le vittorie; le quali alla loro volta in generale
presuppongono la presa e la distruzione di città. E dalle distruzioni non vanno
immuni le oggetti addorati nei tempi, ne dalle stragi si sottragge il sacerdote
del tempio; né dalle rapine i tesori e gli arredi sacri. Quanti
trofei di divinità nemiche, quante sacre immagini, quante spoglie di tempii
resero splendidi i trionfi dei generali romani! E non sono cotesti sacrilegi?
Non sono atti di somma ingiustizia? No, innanzi al giudizio del popolo,
all'opinione della gente colta, degli storici, dei letterati, questa è gloria,
è patriottismo, è prudenza, sapienza, giustizia. Dunque la giustizia non solamente
non viene osservata in pratica, ma non esiste nep pure in fondo alla coscienza
generale dell’uomo. Anch'essa viene subordinata all'utile. Ma non s'arresta qui
la critica di Carneade. Con un esame sottile e profondo dell'antinomia esistente
tra i due concetti del ‘scitum’ e del ‘giurato’ e della natura morale dell'uomo
quale in realtà è, e quale egli si crede e vorrebbe essere, Carneade ha
chiarito un contrasto del cuore (ragione pratica) e della mente (ragione
teorica) umana, che tuttavia rimane e che ha servito di fondamento alle teorie
utilitaristiche inglesi di tempi a noi vicini. Lo ‘scitum’ – la sapienza
politica comanda al Cittadino di accrescere la potenza e la ricchezza della
patria, estenderne i confini e il dominio, renderne più intensa la vita con
nuove sorgenti di guadagni e di piaceri; e tutto questo non si può compiere senza
danno di altre genti. Il giurato (iusiuratum) invece comanda di risparmiare
tutti, di beneficare i propri simili indistintamente, restituire a ciascuno il
suo, non toccare i beni, non turbare i possedimenti altrui, non sminuire la
felicità d'alcuno. Ma se un uomo di stato vuole essere giusto, non ha mai
l'approvazione de' suoi amministrati, non gloria, non onori, i quali il popolo
attribuisce non al giusto (che promueve il giurato) e onesto e inetto; bensì al
sapiente, al prudente, all'accorto. Non per il giurato, ma per il ‘scitum’ i generali
di Roma hanno il soprannome di grandi. La violenza, la forza, la negazione
del giurato, hanno dato potere e consistenza agli stati. Ma per nascondere la
propria origine e fuggire la taccia de negare il giurato (iusiuratum), il
popolo, fatto grande e divenuto dominatore, va immaginando delle favole da
sostituire alla storia vera, come il mercante arricchito agogna un titolo di
nobiltà. Le stesse qualità, e solamente le stesse, mantengono gli stati liberi
o forti. Non ha nazione tanto stolta, la quale non preferisce il comandare con
la negazione del giurato, all'ubbidire con la promozione del giurato
(iusiuratum). La ragione di stato e la salvezza pubblica vincono e soffocano il
sentiment *dis-interessato*. Uno stato vuole vivere a prezzo di qualsiasi
negazione del giurato (iusiuratum), perchè sa che alla vittoria, con qualunque
mezzo acquistata, tien dietro la gloria. Nel concetto degli antichi, la fine
della propria nazione non sembra avvenimento naturale, come la morte di un
individuo, pel quale questa non solo è necessaria, ma talvolta anche desiderabile.
L'estinzione della patria era per essi in certo qual modo l'estinzione di tutto
il mondo. Dato questo concetto e un sentimento della gloria diverso e molto più
intenso che non sia in noi moderni, doveno in certa guisa parere *giustificati*
(giusti-ficati – fatto giurato – iusiuratum -- anche gli atti di violenza e di
frode, che avevano per I scopo la conservazione e la potenza del proprio stato;
o, per meglio dire, il popolo e gl'individui non hanno coscienza di un
principio o imperativo che governa la propria vita. Credeno, i Romani pei
primi, di promovere il giurato (iusiuratum) e invece sommamente negano il giurato
(iusiuratum). Carneade fu il primo a chiarire questa opposizione tra fatto e
idea, tra sapienza machiavelica politica e il giurato (iusiuratum) (Cic. , de
fin. II , 59). Il medesimo conflitto tra il giurato e il ‘scitum’ dimostra egli
esistere nella vita privata, intendendo per sapiente l'uomo che sa difendere il
proprio interesse; e giusto colui che non lede quello degli altri. Sono suoi i
seguenti esempi, tolti dalla vita giornaliera e assai chiari e appropriati alla
vita romana affogata negli affari. Un tale vuole vendere uno schiavo, che ha
l'abitudine di fuggire, o una casa insalubre. Egli solo conosce questi difetti.
Ne rende avvisato il compratore? Se si, s'acquista fama di uomo onesto, perchè non inganna,
maeziandio di stolto, per che vende a piccolo prezzo, o non vende affatto; se
no, sarà reputato sapiente, perchè fa il proprio interesse, ma malvagio, perchè
inganna. Parimenti, se egli s'incontra in uno che vende oro per oricalco, o
argento per piombo, tace per comperare a buon prezzo, o indica al venditore lo
sbaglio e sborsa di più per l'acquisto? Solamente lo stolto vorrà pagare a
maggior prezzo la merce. Se un tale, la cui morte a te recherebbe vantaggio,
sta per porsi a sedere in luogo, dove si nasconde serpe velenoso, e tu il sai,
dovrai avvertirlo del pericolo , o tacere? Se taci, sarai improbo, ma accorto; se
parli, sarai probo, ma stolto (Cic., de rep. III, 34). Dunque qui pure si
presenta la contraddizione: chi è giusto, è stolto ; chi è sapiente, è ingiusto.
Ma in questi casi si tratta di una quantità maggiore o minore di denaro e di
vantaggi più o meno rilevanti, e v'ha chi potrebbe essere contento e felice
della povertà. Ma quando andasse di mezzo la vita, il conflitto diventerebbe
più spiccato. Un tale in un naufragio, mentre è poco lontano dall'affogare,
vede un altro più debole di lui mettersi in salvo appoggiandosi a una tavola, che
vale a sostenere uno solo. Nessuno testimonio è presente. Si fa sua la tavola e
si pone in salvo, lasciundo che l'altro perisca. Oppure, se, dopo che i suoi
furono sconfitti, incontra nella fuga un ferito a cavallo, che va sottraendosi
al ferro dei nemici inseguenti, lo getterà a terra per porre se stesso in
sella, o si lasce raggiungere e uccidere. Se egli è uomo sapiente, si salva a
qualunque costo. Ma se poi antepone il morire al far morire, sarà giusto, ma
stolto. Tale è il giudizio che intorno al suo operato porteranno il uomo. Cosicchè il giure naturale, la giustizia
naturale è stoltezza. Il giure civile è sapienza politica. Tutto è lotta
d'interessi. Si ha ragione di credere che Carneade nel suo discorso *contro* il
giurato civile tocca anche la questione della schiavitù, dicendo essere un
fatto che nega il giurato (iusiudicatum) naturale, che uomo servisse a uomo --
principio che, riconosciuto vero, puo essere assai valido per far conoscere
quanto esteso fosse il dominio della negazione del giurato e dare alla sua tesi
una grande forza. E ciò si induce a credere dal vedere che in più frammenti il
difensore del giurato, ossia il suo contraddittore, viene svolgendo la tesi
opposta, perchè la schiavitù, rettamente conservata, torna a utilità del stesso
schiavo, il quale sotto un governo buono e forte vive in maggiore sicurezza e
viene meglio educato che allo stato di libertà; e come Dio comanda all'uomo,
l'anima al corpo, la ragione alle parti appetitive dell'anima, cosi il
conquistatore tiene a freno il conquistato, il quale diventa tali appunto
perchè e peggiore di quello . Un tenue indizio ci sarebbe anche per farci
credere che egli risolve il rimorso nella paura della pena, negando che fosse
un sentimento più profondo e disinteressato. Diogene obbietta che in questa ipotesi
il malvagio sarebbe semplicemente un incauto e il buono uno scaltro (Cic . de
leg. I , 40 e s.). In conclusione: per Diogene, fondamento della morale e del
diritto è l'inclinazione ad amare gli uomini e a rispettare la divinità,
inclinazione che ha radice nella natura, la quale sola offre la norma per
distinguere il giurato dalla sua assenza, il bene dal male. Per Carneade,
generatrice del diritto è l'utilità, e l'utilità sola, e ogni giudizio morale e
altrettanta opinione, la quale non deriva da un imperativo kantiano, o un
principio naturale fisso, come provano la loro varietà e il dissenso degli
uomini (Cic. , de leg. I, 42 e s). Alla teoria
giuridica di Carneade non si deve attribuire un significato di domma o dommatico,
che sarebbe in cotraddizione colle premesse teoretiche della sua filosofia. L'egoismo
e l'utilitarismo proclamato da Carneade in opposizione all'idealismo morale di
Diogene, non è una dottrina *precettiva*, alla Kant (il sollen) ma
l'investigazione e l'esposizione di un fatto psicologico e sociale – come il
principio cooperativo di Grice. Carneade non pare credere all'effetto pratico
della morale normativa e si limita ad analizzare il cuore dell’uomo, la ragione
pratica, saggezza, prudential, il quale, per la sua tendenza nativa, è assai
lontano dal realizzare il precetto dommatico stoico. Ma da filosofo prudente
s'astiene dal proporne del proprio precetto (idiosincrazia). Nota il fatto che
si presenta all'osservazione quotidiana con tutti i caratteri della
verosimiglianza più alta e sforzano a credere o ad operare; ma nè costruisce una
teoria assoluta, ne formula un domma. iusiuro: swear to a binding formula. NA
Wundt/1/IV/D/XIII/1 Estate Wilhelm
Wundt Zeitungsausschnitte 100. Geburtstag Wundt 1932. Last changed 2016-02-25
NA Wundt/III/1001-1100/1098/461-462. Estate Wilhelm Wundt Brief von Luigi Credaro
an Wilhelm Wundt Last changed 2016-01-13. Luigi Credaro. Keywords: i
sofisti, il giurato, iusiuratum, Carneade, il secondo discorso, contro
Democrito, ragione pratica (saggezza), ragione teorica, a philosopher in
political linguistics: German minority, Italian majority in Trento. Il prefetto
di Trento. Lingua tedesca, lingua italiana, ordinamento
amministrativode-centrato, Wundt, Kant, razionalismo trascendente, Herbart,
scetticismo, accademia, prima accademia, seconda accademia, terza accademia, liberta di volere, freewill, volere libero, ambiascata
ateniense a roma, influenza dell’academia nell’elite romana – l’accademia come
perfezionamento per la dirigenza romana, Wundt, positivismo, suggestione, i
primordii del kantismo in Italia, Hegel vacuo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Credaro” – The Swimming-Pool Librrary.
crespi (Milano). Filosofo.
Grice: “Crespi is an interesting figure; Strawson calls him an Englishman since
he became a Brit! My favourite is his edition of Marcauurelio’s remembrances –
which is a n irony: he was a roman, but left his remembrances in Hellenic; and
the Italians needed a translation! It would be as if Pocahontas’s remembrances
were in Anglo-Saxon!” Collaboratore della Critica sociale, si avvicina alle
posizione modernista. Collaboraa Il Rinnovamento, L'Unità, La Rivoluzione
liberale, Coenobium. Emigrato durante il fascismo, ospita numerosi esuli antifascisti.
Altre opere: “Le vie della fede” (Roma, Libreria editrice romana); “Sintesi
religiosa” (Firenze, Tip. Bonducciana di A. Meozzi); “L’impero romano” (Milano,
Treves); “Dall'io al tu” (Modena, Guanda). Nunzio Dell'Erba, Rosselli e Sturzo,
"Annali della Fondazione Ugo La Malfa", Luigi Sturzo, Mario Sturzo,
Carteggio, Roma, Edizioni di storia e letteratura-Istituto Luigi Sturzo, Giovanni
Bonomi, Angelo Crespi, Cremona, Padus). Angelo Crespi. Grice: “His essay on
Antonino is brilliant – his philosophy of history is controversial. FKeywords:
la filosofia dell’impero romano, impero, impero romano, impero britannico,
funzione dell’impero, funzione storica dell’impero, filosofia imperial,
imperialismo, imperialismo romano, imperialism britannico, post-imperialismo,
Antonino. Filosofia della storia – aporie,
lingua latina, impero romano, lingua nazionale, nazione romana, nazione
italiana, lingua italiana, lingua fiorentina, lingua toscana, toscano, -- Refs.:
Luigi Speranza, “Crespi e Grice” – The Swimming-Pool Library.
CRESPO.
Croce
(Pescasseroli).
Filosofo. Grice: “I would think the fashionable Englishwoman may think Croce is
the most important philosopher that ever lived!” -- vide under “Grice as
Croceian” -- Grice as Croceian: expression and intention -- Croce, B.,
philosopher. I genitori appartenevano a due abbienti
famiglie abruzzesi: la famiglia Sipari, quella materna, originaria della stessa
Pescasseroli, ma radicatasi anche in Capitanata e Terra di Lavoro,
particolarmente legata agli ideali liberali, e l'altra, quella paterna,
originaria di Montenerodomo (in provincia di Chieti), ma trapiantata a Napoli,
legata invece ad una mentalità di stampo borbonico[9]. Croce crebbe in un
ambiente profondamente cattolico, dal quale però, ancora adolescente, si
distaccò, non riaccostandosi più per tutta la vita alla religiosità
tradizionale. Il terremoto di Casamicciola A diciassette anni perse i
genitori, Pasquale Croce e Luisa Sipari, e la sorella Maria, periti durante il terremoto di Casamicciola,
nell'isola d'Ischia, dove Croce si trovava in vacanza con la famiglia. Un
terremoto durato non più di 90 secondi ma dalla potenza devastatrice enorme - e
per questo rimasto come esempio terribile di distruzione nel modo di dire delle
popolazioni coinvolte - dove lo stesso Benedetto rimase «sepolto per parecchie
ore sotto le macerie e fracassato in più parti del corpo. Il "problema del
male", in sottofondo alla sua filosofia ottimistica sul progresso, rimarrà
insoluto, se non addirittura negato, e dietro le quinte del suo pensiero,
influenzato da questi eventi giovanili come evidenziato dalle meditazioni
private dei Taccuini personali. Quegli anni furono i miei più dolorosi e cupi:
i soli nei quali assai volte la sera, posando la testa sul guanciale, abbia
fortemente bramato di non svegliarmi al mattino, e mi siano sorti persino pensieri
di suicidio.Fra i primi ad accorrere in suo aiuto fu il cugino Paolo Petroni,
la famiglia del quale lo assisté affettuosamente nei mesi seguenti nella loro
residenza di campagna a San Cipriano Picentino, paese non troppo distante da
Salerno. In seguito a questo tragico episodio fu affidato, assieme al fratello superstite
Alfonso, alla tutela del cugino Silvio Spaventa, figlio della prozia Maria Anna
Croce e fratello del filosofo Bertrando Spaventa, che, mettendo da parte dei
dissapori storici che aveva con la famiglia Croce, lo accolse nella propria
casa a Roma, dove il giovane Benedetto trascorse gli anni dell'adolescenza ed
ebbe modo di formarsi culturalmente[14] fino all'età di vent'anni. Nel circolo
culturale nella casa dello zio Silvio, Croce ebbe modo di frequentare
importanti uomini politici ed intellettuali tra cui Labriola che lo inizierà al
marxismo. Pur essendo iscritto alla facoltà di giurisprudenza dell'Università
di Napoli, Croce frequentò le lezioni di filosofia morale a Roma tenute dal
Labriola. Non terminò mai i suoi studi universitari, ma si appassionò a studi
eruditi e filosofici, trascurando il pensiero hegeliano, di cui criticava la
forma incomprensibile. Il ritorno a Napoli Lasciata la Roma troppo accesa
di passioni politiche, Tornò a Napoli, dove acquistò, per abitarvi, la casa
dove aveva trascorso la sua vita Giambattista Vico, il filosofo napoletano
amato da Croce per la concezione filosofica anticipatrice, per certi aspetti,
della sua. Nel 1890 fu tra i fondatori della Società dei Nove Musi, un cenacolo
di intellettuali. Compì numerosi viaggi in Spagna, Germania, Francia e
Regno Unito mentre nella sua formazione culturale cresceva l'interesse per gli
studi storici e letterari, in particolare per la poesia di Giosuè Carducci, e
per le opere di Francesco De Sanctis. Attraverso Antonio Labriola con cui era
rimasto in contatto, si interessò al marxismo, di cui però criticava come
astorica la visione che dava del capitalismo. Da Marx risalì alla filosofia
hegeliana che cominciò ad apprezzare e ad approfondire. La fondazione de
La critica e la vita politica Nel gennaio del 1903 uscì il primo numero della
rivista La critica, con la collaborazione di Giovanni Gentile, e stampata a sue
spese, allorché subentrò l'editore Laterza. Venne nominato per censo senator e fu
Ministro della Pubblica Istruzione[16] nel quinto e ultimo governo Giolitti. Con regio decreto dgli fu concesso il titolo
di "Nobile". Elaborò una riforma della pubblica istruzione che fu poi
ripresa e attuata da Giovanni Gentile. Posizione nella prima guerra
mondiale «Ardenti e vivacissime furono in quei dieci mesi le polemiche tra
«interventisti» e «neutralisti», come erano chiamati non si può dire che [gli
interventisti] avessero torto, come non si può dire che l'avessero i loro
oppositori, perché dissidî di questa sorta non sono materia, nonché di
tribunali, neppure di critica scientifica, e hanno questo carattere entrambe le
tesi, appassionatamente difese, sono necessarie per l'effetto politico e, come
suona il motto, che, se una delle due opposizioni non ci fosse, converrebbe
inventarla. Più di un cosiddetto «neutralista» si sentiva talvolta scosso dalla
tesi avversaria e inclinava ad accoglierla, e il medesimo accadeva a più di un
«interventista. Storia d'Italia Bari, Laterza) Il filosofo, nella scelta tra le
due posizioni, neutralismo o interventismo alla prima guerra mondiale, si
rivolse alla prima; ma il suo era un neutralismo che contemperava le posizioni
liberali con la possibilità dell'intervento (rimase comunque poco favorevole
alla guerra, e, non obbligato ad arruolarsi, per limiti di età - 49 anni -, non
andò mai al fronte a differenza di altri intellettuali come D'Annunzio,
volontario. Scriveva a Bigot che era pronto ad accettare quella guerra che
saremo costretti a fare, quale che sia, anche contro la Germania, ad accettarla
come una dolorosa necessità, risoluto a non provocarla per ragioni
antinazionali e settarie» (B. Croce, Epistolario, Napoli) Il rapporto con
il fascismo L'iniziale fiducia al governo fascista Benedetto Croce nella
sua biblioteca Inizialmente Croce fu vicino al fascismo[19]. Ascoltò e applaudì
il discorso di Mussolini al teatro San Carlo di Napoli, durante l'adunata
preparatoria per la marcia su Roma. In occasione delle votazioni al Senato,
successive all'uccisione del deputato socialista Giacomo Matteotti, fu tra i
225 senatori che votarono la fiducia al governo Mussolini, insieme a Giovanni Gentile
e Vincenzo Morello. In seguito Croce spiegò in un'intervista che il suo non era
stato un voto fascista, aveva votato a favore del regime perché pensava che
Mussolini, se sostenuto, poteva esser sottratto all'estremismo fascista a cui
Croce faceva risalire la responsabilità del delitto Matteotti. «Abbiamo
deciso di dare il voto di fiducia. Ma, intendiamoci, fiducia condizionata.
Nell'ordine del giorno che abbiamo redatto è detto esplicitamente che il Senato
si aspetta che il Governo restauri la legalità e la giustizia, come del resto
Mussolini ha promesso nel suo discorso. A questo modo noi lo teniamo
prigioniero, pronti a negargli la fiducia se non tiene fede alla parola data.
Vedete: il fascismo è stato un bene; adesso è divenuto un male, e bisogna che
se ne vada. Ma deve andarsene senza scosse, nel momento opportuno, e questo
momento potremo sceglierlo noi, giacché la permanenza di Mussolini al potere è
condizionata al nostro beneplacito. Croce scrisse su Il Giornale d'Italiache il
regime mussoliniano «non poteva e non doveva essere altro che un ponte di
passaggio per la restaurazione di un più severo regime liberale». La
rottura e il Manifesto degli intellettuali antifascisti Il filosofo abruzzese
si allontanò definitivamente dal regime allorché, su sollecitazione di Giovanni
Amendola, scrisse il Manifesto degli intellettuali antifascisti in replica al
Manifesto degli intellettuali fascisti di Giovanni Gentile. Lo scritto,
pubblicato sul quotidiano Il Mondo, tra l'altro sosteneva: «Contaminare
politica e letteratura, politica e scienza è un errore, che, quando poi si
faccia, come in questo caso, per patrocinare deplorevoli violenze e prepotenze
e la soppressione della libertà di stampa, non può dirsi nemmeno un errore
generoso. E non è nemmeno, quello degli intellettuali fascisti, un atto che
risplende di molto delicato sentire verso la patria, i cui travagli non è
lecito sottoporre al giudizio degli stranieri, incuranti (come, del resto, è
naturale) di guardarli fuori dei diversi e particolari interessi politici delle
proprie nazioni. In che mai consisterebbe il nuovo evangelo, la nuova religione,
la nuova fede, non si riesce a intendere dalle parole del verboso manifesto; e,
d'altra parte, il fatto pratico, nella sua muta eloquenza, mostra allo
spregiudicato osservatore un incoerente e bizzarro miscuglio di appelli
all'autorità e di demagogismo, di proclamata riverenza alle leggi e di
violazione delle leggi, di concetti ultramoderni e di vecchiumi muffiti, di
atteggiamenti assolutistici e di tendenze bolsceviche, di miscredenza e di
corteggiamenti alla Chiesa cattolica, di aborrimenti della cultura e di conati
sterili verso una cultura priva delle sue premesse, di sdilinquimenti mistici e
di cinismo. Per questa caotica e inafferrabile "religione" noi non ci
sentiamo, dunque, di abbandonare la nostra vecchia fede: la fede che da due
secoli e mezzo è stata l'anima dell'Italia che risorgeva, dell'Italia moderna;
quella fede che si compose di amore alla verità, di aspirazione alla giustizia,
di generoso senso umano e civile, di zelo per l'educazione intellettuale e
morale, di sollecitudine per la libertà, forza e garanzia di ogni
avanzamento.» Secondo Norberto Bobbio, il Manifesto degli intellettuali
antifascisti sancì l'assunzione da parte di Croce del ruolo di «coscienza
morale dell'antifascismo italiano» e di «filosofo della libertà. Lo scritto
segnò inoltre la rottura dell'amicizia con Gentile, a causa delle ormai
inconciliabili divergenze filosofiche e politiche. In seguito Croce fu l'unica
voce fuori dal coro tollerata dal regime. Il ruolo di Croce come coscienza
dell'antifascismo è testimoniato, tra gli altri, da Primo Levi, che nel 1975
ricordò che negli anni del fascismo e della guerra, segnati per gli
antifascisti da smarrimento morale, isolamento e incertezze, solo «La Bibbia,
Croce, la geometria, la fisica, ci apparivano fonti di certezza. Il mio
liberalismo è cosa che porto nel sangue, come figlio morale degli uomini che
fecero il Risorgimento italiano, figlio di Francesco De Sanctis e degli altri
che ho salutato sempre miei maestri di vita. La storia mi metterà tra i
vincitori o mi getterà tra i vinti. Ciò non mi riguarda. Io sento che ho quel
posto da difendere, che pel bene dell'Italia quel posto dev'essere difeso da
qualcuno, e che tra i qualcuni sono chiamato anch'io a quell'ufficio. Ecco
tutto.» (Lettera a Alfieri) Rifiutò di entrare nell'Accademia d'Italia, e
dopo un breve appoggio al movimento antifascista Alleanza Nazionale per la
Libertà, fondato dal poeta Lauro De Bosis, si allontanò dalla vita politica, continuando
peraltro ad esprimere liberamente le sue idee politiche, senza che il regime
fascista lo censurasse, almeno esplicitamente. L'unico atto di ostilità
violenta ed esplicita compiuto dal fascismo verso Croce fu la devastazione
della sua casa napoletana avvenuta nel novembre del 1926[29]. Negli anni
successivi, quelli della sua affermazione e del cosiddetto “consenso”, il
fascismo ritenne Croce un avversario poco temibile, sostenitore com'era della
tesi di un fascismo inteso come "malattia morale" inevitabilmente
superata dal progresso della storia. Inoltre la fama di Croce presso l'opinione
pubblica europea lo proteggeva da interventi oppressivi da parte del regime.
Ebbe altresì blandi rapporti culturali con intellettuali in qualche modo vicini
al regime, anche se marginali, come un carteggio epistolare con il tradizionalista
Julius Evola, a cui espresse l'apprezzamento formale per due opere, da
pubblicare presso Laterza con il benestare dello stesso Croce, Saggi
sull'idealismo magico, Teoria dell'individuo assoluto e, successivamente, La
tradizione ermetica. Il governo fascista richiese ai docenti delle università
italiane un atto di formale adesione al regime in base all'articolo 18 del
regio decreto (il cosiddetto giuramento di fedeltà al fascismo). A seguito di
tale provvedimento, i docenti avrebbero dovuto giurare di essere fedeli non
solo "alla patria", secondo quanto già imposto dal regolamento
generale universitario del 1924, ma anche al regime fascista. In
quell'occasione, Croce incoraggiò professori come Guido Calogero e Luigi
Einaudi a rimanere all'università, «per continuare il filo dell'insegnamento secondo
l'idea di libertà. Se la sua figura fu importante per l'area politica del
liberalismo, la sua scuola ebbe durante tutto il ventennio fascista una platea
assai più ampia di allievi[36]: del resto, già prima dalle sue idee avevano
tratto esempio anche Antonio Gramsci[37] e il gruppo comunista de L'Ordine
Nuovo.Polemica sulla Giornata della fede La non adesione di Croce al fascismo
parve messa in discussione dal gesto compiuto durante la Guerra d'Etiopia,
quando il filosofo, in occasione della "Giornata della fede" donò la
propria medaglietta da senatore accompagnandola con questa secca lettera al
presidente del Senato: «Eccellenza, quantunque io non approvi la politica del
Governo, ho accolto in omaggio al nome della Patria, l'invito dell'E.V., e ho
rimesso alla questura del Senato la mia medaglia, Il gesto “suscitò negli
ambienti dell'antifascismo italiano, in patria e all'estero, sorpresa, dolore e
polemiche” che colpirono dolorosamente Croce. Al termine di un drammatico
colloquio con Bianca Ceva, inviata a sostenere il punto di vista degli
antifascisti, dopo un iniziale tentativo di giustificazione, Croce affermò:
“dica che io sono sempre lo stesso, che sono sempre con loro. Il regime varò la
legislazione antisemita (Croce non era presente nell'aula del Senato, quale
forma di protesta; egli fu uno dei pochi a esprimersi contro di esse a livello
pubblico). Il governo inviò a tutti i professori universitari e i membri delle
accademie un questionario da compilare ai fini della classificazione
"razziale". Tutti gli interpellati risposero. L'unico intellettuale
non ebreo che rifiutò di compilare il questionario fu Croce. «L'unico
effetto della richiesta dichiarazione sarebbe di farmi arrossire, costringendo
me, che ho per cognome CROCE, all'atto odioso e ridicolo insieme di protestare
che non sono ebreo, proprio quando questa gente è perseguitata.[40]» Il
filosofo, invece di restituire compilata la scheda, inviò una lettera al
presidente dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, in cui scrisse
sarcasticamente: «Gentilissimo collega, ricevo oggi qui il questionario
che avrei dovuto rimandare prima del 20. In ogni caso, io non l'avrei riempito,
preferendo di farmi escludere come supposto ebreo. Ha senso domandare a un uomo
che ha circa sessant'anni di attività letteraria e ha partecipato alla vita
politica del suo paese, dove e quando esso sia nato e altre simili cose?»
(Benedetto Croce a Luigi Messedaglia, Presidente dell’Istituto Veneto di
Scienze, Lettere e Arti di Venezia, in A. CAPRISTO, L’espulsione degli ebrei
dalle accademie italiane, Torino, Zamorani,) Croce fu quindi espulso da quasi
tutte le accademie di cui era membro, comprese l'Accademia Nazionale dei Lincei
e la Società Napoletana di Storia Patria. All'Istituto Veneto di Scienze,
Lettere ed Arti, unica accademia che lo mantenne socio, alla fine della guerra
Croce riconoscerà il merito di non averlo espulso durante il regime fascista. Dopo
aver denunciato la persecuzione degli ebrei, Croce però critica anche gli
atteggiamenti degli ebrei stessi, sia quelli che avevano aderito al fascismo,
sia quelli che vivevano "separati", ritenendo la specificità ebraica
come pericolosa per gli ebrei stessi: «Quando s'iniziò l'infame persecuzione
contro gli ebrei, io ebbi, con un brivido di orrore, la piena rivelazione della
sostanziale delinquenza che era nel fascismo, come chi fosse costretto ad
assistere allo sgozzamento a freddo di un innocente e mi misi di lancio dalla
loro parte con tutto l'esser mio per fare quello che per loro si poteva a
lenire o diminuire il loro strazio. Molti danni e molte iniquità compiute dal
fascismo non si possono ora riparare per essi come per altri italiani che le
soffersero, né essi vorranno chiedere privilegi o preferenze, e anzi il loro
studio dovrebbe essere di fondersi sempre meglio con gli altri italiani;
procurando di cancellare quella distinzione e divisione nella quale hanno
persistito nei secoli e che, come ha dato occasione e pretesto in passato alle
persecuzioni, è da temere ne dia ancora in avvenire l'idea di popolo eletto,
che è tanto poco saggia che la fece sua Hitler, il quale, purtroppo, aveva a
suo uso i mezzi che lo resero ardito a tentarne la folle attuazione... [essi]
disconoscono le premesse storiche (Grecia, Roma, Cristianità) della civiltà di
cui dovrebbero venire a fare parte.» (Lettera a Cesare Merzagora)
Espresse quindi una posizione di perplessità per il sionismo. Il rientro nella
vita politica Dopo la caduta del regime Croce rientrò in politica, accettando
la nomina a presidente del Partito Liberale Italiano. Durante la Resistenza
cercò di mediare tra i vari partiti antifascisti e nel 1944 fu Ministro senza
portafoglio nel secondo governo Badoglio, benché non stimasse né il Maresciallo
né il re Vittorio Emanuele III, a causa della loro compromissione col fascismo.
Subito dopo la liberazione di Roma (giugno 1944) entrò a far parte del secondo
governo Bonomi, sempre come ministro senza portafoglio, ma diede le dimissioni
qualche mese dopo. Egli avrebbe preferito
l'abdicazione diretta del sovrano in favore del piccolo Vittorio Emanuele (con
rinuncia di Umberto al trono), la reggenza a Badoglio e l'incarico di capo del
governo a Carlo Sforza, ma i rappresentanti del Regno Unito si opposero.[46] Al
referendum sulla forma dello Stato (2 giugno 1946) votò per la monarchia, inducendo
tuttavia il Partito Liberale (di cui rimane presidente) a non schierarsi, per
far sì che prevalesse sulla questione piena ed effettiva libertà di scelta, e
dichiarando in seguito: «il buon senso fece considerare a quei milioni di
votanti favorevoli alla monarchia, che, se anche essi avessero riportato la
maggioranza legale, una monarchia con debole maggioranza non avrebbe avuto il
prestigio e l'autorità necessaria, e perciò meglio valeva accettare la forma
nuova della Repubblica e procurar di farla vivere nel miglior modo,
apportandovi lealmente il contributo delle proprie forze.»[48]
Benedetto Croce con Enrico Altavilla e il Capo provvisorio dello Stato,
Enrico De Nicola Concetti che Croce aveva, nella loro sostanza, già espresso;
ben prima che Umberto II, nel messaggio ribadisse tale indicazione. Eletto
all'Assemblea Costituente, non accettò la proposta di essere candidato a Capo
provvisorio dello Stato, così come in seguito rifiutò la proposta, avanzata da
Luigi Einaudi, di nomina a senatore a vita. Si oppose strenuamente alla firma
del Trattato di pace, con un accorato e famoso intervento all'Assemblea
costituente, ritenendolo indecoroso per la nuova Repubblica. Fonda a
Napoli l'Istituto italiano per gli studi storici destinando per la sede un
appartamento di sua proprietà, accanto alla propria abitazione e biblioteca nel
Palazzo Filomarino dove oggi ha sede la Fondazione Biblioteca Benedetto Croce. Presidente
dell'associazione PEN International e, negli stessi anni, entrò a far parte del
Consiglio di Amministrazione dell'Istituto Suor Orsola Benincasa di Napoli. Per
un ictus cerebrale rimase semiparalizzato e si ritirò in casa continuando a
studiare: morì seduto in poltrona nella sua biblioteca il 20 novembre 1952,
all'età di 86 anni. I funerali solenni si tennero nella sua Napoli e le sue
spoglie tumulate nella tomba di famiglia al Cimitero di Poggioreale. Il
rapporto con la cultura cattolica «Pure filosofo quale sono io stimo che il più
profondo rivolgimento spirituale compiuto dall'umanità sia stato il
cristianesimo, e il cristianesimo ho ricevuto e serbo, lievito perpetuo, nella
mia anima[53]» Il rapporto di Croce con la cultura cattolica variò nel
corso del tempo. Agli inizi del Novecento i filosofi idealisti, come Croce e
Gentile, avevano esercitato assieme alla cultura cattolica una comune critica
al positivismo ottocentesco. Alla fine degli anni venti vi era stato un
progressivo allontanamento della cultura laica e idealistica dalla cultura
cattolica. Croce, pur non essendo un anticlericale militante, riteneva
importante la separazione liberale tra Chiesa e Stato, propugnata da Cavour. La
Chiesa con i Patti Lateranensi aveva ormai raggiunto un rapporto equilibrato
con le istituzioni statali italiane distaccandosi quindi dalle posizioni
politiche antifasciste dell'idealismo crociano. Croce fu contrario al
Concordato e dichiarò apertamente in Senato che «accanto o di fronte ad uomini
che stimano Parigi valer bene una messa, sono altri per i quali l'ascoltare o
no una messa è cosa che vale infinitamente più di Parigi, perché è affare di
coscienza. Mussolini gli rispose dichiarandolo «un imboscato della storia», e
accusando il filosofo di passatismo e di viltà di fronte al progresso storico. Quando
Croce scrisse la Storia d'Europa nel secolo decimonono, il Vaticano criticò
aspramente l'autore che difendeva le filosofie esaltanti una religione della
libertà senza Dio. Il Sant'Uffizio pose all'Indice nel 1932 questo libro ma,
non ottenendo negli anni successivi da Croce un qualsiasi ripensamento, ninserì
nell'elenco dei libri proibiti tutti i suoi scritti. La polemica
anti-concordataria crociana vide l'adesione del giovane filosofo nonviolento e
liberalsocialista Aldo Capitini che a Firenze, a casa di Luigi Russo, aveva
avuto modo di conoscere Croce, a cui aveva consegnato un pacco di
dattiloscritti che il filosofo napoletano aveva apprezzato e fatto pubblicare
nel gennaio dell'anno seguente presso l'editore Laterza di Bari con il titolo Elementi
di un'esperienza religiosa. In poco tempo gli Elementi diventarono uno tra i
principali riferimenti letterari della gioventù antifascista. La posizione
personale di Croce nei confronti della religione cattolica è ben espressa nel
suo saggio Perché non possiamo non dirci "cristiani", scritto nel
1942. Il termine "cristiani" inserito nel titolo tra virgolette non
voleva indicare l'adesione a un credo confessionale, bensì la consapevolezza di
un'inevitabile appartenenza culturale rappresentata nella sua particolare
prospettiva dal fenomeno del cristianesimo: non si trattava di una professione
di fede cristiana dovuta a un rinnegamento dell'agnosticismo come volle fare
intendere la propaganda fascista[60], ma di riconoscere il valore storico e di
«rivolgimento spirituale»: «Il cristianesimo è stato la più grande
rivoluzione che l'umanità abbia mai compiuta: così grande, così comprensiva e
profonda, così feconda di conseguenze, così inaspettata e irresistibile nel suo
attuarsi, che non maraviglia che sia apparso o possa ancora apparire un
miracolo, una rivelazione dall'alto, un intervento di Dio nelle cose umane, che
da lui hanno ricevuto legge e indirizzo affatto nuovo. Tutte le altre
rivoluzioni, tutte le maggiori scoperte che segnano epoche nella storia umana,
non sostengono il suo confronto, parendo rispetto a lei particolari e limitate.
Tutte, non escluse quelle che la Grecia fece della poesia, dell'arte, della
filosofia, della libertà politica, e Roma del diritto: per la capacità dei
princìpi cristiani di contrastare il neopaganesimo e l'ateismo propagandati dal
nazismo e dal comunismo sovietico[61]:» «...sono profondamente convinto e
persuaso che il pensiero e la civiltà moderna sono cristiani, prosecuzione
dell'impulso dato da Gesù e da Paolo. Su di ciò ho scritto una breve nota, di
carattere storico, che pubblicherò appena ne avrò lo spazio disponibile. Del
resto non sente Ella che in questa terribile guerra mondiale ciò che è in
contrasto è una concezione ancora cristiana della vita con un'altra che
potrebbe risalire all'età precristiana, e anzi pre-ellenica e pre-orientale, e
riattaccare quella anteriore alla civiltà, la barbarica violenza
dell'orda?[62]» Croce, in sintesi, vede nel cristianesimo il fondamento
storico della civiltà occidentale ma non ripudia l'immanentismo radicale del
suo pensiero che vede nella religione un momento della realizzazione storica
dello spirito che si avvia, superandolo, ad una più alta sintesi.[63]
All'Assemblea Costituente lotterà contro l'inserimento, voluto dalla DC, e dal
comunista Togliatti[64], dei Patti Lateranensi nel secondo comma dell'articolo
7 della Costituzione della Repubblica Italiana, giudicandolo come "sfacciata
prepotenza pretesca". In vista delle elezioni politiche del 1948,
tuttavia, si accordò con il segretario della Democrazia Cristiana, Alcide De
Gasperi, per dare vita a un manifesto comune, Europa, cultura e libertà, contro
i totalitarismi passati e presenti. A seguito della vittoria della DC, replicò
severamente ai laici benpensanti schierati col Fronte Popolare che
sbeffeggiavano il ceto umile e contadino di cui era composto in prevalenza
l'elettorato cattolico: «Beneditele quelle beghine di cui ridete, perché
senza il loro voto e il loro impegno oggi non saremmo liberi.» Nel 1950,
lasciando disposizioni per la sua morte (che avverrà tre anni dopo) scriverà
invece che la sensibilità religiosa della moglie cattolica le consentirà di
evitare che un sacerdote tenti di "redimerlo" all'ultimo minuto,
perché è "cosa orrenda profittare delle infermità per strappare a un uomo
una parola che sano egli non avrebbe mai detta". Croce fu legato sentimentalmente e convisse
con Angelina Zampanelli, fino alla morte di lei. La coppia prese alloggio a
Palazzo Filomarino, a Napoli. Angelina, sofferente di cuore, morì poco più che
quarantenne a Raiano, dove insieme a Croce ella soggiornava spesso d'estate,
presso il Palazzo Rossi-Sagaria, ospiti della cugina del filosofo, Maria Teresa
Petroni, moglie di Valentino Rossi. Croce sposa a Torino, con rito religioso e
poi civile, Adele Rossi, da cui ebbe cinque figli: Giulio, Elena, Alda, Lidia
(moglie dello scrittore e dissidente anticomunista polacco Gustaw
Herling-Grudziński) e Silvia.Il filosofo, oggi, deve non già fare il puro
filosofo, ma esercitare un qualche mestiere, e in primo luogo, il mestiere
dell'uomo.» (Benedetto Croce, Lettere a Vittorio Enzo Alfieri, Sicilia
Nuova Editrice, Milazzo. L'opera di Croce può essere suddivisa in tre periodi:
quello degli studi storici, letterari e il dialogo con il marxismo, quello
della maturità e delle opere filosofiche sistematiche e quello
dell'approfondimento teorico e revisione della filosofia dello spirito in
chiave storicista. Come idealista, ritiene che la realtà sia quella che viene
concepita dal soggetto, in quanto riflesso della sua idea e interiorità, ed è
convinto che la razionalità e la libertà emergano nella storia, pur tra immani
difficoltà. La filosofia idealista riconduce totalmente l'essere al pensiero,
negando esistenza autonoma alla realtà fenomenica, ritenuta il riflesso di
un'attività interna al soggetto; l'idealismo, come in Hegel, implica una
concezione etica fortemente rigorosa, come ad esempio nel pensiero di Fichte
che è incentrato sul dovere morale dell'uomo di ricondurre il mondo al
principio ideale da cui esso ha origine; in Croce questo ideale è la libertà
umana. Definito da Gramsci "papa laico della cultura italiana", a sua
filosofia ha goduto di enorme credito nella cultura italiana del XX secolo,
perlomeno fino agli anni settanta e ottanta, in cui si sono levate molte
critiche verso il suo approccio, ritenuto superato. Croce fu un intellettuale
rispettato anche al di fuori dell'Italia: la rivista Time gli dedicò la
copertina negli anni '30[7], e negli anni 2000, contestualmente alla
rivalutazione del pensiero crociano, si è registrato l'interesse della collana
editoriale dell'Università di Stanford, mentre la rivista statunitense di
politica internazionale Foreign Affairs lo inserì tra i pensatori più attuali
tra quelli del '900, accanto a intellettuali come Isaiah Berlin, Francis
Fukuyama e Lev Trotsky. Parallelamente allo studio del marxismo, Croce
approfondisce anche il pensiero di Hegel; secondo entrambi la realtà si dà come
spirito che continuamente si determina e, in un certo senso, si produce. Lo
spirito è quindi la forza animatrice della realtà, che si auto-organizza
dinamicamente divenendo storia secondo un processo razionale. Da Hegel egli
recupera soprattutto il carattere razionalistico e dialettico in sede
gnoseologica: la conoscenza si produrrebbe allora attraverso processi di
mediazione dal particolare all'universale, dal concreto all'astratto, per cui
Croce afferma che la conoscenza è data dal giudizio storico, nel quale
universale e particolare si fondono recuperando la sintesi a priori di Kant e
lo storicismo di Giambattista Vico, suo altro filosofo di riferimento. Da
destra, Giovanni Laterza, Stefano Jacini, Croce e Luigi De Secly. Il divenire e
la logica della dialettica, in Hegel e in Marx, è esso stesso verità in
movimento; anche per Croce la verità è dialettica, ma occorre esprimere un
giudizio storico ed esistono delle regole che arginano la pretesa
giustificativa di ogni fenomeno: in Croce lo Spirito - in quanto intelletto
umano - si realizza nella storia ma nel rispetto della libertà. Per questo ogni
fatto è quindi calato nella realtà storica, ma questo non può giustificare, con
la scusa del divenire e del progresso, aspetti deplorevoli come, ad esempio, il
totalitarismo fascista o comunista, il primo come necessario (concezione di
Giovanni Gentile e della sua idea di realtà come atto puro di pensare e agire)
e il secondo come fase storica obbligata (seguendo il concetto marxiano della
dittatura del proletariato, di cui il filosofo tedesco parla nella sua teoria
"razionalista" del materialismo storico). Quindi il materialismo
dialettico di Engels e quello storico di Marx sono da ritenersi errati. In
questo, il suo storicismo si differenzia dal pensiero di un altro filosofo
liberale, Karl Popper, secondo cui dialettica e storicismo finiscono invece per
generare quasi sempre totalitarismo (concezione assai diffusa nel pensiero del
liberalismo novecentesco). Al contrario di Popper e Arendt, per Croce la radice
totalitaria è proprio nell'antistoricismo, cioè nel rifiuto dello storicismo
stesso. Il neoidealismo entrò in crisi, sostituito da nuove filosofie come
l'esistenzialismo e la fenomenologia; sempre in nome del libertà e
dell'umanesimo, Croce critica l'esistenzialista Martin Heidegger, divenuto poi
anti-umanistico e colpevole di accondiscendenza verso il nazismo, definendolo
anche "un Gentile più dotto e più acuto, ma sostanzialmente della stessa
pasta morale"[79]; esprime così nel 1939 un tagliente giudizio sul
filosofo di Essere e tempo: «Scrittore di generiche sottigliezze, arieggiante a
un Proust cattedratico, egli che, nei suoi libri non ha dato mai segno di
prendere alcun interesse o di avere alcuna conoscenza della storia, dell'etica,
della politica, della poesia, dell'arte, della concreta vita spirituale nelle
sue varie forme - quale decadenza a fronte dei filosofi, veri filosofi tedeschi
di un tempo, dei Kant, degli Schelling, degli Hegel! -, oggi si sprofonda di
colpo nel gorgo del più falso storicismo, in quello, che la storia nega, per il
quale il moto della storia viene rozzamente e materialisticamente concepito
come asserzione di etnicismi e di razzismi, come celebrazione delle gesta di
lupi e volpi, leoni e sciacalli, assente l'unico e vero attore, l'umanità.
[...] E così si appresta o si offre a rendere servigi filosofico-politici: che
è certamente un modo di prostituire la filosofia.» (Conversazioni
Critiche, Serie Quinta, Bari, Laterza. L'asserzione di Hegel che "la
storia sia storia di libertà" viene da Croce inquadrata nella sua
concezione dialettica della libertà vista nel suo iniziale nascere, nel
successivo crescere e infine nel raggiungimento di uno stadio finale e
definitivo di maturità.[74] Croce fa proprio questo detto hegeliano
chiarendo però che non si vuole «assegnare alla storia il tema del formarsi di una
libertà che prima non era e che un giorno sarà, ma per affermare la libertà
come l'eterna formatrice della storia, soggetto stesso di ogni storia. Come
tale essa è per un verso, il principio esplicativo del corso storico e, per
l'altro, l'ideale morale dell'umanità». I popoli e gli individui anelano sempre
alla libertà, e come dice Hegel «ciò che è razionale è reale» (cioè la ragione
concepisce quello che può diventare reale) e «ciò che è reale è razionale»
(cioè esiste un'intrinseca razionalità, anche minima, in ogni fenomeno storico,
anche se non tutto il reale è ovviamente razionale). Alcuni storici, senza ben
rendersi conto di quello che scrivono, sostengono che ormai la libertà ha
abbandonato la scena della storia. Ma affermare che la libertà è morta vorrebbe
dire che è morta la vita. Non esiste nella storia un ideale che possa
sostituire quello della libertà «che è l'unica che faccia battere il cuore
dell'uomo, nella sua qualità di uomo». Ciò significa che la libertà non è una
fase di presa di coscienza che conduce allo Stato etico o al socialismo,
venendo superata, ma è essa stessa la verità nel divenire, non una fase. Egli
critica Hegel, poiché secondo lui il filosofo ha concepito la dialettica in
modo riduttivo, ovvero semplicemente come dialettica degli opposti, mentre
secondo Croce sussiste anche una logica dei distinti: non ogni negazione è
infatti opposizione, ma può essere semplice distinzione. Ciò significa che
certi atti ed eventi devono essere sempre considerati appunto distinti rispetto
ad altri ordini di atti ed eventi, e non ad essi opposti. Elabora, quindi, un
vero e proprio sistema, da lui denominato la filosofia dello spirito. Inoltre,
la prima importante differenza con Hegel è che nel sistema crociano non vi
rientra né la religione, né la natura. La religione sarebbe infatti un
complesso miscuglio di elementi poetici, morali e filosofici che le impediscono
di presentarsi come forma autonoma dello Spirito. La natura poi non è altro che
l'oggetto "mascherato" dell'attività economica, è il frutto della
considerazione economica diretta al mondo. Qui la realtà in quanto attività
(ovvero produzione dello spirito o della storia) è articolata in quattro forme
fondamentali, suddivise per modo (teoretico o pratico) e grado (particolare o
universale): estetica (teoretica - particolare), logica (teoretica-universale),
economia (pratica - particolare), etica (pratica - universale). La relazione
tra queste quattro forme opera la suddetta logica dei distinti, mentre
all'interno di ognuna di esse si ha la dialettica degli opposti.[73]
All'interno dell'estetica infatti si ha opposizione dialettica tra bello e
brutto, all'interno della logica, l'opposizione è tra vero e falso; nella
economia tra utile e inutile e infine nell'etica tra bene e male. Estetica
Croce scrisse anche importanti opere di critica letteraria (saggi su Goethe, Ariosto,
Shakespeare e Corneille, "La letteratura della nuova Italia" e
"La poesia di Dante"). Egli si mosse nell'ambito della sua teoria
estetica che mirava alla scoperta delle motivazioni profonde dell'ispirazione
artistica. Quest'ultima era ritenuta tanto più valida quanto più coerente con
le categorie di bello-brutto. La prima parte della teoria estetica la
ritroviamo in opere come Estetica come scienza dell'espressione e linguistica
generale, Breviario di estetica e Aesthetica in nuce. In seguito modificò
questa iniziale teoria stabilendo per la storia un nesso con la filosofia.
L'estetica, dal significato originario del termine aisthesis (sensazione), si
configura in primo luogo come attività teoretica relativa al sensibile, si
riferisce alle rappresentazioni e alle intuizioni che noi abbiamo della
realtà. Come conoscenza del particolare l'intuizione estetica è la prima
forma della vita dello Spirito. Prima logicamente e non cronologicamente poiché
tutte le forme sono presenti insieme nello spirito. L'arte, come aspetto
dell'Estetica, è una forma della vita spirituale che consiste nella conoscenza,
intuizione del particolare che: come forma dello spirito, come creatività
non è sensazione, conoscenza sensibile che è un aspetto passivo dello spirito
rispetto ad una materia oscura e ad esso estranea; come conoscenza (prima forma
dell'attività teoretica) non ha a che fare con la vita pratica. Bisogna quindi
respingere tutte le estetiche che abbiano fini edonistici, sentimentali e
moralistici; quale espressione di un valore autonomo dello spirito, l'arte non
può né deve essere giudicata secondo criteri di verità, moralità o godimento;
come intuizione pura va distinta dal concetto che è conoscenza dell'universale:
compito proprio della filosofia. L'arte può essere definita quindi come
intuizione-espressione, due termini inscindibili per cui non è possibile
intuire senza esprimere né è possibile espressione senza intuizione. Ciò che
l'artista intuisce è la stessa immagine (pittorica, letteraria, musicale ecc.)
che egli per ispirazione crea da una considerazione del reale, nel senso che
l'opera artistica è l'unità indifferenziata della percezione del reale e della
semplice immagine del possibile. La distinzione tra arte e non arte risiede nel
grado di intensità dell'intuizione-espressione. Tutti noi intuiamo ed
esprimiamo: ma l'artista è tale perché ha un'intuizione più forte, ricca e
profonda a cui sa far corrispondere un'espressione adeguata. Coloro che
sostengono di essere artisti potenziali poiché hanno delle intense intuizioni
ma che non sono capaci di tradurre in espressioni, non si rendono conto che in
realtà non hanno alcuna intuizione poiché se la possedessero veramente essa si
tradurrebbe in espressione. L'arte non è aggiunta di una forma ad un contenuto
ma espressione, che non vuol dire comunicare, estrinsecare, ma è un fatto
spirituale, interiore come l'atto inscindibile da questa che è l'intuizione.
Nell'estetica dobbiamo far rientrare anche quella forma dell'espressione che è
il linguaggio che nella sua natura spirituale fa tutt'uno con la poesia.
L'estetica quindi come una «linguistica in generale». Dall'estetica deriva la
critica letteraria crociana, espressa in molti saggi. Della logica, Croce
tratta essenzialmente nella Logica come scienza del concetto puro[83]); essa
corrisponde al momento in cui l'attività teoretica non è più affidata alla sola
intuizione (all'ambito estetico), ma partecipa dell'elemento razionale, che
attinge dalla sfera dell'universale. Il punto di arrivo di questa attività è
l'elaborazione del concetto puro, universale e concreto che esprime la verità
universale di una determinazione. La logica crociana è anche storica, nella
misura in cui essa deve analizzare la genesi e lo sviluppo (storico) degli
oggetti di cui si occupa. Il termine logica in Benedetto Croce assume quindi un
significato più vicino al termine dialettica ovvero ricerca storiografica. In
genere, la Logica di Croce è lontana da criteri scientifico-razionali, e si
ispira ai metodi dell'immaginazione artistica e dell'eleganza
estetico-letteraria, nei quali il filosofo raggiunge risultati eccellenti. Di
carattere decisamente diverso è invece la filosofia delle scienze fisiche,
matematiche e naturali delle quali Croce non si occupa affatto nei suoi studi.
Del resto, come segnala Geymonat nel suo Corso di filosofia - immagini
dell'uomo, «la vera indubbia grandezza di Croce va cercata assai più nella sua
opera di storiografo, di critico letterario, ecc., che non nella sua opera di
filosofo. Gentile ai tempi del direttorato alla Scuola normale di Pisa. In ogni
caso la logica e la filosofia della scienza è stata sviluppata in Italia da
altre correnti di pensiero contemporaneo a quello crociano, con studiosi fra quali
Peano e lo stesso Geymonat. Un orientamento parzialmente diverso ebbe invece
Giovanni Gentile che, pur criticando gli eccessi del positivismo, intrattenne
anche rapporti con matematici e fisici italiani e cercò di instaurare un rapporto
costruttivo con la cultura scientifica. Invece Croce ebbe con la logica e la
scienza un rapporto difficile. La sua posizione portò in Italia nella prima
metà del Novecento ad uno scontro dialettico fra due culture contrapposte:
quella artistico-letteraria e quella tecnico-scientifica. Il rapporto
conflittuale con le scienze matematiche e sperimentali Un caso emblematico del
giudizio di Benedetto Croce nei confronti della matematica e delle scienze
sperimentali è la sua nota diatriba con il matematico e filosofo della scienza
Federigo Enriques, avvenuta il 6 aprile 1911 in seno al congresso della Società
Filosofica Italiana, fondata e presieduta dallo stesso Enriques. Questi
sosteneva che una filosofia degna di una nazione progredita non potesse ignorare
gli apporti delle più recenti scoperte scientifiche. La visione di Enriques mal
si confaceva a quella idealistica di Croce e Gentile, come pure a gran parte
degli esponenti della filosofia italiana di allora, per lo più formata da
idealisti crociani. Croce, in particolare, rispose ad Enriques[84],
liquidando in modo deciso - "antifilosofico" secondo Enriques - la
proposta di considerare la scienza come un valido apporto alle problematiche
filosofiche e sostenendo, anzi, che matematica e scienza non sono vere forme di
conoscenza, adatte solo agli «ingegni minuti» degli scienziati e dei tecnici,
contrapponendovi le «menti universali», vale a dire quelle dei filosofi
idealisti, come Croce medesimo. I concetti scientifici non sono veri e propri
concetti puri ma degli pseudoconcetti, falsi concetti, degli strumenti pratici
di costituzione fittizia. «La realtà è storia e solo storicamente la si
conosce, e le scienze la misurano bensì e la classificano come è pur
necessario, ma non propriamente la conoscono né loro ufficio è di conoscerla
nell'intrinseco. Sul tema Benedetto Croce sostenne, tra l'altro, che:
«Gli uomini di scienza [...] sono l'incarnazione della barbarie mentale,
proveniente dalla sostituzione degli schemi ai concetti, dei mucchietti di
notizie all'organismo filosofico-storico.» (Benedetto Croce da Il
risveglio filosofico e la cultura italiana, A proposito dello sviluppo
novecentesco della logica matematica e dell'introduzione dei formalismi
simbolici, ad opera di matematici e filosofi quali Gottlob Frege, Giuseppe
Peano, Bertrand Russell, Benedetto Croce dichiarerà: «I nuovi congegni
[della logica matematica] sono stati offerti sul mercato: e tutti, sempre, li
hanno stimati troppo costosi e complicati, cosicché non sono finora entrati né
punto né poco nell'uso. Vi entreranno nell'avvenire? La cosa non sembra
probabile e, ad ogni modo, è fuori della competenza della filosofia e
appartiene a quella della pratica riuscita: da raccomandarsi, se mai, ai
commessi viaggiatori che persuadano dell'utilità della nuova merce e le
acquistino clienti e mercati. Se molti o alcuni adotteranno i nuovi congegni
logici, questi avranno provato la loro grande o piccola utilità. Ma la loro
nullità filosofica rimane, sin da ora, pienamente provata.» (Benedetto Croce
da Logica come scienza del concetto puro,Anni dopo, ancora scriveva che:
«Le scienze naturali e le discipline matematiche, di buona grazia, hanno ceduto
alla filosofia il privilegio della verità, ed esse rassegnatamente, o
addirittura sorridendo, confessano che i loro concetti sono concetti di comodo
e di pratica utilità, che non hanno niente da vedere con la meditazione del
vero.» (Benedetto Croce da Indagini su Hegel e e schiarimenti filosofici e
ribadiva come: «Le finzioni delle scienze naturali e matematiche
postulano di necessità l'idea di un'idea che non sia finta. La logica, come
scienza del conoscere, non può essere, nel suo oggetto proprio, scienza di
finzioni e di nomi, ma scienza della scienza vera e perciò del concetto
filosofico e quindi filosofia della filosofia.» (Benedetto Croce da
Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici. Tuttavia ebbe altresì un cordiale
e rispettoso scambio epistolare con Albert Einstein. Secondo diversi storici e
filosofi (es. Giorello, Bellone, Massarenti), l'influenza antiscientifica di
Croce e di Gentile[90] sarebbe stata fortemente deleteria sia sul piano
dell'istituzione scolastica per gli orientamenti pedagogici della scuola
italiana, che si sarebbe indirizzata prevalentemente agli studi umanistici
considerando quelli scientifici di secondo piano, sia per la formazione di una
classe politica e dirigente che attribuisse importanza alla scienza e alla
tecnica e portando, per conseguenza, ad un ritardo dello sviluppo tecnologico e
scientifico nazionale. «[La scuola] sarà caratterizzata dal primato
dell'umanesimo letterario e in particolare dell'umanesimo classico. Tutte le
istituzioni culturali saranno improntate al primato delle lettere, della filosofia
e della storia. Giorello nel quarantennale della morte di Croce ha scritto che
"predicò la religione della libertà e per questo gli siamo riconoscenti.
Ma la sua condanna della scienza e la sua estetica hanno causato danni
gravissimi alla nostra cultura. Che ora esige riparazione. Lo stesso Giorello però ha in parte ritrattato
l'affermazione, negando che sia da attribuire a Croce il mancato sviluppo
scientifico italiano, adducendo che quelle che lui considerava una
"colpa" sarebbero da accreditare maggiormente alla Chiesa, agli
scienziati stessi e alla classe politica, più che all'idealismo, che trascura
le scienze ma nemmeno le ostacola, definendo la filosofia di Croce
«interessante sotto altri profili, ma poco interessante, quando si parla di
scienza. Croce riteneva le scienze umane e sociali prive di qualunque validità
e del tutto inutili per lo studio dei fenomeni umani. Lui stesso dichiarò più
volte di non riuscire a capire perché si dovesse sprecare del tempo a studiare
«i cretini, i bambini e i selvaggi, quando esistono pensatori come Kant. ilosofia
della pratica «La legge morale è la suprema forza della vita e la realtà della
Realtà.» (Filosofia della pratica. Etica ed economica, Laterza, Bari)
Economia ed etica vengono trattate in Filosofia della pratica. Economica ed
etica. Croce dà molto rilievo alla volizione individuale che è poi l'economia,
avendo egli un forte senso della realtà e delle pulsioni che regolano la vita
umana. L'utile, che è razionale, non sempre è identico a quello degli altri:
nascono allora degli utili sociali che organizzano la vita degli individui. Il
diritto, nascendo in questo modo, è in un certo qual senso amorale, poiché i
suoi obiettivi non coincidono con quelli della morale vera e propria.
Egualmente autonoma è la sfera politica, che è intesa come luogo di
incontro-scontro tra interessi differenti, ovvero essenzialmente conflitto,
quello stesso conflitto che caratterizza il vivere in generale. Croce critica
anche l'idea di Stato etico elaborata da Hegel ed estremizzata da Gentile: lo
Stato non ha nessun valore filosofico e morale, è semplicemente l'aggregazione
di individui in cui si organizzano relazioni giuridiche e politiche. L'etica è
poi concepita come l'espressione della volizione universale, propria dello
spirito; non vi è un'etica naturale o un'etica formale, e dunque non vi sono
contenuti eterni propri dell'etica, ma semplicemente essa è l'attuazione dello
spirito, che manifesta in modo razionale atti e comportamenti particolari.
Questo avviene sempre in quell'orizzonte di continuo miglioramento umano. Teoria
e storia della storiografia «La storia non è giustiziera, ma
giustificatrice» (Benedetto Croce, Teoria e storia della storiografia) La
storia e lo spirito: lo storicismo assoluto Giambattista Vico Come si
evince anche da Teoria e storia della storiografia la filosofia di Croce,
ispirata soprattutto a Giambattista Vico, è fortemente storicista. Per ciò, se
volessimo riassumere con una formula la filosofia di Croce, questa sarebbe
storicismo assoluto, ossia la convinzione che tutto è storia, affermando che
tutta la realtà è spirito e che questo si dispiega nella sua interezza
all'interno della storia. La storia non è dunque una sequela capricciosa di
eventi, ma l'attuazione della Ragione. La conoscenza storica ci illumina a
proposito delle genesi dei fatti, è una comprensione dei fatti che li giustifica
con il suo dispiegarsi. Si delinea in quest'ottica il compito dello storico:
egli, partendo dalle fonti storiche, deve superare ogni forma di emotività nei
confronti dell'oggetto studiato e presentarlo in forma di conoscenza. In questo
modo la storia perde la sua passionalità e diviene visione logica della realtà.
Quanto appena affermato si può evincere dalla celebre frase «la storia non è
giustiziera, ma giustificatrice». Con questo afferma che lo storico non giudica
e non fa riferimento al bene o al male. Quest'ultimo delinea, inoltre, come la
storia abbia anche un preciso orizzonte gnoseologico, poiché in primo luogo è
conoscenza, e conoscenza contemporanea, ovvero la storia non è passata, ma viva
in quanto il suo studio è motivato da interessi del presente. Il bisogno
pratico, che è nel fondo di ogni giudizio storico, conferisce a ogni storia il
carattere di "storia contemporanea", perché, per remoti e remotissimi
che sembrino cronologicamente i fatti che vi entrano, essa è, in realtà, storia
sempre riferita al bisogno e alla situazione presente, nella quale quei fatti
propagano le loro vibrazioni.La storiografia è in seconda istanza utile per
comprendere l'intima razionalità del processo dello spirito, e in terzo luogo
essa è conoscenza non astratta, ma basata su fatti ed esperienze ben precise.
Anche se subisce l'influsso dello storicismo di Voltaire, Croce critica gli
illuministi e in generale tutti coloro che pretendono di individuare degli
assoluti che regolino la storia o la trascendano: invece la realtà è storia
nella sua totalità, e la storia è la vita stessa che si svolge autonomamente,
secondo i propri ritmi e le proprie ragioni. La storia è un cammino
progressivo per cui «Nulla c'è al di fuori dello spirito che diviene e
progredisce incessantemente: nulla c'è al di fuori della storia che è per
l'appunto questo progresso e questo divenire. Ma il positivo destinato a
superare storicamente la negatività dei periodi bui della storia non è una
certezza su cui adagiarsi: questa consapevolezza del progresso storico deve
essere confermata da un impegno costante degli uomini in azioni i cui risultati
non sono mai scontati né prevedibili. La storia diviene, allora, anche storia
di libertà, dei modi in cui l'uomo promuove e realizza al meglio la propria
esistenza. La libertà si traduce, sul piano politico, in liberalismo: una sorta
di religione della libertà o di metodo interpretativo della storia e di
orientamento dell'azione, che è imprescindibile nel processo del progresso storico-politico,
come si evince dal volume del 1938 La storia come pensiero e come azione Per
Croce la libertà può essere apprezzata solo difendendola costantemente in
maniera dialettica, poiché la storia è necessariamente contrasto. Chi desideri
in breve persuadersi che la libertà non può vivere diversamente da come è
vissuta e vivrà sempre nella storia, di vita pericolosa e combattente, pensi
per un istante a un mondo di libertà senza contrasti, senza minacce e senza
oppressioni di nessuna sorta; e subito se ne ritrarrà inorridito come
dall'immagine, peggio che della morte, della noia infinita.» (La storia
come pensiero e come azione). Ciò però non vuol dire che Croce giustifichi la
violenza come necessaria; nello stesso saggio ammonisce infatti che «la violenza
non è forza ma debolezza, né mai può essere creatrice di cosa alcuna, ma
soltanto distruggerla». La concezione storica crociana ebbe grande
seguito in Italia per molto tempo ed ebbe notevole influenza anche all'estero,
ad esempio per quanto riguarda la formazione del maggior storico americano del
nazismo, George Mosse. Croce interviene al congresso liberale. Croce critico
letterario, specie quello di Poesia e non poesia, esercitò molta influenza
successiva, quasi una "dittatura intellettuale sulla cultura italiana, ma
ricevette anche critiche: ad esempio furono ritenute scorrette,
"pseudoconcetti" (riprendendo una parola usata da Croce), poiché non
presentate come opinione personale ma come veri canoni estetici, varie tesi,
come la sua opposizione alle novità letterarie europee, esemplificate dalle
stroncature verso gran parte dell'opera di Gabriele D'Annunzio, Giovanni
Pascoli (di cui apprezzò solo alcune parti di Myricae e dei Canti di
Castelvecchio criticando i saggi e le poesie civili), del crepuscolarismo e di
Giacomo Leopardi: di quest'ultimo salvò, nei Canti, gli idilli e i canti
pisano-recanatesi, ma criticò le poesie "dottrinali" e polemiche (in
particolare i Paralipomeni della Batracomiomachia e la Palinodia al marchese
Gino Capponi) e le opere filosofiche (apprezzò solo una minima parte delle
Operette morali), affermando che quella leopardiana non era vera filosofia, ma
solo uno sfogo poetico in prosa, inferiore comunque alle liriche, dovuto
esclusivamente alle condizioni fisiche e psicologiche del poeta recanatese. Croce
non considera Leopardi un vero filosofo, come Schopenhauer, a cui invece
riconosce dignità filosofica ma che non apprezza come individuo poiché ritenuto
cinico e indifferente, ma solo un pensatore, il cui pensiero è essenzialmente
al servizio della sua poesia. Sulla scorta di Francesco de Sanctis, esprime
simpatia umana al poeta recanatese per lo spirito civile, l'impegno e la lotta
eroica contro le sofferenze fisiche, come espresso nella poesia La Ginestra. Egli
fu grande ammiratore soprattutto del Carducci, in quanto classicista, razionale
e sentimentale al tempo stesso, ma senza scadere nel sentimentalismo
irrazionale, e, a proposito del decadentismo e degli autori di questo
movimento, scrisse, in Del carattere della più recente letteratura italiana:
«Nel passare da Giosuè Carducci a questi tre, sembra, a volte, come di passare
da un uomo sano a tre malati di nervi». La polemica contro il decadentismo è
figlia di quella contro il positivismo: Croce sostiene che il misticismo decadente,
che egli disapprova come sintomo di vuoto spirituale e filosofico (Croce è
razionalista e idealista al tempo stesso), è figlio dello scientismo
positivistico e delle pseudoscienze da esso generate (come lo spiritismo): «Di
qua il positivismo, di fronte il misticismo; perché questo è figlio di quello:
un positivista dopo la gelatina dei gabinetti, non credo abbia altro di più
caro che l'inconoscibile, cioè la gelatina dove si coltiva il microbio del
misticismo». Le opere di Croce spaziano dalla filosofia, alla storiografia,
all'aneddotica, alla critica letteraria e all'erudizione storica. Qui si
indicano le più importanti. Per un elenco completo si veda L'opera di Benedetto
Croce, bibliografia a cura di S. Borsari, Napoli, Istituto italiano per gli studi
storici, I principi dell'estetica crociana, oltre ad essere formulati in opere
organiche, trovarono anche applicazione critica in prefazioni e curatele di
opere altrui. Tale è, ad esempio, la prefazione all'opera di Tommaso Parodi,
Poesia e letteratura: conquista di anime e studi di critica, pubblicata postuma
nel 1916 da Laterza, a cura del Croce. Il filosofo napoletano collaborò inoltre
con numerosi articoli su vari argomenti pubblicati su molti giornali e riviste
stranieri e italiani (Cfr. Panetta, Settant'anni di militanza: Croce, tra
riviste e quotidiani) Ad esempio la sua collaborazione con il quotidiano Il
Resto del Carlino durò per più di 40 anni. Filosofia dello spirito Estetica
come scienza dell'espressione e linguistica generale Logica come scienza del
concetto puro Filosofia della pratica. Economica ed Etica Teoria e storia della
storiografia; Problemi di estetica e contributi alla storia dell'estetica
italiana La filosofia di Vico Saggio sullo Hegel seguito da altri scritti di
storia della filosofia Materialismo storico ed economia marxistica Nuovi saggi
di estetica Etica e politica. La poesia. Introduzione alla critica e storia
della poesia e della letteratura La storia come pensiero e come azione Il
carattere della filosofia moderna Discorsi di varia filosofia; Filosofia e
storiografia; Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici; Perché non possiamo
non dirci "cristiani"; Primi saggi Cultura e vita morale L'Italia. Pagine
sulla guerra Pagine sparse; Nuove pagine sparse; Terze pagine sparse; Scritti e
discorsi politici; Carteggio Croce-Vossler; B. Croce - G. Papini, Carteggio; Il
caso Gentile e la disonestà nella vita universitaria italiana; Saggi sulla
letteratura italiana del Seicento La rivoluzione napoletana del 1799 La
letteratura della nuova Italia; I teatri di Napoli dal Rinascimento alla fine
del secolo decimottavo La Spagna nella vita italiana durante la Rinascenza
Conversazioni critiche Storie e leggende napoletane Manifesto degli
intellettuali antifascisti Goethe Una famiglia di patrioti ed altri saggi
storici e critici Ariosto, Shakespeare e Corneille Storia della storiografia
italiana nel secolo decimonono; La poesia di Dante Poesia e non poesia Storia
del Regno di Napoli Uomini e cose della vecchia Italia Storia d'Italia; Storia
dell'età barocca in Italia Nuovi saggi sulla letteratura italiana del Seicento
Storia d'Europa nel secolo decimonono Poesia popolare e poesia d'arte Varietà
di storia letteraria e civile Vite di avventure, di fede e di passione Poesia
antica e moderna Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinascimento La
letteratura italiana del Settecento Letture di poeti e riflessioni sulla teoria
e la critica della poesia Aneddoti di varia letteratura Isabella di Morra e
Diego Sandoval de Castro Edizione nazionale La casa editrice Bibliopolis ha in
corso di pubblicazione l'edizione nazionale delle opere di Benedetto Croce,
promossa con Decreto del Presidente della Repubblica. Eugenio Montale, Tutte le
poesie, Milano, Mondadori, Enciclopedia italiana Treccani alla voce "neoidealismo" Emanuele Severino, La filosofia dai Greci al
nostro tempo. La filosofia contemporanea, Milano, Rizzoli, Giulio Giorello,
Dimenticare Croce? Benedetto Croce -
Senato Partito Liberale Italiano «nato
nel 1924, sciolto durante il fascismo e ricostituito». In Enciclopedia Treccani
alla voce "Partito Liberale Italiano" Pagina jpg del Corriere
del Mezzogiorno: Luigi Mosca, L'America innamorata di Croce. La prestigiosa
rivista USA "Foreign Affairs" lo incorona tra i pensatori più
attuali, Einaudi infatti sosteneva che «il liberismo non è né punto né poco
"un principio economico", non è qualcosa che si contrapponga al
liberalismo etico; è una "soluzione concreta" che talvolta e, diciamo
pure, abbastanza sovente, gli economisti danno al problema, ad essi affidato,
di cercare con l’osservazione e il ragionamento quale sia la via più adatta, lo
strumento più perfetto per raggiungere quel fine o quei fini, materiali o
spirituali che il politico o il filosofo, od il politico guidato da una certa
filosofia della vita ha graduato per ordine di importanza subordinandoli tutti
al raggiungimento della massima elevazione umana.» (in G.Einaudi, Il
buongoverno. Saggi di economia politica, a cura di E. Rossi, Il filosofo,
rispettivamente nel 1919 e nel 1922, dedica ai paesi degli avi, sia paterni che
materni, due monografie, intitolate Montenerodomo: storia di un comune e due
famiglie e Pescasseroli, uscite per Laterza e in seguito collocate in appendice
alla Storia del Regno di Napoli (Laterza, Bari). È noto, a tal proposito, l'aneddoto narrato
in un testo coevo, secondo il quale il padre del filosofo, prima di morire tra
le macerie, avrebbe detto al figlio «offri centomila lire a chi ti salva». Cfr.
C. Del Balzo, Cronaca del tremuoto di Casamicciola, Tip. De Blasio e C.,
Napoli, Un'analisi di quella traumatica esperienza anche in relazione all'opera
di Croce è in S. Cingari, Il giovane Croce. Una biografia etico-politica,
Rubbettino, Soveria Mannelli, Il problema del male nell’indagine di Cucci. Testimonianza
di Croce sul terremoto Benedetto Croce,
Memorie della mia vita, Istituto italiano per gli studi storici, Napoli
1966. "Il superstite è accolto
allora nella casa romana del politico Silvio Spaventa, cugino del padre e
fratello del filosofo Bertrando. Il lutto, lo spaesamento, l’adolescenza: non
stupisce che questa miscela abbia precipitato il giovane in una crisi
d’ipocondria; e l’ostentato contegno olimpico dell’adulto deriva forse da
questo periodo oscuro. «Quegli anni», confessa l’autore del Contributo, furono
«i soli nei quali assai volte la sera, posando la testa sul guanciale, abbia
fortemente bramato di non svegliarmi al mattino». Nella Roma del trasformismo,
Benedetto si chiude in biblioteca. Ma a scuoterlo è Antonio Labriola, che con
le lezioni sull’etica di Herbart gli offre un appiglio cui aggrapparsi nel
naufragio della fede. Croce ricorda di averne recitato più volte i capisaldi
sotto le coperte, come una preghiera": v. A cento anni dal “Contributo” di
Croce, di Matteo Marchesini, Sole 24 ore, Dizionario biografico degli italiani,
Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Ministri della Pubblica Istruzione, su storia.camera. Ultimo Governo Giolitti, su storia.camera. A. Jannazzo, Croce e la corsa verso la
guerra, in Idem, Croce e il prepartito degli intellettuali, Edizioni La Zisa,
Palermo, Giorgio Levi della Vida, Fantômes retrouvés, Diogène, Antonio Gnoli,
Benedetto Croce e il suo fantasma, in la Repubblica, Camera dei deputati -
Portale storico Giugno 1924; citato in
G. Levi Della Vida, Fantasmi ritrovati, Venezia, Salvatore Guglielmino/Hermann
Grosser, Il sistema letterario. Guida alla storia letteraria e all'analisi
testuale: Novecento; Casa Editrice G. Principato S.p.A., . Salvatore Guglielmino/Hermann Grosser, Sambugar,
Salà, Letteratura italiana, Croce e il manifesto antifascista. Primo Levi, Potassio, in Il sistema
periodico, poi in Opere, Torino, Einaudi, «La più efficace difesa della civiltà
e della cultura si è avuta in Italia, per opera di Benedetto Croce. Se da noi
solo una frazione della classe colta ha capitolato di fronte al nemico a
differenza di quel che è avvenuto in Germania, moltissimo è dovuto al Croce. (Guido
De Ruggiero) Osserva Nicola Abbagnano nella sua Storia della filosofia: «Il
regime fascista, certo per costituirsi un alibi di fronte agli ambienti
internazionali della cultura, consentì tacitamente a Croce una certa libertà di
critica politica; e Croce si avvalse di questa possibilità [...] per una difesa
degli ideali di libertà... Negli anni del fascismo e della seconda guerra
mondiale la figura di Croce ha assunto perciò, agli occhi degli italiani, il
valore di un simbolo della loro aspirazione alla libertà, e ad un mondo in cui
lo spirito prevalga sulla violenza. E tale si mantiene a distanza di anni. Il
terzo volume del carteggio tra Croce e Laterza (l'editore delle opere crociane)
offre una grande quantità di esempi delle difficoltà di mantenersi in
equilibrio “tra l'opposizione concreta e organizzata al fascismo, e l'adesione
o la cinica indifferenza”. Esempi “quasi tutti orientati però verso una precisa
direzione: quella dell'autocensura, a volte praticata, altre volte
orgogliosamente respinta... Tra i molti casi che potrebbero essere citati a
illustrazione di questo atteggiamento, è notevole quello sorto attorno alla
dedica apposta da Paolo Treves, nel libro sulla filosofia di Tommaso
Campanella, al padre Claudio, scrittore e parlamentare socialista, famigerato
tra i fascisti soprattutto per il celebre duello ingaggiato con Mussolini. La
dedica recitava: “A mio padre, che mi additò con l'esempio la dignità della
vita”. Laterza scrive a Croce accostando, con diplomatica sottigliezza, la
lettura di un volgare trafiletto anticrociano e antilaterziano sul “Lavoro
fascista” alla questione della dedica, che egli propone al Treves di limitare
“alle prime tre parole essenziali, non essendo opportuno motivarla allo stato
attuale delle cose”. Alla lettera Croce risponde il giorno dopo,
tranquillizzando Laterza sulla “purezza” del lavoro storico del Treves e
sull'assenza in esso di riferimenti al presente, e aggiungendo, con maliziosa e
retorica ingenuità: “ma veramente non capisco perché vi abbia fatto senso
quella dedica affettuosa di un figlio al padre. O che la dignità della vita (il
corsivo è ovviamente di Croce) è un fatto politico del giorno?”. Comunque sia,
la dedica uscì poi nella versione “purgata”. Maurizio Tarantino, recensione a
Benedetto Croce-Giovanni Laterza, Carteggio, a c. di Antonella Pompilio,
Napoli, Roma-Bari, Istituto italiano per gli studi storici, Laterza, “L'indice”. L'episodio è narrato con dovizia
di particolari in una lettera di Fausto Nicolini a Giovanni Gentile riportata
da Gennaro Sasso in Per invigilare me stesso, Bologna, Il mulino, Alessandro
Barbera (a cura di), La biblioteca esoterica. Carteggi editoriali Evola-Croce-Laterza,
Roma, Fondazione Julius Evola, Cesare Medail, Julius Evola: mi manda Don Benedetto,
in Corriere della Sera, Cfr. la prefazione del testo Lettere di Julius Evola a
Croce. Regio Decreto Legge, Disposizioni sull'istruzione superiore (pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, Flavio Fiorani, Francesca Tacchi,
Storia illustrata del fascismo, Giunti Editore, 2000,91 La Repubblica, Giuseppe Giarrizzo rivendicò
con una punta di orgoglio l'essere annoverato tra i “nipotini” di Croce (se,
nel corso di uno sgradevole scontro, sono stato per Ernesto De Martino un
«basco verde di Palazzo Filomarino. Giarrizzo, Giuseppe, Di Benedetto Croce e
del filosofare sine titulo, Archivio di storia della cultura: Napoli: Liguori, si veda: Antonio Gramsci, Il materialismo
storico e la filosofia di Benedetto Croce
B. Croce, Epistolario, I, Napoli, Istituto italiano per gli studi
storici, La vicenda è descritta e analizzata da Gennaro Sasso, La guerra
d'Etiopia e la “patria”, in Per invigilare me stesso, Bologna, Il mulino, Pierluigi
Battista, Corriere della Sera, B. Croce, Taccuini di lavoro, Napoli, La
tentazione antisemita di tre antifascisti liberali Dante Lattes, Ferruccio Pardo, Benedetto
Croce e l'inutile martirio d'Israele. L'ebraismo secondo B. Croce e secondo la
filosofia crociana Michele Sarfatti, Il
ritorno alla vita: vicende e diritti degli ebrei in Italia dopo la seconda
guerra mondiale, pag. 111 Peter
Tompkins, L'altra Resistenza. Servizi segreti, partigiani e guerra di liberazione
nel racconto di un protagonista, Il Saggiatore, Croce rimase fermo sulle sue
posizioni: l'unica condizione alla quale i partiti antifascisti
dell'opposizione avrebbero accettato di entrare nel governo di Badoglio era
l'abdicazione di Vittorio Emanuele III. Era stato il re, disse Croce, ad aprire
le porte al fascismo, favorendolo, appoggiandolo e servendolo per vent'anni». Tompkins, Piero Operti, Lettera aperta a
Benedetto Croce, Torino, Lattes, Giuseppe Mazzini (1948), poi in Scritti e
discorsi politici, II, Bari, Laterza, 1963,451; sulle caratteristiche
"affettive" del pronunciamento di Croce al referendum, vedi Fulvio
Tessitore, Il percorso psicologico dalla monarchia alla repubblica attraverso i
Taccuini di lavoro di Benedetto Croce, in Benedetto Croce e la nascita della
Repubblica. Atti del convegno tenutosi presso il Senato della Repubblica,
Soveria Mannelli, Rubbettino, "non
sono veri liberali...coloro che si fregiano, come ora taluni hanno preso a
fare, del nome di monarchici, perché il liberalismo non ha altro fine che
quello di garantire la libertà" e se "la forma Repubblicana gli offre
questa...garanzia quando non gliene offre sicura la monarchia, sarà anche
eventualmente repubblicano" (Taccuini di lavoro; "se il tentativo la
duplice abdicazione di Vittorio Emanuele III e di Umberto II] fallisse, noi
sosterremo il partito della Repubblica, adoperandoci a farla sorgere temperata
e non sfrenata, sennata e non dissennata" (Taccuini di lavoro. Benedetto
Croce, mai nominato, formalmente rifiutò prima ancora che la sua ventilata
nomina potesse concretizzarsi.» (In Davide Galliani, Il Capo dello Stato e le
leggi, Volume 1, Giuffrè Editore, Ente Morale, su UniSOB.na. URL consultato il
30 ottobre 2018. Senato della
Repubblica-Cinecittà Luce, Il filosofo della libertà: Napoli - il funerale di
Benedetto Croce B. Croce, Maria
Curtopassi, Dialogo su Dio: carteggio 1941-1952, Archinto, Il carteggio fra
Croce e Maria Curtopassi è stato pubblicato presso la casa editrice Archinto da
Giovanni Russo, autore anche della nota introduttiva, Maurizio Griffo, Il
pensiero di Benedetto Croce tra religione e laicità. La citazione è tratta da:
B. Croce, Taccuini di lavoro, vol. 6, Napoli. Croce, Perché non possiamo non
dirci anticoncordatari. Discorso contro i patti lateranensi, tratto da:
Benedetto Croce, Discorsi parlamentari, Bardi editore, Roma, Atti parlamentari
della Camera: Guido Verucci, Idealisti all'Indice. Croce, Gentile e la condanna
del Sant'Uffizio, Laterza, Aldo Capitini, La compresenza dei morti e dei viventi,
Il Saggiatore, Milano, La Critica. Rivista di Letteratura, Storia e Filosofia
diretta da B. Croce, Il ministro dell'Educazione Nazionale, Giuseppe Bottai
alluse ironicamente all'operetta crociana con un articolo intitolato Benedetto
Croce rincristianito per dispetto (In Ruggiero Romano, Paese Italia: venti
secoli di identità, Donzelli Editore,Perché non possiamo non dirci
"cristiani, in La Critica, 20 novembre 1942; poi in Discorsi di varia
filosofia, Laterza, Bari 1945 B. Croce,
M. Curtopassi, Dialogo su Dio. Carteggio op.cit. ibidem. F.Focher, Rc. a F. Capanna, La religione in
Benedetto Croce. Il momento della fede nella vita dello spirito e la filosofia
come religione, Bari 1965, in Rivista di studi crociati, Sandro Magister,
Colloquio con Vittorio Foa (Da l'Espresso, Documenti) In Vittorio Messori, Pensare la storia: una
lettura cattolica dell'avventura umana, Paoline,Nello Ajello, Solo per amore,
"La Repubblica, Gennaro Sasso, Per invigliare me stesso, Bologna, Il
mulino, 1989,36-9 Nel registro mortuario
di Raiano, vicino a L'Aquila, viene indicata erroneamente come "moglie del
senatore Benedetto Croce" Benedetto Croce e l'amore Ottaviano Giannangeli, Benedetto Croce a
Raiano, in "L'Osservatore politico letterario", Milano-Roma, n. 10,
ottobre 1964 Morta Alda Croce, figlia di
Benedetto Croce È morta Silvia Croce
l'ultima nata del filosofo Morta Lidia,
l'ultima figlia ancora vivente di Benedetto Croce. Si è spenta a Napoli a 93
anni Il pensiero filosofico di Benedetto Croce - senato B. Croce,
La storia come pensiero e come azione, Laterza, Bari Saggio sullo Hegel Croce, da "papa laico" a grande
dimenticato Renzo Grassano, La filosofia
politica di Karl Popper: 1 - La critica della dialettica hegeliana e dello
storicismo; commento a La società aperta e i suoi nemici e Miseria dello
storicismo di Popper Croce e il
totalitarismo Carteggio
Croce-Omodeo Georg Wilhelm Friedrich
Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Bompiani, Milano In opposizione al
positivismo che voleva riportare la storia ad una forma della scienza, Croce si
era interessato dell'estetica nella quale avrebbe dovuto essere compresa la
storia; cfr. La storia sotto il concetto generale dell'arte, Bari 1919 Per questo motivo Croce della Divina Commedia
di Dante apprezza la prima cantica dell'Inferno in quanto risultato di una
forte e sentita intuizione-espressione, mentre apprezza meno la cantica del
Paradiso dove Dante mescolerebbe poesia e filosofia Nella premessa datata «novembre 1908» Croce
scrive di aver trattato l'argomento nello scritto intitolato Lineamenti di una
logica come scienza del concetto puro pubblicato negli Atti dell’Accademia
pontaniana nel 1905. In effetti però avverte Croce che il volume «È una seconda
edizione del mio pensiero, piuttosto che del mio libro» (B. Croce, Logica, Cent'anni
di ricerca in Italia. Un passato da salvare, conferenza del prof. Carlo
Bernardini, dal sito Centro Studi Enriques, B. Croce, La storia come pensiero e
come azione, Laterza, Bari. Quel che si scrivevano Einstein e Croce Dimenticare Croce? (Corriere della Sera) La scienza negata. Il caso italiano, Codice
Edizioni, l'Italia della scienza negata (dal blog de Il Sole 24 Ore) Ministro dell'Istruzione del governo
Mussolini, promotore della riforma scolastica varata in Italia nel 1923 Lucio Lombardo Radice in O. Pompeo Faracovi
(a cura di), Federico Enriques, Approssimazione e verità, Belforte, Livorno
1982 Giulio Giorello, Dimenticare Croce?,
in Il Corriere della Sera, L'arretratezza dell'Italia in campo scientifico è il
risultato di cattive scelte dei politici da una parte e di resistenze culturali
e di incapacità degli scienziati stessi a comunicare dall'altra e che quindi
risultano indipendenti dall'idealismo crociano. A livello culturale, casomai,
esistono altre forze che potrebbero essere imputate del ritardo scientifico, si
veda per esempio la nefasta influenza della Chiesa in merito ad alcuni aspetti
delle ricerche bioetiche. La mia perplessità nei confronti di Croce non
riguarda le pretese conseguenze della sua filosofia sullo sviluppo
tecnico-scientifico del nostro Paese. Mi sembra che sia una polemica datata e
ormai superata. Non credo che dalle posizioni antiscientifiche di Croce derivi
un ritardo della società italiana nei confronti della scienza. Quella di Croce
è una filosofia interessante sotto altri profili, ma poco interessante, quando
si parla di scienza e quindi è deficitaria sotto il profilo di una seria
trattazione del problema della conoscenza.» (Giulio Giorello), in È vero che
Croce odiava la scienza? - Dialogo tra Giulio Giorello e Corrado Ocone, Vincenzo
Matera, Angela Biscaldi, Mariangela Giusti, Elena Pezzotti, Elena Rosci,
Scienze umane - Corso integrato, Marietti Scuola,9. Benedetto Croce, La storia come pensiero e
come azione, Laterza, Bari, Nicola Abbagnano, Storia della filosofia, Lorenzo
Benadusi, Giorgio Caravale, George L. Mosse's Italy: Interpretation, Reception,
and Intellectual Heritage, Palgrave Macmillan, Sambugar, Salà, Letteratura
italiana Paolo Ruffilli, Introduzione
alle Operette morali di Leopardi, ed. Garzanti
Sebastiano Timpanaro, Classicismo e illuminismo nell'Ottocento
italiano Croce, Schopenhauer e il nome
del male Si riferisce a d'Annunzio,
Fogazzaro e Pascoli Riportato in Mario
Pazzaglia, Letteratura italiana III Benedetto
Croce, Del carattere della più recente letteratura italiana, in Letteratura
della nuova Italia, Bari, Dino Biondi, Il Resto del Carlino, Edizioni Nazionali
istituite anteriormente alla legge su Ministero per i Beni e le Attività
Culturali, concernente l'«Edizione Nazionale delle opere di Benedetto Croce.
Integrazione della composizione della Commissione» su Ministero per i Beni e le
Attività Culturali, VISTO il D.P.R. 14 agosto 1981 istitutivo dell'Edizione
Nazionale delle opere di Benedetto Croce».Bibliografia Guido Fassò, Croce,
Benedetto, in Novissimo Digesto Italiano, diretto da A. Azara e E. Eula, Torino,
Utet, Carlo Antoni, Commento a Croce, Venezia, Neri Pozza, Alfredo Parente, Il
pensiero politico di Benedetto Croce e il nuovo liberalismo, Sergio Solmi, Il
Croce e noi, in "La Rassegna d'Italia", La letteratura italiana
contemporanea, a cura di Giovanni Pacchiano, Milano, Adelphi). Fausto Nicolini,
Benedetto Croce, Utet, Torino, Ottaviano Giannangeli, Benedetto Croce a Raiano,
in "L'Osservatore politico letterario", Milano-Roma, (ora in Id.,
Operatori letterari abruzzesi, Lanciano, Itinerari). Damiano Venanzio Fucinese,
Dieci lettere inedite di Croce, in "Dimensioni", Lanciano, Ulisse
Benedetti, Benedetto Croce e il Fascismo, Roma, Volpe Rditore, Roma, Gennaro
Sasso, Benedetto Croce. La ricerca della dialettica, Napoli, Morano, Nicola
Badaloni, Carlo Muscetta, Labriola, Croce, Gentile, Roma-Bari, Laterza (in
part. di Muscetta: La versatile precocità giovanile di Benedetto Croce. Profilo
della sua lunga operosità, Critica e metodologia letteraria di Croce, Croce
scrittore: multiforme unità della sua prosa). Gianfranco Contini, La parte di
Benedetto Croce nella cultura italiana, in Altri esercizi, Torino, Einaudi, Gennaro
Sasso, La "Storia d'Italia" di Benedetto Croce. Cinquant'anni dopo,
Napoli, Bibliopolis, Paolo Bonetti,
Introduzione a Croce, Editori Laterza, Claes G. Ryn, Will, Imagination and
Reason: Babbitt, Croce and the Problem of Reality (1986). Emma Giammattei,
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Giuseppe Galasso, Croce e lo spirito del suo tempo, Milano, Il Saggiatore, Croce
e la cultura meridionale. Atti del convegno di studi, Sulmona-Pescasseroli-Raiano,
a cura di Giuseppe Papponetti, Pescara, Ediars, Toni Iermano, Lo scrittoio di
Croce con scritti inediti e rari, Napoli, Fiorentino, Antonio Cordeschi, Croce
e la bella Angelina. Storia di un amore, Milano, Mursia, Gennaro Sasso,
Filosofia e idealismo. I - Benedetto Croce, Napoli, Bibliopolis, Pier Vincenzo
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Visentin, Il neoparmenidismo italiano, I. Le premesse storiche e filosofiche:
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Bibliopolis, Guido Verucci, Idealisti all'indice. Croce, Gentile e la condanna
del Sant'Uffizio, Laterza, Roma-Bari, Girolamo Cotroneo, Croce filosofo
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della complessità, Soveria Mannelli, Rubbettino, Antonio di Mauro, Il problema
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Mustè, La filosofia dell'idealismo italiano, Roma, Carocci, Marcello Mustè,
Croce, Carocci, Roma, Emma Giammattei, I dintorni di Croce. Tra figure e corrispondenze,
Napoli, Guida, Giancristiano Desiderio, Vita intellettuale e affettiva di
Benedetto Croce, Macerata, Liberilibri,G. Galasso, La memoria, la vita, i
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Fondazione Luigi Einaudi, Silvestri Paolo, “Liberalismo, legge, normatività.
Per una rilettura epistemologica del dibattito Croce-Einaudi”, in R.
Marchionatti,Soddu (Eds.), Luigi Einaudi nella cultura, nella società e nella
politica del Novecento, Leo Olschki, Firenze, Silvestri P., Economia, diritto e
politica nella filosofia di Croce. Tra finzioni, istituzioni e libertà,
Giappichelli, Turin, Giuseppe Russo, Croce e il diritto: dalla ricerca della
pura forma giuridica all'irrealtà delle leggi, in Diacronìa. Rivista di storia
della filosofia del diritto, Voci correlate Istituto italiano per gli studi
storici Fondazione Biblioteca Benedetto Croce Liberalismo Manifesto degli
intellettuali antifascisti Premio nazionale di cultura Benedetto Croce. Treccani
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Benedetto
Croce, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana.Benedetto Croce, su Dictionary
of Art Historians, Lee Sorensen.Opere di Benedetto Croce / Benedetto Croce
(altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl.Opere di Benedetto Croce,
su Open Library, Internet Archive.Opere di Benedetto Croce, su Progetto
Gutenberg.Audiolibri d su LibriVox.(FR) Pubblicazioni di Benedetto Croce, su
Persée, Ministère de l'Enseignement supérieur, de la Recherche et de l'Innovation.Bibliografia
di Croce, su Internet Speculative Fiction Database, Al von Ruff.Benedetto
Croce, su storia.camera, Camera dei deputati.Benedetto Croce, su Senatori
d'Italia, Senato della Repubblica.Benedetto Croce, in Il contributo italiano
alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Scheda
sul sito del Senato, su notes9.senato. L'Istituto italiano per gli studi
storici fondato da Benedetto Croce, su iiss. La Fondazione Biblioteca Benedetto
Croce, su fondazionebenedettocroce. Una bibliografia di Benedetto Croce, su rivista.ssef.
Una bibliografia di Benedetto Croce con corredo di riassunti delle opere e
piccoli s aggi, su nuovorealismo.Biografia di Benedetto Croce con elenco opere,
su giornaledifilosofia.net. Il problema dell'impressione nella ricerca
filosofica del giovane Croce, su giornaledifilosofia.net. L'elenco dei volumi
dell'Edizione Nazionale, su bibliopolis. Benedetto Croce, su Camera - Assemblea
Costituente, Parlamento italiano. Le riviste di Benedetto Croce on line.
Accesso full text a «La Critica. Rivista di letteratura, storia e filosofia» ai
«Quaderni della “Critica”» su bibliotecafilosofia.uniroma1. Benedetto Croce, il
filosofo liberale, sul RAI Filosofia, su filosofia.rai. Alessandra Tarquini,
Benedetto Croce, il filosofo liberale, Radio3, Benedetto Croce. Keywords.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Croce: implicatura: intenzione, espressione, e
communicazione”
curcio (Noto). Filosofo. Grice:
“Curcio is what we could call at Oxford a poet; he wrote a little book
‘Esistentee,’ an obvious parody on Sartre, ‘L’essistentialismo e un umanesimo.’
– His background is philososophical though, and it shows!” Ensegna a Noto e
Messina. Direttore Generale per l'Ordine Ginnasiale. Altre opere: “Armonia e dissonanza” –
consonanza e dissonanza (Noto) – etimologia di armonia – cognata con ‘armento’
e ‘aritmetica’ – “La sfinge” – “La piramide”. “Il prezzo della salute” (Noto).
Commenti, libri I-XXIV – Roma” – “Il giro del templo” (Bonacci, Roma);
“Mottetto” (Bonacci, Roma); “Fugato” (Bonacci, Roma); “II grano di follia”
(Bonacci, Roma); “Senza più peso” (Bonacci, Roma); “Assolo, (Bonacci, Roma); “A
due voci” (Bonacci, Roma); “L'avita vocazione” (Bonacci, Roma); “Esistente”
(Bonacci, Roma); “Altri occhi” (Bonacci, Roma); “Le due cene” (Bonacci, Roma);
“Sitio” (Bonacci, Roma); “Consummatum” (Bonacci, Roma); “Derelictus” (Bonacci,
Roma); “In horto” (Bonacci, Roma); “Paradossale” (Bonacci, Roma); “Felix”
(Bonacci, Roma); “Deliramentum” (Bonacci, Roma). Corrado Curcio. Keywords: esistenti
-- Lucrezio, Foscolo, Leopardi, Alighieri, Gentile, Diano, Sicilian philosophy.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Curcio” – The Swimming-Pool Library.
Curi (Verona).
Filosofo. Grice: “I like Curi; unlike me, we would call him a prolific
philosopher; my favourite are his reflections on ‘eros’, ‘amore’ and bello, but
he has also written on various topics related to maleness -- Si laurea a Padova. Insegna a Padova. Membro
dell’Istituto Gramsci Veneto. Formatosi alla scuola di Diano, Gentile e Bozzi, incontra
Cacciari. A partire da quel topos, si avvia un sodalizio estremamente solido e
fecondo, all'insegna di una comune ricerca del nuovo, e di un impegno
teoretico rigoroso, che va oltre il piano strettamente della speculazione, in direzione
di una pratica civile. Filosofa sul nesso politica-civilita e guerra e sul
concetto di ‘polemos’ – cf. Grice epagoge/diagoge “”War is war” – Eirene --,
lungo la linea che congiunge Eraclito a Heidegger. Valorizza la narrazione, sia
intesa come mythos, sia concepita come opera cinematografica. Medita su alcuni
temi fondamentali dell'interrogazione filosofica, quali l'amore e la morte, il
dolore e il destino. Altre opere: “Endiadi: figure della dualità”
(Feltrinelli, Milano); “La filosofia come ‘bellum’” (Bollati Boringhieri,
Torino); “La forza dello sguardo” – Lat. vereor – warten: to see --; “Meglio
non essere nati: la condizione umana” – cf. la condition humaine”, Malraux);
“Lo schermo” (Raffaello Cortina Editore, Milano); “Un filosofo al cinema,
Bompiani, Milano).Quello che non e filosofo, ma ha soltanto una verniciatura di
casi umani, come il maschio abbronzato dal sole, vedendo quante cose si devono
imparare, quante fatiche bisogna sopportare, come si convenga, a seguire tale
studio, la vita regolata di ogni giorno, giudica che sia una cosa difficile e impossibile
per lui. A questo maschio bisogna mostrare che cos'è davvero la filosofia, e
quante difficoltà presenta, e quanta fatica comporta.” (Platone, Lettera
settima). La libertà non è soltanto l'essere-liberati DA lle catene né soltanto
l'esser-divenuti-liberi PER la luce, ma l'autentico essere-liberi è essere-liberatori
DA il buio. La ridiscesa nella caverna non è un divertimento aggiuntivo che il
presunto "libero" possa concedersi così per svago, magari per
curiosita. E esser-ci dentro tutto, essa soltanto, il compimento autentico del
divenire liberi. Heidegger, L'essenza della verità, Franco Volpi, Milano).Ne “La
brama dell'avere” si ha un attento e puntuale riesame sia storico-filosofico
che critico-filologico della fondamentale categoria esistenziale dell'”avere” –
“the have and have-nots” -- alla luce dell'odierno
assetto socio-comunitario. Cf. Grice on “H” for “Hazzes” “x H y” Curi focuses on ‘ekhein’ which would then
correspond to Grice’s “H” --. Altre opere: “Il coraggio di pensare,
manualistica di filosofia, Loescher editore, Torino); “Il problema dell'unità
del sapere nel comportamentismo” (CEDAM, Padova); “Analisi operazionale e operazionismo”
(CEDAM, Padova); “L'analisi operazionale della psicologia” (Franco Angeli,
Milano); “Dagli Jonici alla crisi della fisica” (CEDAM, Padova); “Anti-conformismo
e libertà intellettuale: per una dialettica tra pensiero e politica” (Padova) –
cfr. Grice on non-conformismo – “Psicologia e critica dell'ideologia” (Bertani,
Roma); “La ricerca” (Marsilio, Venezia); “Katastrophé. Sulle forme del
mutamento scientifico” (Arsenale Cooperativa, Venezia); “La linea divisa.
Modelli di razionalita' e pratiche scientifiche nel pensiero occidentale” (De
Donato, Bari); “Pensare la guerra. Per una cultura della pace” (Dedalo, Bari) –
cf. Grice on ‘eirenic effect’ – pax et bellum – si vis pacem para bellum. ex
bello pace. “Dimensioni del tempo” (Franco Angeli, Milano); “Einstein”
(Gabriele Corbo, Ferrara); “La cosmologia filosofica” (Gabriele Corbo,
Ferrara); “La politica sommersa. Per un'analisi del sistema politico italiano,
Franco Angeli, Milan); “Lo scudo di Achille. Il PCI nella grande crisi” (Franco
Angeli, Milano); “L'albero e la foresta. Il Partito Democratico della Sinistra
nel sistema politico italiano, con Paolo Flores d'Arcais, Franco Angeli,
Milano); “Metamorfosi del tragico tra classico e moderno, Bari); “La repubblica
che non c'è” (Milano); “Poròs. Dialogo in una società che rifiuta la bellezza,
Milano); L'orto di Zenone. Coltivare per osmosi” (Milano); “Amore duale”
(Feltrinelli, Milano); “Platone: Il mantello e la scarpa” (Il Poligrafo,
Padova); “Pensare la guerra. L'Europa e il destino della politica, Dedalo,
Bari); “Pólemos. Filosofia come guerra, Bollati Boringhieri, Torino); Ombra
della’ idea. Filosofia del cinema fra «American beauty» e «Parla con lei»,
Pendragon, Bologna); “Filosofia del Don Giovanni. Alle origini di un mito
moderno, Bruno Mondadori, Milano); “Il farmaco della democrazia. Alle radici
della politica, Marinotti, Milano); “La forza dello sguardo, Bollati
Boringhieri, Torino); “Skenos. Il Don Giovanni nella società dello spettacolo”
(Milano); “Libidine” (Milano). Un filosofo al cinema, Bompiani, Milano); Meglio
non essere nati. La condizione umana tra Eschilo e Nietzsche, Bollati
Boringhieri, Torino); Miti d'amore. Filosofia dell'eros, Bompiani, Milano); Pensare
con la propria testa” (Mimesis, Milano); “Straniero, Raffaello Cortina Editore,
Milano); “Passione” (Raffaello Cortina Editore, Milano . La porta stretta. Come
diventare maggiorenni” (Bollati Boringhieri, Torino); “I figli di Ares. Guerra
infinita e terrorismo, Castelvecchi, Roma . La brama dell'avere; Il Margine,
Trento); “Il mito di Narciso sul Umberto
Curi. Keywords: have, habere, habitus, comportamentismo, behaviourism. La brama
dell’avere, anticonformismo, guerra e pace – Eirene – cosmologia anthropologia –
l’orto di Zenone – lo scudo d’Achille – I figli di Marte -- il mantello e la scarpa libido -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Curi” – The Swimming-Pool Library.
cusani:
(Solopaca).
Filosofo. Grice: “I love Cusani; for one, I was born at Harborne, but nobody
cares; Cuasani was born in Solopaca, and there’s a ‘corso Cusani’, and a
‘Biblioteca Cusani’.” Grice: “Cusani would have been friend with Bosanquet;
both are Hegelians – Italians, after SOME Germans, were the first to endorse the
philosophy of the absolute spirit inmanent to dialectic – Cusani does attempt
to respond to a criticism on the ‘assoluto’ brought up by Hamilton (of all
people), and consdtantly refers to the ‘metafisica dell’assoluto’ – a ‘progetto,’
he humply titles it!” Figlio di Filippo e Caterina Cardillo, nacque al capoluogo
distrettuale e di comprensorio del Regno delle Due Sicilie. Membro dei
Pontaniani. Frequenta il circolo del marchese Basilio Puoti, insieme a Sanctis
e Gatti. Punto di partenza della sua
filosofia, comune a buona parte del circolo del’hegelismo di stanza a Napoli,
dei quali e un esponente, fu Cousin, il fondatore della “storiografia
filosofica”. Insegna a Montecassino, e al collegio Tulliano di Arpino, dove fu
affiancato da Spaventa, chiamato poi a sostituirlo. Si stabilisce a Napoli nel
proprio studio privato. I saggi di Cusani furono pubblicati su “Il progresso
delle scienze, delle lettere e delle arti” e “Museo di filosofia”. La seconda
fu da lui stesso fondata. Molti dei saggi di filosofia più impegnati furono
pubblicati in L’Antologia, di Firenze. Scrisse inoltre note e recensioni nel
periodico l'Omnibus e nella Rivista napolitana.
Molte delle sue opere sono archiviate presso la Biblioteca "Stefano
Cusani" di Solopaca. Idealista
hegeliano ed esponente dell’ecletticismo filosofico di Cousin. Opere: “Della
fenomenologia, il fatto di coscienza intersoggetiva”; “Del metodo filosofico”;
“Storia dei sistemi filosofici”; “Della materia della filosofia e del solo
procedimento a poterlo raggiungere”; “Il romanzo filosofico”; “La poesia
drammatica”; “L’assoluto – l’obbjezione d’Hamilton”; “Logica immanente e logica
trascendentale”; “Compendio di storia di filosofia”; “Della lirica considerata
nel suo svolgimento storico e del suo predominio sugli' altri generi di
poesia”; “Economia politica e sua relazione colla morale”; “L’essere e gli
esseri: disegno di una metafisica”; “Percezione dell’esistenza”. Nel comune di
Solapaca è stato indetto nel un anno di
celebrazione in occasione del centenario della nascita nel comune di Solopaca.
Il corso Stefano Cusani gli è stato intitolato a Solopaca. Sanctis lo cita
nella autobiografia. Cusani dato alla stessa filosofia, ha maggiore ingegno del
superbissimo Gatti, ed e mitissima natura d'uomo. Sale al tavolo degli oratori
con tale fervore dialettico che a tutta la persona grondava onorato sudore» (G.
Giucci, Degli scienziati italiani formanti parte del VII congresso in Napoli
nell'autunno del 1845: notizie biografiche, Napoli. L'amico coetaneo Cesare Correnti, patriota
milanese legato ai circoli Napoli, insegnante nella Scuola di lingua italiana
da lui fondata, gli dedicò un necrologio. Ecco un altro amico, un'altra fiorita
speranza di questa nostra Napoli sparire a un tratto a noi d'intorno. Ben dissi
a un tratto, poiché la sua non lunga malattia parve un momento agli amici. La
filosofia specialmente nol sedussero, in modo che a più severi studi non
volgesse l'acuto e fervidissimo spirito, e a bella armonìa si composero
nell'anima sua. Rivista europea», ripr. in Scritti scelti, T. Massarani, Forzani,
Roma). «Rivista europea», ripubblicato in Scritti scelti, T. Massarani,
Forzani, Roma, Dizionario biobibliografico del Sannio, Napoli, "Il Progresso",
"Il Lucifero","Omnibus"; "Rivista napolitana", Sanctis,
La letteratura ital. nel sec. XIX, II, La scuola liberale e la scuola
democratica N. Cortese, Napoli; G. Oldrini, Gli hegeliani di Napoli. A. Vera e
la corrente "ortodossa" (Milano); F. Zerella, Filosofia italiana meridionale”;
“Dall'eclettismo all'hegelismo in Italia”. Cusani e la filosofia italiana:
Vico, Galluppi, Mamiami, Colecchi, Rosmini. Nasceva
in Solopaca, una volta Distretto di Caserta, oggi Circondario di Cerreto
Sannite (Benevento) il 23 dicembre 1816, Stefano Cusani da Filippo e Caterina
Cardillo. Suo padre, insigne avvocato, fu sollecito della educazione di questo
come di altri quattro suoi figliuoli, che, affidati alle cure di un suo
fratello germano a nome Matteo, sacerdote, mandolli in tenera età a
imcominciare e compiere i loro studî in Napoli. Ivi Stefano, ch'era il
secondogenito di cinque fratelli, frequentava i più rinomati Istituti privati
di quel tempo (che allora l'insegnamento pubblico esisteva sol di nome),
si distingueva fra gli altri condiscepoli in ognuno di questi, così che in
breve, compiuti gli studi letterarî fu giocoforza mettersi a studiare le
scienze della facoltà che doveva seguire. Fu questo il solo brutto periodo di
sua vita. Suo padre voleva fare di lui un Avvocato civile, come suol dirsi, e
quindi fu obbligato a studiare leggi e pandette, per le quali discipline non si
sentiva la benchè minima inclinazione, anzi, a dir vero, sentiva per esse la
più marcata avversiono; ma buon figlio e docile essendo, per non dispiacere al
padre, che tanti sacrifizî avea fatti e faceva per lui, come per gli altri
fratelli, a malincuore sempre, ma sempre tacendo, giunse fino ad esser
Avvocato, ed a fare la pratica presso uno de'luminari del Foro Napoletano. Da
questo momento incomincia il suo grande sviluppo intellettuale. Non potendone
più, la rompe col padre, dicendosi avverso ai processi, ed allo studio di essi,
e ad ogni altro artifizio da causidico. La rompe con quella pratica noiosa, che
tralascia ed abbandona; ed ottiene dal padre stesso, che ragionevole e savio
uomo era, di poter attendere a quegli studi che più alla sua indole si
affacevano. Fioriva in quel tempo, a Napoli, la scuola del Marchese Basilio
Puoti, ed egli, incontratosi con Stanislao Gatti che fu poi indivisibile amico
e compagno, vi si getto a capofitto, e fu in poco tempo il più caro e pregiato
discepolo del Marchese, come l'amico e compagno del De Sanctis, del Mirabelli,
e di tutta quella pleiade che in quel tempo arricchirono Napoli di filosofi
insigni. Ma a quell'ingegno che s'andava ogni giorno più sviluppando e
fortificando di sani e severi studî, parve angusto oramai quest'orizzonte, o
volse l'ala, e la di instese con intensità ed ardore allo studio della
filosofia. Ben cinque anni decorsero di volontaria prigionia nel suo
studiolo, ovo ridottosi, o giorno e notte indefessa mente attendeva a'
prediletti studî, e si beava di leggere Platone nel testo, chè familiare la
lingua gli era ; come pure si fece a studiare la lingua alemanna per
mettersi al corrente dei progressi della filosofia, e per meditare e studiare
le dottrine e teorie dell'Hegel, ultimo filosofo tedesco di quella epoca.
Uscito dopo questa epoca a nuova vita incominciò a scrivere sul Progresso, una
Rivista di scienze e letteratura, diretta dal Baldacchini, articoli su
questioni filosofiche; e, dopo un anno, era già conosciuto in tutta la Napoli
pensante. In questo torno di tempo si apri un concorso per la Cattedra di
filosofia e matematica, nel Collegio Tulliano di Arpino, e lui fu prescelto per
titoli ad occuparla. Vi andò e vi trovò il suo amico Emmanuele Rocco, che
v'insegnava letteratura. Vi stette un anno e vedendosi in una cerchia troppo
angusta alla sua attività, si dimise, e fece ritorno in Napoli, conducendo con
sè anche l'amico Rocco. Quivi apri studio privato unitamente al Gatti di
filosofia, e dal bel principio quello studio fioriva per numerosa gioventù, che
accorreva a udire le sue lezioni. In breve fu lo studio più affollato di
Napoli. Le ore che aveva libere dallo insegnamento le occupava a scrivere
articoli di filosofia che si pubblicavano sulle Riviste Napoletane di quel
tempo, il Progresso che usciva in fascicoli voluminosi, la Rivista Napoletana
di Scienze, Lettere ed Arti, il Museo di Scienza e Letteratura, ove
collaboravano per la lor parte Antonio Tari, Francesco Trinchera, ed altri; e
sul Progresso il Colecchi ed altri. Non andò guari e s'incontrò col
Mamiani in quistioni di alta Metafisica, o ne usci onorato dell'amicizia e
della riverenza dell'insigno filosofo. Il suo intelletto altamente speculativo
destava ammirazione perchè si elevava ad altezze tali filosofiche che non gli
si potevano contrastare. In quel tempo si agitò una polemica tra V.
Cousin, filosofo francese, ed un insigne filosofo inglese, il cui nome ora non
mi sovviene; dopo varî articoli scambiatisi parea che l'inglese avesse preso il
di sopra, ed il Cousin, che lui credeva più dell'altro stare nel vero, avesse
dovuto soccomberé. Allora senza frapporre tempo in mezzo egli entrò terzo nella
quistione e scrisse epubblico una serie di articoli che costrinse l'inglese a
desistere dalla polemica, ed il Cousin a scrivergli una lettera di
ringraziamenti e di felicitazioni, e con la quale lo chiamava, e si firmava suo
cugino. Si radunava il Congresso dei Filosofi in Napoli nell'ottobre del
1845, o lui ne dovea far parte; ma non sapendosi se il Borbone lo avesse
permesso, o meno, erasi ridotto in patria a villeggiare con la moglie e due
piccini, l'uno lattante e l'altro di due anni. Il Congresso fu permesso, i
filosofi si riunirono in Napoli, e lui fu invitato espressamente a farvi
ritorno; che anzi il Presidente della Sezione “Filosofia speculativa” a cui
egli apparteneva, non volle aprire la sessione s'egli non fosse arrivato. Cosi
corse in Napoli solo, lasciando in patria la famiglia, che poi sarebbe andato a
rilevare, dopo finito e sciolto il Congresso. Fu questa la causa della sua
morte! Arrivato in Napoli vede gli amici - con essi si intrattiene passeggiando
-- suda; è l'ora già che s'apre la Sessione -- essi ve lo accompagnano a piedi
per goderselo di più -- vi si arriva. Egli era sudatissimo -- entra e n'esce
dopo quattro lunghe ore di discussione; quel sudore lo avea già colpito a
morte. Si riduce a casa, si ricambia le mutande - la camicia era troppo
tardi! Incomincia dopo poco tempo una tosse secca, stizzosa, ch'egli non cura,
perchè forte e robusto era; e questo fu il peggiore dei divisamenti. Ritorna in
patria per ripigliare la famiglia e ridursi in Napoli, poiché si era alla
vigilia del novembre. Si riapre lo studio, si riprendono le lezioni; il maggior
numero degli alunni affluito gli rinfocola l'ardore, ch'ei metteva in esse, e
parla dalla cattedra per lunghe ore, e poi agli alunni più provetti che gli
propongono dubbi o problemi a risolvere, parla pure ad alta voce, e quella
tosse insidiosa non lo lascia, anzi invida della sua noncuranza lo avverte
spesso del suo malefico potere, interrompendogli il discorso, e forzandolo per
poco a tacere. Le cose durarono ancora così per altri 10, o 12 giorni, e
finalmente la emottisi tenne dietro a quella tosse funesta, e fu giuocoforza
sottomettersi a quanto l'arte salutare poteva e sapeva consigliare, ma invano
tutto! Chè una tisi florida si svolse, ed in meno di due mesi si spense la
robusta complessione di S. Cusani! Tale fu quest'uomo, che a 30 anni la morte
rapiva a'suoi, alla scienza, alla patria. Nato a 23 dicembre 1816, moriva a 2
gennaio 1816. Dissi rapito alla patria, e giustamente, poichè egli da
giovanissimo appartenne alla Giovine Italia, e in Napoli fu sempre il più
ardente fra i patrioti. Egli con altri preparò e cooperò con ardore al
movimento del '18 che poi non potė vedere! La sua casa era il convegno di Carlo
Poerio, L. Settembrini, S. Spaventa, P. Mancini, e di tutti gli altri illustri
compromessi politici di quel tempo, con i quali si congiurava, si
faceva propaganda, e si organizzava la rivoluzione. Fu cosi caro a questi tutti
che se un giorno solo nol vedeano, si tenea por certo la visita loro in sua
casa; ed il Poerio, addoloratissimo della sua malattia, volle ed ottenne che
fosse stato medicato, curato ed assistito infino all'ultimo istante di sua vita
dal fido o dotto medico Alessandro Lo Piccolo. L'esequie furono imponenti pel
concorso di amici, che formavano tutte le notabilità scientifiche,
patriottiche e letterarie. Il lutto per la sua perdita fu sentito generalmente
per Napoli, che in lui salutava la giovine scienza, e che per lui si metteva a
paro di altre città d'Italia, che fiorivano per altissimi ingegni ed insigni
filosofi, come il Mamiani, il Rosmini, il Gioberti, ed altri, se quella vita
non si fosse spenta nel mezzo del cammino! La cura della filosofia di
Cusani d’Ottonello ha il merito di riproporre all’attenzione una figura di
rilievo della cultura filosofica napoletana dell'Ottocento. Benché scomparso in
giovanissima età, nel gennaio 1846 (eranato nel dicembre del 1815, o forse del
1816, come i piú sostengono), Cusani lascia di sé traccia profonda,
testimoniata dalla considerazione in cui e tenuto, per tacer d’altri, da
Sanctis, o dalla valutazione che di lui dette Gentile. Con Gatti ed altri può
essere inserito - come nota il curatore nella nitida e puntuale introduzione
nell'ambito dell'hegelismo napoletano, oltrecché in quello piú generale
dell'eclettismo alla Cicerone. Opportunamente si avverte però che Hegel
costituisce per Cusani un potente polo d'attrazione, ma non il filosofo
fondamentale. In realtà si può forse con fondamento aggiungere, pur senza
ricorrere ad una indagine falsamente sottile, che resta in ombra, nellepur
autorevoli e acute analisi dedicate alle ascendenze cousiniane ed hegeliane di
Cusani, un filosofo fondamentale che sicuramente ispira la filosofia piú
significativa di Cusani: Vico. La costruzione del sistema eclettico cui Cusani
dichiara di dedicarsi segna una fase già tarda dell'eclettismo napoletano e giungeva
al termine di un decennio assai ricco di suggestioni in questa direzione negli
ambienti culturali napoletani. È sicuramente da condividere l'affermazione del
curatore secondo il quale il sincretismo avvertibile in Cusani non impedisce
però l'emergere di un nucleo speculativo che deborda dalla semplice trama delle
affermazioni altrui. In questo senso il problema del metodo filosofico e il
connesso problema della storia italiana segnano sin dall’inizio lo sforzo
speculativo di Cusani, la cui originalità trova subito sulla sua strada Vico.
Collaboratore della Temi napoletana, dell'Omnibus letterario, scrive
prevalentemente sul “Progresso.” Sin dalprimo scritto, Filosofia in Italia, il
tema della storia italiana appare questione teorica centrale. Non a caso una
ricerca storica da l'occasione a Cusani di porre il problema che gli sta
acuore, sin dalla citazione tratta da Guizot che apre la nota. I fatti sonomeme
affermazioni al problema della storia trova subito sumanibus letterario ma are
i grandiuti al fatto che risguardato, en per il pensiero, ciò che le regole
della morale sono per la volontà. Egli è tenuto di conoscerli, e di portarne il
peso, ed è solo allorché ha sodisfatto a questo dovere, e ne ha misurato e
percorso tutta l’estensione, che gliè permesso di montare verso i risultamenti
razional. Il rinnovato interesseper la storia italiana che si registra-- che né
l'Antichità, né i tempi di poco anteriori a questi che viviamo avevano mai
risguardato -- non sembrano a Cusani casuali, ma dovuti al fatto che
l'intendimento si rivolge a indagare i grandi ordini di fenomeni per scoprire e
prendere inconsiderazione i fatti e le ragioni, una storia ed una filosofia. Il
bisogno di comprendere e giudicare il fatto, piuttosto che esserne solo
spettatore (e dunque di verificare una diversa attitudine della storia
italiana), esalta questa parte immortale della Storia, cioè il conoscere il
legamento fatalista della causa e dell’effetto, le ragioni, i fatti generali,
le idee da ultimo ch'essi celano sotto il manto della loro esteriorità. Onde
ch’egli è d'uopo sceverar con chiarezza e con precisione la differenza di
queste due parti della storia italiana che sono per cosí dire il corpo e
l'anima, la parte materiale, e la parte spirituale di tutti gli avvenimenti
esterni e visibili, che compongono la nazione italiana, secondo che dice Vico.
Il rifiuto, che Cusani trae dalla lezione vichiana, di affidarsi a pre-mature
generalità, e con formole metafisiche per soddisfare il mero bisogno
intellettivo, è una traccia decisiva per comprendere il suo pensiero.
L'annotazione di Gentile, secondo il quale l'osservazione storica non è piú
l'integrazione della psicologia, bensí la costruzione stessa della filosofia,
può commentare l'intero itinerario filosofico di Cusani, che si consuma
nell'arco di pochissimi anni. Il discorso sul metodo che Cusani compie si basas
in dall'inizio su una acquisizione precisa: un sistema o una filosofia
consistono nel loro stesso metodo. Nel primo saggio veramente organico (Del
metodo filosofico e d'una sua storia infino agli ultimi sistemi di filosofia
che sono si veduri uscir fuori in Germania – Hegel -- e in Francia -- Cousin)
Cusani parla addirittura di un metodo generale, il quale presiede
all'investigazione dell'unica e universal verità. La filosofia è dunque la
regina scientiarum che consente di ricondurre ad “unità” il sapere, e a tal
pro-posito l'assimilazione dei termini è dichiarata apertamente, a proposito
dell’analisi psicologica, la quale segna il punto di partenza della
riflessione, ed è la base unica dell'immenso edificio filosofico, il solo
solido fondamento, il suo atrio e il suo vestibolo. E nel saggio, “Del reale
obbietto di ogni filosofia” (Il Progresso) ribadisce e chiarisce che lo studio
de’ fatti della natura umana, o de’ fenomeni psicologici, vuoto del tutto
riuscirebbe, se invece di tenerlo come base d'ogni ulteriore investigazione, si
volesse considerare come il termine stesso della filosofia. Il secolo
decimottavo si è trovato dunque di fronte al centrale problema del metodo filosofico.
Se è vero che nella storia italiana è tutta quanta la filosofia italiana,
occorre riconoscere il merito insuperabile di quella mente divinatrice e
profonda che avea posta nel mondo la nazione italiana. Vico, definito – nella
nota sul Nuovo Dizionario de sinonimi della lingua italiana di Niccolò
Tommaseo, quell'altissimo lume d'Italia, con una locuzione che introduce un
discorso, ingiustamente trascurato, sulla tradizione filosofica meridionale,
piú volte ripreso dal Cusani. Lo studio di Vico qui esaminato è appunto il “De
antiquissima Italorum sapientia”; nel quale potentemente convinto della
relazione che stà tra il pensiero (l’animus, il segnato) e la parola (il
segno), fecesi ad investigar quello degli antichi romani e italici nostri
maggiori, cavandolo per avventura da quella lingua italiana ch'era nelle bocche
volgari degli uomini. Il rapporto tra spontaneità e riflessione, che tanta
parte ha in Cusani, è dunque introdotto sotto il segno di Vico. Si ponga mente
alle affermazioni che seguono il passo già citato, allorché Cusani insiste sul
fattoche veramente il Vico porta opinione che tutto l'antico (antichissimo)
pensiero o sapienza italiana era in quella lingua italiana ch'egli disamina, e
dalla quale intende rimetterlo in luce, e che se la lingua italiana non e opera
di un filosofo, ma sibbene il prodotto spontaneo delle facoltà nell'uomo
italiano, se innanzi che venissero adoperate nella costruzione e nel
concepimento del sistema di un filosofo, di cui pur e il necessario strumento
espressivo e communicativo, esisteva nella massa de’ popolo italiano. Insomma,
quella che è stata chiamata la svolta hegeliana del Cusani, va valutata alla
luce di una ispirazione legittimamente riferibile a Vico. Si veda il Saggio su
la realtà della humanitas di Vincenzo De Grazia (Il Progresso), già sul crinale
della svolta hegeliana. L'epigrafe di Cousin posta all'inizio ritorna sul
problema che sta a cuore a Cusani, e che ne determina l'originale ricerca. Ci
ha due spezie di filosofie. La prima spezie di filosofia studia il fatto, lo
disamina, e lo descrive, riordinandoli secondo le loro differenze o
somiglianze, e potrebbesi però denominare filosofia “elementare” o immanente.
L’altra spezie di filosofia comincia ove si ferma la prima, investigando la
*natura* de’ fatti, e intendendo di penetrare la loro ragione, la loro origine,
il lor fine, e potrebbesi denominare filosofia trascendente, o filosofia prima.
La citazione dai Frammenti filosofici serve in realtà a Cusani pergiungere alla
fondamentale affermazione secondo cui, esaurita nel secolo precedente la
filosofia elementare, e necessario che si cominciasse asentire il bisogno di
nuovi problemi, e che l'ontologia ricomparisse nel dominio della speculazione
filosofica. Insomma la disamina del fatto immanente elementare (il segno) deve
servire a rintracciarne la natura, le origini, le relazioni, che è il vero fine
supremo della filosofia prima. Ma questo è possibile (e l'eclettismo di Cusani
si dimostra non mero sincretismo, ma sapiente innesto di elementi concorrenti a
rafforzare le personali ipotesi speculative) soprattutto all’italiano, chi può
vantare una tradizione filosofica ininterrotta che ha in Vico il suo vate
supremo. Il bisogno dell’ontologia ha ulteriori ragioni in Italia, dove la
filosofia trova terreno fecondo emotivo di continuità. Ed è la tradizione
ontologica de’ filosofi italiani, e il predominio costante della filosofia
prima o trascendente in Italia sulla elementare o immanente, non solo in tempi
che era cagione universale nel mondo della scienza, ma eziandio allorché
fortemente altrove ponevasi la base d'ogni filosofia ed all'apo genere a nostri
e quell'indole elementare, e molto studiavasi in essa. Di qui nacque
quell'indole speculativa che si è sempre accordata in genere al filosofo
italiano, anche quando discendevano alla pratica ed all'applicazione de’
principi. É di vero se si pon mente alla Storia, e si consideri che dalla
scuola italica di Crotone o da Pittagora suo fondatore, passando per i filosofi
di Velia (Senone), arrivando fino all’apparizione di quella meraviglia del
Vico, si troverà che la verità da noi accennata apparisce luminosa e in tutta
la sua pienezza. Dunque continuità della tradizione, rivendicazione della
propria originalità speculativa, e soprattutto applicazione esemplare del
metodo storico come proprio della storia della filosofia. Già affrontando il
problema della fenomenologia semiotica, Cusani non manca di annotare, con una
affermazione che resta sostanzialmente immutata nella sua produzione, a riprova
del vichismo naturale della sua ispirazione, che l’italiano è cosí fortemente
incluso intutta la morale che ne forma il subbietto perenne, e non si può farne
astrazione senza far crollare tutto l'edificato da quelle. Del resto nel saggio
Del reale obbietto d'ogni filosofia, posto sotto il segno di Vico – la cui “De
constantia Philosophiae” fornisce l’epigrafe, Cusani ha chiarito che la umana
intelligenza, di cui si ricerca e scopre una storia naturale, una volta
esaurita l’investigazione della natura, ripiega progressivamente verso il
subbietto stesso di quelle investigazioni, e rientrando dall'esterno
nell'interno, fa se stessa obbietto della sua conoscenza. La morale nasconode
questo percorso, allorché il filosofo ritorna sopra se stesso dopo indagare il
mondo esterno. La svolta hegeliana può a questo punto arrivare, ma a sua volta
innestandosi su questa ricerca di una legge onde si regge il mondo. Il dilemma
su un oggetto immutabile della conoscenza, e della mutabilità al tempo stesso
del fatto che il pensiero trascendente va indagando, diventatra la questione
centrale. Spesso Cusani torna nella sua opera, che riesce difficile in questa
sede indagare in dettaglio, sulle permanenze della storia italiana e sulle
variazioni. Nel Saggio analitico sul diritto e sulla scienza ed istruzione
politico-legale d’Albini, significativamente impostato il tema, e sempre
ricorrendo a Vico. In Italia fu primo tra tutti Vico che intende ala ricerca
d'un principio universale ed immutabile del diritto e che questo ponesse nella
ragione, unica fonte dell'assoluta giustizia, distinguendo esattamente il
diritto universale, o filosofico, dal diritto storico. Anzi, la debolezza della
cultura filosofica italiana può essere addebitata al mancato studio di Vico il
cui esempio non frutto gran bene, ch'io mi sappia all'Italia,non essendo le sue
teorie accettate da'suoi contemporanei, perché forse troppo superiori
all'intelligenza comune, fino al punto che l’italiano perde, com'a dire, la sua
particolare fisionomia, rivestendo un'indole forestiera – come i fanatici di
Hegel con la sua lingua foresteriera! -- Se non che questo che al presente
diciamo fu molto piú pronunciato in Beccaria e Verri non furono che
perfettissimi seguitatori dell'Helvelvinitius e del Rousseau, quanto
all'ipotesi del Contratto sociale, che in il vichismo dunque, se accolto,
avrebbe garantito la continuità e originalità della filosofia italiana. Infatti
la cultura napoletana da in questo senso testimonianza della continuità
speculativa della filosofia proprio attraverso la tradizione vichiana.
Filangieri, ma soprattutto Pagano, ritennero l'elemento tradizionale italiano,
che li riannodava a tutta l'erudizione. Anche quando nel Museo di letteratura e
filosofia soprattutto, e la Rivista napoletana, piú evidente si coglie la
lettura di Hegel, Cusani testimonia la persistenza sicura della lezione
vichiana. Senza rotture, ma sviluppando le tematiche e gli interessi, nel
saggio Della lirica considerata nel suo svolgimento storico, ove – come ha
notato Oldrinisi incontra un esplicito richiamo alle lezioni hegeliane di
filosofia della storia, Cusani riprende con vigore la questione fondamentale.
Ora poiché l'uomo è il subbietto storico per eccellenza a volere istabilire lal
egge che governa tutte le accidentalità variabili delle vicende umane, la filosofia
non puo che cercarla nelle modificazioni della stessa umanita. Questo punto di
partenza, che il Vico, per il primo, prescrisse alla filosofia della storia,
facendo che le sue ricerche rientrassero nella coscienza psicologica
dell’italiano, e si cercasse di spiegar questo per mezzo della sua propria
natura, ma eziandio tutti i fatti di cui egli è causa, ingenera tanto
vantaggio, che da un lato tolse la specie umana dall'esser considerata come
mezzo da servire ad altri fini, e dall'altro la rialza sopra la natura, di cui
vuole sene fare prodotto o artificio. In che misura l'hegelismo, rintracciabile
nella preoccupazione di garantire l'unità del sistema attraverso l'unità della
filosofia, deve tener con toda un lato della matrice vichiana del pensiero di
Cusani e dall'altro dello sforzo di costruire l'edificio eclettico della
filosofia in modo originale? Andrebbe qui indagato, con cura e minuziosità che
questa sede non consente, il tema del senso comune in piú luoghi richiamato da
Cusani. Sipensi al saggio apparso sul « Museo », Idea d'una storia compendiata
della filosofia, proprio dove il tema della filosofia assume intonazioni
sicuramente hegeliane. Purtuttavia, sebbene l'uomo sia conscio nell'intimo
della sua coscienza della sua libertà, e riconosca in sé stesso il potere di
cominciare una serie di atti, di cui egli è causa; ciò nondimeno non può non
iscorgere eziandio, che la sua volontà è posta sotto il dominio e la soggezione
d'una legge, che diversamente vien denominata secondo che diverse sono le
occasioni, alle quali essa si applica, contrassegnandosi ora come legge morale,
ora come ragione, ed ora comesenso comune. L'indipendenza speculativa che
Cusani manifesta nel rimeditare tutti i contributi all'interno della sua
riflessione è evidente, e su questo tema operante nei confronti dello stesso
Vico. Esaminando la questione del fatalism e della libertà (giustamente si
ricorda come sia questa la questione piú importante che si possa scontrare
nella filosofia della storia, dai primi agli ultimi scritti presente inche di
sua volone causar in Cusani), nell'Idea d'una storia compendiata della
filosofia, Cusani ha qualcosa da rimproverare a Vico stesso, da altri peraltro
erroneamente collocate tra gli storici fatalisti -- cosí Livio si distingue da
Machiavello e da Vico; e sebbene Livio da maggiore influenza alla parte passiva
e fatale dell’italiano nella storia; ciò nondimeno non si è data che ai
secondi, a cominciar da Machiavello, la nota del storico fatalista. Se è vero
infatti che Vico cerca nell'italiano il principio e la legge dello svolgimento
dell'umanità, egli ebbe però il torto di essere esclusivo, in quanto non ha
riconosciuto l'influenza della natura italiana sull'italiano. Si annota come a
Cusani fin dai primi studi si affacci il dilemma tra pensiero come condizione e
pensiero come condizionato: se una legge governa lo svolgimento
dell'intelligenza, la storia è da intendersi fatalisticamente costretta entro i
termini di una legge fissa del pensiero? Del resto in un saggio nel Progresso
(e non compresa nei due volumi degli Scritti, forse perché firmata — come del
resto altre note raccolte da Ottonello — con la sola sigla S. C.), Elementi di
Fisica sperimentale e di meteorologia di M. Pouillet, Cusani ritorna sul metodo
delle scienze e sulla accostabilità tra scienze morali e scienze fisiche.
Dappoiché la scienza della natura e sottoposta nella sua ricerca a metodi certi
e sicuri, e l'umana intelligenza punto da quelli non dipartendosi, seguitò
attesamente le sue investigazioni, i progressi rapidi e continuati succedettero
ai lenti e quasi invisibili dell'antichità. Il successo di queste scienze —
come di ogni scienza — è nel metodo, cosi che da meglio che tre secoli lo
spirito umano procede, in questa special branca delle sue conoscenze con tanta
fidanza, e direi quasi, contanta certezza de' suoi risultamenti, che
nissun'altra scienza per avventurapuò con questa venire al paragone. Si badi,
le scienze fisiche non costituiscono altro che una special branca delle
conoscenze dello spirito umano. Dunque occorre applicare anche alle altre
branche metodi certie sicuri, come è possibile dal momento che la storia
universale dell'Umanità, che pone la Storia al centro dell'investigazione,
racchiude,com'a dire, in un corpo tutto lo svolgimento intellettivo della
spezie. Ecco perché nel saggio Della lirica, a proposito della legge della
evoluzione ideale dell'umanità nel progresso storico, Cusani nota che questo è
di proprio particolar dominio di quella scienza, che sorta gigante in Italia
per opera di quella maraviglia del Vico, costituisce ora il centro intorno a
cui si svolgono tutti gli sforzi del secolo. Simili le espressioni usate nella
recensione agli Elementi di Fisica sperimentale, allorché della storia
universale dell'Umanità nota che forma a questi nostri tempi il punto di mezzo,
intorno di cui si volge e gravita tutto il processo del lavori del secolo. Il
ricco saggio “Idea d'una storia compendiata della filosofia” è a questo punto
da considerare fondamentale. La connessione che la storia ci rivelatra libertà
e necessità, ci consente di rintracciare la legge necessaria del progresso
storico. Noi sappiamo che la filosofia del popolo italiano non è altra cosa se
non lo spirito del popolo italianom non già come si manifesta nella sua religione spontanea, nelle
sue arti, nella sua costi-in se stesso aveva, artea, un concertelli avvenimee
metafisica. cipale delle sourcetuzione politica, nelle sue leggi e costumi, ma
come si rivela nell'esilio inviolabile del pensiero puro, che riferma il piú
alto grado al quale possada sé stesso elevarsi. Cusani ha, a tal proposito,
filosofato nel saggio “Della poesia drammatica” un concetto che poi si ritrova
in seguito. Egliè il vero che sotto la varietà degli avvenimenti del fatto e
della vita stessa della società italiana è nascosa la legge suprema e
metafisica che li governa,e che il filosofo tenta di scoprire, e ne fa
l'obbietto principale delle sue ricerche, ma all’italiano, ch'é, come dice
quell'altissimo ingegno di Vico, il senso della nazione italiana e dato tutto al
piú di sentirla, ma non deve essere suo scopo di manifestarla, dove
all'ispirazione vichiana pare già si aggiunga, insinuandosi, una suggestione
hegeliana. Nello saggio Della lirica, Cusani ribadisce l'argomento. Se la
filosofia non deve fat suo scopo, come altrove dicemmo, parlando della poesia
drammatica, la rivelazione di essa legge secondo la quale l'umanità si svolge
nello spazio e nel tempo, puf tuttavia non potrà certo cansarla nella sua
manifestazione storica, cioè nel suo progresso attraverso delle nazio ultima
recension Felice Roman son sottoposti alla legge storica in generale, la quale
le impronta quasi una seconda indole, ed è questa poi, che fa che i filosofi
sieno, come diceVico, il senso della nazione italiana. Sorprendentemente,
nell'ultima recensione pubblicata sulla « Rivista napolitana », Liriche del
Cav. Felice Romani, quasi ad emblematica chiusura, Cusani ripete. Vico innanzi
tuttia veva formolata questa solenne verità, proclamando che il filosofo e ilblematica sblata questa sojeni filosofi ne
sinnestare Hegedea d'uneinnanzi Qui l'eclettismo cusaniano ha voluto innestare
Hegel sulla tradizione italiana custodita e proclamata, specie allorché, nella
idea d'una storia, riprende il tema di una ragione fondamentale, di una idea
filosofica fondante le manifestazioni della vita umana, per cui la religione e
soprattutto la filosofia già ricordata sono riconducibili ad una legge
razionale. Un'altra citazione, non giustificata in questa sede, si rende
necessaria per la sintesi che riesce a conseguire, in specie sul tema del senso
comune. Allorché il movimento filosofico o riflessivo passa dalla fede alla
scienza,e dalle credenze popolari alle idee della ragione, e si trova d'essere
giunto a scoprire il pensiero celato dapprima sotto FORMA SIMBOLICA, e che si
traduce nell’istituzione, nella costume, nella filosofia e e nelle industria,
egli fatto quasi banditore della verità scoperta, l'annunzia per farla
conoscere alle masse, le quali non avrebbero potuto pervenire sino a quel segno
che tardi e lentamente. È in questo senso che il filosofo accelera il movimento
delle masse, e da qui nasce ancora che egli stesso e indugiato nel movimento
che è loro proprio. Dappoiché se le masse accettano la nuova luce che loro
arreca il filosofo, sono d'altra parte lente e ritenute nell'abbandonare le
vecchie opinioni, che il tempo ha rese abituali, e bisogna innanzitutto che
esse comprendano ciò che loro viene rivelato, e lo comprendanoa loro modo, cioè
facendo che discenda in certa guisa dalle forme astratte della scienza alle
forme pratiche del senso comune. Dunque il filosofo comprende e spiega
nient'altro che ciò che l’intelligenza spontanea dei popoli crede
istintivamente, e pertanto, lafilosofia non è che la spiegazione del senso
comune. Possiamo a questo punto scoprire l'errore di chi ha collocato Vico e
Machiavelli tra un storico fatalista como Livio, dappoiché, se a tuttaprima
poteva parere, che l’italiano appo costoro fosse schiavo dell’istituzione, in
quanto che queste venivano considerate come cose non procedenti dall’italiano
stesso, pure, allorché si vide che l’istituzione none che la manifestazione
esterna, il segno, e la realizzazione delle idee del popolo italiano, libertà
umana nella creazione degli avvenimenti del mondo. Come si risolve pertanto il problema
della libertà? Si pone inquesti termini l'interrogativo. La ragione è dunque il
fondamento della libertà; ma ragione e libertà sono da intendersi
esclusivamente riferitisare appunto che il problema della libertà investa
soltanto l'azione soggettiva (non intersoggetiva o collettiva) che ha per
teatro la storia. In realtà però, proprio per l'ampia visuale che egli propone
della storia globalmente intesa, la libertà non è solo quella dell'individuo o
soggetto italiano che si affranca dai condizionamenti dell'istinti -- vità, ma
anche quella che costituisce la linea intelligibile di tutto lohere nelle pella
sciente quella con il. La soluzione che si può intravedere in Cusani, concorde
ed omogenea allo sviluppo della questione della scienza e del metodo nell'intera, intensa elaborazione culturale
di Cusani è forse quella contenuta nella Idea d'una storia. Resta certo il
rammarico del mancato approfondimento delle tante tematiche che a questa
risposta devono riferirsi, in particolare sulla politica e sulla estetica. Ma
la sintesi che Cusani propone rimane oltremodo significativa. L'ordine adunque
degli avvenimenti, la provvidenza, o legge dell'intelligenza umana, è quella
legge che Iddio stesso ha imposta al
mondo morale, e che non differisce dalle leggi della natura, se non per questo,
cioè che la legge imposta al mondo morale non distrugge punto la libertà
individuale, essendo ché è permezzo della libertà che si compiono i destini
della intelligenza, laddovele legge della natura e compita senza il concorso della
libera volontà. Stefano Cusani. Keywords: l’assoluto, il relative,
spirito soggetivo, spiriti soggetivi, spirito oggetivo, storiografia filosofica
di Cousin, unita latitudinale della filosofia, l’assoluto di Bradley, Hamilton,
l’obbjezione all’assoluto, l’essere e la metafisica, gli esseri e la
metafisica, economia e morale, la fenomenologia, il fatto di coscienza
intersoggetiva, hegelismo, Vico, Galluppi, Mamiami, Colecchi, Rosmini. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Cusani” – The Swimming-Pool Library.
cutelli (Catania).
Filosofo. Grice: “Cutelli is like Hart, a jurisprudent, rather than a
philosopher!” Si laurea a Catania. Un saggio e il “Patrocinium pro regia
iurisdictione inquisitoribus siculis concessa”. Vuole escludere dal "privilegium
fori" numerosi delitti come la resistenza a pubblico ufficiale, ed omicidio
anche tentato. Altro saggio: “Codicis legum
sicularum libri quattuor” dove manifesta un'idea di politica amministrativa che
mira a creare un centro unificatore e un ministro superiore, cui fosse affidato
il compito di amministrare e dirigere la monarchia, ottenendo il rilancio
economico, la riduzione delle spese e il riequilibrio del conto fiscale. Si
recò a Napoli. Acquista il feudo di Mezza Mandra Nova. Altro saggio: “Catania restaurata”. Altro
saggio: “Supplex libellus.”Acquistò il feudo di Alminusa e il borgo già creato
da Giuseppe Bruno, figlio del fondatore Gregorio, per atto del notaro Pietro
Cardona di Palermo. Ad Aliminusa dota la chiesa di Santa Anna e stabilisce un
legato di maritaggio di dieci onze l'anno in favore di una figlia dei suoi
vassalli, come si scorge dal suo testamento redatto innanzi al notaio Giovanni
Antonio Chiarella di Palermo. Acquista il feudo di Cifiliana. Il suo testamento rivela la volontà di
destinare una parte dei suoi possedimenti alla fondazione di un collegio d'huomini
nobili in cui si dovesse studiare filosofia: il Convitto Cutelli, o Cutelli.A
Catania gli sono dedicati una piazza sita sul percorso della centrale via
Vittorio Emanuele II e il Liceo Classico "Mario Cutelli". Dizionario biografico degli italiani. Una utopia di governo. La formazione
dell'élite in Sicilia tra Settecento ed Ottocento. Il "Collegio
Cutelliano" di Catania, in "Quaderni di Intercultura". Conte di
Villa Rosata. Conte Mario Cutelli di Villa Rosata e signore dell’Alminusa.
Keywords. homosocialite, boys-only, male-only, Convitto Cutelli, élite filosofica,
all-male establishment, Oxford as non-co-educational – the coming of
Somerville! – Grice’s play group as an all-male play group, the idea of
nobilita, nobility. --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cutelli” – The
Swimming-Pool Library.
dalmasso
(Milano).
Filosofo. Grice: “Dalmasso is what at Oxford we call a ‘derivative’
philosopher, and at Cambridge a ‘Derrideian’! But he’s written some original
work too, mostly as editor, as in “La passione della ragione” – he has also
explored ‘discourse’ in terms of ‘rationality’ and ‘fairness’ – In my model,
both conversationalists are symmetrical, so questions of unfairness do not
apply! I took the inspiration from Chomsky!” – Si laurea a Milano. Insegna a
Calabria, Roma, Pisa, e Bergamo. Membro della Societa Italiana di Filosofia
Teoretica. Studia Derrida, ha commentato “La voix et le phénomène” e “De la
grammatologie (Jaca Book). Comments on “L’offerta obliqua” e “Passioni” --Dai
problemi del soggetto del discorso e della genesi del segno nel dibattito sul
nichilismo i suoi interessi si sono rivolti alla ragione in rapporto all'etica
e Hegel. Pubbllica in Oltrecorrente, di Magazzino di Filosofia. Altre opere: Hegel,
probabilmente. Il movimento del vero (Milano: Jaca).Hegel e l'Aufhebung del
segno, Chi dice io. Chi dice noi (duale). L’implicatura del noi duale. Razionalità
e nichilismo, Jaca, Milano, La passione della ragione. Il pensiero in gabbia.
La politica dell’imaginario, la verita in effetti. La sovranita in legame.
Etica e ontologia: fatto, valore, soggetto, l’interosoggetivo. Il tra noi.
Di-segno – la giustizia nel discorso. – Hegel e l’Aufhebung del segno. L'implicatura del noi duale.
L’intreccio fra sapere e ragione Il tema della filosofia di Dalmasso riguarda
la domanda originaria. Domanda e origine sono problemi del pensiero
che, fin dall’inizio della filosofia, non costituiscono un approccio
di controllo e di dominio dell’esistenza, quanto piuttosto un ripiegamento
su sé stessi che si interroga sulla propria genesi. In termini meno
esistenziali e più antichi tale questione occupa il posto dell’anima.
Dalla consapevolezza dell’incombere della morte nel primo stasimo
dell’Antigone al costituirsi, per così dire, di un’interiorità nella sofistica
e in Platone, l’anima (animatum) ha funzionato come principio originario
in una forma diversa che il dominio. Principio che annoda e che manifesta,
secondo vie non solo immediate e speculari, il logos (la ragione), il
noein come conoscenza e misura di un ordine. Quando il nous, attraverso
Aristotele, acquista tutto il suo sviluppo concettuale e strategico,
nel pensiero tardo-antico, a partire da Plotino, l’ anima rimane ed
è ribadita come il luogo e il venire a coscienza del rapporto con lo
stesso “nous,” cioè con il formularsi dell’originario (uno, bene o
atto che sia). Grice e Dalmasso scelgono di leggere Bradley e Hegel.
Scelta motivata da loro interessi di ricerca, ma anche, più ampiamente,
dall’attualità di un linguaggio che è in grado di riformulare questioni
sull’assetto moderno del sapere e sul soggetto – e l’intersoggetivo --
di tale sapere. Su un ‘noi’ duale, che, nella esplicita strategia hegeliana,
articola e raddoppia il ruolo di due anime. Sapere su di un noi duale è
comunque per Hegel un sapere sulle strutture di un noi duale chi, che
sono in grado di formulare una domanda originaria. Il testo, di
cui Bradley propone alcune note essenziali di commento, riguarda i paragrafi
dal 440 al 458 della “Psicologia razionale” sezione della Filosofia
dello Spirito contenuta nella edizione dell’Enciclopedia. A differenza
dell’“antropologia”, in cui due anime sono considerate come l’aspetto
immediato della vita dello spirito (le due anime considerate come il
sonno dello spirito, problemi del rapporto delle due anime con I due corpori,
questioni del sonno, della veglia, delle sensazioni ecc.) la Psicologia
non è scienza delle due anima, ma scienza del sapere intorno alle due
anime, cioè scienza veramente tale, nella sua portata concettuale.
Per Bradley e Hegel, ‘scienza’, Wissenschaft, ogni scienza, e soprattutto
quella scienza massimamente rigorosa che è la filosofia (‘regina
scientiarum) è scienza sempre di secondo grado: scienza che controlla e
che ha come oggetto la sua stessa genesi. La filosofia e la regina
scientiarum, la scienza che misura il negativo rispetto al suo assunto
e al suo stesso metodo, scienza che è in grado di smarcarsi dal piano del
suo stesso sapere e di comprendere il rapporto dinamico, generativo
e mai astrattamente “speculare” o reflessivo delle due anime, in cui la inter-conoscenza
si costituisce. Così, nel caso del testo commentato da Bradley, i contenuti
della psicologia sono curiosamente tutti diversi da quelli che nell’assetto
della fine dell’Ottocento e del primo Novecento ci si aspetterebbe da
una psicologia del tipo elaborato a Oxford dai Wilde lecturer in ‘mental
philosophy”: Stout, -- cf. Prichard – cit. da Grice, “Intention and dispositions”.
La psicologia filosofica o razionale non è scienza delle leggi delle anime
o psichai, ma del movimento generativo delle leggi delle anime o delle
psichai. I testi che sono oggetto del commento di Bradley sono, come
Bradley nota, estremamente difficili. Prima di cominciare Bradley fa qualche
rilievo sul problema della difficoltà in generale nella lettura del
testo di Hegel. La questione si pone secondo tre punti di vista. Innanzi
tutto come questione della natura e della destinazione del testo. Ad
esempio l’ “Enciclopedia delle scienze filosofiche”, nel nostro
caso, è pensata come un riassunto delle lezioni per i ‘tuttee’. In secondo
luogo il problema del significato espresso, del voler dire del discorso
hegeliano. In terzo luogo, che è quello decisivo, la questione del metodo
di composizione del testo di Hegel, metodo che riguarda, d’un colpo
solo, due anime: mittente e recipiente. Questioni, dette altrimenti, di
sintonizzarsi con il testo che, per quanto riguarda il metodo
filosofico di Hegel, non può essere altro che ripercorrere l’elemento
generativo del significato di ciò che Hegel explicitamente communica.
Senza di questo incessante ripercorrimento a livello della genesi
del testo, il suo ‘segnato’ posse appare incomprensibile o appiattito.
Appiattito come su di una superficie, in modo che il gioco delle interpretazioni
del tutee, anche nel caso si tratti di studioso molto qualificato, tende
spesso a sbizzarrirsi in grovigli di ipotesi filologiche o di carattere
ideologico-metafisico. Il minimo comun denominatore è la perdita
del nesso fra il segnato di ciò che è detto nel testo con li movimento generativo
di tale segnato. Così si può separare perfino il concetto di negativo
dal concetto di generazione sovrapponendo l’uno sull’altro e rendendo
incomprensibili entrambi. Questione che si pone in modo non infrequente,
anzi malessere spesso diffuso anche nel commento di Bradley. Iniziamo
la lettura partendo dalle prime righe del par. 440. Lo spirito si è
determinato divenendo la verità dell’anima e della coscienza, cioè
la verità di quella totalità semplice e immediata e di questo sapere.
Adesso il sapere, in quanto forma infinita, non è più limitato da
quel contenuto, non sta in rapporto con esso come con un oggetto, ma è
sapere della totalità sostanziale, né soggettiva né oggettiva, ma
intersoggetiva. ll problema del rapporto fra il sapere e la ragione
inaugura qui il dibattito sulla scienza della psiche. L’intreccio fra
sapere e ragione inizia a dipanarsi nel paragrafo seguente:
L’anima è finita nella misura in cui è determinata immediatamente,
cioè determinata per natura. La coscienza è finita nella misura
in cui ha un oggetto. Lo spirito è invece finito, “insofern ist
endlich,” nella misura in cui esso, nel suo sapere (in seinem Wissen)
non ha più un oggetto, ma una determinatezza, nel senso che è finito
per via della sua immediatezza e — che è la stessa cosa — perché è soggettivo,
è cioè come il Concetto. Lo spirito è finito nella misura in cui esso,
nel suo sapere, non ha più un oggetto, ma una determinatezza. Lo spirito
sembra essere quell’attività in grado di contenere e controllare l’intreccio
fra la ragione e il sapere, anche se ora solo nella forma dell’immediatezza.
L’intreccio si organizza su due poli: la ragione e il sapere. Essi si
implicano reciprocamente . A seconda che si consideri come concetto
la ragione o il sapere. Qui è indifferente ciò che viene determinato
come concetto dello spirito e ciò che viene invece determinato come
realità o “Realität” di questo concetto. Se infatti la ragione assolutamente
infinita, oggettiva, viene posta come concetto dello spirito, allora
la realità è il sapere, cioè l’intelligenza; se invece è il sapere a
essere considerato come il concetto, allora la realità del concetto
è questa ragione e la realizzazione (Realisierung) del sapere consiste
nell’appropriarsi della ragione. La finitezza dello spirito
pertanto consiste in ciò: il sapere non comprende l’Essere
in-sé-e-per-sé della sua ragione. In altri termini: la ragione non si
è manifestata pienamente nel sapere.4 C’è un dislivello dunque
strutturale con la ragione che funziona nel sapere. Dislivello
strutturale che per i greci era invece costituito dal rapporto fra il
sapere e la verità. Comunque la realtà, considerata come realtà del sapere
o come realtà della ragione, si costituisce e funziona per Hegel come un
farsi che è un intreccio inestricabile. Una purità e verginità dell’origine
è introvabile. La questione di un sapere dello/sullo spirito si
articola ulteriormente nel paragrafo 442: Il procedere dello
spirito è sviluppo (Entwicklung) nella misura in cui la sua esistenza,
il sapere, ha entro se stessa l’essere — determinato in sé e per sé,
cioè ha per contenuto, “Gehalte,” e per fine, “Zweck” il razionale,
“Vernunftige.” L’attività di trasposizione è dunque puramente e soltanto
il passaggio formale nella manifestazione e, in questa, è ritorno
entro sé, “Rückkehr in sich.” Nella misura in cui il sapere, affetto
dalla sua prima determinatezza, è soltanto astratto, cioè formale, la
meta dello spirito è quella di produrre il ri-empimento oggettivo, “die
objective Erfüllung hervorzubringen,” e quindi, a un tempo, la libertà
del suo sapere. In questo testo il movimento del sapere e il suo saperne
si articola come questione della conoscenza dell’originario. Tale
questione, che ha la forma del ritorno, è pensabile come libertà. L’avventura
dello spirito che è sempre un appropriarsi, un far proprio, qui, e secondo
la radicalità della sua struttura, funziona come appropriarsi del sapere
e coincide con l’avventura della libertà. Il cammino dello spirito
consiste pertanto nell’essere spirito teoretico, cioè nell’avere
a che fare con il razionale nella sua determinatezza immediata, e di
porlo adesso come il suo. Il cammino consiste innanzi tutto nel liberare
il sapere dal presupposto e, con ciò, dalla sua astrazione, e rendere
soggettiva la determinatezza. Poiché in tal modo il sapere è in sé e
per sé determinato come sapere entro sé, e poiché la determinatezza
è posta come la sua, quindi come intelligenza libera, il sapere
è volontà, spirito pratico, il quale innanzi tutto è anch’esso
formale. Il sapere a un contenuto che è soltanto il suo. Esso vuole immediatamente,
e adesso libera la sua determinazione di volontà dalla soggettività e
l’intersoggetivita che la condiziona come forma unilaterale del proprio
contenuto. In tal modo gli spiriti divieneno come spiriti liberi,
nel quale è rimossa quella doppia unilateralità. Lo scorcio teorico fornito
in questo paragrafo merita una puntualizzazione. Abbiamo in precedenza
accennato alla cornice della psicologia filosofica o razionale come progetto
scientifico: scienza delle anime che si pone come scienza dei fattori generativi
delle anime. Il percorso dei spiriti che si sforzano di conoscere
se stessi, che tentano di comprendere l’esperienza della lor libertà,
che nella Fenomenologia dello spirito prende la via della morale come
storia, in queste pagine prende la via della psicologia come scienza
della libertà. Che il sapere possa afferrare se stesso, possa appropriarsi
di sé. La strategia hegeliana implica che l’originario, per i soggetti
(l’intersoggetivo) e per il sapere, funzioni e sia conoscibile come effetto
di questo appropriarsi che è etico, pratico. Se non si pensa il significato
del sapere e di suoi soggetti come etico, pratico, i soggetti del sapere
si dibatteno «in una bi-lateralità»: la rappresentazione che i soggetti
fano di sé come suoi e l’immediatezza di tale rappresentazione. Le
libertà dell’anime è pensabile come lo spiazzamento in cui i soggetti
del sapere conosceno il loro essere fatto, nonostante e attraverso
il loro co-fare (co-operare) impossibilitato a cogliere l’identità fra
sé e le loro immagini. Questa divisione e dislivello interno che è
l’impossibilità di cogliere l’origine del proprio costituirsi è per
Hegel l’Intelligenza (cf. H. L. A. Hart, su Holloway, “Language and
Intelligence” – Signs). Nel montaggio linguistico di questo testo tale divisione
e tale dislivello vanno ad occupare il posto della classica opposizione
fra il dentro e il fuori. L’intelligenza, in quanto è questa unità
concreta dei due momenti — vale a dire, immediatamente, di essere ricordata
entro sé in questo materiale esteriormente essente, e di essere immersa
nell’essere fuori-di-sé mentre entro sé si interiorizza col proprio
ricordo —, è intuizione. Il cammino dell’Intelligenza sta proprio
nel battere in breccia l’opposizione fra il dentro e il fuori. Le
intelligenza, quando ricordano inizialmente l’intuizione, poneno
il contenuto del sentimento nella propria interiorità, nel loro proprio
spazio e nel loro proprio tempo. In tal modo il contenuto è immagine,
liberata dalla sua prima immediatezza e dalla dualità astratta rispetto
all’altro soggetto, in quanto essa è accolta nella dualità del noi. Questo
battere in breccia, visto dal punto di vista dell’intelligenza, è l’immagine.
L’intelligenza possiede dunque le immagini. L’intelligenza è il
Quando e il Dove dell’immagine. L’immagine è per sé “trans-eunte”,
nomade, da una anima ad altra anima, e l’intelligenza
stessa, in quanto attenzione, è il tempo e anche lo spazio, il Quando e
il Dove, dell’immagine. L’intelligenza però non è soltanto la
co-scienza e l’esserci delle proprie determinazioni, bensì, in quanto
tale, ne è anche i soggetti e l’In-sé. Ricordata nell’intelligenza,
perciò, l’immagine non è più esistente, ma è conservata inconsciamente.
Nell’Anmerkung dello stesso paragrafo Hegel inaugura la metafora del
pozzo notturno per definire il funzionamento dell’intelligenza
come un luogo in cui sono conservate immagini e rappresentazioni che
l’intelligenza stessa non conosce. Hegel prosegue la sua indagine
attraverso una sorta di tiro incrociato fra intuizione ed immagine,
mettendo in azione uno stile agostiniano alla “De magistro”. Anche la
nozione, classica, di “re-praesentatum” (il rappresentato) entra, ricompresa
e ripensata, come dall’interno, nel movimento produttivo dell’intelligenza.
La nozione di “memoria” (stato temporario totale) è anch’essa ripercorsa,
nella sua struttura classica, come movimento attivo e imprendibile,
funzionante nell’intelligenza e produttiva di essa, in una svolta
decisiva del paragrafo. L’intelligenza è la potenza che domina
sulla riserva di immagini e il rappresentato che le appartengono. Essa
è quindi congiunzione e sussunzione libera di questa riserva sotto
il contenuto peculiare. L’intelligenza si ricorda ed interiorizza
in modo determinato entro quella riserva, e la plasma immaginativamente
secondo questo suo contenuto. Essa è quindi fantasia, immaginazione
SIMBOLIZZANTE, allegorizzante o poetante. Questa formazione immaginativa
più o meno concrete, più o meno individualizzate, e ancora delle sintesi
nella misura in cui il materiale, in cui il contenuto intersoggettivo
conferisce un esserci al rappresentato, proviene dal Trovato, “dem
Gefundenen,” dell’intuizione. Passività, evidenza, sorpresa di fonte
al darsi originario delle cose riguarda perciò per Hegel un movimento
che ha come suo elemento lo scenario dell’intersoggetività. Il trovato
dell’intuizione, incontro, evidenza, accoglienza della realtà è pensabile
in un registro che è già una traduzione, ‘trans-latum.” È nel registro
di una traduzione (“trans-latum”) che nel percorso di questo testo di
Hegel, di una traduzione (trans-latum) del fuori nel dentro e viceversa,
che si può avvistare ciò in filosofia si chiama realtà. Quando
l’intelligenza, in quanto ragione, parte dall’appropriazione dell’immediatezza
trovata entro sé, cioè la determina come un “universale”, ecco allora
che la sua attività razionale procede dal punto attuale, “dem nunmehrigen
Punkte,” a determinare come essente ciò che in essa si è sviluppato
in auto-intuizione concreta, procede cioè a rendere se stessa Essere,
cosa, il reale. L’intelligenza stessa così si fa essente, si fa cosa, si
fa il relae. Quando è attiva in questa determinazione, l’intelligenza
si estrinseca, “aussernd,” produce, “produzierend,” intuizione: è
fantasia che si esprime in un “segno,” “Zeichen machende Phantasie,”
token-making fantasy – fantasia che fa segno, fantasia che segna. L’intelligenza
esiste in quanto fantasi. Tesi non immediatamente prevedibile nel
dispositivo, intricato, di questo percorso hegeliano. Tesi cui
pure spinge, con rigorosa necessità, questa analisi scientifica delle
anime – una anima segna, l’altra capisce. Questo testo di Hegel innesca consapevolmente
una polemica ed anche una riformulazione metodologica radicale
nei confronti della tradizione empirista, dei sensisti, di Condillac
e degli ideologues. Attraverso le scorribande dell’intelligenza
fra sapere e “segno” (Zeichen, la fantasia che fa segno, la fantasia che
segna), scienza e realtà, attraverso e al di là della dialettica fra il
positivo e il negativo, fra i soggetti e la verità ecc, Hegel afferma
che l’intelligenza è il suo atto. Esistere non è l’immediatezza di un
che rispetto a se stessi, ma è l’atto in cui, in un contenuto determinato,
l’intelligenza si rapporta a se stessa. La fantasia è il punto
centrale in cui l’universale e l’essere, il proprio e il trovato,
l’interno e l’esterno – cf. Bradley, relazione interna, relazione esterna --
sono perfettamente unificati. Le sintesi precedenti dell’intuizione,
del ricordo ecc., sono unificazioni del medesimo momento, tuttavia
si tratta pur sempre di sintesi. Solo nella fantasia l’intelligenza
non è più come il pozzo indeterminato e come l’universale, bensì è
come singolare, cioè come intersoggettività CONCRETA nella quale l’relazione
è determinata sia come essere sia come universale.L’intelligenza è
intersoggettività concreta solo nella fantasia condivisa. Tale questione
è chiarita dal seguito della stessa Anmerkung. Tutti riconoscono che
le immagini della fantasia costituiscono tali unificazioni del proprio
e dell’interno dello spirito con l’elemento intuitivo. Il loro contenuto
ulteriormente determinato appartiene ad altri ambiti, mentre qui
questa fucina interna va intesa soltanto secondo quel momento
astratto. In quanto attività di questa unione, la fantasia è ragione,
ma è ragione formale, solo nella misura in cui il contenuto in quanto
tale della fantasia è indifferente. La ragione in quanto tale, invece,
determina a verità anche il contenuto. Nell’Anmerkung successiva
nello stesso paragrafo Hegel opera la svolta decisiva nel percorso
che qui ci interessa: In particolare bisogna ancora rilevare
questo fatto. Poiché la fantasia porta il contenuto interno a immagine
e a intuizione, e ciò viene espresso dicendo che essa lo determina
come essente, non deve sembrare sorprendente l’espressione secondo
cui l’intelligenza si fa essente, si fa cosa, si fa il relae. Il contenuto
dell’intelligenza, infatti, è l’intelligenza stessa, e lo è altrettanto
la determinazione che essa gli conferisce. L’immagine prodotta
dalla fantasia è intersoggettivamente intuitiva, mentre è nel segno (Zeichen,
token) che la fantasia aggiunge a ciò l’autentica intuibilità (eigentliche
Anschaulichkeit); nella memoria meccanica, poi essa completa in sé
questa forma dell’essere. L’immagine solo nel “segno” (Zeichen,
token) è autentica intuibilità di ciò che è. L’essente è coglibile come
“segno” (Zeichen, token) non come dato, come dono. Dato e dono non sono pensabili,
ma neppure sperimentabili nella forma della presenza, cioè in un darsi
(che, in termini hegeliani, è la materia dell’intuizione). Essi sono
già trascritti nel contenuto interno dell’intelligenza, cioè come un
segno (Zeichen, token). L’elemento imprendibile, enigmatico della conoscenza
è il segno (Zeichen, token) e non il dato, il dono. Nella struttura di questo
testo Hegel afferma che il non proprio, il non nostro sovrasta e spiazza
nella forma del segno (Zeichen, token), non nella forma del dono. In questa
unità, procedente dall’intelligenza, di una rappresentazione autonoma,
“selb-ständiger Vorstellung,” e di una intuizione, la materia dell’intuizione
è certo innanzitutto un qualcosa di accolto, di immediato e di dato,
“ein aufgenommenes, etwas unmittelbares oder gegebenes,” per esempio
il colore della coccarda e affini. In questa identità però l’intuizione
non ha il valore di rappresentare positivamente e di rappresentare
se stessa, bensì di rappresentare qualcos’altro. Essa è un’immagine
che ha ricevuto entro sé una rappresentazione autonoma dell’intelligenza
come anima, che ha ricevuto, cioè, il suo segnato. Questa intuizione è
il segno (Zeichen, token). L’intuizione, rapportata scientificamente
alla sua origine, ha la forma del segno (Zeichen, token). Tale forma ha una
struttura che coinvolge i termine stessi dell’intelligenza. L’intelligenza
sembra funzionare in una deriva di cui il segno (Zeichen, token) costituisce
una sorta di cerniera, snodo in cui l’intelligenza stessa è tolta-conservata.
L’intuizione che immediatamente e inizialmente è qualcosa di dato
e di spaziale, “gegebenes und raumliches,” una volta impiegata come
segno (Zeichen, token) riceve la determinazione essenziale di essere
soltanto come intuizione rimossa. Questa sua negatività è l’intelligenza.
Perciò la figura più autentica dell’intuizione, che è un segno
(Zeichen, token), è di essere un esserci nel tempo: un dileguare, “Verschwinden,”
dell’esserci mentre l’esserci è. Inoltre, secondo la sua ulteriore
determinatezza esteriore, psichica, la figura più vera dell’intuizione
è un essere-posta dall’intelligenza, esser-posta che viene fuori dalla
naturalità propria, antropologica, dell’intelligenza stessa: è il
tono, “Ton,” cioè l’estrinsecazione riempita dell’interiorità annunciantesi.
Il “tono” che si articola ulteriormente in vista del rappresentato determinate
è il dis-corso –dis-cursus – general principles of rational discourse -- e un
sistema del discorso è la communicazione. In questo ambito il “tono” conferisce
a una sensazione, una intuizione e un rappresentato un *secondo* (duale) esserci, più elevato
dell’esserci immediato. In generale conferisce loro un’esistenza
che ha valore nel regno dell’attività rappresentativa. Questo progetto
hegeliano di una scienza della psiche tenta qui un ulteriore radicale
approccio alla genesi dell’intelligenza. L’intuizione, in quanto
funzionante come segno (Zeichen, token), riceve la determinazione essenziale
di essere soltanto come intuizione rimossa, “zu einem Zeichen gebraucht
wird, die wesentliche Bestimmung nur als aufgehobene zu sein.” In questo
esser rimosso, tolto-conservato dell’intuizione sta l’origine dell’intelligenza.
La negatività di cui essa è fatta si intreccia strutturalmente alla nozione
di tempo. L’intuizione non è dominabile da due soggetti se non nella
forma del dopo, un dileguare dell’esserci mentre esserci è. Quell’altro
intreccio che costituisce l’intuizione, l’intreccio fra il dentro e
il fuori si esprime nel “tono,” suono articolato. Il tono, visto in rapporto
ad una rappresentazione determinata, è il discorso (“Rede”) e il sistema
del discorso è la lingua (Sprache) e la communicazione. A questo punto del
suo percorso la strategia di Hegel si incontra con il privilegio greco
e platonico accordato all’espressione, la parola, al logos in quanto vivente
pronunciato, detto, dictum – cf. indice, segnalato, segnato. Come nel
Cratilo di Platone anche in Hegel l’espressione come segno è centrale nella
vita dell’intelligenza, ma di una centralità che occupa il luogo di un
movimento originario ed imprendibile. Per un commento critico
ed esplicativo dei paragrafi della «Psicologia» nella sezione sullo
«Spirito soggettivo», anche per ciò che concerne le fonti di Hegel e la
saggistica relativa, cfr. La «magia dello spirito» e il «gioco del concetto».
Considerazioni sulla filosofia dello spirito soggettivo nell’Enciclopedia
di Hegel, Milano, Guerini e Associati, 1995. ↩︎ Uso la recente traduzione di
Vincenzo Cicero (Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio,
ed. 1830, Milano, Rusconi, 1996) che ritengo puntuale ed avvertita
delle questioni poste dal testo, nonostante la discutibilità di alcune
soluzioni su cui per altro pesa in certa misura la resistenza ad abbandonare
traduzioni familiari e consolidate. Grice: “There’s something otiose
about the ‘faciendi signum’ of the Romans, why not just ‘signare’?” – Who or
what ‘makes’ the sign of a dark cloud (=> rain)?” “While it seems natural
enough to say that a dark cloud is a sign of rain,it or better, that a dark cloud signs *that* it
may rain, I wouldn’t say that the cloud “MAKES” anything --. Grice: “It’s sad
that Hegel’s Latin wasn’t that good – the Romans used ‘signare’ (Italian
‘segnare’) much more than they did use ‘significare’. “With all my love and
kisses” “You used to sign your letters ‘with all my love and kisses” – Sam
Browne --. Horatio Nicholls – aka as something else. Gianfranco Dalmasso.
Keywords: sign-make, fare segno, fare segno a se – zeichen Machen, to sign
versus to signify -- Bradley, Hegel, io, noi, intersoggetivo, Hegel on Zeichen,
zeichen-machende fantasie” – zeichen-interpretand fantasie” -- “l’implicatura
del noi duale” “il tra noi” – la prossimita del tra noi -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Dalmasso” – The Swimming-Pool Library.
dandolo
(Varese). Filosofo. Grice: “I love Dandolo; you know why? Because
he was an amateur, not a professional; I mean, he was a country gentleman and
an earl, so if he philosophised it wasn’t for the colour of the money! Plus, he
owned a lovely ‘palazzo,’ which I would call ‘villa’! Neoguelfo. Figlio dal
conte Vincenzo e Mariana Grossi. Il padre era esponente della Municipalità di
Venezia, ma dopo il trattato di Campoformio, con il quale si sancì la fine
della Repubblica, dovette esulare in Francia. Venne in seguito nominato da
Napoleone senatore del Regno italico e conte. Fu anche governatore civile della
Dalmazia. Passa quindi un'infanzia assai agitata; fu cresciuto da una
"cameriera disattenta" e poi sballottato per vari collegi. Si laurea
a Pavia. Passa alcuni anni girando per l'Europa e conducendo una vita mondana.
In questo periodo venne a contatto con illustri personalità culturali
politiche dell'epoca. Venne sospettato dal governo austriaco di aver
partecipato alle congiure degli anni precedenti, e per questo fatto rientrare
in modo coatto in Italia (senza tuttavia essere perseguitato). In Italia, si
dedica ampiamente alla filosofia, e sposa la sorella di Bargnani; uno dei cospiratori
mazziniani. Morta la sposa affida ad un amico i figli. Sposa la contessa
Ermellina Maselli, da cui ebbe altri due figli. I primi due figli presero parte
alle Cinque giornate e ad altre operazioni belliche e lo stesso Tullio fu uno
dei principali autori della rivoluzione e capo della rivolta varesina (scoppiata
in concomitanza con quella di Milano), ma a Roma, durante la difesa della
repubblica di Mazzini, Su figlio muore e l’altro rimase gravemente ferito.
Questo evento tocca molto Tullio che tuttavia, pur dovendosi prendere cure
molto onerose del superstite, continua comunque i suoi studi di filosofia. Sui
due figli raccolse un gran numero di documenti, memorie e storie pubblicati in
“Lo spirito della imitazione di Gesù Cristo esposto e raccomandato da un padre
ai suoi figli adolescent: corrispondenze di lettere famigliari: riicordi
biografici dell'adolescenza d'Enrico e d'Emilio Dandolo, Milano). Un filosofo
che fece delle critiche alla sua attività fu Tommaseo, ma risultò essere
piuttosto duro ed aspro, tanto da scrivere. “Fin da giovane scarabocchiò
librettucci compilati o piuttosto arruffati. Né di quelli che scrisse dal
venticinque al cinquantacinque sapresti quale sia il più decrepito e il più
puerile. Ma fece due opere buone, un figliolo che morì valentemente in Roma
assediata da Galli vendicatori delle oche; e un altro figliolo che scrisse la
storia, e direi quasi la vita della Legione Lombarda capitanata da Manara,
libro di senno virile e d'affetto pio.” I suoi saggi trattano gli argomenti più
vari: dalla pedagogia all'autobiografia, da quelli di carattere storico a
quelli religiosi. Molti di essi sono schizzi letterari e filosofici o
riguardano descrizioni di viaggi, città e munomenti. Inoltre, scrisse molto
intorno alla storia romana antica, alla nascita del Cristianesimo, al Medioevo
e al Rinascimento, pubblicando anche molti discorsi e documenti inediti. Più
che ad un contributo critico, mira a dare un'informazione non faziosa per una
migliore conoscenza del passato. Questi suoi scritti storici sono molto diversi
fra di loro. In alcuni predilige uno stile aulico, mentre in altri un tono
popolare e facile; trattando ora gli argomenti con approssimazione ed ora dando
al racconto la coinvolgenza di un romanzo. Altre opere: “Roma”; “Napoli”
(Milano); “Firenze”; “Torino”; “La Svizzera”; “Il Cantone de' Grigioni” (Milano);
“Prospetto della Svizzera, ossia ragionamenti da servire d'introduzione alle
lettere sulla Svizzera); “La Svizzera considerata nelle sue vaghezze
pittoresche, nella storia, nelle leggi e ne' costume”; “Venezia”; “Il secolo di
Pericle”; “Schizzi di costume”, “Il secolo d'Augusto”; “Semplicità” (o rapidi
cenni sulla letteratura e sulle arti”; “Album storico poetico morale, compilato
per cura di V. de Castro” (Padova); “Reminiscenze e fantasie. Schizzi
letterari, Peregrinazioni. Schizzi artistici e filosofici (Torino); Roma e
l'Impero sino a Marco Aurelio” (Milano); “Firenze sino alla caduta della
Repubblica”; “Il Medio Evo elvetico”; “Racconti e leggende”; “La Svizzera
pittoresca, o corse per le Alpi e pel Jura a commentario del Medio Evo
elvetico; “I secoli dei due sommi italiani Dante e Colombo; “Il Settentrione
dell'Europa e dell'America nel secolo passato; “L'Italia nel secolo passato; Il
Cristianesimo nascente; La Signora di Monza. Le streghe del Tirolo. Processi
famosi del secolo decimosettimo per la prima volta cavati dalle filze
originali, ibid. 1855 (rist. anast., Milano); Il pensiero pagano ai giorni
dell'Impero. Studii, Il pensiero cristiano ai giorni dell'Impero. Studii; Il
pensiero pagano e cristiano ai giorni dell'Impero. Studii; “Monachesimo e
leggende. Saggi storici; “Roma e i papi. Studi storici, filosofici, letterari
ed artistici, Il secolo di Leone Decimo. Studii, Lo spirito della imitazione di
Gesù Cristo esposto e raccomandato da un padre ai suoi figli adolescenti (corrispondenza
di lettere famigliari). Ricordi biografici dell'adolescenza d'Enrico e d'Emilio
Dandolo, Milano); “La Francia nel secolo passato, “Corse estive nel Golfo della
Spezia; Il secolo decimosettimo, Ragionamenti preliminari ed indici ragionati
degli studi del conte Tullio Dandolo su Roma pagana e Roma cristiana pubblicati
ad annunzio e prospetto dell'opera, Assisi (estr. da Stella dell'Umbria); “Ricordi di
Tullio Dandolo”; “Lettera a D. Sensi. Indice della materia, Assisi); “Ricordi”;
“Ricordi inediti di G. Morone gran cancelliere dell'ultimo duca di Milano, a
cura di D., Milano; Alcuni brani delle storie patrie di Giuseppe Ripamonti per
la prima volta tradotti dall'originale latino dal conte T. Dandolo, Il potere
politico cristiano. Discorsi pronunciati dal Ventura di RaulicaR. P., a cura di
Dandolo, Milano); “Vicende memorabili narrate da Alessandro Verri precedute da
una vita del medesimo di G. A. Maggi, a cura di D., A. F. Roselly de Lorgues. Ricordi,
primo e secondo periodo, Assisi. di Roberto Guerri, direttore delle Civiche
raccolte storiche di Milano. Colloqui
col Manzoni, T. Lodi (Firenze). Treccani, Dizionario biografico degli italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiano. LA FILOSOFIA ROMANA. Nei primi secoli
della repubblica i romani non diedersi pensiero di filosofia. Appena ne
conobbero il nome. Intenti da principio a difendersi, poi a consolidare la loro
dominazione sui popoli vicini, la loro saviezza fu figlia della sperienza e
d'un ammirabile buon senso affinato dalle difficoltà esteriori in mezzo a cui
si trovarono collocati, e dal godimento di un'interiore libertà, le cui
procelle incessanti valevano ad elevare ed afforzare gli animi. Volle taluno
che le instituzioni del re Numa non andassero digiune di pitagorismo. Gli è da
credere piuttosto, avuto riguardo all'ordine cronologico, che Pitagora
attignesse nelle dottrine sacerdotali del secondo re di Roma qualcuna delle sue
teoriche intorno la religione. Allorchè i romani strinsero i primi legami
co' greci delle colonie italiche e siciliane, non credettero di ravvisare che
leggerezza mollezza e corruzione in que' popoli i quali a ricambio
qualificarono i romani di barbari. Sul finire della prima guerra punica fu resa
nota ai vincitori la letteratura drammatica de greci; e vedemmo Livio Andronico
avere per primo tradotto tragedie, le quali cacciarono di scanno i versi
fescennini, i giuochi scenici etruschi e le informi atellane. Ennio, oltre ai
componimenti poetici di cui facemmo menzione, voltò in latino la storia sacra
di Evemero, scritto ardito, inteso a dimostrare che gli dei della Grecia altro
non erano che antichi uomini dalla superstizione divinizzati. I romani non
videro nelle ipotesi del filosofo che un oggetto di mera curiosità. Non erano
ombrosi come gl’ateniesi, non avevano peranco sperimentato qualc’azione efficace
la filosofia esercitar potesse sulla religione. Accolsero del pari con
indifferenza la sposizione poetica che del sistema d'Epicuro loro presentò
Lucrezio. Germi erano questi gettati in terreno non preparato ancora à
riceverli. La conquista non tardò a dischiudere colla Grecia più facili
mezzi di comunicazione. I conquistatori trasportarono in patria schiavi tra’ quali
vi avevano non filosofi, ma retori e grammatici; e loro fidarono l'educazione
de' proprii figli. L'introduzione degli studii filosofici in Roma risale
alla celebre ambasceria di Carneade accademico, Critolao peripatetico, Diogene
stoico. Avidi di brillare e lusingati dall'ammirazione che destavano in un
popolo non avvezzo a sottili investigazioni, quei tre fecero pompa di tutta la
profondità e desterità della loro dialettica ad abbagliare la romana gioventù
che loro s'affoltava intorno, incantata di scovrire usi dianzi ignorati della
parola. I magistrati s'adombrarono di cotesto subitano commovimento. I vecchi
Se. natori armaronsi di tutta l'autorità delle prische costumanze per
respingere studi speculativi, che teme vano come pericolosi e disprezzavano
come futili. Catone il censore ottenne che si allontanassero tosto dalla romana
gioventù i retori che davano opera a distruggere le più venerate tradizioni e a
smovere le fondamenta della morale. I sofismi di Carneade, il quale faceva
pompa della spregevole arte di sostenere a piacimento le opinioni più contraddittorie,
forne a Catone plausibili argomenti di vituperarlo. Sicchè i primordi della
filosofia furono contrassegnati in Roma da sfavorevoli apparenze. Il rigido
Censore non prevede che, un secolo dopo, quella filosofia che aveva voluto
proscrivere, meglio approfondita e meglio conosciuta, sarebbe il solo rifugio
del suo pronipote contro le ingiurie della fortuna e la clemenza di Cesare. Non
possiamo trattenerci dal simpatizzare con que’ vecchioni, i quali opponevano al
torrente da che avvisavano minacciata la patria lor capegli canuti e la loro
antica esperienza, evocando a respignere pericolose novatrici dottrine la
religione del passato e le tradizioni di seicent anni di vittorie di
libertà divirtù. Ma se a codesto spontaneo sentimento tien dietro la
riflessione, saremo costretti di riconoscere che a rintuzzare il progresso
della filosofia ed anco de sofismi di Grecia, il senato mal si appose con
quel suo violento procedere. Tutto ciò che è pericoloso racchiude in sè un
principio falso che è sempre facil cosa scovrire. Affermare il contrario
sarebbe muovere accusa alla Divinità, quasi ch'ella con innestare il male
nella conoscenza del vero avesse teso un laccio all’umana intelligenza. Convien
dunque adoperarsi a dimostrare la falsità delle opinioni perniziose,
non proscriverle alla cieca, quasi rifuggendo esaminarle conscii
dell'impossibilità di confurtarle. Sì ardua impresa rispondere agli
ateniesi sofisti? o sì difficile dimostrare che quelle loro argomentazioni
pro e contra lo stesso principio di morale erano assurde? O sì
temerario lo appellarsene, ne' cuori romani, a’sentimenti innati del vero e del
giusto, il risvegliare in quelle anime ancor nuove sdegno e disprezzo per
teoriche, le quali, consistendo tutte in equivoci, dovevano vituperosamente
cadere dinanzi la più semplice analisi? Catone anda altero dell'ottenuta
vittoria. Gli ambasciadori ateniesi furono tosto rimandati. Per un secolo
ancora severi editti, frequentemente rinnovati, lottarono contro ogni nuova
dottrina. Ma l' impulso era dato, nè poteva fermarsi. I giovani romani conservarono
impresse nella memoria le dottrine dei sofisti. Era poi e riguardarono la
dialettica di Carneade non tanto come un sistema che conveniva esaminare,
quanto come una proprietà che stava bene difendere. Giunti ad età provetta nel
bivio d'abbandonare ogni speculazione filosofica o di disobbedire alle leggi,
furono tratti a disobbedire dalla loro inclinazione per le lettere, passione la
quale, dacchè è nata, va crescendo ogni dì, siccome quella che ha riposte in sè
medesima le proprie soddisfazioni. Gli uni tennero dietro alla filosofia nel
suo esiglio ad Atene. Altri mandarono colà i loro figli. I capitani degli
eserciti furono i primi a lasciarsi vincere apertamente da questa tendenza
generale degli spiriti. L'accademico Antioco fu compagno di Lucullo. Catone il
censore cedè egli stesso, a malgrado delle sue declamazioni, alla seduzione
dell'esempio, ed assistè alle lezioni del peripatetico Nearco. Silla fece
trasportare in Roma la biblioteca d'Apellico di Teo. Catone d'Utica allorch'era
tribuno militare in Macedonia peregrino in Asia a solo oggetto d'ottenere che
lo stoico Atenodoro abbandonasse il suo ritiro di Pergamo e si conducesse a
dimorare con lui. Pure gli spiriti che con siffatto entusiasmo
s'abbandonarono alle filosofiche investigazioni non trovavansi da studii
anteriori preparati ad astratte speculazioni. Ne avvenne che la filosofia
penetra in coteste menti dirò come in massa e nel suo insieme. Ma non
s'indentificò col rimanente delle loro opinione. La sua efficacia fu nel tempo
stesso più gagliarda e mento continua che in Grecia. Più gagliarda nelle circostanze
importanti nelle quali l'uomo trascinato fuori del circolo delle sue abitudini
cerca appoggi, motivi d'agire, conforti straordinarii. Meno continua perchè, se
niun evento tnrbava l'ordine abituale, ella ridiventava pe’ romani una scienza,
piuttostochè una regola di condotta applicata a tutti i casi della vita
sociale. Che se non iscorgiamo in Roma individui che a somiglianza dei sapienti
della Grecia consacrassero alla filosofia esclusivamente il loro tempo. Non ci
appare nè anche, ad eccezione di Socrate, che i greci abbiano saputo trarre
dalla filosofia quegli efficaci soccorsi che invigorivano gli illustri
cittadini di Roma in mezzo ai campi, nelle guerre civili, tra le proscrizioni,
allora suprema. I romani si divisero in sette. Effetto della maniera
d'insegnamento di cui i retori greci usavano con essi. Per la maggior parte
schiavi od affrancati, dovevano costoro, qualunque fosse il loro convincimento
o la loro preferenza per queste o quelle dottrine, studiarsi di piacere a'
padroni; ond'è che chiaritisi come una tale ipotesi respignesse colla sua
severità o stancasse colla sua sottigliezza, affrettavansi di sostituirne altra
più accetta. Tali sono i risultamenti della dipendenza. L’amore stesso del vero
non basta ad affrancare l'uomo dal giogo. S’egli non abjura le sue opinioni, ne
cangia le forme; se non rinnega i suoi principii, li sfigura. Allorchè a
questi retori schiavi succedettero i retori stipendiati, le dottrine diventarono
derrata di cui itanto per greci trafficarono, e della quale per
conseguenza lasciarono la scelta a' compratori. Le varie sette non trovarono
in Roma uguale favore. L'epicureismo benchè in bei versi esposto ed insegnato
da Lucrezio, vi fu dapprima respinto, non la sua morale di cui bene non si
conoscevano ancora i corollarii, quanto per la raccomandazione che faceva
d'attenersi ad una vita speculativa e ritirata, aliena non meno da fatiche che
da pericoli. Gli è questo difatti il principale rimprovero che fa Cicerone alla
filosofia epicurea. I cittadini d'uno stato libero non sanno concepire la
possibilità di porre in dimenticanza la patria, perciocchè ne posseggono una; e
considerano come colpevole debolezza quell'allontanamento da ogni carriera
attiva, che sotto il dispotismo diventa bisogno è virtù di tulli gli uomini
integri e generosi. L'epicureismo ebbesi per altro un illustre seguace; nè qui
vo' accennare d'Atlico, che senza principii senza opinioni fu bensì amico caldo
e fedele, ma cittadino indifferente e di funesto esempio, avvegnachè sotto
forme eleganti insegnò alla moltitudine ancora indecisa e vacillante come
chicchessia può accortamente isolarsi e tradire con decenza i proprii doveri
verso la patria. Il romano di cui intendo parlare è Cassio che fino
dall'infanzia si consacrò alla causa della libertà, e rinunziando ai piaceri
alle dolcezze della vita, non ebbe che un pensiero un interesse una passione,
la patria. Fu centro della cospirazione contro Cesare; e dolendosi di non potere
sperare in un'altra vita, muore dopo avere corso un arringo continuamente in
contraddizione colle sue dottrine. Le sette di Pitagora, di Aristotile, e
di Pirrone incontrarono a Roma ostacoli d'altra maniera. La prima, per una
naturale conseguenza del segreto in cui si avvolse fino dal suo nascere,
contrasse affinità con estranie superstizioni; perciocchè uno degli
inconvenienti del mistero, anche quando n'è pura l'intenzione primitiva, è di
fornire all' impostura facile mezzo d'impadronirsene. Nigido Figulo è il solo
pitagorico di qualche grido che abbia fiorito in Roma. L'oscurità aristotelica
ebbe poche attrattive per menti più curiose che meditative. L'esagerazione
pirronista per ultimo ripugna alla retta ragione de’ romani. Il platonismo che
ancor non era ciò che di. venne due secoli dopo per opera de' novelli
platonici. Lo scetticismo moderato della seconda accademia, e lo stoicismo
furono i sistemi adottati in Roma. Lucullo, Bruto, Varrone sono platonici. Cicerone,
a cui piacque porre a riscontro tutte le varie dottrine, inclina per
l'indecisione accademica. Lo stoicismo solo fu caro alla grand'anima di Catone
Uticense. “Non possum legere librum Ciceronis de Se. nectute, de
Amicitia, de Officiis, de Tusculanis Quæstionibus, quin aliquoties exosculer
codicem, ac venerer sanctum illud pectus aflatum celesti Qumine. ERASM.
in Conviv --. M. Tullio adotta egli per convinzione i sistemi filosofici della
nuova accademia, o diè loro la preferenza perchè più propizii all’oratore in
fornirgli arme con cui combattere i proprii avversarii! Corse grand' intervallo
tra un Cicerone ambizioso, e un Cicerone disingannato. Ciò che pel primo era
oggetto subordinato a speranze a divisamenti avvenire, diventa pel secondo un
bisogno del cuore, un'intensa occupazione della mente. Ei pose affetto alle
dottrine del platonismo riformato; e a quelle parti della morale in esse
contenuta di cui si tenne men soddisfatto, altre ne sostituì fornitegli dallo
stoicism. E propriamente ecclettico, od amatore del vero e del buono ovunque lo
riscontrava. Ad imitazione di Platone pose in dialoghi i suoi scritti
filosofici. Per eleganza di stile ed elevatezza di concetti non cede al
modello. Per chiarezza e per ordine lo vince. Ne cinque libri, De finibus,
intorno la natura del bene e del male si propose una meta sublime; la ricerca
cioè del bene supremo; in che cosa consista; come si consegna; ove dimori. Tu
cerchi però inutil mente in quelle pagine da cui traluce tanta sapienza
plausibile soluzione del quesito. Gli antichi ingolfandosi in cotali disamine
faceano ricerca di ciò che trovare non potevano; chè gli è impossibile che il
bene supremo rinvengasi in ordine di cose che necessariamente è imperfetto.Verità
che il Vangelo ci rese ovvia insegnandoci come la felicità sognata dai gentili
pel loro saggio non sia fatta per uomo mortale, essondechè stanza le è
riserbata imperibile sublime. In che cosa consiste il sommo bene? Ecco di
che venivano continuamente richiesti i filosofi. Epicuro ed Aristippo
rispondevano, nel piacere; Jeronimo, nell'assenza del dolore; Platone, nella
comprensione del vero, e nella virtù che ne è conseguenza; Aristotile, nel
vivere conformemente alla natura. Cicerone associa le sentenze di Platone e
d'Aristotile, e si appose meglio di quanti nell'arduo arringo l'avevano
preceduto. Dalle più elevate astrazioni sceso ad argomenti che si
collegano co' bisogni e co' vantaggi dell'uomo, M. Tullio si propose nelle
Tusculane di cercare i mezzi adducenti alla felicità. Cinque ne noverò; il
dispregio della morte; la pazienza ne' dolori; la fermezza nelle varie prove;
l'abitudine di combaltere le passioni, e finalmente la persuasione che la virtù
dee unicamente cercare premio in sè stessa: e la dimostrazione di cotesti
assiomi si fa vaga, sotto la penna del filosofo, di tutte le grazie
dell'eloquenza. All' Anima, egli scrive, tu cercheresti inutilmente un'origine
terrestre, perocchè nulla in sè accoglie di misto e concreto; non un atomo
d'aria d'acqua di fuoco. In cotesti elementi sapresti tu scorgere forza di
memoria d'intelligenza di pensiero, valevole a ricordare il passato a
provvedere al futuro ad abbracciare il presente? Prerogative divine sono queste
, nè troveresti mai da chi sieno state agli uomini largite, se non 'da Dio. È
l'anima pertanto informata di certa quale sua singolar forza e natura ben
diverse da quelle che reggono i corpi tutti a noi noti. Checchè dunque in noi
sia che sente intende vuole vive; divina cosa certo è cotesta; eterna quindi
necessariamente esser deve. Nè la divinità stessa, quale ce la figuriamo,
comprenderla in altra guisa possiamo, che come libera intelligenza scevra
d'ogni mortale contatto, che tutto sente e muove, d’eterno moto ella stessa
fornita. L’anima umana per genere e per natura somiglia a Dio. “Dubiterai
tu, a veder le meraviglie dell'universo, che tal opera stupenda non abbiasi (se
dal nulla fu tratta, come afferma Platone) un creatore; o se creata non fu,
come pensa Aristotile, che ad alcun possente moderatore non sia data in
custodia? Tu Dio non vedi; pur le opere sue tel rivelano: così ti si fa palese
dell'anima, comechè non vista, la divina vigoria, nelle operazioni della
memoria nel raziocinio nel santo amore della virtù.” I discepoli d'Epicuro,
commentando, esagerando ciò che vi avea d'incerto d'oscuro nei principii del
loro maestro. l'universo nato dal caso affermarono, negarono la provvidenza,
piegarono all'ateismo. Tullio si fa a combatterli nel suo libro Della natura
degli Dei. Le lettere antiche non inspiraronsi mai di più sublime
eloquenza. Vedi primamente la terra, collocata nel centro del mondo, solida,
rotonda, in sè stessa da ogni parte per interior forza ristrella; di fiori
d'erbe d'arbori di messi ammantarsi. Mira la perenne freschezza delle fonti, le
trasparenti acque de' fiumi, il verdeggiare vivacissimo delle rive, la
profondità delle cave spelonche, delle rupi l'asperità, delle strapiombanti
vette l’elevazione, delle pianure l'immensità, e quelle recon. dite vene d'oro
e d'argento, e quell' infinita possa di marmi. Quante svariate maniere
d'animali! quale aleggiare e gorgheggiar d'uccelli e pascere d'armenti, ed
inselvarsi di belve! E che cosa degli uomini dirò, che della terra costituiti
cultori non consentono alla ferina immanità di toruarla selvaggia, all’animalesca
stupidità di devastarla, sicchè per opera loro campi isole lidi mostransi vaghi
di case, popolati di città! Le quali cose se a quella guisa colla mente comprendere
potessimo, come le veggiamo cogli occhi; niune in gettare uno sguardo sulla
terra potrebbe dubitar più oltre che esista ia provvidenza divina. “Ed
infatti, come vago è il mare! come gioconda dell'universo la faccia! Qual
moltitudine e varietà d'isole é amenità di piani, e disparità d'animali,
sommersi gli uni nei gorghi, gnizzanti gli altri alla superficie, nati questi a
rapido moto, quelli all’imobi, lità delle loro conchiglie! E l'acre che col
mare con: fina qua diffuso e lieve s'innalza, là si condensa e accoglie in
nugoli, e la terra colle piove feconda ; e ad ora ad ora pegli spazii
trascorrendo ingencra i vento ti, e fa che le stagioni subiscano dal freddo al
caldo loro consuete mutazioni, e le penne de' volatori sostiene, e gli animali
mantien vivi.” 5 Giace ultimo l'etere dalle nostre dimore disco. stissimo, che
il cielo e tutte cose ricigne, remoto confine del mondo; per entro al quale
ignei corpi con maravigliosa regolarità compiono il loro corso. Il sole, uno
d'essi, che per mole vince di gran volte la terra, intorno a questa s'aggira,
col sorgere e il tramontare segnando i confini del giorno e della notte;
coll'avvicinarsi e il discostarsi quelli delle stagioni; sicchè la terra,
allorehè il benefico astro s'allontana, da certa qual tristezza è conquisa;
pare che invece insieme col ciclo ši allegri allorchè torna. La luna, che a
dire de matemateci, è più che una mezza terra, trascorre pe' medesimi spazii
del sole, ed ora facendoglisi incontro; ora dipartendosi, que' raggi che da lui
riceve a noi trasmette; ed avvengonle mutazioni di luce; perciocchè talora
postasi innanzi al sole lo splendore ne oscura ; talora nell'ombra della terra
s'immerge e d'improvviso scompare. Per quegli spazii medesimi le stelle che
denominiamo vaganti girano intorno a noi e sorgono e tramontano ad uno stessso
modo; il moto delle quali ora è affrettato ora s'allenta ora cessa;
spettacolo di cui altro avere non vi può più ammirando e più bello. Tiene
dietro la moltitudine delle non vaganti stelle, delle quali sì precisa è la
reciproca giacitura , che si poterono ad esse applicar nomi di determinate
figure. “E tanta magnificenza d'astri, tanta pompa di cielo, qual sano
intelletto mai potrà figurarsele surte dal raccozzarsi di corpi qua e là
fortuitamente ? Chi potrà credere che forze d' intelligenza e di- ragione
sprovvedute fossero state capaci di dar compimento a tali opere delle quali ,
senza somma intelligenza e robusta ragione, ci sforzeremmo inutilmente di
comprendere, non dirò come si sieno fatte, ma solo quali veramente sieno?” Dopo
d'avere additato virtù e religione siccome scaturigini del bene, maestre di
felicità, dopo d'avere spaziato pegli immensi campi d'un'alta e confortevole metafisica,
dopo di avere falto tesoro negli insegnamenti della greca filosofia di ciò
ch'essa mise in luce di più puro e sublime intorno l'anima e Dio; argomento
degno della gran mente di Cicerone era la felicità, non più studiata e
ricercata pegli individui, ma per le nazioni; ed a sì nobile soggetto consacrò
i suoi trattati, in gran parte perduti, Della repubblica e Delle leggi. Nei
frammenti che ce ne restano scorgiamo essersi il filosofo serbato fedele al suo
assioma favorito: - nella giustizia divina contenersi l'unica sanzione
dell'umana giustizia. u Fondamento primo d'ogni legislazione, egli
scrive, sia un generale convincimento che gli Dei sono di tutto arbitri,
di tutto moderatori; che benefattori del. l'uman genere scrutano che cosa è in
sè stesso ogni uomo, che cosa fa, che cosa pensa, con quale spirito pratica il
culto ; sicchè i buoni sanno discernere dagli empii. Ecco di che gli animi
voglionsi compene. trati, onde abbiano la coscienza dell' utile e del vero.” Ma
se M. Tullio della virtù della felicità delle leggi ravvisava nella religione
le scaturiggini, la religione voleva che santa e pura fosse, onninamente
sgombra dalle supestizioni dalle credulità, da che vituperata miravala. A tal
uopo dettò l'aureo trattato De divinatione, nel quale usò d'un argomentare nel
tempo stesso seyero e faceto, con abbandonarsi in isferzare la credulità e la
sciocchezza a'voli più opposti della sua proteiforme eloquenza.
Capolavoro di Cicerone è il libro Degli Officii , ossia de' doveri morali degli
uomini in qualunque condizione si trovino essi collocati. I Greci ebbero
costume di spaziare troppo ne' campi delle filosofiche astrazioni; le loro
dottrine trovarono meno facile applicazione a' casi pratici della vita , perchè
sovraccaricate di vane disputazioni , oppurtune più spesso a trastullare
l'imaginazione, che ad illuminare l'intelletto. Tullio grande e saggio anche in
questo volle spoglia la sua filosofia di quell' ingombro, e ricondussela alla
più semplice e precisa espressione degli inculcati doveri. 6 Cicerone ( scrive-
a proposito del libro degli Officii un critico tedesco) fu dotato di
luminosa intelligenza di rello giudizio di gran. de altività, doti
opportunissime a coltivare la ragione, a fornirle argomento d' incessanti
meditazioni. Ma Cicerone non possedeva lo spirito speculativo che si richiede a
poter ben addentrarsi ne' primi principii delle scienze : il tempo venivagli
meno a minute indagini, la sua indole stessa fare non gliele poteva famigliari.
Uomo di stato più che filosofo, le scienze morali lo interessavano per quel
tanto che gli servivano a rischiarare le proprie idee intorno ad argomenti
politici. Vissulo in mezzo a rivoluzioni, quali traversie non ebbe egli a
sopportare ! Niun politico si trovò mai in situazione più propizia per fare tesoro
d'osservazioni intorno l'indole della civile società, la diversità de'
caratteri, l'influenza delle passioni. Pure cotesta situazione sua stessa era
poco alla a fornirgli opportunità d’approfondire idec astralte o meditare sulla
natura delle forze invisibili, i cui visibili risultamenti s'appalesano nell'
umano consorzio. La situazione politica in cui M. Tullio si trovò
collocato improntò la sua morale d'un carattere speciale. Gli uomini dei quali
ed a’ quali ragiona sono quasi sempre della classe a cui spetla d'amministrare
la repubblica: talora, ma più di rado, rivolgesi agli studiosi delle lettere e
delle scienze. Per la moltitudine de cittadini hannovi bensì qua e là precetti
generali comuni applicabili agli uomini tutti; ma cercheresti inutilmente
l'applicazione di que' precelli alle circostanze d'una vita oscura e modestà.
Caso invero singolare! Mentre le forme del reggimento repubblicano
raumiliavano l'orgoglio politico con dargli a base il favore popolare, i
pregiudizii dell'antica società alimentavano l'orgoglio filosofico, con
accordare il privilegio dell'istruzione unicamente a coloro che per nascita o
per fortune erano destinati a governare i loro simili. In conseguenza di questo
modo di vedere i precetti morali di Cicerone degenerarono sovente in politici
insegnamenti. Coi trattati “Dell' amicizia” e “Della vecchiezza” M.
Tullio a confortevoli meditazioni ebbe ricorso onde ricreare la propria mente
dalla tensione di più ardui studii e dagli insulti della fortuna. E veramente
che cosa avere vi può sulla terra di più dolce e santo d'una fedele amicizia?
Che cosa vi ha di più dignitoso e simpatico d'una vecchiezza onorata e felice ?
Cice, rone in descrivere quelle pure e nobili dilettazioni consulto il proprio
cuore: beato chi trova in sè stesso l' inspirazione e la coscienza della virtù!”
-- Conte Tullio Dandolo. Tullio Dandolo. Keywords: storia della filosofia
romana – ambasceria di Carneade – e tutto il resto! -- “Il secolo di Augusto”;
“Roma e l’impero fino a Marc’Aurelio” “Corse estive nel Golfo della Spezia”;
roma pagana “indici ragionati degli studi del conte Tullio Dandolo su Roma
pagana” -- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dandolo” – The Swimming-Pool
Library.
Daniele
(San
Clemente). Filosofo. Grice: “Daniele is an interesting philosopher, if you are
into numismatics, his pet topic!” Figlio di Domenico e Vittoria De Angelis,
studia a Napoli, dove frequenta gli intellettuali della città. Entra in
amicizia con vari studiosi tra cui Genovesi, Cirillo, ed Egizio. Cura
un'edizione delle opere di A. Telesio, illustre filosofo cosentino, lavoro che
gli procurò l'interesse di intellettuali di giornali letterari dell'epoca,
specialmente per l’epistola dedicatoria e la vita del Telesio filosofo in
purgato latino. Cura la pubblicazione le “Opuscoli” di Mondo, che era stato il
suo primo maestro, premettendovi una dotta prefazione di tutte le veneri e la
grazie pellegrine dell’idioma toscano, che merita gli elogi di Zanotti. Pubblica
le nuove “Orazioni” latine di Vico, ch’erano state lette da quest’altissimo
ingengno mentre filosofava sull’eloquenze e la colloquenza alla Regia
Univerista. Publicca la l’aureo romanzo de Longo – que sembra dettato
dall’amore, reso in volgare da Caro, con deliziosa e spontanea gracia, faciendo
un dono preziossimimo agli ananti della toscana favella – corredandolo di una
dotta prefazione escritta con ammirabile purita di lingua. A San Clemente cura le
proprietà della famiglia. Si dedica al studio dell’antico e agli studi della
classicità acquisendo documentazioni – collezione epigrafica -- e creando una
collezione di oggetti antichi legati al territorio di San Clemente. Pubblica una
critica ad alcuni studi sulle storia di Caserta (“Crescenzo Espersi Sacerdote
Casertano al Signor Gennaro Ignazio Simeoni, un ufficiale di artiglieria
napoletano”). Il marchese Domenico Caracciolo lo fa richiamare a Napoli dove
entra nella segreteria di Stato. Riordina la raccolta delle leggi e dei diplomi
dell'imperatore Federico II. E nominato "regio istoriografo", carica
che era stata di Vico e di Assemani. Alla carica era associato un sussidio
economico. Pubblicò Le Forche Caudine illustrate (Napoli), lavoro che gli
permise di entrare all'Accademia della Crusca. Ricoprì nella Reale Accademia di
Scienze e Belle Lettere, creata da Ferdinando IV, la carica di censore per le
memorie delle classi terza e quarta. Riceve l'incarico di sistemare la
biblioteca della Collezione Farnese, in seguito confluita nella Biblioteca di
Napoli. Divenne uno dei 15 soci dell'Accademia Ercolanese, dove cura la
pubblicazione degli studi su Ercolano e Pompei. Suo malgrado anzi fu coinvolto,
a causa della sua vicinanza con gli intellettuali vicini alla repubblica, nei
fatti che successero dopo la caduta della Repubblica partenopea. Perse tutti
gli incarichi e di conseguenza torna agli amati studi. Pubblicò un saggio di
numismatica, Monete antiche di Capua, con la descrizione delle monete capuane di
cui sei inedite. Sotto Bonaparte, riottenne le sue cariche e l'anno dopo
divenne segretario perpetuo dell’Accademia di storia e di antichità e fu
nominato direttore della Stamperia Reale. Fu anche socio dell'accademia
Cosentina, della Plautina di Napoli, e dell'Accademia Etrusca di Cortona. Altre
opere: “Antonii Thylesii Consentini Opera” (Napoli); “Crescenzo Esperti
Sacerdote Casertano al Signor Gennaro Ignazio Simeoni” (Napoli) – una lettera
sotto un falso nome in cui dimonstra la vera origine di Caserta --; “Le Forche Caudine illustrate” (Caserta) –
dove stabilisce il vero luogo ove furono piantati que’ gioghi sotto cui
passarono le vite legion romane, provando con compoisoa e ben adattata
erudizioone, chef u la Valle d’Arpaia, contro l’opinione di Cluvero, Olstenio, e
di altri eruditi di chiaro nome --; “I Regali Sepolcri del duomo di Palermo
riconosciuti et illustrate” (Napoli) – imprese anche ad illustrare le tombe de’
re di Sicilia. Rispende in questa la purita della lingua, e la ‘erudizione piu
estesa, che possa desiderarse tanto nella patria storia degli antichi tempi, ,
quanto in quella del medio evo -- “Monete antiche di Capua” (Napoli) dove interpreta le antiche monete di Capua gia
pubblicate fino al numero di dodici, ne pubblica altre sei del tutto ignote agli
eruditi; e nel fine dell’opera tratta in un erudite discourse del culto di
Giove, di Diana, e di Ercole presso i Campani. Opera inedita: Ricerca storica,
diplomatica, e legalle sulla condizione feudale di Caserta; Vita e Legislazione
dell’Imperatore Federico II, “Codice Fridericiano” contenente tutta la
legislazione di Federico. Propurca l’onoro di iiverine region storiografico,
segretario perpetuo dell’accademia ercolanese e l’accademia della Crusca.– che
le merita membro della Crusca – Vita ed opuscoli di Camilo Pellegrino il
giovane; Topografia dell’antica Capua illustrate con antichi monumenti; Il
Museo Casertano. “Cronologia della famiglia Caracciolo di Francesco de Pietri”
(Napoli). Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Danilele epigrafista e l’epigrafe probabilmente sua per la Reggia di
Caserta,La collezione epigrafica del Daniele a Caserta; Una pagina di storia
dell’Anfiteatro Campano, Francesco Daniele: un itinerario emblematico, in
classica a Napoli, La famiglia Daniele e i suoi due palazzi in San Clemente di
Caserta: note genealogiche ed araldiche, descrizione degli edifici superstiti e
ipotesi e proposte per la loro corretta attribuzione”; Daniele e lo studio del
mondo antico” -- Lettere di Francesco Daniele al principe di Torremuzza”; “Lettera
di Francesco Daniele a Giovanni Paolo Schultesius”, Lettere di Francesco
Daniele al dottor Giovanni Bianchi di Rimini” Pseudonym: ‘Crescenzo
Esperti’. Francesco Daniele. Keywords:
filosofia antica, roma antica, filosofia romana, l’antico in Roma antica,
l’antico, idea dell’antico, ercolano, pompei, collezione farnese, palazzo
Daniele, San Clemente, Caserta. Opera di Mondo, A. Telesio. “Regio
Istoriografo,” carica cheera state di Divo e di Assemani, Giove, Diana, Ercole,
Campania, le vinte legion legion romane, l’origine di Caserta, A. Telesio,
filosofo. Mondo, filosofo, opuscoli. Romanzo di Longo reso in volgare da Caro,
vita di Talesio, orazioni sull’eloquenza di Vico, valle d’Arpaia, gioghi, re di
Sicilia, Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Daniele” – The Swimming-Pool Library.
Dati (Siena). Filosofo.
Grice: “Dati is a good one if you are into Ciceronian rhetoric as given a
running commentary by an unknown philosopher from Siena! – But mind, he also
wrote, like Shropshire, on the immortality of the soul!” Noto per il suo
manuale di grammatica Elegantiolae. Erasmo lo loda come uno dei maestri italiani
di eloquenza. Nato da una agiata famiglia senese, passò la maggior parte della
sua vita a Siena. Studia con Filelfo. Dopo aver insegnato per qualche tempo a Urbino,
torna in patria e insegna retorica. E nominato segretario di Siena. Altre
opere: Elegantiolae. L'Isagogicus libellus pro conficiendis epistolis et
orationibus fu stampato per la prima volta a Ferrara da Andrea Belfortis.
Elegantiae minores; “Opusculum in elegantiarum
precepta cum Jodoci Clicthovei Neoportunensis et Jodoci Badii Ascensii
commentariis; “Ascensii in epistolarum compositionem compendium”; “Sulpitii de
epistolis componendis opusculum”; “Tabule in Augustino Datto contentorum
index”; “Francisci Nigri elegantie regularum elucidatio”; “Magistratum Romanorum
nominum declaratio”; “Ortographie regularum Ascensiana traditio. De grecis
dictionibus apex ex Tortellio depromptus.” “Augustini Datii Senensis opera
(Siena) – include diciassetteopusculi: I piu importanti sono: “Oratium libri
septem”, “Fragmenta senensium historiarium libris tribus; “Isagogicus libellus
pro conficiendis epistolis et orationibus” – ristampato “Elegantiarum
libellus”. Le Elegantiolae, ristampato ocon cari titoli, era considerato
"il manuale par excellence". Sirve da base per i “Rudimenta
grammatices” di Perotti. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, “Plumbinensis Historia”, Firenze, SismelEdizioni
del Galluzzo. Vedi Bandiera, “De laudibus eloquentiae A. Datii” – Grice: “Dati
is into ‘elegance’ but he is also into ‘regulae’, which are a bit like my
maxims – my maxims can be exploited for ‘effect’ – and those are the types of
rules that Dati is interested. Sadly, his philosophy has been interpreted as
that of a mere linguist or grammarian prescribing on how to write letters! But
he surely was a pre-Griceian who is looking for ‘rational’ pragmatic reasons to
the effect of a most effective, yet ‘elegant,’ communication. Many examples can
be philosophical: ‘women are women’, ‘war is war’. ‘Women are women’ is not
meant as a substitutation for Parmenides’s law, x = x. Such an utterance would
be, “Every thing is identical with itself.” “War is war” is different in that
‘war’ is uncountable, and we can keep the singular ‘is’ of Parmenides’s law, x
= x. But why do we consider ‘War is war’ a tautology? Because it is the
exemplification of ‘x = x” – Now, some philosophers claim that ‘war is war’ –
or Parmenides law, for that matter, isn’t not a ‘patent tautology’, since it needs
to be formalized in the predicate calculus, and the predicate calculus is not
decidable, i.e. there is no algorithm for its interpretations which render its
formulae tautologous. Augustinus Datus. Augustinus Dathus. Agostino Dati. Keywords:
retorica, grammatica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dati” – The Swimming Pool
Library.
Delfino (Padova). Filosofo. Grice:
“Delfino is what we at Oxford would call a ‘philosophical mathematician,’ and
in Italy, an astrologer – his specialty was the ‘motum’ of the ‘ocatva
sphaera’!” “But he also wrote on algorithms!” Ensegna a Padova. Erudito dalle
multiformi attività, fu attivo a Padova nel filone dell'aristotelismo padovano
rinascimentale: sicuramente studioso di logica e matematica, ebbe chiara fama
di matematico e di astronomo. Altre opere: “De fluxu et refluxu aquae maris”
(Venezia); “De holometri fabrica et usu in instrumento geometrico, olim ab
Abele Fullonio invento: Acc.); “Disputatio de aestu maris et motu octava
sphaera, Johann Niklaus Stupanus, Abel Foullon, Padova, In Accademia Veneta Paulus
Manutius. Dizionario biografico degli
italiani. Federicus Dolphinus. Federicus Delphinus. Federico Dolfin. Federico
Delfino. Keywords: first sphere, second sphere, third sphere, fourth sphere,
fifth sphere, sixth sphere, seventh sphere, eighth sphere – prima sphaera,
seconda sphaera, tertia sphaera, quarta sphaera, quinta sphaera, sexta sphaera,
septima sphaera, octava sphaera, holometria, fabrica holometri, aristotelismo
padovano vs. platonismo fiorentino – aristotele – platone – padova naturalism –
Firenze idealism – filosofia della percezione – prospettiva -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Delfino” – The Swimming-Pool Library.
Delia
Deliminio
Delogu (Nuoro). Filosofo. Grice: “We can
call Delogu a Griceian; at least he has written a little tract that he entitled
‘questioni di senso’ – which is all that my philosophy is about!” Si laurea a Sassari
e, come vincitore di una borsa di
studio regionale di perfezionamento in Dottrina dello Stato, ha collaborato all’attività
didattica e di ricerca con Pigliaru. È stato redattore del periodico del
seminario di Dottrina dello Stato Il Trasimaco, fondato e diretto da Pigliaru.
Come vincitore di concorso ha insegnato Filosofia e Storia nei licei. Ha preso
servizio a Sassari in qualità di ricercatore. Come vincitore di concorso
ordinario, è prof. associato e prof.
ordinario di Filosofia morale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia
dell’Università degli Studi di Sassari. Cofonda i Quaderni sardi di filosofia e
scienze umane. Fonda e diretto i Quaderni sardi di filosofia letteratura e
scienze umane. Fa parte del comitato scientifico della rivista “Segni e
comprensione” -- dell’Lecce. È stato direttore del Centro studi
fenomenologici a Sassari, fonda e diretto la sezione sassarese della Società
Filosofica Italiana. È stato direttore della Scuola di specializzazione
per la formazione degli insegnanti a Sassari. Gli è stato conferito il Premio
Sardegna-Cultura e il Premio Giuseppe Capograssi, dalla giuria presieduta da
Giovanni Conso, presidente dell’Accademia dei Lincei. Organizza numerosi
convegni, tenutisi in Sardegna, generalmente a Sassari. Tra questi: Realtà
impegno progetto in Pigliaru, Libertà e liberazione; Etica e politica in
Capograssi; Tuveri filosofo, Dettori filosofo, Esperienza religiosa e cultura
contemporanea, Le nuove frontiere della medicina tra etica e scienza, Vasa
filosofo, Nella scrittura di Satta,; Filosofia e letteratura in Karol Wojtyla;
Attualità di Noce; Scrittura e memoria della Grande Guerra . Ha partecipato in
qualità di relatore ai convegni su Merleau-Ponty (Lecce), Mounier (centro E.
Mounier Reggio Emilia), Sartre (Bari, Università Roma TRE, La Sorbona di
Parigi), Gramsci (Cagliari), Intellettuali e società in Sardegna nell’Ottocento
(Cagliari), Capograssi (Roma), Noce
(Roma); Tuveri (Cagliari), SSatta, (Trieste); su Corpo e psiche:
l’invecchiamento (Chiavari), su I vissuti: tempo e spazio (Chiavari); è stato
relatore al Corso di formazione su Fenomenologia e psico-patologia promosso dal
Dipartimento di salute mentale di Massa Carrara. Ha tenuto lezioni
seminariali sul pensiero fenomenologico di Wojtyla a Lublino; Capograssi, sul
Diritto penale internazionale a Ginevra, sul pensiero filosofico politico nella
Sardegna dell’Ottocento a Zurigo. È stato responsabile del gruppo di
ricerca dell’Ateneo sassarese su L’etica nella filosofia italiana e francese
contemporanea, PRIN. Collabora alle riviste Annuario filosofico, Rivista
internazionale di Filosofia del diritto, Nouvelle Revue théologique; al
Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, alla Enciclopedia
Filosofica edita da Bompiani. Ha diretto il Master Mundis per la Dirigenza
Scolastica promosso da Sassari in collaborazione con la conferenza nazionale
dei Rettori. Premio "Sardegna-Cultura" Premio "Giuseppe
Capograssi”. Altre opere: “Insegnamento e implicamento empiegamento della
filosofia nella scuola secondaria, Tipografia editoriale moderna, Sassari); “La
critica di Merleau-Ponty alla concezione tomista dell’uomo e della libertà in
S. Tommaso nella storia del pensiero, Teoria
e prassi in A. Pigliaru, Quaderni sardi di filosofia e scienze umane, La
Filosofia Cattolica in Italia, Quaderni Sardi di filosofia e scienze Umane); “Pluralismo
culturale ed educazione in Colloquio interideologico,“ Orientamenti
Pedagogici", La Filosofia dell’educazione in A. Pigliaru; in Quaderni
Sardi di filosofia e scienze umane, Se la corrente calda… Un itinerario
filosofico: Péguy, Sorel, Mounier, Sartre, Quaderni Sardi di filosofia e
scienze umane, M. Ponty, Esistenzialismo, Marxismo, Cristianesimo,, Editrice La
Scuola, Brescia); Né rivolta né rassegnazione: saggio Su Merleau-Ponty, Ets,
Pisa); “Le corpori nell’esperienza morale” Quaderni Sardi di filosofia e
scienze umane, Non vi è terza (né altra via) nell’ “Esprit” di Mounier, Quaderno
Filosofico, “Temporalità e prassi” in S. Weil, Progetto, Temporalità e prassi
in Sartre in Sartre, teoria scrittura
impegno, V. Carofiglio e G. Semerari, Ed. Dedalo, Bari, Una filosofia disarmata
Merleau- Ponty in Esistenza impegno progetto in Merleau-Ponty, G. Invitto,
Guida, Napoli); “Storia e prassi” in La ragione della democrazia, Ed.
Dell'oleandro, Roma, Giuseppe Capograssi e la cultura filosofico-giuridica in
Sardegna, Quaderni sardi di filosofia e scienze umane, Note per una
fenomenologia della esperienza religiosa; in Chi è Dio. Università Lateranense,
Herder, Roma, Storia della cultura filosofico-giuridica, Enciclopedia della
Sardegna, La Filosofia etico-politica di Dettori e la cultura sardo-piemontese tra
Settecento e Ottocento, Quaderni Sardi di Filosofia e Scienze Umane, Il nucleo
di vita e di luce del Rousseau capograssiano in Due convegni su Capograssi, F.
Mercadante, Giuffè, Milano, Filosofia e società in Sardegna tra Settecento e
Ottocento in “La Sardegna e la rivoluzione francese” M. Pinna, Editore, La
Filosofia giuridica e etico-politica negli intellettuali sardi della prima metà
dell’Ottocento: Azuni, D. FoisTola, G. Manno in Intellettuali e società in
Sardegna tra Restaurazione e Unità d’Italia, Editore, Le Radici
fenomenologico-capograssiane di S. Satta giurista-scrittore; in Salvatore Satta
giurista-scrittore, U. Collu, Edizioni, Nuoro); “Soggetto debole, etica forte:
da S. Weil a E. Levinas; in Le Rivoluzioni di S. Weil, G. Invitto, Capone Editore,
Lecce, Pigliaru e Gramsci in Socialismo e democrazia, Archivio sardo del
movimento operaio contadino e autonomistico, Tracce del postmoderno in Weil, in
Moderno e postmoderno nella filosofia italiana oggi, U. Collu, Consorzio per la
pubblica lettura S. Satta, Nuoro, Società e filosofia in Sardegna Tuveri,
FrancoAngeli, Milano, Cultura barbaricina e banditismo in Pigliaru e M.Pira in
L’Europa delle diversità, FrancoAngeli, Milano, Prospettive fenomenologiche
nella cultura contemporanea; in Quaderni sardi di filosofia letteratura e
scienze umane, Asproni e i filosofi sardi contemporanei in Giorgio Asproni e il
suo ‘Diario Politico’, Cuec, Cagliari, Domenico
Azuni, Elogio della pace, a cura di, Assessorato Regionale alla Pubblica
Istruzione, Cagliari, Multi-dimensionalità della esistenza, in Quaderni sardi
di filosofia, letteratura e scienze umane, D.A. Azuni filosofo della pace, in
Francia e Italia negli anni della rivoluzione, Laterza, Bari); “La Preghiera in
J.Sartre in Esperienza religiosa e cultura contemporanea, a cura di, Diabasis,
Reggio Emilia); Note su “Etica comunitaria” e etica planetaria, in Quaderni
sardi di filosofia, letteratura e scienze umane, Temporalità esistenza sofferenza,
in Esistenza e i vissuti Tempo» e Spazio, A. Dentone, Bastogi, Foggia); Le
Relazioni Intermediterranee e il pensiero di D.A. Azuni, in Il regionalismo
internazionale mediterraneo nel 50º Anniversario delle Nazioni Unite, Consiglio
Regionale della Sardegna, Cagliari, La Festa e la via: una lettura
fenomenologica, in Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane, Corpo
e psiche: l’invecchiamento in Minkoswski, in Corpo e psiche, A. Dentone,
L’invecchiamento, Bastogi, Foggia, Cosmopolitismo e federalismo nel pensiero
politico sardo dell’Ottocento, in Il federalismo tra filosofia e politica.
Edizioni, Questioni Morali); La prospettiva fenomenologica, Istituto Italiano
Di Bio-etica, Macroedizioni, Cesena, L’etica della mediazione, in Il problema
della pena minorile, FrancoAngeli, Milano, La filosofia in Sardegna, Etica
Diritto Politica, Condaghes, Cagliari, Antonio Pigliaru, La lezione di
Capograssi, a cura di, Edizioni Spes, Roma); Note su Del Noce e il nichilismo;
in Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane, Repubblica e
civiche virtù, in Lezioni per la repubblica. La festa è tornata in città,
Diabasis, Reggio Emilia, K. Wojtyla, L’uomo nel campo della responsabilità, a cura
di, Bompiani, Milano, Federalismo e progettualità politico-sociale in Carlo
Cattaneo e Giovanni Battista Tuveri, in Quaderni sardi di filosofia, letteratura
e scienze umane); Cattaneo e Tuveri in Carlo Cattaneo temi e interpretazioni,
M. Corrias Corona, Centro Editoriale Toscano, Firenze, Al confine ed oltre. La
sofferenza tra normalità e patologia, Edizioni Universitarie, Roma); J. Sartre, Barionà o il figlio del tuono, a cura
di, Marinotti, Milano, Due Filosofi militanti: Carlo Cattaneo e Giovanni
Battista Tuveri in Cattaneo e Garibaldi. Federalismo e Mezzogiorno, A. Trova,
G. Zichi, Carocci, Roma, Esperienza e pena in Satta in Nella scrittura di
Salvatore Satta, Magnum, Sassari, Note Introduttive alla filosofia di Wojtyla,
Orientamenti Sociali Sardi); Note sul cristianesimo di Pigliaru, Orientamenti
Sociali Sardi, Nov-Dic., Etica e santità in Simone Weil; in Etica contemporanea
e santità, Edizioni Rosminiane, Stresa); Legge morale e legge civile in Natura
umana, evoluzione ed etica. Annuario di Filosofia, Guerini e Associati, Milano,
V. Jankélévitch, Corso di filosofia morale, a cura di, Raffaello Cortina,
Milano); Filosofia e letteratura in Karol Wojtyla, Urbaniana University Press,
Roma, La phénoménologie de l’agir moral selon Karol Wojtyla, in Nouvelle Revue
Theologique, Prefazione all’analisi
dell’esperienza comune in Giuseppe Capograssi, in La vita etica, F. Mercadante,
Bompiani Milano, La noia in Jankélévich, in In Dialogo con Vladimir
Jankélévich., Lisciani Petrini, Mimesis, Milano); La filosofia di Capograssi in
Esperienza e verità- Capograssi filosofo
oltre il nostro tempo, Il Mulino, Bologna, L’eredità di Capograssi nel pensiero
di Pigliaru, in Antonio Pigliaru. Saggi Capograssiani, a cura di, Edizioni
Spes, Roma, Ragione e mistero, in
Orientamenti Sociali Sardi, XV, . Il pensiero di Noce sul Magistero della
Chiesa, in Attualità del pensiero di Augusto Del Noce, , Cantagalli, Siena, Contro
lo scientismo. Una esperienza di vita, in Gesù Di Nazareth
all’UniversitàAzzaro, Libreria Editrice Vaticana, Roma, . Libertà di coscienza
e religione, in Martha C. Nussbaum, in Nel mondo della coscienza: verità,
libertà, santità, Centro Internazionale di Studi Rosminiani, Stresa, Individuo
Stato e comunità in Pigliaru, in Le radici del pensiero sociologico-giuridico,
A. Febbrajo, Giuffré, Milano, . La pace e la guerra nel pensiero di Cimbali e Vecchio
docenti nell’Sassari in Scrittura e memoria della Grande Guerra, A. Delogu e
A.M. Morace, Pisa, ETS, Questioni di
senso- Breviario filosofico, Donzelli, Roma, . La vita e il diritto nell’opera
di Satta, Nuoro, Lezione di commiato di Antonio Delogu, La Nuova Sardegna, 02
marzo , su lanuovasardegna.gelocal. Remo BodeiAntonio Delogu, su youtube.com.
Festival di filosofia. Antonio Delogu. Grice: “I wouldn’t consider Sardegna
part of Italy, as Sicily isn’t – they are part of the Italian republic – the
‘stato’ – but geographically, they are not part of the peninsula – the Greeks
are especially precise about that: “Graecia magna” EXCLUDED Sicily!” The logo
of his review, “Segni e comprensione” is a rebus, in that a few letters are
missing. The idea is that the thing STILL SEGNA the proposition that this is
about signs and comprehension. Keywords. “segno e comprensione” s_gn_ e
c_mp-rension-“ “segni e comprensioni” le corpori nella perizia morale, etica
comunitaria, etica universale. -- -- Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Delogu” – The Swimming-Pool Library.
Demaria (Vezza d’Alba). Filosofo. Grice:
“Demaria is what we at Oxford would call a philosophical theologian! And a
dynamically realist at that!” Famoso per numerosi
studi sulla tomistica. Frequenta il seminario di Alba, entrò come
aspirante presso i salesiani di Penango Monferrato (Asti). Continua gli studi
nel liceo di Valsalice (Torino). Studia a Roma. Insegna a Torino e a Roma. Nel
corso della sua carriera fu docente di: Storia delle religioni, Missionologia,
Filosofia dell’educazione, Teologia Fondamentale, Teologia Dogmatica, Dottrina
sociale della Chiesa, Sociologia dell’Educazione. Negli anni cinquanta
avviò una feconda condivisione spirituale, teologica e filosofica con don Paolo
Arnaboldi, fondatore del Fraterno Aiuto Cristiano FAC con l'attivo
incoraggiamento di San Giovanni Calabria. Frequentò assiduamente le sedi del
FAC sia a Vezza D'Alba sia a Roma. Strutturò la sua metafisica realistico
organico dinamica. Negli anni sessanta fondò con Giacomino Costa il
Movimento Ideoprassico Dinontorganico M.I.D., oggi divenuto l'associazione
Nuova Costruttività. Insieme con Paolo Arnaboldi fecero opera di formazione e
divulgazione del realismo organico dinamico presso ambienti imprenditoriali
collegati all'U.C.I.D.. Giacomino Costa strutturò volutamente la grande e
innovativa impresa dell'Interporto di Rivalta Scrivia ( il così detto
"porto secco" di Genova) come applicazione dell'"organico
dinamico" differenziandola dalle imprese tipicamente liberiste.
Negli anni settanta fu il referente culturale delle "Libere Acli"
movimento dei lavoratori cattolici fuoriusciti dalle Acli a seguito della
"ipotesi socialista" che portò alla "sconfessione di Paolo
VI" e alla frattura del movimento. Continuò nell'ambiente dei lavoratori
cattolici con la formazione e la diffusione della "ideoprassi"
(modello di sviluppo) "organico dinamica", una vera ideologia
cristiana alternativa a quella liberal capitalista e a quella marxista
comunista. Tommaso Demaria tiene un seminario sul realismo Dinamico
a Verona presso il Centro Toniolo nel 1980. Negli anni ottanta fu intensamente
attivo nella formazione alla nuova cultura cristiana organico dinamica a
Torino, Verona, Vicenza, Roma con corsi, seminari e numerose pubblicazioni. Tra
tutti i corsi tenuti merita una specifica menzione per la testimonianza
documentale completa tramite registrazione video, presso il Centro Toniolo di
Verona su invito di don Gino Oliosi. Proseguì il lavoro di san Tommaso
d'Aquino e affermava l'incompletezza del tomismo, incapace di cogliere
l'organismo come categoria ontologica a sé stante. L'integrazione della
metafisica realista con l'organismo alla metafisica realistica integrale,
strumento di straordinaria importanza per la vita quotidiana. Lo studio
dell'organismo in quanto tale, in particolare nella sua dimensione di
"struttura organica funzionale", si rivelerà infatti importantissimo
per lo studio e lo sviluppo della società in generale ma in particolare per
quella prassi economica nota col nome di "Sistemi di Qualità" che fa
appunto dell'organicità il proprio fondamento. La possibilità di percepire
l'organismo in quanto tale entità diversa dall'organismo fisico, specifica
Demaria, passa attraverso la percezione dell'ente dinamico. Grande importanza
assume l'organicità nella gestione del sociale perché esso consente di definire
con precisione il bisogno di razionalità dell'umanità che supera le possibilità
dell'essenza della persona. Questa necessaria unità dell'agire della persona
nell'umanità che ne perpetua la presenza, in campo politico/ideoprassico egli
stesso la definisce come comunitarismo all'interno del suo testo "La
società alternativa". L'indagine sui dinamismi profondi della
società industriale e l'osservazione con metodo realistico oggettivo della
realtà storica globale nella sua consistenza ontologica portano Demaria a
sviluppare una metafisica per molti aspetti nuova ed originale. Aderisce
al tomismo e conferma la validità del realismo di Aquino per tutto ciò che è in
“rerum naturae” quindi per gli enti che esistono già in natura. Coglie la
necessità di innestare sul realismo tomista nuovi strumenti metafisici per
comprendere la realtà degli enti che non esistono in natura perché costruiti o
generati dall'uomo, le trasformazioni dell’essenza della persona operata dalla
liberà delle sue scelte, la natura profonda degli enti interumani (famiglia,
azienda, stato, …), l'interpretazione della realtà storica e il suo
indirizzamento. Il cambio d’epoca Individua un cambiamento d’epoca
con valore ontologico (che cambia l’essere, la forma della società) nella
rivoluzione industriale che con l’apporto della energia meccanica a
integrazione e sostituzione del lavoro umano dinamizza la società oltre una
soglia mai varcata prima nella storia. La società dinamizzata dalla rivoluzione
industriale giunge a una radicale trasformazione da “statico sacrale” a
“dinamico secolare”. Si tratta di una trasformazione qualitativa e non solo
quantitativa dei cambiamenti sociali che coinvolge l’”essere” della società. La
differenza fondamentale sta in questo: la società preindustriale (statico
sacrale) era dominata dalla natura e in questo modo ripeteva sempre sé stessa
nonostante i cambiamenti fenomenici (la vita di un romano non era così diversa
da quella di un medievale), la società industriale invece si è in larga parte
sganciata dal condizionamento della natura ed è obbligata a progettare e
costruire continuamente il proprio futuro…. Ma con quali criteri? È a questo
livello che interviene l’indagine metafisica della realtà storica il cui scopo
è proprio scoprire l’essenza profonda della realtà storica appunto. Il
realismo dinamico ontologico Riconosce nel tomismo e nella metafisica di San
Tommaso la validità nel contesto “statico sacrale” ma limiti nella
interpretazione della nuova realtà storica “dinamico secolare”. Osserva che
l’interpretazione data alla storia da Hegel prima e da Marx dopo, sono entrambe
errate e ne critica il fondamento soggettivista e la natura ateo
materialista. Integra quindi il tomismo tradizionale inaugurando la nuova
metafisica dinamica ontologica organica fondata sulla scoperta dell’ente
dinamico o anche ente di secondo grado. Dalla osservazione di ciò che
nasce di una relazione umana (entre uomo 1 e uomo 2) scopre che oltre agli
“enti di primo grado”, gli enti la cui
essenza già è (tutti quelli che già sono in natura – uomo 1 e uomo 2), esistono
altri “enti di secondo grado”, gli enti la cui essenza non è, ma si fa
attivisticamente nello spazio e nel tempo, e la cui nascita, vita e morte sono
costituite dalla esistenza di una relazione tra le persone (ad esempio il
concetto colletivo di ‘diada’ conversazionale, la famiglia, l’azienda sono enti
inter-umani. Una diada e un “ente dinamico” il cui comportamento è simile a
quello della monada – l’uomo, il soggeto,
un organism – ma la diada non e un ente fisico, ma costituito
dall’insieme di cose e di persone. Una diada e ugualmente animato da un
principio vitale, in cui le due parti (soggeto S1 e soggeto S2) e il tutto (la
diada) sono in reciproco equilibrio che ne genera e ne conserva la vitalità.
Quando viene meno questo reciproco equilibrio tra l’organismo di secondo grado
(la diada) tutto e le sue parti (le membra, gli organi, le cellule – uomo 1 e
uomo 2 – le monade) l’organismo perde la sua vitalità, si ammala e può arrivare
alla morte (e così avviene per la diada, la famiglia, l’azienda, la
comunità). Indaga osservando la realtà con metodo metafisico, realistico,
oggettivo sulle “regole”, sulla “razionalità”, o il razzionale, che sottende la
vita e la vitalità di un “ente dinamico” individuando cinque “trascendentali
dinamici” che sono le caratteristiche necessarie e sufficienti in un “ente
dinamico” per restare vivo e vitalmente operante. Sul fronte della
interpretazione della “storia” osserva che la sua complessità non può essere
indagata con un metodi analitico partendo dalla suddivisione del tutto della
diada nelle sue monade. Serve il metodo della “sintesi” e quindi dalla
sommatoria, aggregazione, integrazione dei singoli “enti dinamici” in realtà e
altri organismi via via più complessi e ampi, giunge al tutto che definisce
come “un ente universale dinamico concreto” senza il quale il singolo ente
dinamico non avrebbe né senso né valore metafisico. Del resto è abbastanza intuitivo
comprendere che nessun ente storico può esistere fuori dal contesto che l’ha
generato. Per esempio una semplice azienda di scarpe non può esistere nel
deserto separata da tutte le vie di comunicazione, dagli operai, dai clienti,
dalle fonti di energia eccetera. Raccoglie e coordina le sue scoperte
nella nuova metafisica realistico-dinamica che aggregata alla metafisica
eealistico-statica di Aquinocostituisce nell’insieme delle due componenti, la
statica e la dinamica, la metafisica realistico-integrale. Con il nuovo
strumento della metafisica realistico-integrale individua la giusta forma della
società che definisce organico dinamica – o “dinontorganica” -- come vera
alternativa alle due forme di società “false”, la capitalista e la marxista di
cui stende una dettagliata critica. Comprende che la nuova società
dinamica secolare avviatasi per l’effetto della rivoluzione industriale, è
costruita in vero dalla ideo-prassi, ossia dalla ideologia come prassi
razionalizzata. Una definizione corrente che sia avvicina al concetto di ideo-prassi
è modello di sviluppo, intendendo con questo la necessità di un cambio di
paradigma strutturale nella costruzione della società. Precisa meglio questa
terminologia chiarendo che il tipo di sviluppo riguarda il cambiamento di
essenza profonda di una società mentre invece il modello riguarda le
innumerevoli e forse infinite varianti all’interno del medesimo tipo che si
devono calare nei concreti ambiti temporali e geografici. Le
“ideoprassi”, cioè i tipi di società, riconosciute da Tommaso Demaria sono tre
(3): capitalista, marxista, “dinontorganica” e queste sono costruite secondo i
rispettivi modelli. Perciò all’interno della società di tipo capitalista avremo
molteplici modelli anche molto diversi tra loro dal punto di vista fenomenico
ma identici dal punto di vista dell’assoluto di riferimento (cioè del tipo), in
questo caso il denaro con la relativa competitività necessaria per
conquistarlo. Analogamente avviene per le altre due ideoprassi: la ideoprassi o
società di tipo marxista, con l’assoluto della dialettica oppresso/oppressore
(la vecchia lotta di classe) e la ideoprassi o società di tipo dinontorganico
con il proprio assoluto costruttivo radicato nella dialettica della sintesi in
funzione della vita. Nella società dinamica secolare, che è laica e
profana, la religione non è più accettata come fondamento. Così anche la persona
libera e sovrana che ha il suo posto nella società statico sacrale non può esistere
in quanto nella società dinamica secolare fin dalla nascita la persona umana
viene continuamente ri-manipolata dalla ideo-prassi corrente (capitalista o
marxista). La persona umana trova la sua giusta collocazione nella società se
riconosce la sua nuova natura di persona cellula, componente libera in un
organismo sociale più grande. Come persona cellula rimane sempre persona umana
libera ma al contempo svincolata dalle logiche servo/padrone, oppresso/oppressore
del marxismo. L’Economia e un tema ampiamente trattato dal Demaria che
individua tre tipi di economia: la capitalista, la marxista/comunista, la economia
dinontorganica. Dopo aver profondamente analizzato e criticato le prime
descrive in dettaglio i fondamenti della economia dinontorganica. Per brevità
riportiamo qui la differenza del concetto di impresa capitalista ed impresa dinontorganica.
L’impresa capitalista è un'attività economica professionalmente organizzata al
fine della produzione o dello scambio di beni o servizi. Si avvale di un
complesso di beni strumentali, il mezzo concreto (l’azienda): immobili, sedi,
attrezzature, impianti, personale, metodi, procedure, risorse. Si tratta di
“cose” e tra queste anche il personale/forza lavoro. Anima suprema dell’impresa
capitalista è il profitto e secondariamente la creatività imprenditoriale a servizio
del profitto. La socialità dell’impresa diviene un fatto ambientale ed
incidentale innegabile ma secondario. Quindi l’impresa (con la relativa
azienda) capitalista sè una “cosa” ridotta a capitale e lavoro. L’impresa
dinontorganica, la vera natura profonda dell’impresa, è organismo dinamico
economico di base dell’attuale società industriale o postindustriale. E’un vero
organismo dinamico, una realtà complessa, non fisica ma prodotta dall'uomo,
costituita dalla sintesi di cose e di persone autonome e cellule dell’organismo
impresa, animata da un proprio principio vitale e perciò capace di vivere ed
agire a titolo proprio. E’quindi impresa umanissima, affrancata dal
materialismo capitalista. Anima dell’impresa è la costruttività nel suo
triplice aspetto economico, sociale e “ideo-prassico”, che eleva la creatività
al di sopra del solo profitto e che soddisfa ad un tempo la le esigenze della società
globale e della impresa, quali il profitto, comunque necessario ma non
sufficiente. In ambito ecclesiologico le scoperte come da sua frequente
dichiarazione , si collocano nel solco del Magistero della Chiesa Romana
Cattolica. Cinque delle sue saggi, che contengono nell’insieme il corpo della
sua opera, portano impresso l’imprimatur che attesta l’assenza di errori in
ambito di fede e morale cattolica. La scoperta dell’“ente di secondo
grado” (ente generati dalle relazioni tra le persone) e della persona “cellula”
(individuo libero che riconosce di essere parte di un organismo più grande)
sono in analogia scaturite dalla riflessione sull’essere della Chiesa
(l’insieme dei cristiani) in comunione con il corpo mistico di Cristo. Il
cristiano con il battesimo cambia il suo essere e diviene uomo nuovo. Quindi la
persona umana (in questo caso il cristiano) è contemporaneamente “ente di primo
grado (“in rerum naturae”) che ente di secondo grado (ente dinamico) come
membro della Chiesa che costituisce il corpo mistico di Cristo. La Chiesa così
concepita è il primo ente dinamico sacro della storia. Mentre il primo ente
dinamico laico e profano dell’epoca dinamico secolare post rivoluzione
industriale è l’azienda industriale. Pur accogliendo nella sua
“metafisica realistica integrale” (la metafisica realistica “statica” più la
“dinamica”) il tomismo in toto, il suo pensiero genera dispute con i tomisti
classici del tempo che non riconoscono alla Chiesa (e nemmeno alla azienda
industriale ) la natura di “ente di secondo grado” ma unicamente la
caratteristica di “ente di relazione” che per Demaria è insufficiente per interpretare
la complessità della realtà storica industriale e la relativa
mobilitazione. La Dottrina Sociale della Chiesa e L’Ideoprassi
Dinontorganica Alla Dottrina Sociale Della Chiesa riconosce ogni validità. Ne
segnala tuttavia la incompletezza in quanto costituita da norme etiche e morali
rivolte principalmente alla persona libera e sovrana ed atte ad incidere sul
suo comportamento come singolo per migliorare in senso cristiano la società.
Rileva che la società non è più solo costruita dalle norme morali di persone
libere e sovrane ma anche e soprattutto dalla “ideoprassi” (ideologia come
prassi razionalizzata sintesi di persone e strutture) corrente, dal suo
dinamismo e dalle sue razionalità interne autocostruttive proprie della società
“dinamica secolare”. Pertanto per incidere sulla società contemporanea che è
“dinamica secolare”, laica e profana, serve una vera e propria nuova e completa
“ideoprassi”, certamente laica e profana ma compatibile con i valori cristiani
cardinali. All'interno di questa nuova “ideoprassi” Demaria vede inseriti tutti
gli insegnamenti della Dottrina Sociale Cristiana. Da soli e senza una propria
“ideoprassi” tali insegnamenti tendono a generare delle “para-ideologie” che
hanno effetti locali e temporanei. Per ottenere effetti di trasformazione
duraturi ed è necessario avviare azioni che contengano la giusta razionalità e
caratteristiche (i 5 trascendentali dinamici) capaci di innescare cicli
autocostruttivi. Altre opere: “Catechismo missionario” (Torino, SEI, La
Religione, Colle Don Bosco, Elledici); “Il fiume senza ritorno. Dramma
missionario, Colle Don Bosco, Elledici, La pedagogia come scienza dell'azione,
Salesianum, Sintesi sociale cristiana. Metafisica della realtà sociale
(presentazione di Aldo Ellena), Torino, Pontificio Ateneo Salesiano, Senso
cristiano della rivoluzione industriale, Torino, CESPCentro Studi don Minzoni, ca.
Strumento ideologico e rapporto fede-politica nella civiltà industriale,
Torino, CESPCentro Studi don Minzoni, ca. Presupposti dottrinali per la pastorale
e l'apostolato, Velate di Varese, Edizioni Villa Sorriso di Maria, Cristianesimo
e realtà sociale, Velate di Varese, Edizioni Villa Sorriso di Maria, Realismo
dinamico, Torino, Istituto Internazionale Superiore di Pedagogia e Scienze
Religiose, Il Decreto sull'apostolato dei laici : genesi storico-dottrinale,
testo latino e traduzione italiana, esposizione e commento, Torino, Leumann
Elle Di Ci, Catechismo del cristiano apostolo: la Salvezza cristiana, Torino,
Istituto Internazionale Superiore di Pedagogia e Scienze Religiose, Punti
orientativi ideologico-sociali (a cura del Movimento Ideologico Cristiano
Lavoratori), Bologna, Luigi Parma, Pensare e agire organico-dinamico, Milano,
Centro Studi Sociali); “Ontologia realistico-dinamica” (Bologna, Costruire); “Metafisica
della realtà storica. La realtà storica come ente dinamico” Bologna, Costruire,
La realtà storica come superorganismo dinamico: dinontorganismo e dinontorganicismo,
Bologna, Costruire, L'edizione Realismo dinamico, Bologna, Costruire, L'ideologia cristiana, Bologna, Costruire, Sintesi
sociale cristiana. Riflessioni sulla realtà sociale, Bologna, Costruire); “La
questione democristiana, Bologna, Costruire, Il Marxismo, Verona, Nuova
Presenza cristiana, Ideologia come prassi razionalizzata, Arbizzano, Il Segno, Per
una nuova cultura, Verona, Nuova Presenza cristiana, La società alternativa,
Verona, Nuova Presenza cristiana, Verso il duemila: per una mobilitazione
giovanile religiosa e ideologica, Verona, Nuova Presenza cristiana, Un tema complesso
sullo sfondo dell'ideologia come strumento ideologico, Verona, Nuova Presenza
cristiana, Confronto sinottico delle tre ideologie. Quarta serie, Roma,
Centro Nazareth, Scritti teologici inediti. Roma, Editrice LAS. Letteratura su
Tommaso Demaria Ugo Sciascia, Per una società nuova:inizio di una ricerca
partecipata ., Bologna, L. Parma, Ugo Sciascia, Crescere insieme oltre
capitalismi e socialismi : rifondazione culturale dall'Italia, per l'Europa, al
mondo. Napoli, Edizioni Dehoniane, Mario Occhiena, Riscoperta della realtà : un
itinerario filosofico esistenziale,Torino, Gribaudi, Pizzetti Luigi, Culture a
confronto. Sussidio per l’educazione religiosa e civica nelle scuole medie
superiori, La voce del popolo edizioni, Brescia, Fontana, Stefano, Apertura a
“tutto” l’essere, in Nuove Prospettive, Palmisano, Nicola, Quanto resta della
notte? : analisi e sintesi del medioevo novecentesco all'alba del Duemila,
Roma, LAS, Giuseppe Tacconi, La persona e oltre: soggettività personale e
soggettività ecclesiale nel contesto del pensiero di Tommaso Demaria, Roma,
Libreria Ateneo Salesiano, Gruppo studio scienza cristiano-dinontorganica di
Vicenza , Realismo dinamico : il problema metafisico della realtà storica come
superorganismo dinamico cristiano / riduzione dell'opera di Tommaso Demaria ,
Altavilla (Vicenza), Publigrafica, Gruppo studio scienza
cristiano-dinontorganica di Vicenza ,L'ideo-prassi dinontorganica: la
costruzione dinamica realistico-oggettiva della nuova realtà storica :
revisione del saggio L'ideologia Cristiana, Altavilla (Vicenza), Publigrafica, Mauro
Mantovani, Sulle vie del tempo. Un confronto filosofico sulla storia e sulla
libertà, Roma, Libreria Ateneo Salesiano, Lorenzo Cretti , La quarta
navigazione : realtà storica e metafisica organico-dinamica, Associazione Nuova
Costruttività -Tipografia Novastampa , Verona, Donato Bagnardi, Costruttori di
una Umanità Nuova . Globalizzazione e metafisica, Bari , Edizioni Levante, Oliviero
Riggi, L'ideoprassi cristiana per una società alternativa; implicanze
filosofiche, Roma, Università Pontificia Salesiana, Giulio Pirovano, Roberto
Roggero, Uniti nella diversità, UK, Lulu Enterprise, Mauro Mantovani, Alberto
Pessa e Oliviero Riggi , Oltre la crisi; prospettive per un nuovo modello di
sviluppo. Il contributo del pensiero realistico dinamico (atti dell'omonimo
convegno tenuto a Roma), Roma, Libreria Ateneo Salesiano, Stefano Fontana,
Filosofia per tutti: una breve storia del pensiero da Socrate a Ratzingher, Verona
, Fede & Cultura. Nuova Costruttività, La Vita, su dinontorganico. Scritti teologici inediti, Roma, Editrice
LAS, Mario Gadili, San Giovanni Calabria: biografia ufficiale, Cinisello
Balsamo, San Paolo, Per la ri-educazione all'amore cristiano nel campo
economico-sociale: per una valida teoria della pratica e una adeguata pratica
della teoria; Genova: Crovetto, Atti del convegno: Per la ri-educaziaone
all'amore cristiano tra le aziende, tenustosi a Rapallo e atti del convegno:
Programmazione economico-sociale e amore cristiano, tenutosi a Rapallo, Massaro,
I problemi dell'economia ligure : un'unica iniziativa ma buona. A Rivalta
Scrivia la succursale del pletorico porto di Genova., in LA STAMPA, C.G.N., Il
ministro Andreotti inaugura il nuovo complesso della Rivalta, in Sette Giorni a
Tortona, LIBERE A. C.L.I., Sette domande sulle A.C.L.I. e la svolta di
Vallombrosa e sette risposte delle Libere A.C.L.I., Milano, Centro Studi, Acli
"federacliste", Per un impegno ideologico Cristiano, Torino,
ALC-FEDERACL, Tacconi, La persona e oltre: soggettività personale e
soggettività ecclesiale, LAS, Realismo dinamico, Bologna, Costruire, Il
Marxismo, Verona, Nuova Presenza cristiana, Confronto sinottico delle tre
ideologie. Roma, Centro Nazareth, La società alternativa, Verona, Nuova
Presenza Cristiana, Sintesi sociale cristiana. Metafisica della realtà sociale
(presentazione di Ellena), Torino, Pontificio Ateneo Salesiano, Presupposti
dottrinali per la pastorale e l'apostolato., Velate di Varese, Edizioni Villa
Sorriso di Maria, Cristianesimo e realtà sociale., Velate di Varese, Edizioni
Villa Sorriso di Maria, Paolo Arnaboldi, Demaria e Morini, I consigli
pastorali, diocesani e parrocchiali alla luce di una pastorale
organico-dinamica, Velate di Varese, FAC-Villa Sorriso di Maria, Luigi Bogliolo
e Stefano Fontana, Prospettive del Realismo Integrale. Pensare il trascentente.
La questione metafisica dell'ente dinamico. Dialogo con Bogliolo. Apertura a
tutto l’essere in Nuove Prospettive, Realismo
dinamico Giacomino Costa Realismo Tomismo Neotomismo Comunitarismo, Vita, opere
e ragionata a cura dell'Associazione
Nuova Costruttività., su dinont-organico. Tommaso Demaria. Keywords: Tuomela,
we-thinking, cooperation and authority -- Luigi Cipriani, communicazione e
cultura, dynontorganico – dinamico ontico organico -- l’implicanza di Speranza,
implicanza, implicatura, implicazione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Demaria”
– The Swimming-Pool Library.
Demetrio (Milano). Filosofo. Grice:
“Demetrio and the semiotic tacit’ – “Grice: “Demetrio philosophises, in a
Grecian, way, on the ‘tacit’ – literally, the unuttered --.” Grice: “While
‘tacit’ may implicate that the vehicle is phonic, it need not be – any
non-expression is a tacit act --.” “And like me, Demetrio holds that there is a
whole communication involving the un-expressed, or tacit – or ‘suprressed’ as
the scholastics preferred. Grice: “I like Demetrio. You see, Demetrio is sa
good one. – and he enriches the Griceian vocabulary. I use ‘imply’ for
implicatum and implicitum; but Demetrio, due to the richness of the Italian
language, can play with the ‘tac’ root. I often refer to the implicit as the
tacit – and the tacit is nothing but the ‘silent’ –Demetrio has this brilliant
essay on the ‘sentiments’ wich are ‘taciuti’. A ‘sentimento’ is taciuto’ when
it is tacit, implicit, not explicit – his favourite scenario is a loving couple
– the silence of love – he has also played with the ‘senses’ of ‘silent,’ but
it is the ‘tacit’ root that he explores most and relates to my explicit/implicit,
tacit/non-tacit distinction!” – Le sue ricerche promuovono la scrittura di se
stessi, sia per lo sviluppo del pensiero interiore e auto-analitico, sia come
pratica filosofica. Insegna a Milano, è ora direttore scientifico del Centro
Nazionale Ricerche e studi autobiografici della Libera università
dell'Autobiografia di Anghiari e dei “Silenziosi”. Altre opere: “Educatori di
professione. Pedagogia e didattiche del cambiamento nei servizi
extra-scolastici” (Scandicci, La Nuova Italia, Tornare a crescere); “L'età
adulta tra persistenze e cambiamenti” (Milano, Guerini, La ricerca qualitativa
in educazione” (Scandicci, La Nuova Italia); Apprendere nelle organizzazioni.
Proposte per la crescita cognitiva in età adulta, Roma, NIS); “Immigrazione e
pedagogia interculturale. Bambini, adulti, comunità nel percorso di integrazione,
Firenze, La Nuova Italia); “L'educazione nella vita adulta. Per una teoria
fenomenologica dei vissuti e delle origini, Roma, NIS, Raccontarsi); “L'autobiografia
come cura di sé, Milano, Cortina, Educazione degli adulti: gli eventi e i
simboli, Milano, C.U.E.M., Viaggio e racconti di viaggio. Nell'esperienza di
giovani e adulti, Milano, C.U.E.M.); “Bambini stranieri a scuola. Accoglienza e
didattica interculturale nella scuola dell'infanzia e nella scuola elementare,
Scandicci, La Nuova Italia, Agenda interculturale. Quotidianità e immigrazione
a scuola. Idee per chi inizia, Roma, Meltemi, Il gioco della vita. Kit autobiografico.
Trenta proposte per il piacere di raccontarsi, Milano, Guerini); Pedagogia
della memoria. Per se stessi, con gli altri, Roma, Meltemi); “Elogio
dell'immaturità. Poetica dell'età irraggiungibile, Milano, Cortina, Una nuova
identità docente. Come eravamo, come siamo, Milano, Mursia); “L'educazione
interiore. Introduzione alla pedagogia introspettiva, Scandicci, La Nuova
Italia, Di che giardino sei? Conoscersi attraverso un simbolo” (Roma, Meltemi);
“Preparare e scrivere la tesi in Scienze dell'Educazione, Milano, Sansoni); “Istituzioni
di educazione degli adulti. Il metodo autobiografico” (Milano, Guerini); “Istituzioni
di educazione degli adulti” (Milano, Guerini); Album di famiglia. Scrivere i
ricordi di casa, Roma, Meltemi, Scritture erranti. L'autobiografia come viaggio
del se nel mondo, Roma, EDUP, Ricordare a scuola. Fare memoria e didattica
autobiografica, Roma, Laterza, Manuale di educazione degli adulti, Roma,
Laterza, Filosofia dell'educazione ed età adulta. Simbologie, miti e immagini
di sé, Torino, UTET Liberia, L'età adulta. Teorie dell'identità e pedagogie
dello sviluppo, Roma, Carocci, Autoanalisi per non pazienti. Inquietudine e
scrittura di sé, Milano, Cortina); “Istituzioni di educazione degli
adulti. Saperi, competenze e
apprendimento permanente, Milano, Guerini, Didattica interculturale. Nuovi
sguardi, competenze, percorsi, Milano, Angeli, In età adulta. Le mutevoli
fisionomie, Milano, Guerini, Filosofia del camminare. Esercizi di meditazione
mediterranea, Milano, Cortina, La vita schiva. Il sentimento e le virtù della
timidezza” (Milano, Cortina, La scrittura clinica. Consulenza autobiografica e
fragilità esistenziali, Milano, Cortina, L'educazione non è finita. Idee per
difenderla, Milano, Cortina); “Ascetismo metropolitano. L'inquieta religiosità
dei non credenti, Milano, Ponte alle Grazie); “L'interiorità maschile. Le
solitudini degli uomini” (Milano, Cortina, La religiosità degli increduli. Per
incontrare i «gentili», Padova, Messaggero, Perché amiamo scrivere. Filosofia e miti di
una passione, Milano, Cortina, Senza figli. Una condizione umana, Milano,
Cortina, ,Educare è narrare. Le teorie, le pratiche, la cura, Milano, Mimesis);
“Beati i misericordiosi. Perché troveranno misericordia, Torino, Lindau); “I
sensi del silenzio. Quando la scrittura si fa dimora, Milano, Mimesis, La
religiosità della terra. Una fede civile per la cura del mondo, Milano,
Cortina, Silenzio, Padova, Messaggero, Green autobiography. La natura è un
racconto interiore, Anghiari, Booksalad, Ingratitudine. La memoria breve della
riconoscenza, Milano, Cortina, Scrivi, frate Francesco. Una guida per narrare
di sè, Padova, Messaggero, La vita si cerca dentro di sé. Lessico
autobiografico, Milano, Mimesis, Terra, Milano, Dialogos, Foliage. Vagabondare
in autunno, Milano, Cortina, Duccio Demetrio. Keywords: maschile, omossesuale,
perseo, medusa, solitudine, filosofia del maschile, il maschile,
homo-socialite, lo sguardo maschile, virilita, virus, virtu, il concetto del
maschile nella roma antica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Demetrio” – The
Swimming-Pool Library.
Desideri: Grice: “I like Desideri; he
would be what we at Oxford call a ‘philosopher of perception,’ and therefore
his keywords have been aisthetsis, sensation, and the rest – he has also played
with some Latinate, like ‘imaggine dell’imagine’ and with ‘empathy.’ He
endorses a Griceian sort of empathetic theory, as evidenced in the idea of
‘comprehension,’ a latinate term for English ‘understanding.’ “He has beautiful
handwriting,’ while there is a hygienic interval between I and thou, thou
getest what I mean! That he is HOPELESS at philosophy.” Insegna a Firenze. Cura
Nietzsche, Kant, Benjamin, Kafka. Altre opere: “Il tempo e la forma” (Roma,
Editori riuniti); “Il fine del tempo” (Genova, Marietti); “La scala della giustizia”
(Bologna, Pendragon); “Il velo di Iside: coscienza, messianismo e natura nel
pensiero romantico” (Bologna, Pendragon); “L'ascolto della coscienza” (Milano,
Feltrinelli); “Aporia del sensibile” (Genova, Il melangolo); “Il passaggio
estetico” (Genova, Il melangolo); “Forme dell'estetica: dall'esperienza del
bello al problema dell'arte” – “L’esperienza del bello” (Roma-Bari, Laterza); “L’ esperienza e
la percezione riflessa: estetica e filosofia psicologia (Milano, Raffaello
Cortina); “La misura del sentire: per una ri-configurazione dell'estetica” (Milano-Udine,
Mimesis); “Origine dell'estetico: dall’emozione al giudizio” (Roma, Carocci); “Percezione ed estetica” (Brescia,
Morcelliana). Fabrizio Desideri. Keywords: consentire, “i consenzienti del
bello” – perizia del bello – imago imaginis – il bello -- costellazione
griceiana, aporia, il riflessivo, l’esperienza del bello, il sentire, sensum,
sentiens, sensus, sentire e esperienza, esperimentare, esperienzare, emozione,
giudizio, giudicare, espressione dell’emozione, contenuto proposizionale, il volitum,
il co-sentire del bello, Grice, Sibley, meta-property, second-order property,
aesthetica, Sibley on Grice, Scruton on Sibley on Grice ---- -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Desideri” – The Swimming-Pool Library.
Diano (Vibo Valentia). Filosofo. Grice: “I
love Diano, but Italians usually take him to be a bit too Hellenic; recall that
a true Roman considers himself a Troian, i. e. an enemy of a Greek! But as a
scholarship Midlands boy from Clifton to Corpus, I’m a Dianian!” Compie gli studi classici al Liceo Filangeri di Vibo
Valentia, allora Monteleone Calabro. Rimane orfano di padre all'età di 8 anni e
questo fu un evento che segnò la sua vita e molte delle sue scelte
giovanili. Nel 1919 si trasferisce a Roma, dove si iscrive alla Facoltà di
Lettere della Sapienza ove segue le lezioni di Nicola Festa e Vittorio Rossi.
Il suo progetto è di laurearsi con una tesi in Letteratura greca, ma la
necessità di iniziare a lavorare lo spinge a scegliere una via più breve e nel
novembre del 1923 si laurea con 110 e lode con una tesi su Giacomo Leopardi, un
poeta che amò subito e che lo accompagnò nel corso di tutta la sua vita.
Immediatamente inizia a insegnare letteratura latina e greca, dapprima come
supplente e poi, dall'ottobre del 1924, di ruolo come vincitore di concorso a
cattedra. La sua prima nomina è a Vibo Valentia, cui segue un periodo di alcuni
anni a Viterbo e una breve parentesi al Liceo Vittorio Emanuele II di Napoli.
Nella città partenopea frequenta la casa di Benedetto Croce, ma in seguito il giovane
Carlo Diano si allontanerà decisamente dal gruppo dei crociani. Dal novembre
del 1931 è trasferito a Roma, dove insegna prima al Liceo Torquato Tasso e in
seguito al Liceo Terenzio Mamiani. Sempre a Roma, nel 1935, consegue la libera
docenza in lingua e letteratura greca. È fatto oggetto di inchieste
ministeriali e pressioni per il suo rifiuto di iscriversi al Partito fascista,
come chiedeva il suo ruolo di dipendente pubblico. Né mai si iscrisse.
Nel settembre del 1933, su incarico del Ministero degli Esteri, è lettore di
lingua italiana presso le Lund, Copenaghen e Göteborg, incarichi che ricoprì
fino al 1940. Gli anni in Svezia e Danimarca non furono solo utili per
apprendere alla perfezione lo svedese e il danese, ma segnarono un profondo
cambiamento. Il contatto con l'ambiente scandinavo gli spalancò la visione
della grande cultura liberale nord europea e l'amicizia di poeti, letterati e
studiosi scandinavi, tra cui lo storico delle religioni Martin Persson Nilsson
e lo scrittore ed esploratore Sven Hedin, dei quali traduce anche alcune
opere. Al suo ritorno in Italia ricopre un incarico presso la
Soprintendenza bibliografica di Roma e dal gennaio del 1944 all'aprile del 1945
è a Padova in qualità di Ispettore dell'istruzione classica presso il Ministero
dell'Educazione Nazionale della Repubblica Sociale Italiana. Grazie a questo
ruolo e obbedendo alla propria coscienza, all'insaputa di tutti, aiuta molte
persone a mettersi in salvo dalla persecuzione fascista e nazista. Dal
dicembre del 1946 ricopre gli incarichi di Papirologia, Grammatica greca e
latina, Storia della filosofia antica, Letteratura greca e Storia antica presso
la Facoltà di Lettere dell'Bari. Nel 1950 vince il concorso alla cattedra di
Letteratura greca ed è chiamato a Padova a ricoprire, presso la Facoltà di
Lettere dell'Università, la cattedra che era stata di Manara Valgimigli. A
Padova rimarrà ininterrottamente fino alla sua morte. Più volte Preside della
Facoltà di Lettere e Filosofia, fondò e diresse il Centro per la tradizione
aristotelica nel Veneto. Molte delle sue traduzioni dei tragici greci
sono state messe in scena dalla Fondazione del Dramma Antico a Siracusa, al
Teatro Olimpico di Vicenza, a Padova, portate in giro nei teatri italiani,
interpretate da noti attori quali Elena Zareschi, Arnaldo Ninchi, Ugo Pagliai.
Grandi le sue traduzioni, per la ricerca filologica, la lettura rivoluzionaria
e la bellezza dello stile in versi, fra le altre, dell'Alcesti, dell'Ippolito,
dell'Elena, dei Sette a Tebe, dell'Edipo Re, del Dyskolos di Menandro.
Cura, fra le altre cose, l'edizione di tutto il teatro greco per Sansoni e la
traduzione dei Frammenti di Eraclito, volume della Fondazione Lorenzo
Valla. Insignito di numerose onorificenze (Valentia Aurea, Premio
Nazionale dei Lincei, Medaglia d'oro della Città di Padova ecc.) e membro di
numerosissime accademie in Italia, in Europa e in USA, ebbe profonde e durature
amicizie tra gli altri con Salvatore Quasimodo, Sergio Bettini, Mircea Eliade,
Walter F. Otto, Ugo Spirito, Giulio Carlo Argan, Bernard Berenson, Rocco
Montano, Santo Mazzarino, Carlo Bo, Károly Kerényi, Martin Persson Nilsson,
Renato Caccioppoli e molti altri fra i maggiori protagonisti della vita
culturale e artistica del 900. Tra i suoi allievi più noti troviamo il filosofo
ed ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari. Per i suoi amplissimi studi e
i suoi contributi originali su Epicuro è da tempo riconosciuto a livello
internazionale come uno dei maggiori e più autorevoli studiosi del filosofo di
Samo. Nei suoi scritti teorici, principalmente in Forma ed Evento e in
Linee per una fenomenologia dell'arte, fonda un vero e proprio sistema
filosofico in cui filologia, studi storici, filosofici, sociali, storia
dell'arte e la storia delle religioni si integrano a creare un nuovo metodo di
indagine. Fondamentale, a tale scopo, è la creazione delle due categorie
fenomenologiche di "forma" ed "evento", che gli permettono
non solo di esplorare l'intera civiltà greca, ma possono divenire strumento di
analisi generale di una cultura. Altre opere: “Commento a Leopardi”; “Commemorazione
virgiliana. Dall'Idillio all'Epos” (Boll. Municip. Viterbo); “ Il titolo De
Finibus Bonorum et Malorum” (FBO). “L'acqua del tempo” (Roma, Dante Alighieri);
“Note epicuree, SIFC); “Questioni epicuree, RAL); “La psicologia di Epicuro,
GFI); “Epicuri Ethica (edidit adnotationibus instr. C.D. Florentiae, in aedibus
Sansonianis, “Lettere di Epicuro e dei suoi nuovamente o per la prima volta
edite da C.D., Firenze, Sansoni); “Aristotele Metafisica, Libro XII. Bari); “La
psicologia d'Epicuro e la teoria delle passioni, Firenze, Sansoni); “Lettere di
Epicuro agli amici di Lampsaco, a Pitocle e a Mitre, SIFC); Voce Aristotele in
Enciclopedia Cattolica); “Edipo figlio della Tyche. Commento ai vv.1075-1085
dell'Edipo Re di Sofocle, Dioniso); “Forma ed evento: principi per un'interpretazione
del mondo greco” (Venezia, Neri Pozza); “Il mito dell'eterno ritorno,
L'Approdo); “Il concetto della storia nella filosofia dei greci, in: Grande
antologia filosofica, Milano, Marzorati); “La data della Syngraphé di
Anassagora. Scritti in onore di Carlo Anti, Firenze); “Linee per una
fenomenologia dell'arte” (Venezia, Neri Pozza); “La poetica dei Feaci. Memorie
dell'Accademia Patavina); “Pagine dell'Iliade, Delta); “Note in margine al
Dyskolos di Menandro” (Padova, Antenore); “Menandro, Dyskolos ovvero Il
Selvatico, testo e traduzione, Padova, Antenore); “Martin P.Nilsson,
Religiosità greca, (traduzione) Firenze, Sansoni); “Saggezza e poetica degli
antichi”; “Orazio e l'epicureismo” (Atti Istituto Veneto); “La poetica di
Epicuro, Rivista di Estetica); “La filosofia del piacere e la società degli
amici, Boll. del Lions Club di Padova); “D'Annunzio e l'Ellade, in L'arte di
Gabriele D'Annunzio, Atti del Convegno Int. di Studio); “L'uomo e l'evento
nella tragedia attica, Siracusa, Dioniso); “Il contributo siceliota alla storia
del pensiero greco, Palermo, Kokalos); “Euripide, Ippolito (traduzione e cura).
Firenze, Sansoni); “Eschilo, I Sette a Tebe, Firenze, Sansoni); “Menandro, Dyskolos
ovvero il Selvatico, Sansoni); “Meleagro, Epigrammi traduzione di C.D. (con una
tavola di Tono Zancanaro) Vicenza, Neri Pozza); “Epikur und die Dichter: ein
Dialog zur Poetik Epikurs, Bonn, Bouvier); “Saggezza e poetiche degli antichi,
Venezia, Neri Pozza); “Gotthold Ephraim Lessing, Emilia Galotti, (traduzione)
Milano, Scheiwiller); “Euripide, Alcesti (traduzione e cura) Milano, Neri
Pozza); “Euripide, Elettra, (traduzione e cura), Urbino, Argalia Editore); “Voci
Eoicurus e Epicureanism per Enciclopedia Britannica); “Il teatro greco. Tutte
le tragedie, C.D. Firenze, Sansoni); (di C.D. Saggio introduttivo. Traduzioni:
Eschilo, I Sette a Tebe; Euripide, Alcesti, Ippolito, Eracle, Elettra, Elena,
Le Fenicie, Oreste, Le Baccanti). Epicuro, Scritti morali, Trad. C. Diano,
Padova, CLEUP); “Euripide, Medea, (traduzione e nota di C.D.) Padova, Liviana);
“Aristofane, Lisistrata (traduzione e cura) Padova, Liviana); “Anassagora padre
dell'umanesimo e la melete thanatou in L'Umanesimo e il problema della morte,
Simposio Padova Bressanone); “Studi e saggi di filosofia antica, Padova,
Antenore); “Scritti epicurei, Firenze, Leo Olschki); “La tragedia greca oggi,
Nuova Antologia); “Limite azzurro, Milano, Scheiwiller); “Eraclito, Frammenti e
testimonianze, (traduzione e cura) Milano, Fondazione Lorenzo Valla); “Epicuro,
Scritti morali, Milano, BUR); Platone,
Il Simposio (traduzione e cura), Venezia, Marsilio); Il pensiero greco da
Anassimandro agli stoici, Torino, Bollati Boringhieri, Introduzione di Massimo Cacciari.
e Lia Turtas. Introduzione Jacques
Lezra. Curatele Platone, Ione, Roma, Dante Alighieri, M.T.Cicerone, De finibus
bonorum et malorum, GFI, Omero, Iliade. Libro I, Firenze Bemporad, Platone,
Dialoghi Convito, Fedro, Alcibiade I e II, Ipparco, Amanti, Teage, Carmide,
Lachete, Liside, Bari, Laterza, 1934 (II ed. 1945); Il teatro greco: tutte le
tragedie, Firenze, Sansoni); “Eraclito, I frammenti e le testimonianze, Milano,
Fondazione Lorenzo Valla, Arnoldo Mondadori Editore); “Epicuro Giovanni Gentile
Tragedia greca. TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Carlo Diano, in Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Carlo Diano, . Carlo Diano Forma y evento, Madrid, Circulos
Bellas Artes (estratto traduz. spagnola)Brian Duignan, Carlo Diano,
Epicureanism, in Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Carlo
Diano, nel sito "Il Ramo di Corallo", di Francesca Diano. Carlo
Alberto Diano. Carlo Diano. Keywords: il segno della forma, il simposio ovvero
dell’amore, Mario l’epicureo – homosocialite – forma, segno, convite, Orazio,
Virgilio, filosofia roma antica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Diano” – The
Swimming-Pool Library.
Dionigi (Barletta).
Filosofo. Grice: “I like Dionigi; for one, he wrote on Cratylo, which I love!”
– Grice: “In Plato’s Cratylo there’s possibly all the vocabulary you need to
understand Peirce! As if Plato foreshadows C. W. Morris!” -- “Postmodern
Italians like Donigi, and they created a cocktail in his honour! His
philosophising on Socrates philosophising with Cratilo on semeiosis proves
Whiteheads’s dictum that all pragmatics is footnotes to Grice, and all Grice is
footnotes to Plato!” Si laurea a Barletta. Il suo primo saggio, sotto Althuser,
Bachelard. La "filosofia" come ostacolo epistemologico. Insegna Bologna.
Centrale, nella sua riflessione, e Nietzsche (Il doppio cervello di Nietzsche),
analizzato sia in chiave ermeneutica che logico-filosofica. Anche Bataille e un
lucido bilancio di Marx ("L'uomo e l'architetto”). Il processo di
ripensamento della sinistra italiana lo vide di nuovo impegnarsi in prima
persona. Si accostò poi alla filosofia analitica e alla svolta
"linguistica", vista come approfondimento della critica della
metafisica. Le saggi si concentrano sull'ermeneutica ("Nichilismo
ermeneutico”), sulla semiotica, segnatura, semantica antica (Nomi Forme Cose.
Intorno il “Cratilo” di Platone) e soprattutto sul pensiero di Wittgenstein (Definite
descriptions – descrivere -- La fatica di descrivere. Itinerario di
Wittgenstein nel linguaggio della filosofia), del quale condivideva pienamente
l'esigenza di ripensare il linguaggio (segnatura) come la "cosa
stessa" della filosofia. “Cocktail
Dionigi” e un documentario contenente testimonianze di alcuni dei maggiori
pensatori italiani su Dionigi, tra i quali Berardi, Bonaga, Picardi, Eco, Cacciari,
Marramao. Altre opere: Bachelard. La
"filosofia" come ostacolo epistemologico, Il doppio cervello di
Nietzsche, Bologna, Cappelli Editore, Nomi Forme Cose. Intorno al Cratilo di
Platone, La fatica di descrivere. Itinerario di Wittgenstein nel linguaggio
della filosofia: “Un filosofo tra Platone e il bar” – cf. Speranza, “Grice: un
filosofo tra Aristotele e il pub”. su
ricerca.repubblica, Cocktail Dionigi. The
development of Plato’s “Cratilo”. Commentaries on the Cratilo nella filosofia
romana antica. Cicerone e il Cratilo. Κρατύλος -- Sulla correttezza --
dei nomi. Personaggi: Socrate, Cratilo, Ermogene. Il Cratilo è un dialogo di
Platone. In esso è trattato il problema del linguaggio, o meglio, della “correttezza”
-- dei nomi o espressioni. Protagonisti del dialogo sono Socrate, Ermogene e
Cratilo. La maggior parte dei filosofi concorda sul fatto che venne
scritto principalmente durante il cosiddetto periodo di mezzo di Platone. Incontro
tra Socrate, Ermogene e Cratilo. Formulazione del problema e delle due tesi
sulla ‘correttezza’ – corretto – lo corretto – di una espressione o nome.
Socrate incontra Ermogene e Cratilo, che stanno discutendo attorno al problema
del ‘corretto’di una espressione e viene messo a parte da Ermogene delle teorie
di cui sono sostenitori. Cratilo afferma infatti che una espressione e “per
natura” – physei -- ossia rispecchia realmente il reale; Ermogene crede invece
che l’espressione e non naturale, ma arbitrario (lo naturale, physikos;
l’arbitrario – thetikos --. deciso dall’uso e dalla convenzione.
Confutazione della tesi di Ermogene: Una espressione racchiude in sé qualcosa
della cosa (il reale) a cui si riferisce. Socrate comincia a confutare la tesi
di Ermogene, mostrando che una espressione non e solo convenzioni, ma anzi
rappresentano un qualcosa della cosa o del reale a cui si riferiscono; contiene
cioè una qualche caratteristica che la rende perfetta nell'adattarsi alla cosa
descritta. Lo dimostra il fatto che esistono un discorso vero e un discorso
falso. Poiché l’espressione (A, B) è parte del discorso (A e B, S e P), è
evidente che l’espressione utilizzata nel discorso vero deve essere ‘corretta’.
Quella usata nel discorso falso non lo e. Colui che ha deciso l’espressione, il
legislatore, uomo sapiente (the master) ha infatti rivolto la sua attenzione
all' ‘idea’ o concetto (implicatum) dell’espressione, adattandolo poi a questa
o quella necessità descrittiva, adoperando sillabe e lettere differenti. Il legislatore
crea una espressione solo corretta, basandosi proprio sulla natura della cosa,
del reale. Ha qui inizio una sezione etimologica. Vengono presi in
considerazione l’espressione di dèi come “Tantalo” e “Giove” e viene
parallelamente sviluppato un eguale ragionamento sull’espressione delle qualità
dell'uomo, come l' “anima” o il “corpo”. In seguito si passa ad analizzare il
‘corretto” dell’espresione degli astri, dei fenomeni naturali. Il ragionamento
si dilunga sulle qualità morali dell'uomo. Il corretto di una espressione
si misura in base al corretto degli elementi che lo compongono, le fonemi Dopo
questa disquisizione Socrate spiega ad Ermogene che l’espressione fino ad
adesso analizzato e una espressione composta (complexus). Questa caratteristica di essere un compost
(complexus) la rende suscettibili di un'ulteriore indagine: quella degli
elementi che lo compongono, come le fonemi. Le fonemi, o, più in generale,
l’elemento morfo-sintattico che forma l’espressione (“Fido is hairy-coated”,
Fido was hairy coated, Fido and Rex ARE hairy coated – l’espressione, deve infatti
riprodurre l'essenza della cosa, del reale, giacché è al reale che si riferisce.
Inizia qui l'analisi di alcune fonemi come rho e lambda. Cratilo si oppone a
questa tesi di Socrate. Sostiene che una espressione è sempre giusta, corretta,
propria, vera, perché è della stessa natura delle cose che descrive. Una sbagliatura
non è una espressione. Socrate comincia a confutare la tesi di Cratilo. Non è
possibile infatti dire che l’espressione e il reale a cui si riferisce siano la
stessa cosa. L’espressione “Fido is hairy coated” e il fatto che Fido is hairy
coated e proprio hanno qualcosa in comune, così come un ritratto di Alcebiade
racchiude qualcosa d’Alcebiade che reproduce. Tuttavia non sono due cose
uguali. Se si ammette questo fatto (e Cratilo, seppur poco convinto, lo fa)
bisogna allora ammettere anche che esistono sbagliatura e l’espressione
corretta, vera, giusta. Del resto un ritrattista può nelle intenzioni riprodurre
Alcebiade e poi essere dissimile. Cratilo contesta ancora a Socrate il
problema della conoscenza tramite il linguaggio. Se l’uomo conosce e apprende
il reale attraverso l’espressione, è evidente che non potrebbe esistere nessuna
conoscenza se l’espressione non fosse corretta, vera, giusta, propira, cioè se
l’espressione non fossero della stessa natura delle cose. Socrate sostiene
allora che un legislatore, all’adopere una espressione, non è detto che avesse
un'opinione giusta corretta vera del reale. Il legislatore infatti non poté
apprendere attraverso l’espressione, perché ancora non era stata inventata (cf.
muon). È possibile allora che abbia fatto dell’errore e ciò è dimostrato dal
fatto che una espressione puo non essere corretta, giusta, vera – atomo, anima,
ecc. Esiste un modo migliore per conoscere: non attraverso l’espressione, ma
attraverso il reale; solo il reale puo non essere contraddetto, mentre
l’espressione si presta a molteplici interpretazioni. La possibilità di una
conoscenza (opinione vera e giustificata) e del corretto dell’espressione
risiede nella stabilità del reale. Poiché la natura è stabile, e rimane sempre
uguale, allora è possibile denominarla con precisione. Cratilo si mostra poco
convinto e alla fine si allontana da Socrate insieme ad Ermogene. Ermogene
simboleggia la concezione sofistica del linguaggio. Per il sofista, a partire
dal italico Protagora, se “l'uomo è misura di tutte le cose”, ogni tipo di
espressione si adatta a seconda delle condizioni poste dall'uso. L’espressione
“Fido is hairy-coated” è puramente arbitraria – convenzionale. E possibile che
non c'è nulla in comune tra una espressione ed il reale (traspassa la fase
iconica). Tuttavia l'uso comune fra il mittente e il recettore ha permesso
quest'accettazione (arbitraria da parte del mittente) e si reputa ‘corretto’
spiegare che Fido è ‘hairy-coated (shaggy)’. Tuttavia ugualmente bene andrebbe
l’espressione "scoiattolo" o "cicala" giacché non sussiste
nessuna somiglianza tra l’espressione (“shaggy”) e il reale
(hairy-coatedness). Cratilo simboleggia invece la concezione naturale
(pre-iconica) della communicazione. Esiste un'assoluta identità tra espressione
e espressum, explicatura ed explicatum, implicatura ed implicatum, profferenza
e profferito. L’espressione è vera sempre, perché racchiude in sé la stessa natura
che pervade il reale segnato per il segno che e primariamente iconico. Ogni
espressione è un “indizio” (index, traccia, segnale) di conoscenza, di una
conoscenza meravigliosa, divina, quasi sacrale. Il segno è giusto perché il
primo legislatore a segnare il segnato fu come un dèo che, essendo perfetto,
assegna un segno (fa un segno – significa) perfetti al segnato. Una sbagliatura
non e un segno; Non tutto e un segno -- . Platone fonda la sua concezione
della communicazione sull'ontologia. Per Platone è immediatamente evidente che
esista un segnato al di fuori del segno; è il segnato stesso a cui il segno si
riferisce. Bisogna infatti che esista un segnato perché esista una segnabilita.
Senza questo segnato, senza quest'essenza, rimarrebbe inutile segnare, giacché
non si dovrebbe indicare “nulla” con il segno, perché non ci sarebbe nulla da
indicare. Platone allora comincia dal Cratilo ad elaborare una teoria dell’idea
immutabile: di un'essenza stabile nella natura, che rimanga uguale ed
inalterata nel tempo e che renda valida la segnabilità. Più volte Platone fa
riferimento alla figura del legislatore e a quella del dialettico. La figura del
legislatore è la figura di colui che adopera il segno per riferirsi al segnato.
Si utilizza il termine legislatore in senso molto ampio, intendendolo sia come
uomo sia come divinità, secondo la concezione naturalistica di Cratilo.
Tuttavia si è visto come Socrate alla fine dubiti della infallibilità del
legislatore, poiché egli ha assegnato anche un segno errato. La figura del
dialettico rappresenta invece la nuova concezione del linguaggio elaborata da
Socrate. Secondo Cratilo non esiste altra conoscenza al di fuori del segno.
Platone invece è convinto che la vera conoscenza sia al di là del segno,
nell'essenza stessa del segnato. Se il legislatore è colui che crea il segno
sulla sua opinione riferendosi alla natura del segnato, il dialettico conosce
il segnato e in maniera approfondita e, di conseguenza, sa quale segno attribuire
al segnato (H2O). Tale segno (H20) sarà per forza corretto. Genette,
nell'opera Mimologie. Viaggio in Cratilia, parte dal discorso di Platone per
argomentare l'idea di arbitrarietà del segno. Secondo questa tesi, sostenuta da
Grice con il suo “Deutero-Esperanto” e il nuovo “High-Way Code”, il
collegamento tra il segno e il segnato non ha necessita di essere naturale (“A
segna che p” no implica “p”). Le idee sviluppate nel Cratilo, benché datate,
storicamente sono state un importante punto di riferimento nello sviluppo della
prammatica. Sulla base del Cratilo Licata ha ricostruito, nel saggio Teoria
platonica del linguaggio. Prospettive sul concetto di verità (Il Melangolo), la
concezione platonica della semantica, in base alla quale il segno avrebbero un
legame naturale, una fondatezza essenziale, col loro segnatum. Sedley,
Plato's Cratylus, Cambridge. Bibliografia ̈ Ademollo, ‘The Cratylus of Plato. A
Commentary’, Cambridge.. Gaetano Licata, Teoria platonica del linguaggio.
Prospettive sul concetto di verità, Genova: Il Melangolo, Luigi Speranza,
“Platone e il problema del linguaggio” seminario. Lettura e commentario di
testi di filosofia antica. testo completo in italiano e lingua greco antico. Traduzione
integrale del Cratilo su filosofico.net, su intratext.com. Il testo greco
presso il Perseus Project, su perseus.tufts.edu. Sedley, Plato's Cratylus, in Zalta
(a cura di), Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of
Language and Information (CSLI), Università di Stanford. Bibliografia su Cratilo.
Dialoghi di Platone I tetralogia Eutifrone Apologia di Socrate · Critone ·
FedonePlato-raphael.jpg II tetralogiaCratilo · Teeteto · Sofista · Politico III
tetralogia Parmenide Filebo Simposio (o Convivio) Fedro IV tetralogia Alcibiade
primo · Alcibiade secondo Ipparco Amanti V tetralogiaTeage · Carmide · Lachete
· Liside VI tetralogia Eutidemo Protagora Gorgia Menone VII tetralogia Ippia
maggiore Ippia minore Ione Menesseno VIII tetralogia Clitofonte La Repubblica
Timeo Crizia IX tetralogia Minosse · Leggi · Epinomide · Lettere Opere spurie
Definizioni Sulla giustizia Sulla virtù Demodoco Sisifo Erissia Assioco
AlcioneEpigrammi. Linguistica Categorie: Opere letterarie in greco antico Dialoghi
platonici Opere letterarie del IV secolo a.C. CRÀTYLVS PLATONIS, VEL DE RECTA NOMINVM
RATIONE: TRANSLATVS Ficino Florentino, ad Petrum Medicem uirum clariſſimum. A
MARSILIO ec HERMOGENES. CRATYLVS, SOCRATES. Is igitur sermonem nostrū et cum
hoc Socrate conferamus: CRAT. Vo : Io equidem, si tibi uidetur. HER. Cratylus
hic ô Socrates, rebus singulis ait natura inesse rectam nominis rationem, neqid
esse nomen, quod quidã ex constitutione vocant, dum vocis suæ particulam quandā
pronunciat, sed rectam rationem aliquam nominū & græcis et barbaris eandé
omnibus innatam. Percontor itags ipsum, num revera Cratylus sit eius nomen.
Ipfe fatetur. Socrati vero quod nomen, inquam :Socratesait.Nónne cæteris
omnibus,inquã ,id eft nomen quo quenquocamus.Illenõ tibi tamen ait Hermogenes
nomen eſt,nec etiã ſi omnes homines teita uocarint. Dumýobfecro ut ſciſcitanti
mihi quidnamdicat aperiat, nihil prorſus declarat, sed me ludens, simulatſeſe
aliquid uerſareanimo,quali nõnihil hac de re intelligat,quod li uellet
exprimere,cogeret meidipfumfateri,eadēý dicere quæ ipſe dicit. Quamobrem
libenter ex te audirem , siqua ratione Cratyli uaticiniâ potes conījce
se.libentius tamen fencentiam tuam denominum rectitudine,fiquidem
tibiplacet,audi rem.soc.Hipponici fili Hermogenes,ueteriprouerbio fertur.
Pulchra eſſe cognitü Prouerbia e difficilia.Atquiilla nominū notitia haud parua
res eft.Equidem ſi ex Prodico illa quin quaginta drachmarum demonſtrationě iam
olim audiffem , in cuius traditione etiã hæc inerant,ut ipſeteſtatur, nihil
prohiberet quin tu ſtatim nominū rectitudiné intelligeres. cam porrò nun
audiui, fed illamdrachmæunius duntaxat. Quare quid in his uerû ſit, neſcio
,inueftigare autem tecum ſimul &cum Cratylo paratus ſum .Quodautem dicit ti
bi noneſſe reuera nomen Hermogenes,quod à lucro dicitur, mordetteputo quaſi
pecu niarum auidus ſis , & impos uoti. Verum ,ut modo dicebam, diſficilia
hæc cognicu ſunt. Oportet autem rationes utring in medium adducendo perquirere,utrum
ita sit ut dicis ipse, an potius ut Cratylus ait. HER.Enimuero ô Socrates,licet
frequenter cum hoc cær terisc permultis iam diſputauerim ,nondum tamen
perſuaderimihi poteft aliã eſſe no minisrectitudinem , conuentionemipfam
conſenlionemě.Mihi quidē uidetur quod cungnomen quis cuig imponit,id
eſſerectů.Acſi rurſus comutat,aliudó imponit, ni hilominus o primum , quod illi
ſuccedit nomen rectấexiſtere, quemadmodüſeruis no mina cómutare solemus: nulli
quippe rei natura nomē ineſſe,fed lege &uſu illorum qui fic uocare
conſueuerunt.Quod quidem ſi aliter ſe habet,paratus ſum non à Cratylo tan tum
,uerumetiã àquouis alio diſcere ac audire.soc.Forte'aliquid dicis Hermogenes:
Conſideremusitap.quodcũq imponit quis cuinomen uocato , id illi nomen effe af
feris:HER .Mihi ſane'ita uidetur. Soc.Et ſiue priuatus uocet, ſiue civitas. HER.
Affero . soc. Quid vero si ipſerem aliqua vocem, veluti fi quem nunc hominem vocamus
, ego “equum” nominē, quem'ue equum , hominē: publice quidem erit eidē homo
nomen, pricatim “equus”, &priuatim rurſus homo, publice “equus”. Ita
loqueris: HER .Ita uider.soc. Diciterum num aliquid nuncupes vera loqui, aliquid
loquifalſa .HER. Equidem . Soc. Nónne illa quidem uera erit orario,hæcaūtoratio
falſa : HER.Ita prorſus. So c.Illa uero Quæ oratio oratio quæ existentia dicit
ut exiſtűt, vera est ,quæ ut no exiſtűt, falsa: HER.Certe. soc. uera, quæ Est
autem hoc,oratione,ea quæ ſunt, & quæ non ſunt,dicere?HER.Idipfum .soc.
Ora- falfa cio quæ uera eſt,utrum tota quidem eft uera,partes non uerærher.Imò&partes
ueræ . soc. Vtrữ partes magnæ ueræ ,exiguæ uero particulæ fallæ ,an ueræ ſunt
omnes. HER. Omnes arbitror.soc.Habes orationispartem aliquã minorēnominer
HER.Nequaç , Orationis hęceſ pars minima.so c.Etnomen quidē hoc pars orationis
ueræ.H ER.Proculdubio. pars minio soc.Pars utiq uera,utais
ipſe.HER.Vera.soc.Pars autem falfa.HER.Aio. soc. Licet ma eſt nos ergonomen
uerű , & nomen falſum dicere, fiquidē & orationem.HER. Quid prohibet,
men soc. Quod quis cuiq nomen esse ait,id & cuiq; nomen eft ? HER. Idipſum
. soc. An etiam quotcungquis nomina cuique tribuit,totidem erunt:ac etiam
quandocuno tri buit HERM. Haud equidem habeo Socrates, aliquam præter hanc
nominis rectitudinem am rerum ipſas effe dinens,utuidelicetliceatmihi quidē
alio rem uocare quodipfe impoſuinomine,tibiay tem alio quod tuimpoſuifti. Ita
equidem in ciuitatibus uideo eorundem ppria quædam haberinomina, & Græcis
ad alios Græcos,& Græcis ad Barbaros. soc. Animaduerta. musHermogenes,utrum
resipilaita se habere tibiuideantur, utpropria rerum apudu Sententia numquenq
effentia fit, quemadmodum Protagoras tradidit: rerum omnium dicens ho Protagoræ
minem effemenſuram , ita ut qualiamihiquæq uidentur,talia & mihiſint: item
qualiad circa eflenti big& tibi talia. An potius quædam eſſe putes, quæ
effentiæ ſuæ quandã habeant firmita rém.HER.QuandogóSocrates,dubitansad hæc
deductusfum , quæ tradit Protagoras. Ita tamen effe haud fatis mihi perſuadeo.soc.
Nunquid & ad hoc aliquando es dedu ctus, ut tibinequaquam uideretur aliquem
eſſe hominem omnino malum : her . Non per louem.imò fæpenumero ita fum
affectus,utexiſtimarem hominesnonnullosomni nomalos effe, & quidem
plurimos.soc. Prorſus autem boninulliadhuc cibi ufi funt HER. Admodum pauci.
soc. Viſi ergo ſunt aliqui.HER. Aliqui.soc. Quaratione hociudicaschac ne omnino
quidem bonos eſſe,omnino prudêtes: prorſus vero prauos imprudentes omnino:
HER.Mihi fane'ita uidetur.soc. Si Protagoras uera dixit, eſto hæcipfa
ueritas,ut qualia quæą cuiq uidentur,talia ſint fieri'ne poteft,ut alij hominum
prudentes ſint,imprudentes alí :HER.Nequaquam.soc.Atqui hæc, ut arbitror,tibi
omnino uidentur,cum uidelicet prudentia quædam & imprudentia fic,Protagorā
baud omnino uera loquipoffe.Neqenim alter altero reuera prudētiorerit,fi
quæcuiquiden Sententia tur,cui uera erunt.HER.Ita eft.Atneqz
Euthydemoaffentiris, utarbitror,dicenti om Euthydemi, nia omnibus eſſe
ſimiliter ac ſemper.Nec enim ali boni,alí mali effent,fiſemper & æ
nibuselle û que omnibus & uirtus ineffet & prauitas. HER. Vera
loqueris. soc. Ergo fineqom . militer, ac nia omnibus inſunt ſemper ato
ſimiliter,ne cuiq proprium unumquodq , cõſtat res femper quæ effentiam quandam
firmam in fe habent,ne® quo ad nosneæ ànobis per imaginationem ſurſum deorfumą
diſtractæ , fed fecundum feipras quoad ipfarum elfen tiam utnatura inftitutæ
ſunt permanentes.HER. Idem mihi quoq uidetur Ô Socrates. soc.Vtrum res ipfæ ita
natura conſiſtunt,actiones autem illarum non ita,ſed aliter: an & actiones
ipfæ fimiliter quædam rerum fpecies ſunt:HER.Et ipfæ omnino. soc. Er go actiones
ipfæ fecundum naturam ſuam ,non ſecundum opinionem noftram fiunt. Quemadmodum
finosrem quampiam diuidere ftatuamus,utrum ſic diuidēdares quæ que eft,utnos
uolumus, & quo uolumus: an potius ſi unumquodqs diuidamus ſecun dum naturam
qua diuidere & diuidioportet, item eo quo ſecundum naturam diuiſio fieri
debet,diuidemus utiqrecte, & aliquid proficiemus,ac recte iftud agemus:
Sinau tem præternaturam ,aberrabimus,nihilg proficiemus? HER. Mihi quidem ita
uidetur. soc.Atqueetiam ſicomburere aliquid aggrediamur,non fecundum omnem
opinio nem comburereoporter,fed fecundum opinionem rectam . hæc autem eſt qua
ratione naturaliter quode comburi debet atæ comburere,& quo debet. HER.
Vera hæcfunt. soc.Nónne eadem decæteris ratio : HER . Eadem .Soc. Annon &
dicere una quæ dam operationữeſt: HER.Eft plane.soc.Vtrum rectedicet, qui ut
ſibi dicendum ui detur, ita dicitran potius qui ita dicit,utipſa rerum natura
dicere diciç requiritiet fi quo natura exigit,eo & dicat,aliquid dicendo
proficiet:ſin aliter,aberrabic:nihilós efficier. HER.Ita equidem
utais,exiſtimo.soc.An non dicendipars quædam est nominare: & quinominant, loquuntur
quodamodo? HER.Omnino.soc. Etnominareactio quæ dam eft: quandoquidem &
dicereactio quædam circa res eft. HER . Prorſus. soc.A. Ationes autem nobis
apparuerunthaud ad nos reſpicere,fed propriam quandam ſui ha bere naturam. Her.
Est ita.so c.Nominandű itaq; ea ratione qua rerum ipſarum natu . ra
nominareacnominaripoftulat,& quopoftulat,nõ autem pro noftræ uoluntatis
arbi trio ,liftandum eſt in his quæ dicta ſunt. HER. Sic eſt.s o c.Ato ita
aliquid peragemus, nominabimusý ,aliter uero nequaquam . HER. Apparet. soc.
Quod incidendum eſt, aliquo incidendű.HER. Aliquo.soc. Etquod texendữ, aliquo
certe texendű, quodue perforandum ,aliquo perforandū.HER.Plane.so c.ltem quod
nominandũ,aliquono minandum.HER.Sic oportet.soc. Quid illud ,quo aliquid
perforareoportet? HER. Terebrum.soc.Quid quo texere: HER . Radius pecteng. soc.
Quid quo nomina. Reč HER.Nomen.soc.Beneloqueris,ideog inſtrumentum aliquod
nomen eft.HERErt Eft.soc.Siquærerē quod inſtrumentū eſt radiuspectený
,reſponderes quo teximus: HER.Non aliud.soc.Texentes uero quid facimus, an non
fubtegmen & ſtamina con fuſa ,radio diſcernimus. HER.Iſtuc ipſum.so c.Idem
de terebro ac cęteris reſpondebis: HER. Idem .soc.Potes & circa nomen
ſimiliter declarare, quid facimusdum nomine Nomen, res ipfo quod inſtrumentū
eſt,aliquid nominamus. HER.Nequeo.so c.Nűquid docemus tias docen's inuicem
aliquid ,acres ut ſunt diſcernimus. HER .Nempe. soc. Nomen itaqrerű ſub di
diſcernen Itantiasdocendidiſcernendig inſtrumentū eſt ,ficutpecten & radius
ipſe telę.HER.Sic diğinftru eft dicendű.soc.Radiusporrò textorių eſt
inſtrumentū.HER. Quid nir'sOCR.Texcor mentum icaç radio ac pectinerecte
uterur,recte,inquā,ſecundű texendirationē.Ille uero quido cet,nomine utetur,
& recte,recte uidelicet ſecundű docendipropriâ rationē: HER. Cer te.soc.
Cuius artificisoperebene uteturtextor,quando radio pectineś utetur: HER. Fabrilignari.
soc.Quiſque'nelignarius faber,an potius quiartē habet? HER.Quiha .
betartē.soc.Cuius item opere recte perforator utetur? HER.Aerarijfabri.soc. Num
quiſqz eſt faberærariusè an potius quihabet artem: HER .Quiartē. soc.
Ageergo,dic cuius opere ipſe doctorutatur,quotiesnomine uticur.HER .Neſcio.soc.
Allignare & hocneſcis: quis nobis traditnomina quibus utimur.Her.Ignoro
& hoc.soc. Nónne lex tibiuidet nobis nominaſtatuiſſe HER. Videtur. soc.
Ergo legislatoris utet opere doctor,quádo nomineipfoutetur.HER.Opinor.soc.
Códitor legis quilibettibiæque uidetur,an quiarte eſtpræditus.HER.Arte
præditus.soc. Quarenö cuiuſcunq uiri eſt Hermogenesnomen imponere,uerũ cuiuſdam
nominữautoris. hic autem etiam , ut ui detur,nominữ inſtitutor ,
quirarioromniartifice interhominesreperit.HER.Apparet. Soc. Animaduerte obſecro
, quô reſpiciens nominü inſtitutor,nomina rebus imponit: imòſuperiorű exempla
dýjudica,quò reſpiciens faber radium pecteng cõficit.nonnead tale aliquid quodad
texendum natura fit aptum: HER.Prorſus. soc. Siin ipſo operera dius hic
frangatur, utrum alium iterű fabricabit ad fracti iſtius imaginēžan potius ad
ſpe ciem ipfam reſpiciet, ad cuius exemplar radium qui fractus eſt,fecerat: HER
. Adipſam ut arbitror, speciem .soc. Nónneſpeciem ipfam merito ipſius radij
rationé,ipſum pra dium maximenominabimus: HER.Opinor.soc. Siquãdo oportet
cõficiendæ ueſtite nuiuelcraſſiori lineęſiue laneę,ſiue cuiuis alteriradiữ
apparare, radios singulosoportet ſpeciem radīj ipſius habere:qualis uero
cuiqznaturaliter eſt accómodatiſſimus,talem ad opus peragendű ,ut natura
poftulat,adhibere.HER.Oportet ſané.soc.Eadem de cætè ris inſtrumétis eftratio
.Nam quod natura cui & congruit; instrumentũadinueniendum eſt,atq id
illiattribuendű,ex quo efficitno qualecunq uult quifabricat, ſed quale natu ra
ipſa exigit. Terebrum nam cuiæ accommodatum ſcire oportetin ferro perficere.
HER. Patet. soc. Radium quinetiam singulis competentem in ligno. Her. Vera hæc
ſunt.soc.Quippeipfa rationenature alius radius telæ alteri competit, & in
alijs eodem modo.HER. Sane. soc. Oportet quoguir optime, ucillenominum
inftitutor nomen Quomố no natura rebus ſingulis aptű in uocibus & fyllabis
exprimat, ad idý reſpiciés quod ipſum minabit qui nomen eſt, ſingula nomina
fingat,atque attribuat, li reuera nominum autor eſt futurus. recte nomi Quod
ſinonñſdem ſyllabis quiſq nominum conditornomen exprimit,animaduerten dum eſt,
quod neq fabriomnesærarñ eodem in ferro id faciunt, quoties eiuſdem gratia idem
fabricant inftrumentum. Verum quatenus eandem ideam attribuunt, licet in alio ,
& alio ferro ,eatenus recte ſe habet inſtrumentum ,ſiuehic,fiue apud
Barbaros fabricēt. Nónne; HER.Maxime. soc.Nónne & eodem modo cenſebis,donec
inſtitutor no minum quiapud nos eſt, & qui apud Barbaros, nominis speciem
cuim cõpetentem tria buunt,in quibuslibet fyllabis nihilo deteriorem efle unű
altero in nominibus imponena dis: HER. Equidem. SOCR. Quis cogniturus eſt utrum
conueniens radij species cui cunqueligno fitimpreſſar num faber qui efficit: an
textor uſurus. HER . Probabile eft ô Socrates,magis eữ quieſt uſurus,
cognoſcere.soc. Quis lyræ fabricatoris opereuti tur:nonne ille qui fabricantem
inſtruere poteft, & opus recte'ne an cótra factâ fit,iudia care: HER. Omnino.soc.Quis
ergo: HER.Cithariſta.soc.Quis autem opere ſtructo . ris nauiữ.
HER.Gubernator.soc.Quis item nominữ conditoris operioptime præſides, bit, &
expletû dijudicabit & apud Græcos & apud Barbaros: Nónne & quiuteſ:
HER. Is certe.so c.Annõ is eſt qui interrogare ſçitç HER . Iſte. $ 0 c.Idem
quog reſpondere, HER nabic zi HER. Nempe. $ o c. Eum uero qui interrogare ſcit
ato reſpondere,aliumuocas i diale Dialecticus nouit recte cticum :
HER.Dialecticum profecto.socr. Fabri ita opuseſt temonem facere guber impofita
no natore præcipiente,li bonus futuruseſt temo. HER. Apparet. soc. Nominum quoq
au minarebus torisnomen, monentedialectico uiro, ſi modo recte ponenda ſunt
nomina. HER. Vera ſint, necne hæc funt. Soc. Apparet ergo Hermogenes haud leue
quiddam ,utipfecenſes,nominis impoſitionem eſſe,neæ id effe imperitorum
&quorumuis hominum opus.NempeCra tylus uėra loquitur,cum nomina dicit
natura rebus competere,neg unum quemuis eſſa nominum autorem, sed illum
duntaxat quiad nomen reſpicit, quod natura cuiq conue. nit, pofteag ſpeciem eâ
literis ſyllabisq inſerere. Her. Neſcio Socrates qua ratione his quæ
dixiſti,lit repugnandã:forte'uero non facile eſt ſubito fic perſuaderi. Videor
autem mihi hâc in modumtibi potius aſſenſurus,fi oftenderis quam dicaseſſe
natura rectano. minis rationem . soc. Equidem ô beate Hermogenes,adhucnullam dico
, ferme'nama è memoria excidic quod dixerā suprà, meuidelicet hocignorare,uerum
una tecum per quirere. Nunc aucem mihi &tibi limul inueftigantibus hoc
duntaxat præter ſuperiora compertõeſt, rectitudinem aliquã natura nomen habere
, nec quemlibetpoffenomen rebus accommodare.Nónne: her.Valde.soc.Conſiderandum
reſtat, ſi noſſe deſide. ras, quænã ipſius ſit nominis rectitudo,id eftratio
recta. Her. Deſidero equidem .soc. Animaduerte igitur. HER. Quauia
inueſtigandâmones. soc. Rectissima estô amice, consideratio,ab his qui ſciūt
hæc perquirere,oblatis pecunis, & gratöjs inſuper actis:hi uero ſophiſtæ
ſunt, quibus frater tuus Callias multis erogatis pecunijs, ſapiês euafiffe ui
detur.Poftquam uero in res paternas iusnon habes,reliquũ eſt fratrem ſupplex
ores, ut te doceatnominârectitudinem quam à Protagora didicit. HER.Quàm abſurda
hæcel Veritas no, ſet petitio Socrates, fi cum illam Protagoræ ueritatem
nullomodo recipiã ,ea quæ ex uc men ſcripci,ritate illa dicuntur,alicuius precí
æſtimarē.soc.Acuero ſi tibi hæc non placent,ab Ho aut ironicũ mero cæterisý
poetis est diſcendum . HER. Quid de nominibus, & ubi Homerus ô Socrates,tradic:so
c.Paſimmulta, maximauero & pulcherrimaſuntilla ,in quibus diftin guitcirca
eadem quæ nomina homines, &quæ dö ipfi inducunt. Annoncenfes ipſum in his
magnificum alíquid & mirandumde recta ratione nominữ tradere: Constat enim
deos nominibus illis ad rectitudinem ipfam uti, quæ natura conſiſtunt. Annon
putas: HER. Certe equidem fcio ,fiqua dij uocant,recte eos admodum nominare.
Verum quæ nam ista: Soc. An ignoras quod de Troiano flumine, quod ſingulari
certamine ca Vul cano pugnauit, inquit: quod Xanthứdijuocant,
uiriScamandrum.HER.Scio. SOCR. Annoncenſes magnificum quiddam cognitu
eſſehoc,qua ratione rectius fit flumen il lud Xanthű, quam Scamandrâ nominare. Item
fi uis, animaduerte &iftud, quod auem eandem dicit Chalcidem quidêa dřs,
Cymindin uero ab hominibus nominari. Leuem cognitionem hanc putas,ut fciat
quanto rectius fit eandem auem Chalcidem quam Cy mindin nuncupare, uel Batieam
aros Myrinen , alias permulta &apud huncpoetam &apud alios talia: Verum
iſtarữrerum inuentio acutius ingenium quam noſtrũ exigit. Scamandrius autē
&Altyanax quid ſignificent,humano ingenio, utmihiuidetur, com
prehendi,facile & percipi poteſt,quam rectitudinem eſſeHomerusuelit in his
nomini bus quibus Hectoris filium nuncupat. Scis ea carmina quibusinfunt,quæ
dico: HER. Omnino.soc. Vcrum iſtorum nominâ putasHomerum exiſtimaſſe conuenire
magis puero, Aſtyanacta'ne,an Scamandriã: HER. Ignoro. soc. Sicautem conſidera:liquis
te interrogaret, utrữ putes fapientiores rectius nomina rebus imponere, an
minus ſapien. tes,reſponderes ucią ſapientiores.HER. Sic certe.soc.Vtrũmulieresin
urbibus sapientiores eſſe tibi uidenč, an uiri : quantı ad genus attinet. HER.
Viri.so c.Neſcisquod in quit Homerus, Hectoris filium a Troianis Altyanacta,a
mulieribus Scamandriū nuncu patum : quandoquidem uiri illum Aſtynacta uocare
conſueuerűt. Her . Videtur, soc. Nónne Homerus Troianos uiros fapientiores,
quam mulieres eorũ exiſtimauit: HER . Arbitror equidem. SOCR. Aſtyanacta
igiturrectius quàm Scamandrium nominatum - esse cenſuit, HER .Apparet.SOCR.
Animaduertamusquam ipſe denominationishuius cauſam affert, Solus enim, inquit,
ciuitatem ipſis cutatus eſt amplas mænia . Quapro prer decet, ut uidetur,protectoris
filium nominare &svavaxta, id est regem urbis, urbis, inč ,eius, quam pater
ipſiusſeruauit;ut inquit Homerus. HER. Idem mihi quocuider : Soc.Quod aức hoc
maxime;porrò &ipfe nondum fatisintelligo, ô Hermogenes. Tu vero percipis:
HER. Nõ perlouem.soc.Arqui & Hectori ó boneuir,nomen ipfeHo meras impoſuit.
HER. Quamobrem : soc.Quoniã mihi uidet id nomen Hector Aſtya
sactieſſequamproximum : ferme'enim idemſignificant, putanta Græciutraq hæcno
mina regiaeffe. Cuiuſcunæ enim quis avaş, id eſt rex extitit,eiufdem eft &
fxTue,id eſt poſtelfor.Conftat enim dominari illi,pofliderecſ , & habere.An
forte'nihil tibidicere ui deor meg fallit opinio, quaHomeriſcientiam circa
nominum rectitudinem, ceu per ue ftigia quædam attingere cöfidebam : HER.Nullo
modo, ut arbitror. forte enim nonni hil actingis. SocR .Decet,utmihiuidetur,
leonis filiū leonem ſimiliter nominare, equi filium equum haud certe dico,
liquid tanquammonſtrum exequo nafcatur aliud quid dam quám equus:fed cuius
generis ſecundum naturam eſt quod naſcitur, hoc dico.Sies nim bouis fecundum
naturam filius equũ gignit,non uitulus qui naſcit, ſed pullus equi nus eſt
nuncupándus.Et fi equus præter naturam gignit úitulum ,non pullus equinus di
cendus eſt hic ,fed uitulus. Neqetiam ſi ex homine alia proles quam humana
producit , quodnaſciturhomo uocari debet.Idemg eſt dearboribus,dešcæteris
omnib. iudican dum.Probas hæc: HER.Probo equidem.soc.Obſerua me nequid
defraudem . Eadem quippe ratione,fiquis exrege naſcitur, rex eſt nominandus: in
alíis uero & alíjs ſyllabis idemlignificari,nihil intereſt, neck referc
ſiue addatur litera aliqua,ſiue etiã ſubtrahatur, donec eſſentia reiſignificatæ
in ipſo nomine dominacur.HER. Qui iſtucais:'soc. Nihil mirum nouum'ue dico,
uerű ita ut in elementis fieri cernis, ſcis enim quod elementora nomina
dicimus,ipfa uero elementa nequaç, quacuor duntaxat exceptis.dicimus enim
&utonów, o fixpou & whéya. Cæteris autem tam uocalibus quam non
uocalibus alias addentes liceras ,ut Båtte 4.7.c. nomina conſtituimus,atq;ita proferimus.
Verum quo uſg elementi ipſius uim declarată inſerimus, conuenit nomen illud
uocare ipſum quod nobis fignificet elementum , ut in Bizu apparet, ubi additis
8. 7.éc, nihil obftitit quin in tegro nomine natura elementiilliusoſtenderetur,
cuiusnominum autor uoluit:uſquea deo ſcite literisnominadedit. Her. Vera mihi
loqui uideris.soc.Nónne eadē derege ratio erit : Erit ex regerex , ex
bonobonus, ex pulchro pulcher, &in cæteris omnibus fimiliter ex quolibet
genere alterữ quiddam tale,niſi monſtrữ fiat, eademq dicendano : mina.Variare
autem licet per fyllabas,ut uideantur homini rudi,quæ ſunteadem ,eſſe di Gería.
quemadmodữ pharmaca medicorũ coloribus &odoribusuariata ſæpe cã eadem
fint,nobis diuerſa uidentur : Medico aūt uim pharmacorũ conſideranti eadem
iudican tur ,neß eum additamēta perturbant. Similiter forte qui eſt in
nominibus eruditus, uim illorum conſiderat,neq; eius turbaſiudicium, liqua
litera addita eſt, uel tranſmutata,uel dempta, uelin alijs literisac multis
eadē uis nominisreperitur.Vteanomina quæ fuprà diximus, Altyanax &Hector,
liceras omnino diuerſas,præter folum habent, idem ta menſignificant. Item quod
&exémolis, id eſt,princeps ciuitatis dicitur, quam literarum communionẽ cum
duobus ſuperioribushabet: Idem nihilominus infert. Multaq; ſunt alia, quæ nihil
aliud quam regem ſignificant. Multa præterea ſunt, quæ exercitus du cem
ſignificant,ut čys, worém cedoOMG , .Alia item quæ medicinæ profefforem
declarant,ut ictportas, a xecik @ poro. Aliaó permulta reperiri
poflunt,fyllabis & literis diſcordantia, ui autem fignificationis penitus
conſonantia. Sic ne & ipſe putas, an alia ter : HER. Sic certe.SOCR. His
profecto quæ fecundum naturam fiunt, eadem tribu enda ſuntnomina.HER. Omnino.
SOCR. Quoties uero præter naturam hominesali quifiunt in quadam fpecie monftri
, uelut quum ex bono pioq uiroimpius generatur, quigenitus eft,non genitoris
nomen ſortiri debet, ſed eius in quo ipfe eft generis:quem admodum ſuprà
diximus,ſi equusbouisprolem generet,non equum eiusfilium ,fedbo uem
denominandum .HER. Siceſt. Socr. Homini igitur impio ex pio genito, non pa
rentis, sed generis nomen attribuendum . HER . Vera hæc ſunt.soc.Neque
igitur6tocosia Agy , id eft Deiamicum, nex uygoitzoy, id eſt Dei memorem, uel
talem aliquem huiuſmo diuocarefilium talem decet, Ted cótraria ſignificantibus
nominibus appellare, ſi modo recte nomina inſtituta effe debent.HER. Sic
prorſusagendum ô Socrates. soc. Profe dio Oreſtinomen recte,o
Hermogenes,uidetur impoſitum , fiue aliqua ſors illi nomen dedit, liue poeta
quidā, ferinam cius naturã agreſtē &moncanã nomine eo ſignificās. HER.Sic
apparet,Socrates.soc. Viderur &patri eius ſecundum naturam nomen esse. HER.
Apparet.soc. Apparet utiq talis efTe Agamemnon,utſibi laborandũcenſeat,to
lerandumý, &in ijs quædecreuit,per uirtutem perfeuerandã.Argumentũuerotoleran
tiæ ſuæ apud Troiam tanto cum exercitu perduratio prębuit. Quod igitur
mirabilisper feuerantia uir hic fuerit, nomen ſignificai Agamemnon , quali
ayasos 967 oli ümrovlu . Fortè uero & Atreusrecte eft nominatus.Nexenim
Chryfippi, & crudelitas aduerſus Thyeſten ,noxiữ perniciofumo illum
demonſtrant.Vnde cognominatio parumperde clinat, & clam innuit,ut non
quibuslibet naturam huius uiri declarent:his autem qui no minum periti ſunt,
ſatis Atrei ſignificatio pater. Dicitur enim ſecundum erogès, afeger's atypów,
quaſiindomitus, inexorabilis, noxius contumeliofusq fuerit. Videtur & Pelopi
nomen haudab re tributum. Hominem quippe quæ prope ſunt uidentem ,nomen iſtud
congrue significat. HER. Cur illi id conuenit: socR. Quoniam in Myrtilicæde,
utfer tur, prouiderenihil potuit, nec eminus pſpicere quãta toti generi ex hoc
calamitas im mineret. Quæ enim antepedeserant, &ad præsentia tantum respiciebat,
hoc autem eſt prope aſpicere: quod & fecit, cum Hippodamiæ coniugium
omniconatu inire conten dit. Vnde Pelopinomenawines, id eft,prope,& ontos,
quodad uiſionem pertinet. Tan talo quinetiam nomen natura ipſa uidetur
impofitum , ſi uera ſunt quæ circunferuntur. HER. Quænam iſta : soc.
Quoduiuentiadhuc illi aduería plurima &grauia contige runt,tandemý patria
eius omnis fubuerſa eſt. Defuncto præterea faxum in caput immi. net, ſors certe
duriffima. hæcprorſuscum nomine congruar, perinde ac fi quis nomina re THION to
you ,id eft, inteliciſſimű uoluiffet, fed paulo locutus obſcurius, pro Talancato
Tantalum poſuifler. Taleutiæ nomen fortuna eius aduerſa ipſorumore gentium præ
buiſſe uidetur. Quinetiam patri eius loui recte nomen eſt indicum ,nec tamen
facileco. gnitu.Eftenim uelut oratio quædam louis nomen , quod quidcm bifaijā
partientes,par tim una,partim altera parte utimur. Quidamfive , quidamdia,
uocani. Quæpartes in unumcópofitæ, naturam dei ipſius oftendűt,
quodmaxiinedebernomen efhcere por ſe. Nulla enim nobis cæterisomnibus
uiuendimagis cauſa eſt, quam princeps, rexo omniữ. Quapropter decens nomen eſt
hic Deus fortitus, per quem uita íemper uiuent bus omnibus ineſt.Sectum autem
in duo eft unum, ut diccbam ,nomen ,in diæ uidelicet ata awa. Hinc
Saturnifilium cum quis audiat, forte inſolentem contumelioſumópu tarit. Verű
probabile eft,magnæ cuiuſdam intelligentię piolem louem elle. Quod enin Hóp -
dicitur,non puerum ſignificat,ſed puritatem mentisipfius, & fynceram
integria tem. Est aurem is opavo, id eft, cæli filius,ut fertur. Quippeafpectus
ad ſupera merijo z pane uocatur, quafi opacz zecvw. Vnde affirmant,o
Hermogenes, 17 qui derebusiutli mibusagunt,puram mentem adeffe, & recevo,
iure nomen impofitum.Siautem genealo giam deorum ab Hefiodo traditam mente
tenerem , & quos horum progenitores indu. cic,recordarer,haudquaq ceſſarem
oftendere tibérecte illis nomina infcripta fuiffe ,quo ad huius fapicntie
periculü facerem ,liquid ipſa proficiat peragator, & an deficiatnecne, quæ
mihi tam ſubito ignoro equidem unde nuper illuxit . HER. Profecto mitttiden som
Ô Socrates iliareorum quinumine capitatur, protinus oracula fundere. soc. Reor
equidem ,ô Hermogenes,hanc in me ſapientiam ab Euclıyphrone Pantij filio
emanalie. Illi fiquidem aſtiti a matutino affiduus,auresó porrexi. Patet igitur
eum deo plenú non modo aures meas beata ſapientia impleuiſle, uerumetiam animum
occupalle. Sic utico agendum arbitror, ut hodie quidem utamur ipfa, &
reliqua quæ ad nomina pertinet, ini dagemus. Cras uero,fiin hoc
conſenſerimus,excutiamuscam , expiemusý ,aliquem par ſcrutati,ſiuefacerdotem ,
feu ſophiſtam qui purgare hæc ualeat. HER. Probo hæc maxi. me Socrates.
libentiſſime nang quæ de nominibus reſtant, audirem. soc. Ira prorſus agendum.
Vnde igitur potiffimum exordiendű iudicas,poftquam formulam quandam
præfcripfimus,ut pernoſcamusſi etiã nomina nobis ipía teſtantur non caſu
quodama. » ata fuiſſe,uerum rectitudinem aliquam continere:Nomina quidem heroum
atq;homi / num nos forte deciperent. horum nang multa ſecundum cognomenta
maiorum pofita) ſunt, & fæpe nequağ conueniüt , quemadmodã in principio
diximus.Multa uero ex uo ') to homines nomina tribuunt,ut UtuXidmW, owciQ ,
Itópinoy, alia “ permulta.Talia itaq ) prætermittenda cenſeo.decens
eñconſentaneumg maxime reperire nos quæ in rebus ſempio Lempiternis &naturæ
ordine cõſtitutis recte ſunt poſita. Nam circa iſta in condendis no minibus
ftuduiffe maxime decet.Forte'uero ipſorūnonnulla diuiniore quadam poten tač
humanaſunt inſtituta. HER. Præclare mihi loqui uideris,ô Socrates. soc.Nonne
pareſtabipfisdíjs incipere ,rationemý inueſtigare qua bcos uocati ſunt:
Her.Nempe, soc.Equidem ita conício.Videnturutiq mihi Græcorű priſci deos ſolos
putaffe eos, quos etiam his temporibus Barbarorű plurimiarbitrantur, solem,
luna, terrram, stellas, calum. Cum ergo hæc omnia perpetuo in cursu esse
coſpicerent,ab hac natura moldatu få nominalle uidentur,deinde &alios
animaduertêtes omneseodem nominenuncu pale.Habeoquod dico uerifimile aliquid,
nec'ne HER . Habetcerte. soc. Quid poft hac inucftigandum : Conſtat de
dæmonibus heroibusø &hominibus quærendum eſſe, HER . Dedæmonibusprimum. soc.
Proculdubio Hermogenes.quidlibi uultdæmo. nun nomen animaduertenum aliquid
dicam .HER.Dicmodo.soc.Scis'nequos Hes Liolus claipovas effe inquit,
HER.Non.soc.Nec etiam , quod aureum genus hominum zitin principio extitiſſe ?
HER.Hoc equidem noui. Soc. Ait enim ex hocgenerepoſt przſentis uitæ fara fieri
dæmones ſanctos,terreſtres,optimos,malorũ expullores,& cu licdes
liominum.HCR . Quid cum: soc.Nempe arbitror uocare illum aureum genus; no ex
auro conſtitutū, ſed bonum atos præclarum.quod inde conſcio, genus noftrum
fereum eſſe dicit. HER . Vera narras. Soc. Annon putas ſiquis nunc ex noſtris
bonus fc ,aureihunc generis ab Heliodo æftimari? HER. Conſentaneum eſt.soc.
Boni autem anj sprudentes: HER. Prudentes. $ o c.Idcirco,ut arbitror,eosdæmones
præcipuenup cupat,quia fapiêtes d'ahuontsó erant.Et ex noſtraiſtud priſca
lingua nomen exiſtit. Qua obrem &is, & cæteripoetæ permultipræclare
loquuntur,quicunq aiunt uidelicet,poft quambonusaliquis uita functus eſt,
maximam dignitatem præmiumý ſortitur,fic & dæ monſecundum ſapientiæ
cognomentūIca & ipfe affero dæmuova, id eſt ſapientemom- nem efle hominem ,
quicung ſitbonus,eumódæmonicum effe ,id eſt felicem ,uiuenten » acc defunctũ,
recteý dæmonem nũcupari.HER Videor . mihi ô Socrates, in hoctecum s maxime
conſentire. soc. newsautem quid lignificar: Id nequaſ inuentu difficile.paur lo
enim heroumnomen ab originediſtac,indicans generationem illorum čre WTO
manaſſe. HER.Qua rationeid ais: s o c.Anignoras ſemideos heroas effe : HER.
Quid tum : soc.Omnesutiq heroes uel ex amore deorũ erga mulieres humanas, uel
amore uirorum erga deas ſuntgeniti.Prætereaſi hocfecundã priſcam Acticorum
linguam con fideraueris ,magis intelliges.reperies enim quòd pauliſper mutatū
eſt nominis gratia ex UTO ,undeſunt heroes geniti:quod'ueaut hincheroum nomen
eſt ducium ,aut ex eo quòd fapientes ,rhetores fuerunc.facundi uidelicet, &
ad interrogandữ diſſerendűó promptiflimi,ziedy Aang dicere eft:Quare,ut
mododicebamus,Attica uoce heroes the tores quidam ,&
diſputatores&amatori uidentur. Vnderbetorum ſophiſtarum gee nusheroica
prolesexiſtit. Verum nõ iſtud quidem difficile cognitu,imò illud obfcurű,
quamob cauſam homines ävbewmoinominantur.habesipfe quid afferas: HER.Vndeid
habeābone uir: Quin ſi reperire quoquo modo poffim ,nil cotendo, ex eo quòdtemo
lius facilius“ quammereperturum ípero.so c.In Euthyphronis inſpiratione
confider se mihiuideris.HER.Abſc dubio.soc.Ec merito quidem confidis.Nam belle
nimium mihi nunc uideor cogitafle,ac periculü eſt niſi caueam ,nehodie
ſapiêtior quam deceat, uidear euafiffe. Attende ad ea quædicã. Hoc in primis
circa nomina animaduertere de serves cet, quòd ſępe literas addimus,lepe ctiam
demimus pro arbitrio,dum nominamus, & a cuta ſæpenumero tranſmutamus,utcum
dicimus dicíres: hoc ut pro uerbo nomen nor bis foret,alterum , inde
excerpfimus, & pro acuta fyllaba media, grauem pronūciamus. Jn alijs
quibuſdam literasinterſerimus,alia uero grauiora proferimus. HER. Vera refers.
soc.Hoc & in ävegen O côtingit,utmihi quidem uidetur.Nam ex uerbo nomen con
ftitutum eſt,uno a excepto,grauiorig fine effecto.HER.Quomodo iſtud ais 's o c.
Itak" hominis nomen illud ſignificat, quod cætera quidem animalia quę
uident,non confide rant,neq; animaduertunt,nec contemplantur: homoautem &
uidet ſimul &contemu platur,animaduertito quod uider.Hincmerito solus ex
omnibus animátibus homočvrse @puro eſt nuncupatus, qualiaabeau contemplans,quæ
ön WT5, id est, uidit. Quid poft ce haqquæram :Anuidelicet quodlibenter
perciperem HER: Maxime.SOC. Succede D teftas reſtatim ſuperioribusmihi
uideturdeanima & corpore cõſideratio .Nam anima& cor pusaliquid hominis
funt.HER.Sine cótrouerſia.soc.Conemurhæcquemadmodū ſu: periora diſtinguere.
Quærendum primodeanima putas, utrecte Luxá nominata fuerit deindede corpore:
HER :Equidem.soc.Vtigitur ſubito exprimarn quod primumm . hinunc ſe
offert,arbitror illos qui ſicanimāuocitarunt,hocpocillimum cogitaffe, quod »
hæc quoties adest corpori, caula est illi uiuendi, reſpirandi,&
refrigerandi uim exhibês: 9 & cum primūdelierit quodrefrigerat,diffoluitur
corpus,& interit.Vnde fuxlu noni 21 naffeuidentur,quaſi awatúzov, reſpirando
refrigerans.Atuero, si placet, fifte parumper. Videor mihi aliquid inspicere
probabilius apud eos quiEuthyphronem ſequütur,nım iftud quidem aſpernarenf,ut
arbitror, & durû quiddã eſſe cenferent. ſed uidean hoc ibi sit placiturű
.HER. Dicmodo.soc. Quid aliud animatibiuidetur corpus continae, uehere, &
utuiuat & gradiatur efficerer HER. Nil aliud.soc. Annon Anaxagoræ ce
dis,rerum naturam omniẩmente quadam & anima exornari ſimul & contineri:
HIR . Credo equidem.soc.Pareſt igitur eam potentia nominare quelw.quæ
quan,naturan, oxa & xe , id eft uehit & continet.politius autem fuxó
proferſ.HER . Siceſtomninoji detur & mihiiſtud artificiofius effe .soc. Eft
profecto.Ridiculum aữc quia apparere, si ita ut pofitüfuit, nominaret. Quod
uero pofthoc ſequiſ corpusnonne owua nücupis: HER.Certe.soc. Atquiuidełmihiin
hocnominepauliſper ab origine declinari. nen . pe corpushoc animæ omua, sepulchrâ
quidam eſſe tradunt:qualiipfa præſenti in tempo se ſic ſepulta:ac etiam quia
animaper corpus omualvd,ſignificat quæcung ohelwa lign ficare poteſt.idcirco
& rivec iure uocari. VidenturmihiprætereaOrpheiſectatores no mēhocobid
potiſſimữpoſuiffe,q anima in corpore hoc delictorũ det pænas, & hocci:
cũſepto uallo claudatur,uelut in carcere quodā ,utolor ferueſ. Effeitac
uolunthoc ita utnominat,animęoãu ce ſeruandigratia clauſtrữ, quoad debita quæQ
expendar,neq literam aliquã adăciendam putant. HER .Dehis fatis dictum ô
Socrates,arbitror. Veri denominibusaliquorû deorum poſſemus ne ita
utdeloueactum eſt,conſiderare,fecun dum quam rectitudinēnomina lint impoſica :
soc. Per Iouem nos quidē ſimentem ha beremus Hermogenes,precipuũrectitudinismodấarbitraremur,faceri
nihil nos de dijs cognofcere,ne deipſis inquam , neq deipſorīnominibus quibus
iplifeuocant. Con ſtar enim illos quidem ueris ſenominibusnuncupare.Secundâ
uero recte denominatio nis modum exiſtimo, utquemadmodülex in uotis ftatuit
precarideos, quomodocung nominarihis placet,ita & nos ipfos uocemus,tanğ
nihil aliud cognoſcētes.Recte não , utmihiuidetur,eft decretū.Quare, li uis ,ad
hanc inueſtigationēpergamus,primo quidē díjs præfati,nosnihilde iplis
conſideraturos: neq; enim poſſe confidimus:fed de homini bus potius, qua
potiſfim opinionecirca deosaffectinomina ipfis inſtituerunt. Hoceñ à diuina
indignatione procul.HER.Modeſte loquiuideris ô Socrates, atqita prorfusa
gendum.soc. Nónneà Vesta fecundum legem incipiendű. HER. Sicutim decet. soc.
Quaratione éstav hanc nominatam dicemus HER. Per Iouem haud facile iftud inuen
9) tu.soc.VidenturprobeHermogenes priminomināautores non hebetes quidā fuisse,
verum acuti fublimium rerum inueſtigatores HER. Quamobrem : soc. Talium quo
rundam hominum inuentione nomina apparent impofita.ac ſi quisperegrinaconlide.
retnomina,nihilominus quod ſibiuult,unumquodq;reperiret.quemadmodőhocquod nos
días, eſſentiam nominamus, quidam golov nuncupant,alij wvia .Primo quidem
ſecundum alterum nomen iſtorum ,haud procula rationeuidetur rerum effentiam
ésiav uocari. & quia nos quod efteffentiæ particeps ésiav uocamus,ex
hocrecte éstæ poffet denominari.Superioresnoftriquondam šriav,tola
uocabant.Quinetiã ſi quis facrorí ritusanimaduerterit,exiſtimabit ſic
eosputaſſe quihæc poſuerűt.Etenim ante deosom nes Veltæ facra faceredecet eos,
qui effentiam omnium Veſtam cognominarunt. Qui item wola
nominarunt,hifermeſecundâ Heraclitum cenfuerüc fluere omnia femper, nihilo
conſiſtere.Cauſam igitur & ipſorum originem ducem ipſum wow , quod impel
lit.quaproptermerito ipſum wola impellentēcauſam nominari.Dehis hactenusitalic
dictų ,uelut ab ijs quinihil intelligunt.Poft Veftam aất, deRheaato Saturno
conſidera reconuenit,quanğ de Saturninomine in ſuperioribus diximus.Forte'uero
nihildico. HER.Curnam ô Socrates: soc. O boneuir,ſapientiæ quoddam examen
animaduer ti. HER . Quale iſtud: soc. Ridiculum dictu.habet tamen
nonnihilprobabile.HER : Quid ais: & quo pacto probabile.so c.Infpicere
mihiHeraclitum uideor,iã pridem ſa pienter nonnulla de Saturno Rhea tradentem ,
quæ & Homerus dixerat. HER. Quid iftud ais:'s o c.Ait enim Heraclitus
fluere omnia,nihilo manere,rerum ipſarum pro - ce greflum amnis
fluxuicomparás,haud fieri poffe inquit,utbis eandem in aquam temerou
gas.HER.Vera hæcſunt.soc.An uidetur tibi ille ab Heraclito diſſentire , qui
aliorum a deorum progenitoribus inſeruitRheam atą Saturnữ :Nunquid putas temere
illum no mina iſtis impoſuiſſe.Quin & HomerusOceanum deorum originem
inſtituit, & The tyn genitricem.Idemouoluit,utarbitror, &
Heſiodus.Aitpræterea Orpheus, Oceanű primum pulchrifluum cõiugium inchoaſſe,
quicum Tethy germana ſeſua commiſcuit. Vide ő maximehæc inuicem cõfonant,omniağ
in opinionēHeracliti redeunt. HER. Viderismihialiquid dicere Socrates. Tethyosautem
nomēhaud fatis quid ſibiuelit, in telligo.soc.Hocutißidem
fermeſignificar:quoniam fontis nomēeſt reconditů.Nam doctons & xlsus ,id
eſt ſcaturiens & tranſiliens,fontis imaginem præ ſe ferunt, ex utrif
queuero hiſce nominibusnomen tudúceſt compoſitum . HER.Hoc quidem belliſi mum
eſt ô Socrates.soc..Quid ni? Verum quid deinceps:Deloue profecto diximus. HER. Siceſt.soc.Fratres
autem eius dicamusNeptunum atq Plutonē,nomeno aliud quo ipfum
uocant.HER.Prorſus.soc. VideturNeptunusab eo qui primum nomina uit,idcirco
mooddãy uocatusfuiſſe, quia euntem ipſum marisnatura detinuit,nec pro ,
grediultra permitit,ſed qualiuincula pedibus ipfius iniecit.Maris ita principem
rood @ væ uocauit, quaſi qosideouov, id eſt pedum uinculũ .& uero decoris
gratia forte adie ctum fuit. Forſitan nő hoc fibiuult,fed pro ar, a primo fuit
pofitum, quafi dicat mom sidós, id eftmultanofcens Deus,Fortaſſis ab eo quod
dicitur códy, id eft quatere,okwu ideft quatiens eſtnominatus, cuiw & d
fuitadiectū . Plutonem autem quali zašto, id eſt diuitiarī datorem dicimus,
quoniam diuitiæ ex terræ uiſceribus eruuntur:& dxs uero multitudo
interpretatur, quali addis, triſte tenebroſum'ue. Atæ hocnomen horrentes
Plutonem uocitant.HER.Tuuerò quid fentis Socrates. soc. Videnturmihi homines
circa potētiam Deiiftiusmultifariam errauiſſe,eumg exhorruiſſeſemper,cum minime
deceat.Porrò quiſ ex hocpertimeſcit,quòd nemo poftquam defunctus eſt,hucredit,
quod'ueanimanudata corpore,illucabit.Cæterum hęcomnia & regnum & nomen
hư ius dei,eodem tenderemihiuidentur.HER.Quo pacto :soc.Dicam quod fentio . Dic
age. Vtrữ horũualidiusuinculâ eft ad quoduis animal alicubidetinendű , neceſſitas'ne,
an cupiditas? HER.Longeô Socrates,præſtat cupiditas.soc.Annõ plurimi,&dw
quo tidie ſubterfugerent,niſi fortiſſimo uinculo eos
quiillucdeſcendunt,uinciret: HER. Vi delicet. Soc. Quare cupiditate quadam
eos,utuidetur,potius ő neceffitate deuincit, fi modouinculo
nectitfortiſſimo.Her.Apparet.soc.Nónne rurſus multæ cupiditates funt
HER.Multę.so c.Ergo uehemētiſlimaoñiữ cupiditate nectit eos, fimododebet
inſolubilinodo conectere.HER. Certe.soc.Eft'neuehemētiorulla cupiditas, ş ea
qua quiſcrafficitur,dum alicuius conſuetudinemeliorem feuirūſperat euadere:
HER.Nul..“ lamehercle Socrates.so C.Hacdecaufa dicendűHermogenes,neminem
hucillincuel lereuerti,nec etiã Syrenesipfas, imò & eas & cæterosomnes
ſuauiſſimis Plutonis ora tionibusdemulceri.Éſtý ,utratio hæcteſtat,deus is
ſophiſta proculdubio diſertiſſimus & ingentia confert his quipenes ipſum
habitãtbeneficia, qui uſ adeo diuitñs affatim abundat,uttantanobis bona
ſuppeditet,unde & Pluto eſt nuncupatus. Annõ philoſo . phitibiuidet
officium , q nolithominibus corpora habentibus adhærere, sed tūc demữ
admittateos, cũanimus illorum eft corporeis omnibusmalis cupidinibus* purgatus:
Excogitauitnempehic deus hacratione fe animosmaxime detenturũ,ſi uirtutis eos
aui ditate uinciret. Eosautem quiftupore & infania corporis
ſuntinfecti,nepater quidem Plutonis Saturnus ipfe,fuis illis uinculis coercere
ualeret,fecumý tenere.HER .Nonni hil loquiuiderisÔ Socrates.soc.Longeabeft
Hermogenes utnomē& dos, quali cudes id eft trifte tenebroſum'uefit
dictâ,imoab eò trahiturquod eft sid qvac, id eſt noſle omia pulchra.Ex hoc itaq
deus ifteà nominữ conditore &dys eſt nấcupatus.HER.Quid præ terea dicimusde
Cereris nomine, Iunonis“ , Apollinis & Minervæ,Vulcanig &
Martis,cæterorumýdeorum : soc. Ceres quidem dwuktor nuncupatur ab ipſa
alimentorī largitione, quaſi didolæ pektyg ,hoc est exhibensmáter. Kex uero,id
eſt Iuno, quali fatá, id eft amabilis,propter amorem quo Iupiter in eam
afficit.Forte'etiam ſublimeſpectans quihoc nomen inſtituit,aeram ,spav denominauit,
& obſcurelocutus est, ponensin fine principiữ quod quidem
patebittibi,finomen illud frequenter pronüciaueris. DefélQKT say,id eſt
Proſerpinam ,& denómwnominare nõnulliuerent,propterea quòdillis ignota eſt
nominum rectitudo. Enimuero permutantes degregóvlw ipsam considerant,graue id illis
apparet. hocautēdeæ ipsius sapientia indicat. Sapientia utic eft quæ
resfluentes attingit,& aſſequi poteft.Quamobrem gegéraqemerito dea
hæcnominaretur,propter fapientiam , & Encolu , id eſt contacta , qepomlis,
id elt eius quod fertur, ueltale aliquid, Quocirca adhæret illi ſapiens ipſe
édes, quia ipſa talis eſt .Nunc autem nomen hocde. clinant,pluris facientes
prolationis gratiam ueritatem, utqepiqastav nominēt. Idem quoq circa Apollinis
nomen accidir. nam pleriq id nomen exhorrent, quasiterribile ali quid preſeferat.Annõ
noſti:HER.Vera penitus loqueris.soc.Hocaūt,utarbitror,hu ius dei potentięmaxime
cõuenit.HER. Quarationeso c.Conabor sententia meam ex primere.Nullű profecto
nomen aliud unum quatuorhuiusdei potentijs reperiri conue nientius potuiſſet,
quod & cöprehenderet omnes, & iplius quodammodo declaret musicam,
uaticinium, medicinam , & sagittandiperitiam. HER. Aperias iam .Mirum
quiddã nomen effe id ais.soc.Congrue quidem compoſitõeſt, conſonatý ,utpote
quod ad de um pertinet muſicum . Principio purgatio purificationesø &
ſecundum medicinam ,& ſecundum uaticinium ,item quæ medicorum pharmacis
peraguntur, ac uatum incanta tiones expiationes , lauacra, & afperſiones,
unum hocintendunt, purum hominem & corpore & anima reddere. HER. Sic
omnino. soc. Nónnedeus qui purgat, ipse erit aro aówn & Ösp núwy,id eft
abluensa malis, solvens ,q Apollo ipfe ſignificat? HER. Abſque Tubio.soc.
Quatenusitap diluitata soluit, uttaliū medicus, åpnvwy merito nuncupa tur. Secunda
vero divinationem uerumg &moww, id est simplex, quod idem eft, recte more
Theſſalicorűnominarehuncpoſſumus.hinempe omnes deum hunc ámró uocãt. Quatenusaấtási
Boda wy, id eft ſemper iaculando arcu uehemens eft,ás Badawy dicipo teſt,hoc
eſt ,perpetuus iaculator.Secundữueromuſicam , dehoc eſt cogitandū quemad modum
de eo quod dicit & nórolo & « xomis,id eftpediſſequus,comes, &
uxor, in qui. bus& ur & in alijsmultis, idem quod ſimul ſignificat.Hic
quoq && zónas ſignificant uerfionem quæ ſimul & unaperagitur, quam
cöuerfionem dicamus.Ea in cælis eft,quæ per eos fit quos sónos uocamus:in cantu
uero & quovia , quam dicimus ovuqwricw . Quia in his, uttraduntmuſicæ &
aſtronomiæ periti,harmonia quadā ſimulomnia cõuertunt. Hicaấtdeusharmoniæ
præfidet omonwy,id eft fimuluertenshæc omnia,& apuddeos & apud
homines.Quemadmodum igitoorkeudoy & Oxóxosniv , id eft ſimuleuntem &
ſimul iacentē,uocauimus anonovlov & KOITIY, o in « permutantes, ita
Apollinem nomi navimuseum qui erat &Mortondy, altero a interiecto , quia
æquiuocũfuiſſetduro cum no mine.quod & his temporib. ſuſpicati pleriq , ex
eo q non recteuim nominishuius ani maduertűt, perindehocmetuunt, ac si
perniciem quandã fignificaret.Sed reueranomen hocomneshuiusdei uires
cõplectitur, quemadmodūſupra diximus. Significat eſlim plicem
,perpetuũiaculatorem , expiatorē & conuertentem .Muſarā uero & muſicæno
men,ab eo quod dicitpães, id eft inquirere,indagatione & ftudio ſapientiæ
tractõelt. agtá,id eſtLatona,à manſuetudine dicit,quia fic edereuwy, id eſt
prompta & expofita & Tibens ad id quodpetit quiſqs exhibendű.
Forte'uero ut peregriniuocãt:multinamga, tú nomināt, quod nomen tribuiſſe
uident,quia non rigida illi mens,ſed mitis,ideo agli, quali neopress,id eftmos
lenis & mitis ab illo cognominat. opruis, id est Diana, ex eo quòd aprejés,
quali integra modeſtaciz sit propter uirginitatis electionē. Forſitā etiã qua
fiageplisoge,id eft uirtutis conſciã,uocauit nominis inftitutor.Fortaffis etiã
dicta eft'Ar temis,quafi apo u des Chocous,id eft quafiilla cõgreſſum oderit
uiricum muliere.Vel enim propterhorâ aliquid ,uel propteromnia huiuſmodinomen
eſt inſtitutű .HER: Quidue ro dióvvoos & espositor's O.Magna petis
Hipponici fili.Atqui eſtnominâ ratio his díjs inpoſitorâ gemina,ſeria uidelicet
& iocoſa.Seriã quippe ab alñs quære,iocofam aứcni hil prohibetrecenſere. locoſi
fanè & difunt: Dionyſuso eft didòs i ciroy id eſt uinida tor, qual tor,
quafi nobivuosioco quodã cognominatus. Vinum autem merito uocari potest oto 18s
quod efficiatut bibentes pleriq mentealienati,oisdocevouü exay, ideftmentem
habe rele putent.DeVenere Hefiodorepugnarenon decet,ſed concedere propter ipfam
ex dogo, hoc eſt ex ſpuma, generationē đopoditlw uocari.HER.Acuero Minerua, ô
Socra tes,Vulcanūča & Martem ,cum fis Atheniēlis,ſilentio nõ
præteribis.soc.Haudquais decet.HER.Non certe.soc.Alterâ quidem eius nomen
quamobrē ſit impofitũ , haud difficile dictu.HER.Quod: soc. Palladē eam
uocamus.HER . Planè.soc.Nomen hoc cenſendum eſt à faltatione in bello ductum
fuiſſe.porro uelfefe,uel aliud à terra attolles re ſeu manibusaliquid
efferre,dicimus cámay, & wameat,id eſt uibrare,agitare & agitari,&
ſaltare, & ſaltationem perpeti.HER.Ablo controuerſia,Palladem hac ratione
uocamus,acmerito.Her.Alterű eiusnomē quo pacto interpretaris: so c . állwaữ quæris:
HER. Id ipsum.soc. Grauiushocamice: vident prisci å blwaw exiſtimare,quemad ,
modum hiquihis temporibusin Homeri interpretationibus ſunteruditi.Nam iftorum
plurimiHomerữexponuntåbwaw tano mentem cogitationemg finiſſe . Et qui nomi na
inuenit,tale aliquid de illa fenfiffe uidetur,imò etiam altius eam extollēs,utDeimen
tem induxit, perinde ac fi diceret sleovõu , hoc eftutens æ pro y externo
quodam ritu , s uero & o detrahens,fortè'uero non ita , ſed IGavónas, id
eft,utpote quæ diuina cogno ſcat,præ cæterisomnibus deoroli , id eſt diuina
cognoſcentē, uocauit.Neqab re erit,li di xerimus uoluiſſe illũappellareeam
klovólw , qualiipſa in more intelligentia fit. Ipſe poſt modữ,uel eciam
pofteriores in pulchrius,ut uidebat,aliquid producendo,Athenean de
nominarunt.HER.Quid de Vulcano quem aquusov nominãt: so'c. Quidais:Num ge
neroſum ipſum páso- isogæ ,id eſt luminispræfidem quæris? HER.Hâc quæliffe
uideor. soc.Hic utcuiq patere poteft , quiso eft,& x ſibiuendicat.Vnde igas
id est,lu minis preſes eſtdictus.HER. Apparet: niſitibiquoq modo adhucaliter
uideaf.s o c.An neuideatur aliter de Marte,interroga.HER
.Interrogo.soc.Siplacet,õpys, id eft Mars, dicitur fecundâ ãgger,id eſt
maſculã, & av dogov,id eſt forte . Quinetiã fi uolueris ob na turam
quandãaſperam ,duram atq inuictã,immutabilemý, quod totumägøæby appella tur,ogy
uocatum fuiffe,hoc quo & Deo penitusbellicoſo cõueniet.HER. Prorſus.Soči
Deosiam mittamus per deos obsecro.Nãdehis diſſerere uereor.Adalia uero quecung
uis,meprouoca,ut qualesEuthyphronisequiſunt,noueris.HER.Faciam utpetis,ſi unű
deme quæfiuero.meliquidē CratylusHermogenē eſſe negat. Inueſtigemus ita quid
épus,id eft Mercurii nomen fignificet,ut fiquid ueri hicloquit,uideamus.soc.
équis, id eſtMercurius,adſermonēpertinere uidetur, quatenus égjelw rús eft,hoc
eſt interpres & nuncius, furtiuús inloquendo ſeductor,ac uehemens
concionator. Totum id circa fer monem uerfatur.profecto quemadmodum in
fuperioribus diximus, kedy ſermonis eſt uſus.Sæpeuero dehocHomerusait £ukcal,
id eft machinatuseſt. Ex utriſq igitur no. men huius dei componit,tum ex eo
quod loquieſt,tum ex eo quodmachinari & exco gitare dicenda, perindeac ſi
nominis autornobis præciperet: Pareſt, ô viri, ut deum illa quiaipfufukcal, id
eſtloquimachinatus eſt, sipíulw uoceris. Nos aấtarbitratiſice legan tius
eloqui, éguli uocamus. Quinetiam ies, ab eo quod apdu , id eſt loqui, nomen
habet, propterea quod nuncia eſt. HER.Probemediusfidius Hermogenē elleme Cratylus
ne gauilfe uidetur. Adorationis enim inventionem hebes ſum .Soc. Conſentaneâ
quoc amice, wową biformem filium efle Mercurî .HER.Qua rationer'soc. Scis quòd
fermo # aw,id eftomne ſignificat,circuitý & uoluit ſemper,eſtó geminus
uerusuidelicetac fal ſus: HER.Equidem . soc. Annon id quod eſt in ſermoneuerum
,leue eftatæ diuinâ, ſu praç in dñshabitans.Contrà quod falſum ,infrà in hominữmultis,afperű
ato tragicũ : Hincenim fabularum comenta & falfa & plurimacirca
tragicam uitam reperiunt.HER . Sic eft omnino.soc.Merito igitur quiefttaw , id
eft totâ nuncians, & æs monasy, id eſt femper uolutans,7 dezóros
biformisMercurij filiusdiceret, ex ſuperioribus partibus lenis ac delicatus, ex
inferioribus aſper atok hircinus.Eftg Panuelipſe ſermo,uel ſermo nis
frater,fiquidem eſt Mercurij filius.Fratrem uero fratri limilem effe quid mirum
:Ce terüiã o beate, ut & paulo ante rogabā, ſermonem dedñshunc abrumpamus.HER.Ta.
les quidem deos,li uis,mittamuso Socrates,huiuſmodiuero quædam percurrere quid
prohibet.Solem ,lunam , ftellas,terram ,ætherem ,aerem,ignem, aquam, ver & annum
: D soc. Multa funt acmagna quæ poftulas. Sicamen gratum tibi futurum
eſt,obfequar. HER.Pergratum plane.soc. Quid primum poſcis: an utipſenarrabas in
primis stov , id eft folem; HER.Profecto.soc.Manifeſtius id fore uidetur,li
Dorico nomine quis uta tur.Dorici enim asoy uocant,ato ita uocatur ſecundữ
&nizdv, id eſt ex eo quodcongre gat in unum homines,cum exoritur. Item ex
eo quod circa terram &scina, id eſt ſemper reuoluitur.Præterea quia uariat
circuitu ſuo quæ terra naſcuntur. Variareautem & duo. agy idem eft. HER .
Quid uero de anlws, id eft luna,dicendum : soc.Nomen hocui detur Anaxagoram premere.
HER.Cur.soc. Quoniam præ se aliquid fert antiquius, quod ille nuperdixit,
quodlunaà fole lumen haurit.HER.Quo pactors o coenas idem eſt quod lumen; HER .
Idem . SocR.Lumen hocperpetuo circa lumen voy & güvoy eſt id eſt nouum ac
uetus,limodo Anaxagoriciuera loquuntur:nam circûluſtranseam con tinue
renouatur, Vetusautem eſtmenſis præteritilumen.HER.Vtig.soc.Lunam qui dem
odavalav mulcinominant. HER.Certe. soc. Quoniam uero lumen nouum acue tus
ſemperhabet,merito uocarideberetadægurteoddam Nunc autem conciſo uocabulo
ahavice uocatur. HER . Dithyrambicum nomen hoc eſt, ô Socrates. Verum uave, id
eftmenſem :& äspe quomodo interpretaris. soc. Menſis quidem várs recteab
vas. atroce, id eſtàminuendo, iure nuncuparetur. Astra uero & sectic, id
eſt coruſcationis co gnomentum habent. « Soekautem quia au o ads avasosqe,
ideft uiſum ad fe conuer. tit, ánæspon á dici deberet, nunc cõcinnioriuocabuloaspauinominal.
Her.Vnde no men trahil mie& idap, id eft ignis & aqua :'Soc. Ambigo
equidē,uideturg autMuſa meEuthyphronisdeſeruiſſe, authocarduum quiddam effe. Aduerte
obſecro quò confu giam in omnibus quæcunq dubito. HER. Quonam : soc. Dicam
tibi.ſcis ipſe qua ratio ne wüe nominat: HER.Non hercle.soc . Vide quid dehoc
ſuſpicer.Reor equidêmul ta nomina Graecos a Barbaris, eos preſertim quiſub
Barbaris ſunt, habuiſſe. HER. Quor ſum hæc.soc.Siquis rectam iſtorũ
impoſitionem fecundum græcã uocem quærat,non ſecundum eam qua eſt nomen inuentũ
nimirum ambiget.HER. Verifimile id quidem . soc. Vide itaç nenomen hoc quebarbaricum
ſit.neo enim facile eft iſtud græcæ lin guæ accomodare , conſtataita
hocPhrygios nominare parum quid declinantes, & ý. dwg & xuías,id eft
canes,alia permulta. HER. Vera hæc sunt. soc. Ergo distrahereiſta nihil
oportet, quandoquidem deipſis nihil dicere quiſquã poteſt.Quapropter nomina
illa ignis & aquæ huncinmodum reñcio kázautēſic eft dictus Hermogenes, quia
quæ circa terram ſunt, deed,id eſteleuat.uel quia aega , hoc eft
ſemperfluit,uel quia eiusflu xu ſpiritusconcitatur.Poetæ quippe flamina aktasnuncupant.Forte
igitur aer dicitur quali avocTócow , agzóſſow id eſt ſpiritus fluens, uel
fluens flamen , dedica præterea fic exponendum arbitror, quoniã đa dicirca ãégæ
pêwy, id eft ſemper currit circa aerem fluens, quocirca čeddeks dicipoteft.gæ
autē, id eſt terra,planius fenſum exprimit,ſigara dicatur.yaa enim recte
görkodea, id eltgenitrix dicipoteft,utait Homerus.Nãquod gazdan dicit, genitum
in re,inquit.Quid reftat deinceps. HER . Ver & annus, ô Socra tes. soc.
Spore quidē, id eftueris temporapriſca & Attica uoce dicendaſunt,ſi uis
quod conuenienseſt,cognoſcere. Horæ nanquocant, quia ief80, id eſt terminant
hyemem atçæftatem uentosca & fructus ex terra nafcentes. giveau tos aất
& čnos, id eft annus,idem effe uidet.Quod eñ in lumen uiciſlim educit,quęcung
naſcunifiunto exterra,ipſum in ſeipſo examinat & diſcernit,annus eft: &
ut ſupra louis nomen diximus in duo ſectű, ab aliquibus Pavæ ,ab alijs diæ
uocari,ita & annữ quidam giardy yocant,quia in ſeipſo, quidā quia
examinat.Integra uero ratio eft ipfum q in ſeipſo examinat.Vndeexo
ratiõeunanominaduo ſelecta funt.quòd eñ limuldicit,co giairū étolov,id eft in
ſeipſo examinās, diſtinctum dicitur griaunos, & £70s, id est annus. HER. Atuero
Ô Socrates,iam longe pgrederis.soc.Longiusequidēin philoſophia uideor euagari.
HER . Quinimò. soc.Forte'magis cöcedes.Her.Verum pofthancfpeciē libentiſlime
contêplarer ,qua rationerectenomina iſta præclara uirtutūſint impofira,ut
ogórkas,id eft prudentia,cuir as, intelligentia, xacoou's,iuftitia, ac reliqua
huius generisomnia.so c.Haud conte. mnendum genus nominū ſuſcitas,ô amice.
Veruntamen poſto leoninā pellem ſum in dutus,haud deterreridecet,imò præclara
ipfa,utais,nomina prudentiæ ,intelligentię,co gitationis ſciêtiæ
cæterorūphuiuſmodicõliderare.HER.Quin profecto prius deſiſtere nullo mododebemus.Soc.
Ædepolnõmalemihide eo conijcere uideor, quod modo conſiderabam ,antiquiflimos
uidelicet illos nominữ autores, ut & fapientiâ noftrorum plurimis
accidit,ob frequentem ipfam in rebus perueftigandis reuolutionem, præter
ceteros in cerebri vertiginem incidiſſe:quo factum puto utres ipsæ proferri
& vacillareil lis apparerēt.opinionis autem huius caufam.haud interiorem
uertiginem ,ſed exterior ? cc ipfarum rerű circuitum arbitrātur:quas ita natura
habere ſe putāt , ut nihil in eis firmum . ZE & ftabile fic,fed
fluantomnesferanturo ,& omnifariam agitentur, ſemperø gignantur.PC &
defluant. Quod quidem in his nominibus, quæ nuncrelata ſunt, conſpicio . HERM.CC
Quo pacto Socrates.soc. Haudaduertiſti superior nomina rebus qualidelatis, fluentibus,
& iugigenerationetranslatis impofita fuiſſe: HERM.Nă ſatis
percepi.soc.Prins cipio quod primûretulimus,ad aliquid huius generis
attinet.HERM . Qualeiſtud: soc. apórnois,id eſt prudétia eft,qopás a govórous,
id eſt lacionis & fluxus animaduerſio. Signi ficare quog poteſt,recipere
övnou dopás,id eſt lationisutilitatê.Tádem circa ipfam agita tionem uerſatur. Quinetia
liuis yvaus id eft cogitatio fignificat govis várnoip ,id eft gene rationis
cõliderationem.you cû quippecõſiderare eſt. voxois autem , id eft intellectio ,
eſt réov čois,id eft nouideſideriũ.nouas uero res eſſe,ſignificat eas fieri
ſemper.atqß hoc deſi derare & aggredi animum indicat qui nomēillud
inuenitvsotow .principio nang vósois, nõdicebatur,fed pro ,duo se proferēda
erant,ut rebois, quafivéov , id eſt noui toisappe. titio & aggreſſio.ow
poowy,id eſttemperātia illius quodmodo diximus Opornotus , id eſt prudêtiæ
,falus & conſeruatio eft. udtskun,id eſt ſcientia ,ab eo quod inftar &
fequit tra &tum eſt,quafi res fluentesſolas animusperſequatur,inſtetø &
comitetur:at negexmo tra poſterior,neæ præcurſioneſicprior.Quare&
interiecto shylew uocare decet ouisas tanquam fyllogiſmus,id eft ratiocinatio
quædam eſſe uidetur.Cum autem owibrac dici tur,idem intelligiturac fi diceretur
etiska . Nam oftendit cum rebusanimum congre dirogix , id eft fapiêtia
,agitationis eft tactus.Obſcurius autem , & alieniushoc à nobis. Verum
animaduertendữeſt in poetis, quotiesuoluntaduentantem aliquem & irruen tem
exprimere,ovulo.id eſt erupit,profiljjt,dicere.Quin & illuftricuidam apud
Lacedæ. moniosuiro nomen erat oös,id eſt præpes.Sic enim Lacedæmones
cõcitationis impe tum indicant. Qualiitaqomnia
perferantur,huiusipſiusagitationis, quę eo quod oos di
citur,ſignificatur,iniqw,id eft tactum perceptionem aſophia demonſtrat..yglóxid
eſt bonum cuiufqsnaturæ « y« sóy,id eft mirabile,amabile,delectabile
ſignificat.Enimuero poſtos fluuntomnia,partim celeritas, partim tarditas
ineſt.Eft igiturnon omneuelox, fed ipſius aliquid « y « soy.Quod quidēayasov
ipfius& yali nomine declaratur.ductoo uby, ideft iuſtitia ,quod xaiov
oubsou ideſt iuſti intelligentiam importet, facile conijcere pol fumus. Quid
autem ipſum singu op fibi uelit, difficile cognitu.Videtur autem huculoa multis
quod dictum eſt cocellum ,reliquum uero dubium .Etenim quicung totum mobile
arbitrantur, plurimum agitari ipſum exiſtimāt,per omnealiquid permanare quo
fingula fiant, quod'ue tenuiſlimum fit & uelociſſimum.Nec enim per
omniadiſcurrere polle,nifiadeo tenuelit ut nihil possit
obliſterepenetráci,& adeo uelox, ut cæteris quafi ſtancibus utatur.Quoniam
uero gubernatomnia, dlačov , id eſt diſcurrens & permanans, merito dinglov
eft appellatū, x uno politioris prolationis gratia interiecto. Hactenus quod
modo diximus, inter plurimosconftat hoceffe iuftum.Ego autem Hermogenes urpo te
diſcēdideſiderio flagranshæc omnia perfcrutatus ſum ,& in arcanis
percepiquod hoc ipſum iuftum ſit, & cauſa.quo enim res ipfæ fiunt,hoc eſt
caufa:proprieś ita uocariiſtud debere quiſpiam tradidit.Cum uero ab his iam
auditis iftis nihilominus diligenter ex ., quiro quid ipfum iuftum ſit, quando
quidem ita fehabet, uideor iam ulterius quam decet exigere, & caueam
,utdicitur,uallūý ſupergredi.Satis enim femperrogaſſeme & audiſ- Prouerbia
fereſpondent,meg uolentes explere alius aliud afferre conantur,neo ultra
coſentiunt. Quidam ait iuſtű hoc, folem effe.Solâ quippe folem diſcurrendo
calefaciendog omnia gubernare. Cum uero hoc alacer cuiquam qualipræclarum
audierim , refero, ftatim ille meridet, quærito nunquid exiftimem post solis
occaſum iuftűnihil hominibus superef le: Percontanti itaq mihiquid ille
fentiret,ipfum ait ignem iuftâ exiſtere.neqid cogni tu
facile,quarealius,inquit,nõignem ipſum ſed ipſum potius innatum
ignicalorē.Alius hæc omnia pro nihilo habet.eſſe enim iuſtā mētem illâ quâ induxit
Anaxagoras. Dominam certe illam fuapte natura,necalicuimixtam exornare omnia
inquit, per omnia pe netrantem .Hic quidem ô amice in maiorēambiguitaté fum
prolapſus, quàm antea dum nihil deiuſtitia ſclſcicabar.Cæterű utredeamus ad id
cuiusgratia diſputaus,nomēillicale propter hæc, quale diximus,eft tribucũ .her.
Videris Ô Socrates, ex aliquo audiſſe hæc, nec ex tua officinaruditer
deprompſiffe. soc. Quid alia: HERM. Non ita.s o c.Atten de igitur;
forte'nançsin reliquis te deciperem , quali quæ afferam non audierim.Poſtiu
ftitiam quid reſtare avdgíay,id eft fortitudinēnondum peregimus.iniuſtitia
faneobſtacu lum eiuseſt quoddilcurrit per omnia, dvd piæ in pugnauerfatur.pugna
in rebus fi quidē fluunt nihilaliud fluxusipfe contrarius. Quapropter fi quis d
ſubtraxerit ex nomine hocadipiæ,nomen quod reftat aveia, opusipſum declarat.
constat planè quòd non flu xus cuiuſqz contrarius gom id eſt fluxus,fortitudo
eft,fed oppoficus illi quipræter iuſtum ficfluxui.Neqzenim aliterfortitudo
eſſet laudabilis.žeệw autem ,ideft mas, & civip,uir à ſimili quodã
ducâtoriginē,ſcilicet ab ävw gom,id eſt ſurſum fluxu .pusuero,id eſtmulier,
quafi jová, id eſt fæcunda & generatrix,bãiv,id eft fæmina.cn ? Begrãs,id
eſt papilla dici tur,oxå saấcuideturHermogenes dici,quia retraçúc, ideft
germinare pullulareg facit,ut irrigans ea quæ irrigantur.HERM.Sicapparet,ô
Socrates.SOCR.Idride,id eſt uireſcere, adoleſcere, floreſcere
,augmentum'iuuenum repræſentat, quaſi uelox quiddam & fu bicum , quod
innuitille quinomen conflauit ex leiv , id eſt currere, & &Ma, id eft
faltare. Animaduertismeuelui extra curſum delatâ,poftquãplana ac peruia nactus
ſum : Mul ta quoqz ſuperſunt quæ ad ſeria pertinere
uident.HERM.Veraloqueris.soc. Quorữu num eft utuideamus quid de xuwid eſt ars
importet. HERM. Prorſus.SOCR.Nonnehoc şuu vä , id eſt habitum mentis oſtendit,
ſi z demitur,interſerifautêomediữ inter x & v,& interv & nézován: HERM.
Aridenimiū Socrates & inculte.soc.Anignorasbeateuir no mina uetera
diſtracta iam effe,atq cõfuſa à ſermonis tragiciſtudioſis,elegantiæ gratia ad«
dentibus & fubtrahentibus literas,ac partim tēporis diuturnitate , partim
exornationis& ftudio undiq peruertēcibus ucecce in na rów,id eft fpeculo,
abſurdű eft ipliusaddi “ tamentū : Talia certe,ut arbitror,faciâtquioris illecebras
pluris æſtimantő ueritatem. Quamobré cũ multanominibus ipſis adiecerint,tãdem
effecerűt, utnemoiam nominūdu fenfum animaduertat.Quemadmodãdum o qizæ,id
eſtmõſtrum quoddã proferunt,cūcl oqiya pronunciare deberēt,ac cæteramulta. Profecto
fidareturcuiş arbitratu ſuo & de mere& addere,magna utic eſſet
licentia, & quodlibetnomē cuiæ rei unuſquiſq tribueu ret:HERM.Veranarras,
so CR.Vera plane, ſed enim mediocritatem quandam aros decorum ſeruare te decet
præsidem sapiętem .HERM.Outinam.soc.Atqui& ipſe,o Her mogenes, opto uerum
ne exacta nimium diſcuſſione, uir felix , exquiras, neuim meam prorſus
exhaurias.Afcendam quippead ſupradictorum apicen: posto post artem cõli.
derauerimus Myjavlw ,id eftmachinationéexcogitationemg ſolertem . Videtautem li
gnificare idem quodmultum pertingere & aſcēdere.Componitur ergo ex his duobus,
púxos, id eſtlonge & multum, & dvey,id eft
aſcendere,penetrare,pertingere. Sedutmo. do dicebam , adſummam dictorum
perueniendum eft, quærendum quid nomina iſta significant, opeta, id est uirtus,
& xcxiæ ,id eft prauitas.Alterum quidem nondum reperio, alterum patere
uidetur.Nam ſuperioribusomnibus conſonar,nempetanquam eancom nia:Kards sok ,id
eſt male uadens:xariæ ,id eft,prauitas erit . quarecum animamale adres ipfas
accedet,communiter praua dicetur. proprie uero acmaximeprocedendihæcfa. culcas
inoshiq ,id eſt timiditate patet, quam nondum declarauimus. prætermiſimuse
nim.Oportebatautem continuopoft fortitudinem ipfam inferre.Multa inſuper alia
prę teriſſeuidemur.ddníc ſignificat durum animæ uinculum.domés enim uinculum
eſt.nian uero forte quiddam durumg ſignificat.quare timiditasuehemensacmaximum
eſt ani mæ uinculum : quemadmodum & exeíc ,id eſt defectus inopia , dubium
,malum quiddã eſt,ac fummatim quodcuną progreſſus ipfius impedimentum ,idé male
progredi uide tur oſtendere,in ipſa uidelicetmotione impediri atą detineri.
Quod cum animaſubit, prauitate plena dicit.Quod ſi illud prauitatis nomen
talibus quibuſdam cõpecit,contra rium osti,id eſt uirtus ſignificabit.In primis
quidē facilē agilemą progreffum , deinde folutum & expeditū animæ bonæ
impetum effe oportet. Quamobréabloaz impedimēto obſtaculog és béov,id eſt
ſemperfluens iure cognominari poffet adgfútn.fortè uero & αριτίω degerli
uocatquis,quia litaliftas aép&TUTTys,id eftmaxime eligendæ . Verum colliſo
uocabulo obetxdenominatur.Forſitan mefingere dices:ego autem aſſero, ſimodo no
men illud prauitatis quod retuli,recte eſt inductum ,recte quoc & iſtud
uirtutis nomen induci.HERM.Arranów ,id eftmalum ,per quod in ſuperioribusmulta
dixiſti, quid ſibi uult: so c.Extraneum quiddam per louem ,ac inuétu difficile.
Icaq ad hoc etiam machi namentum illud fuperiusafferam.HERM. Quid iſtud: SOCR .
Barbaricum quiddam & hoc esse dicam .HERM.Probeloquiuideris.soc.Cæterum
hæciam fi placet mittamus, nominauero iſta menon & degeóv, id eſt pulchrum
& turpe, conſideremus. Quid degepon innuat, fatis mihipatere
uidetur.Nempecum ſuperioribus conuenit. uidetur quinomi na ſtatuit,paſſim
agitationis impedimentum uituperare.utecce,és igorri zion pouw , id eft femper
impedientifluxum nomen dedit aegóggow . Nuncuero collidentes degsów
appellant.HERM. Quid nonoy, id eſt pulchrum : soc.Hoc cognitu difficilius,
quanquam ip ſum ita deducitur,utharmoniæ duntaxat & longitudinis gratia
ipſum æ ſit productum . HERM.Quo pacto: soc. Nomen hoc cogitationis cognomentum
quoddam esse videtur. HERM .Quiiſtud ais:'soc. Quam tu cauſam appellationis rei
cuiuſ cenſes: an nó quod nominatribuit: Herm.Omnino.so c.Nónne causa hæc
cogitatio est veldeorũ, vel hominum ,uel amborum : HERM. Nempe.soc.Ergo xaréoa
,ideft quoduocatres, & kxaóv,idem accogitatio ſunt.HERM.Apparet.soc.
Quæcunq mens & cogitatio a gunt,laudanda ſunt:quæ
non,uituperanda.HERM.Prorſus.soc. Quod medicinæ par . ticeps,medicinæ opera
efficit:quod fabrilis artis,fabrilia.Tu vero quid fentis ? HERM .
Idem.soc.Pulchrum ita pulchra.HERM.Decet.so c.Eft autem hoc,ut diximus,cogi
tatio. HERM.Maxime.soc.Nomen ita @ hoc naróv, id eſt pulchrum ,merito erit pru
dentiæ cognomentum ,talia quædam agencis, qualia affirmantes pulchra
eſſe,diligimus. HERM. Sicapparet.SOCR . Quid ultra generis huius reftat
inveſtigandum : HER M. Quæ ad bonum & pulchrum ſpectant,conferentia
uidelicet, utilia, conducibilia, emo lumenta,horum contraria . soc. Quid our
popov ,id eſt conferens ſit ,ex ſuperioribus ip ſeinuenies. Nam nominis illius
quodad ſcientiam attinet, germanum quiddam appa ret.Nihil enim præ ſe ferc
aliud quam qopav,id eſt lationem animæ ſimul cum rebus, quæ ue hinc
proueniunt,uocari orredoporre & ovu qopa, id eſt conferentia,ex eo quod
fimul circumferuntur.Herm . Videtur.soc.Losdantov autem ,id eft emolumentum : 7
koše dos,id eſt lucro.xopdos uero,li quisv prod nominihuic inferat, quod uult
exprimit. Ná bonum alio quodam modo nominai. Quod enim omnibus xopavuutui, id
eſt miſcetur diffuſum per omnia,hanc ipfam eiusuim fignificansnomen illud
excogitauit pro vap ponens,ac Kopdo pronunciauit. HERM. Quid autem vorzask,id
eft utile soc.Vides tur Ô Hermogenes,non ſicut cauponeshoc utuntur, idcirco
Avantasy uocari, quia avesa a whece despaúx, id eſt ſumptusuitat & minuit:uerum
quia cum velocissimum sit, res ftareno finit,neq permittit lationem réao-,id
eft finem progreſſionis accipere atæ ceffare : ſed ſoluitfemper ab illa fugató
,fi quis terminusfuperueniat, ipfamós indeſinentem immor talemg præbet.hac
rationebonum avame18yuocatū arbitror.ipſum enim motionis aú ou do río , id eft
foluens terminum ,avandou uocari uidetur.coénomoy uero, id eſt con
ducibileperegrinum nomēeſt, quo ſæpenumero Homerus eſt uſus. Eftauté hocaugen
difaciendio cognomētum.Her.Quid de horâ contrarijs eſt dicendûrsoc. Quæ per ne
gationem iſtorum dicuntur,tractarenequaquam oportet.HER.Quænã iſtar'sOc.co.uk
gogov ,kiw deres davandés,axopdes.HERM.Vera loqueris.s o c .Sed Brabopov &
yusão s, id eft noxium & damnofum . HERM. Certe.soc.Braboooy quidembacitou
tou how effe dicit,id eſt quod uult& nav, id eſtimpedire & coercere:pšu
id eft fluxum :hocautem passim uituperat:quodő uultanlay góp pouw , recte
bonomopou appellaret.uerum ornatus gratia Brabopón arbitrornominatū. HERM.Varia
tibifuboriâtur,ô Socrates,nomina.at quimihi uideris in pralentia, quali Palladiæ
legispraeludiữ quoddã præcinuiſſe,dum no men Bracoitopöy pronunciares. so.Nõego
in cauſa ſum Hermogenes,fed quinomēip ſum inſtituerunt.HERM. Vera loqueris.
Verum Cauãdoquid : soc. Quid effe debeat {#ubades dicam Hermogenes: & uide
uere loquar,quoties dico quod addētes ac de mētes literas lõge nominū ſenſum
uariant,adeo ut ſæpe exiguâ quidmutantes, cótraria ſignificationéinducãt.quod
apparethoc in nomine dear,id eſt opportunữ. uenithocnu permihiin mētem deeo
quod di& urus ſum cogitanti.Recēs eſt profecto uoxnobispul chra
illa,coegitý côtrarium ſonare nobis d'top & {mps&d ov,fenſum ipſum
cõfundens.Ve tus autem quid nomen utrung uulc, explicat. HERM. Qui iftucais:
soc.Dicam equi. dem.haud præteritmaiores noſtrosfrequentero & d
utiſolitos,necrariusmulieres,quæ maximepriſcam uocem feruant.Nunc autem pro
uelipfum & uelx adhibent, produe. ro ( quali hæcmagnificentius quiddam
ſonent.HERM .Quo pactorsoc. Vtecceuetu ftiſſimiuiriin op'a diem uocabant,pofteriores
autem partim čuopov ,partim su'épow ,co cant.HERM.Vera hæc funt. soc.Scis
igitur uetufto illo nomine tantum mentem eius quinomen impoſuit declarari.Nam
ex eo quod imeipzory , id eſt deſiderantibus homini bus gratulantibus etenebris
lumen emicuit,diem inopor cognominarunt. HERM.Ap paret.so c.Nunc autem illa
tragicisdecantata quid ſibiuelit suopa,nequaquam intelli. gas.quanquam
arbitrantur nõnullispopov dici,quod kuopa,id eftmāſueta quæg efficiat.
HERM.Itamihi uidetur.soc.Neq te fugitueteres Puyóv,id eft iugum , dvozov
uocauiſ fe.HERM.Planè.soc.Enimuero luzów nihil aperit.at d'voyou ,divoiy dywylw
,id eſt duori conductionem ligandi ſimul gratia,monftrat.Idemø eftdemultis
alijs iudicandű.HER. Patet.soc.Eadem rationediopita pronunciatum cótrarium
nominum omniâ quæ ad bonum ſpectant oſtendit.porro boniſpecies
exiſtens,déondeouós,id eft uinculum quod dam & impedimētum proceſſionis
effe uidet,tanquam Bag Bopo,id eftnoxij affine quid dam
.HERM.Icamaximeapparet,ô Socrates.Soc.Verum nõſicin nomineueteri, quod ueriſimilius
eſtrecte inſtitutum fuiffe, quàm noftrum. Nempe cum ſuperioribus bonis
conſenties,fi pro 4,1 uetus reſtituas.Nec enim deby ;ſed toy bonum illud
ſignificat,quod ſemper nominūlaudat inuentor:Atą ita fecũipſenõdiſſidet, imòad
idem ſpectat,d'ion, quali δίομ, ώφέλιμομ, λυσιτελών, κάρδιαλέον, αγαθόν ,
συμφόβου, εύπορου, ideft facile ad pro , greffum.uniuerſü
hocdiuerlisnominib.innuit aliquid per omnia penetrās, omniaq pe rornans,idő
ubiq laudatü : qd uero obftat & detinet, improbata . Quinetiã nominehoc
{Butãds,liyeterű mored profpoſueris ,apparebit tibinomen iſtud disutisè boy, id
eft li ganti fiftentiç quod pergit,impofitum .unde & Musãdes cognominandum
eſt .Herm. Quid ádura,númy, uslupia ,uoluptas ſcilicet,dolor, cupiditas,
Socrates, & huius generis reliqua: soc.Haudnimis obſcura mihi uidentur
Hermogenes, šidbvi,id eſt uoluptas lir quidem actionis illiusnomen eſt, quæ
adóvgay, id eſt utilitatem emolumentumo tendit duero adiectum facit,ut pro eo
quod eſt sova,údova proferatur.Ajax, id eftdolor,à Stanús Gews,id
eſtdiſſolutione corporis trahi uidetur.Nam in huiuſmodi paflione corpus diffol
uitur.xvíc , id eſt triſtitia , quod impeditigio ,id eft ire,demonftrat.&
aguda , id eft crucia tus,peregrinum nomen uidetur,ab ängdvö dictum.éduig,id
eft dolor & afflictio,ab güdlü Oews,id eft ingreſſionedoloris denominatur. HERM.
Videtur.so Cårigoló ,id eftmoe ror languor ,lationis grauedinem tarditatemg
ſignificat. ãxto enim onuselt.ioy uero pergens.xapod uero ,id eſt lætitia
gaudium ,à diazúrews,id eft profuſione, & progias,id eft facilitate,poas,
id eſtmotionis animæ,dicitur. Tosalesid eſt delectatio,ab toptivs,id eft
oblectamento ducitur.Topavoy autem à trom,id eft inſpiratione delectationis in
animā Quaremerito uocaretur égaršv,id eſt inſpirans. Temporis autem interuallo ad
Top Arvo deuentum eſt.cuqpoouis,id eſthilaritas & alacritas, quam ob cauſam
dicatur,aſſignareni hil opus.Nam cuicp patet hocnomen trahiab eo
quod dicitur eü , id eſt bene. oum @ opeally id eft unaſequi qualidicat
animabeneres affequi.Vnde cu poporubs uocarideberet:ta men Bagooutlw
appellamus.Sed neg difficile est assignare quid üsgutta, id eſtcupidi. tas
ſibiuelit.Nomen quippehocuim tendentem in Ovuoy, id eft animam & iram &
fu rorem oftendit. Ovuós autem à lúoews& toews,id eft flagrantia, feruore,&
impetu animę. proindeiupo ,id eft fuauis & blandaperfuſio,dicitur,jm ,id
eſt fluxu animam uehemen ter alliciente.ex eo enim quodiulio ga ,ideft
incitatusrerumgappetens fluit,animam uehementerattrahitpropter impetum ſiue
incitamērum fluxus.ab hac tota uiHimeros eſt nuncupatus.Præterea Pothos
uocatur,id eſt deſiderium , quod fane'præfentem fuaui tatem nõ reſpicit,
quemadmodū iuepo ,fed abfentem ardet. Vnde wale_diciturqualiá wóvrG ,id eft
abſentis cócupiſcentia.Idem ipſe in id quod gratñeſt animinixus,præ ſente co
quod cupitur iuopo ,abſente wólo denominatur.iews autem , id eſt amor,quia
doga,id eft influit extrinſecus,neg propria eſt habēti gas,id eſt fluxio ilta,fed
infuſa per oculos. Quapropterabcogar,id eſt influere,čopo , id eft influctio
,amor ab antiquis no ftris appellabat,nam opro wutebantur.nuncautem
épwsdicitur,wproo interpoſito . Ve. rum quid deinceps conſiderandum
præcipis?HERM. dlófæ, id eft opinio ,& talia quædã, undenomen
habentisoc.déke,uel à diwa,id eſtperſecutione dicit, qua pergit & pro
ſequituranima,conditionem rerum inueftigans:uelà tófo Borm,id eft arcus iactu .
uides turautem hinc potiusdependere.oinois, id eft exiſtimatio ,huic confonat.
oftendit quip pecioiy,id eſt ingreſſum animæin unumquodß conſiderandum ,oioy,id
eſt quale fic:quê admodum & bons,id eft uoluntas a Borá,id eſt iactu
dicitur: & Bóns, id eſt uelle , pro pter ipſum attingendinixum ſignificat
etiamélis,id eſt cupere:& Bonbuch , id eſt cõſu lere.Omniahæcopinionem
fequentia,Boras ipfius, id eſt iactus & nixus imagines eſſe uidentur.quemadmodum
contrarium , & boniæ,id eſt priuatio uoluntatis,defectusquidã
conſequendiimpos apparet, quali non contendat, neq etiam quod intendit,uult,
cupit, inueftigat,adipiſcatur.HERM.Frequentiora hæc congerere uideris, ô
Socrates. Quare finis iam fic fauence deo. Volo tamen adhuc,ávéyxlu &
Exšonoy,id eſt neceſſarium & uo luntarium declarari.Nempe ſuperioribusilta
ſuccedunt.socRéxóozoy equidem eft si noy,id eſtcedensneg renitens,hocfiquidem
nomine declaratur zinoy lestorti, id eſt ces denseunti, quod'ue ex uoluntate
perficitur. avayeccoy uero, id eſt neceſſarium & obfi ſtens,cum præter
uoluntatem ſit,circa errorem infcitiam uerſabitur.deſcribiturautem ex proceſſu
ſecundum neceſſitatem , quoniam in uia aſpera denſa inceffum prohibent.
Vndeavaysazov dictum eſt ,quali per & yroscop ,id eſt per uallē uadēs.Quouſ
uero uiget robur,ne deſeramus. Quamobré interrogaamabo, ne deſiſtas. HERM. Ecce
rogo quæ maxima ſunt& pulcherrima:« aksaa ,id eft ueritatem , & fordo
,id eftmendacium , & öy,id eft ens, & quareid quodehicagimus,övoua,id
eft nomen ,dicitur.SOCR. Quid vo casmaksa: HERM.Voco equidem inquirere.so
c.Videtur nomen hoc ex sermone illo conflatum, quo dicicuröv, id eſt ens esse
,cuiusnomen inquiſitio eſt. Quod clarius certe comprehendes in eo quod dicimus
óvojasóy, id eſt nominandum . hic enim exprimitur nomen quid ſit, entisuidelicet
inquiſitio. &ikbļa uero ficut & alia componiuider.Nam diuina entislatio
,nominehocincluditur,ankódæ , quaſi exiſtensOscarx,id eft diuina que dam
uagatio.Foido- autem contrarium motionis.Rurſushic uſurpatur agitationis obs
ftaculum , quod'ue ſiſtere cogit.Nam à reboudw, id eſt dormio dicitur. 4 uero
adiectum ſenſum nominis occulicouuero & Xoia , id estens et essentia ,cum
& rx66ą, id eſtueritate , congruunt: fic apponatur.namrov,id elt uadens
ſignificat.Atdrøv id eſt non ens,quidam nominant xxcov, id eſt non uadens.
HERM. Hæcmihiuideris, 6 Socrares, fortiter admo dum discussisse. Verum si
quiste perconteturquæ fitrecta iſtorum interpretatio, quæ di cuntur čov, id eſt
uadens:géov,id eft fluens,doww,id eſt ligansac detinens, quid illi potiſſi. mum
reſpondebimus: habes'ne: Socr. Habeo equidem.profecto nuper ſuccurrit no bis
aliquid , cuiusreſponſione quicquam uideamur afferre. HERM . Quale iſtud : soc.
Viquodminimecognoſcimus,barbaricum eſſe dicamus. fortè enim partim reuera talia
ſunt: forte'uero partim , ac præſertim nomina prima,temporum confuſione infcru
. “ tabilia.Etenim cum paflim uocabula diſtrahantur,nihilmirum eſſet ſi
priſcalingua cum Ç noſtra collatanihilo à barbarica uoce differret. HERM .haud
alienum eſtà ratione quod a dicis. Socr . Conſentanea quidem affero , non tamen
idcirco certamen excuſationem uideturadmittere.Sed conemur hæc diſquirere, ato
ita conſideremus: fiquis femper uerbailla per quænomen dicitur,quæreret,rurſus
illa per quæ dicuntur uerba, ſciſci taretur, pergeretob ita perquirere,non'ne
qui refpondet, defatigari tandem & renuere cogeretur:
HERM.Mihiſane'uidetur. S O CR. Quando ita quireſponſum denegar, merito
ceſſabit: An non poftquam ad nominailla peruenerit, quæ cæterorum ſunt&
ſermonum & nominum elementarHæcutio fi elementa funt,ex alñsnominibus com
pofita uiderinon debent.quemadmodum ſupra & yalóy,id eſt bonâ diximus, ex «
y så, id eſtiucundo amabilio , & 805,id eftueloci compofitum.gooy rurſus ex
alijs conftare di cemus,illağ ex alijs.ſed poftquam ad id peruenerimus quod
ultra ex alíisnominibusno coſtituitur,merito nosad elementű perueniſfe
dicemus,nec ulteriusbocin alia nomina , referendum. HERM .Scite
mihiloquiuideris.soc. Annon ea de quibuspaulo ante in terrogabasnomina eleméta
funt oportet rectam illorõrationem aliter quam reliquorum inueftigare. HER. Probabile
id quidem.soc.Probabile certeHermogenes. Supe riora itaq omnia in hæcredacta
uidentur:ac ſi ita ſe res habet,utmihiuidetur, rurſusage hic unamecum
conſidera, neforte delirem dum rectam primorum nominum rationem exponeretento.
HERM. Dicmodo. ego nang pro viribus meditabor. soc . Arbitror equidem in hoc
tecõſentire,unam efferectam & primi& ultiminominisrationem, nul lumğ
illorum eo quod nomen est, ab alio diſcrepare.HERM.Maxime.so c.Etenim om 2 nium
quæ ſuprà retulimusnominum recta ratio in hoc cõſticit, ut qualis quæ res litin
7) dicaretur.HERM . Proculdubio. soc. Hocutio non minus prioribus quam
pofteriori. bus competere debet sinomina fucura sunt.HERM. Prorſus.so-c
.Atquipoſteriora no. minaper priora hocefficere poterant.HERM. Apparet. soc.
Primauero quibus alia nõ præcedunt, quo pacto quam maximeres ipsas nobisoftendēt,
ſi nomina effe debet: Adhoc mihireſponde. ſiuoce & lingua
caruillemus,uoluiffemusgres inuicem declara re,nonneperindeac nuncmuti,manibus
capite & cæterismembris ſignificare tenta uiſſemus? HERM. Haud aliter Socrates,
soc. Ergo supernữ quippiam ac leue demon. ftraturi,cælum uerſusmanum
extuliffemus, ipſam rei naturam imitantes: inferiora uero & grauia
deiectione quadã humiinnuillemus. quinetiã currentem equũuelaliud quic quam
animalium indicaturi,corporum noftrorum geftus figuras ad illorum ſimilitudi
nem quamproximequiſo finxiſſet.Herm .Neceſlariû quod ais eſſemihiuidetur.soc.
Huncinmodűutarbitror his corporis partibus ostensum eſſet, corpore videlicet
quod quifq monstrare voluerat imitante. Herm. Ita certe.soc. Postquá uero uoce,
lingua, & ore declarare uoluimus, nónne ita demum per hæcoſtenſio fiet,li
per ea circa quodli bet,facta fuerit imitatio : HERM.Neceſſarium puto .
soc.Nomen itaq eſt, urapparet, imitatio uocis, qua quiſquis aliquid
imitatur,per uocem imitat & nominat. HER.Idem mihi quoq uidetur.soc. Nondum
tamen recte dictum existimo. HERM .Quamobrē: Soc. Quoniam hos ouiū & gallorum
cæterorum animalium imitatores fateri cogere. murnominare eadem quæ
imitantur.HERM .Vera loqueris. SOCR .Decereid cenſes: HERM . Nequaquam sed
quænam ô Socrates imitatio nomen erit: s o c.Non talisimi. tatio qualis quæ
permuſicam fit ,quamuis uoce fiat,nec etiã eorundem quorum & mu. fica
imitatio eſt,nec enim permuſicam imitationem nominareuidemur. Dico autê ſic:
Adeſtrebusuox & figura colorø plurimus. HERM.Omnino.soc.Videturmihiſiquis
hæcimitetur,neq circa imitationes iftas nominandifacultas cõfiftere.hæfiquidem
ſunt partim muſica, partim uero pictura.jnonne.HERM. Plane. soc. Quid ad hoc:
nonne essentia eſſe cuiq putas, quemadmodú colori & cæteris quæ ſuprà
diximus: an nõ ineſt coloriacuocieſſentia quædam ,& alijs omnibus quæcunc
essendi appellationefundi. gna: HERM. Mihi quidem uidetur. soc. Siquis cuiuſą
eſſentiam imitari literisfylla. biscß ualeret,nonne quid unumquodo fit
declararet: HERM . Maximequidem . Soci Quem hunc eſſe dices: ſuperiores quidem
partim muſicum ,partim pictorem cognomi nabas,hũcuero quomodouocabis? HERM.
Videturhicmihiô Socrates quem iamdiu quærimus nominandiautor. soc. Siuerum hoc
eſt,conſiderandum iam denominibus illis quæ tu exigebas, pess, ideſt fluxu
,igra ,id eſt ire, géoews, id eſt detentione,utrumli teris ſyllabisą luis
reuera effentiam imitantur,nec'ne.Herm .Prorſus. soc. Ageuidea musnunquid
hæcſola primanominaſint,an fint & alia præterhæc. HER.Alia equidem
arbitror. Soc. Consentaneum est cæterum quis diſtinguendimodusunde imitari
incir pitimitator:Nónne quãdoquidem literis ac ſyllabis eſſentiæ fitimitatio ,
præſtatprimu elementa diſtinguere : quemadmodum qui rhytmis dant operam ,
elementorum primo uiresdiſtinguunt,deinde fyllabarum tanium ,rhythmoscandem
iprosaggrediuntur,pri usnequaquam . HERM. Vtiq.soc.Annon ita & nosprimooportetliteras
uocales die ſtinguere,poftea reliquas ſecundum ſpecies,mutas & femiuocales:
Ita enim in his erudi ti uiri loquuntur.acrurſus uocales quidem ,non tamen
ſemiuocales, & ipſarű uocalium ſpecies inuicem differentes.Etpoftquam bæcbene
omnia diſcreuerimus,rurſus induce, renomina,conſiderareg ſi ſuntin quæ omnia
referuntur,quemadmodum elementa,ex quibuscognoſcere licet& ipfa, & fi
in ipſis ſpecies continentureodem modo ficutiner lementis.His omnibusdiligenter
cogitatis,Icire oportet afferre secüdum fimilitudinem unumquodą ,ſiueunum
uniſit admouendum, ſeu mulcą inuicem commiſcenda:ceuph Storesctores
similitudinem volentes exprimere, interdum purpureum duntaxat coloré adhi
bent,interdum quemuis alium colorem , quandoq multoscômiſcent,ueluti cum imagi
nem uiri quam ſimilimam effingere uolunt,uel aliud quiddãhuiuſmodi, quatenus
ima goqueo certis coloribusindiget. haud ſecus & noselementa
rebusaccomodabimus,& unum uni, quocunq egere maxime uideatur :oumbona “ ,
id eſt coniecta conficiemus, quas ſyllabasuocant. Quas ubiiunxerimus, ex eisö
nominauerba constituerimus, rur fusex nominibusac uerbismagnum iam quiddam
& pulchrum & integrum conſtrue mus:& quemadmodum totum ipſum
compoſitum pictura animal uocat, ita noscontes xtum huncintegrű ; orationem uel
nominandi peritia ,uel rhetorica fábricatam ,uel alia quauis quæ id
efficiatarte.Imòno nos iſtudagemus.modūnamą loquendo tranſgref fus fum , quippe
ueteres ita conflarunt,fi ita eſt conſtitutum .Nosautem oportet,fimodo
artificiofe conſideraturiſumus,ipſa omnia fic diſtinguentes , fiue ut conuenit
primano mina & pofteriora ſint poſita,ſiue non,ita excogitare.Aliter autem
cõnectere uidendű eft ôamice Hermogenes,ne forte ſit error.Her. Forte per louem
ô Socrates. soc.Nun quid ipfe cöfidis ita te posse diſtinguere:Ego enim mepoſſe
diffido . HEŘ .Multo igitur magis ipſe diffido.soc.Dimittemus igitur?an uis
utcun @ ualemus experiamur,et ſi pa rum quid horum noſſe
poffumus,aggrediamur,ita tamen utfuprà,dis præfati:ucq illis ediximus,nihil
nosueriintelligentes opiniones hominūdeillis conñcere:ita & nấcper
gamusnobiſipſi ſimiliter prædicentes, quod fi quam optime diſtinguenda hæc
fuiffent, uel ab alio quopiam ,uela nobis,ſic certe diſtinguereoportuiſſet:
nuncautem ,ut fertur, puiribus ifta nostractare decebit.Admittishęc'uel quid
ais.HER. Sic prorſusopinor. soc.Ridiculum uiſum iri ô Hermogenes,arbitror, quod
res ipfæ imitatione per literas fyllabas a factamanifeſta fiát.Neceſſarium
tamen:nec enim meliushochabemus quic quam ,ad quod reſpicientes deueritate
primorum nominū iudicemus:niſi forte quemad modum Tragiciquoties ambigunt,
cõmentiris quibuſdam machinamentis ad deosco fugiunt,ita & nos ocyusrem
expediamus,dicentes deos primanominapoſuiſſe, & idcir corecte inſtituta
fuiſſe.nunquid potiſſimusnobis hic fermoran ille,quod ipſa a barbaris quibuſdam
accepimus:Nobis quippe antiquiores ſuntbarbari,uelquòd ob uetuftatem ita ea
diſcerninequeuntut & barbara: Tergiuerſationeshæ ſunt, & belliſſimæ
quidem , illorum quicunq nolint derecta impoſitione primorum nominû reddere
rationem . Ete nim quiſquis rectam primorā nominum rationem ignorat, ſequentium
cognoſcerene quit.hæcporrò ex illis declaranda ſunt,illa autē is ignorat. quin
potius neceffe eft fequê tium peritiam profitentem ,multo prius &
abfolutius antecedentia comprehendiffe,por feq oſtendere,aliter autem
ſciredebet fe in fequentibus deliraturũ.an aliter ipſe confess HER.Haud aliter
Socrates.soc.Quæ ego ſenſideprimis nominibus, inſolentia ridicu lag admodum
eſſe mihiuidentur,eaç tecû , ſi uelis, comunicabo . Siquid uero tumelius
inueneris,mecum & ipſe comunica. HER. Efficiam.fed diciam forti animo.
soc.Princi pio ipſum g uelut inftrumentum omnismotuseſſe uidetur.Curautem
motuslivrosap pelletur,non diximus.patet tamen quoditors ,id eftitio eſſe
uult.Non enim » quondam , fedeutebamur.principiữautē ab liay, id eſtire,
quodperegrinum nomen eft,& igra ,id eſtire ſignificat.Quare fi priſcum
eiusnomen reperiatur in uocem noftram translatum , recte i'eois
appellabitur.Núc autem ab kiau nomineperegrino , & ipfiusy conmutatione,
& vipſius interpofitionelivyoisnuncupatur.Oportebat autem sidingoy uel any
dicere . súčas,id eft ftatio,negatio ipfius iga , id eft ire eſle uult, ſed
ornatuscaufa séas denomi natur.Elementū itaq ipſum qopportunűmotusinſtrumentum
,utmodo dicebā ,uiſum eſt nominum autori ad ipfam lationis fimilitudiné
exprimendā : paflim itaggad motus expreſſionē utitur.In primo quidem ipſo jau
& goñ, id eſtfluere, fluxuğ per literampla tioně imitatur,deinde in touw,id
eft tremore,& baya aſpero .item in uerbis huiufmodi, kódy percutere,&gaver
uulnerare , oʻúrdy trahere, @ gúndu frangere eneruareg , kopuerto siddy
incidere,pêué du uacillare, irritare, & circumuerſare. Hæcomnia ut
plurimâperpad fimilitudinémotionis effingit.Mitto enim quod lingua in hac
litera pronunciadamini meimmoratur, quin potius cocitatur . Quocirca ad iſtorũ
expreſſione iplo s potiſſimữ uſus fuiffe uider. Vfus eft & , scilicetiota, ad
tenuia quæ per omniamaximepenetran tia.idcirco igra & icadou , id eft
ireprogredió per o imitatur . Quéadmodū per 4.0, quæ E literæ uehementioris
fpiritus ſunt,talia quædam nominum autor exprimit, fuzeów frigt dum, ( soy
feruens, osoatare concuti, & communiter aconoy, concuſſionē quaffationem :
quoties uehemens quippiam &fpiritu plenum imitari uult nominum inftitutor,
tales utplurimum literas adhibet.Quinetiam ipſiusd cõpreſſionem aco,linguæ
& uelut ha . rentis retractionem ,peropportunã exiſtimaſſe
uideturaduinculi&ftationis potentiâ exprimendam.Etquia in a proferendo
maximelingua prolabitur, idcirco per hoc uelur ex fimilitudine quadam nominauit
nga , id eſt lenia & órcdaerah labi , & noMūdeslie quidum ,Ascrapov
pingue, cætera huiuſmodi.Quiauero labentem linguam y remoratur eo interiecto
formauityhioggoy lubricum , gauxudulce , yrādes uiſcoſum , luculentum.
Animaduertens quo&ipfius v ſonum imoin gutture detineri, eo nominauit so
výdby & te gutos, id eſtąd intus eſt,& quæ intrinfecusſunt, utres per
literas repræſentarer.Ipſum uero w ,meyer@ ,id eſt magno tribuit &ipſum %
ukus ,id eſt longitudini, quoniamma. gnäliteræ ſunt.in nomineautem spozzinoy,
id eft rotundum ,ipfo o indigens, o ut pluri mummiſcuit. Eadem ratione cętera
ſecundum literas ac ſyllabas rebus ſingulis accom modare uidetur nominum
autor,ſignữnomenoconſtitués,ex his deinde ſpecies iamre liquas per
ſimilitudinem conſtituere.Hæc mihi Hermogenes recta uidetur effe nomina ratio,
niſi quid aliud Cratylus hic afferat. H ER.Etenim ở Socrates,fæpemeturbat Craty
lus hic, uc à principio dixi,dum eſſe quandã afferit rectam nominû rationem ,
quæ uero sit, non explicat, utdiſcernere nequeam utrum de induſtria , nec'ne
adeòfit obſcurus. In præſentia igitur Ô Cratyle,coram Socrate dicas , utrum
placeant ea tibi quæ Socrates de nominibuspredicat,an preclarius aliquid
afferre poffis:quodfi potes,adducas in me dium, ut uel a Socrate diſcas,uel nos
ambos erudias. CRAT. Videtur'netibi Hermoge nes facile eſſe tam breui percipere
quoduis atque docere,nedum rem tantam, quæ maxi mum quid demaximis æstimatur. HER.
Non mihi per louem , quinimò ſcite loquutum Heliodum arbitror, quod
operęprecium ſit paruum paruo addere.Quare fi quicquamli cet exiguum perficere
uales,ne graueris, fed & Socratem istum iuua ,& me insuper.de. bes
enim.soc. Equidem ô Cratyle,nihil eorum quæ ſupra comemoraui;aſſererē.Nem
peutcunq; uiſumeſt, cum Hermogenehocindagaui. quocirca aude fi quid melius ha
bes, exprimere,tanquã ſim libenter,quod dixeris,ſuſcepturus.Neqz enimmirarer
liquid tu hiſcehaberespræclarius. Videris porrò &ipfe talia quædã
conſideraffe, &ab alijs di diciſſe. Siquid ergo præstantius dixeris, me
interdiscipulos tuos circa rectam nominā rationem unum connumerato. CRAT. Certe
mihi ô Socrates,utais , curæ hæc fuerunt,ac forte diſcipulum te efficerem
.Vereortamen ne contrà omnino ſe res habeat.Conuenic mihi nuncidem erga te
dicere, quodaduerſus Aiacem in ſacris Achilles inquit.Genero. Iliadosi
fe,ait,Aiax Telamonie populorũ princeps, omnia mea ex ſententia protulifti.Ita
cu quo queô Socrates, nostra exmente uaticinari uideris, fiue ab Euthyphrone
fueris inſpira tus,ſiue Muſa quædam tibipridem inhærens nuncte protinus
concitauerit. soc. O uir bone Cratyle, ego quoß fapientiam meam iampridem admiror,neq
nimis confido.qua re examinãdum quid dicam ,exiftimo.Namaſeipſo decipi
grauiſſimum eſt.nimis enim 2 periculoſa res eft, quum ſeductorabeſt nunquam ſemperdeceptum
proximecomita, tur.Oportetitao superiora
frequêter animaduertere, & utpoeta ille ait, ante illa retros
conſpicere.Atqui &in præsenti videamus quid à nobis sit dictum. Rectam
diximus no minis rationem , quæqualisquæqres fit, oftendit.Nunquid ſufficienter
eſſe dictâ afferi mus: CRAT. Ego quidem aſſero .soc. Docendi igitur gratia
nomina ipfa dicuntur: CRAT. Prorſus.soc. Annon & artem eſſe hancdicimus,
& ipfius artifices : CRAT. Maxime. soc.Quos.CRAT.Quos à principio tu legum
&nominum conditores co gnominabas.soc.Vtrum hanc artem ſimiliter atą alias
ineſſe hominibus, an aliter arhi tramur:Idautem eft quoduolo.pictores quidam
deteriores ſunt,quidam pręſtantiores? CRAT.Sunt.soc. Nónne præſtantiores opera
ſua pulchriora faciunt, figuras uidelicet animalium: cætericontra:
Aedificatoresquoq ſimiliter partim pulchriores, partim tur piores domos efficiūt:
CRAT.Sic eſt.soc. Nónne et legum ipsarī autores partim opera suapulchriora, partim
turpiora efficiunt: CRAT.Haud ampliusiftud admitto.soc. Non ergo leges
aliæmeliores,deteriores aliæ tibiuidentur.CRAT.Non.soc.Nec etiã nomen
utapparet, aliud melius,aliud deteriusimpoſitum arbitraris. CRAT. Negiſtud. soc.Ergo
omnia nomina recte poſita ſunt. CRAT. Quecunqueuidelicet nominaſunr. soc.Quid
de huius Hermogenisquod ſupra dictum eſt,nomine:Vtrum dicendű non effeilli
iftud impoſitum ,niſiquod équo geridews,id eft Mercurijgenerationis illicompe
car:Animpoficum quidem ,non tamen recte:CRAT.Nec impofitum eſſe ô Socrates,
arbitror,fed uideri.eſſe autem alterius cuiusdā nomen, cui natura inest quæ
nomine con cinetur.soc.Vtrum nequementicur quisquis Hermogenem eſſe eum
dicit:Nec enim hoc eft dubitandum , quin eum dicatHermogenem eſſe,cum non
fit.CRAT. Quaratig ne id ais : so c . Nunquid ex eo quod non datur dicere falſa
,ſermo tuus conftat, & circa id uerſacur.permulci nempeô amice Cratyle,
& nunc prædicant, & quondam aſſerue runt.CRAT.Quo pacto ó Socrates,dum
dicit quis quod dicit quod non eſt dixerit; An non hoc eſt falla dicere,quæ nõ
ſunt dicere: soc.Præclarior hic fermoamice ,quam con dicio mea & ætas
exigat.Attamen mihi dicas,utrum loqui falſa non poſſe aliquis tibi ui
detur,fariautē pofle? CRAT.Neq fari.soc.Acetiam nec dicere,nec apppellare, falu
tare:Quemadmodum liquis tibi obuiushoſpitalitatis iure manu te prehendens dicat
Salue hoſpes Athenienſis, Šmicrionisfili Hermogenes.illeloqueretiſta,uel fari
dicere tur,uel diceret,uel falutaret,appellaretę ita, non te quidem ,ſed hunc
Hermogenem ,aut nullum: CRAT.Videtur mihi ô Socrates,incaſſum hæc iſte
uociferare.so c.Šat habeo. utrū uera uociferat,qui ita clamat, an falſa: Anpartim
uera, partim falſa: Namhoc quo queſufficiet.CRAT. Sonare huncego dicam feipfum
fruſtra mouentem , ceu fiquis æra pulſer.soc.Animaduerte Cratyle ,utrum quoquo
modo conueniamus.Nõne aliud no men, aliud cuius nomen eſt,effe dicis: CRAT. Equidem.
soc. Etnomen rei ipsius imita tionem quandam effe: CRAT.Maxime omniū . So
c.Etpicturas alio quodam modo re rumquarundam imitationes: CRAT. Certe.so c. Ageuero,force'ego
quid dicas, non fa tis intelligo,tu autem forſitã recte loqueris.poffumus has
imitationes utraſą &picturas & nomina rebus his quarű imitaciones
ſunt,attribuere,nec'ne: CRAT.Poſſumus. SOC. Adverte hocin primis,nunquid poffit
aliquisuiri imaginē uiro, &mulieri mulieris tri buere, & in alijs eodem
pacto : CRAT.Sic certe.soc.Num &contra ,uiri imaginem mu lieri,&
mulieris uiro : CRAT. Ethoc. soc.An utræquediſtributioneshuiuſmodirectæ sunt:
uelpotiusaltera,quæ cuiæ proprium fimileg attribuit: CRAT.Mihi quidem uide
tur.SOC.Ne igitur ego actu cum ſimusamici,in uerbis pugnemus, aduerte quod
dico. Talemego diſtributionem in imitationibus utriſqz tam nominibuső picturis
rectã uo co . & in nominibus nõrectam modo,fedueram. Alteramuero
diſsimilisipſius tributio nem illationem non rectam ,& in nominibus
præterea falſam. CRAT. Atuide ô Socra tes,nefortè in picturis duntaxat id
contingere poſſit,ut quis male diſpertiat, in nomini bus autem minime,fed
neceſſariū ſit recte femper adſcribere.soc.Quid ais: quo ab illo hoc differt:
Nonefieri poteſt ut cuipiam uiro quis obuius dicat,hæctua figuraeſt, oſten
datók illi forte'uiri illius figuram, forte'etiã mulieris: Oftendere,inquam
,ſenſibus oculo rum offerre.CRAT.Certe.soc.Nónneiterum ut eidem factus obuiam
dicat, nomen id tuum est. Imitatio quippe aliqua nomen est ,quemadmodũ &
figura. Dico autéita.Nón ne licebit illi dicere,nomen hoctuum eft: deinde in
aurē idem infundere,fortè'eius imi tationem dicendo quod uir eſt ,forte' uero
fæminæ cuiuſdã generis humani imitationē, dicendo quod mulier: Non uidetur
tibihoc aliquãdo fieripoffe: CRAT.Concedere ti bi uolo, o
Socrates,licefto.soc.Recte facis amice.acſi id ita fe habet, controuerſia iam
tolletur. Porrò si in his huius modi quædã partitio fit, alterâ uereloqui,alterữloqui
falſa uocamus.Si hocaccidit , & poſſumus non recte nomina diſtribuere,
& quænon propria funt cuic reddere,fimiliter in uerbis aberrare
licebit.Sinautem uerba nominağ ita con gerere datur, necesse est et orationes similiter.
Oratio quippe,utarbitror, eſt uerborum &nominum cõpoſitio. Quid ad iſta
Cratyle: CRAT. Quod & tu.probe namg loqui ui deris.soc. Quinetiã si prima
nomina ad literas ipſas quadã imitatione referimus,cótin . gere poteſt in his
quemadmodã in picturis ,in quibusaccidit ut congruas omnes figuras coloresg;
adhibeamus.Item ( ut non omnes,fed partim ſuperaddamus,partim ſubtraha
mus,plura & pauciora exhibeamus. Nõne fieri hoc potest? CRAT. Proculdubio.so..
Quicóuenientia oſia tribuit,pulchras literas & imagines reddit.Quiuero
addit,uel au fert,liceras quidem ac imagines &ipſe facit, fedmalas,CRAT. Nempe.
soc. Qui autem per literas ac syllabas rerum eſſentiam imitatur,nónne eadem
ratione fi comperētia om nia tribuit,pulchram imaginem efficit: Idautem nomen
exiſtic.finautem in paucás defi, ciatuelexcedat,imago quidem efficietur, sed
non pulchra:Quamobrem nomina quæ. dam beneinſtituta erunt, quædam contra.CRAT.
Forte. soc.Forſican ergo nominum hicbonus erit artifex
,illemalus.CRAT.Profecto.soc.Nónne huic nomen erat nomi numcõditor:
CRAT.Plane.so c.Erititag in hocquemadmodū in cæteris artibus con . ditor
nominum bonus unus,alius uero non bonus,limodo fuperiora illa inter noscon
ftant. CRAT. Vera hæc funt. Verum cernis ô Socrates, quotiens has literas «
& B & quoduis elementorű nominibus per artē grammaticamattribuimus,
ſiquid auferimus, ueladdimus, uel etiam permutamus, quod nomen quidem
ſcribimus;non tamen recte, imò uero id nullo modo fcribimus,quin potius ſtatim
aliud quiddã eſt ,cũ primum horű aliquid patitur.soc.Videndű Cratyle,ne
force'minusrecte hoc pacto conſideremus. CRAT. Quo pacto:so c. Fortaſſis
quæcune aliquo ex numero conſtare uel non cõsta reneceſſe eſt,idquod ais
perpetiuntur, quemadmodūdecem ,autquiuis alius numerus. Nam quilibet numerus
quocûç additouel ablato,alius ſtatim efficitur. Fortè uero qua litatis
cuiuslibet & imaginis haud eadēratio eſt, ſed diuerſa. Neg enim omnia imago
ba bere debet quæcũą illud cuius imago eſt, li modoeſt imago futura.
Animaduerte num aliquid dicam .Anduoquædam hęcerunt,Cratylus uidelicet, &
ipfius imago, ſiquis deo rum nõmodo colorem tuum figuramß expreſſerit,ut
pictores ſolent,ſed interiora quò que omnia fimilia tuis effecerit,mollitiem
eandem ,caloremý,motum ,animā, fapientiā; &ut breui complectar,talia
prorſus effinxerit omnia,qualia tibiinſunt: Varum , inquá, alterum iſtorum Cratylus
erit,alterum Cratyli ipsius imago:AnCratyli potius gemini: CRAT.Cratyli ô
Socrates, ut arbitror, duo.soc.Cernis amicealiam imaginis rationem eſſe
quærendam , quàmillorum quæ paulo ante diximus.'ne cogendum effe liquiduel
additum ,uelablatum fuerit ,ut non ampliusſit imago Annonſentis quantã deeſt
ima ginibus,ut eadem habeantquæ & illa quorû imagines sunt: CRAT. Equidem.soc.Ri.
diculum aliquid Cratyle exnominibus contingeret his quorum nomina ſunt, fi
prorfus illis fimilia redderentur.Gemina quippe omniafierent, neutrumą
illorūutrum effetpo tius dici poffet ,res'ne ipſa annomen. CRAT. Vera loqueris.
soc. Ingenueitaqz fatearis o uirgeneroſe,nominum aliud bene,aliud contra
pofitum effe :nec cogas omnes literas continere,adeò ut penitus tale fit, quale
& id cuius eft nomen :ſed mitte literá quoq mi nus congruam afferri quãdoq:ſi
literam , &nomen ſimiliter in ſermone: ſi in fermoneno men,ſermonem inſuper
nequaq connenientem rebus tribui, et rem ipsam nihilominus nominari diciç
,quoad rei ipſiuscuius fermo eft figura,inſit: quemadmodü in elemento rum
nominibus quæ nuper ego &Hermogenes comemorauimus,lirecordaris. CRAT.
Recordor equidem ,soc. Benehercle igitur quandocung hocinerit, quamvis non om
nia conuenientia prorſus adſint, dicetur.bene quidem, cum omnia:male uero, cum
pau ca.Diciitap ô beate,mittamus,nequemadmodû qui in Aegina noctu
circumuagãtur, fero iter peragūt, ita &nos hoc pacto ad res ipfas reuera
ſerius quàm deceat, perueniſſe uideamur,uelfalutem aliam quandã exquiras rectam
nominis rationem ,nec confitea. ris declarationem rei literis ac fyllabis
facta,nomen effe.Porrò ſi ambo hæc dixeris, tibi ipfe conſtare &conſentire
non poteris. CRAT. Viderismihi probeloqui ô Socrates.at que ita
pono.soc.Poſtquam de his conſentimus, quod reſtat diſcutiamus.Si bene no men
poſitum eſſe debet,oportere diximus literas fibi cõuenientes ineſſe. CRAT.
Plane. soc.Conuenit autem ut literæ rerum fimiles inſint. CRAT. Omnino. soc.
Quæigi tur recte ſunt poſica ita pofita ſunt.Siquid autem non recte poſitum eſt
ut plurimum qui demex conuenientibus ſimilibusý literis conſtat, fi quidem
imago eſt.habet auté & ali quidnon conueniens,propterquod non rectâ
eſt,nerecte nomen eſt inſtitutű,Sic'ne an aliter dicimus:"CRAT.Nihileft ô
Socrates,utarbitror,contendendã:neq enim mihi placet,utņomen quidem eſſe
dicatur,non tamērecte poſitű . soc.Vtrum hoc tibi non
placet,quodnoměreiipfiusdeclaratio lit :CRAT. Placet.soc.At vero nomina partim
ex primis constituta esse, partim esse primanon probedictâ putas:CRAT.Probe.soo
Enimuero prima ſi quorundā declaraciones effe debent, habes'ne modû commodiore
quo id fiat, qa li talia fiát,qualia illa funt quæ declarari volumus:Anmodus
iſte pocius ei bipla. i biplacet,qué
Hermogenesalijý plurimi tradunt,quòd uidelicet nomina conuentiones quædam lint
ijs qui ita coſtituerunt,acresipfa præcognouere,aliquid referentes:rectas
nominis ratio in cõuentioneconſiſtat,nec interſit utrum quis ita utnunc ftatutű
eſt de cernat, an contra:ut uideliceto, quod nunc o paruũuocatur, o magnum
cognominetur, wuero quodmodow magnum , w paruum dicatur : Vter iftorum magis
tibimodus pla cer: CRAT. Pręſtatomninoô Socrates,fimilitudine referre quod quis
oftendere uult, quouis alio. soc. Scice loqueris.Nõnelinomen rei ſimile
eſt,neceſſe eſt elemēra ex qui bus prima nomina cõponuntur,natura ipſa rebus
eſſe fimilia: Sic autem dico: an aliquis quandox picturā iz ſupra diximus,rei
cuiuſquã ſimilem effinxiſſet,niſi colores ipfi qui bus cõſtatimago,efTentnatura
reiillius ſimiles quam pictoris ſtudium mitatur : Anno impoſſibile:
CRAT.Impoſſibile plane.soc.Eadem rationenomina ipſanun alicuius fimilia
fierent,niſi illa quibus nomina cõponuntur, limilitudinem aliquam haberent ea
rum rerű , quarum nomina imitationes ſunt. Ea vero quibus conſtant nomina ,
elemen ta funt.CRAT. Sane . soc . lam tu ſermonis eiuseſto
particeps,cuiusnuperHermoge nes.An rectediceretibi uili ſumus, quod ipſum plationi,motui,aſperitati
congruit? CRAT.Rectemihi quidem.soc.Ipfum aūta leni & molli, accæteris quæ
narrauimus: CRAT. Profecto.so c.Scis'ne quod idem ,id eſt aſperitasipſa nobis
quidē oxigpótys uo icatur, Eretrienſibus uero oxi spóryg: CRAT.Vting.soc. Vtrữambo
hæclp& o, eidem fimilia uidentur,idemg oſtendűc tam illis per ipliuse
determinacionē,quam nobis pero nouiſſimű,uel alteris noſtrum nihil referunt:
CRAT. Vtriſą plane demonſtrant. soc. Vtrum quatenus fimilia ſuntp & o ,uel
quatenus diſſimilia: CRAT. Quatenus fimilia . soc. Nunquid penitus ſimilia
ſunt,ad lacionē æque ſignificandā : quin & ipſum a inie ctum ,cur non
contrariū aſperitatis ipſius ſignificat: CRAT. Forte'non recte iniectữeſt ô
Socrates, quamadmodūea quæ tu in ſuperioribus cum Hermogenehoc tractabas,dum
&auferebas &inferebas literas ubimaximeoportebat. Acrecte mihi facere
uidebaris. &nunc forte pro 1, s apponendű eſt.so.Probeloqueris. Quid uero
nuncuc loqui nihil percipimus inuicé, quando quis orangón pronunciat : nec tu
quidnuncego dicã, intelligis: CRAT.Intelligo equidem propter
conſuetudiné.soc.Ouir lepidiſſime,cum confuetudinem dicis , quid aliud præter
conuentionem dicere putas. An aliud conſuetu dinem uocas, quàm quodego cum id
pronuncio,illud cogito,eu quoc quod ipſe cogítē percipis :Nonhocdicis: CRAT.
Hoc ipsum.soc.S ;id mepronunciante cognoscis, per mne tibi fit declaratio ,ex
diſſimili uidelicet eius quod ipſe cogitans profero: quãdoquide ipſum ,
diſſimile eft eius quo tu ordygótym, id eſt aſperitatem úocas. Si hoc ita ſe
habet, profecto ipfe ad id teipfum aſſuefacis, & ex hac conuentione rectam
tibi nominis ratio nem proponis ,poſtộ tibi idem tã diſſimiles of ſimiles
literæ repræſentãt propter ipfum conſuetudinis & conuentionis acceſſum.Sinautem
conſuetudo conuentio minime fit; haudadhuc recte dici poterit ſimilitudinē eſſe
declarationem, imò cõſuetudinem dicere oportebar. Siquidē ex
ſimilitudine&diſſimilitudine conſuetudo declarat , Hisaricco ceffis,ô Cratyle
nempe ſilentiñ tuum pro cõceſſioneponam) neceſſe eſt conſuetudině cca aliquid
conuentionēģconcere,conferreġ ad eorû quæ ſentimus& loquimur expreſſio
nem.Nam ſi uelis ,optime uir,ad numerorũ conſiderationem defcendere, quo
pactoſpe ras, adeò propria reperturű te nomina ut ſingulis numeris ſimile nomen
attribuas, ſi no permiſeris cõcefſionem tuam , conuentionemý autoritatê aliquam
circa nominū ratio nem habere: Mihi quidē et illud placet,ur nomina quoad fieri
poteſt, rebus fimilia ſinta Coc Vereor tamen neforte,utdicebatHermogenes, tenuis
quodãmodoſic iſtius ſimilitudi nis uſurpatio , cogamurg & oneroſa
hacre,cõuentioneuidelicet uti, ad recta nominum rationem :quoniã tunc forte pro
uiribus optime diceretur,cum uel omnino ,uel maxima ex parte ſimilibus,id eſt
cõuenientibus diceremus,turpiſſime uero cữ contrà . Hocautē poft hæc inſuper
mihi dicas: quã nobis uim habētnomina, quid'ue pulchrâ perhec effi. cinobis
afferimus:'CRAT.Doceremihi quidē nomina uident,ô Socrates,idý fimplicia ter
aſſerendű , quòd quiſquis nomina ſcit, & res itidē ſciat.so. Forte ô
Cratyle,tale quid cuc dam dicis, q cũnoueritaliquisquale ſitnomē,eſt aūt tale
qualis &res exiſtit, rem quoq ipſam agnoſcet, quandoquidē nominis eft res
ſimilis. Arsaūtuna eadem eſt omniüin cor ter ſe ſimiliū .Hac ratione
inductusdixiſſe uideris; quod quiſquis nomina cognoſcit, res ecc quoghi quoq
ipfas agnoſcet.cRAT.Veraloqueris.soc.Age ,uideamus quismodus docenda rum rerum
iſte ſit ,quem ipſenuncdicis, & utrum alius prætereaſit,hic tamen potior ha
beatur,uel alius præcerhuncnullus. utrum iſtorum pocius arbitraris: CRAT. Hoccerte,
quòd nullusuidelicet alius ſit,fed hic folus & optimus.soc.Vtrum uero &
resipſas ita reperiri cēſes,ut quicung nomina reperit,ea quoq quorum nomina
ſunt,inueniat: An quærendum potiusalium modum quendā,hunco diſcendű.CRAT.Maximeomniale
cundum iſtahuncipfum & quærendű & inueniendum . soc.Age,ita
conſideremus,ô Cratyle: ſiquis dum res inueſtigat,nominaipſa ſequitur,rimatur;
quale unãquodą uule elle,uides maximum decepcionis pericula ſubit:CRAT. Quo
pacto: soc.Quoniam qui principio nominapoſuit, quales effe resopinatus est,
talia quoq nomina,ut diceba mus,effinxit.Nonne itar CRAT.Ita prorſus.
Soc.Siergo illenõrecteſenlit, & ut ſenlie inſtituit,nõne & nos
fequentes eius ueftigia deceptos iri exiſtimasť CRAT.Haud ita elt imòneceffe
ſciencem fuiffe illum quinomina poſuit.Aliter autem ,ut iamdudâdicebam , nomina
nequaſ effent.Euidentiſlimoautem argumento id eſſe tibipoteſt, haudà ueri tate
aberrauiffe nominum autorē,quòd ſimale ſenſiſſet,nequaq libiita omnia conſona.
rent.An non aduertiſti & ipfe, cum diceresomnia in idem tendere 'soc.Nihil
ifta obo. neCratyle,ualet defenſio .Quid enim mirum eft, li primodeceptus
nominâ institutor, se quentia rurſusad primum ui quadã traxit,& ipfi
conſonare coegit:Quemadmodücirca figuras interdűexiguo quodam primo ignoto
falſof exiſtente , reliqua deinceps multa Circa prin , inuicem conſonant .
Debetenim quiſo circa rei cuiuſ principium ſtatuendű differere » cipium ſta ,
multa,diligentiſſime conliderare,utrum recte decernat,nec ne . quo quidem
fufficiens tuendă diſ ter examinato ,cætera iam principium fequidebent, Miror
tamen ,fi nomina libímet con i ſereremulta gruunt. Conſideremus iterum quæ
ſupra retulimus. diximus profecto ita nomina effen. oportet tiam ſignificare
qualiomnia currat,ferant & defluant. Ita'nelignificare cenſes ? CRAT. Ita
certe. & recte quidē.soc.Videamusitaqs ex illis aliqua repetentes .
Principio nom hocwrshug,id eſt ſcientia ambiguum eſt,magis a ſignificare
uidetur, quod istory,ideft fiftit in rebus animam , ĝ quod cum rebus pariter
circumfertur:rectiusos eſſe uidetur, ut principium eiusutnuncüdishulu dicamus,
per e ipſius eiectionem , & pro 4, 5 potius adijciamus. Deinde Bébajok , id
eſt firmum dicitur, quoniam badoows & scotas, ideft firmamenti, et status
potius quam lationis est imitation. Præterea igoelæ ad forte ſignifi cat quod
isgor t powi, id eft ſiſtit fluxum , & ipſum nisov,id eſt credendum , isaw
, id eſtfira mare omnino ſignificat.Quinetiã uykusid eſtmemoria,oftendit
prorſus quod in anima nõagitatio eft,fedpovni,id eft quies,ſtabilise permanſio.
Atquifiquis nomina ipſaobler ueta écueapariæ & ovuqoça ,id eft error &
cótingentia caſus ,idem uidebuntinferre,quod owens & ufiskur, id est
intelligentia at scientia, & cætera nomina quæ præclarisſunt rebus
impoſita.ltem cualíc & cronacíc , id eſt inſcitia & intêperantia
,proxima hisui dentur .icuclic quidē importareuidetur,&cket demi loves
aegear, id est simul cum deo eun tis progreſſum . cronæriæ uero omnino quandam
ipfarum rerum arodubiav,id eft perſe. cutionem atq cogreffum .At ita quæ rerum
turpiſſimarű nominaeffe putamus,nomi num illorû quę circa pulcherrimaſunt,
ſimillimauidebuntur.Arbitror & aliamultare periri poffe,fiquis ad hæc
incumbat, ex quibus iterum iudicabit nominữautorêno cur rentes delataso res,imò
ftabiles indicare. CRAT.Verūtamen multa o Socrates ſecundi agitationis
ſignificationē uides illum conſtituiffe.soc. Quid agemusô Cratyle : Nun quid
fuffragiorû calculorum inſtarnomina ipſa dinumerabimus : at ad hancnormă
derecta ratione nominū iudicabimus,ut ea tandem uera ſint,quibus significationes
plu rium nominum fuffragantur: CRAT.Haud decet . soc. Non certe amice. Sed his
iam omiſſis,redeamus illuc unde digreffifumus. Dixiſtinuper,firecordaris,neceffariñelle,
illűquinomina ſtatuit,prænouille ea quibus nomina tribuebat:perſtasadhuc in
ſenten tia ,nec'ne'CRAT. Adhuc.so c.Nunquid & illum
quiprimanominapoſuit,nouiſicais dum poneret: CRAT. Nouiſſe.soc.Quibusex
nominibus resueldidicerat,uel invene rat, quando necdâ primanomina fuerāt
inftitutar cum dicta ſit impossibile esse resuelig vuenire, uel diſcere,niſi
qualia nominaſint,didicerimus,uelipfinosinuenerimus. CRAT: Videris mihinonnihil
ô Socrates, dicere. soc.Quo igitur pacto dicemus eos ſcientes, nomina
poſgillexuellegum & nominü conditores ante poſitionem cuiuslibet nominis
extitille extitiffe, eosý res antea cognouiffe,fiquidem nõ aliter quam ex
nominibus diſcires por finer"CRAT. Reor equidem Socratesueriſsimum eum
effe fermonem quo diciturex.co cellentiorem quandam potentiam quam humanam
primarebus nomina præbuiffe, quo neceffarium lit ut recte fuerint diſtributa .
soc. Nunquid putas cótraria libijpfipofuif-cc ſe nominum autorē li dæmõ aliquis
ueldeusextitit: an nihiltibi fupra dixiffe uidemur: CRAT.Forte'nondum alterum
iftorum nomina erant. soc. Vtraigitur erantuir opti me; num quæ ad ftatum
uerguntian quæ ad motum potius Neq enim , utmodo dixi
mus,multitudineiudicabitur. CRAT.Sic decet Socrates.soc.Cum itaque diſſentiant
contendanto de ueritate inuicem nomina, & tam hæcquàm illa uero
propinquiora effe feafferant,cuiusadnormam dijudicabimus.Quò nos uertemus: Nec
enimad alia no mina confugiemus, quia præterhæcnulla. Verum alia quædam præter
nomina quæren da funt,quæ nobis oftendantabſque nominibus,utra iſtorum uera
ſint, rerum uidelicet monſtrantia ueritatem . CRAT.Itamihiuidetur.soc.Si hæc
uera ſunt Cratyle , pof ſunt,utuidetur, res line nominibus percipi. CROT.
Apparet. soc. Per quid potiſsi mum aliud fperas res ipfas percipere:Nónne per
quod conſentaneum ac decenseft: pet mutuam illarum communionem , fcilicet
fiquomodo inuicem cognatæ sunt, & perse ipsas maxime. Quod enim aliud eft
ab illis , aliud quiddam non illas significat. CRAT. Vera
loquiuideris.soc.Dicobſecro nonne iam fæpe conceſsimus,nomina quæ recte pofita
funt,fimilia illorum eſſe quorum ſuntnomina,rerão imagineseffe: CRAT. Con
ceſsimus planè.soc.Si ergo licetrespernominadiſcere , acetiam per ſeipfas, quæ
præ ftantior erit lucidiorý perceptio :Num si ex imagine cogitetur et imago
ipſa utrum re cteexpreſſa fit, & ueritas cuiushæc eftimago: Anpotiusfi ex
ueritate tam ueritas ipſa . quàmipſius imago,nunquid decenter imago ad eam
fueritinſtitucar CRAT. Siexueri tate.soc. Qua ratione res vel per doctrinam vel
per inventione comprehendendęſint; iudicare, maioris quàm meum ac tuūſit, ingenñ
opus esse uidetur. Sufficiat autem nunc internos conftitiffe quod non ex
nominibus,immoex ſe ipſis potiusdifcendæ quæren dæg ſunt.ERAT. Sicapparet ô
Socrates .soc.Animaduertamus & hocpræterea,në mulra hæcnomina in idem
tendentia nosdecipiant, cũ quiilla impofuerunt, currere om nia semper
flueresputauerint,ato ea cõſideratione poluerint:uidenturnempemihiita
exiftimaffe:quorû camēopinio fi talis extitit,falſahabêda eſt.profecto
illiuelut in quan dam delapfi uertiginem , & ipfi uacillant iactanturcs,
& nosin eadem rapientes immer gunt. Cõlidera uir mirifice Cratyle quod ego
sæpenumero fomnio , utrum dicendû est: esse aliquid ipſum pulchrum ac bonum
,& unum quodas exiſtentium ita,nec ne.CRAT. Mihiquidem ô Socrates eſſe
uidetur.so c .Illud igitur ipſum cõſideremus, non ſi uul cus quidam aut aliquid
taliú pulchrum eſt, quippe hæc omnia fluunt:ſed ipſum pulchrữ
dicimus,nonneſemper tale quale eſt perfeuerat : CRAT. Neceſſe eſt.soc. Nunquid
possibile eft ipſum recte denominare si ſemper fubterfugit, acprimo quid illud
fic dein de quale ſit dicereruelneceſſariû eſt,dum loquimur aliudipſum ftatim
fieri,iugitero dif fugere,nec tale amplius eſſe: CRAT. Neceflarium.soc. Quo
pacto aliquid illud erit, quod nunquam eodem modo ſe habet: Sienim quandoq
eodem modo fe habet , eo in tempore minimepermutatur:fin autem ſemper eodémodo
ſe habet;idemg exiſtit , quo modo tranfituelmouetur, cum ideam ſuam non
deferat: CRAT. Nullo pacto: so ca Præterea ànullo cognosceretur. dum enim cognitura
uis ipsum aggrederetur, aliud alie numosfieret.quare quid ſit aut quale
cognoſcinõpoffet .nam cognitionulla ita réper cipit, utnullo modo fe habentem
percipiat. CRAT. Eft ut ais.soc . Sed ne cognitio nem ipfam effe affirmandẫeſt
ô Cratyle ſi deciduntomnia,nihilg permanet.Sienim co gnitio ex eo quod cognitio
eſtnon decidit, permanebit semper, ac ſemper eritcognitio irautem cognitionis
ſpeciesipſa diſcedit,ſimul & in aliam cognitionis fpeciem delabe tur,neæ
cognitio erit.Quod fi perpetuomigrat , ſempernon erit cognitio. Aro hacra .
tionenew quod.cogniturum eſt,nec quod cognoſcen lum ,ſemper erit. Sinautem fem
per eſt quod cognoſcit,eft quod cognoſcitur,eft pulchrű,eft & bonum , eſtý
deniq exi. Itențium unűquod & quæ in præſentia dicimus,fluxus lationis
ſimilia non uidentur.Vtrum uero hæcita ſint,an ut dicebantHeraclitiſectatores,
alijg permulti,haud facile di ſcerni poteſt.Nec hominis ſanæmentis eft feipfum
animumg luū nominibuscredere; & autorem nominum sapientem asseverare, atqz
ita de ſeipſo rebus omnibus maleſen 9 ) tire,ut putet nihil integrum firmumą
exiftere,ied omnia uelutfictilia fluere atg conci. v dere, &quemadmodum
homines deſtillationibus capitisęgrotantes,fimiliter quoqres w ipsas affici
iudicet, adeo ut deſtillatione et fluxu omnia comprehendantur. Forteộ Cratyle
ita eſt,forteetiã aliter:forti animo &diligenti ſtudio inueftiganda res
eſt.neqením fácile aſſentiendum.Iuuenis adhuces , arque tibi fufficitætas. Et
liquid inveneris inda gando, mihi quog impartiri debes. CRAT. Nauabo operam Socrates.
Ac certe {cito meetiam in præfentia non torpere,immocogitāti mihi et multa
animo reuoluenti mul tomagis ita ut dicebas ipse, quam ut Heraclitus,res ſeſe
habere uidentur.soc.Dein ceps amice poftquam redieris me docero . Nuncautemut
conſtituiſti in agrum perge. Atqui & Hermogenes hicte comitabitur. CRAT. Fietutmones
Socrates.Verum tu quoque iam de his cogita. Roberto Dionigi.
Keywords: ermeneutica, svolta linguistica, cratilo, linguaggio, la forma del
linguaggio, forma logica. Nietzsche. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dionigi” –
The Swimming-Pool Library.
Disertori (Trento).
Filosofo. Grice: “I like Disertori; especially his ‘studi platonici’ on the
archer, and, ‘under the sky (or is it heaven – ‘cielo’ is a trick) of Saturn!” Frequenta
il Ginnasio liceo Prati. Si iscrive poi a Firenze e quindi si trasferisce a Genova,
dove si laurea con “Fisio-patologia del sistema nervoso centrale”. Si
trasferisce a Milano e si specializza in neurologia e psichiatria con Besta.
Torna a Trento, dove esercita la libera professione: la carriera pubblica e
ospedaliera gli era preclusa in quanto privo della tessera del Partito
Nazionale Fascista. Antifascista da
sempre, negli anni quaranta partecipa attivamente alla Resistenza, incontrando
fra gli altri Reale, Pacciardi, Battisti, Bacchi, e Manci. -- è costretto a
riparare in Svizzera. Finita la guerra ritorna in Italia e, a Trento, diventa
primario nel reparto di neurologia dell'ospedale Santa Chiara e docente sia di
neurologia e psichiatria a Padova, sia di socio-psichiatria e criminologia a Trento. Pubblica più di 300 saggi di filosofia. Per tutto il secondo dopoguerra si occupa
attivamente di politica, ricoprendo la carica di presidente regionale del
Partito Repubblicano. Diventa inoltre presidente della Croce Rossa .Altre
opere: “Il libro della vita”; “Trattato delle nevrosi”; “De anima”; “Trattato
di psichiatria e socio-psichiatria”; “Sfida al secolo, 1975. La collezione si
trova già chiaramente ordinata e organizzata dal Disertori stesso, con un ricco
carteggio con scienziati, personalità politiche e del mondo della cultura,
documenti sull'attività scientifica e pubblicazioni; cronache e materiali
raccolti durante i viaggi; recensioni alle sue opere e materiali di ricerche
scientifiche. Coppola, Passerini, Zandonati. SIUSA. G. Coppola, A. Passerini e G. Zandonati , Un
secolo di vita degli Agiati. “Sotto il segno dell'uomo” Beppino Disertori. Atti
del convegno di studio, Trento, Palazzo Geremia, Pensiero e opera letteraria di
Beppino Disertori, Manfrini, Calliano (TN), L. Menapace et al. , Note
biografiche, R. Bacchi et al. , Biografia, Accademia del Buonconsiglio, Trento,
Beppino Disertori. Giuseppe Disertori. Keywords: libro della vita (why do we
live?), il messagio di Timeo, itinerari pitagorici, pitagora e aligheri –
tensione dell’arco vuolo – eraclito – platone – politeia di Platone – Grice on
Plato’s Republic – plato carmide e la medicina – dell’anima – psicologia
teoretica -- sul segno dell’uomo, de anima. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Disertori” – The Swimming-Pool Library.
Dòdaro (Bari).
Filosofo. Grice: “Dòdaro is an interesting one –
totally cryptic of course! It is as if he were Nowell-Smith, Austin, and Donne,
combined into one! Recall Nowell-Smith’s challenge to Austin: “Donne is
incomprehensible,” “He surely ain’t!” Costretto
a riparare a Turi per sfuggire ai bombardamenti. A Bari si legò a Maglione,
Castellano, Piccinni e, assieme allo zio Silvio, prendeva parte agli incontri
artistici e letterari del caffè-pasticceria Il Sottano (in quegli anni
frequentato da Moro, Albertazzi, Scotellaro, Bodini, Calò ecc.), fondato da Scaturchio,
e agli incontri di Laterza e del circolo La Scaletta di Matera. Nello stesso
periodo conobbe Nazariantz, il quale rappresentò per Dòdaro una sorta di guida,
fu lui, infatti, a introdurlo per la prima volta agli incontri del Sottano dove
ebbe modo di stringere amicizia con Bodini, Calò, Scotellaro. Abbandonò presto
Bari, tentando una prima fuga a Parigi, città in cui sarebbe tornato a vivere
altre volte, prima di tornare a Bari per poi trasferirsi a Lecce. Altre tappe,
prima del trasferimento a Lecce, furono Milano e Bologna. Divenne allievo di Morandi,
presso l'accademia, infatti, prime espressioni della sua attività artistica
furono la pittura, praticata per una manciata di anni, e il teatro, poi diluito
nelle successive esperienze poetiche e narrative. Come pittore produsse alcuni
quadri in cui all'informale materico univa le combustioni, applicate, di fatto:
Verri riporta in suo intervento: arriva con la novità dei colori
"bruciati". Di questo ciclo di opere faceva parte "Svergognato
incantesimo di barca", che gli valse, successivamente, la segnalazione
presso il premio "Il maggio di Bari". Prima del trasferimento a
Lecce, lavora presso l'ufficio stampa della Fiera del Levante, a stretto
contatto con Fiore, figlio di Tommaso, venendo influenzato dal meridionalismo.
Sempre nel clima della Fiera del levante, strinse un ottimo legame con Tot. Al
suo arrivo a Lecce riallacciò i rapporti con Bodini e Calò, oltre che con Suppressa,
conosciuto in occasione del premio Il Maggio di Bari, entrò, inoltre, in
contatto con quelli che sarebbero stati poi suoi amici e compagni artistici:
Durante, Massari, Candia, Pagano. Ebbe frequentazioni con Bene e strinse
importanti sodalizi amicali e letterari con Verri, Gelli, Caruso, il quale, in
corrispondenze private, ebbe modo di rinominare la loro amicizia e
collaborazione come il "sodalizio Caruso-Dòdaro". A Leccesi rese
protagonista, con Candia, di un grande falò in cui i due bruciarono tutti i
quadri realizzati fino a quel momento. Per quanto riguarda l'opera pittorica "Svergognato incantesimo di barca",
insieme a pochi altri, si salvò dal falò perché all'epoca custodito presso la
casa dello zio Silvio. Dopo questo iniziale periodo di ricerca e
sperimentazione, abbandona la scena artistica per circa vent'anni, anni in cui
si dedicò allo studio intenso nel tentativo di scoprire il perché del
linguaggio, rompendo il silenzio con la fondazione del Movimento di Arte
Genetica con sede a Lecce, Genova e Toronto. Con tale movimento, rintracci
l’origine dell’italiano o romano nel battito materno ascoltato in età fetale,
teorizzando il romano o italiano come una congiunzione volta a rifondare la
dualità dell’essere umano non un regressus ad uterum, bensì la coppia, la
dualità, ovvero la dimensione originaria della comunione con l’altro e come lutto,
annodandolo alla mancanza di Lacan. Il movimento si doterà di due riviste:
“Ghen”, giornale modulare ideato da Dòdaro con sede a Lecce, e “Ghen Res
Extensa Ligu” con sede a Genova e diretta da Mignani. L’idea del modulo come
unità di misura sarà alla base della struttura modulare di “Ghen” oltre che
della concezione dello spazio, mutuata sempre dagli studi sulla dimensione pre-natale,
fino a sfociare nel manifesto "Incliniamo l’orizzonte”. L’italiano o il
romano diventa una congiunzione, una dichiarazione onomatopeica in cui si
alimentava il trionfo del lutto e la mancanza. L’orizzonte diventa orizzonte
mediale: poesie per i treni, per gli altoparlanti e più in là romanzi in tre
cartelle, romanzi su cartolina, collane spaginate, poesie e poesie visive da
proiettare per le strade, poesie per internet, net.poetry, narrazioni su
leaflet, romanzi da muro-narrativa concreta, romanzi di cento parole da
pubblicare in store, nelle vetrine dei negozi. Al Movimento di Arte Genetica
aderirono, o ruotarono attorno alle sue riviste e attività, un numero considerevole
di autori provenienti dalle sperimentazioni poetiche e poetico-visive,
performative, sonore, plastiche: Miccini, Marras, Mignani, Fontana, Munari,
Fiore, Dramis, Perfetti, Pagano, Gelli, Noci, Greco, Lorenzo, Marocco, Massari,
Miglietta, Center of Art and Communication (Toronto), Giorgio Barberi
Squarotti, Toshiaki Minemura, Xerra, Sicoli, Souza, Alternativa Zero,
Experimental Art Foundation (South Australia), Block Cor (Amsterdam),
Genetet-Morel, Lepage, Martini, Valentini, Restany, Etlinger, Caruso, Verri,
Miglietta, Nigro ecc. Con la nascita del movimento di Arte Genetica,
avvia una personale riflessione sull'oggetto-libro e le sue modalità fruitive,
avviava il progetto "Archivio degli operatori pugliesi", per una
catalogazione degli operatori estetici e culturali. Crea e anima «il centro di
ricerca 1.4.7.8. (strutturato, nel nome, sulle coordinate della Classificazione
Decimale Dewey, ad indicare i percorsi di ricerca: filosofia, linguistica,
arte, letteratura), ospitato dalla Libreria Adriatica di Lecce, e con il quale
coinvolge numerosi operatori del territorio (docenti universitari, il gruppo
Gramma, il Centro ricerche estetiche fondato a Novoli da Greco e Lorenzo, il
gruppo Oistros di Durante e Santoro, gli autori del gruppo di Arte Genetica da
lui fondato ecc). Ha diretto la casa editrice Conte di Lecce, ha fondato a
Lecce, il movimento letterario New PageNarrativa in store. La sua attività letteraria
ed editoriale è stata caratterizzata da
uno spiccato senso per la formazione di gruppi e la ricerca di autori da
lanciare, rappresentando sul territorio pugliese un autentico volano per
operazioni di ampio respiro che andavano spesso a coinvolgere autori del
panorama letterario internazionale. Idea e dirige una mole notevole di
collane editoriali volte al rinnovamento dell’oggetto-libro, fra queste:
«Scritture» (Parabita, Il Laboratorio), «Spagine. Scritture infinite»
(Caprarica di Lecce, Pensionante de' Saraceni) scritture di ricerca formato
poster, spaginate, «Compact Type. Nuova narrativa» (Caprarica di Lecce,
Pensionante de' Saraceni) ovvero romanzi in tre cartelle, «Diapoesitive. Scritture
per gli schermi» (Caprarica di Lecce, Pensionante de' Saraceni) scritture di
ricerca da proiettare, «Mail Fiction» (Caprarica di Lecce, Pensionante de'
Saraceni) romanzi su cartolina, «Wall Word» (Lecce, Conte Editore,)tradotta in
giapponese ed esposta all’Hokkaido Museum of Literature di Sappororomanzi da
muro, ovvero collana di narrativa concreta, «International Mail Stories»
(Lecce, Conte Editore), «Internet Poetry» (Lecce, Conte Editore) una delle
primissime esperienze italiane di net poetry, «Walkman Fiction. Romanzi da
ascoltare» (Lecce, Argo), «E 800 European Literature», in 5 lingue (Lecce,
Conte Editore), «Pieghe narrative» (Lecce, Conte Editore), «Pieghe poetiche»
(Lecce, Conte Editore), «Pieghe della memoria» (Lecce, Conte Editore), «Foglie
nude» (Doria di Cassano Jonio), «Locandine letterarie» (Lecce, Il Raggio Verde),
«Romanzi nudi» (Lecce) in unico esemplare, «Carte letterarie» (Lecce, Astragali),
«792 Mail Theatre» (Lecce, Astragali), «New Page. Narrativa in store», (Lecce)
narrativa breve, poi anche poesia e teatro, in cento parole, collana che guarda
alla comunicazione pubblicitaria con i testi applicati su crowner, pannelli
cartonati in uso nella comunicazione pubblicitaria, ed esposti in store, nelle
vetrine dei negozi. Nell'ambito della poesia verbo-visiva e del
libro-oggetto, è presente in numerose manifestazioni di «Nuova scrittura»: Ma
il vero scandalo è la poesia. Un salto di codice, Ferrara, Ipermedia; Attorno a
noi poeti in gruppo, Strudà (Lecce), Ospedale psichiatrico; Dentro fuori luogo,
Casarano, Palazzo D'Elia; Centro internazionale Brera, Documenti di gestione
alternativa. Appunti sulla Puglia, Milano, Chiesa San Corpoforo; Artigianare
'81, Lecce,1981; Cercare Bodini, Bari / Lecce, Ab origine, Martina Franca;
Parola fra spazio e suono. Situazione italiana, Viareggio; Le brache di
Gutenberg, Caruso, Visco, Livorno; Far libro. Libri e pagine d' artsta in
Italia, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Il segno della parola e la
parola del segno, Milano, Mercato del sale, Breton et le poeme-objet, Ugo
Carrega, Milano, Mercato del sale, Le porte di Sibari, Sibari, Visibile
Language. Numero speciale sulla poesia visuale. Sezione Italia, E. Minarelli,
USA; Cartoline d'artista, Livorno, Belforte, Terra del fuoco. Intersezioni per
Adriano Spatola, QuartoNapoli, La parola dipinta. Rassegna di poesia visuale,
Belluno, Comune di Gallarate Civica galleria d'arte moderna. Casa d'EuropaSede
di Gallarate, Pagine e dintorni, Libri d' artis ta, Gallarate,L. Pignotti, “La
poesia visiva”, L'immaginazione (Lecce), S-covando l'uovo, Firenze, Terra del
fuoco, QuartoNapoli, Musei Civici di Mantova, Poesia totale. Dal colpo di dadi
alla Poesia visuale. Mantova, Sarenco, Palazzo della Ragione, Archivio libri d'
artista. Laboratorio 66, G. Gini e F. Fedi, Milano, È presente in Musei,
Biblioteche, Archivi. Tra i più importanti: Biblioteca Nazionale Centrale di
Firenze“Libri e pagine d'artis ta”con l’opera Mar/e amniotico, 1983; Galleria
d’arte moderna di Gallarate, con le opere Mourning Processes. The word, 1991 e
Processi di lutto. Notizen: dis, 1991; Museo S. Castromediano di Lecce, con l'opera
Matram psicofisica, Archivio Sackner, Miami Beach, e Archivio Della Grazia di
nuova scrittura, Milano, con varie opere; Hokkaido Museum of Literature, con la
collane “Wall Word”, nteramente tradotta in giapponese; Imago mundi-Visual
poetry in Europe (Fondazione Benetton, ) ecc. Altre opere: Dichiarazione
onomatopeica (Lecce); Progetto negativo (Lecce,); Disianza Congiuntiva (Livorno);
Disperate Professore (Parabita); dis/adriatico (Caprarica di Lecce); Tracce di
un discorso amoroso (Caprarica di Lecce); Compact Type. Nuova narrative Con A. Verri,
(Caprarica di Lecc); Sconcetti di luna (Caprarica di Lecce); Mail Fiction. Free
Lances Con A. Verri(Caprarica di Lecce); Navigli (Caprarica di Lecce); Void
Fiction (Sibari,); Street Stories (Lecce)tradotto in giapponese(SapporoJapan);
Parole morte. Dead Words (Lecce); L’addio alle scene (Lecce); Antonio Verri.
Schegge del contestocon M. Nocera (Lecce); 18 i titoli pubblicati su leaflets
(Lecce), 16 «Pieghe narrative» e 2 «Pieghe poetiche»: “Pieghe narrative”:
Vento, vento, I colombi della clausura, Il figlio dell'anima, La Balilla ,
Graziato, Il monumento, Dove volano i gabbiani, La mimosa, Ricordanze zigane,
Franco, Joe Cocker, All'ombra del grande vecchio, Reparto «P», Il tradimento,
27 marzo, L'esame. “Pieghe poetiche”: Rosa virginale, Il solista; Dichiarazione
d'innocenza (Lecce); 7 i «Romanzi nudi», titoli in unico esemplare (Lecce, Dis,
Era d’autunno, Il falò, L’Objet trouvé, Silenzi, Why, Ballata migrante, Uscita
in marasma (Lecce); Di viole. D’incanti. Astragali teatro (Lecce ); New Page:
In un bosco di frammenti (Lecce), La parola tramava (Lecce); Le prime notti
stellate (Lecce) interrogatorio violento (Lecce, ) I suoi ramaggi (Lecce, ).
Grigiori dell’anima (lecce, ), Di un solstizio d’amore (Lecce, ), Maria la
magliaia (Lecce, ), Teresa. L’Altrove, (Lecce, ), La mer. Ma mère (Lecce, ),
Una notte senza stelle (Lecce). Le distese di grano, (Lecce), Gastronomia da
asporto (Lecce), Una sua lettera (Lecce), Trincee matricali (Lecce), Compagno
d’accademia (Lecce). Tra i gabbiani (Lecce), Cioccolatini di Chicago (Lecce),
Cantata duale (Lecce). La tromba dell’altrove (Lecce), Il nipote violoncellista
(Lecce); ‘Operatori culturali contemporanei in Puglia. Archivio storico
divulgativo, Lecce); “Ambivalenze genetiche”, Ghen (Lecce) ora in “Genetic
Ambivalencie”, Art Communication Edition, Toronto-Canada) “Links”, Ghen
(Lecce), “Il complesso di Edipo e quello di Caino”, Quotidiano (Lecce); “I
processi di lutto. La Weltanschauung ghenica” in , La parola tra spazio e suono.
Situazione italiana, Viareggio, “Codice yem: le origini del linguaggio, ovvero
la rifondazione della coppia”, Ghen (Lecce) (ora in Regione Puglia, Creatività
e linguaggio. Atti del Convegno, Maglie); “Dis-astro”, in A. Massari,
Dis-astro. Loos, Lecce, “L’area inter-media”, in F. Gelli, Transitional Objects.
Mutter Fixerung, Lecce; “Ipotesi interpretativa del fenomeno droga, formulata
da una coscienza che opera nella poetica. Della scissione. Della prevenzione”
in Tossico-dipendenza: progetto di lotta per gli anni ’80Centro studi giuridici
M. Di Pietro. Convegno. Lecce; “Mater externata”, in L. Caruso, Mater: poesia.
Madre e signora dell’acqua, Lecce; “Lontananze genetiche. Ad cantus enclitico”,
in Manifesto mostra gruppo Ghen, Milano; Progetto negativo, Galatina (ora
in Ab origine. Presenze pugliesi nell’arte contemporanea, Roma-Bari); “La letterarietà
di Caruso”, in E. Giannì, Poiesis: Ricerca poetica in Italia, Arezzo; “La
poesia totale di Spatola. Il convegno di Celle Ligure”, On Board, Lecce; “Wall
Word: parole da muro, romanzo da muro”, in F.S. Dòdaro, Street stories, Lecce;
“Dodici haiku. Dodici punti di rilevamento”, in E. Coriano, A tre deserti
dall’ultimo sorriso meccanico. Three deserts from the shadow of the last
mechanical smile, Lecce; “Una pagina diversa, up to date”, in Pieghe narrative,
Lecce; Schede d'arte contemporanea. Implicatura e Mappatura schedografica degli
Autori contemporanei, Lecce; “L’ampliamento della flessione”, in Archivio libri
d’artista. Laboratorio 66, Milano; “Le anime narranti di Alberto Tallone”, in
Alberto Tallone. Manuale tipografico, Alpigiano (Torino), New Page (Lecce);
L'ortografia è morta. L'apparato pausativo, in New Page (Lecce). Francesco
Aprile, Già così tenera di folla, in Intrecci, Napoli, Oèdipus, Edoardo, un cavaliere senza terra, su bit. Antonio
Verri, Edoardo, Un cavaliere senza terra, su bit. Francesco Aprile, Poesia qualepoesia/06:
Un’altra pagina. Le ricerche intermediali a Lecce, su Puglia libre, Testi di
teoria letteraria/editoriale, su utsanga.
Archivio di nuova scrittura, su verbo visual virtuale.org. Cantata duale, Imago mundi-Visual poetry in
Europe, su imagomundiart.com. Antonio
Verri, Una stupenda generazione, SudPuglia, Antonio Verri, Edoardo, un
cavaliere senza terra, SudPuglia, Francesco Aprile, Già così tenera di folla, Napoli,
Oèdipus, Francesco Aprile, La parola
intermediale: lineamenti di un itinerario pugliese, in Aprile F.-Caggiula C. ,
La parola inter-mediale: un itinerario pugliese, Cavallino, Biblioteca Gino
Rizzo, Aprile, Fra parola e new media,
in Aprile F.-Caggiula C. , La parola intermediale: un itinerario pugliese (atti
del convegno), Cavallino, Biblioteca Gino Rizzo, Cristo Caggiula, Intersezioni asemiche nel
movimento di Arte Genetica, in Aprile F.-Caggiula C. , La parola intermediale:
un itinerario pugliese , Cavallino, Biblioteca Gino Rizzo, Visual poetry: A short anthology, in utsanga,
L'ortografia è morta. L'apparato pausativo, in utsanga, Testi di teoria
letteraria/editoriale, Codice Yem, le
origini del linguaggio: ovvero la rifondazione della coppia, in utsanga,
Letterarietà di Caruso, in utsanga, La poesia totale di Spatola/Il convegno di
Celle Ligure, in utsanga Francesco Aprile, Il rapporto Dòdaro-Verri attraverso
la critica, in utsanga Francesco Aprile, Dal modulo all'internet poetry, in
utsanga, Aprile, L’Arte Genetica, in utsanga, Aprile, New Page: Narrativa,
Poesia, Teatro, Scavi in store, in utsanga, Aprile, New Page: la poiesi come approccio
etnografico, Cavallino, Biblioteca Gino Rizzo, Aprile, New Page, collana di
critica letteraria, Sondrio, Edizioni CFR,
Intervista a Vincenzo Lagalla, Francesco Aprile, in utsanga Lamberto
Pignotti, Introduzione, L'addio alle scene, Lecce, Argo,ora in utsanga Lamberto
Pignotti, Rebus, iper-rebus. Parole da vedere, immagini da leggere, in utsanga,
Caruso, Frammento, in utsanga Julien Blaine, Omaggio alla "O" in Francesco
Saverio Dòdaro, in utsanga Ruggero Maggi, Dedica, utsanga Alessandro Laporta, cercarlo
dove non appare, in utsanga, Mignani, Ghen against again. Risarcimento dei
supporti o della signatura dei segni, in utsanga Egidio Marullo, F. S. Dòdaro. L'ultimo
mentore, in utsanga Omaggio, in
utsanga Cantata plurale, materiali 01,
Caprarica di Lecce, Utsanga. Francesco Saverio Dòdaro. Keywords: mappatura,
signature, segnatura, cantata duale, cantata plurale, origine del romano,
edipo, caino, mancanza di Lanca, communicazione inter-mediale, communicazione
inter-mediale e luto, immagine e signo, sensibilia, visibilia, Freud, Jakobson,
Levi-Strauss, Magritte, “silenzo silenzo silenzo silenzo” Catullo poema rima
ritmo batto cuore figlio madre padre orale genitale ma-ma etymology of ‘altro’
– Hegel on conscience of ego and conscience of alter, Sartre on ‘nous’ and love
affair – infinito – lingua a codice – codice come ripetizione – ripetizione dei
suoni del cuore – ontogenesi ripete filogenesi – commune, vacuum del ventre
della madre, etimologia di termine chiave, fonema, unita etica, unita emica,
Speranza, Schultz, unita emica come classe di unita etica – criterio: un
accordo o codice di relevanza – l’intenzione del mittente. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Dòdaro” – The Swimming-Pool Library.
Donà (Venezia).
Filosofo. Grice: “Well, Donà has philosophised on almost anything – I drank
wine; he philosophises on it – ‘bacchiana,’ he calls it – he has also
philosophised on ‘eros’ for which he uses the very Italian idea of ‘sesso.’ –
And he has also punned with ‘di-segnare’ – ‘di-segno’ – In sum, a genius!” Si
laurea a Venezia sotto Severino, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia
dell'Venezia, iniziai a pubblicare diversi saggi per riviste e volumi collettanei,
partecipando, lungo il corso degli anni ottanta, a diversi convegni e seminari
in varie città italiane. A partire dalla fine degli anni ottanta, collabora
con Massimo Cacciari presso la cattedra di Estetica a Venezia e coordina
per alcuni anni i seminari dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di
Venezia. Sempre a partire dalla fine degli anni ottanta, inizia la sua
collaborazione con la rivista di architettura Anfione-Zeto, della quale dirige
ancora oggi la rubrica Theorein. In quegli stessi anni, fonda, con Massimo
Cacciari e Romano Gasparotti, la rivista Paradosso. Negli anni novanta, invece,
ha insegnato Estetica presso l'Accademia di Belle Arti di Venezia. Attualmente
insegna Metafisica e Ontologia dell'arte presso la Facoltà di Filosofia dell'Università
Vita-Salute San Raffaele di Milano. È inoltre curatore, sempre con Romano
Gasparotti e Massimo Cacciari, dell'opera postuma del filosofo Andrea Emo.
Dirige per la casa editrice AlboVersorio le collane "Libri da
Ascoltare" e "Anime in dettaglio" ed è membro del comitato
scientifico del festival La Festa della Filosofia. Ha scritto diversi saggi e
articoli per riviste, settimanali e quotidiani di vario genere. Collabora con
il settimanale "L'Espresso". Attività musicale In qualità di
musicista, dopo aver esordito, ancor giovane, con Giorgio Gaslini e con Enrico
Rava, forma un suo gruppo: i Jazz Forms, di cui è leader. In seguito sviluppa
il suo linguaggio trasformando l'idioma ancora bop dei primi anni in una
scrittura più articolata in cui entrano in gioco elementi tratti dalla musica
rock e da molte esperienze etniche maturate nel frattempo con diversi gruppi
musicali. Si esibisce in diverse città italiane con un sestetto, in cui ad
accompagnarlo sono una chitarra, una batteria, un basso, delle percussioni e
una tastiera. Nasce così il Massimo Donà Sextet. Suona con musicisti che
sarebbero diventati protagonisti della scena musicale italiana. Suona in jam
session anche con alcuni padri storici del jazz, come Dizzy Gillespie, Marion
Brown, Dexter Gordon e Kenny Drew. Riprende a suonare professionalmente e forma
un nuovo gruppo: il Massimo Donà Quintet, con il quale si esibisce in Italia e
all'estero. Il quintetto diventa quindi un quartetto; che è la formazione con
cui Donà suona da almeno tre anni. A tutt'oggi il nostro ha all'attivo ben
sette CD incisi con suoi gruppi. La sua etichetta di riferimento è sempre la
"Caligola Records", il cui responsabile artistico è Claudio Donà,
fratello di Massimo e importante critico musicale jazz. Altre opere: “Il
'bello, o di un accadimento. Il destino dell'opera d'arte” (Helvetia, Venezia);
“Le forme del fare” (Liguori, Napoli); “Sull'assoluto (Per una
reinterpretazione dell'idealismo Hegeliano” (Einaudi, Torino); “Aporia del
fondamento” (La Città del Sole, Napoli); “Fenomenologia del negative” (Edizioni
Scientifiche Italiane, Napoli); “Arte, tragedia, tecnica” (Raffaello Cortina
Editore, Milano); “L' Uno, i molti : Rosmini-Hegel un dialogo filosofico” (Città
Nuova, Roma); “Aporie platoniche. Saggio sul ‘Parmenide’” (Città Nuova, Roma); “Filosofia
del vino” (Bompiani, Milano); Magia e filosofia (Bompiani, Milano); Joseph
Beuys. La vera mimesi, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo (Milano); Sulla
negazione, Bompiani, Milano); Serenità: una passione che libera, Bompiani,
Milano); La libertà oltre il male” (Città Nuova, Roma); Il volto di Dio, la
carne dell'uomo, con Piero Coda, AlboVerosio, Milano); Dell'arte in una certa
direzione” (Supernova, Venezia); “Filosofia della musica, Bompiani); Il mistero
dell'esistere: arte, verità e insignificanza nella riflessione teorica di Magritte”
(Mimesis, Milano); L'essere di Dio. Trascendenza e temporalità” (AlboVersorio,
Milano); Dio-Trinità. Tra filosofi e teologi” (Bompiani, Milano); Arte e filosofia”
(Bompiani, Milano); “L'anima del vino. Ahmbè, Bompiani, Milano); “Non uccidere”
(AlboVersorio, Milano); L'aporia del fondamento, Mimesis, Milano), “I ritmi
della creazione” (Bompiani, Milano); La "Resurrezione" di Piero della
Francesca, Mimesis, Milano); Il tempo della verità, Mimesis, Milano ; Non avrai
altro Dio al di fuori di me” (AlboVersorio, Milano); “Il conciliabile e L'inconciliabile.
Restauro Casa D'Arte Futurista Depero” (Mimesis, Milano-Udine PANTA decalogo” (Bompiani, Milano); Filosofia.
Un'avventura senza fine, Bompiani, Milano); Comandamenti. Santificare la festa”
(il Mulino, Bologna Abitare la soglia.
Cinema e filosofia, Mimesis, Milano-Udine); “Eros e tragedia, AlboVersorio,
Milano); “Il vino e il mondo intorno. Dialoghi all'ombra della vite” (Aliberti
Editore, Reggio Emilia Figure
d'Occidente. Platone, Nietzsche e Heidegger” (AlboVersorio, Milano); “Le verità
della natura, AlboVersorio, Milano”; “Filosofia dell'errore” – errore vero, la
verita come errore relative – “Le forme dell'inciampo, Bompiani, Milano); “Parmenide.
Dell'essere e del nulla” (AlboVersorio, Milano); “Eroticamente: per una
filosofia della sessualità” (il prato, Saonara (Padova) Misterio grande. Filosofia di Giacomo
Leopardi, Bompiani, Milano); “Pensare la Trinità. Filosofia europea e orizzonte
trinitario” (Città Nuova, Roma Erranze
(Alfredo Gatto), AlboVersorio, Milano); L'angelo musicante. Caravaggio e la
musica” (Mimesis Edizioni, Milano-Udine); “Parole sonanti. Filosofia e forme
dell'immaginazione” (Moretti & Vitali, Bergamo J. Wolfgang Goethe, Urpflanze. La pianta
originaria; Albo Versorio, Milano); La terra e il sacro. Il tempo della verità,
Luca Taddio, Mimesis, Milano); Teomorfica. Sistema di estetica” (Bompiani,
Milano); “Sovranità del bene. Dalla fiducia alla fede, tra misura e dismisura,
Orthotes, Salerno); “Senso e origine della domanda filosofica, Mimesis,
Milano-Udine); “La filosofia di Miles Davis. Inno all'irrisolutezza” (Mimesis,
Milano-Udine); “Dire l'anima. Sulla natura della conoscenza” (Rosenberg &
Sellier, Torino); “Tutto per nulla. La filosofia di William Shakespeare” (Bompiani,
Milano); “Pensieri bacchici. Vino tra filosofia, letteratura, arte e politica”
(Edizioni Saletta dell'Uva, Caserta); “In Principio. Philosophia sive
Theologia. Meditazioni teologiche e trinitarie, Mimesis, Milano-Udine); “Di
un'ingannevole bellezza. Le "cose" dell'arte” (Bompiani-Giunti,
Milano); “La filosofia dei Beatles” (Mimesis, Milano-Udine); “Un pensiero
sublime: saggi su Gentile” (Inschibboleth, Roma); “Dell'acqua” (La nave di
Teseo, Milano); “Essere e divenire: riflessioni sull'incontraddittorietà a
partire da Fichte” (Mimesis, Milano-Udine); “Di qua, di là. Ariosto e la
filosofia dell'Orlando Furioso” (La nave di Teseo, Milano); “Miracolo naturale.
Leonardo e la Vergine delle rocce” (Mimesis, Milano); "Arte e
Accademia", in Agalma; New Rhapsody in blue, Caligola Records; For miles
and miles, Caligola Records; Spritz, Caligola Records; “Cose dell'altro mondo.
Bi Sol Mi Fa Re, Caligola Records); Ahmbè, Caligola Records; Big Bum, Caligola
Records; Il santo che vola. San Giuseppe da Copertino come un aerostato nelle
mani di Dio, Caligola Records
Iperboliche distanze. Le parole di Andrea Emo, Caligola Records. Il
mistero della bellezza svelato da Massimo Donà. Intervista Alberto Nutricati,
in L'Anima Fa Arte Blog e Rivista di Psicologia Video-intervista sul mistero
dell'esistenza, su asia. "Arte e Accademia", in Agalma, Massimo Donà.
Keywords: eroticamente, per una filosofia della sessualita. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Donà” – The Swimming-Pool Library.
Donatelli (Roma). Filosofo. Grice: “I like Donatelli – his titles
can be too expansive, like the one about ‘philosophy and common experience,’ as
a subtitle, which incorporates the all too controversial notion of experience
simpliciter!” L’etica, la sua storia e le problematiche contemporanee sono al
centro dei suoi interessi. Studia a Roma, dove ha conseguito la laurea e il dottorato.
Insegna alla Luiss Guido Carli. Insegna a Roma. La sua ricerca spazia dalla ricognizione
dei classici dell’etica alla filosofia morale contemporanea. Si occupa della
riflessione sulla vita umana, in bioetica e nel pensiero teoretico e politico,
e del pensiero ambientale. Nel dibattito bio-etico ha difeso una concezione
laica delle istituzioni. La sua proposta si situa nella filosofia di ispirazione
wittgensteiniana (Cavell, Diamond, Murdoch) che fa incontrare con i temi del
pensiero democratico e perfezionista nella scia della filosofia di Mill. Dirige
la rivista Iride. Filosofia e discussione pubblica (il Mulino). È membro di
numerosi comitati, tra cui del comitato scientifico di Bioetica. Rivista
Interdiscliplinare ed Etica & Politica. Altre opere: “Filosofia morale.
Fondamenti, metodi, sfide pratiche” (Milano, Le Monnier, Il lato ordinario della vita. Filosofia ed
esperienza comune” (Bologna, il Mulino,
Etica. I classici, le teorie e le linee evolutive, Torino, Einaudi); “Quando
giudichiamo morale un’azione?” (Roma-Bari, Laterza); Decidere della propria
vita, Roma-Bari, Laterza); “La vita umana in prima persona duale” (Roma-Bari,
Laterza); “Manuale di etica ambientale” (Firenze, Le Lettere); “James Conant e
Cora Diamond, Rileggere Wittgenstein , Roma, Carocci); “Mill, Roma-Bari,
Laterza); “Virtù” (Roma, Carocci); Immaginazione e la vita morale , Roma,
Carocci); La filosofia morale, Roma-Bari, Laterza); Wittgenstein e l’etica,
Roma-Bari, Laterza);Etica analitica. Analisi, teorie, applicazioni” Milano,
LED,I destini dell'etica Bioetica e
progresso morale dell'Italia, su ilrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica. Bioetica Consulta di bioetica Piergiorgio Donatelli. Keywords: let’s
cooperate (cooperiamo), let’s make the strongest utterance; let’s trust each
other; let’s be relevant (siamo relevanti), let’s be perspicuous (siamo
perspicui), prima persona, prima persona duale – noi – nostro – numero nel
verbo greco: singolare, duale, plurale, Mill,
virtu, Conant, ambi, both – the dual – Both conversationalists must
cooperate towards a mutual goal. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Donatelli” –
The Swimming-Pool Library.
Donati (Budrio). Filosofo. Grice: “I like
Donati; most of what he says is very basic, and he says it from what he thinks
is a scientific perspective – but then he writes about morality and you start
to wonder – anyhow, his central concept is that of reflexitvity, which he
multiplies into goal-centred, rule-centred, means-centred, and value-centred –
Since my oeuvre dwells on rellexivity I feel a lot of affection for Donati and
his approach!” Nella sua filosofia occupano una posizione centrale la tematica
epistemologica inerente alla ri-fondazione della ‘sociologia filosofica’, re-interpretata
alla luce della "svolta relazionale”. Su tali basi, vengono svolte l'analisi
del concetto di ‘cittadinanza’, del fenomeno associativo della società civile e
della politiche di welfare state nelle società altamente differenziate;
l'analisi del ruolo dell’istituzione sociale che emergono dai processi di morfo-genesi
sociale, in particolare nelle sfere di terzo settore; l'apertura di una nuova
prospettiva negli studi sul capitale sociale e sui processi di “riflessività” in
rapporto alla legittimazione di nuove forme di democrazia deliberativa. L'elaborazione
di una ‘sociologia filosofica relazionale' è andata di pari passo con la
fondazione filosofica di un nuovo e più generale ‘paradigma relazionale' che si
pone come superamento della contrapposizione fra realismo e costruttivismo, fra
l’individualismo o intersoggetivismo metodologico e olismo o collettivismo metodologico.
Questa prospettiva porta alla elaborazione di nuovi concetti come quelli di “critica
della ragione relazionale” e bene relazionali, come soluzioni rispettivamente
dei problemi inerenti a idiosincrasie culturale e alla mercificazione del
welfare nelle società. L'etichetta "sociologia filosofia relazionale"
viene usata, oltre che da Donati, da vari filosofi. Emirbayer ha scritto un
‘Manifesto di sociologia relazionale' elaborato in maniera del tutto
indipendente rispetto a Donati. Crossley usa la medesima etichetta. Alcuni
studiosi assimilano la sociologia relazionale alla network analysis (Crossley, Mische
), altri tracciano delle differenze fra questi due modi di intendere l'analisi
della società (Donati, Terenzi, Tronca). Indipendentemente dalla filosofia di
Donati, esistono gruppi e reti di sociologia relazionale in vari paesi, tra cui
il Canada (si veda il sito della Canadian Sociological Association,,
l'Australia (si veda il sito della Australian Sociological Association,). In
Italia, gli filosofi vicini a Donati si riconoscono nel network Relational
Studies in Sociology,). Donati ha prodotto numerosi saggi di carattere
teorico ed empirico. Propone una teoria generale per l'analisi della società:
la “sociologia filosofica relazionale”. Insegna a Bologna, direttore del Centro
Studi di Politica Sociale e Sociologia Sanitaria). Presidente dell'Associazione
Italiana di Sociologia. Direttore dell'Osservatorio Nazionale sulla Famiglia.
Ha fatto parte del comitato scientifico di Biennale Democrazia. Fondatore e
Direttore della Rivista “Sociologia e politiche sociali”, editore FrancoAngeli.
Membro del Comitato Scientifico della Rivista "Sociologia", Istituto Luigi
Sturzo, Roma. Ha ricevuto il riconoscimento dell'ONU come membro esperto distinto
nel corso dell'Anno Internazionale della Famiglia. Premio Capri San Michele per
"Pensiero sociale cristiano e
società post-moderna" (Ave, Roma). Premio San Benedetto per la promozione
della Vita e della Famiglia in Europa. Attraverso la sua filosofia, Donati
mostra con specifiche indagini empiriche in che modo la società possa essere
conosciuta e interpretata come una semplice “relazione sociale” diadica -- e non
come un prodotto culturale. La sociologia relazionale (o teoria relazionale
della società) viene per la prima volta esplicitata con “Introduzione alla
sociologia relazionale”. Questa “Introduzione” è nata come una sorta di
“Manifesto della sociologia relazionale”, anche se da allora pochi se ne sono
accorti. I punti essenziali di quel Manifesto sono varie. La sociologia
relazionale consiste nell'osservare che una società, ovvero qualsiasi fenomeno
o formazione sociale (la famiglia, una impresa o società commerciale, una
associazione, una società nazionale), la società globale, non è né una idea (o
una rappresentazione o una realtà mentale soggetiva) né una cosa materiale (o
biologica o fisica in senso lato), ma è una relazione sociale – una
intersoggetivita. L’intersoggetivo è né un “sistema”, più o meno pre-ordinato o
sovrastante i singoli fatti o fenomeni, né un prodotto di una azione soggetiva,
ma un altro ordine di realtà. L’intersoggetivo è relazione. L’interosggetivo è
fatto di una relazioni fra un soggetto S1 e un soggetto S2, che distinguono la
forma e i contenuti di ogni concreta e specifica “diada. L’intersoggetivo – la
relazione intersoggetiva -- deve essere concepito non come una realtà accidentale,
secondaria o derivata dall’altre entità: il soggetto S1 e il soggetto S2),
bensì come un levello ontologico differente sui generis, appunto,
‘l’intersoggetivo’. Affermare che “la società è relazione” può sembrare quasi
ovvio, ma non lo è affatto ove l'affermazione sia intesa come presupposizione
epistemologica generale e quindi si abbia coscienza delle enormi implicazioni
che da essa derivano. Ogni filosofo parlano dell’intersoggetivo della relazione
di una diada fra soggeto S1 e soggetto S2 (Aristotele: ogni uomo e politico,
Marx, Durkheim, Weber, Simmel, Parsons, Luhman, Grice), ma quasi nessuno ha
compiuto l'operazione che viene proposta dalla sociologia
relazionale: partire dal presupposto che “all'inizio c'è la relazione”,
ossia che ogni realtà sociale emerge da un contesto di relazioni e genera un
contesto di relazioni essendo essa stessa ‘relazione sociale'. Ciò non
significa in alcun modo aderire ad un punto di vista di relativismo. Si tratta
esattamente del contrario: la sociologia relazionale si fonda su una ontologia
dell’intersoggetivo relazionale, e dunque su una ontologia dell’intersoggetivo
della relazione che vede nella relazioni il costitutivo di ogni realtà sociale
seconda la loro propria natura. La sociologia relazionale e una forma del relazionismo
filosofico. Per l’intersoggetivo (la relazione) intende l’intersoggetivo nel
spazio-tempo, dell'inter-umano, ossia ciò che sta fra un soggetto agente S1 e
un soggetto agente S2 chi collaborano, o cooperano. e checome tale costituisce
il loro orientarsi e agire reciproco (o riflessivo, al modo di Grice), per
distinzione da ciò che sta nel singolo attore individualo o collettivo considerati
come poli o termini della relazione. Questa «realtà dell’intersoggetivo – che
Donati chiama ‘il fra’ -- fatta insieme di due soggetti che collaboron, è la
sfera in cui vengono definite sia la distanza sia l'integrazione dei due
soggetti che stanno in società: dipende da questo ‘fra’ – fra tu e me -- (la
relazione sociale in cui le due soggetti si trovano) se, in che forma, misura e
qualità le due soggetti può distaccarsi o coinvolgersi rispetto agli altri
soggetti più o meno prossimi, alle istituzioni e in generale rispetto alle dinamiche
della vita sociale. La teoria relazionale della società ha elaborato nuovi
concetti che sono stati utilizzati non solo da filosofi, ma anche in altri
campi, come il diritto, la legislazione sociale, l'economia. I concetti originali
elaborati da Donati sono varie. Il concetto di ‘privato sociale’ e applicato in
molte leggi dello Stato italiano. Il concetto di ‘cittadinanza societaria è
stato utilizzato dal Consiglio di Stato (Sezione consultiva per gli atti
normativi, Adunanza, N. della Sezione: in importanti deliberazioni. Il concetto
di ‘beni relazionali’ è stato ripreso in campo economico da filosofi come
Zamagni e Bruni. Il concetto di un ‘servizio relazionale’ è stato ripreso nella
legislazione regionale e nazionale in Italia, anche in relazione alla buona
pratica nelle politiche familiari analizzate con le ricerche svolte per
l'Osservatorio nazionale sulla famiglia. Il concetto di ‘lavoro relazionale’ e
il concetto di ‘contratto relazionale’ sono importanti. Il concetto di ‘welfare
relazionale’ e usanto in buona pratica nei servizi alle famiglie (utilizzato
dal Centro studi Erickson). Il concetto di ‘differenziazione relazionale’ si
applica in particolare alla problematica della conciliazione fra lavoro e famiglia.
Il concetto di una critica della ‘ragione relazionale’ e dato come una possibile
soluzione ai problemi dei conflitto. Il concetto di capitale sociale come relazione
sociale con una ridefinizione degli studi sociologici si applica nel capitale
sociale. Il concetto di "riflessività relazionale" si applica per superare
il concetto puramente soggettivo di riflessività come mera riflessione interiore.
Il concetto di "genoma sociale della famiglia" s’applica nella
evoluzione. Ha affrontato una serie di tematiche di ricerca il cui sviluppo è
ancora in corso. La prima e più estesa riguarda la tematica della sociologia
della famiglia. Si vedano I saggi di Donati, Lineamenti di sociologia della
famiglia. Un approccio relazionale all'indagine sociologica, Carocci, Roma, Donati,
Manuale di sociologia della famiglia, Laterza, Roma-Bari). Si vedano anche i
Rapporti Cisf sulla famiglia in Italia, per gli aspetti applicativi: Sociologia
delle politiche familiari, Carocci, Roma, è il più recenteDonati "La
famiglia. Il genoma che fa vivere la società", Soveria Mannelli,
Rubbettino. Un'altra tematica è quella della salute: si veda Donati Manuale di sociologia sanitaria” (La Nuova
Italia Scientifica, Roma); Sui giovani e le generazioni nella società
dell'indifferenza etica: “Giovani e generazioni. Quando si cresce in una
società eticamente neutral” (il Mulino, Bologna); Sul cittadinanza e welfare:
La cittadinanza societaria, Laterza, Roma- Bari); Sul welfare state e le
politiche sociali, “Risposte alla crisi dello Stato sociale” (Franco Angeli,
Milano); “Lo Stato sociale in Italia: bilanci e prospettive” (Mondadori,
Milano); “Sul privato sociale o terzo settore e la società civile: Sociologia
del terzo settore” (Carocci, Roma); sulla società civile: “La società civile in
Italia, Mondadori, Milano; Generare “il civile”: nuove esperienze nella società
italiana, il Mulino, Bologna); Il privato sociale che emerge: realtà e dilemmi,
il Mulino, Bologna, Sul lavoro: Il lavoro che emerge, Bollati Boringhieri,
Torino); I rapporti fra sociologia relazionale e pensiero sociale cristiano:
Pensiero sociale cristiano e società post-moderna, Editrice Ave, Roma, La
matrice teologica della società, Rubbettino, Soveria Mannelli. Sul capitale
sociale: Donati, Terzo settore e valorizzazione del capitale sociale in Italia:
luoghi e attori, FrancoAngeli, Milano, Donati, I. Colozzi, Capitale sociale
delle famiglie e processi di socializzazione. Un confronto fra scuole statali e
di privato sociale (FrancoAngeli, Milano). Attraverso queste saggi, la
sociologia relazionale ha sviluppato un nuovo quadro teorico e ne ha dimostrato
la validità sia sul piano della ricerca empirica, sia sul piano delle
applicazioni concrete (in termini di legislazione e di programmi di intervento
sociale). La conoscenza sociologica che la sociologia relazionale intende
perseguire non rifiuta a priori nessuna teoria, né vuole “unificare” tutte le
teorie sotto un'unica bandiera, ma tutte le prende in considerazione e le
valuta per mettere in evidenza quelle verità, anche parziali, che ciascuna di
esse contiene. Tuttavia, perché di solito una teoria offre una visione
limitata, se non riduttiva della realtà, la sociologia relazionale è in grado
di inserire ogni teoria in un quadro concettuale più ampio, nel quale ritrovare
le verità parziali ad un livello più elevato, coerente e consistente di
conoscenza della realtà sociale. Terenzi, Percorsi di sociologia
relazionale, FrancoAngeli, Milano, .
Luigi Tronca, Sociologia relazionale e social networks analysis. Analisi
delle strutture sociali, FrancoAngeli, Milano.Enzo Paci, Dall'esistenzialismo
al relazionismo, D'Anna, Messina-Firenze. Per un nuovo welfare locale “family
friendly”: la sfida delle politiche relazionali, in Osservatorio nazionale
sulla famiglia, Famiglie e politiche di welfare in Italia: interventi e
pratiche. I, il Mulino, Bologna,
Politiche sociali e servizi sociali di fronte al modello sociale europeo: lo
scenario del “welfare relazionale”, in C. Corposanto, L. Fazzi , Il servizio
sociale in un'epoca di cambiamento: scenari, nodi e prospettive, Edizioni Eiss,
Roma, Quale conciliazione tra famiglia e lavoro? La prospettiva relazionale, in
Donati , Famiglia e lavoro: dal conflitto a nuove sinergie, Edizioni San Paolo,
Cinisello Balsamo, La valorizzazione del capitale sociale in Italia: luoghi e
attori Donati, I. Colozzi , FrancoAngeli, Milano, Altre opere: “L'enigma della
relazione” Mimesis, Milano); “La famiglia. Il genoma che fa vivere la società”
(Rubbettino, Soveria Mannelli); “Sociologia della riflessività. Come si entra
nel dopo-moderno, il Mulino, Bologna); “I beni relazionali. Che cosa sono e
quali effetti producono (Bollati Boringhieri, Torino); “La matrice teologica
della società, Rubbettino, Soveria Mannelli); “Teoria relazionale della
società: i concetti di base, FrancoAngeli, Milano); “La società dell'umano,
Marietti, Genova-Milano); “Il capitale sociale degli italiani. Le radici
familiari, comunitarie e associative del civismo” (FrancoAngeli, Milano); “Oltre
il multiculturalismo. La ragione relazionale per un mondo comune, Laterza,
Roma-Bari); “Manuale di sociologia della famiglia, Laterza, Roma-Bari); “Sociologia
delle politiche familiari, Carocci, Roma); “Il lavoro che emerge. Prospettive
del lavoro come relazione sociale in una economia dopo-moderna, Bollati
Boringhieri, Torino); “La cittadinanza societaria” (Laterza, Roma-Bari); Teoria
relazionale della società, FrancoAngeli, Milano, 1991 La famiglia come
relazione sociale, FrancoAngeli, Milano, La famiglia nella società relazionale.
Nuove reti e nuove regole, FrancoAngeli, Milano); “Introduzione alla sociologia
relazionale, FrancoAngeli, Milano); “Risposte alla crisi dello Stato sociale.
Le nuove politiche sociali in prospettiva sociologica, FrancoAngeli, Milano); “Famiglia
e politiche sociali. La morfogenesi familiare in prospettiva sociologica,
Angeli, Milano); “Pubblico e privato: fine di una alternativa?” (Cappelli,
Bologna). Pierpaolo Donati. Keywords: relazionalismo, internal conversation,
l’intersoggetivo, realta fra, il fra, fra tu e io, intersoggetivismo
metodologico, communicazione come realta fra, implicatura, reflessivita,
reciprocita. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Donati” – The Swimming-Pool
Library.
Dondi (Chioggia). Filosofo.
Grice: “I like Dondi and I like a watch
chain!” Figlio di Jacopo,
studia filosofia a Padova. Insegna a Padova. Si trasferì a Pavia. Dopo un
periodo a Firenze, vi ritorna come filosofo di corte dei Visconti. Insegna a Pavia. Scrittore di rime, amico e corrispondente di Petrarca,
fu anche tra i pionieri dell'archeologia. In occasione di un viaggio a Roma,
descrisse e misura monumenti classici, copiò iscrizioni e trascrisse i dati
rilevati nel suo ‘'Iter Romanorum'’. La
sua fama è legata soprattutto all'astrario da lui progettato a Padova e
costruito a Pavia, dove, era conservato, nel castello di Pavia, presso la
biblioteca Visconteo-Sforzesca.
L'astrario è un orologio astronomico che mostra l'ora, il calendario
annuale, il movimento dei pianeti, del Sole e della Luna. Per ogni giorno sono
indicati l'ora dell'alba e del tramonto alla latitudine di Padova, la
"lettera domenicale" che determina la successione dei giorni della
settimana e il nome dei santi e la data delle feste fisse della Chiesa. L'orologio
astronomico (o astrario) di Dondi è andato distrutto, ma è ben conosciuto
perché il suo ideatore ne dette una particolareggiata descrizione nel saggio
“Astrarium”, trasmesso da due manoscritti. Si tratta di un congegno mosso da
pesi, di piccole dimensioni (alto circa 85 cm, largo circa 70), racchiuso in un
involucro a base eptagonale. Grazie ad una serie di ingranaggi l'astrario
riproduce i moti del Sole, della Luna e dei cinque pianeti. Esso indicava anche
la durata delle ore di luce alla latitudine di Padova. Come misuratore del
tempo esso, oltre all'ora, indicava (forse per la prima volta tra gli orologi
meccanici) anche i minuti, a gruppi di dieci. La presenza di trattati di
astrologia nella biblioteca di Dondi fa sospettare che la progettazione sia stata
influenzata da astrologi antichi. L'orologio astronomico che si può tuttora
ammirare sulla Torre dell'Orologio, Padova, in Piazza dei Signori, è una copia
non dell'astrario di Dondi, ma dell'orologio costruito dal padre Jacopo. Secondo
la tradizione sarebbe stato Dondi ad introdurre a Padovala gallina col ciuffo,
oggi nota come gallina padovana. In realtà, il giornalista padovano Franco
Holzer in una sua ricerca ha potuto stabilire che non vi è documentazione alcuna
che attesti che Dondi abbia mai avuto contatti con la Polonia o che l'abbia mai
visitata. A lui è dedicata una delle statue che adornano il Prato della Valle,
a Padova. Il Circolo Numismatico Patavino gli ha dedicato una medaglia
commemorativa opera dello scultore bellunese Massimo Facchin. A Giovanni
De'Dondi è dedicata la ballata iniziale di Mausoleum. Siebenunddreißig Balladen
aus der Geschichte des Fortschritts del poeta tedesco Hans Magnus Enzensberger.
Altre opere: Rime, Antonio Daniele, Neri Pozza, Vicenza); “Astrarium, E.
Poulle, CISST); Opera omnia Jacobi et
Johannis de Dondis, corpus pubblicato sotto la direzione di Emmanuel Poulle.
Padova. Andrea Albini, Op. La Biblioteca Visconteo Sforzesca, su collezioni.
Musei civici.pavia. Andrea Albini, L'astrario di Giovanni Dondi, su
Museoscienza. Ricerche d'Archivio riguardanti la famiglia Dondi dall'Orologio.
Di Franco Holzer. Andrea Albini, Machina
Mundi. L'orologio astronomico di Giovanni Dondi, Create Space, Astrario, Gabriele
Dondi dall'Orologio Università degli studi di Padova. Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Replica in scala 1/2 dell'Astrario,
su clock maker. Replica in scala ¼, su pendoleria. com. Grice: “I thought it
was a good idea of the Anglo-Normans to retain the Anglo-Saxon idea of ‘time’
(as stretch – a rather English root – cf. German ‘zeit,’ our ‘tide’ --, and
borrow from Latin, ‘tempus’, which gives us ‘temporary’, as I use in my ‘Personal
Identity,’but also ‘tense’ – This tense is better than by vice/vyse, since vice
and vyse are both cognate with violence. But tense and tense are not. One is
cognate with Latin tension. The other is just a mispronounciation of Fremch
‘temps,’ Latin/Roman ‘tempus’ – So as Cicero would have it, it’s ‘tempus’ we
should care about!” -- Giovanni Dondi dall’Orologio. Giovanni De Dondi.
Keywords: Leibniz’s Law, time-relative identity, total temporary state (Grice:
“I’m thinking of Hitler”); Wiggins, Myro, The Grice-Myro Theory of Identity,
sameness and substance, Mellor, filosofia del tempo, Prior, Creswell, Mellor –
logica cronologica, ‘tense logic’ ‘tense implicature’ -- “iter romanorum”. Refs:
Luigi Speranza, “Grice e Dondi” – The Swimming-Pool Library.
Dorfles (Trieste). Filosofo. Grice:
“Must say my favourite Dorfles is his ‘artificio e natura,’ on the
doryphoros!”. Nato a Trieste nell'allora Austria-Ungheria da padre goriziano di
origine ebraica e madre genovese, si laurea a Trieste. Si dedica allo studio
della pittura, dell'estetica e in generale delle arti. La conoscenza
dell'antroposofia di Steiner, acquisita grazie alla partecipazione a un ciclo
di conferenze a Dornach, orienta la sua arte pittorica verso il misticismo,
denotando una vicinanza più ai temi dominanti dell'area mitteleuropea che a
quelli propri della pittura italiana coeva. Isegna a Milano, Cagliari e
Trieste. Fonda il Movimento per l’Arte Concreta (vs. arte astratta). del quale
contribuì a precisare le posizioni attraverso una prolifica produzione di
articoli, saggi e manifesti artistici. Prende parte a numerose mostre in Italia
e all'estero: espone i suoi dipinti alla Libreria Salto di Milano e in numerose
collettive, tra le quali la mostra alla Galleria Bompiani di Milano, l'esposizione
itinerante, e la grande mostra "Esperimenti di sintesi delle arti",
svoltasi nella Galleria del Fiore di Milano. Risulta componente di una
sezione italiana del gruppo ESPACE. Diede il suo contributo alla realizzazione
dell'Associazione per il Disegno Industriale. Si dedica quindi in maniera
pressoché esclusiva all'attività critica. Con la personale presso lo Studio
Marconi di Milano, torna a rendere pubblica la propria produzione pittorica. L'arte
non prescinde dal tempo per esprimere semplicemente lo spirito della Storia
universale, bensì è connessa al ruolo delle mode e a tutti gli ambiti del
gusto. Considerevole è stato il suo contributo allo sviluppo dell'estetica
italiana, a partire dal Discorso tecnico delle arti, cui hanno fatto seguito tra
gli altri Il divenire delle arti e Nuovi riti, nuovi miti. Nelle sue indagini
critiche sull'arte contemporanea si è sovente soffermato ad analizzare l'aspetto
socio-antropologico del fenomeno estetico e culturale, facendo ricorso anche
agli strumenti della linguistica. È autore di numerose monografie su artisti di
varie epoche (Bosch, Dürer, Feininger, Wols, Scialoja). Pubblicato due volumi
dedicati all'architettura (Barocco nell'architettura moderna, L'architettura
moderna) e un famoso saggio sul disegno industriale (Il disegno industriale e
la sua estetica). è il primo a vedere tendenze barocche nell'arte moderna
(il concetto di neobarocco sarà poi concettualizzato da Calabrese) riferendole
all'architettura moderna in: Barocco nell'architettura moderna. Contribuisce al
Manifesto dell'antilibro, presentato ad Acquasanta, in cui esprime la valenza
artistica e comunicativa dell'editoria di qualità e il ruolo del lettore come
artista. A Genova si occupa anche del lavoro di Costa. Partecipa alla
presentazione del libro Materia Immateriale, biografia di Costa, Miriam
Cristaldi, di cui Dorfles ha scritto la prefazione. L'editore Castelvecchi ha
pubblicato Horror Pleni. La (in)civiltà del rumore, in cui analizza come la scoria
massmediatica ha soppiantato le attività culturali; Conformisti e Fatti e
Fattoidi. Pubblica un inedito d'eccezione, “Arte e comunicazione”, in cui mette
la teoria alla prova con alcune applicazioni concrete particolarmente rilevanti
e problematiche come il cinema, la fotografia, l'architettura. è uscito
Irritazioni: un'analisi del costume contemporaneo, uscito nella collana Le navi
dell'editore Castelvecchi. Con la sua ironia ha raccolto le prove della sua
inconciliabilità con i tempi che corrono. Nel saggio c'è una critica sarcastica
e corrosiva all'attuale iperconsumismo. NComunicarte Edizioni, pubblica 99+1
risposte di Dorfles nella collana Carte Comuni. Un'intervista "lunga un
secolo" con la quale il critico ripercorre la sua vita e alcuni incontri
d'eccezione: da ISvevo a Warhol, da Castelli a Fini. La Triennale di
Milano ospita la mostra "Vitriol, disegni" Aldo Colonetti e Luigi
Sansone; V. I. T. R. I. O. L. è un
simbolo alchemico, acronimo del motto rosa-crociano “Visita Interiora Terrae
Rectificando Invenies Occultum Lapidem”. Assieme ad artisti e autori come
Anceschi, Enrico Baj, Marchesi, Mulas e Niccolai, partecipa al numero
quattordici di BAU.. Muor e a Milano, nella sua casa di piazzale
Lavater. Zio di Piero Dorfles, critico letterario della trasmissione televisiva
Per un pugno di libri (il padre di Piero, Giorgio, era fratello di
Gillo). Tra i riconoscimenti ricevuti: Compasso d'oro dell'Associazione
per il Design Industriale, Medaglia d'oro della Triennale, Premio della critica
internazionale di Girona, Franklin J. Matchette Prize for Aesthetics. È stato
insignito dell'Ambrogino d'oro dalla città di Milano, del Grifo d'Oro di Genova
e del San Giusto d'Oro di Trieste. È stato Accademico onorario di Brera e
Albertina di Torino, membro dell'Accademia del Disegno di Città del Messico,
Fellow della World Academy of Art and Science, dottore honoris causa del
Politecnico di Milano e dell'Università Autonoma di Città del Messico. Palermo
gli conferì la laurea honoris causa in Architettura. Ricevette dall'Cagliari la
laurea honoris causa in Lingue moderne. Onorificenze Cavaliere di gran
croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana nastrino per uniforme
ordinariaCavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica
italiana, Di iniziativa del Presidente della Repubblica» Medaglia d'oro ai
benemeriti della cultura e dell'arte nastrino per uniforme ordinaria Medaglia
d'oro ai benemeriti della cultura e dell'arte. Altre opere: “Barocco
nell'architettura moderna” (Studi monografici d'architettura, Libreria Editrice
Politecnica Tamburini, illustrazioni); “Discorso tecnico delle arti, Collana
Saggi di varia umanità, Pisa, Nistri-Lischi,Il pensiero dell'arte, Milano,
Marinotti); “L'architettura moderna, Collana serie sapere tutto, Milano,
Garzanti); “Le oscillazioni del gusto e l'arte moderna” (Forma e vita, Milano,
Lerici); “Il divenire delle arti, Collana Saggi, Torino, Einaudi, ed.
accresciuta, Torino, Einaudi; Collana Reprints Einaudi, Bompiani); “Ultime
tendenze nell'arte”, Collana UEF, Milano, Feltrinelli); XXVII ed., UEF, Milano,
Feltrinelli); “Simbolo, comunicazione, consume” (Torino, Einaudi, Il disegno
industriale e la sua estetica, Bologna, Cappelli, Kitsch e cultura, in Aut Aut,
Nuovi riti, nuovi miti” (Torino, Einaudi, Milano, Skira, L'estetica del mito (da
Vico a Wittgenstein), Milano, Mursia, Kitsch: antologia del cattivo gusto,
Milano, Gabriele Mazzotta Editore); “Artificio e natura” (Torino, Einaudi); Milano,
Skira, Le oscillazioni del gusto. L'arte d'oggi tra tecnocrazia e consumismo, Torino,
Einaudi, Milano, Skira, “Senso e insensatezza nell'arte d'oggi, ellegi
edizioni, L'architettura moderna. Le origini dell'architettura contemporanea; I
quattro grandi: Wright, Le Corbusier, Gropius, Mies van der Rohe); Dall'espressionismo
all'organicismo razionalizzato, dall'ornamented modern al brutalismo, ai più
avveniristici tentativi attuali, I Garzanti, Milano, Garzanti, Dal significato
alle scelte, Torino, Einaudi, Massimo Carboni, Collana I Timoni, Roma, Castelvecchi,
Il divenire della critica, Collana Saggi, Torino, Einaudi); “Le buone maniere,
Milano, Mondadori, Mode & Modi, Collana Antologie e saggi, Milano,
Mazzotta, II ed. riveduta, Mazzotta, Introduzione al disegno industriale.
Linguaggio e storia della produzione di serie” (Torino, Einaudi, L'intervallo
perduto, Collana Saggi, Torino, Einaudi, Milano, Skira, I fatti loro. Dal
costume alle arti e viceversa, Milano, Feltrinelli, Architettura ambigue. Dal
Neobarocco al Postmoderno, Bari, Dedalo, La moda della moda, Collana I
turbamenti dell'arte, Genova, Edizioni Costa & Nolan, La (nuova) moda della
moda), Costa & Nolan, Elogio della disarmonia: arte e vita tra logico e
mitico” (Milano, Garzanti, Milano, Skira, Itinerario estetico, Milano, Studio
Tesi, Itinerario estetico. Simbolo mito metafora, Luca Cesari, Bologna,
Editrice Compositori); “Il feticcio quotidiano” (Milano, Feltrinelli, Massimo
Carboni, Collana I Timoni, Roma, Castelvecchi, Intervista come auto-presentazione,
con VII tavole di Giulio Paolini, Collana Scritti dall'arte, Tema Celeste
Edizioni, Preferenze critiche. Uno sguardo sull'arte visiva contemporanea, Bari,
Dedalo, Design: percorsi e trascorsi” (Design e comunicazione, Bologna, Lupetti,
Fulvio Carmagnola, Lupetti, Conformisti, Roma, Donzelli, Fatti e fattoidi. Gli
pseudo-eventi nell'arte e nella società, Vicenza, Neri Pozza, Massimo Carboni,
Roma, Castelvecchi, Irritazioni. Un'analisi del costume contemporaneo, Collana
Attraverso lo specchio, Luni, Massimo Carboni, Roma, Castelvecchi, Scritti di
Architettura, L. Tedeschi, Milano, Mendrisio Academy Press, Flavia Puppo,
Dorfles e dintorni, Milano, Archinto, Lacerti della memoria. Taccuini intermittenti,
Bologna, Editrice Compositori, L'artista e il fotografo, Verso l'Arte, Conformisti.
La morte dell'autenticità, Massimo Carboni, Roma, Castelvecchi, Horror Pleni.
La (in)civiltà del rumore, Collana I Timoni, Roma, Castelvecchi); “Arte e
comunicazione: comunicazione e struttura nell'analisi di alcuni linguaggi
artistici” (Milano, Mondadori Education, Inviato alla Biennale, A. De Simone,
Milano, Scheiwiller, 99+1 risposte, Lorenzo Michelli, Trieste, Comunicarte Edizioni,
Movimento Arte Concreta, Luigi Sansone e N. Ossanna Cavadini, Milano, Mazzotta,
Poesie, Campanotto Editore, L'ascensore senza specchio, Quaderni di prosa e di
invenzione, Milano, Edizioni Henry Beyle, Kitsch: oggi il kitsch, Aldo
Colonetti et al., Bologna, Editrice Compositori, Arte con sentimento. Conversazione,
Marco Meneguzzo, Collana Polaroid, Milano, Medusa Edizioni, Essere nel tempo,
Achille Bonito Oliva, Milano, Skira, Gli artisti che ho incontrato, Luigi
Sansone, Milano, Skira, La logica dell'approssimazione, nell'arte e nella vita,
Aldo Colonnetti, Silvana, Estetica senza dialettica. Scritti, al , Luca Cesari,Milano,
Bompiani, Paesaggi e personaggi, Enrico Rotelli, Milano, Bompiani, La mia
America, Luigi Sansone, Milano, Skira; "Interviene Gillo Dorfles", in
alterlinus "Calligaro: parole e immagini", in Preferenze critiche,
Dedalo, "Né moduli, né rimedi", in Agalma, "Disarmonia, asimmetria, wabi,
sabi", in Agalma, "Feticcio", in Agalma, "Barozzi", in Da Duchamp agli Happening.
Il Mondo di Pannunzio e altri scritti, Campanotto Editore, Traduzioni Rudolf
Arnheim, “Arte e percezione visive” (Milano, Feltrinelli, Rudolf Arnheim,
Guernica. Genesi di un dipinto, Milano, Feltrinelli); Addio a Gillo Dorfles:
«La mia vita infinita da Francesco Giuseppe agli smartphone», su corriere. Aldo
Cazzullo: la mia vita infinita da Francesco Giuseppe agli smartphone, Corriere
della sera, 1 il Redazione, Novità formali e riesumazioni di precedenti esempi,
il contemporaneo è un linguaggio nuovo di un sapere condiviso, QM, su quid
magazine, biografia sul sito delle Edizioni Il Bulino, Galliano Mazzon, Mostra
antologia: Civico Padiglione d'Arte Moderna, MMilano, Civico Padiglione d'Arte
Moderna, Mostra antologia di Galliano Mazzon : Civico Padiglione d'Arte Moderna,
Milano, Luciano Caramel, Arte in Italia, su Dioguardi Gianfranco, Processo
edilizio e progetto: vecchi attori alla ricerca di nuovi ruoli, Milano: Franco
Angeli, Studi organizzativi. Fascicolo, Corriere della Sera, Cfr. la raccolta
degli scritti raccolti in Architetture Ambigue: Dal Neobarocco al Postmoderno,
Dedalo, Bari Di Giovanni Marilisa, Il corpo, nuova forma: la “body art”; Cheiron
: materiali e strumenti di aggiornamento storiografico. Lecta web, arte e
comunicazione. Vitriol Triennale, Sussidiaria: GPS/GaPSle Forbici di Manitù
(BAU14). Celeste Prize BAU 14 Antonio Gnoli, Gillo Dorfles, il rivoluzionario
critico d'arte, La Repubblica, Bucci,
Morto, critico poliedrico. Corriere della Sera, Addio ad Alma Dorfles, signora
di cultura, Il Piccolo, Sito web del Quirinale: dettaglio decorato., su
Quirinale, dettaglio decorato., su Quirinale, Intervista su conoscenza.rai.
Sergio Mandelli, Capire l'arte contemporanea su youtube.com Gillo Dorfles ,«Mi
sveglio, lavoro. Amo il vino», in Corriere della Sera, Aldo Cazzullo, la mia vita infinita da Francesco Giuseppe
agli smartphone, in Corriere della Sera.
Gillo Dorfles. Angelo Eugenio Dorfles. Keywords: “Artificio e Natura,
natura, artificio, communicazione, mito, simbolo, segno, linguaggio,
interpretazione, semiotica, disarmonia, Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Dorfles” – The Swimming-Pool Library.
Doria (Genova). Filosofo. Grice:
“I love Doria: a nobleman who should be sailing off Portofino, is writing a
‘progetto di metafisica’ after discussing the ‘filosofia degl’antichi’ – you
HAVE to love him! Plus, he philosophised WHILE sailing!” Figlio di Giacomo e
Maria Cecilia Spinola, appartenente alla nobile casata dei Doria Lamba dalla
quale provennero ben quattro dogi della repubblica di Genova, ha un'infanzia
travagliata segnata a cinque anni dalla morte del padre. L'uscita dalla famiglia
delle tre sorelle lo fa rimanere solo con la madre che influenza negativamente
il suo carattere melanconico ma vivace, il suo desiderio di virtù e Gloria. La
madre, che egli accusa esser stata de' miei errori la prima e principal cagione,
si era disinteressata del figlio limitandosi ad affidarne l'educazione a
filosofi bigotti che lo fano crescere con la paura delle malattie e della
morte, che gli viene indicata dai suoi educatori gesuiti come un positivo
castigo all’uomino re. Divenne quindi vivace e grazioso nelle
conversazioni affabile con tutti, facile e condiscendente con gli amici e allo
stesso tempo pieno di sé e fatuo divenendo un Petit Maitre disinvolo e alla
moda, e prende per idea di virtù vera ed esistenta ogni vanità e molte volte prende
con l’idea di virtù il vizio ancora! Pieno di sé e fatuo. Compì con la madre il
“grand tour” – Firenze, Capri, Girgentu -- dei ‘viri’ ben nato dal quale ne
usce libero dall’inibizione religiosa, ma con un nuovo abito di un anima
viziosa, la quale lo fa mirare come idea di virtù la rilassatezza nel senso, la
prepotenza con i deboli e la vendetta. Tornato a Genova, la trovò bombardata
dal mare dalle navi di Luigi XIV. In quell'occasione conosce il conte di Melgar
che l’avvia nell’arte militare e lo introduce nel giro del patriziato
mondano. Innamoratosi fortemente di una meritevole donna che muore poco
tempo dopo, cadde in depressione e per distrarsi dal dolore riprese i suoi
dispendiosi viaggi. Ridotto in ristrettezze economiche si reca a Napoli per
recuperare certi suoi crediti ma dove lottare per districarsi dalla palude di
leggi e cavillose procedure al punto che si mise a studiare filosofia con un
certo profitto per ottenere dal tribunale quanto gli spetta. La sua fama
di spadaccino gli fa guadagnare la simpatia del patriziato napoletano che
ritiene massime di cavagliero che fusse atto di disonore e di vergogna il non
punire un uomo a sé inferiore quando si ha da quello qualche offesa ricevuto, e
che il perdonare generosamente fusse vergogna. Ma poscia era massima d'estrema
vergogna il non chiamare a duello un nobile a sé uguale quando da quello
si era qualche offesa ricevuta. Si diede quindi a duellare per qualsiasi
puntiglio cavalleresco tanto da essere messo in prigione aumentando così la sua
fama di duellista e vendicativo presso la nobiltà locale. Comincia a
disgustarsi di questa sua vita fatua e falsa trasformandosi in filosofo
metafisico ed entrando nella cerchia degli intellettuali cartesiani e
gassendisti che caddero sotto l'attacco della Chiesa preoccupata che il loro
sensismo approdasse a un conclamato materialismo. La posizione della Chiesa fu
esplicitata dal grande processo contro gl’ateisti, quegli intellettuali che si
erano illusi di poter modernizzare la dottrina cattolica. Si schierò con
questi frequentando il salotto filosofico Caravita che si era già battuto
contro l'Inquisizione e che era divenuto il centro di diffusione della
filosofia cartesiana. Qui il Doria ebbe modo di conoscere il protetto di
Caravita, quel Giambattista Vico che scriverà del genovese che «fu il primo con
cui poté cominciare a ragionar di metafisica» nella quale si intravedevano
«lumi sfolgoranti di platonica divinità. Per organizzarsi contro le polemiche
dei tradizionalisti, sostenuti dalla Chiesa cattolica, il Caravita pensò di
fondare un'associazione di intellettuali modernisti che, dopo diverse
difficoltà, finalmente vide la luce col nome di Accademia Palatina e che
annoverava fra i 18 soci fondatori anche Doria che pronunzia in quella sede
lezioni concernenti la teoria politica (Sopra la vita di Claudio imperadore)
dove sostene la superiorità della nobiltà per virtù e non per nascita, e dove
contestava la base valoriale dell'aristocrazia fondata sull'uso delle armi
(Dell'arte militare, Del conduttor degl'eserciti, Del governatore di piazza,
Della scherma). La guerra, scriveva Doria, non e un privilegio della nobiltà di
spada ma un'attività che richiede l'applicazione di una tecnica e il comando
affidato a ufficiali competenti nel dirigere l'animo umano (Il capitano filosofo,
Napoli) Pubblica la Vita civile e l'educazione del principe, criticata da
alcuni per alcuni fraintendimenti sul pensiero di Cartesio. Non ha inteso il
Cartesio, o ad arte ne tronca o perverte
il senso. Critica la politica di Tacito e Machiavelli sostenendo che questa va
basata non sopra l'idea degli uomini quali sono ma sulla virtù, il giusto e l'onesto».
Lo Stato anda guidato, come dettava l'insegnamento platonico, dal filosofo facendosi
così sostenitore, secondo le nuove idee riformatrici che cominciavano a
circolare in Europa, di un assolutismo moderato nel Regno di Napoli. Doria
cominciò ad interessarsi a temi scientifici mandando alle stampe le sue
Considerazioni sopra il moto e la meccanica de' corpi sensibili e de' corpi
insensibili (Augusta) e una Giunta d iM. Doria al suo libro del Moto e della
Meccanica. Opere queste, dove si critica il metodo di Galilei e si mette in
discussione la distinzione cartesiana fra res extensa e res cogitans in nome
del principio neo-platonico dell'Uno immateriale, che non ebbero il successo
sperato e vennero anzi aspramente criticate da più parti. Divenne un
personaggio ambito da nobili e femmes savantes che lo invitavano nei loro
circoli culturali dove riceve numerosi attestati di stima. Per ricambiare le
nobili dame, sue discepole, pubblica i Ragionamenti ne' quali si dimostra la
donna, in quasi tutte le virtù più grandi, non essere all'uomo inferior. La
donna ha gli stessi diritti naturali dell’uomo e puo governare e fondare grandi
imperi ma non e adatte fisiologicamente a formulare leggi per le quali occorre
una sapienza storica e filosofica. Cartesio infatti aveva errato nel credere
che Dio avesse dato a tutti eguale abilità per intender le scienze, mentre iddio
non ha ugualmente a tutti gli uomini distribuito e perciò vediamo che molti non
son capaci nelle scienze. Quindi la donna che egli ammirava moltissimo e che lo
ricambiavano con tante lodi, deve tuttavia accontentarsi di poter dirigere lo
stato ma non puo essere legislatrice. Un rapporto questo con l'altro sesso che
rimase problematico per Doria che non volle mai sposarsi ritenendo il
matrimonio una legge dura che non trova precisa corrispondenza nella teologia.
Si considera ormai un filosofo metafisico e mattematico che adottando il
platonismo ha pressoché distrutto li saggi di filosofia del signor Giovanni
Locke ed in parte ancora la filosofia di Renato Des-Cartes. Compiva un
capovolgimento delle sue convinzioni moderniste passando nel campo degli
antichi quando il suo Nuovo metodo geometrico (Augusta) e i Dialoghi ne' quali s'insegna
l'arte di esaminare una dimostrazione geometrica, e di dedurre dalla geometria
sintetica la conoscenza del vero e del falso (Amsterdam), furono aspramente
criticati da parte della rivista Acta eruditorum. Ancora più aspre le
contestazioni ricevute a Napoli che gli costarono un sonetto denigratorio che
così recitava. Di rispondere a te nessun si sogna /de' nostri, e strano è assai
che Lipsia mandi/ risposta a un uom che 'l matto ognun lo noma. Illustrazione alla recensione pubblicata
sugli Acta Eruditorum al Capitano filosofo. Gl’Oziosi, dove profuse tutte le
sue energie nel criticare i moderni, seguaci del pensiero filosofico di Locke,
dell'Accademia delle scienze di Celestino Galiani che aveva detto di lui «il Doria
ha ristampato tutte in un corpo le sue coglionerie. Con l'avvento del re
riformista Carlo III di Borbone nel Regno di Napoli, si trova completamente
isolato col suo platonismo pratticabil che continua a difendere scrivendo “Il
Politico alla moda”. Si rendeva ormai conto di come fosse irrealizzabile il suo
ideale di un governo ad opera del concetto di “sovrano virtuoso” e di “filosofe
legislatore.” Il magistrato, il capitano, il sacerdote e tutti gli ordini che
governano hanno diviso la filosofia dalla politica per unire alla politica la
sola prattica; ormai i principi scriveva vogliono governare lo stato colla
politica del mercadante, e non con la politica del filosofo. Constatava come vi
fosse ormai una generale crisi dei valori perché in questo nostro tempo si
corre dietro solamente alla perniciosa filosofia di Locke e di Newton e si
pratica solamente la politica mercantile. Completamente ignorato dall'ambiente
intellettuale, Doria malato e in difficoltà economiche muore indicando nel suo
testamento la volontà che fosse pubblicata a spese di un suo cugino, a saldo di
un debito da questi contratto, l'opera “Idea di una perfetta repubblica”.
Quando il saggio e infine edito fu condannato dai revisori ad essere bruciato
per il suo contenuto contro Dio, la religione e la monarchia. In realtà
contesta il celibato ecclesiastico, l'indissolubilità del matrimonio, la
castita, l'eternità delle pene inflitte ai dannati e l'ideologia etico-politica
dei gesuiti. Il governo perfetto doveva essere a imitazione di quello
della Roma repubblicana, perché posto il governo in mano agli uomini, è forza
che sia moderato da un magistrato ordinato alla difesa del popolo contro la
tirannia. Gli unici a esecrare il rogo del saggio furono proprio i giuristi
napoletani difendendo i libri di quel savio e cordato vecchio di Doria, di cui s'infama
la venerata memoria. E al centro del saggio “La distruzione della fiducia e le
sue conseguenze economiche a Napoli”. Si argumenta che il governo nell'azione
di depredazione del Regno di Napoli ha spogliato i loro sudditi della virtù e
della ricchezza, introducendo al posto loro ignoranza, infamia, divisione e
infelicità. Altra azione, che si rivelerà in seguito disastrosa per la società
napoletana e in genere per il Mezzogiorno, fu lo smantellamento dei rapporti
inter-personali di fiducia tra le diverse classi, necessari per lo sviluppo dei
commerci e dell'iniziativa privata e l'introduzione di una cultura dell'onore
attraverso l'infoltimento dei ranghi nobiliari, il rafforzamento
dell'Inquisizione, l'inasprimento della segretezza dell'attività di governo,
l'incremento delle cerimonie religiose e di devozione ritualizzata, l'aumento
della diseguaglianza davanti alla legge e infine l'indebolimento apertamente
perseguito del rapporto armonioso che si era creato in passato tra i diversi
ordini del Regno: tutto ciò al fine di scoraggiare, minando la fede pubblica,
l'ascesa di una classe imprenditoriale-commerciale che avanzasse i propri
diritti e rompesse l'equilibrio dei poteri tra la corte e il patriziato locale
che gli spagnoli intendevano mantenere. Tutti questi fattori, lesivi di quel
rapporto di fiducia tra le classi necessario per l'avvio e il consolidamento
dell'attività di co-operazione e di intrapresa economica, non tarderanno a
produrre effetti duraturi sulla società meridionale, non solo a livello
mentale-culturale, e di converso a livello economico, costituendo uno dei
fattori prodromici dell'arretratezza socio-economico-culturale del Mezzogiorno
d'Italia. Altre opere: “Considerazioni sopra il moto e la meccanica de'
corpi sensibili, e de' corpi insensibili, In Augusta [i.e. Napoli?, Daniello
Hopper); “Considerazioni sopra il moto e la meccanica de' corpi sensibili, e
de' corpi insensibili. Giunta, In Augusta [i.e. Napoli?, Daniello Hopper; Dialoghi,
Amsterdam, Esercitazioni geometriche, In Pariggi, Duplicationis cubi
demonstration” (Venezia); “Discorso apologetico” (Venezia); “Soluzione del
problema della trisezione dell'angolo” (Venezia); “Vita civile” (Napoli, Angelo
Vocola. Pierluigi Rovito, Dizionario Biografico degli Italiani. “L’arte di conoscer se stesso, in De Fabrizio
, Manoscritti napoletani. Autobiografia, in Cristofolini , Opere filosofiche, R.
Ajello, Diritto ed economia, Vita civile, ed. Augusta, S. Rotta in Politici ed
economisti del primo Settecento. Dal Muratori al Cesarotti, V, Milano-Napoli,
L'arte di conoscere se stesso. Eugenio Di Rienzo, GALIANI, Celestino in
Dizionario Biografico degli Italiani, V. Ferrone, Scienza natura religione.
Mondo newtoniano e cultura italiana nel primo Settecento, Napoli, Manoscritti,
La Politica mercantile, Manoscritti, Idea di una perfetta repubblica "accorato" Ajello. Segnatamente: Del commercio del Regno
di Napoli, in E. Vidal, Il pensiero civile di Paolo Mattia Doria negli scritti
inediti, Istituto di Filosofia del diritto dell'Roma; Della vita civile,
Torino; Massime del governo spagnolo di Napoli, V. Conti, Guida, Napoli Contenuto
nel volume miscellaneo Diego Gambetta, Le strategie della fiducia, Einaudi,
Torino, D. Gambetta, Pierluigi Rovito, «DORIA, Paolo Mattia», in Dizionario
Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roberto
Scazzieri, Il Contributo italiano alla storia del Pensiero Economia, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, . Giulia Belgioioso, Il Contributo
italiano alla storia del PensieroFilosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, . E. Vidal, Il pensiero civile di Paolo Mattia Doria negli scritti
inediti, Istituto di Filosofia del diritto dell'Roma. Paolo Mattia Doria.
Keywords: co-operazione, duelo – duel, the duelists, cooperation – il sensismo,
roma repubblicana, la aristocrazia romana, Romo, aristocrazia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Doria” – The
Swimming-Pool Library.
Dottarelli (Bolsena).
Filosofo. Grice: “I like Donatelli; he is an Etruscan, from Balsena, and it’s
only natural that he is obsessed with the one and only Etruscan philosopher,
Musonio!” Si è formato alla Facoltà di Filosofia dell'Perugia, dove ha studiato
con Cornelio Fabro e si è laureato con una tesi sul dibattito epistemologico
del Novecento (K. PopperFeyerabend, I. Lakatos, T. Kuhn) sotto la guida di
Massimo Baldini. Si è poi specializzato in Filosofia all'Urbino, dove ha avuto
come maestri Italo Mancini e Pasquale Salvucci, con cui ha discusso una tesi
sulle implicazioni epistemologiche della filosofia di Immanuel Kant. Ha
insegnato nei Licei ed è stato docente a contratto di Filosofia della scienza,
Filosofia morale, Bioetica nelle Università della Tuscia, di Macerata e
Firenze. Ha sempre coniugato il lavoro didattico e di ricerca con
l'impegno civile. Per 13 anni consecutivi è stato Sindaco della città di
Bolsena (VT). Eletto la prima volta nel 1986, con una lista civica di sinistra,
è stato successivamente confermato nel 1990 e nel 1995. Dal 2005 al ha ricoperto il ruolo di Direttore generale
della Provincia di Viterbo e in tale veste, oltre al coordinamento e alla
sovrintendenza della gestione complessiva dell’Ente, ha avuto la responsabilità
diretta della formazione e organizzazione delle risorse umane, del percorso di
certificazione EMAS, del processo Agenda 21 locale e del progetto Arco Latino,
strumento per la definizione di una strategia integrata di sviluppo dell’area
del Mediterraneo. Con Pasquale Picone, filosofo e psicoanalista junghiano, nel
2004 è stato cofondatore della Società Filosofica Italianasezione di Viterbo,
di cui è attualmente vicepresidente. Nel
ha costituito il Club per l’UNESCO Viterbo Tuscia, di cui è
presidente. I suoi interessi teorici si sono rivolti all'epistemologia,
all'etica, alla filosofia politica e alla pratica filosofica. In Popper e il
gioco della scienza ha svolto un'analisi critica dell'epistemologia
falsificazionista, mostrando come l'ultimo Popper, pur rendendosi conto della
coerenza dello sviluppo evoluzionistico della propria epistemologia, arretrasse
e resistesse dal trarne le estreme conseguenze, restando fedele al paradigma
del razionalismo critico, difendendolo sino in fondo, ma con ragioni sempre più
deboli. Nei suoi lavori su Immanuel Kant (Kant e la metafisica come scienza,
Abitare un mondo comune. Follia e metafisica nel pensiero di Kant) ha
evidenziato sia il proposito kantiano di fondare come una scienza rigorosa la
metaphysica generalis, prima parte della metafisica come era intesa nella
tradizione razionalistica tedesca, sia il carattere che viene ad assumere la
metaphysica specialis, dopo la critica: un pensare congetturale e analogico che
è anche prassi, vita. In questa prospettiva la filosofia kantiana viene
valorizzata per la sua peculiare dimensione "cosmica", come «scienza
della relazione di ogni conoscenza e di ogni uso della ragione umana con lo
scopo essenziale di essa», e viene ricollegata alla filosofia come era
praticata soprattutto nell'antichità: arte di vivere, esercizio spirituale. Il
filosofo pratico, il maestro di saggezza tramite l’insegnamento e l’esempio, è
così «l’autentico filosofo», che, nel quadro della complessiva ed originale
riorganizzazione kantiana dell’orizzonte utopico di derivazione platonica e
rousseauiana, diventa esso stesso un ideale regolativo, al quale colui che più
si è avvicinato è stato Socrate, per via della sua esemplare coerenza di vita.
In Freud. Un filosofo dietro al divano, il lavoro del fondatore della
psicoanalisi viene letto come un episodio della lunga tradizione che ha
interpretato la filosofia come "medicina per l'anima". Il rapporto di
Freud con la filosofia si nutre di una profonda ambivalenza: da un lato
un'irresistibile attrazione; dall'altro quasi la necessità di rassicurare se
stesso e gli altri su una propria «incapacità costituzionale» (Autobiografia,
1924) alla pura speculazione e sulla sua ferma volontà di sottrarsiproprio lui,
formidabile affabulatoreal fascino delle narrazioni filosofiche. La riflessione
di Freud non trascura nessuna delle dimensioni fondamentali della ricerca
filosofica. Neanche quella teoretica, volta a costruire visioni complessive
dell’uomo e del mondo; quella che gli appare la più rischiosa, perché la più
astratta, la più esposta alla frequentazione della metafisica e della
religione, sempre in procinto di cadere nella trappola della verità assoluta.
Più a suo agio Freud si sente invece nel lavorare lungo un'altra linea
d’impegno tradizionale della filosofia: la riflessione critica sui saperi e
sulle pratiche umane. Nell'opera di smascheramento dei meccanismi con cui le
ideologie e le prassi individuali e sociali ammantano la loro miseria “umana,
troppo umana”, le potenzialità della psicoanalisi si esprimono al meglio.
Masecondo l'interpretazione di Luciano Dottarellila fatica intellettuale di
Freud trova la propria collocazione più appropriata nella dimensione della
ricerca filosofica che interpreta se stessa come un’attività in cui l’uomo si
dedica alla cura e alla fioritura di sé, alla coltivazione della propria
umanità. Questa dimensione della filosofia come arte di vivere è stata
approfondita da Luciano Dottarelli attraverso la ricostruzione della vita e del
pensiero del filosofo stoico Musonio Rufo nella monografia su Musonio
l'Etrusco. La filosofia come scienza di vita. Testimonianza della vitalità
della tradizione culturale etrusca in epoca romana, la filosofia di Musonio è
espressione significativa di quel crogiolo di idee ed esperienze di ricerca
della felicità che è l'ellenismo della tarda antichità, in cui si rispecchierà
poi la civiltà medievale e soprattutto quella umanistico-rinascimentale.
Musonio ha dato il tono di fondo all'impegno prevalente nella tradizione
filosofica della Tuscia: ricerca di una scienza di vita, studio di perfezione,
imitazione di Dio, àskesis, esercizio per sviluppare la conoscenza e la
coltivazione di sé, finalizzata alla fioritura dell’autentica esistenza umana.
L’adesione del filosofo di Volsinii allo stoicismo è decisamente sotto il segno
di Socrate: la filosofia può proporsi come arte regia in quanto, in primo
luogo, è arte di governare se stessi. L’ideale dell’autosufficienza del saggio
si traduce nella predilezione per l’agricoltura, come attività più appropriata
per il filosofo. «La terra in effettiaffermava Musonioricambia con i frutti più
belli e più giusti coloro che si prendono cura di essa, dando molte volte tanto
quel che riceve ed offrendo grande abbondanza di tutto quanto è necessario per
vivere a chi ha la volontà di faticare: e tutto questo con decenza, nulla di
ciò con vergogna». Ad un analogo sentimento di appartenenza al cosmo e ad un
profondo rispetto per gli altri esseri umani e per tutti i viventi, sono
ispirate anche le sue riflessioni sui rapporti sociali, sulla schiavitù, sulle
donne, sulla nonviolenza, sull'alimentazione, sul vestire e sull'abitare.
Riflessioni che Musoniosecondo la concorde testimonianza dei contemporaneiseppe
tradurre con coerenza esemplare in una efficace pratica di elevazione
spirituale, diretta a coinvolgere, insieme, il corpo e l’anima. Sobrietà,
rispetto, universalità e condivisione sono le parole di riferimento di una
visione etica che anticipa in modo sorprendente istanze fondamentali della
moderna sensibilità ecologista. La visione della filosofia come arte di
maneggiare gli assoluti è approfondita nel libro Maneggiare assoluti. Immanuel
Kant, Primo Levi e altri maestri. «La filosofiasostiene Luciano Dottarellianche
quella più incline a farsi coinvolgere nell'impresa di estinguere la sete
dell’assoluto, contiene in sé, nella propria vocazione alla ricerca di una
comune verità mediante il dialogo, un antidoto indispensabile al rischio
distruttivo che può annidarsi in ogni tentativo umano, tanto umano di cogliere
la totalità, l’infinito, Dio. Anche le grandi tradizioni religiose, quelle che
da secoli sono impegnate a tracciare sentieri, trovare parole, celebrare
liturgie per saziare la fame di assoluto che agita il cuore e la mente degli
uomini non possono fare a meno di intessere un intenso dialogo con questa
tradizione di ricerca, soprattutto nei momenti cruciali, quando diventa urgente
addomesticare i dèmoni che una frequentazione inadeguata del sacro può evocare.
Dèmoni che portano il nome di fanatismo, intolleranza, totalitarismo e di cui
la storia degli uomini alla ricerca della verità assoluta, della totalità
autentica ed incondizionata, dell’esperienza integrale è purtroppo costellata.
La consapevolezza che anche la filosofia non possa dichiararsi storicamente
innocente, non cancella ma spinge a ritrovare sempre di nuovo la vocazione più
profonda di quest’originale forma di esercizio spirituale: una ricerca
appassionata del bene e della verità, capace di resistere alla suggestione del
possesso compiuto e di mantenersi in quella apertura alla possibilità
dell’errore che è presidio di autentica libertà per sé e per gli altri».
Altre opere: “Il gioco della scienza” (Massari); “Metafisica non scienza”
(Massari); “Abitare un mondo comune: follia e metafisica nel pensiero di Kant
(Introduzione al Saggio sulle malattie dell’anima di I.Kant” (Massari); “Utopia
e ragione come luoghi del incontro dell’ego ed il tu”, in Le ragioni della speranza” (La Piccola
Editrice); “L’assoluto e il relative” (Il Prato); “Musonio” (Annulli Editori); Freud.
Un filosofo dietro al divano, Annulli Editori,
Riverberi Di Tuscia e d’altro, Annulli Editori); “La farfalla dell’anima
e la libertà , Armando Editore. Luciano Dottarelli. Keywords: Musonio, Etruscan
influence on Roman philosophy, Why Roman philosophy is not Greco-Roman – The
Etrurian connection. Etrurian as ‘antique’ – Etrurian as exotic for
Indo-European Aryan Latins (Romans). Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Dottarelli” – The Swimming-Pool Library.
Duni (Matera). Filosofo. Grice: “I like Duni; but of
course he errs, as Kant does – for how can a ‘sitte’ a mere costume, become
‘universal’ – yet that’s the oxymoronic title of his tract, ‘scienza dei
costume, ovvero, diritto universale’. Figlio di Francesco, maestro di cappella
della cattedrale di Matera, e fratello dei compositori Egidio Romualdo ed
Antonio, nell'ambiente familiare impara la musica scrivendo anche alcune
composizioni da gravicembalo, pur se non seguì le orme dei fratelli maggiori in
campo musicale, e fu avviato agli studi religiosi nel Seminario della città di
Matera. Si laurea in Napoli. Torna a Matera dove aveva già intrapreso la
pratica di avvocato presso la Regia Udienza e dove, chiamato da Lanfranchi, fu
insegnante presso il Seminario; lo stesso Palazzo del Seminario divenne in
seguito sede del Liceo Classico di Matera, che fu a lui intitolato. Dopo la
morte del padre, lascia Matera trasferendosi dapprima a Napoli e
successivamente a Roma. Presso
l'Università degli Studi La Sapienza fu docente di diritto canonico e di
diritto civile, e pubblica un Commentarius in cui esponeva la dottrina
giuridica del codicillo, con una dedica a Benedetto XIV che in seguito lo
sostenne nella sua nomina alla cattedra universitaria; a Roma entrò in contatto
con le opere di Vico, del quale divenne un convinto sostenitore. Eleggendo Vico
a suo maestro, si propose di realizzare un programma di diritto universale come
fonte di tutte le leggi e costumi umani. Partendo dalla sua formazione
cattolica, crede in Dio creatore del mondo e suo legislatore, e non distinse
l'etica e la giurisprudenza considerandole integrative in quanto tendenti allo
stesso fine, cioè a dare il senso della vita, e quindi facenti parte entrambe
della filosofia. Nacque così il “Saggio sulla giurisprudenza universale”; sua
opera fondamentale, dedicato al promotore della politica riformatrice del Regno
meridionale, il ministro Tanucci. Il “Saggio” indica esclusivamente nel vero il
principio unitario delle conoscenze umane, a cui ricondurre anche la fondazione
delle scienze morali. Il bene o vero morale (Cicerone e buono), che differisce
dal vero metafisico perché comporta anche l'elezione volontaria del vero
conosciuto, si esprime come onestà e come giustizia. La morale propone
l'honestum, cioè il bene secondo coscienza, e opera dall'interno, invece il
diritto indica la via per andare al giusto, regolando i rapporti tra gli
individui o soggetti e quindi la vita sociale. Successivamente al Saggio, scrisse
un'opera sul rapporto tra filosofia e filologia nell'ambito della storia di
Roma, ed in seguito una Risposta ai dubbi proposti da Finetti in cui
polemizzava contro Finetti difendendo la memoria del Vico. Pubblica a Napoli la
“Scienza del costume o Sia sistema del diritto universale”, dedicata a Antonelli,
in cui prosegue l'opera iniziata con il Saggio. Opere: “De veteri ac novo iure
codicillorum commentaries; “Saggio sulla giurisprudenza universale”; “Origine e
progressi del cittadino e del governo civile di Roma”; “Scienza del costume o sia sistema del
diritto universale”. LA A falſa comune
opinione adotta ta co me un'affioma dai Politici , che le So cieti Civili
naſcono colla forma di Governo Monarchico , diede occaſione non meno agli
antichi , che moderni Scrittori della Storias Romana di formare di queſta
Nazione tutt ' altra idea di quella , che fu realmente . I vo caboli di Re e di
Regno appreſi nel ſenſo di quei tempi , in cui viſſero gli Storici , quando già
fioriva in Roma la Monarchia , gli traſportarono a credere , che il Governo
cominciaſſe fin dal tempo di Romolo colla , forma Monarchica . Taluni peraltro
convinti da’ fatti contrari della Storia furono obbligati a confeflare che ne'
primi tempi di Roma quantunque regnaffe la Monarchia , pure.que Ita non poteſſe
dirá alſoluta ma che folle accom DI ROMA . 17 accompagnata , e mifta di Ariſtocrazia
, ' é, Democrazia ; ' e che in conſeguenza i Patrizi inſieme co ' Plebej
rappreſentaſsero qualche dritto nel Governo , di cui peraltro la ſomma foſse
preſso de' Re . L'Idea adunque che tam luni Scrittori fecero del Governo di
Roma fin dal fuo nafcere , fu di conſiderare Romolo co'ſuoi Succeſsori o per
veri Monarchi ; o per Monarchi, che aveſsero comunicato parte
dell'amminiſtrazione ai due Ceti di Patrizi, e Plebej , riputando i Patrizi e
Senatori , come Ceto di Cittadini illuſtri ricchi e favj , im piegati dai Re
nelle cariche più gelofe del lo Stato , ed i Plebej per Ceto anche di Cit
tadini ma ignoranti e vili , che ſerviſsero per le faccende ruſtiche , e per la
guerra ; e che aveſsero qualche parte anche ne' pubblici affari . Venne , come
diſi , tal falfa opinione fo ſtenuta da quel comune errore , che tutte le
Società Civili non poſsano altrimenti comin ciare , fe non con la forma
Monarchica , non fapendo eſli immaginare con qual altra for ma di Governo poſsa
mai unirli , e comporli Tom. II. B un > 7 18 DEL GOVERNO CIVILE un Ceto di
famiglie a convivere tra loro , ed a formare un corpo . Imperciocchè , dico no
efli , non è poſſibile di concepire il prin cipio di tal unione , ſenzachè
qualcuno di eſſi, o per violenza , o per fraudolente ambizione induca gli altri
alla di lui foggezione e Si gnoria ; tantoppiù che non ſi faprebbe in al tra
maniera immaginare , come i Padri di fa miglia, i quali prima di entrare in
Società Ci vile , facendo ſenza dubbio la figura di Mo narchi nella propria
famiglia , pofsano ſenza il mezzo della violenza , o dell'inganno , ab
bandonare la propria Signoria col foggettarfi al Governo Civile . Su queſta mal
fondata , opinione incontrandoſi nel fatto della Nazio ne Romana , in cui
intefero parlare di Re , e di Regno nel ſenſo appreſo di Monarca , e Monarchia
non dubitarono punto di defi nire il Governo fotto Romolo , e Tuoi fuccef fori
per Monarchico . Ma poichè i fatti ſteſſi della Storia realmente non
s'uniformano all ' Idea di una perfetta Monarchia , furono co ftretti ad
ainiettere una Mon : irchia mitta di Ariſtocrazia inſieme , e Democrazia .
Tutte DI- ROMA . 19 Tutte le ragioni politiche , che ſogliono ads durſi dagli
Scrittori nel pretendere , che le So cietà Civili non poſſano altrimenti
nafcere che colla forma Monarchica , fono a mio giu dizio tanto lontane dal
dimoſtrarla , che anzi provano tutto il contrario , cioè , che la unione de'
Padri di famiglia , nel comporre la Società Civile , debba neceſsariamente pro
durre forma di Governo Ariſtocratico , e non Monarchico ; poichè fe effi non
fanno im maginare , come tali particolari Monarchi di famiglia poſsano
ſoggettarſi alla pubblica , Podeſtà ſenza frode o violenza di qualcuno di loro
, io al contrario non ſo concepire , .come tal violenza o frode d' un ſolo por fa
eſser valevole ad obbligare un Ceto in tiero di Padri di famiglia avvezzi a
ſignoreg . giare in caſa propria per ſoggettarſi al Mo narca , Qualunque voglia
figurarfi la frode o la violenza d'un folo , egli è chiaro che tali mezzi non
faprebbero indurgli a foffrire di buon animo un totale cambiamento di con
dizione , quanto, lo è il paſsare da quella , in cui trovavanli di Signori
aſsoluti , a queſta di B 2 fud 20 DEL GOVERNO CIVIL E fudditi, trattandoſi di
cambiare condizione in tieramente oppofta ; ed ognun fa , quanto rin . : creſce
al Signore il paſſare di fatto dallo ſta to di comandare a quello di ubbidire .
Che ſe mi diceffero , che ciò nafce dalla violenza, cui non ſi può reſiſtere ,
io gli riſpondo , che nei naſcimenti delle Repubbliche la for za d'un ſolo non
è , ne può eſſere parago nabile alle forze unite di tanti Padri di fa miglia ,
quanti converranno ä formare la So cietà . Sicchè tanto è fupporre , che la
forza d'un folo baſti per opprimere gli altri , quan to è dire , che molti non
fiano in grado di vincere la violenza d' un folo ; ciò che o non è affatto
poſſibile , o almeno lo potrà eſſere in qualche caſo troppo raro , e
ſtravagante ; ma la ſtravaganza e la rarità non può in durre un ſiſtema
generale . Quindi il preten dere , che le Società Civili debbano necella
riamente cominciare colla forma di Governo Monarchico , è lo ſteſso , che
fupporre la violenza , o la frode d' un folo maiſempre ſuperiore alla forza ,
ed alla deſtrezza di mol ti ; e ciò non baſta , perchè biſognerebbe an che >
DI ROMA . 21 1 che ſupporre , che al numero di molti non fc gli preſenti mai
occaſione favorevole per re fiftere , e liberarſi dall' uſurpato potere di un
ſolo ; cioche realmente s’oppone ad ogni no ftra immaginazione. Se poi vorranno
fingere, che dopo la violenza , o frode uſata dal Mo narca per ſoggettare gli
altri , poffa ſeguire il compiacimento degli ſteſſi ſoggetti , forſe perché il
Monarca ſia dotato di virtù tali , che baſtino ad innamorargli , oltreché une
tal ſupporto non ſi può ammettere general, mente , incontra il maſſimo oſtacolo
di non poterſi concepire , come gli Uomini avvezzi a dominare poſſano cosi
preſto invogliarſi della condizione oppofta di ubbidire per qualunque
ammirazione di virtù nella perſona del Moia. narca . Ma poi non è poſſibile il
concepire nel Monarca virtù degna di ammirazione preſo co loro , che
naturalmente, non fanno ſpogliarli di fatto del proprio carattere di dominare ,
ſenzaché entrino almeno a parte della pub blica amminiſtrazione ; fe pure non
vogliamo fingerli per Uomini affatto ftolidi ed alieni dalla maſſima delle
Umane paſſioni . B 3 Qui 22 DEL GOVERNO CIVILE Qui potrei co ' monumenti
pervenutici de gli antichiſsimi Popoli dimoſtrare col fatto l? inſuffiſtenza di
un tal ſentimento dei Politici col riconoſcere nelle origini delle Nazioni tutt
altra forma di Governo , che la Monar chica ; e che laddove eſli ſuppongono ,
che la Monarchia ſia ſtata la prima a forgere nel le Società Civili , fi
troverà maiſempre l'ulti tima a venire dopo l' Ariſtocrazia , e Demo- ' crazia
; perché la naturalezza delle Umane vicende è tale , che i Padri di Famiglia
nel formare la Società Civile dovendo decadere da quella podeſtà afloluta , che
eſercitavano in Caſa , cercheranno di cedere il meno che ſia poſſibile
dell'antica Signoria ; poichè l'Uo mo per natura non fa mutarſi di fatto da ,
uno ſtato ad un altro direttamente oppoſto al primo , e perciò quando trovali
nella contin genza di dover paſſare da una condizione ſuperiore all' inferiore
, procura ſempre di paſſarci per gradi , e non di ſalto . Quin di è , che fe
vogliamo ragionare a ſeconda , dell'idee Umane , dobbiam dire , che tali Pa dri
di famiglia qualora li vedranno obbligati dalla DI R O M A. 23 dalla neceſſitii
di laſciare la Monarchia del ta loro famiglia , ſebbene converranno vo lentieri
in Società Civile per trovare mag gior ſicurezza coll'erezione della poteſtà
pub blica compoſta di forze unite , e per confi gliare ai vantaggi, e comodi
della vita ; pu Te non ſi diſporranno mai a cedere dell'anti ca poteſta , fe
non quanto biſogna per reg gerſi il Corpo Civile , e quanto meno liane
poflibile di quella dominazione , che lafciano . Or la forma di governo , che
dovranno fce gliere , farà certamente l'Ariſtocratica , come quella , in cui fi
cede il meno dell'anticas Signoria , formandoſi una Podeſtà pubblica che
riſiede nondimeno preſſo gli iteſi mem bri , che la compongono , e nel tempo
ſtello col Governo Ariſtocratico ſieguono a ſignorega giare ſul Volgo , e ſulla
Plebe , che ſi ricovera ſotto la loro protezione . Che ſe poi vorremo fare un'
efatto giudizio , come coll' andar del tempo dall'una forma di Governo ſi fuol
para ſare all'altra , poſſiamo qul accennare breve. mente , che ſtabilitaſi la
Societ : Civile nella ſua origine colla forma Ariſtocratica , che dee ellere 1
B 4 priva d'ogni dritto Civile i Indi l'oppreſſo 24 - DEL GOVERNO CIVILE eſsere
la prima a naſcere , gli Ottimati na turalmente faranno traſportati dall’amor
pro prio ad opprimere , e tirannizzare il Volgo , o ſia la Plebe , che
ricoverandoſi ſotto la lo ro protezione, per ſoſtentare la vita , rimane Volgo
creſciuto in numero , maſſime col mez zo della procreazione , pel deſiderio
iſpiratoci dalla Natura di fottrarci dall' altrui tirannia , cogli
ammutinamenti e ſedizioni cerca di li berarſene ; e quindi avviene , che dall'
Ari ftocrazia ſi paſſa alla Democrazia . Finalmente il Popolo tutto reſo
partecipe del Governo , naturalmente ſi divide in fazioni , le quali agi
tandoſi continuamente tra loro , non trovano altro ſcampo per ſalvarſi dalle
guerre Civili , che di ricoverarſi ſotto la Monarchia . E que Ito ſembra il
corſo ordinario e naturale delle Origini e de' progreſſi delle Nazioni tutte
uniforme altresì alle memorie pervenuteci del le antichiſſime Nazioni. Ma per
non partirci dal noſtro argomento , ci conviene di fermarci ſull' eſame del Go
verno Civile di Roma . E ſulla prima fa duo po DI ROMA: 25 po di ſviluppare
dalle tante incoerenze , che troviamo nella Storia , quella prima forma di
Governo , che venne iſtituita ſotto Romolo nel naſcimento della Città Romána .
Dicia ino adunque , che la prima forma diGover no iſtituita fin dal tempo di
Romolo tanto è lungi , che fofle ftata Monarchica , o miſta di Monarchia , che
anzi ſi riconoſce chiaramen te Ariſtocratica delle più feverè , che mai li
poſſa immaginare , come realmente lo furono le Nazioni tutte nei loro
forgimenti . E pri mieramente l'efferſi attribuita a Romolo , e ſuoi Re
fucceffori la Monarchia , nacque fo vratutto , come diſli , dalla falſa
intelligen-. za della voce Rex , col di cui nome vennero chianati tutti quei ,
che da Romolo fino al la creazione de' due Conſoli Annali ebbero la cura di
preſedere , e far da Capi del Se nato regnante . La voce Rex nei tempi , in cui
gli Storici, come Livio e Dioniſio 'com pilarono la Storia Romana , fu certamente
appreſa in ſenſo di Monarca , come temps , in cui fioriva. la Monarchia e con
un tal Suppoſto non ſapendo neppur eſi immagina. re 26 DEL GOVERNO CIVILE re
altra forma di Governo nel naſcimento della Città Roinana , andarono a credere
, che o in tutto , o in parte regnaſſe la Monarchia . Ma ſe vogliamo
inveſtigare la vera originaria fignificazione della voce Rex , troveremo ,
ch'ella viene da reggere , e ſoſtenere , e che propriamente dinotava un Capo e
Dace del la Repubblica , e non un Monarca di pode Atà aſſoluta . La ſtella
eſpreſſione di Rex tro viamo uſurpata in tutte le altre Nazioni , di cui ci è
pervenuta la Storia ; ma il Governo del le niedeſime non ſi può attribuire a
Monar chia ſenza ſmentire i fatti medefimi, dai quali ſcorgeſi , che tali Re altro
realmente non era no , che Capi, e Duci delle Repubbliche : per che inſieme
colla perſona del Re troviamo i Senati , da cui definivanfi gli affari pubblici
dello Stato . Soleaſi per altro diſtinguere l' incombenza dei Re in pace ed in
Città da quella , che rappreſentavaſi in guerra ; poi che qualora erano in
piegati a far da Capita ni Generali a comandare l'eſercito , ſpiega vano
certamente una podeſtà affoluta , come quella , ch'è troppo necelaria nel
Capitan Gen DI ROMA 27 Generale per lo buon regolamento delle fac cende
militari . Trattaſi in guerra di porre in eſecuzione all'iſtante le opere
militari , le qua li non ſoffrono dilazione , e richieggono la più rigoroſa
ſegretezza per forprendere l'ini mico , ed in conſeguenza i Re in guerra per
natura dell'impiego medeſimo ſpiegavano po teſtà aſſoluta , perchè non giova di
eſercitarſi colla dipendenza dal volere degli altri , è maf fimamente de'
Cittadini, come lontani e che non poſſono eſſer preſenti alle diſpoſizioni mi
Jitari , e perciò non ci dee far maraviglia , fe per conſigliare al pubblico
bene fafi co ſtumato di concedere al Re , quando coman da in guerra , una
poteſtà indipendente e Monarchica . Ma di qualunque carattere ftata foſſe lae
poteftà dei Re in guerra , non dobbiamo con fonderla colla podeſtà da effi loro
praticata in pace e nel Governo Civile dello Stato . In fatti Tacito narrando i
coſtumi degli antichi Germani ci fa ſapere che prello tali antis chi Popoli ſi
diſtinguevano i Re propriamen te 1 28 DEL GOVERNO CIVILE te detti nel ſenſo di
reggere la Repubblica dai Capitani Generali ; poichè i primi fi eleg gevano dal
Ceto degli Ottimati e . Signori , ed i ſecondi fi ſceglievano tra quei , che li
erano reſi celebri pel valore , ' I Re , dices egli , ſi eleggono dal Ceto de'
Mobili , e per Capitani Generali ſi ſcelgono i più celebri nel valore ; Ma i Re
non rappreſentano pode fà libera ed illimitata (a ) ; quanto a dire che la
qualità di Re preflo gli antichiſſimi Germani non produceva poteſtà fuprema , e
Monarchica , tuttoche Tacito gli aveſſe at tribuito il nome di Rex . Dioniſio
parlando degli antichi Re della Grecia fcrive , che i Re delle antiche Greche
Nazioni , preffo di cui il Principato era ereditario , o pure elettivo ,
governavano col conſiglio degli Ottimati , come lo atteſtano Omero , e gli
antichiſſimi Poeti. Nè quei tali antichi Re eſercitavano il Prin cipato con
poteſtà aſſoluta , come veggiamo a tempi (a ) Tacit. de moribus Germanorum 9.
VII. Reges ex nobilitate , duces ex virtute fumunt . Nec Regi bus infinita ,
aut libera poteftas . DI ROMA . 29 tempi noftri (a ) . La voce Rex adunque
nell' originaria ſignificazione Latina dinotava une Capo di qualunque Ceto , o
di Repubblica , e non un Monarca z e queſto Capo qualora veniva deſtinato a
comandare in guerra ; al lora fpiegava la poteſtà aſſoluta ; Ma nei tem pi
poſteriori , quando le Nazioni pervennero allo ſtato di Monarchia fi ritenne la
ſteffa voce Rex , che paſsò a ſignificare il Monarca , quan to a dire , che il
nome di Rex attribuito a Romolo , ed agli altri Re ſucceſſori, non può eſſere
un argomento per definire il Governo Monarchico nel naſcimento della Città Ros
mana . Parliamo ora ad eſaminare i fatti narratici dagli Storici , dai quali
unicamente dipende lo ſchiarimento di queſto articolo . Dioniſio , il quale a
differenza degli altri s'impegna a de ( a ) Dioniſio Antiq. Rom . lib . 2.
Graecanici Reges çerte , qui haereditarium Principatum fumerent , quolve
Populus fibi ipfe praeficeret , confilium habebant ex Optimatibus , ut Homerus
, & antiquitlimi quique Poetarum teftantur .. neque ( ut fit in noſtro
feculo ) veteres illi Reges ex ſui tantum animi fententia poo feſtatem
exercebant . 30 DEL GOVERNO CIVILE deſcriverci minutamente l'origine del Govere
no Civile ſotto Romolo , febbene non ſeppe , formare un' eſatto e coſtante
giudizio della forma del Governo , pure ci ſomminiſtra ba . ftanti lumi , onde
poſſiamno ſcovrire il vero . E ſulla prima introduce un allocuzione fatta da.
Romolo ai ſuoi Compagni ſul propoſito di doverſi ſtabilire una forma di Governo
che foſſe più utile , e più atta per tener lon tana la Città dalle fedizioni
Civili , e per di fenderla dagl' inſulti dei Popoli eſteri . E qui ci
rappreſenta Romolo per Uomo ben iltrutto ed erudito delle Nazioni Greche , e
delle Barbare , delle forme del loro Governo della difficoltà nello ſcegliere
la migliore ; indi gli conſiglia a riflettere maturamente l' affare , affinchè
poteſſero riſolvere , se piutto fto voleano ubbidire a un ſolo , o pure a
pochi, moſtrandoſi pronto e pieno di moderazione a ſeguire il loro volere (a) .
Dopo una ſpe cio ( a) Dioniſio antiq. Rom. lib. 2. Quum autem diffi çilis fit
earum ( vitae uempe rationum ) electio , juf lit DI ROMA . 31 ciofa allocuzione
i compagni di Romolo te. nendo conſiglio tra loro , non dubitarono di
preſcegliere la forma del Goveno Regio in perſona dello ſteſſo Romolo , non
ſolamente perchè l' aveano ſperimentata la migliore per quanto l'aveano inteſo
approvare dai loro Maggiori , ma perchè giudicavano , che con una tal forma di
Governo ſi otteneffero i due maſimi vantaggi , cioè la libertà propria , e · l'
impero preſſo degli altri (a) . Da un tal racconto ognun vede , che Dio. nilio
fit eos re per otium conſiderata dicere , NUM UNI RECTORI , AN PAUCIS PARERE
MALINT . Etenim , inquit , quamcumque Reipublicae formain in ftitueritis , ad
eam recipiendam paratus fum , nec principatu me indignum cxiſtimans , nec
detrcaans imperata facere . (a) Dioniſio loc.cit.Illi, communicato inter fe con
filio, reſponderunt in hunc moduin : nobis nova Reid publicae forma non eft
opus ; nec a majoribus proba tam , & per manus traditam mutabimus , fed
& pri fcorum conlilium fequimur, quos non ſine inſigni prů. dentia illam
Reipublicae formam inſtituiſſe credimus, & praefenti fortuna contenti ſumus
; cur enim illam in. cuſemus , quum fub Regibus contingerint nobis bona , quae
apud homines habentur praecipua , LIBERTAS ET IMPERIUM IN ALIOS Haec eft noftra
de Republica fententia &c. 32 DEL GOVERNO CIVILE niſio compoſe tali
narrazioni piuttoſto allas maniera , com'egli avrebbe penſato di fare , che con
quella , che Romolo realmente ufaf ſe preſſo i lnoi compagni'. E tralaſciando
di riflettere le tante improprietà di ſimile allo cuzione , in cui ci propone
Romolo per Uo mo iſtrutto delle Barbare , e delle Greche Na zioni, anzi delle
varie forme del loro Gover no ; quando al contrario , come dimoſtraremo a fuo
luogo , i Romani per molti ſecoli fu rono affatto ſconoſciuti ed ignoti ,
mallime alle Greche Nazioni , ci giova quì di notare quell'eſpreſſione , che il
Governo Regio po tea loro conſervare il pregio della libertà , il quale
certamente non ſi può ottenere colla Mo narchia preſa nel ſuo vero fenfo di
podeſa d' un ſolo aſſoluta , ed arbitraria; poiché an che ſul ſuppoſto d'un
Monarca dotato della più retta politica ę ſaviezza , e di coſtumi i più ſublimi
ed innocenți , il Popolo non può godere altro pregio di libertà , ſe non
quello, che deriva dalla rettitudine dell'animno dalla ſaviezza del Monarca
medeſimo ; mais non ſi può pretendere ſotto la Monarchia di 1 DI ROMA . 33
godere il dritto e la libertà di reſiſtere , ed oppora al di lui ſentimento e
comando ; poiché la forma Monarchica , come tale , racchiude la fuprema poteſtà
preſſo di una folo ; e tutto il reſto del popolo potrà fo lamente eſercitare
quell'autorità , che pia ce rà al Monarca di comunicargli ; ficchè ſi conſidera
allora ' tale autorità come dipen dente e ſoggetta maiſempre al voler del
Monarca e non libera del popolo , che l' eſercita per comando del Principe . Ed
ecco cheDioniſio leffo finora ci propone il Gover no Regio non già in ſenſo di
Monarchia , ma di Capo e Duce d ' un ceto d' Uomi ni , che intendono d'eſser
membri del Go verno medeſimo , per eſſere anch'eſſi a par te della libertà di
comandare . Siegue indi Dioniſio a narrare la diviſione del Popolo in Tribù , e
Curie , inſieme colla egual partizione de' campi , e de' terreni tralle Curie ;
e poi paſſando alla diviſione de' Ceti fatta in Padri e Plebe , nel riferire il
carat tere che i Patrizi doveano rappreſentare nella Repubblica , chiaramente
ci atteſta , Tomo II. С che 34 DEL GOVERNO CIVILE che ai Patrizi apparteneva la
cura dei Sacri , l'eſercizio de' Magiftrati, l'amministrazione della Giuſtizia
, ed il Governo della Repubblica unitamente con Romolo (a ). Ę poco dopo narran
do l'erezione del Senato dal Ceto de? Patrizj replica lo ſteſſo , cioè , che
Romolo avendo ri dotto le coſe in buon ordine , immediatamen- : te creò dal
Ceto de' Patrizj i Senatori , i quar. li doveſſero ſeco lui amminiſtrare la
Repubbli 64 (b) . E queſta ' erezione di Senato l'affomi glia alle Repubbliche
delle antiche Nazioni Greche ſulla teſtimonianza di Omero , e di altri Poeti
Greci , che fanno menzione di fimi li Senati regnanti, cui preſedeva il Re , il
qua le per altro facea da Capo e Duce, in ma niera $ (a) Dionifo loc. cit.
Romulus porro poftquam difcre vit potiores ab inferioribus, mox legibus latis
praefcri plit , quid utriſque faciendum effet : ut Patricii facra curarent,
Magiſtratus gererent , jus redderent ,SECUM REMPUBLICAM ADMINISTRARENT. ( b )
Dioniſio loc. cit. Ceterum Romulus poftquam haec in decentem ordinem redegit ,
confeftim decrevit Se fatores creare , ut ellent , QUIBUS CUM ADMINI STRARET
REMPUBLICAM . DI ' ROMA . 35 niera però , che il Governo della Repubblica
riſedelle prello il Senato compoſto degli Ot timati , come per l'appunto furono
i Patrizi di Roma (a) . Indi riferiſce le particolari in combenze attribuite a
Romolo , come Capo del Senato , cioè , che prello di lui eſſer do veſſe la
principal cura dei Sacrifizj e del le coſe Sacre : che doveſſe aver cura delle
Leggi e de' Coſtumi Patri ; che ſi riſerbaf ſe il giudizio per gli delitti più
gravi, e de' minori ne giudicaſſero i Senatori ; che foſſe di ſua incombenza di
convocare il Senato ed il Popolo tutto , colla prerogativa di dover eſſere il
primo a profferire il ſuo ſentimento , ma che le determinazioni del Senato
dovef ſero dipendere dalla pluralità dei fuffragi ; e finalmente , che poteſſe
ſpiegare Poteſtà aſſo luta in guerra ( b) , Paſſando poi a ſpiegare , C 2 qua
(a) Dioniſio 796x it. Graecanici Reges certe > qui hereditarium Principatum
fumerent, quoſve populus fibi ipfe praeficeret , conlilium habebant ex
Optimatibus , ut Homerus & antiquiſſimi quique Poetarum teſtantur &c. (
b) Dioniſio loc.cit. His conſtitutis, honorcs, & potefta tes in fingulos
Ordines diſtribuit . Regi quidem eximia mune 36 DEL GOVERNO CIVILE quale eller
doveſſe l'autorità del Senato , fcri ve , che gli affari del Governo ſi
doveſſero dal Re proporre al Senato, preſo di cui non di meno doveſſe riſedere
la potefta fuprema di decidere col mezzo della pluralità dei ſuf fragj ,
ſoggiungnendo inoltre, che un tal fix ſtema di Governo folle ftato appreſo
dalla Repubblica dei Lacedemoni , ( fempre col falfo fuppofto , che Romolo in
tali tempi aveſſe avuto cognizione de' Papoli della Gre cia ) in cui i Re non
erano Monarchi , nè Die {potici del Governo , ma ſemplici Capi del Senato il
quale fpiegava la fuprema pote ftate munera fuerunt haec: Primum , ut
Sacrificiorum , & re liquorum Sacrorum penes eum eflet principatus, per
quem çumque gereretur quidquid ad placandos Deos attinet ; deinde uit legum ac
conſuetudinum Patriarum haberet cuſtodiam , omniſque Juris , quod vel natura
di&ar , vel pacta & tabula fanciunt curam ageret ; utque de graviſſimis
delictis ipſe decerneret , leviora permitteret Senatoribus , providendo interim
, ne quid in judiciis pece caretur ; utque Senatum cogeret , Populum in concio
nem vocaret , primus fententiam diceret , quod pluçi bus placuiſſet , ratum
haberet . Haec Regi attribuit mu nia , & practerea fummum in bello Imperium
, DROMA. 37 ( be neppur ftà nell'amminiſtrazione della Repubblica (a ). Da
tutto queſto racconto di Dioniſio non v'è chi pofſa negare , che Romolo non eb
l'ombra, della poteſtà Monarchica; poichè colla coſtituzione del Senato la
poteità ſuprema riſedeva preſſo il Senato medeſimo , e preſſo gli Ottimati ; e
che tutto quello , che fu attribuito alla perſona del Re , conſiſte va nel fare
da Capo del Senato Regnante col la ſemplice prerogativa di poter proporre gli
affari, e di eſſere il primo tra i Senatori 2 profferire il ſuo fentimento ; ma
che la poteſtà di determinargli riſedeſſe preſſo il Ceto dei Senatori , in
maniera che le determinazioni ſi coſtituivano colla pluralità de' Suffragj, a
cui il Re medeſimo dovea foggiacere ; ciocchè non ſolamente eſclude ogni idea
di Monarchia , ma C3 ci (a ) Dioniſio loc. cit. Senatui vero dignitatem ac po
teſtatem hanc addidit , ut is s de quibus à Rege ad ipſum referretur , de his
decerneret , & ferret calculum, ita ut ſemper obtineret plurium ſententia .
Id quoque a Laconica Republica defumtuin eſt; Lacedaemonio, rum cnim Reges non
erant fui arbitrii , ut, quidquid vellent , facerent ; fed penes Senatum erat
tocà publi cæ adminiftrationis poteftas . 38 DEL GOVERNOICI V ILE ro ci
manifeſta chiaramente una perfetta Ariſto crazia compoſta di Senatori , i quali
furono eletti dal Ceto nobile de' Patrizj. Egli è ve che il Re di Roma ſpiegava
la poteſtà aſſoluta ſoltanto in guerra ; ma queſta , come dicemmo , non toglie,
nè s’ oppone alla for ma del Governo mero Ariſtocratico , perchè in tutte le
Ariſtocrazie troviamo tal poteſtà ſuprema nella perſona del Capitan Generale ,
per la ragione di non poterſi altrimenti eſer citare con felice effetto il
comando del Du ce dell' Eſercito : E qui giova d' oſſervare , che ſebbene nelle
Ariſtocrazie il Capitan Ge nerale faccia ufo di poteſtat aſſoluta in guer ra ;
pure la dichiarazione della guerra , e tut to ciò , che appartiene al ſiſtema
generale di eſercitarla , dipende dal volere dello ſteſſo Se nato regnante ,
quatito a dire , che tutta live poteſtà ſuprema del Capitan Generale ſi ridu ce
ad eſeguire gli ſteſſi ordini del Senato éd a riſolvere all'iſtante da ſe
medeſimo ciò che non ſoffre dilazione , e l'attendere l'ora colo del Senato
ſarebbe inutile e dannoſo Del rimanente la forma del Governo ſi diſtin gue ITDI
ROMÀ. 9. 39 gue non già dall'uſo della poteſtă , che ſi eſercita in guerra , ma
dalla ragione delle pubbliche determinazioni , le quali , qualora dipendono
dall' arbitrio di quei pochi , che compongono il Senato , ci manifeſtano chiara
mente l'Ariſtocrazia , e non la Monarchia , anzi neppure un miſto dell'una è
dell'altra ; perchè la coſtituzione d'un Capo del Senato , ſempreche tutte le
pubbliche determinazioni ſono riſerbate alla pluralità de' Suffragj dei
Senatori s non ſi può aſcrivere , che ad un più ordinato regolamento del Senato
mede ſimo , come avviene in tutti i Ceti di per fone , in cui vi ſia un Capo ,
il quale ſembra effer neceſſario , affinchè ſia meglio regolato il Corpo
intiero di quei , che lo compongo ño ; ma non già che la coſtituzione del Capo
vaglia à mutare o alterare in minima parte il fiftemå del Ceto medeſimo. So
bene , che anche nelle Monarchie fogliono eſſervi i Se nati , maſlime de Grandi
dello Stato ma cali Senati ſono di gran lunga diverſi da quello, che fu
ſtabilito in Roma forto Romolo ; poi chè il Monarca talvolta ſuole commettere a
C4 quals 40. DEL GOVERNO CIVILE 0 qualche Geto di Perſoné la deliberazione de
gli affari , o pubblici , o privati ; ma tali de liberazioni non oltrepaſſano i
confini d'un mero configlio , ſicchè rimane maiſempre al Monarca la facoltà di
approvare , di repu diare la deliberazione ; quanto a dire , che la
determinazione dipende maiſempre dall' arbitrario fuo volere e non dai
ſentimenti dei ſuoi Conſiglieri; ragion, per cui nelle Mo narchie ſi trovano
talvolta ſtabiliti tali Ceti di perſone , che ſogliono aver nome di Con
ſiglieri del Monarca . All'incontro il Senato di Roma era compoſto di perſone ,
di cui ognu na ſpiegava uguale autorità a quella di Ro molo per le pubbliche
determinazioni , e queſta tal ſorta di Senato Regnante è quel la propriamente ,
che coſtituiſce la vera forma di Governo Ariſtocratico . Quindi pof ſiamo
francamente affermare , che dove re gna la Poteſtà fuprema nel Senato , ivi non
vi può eſſere neppur l'ombra della Monar chia , ed al contrario dove regna la
Monar chia , ivi non può eſſervi Senato di poteftà ſuprema; perchè l'una e
l'altra forma di Go verno DI ROMA . 4.1 3 come verno non ſi diſtinguono in
altro , ſe non che nella Monarchia la poteſtà fuprema riſiede in un folo , e
nell' Ariſtocrazia in molti . Ma per eſſer meglio convinti d'una tal ve rità ,
ci conviene di eſaminare con maggior diſtinzione quel Capo di Poteítà , che
riguar da lo ſtabilimento delle Leggi , il quale più d'ogni altro fa diſtinguere
la Monarchia dal? Ariſtocrazia , ſecondo che venga eſercitata da un ſolo , o da
molti , è che ſecondo il ſenti mento di tutti i Politici ſi conſidera la
maſſima nell' amminiſtrazione dello Stato . In fatti tra tutte le pubbliche
deliberazioni la più ſpecioſa ed importante è certamen te quella , che diceſi
poteſtà Legislativa ; poi chè lo ſtabilimento delle Leggi , come quel lo , che
più d'ogni altro riguarda l'intereſſe e la pubblica tranquillità , è il punto
più ge lofo , che poſſa eſſervi nel regolamento del le Società Civili , e come
tale ci manifeſta , e ci fa diſtinguere ad un tratto la Monarchia
dall'Ariſtocrazia . La ragione ſi è , perchè pre ſcriver la Legge allo Stato
altro non è , che obbligare e ſoggettare tutti i particolari mes 42 DEL GOVERNO
CIVILË membri del Corpo Civile alla cieca obbedien za di ciò , che la Legge
comanda ; e perciò ñon li può riconoſcere poteſtà più ſublime di quella di
poter comandare la Legge . Or fen za biſogno di ſoggettarci ſu tale articolo ai
ſentimenti degli Storici ; qualora ci riuſciſſe di dimoſtrare , che la Poteſtà
Legislativa di fat. to riſedeva non nella perſona di Romolo , ma preſſo
l'Ordine del Senato regnante , non ci rimarrà luogo da dubitare , che
l'iſtituzio ne del Governo folle di forma mera Ariſto craticào É qul fa d’uopò
di ricorrere alla narrazio ñê del Giureconfulto Pomponio nella Legge feconda de
Origine juris į ove impreſe con particolari cura à trattare dell'origine delle
Leggi Romane · Ci fa egli ſapere , che ſul principio il Popolo Romano ſi
regolava ſenzos leggi certe e determinate ; ma che tutto ſi go Bernava col
mezzo della dutorità del Re (a) . A tal (a ) L. 2. 9.1. de Orig. Juris : Et
quidem initio Ci vitatis noftrae Populus fine lege cerca , fine jure certo pri
DI R O M A. 43 A tal narrazione di Pomponio gl' Interpreti del Dritto Civile ,
valutando aſſai più la di lui Autorità , che quella di Dioniſio li dettero a
credere che realmente il Governo iſtituito fotto Romolo folle itato Monarchico
, poichè (dicono eſli ) ſe ne primi principi della fonda zione di Roma al dir
di Pomponio non v'era no leggi ſtabilite , e determinate , ma tutto li regolava
collº autorità del Re , ne liegues neceſſariamente , che la forma del Governo
cominciare dalla Monarchia . Ma io non sò , come tali Interpreti poſſano
formare da quelle parole di Pomponio un tal giudizio , quando dall' altre , che
ſeguono , li dimoſtra il con trario . Indi ( fiegue Pomponio ) eſſendoſi ing
qualche maniera ingrandita la città , dicéſi , che lo ſtesſo Romolo aveſſe
diviſo il Popolo in trenta parti , chiumate CURIE a motivo , che allo primum
agere inſtituit , omniaque manu Regis guber nabantur . NellePandette Fiorentine
leggefi MAŇU A REGIBUS GUBERNABANTUR ma de ciocchè fregue , e dall' eller
direito il diſcorſo di Pomponio alla perfona di Romolo , dee fi piuttosto
abbracciare la lezio ne volgata , omniaque manu Regis gubernabantur. 44 DEL
GOVERNO CIVILE allora Spediva gli affari della Repubblica coi ſentimenti , e
colle determinazioni delle medeſime Curie ; ed in tal maniera promulgò egli
alcune leggi dette CVRIATE , come fecero altresì i Re ſuoi ſucceſſori (a ) . Or
fe folle vero , che Romolo cominciaſſe a governare la Città colla fornia
Monarchica , dovrebbe eſſer falſo , che lo ſteſso Romolo indi ſtabiliſſe la
Repubbli ca degli Ottimati , con attribuire al Senato l' Autorità ſuprema di
diſporre degli affari pub blici per mezzo della pluralità de' Suffragi . Nè
vale il ſupporre , che Romolo regolaſſe , la Città coi ſentimenti delle CURIE
di puro conſiglio , quafi che ſi riſerbaffe l'arbitra rio volere di ſeguire , o
di ripudiare tali fen timenti . Imperciocchè lo ſtello Pomponio chia ramente
s'eſprime , che gli affari ſi determi navano per Sententias partium earum , che
in buon ( a ) Poftea au&a ad aliquem modum Civitate ipfum Romulum traditur
, Populum in triginta partes divififfe , quas partes Curias appellavit ,
propterea quod tunc Reipublicae curam per Sententias partium caruni expediebat
; & ita leges quaſdam & ipfe Curiatas ad Populum tulit. Tulerunt &
fequentes Reges . DI ROMA . 45 buon latino non poſſono ſignificar Configlio ;
ed oltracciò le Leggi ſi chiamarono Curiato non per altra ragione , fe non
perchè le de terminazioni venivano preſcritte co' ſentimens ti delle ſteſse
Curie , e non dall' arbitrario vo lere di Romolo . Egli è vero , che tali Leggi
coll'andar del tempo furono anche dette Regie a cagion che ſi proponevano dai
Re ne' Co mizj Curiaci; ma poichè tutti gli Storici con vengono nell'affermare
, che gli affari li de terminavano dalSenato a relazione degli ftelli Re , come
Capi di quella adunanza , non ci dee far maraviglia , ſe le Leggi ſi foſſero
dette anche Regie ; perchè venivano propoſte dal Capo del Senato , cui ſi dette
il nome di Re . Dunque fe vogliamo credere più a Pompó nio , che a Dioniſio ,
pure ſiamo obbligati coll'autorità dello ſteſſo Pomponio di ammet tere ne'
tempi di Romolo l ' Ariſtocrazia , u non la Monarchia ; perché altrimenti non
ſi potrebbero comporre le prime colle ſeguen ti parole del Giureconſulto .
All'incontro egli farebbe coſa ridicola il ſupporre , che pri ma di ſtabilirſi
le leggi certę , Romolo go f ver 46 DEL GOVERNO CIVILE vernaſse da Monarca , e
che poi iſtituiſſe l' Ariſtocrazia ; e quando anche potefle'aver luogo una tal
fuppoſizione , non dobbiamo at tenerci a quel che foſſe ſeguito , prima che ſi
dalle una certa forma al Goveșno , la quale non fi dee ripetere , fe non dal
tempo , in cui la Città preſe i ſuoi certi regolamenti. Ма ,per meglio
chiarirci di tal verità, con „ viene di riflettere , che quella eſpreſione di
Pomponio , cioè , che fu i principi della cit tà non v'erano leggi certe , ma
che tutto ve niva regolato coll'autorità di Romola , non può ſignificare forma
di Governo Monarchi co , come è itata appreſa dagl' Interpreti. E qut fa d
'uopó d'inveſtigare la vera ſignifi çazione di quelle parole , Omniaque manu
Regis gubernabantur . La voce Manus , è vero , che per traslato • ſtata anche
appreſa da' Latini in ſenſo di poteftà (a) ; pure non hanno 1 ( a ) I Latini
quandą apprefero la voce Manus in senſo di POTESTA' , s' avvalſero di quelle
locuzioni IN MANU ESSE , HABERE, IN MANUM CON VE DI ROMA , 47 hanno mai detto
gubernare manu in ſenſo di governarc , colla poteſtà ; nè mai trovaremg
gubernare , o regere , o altre fimili parole in ſieme colla voce manu , per
ſignificare poteſta nel governo , Molto meno può adattarſi alla voce manus la
ſignificazione di arbitrio , o la diſpotiſmo , come piacque ad altri Inter
preti ; perché un tal difpotiſmo altro non è , che poteft fuprema , ed
indipendente ; ma comunque ſi apprenda tal poteſtà , ſiamo pur troppo ſicuri ,
che nel linguaggio latino quel gubernare many non ſi può apprendere in ſen ſo
di poteft . In queſta eſpreſſione adunque di Pomponio la voce manus deeſi
riferire a tutt'altra intelligenza , che a quella di po teſtà ; e poichè tal
voce è ſtata anche appre fa dai Latini in ſenſo di forza , e di valore di corpo
, o d'animo , come la troviamo in tan te locuzioni (a) , non poſſiamo fpiegare
il detto VENIRE > DARE , MANU MITTERE fimili . ( a) Nel fenſo di FORZA ,
VALORE , E CO RAGGIO i Latini han detto MANUS MILITARIS , MA 48 DEL GOVERNO
CIVILE detto di Pomponio , ſe non nel ſenſo d ' ef ferli in quelle prime
origini della Città re golati gli affari colla forza , col valore , e col la
guida di Romolo , come quegli , che tra quelle poche perſone , che ſi unirono
ſeco lui nella fondazione della Città , facea la fi gura di Capo e Duce . E
queſta intelligen za ci fa intendere altresì tutto il compleſſo del racconto di
Pomponio ; poichè , dic'egli, che ne' principi il Popolo vilfe ſenza legge
certa , fine lege serta , fine jure certo ; perché prima di ſtabilirſi
moltitudine cale di abitanti, che formafle un corpo abile a comporre una
Società Civile , non v'era biſogno di formare leggi e regolamenti pubblici , ma
tutto re golavaſi con quei medeſimi coſtumi , fecon do i quali erano ſtati
educati quegli ſteſli , che unironſi con Romolo ; e perciò dice Pomponio , che
ſi vivea ſenza Leggi certe , perché MANUS ARMATA , MANUM CONSERERE, IN JICERE ,
INFERRE MANUM ALICUI REI IMPONERE , MANU DOCERE , e fimili . E noz Italiani
abbiamo ritenuta l'eſpreſione di MANO RE GIA per hgnificare la forza legittima
dello Stato di pronta , e spedita eſecuzione . D'L ROMA . 49 perchè allora la
Legge era la voce mede ſima del Capo dell'unione , il quale poteva occorrere ad
ogni diſordine . Ma quando poi crebbe la moltitudine degli Abitanti , allora
biſognava di ſtabilire le Leggi , non poten doli regolare un Corpo Civile colla
fola voce parlante del Duce . In fatti le Leggi certe e ſtabilite altro non
ſono , che voci mute di chi governa ; e ſiccome per regolare i pic coli Corpi
può baltare la voce parlante di chi gli regge , cosi moltiplicataſi l'unione
degli abitanti , e pervenuta al grado di formarli un Corpo conſiderabile
richiede neceſariamente lo ſtabilimento di Leggi certe , le quali pre ſtino
l'uffizio della voce medelima di quel Ceto , preſso di cui riſiede la pubblica
pote ftà . Ciò ſuppoſto , fino a tanto che Roina ven ne abitata da piccol
numero di perſone , la vo çe parlante di Romolo baſtava per regolare gli affari
; ma moltiplicatoſi il numero , fi do vette venire alle determinazioni delle
Leggi certe , non potendoſi altrimenti ſoſtenere un Corpo Civile . Ma prima di
ſtabilirfi tali Leg gi non poſſiamo ſupporre , che Romolo co Tom . 11. D man 50
DEL GOVERNO CIVILE mandaffe coll'arbitrario fuo volere ; perchè lo Steffo Po
mponio ci aficura , che quando ci fu biſogno di stabilire le Leggi certe ,
furono queſte determinate colla pluralità de' fuffragi delle Curie , o ſia del
Senato ; e poichè non è poſſibile l'immaginare , che il Governo per coså breve
tempo dipendeſse dal voler del Mo barca , e che immediatamente poi paffalle
nella poteſtà Ariſtocratica , perciò dobbiams conchiudere coll' autorità dello
ſteſſo Pompo nio , che fin dal principio la Città fu eretta colla forma del
Governo Arittocratico . Ne G può conoſcere altra divertità tra quel tempo , in
cui fi vivea ſenza Leggi certe , e quell' altro , che venne immediatamente, in
cui furo no ftabilite le Leggi , fe non che in quello la poteſtà degli Ottimati
ſpiegavafi colla voce parlante di Romolo , manu Regis , laddove in quefto il
Senato fpiegava la ſua poteſtà colla voce muta delle ſtabilite Leggi; ma l' uno
e l' altro tempo riconobbe la medeſima forma , Ariſtocratica ; Quindi è ancora
, che quelle locuzioni di Pomponio ſine Lege certa , fine's jure certo , non si
poſſono apprendere , come fecea DIROMA . 51 fecero alcuni Interpreti , quaſiché
il regola mento in quel tenipo folle vario ed inco ftante , perché non ſi può
fingere ſocietà di Uomini , che vivano ſotto un yario fiftema di Regolamento ,
ma ſi debbono riferire a quella intelligenza , che meritano , cioè che tutto
veniva preſcritto a voce ſecondo le opportu nità delle contingenze , che
ſpiegavali col mezzo di Romolo loro Capo ; perché non v ' era biſogno ancora di
ſtabilirſi leggi certe , come figui poi colla moltiplicazione degli abitanti ,
Siegue Pomponio a narrare , che eſéndoli diviſo il Popolo in trenta Curie , coi
di cui ſentimenti li determinavano gli affari , allo ra cominciaffero a ſtabilirli
le. Leggi cere te , che furono perciò dette Curiate , come fecero altresi i Re
fuoi fucceffori : Et ita le ges quafdam cuo ipſe Curiatas ad Populam tri lit ,
tulerunt eam fequcntes Reges : 1 qut gł Interpreţi del Dritto Romano per
ſoſtenere la fognata Monarchia di Romolo caddero in tun'al tro equivoco
nell'apprendere l'eſpreſſione di Pomponio di ferre legem ad populum in fente D2
d'ef 52 DEL GOVERNO CIVILE d'eſſerſi comandate le leggi da Romolo , e dai Re
fuoi fucceffori . E febbene una tale interpretazione ſi oppone direttamente a
cioc. chè lo ſteſſo Pomponio riferiſce nelle parole antecedenti , cioè che il
governo della Re pubblica ſi amminiſtrava per mezzo de' fen timenti delle Curie
: propterea quod tuma Reipublicæ curam per ſententias earum partium expediebat
; pure abbagliati da quel guberna bantur manu Regis , ſi videro obbligati a
rico noſcere nella perſona di Romolo e degli al tri Re la poteſtà fuprema di
comandare le leggi . Siminaginarono dunque , che lo ſta bilimento delle Curie
non toglieva al Re la poteſtà Monarchica , poichè febbene il Sena to
interveniva nelle deliberazioni dello Stato, pure i ſentimenti delle Curie ſi
debbono ri ferire piuttoſto a ragion di conſiglio , e che in conſeguenza la
poteſtà di comandare le Leggi riſedeſſe preſſo di Romolo , e ſuoi Re
ſucceſſori. Or (dicono eſli) ſe la poteſtà di co mandare le Leggi , al dir di
Pomponio , fpie gavaſi dal Re , ne ſiegue , che la forma del Governo debbafi
attribuire anzi a Monarchia , che , DI ROMA . 53 ! che ad Ariſtocrazia . Ma io non
só intendere con qual fondamento poſſano afcrivere l'e ſpreſſione latina di
ferre legem ad populum al fenſo di comandare , e preſcrivere la legge , quando
al contrario egli è coſa notiſlima pref fo i Latini , che il ferre legem nella
ſua vera intelligenza ſignifica ſemplicemente il propor re la legge per
determinarji , o ripudiarſi , e non il preſcriverla , e comandarla ; anzichè
qualora dagli Scrittori Latini al ferre legem fi aggiligne ad populum , ad
plebem , e ſimili , non v'è eſempio , che foſſe ſtata mai tal lo cuzione
appreſa in ſenſo di comandare la leg ge al Popolo , alla Plebe, ma ſempre nel
ſen ſo di proporla , per determinarſi dal Ceto del Popolo , o della Plebe ( a )
. E quando la lega ge propoſta veniva coi fuffragi ſtabilita v preſcritta , allora
diceaſi lex juſſa , condita ; ſic chè altro era il ferre , altro il jubere
legem ; il ferre fignificava proporre , ed il jubere pro D 3 pria ( a ) Vedi
Briſſonio de Formulis lib. 2. cap. 17. 2 109. il quale traſcrive i laoghi degli
Scrittori Latini ſu sale articolo . 54 DEL GOVERNO CIVILE priamente dinotava la
determinazione , o sia le juffione della legge . Tra gli altri Scrittori Latini
ſono innumerabili i luoghi di Livio , in cui cgli îi avvale dell' eſpreſsione
di ferre legem , o pure rogationem , nel ſuo vero ſenſo di propar re , e non
già di comandare , e ſoprattutto quando riferiſce le pretenſioni de' Tribuni
del la Plebe , in cui fa uſo della voce ferre ine fenſo ſempre di proporre o
promuovere , e lis mili , e non mai di preſcrivere , o comandare, perchè i
Tribuoi della Plebe non aveano altra facoltà , fe non quella di promuovere , e
di eſporre le petizioni del Ceto plebeo , e non già di comandarle . Ma per
eller convinti di queſto vero ſenſo ſecondo l'originaria fua fi gnificazione
baſta un luogo folo di Livio , in eui eſpreſamente ſi addita la differenza tra
"! ferre , e jubere legem . Racconta egli , che pell'anna 372. il Senato
-ordinà , che ſi fosſe pro poſto al Ceto plebeo la deliberazione d' intimark la
guerra a' Popoli di Veletri . I Patrizi co nofcendo d' eſſerſi laſciata più
volte impunitra la ribellione de' cittadini di Veletri , decreta rono, che al
più preſto che fosſe poſſibile, ſi pro poneffc DI ROMA SS ponefe,al Ceto plebeo
l'affare d' intimarye loro la guerra , e che propoftafi una tal delibera zione
tutte le Tribù conſentirono a coman dare' , e determinare una tal guerra . E
qui Livio eſpreſſamente fi avvale della voce fer re , quando parla di proporſi
l'affare al Ceto plebeo , e della voce jubere , quando riferiſce la juffione della
guerra ſeguita coi fuifragj di tutte le Tribù (a ). Egli è vero , che l' eſpreſ
Gone di ferre legem é ſtata poi dai Latini tra ſportata anche a fignificare la
promulgazione della legge in quelle locuzioni Lata lex eft , e limili ; ma
neppure "la trovaremo uſurpata in queſto ſenſo , quando ci ſi aggiugne ad
Populum , ad plebem c. perchè allora ritie ne l' originaria ſignificazione di
proporre , e non di promulgare (.b ) . Comunque però fi D4 ap ( a ) Liviv lib.
6. Cap. 21. Id Patres rati contemptu accidere , quod Veliternis Civibus ſuis
tamdiu impuni ' ta dete &tio effet , decreverunt , ut primo quoque rem pore
ad populum FERRETUR de bello cis indicen do ...... Tum , ut bellum JUBERENT ,
latum ad Populum eft ; & nequidquam diffuadentibus Tribu nis Plebis , omnes
Tribus bellum JUSSERUNT . ( b) Tum ut bellum juberent , LATUM AD PO PULUM EST .
Livio loc. cit. 56 DEL GOVERNO CIVILE apprenda , o in ſenſo di proporre , o di
pro mulgare , egli è fuor di dubbio , che non mai può ſignificare juffione è
determinazione della legge . Ciò ſuppoſto , per ritornare ora a Pomponio, ognun
vede , che le di lui parole : Et ito leges quaſdam & ipfe Curiatas ad
populum tue lit ; tulerunt ex Sequentes Reges non pofſono apprenderli nel ſenſo
, che Romolo , e gli altri Re aveſſero preſcritte le leggi Curiate ſe non
vogliamo tacciare il Giureconſulto per ignorante del linguaggio latino , ma
quel tu lit ad populum deeſi riferire a quella facoltis che riſedeva ſoltanto
preſso la perſona del Re , di proporre gli affari pubblici in Senato , ed in
conſeguenza le leggi , la di cui juffio ne nondimeno dipendeva dal fuffragio
delle Curie medesime per fententias earum partium , e non dall'arbitrario
volere del Re ; e le leg gi fi diſſero Curiate non per altra ragione , ſe non
perché vennero preſcritte , e comandate dalle Curie , e non dal volere del Re ,
quan tunque egli come. Capo del Senato , e come riconoſciuto per lo più abile e
favio trai Senapa " DI ROM A 57 Senatori godeſſe la facoltà di proporre
cioc chè gli ſembrava più eſpediente per l'ottimo regolamento dello Stato ; ma'
una tal prero gativa fu fpiegata' altresì dopo il diſcaccia- , mento de'Re dai
Conſoli , dai Tribuni mili tari di poteſtà Confolare , dai Ditcatori , e da
altre Magiſtrature di ſublime autorità, le quali tutte proponevano al Senato ,
alla Plebe , al Po polo tutto , le determinazioni degli affari pub blici , e
maſſime delle leggi ; niuno però fin è ſognato finora di aſcrivere la forma del
Go verno ſotto i Conſoli a Monarchia , perchè la ragione di Capo d'un Popolo ſenza
carat tere di poteſtà aſſoluta non può produrre Monarchia , fe non vogliamo
confondere ! idea del Governo Monarchico coll' Ariſtocra tico e Democratico .
winno Conchiudiamo adunque. Gli Scrittori chepiù degli altri ci narrano con
qualche diſtinzione la forma del Governo tenuta ſotto Romolo , fo no Dioniſio ,
e Pomponio . Il primo ci de fcrive chiaramente la coſtituzione del Senato , dal
di cui arbitrio dipendevano le determina zioni degli affari e l'intiero
regolamento dello 58 DEL GOVERNO CIVILE dello Stato , ciocchè eſclude di fatto
ogniom bra diMonarchia in perfona di Romolo . Il fecondo non ſolamente non fi
oppone a quan to riferiſce Dioniſio , anziché ce lo conferma più chiaramente ,
prima col riferirci , che nel naſcimento della Città non v'erano leggi cer te e
preſcritte , ma che tutto regolavaſi col conſiglio e guida di Romolo , ed indi
cot narrarci, che creſciuta in qualche maniera la moltitudine degli abitanti ,
fu neceffario di venirli allo ſtabilimento delle leggi certe . Quali leggi
inſieme col reſto de' pubblici af fari , eſſendoſi diviſo il Popolo in trenta
Cu rie , furono preſcritte col fuffragio delle me defime ; ragion , per cui fi
diſsero leggi Cum riate; e che finalmente la prerogativa di Rom molo , come
Capo del Senato , fi riduceaus alfa - facoltà di proporre predo il Ceto de Se
natori ciocchè gli ſembrava opportuno per determinarli gli affari dal Senato
medeſimo per ſententias carum partium . In fomma, che Je leggi col reſto delle
pubbliche determinazia -ai fi ſtabilivano colla juſsione delle Curie , o fia
del Senato , non si può negare per l'alt torita DI ROM A . 1 59 torità di
Pomponio , di Dioniſio , di Livio , e di tutti gli Storici , i quali
concordemente combinano ſu tale articolo . Il determinarli gli affari per
ſententias delle ſteſſe . Curie e de Senatori , in buon latino non può
fignifica re pareri confultivi , ma juſsione per mezzo della pluralità de*
fuffragi. Quel tulit leges ad populum attribuito a Romolo , ed ai Re fuc celori
, altro non contiene , che la facoltà del Re nel proporle , e non già nel
comandarle , e prefcriverle . Dunque dai detti degli ſteffi Storici siamo
convinţi , che la forma del Gom verno iſtituita fatto Romolo non ebbe nep pur
l'ombra dellaMonarchia , perché doves vi è Senato , preffo di cui rilieda la poteftà.
ſuprema di decidere gli affari dello Stato , ivi non vi può regnare il Monarca
. E per ultimo troviamo nella Storia Civile di Romaun fatto incontraſtabile ,
che di ſya natura ci dimoſtra , quanto foffe lontano dalla Monarchia il Governo
Civile iſtituito foto Romolo . Egli è troppo noto il dritto di Pa tria poteſtà
, che eſercitavaſi in Caſa dal Citta dino Romano ſulla ſua famiglia ſenza
limiti, @fen . 60 DEL GOVERNO CIVILE 3 e fenza la minima dipendenza dal Re, o
dal Senato . Non intendā io qui di quella potefta patria praticataſi nei tempi
poſteriori , e maf fime fotto gl’Imperatori , ma di quell'affolu to Impero
Paterno eſercitato fin dalla fonda zione di Roma , e che dai Decemviri fu tra-
. ſcritto nelle xir. Tavole , come riferiſce Dio-, niſio (a ) . Era certamente
la Patria poteſtà di quel tempo fornita d'un aſſoluta dominazio ne ſulla ſua
famiglia , finanche verſo i pro prj. Figli , fovra di cui il ' Padre eſercitava
dritti di vera Monarchia, com'era l'effer di ſpotico della vita , e della morte
loro (b) , eltre dell'arbitraria facoltà di poterli vende re , in manierachè
dopo la terza vendita i Fi gli di liberavano dal diſpotiſmo Paterno ( c) . Or
queſto dritto Patrio , che con vera efpref fione ( a) Antiq. Rom. lib. 2. ( b )
Sull' autorità di Dioniſio gl' Interpreti del dritco Romano compoſero quel capo
di legge delle mit . Tavole con quelle parole : ENDO LIBERIS JUSTIS VITAE NECIS
VENUM , DANDIQUE POTE STAS EI ESTO . (c ) SI PATER FILIUM TER VENUM DUIT ,
FILIUS A PATRE LIBER ESTO : altro capa delle ? DI ROMA. 61 fione da Valerio
Maſſimo ( a) e da Quintilia no (b) venne detto Patria Majeſtas , fu eſerci tato
dai Romani non ſolamente dal teropo della promulgazione delle XII. Tavole , ma
fin da’ pri ra , delle xir . Tavole riferito da Ulpiano tit. 10.5. 1. E
Dionifio loc. cit: Romanorum autem legislator ( inc tende di Romolo ) omuem ur
breviter dicam , pour teſtatem patri dedit in filium , idque toto vitae tem
pore , five in carcerem eum detrudere ; five fla gris caedere , five vinctum
ablegare ad ruſtica ope five necare libeat , etiamli filius tractet Rempue.
blicam , etiamfi Magiftratus gefferit maximos , etiamſi fudii erga Rempublicam
laudem fit promeritus. Jux ta hanc certe legem illuſtres viri pro roftris
favente plebe concionantes in Senatus invidiam , fruenteſque aura populari,
detracti e ſuggeſto , abducti ſunt apa tribus , poenas daturi ex ipforum
fententia ; quos , duin per forum ducerentur , nemo adftantium eripere poterat
, non Conſul , non Tribunus , non ipſa turba , cui tuin adulabantur , licet
omnem poteſtatem ſua minorem exi ftimans . Taceo , quot viri fortes necati Gnt
. a patri bus &c . ... Nec contentus hanc poteſtatem parentibus dediffe
Legislator Romanus , permifit etiam vendere fi lium .. Majorem largitus
poteſtatem patri in filium , quam hero in mancipiuin ; lervus eniin ſemel
venditus , deinde libertatem adeptus , in poſterum fui juris eſt ; fi lius vero
a patre venditus , fi liber fieret , rurſum fub ра tris poteftatem redigebatur
; iterum quoque venunda tus , & liberaçus , fervus patris crat tertiam
demum yendiționem eximebatur e patris po teſtare & c . (a) Lib. 7. Cap. 7 .
( b ) Declamat. 378 . , ut ante ? poſt 62 DEL GOVERNO CIVILE primi tempi di
Roma , poichè Ulpiano ( a ) afferma d'ellerli introdotto moribus , cioè , non
per legge ſcritta , ma per antichillimo coftu me Patrio ; Dioniſio (6) lo
riferiſce ad una legge di Romolo ; e Papiniano (c) l' attri buiſce ad una legge
Regia . Ma Ulpiino a mio giudizio l'indovina meglio di tutti , coll' affermare
d'eſerli tal dritto di Patrią poteſtå ricevuto per coſtume ; e la ragione ſi è
, perchè una tal poteſtà diſpotica del Padre di famiglia dobbiamo fupporla nata
inſieme col la coſtituzione delle Famiglic medefime , e prima che quefte
conveniſſero a formare So cietà Civile , ſicchè troyandofi tal coſtuine già
introdotto nello Stato di famiglie , natu ralmente fu conſervato e ritenuto
dalle Fa miglie , che convennero con Romolo nella fon dazione di Roma . In
fatti tal coſtume trovali quaſi uniforme in tutte le Nazioni ne'loro for gimenti
per le chiare teſtimonianze degli an tichi (a) L. 8. de his , qui ſunt fui ,
vel alieni juris. ( b ) Loc. cit. ( c ) Collar. leg. Mofaic. tit. 4. ). 8 . DI
KO MA . 63 3 tichi Scrittori (a ) . E ſebbene Triboniano (b ) credette , che
folle queſto dritto proprio de' Romani , pure s'inganno , forſe dall' avere of
fervato , che ne’tempi , in cui i Romani eſer citarono queſto dritto con
aſſoluta poteſtà , e. nel maſſimo ſuo rigore , l'altre Nazioni l'avea. no già
raddolcito con ridurlo a limiti più be. nigni ed umani , come avvenne altresì
pref fo gli itefli Romani , mallime fotto gl'Im peradori , nella di cui età la
poteità Patria decadde in buona parte dall'antico fuo ri gore . Comunque sia ,
quanto al preſente ar gomento çi baſta di potere afficu are colla tea
ftimonianza di tanti Scrittori , che il Diſpo tilmo Patrio fu eſercitato
da'Romani fin dai primi tempi di Romolo . Qui cade in acconcio di riflettere
ciocche gli Storici ci narrano dell'accuſa d'Orazio per aver ucciſa la Sorella
in atto , che ritornava trion ( a) Ariftotele Nicomache lib . 8. cap. 10.
Cefare lib. 6. de bell. Gill. cap. 9. Plutarco in Lucullo · Giustiniane Novel
la 1 34 • ( b ) Inf . lib . 1. tit. 9. 1. 2 . 64 : DEL GOVERNO CIVILE
trionfante per la vittoria contro i Curiazi . Dioniſio fembrami', che racconti
il fatto al ſai meglio di Livio , allorchè cinarra l'accuſa , e'l giudizio
d'Orazio , in cui non fa men zioné né del Giudizio de' Duum viri , nè dell'
appellazione propoſta da Orazio al Popolo , che ſono le due circoſtanze che fi
leggo no in Livio (a ) ; ma ſemplicemente ci rac conta , che füll'accuſa
propoſta da taluni con tro Orazio al Re Tullo , il Padre di Orazio , oltre di
aver dichiarato di non meritare fuo Figlio la minima pena , pretendeva, che un
tal giudizio apparteneſſe privativamente alla di lui cognizione , tractandoſi
d'un fatto acca duto tra i ſuoi figli , e che in confeguen za per dritto di
poteſtà Patria dovea egli ef fere il giudice di queſta Cauſa (b) . Ma il Re per
una parte credeva anch'egli di doverli af fólann (a) Lib. 1. cap 26. (b)
Dioniſ. Antiquit. Romanarum lib. 3. Pater contra patrocinabatur filio ,
acculans filiam , & negans eam dicendam cædem , fed poenam verius ,
poftulabatque fibi de fuis malis permitçi Judicium ut qui ambo rum effet Pater
. 2 • Í Ř OM Å 68 folvere Orazio io benemerenza della vittoria ed in
conſiderazione dell'inſulto di parole fat to dalla Sorella al Fratello in tempo
, che aſpettava dà lei piùcche da ogni altro lode , ed applauſo per un'opera
egregia preſtata alla Pa tria ; è molto più à cagione , che il Padre preſſo di
cui rifedevå fecondo i coſtumi di que' tempi l'indipendente poteſtà di giudica
re ſulle perſone de propri Figli fi era dichia rato d'averlo già adoluto (a )
.Dall'altra parte il Re temeva il tumulto Popolare eccitato dagli emuli , ed
inimici d'Orazio . Tra tali dubbiezze pensò di prendere l'eſpediente di
rimettere la cognizione della Caufa al Popo lo , il quale confermò il giudizio
Paterno con affolvere l' accufato Orazio . Un tale rac conto è molto più
verifimile di quel ; che ci narra Livio fúl giudizio de ' Duumviri, e dell'
appellazione propoſta da Orazio al Popolo ; poichè in que' tempi l'Impero
Paterno eras Tomo 11. E nel ( a ) Dioniſ. loc. cit. Praeſertim patrc quoque
ipſum abfolvente , quem potiſſimum Filiae ultorem jus * natura fecerar : 66 DEL
GOVERNO CIVILE nel ſuo miglior vigore ; nè il Re fenza of fendere le leggi del
Patrio Impero potea to gliere il giudizio di queſta Cauſa dallauto gnizione del
proprio Padre , e tasferirlo ai Duumviri , e molto meno in ſimili Cauſe era
permello al Popolo di prenderne cognizio ne in pegiudizio del dritto Paterno ;
Ma la contingenza ſtraordinaria d ' eſſerſi mella, la Città in rivolta per
queſto fatto , produſela neceflità di ſedarſi il tumulto coll’eſpedien te
politico di rimettere l'affare al giudizio del Popolo , e l' Impero privato del
Padre dovette cedere alla ragione della pubblica tranquillità ... E quindi
intendiamo ancora la ragione , per cui Dioniſio riferiſce , che que Ita fu la
prima volta , in cui il Popolo preſe cognizione d ' un giudizio Capitale (a) ,
non gia perchè prima di queſto tempo non aveſſe mai il Senato giudicato di
delitti capitali , come (a) Pion. lor. cit. Populus autem Romanus tum pri mum
Capitalis Judicii poteftatem nactus , compro bavit Patris fententiam Juvenemque
abſolvit a cac dis crimine , DI ROMA .. 67 come ſe prima non foſſero mai
accadute con tingenze fimili o fe al Senato , che gode vala ſuprema poteſtà del
Governo folle mancata fino allora quella di poter giudica re di delitti
Capitali ; Ma l'eſſere ſtata que. fta la prima volta , in cui eſercitoſli dal
Po polo il dritto di giudicare d ' un delitto Ca pitale , deeſi riferire al
fatto particolare , di cui ſi trattava , cioè alla poteſtà di giudicare d'un
Figlio di Famiglia contro il ricevuto ca ſtume dell'Impero Paterno , a cui
privativa mente ne apparteneva la cognizione . Or per tornare al noſtro
propoſito diciamo, che fe que? Scrittori, i quali s'immaginarono , che Romolo
infieme coi Re ſucceſſori fpiegaro no carattere di Poteſtà Monarchica, aveſsero
fat to oſſervazione ſull'Impero Patrio , e familia re praticato da ’ Romani fin
dalla fondazione della Città , ſi ſarebbero accorti dell' impof ſibilità di
poterſi unire inſieme Monarchia , Civile prello del Re , e Monarchia familiare
preſſo i privati Cittadini ; poichè chi dice Monarchia familiare prello de'
privati Citta dini cfclude ogni ombra di Monarchia preſſo E 2 il 68 DEL GOVERNO
CIVILE ma dello il Re ; e la ragione ſi è , perchè fe i Padri di famiglia ſenza
la minima dipendenza non folamente del Capo del Senato fteſſo Senato regnante
erano gli aſſoluti Mo narchi dell'intiera loro famiglia , ſia de ' figli, fia
dei fervi , e famoli , come mai poſſiamo figurarci , che tali Monarchi
familiari foſſero nel tempo ſteſſo ſoggetti alla Monarchia Ci vile ? Chiamaſi
Monarchia Civile quello fta TO , in cui tutto l'intero Corpo Civile in tutte le
ſue faccende pubbliche e private trovali ſoggetto all'autorità fuprema d'un
folo che comanda . Or chi non vede la manifeſta diſſonanza e contradizione nel
ſupporre il Ceto 'de' Cittadini fornito di po* teftà ſuprema, ed indipendente
nella fua fa miglia , é foggetto nel tenipo Ateſo al Mo narca ? E come mai
poſſono fingerfi unite in ſieme poteſtà fuprema , e foggezzione ? In tutte le
Società Civili , ove regna la Monar chia , non trovaremo mai poteftà familiare
in dipendente dal Monarca , perchè l'una eſclu de direttamente l'altra . In
fatti tali poteft:s private in perſona de' Cittadini non pollonio altri 3 1 1 1
DI ROMA . 69 altrimenti eſercitarſi , fe non in quelle Socie tà Civili , che
ſiano governate colla formas Ariſtocratica perchè tal forma di Gover no
ſolamente può comportare diviſioni di po teſtà pubblica , e privata ; pubblica
preſso il Ceto degli Ottimati e privata preſo le perſone particolari degli
ſteſſi rappreſentan ti della Repubblica , i quali ſpiegano la po teſtà pubblica
, quando uniti inſieme com pongono l'autorità regnante , e la privata , quando
ſeparatamente regolano gli affari para ticolari delle loro famiglie : Or quanto
tal diviſione di poteftà pubblica , e privata è comportabile call' Ariſtocrazia
, altrettanto fi oppone direttamente alla Monarchia veggiamo colla ſperienza ,
la quale coſtan temente ci atteſta , che la Monarchia non mai ammette un tale
impero paterno nelle famiglie , come in fatti avvenne preſſo i Ro mani in tempo
, che la Repubblica cadde nella poteſtà aſſoluta del Monarca . Ne poſliamo
figurarci , che la poteſtà fa niliare de' Romani foſſe ſtata in qualche ma
niera ſubordinata alla poteſtà pubblica ; pero E 3 chè 9 come / 70 DEL GOVERNO
CIVIL E ché ſono troppo chiare le teſtimonianze de gli Storici, come abbiam
veduto , dalle quali Siamo a ſacurati , che l'Impero Paterno de' Romani in que'
tempi avea carattere di po teſtà aſſoluta ; ed indipendente ; e quando al tro
mancaffe il dritto vite e necis , e di vendere i propri figli ci dimoſtra
chiaramen te , che non potea eſſere un dritto ſubordina to ; poichè i dritti
ſubordinati , e dipendenti riconoſcono neceffariamente certi confini, ol tre
de' quali non lice di eſercitarli; ma qualo ra ſi tratta di dritto ſulla vita ,
ch' ċ l'ulti mo termine di ogni poteſtà aſſoluta ſi poſſa uſare ſulle perſone ,
ceſsa ogni ſoſpetto di ſubordinazione ; ed oltracciò colle chiare teſtimonianze
degli Storici ſiamo convinti , che l'impero paterno di fatto fu eſercitato da’
Romani ſenza la minima dipendenza del la poteſtà pubblica . Dunque non abbiam
cam po da fuggire da quel dilemma , cioè , che o fi dee ammettere per punto di
Storia certa , che quei Padri di famiglia eſercitavano poteſtà fuprema in caſa
, e non poſſiamo fingere poteſtà Monarchica Civile ; o fe vogliamo nega DI ROMA
. 71 negare tal poteſtà familiare ai Padri di fami glia , allora ci ſi chiude
affatto la ſtrada di fapere la Storia Civile di Roma ; perchè fe voglianio
mettere in dubbio i punti di Sto ria confermatici concordemente da tutti gli
Scrittori, non ſiamo più in grado di dar fe de a tutto il reſto. Grice:
“Unfortunately, Duni, being the elitist he is, spends more time on the monarchy
than the republic, and focuses on the concept of ‘citizen.’ Emanuele
Duni. Keywords: diritto universale – diritto filosofico -- Vico, filologia,
Roma, universalita – Cicerone e buono. Cicerone e onesto – Cicerone dice la
verita. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Duni” – The Swimming-Pool Library.
Duso (Treviso). Filosofo. Grice: “While Duso is right
that Hegel makes constitution and freedom analytically connected, the Romans
didn’t! -- Grice: “My favourite Duso is his study of Hegel on freedom and the
constitution – but Duso, who could have drawn from ‘diritto romano’ doesn’t!” Studioso
dei concetti della politica moderna e riconosciuto per i suoi interventi su
Althusius e sul giusnaturalismo. Studia a Padova. Si laurea con “Hegel
interprete di Platone” (cf. “L’influenza di Hegel su Platone”). Assistente di
Storia della filosofia e Professore di Storia della logica. Insegna a Padova.
Dirige un Gruppo di ricerca sui concetti politici. È stato membro della
redazione delle riviste "Il Centauro" e Laboratorio politico. Membro
della Direzione della rivista "Filosofia politica", membro fondatore
dell'associazione "Centro di ricerca sul lessico politico europeo",
insieme a Roberto Esposito, Alessandro Biral, Adone Brandalise, Nicola Matteucci
e altri. Fonda con alcuni colleghi il Centro Inter-Universitario di Ricerca sul
Lessico Politico e Giuridico Europeo (CIRLPGE), con sede presso l'Istituto suor
Orsola Benincasa a Napoli, di cui è Direttore. Ha tenuto corsi di Storia della
Filosofia politica, di Filosofia politica e di Analisi dei Linguaggi e dei
Concetti Politici a Padova. In occasione della sua ultima lezione
"ufficiale", gli allievi del gruppo di ricerca padovano sui concetti
politici hanno edito in suo onore il volume "Concordia discors”. Il 27 maggio
l'Universidad Nacional de San Martín gli conferisce la laurea honoris
causa per il suo lavoro accademico in quanto "costituisce un fondamento
teorico indispensabile per comprendere l'attualità" -- è tra i principali
fautori italiani di una riflessione sui concetti del politico, che si inserisce
nel solco della Begriffsgeschichte tedesca di Brunner, Conze, Koselleck. Nei
confronti di quest'ultima il gruppo padovano coordinato da Duso ha elaborato
una originale linea di ricerca caratterizzata in modo duplice dalla filosofia:
in primo luogo in quanto i concetti che si affermano e si diffondono con la
Rivoluzione francese sono esamila loro genesi, che avviene nell'ambito delle
dottrine del ‘contratto’sociale e dei sistemi di ‘diritto’ naturale; ma
soprattutto perché filosofico è il movimento di pensiero di chi pratica una
storia concettuale consistente nell'interrogare e mettere in questione (nel
senso dell'elenchos socratico) il concetto (‘diritto’, ‘ius’, ‘uguaglianza’,
‘libertà’ ‘potere’ ‘democrazia’) che sono in genere ritenuti ovvii sia nel
dibattito intellettuale, sia nella lotta politica. La storia concettuale
consiste in questo modo nel comprendere la genesi, la logica e le aporie dei
fondamentali concetti politici. "Storia dei concetti"
(Begriffsgeschichte) compare per la prima volta nelle “Vorlesungen über die
Philosophie der Geschichte” diHegel. Stanti le caratteristiche di quel testo,
non si sa se ‘Begriffsgeschichte’ sia di conio hegeliano, o non piuttosto
frutto di interpolazione. Esso allude ad una delle tre modalità storiografiche
discusse da Hegel, ed in particolare alla "storia interpretativa" (“reflektierte
Geschichte”), che indirizza la storia generale o storia del mondo o storia
universale (“Weltgeschichte”) alla filosofia, da un punto di vista universale.
Quest'uso della “Begriffsgeschichte” resta senza seguito. La tradizione
storico-concettuale evolve invece, tra il XVIII secolo ed il XIX, nell'alveo della
lessicografia filosofica. Nella
riflessione di Duso, la filosofia politica da una parte coincide con il lavoro
critico della storia concettuale, e dall'altra tende, sulla base delle aporie
emerse, a trovare linee di orientamento per un nuovo pensiero della politica.
In tal modo viene messa in questione la modalità generalmente accettata di
pensare la politica, che ha la sua radice nello sviluppo teorico che va dalla
nascita della sovranità sulla base del concetto di ‘libertà’ ai concetti
fondamentali delle nostre costituzioni democratiche, in particolare ‘sovranità
del popolo’ e ‘rappresentanza politica’. Il lavoro critico sul concetto ha perciò
una sua ricaduta nella messa in questione del dispositivo formale sia della ‘democrazia
rappresentativa’ che della ‘democrazia diretta’, e nel tentativo di pensare la
politica mediante nuove categorie. Altre
opere: “Hegel e Platone, Padova; Contraddizione e dialettica nella formazione
in Fichte, Argalìa, Urbino; Weber: razionalità e politica Arsenale, Venezia; La
politica oltre lo Stato: Carl Schmitt Arsenale, Venezia; Il contratto nella
politica (Il Mulino, Bologna); Filosofia politica e pratica del pensiero: Eric
Voegelin, Leo Strauss e Hannah Arendt” (FrancoAngeli, Milano); “Il potere. Per
la storia della filosofia politica modernaCarocci, Roma (disponibile su cirlpge);
“La logica del potere. Storia concettuale come filosofia politica” (Laterza, Roma-Bari
(Polimetrica, Monza (disponibile su
cirlpge); “La libertà nella filosofia classica tedesca. Politica e filosofia
tra Kant, Fichte, Schelling e Hegel (ed. con G. Rametta), Milano,
FrancoAngeli); “La rappresentanza politica: genesi e crisi del concetto, Franco
Angeli Milano, cirlpge)(Duncker & Humblot, Berlin, 2006 (disponibile su
cirlpge); “Oltre la democrazia. Un itinerario attraverso i classici” (Carocci,
Roma); Sui concetti giuridici e politici della costituzione dell'Europa (ed. con
S. Chignola), FrancoAngeli, Milano, Polimetrica, Monza; Ripensare la costituzione. La questione della
pluralità, (ed. con M. Bertolissi e Antonino Scalone), Polimetrica, Monza,
(disponibile su cirlpge) Storia dei concetti e filosofia politica, (con Sandro
Chignola), FrancoAngeli, Milano; Come pensare il federalismo? Nuove categorie e
trasformazioni costituzionali (ed. con A. Scalone), Polimetrica, Monza (disponibile su cirlpge). Santander, Il
concetto di ‘libertà’ e costituzione repubblicana nella filosofia politica di
Kant, Polimetrica, Monza, (disponibile
su cirlpge) Ripensare la rappresentanza alla luce della teologia politica, in
«Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», (centropgm.unifi)
Libertà e costituzione in Hegel” (FrancoAngeli, Milano, Parti o partiti? Sul partito politico nella
democrazia rappresentativa, in «Filosofia politica» cirlpge); “Buon governo e
agire politico dei governati: un nuovo modo di pensare la democrazia? (A
proposito di Rosanvallon, Le bon gouvernement), in «Quaderni fiorentini per la
storia del pensiero giuridico moderno», centropgm.unifi. libri scaricabili gratuitamente in formato dal
sito del Centro Interuniversitario di Ricerca sul Lessico Politico e Giuridico
Europeo. Nello stesso sito sono disponibili inoltre altri saggi dello stesso
autore. Carl Schmitt Georg Wilhelm
Friedrich Hegel Johann Gottlieb Fichte Roberto Esposito Alessandro Biral Adone
Brandalise Gianfranco Miglio. CIRLPGE: Sito Ufficiale. Grice: “I consider
myself, like Rawls, a contractualist – my steps towards a quasi-contractualism,
are formulated elsewhere.” Grice: “I should not be confused with Grice – a
FULL-BLOWN contractualist!” Grice: “’May’ only has one sense – it may rain, you
may run. Credibility and desirability modalities are not Fregeian senses! ‘may’
is aequi-vocal. In Latin it is more obvious, since there is only ‘possum’ for
‘I may’. ‘Can’ is of course a solecism!” Giuseppe Duso. Bepi Duso. Keywords:
Plato-Hegel, Aristotle-Kant – Plathegel, Ariskant – zoon politikon – contratto
sociale – democrazia – repubblica – il primo contrattualista cita Aristotele –
Contratto nel diritto romano – aporia della rappresentazione – concetto di
politica, concetto di soveranita – concetto di potere – io posso – concetto di
liberta – la filosofia politica italiana – l’influenza di Fichte nell’idealismo
rivoluzionario del risorgimento --. Regime di governo – storia del concetto –
aporia del concetto -- Welsh philosopher
Geoffrey Russell Grice, modalita, verbo modale, verbo servile, verbo
aussiliare, puo, posso, possiamo. Modalita aletica o doxastica (posso passarti
la sale) e deontica (puoi ma non puoi – you can but you may not --. Contract,
pact, compact. Foundations of morality – contract in ethics, meta-ethics,
politics, meta-politics. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Duso: zoon politikon” – The Swimming-Pool Library.
ECO. (Alessandria). Filosofo. Grice: “Eco thought that his
“Guglielmo da Bascavilla” was a clever composite of Holmes, who deciphered the
enigma of the Baskervilles, and William Occam – and has his tutee claim that he
died of the black plague – but Gal has now discovered he did not!” -- Eco
philosophised at the oldest varsity, BolognaGrice: “Of course, ‘varsity’ is
over-rated, as I’m sure Cicero would agree!” -- Grice: “I would not call Eco a
philosopher, since his dissertation is on aesthetics in Aquinas! Plus, he wrote
a novel!” -- scuola bolognese-- possibly, after Speranza, one of the most
Griceian of Italian philosophers (Only Speranza calls himself an Oxonian,
rather!“Surely alma mater trumps all!”). Figlio di Giulio,
un impiegato nelle Ferrovie, e Rita Bisio, conseguì la maturità al liceo
classico Giovanni Plana di Alessandria, sua città natale. Tra i suoi compagni
di classe, vi era il fisarmonicista Gianni Coscia, con il quale scrisse
spettacoli di rivista. In gioventù fu impegnato nella GIAC (l'allora ramo
giovanile dell'Azione Cattolica) e nei primi anni cinquanta fu chiamato tra i
responsabili nazionali del movimento studentesco dell'AC (progenitore
dell'attuale MSAC). Abbandonò l'incarico (così come avevano fatto Carlo
Carretto e Mario Rossi) in polemica con Luigi Gedda. Durante i suoi studi
universitari su Tommaso d'Aquino, smise di credere in Dio e lasciò definitivamente
la Chiesa cattolica; in una nota ironica, in seguito commentò: «si può dire che
lui Tommaso d'Aquino mi abbia miracolosamente curato dalla
fede». Laureatosi in filosofia a Torino (agli esami riportò sempre
30/30, anche con lode, tranne quattro casi: filosofia teoretica e letteratura
latina, in cui ottenne 29/30, e storia della letteratura italiana e pedagogia,
entrambi superati con 27/30) con
relatore Pareyson e tesi sull'estetica di San Tommaso d'Aquino (controrelatore
Augusto Guzzo), cominciò a interessarsi di filosofia e cultura medievale, campo
d'indagine mai più abbandonato (vedi il volume Dall'albero al labirinto), anche
se successivamente si dedicò allo studio semiotico della cultura popolare
contemporanea e all'indagine critica sullo sperimentalismo letterario e
artistico. Pubblicò il suo primo libro, un'estensione della sua tesi di
laurea dal titolo Il problema estetico in San Tommaso. Partecipò e vinse
un concorso della Rai per l'assunzione di telecronisti e nuovi funzionari; con
Eco vi entrarono anche Furio Colombo e Gianni Vattimo. Tutti e tre
abbandonarono l'ente televisivo entro la fine degli anni cinquanta. Nel
concorso successivo entrarono Emmanuele Milano, Fabiano Fabiani, Angelo
Guglielmi, e molti altri. I vincitori dei primi concorsi furono in seguito
etichettati come i "corsari" perché seguirono un corso di formazione
diretto da Pier Emilio Gennarini e avrebbero dovuto, secondo le intenzioni del
dirigente Filiberto Guala, "svecchiare" i programmi. Con altri ingressi
successivi, come quelli di Gianni Serra, Emilio Garroni e Luigi Silori, questi
giovani intellettuali innovarono davvero l'ambiente culturale della
televisione, ancora molto legato a personalità provenienti dall'EIAR, venendo
in seguito considerati come i veri promotori della centralità della RAI nel
sistema culturale italiano. Dall'esperienza lavorativa in RAI, incluse
amicizie con membri del Gruppo 63, Eco trasse spunto per molti scritti, tra cui
il celebre articolo Fenomenologia di Mike Bongiorno. Codirettore
editoriale della casa editrice Bompiani. Pubblicò il saggio Opera aperta che,
con sorpresa dello stesso autore, ebbe notevole risonanza a livello
internazionale e diede le basi teoriche al Gruppo 63, movimento d'avanguardia
letterario e artistico italiano che suscitò interesse negli ambienti
critico-letterari anche per le polemiche che destò criticando fortemente autori
all'epoca già "consacrati" dalla fama come Carlo Cassola, Giorgio
Bassani e Vasco Pratolini, ironicamente definiti "Liale", con riferimento
a Liala, autrice di romanzi rosa. Ebbe inizio anche la sua carriera
universitaria che lo portò a tenere corsi, in qualità di professore incaricato,
in diverse università italiane: Torino, Milano, Firenze e, infine, Bologna dove
ha ottenuto la cattedra di Semiotica, diventando Professore. All'Bologna è
stato fra i fondatori del primo corso di laurea in DAMS, poi è stato direttore
dell'Istituto di Comunicazione e spettacolo del DAMS, e in seguito ha dato
inizio al corso di laurea in Scienze della comunicazione. Infine è divenuto
Presidente della Scuola Superiore di Studi Umanistici, fondata nel 2000, che
coordina l'attività dei dottorati bolognesi del settore umanistico, e dove ha
ideato il Master in Editoria Cartacea e Digitale. Nel corso degli anni ha
insegnato come professore invitato alla New York University, Northwestern
University, Columbia University, Yale, Harvard (Norton lectures sponsored by
the Department of Romance Languages), University of California-San Diego,
Cambridge, Oxford – Weidenfeld lectures at the female-only St. Anne’s, São
Paulo e Rio de Janeiro, La Plata e Buenos Aires, Collège de France, École
normale supérieure (Parigi). Nell'ottobre 2007 si è ritirato dall'insegnamento
per limiti di età. Dalla fine degli anni cinquanta, Eco cominciò a interessarsi
all'influenza dei mass media nella cultura di massa, su cui pubblicò articoli
in diversi giornali e riviste, poi in gran parte confluiti in Diario minimo e Apocalittici
e integrati. Apocalittici e integrati (che ebbe una nuova edizione) analizzò
con taglio sociologico le comunicazioni di massa. Il tema era già stato
affrontato in Diario minimo, che includeva tra gli altri il breve articolo Fenomenologia
di Mike Bongiorno. Sullo stesso tema, ssvolse a New York il seminario Per
una guerriglia semiologica, in seguito pubblicato ne Il costume di casa e
frequentemente citato nelle discussioni sulla controcultura e la resistenza al
potere dei mass media. Significativa fu anche la sua attenzione per le
correlazioni tra dittatura e cultura di massa ne Il fascismo eterno, capitolo
del saggio Cinque scritti morali, dove individuava le caratteristiche,
ricorrenti nel tempo, del cosiddetto "fascismo eterno", o
"Ur-fascismo": il culto della tradizione, il rifiuto del modernismo,
il culto dell'azione per l'azione, il disaccordo come tradimento, la paura
delle differenze, l'appello alle classi medie frustrate, l'ossessione del
complotto, il machismo, il "populismo qualitativo Tv e Internet" e
altre ancora; da esse e dalle loro combinazioni, secondo Eco, è possibile anche
"smascherare" le forme di fascismo che si riproducono da sempre
"in ogni parte del mondo". In un'intervista del 24 aprile mise in evidenza la sua visione rispetto a ,
della quale Eco si definiva un "utente compulsivo", e al mondo
dell'open source. Pubblicò il suo primo libro di teoria semiotica, La
struttura assente, cui seguirono il fondamentale Trattato di semiotica generale
e gli articoli per l'Enciclopedia Einaudi poi riuniti in Semiotica e filosofia
del linguaggio. Fondò VersusQuaderni di studi semiotici, una delle
maggiori riviste internazionali di semiotica, rimanendone direttore
responsabile e membro del comitato scientifico fino alla morte. È anche stato
segretario, vicepresidente e dal 1994 presidente onorario della IASS/AIS
("International Association for Semiotic Studies"). È stato invitato
a tenere le prestigiose conferenze Tanner (Cambridge), Norton (Harvard), Goggio
(Toronto), Weidenfeld lectures on comparative literature and translation,
sponsored by the female-only college St. Anne’s (Oxford,) e Richard Ellmann
(Università Emory). Collaborò sin dalla sua fondazione, nel 1955, al
settimanale L'Espresso, sul quale tenne in ultima pagina la rubrica La bustina
di minerva (nella quale, tra l'altro, dichiarò di aver contribuito personalmente
alla propria voce su ), ai giornali Il Giorno, La Stampa, Corriere della Sera,
la Repubblica, il manifesto e a innumerevoli riviste internazionali
specializzate, tra cui Semiotica (fondata da Thomas Albert Sebeok), Poetics
Today, Degrès, Structuralist Review, Text, Communications (rivista parigina del
EHESS), Problemi dell'informazione, Word & Images, o riviste letterarie e
di dibattito culturale quali Quindici, Il Verri (fondata da Luciano Anceschi),
Alfabeta, Il cavallo di Troia, ecc. Collaborò alla collana "Fare
l'Europa" diretta da Jacques Le Goff con lo studio La ricerca della lingua
perfetta nella cultura europea, in cui
si espresse a favore dell'utilizzo dell'esperanto. Tradusse gli Esercizi di
stile di Raymond Queneau (nel 1983) e Sylvie di Gérard de Nerval (entrambi
presso Einaudi) e introdusse opere di numerosi scrittori e di artisti. Ha anche
collaborato con i musicisti Luciano Berio e Sylvano Bussotti. I suoi
dibattiti, spesso dal tono divertito, con Luciano Nanni, Omar Calabrese, Paolo
Fabbri, Ugo Volli, Francesco Leonetti, Nanni Balestrini, Guido Almansi, Achille
Bonito Oliva o Maria Corti, tanto per nominarne alcuni, hanno aggiunto
contributi non scritti alla storia degli intellettuali italiani, soprattutto
quando sfioravano argomenti non consueti (o almeno non ritenuti tali prima
dell'intervento di Eco), come la figura di James Bond, l'enigmistica, la
fisiognomica, la serialità televisiva, il romanzo d'appendice, il fumetto, il
labirinto, la menzogna, le società segrete o più seriamente gli annosi concetti
di abduzione, di canone e di classico.[senza fonte] Grande appassionato
del fumetto Dylan Dog, a Eco è stato fatto tributo sul numero 136 attraverso il
personaggio Humbert Coe, che ha affiancato l'indagatore dell'incubo in un'indagine
sull'origine delle lingue del mondo. È stato inoltre amico del pittore e autore
di fumetti Andrea Pazienza che fu suo allievo al DAMS di Bologna, e ha scritto
la prefazione a libri di Hugo Pratt, Charles Monroe Schulz, Jules Feiffer e
Raymond Peynet. Scrisse la presentazione di "Cuore" a fumetti, di F.
Bonzi e Alain Denis, pubblicata su "Linus".Esordì nella narrativa. Il
suo primo romanzo, Il nome della rosa, riscontrò un grande successo sia presso
la critica sia presso il pubblico, tanto da divenire un best seller
internazionale tradotto in 47 lingue e venduto in trenta milioni di copie. Il
nome della rosa è stato anche tra i finalisti del prestigioso Edgar Award nel
1984 e ha vinto il Premio Strega.[26] Dal lavoro fu tratto anche un celebre film
con Sean Connery. Pubblicò il suo secondo romanzo, Il pendolo di
Foucault, satira dell'interpretazione paranoica dei fatti veri o leggendari
della storia e delle sindromi del complotto. Questa critica
dell'interpretazione incontrollata viene ripresa in opere teoriche sulla
ricezione (cfr. I limiti dell'interpretazione). Romanzi successivi sono L'isola
del giorno prima (1994), Baudolino (2000), La misteriosa fiamma della regina
Loana, Il cimitero di Praga () e Numero zero (), tutti editi in italiano da
Bompiani. Nel è stata pubblicata
una versione "riveduta e corretta" del suo primo romanzo Il nome
della rosa, con una nota finale dello stesso Eco che, mantenendo stile e
struttura narrativa, è intervenuto a eliminare ripetizioni ed errori, a
modificare l'impianto delle citazioni latine e la descrizione della faccia del
bibliotecario per togliere un riferimento neogotico. Molte opere furono
dedicate alle teorie della narrazione e della letteratura: Il superuomo di
massa, Lector in fabula, Sei passeggiate nei boschi narrativi, Sulla
letteratura, Dire quasi la stessa cosa (sulla traduzione). È stato inoltre
precursore e divulgatore dell'applicazione della tecnologia alla
scrittura. In contemporanea alla nomina di "guest curator"
(curatore ospite) del Louvre, dove organizzò una serie di eventi e
manifestazioni culturali, uscì per Bompiani Vertigine della lista, pubblicato
in quattordici paesi del mondo. Nel
Bompiani pubblicò una raccolta dal titolo Costruire il nemico e altri
scritti occasionali, che raccoglie saggi occasionali che spaziano nei vari
interessi dell'autore, come quello per la narratologia e il feuilleton
ottocentesco. Il primo saggio riprende temi già presenti ne Il cimitero di
Praga. Muore nella sua casa di Milano a causa di un tumore del pancreas
che lo aveva colpito due anni prima. I funerali laici si sono svolti nel Castello Sforzesco di Milano, dove
migliaia di persone si sono recate per l'ultimo saluto. Sono state eseguite due
composizioni alla viola da gamba e al clavicembalo: Couplets de folies (Les folies
d'Espagne) dalla Suite n. 1 in re maggiore dai Pièces de viole, Livre II di
Marin Marais e La Folia dalla Sonata per violino e basso continuo in re minore,
di Arcangelo Corelli. Nel proprio testamento Eco ha chiesto ai suoi familiari
di non autorizzare né promuovere, per i dieci anni successivi alla sua morte alcun
seminario o conferenza su di lui. Il corpo di Eco è stato infine cremato. La
moglie, Renate Eco-Ramge, rifiutando la proposta di tumularne le ceneri nel
Civico Mausoleo Garbin, ex edicola privata del Cimitero Monumentale di Milano
ora provvista di piccole cellette destinate a ceneri o resti ossei di
personalità artistiche illustri, ne ha preferito la conservazione privata, con
il progetto di costruire un'edicola di famiglia nel medesimo cimitero. Nei suoi
romanzi, Eco racconta storie realmente accadute o leggende che hanno come
protagonisti personaggi storici o inventati. Inserisce nelle sue opere accesi
dibattiti filosofici sull'esistenza del vuoto, di Dio o sulla natura
dell'universo. Attratto da temi piuttosto misteriosi e oscuri (i
cavalieri Templari, il sacro Graal, la sacra Sindone ecc.), nei suoi romanzi
gli scienziati e gli uomini che hanno fatto la storia sono spesso trattati con
indifferenza dai contemporanei. L'umorismo è l'arma letteraria preferita
dallo scrittore di Alessandria, che inserisce innumerevoli citazioni e
collegamenti a opere di vario genere, conosciute quasi esclusivamente da
filologi e bibliofili. Ciò rende romanzi come Il nome della rosa o L'isola del
giorno prima un turbinio variopinto di nozioni di carattere storico,
filosofico, artistico e matematico. Centrale ne Il nome della rosa è la
questione del riso, post-modernisticamente declinata. Ne Il pendolo di
Foucault Eco affronta temi come la ricerca del sacro Graal e la storia dei
cavalieri Templari, facendo numerosi cenni ai misteri dell'età antica e
moderna, rivisitati in chiave parodistica. Ne L'isola del giorno prima
l'umanità intera è simboleggiata dal naufrago Roberto de la Grive, che cerca
un'isola al di fuori del tempo e dello spazio. In Baudolino dà vita ad un
picaresco personaggio medioevale tutto dedito alla ricerca di un paradiso
terrestre (il regno leggendario di Prete Giovanni). Ne La misteriosa
fiamma della regina Loana riflette sulla forza e sull'essenza stessa del
ricordo, rivolto, in questo caso, ad episodi del XX secolo. Il cimitero
di Praga è incentrato sulla natura del complotto e, in particolar modo, sulla
storia 'europea' del popolo ebraico. Il suo ultimo romanzo, Numero zero,
riprendendo temi da sempre cari all'autore (il falso, la costruzione del
complotto e delle notizie) si sofferma sulla storia italiana recente, narrando
fatti realmente accaduti, ma riletti attraverso una chiave
complottistica. Fu tra i 757 firmatari della lettera aperta a L'Espresso
sul caso Pinelli e successivamente della autodenuncia di solidarietà a Lotta
Continua, in cui una cinquantina di firmatari esprimevano solidarietà verso
alcuni militanti e direttori responsabili del giornale, inquisiti per
istigazione a delinquere. I firmatari si autodenunciavano alla magistratura
dicendo di condividere il contenuto dell'articolo. Peraltro le severe critiche
di Eco al terrorismo e ai vari progetti di lotta armata sono contenute in una
serie di articoli scritti sul settimanale L'Espresso e su Repubblica, specie ai
tempi del caso Moro (articoli poi ripubblicati nel volume Sette anni di
desiderio). In effetti l'arma che ha caratterizzato l'impegno politico di Eco è
diventata l'analisi critica dei discorsi politici e delle comunicazioni di
massa. Questo impegno è sintetizzato nella metafora della guerriglia
semiologica dove si sostiene che non è tanto importante cambiare il contenuto
dei messaggi alla fonte ma cercare di animare la loro analisi là dove essi
arrivano (la formula era: non serve occupare la televisione, bisogna occupare
una sedia davanti a ogni televisore). In questo senso la guerriglia semiologica
è una forma di critica sociale attraverso l'educazione alla ricezione. Partecipa
alle attività dell'associazione Libertà e Giustizia, di cui è uno dei fondatori
e garanti più noti, partecipando attivamente tramite le sue iniziative al
dibattito politico-culturale italiano. Il suo libro A passo di gambero contiene
le critiche a quello che lui definisce populismo berlusconiano, alla politica
di Bush, al cosiddetto scontro tra etnie e religioni. Nel , nelle settimane
delle rivolte arabe, durante una conferenza stampa registrata alla Fiera del
libro di Gerusalemme, scatena una polemica politica la sua risposta a un
giornalista italiano che gli domanda se condivida il paragone fra Berlusconi e
Mubarak, avanzato da alcuni: "Il paragone potrebbe essere fatto con
Hitler: anche lui giunse al potere con libere elezioni";[36] lo stesso
Eco, dalle colonne de l'Espresso, smentirà tale dichiarazione chiarendo le circostanze
della sua risposta. Eco faceva parte dell'associazione Aspen Institute Italia. Cavaliere
di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana nastrino per
uniforme ordinaria Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della
Repubblica italiana — Roma, 9Medaglia d'oro ai benemeriti della cultura e
dell'artenastrino per uniforme ordinariaMedaglia d'oro ai benemeriti della
cultura e dell'arte — Roma. Onorificenze straniere Commendatore dell'Ordine
delle Arti e delle Lettere (Francia)nastrino per uniforme ordinariaCommendatore
dell'Ordine delle Arti e delle Lettere (Francia), Cavaliere dell'Ordine pour le
Mérite für Wissenschaften und Künste (Repubblica Federale di Germania)nastrino
per uniforme ordinariaCavaliere dell'Ordine pour le Mérite für Wissenschaften
und Künste (Repubblica Federale di Germania), Premio Principe delle Asturie per
la comunicazione e l'umanistica (Spagna)nastrino per uniforme ordinariaPremio
Principe delle Asturie per la comunicazione e l'umanistica (Spagna), Ufficiale
dell'Ordine della Legion d'Onore (Francia) nastrino per uniforme
ordinariaUfficiale dell'Ordine della Legion d'Onore (Francia), Gran croce al
merito con placca dell'Ordine al merito della Repubblica Federale di
Germanianastrino per uniforme ordinariaGran croce al merito con placca
dell'Ordine al merito della Repubblica Federale di Germania, Commendatore
dell'Ordine della Legion d'Onore (Francia) nastrino per uniforme ordinaria Commendatore
dell'Ordine della Legion d'Onore (Francia), Parigi. Cittadinanze onorarie Monte
Cerignone, Nizza Monferrato, San Leo, 11 giugno . Torre Pellice, . Lauree Eco
ha ricevuto 40 lauree honoris causa da prestigiose università europee e
americane, come quella del , che gli è stata conferita dall'Università federale
del Rio Grande do Sul, di Porto Alegre, in Brasile. In occasione della laurea in
comunicazione conferita da Torino, Umberto Eco ha rilasciato severi giudizi sui
social del Web che, a suo dire, possono essere utilizzati da «legioni di imbecilli»
per porsi sullo stesso piano di un vincitore di un Premio Nobel. Le
affermazioni di Eco hanno suscitato approvazioni ma anche vivaci discussioni. Affiliazioni
e sodalizi accademici Umberto Eco è stato membro onorario (Honorary Trustee)
della James Joyce Association, dell'Accademia delle Scienze di Bologna,
dell'Academia Europea de Yuste, dell'American Academy of Arts and Letters,
dell'Académie royale des sciences, des lettres et des beaux-arts de Belgique,
della Polska Akademia Umiejętności ("Accademia polacca della Arti"),
"Fellow" del St Anne's, Oxford e socio dell'Accademia Nazionale dei
Lincei. Eco è stato inoltre membro onorario del CICAP. Altro Gli è stato
dedicato l'asteroide 13069 Umbertoeco, scoperto nel dall'astronomo belga Eric
Walter Elst. Il 12 aprile 2008 è stato nominato Duca dell'Isola del
Giorno Prima del regno di Redonda dal re Xavier. Nel il comune di Milano ha deciso che il suo nome
venga iscritto nel Pantheon di Milano, all'interno del cimitero monumentale.
Eco ha scritto numerosi saggi di filosofia, semiotica, linguistica,
estetica: Il problema estetico in San Tommaso, Torino, Edizioni di Filosofia,
poi Il problema estetico in Tommaso
d'Aquino, 2ª ed., Milano, Bompiani, Filosofi in libertà, come Dedalus, Torino,
Taylor, poi in Il secondo diario minimo. Sviluppo dell'estetica medievale, in
Momenti e problemi di storia dell'estetica, I, Dall'antichità classica al Barocco,
Milano, Marzorati, Arte e bellezza nell'estetica medievale, Milano, Bompiani, Storia
figurata delle invenzioni. Dalla selce scheggiata al volo spaziale, e con G. B.
Zorzoli, Milano, Bompiani, Opera aperta. Forma e indeterminazione nelle
poetiche contemporanee, Milano, Bompiani, Diario minimo, Milano, A. Mondadori
(include i saggi Fenomenologia di Mike Bongiorno e Elogio di Franti)
Apocalittici e integrati, Milano, Bompiani, Il caso Bond. [Le origini, la
natura, gli effetti del fenomeno 007], e con Oreste del Buono, Milano,
Bompiani, Le poetiche di Joyce. Dalla "Summa" al "Finnegans
Wake", Milano, Bompiani (ed. modificata sulla base della seconda parte di
Opera aperta) Appunti per una semiologia delle comunicazioni visive, Milano,
Bompiani (poi in La struttura assente) L'Italie par elle-meme. A portrait of
Italy. Autoritratto dell'Italia, e con Giulio Carlo Argan, Guido Piovene, Luigi
Chiarini, Vittorio Gregotti e altri, Milano, Bompiani, La struttura assente,
Milano, Bompiani, La definizione dell'arte, Milano, Mursia, L'arte come
mestiere, a cura di, Milano, Bompiani, I sistemi di segni e lo strutturalismo
sovietico, e con Remo Faccani, Milano, Bompiani, L'industria della cultura, a cura
di, Milano, Bompiani, Le forme del contenuto,
Milano, Bompiani, I fumetti di Mao, e con Jean Chesneaux e Gino Nebiolo, Bari,
Laterza, Cent'anni dopo. Il ritorno dell'intreccio, e con Cesare Sughi, Milano,
Bompiani, Documenti su il nuovo Medioevo, con Francesco Alberoni, Furio Colombo
e Giuseppe Sacco, Milano, Bompiani, Estetica e teoria dell'informazione, a cura
di, Milano, Bompiani, I pampini bugiardi. Indagine sui libri al di sopra di
ogni sospetto: i testi delle scuole elementari, e con Marisa Bonazzi, Rimini,
Guaraldi, Il segno, Milano, Isedi; Milano, A. Mondadori, Il costume di casa.
Evidenze e misteri dell'ideologia italiana, Milano, Bompiani, Beato di Liébana.
Miniature del Beato de Fernando I y Sancha. Codice B.N. Madrid Vit. 14-2, testo
e commenti alle tavole di, Milano, Franco Maria Ricci, Eugenio Carmi. Una
pittura di paesaggio?, Milano, Prearo, Trattato di semiotica generale, Milano,
Bompiani, Il superuomo di massa. Studi sul romanzo popolare, Roma, Cooperativa
Scrittori, Milano, Bompiani, Stelle & stellette. La via lattea mormorò,
illustrazioni di Philippe Druillet, Conegliano Treviso, Quadragono Libri, Storia
di una rivoluzione mai esistita. L'esperimento Vaduz. Appunti del Servizio opinioni,
Roma, Rai, Servizio Opinioni, Dalla periferia dell'impero, Milano, Bompiani, Come
si fa una tesi di laurea, Milano, Bompiani, Carolina Invernizio, Matilde Serao,
Liala, con altri, Firenze, La nuova Italia, Lector in fabula, Milano, Bompiani,
De bibliotheca, Milano, Comune di Milano, Postille al nome della rosa, Milano,
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Semiotica e filosofia del linguaggio, Torino, Einaudi, Sugli specchi e altri saggi, Milano, Bompiani,
Lo strano caso della Hanau 1609, Milano, Bompiani, Saggio in Leggere i Promessi
sposi. Analisi semiotiche, Giovanni Manetti, Milano, Gruppo editoriale Fabbri-Bompiani-Sonzogno,
I limiti dell'interpretazione, Milano, Bompiani, Vocali, con Soluzioni felici
di Paolo Domenico Malvinni, Napoli, Collana "Clessidra" di Alfredo Guida
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Overinterpretation, Cambridge, Cambridge University Press, La memoria vegetale,
Milano, Rovello, La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea,
Roma-Bari, Laterza, Sei passeggiate nei boschi narrativi, Milano, Povero
Pinocchio. Giochi linguistici di studenti del Corso di Comunicazione, a cura
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Liberal, Kant e l'ornitorinco, Milano, Bompiani, Cinque scritti morali, Milano,
Bompiani, Talking of Joyce, con Liberato Santoro-Brienza, Dublin, University
College Dublin Press, Serendipities. Language and Lunacy, New York, Columbia
University Press, Tra menzogna e ironia, Milano, Bompiani, La bustina di
minerva, Milano, Bompiani, Riflessioni
sulla bibliofilia, Milano, Rovello, Diario minimo, Secondo diario minimo,
Bustina di minerva e altre parodie da raccolte
in tedesco) Sulla letteratura, Milano, Bompiani, Guerre sante, passione e
ragione. Pensieri sparsi sulla superiorità culturale; Scenari di una guerra
globale, in Islam e Occidente. Riflessioni per la convivenza, Roma-Bari,
Laterza, Bellezza. Storia di un'idea dell'Occidente, CD-ROM a cura di, Milano,
Motta On Line, Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di traduzione, Milano, Bompiani,
Mouse or Rat?, Translation as Negociation, London, Weidenfeld & Nicolson (Experiences
in translation e saggi selezionati da Dire quasi la stessa cosa) Storia della
bellezza, a cura di, testi di Umberto Eco e Girolamo de Michele, Milano, Bompiani,
Il linguaggio della Terra Australe, Milano, Bompiani, Il codice Temesvar,
Milano, Rovello, Nel segno della parola, con Daniele Del Giudice e Gianfranco
Ravasi, a cura e con un saggio di Ivano Dionigi, Milano, BUR, 2A passo di
gambero. Guerre calde e populismo mediatico, Collana Overlook, Milano, Bompiani,
La memoria vegetale e altri scritti di bibliofilia, Milano, Rovello, Sator Arepo
eccetera, Roma, Nottetempo, Storia della bruttezza, a cura di, Milano,
Bompiani, La cospirazione impossibile, con Piergiorgio Odifreddi, Michael
Shermer, James Randi, Paolo Attivissimo, Lorenzo Montali, Francesco Grassi,
Andrea Ferrero e Stefano Bagnasco, Massimo Polidoro, Casale Monferrato, Piemme,
Dall'albero al labirinto. Studi storici sul segno e l'interpretazione, Milano, Bompiani,
Historia. La grande storia della civiltà europea, e con altri, 9 voll., Milano,
Motta, Storia della civiltà europea, e con altri, 18 voll., Milano, Corriere
della Sera, Nebbia, e con Remo Ceserani, con la collaborazione di Francesco
Ghelli e un saggio di Antonio Costa, Torino, Einaudi (antologia letteraria di
racconti a tema) Non sperate di liberarvi dei libri, con Jean-Claude Carrière,
Milano, Bompiani, Vertigine della lista, Milano, Bompiani, Il Medioevo, a cura
di, 4 voll., Milano, Encyclomedia, La grande Storia, a cura di, 28 voll.,
Milano, Corriere della Sera, . Costruire il nemico e altri scritti occasionali,
Milano, Bompiani, Scritti sul pensiero medievale, Collana Il pensiero
occidentale, Milano, Bompiani, L'età moderna e contemporanea, a cura di, 22
voll., Roma, Gruppo editoriale L'Espresso, -. Storia delle terre e dei luoghi
leggendari, Milano, Bompiani, Da dove si comincia?, con Stefano Bartezzaghi,
Roma, La Repubblica, . Riflessioni sul dolore, Bologna, ASMEPA, La filosofia e
le sue storie, e con Riccardo Fedriga, 3 voll., Roma-Bari, Laterza, Pape Satàn
Aleppe. Cronache di una società liquida, Milano, La nave di Teseo, Come
viaggiare con un salmone, Milano, La nave di Teseo, Sulle spalle dei giganti,
Collana I fari, Milano, La nave di Teseo, Il fascismo eterno, Collana Le onde,
Milano, La nave di Teseo, Cinque scritti morali, Bompiani, Sulla televisione.
Scritti, Gianfranco Marrone, Collana I fari, Milano, La Nave di Teseo, Narrativa
Il nome della rosa, Milano, Bompiani, Il pendolo di Foucault, Milano, Bompiani,L'isola
del giorno prima, Milano, Bompiani, Baudolino, Milano, Bompiani, La misteriosa
fiamma della regina Loana. Romanzo illustrato, Milano, Bompiani, Il cimitero di
Praga, Milano, Bompiani, Numero zero, Milano, Bompiani, Narrativa per
l'infanzia La bomba e il generale, illustrazioni di Eugenio Carmi, Milano,
Bompiani, I tre cosmonauti, illustrazioni di Eugenio Carmi, Milano, Bompiani,
1966. Ammazza l'uccellino, come Dedalus, illustrazioni di Monica Sangberg,
Milano, Bompiani, Gli gnomi di Gnu, illustrazioni di Eugenio Carmi, Milano, Bompiani,
Tre racconti, Milano, Fabbri (raccolta dei
tre precedenti) La storia de "I promessi sposi", raccontata da,
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LINCEI, ENRICO MENESTO' E UMBERTO ECO NUOVI SOCI DELL'ACCADEMIA, su
tuttoggi.info. 30 ottobre . 'Il nome
della rosa' debutta su Rai1 e conquista gli ascolti della prima serata, su la
Repubblica, 5 marzo . 30 gennaio .
quotidiano la Stampa; Gianni Coscia: «quando suono col mio amico Umberto
Eco», su genova.mentelocale. «È il lato dolente e angoscioso di un uomo che è
cresciuto nell'Azione Cattolica, che l'ha lasciata in polemica con il grande
Gedda; un uomo, Eco, che ha studiatodiconoTommaso d'Aquino, e che un giorno se
n'è uscito dalla Chiesa proclamandosi orgogliosamente ateo, o se si preferisce,
agnostico.» (In Rassegna stampa cattolica: Mario Palmaro, Eco è solo un refuso,
2 «His new book touches on politics, but also on faith. Raised Catholic, Eco
has long since left the church. "Even though I'm still in love with that
world, I stopped believing in God in my 20s after my doctoral studies on St.
Thomas Aquinas. You could say he miraculously cured me of my
faith..."» «Il suo nuovo libro tratta di politica, ma anche di fede.
Cresciuto nel cattolicesimo, Eco ha lasciato da tempo la Chiesa. "Anche se
io sono ancora innamorato di quel mondo, ho smesso di credere in Dio durante i
miei anni 20, dopo i miei studi universitari su Tommaso d'Aquino. Potete dire
che egli mi ha miracolosamente curato dalla mia fede..."» (Articolo
in Time) Liukkonen, Petri, Umberto Eco. Pseudonym:
Dedalus in . Eco, quando l'Torino gli
consegnò il libretto con 27 in letteratura italiana, su la Repubblica, 2Antonio
Galdo, Saranno potenti? Storia, declino e nuovi protagonisti della classe
dirigente italiana, Sperling & Kupfer, Milano Giuseppe Antonio
Camerino, ECO, Umberto, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. "Riparte il Master in
Editoria, ideato da Umberto Eco"
Capozzi Bondanella, Cinque scritti morali, Bompiani Intervista a Umberto
EcoWikinotizie, su it.wikinews.org.
Umberto Eco, Ho sposato ?, «l'Espresso», 4Con lo pseudonimo di Dedalus:
Dedalus e il manifesto, su ilmanifesto, Ostini, Sclavi citazione: "Sto
leggendo un libro [In cosa crede chi non crede, N.d.R.] di Umberto Eco che mi è
arrivato dall'Italia. Curioso no? Ha il mio stesso nome e il cognome è
l'anagramma del mio..." Umberto Eco,
su premiostrega.Italian Writer Umberto Eco is the Louvre's New Guest
Curator Emma Camagna, La morte di Eco,
il ricordo di Gianni Coscia, in La Stampa. L'ultimo saluto a Umberto Eco:
"Grazie maestro", in La Stampa, Marco Del Corona, «Follie di Spagna»:
ecco che cos'è la musica suonata per Umberto Eco, su Corriere della Sera. Umberto
Eco, la richiesta nel testamento: "Non autorizzate convegni su di me per i
prossimi 10 anni", su Il Fatto Quotidiano. La lettera della vedova Eco al
Comune, in Corriere della Sera. Pinelli, Calabresi e l'eskimo in redazione
Archiviato il 19 gennaio in ., opinione,
Bruno Pischedda, Come leggere Il nome della rosa di Umberto Eco, Mursia, La struttura
assente, "Eco a Gerusalemme attacca
il Cavaliere. È polemica", di Francesco Battistini (dal Corriere della
Sera) Corriere della Sera Berlusconi,
Hitler e io, su l'Espresso. Comitato Esecutivo | Aspen Institute Italia, su
aspeninstitute. 20 fSito web del Quirinale: dettaglio decorato. Sito web del Quirinale: dettaglio decorato. Umberto
Eco all'Eliseo onorato da Sarkozy con Legion D'Honneur, su liberoquotidiano). Curriculum Vitae, su umbertoeco. Unibo e
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social: "Hanno dato diritto di parola a legioni di imbecilli", su Il
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Decise all'unanimità le 15 personalità illustri da iscrivere nel
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Lessico del XXI secolo, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, -. "La
bustina di minerva": la rubrica periodica di Eco su L'Espresso,
L'Espresso. 10 gennaio . signosemio.comSignoBiografia di Umberto Eco e la
presentazione della sua teoria semiotica, su signosemio.com). Approfondimento,
su italialibri.net. Curiosità (anche la "cacopedia"in PDF) , su
bibliotecheoggi. Opere in TecaLibri/1, su tecalibri.info. Opere in TecaLibri/2,
su tecalibri.info. Considerazioni su: "Non sperate di liberarvi dei
libri", su antonietta.philo.unibo ). Golem L'indispensabile (il sito della
rivista)rivista online diretta da Umberto Eco, Renato Mannheimer, Carlo
Bertelli, Danco Singer Un articolo di Eco su , su espresso.repubblica.
encyclomedia, su encyclomedia. Il «questionario Proust» a Umberto Eco, su
elapsus. Umberto Eco, in Perlentaucher, Perlentaucher Medien GmbH. Opere di
Umberto Eco V D M Vincitori del Premio Strega V D M Vincitori internazionali
del Prix Médicis V D M Vincitori del Premio Bancarella V D M Vincitori del
Premio Cesare Pavese V D M Vincitori del Premio di Stato austriaco per la
letteratura europea V D M Vincitori del Premio Mediterraneo per stranieri, Europeana
agent/base/ Filosofia Giallo Giallo
Letteratura Eco provides a bridge
between Graeco-Roman philosophy and Grice! Eco is one of the few philosophers
who considers the very origins of philosophy in Bolognaand straight from RomeOn
top, Eco is one of the first to generalise most of Grice’s topics under
‘communication,’ rather than using the Anglo-Saxon ‘mean’ that does not really
belong in the Graeco-Roman tradition. Eco cites H. P. Grice in “Cognitive
constraints of communication.” Umberto b.2,
philosopher, intellectual historian, and novelist. A leading figure in
the field of semiotics, the general theory of signs. Eco has devoted most of
his vast production to the notion of interpretation and its role in
communication. In the 0s, building on the idea that an active process of
interpretation is required to take any sign as a sign, he pioneered
reader-oriented criticism The Open Work, 2, 6; The Role of the Reader, 9 and
championed a holistic view of meaning, holding that all of the interpreter’s
beliefs, i.e., his encyclopedia, are potentially relevant to word meaning. In
the 0s, equally influenced by Peirce and the
structuralists, he offered a unified theory of signs A Theory of
Semiotics, 6, aiming at grounding the study of communication in general. He
opposed the idea of communication as a natural process, steering a middle way
between realism and idealism, particularly of the Sapir-Whorf variety. The
issue of realism looms large also in his recent work. In The Limits of
Interpretation 0 and Interpretation and Overinterpretation 2, he attacks
deconstructionism. Kant and the Platypus 7 defends a “contractarian” form of
realism, holding that the reader’s interpretation, driven by the Peircean
regulative idea of objectivity and collaborating with the speaker’s underdetermined
intentions, is needed to fix reference. In his historical essays, ranging from
medieval aesthetics The Aesthetics of Thomas Aquinas, 6 to the attempts at
constructing artificial and “perfect” languages The Search for the Perfect
Language, 3 to medieval semiotics, he traces the origins of some central
notions in contemporary philosophy of language e.g., meaning, symbol,
denotation and such recent concerns as the language of mind and translation, to
larger issues in the history of philosophy. All his novels are pervaded by
philosophical queries, such as Is the world an ordered whole? The Name of the
Rose, 0, and How much interpretation can one tolerate without falling prey to
some conspiracy syndrome? Foucault’s Pendulum, 8. Everywhere, he engages the
reader in the game of controlled interpretations. “Il nome della rosa” is about
the dark ages in Northern Italy, where the monks were the only to find a slight
interest in philosophy, unlike the barbaric Lombards!” -- Umberto Eco. Keywords: lingua perfetta;
semiotica. Refs.: Umberto Eco on H. P. Grice in “Cognitive constraints on
communication,” Luigi Speranza, "Grice ed
Eco: semantica filosofica," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool
Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Emiliani (Lugo). Filosofo. Grice: “I like Emiliani; of course in
proper English we don’t pluralise ‘meanings’! But he speaks of ‘significati,’
which is literate! The vernacular Italian is ‘segno,’ and the ‘ficare’ is also
learned latinate! Gotta love him!” Dio è
la mia speranza Anch'io vivo nella speranza di avere amici in cielo che pregano
per me e che attendono di unirsi a me nella nostra comune patria. Dobbiamo
sempre ricordare che questa vita terrena è soltanto un passaggio verso la
nostra vera patria che è quella celeste. La Madonna è apparsa e ha parlato a
moltissimi veggenti di molti popoli e nelle più svariate circostanze, come una
persona viva, che promette, annunzia, loda, esorta, profetizza, prega, guida e
protegge dai pericoli, risana i malati, opera i miracoli, piange, invita alla
conversione ed alla penitenza, aiuta ad avvicinarsi a Cristo, suo Figlio. La
mia sicura bussola è camminare sulla strada della carità in ogni circostanza
della vita. La presenza in noi dello Spirito Santo è la caparra della nostra vita
eterna futura. Solo Dio resta. Egli è l'unica roccia a cui mi posso aggrappare
per non essere travolto dai flutti tempestosi in mezzo ai quali galleggio. Alessandro Emiliani, Dio è la mia speranza,
Edizioni Studio Domenicano. Nel suo saggio sul
segnato, valore, communicazione e ragionamento, Emiliani presenta un'analisi del
‘segnato,’ topico della semiotica. Il segnato è
un modo di una correlazione astratta posta dall'attività razionale
intersoggettiva e cooperativa con cui un contenuto e intenzionato e strutturato
in ordine al valore della profferenza e alla correttezza del ragionamiento
conversazionale. La forme logica non è innata,
né e un atto o evento psichico soggettivo, ma una struttura intersoggetiva
astratta e relazionale, invariante intersoggettivamente. Il segnato (non il
‘segno’) fonda la correttezza del ragionamiento conversazionale (colloquenza –
dialettica), segnato dal segno di una operazione (negans, negatum, negatore; connettivi,
-- conjunctum, congiutivo, disjunctum, disgiuntivo, ‘if’ filoniano, il quantificatore
universale o totale (ogni), il quantificatore parziale o essitenziale (G.
jemand), il descrittore, descriptum) non è privo
di ‘segnato’. Il segno di negazione, p. es., ‘non’, segna la negazione. ‘Non
piove’ segna che non è il caso che piove. Il
segno (‘non’) ha come UNICO segnato quello che s’esprime nella forma logica
(explicatura, no implicatura). L’intensionale e il contenuto nozionale di ciò
che è mentato o segnato, distinto dal segnato estensionale o funzionale – e
spiegabile in una teoria di mondi possibili. Pensatile sempre dentro e mediante
una determinata struttura logicha. L’atto de denotare (referire) e l’atto di
predicare sono le due elementi di un complesso proposizionale (“Fido is
shaggy”). Un oggetto dell'universo di riferimento, considerato reale nel modo
più ampio (valore di una variabile). Il valore di una profferenza è spiegato da
una teoria della correpondenza. Il valore di soddisfacibilità e parte del meta-languaggio che presuppone la sintassi, la
semantica, e la prammatica. Lo scopo del griceanismo: il segnato. Fondamento
della introduzione del segnato, simbolo mono-semantico, simbolo bi-semantico,
simbolo tri-semantico, segnato del termine, segnato della formula del
linguaggio. Relazione estensione/intensione, referenza e predicazione. Il
valore della profferenza di soddisfacibilità e
meta-linguistico. Rapporto tra sintassi, semantica e pragmmatica – linguaggi-
oggeto e meta-linguaggio. Il linguaggio di una teoria del ragionamiento formalizzata
elementare – Sistema G-hp. Calcolo di predicati di primo ordine con identità. Sintassi di una
generica teoria del ragionamento normalizzata elementare. Simbolo primitivo.
Definizione ricorsiva del termine, definizione ricorsiva della formula del
sistema G-hp. Termine aperto e termine chiuso. Formula aperta e formula chiusa.
Profferenza semplice, proferrenza complessa. Componente deduttivo, induttivo ed
adduttivo di una generica teoria del ragionamiento elementare (G. R. I. C. E. –
gruppo per la ricerca dell’inferenza e la comprensione elementare). Il segnato di
una profferenza in romano ed italiano (Piove). Il segnato intenzionale di una
profferenza semiotica comunicativa, distinzione tra atto intenzionale dell'io e
forma intenzionale con cui ciò che è segnato e compressibile dal ‘tu’, intenzionalità
e consapevolezza, forma intenzionale, contenuto intenzionato. Profferenza e modalità
intenzionale. Tre dimensioni del segnato nella profferenza comunicativa; Il
segnato della profferennza assertiva (il simbolo di Frege),L’assertivo di una
profferenza semplice. Segnato intensionale (il senso fregeiano) di una
profferenza semplice. Il topico o denotatum di una profferenza semplice (“The
dog is shaggy”). Il segnato logico del termine, il segnato intensionale del
termine, il segnato referenziale del termine, ragioni che giustificano
l'introduzione di una descrizione chiusa nel Sistema G-hp di una teoria del
ragionamento Normalizzata elementare. Il segnato logico, intensionale e
referenziale del segno predicativo (‘shaggy’), il segnato logico del segno
predicativo, il segnato intensionale del segno predicativo, Relazione tra
segnato logico e segnato intensionale del segno predicativo. Il segnato
referenziale del segno predicativo, rapporti tra il segno intensionale e il
referente o denotatum or relatum di un segno predicativo. Il segnato del segno mono-sematico.
Il segnato logico del segno del negare
(cf. Grice, “Negation and Privation”). Il segnato logico di una operazione di
connessione fra sintagme: le particelle coordinante ‘e’, ‘o,’ e subbordinante,
‘se’, il segnato del segno di quantificazione totale o universale, ‘ogni’ – il
segnato del segno di quantificazione sustituzionale parziale o esistenziale
(Ex), Il segnato del segno dell’articolo definito (‘il’), descrizione, el
segnato logico dei segni ausiliari, il segnato intensionale e referenziale di
una profferenza complessa, il segnato intensionale di una profferenza
complessa; il denotatum di un profferenza complessa. Refutazione delle impostazione
convenzionalista (in termini di implicatura convenzionale) di Strawson circa
l'interpretazione del formalismo. Ragioni della inadeguatezza dell’approccio di
Strawson, interpretazione logica, interpretazione intensionale e interpretation
referenziale della semantica di una teoria dell’inferenza elementare, interpretazione
intensionale del linguaggio di una teoria, interpretazione referenziale del linguaggio
di una teoria, il valore di satisfactorieta di una profferenza nel sistema G-hp
nel quadro del meta-linguaggio. I requisiti della definizione del valore di
soddisfacibilità; condizioni che rendono la definizione
di ‘soddisfacibile’ adeguata al contenuto della nozione intuitiva, condizioni
che devono essere soddisfatte perché la definizione del valore sia formalmente
sana. Il valore di soddisfacibile associato a una profferenza del sisstema
G-hp. Considerazioni sulla definizione del valore di soddisfacibile, distinzione
tra concetto di soddisfacibilità e criterio di
soddisfacibilità. Il valore di soddisfacibilità
associato ad una profferenza non è ‘segnato’ dalla
profferenza o profferente a cui è associata, il soddisfacibile rispetto alla
profferenza a cui a associate non e ‘segnato’, ma un valore. Il soddisfacibile è
meta-linguistico, profferenza soddisfacibile, relazione tra profferenza
soddisfacibile e ragionamento sano. Il principio di bivalenza (Tertium non
datur – il terzo incluso). Stato del problema: la polemica Grice/Strawson. Il valore
di soddisfacibilità è associabile soltanto alla
profferenza per la quale il communicatore o profferente (implicans,
implicaturus) segna che p o q, il valore di soddisfacibilità e associabile a
ogni profferenza. Critica di un sistema bivalente che accetta la categoria
confuse di “lacuna” di valore di soddisfacibilità. Bivalenza e il sistema considerato
poli-valente. Bivalenza e l’intuizionismo di Lemmon e Dummett. Communicazione e
segnato, rapporto tra materia e forma dell’espressione per la quale il
communicatore o profferente o implicaturus segna (empiega) che p o q e il
rispettivo segnato. Il segnato come
criterio per determinare la primitività di un
simbolo, Le regole o teoremii di formazione sintattica d’introduzione e
eliminazione, il teorema del ragionamiento sano definito dalla sintassi e il
segnato logico. Communicazione naturale, segnare artificiale, arbitrario, non
naturale, e segnato. Natura, genesi, funzione e invarianza della forma e
struttura logica. Natura, genesi e funzione della forma predicativa (“Fido is
shaggy”), natura, genesi e funzione della forma soggettiva o topica, natura,
genesi e funzione della forma logica semplice, Natura, genesi e funzione della
forma logica espressa da un simbolo mono-semantico di operazione logica, Rapporto
tra l'attività dell'io intenzionante (implicaturus, e la struttura logica
intesa come modalità con cui il contenuto e intenzionato (“He went to bed and
took off his boots”). L'invarianza della forme o struttura logica. Grice:
“Alessandro Emiliani should be distinguished from Alessandro Emiliani. Alessandro
Emiliani is a philosopher; Alessandro Emiliani is a semiotician!” Alessandro
Emiliani. Keywords: Dr. Wilde. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Emiliani” – The
Swimming-Pool Library.
Enriques (Livorno).
Filosofo. Grice: “I like Enriques; of course his “Problemi della scienza’
implicates that philosophy does not have any!” Il Dipartimento
"Federigo Enriques" di Matematica dell'Università degli Studi di
Milano, via Saldini, Milano. Nato in una famiglia ebrea, si trasferì a Pisa.
Suo fratello Paolo Enriques, uno zoologo, fu padre di Enzo Enriques Agnoletti e
Anna Maria Enriques Agnoletti. Dopo gli studi liceali, compì gli studi
universitari a Pisa e la Scuola Normale Superiore. Si laurea. Frequenta in
seguito un anno di perfezionamento a Pisa e uno a Roma, dove ebbe modo di
incontrare e collaborare con Castelnuovo. Inizia inoltre a collaborare con
Cremona, Segre e Amaldi. Lincei. Insegna a Bologna. Fu invitato presso
l'Roma, per occupare la cattedra di matematiche superiori e di geometria
superiore. Venne invitato da Neurath a divenire un collaboratore
dell'Encyclopaedia of Unified Science, la cui pubblicazione era stata
individuata come lo strumento per lo sviluppo del movimento per l'unità della
scienza (cf. Grice, “Einheit des Wissenschaft”). Quando però furono promulgate
le leggi razziali anti-ebraiche, e espulso dall'insegnamento e da qualsiasi
altra occupazione legata all'attività culturale. Durante l'occupazione tedesca
fu dapprima nascosto in casa di Frajese
e poi a San Giovanni in Laterano. Insegna a Roma nella scuola ebraica clandestina
fondata da Castelnuovo per i giovani ebrei estromessi dalle università
italiane, e riusce a pubblicare alcuni articoli in forma anonima sul Periodico
delle Matematiche, di cui era stato direttore. Torna a insegnare. Tra i
fondatori della scuola italiana di geometria algebrica, allarga gli orizzonti
del dibattito scientifico occupandosi di filosofia, storia e didattica della
matematica. Fonda la Società filosofica italiana (di cui fu presidente),
assieme a Bruni, Dionisi, Rignano e Giardina fonda la rivista internazionale Rivista
di Scienza ed e nominato direttore del Periodico di matematiche, organo della
Mathesis. Diresse, tra l'altro, la sezione di matematica dell'Enciclopedia
Italiana. Fu un filosofo di notevole livello e la sua fama fu
internazionalmente riconosciuta. I suoi contributi allo sviluppo della
geometria algebrica furono rilevanti, per importanza e originalità. Il periodo
in cui si trova a vivere era un periodo di cambiamenti epocali, cambiamenti che
interessarono anche i concetti base della matematica e della fisica. Enriques
recepì immediatamente la portata delle novità introdotte dalle opere di
Einstein, che fu da lui invitato a tenere una conferenza a Bologna. Nel campo dei
fondamenti della matematica si ricordano i testi scolastici di grande
diffusione, rivolto all'insegnamento nei licei e scuole superiori, nei quali la
geometria euclidea, l'algebra elementare e la trigonometria vengono presentate
con il metodo razionale deduttivo. Fra le sue opere più diffuse di matematica
elementare si ricordano: Questioni riguardanti le matematiche elementare,
Questioni riguardanti la geometria elementare, Bologna Zanichelli); Elementi di
Geometria ad uso delle scuole superiori (con U. Amaldi), Zanichelli Bologna e
successive edizioni e ristampe); Nozioni
di matematica ad uso dei licei moderni (con U. Amaldi), Zanichelli Bologna); Gli
elementi di Euclide e la critica antica e moderna (Roma e Bologna, Le matematiche
nella storia e nella cultura, Bologna. Come opere principali di matematica
superiore si ricordano in particolare: Lezioni di geometria proiettiva,
(it, de). Lezioni di geometria descrittiva, Bologna, Lezioni sulla teoria
geometrica delle equazioni e delle funzioni algebriche. Bologna. Lezioni di
geometria descrittiva, Le superficie algebriche, Oltre alla sua attività come
matematico, sviluppa significative ricerche di epistemologia, storia della
scienza e filosofia della scienza. Questo suo impegno per il rinnovamento della
cultura, avvenne in un periodo non facile, sia per gli eventi bellici, sia per
la cultura dominante nella prima metà del Novecento, caratterizzata dalla
filosofia idealistica e dal ridotto interesse verso la cultura scientifica. Fra
le sue numerose saggi in queste materie si ricordano: Problemi della
scienza” (Zanichelli, Bologna); “Razionalismo e storicismo in "Rivista di
Scienza", Zanichelli, Bologna, Il pragmatismo in "Scientia",
Zanichelli, Bologna); “Scienza e razionalismo, Zanichelli, Bologna. Matematiche
e teoria della conoscenza in "Scientia", Zanichelli, Bologna); “Per
la storia della logica, Zanichelli, Bologna. Storia del pensiero scientifico,
Bologna, scritta con G. Santillana. Il significato della storia del pensiero scientifico,
Bologna, ripubblicato da Barbieri, La teoria della conoscenza scientifica da
Kant ai nostri giorni, Bologna. Le dottrine di Democrito d'Abdera. Testi e
commenti, con M. Mazziotti, ripubblicato per Edizioni immanenza. Sviluppò una
corrente di pensiero vicina al razionalismo. Assieme a Peano si può considerare
uno dei principali filosofi italiani che si sono dedicati allo studio della
logica e della filosofia della scienza nella prima metà del Novecento. Ha messo
in luce due aspetti fondamentali del pensiero scientifico nella prima metà del sec XX: la sempre
maggiore specializzazione delle discipline fisiche, tecniche, ecc. e la
tendenza al rinnovamento che si è avuta sia nei fondamenti della matematica,
sia nella fisica moderna. Assieme a Bruni, Dionisi, Giardina e Rignano,
fonda la rivista di ricerca e divulgazione scientifica Rivista di scienza
(rinominata successivamente Scientia), con l'obiettivo dichiarato di superare
le divisioni disciplinari in nome dell'unità del sapere e contro l'eccessiva
specializzazione accademica. Contro codesti criterii ristretti intende reagire
soprattutto il movimento nuovo di pensiero verso la sintesi; una Filosofia
libera da legami diretti coi sistemi tradizionali, sorge appunto a promuovere
la coordinazione del lavoro, la critica dei metodi e delle teorie, e ad
affermare un apprezzamento più largo dei problemi della Scienza. Pel quale il
particolarismo stesso viene compreso in un aspetto più adeguato nella interezza
del processo scientifico. (Programma, Rivista di Scienza). Condusse la rivista,
quando un articolo di Rignano sulle cause della guerra lo costrinse a
rassegnare le dimissioni. Torna alla direzione alla morte di quest'ultimo e
sotto sua esplicita richiesta fino al’anno delle leggi razziali. Abbandonato
ogni incarico, ritorna infine alla guida di Scientia a due anni dalla morte. Il
primo saggio significativo dedicato da Enriques a questioni di metodo e
filosofia della conoscenza è l'opera Problemi della scienza nella quale compie
un'analisi articolata delle varie discipline della matematica, della geometria,
della meccanica, della fisica edella chimica alla fine del XIX secolo. Mette in
evidenza l'importanza che lo scienziato deve analizzare con la massima
attenzione, sia i fondamenti logici e sperimentali delle diverse
discipline, sia il contesto storico e le situazioni in cui i principi
scientifici sono stati scoperti. In quest'opera Enriques indica che una
visione dinamica della scienza, porta naturalmente nel terreno della storia. I
fondamenti della scienza quindi non possono essere capiti completamente se non
si analizza anche il contesto storico e culturale nel quale sono stati
formulati. L'opera ebbe maggiore fortuna e diffusione all'estero, che non in
Italia, dominata agli inizi del Novecento dalla cultura letteraria e della
filosofia idealistica. Il suo pensiero trova riscontro nelle teorie
elaborate dai massimi epistemologi filosofi fra cui Popper, Lakatos e Kuhn. In
particolare nel pensiero di Lakatos e di Kuhn viene sviluppata la concezione
della formazione storica dei concetti scientifici, come opera di più autori e
ricercatori, che in un determinato periodo storico elaborano una serie di
principi-base sui quali viene sviluppata una teoria ipotetico-deduttiva e le
successive verifiche sperimentali. Importante è anche la presa di
posizione sia rispetto alla filosofie idealistiche del ‘900, che hanno
tralasciato gli aspetti della filosofia della scienza, sia la sua posizione
critica rispetto alla filosofia di Kant. In particolare, critica il concetto di
giudizio sintetico a priori di Kant (Critica della ragion pura). Secondo
Enriques, i principi fondamentali delle scienze sono elaborazioni razionali
derivate per induzione dall'esperienza e dalla percezione sensoriale e non sono
giudizi sintetici a priori. In questo saggio porta alcuni esempio fondamentali.
I postulati della geometria sono generalizzazioni, per astrazione, di semplici
esperienze geometriche, che ogni allievo compie fin dalle prime osservazioni
razionali del mondo esterno, svolte anche in ambito scolastico. I principi
della geometria sono generalizzazioni di esperienze sensoriali concrete.
Allo stesso modo anche i principi della Fisica e della Chimica derivano
direttamente da generalizzazioni di esperimenti reali. Ad esempio la Legge di
conservazione della massa dovuta a Lavoisier non è un giudizio sintetico a
priori, come crede Kant. È noto infatti che deriva da semplici esperimenti
fisici, svolti pesando i composti chimici prima e dopo una reazione
chimica. La nuova impostazione razionalistica e storica fu avviata in
Italia da Enriques, in Francia da Duhem e in Austria da Mach e da altri autori
riunitisi intorno al Circolo di Vienna. Fu poi sviluppata ulteriormente in
Italia da Geymonat e dalla sua scuola milanese che ha ripreso gli studi di
Enriques, sviluppando i temi di storia della scienza e di filosofia della scienza.
Un'altro saggio fondamentale è Per la storia della logica che mette in evidenza
l'importanza della deduzione, della induzione e gli altri aspetti interpretativi
ed epistemologici della logica. Il saggio ha un approccio storico e
descrittivo della logica è ricco di citazioni originali, e affronta questo
difficile argomento anche con una certa ironia ed eleganza letteraria.
Nell'opera, sono illustrati in modo semplice e sintetico i contributi portati a
questa disciplina dai vari filosofi nelle varie epoche. Si può considerare uno
dei pochi testi in cui la materia è esposta in modo chiaro, essenziale e
interessante. Di notevole interesse per le fonti storiche citate e per la
narrazione della genesi dei concetti scientifici sono la serie di opere
dedicate alla storia della scienza. Il primo saggio fu la “Storia del pensiero
scientifico” scritto in collaborazione con G. Santilana. Quest'opera ripercorre
la storia delle scienze matematiche, geometriche, astronomiche, meccaniche e
fisiche dall'antica Grecia fino ai giorni nostri, con numerose citazioni e
fonti storiche degli autori originari. A esso seguirono altri testi di
approfondimento, fra cui, “Il significato della storia del pensiero scientifico
e La teoria della conoscenza scientifica da Kant ai nostri giorni; Lineamenti
di filosofia della scienza. Dei numerosi saggi dedicati agli aspetti filosofici
della scienza si desumono i principali lineamenti del suo pensiero
razionalista, che, a titolo orientativo si possono cercare di sintetizzare nei
seguenti punti: Equilibrio fra intuizione e ragionamento logico. Nelle
opere scientifiche gli argomenti sono esposti in modo intuitivo, evidenziando i
motivi sperimentali e oggettivi alla base di alcuni concetti astratti. Dopo la
descrizione dei suoi principi, si sviluppa poi la materia con criteri logici,
deducendo razionalmente le principali leggi, teoremi e applicazioni. Questo
carattere, comune anche ai grandi scienziati del passato (Galilei, Cartesio,
Newton, Eulero, Coulomb, ecc.) contraddistingue il metodo di Enriques, rispetto
agli indirizzi formalisti che si sono avuti nella logica e nella
matematica del XX secolo. Problema della specializzazione delle scienze: ha
colto questo aspetto critico delle numerose edeterogenee discipline
scientifiche nel XIX e XX secolo. Per superare il problema della eccessiva
frammentazione del sapere ha proposto di ripensare i concetti fondamentali
della fisica, della geometria, della matematica e delle altre scienze naturali
con criteri unitari, approfondendone il significato intuitivo, sperimentale e
la sua genesi storica. Approccio storico alla conoscenza scientifica. Questo
aspetto caratterizza il metodo di Enriques, che ha sviluppato con passione e
impegno moltissimi aspetti di storia della scienza. La storia della scienza fa
parte della scienza stessa. Per capire veramente un teorema non è sufficiente
capire solo la sua dimostrazione, ma anche il contesto storico nel quale è stato
formulato, quali sono stati i problemi tecnici che hanno portato alla sua
formulazione e come sono stati risolti tali problemi con l'applicazione delle
teorie scientifiche. Sviluppato in Italia il nuovo approccio di storia della
scienza avviato da Mach e da Duhem, precursori del gruppo di filosofi e
scienziati Professore del Circolo di Vienna. Valenza fisica dei concetti
geometrici. La geometria può essere considerata come il primo capitolo della
fisica, diversamente dai matematici e filosofici formalisti che la considerano
una scienza astratta. L'orientamento formalista nella geometria è stato
delineato da Kant (Critica della ragion pura) per il quale i postulati
geometrici non derivano solo dall'esperienza visiva, ma sono giudizi sintetici
a priori di carattere soggettivo e indipendenti dalle percezioni sensoriali. La
tesi di Kant è stata discussa dai massimi esperti di filosofia teoretica con
orientamenti contrastanti. Nel XIX secolo in opposizione a Kant si è delineato
un approccio fisico-sperimentale ai principi geometrici, al quale hanno aderito
molti storici e filosofi della scienza. Ha contribuito alla riscoperta del
significato più autentico, di carattere storico, intuitivo e sperimentale alla
base della geometria, della matematica e delle scienze fisiche. Contributi su
Scientia Articoli “Eredità ed evoluzione” su amshistorica.cib.unibo. “I numeri
e l'infinito” su amshistorica.cib.unibo. “Il pragmatismo” su
amshistorica.cib.unibo. “Il principio di ragion sufficiente” su
amshistorica.cib.unibo. “Il problema della realtà” su amshistorica.cib.unibo. “Il
significato della critica dei principii nello sviluppo delle matematiche” su
amshistorica.cib.unibo. “Importanza della storia del pensiero scientifico nella
cultura nazionale” su amshistorica.cib.unibo.
su amshistorica.cib.unibo. “L'infinito
nella storia del pensiero” su amshistorica.cib.unibo. La filosofia positiva e
la classificazione delle scienze, I motivi della filosofia di Eugenio Rignano,
su amshistorica.cib.unibo. Recensioni (in francese) Ailly (D'),Imago mundi, Aliotta, A. L'esperienza
nella scienza, nella religione e nella morale, su amshistorica.cib.unibo. Archibald, R. C. Outline of the History of
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Bignone, E. L'Aristotele perduto
e la formazione filosofica di Epicuro, su amshistorica.cib.unibo. Blanche, R. Le rationalisme de Wewell, su
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History of Science, Technology and Philosophy in the 16 and 17 Centuries, su
amshistorica.cib.unibo.L'autore ha curato una decina di manuali didattici di
geometria e algebra elementare e oltre 20 trattati di matematica superiore. Ha
inoltre pubblicato un'ampia serie di testi di storia e di filosofia della
scienza e numerosi articoli specializzati. L'elenco completo delle sue opere
comprende oltre 300 titoli, fra saggi, articoli e trattati
scientifici. Questo testo proviene
da Mille anni di scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di
Storia della Scienza di Firenze Spoglio di articoli e recensioni disponibile
sul Catalogo Italiano dei Periodici (ACNP). Informazioni sulla storia
editoriale di Scientia. Silvia Haia Antonucci e Giuliana Piperno Beer, Sapere
ed essere nella Roma razzista. Gli ebrei nelle scuole e nell’università, Roma,
Gangemi editore, Collana Roma ebraica-7,
Tina Nastasi,Federico Enriquez e la civetta di Atena, ed plus,Pisa, Comunità
ebraica di Livorno. TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Federigo Enriques / Federigo
Enriques (altra versione), in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Federigo Enriques, su MacTutor,
University of St Andrews, Scotland. Federigo Enriques, su Mathematics Genealogy
Project, North Dakota State University.
Opere di Federigo Enriques, su Liber Liber. Opere di Federigo Enriques, su openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Opere di Federigo Enriques, Gaspare Polizzi, ENRIQUES,
Federigo, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, . Edizione nazionale delle opere.
Digitalizzazione completa di Scientia e Rivista di Scienza su AMS Historica.
Sito ufficiale del Centro Studi Enriques di Livorno. "Le Armonie
Nascoste", un recente documentario su Enriques su lalimonaia.pisa. Coloro che s'immergono nella dialettica, dice Aristone
di Chio, fanno come i mangiatori di gamberi: per un boccone di polpa perdono il
loro tempo sopra un mucchio di scaglie. Ma Hamilton, riportando il motto, vi
aggiunge un’osservazione che non sembra aver perduto valore ai nostri giorni.
Da noi, dice, il filosofo perde il tempo senza nemmeno gustare un boccone di
polpa. Infatti il filosofo che ha percorso gli studi romani antichi classici,
domanderebbe invano alla dialettica che gli fu insegnata, un concetto adeguato
di quello che è l’ordinamento di un calcolo deduttiva come la geometria, nonché
una spiegazione del significato e del valore dei principi che s’incontrano in
la geometria. Che cosa e una definizione, un’assioma, un postulato? Che posto
occupano nell’organismo della teoria dialettica? Quali sono i criteri che
presiedono alla loro scelta o che permettono di giudicare della loro
accettabilità? Tutte queste domande rimangono senza risposta, pel filosofo, se
pure ad esse si alluse vagamente da qualche oscura dottrina del concetto. Certo
esse non ricevono lume dalle minute classificazioni sillogistiche, per mezzo
delle quali egli vien abilitato, quando mai, a verificare ciò che non ha alcun
bisogno di verifica, cioè la coerenza formale di una dimostrazione geometrica.
Ora è essenziale rilevare che il filosofo, ponendosi il problema dell’ordinamento
della propria disciplina, si ritrova in faccia alla dialettica nella posizione
stessa dei filosofi che hanno lavorato a costruirne l’edifizio, giacche lo sviluppo
della dottrina del ragionamento procede appunto dalla critica dei filosofi che
hanno riflettuto intorno alla natura e all’ordine della consequenza logica. Come
padre della dialettica viene designato Aristotele. Ma Aristotele non può essere
ritenuto se non raccoglitore e sistematore di ciò che nella dialettica e
elaborato prima di lui, qualunque sia il contributo originale che può aver
recato al sistema. L'affermazione precedente apparirà tosto giustificata quando
si ricordi che le matematiche avevano raggiunto, già all’epoca di Platone, uno
sviluppo assai elevato, [Il vanto che Aristotele dà a sè stesso (al termine degli
Elenchi Sophistici) di aver creato una nuova scienza, appare, a chi legga tutto
il paragrafo, riferirsi in modo stretto alla scienza della discussione o
dialettica o collequenza e ad ogni modo non prova nulla contro il nostro
asserto. La logica degli anlichi fiacche — a partire da Ippocrate di Chio — si
cominciò a scrivere trattazioni dei suoi Elementi. Anche, che anzi, proprio
all'epoca di Platone, ed in più o meno stretta connessione coll’accademia da
cui pure usce Aristotele, alcune teorie aritmetiche furono oggetto di una
profonda elaborazione critica (Eudosso, Teeteto...), che costituisce il
precedente storico degli Elementi d'Euclide. Anche, che, d’altra parte, la
dialettica aveva ricevuto uno straordinario sviluppo nelle discussioni dei
Sofisti, sia presso i primi insegnanti salariati che presero tal nome, filosofi
— come Protagora dì Abdera — sostenitori dell’ empirismo avverso il
razionalismo metafisico del circolo di Velia, sia, più specialmente, presso i
Megarici ed altri pensatori affini, che, in connessione coi circoli socratici,
ripresero e svolsero in un modo formalistico la veduta veliatica. La finezza di
alcuni sofismi attribuiti a filosofi di Velia, basterebbe da sola a
testimoniare della profondità dell’analisi da essi ragggiunta, di fronte a cui
fanno talora meschina figura le spiegazioni o confutazioni d’Aristotele negli
Elenchi Sophistici. Aggiungasi che le stesse polemiche aristoteliche contro
avversari non nominati (per esempio, intorno alla necessità e al carattere dei
principi negli Analytica posteriora) valgono ad indicare che il problema logico
dell’ordinamento di un calcolo analitico-deduttivo si dibatte secondo vedute
diverse, alcune delle quali si riveleranno — ad un esame approfondito — più
vicine alle vedute moderne, in confronto a quelle adottate dal filosofo di
Stagira. I trattati d’Aristotele, che furono raccolti sotto il nome comprensivo
di Organo, manifestano la doppia origine, dalla critica dell’aritmetica e dalla
pratica della colloquenza. Infatti, i primi due saggi (Categoriae e De
Interpretatione) si riferiscono alla classificazione o tassonomia delle
espressione isolate e della proposizione, formando quasi una introduzione a
tutta l’opera. I due saggi successivi (Analytica priora e Analytica posteriora)
svolgono appunto la colloquenza come calcolo, quale risulta dall’analisi del
ragionamento. Invece i due saggi (Topica ed Elenchi Sophistici) concernono
l’arte della colloquenza o argomentare, mirante — non all’analitico ma soltanto
al ‘desirabile’ ed al ‘credibile’ o ‘probabile’ in rapporto alla pratica della
colloquenza. Aristotele ritiene per quest’arte il nome eleatico-platonico di
‘colloquenza’, mentre distingue col nome di propedeutica analitica – lo studio
dell’analitico -- l’esame del procedimento della scienza dimostrativa, in cui
dalla possibilità della scienza si desumono le condizioni del suo ordinamento
questo senso è stato ripreso da Kant in quella parte della Critica della ragion
pura che costituisce l’Analitica trascendentale. L’espressione ‘logicus’ è usato
dal nostro per designare procedimenti del discorso che, non partendo da principi,
non hanno valore dimostrativo. Ma quest’espressione s'incontra, già prima,
[Quest’osservazione è fatta da Pranll, Geschichte der Logik. La logica degli antichi
nel titolo di un saggio di Democrito d’Abdera: rtepi Xoytxwv i) xavwv. E nella misura in cui
si può ammettere che Aristotele ne abbia conservato il ‘significato’,
rivelerebbe una diversa cocezione (più relativa e formale) del ragionamento: la
quale s’incontra di fatto dopo Aristotele, e spalmente presso gli Stoici. Ora
questi filosofi, appunto a partire da Zenone Cizio, designano come “to logikón”
quella parte della filosofia che ha relazione al “logo” o discorso, e che
comprende questioni attinenti al ragionamento e questioni rettoriche o di
grammatical della profundita; mentre la scuola contemporanea di Epicuro ha
tratto sicuramente da Democrito il nome di canonica, con cui designa le regole
del metodo. Siffatte osservazioni, tendono a mostrare che l’influenza della vasta
opera aristotelica sui successori, non fu così esclusiva come di solito si
ammette, e c’inviterà a ricercare in questi stessi successori il riflesso delle
opinioni più antiche, ed in particolare di quelle del maestro d’Abdera. Per
formarsi un concetto dell’origine della logica, sarebbe interessante di
ricercare se e quali ([Diels, Die Fragmente der Vorsokraliker: Dem.A 33, B.
10^. Diog. Laert. VII, 33 (In Arnim, Diogenes, 16). CO Aggiungeremo che Prantl opina
che il nome proprio vj , come appellativo della scienza del ragionamento, o
come nome comprensivo di esso e della rettorica, introduca piuttosto dai tardi
peripatetici che dagli stoici] rapporti sieno interceduti fra la critica dei matematici
e le sottili disquisizioni e implicature dei sofisti. Clairaut, per spiegare il
rigore del ragionamento di Euclide, notta: ce geomètre avait à convaincre des
Sophistes obstinés qui se faisaient une gioire de se lefuser aux vérités le
plus évidentes. Houel ripette che la forma dogmatica d’Euclide è dovuta a “sa
préoccupation de fermer avant tout la bouche à des sophistes que la Grece avait
le tori de prendre au sérieux.” “De là,” egli aggiunge, “son habitude de
demontrer toujours qu' une chose ne peul pas ótre au lieu de demontrer qu’ elle
est.” Queste affermazioni sono state frequentemente contestate, giacche è
difficile riconoscere che i sofisti abbiano esercitato un'influenza diretta,
non dico sopra Euclide, ma nemmeno sopra i geometri, suoi predecessori, che
hanno elaborato criticamente la scienza matematica. Tuttavia si può citare, a
questo proposito, qualche accenno ad una polemica antimatematica di Protagora e
di Antifonte tendente a restituire (avverso la filosofia razionalistica) il
carattere empirico (alla Mills, i. e., sintetico, non analitico) ai concetti
della geometria: argomenti dello [Elementi de geometrie, Parigi] [Essai
critique sur les Principes fondamenlaux de la Géométrie” Parigi] Nondimeno i
rapporti amichevoli di Protagora col matematico Teodoro di Cirene sono
attestati da Platone: Teeteto 161 b 162 a. (Aristotele, Met. II, 2. (20). Cfr.
Simplicio in Aristotele Phys.: Diels B. 13. La logica degli antichi] stesso
genere vedonsi comunemente ripetuti dagli empiristi» e — per quanto concerne
l'antichità — si trovano raccolti da Sesto Empirico (‘). Ma, qualunque veduta
si abbia intorno alle idee espresse da Clairaut e da Hoiiel (che sono errate
almeno per quel che concerne la svalutazione del movimento sofistico I), un
altro nesso, più importante, appare fra la critica logica dei matematici e la
dialettica dei sofisti, poiché l’una e l’altra sono generate insieme dalla
filosofia di Velia. Infatti Zenone di Velia, è additato, dallo stesso
Aristotele, come inventore di quell’arte litigiosa che è la dialettica e,
d’altra parte, l’analisi penetrante di Tannery e di Zeuthen sui celebri
argomenti intorno al moto (la dicotomia, l’Achille, la freccia, ecc.), ha messo
in evidenza il loro significato e valore matematico, sicché il sottile
dialettico in cui la tradizione non ha veduto che un ragionatore ‘paradossale’,
si scopre ai nostri occhi come iniziatore di quell’ ordine di considerazioni
che costituisce l'analisi infinitesimale. Ed é sommamente istruttivo
riconoscere che proprio dalle considerazioni infinitesimali — in cui il
pensiero i trova esposto a non sospettate fallacie — trae origine la critica
del ragionamento, onde ne esce fuori la sco¬ perta del principio di contraddizione
e il procedimento [Adversus Aialhcmaticos, I. III. ( 2 ) Cfr. Diog., L., Vili,
57; Sesto Adv., Math., VII, 6 (in Diels, Zenone, A, IO); Aristotele ed. Didot]
di riduzione all'assurdo, o eliminazione della negazione. Democrito che
spingerà innanzi l’analisi infinitesimale, scoprendo il volume della piramide,
viene parimente ricordato da Diogene Laerzio come prosecutore della dialettica
zenoniana. Ma importa spiegare, sia pure con brevità, come le origini
dell’analisi infinitesimale si riattacchino ad un critica dei principi della
geometria, a cui pertanto viene a connettersi lo sviluppo della logica. La dimostrazione
delle cose che qui asseriamo si troverà nei lavori degli storici sopra citati, ed
anche in altri nostri scritti, in cui abbiamo trattato più particoiar-mente
questo soggetto. Secondo le notizie che ci vengono fornite da Proclo, nel
commento al primo libro dell' Euclide, le principali teorie geometriche che
costituiscono gli Elementi furono elaborate dai pitagorici e ricevettero già a
Crotone uno sviluppo dimostrativo. Zeuthen suppone che il punto di partenza di
questo sviluppo sia stato il tentativo di stabilire in generale la relazione
fra i quadrati dell’ipotenusa e dei cateti del triangolo rettangolo, nota sotto
il nome di teorema di Pitagora. D’altronde vi sono numerosi indizi che la
geometria pitagorica avesse come fondamento una teoria delle proporzioni (symmetria,
o della misura o analogia), basata sopra un concetto EMPIRICO del punto-esteso,
preso come [Cfr. Enriques, Il procedimento di riduzione all'assurdo, Bollettino
della Mathesis ».Cfr. in ispecie Tannery, Pour la Science hellcne , cap. X. La
logica degli antichi] elemento unitario di tutte le cose (monade). Così l’affermazione
pitagorica che le cose sono numeri è da interpretare nel senso che un corpo, o
una figura geometrica, che in questo stadio della filosofia si pensa in maniera
concreta, e un aggregato di punti, cioè unità aventi posizione. Ma l’ipotesi monadica
traeva con se la commensurabilità (simmetria) di due segmenti qualsiansi, che
appunto rendeva senz' altro possibile la misura, e questa conseguenza doveva
urtarsi — nel stesso circolo pitagorico— colla scoperta che la diagonale e il
lato del quadrato sono incommensurabili. Ora, mentre i pitagorici si
affaticavano intorno a questa difficoltà, altri filosofi che del resto sono usciti
dai medesimi circoli, iniziano la critica dei concetti geometrici, riconoscendo
che un ragionamento, il quale voglia mantenersi immune da contraddizioni, deve
riguardare il punto come privo di estensione, la linea come lunghezza senza
larghezza, la superficie senza spessore, e di qui vengoo naturalmente condotti
alle prime considerazioni infinitesimali. Questi critici razionalisti sono i
filosofi di Velia: Parmenide e il suo discepolo, l’italiano Zenone. La loro
speculazione segna un punto decisivo nella storia della filosofìa, perocché
essa proclama nettamente, per la prima volta, i diritti della ragione: il ragionamento
coerente viene assunto [Parmenide è annoverato fra i pitagorici nel catalogo di
Giarablico (Diels, Pyth, 45, A.) e delle sue relazioni con altri pitagorici ci
viene attestato da Diogene Laerzio. Senz’ altro a misura della verità, cioè
dell' esistenza metafisica, distinta e contrapposta all’ opinione probabile che
si riferisce alla realtà sensibile. Da questo razionalismo, per cui il pensiero
non esita a staccarsi dalle apparenze fenomeniche per serbare rigida fede ai
suoi principi, nasce — come si è detto — il metodo dialettico, che è il germe
della logica. La quale ebbe a svilupparsi di poi, mentre fervevano le
controversie fra empiristi e razionalisti, e — per opera di questi — si
proseguiva lo sviluppo dell analisi infinitesimale (Democrito), e se ne indagava
criticamente i principi (Eudosso). Ma, poiché questa critica — toccando alla
teoria fondamentale degli incommensurabili e delle proporzioni — veniva ad
involgere l’intiero problema dell’assetto rigoroso della geometria, la ricerca
logica non poteva limitarsi all’ analisi dei sottili procedimenti implicaturali
della deduzione, anzi doveva naturalmente estendersi all’ordinamento della
scienza e alla valutazione dei suoi principi. In rapporto a ciò che precede
riescono sommamente espressivi ed interessanti i giudizii di Plato ne, sebbene
forse, si sia esagerata dallo Zeuthen l’influenza che il filosofo ateniese può.
“Sur la riforme qu' a subie la malhématique de Platon à Euclide et gràce à
laquelle elle est devenue Science raisonnée, “Memorie dell’ Accademia di
Copenhagen”)] avere esercitato su pensatori matematici quali Eudosso Teeteto,
allorché designa il movimento critico el tempo col nome di riforma platonica
dèlle matematiche. Riferiamo alcuni passi della Republica 510. Quelli che si
occupano di geometria e di aritmetica ecc. assumono il “pari” ed il “dispari”,
e le figure e tre specie di angoli, e altri simili supposti nelle dimostrazioni;
e come avendone certa scienza questi supposti li prendono per base, e quasi
fossero evidenti non pensano affato a darne alcuna ragione, nè a se stessi, nè
agli altri; anzi, di qui partendo, ordinatamente dimostrano lutto il resto
giungendo infine a ciò che si proponevano di dimostrare. Essi si valgono, per
ciò, di figure visibili, e ragionano su di esse, non ad esse pensando, ma a
quelle di cui queste sono l’immagine, ragionando sul quadrato in se stesso e
sulla sua diagonale, anziché su quello o quella che disegnano; e cosìutte le
figure che formano o disegnano (quasi ombre o immagini specchiate dall' acqua),
tutte le adoperano come rappresentazioni, cercando di vedere attraverso di esse
i loro originali, che non sono visibili se nndall’intelligenza (5:cV3ix).... ».
(511). Questa specie invero io la dicevo intelligibile, e intendevo dire che
l’anima nell’ investigazione di essa, è costretta a valersi di remesse. Ci
valiamo dell’ed. Didot e della trad. it. edita da Laterza, che riportiamo con
lievi modificazioni. non procede al principio, perchè non è in grado di andare
oltre alle premesse, ma si vale, come d’ immagini, degli originali appartenenti
al mondo di quaggiù, da esse imitali, valutandoli e stimandoli come eidenti di
fronte a quelle,” mentre “il ragionamento che usa la forza della dialettica,
considerando le remesse non come principi ma soltanto come pre¬ esse — quasi
punti d’ appoggio e di partenza — giunge a ciò che più non ha premesse, cioè al
principio universale, e raggiuntolo e tenendosi fermo alle conseguenze che ne
derivano, perviene al fine senza far uso di nessun sensibile, cioè procede
dalle idee stesse alle idee attraverso le idee, per finire alle idee. Di qui la
distinzione posta fra la ragione del dialettico (vo’jc, vóy}oic) e l’intelligenza
del geometra (3:xvo:s() che sta di mezzo fra l’opinione e la ragione”. La
stessa distinzione ritorna in : Rep. (533c,...): la geometria e le scienze
affini sognano rispetto all’ essere, ma è imposibile che lo vedano ad occhi
aperti, intanto che si valgono di postulati e li tengon fermi, mentre non sanno
renderne conto. Veramente la disciplina, che ignora il suo principio, e che ha
la fine e il mezzo legato a ciò che non sa, come si potrebbe chiamarla scienza
?... » .Vi è qualche difficoltà a comprendere queste vedute. Anzitutto giova
respingere l’ interpretazione più comune, che stabilisce una differenza
radicale fra la ragione del dialettico e l’intelligenza del geometra, giacché
non si riesce a dare alcun significato alle idee platoniche, se non ammettendo
che esse esistano nello stesso modo in cui si afferma l’esistenza di rapporti o
di forme matematiche nella natura. L' apparente contraddizione fra questo modo
d'intendere la dottrina e le parole del testo sopra accennato, si toglie
ammettendo che il posto inferiore attribuito alle matematiche di fronte alla
dialettica, si riferisca non tanto alle matematiche pure, costruibili come
scienze (pafW’yiJ.aT*) secondo l’ideale del nostro, quanto alle matematiche
considerate come arti (zl'/yy.:). Ed in appoggio a tale veduta si possono
citare altri passi dello stesso dialogo, p. es.: Rep. (527) anche coloro che sono poco profondi in
geometria, non metteranno in dubbio che questa scienza è tutto il contrario di
quanto parrebbe dalla terminologia che usano quelli che la professano. È una
terminologia troppo ridicola e misera, perchè — quasi si trattasse di scopo
pratico — parlano sempre di quadrare, di prolungare o di aggiungere. Invece
tutta la scienza si coltiva collo scopo di conoscere”. Ma qual’ è l’ordinamento
della geometria vagheggiato da Platone? su che base vorrebbe egli edificarne i
principi? I passi citati indicano assai chiaramente che per conferire alla
scienza un valore razionale, il filosofo [Cfr. G. Milhaud: Les philosophes
géometres de la Grece. Parigi, Alcan; Enriques: Scienza e razionalismo,
Bologna, Zanichelli] vorrebbe eliminare quelle domande che si pongono a
fondamento delle dimostrazioni, sotto il nome di postulati (axioma), mercè cui
si assume la possibilità di certe costruzioni, facendo appello ad operazioni
pratiche sopra modelli sensibili. La base della geometria, edificata secondo i
criteri della dialettica, consisterebbe duue in pure definizioni (il procedimento
dialettico ha appunto come scopo di definire i concetti !) o in principi
evidenti — quali gli assiomi — che Platone riguarderebbe come conoscenze innate,
giusta la teoria della reminiscenza (annamnesis) esposta nel Menone. In tal
guisa le proprietà elementari che una figure visibile ha porto occasione di
riconoscere, merce 1 intelligenza ideahzzatrice (dianoia), apparirebbero
fondate sulla pura ragione (nous). Rivolgendoci agli Analytica di Aristotele,
vi troveremo notizie più precise sui criteri adottati dai geometri nell
ordinamento logico della scienza, criteri che sara interessante di raffrontare
a quelli che appaiono, in atto, negli Elementi euclidei. Già al principio degli
Analytica priora, l’autore definisce il concetto della scienza di cui imprende
lo studio. Anzitutto e da dire il soggetto e lo scopo di questo studio: il
soggetto è la dimostrazione e lo scopo è la scienza dimostrativa (à~:a~y.tirj
à7to8sM~:xf/). Quindi, negli stessi Analytica priora, viene a stabilire la
teoria del sillogismo (teorico o aletico, e pratico o volitivo), e passa poi ad
esaminare — nei posteriora — l’ordinamento delle scienze deduttive, riferendosi
perciò continuamente alle matematiche. Quest’ ultimo trattato, che qui occorre
specialmente esaminare, si apre coll’ enunciato che ogni conoscenza razionale,
sia insegnata, sia acquistata, deriva sempre da conoscenze anteriori. L'osservazione
mostra che ciò è vero di tutte le scienze. Infatti questo è il procedimento
delle matematiche e, senza eccezione, di tutte le altre arti. Ora dal concetto
stesso del sapere segue necessariamente che la scienza dimostrativa procede da
principi veri, da principi immediati, più noti che la conclusione, di cui sono
la causa ed a cui precedono. Aristotele (ibidem, 1, 3) esamina e respinge le
obiezioni di due specie di avversari di questa dottrina, i quali pretendono o
che non vi sieno principi e però che la dimostrazione riesca impossibile, dando
luogo ad un regresso all’ infinito; o, all' opposto, che il procedimento della
dimostrazione sia affatto relativo, sicché i principi possano provarsi partendo
dalle conclusioni, così come le conclusioni dai principi: ciò che egli dice dar
luogo ad un circolo vizioso. Sarebbe assai interessante conoscere gli avversari
[Cfr. Enriques: Il concetto della Logica dimostrativa secondo Aristotele in «
Rivista di filosofia ») An. post. I, 2 (6). a cui il nostro si riferisce. Forse
la prima obiezione apparteneva alla polemica antimatematica di filosofi
empiristi, mentre la seconda potrebbe essersi presentata nei circoli megarici
(imbevuti del relativismo veliatico) ovvero a Democrito o ad altri matematici,
critici dei principi della scienza. Ad ogni modo, della veduta qui espressa —
che è solo apparentemente illogica — ci colpisce l'analogia che essa presenta
con talune vedute moderne. Aristotele combatte questo relativismo, poiché tutta
la sua metafisica, ispirata alla dottrina platonica delle idee, e soggiacente
alla sua logica, reagisce appunto alle tendenze relativistiche delle speculazioni,
che dalla scienza presocratica erano passate nel dominio del costume e delle
credenze religiose, in guisa da minacciare le condizioni della vita sociale nel
mondo ellenico. Il parallelismo che i veleiatici avevano scorto fra il logo o
ragione e l’essere, e che i sofisti (avversari e prosecutori) avevano
interpretato nel modo di proiettare nella realtà l’arbitrario che è proprio
della libera critica, riceve, nella dottrina socratico-platonica, una
interpretazione inversa. Infattim la
teoria ontologica delle idee, suppone un ordine assoluto di consistenza che
stanno di fronte alla ragione come dati, sopra cui esso ha da modellare
l’ordine della propria scienza. Così dunque Platone vede nella classificazione
delle forme geometriche un modello della gerarchia delle specie naturali, la
quale si rispecchia nquel procedimento più generale di “divisione” (diaresis) e
di definizione (horismos) che costituisce la dialettica. Ed analogamente per
Aristotele, il rapporto necessario ed irrversibile fra causa ed effetto,
offerto dalla natura, si riflette nel rapporto fa premesse (p) e conseguenze (q)
della scienza dimostrativa (p implicat q); la quale perciò possiede un ordine
naturale che non può essere invertito, onde i suoi principi appariscno
assolutamente indimostrabili, An. post. I, 2 (9): Bisogna che i principi da cui
si parte sieno indimostrabili. Altrimenti, non possedendone la dimostrazione,
on potrebbero ritenersi noti, poiché sapere in modo non accidentale le cose di
cui la dimostrazione è posibile, è possederne la dimostrazione, Ora,
proseguendo l’esame degli Analityca posteriora, veniamo istruiti più
precisamente che i principi della scienza, si lasciano distinguere in più
specie. Primo, i Termini o definizioni (3 poi), cioè supposizioni del ‘significato’
(semiosis,segno) dell’espressione (in linguaggio moderno: assunzioni di
concetti primitivi non definiti) e definizione propriamente detta. Secondo, Supposizioni
d’esistenza del genere e delle sue modificazioni, cioè delle cose designate dai
termini. Terzo, Proposizioni immediate che occorre necessariamente [La teoria
logica della definizione è trattata da Aristotele in An. post. II, e specie nei
Capi 9 e 12: dove si pscrive la regola di restringere successivamente l’estensione
del genere aggiungendo — nell’ordine naturale — la differenza specifica che lo
delimitano, fino a che esse circoscrivano, nel loro insieme, l’estensione del soggetto
da definire] riamete conoscere per apprendere qualsiasi cosa, le quali vengono
chiamate assiomi (ófiwpaTsc) giacché vi sono proposizioni di tal natura e ad
esse si riserva abitualmente questo nome. Infine anche ipotesi o postulati
(odr^i-istra), che s'introducono effettivamente nell’ insegnameto delle
matematiche (o anche nella discussione) domandando al discente di ammettere
l'esistenza di qualche cosa di cui egli non abbia alcuna idea, ovvero abbia
un’idea contraria. Qui d concetto d Aristotele riesce alquantscuro, iacché da
una parte egli sembra ammettere (come Platone) che un postulato potrebbe essere
eliminato * postulato... e ciò che si pone senza dimostrazione, quantunque
potrebbe dimostrarsi, e di cui ci si serve senz’ averlo dimostrato » (I, 10 (8)
) ; e d’ altra parte (riferendo evidentemente le vedute dei geometri) egli
avverte che una definizione non e un’ ipotesi perchè non dice se la cosa
definita esista oppur no. Ma probabilmente il suo pensiero è che il sapere
dovrebbe edificarsi su quelle sole supposizioni d'esistenza che hanno carattere
di necessità, essendo vere di per sé stesse (xaO’ alili), le quali non si
possono considerare come ipotesi o postulati.. (1, 10(7)), imperocché la
dimostrazione si rivolge non alla parola esteriore, ma alla parola interiore
dell’animo. Con ciò il Nostro fa appello a quel sentimento d’evidenza del
pensiero che Platone. Usalo dai pitagorici secondo Giamblico (in Diels, D, 6). ha
rappresentato come intima sincerità nel Teeteto, servendosi quasi delle stesse
parole. Tuttavia Aristotele critica la teoria platonica della reminiscenza, negando
che vi siano conoscenze innate. La conoscenza universale dei principi viene per
lui acquisita indubbiamente dalla sensazione. Essa si produce mercè l’unità
dell’ esperienza che sussiste nell' anima, nonostante la molteplicità degli
oggetti, in forza della facoltà di fissare ciò che vi è di simile o d’identico
nei particolari e di riconoscerlo come dato del pensiero. (An. post. 11, 15
(5,6, 7)). Ciò non toglie all’ assoluta verità che l'intelligenza idealizzatrice
(òtavaa), fondamento della scienza, conferisce ai suoi principi (II, 1-5 (8)). Alle
dottrine d’Aristotele giova paragonare quelle che appariscono nell’ ordinamento
degli Elementi di Euclide: Il ragionare è un discorso che l'anima rivolge a sè
stessa, per sè, intorno alle cose che consideri nemmeno in sogno hai ardito
dire a te stesso che il dispari è pari, o altra simile cosa. An. priora II, 21 (7)
e An. post. I, I (7). Heiberg, Euclidis opera omnia, Teubner, Lipsia, Secondo
le indicazioni del commentatore Proclo di Bisanziom Euclide sarebbe vissuto in
Alessandria al tempo del re Tolomeo. Le opere di Aristotele che conosciamo sembrano
appartenere all’ultimo decennio della sua vita. Nei quali si trovano tre specie
di principi : 1) termini o definizioni (Spot): 2) postulati 3) nozioni comuni
(y.otvof Ivvoiat). Non è qui il luogo per sottoporre ad un’analisi appiofondita
queste premesse, che — a dir vero — sono lungi dall’apparire soddisfacenti,
tanto che da Tannery si è perfino messo in dubbio la loro autenticità ; solo,
riferendoci alla critica che ne ha fatto lo Zeuthen, Limiteremo ad alcune
osservazioni logiche. Ma anzitutto vogliamo arrestarci un momento sopra una
questione di parole. Non pochi si meravigliano che Euclide usa l’espressione
‘nozione comune’ per designare quelli che Aristotele chiama (coi matematici
pitagorici) * assiomi», tanto più che — si dice — l’espressione « evvow »
compare solo più tardi nel linguaggio degli Stoici. Ora non è fuor di luogo
rilevare che la stessa espressione si trova pure in Democrito. Il rilievo
assume interesse per la circostanza che Democrito compose, circa cent’anni
prima d’ Euclide, degli Elementi, che non sono annoverati nel sunto storico di
Proclo, ma di cui Trasillo ci ha conservato i titoli ( :J ) ; tanto più che
questi lasciano (*) Clr. Hisloire dea malhimallquea traci, dal danese di Mascari
(Parigi, Gauthier-Villars): n. 14, 69 94. Cfr. Sesto in Diels, A, III. ( 3 )
rsti>|isi?t>t(óv (A, li ?), Api0|io£, IIspl à/.dyfev Ypxfijitòv stai
vxowùv A, li (cfr. Diels B, II", II 0 , I |P)] scorgere un ordinamento
della materia simile a quello adottato dallo stesso Euclide. Non sembra fuor di
luogo congetturare che nella terminologia democritea gli assiomi venissero
appunto designati come nozione o nozione comune, e che il geometra
alessandrino, imprendendo a sistemare la stessa materia, in rapporto ai
progressi critici del secolo, abbia conservato la denominazione del suo
illustre predecessore: al quale di preferenza doveva guardare. Diciamo ora che
la distinzione fra le nozioni comuni o gli assiomi, e i postulati, viene spiegata
da Gemino in Proclo come analoga a quella fra teoremi e problemi, o fra
identità e equazioni, in quanto i primi porgono delle relazioni, per cui certe
proprietà resultano conciute come conseguenza di altre date, laddove i secondi
assegnano costruzioni elementari, ciò che, nel concetto dei antichi, significa
affermare l’ esistenza di enti particolari cui s’impongono certe condizioni.
Questo carattere costruttivo sembra mancare soltanto al post. 4 (tutti gli
ngoli retti sono uguali fra loro) ; ma Zeulhen spiega come in tale affermazione
debba vedersi un complemento del post. 2, nel modo di affermare che il prolungamento
di una retta è unico. In appoggio della nostra veduta può valere, forse, un
passo del noto commento. Prodi Diadoclii in primum Euclidis Elemenorum librato
commentarii (ed. Friedlein), in cui sembra che Proclo alluda all'uso dei
geometri di chiamare nozione comune ciò che Aristotele chiama assioma. Cfr.
Vailati, Scritti, Proclo osserva pure che gli assiomi e i postulati
differiscono anche per essere: questi, principi particolari della geometria, e
quelli, principi comuni alle varie scienze; infatti si tratta qui delle
proprietà generali dell uguaglianza e diseguaglianza fra grandezze. Infine la
distinzione fra le due specie di principi si accorda anche col criterio
d'Aristotele, che riconosce negli assiomi delle verità cessarie ed indimostrabili,
perchè evidenti di per se (xocS' èx jvx), e nei postulati delle verità —
partecipanti ad un’ altra specie di evidenza (sensibile) — che non risultano
ugualmente dviyxw dal significato dei termini che vi figurano : la natura del principio,
enunciato da Euclide come nozione comune, sembra infatti rispondere a questo
criterio. Ma se taluni geometri (al dire dello stesso Proclo) recusavano di
distinguere assioma e postulato, mancano tuttavia indizi per affermare che essi
respingessero il significato che Aristotele e probabilmente altri ancora
(secondo la metafisica del senso comune) attaccavano a codesta distinzione,
così come lo respinge la critica moderna, che per tale motivo appunto —
considera ugualmente le proposizioni primitive della scienza quali postulati,
da ricevere, in una qualsiasi teoria deduttiva, come dati anteriori allo
sviluppo della teoria stessa. Un piccolo lume ci è recato in tali questioni dal
riferimento dello stesso Proclo circa un tentativo di dimostrare l'assioma I
(cose uguali ad una terza sono uguali fra loro), che sarebbe stato fatto da
Apollonio. Infatti della tentata dimostrazione viene porto il seguente cenno. Sia
a uguale a b, e b uguale a c; dico che a è uguale a c. Invero a occupa Io
stesso luogo (córto;) di b, e così b occupa lo stesso luogo di c; quindi anche
a occupa lo stesso luogo di c. Questo ragionamento indicherebbe forse che
Apollonio voleva ricondurre il concetto euclideo di ‘eguaglianza’ geometrica al
caso della sovrapponibilità delle figure, facendo appello ad esperienze ideali
di movimento, mercè cui poteva iludersi di ridurre ad una pura proposizione
identica la proprietà transitiva di quella relazione. Mentre il ricorso a
siffatte esperienze ci avverte appunto (con Helmholtz e Stolz) che il detto
assioma 1 ha un significato o carattere sintetico e non può ritenersi come una
semplice proposizione analitica (vera per definizione). Comunque il rifermento
accennato lascia presumere che la critica dei principi sia stata spinta innanzi
da Apollonio, dopo Euclide, con quella penetrazione di cui volentieri siamo
disposti ad accreditare il grande geometra iPerga. Ritorniamo all' Euclide per
esaminare, in breve, i principi eh' egli ha designato col nome horós: termine o
definizione. Se essi vengono considerati come definizione, non si può a meno di
rilevarne la manchevolezza, poiché non offrono, spesso, che descrizioni atte a
indicare la genesi psicologica dei concetti. Così, p. es., in 3 e 3, dove si
dice che gli estremi di una linea sono punti, e che gli estremi di una
superficie sono linee. Ma, verosimilmente, queste ed altre spiegazioni sono da
considerare in rapporto alla tradizione storica precedente, come un richiamo
dei caratteri per cui gli enti delia geometria razionale appaiono idealizzazioni
dell'esperienza: p. es. le I, 2, 5 stanno a ricordare che — secondo il risultato
della critica veliatica il punto è inesteso, la linea è lunghezza senza
larghezza, e la superficie non ha spessore. Anche quelle che si presentano come
definizioni propriamente dette, non ottemperano sempre al criterio fondamentale
enunciato da Aristotele, che l’insieme degli attributi restringa l’estensione
del genere in guisa da non appartenere ad alcun concetto più esteso. Per questo
motivo sembra insufficiente la def. 4, inea retta è quella che e posta ugualmente
rispetto ai suoi punti. Imperocché, se s interpreta come si usa comunemente, retta
è quella linea che è divisa in due parti uguali da qualsiasi uo punto’, si
enuncia una proprietà non caratteristica della retta, che appartiene anche
all’elica (cfr. Apollonio in Proclo: 105, 5). Ora conviene aggiungere che
Euclide, non soltanto suppone l’esistenza di ciò che viene immediatamente
designato da alcuni termini, ma sembra anche introdurre surrettiziamente alcune
ipotesi esistenziali, per mezzo di definizioni, laddove — per analogia coi
criteri seguiti in altri casi — si sarebbe aspettata l'esplicita introduzione
di un postulato. Ciò accade, in ispecie, per quel che riguarda le intersezioni
di rette e circoli, le assunoni adoperate nelle prop. I, 12, 22 sembrando giustificarsi
(secondo che osserva ) Cfr. Proclo 1. linea II] Zeuthen) mediante la
definizione (15) del circolo come figura piana compresa da una sola linea. Ma
non giova insistere su tali difetti, che apparten¬ gono all’esecuzione e non
modificano i criteri logici del disegno. Restando nell’ordine d’idee euclideo,
avremmo soltanto da completare i postulati coll’ enunciare esplicitamente i
casi d'esistenza delle interse¬ zioni di rette e cerchi o di due cerchi, che si
offrono nelle costruzioni elementari. Interessa piuttosto di rile¬ vare come
queste ipotesi esistenziali, che la geometria antica introduceva nei singoli
casi, mercè appropriate costruzioni, oggi si lasciano dedurre da un unico principio
generale di continuità, onde l'affermazione d’esistenza si libera dalla ricerca
dei mezzi costruttivi, complicantisi colla natura del problema. E questo un
progresso conforme all'indirizzo preconizzato da Platone, che— come si è visto
— repugnava appunto da ciò che sa di pratico o di meccanico nella formu¬
lazione dei postulati. Nota. A complemento di quel che si è detto intorno alla
geometria euclidea, aggiungeremo che Archimede (5) sembra classificare e
distinguere i principi in modo diverso, poiché (in una lettera a (Cfr. p. e*.
I* art. 5° di G. Vii a li nelle Questioni riguardanti le matematiche elementari
raccolte e coordinate daF. Enriques Voi. J, Bologna, Zahelli. De sphaera et
cilindro in « Archiinedis opera omnia cum commentari^ Eutocii », ed. Heiberg. Lipsia,
1910. Cfr. The Work* of Archimedes, e. Heath, Cambridge, Capitolo I Dositeo)
chima «assiomi» (à^:ih\i.xTx) le definizioni accompagnate da supposizioni
d’esistenza : p. es. esi¬ stono linee piane che giacciono tutte da una parte
ecc., e queste si dicono concave ; mentre poi dà il nome di * assunzioni »
(Aa|l3*V0;xsva) a taluni principi (teoremi precednemente stabiliti o postulati,
assai eleganti) da cui muove la sua trattazione: p. es. la retta è la linea più
breve tra due punti. Il commento d’Eutocio restituisce agli àfjuojtara
archimedei il nome di opy. ConsiderazioSe ora, riguardando soprattutto ai
secondi Analitici d’Aristotele e agli Elementi d’Euclide, cerchiamo di
esprimere le nostre impressioni in un giudizio sintetico sulla logica degli
antichi, domandandoci fino a che punto i loro criteri ci sembrino accettabili o
esaurienti, siamo condotti alle seguenti riflessioni. La logica dei antichi
suppone un ingenuo realismo per cui il pensiero appare come la copia o la
visione di una natura esterna. Così il numero dai pitagorici e lo spazio
continuo dagli eleati, sono pensati in concreto, ad imitazione di quella
sostanza cosmica che viene figurata costituire il sostrato naturale (la epa:;)
di tutte le cose. La supposizione realistica è tipicamente espresa nella teoria
delle idee di Platone, che (orma infine la metafisica soggiacente alla logica
d'Aristotele. Da essa deriva il carat¬ tere di necessità dei principi, e quindi
la pretesa di un ordine naturale della scienza, facente capo a pre- messe
assolutamente indimostrabili; la qual pretesa viene corretta, almeno in parte,
nelle vedute dei geometri. Ma dallo
stesso realismo, ha origine la radicale manchevolezza della teoria della
definizione. Poiché le oscunta del trattato di Aristotele e le imperfezioni
dell’Euclide, in enere gli errori della critica che si riscontrano in tali
opere, si possono riattaccare a codesto presupposto, quasi a comune radice. Si
ammette infatti che le parole rispondano ad enti di un mondo intelligibile
trascendente il soggetto, che si tratta di fissare univocament Di qui il
criterio che la deduzione logica debba tener presenti, non soltanto le premesse
esplicitamente enunciate come assiomi o postulati, bensì anche il significato
dei termini su cui si ragiona, vedendo, attraverso di essi, quella realtà
(geometrica ecc.) che è oggetto del pensiero. Ma ciò significa autorizzare nel
ragionamento inconfessati appelli all' intuizione, che, dichiarati, si
tradurrebbero in nuovi assiomi. Ora, se l'intuizione (o visione del
significato) rimane sempre presupposta nel ragionamento, quando mai potremo
assicurarci che gli assiomi formino un sistema completo? A stretto rigore di
tale domanda non si riesce neanche a definire il senso ! E quindi non si
comprende perchè si senta il bisogno di enunciare — a preferenza di altri —
alcuni fra gli assiomi, che pure sono dichiarati evidenti, necessari ecc. ecc. Aggiungiamo
che anche l’analisi aristotelica del ragionamento, facente capo alla teoria del
sillogismo (An. priora) sta pure in relazione col presup¬ posto metafisico
della logica. E specialmente colla circostanza che i Greci, in generale,
immaginarono la realtà intelligibile rappresentata dalla scienza, sul tipo
statico della classificazione delle forme geome¬ triche : tale è infatti il
carattere dell’ ontologia eleatica, che imprime il suo suggello sulla dottrina
platonica non superata veramente da Aristotele. Soltanto Democrito, come diremo
più avanti, si solleva al concetto di una scienza razionale del moto, ma le sue
vedute filosofiche non trovano adeguato sviluppo se non due mila anni più
tardi, all epoca della Rinascita. Qui conviene rilevare che le critiche mosse
alla teoria sillogistica dagli empiristi inglesi (da Bacone a Mill), opponenti
alla deduzione 1 induzione generahzzatrice dell’esperienza, hanno fatto perder
di vista ciò che manca all’ analisi aristotelica del ragionamento, pur
riguardato nelle forme rigorose, che sole appartengono — secondo il concetto
del filosofo greco alla logica dimostrativa propriamente detta. Infatti i brevi
cenni che Aristotele dedica all’induzione (completa), negli Analylica priora,
non suppliscono certo all’analisi delle operazioni logiche costruttive
(significate da particelle come « e », o » ecc.) che accanto al sillogismo
ricorrono nello sviluppo delle dimostrazioni matematiche. La quale lacuna torna
a (i) Cfr. Cli. Werner, Aristotele et V ideallsme plalonicien, Alcan, Parigi]
riflettersi sulla teoria delle definizioni, che appunto esprimono codesto lavoro
costruttivo del pensiero. Infine giova rilevare che l’anzidetto realismo si
riflette in una concezione ingenua del linguaggio: la filosofia greca — sia che
abbia ammesso l'origine naturale della lingua (come Platone nel Cratilo), sia
che abbia rilevato ciò che vi è di convenzionale nelle parole (come Democrito e
Aristotele) — non riesce a scorgere la varietà essenziale delle lingue, che
tiene ai diversi modi di rappresentazione delle cose ed esprimendo la libera
attività del soggetto, dà origine all'intraducibilità. Dice infatti Aristotele:
De Inlerpretatione, 1. Una espressione e una l'immagine delle modificazioni
dell'anima. L’espressioni differiscono fra loro. Ma una modificazione
dell’anima, di cui l’espressione e i SEGNO immediato, e identica per tutti gli
uomini, come sono identiche per tutti le cose che quelle modificazioni
esattamente rappresentano. E chiaro come una siffatta dottrina spieghi quella
confusione fra analisi logica e analisi del linguaggio, Proclo, nel commento al “Cratilo”, riferisce
appunto questa opinione di Democrito, basata auiromonimia e la sinonimia di una
espressione E1 e una espressione E2, sul cambiamento dei nomi e sul difetto di
analogia nella formazione di certe espressioni verbali. (Cfr. le note al Cratilo
di Cousin). De Interpretatione, 2 (1), che culmina nel concetto aristotelico di
trarre dalla forma o materia dell’espressione grammaticale una classificazione o tassonomia di questa o
quella categoria. In ciò che precede ci siamo fermati a studiare il pensiero
degli antichi traverso le sistemazioni scientifiche che sono a noi pervenute.
Ma, per l’intelligenza dello sviluppo ulteriore che la logica riceve nelle
scuole filosofiche dopo Aristotele, conviene tener conto dell'influsso che i
predecessori del Stagirita sembrano aver esercitato sul movimento delle idee.
Infatti codesto sviluppo si lascia definire, nlle sue linee generali, come
tendente a liberare il pensiero dall ontologismo, che pure sopravvive in
qualche modo alla ideologia platonico-aristotelica, nella misura in cui tale
filosofia esprime la metafisica del senso comune. E l’anzidetta tendenza
liberatrice si esplica in un progresso verso il formalismo logico, che procede
dallo studio degli schemi discorsivi, formante oggetto degli Analytica priora.
Questo progresso si avverte già nei primi paripatetici, come Eudemo, lo
scrittore di una storia delle matematiche, e Teofrasto il raccoglitore delle
opinioni dei fisici, ma più largamente ancora negli Stoici, in cui è pure
passata 1 eredita dei dialettici megarici. Questo progresso si avverte anchein
una revisione dei principi della teoria della conoscenza, che ha per oggetto
l’origine e il valore dei concetto generale da cui muove la scienza dimostrativa:
qui soprattutto vengono in luce delle vedute che debbono essere riattaccate ai
grandi predecessori di Platone e di Aristotele; sulle quali l’interesse della
questione c invita a fermarci. Ora, se ci volgiamo a riostruire induttivamente
le idee di codesti predecessori, la figura di Democrito d'Abdera, deve
attirare, sovra ogni altra, la nostra attenzione. Democrito, vissuto 40 anni
dopo Anassagora e 25 anni dopo il suo concittadino Protagora che è il maggiore
rappresentante della sofistica), deve esser considerato come un contemporaneo di
Platone. Così, soltanto i pregiudizii dominanti la ricostruzione della storia della
filosofia greco-romana nel secolo decimonono, hanno impedito di stdare più da
vicino i rapporti fra Democrito e Platone, relegando Democrito tra i pre-socratici
e perfino tra i pre-sofisti, in onta alla cronologia. Democrito è il ande
fondatore dell’atomismo, in cui ha tuttavia come precursore Leucippo, e che fu
svolta da lui come una teoria cinetica cosmologica. Attraverso questa dottrina
Democrito agiunse ad una rigorosa concezione del determinismo meccanico, e
verosimilmente he alla scoperta di principi (massa, inerzia) chalileo. Fanno eccezione
Windelband e Burnel, che restituiscono airAbderita il suo posto cronologico, ma
che tuttavia non sembrano arne un apprezzamento proporzionato all' importanza
del suo lavoro scientifico] ha riostruito due mil’ anni più tardi, riprendendo
le intuizioni fondamentali del lontano predecessore. Per il suo rigido
meccanicismo, con esclusione di ogni teleologia, Democrito viene considerato
come il padre del materialismo, e da ciò appunto ha origine il pregiudizio da cui
in ispecie la storia svoltasi sotto l’nfluenza hegeliana, nel secolo
decimonono, non ha saputo mai emanciparsi completamente. Quantunque un esame
accurato avrebbe permesso di riconoscere ello stesso Democrito anche il padre
dello spiritualismo (così come Leibniz sembra avere intuito!) e forse anche di
far risalire a lui l’argomento per l’immortalita dell’anima basato sulla sua
semplicità o in-divis-ibilità, che s'incontra nel Fedone 78, b, c. Le opere di
Democrito, di cui ci sono trasmessi i titoli da Trasillo, formano una mole
imponente e si riferiscono ai più svariati argomenti, dalle matematiche alla
fisica, alle scienze naturali, all’agricoltura, alla teoria dei segno e
dell’espressione, la dialettica, la grammatica, alla poetica, alla teoria della
conoscenza ecc. ecc.; fra i frammenti più belli sono da annoverare quelli
morali, conservatici da Stobeo. La posizione filosofica di Democrito, per ciò
che concerne la teoria della conoscenza, resulta dalla testimonianza di Sesto
Empirico, laddove egli parla di Democrito e Platone sostenitori della verità
degli intelligibili (ià vorjra) in contraddizione con Protagora [Di ciò mi
propongo fornire altrove la prova col confront dei testi aristotelici] aora. Si
tratta dunque di un razionalismo, che si contrappone all’ empirismo protagoreo.
Ma, poichè a sua volta questo empirismo dei sofisti era sorto come una reazione
di caratere “positivistico” al razionalismo metafisico della scuola di Velia, è
naturale che Democrito avesse a tener conto dell’ esigenza fondamentale che i
sofisti avevano formulato. Democrito non posse semplicemente riprendere come
materia della scienza una Verità (£M)0s:a) indifferente rispetto all’opinione
(doxa) che si riferisce alle cose sensibili, ma doveva invece cercare una razionalizzazione
dell’empirico, cioè una verità atta a salvare i fenomeni (ofttTe'.v ~ì
6|JtSV«); e siffatta veduta si poteva esprimere nel linguaggio tecnico del
tempo, dando per compito alla scienza l’opinione vera, o inverata mediante il
ragionamento. Appunto questa teoria della scienza come lii^x (isià Xóyo'j,
viene riferita e discussa da Platone nel “Teeteto”, ed una comparazione
analitica del testo con altri dello stesso Platone e di Aristotele, prova che
il riferimento deve essere attribuito a Democrito. Ma, poiché la spiegazione
razionale dei fenomeni suppone dei concetti, per mezzo dei quali si unifichi la
rappresentazione delle cose del mondo empirico, si può domandare su che
Democrito ne basasse il ossesso da parte dal soggeto percipiente. Qui soccorono
alcune indicazioni. / . ' ( l ) Diel. A. 59 i eh. A. 114. ( ! ) Cfr. Enriques:
La teoria democritea delta scienza nel dialoghi di 'Platone, Rivista di
Filosofia, n. I. 1) Anzitutto Democrito viene additato da Aristotele come il
primo a trattare delle definizioni di cose fisiche, mentre ei ci dice che con
Socrate crebbe l'uso del definire e si estese soprattutto alle nozioni morali. Conviene
intendere che Democrito inizia quel modo di definire proprio della scuola socratica,
in cui si ricercano i caratteri comuni delle cose che rispondono al definito; è
più difficile dire se lo stesso Democrito, come Socrate, facesse anche appello
alla nozione comune che tutti gli uomini si formano in rapporto a dati oggetti;
e tuttavia questo criterio ei ben poteva derivare da Eraclito, cui lo stesso Socrate
sembra avere attinto. In un frammento della già citata opera logica di
Democrito rtsp: àoyrxtòv noi xzvwv che ci è statmandato da Sesto, vengono
distinte due speecie, di conoscenza, l’una relativa all’intelligenza (à7j;
Siavaas), l’altra alla sensazione (Ò:à rwv aìofi^oetov). Dice precisamente
Democrito: “Vi sono due forme della conoscenza : una conoscenza pura o legittima
(yvyjafyj) ed una adombrata spuria (av.v.ri). Appartengono a quest’ ultima
forma adombrata spuria le cinque sensi: la vista (visum), l’udito (uditum), il
gusto (gustatum), l’odorato (odoratum), il tattoo (tactum). Ma la conoscenza pura
è completamente distinta. Ed aggiunge ce questa conoscenza pura è relativa ad
un (') Mtt. I, 4, (3), De Partibus Animalium I, 1 (ed. Didot, t. IH, pag. 223,
2). ( ! ) In Diel» B. II) orbano di pensiero più raffinato che prende il posto
di un vedere o di un udire o gustare o odorre o tastare nel più piccolo
(mettendoci così in rapporto colla vera natura delle cose, cioè cogli atomi. Anche
in altri modi Democrito esprime la relazione fra le due forme del conoscere;
per esempio ove dice che « apparenza (vòptoi) il colore, apparenza il dolce,
apparenza l'amaro. In realtà soltanto gli atomi e il vuoto. Ma poi, facendo
parlare i sensi contro l’intelligenza, soggiunge povera me, prendendo da noi la
tua fede, tu vuoi confonderci ; la tua vittoria è la tua caduta. Troviamo qui
una notizia estremamente interessante. Democrito, al pari di Platone e di
Aristotele, e prima di loro, dibatteva il problema dell'origine dell’idea.
Democrito non si fermava, come il filosofo ateniese alla supposizione della
conoscenze innata (teoria della reminiscenza -- anamnesis), anzi piuttosto
sembra derivare la idea dalla sensazione, sicché è lecito pensare che a lui
possa aver attinto Aristotele la veduta che gli abbiam visto esprimere in An.
Post. Il, 15. Ma, mentre in Aristotele non si vede come possa conciliarsi
questa dottrina colla dignità attribuita alla nozione induttivamente
acquistata, che debbe costituire le premesse necessarie della scienza dimostrativa,
ciò che sappiamo intorno alla teoria delle sensazione di Democrito (in rapporto
alla fondamentale (*) Galeno in Die!» B. 125; cfr. Sesto in Diels B. 9.] supposizione
atomica) e ben atto a sciogliere la difficoltà. Ammetteva infatti il Nostro, che la sensazione in generale derivassero da
piccole immagini (sKoiXa) emesse dai corpi e proprie ad impressionare gli
organi dei cinque sensi ed anche lo stesso pensiero in quella guisa in cui la luce
impressiona una lastra fotografica. L’immagini rispondente alla conoscenza
inteligibile partenti direttamente dagli atomi — sono di natura più fine. Si
comprende quindi che esse possano liberarsi dalla mescolanza colle immagini più
grossolane che colpiscono i cinque sensi, quando il confronto di sensazioni
ripetute, in rapporto ad una molteplicità di cose, permette di fissare i
caratteri comuni che definiscono il concetto. Che effettivamente Democrito riconoscesse
il valore logico del concetto, quasi come anticipazioni dell'esperienza,
resulta anche dalla testimonianza di Diotimo in Sesto (VII, 1401), che egli
assumeva come criterio della comprensione delle cose oscure il fenomeno, e come
criterio della ricerca'il concetto, èvvoia xpurr/pwv Z,r\vtpzwq. Qui è notevole
lo del termine. Ivvotoe che già notammo a proposto della designazione di
y.oiw.l Ivvs:% adoperata da Euclide per gli assiomi, giacche abbiam pur detto
che codesto termine non si trova nella [Cfr. p. et. Aetiui in Diel», A. 30. ( 2
) Diels, A. III. 37]letteratura filosofica di Platone ed Aristotele, ma invece,
più tardi, presso gli Stoici. Appunto ad un’opera di Crisippo 7tepì £?jT^7S(0£
sembra fare allusione Plutarco presso Olimpiodoro, dove dice che gli Stoici
allegano a causa di ciò (cioè della possibilità di arrivare a cose che non si
conoscono) le nozioni fisiche: tàj qjuaixà; èvvofa?. D’altronde Diogoene
Laerzio (VII, 54) (c’informa che Crisippo dice esservi DUE criteri della
verità, la sensazione e il concetto. Qui in cambio di svvoia viene adoperata
l’espressione TtpóXvjtjt:?, che ricorre anche presso gli Epicurei, designando
l’anticipazione dell’esperienza. Ora il significato preciso che gli Stoici
davano alle ÈVV 3 tati, si può rilevare, per esempio, da un passo del De
Civitate Dei di S. Agostino dove si parla di coloro che riposero la verità nei
sensi, cioè degli Epicurei e degli stessi Stoici. Qui cum vehementer aaerint
sollertiam disputando quam dialecticam nominant, a corporis sensibus eam
ducendam putarunt, hinc asseverantes animum concipere notiones, quas appellant
èvvo'st;, earum rerum scilicet quas definiendo explicant. Da questi riferimenti
sembra potersi dedurre che gli Stoici abbiano adottato, al pari di Aristotele,
la dottrina democritea dell’ origine sensibile dei concetti – nihil est in
intellectu quod prior non fuerit in sensi ( l ) Cfr. Arnim, Stoicorum veterani
fragmenta. Voi. II, n. 104. Crisippo, discepolo di Zenone Cizio (280-209 a.
C.).In Arnim, op. c. 105. In Arnim, 106. (cui soltanto gli Epicurei
conservarono come fondamento l’ipotesi delle piccole immagini), ma spogliando i
concetti di quella dignità superiore che il razionalista cerca conferire agli
intelligibili ; così, per loro, la dimostrazione scientifica (àiróSs:^;) viene
ridotta, per dirla con Cicerone, ad una “ratio, quae ex rebus perceptis ad id,
quod non percipiebatur, adducit.” In
corrispondenza di queste vedute, di carattere più empirico, è interessante
rilevare come si modifichi la dottrina democritea della scienza, che Zenone
Cizio dice essere una comprensione sicura e ferma e immutabile dalla ragione »
(à,u£-*sov ùttò Àóyo j /./.- ovvero anche un possesso immutabile dalla ragione,
nell’accoglienza delle rappresentazioni » (èv a>xvT5tTO)v r.ozz- a&o. Pertanto
gli Stoici non giunsero a quello schietto empirismo, che si vede accolto da
Epicuro, per cui è accettata sempre come vera ogni sensazione o apparenza:
richiesero anzi che all apparenza si aggiunga 1 assenso volontario dell animo, che
per il saggia ha motivo nell identità fra la ragione individuale e la Ragione o
logos universale. Così il concetto eracliteo del logos, che la scuola Arnim,
111. ( ) Riferimenti di Sesto e Diogene Laerzio in Arnim : Zeno- Citius, n. 68.
(' ) Cfr. Sesto e Cicerone in Arnim : Zeno Citius, nn. 63 e 61 . 3] stoica ha fatto proprio, doveva pur sempre
conservare al pensiero una certa dignità, e quindi facilitare il trapasso alla
veduta posteriore degli eclettici (Cicerone), per cui le commune notio vengono
ritenute non più come uniformità della natura bensì come idea innata, attestanti
la reminiscenza della vera origine divina dell' uomo, onde la teoria stoica
(ritornando in effetto a Platone) viene a fondersi colla neoplatonica. Più
direttamente degli Stoici (che pure ne derivarono il principio del determinismo
universale) si riattaccano a Democrito gli Epicurei, che ne adottarono la
teoria atomica, spogliata bensì del suo più profondo significato meccanico. Ma,
come abbiamo già accennato, Epicuro e lungi dal razionalismo del maestro
d’Abdera. La sua “Canonica” comprende poche regole di cui abbiamo chiaro riferimento
da Sesto Empirico, e che Gassendi ha ricostruito con precisione nella sua
Logica. Riferiamo la parte essenziale dei canoni epicurei così formulate.
Sensus nunquam fallitur. Opinio est consequens sensum, sensiomque superadiecta,
in quam veritas aut falsitas cadit. Opinio illa vera est, cui vel suffragata, vel
non refragatur sensus evidentia. Petri Gassendi Opera Omnia, Firenze. 1277,
Voi. 1. Pari 1, De Logicae origine el varietale]. Omnis quae in mente est
anticipatio, seu prae-notio, dependet a sensibus, idque vel incursione, vel
proportione, vel similitudine, vel compositione. (Questo stesso modo di
formazione dei concetti appare negli Stoici). Anticipatio est ipsa rei nodo,
sive definitio. Est anticipatio in omni ratiocinadoe principium. Quod inevidens
est, ex rei evidenti anticipaticele demonstrari debet. Qui è notevole 1 appello
all’evidenza sensibile (ev%ex) che viene così assunta come criterio di verità.
Nonostante la modificazione subita, è facile riconoscervi lo stesso criterio di
Democrito che contrapponendo la conoscenza pura o legittima alla conoscenza
oscura, viene appunto a ritenere la chiarezza delle idee come segno del loro
valore: senonchè quella che per Democrito era chiarezza di concepimento,
diviene per Epicuro chiarezza sensibile. Toccherà poi a Descartes di ritornare
al criterio dell’evidenza (cf. Grice, “Descartes on clear and distinct
perception) rispetto al pensiero, riguardando come vera la idea chiara e
distinta (l’aggiunta deriva dal Teeteto 209c-2l0). Dopo aver parlato degli
Stoici e degli Epicurei, ci convien dire degli [Notisi che già in Teofrasto si
applica il criterio dell’evidenza tanto all’intelligenza che al senso. (Cfr.
Sesto Adv. Malh.)] scettici i qual per verità non formano ugualmente una setta
o scuola chiusa, ma — a partire da Pirrone d’Elide e dal suo amico Timone —
ofno tuttavia una certa continuità di tradizione critica, mantenendo di fronte
alle filosofie dogmatiche un atteggiamento di dubbio metodico. No Diogene, ma Arcesilao
di Pitane e Carneade (che venne ambasciatore a Roma nel 155 a. C.), portarono
la filosofia scettica nella media Accademia – e che fascina a Scipione! Più
tardi incontriamo Enesidemo di Cnosso, Agrippa, e finalmente Sesto Empirico che
riassume tutto questo movimento nella sua opera pregevole, fonte cospicua di
notizie per la storia della filosofia romana. I rapporti esteriori che la
tradizione segnala fra Pirrone e qualche democriteo come Nausifane, nonché le
tendenze scettiche che si attribuiscono ad altri democritei (Metrodoro,
Anassarco) indicano già una certa dipendenza della scepsi da Democrito.
D’altronde il legame appare prima di tutto nel motivo morale che ispira la
riserva degli scettici di fronte alla vera natura delle cose, giacche la
sospensione del giudizio mirava a conquistare quella atarassia o
imperturbabilità dell' animo, che si riduce infine alla vittoria sulle
passioni, inculcata dall'Abderita. Ma il apporto teorico della scepsi con
Democrito resulta da ciò che questi aveva ridotto la realtà alla materia
indifferente degli atomi, negando le qualità sensibili; un passo ulteriore
della critica (riportantealla posizione di Protagora) doveva naturalmente
estendere il dubbio anche a quelle proprietà primarie in cui il grande atomista
aveva scorto l'oggetto intel¬ ligibile della conoscenza. E certo questo
sviluppo era suggerito dal contrasto fra le vedute dei due razio¬ nalisti,
sorti a combattere l’empirismo protagoreo: Democrito e Platone. Giacche questi
riteneva proprio come intelligibili quelle stesse qualità (ipostatizzate sotto
il nome di idea) che 1 altro aveva con¬ siderato vane apparenze. Inoltre, anche
nello stesso sistema democriteo, si può riconoscere 1 origine della critica che
investirà gli intelligibili, se — come siamo stati tratti induttivamente ad
ammettere — l’Abderita faceva pur nascere 1 intelligenza dai sensi. In tal
guisa il pensiero antico avrebbe percorso una via non lon¬ tana da quella per
cui il pensiero moderno giunse dalla posizione di Galileo, di Descartes e di
Locke (i quali ripresero la distinzione fra la qualità primaria e le qualità seconda)
alla critica di Berkeley, che — attraverso la teoria della visione - riusciva a
negare anche il significato trascendente di codesto sostrato geometrico della
materia. La teoria degli scettici, si noti, non nega affatto il mondo
fenomenico, bensì oppugna la pretesa dei dogmatici di affermare qualcosa della
verità o della natura delle cose in se stesse. La critica che essi svolgono a
tale scopo, rilevando ciò che vi è di relativo nei criterii della verità,
costituisce in gran parte un acquisto durevole per la dottrina della conoscenza
: lo La logica degli antichispirito che l’anima è affine a quello del
positivismo moderno, salvo il sentimento che la veduta di una scienza più
progredita ispira oggi ai critici della metafìsica. Ma per la storia della
logica interessa soprattutto esaminare gli argomenti di Carneade contro il concetto
aristotelico della dimostrazione : intorno ai quali siamo informati da Sesto
Empirico. Ricompare qui l’idea, già affacciata dai predecessori di Aristotele e
da questi oppugnata, che ogni prova dia luogo ad un regressus in infmitum,
poiché ogni premessa deve essere dedotta da un’altra premessa. E questo argo¬
mento prende forza dalla negazione di ogni certezza immediata, alla quale gli
scettici pervengono (come si è accennato) mercè la veduta che i concetti su cui
si ragiona traggono pure origine dal senso, onde 1 incer¬ tezza della
sensazione si riflette anche sull intelligenza. Quindi viene presa in esame
l'opinione che sia lecito fondare la scienza sopra ipotesi, e che queste sieno
fatte ferme e valide dalla verità delle conseguenze che se ne deducono. Il
passo di Sesto che critica questa opinione non dice chi ne sia l’autore ; ma
resulta assai chiaro che essa deve riferirsi particolar¬ mente ai fìsici
matematici, e vi è forse qualche motivo di attribuirla già a Democrito, che per
primo propose alla scienza il compito di spiegare razionalmente i feno¬ meni.
Infatti abbiamo già accennato che questi appunto (i) Adv. Math. VII, 159-189 e
Vili in ispecie 367-463. ( s ) Vili, 375] potesse essere preso di mira da
Aristotele, ove eicontesta che voler provare le premesse mediante le
conclusioni costituisce un circolo vizioso (*). Di nuovo Cameade riprende la
tesi aristotelica, notando che dal vero si può dedurre il falso ; e certo
l'argomento — in stretta logica — non potrebbe essere confutato. Ma, per quanto
o scettico sia portato a dare il maggior peso a questa constatazione negativa,
Cameade non vi si arresta. Dopo aver negato l'esistenza di criteri
assolutamente certi del vero e del falso, egli accorda pure alla conoscenza un
valore probabile; e questo valore lo riconosce, in primo luogo, ad ogni
rappresentazione dotata di sufficiente evidenza, ma in grado più alto alle
catene di rappresentazioni legate 1’una all'altra in un sistema logico (ibidem,
VII, 176 e seg.). Non diverso è, in ultima analisi, il cri¬ terio positivo con
cui anche oggi possiamo giudicare il valore delle teorie scientifiche : soltanto
appare, ai nostri tempi, un atteggiamento più fiducioso, che è in rapporto
collo sviluppo della trattazione matematica della fisica; mentre il sentimento
degli scettici risponde ad una scienza meno evoluta, ed anche — piuttosto che
alla mentalità di matematici — a quella dei circoli medici, in cui Io
scetticismo antico ebbe acco¬ glienza. Effettivamente l’uso di ipotesi, il cui
valore probabile viene desunto dalla verifica sperimentale delle conseguenze
che ne dipendono, caratterizza il metodo deduttivo-sperimentale della scienza
moderna. L. c. An. posi., I, 2] quale si disegna in Kepler, Galileo e Descartes.
L' esame intorno allo sviluppo della logica post-aristotelica, in cui abbiamo
cercato l'influsso delle idee di qualche predecessore, ci ha mostrato che in
verità il realismo logico di Aristotele è stato superato dallo stesso pensiero
greco; il quale ha toccato posizioni affatto conformi alle più alte vedute
moderne. Ma della critica speciaente istituita dai geometri dopo Euclide,
abbiamo notizie troppo scarse per misurarne il significato; e secondo le
apparenze dobbiamo ammettere che le fini ricerche di Apollonio su questo
soggetto non abbiano trovato prosecutori. D’altra parte l’opera dei filosofi
che hanno riflettuto sulla scienza, nella filosofia romana, non aderendo
propriamente ad uno sviluppo scientifico, e tanto meno matematico, prese spesso
quella forma negativa che nel modo più raffinato ci presenta la dottrina
scettica. Infatti per osservatori cui non sia dato di riprendere e di proseguire
il pensiero profondo dei più antichi filosofi matematici, la confutazione di un
ordine di verità necessario, quale è affermato da Aristotele, deve apparire una
confutazione dell stessa possibilità della scienza. Resta nondimeno un esempio
pieno d’interesse nella storia, quello che ci viene offerto dalla scuola
stoica, per cui la trattazione formale della logica si associa ad una dottrina
empirica della conoscenza. E, se codesto sviluppo formale approda ad un arido
schematismo (di fronte a cui comprendiamo il disprezzo della dialettica manifestato
dallo stoico Aristone di Chio), tuttavia non si può disconoscere il valore
dell’analisi logico-grammaticale dell’espressione, mercè cui si riesce a
scorgere in qualche modo nel linguaggio, l’espressione di una attività costrittiva.
Fino a che punto gli stici sieno proceduti su questa via, non vogliamo qui
esaminare. Ma certo si scopre in essi quella distinzione fra subiettivo ed
inter-soggettivo, che riapparire agli inizii dell’epoca moderna, come
fondamento della filosofia. Dalla storia della filosofia romana si passa, senza
indugiarci al movimento delle idee che accompagna la rinascita della scienza,
agli inizi dell’ Evo moderno. Basta rilevare il carattere generale degli
sviluppi che la dialettica riceve nel periodo intermedio (medius aevus), arido
se non del tutto infecondo. Diremo per ciò come la logica aristotelico-stoica
fu introdotta dal filosofo romano Boezio presso i Romani. La traduzione di
Boezio del greco al romano dei primi due trattati dell’Organum (Categoriae e De
Interpretatione – the only two that Grice lectured on with J. L. Austin and P.
F. Strawson), nonché dell’Isagoge di Porfirio [arbor griceana], e i commenti
con cui egli stesso ed altri scrittori neo-platonici accompagnarono codesti scritti
(nel senso della tecnica formale, secondo la tradizione stoica), costituiscono il
fondamento della cultura del più antico (alto) Medio Evo. Del resto, la cultura
generale sembra ^ppjesentata da un certo numero di enciclopedie clella bassa
antichità, come quella di Marciano Capella, nelle quali si tratta delle sette artes
liberales che, nel tirocinio scolastico, formarono il trivio (I. grammatica,
II. Rettorica, III. Dialettica) ed il quadrivio (IV. Aritmetica. V. Geometria.
VI. Astronomia. VII. Musica). Specialmente
degno di nota che questa prima parte del Medio Evo non ha conosciuto, nè le
altre opere (logiche, fisiche ecc.) di Aristotile, nè le opere originali di
Platone, fuori del “Timeo”, tradotto in romano da Calcidio. Più tardi, il
Rinascimento umanistico doveva venir fecondato mercè una conoscenza diretta dei
testi, in seguito alla caduta dell’impero romano d'Oriente, che addusse
numerosi profughi segnatamente in Italia. Ora nella logica scolastica due aspetti
sono degni di nota. Primo,la progressiva elaborazione della tecnica formale,
acuitasi mercè sottili distinzioni. Secondo, la grande questione della realtà
degli universali, di cui a stento riusciamo a comprendere il carattere
drammatico, traverso la forma aridamente schematica delle discussioni.
Sorvoleremo affatto sul primo punto, sebbene sarebbe interessante per la storia
della dialettica, di mostrare, per esempio, in Buridano il riconoscimento della
proprietà distributiva della particella (adverbium) ‘non’ (~) rispetto a “et”
(/\) e “vel” (\/). non (p et q), ~ (p /\ q) ≡ non p vel non p (~p \/ q). (notizia segnalatmi da Vacca) o di cercare
simili analisi in Paolo Veneto. Ma, quanto alla questione della realta
degl’universale, diremo che si tratta dell'antica questionollevata dalla ideologia
platonico-aristotelica, se all’idea generali corrisponde una realtà. La quale
questione fu riaccesada un passo dell’Isagoge di Porfirio (I, 3). “E anzitutto,
per ciò che riguarda il genero o la specie, io evito di ricercare se esiste di
per sè, ovvero se esiste soltanto come pure nozione; e — ammettendo che esista
di per sè — se apartengano alla cosa corporea o incorporee; e infine se abbiano
esistenza separata ovvero solo nella cosa corporea sensibile. E una questione
troppo profonda che esigerebbe uno studio differente da questo e troppo este.
Nel vasto intreccio della polemica medioevale appare che il nominalista
(negante la realtà dell’universale) rappresentano, in generale, le tendenze
scientifiche, avverso il misticismo platonizzante del realista. Ciò è vero
soprattutto per riguardo ai rinnovatori del nominalismo nel secolo come
Guglielmo Occam e Giovanni Buridano, rettore dell'Università di Parigi, ai
quali è dovuta la teoria che ha preso il nome di terminismo. Il terminista (che
si accosta al concettualismo di Abelardo) ritiene i concetto (o termino) come un
segno intersoggettivo (signa) della singola cose, o di una classe di cose,
realmente esistenti. La dialettica si riferisce soltanto alle reazione di
questo segno della cose (Occam, Quodlibeta V. 5). Occam avverte pue che
l’espressione assume il suo proprio significato nella proposizione, e spesso in
unione a qualche altro termine. Terminus conceptus est intentio seu passio
animae aliquid NATURALITER SIGNIFICANSaut consignificans, nata esse pars
propositionis. Sifftta dottrina supera lo stretto nominalismo e tuttavia nega
il realismo: cioè nega che il ‘significato’ (o ‘signato’) dell’espressione sia da cercare nella sua comprensione o
connotazione, ossia nell’ insieme delle note o attributi, di cui esso
esprimerebbe l'unità sostanziale; e si afferra invece all’estensione o
denotazione (denotatum, relatum), cioè all’ insieme delle cose rappresentati
dall’espressione (‘homo’), che — sotto la specie di certe reali somiglianze —
vengono vramente unificati. Al lume di questa veduta, la definizione scolastica,
discendente dal astratto generale universale al concreto particulare individuo,
e la logica stessa perdono importanza: onde è fatto invito a volgersi dalla
spiegazione dell’espressione al concreto della esperienza. Ciò spiega
abbastanza l’interesse appassionato della polemica intorno agli universali
che nel mondo sociale e morale deve rivendicare la libertà dell'individuo
soffocata dalla tirannia delle istituzioni e dall'autorità delle credenze e
dell’insegnamento tradizionale. Nulla sembra più proprio a favorire un tale
affrancamento degli spiriti, che abbattere alla radice l’albero della deduzione
infeconda, triviale, analitica, ricostruendo induttivamente tutto il sapere.
Onde la stessa tendenza si continua ed esplica nella reazione anti-aristotelica
(platonista) degli umanisti italiani purificatori della logica dalla
sottigliezza o implicatura scolastica (Valla, Agricola, Vives) e si manifesta
poi in nuove forme nella rinascita del movimento scientifico. Federigo
Enriques. Keywords: unity of science, history of logic, foundations of
mathematics, the synthetic a priori. Grice e Enriques su Peirce. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice ed Enriques” – The Swimming-Pool Library.
Enzo (Burano). Filosofo. Grice: “I like
Enzo; for one, his “Ubi es?” is a classic – only in Italy they take the Bible
so seriously – “Ubi es” can be interpreted literally – sans implicature. And
that’s what Enzo does.”. Figlio di Alessandro, vetraio a Murano, un mestiere
estremamente usurante, morirà appena cinquantenne. Uomo concreto e critico
nella sua essenziale bontà. La madre,
Flaminia Vio, è una bravissima maestra merlettaia. Da lei apprende il rigore e
lo spirito di rispetto verso l'istituzione. È lei, una cattolica laica, che
vive al servizio della Chiesa, ad accompagnarlo dalle suore perché serva come chierichetto
alla prima Messa. È lei che accoglie la proposta del parroco di mandarelo in
seminario a Venezia per permettergli di continuare gli studi, ma preferisce
ritardarne l'entrata e chiede alla nipote di ospitare a Venezia il cugino che
posse così frequentare i primi anni come esterno. Negli anni di studio
ginnasiale, si imbatte per la seconda
volta nella lettura della Bibbia. Il primo contatto era stato quando, aveva
deciso di leggere ai fratelli, nella traduzione di Martini, una vecchia Bibbia
trovata in casa, per accompagnarli al sonno. Il contatto è più corposo e
sistematico, ma come la lettura lo entusiasma e nello stesso tempo lo delude,
intuisce infatti la mancanza di adeguate conoscenze e strumenti concettuali per
poter penetrare pienamente il messaggio biblico. Ha la stessa reazione anche
quando, finito il liceo, sceglie gli studi, dove la lettura della Bibbia è
seria e critica, ma rimane, per importanza, sempre la seconda o la terza
materia dopo la dogmatica e la morale. Viene mandato a fare cura pastorale come
vicario cooperatore a Caorle, dove accoglie 350 alluvionati del Polesine. Qui,
meta preferita di turisti tedeschi, studia da auto-didatta la lingua tedesca
per meglio servire la Chiesa. Viene trasferito con lo stesso incarico nella
vicina frazioncina di Ca' Cotoni per divergenze con il parroco di Caorle e nella
popolare parrocchia di S. Giuseppe di Castello a Venezia. Aveva conosciuto
questa comunità quando vi era stato per una stazione quaresimale con il
patriarca Piazza e l'accoglienza ostile degli operai verso una personalità
vista come filo0fascista aveva reso necessaria la scorta della polizia. A S.
Giuseppe di Castello compera un appartamento, indebitandosi, per fare patronato
con doposcuola tutti i pomeriggi sino alle 20, e a sera gli incontri con i
ragazzi più grandi. Insegna al Lido e poi nella vicina "P.F.Calvi",
organizzando anche uno spettacolo per un concorso al teatro "Goldoni".
Il vicario generale Gottardi, dopo essersi consultato con monsignore Capovilla,
segretario del cardinale Roncalli, gli comunica che andrà a studiare a Roma. Gottardi
era stato suo insegnante di teologia e scienze bibliche in seminario e aveva
conosciuto il suo profondo interesse per gli studi biblici, ne aveva poi apprezzato
il saggio, “La 'Giustificazione' nella Lettera ai Romani” in cui analizza le
varie interpretazioni bibliche in maniera dia-cronica risalendo sino alle
tradizioni patristiche. Le due omelie di Carlo a S. Giuseppe di Castello
ascoltate dallo stesso vicario generale avevano poi confermato quella
scelta. A Roma è ospite presso il
Pontificio Collegio Nepomuceno in via Concordia ed è lì che lo viene a
prelevare Capovilla per una visita guidata alla città, alla vigilia del
Conclave da cui uscirà papa Roncalli. A fargli da cicerone è proprio il futuro
papa Giovanni XXIII e le bellezze della città illustrate da una guida tanto
preziosa assieme al paterno congedo di Capovilla costituiranno il ricordo più
bello della sua vita. Consegue la Licenza con una tesi su "I Carismi"
e contemporaneamente i corsi in scienze bibliche presso il Pontificio Istituto
Biblico, dove perfeziona lo studio dell'ebraico già iniziato in seminario, ma
soprattutto ha l'incontro, decisivo per i suoi studi, con il grande biblista
Schoekel. Segue i corsi del quinto anno che gli avrebbero permesso di redigere
il saggio su "Grazia e benevolenza" per la laurea, tesi che non può
però portare a termine perché torna a Venezia, chiamato da Urbani a svolgere la
funzione di vicerettore del Seminario Patriarcale, nel burrascoso periodo tra
il rettorato di Vecchi e Villa. Da vicerettore del seminario insegna anche
scienze bibliche, diviene in seguito pro-rettore, sino a quando chiede di
essere sollevato dall'incarico per poter assistere la madre paralizzata ed è
quindi ascritto alla parrocchia di S. Zaccaria, dove abiterà con la madre. Qui
si fa promotore dell'allestimento e della conduzione di un teatro,
dell'organizzazione del cinema per ragazzi, del cineforum, dell'istituzione
della biblioteca, mentre cura anche l'esecuzione di opere di risanamento e
ristrutturazione di tutti gli ambienti frequentati dai ragazzi. Continua ad
insegnare in seminario, e dal rettore viene mandato nel Benedektiner Kloster di
Metten a Degendorf (Germania) per preparare alla maturità i seminaristi che
studiano la lingua italiana. Compensa l'esiguo stipendio con l'insegnamento
nella scuola pubblica, come il liceo classico "M. Polo", dove matura
la sua sottoscrizione delle tesi del "Manifesto". Viene nominato
patriarca di Venezia Luciani e pochi giorni dopo il suo insediamento emerge il
suo diverso sentire con Enzo, che, nella mensile lezione culturale al clero,
trattando il tema della "Consumatio saeculi" o secolarizzazione nella
Bibbia, provoca una dura reazione del presule. Dà le dimissioni
dall'insegnamento in seminario, dapprima ritirate, perché lui, che da tempo nella santa messa
pratica l'omelia dialogata, non si sente in consonanza con le direttive
indicategli. Sino a questo momento i patriarchi veneziani che avevano conosciuto
Carlo, Piazza, Agostini, Roncalli ed Urbani, gli avevano dimostrato la loro
stima. Proprio Urbani aveva chiesto ad Enzo un commentario al Vangelo di Marco.
Sin dagli inizi, accompagna la vita sacerdotale di Carlo una costante e intensa
cura pastorale, rivolta sia ai ragazzi che agli adulti, e non solo nelle sue
sedi parrocchiali. Più che trentennale è a questo proposito la collaborazione
che gli chiede Marangoni nella parrocchia di Marghera, nel quartiere Cita, nei
difficili anni Settanta e, dagli anni Ottanta, a San Giacomo dell'Orio a
Venezia, a testimoniare la stima e l'affetto maturati dagli anni del seminario.
Si laurea a Venezia con “Alle origini dell'utopia messianica. Insegna a
Venezia, Oriago, Mestre e Giudecca. Va in pensione dall'insegnamento. Tiene a Venezia dei cicli di seminari di
esegesi biblica nell'ambito dei corsi tenuti dal prof. Arnaldo Petterlini, da
Madera, e allo IUAV di Venezia seminari di antropologia biblica ed esegesi invitato
da Rizzi. Sudia filosofia scolastica, propedeutica alla teologia. Nel manuale
di Calcagno, "Elementa philosophiae scolasticae" trova il capitolo
dedicato alla filosofia immanentistica, che considera Dio la natura o non
considera affatto Dio e considera solo la natura. Lo colpisce Spinoza per la
sua vita nascosta, dimessa, umile, scriveva infatti solo per gli amici. Ne
legge l"Ethica more geometrico", commentata da G. Gentile, più facile
a reperire perché considerata meno sospetta del "Tractatus theologicus politicus"
che studia in seguito, dedicando particolare attenzione al capitolo "De
interpretatione". Spinoza afferma che la Bibbia va letta e interpretata con
la Bibbia, era quanto Enzo aveva intuito sin da ragazzo, ma aveva abbandonato
quella strada in seminario dove si praticava il metodo storico-critico. A Roma,
il Nuovo Testamento viene studiato ed interpretato secondo il metodo della
storia delle forme che applica al testo biblico le regole dello scrivere
greco-latino, mentre per il Vecchio Testamento si segue la teoria dei generi letterari.
Incontra Schoekel, insegnante di teologia, esegesi ed ermeneutica biblica, che ha
un'attenzione speciale alle particolarità stilistiche e semantiche del lessico
biblico che schiudono un nuovo orizzonte metodologico e tematico. Considera
fondamentale per la comprensione dell'intera Bibbia lo studio dei primi tre
capitoli di Genesi e incoraggia Enzo, verso cui dimostra profonda stima e
un'amicizia che durerà sino alla propria scomparsa, ad affinarne l'esegesi e a
continuare il suo lavoro. Torna a Venezia con l'intenzione di mettere a frutto
quanto appreso applicando le indicazioni metodologiche spinoziane. Gli studi su
Genesi 1-3 vengono pubblicati in "Biblica". La interpretazione di
Genesi è alla base di diversi testi, dalla tesi di laurea, all'articolo su Servitium,
al testo "Adamo dove sei?" In parallelo decide di approfondire la
connessione tra i testi di Genesi e il vangelo di Matteo e scrive diversi
appunti che continuamente rivede nel corso degli anni. Da questi nasce il
progetto "La generazione di Gesù Cristo nel vangelo di Matteo". Altre
opere: “Testo e interpretazione in Weber e Bultmann, Unicopli, Milano); Alle
origini dell'utopia messianica, Antenore, Padova); Sulla nascita della
filosofia medievale, Venezia 1984 Sitz im Leben e interpretazione, Venezi); “Individuo
e comunità, nella riflessione biblica delle scritture antiche Servitium:
Quaderni di ricerca spirituale, Adamo dove sei?, il Saggiatore, Milano); La
terza delle dieci parole di “Esodo” 20 nell’interpretazione di Gesù in Le
parole dell'essere: per Emanuele Severino Petterlini A., Brianese G. e Goggi
G., Pearson Italia S.p.a Il Progetto di Mondo e di Uomo delle Generazioni di
Israele (Genesi 1-4), Mimesis, Milano, La Generazione di Gesù Cristo nel
Vangelo secondo Matteo. I. Gli Inizi, Mimesis, Milano, La Generazione di Gesù
Cristo nel Vangelo secondo Matteo. II. La Legge, Mimesis, Milano, Le prime
dieci parole di YHWH a Israele in Panta , Decalogo, Donà M. e Toffolo R.,
Bompiani, La Generazione di Gesù Cristo
nel Vangelo secondo Matteo. III. La Regola dell'Apostolo, Mimesis, Milano, La
Generazione di Gesù Cristo nel Vangelo secondo Matteo. IV. Il Regno dei Cieli,
Mimesis, Milano, La Generazione di Gesù Cristo nel Vangelo secondo Matteo. V.
La Ecclesia di Gesù Cristo, Mimesis, Milano, La Generazione di Gesù Cristo nel
Vangelo secondo Matteo. VII. La consegna del figlio dell'Adamo, Mimesis,
Milano, Genere adamico. Riflessioni sui testi fondativi della tradizione
spirituale occidentale che si trovano nei primi quattro capitoli di Genesi,
Servitium: Quaderni di ricerca spirituale,
Interventi alla radio Giuda: consegnare e tradire: Marco 14,43-52 con
Ludwig Monti, 3 marzo Sulla barca le
parole del regno Matteo 13, con Romano Madera, Le parole del regno Matteo 13; Due
lezioni bibliche: Il “mondo” del nostro Dio, Rovato e L’ “uomo” del nostro Dio,
Rovato, Lo Spirito di Cristo nel
progetto messianico, comunità della parrocchia di S. Giacomo, Venezia La
rivelazione secondo la Bibbia, Università degli studi di Venezia, Dipartimento
di filosofia e Teoria della scienza, Seminario sul “Der Mann Moses und die
monotheistische religion”, Incontro tra Carlo Enzo e Romano Madera, 13 marzo ,
IUAV (Venezia) ‘ôLaM, il progetto consegnato, Le decadi, dieci incontri con pensatori
eccellenti sul tema “Le potenze invisibili”, IUAV (Venezia) Scritti su Carlo
Enzo e testimonianze Tagliapietra A. La Bibbia, libro sempre “aperto”,
Gazzettino Tattara G. e altri Per una rilettura del vangelo di Matteo, Mosaico
di pace (on line), Madera R. Date al
cielo quello che è del cielo, L’Unità, Gnoli A. Rileggere la Bibbia, La
Repubblica Della Pergola F. Parola di biblista,
Della Pergola F. La Bibbia svelata,
e in Left, Lamonaca L. Su una nuova lettura della Genesi, Patrignani C. Laicità:
il biblista Carlo Enzo batte i marxisti ratzingheriani, MorettoUn mondo possibile, Della Pergola F.
Il problema dell’unicità e della trascendenza di Dio nella Bibbia ebraica, Della
Pergola F. Il Dio del nulla Tattara G. e altri Gesù e le donne nel vangelo di
Matteo, Della Pergola F. La lunga
battaglia contro la Bibbia e in Left, 1 aprile
Video Da Burano a Roma, parte I, dal progetto Memoro. La Banca della
Memoria La prima visita di Roma, parte II, dal progetto Memoro. La Banca della
Memoria Dal Biblico a Baruch Spinoza, parte III, dal progetto Memoro. La Banca
della Memoria Gesù Maestro ed Elohîm dell'Ecclesìa, parte IV, dal progetto
Memoro. La Banca della Memoria Vai, vai per te, parte V, dal progetto Memoro.
La Banca della Memoria Dalla Bibbia Ebraica alla generazione di Gesù Cristo.
Un'intervista di Romano Màdera La Bibbia non dice quello che ci hanno fatto
credere. Un’intervista a Carlo Enzo Date
al cielo quello che è del cielo di Romano Madera, in L'Unità, Rileggere la
Bibbia di Antonio Gnoli, in La Repubblica. Grice: “Enzo should concentrate a
bit on how the ancient Romans dealt with their civil religion. Roma and
romanitas. Carlo Enzo. Keywords: essegesi, ermeneutica, i quattro sensi – from
Genesis to Revelations: a new discourse on metaphysics, eschatology – perhaps
Moses got more than the 10 comm from Sinai --. Ebraismo e romanita – romanita
pagana – la teologia naturale dei romani antichi – la religione civile dei
romani – I simboli della religione romana pagana --. La religione ufficiale
della Roma antica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Enzo” – The Swimming-Pool
Library.
Epicoco (Mesagne).
Filosofo. Grice: “I like Epicoco; he has a way with words – e.g. ‘only the sick
heal.” Is that synthetic a priori?” Grice: “My favourite is Epicoco’s emphasis
on some symbols, like blood, and Canova’s Eros – and ‘l’amore che decide.’
Insegna a San Carlo Borromeo all'Aquila. Altre opere: Vergine Madre figlia del tuo figlio; Itaca
editrice; Jesu dulcis memoria; Itaca editrice; Il grido di Benedetto XVI; con
Michele G. Masciarelli; Tau editrice; Futuro presente. Contributi
sull'enciclica Spe salvi di Benedetto XVI; con Angelo Amato e Paola Bignardi;
Tau editrice; L'Immacolata perfezione. Sentieri in preparazione alla festa
dell'Immacolata; Tau editrice Io vedo il
tuo volto. Arte e liturgia; Tau editrice
Ex coelesti virtute. Miscellanea di studi in onore di S. E. Mons.
Giuseppe Molinari nel Suo 50º di Sacerdozio; Tau editrice Etty Hillesum. Introduzione ad una donna; Tau
editrice Piccola introduzione alla
Bibbia; Tau editrice Qualcuno accenda la
luce. Conversazioni sull'Enciclica Lumen Fidei di papa Francesco; Tau
editrice Giovanni Paolo II. Ricordi di
un papa santo; con Mons. Piero Marini; Tau editrice La misericordia ha un volto. Il Giubileo
straordinario della Misericordia secondo papa Francesco; Tau editrice Preghiere di ogni giorno; Tau editrice Nati per amare. I giovani raccontano la
famiglia; LUP Solo i malati guariscono.
L'umano del (non) credente; San Paolo, Milano
Educare è meglio che curare; Tau editrice, La malattia è un dono di vita. Storia di
Teresa Ruocco; Tau editrice La stella,
il cammino, il bambino. Il natale del viandante; San Paolo, Milano Quello che sei per me. Parole sull'intimità;
San Paolo, Milano Amen. La Parola che
salva; San Paolo, Milano Sale non miele.
Per una fede che brucia; San Paolo, Milano . Telemaco non si sbagliava. O del
perché la giovinezza non è una malattia; San Paolo, Milano L’amore che decide; Tau editrice, Camminando tra pastori e Re Magi. Trenta
piccole meditazioni e un "quaderno" per la riflessione personale: un
percorso di preparazione al Natale, San Paolo, Cinisello Balsamo, Qualcuno a cui guardare. Per una spiritualità
della testimonianza, Città Nuova, Roma, . Note
A L'Aquila Epicoco diventa il nuovo preside dell’Istituto Superiore
Scienze Religiose, Giovani: don Epicoco (filosofo), “proporre un incontro che
può cambiare la loro vita”, in Servizio Informazione Religiosa, 11 settembre . Intervista a Il Faro di Roma Scheda in Itaca
libri Scheda sito San Paolo Scheda del docente nel sito dell'Università
Pontificia Articolo incarichi diocesani Intervista a Credere Sito della Parrocchia Universitaria L'Aquila Incarichi nel Sito Ufficiale della Diocesi, su
diocesilaquila. Scheda sul profilo di don Luigi Maria Epicoco Radio Radicale Comunicato stampa Sito Rai Caterpillar Rai Due intervento a NemoNessuno escluso in
prima serata Membri Cavalieri della Luce
Archiviato il 18 gennaio in . Testimonianza nella rivista Credere Roma Sette sul nuovo Messalino edito da San
Paolo Intervista e nuovo libro sul sito
Aleteia La prefazione di Massimo
Recalcati al libro di don Luigi Maria Epicoco
Don Epicoco nuovo preside dell’Issr L’Aquila Conferenza di don Luigi Maria Epicoco a Nizza
il 13 novembre . Grice: “The Italians take ‘natural theology’ for granted; at
Oxford, as Webb pointed out in his very first Wilde lecture on natural
theology, things ain’t that easy, and they are not meant to be easy by the
lecture founder, Dr. Wilde. Webb analyses Wilde’s letter in some detail.
There’s naturalism and natural theology, there’s revealed theology, but there’s
also civil theology, and it’s nice Webb’s main source is Varro!” Grice: “Most
of the best Italian philosophers have been very much ANTI-ROMA; in part
influenced by classical culture, but more so by the German protestant movement,
which also had affinities with the Italian passion for ‘l’antico’” “Ironically,
Roma is considered hardly a representative of romanita!” Cf. the neo-paganism
of Evola, which is meant to represent romanita. -- Luigi Maria Epicoco.
Keywords: Wilde readership in natural religion. Refs.: Luigi Speranza, “Grice
ed Epicoco” – The Swimming-Pool Library.
Ercole -- (Spinazzola). Filosofo. Grice: “I like it when
Ercole emphasizes that bit in De Interpretatione which I love – every ‘logos’
is ‘significant’ (significativo, semantikos, -- adds Ercole quoting from the
Greek) of this or that – even a prayer!” -- Grice: “I must say I love Ercole;
for one, he expands on my idea of the longitudinal unity of philosophy, being
an Oxfordian Hegelian, almost, he thinks history can be regarded LOGICALLY:
scepticism has to follow dogmatism – this is pretty interesting; for another,
he tutored for years on the very same topics I did, notably “De interpretation”
and “Categoriae” – The former being a theory of semiotics, of course!” – Studia
a Napoli. Si interessa per Hegel. A Berlino si perfeziona sotto Michelet, Trendelenburg,
e Mommsen. Adere anche alla "Società filosofica hegeliana". Insegna a
Pavia e Torino. Dall'hegelismo iniziale, con l'affermarsi del positivismo,
passa a posizioni di adesione all'evoluzionismo di Darwin e di Spencer.
Polemizza con il teismo, giudicato contraddittorio e illusorio, manifesta interesse
per la riforma del liceo classico secondo Pestalozzi (Ercole attaca Pestalozzi
e defende Fröbel. Altre opere: Alcune proposte di riforma nella istruzione
secondaria, Pavia, Stabilimento tipografico Successori Bizzoni); “La pena di
morte e la sua abolizione dichiarate teoricamente e storicamente secondo la
filosofia hegeliana, Milano, U. Hoepli); “Il teismo filosofico cristiano.
Teoricamente e storicamente considerato, con speciale riguardo a Tommaso e al teismo
italiano” (Torino, Loescher); “L'educazione del bambino secondo Pestalozzi,
Fröbel e Spencer” (Roma, Tipografia della Reale Accademia dei Lincei);
“L'origine del pitagorismo” (Roma, Tipografia Terme Diocleziane di G. Balbi); “La
filosofia della natura di Ceretti” (Torino, Unione tipografico-editrice); “La
panlogica di Ceretti” (Torino, Fratelli Bocca); “L'esologia di Ceretti”; “L’essologia
di Ceretti”, “La sinautologia di Ceretti”, “Cerettiana”; La logica
aristotelica, la logica kantiana ed hegeliana e la logica matematica (Torino,
Vincenzo Bona), “La logica algebraica”. Dizionario Biografico degli Italiani.
How can people speak of ‘mathematical logic’ when Russell says that mathematics
rests on logic?!” – logica aritmetica, aritmetica logica – His exposition of
‘logica aristotelica’ is impressive, and overlaps with Grice/Strawson’s
seminars on Categoriae and De Interpretatione. His editorial work on Ceretti is
excellent. He has written on some other Italian philosophers, too. Pasquale
D’Ercole. Keywords: panlogica, esologia, essologia, sinautologia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Ercole” – The
Swimming-Pool Library.
Esposito (Piano di Sorrento). Filosofo. Grice:
“I like Esposito; of course, his ‘origine della filosofia italiana’ owes a bit
to the historians of Roman literature and that infamous embassy of the very
best of Grecianism: Carneade, Critolao, and Diogene!” 599 ab urbe condita!”. Parte
dalla constatazione dell'esaurirsi del tradizionale lessico della politica e
dalla consapevolezza della necessità di una sua diversa formulazione. Su questo
presupposto, si incentra sulla ripresa e sulla rielaborazione di questa
tradizione all'interno di nuove esigenze, a partire da una re-interpretazione
delle categorie classiche della filosofia. A tal fine nelle sue opere lascia
interagire saperi e linguaggi differenti, dalla filosofia alla letteratura,
all'arte, alla poesia, all'antropologia, alla teologia. Dopo i primi studi su Vico e Machiavelli, il
suo lavoro si è concentrato intorno a quattro nuclei tematici. L'impolitico
viene inteso come rovescio impensato dalla politica. Le riflessioni su questo
tema sono confluite in “Categorie dell'impolitico” (il Mulino, Bologna), Nove
pensieri sulla politica (Bologna, il Mulino), “L'origine della politica” (Roma,
Donzelli). La filosofia della comunità e
biopolitica sono confluite in una trilogia. “Communitas: origine e destino
della comunita” (Einaudi, Torino)” è un tentativo concettuale di ridefinire il
concetto di comunità, al di fuori di ogni riferimento ai comunitarismi passati
e presenti, privilegiando piuttosto gli filosofi da Rousseau a Kant, da
Heidegger a Bataillein cui prevale una concezione della comunità in quanto
legge comune dell' “essere insieme”, ma anche la coscienza tragica di ciò che
contiene di irrealizzabile da un punto di vista politico. “Immunitas:
protezione e negazione della vita” (Einaudi, Torino) è una lettura biopolitica
dei conflitti in seno al corpo sociale. “Immunitas” persegue il lavoro di scavo
teorico cominciato in Communitas e pone la categoria dell'immunità al centro di
questa riflessione sulle contraddittorie strategie di difesa della società
rispetto ai rischi, reali e immaginari, che la insidiano. In questo senso
l’immunizzazione è allo stesso tempo una protezione e una negazione della vita
che rischia sempre di diventare una sorta di malattia immune del corpo sociale.
“Bios: biopolitica e filosofia” (Einaudi, Torino) è una rilettura, a partire di
Foucault, della storia del pensiero biopolitico alla luce del concetto d'immunità.
Essendo l'immunitas una protezione negativa della vita, la biopolitica che ne
incorpora le procedure è sempre a rischio di trasformarsi in tanato-politica.
Ciò non toglie che possa profilarsi una, sia pur problematica, nozione
affermativa di bio-politica. Al concetto
di persona e di impersonale ha dedicato “Terza persona: politica della vita e
filosofia dell’impersonale” (Einaudi, Torino) e “Due. La macchina della
teologia politica e il posto del pensiero” (Einaudi, Torino) e “Le persone e le
cose” (Einaudi, Torino). A partire da una critica del concetto, giuridico
romano di persona, inteso come un dispositivo che separa la vita umana da se
stessa, l’impersonale è inteso come la forma di una possibile ri-unificazione
tra corpi. e persona. Nel dittico
costituito da “Pensiero vivente. Origine a attualità della filosofia italiana”
(Einaudi, Torino) e “Da fuori. Una filosofia per l'Europa” (Einaudi, Torino) ha
ricostruito i caratteri prevalenti della tradizione filosofica italiana, a
partire da Machiavelli, Bruno e Vico, fino a quella che viene definita Italian
Theory. Essi riguardano la connessione tra le categorie di storia, politica e
vita. Altre opere: La politica e la storia. Machiavelli e Vico (Liguori, Napoli);
Termini della politica. Comunità, immunità, biopolitica (Mimesis, Milano);
“Politica e negazione: per una filosofia affermativa” (Einaudi, Torino); “La
filosofia italiana come problema: da Spaventa all’Italian Theory, "Giornale
Critico di Storia delle Idee"; “Protezione e negazione della vita
(Einaudi, Turin), più largamente, documenti di tutti gli interventi ripresi,
con le risposte dell'autore).Politiche della vita sul margine pericoloso
dell'impersonale, di Ciccarelli per il «Centro per la Riforma dello Stato». Treccani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
The category of applicational
generality relates to Esposito’s concept of the im-PERSONAL. La terza persona
is not a person like “I” and “thou”.
Grice uses ‘person’ generally, “Someone (i. e. I) is hearing a noise).
“Someone” is (Ex) with the addition of ‘person’. A sock is not a someone; a
rose bush is not a someone – a dog is not for Grice a someone. But then
‘someone’ is a solecism. Esposito
considers the communication and community alla Tonnies. Grice knows the
connection community and communication, when he criticizes Stevenson for trying
to define the Anglo-Saxon ‘meaning,’ circularly, in terms of ‘communication. – The
problem of the third person is fascinating. Obviously a grammarian’s mistake –
a grammarian usually not knowing anything about philosophy, used philosophical
concepts – such as person – first person for “I” is ok, second person for
“Thou” is okay – when it comes to verbs, and pronouns, “The chair is comfy” (La
sedia e comoda.) – there is nothing personal about a chair being personal. It
is not true that someone is comfortable (jemand). – there’s nothing personal
about this. Since Homer, prosôpon [πϱόσωπоν], etymologically “what is opposite
the gaze,” has designated the human “face” in particular, and then,
metaphorically, the “façade” of a building, and synechdochically, the whole
“person” bearing the face. Another remarkable semantic extension is that of the
theatrical “mask” (Aristotle, Poetics 1449a36), leading in turn to the meaning
“character in a drama” (Alexandrian stage directions for dramatic works
regularly included the list of the prosôpa tou dramatos [πϱόσωπα τоῦ δϱάματоς]),
and then to a narrative. Its Latin equivalent, persona, refers in its turn to
the mask that makes the voice resonate (personare), before it designates a
character, a personality, and a grammatical person (Varro). The meaning of the
compound prosôpopoiein [πϱоσωπо-πоιεῖν]—“to compose in direct discourse,” that
is, to make the characters speak themselves—clearly shows that the dramatic
meaning of prosôpon had a particularly great influence on the history of the
word. In any event, it seems quite likely that when grammarians adopted
prosôpon to designate the grammatical “person,” they were thinking of the
dialogue situation characteristic of the theatrical text, which makes use of
the alternation “I-you”: the face-to-face encounter between person(age)s is
rooted in the category of the “person” (see SUBJECT, Box 6). Whereas terms like
“tense” (chronos [χϱόνоς]) and “case” (ptôsis [πτῶσις]) are attested before
they appear in strictly grammatical texts, this is not the case for prosôpon
used to refer to the “person” as a linguistic category. On the other hand, in
the earliest grammatical texts, and in a way that remains perfectly stable
later on, prosôpon is adopted to describe both the protagonists of the dialogue
and the marks, both pronomial and verbal, of their inscription in the
linguistic material. In fact, the main difficulty encountered by grammarians
regarding the notion of prosôpon seems to have been how properly to articulate
reference to real persons occupying differentiated positions in linguistic
exchange (speaker, addressee, other) with reference to the person as a
grammatical mark. This difficulty occurs notably in a quarrel about definition.
In the Technê attributed to Dionysius Thrax (Grammatici Graeci 1.1 [chap. 13,
p. 51.3 Uhlig = 57.18 Lallot]), the verbal accident of prosôpon is defined as
follows: Prosôpa tria, prôton, deuteron, triton; prôton men aph’ hou ho logos,
deuteron de pros hon ho logos, triton de peri hou ho logos [Пϱόσωπα τϱία, πϱῶτоν,
δεύτεϱоν, τϱίτоν· πϱῶτоν μὲν ἀφ’ оὗ ὁ λόγоς, δεύτεϱоν δὲ πϱὸς ὃν ὁ λόγоς, τϱίτоν
δὲ πεϱὶ оὗ ὁ λόγоς]. There are three persons: first, second, third. The first
is the one from whom the utterance comes, the second, the one to whom it is
addressed, the third, the one about whom he is speaking. This minimal
definition clearly sets forth the two protagonists of the dialogue,
distinguishing them by their position in the exchange, and introduces without
special precaution a third position, characterized as constituting the subject
matter of the utterance. The parallelism of the three definitions—a simple
pronoun for each “person”—masks the lack of symmetry between the (real) first
and second persons and the third person; the latter, as Benveniste pointed out
(Problèmes de linguistique générale, 228), may very well not be a “person” in
the strictest sense. This definition, which remained canonical for several
centuries, was attacked by Apollonius Dyscolus, who completed it as follows (I
adopt the formulation in Choeroboscos [Grammatici Graeci 4.2 (p. 10.27 Uhlig)],
a Byzantine witness to the Alexandrian master): Prôton men aph’ hou ho logos
peri emou tou prosphônountos, deuteron de pros hon ho logos peri autou tou
prosphônoumenou, triton de peri hou ho logos mête prosphônountos mête
prosphônoumenou [πϱῶτоν μὲν ἀφ’ оὗ ὁ λόγоς πεϱὶ ἐμоῦ τоῦ πϱоσφωνоῦντоς, δεύτεϱоν
δὲ πϱὸς ὃν ὁ λόγоς πεϱὶ αὐτоῦ τоῦ πϱоσφωνоυμένоυ, τϱίτоν δὲ πεϱὶ оὗ ὁ λόγоς μήτε
πϱοσφωνοῦντος μήτε πϱоσφωνоυμένоυ].) The first person is the one from whom the
utterance comes meaning me, the speaker, the second, the one who to whom the
utterance is addressed meaning the addressee himself, the third the one about
whom the utterance speaks and who is neither the speaker nor the addressee.
Apollonius’s arrangement contributes useful explanations: (a) each “person,”
including the first two, can be the subject of the utterance; (b) the third is
defined negatively as being neither the first nor the second (which implicitly
opens up the possibility that it is a “person” only in an extended sense,
insofar as it does not need to be competent as an interlocutor); (c) the
overlap of enunciation and enunciated is explicit: there is a first person when
the utterance refers to the enunciator-source, a second person when it refers
to the addressee, and a third when it refers to someone or something else.
Despite the incontestable advance represented by Apollonius’s revision, it
nonetheless leaves an ambiguity regarding the designatum of prosôpon: are we
talking about extralinguistic entities, “persons” engaging in dialogue or not,
or are we talking about linguistic entities, “accidents” of the conjugated verb
and the pronomial paradigm (personal pronouns)? Apparently the former, which is
surprising coming from a grammarian who prides himself on correcting another
grammarian. In fact, there is hardly any doubt that in Apollonius, the
ambiguity I mentioned is still attached to the term prosôpon. Consider the
following text, taken from Apollonius’s Syntax 3.59 (Grammatici Graeci 2.2 [p.
325.5–7 Uhlig]): Ta gar meteilêphota prosôpa tou pragmatos eis prosôpa
anemeristhê, peripatô, peripateis, peripatei [τά γὰϱ μετειληφότα πϱόσωπα τоῦ πϱάγματоς
εἰς πϱόσωπα ἀνεμεϱίσθη, πεϱιπατῶ, πεϱιπατεῖς, πεϱιπατεῖ]. The persons who take
part in the act [of walking] are distributed into persons: I walk, you walk,
he/she walks. We can interpret this to mean that in a group of
persons—extralinguistic entities— who are walking, every utterance concerning
the walk will elicit the appearance of verb endings distributing the walkers
among the three grammatical persons: such is the alchemy of Apollonius’s
prosôpon. Jean Lallot BIBLIOGRAPHY Benveniste, Émile. “Structure des relations
de personne dans le verbe.” Chap. 18 in Problèmes de linguistique générale,
225–36. Paris: Gallimard, 1966. Translation by M. A. Meek: Problems in General
Linguistics. Coral Gables, FL: University of Miami Press, 1971. Grammatici
Graeci. Edited by A. Hilgard, R. Schneider, G. Uhlig, and A. Lentz. Leipzig:
Teubner, 1878–1902. Reprint, Hildesheim, Ger.: Olms, 1965. Lallot, Jean. La
grammaire de Denys le Thrace. Paris: Le Centre National de la Recherche
Scientifique, 1998. Roberto Esposito. Keywords: Vico, Spaventa, Machiavelli,
Bruno. Tanato-ethics, tanato-politica, three features of the conversational
imperative: generality: formal generality, applicational generality, conceptual
generality. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Esposito” – The Swimming-Pool
Library.
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