Doctor
Mysticus. Angelo Conti. Keywords: decadente, decadenza, divina decadenza, filosofia
decadente, filosofo decadente, decadentismo, divinely decadent – d’annunzio,
museo d’annunziano, il bello e il bizzarro, il bello bizzarro, estetica,
sensatio, senso, sensum, sentior, sentitum, perceived, perceptum – sense and
sensibilia, estetico/noetico (nihil est in intellectu qui prior non fuerit in
sensu), propieta estetica, proprieta di secondo grado, secondary quality, Grice,
Sibley, Scruton, Platone, Kant, Schopenhauer, Ruskin, Pater, Antichita, antico
e moderno, il fascino dell’antico, from the antique, from life, Uffizi,
Accademia Venezia, RegieAccademiadiVenezia, Capodemonti, Napoli, Antichita
Roma, il fiume d’Eraclito, Ulisse e il canto delle sirene, Morelli, Francesco,
Virgilio, dolcissimo padre, ascetismo, ascecis, zorzi, riva beata, Pater, Essay
on Style by Pater, Da Vinci, Morelli. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Conti” –
The Swimming-Pool Library.
Conti (Padova). Filosofo. Grice: “Conti is a good one; for
one he is a ‘patrizio veneziano,’ for another he like Alexander Pope and detests
Newton! (Italian temper there!) – My favourite are his “Dialoghi filosofici,’
full of implicata as they are!” Patrizio veneto, classicista, famoso per essere
stato arbitro nella controversia tra Leibniz e Newton, circa l'invenzione del
calcolo infinitesimale (keyword: infinito). Si lege in amicizia con Fay, noto per gli esperimenti fisici che conduce
all'Accademia delle Scienze. Di lui esiste una statua in Prato della Valle,
fatta da Chiereghin. Scrive saggi riguardanti la struttura della tragedia, e nel
“Trattato del fantasma poetico” discute la funzione del coro: monologo,
dia-logo, coro (terza persona?). Tra le sue tragedie, la più significativa fu
il “Giulio Cesare”. Ne scrive altre tre, tutte di soggetto romano: “Marco Bruto”,
“Giunio Bruto”, e “Druso”. Altre opere: “Opere” (Venezia, presso Giambatista
Pasquali); “Versioni poetiche” (Bari, Laterza). Dizionario biografico degli
italiani. Della nascita del Conti sono r’ſuoi veri pu dj. Principio de’ suoi
studi scritto da lui stero. Disputa col Nigrisoli e altre particolarità de’
suoi studi sono al primo viaggio di Francia. Primo viaggio in Francia. Primo
viaggio in Inghilterra e prime conversazioni col Newtono. Mediazione tra il Newtono
e il Leibnizio Studi e altre occupazioni di Conti a Londra. Suoi sudj di belle
lettere. Viaggio d'Ollanda e d'Allemagna. Nuova dimora in Inghilterra. Ritorno
in Francia nel 1718. e ſuoi pudi. Amicizie. e converſazioni in queſti anni in
Francia. Querela col Newtono. Suo ritorno in Italia. Edizione del Cesare. Studi
e commerzi. Edizione delle ſue Prose e Poesie. Sue Tragedie. Illustrazione del
Parmenide di Velia di Platone; fima e onori di Conti. Traduzioni. Altri suoi
fudi. Progetti di nuove opere. Ultimi ſtudi. Edizione del Druso ; ſua morte. Rifleli
Jul carattere di Conti , e notizie particolari della ſua vita private.
Relazione de’ Manoscritti lasciati da Conti. Dell' Imitazione. Del Fantasma
Poetico. La Poesia Greca. Allegoria dell'Eneide di Virgilio. Illuſtrazione
dello Scudo di Enea. Illustrazione del Poema di Catullo intitolato le Nozze di
Teride e di Peleo. Dissertazione sopra la Tebaide di Stazio. Discorso ſopra la
Italiana Poesia. Illustrazione del Dialogo di Fracastoro intitolato il Na.
wagero, o fia della Poesia. Disertazione sopra la Ragion Poetica del Gravina. Della
Potenza conoscitiva dell'Anima. Della Fantasia. Poesie Tradotte dall' Inglese.
Al Sig. Marcheſe Manfredo Repeta sopra il Poema del Riccio Rapito. Il Riccio
Rapito. Prose Franceſe Italiane a Monſieur Perel. Dialogue ſur la Nature de l'
Amour. Lettre à Madame la Preſidente Ferrant. Lettera al Sig. Cavalier
Vallisnieri. Al sig. Marcheſe Maffei. Al N. U. Sig. Benedetto Marcello. Al P.
D. Bernardo Piſenti C. R. Somaſco.A Monſignor Cerarti. L’allegoria dell’Eneide di Virgilio propone una cosa per farne intender
un'altra , che ſeco è in proporzione , se l’ “Eneide” per consenso di tutti i
più abili commentatori é un panegirico *allegorico* d'Augusto, convien
necessariamente che la cosa proposta sieno l’azione d’Enea (l’explicatura), e
la cosa che deve intendersi ed è loro proporzionata, l’azione d'Augusto
(implicatura) più memorabile e più degna di lode. Per çiò con una ſuccinca
narrazione pone prima sotto gli occhi l’azione d'Enea, che e il primo termine
(l’explicatura) su cui l’allegoria o metafora o implicatura (& fonda, o
come l'originale del ritratto; indi fa il confronto dell’azione di Augusto .
Nell'istoria d'Enea, basta quloſſervare l’oggetto dell’epica, e il carattere
stoico dell'eroe. L'oggetto tutto tende alla nuova colonia di Roma o al
Principato ch'Enea (via Ascanio e Romolo e Remo) ha da fondare nel Lazio e
Italia. Questo gli predisse Creusa, Febo, i Penati; questo le Arpie, Eleno e la
Sibilla; e perchè fi compisca l’oracolo della predeterminazione e del fatalismo
stoico, Enea li salva dagl in incendi e dalla strage di Troja. Ettore lo
dichiara Pontefice. I compagni lo eleggono Re. Avvisato o protetto schiva i
tradimenti , gli scogli, i ciclopi; non è sommerso nelle tempeste, non
trattenuto dall’africana Didone più pericolosa delle stesse tempeste.
Finalmente arrivato in nel Lazio trova il re latino dispoſto a riceverlo per
genero, Evandro e i toscani pronti a dargli soccorso; sebben abbia a fronte Torno,
un nimico feroce e collegato coi vicini, lo vince e l'uccide. Gli oracoli fatalisti
predeterminati stoichi dunque, i viaggi, e le guerre d’Enea non riguardano se
non lo stabilimento d'un regno o principato. Il carattere poi d’Enea o
dell'eroe si vede in tutta l'Eneide composto della *virtù* stoica convenevoli
al capo e fondatore d'un regno. La virtu e pietà verso l’uomo e verso
Diuspater, senno nel provvedere a’pericoli e prevederli, valore da soldato e da
capitano. La pietà (o compasione) verso l’uomo e la carità – l’imperativo della
carita conversazionale, verso Diuspater religione. Della carita o benevelonza o
compasione, o compieta verso l’uomo Enea dà esempi illustri per tutto. Salva il
padre Anchise dalle fiamme portandolo sulle spalle dirige sempre il viaggio secondo
i di lui consigli, celebra il suo anniversario co'giochi conſiderati da’ pagani
come una parte della eeligione, e per ubbidirlo discende fino all’inferno!
Quanto è tenero per il figliuolo Ascanio, e sollecito e della salute e de gli
avanzamenti di lui! E quando Creusa sua moglie si smarrisce, non va egli a ricercarla
tra gl'incendi e le stragi? Che dirò della sua pietà, carita, compassione,
compieta, benevolenza, verso il suo compagno (o d’Eurialo verso Niso), verso
l’amico, e verso Torno, il nemico stesso? Nella tempesta più s’affligge della
loro perdita che della propria, gli consola e gl’incoraggisce negli affanni, li
provvede di cibo, li divertisce e premia co’giochi, fa l’esequie a Polidoro suo
parente, a Miseno suo trombettiere, a Gaeta sua nutrice; piange la morte di Palinuro
e più quella di Pallante (Patroclo), e ne manda il cadavere ad Evandro con
magnificenza e con lutto degno di un re. Avendo ferito a morte Lauro che l’assalì,
gli itende la destra, lo solleva, e lascia che a Mesenzio se ne porsi il corpo.
Vuol perdonare a Turno, e non l’uccide *che* per vendicar suo amante Pallante;
ciò ch'era un atto di carita. Verso Diuspater sempre fervida e pronta è la sua
pietà. Come stoico perfetto e negatore del libre arbitrio, nulla intraprende
senza consultare l’oracolo, e non comincia alcun’azione senza offrir un voto,
una preghiera e sacri fizj, ch’egli offre egualmente al Diuspater propizio, che
alle Diuspater nonpropizio o Giunone e Pallade. Per ubbidir Diuspater supera la
passione che la strega Didone invoca, cede rispettoso alla sua collera
nell'incendio di Troia; conosce Apollo per principal protettore; ascolta
attento i cantici d'Ercole , e invoca Berecintia che l'allista nella nuova
guerra. Alla sua pietà corrisponde il suo senno. Tosto ch'entra in un paese
vuol conoscere i liti, i luoghi, e la gente che l'azbita; così fa in Affrica, e
nel regno d'Evandro, e scoperto l'assaſlinio di Polinestore fugge il pericolo
di cadervi: fa metter in aguato i soldati per lorprender l'Arpie; egli steſſo
dirige la nave che manca di piloto; manda ambasciatori al re del Lazio; cerca
soccorso nella guerra; ricevuto lo distribuisce in due corpi per più
imbarazzare il nemico ciò ch'è una parte della virtu o prudenza militare, non
meno che assediar la città mentre il nemico è sospeso. Questo o quello segno (manifestazione
secondo Vitters) del valore poi non dà nell'attaccare i nimici, nel farne
stragi di sua mano? uccide i più forti e tra gli altri Lauso, Mesenzio, lo
stesso Turno. Più comparisce il valore d'Enea, se col P. Boſsù fi confronti con
quello di Turno, antagonista, avversario, dell’epica, ardente, milantatore,
prepotente e buono sol per la guerra che vuole giusta od ingiusta, ed in questa
è incauto e senza direzione. Enea all'opposto grave – la gravita romana --, misurato
e non peccatore o essecivo, parla poco, laconico, opera molto, sempre consigliato
e forte colla gloria del consiglio e dell'esecuzione. Di questo o quello segno
della virtu -- pietà, senno, e valore, c’e un intreccio mirabile, sicche
comparisce Enea saggio e paziente capitano come Agamennone, valoroo vincitor
del nimico come Achille, destro a maneggiar lo spirito ed a condur una
negoziazione o consenso cooperative conversazionale come Nestore e Ulise:
giugne a questa virtù una pietà sincera, una probità esatta che mai non ſi
ſmente , una compassion tenera per il suo amico e il suo suddito. Enea è buon
figlio, buon padre, buon amico, buon amante, e tutto ciò per motivi superiori
di dovere e di ragione morale kantiana alla luce del stoicismo fatalism del
predeterminismo. Sopra tutto pero domina la specie della virtù più convenevole
d’ogni altra specie al fondatore della dinastia di Romolo, perchè per essa si
merita la protezione di Deuspater, si rende l’amico o il popolo che deve
ubbidire, l’alleato, ed il vicino con cui si deve patteggiare e con-federarsi
in cooperazione conversazionale verso un fine comune. Vi sarebbero il carattere
degli altri personaggi e dei dell'epica, ma essendo scritti di mano dell’autore
sono come non scritti. Anche la seconda parte che riguarda le azione del primo
imperatore romano, Ottavio detto l’augusto è molto imperfetta; eccone qualche
confronto. Nella rovina di Troja li ravvisano la rovina della Roma repubblicana
di Cesare ed Catone. Da questa rovina, Ottavio, come Enea era stato preservato
dalla provvità, 1 videnza del fato, come dice Orazio nel Carmie Secolare. Enea
porta in ispalla suo padre Anchiee; Ottavio prende la vendetta del suo padre addotivo
Cesare. Enea e in Troja maricato a Creusa da cui ha Julo; Ottavio e maricato a
Scribonia da cui ha Giulia. Ma Creusa per ordine de’ Fati è colia ad Enea, come
Scribonia ad Ottavio; e nel dir che ad Enea si apparecchia moglie, da cui
doveano discendere tanci Re, adula cacitamente Livia. Didone che s’oppone al
disegno (de-segno – plannificazione) d’Enea magnifica e vana dell'impero ha del
carattere superbo, impecuo lo, ed astuto di questa altra Africana, Cleopatra,
che impiegò cutre l'arti femmini li per impegnar Ottavio. Ma v'è un tratto
finissimo di lode nella comparazione che poteano i romani fare d’Enea e
ďOttavio, perchè laddove Enea cesse alle lusinghe di Didone, e dopo averla
posseduta l’abbandona scorteſemente in preda alla disperazione, biasmo da cui
poco lo scusanu gli ordini degli Dei; quanto più dovea stimarli Ottavio che mai
non si lasciò vincere dalle tante arti di Cleopatra? In Evandro, che accoglie
Enea, si puo ravvisar Cicerone, che col suo credito e colla sua eloquenza reſe
tanti servigj a Ottavio. L’epica, però per non rimproverargli la disgrazia di
Cicerone, fa che non Evandro ma il figliuolo di lui resti ucciso da Turno, nel
quale *senza dubbio* vien “simboleggiato” Marc’Antonio, valoroso bensì, ma
imprudente, e che le in molte cose mostra fortezza d’animo chiaro ed
eccellente, in molte altre, come Turno, li governa malissimo, e da quello o
questo segno non meno di magnanimità che di pulsanimità. Nulla dimostra più la
finezza cortigianesca di Orazio e di Virgilio come il loro non nominar mai
Cicerone. S'astennero dal risvegliar in Ottavio un'idea che gli dava de’ rimorsi.
All'incontro nominarono Giunio Bruto e Catone, per mostrare che Ottavio non ha
usurpata la libertà, ma che anzi ne era il protettore, l’imperatore, come negli
ultimi tempi lo volea Cromuvelo (Lord Protector) in Inghilterra. Antonio stesso
molto si risparmia, esi può osservare in Orazio che mai non si parla d’Antonio
senza congiungerlo a l’africana Cleopatra per far cadere in lei l’odio e la
colpa; e cosi fa Virgilio fagacemente nella battaglia d’Azio , quando parla
d’Antonio palesemente, e quando ne parla per allegoria, supprime quell vizio
che avrebbero dispiaciuto ai suoi partigiani ch’erano molti, ed a’figliuoli
elevati da Ottavio a sommi onori. Queſta è pur la ragione prammatica, per la
qual Virgilio non dipinta le guerre che fece Ottavio con Bruto, Callio e cogli
altri, che per modo di peregrinazioni, onde non offender quei ch’erano ancora
del partito di questi ultimi difensori della pubblica libertà. Il re del Lazio,
Latino, che ammonito dall’oracolo vuol dar la figliuola più ad Enea, che a
Turno, è il vero ritratto del senato romano, che vecchio (senior, senatore) ed
impotente non potendo più regolar la repubblica, benchè per ispirazione divina
egl’inchini più a lasciarsi governare d’Ottavio che da Marc’Antonio, atterrito
nondimeno dagli apparecchi di guerra, lascia disputar la vittoria a’ due rivali,
come appunto il re Latino fuggendo lascia terminar la guerra a Turno ed Enea.
In Mesenzio ed in Lauso si veggono Cassio e Giunio Bruto, e l'empietà data a
Mezenzio e la virtù data a Lauso lo persuadono. Muore Laulo ed Enea lo
compiagne, come Ottavio compianse Bruto, al dir di Plutarco. Quando Lauro
combatceva, era Mesenzio con la persona appresso di un tronco per posarvi
appoggiato, e gli stava intorno un cerchio de’ più eletti e de’ più fidi; e
quando vide Lauso ucciso, comincia a disperarsi, e a lagnarsi, e andar incontro
alla morte. Queſta deſcrizione concorda molto con quella che fa Plutarco di
Cassio, allora che ritirato sul colle stava rimirando l’esercito di Bruto, e
credendo ch’egli fosse rotto, disperato si confiſſe nel le reni la spade. Non
occorre cercare rassomiglianza perfetta tra questo o quello accidente vero e
questo o quello accidente finto. Baſta che uno si ravvif nell'altro. I ritratti
della Poesia, e particolarmente epica, sono “simili” a quelli che i gran
pittori introducono ne’ quadri istoriati; negli Dei, negli eroi , ne’ capitani
ritengono le fattezze del volto de viventi che vogliono onorare ma variano le
attitudini, o le velti per variare le imagini, e produr nello spettatore maggior
maraviglia ed affetti più vivi. Con questa regola si pollono ritrovare molti
altri confronti nelle cose dell'Eneide colla vita d’Ottavio. Nè par probabile
che tanta corriſpondenza sia effetto del caso , attesa spezialmente la sagacità
del poeta , e l'idea generale dell'opera. Parte di questa corriſpondenza fa
vedere nello scudo d' Enea la seguente illuſtrazione, che si dà intera.
. g. v. 176 D. V.. ILLUSTRAZIONE DELLO SCUDO DI ENE A. . Ome
nell'Iliade d'Omero Teti porge ad Achille unoScu do fabbricato da Vulcano così
nell'Eneide di Virgilio Venere porge ad Enea uno Scudo fabbricato dallo ſteſſo
Dio . Quì non s'intraprende d'illuſtrare ſe non ciò che appartie. ne allo Scudo
d'Enea , oſſervando prima generalmente , qual ne foſſe la materia , la faldezza
, la figura , l'intreccio e i colori , ed indi particolarmente l' ordine e' i
fiti delle coſe ſcolpite, le loro ſtorie , cd allegorie . I'Ciclopi impiegarono
nell'armatura d'Enea il rame, l'ac ciajo , l'oro , e l'argento , ma fecero che
ivi abbondante più dell'uno o dell'altro metallo ove era biſogno di maggior die
feſa , o di più raro ornamento . L'Elmo che dovea abbagliando minacciare i
nimici , riſplen dea per la terſezza dell'acciajo , non altrimenti che ſe fiam
. me ſpargeſſe . La Lorica era ſcabra per i rilievi del rame e del bronzo , che
quanto più maſſicci'ſi fingono , ed incurva ii , tanto più le faette e le ſpade
ſpuntavano . Ben è vero che per la miſtura degli altri metalli , i colori della
Lorica ſi mi ſchiavano con quei del bronzo e dell'oro , ond'ella riſplende va
come un Iride in faccia al Sole . Nell'aſta e nelle ſchinie re abbondava
particolarmente l'elettro che è un compofto d ' oro e ' una quinta parte
d'argento , ma purgato più volte da'Ciclopi ; l'oro nel foco avea ſvaporato
l'argento, onde la compoſizione riuſciva più prezioſa , più denſa , ed impene.
trabile . Nello Scudov'erano tutti e quattro i metalli tra loro op portunamente
fuſi e temperati . I Ciclopi ne aveano appiana ta la maſſa in ſette piaſtre
rotonde , che a guiſa dei ſette cuoi attorti dello Scudo d' Ajace implicarono
l'une nell'altre , perchè lo Scudo refifteffe a tutte l'armi de' Latini .
Miſterioſo era il numero di ſetre appreſſo gli Antichi per la relazione ch'egli
avea al numero de Pianeti. Forſe credea no , che gli aſpetti di cucci e ſette
influendo nella fabbrica d' uno Scudo gli deffero una tempra immortale . La
figura dello Scudo d'Enea era ovale , nè a cid forſe an cora mancava il ſuo
miſtero . Gli Scudi ancili chc fi fingea. no 177 no caduti dal Cielo a tempi di
Numa , aveano la ſteſſa figura , Or lo Scudo d' Enea non era men celeſte di
loro ; ed Enea , che doveva portarlo , non ſi fuppone men pio di Numa. I
Ciclopi nel fabbricar lo Scudo avendo poſta in opera per comando di Vulcano
tutta la loro arte maeſtra , collocarono , intrecciarono , limetrizzarono , e
colorirono le figure ſcolpite in maniera , che lo Scudo emulava la reflicura di
un arazzo . Nè queſta a mio credere è un'Iperbole poetica , ma un'imi tazione
di quell'idee che Virgilio, avea vedute ne'baſi rilievi di Roma , ove
ſoggiornava, ed in quelli delle Città della Gre cia , ove per profittarlı dello
ſtudio delle bell'arti avea viag giato . A Roma nelle Biblioteche e ne' Tempj
ſtavano appeli certi Scudi tutti ſtoriati , e tra gli altri Plinio racconta ,
che nel Tempio di Bellona Appio Claudio confacrò uno Scudo , ove in picciole
figure era rappreſentata tutta la Genealogia dell'antica famiglia de' Claud) .
Nel conveſſo dello Scudo di Minerva avea Fidia ſcolpita la battaglia delle
Amazoni , e nel concavo la guerra degli Dei e de'Giganti . Offerva Plinio , che
Fidia , volendo moſtrar l'arte nelle minimeparti , avea elpela ſo ne' Sandali
della Dea la battaglia de' Lapiti e de'Centauri , e nella baſe della ſtatua la
naſcita di Pandora con quella di trenia Dei. Ne'baſſi rilievi delle lamine che
cingevano la ſe dia della fatura di Giove Olimpico , lo ſteſſo Fidia in oro
ſcol pito avea , da una parte il sole che conduceva il cocchio , e dall'altra
Giove e Giunone ; a lato di Giove v'era una delle Grazie , indi Mercurio e
Veſta., Venere pareva, uſcir dal ma re , l'Amore l'accoglieva , e la Dea Pito
la coronava . Nello ſteſſo baſſo rilievo li vedeva Apollo e Diana , Minerva ed
Er; cole , e nel piedeſtallo da un canto Anfitrite e Nettuno , e dall'altro la
Luna, che galoppaya ſopra un cavallo . Qual mol ticudine , qual varietà ed
intreccio di figure in poco ſpazio ? Or è molto verifimile , che come lo Scudo
d'Achille diede a Virgilio la prima idea dello Scudo d'Enea , così į baſli
rilie vi da lui yeduti a Roma in Atene e in Olimpia gl'inſegnal ſero a
perfezionarlo . Nella deſcrizione delle figure ben fi ſcor ge che l'artifizio
dell'imitazione, non deriva dagli alerui fan tasmi , ma da
un'acurata oſſervazione del ſenſo , che regold la fantaſia del Poeta fino
· lo ſpingo oltre la conghiettura , e pretendo che alle figu. se veduce da
Virgilio ſcolpite o nell’avorio , o nell'oro , od in altro metallo negli vi
applicalle la forza e la leggiadrią Tomo II. 2 de' 3 178 ra 1 1 de colori da
lui veduti nelle pitcure encauſtiche : Plioio ne annovera di tre fpezie , e non
ſaprei fuggerirne una miglior idea che raſſomigliandole alle picture che
vediamo, non dirò fulle porcellane di troppo fragil materia a confronto del me
tallo , ma su fmali di più dura tempra , e su vaſi e ſulle cop pe antiche , ove
la varietà del colore riſultò dal vario grado del foco , che lor fu dato nel
fondere e nel tingere il metal lo. Difficile è proporzionare il grado del foco
ad ogni colo re , ma difficiliſſimo ove i colori lieno per conſiſtenza e viva
cità differenti , e ſi debba nello ſteſſo tempo abbrugiandoli laſciarli ſecondo
il biſogno o floridi , od auſteri , ed a tutti imprimere quello fplendore che
ſecondo Plinio non è lo ſtef To che il lume , ma di'mezzo tra il lume e l'ombra
, ed è propriamente l'intenſione d'ogni colore nella ſua ſpezie. Il Sig. Abate
Fraguier , la cui memoria mi ſarà ſempre ca. offerva , che nello Scudo
d'Achille la terra fenduta in folco dall'aratro cangia in nero il color d'oro ,
che i grappo li d'uva ſono neri e la vigna d'oro , che le giovenche ſono
rappreſentate al vivo col bianco e col giallo , cioè collo lta gno e con l'oro
, e che veriſſimo è il langue trangugiato da due Leoni che lacerarono il bue.
Da ciò inferiſce che l'arte encauſtica fioriva a'tempi d'Omero ; ma quando
anche i Cro nologi che non convengono dell'età d'Omero glielo conce deffero ,
molto più debbono elli concedere , che nel tempo d' Omero quell'arte era molto
imperfetta a paragone dell'eccel lenza a cui la portarono i Greci nel secolo
d'Aleſſandro , e ne’ſuſſeguenti . Le picture de' più celebri artefici
encauſtici e rano ſtate portate dalla Grecia a Roma da' Capitani Romani , é
poſcia conſecrate ne! Tempi. Virgilio che avea ſotto gli oc chj de'modelli così
perfecti , gli ha verifimilmente adombra ti ne ' colori del ſuo Scudo yine
queſta ſpezie d'imitazione pud negarſi ad ua Poeta sì doito , e d'on guſto così
eſquiſito in ogni genere d'arte • Per reftarne convinti bafta riflettere alla
varietà ed armonia de? colori delle figure deſcritte j ai sfuma menti, 0 , come
parla Plinio , alle commiſſure de culoriftel fi, ai fecreti più mirabili della
perſpectiva introdotti negli ac» tidenti delle imagini, e finalmente
all'efpreffione degli affec ti de coſtumidegli Uomini rappreſentation La
varietà e larmonia de'colori appariſce nell'Oca d'ar gento che vola ne' portici
d'oro , ne' flutti biancheggianti per lai fpuma ini un mare cerulco Larrei ſono
i colli de'Galli , men. 1 1 179 mentre le loro chiome fon d'oro , e vergate
d'oro le veſti ; il langue di Mezio è vermiglio e gocciola dalle ſpine che lo
no verdi . Per gli sfumiamenti de colori , ed inſieme per l'eſpreſſione degli
affetti e de' coſtumi , diverſi nell' arni e nelle veſti fo no i colori de'
Barbari condotti in trionfo ; il limitar del Tem. pio d'Apollo è bianco come la
neve , ma più bianco è lo ſteſſo Dio ; Cleopatra è pallida per la morte futura
; il Nilo al ſembiante ed al geſto moſtra la doglia che lo crucia e l'
impazienza di ſalvare i fuggitivi ſuoi figli. Che dirò della forza della
perſpectiva ? Parrafio dipinle , al dir di Plinio , il Demone degli Atenieſi
vario , iracondo , in giuſto , incoſtante .. Virgilio rappreſenta Porſenna che
nello Iteſſo tempo comanda , li ſdegna , e minaccia . Nel Portico a . vanti la
Curia di Pompeo era dipinto , ſecondo lo ſteſſo Plinio , un Soldato che non ſi
fapea ſe con lo Scudo aſcendeſſe o di Icenderſe . Virgilio fa che i bambini
attaccati alle poppe del. la Lupa fieno da queſta alternaniente accarezzati ;
ciò che il Tallo imirò nelle figure delle porte d'Armida ove Marcanto nio nel
ſeguir Cleopatra che fugge , Mirava alternamente or la crudele Pugna ch'è in
dubbio , or le fuggenti vele . Ma paſſando a coſe più particolari , io per far
meglio in tender l'ordine , l'intreccio , ed i fici delle figure , divido in
quattro parii lo Scudo . La prima contiene la diſcendenza d ' Enca fino alla Lupa
incluſivamente . La copula o , cioè an cora dimoſtra che tutto era nello ſtello
baſſo rilievo . La ſeconda parte contiene molte coſe memorabili fotto i Re e
ſotto la Repubblica . La terza la battaglia d' Azio . La quarta i tre Trionfi
d'Auguſto . Queſte parti, ſi fanno ſenſibili dividendo l'ovale in quattro altre
ovali concentriche che io ſegnerò co'numeri 1. 2. 3. 4. Nello 1pazio ſegnato i
. ch' è come l'orlo dello Scudo io pongo le figure che rappreſentano i
diſcendenti d'Enea anno verati da Virgilio nel primo libro e nel ſeſto : queſti
ſono A Scanio , Silvio padre di molci Re , Proca , Capi , Silvio , Enea, i due
giovani coronati di quercia , Numitore , e la Lupa che allatra i due bambini .
De quindici Re d'Alba , di cui parla 2 2 Dio 186 Dionigi d’Alicarnaſſo e Tito
Livio , Virgilio non nomina che queſti , perchè, come egli accenna , furono
fondatori di colo . nie , avendo edificato Nomento , Gabia , Fidene , Collazia
full? állo d'una montagna , ed il caſtello d'Inuo o di Pane . Fon darono ancora
Bola e Cora , e queſte ed altre nominate Cit rà eſſendo nel Paeſe de' Sabini e
de' Volſci , avranno dato oc caſione alle guerre e battaglie nello Scudo
eſpreſſe. Nel baf ſo rilievo d'Alcanio dev'egli rappreſentarſi a guiſa d’un Ca.
pirano o d'un Re che comanda di fabbricare una Città qual era Alba lunga .
Altri prendono gli ordini , ed altri gli eſegui ſcono, ed i Soldati ſtanno
riguardando l'opra . La pittura d ' Aſcanio è ſulla cima dello Scudo ; nella
parte oppofta , o nel ballo v'è la Lupa che allatta i bambini, e biſogna rappre
ſentaría qual è in molte medaglie . Ne' lati dell'orlo dello Scudo toſto ſi
vede un bambino in mano d'un paſtore ch' eſce da una ſelva ; lo ſiegue in Re
circondato da molti bam bini coronati , indi un Ře che guida un eſercito , un altro
che eſpugna una Città , un altro che è in mezzo a Sacerdo ti e a Veltali ,
molti giovani Re cinti il capo di quercia che combattono e fondano colonie , o
su monti , o nelle pianu. se . Nè Tito Livio , nè Dionigi d'Alicarnaſſo parlano
in par ticolare di queſte battaglie , onde ſi poſſono ſcolpire a fanta ſia , ma
devono eſſer ſcolpice in medaglie appeſe a rami od alle foglie d'un albero
genealogico che ſerpeggi nell'orlo. Nello ſpazio ſegnato 2. io pongo da una
parte due baſſi ri lievi di forma ellittica , ma incaſtrati di varj fogliami
che riempiono i vuoti . Elli rappreſentano il ratto delle Sabine , e la pace
cra Romolo e Tazio . Pongo dall'altra parte altri rilievi della ſteſſa forma
che rappreſentano Mezio ſquarciato da ' cavalli , e Porſenna che afledia Roma .
Nel ſommo dell'ovale ſi vede nelle figure più rilevate il Campidoglio affalito
da’Galli , e difeſo daManlio ; e nelle più lontane i Salj e le Matrone che
eſulcano ; nella parte oppo. fta che è la più baſſa dello Scudo v'è il Tartaro
con Catili na affiffo allo ſcoglio , e ſopra il ſotterraneo ( chiamato da Vir
gilio la bocca profonda di Dite ) verdeggiano gli Elisj , ove Catone dà la
legge all'anime pie . Le figure di queſto ſpazio ſono maggiori di quelle dell'
orlo perchè le parti più vici ne al centro dello Scudo ove fi fogliono diriger
i colpi, devo no eſſer più maſſiccie per più reliftere . Lo ſpazio è percid
maggiore Nel i 81 5 Nello ſpazio ſegnato 3. v'è la battaglia d' Azio . Apollo
ſaettante è ſul Promontorio , ove Auguſto gl’inalzò un Tem pio . Le navi
d'Auguſto ſono alla deſtra ſchierate in arco ; nel deftro corno v'è Augufto
colla ftella in fronte e co' Pe. nati in mano , nel finiftro Agrippa cinto le
tempia della co rona roftrata . Dirimpetto vi fono le Navi torreggianti d'An
tonio . Secondo Plutarco , Antonio con Publicola reggeva il corno deſtro , e
Clelio il ſiniſtro . Cleopatra è nel mezzo in atto di percuotere il fiftro ,
ſtromento dedicato ad Ilide che Cleopatra voleva emulare in curto . Tra i due
ſemicerchi del. le navi ve ne ſono alcune diſtaccate che tra loro combatto no .
Soggiunge Plutarco , che Ceſare non ſolamente non or dina ferir le prode dure e
ferrate d'Antonio , ma nè anco inveſtirle per fianco , perciò che gli ſproni
facilmente ſi ve nivano a romper urtando nelle cravi quadre incaſtrate infie me
col ferro : Era dunque queſta battaglia ( ſegue egli) mol to ſimile a una
giornata per terra , anzi piuttoſto all'aſfalco d'una Cicà . Perciocchè tre o
quattro navi di Ceſare com battevano intorno a una nave d'Antonio con partigiane
, piche , e con fuoco . D'altra parte gli Antoniani ftando ſulle gabbie di
legno traevano dardi e pietre contro i nimici . Così ap punto Virgilio
rappreſenta le navi che combattono . Sulle navi di Cleopatra vi ſono i Dei
moſtruoſi d'Egitto , in atto di ſaettar Neituno , Venere , Minerva , che ſtanno
ſulle navi d'Auguſto , e contro alle quali egli diſſe al Senato che Antonio
avea moſſo la guerra , non meno che contro al. la Patria . Marre è
in mezzo della batcaglia , la Diſcordia , e Bellona , ed in aria
ſtanno le Furie . Tutto ciò è ſotto la fi. gura del Campidoglio o nella parte
ſuperior dell'ovale , men tre a'lari ſono le navi ſchierate . Nella parte
inferiore vi fo no le navi di Cleopatra che fuggono ſpinte dal vento Japiga ,
che ſoffia dal capo di Salentino ; non lungi è la figura del Nilo , che allargà
la veſte , e chiama i vinci a ricovrarli ne? ſuoi naſcondigli : egli è d' una
figura giganteſca appoggiato ſull'urna che verſa i ſette fiumi nel mediterraneo
, nel reſto dello ſpazio ſi diffonde il mare coi delfini che ſcherzano . Le
figure di quello ſpazio ſono maggiori per la ragione ſopraccen nata , ed è
maggiore lo ſpazio ſteſſo . Nello ſpazio ſegnato 4. vi ſono eſpreſli i tre
trionfi d'Au guſto . Egli trionfo , dice Svetonio , in tre giorni l'uno dietro
all'alcro ; la prima volta per la vistoria Dalmacica , la ſecon da 4 182 1 da
per l'Aziaca, e la terza per l'Aleſſandrina . Dione Caffio particolareggia i
trionfi . Trionfo Ceſare , dic'egli , il primo giorno de' popoli Pannoni ,
Dalmatini , Japidi , ed altri loro circonvicini , e d'alcuni popoli della
Gallia e della Germania ancora , perciocchè Cajo Carina avea già vinti e
ſoggiogati i Morini e gli alıri popoli appreſſo , che nella ribellione da lo .
Fo fatta gli erano ſtati compagni , ed oltre ciò avea dato una rolta a'Svevi ,
ed a quelli che aveano già paſſato il Reno ; laonde ed egli e Ceſare feco
rappreſentò il Trionfo percioc chè la vittoria folevaſi attribuire ſempre
all'Imperatore , e l' Imperatore era Ceſare , è teneva in mano il governo di tut,
10. Il ſecondo giorno Ceſare rappreſentò il Trionfo della bat taglia fatta al
promontorio d' Azio nel mare . Il terzo poi dell'Egitto ſoggiogato . Le ſpoglie
in queſte guerre acquiftare furono baſtanti ad ornar tutto l'apparato di que'
Trionfi ; quel. Je però d'Egitto avvanzavano di gran lunga curti gli aliri ap
parati d'ornamenti di ricchezza e di rarità ; tra l'altre coſe vi fi vedea
Cleopatra fteſa ſopra una colore in alto di morire , onde in un cerio modo
queſta Reina era condotta in trionfo cogli altri prigioni, tra'quali v'era
Aleſſandro ſuo figliuolo , e Cleopatra fua figliuola chiamati da lei col nome
del Sole e della Luna . Gl’interpreti fi vanno inutilmente affaricando a cercar
le ragioni della qualità de'prigioni , e particolarmente perchè ne' cocchi ſi
vedeſſe l'imagine dell' Eufrate e dell’A . raſſe fiumi dell'Armenia e della
Meſopotamia non conquiſtati da Auguſto . Il P. Arduino nelle ſue rifleſioni
fopra Virgilio non ritrovando queſte vittorie d'Auguſto ne trae degli argo
menti diſavantaggioſi all'Eneide. Io non perderò inutilmente il tempo a
riſpondergli in particolare . Ciò che poſſo dire a coloro che ammettono
l'autorità di Dion Callio , è far loro oſſervare , che Antonio dopo aver
chiamara Cleopatra Reina dei Re , Ceſarione Re dei Re , ed aggiunto alla loro
giuriſdi. zione l’Egico , donò la Siria a Tolomeo , e lutte le Provin cie di
quà dall'Eufrate fino all'Elleſponto ; donò l'Africa fino alla Cirenaica a
Cleopatra , ed al fratello di coſtoro chiama to Aleflandro dond l'Armenia con
tutto il rimanente del pae fe al di là dell'Eufrate Gno all'Indie . Or non è
verifimile che Auguſto da cutti queſti Paeſi fcieglieſſe de' prigioni , che
egli doveva aver fatti o nella battaglia d'Azio , o nella ſcon fiila data ad
Antonio in Aleſſandria ? Quanto al Reno , Agrip pa l'avea paſſato nel 717. nė
fi curò del Trionfo , ma egli è pro . 183 probabile che Auguſto voleſſe che
Agrippa trionfare ſeco co me Cajo Carina . Non v'era. ſegno d'amicizia e
d'onore che non gli deſſe , perciocchè oltre la corona roſtrata , con cui lo
fregið dopo aver vinto Seſto Pompeo in Sicilia , volea ch'egli avelle una cenda
e l'altre inſegne militari ſimili a quelle dell' Imperatore , e , come
dall'Imperatore , da lui ſi prendeſſe il ſegno della milizia , ed egli era in
forſe di dargli per moglie Giulia : canto grande , gli diſſe Mecenate , tu
faceſti Agrippa , che o biſogna ucciderlo , o ch'egli ſia tuo Genero . Dopo il
Trionfo Auguſto inalzò molti Tempj ; uno ad A. pollo ſecondo Svetonio ſul monte
Palarino , al quale aggiun ſe una Loggia con una Biblioteca Greci e Latina ; un
altro ne edificò a Marte vendicatore per il voto fatto nella guerra contro
Bruto e Caſſio per vendicare il Padre , ed un altro a Giove Tonante nel
Campidoglio . Secondo Dione egli ancora conſecrò il Tempio di Minerva , ornò il
Tempio di Giulio ſuo Padre ſoſpendendovi molti e molti doni della preda por
tata d'Egitco , e molti ne conſecrò ed offerſe a Giove Capi. tolino , a
Giunone, a Minerva . Non è da traſcurare che po fe l'imagine della vittoria
ſecondo Dione nel Tempio di Mi nerva , e ſecondo Plinio nel Tempio del Padre
Celare , il qua le era nel Foro ; aggiunge Plinio , che vi poſe ancora i Ca
ſtori che forſe ſimboleggiavano Auguſto ed Agrippa , nel pri mo libro
aſſomigliati da Virgilio a Romolo ed a Remo , come interpreta Servio . Poſe
ancora Augufto nel foro due quadri , uno della guerra , e l'altro del Trionfo ;
e s’io non m'ingan doveano queſti rappreſentare coſe alluſive alla battaglia d'
Azio , ed ai trionfi dello ſteſſo Ceſare . Comunque la coſa ſia , ove è il
centro dello Scudo che è la parte più alta , io pongo la Cupola del Tempio
d'Apollo , alle cui porte Augufto affig ge le corone d'oro che erano i doni
offertigli da’ Popoli dalle Provincie confederate . Tutto all'intorno vi ſono
le are e gl’incenſi colle vittime , e quindi la pompa e la lecizia del trionfo.
In quel giorno che Auguſto entrò in Roma, dice Dio ne , gli fu conceduto un
Arco nella Piazza di Roma , e in o nor di lui li celebrarono i giuochi
quinquennali , e gli anda rono incontro le Vergini Veítali , il Senaco ed il
Popolo , colle mogli , e il figliuoli: mi par ſoverchio ( ſoggiunge Dio. ne )
di raccontar i voti e le imagini ed altre coſe fatte per lui · La pompa del
Trionfo conſiſte ne' prigioni Nomadi , o Numidi , Affricani , Lelegi , Cari
popoli dell'Alia minore Ge no , e 184 Geloni ſpezie di Sciti , Morini popoli
della Gallia Belgicà fi tuati verſo l' Oceano Britannico . Tra queſti vi ſono
molti cocchi colle imagini dell'Eufrate, del Reno , e dell'Araffe col ponte che
Auguſto vi fabbricò . Tali ſono i baſli rilievi e le figure di tutto lo Scudo ;
elle s'ingrandiſcono a proporzione ch'egli ſi va rilevando , e le miniature
devono render ſenſi bili i colori di cui ſono in Virgilio dipinte . I colori
domi nanti ſono il giallo e il bianco che rappreſentano l' acciajo ed il rame .
Marte però deve eſſer dipinto con un colore fer rigno , o fia di ferro , non
raffinato in acciajo ; diverſi ſono i gradi de colori o floridi od auſteri che
biſogna lumeggiare ed onibreggiare ; ma ſopra tutto convien dar alle figure lo
ſplen dore , o ſia quel grado vigoroſo di colore di cui s'è parlato . Spiegato
in queſta maniera ciò che concerne la parte ma teriale e ſtorica dello Scudo ,
egli è tempo di ragionare delle relazioni che le figure hanno ad Auguſto , al quale
tutto il Poema è diretto , come a lungo eſpoſi nell'altra diſſertazione .
Biſogna quì ricordarſi che l'adulazione , ingegnoſiſlima nelle fue compiacenze
, or impiega le lodi dirette e manifeſte , or l'indirette ed occulte , ſecondo
che l'une e l'altre per le cir coſtanze fono più grate a colui che fi loda .
Lodar Augufto per la ſua ſtirpe , lodarlo per la vittoria che gli diede
l'Imperio , e per i tre trionfi , ne' quali fece tanto riſplender la ſua pietà
, erano lodi che Auguſto fonima mente defiderava che ſi pubblicaſſero , onde
eſſo poteſſe ritrar: ne più venerazione ed ubbidienza . Conviene a parte a
parte moſtrarlo . Giulio Ceſare nel far l'Orazione funebre in lode di Giulia
ſua Zia: La firpe materna , diſſe , di Giulia mia Zia ha origi ne dai Re , é la
paterna è congiunta cogli Dei immortali , im perciocchè da Anco Marzio derivano
i Re Marxj del cui nom fu mia Madre , da Venere i Giulj della cui gente è la
noſtra Fa miglia . Trovaſ dunque nel ceppo antico della caſa noſtra la fantità
dei Re la quale appreſſo gli Uomini è di grandiflima autorità e la Religione
degli Dii nella podeſtà de' quali ſono el Re . Sin quì Svetonio . Non potea
dunque che molto pia. cere ad Augufto che Virgilio noftraſſe e nel primo enel
ſe fto e nell'ottavo che nella ſua genealogia verano i Re , gli Dei , e gli
Eroi . Virgilio dice nel primo libro: il giovine A ſcanio che porta oggidiil
cognome di Giulio e che ſi chiamava Ilo, mentre Ilio era in piedi, governerà
Lavinio per trent'anni 1 in. 185 intieri etraſporterà la sede del Regno in Alba
lunga di cui faa rà una forte Città . Nel feſto egli dice: uſcirà dal ſangue
Tro jano miſto all' Italico Silvio ſuo figlio poſtumo che perpetuerd in Alba il
ſuo nome , e ſarà egli fello Re e padre di molti Re , . per lui la noſtra
ftirpe dominerà in Alba . Virgilio ſcaltro nul la parla delle guerre che
ſecondo Dionigi d'Alicarnaſſo vi fu rono tra Giulio figliuolo d'Aſcanio e
Silvio , e molto meno che per i ſuffragj del popolo ſi deſſe a Silvio il Regno
che apparteneva a ſua madre , ea Giulio per contentarlo la fo vranità ſulle
coſe della Religione, per cui, ſoggiunge Dionigi , la Famiglia Giulia ha goduto
fin al mio tempo del ſovrano Pontificato , e s'è chiamata Giulia a cagion d'
Julo da cui u ſciva . Io non so accordar queſto paſſo di Dionigi d'Alicarnaſ ſo
con quell'altro di Plutarco e di Svetonio , ove ſi vede che Giulio Ceſare non
per dricco di ſangue , ma per i ſuffragidel popolo in competenza di Catulo
ottenne il ſommo Pontifica to. Laſciando cid , baſta quì oſſervare , che
Virgilio confonde Aſcanio con Silvio figliuolo di Lavinia e gli altri
diſcendenci da lui, poichè dice , che v'era ſcolpita tutta la ftirpe d'Enea
cominciando da Aſcanio . Io così interpreto quel Ab Aſcanio . Di tutti queſti
Re e di queſti Eroi Virgilio nefa come del le imagini trionfali , che pone
nell'orlo del ſuo Scudo , come negli atrj delle caſe de' Romani ſi poncano le
imagini degli Avi loro, ſulle quali Giuvenale e Plinio fanno sì gravi riflet
fioni intorno al biasmo ed alla lode de' diſcendenti . Ciò ba fi intorno la
lode manifeſta della ftirpe d'Auguſto. Palliamo alle lodi indirette . Nelle
medaglie , ove fi legge Reft. o reſtitui , ſi vede l'ima. gine o d'un Bruto, o
d'un Coclite , o della libertà , o d'al tre coſe alluſive alle azioni celebri
de' Romani antichi , che gl' Imperatori Romani aveano imitate o reftituite . Il
P. Ar duino vuole che queſte allegorie nelle medaglie cominciaſſero ſotto Tito
, di cui ſi contano fino 22. medaglie di queſta ſpe. zie e terminaſſero ſotto
Trajano , di cui ſe ne contano 24. ma non , perchè queſte medaglie non ci
reſtino , ſi può dedur che ſotto gli altri Imperatori e particolarmente
ſottoAuguſto , che vantavafi d'effere il difenſore della libertà del Senato e
dei popolo , l'adulazione non aveſſe inventate l'allegoric ; certo è almeno ,
che con queſt'ipoteſi ſi rileva il ſenſo del ratto del. le Sabine, e della pace
ira Tazio e Romolo . Prima che Planco determinaffe il Senato a dar ad Occavio
Tomo II. il 186 9 il nome d'Auguſto , molti volcano che ſi chiamafle Romolo .
In fatti Auguſto l'imicava non ſolo nella fondazione d'un nuovo Impero , ma
ancora in molte circoſtanze della ftella fon dazione . Come Romolo col ratto
delle Sabine avea provvedu to al mantenimento della Città , così Auguito con la
legge di maricar gli ordini che Orazio chiama legge Marita ; due ne fece
Auguſto ., la prima nell' anno 736. e ſi chiamava legge Giulia , e l'altra
dell'anno 762. e li chiamava legge Popea perchè fatta ſotto i Conſoli Sulpizio
e Popeo. Con queſte leg. gi fi rinovarono l'antiche rammemorate da Cicerone e
da Aulo Gellio , e Dion Caſſio merte in bocca d'Auguſto una lunga arringa su
queſta materia al Senato , nella quale dopo d'aver cogli eſempj delle nozze
degli Dei eſaltato il vantaggio e la giocondità de'figli , l'utile della
Repubblica , e il biasmo di viver ſenza moglie , gli fa dire : Romolo autor
noftro , e da cui diſcendiamo, non li ſdegnerà con tagione conſiderando il fuo
naſcimento e i coftumi introdotti ? Orazio nel Carme ſecolare lodando per
queſta legge il Se nato obliquamente loda Auguſto ; ma Virgilio nella lode
obli. qua involge l'argomento del minore al maggiore come s'egli diceffe : fe
tanta obbligazione hanno i Romani a Romolo che con una violenza provvide al
mantenimento della Città , mol to maggior obbligazione i Romani hanno ad
Auguſto che ſen . za danno de' vicini vi provvide con una legge si ſaggia.
Romolo dopo le guerre con Tazio ai rapacificò ſolennemen. te con lui , e diviſe
feco il Regno ; ed Auguſto dopo molte guerre con Marcantonio conciliatoſi ſeco
per l'opera de' co muni amici diviſe l'Impero , del quale il termine ſecondo
Plu tarco era il Mar Jonio . Tutta la parte , dic'egli , verfo Levan te fu
conceſſa ad Antonio , e l'alira verſo Occidente a Ceſare . Pegno della pace fu
Ottavia maritata ad Antonio , e certamente ella è rappreſeatata nella vittima
che ſi ſcanna nella ceremo nia del giuramento tra Romolo e Tazio : ne deve far
difficol tà il noine della vittima , poichè tutto ciò che li confacrava agli
Dei era fanto , e la Scrofa è ſtata ad Enea d'indizio del paeſe che ricercava .
La pittura di Mezio non è meno allegorica ; egli tradi Tul lo Oſtilio come
Antonio tradì la Repubblica , e tradi Ottavio con la guerra che all'uno ed
all'altra intimo per far piacere a Cleopatra . Mezio ne fu ſquarciato a viſta
di Tullo; ed An. tonio fu coſtretto a darſi la morte quafi agli occhi
d'Augufto. An 187 Antonio mentre s'incamminava al ſepolcro ove s'era rinchiuſa
Cleopatra , andava verſando il ſangue per le Atrade come ap punto il corpo di
Mezio per la ſelva . Non ſi potevano eſpri mer da Virgilio coſe sì delicate che
in un quadro allegorico , Due volie , dice Svetonio , entrò Auguſto in Roma
vitto rioſo e ſenza trionfare , una, poichè egli ebbe vinto Bruto e Caffio
ne'campi Filippici, l'altra avendo vioto Seſto Pompeo in Sicilia ; il che
moftra , qual foſſe la modeſtia politica d ' Auguſto ; queſta ſteſſa egli usò
con Marcantonio del quale e gli non crionfo , ma di Cleopatra , come ſi può
raccoglier dal Trionfo deſcrito da Dion Callio . Egli ſollevò i figliuoli d'
Antonio alle prime dignità , nè col moſtrar odio e vendetta con Antonio dopo
ch'egli era morto voleva offender Octavia a cui era ſempre grata la memoria del
marito . Orazio e Vir gilio ben ſapendolo non mai parlarono di Marcantonio ſc
non mettendolo in compagnia di Cleopatra su cui fecero ca der l'odio e la colpa
; ma nel tempo ſteſſo , conoſcendo forſe che Auguſto ſi compiaceva , che negli
animi de' Romani non ſi ſmarriſſero l'idee di quanto avea fatto contra
Marcantonio per la finta difeſa della libertà , eſli procurarono di maſcherar
ne l'azioni con l'allegoria , della quale Auguſto poteva abba ſtanza intenderne
il ſenſo , e non offenderſi i partigiani d'An tonio per le varie
interpretazioni che poteano darle . Nelle mie note su l’Odi d'Orazio io ſpiego
con ciò molte coſe in intelligibili ſenza queſta ſuppoſizione, nè ſarà diſcaro
che ne moſtri l'uſo nelle ſtorie di Porſenna e di Manlio ſcolpite da Virgilio
nella ſeconda ovale dello Scudo . Porſenna voleva riſtabilire in Roma la
tirannia traſportan dovi i Tarquinj, e nonmeno Antonio voleva riſtabilirla tra
ſportandovi Cleopatra . Se Antonio , dice Dione , foſſe ſtato ſuperiore e
ſignore del tutto , era per dare a Cleopatra la Cit tà di Roma ; è poco dopo
ſoggiunge , che Cleopatra era venu ta in ſperanza d'acquiſtar l'Impero Romano ,
e che quando al cuno le dimandava giuſtizia , ella riſpondeva che gliela fareb
be in Campidoglio :al che pur allude Orazio nell'Ode 37. l . 1. dicendo ch'ella
era ebbra di folli ſperanze non meno che di vino mareorico . Io non so ſe
troppo raffini nel ritrovar in Clelia che ſi falva a nuoto , Ottavia che al dir
di Plutarco eſce precipitoſamente dalla caſa d'Antonio ; ma certamente Coclite
che rompe il ponte è un ſimbolo d'Agrippa che con la vittoria navale interrompe
l'avvanzamento d'Antonio. AQ 2 Tito 188 Tito Manlio è difenſore della libertà
del Campidoglio con tra i Galli , come Antonio fu difenſore della preteſa
libertà contra Caſſio e Bruto e gli altri nimici di Giulio Ceſare. Non
mancarono , dice Plinio , i fregi delle coſe militari in Manlio Capitolino , ſe
non gli aveſſe perduti nell'eſito della vita ; e Tito Livio ſoggiunge , che lo
ſteſſo luogo nell'Uomo ſteſſo fu un monumento e d'inſigne gloria e di ultima
pena . Anto nio difeſe il popolo Romano ne' Campi Filippici , e il popo lo
Romano in Azio ed in Aleſſandria l' inſeguì e fu cagione della ſua morte . I
Salj ed i Luperci eſultano , e le matrone ne loro cocchi agiati conducono le
coſe ſacre per la Città per dimoſtrare che non ſono ammeſſe in Roma le
ſuperſtizio ni Egiziache , abborrite eſtremamente da' Romani ne'cempi d '
Auguſto e di Tiberio . Catilina tormentato nell' Inferno non moſtra egli le
pene dovute a Marcantonio ? e per la ragion de contrarj quante lo di meritava
Auguſto per la ſalvata libertà ? In grazia di que fta ſoffriva Augufto che fi
lodaſſe Catone Uticenſe . Orazio nell’Ode 12. c. 1. lo mette tra gli Eroi di
Roma . Loderò di Caton la nobil morte ? Il P. Catrou pretende , che il Catone
che negli Elisj dello Scudo dà legge agli ſpiriti, non fia altrimenti Catune
Uricen ſe , ch'era troppo odioſo a'Ceſari, ma Catone il Cenſore , di cui dice
Seneca , che tanto giovo co'ſuoi coſtumi al popolo Romano , quanto Scipione
colle ſue guerre . Il P. della Rue é per il Carone Uticenſe , ma non ne aſſegna
la ragione , la quale è manifefta, ſe ſi riflette al paſſo di Taciro da me
nell' alıra diſſertazione addotto e che qui ancora ſoggiongo , perchè cgli
moſtra quanto Ottavio fi vantafle, come Cromuello fece a' noſtri tempi , di
paſſar per difenſore della pubblica libertà . Tito Livio ( così fa dir Tacito a
Cremuzio Cordo in Senato ) chiariffimo tra tutti gli Scrittori e per eloquenza
e per fedel tà , celebrò con tante lodiGnco Pompeo che Auguſto lo chia mava
Pompejano , nè perciò gli fu meno amico. Nelle Opere di Aſinio Pollione ( cui
Virgilio dedicò l'Egloga terza ) li fa onoratiflima memoria di Callio e Bruto :
Meffala Corvino pre dicava Caffio per ſuo Imperatore , e l'uno e l'altro
viſſero lun. gamente pieni di ricchezze e d'onori, ed Auguſto , non ſi sa le
con maggior lode di manſuetudine o di prudenza , laſciò 1 cor 189 correr le
lettere d'Antonio , e l'orazioni di Bruto , che molto lo diſonoravano ; nel che
forſe volle imitar Ceſare Dittatore che tollerò i verſi di Bibaculo e di
Catullo , ed al libro di Marco Cicerone nel quale s' inalza Catone al Cielo ,
riſpoſe perorando come ſe foſse avanti i Giudici . Con queſto paſſo di Tacito
ſi può dar la ragione per la quale Virgilio ed Ora zio non temerono , dedicando
l'Opere loro ad Auguſto , di no. minar Giunio Bruto , Marco Bruto , e Callio , Catone,
e Pom peo . Maquale ſcaltrezza cortigianeſca v'è in Virgilio nell' introdur
Catone a dar legge agli ſpiriti ? Par, ch'egli accen ni , che Carone meritava
ſolamente grado in quella Repubbli ca ideale di Platone , la quale ſecondo
Cicerone egli cercava nella feccia di Romolo . Ed ecco ciò che dovea dirſi
intorno alle lodi indirette ed allegoriche . Le figure del quarto e del quinto
ſpazio contengono lodi di rette , perchè cuite ripiene delle coſe di cui si
compiaceva Auguſto che i Romani continuamente acclamaffero . Egli ſteſ ſo ,
come ſi diffe , avea nel Foro di Ceſare conſecrata l'ima gine della battaglia ,
e del Trionfo , nè io dubito punto che Virgilio ne aveſſe eſpreſli i tratti
della pittura nello Scudo in quella guila , che nel primo libro nel rappreſentar
il Furore alliſo ſopra i trofei e con le mani annodate al tergo imita la
pittura ch'era nel Tempio di Giano . Tutto poi nella deſcrizione e della
battaglia , e del Trion fo , è diretto alla lode d'Auguſto. Nella battaglia ,
Auguſto è coi Padri , col Popolo , coi Penati , e co'magni Dei, ed ha in fronte
la ſtella paterna ; ciò ſignifica , che la guerra era in trapreſa per la
libertà del Popolo , del Senato e coll'alliſtenza di Giulio Ceſare già
Deificato . All'incontro Antonio non ha ſeco che de' Barbari , ed un'effeminata
Reina ; Auguſto è di feſo da Venere genitrice , da Minerva , e da Apollo , Dei
del la prudenza e del conſiglio , e da Nettuno , che gli era ſtato favorevole
nelle guerre in Sicilia contro Seſto . All'incontro Antonio non ha ſeco che Dei
moſtruoſi ed odiati da' Romani . Quanto cgli deſcrive più feroce la pugna ,
tanto maggior mente eſalta il valore d'Auguſto e d' Agrippa , ch'egli ſempre
accompagna per le ragioni di ſopra accennate . Le Furie e la Diſcordia con
Bellona liriferiſcono a Cleo patra ; ma qual mai v'è ſagacità poetica
nell'accennare la fu ga e la morte di queſta Reina ? Mentre ella ſuona il
filtro non vede i due ſerpi che la minacciano alle ſpalle ; ella con fida iyo
fida in vano nelle forze dell'Egitto , e in vano tenta di rifu . giarſi nelle
più occulte ſpiagge delNilo . Tutto allude al .con higlio ed alle azioni di
Cleopatra . Perchè poi Virgilio non nc introducefle nel Trionfo l'effigie , e
tra i prigioni non poneſ ſe i figliuoli di lei , la cagione n'è forſe ſtata il timore
d'ec citar nell'animo altrui con queſte imagini qualche grado di ammirazione e
di compaffione , e perciò ſcemar in parte la lode d'Auguſto , e tra l'altre
quella della pietà . Ne'gran Poe. ti biſogna egualmente riflettere e a quel che
dicono e a quel che tacciono , onde molto male s'argomenta dalla Poeſia alla
Storia , e dalla Storia alla Poeſia , quando non s'attende al fi ne a cui tutto
vuol accomodare il Poeta . Il fine delle figure ſcolpite nei vari ſpazi dello
Scudo ha relazione al fine gene rale dell'Eneide . Le figuredel ſecondo ſpazio
riguardano il ſenno d'Auguſto , le figure del terzo il valore , le figure del
quarto riguardano la ſua pierà . Queſte ſono le tre virtù do. minanti
dell'Eneide . Dionigi d'Alicarnaſlo , che ſcriveva nel tempo d'Augufto , le
ſtabiliſce come neceſſarie ai fondatori d ' un Impero , e Virgilio vi fabbrica
ſovra l'Eneide . Molte altre coſe io potrei addurre intorno l'artifizio poeti.
€0 , la chiarezza , e la brevità , colla quale Virgilio in sì po chi verſi
eſprime tante coſe , nè mai per oftentazione o d’in. gegno o di dottrina o
d'erudizione , maſempre relativamente al diſſegno del tutto e delle parti , ciò
che deve ſervire a' Poe. ti moderni di precetto e d'eſempio. DISSERTAZIONE
PRELIMINARE i ALL' ILLUSTRAZIONE DEL PARMENIDE DI PLATONE. atentat
nesatentratata L A ſecca della Filoſofia Italica fondata da Pitcagora ebbe nome
e ſede nella Magna Grecia , tra le cui Provincie fu per l'eccellenza
de'Filoſofi, che vi fiorirono , celebre la Lucania , ed in queſta la Città di
Velia , o d'Elea così denomi nata dal fiume che l'irrigava . Quivi Senofane di
Colofone , Cit tà della Jonia nell'Alia minore , ſtabilì e perfezionò la fecta
, che dalla Città d'Elea fi diffe Eleacica , e meritò d'avere tra gli al tri
diſcepoli Parmenide nato di Pireto , e quel Filoſofo grave e venerabile , che
con Zenone paſsò in Atene , ove tenne la con ferenza con Socrate eſpreſſa in
queſto Dialogo . Ora avendomi propoſto io d'illuſtrarlo nella ſua parte ſtori
ca e Filoſofica, credo diſoddisfar quanto baſta al mio impegno ſe prima tento
d'accordar l'erà controverſa dei tre Filoſofi nomi nati, indi ſe della dottrina
Eleatica ſpiego l'origine e l'effetto , o la Filoſofia Pittagorica , e la
Platonica ; finalmente ſe mi fer punto che Platone in queſto Dialogo n'eſpoſe,
e dichiaro l'artifizio filoſofico , e poetico dello ſteſſo Dialogo . lo difli ,
che Senofane ftabili , e perfezionò la ſecca Eleacica perchè Platone dice nel
Sofiſta , la gente d ' Elea incomincia appref ſo di noi da Senofane, anzi da
più antichi, i quali non poteano eller che Talete, o Pittagora , oi difcepoli
loro ; non regnando, allora alıra Filoſofia nella Grecia , ſe non l'introdotta
dai due fondatori, o profeſſata da i loro allievi . Alcuni però fecero Se
nofane poſteriore a Talete , ma più antico di Pittagora, nè fo dove prendeſſero
le loro congetture cronologiche , alle quali oltre l'autorità di Platone ,
s'oppongono le ſcoperte dei due Fi loſofi , e i viaggi loro . Taletecalcolo il
primo l' eccliſli lunari , ma come poteva egli calcolarle ſenza conoſcere la
propolizione , che Euclide poi fe ce la 47 del primo libro degli Elementi , e
di cui s'aſcrive or dinariamente l'invenzione a Pitcagora ? I calcoli
aſtronomici ſo mo ſul . no ( 4 ) no dedotti da trigonometrici, principio de'
quali è il triangolo rettangolo miſura diſe ſteſſo , e de gli altri triangoli.
Pittagora dunque, che l'invento , o fu contemporaneo di Talete , o fiori prima
di lui . , Io credei , che queſta foſſe una dimoſtrazione in cronologia ,
finchè in Plutarco ( a ) ritrovai che gli Egizj ſimboleggiavano co ? tre lati
del triangolo rettangolo miſurati da 3, 4 , e s le loro principali divinità
Ilide, Oliride, ed Oro ; aſſegnando ad Oſiri de la perpendicolare, la baſe ad
Ilide , e ad Oro l'ipotenuſa ; L'antichità del ſimbolo manifeſta quella della
cognizione , tan to più che gli Egizi coltivarono l' aſtronomia da poi che eb
bero inventato la geometria per miſurare i terreni, e non par veriſimile , che
ſenza conoſcere il triangolo rettangolo , il pri mo e il più facile ad immaginarſi
de gli altri, poteſſero riu ſcire nella pratica di queſte due ſcienze .
V'aggiungo, che fe condo Platone ( 6.) noci erano, agli Egizi gl'
incomenlurabili , la prima idea de' quali naſce dall' impoſſibilità di eſtrar
la radice dal quadrato dell'ipotenuſa del triangolo ; I lati del retcangolo
Pitta gorico ſono i numeri accennati , e queſta è la prova che dagli E giz lo
toglieſſe Pittagora , e nello ſteſſo tempo o poco prima l' aveſſe colto Talete
, benchè poi Talete ſi contentaffe di moſtrare all'Aſia minore l'ulo
aſtronomico della propoſizione, e Pictagora ne deſſe alla Magna Grecia la
dimoſtrazione Geometrica , ed è forſe quella regiſtrata da Euclide nel primo
libro diverſa dalla 8 del libro 6 dedotta dalle proporzioni delle linee , e che
nel progreſſo del tempo Eudoffo , che fiori nel tempo di Placone , portò dall'
Egitto col s elemento . Or fe i gradi delle cognizioni dello fpirito umano ſono
fema pre gli ftefli, dall'analogie dell' Epoche moderne ſi poſſono de durre le
antiche , e particolarmente quelle che hanno relazione agl'inventori de'
principjmatematici . Nel paſſato ſecolo ſi trova prima dal Toricelli la
Cicloide , e l' Ugenio l'applicò a regola re il moto dell'orologio a pendulo ;
il Newtono fi limitò all'altrace ta Teoria della luna , e l' Hallejo l'applico
a correggere le Tavo le aſtronomiche . La ſeconda congettura della
contemporaneità di Pitragora, e di Talete , ſi prende da coſe più facili . Vuol
Jamblico , che Ta lete ſcriveſſe una lettera a Ferecide maeſtro di Pittagora, e
gli legaſſe certi fcritti morendo , e par che Plinio convenga che i due
Filoſofi foſſero ſtati in Egitto al tempo che regnava il Re Amaſi. La queſtione
non cade più dunque ne ſu tutto il ſecolo , ne ( a) Trattato d'Ilide, ed
Oſiride . ( 6 ) Nella Rep. e nelle leggi . ( 5 ) 1 4 ne ful mezzo ſecolo , ma
su l'età dell'uno e dell'altro di pochi anni diſtante ; Talete par più vecchio
ſe ſcriſſeuna lettera al maeſtro di Pittagora , machi sa poi ſe Pitragora non
era allora in Egitto ? queſta lieve differenza non toglie però , che ſe Talete'
fu più d'un ſecoloprima di Senofane, non lo foſſe ancora Pittagora : Io ritrovo
bensì, che Senofane era contemporanco d'Epicar mo , e diEmpedocle. Secondo
Timeo lo Storico , Senofane paſsò in Sicilia al tempo di Gerone , ſotto il cui
Regno Epicarmo era illuſtre per le ſue commedie, e Plutarco (a) ci conſervò la
memo ' ia d'una riſpoſta , che diede Senofane ad Empedocle . Non è facile il
determinare , nè qui lo cerco , quanto Epicar mo , ed Empedocle foſſero
diſtanti da Pittagora , e quindidà Ar chita Tarentino il vecchio , da Peritione
, da Timeo di Locri , da Ocello Lucano , e da altri , che ſi dimandavano
Piccagorei ( 6 ) perchè udirono Pittagora , a differenza deglialtri , che ſi
chiamava no Pittagoriſti. Quando cominciò Senofane a ſtudiar la Filoſofia ,
quella di Ta lete era già diffuſa nella Jonia , e quella di Pittagora nella
Magna Grecia ,e nella Sicilia ; su queſto fondamento altri fecero Seno fane
diſcepolo di Anaſimandro , ed altri di Archelao diſcepolo di Anafagora , il
quale avea il primo traſportata la Filoſofia dalla Jonia in Atene, ove paffato
Senofane ftudiò ſotto ( c ) un certo Bottone Ateniere . Dalla povertà cacciato
Senofane dalla Grecia , paſsò nella Sici lia e quà s'abbandono alle doctrine
Pittagoriche , più delle Joniche conformi all'ingegno di lui acre , e profondo.
Dalla Filoſofia Jo nica , e dall' Italica traſſe un nuovo liftema , è meritò ď'
effer ca po della ſecta Eleatica primo fonte dell'Accademica , e della Pla
tonica , delle quali poi furono rami lo ſcetticismo, e lo ſtoicismo, Nulla
ancora s'è fatto , ſe non ſi dimoſtra accordarſi l'ecà di Senofane con quella
di Parmenide , e queſta con quella di Socra te . Tralaſciare dunque molte
epoche inverifimili, io m'arreſto a quella che aſſegna Timeo a Senofane , ed è
che egli fiorille nell'olimpiade 76. Parmenide, ſecondo Laerzio ſeguito dallo
Stan lejo , e da altri , fiorì nell' olimpiade 69 diſtante dalla 76 di 7
olimpiadi, che importano 28 anni, calcolando ogni olimpiade per 4 anni compiuti
. La voce fiorire è molto vaga o ſteľa nel la Cronologia , perchè non ſempre
moſtra , che un Filoſofo fof ſe nel punto più alto della ſua fama, ma che ſolo
aveſſe un no meilluſtreacquiſtato . Il Newtono , che cosi rapidamente ſi per
fezionò nelle matematiche, fioria del pari in Inghilterra nel 1662 quando
ſcriſſe al Leibnizio la lettera in cui gli dichiarava lo ſvi luppo , ( a )
Plut. de vit.pud . ( 6) Patr. diſcuſs. prop . 1. 6. (c) Laerzio vit.di Sen. ( 6
) 3 8 luppo , e l'uſo del Binomio eſaltato ad una potenza indetermi nata , e
nell'anno 1716 in cui molte coſe aggiunſe al ſuo libro de' colori, e n'illuſtrò
molte altre nei principj naturali della Fi loſofia matematica , Senofane, che
lo Scaligero fa vivere 104 an ni , ed altri almeno fino a 100 , potea fiorire
in olimpiadi mol to diftanti, perchè per la forza della ſua mente facilmente
riu fcendo nelle fue applicazioni, in breve acquiſtava fama di lomme Filoſofo ,
e la ſua fama tanto più ſpargeali per le bocche degli Uomini , quanto egli
abbelliva le ſue meditazioni filoſofiche con la Poelia per farle ricercare , e
leggere con più d'avidità . Parmenide fece i ſuoi ftudi in Elea ( a ) ſotto
Amenia , e Dio cheta Pictagorici , i quali lo riduſſero a laſciar le ricchezze
, ecol tivar la vita privata, e darſi tutto alla Filoſofia . Biſogna dun que
che in eſſa molto riuſciſſe , o la Filoſofia foſſe la paſſione , che più lo
dominava, ſe nato de' più ricchi, e de’più nobili di Elea ebbe tale coraggio ;
ma ciò molto applauſo dovea avergli acquiſtato appreſſo de'ſuoi Cittadini , ſe
fin d'allora cominciarono a celebrarlo in guiſa , che al dir di Ermipo
Empedocle l'emuld . Nulla vieta il ſupporre, che Empedocle avelTe molto
ſoggiornato in Elea , e poi foſſe ritornato in Agrigento ſua Patria . In Elea
era ſtato emulator di Parmenide doctiſſimo nelPittagoriſmo, e lo fu in Sicilia
di Senofane , che lo profeſſava con qualche cangiamento', dopo gli anni 28 che
è l'intervallo frappoſto tra l'olimpiade 69 e 76 . Paſso Senofane in Elea , ed
ivi Parmenide conſecrato agli ſtudi corſe ad udir Senofane , come i giovani
nobili , e ben educati ſo leano far nella Grecia , quando nelle loro Circà
udiano entrar un Filoſofo illuſtre , e che potea inſtruirli in qualche nuovo
liſte ma , del che chiari gli eſempi ne vediamo nel Protagora , nelGor gia , ed
in altri Dialoghi di Platone . Quando Parmenide udi Se nofane, queſti poteva
eſfer molto vecchio ; ma qualunque età dia ſi a Senofane, mi baſta , che nel
pricipio dell' olimpiade 76Parme nide imparaſſe da lui il fiſtema dell'uno
immobile , e non aveſſe allora che 36 , e ancor 40 anni , la ſteſſa età che
avea Zenone quando diſputò con Socrate in Acene . Socrate nacque al fine
dell'olimpiade 77 , ed avea 4 anni com piuti o 5 anni cominciati , quando nella
noſtra ipoteſi Parmeni de ne avea 40. Se zo anni dopo ſi fuppone, che Parmenide
con Ze none paſlaffe da Elea in Atene , come vuol Platone , non avea che 60
anni, e Socrate che 25 , onde era egli molto giovane relativa mente a Parmenide
. Semplici, e al fommo veriſimili ſono queſte ipoteſi degli ſtudi, 1 e dei ( a
) Laerzio vita di Parmenide . 1 ( 7 ) e dei viaggi dei due Filoſofi , e ſe
s'accordano facilmente con le olimpiadi , perchè oftinarſi a rigettarle , e
rinunziare all'au corità di Platone , che potea molto meglio al fuo tempo cono
fcere l'epoche dell'era filoſofica , che non ſi conobbero 6oo an ni dopo , e
ben più ? Le circoſtanze , con cui Platone accompagna l'abboccamento di Socrate
con Parmenide , accoppiano in guiſa alla verità del fatto la veriſimiglianza
ſtorica del Dialogo , che pare non do ver laſciarſi alcun ſoſpetto . Io le
eſtrarro dal Dialogo . Parmenide , e Zenone fuo diſcepolo favorito o fuo figlio
a dottivo abitavano fuor delle mura di Atene in caſa di un cer to Pitidoro .
Nelle ſolennità de grandi Panatenei , itofene So crate a ritrovar Parmenide ,
ritrovò folo in caſa Zenone , e comia cid a diſputar feco fu l'idee . Entrato
poco dopo Parmenide in caſa con Pitidoro , ſi proſeguì la diſputa incominciata
alla pre fenza di molti , tra' quali Ariſtotele non lo Stagirita , ma uno dei
30 Governatori , o Tiranni di Atene . Tali ſono le circo ftanze del luogo , del
tempo , e dei teſtimoni della diſputa . Socrate non avea allora che 25 anni ;
or eſſendo egli mor to nell'età di 72 anni, dall'abboccamento alla morte non vi
fo no che 47 anni di diſtanza , e tanti appunto o pochi più dall' abboccamento
al Dialogo , ſe Platone lo ſcriffe dopo la morte di Socrate : ma poniamo che l'
aveſſe compoſto anche 20 anni dopo ; la memoria di un Uomo così illuſtre qual
era Parmeni de non potea più ignorarli in Atene , di quel s'ignori ora a Parigi
la dimora che vi fece il Leibnizio, e l'Ugenio , e le di fpute che ebbero nell'
Accademia reale . Alle verilimiglianze ſtoriche s'aggiungono le poetiche necef
ſarie all' ornamento del Dialogo , che è una ſpecie di Poeſia Dramatica : così
lo teſse Platone. : Cefalo per bocca di Antifone ſuo fratello uterino , e
figliuo lo di Pirilampo , racconta ad A dimanto , e Glaucone , tutto ciò che
avea udito da Pitidoro fu la diſputa che ebbero Zenone pri ma , e poi Parmenide
con Socrate . ' Antifone avea converſaco familiarmente con Pitidoro compagno di
Zenone , ma poi laſcia ta la Filoſofia coltivava l'arte equeſtre , e quando
Cefalo ad in ſtigazione de' compagni andd a ritrovarlo , egli dava certo fre no
ad accomodare ad un fabro ; circoſtanza che io credo finta per dar rilievo al
racconto , é fiffar la fantaſia del lettore con qualche coſa di ſtrano . Par
toſto che Antifone occupato in un volgare eſercizio , non debba favellare ſe
non di coſe volgari , nè mai s' aſpetta , che egli ſia per ſalire nell' ultime
aſtrazio ni della metafiſica ; quindi il lettore reſta ſorpreſo dalla mera
viglia ( 8 ) 1 > e di viglia , allora che egli racconta il principio della
diſputa tra So crate e Zenone, e che poi s'interrompe alla venuta di Parme nide
, che fattoſi pregar un poco la continua fino al fine. Quan te menzogne , ſe
Socrate non parld mai con Parmenide ! All incontro qual arte fina di
veriſimiglianza poetica , per dar or namento alla verità del fatto di cuiCefalo
, Adimanto , e Glau cone vivendo poteano renderne teſtimonianza ? Come immagi
narſi, che un Filoſofo il qual volea render accetta la lettura de ſuoi Dialoghi
, cominciaſſe a diſguſtar il lettore con bugie le più sfacciate ? Ariſtotele,
che calunnia il ſuo Maeſtro in tante parti dell'opere ſue fue , e che parld
ſovente di Parmenide Socrate non attaccò mai Platone ſul loro abboccamento , e
pur ne poteva trar degli argomenti, per renderne la dottrina ſoſpetta. Non ne
parlano altri autori Greci più vicini a Platone , non gli autori Latini , che
più ſtudiarono i Greci , e tra gli altri Cicerone e Plinio , che tante coſe ci
conſervarono fu l' iſtoria ed Era Filoſofica . Non v'è che il ſolo Ateneo il
qual viſſe a' tempi di Marco Aurelio , che vuol dir quaſi più di 600 anni dopo
Platone . ( a ) Egli dice : Appena permette l' età che Socrate aveſe veduto ,
ed udito Parmenide , non dover però noi meravigliar ſene, perchè Platone
ſuppoſe che Fedro vivere al tempo di Socrate ; che Paralo , e Zantippo
figliuoli di Pericle , e morti nella peſtilenza , ragionaſſero nel Protagora ,
e che Gorgia diceſſe nel Dialogo del ſuo nome quel che mai s'era fognato di
dire . Molte altre accuſe contro Platone vibra Ateneo , e s'affatica a
dipingerlo tanto mordace , e maledico quanto bugiardo . Non so perchè i
Cronologi attenti a peſare ogni minuzia de'te fti non oſfervino , che Ateneo
nel dire vix ætas permittit dichiara , che poco intervallo di tempo v'era ſtato
tra la morte di Parme nide, e l'età di Socrate , maqueſto vix qual ha poi forza
cronologica poſto in bocca di Guriſconſulti, di Oratori, diPoeti , di Filologi,
non di Cronologi, che avrebbono diminuito l'allegrezza del convito coi loro
calcoli, e colle lor aſciutte illazioni ? Il Calaubono il qual nel ſuo
comentario d'Ateneo in un'altro libro in foglio sfoga tanta eru dizione ſu l’erbe,
ſu ipeſci, ſui coſtumidel convito , elu mille altre coſe inutiliffime a ſaperli
nulla degna di dire ſu le accuſe colle qua li uno dei Dinnoſofiſti morde
Platone . Io per me credo , che A teneo vedendoſi incapace d' emulare
l'immenſità della dottrina Platonica , e l'arrificioſa maniera con cui l'eſpone
Platone ne'ſuoi Dialoghi , teſſe lunga ſerie d'accuſe , e lo condanna di
menzogne ro , e maledico per accreditar ſe non altro la veracità , e la mo
deſtia colla quale caratterizza i ſuoi Dinnoſofiſti. Il buon Grama cico ( a )
Ateneo lib . 14. Sympt, 9 ) tico ne goda egli pure , e ſen ' applauda ; non per
queſto io crede rò , che Parmenide non poteſſe ragionare con Socrate , e ſtard
immobile nelle mie ipoteſi cronologiche , che a ben peſarle non vagliono meno
di tante altre , che in queſto ſecolo fi ſpacciano, e fi difendono come i
Teoremi diGeometria : Candidamente perd confeſſo , che io farò per ſacrificarle
a colui , che all'autorità di Ateneo ne aggiungere qualchealtra più
dimoſtrativa, e meno ſo fpecta ; finalmente malgrado le congetture eſpoſte io
ſon perſua ſo , che ſe Platone tutto finſe , il Dialogo è più ammirabile per la
menzogna poetica tutta opera della ſua fantaſia, che non è per la verità del
fatto , di cui poteano farſi onore i men dotti . Platone fcriffe in Filoſofia
più ditutti gli antichi che lo precede rono , e come da Eraclito le coſe
fiſiche, da Socrate le morali , così tolle da' Pittagorici lemetafiſiche , le
quali non ſi correffero che nel fecondo ſecolo della Religione , per le varie
diſpuce che, nacquero tra iPlatonici , e tra i Criſtiani. Eſaminerò dunque
prima d'ogni altra coſa la natura della difpu ta , dopo di cui proporrò
generalmente l'antica Filoſofia , ed in di la particolareggierò in Pittagora ,
e ne'Pittagorici, tra'quali Se nofane e Parmenide, e la terminerò con Platone .
A queſte due coſe io riduco l'origine, e l'effetto dell'Eleatiça Filoſofia ..
Gli antichi Filoſofi , ſenza eccettuarne nè pur uno , convennero nel principio
, che di nulla fi fa nulla , e ciò gl' impedì di poter conoſcere che Dio era un
ente ſingolariſlimo, uno, onnipoten re , buono , e libero; in ſomma di tutte
quelle perfezioni dotato le quali o per negazione , o per caſualità , o per
eminenza gli at tribuirono i SS. Padri, e cuti'i Teologi . Era Dio ſtato ſempre
con la materia ? Dunque altro non gli competea , che eſſer un modo di efla od
un ente , che ſolo per preciſion di ragione dalla materia ſi diſtingueva ; era
egli per metà uno , per metà onnipotente , fe dipendea da un principio , ſenza
il quale operar non potea , non più che il Pitcore dalla tela e dai colori , e
lo Scultore dal marmo. La diminuzione della potenza toglieva a Dio la bontà ,
perchè non poteva egli vincer in guiſa la contumacia della materia , che non
regnaſſe a ſuo malgrado il male miſto col bene . Come dunque Mosè per opporſi
al politeiſmo del ſuo tempo dalla creazione cominciò la ſtoria del mondo ; così
per opporſi a tutti gli errori che derivarono dall'eternità della mate ria fi
cominciò nel ſimbolo Apoftolico da Dio creatore , inſiſten do al dogma di S.
Paolo , il quale nella Epiſtola agli Ebrei : In tendiamo ; ( a ) dice egli ,
per la fede eſſere ſtati connelli i ſecoli Tom . II. b dalla ( a ) Epiſt. agli
Ebrei cap. 11. Fide intelligimus aptata eſſe ſecula ver bo Dei . ( 10 ) dalla
parola di Dio . I Padri nelle loro diſpute co'Gentili lo dichia rarono. Noi ,
dice Atenagora ,Jepariam Diodalla materia , lamateria crediamo un ente diverſo
---- ( m ) Dio è uno , ed ingenito , ed eterno ; la materia è corruttibile ; e
poi celebriamo tutti un Dio ſolo crea tore di tutte le coſe . - - .- la fua
forza immenſa non poterono abbrac ciar coloro con l'animo, che la notizia di
Dio non cercarono nello ſtef fo Dio, ma dentro fe fteſi . Taciano (6 ) pur dice
: Dio non s'inſi nua nella materia e negli spiriti materiali e nelle forme , ma
egli è artefice inviſibile ed intangibile di tutte le coſe . Teofilo
d'Antiochia ( c) parlando ad Autolico, dice , ſe Dio è ingenito e la materia è
pur tale , non è più Dio fabricatore e creatore di tutte le coſe . Queſti Pa
dri viſfero tutti e tre nel ſecondo ſecolo non molto diftanti l' uno dall'altro
. Gli errori de' Marcioniti , de' Valentiniani , de' Baſiliani , chefuronopur
cutti e tre che in queſto ſecolo diedero occa fione a' Padri d'illuſtrare il
lor zelo , dichiarando con la crea zione della materia il principio
fondamentale della Religione Criſtiana . Anzi Taciano dimoſtro , che i Greci ne
avevano ri cevute l'idee da'Barbari , ed i Barbari dagli Ebrei , benchè poi le
aveſſero oſcurate e corrotse . Affaccendati gli altri Padri a purgarle ,
oſſervarono che Dio , autore del pari della Fede , che della ragione , non le
avea ſeparate in un modo caliginoſo ed impenetrabile , ma le avea in maniera
accordate , che dall'aurora dell'una fi potea paſſare al pieno giorno
dell'altra , cogliendo però dalla ragione quanto e Platonici e Pittagorici e
Stoici, ed Epicurei v aveano im preſſo col lor proprio carattere . Si
compiacquero dunque della ſetta Eclerica , ed il primo che l'abbracciale fu
Atenagora il primo de' Catechiſti d'Aleſſandria , poi S. Clemente ed Origene
dal Veſcovo Uezio chiamato Pocamonico ( d ) anzichè Platoni ço , San Clemente
ſpinſe tant'oltre la condiſcendenza , che pro poſe come poflibile un ſiſtema
filoſofico, il quale raccoglieſſe tut te le verità ſcoperte dalla ragione umana
fin dal principio del mondo , ed agevolaſſe il metodo di far ricever i dogmi
della fede, e quello della creazione. Amonio Sacca conciliator di Ariſtotele e
di Platone , ritrovando che in Ariſtotele l' eternità del mondo ſi conciliava
con l'eter nità di Dio , ſe ben egli nulla ſcriveſſe , laſcid tuttavia a' ſuoi
diſcepoli , onde ſtabilire tal dogma. Diſtinſe egli l' eternica in due gradi o
in due ſegni , nell' uno dei quali poneva Dio, nell'altro le coſe bensì create
, ma da lui dipendenti , come il raggio dalSole , o l'ombra dal corpo .
S'accorſero i Padri, che iFi ( a ) Apologia pro Chriftianis . ( 6) Tat. allir,
cont. Græc. ( c ) Teof. Aut, lib . 2. ( d ) Iftor. del Moeffenio nel
finedelCuduortio . ( 11 ) e tras i Filoſofi mettendo con la creazione eterna
una dipendenza tra la materia é tra Dio , coglievano a Dio la libertà , perché
cacitamente fupponevano , che da Dio neceffariamente foſſe emanato il mondo
come il raggio dal Sole e l'ombra dal corpo . Far di Dio un Agente neceſſario ,
è lo ſteſſo che farlo per metà Signore , per che ſe fi confeſſa da una parte ,
che da Dio dipenda la coſa che egli fa , fi nega dall' altra che da lui dipende
il farla ed il non farla. La libertà è la maggiore delle perfezioni. Perchè dun
que corla a un ente infinitamenteperfetto ? Lafcio S. Ireneo, S.Cirillo , ed
altri, cheſoddisfarono ampia mente a tutte l' obbiezioni ; ma quello , che più
degli altri le ſcDIonvolſe ed atterrò , è ſtato Lattanzio Firmiano , che con au
reo ftile nel quarto ſecolo ſcriſe . In queſto ſecolo ancora ſcriffe ro Eufebio
nella Preparazione evangelica , e poi S. Agoſtino nel la Città di Dio , l'uno
ſegut l' ormeaccennace da Taziano , 1 alţro con erudizione più vigorofa , e più
filoſofica ſcriffe contro l'eternità , l'animazione , la divinica del mondo , e
l'immutabi lità del Fato . Apparve Proclo ( as nel príncípio del V1. fecolo
fondendo nella ſua Teologia molto di quella de' nomiDivini at tribuita a S.
Dionigi Areopagita , rinovd il fiſtema di Amonio Sacca riſtoro il Platoniſmo
caduto . Nel fecolo dopo , Zac caria di Mitilene , ed Enea di Gaza , ſcriſſero'
pure contro l'eter nità del Mondo. E da' loro fcritii ſi raccoglie , che l'idea
di Dio, combinata col policeiſmo era un'idea nugatoria , non men di quel la del
bilineo rettilineo , che rappreſenta alla mente una figura , é non è che una
contraddizione . Il P. Balto , nel ſuo dotuiffimo libro contro il Platoniſmo
ſvelato , lo dimoftra ; e dopo il Balto fe de fece dal Moeſfenio quella
circoſtanziata iſtoria ſul Platonis la quale è nel fine dell' opere del
Cuduortio , da lui tradotre dall' Ingleſe in Latino . lo nell’eſpor la doctrina
de Filoſofi antichi non mi feryi rò dell'autorita de' Platonici recenti , non
più , che fe non aveſ ſero mai ſcritto , ſalvo allora , che s'accordano cogli
antichi, e ci confervano qualche circoſtanza ſtorica indifferente . Cercherò
prima ne' teſti de' Filoſofi ftefli il ſenſo , che naturalmente preſen iano , e
dove ſia queſto oſcuro , ed equivoco , ricorrerà all'in terpretazione o di
Cicerone , o di Plutarco , o di Sefto Empirico , o di Laerzio Viſle Cicerone
molti anni prima del Crifianeſimo , e Plutar co viffe a Roma ſotto Adriano, o
Trajano , dopo d'aver ſtudiato in Egitto forro Amonio , diſcepolo di Potamone,
e del quale egli b 2 par ( a ) Pachimero in Suida , Vedi Fabrizio Bibliot. art
, Proclo . e mo , . ( 12 ) parla nella vita di Temiſtocle ed altrove. Laerzio e
Seſto Empi rico , fiorirono in circa ſotto Severo , che vuol dire molto prima
di Amonio Sacca , di Plotino , di Porfirio , e di molti alori nimici del
nomeCriſtiano ; non rifiuterd dall'altro lato i ſoccorſi , che i Padri
m'offrono allora particolarmente , che non hanno certa indulgenza alle opinioni
filoſofiche , ſcrivendo agl’Imperatori, o non argomentano ad hominem contro
coloro , che gl'inſultava no . La mecafiſica di Platone non è diverſa da quella
de' Pittago rici , e ſe una volta io dimoſtro, che queſti e particolarmente
Pitta gora , Senofane, e Parmenide conobbero bensì un principio intel ligente ,
ma non ſeparato dalla materia , anzi con effa non facen do che un tutto , avrò
dimoſtrato , io mi perſuado, che queſto pur era il ſiſtema Platonico .
Cominciero da Cicerone che in poche ma ſoſtanzioſe parole compendio tutto il
ſiſtema de' primi Accademici o di Platone , e lo craſſe da' Pittagorici , come
da Placone purtraſsero il loro gli Stoici, e i ſecondi e verzi Acca demici ,
poichè quanto a' Peripatetici ( a ) eli convenendo nelle cafe non differivano ,
che ne' nomi . Gli antichi , dice egli , divideano (b )lanatura in due coſe ,
l'una delle quali era efficiente, e l'altraad eſsa quafi preſtandoſi quella di
cui ſi fa ceano le coſe.. Incid che facea riponevano la forza , in ciò di cui
ſi fa cea , una certa materia , ma l'una e l'altra era nell' una e nell' altra
perchè nè la materia può aver coerenza , ſe non ſia da qualche forza ritenuta ,
ne v'è la forza ſenza qualche materia , poichè nullo v'è che non fic in qualche
luogo . . Se la forza e la materia erano indiviſibilmente unite , la fola mente
le ſeparava , e perciò conſiderar l'una ſenza l'altra era un ?: aſtrazione ,
una preciſion della menee . Cid che riſulta ( c ) dall'uno e dall'altro , o ſia
dall'accoppiamento , lo chiamavano corpo , e quafi certa qualità ...-- . Di
queſte qualità al tre fono principali, ed altre derivate da queſte . Delle
principali ſono ognuna ( a ) Cicer. Quæſt. Acad. 1. Peripateticos', &
Academicos nominibus differentes , & re congruentes lib. 2. ( b ) De natura
autem ita dicebant, ut eam dividerent in res duas , ut altera eſſet efficiens,
altera autem quaſi huic fe præbens ea qua effi ceretur aliquid : in eo , quod
efficeret vim eff: cenſebant ; in eo au tem quod efficeretur materiam quamdam :
in utroque tamen utrum , que : neque enim materiam ipfam cohærere potuiſſe , ſi
nulla vi contineretur ; neque vim line aliqua materia : nihil eft enim quod non
alicubi eſſe cogatur. ( c ) Sed quod ex utroque id jam corpus , & quaſi q
uandam qualitatem nominabanc Earum igitur qualitatum ſunt aliæ Principes , aliæ
ex his ortæ . Principes ſunt uniuſmodi , & ſimplices , ex iis au tem ortæ
variæ funt, & quafi multiformes : itaque aer quoque ( uti niur ( 13 )
ognuna della ſteſſa ſpecie , e ſemplici. Da queſte qualità , altre ne for no
nate , e quaſi moltiformi. L'aere , il fuoco , l'acqua , ela terra for no primi
, e da queſti nacquero le forme degli animali , e le altre coſe , che ſi
generano dalla terra . Dunque que' principi , per tradurlo dal Greco, ſi dicono
elementi , de' quali l' aria , il fuoco , banno la for za di muovere , e di
fare , le altre parti di ricevere , e quaſi di pati re , l'acqua, dico , e la
terra . La parola ſemplice quì non ſignifica indiviſibile , e Seſto ( a ) Em
pirico pur la prende in queſto ſenſo . Vè un quinto genere , b )di cui ſono gli
aſtri, e le menti ſingolari , ed Ariftotele lo pone diſimile dagli altri
quattro . Se le menti ſono tratte dallo ſteſſo elemento , che gli altri , non
ſon eſſe ſemplici nel ſenſo d'indiviſibile, ciò che Cicerone dice altrove .
Teniamo noi che l'animo abbia tre parti , come piacque a Platone, o ſia
ſemplice ed uno ; ſe ſemplice ſia egli come il foco , il fangue , l'anima ,
cioè il ſoffio . Queſte coſe conſtando di parti non ſono ſemplici. Continua
Cicerone . ( c ) Ma penſano, che di tutte ſia ſoggetto una certa materia priva
di ogni specie , e d ogni qualità , e da eui Butte le coſe ſono eſpreſſe e
fatte , e che può ricever in sè tutte le coſe . Se la materia era prima d'ogni
fpecie , d'ogni qualità , non cra corpo , e perciò conſiderata dalla mente ,
indipendentemen te dalla forza , ella era incorporea ; Selto Empirico chiama
per . incorporei i punti, le linee , e le ſuperficie . .. Platone nel Timeo ,
la chiama difficile ed oſcura fpecie , e il recercacolo d'ogni generazione, e
quali nutrice ; aggiunge , che ella non fi diparte mai dalla propria potenza ,
perciocchè tut te le coſe riceve , nè prende maiper alcun modo, alcuna forma a
queſte fimile , e prova eller convenevole , che di tutte le ſpecie ſia privo
quel. che ha in sè da ricever tisti'i generi, comequelli che hanno da fa re
unguenti odorofi, l'umida materia , che vogliono di certo odore, cori dire di
tal guiſa preparano ', che ella non abbia alcun proprio odore e colore eziandio
, vogliono in materie molli imprimere alcune pgure , los niuna mur' n. pro
latino ) ignis , & aqua , & terra prima ſunt. Ex iis au tem' orræ
animantium formæ earumque rerum quæ gignantur è ter ras, ergo illa initia , ut
è Greco vertam , elementa dicuntur ; è qui bus aer , & ignis movendi vim
habent & efficiendi ; reliquæ par tes accipiendi & quafi patiendi,
aquam dico & terram . a ) Contra Mathematicos. ( b ) Quintuin genus e quo
eſſent aſtra mentesque ſingulares earum quatuor quæ ſupra dixi diſſimiles ,
Ariſtoteles quoddameſſe rebatur . ( 6 ) Sed Salicetam putant oinnibus fine ulla
fpecie , atque carentem omni illa qualitate o ... materiam quandam ex qua omnia
eſptela , atque effecta lipt qux'- tota omnia accipere pofito ( 14 ) 1 njuna
figura affatto laſciano primieramente apparire in quelle , ma cer cano pria di
renderle quantopoſſibil fra polite. Molte altre coſe aggiunge Placone , che Ariſtotele
in una de finizione riduce , dicendo che la materia non è alcuna di quelle co
fe , di cui l'ente fi determina , e tra l'altre coſe annovera la qua lica , e
la quantità , che par Cicerone ridurre alla ſola qualità ; ma che l'idea del
corpo , e della materia foffero diverſe ſecon do gli antichi , lo dimoſtrano le
diverſe parole , con cui l'eſpri mevano , chiamando la materia ùns, ed il corpo
owllde. Chi po ne un nome , dice Platone nel Sofiſta , dalla cofa diverſo ,
introdu ce veramente due coſe . La materia dunque, non eſſendo il corpo , ella
era incorporea , ed incorporea la chiama in molti luoghi Sefto Empirico , e
Plotino , la cui autorità qui è tanto più for te , quanto che egli ſteſo col
nome d'incorporeo , non ſignifi cava la ſteſſa coſa che noi chiamšamo
fpirituale . Stobeo ( a ) lo conferma col dire: Si nega effer corpo lamateria
non tanto , perchè manchi degl'intervalli del corpo , o delle tre dimenſioni ,
quanto perchè ſia priva d'altre coſe appartenenti al corpo, figura, co lore ,
gravità , leggerezza, ed ogni altra qualità , e quantità . La materia pud ( b )
in tutti i modi mutarfi , ed in ogni parte non mai ridurſi al niente, ma ſolo
in parti che poſsono all' infinito partir li, e dividerſi , nulla eſſendo di
minimo in natura , che divider non fi pola. Le coſe poi che ſi movono tutte',
moverſi con intervalli , che all'infinito ſi poſſono dividere , e cosi'
movendoſi quella forza , cheab bian detta qualità ( cioè il corpo ) e di qud ,
e di là verſando per fano , che tutta affatto la materia fi muti , efi faccian
le coſe, che chix miam quali, dalle cui nature coerenti, e continue in tutte le
ſue parti è fatto il mondo , fuori di cui non v'è alcuna parte di materia , nè
abas cun corpo . Quante coſe raduna Cicerone in poche parole ! Con la divi fibilità
all'infinito della materia , eſclude gli atomi forſe ammeſ da Empedocle ne'
minutiſſimi corpicelli , che componevano gli elementi, e da Eraclito nelle
mondature piccioliflime , ed indivi fibi ( a ) Stobeo. I. 1. Egl. fil. cap .
14. 16 ) Omnibusque modismutare atque ex omni parte eoque etiam interi se non
in nihilum ', ſed in ſuas partes quæ infinite lecari , atque di vidi pollint,
cum ſit nihil omnino in rerum naturam minimum quod dividi nequeat : quæ autem
moveantur omnia intervallis moveri; quzintervalla item infinite dividi poſfint,
& cum ita moveatur il la vis , quam qualitatem effe diximus , & cum fic
ultro citroque verfetur : & materiam ipfam totam penitus commutari putant ,
& ita effici quæ appellant qualia , e quibus in omninatura cohærente ,
& confirmata cum omnibus fuis partibus effectum elle mundunt, extra quem
nulla pars materiæ fit nullumque corpus . ( 15 ) Ibili . Con la coerenza delle
parti della materia , Cicerone eſclu de il vuoto negato da tutti , da Talece
fino a Platone , onde dif ſe Empedocle: Nulla di vuoto vė , nulla che abbondi.
Accenna pur Cicerone le leggi coſtanti che conſervano icore pi movendoſi, e nel
dir che fi movono con certi intervalli , i quali all' infinito ſi poffon
dividere , non applica egli le leggi del moto a' corpi minimi come a'fenfibili
? Le parti (a) del mondo effer tutte le coſe che fono in eso, e tutte occupate
da una natura che ſente , e nella quale v'è una ragione per fetta , e la ſteſsa
fempiterna , nulla effendovi di più forteche poſsa diſtruggerla , e la
steſſadirfi mente , ſapienza perfetta , e chiamarfi Dio, ed eſer .quafi
certaprudenza di tutte le coſe , cheprovede alle coſe celefti , ed a quelle che
in terra appartengono agli uomini. Se queſto Dio degli antichi Filoſofi
rifultava dalle nature coerenti e continue di tutte le parti del mondo , ſe
egli era il ſenſo , la ragione perfetta, la ſapienza , la providenza che reg
gea queſte parti , era egli altro che una modificazione della forza e della
materia , giacchè non v'era forza ſenza materia , nè materia fenza forza , e
non era egli ſeparatamente dalle co ſe conſiderato che un ente di ragione ?
Qual relazione ha que fto Dio al noſtro , che è un ente ſingolariſtimo in sè, e
fepa rato non per preciſion di ragione , ma realmente dalla forza e dalla materia
, della quale egli è il Creatore ? Alle volte lochiamiamo ( b ) neceſſità ,
perchè null' altro pud farſi , ſe non ciò che da lei è coſtituito nella quafi
fatale , e immutabile con tinuazione d'un ordine fempiterno ; alle volte poi lo
chiamiamo fortu na , la qual fa molte coſe improvvife , nè da noi penſate per
l'oſcuri. tà , ed ignoranza delle cagioni ; ed ecco Dio rappreſentato come
agente neceſſario , o ſenza libertà ; ecco diſegnato l' ordine fa tale e
ſempiterno delle coſe ; ecco come per la noſtra igno ranza non poſſiamo
conoſcere la conneſſione , e le conſeguenze delle ( a ) Partes autem mundi effe
omnia quæ infint in eo quæ natura ſentiente teneantur , in qua ratio perfecta
inſit quæ fit eadem ſem piterna : nihil enim valentius eſſe a quo intereat ,
quam vim ani mam effe dicunt mundi eandemque effe mentem fapientiamque per
fectam quem Deum appellant, omniumque rerum quæ ſunt ei fub jedtæ quafi
prudentiam quandam procurantem cæleftia maxime dein de in terris , eaque
pertinent ad homines . 16 ) Quam interdum neceſitatem appellant quia nihil
aliter poſfit, at que ab ea conftitutum fit inter qual fatalem ,
&immutabilem conti nuationem ordinis fempiterni ; nonnunquam quidem eandem
fortu nam , quod efficiat multa improviſa hæc nec optata nobis propter obſcuritatem
ignorationemque cauſarum , ( 16 ) delle cagioni , e degli effetti loro . In
ſomma l'antica Filoſofia aveva adotata l' eternità , l' animazione , la
divinità del mondo , e l'immutabilità del Fato , le quattro coſe che Santo
Agoſtino ha egregiamente combattute nella Città di Dio . Comparando il trattato
d' Ilide , e d' Ogride di Plutarco col paſſo di Cicerone , non è difficile di
raccogliere, che la Filoſo fia Egizia ne' principi eſſenziali non era diverſa
dalla Greca , ſe non nella maniera di ſpiegarſi o ne' ſimboli . La materia , di
cui parla Cicerone , era Ilide , la quale in ogni coſa potea tramu . tarſi, e
di tutte le coſe eſer capace , della luce , delle tenebre , del giorno, della
notte, della vita , della morte , del principio , e del fi ne . La forza è
Oſiride , la cui veſte ſi facea ſenza ombra , e ſenza varietà , d'un color
ſemplice , e rilucente ; perchè ella è il principio dalla noſtramente ſolo ,
intefo , puro, e ſincero, tutt' iſimbolicontrarj a quelli delle proprietà
dipendenti dalle qualità de' corpi diſegnati per Oro . Riſultava queſti
dall'accoppiamento d'Ilde , e d'Oſiride, e chiamavaſi parto o creatura ,
rappreſentandoſi per l'ipotenuſa del triangolo miſurata dal 5 ; per cui ſi
chiamava con la voce Pente , da cui deriva Panta, o l'Univerſo , che gli Egizi
penſavano eſſer la ſteſſa coſa con Dio , nel che, come egli dice , s'accordava
Ma netone Sebenita con Ecateo Abderita . Diodoro di Sicilia nel principio della
ſua Storia , ſcrive coſa pen {aſſero gli Egizj su la generazione del mondo ,
ſul principio del le coſe , ſul naſcimento dell'Uomo. Par che Euſebio afcriva a
Tot , che è il Mercurio degli Egizj , quanto ſcriſſe Sanconiatone ſul caos, e
ſulla formazione della Luna , delle Stelle , degli Elementi . La Teologia
miſtica dei Fenici , che dagli Ebrei , ſecondo Euſebio ed altri Padri , ſi
preſe , reftd in guila alterata e confuſa, che nel caos poſero prima i principj
delle coſe, ed introduſſero poi l'arte fice o l'amore , per opra del quale
ordinarono il caos , é fabbrica rono il mondo . Orfeo il primo la portò nella
Grecia e L'Inno criſto canto del caos vetufto , E come agli elementi , e come
al Cielo Origin deffe, ed alla vaſta terra , E alla profondità del mar Amore
Antichiſſimo, e ſaggio . Il caos era la materia , l'amore , o la forma, ed i
prodotti, i compoſti, ed i corpi, ed in queſte tre coſe conſiſtea la fiſica
generale degli antichi . La ſcienza che n'eftraſſero o la metafi fica
rappreſentandola in una maniera molto indeterminata , la ſciava infeparata la
materia da Dio , e dai compoſti , ed era molto perciò differente dalla noſtra
metafiſica, la quale nell' en te include eſſenzialmente le creature , nè
s'eſtende che per un ' 9 1 5 ܗܳ ana ( 17 ) analogia molto lontana al Creatore . Io lo
dimoſtrerò partita mente ne' liſtemi di Pittagora , di Senofane, e di Parmenide
, e ſarà facile ad applicarne l'uſo a Platone . Pittagora e Platone ( a )
giudicano , che il mondo ſia ſtato fatto da Dio : dunque le Platone fece da Dio
generar il mon do ordinando la materia fluctuante , egli imparò ciò da Pitta
gora , che l'avea imparato dagli Egizi, da Orfeo , anzi dal pro prio maeſtro (
6 ) Ferecide Sciro. Avea egli ſoſtenuto , che in tut ta l'eternità Giove , il
tempo , e la terra erano ſtati. Facciali pur di Giove, la cagione di tutte le
coſe , e gli ſi dia ſomma pruden za , e fomma ſapienza , egli non ſarà mai che
la forza , e l'amore che eguaglieraffi al tempo , e alla terra ; vi ſi aggiunga
, che poi chè Giove diede il premio alla terra ſi chiamò queſta Tellure, ( c )
non altro mai ſi concluderà , ſe non che prima la forza , e l'amo re
temperaffe, digeriſſe , ed ornaſſe quella mole indigeſta , che chiamavali terra
. Pittagora generò il mondo dal foco , e a guiſa di foco ſotti liſſimo ( d )
Iparſo, e rinchiuſo nel mondo , volea Placone , che foffe Dio . L'ornamento , (
e ) l'unione , l'ordine di tutte le coſe furono chiamate da Pittagora Coſmos, o
il mondo, e diffe egli , che il mondo viſibile era Dio . Stimò il primo , dice
Cicerone ( f) l'animo per tutta la natura delle coſe eſer diffuſo , e per la
mente da cui gli animi noftri ſono tratti , ne vide per la detrazione di que
fti diſtaccarſi , e ſquarciarſi Dio , e farſi miſera una parte di lui , mentre
queſti ſoffrivano. Dio dunque era il mondo , e l'anime era no parti di Dio ,
effetto della Metempficoſi, ſe pur non era queſta una coſa affatto poetica,
come Timeo di Locri lo dice . Virgilio eſpreſſe il ſentimento di Cicerone nelle
Georgiche. * Della mente di Dio parci efſer l' api, E forfi eterei differo ,
che Dio Va per tutte le terre, e tutti i mari , E pel profondo Ciel ; quindi
gli armenti, E le pecore , e gli Uomini, e ogni ftirpe Di fere, e ogni altra ,
che da se rimove La tenue vita allorchè naſce . Tomo II. E nell ( a ) Plut. de
Ifid.& Ofir.car. 374. Franc. Edit. Vechel . ( 6 ) Laert. (C ) S. Clem .
Aleſs. ( d ) San Giuſtino apolog. Ermia nel fine dell'opere di S. Giuſtino. (
e) Plut,plac.lib.2 . ( 1) De Natura Deor. I. 1 . Elle apibus partem divinæ
mentis , & hauſtus Æthereos dixere : Deum namque iré per omnes Terrasque
tractusque maris Columque profundum . Hinc pecudes , armenta , viros , genus
omne ferarum Quemque fibi tenues naſcentem arceſſere vitas . 1.4. Georg. . C (
18 ) E nell' Eneide , * Nel principio le terre , il Cielo , e i campi Liquidi,
e della Luna lo fplendente Globo , e gli aſtri Titanj , interno fpirco Alimenta
, ed infuſa in ogni membro Tutta la mole n'agica la mente E fi framiſchia nel
gran corpo ; quindi E di pecore , e d'Uomini la ftirpe, De volanti la vita ,
e'l mar che i moftri Sorco la liſcia ſuperficie porta . no , Pittagora fu
l'autor dell'idee ; (a ) oſervd il primo tra'Greci che la mente non potendo
rappreſentarſi ſingolari, perchè ſono in numerabili nel compararli, ne traſfe
igeneri, e le ſpecie , ne'qua li ſi ravviſano le coſe ſparſe . Così ravviſava
tutti gli individui umani nell'animal ragionevole. Nel far queſti aſtratti ( 6
) conſide rò , che la materia era mutabile , alterabile , Auflibile in ogni gui
fa , ma che non vi ſono ſpecie , che s'accreſcano , o che perifca e perciò gli
Uomini oſſervandole coſtantemente in tutti i tempi, e in tutti i Paeſi le
credono eterne ed immutabili . La que ſtione era di rappreſentar queſt'idee. I
numeri convengono all'Uomo , al cavallo , alla giuſtizia , al la caſa , e a che
so io ; dunque i numeri ſono univerſali , perchè atti alla rappreſentazione de'
molti. L'oſſervazione è d'Ariſtotele , ( c ) e molto più la ſtende Poſſidonio ,
riferito da Seſto Empirico , ( d ) il qual dimoſtra per i numeri aſſimigliarſi
cutte le coſe , e ſen za queſti non poterſi intendere nè gli elementi, nè
l'armonia , nè alcuna delle tre dimenſioni del corpo , nè ciò che riſulta da
corpi uniti , coerenti , diftánti, nè tutti i calcoli delle quantità fùccef five,
nè ciò che appartiene alla vita , ed all' arti fondate su propor zioni ſolo
intelligibili per i numeri . Pitragora dunque ſi ſervì del numero , per dar un
ſimbolo dei due principj delle coſe, la forza , e la materia , di cui chiamò
l'una l'uno , e l'altra il due . L'unità , diceva egli , è Dio , ( e ) ed anche
il bene che è di natura * Principio Coelum , ac terras camposque liquentes
Lucentemque globum Lunæ Titaniaque altra Spiritus intus alit : totamque infuſa
per artus Mens agitat molem , & magno ſe corpore miſcet. Inde hominum
pecudumque genus vitæque volantum , Et quæ marmoreo fert monſtra ſub æquore
pontus . ( a ) Plut. plac. Phil. l. 1. ( 6 ) Plut. ib . l. 1. c.9 . ( c ) Metaf
. lib . 10. ( d ) Contra Logicos . ( e ) Plut. plac . Phil. lib. 2 . ( 19 ) un
ſolo , e lo ſteſso intelletto , il due infinito , e genio triſto , d'inser
torno il qual due ſi fa la quantità della materia . Chiamava uno la forza
perchè noi la concepiamo a guiſa d'un non ſo che d'indi viſibile ; chiamava due
la materia , perchè ella è fempre divil bile in due , Di queſti due principj,
uno è quello del bene , e l'altro del male, già l'ha inſinuato Plutarco.
Archelao Veſcovo ( a ) di Cara dice ; Širiano introduce la dualità contraria a
ſe ſteffa , la quale egli preſe da Pittagora , ſiccome tutti gli altri
ſettatori di tak dogma, ; quali difendono la dualità declinando dalla via retta
della ſcrittura . Tutte in ſommal'ereſie , che vi ſono nel compendio della Filo
fofia di Cicerone , che vuol dir l'eternità , l'animazione , la divis nità del
mondo , Piccagora le raccolfe in un ſiſtema , ed in vano fi dice, che egli
nulla fcriveſſe . Liſide diſcepolo ( b ) di Pittagora in una lettera fcnca ad
Ip parco , dopo la morte del maeſtro ſignifica non voler comuni care ad alcuno
i precetti, e dimoſtra che delle coſe , le quali di ceano i ſeguaci di
Pitcagora , non ve n'era nè pur ombra. Por firio nella vita di Pittagora dice ,
che agli Uomini oppreſli da tale calamitat, ( cioè dalla morte di Piccagora ) :
manca lo ſciens di lui , la quale arcana e recondita cuſtodida in petto , nè vi
reftas fono che certe coſe difficili da intenderſi imparate a memoria dagli udi
tori dell'eſterna Filoſofia, poichènon v'era alçun ſcritto di Pittagora ; ed
aggiunge ,che dopo la morte di lui „ Lilide , Archippo ,ed altri furono
folleciti , chei penſieridiPiccagora non ſi pubblicaffero , onde eutti gli
arcani della ſua Filoſofia con lui perirono'. To dubito aſſai del la vericà
della lettera di Liſide, la quale con quel che dice Porfirio pud eſſere ſtata
finta ,perchè i Criſtiani nontraeſfero argomenti da quanto ci reſta diPitagora
, in Cicerone, in Plutarco , in Laer zio : ma ſe non v'era coſa alcuna della
Filoſofia di Pittagora ,.co me poi Jamblico poeea gloriarſi di riftabilirla ; e
non è manifeſto che egli la riſtabili a fuo modo per combattere i Criſtiani
de'quali fu accerbo' nimico ; lo ſteſſo Porfirio , che dice nulla aver fcric to
Pittagora , come poi ebbe fronte d'afferire , che egli avea ſcrit to fu l'ente
, il che Euſebio ( c ) riferiſce ? Diſcepoli di Pitcagora furono Archita
Tarentino il vecchio , Pe ritione , Timeo di Locri, ed Epicarmo. Archita il
vecchio ( d ) , che Simplicio confonde col giovine , fcriſſe delle dieci voci
corriſpondenti ai dieci concetti dell'animo , i quali s'eſtendono a cutte le
cole , potendoſi d' ognuna cercar la ( a ) Zaccagna collect. monumentorum
veterum Eccleſiæ Græcæ , atque Latinæ . Archelai Epiſcopi acta . ( 6 ) Galeo .
( c ) Propof. Evang, lalg . (d ) Patrizia diſcuſ, Peripa,1 ( 20 ) la ſoſtanza ,
la quantità, la qualità , l'azione , e gli altri acciden ti regiſtrati a lungo
da Ariſtotele nella ſua Logica , in cui copiò il trattato di Archita . Lo
Stanlejo , che pretende di numerare tutte le donne Pitcago riche , omette
Peritione, e pur eſser ella dovea la più celebre ,le da lei trafse Ariftotele (
a ) tutta l'idea della ſua metafiſica . Lo prova con molta erudizione il
Patrizio , allegando la definizio ne della fapienza di Peritione , e
comparandola con quella di Ariſtotele. Laſapienza , diceva ella , verſa in
tutt'i generi degli en ti , perchè verſa intorno tutti gli enti , come la
viſione intorno tutti i viſibili. Ariſtotele definì la metafiſica, per la
ſcienza che contem pla l'ente , in quanto ente , e le coſe che per sè gli
convengono . Peritione egregiamente ſpiegò gli accidenti dicendo : delle coſe
che accadono agli enti , alcune univerſalmente accadono a tutti , alcu ne altre
a molti di loro , e certe ad un ſolo , ma riguardar univerſal mente , e
contemplar tutti gli accidenti appartiene alla ſcienza . Que. fte ed altre cole
che ilPatrizio aggiunge, danno idea della preci fione , e nettezza di Peritione
, e nel tempo ſtefso quanto tra' Pittagorici erano familiari l'idee
Pittagoriche , ſe le donne ſtef ſe ne ſcriveano con tanta eleganza filoſofica ·
Non dobbiamo tuttavia meravigliarſene , di poi cheabbiam veduto ne’noftri gior
ni Madama la Marcheſa di Chatelet , ſcrivere ſulla natura del. le monadi
Leibniziane , queſtione molto più oſcura di quella dell'ente . Timeo di Locri
nel ſuo ragionamento ſull'anima del mondo , in queſta univerlità di natura ,
dice egli , v'è un certo che, il qual rimane , ed è l intelligibile eſemplare
delle coſe , che ſono in un fuſo perpetuo di mutazioni, e queſto nelle vicende
delle coſe ſingolari , co ftante, e perpetuo eſemplare ſi chiama idea , ed è
dalla mente compre fo . Nell'univerſità dunque delle coſe , che vuol dir dentro
le coſe o in cutti i compoſti v'è quel non ſo che , che mai non cangia , e può
dalla mente eſtrarli qual idolo . Le coſe ſenſibili eſser in un perpetuo fluſso
lo diſsegnarono , al dir di Platone , nell'Omero , ed Eſiodo ſotto l'imagine
dell'Oceano , e di Te ti , e di queſte non aſsegnarono fcienza i Pictagorici ,
ma ſolo di quelle , che nè col ſenſo , né coll' immaginazione ſi ravviſa no , e
queſta fu la prima differenza tra la Filoſofia Jonica , e l'Italica . Epicarmo
ſommo Poeta , come Omero al dir di Platone , so all' una grandezza d'un cubito
( diceva egli ) altra tu voglia aggiun gervi o ſottrarsi, non avrai mai certo
la Nera miſura ; gli Uomini pa rimen ( a ) Patriz. l . 2. cap. 1. diſcuſ.
Perip. ( 6) Ragion, ſu l'anima del Mondo . ( 21 ) rimente conſidera or
accrefcere , ed or decreſcere , tutti ſoggiaciono ai cambiamenti del tempo . (
a ) Jeri tu fofti un altro , io pur vi fui, E un altro ſiamo in queſto tempo ,
e fieno Di nuovo gli altri , che non mai gli ſteſſi Noi ſiamo , come la ragion
lo predica . Per l'Intelligibile così parlo : A. L'arte tibicinal è qualche
coſa ? B. Perchè no . A. Forſe è l' Uom queſta tal arte ? B. Non mai A. Vediam
, che coſa queſto ſia Tibicine B. Egli è un Uom ; non dico il vero ? A. Il ver
ma ftimi che non debba diri Ciò pur del bene ? Io voglio dir che il bene Una
coſa pur ſia , ma s'altri impari Ad effer buon ei già dirafli buono ; Il
Tibicine è quegli che la tibia A ſuonar imparò. Quel che a ſaltare Salvatore ,
e ceſtor quegli che a teſſere Impararo , e così d'ogni altro l'arte Certamente
non è , ma ben l'artefice . Nel dir Epicarmo , che il bene è una coſa come
l'arte , e che nè il buono , nè l'arte ſono gli uomini che la partecipano, egli
c ' inſegna a far le aſtrazioni della mente , la qual avendo comparato tra loro
molti Uomini che fien buoni , molti tibicini , molti falcatori e teſtori , ne
ha compoſto quell'idea , che poi convie ne a tutti . Queſt'idea reſtando ſempre
la ſteſſa in tutti i tem pi , ed in tutti i caſi, per quanto variano i
temperamenti, e le figure degli Uomini, li confidera ſempre nello Iteſſo modo ,
ed è principio del diſcorſo , o di ciò che nel Teeteto ſi chiamano analogie
ſcoperte , le quali nel raccogliere le coſe col mezzo de' ſenli , le fanno
comprendere la ragione. Epicarmo era contemporaneo di Senofane, come ſi diffe ,
ed eccoci a ' Filolofi più vicini a Socrate, ed indi a Platone , i qua li a
poco preffo ſi trasfuſero le ſtelle idee non diverſificate , che dalla maniera
d'eſporle, e di colorirle . Senofane, dice Euſebio , e quelli ( 6 ) che lo
ſeguirono , moſfero così con ( a ) Laerzio Vita di Platone . ( 6 ) Lib. 11.
cap. 1. Prep. Evang. ( 22 ) 1 . 1 contenzioſe ragioni , che piuttoſto
arrecareno a' Filoſofanti confuſio ne , che ajuto . Pittagora volea che il
mondo foffe eterno , benst come gli altri Filoſofi , quanto alla materia , ma
non quanto alla forma, poichè credea che foſſe ſtato generato dal foco; Se
nofane pofe il mondo non generato , ma eterno , 'aderendo ad Ocello Lucano ,
che fcriffe fu l'eternità del mondo prima d'A. riſtotele ; ecco la prima
differenza tra Senofane, e Pittagora Un'altra più forte ve n' era ; Pittagora
avea pofti per principj l'uno , e il due , Senofane riduſſe tutto all'uno ,
Senofane", dice Cicerone ( a ) , è più antico di Anafagora ; vuel che uno
fieno tutte le coſe , nè queſto uno è mutabile , ed è Dio non mai nato , e
ſempiter no , e di conglobata figura . Seſto Empirico ( b ) parlando per bocca
di Timone foggiunge, che fecondo Senofane l' Univerſo era una fola coſa , che
Dio eſiſteva in tutte le coſe , e che era di figura sfe rica , e di ragione
dotato . Ad Empirico ſi conforma Laerzio ( c ) dicendo , che ſecondo Senofane ,
Dio nella materia tutto udiva tutto vedeva , ſebben non reſpirale, e che tutte
le coſe inſieme erano la prudenza , la mente , l'eternità . Io dimando, ſe nel
far Dio fparfo per tutte le coſe, e fen ſitivo, e prudente, e intelligente,
differiva egli dall' opinione che Cicerone eſpoſe nel compendio della Filoſofia
? Non v'è che la figura sferica che gli aſſegna Senofane , e per cui non
infinito , ma finito lo rende ; ma chi fa , fe nel concepir gli antichi la figu
ra sferica , comela più ſemplice , intendeſſero ſimbolicamente d'ac tribuir a
Dio tutte le perfezioni ? converrebbe faper fe Senofane fcriſſe ciò in profa,
od in verſo , e ben eſaminare tutto il conte fto della fua dottrina . Non
reſtandoci che conghietture , io m'at tengo a quella del ſimbolo per accordar
Cicerone con ſe ſteſfo , il quale nella natura degli Dei combatte Senofane, che
aggiunſe la mente all'infinito . Queſt'infinità era una conſeguenza del fuo
ſiſtema , perchè ſup poſta l'eternità della materia cost argomentava : ( d )
Eterno è cid che è , se è eterno è infinito , fe infinito uno , ſe uno fimile a
sèl . Di nuovo ſe l' uno è eterno e ſimile , egli è ancora immobile , fe
immobile non ſi trasfigura per poſizioni, non ſi altera per forme, non ſi
miſchia con altri . Ariſtocele elamina i ſoffiſmi contenuti in queſto ragio
namento ; il principale è ; da ciò che il mondo è ecerno , infini to , uno ,
non ne fiegue che egli lia effettivamente immobile , per che le coſe eſiſtono
nella maniera che poſfono eſiſtere, e la materia ſe ſteſſa il principio del
moto non v'è contradizione a cont ( a ) Queſt. Acad. lib. 1 . ( 6 ) Lib . 1.
dell'ipotipoſi . ( c ) Laert. lib. 9. idí Arift. contra Xenof, Zenon. &
Gorgiam . eſſendo per i 2 ( 23 ) a concepire, che il moto ſia eterno come la
materia . Coloro che ammettevano il caos eterno , davano eterno il moto , ſebben
ſen za regola o forma . Non ſi cerca qui però , ſe concludeſſe l'argomento di
Seno fane , ma ſolo qual foſſe la ſua ſentenza , e coſa egli ne dedu ceſse .
Come poi accordarla colla ſua fifica? Ammetteva egli per principj ( a ) delle
coſe naturali la terra , il foco , l'aria , e l' acqua , e dalle alterazioni di
queſti elementi, rendea tutti i miſti a generazione, e corruzione ſoggetti.
Grand uſo fece di quefte due coſe , perchè, ſecondo lui , conſiſteva il So le
negl'ignicoli raccolti dall umida (6 ) eſalazione in una nuvola ignita , e la
Luna in una nuvola coſtipata . Manon era poſſi bile decerminare il grado di
verilimiglianza filoſofica ch'egli da va all'Ipoteli, poichè nelle ſentenze
filiche di Senofane y' è mani. feſta contradizione . Poneva egli de' Soli
innumerabili , e la Lu na abitata . I ſoli innumerabili erano quelli de'
Pitcagorici , e di Orfeo ( C ) ; ma come abitar una nuvola ? La terra ( d ) la
quale per immenſa profondicà fi ftendea di ſotto , era coſa ri pugnante alla
sfera armillare che Anaſimandro forſe di lui, maeſtro avea inventata o
propagata per cutta la Grecia . Cor revano allora tali dottrine, e Senofane ,
in Colofone, in Atene, in Sicilia , e in Elea le avea ſtudiate ; avea Talęce
calcolate l'eccliffi del Sole, e della Luna , avea Pittagora applicare al
liſtema celeſte le conſonanze Muſicali, e nella lira a lette corde determinato
il pu mero , e le diſtanze de' Pianeti ; non è poſſibile , che Senofane in un
tempo così illuminato voleſſe diſcredicare il ſuo ingegno con ipoteſi aſſurde e
ad ogni ragione contrarie ; non erano dunque , che idoli fantaſtici, iperboli
poetiche, o ſimiglianze groſſolane, in cui ſi deve più badare al color, che
alla coſa . La grande difficoltà di Senofane era nel combinare il fiſico col
metafiſico , o lo ſtato ideale con l'obiettivo . Avea già ſtabilito Pictagora ,
l'intelletto altro non eſſer che ( e ) mente , ſcienza , opi nione , ſenſo, da
cui tutte l' arti, e le ſcienze nacquero. Egli diſse gnava la mente per l'uno ,
ciò che adeſſo noi chiamiamo lemplice intelligenza ; diſegnava la ſcienza pel
due , poichè s'acquiſta la ſcienza deducendo una coſa da un'altra ; diſsegnava
l'opinione per il tre , poichè nel trar la conſeguenza da un principio proba
bile ſe ne riguarda nello ſteſſo tempo due , in uno de'quali v'èla ragion
ſufficiente d'affermare, nell'altro di negar la coſa . I Pit 3 ta ( a ) Laert.
vit. di Xen. Plut. plac. ( 6) Plutar. lib .... Origenes Philoſ. ( c ) Veggali
Moefenio ſu l'eſiſtenza d'Orfee . Plutar. plac. de Fil. lib.i. ( d) Gregorii
Aſtronomici Pref. ( c ) Plutar. lib. 1. de plac. ( 24 ) tagorici furono tutti
dogmatici , o per dar credito alle ſentenze del ſuo maeſtro , o perchè pareſſe
loro , che la fapienza non do veſſe mai eſſer miſtad'ignoranza , come accade
nell' opinione milta dell' una , e dell' altra . Senofane fu il primo ad
introdur il dubbio nella Filoſofia, e quindi l'opinione. ( a ) Chiaro l'Uomo
non ſa , nè ſaprà mai Degli Dei coſa alcuna ed altre coſe Che da me dette fur ,
ſiaſi perfetto Pur quanto ei dice , tuttavia non fallo , E v'è opinion in tutte
queſte coſe . Da queſti verſi Seſto Empirico inferiſce , che Senofane non to
glica la comprenſione, ma ſolamente quella che dalla ſcienza de riva ; nel dire
in tutte queſte coſe d'è opinione accenna il proba bile , e l'opinabile , onde
conclude che Senofane deve porſi tra coloro , che negano darſi criterio della
verità , e non tra gli ac cattalecici , che negavano alcuna coſa poterſi da noi
compren dere . L'autorità di Selto Empirico è d'un gran peſo , ove ſi tratta di
determinare i gradi della cognizione , ma non è da ſprezzar fi ciò che dice
Cicerone ( b ) : Senofane e Parmenide quan tunque con non buoni verſi però con
certi verſi accufano quaſi irati d'ignoranza coloro , che ofano dir di ſaper
qualche coſa allo ra che nulla fanno . Chi dice nulla eſclude ogni ſcienza , ed
ogni opinione . Senofane ſi diſtinſe per la Logica , ( c ) e ſecondo la Cro
nologia di Euſebio , (d ) egli fu udito da Protagora , e da Nef ſa ; Metrodoro
udi Nefra ; Diogene Metrodoro ; Anaſarco Diogene, e coſtui Pirro d' Elea , dal
qual ebbero nome i Filo ſofi Scercici fino a Gorgia , il qual diceva : Non v'è
nulla ; ,fe anche vi foſe qualche coſa , non ſi potrebbe comprendere , e ſe
compren dere , non mai ſpiegare con le parole . Come inoltrarſi dopo tale raf
finamento di dubbj ? Tra i diſcepoli però di Senofane il più illuſtre fu
Parmeni de deſcritto da Platone nel Teeteto qual vecchio grave , e vene rabile
e di una profondità al tutto generoſa , il che vuol dire, ſe mal non m'appoogo
, che egli nella diſputa non era oſtinato , ſu perbo , rozzo ed agreſte, come
Ariſtotele ( e ) dipinge Senofane è Meliſſo . Socrate in quel Dialogo , ed in
altri s'aſtiene quanto pud ( a) Xenoph. ap . Seſt. Emp, adv. Matem. ( 6 )
Queſt. Acad. l . 2. ic ) Eufeb.1.6 . C. 19. ( d ) Id. l . 12, c . 7. ( c )
Metaf. lib. ... ( 25 ) può di ragionare contro le ſentenze di Parmenide per la
rive renza che ad eſſo portava . Euſebio ( a ) caratterizza la dottrina di
Parmenide , qual via contraria a quella di Senofane . Ermia però , dice
Parmenide in bei verſi, c'inſegna che queſto Univerſo è eterno, immobile , e
ſempre ſimile a ſe ſtero . Lo ſteſſo Euſebio credeva, che ſecondo Parmeni de
l'univerſo foſſe ſempiterno , ed immobile . Stobeo riferiſce , che Senofane,
Parmenide, e Meliſſo colſero affatto la generazio ne , e la corruzione. In che
dunque diſconvenia Parmenide da Se nofane , ( 6 ) Ariſtotele chiaramente lo
ſpiega nell' accennar la dif ferenza che v'era tra Parmenide e Meliſſo ,
dicendo : volea Par menide, che tutto foſe uno ſecondo la ragione , e Meliſo
ſecondo la materia , e da queſti due differiva Senofane, che chiaramente non
dif ſe nè l'uno , nè l'altro . Eſer uno ſecondo la materia , è il medeſimo che
ritrovar nell eſſenza della materia la ragion ſufficiente dell'unità della
ſteſſa . Ed in fatti una è la materia , fe in tutte le parti e nel tutco e
nella medeſima fpecie è omogenea , qual Cicerone la deſcrit ſe nel compendio
della filoſofia , e l'ammiſero Platone , ed Ariſto tele . Cicerone rammemora
ancora la forza , utrumque in utroque , ma conſiderando forſe Meliſſo , che gli
effetti della forza, o ſieno le forme, ed i modi aggiunti ſucceſſivamente alla
materia , non mai erano continuamente cangiando , gli eſcluſe dall'eſſenza , e
in con ſeguenza dall'unità della materia ; ma ſe una era eſſenzialmente la
materia , uno era il mondo o l'univerſo , che da eſſa riſultava e ſe uno in ſe
ſteſſo indiviſibile , eterno , ed immutabile . Malgrado dunque le continue
aggregazioni delle parti ne' loro tutti , e le continue diſſoluzioni de'tutti
nelle lor parti , malgrado le altera zioni , le generazioni, e le corruzioni,
contemplando Meliſo l' univerſo nella parte effenziale lo credeva uno , e
immutabile in quella guiſa che è ilmare, non oſtante le continue agitazioni che
foffre da innumerabili flutti . Se tal era la ſentenza di Meliſo, ella non è
men empia ri ſpetto a noi, che ridicola preſo i Pagani , perchè la materia , fe
condo lo ſteſſo Cicerone , non può aver coerenza , e in conſeguen Tomo II. d za
( a ) Cap. 5. l. t. Præp. Evang. ( 6 ) Parmenides unum fecundum rationem
attigiffe videtur , Meliſſus vero fecundum materiam , quare id & ille
quidem finitum , hic ve ro infinitum ait effe , Xenophanes autem quando prior
iſtis unum poſuerat ( nam Parmenides hujus auditor fuiffe dicitur ) nihil tamen
clarum dixit , & neutrius eorum naturam attigiſſe videtur , ſed ad folum
coelum refpiciens ille unum ait effe Deum . Metaf, Arift. l . 1 . cap . 5.
ediz, Parigi ( 20 ) 1 1 1 4 > za unità , ſe non è ritenuta da qualche forza
, e la continua ſuccef fione delle forme conſiderata affolutamente in ſe ſteſſa
, non è me no eſſenziale al mondo , che alla materia . Ragionava dunque più
ſottilmente Parmenide ; dalla materia , e dalla forza , dalla ſoſtanza , e
dall'accidente , avea coll'aſtra zione della mente dedotta l'idea dell'ente e
dell'uno, e preten dea che l'uno nel ſuo concetto aſtrattiflimo preſcindeffe da
tutte le forme, e le differenze dell'ente ſteſſo . Il P. Maſtrio quali tre
mille anni dopo ebbe una fimile idea , poichè egli vuole che l'en te in quanto
tale preſcinda dal finito , e dall'infinito , da Dio , e dalle creature e la
ſentenza è ſeguita da tutti gli Scotiſti . Qualunque ella fiali , certo è che
come quella di Parmenide curta opera della ragione più raffinata , e che ben
diſſe Arifto tele , che l'uno di Parmenide era tutto ſecondo la ragione, non
che la ſentenza di Meliſſo ancor non lo foffe , ma egli nel fondarla tutta
ſulla materia croppo s'accomodava ai pregiudizi del ſenſo . Da Parmenide , e da
Meliſſo ſi diſtaccava Senofane, il quale ef ſendo il primo a ragionare
dell'immobilità dell'ente e dell'uno , s'at tenne alla concluſione ſenza
ſpiegar il metodo con cui la deduſſe. Ariſtotele ( a ) che avea diviſe le loro
fentenze nella metafiſi ca , par che nella fiſica le confonda dove diffe', che
altri di lo ro tolfero la generazione' , e la generazione , e la corruzione, i
quali come ben dicano in altre coſe non ſi deve perd penſare che parlino da
Fifici , poichè l'efervi alcuni enti immobili è più inſpezione di una ſcienza
ſuperiore, che della Fiſica. Non condanna dunque Parme nide , e Meliffo ,
perchè aveſſero tratcato dell'unità , ed immo bilità dell'ente, ma perchè ne
aveano fatto un punto di Fiſica , dalla quale egli eſclule il trattato delle
coſe eterne , e immuta bili , onde credendo che il mondo , e il Cielo lo
foffero , parte ne trattò nella ſteſſa metafiſica , e parte ne' libri del
Cielo; na chi può credere che Parmenide non diſtingueffe queſte due ſcien ze ,
avendo aſſegnati due principi delle generazioni, il foco , e la terra ? e
determinato che un foco ſottiliſſimo , o lia l'etere cingeſſe gli altri , e che
movendoſi in vortice raffrenaffe colla ſua rotazione ſe ſteſſo , e le coſe
contenute, ciò che è il principio de' più moderni Filoſofi. ( 6 ) Egli
componeva il mondo di molte ghirlande tra loro teſſüste , una rara , e l'altra'
denfa ; fra le ghirlan de ne poneva dell'altre meſcolate di tenebre , e di luce
, e volea che la coſa la qual a guiſa di muro le circondava forje foda , e
maliccia . Queſte ghirlande, e corone erano i vortici di Empedocle, dei qua li
egli dice parlando de caſtighi de'genj. Quelli ( a ) Ariſt. Fiſic. lib. 1 , ( b
) Plut, lib. 2. cap. 7 . ( 17 ) ( * ) Quelli nel mar ſollicitante forza Dell'
etere rifpinge , e fola ſpucali Ne’ſotterranei abimi, e nella lampada Dell'almo
Sole dalla terra cacciali , E il Sole infaticabile tramandali Ne' wortici
dell'etere . Accoppiando il paffo di Parmenide con quel di Empedocle, par che
tutti due deſſero vortici alle Stelle , raffigurando Parinenide nella luce le
fiffe , e nelle tenebre i Pianeti ; chi sa, che queſta coſa maf ſiccia non
foſſe il moto del vortice tutto luminoſo , perchè tutto etereo , il quale
impediffe con la ſua forza di rotazione lo sfaſcia mento del mondo viſibile ?
il moto della Luna , dice Plutarco , ( a ) ol'impero con cui gira , l'impediſce
di cadere in quella guiſa , che la fionda torta in giro dalbraccio impediſce la
caduta del faffo . Vuol Favorino, che Parmenide primo ſcopriſſe, che la ſteſſa
Stella pre cede il Sole la mattina , e lo fiegue la fera, o che il Veſpero è lo
ſteſſo che il Fosforo . Plinio ne attribuiſce la ſcoperta a Piccago ra, il
quale veriſimilmente la portò d'Egitto , col ſiſtema cele fte ; ma forſe
Parmenide, nella Teoria di queſta ftella , più che gli altri Pittagorici ſi
diſtinſe, come Filolao nel moto della ter ra . Filolao la facea gira r in
cerchio intorno alSole , ed Ecfan to volea , che movendoſinon partiſſe dal
proprio luogo , ma fer mata a guiſa di ruota , ſopra l'aſſe proprio intorno
quello giraffe da Occidente in Oriente ; non (6 ) aderiva Parmenide , nè a Filo
lao , nè ad Ecfanto , ma conſiderando la terra d'ogni intorno egualmente
lontana dalCielo , la ponea in equilibrio , e voleva che ſenza eſſer fpinta da
alcuna forza a queſto , o quell'altro verſo , ella fi ſquaſfaſe bensì , ma non
ſi moveſſe . Parmenide feparò il primo le parti abitate della terra fuor de'
cerchj fol ftiziali , indizio manifeſto , che egli avea proficcato delle teorie
di Anaſimandro , di cui ſi ſuol far ignorante Senofane. Tal era : il ſiſtema
aſtronomico di Parmenide : nel fiſico egli divinizzò la guerra , la difcordia ,
l'amore , e diffe : Di tutti gli altri Dei cauſa è l'amore . * Αιθέριον μεν γαρ
σφεμένος πόντον δε διώκει , Πόντος δέσχθονος έδας απέπτυσε, γαία δ' εσαύθις
Η'ελία ακαμαντος , ο δ αιθέρος εμβαλε δίνεις . Α'λος δ' εξ άλα δέχεται και
συγένεσι δε πάντες . Plut. de Ifide , & Ofiride . ( a ) De facie Lunæ . 16
) Plut,deplac . Phil. lib. 3. d 2 Cosi ( 28 ) 1 Così gli attribuiſce Simplizio
, ed Ariſtofane colle da Par menide l'amore che ordina , e fabbrica le coſe nella
commedia degli uccelli , gli altri Dei non erano, che gli elementi già di
vinizzati da Parmenide. ( a ) Empedocle l' emulò , benchè egli quattro elementi
poneſse , e due Parmenide , il foco , e la ter ra , principali architetti delle
corruzioni, e delle generazioni, e che rarefatti, o condenſati , ſi cangiano in
aria , ed in acqua . I principj, ſecondo Ariſtotele , devono eſser tra loro
contrari , e nulla v'è di più contrario , che il caldo , e il freddo , a quali
corriſpondono il raro , ee ilil denſo denſo,, ilil moto moto ,, e la quiete .
Tutto queſto ſiſtema fiſico di Parmenide eſpreſse Platone nel Sofiſta . Le mu
je Jadi, ele Siciliane, dice , a queſte poſterioriſtimaronocoſa più ſicura
d'annodare le coſe inſieme , in modo che l'ente ſia molte coſe ed uno , e ſi
tenga colla diſcordia , e colla concordia , perchè diſcordando ( 6 ) fem pre
s'accoſta egli come dicono le più forti muſe , ma le più molli non hanno voluto
, che ciò ſe ne ſia ſempre così, ma privatamente alcuna volta dicono che
l'Univerſo ſia uno , ed amica per Venere, altra volta molte , e con sè per ſeco
diſcordanſi con certa conteſa . S'io non m'in ganno , qui s'allude all'amicizia
, e alla diſcordia , o all’amore , e alla lite, che Parmenide poſe come
principj efficienti delle genera zioni , e corruzioni; molti Poeti ſtaccando
ciò dalle Poeſie di Par menide, e di Empedocle , non ifpiegarono con la lite, e
con l'ami cizia , ſe non alcunifenomeni particolari , come chi dalſiſtemadel
Newtono , il quale poſe per principio univerſale l’ attrazione ; al tri ſolo la
prendeſse per iſpiegare i fenomeni del magnetiſmo, e poi per iſpiegare
l'eletricità , la gravità ec . fi valeſse d'altro prin cipio . Non può dirſi
dunque , che Parmenide non foſse eccellente Fi fico , ſe egli allora penſava a
ciò che il Newtono pensò tanti ſeco li dopo ; ſcriſſe in verſi il trattato
della Natura , come Lucre zio , ma il Poema s'è perduto, e non ce ne reſta che
il principio conſervatoci da Seſto Empirico . ( c ) Mi portano i deſtrier , e
quant'io voglio Traſcorrono ; che già m'aveano tratto Nella celebre via del
Genio ; via Di cui m'aveano ammaeſtrato appieno Gľ ( a ) Cicerone .... 6 ) Nel
Gítema Newtoniano in tanto una parte di erta fugge da un' altra parte , in
quanto ella è attratta con più forza da un altro corpo ; quindi dall'attrazione
ſi deduce l'a repulfione. ( ) I verli ſono in Seſto Empirico contra Logicos. (
29 ) 1 Gl'infigni coridori, e dalla fama. Correndo il cocchio ſquaſsano , cui
Duce Le fanciulle precedono , ma l'aſſe Splende ſtridendo nell'eſtrema parce
De' raggi tra due fiſso orbi torniti . Allorchè s'affrettaro le fanciulle
Eliadi , e della notte abbandonando Le café tenebroſe oltrepaſsarle , Nella via
della luce al fine entraro ; Da i ſpiragli rimoſsero le vele Con man robuſta
dove ſon le porte Delle vie della notte , e della luce ; L'une e l'altre
circonda un arco immenſo , E il pavimento tutto n'è di marmo ; Agiliffime
corronvi, e s'appreſsano Colà dove tenea Dice le chiavi, L'ultrice Dea , che
premj , e pene imparte . Con parole molcendola ottennero Le fanciulle , che
all'uſcio ella fmoveſse L'interna leva . L'adattata chiave Spalancando le porte
per immenſo Foro i chioſtri ſcoperfe , mentre l'affe Si rivolgeva , e l'orbita
del cocchio , Facilmente reggean l'alme fanciulle , A cui ben pronti il cocchio
, ed i cavalli Ubbidiro . La Dea liera m’accolfe , E per la deſtra preſomi usd
meco Tali parole . Dio ti ſalvi , o figlio Dilecto figlio, che alla noſtra
Řeggia Guidarono que' nobili deſtrieri Che hanno in forte di reggere il divino
Cocchio , nè rea fortuna ti conduſse In tal via . Non è trita a paſſi umani Ma
audacemente di pregare è d'uopo I Numi , onde ti laſcino le leggi Inveſtigar
della natura , in grembo Di veritade , che a ubbidire è proſta , E de' mortali
tu fuggir potrai Le opinion , di cui non vera fede , Ma tu rimovi il tuo
penſier da queſta Via di ricerca , nè ti sforzi lunga Eſperienza delle coſe gli
occhi Figgere accenti o pur aperte orecchie Ai ( 30 ) Ai dogmi che ragion non
prova . Quello Che ti preſcrive eſperienza lunga La ſola mente dall'error
corregge . Seſto Empirico , comentando queſti verſi oſſerva , che Parmeni de
chiama gli appetiti dell'animo i cavalli , la ragione il genio , o demone , e
gli occhi le fanciulle Eliadi ; tutto il reſto è fancaf ma poetico , e,
comeSenofane , egli penſava intorno alla ricer ca del vero ; concludendo il
giudizio appartener alla ragione , e non ai ſenſi , ſenza eccettuare i due
delladifciplina , o l'udi to , e la viſta ; dogma che fu poi quello
dell'accademia , come a lungo Cicerone lo prova . I verſi fe hanno per oggetto
cofe fublimi, e leggiadramente accoppino l' allegoria all' imitazione , e all'
armonia , foddisfanno in un tempo ſtesſo , al fenſo, alla fantaſia , e
all'incellecco , ono de queſte potenze coſpirando inſieme a ben rappreſentarci
le co fe cantase , a preſtano ſcambievolmente le loro cognizioni, affin chè
troppo sfumando nelle aſtrazioni , non ſvaniſca l'idea , e le ſenſazioni, e i
fantasmi non l'offuſchino , ma ſervino alla mente di ſpecchio per ben
contemplarla. La grande arte è , che lo ſpec chio non abbia troppo d'aſprezze,
le quali non diſpergano ſover chiamente , ed affortiglino il raggio , che
turbaco non ci laſci diſcernere , dove è l'oggetto. Alla proſa dunque , ma
proſa poe tica ricorre Platone volendo appagare tutte le potenze della anima .
Ed eccoci finalmente a Platone, dopo d' aver eſaminato come Pittagora
dall'eternità , divinità , animazione del mondo racco glieſe l'idee ; le
divideſfero in certe claſſi generali i Pittagorici le diſtaccaſſero dal tutto ,
e ne faceſſero degli enti a parte ; come Senofane, il primo ricavaſſe la
concluſione dell'ente uno ed im-. mobile , come Parmenide contemplaſse ſecondo
la ragione queſt' idea , e nelle coſe fiſiche s'uniformaffe a Senofane ,
diſtinguendo ľ opinabile dal vero . Tutta queſta fabbrica era fondata ſu la
maniera di penſar di Pictagora , maniera falla , e pienamente diſtrutta da
Padri, che molto al di là del IV . fecolo non combatterono collo fteffo Pit
tagora , ma con Platone , di cui ſi debbe adeſſo rintracciare qua li influenze aveſſero
nel Dialogo la dottrina dell'idee , dell'uno immobile , e dello ſcetticismo ,
perchè egli vi parla , e dell'idee , e dell'uno , e tutto proponendo per
iporeli nulla conclude. Prima però di ſviluppar queſte cofe l'ordine della
doctrina ricerca , che favelliamo dello ſtile Platonico in generale . Profonda
e delicata cognizione della lingua Greca ſi ricerca per ( 31 ) e per ben
intendere la bellezza , la forza , e l'armonia dello ſti le poetico di Płacone
; l' Abbate Fraguier , che in tutto il cor ſo della ſua vita , l'avea con un
ſpirito molto colto nella Poeſia Greca , e Latina , ed in ogni altro genere di
belle lettere ſtu diato , ben eſaminando il ſuo ſtile , ritrovava che Platone
avea trasfuſo ne' Dialoghi l' Epico , il Lirico , ed il Dramatico . Com parava
egli la profopopea , colla quale Dio nel Timeo ra giona agli Dei inferiori
'all' ode più ſublime di Pindaro travedeva nelle narrazioni dello ſteíſo Timeo
, e in alcune del la Repubblica , la magnificenza Epica dell'Iliade . Nel paſſo
cita so di ' Ateneo ', Gorgia mal ſoddisfatto di quel Dialogo intito lato col
ſuo nome , ci dice , che un giovane, e Lepido Archilo co regnava in Atene ;
allude egli a Platone , che irritato con tro i Sofifti, non riſparmid le
accucezze, ed i ſali contro di lo ro , ma i ſali di Platone non erano aſpri, ed
ulcerofi , come quelli di Archiloco , e di Ariſtofane , ma eſtratti dallo
ſteſſo mare , in cui nacque Venere. Così Plut arco dice di Menandro , e con non
men di ragione io poſſo dirlo di Platone , che tut to comicamente condiſce con
le grazie , e con le luſinghe della Poeſia di Omero , ed ingentiliſce in guiſa
le accuſe de Sofiſti , che non mai gli affronta con quell' ingiurie , colle
quali il Re de'Re alla preſenza dell'eſercito rinfaccia Achille . L' ironia di
Socrate a ' è la chiave , ed ella è così ben maneggiata , che da alcuni ſi
crede nel Menedemo ( a) lodarſi le orazioni funebri, e pure vi ſi condannano .
L'allegoria è perpetua in tutti i Dialoghi; allegorici ſono i nu meri armonici,
di cui teſſuta è l'anima del mondo ; allegoriche le Sirene degli orbi celeſti;
allegorico il carro dell'anima, l'ali e il coc chiere; allegorici gli
Androgini, la naſcita dell' amore, la gradazionedegli animali di Prometeo, e di
Epimeteo, la guerra de gli Atenieſi contro i popoli del mar Atlantico , e
quanto diſſe dell'Iſola Atlantica , e ſulle leggi, esu i coſtumidegli abitanti;
tutto vi è finto per preparar l'idea della Repubblica , il cui modello cerca
Platone nella fabbrica ſteſſa del mondo , ed ordiſce così la men zogna poetica,
che molti s'affaticarono di ſpiegare ſtoricamente l'Iſola Atlantide, come il
Ciro di Senofonte . Più s'occulta Pla tone in certe allegorie incluſe nelle
frafi poetiche, per le qua li ſimboleggia molte coſe , e politiche, e morali, e
metafiſiche, diſegnando l'ulcime con coſe colte , o dalla muſica, o dall'altro
nomia, o dalla geometria ; tre ſcienze ( 6 ) nelle quali era fo mamente dorto
al ſuo tempo . Certo è , che ſe giuſtamente non retro s'ap ( a ) Cicer, lib. 3.
Acad. ( 6 ) Ab, Fleurì nella lode di Platone . ( 32 ) s'apprezzano le fraſi
poetiche riducendole al ſenſo filoſofico , li corre riſchio di non intender mai
, nè le parti , nè il tucco di un certo Dialogo , e ne vedremo nel Parmenide
ſteſso gli eſempj. Ebbe dunque Platone comune la poeſia con Parmenide , ma
molto egli l'accrebbe col Dialogo , modo più naturale per iftrui re , più
comodo per illuminare , adoprato da Socrate , da Seno fonte , da Stilfone,
daEuclide , da Glaucone , e al dire d'Ariſto tele da un certo Aleffamene
inventato . S'imitano col Dialogo i ragionamenti degli Uomini , come ne? drami
s'imitano le azioni . Platone che voleva emular in tutto la poeſia di Omero ,
ſi sforzo d'imitar le diſpute de Filoſofi , in quella guiſa che Omero avea
imitate le azionidegli Eroi . Ciò che al Drama è la favola e l'epiſodio , è la
queſtione al Dialogo , e la digreffione, e' nell'una , e nell'altra riuſcì
egregiamente Plato ne . Non v'è Tragedia antica , che meglio eſprima il
principio , la percurbazione, il ſcioglimento dell'azione, di quel che Platone
proponga , diſcuta , termini la queſtione , in cui ſebben nulla concluda , però
gli bafta d'aver conſumate le ragioni dall' una , e dall'altra parte. Nelle
digreffioni comincia per lenti gradi ad allontanarſi dalla queſtione , poi
ſpazia o nella Geometria nella muſica , od in altra ſcienza a fuo talento , e
ſenza che il lettore fe ne accorga , il riconduce alla prima propoſizione non
per ſalti , ma per gradi . Anche in cid imitd Omero , che al dir del Gravina (
a ) traſcorre tallora alſoverchio , tallora moſtra ď abbandonare , ma poi per
altra ſtrada ſoccorre . Platone non imita meno Omero nel carattere
degl'interlocu tori , e delle ſentenze ; io ravviſo in Alcibiade un non so che
del carattere di Paride, l'uno e l'altro è milapcatore, fuperbo , e laſcivo ;
il carattere di Neftore è trasfuſo in quella parte del carattere di Socrate ,
ove queſto conſiglia , ma Neſtore auto rizza i ſuoi diſcorſi con l'eſperienze
acquiſtare nell'uſo della vita , e Socrate con l'impreſſioni del genio che il
dominava . I caratteri de' Sofiſti ſono preli da quei dei Trojani, che ſenza
ordine , e ſen za diſcipliita s'avanzano come le Gru ſchiamazzando , e poi
reſta no ſconfitti da' Greci, il cui coraggio e valore era ſoſtenuto dalla
ſapienza , e dal consiglio, e fino da Minerva . Molti . pretendono che Platone
ſpieghi la ſua ſentenza nel far ragionare Socrate , Timeo , Parmenide, l'Oſpite
Arepieſe , e l' Eleatico , due perſone anonime, e che gli faccia dire a Gorgia
, a Traſimaco a Claride., a . Protagora , & Eucidemo , ciò che non approva
e vuol rifiutare , ma coſtoro non avvertono , che nel ( 2 ) Ragion Poetica . (
33 ) nel far Platone ſiſtematico lo fanno peſlimo Dialogiſta , e talor peffi
moFiloſofo , perchè egli concraddice a ſe ſteſſo in diverſiDialoghi , o almeno
le coſe vi ſono così ſconneſſe , che non ſi può raccoglierle , non più che le
membra di Penteo ( a ) diſunite e sbranate. Tratto di cutte le parti della
Filoſofia, or Logica , or Fiſica, or Metafiſica, accennomolte ſcoperte de' ſuoi
tempiintorno alla mufica, all'aſtro nomia , all'ottica , ma imitando poi la
ſetta Eleatica ne'dubbj, e nell'opinioni , tutto propoſe ſenza nulla
concludere. Cicerone lo conſidera come il primo degli Accademici, o quel che
diede ad Ar ceſilao , ed indi a Carneade il metodo di dubitare . Seſto Empirico
ſenza altro lo pone tra' Pirronici nelle materie an cora più gravi , come in
quelle dell'anima,del mondo , di Dio ; nè a ciò Cicerone ( 6) è contrario .
Conveniamo dunque che Platone, co me nello ſtile poetico convenne colla ſcola
Eleacica , così vi conven ne nel metodo di opinare,che egli col Dialogo reſe
più problematico . Confideriamolo adeſſo nelle fentenze , e principalmente in
quelle che riguardano l'idee ſulla Divinità , e ſulla materia. S'è già
dimoſtrato , che i Pitcagorici riducevano tutto all'idee , ed ai numeri.
Platone ſcielſe, e perfezionò ilmetodo dell'idee , econ duffe lo ſpirito alla
cognizione del bene per l'idea del bene, della bellezza per l'idea della
bellezza , e cosìfece del valore , della tem peranza, della ſcienza , e dell'altre
virtù morali ed intellettuali , com ponendo tra loro l'idee n'eſtraffe l'idea
della Repubblica , o l'idea del giuſto conſiderato nell'amminiſtrazione d'una
Repubblicazimmagine di quella amminiſtrazione, che delle potenze dell'anima fa
la ragione. Credevå egli , che ſpiegar le coſe particolari per le univerſali,
fof ſe il metodo chela natura leguiva , allorchè procede dalle cagioniagli
effecti. Parve ad Ariftotele, che foſſe più facile , e più ſendibile nelle
inſegnar le ſcienze , ſeguir l'ordine dello ſpirito , chealla cagionevi per
l'effetto. Non ſono più oppofti queſtimetoditra loro , che la ſin teſi, e
l'analių , di cui l'una comincia dalle coſe generali , per difcen dere alle
particolari, e l'altra dalle particolari, peraſcendere alle ge nerali ; l'uno e
l'altro Filoſofo nell'inveſtigar l'idee delle coſe , adoprò il metodo ſteſſo di
comparare i ſingolari,e di farnele aſtrazioni oppor. rune, e lo dimoſtrerd a
lungo pel ragionamento dell'idee Placoniche. Cicerone riduce l'idea alla (c)
terza parte della Filoſofia , che ver ſa nel difputare. Così l'idea trattavaſi
dagli antichi , che ſebbene ac cordavano ella naſcer de ſenſi, però volevano
che il giudizio nonfoſe ne fenſi , ma che la mente fore giudice delle coſe ,
ſtimandola ſola atta a di ſcopriril vero , perchèfola diſcopriva cid cheera
ſemplice, della ſteſanas tura , o tal qual era , e queſto lo chiamavano idea
già così nominata da Platone , e noi poſiamo ( conclude egli ) rettamente
chiamarla la lpecie . Non erano perciò l'idee Platoniche , a ben comprenderle,
che le fpe cie , eigeneri che noi facciamo , comparando ed altraendo , eche ,
Tom . II. ( a ) Eufeb.Prop.Evang. ( 6 ) De Natura Deorum . ( c ) Lib.1.Accad .
2 e come ( 34 ) 1 come ſi diffe , cappreſentavano i Pittagorici per l'unità,
poichè la mente tutto va unificando per ſua natura . Una ſpiegazione sì facile
, e breve dell'idee Platoniche, perfectamente s'accorda co' principi
d'Ariſtotele. Egli tratta nella Merafilica l'idee Platoniche da metafc re
poetiche , e queſto nome gli avrebbe pur dato Platone, se avelle dogmaticamente
ſcritto come Ariſtotele', ma nel Dialogo ſpecie di Poelia Dramatica egli
eguagliò la compoſizioneallo ſtile . Morco Platone, ed offeſo Ariſtocele di
vederſi poſpoſto a Pfeufipo „ a lui tanto inferiore in ingegno , e in dotcrina
vi oppoſe un'altra ſcuola di cui ſi fece capo , e per accreditarla cominciò a
combattere le fentenze del ſuo antagoniſta , attaccandoſi alla parte più
difficile , e più equivoca o alla quiſtionedell'idee , alle quali Preuſipo
imitando .forſe il metodo di Platone dovea dar troppo di realità. Ariſtotele
ſcriſe dunque contro l'idee ſeparate, ma Platone avendo già nel Par menide
conſumato quanto potea dirli contro di loro , Ariftotele ne copiò gli argomenti
dipeſo , ed al ſuo ſolito con brevica ed oſcurità di ſtile, fingendo di
combatter Placone critico Preuſipo , ed i ſuoi di i fcepoli. Dital congettura è
mallevadore il Patrizio nelle ſue diſcuſ fioni peripatetiche . S'elle ſon vere
, non che verifimili , verifimile è pure che fin d'allora ſi ſpargeſſero i ſemi
che prima Ammonio Sacca, ed indiPlotino , Porfirio coltivarono , e Jamblico , e
Procloridul fero in regolato fiftema. S.Giuſtino , che avea più ſtudiatii
Platoni ici , che Platone era perfuafo, che l'idee foſſero ſoſtanzeſeparate ,
collocate con Dio nella sfera più alta . S. Cirillo rifiuţa Giuliano A poſtaca,
che credeva il Sole , la Luna, egli altrieller l'idee viſibili e comporre gli
Dei. 11 P. Balto riferiſce a lungo ipaſſi di S. Ireneo , di S. Bafilio e
d'altri , i quali impugnarono l'idee ſeparate , che introdu cendo il politeismo
rovinavano ne'ſuoiprincipj la Religione Criſtia pa . Soſpetta il P. Balto , che
Eufebio difendere l'idee Platoniche persè ſuffiftenţia pro dell'Arianismo da
lui profeſfaco. Negli ultimi tempi il Clerico ne rinovd la ſentenza , e molto
più l'anonimo Soci niano nel tuo Platonismo ſvelato , ove ſi confondono con
l'idee di Platone , gli Eoni rami de'Seffirotii cabaliſtici adottati da'
Valencia niani e da' Baſiliani, e de'quali nella concinuazione dell'iſtoria
degli Ebrei parla a lungo il Basnage , I comentatori di Platone
abbagliatidatante autorità , nè avendo forza di critica fufficiente per
reliltervi, s'abbandonarono ai fantasmi di Proclo , e di Jamblico , anziche
abbadarea'ceſti di Platone , ne s ' avviſarono di ben pelare le dottrine del
Parmenide contro l'idee ſeparate aggiunte da Ariſtotele alla metafiſica. S. A
goſtino è il primo de' Padri Latini, che non fepara l'idee Pla toniche da Dio ;
dando a Dio la creazione del mondo non poteva egli non concepire nell' intelletto
divino la ragione dell'ordine del le coſe create , e queſte appunto ſono l'
idee su le quali poi San Tommaſo ſeguito da' Teologi , ne fece molti articoli ,
of. feryando che l'idee divine ſono univerſali, onon rappreſentano a Dio ( 35 )
2 € Dio ſolo le ſpecie , ma ancora gl'individui , col rappreſentargli le coſe
non quali noi per la limitazione della noſtra mente le veggiamo , ma quali ſono
in fé ſteſſe. Il Padre Balco riprende a dritto su queſto punto il Dacier , che
per difender malamen te Platone, cade non volendo in un errore . Ma fe Platone
preſe da’ Pitragorici l' idee nel ſenſo , che le propoſero Pitcagora , ed
Archira , pare che egli ancora come queſti ſentiſſe intorno la Divinità . S'è
già dimoſtraco che dopo Pitcagora , Senofane e Parmenide conſideravano Dio non
altrimenti, che l'anima del mondo. Lunga cofa , dice Ci cerone , ( a ) ſarebbe
a dire dell'incoſtanza di Platone intorno a Dio ; nel Timeo nega , che porta
nominarſi il Padre del mondo; nel libro delle leggi, ſtima non doverfa ricercar
affatto coſa ſia Dio . Lo stesſo nel Timeo , e nelle leggi, dice eſſer Dio, il
mondo , e gli altri e la terra , e gli animi , e gli altri Dei, che abbiamo
ricevuti dagl' iftitu ti de' Maggiori . Il Padre Arduino raccolſe tutti i paffi
, ove Pla tone parla degli Dei nel ſenſo ſtero . Dio nel Timeo ſi chiama bensì
il Padre , e l'artefice del mondo , ma non mai il Signore , il Sovrano ; ſi
chiamava il mondo un Dio generato , il quale ba una perfetta ſomiglianza con
Dio ; figliuolo , e figliuolo unico di Dio ; un Dio completo , un Dio generato
da un altro Dio , un Dio felice , im magine del Diointelligibile , perfetta
copia d un originale perfetto Dio ottimo malimo, qual appunto i Romani doceano
diGiove , per cui folo intendevano il deſtino inviſibile delle coſe . Molci
alcri paſſi ſpiega l' Arduino , e da cutii ſi raccoglie , che Placone non co
noſceva Dio , che come principio intelligente , qual lo conobbe Pittagora ,
Senofane, Parmenide, e cant alori , a' quali può ben applicarſi il pallo di S.
Paolo , in un ſenſo filoſofico , che cono ſcendo Dio , non come Dio l'onorarono
( non ſeparandolo affacco dal la materia , o , ponendolo ad eſsa coeterno . )
Pitcagora avea generato il mondo , e lo generarono i Fenici, Orfeo , ed Eliodo
. A queſt'idea poetica , Platone aggiunſe le Fi loſofiche accennate da Timeo di
Locri nel fuo ragionamento della natura , e dell'anima del mondo , e ne compofe
il Timeo , nel qual volea nell'ordine oſſervato dalla ſapienza nella fabbrica
del mon do , dar un modello di quella Repubblica, che poſcia propoſe nel
Dialogo del Giuſto . Ariſtocele pur comparava la coſtituzione del mondo ad una
Repubblica, in queſta v'è il Principe , che comanda ai Magiſtrati militari , e
civili , e nel mondo v'è Dio , che col miniſtero degli Dei inferiori, compie ,
conſerva, ed ordina cuc te le coſe . S'è © e di lo Lei li i e lo i e ( a ) D:
Natura Deorum lib. I. 3 ( 36 ) s'è gia dimoſtrato , che i Platonici recenti nel
divider in due punti, o ſegni, l'eternità , neaſſegnavano il primo ſegno a Dio
, in quanto a Dio , ed il ſecondo a Dio creatore della materia la difficoltà è
di ritrovare in Platone qualche coſa che s'av vicini a queſta dottrina .
Teofilo ( a ) non ve la ritrovd altri menti dicendo , che Platone coi ſuoi
ſeguaci poneva Dio , e la materia ingenita ; con che non venia a porre Dio , nè
uno; nè ſolo . lo qui ſtenderò un lungo paſſo di Plutarco , perché fe 'ne
giudichi . Il mondo , dice egli,è bensì ſtato fabbricato da Dio , perchè fra
tutte le coſe è bellißimo il mondo e Dio fra le cagioni l'ottimo , ma la
ſoſtanza , e la materia , della quale è ſtato formato , non eſſer mai nata , ma
ſempre averſi trovata ſottopoſta ab Maeſtro , ed ubbidiente a ricever
quell'ordine , e quella diſpoſizione , che fore in quanto ella potelle
comportare a lui fimigliante , percbè il mondo non fu creato dinulla , ma di
ciò che era privo , di bellezza , di leggiadria , e di perfezione , ſiccome la
caſa , la veſte , la ſtatua, perciocchè tutte le cose , primache naſceſe il
mondo , foffero confuſe , e diſordinate, nondimeno le coſe confuſe non erano
ſenza corpo , ſenza fora ma , ſenza regola , moſle da movimento a caſo , e
ſenza ragione. Que sto altro non era ; che la ſproporzione dell' anima, di
ragione Spoglia ta , perciocchè Dio di coſa ſenza corpo non fece corpo , nè
anima di coſa d'anima priva , nella maniera che noi vediamo , cbe il Maeſtro di
muſica , e dell armonia , non fa egli la voce , bensì la voce acconcia , e il
moto proporzionato ; così parimenti Dio non fece il corpo trattabile , e ſodo ,
nè l'anima atta a moverſi, ed in gannarſi, ma preſo l' uno , e l'altro
principio , quello oſcuro e pienodi tenebre, queſto confuſo e pazzo, amendue
più rozzi, e più difformidel convenevole ordinandoli ; e diſponendoli , e
congiungendoli formd un animal beltiſſimo , e perfettiſſimo. Dunque la natura
del corpo non è punto diverſa da quella natura , come dice Platone , che
abbraccio il tutto , ed è fondamento e nutrice di tutte le coſe che naſcono ;
non dimeno la natura delp anima fu da Platone nel Filebo nominata infini to ,
il quale non riceve numero , nè proporzione , nè vi ſi trova miſu ra, o termine
alcuno di mancamento, di ſoverchio , di ſimiglianza, o di differenza. Così
parla Plutarco ed è facile il dedurne , che ſecondo Pla tone eterna era bensì
la materia del mondo , ma nuova la for ma , ( a ) Teophil. ad Autolicum 1.2 .
Plato cum ſuis aſſeclis Deum quidem confitetur ingenitum , patrem præterea
& conditorem hominum , at que deinde fubjicit , live ſupponit Deo materiam
quoque ingenitam , quæ fimul cum Deo prodiderit five extiterit ; verum fi Deus
cen ſetur ingenitus , & materia perhibetur ingenita , jam nec amplius Deus
conditor & creator eſt hominum etiam fecundum Platonicos , nec quod unus
& folus ſit ab his vere demonftratur . nè il moto , ma 1 1 ( 37 ) má , ed
in queſto Platone differiva da Ariftotele, il quale , come s'accennd , fece ad
un tempo eterne , e la materia , e la forma; Ariſtotele rimprovera perciò
Platone , d' aver fuppofto , che la materia con cuiDio compoſe le coſe, foſſe
in moto, e loda Anaf fagora, che la poſe in quiete . Vuole egli ignorare , che
affatto poetico foſſe il Timeo ; pure non è credibile ,che egli non l'aveſſe
udito dir più volte da Placone ſteſſo , che nel Dialogo finſe Socra te a
favellar con Timeo di Locri contemporaneo forſe a Pittagora ; parla dell'
abboccamento che Solone ebbe coi Sacerdoti d'Egitto , iutta ſpaccia la favola
dell'Iſola Atlantide. , ſtempera in una taz za i numeri armonici dell'anima del
mondo compoſta di cre ſo ftanze , ne ſparge le reliquie su le ſuperficie de
glòbi', conſidera come coſa reale la mecemplicoſi , che Timem ( a ) nel ſuo
ragiona. mento introduce come coſa politica . In ſomma ben eſaminan do tutte le
frafi Platoniche e tutto il conteſto della dottrina Filoſofica poeticamente
maſcherata , io ſon perſuaſo , che in Platone , comene Pictagorici , Dio vi
s'introduca qual animadel mondo , o la ſteſſa mente , e ſapienza perfecta
ſparſa per tutto ; allora perciò che dice Cicerone nella natura degli Dei, e
quan do Platone fa Dio incorporeo ( b ) egli confonde Dio con la mate+ ria , la
quale era incorporea , come ſi diffe , prima che da Dio ſe ne eſtraffero i
corpi . Dall'alcra parte nell'ipateli, che Dio gli abbia eſtratti, fece Dio
concepirſi" al di fuori della materia , co me l'architetto al Palagio , e
lo ſcultore alla ſtatua . In vano dun que dall' opere di Platone, e degli altri
Filoſofi antichi , i qua li ammifero la materia eterna , li cerca l'idea del
Dio che ado. riamo ; egli è uno ſpirito infinito , nella di cui natura
inviſibile ſono riunite cutte le perfezioni immaginabili , e poflibili ; onde
gli ſcolaſtici lo chiamarono il cumulo delle perfezioni ; e i Cartuliani l'ente
infinitamente perfecto . Sino a què l' ammet cevano gli ſtefli Pagani , ma la
definizione non balta, ſe ad el fa non s? aggiunge , che Dio ha tratto dal
niente l' Univerſo , e che è diltinto realmente , e ſoſtanzialmente da tutto
ciò che ha creato . Tale definizione come ortodoſſa propoſe l' Abbate d'Oliveta
’ Filoſofi ( c ) dopo di aver eſpoſte tutte le loro fen tenze , tra le quali
entra e Pittagora , é Senofane , e Parmeni de , e Platone Itello , Non (a . )
Nel fine. ( 6 ) Cicer. Natur. Deor. ( c ) Nel fine del Tomo 3. della traduzione
della Natura degli Dei;. Par ce mot. Dieu , je veux dire un eſprit infini ,
dont la nature eſt indiviſible & incomunicable ; dans lequel font réunies
toutes les perfections imaginables & poſsibles , ſans aucun mélange d'
imperfe etion ; qui'a tiré du ndant l'univers, & qui eſt diſtinct
réellement & ſubſtantiellement de tout ce qu'il a créé . 0 1 ( 38 ) o dell'
Non è tuttavia , che debbano ſpregiarſi le dottrine di Placone , e rigettarle
come inutili ; conobbe egli Dio ſotto un'idea con fuſa, come lo conobbe
Ariſtotele , e in quella guiſa che S. Tom maſo da Ariſtotele tralle molti
principi , e combinandoli coi rivelati propoſe molte concluſioni Teologiche ,
così può farſi di Platone ; S. Tommaſo dall' uno , e dall'altro traſfe
l'eſiſtenza di Dio , impiegando i mori , le cagioni , l'ordine del mondo , i
gra di più o meno perfetti delle coſe , ma non potè trarla dall' en te
contingente e neceſſario , che Platone non conoſceva , ponen do ecerna la
materia , e chiamandola neceſſità . Dimoſtrar il primo ente qual principio
intelligente , per l'adequaca idea di Dio , non baſta le da eſſo non ti
rimovono tutte le compoſizio ni , dimoſtrando , come fa S. Tommaſo , che in lui
non ve n'ha nè di forma, nè di materia , e che non può ridurſi ad alcun genere
, Nel Parmenide però non v'è biſogno d'alcuno di queſti ar tificj ; tutto vi
fi' riduce all'idea metafiſica dellence uno . Convien dedurla da' ſuoi
principj, od eſtrarla come fece Pittagora , e Peritione da tutti i compofti ,
ed eſaminarne le proprietà . Così San Tommaſo , ove tratta dell'unicà , e della
bontà di Dio , prima ricerca , quanto la ragione, gli può per mettere , coſa ſia
l' uno , e coſa ſia il buono , indi col princi pio rivelato cid combinando ,
dimoſtra la purità , e la bon tà di Dio. Io parimenti ricercherò con la ragione
, fe si poſſa ben intendere l' uno del Parmenide , laſciando agli altri la fa
rica di ſpiegarlo in un modo fublime , applicandovi le coſe Teologiche , delle
quali non intendo d' attaccarne , o diftrug . gerne la minima . Io cratterò
della dottrina del fine , indi del metodo del Dialogo. Gli antichi con ragione
intitolarono queſto Dialogo , il Par menide o dell' idee , perchè Parmenide
parla più degli altri , e tutti i ſuoi ragionamenti raggirano su l' idee , o
per cercarle con le aſtrazioni della mente, o per diſtruggere le ſeparate ,
eſempli ficandone il caſo nell'idea dell' uno , la più ſemplice di tutte l'al
tre , e a cutte l'altre comune . Supponevano i Pictagorici , che tutte le coſe
imicaſſero , o par ticipaſſero l'idee , o le fpecie ; provacontro loro
Parmenide , che le cofe non poſſono eſſer partecipi delle fpecie, nè ſecondo il
tutto , nè ſecondo unaparte , indi col principio di contraddizione , col
progreſſo all'infinito , e coll' ideaſteſſa delle perfezioni divine ; gli
fteffi argomenti di cui ſono nel Parmenide i femi, fteſe Ariſto tele, ed è
mirabile che i comentatori non abbiano penſato di con frontarlo nel
ragionamento dell'idee con Placone , ciò che attri buiſco all'ipoceli da loro
fiſsata , che in queſto Dialogo Parmenide, o Pla ( 39 ) o Platone confermi e
non diſtrugga. l' idee ſeparate . Annullate tali idee in modo cheSocrate ne
reſta convinto , Pare menide per non laſciarlo nell' imbarazzo gli moſtra la
neceſſità che ha il Filoſofo d'ammettere certi principj fiſſi ed immutabili e
tanto più difficili a comprendere , quanto che non fi poffono de terminare , nè
co' ſenſi , nè colla fantaſia . Parmenide' nell'etem plificare il caſo del
metodo propone l'idea dell'uno , e la con ūdera relativamente a ſe ſteſſa ,
indi all'ente , al fine , al non en te . Così un matematico trattando per
eſempio del triangolo , lo conſidererebbe prima in ſe ſteſſo , poi per rapporto
all'altre figure rettilinee o piane , ed al fine alle non rettilinee, od
alcerchio . Definiſce Zenone l'uno per oppoſizione a molti , e chiama uno ciò
che non è molti . Ariſtotele, nella metafiſica molto ap prova queſta
definizione, perché i molti ſono più noti al ſenſo che l' uno ; prende
Parmenide la definizione , e negando dellº uno tutto ciò che s'include in molti
o li predica de' molti ; negà ch' egli fia cutro , parte , principio , mezzo ,
fine , figura moto , quiete , lo ſteſſo , diverſo , ſimile , diſſimile , eguale
, mag giore , minore ; in oltre gli nega le differenze del tempo, pre lente ,
paſſato , futuro , l'eſſenza , la ſoſtanza , il nome, il ſen fo , la ſcienza ,
l'opinione. Parmenide prende ſempre l'uno nel ſuo concetto aſtrattiflimo, nè
men volendo che l'uno â conſideri per rapporto a ſe ſteſſo , perchè nel riferir
l'uno a sè li concepireb be come due o come molti. La ſeconda quiſtione è , ſe
l'uno ſia che accada all' uno , ed all'altre coſe ; qui l'uno fi ſuppone inſeparabile
dall'ente , come rente dall' uno, onde tutto ciò che s' include o li predica
dell' , pud predicarſi dell' uno ; quindi ſe nell' ente's include o dell'ente
fi predica , la parte , il tutto , il finito , l'infinito , il principio ,
mezzo , il fine , la figura , il luogo , il moto , la quiete, il fimile , il
diffimile , lo iteſto , il diverſo , l'eguale , il maggiore, il minore, il
tempo paffato , preſente , e futuro , 1 eſſenza, o la ſoſtanza , la ſcienza ,
l'opinione , il ſenſo , tutte queſte coſe ſi predicheranno ancora dell'uno .
Non ſi predicano però queſte coſe oppoſte dell' uno , e dell'ente. nel medelimo
tempo, e ſecondo lo ſteſſo riſpetto , ma in varj te m pi o ſecondo diverſi
riſpetti , e ciò fa che le contraddizioni non ſieno , che apparenti , o del
genere di quei meraviglioſi , che de generano ſpiegandoſi in puerilità. Cosi
penſa lo ſtelfo Platone nel Teeteto , maParmenide nel cercar qui ſe ſia l'uno ,
quali altre co fe ne fieguano , non cela all'uſo de Sofiſti , ma ſpiega come
vero Filoſofo in termini ſemplici i miſteri , e queſta iola credo una nuova
prova del liftema Parmenideo da me ſtabilito . In ente ( 40 ) In queſte due
prime nozioni dell' uno non vi ſi framiſchiano le immaginarie', o poetiche ;
mabensì ve ne fono nella terza , ove fi rapportal'uno al non ente , o al nulla
, di cui non s'ha nozionereale', ma ſolamente immaginaria come dell'impoffibile
. V'è un affioma Logico , il qual diceche , dall' impoflibile ogni coſa ſe ne
deduce , pera che in lui fi complicano i contraddicorj, anzi il criterio per co
nofcerlo è per mezzo dei contradditorj, e poichè l'uno è inſe párabile
dall'ente ; fia lo ſteſſo dir il non uno, che il non en te , ma del non ente o
dell'impoffibile fi dice che ha effenza , o che non l'ha , che è lo ſteſſo e
diverſo , che è ſimile , e non fi mile , eguale , non eguale , cheſe genera e
fi diſtrugge ec. Dun que le ſteſſe coſe che ſi predicheranno del non ente
conveniran no ancora al non uno . Nell'attribuire il non uno all'altre coſe ,
fi trasformeranno queſte in fantasmi, o sogni d'eſtenſione , di mal fa , di
moto e di quiete , ciò che rende il mondo più poetico del cabbaliftico .
Platone o Parmenide maneggiano queſto argo mento con ſomma ſagacità , e
delicatezza , e ben ſi vede quanto foſſe la loro Filoſofia profonda , e quanto
utiliffima eller poſla , non cangiando il grado dell' aſtrazione , nè
inneſtandovi opinioni affatto encufiaftiche, come fece il Ficino . I celebri
Pittori , attenti ad oſſervare in ogni luogo tutto ciò che loro ſomminiſtra
idee nuove d'atteggiamenti , di ſcorcii , di lineamenti , difigure , ſe mai su
i muri più affumicati ritro. yano quelle ſtriſcie fortuite impreſſevi dalla
caligine , le vanno combinando con la loro immaginazione , e creano delle
figure leggiadramente fimecrizzate , e canto ſi rifcaldano nel vagheggiar opera
loro , che le additano agli altri , come fe ivi foffero ,e ſi cruciano e
fremono , e ingiuriano , quando queſti ſemplicemen te riſpondono di non
ravvifare , che orme irregolari di fumo . I Filofofi, e particolarmente i
comentatori hanno lo ſteſſo coſtu me , fiffi in un fiftema l'addatano a tutto
ciò che incontrano nell' autore da loro accarezzato , e dove egli ancora parla
nel modo più ſemplice , e naturale , e conveniente a'ſuoi principj, par loro di
fargli torto , ſe non l'abiſfano nelle loro profonde ſpeculazioni , e lo
dimoſtrano tanto più ammirabile , quanto nyono l'intendono , c quanto dagli
altri è meno intefo . In tutti i Dialoghi s'è prefiſſo il Ficino, di far di
Placone ( a ) un Teologo Criſtiano, ma non so come ritorni in queſto Dialogo al
( a ) Prima ex quinque ſuperioribus de uno fupremoque Deo dixerint quomodo
procreat diſponitque deorum ſequentium ordines . Secunda de fingulis Deorum
ordinibus , quo pacto ab ipſo Deo proficiſcuntur ec. argum. Marſ. Ficini Parm .
vel de uño rerum principio , & de 9 ideis . ( 41 ) al Paganeſimo, e vi
traſporti tutte le idee fimboliche del Timeo , e del Fedro ſenza biſogno , e
profitto ; e che coſa ſon queſti Dei che ſeguono Dio nell'ordine loro , ed in
qual parte del Parmeni de li ritrovo ? Annullò il Serano gli Dei, e vi ſoſtituì
due ſorti d'idee ; Dio è la prima e principal idea , le ſeconde ſono le va .
rie idee delle coſe create ; ma ſe Parmenide non diſtingueva Dia dal mondo ;
coſe affatto poeriche non ſono le idee divine ? Non bado il Serano , che
Parmenide toglie all'ente ſino il tem po' preſente, e le toglie ancora
l'eſſenza. Si , ma intende il Se rano l'eſſenza delle coſe ſingolari , e quando
Parmenide dice , che l'uno è molte coſe, vuol dire, che egli dà la forza
d'elfte re alle coſe ſingolari . Or come ſi può includere nell'idea dell' uno ,
in quanto tale la forza? E come poteva Parmenide inclu derla nell' uno , ſenza
concepirvi l' eſſenza , e nell' accoppiare l' eliftenza alla forza , e non
concepir l' uno come molti contro l? ipoteſi? La prima idea , dice il Serano ,
fi diffonde in maniera ſulle coſe create', alle quali Dio dà la forza , e
facoltà d ' eſiſtere , che ad ogni modo circoſcrive ne' determinati cancelli
dell' uno , la feffa moltiplici, tà , e quaſi infinità delle coſe ſingolari .
Queſta è la luce tenebroſa del Flud , chi può ſpiegarla ? Va il Serano peſcando
le affezioni dell' idee ſeconde , e ne ri trova ſei , dopo le quali la ſua vena
metafiſica , e teologica , ſi conſuma, o perde , ed in tutto il reſto del
Dialogo immobil mente fiſto , ed eſtatico ſul ceſto Platonico , par uno di que'
Chineſi, che per molti anni guardandoſi la punta del naſo s'im maginano di
veder l'eſſenza divina; non batte egli palpebra tutto concentrato in sè , nè
degna abbaſſarſi a ſoſtener con note margina li l'imbarazzato lettore . Io ſon
ben lontano dal condannare le al tre note di queſto autore , colle quali negli
altri Dialoghi eſpone la conneſſione, e callora le ragioni ſemplici del teſto ,
ma nel Par menide ſpiegando alto il volo per emular il Ficino , li dimentica
del ſuo coſtume, e laſcia in aſciutco il leccore ; ma come è poſſi. bile , che
avendo egli canto ſtudiaco Platone, e confrontati i teſti, nonabbia atteſo ad
unpaſſo delFilebo , in cui li ſpiega il fine , che Platone ſi prefiſſe in
queſto Dialogo ? Nel Filebo , che non ſenza ragione gli antichi faceano ſeguir
al Parmenide , cosi ſi parla da Socrate a Protarco . Tu , o Protar dice Socrate
, intorno l' uno ed i molti ai dette le coſe pubbliche dei meraviglioſi, le
quali, per dir cosi , ſono concedute da tutti, che non fieno punto da toccarli,
ejendone alcune puerili , e facili da conoſcerſi, e per nuocere maſſimamente a
ragionamenti, fe alcun le ammetteſſe ; nè è Tom. II. f de ( 42 ) - 1 1 tal uno
, da ſtimarſi coſa meraviglioſa , ſe alcun dividendo rolla ragione le mem-, bra
d'alcuna coſa , e tutte quelle parti , confeſſando quella eſerne una ; di poi
la confutalle , e ne prendeſe beffe quaſi sforzato a con . feſare coſe
moſtruoſe , cioè che una ſola coſa ſia molte ed infinite, ele molte quaſi una
ſola , E' quì da notarli quel dividere con la ragione le membra di alcuna coſa
, formula che egli repplica ſovente nel Parmenide , in cui dice , ſeparar le
coſe con l'intelligenza , e fino sbranarle ; indizio manifeſto che qui non ſi
tratta , che d'aftrazione di ra gione, per cui nelle coſe più ſemplici fi
diſtinguono , non le par ii, ma gli attributi , e le relazioni che le fan molte
per rapporto alla mente ; or tutto ciò che dice nel Parmenide dell'ente, e
dell' uno , non divien egli un di que' meraviglioſi puerili, de' quali par la
Socrate , fe non s'averte , che le contraddizioniſono apparen . ti , o che nel
medeſimo tempo , e ſecondo lo ſteſſo non s'aſcrive all'uno , il fimile e
diffimile? Siegue Socrate : quando alcuno giovane pone l'uno , non eſſer alcu
na di quelle coſe , le quali naſcono , e muojono , perciocchè quì un co come
poco fa dicemmo, ſi è conceduto , che non ſi debba con futare . Parla quà
Socrate della prudenza , della ſcienza , e della men te , di loro natura une,
immortali, ed eterne nel ſiſtema Piccagori co , e delle quali , come d'eſſere
reali , parla nel Sofiſta . Conclude Socrate : Ma quando ad affermare è
altretto un fol Uo mo , un ſol bue, una coſa bella , ed una coſa buona , allora
veramen. te in queſte, ed in cotali unità ſi rende ſollecito lo ſtudio , ed
anche ſi fa ambiguala divifione. Primieramente ſe ſieno da ammetterſi certe uni
tà sì farte, che fieno veramente ; di poi, in qualguiſa ſia de penſarſi, che
ciaſcuna di quelle coſe ſia una , e la medeſima ſempre, nè fi pren da
generazione, nè morte , ma ſe ne ſtia fermiſima nell' unità di lei ; finalmente
ſe ſia da porſi alcuna coſa nelle coſe generate , od infinite, o partita , ed
oggimaifatta moite coſe, o tutta eſa in diſparte da ſe medeſima, il che più di
tutte l'altre coſe parrebbe impoſibile che uno , e lo dello ſi facele parimente
in uno , ed in molti. Quefto è l'uno, ed i molti che ſi trovano intorno a
cotali coſe , ma non quelli , o Protarco che non conceduti bene ſono cagione
d'ogni dubitanza , ed ogni facilità ben conceduti . Manifeftiffimo è , che quì
Socrate ripete le difficoltà ſull' idee ſeparate fattegli da Parmenide , e ſu
le quali confeffa , che impoſſi bile è di scioglierle, indi fa attenzione al
metodo inſegnato da Par menide, di cercar l'idee per via dell' aſtrazioni, con
le quali ſi to glie ogni difficoltà intorno a'molti, e all'uno . Da ( 43 ) Da
queſti palli io deduco , che il fine di Platone in queſto Dialogo altro non fu
, che d'allontanarſi da quel meravigliolo e puerile, in cui facilmente fi cade,
quando non ben li diftingua no i concerci della mente , o s'amia irasformare i
concetti in ido li , ed a realizzarli poeticamente , come faceano i Pittagorici
. Per compir queſto diſegno fcelle Platone il Filoſofo più ſpeculativo
dell'antichità , e deſcritto da Socrate qual Uomograve, evenerabile , e d'una
profondità al tutto generoſa , il che vuol dire , ſe non erro , che egli nella
ſua maniera d'argomentare franca , libera, ed inſie me profonda, nulla tenea
del lopraciglio , e della vanità dei Sofi fi; Platone quimoſtra fin dove
arrivar pud l'ultima analiſi , che i Pitcagorici faceano dell'idee , oltre le
quali il procedere'era un eſporſi a pericolo di non più intender quello che ſi
dicea , comepur trop ро è arrivato ad alcuni Scolaſtici , che fpingendo troppo
, oltre le queſtioni oncologiche , ofarono ſin negare il principio di con
traddizione , ed affermarono chel'infinito ſi raggruppaffe in un pun to . Nel
Gorgia, nel Protagora , ed in altri Dialoghi contro iSo fifti , coll'arte
dell'ironia Socratica , li dipinge a diritto Platone quali cacciatori mercenari
d'uomini, mercatanti venditori, appal tatori di ſcienze , e diſcipline falſe ;
ma chi può dire che Platone ebbe difegno di proporſi in queſto Dialogo
Parmenide , qual mer catante venditore, ed appaltatore di bujo peſto , che così
devono chiamarſi le quiſtioni tenebroſe , ed all'ambicate ; bujo peſto è quel
lo di cui troppo liberalmente lo caricano il Ficino , ed il Sera no, non quel
che combina la doctrina d' Ariſtotele , con quella di Platone ; dotcrina che
curt " i Peripatetici , e gli Scolaſtici ab bracciarono e che ultimamente
con tanta chiarezza e preci* fione , eſpoſe il Wolfio nella fua Ontologia .
Queſto Dialogo è primieramente ontologico , e preſo in queſto ſenſo non ha in
sè più di pericolo che la metafilica d' Ariſtocele , ma ridotta alla Dialeccica
, L'antica Dialetica verſava fu i generi di tutte le coſe , attenca a
compararli , a combinarli , per preparare' ed illuſtrare la quiſtio ne
propoſta. S'ingegna lo Stanlejo di ridur a tre generi la Dialec tica de
Piccagorici .1. Ai non ripugnanti , o ſia all'eſſenza delle coſe nelle quali ſi
combinano, coſe tra loro non contradditcorie.. Così l'eſſenza del triangolo o
del quadrato , è l'eſfer figure di cre o quattro linee , perchè non v'è ripugnanza
, che il numero ter nario o quaternario , s'adatti o fi combini alle linee
rette . 2. Ai differenti o alle coſe che tra loro ſi diverſificano nell'eſſenza
, nc gli attributi , e ne' modi ; così il triangolo è differente dal qua drato
, ed il quadrato dal cerchio . 3. Ai relativi a'quali ſi riduco if 2 no ( 44 )
no tutte le matematiche conſiderate dagli antichi , come il vero modello della
diſciplina , ed a cui i moderni riduſſero l'arte dell' analogie filoſofiche, ed
il calcolo de' probabili . Platone ſtabiliſce in molti luoghi non tre ma cinque
generi del le coſe ; l'eſſenza o ciò che è , lo ſteſſo , il diverſo , il moto ,
e la quiere ; a queſte due ultime nozioni ſi riduceva tutta la fiſica antica ,
onde diſfe Ariſtotele , che ignorato il moto s'ignora la natura . Lo ſteſſo e
il diverfo vaga per tutte le altre fcien ze ; onde Platone dello fteſſo , e del
diverſo , compoſe l'anima del mondo , e la bellezza . Lo ſteſſo e il diverſo
ſono relazioni dell' ente in genere , fi ſpargono ſulle relazioni dell'ente in
ſpecie , il fimile, il diffi mile , Peguale , il maggiore, il minore , il nuovo
, l'antico . Que fta era la ſcala de'generi ſuperiori, o quelle nozioni
ontologi che aſtratte per l'acume della mente da' concreti , coſa ben di verſa
dalla ſcala de' predicamenti d' Ariſtotele . Il Wolfio ( a ) fa propoſe per
ultimo oggetto degli ſtudj fuoi, di perfezionar" la Icala de'generi , e
con eſſa ſciogliere il problema dell' analiſ dell'idee , propoſta ma non
trattata dal Leibnizio . I Pittagorici ne diedero i primi ſemi, e Placone più
li ſviluppò , applican doli alla determinazione dell' idee , quindi è che nel
Parmeni de tutti iſuoi argomenti ſi riducono alle relazioni dell'ente , in
genere dell'ente , in ſpecie . Rinferrata ne' fuoi limiti la materia del Parmenide,
il meto do che v’applica è quello del principio di contraddizione , che ci
conduce all' aſſurdo ; metodo non tanto accetto a noi , per . chè ci dimoſtra
la noftra impotenza , ma che ci sforza invin cibilmente all'faffenſo . In
queſto metodo Platone ne aggruppa molti altri , il metodo d' eſcluſione è
quello dell'analiſi geo metrica . Nel metodo d'eſclufione fi numerano tutti i
caſi di una co ſa , e s'eſcludono o tutti per dinotare l'aſsurdità , o tutti
men in cui fi cerca la ſoluzione del problema . Così Archi mede avendo
dimoſtrato , che un dato poligono non è , nèmag giore , nè minore del cerchio ,
nel quale è inſcritto o circon Icritto , conclude che gli è eguale . Placone in
molti caſi ado pra il metodo ſteſſo . Nel metodo dell'analili geometrica , fi
aſſume ( 6 ) il quefito come conceffo , e per legitime conſeguenze s'inoltra
fino ad un ve 1 uno , ro ( a ) Affumptio quæſiti tanquam conceſsi per ea quæ
conſequentur ad verum conceffum . ( 6.) Wallis Il . dell’Algebra . ( 45 ) To
conceſso , da cui riteſsendo il ragionamento ', li dimoſtra il quelito ; molti
vogliono , che Platone ſia l'inventore di queſto metodo, e che abbia fatto il
Parmenide per darne l'eſempio ; maqueſti attribuirono al tutto ciò che conviene
adalcune parti, Utiliflime ſarebbono le metafiſiche de'moderni , fe i loro
autori fi foſsero limitati all'ipoteſi, e ſi foſſero guardati di proporle in
for ma di dogma , cagione d'eterni litigi non ſalvati , ne da ſtile elo quente
, nè da calcoli algebraici. Il Carteſio ſegui nelle ſue medi tazioni ilmetodo
analitico , ma diede occaſione a molti ſiſtemi più ſtrani de'ſogni, come quello
degli Egoiſti, conſeguenza dello fpi nofismo fpirituale . Che dirò dell'arte
del Dialogo , in cui s'è già dimoſtrato imi, tarſi i ragionamenti umani, come i
Poeti Dramatici aveano imi tate le azioni umane . All'imitazione. ( a ) di
queſte convien il palco , ed il verſo , non all'imitazione de' ragionamenti, la
quale per ſua natura appartiene alla Dialettica : poco o nulla di leg giadria
avrebbono i fillogismi, egli entimemi in verſo , e poco o nulla lor gioverebbe
l'apparato della ſcena . Si è pur detto che la quiſtione, e la digreffione al
Dialogo , è come la favola , e l' epiſodio al Drama . Nel Parmenide la
quiſtione è intorno l'idee , ma non v'è digreſſione, ſe pur non fi voglia ridur
a queſta , la preparazione alla diſputa con Par menide, incominciata tra
Zenone, e Socrate . La differenza de' drami ſi prende dal diverſo modo
dell'azio ne , la quale o è ſemplice, o compoſta, e la differenza de’ Dia loghi
dal modo del ragionamento, nel quale , o s'inſegna, os inveſtiga da un ſolo , o
s' inſegna , o s'inveſtiga da molti la quiftione propoſta . A quattro generi
riduce il Taffo i Dialoghi , al dottrinale , al Dialettico , al tentativo , al
contenzioſo . De’due primi generi è miſto il Parmenide, perchè dopo di aver
egli diſputato con Socra te , quaſi ſolo favella, non contandoſi le riſpoſte
d'Ariſtotele , approvazioni per lo più della concluſione , o preghiere d' eſpor
più chiaramente la ragione accennata . Nel inlegnare qual fia la natura o
l'idea dell'uno , qui non v'è tentativo , nè litigio , nè in queſto Dialogo v'è
molto a ricercare , ſe ſia meglio adat cato all'inſegnamento che il maeſtro
interroghi , od i diſcepo lo . , perchè appena termino la breve diſputa có Zenone
, che Parmenide cominciò a interrogar Socrate , ed avendolo confu? lo , ed
imbarazzato con una difficoltà cui non poteva riſpondere, Para ( a ). Torquato
Taſſo diſc. ful Dialogo . ( 46 ) uno . Parmenide paſſa ſenza interrompimento
alle tre poſizioni dell ' Vuol Torquato Tallo , che come una ſia l'azione nel
Dra ma , così una fia la quiſtion nel Dialogo , la quale o è infini ta , per
eſempio ſe deve apprezzarſi la virtù , o è finita , per eſempio che deggia far
Socrate condannato a morte . La qui ftione del Parmenide è infinita , perchè fi
tratta dell' idee di cui ſi cerca la natura e l'origine , la natura dimoſtrando
che non ſono dalla noſtra mente feparate , l'origine dimoſtrando come per via
delle ſuppoſizioni s'acquiſtano . Queſte due coſe ne fan no propriamente una ,
perché non ſi può intender la natura dell' idee ſenza prima determinarne
l'origine . L'una e l' altra determina Parmenide , e rimove l' idee feparate
per convertire il ragionamento al modo con cui la mente le acquiſta. Parme nide
lo propone , non lo dimoſtra per non allontanarſi dal co ſtume della ſua fetta
, che era di propor dubitando le coſe : Non è cutravia in ciò ſolamente che
appariſce il coſtume di Par menide . Dimanda Socrate , che gli ſia dichiarata
la quiſtione delle idee , ed intorno alle coſe che ſi veggono ,ed ancora
intorno a quelle che ſi comprendono con la ragione . Parmenide , e Zenone
attentamente lo aſcoltano , eſpero guardandoſi l'un l'altro fog ghignano quaſi
di Socrate meravigliandofi . E queſta è quell'evi denza tanto neceſſaria al
Dialogo , e di cui Platone diede si chiari eſempj neli' Ippia , e nel Fedone .
Ella è qui ordinata a manife ſtare il coſtume d'un Filoſofo accento , e che
colla triſtezza , e coi fogghigni accenna , ciò che nel diſcepolo non s'accorda
con la ra gione . Un tratto poi del coſtume d'un Filoſofo attento , è do ve
dice Parmenide o Socrate troppo per tempo , innanzi che tu ti eſerciti a
parlare , ti sforzi di definire ciò che ſia il bello , il giu ſto, il buono , e
qualunque dell' altre ſpecie . Perchè poco fa il con fiderai vedendoti
diſputare con Ariſtotele . Per certo mi credi , que fto tuo fervore è bello è
divino , il quale alla ragion ſi conduce , ma recati in ſe ſtello, ed
eſercitati mentre ſei giovane in queſta fa coltà la quale a molti inutile , e
ſi chiama dal volgo garruli tà , altrimenti ſi fuggiria da la veritade.
Parmenide qui accenna la Dialectica in quanto vaga per cutti i generi , ſulla
qual coſa poco dopo ſoggiunge conſervando il co ſtume divecchio venerabile .
Sarebbe cofa ſconvenevole , cheſi trat tale maſſimamente da un vecchio certe
coſe si fatte alla preſenza di molti , non ſapendo il volgo , che ſenza queſto
vagare , e diſcerne re per tutte le coſeſia impoſſibile abbattendoſi nel vero
acquiſtar men te . Ariſtotele e gli altri lo pregarono , e Parmenide riſpoſe
con un apo 7 pare inutile ( 47 ) apologo : egli è neceſſario finalmente che
s'ubbidiſca , tutto che mi è av viſo di tutto quello che patà il cavallo Ibico
, cui Atleta e vecchio do vendo prendere la conteſa delle carrette , e per
l'eſperienza iremando de' ſuccelli , alimigliando egli a ſe ſtello, dille
cheegli già vecchio era coſtretto di ritornar agli amori . Nel medeſimo modo
diſſe Parmeni. de , a me pare di temer malto , quando penſo in che guiſa
cosè.d'età avanzata , io pola paſar a nuoto un mare cosi profondo di ragionda
menti . Intorno la ſentenza , o ſia ciò che ſente il principale interlocu tore
del Dialogo , ella è qual conveniva a un Dialettico eſperto , nel vagar per i
generi delle coſe , e nell'argomentare , e ben de gno , che nelle coſe
intellettuali Platone , Secondo il teſtimonio di Apulejo, lo preferiſſe agli
altri Pitiagorici , e n'imitaſſe la ſotti gliezza , e nell' idee , e nel metodo
di proporle . Nella Poelia. Epica , altro è che il Poeta imiti narrando un facto
, altro che introduca un degli attori a narrarlo . Così nell' Odiſſea , aḥtre
ſono le cofe che Omero direttamente narra accadute ad Uliffe , altre quelle che
narra Ulife ſteſſo . S'in troducono ne' Poemi i racconti , per variar i modi
dell' imita zione , ed ancora per accreſcerla ; ella è perciò doppia , quando
nel Poema i perſonaggi imitati, imitano effi fteffi col loro rac conto . In
queſto Dialogo , Pitidoro imita, narrando i diſcorſi che inteſe da Parmenide .
I Dialoghi, benchè fpecie di Poeſia Dramatica , in ciò con vengono con l' Epica
, e Platone , che nelle diſpute de'Filoſo fi volle imitare i combattimenti
degli Eroi di Omero , emold anche queſto nel modo di rappreſentarli . Nel
Filebo propone ſenza alcro la difputa chiaramente enunziata intorno la felici
tà ed il piacere , nè premette alcuna circoſtanza ſtorica ai ra gionamenti dei
tre interlocutori , Socrate , , Filebo e Protar co ; così fa nel Sofiſta ,
nell' Eutifrone nelle Leggi , e nella Repubblica , ma non cosi nel Convito ,
nel Fedone, e nel Par menide . Pitidoro vi narra ciò che ha udito da Antifone,
e queſto è modo più artificioſo dell'altro , perchè vi ſi ricerca molta ſa
gacità nel render neceffario il ragionamento, ed accompagnar lo di quelle
circoſtanze che più mettano la coſa fotto gli oc chi , intereſſino il lettore
ad aſcoltare i perſonaggi, e di tem po in tempo lo ricreino con opportune
digreffioni , ma tutte convergenti alla quiſtione propoſta , ſenza che ſe ne
accorga il lettore. Nel diſcorſo naturale noi pafliamo ſenza rifleſſo da una
coſa all'altra , ma nel Dialogo , ſe ſi vuol imitando perfe zio ( 48 ) zionar
la natura , nulla vi ſi deve introdurre ſenza ragion ſuf ficiente . La ſomma
difficoltà dell' artificio del Dialogo è nell: interrogazioni, e nelle riſpoſte
diftinte e preciſe , ma nel Par menide il dialettico s'accoppia col dottrinale
e queſta è la parte dominante , perchè eſcluſe l' idee ſeparate , Parmenide ſem
pre parla ſcorrendo per le ſuppoſizioni. ; 1 1 1 > ILLUSTRAZIONE D E L 1
PARMENIDE. . Tom . II. } , ( 51 ) ILLUSTRAZIONE D E L PARMENIDE. tertentanut
Estates L A diſputa su l' idee fatta tra Parmenide, Zenone', Socra te , ed un
certo Ariſtotele , viene a Glaucone , e ad Adi manto riferita da Cefalo per
bocca d'Antifone, il quale avendo familiarmente converſato con Pitidoro
compagno di Ze none', avea su queſta materia udito da lui le ragioni dei tre Fi
loſofi. Reſtarono queſte cosi profondamente impreſſe nella me moria di Antifone
allor giovanetto , che molti anni dopo ſeb ben diſtratto dagli eſercizi
equeſtri , poté in tutte le loro cir coſtanze rappreſentarle nell' abboccamento
, che egli ebbe con Cefalo , e coi compagni . Tofto Cefalo eſpone il motivo
della diſpuca Parmenide ne Poemi avea detto che tutto è uno , e Zenone provato
in uno ſcritto , che uno non è molti . Si comincia la Jercura dello ſcritto , e
Socrate vi fa ſopra delle difficoltà a mi fura che ſi legge. Poco mancava' a'
terminar la lettura , quan do Parmenide con Pitidoro , e Ariſtotele entrarono
in caſa . Si leſſe di nuovo alla preſenza di Parmenide , e degli altri il pri
moargomento , e fi difputò incidentemente su la differenza del le due
definizioni parendo a Socrate , che il dire tutto è uno foffe lo ſteſſo che il
dire , uno non è molti . Glielo concede Zenone , é lodaća la ſagacità di
Socrate dichiara', che non per vanità o per 'arcano di Filoſofia egli ha'
fcritto , ma per fo ftener l'orazion di Parmenide contro coloro che ſi
sforzavano di ſchernirlo , perchè ſe molte contraddizioni degne di riſo pativa
l' Orazion di Parmenide , molte altre di più ridicole ſe ne inferivano dalle
ſuppoſizioni degli altri. Zenone ſcriſfe il : li bro nella ſua giovanezza , ma
un certo avendoglielo rubato.fi pubblico . Si ricomincia la diſputa. Parmenide
, e Zenone lafciano a So. crace eſpor tutta la ſua ſentenza su l'idee ſeparate,
per le quali moſtrava la definizione dell'uno da Zenone affegnata non eſſer
univerſale " . Accorcol Parmenide , che tutta la forza dell'argo mento (
52 ) mento di Socrate fondavaſi su l’idee ſeparate , l'imbarazza co
ftringendolo ad aſſegnarne alle coſe fiſiche. Non sa Socrate ri folvere la
difficoltà. Parmenide fingendo di conceder l'idee ſe parate argomenta contro la
loro participazione , contro il lo ro progreſo all' infinito , contro alla loro
incomprenſibilità. So crate n'è molto curbato , credendo che annullate l ' idee
ſepara te non vi fieno più principj per ben filoſofare . Ammira Par menide il
fervor di Socrate , e lo conſiglia ad eſercitarſi nella Dialetica per ben
inveſtigare l'idee . Pitidoro ed Ariftotele , pre gano Parmenide ad
eſemplificar il metodo dell'inveſtigazione dell'Idee . Egli ſcieglie l'idea
dell' uno , e col metodo delle ſup poſizioni la tratta. Orquattro ſono le
quiſtioni che ſi poſſono eſtrar dal Parmeni de relativamente alla definizione
di Zenone , che l'uno non è molti . La prima è quella dell'uno per rapporto
all' idee feparate ; Ia ſeconda dell'uno per rapporto asé ; la terza dell'unc
per rap porto all ' ente ; la quarta dell'uno per rapporto al non ente . Le tre
ultime quiſtioni ſono propoſte per via d'ipoteſi : ſe l'uno ; ſe l ' uno è ; fe
l'uno non è . Per non traſcurar nulla di ciò che agevola l'intelligenza del
Dialogo , premetterò partitamente ad ogni quiſtione la Ipiegazio ne delle voci,
e delle nozioni neceſſarie , ſtando più che mi ſia poſſibile attaccato alle
parole del teſto quale Dardi Bembo il tra duffe ; mi par inutile di por tutto
il Dialogo , perchè eſſendoſi ri ſtampato di freſco , tutti coloro i quali
hanno vaghezza d inten derlo ſe ne faranno già proveduti ,per gli altri
èinutile e vana ogni illuſtrazione . SEZIONE PRIM A. b. I. Enone defini l'uno
ciò che non è molci . Approva Ariſto tele ( a ) queſta definizione, perchè in
generale ogni defini zione , dovendoſi aſſegnare per le coſe più lenfibilia e
più note, l'eſperienza di tutti i ſenſi ci moſtra , che i molti ci ſono più
noti che l'uno ; i fanciulli più teneri nel coccare , nel vedere , e nell'udire
pereepiſcono i molti , e la loro cognizione è imme là dove hanno biſogno , che
la loro ragione fi maturi un poco per cominciare a dir uno , e quindi numerar
su le I molti dunque eſſendo più noti dell' uno , negandoli di forma 6 ) Metaf.
lib . 1o. diata ; dita . il ( 53 ) il concetto negativo dell'uno in quella
guiſa , che negando le par ti ſi fa il concetto negativo del punto . Dall'uno G
fa l'idea aſtratta dell'unità , come dall'idea dell'uomo l'idea aſtratta
dell'umanità . Tre ſono le ſpecie dell'unità ; la Lo gica, la Matematica , la
Metafifica. L'unità Logica ſono i generi , e le ſpecie, o certe idee univerſali
atte a rappreſentar molti in uno; l'unità matematica è il principio compoſitivo
de' numeri , o il prin cipio per cui fi numera ; principio differente dal zero
, da cui ſi nuinera . L'unità metafiſica' è una proprietà traſcendentale dell'
ente , o che conviene all'ente in quanto tale , poichè d'ogni ente fi predica
l'uno , come fi predica il vero , e il buono , o ſia il perfetto , ma la verità
, e la bontà , o la perfezione , inclu dendo ordine nella varietà ſuppone l'
uno , onde tra le proprie tà dell'ente egli è la più univerſale ( a ). L'unità
o l'uno nel ſuo concetto aſtrattiſſimo preſcinde da tutte le relazioni,
potendoſi per l'aſtrazione della mente non riferire, nè alle coſe che
rappreſenta , nè a' numeri che compone , nè a ciò cui conviene : In queſto
ſenſo aftrattiflimo definiſce Zenone l' uno , opponendolo ai molti in genere .
Contro queſta definizione cosi argomenta Socrate . Vi ſono idee ſeparate :
dunque ogni idea eſſen do una in sè , e molti , nel participarſi a molti l'uno
, eimolti poſſono accoppiarſi ; dunque non pud dirſi , che l'uno fia molti .
Prima di ſviluppar l' argomento rifletterò su certe voci , e nozioni di
Socrate. $. 2 . Suppone toſto Socrate, che vi fieno idee ſeparate. L'idea ſe
condo l'etimologia della voce Greca , ſignifica propriamente com fa viſta , e
per traslato ſignifica coſa inteſa , o ciò che s'inten de ; ma tallora
ſignifica l'atto per cui s'intende , il qual però meglio ſi chiama nozione o
concetto. Åleinoo defint l'idea , intelligenza per rapporto a Dio , pri mo
intelligibile per rapporto anoi , miſura quanto alla mate ria , eſemplare
quanto al mondo ſenſibile , effenza quanto a ſe ſteſſa . In tutti queſti ſenſi
la prende or Socrate , ora Parmeni de ; ma la prima nozione dell' idea ſeparata
è che ella fia il primo intelligibile . $. 3• ve ) Wolfo Metaf. ( 54 ) § . 3 .
Socrate: oltre l' idee del bello , dell' oneſto , e del giufto , che Parmenide
gli accorda , ammette ancora quelle del limile , del diffimile, del moto ,
della quiete , dell' uno , e de' molti . Queſte ultime idee ſono tra loro
oppoſte e contrarie , come il caldo , il freddo , il bianco , ed il nero ;
eſſendo contrarie , ciò che convie ne all'una , non conviene all' alira , e
quindi ſecondo Socrate i ge neri, e le ſpecie , idee più o meno univerſali
conſiderate in se non patiſcono paßioni contrarie , ma nulla vieta nell'ipoteſi
di Socrate, che non poſſano participarſi dalle coſe. 1 S. 4 . Partecipare è
propriamente ritener in sè una parte d'un cutto ;; così l'aria partecipa la
luce ', poichè ogni particella d' aria ha in sè una particella di luce . In un
ſenſo più ampio , la voce partici pare s'eſtende dalla quantità alla qualità ,
all'azione , all effenza Iteffa. ;. così ſi dice , che l'accidente partecipa
della ſoſtanza', gli effetti delle cagioni, un figlio le virtù , eivizj.del
padre : La par cipazione è quindi' più ampia della ſimiglianza limitata alla
ſola convenienza delle qualità , e molto più dell'imitazione , che alla
fimiglianza aggiunge la relazione tra il modello , e la copia ; due gemelli
naſcendo saſlimigliano , e pur l'uno' non è la copia dell' altro . I
Pittagorici' nel riferir le coſe all' idee ſeparate , come a loro
modellidiceano', che participavano o imitavano l'idee , ma fecondo Ariſtotele (
a ) non mai filoſoficamente ſpiegarono le voci di participazione, e
d'imitazione . S. 56 Cið fuppoſto , il primo argomento di Socrate tratto da
queſti principj fi pud diſtinguer in due per maggior chiarezza . Ogni idea è
una in sé , ed una in molti , dunque nel tempo ſteſſo , uno può efser molti .
Cosi lo conferma , Benchè l' idee lieno tra loro con crarie , nondimeno poſsono
eſserº nel tempo ſteſso participate da. molti , anzi dallo ſteſso ſecondo
diverſi riguardi , ma in queſte participazioni ritengono la loro unità ,
dunque: ſon uno e molti. Così lo prova : oppoſte e contrarie ſono tra loro
l’idee , del ſimile , del diſſimile', del moto', della quiete , dell’'uno; é
dei molti ; dunque comenulla viera , che lo ſteſso poſsa aver more in ( a )
Metaf, lib. ( 55 ) in una parte , e quiete nell'altra ; eſfer fimile ad un
altro in una parte, e diffimile nell'altra, così nulla vieta che ſia uno , e
molti ; una Caſa ha molti legni , e molte pietre ; ogni . Uo mo è uno
conſiderato in sè , ed è o ſeſto, o ſettimo conſide rato con altri . la un Uomo
, altra è la deſtra , altra la fini ſtra , altre le parti dinanzi, altre di
dietro , altre le ſupreme , al tre le infime. Nel Sofiſta egli dice ; noi
chiamiamo un Uomo denominandolo con molti cognomi , mentre a lui attribuiamo i
colori , le figure , le grandezze, le virtù , ed ivizi : nelle quali coſe tutte
, ed in altre infinite , non ſolamente diciamo che egli fia Uomo, ma ancora
buono , ed altre infinite coſe , e le altre fecondo la ſtella ragione . In
cotal gui sa fupponendo noi qualunque coſa una , di nuovo l'appelliamo molte e
con molti nomi ..... Onde ſi è da noi data occaſione di contraddi re , come jo
penſo a' giovani , ed a ' vecchi di tardo ingegno : percioc che incontinente ci
potrebbe chiunque far obbiezione che ſia coſa impos fibile, che molte sofe
folero una , ed una molte . ( a ) Dunque uno può eſſer molti ; dunque non è
generale la de finizione , che uno ſia non molti . La participazione dell' idea
evidentemente lo manifeſta . 7 9. 6 . . Sciolto è l'argomento ſe fi nega
l'ipoteſi dell' idee ſeparate perchè colte l'idee è colca la loro participazione.
Parmenide ri gecta l'ipoteſi, come nè generale , nè chiara ; non generale .per
chè non s'eſtende a cutti i cafi poflibili i ; non chiara . , 'perchè non pud
fpiegarſi la participazione dell'idea. Cost :provo la pri ma parte non ſi
debbonoaſſegnar idee delle coſe ſeparate, o aſſegnarſene di tutte le coſe ';
che vuol dire , non baſta affe le .coſe morali , e matematiche , mabiſogna af.
ſegnarne ancora per le fifiche : dunque non ſolamente vi ſono idee del giuſto ,
del bello , del buono , del grande , del fimile ec, ma dell'uomo, del foco,
dell'acqua , e d' alcune coſe , che molti fimano per avventura ridicoloſe ; i
peli, il fango, le macchie., ed altre coſe ignobili , e vili. Socrate toſto lo
nega, perchè gli pare , che ammettere queſt' idee, ſarebbe coſa troppo
diſconvenevole , poi can didamente confera, che alcuna volta queſto penſiero lo
turbo , e che quando di là fi ferma ſe nefugge temendo di non corrompere la ſua
mente , e fantaſia cadendo in ciancie ineſplicabili ., onde a quelle coſe
ritornato ( cioè all'idee del giuſto , del bello , del buono, ed all idee
'matematiche ) verſa intorno a quelle . In ( a ) Sof, pag. 306 , ( 56.) In un
caſo ſimile ſi ritrovò il P. Malebranchio ; ſentendo egli la difficoltà di
ſpiegar chiaramente , come l'eſtenſione intelligibi- : le , eſſendo immobile in
Dio , gli rappreſenti il moto , ove il luſtra queſto articolo dice nel fine : (
a ) Io non oso impegnarmi'. a trattar queſto ſoggetto a fondo , temendo di dir
coſe, o troppo aftrat te , o troppo ſtravaganti, o ſe ſi vuole , per non
azzardarmi a dir co ſe che non so , nè sono capace di diſcoprire. Queſto è il
ripiego di Socrate . Ariſtotele ( do ) ove nella Metafiſica combatte l' idee
ſeparate malamente attribuite a Platone , adduce tra l'altre coſe , che dandoſi
idee ſeparate ſi dovrebbe darne de' ſingolari, de' corrut tibili ; egli non
eſtendeche l'argomento da Parmenide eſemplifica to , e poida Alcinoo , che
afferi non darſi nel fiſtema de' Platonici idee delle coſe arcifiziali ; uno
ſcudo , una lira ec. ne delle co fe oltre natura la febbre , la bile non
naturale ; non delle coſe ſingolari, Socrate , Placone; non delle vili, ed
abbiecte ſozzure , paglie ec. donde traffero i Platonici dopo Ariſtotele,
queſta di ſtinzione, ſe non dal Parmenide ? §. 7 . Propoſta che ha Parmenide
un'obbiezione , che Socrate non può riſolvere , egli cangia l' argomento ad
judicium in quello aid hominem , che vuol dire non argomenta più ſecondo i
principi della ragione univerſale, ma ſecondo i principj del diſputante , e ne
deduce la contraddizione . Suppone dunque che vi fieno idee ſeparate ", ma
come poi date queſte idee lo ſpiegare che lieno participate dalle coſe Queſta
participazione ſi fa , o ſecondo il tutto , o ſecondo la parte . Parmenide
dimoſtra , che nèl'uno , nè l'altro può eſſere . Sia da una coſa participaca
l'idea ſecondo il cutco , dunque tut ta l'idea è in ſe ſteſſa .; e tutta fuori
di ſe ſteſſa ; dunque nel tempo ſteſſo eſiſte tutta in sè , e cutca fuori di sè
. Siaľ idea conliderata in sè A , e participata fia B , C, D ec. generalmen te
, o non A ; dunque nel tempo ſteſſo l'idea è A , e non A , ciò che è
contraddittorio . Nè occor dire che un giorno è uno , e lo Steffo , ed inſieme
in mola ti luoghi , e pur non è da ſesteso in diſparte . Il giorno non è che la
luce del sole , diffuſa in tutto il noſtro emisfero . Or quel la parte di luce
, che illumina me, non illumina il compagno ſebben mi lia vicino . Parmenide li
ſerve dell'eſempio della ve la , ( a ) Ricerca della verità T. 4. pag. ... ( b
) Metaf. I. .... ( 57 ) la , la quale molti coprendo , non è perd una in molti
, perchè la parte c he copre l'uno , non è la parte che copre l'altro .
Reſta a dimoſtrare, che l'idea non è participata dalle coſe ſe condo una parte
; la dimoſtrazione è da se manifefta , perchè l'idea participata ſarebbe una ,
e non una ; una tutta in sè , e non una nelle coſe che ne hanno ſolo una parte
. Queſto modo d'ar gomentare , è fondato ſul principio di contraddizione
adoprato lovente da Platone, e ſtabilito da Ariſtotele , come il primo prin
cipio in cui ſi riſolvono cutti gli altri . Eſperimentiamo noi cal eſſere la
natura della noſtra mente , la qual mentre giudica che una coſa ſia , non può
inſieme giudicare , che la ſteſſa non ſia . Parmenide eſemplifica
l'impoſſibilità di queſta ipoteſi. 5. 8. La grandezza è ciò che è capace di più
e di meno . Nel conce pir il più fi concepiſce il maggiore, nel concepir il
meno fi conce piſce il minore , e nel concepir l'eguale non ſi concepiſce nè
più , nè meno nelle quantità che ſi comparano. lo dico che li comparano ,
perchè nè il più , nè il meno, nè l' eguale concepir ſi poſſono ſenza riguardar
una coſa nel tempo ſteſ to che l'altra o ſenza compararle , e in queſta
comparazione pro priamente la grandezza confifte, la quale , come ben dice il
Wol fio , non ſi può concepir ſenza un altro a differenza della quali tà .
Tutto quindi l' effer della grandezza è relativo , od ha tut to l'eſſere in
ordine ad un altro . Così Platone eſpreſſe la natu ra della relazione nel
Politico , nel Simpoſio , nel Sofifta , e pri ma di lui Archita , ed Ocello , (
a ) i quali diviſero la relazio ne in quattro generi . Da queſti autori traſfe
Ariſtotele ( 6 ) la definizione , che dà della relazione . Nulla perd vieta ,
come & proverà , che per compendiare i concetti non ſi concepiſca la gran
dezza come qualche coſa di aſſoluto , a cui accade – eſſere mag giore , minore
, ed eguale , e che di nuovo ſi concepiſcano il maggiore, o'l minore come
aſſoluti, a' quali accada il più , o meno , o nè l'uno , nè l'altro . Suppoſto
dunque , che fi dia l'idea della grandezza , e in conſeguenza del maggiore, del
minore , dell' eguale, così argomenta Parmenide. Sia A l'idea del maggiore , B
del minore , C dell' eguale ; ſi dividano tutte2 , e tre in parti ineguali : С
poichè dunque una coſa in canto è maggiore , in quanto partecipa l'idea del
maggiore , lia l'idea - B del maggiore A diviſa in parti ineguali, e la parte
minore delmaggiore ſia participata, quello che la Tom . II. h par ( á ) Diſcuſ.
Perip. Patriz ; T. 2. pag. 185. ( b ) Ad aliquid alia dicuntur quæcunque quod
ipſa ſunt aliorum effe dicuntur. o il A ( 58 ) partecipa non ſarà egli nel
tempo fefto , e maggiore , e mino re? Maggiore, perchè parcecipa l'idea del
maggiore; minore per chè parcecipa la parte minor del maggiore. Così potrà
dirli della participazione della parte più picciola dell'idea del minore, e
dell' idea dell'eguale . Se'l idee dunque fi participano dalle coſe , ſe condo
una parte loro non potrà mai effer quefta , una delle par ri ineguali.
Parmenide non procede olore , maè facile l'aggiun-. gervi , che nè meno pud
parcicipare delle parti eguali , perchè la parte .eguale del maggiore
participata dalla coſa , la farebbe nel tempo ſteſſo eguale , e maggiore ; e
così la parte eguale del mi nore , ſarebbe la coſa minore ed eguale. . 9. La
noſtra mente , come per ſua natura non può concepiricon tradditrorj, così non
pud frappaſſar l'infinito , biſogna che s'ar reſti ad un primo, o ad un ultimo
, il qual è come Tuncino che ſoſtiene curri gli anelli della catena. Ariſtocele
, e'ne'mori, e nel le cagioni, e ne'fini dimoſtra l' aſſurdità del progreſſo
all' infini 10 , modo d' argomentare imparato dal Parmenide di Platone non men
che l' altro del principio di contraddizione. Il Wolfo dimoſtròeffer impoſibile
il progreſſo all'infinito rectilineo, e cir colare . g. 10 , . Poſta
l'aſſurdità del progreſſo all'infinito , così argomenta Par menide : Tu ſtimi
che qualunque ſpecie fia una , quando pare i te cbe certe , e molte coſe fieno
grandi, parendoti per avventura in ris guardando a tutte le coſe , che ſia
queſta una certa idea , onde tu penfi che il grande fia uno . Prima
d'inoltrarſi è da oſſervare, che qui Platone inſegna, co me comparando le coſe
, nel riflectere a quello in cui conven gono , ne riſulta un'altra idea , come
prima avea inſegnato Epicarmo , Queſt' idea è ſempre una , perchè uno è l'atto
della mente con cui ſi rifletre a ciò che le coſe hanno di commune . Continua
Parmenide : Se'il grande, e l'altre coſe che ſono grandi nel medeſimo modo
conſideralli per tutre le coſe , non apparirebbe egli da capo ceri' una coſa
grande, onde farebbe neceſſario che queſte tutte pareffero grandi? Vuol dire
che nel compararſi dalla mente di nuovo l'idea del grande con le grandezze
participate , nè riſulta un'altra idea di grandezza , per la qual coſa
concludeParmenide: apparirà di nuo po altra ſpecie di grandezza fuor do esſa
grandezza , e di quelle che fono ! ( 59 ) fono partecipi di lei , e dopo tutte
queſte , altra di nuovo con cui som rebbono queſte grandi, nè pide
qualunqueſpecie fia una , ma piuttoſto di numero infinito . La ragione è , che
l'idee della grandezza di nuovo aſtratte nella comparazione , eſſendo per loro
natura re lative faranno fena pre di nuovo comparabili , e così all' infini to
. Ariſtocele su queſto fondamento del Parmenide , e tutti i Platonici, e tra
gli altri Alcinoo dillero , che non fu potea aver idee de relativi. $. 11. cioè
per Dal modo con cui Parmenide comparando l'ideę , altre idee He deduffe ,
concluſe Socrate, che le ſpecie ſono' atti dell'intel fetto, i quali non riſiedono
, che nell'animo . Gli concede Para menide, che ogni atto dell' intelletto è
uno , ma gli fa confef fare , che queſt' acto ha un oggetto , ed è l' ente';
l'ente perd in quanto ſi concepiſce o s'intende', non s'immagina o ſente :
prende egli qut l'idea , non per la nozione , o per il concetro' della mente 1
atto , ma per la relazione che ella ha ad un certo oggecto, e conſidera l'unità
dell'idea' non relativa mente all'atto dell'intelletto , ma all' ente che la
partecipa poichè ſecondo i principj di Socrate , ella è ſempre la ſteſa in
tutte le coſe . Ne deduce per confeguenza , che ſe l'idee ſono' at: ti
dell'intelletto , le coſe che partecipano della ſpezie', o deli? idea faranno
tutte intellective, ed intelligibili . Vi riſponde So crace , che le coſe non
partecipano' dell' idee , in quanto' queſte fono atti dell'intelletto , ma in
quanto rappreſentano le coſe ; che vuol dire, in quanto l' idee Tono eſemplari
, di cui le co fe fono limiglianze ; onde in tanto le coſe le partecipano', in
quanto ad effe li fanno ſimili . Parmenide contro queſte fimi glianze dell'
idee , argomenta coll' aſſurdità del progreſſo all' ip knito , come fece delle
grandezze . $. 12 Supponiamo che' molte' coſé' fieno ſimili per la
participazione dell' idee della ſimiglianza. Potendoſi dunque comparar dall'in
telletto le ' fimiglianze' , e delle coſe , e dell' idee , Te' ne' eſtrar rà
un'altra' idea di ſimiglianza , e queſta di nuovo comparando 1' idee con le
coſe , darà un' altra idea di fimiglianza , e co sh all'infinito , cio' che è
aſſurdo”. Cosi eſprime queſto argo mento Parmenide : non ſarebbe egli neceſſità
grande , che' quel che è fimile al fimile' folle partecipe dell' uno , e della
fleffa ſpecie ? Or hi 2 non ( 60 ) 5 non ſarà ciò la ſtessa ſpecie , di cui le
fimili coſe rendendoſi partecipi fiano fimili ? Dunque non può alcuna coſa
eller ſimile alla ſpecie, ne la ſpecie ad altrui, altrimenti oltre alla
fpecie', altra ſpecie ſempre apparirebbe, che ſe ella folle fimile ad alcuna
coſa altra dacapo' , ne cellerebbe mai queſto progreſo , che non ſi faceſſe
ſempre nuova fpe cie , ſe ancora folle ſimile la ſpecie , a chi di lei ſi
rendeſe partecipe : Ariſtotele propoſe lo ſteſſo argomento ſebben oſcuramente
L'Uomo , dice , ſignifica non meno la ſoſtanza ſenſibile degli Uomini ſingolari,
che la ſoſtanza intelligibile dell'Uomo per sè , o fia l'idea dell' Uomo . Or
ſe queſt' idee convengono in una coſa comune , fi concepiſce comparandole un
terzo Uomo, equin di un altro , e così all'infinit . Ariftotele creſce
l'aſſurdità Socrate lingolare participando dell'Uomo univerſale partecipa , e
dell'animale e dell'animale a due piedi , e d'altre coſe , ciod , quelle che ha
comuni colle piance, colle pietre , ed altre innume rabili. Converrà dunque
moltiplicare all'infinito l'idee, onde per una coſa ſenſibile converrà porne
infinite; ſi può aggiungere che queſto numero di nuovo ſi moltiplicherà
all'infinito am mettendoſi l' idee dei relativi, poichè ogni coſa che è nell'Uo
mo , pud compararſi a turce l' idee delle coſe viſibili , ed invidia bili , o
della ſteſſa, o di diverſa ſpecie. Ma l'Uomo ideale, diceano i Pittagorici ,
effendo incorrutti bile , ed univerſale non ſi può comparar a coſa ſingolare ,
e cor ruttibile , ed eſtrarne quindi nuova idea ? Ariſtotele vi riſponde : i
binarj feparati ſono anche eſſi incorruttibili , e pur per conoſcer li biſogna
dar un'idea comune di binario , in cui convenga il binario B , il binario C ec.
In oltre l'idea di figura è comune al cerchio , al triangolo , ea tutte le
figure piane e ſolide, onde ella , è propriamente ge nere relativamente alle
ſpecie , ma chi può mai conoſcere una figura che non ſia , nè cerchio , nè
triangolo , nè altra ſimile ? Intanto la concepiſce la figura in genere , in
quanto la mente non s' applica , che ai limiti che circonſcrivono lo ſpazio ,
fen za far attenzione rifeffa , nè al modo , nè al numero , nè al fito dei
limiti ſtelli . Spiegherd la coſa con un eſempio più fa cile . Egli è
impoſſibile che io concepiſca un triangolo ſenza rappreſentarmi che egli fia ,
o Equilatero , o Iſollele , Sca leno ; altro è poi , che nel rappreſentarmi uno
di queſti crian goli io non faccia determinata attenzione alle ſpecie dei tre
lati . Noi non intendiamo le cofe , dice San Tommaſo , ſe non cona vertendoſi
a' fantasmi loro . Ora a qual fantasma è anneſſa l' idea della figura ?
Confuſamente a tutte le figure ; ma io non ne , con ( 01 ) conſidero
diſtintamente alcuna , e ſolo attendo a ciò in cui cut te convengono , ed è d'
eſſere uno ſpazio circonſcritto ; ma ſe nel concepire l' idee de' generi delle
coſe matematiche v'è canta dif ficoltà ammettendo l' idee ſeparate , quale ve
ne ſarà nell'idee metafiſiche ? Nell'ipoteſi Pitagorica ſi dovranno aſſegnar
idee del poflibile , dell'ente , dell'atto , della potenza , della cagione ,
del principio , del modo , dell'attributo , del terminato , è dell '
indeterminato , del neceſſario , del contingente', del perfetto dell'imperfetto
ec. nè ſolo di queſte coſe , ma del prima , del dopo , dell'inſieme , del
ſeparato , e finalmente del genere in quanto genere, e della ſpecie in quanto
ſpecie : coſe tuote af furdiffime nè abbaſtanza eſaminate da coloro che
preteſero che noi vediamo le coſe in Dio , perchè ad ognuna di queſte coſe non
men che all'eſtenſione , ed al numero dovrebbe aſſegnarſi un'idea , Ariſtotele
con gran ragione v'aggiunſe, che neli ipo teſi dell' idee ſeparate, oltre
l'idee de relativi converrebbe am mettere l'idee delle negazioni , e delle
privazioni , o degli op pofti , cioè dei contraddittori dei contrarj ec. 9. 13.
Dace l'idee , data la loro participazione, ed eſcluſa la compa razione
a'ſenſibili, ricerca Parmenide fe debbonſi annoverare l'idee tra gli enti
relativi; od aſfoluti . Vi fono delle coſe, di cui tutta l'eſſenza conſiſte nel
riferir fi all'altre, e queſte ſono relative , ( 8. 8.) é ve ne ſon altre di
cui l'eſſenza conliſte nella non ripugnanza dei predicari , che le
coſtituiſcono , e queſte ſon le affolute ; Poichè tutto l'efferé de’ relativi è
nel loro confronto , ( 5.8 . ) includono effi neceffaria. mente due termini tra
loro oppoſti, il fondamento dei quali fo no le coſe affolute , che tra loro fi
comparano ; quindi il fonda mento del relativo è sempre l' aſſoluto . Un Uomo
fuffifte per sè , e ſe foſſe ſolo nel mondo , non farebbe nè Padrone , nè ſer-'
vo , ma ſuppoſto che viva in una ſocietà , può eſſer l'uno , e l' altro, in
guila però che non è ſervo in quanto Padrone, nè Pa drone in quanto ſervo , ma
come Padrone ſi riferiſce a coloro cui comanda , come ſervo a coloro cui
ubbidiſce, e l'uno , e l' altro gli accade in quanto è Uomo , ed a diverſi
Uomini li ri . feriſce. Poichè dunque l'idee fi riferiſcono ai fimili che le
par tecipano , biſogna che ſieno in ſe ſteſſe e parimenti perchè i ſimili che
partecipano l'idee fi poffano riferir all’ idee, convie ne che fieno in ſe
ſteſi. Biſogna in una parola , che l'idee, e le coſe che le partecipano abbiano
un' eſſenza determinata . Con clude ( 62 ) 1 clude quindi Parmenide, che l'idee
hanno tra loro, un ' eſſenza , ma che queſta non è un eſſenza tutta: relativa
alle coſe che ſo no appreſſo di noi, o pure le coſe fi nominano ſimiglianze , o
in altramaniera di cui facendoſi partecipi , noi la nominiamo con , qualunque
di eſſe. ; . aggiunge parimenti, che le coſe che ſono in noi, non hanno la
virtù ſua d'eſiſtere in verſo l' idee , ma fono quel che ſono relativamente a
ſe ſteſſe . Parmenide quin di chiama le cofe. che ſono in . noi ,, e: in torno
a noi: equivoche: all' idee .. Cagione equivoca: degli animali , delle piante ,
de metalli ec. diſero Ariſtocele , e gli Scolaſtici il Sole , perchè ſebben
concorra alla loro generazione, non conviene con loro , 0 non gli aſſomi glia
che nell'eſſere . Parmenide parlando ad bominem par che allu da all' opinione
di Socrate , il quale nell' ammecter l' idee , come cagioni delle coſe , era
sforzato ad ammetterle come cagioni equivoche ,, non potendo ammetterle, come
cagioni eſemplari, il che: Ariſtotele così : dimoſtrò :-ſe quando l'Uomo fi
genera da Socra te, eglis'alfomiglia all'idea , e non a Socrate , fi potrà
generar: { mile all'idea , liavi o non ſiavi Socrate ;; ma ľ Uomo generandofia
non s'aſſomiglia all'idea , ma a Socrate , come è manifeſto dall' eſperienza ;
dunque Socrate , e non l'idea è l'eſemplare del generato: Poſto dunque che l'
idee : influifcano nella generazion delle coſe, convien ſempre porle , come
cagioni equivoche ; : ma da: chi Ariſtotile traffe cal idea , ſe non da Placone
? ' Or fe: l'idee non hanno relazioni alle coſe , o ſono diloro ca gioni
equivoche, come poſſiamo conoſcerle? Se le piante , de pie tre ragionaſſero , .
potrebbono mairappreſentarli ( rimirando ſe fteſ . ' fe , . ), che il Sole
foſſe loro: tanto diſſimile ? che ebbe . tanta parte nella loro generazione .
Le noſtre idee non ſono cagioniequivoche delle coſe , le quali noi produciamo
affilandoſi ſul loro modello . Un Architeto uno Scultore, un Pitcore fanno la
caſa , la ſtatua , . , l'immagine ſecondo l'idea che ne hanno formata , e
perciò comparano l'effet to all' idea per miſurarla ,, e perfezionarla ; ,
nella combinazione dell'idée chiare , . e diſtinte conſiſtendo la ſcienza ,
l'oggetto del la noſtra ha ſempre proporzione all'idee che d'effo formiamo ;..
ma ſe l .idee : ſeparate come cagioni equivoche non hanno alcu na proporzione
con le coſe che vediamo , non par poffibile di : riconoſcerle , e in
conſeguenza aver- Scienza di loro . Delle co fe quindi rivelate , non abbiamo
ſcienza ma fede; ſono certe , € infallibili , ma non a noi: chiare e diftinte
.. g . 145. ( 63 ) S. 14 . Platone nel Filebo ſtabiliſce due generi di coſe;
altre non 'han no avuto origine , nè finiranno giammai , perchè ſono immutabi
li , e fempiterne ; altre non ſono perchè ſempre 'fi fanno ſono a generazione,
& corruzzione ſoggette : À queſti due ge neri di coſe , ' fa corriſponder
due generi di cognizione ; delle coſe immutabili , ed eterne ſi ha ſcienza ,
dell' altre non ſi ha che opinione. Le coſe di cui s' ha ſcienza ſono l'idee ,
perchè ſono ſempre nello ſteſſo ſtaro , nè ſi può ſapere ſe non ciò che è , ed
è ſempre nel medeſimo modo ; le coſe di cui s' ha opinione fono le coſe
ſenſibili, perchè continuamente fluendo , non ſono mai nello ſteſ fo ſtato .
Come dunque Placone nel Tilebo , dà fcienza dell'idee , e nel Parmenide non la
dà ? La riſpoſta generale è , che da cid che ſi dice in un Dialogo ,nulla deve
inferirſi relativamente a cid che ſi dice nell'altro , perchè Platone non
ragiona ſecondo la ſua ſentenza , come nelle lettere per eſempio , ma ſecondo
le ſenten że altrui ; oltre a cid , Platone trattando nel Filebo della defini
zione della ſcienza egli è manifeſto , che tratta ſolo della ſua pof fibilità
relativamente all'oggetto ,ſenza poi procurarſi di cercare , ſe ſi dia o no
tale ſcienza negli Uomini , I Matematici definiſco no il cerchio , e il
triangolo in quanto è poffibile , nè fi curano ſe eſiſta o.no : quindi ben ' li
definiſce la Filolofia , la Scienza dei poffibili in quanto tali ; nel
Parmenide non della poſſibili tà , ma dell'attualità della ſcienza ſi tratta ,
e Parmenide mo ftra , che dandoſi l' idee ſeparate non poſſiamo aver 'ſcienza
di effe , perchè non hanno alcuna proporzione con noi , e con le coſe .noſtre .
5. 15 . Ammettendo con S. Agoſtino , e S. Tommaſo , cheIddio ab bia idee , e
molte idee , onde per eſſe conoſca i ſingolari , i fu turi , i contingenti, gli
infiniti, non perciò poſſiamo dire , che abbiamo ſcienza dell' idee di Dio , o
che poliamo conoſcere co me per queſt' ideeegli conoſca le coſe. Il
Malebranchio , ed il Poiret, che lo tentarono , caderono ſecondo la fraſe di
Socrate in ciancie ineſplicabili. 1 . 16 . ( 64 ) . S. '16. : s' inoltra
Parmenide: La ſcienza in sè conliderata è un'idea , come la bontà , la bellezza
ec. ma ſe queſt' idea della ſcienza , non ha alcuna proporzione alle ſcienze a
noi note, non poßia mo conoſcerla , poichè le ſcienze intanto a noi ſono note
in quanto verſano su noi , o su le coſe che ſono intorno a noi . Or non
conoſcendo l'idea della ſcienza in quanto tale , nè men poſſiamo conoſcere
ſcientificamente l'altre idee, perchè per aver ſcienza dell' altre idee convien
participar dell'idea della ſcien za , ciò che è impoflibile : Parmenide par qui
ſupporre che la noftra ſcienza paragonata all'idea della ſcienza ſia come il
zero all' infinito ma ſe noi non participiamo dell'idea del la ſcienza , come
potremo ſcientificamente , o chiaramente , e diſtintamente conoſcere il bello ,
l'oneſto , il giuſto , e l'altre idee ? Nulla a mio credere v'è di più acuto ,
e profondo che queſtº argomento , e quel d ' Ariſtotele non l'eguaglia , benchè
per altro concluda contro l'ipoteſi dell' idee ſeparate . Oſservò egli che lº
idee eſsendo immutabili per loro eſsenza , non ſi può per eſse ſpie gar il moto
, dalla cui cognizione dipende quella della natura ; dunque l' idee ſono
inutili alla ſcienza per cui furono introdotte . Coloro i quali amiſero con
Eraclito , che le coſe ſenſibili ſono in un continuo fluſso , ricorſero
all'idee ſeparate , le quali immutabili eſsendo , ſomminiſtravano a? Filoſofi
dei principj immutabili del loro ſiſtema ; la difficoltà è come i Filolofi le
conoſceſsero , ſe la lor mente , non nell' eſsere , ma nell operare dipende dagli
organi del corpo umano , ſoggetto alle vicende dell'altre coſe fenfibili ? f.
17 . All' argomento tolto dal principio di contraddizione del pro greſſo all'
infinito , Placone aggiunge l' altro tolto dalle perfer zioni Divine . Come il
retto è la miſura di ſe ſteſſo , e del cur vo , così il cumulo di tutte le
perfezioni che è in Dio ; ci ſer ve di miſura per giudicare, e delle perfezioni
di Dio ſteſso , e di quelle dell'altre coſe . Per via del principio di
contraddizio : ne del progreſso all'infinito ſi dimoſtra l'eſiſtenza di Dio , e
per via , o di negazione , o di eminenza , o di caſualità , fi di moſtrano le
infinite perfezioni di lui , onde ſe a qualche data ipoteſi conſegua
l'annullazione di qualche perfezione divina , l'al ſur ( 65 ) ſurdo è maſſimo,
perchè Dio nell' effer principio dell'eſiſtenza, è ancora principio di tale
eſiſtenza , e nulla può eſiſtere ſe ri pugna alla natura Divina . Socrate non
potea non conoſcer Dio comeprincipio intelli gente , dunque era neceſſario ,
che gli attribuiffè l' idee non me no convenevoli all'intelletto , che i tre
lati ad un triangolo ; pur tace Socrate , quando Parmenide gli prova , che la
perfec tiſſima ſcienza o P idea della ſcienza convenendo a Dio , egli per
queſt' idea non poteva conoſcer le coſe , ciò che era con trario alla divina
natura . Par dunque che Socrate ſupponeſſe l' idee ſeparate , ma dall'altra
parte Ariſtocele dice chiaramen te , che Socrate noo ammetteva l' idee ſeparate
ſe ben deffe gli univerſali . Non ſi ſoddisfarebbe in parte alla difficoltà ,
di cendoli che Platone , per bocca di Socrate , parlò dell' idee in fenfo
poetico , per aver occaſione d'annullarle, e propor la doc trina che ha da lui
copiato Ariſtotele , e della quale poi ſi ſervì contro que' diſcepoli di
Platone , che realizzarono l' idee ſeparate . . 18. Annullate l' idee ſeparate
, la voce idea nel progreſo del Dia logo , tutta fi riſtringe all' idee , che
la mente aftrae comparan do le coſe . S'è già accennato ( $ . 8.) il modo, con
cui deduſ fe Parmenide l'idea della grandezza , e de' ſimili , e li vedrà
inoltrandoſi , che egli parlando dell' uno e dell'ente, proteſta di ſeparar le
coſe con l'intelligenza , e con queſta fino sbra narle', che è quanto dire,
diſtinguer i concetti o l' idee , ſecon do i rapporti delle coſe, foſſero
ancora quefte ſempliciffime ; nulla v'è di più ſemplice dell'anima per ſua
natura indiviſibi le , e pur in eſſa ſi diſtinguono varie potenze , ſecondo le
rela zioni , che ai varj organi del corpo ella ha operando , onde fi dice che
ella ſente , ë che ella immagina . Nella parte ancora intellettiva , ſi
diſtinguono le facoltà che ella ha di comparare , e di aſtrarre , e di
combinare e di , e di contemplare l' idee', onde ella dichiaraſi mente , e
ingelletto, ( c ) voci non altrimenti fi nonime, poichè le loro etimologie di
confrontano ai varj uffizj dell'anima ; tutte quindi le ſcienze ſono ſu l'
aſtrazioni fonda te . La fiſica aftrae dalle coſe ſingolari, la matematica
dalle ſen Tom . 11. i (a) Mens è detta a menfura , poichè l' anima compara , e
miſura le coſe , Intellectus da intus legere , poichè intendendo ſcieglie , e
deduce una cola da un' altra . fibili , ( 06 ) fibili , la metafiſica da ogni
materia . Vuole il Patrizio , che come in una gran parte del Sofifta , čosi in
tutto il Parmeni de non ſi tratti che di quella metafiſica , che Ariſtotele
colſe da Placone , e di cui le prime idee ne diedero i Pitcagorici , e tra gli
altri, Archira e Peritione; io v'aggiungo che la me cafifica avendo due parti ,
cioè l' ontologia , o la ſcienza , che tratta delle proprietà dell'ente , in
quanto ente , e la Teolo gia naturale o la ſcienza , che tratta delle ſoſtanze
ſeparate dal la materia , come Dio e l'anima , Parmenide ſi riſtringe in que
ſto trattato all' ontologia , e manifefte ne faranno nel progreſo ſo le prove ;
baſta accennar qui , che dovendofi dar un elem pio del modo con cui s
acquiſtano l ' idee , ſcieglie Parmenide l'idea dell'uno , applicando ad efla
il metodo delle fuppoſizio ni . Due coſe aggiunge alluſive all'analiſi , ed
alla ſinteſi . La prima che ufficio e d' uomo ingegnoſo il poter apprendere ,
come ſi ritrovi il genere di qualunque coſa , ciò che ſi fa cominciando
dall'analiſi , o dall'eſame delle coſe particolari , e per l'aſtra zione ,
elevandoſi agli univerſali ; la ſeconda , che ufficio è di uomo meraviglioſo
inſegnar agli altri le coſe ritrovate , ciò che ſi fa per la ſinteſi ,
combinando l'idee generali, e quindi le lo ro combinazioni, da cui ſi deducono
i problemi , e i teoremi , ed indi i corollari , e le annotazioni. Sommo acume
di men te fi ricerca nel far le opportune aſtrazioni , e di nuovo da .quefte
aftrarne altre, ſin che ” analiſi propoſta ſi riduca all' ul time idee , e
ſomma fodezza , ritrovare l'idee , concatenarle in guifa che alcri con facilità
, e prontezza le intendano, e l'uno , è l'altro dimoſtra Parmenide , o col luo
nome Placone. SEZIONE SECONDA . Se l'uno che ne ſegua . b . I. Vuol Uole il
Ficino , che queſta prima fuppoſizione debba inten derſi . Se l' uno , perchè
il verbo è , o ſia la copula del predicato o del ſoggetto v'è pofta , non in
grazia della coſa , ma dell' orazione . Nel legger la nota marginale del Ficino
mi ricordai, che Licofrone ( a ) invecedi dire , il parete è bianco , di ceva
il parete bianco , ed altri il parete biancheggia , quaſi che Platone non riprovaſſe
nel Sofiſta l' orazion ſenza verbi , o che (a ) Ariſt. 1. Phil. 9 ( 07 ) che i
verbi non foſſero ſtati inventati per compendiare i gius dizi ! Non è forſe lo
ſteſſo il dire , io amo , che io ſono aman te é io biancheggio , che io fono
biancheggiante ? La fuppofi zione dunque, je l' uno equivale all' orazione
condizionata , ed implicità fé uno , nè così la propone Parmenide , ſe non per
intimarci, che a null' altro fi deve badare nell'ipoteſi , che all uno preſo in
un concetto aſtrattiflimo. Nella Geometria ſinteticamente ſi comincia dal punto
prin cipio della linea ; nell'aritmetica, dall'uno principio del nume ro ; e
nell' ontologia dall' uno traſcendentale , che conviene ad ogni noftra idea .
Eſclude tutte le relazioni , perchè riferendofi l'uno per eſempio ad A , B , C
ec. non è più uno , ma molti , in quanto in lui fi conſiderano le diverſe
faccie che ſi riferi ſcono ai molti . Parmenide in queſta prima ipoteſi eſclude
dall' uno cutte le relazioni, cioè quelle dell'ente in genere , e l'alore dell'ente
in fpecie . Relazioni dell'ente in genere ſono l'identicà , e la di verſità ,
perchè non competono meno alla ſoſtanza , che alla quantità , qualità , ed agli
altri predicamenti. Relazioni dell'en te in fpecie ſono , la limiglianza , la
diſſimiglianza , Peguaglian za , l'ineguaglianza , l'antichità , la novità eco
perchè competo no o alle fole qualità , o alle ſole quantità ec. * l une e
l'altre intanto ſi dicono relazioni , in quanto non conſiderano le coſe in ſe
ſtelle , ma relativamente tra loro : il diffimile , l'eguale ec. non li
concepiſcono ſenza i due termini , che tra loro fi paragonano . Se l' uno in
quanto tale non può compararſi ad alcuna coſa , biſogna eſcluder da lui tutte
queſte relazioni , tan to più ſe nelle coſe riferite s'includono i molti.
Parmenide comincia dall'eſcluſione delle relazioni più facili a conofcere', che
ſono quelle della quantità ; paſſa alle relazioni della qualità , e ad alcre ,
e finalmente all'eſſenza ; nè di ciò con tento efclude le relazioni, che l'uno
può aver all'opinione , al la ſcienza , é lino al nome. Se l'uno in queſto
concetto aftrat tiſſimo fi nominalle , avendo ogni nome relazione al ſenſo , al
la fantalia , od alla mente , e quindi a tutti gli uomini, che lo pronunziano o
l'odono, l'uno con l'aggiunta di queſte relazio ni ſarebbe molti . Si ſente più
che non s'eſprimequeſt' ultimo grado , ed abbiamo grande obbligazione a Platone
, che in que Ro Dialogo , nel rappreſentarci la dottrina della fetta Eleatica ,
ci ha moſtrato l'uſo opportuno delle aſtrazioni. Egli di conten ta di non
moltiplicarla , che fino ad un certo grado , a fine che l'idea coll' altrarla
tanto non s'inlanguidifca , è sfumi; onde al fine la mente non poſſa più
ravviſarla in quella guiſa , che i 2 l'im 708 ) l'immagine d'un oggetto riflettuta
da uno ſpecchio ſucceflivamen te in molti altri , al fin diviene si ombratile ,
che ſvaniſce da. gli occhi . Frattanto era neceſſario dimoſtrare in un ſoggetto
aſtrattiſſimo per sè , l'uſo dell'ultime aſtrazioni che può far la mente , non
eſſendovi altro modo di accennare , come in ogni quiſtione s'arrivi a quell'
ultima idea , in cui conviene che vi ci ripoſi , anco malgrado l'impeto innato
, che inevitabilmente ci porta a ſempre più nelle cognizioni inoltrarci.
Nell'inveſtigazione poi dell' idea vaga Parmenide per tutti i generi , come era
in uſo nell'antica Dialetica, e fatta la ſuppoſizio ne determinata per via di
comparazioni, ed eſcluſioni, egli ricava il punto preciſo della quiſtione
propoſta. Con la chiarezza maggio re che io poſſa , procurerò deſprimer
diſtintamente tutti i gra di tallor dell'analiſi, e callor della ſinteſi
Parmenidea . Nel trat çar l'altra quiſtione meconvenne ſeguire le
interrogazioni, e le riſpoſte degli Interlocutori ma quà folo Parmenide parla ;
onde bafta ſolo ſeguendo l'ordine del Dialogo premetter le.co. ſe neceſſarie ,
eſtrar la propoſizione, e dimoſtrarla fe fi può cal metodo de' Geometri . L'
uno non è molti . Abbiamo quanto baſta illuſtrata queſta definizione ; qui fo
lo avverto , che come il Wolfio , dopo d'aver definito , che l'en te ſemplice è
cid che non ha parti , da queſta definizione ne gativa egli deduſſe, che l'ente
ſemplice non è ſteſo, non è diviſibi le , ſenza figura , ſenza grandezza, che
non riempie ſpazio , che non ha moto inteſtino ec. Così Platone , da ciò che è
l ' uno , dimoſtra le fteſſe coſe , e molt'altre che andremo partitamente,
conſiderando , e deducendo dalle nozioni preme{le . g . 3 . 11 Wolfio defini il
tutto ciò che è lo ſteſſo con molti ; per abbracciar in una definizione non
ſolo il tutto integrale , che chiamaſi totum , ma ancora il potenziale che
chiamali omne. Lo ſteſſo , come ſi vedrà fra poco , conviene non meno alle
quantia tà , che alle qualità , ed alle ſoſtanze , e l'idea di molti è più
univerſale , che quella delle parti , convenendo i molti e agli enti ſemplici,
ed a' compoſti come a' quantitativi . Parmenide non definiſce qui , che il
tutto integrale , raccogliendo inſieme le 1 ( 69 ) le parti , e limitandole in
uno, a cui niente manca , ed è per fua natura indiviſibile; la nozione di molti
è quindipiù aftratta della nozion delle parti , e in queſto ſenſo Ariſtotele
diffe , che il tutto è prima delle parti, e non le parti del tutto , il che ,
ſe ſi crede al Patrizio , tolfe da Ippodamo Turio . ( a ) §. 4. L'uno non è nè
tutto , nè parte di sè . Se l'uno è tutto non vi manca alcuna parte , ( $. 3. )
dunque ha parti ; dunque è molti contro la definizione dell' uno ( $. 2. ) Se
l'uno è parte di sè , è un tutto riſpetto a sè , ma non pud eſser un tutto ,
come ſi dimoſtrò; dunque non è parte disè. COROLLARIO . L'uno non effendo nè
tutto , né ſteſo , od è indiviſibile , o è ſemplice. parte , non è 8. S. Ogni
cutto ha principio , mezzo , e fine . Cid vuol dire , che propoſtoſi un turco
nel numerarne le parti fi comincia da quella che chiamaſi prima , e li
progrediſce all' ultima paſſando per le intermedie . §. 6. L'uno non ha
principio , nè mezzo , nè fine. ol, Se l'aveſse ſarebbe un tutto ( $ . 5. ) il
che è impoſſibile ( 8.4. ) Α Ν Ν Ο Τ Α Ζ Ι Ο Ν Ε . Speſre volte inſegnò
Ariſtotele, che l'infinito è ſenza principio, ſenza fine ; offerva il Patrizio,
che lo preſe dal Parmenide, ove ſi dice , che l'infinito ( o piuttoſto come io
crederei l'indefinito ) non ha ne principio , nè fine, cioè non ſi sa in eſſo ,
nè dove comin , ciar la numerazione , ne dove terminarla . In queſto ſenſo una
li nea non è propriamente infinita , o indefinita , le comincia da un punto ,
nè una ſuperficie, nè un corpo , ſe la ſuperficie comincia da una linea , e il
corpo daunaſuperficie. A queſti infiniti måtema rici , che cominciano da un
termine , non compere la definizione, che Platone aſſegna dell'infinito , da
cui eſclude il principio , ed il fine . ( a ) Diſcuſ. perip. T. 2. p. 280. ܐ S. 2 : ( 70 ) S. 7. L ' uno è infinito .
L'uno non ha principio, nè fine ( S. 6. ) Dunque è infinito . ( An. Si 6: ) 9.
8 . La figura è una parte dello ſpazio , o dell'eſtenſione circonſcrit ca da
cerci limiti , o è retta come il quadrato , il cubo ec. o ro tonda , come il
cerchio , la sfera , Pelifli , l'eliffoide ec. o miſta dell'uno , e dell'altro
. Il principio della figura è dove i moder ni pongono il vertice , il fine dove
pongono la baſe" , il mez zodove la figura fi divide per mecà . 8. 9 .
L'uno non ha figura . Ogni figura, o recta , o rotonda ha principio , mezzo , o
fine ( 8. 8. ) ma l'uno non ha principio , nè mezzo , nè fine. ( $ . 6. )
Dunque non ha figura. COROLLAR10. L'uno è infigurabile. $. 10. Non lo può
concepire' , che una coſa ſia in ſè ſteſſa ſenza il di 1 ſtinguere con la mente
, che ella è comprendente e compreſa , cid che è concepirla due volte , o di
uno far due . Non ſi può conce pire , che una coſa ſia in altrui , ſenza che
ella ſia toccata in mol te parti. Il luogo abbraccia , o comprende la coſa in
lui colloca ta · Eſer in alcrui , od effer in ſe ſtello ,, ſono due oppoſti
ſenza. mezzo , come il moto , e la quiete . So IT . L'uno non è in luogo. O
ſarebbe in sé , o in altrui ; ( $. 10. ) ſe in sè , egli ſarebbe a sè il ſuo
luogo , onde abbracciando ſe ſteſſo ſarebbe nel tempo fteflo , e comprendente ,
e compreſo , cioè l' uno ſarebbe due co ſe o molti contro la definizione ( $.
2.) ſe foſſe in altrui, fareb be 1 1 1 1 ( 71 ) be toccato in molte parti, onde
avrebbe molte parti contro la definizione. ( §. 2. COROL. L'unonon è
circonſcritto da alcuna coſa , terra , Cielo , materia , ſpazio ec. ANNOT.
Daqueſto argomento lice inferire , che Parmenide cob ſidera qui l'uno , in
quanto è dalla mente aſtratto da corpi , che ſono in luogo ; s'è già oſſervato
, che l'ontologia degli anti chi era fondata su l' idee aftratce dalla materia
, dalla forma, dal compoſto, dagli accidenti ; onde queſt'uno aſtratto da corpi
, e da loro dipendente non ha alcuna relazione a Dio , ch'è un ente per sè , in
sè , infinito cc. . 12. Il moto alla ſoſtanza , ſecondo Ariſtotele , è quando una
coſa , per eſempio una parte di terra ceſſa d'eſfer terra , e comincia ad eſſer
pianta . Il moto alla quantità è quando una coſa , per eſempio un fanciullo
creſce nella ſtatura , ed un vecchio decreſce . Il moto alla qualità è quando
per eſempio la carne d unUomo fredda , dura , ed aſpra , li fa da sè calda ,
molle , liſcia . Preten deva Ariſtotele, che queſti tre moti dipendendo dalla
forza in crinſeca , che facea cangiare alle coſe la ſoſtanza, e gli acciden ti
loro , li diſtingueſſero dal moto locale , nel qual altro non ſi con ſidera ,
che il paſſaggio da un luogo all' altro : Parmenide , o Pla tone, benchè parli
del moto di generazione, e d'alterazione, par ſolo far attenzione, ſecondo
l'ulo de'moderni, all'accoppiamento delle parti , e quindi all aumento delle
qualità , due coſe accom pagnate dal moto locale , o di traslazione. Lo
conſidera egli in linea retta , oin cerchio , nel qual moto una parte della
coſa & forma nel mezzo , e le altre parti fi rivolgono intorno al mezzo .
Vuol poi , che tutto ciò che ſi genera ſi faccia in qualche luogo ſecondo il
principio da lui in queſto Dialogo replicato più volte. Ciò che non è in alcun
luogo è nulla . Platone nel Teeteto dice per bocca di Socrate : Se dimoſtran
eli una ſpecie di moto , o due ſpecie , come a me pare , nondimeno io conſidero
che cid non ſolamente appaja a me folo , mo ancora tu ne fii partecipe,
acciocchè amendue parimenti patiamo qualunque coſa face cia meſtieri, ficchè mi
di , cbiami tu forſe moverſi , quando alcune coſa fe mute da luogo a luogo, e
nello steſo ſi raccoglie ? Teodoro glie lo concede. Socrate ſoggiugne : Dunque
fiare una specie questa , ma quando fermandoſi alcuna coſa nello ſteffo luogo
s'invecchia , o di bian , ca fi fa nera , o dara dimolle , e ſi altera da certa
altra alterazione, son chiameremo noi meritamente queſt' altra ſpecie di
movimenti ? ... Ora dico che fieno due le ſpecie del movimento cioè alterazione
, la ( 72 ) la circonferenza. Egli dice circonferenza in luogo di traslazione
in cerchio , per moſtrar che nel pieno ogni coſa va in giro. , Conſidera poi
quì , che nel farſi una coſa vi la un accoppia mento , nel qual prima una parte
fi congiunga a quella che li fa , mentre l'altra parte , che ſi deve aggiungere
, è ancora fuori della coſa . 1 $. 13. L'uno non ha moto di alterazione , nè di
generazione . Non di alterazione , perchè ſe ſi altera non è più uno , ac
quiſtando nuove qualità ; ſe fi genera non è più uno, acquiſtan do nuove parti
. Or nuove qualità , e nuove parti fanno molti ; dunque ſe l' uno o fi altera ,
o fi genera , è molti contro la de finizione . IN ALTRO MODO. Una coſa non può
generarſi o farſi che in un' altra , perchè tutto ciò che è , o fi fa, è in
qualche luogo , ma ſe l'uno non può effer in un altro ( S. 11. ) nè meno può
farſi in eſſo . In ol tre ſe una coſa ſi fa in un altro , non ancora ella è ſe
ſi fa . Or quando una coſa ſi fa, una parte è in lei , e una fuori di lei ,
perchè le parti fi vanno ſucceſſivamente aggiungendo , ma l'uno non avendo
parti ( 5. 4. ) nè può eſſer nè tutto te in sè , nè tutto , nè parte fuori di
sè . Dunque non può ge nerarſi . Corol. L' uno non è generabile , nè alterabile
, nè par § . 14. L'uno non ha il moto di traslazione . L'uno non è in luogo (
5. 11. ) ma la traslazione in linea ret . ta è una mutazione ſucceſſiva del
luogo . Dunque l ' uno non eſſendo in luogo ( $ . 11. ) non può mutar il luogo
, ſecondo la linea retta , ma nè meno pud mutarlo , ſecondo la linea circo
lare, perchè deve raggirar nel mezzo , e tener fiffe le parti che fi rivolgono
intorno al mezzo ; ma l'uno non ha nè mezzo , né parte , dunque non può
rivolgerſi in cerchio'( . 13. ) Dunque le alluno non conviene nè l'uno , nè
l'altro , non gli conviene il moto di traslazione . Q. 15 . 1 1 . 1 ( 73 ) g.
isi Come ſi concepiſce il moto , nel concepire la traslazione fuc ceffiva del
mobile , o ſia il rapporto continuamente vario della diſtanza del mobile a '
corpi contigui, così fi concepiſce la quie te nel concepir il rapporto coſtante
di diſtanza a ' corpi conti gui ; quindi nel moto, il corpo va ſucceſſivamente
occupan do diverſe parti dello ſpazio , e nella quiece occupa le ſteſſe par ti
dello ſpazio . $. 16 . Luno non è nè in quiete , nè in moto . L'uno non è in sè
, nè in altrui ( 9.11 . ) ma ciò che è in quiete , è ſempre nello ſteſſo , ciò
che li move è ſempre in al trui . Dunque ſe l'uno non è in ſe ſteſſo , nè in
altrui, non ſi ripoſa , nè ſi muove . $ 17 Platone ha ſin ora conſiderato l'
uno per eſcluder da lui la ragion di tutto , di parte , di principio, di fine ,
di mezzo , di figura , di luogo , di moto , cioè per eſcluder dall' uno tutte
le relazioni che appartengono alla quantità, come la più nota , e più facile.
Senofane pur provava, che l' uno era infinito , im mobile , non ſi trasfigurava
nella poſizione, non s'alterava nel la forma, non fi milchiava con alcri. Non è
egli molto veri ſimile , che egli ne arecaffe le ſteſſe ragioni , che poi
Parmeni de più fteſe , ed affottiglid ? Paſſa Parmenide ad eſcluder dall' uno
le relazioni dell'ente che appartengono alla qualicà , di cui le prime ſono
l'identità e la diverſità . Non premette Parmenide alcuna definizione dello
ſteſſo , e del diverſo ; come fece del tutto ; dai Pittagorici ( a ) impard ,
al dir del Patrizio , che l'identità , e la diverſità non devono conſiderar fi
come paſſioni dell' ente , ma come generi ſecondarj , i di cui primi ſono il
moco e la quiere . Ariſtotele all'incontro riduce l' identità a una certa unità
, e dichiara che ella come la diverſità appartiene alla ſuſtanza , poichè
fteſse ſono quelle coſe che con vengono , o nella materia , o nella ſpecie , o
nel numero , o nel Tomo II. k gene ( a ) Diſcuſ. Perip. T. 2. p. 207. ( 74.),
genere di cui una è la ſoſtanza. Platone eſtende l'identità , e di verſità alle
qualità , e da lui impårarono i matematici a dire , che le ragioni o
proporzioni , che ſono le ſteſſe con una ſtella , ſo no le ſteſſe tra loro ; e
non ſi dice pur tutto giorno lo lteſto grado di calore , di lume ec. e.
parimente ragioni diverſe , di verſo grado di calore , di lume ec. Dunque non
alla ſola fo ftanza , ma alla quantità , alla qualità , ed agli altri
predicamen ti apparciene lo ſtello , e il diverſo . Inliftendo il Wolfio su le
nozioni ſcolaſtiche , dà il criterio per diſtinguere lo ſteſſo dal diverſo .
Quelle coſe , dice egli , fou no le stelle che ſi poſſono ſoftituire.
ſcambievolmente ſalvo qua lunque predicato , che loro aſſolutamente , ſotto
qualche con dizione convenga ; ſicchè fatta la fortituzione , la coſa reſta ta
le , come ſe non foſſe ſtata ſoftituita . Se in una bilancia , in cui ſang equilibrati
due peſi, in cambio di un peſo , d' una certa grandezza, io ne ſoſtituiſco un
alıro, in modo che l'equilibrio Loro non lia tolto , queſti due peſi, in quanto
peſi, nulla diſtin guendoli: ſi chiamano gli ſteſſi . Se nel peſo che è prima
nella bilancia , vi foſſe una certa figura , ed un certo colore , eun cer to
grado di calore , e di freddo , ed anche un certo odore , e tutto ciò appuntino
ſi ritrovalle nel peſo che ſi ſoſtituiſce , que fti due peſi non
diſtinguendoſi, e nel peſo , e nell' altre qualità li chiamano gli fteſi; Lo
ſteffo in numero è ciò che ſi afferma di ſe ſteſſo , o cui ripugna d'efiftere
due volte ; nel dirſi, queſto triangolo è que ſto triangoló , ' ſi predica lo
ſteſſo triangolo di ſe ſteſſo , onde convenendo la ſtella eliſtenza al ſoggetto
, e al predicato , egli è manifeſto , che il triangolo in quanto è nell' uno ,
e nell' altro non ha doppia eſiſtenza , mala ſteſſa, I diverſi poi ſono quelli
, che ſcambievolinente non poſſono ſoſtituirfi , falvo ogni predicato che all'
uno , o all' altro aſſo lacamente o condizionatamente convenga . Così nel caſo
della ſoſtituzione de' peſi della bilancia, ſe un peſo nel ſoſtituirſi all'
altro cangia d'equilibrio , il pelo ſofticuito è diverſo dal peſo , di cui
preſe la vece ; egli è diverlo in ragion di peſo , benchè per altro poteſſe
eller lo ſteſſo nella grandezza , nella figura nel calore , ed altre qualità .
Poſſono dunque le coſe eſſer le ftel ſe in un predicato , e diverfe negli altri
; quindi ſi può diſtin guer lo ſteſſo , e il diverlo in affoluto , e in
relativo ; ſono aſ loluti, ſe le coſe convengono in tutti i predicati, o
diſconven gono falva però la loro eliſtenza ; ſono relativi le convengono in
alcuni predicati, ma diſconvengono in altri . E'cid neceſſa rio di ben
avvertire, perchè in queſto Dialogo fi prende lo ſteſ 1 1 ſo, 1 ( 75 ) fo , e.
il diverſo in queſti due fenfi. Qul Parmenide perd pren de aſtrattamente la
coſa , perchè a lui baſta, che l'identità , e la diverficà fiano affezioni, o
generi delle coſe non preſe in sé , ma relativamente all'altre , baſtando
queſta fola relazione per eſclu derle dall' uno ; quindi può facilmente
dimoſtrarſi, che l'uno non è , nè a se , nd ad altrui lo ſteſſo , perchè nel
ſuo concerto aſtrat tiffimo efclude ogni comparazione ; ma Parmenide in alcro
modo lo dimoſtra , rappreſentandoſi alla mente per via d'una nozione
immaginaria , che l' uno prima è uno, e poi per forza della com parazione egli
è molti . Ciò ſi rende ſenſibile col diſegnar l'uno col ſimbolo aritmetico I ,
e poi aggiongendovi A , o qualche alera lettera , onde egli fia prima i , indi
1 + A. S. 78 L'uno non è lo ſteſſo , nè diverfo a sè , nè ad altri. Se l'uno
foſſe da fé ſteffo diverfo , ſoſtituendoſi l'uno per l'uno dove prima della
ſoſtituzione fi concepiva i , dopo della foftitu zione si concepirebbe 1 + A ,
dunque non più i contro l'ipoteſi. Se fia lo ſteſſo ad altrui egli farà quello
, cioè 1 + A non cið che è , od uno , il che di nuovo è contro l'ipoteſi . .
19. L'uno non è diverſo , nè da altrui , ne da ſe ſteſſo . L'uno convenendo con
tutte le coſe , perchè d'ogni coſa ſi dice , uno non è diverſo da effe , che in
virtù di qualche predicato ; dun que in quanto non è più uno ; dunque non può
eſſer diverſo dall' altre cofe . Non è la ſteſſa la natura dell' uno , e dello
ſteſfo , perchè quando una coſa li fa la ſteſſa ad aleuna non ſi fa uno ; il
colore di A per efempio ſia lo ſteſſo , che il colore di B , non perciò mai A è
B , perchè le due coſe colorite comparandoſi, benchè con vengano nel colore , e
in queſto fieno uno , non perd convengono nell ' çliſtenza , Se gli Itelli non
ſi conofcono , che per la Toſti tuzione, gli ftelli convengono bene
ne'predicati ; ma ſono fem pre due . Dunque quando una coſa ſi fa la ſteſſa con
l'altra , di due non ſi få uno , ſe non inquanto ſi concepiſce, che con vengono
, o nella quantità , o nella qualità ec. ma non perchè convengono non ſono due
; dunque o l' uno paragonato all' uno ſi fanno due , e cosi l'uno non è uno , o
reſtando uno non k 2 ſi può ( 70 ) la pudfar ſoſtituzione . Dunque non pud dirſi
, che l' uno fia lo ſteſſo a ſe ſteſſo . 20 . Parmenide paſſa a comparar l'uno
coi fimili , e diffimili. Aris ftorele dice , che i ſimili ſono quelli che
patiſcono lo ſteſſo , ei diffimili quei che pariſcono il diverſo ; de' primi
una è la qualità, dei ſecondi è diverſa la qualità ,onde egli ripone i ſimili,
e dilli mili ſotto l'identità , e diverſità , il che imparò da Platone nel
Filebo ( a ) e più facilmente dal Parmenide , ove Platone defini ſce il ſimile,
per ciò cui adiviene patir lo tego , il diffimile , ciò cui adiviene patir il
diverſo. Conſidera quì Parmenide le.qualità , come attributi o modi che ſi
ricevano nel ſoggetto , il quale nel riceverle in cerca guiſa paciſce; ſono
queſte nozioni immaginarie, come quella della ſoſtanza . Su queſte orme
Parmenidee , il Wol fio definiſce i fimili quelli , in cui le ſteſſe ſono le
coſe, per le qua li doverebbono diſcernerſi , onde ſecondo lui , la fimiglianza
è l' identità di quelle coſe per cui dovrebbono tra loro diftinguerli. Se in
due volti per eſempio io ritrovo nelle parti gli ſteſſi linea menti , ne'
lineamenti gli ſteſſi gradi de' colori ec. in fomma ſe io ritrovo , che le
ftelle fieno tutte quelle qualità, per cui dovereb bono diſtinguerſi, i due
volti ſono ſimili; diffimili all'incontro ſono quei volti , in cui diverſe ſi
ricrovano le coſe per cui tra lo ro fi diſtinguono , che vuol dire i lineamenti
delle parti, le figu la collocazione, le grandezze . Il Wolfio fi fece ſtrada
con que ſta definizione a definir i ſimili matematici , ben oſſervando , che le
loro proporzioni, benchè abbiano per fondamento ilquanto , fi riducono al quale
. re , S. 21. L' uno non è fimile nè diffimile ad alcuno , o a se , o ad
altrui. Simile a quello cui adivienelo feſto ( . 20. ) ma l' uno eſclu de lo
ſteſſo ( S. 18. ) Dunque efclude il ſimile. L’uno ſe riceve alcuna coſa fuor di
quello che è l' eſſer uno , pa tiſce d'eſſer più l'uno , perchè egli è l'uno ,
ed inſieme la coſa che pariſce , onde almeno egli è due o molti ; dunque non è
più uno ; dunque ſe l’uno non paciſce d'effer lo ſteſſo , o loco , o con altri
, non può eſſer a ſe ſteſſo , o ad alcri ſimile , ( a ) Patriz. Diſcuſ. perip.
p.202. Il ( 77 ) Il dillimile è quel che pariſce diverſità ( 5. 20. ) ma l'uno
non può parire diverſità , dunque non è , nè diverſo da lui, nèda altre coſe,
altrimenti non ſarebbe più uno ; dunque l'uno non è diſli mile , nè a ſe ſteſſo
, nè ad altrui . 1 l . 22 Concluſo che ha Parmenide non convenir all'uno , nè
l'iden: tità, nè la diverſità, nè la ſimiglianza , nè la diffimiglianza, paſ fa
a ricercare ſe gli convenga l'eguale o l'ineguale , due pro prietà delle
grandezze comparate P une all' altre ; l'eguale im murabilmente ſta nel mezzo ,
da cui l' ineguale allontanandoſi per ecceſſo ſi chiama maggiore, e per difetto
minore . L'egua le paragonato all'eguale ha le ſteſſe miſure , paragonato al
mag giore ha meno miſure, e ne ha più paragonato al minore. Ra gionando
Parmenide con Socrate ad bominem , fi ferve del ter mine di participare , che
non è allegorico , ove ſi tratta di par ti . Offervo che non miſurandoli,
ſecondo Platone, che con l'uni tà , e col numero, è manifeſto , che la miſura è
ſecondo lui quan tità ; pur gli attribuiſce lo ſteſso , e il diverſo. g. 23 .
L'uno non è , nè eguale , nè maggiore , nè minore . Non participando , nè dello
ſteſso , nè del diverſo , non parte cipa mai, o le ſteſse , o le diverſe miſure
, in conſeguenza non è nè eguale , nè maggiore , nè minore. 6. 24. Come ſi
miſurano le grandezze permanenti , così ancora ſi mi ſurano le ſucceſſive , le
quali paragonare l'une all' altre, compete loro lo ſteſso e il diverſo , cioè
il più, e il meno . Si dice che due Uomini hanno la ſteſsa età , quando è
miſurata per lo ſteſso nu mero di rivoluzioni ſolari, e che hanno maggiore o
minor età le ella ſia miſurata per maggiori o minori rivoluzioni ſolari .
L'antichità , la vetuftà , la novità ſono relazioni degli enti ſuc ceflivi per
rapporto alla loro eſiſtenza fucceffiva ; antico ſi dice quello che da lungo
intervallo di tempo e prima d'un altro ; nuo vo quel che ora è, e non fu che
già poco tempo prima d'un al tro ; il giovane , il vecchio , ſono propriamente
le differenze dell' età degli Uomini, mas'attribuiſcono per mecafora a curce le
coſe . 9.25 . ( 78 ) f. 25. L'uno non è più vecchio , più giovane di ſe ſteſso
, o dell' altre coſe . L ' uno non pud participare , oo delle ſteſse ,, o di
maggiori o minori miſure degli enti ſucceflivi, perchè non può partici pare
dello ſteſso , e del diverſo ; ma quel ch'è più vecchio , partecipa di maggiori
miſure, quel che è più giovine di minori , dunque ec. g. 26 . Per ben intendere
come uno nel farli più vecchio di fe fteſso o d'un altro ſi fa più giovane , mi
è neceſsario trasferire alcu ne nozioni della ſeconda ipoteſi , ed
aritmeticamente ſvilupparle . g . 27 6 3 5 4 Se il rapporto del maggiore al
minore crefca per l'aggiun ta agli antecedenti, e a' conſeguenti d'una
grandezza eguale , il rapporto ſempre decreſce . Sieno i numeri 1 , 2 , 3 , 4 ,
5 , 6 , 7 , i quali ſucceſſivamen te creſcono per l'aggiunta dell'unità ,
èmanifeſto che ( a ) > 4 $ Si prendano i quozienti o valori delle ragioni .
Il valore della ragione di = it ; il valore di = ito il valore di = i + . Or
tal eſsendo la ragione qual è il fuo valore ſe I +1/2 > it it ec. come è
mani 3 feſto fard > 5 ec. Or rappreſenti A C l' età d'un 3 fanciullo di 3
anni , e B D l'età d'un | fanciullo di due anni , s' aggiunga alla А С F prima
età un anno , ciod ad " A C. s'ag giunga CF , e alla ſeconda età B D SA D
G. aggiunga un altro anno o DG. Onde s' averà la ragione di } ; li vada
aggiungendo ſucceſſivamente alle due età un'anno, ed indi un'anno, e li
averanno le ragio ni di e di . Egli è manifeſto , che il fanciullo di tre anni
è più vecchio di quello di due, ma nel creſcere all'uno , e all' al > 3 4 Ā
1 B tro ( a ) Il ſegno è quello del maggiore , Il ſegno di < del minore . Il
ſegno è quello dell'eguale . ( 79 ) tro un' anno la ragione che ne riſulta di è
minore dell'altra ; molto minore è quella di , e molto più minore quella di
onde ſebben il primo fanciullo ſi faccia ſempre più vecchio dell'altro ,
contuttociò per l'accreſcimento dell'egual quantità ſi fa più gio vane
relativamente , perché dove nella prima ragione la differen za era nella
ſeconda è minore di 1 , e quindi , ſempre mi nore . Egli è vero dunque, che un
fanciullo nel farli' più vecchio d'un altro li fa ancora più giovane. Se non ſi
compari l'età di due fanciulli , ma ſi conſideri folo l' erà di uno , che
ſempre riſpetto a ſe ſteſso creſce di un'anno , egli è manifeſto , che per
queſto eguale accreſcimento , nel decreſcer ſempre le ragioni degli anni cra
loro comparati , lo ſteſso fanciul lo nel farſi più vecchio di ſe ſtefso , fi
fa ancora più giovane. Si vede quindi , che nel farſi il più vecchio dal più
giovane , fi fa cid dal diverſo , e che non è diverſo , ma'ſi fa . Corol. Lo
era , lo efser ſtato , il li faceva , ſignificano i modi del tempo paſsato ; il
ſi farà , il ſarà , e ſarà per farſi, i modi del fucuro o dell'inanzi ;
l'eſsere , il farſi, i modi del preſente. f. 28. L'uno non è in cempo . Se
l'uno fofse in tempo participerebbe delle miſure del tempo ; dunque or ſarebbe
più giovane, or più vecchio , ma queſto non pud eſsere , come s'è dimoſtrato (
9. 25. Dunque ec, IN ALTRO MODO. Quel che è in tempo nel farſi più vecchio , ſi
fa più giovane di ſe ſteſso , ( §. 27.) ma l'uno non può farſi più vecchio , nè
più gio vane di ſe ſteſso , perchè non può farſi , nè una cola , nè l'altra (
9.25. ) Dunque non è in tempo . Il più giovane che ſi fa dal più vecchio è
diverſo da lui , e non è ma ſi fa , ma l'uno non può ricever il diverſo ( § .
18. ) Dunque non può farli dal più vecchio il più giovane ; dunque non è in
tempo . Il più giovane non ſi fa dal più vecchio , nè in più lungo tem po , nè
in più breve di fe fteſso, ma ſempre nell'egual tempo con le ſteſso , o fia , o
ſia ſtato , o ſia per dover eſsere ; ( § . 27. ) mą l'uno non è ſuſcettibile
dell'eguale ( § . 23. ) Dunque nè meno dell' egual tempo ; dunque non avendo le
paſſioni del tempo non è in cempo . . 29. ( 80 ) S. 29. L'uno non partecipa ,
nè del preſente , ' nè del futuro nè del paſſato . L'uno non eſſendo in tempo
non può partecipare del tem po , ma le paſſioni del tempo ſono , il preſente ,
il paſſato , il futuro . ( $ . 27. ) Dunque non le partecipa . Corol. Se l'uno
non è partecipe di niun tempo , non fu mai , nè ſi faceva , nè era , nè ora è
fatto , nè fi fa , nè farà . 8. 30. Ogni ente , o ciò che è partecipe di
eſſenza , è , ſecondo Plato ne , o nel tempo preſente , o ſarà nel futuro , o
fu nel paſſato . Nel Timeo egli dice , che Dio per far il tempo fluente nel
numero , fece un'immagine dell'eternità . Dunque l'eternità fiſſa in ſe ſteſſa
non contiene, che il preſente , e ciò pur dicono i Teolo gi nel diffinirla con
Boezio , una poſſeſſione tutta inſieme di una vita interminabile . Negando
dunque Parmenide, che il pre ſente competa all' uno , gli nega l'eternità ,
onde è egli evidente che non parla di Dio , ma ſolo d'un ente di ragione, dal
quale per l' astrazion della mente eſclude tutto ciò che involve rela zione a
qualche coſa , ed anche a lui ſteſo. Dall' altra parte , qui Parmenide non
eſclude dall'uno , ſe non cid che appartie ne per lo più alle coſe corporee e
viſibili, il tutto , le parti , il luogo , l'eguale , il maggiore , il minore,
la generazione , la traslazione , le differenze del tempo ; e ciò che dice
dello ſteſ. fo , e del diverſo , del fimile , e del diflimile , che pur conven
gono alle coſe incorporee , lo ricava da ciò che ha negato ne' quanti. 1 . 31 .
L'uno non è , o non ha eſſenza . L'uno non partecipa del preſente , del paſſato
, del futuro ( 9.29. ) ma ciò che ha effenza partecipa dell'uno , o dell'altro
( $. 30. ) Dunque l'uno non ha eflenza . Annot. Dall'uno conſiderato
preciſamente come uno , cioè a dire oppoſto amolti , ſi debbe eſcludere , oltre
l'eſſenza attuale , an cor la poſſibile , perchè la poſſibilità come fonte, e
principio del, la ( 81 ) la realità porta ſeco qualche relazione a cid che
eſiſte , é dall' uno ogni relazione deve eſcluderſi.; molto più le relazioni
dell' uno all'ente , di ragione che chiamali intellettuale qual è il Lo-. gico
, il metafiſico , il matematico , e l'altre relazioni ancora ché aver poteſſe
all'ente immaginario ancor chimerico . . §. 32 . tra coſa Primafi concepiſce
la, non ripugnanza dei predicati delle co ſe , ed è l'eſſenza , e queſta non ſi
dice d'altre coſe , o d'al tre eſſenze , ma bensì o gli attributi , i modi , e
le relazioni fi dicono deſsa ; cal è la definizione logica , che Ariſtotele
diede della ſoſtanza , chiamandola ciò che non ſi predica d'al ma che tutte le
coſe ſi predicano d'eſsa . In que ſto ſenſo l'eſsenza nel ſuo concetto aſtratto
, non differiſce dal la foſtanza , che in quanto queſta ſi riferiſce a ſe
ſteſſa , ed agli aleri de' quali è ſoftegno , per il che ſi dice , che ella non
ha contrario , e non è capace di più, e di meno . Se l' uno non può predicarſi
dell'uno , o di le ſteſſo , per non radoppiarlo o farne due o molti , egli è
manifeſto , che non è ſoſtanza to più ſe fi conſidera col Wolfio , che nella
nozione della fo ſtanza, v'è qualche coſa d'immaginario, perchè ella fi rappre
ſenca alla fantaſią , come un valo od altra coſa , che in sè ri. ceve gli
accidenti . $. 33 L'uno non è ſoſtanza . L'uno non ha eſſenza . ( S. 31. )
Dunque non ha ſoſtanza ( $ . 32. ) ſ. 34. La ragione è propriamente quell'atto
della mente , che da una coſa n'inferiſce un' alera , od è ancora ſe ſi vuole
la con neſſione delle verità univerſali ; la ſcienza è la cognizione cer ta ,
ed evidente delle coſe, ed è tutta opera della ragione che deduce una coſa da
un' altra . Nell' attribuire una coſa ad un altra , ſe li ha qualche cimore ,
che ad efla ſi poſſa attribuire l'op poſto, ſi ha della coſa opinione. Col
ſenſo poi non ſi percepi Icono , che le coſe ſingolari , o determinate in ogni
parte , e quindi compoſte di molti . Da queſte definizioni e manifeſto chenegli
oggetti della ragione, della ſcienza, dell'opinione, del Tom . II. I fen ((82 )
. fénfo s } includono moki , çd - in oltre che ogni coſa , che .0.4 ſénte , o
su cui di ragiona fcientificamente , od opinabilmente , ha un' eſſenza attuale
o poflibile ; falfa o vera. 1 $. 356 Dell' uno non li ha ragione, ſcienza ,
opinione , ſenfo . Quefte coſe includono molti , e dipendono dall'ipoteſid' un
eſſenza ( §. 34. ) ma l' uno non ha eſenza ( S. 31. ) e non in olude molti
(.9.,2 . ) Dunque ec, g . 36 Non ſi dà nome ſe non alle coſe , della cui
eſſenza , o per ragione, o per opinione, o per ſcienza , o per ſenſo ſi ha un '
idea o chiara , od ofcura, o diſtinta , o , confula , o miſta di que Ite
differenze. S. 37 ... L'uno non ha nome. L'uno' non ha effetiza:( : 34:) Dunque
l'uno non ha nome. 1 §. 38. Ragruppando in poco ciò che ſin ora ſi è detto , ſi
può for mare tal fillogismo . Dal concetto aftrattiflimo dell' uno ſi de vono,
eſcluder i molti di qualunque genere effi fieno ; ma cid che appatriene alla
quantità , alla qualità ; alla refazione ec ? vi s'includono imolti ; dunque
devono queſti eſcluderſi dal.concet to aſtrattilfino dell'uno , . ] Se fi
diceffe , che così concludendo ſi confonde l'uno col nul la , manifeſto è
l'inganno , poichè la definizione del nulla è , che egli non abbia nozione
alcuna o poſitiva , o negativa , ciò che elclude dal nulla ogni realtà .
Quando'io dico all'incontro, l'uno non é molti, non tolgo a lui ogni realtà ,
benchè eſplicitámen te io non vi rifletta. Io ſto più immobilmente che poſſo
affil ſo su l'uno, in quanto s’oppone a molti , e in queſta conſide razione
preſcindo più che poſſo dal conſiderar l' uno , o per rap porto all'ente, o per
rapporto al mio penſiero ; noi poſſiamo, come accennai , più ſentire, che eſprimere
queſte preciſionimen tali , e momentanoe, ma 'non laſciamo di fentirte, e le
fencia ·mo ( 83 ) mo ſe poffiamo eſprimerle in qualche modo, e farle'
intendered agli altri ; nè per altro la fcola Eleacica; ed indi Placone le pro
poſe , che per addeſtrar la mente ad inveſtigar l'idee delle coſe. Era
necelfario fciegliere per eſempio quell' idea , in cui la pre ciſione arriva
all'ultimo grado , ove pofla mai giungere la men te umana. Non ſi conoſce mai
bene la natura', ' ed'i precetti della arte , che l'imita , fe non ned maffimo
. Io dimando al Lettore ; che legge attualmente il Parmenide di Platone, e lo
confronta col mio comentario , fè altro faccio in effo , che ſviluppare il
fenſo.ovvio det tefto : Abbia pur Pro clo , e gli altri Placonici , e Gentili ,
e Criſtiani confiderato queſto Dialogo , non come ontologico , ma come
Teologico , io ril pettando , e la dottrina , e l'autorità loro', dirò che la
mia Spiegazione ontologica non impediſce , che degli intelletti più fublimi del
mio , teologicamente non l'inalzino a coſe maggio ri , come fece il Cardinal
Befarione , applicando a queſto Dia logo la dotrrina del preceſo S. Dionigi
Areopagita . Si può ri leggere avendo preſente tútra l'intiera ſeſſione ,
quanto ivi diſ fi appoggiandomi alla dottrina di S. Tommaſo : Dio'è un en te
fingolariſfimo , e nell' applicarvi quel che conviene all' en te di ragione ;
biſogna ftar attenti che non ſi confonda l' uno ton l'altro ; la merafíſica
degli antichi è la ſteffa che la me tafifica dei moderni; mia nel riferir la prima
' alle coſe , queſte includevano Dio , che gli antichi non ſeparavano dalla
mate ria , che per preciſionedi mente, là dove la ſeconda conſiderando fe coſe
non ha a Dio , che un'analogia molco lontana, perchè fi diſtingue eſenzialmente
, é realmente dalle ſteſſe . SEZIONE TERZA. Se l'uno è , quali coſe adivengono
intorno ad eſſo . I. I. Nom On ſi ricerca ſe faecia meſtieri, che ſucceda- un
cert' uno , ma ſe vi ſia l'uno ; o pure ſoſtituendo la nozione imma ginaria ſe
l'uno partecipi l'eſfenza. Dall'ipoteſi così propoſta ne fiegue', che' l'uno
non è la pro : pria 'eflenza , o che l' effenzà, e l' uno non ſono gli ſteſi
con: cerci z chi dice elfenza , dice preciſamente la: non ripugnanza dei
predicati, e chi dice uno , dice 'non molti . ; Nel cratcat queſta:
ſuppoſizionë , Platone comincia a frami I 2 fchia ( 84 ) ſchiare all'
aſtrazioni le nozioni immaginarie più che di ſopra Queſto fa ſovente l'oſcurità
del teſto , perchè per intenderlo ci sforziamo toſto a concepire ciò , che non
è che un' imaginazione ed imaginazione tallora falſa , da cui li deduce una
contraddizio ne , nèſempre però vera , ma apparente , il che raddoppia l'ab
baglio , ſe non vi s'attende; manifeſteranno gli eſempi ciò che io dico , in
tanto mi ſia lecito di contraſegnare con due ſimboli diverſi , A , e B , i due
concettidell'ente, e dell'uno . Nel farne il compleſſo A + B io rappreſento un
tutto che ha due parti, che io tra loro ſeparo con la mente , per ragionarne
più diſtintamente fi 2. Se l'uno è , ogni parte di queſto tutto ( uno è:) può
dividerſi in infinite particelle . Si prenda la particella uno , e ſi
concepiſca come ſeparata per un momento dall'altra particella ence , poichè per
la fuppoſizio ne l'uno è , egli è manifeſto , che conſta di due particelle ,
uno ed ente . Di queſto nuovo compleffo ſi prenda la particella uno , e queſta
per la ſteſſa ragione ſi dividerà in due altre , ente ed uno , e così
all'infinito . Or ſi prenda l'altra particella ente, e poiché ogni ente è uno ,
ſi dividerà queſta particella in due altre, le quali di nuovo fi divideranno, e
così all'infinito ; dunque ogni particel. la del cutto uno è , ovvero è l'uno ,
ſi divide in infinite particel le all' infinito . Così può ſenſibilmente
rappreſentarſi . Ente uno А + B 1 Ente uno uno ente 2 a + 2b 2A + 2B ente uno
uno | ente 3A ente , uno uno | ente 46 4A 4B 3. a 36 3B 1 uno , Come A + B
rappreſenta il primo compleſſo immaginario della e dell'ente così 2a + 2b
rappreſenta il ſecondo com pleſſo immaginario dell'uno , e dell'ence dedotto
dall'ente , o da A , e parimenti 2A + 2B ſignifica il ſecondo compleſſo imma
ginario dell'uno , e dell'ente dedotto da B. ANNOT. Qui Platone fuppone darli
reciprocazione tra le due pror ( 85 ) propoſizioni l'uno è , è l'uno , nella
prima delle quali l' uno è il loggetro , cliente è l'attributo , e nella
ſeconda l'ente è il ſoggetto , e uno l'attributo. Perchè legitimamente ſia la
reciprocazione del le propoſizioni, biſogna che il ſoggetto ſia tanto ampio ,
quanto l'attributo , onde può reciprocarſi la propoſizione . Il triangolo è una
figura di tre lati; nell'altra ogni figura di tre lati è un trians golo , ma
non già ſi reciproca la propoſizione, ogni ternario è nu. mero , perchè non
ogni numero è ternario . Il non aver avvertita la legge della reciprocazione
fece cader in molti parallogismi tallora i Geometri. Corol. Poichè ogni ente è
uno , l'uno ſi moltiplicherà come l'ente , onde potrà dirſi, che l'uno è
infinito, o che l'uno è mol ti . Queſta è la prima contraddizione di queſt'
ipoteſi , ma è con traddizione immaginaria od apparente , perchè l'uno per sè
non è molti , ma è molti per accidente , cioè perchè gli accade di mol
tiplicarſi , ſecondo gli enti che lo partecipano , onde non predi candoſi
dell'uno nel tempo ſteſſo , e ſecondo lo ſteſſo, gli oppoſti, non ha in sè vera
contraddizione. g. 3 . Platone s'inoltra con le nozioni immaginarie .
Conſiderando l? uno , in quanto partecipe di eſsenza , lo prende ſecondo ſe
ſteſso con l'intelligenza , ſpartato da quello di cui diciamo che ſia par
tecipe , cioè dell'eſsenza . Ciò vuol dire , che dell'ente , e dell'uno Platone
fi fa quei due idoli caratterizzati per A , e per B. ANNOT. Nel dirli che li
prende l'uno coll'intelligenza ſpar; tato dall'ente , s'allude manifeſtamente
all'aſtrazioni della mente . $. 4. 1 L'eſsenza o l'ente , e l'uno ſono diverfi.
Alcro è l'eſsenza , ed altro l'uno ( : 32. Sez. 2.) Dunque uno in quanto
uno è dall'eſsenza diverſo , e l'eſsenza in quanto eſsenza è diverſa dall'ano ;
dunque l'uno , e l'eſsenza ſono diverſi ; Co sì può illuſtrarſi tale ragionamento.
L'ente o l'eſsenza in quanto eſsenza include la non ripugnan za dei predicati
coſtitutivi ; l'uno in quanto uno include l'oppo Gizione ai molti , ma queſti
due concetti tra loro non convengo no ; dunque ſono diverfi. 8. 5. ( 86 ) $ . s
. L'eſsenza , l'uno , e il diverſo fanno tre concetti o tre coſe trx loro
diverſe . S'è già dirnoftrato , che l'uno , el ente non termi nando lo ſteſso
concetto ſono diverſi tra loro , ma il diverſo non includendo nel ſuo concetto
, che la non convenienza , fa un concet to diverſo , ed in conſeguenza una coſa
diverſa dall' altre due ; dunque l'eſsenza , l'uno , il diverſo fanno tre coſe
diverſe. . 6 . Si rappreſenti l'uno per A , l'enre per B , e il diverſo per C
ne riſultano quindi. Le combi- FA B7 In ogni combi-7 Tre poi eſsendo le combina
nazioni di nazione vie zioni v'è ancora A , B ,CAC uno in due Erre volte uno?
in ogni com uno in due tre volte due E binazione В С! uno in due tre volte tre
Abbiamo dunque dedotto da A , B , C, o dall'ente , dall' uno e dal diverſo il
2.primo pari , il ' tre primo diſpari , dae volte 3 parimenti impari, 3 volce 3
imparimenti: impari. Sipuò an cora dedurre due volte due parimenti pari', e
queſte ſono tutte le ſpecie dei numeri . Combinandoſi il 2 il 3 due volte, tre
volte e fin quattro volte , ma non altre , ſi compongono tutti i numeri: fino
al dieci . It 3* 2 + 2 = 4 2 + 3 2 + 6 = 3 ti 3 2 + 2 + 37 2 + 1 + 2 + 2 = 3 +
3 + 2 3 + 3 + = te : 2 + 2 + 2 +19 1 + 2 + 2 + + 3 = I + 2 + 3 + 4 = 10 II 10 è
fatto dall'ı , e dal o , e ſignifica ', che il primo articolo dei numeri
termina alla prima decina ; fe ſucceſſivamente alla de cina ſi aggiunge l'i ,
il 2 , il 3. ec. ſi arriva alla ſeconda decina , e collo ftelso metodo alla
terza , alla quarta ec: fino al 100 , che è la decima decina da cui ſi va fino
a 1000 , o 10 volte 1oo ec. I Pita ( 87 ) I Pittagorici chiamavanol yno il
finito , come quello che li mitava l'infinito o l'indefinito ad una tal ſpecie
o forma : dot trina , dice nel Eilebo Platone , la quale diſcende dagli Dei ;
queſta è , the tutte le coſe tengono in loro fteſſe il termine, o l'infinito
innato ; o piuctoſto l ' indefinito . Lo rappreſentavano nella materia i
Pittagorici, e lo ſimboleggiavano nel 2 , o nel binario , poichè ogni coſa
ſteſa è divit bile in due e ognuna delle parti in altre due , ; e così
all'infinito . Quando a queſto infinito s'aggiungea luna , che vuol dir la
forza o la forma ſe ne faceva il compoſto che era l'altro principio , di cui
par la Platone; queſto compoſto dețerminato a una ſpecie dalla for ma componeva
un tutto , in cui vera principio , mezzo , e fi në . Lo diffegnavano i
Pictagorici per il 3 , e lo chiamavano numero perfecto , medio , e proporzione
; oſſervò S. Agoſtino che numerando fino al 3,, € rapportando prima il 2 all'1,
ed indi al tre nel comporſi la proporzione continua , aritmetica fi forma per
la replicazione del 2 il 4 , numero che immediata mente luccede al 3 , ciò che
non ſi ha negli altri numeri, per chè cominciando la proporzione aritmetica
dal.2 chi replica il 3 non fa il numero che immediatamente lo ſegue od il 5 ma
il 6 ; nel continuare la proporzione con queſto metodo i numeri riſultanti
ſempre più ſe n'allontanano . S. Agoſtino per ciò offerva co'.Pittagorici , che
la perfezione dei numeri è ne quattro primi , in cui gli eftremi ſono intimamente
uniti ai mezzi , e i mezzi agli eſtremi . Quindi le più perfecte conſo nanze
muſicali, ſono fatte dei primi quattro numeri 2 3-4 , 1 ' 2'3 ? ſ. 7 . Se l'uno
è , egli è ogni numero . Nella combinazione dell'uno , dell'ente , e del
diverſo fi de ducono tutti i numeri ( 9. 6.), Dunque nell' uno , in quanto è ,
vi ſono tutti i numeri, ; Carol . Il numero eſſendo molti nell' uno , in quanto
l'uno è . , egli contiene moltitudine, e perchè i numeri fono infiniti nell uno
che è , vi farà una moltitudine infinita . COROL. 2. Il numero in moltitudine
infinita , eſſendo inclu ſo nell'uno che è , farà egli partecipe d'eſſenza . Si
prenda la ſerie naturale de numeri 1 , 2 , 3 , 4 , 5 , 6 , 7 ec. fino al oo
unità eterogenea alla prima, e da cui fi comincia l'alcra ferie 200 , 30, 40 ,
fino 200 = 60 altra unità eterogenea , da cui comin ( 88 ) . cominciali, un'
altra ſerie 2 co ' , 300'ec. ſino a o , e cosi all' infinito . Se di queſte tre
ſerie ſe ne fa una ſola ſi ha 1.2.3.4.5 ec . co ' ... 00 ? ... oo ... , fino ad
in cui ſi potrebbe cominciar di nuovo la numerazione . Cominciando da uno , li
può con le frazioni continuar la ſe . rie decreſcente con lo ſteſſo ordine che
l'altra , onde 1 I 1 ec . • • ec. fino 3 4 5 I 1 I I I wec . 4 Combinando la
ſerie dei finiti intieri , rotti , e degli infiniti matematici , e immaginarj ,
fi ha tutta la ſerie . ec. 1.2.3.4 ec. co oo oo ' ec. 0° 5 4 3 2 In queſte
eſpreſſioni non v'è errore , purchè non s' attenda , che alla proporzione delle
quantità , nè ſi realizzino i ſimboli . Ma non biſogna credere , che la
numerazione ſia terminata , po tendoſi concepire , e tra gli intieri, e tra
rotti , e tra gli infi . niti dei mezzi proporzionali, i quali ſono , come ben
prova il Ba rovio , veri numeri ( ſe ben noi non poſſiamo eſprimerli ) perchè
ſimboli di vere quantità, come i numeri , ointieri, orotti , e gli
infinitamente grandi, egli infinitamente piccioli. Platone , al dir
d'Ariſtotele , poſe i due infiniti ( a ) magnum & parvum , e queſti, come
ben ancora lo riconobbe il P. Grandi , ſono gli infinita mente grandi , e gli
infinitamente piccioli dei moderni Geome tri ; infiniti replico immaginarj ,
de' quali con tanta chiarezza trattò il Wolfio nell'Ontologia , ſgombrando
tutte le difficoltà' che v'oppoſero coloro, che non ben inteſero queſte due
ſpecie d'infiniti Platonici , caratterizzati da profondi Geometri con tan to
utile della Geomecria , della Mecanica , ed altre parti delle Matematiche .
Queſti due infiniti di Platone non ſono diverſi dai grandiflimi, e menomiſlimi
, di cui qui parla . 8. 8 . In quanti luoghi è l' ente , in tanti è l'uno . Se
l' uno è egli accompagna ſempre l'ente , ma non v'è ente , che non ſia in qual
che luogo ( 9.12. Sez, 2. ) Dunque in quanti luoghi è l'ente , in tanti è l'uno
. a ) Plato vero duo infinita magnum & parvum . Arift. 3.Phiſ. c .4 . § .
9: ( 89 ) g. 9. Se l' uno è , non ſolo ' egli è l'uno , ma un certo uno. Ogni
ente ſingolare partecipa dell'ente , dunque dell'uno ; dunque come ogni ente
ſingolare è un certo ente , ogni ente ſingolare è un certo uno . ČOROL. Si
compartiſce dunque l'uno , non ſolo con le coſe in genere , ma con le coſe
ſingolari , onde v'è l'uno , e il tal uno, e a queſto compete , come all'altro
, eſfer molti , perchè vi ſono molti enti ſingolari , e compete loro il luogo
degli enti ſingolari. g. 10 . Se l'uno è , egli è un uno che è uno , e cert'
uno , e mol ci , e parti, e finito , e in moltitudine infinito . Egli è uno , e
cert'uno, ſe accompagnando gli enti è in ogni ente, ed in ogni cal ente ; egli
è tutto ſe ogni ente , in quan to è , egli è un tutto ; egli è párte , ſe ogni
parte dell'ente è jina ; egli è finito , ſe ogni tutto ha i ſuoi limiti, e
infinito le contiene in sè tutti i numeri . Annot. Queſte contraddizioni non
ſono che apparenti. D. II . Se l'uno è , egli ha principio , mezzo , e fine .
L'uno è finito , e tutto, e parte ( S. 10. Sez. 3. ) Dunque ha in sè limiti ,
perchè ogni una di queſte coſe ne ha ; dunque ha principio , mezzo , e fine.
Corol. Dunque l' uno è partecipe di figura retta o roton da , o d'amendue miſta
. ANNOT. Come l'uno , di cui quì parla Parmenide , pud effer Dio , o qualche
idea divina , fe egli è circonſcritto da tutti i luoghi degli enti, ſe
s'individua cogli enti ſingolari, ſe è tutto , parte , finito , figurato ec . 5
Tom . II. m 6. 12 . ( 20 ) Do ? 127 ** Se. l'uno è , egli è in ſe ſtello , e iş
altrui ., Ciò che è tutto , comprende tutte le ſue parti ; ma l'uno com prende
tutte le ſue parti , dunque l' uno è un tutto ; ma il tutto contien ſe ſteſſo ,
è l' uno è un turco . Dunque l'uno contiene ſe fteffa . ANNOT. La propoſizione
è identica , e vuol dire : un tutto è. un tutto ; o iltutto è nel tucta ; non
ſi faccia più attenzione al tutto , mamaall all'uno , e li concluderà , che
l'uno è nell'uno . Si com bini poi l'uno, e il cucco , e ſi concluderà, che
come il cutto è in ſe ſtello , così l'uno è in fe fteflo . Quel che è in ſe
ſteſſo , egli è in ogni ſua parte , ed in tutte le parti, ma il cutto non può
eſſer in niuna parte, perchè il più au conterebbe pel manco , nè meno il tutto
può eſſer in tutte le par ti , perchè ſe in cutie, farebbe ancora tutto in
ciaſcuna, dunque il tutto non è in ſe ſteſſo , ma l'uno è il cutto ; dunque non
è in fe fteflo . Ogni coſa è in qualche luogo, perchè ciò chenon è in qualche
kuogo è nulla ( S.12. Sez.2.) e quel che è in qualche luogo è in fe felio , o
in altrui, perché non li dà mezzo ; mas'è dimoſtrato che ſe è l'uno egli non è
in ſe ſteſſo , dunque è in altrui ; ma di ſopra s'era pur dimoſtrato, che egli
era in le ſtello ; dunque è in ſe ſteſſo , ed in alcrui . ANNOT. Non v'è quì
che contraddizione apparente , perchè quando ſi dimoſtra, che l'uno è in ſe
ſteſſo , ſi conlidera che l'uno è un tutto le cui parti fon tutte inſieme,
quando all'incontro fi confidera , che l'uno è in altrui, non ſi concepiſce il tutto
con le párti pret inleme, ma come quello che non è in niuna delle ſue parti .
S. 13. Se P upo è , egli fta , e ſi muove . Quel che ſta è ſempre in ſe ſteſſo,
perchè da lui non mai & di parte ; ' ma l'uno eſſendo nell' uno , non ſi
diparte mai da fe ftef ſo ; dunque è ſempre nello ſteſſo ; dunque fta. Quel che
è ſempre in altri non è mai nello ſteſſo , e non eſsendo nello ſteſso mai non
fta , e non ſtando ſi move , ma l' uno non è in ſe ſteſso , ma ſempre in altrui
; dunque ſempre fi move . ANNOT. Non è pur queſta , che contraddizione
apparente . . 14. ( 91 ) $. 14. 1 e il Una coſa comparata all'altra , o è la
ſteſsa , o diverſa , o è par te di quella coſa conliderata come tutto , od è
tutto , conſiderata 1a cofa come parte . Così dice Platone, e par conſiderar lo
ſteſso , e il diverſo relativamente alle qualità ſolamente, e la parte , cutto
relativamente alla quantità. Se dunque fi dimoſtraſse , che una coſa
relativamente a un' altra non foſse, nè tutto , ne pare ce , nè la Ateſsa, ne
ſeguirebbe per il metodo d' eſcluſione, che ella fofse diyerſa . g . 15. Se
l'uno è , egli è a ſe ſteſso lo ſteſso , ed a ſe ſteſso diverſo . Se egli è in
le ſteſso , e fta ſempre , egli è a ſe ſteſso lo ſteſso , ſe egli è in altrui,
e ſempre lr move , è da ſe ſteſso diverſo . L'uno non è parte di ſe ſteſso , nè
tutto rifpetto a ſe ſteſso , nè l'uno è diverſo dall'uno; or s'è luppoſto , che
una coſa compara ta ad un'altra , fe d'eſsa non è tutto , nè parce , nè diverſa
ſarà la ſteſsa ; dunque l'uno ſarà lo ſteſso con ſeco ; ma ſe l'uno è in al
trui non è ſempre lo ſteſso a ſe ſteſso ; dunque per l' eſcluſione Platonica
ſarà egli da ſe ſteſso diverſo'. §. 16 . ne Per eſpor: l'argomento ſeguente in
tutta la ſua forza , convie. ne particamente illuftrare i principj da cui
dipende . Si ſuppo 1. Che l' uno è da sè diverfo , come da ente nell'ipo teſi,
che egli ſia. 2. Che il diverſo e lo ſteſſo , effendo contra rj , uno non può
mai eſser dell' altro . Cost lo ſpiego · Molci enti potendo efiftere , od
eſiſtendo nel tempo ſteſso , lo ſteſso farebbe nel diverſo , ciò che è
impoſſibile , non potendo i con trarj , cioè A , e non A ſtar inleme . Ben ſi
vede che qui parla Platone del diverſo , e dello ſteſso aſsoluto , e non
relati. vo , quale abbiamo fpiegato nel G. 17. Sez. 2. perchè nulla vie ta ,
che due coſe non poffino eſser diverſe' nell'eſsenza , nelle quantità , nelle
azioni ec. ed intanto eſiſtere nel tempo ſteſso mi Iura eſtrinfeca delle coſe .
Non è cosi conſiderando il diverſo aſsoluto , o l'idea del diverſo , e
conſiderando lo ſteſso aſſoluto o l'idea dello ſteſso . ; l'uno non può mai
ſtar nell'altro , e in conſeguenza la ſteſsa coſa non può mai partecipare nello
ſteſso tempo di queſte due idee contrarie . Allude qui tacitamente Par m 2 meni
( 92 ) menide a ciò che ha già dimoſtrato , parlando della participazio ne
dell'idee. L'argomento ha tanto maggior forza , quando fi conſiderano gli enti
ſeparati dall' uno , poichè ſe foſsero diverfi , per ragion del diverſo
participerebbono dell' idea del diverſo che è Tempre una , dal che deduce
Parmenide , che non poten do eſser diverſi per la participazione dell'uno
nell'ipoteſi di Socrate , non ſono diverſi tra loro . 3. Suppone che le coſe
che non ſon uno , non fieno partecipi dell'uno , perchè non ſarebbono uno , ma
uno in certo modo. Quì pur Parmenide parla dell'idea dell' uno , che
participandofi dalle coſe non è più uno , ma uno con certe circoſtanze, od in
certo modo, ma ſe non ſon uno nor faranno eziandio numero , perchè ogni numero
è uno . 4. Le coſe che uno non ſono , nè aſsolutamente uno , non poſsono eſser
parti dell'uno , poichè l' uno non può eſser parte delle co ſe che non fon uno
, nè può eſser tutto , quafi comparato a par ricella. Parmenide
alludetacitamente a ciò che diſse di ſopra, che idea non pud eſser participata
, nè ſecondo la parte , nè ſecon do il tutto , dal che deduce , che le coſe che
non ſon uno ne fono particelle dell' uno , nè ſono all' uno quaſi a particella
. Ciò ſuppoſto così argomenta Parmenide col metodo d' eſcluſione . g. 17 . Se
l'uno è , egli è diverſo , e lo ſteſso con altre cofe ; all'uno convien il
diverſo , aſsolutamente in quanto diverſo , e non all” altre coſe, cui non
conviene , che relativamente ( §. 18. ) Dun que l'uno è diverſo dall'altre coſe
.; le altre coſe non ſono diper fe dall'uno , nè ſono parci , nè tutto riſpetto
all' uno ; dunque fono le Aeſse con l'uno . F. 18. Chi proferiſce lo ſteſso
pome una , e più volte ſenza riferirlo a più coſe, come ſi riferiſce nei nomi
equivoci, ed analoghi, eſprime fempre lo ſteſso concetto ; dunque nel proferire
la voce, diverſo ; applicandola all'uno , confiderato relativamente agli altri
, e un' altra volta agli altri conſiderati relativamente all'uno , nell'ado
prar lo ſteſso nome s'eſprime lo ſteſso concetto . Quindi dice Par: menide :
quando diciamo eſſer gli altri diverſi dall' uno , e l'uno ef ſer dagli altri
diverſo , non mai introduciamo il diverſo a figuificar altra coſa , che la
natura di cui è proprio nome . $ . 19. ( 93 ) S. 19. s'è gia oſſervato , che
fimile è quel che patiſce lo ſteffo ; difts mile quel che patiſce il diverſo (
9. 20.Sez. 2.) Se l'uno è , egli è ſimile, e diſſimile a ſe ſteſſo , ed agli al
tri . L'uno è diverſo dagli altri ( 9. 17. Sez. 3. ) Dunque l'altre coſe ſono
diverfe dall' uno , ma non fono diverſe nè più né meno dall'uno , che l'uno
dall' altre coſe ( S. 18. Sez. 3. ) e ſe nè più , nè meno, rimane che
egualmente fia uno . In quanto adiviene alle uno l'effer diverſo daglialtri, e
gli altri dall'uno, egli patiſce la ſteſſo per rapporto agli altri, e gli altri
per rapporto a lui; ma ciò che patiſce lo ſteſſo è fimile , dunque l'uno e
limile agli altri , e gli altri per la ſteſſa ragione fon fimili a lui . Il
diverſo è contrario allo ſteſſo ; ma fi dimoſtro , che l'uno agli altri è lo
ſteſſo , e diverſo , ( S. 17. Sez. 3. ) ed è contraria paffione effer lo ſteſſo
agli altri, ed effer diverſo dagli altri ma in quanto diverſo parve fimigliante
; dunque in quanto lo Steffo fia diflimigliante , ſecondo la paſſione contraria
. ANNOT. E' da notarſi, che l'uno è ſimile agli altri, in quan to diverſo , e
diſſimile in quanto lo ſteſſo . S. 20 . Due coſe che ſi toccano ſono preſenti
l'una all ' altra , nè tra effe vi ſi frammette un terzo , perchè in queſto
caſo non più toccherebbono ſe ſteſſe , ma il terzo frappoſto . Ove due coſe fi toccano
, due ſono le coſe , ed uno il contatto , ove tre li toc chino , tre ſono le
coſe , e due i contatti ; in ſomma creſcen do i termini creſcono a proporzione
i contatti , ſecondo il nu mero dei termini meno uno . Si tocchino tra loro due
punti matematici, ' poichè nulla fra loro s'interpone, un punto per ragion del
contatto coinciderà con l'altro ; fi facciano toccare da un terzo punto ,
queſto pu . re coinciderà , e quindi infiniti punti matematici non fanno che un
punto , onde de liegue , che la linea non è compoſta di punti , o che i punti
ſovrapofti gli uni agli altri non fanno grandezze. Ciò naſce , perchè tutti i
punti ſono omogenei ſen za parti , ma ſe vi foſféro degli enti tra loro
eterogenei, ben chè non eſteſi, o ſenza parti , nulladimeno poſti gli uni
appreſ so gli altri , benchè non componeſſero grandezza , tuttavia fa rebbono
più , come ben offervò Ariſtotele . Ciò diede occaſio ne al Leibnizio di compor
l'eſtenſione di enti ſemplici , ma ete ( 94 ) eterogenei , o diverſi di ſpecie,
che eſiſtendo ſcambievolmente gli uni fuori degli altri coeſiſtano in uno ;
quindi per la no zione dell' eſtenſione , convien conſiderare , e più enti che
eſi Atano fuori di sè , e che tra loro s'unifcano , e formino uno . Non fanno
però un eſteſo ;, perchè fe ben inſieme eſiſtano, non ſono tuttavia tra loro
uniti , come allora che liquefatti più me talli ſi confondono in una maſſa . Le
partipoi indeterminate dell'eſteſo , conſiderate in aftratto , cioè ſenza far
attenzione alla loro fpecie , non diferiſcono tra lo ro , che nel numero . Non
ſarà inutile quefta offervazione nel progreſſo. Intanto ſi oſfervi, che l'uno
eſcludendo nel ſuo con cetto i più , oi molti, per quanto l'uno ſi moltiplichi
per ſe ſteſ fo è ſempre uno , onde egliè il ſuo quadrato , il fuo cubo , ed
ogni altra potenza, foſſe anche ella di dimenſioni infinite , e non folo avete
un eſponente, ma molti , come le quantità che ſi dicono eſponenziali. $. 21 .
Se l'uno è , egli tocca ſe ſteſſo , e l'altre coſe . L'uno è in fe fteſſo , ed
in altrui ( 5. 12. Sez. 3. ) In quanto è in fe fteſſo vien impedito di toccar
l'altre coſe , dunque tocca fe Hello ; in quanto è in altrui , è nell'altre
coſe ; dunque le coccherà . I N A L TRO MODO Una coſa nel coccar l'altra giace
appreffo quella che tocca , ed occupa la ſede vicina ; ma ſe l'uno tocca ſe
ſteſſo , giace appreſſo ſe steſſo , ed è quindi due coſe , il che non potendo
effere, mani feſto è che non pud toccarſi. Le coſe diverſe dall'uno , non
potendo effer numero , perchè .non partecipano l'uno, non pociamo mai con l'uno
far due , ma nel contatto v'è ſempre almeno due ( 9. 19. Sez.-3 .) Dunque l'uno
non toccherà l'altre coſe . : ANNOT. La contraddizione pur è qut apparente, e
ſi fa l'ano corporeo nel fupporre , che ei tocchi . Nozione immaginaria . 22.
Parmenide ragionando ad hominem con Socrate fuppone la par ticipazione
dell'idee, combattuta nella prima parte ; conſidera quindi la grandezza , e la
piccolezza, come due ſpecie ſeparate , tra ( 95 ) tra loro contrarie ; ben a
cid s'avverta , perchè in queſto conſiſte la deſtrezza del Filoſofo , e la
forza del ſuo ragionamento , S. 23 2 os' Se l'uno e , egli non è ně eguale , nè
maggiore , në mi nore degli altri enti . Sia l'ente minore degli altri enti ,
egli dunque participerà dell ' idea della piccolezza , la qual è contraria alla
ſpecie della gran dezza . Si concepiſca, che la piccolezza ſia nell' uno , o
farà in tutto l'uno , o in alcuna parte di eſso ; fe in tutto l' uno ,
eftenderà per l'intiero uno tutto al di dentro , che vuol dire lo compenetrerà
con la ſua ſoſtanza , o l'abbraccierà con eſtremi li. miti al di fuori, che
vuol dire lo comprenderà ; ma ſe la picco lezza s'eſtende al di dentro di tutto
l' uno gli è eguale " , e fe lo comprende gli è maggiore , onde la
piccolezza ſarebbe nello ſteſ ſo tempo grande, ed eguale contro l'idea di lei .
Se la piccolezza è una parte dell'uno , ne ſeguirà , che ella lia di nuovo in
tutta la parte , o al di fuori , o ál di dentro quindi che ella fia eguale , o
maggiore per le coſe dimoſtrare ; dunque non potendo eſser la piccolezza , nè
in tutto l' uno , nè in parte dell'uno , non ſarà nell'uno , onde l'uno non
farà pic colo, o minore degli altri enti . Corol. In alcuno degli enti per la
ſteſsa ragione non po irà ritrovarſi la piccolezza, onde in queſta ipoteſi non
v'è al tra cofa piccola , che la piccolezza ftetsa , ma dove non v'è il piccolo
, non v'è neppur il grande, perchè l' uno non è che per riſpetto all'altro ;
dunque non vi faranno coſe grandi , trartone la grandezza , e quindi I uno , e
altre coſe ſaranno prive di grandezza , e di piccolezza. e S. 24. Se l'uno è ,
le altre coſe non ſono di eſso nè maggiori, nè minori, nè eguali . Le altre
coſe aſsolutamente parlando ſono prive di grandezza, e di piccolezza , dunque,
rifpetto alla uno , non fono nè piccole, ne grandi , e per la ſteſsa ragione ,
l'uno non è nè maggiore , nè minore dell'altre coſe , eſsendo privo di
grandezza , e dipiccolezza . 5.125 . ( 26 ) S. 25. Se è l'uno egli farà eguale
a ſe ſteſſo , ed all'altre coſe . Non è maggiore , nè minore dell'altre coſe ,
ma ſe l'uno non è , nè maggiore , nè minore dell' altre coſe , egli per la
forza dell'eſcluſione ſarà eguale . §. 26. Se l'uno è , egli è eguale a ſe
ſteſſo , ed all'altre coſe. Non avendo in sè, nè grandezza , nè piccolezza , nè
eccede rà ſe ſteſſo , nè da ſe ſteſo farà ecceduto , dunque farà eguale a ſe
ſteſſo . S. 27 . L'uno è maggiore , e minore di fe ſteſſo . Egli è in ſeſteſſo
, dunque li comprende ; dunque èmag giore di ſe ſtello ; eſſendo in ſe ſteſſo,
egli è da ſe ſteſſo com preſo , dunque è minore ; dunque è maggiore, e minore
di ſe ſteffo . S. 28, Se l'uno è , le altre coſe ſono maggiori , minori ed
eguali all' uno . Null'altro v'è , che l'uno , e l'altre coſe , non dandoſi mez
zo , ( $ . 12. Sez. 2. ) Quel che è in una coſa è minore di eſſa ( S. 10.
Sezione 2. ) e ciò che la contiene è maggiore ; dun que , poi che ogni coſa è
in un luogo , ( . 12. Sezione 2. ) e che altro non v'è che l' uno , è l' altre
coſe neceſſariamente ſono nell' uno , o l' uno nell'altre coſe ; ma ſe l' uno è
nell' altre coſe , queſte ſono maggiori dell' uno , perchè lo conten gono ;
l'uno è minore, perchè è contenuto ; dunque l'altre co le ſono maggiori , e -
minori dell’uno : ma s'è dimoſtrato , che l' uno non eſſendo nè maggiore , nè
minore dell' altre coſe, all' al tre coſe farà eguale ( §. 24. Sez. 3.) Dunque
egli è eguale , mag giore , minore dell'altre coſe. Corol. Egli dunque può
eſſere di miſure eguali , maggiori, e minori , riſpetto a sè, ed all' altre
coſe. Quindi Ha 1 1 ! ( 97 ) Ha più miſure riſpetto alle coſe delle quali è
maggiore , me no miſure riſpetto a quelle delle quali è minore , e pari miſu re
riſpetto a quelle delle quali egli è eguale . 6. 29. 9 Paſſa a dimoſtrare
Parmenide , che ſe l'uno è , egli è parce cipe del tempo , ed è , e ſi fa più
giovane , e più vecchio di ſe fteſto , e degli altri , ed in contrario , e che
non è , nè ſi fa nè più giovane, nè più vecchio di ſe ſtello , e degli altri
par cicipanti il tempo . Per intendere adequatamente queſte propoſizioni, in
cui s'af follano varj principi i biſogna prima ripaffare ciò che fi diſle nel ſ
. 3. Sez. 3. 9. 27. Sez. 2. ove fi dimoſtrò . 1. Che chi partecipa dell'
eſſenza , partecipa delle differenze del tempo . 2. Che cið che ſi fa più
vecchio di ſe ſteſſo , e dell'altre coſe, nel farſi più vecchio , li fa più
giovane, e cið per eguali parti di tempo, ag giunte agli ineguali, il che
abbiamo dimoſtrato coll' eſempio delle ragioni di e diſucceſſivamente
accreſciute di 1. comparando percið le ragioni di į , e di abbiam veduto , che
i loro va Iori i ti, eit ! + divengono ſempre minori . Altreſuppoſizioniegli fa
ne' ſeguenti argomenti. 1. Il tempo è un fluſſo , da cui ſi fa progreſſo dal
pallaco al preſente, e dal pre Tente al futuro , e dall'era all'è , è dall' è
al ſarà . 2. Che una coſa che'ſi fa paſſa dal preſente ove è , nel futuro ove
ſarà , e perciò nel farli è di mezzo cra l'uno , e l'altro , onde propria mente
ciò che è nell' inftante , non ſi fa , ma è quello che è , o , come l'eſprime
Platone , una coſa che ha fatto acquiſto del preſente cella di farſi , od è ciò
che allora convien che fi faccia . 3. Il preſente è ſempre unito all'uno ,
perchè è ſempre unito all' ente, dal qual l'uno è inſeparabile . 4. Il diverſo
, o l'idea del diverſo è la ſtella coſa ſecondo i principi di Socra te , e percid
è ſempre uno, onde quello che non è uno , non può eſer il diverſo , o l'idea
del diverſo, onde le coſe diverſe dall' uno , o che partecipano il diverſo,
ſono più che l'uno , o hanno in sè moltitudine , e in conſeguenza numero o più
. 5. Delle più ſono prima le poche , che le molte , e delle poche prima il
pochiſſimo. 6. La coſa che prima li fa è la prima , e le dipoi ſono più giovani
delle già fatte innanzi . 7. E' impof fibile', che una coſa ſi faccia oltre la
natura , onde in una co ſa che ha principio , mezzo , e fine , prima li fa il
principio , indi il mezzo, e poi il fine , che vuol dire , il fine ti fa i'ulti
mo. 8. Quel che ſi fa ultimo è più giovane di quel che fi fa Tomo II. il a e ce
I 21 S: i n ( 98 ) il primo . 9. Chi ſi fa con tutte le parti infieme d'un
tutto ,, fi fa nello ſteſſo tempo inſieme col cutto .. 1 1 ſ. 30. Se l'uno è ,
egli è , e ſi fa , e non è , nè ſi fa più vecchio , e più giovane di ſe ſteſſo
. Se l' uno è participando l'eſſenza , participa del tempo ( $. 3. Sez. 3. ) ma
quel che è in tempo , è in un fluſſo continuo o pal ſa dal paſſato al preſente,
o dal preſente al futuro ( S. 28. Sez: 3.) Dunque l'uno e continuamente in
queſto paſſaggio . In quanto paſſadall'era all' è fi fa più vecchio di sè ;ma
nel farſi più vec chio , ſi fa più giovane ( S. 26. Sez. 2. ) Dunque ſi fa più
vec chio , e più giovane di ſe ſteſſo . Chi non oltrepaſſa il preſente , nel
far progreſſo dal paſſato , nell'avvenire non ſi fa , ma è ciò che è ( $.22.
Sez . 4. ) Dunque quando l ' uno tocca primieramente il preſente , non ſi fa
allo ra vecchio , ma è vecchio oggimai, Nel toccar il preſente , co me ha prima
di lui fatto acquiſto , cefla di farli , od è ancora ciò che avvien che ſi
faccia i $. 28.Sez. 3.) Dunque l'uno , quan do fatto vecchio conſeguiſce il
preſence , cella di farſi , od è allora più vecchio di ſe ſteſſo , di ciò che
era toccando il pal fato ; ma l'uno è di quello più vecchio , onde fi faceva
vec chio ; e facevali di ſe ſteſſo , ed il più vecchio è più vecchio del
giovane ; dunque allora l' uno è più giovane di ſe ſteſſo quando fatto vecchio
conſeguiſce il preſente , ma il preſente è fempre unito all'uno ; dunque l'uno,
ed è ſempre, e li fa più vecchio , e più giovane di ſe ſteſſo ; ma facendoſi
tale , od ef ſendo in tempo pari ritiene la ſteſſa età , e chi ritiene la ftel
fa età , non è più vecchio , nè più giovane ; dunque l'uno eſ ſendo , e
facendoli in tempo , non è più vecchio , nè più gio vane di ſe ſteſſo . g . 31
. Se l'uno è , egli è più vecchio dell'altre coſe , o l'altre coſe più giovani
di lui . Nelle coſe diverſe , che hanno in sè moltitudine o numero , altre ſon
fatte prima , altre dappoi ; ma il primo che ſi fa è pochifiimo, ( 9. 26. Sez.
3. ) e nei numeri l'uno è pochiſſimo , dunque l'uno è facco inanzi alle coſe
che hanno numero , o che fono . 1 ( 99 ) fono diverſe dall'uno , o ſono gli
altri ; ma il primo che ſi fa è più vecchio , le coſe che dipoi ſi fanno , ſono
più giovani ; dunque l'uno è più vecchio dell'alcre coſe , e l'altre coſe più
giovani. g . 32. Se l'uno è , egli è più giovane dell' altre coſe , e le altre
coſe più vecchie dell' uno . L'uno non può farſi oltre la natura fua ( .9 .,26.
Sez: 3. ) Dun que avendo parti, o principio , o mezzo, o fine, ſi fa ſecondo la
natura del principio , del mezzo , e del fine , ma il princi pio fi fa il primo
, è il fine ſi fa l'ultimo , ma l' ultimo fatto e più giovane dell' altre coſe
, e l' altre coſe più vecchie dell' uno ( $. 26. Sez. 3. ) ; dunque l'uno è più
giovane degli altri , e gli altri dell'uno . $. 33. Se l'uno è , egli non è più
vecchio , nè più giovane dell' altre coſe.. Ogni parte dell' uno è una ; ogni
parte del mezzo è una , ed uno è parimente il fine, od il tutto , onde fi farà
l'uno , é colla prima coſa che fi fa , ed infieme colla ſeconda, colla ter za
ec. onde percorrendo ſin all'eſtremo fi farà un tutto , o 1 uno non eſcluſo
nella generazione dal mezzo , non dall' eftre mo , non dal primo, non da altro
; ma ſe l'uno ſi fa inſieme con tutte le parti d' un tutto ha la ſteſfa età con
tutti gli al tri ; dunque ſe non è nato oltre la propria natura , non è fac to
prima nè dopo l'altre coſe , ma inſieme e fecondo queſta ragione non è più
vecchio , o più giovane degli altri , nè gli altri dell' uno . ſ. 34. Se l' uno
è , egli ſi fa più giovane, più vecchio di ſe ſteſſo . Se alcuna coſa foſſe più
vecchia d' altra , li farebbe ancora più vecchia di ſe ſteffa : A ſia più
vecchio di B , nel creſcerfi gli anni ad A , egli & fa più vecchio di fe
fteffo , e di B ; dun n 2 que ( 100 ) | 1 que l'uno nel farſi più vecchio dell'
altre coſe ſi fa ancora più vecchio di sè ; manel farſi più vecchio , ſi fa
ancora più gio vane per la ſteſſa ragione , che creſcendo tempi eguali, la ra
gione decreſce ( 5.27. Sez. 2. ) Dunque l'uno li fa più giovane di ſe ſteſſo ,
ma s'era dimoſtrato , che ſi faceva più vecchio ( S. 30. Sezione 3. ) Dunque ſi
fa più giovane , e più vecchio di ſe Iteffo . 1 f. 35 . Se l'uno è , egli non
può farſi , nè più vecchio, nè più giovane dell'alere coſe . Ciò che fi fa più
vecchio d'un altro , o più giovane, ſi fa più vecchio , e più giovane ancora
riguardo a sè ( 1.37. Sez. 3.) ma l' uno non ſi fa , ma è , e più giovane , e
più vecchio ri guardo a sè ; dunque non ſi fa , nè più giovane , nè più vec
chio riguardo agli altri. Se l'uno è più vecchio , che le altre coſe , ha più
lungo tem po dell'altre coſe, ma creſcendoſi il tempo, egli ſempre eccede meno,
onde ſi fa più giovane riſpetto alle coſe, delle quali era innanzi più vecchio
; ma ſe egli ſi fa più giovane , quell' altre coſe ſi faranno più vecchie ;
dunque le coſe che erano innanzi , e più giovani dell'uno , ſi fanno dell' uno
più vecchie , cinè fi fanno più vecchie , riſpetto a quello che era più vecchio
; ma le coſe più vecchie non ſono , ma fi fanno ſempre , perchè la fanno più
vecchie , mentre l'uno ſi fa più giovane ; dunque le coſe ſi fanno ſempre più
vecchie dell'uno . Le coſe poi più vec chie , parimente ſi fanno più giovani
dell' uno più giovane perchè l'uno , e l'altre coſe movendoli in contrario G
fanno vi cendevolmente contrarie , cioè le coſe più giovani dell'uno , ſi fanno
più vecchie dell'uno che è vecchio , ed all'incontro l'una più vecchio , li fa
più giovane delle coſe più giovani ;, ma non, è poffibile che l' uno , e l'
altre coſe fieno fatte nè più giova ni , nè più vecchie, perchè le cali foſſero
, non più li farebbo no ; dunque le coſe , e l'uno tra loro ſi fanno più
vecchie , e più giovani: l'uno li fa più giovane delle cofe , per quello che
parve eſſer più vecchio , e prima fatto , l'altre coſe poi fi fanno più vecchie
, per quello che ſono ſtate fatte dopo , e ſecondo la ſella ragione : l'altre
coſe ancora ſe ne ſtanno riſpettivamente alla uno , come quelle che ſono ſtate
più vecchie , e prima dell'uno . Dunque inquanto che nè l' uno , nè gli altri
fi fanno , diſtan do 1 ( 101 ) $ do ſempre tra loro di un numero pari, non ſi
farà nè l'uno più vecchio degli altri , nè gli altri dell' uno . Ma come
decreſce ſempre la ragione dei tempi , o con minor particella ſempre tra loro
differiſcono le coſe prime dall' ultime , e l'ultime dalle prime , così è
neceſſario che l' altre coſe ſi facciano , e più vecchie più giovani dell'uno ,
e l'uno dell'altre coſe . Quinci aggruppando in uno tutte le propoſizioni,
abbiamo di. moſtrato , che l'uno è , e li fa più vecchio , e più giovane degli
altri, e di nuovo non è più vecchio , nè più giovane di ſe ſteſſo e degli altri
. Corol. Perchè l' uno è partecipe del tempo , o ſi fa più vec chio , e più
giovane , egli è partecipe del quando, del futuro , e del preſente . Dunque era
l'uno, ed è , e ſarà , e ſi faceva , e fi fa , e li farà , e ſarà ancora alcuna
coſa in lui , e di lui , ed è , ed era , e farà . COROL. 2. Perchè la ſcienza ,
l'opinione , il ſenſo , la defini zione , il nome , riguardando le coſe che
ſono nelle differenze dei tempi , in quanto l'uno è capace di queſte differenze
, è ancora fog getto di ſcienza , d'opinione , di fenſo , può definirli, e può
no. minarſi . Annot. Qui Parmenide non dà ſcienza, e definizione, ſe non delle
coſe ſoggette al tempo , il che biſogna accordare con ciò che diſke ( 9.16. Sez.
1. ) La ſcienza che appreſſo noi è ſcienza del le verità , che ſono a noi
dintorno . 9. 36. Riſtringiamo adeſſo in poco , quanto Platone ha propoſto
nella propoſizione condizionale, o ſia nell'ipoteſi ſe l'uno è . 1. Diftin le
colla mente i due concetti dell'uno , e dell'ence ., 2. Ne com poſe un tutto
intellectuale di due parti, o dei due concetçi dell' uno , e dell'ente. 3. Tra
loro paragonandoli ne deduſſe il terzo concetto del diverlo . 4. Conclure che
nell' uno o è una moltitu dine infinita di numeri , che dividono l' uno a
proporzione dell' ente. 5. Che l'uno è tutto , e parte, e finiso , e infinito .
6. Da ciò che è un tutto finito , conſiderò in effo il principio , il mez-, 2o
, il fine , e quindi la figura . 7. Da ciò che è un turto , e che il tutto è
nel tutto , conclure che l'uno è nell' uno , ed in fe ftel 1o . 8. Da ciò che
l'uno è comeparte nel tutto , conclure che è in altrui . 9. Che ſta , e ripoſa
, ſe egli è in ſe ſteſſo . 10. Che ſi mo ve , le è in altrui . 11. Che è ſimile
a sè in quanto l'uno , è lo ſteſſo che l'uno . 12. Simile agli altri , perchè
paciſce d' eſſere co me gli altri . 13. Che è diffimile in quanto cert'uno , e
certo ente . 14. ( 102 ) 14. Che è lo ſteſſo , poichè ekſte, ed eſiſtono
glialtrienti nello ſteſſo tempo . 15. Che è diverſo , in quanto non ha in sè
ciò che hanno gli altri enti. 16. Quindi fimile , e diffimile , perchè patiſce
le ſteſſe cofe . 17. Che è maggiore , minore, ed ineguale , e non maggio re ,
minore, nè eguale dell'altre coſe . 18. Che è , e ſi fa più gio vane, e più
vecchio di ſe ſteſſo , e dell'altre coſe , e non è , e non fi fa , nè più
vecchio , nè più giovane dell'altre coſe , e l'altre co fe di lui . 19.
Finalmente, che dell'uno in quanto è li ha ſcienza ,, ſenſo , opinione , e può
denominarſi , e definirſi. Si potrebbe più compendioſamente ridur in poco
l'argomento di Parmenide, conſiderando che reciproche ſono queſte due pro
polizioni : l'unoid , è l ' uno , per il che ſi può predicar dell'ente ciò che
ſi predica dell' uno, e dell' uno ciò che ſi predica dell' en per ragione dei
diverſi concetti formali, predicandoſi dell' ente , la parte , il finito ,
l'infinito , il principio , il mezzo , il fine , la figura , lo ſteſſo , il
diverſo , la quiete , il mo to , il limile , il diſſimile , e il maggiore ,
l'eguale , il minore, it giovane , il vecchio ec. cutti queſti
predicaricompereranno pari mente all'uno . Ben ſi vede , che qui non ſi parla
che dell' en te corporeo , e degli enti particolari , a cui or compete una co
fa , ed or un'altra. il tutto , S. 37: Ma perchè i predicati oppoſti, come il
fimile , il diffimile, it maggiore , e il minore non poſſono competere nel
tempo ſteſſo all' uno , ed all'ente ſenza contraddizione , Parmenide moſtra che
queſti attributi contrari non gli competono nello ſteſſo tem po , ma in diverſi
tempi ; tal è la natura di ogni ente finito : gli attributi, imodi, le
relazioni, delle quali è capace, non hanno luo go in lui, che ſucceſſivamente a
differenza dell'ente infinito , in cui tutte le perfezioni poſſibili , che attribuir
gli ſi poſſono , .ftan no in lui tutte inſieme , onde non male con due parole
molto energiche , ſebben barbare , ſi chiamò Dio dal Bulfingero , omni tudo
compoſibilitatis . Gli Scolaſtici lo chiamarono atto puro , cioè atto ſenza
alcuna miſtura di potenza , e quindi diametralmen te oppoſto alla materia che è
pura potenza , e talmente pura, che al cuni degli ſcolaſtici la ſpogliano
dell'atto entitativo , edell'eſiſtenza . $. 38 ( 103 ) go 38. Se l'uno è ; egli
prende diverfi ſtati ſecondo le :: differenza dei tempi . Nel tempo ſteſſo non
ſi può participare , e non participare dell'eſſenza , e delle coſe che
conſeguono al non participarla , ed al participarla ; or il farli è renderſi
partecipe dell' ellenza ; il rovinarli e privarſi dell' effenza ; dunque l'uno
non può ne! tempo ſteſſo , e prender , c laſciar l'eſſenza . Dunque la pren de
, e la laſcia in diverſi tempi , Quando ſi fa uno , egli perde l' eſfer molte
coſe ; quando ſi fa molte coſe ceffa d'effer uno; nel farfi uno , e molte , li
fepara , e fi congiunge , qualora ſi fa ſimile , e diffimile , ſi affimiglia ,
e diffimiglia ; quando ſi fa maggiore, minore , ed eguale , creſce , decreſce,
e li pareggia ; quallora movendoſi fi ferma, e quallo ra fermandoſi li move .
Or tutte queſte coſe , eſſendo tra loro contrarie , l ' uno non può averle nel
tempo ſteſſo , dunque l'ha in tempi diverfi . 9 . 39 Non fi pud paſſar dalla
quiete al moto , e dal møto alla quie te , ſenza cangiamento di itato . Un
corpo che cangia fuccelli vamente la relazione di diſtanza , che egli ha ad
altri corpi vi cini , ha uno ſtato diverſo da quello d'un corpo , che conſerya
ſempre a ' corpi vicini la ſteſſa diſtanza. Queſto cangiamento di uno ſtato
all' altro ſi fa in tempo ; ma conſidera Platone, che nel paſſaggio dal moto
alla quiete, e dalla quiere al moro, v'è un non so che d'improvviſo , e di
momentaneo , che ſi conce piſce nell'iſtante del paſſaggio , e non più
appartiene al moto , che alla quiete ; non al moto , perchè la coſa ſi
concepirebbe ancora in ripoſo ; non al ripoſo , perchè la coſa fi concepiſce
ancora in moto , Conclude dunque Placone , che queſta natu ra improvviſa è
quaſi ſconvenevole tra il moto , e la quiete ; che ella non è in verun tempo ,
e a queſta da queſta paſſan do fi muta nello ftato ciò che li move, e nel moto
ciò che ſi ri pola . 8. 40. ( 104 ) .. § . 40. Se l'uno è , nell'atto che
cangia ſtato , non gli competono più i predicati dell'ente . Nel paſsar l'uno
dal moto alla quiete fi muta momentaneamen te , e all'improvviſo , o mutandoli
egli non è in alcun tempo ; dunque non ſta nè fi move . Così quando paſsa
dall'eſsere alla ro vina, o dal non eſsere al farſi , non è , nè ſi fa , nè fi
diſtrugge . Parimente quando paſsa dall' uno in molti , e da molti in uno, non
è , nè uno, nè molti , nè ſi congiunge , nè fi ſcongiunge , e paf fando dal
ſimile al diſſimile , od al contrario , non è , nè affimi gliato , nè
diſlimigliato , e paſsando dal piccolo al grande , ed all' eguale non creſce ,
nè decreſce , nè ſi pareggia. Annot. Da queſta dottrina ſebben metaforicamente
da ' Plato ne eſpreſsa , imparò Ariſtotele ad introdurre tra i principj delle
generazioni, la privazione mal a propoſito ſchernità da coloro , che non ne
inteſero nè la forza , nè l'uſo . Quando una coſa ha perdute tutte le
diſpoſizioni o determinazioni, che la rendevano tale , ella ceſsa d' eſsere la
tal coſa , cioè reſta priva di tutto ciò che la coſtituiva , e diſtingueva
dall'altre coſe , ma nell'atto ſteſ fo , in cui ceſsa d'eſsere quel che era ,
comincia ad eſsere ciò che non era , o paſsa dalla privazione alla forma
contraria ; queſto ſtato di mezzo che è tra la forma , e la non forma, Platone
chia ma natura mirabile , e momentanea , ed è certo , che ella nel fifa far i
gradi della noſtra cognizione ci moſtra quelli della natura che non opera mai
per falti. Nel Timeo dice : Dovendo eſer l'ef figie delle coſe diſtinta da ogni
verità di forma , non fia mai prepa rato quel medeſimo grembo di tal
formazione, ſe egli non farà informe di tutte quelle ſpecie , le quali è per
ricever da qualche parte , percid che ſe egli faravvi alcuna di quelle coſe che
in sé riceve fimiglianza , quando riceverà una natura contraria di quella di
cui è ſimile , ovve ro un' altra , affatto malagevolmente la ſimiglianza , e
l'effigie di quel la eſprimerà quando moſtrerà la ſua, però egli è convenevole
, che di tutte le ſpecie ſia privo quello che ha in sè da ricevere tutti i
generi . Siccomequelli che hanno da fare unguenti odoriferi, l'umida materia ,
la quale vogliono di certo odore condire , di tal guiſa preparano , che * ella
non abbia alcun proprio odore . E coloro che vogliono in materie molli
imprimerealcune figure, niuna figura affatto laſciano primiera mente apparire
in quella , ma quelle cercano in prima di render qan to poſibil fia polite .
Ciò ſi rende ſenſibile nelle quantità algebraiche poſitive , e ne gative ,
nelle quali non ſi paſsa dall'une all'altre ſenza paſsar per 1 1 1 il ( 105. )
o il zero , che non è nè negativo , ne poſitivo , ed è il vero fim bolo della
privazione. Nella Geometria il punto matematico equi vale al zero , che è il
principio negativo dell'eſtenſione , e dal quale fi comincia la miſura , come
l'unità è il principio poſitivo , per cui fi comincia la ſteſſa miſura . Il
punto è comune alla linea , che ceſsa per eſempio di eſsere alla ſiniſtra , e
comincia ad eſsere alla deſtra , o che termina d' eſser in alto , e comincia ad
eſser a baſso ; così egli non è deſtro , nè finiſtro , nè alto , nè baſso . Tut
te queſte ſono eſpreſſioni utiliNime, e ſebben noicele rappreſen ciamo per
fpecie aliene , come il niente , o l' impoflibile, tuttavia molto fervono a
reggere i noſtri ragionamenti. L'origine, e la natura del calcolo delle fuſioni
dipende dall'uſo della natura momentanea , ed ammirabile di Platone . In queſto
calcolo non ſi cercano , ſecondo il Newtono , le quantità infinita mente
piccole , chemainon poſsono determinarſi,ma la ragione del le quantità
naſcenti, od evaneſcenti, cioè di quelle , le cui fuffio ni, o velocità nel
naſcere, o nel ſvanire equivagliono al zero , il qual ſimboleggia il termine
del ripoſo , e il principio del moto il termine del moto , ed il principio del
ripoſo . Sieno nel preſen te momento le fluenti quantità y, x ; nel momento
ſeguente di verranno ſecondo l' eſpreſſione Newtoniana y toy , ed xtoy, ove o y
, od ox eſprimono i momenti delle velocità . Softituite queſte eſpreſſioni in
un'equazione propoſta, per eſempio in quel la della parabola yy. =ax , quefta
fi caogierà nell' equazione . yy + 2 oyy tooyy = oaxtoax o cancellando gli
eguali 2oyy tooyy = oax , e cancellando il comune o 2 yyt oyy = ax Sin che la
quantità efpreſsa per o reſta finita , non può mai de terminarli la ragione
delle quantità che fluivano, ma nella ſup poſizione che ella s' annulli , come
nel caſo dell' ultima o della prima velocità delle grandezze , ove o s'eguaglia
a zero , fi ha 2 yy = ax , e ponendo l'equazione in analogia 2 y.a:: x.y
ragione determinata , con cui le qualità cominciano o termic nano di Auire. Il
Newcono ſpiega più a lungo queſte coſe nel ſuo trattato delle Curve, e lo
ſpiega non chiarezza il Ditton nell'inſtituzione delle Auſſioni ; baſta a me
d'averlo quì accennato , per moſtrare che agli antichi non man cavano quell'
idee , che i moderni hanno poi ſviluppato , carat £ erizzandole con canta
utilità delle ſcienze , e delle bell'arri . Tomo II. 5. 41, ( 106 ) S.' 41, 1
Platone preſuppone nel ſeguente argomento , che la partenon è parte nè di molti
, nè di tutti , ma di cert'una idea , e di cert'uno che chiamiamo tutto , ed è
un cutto fatto da tutte le parti , e in sè perfetto , Dalla parola idea lice
argomentare , che qui non fi craica che dei concetti, con cui fi concepiicono i
molti, e il tutto , e le parti . L'idea dei molti è l'idea dei più
aſſolutamente preſi, e com prende egualmente le parti, ed i tutti , dicendoſi
molte, o più parti, molti o più molti. L'idea del tutto è l'idea dell'uno più
riſtretto in un certo numero , o riſtretto in cerci limiti ; idea della parte è
l'idea d'uno incluſo in queſti più già ridoc ti. Non ſi pud quindi
rigoroſamente parlando dire , che la par te ſia parte di molti , perchè
conſiderandoli ſecondo la loro propria idea, non fanno ancora il tutto a cui ha
immediata re lazione la parte , Nel dir dunque Platone , che la parte non è
parte di mol ti , allude ai modi , o ai più vagamente preli , e nel dir che la
parte è parte del tutto , allude ai più riſtretti ; ne' più , come s'accennd ,
vi ſono incluſe indifferentemente le parti , ei tutti, onde ſe la parte foſſe
parte dei più , potrebbe eſſer parte di ſe Iteffa . Aggiunge Platone , che ogni
parte non è parte di qualun que uno ma d'un cert' uno , cioè di un certo tutto
. La par te del triangolo non è la parte del quadrato , nè un ſoldato che è una
parce d' un eſercito , è parte di una proceſſione di Frati . Il tutto poi che è
fatto di tutte le parti , o a cui non man ca alcuna parte, è perfetto . , Si
oſſervi in oltre eſſer lo ſteſſo , il dir molti, o più d'uno ; che ogni coſa
quindi o è uno , o più , cioè molci ; che una parte dell' eſtenlione cratca
fuori di efla , o feparata da eſſa , eſſendo fteſa , contiene più, e ſe dinuovo
ſi ſepa ra in due , una di queſte parti eſſendo di nuovo fteſa , ritiene ipiù .
In altri termini ciò vuol dire, che non v'è parte dell'eſtenſione che non ſia
diviſibile all'infinito, e come la prima divifione fi fa per 2 , ed indi per 2
i Pittagorici aſſegnavano il 2 , come il fim bolo dell'infinito . Prima che una
parte fi ſeparaſſe da una certa eſtenſione , ella riteneva il nome di parte ,
ma quando è ſeparata , e che di nuovo ſi divide , ella non è più parte , ma
tutto . Queſti nomi di tutto , e di parte ſono ſempre relativi ; coloro per ciò
che definiſcono l' eſtenſione , ciò che ha parti fuori" di ? par ( 107 )
parti , null' altro dicono ſe non che l' eſtenſione è l'eſtenſione , perchè non
ha parti ſe non ciò che è eſteſo . Molto peggio fan no coloro , che ſuppongono
, che l' eſtenſione eſſendo compoſta di una infinità di parti fteſe , ſia
compoſta d'una infinità di ſo . ſtanze tra loro tutte ſeparate , perchè l'idea
dell'eſtenſione null hache di relativo , e ſuppone la coſa aſſoluta ,' o la
ſoſtanza , su cui la relazione ſi fonda . Il corpo fiſico , e mecanico non ſono
pura eſtenſione , come il geometrico, ; perchè nel corpo fiſico v'è la forza ,
o la for ma, e nel mecanico il peſo , origine delle proprietà , e dei lo ro
fenomeni. . 8. 42. Se l'uno è , le parti in quanto parti ſono parti dell' uno ,
o partecipano dell'uno . Le parti non poſſono eſſer parti di le ſteſſe , nè di
molti ( $. 40. Sezione 3. ) dunque dell' uno, il che è dire , che partecipano
dell' uno . §. 43, Se l'uno è , il tutto in quanto tutto partecipa dell' uno .
Il tutto cui nulla manca delle tre parti è uno ; dunque par tecipa dell'uno .
Corol. Il tutto dunque , e le parti partecipano dell' uno , e ciò ſignifica un
non so che di ſeparato da gli altri , ma eſiſten; te per sè , ſia egli
qualunque coſa. ANNOT. Non par egli, che Parmenide nel dir , che queſt' uno ſia
ſeparato dagli altri , e per sè eſiſtente , alluda all'idee feparatę che ha
combattute nella prima ſeſſione '? Se non vuol ciò dirſi , come contrario alla
profonda Filoſofia d'un sì grande Uomo, non ne liegue egli , che parlando qui
con Socrate , parla bensi col fuo linguaggio , ma nel tempo fteffo incende di
favellare fecondo le attrazioni della mente . 0 2 9.44. ( 108 ) 8. 44. Se l'uno
è , le cofe che partecipano dell' uno fono altra coſa che l'uno . Niuna coſa
può effer alcun uno fuor che lo ſteſſo uno ; dunque ſe le coſe partecipano
dell'uno , che vuol dire , non ſono lo ſtes fo uno , bifogna che fieno un'altra
coſa . COROL. Dunque le coſe che partecipano dell' uno fono de verſe dall'uno .
S. 4.5. Se l' uno è , le coſe che partecipano dell'uno , ſono in moltitudine
infinite . Se le coſe che partecipano l'uno ſono diverſe dall' uno , non ef
fendo uno nè più d'uno non faranno niente ; ma non fon l'uno , dunque più d'ano
, dunque ogni parte d'uno , include in eſſa i più, e queſti altri più , e così
in infinito , dunque le coſe clre parteci pano l'uno , ſono infinite in
moltitudine . COROL. Poichè il più include per fua natura la moltitudine in
finita , ogni parte che d'eſſo ſi tragga fuori con l'intelligenza le ben
piccoliflima rifpetto all'altre , ſarà in moltitudine infinita . ANNOT. Platone
dice da quelle ( cioè dei molti ) trar fuori con r* intelligenza alcuna cofa
piccoliffima . In qual altro modo pud egli meglio indicar l'aſtrazione della
mente .? nel dir Platone , che confiderando la diverſa natura della fpecie
fecondo ſe ſteſſa quanto di lei vediamo, fia egli infinito , e in moltitudine ,
altro non ſignifica con la diverſa natura , ſe non che ogni parte dell'
eftenfione include in sè più , e queſti altri più , e infiniti in . moltitudine
. 1 g. 46. Se l'uno è , la parre in quanto parte è diverſa dell' uno , per chè
l'uno è per sè indiviſibile , e la parte per sè divifibile . 8. 47 ( 109 ) S.
47. Se l'uno è , le parti ſono più che l' uno . Le parti diverſe dell'uno , ſe
non ſono uno , o più d'uno , nulla ſaranno , ma ogni cofa è uno o più ; dunque
ſe le parti diverſe dall uno non ſon uno , ſaranno più che uno . S. 48. Se
l'uno è , le parti che lo partecipano hanno termine tra loro , e riſpetto al
tutto , e il tutto riſpetto alle parti . Ogni parte è una, ogni tutto è uno ;
ſe l'uno e l'altro parte cipa l'uno ; ma quello che è fatto uno ha un termine .
Dunque ec. Corol. All' altre coſe , che all' uno , avviene che partecipan do
dell'uno , e di loro ſteſſe, ſi fanno in loro cert'altra coſa, il che dà loro
il termine , ma la natura loro che include i più , è per eſſenza infinita in
moltitudine; dunque le altre coſe che l'uno tutte ſecondo le particelle loro , ſono
infinite in numero , e par tecipi di termini. g . 49. Se l'uno è , le coſe che
partecipano l'uno , fono fimili, e dil ſimili, ſi movono , e ſi fermano , od
hanno altre paſſioni con trarie , Le altre coſe che l'uno , ſono tutte infinite
, o indefinite , fe condo la loro natura , onde tutte patiſcono lo ſteſſo, ed
aven do cermini , e diverſi termini, patiſcono il diverſo , ma il limi le è
quel che patiſce il ſimile , il diſſimile quel che patiſce il diverſo .
Dunquele coſe , altre che l'uno , ſono ſimili, e diffimi li . Maſe patiſcono le
ſtelle coſe , e diverſe , pariranno anche il moverſi , ed il fermarſi, l'eſſer
maggiori , minori , ed eguali , l' eſſer più vecchie , più giovani ec. e 3. 50
Riepilogando le coſe dette , abbiam dimoſtrato che ſe l'uno che in quanto lo
partecipano ſon d'ello parti. Che il tutto dal le parti riſultante partecipa
pur dell' uno ; che le parti parte cipanti del tutto , è dell' uno ſono
infinite in moltitudine, che han ( 110 ) . hanno termine tra loro , e rifpetto
al tutto, come il tutto l'ha riſpetto alle parci, onde nel patir le coſe ſteſſe
, e diverſe ſono ſimili, e diffimili , ſi moyono, e fi fermano . Paſſa a
confiderar Parmenide nella ſuppoſizione , che sia l'uno , coſa adiviene alle
coſe che non partecipano l'uno . g. 58 . Se l'uno è , e le altre coſe che non
partecipano l'uno, non ſono nè tutto , nè parii , nè fimili, nè diffimili , nè
le ſteſſe nè diverſe, non ſi movono , non fi fermano , non ſi fanno , non ſi
diſtruggono, non ſono , nè maggiori , nè minori , nè eguali , nè vecchie , nè
giovani . Si concepiſca l'uno ſeparato dall'altre coſe , cioè fi concepi ſca
che le altre coſe non lo partecipano , non vi ſaranno mol ti , perchè ognun de
molti è uno ; non vi ſarà numero , o mol titudine ordinata che principia
dall’uno, il quale ſucceſſivamen te li va aggiungendo a ſe ſteſſo , e fa ogni
numero uno nella fua fpecie ; non vi ſarà tutto , che è una moltitudine
riſtretta in uño ; non vi ſaranno parti , ognuna delle quali è uno ordi nata ad
un altro uno ; non vi ſaranno coſe limili, nè diffimi li, nè le ſteſſe , nè
diverſe con l' uno , perchè ſe teneffero in se -ſimigliznza , ediffimiglianza ,
comprenderebbono in sè due ſpecie tra loro contrarie , onde non eſſendo
partecipi di due , nemme no lo ſarebbono di due contrarj ; non poſſono eſſer
quindi le coſe nè ſteſſe, nè diverfe , nè moverſi , nè formarſi , nè diftrug.
gerſi, nè effer maggiori, giovani , e vecchie , perchè eſſendo ſem pre
partecipi di due coſe contrarie ſarebbono partecipi di nu mero . ANNOT. Queſto
è lo ſteſſo che concludere che l' uno traſcen dentale , eſſendo inſeparabile
dall' ente , è lo ſteſſo tor dalle coſe l' uno , che l'ente , od annullarlo .
g. 52. 1 Parmenide ha ultimamente conſiderato , coſa accaderebbe alle coſe, ſe
non vi foſſe l'uno , che per ipoteſi ſtabili . Or cangia ipoteſi, e cerca ,
coſa accaderebbe alle cofe fe non vi foſse l'uno . Queſte due ipoteſi ſembrano
diverſe , ma ricadono poi nello ſteſso , perchè canto è annullar le cote
ſeparando da loro l' uno che è , od eſsere ſi concepiſce , quanto annuliarle
ponendo le co ſe , e negando l'uno . SE ( 111 ) 1 SEZIONE QUARTA. B. I. Uando
per eſempio fi dice grandezza, e non grandezza, QI si dicono due coſe oppoſte ,
e tra loro contrarie , poichè la non grandezza diſtrugge ciò che la grandezza
pone o in natu ra , o nella mente ; le fi fanno quindi le due propoſizioni, la
grandezza è la non grandezza non è , tutte e due ſono nega tive, ma l'una è d'
un ſoggetto finito , e determinato , l'altra d'un ſoggetro infinito , e
indeterminato. La grandezza é il ſog getto di decerminata ſignificazione , la
non grandezza di ſignifica zione indeterminara, perchè non grande è il piccolo
, non grande il punto , non grande l'unità ec. Or il determinato è contrario
all indeterminato ; dunque, come ben oſservò Marſilio Ficino , le due
propoſizioni, la grandezza è , la non grandezza non è , ſono con trarie ,
ſebben l’una , e l'alcra fieno negative . Lo ſteſso debbe dirſi delle due
propoſizioni, l'uno non è , il non uno non è , egeneral mente della
propoſizione A non è ; non A non è : nella pri ma ſi nega ad A l'eſere , nella
ſeconda ad A che fi nega , ga l'effere . Negar ſemplicemente una coſa , e
negare la nega zione, ſono coſe tra loro contrarie . La propoſizione all'incon.
tro A non è , e l'altra non A è , ſono equivalenti , perchè nel la prima di A
fi nega l' eſſere , nella ſeconda fi afferma , che ad A fia negato l' eſſere.
Affermare la negazione è lo ſteſſo che negar la cola ; dunque equivalenti
propoſizioni ſaranno, l'uno non è , il non uno è . E' poi da oſſervarli, che le
negazioni, e pri vazioni ſi conoſcono per le loro realtà oppofte , la cecità
per la vi fione , le tenebre per la luce , non A per A. ſi ne B. 2 . Se l'uno
non è , nel pronunziar la propoſizione ai concepiſce chiaramente e
diſtintamente , che l'uno non fia , o li ha fcien za di ciò che s'eſprime, e
s'eſprime qualche coſa diverſa dall' altra , l'uno è . Le privazioni , e
negazioni ſi concepiſcono chia ramente , e diſtintamente per le loro realtà
oppoſte , dunque il non uno per l' uno ( J. 1. ) ma la propoſizione il non uno
è , è, equivalente all'altra l' uno non è , dunque queſta propoſizione l' uno
non è , fi concepiſce chiaramente e diſtintamente , o li ha ſcienza di lei . La
propoſizione l'uno non è , è diverſa dall' altra , 3 uno ( 112 ) ! $ 1 1 uno è ,
e chiaramente , e diſtintamente ſi concepiſce la loro diver ſità ; dunque nel
dir l' uno non è , ſi concepiſce qualche coſa di diverſo . Platone così lo dice
: eſprime primieramente alcuna coſa che ſi può conoſcere, poſcia differente
dall'altra , colui che dice uno , aggiungendovi l'eſfere, oil non eſſere ,
perciocchè non ſi conoſce meno , ciò che fia quel che ſi dice non ellere, e
come ſia certa co fa differente dall'altra . Corol. Può dunque predicarſi dell'
uno la ſcienza , e la di yerſità . S. 3 . Se non è l'uno, o ſe il non uno è ,
il non uno partecipa delle coſe che di lui ſi predicano , e non le partecipa .
Del non uno è , ſi predica la ſcienza , e la diverſità ( Cor. ant. ) dunque
partecipa di queſte coſe, mapoichè egli non è , non aven do eflenza , non può
participarle , perchè il non ente non ha pro prietà , dunque non le partecipa ;
dunque le partecipa , e non le partecipa . COROL. Così s'eſprime Platone : Il
non ente è partecipe di sé , e d'alcuna coſa , e di queſta , e con queſta , e
di queſta , e di cut te le coſe sì fatte; concioliachè non li direbbe uno , nè
le diverſe coſe dell'uno , ne avrebbe egli alcuna coſa , nè alcuna coſa fi chia
merebbe , ſe non foſſe partecipe di alcuna , nè di queſte altre nondimeno è
impoſſibile che ſia l'uno , ſe egli non é , ma niuna cofa vieta , che non ſia
partecipe di molte coſe, ed è neceſſario ancora ſe è quello l'uno , e non altro
, ma ſe non è , nè l'uno , nè quello non ſarà egli ; non ſi dirà nulla di lui ,
ed il ragionamento farà d'altra cofa , ma ſe fi ſuppone che quello uno non ſia
, è ne ceſſario che ſia partecipe di lui , e di molte altre coſe , . 4 . Se il
non uno è , il non uno è ſimile a ſe ſteſſo , e diffimile all'altre coſe, ed al
contrario . Il non uno convien col non uno , dunque con ſe ſteſſo ; dunque è
ſimile a ſe ſtello . Il non uno è diverſo dall'altre coſe che parte cipano
l'uno , dunque è diffimile dall'altre coſe ; ma il non uno non eſſendo , non
può aver proprietà d'effer ſimile , nè diffimi le , dunque ec. 8. S. 1 ( 113 )
§ . 5 . Se il non uno d , egli è eguale, ed ineguale all' altre coſe , e nel
tempo ſteſo eguale , ed ineguale . Gli eguali ſono fimili nella quantità; ma il
non uno non ha ſimiglianza con l'altre coſe, dunque non ha egualita ; ma ſe
egli non è eguale agli altri, gli altri non ſono eguali a lui , dunque è loro
ineguale ; ma gl' ineguali partecipano dell' ineguaglianza , cioè di grandezza,
edi piccolezza ; dunque l'uno che non è , egli è grande , e piccolo ; ma tra il
grande, e il piccolo ſi frammetter eguale , e chi ha grandezza , e piccolezza ,
pud ancora aver egua glianza; dunque l'uno che non è può participare di queſte
coſe; ma s'è dimoſtrato , che non le partecipa, dunque ec. 5. 6. Se l'uno non è
, ha in certo modo l'eſſere , o s'attri buiſcono a lui coſe che l'hanno.. -.
Nel dire che l'iuno non è , ſi ha ſcienza di cid che ſi dice ; nel dir che è ,
diverſo dall' uno , che è , e dall'alcre coſe ; che è fimile , non fimile ;
diſſimile , non diſſimile dall' altre coſe ; eguale , no eguale, fi profeſſa di
concepire, e di pronunziare il vero , ma eſprimendoſi , e pronunciandoli queſte
coſe a guiſa di enti , all'uno che non è s' attribuiſcono in queſto modo, onde
egli ha in un certo modo l'eſſere . B. 70 Queſta propoſizione : il nulla è
nulla , il nulla non è nulla , equivale a queſte altre due : il non ente è non
' ente ; il non ente non è non ente . La prima di elle è affirmativa, ed iden ,
tica , perchè fi afferma il nulla di ſe ſteſo, la ſeconda è nega tiva , perchè
ſi nega il nulla del nulla , che vuol dir , ſi affer. ma qualche coſa , perche
una negazione diſtruggendo l' altra elleno affermano . Nel dire il non ente ,
non ente , il non en te vien a participare in un certo modo dell effere ,
affine di ef ſer non ente .. Nel dire all'incontro il non ente non è non en te,
il non ente per non eſſere non ente che vuol dir per eſ ſere , vien a
partecipar del non eſſere . Così intendo Platone , Tomo II. P allor ( 114 ) 1
allor che dice : il non ente ad eller non ente ba il legame dei non eſſere , fe
dee non eſſere, come lente tiene nella ſtella guiſa il legame deli eſere ,
perchè ei non ſia non ente , affinchè di nuovo ei fia perfettamente, e non
ſiapartecipe il non ente delléſenza , del non eſſer non ente , ma dell'eſenza
dell'eſer non ente , ſe il non ento fia perfettamente. $ Se l'uno non è , egli
partecipa ; e non partecipa dell' eflenza 1 L'ente è partecipe del non eſſere ,
ed il non .ente dell'eſſe re ( $. 7. Sez. 4. ) ma ſe non è , l'uno é neceffario
che ſia par tecipe del non eſſere , affinchè ei non ſia ; dunque appariſce ,
che l'eſſenza ſia nell' uno , ſe egli non è , e la non effenza ſé egli è .
ANNOT. Tutti queſti ſono ſcherzi metafiſici , per dar luogo alle nozioni
immaginarie , e quindi alle contraddizioni , che mo ſtrano le coſe impoſſibili
; ben deve oſſervarſi , che facilmente con effe fi cade in quel mirabile , che
degenera in puerilità . Platone ſobriamente l' adopra , per dimoſtrare in quali
raffina menti sfumavano le dottrine della ſetta Elearica . 9. 9. Se l'uno non è
, ha mutamento , e in conſeguenza moto , e non ha moto, Šisru ! L'uno parve
ente , e non ente , onde fta così , e non così , dunque fi muta paſſando dall'
eſfér al non effer ; dunque ha moto . Ma fe l'uno non è , non è in alcun luogo
, perchè ogni en té è in qualche luogo, ma non eſſendo mai in luogo non pudo
paſſare da un luogo all'altro , dunque non percid fi move , per che non ſi
traſmuta . . io. ( 115 ) : $ . io . Y Se l'uno non è , non ſi altera , e non
alterandoli ne ſi muta , nè ſi move . L'uno non eſſendo , non può mai verſare
in quello che non è , dunque non alterarſi , poichè ſe l'uno da ſe stello li
alceral fe in alcun luogo , non ſi ragionerebbe più deil' uno , ma di cer ta
altra coſa ; ma ſe non li altera non ſi rivolge in fe fteffo nè fi muta , nè ſi
altera ; dunque ec . ļ $. Se l'uno non è , fta e ſi moồe , e fi altera , Quel
che non ſi move ſe ne ſta in quiete , e ſi ferma que gli che in quiete ne fta ;
dunque l'ano non effendo, comeapo pariſce ſta egli e li move , anzi movendoſi è
neceſſario che ſi alteri, perchè in quanto alcuna coſa ſi move , incanto ſe ne
ſta ella non nello ſteſſo modo , ma altrimenti; dunque l'uno mentre fi move ſi
altera , e nondimeno non movendoſi in niun luogo in niuna guiſa ſi può alterare
; dunque in quanto fi move" , ciò che non è uno ſi altera ; ma in quanto non
ti move , non fi alce ra , dunque l'uno non eſſendo ſi altera , e non ſi altera
. $. 12 Se l'uno non è , egli è diverſo da quel che era prima, non ſi altera ;
non fi fa , non ci muore , e di nuovo ſi fa , emuore . Cid che ſi alcera è
neceſſario che ſi faccia diverſo da quel che era prima , ma quel che non fi
altera , non ſi fa në muore ; dunque l'uno , non eſſendo mentre fi altera , e
ſi fa , e periſce, ma non alterandoſi , non fi fa , nè muore , nè periſce , ed
in do tal guiſa l' uno 'non effendo , li fa , e muore e di nuovo non fi fa , nè
muore . §. 13 : Sin ora ha dimoſtrato Platone , che ſe l' uno non è , egli dà
di sè fcienza, ed ha in sè diverlicà, che è partecipe, e non par tecipe di
altre cole ; quindi lo ſteilo-, e non lo ſteſſo con ſe ſtel р . 2 ( 116 ) ſi
move fteffo , ſimile e diffimile nè ſimile , nè diffimile , eguale , ed
ineguale, non eguale , nè ineguale , partecipe d'eſſenza , e non partecipe , ſi
muta , e non ſi muta e non ſi mo ve , fi altera , e non fi altera , ft fa , c
periſce , e fi fa , e non periſce . Tutte queſte concluſioni derivano dalla
poſizione, l' uno non è ; l'uno eſſendo inſeparabile dall'ente , ſe non v'è
l'uno , nè pur v'è l'ente . OrPente non è , che il poflibile . Annullato dunque
il poſſibile reſta l' impoffibile, da cui ſecondo l' Aflioma ſegue coſa , ex
impoſſibile ſequitur quolibet , perchè nell'idea aſtrat ta dell'impoſſibile
s'includono tutte le contraddizioni . Platone dal conſiderare , che l'uno non
ha eſſenza , e non n'è capace , nega tutte le altre relazioni che pud avere .
Premetto a ciò che quando diciamo, che alcuna coſa non ſia , nel proferire ,
queſto non è , fi fignifica ſemplicemente, che non è al tutto in niun modo , e
non eſſendo in niun modo , non è capace in alcun modo di eſſenza ; dunque non
potrà eſſere il non ente , ne in alcun modo farſi partecipe di eſsenza . §. 14.
Se l'uno non è , non può farſi in alcun modo par tecipe d'eſsenza . Quel che
non è , ſignifica ſemplicemente , che non è al tur 10 , in niun modo , o non è
ſemplicemente capace di eſsenza , dunque fe l'uno non è , non può mai eſser
capace d'eſsenza . . 15 : ne la per Se l'uno non è , non pud farſit , nd
morire. Chi non è partecipe di eſsenza , non la riceve , nè la de . Dunque fe.
L'uno non è , non pud nè ricever , nè acqui ftar l'eſsenza , perchè non n ' è
capace ; dunque non periſce , nè fi fa . $. 16. Se l'uno nonè , non fi altera ,
nè fi move , nè ſe ne ſta , non ha grandezza , nè piccolezza , nè parità, né
limiglianza, e dia , verlin ( 11 ) 3 onde eſsenza , non può aver ne grandezza ,
nèpic marfi. Se verſità riſpetto all' altre coſe , e a ſe ſteſso , nè gli
conviene ale cun altro attributo Se l'uno non è , non ſi altera , perchè fi
farebbe già , je pe rirebbe potendo queſto ; ſe non ſi alcera , nè men fi move,
ſe come non ente , non eſsendo in alcun luogo , non pud ſtar lo ſteſso in
alcuna coſa, nè in alcuna coſa fermarſi. Se non ha nè piccolezza , nè parità,
eſser ſimile, o diverſo , o rifpetto all'altre coſe , o a ſe ſteſso, nè le
altre coſe potranno eſser in lui in alcun modo, gli ſono , nè fimili , nè
diffimili , nèle ſteſse , nè diverſe , nè pud ſtar ſeco , non ha il di lui, o
ciò che ſi dice di alcuna coſa , o queſto , o di queſto , o d'altrui, o ad
altrui , o alcuna volta , o dopo , o al preſente , o ſcienza, o opinione , o ſenſo
, o fer mone, o nome, o qualunque altro degli enti . Annot. Sebben ſi oſserva ,
Platone al non uno toglie tutto quello che ha dato all'uno , conſiderato in ſe
ſteſso nella prima Sezione , argomento evidente, che, quando tutti gli altri
man caſsero, quì non ſi trarca che delle aſtrazioni della mente , fra miſchiate
tallora con le nozioni immaginarie , quali ſono in que fta Sezione , e nel
rimanente . Non ci reſta che l'ultima quiſtione, in cui ſi cerca ſe non è l'uno
, che accada all'altre coſe . SEZIONE QUINTA,. $ . 1 . S'orser Oſservi tolto.
1. Che ciò che è , o è l' uno , o l'altre co ſe • 2. Che ſe queſte non foſsero
( almeno nella noſtra im-. maginazione , o nella noſtra mente ) di loro non ſi
diſputereb be, perchè il nulla non ha proprierà . 3. Che ſe dell' altre li fa
vella, l'altre ſono il diverſo , poichè l'altro , e il diverſo ſono fi nonimi',
onde diciamo altro non eſser l'altro , che l'altro d'al tri , ed efser del
diverſo diverſo , e che per far le coſe altre dalla uno , vi ſi debbe aggiungere
qualche altra coſa , onde fieno per eſser altre , di cui ſaranno altre . 3
Tesni f. 2. ( 118 ) S. 2 .. Se l'uno non è , le coſe altre o diverſe dall'uno ,
non ſono altre. o diverſe , che per ragion di ſe ſteſse .. Nelle coſe altre
dall' uno o diverſe dall'uno , vi's include' qual che altra coſa , per cui
fieno altre , ma queſta coſa non pud ef ſer l'uno , perchè per ipoteſi egli non
v'è. Dunque , poiché non v'è , che l' uno , e l'altre coſe , eſcluſo che altre
coſe non fieno . altre per luno ne liegue che ſieno altre per ſe. ftelse ,
COROL.. Dunque: per ſe ſteſse. ſono ciò che ſono tra se .. , S: 3 Se: l'uno non
v'è , le coſe altre dall' uno ſono tali per una moltitudine infinita . Non v'è
che uno o i più , dunque le coſe altre o diverſe 1 dall’uno , non potendo eſser
altre che l'uno , il quale non v'è per ipoteſi, non ſaranno altre che per i più
, cioè per la mol: titudine ; ma il più , o la moltitudine eſsendo per le
ſteſsa in finita '; le coſe. altre dall uno ,. ſono alore per una: moltitudine
infinita .. COROLLAR . Qualunque mala dunque di loro appariſce in molti-.
tudine infinita, e ſe alcuno ſi prenderà ciò che menomilimo pare co. me. Sogno
, incontinente in vece di quello che pare uno , ſi fa innangi una moltitudine
infinita , e in vece di quella chemenomilimopar ve, apparirebbe grandiſſimo già
, ſe il pareggialli ad altre coſe in die Sparte da lui . Cosi: parla Platone :
fia prefa qualunque parte d'eſtenſione, el la è diviſibile in due , ed inoi in
due , e così all'infinito . Della di viſione di cui è capace il tutto , ſono
capaci reſpettivamente le parti , nè v'è particella si minima, che le noi nell'
ipotefi che non v'è uno , poteſſimo vedere con un microſcopio miracolo fo ,,
non ci pareſse diviſa in una moltitudine infinita di parti , ma tali che nell'
iſtante ſteſso , che noi vedeſſimo la parte , la vedremmo attualmente diviſa in
altre parti infinite , e cosi all'in finito ; non è che io dir voglia , che
vedremmo l'infinito at tuale , perchè non poſſiamo intenderlo , non che vederlo
, nè so come il Leibnizio abbia poruto concepir nella più minima par 1 ( 119 )
parte di ciò che egli chiama 'materia , un numero attualmente infinito di
monadi" ; biſogna prima provare , che noi concepia mo l'infinito attuale -
, ed indi che vi ſieno queſte monadi ; ma ſe vi foſsero , il che io non l'
ammetto , che come principio di co gnizione , e non di natura, in eſse , come
l'eſprime il nome loro , v è un'unità , che è il fondamento di concepir nella
monade innumerabili proprietà ; ma quì nell' eſtenlione Platonica , biſo gna
rappreſentarfi ogni parte deſsa ſeparata dall' uno ; ' v'è in ciò
contraddizione , ma appunto Platone - la ſuppone per de dur dall'aſsurdo i ,
l'impoſſibilità di ſeparar l' uno dall'ente . § . 4. Se non è l'uno in ogni
maſsa apparente apparirà il numero , e le proprietà dei numeri , l'eguale , il
mag giore , il minore. Tolto l' uno dalla maſsa , ci ſi fa come nel ſogno
innanzi una moltitudine infinita , in cui ſe ſi vuol ordinar colla mente la
moltitudine , vi ſi trova il numero ; quindi il pari, e l' impari ; il picciolo
, il grande , il piccioliſſimo , il grandiſſimo., compa rando tra loro le maſse
, in cui s'è diviſa la maſsa maggiore , e quindi l'eguale , perchè non ſi può
paſsar dal maggiore al mino re ſenza paſsar per l'eguale , ma queſti ſaranno
tutti fantasmi d' egualità , di maggiore, di minore, di pari, d'impari ec, come
di numero , §. 5. Se non v'è l' uno , ogni maſsa apparente avendo termine appa
rente , riſpetto all' altra non ha nè principio, nè mezzo , nè fine riſpetto a
fe ftefsa . Si prenda alcuna delle maſse apparenti coll intelligenza , in nanzi
al principio , ſe le fa ſempre innanzi altro principio , e dopo il fine, ſegue
ſempre un altro fine , e nel mezzo altre coſe ſem pre più interne del mezzo , e
ſempre minori , perchè non ſi può ricever in queſta alcun uno , non eſsendo
l'uno . Annot. E ' da oſservarſi, che qui Platone dice , prender alcu na coſa
con l'intelligenza , cioè aſtrattamente conliderarla í vi ag ( 120 ) aggiunge
poi che potendoſi prender la maſsa ſenza l' uno , cioè fenza far aftrazione
dall'uno, ſi sbrana qualunque coſa così pre ſa con l'intelligenza , che è
quanto a dire con la mente fi* di vide in più parti, e queſte in altre , e così
all'infinito . S. 6. Se l'uno non è , preſa qualunque maſſa a chi da lungi la
mira groſſamente par uno, ma chi da preffo l'in tende è un infinito in
moltitudine . Non potendo noi nulla concepir ſenza l' uno a prima viſta , e da
lungi mirato ci par uno , ma da preſſo , e acutamente vedendolo , tolto l'uno,
ci rappreſenciamo infiniti . COROL . Se dunque non v'è l'uno , ma l'altre coſe
dall' uno , qualunque di eſſe è infinita , e con termine ed uno , e molci . Se
non v'è l'uno le altre coſe ci pareranno , e ſimili, e diffi mili , e le ſteſſe
, e le diverſe , e unire , e ſeparate , e moverſi, fermarſi ; nè potendo noi
concepir le coſe ſenza l'uno le ve dremo , come adombrate da lunge, e patir lo
ſteſſo , ed eſſere fimiglianci , mada preſſo molte , e diverſe , e per il
fantasma della diverſità diverſe , e diflimiglianti tra loro ſteſſe e pari mente
ci pareranno le maſſe ſimili, e diffimili , e da loro ſteſ ſe , e tra di sè , e
le ſteſſe , e diverſe tra loro , e che tocchi no, e fieno ſeparate da loro
ſteſſe , e fi movano con tutti i mo ti, e ſi facciano , e periſcano , e nell'
una , e nell' altra manie e tutte le coſe sì fatte che li poſſono dedurre dalle
coſe 7 ra , già dette . S. 7 . Ha dimoſtrato fin ora Parmenide 3 che adiviene
alle coſe ſe non è l' uno , cerca poi che fieno gli altri che non ſon uno . 1 §
. 8. ( 121 ) $. 8. Se non è l'uno, le alere coſe non ſon uno , ne molti . Non
ſono uno , perchè non v'è l' uno ; non ſono molti perchè i molti preſuppongono
l'uno . ital 18. s. Se non v'è l'uno , non vi ſarà nè opinione , nè fantasma ,
ne ſcienza dell'altre coſe. Le altre coſe non hanno alcun concetto con niuna di
quel le che non ſono , nè alcuna di quelle che non ſono è appreſso ad alcuna
dell'altre che ſono ; dunque appreſſo ad altri non v'è opinione, non v'è
fantasma dell'ente , e quindi dell uno ; ma ſe non v'è l'uno , non effendo
poſſibile il penſar a molte coſe fen za r uno , neppur èpoſſibile che ſi penſi
che fieno uno , o mol ti le coſe . . 10 . Se non vè l' uno , le coſe non fono
nè fimili , nè diffi mili , nè le ſteſſe , nè diverſe , nè ſi toccano , ne
& ſeparano Non ſi poſſono concepir le coſe ſenza l'uno ; dunque ſe non vi è
l'uno , non ſi poſſono concepire , nè ſimili , nè diffimili nè le fteffe , nè
diverſe , nè unite, nd ſeparate . COROL. Dunque ſe non v' è l' uno nulla v'è ,
onde o ſia l' uno , o non fia , ed egli e l'altre coſe ancora ſono , e non ſo
no ad ogni modo riſpetto a fe ftelle , e tra di loro , e appajo no , e non
appajono . II . Riftringendo in poco tutto ciò che negli ultimi paragrafi s'è
eſpoſto , egli è manifefto , che l' uno efiendo inſeparabile dall' ente, ove non
v'è più uno , non v'è più d'ente , cioè v'è nul. la , ol'impoſſibile", da
cui ſeguono tutti i contraddittorj, qual Tomo II. q Pla ( 122 ) Platone ci
eſpoſe per via di nozioni affatto immaginarie ; egli ne fa veder i uſo , e
moſtra nel tempo ſteſſo , quanto la fan taſia ſia diverſa dall' intelletto ,
poichè ella ci rappreſenta una coſa , mentre la mente ragionando ce ne fa
concepire un'altra . Si conclude dunque , che Placone in queſto Dialogo non fi
af fiffa che a moſtrar ſuſo dell'aſtrazioni della mente , nell' inve ſtigazione
dell' idee . 1. Con le negazioni, come fece nel primo capo. 2. Con le analogie
dell'altre idee aſtratte; finalmente con le cognizioni dell' idee , del ſenſo ,
della fantaſia , combinate a quelle della mente. L E T T E R A ALS I G. ABBATE
SALIER Primo Cuſtode della Biblioteca DEL RE CRISTIANISSIMO . On dubitate che
io ſia mai per dimenticarmi di voi , co N°me alcuni venuti ultimamente di
Francia m' accufaro no da voſtra parte ; troppo m'è rimaſta impreſſa
l'idea della bontà , e gentilezza voftra , troppo è ſtato vivo il piacere e
ſodo il profitto , che io ricavai dalle converſazioni letterarie , che abbiamo
fpeſſo avute inſieme , e tra l'altre su l'opere di Platone ; ce ne porgevano il
motivo le ſaggie rifleſſioni, che leggevaci l'Ab bate Fraguier , or su l'ironia
di Socrate , or ful carattere de'So fifti , or su la Repubblica , ed or su le
Leggi, tutti oggetti delle belle diſſertazioni , che egli diede alla voſtra
Accademia . Solo la Iciò egli intatto il Parmenide , o non aveſſe il tempo , o
la voglia d' applicarſi a ſviluppare un Dialogo , che è il più malagevole di
Platone, o temeſſe dioffendere la ſoavità del ſuo genio con l'idee troppo
auftere , e filoſofiche , delle quali il Dialogo abbonda . Voi ben ſapete, che
per voſtro conſiglio m' applicai a leggerlo con attenzione fin dall'anno 1725.
e ne concepii quel fiſtema, di cui állor vi parlai . Venuto in Italia , e
diftratto da graviſſimi intereſſi dimeſtici , ne interruppi l'eſame già
cominciato, ſebbene negli intervalli io leggeſſi continuamente Platone ; e
l'avrete ve duto nel Sogno del Globo di Venere , che il Signor Conte di Cai lus
v avrà forſe dimoſtrato in lingua Franceſe tradotto . Di tem po intempo io
parlai del Parmenide con gli amici , e mi fi fue gliò il deſiderio di compierne
il ſiſtema da me abbozzato all'occa lione del Platone di Dardi Bembo , che
ſtampali in Venezia , con P aggiunta delle note e degli argomenti del Serano
letteralmente tradotti . Dalla Differtazione preliminare ritrarrete l'idea
generale del la Filoſofia Eleatica così celebre per l'acurezza , e per la
profon dità de' Filoſofi, come la Jonica per la fodezza dell'eſperienze , e
l'Ita ( 124 ) 1 1 ľ Italica per la felice combinazione della Geometria , e
dell'A ſtronomia alla Fiſica. Non è difficile ſcoprire, che la metafiſica do
Ariſtotele è tratta in granparte in queſto Dialogo , in cui Plato ne abbandona
quaſi l' artificio poetico adoprato negli altri , e ſi ſpiega nella maniera più
ſemplice, e più preciſa . Nella prima Sef fione io v'oſſervai i tre fonti delle
allurdità degli argomenti me tafiſici; il principio di contraddizione, il
progreſſo all'infinito , el' annullazione fuppofta di qualche perfezione
divina. GliEleatici , che forſe gli inventarono, riconoſceano i limiti
dell'intelligenza uma na , e pur era queſta la minor parte della Dialectica
loro , la qual vaga va per tutti i lommi generi delle coſe. La quiſtione
dell'origine e della natura dell' idee v'è più che abbozzata , e la riſpoſta
che so crare diede a Parmenide , su la maggior difficolcà dell' idee , è la
ſteſſa che uso il Padre Malebranchio nel medeſimo caſo . Nell'al tre opere s'
accuſa il Commentatore di dar troppo ſpirito al ſuo Filoſofo ; in queſta è
cutto il contrario , poichè per quanto ſi ſpieghi Platone, vi reſta fempre
molto a medicare , e la compa razione del reſto fa ſempre vergogna al commento
. Il Ficino , e il Serano , che aſſegnarono al Dialogo un grado di ſublimità
Teologica non convenevole , l'hanno sfigurato , e colto agli altri il profitto
, che avrebbono potuto ricavare da una ſpe colazione così ben dedocta e
conforta nè punto inteſa dai due Commentatori , i quali preteſero che in queſto
Dialogo chiama to dell'idee , voleſſe Platone diſputare a pro delle feparate ,
quan do egli manifeſtamente le rifiuto , tutto riducendo all' Ontolo gia che è
la più bella , e la più utile parte della metafiſica In molci errori cadè
miſeramente il Carcelio , per averla ab bandonata, eſpregiata ; e non furono
dal Leibnizio , ed indi dal Wolfio ridotti al ſuo vero lume i dogmi filoſofici,
ſe non dopo che effi s' affaticarono a dimoſtrare , le nozioni Ontologiche
eſſer quelle alle quali convien avertire prima d' inoltrarſi nella combinazione
dell'idee, e quindineiſiſtemi. Tutti gli uomini pre veggono gli aſtratti ne'
concreci, pochi hanno la forza di ſepa rarli, pochiſſimi quella di ridurli in
teoria , ed è ſolo riſerva to a' ſommi Filoſofi il farne ſiſtema. Voi molto più
vedete in Platone , che io poſſa eſprimere ; in canto vi prego a conſer varmi
il voſtro affetto , ed eſſer certo che il mio farà ſempre inviolabile. Antonio Schinella Conti. Antonio Conti. Keywords: Corti’s
French letters – Corti’s Scritti Filosofici, Dialoghi Filosofichi, about
whether corpori celesti are inhabited -- l’infinito, self-referential,
recursion, anti-sneak, regress, infinite regress in the analysis of
communication, calcolo finitesimale, calcolo infinitesimale, Enea stoico,
Ottavio Stoico, Cicerone stoico – allegoria dell’Eneide, scudo di Enea, Il
Parmenide di Platone – assiomatico dell’essere – L’essere e. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Conti” – The Swimming-Pool Library.
CONTI (San Miniato).
Filosofo. Grice: “Conti is a good one – a historian of philosophy, or rather a
philosophical historian – I never know! – his chapter on the Greek embassy that
brought philosophy to Rome is stimulating!” Studia a Siena e Pisa. Si laurea a
Lucca. Insegna a Lucca, Pisa, Firenze. Filosofo del bello, che define stare fra
il vero e il buono, e li collega come il mezzo tra il principio e fine. Altre
opere: “Cose di storia e d'arte; Evidenza, amore e fede, o i criteri della
filosofia, discorsi e dialoghi. Famiglia, patria, Dio, o i tre amori”; “I
discorsi del tempo in un viaggio in Italia”. In ogni città coglie occasione per
un insegnamento civile; a Venezia isulla religione, a Milano sullo stato, ecc.;
“Il bello nel vero, o estetica”; “Il buono nel vero, o morale e diritto
naturale”. “Illustrazione delle sculture e dei mosaici sulla facciata del Duomo
di Firenze”; “Il vero nell'ordine, o ontologia e logica”; “L'armonia delle
cose, o antropologia”. Cerca di costruire una metafisica fondata sulla
relazione, l'armonia, l'ordine; Studia l’educazione religiosa, civile e private;
“Letteratura e patria, collana di ricordi nazionali”; “Nuovi discorsi del
tempo, o famiglia, Patria, Dio Religione ed arte, collana di ricordi
nazionali”; “Storia della filosofia”, molto accreditata. “Sveglie dell'anima.
Il Messia redentore vaticinato, uomo dei dolori, re della gloria. La mia corona
del rosario. Ai figli del popolo, consigli. Giovanni Duprè o Dell'arte, 2
dialoghi. Evidenza, amore e fede o i criteri della filosofia” -- lezioni e
dialoghi sulla filosofia cristiana; lavoro scientifico e popolare, e discorsi
sulla storia della filosofia, accordo della filosofia con la tradizione;
discussione sulla filosofia e la fede. La filosofia di Dante. “Il bello qual
mezzo”. Dizionario Biografico degli Italiani. Armonie ideali nell'opere belle. L'artista
deve tendere al più alto se gno ideale. Ordine dell'idea chiaro che include
giudizj e ragionamenti. 4. Dialettica dell'arte , o dialettica rappre sentativa
. – 5. L'idea è universale , - 6. talchè i parti colari dell'arte non debbono
mai ecclissare o escludere l'uni versalità del concetto ; 7. perché ,
altrimenti , arte bella non c'è . – 8. L ' ordine ideale porge alle immagini
formo sità -- 9. eletta , che manifestasi o per cose straordinarie . 10. o per
l'eccellenza de'modi , o per tutto ciò ad un tem po , ma ſuggendo le
ampollosità . 11. L'ordine ideale si determina ne sezni . 12. onde s' origina
l'armonia de'con trapposti. 13. Armonia dell'ordine ideale con la natura , 14.
legge di corrispondenza e di contrapposto anche in ció. – 15. Armonia col
divino per natura . 16. Conclu . sione. e - CAP. XXVII. Il gusto del Bello ...
19 1. Regola prossima è il gusto . - 2. Sentimento di verità , di bellezza , e
di bene . - 3. Che cosa è il gusto ? . 4. Ana logie del gusto intellettivo col
gusto sensitivo . – 5. Urficj del gusto ; sanità e infermità ; abiti buoni , o
vizinsi . 6 . S'esamina gli ufficj del gusto intellettivo della bellezza . 7.
Effetto del gusto . 8. Il gusto non può mancare a ' veri artisti , e avvertenze
io giudicare il gusto loro dall' opere . 9. Quattro gradi del gusto . - 10.
Aiuto che il gusto del bello riceve dal sentimento logico e dalla morale
coscienza . 11. Stato di sanità o di malattia , cioè buona o rea edu cazione.
12 E empj. 13. Stato d' abiti buoni o vizio . si . 14. Esempj. - 15.
Conclusione. 16. Come si può guarire o correggere il gusto falso . CAP. XXVIII.
Le leggi del gusto ... 1. Argomento . 2. Che cosa presuppone l'esame ch'uno
faccia del proprio gusto, 3. affinchè possa regolarci un gusto buono e
rettificarsi un gusto cattivo , 4. e primiera mente il derivato da falsa
educazione. 5. Studio perciò di buoni esemplari . 6. Esame degli abiti viziosi,
e quanto alla verità – 7. e quanto a ' fini dell'arte . - 8. Il gusto deve 36
454 INDICE DEL VOLUME SECONDO . mostrarci il modo e il quando dell'operare . 9.
Elevazione del sentimento. 10. Verosimiglianza . 11. Esempj. 12. Equazione di
tutti gli elementi dell'arte con l'idea . 13. Gusto de' limiti . 14. Esempj.
15. I limiti massi. mamente ne segni esteriori . 16. Conclusione . CAP. XXIX .
I Pedanti e i Licenziosi .... Pag. 53 1. Argomento . 2. Che sieno i Pedanti e i
Licenziosi . 5. Significato più generale di questi vocaboli . 4. Si gnificato
più proprio e stretto . 5. Errori contrarj e vizj comuni . - 6. La pedanteria
va fuori di natura . 7. Esem pj. 8. Va fuor di natura la licenza . 9. Esempj.
10 . Non comprendono l'universalità i Pedanti . - 11. Esempj. 12. Nė la
comprendono Licenziosi . 13. Esempj. 14. Non hanno vera nobiltà i Pedanti , 15.
e la licenza è ignobilità . - 16. Talchè gli uni e gli altri non consegui scono
fama durevole . CAP 70 . XXX. Estro . Leggi dell'ordine immaginato .. 1.
Argomento . — 2. Immaginazione . Rinnovazione di fan tasmi , 3. e innovazione o
invenzione. 4. Queste per tre modi , spontaneo. pensato , meditato . — 5. Legge
univer sale della fantasia e sede di quella nell'intelletto . 6. Gradi
dell'invenzione immaginativa . Primo ; mutamento di alcune cose percepite . 7.
Secondo ; immagini di cose reali non percepite . Terzo ; novità d'imma.ini fra
percezioni oscure . 8. Quarto ; un ordine di verosimiglianze relativo a un or
dine di cose reali determinato . 9. Quinto ; relativo a no tizie vaghe. 10.
Sesto ; relativo ad astratte generalità. 11. Settimo ; fantasmi di cose
semplici, spirituali , divine. 12. Ultimo ; armonia universale di fantasmi e
loro elevazione . 13. Perché l'estro abbia tal nome. - 14. Origini sue
misteriose. 15. Estro fallace o vuoto , e vero o fecondo . 16. Conclusione .
CAP. XXXI. Armonia interna delle Immagini....... 87 1. Argomento . — 2.
Sceltezza e vita delle immagini , Scel. tezza rispetto all'arti diverse ; 3. e
rispetto ai componi menti speciali d'un' arte ; e rispetto agli argomenti. 4 .
Sceltezza per la qualità e per la quantità . 5. Vita delle immagini , 6. come
le figure d'affetto nell'arte del dire. -7. Unione del sensibile con l'ideale .
Allegoria , e 8 . allegorie speciali , 9. e vizj dell'allegoria . 10. L'im
magine deve ritrarre l'idea intera ; e quindi bisogna imma ginar l'opera
innanzi di farla . - 11. e che rispondano i par ticolari al lutto , 12. e l'e -
trinseco venga dall'intrinseco , e gli accessorj dal principale . 13.
Spiritualità delle im magini. 14. e vizj opposti . 15. Relazione specificata
delle immagini co' segni . 16. Conclusione . INDICE DEL VOLUME SECONDO . 455
Cap. XXXII . Armonie di verosimiglianza in generale . Pag. 106 1. Argomento e
legge universale di corrispondenza e di con trapposto , e come si rifletta
nelle immagini dell'arte. 2 . Questa legge apparisce nella qualità, quantità ,
tempo e spa zio . 3. Relazioni. 4. Esempj antichi di letteratura . 5. Esempj
dell'éra nostra , - 6. Drammatica e lirica 7 . Figure di confronto ne'linguaggi.
– 8. Esempi del disegno e della musica . 9. Analogia del corporeo e dello
spiritua le . 10. Loro diversità ; – 11. e contrapposto nella na tura e
nell'arte . 12. Verosimile immaginoso , che differi sce dal reale , benchè gli
somigli. 13. Quello trascende . Poesia e architettura . 14. Scultura , pittura
, musica , e arti ausiliari . - 15. Com'accade ciò . 16. Conclusione . 124 10 ,
e Cap . XXXIII. Armonie con la natura corporea . 1. Argomento. -- 2. Legge
naturale di simetria . 5. Vi sta e udito porgono immediati all'arte bella i
sensibili rap presentati , - 4. Il lalto remotamente, il gusto e l'odorato
indirettamente forniscono all'arte cose immaginabili, salvo la poesia ch'è
universale. -- 5. Legge naturale di simetria ne ' visibili aspetti , - 6. e ne'
suoni. - 7. Legge corrispon dente nell'arte bella . 8. Simetria di quantità nel
grado. 9. Simetria di quantità nel numero de' suoni , delle cose visibili . 11.
Simetria naturale dello spazio . 12. Simetria nell'arti , quanto a’limiti . 13.
Simetria di limiti anche nell'unione di più cose . — 14. Simetria di luo ghi .
15. Simetria di tempo misuratore , e di tempo rap presentato. - 16. Conclusione
. CAP. XXXIV. Armonie con la natura spirituale .... 1. Gli affetti . 2.
Somiglianza loro ; 3. varietà ; 4 . contrapposto . 5. Personificazione
immaginosa dell'unmo, 6. e della socievolezza ; - 7. che dall'arti non prò mai
scompagnarsi . - 8. Personificazione immaginosa del mondo materiale per tre
modi . 9. Idem . · 10. Il Materialismo non può spiegarla . 11. Person i
ſicazione immaginosa del soprannaturale ; 12. presa sostanzialmente da simboli
e miti di credenze religiose ; 13. ma trasformate dal . l'estro . 14. La
personificazione , ritraendo l'uomo , ac cenna lo stato degli artisti e de'
tempi loro . Grecia , Roma, 15. Italia ; suo scadimento ; letterature straniere
. . 16 . Anche nell' altre arti avviene lo stesso . 141 Cap. XXXV.
Immaginazioni tragiche e comiche 158 ....... 1. Argomento . 2. Può l'ottimo
essere argomento del l'arte bella ? 3. Può il pessimo ? — 15. Immaginazioni
tragiche e comiche . - 5. Quando mai nasce l'immagina zione tragica più
specialmente ? 6. Quando la comica ? 7. Condizioni dell'una , - 8. e dell'
altra . - 9. La morte immaginata nell'arte , 10. eidolori del senso , tragica
mente ; - 11. 0 comicamente . 12. Deformità fisiche nel 456 INDICE DEL VOLUME
SECONDO . rispetto tragico ; 13. e nel comico . - 14. Le mostruosità nell'un
rispetto , · 15. e nell'altro , e come in ciò facilmente si trasmodi. 16.
Conclusione . CAP. XXXVI. Ordine de' Segni . Stile . Pag. 176 1. Argomento. 2.
Nozione generica dello stile . - 3. Nozione meno generica . - 4. Nozione
determinata . 5. Ne cessità di meditare lo stile . 6. Idem . 7. Ordine dello
stile . Unità . - 8. proprietà , evidenza , 9. vivezza , for . mosità . 10.
verosimiglianza. Legge sua universale . - 11 . L'unione di dette qualità forma
il decoro . 12. Esempio di essa , - 13. Esempio del contrario . 14. La misura
nello stile . 15. Sunto. 16. Conclusione, 193 CAP. XXXVII. Armonia intrinseca
dello stile e co ' propri segni .. 1. Argomento . - 2.Unità del bello stile .
3. Si riscon tra nell'arte del dire ; ne'proverbj e rispetti , · 4. nelle
sentenze , 5. nel periodo , 6. nell'armonia e nell'unione del discorso . 7. Si
riscontra nell' arti del disegno ; nel l'architettura , 8. ch'è un discorso
anch'essa ; - 9. nella scultura e nella pittura, 10. simili pur esse al
discorso ; - 11. e nella inusica ; 12. che ha disegno perfetto , o unione
d'armonia e di melodia . - 13. Proprietà de' se gni ; e come segni adoperino
l'arte del dire , la musica , 14. l'architettura , e l'arti figurative ; 15.
onde viene la proprietà dello stile . 16. Conclusione. CAP. XXXVIII. Armonia
dello stile col pensiero .. 1. Argomento . 2. In che consiste l'evidenza. -3.
Dee rispondere lo stile a integrità del pensiero ; 4. e a varietà d'argomenti ;
- 5. abbracciando l'universalità dell' argo mento , proprio , 6. e
distinguendolo , per poi bene com porlo . 7. Mancamento d'arte o di volontà
impedisce tal perfezione . 8. Vivezza di stile , o moto , 9. nell'arte del dire
, 10. nella pittura e scultura , 11. nell'archi tettor3 , 12. nella musica .
13, Formosità , - 14. anche nello stile grande, e nel sublime. 15. Onde procede
la deformità ? 10. Concrusione . 211 CAP. X.XXIX . Armonia dello stile con la
natura ..... 228 1. Argomento . 2. Il bello stile corrisponde alla natura
dell'artista e a quella degli oggetti . 3. Non si possono separare le due
relazioni senz'errore e deformità . – 4. Avvi una parte relativa all'artista ;
5. e una parte relativa agli oggetti , e danno armonia . 6. La legge di
corrispondenza e di contrapposto ſa nascere le diverso specie del bello stile
in quei gradi che l'ordine ha varj nella natura. 7. Idem . 8. Nello stile tenue
an prevalenza i simili, 9. Qua lità principale di esso è la venusià. 10. Nello
stile mez. zano han prevalenza i diversi . 11. Qualità principale di INDICE DEL
VOLUME SECONDO , 457 esso è la naluralezza , 12. Nello stile grande han preva
lenza i contrarj. 13. Qualità principale di esso è la pe regrinità . 14. Nello
stile sublime han prevalenza i contrapposli supremi. 15. Qualità principale di
esso è l ' ammirabilità. 16. Conclusione . LIBRO QUARTO. Arti del Bello
speciali. Cap. XL. Come si originarono le Arti speciali del Bello. Pag. 249 1.
Argomento . — 2. Due generi supremi dell'arte bella , cioè arti di suono e arti
di prospettiva. 3. Arte de' suoni parlati , e arte de' suoni armonizzati. 4.
Arti prospettive di spazio , e arti prospettive di figura. -- 5. Arti
prospettive distinte in arti di spazio imitato e di spazio naturale ; in arti
di figure imitate e di figure naturali . 6. Onde l'arti del disegno son
distinte dall'arti di naturale amenità e dalla mimica e danza , le quali sono
arti secondarie . 7. Arti ansiliari dell'arti principali e delle secondarie. 8.
Diver sità di segni sensibili determinò diversità del significato, quanto al
mondo esteriore , 9. e quanto al mondo interio . re . 10. Stato implicito
dell'arti : poesia ; 11. arti del disegno e musica. 12. Poi si distinsero
l'arti del Bello fra loro ; e s'esamina per la poesia , per l'architettura ,
13. per l'arti figurative , 14. e per l'arte musicale . Di stinzione di ogni
specie in ispecie minori . 15. Conclu sione. 16. L'arte bella fa quasi un mondo
novello. 266 Cap. XLI . Ordine fra l’ Arti speciali del Bello ...... 1.
argomento . 2. Criterio per giudicare i gradi dell'arti belle . 3. Segni
supremamente ideali della poesia . L'ordine loro è una invenzione distinta
dall'altra delle im magini . 5. Perfezione suprema de' significati poetici . 6
Ma questa precedenza rende difficile al sommo il poetare buopo. 7. In che la
poesia verso l'altre arti sia inferiore. 8. Architettạra , e perfezione ideale
del suo disegno . 9. Perfezione del suo significato. -- 10. In che cosa l'archi
tettura è vinta dall'altre due arti del disegno . 11. Pit tura e scultura ;
disputa di quale fra loro primeggj, antica . - 12. S' esamina quanto a ' segni
, 13. e quanto al signi ficato di queste arti . 14. Musica ; in che sta un suo
sin golare pregio , 15. da cui procede la potenza musicale ; benche in altro
rispetto la musica resti- superata . - 16. Con clusione . A. CONTI . II . 30
458 INDICE DEL VOLUME SECONDO . CAP. XLII. Della Poesia .... Pag. 283 1.
Argomento ; definizione della poesia . -2. Come la poe sia somigli la filosofia
. 3. Consentono tutti nel divario fra considerare direttamente i sensibili
esterni e il conside rarne l'altinenza con l'anima . 4. Però l'idea che regola
i poeti , si è l'idea dell'uomo interiore , avvivata d'immagibi . Si riscontra
ciò ne' sensibili esterni , comuni alla musica e al segno e alla poesia ; – 5 ,
ne' sensibili esterni , propri solo alle rappresentazioni poetiche ; - 6. ne'
sensibili inter ni , che la sola poesia può prendere per oggetto immediato ; -
7. e poi , nelle cose di pura intelligibilità . 8. Tanto è più alta la poesia ,
quanto più rende viva immagine del . l'uomo interiore ; - 9. e , inoltre ,
quanto più rende imma gine di ciò che l'uomo dev'essere ; 10. perchè il poeta
tende alle più élette forme dell'anima ; 11. e indi cerca immaginativamente di
risolvere in armonia le contraddizioni del mondo ; 12. come si riscontra ne'
poeti veri del tempo antico e del nuovo , - 13. e anche ne' poeti scettici ,
ov'essi han vera poesia ; 14. talché , quest' arte rappresenta in immagini
l'universalità dell'intelletto . 15. E ogni ge nere perciò di componimenti
nell'arte del dire può parteci - pare di poesia . 16. Conclusione . CAP. XLIII
. Le specie della Poesia ...... 1. Argomento . 2. Tre modi principali della
poesia : espositivo , 3. narrativo , - 4. dialogico . sia par talora non essere
imitativa nè inventiva, se cade in soggetto reale . 6. Si scioglie la
difficoltà , distinguendo al . lora il soggetto reale dalla rappresentazione
immaginosa. 7. Indi è varia l ' attinenza fra la poetica rappresentazione ed il
soggetto. — 8. Idem . – 9. Indi anco è vario lo stile figu rato nella poesia
espositiva , 10. o nella narrativa , - 11 . o nella dialogica . 12. Anche il
numero musicale dello stile diversifica . 13. Idem . 14. Diversifica pure l'ori
. gine de' tre modi principali di poesia , l'espositivo prece dendo a tutti,
15. e poi al drammatico il narrativo . • 16. Conclusione. 302 5. La poe 320
CAP. XLIV. Dell'idioma, 1. Argomento. - 2. Lingua , in significato generale , è
unità parlata della morale unità d'un popolo ; 3. e che mai non manca di segni
per cose antiche, 4. nè ha sino nimi perfetti. 5. Le Parlate . 6. I Dialetti .
- 7. Le Lingue. 8. Scelta fra le tarlate. 9. Scelta fra' Dialetti . 10.
Distinzione d'una lingua da ogni altra lingua . 11 . Uso di lingua parlata , e
uso di lingua scritta ; 12. iden tici nell'essenza , e in che diversi, 13. Come
uso di buoni scrittori giova , 14. e come giova uso di ben parlanti. 15.
Realismo e Idealismo nell' usare l'idioma . 10. Con clusione . INDICE DEL
VOLUME SECONDO . 459 CAP. XLV. Arti del disegno. Pag 338 . 1. Che cosa sono
l'arti del disegno - 2. Il disegno è fon damento alle tre arti particolari. .
3. Doppia significazione del vocabolo disegno. -- 4. Ogni qualità sensibile de'
corpi ha relazione con la lor forma ; 5. e può risguardarsi per natura , e per
l'arti del disegno , quasi accessoria . - 6. La forma ci palesa l'unità ; 7.
ch' esterna dipende dall ' in terno delle cose , si per natura e si per arte .
8. Esempj di ciò ; e in che dunque consiste l'ordine ideato comune al l ' arti
del disegno. – 9. Per acquistare il disegno, ci oc corre abito astrallivo degli
occhi, - 10. fantasia ferma e viva in ritenere la linea pura , 11. e intelletto
esercitato a distinguere, paragonare , comprendere i contorni; 12. nè basta
vedere , ma bisogna saper vedere o guardare ; 13. e in ciò sta il cosi detto
giudizio degli occhi . - 14. Come si faccia l'esercizio nel disegnare. 15. Una
regola princi . pale per l'arti secondarie . 16. Conclusione. CAP. XLVI. Architettura
.... 1. Che cosa è l'architettura . 2. Si originò dal convi . vere umano. - 3.
Si distinse dall'ingegneria per fine di bel lezza , 4. ritraendo l'immagine
formosa del consorzio umano, 5. Questa idea perció la rende inventiva ; 6 . e
indi l'architettura prende significato a ' suoi disegni , 7 . e anche la loro
unità ; 8. ehe si palesa nelle proporzioni della massa , nel congiungimento
delle linee , 9. e anche negli ornamenti. – 10. Com'espressione del consorzio
uma no , quest' arte abbraccia le altre arti del disegno ; – 11 . s' accorda
co' luoghi abitati dall ' uomo, e a sė li conforma; 12. imprime la bellezza sua
nelle città intere, - 13. nel l'intera patria d'una nazione , — 14. per ogni
luogo di es sa ; 15. e si distende a tutta la terra civile , com' efligie inica
dell'incivilimento . 16. Conclusione. 357 CAP. XL I. S ulura ..... 376 1. Che
cosa è la scultura . - 2. Principale soggetto al l'arti figurative si è
l'aspetto umano. - 3. Più proprio della scultura è la relazione de' lineamenti
con la vita interiore , anziché dell'uomo con la natura . -- 4. Indi all'arte
sculto . ria il colorito e accidentale , ec . - 5. Nè la scultura di tutto
rilievo ha paesaggj, che ristretti son' anche nel bassorilievo : - 6. è
limitata nel figurare animali ; --- 7. e anche ne'gruppi di ligure umane. - 8.
Soggetto più proprio alla scultura ė la bellezza umana del corpo, e in essa si
comprende la fisio. logica e la fisica . 9. E perché si dica ciò della scultura
piucchè della pittura , distinguendo tra figura e forma. - 10 . L'unità intera
della immagine umana comparisce nella scule tura solamente. 11. Divario i'ra le
due arti nel nudo e ne' panneggiamenti . 12. Limiti posti dal pudore. 13 . Qual
sia -dunque l'idea esemplare dell'arte scultoria , 14 . E come bisogni evitare
ia essa , piucché nella pittura , il freddo 460 INDICE DEL VOLUME SECONDO , ed
il generico ; -- 15. ma senza cascare nei vizj opposti , 16. Conclusione . CAP.
XLVIII. Pittura .... Pag. 395 1. Che cosa è la pittura. – 2. Idea che serve d'
esemplare alle immagini ed a'segni di quest'arte, cioè armonia fra l'uomo e la
natura esteriore , come rilevasi dal colorito ; 3. e perciò dalla figura
colorata e dal prospetto aereo . - 4 . Magistero essenziale della pittura è il
colorito ; – 5. ma non contraſfacendo i rilievi della scultura , 6. nè
gareggiando con le cose reali pe' colorie per gli splendori , 7. nė pe' se goi
di vitalità ; gareggiamento impossibile, - 8. e dannoso ; 9. bensi eleggendo
que' segni che sveglino i sentimenti nell'anima nostra , come le cose di natura
sogliono . 10. La pittura è visione di fantasia . 11. che splende in gen
tilezze d' ornamenti , e in paesaggj . 12. e ne segni del con • versare umano ,
13. e nell'unione verosimile di più tempi e luoghi , 14. e nel simboleggiare
affetti sovrammondani . 15. Conclusione. 16. Utilità di tutte l' arti del dia
segno . CAP. XLIX. Musica ...... 415 1. Che cosa è la musica . 2. Qual n'è
l'idea regolatri ce . Relazione de' suoni col sentimento umano . 3. Ragione
anche fisiologica di tale attinenza . 4. E indi attinenza principale di
quest'arte con la voce umana . 5. Ma la relazione de' suoni col sentimento é
indefinita , 6. e però la musica può indefinitamente significare ogni affetto .
7. Esprime e incita direttamente l' esaltazione degli af. fetti, 8. e viene
usata per significare più vivo l'esalta. mento comune alla poesia ed all' arti
del disegno . 9. Ciò apparisce altresi dal significato universale d'armonia .
10 . Però idea suprema e reggitrice della musica è , ch' essa renda immagine
dell' esaltazione di ogni affetto umano. La quale idea si determina nel
concetto de' componimenti varj. 11 . onde nasce la musicale unità , – 12. e
l'invenzione di una frase principale, 13. che si svolge. - 14. Errori sulla na.
tura della musica . Sensisti e Positivisti assoluti , - 15. Sen timentali ,
Aritmeticanti, Retoricanti . 16. Conclusione. CAP. L. Unione fra tutte l’ Arti
del Bello ... 434 1. Danni del separare l' Arti, e argomento . 2. Unità d'
obbietto , di soggetto e di potenza prevalente nell' Arti del Bello . 3.
Perfezionamenti loro successivi , e legge di que sta successione. - 4. Si
risolve una difficoltà . 5. Prima si perfezionò la poesia ; 6. indi
l'architettura ; - 7. poi la scultura , e poi la pittura ; — 8. Apalmente la
musica . 9. Aiuto che si porgono l'Arti ; quale la poesia ? – 10. quale
l'architettura , 11. l'arti figurative, - 12. la musica ? 13. Si conferma
l'unità essenziale dell'Arti fra loro . -- 14. Ri torno del pensiero alle cose
ragionate ; 15 e 16. indi con clusione generale. DIALETTICA. INDICE DEL VOLUME PRIMO.. INTRODUZIONE CUI SI
RACCOMANDA DI LEGGERE ...... Pag . 1-881X LIBRO PRIMO . La Filosofia e i
Concetti universali. Cap. I. Idea della Filosofia ...... Pag. 3 1. Che cosa è
la Filosofia ? – 2. È scienza del pensiero ; 3. ma del pensiero in atto di vita
, e non soltanto delle leggi lo giche astratte ; 4. e però è Scienza della
coscienza e dello spirito . - 5. Scienza degli oggetti connaturali al pensiero
, e però di Dio , dell'universo e dell'uomo ; - 6. Scienza, per tanto , delle somme
cause , dell'ultime ragioni e de' primi prin cipj ; -- 7. Scienza , poi , della
conoscenza , della scienza e della verità. – 8. Perciò nell'idea di relazione s
' appuntano i quesiti tutti della Filosofia ; - 9. e ivi troviamo la sua più
alta verità . 10. Talchè la Filosofia e Scienza di Dio , del mondo e del l'uomo
nell'ordine loro uoiversale ; o , più breve, Scienza delle relazioni
upiversali; e siccome queste forman l' ordine , dunque altresì Scienza
dell'ordine universale . - 11. Come in ogni altra Scienza , cosi nella
Filosofia si ha perfezionamento, levandosi a un'idea superiore. - 12. Questa è
l'idea di relazione. - 13 . Ciò richiede la tendenza e il bisogoo de' postri
tempi . – 14.Im portanza della Filosofia ; danni d'una Filosofia separativa . —
15, Vantaggj d’una Filosofia comprensiva. 16. Sunto. CAP. II . La Verità ....
1. Perché dobbiamo esaminare l'idea universale di verità . 2. La verità è
sempre entità conosciuta . – 5. La verità è ordine d'entità conosciuto. - 4. Si
procede relazione in relazione. 5. L'unità dell'oggetto conosciuto si comprende
, si distingue , 6. si riupisce di nuovo. - 7. Però gli Antichi dissero che la
verità è pei giudizj. - 8. L'errore perciò sta nel vedere l'oggetto da una
parte sola , e quindi nel travedere, 9. come si rileva degli errori metafisici
; - 10. nello Scet ticismo medesimo , e negli errori morali e delle Scienze
fisiche . 11. Sicchè l'errore confonde, separa , nega. 12. Jadi spieghiamo il
progresso della scienza e della civiltà, 13. o il regresso ; 14. le invenzioni
e le scoperte. – 15 . esame dell'idea di verità ci mostra il costrutto semplice
degli Univer sali , presupposto da ogni conoscenza . 16. Conclusione. 22 536
INDICE DEL VOLUME PRIMO. 42 - - 64 CAP. III . L'Entità . Pag. 1. Si comincia
dalla nozione d'entità. — 2. Che cosa sono gli universali , - 3. Tre ordini
d'universali: gli analogici , 4. gli attributi metafisici , e le condizioni
universali del creato . - 5. L'uoiversale si è in ogni cosa e presentasi
all'intelletto . - 6. L'idea d' entità primeggia fra gli universali. La esami
Darono gli Antichi , – 7. i Padri, il Medioevo , e la Filosofia moderoa. 8. Non
possono farne a meno anche gli Scettici e i Soggettivisti . 9. Questa idea non
può pegarsi. 10. Ma esaminandola , bisogna evitare tre difetti. - 11. Si
tripartisce : idea dell'essere comunissimo , - 12. idea d'essenza , - 13. idea
d'esistenza ; – 14. com' apparisce anche da' linguaggi, 15. e dall'antica
dottrina sull'essere e sulla possibilità , ch'è di tre specie . - 16.
Conclusione. CAP. IV . L'Ordine dell'entità .... t . L'idea d'ordine si
distingue nell'idea di relazione , d'atto della relazione e di correlazione .
2. Che cosa è la relazione ? L'esperienza ce la mostra ovunque. 3. Ogoi en tità
è un tutto di relazioni , benchè, quando si tratta di cosa fioita , non
essenziali . Ciò si rileva dal concetto d' essere , - 4 . d'essenza e
d'esistenza . – 5. La relazione poi è , o intrinseca , - 6. od estrinseca (
cioè ad intra , o ad extra ). – 7. Ogni relazione si è atlo ; anche le
attineoze ideali o di ragione. - 8 . Conie si procedè per giungere a questa
universalità dell'idea d'allo . Gli Italioti , gl’lonici , Platone; 9.
Aristotele ; 10. i Padri, gli Scolastici, e il Cartesio ; 11. il Leiboitz e la
Fisica nioderna. 12. Correlazioni . Unità e triplicità in ogoi cosa . -- 13.
Dottrine aptiche su ciò . - 14. Il Dogma cristiano della Trinità . - 15. Le
correlazioni spiegano la legge universale de' simili e de' contrapposti, 16.
Conclusione. CAP . V. Il conoscimento dell'Ordine .. 1. Nel conoscimento
dell'ordine si distingue il Vero, il Bello ed il Buono , distinta la triplice
relazione della Verità col l'intelletto , benchè io significato generalissimo
ogoi relazione col nostro conoscimento sia Verità . 2. L'universalità del Vero
corrisponde ai gradi dell' essere ; e come li notarono già i Filosofi . - 3.
Cose non animate ; 4. cose animate ; 5 . gl'intelletti , ove la presenza
dell'entità è manifesta . 6. La verità è relazione dell'entità con
gl’intelletti , cioè intelligibi lità . – 7. Che cosa è la Bellezza , cioè
l'ammirabilitd , con trapposta al Vero. Suoi gradi , 8. ne' corpi non animati ,
Degli animati e negl'intelletti. 9. Che cosa è il Bene , cioè l'amabilità .
Suoi gradi , — 10. ne' corpi , negli animali e nella mente , 11. Assioma che
deriva dall'esame degli universali , - 12. e loro convertibilità mutua ; – 13.
la quale si manifesta nella scieoza, nell'arte e nella vita , perché il Buono
conduce al Vero ed al Bello , - 14. e il Bello conduce al Vero e al Buono. -15.
Nell'esame degli universali analogici abbiamo riscontrato le distinzioni già
fatte dai Filosofi antichi e recenti . - 16 . Conclusione , e come il Bello
morale sia l'accordo del Vero , del Bello e del Buono . 84 INDICE DEL VOLUME
PRIMO. 537 CAP. VI. Attributi metafisici correlativi e Idea di Dio. Pag. 101 1.
Esamedegli attributi metafisici , al quale ci porta l'esame degli universali
analogici. — 2. Che cosa s'intende per attri buti correlativi metafisici. 3.
Idee di questi attributi, tro vate nell'idea d'entitd ; 4. trovate nell'idea
d'ordine dela Ľentità ; - 5. trovate nell'idea di conoscimento dell'ordine. -
6. L'idee degli attributi metafisici correlativi , e l'idea di Dio , non sono
correlazioni astratte ; - 7. nè limiti soggettivi; - 8. nè un ideale soggettivo
; 9. nè , d'altra parte , sigoi ficano che Dio sia il grado supremo degli
esseri ; – 10. nè la parte o il tutto ; 1. nè Pessenza o la sostanza delle cose
contingenti . – 12. La correlazione degli attributi metafisici viene
rappreseotata dall'idea del possibile fra l'idea d'Eote e l'idea d'esistente ,
o dall'idea d ' indefinito fra quelle d'Infinito e di finito. - 13. La
correlazione stessa fu pure significata dal Gen tilesimo , 14. da' simboli suoi
più notevoli , 15. e dalla simbologia naturale. - 16. Conclusione. Cap. VII .
Idea di Creazione .... 121 1. Possibilità razionale della creazione. - 2. Vi ha
nel pensiero umano questa idea dell'atto creativo , cioè di Causa prima. — 3.
L'idea di causa si distingue dall'idea di sostanza ; 4. e si riferisce ad un
che , il quale comincia dal nulla quanto all'esistenza , benchè non quanto alla
potenza ; 5. si riferisce , poi , ad un termine distinto essenzialmente dalla
cau sa , o ad extra . - 6. Più vera e più potente fra tutte le cagioni è
l'intellettiva . 7. La Causa creatrice si distingue dalle cause naturali,
perchè alla totalità delle cose preesiste la pos 8. perchè il soggetto , cioè
la sostanza , si produce ad estra ; 9. e perchè avvi efficienza intellettuale
assoluta : - 10. opde la Causa creatrice fu chiamata Verbo ia tutte le
Tradizioni sacre , e il mondo è arte di Dio ; -11. la quale produce una
somigliaoza divina nell'universo , mentre Dio non somiglia i finiti e li
trascende . - 12. Gli errori e i dubbj sul dogma razionale di creazione nascono
dalla fantasia , - 13 . e dallo sdegoare il mistero , comune ad ogni causalita
; 14 . sicchè gli errori provocarono lo svolgimento del Teismo nell'età de'
Padri e de' Dottori , 15. e dell'età della Riforma e del Rinnovamento. - 16.
L'idea di creazione ba tanta importanza , sibilità pura ; - perchè risguarda la
Causa universale. CAP. VIII . Idee relative all'Entità della Natura ....... 143
1. Argomento ; le condizioni dell' entità : Prima condizione della natura , per
l'essere suo , il quanto ; 2. che si distia . gue nell'unità , 3. nel numero 4.
( che non può essere infinito), 5. e pella unione delle unità . 6. Condizione
seconda per l'essenza , il quale; - 7. che si distingue nella varietà , 8.
nella contrarietà , 9. e nella somiglianza ; . 10. più notevoli dove la oatura
è più alta . - 11. Terza condizione per l'esistenza , il quando ; 12. che si
distingue nel momento , -13. nella successione, - 14. e nella durata ; - 15.
non predicabili dell' Eternità . 16. Conclusione. C 538 INDICE DEL VOLUME
PRIMO. 462 C il pine. - CAP. IX. Idee relative all'Ordine della Natura .......
Pag. 1. L'ordine della natura viene dall' attinenza della crea zione , 2. La
relazione delle cose create ci dà la dipendenza, o derivazione; 3. ossia la
sostanza , - 4. la causa , 5. e l'essenza reale . - 6. L'Atto delle cose ci dà
il come (quomodo); – 7. ossia il principio , 8. il mezzo , 9. e 10. Le
correlazioni delle cose ci dàono il dove , che può essere correlazione
ancointellettiva , 11 , e correle zione materiale ; - 12. ossia il punto , -
13. Y estensione particolare, 14. e lo spazio , 15, che non può essere infinito
, ma è nell'infinito ; 16. e il sublime si origina da cið . Cap. X. Condizioni
naturali del conoscimento ...... 1. Criterio della conoscenza ; ove si
riscontrado : l'oggetto ideale , – 3.6. l'idea, - 4. che ci fa conoscere il si
mile per ilsimile , 5. (onde si spiega la formazione dell'idee universali , e
la conoscenza delle cose esteriori , 6. di noi stessi , degli altri uomini , -
7. e di Dio) , - 8. c . il senti mento , in relazione del quale ogoi cosa
dicesi un fatto , ed esso medesimo ha questo pome . 9. Forma del bellezza ; -
10. e qui si riscontrano : la cosa formata , 11. l'idea esem plare , 12. e il
gusto . - 13. Legge del bene , ove si ri scontra il bene oggettivo , - 14. la
felicità , - 15. e l'utilitd . - 16. Conclusione. 182 . 2. a. - LIBRO SECONDO.
Divisione della Filosofia e Arte dialettica. 207 . CAP. XI. L'Enciclopedia ....
1. Per determinare i quesiti della Filosofia , bisogna ve. dere le sue parti e
l'Enciclopedia o l'albero del sapere umano , 2. Ordine di formazione , ordine
di logica dipendenza. 3. Criterio armonicamente oggettivo e soggettivo per
trovare la distiozione dello scibile e l'ordinamento suo. 4. Quattro classi di
conoscenze : - 5. onde vengono la Teologia positiva , la Filosofia , le
Matematiche e la Fisica . 6. Parti della Fi losofia universale. - 7. Filosofie
particolari e applicate . 8. Matematica. - 9. Fisica . - 10. Storia sacra ,
umana , na turale. – 11. Arti filosofiche , matematicofisiche e storiche. 12.
Tradizione perenne dell' Eociclopedia . – 13. Errori che la guastano. 14.
Pericolo dell'Enciclopedie a dizionario , le quali spezzano la continuità del
sapere. - 15. Divisione della Filosofia in tre parti : la Dialettica , l'
Estetica e la Morale. - 16. Conclusione. CAP. XII . La Dialettica. 1. Che cosa
è la Dialettica . — 2. È quasi un dialogo. – 8. Esemplare unico dell'Arte
logica è la natura , - 4. se no 229 INDICE DEL VOLUME PRIMO . 539 - 8. e s'op
v'è ignoranza . – 5. L'Arte logica è osservazione di natura , - 6. se oo avvi
leggerezza , impazienza e preoccupazione appas sionata . – 7. È imitazione di
natura , 8. se no avvi artifi cio. – 9. È inveozione ordinativa , pop oggettiva
, - 10. se no avvi l'assurdo. - 14 . È per fine di verità , - 12. se no si
confondono l ' arti , che per altro s' accordano e s ' aiutano . 13. La Verità
, com'oggetto dell'Arte logica , viene deter minata dalle operazioni di questa
, - 14. e però è ordine d'en tità ripensato , 15. ragionato , — 16. e
significato . CAP. XIII. La Critica interiore vera e la falsa ........ Pag. 251
1. La Critica suppose un Criterio , che paturale cono scenza porge alla
riflessa. - 2. Il bisogno di Critica interiore viene dal bisogno di cercar
l'origini dell'errore, e dall'altro di sceverare nelle cognizioni la parte
oggettiva e la soggettiva ; - 3. e però è antichissima; benchè a questa si
contrapponesse Ja Critica eccessiva . 4. Esempj dell'una e dell'altra nel
Cartesio e nel Kant. 5. Principiare dal dubbio universale non si può ; e questa
è critica smodata , o fuori di natura. 6. La riflessione filosofica deve
cominciare dalla ignoranza filosofica, piuttostochè dal dubbio metodico . 7.
Però la Critica eccessiva non può condurre alla scienza ; pone , qualunque sia
l'intenzione de' Critici , alla virtù ; 9. è causa di desolazione , - 10. o di
misera indifferenza . 11. Jovece per la Critica razionale s' afferma il
oaturale co noscimento , 12. la forma di questo e la materia ; 15 . cioè la
forma naturale in relazione con gli oggetti , - 14. e la realtà degli oggetti
stessi , che costituiscono la materia necessa ria o coboaturale del pensiero .
· 15. Postulati della Critica - 16. Ogni operosità viene impedita dal
Criticismo. Cap. XIV . Verità connaturali al pensiero umano . 272 1. Tre
requisiti delle verità connaturali . – 2. Esistenza di noi stessi . - 5. Errore
del Kant e de' Positivisti , - 4. e loro confutazione . 5. Si riscontrano i
requisiti della conoscenza naturale nella coscienza di noi stessi . – 6.
Notizia del mondo esteriore , – 7. e dell'ordine suo. — 8. Opinione del Kant e
de Positivisti , 9. e loro confutazione. - 10. I requisiti della conoscenza
naturale si trovano nella notizia del mondo. 11. Idea di Dio . - 12. Opinione
del Kapt e de' Positivisti . 13. Confutazione , 14. Si riscontrano nell'idea di
Dio gli stessi requisiti o spontaneità , - 15.inconvertibililà e insepa
rabilità . Da queste notizie di noi , del mondo e di Dio risulta la sostanziale
totalità della coscienza . 16. La Filosofia non può disconoscere questa materia
del pensiero e della scienza . CAP. XV. Armonia tra le forme della conoscenza e
le cose . 294 1. Che cosa è la forma. – 2. L'armonia tra le forme del
conoscimento e gli oggetti , onde provenga. 3. Apparenza sensibile , - 4.
corrispondente agli oggetti percepiti ; – 5. e quindi si fece da Galileo e poi
dagli altri la distinzione fra le qualità primarie de' corpi e le secondarie ;
- 6. talchè verifi chiamo che l'apparenze sensibili son segoi reali , realmente
vera . - 540 INDICE DEL VOLUME PRIMO. corrispondenti alla realtà delle cose.
-7. Aoche le apparenze , che dano'occasione d'inganno , procedono da leggi di
natura. - 8. La vista ci dà i segoi apparenti delle distanze. – 9. For me
intellettuali , corrispondenti all'entità e verità delle cose , ue' concetti, -
10. ne giudizi , -11. e oei raziocioj. 12 . Armonia tra il conoscimento di ciò
ch'è o avviene deotro di noi , e il conoscimento di ciò ch'è fuori di noi: per
i segoi del l'anima del corpo ; – 13. per l'analogie fra l'anima l'uoj verso ;
- 14. per l'intendimento delle qualità e delle condi zioni d'ogoi cosa esterna
; — 15. e per la conoscenza di Dio. 16. Conclusione. CAP. XVI. I Principj
armonici della ragione ... Pag. 318 1. Che sono i principj universali della
ragione. — 2. Na scono dalle idee universali, e s'ordipano com'esse. -3. Prima
classe , corrispondente agli universali analogici . Per l'entitd si distinguono
più principj , riflettendo all ' idee d' essere , 4. e all' idee d'essenza e
d'esistenza. 5. Per l'ordine del l'entità , si distinguono , riflettendo
all'idee di relazione , 6. di atto della relazione e di correlazione . - 7 .
Per il cono. scimento dell'ordine, si distinguono , riflettendo all' idee del
Vero, – 8. del Bello e del Buono . – 9. Seconda classe , cor rispondente agli
attributi metafisici correlativi . – 10. Terza classe, corrispondente alle
universali condizioni della Datora fioita . Si hanno : Per l'entità di questa ,
i priocipj di quantild, di qualità e di tempo ; 11. per l'ordine della natura ,
i principj di derivazione o dipendenza , - 12. di modalità e di confinazione o
del dove ; – 13. per il conoscimento dell'or dine , com ' esso è negl'
intelletti creati , i principj che risguar dano il criterio della verità , la
forma della bellezza e la regola del bene. – 14. In che stia l'utilità de'
principj uni versali. – 15. Due opinioni estreme ed erronee : l' una che li
Dega , l'altra che li reputa generativi di tutto il conoscimento . - 16.
Conclusione . CAP. XVII . L'Osservazione ...... 340 1. Materie da trattarsi . —
2. Atteozione. - 3. Osservazio ne. – 4. Riflessione. - 5. Si verifica ciò nelle
verità d'espe rienza esteriore, cosi per Arte logica naturale , 6. come
scientificamente. 7. Si verifica delle verità di esperieoza interiore , cosi
per suggerimento di natura , 8. come per la Scienza . 9. Si verifica delle
verità intellettuali pure , 10. cioè negli universali della Metafisica e delle
Matematiche. 11. Si verifica nelle conoscenze ricevute dall'autorità , 12. e
ipdi vien la Critica , 13. Lo stesso aodamiento si vede nel procedimento
storico delle Scienze. -44. Idem ,-15. Anche nel procedimento della Letteratura
. 16. E anche nell'Arte pedagogica. CAP . X III . Metodo che imita la Natura
...... 1. Che cosa è l'imitazione dialettica : parte sostanziale del metodo .
2. Sintesi primitiva. – 3. Analisi. - 4. Sintesi 361 INDICE DEL VOLUME PRIMO.
541 - secondaria . 5. Legge dialettica. 6. Il metodo allora è quasi un
contrappuoto musicale. -7 . Però non può essere nè solameote analitico , nè
solamente sintetico . 8. Difetti del Puno e dell'altro , - 9. Il metodo
compreosivo gli uoisce. 10. Contrarie inclioazioni di ogni età verso l'analisi
eccessiva o la sintesi eccessiva . 11. Esempio del Gioberti . - 12. Il vero
metodo è propriamente dialetlico o dialogico. 13. Sua utilità nelle Scienze ;
14. nell' Arti del Bello , - 15. e nel ” Arti del vivere civile . . 16.
Conclusione. CAP. XIX. L'invenzione dialettica ..... Pag. 381 1. Che cosa è
l'invenzione scientifica , o che cosa è la Scienza com'ordine meditato di
conosceoze, - 2. Si comincia dalla comprensione dell'oggetto per una
definizione nominale ; - 3. poi si viene all'analisi con la divisione , – 4.
con la tési e con l ' antitesi , con la prova dall'assurdo, e con l'elimina
zione; - 5. fochè si giunge alla definizione dialettica , che può essere o
intrinseca o per via disole relazioni. - 6. Poscia , passando alla sintesi ,
abbiamo l'ordine induttivo e il dedatti 7. Tutto questo mirabile ordinamento è
una ricerca delle ragioni, e uno spiegare per esse ; oode gli Antichi dis .
sero che saper vero è un sapere per le cagioni ; - 8. cioè per principj; - 9. e
questo s'avveranella teorica degli universali , - 10. e nella Scienza
dell'uomo, dell'universo e di Dio ; 11. s'avvera nelle Scieoze civili e
storiche; 12. Delle Mate matiche, 13. e nella Fisica . 14. Indi si spiega
l'inven zione degli stromenti e delle macchine ; 15. come altresi la ipotesi e
l'intuizione dottrinale. 16. Supto. vo . - 403 - CAP . XX . Il fine dell' Arte
dialettica .... 1. Argomento. 2. Connessione logica . - 3. Che stato der essere
quello di chi cerca la verità , 4. e difetti che bisogna evitare . - 5. Si può
errare io ciò per leggerezza , 6. o per una preoccupazione. 7. Chiarezza , - 8.
e difetti da evitarsi , -9. Errori che procedopo da leggerezza , - 10. e da
preoccupazione , prendendo per chiaro ciò che non è . - 14. Certezza ; 12. e
difetti evitabili ; 13. badando anche ip ciò di non errare per leggerezza d'
assensi -14. e per qual che preoccupazione, stimando che sia certo l'incerto ,
e vice 15. Connessione , chiarezza , certezza , non possono realmente trovarsi
che pella verità . 16. Si concbiude : che fine d'ogoi Scienza , e perciò anche
della Filosofia , non è di dare a noi , quasi mancanti d'ogni ragionevole
conoscenza , un primo conoscimento della verità , si l' ordine riflesso della
co gosceoza e della verità : e poi, che l'Arte dialettica è altresì un abito
morale ; e ancora, che l'abito del parlare meditato giova molto all'ordine del
pensare ragionato e retto . versa . - 542 INDICE DEL VOLUME PRIMO. LIBRO TERZO.
I Criterj della Verità o Leggi universali della Dialettica. Cap. XXI.
L'Evidenza , o il Criterio della Verità ..... Pag. 427 4. Argomento , e qual
sia il disegno della Dialettica , e qual ragione v'abbia di trattare qui de
Criterj ; e dottrina loro semplicissima. -2. Il Criterio è uoa regola , perch'è
un segno della verità in relazione con l'intelletto . - 3. Non può negar si ,
fuorchè negando la conoscenza ; non può travisarsi , fuorchè da' sistemi
sostanzialmente falsi ; e vi ha una dottrina costante sulla natura del Criterio
. - 4. Il Criterio è un segno apparte nente all'ordine della verità , 5, ed è
universale . - 6. II Criterio , perciò , è l ' evidenza dell' ordine di verild
; – 7 , è quindi uno e moltiplice , ossia è un ordine di Criterj; 8. perch'è l'
evidenza dell'ordine di verild in sè stesso , e ne' suoi contrassegni
universali ; cioè coutrassegni d'amore e di fede , perchè l'ordine della verità
corrisponde all'ordine della nalura umana. 9. Il Criterio vale altresi nelle
cogni. zioni anteriori alla Scienza , 10. nè la Scienza può disco noscerlo. 14.
Nella Scienza, poi , l'evidenza precede il ragionamento , l'accompagna , e lo
compisce. 12. Nella Filosofia, l'evideoza del Criterio naturale si converte in
evi deoza scientifica ; non già perchè si comioci dal dubbio ; anzi non può
cominciarsi da esso , perch'è un riconoscimento . – 13 . Criterio della
Filosofia è l' evidenza dell'ordine universale ; . 14.senza di che quella è
fuor di natura . - 15. Criterio delle altre Scienze è l' evideoza d'un ordine
particolare ; ma in essa i Criterj sccondarj bao solo un ufficio indiretto e
più ristretto . - 16. Conclusione. - 451 Cap. XXII . L'evidenza del Teismo,
come di verità ordinatrice o di Criterio supremo .... 1. Perchè la verità di
Dio creatore sia Criterio compren sivo alla riflessione. 2. La Scienza de'
limiti è scienza ne cessaria ; e il Teismo ci avverte de' nostri limiti . 3.
Questi sono la natura stessa dell'intelletto e delle cose. 4. Soprin
telligibile , soprannaturale , 5. intelligibile : 6. la verità di creazione fa
serbare questi limiti , e spiega il perchè del sovrintelligibile divino, –7.
del sovriptelligibile naturale, 8. e ci rende liberi e sicuri nello studio
delle cose intelligibili , che sono inesauste a mente umana. - 9. Quindi essa
rende soddisfatto qualunque bisogno dell'uomo, e ordina le Scienze che si
riferiscono a' bisogoi stessi . Teologia positiva, - 10. Filosofia , Matematica
, — 11. Fisica , 12. Filosofia della Sto ria , Filologia e Critica. - 15. Quel
Criterio spiega la legge del progresso in Filosofia e il regresso sofistico . –
14. I siste mi, opposti alla verità di creazione, ristringono la conoscenza
riflessa , 15. e poi l'apoientano. - 16. Conclusione. - - INDICE DEL VOLUME
PRIMO. 543 - Cap. XXIII. Sistemi opposti al Criterio della Verità , e pri mieramente
il Panteismo.... Pag . 472 1. Argomento. - 2. Contradizioni del Panteismo , e
pro posito di affermare le contradizioni.- 3. Panteismo orientale , 4.
pitagorico , - 5. eleatico ed ionico ; - 6. degli Ales sandrini e Gnostici , -
7. che difendevano il Paganesimo ; 8. de' Reali nel medioevo , – 9. e
dell'altre Sètte ; - 10. del Bruno e del Campanella 11. ( sterili , se
paragonati al Car tesio ed a Galileo ) , · 12. dello Spinosa ( non paragonabile
alla fecondità del Leiboitz), - 13. de' Panteisti tedeschi , 14. e de' loro
discepoli. 15. Verità grandi , che balenano dal Panteismo ; 16. il quale ,
bensì , le travisa , e però nega i fatti più sublimi della coscienza. CAP.
XXIV. II Dualismo . 493 1. Argomento. - 2. Io che il Dualismo è peggio , e in
che meglio del Panteismo ? 5. Dualismo fra gl' Indiani. 4. D'Anassagora , - 5.
di Platone , - 6. d'Aristotele, 7 . degli Stoici . - 8. Dualismo tra certi
Filosofi maomettani . 9. Dualismo nella Cristianità del medioevo ; 10. e come
le tracce del Dualismo antico si trovino anche ne' Dottori scola stici ; - 14.
talchè se n'occasionava , ne' tempi della Riforma , up Dualismo nuovo , non
antiteistico , macosmologico e antro pologico . – 12. Il Cartesio ; – 15. ed
effetti delsuo Dualismo , segnatamente nel Malebranche , - 14. e nel Leibojtz ;
15. o anche nell'Idealismo , nel Sensismo e nello Scetticismo poste riori . 16.
Il Dualismo riduce i contrarj a contradittorj , - talchè rompe ogoi armonia .
CAP. XXV. L ' Idealismo e il Sensismo.... 515 1. Differenza fra l ' Idealismo e
il Sensismo. 2. Cenno storico di questi sistemi . – 3. Io che propriamente
consiste l ' Idealismo (e sbaglio d' alcuni moderni), e paragone con gli
effetti del Sensismo. - 4. Vizio principale degl ' Idealisti . 5. Nel Sensismo
la coscienza umana non riconosce sè stessa ; 6. non l'intelletto ,
essenzialmente diverso dal senso ; - 7. non - 8. non l'idealità ; 9. non la
riflessione sopra di noi ; 10. non la religiosità ; 11. non la certezza nella
cogoizione de' corpi ; 12. non la Filosofia ; si solamente la Fisica , - 13. ma
falsata e con metodi non suoi . - 14. E sono alterate anco le Matematiche , -
15. com' altresi la Sto ria . - 16. Sunto . INDICE DEL VOLUME
SECONDO. - Cap. XXVI. Lo Scetticismo...... Pag . 1. Argomento. 2. Scetticismo
nell'Asia e fra gl ' Italo greci ; - 3. nell'età Socratica e del medioevo ; 4.
nell'età moderna . – 5. Eclettici e Mistici , che non riparano allo Scet
ticismo , dacchè gli concedono di partire dal dubbio . – 6. Idea Jismo scettico
e Sepsismo scettico. 7. Razionalismo , 8 . e Positivismo ; – 9. e quindi
Scetticismo metafisico , antimetafisico , - 11. che bensi trova la Metafisica
per tutto . – 12. Come la natura repugoi dallo Scetticismo . 13. Con seguenze
principali di questo . Desolazionee scherno . - 14. Dif ficoltà pelle
controversie , o Dommatismo scettico ; abito di giudicare de' fatti umani da
sole circostanze esteriori. 16. Lo scetticismo riduce a nulla il pensiero. 10.
e 15. e CAP . XXVII. L'Amore della Verità ... 22 4. Che cosa è nell'ordine suo
pieno il Criterio ? Condizioni intrinseche ed estrivseche per la conoscenza
della Verità . 2 . Sentimento e amore. 3. L' affetto è conoscenza e la cono
scenza è affetto . -- 4. Bisogna secondare con la libera riflessione il
naturale affetto . 5. Come l'affetto della Verità dia im pulso al ragionamento
, l'accompagni e lo assicuri , e perciò bi sogna guardare a quell'impulso , 6.
a quella compagnia e a quel riposo ; - 7. e sbagliarono tanto i Sentimentali ,
che di visero l'affetto dall'evideoza ; 8. quanto gli Astratteggian ti , che
separarono l'evidenza dall'affetto . 9. Ufficio del l'amore di Verità nelle
Matematiche ed io Fisica . - 10. Ufficio di quello in Filosofia , il quale
altresì ci mostra gli affetti con naturali, che corrispondono agli oggetti
della Filosofia stessa ; - 11. cioè l'amore di noi medesimi e degli altri
uomioi , 12. l'ammirazione affettuosa per l'ordine della natura 13 . e gli
affetti religiosi . – 14. Quello è anche Criterio degli Studj critici , storici
e teologici . – 15. Nelle passioni l'affetto patu rale può facilmente
riconoscersi . – 16. Per l'affetto la scienza si converte in sapienza. 500
INDICE DEL VOLUME SECONDO. 42 - - 63 - salità ; CAP. XXVIII. Il Senso Comune...
Pag . 1. Quando la parola serve di Criterio ? - 2. Che cosa è il Seoso Comune ?
Due sigoificati di esso , - 5. dal separare i quali vennero due opinioni false
, · 4. Limiti del Senso Co mune : . 5. i principj , 6. le immediate percezioni
, 7 . e le immediate conclusioni . 8. Ufficio diretto e generale del Senso
Comune in Filosofia ; non cosi nell'altre Scienze , 9 . fuorchè dov'esse s'
uniscono alla Filosofia stessa . - 10. Obie zioni sull'esistenza del Senso
Comune , per la contrarietà delle opinioni . – 11. Obiezioni contro la
testimonianza de' Lioguagej al Senso Comune , per la supposta indifferenza de'
vocaboli al si e al no ; – 12. per il materiale significato primitivo di parole
che ricevevano poi un sigoificato spirituale. 13. Obiczioni sulla
ragionevolezza d'usare il Senso Comune a Criterio , qua sichè questo sia
credenza , non evidenza ; - 14. quasichè vo gliamo reputarlo sapienza o scienza
; 15. quasichè occor resse interrogare tutti gli uomini . . 16. Sunto, e
necessità di ricondurre le Scienze alla natura , come le Arti del Bello . CAP .
XXIX. Tradizioni e progressi nelle Scienze ... 1. Criterio delle Tradizioni
scientifiche . 2. Due siguifi. cati del vocabolo Scienza . – 3. Dobbiamo
verificare l'univer 4. distinguendo i principj, i teoremi , i problemi, e gli
errori. 5. L'unità del consentimento non toglie la libera varietà . -6.
Consentimento e progresso pe' principj e ne' teo remi , -7. e ne' problemi . –
8. Le Sètte son dimezzatrici della Verità ; 99.. eppure confermano i teoremi ,
10. e son’oc casione di progresso , mostrando i mancamenti della Filosofia ,
11. perfezionandone la forma , 12. e alcune dottrine particolari , - 13. e le
loro conseguenze nelle dottrine de'Fi losofi. – 14. Nascono due opinioni false
: cioè i sosteoitori della sola evidenza privata ; – 15. e i sostenitori del
solo criterio storico . - 16. Conclusione. CAP. XXX. Relazioni fra le Scienze e
la Religione ..... 1. L'argomento, che ora si tratta , è Glosofico di sua na
tura , – 2. Due significati della parola Religione. - 5. S'esclu de : che la
Filosofia debba ricevere l'autorità senz' uo motivo evidente di ragione; – 4.
che, per l'esame, debba sospendersi la Fede ; 5. che l'autorità del verbo
religioso sia un Crite rio diretto per ogni Scienza ; - 6. che la Filosofia
debba en trar pe' Misteri , o la Teologia nel ragionamento filosofico ; – 7 .
che sia lo stesso metodo e lo stesso fioe a’ Filosofi e a' Teologi . - 8. Nel
fatto , l'efficacia delle Religioni è universale sopra i sistemi filosofici ;
9. e sempre la Religione s’ è reputata upa Fede ; 10. Criterio è poi , se
corrisponde alla coscienza ; 11. talchè sia un'evidenza e una credenza , cioè
una credenza evidente. · 12. Fa quasi specchio all' uomo interiore , - 15 . che
riconosce l'integrità dell'essere suo io quella. 14. Gra vissimo errore del
negare validità razionale lenza non filosofica . 15. Il Criterio religioso
sublima l'animo e lo ràs. serena, porgendo così le due condizioni necessarie
d'ogni me . ditazione più alta . 16. Sunto. 84 INDICE DEL VOLUME SECONDO. 501
LIBRO QUARTO. Leggi speciali della Dialettica . oi . - - 6. e Cap. XXXI.
Dell'Ordine , come suprema Legge razionale . Pag. 107 1. Legge suprema
razionale . 2. Leggi concrete o datu rali , 5. Legge soprema è l'ordine . 4.
Unione de' termi 5. Cercare questa unione, rispetto agli oggetti , pelle
operazioni , cosi dell'Arte bella e dell' Arte buona , 7 . come dell'Arte
dialettica . 8. Cercare la somiglianza de' ter mioi, – 9. le loro differenze ,
- 10. e le loro contrarietà , 11. escludendo i contradittorj. 12. Ksempio tolto
dalla teo rica de' Criterj . – 15. Errore, deformità , male , sono disor dini .
Ogni errore non altro è , che da una parte soltanto risguar dare la verità ,
segregandola dal resto che le appartiene , e senza cui non è più verità. - 14.
Gli errori e il male cadono d'ec cesso jo eccesso . 15. Meraviglie della
ragione umana, che imita l'ordine della natura interiore ed esteriore . 16. Coo
clusione. Cap . XXXII. Ordine dell'idee 127 1. Ripensamento dell'idee. - 2.
L'idea , del suo valore intimo , è sempre vera ; - 5. quantuoque altresi per
idea s’in . tenda lutto ciò che con la riflessione s'afferma e nega ; e allora
l'idea può essere falsa . — 4. Bisogna esaminare il positivo del l'idee ; - 5.
nè può darsi un'idea negativa per sè medesima. 6. Poi bisogna esaminare
l'ordine dell'idee con gli oggetti, e come non possiamo pegar l'idea d’un
oggetto , se igooriamo la sua intima essenza , nè possiamo negare l'idea d'un
fatto , se ignoriamo il comeavviene il fatto , ec .; -7. e bisogoa esa minare
qual sia la natura dell'oggetto , coocepita per mezzo dell' idee . - 8. Idee a
priori e a posteriori ? 9. L'idee hanno fra loro uo ordine cbe va riconosciuto
; 10. talcbè , riflettendo a quello , si formano idee distinle , adequale ,
chia -A1 . e ci leviamo all'idea perfetta . 12. Bisogna , in line, ch'
esaminiamo la forma concettuale dell'idee , 13. la loro estensione e
comprensione , 14. onde riconosciamo l'unità 15. per la quale l'idea è un
esemplare unico di 16. Chi poo badi alla oatura dell' idee non può intendere
alcuni fatti maravigliosi della patura umana . Cap. XXXIII. Ordine della Memoria
.. 1. Argomento .– 2. La legge della Memoria è l'ordine stesso che regge l'idee
. 3. Associazione dell'idee . 4 . Come possono in unità raccogliersi le varie
associazioni , notate da' Filosofi. 5. Quella medesima legge si distende al
richiamo de' fantasmi e de'segoi . - 6. E anzi , abbraccia tutte le facoltà ,
concorrenti nella Memoria , 7. e unità naturale del . 8. e l'unità morale del
genere umano. — 9. Que st' ordine , ch'è legge della Memoria , diviene regola .
È neces saria l'attenzivce sull’idee e il raccoglimento. 10. Bisogoa 32 * re ,
dell' idee , molte cose . ſaomo , 502 INDICE DEL VOLUME SECONDO, - considerare
la coonessione dell'idee e i segni seosibili per facil . mente richiamarle. -
11. Inoltre , acquistar l'abito della ri flessione sull'ordine de' giudizj e
de' raciocinj, per il pronto discorso scientifico . 12. Singolarmente
quell'abito è neces sario per la Memoria delle parole. 15. Tadi procede la pa
dronanza dell'esporre. 14. Per l'uoità coosapevole interna , occorre
rammemorare il nostro passato . 15. Per unità morale del genere umano poi ,
occorre la Tradizione , ch'è me moria. – 16. Conclusione . Cap. XXXIV. Ordine
de' giudizj.. Pag. 166 4. Argomento . 2. Co.ne dall'idee si svolgono i giudizj
; - 3. onde i giudizj possibili sono distinti da’ formati o reali. - 4.
Categorie , 5. oggettive e soggettive. 6. Perfezio oamento di questa dottrina .
- 7. Categorie oggettive , o se condo gli Universali ; 8. Categorie soggettive
: 9. I. quanto alla forma concettuale dell'idee , giudizj universali , ge
nerali , particolari , singolari ; - 10. II . quanto alle relazioni fra l'idee
, categorici , ipotetici, disgiuntivi, 11. problema tici , assertori ,
apodittici, - 12. diretti e comparativi, astratti e concreti, a priori e a
posteriori , - 13. analitici e sintetici ; - 44.III . quanto alla forma
de'giudizj , affermativi , negativi , limitativi ; 15. IV . quanto alla
relazione di più giudizj, equipollenti , convertibili , contradittorj ,
contrarj e subcontrarj. 16. Conclusione; e come sia necessario , giudicando ,
solle varsi all'idea distinta , chiara , adequata , e quindi perfetta , di ciò
che meditiamo. Cap. XXXV . Ordine del ragionamento .. 186 1. Argomento. Regole.
• 2. Legge dialettica . – 5. Idea media ; e come il raziocinio sia un giudizio
complesso che si scioglie in tre giudizj. – 4. Priocipio formale del raziocinio
. - 5. Deduzione e induzione. - 6. Deduzione dal simile al diverso . – 7.
Induzione dal diverso al simile . - 8. La diffe reoza tra il ragionamento
deduttivo e l'induttivo, in che non può consistere ? — 9. Qual'è duoque la
differenza del ragiona mento deduttivo , 10. e dell'induttivo ? - 11. Da essa
viene la regola . 12. E , per opposto , dal violarla vengono i sofi - 13. e si
vedenel dedurre, - 14. e nell'indurre.: 15. Non deve mai separarsi la 'regala
formale dalla materia del ragionamento ; - 16. oè la materia di questo
dall'ordine suo . C .: P. XXXVI. Utilità del ragionamento . 206 1. Argomento.
2. Come deve intendersi che si procede dal noto all'ignoto ? 5. Che cosa
troviamo di nuovo per via del ragionamento ? 4. Deduzione; 5. in Fisica , in
Ma. tematica applicata ; – 6. altre scoperte , – 7. per equipollen za ,
conversione, opposizione, esclusione'; 8. deduzione per via di regole applicate
. – 9. Induzione , é sua certezza . --40 . Induzioni fisiche. 11. Analogia .
12. Ipotesi. – 13. In duzione metafisica . – 14. Due erroriopposti : l'uso di
coloro che immaginano la deduzione quasi generazione ; 15. l'al tro di coloro
che negano il dedurre. 16. Conclusione . smi ; ISDICE DEL VOLUME SECONDO. 503
216 Car. XXXVII. Unione e varietà de'Metodi.......... Pag. 227 1. Argomento .
2. La verità , com ' ordine conosciuto , si trasforma in Metodo : può vedersi
dalla Storia della filosolia , 3. e delle Scienze fisiche ; 4. talchè vana è la
disputa se preceda l'importanza de'Metodi o de principj; - 5. e quindi ancora
si vede che il Metodo risguarda il soggello e l'oggello , e ch'è psicologico ed
ontologico insieme , 6. cioè critico . - 7. Faria il Metodo ; ma neile varietà
c'è leggi comuoi . 8. Le varietà poi derivano dalla natura dell'argomento , 9 .
taotoché riesce assurdo il coofondere tra loro i Metodi; 10 . e vba Scienze
deduttive , 11. induttive , . 12 , miste ; 13. più sintetiche , o più
analitiche . 14. I Metodi , variando secondo la varietà delle cose ,
diversificano pure secondo la mente di chi pensa la verità , 15. e secondo la
mente di co loro , a cui la verità s ' espone. 16. Sunto. CAP. XXXVIII. Abiti
necessarj al ragionamento 1. 11 Metodo è abito , e richiede: abito di virtù ,
abito in tellettuale che disponga l'intelletto all'Arte ragionativa, e abito
dell'Arte. – 2. Abito morale , cioè amore della Verità . 5 . Bisogna essere
preoccupati solo da questo amore ; 4. unito alle virtù morali , - 5. e come
dagli abiti viziosi opposti s' of feoda il ragionaiento buono. — 6. Abito
intellettuale del rac coglimento, – 7. donde nasce il diletto della meditazione
, 8. e che porta con sè l'abito di badare all'armonia delle facoltà e delle
dottrine , 9. e di ordinare i proprj studj . 10 . Abito intellettuale dell'Arte
, cioè il possesso delle regole . 41. e dell'ordine loro ; 12 donde procede la
necessità di tre atti razionali abitualmente, cioè l'esame del pensiero del
principio de' ragionamenti, a mezzo e io fine ; 13. il quale ultimo è
importantissimo ; 14. e indi viene il possesso della ragione ; 15. acquistato
piucchè mai dall'esercizio della pewna e della disputa ; 16. purchè questa sia
conveniente. Cap . XXXIX. L'Esposizione .... 264 1. Iinportanza dell'argomento
, 2. Ufbej della parola : interpo e sociale . 5. La parola s’unisce
strettamente al pen siero , ma non lo costituisce ; 4. bensi lo determina . 5 .
Non bastano i fantasmi, ma ci vuole il segno dell'idea 6 . tanto più che il
discorso esterno aiuta con la successione sua la riflessione discorsiva . – 7.
Legge dell'Esposizione si è la legge dialettica ; 8. ossia determinare con la
lingua l'ordine del pensiero ; il che apparisce anche da' nomi che si dànoo
a'ter mioi della proposizione e del raziocinio , e al congiungimento de'
termini ; - 9. e poi , la bellezza dello stile dottrinale ac corda il Vero col
Buono . 10. Regola perciò è : determinare cop l'ordioe della parola l'ordine
del pensiero ; -11 . in con formità dell'idee e dell'idioma , 12. donde si
traggono le regole tutte grammaticali , 13. e dello stile . 14. Quindi è
impossibile separare la bellezza dell ' Esposizione dalla pro fondità e
dall'ordine del pensiero . – 15. Se non determiniamo con le parole il proprio
concetto , - 16. in conformità dell'ig 2 504 INDICE DEL VOLUME SECONDO. 4. ma
timo legame fra i concetti , e in couformità del linguaggic , ven gono gravi
errori . Cap. XL. L'Interpretazione .. Pag . 283 1. Argomento. — 2. In quante
maniere debba determinarsi l'ordine del pensiero altrui . 5. Relazioni del
discorso con la Jingua ; e perciò la sappia , chi vuolesser critico ; tutti
sapere ogni liogua , non si può pè giova ; 5. e allora valersi degl'interpreti
migliori. – 6. Relazioni del discorso con la mente altrui; e perciò stare al
senso letterale , quanto si puo ; – 7. oon interpretare alla leggiera né cop
troppo di sot tigliezza : 8. non alterare né i difetti né i prenj ; – 9. ba
dare ai fini che il testimone o lo scrittore si proponeva. 10 . Relazioni del
discorso con l' animo altrui; e pero guardare alla capacità e alla veracità con
argomenti intrinseci ed estrioseci ; : 11 . nè la capacità negare, preoccupati
da un'idea ; 12 . nè , per la veracità , eccedere ne' due vizj opposti d'una
Critica adulatrice o caluoniatrice. - 15. Relazioni con la Società uma na ; e
però con l'incivilimento , 14. con la Religione , 15, con l ' uniune delle
prove . 16. Sunto, LIBRO QUINTO . Metodi secondo le varie Discipline. 305 0 Cap
. XLI. Metodi speciali ..... 1. Perchè i Metodi si distinguono secoudo le
Discipline va rie ? - 2. Quanti sono i Metodi speciali , - 3. che procedono
dalla relazione varia degli oggetti con la mente ? 4. Ogni errore sostanziale
di Metodo procede da un errore su detta rela zione. - 5. Gli errori de' sistemi
sul Metodo , esaminati , ren dono testimonianza tutti insieme alla vera
dottrina. 6. La distinzione de' Metodi è necessaria pell'Arte del Vero , come
si distinguono l'Aiti speciali nell'Arte del Bello ; – 7. e chi oega la
differenza de' Metodi, pega implicitamente esplicitamente una qualche verità ;
come nell'Arti Belle , 8. cosi nell'Arte dialettica . 9. Connessione de' Metodi
; . 10. e ciò si vede anco nell' Arti del Bello . Hl . Ma la connessione non
toglie poi la distinzione , 12. secoudocbė il rispetto delle verità mediane o
collegatrici diversifica ; 13. onde bisogna rispet tare la varia competenza
nelle Scienze diverse ; 14. beocbe uno Scienziato possa partecipare di più
Scieoze. 15. Sunto . - 16. La confusione de' Metodi è coutro il progresso della
civiltà . Cap . XLII . Metodo degli Studj religiosi. 1. Argomento. 2. Proprietà
del Metodo negli Studj re ligiosi . – 3. Metodo storico circa i fatti ; – 4. e
guardare do v apparisca propriamente la loro Storia . 5 Metodo joterpre tativo
circa i fatti , -6, e le dottrine, 7. Metodo filosolico circa la possibilità razionale
de' fatti dividi , 8 , e come gli 324 INDICE DEL VOLUME SECONDO. 505 -
Avversarj neghino irragionevolmente questa possibilità ; 9 . poi , circa la
razionale convenienza in genere de ' fatti divini , ma esclusa sempre la
necessità ; - 10. poi ancora , circa la ra zionale convenienza in ispecie, cosi
de preliminari della Fe de , 11. come nelle Verità misteriose . 12. Unione del
Metodo filosofico , dell'interpretativo e dello storico , per le origini del
Culto e per la sua universalità nel tempo, 13 . per le sue relazioni universali
con le Scienze e con l'Arti , 14. con la Civiltà intera , - 15. e con tutti gli
altri Culti . 16. Cooclusione . Cap. XLIII . 11 Metodo teologico si distingue
dagli altri Me . todi e vi s'accorda .. Pag . 342 1. Argomento. 2. Il Metodo
teologico si distingue dal filosofico , perchè muove dall'autorità , – 3.
perchè risguarda il soggetto medesimo in un rispetto differente , 4. perchè ,
quantunque abbia io sè una parte filosofica , non è meramente filosofico. 5. Si
distingue dal Metodo critico e filologico , percbė storicameote e
ioterpretativamente riconosciamo cause sovrunane, l' Intelletto sovrumano, tini
soprannaturali. 6 . Si distingue dal Metodo matematico , perchè risguarda la
libertà divina e l'umana ne' fatti religiosi. – 7. Si distingue dal Mo todo
fisico ; e tal distinzione ha importanza eguale pe' Teologi , che non debbono
considerare come il mondo è fatio , - 8.6 pe ' Fisici , che non debbono
considerare come il moodó fu fatto . 9. Il Metodo teologico s'accorda poi col
filosofico ; perchè il Teologo non deve separare mai l'attinenza fra Teologia e
Filo sofia che porge a quella le verità prelimioari, l'analogie razio nali e
l'ordinamento ; - 10. pè il Filosofo deve mai separare l'attinenza tra
Filosofia e Teologia , che rende più autorevoli o efficaci le verità razionali
. – 11. II Metodo teologico s'ac corda col critico, perchè il Teologo ha
bisogno di guardare alla Storia universale e alla Linguistica ; — 12. il
Filologo ba bi sogno diguardare alla Storia religiosa e ai monumenti sacri .
13. S'accorda col matematico , per la severità del ragiona mento , per molti
esempj , per molte dottrine fisicomatematiche, per l'evidenza del concetto
d'infinità . – 14. S'accorda col fisi co , perchè il Teologo non deve mai
tenere la scoperta di cose na - 15. pė il fisico deve spregiare la
verificazione delle ipotesi , secondo le narrazioni sacre . 16. Sunto . Cap.
XLIV. Metodo della Filosofia.... 361 1. Argomento . — 2. Proprietà del Metodo
filosofico. – 3 . Raccoglimento nella coscienza . 4. Esame de' fatti interni ,
delle loro leggi e cause . turali ; - - 5. Delle relazioni con gli oggetti ; 6.
e però avvi una parte del Metodo , asceosiva da'fatti agli oggetti stessi , e
una parte discensiya dagli oggetti a ' fatti. -7 . Si distingue dal Metodo
teologico , e dal critico o filologico : 8. dal matematico , per la natura de'
concetti , la natura degli oggetti ; – 10. dal fisico , per la natura de' fat
ti , e per le relazioni loro con gli oggetti, 11. e quindi per la ricerca delle
classi loro , e leggi e cause , e per i priocipi della ragione. - 12. Si
accorda col Metodo teologico per l'esa 9. e per 506 INDICE DEL VOLUME SECONDO .
- me della coscienza; 13. col critico o filologico , per lo stu . dio
dell'umana natura pe' fatti umani esteriori e nelle lingue ; 14. col malematico
, per la speculazione di verità con ma teriali ; – 15. col fisico , per
l'altigenze fra le cose intellettuali e le corporee. 16, Sunto . CAP. XLV.
Metodo della Filosofia Civile .... Pag. 381 1. Argomento . — 2. Proprietà del
Metodo nella Filosofia Civile . Questa si fondi sopr'i fatti , – 3. badando
alla notizia loro precisa e al collegamento loro . 4. Studio delle cagioni ; ma
fuggendo di prendere l'analogie per identità . - 5. Esame delle cagioni
esteriori ed interiori, non separabili , ma distinte . - 6. Le cagioni
interiori hanno più importanza : 7. ma senza trascurare l' esteriori . - 8. Si
ascende alle leggi o ragio ni . Leggi supreme della Scienza storica , della
Politica , della Giurisprudenza , dell'Economia. - 9. Le dette leggi non tol
gono la libertà , - 10. come la libertà non toglie alle conse guenze proprie la
necessità ; 11. tantochè in ciò risplende l'ordine della Provvidenza . – 12.
Dopo l'esame induttivo delle cagioni e leggi può farsi la deduzione, o probabile
o necessa ria , di ciò ch' è avvenuto e che può avvenire. 13. Questa Filosofia
delle ragioni o leggi , che governano le nazioni , non può trascurare il
procedimento storico ; ma neppure si può, per questo , trascurare la teorica di
quelle . - 14. Talchè la Scienza civile ha due presupposti , la Storia e la
batura . –15. Però il Metodo suo si distingue da ogni altro , 16. e a tutti si
upisce . Cap . XLVI . Metodo critico nella Storia . 401 t . Argomento. – 2.
Esame de' fatti , — 5. Discipline che aiutano in ciò la Storia : Cronologia e
Geografia , – 4. Archeo logia , Diplomatica , Statistica , Archeologia
preistorica , Etno grafia. 5. Come si può andare in eccessi con queste disci
pline . - 6. Ipercritica . – 7. Esame delle cagioni ; e iodi lo Storico rifà la
Storia entro di sè . 8. Cause finali, 9. particolari, generali , 10.
psicologiche , A1 . divine . 12. Oggettività della Storia ; 15. e come ciò la
renda bel lissima e ammaestrativa . – 14. Come lo storico si distingua da ogoi
altro Metodo ; 15, e vi si accordi . 16 Sunto, CAP. XLVII . Metodo critico
nella Linguistica . 420 1. Proprietà del Metodo interpretativo delle Lingue. 2.
Raccolta ed esame de' vocaboli . – 5. Come bisogna valersi dell ' uso proprio
nelle Lingue parlate , e come giovino i testi moni dell'uso . A chi ricorrere
per lo Lingue morte. Grammatica poi determina le classi e le leggi de' vocaboli
, 5. Avvisi necessarj a far bene la Grammatica . – 6. Io che con siste la
Filologia comparata. – 7. Utilità di essa , e da quali estremi bisogna fuggire.
8. Il fine dell'esame filologico è interpretativo principalmente ; – 9. e ciò
ne determina i con fini , i modi , 10. e le relazioni ; che sono massimamente
due : con la Letteratura , 11. e con la Storia , - 42. E iodi anche vediamo le
indirelle relazioni della Linguistica ; cioè con 4. La INDICE DEL VOLUME
SECONDO . 507 ca , la Teologia . 13. con la Filosofia , 14. cop la Matemati 15.
e altresi con la Fisica , sempre distinguendosi da tutto ciò . 16. Sunto. CAP.
XLVIII. Metodo matematico ... Pag. 440 1. Proprietà del Metodo matematico. – 2.
Quantità pore, cioè astratte da ogni altra idea . – 5. Nel che , poi , bisogna
di stinguere fra l'insegnamento elementare ed il superiore. 4 . Si cerchino le
ragioni , sgombre da ogo' idea straniera . 5 . Idea dell'Infinito , distinto
dall'indefinito matematico . - 6. Il Cavalieri . – 7. Distiozione dal Metodo
teologico , - 8. e rela zioni con esso ; 9. dal Metodo filosofico : 10. e
accordo con la Logica , 11. onde l'insegnamento della Matematica è razionale ,
12. Distinzione dal Metodo critico , segnatamente dal letterario , 13. e
accordo . - 14. Relazione col Metodo fisico . 15. Come le dimostrazioni
matematiche abbian virtù di assestare gl'intelletti , e anche possano
dissestarli . . 16 . Sunto. Car. XLIX . Metodo nelle Scienze fisiche..... 459
1. Argomento . Proprietà del Metodo nelle Scienze fisiche , - 2. Prinia
d'indurre si comincia dall'Analogia ; 3. cbe talora non può giungere all'
Induzione, 4. Può essere fonte di errori ; o del troppo generaleggiare , 5. o
del poco. – 6 . Essa è di molta difficoltà . 7. Regola da tenersi. – 8. Indu
zione. Uffioj del senso e dell'iotelletto . 9. Ci solleviamo alle 10. alle
cause , - 11. alle leggi , 12. e però al . l'ordine . 13. Doppio errore de'
Sensisti e degl ' Idealisti . 14. Frantendono allri la luduzione , ch'è
legittima e necessa ria , 15. e da cui siamo condotti alla Deduziune . Suato .
Cap. L. Segue del Metodo fisico ; e Ordine fra le Scienze .. 479 classi , 16.
1. Argomento. – 2. Abiti che prende la meote per gli Studi fisici. – 5. Idem .
4. Necessità di mantenere l'ordine fra le Scienze . - 5. Guai , se la Fisica è
usurpativa. Confusione della Fisiologia con la Psicologia : – 6. de' fatti
esteriori con fl'interiori. – 7. Confusione di linguaggio , e dogmatismo. 8. Si
confondono i bruti con l'uomo ; – 9. la volontà con gli atti meccanicamente
determinati. – 10. Si distingue il genere umano in più specie , poi si pongono
le trasformazioni di tutte le specie ; -- 11. si confonde l'ordine de' fini col
piacere • con la materiale utilità . - 12. Abiti cbe prende l'intelletto per
gli Studj religiosi; Filosofia ; - 14. per le Matema. tiche ; - 15.per la
Gritica . 16. Conclusione generale. STORIA DELLA FILOSOFIA ROMANA. - Epoca
seconda dell' èra pagana. Ci. viltà degl' Italogreci ; successione dei loro
sistemi . . 245 XIV. Scuole italogreche . Epoca quarta dell ' èra pagana. Si
stemi grecolatini . - Cicerone . 366 XIX Giureconsulti romani. EPOCA
SECONDA DELL'ÈRA PAGANA. CIVILTÀ DEGL'ITALOGRECI; SUCCESSIONE DE'LORO SISTEMI.
SOMMARIO . Tre tempi dell'incivilimento ilalogreco ; i l'elasghi, la trasfor
mazione loro negli Elleni , le colonie . - Il terzo è più nolo ; quali sono i
suoi termini . – Cinque cagioni più principali dell'unione fra la civiltà
orientale e l'italogreca : colonie , commerci, viaggi , lingue , tradizioni.
Tre opinioni sopr ' esse; tutto dall'oriente, nulla e opinione media . – Dj
pendenza non generica nė volgare della filosofia italogreca daʼsistemi orien
tali . – La civiltà jtalogreca fiori primamente dove più vive le comunica zioni
con l’Asia e dove più ricco un anteriore incivilimento . l'ero quest'epoca si
chiama orientalitalogreca , o più breve , italogreca . Questa è un'età di
passaggio , fra le qualità orientali e il tempo socratico. Si veda le attinenze
lia filosofia italogreca , religione e civiltà. Quanto alla religione
sacerdotale, se n'ha indizi per le memorie de ' Pelasghi, de ' Mi steri e degli
Orfici. Celebre passo di Erodoto sulla religione de ' Pelas ghi, e sul nome
degli dèi posteriori ec ., e conseguenze di ciò . Somi ilianze tra la religione
pelasgica e quella de' Bragmani. - Misteri : quelli di Samotracia istituiti da
'Pelasghi ; domma che s'insegnava segretamente e molto simile al panteismo
dell'India. – Ciò pur anche ne ' Misteri eleu sini ; panteismo naturale,
metempsicosi, immortalità, purificazione. - La teologia d’Eleusi non può
interpretarsi solamente in senso fisico. Testi monianze di lode que' Misteri
pel domma sull'immortalità . Le due anime; anch'in Omero ec . – Gli Orfici: qualcosa
di storico v'è circa Orfeo , benché con mistura di simbolo.-- La dottrina che
va sotto il nome d'Orfeo si raccoglie da tradizioni antiche e da'versi orlici.
Le tradi zioni attribuiscono a Orfeo una religione collegata poi a'Misteri
eleusini : cosmogonie orliche, somiglianti all'indiane . Quanto a'versi orlici
, que sli non appartengono a Orfeo ; ma parecchi son certamente molto antichi.
Da varj ioni (che si riferiscono qui, apparisce il panteismo naturale come ne '
Vedi. Passi che fece la religione tra l'Italogreci: panteismo natu rale con
molte tracce del Dio unico ; adorazione degli astri , massime nel volgo ;
teogonie , o emanazioni sempre più specificate e che prendono attri boti e nomi
distinti ; individuazione ultima e volgare del politeismo, specie per opere
degli artisti e de' poeti, abbandonando quasi ogni simbolo. Memorie sul
combattimento fra le religiose tradizioni e il politeismo cre scente. - La
filosofia , dunque, prima sacerdotale ; poi sacerdotale e laicale ad un tempo ;
cedè inline al politeismo, rispettandolo, se non altro , come apparenza o
credulità popolare. — Questo resistere al male, e poi cedergli, si vede ancora
per l'altre parti della civiltà italogreca. La filosofia venne preparata da
molte cagioni, e però dovè fiorirvi assai presto , anzi chè cominciare a' tempi
di Talete molto dubbiosi. - La filosolia mosse da un ritorno sulla coscienza
morale Questa filosofia morale e religiosa fiori, prima di Taleto, non solo in
Italia ma tra gli Ionj pur anco ; e se n'ha prove non dubbie. La cuola
pitagorica precedeva Talute ; ma va di . slinto Pitagora dal Pitagoresimo. -
Molti argomenti di fatto e molte auto rità per mettere in saldo le antiche
origini di tal filosofia . Anche la scuola di Xenofane antecedė Xenofane stesso
; e quindi abbiamo, prima il Pitagoresimo, poi la scuola cleatica e l'ionica ,
infine i sistemi negativi . L'epoca dell'incivilimento italogreco si può distin
guere in tre tempi; de Pelasghi ( o con qual altro nome 246 PARTE PRIMA. si
voglia chiamare que' popoli primitivi) ; della trasforma zione di essi negli
Elleni ; delle colonie. L'età de' Pelasghi o degli antichi abitatori di Grecia
e d'Italia si perde nella notte de' secoli , ignoto il principio e la durata .
È certo bensì, che quegli abitatori vennero d'Oriente, come se n'ha prova in
tutte le memorie e ne’linguaggi e nelle reliquie dell'arti ; e che i Pelasghi,
quantunque paruti barbari a Ecateo e ad Erodoto e di barbaro dialetto, furono
la più antica sorgente e più copiosa delle genti e lingue e religio ni elleniche.
(Balbo, St. d'It.; Cantù, St. univ .; Guignaut, note al Lib. IV del Creuzer,
Rel. de l'antiquité.) Sem braron barbari, perchè reliquie di popoli più
segregati allora da'popoli nuovi, già molti passati avanti. Fatto è che di là,
ove i Pelasghi abitarono, fan derivare i Greci la civiltà loro , dall' Elicona,
dall'Olimpo e dal Pindo. Accadde poi e in Grecia e in Italia un cozzo di popoli
: qual cozzo, e di che popoli, è molto incerto agli eruditi ; ma questo si sa,
ed Erodoto l'afferma più volte, che al lora con trasformazione lunga e
tempestosa i Pelasghi si convertirono in Elleni. Viene poi l'età delle colonie
; un rovesciarsi di genti greche le une sull'altre, un in vadere, un esulare, e
indi un propagarsi di colonie, prima nell'Asia minore e nell'Isole, poi nella
Calcide, nell'Eu bea , in Sicilia e sulle coste d'Italia, e infine (propag gini
di colonie da colonie) in Asia , in Tracia, sul Da nubio e nel Mar Nero. Questa
terza età è propriamente storica ; dell'altre due il più va ingombro di favole
; e la terza cominciò, secondo l'Hofler assai temperato nelle · cronologie, sul
secolo undecimo avanti l'èra nostra. ( St. Univ .) In un'età così lunga e
operosa, e ch’ebbe così lun ghe e ricche preparazioni, si formò la civiltà e
filosofia degl'Italogreci; la quale, svolgendosi nelle colonie d’Ita lia e
dell'Asia minore, cedè poi nel secolo quarto avanti Cristo al primato d' Atene;
onde cominciò un'altra età di filosofia . Nell'epoca di che si parla ora, in
ogni tempo del l'epoca stessa, cinque cagioni principalmente mantene LEZIONE
DECIMATERZA . 247 vano unite la civiltà orientale e l'italogreca ; colonie ,
commerci, viaggi, lingue, tradizioni : Le colonie, nè dico solo l'egiziane di
Lelege, Danao, Cecrope ed altri, ma le prime venute dalla terra degli Arii e de'
Persiani, e l'ultime ellene che si spargevano per l'Asia minore ; i commerci,
che com’appare in Omero, non cessarono mai tra Grecia e Italia e le coste
dell'Asia ; i viaggi per l'Oriente, non possibili a negare in tutto, de
filosofi d'allo ra, come il Ritter non nega quelli di Pitagora, il Ritter ne
gatore sì voglioso ; le lingue, che certo prendevano gl'inizj degli Orientali,
e con le lingue le tradizioni d'ogni maniera. Tra queste, principali le
religiose, in torno a cui son tre le opinioni: da Erodoto fino al Creu zer le
mitologie italogreche, la greca segnatamente, si reputarono di provenienza
orientale e il più egiziana ; ma poi Ottofredo Müller, il Voss e altri
riferirono tutto ad ori gine greca ; il Guignaut ( Note al Crcuzer) ed altri
con lui tennero finalmente l'opinione media . E questa si è che i germi delle
credenze religiose si trapiantassero d' Asia com'anco radici e forme generali
delle lingue ; ne può pensarsi altrimenti, dacchè ivi coabitarono un tempo le
genti ellene : ciò non impedì, nè mai l'im pedisce uno svolgimento di proprie
fattezze così nelle lingue come nelle religioni: all'età poi delle colonie,
quand' elle si sparsero sull' Asia minore, per l'Egeo e nel Ponto Eusino, dalle
comunicazioni fra loro e i vi cini orientali scaturi la fonte più copiosa
d'idee e di simboli asiani, manifesta già in Esiodo ed in Omero . ( N. 1 al
Lib. V , Sez. 1. ) Talchè (ponete mente, o si gnori), se lo spargersi di
colonie nell'Asia minore av venne dall’undecimo all'ottavo secolo incirca, e
nel con tinente poi d'Italia e di Sicilia dall'ottavo al sesto , que st'ultimo
fatto s'incontra per appunto col ritornare delle tradizioni orientali fra gli
Elleni, e ne sorge in mezzo la filosofia nuova degl'Italogreci. Non istarò
dunque a disputare com’essa derivi più o meno da’sistemi orien tali, bastandomi
ch'ella dipenda per fermo da molte tradizioni d'Oriente o per le origini delle
schiatte o pel 248 PARTE PRIMA. riaccostarsi loro all'Asia. Che tal dipendenza
poi de' po poli d'Italia e di Grecia, nazioni antichissimamente ci vili e nella
civiltà loro pertinaci, possa credersi affatto generica e volgare, cioè
senz'efficacia sull'educazione spe culativa, giudicatene voi , o signori, che
pur vedete gli effetti odierni del comunicare le nazioni fra loro. Dove fu egli
il primo fiorire della civiltà italogreca ? nelle colonie d'Asia e di Magna
Grecia ; non già in Gre cia propriamente detta. Perchè mai, o signori ? La ri
sposta non par malagevole ; prima che in Grecia, fiori la civiltà negl'Ionj
dell'Asia minore, appunto perchè più vicini all'Asia media, sorgente de' popoli
e della civil . tà ; e prima pure che in Grecia fiorì nella Magna Gre cia ,
cioè in Italia, perchè ivi più forse ch ' altrove ra dicò la civiltà pelasga, e
perchè le tradizioni che fanno ionio Pitagora e ionio Xenofane, venuti tra noi,
dan se gno come frequenti e vive fossero le comunicazioni tra le coste italiane
e l ' Asia minore. Dico poi, ad ogni modo, che le colonie greche trovarono in
Italia grandi semenze di civiltà, nè però ebbero impedimento, anzi ebbero aiuto
a presto incivilirsi e prosperare. Di fatto recatevi a mente, o signori, due
cose molto importanti: prima, che le ta vole d'Eraclea , lette dal Mazzocchi,
fan prova come i coloni greci prendessero dagl'Italioti misure e confina zioni
agrarie : seconda, che i Lucani, i Bruzj, i Sanni ti , dopo essersi ritirati
davanti alle colonie greche, e riparatisi a' monti, ne discesero poi , e le
ributtarono ( Hofler ), talchè più non restò in Italia dialetti greci (in
Puglia ve n'ha, ma di colonie recenti e fuggite dai Turchi); la qual cosa non
poteva accadere, se que'popoli montanari non serbavano istituti civili . Ecco
il perchè ho chiamato quest'epoca orientalita logreca (italogreca per più
brevità) ; greca, perchè filo sofia di colonie greche; italiana, perchè sorse
più splen dida in Italia e con tradizioni italiane ( italica chia marono pure i
Greci, come Platone ed Aristotile, la scuola pitagorica e d'Elea) ; orientale,
perchè con ori gini e comunicazioni asiatiche. Non si toglie a' Greci LEZIONE DECIMATERZA.
249 la loro eccellenza ' se notiamo quel ch ' essi appresero ; offenderebbe la
verità e loro chi loro negasse la mira bile potenza di far proprio l'imparato e
di dargli bel lezza e compimento ; essi il ricevuto per dieci lo ridus sero a
mille e quel mille lo insegnarono al mondo; ecco la lor gloria vera e non
superata. Quant' all'Ita lia nostra, o signori, principalmente sul terreno di
lei sorse co' Pitagorici questa filosofia nuova che tanto potè su Platone e
sopr’ Aristotile ; l'Italia ricevè dal 1 ° Oriente e da’Greci, l ' Italia poi
restituì alla Grecia e alla civiltà de' secoli avvenire ; e potè dirsi allora
quel che poi disse Plinio : Omnium terrarum alumna et parens, omnium terrarum
electa, una cunctarum gentium in toto orbe patria. Ma le lodi antiche suonano
vituperio a’tra lignati: avvaloriamoci , o signori, d'emulazione e di virtù, e
non di lode . E quest'epoca, di fatto (come dissi altrove), è un'età di
passaggio ; ritiene ancora le qualità orientali, ma che mostrano già di
convertirsi nell'altre dell'età socratica . Così tra gl' Italogreci, come tra
gli Asiatici, abbiamo un sistema religioso sacerdotale ; ma ora si nasconde ne'
Mi steri , e si separa perciò interamente dalle credenze po polari che
prevalgono. Tra gli uni e tra gli altri la filo sofia dipende dal sistema
religioso ; ma ora si svolge in un modo più laicale e più da sè stesso, perchè
così ri chiede la mobilità di quelle repubbliche, e perchè il sistema religioso
si rimpiatta, e nè ha sull'invecchiare il vigore speculativo degl'inni e
commentarj vedici ; par come un'eco de' tempi passati, più che voce vivente . E
siccome la filosofia di quest'epoca pigliò i germi da'Mi steri ( Ritter ), che
aveano del panteismo orientale, così ell'ebbe del panteistico a mo'
degl'Indiani, ma con ten denze più manifeste alla dialettica che va per
distinzioni anzichè per confusioni . Poi , qui come là s' unì la poe sia con la
speculazione, ma più altresi se ne distinse ; perchè i poemi omerici non furon
mai ravviluppati con una enciclopedia d'episodj; ed i poemi scientifici d'Elea
e d'Agrigento s'accostano alla prosa. E qui come là v'è 250 PARTE PRIMA.
incertezze storiche, meno per altro ; giacchè il più delle incertezze cadono
su' Misteri e sulle origini pitagoriche, non già sulle scuole posteriori .
Premesso ciò, si veda, o signori, qual fosse in atti nenza con la filosofia la
religione e la civiltà degl' Ita logreci . Della religione, come sistema
sacerdotale, me ne passerò più breve che non feci per l'India , giacchè (com '
ho detto) quel sistema era sul morire, e se n'ha meno ragguagli e meno
certezza. La religione sacerdotale italogreca si può ricercare in tre modi :
per le notizie assai oscure dei Pelasghi, i quali tennero idee religiose più
primitive e più vicine alle orientali ; per le notizie scarsissime de' Misteri;
per quelle degli Orfici. Essi e l'origine de' Misteri apparten gono, credo,
all'età di combattimento e di trasforma zione. Quanto a’ Pelasghi, Erodoto
scrive ( II, 51 , 52 , 53) che da loro non si metteva nome agli dèi ; aggiunge
che i nomi vennero d'Egitto e che i Pelasghi non li volevano accettare, sì ne
rimisero la decisione all'ora colo di Dodona, riuscito favorevole a que' nomi ;
e dice infine che le nascite e le forme e gli aspetti degli dèi vennero cantati
da Esiodo e da Omero ; tutte cose già ignote. Vuol notarsi com ' Erodoto
accenni pure che un simbolo osceno gli Ateniesi lo presero da’ Pelasghi, i
quali ne spiegavano il senso ne' Misteri ; e sappiamo di fatto che pure ne'
Misteri eleusini e bacchici si mostrava i simboli femminili e maschili secondo
i riti d'Oriente . Erodoto, uomo schietto, n'avvisa che il narrato da lui circ'
a ' Pelasghi glie l'avevano appreso le sacerdotesse di Dodona, ma che il resto,
circa le invenzioni d'Omero e d' Esiodo, lo diceva di suo. Che cosa si
raccoglie, o signori, da questo luogo così famoso ? Primo, che la religione de'
Pelasghi era più delle succedute lontana dal politeismo ; secondo, che quella
si rappresentava co'sim boli orientali della generazione divina e però ne
teneva i principali concetti; terzo , che il passaggio dalle divi nità
innominate alle nominate, cioè da un che meno LEZIONE DECIMATERZA. 251 pagano
ad un più, non accadde senza contrasto, e indi si ricorse agli oracoli ;
quarto, che tenuto il simbolo antico ed esteriore, la sua spiegazione si fece
nell'in terno de' Misteri ; quinto, che i nomi si suppongono venuti d'Egitto in
età più recente, perchè all' Asia media non s'imputavano queste tradizioni ;
infine che Erodoto reca l'antropomorfismo ad invenzione di poeti, non perchè
già tal errore non fosse cominciato popolar mente, ma perchè que' poeti
l'ordinarono ( più o men di proposito) in sistemi di mitologia, ed in modi
specificati. Che poi la religione pelasgica somigliasse quella de Brag mani lo
attestano Ferecide e Acusilao in Strabone ( Ed. Sturz ) ; dicendo che i Cabiri
, divinità pelasgiche, son generati da Efesto e Cabira, e che sono tre Cabiri
maschi e tre femmine. ( Creuzer, V , 2. ) Venendo a’ Misteri, abbiamo da
Erodoto, non solo che i Misteri di Samotracia venissero istituiti da' Pela sghi
( II, 5) , ma (com’abbiamo sentito ) che altresì nel l'interno di quelli si
spiegasse i simboli esterni . Come si spiegavano essi ? Apollonio di Rodi serbò
del vecchio storico Mnasea un luogo prezioso circa i dommi primi tivi di Samotracia
. ( Schol. Apoll. Rhod. ad 1, 917.) Che dommi, o signori ? Similissimi a quelli
dell'India . S'in segnava, di fatto, un principio onnipotente, Azieros ; la
materia fecondata , Aziokersa, o principio passivo ; e il principio attivo,
fecondatore, Asiokersos. Vuol egli dir ciò che il principio attivo ed il
passivo si distinguono dall'essenza universale, Azieros o Brahm ? 0 piuttosto (
giacchè l' interpretazione di que' nomi non è certa ), Aziokersa, Azieros,
Aziokersos e Casmilo o Cammillo che da taluno s'aggiungeva secondo Apollonio ,
rispon dono a Maya, a Brahma, Visnù e Siva, taciuta l'essenza universale, il
Dio neutro, come non si nomina il Dio supremo nel Rig Veda ? tanto più che
Casmilo rispon derebbe, l'afferma Dionosidoro, ad Ermete cioè al Dio delle
trasformazioni. Comunque, nell'incertezza de' docu menti tal cosa è certa, il
domma samotracio mostrare analogie non poche col panteismo vedico e con la Tri
252 PARTE PRIMA . murti. ( Saint Croix, sur le Mystères du Paganisme ; Creuzer,
V , 2. ) E risponde non meno a quel panteismo la dottrina samotracia dell'età
varie mondane, o che il mondo si distrugga e rinnovi per forza di fuoco. Anche
ne' Misteri eleusini s'esponeva la dottrina d’un principio passivo, d'uno
attivo, dell'armonia mon diale che ne nasce, e di ciò che distrugge le forme
senza intermissione. Bacco, Cerere, lacco e Mercurio, ossia grecamente
Dionisio, Demeter, Iacco ed Ermete, non ritraggono forse, o signori, i sistemi
dell'India, del l'Egitto e della Persia ? E forse su quelle divinità è ,
innominato, il Dio androgeno, o il Cronos e lo Zeus de' tempi remoti, divenuto
poi un principio maschile, contrapposto a Giunone principio femminile. Di que'
Mi steri non si sa i particolari, vietato rigorosamente il propalarli, come
dice Pausania ( art. Beozia) e Apollo doro (Argon. I) , e come dimostra il
Meursio ( De Festis Græcorum ). Pure, da'cenni dell'antichità si ritrae che
insegnavasi nell' orgie il panteismo naturale ( com’ho detto di sopra) , e la
metempsicosi, e l'immortalità del l'anima ( forse col ritorno all'essenza
divina) , e la puri ficazione per mezzo della virtù. Il panteismo naturale
viene indicato da Cicerone ( De Nat. Deor. I, 42), che diceva : come le
dottrine de'Misteri eleusini, ridotte a termini di ragione, si conosce meglio
per esse la natura delle cose che quella degli dèi . Che vuol egli dire ? Egli
accusa di dottrina neramente fisica gli Eleusini, che la teogonia confondevano,
in realtà con la cosmogonia, e ciò accade nel panteismo naturale. Prova,
dunque, tale ac cusa , e viene confermato da molt' indizj, che la religione d'
Eleusi somiglia il panteismo de' Vedi ; di fatto, che si trattasse d'una fisica
soltanto, o senza vedervi dentro la divinità o un che superiore alla natura
esterna ce lo vieta lo stesso Cicerone. Egli scrive nel II de Legibus, che i
Misteri eleusini s ' hanno da riguardare come il massimo beneficio d'Atene,
perch'insegnano a viver lieti e a morire tranquilli nella speranza di vita
migliore ; cosa ripetuta da lui nelle Verrine, V. Dice Platone ( Fedone)
LEZIONE DECIMATERZA. 253 che l'iniziarsi a' Misteri purifica i cattivi , e dà
a'buoni felicità eterna, cioè un'abitazione comune con gli dèi dopo la morte.
Isocrate afferma ( Panegirico) che i Mi steri mettono in cuore agl'iniziati le
più dolci speranze quant'alla fine di questa vita e quant'all'altra che non
finirà mai . Che poi gl'iniziati s'ammaestrassero alla virtù si ha da molti
argomenti; e il Meursio (cap. 7 e 17) dimostra che quelli si preparavano a’
Misteri con gli esercizi di castità, e poi si credevano astretti, quasi da
sacramento, a rendersi migliori. Così Aristofane ( Rane, v. 467-462) mette in
bocca a un coro d'iniziati queste parole : « Il sole e una luce aggradevole
sono per noi che onoriamo i Misteri e osserviamo le regole della pietà verso i
forestieri e verso i cittadini. » Però que' Misteri si chiamavan teleti ( 7 : )
ett ) , giacchè da loro veniva la perfezione della vita . Va notato che la me
tempsicosi s' univa col domma dell'immortalità in que sto modo : credevano gli
antichi che il principio animale, principio di vita e di senso, distinguasi
sostanzialmente dal principio intellettivo ; e che l'uno, cioè l'animale, passi
di corpo in corpo, ma l'altro se ne sciolga dopo alquanti giri di secoli e in
premio del vivere onesto, ritornando all'essenza universale o divina. Però si
di stingueva in Persia il fervéro o genio dall' animazione, e in China Hoen da
Pe, e tra gl’Indiani atma e pran, e in Grecia il démone ( dzepov) o anche logo
( 200795) da psi che, e tra'Romani animus da anima. Quindi l'anima sensitiva
s'immaginò non altrimenti che come materia sottilissima, e che, divisa dal
corpo, ne teneva le appa renze, erane lo spettro od il fantasma, vagante nelle
notti e intorno a' sepolcri. Tal distinzione si vede pertino in Omero, allorchè
Ulisse approdando a'Cimmerj inter roga i morti ( Odiss. II, c . 217 ) : «
D'Ercole mi s'offerse alfin la possa , Anzi il fantasma ; però ch'ei de' numi
Giocondasi alla mensa, e cara sposa Gli siede accanto la dal piè leggiadro Ebe,
di Giove figlia e di Giunone. » 254 PARTE PRIMA. La terza fonte di notizie,
cioè le memorie orfiche, non vanno soggette, o signori, a tanta perplessità, e
può trarsene qualche costrutto ; purchè evitiamo così la co moda credulità come
l'eccesso de critici. S'è giunti a du bitare d'ogni realtà storica ed antica
rispetto ad Orfeo; ma, quantunque la parte storica si frammischi a' por tenti
della favola, e un nome ( al solito) rappresenti le dottrine e i canti di più,
nondimeno qualcosa di reale e d'antico vi ha ; perchè Ibico ( in Prisc. VI, 18,
92) che fiorì presso al 550 prima di Gesù Cristo, già ram menta Orfeo ; lo
rammenta Pindaro ( Pith. IV , 315 ) , anzi lo chiama padre de canti apdov Tr
UTEP ( Ott. Mül ler, St. della Lett. Gr. ) ; lo rammentano ancora gli an tichi
Ellenico e Ferecide e le tragedie ateniesi. Da molti luoghi di Platone ( Leg.
VIII ; Ione, Convito, Rep . 11) apparisce che a tempo di lui eran divulgati già
molti carmi col nome di Museo e d’Orfeo ; questi è citato nel Filebo e nel
Cratilo ; e si scorge che l ' espiazioni de’de litti appartenevano alle
discipline orfiche. La dottrina che va sott' il nome d’Orfeo si racco glie da
tradizioni antiche e da versi orfici. Quanto alle tradizioni antiche, elle
attribuiscono tutte ad Orfeo una religione , che istituita da lui si collegò
quindi a Misteri d'Eleusi ( Ott . Müller) : e ciò conferma il già detto sulla
natura di quel sistema religioso. Si rileva poi dagli antichi scrittori un
sistema orfico di cosmo gonia , benchè sotto più forme, e talora v'han messo la
mano autori dell' èra cristiana. Il Creuzer ne dà cinque di tali cosmogonie ;
rilevantissima quella di Ferecide Siro, pel quale son tre i principj Zeus o
Giove o Cronos o l'etere, il Caos o massa inerte ch'egli vivifica, il Tempo o
la durata senza limiti ( VII, 3) . E qui voi scorgete, o signori, l'indefinito
ch'è concepito nell'astra zione del tempo (come tra’ Persiani ) , e
dall'indefinito i due principj , l'attivo ed il passivo. Nella cosmogonia che
viene riferita da Atanagora e da Damascio, v’ha l'idea indiana dell' uovo
nell'acque, da cui esce Eros o Fa nete, amore o manifestazione dell'armonia
universale ; e LEZIONE DECIMATERZA. 255 tal idea orfica viene rammentata negli
Uccelli d'Ari stofane . Il mondo, poi, si rinnova per bruciamento (co me
secondo Eraclito, gli stoici , gl'Indiani e l'orgie eleu sine) , in virtù di
Dionisio corrispondente a Siva. (Creu zer, op . cit. , VII, 3. ) Mi pare che il
Maury ottimamente riduca le teogonie o cosmonie orfiche a questo : Cronos
genera i due principj , l'etere e il caos ; il caos in virtù dell' etere prende
la forma d'uovo, avviluppato dal l'erebo o dalla notte, cioè dalle tenebre
primitive, a cui segue la luce o l'amore, quando l'uovo si spacca , ossia
quando il germe involuto si svolge nelle sue parti (Op. cit . Nota 12 al L.
VII) : queste le idee più principali che risultano dal paragone de' più antichi
testimoni . Ma i versi che ci restano sott'il nome d’Orfeo, son essi autentici
? Aristotile e Cicerone negarono già che i versi propalati fin d'allora come
d'Orfeo gli apparte nessero ; e più n'è dubbio a' dì nostri, perchè nei primi
secoli dell' èra volgare molti documenti si rimaneggia rono, e molti se ne
invento. Ma dice il Mullachio ( Fragm . Phil. Græc., ed . Didot. Parisiis,
1860) : Plerique ver sus puroque et simplici sermone insignes sunt ; talchè,
considerata la purità e il fare antico di molti versi, e il riscontro di varie
testimonianze. ond' essi ci sono tramandati, e l'accordo loro con le tradizioni
vetuste, possiamo affermare che quelli senz'essere forse d’un poeta che si
chiamava Orfeo, sien per altro reliquie vere degli Orfici antichi . Udite
l'inno insigne alla Natura, tradotto dal Cantù nella Storia universale (tomo I)
e riferito negli Schiarimenti ( Ed. Tauchnitz, 1832) : « Natura , diva madre
universale, in tante guise madre, celeste, venerabile, molto creante spirito (
o cuor ), regina che tutto domi indomata, tutto governi , in tutte parti
splendi, onnipossente, ve nerata in eterno, divinità a tutte superiore,
indistrutti bile, primonata, antichissima, ... comune a tutti , sola,
incomunicabile, padre a te stessa senza padre, che per maschia forza tutto sai
, tutto dài , nodrice e regina di tutto ; feconda operatrice di quanto cresce,
di quanto è maturo dissolvitrice, delle cose tutte vero padre e ma 256 PARTE
PRIMA. dre e nodrice e sostegno. » Le quali ultime parole già udimmo per Aditi
nell'inno del Rig Veda. Or bene, che dottrina s’asconde, o signori , ne' versi
orfici ? La stessa che ne' Vedi: la natura universale è padre e madre, ossia ,
principio attivo e passivo ; ell’è divina, perchè non è la materia, sì
l'essenza universale, spirito divino primo e materia prima in unità ; è senza
padre, cioè senza principio ; è primonata, cioè generata da sè stessa con
uscire all'atto dall'indefinita potenza ; indi, ella è padre di sè stessa ;
infine, si palesa con tre divine opera zioni , genera tutto, sostiene tutto,
distrugge tutto. In Clemente Alessandrino ( Stro. V) , in san Giustino (Co
hort. ad Græc.), in Eusebio, nell'egloghe di Stobeo , in Proclo, in Porfirio e
in altri si ha varj altri frammenti più o meno antichi, ma che rendono lo
stesso sistema. Un inno ch'Eusebio prese da Aristobulo peripatetico. insegna
qual sia l'unico genitore del mondo, comie lo chiamano i prischi documenti
degli uomini,contro l'er rore antico, cioè contro il politeismo ; e che Dio
tiene in sè il principio, il mezzo e il fine. ( Pr. Ev. III, 12.) Riferirò un
altro inno ch’Eusebio tolse da Porfirio ( Ivi, e Stobeo, Eclog. Phis. 1, 2, 23,
e Bibliot. del Didot, Framm . ec. p.6 ) : « Primo e ultimo è Giove che splende
col fulmine. Egli capo e mezzo, e a lui son create tutte le cose . Giove è nato
maschio, Giove nato intatta ver gine. Egli sostiene la terra e l'aria stellata
de 'cieli ; ed è insieme re e padre d'ogni cosa e autore della loro origine .
Unica forza e unico demone che governa tutte le cose, quest' unico le chiude
tutte nel suo corpo re gale, il fuoco, l'onda, la terra, l'etere, e la notte e
il giorno, e il consiglio, e il primo genitore e nume del l'amore : contiene
tutto ciò Giove nell'immenso corpo. E il capo esimio di lui e il volto maestoso
irradia il cielo, intorno a cui sparge con molto lume la chioma pendente e
aurea d'astri ; e gli sta sull'alta fronte, a somiglianza di toro, un doppio
corno che l'accende di fulgido oro. Ivi sono l'oriente e l'occidente, giri noti
a' supremi dèi . Son occhi di lui il sole e la luna che LEZIONE DECIMATERZA.
257 corre di contro al sole . In lui è mente verace, ed etere regale non
sottoposto a morte, il quale col consiglio muove e regge ogni cosa ; e quella
mente, perchè prole di Giove, non può essere nascosta da niuna voce o stre pito
o suono o fama. Così, egli beato possiede e senso dell'animo e vita immortale,
spandendo il corpo illu stre, immenso, immutabile e con valida forza di brac
cio . A lui son omeri e petto e terga immani le ampiezze dell'aria ; e con
veloci e native penue precipitando, egli vola intorno a tutte le cose. La terra
, madre comune, ei monti che levano l' alte cime, formano il sacro ven tre di
lui ne fanno la zona media i tumidi flutti del mare sonante. L'ultima base che
sostiene il nume, sta nell' intime radici della terra e negli ampj spazi del
l'erebo e negli ultimi confini che inaccessa ed immota spande la terra . Tutte
le cose egli nasconde primamente nel mezzo del petto, e poi le manda fuori
nell'alma luce con opera divina . » Tra le figure poetiche non si può non
vedere in quest'inni l'opera della riflessione che affaticasi di scoprire e
spiegare l'attinenza fra Dio e l'universo , confondendola, per abuso d'induzione,
con l'attinenza tra l'unità delle sostanze e la moltiplicità c mutabilità
de'fenomeni. Non fa dunque meraviglia se Pitagorici, Eleati ed Ionj che presero
gli esordj dalle dottrine orfiche e de' Misteri e però dall'antiche tradi zioni
pelasghe, cadessero nel panteismo. Ecco dunque i passi che sembrano fatti dalla
reli gione fra gl’Italogreci . Prima è un tal panteismo natu rale, in cui le
divinità sono le forze della naturu ; non le forze per altro simboleggiate,
come interpretò poi la scuola de' Fisici (Plutarco la distinse sì bene dall'an
tica scuola de' Teologi) , bensì le forze naturali confuse con gli attributi
divini. In quel panteismo, come nel Rig Veda, gli dèi son poco determinati :
differiscono poco gli uni dagli altri ; escono tutti e rientrano nel Dio unico
( Creuzer, V , 4) . Talche certi Padri pensarono ch'ei fosse un culto dell'
unico Dio creatore , e tal culto contrapposero alla corruzione posteriore
dell'idolatria ; Storia della F lofint. 17 258 PARTE PRIMA. ill 1 ma, veramente
, non può chiamarsi un teismo , bensì un panteismo naturale, dove nondimeno le
tracce del l'unità di Dio si conservano così spiccate da causare l'opinione
ch'io vi diceva. Però le divinità pelasghe non avevano un nome , dice Erodoto ;
e a dar loro un nome s ' opponevano le sacerdotali tradizioni ( Ispot 20091) .
E come narra Platone nel Cratilo che prima si chiamò in genere 0 : 9 le
divinità, così cabiri le dissero i Pelasghi, ossia ( forse) potenti; e ciò
risponde agli dei complices o consentes degli Etruschi. Poi, questo panteismo
naturale si ristrinse più par ticolarmente (e specie nel culto popolare)
all'adorazione degli astri , dove più che in altro ci apparisce la po tenza di
Dio : e che sia così l'attestano Platone ( Fileb. e Crat. ) ed Aristotile (Met.
IV , VI, IX ). Allora Zeus o Giove fu proprio il cielo ; e si mantenne questo
nel detto volgare : Giove che fa ? per dire : che tempo fa? Ma il panteismo
naturale de' sacerdoti più e più si foggiò a sistema d'emanazioni, per
ispiegare con modo determinato la dipendenza di tutto dalla causa prima ; e
indi le teogonie e cosmogonie orfiche e quella d’Esio do. Le operazioni divine,
allora, ebbero nome partico lare, e vennero simboleggiate con immagini esterne;
come narrai che la triade pelasga prese il nome dall'onnipo tenza e dalla
fecondazione; e si sa del Giove con tre occhi in Argo ( Pausania ), della
Venere piramidale di Pafo, e co' due sessi ( statuina nella bibliot. naz. di Pa
rigi), dell' Apollo a quattro mani, del Sileno a due te ste , di una dea a
quattro teste nel Ceramico d' Atene, del Giano bifronte, della Diana mammellata
d'Efeso e della Cibele come informe pietra. Tutti questi nomi e simboli, a poco
a poco divennero nomi e attributi pro pri di certe divinità specificate; e la
Trimurti, le cui vestigia restano fin anche negli dèi omerici, Giove, Net tuno
e Plutone, s'individuò per modo che l'un Dio non più si confuse con gli altri,
e questi si moltiplicarono all'infinito . Però, questa individuazione favoriva
il politeismo LEZIONE DECIMATERZA. 259 a volgare e si mescolava con esso, e
n'era eccitata e lo eccitava ; e ambedue si stabilirono più che mai con l'arti
del disegno, che lasciati quasi del tutto i simboli, ri dusse gli dèi a forme
umane, con alcune qualità pro prie di ciascuno. Un'ombra di simbolo restò, ma
velata, nelle forme tra maschili e femminili di Bacco e d'altri dei , figura
sacra dell'androgenia, quando s'abbandono la rozzezza dello scarabeo (
Winkelman , St. dell'arte ec. ) ; e tal simbolo (sia detto di passaggio )
alcuni artisti vo gliono imitare quasi perfezione di membra umane e le sono
immaginarie! Fatto sta che la scuola d'Egina, Polignoto, Fidia, Prassitele,
imitando i poeti ebbero più ch'altro efficacia nel fermare quel politeismo di
dèi spicciolati . Vuolsi por mente adunque, o signori, che da un lato restava
la tradizione sacerdotale, benchè più e più cor rotta, e cresceva dall'altro il
politeismo. Come restava la tradizione ? Ne' Misteri ; già lo vedemmo. E perchè
mai dovè occultarsi ? Dicono le memorie antiche , i primi re di Grecia e d'Italia
fossero ad un tempo sa cerdoti , capitani e giudici; patriarcato ch'è origine
d'ogni nazione. (Arist. Pol. III, 14. ) Le memorie stesse ci nar l'ano poi d'un
contrasto lungo e sanguinoso tra le classi sacerdotali e le guerriere ; il che
apparisce anco nell'In die ; ma se ivi le liti si composero stabilmente, fra
gl'Ita logreci al contrario scapitò la classe sacerdotale che ( l'accennano i
racconti circa Erettéo e gli Eumolpidi) si dovè segregare in alcuni luoghi,
come Eleusi, lasciando a' re tutto il resto ; e così , a poco a poco, e tanto
più quando sorsero i governi popolari, s'abbandonò l'inse gnamento religioso e
restò solamente i riti esteriori del sacrifizio e delle feste.
Quell'insegnamento , dunque, escluso da ' popoli, rifuggivasi nel mistero, in
que'luoghi appunto che la classe sacerdotale abitò, com’Eleusi e i sacri
querceti di Dorona. E che fa intanto la filosofia ? Ella è sacerdotale dap
prima, o teologia, perchè tenute le tradizioni asiatiche, cresce nel sacerdozio
pelasgo ed orfico ; poi, nell' età che 260 PARTE PRIMA . > il sacerdozio si
separa e s’asconde, dalle semenze reli giose de' Misteri germogliano i primi
sistemi come i pi tagorici, che han del sacerdotale e del laicale ad un tempo.
Questa filosofia , perciò, combattè dapprima il politeismo, per esempio ne'
frammenti di Xenofane che derideva il fingere dèi a somiglianza nostra . Poi,
dac chè il concetto di Dio sempre più s' annebbiò, i poste riori consentirono
a' tempi, e gl' Ionj, gli Eleati, e molto più i sofisti, menaron buona, se non
altro come appa renza o come credulità popolare la mitologia. Nè altrimenti
andò negli ordini tutti della civiltà . Di fatto ; quando i governi regi si
mutarono in popola reschi, molta efficacia e salutare v'ebbe la filosofia mercè
i Pitagorici, e segnatamente Zeleuco e Caronda , i cui frammenti di leggi
muovono dal dimostrare che Dio è ; ma in progresso la filosofia non potè
resistere alla li cenza , fu perseguitata, e però cadde in mano di sofisti che
inventarono l'arte della parola per la parola, malvagi adulatori di plebe e
mercanti di cavillo. Abbondando le ricchezze, nate da operosità, fiorirono
scienza ed arte ; ma successe un abito d'ozio e di godimenti, e la Ma gna
Grecia e l'Ionia caddero in mollezze di trista fama . Resisterono i primi sapienti,
come dimostra l'istituto pitagorico ; ma cedè a poco a poco la loro austerezza,
e già Xenofane canta « ch'è dolce nel verno stare al fuoco bevendo, e domándare
all'ospite : quant'anni avevi tu quand' il Medo invase ? » il Medo, o signori,
invasore della patria ! lei sofisti, all'ultimo, la filosofia diventò l'arte di
godere. Nell'ordine morale s'arrivò a tal segno ch'Ate neo ( L. IX) rimprovera
Platone, perch'e' disse nel Sofi sta come Parmenide amava Zenone d'Elea ;
quasichè tal parola, detta di giovane, non ricevesse mai buon senso . E la
filosofia , resistente dapprima co' Pitagorici, giunse co ' sofisti
all'indifferenza tra bene e male ; indifferenza molto diversa e peggiore
dell'indiana ; chè questa è non curanza del moltiplice e vario ch'apparisce, in
grazia dell'unità sostanziale, ma quella è non curanza senz'al tro ; ivi è
un'ombra di moralità, qui nessuna . LEZIONE DECIMATERZA . 261 Mostrate così l '
attinenze tra filosofia, religione e ci viltà degl'Italogreci, resta che
vediamo il principio e la successione de' loro sistemi. Cominciamo da dire che
in tutta questa età e per confessione di tutti, v'ha incer tezza sul tempo
preciso de' varj filosofi ; e bisogna ri correre il più a Diogene Laerzio,
autorità poco accet tata . Le congetture dunque son lecite ; e tutti ne fanno.
Avvertirò inoltre che sul definire l'età de' tempi remoti variano le tendenze
degli Orientali e de' Greci; que sti tirano al meno e quelli al più. Per che
ragione ? I Greci amando la certezza de' fatti, li trasportano quanto più si
può nel tempo storico, e lontani dal favoloso ; al contrario degli Orientali,
che amano l'indefinito de se coli ; effetto del panteismo. Premesso ciò ,
rammentate , o signori, che prima dell'undecimo secolo avanti Cristo Pelasghi
ed Elleni si mescolarono insieme; e allora co minciò l'età delle colonie ; e da
esse la più nota civiltà italogreca. Quali preparazioni vi riscontriamo noi per
la filosofia ? La civiltà pelasga, le dottrine orfiche, i Mi steri ; inoltre le
comunicazioni più che mai frequenti per l'Asia minore ( dove prosperavano tante
colonie) coll' Asia media. E che tempi erano quelli per l'Asia media ?
Rammentiamocene, o signori ; erano i tempi di splendida civiltà, quando circa
il mille avanti Cristo si compilavano i Vedi ed i poemi, e fiorivano le scuole
di filosofia. Chi potrà dunque negare, che date tali prepa razioni e la civiltà
delle colonie, e dato quell'impeto di vita civile ond' il pensiero s'agita
tutto, e poste le sedi nuove in paesi non selvaggi come l' America , ma già
inciviliti, sorgessero presto le speculazioni filosofi che ? Non farebb' egli
un'ipotesi strana chi le credesse indugiate a tre o quattro secoli dopo, fino a
Talete, anzichè colui che le dicesse più meno già in via circa il mille od al
novecento prima dell' èra volgare ? A ogni modo, tempi precisi non se n'ha ; e
poichè la critica devé supplire, parmi più ragionevole vi supplisca così, che
stando ad indizi già riconosciuti per poco probabili . La filosofia mosse anc'
allora da un ritorno sulla 262 PARTE PRIMA. coscienza morale ; ce ne assicura
la moltitudine di sen tenze attribuite dagli antichi a ' Sette sapienti ; a uno
de' quali, cioè a Chilone, si reca il detto : conosci te stesso . Abbiamo poi
alcuni tra ' poeti gnomici, come le recide, della cui antichità non si dubita
punto ; e chi, Foclide per esempio, lo fa contemporaneo, chi anteriore a
Pitagora. Le sentenze di Mimnermo, Evano, Metrodo ro, Teognide e va'
discorrendo, mostrano chiaramente la riflessione sulle verità morali , benchè
nascosta in afori smi . Così queste di Foclide : « Non dire mendacio, ma parla
sempre con verità. Primieramente venera Dio e quindi i tuoi genitori . Non
disprezzare i poveri , nè voler giudicare alcuno ingiustamente, perchè se tu
giudiche rai male, Dio poi ti giudicherà. Fu da Dio a’mortali dato in uso lo
spirito ch'è immagine di lui. Il corpo abbiamo dalla terra e si scioglie in
essa e siam polve re, ma lo spirito va in cielo . » Or bene, io dico, e mi
sembra di poter essere sicuro, che codesta filosofia morale e religiosa sorse e
fiori prima del panteismo materiale di Talete e d’Anassi mandro ; perchè n'ho
prove storiche ( come dirò) , e per chè dalle tradizioni sacre orientali e
orfiche non si poté saltare in un subito alla materialità . Dove fiorì ? Non in
Italia soltanto co ' più antichi savj della scuola ita lica, ma nell' Asia
minore altresì, fra gl ' Ionj, dovunque insomma germinò la civiltà ellena. Di
fatto, che che vo glia credersi delle tradizioni circa Pitagora e del suo
venire dall' Ionia, esse, unite alla certezza che Xeno fane pure ne derivasse,
mostrano almeno che l'antichi tà non reputò straniere agl' Ionj 1 ' idee
pitagoriche ed cleate. Aggiungete che Talete ha molti più segni di spiritualità
che non i posteriori ; e tal peggioramento non si può negare . Perchè dunque,
dimanderete, vien solo ricordata la scuola italica ? La risposta è facile e il
caso è comune ; si ricorda i luoghi dove la scuola più crebbe e durò . y Ma la
scuola pitagorica o italica, dimanderassi an cora, ell’è anteriore a Talete,
cioè al panteismo mate LEZIONE DECIMATERZA . 263 riale degl' Ionj ? Mi sembra
certo, purchè si distingua Pitagora dal Pitagoresimo ; questo è la totalità di
dot trine comuni a tutta una scuola di filosofi ; quegli è un tal nome, parte
storico, parte simbolico, che può essere prima o dopo, senzachè provi
l'anteriorità o posteriorità della scuola nel suo nome rappresentata. E
nondimeno anche sull'età di Pitagora son diverse l' opinioni. 1 ° Quanto a
Pitagora, il Meiners lo crede nato al 584 avanti l'èra nostra ; lo crede nato il
Lacher al 608 . Come si determina ciò ? Per autorità non salde, e per vie di
congetture. Talete poi , secondo Apollodoro, sa rebbe nato il 640, anteriore
perciò a Pitagora ; dáta non senza incertezze. ( Ritter, St. della fil. ant.)
Ma ecco il Niebuhr ( St. Rom . I) che contrapponendo a Polibio ed a Cicerone
l'autorità d'alcuni scrittori orientali, crede probabile la contemporaneità di
Pitagora e di Numa ; talchè andremmo più oltre che la data di Talete ( 717-679
) . - 2º Avanti alle dáte di Pitagora s'ha in Italia Zeleuco e Caronda,
legislatori l'uno di Locri e l'altro di Cata nia ; e ne' frammenti di quelle
leggi v'ha il segno delº pitagoresimo. Il Krug fa Caronda del 668 ; il
Benteley, l'Heyne, il Saint Croix, il Centofanti, del 730. —3. Quando Pitagora
venne in Italia , si dice che subito la scuola crescesse tanto di numero e di
potenza, da bisognare feroci persecuzioni a spiantarli : il che umanamente non
può accadere. La scuola dunque precedeva. — 4º Il perso naggio di Pitagora,
l'istitutore insomma del Pitagore simo, diventò un simbolo in gran parte ; il
che dà segno d'antichità molta, e di tradizioni orientali. — 5° Nella scuola
pitagorica è mescolanza di culto e di specula zione ; e ciò indica il passaggio
dall' età teologiche alle filosofiche o laicali , che in modo distinto vengono
più tardi. — 6. Secondo la comune leggenda, tra l'istituzione della scuola
italica , il suo prevalere anco negl' istituti civili, e la sua persecuzione,
corsero pochi anni; il quale rovesciamento di favori popolari si dà presto a un
uomo, tardi a un potente consorzio d'uomini. – 7. La storia di Pitagora,
simbolico in gran parte, ha natura 264 PARTE PRIMA . di leggenda ; e sogliono
le leggende avvicinare tempi lontani ; indi le confusioni dette di sopra. -8°
Nella scuola pitagorica son chiare e molte le vestigia orfiche; talchè
l'antichità di queste palesa l'antichità di quella che le raccoglie; com'elle
poi diminuiscono in progresso, e ap pena si scorgono negl' lonj. – 9. I
Pitagorici han forma di consorteria, e tra loro è comune e costante un corpo di
dottrine. Ciò rammenta , o signori, gli usi orientali che sempre più si perdono
nelle repubblichette popolari; e rammenta l'antichità più remota, dove più vale
l'unione e l'autorità. Aristotile dà la filosofia de' Pitagorici come una, e vi
scopre solo differenze accidentali. - 10. Le tavole d' Eraclea, lette dal
Mazzocchi ( come accennai già) , mo strano un incivilimento anteriore, e quindi
un'antica preparazione alla scienza . E delle prove d'antica civiltà nelle
genti d'Italia recherò qui cosa che pare non fosse disputata fra' Greci , val a
dire ch'essi, come dice Ta ziano (Or. contra Greci, § 1 ) prendessero da’
Toscani la plastica. — 41., Il Cousin dimostra con le autorità non ricusabili
di Sozione, d' Apollodoro e di Sesto che Xe nofane nasceva il 620 avanti l'èra
volgare, un 60 anni circa prima di Pitagora stando agli anni del Meiners. Ora ,
se la dottrina di Xenofane tenne del Pitagoresimo, come mai sarebb'egli tanto
più vecchio del suo maestro ? 12° Se bisogni stare alle memorie greche
talquali, i capi della scuola pitagorica e d'Elea vennero d'Ionia ; men frechè
in lonia correva un tutt'altro pensare. Qui, pren dendo la cosa talquale, v'ha
due inverisimiglianze, prima che ne luoghi de' capiscuola non ci avesse
quell'indirizzo di speculazioni, come sarebbe assurdo che d'Alemagna venissero
in Italia fondatori d'eghelismo e là non n'ap parisse il focolare ; seconda,
che piuttosto que' filosofi cercasser favore in Italia, sé qui non preparato il
ter reno. Ma tutto si concilia, quando il silenzio delle me te , in tanta
oscurità di tempi dissero all'incirca il più rino mato, tacquero il meno, senza
negarlo bensi, chè non lo conobbero forse. Dissero la scuola ionica, tacendo la
. LEZIONE DECIMATERZA. 265 scuola religiosa comune là ed a' Magnogreci, perchè
più celebre qui ; dissero i più famosi capi delle scuole itali che, tacendo le
lontane e recondite preparazioni. – 13° E ch'elle ci fossero, mostra il celebre
passo di Platone che fa dire a Zenone d'Elea : queste opinioni sull'uno co
minciarono da Xenofane, anzi da più antichi di lui . ( S0 fista .) Il Brandis
ed il Ritter crederono s'alludesse ad avere quella dottrina germe innato negl'
intelletti. Al che ripugna il Cousin e con ragione. Prima, qui si parla
storicamente e non teoreticamente ; poi, se volesse allu ( lere a germi
naturali e senz' origine, come mai, anzi , parlerebbe Platone di cominciamento
anteriore ? ( te 2.2.1 i te tepisºsv č.pčarevov) - 14. De primi Pitagorici non
v'è scritti ; scrissero i più vicini al tempo di Socrate ; e ciò per l'uso
degl'insegnamenti orali, per la costanza delle tradizioni e pel segreto delle
dottrine religiose. Or tutto ciò è segno d'antichità e risponde agli usi
orientali . Nella scuola ionica poi sembra che fino il primo, cioè Talete, scrivesse
versi , probabilmente prose ( Diog. Laert. I, 34, Plut. de Pitiæ Orac. 18,
Arist. Phys. ) ; il che mostra un fare più nuovo, e desiderio di stabilire la
novità. 15. L'uso di non iscrivere, uso lasciato si tardi da ' Pita gorici,
spiega ben anco il perchè sembrò più recente « lella scuola ionia il
pitagoresimo : più recenti erano le scritture, non la loro filosofia. 16 °
Recherò infine ( lue singolari testimonianze di Padri greci , d'Ermia verso la
fine del secondo secolo, e d' Eusebio dottissi mo ne' libri originali della
greca filosofia . Ermia , dun que, nell'opera Derisione de' filosofi gentili
enumera le contrarie opinioni loro sull'anima, sul bene, sull'im mortalità,
sulla divinità e sui principj del mondo ; e poichè ha.rammentato varj filosofi,
viene a Pitagora e lo distingue dagli altri così : egli d'antica nazione ( S 8)
. Qui, segnalare tra gli altri Pitagora per antichità, è nota bile assai .
Eusebio, poi, più espressamente nelle Prepa razioni evangeliche ( lib . X ,
cap. 4) dice : che Pitagora nacque a Samo o in Toscana o altrove, ma non greco,
e ch' egli fu principe de filosofi, talchè alla filosofia ita 266 PARTE PRIMA.
lica succedette la ionica e l'eleatica. Anzi anche Giu seppe Flavio ( Lib. VII)
rammenta tre filosofi prischi con quest' ordine qui , Ferecide Siro, Pitagora e
Talete. Questi argomenti, la cui tesi è convalidata pure dal l'autorità del
Niebuhr, del Cousin, del Gioberti (nel Buono), del Poli (Appendice al Manuale
del Tennemann, trad .) e del Centofanti ( Pitagora ), e che non hanno in
contrario argomenti positivi di tradizione, o concordi autorità di storici
antichi, mi fanno sicuro che il pita goresimo, come scuola religiosa e morale,
anteceda l'altre scuole ; poi venga l'eleatica, e come più affine alla pri ma,
e come precedente a Xenofane stesso per la dottrina dell'unità universale ;
succeda loro l’ionica, quant'al suo cominciamento bensì, non quanto alla sua
conti nuazione che s'accompagna ( com' accade) con l'altre ; e vengano infine,
su che non ha dubbio, le gative. I quali sistemi darann ' argomento ad altra
lezione. vole ne 267 LEZIONE DECIMAQUARTA. SCUOLE ITALOGRECHE. SOMMARIO . Causa
interiore del Vilagoresimo è la necessità d'una riforma morale : da ciò l'esame
di coscienza posto per principio di filosofia e di vita buona. Cause esteriori.
Si volle la riforma religiosa e morale da cui la civile , per mezzo della
filosofia . - Parti non dubbie nelle memorie degl'istituti pitagorici . Notizie
su Pitagora e sugli altri più famosi . Quali documenti abbiamo certi sulla scuola
italica . - Il Carme aureo i antico .- Le notizie che ci danno gli Alessandrini
non vanno accettate senza esame, ma nemmeno rigettate con leggerezza. - Oggetto
della filo sofia pitagorica , suo fine e metodo . — Quali cagioni dettero
impulso a quel metodo che fu applicazione d'idee matematiche. Ma ciò non vuol
dire che lal dottrina stia in un ideolismo matematico ; giacchè la monade si
pensò come una forza. - Il numero rappresentava l'attinenze o l'armo. nia ;
indi il simbolo musicale . Due furono i significati del numero , it simbolico
ed il reale . Verità del metodo matematico ; suoi eccessi nel pro cedere
dall'astratto al concreto : esempi varj . – Si cercò le leggi mentali della
quantità effettuato nella realtà, per salire con esse a Dio, causa , ragione e
legge. Dio è principio de'principj; e poichè i principj delle cose si dis ser
numeri, Dio è il numero per eccellenza . -Questo è l'unità . – L'unità bensi
presa , non come parte d’un tutto , ma in senso generale. - A Dio non si può
applicare il concetto d'uniti nemmeno in quel senso ; Dio è sopruni tà ; ma
l'errore precedė dalla induzione astrattiva . Si dimostra co ' do cumenti che
il significato dell'unità pitagorica ė panteistico, ma ondeg giante tra il vero
ed il falso . - L’unità , come per gl'Indiani, parve l'indefinito che si
determina . — Grandi verità contenute nell'implicitezza di quelle dottrine. —
Dio si pensó come unità suprema di tutti i contrarj; l'universo , come i
contrarj in atto , e ridotti all'armonia da Dio . - L'uni tà generale o la
monade che si distingue in monadi secondarie, spiega lo teoriche d'allora
sugl'intervalli, sul vuoto, sull’intinito, sul finito ec . L'anima è numero ,
ed è nel corpo come Dio nel mondo ; è l'armonia del corpo . La verità è l'uno e
il numero ; l'errore va fuori dell'armonia. -- Intelletto e senso . — Dio ,
ragione prima del conoscere, perché gl’intelletti si credettero divini. Poi,
perchè Dio è il numero per eccellenza , e il nu mero è l'esemplare del mondo.
Quanto alla scienza , si sbagliò cercando sempre l'assoluta necessità
razionale. Numero e armonia il bene; disar monia il male. - Fine dell'anima
intellettiva il ritorno all'essenza pri ma . --- Come si tentó fuggire le
contraddizioni del panteismo naturale negando la cognizione diretta
dell'essenza. - Xenofane tentó fuggirle col panteismo ideale. - Cinque concetti
principali di Xenofane : Dio è uno ; sommo potere ; gli manca ogni contingenza
e però non è nè finito nė infi nito né in quiete nè in moto ; Dio non può
nascere, perchè il non ente non può dal nulla divenire qualcosa : Dio è il
tulto . — Indi segui che il mondo è apparenza . – l'armenide stabilisce chiaro
il doppio aforismo degli Eleati e degl ' Ionj, e condanna il secondo . Muove
dall'idea generale d'essere ; Dio si fa più indefinito che in Xenofane. – Tutto
è idea . Melisso fa Dio più indeterminato ancora, chiamandolo un qualcosa . --
Gli attributi della moralità non più appariscono . – Panteismo materiale de
gl'Ionj : nasce in condizioni opportune. - Il moto delle cose vien conside rato
nell’ente o nell'assoluto , ch'è la materia eterna divina , dotata di pensiero
. – Diversità nel concepire tal moto fra ' dinamici e i meccanici. 268 PARTE
PRIMA. E la causa prima del moto la posero diversamente in quella cosa che più
parve trasmutabile in ogni altra cosa . – Talete ba dello spirituale anco ra ;
la grossolanità materiale viene crescendo . Anassayora vide l'assur dità del
panteismo , e prese il dualismo ; ma non détte troppo alla mente . — Idealismo
ateo di Protagora ; materialismo di Democrito ; le due forme di scetticismo
particolare . Scetticismo universale di Gorgia ec . Misticismo d'Empedocle ; e
perché il suo sistema paia indeterminato ed ecclettico . — Due schiere d’uomini
; gli atei e i l'itagorici di quel tempo : interpreta zione storica , e
interpretazione fisica della mitologia . Qual è mai, o signori, la causa
interna del Pitago resimo ? La necessità d'una riforma morale; necessità pro
fondamente sentita da uomini ornati, quanto la Gentilità comportava, di grandi
virtù. Il conosci te stesso fu esame di coscienza morale negli istituti
pitagorici, e fonda mento altresì di speculazione ; chè, nella coscienza e'tro
varono il dovere e nel dovere Dio. Cagioni esterne furono il guasto crescente
della religione, de costumi e della li bertà, al quale s'oppone il
Pitagoresimo, e inoltre ( com’ho avvertito più volte) le tradizioni e i
commerci d'Oriente, le dottrine orfiche ed i Misteri. Si volle, pertanto, una
riforma religiosa e morale, da cui venisse la civile; e cri. terio a tutto ciò
désse la Scienza . Il che spiega gl'isti tuti pitagorici su cui gli
Alessandrini mescolaron favole, ma la natura di consorteria e un culto segreto
( Ritter ) e la sostanza dell'arti educative non cadono in dubbio. La riforma
religiosa si tentò co’riti e dommi segreti ; la morale con l'opporsi a tre vizi
, voluttà, superbia ed ava rizia , ed esercitando anima e corpo nella musica e
nella ginnastica ; la civile , domando la licenza con abiti disci plinati ossia
con l'autorità ( curos pz) e con la vita co mune. Il discepolato morale
preparava così alle specu lazioni , e, preparato, s'elevava l'alunno a gradi
più alti e più liberi. ( Centofanti, Pitagora ; Ill . del Giardino Puccini.)
Circa Pitagora o di Samo nella lonia o di Samo nella Magna Grecia, poco v'ha di
sicuro e con mescolanza di simboli ; pare tuttavia che un fondamento storico
v’ab bia e ch'egli fosse uomo di molta dottrina e virtù. Per la dimenticanza in
che vennero le colonie di Magna Gre cia e tutte le antichità italiche dopo le
conquiste di Ro LEZIONE DECIMAQUARTA . 269 ma, e per la guerra feroce contro i
Pitagorici, non ne sappiamo quasi nulla ; li sappiamo bensì a lor tempo in
molta riverenza. Si rammentano con più certezza Liside, Clinia e Archita
cittadini di Taranto in Magna Grecia, Eurite e Filolao o di Taranto o di
Crotone. Archita , il più celebre di tutti, capitanò più volte gli eserciti , e
non ebbe mai la peggio ; buon padrefamiglia e cittadino, domatore di sè stesso,
famoso per invenzioni e scoperte in musica ed in matematica e per libri d'agricoltura
. Sul finire del quinto secolo avanti G. Cristo, la scuola pitagorica venne
atrocemente perseguitata ; molti fra gli scampati, o si rifuggirono in Grecia o
si sbandarono in Italia. Sembra che l'odio movesse da opinioni politiche,
parteggiando essi per gli ottimati ; ma chi badi alla se gretezza del culto
attestata da Erodoto, e alla tradizione che un capopopolo attizzò le ire,
invelenito dal non es sere accolto nell'adunanze, s'accorgerà che trattasi qui
, come per Anassagora e per Socrate, del politeismo vol gare geloso e
persecutore. Gli scritti col nome di Timeo, d'Archita e d'Ocello Lucano sono
apocrifi, e i frammenti di Brontino e d'Euri famo; ma non quelli di Filolao
(vedili nel libro d'Aug. Boecckh su Filolao, e nel Ritter) ; i quali col Carme aureo
e con ciò che narra Platone ed Aristotile sulla scuola italica, ne dánno
contezza . Nel sostanziale di essa gli storici vanno d'accordo. Quanto al Carme
aureo , e's'attribuì a Filolao, a Epicarmo, a Liside, a Empedocle ; da Crisippo
a'Pitagorici. Sta il Mullachio per Liside; e : mostra, comunque, che ne' versi
aurei non v'ha nulla di non antico, e come un alemanno, secondo l'usanza di
molti critici odierni , neghi l'autenticità pel dubbio di tre" sole
parole, che a lui non paiono antiche ; e antiche le dimostra il Mullachio. (
Fragm . Phil. Græc. Didot, 1860. ) . Le relazioni che ci danno del pensar
pitagorico gli Ales sandrini, non vogliono accettarsi senza discrezione ; chè
in loro la critica è poca, molta la voglia d'interpretare a lor modo gli antichi;
tuttavia dire come si dice) che il Pitagoresimo, quale dagli Alessandrini si
descrive, non 270 PARTE PRIMA. i 2 7 > I meriti fede per le grandi
somiglianze con Platone, è dir troppo, sapendosi negli Psilli di Timone Fliasio
(3° secolo av. G. C. ) che quegli ebbe in gran pregio i Pitagorici : « E tu, o
Platone, giacchè ti possedeva l'animo il desiderio di sapere, comprasti con
gran pecunia un piccolo libro, da cui imparasti a scrivere tu pure il Timeo. »
( Fragm . Phil. etc. ) La filosofia de' Pitagorici, come tutta la filosofia an
tica, come la filosofia d'ogni tempo, meditò i primi prin cipj dell'essere, del
conoscere e dell'operare. Il pensiero della causa suprema ch'è ragione e legge,
vediamo bene da tutte le loro memorie che occupò quegl'intelletti for temente.
Fine della filosofia parve loro ed a tutti gli antichi, la liberazione degli
errori e de' mali comuni, ma con tal divario dagl'Indiani , che la speculazione
dovesse congiungersi all'operosità civile . Metodo di filosofare fu il
matematico ; cioè l'applicazione d'idee matematiche alla natura universale,
così esterna come interna, e al suo principio. Onde mai tal metodo ? quali
cagioni gli dettero im pulso ? Già negli antichi v'ha inclinazione di
filosofare a priori sul mondo (sebbene l'esperienza, anch'esterna, non s '
escludesse dai Pitagorici) , perchè mancavano gli stromenti; poi, premeva più
lo speculare teologico, re cato altresì nella fisica ; e le lunghezze d'una
fisica os servatrice non si comportavano in tempo, che i varj studj non erano
scompartiti tra più dotti . Inoltre l'arimmetica e la geometria vennero d'Asia,
nate tra le scienze più antiche, perchè non bisognose d'osservazione. Altresì
di tali scienze s’aveva necessità tra popoli commercianti e tra colonie che
dissodano terreni, asciugano paduli, e scavano canali . Più, la discordia tra'
politeisti e il mono teismo - antico fece spiccare, quant'al concetto di Dio,
le nozioni d'uno e di moltiplice, come anche si scorge nel vecchio Testamento .
Infine, tempo é spazio ci danno la quantità, e sappiamo che l'induzione falsa
indíava, come ne' Vedi, lo spazio e massime il cielo ( onde l'uranismo), e il
tempo ( onde l’Aherene de' Persiani, il Crono de Greci , LEZIONE DECIMAQUARTA.
271 il Saturno de' Latini), talchè le tradizioni orientali e or fiche, cadendo
in tali concetti, davano impulso a quel modo di filosofare . I Pitagorici,
dunque, parlano dell'uno, del due, del tre, del dieci e delle combinazioni loro
allorchè discor rono del mondo e di Dio. Ma si vuol credere forse che tal
metodo li riducesse a vane astrazioni ? ossia, ch'e'sti massero Dio e il mondo
idee matematiche e nulla più ? In altre parole, il Pitagoresimo fu egli un
idealismo matematico ? No, sicuramente ; Aristotile lo spiega chiaro dicendo :
ch'essi stimarono le cose una imitazione de'nu meri (μίμησιν είναι τα όντα των
αριτμών. Μet. I , 6) . Ini tazione, dunque; a leggi di numero, cioè, rispondono
le cose ; e la mente ritrova l'une nell'altre ; e in questo è la scienza. Anzi
(e va notato accuratamente ), che mai restava pe' Pitagorici, levato il
composto ? Restava la monade. E che cos'era la monade ? Forse un'astratta unità
, o l'atomo indifferente inattivo di Democrito e di Leucippo ? No ; ma
l'essenza ch'è una forza : il concetto di forza o d' attività prevale nel
Pitagoresimo, così ri spetto a Dio come rispetto al mondo. Di fatti, e ch'è
mai, secondo i Pitagorici, l'ordinamento universale se non la continua
limitazione (o determinazione) dell'inde finito ? Ciò resulta da molti
riscontri , ma singolarmente dallo specchio de contrarj ( di cui parleremo) .
Inoltre, Dio per que’ filosofi è mente e causa o principio ; causa è l'anima ;
e causa d'ogni armonia è l'unità. ( Frag. di Filolao ; Siriano, Com . Met. d '
Arist. XIII; Ritter St. Fil. ant. ; Bertini, Idea d'una Fil. della Vita, vol.
2. ) Quindi, pe' Pitagorici, le leggi del numero e della geo metria
rappresentavano l'attinenze; cioè , significavano il rispetto d'una cosa
all'altra, e d'uno all'altro con cetto, l'armonie particolari e l'universale ;
da ciò i lor simboli musicali. Si dica pertanto, o signori , che per la scuola
italica eran due i significati del numero ; significato simbolico e reale. È
significato reale quando noi diciamo : Dio è uno e le creature sono moltiplici
; e così dicevano essi 272 PARTE PRIMA. che Dio è il numero per eccellenza,
cioè l'unità e la totalità d'ogni perfezione. È significato simbolico quando
s'astrae i numeri a significare gli oggetti ; come dicendo (per esempio)
l'unità e il numero, e s'intendesse Dio e le creature ; così parlavano più spesso
i Pitagorici . Al lora si fa come l'algebrista un linguaggio figurativo . assai
comune agli Orientali ; e ciò toglie l'apparente stranezza delle parole. Il
metodo matematico ha egli verità ? Certo non manca di buon fondamento, perchè
tutto nel mondo si distingue o d'essenza o d'accidenti o di parti , di gradi o
di potenza o di atti ; e tutto, dunque, è capace di numero e di misura . Per
altro, le leggi matematiche non hanno da cercarsi a priori nella realtà, bensi
con l'osservazione; come Galileo, osservato il cadere de corpi, vi scoperse la
quantità del moto crescente. Trovata la legge matematica, s'applica poi a nuove
scoperte, come dalla legge matematica delle oscillazioni s'inventò il pen dolo.
Chi volesse procedere a priori, sbaglierebbe, perchè dalla idealità non si può
concludere la realtà contingente ; per esempio, dall'idea d'un circolo non si
può conclu dere ch'e' si dia in natura. Bensì, nella realtà si scopre ognora
leggi ideali a cui essa risponde sempre (come le proporzioni tra spazio e velocità
nella caduta son sempre le stesse ), ed anche, esemplando il reale all'ideale,
quello vi combacia, come, facendo un circolo, i raggi gli ha sempre uguali.
Ebbene la scuola italica non ignorò i buoni metodi della osservazione e delle
matematiche applicate; già ho notato le dottrine fisiche d'Archita ; del metodo
sperimentale di Polo ci ragguaglia Aristo tile (Met. I) ; le dottrine musicali
d'allora fan supporre molti esperimenti ; Erodoto scrivche i medici italiani
erano i più reputati ; e tutti sappiamo le meraviglie d'Archimede. Tuttavia il
metodo astratto ebbe il diso pra . Così , rappresentando il principio, il mezzo
ed il fine col numero tre, lo vedevano in ogni cosa ; però Filo lao divideva il
mondo in tre parti. Il numero dieci è compiuto in sè stesso , perchè si compone
sommando i LEZIONE DECIMAQUARTA. 273 suoi quattro numeri primi ? ebbene, dieci
i pianeti . Cin que i corpi regolari nella geometria ? dunque altrettanti gli
elementi, e ciascun d'essi n ' ha la figura ; la terra ha il cubo, il fuoco la
piramide, l'aria l'ottaedro, l'ac qua l'icosaedro, l'etere il dodecaedro; e
dunque, altresì cinque i sensi . Se i quattro numeri primi , sommati tra loro,
fanno il dieci ; e se i quattro numeri pari ( 2, 4, 6, 8 ) e i quattro numeri
dispari ( 1 , 3, 5 , 7) , sommati, fan tutt'insieme trentasei, la tetrattisi o
quadernario dovrà riscontrarsi nelle cose ; e quattro, per esempio, sono i
gradi della vita : minerale, pianta, animale e uomo ; e , ne' corpi, il punto è
unità, la linea è qualità , la super ficie è triade, il solido è quadernario,
si compone, cioè . di quattro punti. Questo metodo, applicato alle cose
dell'esperienza, riuscì arbitrario non di rado, e se, inalzato a Dio, ne guastò
il concetto per l'astrazione dell' indefinito ; pure, accompagnato come fu da
tradizioni buone, da molte virtù morali , da preziose osservazioni interne ed
anco esterne, ed eccitando la speculazione, fece sorgere tra gli errori belle e
profonde verità . Quel metodo era (com’ac cennai) : trovare le leggi mentali
della quantità geome trica e arimmetica effettuate nella realtà e salire con
queste alla prima cagione, alla prima ragione ed alla prima legge. Però dice
Filolao che l'intendimento mate matico è il criterio di verità. La prima
cagione dell'essere, che è ella mai ? Sic come i Pitagorici voller trovare i
principj delle cose e il principio de principj, così precede il quesito : che
son mai tali principj ? Risponde Aristotile : « I Pitagorici , educati nelle
matematiche, dissero i numeri esser prin cipj delle cose. » ( Met. I, 5) cioè
tutte le cose si ridu cono a leggi supreme di numero, e queste leggi costi
tuiscono la loro essenza . Or bene, che cos' è la prima cagione ? È il primo
principio, per Filolao ; è la causa che antecede ogni altra causa, per Archita
: « quam Are chytas causam ante causam esse dicebat, Philolaus rero omnium
principium esse affirmabat. » ( Siriano, alla Met. Storia della Filosofi . - 1
. 18 274 PARTE PRIMA. l' Arist. XIII. Dunque se i principj delle cose son
numeri, il primo principio è tale altresì; o, come diceva Hierocle nel commento
al Carme aureo ( Fragm . Phil. Græc.): « Se tutto è numero, Dio è numero. » Che
nu mero ? Il numero per eccellenza. Che cos' è il numero per eccellenza ?
Vediamolo . Il moltiplice fa supporre l’unità ; e l'unità n'è sem pre il
principio ; così abbiamo solido, superficie, linea, punto ; questo è il
principio della linea, della superficie e del solido. Dunque Dio, ch' essendo
il primo principio, è il numero per eccellenza, è altresì l'uno per eccellenza
. ( Aless. Afrod . Comm . alla Met. d ' Arist.) Resta da ve dere che cosa sia
l'uno per eccellenza . L'unità , idealmente, si può considerare e qual parte
che compone la pluralità, e quale idea generica che abbracci la pluralità
stessa. Diciamo: il venti è compo sto d'uno più uno, più uno ec.; ecco le unità
che com pongono un tutto. Diciamo ancora : una ventina, un centinaio, un
migliaio, un milione ; ecco l'unità gene rica che abbraccia ogni numero,
considerato come unità . Nel primo caso, l'unità è l'elemento della pluralità ;
nel secondo , è la forma mentale che fa capaci di compren dere in un concetto
le moltiplicità sparpagliate. E in tal senso l'unità si può chiamare il numero
per eccel lenza, giacchè abbraccia ogni numero. Or bene, o signori, si può egli
applicare a Dio l'idea d'unità ne' detti significati ? No ; Dio non è il compo
nente della moltiplicità ; nè Dio è un che generico e comune alle moltiplicità
particolari. L'unità di Dio è, a dir così, una soprunità, come, secondo i
Teologi, le rela zioni personali della Trinità son soprannumero. ( S. Aug. in
Joann. Evang. ) Si dice uno per negare il moltiplice, nulla più ; e chi
confonde l'analogia di tali concetti col significato proprio, o cade nel
panteismo, o accusa erro neamente la filosofia e la teologia. Si domanda, per
tanto : la scuola pitagorica usò que' concetti nel signi ficato vero ? Da’tre
frammenti di Filolao apparisce che Dio per lui è imperatore sommo e duce, uno,
eterno, LEZIONE DECIMAQUARTA. 275 permanente, immobile, simile a sè stesso,
diverso dal l ' altre cose, potentissimo, supremo, e che solo conosce l'essenza
eterna. Anzi, Siriano nel luogo già citato dice, che pe' Pitagorici Dio è una e
singolare causa, astratta « la tutte le cose, e superiore alla dualità de'
principi, la quale vedremo più qua : « Ante duo principia unam et singulam
causam , et ab omni abstractam præponebat. Parrebb'egli, dunque, che l'unità
de' Pitagorici sia nel senso buono ? Il Bertini ( Op.cit. , vol. II) va
interpretando più benignamente che si può certe opinioni pitagoriche. le quali
ne farebbero dubitare ; e tuttavia conclude: « Il sentimento religioso e morale
gl'induceva a collocare Dio molto al disopra del mondo ; ma il fato della
logica li forzava sovente ad immedesimarli in una sola sostanza e ricacciavali
nel panteismo. » Che vuole dir mai fato della logica ? Vuol dire la necessità
di certe conse guenze, dati certi principj . Or via, quali son dunque i
principj che menavano al panteismo, non ostante l'alte verità frammischiate in
abbondanza ? Era, appunto, il concepire Dio quasi unità generica, o numero per
eccel lenza ; e questo in grazia della non buona induzione. Di fatto, poichè i
numeri son pari ed impari, e l'unità, cioè il numero genericamente preso,
s'estende ad en trambi; così la scuola pitagorica chiamò Dio pari ed impari, e
diceva che l' uno è l'essenza di tutte le cose ( Arist. Met. I ) ; l'essenza
delle cose chiamata eterna ( la Filolao ; che inoltre affermò, le cose diverse
e con trarie non istarebbero senz'armonia , e tale armonia è il numero per eccellenza,
cioè Dio ; aggiunse, che tal numero è legame all'eterna durata del mondo; anzi
( e questo val più ), esso legame produce sè stesso . (V.framm . i Filolao nel
Ritter . St. della Fil. ant.) Finalmente. Dio pe' Pitagorici è limitato ed
illimitato ad un tempong 11pTLOTES PITTOy, Arist. Met. 1. ) Par dunque certo ch
' essi concepivano Dio com'unità generica, in cui s 'uniscono potenzialmente i
contrarj del mondo, pari e dispari, femmina e maschio, male e bene, e via
discorrendo ; contrarj che si distinguono attualmente quando il poten 276 PARTE
PRIMA. ziale viene all'atto, e l'illimitato si limita, e l'essenza universale (
conosciuta solo da Dio, cioè da sè stessa) si determina mano a mano ne'
fenomeni . Dubitò il dotto Bertini che s'intendesse da' Pitagorici, non
dimmedesi mare le cose in un' essenza, ma d'accennare che Dio la in sè i
contrari perchè li supera. E non esito punto a dire che ciò e ' tenevano forse,
ma in confuso, e la con fusione generava il panteismo . Di fatto, se quel
concetto era limpido, essi non avrebber detto che Dio è pari ed impari ;
giacchè i contrarj sono il modo finito delle per fezioni mondane, e però non si
contengono in Dio. Si risponderà : noi n'abbiamo un'idea più chiara. Va bene ;
se i Pitagorici avesser capito chiaro come Dio superi l'universo infinitamente,
le parole chiare l'avrebber tro vate anch'essi. Anzi, l'infinito lo pigliavano
per l'inde finito o potenziale ; e quindi, il finito sembrò a loro il perfetto,
e l'infinito l ' imperfetto. Aristotile serbò lo specchio delle contrarietà in
dieci antitesi (dispari e pari , finito e infinito, uno e più, quiete e moto,
luce e tenebre, bene e male ec. ) , fatto da qualche Pitagorico ; e Simplicio
notò come le contrarietà si comprendano si risolvano in Dio. ( Arist. Met. I, Simpl.
Phys.) Inol tre , come il mondo era la decade, cioè la pienezza d'ogni grado d
' entità , e così Dio ; che riceveva nome d'ogni numero, unità , diade, triade,
quadernario ( o solido), set tenario, decade. Dimodochè pe Pitagorici, come per
tutta la filosofia pagana (avvertite, o signori ) , il quesito della causa pri
venne a quest' altro : Come si limiti 1 illimitato ; ossia , pensarono gli
antichi che la produzione del mondo consistesse nel determinare in atto la
potenzialità prec sistente : talchè Filolao pone tre principj, l’illimitato. il
confine, e la causa ( το απειρων, το πέρας, το αίτιον ). Il che parve in due
modi : i Pitagorici , com’i pan teisti ionj e indiani, dissero che quel
potenziale sta in Dio ; i dualisti, che e' sta fuori di Dio, ed è la mate ria
informata da esso. Nella scuola italica , poi, la im plicitezza de' concetti
adombrò alte verità ; Dio (per ma LEZIONE DECIMAQUARTA. 277 esempio) , legame
del tempo e dello spazio, se non si prende com ' identità d'ogni essenza , vuol
dire benissimo che l'unità divina con l'unico atto creatore e conser vatore fa
l’unione del moltiplice disgregato : però Dio è l'armonia dell'armonie . Che
cos'è dunque Iddio pe' Pitagorici? L'unità su prema di tutti i contrarj. Che
cos'è l'universo ? I con trarj in atto, e ridotti da Dio all'armonia . Come
l'unità generica non diviene numero se non si distingua in unità determinate o
particolari, così la monade suprema non genera il mondo se non si distingua in
monadi o so stanze particolari. Che si richiede, o signori, a formare il numero
? L'unità e la distinzione d'un'unità dall'al tra. Ma la distinzione,
considerata mentalmente, non è forse un concetto negativo e indeterminato,
dacchè si gnifichi che l'una cosa non è l ' altra ? Or bene ; e pen savano essi
che a formare l'universo ci voglia le unità o monadi particolari, poi la loro
distinzione; ossia, come ( lice Aristotile, elementi positivi da un lato,
elementi nega tivi dall'altro. Da queste due maniere d'elementi si fa tempo e
spazio ; nel tempoi momenti e la distinzione di un momento dall'altro, cioè
gl'intervalli; nello spazio i punti e la distinzione d’un punto dall'altro cioè
il vuoto. Tal cosa venne simboleggiata con l'ispirazione del vuoto ; ossia
distinguendosi le monadi, il vuoto entra in loro com'aria ne’polmoni . I due
elementi , il positivo ed il negativo, uniti tra loro, fanno la diade o il
pari; l'ele mento positivo o l' unità, così sola come aggiunta al numero pari
(per esempio il tre ), fa il dispari . Ed ecco, o signori, l' unità nell'altro
senso ch'io spiegava di sopra , cioè nel senso non generico ma particolare di
compo nente il composto. Talchè l'unità nel senso generico è Dio ; le unità nel
senso particolare fanno il mondo. Ed ecco altresì perchè si diceva da’
Pitagorici che il pari è illimitato , illimitato perchè il vuoto e l'intervallo
( o la negazione) è in astratto un che potenziale, può ricevere distinzione da'
punti e da’ momenti all' indefinito . Si diceva per contrapposto che il dispari
è limitato, giac 278 PARTE PRIMA. chè chiude l'intervallo ed il vuoto tra due
estremità positive o tra due monadi , riduce in atto la potenza, e si fa la
triade, numero perfetto che ha principio, mezzo e fine. Voi capite, o signori,
come per la teorica de’toni e degl' intervalli si vedesse analogia tra la
musica e l'universo. Il quale, venendo dall'essenzá eterna come necessario
svolgimento d'attività, non ha reale comin ciamento, è ab eterno ; comincia sì
, ma quant' al nostro pensiero ( -o iniyocav) , ossia il pensiero nol può con
cepire altrimenti . Nè s'avvidero essi che se il pensiero nol può concepire
senza cominciamento, segno è che l'op posto è irrazionale . Che cos'è l'uomo
nell'universo ? Un'anima razionale che sta nel corpo come in u sepolcro ,
diceva Filolao. L'anima è numero e armonia ( Plut. De plac. phil. IV , 2 ), o
monade che riduce ad unione la moltiplicità del corpo e n'è principio di vita e
causa motrice. Se Platone confutò nel Fedone la sentenza che l ' ani ma è
armonia , combatte i materialisti che ponevano l'anima com'un risultamento
dell'unione corporale, an zichè com’un principio di essa, a mo' de '
Pitagorici. Ma Platone invece s'accorda con Filolao dicendo, che l'ani ma è
sepolta nel corpo. Se non che in Platone ha senso più dualistico ; ma ne’
Pitagorici significò (badando noi alla totalità delle lor opinioni), che come
Dio è l'anima del mondo, e vien da essa immediatamente l'anima uma na ( V.
Ritter e Bertini), così vien dalla terra, infima ne'gradi dell' entità e delle
emanazioni tutte, il corpo . Derivano da tutto ciò le teoriche sulla ragione
som må del conoscere e sulla legge dell'operare. Come l'en tità , così la
verità è l'uno e il numero, e l'errore va fuori dell'armonia ; talchè come il
numero fa la misura di ciascun ente o la specie loro, e fa l' attinenze del
l'uno all'altro, così la verità è nell' attinenza dell'in telletto con le
specie degli enti e con le loro attinenze. Ma come si conosce da noi ? Il
simile col simile ; però distinse la scuola italica il senso dall' intelletto
come in due parti ( Cic. Tusc. IV , 5 ) ; l'intelletto è di LEZIONE
DECIMAQUARTA . 279 vino e si conosce per esso (benchè in modo relativo, dice
Filolao) la divinità della natura ; il senso è terrestre, e si conosce per esso
il fenomeno o l'apparenza sensibile. Ragion prima del conoscimento è dunque Dio
; ma com’es senza prima degl'intelletti. In Dio sta la ragione pri ma, non solo
perchè raggiano da lui gl'intelletti , ma perche Dio è numero, e il numero è l'
esemplare del mondo; esemplare riconosciuto dall' intelletto. ( V. il Cou sin e
lo Stalbaum , ambedue nel commento al Timeo .) Però, avvertite, o signori, la
scienza pe' Pitagorici, come per ognuno che n'abbia vero concetto, stette nel
ritro vare la necessità razionale di ciò che conosciamo. Essi voller saper non
solo ciò che è ed accade, ma perchè ciò dev'essere ed accadere. Tuttavia
successe a loro quel che ad ogni panteista ; si credè di trarre a priori le
cose dal conoscimento dell'essenza universale, come le pro prietà d'un
triangolo. Ma invece, e lo dissi altrove, la necessità razionale ( eccetto la
ontologia e la teologia naturale e le loro applicazioni e le matematiche) sta
solo in vedere come, supposto un che, ne venga di neces sità un altro per
attinenza ; ad esempio, data la per cezione, non può non essere il corpo, o
data la volontà negli uomini che son razionali, non può non essere la libertà.
L'assoluta necessità vedesi solo dove può trarsi l'illazioni da un'idea,
anzichè sperimentare de' fatti; nel resto è necessità ipotetica, e non altro ;
o anco è sola contingenza. ( V. Lez. I. ) Come l'entità e la verità sono
numero, negazione la potenzialità indefinita e l'erro re, così è numero ed
armonia il bene, disarmonia o ne gazione il male. ( Arist. Met. I.) Il bene è
misura, il male è dismisura : da ciò quel detto pitagorico : « La misura è
ottima, pétpov Žpustov . » E come Dio è l'ar monia universale, il numero per
eccellenza, egli è il bene o misura o legge. Però, come l'intendimento va per
armonie matematiche e musicali, così la volontà ; e indi nasce la virtù, ch'è
numero dentro di noi, componente la discordia degli appetiti ( Carme aureo,
57-60 ); numero fuor di noi nell'educazione della famiglia e della città . .
280 PARTE PRIMA . - am - ( Fragm.di Luc. Ocello. ) Allora l'anima si va
conformando a Dio (ov.02.09749. Tapos to delov ) ; la disforme da Dio passa in
corpi diversi con la metempsicosi od è punita nel Tartaro ; la conforme a Dio
ritorna nell'essenza ond'ella emanò. » Sarai, dice il Carme aureo, un Dio
immorta le, incorrotto, non sottoposto a morte ( v. 71 : ETEL 0212. τος θεός,
άμοροτος, ούκ έτι θνητος) . Signori, chi non mirerà, in mezzo a quell'ombre, la
luce di sì alte dot trine ? Ma, tralignando i tempi, la filosofia traligno. Il
sistema pitagorico è, quant'a'principj, un pantei smo naturale ; perchè l'unità
per eccellenza vi comprende lo spirito e la materia, distinti poi come tutte
l'altre contrarietà. Come voleva egli scappare il Pitagoresimo alla
contraddizione suprema d'identificare tutte le contrad dizioni ? Dicendo che
non conosciamo l'essenza in modo diretto : quasichè importi tal conoscenza per
escludere l'assurdo. La scuola di Elea tentò fuggire la contrad . dizione,
escludendo la materialità, il moltiplice ed ogni mutamento , e così creò un
panteismo ideale. Xenofane, nato a Colofone d'Ionia il 620 av. G. Cri. sto,
venne assai tardi ad Elea città di Magna Grecia . L'idealismo suo nasceva prima
di lui; ma egli lo recò a sistema. E l'idealismo nasceva per più cagioni ; pri
ma, com'ho detto, ad evitare le contraddizioni del pan teismo naturale ; poi,
perchè il sistema idealistico ha dello scetticismo, a cui ora pendevano i Dorj
non più austeri, e più gl'Ionj (ionica pure la colonia d'Elea); scetticismo
voluttuoso e mesto che apparisce nel poeta Mimnermo, di Colofone anch'esso, e
in alcuni versi di Xenofane; inoltre, già il sistema pitagorico, benchè com
prensivo, faceva prevalere i concetti spirituali , però Xeno fane, vissuto a
lungo in Ionia , venuto poi in Italia, mostra nell'ontologia l'idealismo
italico , ma nella cosmologia la fisica degl'Ionj. Egli scrisse in versi , e ne
resta frammenti, da cui , com'anche da Platone e da Aristotile, si rileva le
sue opinioni . ( Fragm . Phil. Græc. Didot. ) Uscì di patria per le invasioni
Lidie, viaggiò in Sicilia, si fermò in Elea o Velia ; e visse più che centenne.
( Censorino.) LEZIONE DECIMAQUARTA . 281 Xenofane ha di Dio un'idea sublime.
Egli è uno, non simile all'uomo, immoto, è tutto vedere, intendere e udi re .
Ma si deve, o signori, notare cinque concetti che formano il sostanziale del
sistema. Dio è uno. Xenofane tolse il principio pitagorico che l'uno si
converte con l'ente ; però Dio, entità suprema, è uno. L'unicità di Dio ,
Xenofane la provò benissimo per un secondo concetto ancora, ch'è la potenza.
Voi sapete già, o signori, che per la scuola italica l'unità o la monade o
l'entità ( vocaboli equivalenti) è forza, è un'energia . Ciò pure affermò
Xenofane ; e però Dio, ch'è l'ente , è sommo po tere ( 20 % TELY ) : quindi se
più dèi uguali, nessuno è po tentissimo per l'eguaglianza, se più dèi
inferiori, nes suno è potentissimo per l'inferiorità. Talchè Xenofane,
riprensore d’Esiodo e d'Omero, scherniva com’empie le superstizioni volgari, e,
diceva, se i cavalli sapessero di segnare, fingerebbero gli dèi a loro
sembianza. Traeva da ciò un terzo concetto ; che a Dio manca ogni contin genza,
finità e infinità, moto e riposo. L'infinità ? In che senso la nega egli
Xenofane , e contro chi ? Nel senso d'illimitato o indefinito che si determina
con atti successivi ; contro i Pitagorici pe' quali Dio è infinito e finito ad un
tempo, si distingue nell'universo e vi si muta perennemente, benchè immutato
nell'essenza : for s'anche, dove Xenofane accenna il moto e il riposo, con futa
le opinioni degl' Ionj già cominciate e già oppo ste all'italiche più antiche,
ma pe' Pitagorici ancora Dio comprende in sè le contrarietà fra cui Aristotile
notò ( come vedemmo) il moto e la quiete, ugualmente che il finito e
l'infinito, il finito ch'è quiete, l'infinito (indefi nito ) ch'è moto.
Crederemo noi dunque, o signori, che quest'altra verità , in Dio non essere
contingenza, con ducesse gli Eleati al Dio creatore ? No ; e si scorge dal
l'esame d'un quarto concetto, per sè vero, ma falso nell'applicazione : Dio non
può nascere. Va bene ; ma per chè ? udiamolo, signori; il perchè ce lo dà il trattatello
De Xenophane, Melisso et Gorgia, attribuito ad Aristo tile , non di lui forse,
antico ad ogni modo. Si dice, adun 282 PARTE PRIMA. que : Dio non può nascere,
perchè l'ente non può non essere, e il non ente non può dal nulla divenire qual
cosa. L'ente, ch'è per essenza, certo non può non essere ; ma il non ente nel
significato di Platone e pitagorico è il contingente ; che può non essere
appunto, giacchè non è per essenza sua propria, bensì dall'ente. Xenofane, per
altro (notate, vi prego, siguori), prese il non ente in significato di nulla, e
il nulla è impossibile sia mai altro che nulla ; ma ciò che diventa, è nulla in
sè, nulla non già nella potenza causatrice. Che ne conchiudeva Xenofane ? Non
solo che non si dà creazione, ma che non si dà pure causalità nessuna ; non
v'ha che l'es senza immobile, infeconda, inaccessibile. ( ch'è dun que il resto
? o quel che ci pare in continua mutazione ? Fenomeno, apparenza, illusione, e
nulla più ; talchè la fisica che si fa con l'apparenze è illusoria, non è scien
za . Però egli disse in un verso : « Queste cose (del mondo) non hanno altra
vita che l'apparenza, e appartengono alla opinione. ( Plut. Symp. IX. ) De'
dubbj di Xeno fane sul mondo parlo altresì Timone Fliasio ne' Psilli. ( Fragm .
Phil. Græc.) E per provare ciò s'adoperava un quinto concetto : che Dio o
l'ente è tutto, o intero . ( Fragm . di Xenoph.) Che vuol egli dire ?
Cerchiamolo . Che idea vi dà, o signori, l'infinità ? Certo, pienezza d'es
sere, cioè che ivi non ha mancamento . Ma tal pienezza significa forse il tutto
? No, chè tutto è idea relativa : tutto, implica parti ; e quindi ogni tutto
può essere più o meno, come numero ch'egli è ; nè numero assoluto si dà ;
mentre assoluto è l'infinito. Or bene, l'induzione astrattiva concepisce il mondo
com'un tutto e confonde l'infinità ( come pienezza d'essere) con l'universo .
Così accadde agli Eleati ; e però Aristotile scriveva di Xeno fane : «
Contemplando egli il tutto del mondo, disse che l'unità è Dio. » Indi
l'aforismo eleatico, uno è l'ente e il tutto (ey to y uzi có Tiv) . Che si
concludeva mai da questo ? Poichè al tutto non manca nulla, e l'ente è il
tutto, nulla può cominciare, perchè sarebbe aggiun gimento : quasichè, o
signori, ciò che viene dall'efficienza LEZIONE DECIMAQUARTA. 283 creatrice
aggiungasi all'infinità . E però vedete, che dove gli Eleati pareva negassero l
' indefinito pitago rico, van poi al medesimo vizio ; perchè si piglia Dio
com'un tutto generico, che viene simboleggiato con lo sfero. Resta da sapere
che foss'egli per Xenofane l'ente o Dio . È ragione assoluta, intelletto
essenziale. (Fragm. di Xenoph .) Che v'ha dunque più di pitagorico negli Eleati
? Si lasciò la parte corporea ed ogni moto e restò la spirituale, divina ed
immutabile ; quindi è un pan teismo ideale. Il qual sistema si continuò in
Parmenide, in Zenone ed in Melisso. Parmenide d’Elea nacque probabilmente nella
65a Olimpiade, e fiorì nella 69 ", ossia 504 avanti Gesù Cristo. Dice
Plutarco ( Adv. Colot.) ch'egli détte alla patria leggi avute in grande amore.
Zenone d'Elea , scolare di Parmenide e nato verso l'Olimpiade 719 , amo di
cuore la patria , e poichè un tiranno lo condannò a morire, sostenne da uomo il
supplizio : Melisso di Samo fiori verso l'84a Olimpiade, seguì Parmenide, fu
uomo di Stato, e capitano gl'Italioti contro Pericle. Questi gli Eleati più
famosi. L'opinioni di Parmenide vi son date assai chiare ne' frammenti del suo
poema. ( Fragm . Phil . Græc. Didot. ) E che si trova in quelli fin da princi
pio ? I due aspetti, già separati da Xenofane : l'ente, che unico è ; e il non
ente o l'apparenza, che non è : non è , o signori, in modo assoluto e non già
perchè semplice contingenza. Ci ha due vie, scriveva Parmenide, di filo sofare
: 0 porre che l'ente è e che il non ente non è (70 ury; vedi anche il Parm . di
Plat.), e questa è la via retta, perchè s'afferma l'ente e si nega il non ente
o l'apparenza ; o, al contrario, porre che l'ente non è c che sia di necessità
il non ente, questa è via non retta. Si descrive così la via degli Eleati da un
lato, e la via degl'Ionj dall'altro, i quali si fermavano a considerare il moto
delle cose . Ebbene, che concetti ha egli Parmenide allorchè e' mostra che
l’ente è e il non ente non è ? Gli stessi di Xenofane : l'ente è conosci 284
PARTE PRIMA . 1 bile con la sola ragione, ingenito, non mobile, tutto ( cudow )
unigeno, eterno ; non fu nè sarà, perchè ora è tutto insieme; non può esser
nato , perch'è assurdo che l'ente non sia ; non divisibile, somigliante a sè
stesso intera mente, riempie ogni cosa ; la dura necessità ( dir.n ) lo stringe
in vincoli (ossia egli è necessario ; necessità di Dio trasferita da' panteisti
al mondo ed alla volontà uma na ); egli non è infinito ( atedrventov ) , non
bisogna di nulla, ed è lo stesso il pensare e ciò che si pensa. ( Framm . e
segnatamente v. 66-94.) In che Parmenide differì da Xenofane ? Quegli ha forma
più scientifica di speculare, perchè comincia dall'idea universale dell'essere,
e la contrappone al non essere. ( Ritter, Bertini.) Ma crede reste voi che
Parmenide s'avvantaggi su Xenofane, come nella severità dialettica, così nella
perfezione dell'idea ili Dio ? Anzi, dove il maestro partì dall'idea di Dio,
ragione pura, santità essenziale e provvidenza, lo sco lare poi con un vizio
più rilevato d'induzione si fermò al concetto dell'essere generale, nè
v'apparisce punto la personalità divina : sicchè Parmenide non avversa come
Xenofane la mitologia , anzi l'accetta qual credenza po polare. In man di lui,
perciò, il sistema eleatico si rese più ideale. E questa idealità condusse
Parmenide (sem bra un paradosso ), come anco Xenofane alla confusione lel senso
e dell'intelletto . Quanto a Xenofane apparisce da un verso di lui in Sesto
Empirico ; e quanto a Parme nide, lo notò espresso Aristotile ( ppovaly usy tér
vistn512) . Mentrechè il sensista dice : la sensazione è idea e tutto :
l'idealista dice : l'idea è sensazione e tutto. Ma sorge contraddizione nuova :
se intelligenza e senso son tut t'uno, come potrà egli il senso darci
l'illusione ? Ep pure, Zenone d'Elea non pare ch'altro volesse co’suoi strani
sofismi fuorchè mostrare : com’abbandonandoci all'apparenze del moto e del
moltiplice, cadiamo sem pre in contraddizioni. E la parte negativa di tal
sistema s'accrebbe in Melisso che ( notate, o signori) muove dal l'ente indeterminato
come Parmenide, ma lo significa in modo più indeterminato ancora , chiamandolo
un qual LEZIONE DECIMAQUARTA. 283 cosa. ( V. Fragm . Phil. Græc. Didot ; De
Xenophau Melisso et Gorgia ; Arist. de Soph. Elenchis, e Plat. Thecet.) Se non
che, Melisso torna co’ Pitagorici a dire che Dio è infinito, negando a loro
ch'e'sia finito, per chè l'ente non ha principio nè fine . ( Fragm . 2. ) E ciò
va bene ; ma pare che qui terminasse l'infinità nel concetto di Melisso ; egli
non lo concepì come infinitu dine assoluta d'entità, e pero dotato d'efficienza
crea trice e pensiero puro ; anzi l' indeterminatezza di quel l'astrazione fece
sì ch'egli non parla dell'intelletto e della bontà di Dio, e l'idea ne vacilla
dinnanzi com'om bra informe e vana. ( Ritter, Bertini.) Così da Xenofane in poi
vi fu scadimento, come da ' Pitagorici agli Eleati . Questi bensì fecero
progredire la dialettica tendendo a conciliare i contrari , e Aristotile fa
inventore di quella Zenone, che si sa da Diogene Laerzio aver composto dialoghi.
Se la scuola pitagorica seguitò, ma con forme più filosofiche, il panteismo
orfico nella sua totalità , gli Eleati ne presero la parte ideale ; gl’Ionj la
corporea e sensuale. Ell'è perciò la setta men filosofica . In che ci viltà ?
Tra'costumi voluttuosi della Ionia , e in quelle città che presto soggiacquero
alla servitù de’Lidj e de Persiani. E se voi mi domandate, o signori: Que'
sistemi da che gente vennero professati ? Rispondo, che salvo i più antichi,
cioè Talete e Anassimandro nati a Mileto nel l'Asia minore, delle virtù
cittadine di tutti gli altri non si sa nulla ; o sappiamo d' Eraclito ch'era
superbo, duro e solitario . Di Talete stesso, bench’ Erodoto ricordi un
consiglio di lui agl' Ionj , Platone ( Teetete) dice ch' ei s'astenne da' pubblici
negozj . Qual diversità dalla storia de Pitagorici ! non ci meravigli,
pertanto, la diversità ne sistemi. ( Fragm . Philos. Græc. Didot, 1860.) Il
moto delle cose lo crederono gli Ionj nell'asso luto. E che cos'è l'assoluto ?
La materia del mondo. unica entità , eterna, divina, dotata di pensiero ch'è di
vino attributo. Tutti gli Ionj. fuorchè Anassagora, ebber ciò di comune ; e
s'assomigliano alla scuola degli Eghe 286 PARTE PRIMA. liani materiali che
succedettero agl' ideali . Ma gl' Ionj diversificarono tra loro nel concepire
il moto dell'uni verso ; chi, come Talete e Anassimene, Diogene d'Apol lonia ed
Eraclito, ebbe un sistema dinamico ; chi, come Anassimandro e Archelao, un
sistema meccanico. Ed ec cone il divario : cercaron tutti la prima cagione
delle cose, ma pe' dinamici la produzione si fa con isvolgi mento di forze
vive, come gli animali e le piante ; pe’miec canici la produzione non ha se non
forme apparenti . mutandosi solo le particelle inerti come ne’minerali. La
dottrina vera comprende le due opinioni ; perchè la cau salità modale trae
sempre in atto le potenze, l'atto si produce (dinamica ) ; benchè quest'atto
poi non ci dia sempre una specie o un individuo, come nella generazione degli
animali, bensì talora un aggregamento come ne'mi nerali. A ogni modo, tal
dottrina non s'applica punto alla causalità creatrice ; e gl’lonj, negando che
dal nulla si faccia nulla, negando qualunque causalità che non operi sopr'un
soggetto preesistente, non s'avvidero, che tal cau salità non può dirsi assoluta,
ma condizionata . Questo in genere ; venendo poi a specificare la causa prima,
gl’lonj la posero chi nell'una e chi nell'altra cosa che più parve trasmutabile
in ogni altra o quasi un germe, secondo i dinamici, o quasi elemento univer
sale, secondo i meccanici: Talete nell'acqua, Anassi mandro in una natura media
( udtaču puçev ) , e però lo chiama principio (apua) , Anassimene nell'aria,
Eraclito nel fuoco, Diogene altresì nell'aria . Ma, badate, o si gnori , nè
quell'acqua, nè quell' aria, nè quel fuoco, son proprio ciò che ne vediamo; è
un che più intimo e uni versale, simboleggiato in cose visibili secondochè
queste parevano più acconce a figurare l'universalità , come l'acqua che tutto
abbraccia, l' aria per cui si vive, il fuoco che tutto vivifica e distrugge. E
con questo pensare la causa prima, s'andò di male in peggio. Talete serba
confuso al materiale un < he di spirituale ; però dice che tutto è pieno
degli dèi e che in ogni cosa è la mente, e, secondo Cicerone LEZIONE
DECIMAQUARTA. 287 ( Quest. Tusc. I), professò l'immortalità dell'anima. È un
panteismo materiale, ma confuso ed implicato : vi si sente ancora le reliquie
della filosofia teologica più antica , già comune (com' io dissi ) agl'Ioni,
anzi a ogni gente ellenica ed agl' Italioti ; e però i Padri citano di Talete
molti detti sapienti sulla natura di Dio. Anassi mandro svolgeva la parte
materiale dicendo che il prin cipio, in cui tutto ritorna è infinito , perchè
l'origine o il cominciare non termina mai ( tov © vo ) trn doury ENOL Ó žosipov
. Fragm . Phil. Græc.; Didot) ; però gli dèi nascono e moiono, e son astri e
mondi; e la specie umana venne da' pesci. Anassimene seguitò quella via ; nè
altrimenti Eraclito, benchè questi , che cita Pitagora e Xenofane (Diog. Laert.
IX , e Clem . Alex. Strom . I ), désse alla dottrina del fuoco le apparenze d'
una misti cità orientale. Non si discostò dalla teorica degl'Ionj circa la
causa lità l'altra teorica sulla ragione prima. Qual è la ragione del conoscere
? questa, che il principio conoscitore sia formato della materia universale, di
cui si formano le cose conosciute, dacchè il simile si conosca pel simile.
Sembra che di morale gl'Ionj ne parlassero poco ; e ciò sta col materialismo
loro ; Eraclito bensì pone la legge nella ragione universale o divina, palese
con le leggi della patria ; Achelao nega ogni legge necessaria ; e il giusto e
l'ingiusto fa nascere dalle convenzioni umane. Tal panteismo ch ' è sempre a
priori non détte, benchè materiale e salvo poche verità , una fisica buona. All'assurdità
del panteismo volle rimediare Anas sagora da Clazomene, nato verso il 500
avanti l'èra nostra , però distinse la mente dal mondo. Ma non la stimò
creatrice ; sicchè s'apprese al dualismo ; anzi, (lacchè spiega poi la
formazione del mondo come gli al tri Ionj meccanici, non si sa bene che ufficio
e' désse alla mente divina in ordinare, il mondo. ( Plat. Fodone.) Il suo libro
cominciava : Tutte le cose erano insieme ; l'intelligenza le divise e le
dispose. (Diog. Laert. II, 6.) E così distinse Dio, o la mente ( vojv) , dalla
natura ; e 288 PARTE PRIMA . + 1 questa pose in particelle simili , omeomerie,
che son semi delle cose o per la disposizione già ricevuta o che rice von poi
di mano in mano ( 2.pay.tov otepusta.). Diogene di Apollonia in parte lo seguì
, ma peggiorando ; chè fece l'aria dotata di mente, e quindi ordinatrice.
Archelao pure, ultimo fra gl' Ionj, alla confusione primitiva sta bili
ordinatrice la mente ; ma questa non va esente di materialità ( Fragm . Phil.
Didot); talchè il dualismo di Anassagora isterili. Che tenne dietro, o signori,
alla confusione del pan teismo ed alla separazione del dualismo ? La negazione
degli scettici , particolare dapprima, universale poi. E di fatto, già svolte
l'opinioni de' Pitagorici e d'Elea, ben chè non anco terminate ( come va
sempre), e già comin ciato il sistema d' Anassagora, sorsero pressochè ad un
tempo le sette degl'idealisti e de' materialisti. L'idea lismo ateo venne da
Protagora (di cui nel dialogo con tal nome ed in più luoghi scrive Platone );
colui , non si sa quando nato, fiorì verso il 444 avanti l'èra nostra . Il
principio d’un suo libro cominciava : Degli dèi non so nulla ; e Timone Fliasio
scrive, che Protagora quantun que dicesse ignorarli , osservò la legge ossia le
cerimo nie legali ( Fragm . Phil. Græc.) : nella osservanza della legge i
sotisti posero moralità e religione. Diceva Pro tagora con gl' Ionj : tutto si
muta ; e con gli Eleati : tutto apparisce. Questa proposizione viene dall'altra
; perchè se nulla r’ha di stabile, tutto è fenomeno od ap parenza . Vedete, o
signori, come l'idealismo nascesse dall' opinioni anteriori. E sulle due
proposizioni già dette si fonda il sistema di Protagora, che disse perciò : se
tutto muta , nulla è in sè stesso ; e se tutto apparisce, l'apparenza solo è
vera ; vere l'apparenze contrarie , veri i contradittorj, vero insomma tutto
ciò che si pensa, e l'anima è la somma dei diversi pensieri ( Condillac, Kant),
e il fine del discorso sta nel produrre l'appa renza : qui è il sostanziale
dell'arte sofistica . Che vi pare, o signori, non lo dicono anch ' oggi : tutto
è vero quel che si pensa ? Quasi contemporaneo, ma un po'dopo LEZIONE
DECIMAQUARTA . 289 è Democrito d'Abdera, nato per Apollonio il 460, e per
Trasillo il 470 ; talchè, se fiorito con Protagora il 444. ciò sarebbe avanti
a' 16 od a'26 anni ; impossibile il primo caso, non verosimile il secondo,
perchè Democrito dettò le cose sue dopo lunghi viaggi . Sa degl'Ionj, perchè
materialista, tiene bensì degli Eleati , perchè muove dal concetto dell'ente ;
e dice : unico ente il vuoto e lo spazio con gli atomi nel seno ; dalle loro
congiunzioni e dalle figure matematiche conseguenti nascono le qualità ; e
poiche il simile si conosce col simile ( τα όμοια ομοιών είναι apestira ), v'ha
conoscimento nell'anima, essendo ella un atomo a cui vengono le figurette o
immaginette dei corpi ; rozza fantasia che male s'attribui ad Aristotile. E Dio
che cosa è per Democrito ? Compiacendo alle plebi , egli finse dèi come
immagini enormi, ma sotto posti a morte ; vero ateismo. ( Fragm . Phil. Græc.
Di dot .) Vuol notarsi che Leucippo fiori con Eraclito il 500 ; ma poichè il
materialismo giungeva non opportuno. mancò allora il successo, in tal maniera
che di Leucippo non si sa pressochè nulla. Se Protagora s'accostò allo
scetticismo universale, non mi pare che vi giungesse : affermò che tutto si
muta, e ch' è solo quale apparisce, non si sa per altro ch'e' ne gasse l'entità
delle cose in questa loro perpetua muta bilità ed apparenza ; chi giunse a tal
punto, risoluta mente, espressamente, ſu Gorgia di Leonzio ( V. Dial. di
Platone col nome di lui, e altri dialoghi) ; perchè scrisse un libro sul non
ente, cioè sulla natura, e volle provare che o nulla è, o se è non può
conoscersi o se si conosce non può significarsi . Con Protagora e Gorgia v ' ha
una schiera che la Grecia infamò col nome di So tisti, Prodico, Eutidemo e
simiglianti. Chi erano costo ro ? L'antichità gli ebbe per uomini venali. In
che ci viltà vennero ? In età di corruzione . Che frutto recarono ? Dicon gli
antichi: pessimo nell'arte, nella scienza e nel l'educazione della gioventù ;
benchè, come si vedrà, fossero occasione di qualche miglioramento. Ma ecco
fiorire verso que' tempi ( V. Tavole del Storia della Filosofia . - I. 19 290
PARTE PRIMA. Krug) un uomo che vuol riparare a tanta dubbietà. Chi ? Empedocle.
Con che ? col misticismo a cui s'ac compagna ( come accade sulla fine dei
sistemi) un fare d'ecclettico. ( Fragm . Phil. Græc. Didot. ) Da'frammenti del
suo poema ( népe ouro ) e da' detti d' Aristotile e d'altri si raccoglie che il
sistema d'Empedocle non è già fisico solamente ; Dio per lui è mente santa
incor porea : e nè un pretto dualismo, perchè il mondo è tutto, e c'è divinità
mondane o fisiche : e nè un pretto pan teismo, perchè si distingue la mente
divina e gli atomi : che cos'è dunque ? Parmi ch'e' non avesse un concetto
nitido, com'accade agli ecclettici; e così di lui pensa rono gli antichi :
alcuno lo fa di Parmenide, altri pita gorico, Platone lo mette con Eraclito, e
Aristotile con Leucippo, con Democrito e con Anassagora. Ma prevale il
misticismo; perchè ne' frammenti del poema, Empe docle si dà com’uomo
miracoloso, e si crede un Dio immortale; e veste da sacerdote. In lui sentite
lo scet ticismo e l'estasi ; egli pone la mente, umana in parte ed in parte
divina; quella c' illude, questa ( come dice il Ritter) dà un santo delirio e
sorge alla contemplazione mistica di Dio nella natura. Tal è l'Yoga indiano,
tali gli Alessandrini. E questi, di fatto, ebbero in grande stima Empedocle ; ma
Platone ed Aristotile, osservato ri, lo pregian poco. Tuttavia egli seppe
dimolto, e valse in fisica, e fu ben altr'uomo dei sofisti ; onorato dai suoi
cittadini ed in tutta Sicilia . Così terminò quest'epoca, ed ebbe strascico
lungo in due schiere d'uomini; atei la cui morale era il piacere, Evemero,
Ippone, Nicanore, Pelleo, Teodoro, Egesia e Diagora ; Pitagorici o dati
anch'essi al materialismo, così Ecfante, o mistici la maggior parte. Questi
atei com ' Evemero interpretarono storicamente la mitologia : gli dèi furono
uomini indiati, non altro . La scuola fisica poi degl'Ionj, più tralignati, la
interpretò fisicamente : gli dèi son le forze uniche della natura EPOCA
QUARTA DELL' ÈRA PAGANA. SISTEMI GRECOLATINI. CICERONE . 011 SCU pre SOMMARIO .
Moltitudine di scuole tra la seconda metà del penultimo secolo avanti l'èra
volgare fin al quarto secolo dell'era stessa , sullo spartimento delle quali
non sono chiari gli storici. Criterio per la distinzione del . l'epoche , e
quindi per l'assegnazione varia de ' sistemi. Con tal crite rio , le dette
scuole si spartiscono in due classi. – La prima classe si sud distingue ; 1º
negli eruditi ; 2 ' negli scettici ; 3 ne ' sistemi grecoasiatici : tutti
formano la fine dell'epoca terza, cioè sono la conseguenza de ' sistemi
anteriori . La seconda classe , o de' sistemi grecolatini, fa un'epoca da sė ,
cioè l'epoca quarta . È un'epoca nuova , per la tentata riforma, e per
l'efficacia grande cosi di Cicerone come de' Giureconsulti. — Cagione del
sorgere tardi la letteratura e la filosofia in Roma. Elle sorsero, quando i
Romani non furono più con tutta la mente in fatti gravi e giornalieri . Allora
può la riflessione volgersi alla coscienza e contemplarvi l'uomo , – Il
pensiero de ' Romani si distese all'Italia e al genere umano. — Naziona lità
naturale e politica degl' Italiani merce i Romani . Affetti domestici nel buon
tempo di Roma. Come si vedano in Virgilio le qualità prin cipali della civiltà
italica . I germi antichi di questa erano in Roma; si svolsero per impulso di
Grecia. Durò poco in Roma la filosofia pura mente speculativa, perchè già la
filosofia greca , declinando, avea lasciato salve ben poche verità , e perché
Roma cadde in servitù . Cicerone e i Giureconsulti romani costituiscono la vera
filosofia grecolatina . Cice rone si proponeva di sceverare dal falso e
dall'incerto le parti vere e certe ile' sistemi greci , di comporle in ordine
chiaro , d'applicurle praticamente, e che se n' aiutasse l'eloquenza. - Sue
virtù e suoi difetti. Si prova ch'egli non fu copiatore de ' Greci , ma pensò
di suo . Non pare da distinguere i suoi libri ( com ' alcuno pensa) in popolari
e dottrinali . Libri logici , fisici e morali. Cicerone ripete il conosci te
stesso come fondamento della filo sofia : la coscienza con tutte le due
relazioni. Indi l'evidenza interio Uso degli altri criterj secondari , tenendo
sempre in mente l'universi lità e dov'ella si manifesti. Cosi egli potė cansare
gli eccessi de ' sistemi; e si prova quanto a ’ Platonici , a' Peripatetici,
agli Stoici , agli Accademici : rigettato assolutamente l'Epicureismo. -
Cicerone non elegyeva da ecclettico , ma per un ordine di principj ; vide cioè
che la filosofia è da studiarsi entro di noi ; e da tale studio inferi tre
verità , che gli furono regolatrici : 1º che l'uomo sta sopr' all ' altre cose
; 20 che la ragione dell'uomo prevale al senso e al corpo; 3º che questa
ragione con le sue leggi ci fa palese Dio . Talche delini la filosofia :
scienza delle cose divine e umane e delle cagioni di queste ( off .) : l'altra
definizione de' Tuscolani è come racconto dell'opinioni pitigori che. Va
seguito i principj spontanei , naturali , universali della ragione : ecco
l'assioma di Tullio. — Ma, per la moltitudine de ' sistemi , ei potè co gliere
poche verità ; queste affermò, nel resto sospende il giudizio . Esem pio, il
finale de natura Deorum . Le dottrine certe di lui ne ' libri morali, o sulla
legge e sulla libertà ; le opinioni verosimili ne'fisici, o sulla natura divina
e dell'anima; ne'ljbri logici l'une e l'altre ; ossia , egli è certo su'prin
cipj e sull' evidenza interiore, ha solo verosimiglianza sul criterio delle per
cezioni esteriori. Dualismo . — Anche per la teorica del conoscimento. Teorica
dell'operare bellissima ; legge naturale, eterna ; Dio n'è la fonte ; re . - .
0 LEZIONE DECIMOTTAVA. 367 chi non ammette Dio , non può ammettere la legge . —
Il dovere. Gradi degli officj . Quel ch'è giusto in sè stesso . Utile
apparente, e utile vero ; questo è conseguenza della virtù. — Onestå. Le leggi
positive nascono dalla naturale ; Dio è il proemio di tutte le leggi. - Buoni
eifetti della filosofia di Cicerone . Non anche terminata l' epoca terza
cominciò la quarta, de' sistemi grecolatini. Dalla seconda metà del penultimo
secolo avanti l'èra volgare fino al quarto secolo dell' era stessa , troviamo
una moltitudine di scuole, lo spartimento delle quali dà qualche impaccio agli
storici . Taluno le piglia tutte insieme (e vi com prende gli Alessandrini del
terzo e quarto secolo) come una sequela de sistemigreci anteriori ; e così non
pone ad esse un'epoca distinta . E per fermo se tutte le dette scuole non
fosser altro che discepoli, o raccoglitori eruditi , mancherebbe la ragione del
porle da sè , o del farne più classi . La ragione d'un'epoca, quando si parla
di scienze, è solamente una grande verità scoperta, da cui dipende l'ordine
universale d'una scienza qualunque, o il risorgimento di essa dopo un tempo di
scadimento, e quindi l'efficacia su ' tempi avvenire. Insomma, v'ha un
principio d'epoca, quando v’ha un principio di moto nuovo e potente : la
continuazione di moto, è continua zione d'epoca e nulla più. Applicando tal
criterio all' età sovraccennata , par chiaro che i sistemi vi si distinguano in
due parti ; una sta nell'epoca terza precedente, ossia nella greca e come
termine di essa ; la seconda costituisce un'epoca da se per qualità sue
proprie, o un'epoca quarta , benchè i siste mi dell'epoca terza la precedano,
l'accompagnino ed an che le sopravvivano : tanto è vero che la sola divisione
per tempi non segue la realtà. La prima parte che ter minò l'epoca greca, si
suddivide in tre, gli eruditi, gli scettici, i grecoasiatici. Da un lato v'ha
le scuole di pretta erudizione ; le quali non iscopersero nulla , nè
rinnovarono nulla ; gli Stoici eruditi ; i Platonici eruditi, com ' Areio
Didimo, Trasillo, Albino, Alcinoo, Massimo di Tiro ; i Peripatetici eruditi o
commentatori d'Aristo tile, come Alessandro d'Afrodisio ; i Medici, eruditi an
365 PARTE PRIMA. ch'essi, platonici e peripatetici, come Galeno. Poi da un altro
lato v'ha lo scetticismo d'Enesidemo e di Sesto Empirico, i quali compivano,
anzi riducevano a sistema il dubbio di Pirrone e di Timone, volgendosi
specialmente contro la causalità, e negandola per la singolare ragione che il
modo intimo del causare nol conosciamo; quasichè possa negarsi ciò ch'è ad
evidenza, quando non si sa spiegarlo. Da un terzo lato ancora , mescolati i
Greci con gli Asiatici per le conquiste d'Alessandro e poi per la vastità
dell'impero di Roma, vediamo un congiungimento tra la sapienza orientale e i
sistemi greci; onde si svolse la setta degli Alessandrini, che non fecero altro
se non ridurre a forme greche il panteismo asiatico , già comin ciato in Filone
ebreo, nella Kabbala, in Apollonio Tianeo e in Moderato , Nicomaco, Plutarco,
Apuleio, Cronio, Numenio. Questi, benchè distinti dalla scuola d'Alessan dria
(e fa male chi li confonde), in sostanza cominciaron l ' avvio di quella, che
ne trasse i pensieri a compimento. Gli Alessandrini e i loro antecessori fanno
essi dunque un'epoca nuova ? No, perchè i metodi sono affatto del: l'età
socratica, e i principj gli stessi ; lo scetticismo poi che li conduce al
misticismo, appartiene a quel medesimo tempo. L'unione dell' orientalità con
l'atticità pare un che nuovo, ma scientificamente non è ; proviene dalle
tendenze mistiche succedenti al dubbio, non già da'me todi scienziali ; piacque
la misticità orientale, richiesta già dagli animi. Ebbi l'opinione anch'io che
gli Ales sandrini facciano un'età da sè ; ma più attenta consi derazione m'ha
condotto ad altro parere. La seconda parte sì che fa un'epoca da sè, l'epoca
quarta o Latina . Introdotte le scuole di Grecia in Roma circa il mezzo del
secondo secolo avanti l ' èra nostra, cominciò ivi un ordine proprio di
concetti per efficacia delle tradizioni italiche e per la civiltà di Roma ;
talchè, ripeto, avvi un'epoca quarta, o de sistemi grecolatini ; nuova per le
riforme tentate da Cicerone e per la novità dei iureconsulti, ch'ebbero
efficacia sì viva e univer sale nella civiltà europea ; e anco perchè Cicerone
servi LEZIONE DECIMOTTAVA. 369 più che i Greci alla filosofia cristiana de'
Padri latini e dei Dottori, i quali per via di lui , piucchè in modo im
mediato, seppero l'antiche opinioni. Adunque in uno specchio generale di storia
si dee lasciare i filosofi eruditi, che non aggiungono nulla ; degli scettici
dissi già nella passata Lezione; de'sistemi grecorientali poi si dee trattare
nella prim'epoca del l'èra cristiana , perch' essi combatterono la sapienza de
Padri e n'eccitarono la opposizione. Resta che noi parliamo qui de' sistemi
grecolatini, che soli ci danno un'epoca nuova. Non fa meraviglia che in Roma
nascesse tardi la letteratura e la filosofia. Nascono l'una e l'altra, quando
la riflessione si volge alla coscienza, e vi contempla l'uomo interiore per
elevarsi all'ideale universalità. La filosofia vi s'eleva in modo astratto ; la
letteratura rende concreto l'ideale con la fantasia e con gli affetti. Ma
quando un popolo, come il romano, è tutto inteso a fatti gravi e giornalieri che
lo attirano o a guerre este riori od a contese interne; allora ti daranno bensì
canti popolari di guerra e d'illustri memorie ( come gli ac cennò Tito Livio ),
ma non ti possono dare nè letteratura nè filosofia ; in que' tempi guardasi al
fine politico ed aʼmezzi, non alla natura interiore dell'uomo qualità generali
delle operazioni, come fanno il poeta ed il filosofo . Indi la rozzezza
de’Romani; talchè narra Tito Livio, che lo storico più antico fu Fabio Pittore
a' tempi d'Annibale. Ma quando Roma ebb’esteso la dominazione a tutta Italia e
oltre, allora il Romano non vide più solo innanzi a sè le contese de' vicini ,
e le contese del Foro tra nobili e plebei, sì un'intera e grande nazione e il
genere umano. Così l'idea di Roma si appresentò in relazione con tutta l'Italia
e l ' Italia in relazione col mondo. Il pensiero de' Romani si dila tava ; si
allargò fuori del cerchio de' fatti particolari; il Quirita si sentì più
chiaramente e figlio di Roma, e italiano, e uomo ; tanto più che a poco a poco
la cit tadinanza romana si estese a tutta Italia . A’tempi di Storia della
Filosofia . – 1 . e alle 24 370 PARTE PRIMA. 2 as 2 Cicerone non rimaneva quasi
più possedimento in Italia non assegnato a'cittadini per via di colonie ; il
qual fatto, unito all'altro che già notai) de'primitivi abita tori ricaccianti
le colonie greche, spiega com’in Magna Grecia ed in Sicilia i dialetti sieno
italici puri (chè i pochi Greci di Puglia non sono gli antichi), non già
ellenici come in Grecia moderna e in alcune parti del l'Asia minore. Le colonie
romane, aiutate dall'affinità primitiva delle schiatte italiche, formarono così
l'unità naturale, o la consanguinità della nostra nazione ; nazio , nalità
naturale determinata da'naturali confini del no stro paese, e che si manifesta nell'unità
formale de dia letti , o già contemporanei al romano, o nati da esso. Indi
allora nacque la politica nazionalità benchè dopo cinque secoli di guerre ; ma
lasciando a’municipj un'im magine di Roma, consoli, senato e popolo com'a
Firenze ( R. Malespini e G. Villani) , e concedendo a que mu nicipj
amministrazione lor propria ; indi vennero i no stri Comuni del medio evo. Roma
e l'Italia , considerate in relazione col mondo , formarono nelle menti romane
com'un archetipo di per fezione. Il vecchio Plinio ( giova ripeterlo qui)
scrive dell' Italia : « Omnium terrarum alumna et parens, omnium terrarum
electa ; una cunctarum gentium in toto orbe patria. » E Virgilio , lodando
magnificamente l'Italia nel secondo delle Georgiche ( 135-136), non si ristringe
a Roma, e dice : « Hæc genus acre virumi, Marsos pubemque Sabellam Adsuetumque
malo Ligurem , Volcosque verutos Extulite .......... » M 22 14 e finisce con
quell'alte parole : Salve, magna parens, Saturnia tellus Magna virum ..... »
Giunto un popolo a questa larghezza di sentimento e di riflessione, possiede
l'idealità necessaria per l'arte del bello e per la filosofia ; non lo
stringono più le ne LEZIONE DECIMOTTAVA. 371 cessità de'fatti speciali, stende
il pensiero alle attinenze , considera la natura dell'uomo e delle cose .
Questo svol gimento di coscienza per la riflessione venne promosso da una causa
tutta particolare a Roma ed all'Italia . Qui, più ch'altrove nell'antichità ,
fu sacro il connubio ; e gli affetti di famiglia v’ ebbero consistenza per
molti secoli : la stessa mitologia nostra, come dice Polibio, rigettava le
nefandezze de' simboli elleni . Or bene, gli affetti di famiglia tengono vivo
il senso morale, che dipende dal l'idealità suprema della legge e del dovere.
Non v'ha dunque da stupire, se Virgilio, benchè imiti Omero, si distingua tanto
da lui ne' principali concetti che gover nano il poema ; ossia, nel concetto
che ordina il poema stesso e ch'è una disposizione di provvidenza rispetto a '
Romani; poi , nel concetto di patria ch' è Roma ; in quello altresì di nazione
(non di schiatta soltanto , come la Grecia ), cioè di tutte le genti italiane,
non solo con sanguinee ( schiatta italica) , ma dimoranti pure in unico paese
(nazionalità naturale) e poi congiunte da Roma ( nazionalità politica ):
nell'altro di famiglia onde ri fulge l’Eneide dal principio alla fine ; per
ultimo, nel l'intima e soave descrizione degli affetti, con la quale il poeta
mantovano preparò la poesia cristiana. Sicché, quand' io leggo in alcuni libri
ch'a Virgilio mancò un'idealità propria, prego da Dio la fine di certe pas
sioni che impediscono la equità de' giudizj. Però, mentre allargavasi il
dominio romano, cresce vano le ragioni d'intima civiltà ; le quali, per altro ,
s'acchiudevano già in Roma ab antico. La prisca gente romana che ch'ella fosse
e in qualunque modo si ra gunasse da prima, certo è, che s'ella fu rozza per le
necessità di continue guerre, sorse tuttavia tra popoli molto civili ; ebbe
accanto la Magna Grecia e l'Etruria, e le tante città de' Sabini e del Lazio.
Ora chi non sa quanto valgano mai le tradizioni civili anco tra popoli rozzi ?
Numa vien detto alunno di Pitagora ; ' e l'ante riorità di quello è spiegata
dall'antichità delle scuole pitagoriche, com'altrove narrai, Dice Cicerone : «
Romuli 372 PARTE PRIMA . autem ætatem jam inveteratis literis atque doctrinis
fuisse cernimus » ( De rep .) : e sant'Agostino scrive nella Città di Dio che
Romolo era venuto non « redibus atque indoctis temporibus, sed jam eruditis et
expolitis. » Plinio cita le belle pitture d'Ardea più antiche di Roma ; i
Romani predarono dalla sola Volsinia 2,000 statue ; Bolsena in Fenicio
significa città degli Artisti . ( Cantù, St. Univ . III, 24. ) Se a ciò
aggiungo la tradizione, che le leggi de cemvirali si prendessero di Grecia (
tradizione falsa per le leggi che s'attengono a' costumi di Roma, vera pro
babilmente quant'al modo d'ordinarle ), e se aggiungo altresì la perfezione che
graduatamente il gius positivo ebbe dal gius onorario, mi capacito che nel seno
di Roma cresceva un germe di civiltà e però di lettere e di filosofia, da
venire a compimento, quando se ne offe risse la occasione. E questa occasione (
testimonio la storia ) è sempre qualcosa d' esterno. L'occasione a Ro mani
venne da Greci conquistati; ed ha il proprio segnale nell'ambasceria di
Critolao, Carneade e Diogene babilo nese al sesto secolo di Roma, 155 anni
avanti Gesù Cri sto . Catone si sforzò di cacciare le sette greche ; invano, il
terreno era preparato, e la pianta fiorì. Ben è vero che la speculazione
puramente filosofica non durò a lungo, ma proseguì a fecondare il diritto : la
qual brevità ebbe due cagioni principali. I sistemi greci, che aveano menato
tant' oltre la forma logicale della filosofia , quant'alla materia poi l'aveano
lasciata in dubbiezze infinite, come vedemmo ; talchè si richie deva uno sforzo
più che umano a rilevarla : poche verità si conservavano intatte da ordirvi la
scienza . Quindi, o rimaneva solo a far opera d'eruditi e d'accoz zatori, come
gli ecclettici d'allora ; o bisognara trar fuori quel poco di certo, che non
dava soggetto a co piose speculazioni. In secondo luogo, allorchè Roma venn'a
maturità di pensiero, cadde in servitù che iste rili la letteratura e la
scienza. Quindi i sistemi greco latini si riducono il più alla filosofia di
Cicerone, e alle LEZIONE DECIMOTTAVA . 373 scuole de' Giureconsulti. I filosofi
anteriori a Cicerone seguirono i Greci pressochè interamente ; Lucrezio, per
esempio, ripetè quasi le dottrine d'Epicuro ; ma nondi meno egli mostrò la
coscienza di romano, allorchè, facendo materiale l'anima, pur contò fra gli
elementi co stitutivi di essa un elemento innominato, quasi animo dell'anima :
nobilis illa Vis, initum motus ab se que dividit ollis, Sensifer unde oritur
primum per viscera motus. » ( De Nat. III, 273.) e quando stabilì negli
elementi un moto spontaneo per ispiegare la libertà ; e quando celebrò la
divinità della natura con versi stupendi e la santità del matrimonio . Seneca
non si partì dagli Stoici , benchè faccia profes sione di non ispregiare
nessuna scuola ; Marco Aurelio, com ' Epitetto, ha lasciato aurei precetti, ma
senza ordi namento di scienza . Cicerone, al contrario, istituì spe culazioni
proprie, che certo ebbero forza nell'universa lità de' Romani culti e nella
giurisprudenza. Io dunque parlerò di Cicerone oggi ; de' Giureconsulti in altra
Le zione. Fin d'ora io dico , che Cicerone si proponeva di sceverare (con un
principio superiore) le parti vere e certe de sistemi greci dalle false od
incerte, di comporle in ordine chiaro, d'applicarle alla vita privata e pub
blica, e ch'elle conferissero all'eloquenza . Questa filosofia di Cicerone suol
chiamarsi ecclettica ; e chi la intenda per metodo compositivo e logicamente
ordinato, passi; ma direbbe male chi la pigliasse per una scelta a caso,
senz’un principio interiore e ordinatore. Nessuno po trà negare, che ciò
distingua le speculazioni di Tullio dall' ecclettismo de' Greci mentovati poco
fa, i quali ra gunavano nella memoria, ma non componevano nel pen siero ; e lè
distingue pure da’migliori sistemi dell'epoca antecedente, perchè Cicerone li
giudica con libertà e li trasceglie. Nè si può mettere in dubbio l'efficacia di
lui 374 PARTE PRIMA. II 11 10 su'secoli avvenire. I Padri e i Dottori lo
studiarono molto ; e sant'Agostino, da uomo grande che riconosce il vero ed il
bene onde che venga, scrive nel libro terzo delle Confessioni ( cap . 4) : «
Hic liber ( cioè la lettura dell'Or tensio ) mutuvit affectum meum , et ad te
ipsum , Domine, mutavit preces meas, et vota ac desideria mea fecit alia . »
Pare che Cicerone traesse la schiatta da quel Tullo Azio, che regnò
gloriosamente su'Volsci ( Plut. in Cic .); e quegli se lo teneva per certo ,
sicchè dice ne' libri Tu scolani, che Ferecide era antico, fuit cnim meo
regnante gentili ( 1, 12) : indi la smania di comparire tra gli otti mati .
Lasciate le scuole de' giovinetti, udì Filone acca demico ; ma insieme
praticava Mucio, personaggio assai versato nella politica, e principale
tra’senatori, impa rando da lui scienza di leggi ; e militò con Silla tra '
Marsi. ( Plut.) Sentì anche Fedro epicureo e Diodoro stoico. In Atene seguitò
Antioco accademico, e non trascurò Ze none l'epicureo. Andò poi in Asia, e si
fermò a Rodi , per esser ammaestrato dallo stoico Posidonio. Giovine, favellava
con tal passione e con voce si concitata, che gli recava danno alla salute. In
Sicilia fu pretore giusto, umano, amatissimo. Dopo la congiura di Catilina,
Catone stesso chiamò Cicerone Padre della Patria dinanzi al popolo. Esiliato da
Roma per le mene di Clodio, vi rien trò poi come in trionfo ; gli furon trionfo
tutte le vie d'Italia , per le quali egli passò. Stette fedele alla re pubblica
contro la signoria di Cesare e la tirannia d’An tonio. Questi lo mandò a
trucidare, e Cicerone porse il collo alla spada. ( Plut.) Amò la famiglia con
tenerezza . Esule, scrive a Terenzia sua e alla figliuola lettere d'amore
sconsolato. Com'egl' intendesse la santità dei pubblici ufficj, lo mostra la
famosa lettera a Quinto fra tello . Le sue lettere, scritte da lui senz'intenzione
di pubblicità , e che formano uno de' più bei libri del mondo, lo mostrano
sempre d'animo schietto e buono. Vicino a morire, scrisse a Peto : « Sii
persuaso, che giorno e notte non altro cerco, non altro penso , se non che i
miei cit I. 14 LEZIONE DECIMOTTAVA. - 375 tadini sien salvi e liberi . Non
lascio opportunità d'am monire, di fare, di provvedere. Infine io son fisso qui
, che se in tanta cura e amministrazione ho da porre la vita , stimerò di aver
finito preclaramente. » ( Ad fam . IX, 24.) Non peccò d'orgoglio, ma di vanità
; si lodava spes so, e questo aizzava gl'invidiosi, e a lui diminuiva ri spetto
. Faceto, mordeva non di rado altrui, e, senza vo lere, s'accattava nemici ; ma
in lodare i meriti veri abbondava con allegrezza e con liberalità d'uomo sin
cero e benevolo. Parve talora incerto ne' propositi, e troppo addolorato nelle
sventure. Prese due mogli, ripu diando la prima. Volle dedicare un tempio alla
figliuola morta ; lodò e invidiò gli uccisori di Cesare ; lodò prima Cesare troppo,
ma non l'opere mai. Dice il Capponi ( Archivio Storico, tomo IX, parte 2) : «
Ma chi fosse più di me severo a Tullio, pensi com'egli animosamente cominciasse
la sua vita d'oratore e la compiesse glorio samente. Giovane, assalse nella
difesa di Roscio d'Ame lia un Crisogono liberto di Silla ch'era affrontare
Silla medesimo; vecchio e principe nella città e guida e anima del Senato,
combattè Antonio e incontrò la morte. » Oratore, accusò sempre gli scellerati ,
difese qualche volta i non innocenti . Filosofo, stette per lo più dalla parte
del vero ; bensì approvò il suicidio, l'assassinio de' ti ranni, la vendetta,
un certo sfogo di carnalità ne' gio vani, e la schiavitù . Scrittore e uomo di
stato , cercò troppo la lode, ma insieme la grandezza e il bene della patria .
Scrisse d'eloquenza, e fu oratore sommo : scrisse di filosofia morale, e fu
uomo dabbene; scrisse di cose civili , e fu gran cittadino . Ecco i fatti
principali e virtù e difetti che spiegano la filosofia di Cicerone. È
impossibile non vedere in lui tre forti amori, di gloria, di patria e di
famiglia ; e' reca in tutto ciò un'ardenza di cuore, la quale ha talvolta del
molle , ma la tenerezza è temperata da un senso vivo d'onestà e di decoro . (
V. le Lettere scritte in esilio. ) Udì tutte le scuole, e però raccoglieva il
meglio ; ma con iscelta libera e ordinata, perchè uomo libero ed 376 PARTE
PRIMA. , T 11 tro operoso, e ingegno forte. Romano e uomo di stato, se guì ,
più che non facessero le scuole greche, il precetto so cratico di badare nella
scienza al fine del bene; e tal qualità pratica non diminuisce il valore delle
dottrine, anzi lo cresce, purchè la scienza si pregi anco per sè, come faceva
Cicerone. Badando al bene, odiò la parte ipotetica e vana de sistemi anteriori,
e ne prese il poco, ma certo e buono. Però, indulgente ad ogni setta, con gli
Epicurei non volle mai pace. Un po' vano, pompeggiò assai nelle parole ; il che
gli scema vigore qua e là ; ma nelle lettere e negli scritti filosofici va
semplice e spe dito . Uomo universale, senatore e console di Roma, cercò
l'universalità negli scritti ; e questi dettero a 'Romani l'idea di tutto il
sapere greco. Pieghevole alla opinione altrui per bontà di cuore e per bramosía
di favori po polari, combatte nel libro della Divinazione le falsità pa gane,
le rispetta in altri luoghi; ammira il suicidio degli Stoici, non se l'attenta
per sè, timido, dicon taluni , ri morso da coscienza non confessata, dirò io ,
e lo credo. Taluno da quelle parole di Cicerone ad Attico : ATÓMp492 sunt ;
minore labore fiunt, verba tantum affero, quibus abundo ( Ad Att. , XII, 52) ;
ha dedotto ch'esso i libri filosofici traducesse dal greco, non li facesse di
suo. Ma quando poi sentiamo che Cicerone stesso , in tempi che gli autori greci
erano familiari, e molti a Roma i maestri greci, e in opere dedicate a dotti di
greco, quali At tico e Bruto, o a studenti in Grecia, come il figliuolo, dice
(De fin . 1, 3) : « Noi non facciamo ufficio d'interpreti, ma sosteniamo le
dottrine di coloro che approviamo, e aggiungiamo ad essi il nostro giudizio e
un ordine no stro di scrivere ; e che dice altrove ( De off. I, 2) : « Ora
seguiremo e in tal soggetto gli Stoici principal mente, non come interpreti
(non ut interpretes ); bensì, al solito nostro, berremo a’lor fonti quanto per
giudi zio e arbitrio nostro ci parrà : » allora, io affermo, che Cicerone non
poteva dire una bugia così sfacciata ed inutile. Narra egregiamente Plutarco :
« Eragli studio comporre dialoghi di filosofia e tradurre dal greco » an 10 1
:. bi lice . li 1 tes LEZIONE DECIMOTTAVA . 377 ( In Cic. ) ; e così un greco
antico, più che i moderni non greci, distingueva bene i libri tradotti come il
Ti meo) da'propri di Cicerone. L ' opere di lui distingue il Ritter in
filosofiche o riposte ed in popolari. A me non sembra ; sì scorgo chiara la
distinzione de’dialoghi spe culativi , come i libri accademici , dagli scritti
che hanno un fine pratico, ad esempio gli Offici, dell'Amicizia, e simili.
Negli Officj chi mai non vede un ordinamento scienziale ? E s'egli rispetta gli
dèi più qui che altrove, pensiamo che ciò s'usava da tutti i filosofi, quando
essi non ispeculavano direttamente sulla divinità. Mi pare, poi , manifesta la
distinzione, e più princi pale : tra i libri fisici ( De natura Deorum , De
divina tione ), i logici Academicorum , Topica, De inventione, De oratore etc.
), i morali ( Tusculanorum , De officiis, De finibus, De senectute, De
amicitia, De legibus, De republica , De fato); quantunque in ciascuna classe si
trovino mescolate più o meno le dottrine, non già di vise assolutamente. L'
Ortensio poi è perduto, d'altri libri restano frammenti. Or dunque Cicerone,
imitando Socrate, tornò a'prin cipj e al fondamento del sapere. Quegli , come
questi, si trovò in mezzo a una confusione di sistemi, e, come So crate, chiamò
i suoi al conosci te stesso, affinchè nella coscienza di noi prendiamo il
rimedio alle superbie d'ipo tesi vane e il principio della sapienza vera .
Quand' io dico che Cicerone imito Socrate, già non lo paragono a lui , nè come
filosofo glielo fo uguale, sì discepolo ; dico bensì , che il tornare
a'principj è in tutte le cose rinnovamento unico e condizione di nuovo cammino
; e chi rinnova, è istitutore novello e cominciatore d'un'epo ca propria. E se
Cicerone non riuscì a tanto come So crate, ne chiarii altrove le cagioni; e a
lui non s'ha da imputare. La scienza e la civiltà del Paganesimo ca devano, e
sempre più Cicerone le trovò quasi in fondo, nè potè nè sperò ritirarle in
cima. Fatto è, che Cicerone, come Socrate, capi la stranezza delle sette
pagane. Amò con grand' amore la filosofia, 2 378 PARTE PRIMA 1 . ! la pre 18 MA
Tha U. >> TH e ne scriveva lodi magnifiche in ogni suo libro ; anzi l'
Ortensio fu composto da lui per esortazione a filoso fare; e nondimeno quand'
ei volgevasi attorno, e sentiva le strane opinioni di tante sette, esclamava :
« Niente si può dire di tanto assurdo, che non sia stato detto da qualche
filosofo. » ( De div . II, 38. ) Ammoniva per ciò a rientrare nella propria
coscienza, a ripigliare il conoscimento di noi, a seguire così una filosofia
meno sicura de' propri sistemi, non presuntuosa (minime arro gans : De div. II,
1 ) . Ripeteva il precetto che stava sul tempio d'Apollo, nosce te ipsum , e
diceva : « Essendo tante e sì grandi cose che si scorgono nell ' uomo inte
riore da quelli che voglion conoscere sè stessi , madre loro e educatrice è la
sapienza. (De off. I, 23, 24.) Egli invitava a fermar l'occhio in questa
evidenza in teriore, dove tante verità si veggono chiare ( quæ inesse in homine
perspiciuntur.) In questa coscienza di noi stessi , Cicerone come So crate, più
di Socrate forse perchè romano, sentiva l'uni versalità del vero, distinta
dalle opinioni particolari, e l'amore che tende al vero, e l'essere nostro
sociale e religioso, relazioni universali anch'esse ; e però egli in culcava
sempre di fermar l'occhio in ciò ch'è proprio dell'uomo, ossia nella retta
ragione (De off. I e II, passim ); e contro gli Epicurei fa valere gli affetti
più generosi dell'animo ( ivi, e negli Acc. e ne Tuscul. e quasi per tutto ); e
chiama in sostegno il senso comune e le tradizioni umane e divine. Così ne'
libri Tuscolani ( I, 12) adopera l'autorità del senso comune a dimostrare
l'esistenza di Dio e l'immortalità dell'anima umana ; e dice ne'Paradossi
contro gli Stoici : « Noi più adope riamo quella filosofia che partorisce copia
di dire, e dove si dicono cose non molto discordi dal pensar della gente.
>> ( Proem .) E nelle seguenti parole del Tuscolani si vede com'ei
raccogliesse, di mezzo alle opinioni varie, le tra dizioni universali de
filosofi e le divine : « Inoltre, d'ot time autorità intorno a tal sentenza (
cioè l'immortalità dell'anima) possiamo far uso ; il che in tutte le que HIE
ale Di D. 4 LEZIONE DECIMOTTAVA. 379 stioni e dee e suole valere moltissimo (in
omnibus cau sis et debet et solet valere plurimum ): e prima, di tutta
l'antichità (omni antiquitate ); la quale, quanto più era presso all'origine
divina ( ab ortu et divina progenie ), tanto più forse discerneva la verità. »
( Tusc . I, 12. ) E tra filosofi, ch'egli cita, preferisce appunto Ferecide, co
me antico, antiquus sane ; e indi ne conferma l'autorità con quella di Pitagora
e de' Pitagorici ; il nome de'quali , egli dice, ebbe per tanti secoli tanta
virtù che niun al tro paresse dotto (S 16) . E dice più oltre che, secondo
Platone, la filosofia fu un dono, ma quanto a sè, una invenzione degli dèi : «
Philosophia vero omnium mater artium , quid est aliud, nisi, ut Plato ait,
donum , ut ego , inventio deorum ? » ( $ 26. ) Nel che s'accenna il prin cipio divino
della sapienza e della tradizione. Condotto da questo filo tra i ravvolgimenti
delle sette cansò gli eccessi d'ogni maniera. Gli Stoici , per esempio, la cui
morale severità egli approva e segue, dicevano, che nessun uomo è buono fuorchè
il sapiente. Ma di questo sapiente ne facevano un'idea sì alta. che
confessavano poi, e' non darsi quaggiù ; e però gli Stoici , se consentanei a
sè, dovevan dire impossibile umanamente la loro superba virtù e disperarne come
Bruto morente. Cicerone al contrario riconosceva una più umile sapienza e virtù
, che può essere di tutti, e che ci abbisogna nel vivere comune. ( De amic., 5.
) Lo Stoico credeva , indiando la natura, di poter trarre le superstizioni
volgari a senso ragionevole (come tentò Varrone per testimonianza di
sant'Agostino, Città di Dio ) ; ma Cicerone le derideva . ( De nat. Deor . III,
15. ) Menava buono a Platone, a' Pe ripatetici e agli Stoici , che la più alta
felicità dell'in tellettuale natura sia la contemplazione ( Hort. in S. Agost.
De Trinit. XIV, 9) ; ma in questa vita, ei dice, la con templazione senza la
pratica delle virtù private e pub bliche è nulla ( De off. I, 43) ; e quindi
censura Platone che scrisse : Il savio non essere obbligato a civili negozi . (
De off. I, 9. ) Gli Stoici , per alterezza di ragione, spre giavano il corpo e
i beni corporei ; ma Cicerone diceva : 380 PARTE PRIMA . 11 he COL iti be 111
15 :-11 19 Poichè s'ha da seguire la natura e noi siam anima e corpo, non
possiamo spregiarlo, nè si dee imitare que'fi losofi , che accorti d'un che
superiore a'sensi ne spre giano la testimonianza . Con che l'accoccava pure
agli Accademici. ( De fin . IV, 15.) Gli Stoici , negavano l'ef ficacia del
dolore sull'uomo sapiente, e svilivano ogni piacere ; Tullio invece mostra che
il dolore eccessivo è impedimento agli officj, e che le temperate giocondità
son utili e buone. (De sen . 14, De fin . V , 26. ) Gli Stoici, concependo la
virtù con altezzosa rigidità , stimavano uguali tutti i malvagi e tutti uguali
i peccati, perchè tutti contrarj al bene ; Cicerone confuta in più luoghi tale
uguaglianza e mostra, per esempio, ch'altro è man care a posta, altro è
nell'impeto di passione. ( De off. I, 8 e altrove.) Se nella morale ei tenne
dagli Stoici, rigettate le loro esagerazioni, in logica stette per gli
Accademici, giacchè, come dissi altrove, la riforma del filosofare pa gano
cominciò sempre da un dubbio temperato. Ma qui è il divario, la temperanza ;
perchè, dove gli Accade mici ( a quello che ne sappiamo) negavano ogni verità e
certezza nel percepire le cose e ammettevano solo una verosimiglianza, uguale
per tutte le opinioni ; M. Tullio invece ne' fondamentali principj e nelle
verità più alte non poneva dubbio, e quanto a' casi particolari li sti mava
probabili , non ugualmente, sì con varietà di gradi ; e al probabile opponeva
quel ch ' è improbabile affatto. Ecco le sue parole : « Vorrei che fosse ben
chiaro il no stro pensare ; chè noi non siamo già di quelli il cui animo si
crede aggirato sempre in errori , e senz' alcun che da tenere: che sarebbe mai
questa mente, o questa vita piuttosto, negata ogni ragione, non solo del dispu
tare , ma del vivere altresì ? Noi invece, come dagli altri si dicono certe
alcune cose e alcune incerte, così noi, dissenziendo da essi , diciamo
probabili alcune e alcune improbabili. ( De off. II, 2. ) Qui si scorge, che il
dub bio di Cicerone non cadeva punto sulla ragione umana e sulla vita, o sull'
essere proprio, ma sul dommatismo EL LE 11. ki LEZIONE DECIMOTTAVA . 381 fisico
e morale degli Stoici . E nel libro delle Leggi dice ( 1, 13) : « Preghiamo poi
, che questa Accademia nuova di Arcesilao e di Carneade, perturbatrice di
tutto, si cheti; perchè se darà dentro a tali dottrine, che ci sem brano
ordinate e composte con assai aggiustatezza, re cherà troppo rovina. Io bensì
desidero placarla, ma cacciarla non oso . » La qual conclusione mostra, ch'ei
non rigettava in tutto i dubbj accademici, ma dov'essi erano cattivi. E più si
discosta dagli Accademici allor chè dice : « Quasi in tutte le cose, ma nelle fisiche
più che mai, saprei dire piuttosto quel che non è , che quel che è . » ( De
nat. Deor. I, 21.) Nel vivere nostro, e mas sime a quei tempi fra tanto diluvio
d'opinioni e senza il lume del Cristianesimo, non monta già poco il sapere quel
ch’una cosa non è ; significa sapere che Dio non è come noi, che Dio e l'animo
nostro non sono corpi, che il fine dell'uomo non è la voluttà ; negazioni
pregne d'af fermazione, implicita si ma certa . E chi vuole stimare quanto
merita il ritegno di Cicerone, anc' allora ch ' ei parla di probabilità negli
officj particolari (non mai nella legge suprema), pensi l'assurdità del
panteismo e del dualismo antichi, le finzioni rozze di quella fisica ,
l'incertezza della morale, anche in Platone e Aristotile ; e s'accorgerà, che
se Socrate meritò lode dicendo, contro Parroganza de' sofisti : io so di non
sapere, merita pur lode il nostro Cicerone d'averlo imitato in tanta corru
zione di filosofia e di costumi . E quindi ei non ha dubbiezze contro gli
Epicurei. Dice a loro : che la voluttà sia il nostro fine, voi non lo direste
in Senato ; nè la voluttà va messa tra le virtù com'una meretrice in
un'assemblea di matrone. (De fin . II, 4, e passim .) La natura ci ha fatti per
qualcosa di meglio che non i piaceri del senso ; il piacere stesso non cato per
sè, ma per noi ( De fin . V , 11 ) : il dovere ha da cercarsi per sè stesso (
ivi, II, 22) ; e la dottrina degli Epicurei, se consentanea a sè , non lascia
luogo al dorere. ( De off. I, 2. ) Ma questo sceverare il vero dal falso, con che
01 382 PARTE PRIMA . Jo ( dine interno di principj si faceva ? Già ho detto,
che Ci cerone ritornò al conosci te stesso di Socrate, cioè al fondamento della
coscienza. E ho accennato , che ivi egli trovava l'uomo non solitario, ma in
relazione con Dio, con gli altri uomini e col mondo; però esclama : « In questa
magnificenza di cose, in questo cospetto e cono scimento della natura, o dèi
immortali, oh quanto co noscerà sè stesso l ' uomo ; il che c'impose Apollo
Pizio ! » ( De off. I, 23.) Per via della coscienza, s'accorse Cice rone in
modo chiarissimo di tre verità : prima, che l'u0 mo sta sopra l'altre cose ;
poi , che la ragione dell'uomo prevale al senso e al corpo di lui; infine, che
questa ragione ci mostra Dio con le sue leggi . Viene da ciò la definizione
della sapienza o della filosofia nel II libro degli Officj (S2) : scienza delle
cose divine ed umane e delle cagioni di queste ; definizione più determinata
che non l'altra ne' libri Tuscolani ( V. 3) , dov'ei parla storicamente. E
s'arguisce però, che Cicerone stringeva la scienza prima, secondo la
universalità di essa, nel conoscimento ragionato di Dio e dell'uomo e de’sommi
principj. Egli capiva, come nella scienza si désse un ordinamento necessario; e
diceva : « È malagevole sapere alcun che in filosofia, chi non ne sappia o il
più o il tutto . » ( Tusc. II, 1. ) Cicerone, come Socrate, ebbe una profonda
coscienza della ragione. Bisogna riflettere a noi stessi ; in noi tro viamo la
ragione, che ci distingue da' bruti e dalle al tre cose ; nella ragione
troviamo i giudizj spontanei, na turali, evidenti, universali ; questi fa
d'uopo seguire ; ecco il principio ordinatore della scienza e della virtù . «
Il tempo, scrive Cicerone, cancella i capricci delle 110 stre opinioni, ma
conferma i giudizj della natura. » (Opi nionum enim commenta delet dies, naturæ
judicia con firmat ; De nat. Deor .) Ma questi giudizi erano avvi luppati in
una moltitudine di sistemi; però, quanto alla teorica dell'essere, Cicerone sta
contento a poco . Chi potrebbe mai condannarlo d'insipienza ? Egli non si dà
pensiero nella fisica nè de quattro elementi, nè del ch 1 7 LEZIONE
DECIMOTTAVA. 383 1 quinto d'Aristotile, nè della materia o della forma; le sue
indagini hanno per fine la esistenza e natura della divinità, le relazioni di
questa col mondo e l'immorta lità dell'anima umana . ( Ritter .) Quanto alla
divinità , egli non ne dubitava punto, perchè sentiva nella ragione propria un
che divino, la eterna legge della giustizia (De leg. II, 7 ) ; ma intorno alla
natura di Dio non af fermò gran cosa. Del metodo di lui , su tali materie,
porg' esempio il libro De natura Deorum . Ivi disputano insieme un epicureo,
uno stoico e un accademico. L'ac cademico nega il dio animale degli Stoici, e
termina di cendo : « Questo io diceva, non perchè voglia negare la natura
divina, ma per mostrare quant'ella sia oscura e piena d'intrigate difficoltà .
» Lo stoico poi combatte l ' epicureo . Cicerone, che si tiene da parte e non
entra nel dialogo, che cosa conclude ? E' dice : la disputazione di Cotta (
Accademico) sembrò a Velleio ( Epicureo) più vera ; a me l'altra di Balbo (
Stoico), più verosimile. Ci cerone, adunque, mostra con singolare finezza
quanto i dubbj dell'Accademia piacessero agli Epicurei; e però com’egli, che
s'allontana da questi, s'allontani pure da quella ragionando di Dio. Pur
tuttavia non sa nulla giu dicare assolutamente sulla natura di Dio stesso e
solo ammette verosimiglianze. Insomma, le dottrine certe di lui le abbiamo ne'
libri morali, dove si afferma l'esistenza della divinità (fonte ll'ogni
giustizia e d'ogni diritto ) , la legge morale e il libero arbitrio, e dove
perciò s'approva il detto di Cri sippo, ch'ogni proposizione è vera o falsa
necessariamente ( De fato) ; le opinioni verosimili si hanno ne' libri fisici,
dove apparisce dubbj sulla natura di Dio e dell'ani ma, e sulle relazioni di
Dio con l'universo, e quindi sulla prova fisica della divinità provvidente ;
ne' libri logici, finalmente, su ' principj della ragione e sull'evi denza
interiore non v'ha dubbio di sorta , beusì v'ha dubbio sul criterio per
giudicare la natura delle cose esteriori percepite da ' sensi. Anche il Kant
pose superio re la certezza dell'argomento morale ad ogni altra cer 384 PARTE
PRIMA. tezza ; ma il Kant celebrò quell'argomento dopo aver negata la validità
della ragione; Cicerone, al contrario, non la negò mai, anzi la magnifico, e
solo crede ristretta di molto la possibilità de' giudizj accertati. Dunque Ci
cerone, quant'alle dottrine supreme, e ch'egli poteva conoscere fra l'ombre del
Paganesimo sempre più fitte, ammette la verità e la certezza ; ma nel
determinare più specificamente quelle verità pone la verisimiglian za. In ciò
solo fu accademico ; e non pienamente nem men qui, come avvertii già innanzi.
Pare ch'egli cadesse nel dualismo, opponendo la ne cessità della materia alla
libertà divina ; e che cadesse nel semipanteismo, facendo divina la nostra
ragione. Il qual ultimo punto si raccoglie da più luoghi; ma più da queste
parole : « Le altre parti, onde si compone l'uomo, fragili e caduche, le prese
da generazione mor tale ; ma l'animo è generato da Dio » ( De off. I, 8) , e
ammonisce di rammentare nel giuramento, che chiamiamo in testimone Dio, « cioè,
com'io penso (dice Cicerone) la mente propria, di cui non détte Dio all ' uomo
nulla di più divino. » Se non che, si vede la temperanza dell'af fermare in
quello ut opinor ; tant'era l' ecclissamento delle principali verità sul finire
del Paganesimo ! Quant'alla teorica del conoscimento, egli distingueva
l'intelletto dal senso ; lo distingueva tanto, che come Platone e Aristotile,
trovando un'immagine di Dio nella mente nostra, la identificava con esso . Anzi
nel testimo nio de' sensi non poneva più autorità ch ' una verisimi glianza, il
che procedeva dal dualismo, secondo il quale Dio e la mente son divisi dal
resto . E per la logica si valse d'Aristotile, come si ha dal libretto de'
Topici. È stupenda la teorica dell'operare ; perchè ivi recò Cicerone più che
altrove le verità universali raccolte dal testimonio della coscienza ; e vi
recò quel suo modo di escludere l'esagerazioni e di comporre le spat se verità
con un principio più alto. Qual principio ? Il rispetto della ragione, che, in
quanto conosce la ve rità , è retta ed è regola delle nostre operazioni.
Bisogna LEZIONE DECIMOTTAVA. 385 seguire, ei dice con gli Stoici , la natura,
non l ' arbitrio delle passioni; ma la natura nostra è ragionevole ; dun que
ogni atto nostro dee farsi con ragione e sottomet terle l' appetito. ( De off.
I, 28, 29. ) E questa ragione ha potestà di comandare, perchè sta in essa una
legge naturale ed eterna del bene . « La legge (così Cicerone) è la ragione
somma, insita nella natura, e che comanda ciò ch'è da fare, proibisce il
contrario . (De leg. I, 6. ) Questa legge è nata da tutti i secoli , primache
fosse scritta legge alcuna, o che qualche città fosse istitui ta . » ( 1, 6. )
Questa legge viene da Dio, perch' ell ' è di vina ; e chi non ammette Dio, non
può ammettere la legge eterna e naturale. ( 1, 7.) La legge è la ragione divina
partecipata a noi ; e poich' è comune la retta ragione, e la comunanza di
questa è società, però noi siamo primamente consociati con Dio. E poich' ell' è
comune a tutti gli uomini , noi in secondo luogo formiamo la società del genere
umano « e tutti obbediamo a que st' ordine celeste, e alla mente divina, e a
Dio sovrap potente » ( parent huic celesti descriptioni, mentique divinæ et
præpotenti Deo. I, 7) . Avendo questa legge divina nell'anima « tutti gli
uomini (soli essi fra gli altri animali) han qualche notizia di Dio, nè v'ha
gente sì fiera che, ignorando qual Dio adorare, pur non sappia che ve n'è uno .
( I, 8. ) Noi dunque siam nati alla giu stizia ; e il gius non è costituito per
opinione, ma per natura. » Sì, per natura, giacchè siam tutti simili per la ragione,
e ciascun di noi si definisce com’uomo, e la mente di ciascuno « è diversa in
dottrina, ma nella facoltà del sapere è uguale . » ( I, 10. ) Dalla legge si
genera il dovere, che va quindi cer cato per sè stesso, come sudditi alla retta
ragione, ne vi può essere alcuna virtù se non si cerchi per sè, ma per la
voluttà o per l'utilità. (De off. III, 33. ) Come la ragione guida ogni atto
umano, così la retta ragione reca in ogni atto un officio. Talchè, dice il
grand’uomo, « nè in cose pubbliche, nè in private, nè in forensi , nè in
domestiche, nè se tu operi teco stesso alcun che, nè Storia della Filosofia .
25 386 PARTE PRIMA. se pattuisci con altrui ; non v ' ha momento di vita che
possa mancare di qualch 'officio ; e nell'adempirlo è tutta l'onestà, nel trascurarlo
la turpitudine. » ( De off. 1, 2.) Nell'adempire gli officj stanno le virtù,
cioè la prudenza, la giustizia, la temperanza e la fortezza. La virtù , se
guendo la retta ragione che ci fa conoscere l'ordinamento naturale delle cose,
non è altro che l'osservanza dell'or dine stesso ( De off. I, 4) ; sicchè «
nella universale so cietà son varj i gradi degli officj ; onde si può sapere
ciò che si conviene a ciascuno ; e quello che si dee prima agli dèi immortali,
poi alla patria, poi a' congiunti, infine di grado in grado agli altri. » ( De
off. I, 45. ) Ma tant'è vero, che tutto ciò si vuol fare per l'autorità della
legge eterna in sè, e per la bellezza del dovere, che certe cose turpi non le
giustifica nemmeno l'amore di patria . ( De off. I, 45. ) Egli distingueva poi
l'utile apparente dalla virtù : ma l'utile vero, diceva star sempre insieme con
l'onestà ; e quand' apparisce che vi sia contrasto, è turpe eziandio di star a
pensare sulla scelta . (De off. II, 4 ; 111, 7 e passim .) L'utilità è l'effet
to, non il fine della virtù . ( De amicitia, 9.) E dalla virtù nasce l'onestà
(che in latino ha senso d'onorabilità ), anche se niuno la conoscesse : « etiam
si a nullo lauda retur, natura esset laudabile. » (De off. I, 4.) Giacchè la
virtù reca con sè il decoro, ch'è come la bellezza : « l'uno viene dall' animo
onesto, l'altra dalla sanità del corpo ( De off. I, 27) ; e come il decoro de'
poeti è la convenienza delle parole col significato, così il decoro della
onestà è la convenienza con la natura . » ( Ib . 28. ) Però, come i Greci
dicevano o" te uovoy (yóv to 2026 , il solo buono è bello, così Cicerone (
come romano) muta il bello nel concetto d'onorabile, e dice : quod honestum
sit, id solum bonum esse : onorabile è solamente ciò ch ' è buono. ( Paradox.
I, Osservazione del Ritter. ) Dalla legge eterna, che genera il dovere e la
virtù . nascono le leggi positive ; talchè l'esistenza di Dio è il proemio di
tutte le leggi ( habes legis proemium , De leg. 11, 4-7 ) . « È stoltissima
cosa (segue Cicerone contro gli LEZIONE DECIMOTTAVA . 387 1 Epicurei) che
credasi giusto tutto ciò ch'è negl'istituti e nelle leggi de' popoli. E che ?
dunque, anco le leggi de'tiranni ? ... Ma v'ha un unico gius, da cui è unita la
società degli uomini, e cui stabilì un'unica legge ch'è la retta ragione di
comandare e di proibire : e chi la ignora, è ingiusto, o ch'ella sia scritta o
no. Che se la giustizia è solo l'obbedienza a leggi scritte e agl'istituti de'
popoli; e se, come dicono coloro, tutto è da misurare con la utilità ,
trascurerà le leggi e le infrangerà se può chi lo creda fruttuoso. Così non
v'ha più giustizia se non v'ha legge naturale, e ciò che per utilità è
stabilito , da un'altra utilità vien tolto via. Anzi, se da natura non si
conferma il giure, cessano tutte le virtù. » (De leg. I, 15. ) La legge
naturale ha da regolare il diritto pub blico , quello delle genti e il privato
; e il filosofo nostro dà precetti santi sulle pene, sulla guerra , sui
trattati . sui contratti e va' discorrendo. Così, dovrebb' essergli più mite il
giudizio degli stranieri, a legger ciò ch'ei dice della Repubblica romana :
dopo averne narrato l'umanità ne’secoli primi , aggiunge che questa diminuì a
poco a poco, e dopo le vittorie Sillane cessò ; e quindi esclama : jure igitur
plectimur « a ragione dunque siamo puniti. » De off. II, 8. ) E quella pena noi
abbiamo scontata per se coli . De' pubblici reggimenti loda il misto, per gli
stessi argomenti d'Aristotile e con l'esempio di Roma. (De rep. ) Che fece
adunque la filosofia di Cicerone ? Essa gli donò (com’ei ripete più volte)
copia e splendore e, col crescere degli anni, efficace brevità d'eloquenza ;
gli dettò que' Dialoghi di metafisica, dov'hai il fiore de sistemi greci ,
eletti e temperati; que' libri rettorici , che sono un codice dell'arte per
comune giudizio ; e que' libri morali degli Officj, delle Leggi e della
Repubblica, dove al me todo sperimentale dello Stagirita è unita la contempla
zione platonica e la severità stoica, senza i loro eccessi . Però, quand' io
sento uno storico illustre' scusarsi del l'aver troppo parlato di Cicerone
perchè in lui non v'ha troppo di nuovo, prego Dio che la scienza ritorni alla
natura, e, più che dell'insolito, sia desiderosa del vero . 388 PARTE PRIMA.
LEZIONE DECIMANONA. GIURECONSULTI ROMANI. SOMMARIO . La giurisprudenza è
scienza filosofica , perché riguarda gli alti umani o personali. - La
giurisprudenza positiva non altro fa se non appli care il diritto naturale . Si
cerca , quindi, lo svolgimento della giurispru denza romana e quanto alle forme
logiche , e quanto alla materia. - Quattro età del gius romano . Prima età :
consuetudini . È difficile deter minare qual parte avesse la civiltà , e quindi
la scienza , in que'primi germi del diritto ; ma vestigi di sapienza ve n'ba .
Che cosa abbia di vero e di falso la tradizione sulle dodici tavole . La
materia di esse certo è romana ; probabilmente la forma logica loro è di
Ermodoro Efesio . Seconda età : si pubblica il segreto delle azioni . – La
giurisprudenza , perciò, viene alla gioventù dalla puerizia ; ma crebbe in modo
segnalato allorché , sul cadere del sesto secolo di Roma, si propagò ivi la
filosofia greca . — Il settimo se colo è quello di Cicerone : si prova con
l'autorità di lui, che allora si lero a grande stato la giurisprudenza per lo
studio della filosofia . — Allora si concepi l'idea d'un codice ; idea che vuol
abito filosofico delle universali tå. Terza età : la signoria de ' Romani ,
dilatandosi a tutta Italia , fa pos sibili le scienze. - Cittadinanza romana a
tutti gl ' Italiani ; gius italico che då il dominio quiritario , e il diritto
de ' comizj anche per deputati ec .; co lonie romane per tutta Italia ; si
determina bene il concetto del paese ita lico . – Gius equo e buono . Altra
cagione della fiorente giurisprudenza ; giureconsulti , per lo più , non sono
causidici. - Un'altra ; l'emulazione in filosofia e in lettere con gli oratori
. Cenno su'principali giureconsul ti ; loro virtù . - Com'apparisca dagli
autori , ch ' essi citado ne' frammenti, lo studio loro ne ' poeti , negli
oratori e ne ' filosofi. Si paragona que ' giure consulti a'matematici per tre
ragioni ; vigore delle conseguenze , cura nel l'evitare contraddizioni , metodo
induttivo e deduttivo. – L'efficacia della filosofia non si ristrinse alla
forma logica, passò alla materia . – Tale influs so non apparisce solo da prove
particolari, ma più ancora dalla universale conformità di quelle dottrine alle
leggi del pensiero e ( salvo qualch'errore di tempi ) alla natura umana.
Nozioni della giurisprudenza, e perchè i giureconsulti la definissero come la
filosofia morale . – Distinguevano la scienza del diritto dall'arte . – Però
s'elevarono al concetto della filosofia vera , rigettando gli eccessi : la
speculazione de ' giureconsulti è contenuta nel vero da' dettami di senso
comune e dal fine pratico. – Distinzione del diritto in jus naturale , gentium
et civile : si mostra ch'a torto i giureconsulti vennero ripresi sul concetto
de ' diritti naturali . Non accettabile, quanto alla servitù , la nozione del
gius civile ; ma i giureconsulti dissero la servitù non secondo il gius
naturale , e riconobbero un fatto. Come la parola Jus non esclude l'idea d'un
diritto eterno ; e si distingue da legge ; poi , si ha ne ' giureconsulti
l'idea precisa del diritto eterno e del diritto natura le . - L'efficacia della
filosofia si mostrò nella giurisprudenza per via del diritto onorario. E per
via del diritto ricevuto . – E per l'interpreta zione de ' giureconsulti . —
Molte novilà introdotte dal gius ricevuto . La virtù e la vera filosofia
de'giureconsulti si fa sentire per fino nel loro stile . – Si reca un saggio
della loro sapienza e brevità elegante. — Dalla esposizione delle dottrine di
Tullio e de' giureconsulti romani apparisce che l'epoca quarta cercò la
comprensione finale . Parlato di Cicerone, è da parlare de' Giureconsulti
romani. La giurisprudenza, come dissi già nella prima LEZIONE DECIMANONA. 389
Lezione, è una scienza filosofica : perchè risguarda gli atti umani o
personali. Procede dalla morale, che ab braccia la scienza de' doveri e quella
de' diritti naturali ; e la giurisprudenza positiva non altro fa che determi
nare nella varietà de' casi particolari le immutabili ge neralità del diritto
eterno. Però, se la filosofia entra in tutte le scienze com'ordinamento di concetti
e di giu dizj, entra poi nella giurisprudenza, non solo com'or dine logicale,
ma eziandio come scienza dell'uomo e delle ragioni supreme. Avrò dunque a
cercare lo svol gimento della giurisprudenza romana, per l'impulso della
filosofia, nel doppio aspetto delle forme logiche e della materia. La storia di
quella fu distinta bene dall' Hugo in quattro età ( Hist. du Droit Rom ., Intr
.); la prima dall'origine di Roma fino alle dodici tavole, cioè fino al terzo
secolo della città ; l'altra fino a Cicerone, o alla metà del settimo secolo ;
la terza fino ad Alessandro Se vero, oltre i due secoli dell'èra volgare ; la
quarta fino a Giustiniano : età di fanciullezza, di gioventù , di virilità e di
vecchiaia. Il giureconsulto Pomponio c'insegna ( Fr. 2. D. De Or. Juris) che
Roma ne' primi tempi si reggeva senza leggi nè diritti stabiliti; cioè per
consuetudini. La con suetudine formò , dice il Forti ( Ist. Civili, 1, 3, $ 3
), il diritto privato con l'autorità degli esempi , cioè de' fatti ripetuti , e
formò con gli accordi de'potenti il diritto pubblico. Così il potere assoluto
de padri , de' mariti e de' padroni è da' giureconsulti risguardato sempre per
consuetudinario, ed anche l'uso delle clientele ( ivi, $ 4) . Quanta parte
avesse la civiltà , e con la civiltà la scien za, in que'primi rudimenti del
diritto romano è difficile a definire in antichità si remota e perduti dalle
guerre i documenti etruschi. Della Magna Grecia restano scrit ture, perchè le
serbò con la lingua loro la stirpe greca ; ma de ' Latini prischi e
dell'Etruria non abbiamo più se non epigrafi tuttora ignote, perchè ogni lingua
e schiatta si confusero nell'unità romana. Certo è , tuttavia, che 390 PARTE
PRIMA. almeno gli Etruschi erano molto civili ; e sembra non si possa dubitare
che il sangue loro si mescolasse nel popolo di Roma; benchè l'Hugo lo neghi. Ma
Lucio Floro. parlando della guerra sociale, dice chiaro : « Quantunque la
chiamiamo guerra sociale a diminuirne l'odiosità . pure, se stiamo al vero,
quella fu guerra civile ; giacche il popolo romano, avendo mescolato insieme
gli Etru schi, i Latini e i Sabini, e traendo da tutti un sangue solo (unum ex
omnibus sanguinem ducat), è di più mem bri un corpo e di tutti è una unità. » (
Rer. Rom . III, 18. ) Il Lerminier ( Phil. du Droit, III, 1 ) riscontra con
molto acume in Virgilio la prima origine de' tre po poli, in Virgilio
studiosissimo delle memorie antiche ; dov'egli, lodando l'agricoltura, dice : «
Questa vita ten nero i vecchi Sabini, questa Remo e il fratello ; così crebbe
la forte Etruria. In tal modo si fece la bellis sima di tutti gl'imperi Roma ;
e una, si circondò d'un muro i sette colli . » (Georg. 11, 532.) Fatto è che a
taluno par vedere i tre popoli nelle tre tribù del primo popolo romano,
rammentate da Livio, i Rannesi o Latini, i Tarsi o Sabini, i Luceri o Etruschi.
( Warnkoenig, Hist. du Droit Rom .) Il Monsen ( St. Romana ), recentemente ha
negato tal mescolanza, ma non ha detto le prove. Pro babile, a ogni modo, che
quel nuovo Comune di Roma. sorto fra ’Comuni vicini , si mescolasse pure di
genti vi cine. O si conceda dunque col Niebuhr la preminenza agli Etruschi, o
concedasi a' Latini con l’Hugo, un in dirizzo nelle cose romane lo dettero i
primi ; e ciò spie ga, come in tanta rozzezza di popolo guerriero e racco gliticcio
si possedesse un gius pontificio, e formule sacerdotali e simboli segreti.
Questo io diceva per mo strare che le prime consuetudini ed istituzioni ebbero
qualche ragione di civiltà , e riuscirono buon fonda mento alla giurisprudenza
perfetta. Però, fin dalla prima età, si scorge in Roma la mirabile distinzione
da’magi strati (magistratus populi romani) che stabilivano il di ritto, da'
giudici ( judex, arbiter ) che giudicavano del fatto ( Hugo, 1, § 146) ;
distinzione che a poco a poco LEZIONE DECIMANONA. 391 détte occasione al gius
onorario, di cui parlerò in breve . È noto che il reggimento di Roma sott'i re
e più ne' principj della repubblica era degli ottimati, cioè aristocratico.
Indi la opposizione civile della plebe co’pa trizi per avere un gius equo ;
opposizione che, divenuta incivile o violenta nel settimo secolo, rovinò la
repub blica, come la prima ne formò la grandezza. Il popolo dimandò leggi
scritte per contenere l'arbitrio de' patrizi , e si promulgò la legge delle
dodici tavole. Narra il giu reconsulto Pomponio, che queste si raccolsero in
Grecia, interprete d' esse l'efesio Ermodoro. ( Fr. 4, D. De Orig. Juris.)
Certamente Plinio il vecchio (Hist. Nat.) ram mentò come serbata fino a lui la
statua fatta per de creto ad Ermodoro ; talchè la tradizione non pare fa volosa
in tutto : ma è certo altresì che nelle dodici tavole ( per quanto ne
conosciamo) non si ha traccia del diritto greco : l'essenziale, giudizj, patria
potestà e connu bio, eredità e tutele, dominio e possesso, diritto pubblico e
diritto sacro, son cosa tutta romana, come diceva già il Vico, e ormai ripetono
i più dotti stranieri . (Warn koenig, $ 10, 11.) Ma io credo abbisognasse
l'opera di quel Greco erudito per meditare le vecchie consuetudini, e ridurle a
concetti determinati ed a’lor capi principali, ufficio di riflessione
addestrata ; nè ciò avrebber saputo i Romani, dati all'armi , anzichè agli
studj. Ecco il per chè quella primitiva sapienza, logicamente specificata e
distinta da Ermodoro, traeva in ammirazione Tullio. Egli scriveva ne' libri De
Oratore : « Se ne adirino pur tutti , io dirò quel che sento : a me, il solo
libricciuolo delle dodici tavole, par superi ( se tu guardi a' fonti e a'capi
delle leggi) le biblioteche de' filosofi tutti nel peso del l'autorità e nella
copia dell'utilità . Quanto prevalessero in prudenza i nostri maggiori a ogni
altra gente, inten derà facile chi le nostre leggi paragoni a quelle di Li
curgo, di Dracone e di Solone. È incredibile, di fatto, quant' ogni altro
diritto civile, salvo il nostro , sia in colto e quasi ridicolo . » ( De Or. I,
44. ) Le quali parole 392 PARTE PRIMA. attestano tre cose ; l'antichissima
civiltà di quelle genti che formarono Roma, e che vi recarono le proprie tra
dizioni, benchè si dessero poi a vita guerriera ed agre ste ; la falsità che il
gius civile romano procedesse ài Grecia ne' suoi particolari; e come la
perfezione della giurisprudenza si svolgesse da principj non rozzi ne poco
pensati. I Romani dettero la sostanza, i Greci pro babilmente la forma, cioè
ordinamento di codice. Dalle dodici tavole nacque la necessità d'interpretarle
per di sputare in giudizio, e di avere azioni utili a domandare la loro
applicazione. Di qui, come dice Pomponio ( loc. cit. 4, 5, 6) , vennero il
diritto civile non scritto o l'au torità dei prudenti, e le azioni delle leggi
( legis actio nes); ma tutto ciò era un segreto de' pontefici. Pubblicato il
segreto nella seconda età, la libera giu risprudenza passò dallo stato
infantile alla gioventù. Ma quando mai, o signori , accadde tal cosa in modo
più segnalato ? Voi sapete che sul cadere del sesto se colo di Roma si propagò
là il filosofare greco, e che il secolo posteriore è appunto il secolo di
Cicerone. Or bene, la giurisprudenza, cresciuta lentamente nel se colo sesto,
crebbe nel settimo rapidamente ; e allora proprio noi riscontriamo i
giureconsulti studiosi della filosofia e quant'alle leggi del pensiero e quanto
alla natura degli atti umani in sè e nell' esteriori atti nenze . Scriveva
Cicerone la Topica, o logica inventrice degli argomenti a preghiera di
Trebazio, come si ha dal proemio di quel libro, ov'è scritto : « Non potrei,
adunque, con te , che me ne pregavi spesso , benchè timoroso di noiarmi (come
scorgevo facile), stare in debito più a lungo, senza parer d'offendere lo
stesso interprete del diritto.... Sicchè queste cose, non avendo libri con me,
scrissi a memoria nella mia navigazione, e dopo il viag gio ti ho mandate. » Il
qual libro è notevole molto, perchè ogni precetto è confortato da esempi di
giuri sprudenza. E di Servio Sulpicio ( primo in autorità tra' giureconsulti di
que' tempi e solo studiato da' giure consulti posteriori ) , ecco che scrive
Cicerone, amico di LEZIONE DECIMANONA. 393 >> lui : « Si stima, o Bruto,
che grand'uso del gius civile s'avesse da Scevola e da molt' altri , ma l'arte
da que st' unico ( cioè da Sulpizio) ; al che non sarebbe giunta in lui la
scienza del giure, s'e' non avesse imparato quell'arte che insegna spartire le
materie composte, esplicare con le definizioni l'ascose, chiarire con le in
terpretazioni l'oscure ; e così a veder prima ben chiaro le cose ambigue, poi a
distinguerle, e ad avere in fine la regola per separare il vero dal falso, le
conseguenze diritte dalle contrarie. Questi adunque recò tal arte (mas sima di
tutte l'arti ) , quasi luce in tutto ciò che dagli altri si rispondeva o si
faceva confusamente. ( De CI. Orat. 41. ) Con le quali parole mostrò Cicerone
la forma di scienza che si prese dal Diritto in virtù della logica . E la forma
scientifica, ch'è abito di riflessione interiore, levò le menti alle
generalità, senza cui, come non istà scienza nessuna, così nemmeno la scienza
del diritto. E il segnale n'è questo ; che al termine dell'età seconda , cioè
sul fiorire della filosofia e delle lettere a Roma, Cesare e Pompeo ebber
disegno d'un codice ; disegno, che mostra l ' uso e la stima degli universali
astratti da ogni caso particolare, ordinati poi secondo generi e spe cie ;
giacchè un codice val quanto in istoria naturale un ordinamento per classi .
Pare che Servio Sulpicio ef fettuasse un alcun che di somigliante a impulso di
Ci cerone, il quale alla sua volta ne' libri delle leggi ( 111 ) mostrò un
saggio di codice pel diritto pubblico, e al trettanto promise pel diritto
privato . Nè qui entrerò in disputa fra due scuole alemanne, l'una che col
Savigny sostiene il danno de' codici, l'altra che ne difende l'uti lità ; dirò
a ogni modo ( nè si contrasta ) che un codice non si fa senz'abito di
speculazioni filosofiche ; però l'averlo pensato in Roma e tentato a quel
tempo, chia risce la efficacia loro nella giurisprudenza. Essa pervenne a
compimento nella terza età, cioè ne' primi due secoli e mezzo dell'impero . Il
dilatarsi del dominio romano a tutta Italia preparò il campo alle lettere ed
alla filosofia ; perchè i Romani, senten 394 PARTE PRIMA. dosi non più solo
Romani, ma Italiani e uomini, la loro coscienza si chiarì e s'arricchì, e
l'intelletto loro medito le verità universali. Di questo fatto non v' ha dubbio
di sorta . Dopo la guerra sociale, per le leggi Plauzia e Giulia de civitate
sociorum ( anno 664 e 65 di Ro ma) , fu data , come notò l'Haubold ( Tav .
cronol. per servire alla St. del Dir .), a tutte le città italiche citta
dinanza romana, eccetto i Lucani e i Sanniti ; e nel l'anno 705 conseguirono la
cittadinanza i Galli oltrepò, conseguíta prima da'Galli cispadani ; la ottenne
tutta perciò la Gallia cisalpina . ( Framm . L. de Gallia Cisal pina .) In tal
modo, come scrive il Savigny, dopo la guerra italica i cittadini d'Italia
divennero parte del popolo sovrano. ( St. del Dir. rom : I, 2.) E il gius
italico dava dominio quiritario, o dominio solennemente e pie namente
assicurato, immunità da tutte l'imposte dirette, libero governo municipale
delle città italiane (ivi ), diritto d'intervenire a'comizj o di mandarvi
deputati ; talchè l'Italia , a ' tempi romani, con l'unità politica suprema
serbò le unità politiche secondarie, che si chiamavano soci o confederati. E
questo accadde perchè i Romani aveano già fatto l'unità naturale della nazione
col mescolamento de' sangui, spargendo ovunque le colonie (com'osserva il Forti
) , nè per sei secoli ne mandaron mai fuori d'Ita lia . ( Ist. Civ . 1, 3, §
25. ) L'Italia, dice l’Hugo, non si considerò mai una provincia ; chè le
provincie furono soggette a magistrati non propri, non compagne ma suddite. (
Hist. du Dr. Rom. , § 164.) I Romani, allora. si levarono con la mente
all'unità naturale del territo rio, come vediamo ne' Digesti . Al Fr. 99, $ 1
de Verborum significatione è scritto : « Dobbiam credere provincie continue le
unite all'Italia, come la Gallia ( cisalpina ) ; ma e la provincia di Sicilia
più si ha da tenere per continua, essendo separata d'Italia da piccolo stretto
: Continentes provincias accipere debemus eas, quæ Ita liæ junctæ sunt, ut puta
Galliam : sed et provinciam Siciliam magis inter continentes accipere eas
oportet, quæ modico freto Italia dividitur » ( Ulpiano). E al Fr. 9 , D. de
LEZIONE DECIMANONA . 395 Judiciis et ubi etc. , si dice : « Le isole d'Italia
son parte d'Italia e di ciascuna provincia : Insulæ Italiæ pars Italiæ sunt et
cuiusque provincie . » A questo concetto sì pieno vennero i Romani tra gli
ultimi tempi della re pubblica e i primi dell'impero, cioè tra la prima e la
seconda età. Ecco il perchè la giurisprudenza romana, con l'aiuto della
filosofia, potè sorgere a tant'altezza . Si aggiunga poi, che le sevizie de'
Cesari cadevano in Roma su'patrizi più sospetti , ma quel reggimento tem
peravano istituti repubblicani e ordini civili equi ; se no, come dice il
Romagnosi, non si capirebbe il perchè in un governo da turchi uscissero mai
tanto insigni se natusconsulti e le belle costituzioni de' principi; e come
Alessandro Severo avesse un consiglio di XVI sapienti, tra cui i più chiari
giureconsulti, Fabio cioè, Sabino, Ulpiano, Paolo, Pomponio, Modestino e altri
. ( Ind. e Fattori dell'incivilimento. P. 2, C. 1 , § 1-5 . ) E tanto è vero ,
che la notizia del Gius equo e buono splendesse viva nelle menti romane, che lo
strapazzo delle provin cie ( finita la guerra civile) non era punto legale,
anzi contr' alle leggi ; perchè, secondo le costituzioni come dice il
Warnkoenig ), le provincie stavano bene, le impo ste erano lievi , lo Stato
pacifico, molto dell'amministra zione in mano di quelle ( il che scusa in parte
il popolo romano); ma infierivano i governatori. Popolo e Senato li
minacciavano con le leggi repetundarum , tornate vane per corruzione
de'giudizj. (Hist. du Dr. Rom. , $ 16.) Tali cagioni principalmente formarono
la sapienza de' giureconsulti romani. Inoltre, essi per lo più non eran
causidici, ma scioglievano questioni di diritto in generale; e ciò indica
sempre più e la natura scientifica del ministero loro, e perchè la scienza,
libera da inte ressi particolari, progredisse continuamente. ( Cic . , De CI.
Orat.). Poi, l'emulazione degli oratori che piegavano il gius alla varietà
de’lor fini, co' giureconsulti che ne volevano serbare la severità, incitò
questi a gareggiare in isplendore di lettere e di filosofia, e ad interpretare
il diritto co' placiti del senso comune. Così da una di 396 PARTE PRIMA. sputa
tra l'oratore Crasso (contemporaneo al padre di Cicerone) e Muzio Scevola
giureconsulto sull'interpre tare i testamenti o a rigore di parola, o secondo
la probabile volontà del testatore, nacque la giurisprudenza in quest'ultimo
senso , ripresa dal Forti, ma (e forse meglio ) approvata dal Cuiacio. Infine,
l'esercitarsi tale ufficio da’giureconsulti senz'ombra di lucro, la illustre
loro condizione e l'affetto all'antiche leggi e consuetu dini di Roma, indica
il perchè tennero essi per lo più l'austerità della morale stoica, che ci
chiarisce alla sua volta il decoro, l’equità e sottilità della loro scienza ; e
tutto insieme poi spiega la nobiltà di vita de' più tra loro, e n'è spiegato.
Le poche notizie che n’abbiamo ce li fanno apparire la più parte uomini
onorandi. Nominerò dapprima Quin to Muzio Scevola assassinato a’tempi di Mario
. Dice Pomponio che Muzio costituì primo il decreto civile , disponendolo per
capi di materie ( generatim ) in diciotto libri . Servio Sulpizio ridusse il
diritto a stato di scienza ; fu prima oratore grande, poi giureconsulto per un
rim provero che gli fece Muzio Scevola d'ignorare le leggi del proprio paese,
egli oratore e patrizio ; sostenne la repubblica ; avversò i Triumviri ; la
repubblica gli alzò una statua. Abbiamo di que' tempi Alfeno Varo e Ofelio
disce poli di Servio, e Trebazio (a cui la Logica di Cicerone) e un altro Muzio
Scevola e Cascellio . Muzio non accettava da Ottaviano il consolato ; Cascellio
non volle mai comporre una formola secondo le leggi de' Triumviri ; e a chi lo
consi gliava si temperasse rispondeva : son vecchio e senza figliuoli. Labeone,
il cui padre era morto a Filippi, ri fiutò il consolato da Ottaviano anch'egli,
e serbò spiriti antichi. Dice Pomponio : « Egli si détte moltissimo agli studj,
e divise l'anno in modo che stava sei mesi a Ro ma co' discepoli (cum
studiosis), e sei mesi lontano per iscrivere libri. Così lasciò quaranta
volumi, che i più s'usano ancora. Ateio Capitone ( segue Pomponio) per severava
nell'antico ; ma Labeone, che molto aveva me ditato nell'altre parti della
sapienza ( qui et in cæteris LEZIONE DECIMANONA. 397 sapientiæ operam dederat),
per valore d'ingegno e per fidanza di dottrina cominciò a innovare molto. » (
Fr. 39-47, D. De Or. Jur. ) I cinque giureconsulti più cele bri e più recenti (
lasciando gli altri) sono Emilio Papi niano, Paolo, Gaio, Ulpiano e Modestino .
Papiniano, fami liare di Settimio Severo e principale nel governo, stette per
Geta contro Caracalla ; e volendo costui una difesa legale del fratricidio ,
Papiniano la negò e venne ucciso. Scriveva : « i fatti che ledono la pietà, il
buon nome e il pudore nostro, e che, a dirlo in genere, son contro al costume,
si dee tenere che noi uomini dabbene non possiamo farli. » ( Fr. 15, D. De
servis exportandis etc.) Gli altri quattro illustravano, come dissi , il
consiglio di Alessandro Severo . I giureconsulti, massime della terza età,
levarono (com' avvertii) a stato di scienza le loro discipline ; e ciò nacque
dalla molta erudizione loro, non solo in filoso fia, ma eziandio in lettere ; e
se n'ha prova ne' lor libri per le citazioni da' Greci ; com'a dire Omero,
Ippocrate, Platone, Demostene e Crisippo. E il primo effetto fu , come notai
de' tempi di Cicerone, che la giurisprudenza prese forma logica tanto sicura e
stringente, ch'è una meraviglia. Si sa da molti e ab antico (dice l' Hugo) la
filosofia de' giureconsulti, ma si sa da pochi, che nes suno più di quelli sta
in confronto de’matematici per tre ragioni ; cioè per vigore di conseguenze da
prin cipj fissi, per diligenza nell'evitare contraddizioni, che Gaio dimandava
inelegantia juris, e pel metodo di stintivo e compositivo, induttivo e
deduttivo ad un tem po ; distintivo e induttivo salendo alle specie generali
del diritto ; compositivo e deduttivo traendone con bre vità ed evidenza le
illazioni . Il gran Leibnitz, insigne così giureconsulto come filosofo e
matematico, scriveva nell' Epist, 119 : « Io ammiro l'opera de Digesti , o me
glio i lavori de' giureconsulti, ond' ell' è presa : ne vidi mai nulla che più
s'accosti al pregio de matematici : 0 che tu guardi all'acume degli argomenti,
o a'nervi del dire . » 398 PARTE PRIMA. Ma questa efficacia della filosofia non
potè fermarsi all'ordine de' pensieri, dovè penetrare nell'interno, giac chè,
com'avvertii , materia della giurisprudenza son gli atti umani o personali,
soggetto filosofico. Tal efficacia non si creda particolare ma generale ;
quindi , coloro che cercano ne'giureconsulti le traccie minute o degli Stoici o
d'altri sistemi, errano forte se non passano inoltre a considerare l'opera
generale della riflessione interna. È certissimo, com'avvertono gli eruditi,
che i più de'giureconsulti tolsero dagli Stoici l'argomentare per analogia,
l'amore dell' etimologie, la spartizione delle materie, la sottile dialettica
che conviene al Foro , e molte dottrine sulla ragione dell'onesto, applicate da
essi egregiamente al gius civile : ma l'essenziale sta in quel gran corpo, così
disposto bene secondo le leggi del pensiero, e (salvo qualch'errore de' tempi)
così con formato alla natura umana nelle regole eterne di lei e nelle relazioni
esteriori. Sicchè il gius romano serve di lume al gius de’ popoli più civili ,
come si ha dal codice Napoleone : e gli Alemanni, dimenticata noi tanta gloria,
vi fanno su studj esimj e perseveranti . E perchè si chiarisca il filosofare
intimo de' giure consulti, guardiamo la nozione, ch'e'si facevano della
giurisprudenza e della filosofia . Ulpiano nel Tit. 1 dei Digesti scrive (pr. e
fr. 1 ) : « Dand' opera al gius, oc corre prima sapere onde ne venga il nome.
Gius è chia mato da giustizia; perchè ( come Celso lo definì elegan temente) il
gius è l'arte del buono e dell'equo. Però siamo chiamati con ragione sacerdoti
della giustizia. Di fatto, professiamo la giustizia e manifestiamo la scienza
del buono e dell'equo ; separando l'equo dall' iniquo, e discernendo le cose
lecite dalle contrarie ; desiderosi di far buoni gli uomini , non solo per
timore delle pene, ma eziandio per l'incitamento de'premj; ricercatori (se non
m'inganno) di vera e non simulata filosofia. » Se la definizione della
giurisprudenza si prenda qui a ri gore, ella non regge, perchè si stende a
tutta la filoso fia morale : ma se badiamo al concetto che avevano di LEZIONE
DECIMANONA. 399 questa gli antichi, e al generarsi la scienza del Diritto
dall'altra del Dovere, ci formeremo idea chiara del co me intimamente fosse
filosofica la giurisprudenza romana. Ho mostrato altrove ( Lez. XVII) che,
secondo i sistemi greci, sommità di perfezione umana è lo Stato ; talchè la
morale s' ordinò alla politica ; concetto vero per l'attinen ze esteriori,
falso e pagano quant' all'ultimo fine. Non faccia dunque meraviglia, o signori,
se i giureconsulti romani definivano il gius civile come la morale ; lo de
finivano così, perchè, a sentimento di tutti gli antichi, le due scienze si
mescolavano in una . Noi con più ra gione le distinguiamo, ma s'erra da chi ne
dimentica l'unità superiore, ch'è la scienza de' primi principj e dell' uomo ;
dimenticanza ignota agli antichi, che però svolgevano razionalmente il diritto
e non lo maneggia vano materialmente. Notate ancora che nel passo citato si
distingue la scienza dall'arte. Se nelle Istituzioni poi la giustizia è
definita : « Costante e perpetua volontà di rendere a ciascuno il suo diritto :
» e se la giurispru denza è definita ; « Notizia delle cose umane e divine e
scienza del giusto e dell'ingiusto, pr. e S 1 , Inst. De just. et jure), » si
vuol fare la stessa osservazione detta di sopra ; e noterò col Cuiacio, che in
tal luogo la giu risprudenza è indicata bene com' abito dell'intelletto o
scienza, e com ' abito della volontà, secondo l'antica filo sofia . E la
filosofia la pensavano essi , non senz'alta spe culazione, ma contenuta nel
vero da' dettami del senso comune e dal fine pratico. Di fatto s' inalzarono
all'e ternità del diritto (come osserva il Vico, Sc. Nuova, IV) allorchè
dissero : Il tempo non muta nè scioglie i di ritti (tempus non est modus
costituendi vel dissolvendi juris ) ; e quando discernevano il diritto naturale
dal positivo : ma nello stesso tempo rigettarono gli eccessi dello stoicismo,
come l'eguaglianza della imputazione; finalmente derisero le stranezze , l'
ipocrisie, l'avarizia di quelle sette in età di scadimento. Così abbiam sen tito
Ulpiano, che distingue filosofia schietta dalla ma scherata ; e nel Fr. 6 , § 7
, D. al Tit. De his quæ in 400 PARTE PRIMA . testamento delentur, è schernito
il suicidio de' filosofi per ostentazione, e nel Fr. 1 , § 4, D. de
extraordinariis cognitionibus etc. , dove si stabilisce gli onorarj delle
professioni, li nega il giureconsulto a' filosofi che, van tando di spregiare
le mercedi, n'andavano a caccia. I giureconsulti poi mostrarono tre specie di
diritti : jus naturale, gentium, et civile ; distinzione che non si vuol
confondere con l'altra più pratica in jus gentium vel naturale e in jus civile
; e chi non vi badi, tassa i giureconsulti d'errori, ch'e'non hanno. La
distinzione pratica mette divario tra leggi proprie di Roma ( jus ci vile) e
istituzioni comuni a ogni popolo non selvatico ( jus gentium vel naturale) ;
l'altra è distinzione più specula tiva e fondamentale. Ulpiano nel Tit. De
just. et jure, D. dal Fr. 2 al 6, distingue diritto pubblico da privato; e
distingue il privato in diritto naturale, che natura in segnò a tutti gli
animali, come la procreazione de'fi gliuoli ; in diritto delle genti, del quale
tra gli animali hann' uso gli uomini soli , come la religione verso Dio, l '
obbedire a' genitori e alla patria : in diritto civile ch'è proprio d'un
popolo. Ora, s'è accusato Ulpiano d'aver confuso il diritto naturale con gl'
istinti del l'animalità ; ' e sì che il Piccolomini da qualche secolo fa , come
il Warnkoenig oggi , notava che qui , se condo le dottrine vere d' Aristotile,
son distinti nel l'uomo i diritti che vengono dalla natura animale , quelli che
vengono dalla razionale, e gli altri che pone la comunanza civile. Non
s'intende già che le bestie ( dette da' giureconsulti cose, non persone) abbian
di ritto, ma che le potenze animali dell'uomo, in quanto appartengono all'uomo,
generan diritti , come li gene rano le potenze razionali . Talchè in Ulpiano si
trova benissimo sceverata l'animalità dalla razionalità . È da confessare
invece, che il diritto civile si definisce per quello che toglie o aggiunge al
diritto naturale e delle genti ; e s'allude alla servitù ch'è contro alla
natura, come si dice nel Tit. De regulis juris. Ma tut tavia meritan lode i
giureconsulti, che se non condan · LEZIONE DECIMANONA. 401 narono la servitù,
la dissero contraria bensì al diritto naturale, migliori di Platone e di
Aristotile . Anzi nelle Istituzioni è detto, che il gius naturale viene
istituito dalla divina Provvidenza, come insegnavan gli Stoici ( De Jur. Nat.
Gen. et Cir ., fr. 2 , § ult. ); nel qual testo il gius naturale abbraccia pur
l'altro delle genti . Poi, essi definiscono il gius civile qual era in fatto
allora . Osserverò di passaggio, che il chiarissimo Conforti nel l'annotazioni
allo Stahl ( St. della Filosofia del Diritto, Torino 1855) opina con altri ,
che i Romani non avessero idea del diritto eterno, perchè jus viene da jubeo,
co mandare ; dove la parola diritto, e le simili del francese, tedesco e
inglese, hanno il concetto di rettitudine, o di rittura alla legge eterna. Ma
quel valentuomo non pensò forse al come definisce la parola Jus il Forcellini (
Voc. ad V.) : « Gius è tutto ciò che in generale vien costi tuito da leggi o
naturali , o divine, o delle genti o ci vili ( jus est autem universim id, quod
legibus constitutum est etc.). Si nomina con altro nome equità comune, equo
universale, legittimo, cioè adequato alle leggi, quasi norma e regola degli
atti umani. » Sicchè i Romani chiamavano Jus un che costituito da una legge qua
lunque ; così distinguevano la legge da ciò che ne pro cede, e ch ' è l'effetto
del suo comando : e Cicerone ( Rep. et De Leg. passim ) adopera legge e gius in
tal significato. Ma la risposta migliore si è in quell'assioma de Romani
già citato : « il tempo non muta nè scioglie i diritti ; conobbero, dunque, i
Romani la santità del diritto fuori del tempo, cioè nell'eternità, o nel suo
fondamento as soluto. Inoltre vedemmo che il gius civile si distingueva dal
naturale. Ma tornando a'giureconsulti, la loro scienza originò il diritto
onorario, di cui parla il Forti se non con molta novità, certo con più
chiarezza di tutti gli altri da me esaminati . E io ritrarrò in breve la
sentenza di lui , e n'uscirà la prova del quanto potè la scienza dell'uomo e la
filosofia morale in tanta perfezione di gius. Ma prima dirò; che il gius
onorario conteneva gli editti del Storia della Filosofia . – I. 26 402 PARTE
PRIMA. pretore urbano e del peregrino, e quelli degli edili e proconsoli e
propretori delle provincie (edictum provin ciale). Pare che il gius predetto,
almeno in modo se gnalato, principiasse verso la metà del secolo VII, per chè
Cicerone nella seconda Verrina dice : « postea quam jus prætorium constitutum
est . » L'Hugo dimostra, con tro l’Heinneccio, che tal diritto ebbe forza di
legge ; poichè ( tra gli altri argomenti ) Cicerone non contrasta nelle Verrine
che l' Editto di Verre sia legge da te nere, ma lo accusa di averlo infranto
egli stesso, o con formato non secondo ragione. ( Hugo, Hist. etc. , $ 178,
179. ) Or dunque, i pretori rendevano giustizia ne'civili ne gozi , gli edili
per le convenzioni de' mercati e per la po lizia della città ; e tanto gli uni
che gli altri, quando pi gliavano i magistrati, mandavan fuori un editto , ove
stabilivano le forme del giudizio e le massime: ottimo istituto in repubblica
popolare. Non mutavano il gius, ne determinavano l'applicazione. Eccone gli
esempi : In primo luogo, salva la forma legale, si supponga che i contraenti
abbiano pattuito o per inganno, o per er rore, o per timore, o per forza.
Mancando la moralità dell'atto, la legge non conservavasi uguale per tutti .
Quindi i pretori statuiron massime per l'efficacia civile della moralità negli
atti , scuse legittime per negare agl'ingiusti la sanzione della legge e i
mezzi legali, perchè queste massime d'equità si recassero ad effetto . I codici
moderni han composto di tali massime le lor leggi universali . Allora, dice il
Forti, gli editti de' magi strati « erano uno de' principali modi, per cui la
filosofia venne applicata gradatamente ai bisogni civili . » Sicchè (quant'alla
moralità degli atti) trovarono i magistrati l'eccezioni perpetue contro le
obbligazioni per dolo, per timore, per errore, per violenza ; la restituzione
in intero, i modi legali a sciogliere le dette obbligazioni, od a ri petere ciò
che pel tenore loro fosse stato pagato. In se condo luogo, le leggi , definito
il diritto e ordinatane la sanzione, lasciavano a'magistrati ilmodo
d'effettuarli. Per esempio, le leggi stabilivano i modi d'acquistare la pro
LEZIONE DECIMANONA . 403 prietà, ma non i modi della sua difesa ; che più tornò
necessaria, quanto più divise le possessioni, e distinta la varietà
de'godimenti e diritti che si comprendono nella mozione del dominio ; onde
nacquero nuovi contratti e bisogni di nuove difese. Quind'i pretori differenziavano
a capello il dominio e il possesso, e gl'interdetti che lo proteggono, e va'
discorrendo. ( Ist. Civ., L. I. S. 1 , € . 3, § 31.) Le dottrine
de'giureconsulti poi vennero a formare un'altra maniera di gius, cioè il
diritto ricevuto ljus receptum ). Essi, introducendo ne'contratti clausule, con
cui si stipulava l'osservanza della buona fede, costrin sero i magistrati a
giudicare di que'contratti, non se condo le nude parole della legge, sì a lume
di naturale onestà ; come le clausale, si lodate da Cicerone, uti ne propter te
, fidemre tuam captus, fraudatusne sim ; e ut inter bonos bene agier oportet et
sine fraudatione. ( De Off. III, 17. ) I giureconsulti si davano
all'interpretazione; e poi chè questa o considera la legge in sè, o gli atti
della volontà umana , così la filosofia di que'sapienti gli aiuto all’un five
con le spiegazioni delle parole e con la de. finizione de'termini astratti, e
col mirare alla ragione della legge stessa : gli aiutò all ' altro fine co
giudizi sulla moralità degli atti , e con le regole per interpre tare l'altrui
volontà. Il Gravina così accenna le novità del gius ricevuto : * Dalle
interpretazioni de' giureconsulti passate in uso, e mitiganti a poco a poco e
come di soppiatto l'asprez za delle leggi, son venute le regole di diritto,
temperate dalla ragione d'equità. Nacquero da essi , l'uso dei codicilli,
l'azione del dolo, le azioni quasi tutte che chiamaron utili , perchè procedono
dall’equa e utile in terpretazione, le stipulazioni aquiliane, autore Aquilio
giureconsulto, le varie differenze delle successioni. la re gola catoniana , la
sostituzione pupillare, il divieto della donazione tra marito e moglie, e
l'altro che i pupilli s'obblighino senza l'autorità del tutore. Da essi ver 404
PARTE PRIMA. nero i giudizi di buona fede, le azioni rei uxorie, la querela
dell'inofficioso testamento, e infine tutto ciò che si trova citato sotto nome
di costumi, di consuetudini e di gius ricevuto. ( De ortu et progr. I, Civ. ,
C. 43. ) Tale acume di riflessione disciplinata recò i giurecon sulti per fino
ad un computo di probabilità sulla vita umana quant'all' usufrutto ed agli
alimenti (come si vede Fr. 68 D. Ad Legem Falcidiam ); cosa notabile molto,
perchè fa supporre grand'abito d'osservazione e di giudizi astratti . La virtù
e la vera filosofia de' giureconsulti le sen tiamo pur anche nel loro stile,
che in mezzo alle ampol losità di Seneca e degli altri si tien semplice e puro
.. Nelle Pandette v' ha errori di lingua, per vizio de' com pilatori greci e
de' copisti ; ma specie i frammenti di Gaio e d'Ulpiano son gioielli, ammirati
da' principali maestri di latinità . Terminerò, o signori, recando un saggio di
tal sa pienza ed elegante brevità, in alcune regole di gius. dall' ultimo
titolo de' Digesti : « I diritti del sangue non posson finire per niuna legge
civile ( Fr. 8) . Sempre nelle cose oscure s' ha da tenere il meno ( 2) . Sta
in na tura che le comodità d'una cosa seguan colui che ne sente gl' incomodi.
Ciò che dapprima è vizioso non si può col tempo sanare ( 29) . Nulla è più
naturale che sciogliersi a quel modo ch' uno s ' è legato : però l ' ob
bligazione di parole sciogliesi con parole, e quella di nudo consenso con altro
consenso ( 35) . Che si fa o si dice nel caldo dell'ira, non si stima . vi sia
consenso d'animo, se non v' ha perseveranza ( 48) . Nessuno può trasferire
altrui più diritti che non ha ( 54) . Sempre nel dubbio son da preferire le
sentenze più benigne ( 57) . L'erede si stima di quelle facoltà e di que'
diritti che il defunto ( 59) . È proprio di quel sofisma che i Greci chiamano
sorite, o ammucchiato sillogismo, di trar la disputa, con lievissime mutazioni,
da cose evidentemente vere a evidentemente false (65 ). Quante volte un di
scorso rende due sensi, prendasi quello ch'è più adatto LEZIONE DECIMANONA. 405
al da fare ( 69) . Non si dà benefizio per forza ( 69) . Nes suno può mutare il
proposito suo in altrui danno ( 75) . In ogni cosa, ma più nel gius, è da
guardare all’equi tà (90 ). Ne’discorsi ambigui è il più da guardare all'in
tendimento di chi li fa (96) . Nelle cose oscure si badi al più verosimile, e a
ciò che accade più spesso ( 114) . Il timore vano non è buona scusa ( 184) .
Per l'impossi bile non c'è obbligo che tenga ( 185) . Le cose proibite da
natura, non sono convalidate da legge nessuna ( 188, § 1 ) . Per gius di natura
nessuno dee farsi più ricco a danno altrui (206) . Per gius civile i servi si
sti mano nulla ; non per diritto naturale, secondo cui tutti gli uomini sono
uguali » ( 32) . Quando l'impero si foggiò all'orientale, la giurispru denza
cadde in vano eccletticismo; come n'è segno « La indigesta mole de' Digesti
>> e ciò accadde alla quarta età, o di vecchiezza. Poichè abbiamo con
qualche sufficienza esposto la filosofia grecolatina di Cicerone e de'
giureconsulti, e abbiam veduto come proposito di questi e di quello apparisca
sempre l'armonia tra le speculazioni e la pratica, e, nelle speculazioni,
fuggire tutti gli eccessi delle sette, componendone, guidati dalla coscienza e
dal senso comune, un'unità, siam chiari (mi sembra) che veramente dopo la
dialettica distintiva de' greci, tende vano i Romani alla comprensione finale,
e che tal è proprio la qualità prevalente in quest'epoca quarta del tempo
pagano e della filosofia . Or noi passeremo al l'èra cristiana ..
Augusto
Conti. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Conti” – The Swimming-Pool
Library.
CONTRI (Cazzano
di Tramigna). Filosofo. Grice: “I like Contri – he reminds me of my days at
Rossall! Of course Contri is interested in Hegel – “a la ricerca del segreto
sofisma di Hegel” – and attempts to reveal it as Stirling never could! But
Contri is also interested in ‘il bello’ – being an Italian! – The interesting
thing is that he goes back to Italy – Aquino! He has a good exploration on
‘verum’ in Aquino, too, which reminds me of Bristol, Revisited!” Allievo di Zamboni,
elabora una minuziosa critica alla logica di Hegel di cui mise in rilievo le
incongruenze gnoseologiche e metodologiche che portano alla errata concezione
hegeliana della realtà come vita dell'idea. Rovesciando l'immanentismo
hegeliano, scopre un mondo di realtà sviluppando una concezione di filosofia
della storia che denomina “storiosofia”. Studia a Verona. Si laureò a
Padova. Discepolo fervente di Zamboni, di cui accolse e sostenne la dottrina
della gnoseologia pura. In alcune occasioni si descrisse come elaboratore in
contemporanea al suo maestro Zamboni di alcune teorie, collegate all’estetica
ma non solo. Insegna a Bologna. Zamboni fu espulso dall'Università Cattolica
con la motivazione di allontanamento dalla ortodossia tomistica e con accusa di
non conformità al Magistero della Dottrina Cattolica Romana. Contrì definì la
posizione della Cattolica con il termine da lui coniato di “archeo-scolastica”.
La posizione “archeo-scolastica” della Cattolica di Milano, di una conoscenza indimostrata,
a priori, dell’essere e degl’esseri era bersaglio di critiche da parte di
filosofi cristiani e non che la ritenevano inadeguata nell’ambito del pensiero
moderno. Contri sostenne che la dimostrazione della conoscenza dell’essere e
degl’esseri data dalla Gnoseologia Pura di Zamboni superava definitivamente
tali critiche e ridava certezza dimostrata della conoscenza e dell’esistenza di
Dio. Accusa di plagio Gemelli per aver pubblicato nella monografia Il mio
contributo alla filosofia neoscolastica (Milano) pagine già scritte da Desiré
Mercier e da Morice De Wulf, senza indicare le citazioni. Gemelli diede le
dimissioni da Rettore della Università Cattolica ma rimase in carica. Insegna Bologna.
Il prof. Ferdinando Napoli, Generale dei Barnabiti, cultore di scienze
naturali, venne depennato dalla Pontificia Accademia delle Scienze, allora
presieduta dal Gemelli. Venne dato ordine di non pubblicare articoli a firma di
Contri. Continuando la difesa della dottrina di Zamboni, fondò la rivista
quadrimestrale di polemica e di dottrina neoscolastica “Criterion”. Il
confronto con l’Università Cattolica di Milano continuò negli anni successivi
con relazioni a numerosi congressi di cui Contri diede resoconto sulla
rivista. Insegna a Ivrea. Sulla rivista Criterion apparvero intanto i
primi Saggi del Contri sui suoi studi hegeliani che prelusero all'opera
definitiva dLa Genesi fenomenologica della Logica hegeliana. Partecipa
attivamente agli organi culturali del fascismo. Sscrisse su giornali quali Il
Secolo Fascista, Quadrivio, Il Regime Fascista, Il meridiano di Roma e La
Crociata Italica. Contri si avvalse della tribuna offerta da queste testate per
promuovere i suoi studi filosofici e critica filosoficamente l’ ebraismo di
Spinoza, di Durkheim e di Bergson. Insegna a Milano e tenne conferenze su studi
hegeliani. Sorse una disputa con Zamboni in seguito all'articolo Il campo della
gnoseologia, il campo della storiosofia, in risposta alla pubblicazione del
Contri Dallo storicismo alla storiosofia.
Prese parte attiva a congressi tomistici internazionali e a congressi
rosminiani. Partecipa attivamente alla “Missione di Milano”, lanciata
dall’allora Arcivescovo di Milano, Giovanni Battista Montini. Come riconoscimenti
ai suoi studi conseguì alcuni premi fra i quali uno indetto dall'Angelicum sul
tema “Quid est veritas”, e una segnalazione all'Accademia dei Lincei per
l'opera: Punti di trascendenza nell'immanentismo hegeliano, Milano, LSU. Fu
discepolo e geniale continuatore di Zamboni. Così potrebbe definire la
situazione filosofica di oggi. Il mondo del pensiero, perduta la bussola non
teologica d'orientamento, è costituito da una miriade di metafisiche che
cozzano le une contro le altre tanto da definirsi che heghelianicamente come il
divenire in sè, che è puro fenomenismo. A tale fenomenismo corrispondono
molteplici fenomenologie. Per esempio quella di
Heidegger, afferma che il reale è un solo, una totalità onniafferrante
(Hegel direbbe begriff), tanto come essere quanto come niente. Anche Hidegger
poi tenta la via della salvezza ammettendo la realtà del mondo esterno come di
un che, che resiste al soggetto, ponendosi nel solco del pensiero di Zamboni.
In questo modo Hidegger tocca il problema che si volle e che si vuole eludere:
la realtà del mondo esterno. Esistono queste realtà, come la mia realtà, indipendentemente
dal pensarle? Per dare risposta a questo interrogativo cruciale, è necessaria
la gnoseologia pura. La gnoseologia secondo Contri, scoprì la risoluzione
definitiva del problema della certezza della conoscenza umana. Essa permise di
risolvere il problema dell'esistenza di Dio, riavvalorando criticamente le
cinque vie della dimostrazione Aquino. Sono meriti del metodo filosofico di
Zamboni il poter affermare la sostanzialità del mio “io” personale, la mia
realtà individua e dimostrare l'esistenza di Dio, trascendente, personale. Il
metodo zamboniano distingue gli elementi della conoscenza umana tra la
sensazione, che e sempre oggettiva, e lo stato d'animo e tra questi
"quello stato d'animo che è anche atto: l'attenzione". Ogno stato
d'animo e sempre soggettivo. La gnoseology riesce a cogliere la realtà del
proprio “io”, nei suoi atti e stati. Essi sono reali, perché immediatamente
presenti all'”io”, e se sono reali gli accidenti dell'io, perché essi sono modo
di essere dell'io, reale è l'io, come sostanza, cui essi ineriscono. Perciò
dall'immediata certezza della realtà degli accidenti di un ente si giunge alla
certezza della realtà sostanziale dell'io." La critica alla posizione
della neoscolastica di Gemelli, Olgiati e Masnovo sulla conoscenza indimostrata
dell'ente e la soluzione tramite la gnoseologia pura. Rispetto alla dimostrazione
della realtà dell'ente, si fonda così nell'esperienza immediata ed integrale il
concetto di essere e ‘esseri’ che non è più necessario assumere acriticamente,
come qualcosa di razionalmente immediato, pena l'impossibilità di una logica
razionale. L'assunzione acritica del concetto di essere ed esseri è propria del
neotomismo dell'Università Cattolica, che in un suo autore, Masnovo, perviene
alla sua massima teorizzazione nel "mio hic et nunc diveniente atto di
pensiero". Ma con questo l'essere e gli esseri è solo pensato e ammesso
acriticamente come pensiero, è un presupposto, mentre nella gnoseologia
zamboniana è il risultato di un processo di astrazione, che deriva da una
realtà immediatamente presente all'autocoscienza dell'io, che non ha la natura
del pensiero, non è pensiero essa stessa, ma qualcosa di diverso. Si può
pertanto uscire dalla formula logica della ragion sufficiente, che è sempre e
comunque razionalista e riduce al razionalismo anche il neotomismo. Nell'ambito
dell'esperienza immediata ed integrale si scopre invece non la ragion
sufficiente, ma la sufficienza ad esistere o no. E la fondazione ed il
ripensamento delle prove dell'esistenza di Dio, e in particolare della terza
via tomistica, diventano inoppugnabili. Nessuno più può dubitare dell'esistenza
del sufficiente ad esistere, che è Dio." Secondo Peretti la fondazione
gnoseologica della metafisica è il più grande merito di Zamboni.
L'ambiente filosofico dell'Università Cattolica non accetta la gnoseologia
zamboniana e fonda la metafisica sul concetto di ente, assunto acriticamente,
come un presupposto indimostrabile. Esso finì per identificarsi con l'ente di
ragione (ens rationis), non sfuggendo all'insidia hegeliana, che lo aveva
dialettizzato sia come essenza che come esistenza. La dialettica negativa di
Hegel produsse ben presto nella corrente neotomista di Milano (ma anche in
altre università cattoliche) i suoi effetti devastanti. Aveva messo in guardia
i neotomisti dalla fraus hegeliana, che si svela nell'antitesi (contra-posizione)
come negazione. Seguendo la metodologia gnoseologica, Contri affronta
Hegel, il "padre del fenomenismo" compiendo una minuziosa e
sistematica analisi della fenomenologia hegeliana. Dopo averle individuate ha
messo in rilievo le incongruenze gnoseologiche e perciò metodologiche che
sfocia nella concezione della realtà come vita dell'idea, presentandola come uno
svolgimento dialettico del ‘begriff’, come qualche cosa che non mai in sé, ma
diviene eternamente in sé e per sé. Contri resa evidente questa impostazione,
anima del fenomenismo, e scoperta nella deficienza gnoseologica e pertanto
metodologica, derivata dall'impostazione razionalista ed empirista che al fondo
dello stesso criticismo, rovescia l'immanentismo hegeliano, che si gli scopre
non più come mondo di idee, ma di realtà, di cui ognuna è altro del suo altro,
in un ordito cosmologico, di cui la storia dell'uomo rappresenta l'essenza. Ed
ecco la storiosofia, che reclama, al posto dell'immanentismo
gnoseologicamente insostenibile, la trascendenza della trama di questo ordito,
che a questo punto in sé e per sé non può più essere spiegato (si ricordi che
l'anima della spiegazione hegeliana è la "negazione"!). Tale
trascendenza prova l'esistenza di un Dio trascendente, che ha concepito la
trama creando le realtà ordito di questa trama, di realtà in reciproca
relazione, in cui non c'è membro che sia fermo. In questo ordine si risolvono
in modo nuovo i rapporti tra le realtà, che per esempio tra l'anima e il corpo,
superando così gli scogli di una spinosa questione di eredità aristotelica, di
grande importanza anche oggi, in cui le realtà terrene e spirituali non trovano
la sintesi equilibratrice. La storiosofia rappresenta uno sviluppo del
metodo di Zamboni, considerandolo la via per rinnovare tutta la filosofia poiché
esso non è storicismo filosofico, non è naturalismo, è avanti positivistico,
non è speculazione, ma metodo appunto, (metodo) che da secoli la filosofia
europea ha cercato, perdendolo oggi nella disperazione del momento." Opere:
“Il concetto aristotelico della verità in Aquino” (Torino, SEI); “Gnoseologia”
(Bologna, L.Cappelli); “Il concetto d’armonia” (Bologna); “Il tomismo e il
pensiero moderno secondo le recenti parole del Pontefice, Bologna, Coop.
tipografica Azzoguidi): “Del bello” (Firenze, Libreria Editrice Fiorentina); “La
filosofia scolastica in Italia nell' era presente” (Bologna, Cuppini);
“L’essere e gl’esseri” (Bologna, C. Galleri); Un confronto istruttivo: Mercier,
Gemelli, De Wulf ed altri ancora, Bologna, C. Galleri); “Pane al pane:
riassunto d'una situazione, Bologna, Costantino Gallera. “Neo-scolastici e
archeo-scolastici” (palaeo-scholastici) sulla rivista Italia letteraria; “Il
segreto sofisma di Hegel” (Bologna, La Grafolita), “Mussoliniana: il discorso
del duce” (Bologna, La Diana scolastica); “Gnoseologia pura di A. Hilckmann; Il
segreto di Hegel di S. Contri, Bologna, Stabilimento Tipografico Felsineo); “Hegel,
Ivrea, ed. Criterion); “La genesi fenomenologica della logica hegeliana” (Bologna,
ed.Criterion; Ambrogino o della neoscolastica, dialogo filosofico,
Bologna); “La soluzione del nodo centrale della filosofia della storia,
Bologna, Criterion); “Complementi di storiosofia, Bologna, Criterion); “Punti
di storiosofia, Bologna, Criterion; Lettera a S.S. Pio XII sulla filosofia
della storia, Bologna, Criterion; Il Reiner Begriff (=concetto puro) hegeliano
ed una recensione gesuitica, Bologna, Criterion; Dallo storicismo alla
storiosofia. Lettura prima, Verona, Albarelli; I tre chiasmi della storia del
pensiero filosofico. Inquadratura unitotale della controversia sulla
storiosofia, Milano, ed. Criterion); “Rosmini” (Domodossola, La cartografica C.
Antonioli); Ispirazione da dei” divina della S. Scrittura secondo
l'interpretazione storiosofica” (Milano, Criterion); “La sapienza di Salomone,
Milano, ed. Criterion; “La riforma della metafisica” (Milano, ed. Criterion); Filosofia
medioevale. Raggiungere la forma nuova, Fiera Letteraria; Punti di
trascendenza nell'immanentismo hegeliano, alla luce della momentalità
storiosofica” (Milano, Libreria Editrice Scientifico Universitaria); “Rosmini”
(Milano, Centro di cultura religiosa); “Posizioni dello spiritualismo
Cristiano: La dottrina della poieticita in un quadro rosminiano” (Domodossola,
Tip. La cartografica C. Antonioli); “Assiologia ed estetica”, Theorein; Posizione
dello spiritualismo cristiano. La dottrina della poieticità, in un quadro
rosminiano, Rivista rosminiana; Heidegger in una luce rosminiana: la favola di
Igino e il sentimento fondamentale, Domodossola, La cartografica); Missione di
Milano. Chiosa storico-filosofica, Ragguaglio); “Heidegger in una luce rosminiana,
Rivista rosminiana); La coscienza infelice nella filosofia hegeliana” (Palermo,
Manfredi); “Husserl edito e Husserl inedito” (Palermo, Manfredi); “Kierkegaard:
profeta laico dell'interiorità umana”; “Saggio di una poetica vichiana” (Milano,
Il ragguaglio librario); La fenomenologia dello spirito di G. Hegel, Rivista
rosminiana; L'unità del pensiero filosofico, Sapienza; Il pluralismo filosofico
nell'ambito di una concezione cristiana, Sapienza; In margine al centenario
dantesco, Sapienza; La negazione come principio metodologico di unificazione
speculativa, Theorein; Vita e pensiero di Hegel, Rivista rosminiana; Possibilità
di un accordo tra la dottrina rosminiana del sentimento fondamentale e le
concezioni moderne sull'inconscio, Rivista rosminiana; Morale e
religione nella Fenomenologia dello spirito di G. Hegel, Palermo); “Parallelo
tra Hegel e Rosmini, Palermo, Mori); “Metafisica e storia, Palermo, Mori); “Il
sofisma di Hegel” (Milano, Jaca book). “Il caso Contri”; “Gnoseologia”;
noseologia, storiosofia; Contri, Note mazziane; La propedeutica metafisica
hegeliana al problema del pensare e la lettura rosminiana di S. Contri, Contri
tra gnoseologia e storiosofia, Punti di trascendenza in S. Contri, in Sophia,
Crociata Italica, Fascismo e religione nella Repubblica di Salò, L'Estetica di
Benedetto Croce. Certi gestiscriveva la Vanni Rovighiche gli furono rimproverati
come acquiescenza al potere politico fascista (e furono ben pochi in confronto
a quelli di molti altri) furono dettati dalla preoccupazione di difendere la
sua Università dalla minaccia di chiusura da parte del potere politico,
minaccia tutt’altro che immaginaria. E forse fu il timore di fronte alle
obiezioni di un’altra autorità, quella ecclesiastica, che gli premeva ben più
di quella politica, a indurlo ad allontanare dall’Università un uomo di grande
ingegno e di purezza adamantina: Zamboni, un gesto che non può non essergli
rimproverato e che lasciò anche a noi allora studenti dell’amaro in bocca. Contri,
(Circa il volume di Croce 'La storia come pensiero e come azione. Siro Contri
Presidente dell' Istituto di Cultura Fascista...». Siro Contri, «Il regime fascista» Siro
Contri. Keywords: del bello, il bello, assiologia, poetica vichiana, Mussolini,
discorso, duce, logica di Hegel, filosofia dell’essere, l’essere e gli esseri,
Hegel contraddetto, il bello, pulchrum, archeo-scolastici, paleo-scolastici,
Aquino, aristotele, il vero, l’errore di Croce, l’equivoco di Croce, percezione
del bello, l’armonia e il bello, del storicismo alla storiosofia, storiosofia o
filosofia della storia, interpretazione dommatica di Aquino, la negazione di
hegel, il concetto puro di Hegel, la negazione come metodo in Hegel, nihilismo
e negazione in Hegel, l’errore di Hegel, il sofisma di Hegel, Gentile e il
bello. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Contri” – The Swimming-Pool Library.
CORBELLINI (Cadeo). Filosofo.
Grice: “I like Corbellini; of course he has to defend science versus what he
calls – alla Popper? – ‘pseudoscenza’ in Italy, which he calls ‘il paese della
pseudoscenza’ – I thought that was Oxford!” I sui interessi riguardano la grammatical
del vivente, la storia della medicina e la bioetica. Insegna Roma. Si laurea
con “L’epistemologia evoluzionistica”.I suoi interessi di studio hanno
riguardato la storia e la filosofia della biologia evoluzionistica, delle
immunoscienze e delle neuroscienze, per includere poi anche lo studio della
storia della malaria e della malariologia in Italia, delle ricadute della
genetica molecolare, delle implicazioni dell’evoluzione e l'evoluzione. L'approccio
storico-epistemologico all'evoluzione trovato una sintesi nella ricostruzione
della storia delle idee di “salute” e malattia e delle trasformazioni
metodologiche a cui è andata incontro la ricerca delle spiegazione causale
della salute. La sua ricerca si è orientata anche verso l'esame delle radici delle
controversie bioetiche. Difende un'idea non confessionale della bioetica, che
ha radici filosofiche in uno scetticismo morale radicale, naturalistico e non
relativista (Bioetica per perplessi. Una guida ragionata, Mondadori). Coltiva anche un interesse per la percezione
sociale e il ruolo della scienza nella costruzione del valore civile. Sostiene
che l'invenzione e l'espansione del metodo scientifico hanno consentito e
favorito l'evoluzione del libero mercato e della stato di diritto, ovvero che
la scienza ha funzionano come catalizzatore nella costruzione e manutenzione
dei valori critico-cognitivi e morali che rendono possibile il funzionamento
del sistema liberal-democratico. Altre
opere: “Nel Paese della Pseudoscienza. Perché i pregiudizi minacciano la nostra
libertà” (Milano, Feltrinelli); “Cavie? Sperimentazione e diritti animali”
(Bologna, Il Mulino); “Tutta colpa del cervello: un'introduzione alla neuro-etica”
(Milano, Mondadori Università, ; Scienza, Torino, Bollati Boringhieri); “Dalla
cura alla scienza” (Milano, Encyclomedia Publishers); “Scienza, quindi
democrazia, Torino, Einaudi); “Perché gli scienziati non sono pericolosi”
(Milano, Longanesi); “La razionalità negata. Psichiatria e antipsichiatria in
Italia (con Giovanni Jervis), Torino, Bollati Boringhieri, EBM); “Medicina
basata sull'evoluzione” (Roma-Bari, Laterza); “Bi(blio)etica” (Torino,
Einaudi); “Breve storia delle idee di salute e malattia” (Roma, Carocci); “La
grammatica del vivente. Storia della biologia e della medicina molecolare”
(Roma-Bari, Laterza); “L'evoluzione del pensiero immunologico” (Bollati
Boringhieri, Torino). L’errore di Darwin. Introduzione;
1. Dall’etica medica alla bioetica; 2. Il senso morale umano e le controversie
bioetiche; 3. Sperimentazione sull’uomo e consenso informato; 4. Scelte di fine
vita; 5. Scelte di inizio vita; 6. Medicina genetica; 7. Sperimentazione
animale; 8. Medicina dei trapianti e definizione di morte; 9. Etica della
ricerca responsabile; 10. Medicina rigenerativa e staminali; 11. Neuroetica;
12. Etica ambientale e OGM; 13. Etica della comunicazione scientifica, della
percezione della scienza e del «gender»; Indice dei box; Indice analitico;
Indice dei nomi. Come nota Gilberto Corbellini nella prefazione all’edizione
italiana del libro di Ru- bin, il tentativo di applicare l’approccio
evoluzionistico alla (filosofia) politica spesso rischia di venire frainteso.
Il frain- tendimento più comune e pericoloso deriva dalla mancata distinzione
tra il “darwinismo politicizzato” e la “politica darwiniana”: il primo è costituito,
come è accaduto nel caso del socialdarwinismo di fine Ottocento,
dall’«interpretazio- ne strumentale e priva di coerenza logica o di basi
scientifi- che delle idee darwiniane per difendere qualche particolare
ideologia politica»; la seconda, invece, consiste nell’«uso delle conoscenze
evoluzionistiche sulla natura umana per meglio comprendere le origini delle
preferenze politiche in- dividuali, la loro distribuzione sociale e le
dissonanze tra gli adattamenti ancestrali e l’ambiente attuale».58 Ridley si
mostra ben consapevole del rischio di trasformare la politi- ca darwiniana in
ideologia. Questo, tuttavia, non gli impe- disce di avanzare alcuni
suggerimenti di politica economica 54. Cfr. Skyrms, The Evolution of Social
Contract, pp. 108-109 e Festa “Teoria dei giochi, metodo delle scienze sociali
e filosofia della politica”, Prefazione a de Jasay, Scelta, contratto,
consenso, pp. 8-9). Alcune immani tragedie che hanno segnato la storia degli
ultimi due secoli sembrano dovute, almeno in parte, all’ignoranza – e,
talvolta, alla ne- gazione – di alcune caratteristiche essenziali della natura
umana. Per esempio, Ridley (p. 322) osserva che «Karl Marx vagheggiava un
sistema sociale che avrebbe funzionato solo se fossimo stati degli angeli, ed è
fallito perché siamo invece degli animali». 55. Peter Singer, Una sinistra
dawiniana. Politica, evoluzione e cooperazione, Torino, Edizioni di Comunità,
2000 (1999). 56. Larry Arnhart, Darwinian Conservatism, Exeter (UK), Imprint
Academic, 2005. 57. Rubin, La politica secondo Darwin. 58. Gilberto Corbellini,
“Politica darwiniana vs darwinismo politicizzato”, prefazione a Rubin, La
politica secondo Darwin, p. 9. 31 Ridley.Origini.Virtu.indd 31 27/08/12
13:57 Le origini della virtù – si vedano
soprattutto gli ultimi tre capitoli del libro – che gli sembrano compatibili
con le nostre tendenze evolutive. La prospettiva filosofico-politica che ne
emerge è un libe- ralismo con tendenze anarchiche, che non sarebbe inappro-
priato chiamare “anarco-liberalismo”.59 Tale prospettiva, ispirata dalla grande
fiducia di Ridley negli istinti coopera- tivi e altruistici degli esseri umani,
sfocia infatti nella difesa di un ordine politico-economico nel quale il ruolo
del gover- no e dell’intervento pubblico è ridotto ai minimi termini:
Recuperiamo la visione di Kropotkin, che immaginava un mondo di liberi
individui. [...] Non sono così ingenuo da pensare che ciò possa accadere da un
giorno all’altro, o che qualche forma di governo non sia necessaria. Ma metto
se- riamente in dubbio la necessità di uno Stato che decide ogni minimo
dettaglio della nostra vita e si attacca come una gigantesca pulce alla schiena
della nazione.60 D’altra parte, Ridley si rende conto che, mentre le solu-
zioni politico-economiche da lui favorite si accordano con alcune tendenze
evolutive umane, confliggono però con al- tre. Per esempio, egli osserva che
certe istituzioni economi- camente adeguate nella società moderna, come la
proprietà privata, possono entrare in tensione con le tendenze primi- tive all’egualitarismo,
alla redistribuzione e al rifiuto dell’accumulazione di ricchezza.61 L’analisi
dei conflitti tra le moderne istituzioni politico-economiche e le nostre ten-
denze primitive è uno degli argomenti centrali del già citato libro di Rubin.Le
“Imperfezioni umane” di Pani e Corbellini Di Valeria Covato | 06/06/2016 -
Mailing Le “Imperfezioni umane” di Pani e Corbellini Fornire un punto di vista
innovativo, cioè evoluzionistico, di tutto quello che riguarda la salute e le
disfunzioni comportamentali, e suggerire qualche punto di vista originale sul
perché nonostante le dissonanze evolutive, la condizione umana è globalmente
migliorata. È questo l’obiettivo del libro dal titolo “Imperfezioni umane.
Cervello e dissonanze evolutive: malattie e salute tra biologia e cultura”
(Rubbettino), scritto da Luca Pani e Gilberto Corbellini, che sarà presentato
domani, martedì 7 giugno, alle ore 16.30 a Roma presso il Centro studi
americani (Via Caetani, 32). CHI CI SARÀ Dopo i saluti di Paolo
Messa, direttore Centro studi americani, interverranno alla presentazione
moderata da Micaela Palmieri (Tg1) monsignor Lorenzo Leuzzi, Vescovo ausiliare
di Roma, Alberto Mingardi, direttore generale Istituto Bruno Leoni, Benedetto
Ippolito, professore di storia della Filosofia presso l’università Roma
tre. IL VOLUME “Negli ultimi vent’anni una nuova ipotesi di lavoro
si è fatta strada in ambito medico sanitario, definita nel mondo anglosassone
«evolutionary mismatch» (dissonanza evoluzionistica) – raccontano gli autori -.
Questa teoria assume, in pratica, che l’ambiente nel quale la nostra specie ha
acquisito i suoi tratti adattativi sia drammaticamente cambiato in un tempo
troppo breve perché predisposizioni o tratti genetici e fenotipici
dell’organismo fossero in grado di adeguarsi, per selezione naturale, alle
novità”. Le conseguenze di queste dissonanze? “Disfunzioni o disturbi o rischi
che richiedono un approccio medico”. “Il libro è diviso in tre parti –
spiegano Pani e Corbellini – Si inizia con un’illustrazione dei presupposti di
qualunque strategia motivazionale, cioè dei meccanismi che sono alla base del
piacere e delle ricompense, e da cui deriva – in ultima istanza – la
possibilità di acquisire nuove conoscenze che consentono di affrontare le
incertezze psicologiche che si accompagnano a qualunque comportamento
esplorativo. La riflessione prosegue con esemplificazioni di risposte
comportamentali che in particolari (o mutate) condizioni si manifestano come
malattie. Il terzo capitolo è dedicato in modo specifico al comportamento
alimentare e discute l’esempio più eclatante di dissonanza evoluzionistica: il
mismatch metabolico. Gli ultimi due capitoli affrontano una serie
d’imperfezioni e predisposizioni comportamentali umane che scaturiscono da
compromessi evolutivi, e che risultavano vantaggiose o meno nel contesto
dell’adattamento evolutivo, mentre i cambiamenti ambientali determinati
dall’evoluzione culturale hanno generato, a loro volta, ulteriori fenomeni
disadattativi”. QUALI DISSONANZE Nel dettaglio gli autori
descrivono le dissonanze create dai nuovi contesti di vita per quanto riguarda
cicli del sonno, accesso al cibo, comunicazione, cooperazione ovvero isolamento
sociale, oppure di comportamenti più complessi come la rabbia aggressiva o
l’altruismo; ma anche le preferenze politiche o l’intelligenza. Negli ultimi
capitoli del volume emergono anche idee e ipotesi relative a scoperte cognitive
e innovazioni che hanno migliorato la condizione umana, o reso possibili
cambiamenti comportamentali incredibili.Il concetto di libero arbitrio implica
che sussista nelle persone, dato un certo grado di sviluppo cognitivo e morale,
la capacità di decidere e di agire, scegliendo tra diverse alternative
disponibili, senza essere condizionati da fattori fisici o biologici di
qualunque genere. Si assume, in altri termini, che le persone maturino una
cosiddetta “agenticità”, cioè una capacità di agire e decidere in un quadro di
consapevolezza degli effetti prodotti, che non è riducibile o spiegabile sulla
base dei processi neurobiologici che hanno luogo nel cervello e/o alle leggi
fisiche che li governano. Di libero arbitrio si può parlare, comunque, in molti
modi e da diverse prospettive: filosofica, metafisica, giuridica, psicologica,
etc. Nel corso dell’evoluzione della specie, abbiamo sviluppato
strutture cerebrali che ci fanno appunto “credere” di essere liberi e poter
decidere in completa autonomia, e su questa finzione abbiamo costruito il
nostro straordinario successo di animali sociali Negli ultimi decenni le
neuroscienze cognitive e comportamentali hanno profondamente messo in dubbio,
con una quantità crescente di prove, la visione classica di “libero arbitrio”,
aprendo un dibattito scientifico ancora in corso. Qual è la sua posizione
all’interno del dibattito? La mia posizione è che il libero arbitrio è
una credenza senza senso, come aveva spiegato bene, molto prima delle
neuroscienze, il filosofo Spinoza. Se ci fosse qualcosa come il “libero
arbitrio”, allora davvero potrebbe esserci qualsiasi cosa ci possiamo immaginare.
Tuttavia, è vero che,nel corso dell’evoluzione della specie,abbiamo sviluppato
strutture cerebrali che ci fanno appunto “credere” di essere liberi e poter
decidere in completa autonomia, e su questa finzione abbiamo costruito il
nostro straordinario successo di animali sociali. Il libero arbitrio è
un’illusione, ma un’illusione molto produttiva. L’intuizione di ritenersi
liberi, in un senso vago o indefinito, è una forma di autoinganno, come tante
altre che sono prodotte dalla nostra coscienza, che nel tempo è stata
socialmente addomesticata per inventare un altro autoinganno, cioè un senso
individuale di responsabilità, con tutte le conseguenze che ne derivano anche
per l’organizzazione di un ordine sociale efficiente sulla base di un sistema di
obblighi. Ovviamente questa strategia è modulata da specifiche condizioni
ecologiche e sociali, per cui in alcuni contesti questa illusione si può
espandere e diventare la base di sistemi anche molto progrediti per qualità di
vita, come quelli occidentali, mentre in altri ambienti di vita sarà più
adattativo che tale intuizione e illusione non maturi neppure, o maturi in
forme che sono funzionali a all’accettazione di un comportamento
consapevolmente eterodiretto. L’intuizione di ritenersi liberi è
una forma di autoinganno che nel tempo è stata socialmente addomesticata per
inventare un altro autoinganno, cioè un senso individuale di
responsabilità Quali sono i rapporti fra emozioni e pensiero razionale?
Con quali modalità le due componenti guidano il comportamento umano? In
che misura siamo (o possiamo essere) consapevoli di queste influenze?
Non è del tutto chiaro nei dettagli come interagiscano le strutture del
cervello che controllano le emozioni o le reazioni impulsive, e quelle che
controllano la pianificazione di azioni calcolate. Quello che si sa è che
alcune condizioni, come trovarsi di fronte un’altra persona preferibilmente con
le proprie stesse caratteristiche somatiche o un parente, induca l’inibizione
di un comportamento utilitaristico, cioè volto a massimizzare qualche beneficio
in generale a prescindere dai danni che si possono arrecare alle persone;
ovvero che induca un comportamento di accudimento o altruistico, di carattere
parentale o reciproco. Mentre situazioni contrarie all’ordine morale
appreso socialmente e attraverso l’educazione scatenano quasi automaticamente
reazioni di disgusto o qualche altra avversione emotiva (ad esempio, rabbia o
disprezzo). Se non ci sono di mezzo contatti fisici, o rapporti parentali
con altre persone, o impulsi emotivi avversi, le persone possono applicare un
calcolo razionale e quindi scegliere un’azione in base all’utilità percepita o
calcolata. Comunque esistono diverse teorie su come emozioni e ragione
entrano in gioco nelle scelte in generale, e in quelle morali in particolare.
Quello che si sta sottovalutando, penso, è il ruolo che le emozioni, che
mediano i valori morali, possono giocare nell’apprendimento di comportamenti,
che a loro volta retroagiscono sui valori, cioè che possono cambiare nel tempo
le predisposizioni delle persone nel rispondere a situazioni identiche o
diverse. In altre parole, le emozioni servono direttamente alla sopravvivenza
ed entrano in azione quando è minacciata l’omeostasi funzionale a qualche
livello, e quindi servono a premiare o punire i comportamenti appresi sulla
base della funzionalità che manifestano. Ma questi nuovi comportamenti possono
far scoprire nuovi valori, cioè trovare premianti strategie diverse da quelle
prevalenti nella società, e quindi modulare le emozioni originarie, evitando
che gli impulsi emotivi inducano risposte non calcolate e che potrebbero essere
deleterie. In fondo, dato che noi occidentali sul piano genetico siamo
praticamente uguali agli altri gruppi umani, qualcosa del genere potrebbe
spiegare come ci siamo affrancati moralmente e politicamente da schemi
decisionali tribali od oppressivi. Credits to Unsplash.com Parliamo
del legame tra violenza ed evoluzione: qual è il ruolo ricoperto
dall’aggressività nell’evoluzione della specie, e quali sono le possibili
determinanti genetiche del comportamento aggressivo?
L’aggressività, come la cooperazione, è stata un fattore chiave per la
sopravvivenza e l’evoluzione della nostra specie. Come tutti i tratti,
l’aggressività è polimorfica e quindi ci sono persone geneticamente più
predispostedi altre all’aggressività. È verosimile che la selezione
sociale abbia col tempo reso più vantaggiosi i geni della cooperazione in
alcuni contesti ecologici, e quindi favorito il processo socio-culturale che
nell’età moderna ha ridotto drammaticamente la violenza sul pianeta, e
soprattutto nel mondo che ha inventato la scienza e ha abbracciato lo stato di
diritto. I governi occidentali continuano giustamente la lotta contro la
criminalità e la violenza, ma nella storia del pianeta non c’è mai stata così
poca violenza e aggressività, non solo in occidente ma nel mondo in generale,
rispetto a oggi. Steven Pinker ha dimostrato questo fatto in un
dettagliatissimo e acuto libro, “Il declino della violenza”. Nella
storia del pianeta non c’è mai stata così poca violenza e aggressività, non
solo in occidente ma nel mondo in generale, rispetto a oggi E per quanto
riguarda la differenza di genere? Cosa sappiamo dei rapporti tra cervello
maschile, cervello femminile e comportamento aggressivo? Le
differenze di genere nel comportamento aggressivo esistono. Studiando
complessivamente l’aggressività di bambini e bambine si è visto che i due
generi sono egualmente aggressivi verbalmente, mentre i bambini lo sono di più
fisicamente rispetto alle bambine. Nel complesso i bambini sono più aggressivi
delle bambine sul piano dell’aggressione diretta. Mentre le bambine sono
indirettamente aggressive anche più dei bambini. Queste
differenze, come altre, dipendono verosimilmente da stimoli ormonali nel corso
dello sviluppo e rispondono a strategie adattative selettivamente vantaggiose
nell’ambiente dell’evoluzione. Il modo in cui maturano il cervello maschile e
femminile dipende molto dai contesti e si conoscono diversi fattori ambientali
e culturali che influenzano, ad esempio, la violenza a carico delle donne. Ci
sono prove concrete del fatto che il patriarcato e la sua istituzione giuridica
sono fattori importanti per la persistenza della violenza maschile ai danni
delle donne, e del fatto che ridurre il dominio maschile attraverso delle
adeguate politiche sociali riduce la violenza maschile e che la cooperazione
tra donne riduce la violenza maschile sia contro le donne sia contro altri
uomini. Parliamo ora delle differenze individuali
nel controllo degli impulsi… Non ci sono moltissimi dati, ma
uno studio di qualche anno fa ha esaminato cosa avviene nel cervello quando si
fanno scelte impulsive, che svalutano una ricompensa ritardata, ovvero come
viene rappresentata dinamicamente nel cervello la svalutazione del ritardo
quando si sta aspettando e anticipando una ricompensapossibile che è stata
desiderata e scelta. La corteccia prefrontale
ventromedialemanifesta uno schema caratteristico di attività durante il periodo
di ritardo nel ricevere la ricompensa, oltre a esercitare un’attività
modulatoria durante la scelta, che è coerente con la codificazione del tempo
durante il quale avviene una svalutazione del valore soggettivo. Lostriato
ventrale esibisce a sua volta uno schema di attività simile, ma
preferenzialmente negli individui impulsivi. Un profilo contrastante di
attività collegata al ritardo e alla scelta è stata osservata nella corteccia
prefrontale anteriore, ma selettivamente in persone pazienti, cioè non
impulsive. Quindi corteccia prefrontale ventromediale e corteccia prefrontale
anteriore esercitano – sebbene ciò sia ancora da chiarire come – influenze
modulatorie ma opposte rispetto all’attivazione dello striato ventrale. Ovvero
quell’esperimento ci dice che il comportamento impulsivo e l’autocontrollo sono
collegati a rappresentazioni neurali del valore di future ricompense, non solo
durante la scelta, ma anche nelle fasi di ritardo post-scelta. Cosa può
voler dire tutto questo per il nostro discorso? Mi lasci citare ancora Spinoza,
per il quale è «libera quella cosa che esiste e agisce unicamente in virtù
della necessità della sua natura». La vera libertà, è autonomia e indipendenza,
non arbitrio o scelta indeterminata. Quindi si è tanto più liberi e non
soggetti a impulsi, quanto più alcune strutture del nostro cervello, altamente
connesse e addestrate dall’esperienza, lo rendono autonomo e meno soggetto o
costrizioni esterne. Credits to Unsplash.com Quali sono le
possibili influenze delle disfunzioni cognitive e dei fattori ambientali sulla
capacità decisionale (anche ai fini dell’imputazione penale)? Può condividere
con noi qualche caso di studio? Casi di studio ce ne sono diversi,
ma quelli al momento più esemplari riguardano gli effetti delle varianti
alleliche del gene della monoaminossidasi A (MAOA), detto anche “gene del
guerriero”, in quanto collegato all’aggressività su basi osservazionali mirate.
In sostanza le persone con la variante che produce meno MAOA rispondono in modi
più aggressivi e violenti, rispetto a chi esprime livelli più alti. Il
fatto interessante è che se queste persone predisposte all’aggressività sono
state allevate in ambienti accoglienti, esprimono un’aggressività minore
rispetto a omologhi genetici cresciuti in famiglie disagiate. Anche dati
sperimentali in ambito psicologico e di economia comportamentale dimostrano che
le aggressioni hanno luogo con maggiore intensità e frequenza, quando provocate
in un contesto sperimentale, soprattutto in soggetti con una bassa attività di
MAOA (MAOA-L). Gli studi sperimentali mostrano anche che il MAOA è meno
associato con la comparsa dell’aggressione in una condizione di bassa
provocazione, ma predice più significativamente il comportamento aggressivo in
una situazione molto provocatoria. Esiste ormai una letteratura
sterminata anche sui casi di persone con anomalie morfologiche e funzionali
dell’amigdala che regolarmente esprimono un profilo sociopatico, ovvero che non
provano emozioni negative quando provocano sofferenze in altri individui. Si
conoscono inoltre casi di tumori cerebrali o lesioni neurologiche che alterano
la personalità individuale, e non poche persone hanno commesso crimini in
quanto un tumore cerebrale ha alterato le loro capacità decisionali.
La memoria del testimone: in particolare, come si accerta
l’attendibilità della testimonianza e quali sono i principali metodi di
verifica? Il sistema giudiziario si fonda sulla memoria:
interrogatorio/confronto, testimonianze, ricordo dei giurati al momento di
discutere il verdetto. Ma la memoria umana è falsata: il cervello non è una
videocamera né un computer. Siamo suscettibili a false memorie. Gli stati
emotivi influenzano la qualità della memoria. La nostra storia personale
influenza il modo in cui ricordiamo. Gli psicologi e gli esperti studiano
soprattutto il problema della testimonianza oculare, perché in ben tre casi su
cinque le identificazioni si rivelano sbagliate. Esistono diversi metodi
di controllo/verifica e volti a ridurre gli errori nelle testimonianze. Uno di
questi analizza per esempio l’accuratezzadella testimonianza oculare e delle
modalità di interrogatorio del testimone, per arrivare a una probabilità
relativa al caso. Il sistema giudiziario si fonda sulla memoria. Ma
la memoria umana è falsata: il cervello non è una videocamera né un computer.
Siamo suscettibili a false memorie. Esiste anche un diritto alla
riservatezza per i nostri ricordi. Nel senso che se io non intendo comunicare a
qualcuno un ricordo, ho diritto a tenerlo per me. Un giudice deve avere forti
ragioni per forzare l’accesso alla mia memoria, ed è comunque tenuto a
rispettare i miei diritti fondamentali se ci prova. Se davvero si riuscirà a
costruire affidabili brain lie detector, macchine della verità con accesso alle
memorie cerebrali, si configurerà un problema sul fronte di normare i limiti
del diritto di un giudice far rilevare impronte mnestiche del nostro cervello,
i ai fini di un’indagine processuale. Non tanto per la riservatezza del dato di
interesse, cioè se un imputato o un testimone mentono o dico la verità nel caso
in specie, ma per il fatto che quell’accesso può rendere noti dei fatti che non
hanno rilevanza con l’indagine e che potrebbero danneggiare la persona.
Inoltre, alcuni farmaci e tecnologie possono potenziare la memoria individuale.
Ebbene, sarebbe lecito consentire a o incentivare alcuni attori del
procedimento giudiziario (giudici e giurati) a potenziare le loro memorie ai
fini di un più efficiente funzionamento del sistema? La morale
ha, o potrebbe avere, un fondamento biologico? La morale ha un fondamento
biologico. La morale serve a tenere insieme i gruppi umani sociali, e ha creato
le premesse sociobiologiche per l’affermarsi della religiosità quale sistema di
controllo incorporato nelle persone e alimentato socialmente per garantire che
i valori morali adattativi in società meno complesse delle nostre siano
mantenuti e trasmessi. In prospettiva: quali sono a suo
avviso i possibili intrecci tra acquisizioni neuroscientifiche e diritto penale?
Quale impatto potrebbero avere sugli attuali meccanismi di attribuzione della
responsabilità e di applicazione della pena? Su questo punto la penso
come chi ha detto che con l’arrivo delle neuroscienze, nel diritto, “cambia
tutto e non cambia niente”[1]. Vale a dire che il concetto di libero
arbitrio e quello intuitivo di giustizia come retribuzione (caratteristico del
diritto naturale) sono destinati a essere abbandonati, perché privi di basi
teorico-fattuali. Mentre si potrebbe affermare un concetto consequenzialista(utilitarista)
della concezione della pena, più vicino al diritto positivo. Il
concetto di libero arbitrio e quello intuitivo di giustizia come retribuzione
(caratteristico del diritto naturale) sono destinati a essere abbandonati,
perché privi di basi teorico-fattuali In Italia, come vengono accolte
dalla magistratura le evidenze neuroscientifiche? E a livello
internazionale? L’Italia è all’avanguardia, se così si può
dire, nell’uso di prove neuroscientifiche in tribunale. Due sentenze in
particolare, Trieste 2009 e Como 2011, riconobbero il ruolo causale di tratti
neurogenetici nel comportamento delittuoso, e di conseguenza attribuirono uno
sconto di pena. Le sentenze italiane sono state accolte con allarme in
diversi contesti internazionali. Ma c’è poco da fare: se queste conoscenze e
tecnologie acquisiranno una base sperimentalmente solida e consentiranno di
prevedere con buona attendibilità le predisposizioni a commettere reati, è
inevitabile che entreranno a far parte dello strumentario di lavoro dei
giudici. Tuttavia, esiste un’ambivalenza in Italia, come in altri paesi,
verso l’uso delle prove neuroscientifiche. Intanto in Italia non tutti i
giudici hanno ancora chiaro cosa sia una perizia neuroscientifica e ignorano criteriepistemologicamente
validi e formalmente definiti per scegliere periti che apportino davvero prove
scientifiche e controllate nel contesto di un dibattimento processuale. Ciò
sebbene la Cassazione abbia in sentenze recenti fatto proprio lo Standard
Daubert, che elenca regole di ammissibilità delle prove nei processi
statunitensi. Inoltre, si tratta comunque di definire cosa implica una
diminuita imputabilità per colui che commette un reato, in quanto le sue azioni
e decisioni dipendevano dal modo di funzionare del cervello e dalla sua
dotazione genetica. Questo individuo è meno libero di altri e quindi anche meno
responsabile, e quindi le sanzioni dovrebbero essere volte a ridurre al minimo
le probabilità di reiterazione del o dei reati. [1] Il riferimento è al
noto scritto di J. Greene, J. Cohen, For the law, neuroscience changes nothing
and everything, in Philos Trans R Soc Lond B Biol Sci, 359, 2004, pp. 1775 ss. Gilberto
Corbellini. Keywords: Dawkins’ selfish gene – read selfish gene – medicina in
Roma antica -- evoluzione, emergentismo, biologia filosofica, grammatical del
vivente, cooperazione, altruismo, razionalita, utilitarismo, darwinismo
sociale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Corbellini” – The Swimming-Pool
Library.
CORDESCHI (L’Aquila).
Filosofo. Grice: “Cordeschi is fine if you are into how we can model a pirot
from an automaton – Descartes’s old idea!” -- Roberto Cordeschi (L'Aquila)
filosofo. Si laurea a Roma sotto Somenzi.
Si appassiona subito alla storia della cibernetica, di cui Somenzi fu tra i
primi studiosi e contributori in Italia. Con la co-supervisione di Radice
discute una tesi sui Teoremi di incompletezza di Gödel. Insegna a Morino,
Avezzano, Torino, Roma, e Saerno. Altre opere: “Turing” – homo mechanicus (Alan
Mathison); “Turing’s homo mechanicus” (Pisa: Edizioni della Normale); “La
cibernetica in Italia” (Roma: Scienze, Istituto della Enciclopedia Italiana); “Un
padrino per l’Intelligenza Artificiale. Sapere; “L’intelligenza meccanica”;
Alfabeta; “Dalla cibernetica a internet: etica e politica tra mondo reale e
mondo virtuale; “Dal corpo bionico al corpo sintetico. Roma: Carocci);
“Somenzi. testimonianze. Mantova: Fondazione Banca Agricola Mantovana); “Natura,
machina, cervello e conoscenza”; “Autonomia delle macchine: dalla cibernetica
alla robotica bellica” (Roma: Armando); “Rap-resentare il concetto: filosofia e
modello computazionale”. Sistemi Intelligenti, “Fare a meno delle metafore: il
metodo sintetico e la scienza cognitive” (Milano: Franco Angeli). Nuove
prospettive nell’Intelligenza Artificiale, XXI SecoloNorme e idee. Roma:
Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani), “Quale coscienza artificiale?
Sistemi intelligenti, “Adattamento” e “selezione” nel mondo della natura”
(Milano: Franco Angeli); “Computazionalismo sotto attacco” (Padova: CLEUP); Premessa
al Documento di Dartmouth, Sistemi Intelligenti, “Psicologia, fisicalismo e
Intelligenza Artificiale. Teorie e Modelli; “Forme e strutture della
comunicazione linguistica. Intersezioni. Filosofia dell’intelligenza artificiale.
In Floridi L., a cura di. Linee di ricerca, SWIF. Una lezione per la scienza
cognitiva. Sistemi Intelligenti, Funzionalismo e modelli nella Scienza
Cognitiva. Forum SWIF. CVecchi problemi filosofici per la nuova Intelligenza
Artificiale. Networks. Rivista di Filosofia dell’Intelligenza Artificiale e
Scienze Cognitive, In ricordo di Vittorio Somenzi Quaderno Filosofi e Classici
SWIF; Intelligenza artificiale. Manuale per le discipline della comunicazione.
Roma: Carocci. L’intelligenza Artificiale: la storia e le idee. Roma: Carocci);
“Naturale e artificiale” (Bari: Edizioni Laterza); La scoperta
dell’artificiale. Psicologia, filosofia e macchine intorno alla cibernetica.
Milano-Bologna: Dunod-Zanichelli); “Pensiero meccanico” e giochi
dell’imitazione. Sistemi Intelligenti; Prospettive della Logica e della
Filosofia della scienza. Atti del Convegno SILFS. Pisa: ETS. I modelli della
vita mentale, oggi e domani. Giornale Italiano di Psicologia, Filosofia della
mente. Quaderni di Le Scienze, L’intelligenza artificiale. In: Bellone, E.,
Mangione, C., a cura di. Geymonat L., Storia del pensiero scientifico. Il
Novecento, 3, Milano: Garzanti); Somenzi,
V., La filosofia degli automi. Origini dell’intelligenza artificiale. Torino:
Bollati Boringhieri); Indagini meccanicistiche sulla mente: la cibernetica e
l’intelligenza artificiale. In: Somenzi, V., Cordeschi, R., a cura di. La
filosofia degli automi. Origini dell’intelligenza artificiale. Torino: Bollati
Boringhieri: Qualche problema per l’IA classica e connessionista. Lettera
matematica PRISTEM, Una macchina protoconnessionista. Pisa: ETS: Le radici
moderne del recupero scientifico della teologia. Nuova Civiltà Delle Macchine);
Scienza e filosofia della scienza; La mente nuova dell’imperatore. La mente, i
computer, le leggi della fisica. Milano. Wiener. In: Negri, A., a cura di.
Novecento Filosofico e Scientifico. Protagonisti, 5, Milano: Marzorati, Turing. In: Negri, A., a
cura di. Novecento Filosofico e Scientifico. Protagonisti, 5, Milano: Marzorati: Significato e
creatività: un problema per l’intelligenza artificiale. L’Automa spirituale:
Menti, Cervelli e Computer, Cervello, mente e calcolatori: précis storico
dell’intelligenza artificiale. In: Corsi, P., a cura di. La fabbrica del
pensiero. Dall’arte della memoria alle neuroscienze, Milano: Electa: L’intelligenza
artificiale tra psicologia e filosofia. Nuova Civiltà delle Macchine, Mente,
linguaggio e realtà. Milano: Adelphi. Linguaggio mentalistico e modelli
meccanici della mente. Osservazioni sulla relazione di Margaret Boden.
L’evoluzione dei calcolatori e l’intelligenza artificiale. Manuscript; La psicologia
meccanicistica, Storia e critica della psicologia, La teoria dell’elaborazione
umana dell’informazione. Aspetti critici e problemi metodologici. Roma: Editori
Riuniti); Dal comportamentismo alla simulazione del comportamento. Storia e
Critica della Psicologia, I sillogismi di Lullo. Atti del Convegno
Internazionale di Storia della Logica. San Gimignano: Il duro lavoro del
concetto: il neoidealismo e la razionalità scientifica. Giornale critico della
Filosofia Italiana; La psicologia come scienza autonoma: Croce, De Sarlo e gli
“sperimentalisti”. Per un’analisi storica e critica della Psicologia, 2Dietro
una recensione crociana di Couturat. Quaderni di Matematica, Metodi per la
risoluzione dei problemi nell’intelligenza artificiale, Per un’analisi storica
e critica della psicologia, 2. Manuscript. La psicologia tra scienze della
natura e scienze dello spirito: Croce e De Sarlo. In: Cimino G., Dazzi N.
(1980), a cura di. Gli studi di psicologia in Italia: Aspetti teorici
scientifici e ideologici, Quaderni di storia critica della scienza. Nuova
serie. 9, Pisa: Domus Galileana); Una critica del naturalismo: note sulla
concezione crociana delle scienze. Critica marxista; Introduzione alla logica.
Roma: Editori Riuniti. Predicati. In: CIntroduzione alla logica. Roma: Editori
Riuniti. Elementi di logica matematica. Roma: Editori Riuniti); Bilancio
dell’empirismo contemporaneo. Scientia; La filosofia di Leibniz: esposizione
critica con un’appendice antologica. Roma: Newton Compton Italiana); Filosofia
e informazione. Padova: La Cultura; Validità e reiezione nella logica
aristotelica. Il problema della decisione. Report: Storia della Filosofia
Antica. Istituto di Filosofia, Roma. Manuscript. In generale, nella implicatura
robotica c’è la tendenza a ricorrere al vocabolario delle rappresentazioni solo
quando, per così dire, non se ne può fare a meno, ovvero, più precisamente,
quando si lascia il livello puramente reattivo nel quale il lessico delle
rappresentazioni sarebbe banale, per passare a quello topologico e, a maggior
ragione, a quello metrico o delle mappe cognitive. Due robot puramente reattivi
sono capaci di risolvere alcuni compiti per i quali, nella ricerca su animali
(la squarrel Toby di Grice), si erano invocate rappresentazioni complesse come
le mappe cognitive. Questi stessi robot reattivi, man mano che si riducono le
restrizioni sull’ambiente, diventano sempre meno abili nell’affrontare quegli
stessi compiti, che possono essere risolti solo da agenti dotati di stati
interni (attitudine psicologica) ai quali essi riconoscono lo status di
rappresentazioni. La massima sarebbe in questi casi quella di esaminare tutti i
modi possibili di spremere l’ultima goccia di informazione dal livello reattivo
prima di parlare dell’influenza della rappresentazione, modello del mondo o
mappa sul comportamento intelligente. Circa la natura delle rappresentazioni,
una volta ammesse, le opinioni sono contrastanti, e riflettono la varietà dei punti
di vista ormai usuale in intelligenza artifiziale e intelligenza naturale,
classica o nouvelle che sia. Si può parlare di rappresentazione anche per i
pattern connessionisti, a patto di distinguere la relativa computazione. La
rappresentazione e solo simbolica, quale che sia la loro complessità, e un
pattern connessionista, non essendo considerato simbolico, non e una
rappresentazione. Si parla di una rappresentazione che possono essere di
diversa complessità e accuratezza, esplicita (spliegatura) o implicita
(impiegatura), metrica o topologica, centralizzata o distribuita. E in generale
si parla di ra-presentazione simbolica quando si è in presenza di un costrutto
dotato di proprietà ritenuta analoga a quella del segno. Ricorrenti valutazioni
polemiche da parte di alcune tendenze dell’IA nouvelle identificano
nell’Ipotesi del Sistema Fisico di Simboli il paradigma linguistico per
eccellenza dell’IA classica. Tuttavia, un confronto di qualche anno fa tra sostenitori
e critici di questa ipotesi mostra come questa interpretazione sia quanto meno
opinabile. Sarebbe opportuno tenerne conto, per evitare di porre in un modo
troppo sbrigativo l’identificazione tra simbolo e il concetto piu generale di segno in IA
classica e per affrontare senza pregiudizi i difficili problemi che stanno alla
base della costruzione di un modello di conversazione, tra i quali quello della
natura della rappresentazione. Mi riferisco all’interpretazione in termini di un
sistema di elaborazione simbolica dell’informazione (dunque in termini di un
sistema fisico materiale di simboli) di sistemi tradizionalmente non
considerati tali, come quelli proposti dai teorici dell’azione situata. L’idea
di simbolo che sta alla base di questa ipotesi è che un simbolo è un pattern
che denota, e la nozione di denotazione è quella che dà al simbolo la sua
capacità rappresentazionale. Il pattern puo denotare altro pattern, sia interni
al Si veda per una formulazione particolarmente esplicita (Gallistel 1999). 12
Detto in breve, tali proprietà riguardano, tra l’altro, la produttività, ovvero
la capacità di generare e capire un insieme illimitato di frasi, e la
sistematicità, ovvero la capacità di capire ad esempio tanto aRb quanto bRa.
Fodor ne ha fatto la base per la sua controversa ipotesi del “linguaggio del
pensiero” Per una introduzione all’argomento, si veda (Di Francesco 2002). 13
Per pattern si intende, come sarà più chiaro nel seguito, una struttura fisica,
biologica o inor- ganica, che può essere oggetto di processi
computazionali—codifica, decodifica, registrazione, cancellazione, cambiamento,
confronto—i quali occorrono in sistemi diversi, in un calcolatore e nel sistema
nervoso, anche se in quest’ultimo caso non sappiamo nei dettagli come. Questa
tesi provocò diverse reazioni (si vedano i volumi 17 e 18 di Cognitive
Science). Si noti che nelle intenzioni di Simon e Vera la tesi non comporta che
ogni pattern sia dotato di meccanismo sistema che esterni ad esso (nel
mondo reale), e anche stimoli sensoriali e azioni motorie. Processi tanto
biologici quanto inorganici possono essere simbolici in questo senso e, dal
punto di vista sostenuto da Simon e Vera, i relativi sistemi sono sempre
sistemi fisici di simboli, ma a diversi livelli di complessità. Per esempio,
nel caso più semplice che riguarda gli organismi, anche l’azione riflessa
(subcorticale) è un processo simbolico: la codifica di un simbolo provocata da
un ingresso sensoriale, poniamo la bruciatura di una mano, dà luogo alla
codifica di un simbolo motorio, con la conseguente rapida effettuazione
dell’azione, in questo caso il ritirare la mano. Più precisamente, l’idea è che
“il sistema nervoso non trasmette certo la bruciatura, ma ne comunica
l’occorrenza. Il simbolo che denota l’evento [la brucia- tura] viene trasmesso
al midollo spinale, che a sua volta trasmette un simbolo ai mu- scoli, i quali
esercitano la contrazione che consente di ritirare la mano.” Nel caso degli
artefatti, già il solito termostato è un sistema fisico di sim- boli, sebbene
particolarmente semplice: il suo livello di tensione è un simbolo che denota
uno stato del mondo esterno. Come ho ricordato, anche Brooks ha finito per
riconoscere alle rappresentazioni un loro ruolo nel comportamento dei suoi
robot, se non altro alle rappresentazioni “relati- ve al particolare compito
per il quale sono usate” (i “modelli parziali del mondo”), quali potrebbero
essere, a diversi livelli di complessità, quelle usate da agenti naturali come
Cataglyphis o da agenti artificiali come Toto o il solutore di labirinti sopra
ri- cordato. Simon e Vera considererebbero senz’altro agenti del genere come
sistemi fisici di simboli, dotati di un’attività rappresentazionale molto
sofisticata, anche se specializzata a un compito particolare. Ma essi includono
tra i sistemi fisici di simboli anche artefatti molto più semplici, come il
ricordato termostato, e agenti robotici pu- ramente reattivi o collocabili al
livello del taxon system (che, seguendo Prescott, era stato definito come una
catena di associazioni consistenti in coppie <stimolo, risponsa>).
Secondo i due autori, i primi robot alla Brooks sono (un tipo relativamente
sem- plice di) sistemi fisici di simboli: anche l’interazione senso-motoria
diretta di un agen- te con l’ambiente nella misura in cui dà luogo a un
comportamento coerente alle rego- larità dell’ambiente, non può essere
considerata se non come manipolazione simboli- ca. Ho ricordato sopra il
semplice comportamento reattivo di Allen, che tramite sonar evita ostacoli
presenti in un ambiente reale. In questo caso, i suoi ingressi sensoriali danno
luogo a un processo di codifica, e i costrutti in gioco (i simboli, secondo la
definizione sopra ricordata) che risultano da tale interazione sensoriale, e
poi motoria, dell’agente con l’ambiente sono rappresentazioni interne (degli
ostacoli esterni da evitare) in un senso non banale: l’informazione sensoriale
captata dal robot è converti- ta in simboli, i quali sono manipolati al fine di
determinare gli appropriati simboli motori che evocano o modificano un certo
comportamento. L’assenza di memoria in questo tipo di agente comporta che
l’azione sia eseguita senza una rappresentazione esplicita del piano e
dell’obiettivo che orienta l’azione stessa (senza pianificazione), ma non che
non ci sia attività rappresentazionale simbolica. Qual è la natura di questi
simboli, di queste rappresentazioni simboliche? denotazionale, cosa che
evidentemente renderebbe banale questa definizione di simbolo: ci sono pattern
che non denotano, tanto naturali quanto artificiali. Sulla sufficienza della
denotazione per caratterizzare la nozione di simbolo (come di rappresen-
tazione) si è molto discusso. Nel caso degli artefatti più semplici si tratta
di rappresentazioni analogiche che stabiliscono e mantengono la relazione
funzionale del sistema con l’ambiente. Questo, si è visto, è già vero per il
solito termostato. Nel caso di (come pure di certi sistemi connessionisti, o
che includono sistemi connessioni- sti), tali rappresentazioni (analogiche)
hanno carattere temporaneo (senza intervento di memoria) e distribuito (non
sono sottoposte a controllo centralizzato). In questi casi, una
rappresentazione certo imprecisa ma sufficientemente efficace è fornita da un
sonar sotto forma di un pattern interno fisico (un pattern di nodi della rete,
nel caso di un sistema connessionista): essa denota o rappresenta per il robot
un ostacolo o una certa curvatura di una parete o di un percorso. Una volta che
tale pattern venga comu- nicato a uno sterzo, esso determina l’angolo della
ruota sterzante del carrello del ro- bot. Per quanto diversa a seconda dei
casi, è sempre presente un processo di codifica- elaborazione-decodifica non
banale, che stabilisce una ben precisa relazione funziona- le tra il sistema e
l’ambiente, e spiega il comportamento coerente dell’agente nell’interazione con
il mondo. Non parlare di rappresentazioni interne, e limitarsi a dire che un
agente “intrattiene certe relazioni causali con il mondo, non spiega come tali
relazioni vengano mantenute. E’ del tutto ragionevole sostenere che un agente
mantiene l’orientamento verso un oggetto tramite una relazione causale (Grice,
“La teoria causale della percezione”) con esso e che tale relazione è un
pattern di interazione, ma non ha senso pensare che tale pattern venga prodotto
per magia, senza un corrispondente cambiamento di stato rappresenta- zionale
dell’agente, ovvero che esso possa aver luogo senza una rappresentazione
interna fosse pur minima.” Rappresentazioni più complesse, che sono alla base
di un’attività non semplicemente percettiva diretta, sono presenti in altri
casi, quando entrano in gioco la me- moria, l’apprendimento, il riconoscimento
di oggetti e l’elaborazione di concetti, la formulazione esplicita di una mappa
o di piani alternativi, sotto forma di rappresentazioni off-line, e ancora. In
molte di queste attività “alte” intervengono rappresentazioni esplicite,
linguistiche e metriche, ma se si riconosce che la cognizione richiede questo
tipo di rappresentazioni, è difficile mettere in dubbio che tali attività non
condividono con attività più “basse” come la percezione, sulle quali esse
vengono elaborate, il meccanismo denotazionale, sia pure in una forma minimale.
A meno di restringere arbitrariamente la nozione di rappresentazione e di simbolo,
non c’è ragione di riservarla esclusivamente a pattern linguistici, o ai
costrutti della semantica denotazionale (variabili da vincolare ecc.). Penso si
possa sottoscrivere questa conclusione di Bechtel: “la nozione base [di
rappresentazione] è effettivamente minimale, tale da rende- re le
rappresentazioni più o meno ubique. Esse sono presenti in ogni sistema organiz-
zato che si è evoluto o è stato progettato in modo da coordinare il suo
comportamento con le caratteristiche dell’ambiente. Ci sono dunque rappresentazioni
nel regolatore, nei sistemi biochimici e nei sistemi cognitivi”. Il riferimento
di Bechtel al regolatore di Watt è polemico nei confronti di van Gelder, che ne
faceva il prototipo della sua concezione non computazionale e non simbolica
della co- gnizione. In realtà questo tipo di artefatti analogici (sistemi a
feedback negativo e servomecca- nismi) erano stati interpretati come sistemi
rappresentazionali già all’epoca della cibernetica, in primo luogo da Craik,
che ne aveva fatto la base per una “teoria simbolica del pensie- ro”, come egli
la chiamava, per la quale “il sistema nervoso è visto come una macchina
calcola- trice capace di costruire un modello o un parallelo della realtà”. Non
entriamo in questa sede sui diversi problemi relativi al contenuto delle Simon
e Vera distinguono il livello della modellizzazione simbolica da quello della
realizzazione fisica (sia biologica che inorganica) di un agente.
Nell’interazione con l’ambiente, un agente ha un’attività rappresentazionale
che è data dalle caratteri- stiche specifiche del suo apparato fisico di
codifica-elaborazione-decodifica di simboli. Si pensi ancora alla codifica,
molto approssimativa ma generalmente efficace, at- traverso sonar degli
ostacoli da parte di un robot reattivo, e alla relativa decodifica che si
conclude in un ben determinato movimento. La modellizzazione simbolica di
questa capacità non appare in linea di principio diversa da quella “alta” sopra
ricordata. L’idea è che tutti questi tipi o livelli di rappresentazioni, da
quelli legati alla percezio- ne a quelli più alti della “ricognizione”, possono
essere opportunamente modellizzati attraverso regole di produzione, come
livello di descrizione di un sistema fisico di simboli. Un robot basato
sull’architettura della sussunzione non fa eccezione. Ad esempio, il
funzionamento di un modulo reattivo al livello più basso dell’architettura, che
con- trolla la reazione di evitamento di ostacoli, potrebbe essere reso da
un’unica regola di produzione del tipo “se c’è un ostacolo rilevato attraverso
sonar e bussola allora fermati”. Questa possibilità sembra essere stata presa
in considerazione dallo stesso Brooks, che però la respingeva in questi
termini: “Un sistema di produzione standard in realtà è qualcosa di più [di un
robot behavior-based], perché ha una base di regole dalla quale se ne seleziona
una attraverso il confronto tra la precondizione di ogni regola e una certa
base di dati. Le precondizioni possono contenere variabili che de- vono essere
confrontate con costanti nella base di dati. I livelli dell’architettura della
sussunzione funzionano in parallelo e non ci sono variabili né c’è bisogno di
tale confronto. Piuttosto, vengono estratti aspetti del mondo, che evocano o modificano
direttamente certi comportamenti a quel livello. Tuttavia, se distinguiamo il
livello della realizzazione fisica da quello della sua modellizzazione, quella
che Brooks chiama l’estrazione degli “aspetti del mondo” rilevanti per l’azione
è descritta in modo adeguato da un opportuno sistema di regole di produzione, e
tramite tale sistema un certo comportamento di una sua creatura può essere
evocato o modificato nell’interazione con l’ambiente. E questo modello (a
regole di produzione) delle regolarità comportamentali di diversi livelli
dell’architettura della sussunzione può essere implementata in un dispositivo
che, grazie all’elevato grado di parallelismo, presenta doti di adattività,
robustezza e rispo- sta in tempo reale paragonabili a quelle di un dispositivo
behavior-based. In questo senso, le regole di descrizione danno una modellizza-
zione adeguata del comportamento di un agente situato. Oltre alle risposte
automatiche, che nel caso dell’azione riflessa o “innata” e di quella reattiva
possono essere rese attraverso un’unica regola di produzione (qualcosa che
corrisponda a una relazione comportamentista S→R), esistono le azioni automa-
rappresentazioni, al ruolo dell’utente degli artefatti e alla natura della
spiegazione cognitiva. L’articolo di Bechtel contiene una disanima efficace di
questi problemi, rispetto a posizioni diverse come quella sostenuta da Clancey
contro la tesi di Vera e Simon. In breve, le regole di produzione hanno la
forma “se... allora”, o CONDIZIONE → AZIONE. La memoria a lungo termine di un
sistema fisico di simboli è costituita da tali regole: gli antecendenti
CONDIZIONE permettono l’accesso ai dati in memoria, codificati dai conseguenti
AZIONE. tizzate a seguito dell’apprendimento, quando cioè le regolarità
relative a un certo comportamento sono state memorizzate, o quelle che
comportano una relazione “di- retta” con il mondo tramite le affordance alla
Gibson. Un esempio sono le risposte immediate che fanno seguito a
sollecitazioni improvvise o impreviste provenienti dall’ambiente Ora i teorici
dell’azione situata (e, come si è visto, i nuovi robotici) insistono sul fatto
che questi casi di interazione diretta con l’ambiente si svolgono in tempo
reale, senza cioè che sia possibile quella presa di decisione, diciamo così, meditata
che ri- chiede la manipolazione di rappresentazioni e la pianificazione
dell’azione. Si pensi all’esempio di Winograd e Flores dell’automobilista che,
guidando, affronta una curva a sinistra. In primo luogo, secondo i due autori,
non è necessario che egli faccia continuamente riferimento a conoscenze
codificate sotto forma di regole di produzione—non è necessario riconoscere una
strada per accorgersi che è “percorribi- le” (la “percorribilità”, questa è la
tesi, è colta nella relazione diretta agente- ambiente). In secondo luogo, la
decisione è presa dall’agente, per così dire, senza pensarci (senza pensare di
posizionare le mani, di contrarre i muscoli, di girare lo sterzo in modo che le
ruote vadano a sinistra ecc.). Tutto ciò avviene automaticamente e
immediatamente, dunque senza applicare qualcosa come una successione di regole
di produzione “se p, q”. In conclusione, la tesi è che non è possibile
modellizzare questo aspetto della presa di decisione istantanea, o in tempo
reale, attraverso un dispositivo che comporta codifica-elaborazione-decodifica
di simboli, dunque computazioni, regole di produzione e così via. L’obiettivo
della critica di Winograd e Flores è la teoria della presa di decisione nello
spazio del problema, con il quale ha a che fare l’agente a razionalità limitata
di Simon. Ora, se prendiamo sul serio la teoria di Simon, va detto che alla
base del carat- tere limitato della razionalità dell’agente sta la complessità
dell’ambiente non meno dei limiti interni dell’agente stesso (limiti di
memoria, di conoscenza della situazione ecc.). Nel prendere la decisione,
quest’ultimo, secondo la teoria di Simon, in generale non è in grado di
considerare, come spazio delle alternative pertinenti, lo spazio di tutte le
possibilità, ma solo una parte più o meno piccola di esso, e questa selezione
avviene sulla base delle sue conoscenze, aspettative ed esperienze precedenti.
Ora una presa di decisione istantanea, non meno di una presa di decisione
meditata, è condi- zionata da questi elementi, i quali, una volta che abbiano
indotto, poniamo attraverso l’apprendimento, la formazione di schemi automatici
di comportamento (di risposte motorie, nell’esempio di sopra), finiscono per
determinare l’esclusione immediata di certe alternative possibili (come, nell’esempio
della guida, innestare la marcia indietro) a vantaggio di altre (come scalare
marcia, frenare ecc.), e tra queste altre quelle suggerite dalla conoscenza
dell’ambiente stesso (fondo strada bagnato ecc.) e dalle Le affordance, nella
terminologia di Gibson (1986) sono invarianti dell’ambiente che vengo- no
“colte” (picked up) dall’agente “direttamente” nella sua interazione con
l’ambiente stesso, e “direttamente” viene interpretato come: senza la
mediazione di rappresentazioni e di computa- zioni su esse. Un esempio sono i
movimenti dell’agente in un ambiente nel quale deve evitare oggetti o seguirne
la sagomatura e così via: un po’ quello che fanno i robot reattivi di cui ho
parlato. L’esempio del termostato è ricorrente in scienza cognitiva e in
filosofia della mente dai tempi della cibernetica. E’ evidente che definire
sistemi fisici di simboli artefatti di questo tipo (e del tipo dei robot di
Brooks, come vedremo) comporta rinunciare al requisito dell’universalità per
tali sistemi (sul quale si veda Newell 1980). aspettative pertinenti.17
Secondo le stesse parole di Simon “il solutore di problemi non percepisce mai
Dinge an sich, ma solo stimoli esterni filtrati attraverso i propri pre-
concetti” (Simon 1973: 199). Di norma, dunque, l’informazione considerata
dall’agente non è collocata in uno spazio bene ordinato di alternative,
generato dalla formulazione del problema: tale informazione è generalmente
incompleta, ma è pur sempre sostenuta dalla conoscenza della situazione da
parte dell’agente. La proposta è, dunque, che la modellizzazione a regole di
produzione di un’azione del genere, e in generale di una affordance, è un
simbolo che, via il sistema percettivo di codifica, raggiunge la memoria del
sistema per soddisfare la CONDIZIONE di una regola di produzione esplicita. In
questo modo, soddisfatta la CONDIZIONE, si attiva la regola, e la produzione
(la decodifica) del simbolo di AZIONE avvia la risposta motoria. Da questo
punto di vista, le affordance sono rappresentazioni di pattern del mondo
esterno, ma con una particolarità: quella di essere codificate in un modo
particolar- mente semplice. Nell’esempio di sopra, una volta che si sia
imparato a guidare, la regola è qualcosa come: “se la curva è a sinistra allora
gira a sinistra”. Questa regola rappresenta la situazione al livello funzionale
più alto nel quale la rappresentazione che entra in gioco è “minima”. Un
termine del genere, a proposito delle rappresentazioni, lo abbiamo visto usato
da Gallistel, ma per Simon e Vera il termine rimanda alla forma della regola
indicata, che può essere rapidamente applicata: in questo caso, cioè, non c’è
bisogno di evocare i livelli “bassi” o soggiacenti, quelli coinvolti con
l’analisi dettagliata dello spazio del problema e con l’applicazione delle opportune
strategie di soluzione, che comportano computazioni generalmente complesse,
sotto forma di successioni di regole di produzione. Questi livelli intervengono
nelle fasi dell’apprendimento (quando si impara come affrontare le curve), e
possono essere evocati dall’agente quando la situazione si fa complicata (si
pensi a una curva a raggio variabile, che rivela la complessità
dell’interazione codi- fica percettiva-decodifica motoria). E tanto un
apprendimento imperfetto quanto una carenza, per i più svariati motivi,
dell’informazione percettiva rilevante possono anche ostacolare l’accesso ai
livelli soggiacenti che potrebbero dare luogo alla risposta cor- retta (non
tutti coloro che hanno imparato a guidare riescono ad affrontare tutte le curve
con pieno successo in ogni situazione possibile). Insomma, in questa
interpretazione di Simon e Vera l’interazione in tempo reale dell’agente con
l’ambiente è data non dal fatto di essere non simbolica e di non poter essere
modellizzata mediante regole di produzione, ma dal fatto di non dover accede-
re, per dare la risposta corretta, alla complessità delle procedure di
elaborazione sim- bolica dei livelli soggiacenti a quello alto. E’ nell’attività
cognitiva ai livelli soggiacenti, allorché si elaborano piani e strategie di
soluzione di problemi, che viene evidenziata la consapevolezza dell’agente.
Simon e Vera ponevano infine un problema che riguarda i limiti degli approcci
reattivi, sul quale mi sono già soffermato, e che mi sembra condivisibile: “E’
tuttora dubbio se questo approccio behavior-based si possa estendere alla
soluzione di pro- blemi più complessi. Le rappresentazioni non centralizzate e
le azioni non pianificate possono funzionare bene nel caso di creature
insettoidi, ma possono risultare insuffi- cienti per la soluzione di problemi
più complessi. Certo, la formica di Simon non ha 17 Su questo tipo di
comportamento, che può essere visto in termini di “percezione attesa”, si veda bisogno
di una rappresentazione centralizzata e stabile del suo ambiente. Per tornare
al nido zigzagando essa non usa una rappresentazione della collocazione di
ciascun gra- nello di sabbia in relazione alla meta. Ma gli organismi superiori
sembrano lavo- rare su una rappresentazione del mondo più robusta, [...] una
rappresentazione più complessa di quella di una formica, più stabile e tale da
poter essere manipolata per astrarre nuova informazione”. La successiva
evoluzione della robotica sembra confermare questa osservazione.
Roberto Cordeschi. Keywords: Croce, sperimentalismo italiano,
mente, homo mechanicus, Turing, Craik, artificiale e naturale, filosofia,
rappresentare il concetto, logica matematica, reiezione in Aristotele,
predicate, significato, communicazione, creativita, informazione. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Cordeschi” – The Swimming-Pool Library.
CORLEO (Salemi). Filosofo.
Grice: “Corleo is a genius -- His
keyword is identity, the Hegelian type, and that’s why he attracted Gentile’s
attention! But my favourite is his excursus on language! He talks like a
veritable Griceian – about ‘intenzione’ and ‘pre-convezione’ – and the
spontaneous cry to seek attention, Romolo from Remo, say – He very much
elaborates on the subject and the predicate and the copula, and the other parts
of speech – But he retains an empiricist, evolutionary viewpoint with which I
wholly agree!” Studia nel Seminario vescovile di Mazara del Vallo, laureandose
a Palermo. Crea un seminario di psicologia filosofica. Liberale, aderì alla
rivoluzione siciliana. Su saggio, “Progetto per una adeguata costituzione
siciliana”. Durante la spedizione dei
mille, fu nominato da Garibaldi governatore di Salemi – Saggio: “Garibaldi e i
Mille”. Saggio: “Storia dell’enfiteusi dei terreni ecclesiastici in Sicilia”.
Diviene conte di Salemi. Altre opere:
“Meditazioni filosofiche”; “Il sistema della filosofia universale; ovvero, la
filosofia dell’identità”; “Per la filosofia morale”; “Lezioni di filosofia morale”.
Dizionario biografico degli italiani. La regola
d'identità, dipendente dall’esperienza e dal concetto appartene a qualunque
specie di giudizio, giudizio affermativo (S e P) o giudizio negativo (S non e
P), giudizio condizionale (Si p, q), giudizio tetico (S e P), giudizio ipotetico
(Si p, q), giudizio disgiuntivo (p o q), e via via ; poichè ,ogni proposizione
o giudizio, semplice or complessa, debbe congiungere un predicate ad un
soggetto (S e P) o negare un predicato ad un soggetto (S non e P), e ciò non
può farsi altrimenti che in forza della identità parziale o totale del predicato
stesso col soggetto, ovvero del contrario o contrapposto del predicato in caso
di giudizio negativo, sia cotesta identità assoluta, o sperimentale, sotto
condizione, problematica, o in forma disgiuntiva. Il raciocinio è un complesso
di giudizi che serve a scoprire una verità incognita per mezzo di una verità
nota, o a dimostrare il nesso ignoto tra due verità conosciute. Onde il
raciocinio deve esser fodato sulla medesima legge d'identità, che costituisce
l'essenza dei giudizi di cui è composto. Ogni passaggio da una verità ad
un'altra, da un giudizio ad un altro, è giustificato dalla connessione che deve
esistere tra loro. Se connessione non vi è, non si può dall'uno inferir
l'altro, non vi è passaggio legittimo o accettabile dal noto all'ignoto, e
molto meno si può scoprire il nesso incognito tra due veri conosciuti. Or,
questa stessa connessione non è che effetto d'identità. Parrà strano che la
connessione si debba risolvere anch'essa in identità; ma riflettendo con
attenzione, si scorge chiaro che in fondo è così, nè può essere altrimenti. Se
S è connesso con P, ciò non importa che S sia identico con P, ma importa invece
che ambidue sieno identici con S-P, cioè, che sieno parti integranti del tutto
S-P, di guisa che la loro connessione non *significa* o signa altro, che il
loro legame necessario per la formazione di quel tutto complesso proposizionale
(S e P); onde se essi non fossero con nessi a comporre il tutto S-P, quel tutto
non sarebbe mai quello che è, non sarebbe identico alla somma delle parti che
lo costituiscono. Due o più giudizi, tra loro connessi, sono parti integranti
di un giudizio di maggiore estensione che tutti li abbraccia, ed è identico con
essi come il tutto è identico con la somma delle sue parti. Laonde non può
esser vero l'uno senza che sia vero l'altro, perocchè in diverso non sarebbe
vero quel giudizio maggiore che risulta dalla verità di tutti i giudizi subalterni
dai quali è costituito. Se, per cagion d'esempio, prendiamo ad esaminare ogni
teorema geometrico intorno alle proprietà del “triangolo” in genere e delle
varie sue specie, scorgiamo tosto che vi ha una continua connessione tra
cotesti teoremi, nè puo uno esser vero se non sieno veri tutti gli altri di
seguito; onde essi si dimo strano a vicenda. La ragione di ciò è semplicissima.
Essi non sono che le parti necessarie di un solo tutto, del concetto di “triangolo”
e delle sue specie subalterne, e tutti più o meno mediatamente in quel concetto
complessivo sono compresi. Pertanto non vi ha che un identico totale (talora
nemmeno avvertito ), il quale, per esser quello che è, ha bisogno che ciascuna
delle sue parti sia quella che è, e che tutte insieme concorrano con unità di
nesso a costituirlo, come le parti si debbon legare fra loro per unirsi nella
identità di un sol tutto. Metto una grande importanza in queste osservazioni
sul raziocinio e sulla connessione (consequenza logica) de' suoi membri; poichè
l'unica che sembrerebbe scappare dalla rigorosa legge della identità sarebbe la
connessione tra i giudizi diversi (premessa e conclusion), di cui consta un
ragionamento. Eppure, quella connessione non è altro che il frutto
dell'identità totale di un giudizio maggiore e più esteso, il quale abbraccia come
sue parti necessarie ogni giudizio subalterno; e quelli sono per l'appunto
connessi, perchè tutti in sieme formano un solo e identico giudizio di più
larga estensione. Nè fa d'uopo che nel ragionare si abbia presente quel giudizio
maggiore, nel quale si congiungono con identità totale i giudizi connessi. Esso
opera senza che il ragionatore lo sappia, poichè è virtù dell'identico totale
riunire per necessità le parti fra di lor , senza di cui egli non potrebbe
esser quello che è. Ciò sapendo, chi ragiona può benissimo salire dai veri
connessi a quel vero più ampio che tutti li abbraccia e nella sua unità totale
li identifica. Sarà questo un sistema più completo di ragionare, perocchè non
ci contenteremo di scorgere il nesso tra parecchi giudizi, di procedere per
mezzo di tal nesso alla scoperta di un giudizio novella e di dire che uno
essendo vero, tutti gli altri debbono pure esser veri; ma cercheremo ancora in
qual giudizio plenario e più esteso essi tutti vadano a connettersi per la
identità di unico comune risultato. In ciò consiste l'analiticita logica. Il
raciocinio analitico ercano la dimostrazione dei teoremi singoli o la risoluzione
dei singoli problemi nella proprietà, o nella funzioni e simili, che sono
appunto i giudizii più ampli e plenary, nei quali tutti quei singoli
s'identificano come parti di un sol tutto. Nella parte logica la connessione
non è che l'identità del tutto più ampio con le sue parti subalterne, senza il
cui necessario legame egli non risulterebbe quello che è. Il ragionamento è
dimostrativo, quando serve a chiarire il nesso tra verità e verità. Dimostrare
niente altro è che legare tra loro i giudizi come connessi, e la connessione
pertanto vi è, perchè i loro rispettivi subbietti, quand'anco non si sappia, si
raggruppano in unico e identico subbietto più esteso che tutti li abbraccia
come tante sue parti: onde vi ha passaggio, dalla identità parziale di un
predicato P col suo soggetto S, all'identità parziale dell'altro predicato P2
con l'altro suo soggetto S2, e così di seguito; perocchè essi tutti
costituiscono un solo subbietto più esteso, che di tutti quei predicati si
compone, e che perciò è identico con la loro somma. Un subbietto subalterno non
potrebbe concorrere alla costituzione del subbietto totale, se non possedesse
quel tale predicato e se gli altri subalterni non possedessero quelli altri
predicati; onde la connessione fra tutti, se è vero l'uno, debbono esser veri
gli altri, ed *implicitamente* deve esser vero il giudizio totale, con cui
tutti s'identificano. È inventivo e non dimostrativo il raziocinio, quando,
dalla verità che si conosce, si passa a quella che s'ignora; ed anco in tal
caso la ragion del passaggio è fondata sulla connessione, e perciò sulla legge
d'identità, in quanto che dalla identità parziale che si conosce, si sospetta
prima e poi si scopre la identità totale. Per causa di alcuni punti d'identità
o di parziali somiglianze tra un fenomeno ed un altro, si concepisce la *possibile*
identità dei loro elementi in un sol tutto, e delle leggi che li governano. In questo
caso vi ha l'*ipotesi* o supposizione, che annunzia come *possibile* identico
totale quello che tuttora non è che un identico parziale. La conoscenza dei
punti, della cui identità bisogna ancora certificarsi, conduce a cercare la
medesima identità con quei mezzi, coi quali essa ordinariamente si osserva in
altri simili. Ed allora uno dei due, o si giunge all'accertamento della
identità di tutti gli elementi essenziali tra un fenomeno e l'altro, tra una
legge e l'altra, e si ha perciò l'identità totale, si ha la tesi o posizione; o
non si giunge ad accertarla per ostacoli presentemente insuperabili, di cui
però dobbiamo renderci conto, e si resta in tal caso nella identità parziale,
nella ipotesi o supposizione, pur sapendo quello che manca e perchè manchi, per
poterla trasformare in tesi o posizione quando che sia. Tanto il raziocinio
dimostrativo, quanto l'inventivo si valgono dell’esperienza concetto; poichè la
*testificazione* della identità parziale tra predicato e soggetto di ogni
giudizio, che compone un raziocinio, deve esser data dall’esperienza. Se è
composto di giudizi sperimentali, risulta pur esso sperimentale; e la
connessione dipende dalla loro parziale identità con un giudizio sperimentale
di ordine superiore, il quale talvolta nemmeno è conosciuto, ma vi si deve
giungere in forza di altre esperienze, come per lo più accade nel raziocinio
inventivo. Siccome pero il giudizio sperimentale e tale temporaneamente, cioè
fino a tanto che l'identità del predicato P col soggetto S sia solo testificata
dall'esperienza, perchè ancora tutti gli elementi di essa non sono conosciuti,
nè si ha l'identico concettuale che dovrebbe trasformare in concettuale il
giudizio em pirico, così i raziocinî sperimentali, o anco misti, potranno
divenire quando che sia raziocinî concettuali, fondati sull'identità assoluta
dei concetti, quando cioè l'esperienza, per la perfetta analisi e sintesi delle
parti col tutto, si eleva a concetto fisso ed assoluto con la conoscenza degli
elementi proporzionali che costituiscono l'identico totale.Vi ha dunque
passaggio dalle verità empiriche e dai ragionamenti empirici alle verità
assolute ed ai raziocinî concettuali, a misura che la scienza progredisce nel
conoscimento delle parti integranti che costituiscono i subbietti dei giudizi
sperimentali, ed a misura che essa discopre il nesso tra quei subbietti
parziali ed il subbietto più esteso che tutti l'identifica in un complesso
solo. È questo il doppio scopo finale dell’uomo: la cognizione concettuale e
necessaria dei fatti sperimentali per mezzo degli elementi proporzionali che li
costitui scono, e lo svolgimento dei concetti più complessi nei loro con cetti
subalterni, che sono del pari i loro elementi costitutivi. Pertanto l'essenza
del raziocinio non può essere collocata in una forma piuttosto che in un'altra;
essa consiste nel passaggio dalla identità totale alle identità sparziali che
la costituiscono, o dalle identità parziali alla totale per mezzo della
scoperta di quelle altre identità parziali che sono con loro connesse per compiere
l'identità totale. Bisogna dunque assi curarsi, per mezzo dei concetti, della
doppia identità delle parti e del tutto per avere ragionamenti rigorosi; e non
potendo giungervi per mezzo dei concetti, assicurarsene per mezzo della esperienza.
In questi due soli modi è possibile il raziocinio. Chi cura soltanto la forma
esteriore del ragionamento e ripone la logica nello studio delle leggi della
FORMA LOGICA, non prende di mira lo scopo vero del raziocinio, che è l'accertamento
della identità de' giudizi connessi col tutto di cui sono parti; e perciò corre
l'aringo di un VUOTO FORMALISMO alla Hilbert, che non è mai garanzia sicura di
esatti ragionamenti. Or, perchè mai i subbietti di tali giudizi son dive nuti
concettuali e perciò includono necessariamente i loro pre. Tre sono state le più
grandi logiche formali. La prima e l’induzione primitiva: quella che argomenta
dal particolare al particolare per mezzo di un generale appoggiato ad altri particolari.
La seconda, quella che argomenta il generale dai particolari (necessario se i
particolari si presentano con caratteri di necessità , empirico se si
presentano soltanto come fatti di esperienza) per poter poi discendere dal
generale ad altri particolari: il sillogismo di Aristotele preceduto dalla
classificazione dei necessari e degli empirici, predicabili e predicamenti, che
costituiscono le sue categorie. Terza legge formale: la induzione di Bacone, e quella
che ascende dai particolari empirici ai generali pure empirici, adottata da
ogni naturalista sensista e positivista. Il sillogismo di Aristotele fu
scompagnato dalla sua precedente classificazione categorica per opera dei
neoplatonici come Porfirio e Boezio, che vollero così conciliare a forza
Aristotele con Platone, e poi per opera degli scolastici e dei moderni
idealisti. Essi hanno adottato la sola argomentazione dal generale al
particolare ponendo il generale come idea, che si afferma da sè per la sua
evidenza e pei caratteri di necessità, di universalità e di assolutezza che la
distinguono, senza indurre le categorie dalla classificazione dei fatti, come
fa Aristotele. Niuna pero di queste argomentazioni formali costituisce da sè un
esatto ragionamento: esse sono o inutili allo scoprimento del vero, o
pericolose di errore, o tali almeno che non posson menare al concetto
scientifico e necessario, perchè non conducono al vero identico totale. Difatti
la induzione primitiva argomenta da un particolare all'altro in forza
d'identità parziali; e peggio, da un certo numero di particolari, che si
somigliano in taluni punti, argomenta il generale. Perchè questa casa fuma,
perciò si brucia! E perchè il legno delle nostre cucine fumando si brucia,
perciò: OGNI cosa che fuma si brucia! Da somiglianze o identità parziali si
vuole argomentare l'identità totale di un fatto con un altro, o anche più,
l'identità totale di tutti i fatti che parzialmente si assomigliano. Il
sillogismo dei neoplatonici e degli scolastici , conchiudendo dal generale al
particolare e ponendo il generale in virtù della luce dell'idea, non trova mai
verità nuove. Poichè, s'io dico, che il tutto é maggiore della parte, e percið
ne deduco che il libro dicati, mentre altri rimangono soltanto empirici e
perciò la identità tra predicato e subbietto dev'essere soltanto attestata dal
l'esperienza? Chi fa che taluni giudizi siano concettuali ed altri non? D'altra
parte, è poi sicuro che le idee che noi abbiamo siano tutte esatte, e non può
accadere che vi si contengano predicati che loro non appartengano veramente, in
modo che apparisca una identità necessaria tra predicato e subbietto, mentre
essa non è che l'effetto di una inclusione di predicato che veramente nel
concetto non deve entrare? Quanto alla formazione di un concetto si deve
notare, che essa avviene per opera di astrazione, la quale procede in due modi,
o spontaneamente, per effetto d'identica presentazione dei punti identici delle
percezioni e di separazione dei diversi, ovvero riflessivamente e
volontariamente, cioè per deve esser maggiore di ciascuna pagina, non affermo
in conclusione una verità nuova; ma dico due proposizioni, di cui l'una è tanto
vera e tanto evidente, quanto è vera ed evidente l'altra, nè vi è affatto
ragionamento. Se però il generale è posto in forza di un cumulo di esperienze o
di fatti (sia quanto si voglia lungo ed esteso quel cumulo) si corre pericolo
di errare; poichè allora dalla similitudine, o dalla identità par ziale che
hanno fra loro alcuni fatti, si vuol provare che tutti gli altri, i quali
abbiano identità parziali conformi, debbano somigliarli in tutto il resto. È
allora una induzione mascherata sotto le forme assolute di un sillogismo.
Poichè, una delle due: o il particolare, di cui si cerca, si ebbe già presente
nella formazione del generale, o il generale fu formato per gli altri particolari
simili, ma senza di lui. Nel primo caso, lungi che il particolare, di cui si
cerca, acquisti luce dal generale, è desso che con corre a formarle. Nel second
, si ha il solito vizio di argomentare da alcune identità parziali, tra un
fatto particolare e gli altri dello stesso genere , alla loro totale identità.
Perchè moltissimi esseri che hanno la figura umana hanno la ragione, percio qua
lunque selvaggio che presenta la figura umana, deve avere la ragione? La
induzione baconiana ha lo stesso difetto, perocchè non potendo raccogliere che
un certo numero di fatti particolari, grande quanto pur si voglia, da’ essi
soli suo generale, e poi ne argomenta agli altri casi particolari per ragione
di parziali somiglianze. Essa inoltre non perviene mai al necessario ed
all'assoluto, perchè non giunge alla identità concettuale del tutto cogli
elementi che lo costituiscono. Tutto al più, vi giunge come la categorizzazione
di Aristotele (che per lui deve precedere il sillogismo), cioè ritiene
l'assoluto ed il necessario nel generale, perchè i particolari si presentano
anch’essi con tali caratteri di necessità e di assolutezza. Il tutto è
necessariamente maggiore della parte, o è assolutamente identico alla somma
delle parti, perchè con tale necessità ed assolutezza nei fatti singoli il
tutto si presenta in tali rapporti con le sue parti. Non si perviene mai
all'identico, si rimane sempre nell'empirico, in tutte coteste forme di
ragionare. Come la necessità ed assolutezza dell'idea si accetta empiricamente,
perchè essa con tali caratteri si presenta alla coscienza, cosi nelle varie suddette
forme di ragionare si rimane pur sempre nel passaggio empirico da identità parziali
ad altre parziali, o peggio, ad altre total , senza assicurarne la totale
identità . rea analisi che l'uomo fa di proposito sui complessi ancora inde
composti delle percezioni, e sugli stessi primi astratti tuttavia
decomponibili. Seguendo sempre la regola dell'identico e del di verso, con la
quale si forma idee tipiche e concettuali delle parti più salienti delle percezioni,
e di quelle altre che, pur connettendosi con le percezioni stesse, non potranno
mai divenire oggetto immediato di percezione. Nasce da ciò un doppio ordine di
concetti ben distinti, cioè di quelli che si formano spontaneamente e
primitivamente per l'identica presentazione dei punti identici delle percezioni
e per la spontanea separazione dei diversi, e di quelli altri che da sè non si
offrono, ma è neces sario l'uomo se li procuri colla propria riflessione e col
proprio studio, cioè con l'applicazione della legge dell'identità nelle analisi
ulteriori, e se li trasmetta tradizionalmente per non per derli. Nel primo
caso, l'identico tipico del concetto si costituisce da sè spontaneamente, e
perciò il predicato si trova tosto incluso nel soggetto concettuale di cui fa
parte. Nel secondo, l'identico tipico del concetto riflesso si costituisce
mediante la voro mentale, e per lungo tempo, in mancanza dell'idea, è d'uopo
ricorrere all'esperienza, affinchè essa testifichi l'identità del predi cato
col soggetto, non potendo nel soggetto trovarsi il predicato a prima fronte,
sino a tanto che non sorga netta e chiara l'idea in tutte le sue parti
costitutive. Nei concetti spontanei e primitivi, formati dalla identificazione
tipica dei punti più chiaramente identici delle percezioni, non può esservi
pericolo di errore, logicamente parlando; poichè identicamente si presenta e si
presenterà sempre ciò che identicamente si presenta, e diversamente il diverso.
Onde i concetti fissi, fondati sulla identità logica, e perciò as loluti e
necessarî. All'incontro, le idee (concetti riflessi) ela borate dall'uomo, ben
vero con la stessa regola della identità, ma composte di elementi ch'egli
astrae da gruppi diversi e che egli poi mette insieme, possono per avventura
non es sere logicamente esatte; poichè per un momento si fallisca o per
disattenzione, o per precipitanza, o per pregiudizi, alla rigorosa regola della
identità nel condurre l'analisi riflessa, o nel mettere insieme gli elementi
astratti dai gruppi diversi, potrà uscirne un'idea monca ed imperfetta nel
primo caso, erronea nel secondo. E quel ch'è peggio, divenuta tipica tale idea
che contiene o non contiene il predicato, l'operazione del giudizio o del
raziocinio, che verrà a cercarlo in essa, riuscirà difettiva oppure erronea,
come difettosa o erronea era l'idea. Difettiva o erronea l'idea (cioè, mancante
di elementi necessari, o intrusi in essa elementi che non le convengono), sarà
sempre causa di errore nel giudizio ideale che su di essa si fonderà per legge
logica d'identità, e conseguentemente nel raziocinio . Nello stesso modo,
un'esperienza mal condotta o per difetto o per syista e confusione di una cosa
con un'altra, sarà fonte d'errore nel giudizio empirico, e quindi nel
ragionamento che da esso prenderà le mosse. Gli errori di esperimento si
correggono con la ripetizione e col controllo di tutti quelli che se ne
occupano. Gli errori però dell'idea debbonsi correggere con un buono ed
accurato esame ideologico, al quale debbono collaborare tutti gli studiosi delle
rispettive materie. Ma qual sarà la regola, con la quale si potrà fare l'esame
delle idee, o di quei concetti riflessi che l'uomo si è formati col proprio
lavoro, per conoscere se elementi vi man chino, o se vi siano intrusi degli elementi
che non possono en trarvi? La regola dell'esame non può essere che quella
stessa la quale deve presiedere alla loro formazione, cioè quella del
l'identità totale dell'idea con l'identità parziale dei singoli ele menti che
la costituiscono. L'idea deve essere decomposta nei suoi elementi, e deve
essere osservato se tra essi e l'idea vi sia perfetta e totale identità : così
soltanto potranno includersi quelli che difettano e potranno escludersi quelli
che non convengono ; poichè nell'uno e nell'altro caso l'identico totale mostra
quello che gli manca, o quello che gli conviene, per essere quel che è. In tal
modo è possibile l'esame, e la rettificazione delle idee, occorrendo ; ed in
ciò consiste un buon trattato d'Ideologia. La scuola empirica , duce il Locke,
aveva già compreso la necessità dell'esame delle idee , all'oggetto di non
ammetterle soltanto in forza dei loro caratteri este riori di evidenza ,
necessità , universalità ed assolutezza , con cui s'impongono. La disposizione
che si dà al complesso de' giudizi ed ai ragionamenti, sia per esporre, sia per
dimostrare, sia per avviare alla ricerca, costituisce il metodo, il quale non
può avero altro scopo, che quello di condurre all'identico totale per mezzo di
tutti i suoi parziali, o ai parziali per la decomposizione del loro totale. Il
metodo sta ai ragionamenti, come il ragionamento sta ai giudizi: egli ha lo
scopo di fare un ragionamento com plessivo di tutti i ragionamenti subalterni
mediante la regola della doppia identità parziale e totale . Onde il vero
metodo scientifico è certamente analitico e sintetico insieme, man è l'ana lisi
sola, nè la sola sintesi, nè entrambe unite, potrebbero con durre a risultati
scientifici, se non avessero per rigorosa regola l'identità , e se non
mirassero al suo conseguimento finale in tutti i giudizi e raziocinî,
sperimentali, concettuali, o misti. Parlo del vero metodo scientifico; poichè
per comunicare alle masse i risultati della scienza, o per indurre in loro la
persua sione necessaria all'adempimento dei proprî doveri, una esatta analisi
degli elementi delle idee o dell'esperienze, ed una esatta loro sintesi,
all'oggetto di condurle a rigorosa identità totale, Perd essa voleva rimontare
, senza alcuna ragione nè possibilità di riuscita, alla ori gine cronologica
delle idee . Voleva inoltre, far provenire le idee dai sensi. Onde , in vece
della vera origine cronologica, ben difficile a trovarsi per le singole idee ,
diede spesso supposizioni romanzesche sulla prima nascita delle medesime , e
sopra tutto delle idee morali , col preteso stato naturale e col contratto
sociale . Tutte quelle idee che non potè giustificare coi sensi , le rigetto, o
le ammise alla credenza pubblica come necessità indemostrabili della nostra
natura. Onde i posteriori idealisti , visto l'inte lice esito dell'esame , son
tornati ad ammettere le idee in virtù della loro evidenza e dei loro caratteri
che s'impongono alla nostra ragione , sia ritenendole verità prime
indiscutibili ed indispensabili ad ogni ragionare (scuola del senso comune) ;
sia supponendole forme assolute del pensiero quidquid recipitur ad formam recipientis
recipitur (scuola kantiana ) ; sia riputandole innate e facienti parte del
nostro intel letto , almeno in una prima idea fondamentale , quella dell'essere
(*scuola rosminiana*) ; sia ammettendole come frutto d'interne azioni e reazioni
dello spirito (scuola di Herbart) ; sia credendole comunicazioni della mente
medesima di Dio, intuizioni, tocchi misteriosi (*scuole giobertiane*) , o anche
evoluzioni della stessa idea divina, assumente caratteri di progressiva
attuazione per la legge dialettica de contrari (scuola hegeliana ), attuazione
dell'idea in forza di volontà preordinante e producente (scuola di Schopenauher
), o attuazione inconscia ( scuola di Hartmann ). Tutti supposti, appoggiati a
me tafore, a superficiali osservazioni , o a dogmi , per dare una spiegazione
dei caratteri delle idee senza volerle esaminare in sè stesse , nei loro
attuali elementi costitutivi , adducendo a prova della impossibilità dello esame
l'infelice risultato ottenuto dagli empirici , i quali ebbero bensì il buon
volere , ed anche la presunzione dell'esame , senza mai averne studiato i mezzi
convenienti non sono punto possibili, nè anche utili. Laonde è d'uopo r correre
ad esperienze ovvie, a idee evidenti e generalment ammesse, per inferirne le
bramate conseguenze . Or se è vero che percepire distintamente, sintetizzare,
analizzare, ricordare, astrarre, concettuare, ideare, giudicare, connettere e
ragionare, non sono altro che più o men largamente identificare le parti ed il
tutto, spontaneamente o riflessivamente, in forma sperimentale o in forma
tipica assoluta, se cid è vero, diviene pur troppo evidente che, per potere
scorgere l'identità più prontamente e con maggiore chiarezza, sarebbero assai
utili due cose. Primo, abbreviare e ravvicinare tra loro con SEGNI le
percezioni ed i loro elementi, le idee ed i loro elementi. Secondo indicare con
segni le successive operazioni che vengon fatte spontaneamente o riflessivmente
sui detti complessi e loro elementi. L'algebra ed il *calcolo* per sè non sono
scienza, ma sono potenti mezzi di scienza, in quanto abbracciano e ravvicinano
le idee e le operazioni su di esse fatte rendendo più facile e più sicuro il
colpo d'occhio su di loro per scorgerne le identità e le differenze. Or, perchè
non sarà possibile una logica aritmetica o matematica per agevolare la
conoscenza delle identità parziali e totali, dalle quali dipende tutto l'eser cizio
della intelligenza? Non vale il dire che nell’aritmetica e la geometria si
tratta di rapporti tra sole quantità, e perciò e possibile un segno abbre viativi
e le operazioni identiche. Mentre invece nella logica generale si dovrebbero
trattare molti altri rapporti di QUALITà, che variano tra loro indefinitamente,
e perciò l'aritmetica non si potrebbe applicare alla logica. Non vale il dire
questo; poichè tutti i rapporti tra le QUANTITà hanno unico fondamento comune,
l'identità costante di ogni unità con sè stessa, in guisa che non possa
crescere nè decrescere in alcun modo, e che ogni unità valga quanto un'altra.
Onde il fondamento vero dell’aritmetica e dei loro processi è tutto nella
identità, come in generale il fondamento di tutte le operazioni
dell'intelletto; e la loro unica regola consiste nella IDENTIFICAZIONE. Non vi
ha dunque difficoltà vera contro la formazione di un'aritmetica logica; il cui scopo
non dev'essere altro che quello di fissare, abbreviare, e con un segno,
costante e certo, ravvicinare fra loro le idee ed i loro elementi, e le
operazioni che su di esse si fanno. Nella scelta del segno per tale oggetto, non
occorre far tutto a nuovo. Come nell'aritmetica, si posson prendere le lettere
alfabetiche per indicare i complessi della percezione e dell'idea, non che i
loro elementi, cioè le lettere maiuscole (A, B, C…) pei complessi, e le lettere
minuscole (a, b, c, …) per gli elementi, se fossero gli uni e gli altri
conosciuti e categorizzati. Se ancora non fossero conosciuti distintamente,
potrebbero adoperarsi i soli punti. Ogni segno dell’aritmetica, più, meno,
eguale, maggiore, minore, hanno posto nella logica o semiotica matematica o
aritmetica. Il dubbio ha un segno nella scrittura ordinaria, l’interrogativo –
la quesserzione --. Un segno pure abbiamo nella stessa scrittura per indicare
un seguito di cose simili, che corrisponde all' &. Soltanto resterebbero a
stabilirsi un segno per quell’operazione che nell'aritmetica e nel linguaggio
ordinario non esiste. Questo segno si riducono a distinguere lo stato spontaneo
dal stato riflesso, che sono i due stati del nostro animo, ed ambidue i detti
stati dal di fuori di essa. Per tale scopo descrivo due spazi, uno spazio inferiore
e l'altro spazio superiore, chiusi da tre linee parallele orizzontali. Il di
fuori è tutto quello ch'è al disotto dello spazio inferiore e lo spazio
superior. Lo spazio inferiore indica lo *spontaneo*. Lo spazio superiore indica
il *riflesso*. Indico con quadrati di linee, di punti, o di lettere, i
complessi e le loro parti, sia percepito, sia non percepito, o sia salito allo
stato di riflessione. Un punto e una lettera minuscola indicano i loro
elementi. Il punto indica che l’elemento non e conosciuto. La lettere indica
che l’elemento e conosciuto. Denoto il simile con due parallele verticali.
Rappresento l'identico con la convergenza di due linee in un angolo verticale.
Se l’identità non è completa, ma sol tanto parziale, una delle due linee sarà
più corta dell'altra, quasi per indicare la mancanza. Due quadrilateri che
convergono e si toccano con un lato rispettivo in un angolo vertical rappresentano
la sintesi dei punti identici. Se i due lati divergono, le quadrilateri rappresentano
l'analisi dei diversi. Indico il connesso con una serie di anelli di una
catena. Esprimo il negativo col segno 3 del meno sovrapposto a quello che
voglio negare, il non identico, il non simile, il non dubbio, ecc. $ 54. Ecco
così la serie dei segni principali: + più, meno, = uguale, <: maggiore; ‘>’: minore; ‘ll’
simile, 1 identico, ^ identico parziale, ? dubbio, 000 connesso, (II) in contatto,
& etcetera, -1-- non simile, ^ non identico, ?- non dubbio cioè riflesso
spontaneo, [ ] non percepito, I percepito in comcerto, plesso, percepito
distintamente senza categorizzazione di TAI parti, 71 percepito e sintetizzato,
!! percepito e analizzato, DU U IV / TAL sintesi ed analisi spontanea e
riflessa, |A| astratto com Ul Tala plessivo, Tala astratto con la parte a. | A
la S 55. Quando non occorre distinguere lo stato di spontaneità da quello di
riflessione, cioè quando si è nei concetti riflessi (idee), nei giudizii e nei
raziocinii nei quali non entrino l'esperienze e le percezioni, i due spazî, che
segnano lo spontaneo ed il riflesso, si trascurano. L'idea ed i suoi elementi
si rappresentano così ovvero al ovvero A :, ovvero secondo chè sieno più o meno
distinte e conosciute le sue parti elementari. Il giudizio ha una delle due
formole: 10 AA ? Bİ, il concetto o la percezione A è identica a B ? A A ? Bİ,
non è identica certamente, oppure la risposta contraria: è iden tica
certamente, 1 -?- ; 2º Aja ?, l'elemento a fa parte dell'idea a _ ?. o della
percezione A? La risposta si dà col negare il dubbio (A) а h g bAt a b A. cde ?
с a hg an. Or, dire che a fa parte di A è lo stesso che dire 1A | {4} +/ biali,
с de cioè l'elemento a è identico ad uno degli elementi di A, essendo OOO gli
altri elementi b c d e f g h. Il raziocinio in generale ha la formola della
connessione logica, cioè della connessione nello stato riflesso, che è
l'identità de’ suoi membri in un tutto mag giore, di cui sono parti; onde è
necessario che sieno veri i membri con reciproca connessione, affinchè sia vero
il loro tutto. Onde la formola del raziocinio in generale sarebbe: ^( )( )( ).
Con le parentesi esprimo i membri di versi del raziocinio che fanno da premesse
(e possono essere parecchi) e quello che fa da conclusione, indicando la loro
connessione e l'identità di essi in un sol tutto più ampio con quel segno
intermedio di connessione riflessa e d'identità, che qui equivale al dunque. Il
ragionamento erroneo si esprimerebbe con l'identico non identico Â, con la
contraddizione. $ 56. Il raciocinio è o dimostrativo, o inventivo; ed in ogni
caso esso passa dalla identità parziale di una idea con un'altra, o di un
esperimento con un altro, alla identità totale (S 43). Onde la formola generale
di ogni raziocinio ne' suoi passaggi è i sempre questa: (a"B')
(a000bcdefghh), a h g с de b h g ovvero OOO d e (a), (^Bİ). Quanto a dire: A e
B contengono a, sono parzialmente identici. Come si farà per sapere se sieno
totalmente identici? Bisogna dalla parziale identità a riconoscere se pur vi
sieno le altre parziali identità b c d e f g h. Ciò si può sapere in due modi:
o che vi sia connessione tra a e tutti quegli altri, o che a li contenga.
Bisogna accertare uno dei due, o decomponendo i rispettivi concetti, o
sperimentalmente. Accertato uno dei due, o per connessione 000 che signa l’identità
dei membri col loro tutto, o per continenza che signa lo stesso (il tutto che
contiene le parti), si ha passaggio logico legittimo 000 al dunque, alla conclusione;
e pongo il segno d'identità 1 sul dunque, perchè ogni connessione di membri
esprime la loro identità col tutto che li contiene $57. Lo scopo di cotesti
segni non deve esser quello di sostituirli al linguaggio ordinario; poichè in
tal caso ogni ragionamento prenderebbe l'aspetto della matematica e del convenzionalismo
di Poincare e il formalism di Hilbert; onde sarebbero ben pochi coloro che
avrebbero la forza di mente e l'abitudine necessaria per condurre così i loro
raziocinî. Io mi son limitato nella mia semiotica (significa) universale a
servirmene come mezzi di reddiconto e di controllo, a ragionamenti finiti;
poichè giova il riassumerli con segni e presentare la forma logica della
percezione, dell’idea e del concetto, i loro rispettivi elementi, e le varie
serie di operazioni su di loro eseguite, per potere a colpo d'occhio discernere
il cammino della identità in tutti i giudizi e ragionamenti. Nella cennata mia
opera ne ho fatto largo uso in questo modo, nè domando per ora che sieno
adoperati altrimenti. Qui pero, in questo lavoro sintetico e riassuntivo del
sistema, non renderebbero più facile la comprensione delle idee, alla quale
aspiro; onde io non me ne servirò, lasciando che i leggitori di mente più ferma
ne prendano esperimento nelle singole dimostrazioni, alle quali già li ho applicati
nella suddetta semiotica universale. Sotto il generico vocabolo “parola” (cf.
Grice, ‘to utter’) si può intendere qualunque segno communicativo che serve a
rappresentare una percezione o un'idea o concetto. Pur nondimeno questa voce “parola”
– cf. Grice “to utter” -- nell'uso ordinario è ristretta a signare un suono
articolato, con cui l’uomo esprime e communica la pércezione o la idea o
concetto ad altro uomo; e siccome il suono articolato e stato legato ad altro
segno, così la parola, oltre di esser pronunziata (pro-nuntiatum), è anche
scritta. Orche cosa è mai questa *communicazione* da un'uomo all'altro? Questa
communicazione propriamente è un mezzo di suscitare nell’altro uomo, al quale
si dirigge, una percezione o una idea o concetto consimile a quelle che ha e
che vuol *communicare* (o signare) colui che ‘signa’. Perciò la communicazione
consiste nel far sorgere nell’altro quella stessa percezione o quella stessa
idea. Ciò in due modi può succedere, cioè: o mediante una convenzione,
arbitrio, concordo, patto, sul segno, sia volontariamente fatta, sia
abitualmente seguita, cosicchè ogni segno per ragion di associazione convenzionale
desti una percezione o un'idea corrispondente; o pure mediante una naturale (iconica,
assoziativa) associazione o meglio co-relazione che si stabilisce tra un segno
e una percezione o idea o concetto, cosicchè non abbisogni altro che imitare (proffere)
appositamente questo segno per suscitare nell’altro la percezione o idea o
concetto naturalmente (iconico, assoziativo) annessa o co-relata. È del primo
modo – il modo di correlazione convenzionale -- la maggior parte dei segni;
poichè una convenzion prima espressamente o tacitamente fatta, e l'uso che
ciascun trova del sistema di communicazione del suo popolo, fan sì che appena
si manipula un determinato segno, tosto si destino in coloro che ascoltano le
percezioni e le idee co-rispondenti. Sono del secondo modo ogni segno che per
lo più imitano una proprieta naturale, come la voce del cane (“Daddy wouldn’t
buy me a bow-wow”), il romore del vento, lo scorrer del fiume il rimbombo del
tuono, della esplosione, ed altri simili. Ancorchè l'uomo non sa per antecedente
convenzione il ‘signato’ di tale ‘segno,’ egli tosto si fa l'idea del ‘segnato’
che s'indica, perchè la imitazione – iconicita, assoziativita – della proprieta
naturale sveglia la percezione socia. Sentendo “bac-buc” dei tedeschi, quantunque
non sa l'alemanno, mi debbo far tosto l'idea del vuotarsi di un vaso a bocca
stretta. In questa categoria va pure il vocativo “o”, perchè la pronunzia molto
spontanea di questa vocale fa volgere la persona verso il punto donde “o” vien
pronunziato: e quindi da per sè stesso il vocativo “o” serve a chiamare, perchè
ottiene spontaneamente questo effetto o risponsa nell’recipiente. Intanto il
segno, oltre che serve a mettere in communicazione due uomini fra loro ed a far
nascere in essi la ri-produzione (o trasferenza psicologica) di una percezione
e di una idea secondo la volontà del ‘signante,’ è al tresi utile ad un'uomo
solo, allorchè egli si racchiude in se stesso e si va rappresentando le cose
per meditarvi. Difatti è un'osservazione ben comune che noi parliamo dentro noi
stessi, allorquando pensiamo le diverse cose, e principalmente allor quando ci
rappresentiamo una idea astratta. La influenza del segno sull’astrazione
comincia ad esser guardata con attenzione quando i filosofi della scuola
sensista credettero che l'unica differenza tra l'uomo ed il bruto consistesse
nel segno communicativo. In verità è ben facile rilevare che senza gl'innumerevoli
segni articolati l’uomo non puo mai formarsi e ritenere l'immensa serie d'idee
astratte, e per dirla più esattamente, non puo egli nè sintetizzare ne
analizzare in sì gran copia, posciachè l’astrazione è figlia dei grandi
incrociamenti delle sintesi e delle analisi. Certamente i punti simili delle
percezioni rappresentandosi similmente si sintetizzano, ed i dissimili si
analizzano rappresentandosi dissimilmente. Ma se per ciascuno di quei punti simili
e dissimili non vi fosse un segno associato, non e mica possibile riprodurre e
ritenere la immensità delle similitudini e delle differenze che offrono da un
momento all’altro la percezione. Imperciocchè tra moltissimi punti simili, che fra
loro si differenziano in picciola cosa, sarebbe più fa eile la confusione,
anzichè la distinta rappresentazione di ciascun grado minimo di somiglianza e
di differenza per mezzo delle percezioni medesime. Al contrario, il segno
articolati e diversissimi d’altro segno articolato; e perciò attaccando un
segno a ciascuna di quelle minute sintesi ed analisi, si ha di già quanto basta
per poterle esattamente richiamare, senza poterle mai confondere un segno per
altro. Per esempio, quante gradazioni diverse non offre un colore solo, il
concetto di “bianco” (o “bianca”)? Or si potrebbero mai ritenere senza
confonderle tutte queste gradazioni? Ma l’uomo vi adatta un segno diverso per
signarle, e la confusione è evitata. Egli dice “bianco chiaro”, “bianco
sbiadito”, “bianco lordo”, “bianco latte”, ec . Vi sono poi delle parti di percezioni
che si isolano dal complesso mediante l’astrazione, e se non vi fosse un segno
per risvegliarne l'idea, non puo esser pensate giammai. Per esempio, l'idea o
il concetto astratto o generale o universale di “colore” – il nero non e un
colore; il bianco no e un colore --, siccome abbraccia ogni colore, con qual di
essi partitamente o complessivamente si puo rappresentare, se non vi fosse un
segno distinto (gaelico glas: verde o blu?) da tutti i co fori singoli per
richiamarla? Vi e pure un gruppo d'idee astratte che con maggior ragione han
bisogno di un segno per essere pensate, come la “gloria”, la “virtù”, l’
“onore”, il “dovere”, ec . Cosi anche e
il concetto meta-fisico dell’essere sopra-sensibile, Iddio, la sostanza, ec . É
in forza dell'unità del segno, che sorge l'unica idea astratta; poichè, se
vogliam provarci a idear (o mentare) la cosa senza segno alcuno,
particolarmente in una nozione astratta che non ra-presentano o signa un essere
reale, ma soli rapporti fra gli esseri, non sappiamo veramente come farcene
l'idea. Oltre a tutto ciò il segno ha una virtù speciale, che fa vedere il
legame di una idea coll’altra; perciocchè, messo un segno radicale o di radice
(“amare”), ogni variazione di desinenza e e ogni derivativo indica o signa,
come un gruppo che costituisce un'azione risultante venga variandosi in mille
modi: il che importa una sintesi mista all'analisi, perchè la radicale ferma
indica il punto fondamentale della somiglianza, mentre ogni desinenza e ogni
derivato fa vedere ogni categoria: quantita, qualita, relazione, modalita – per
citare la funzione kantiana della categoria d’Aristotele -- tempo, luogo. Questo
vantaggio non si puo altrimenti ottenere, che coll’articolazione del segno
sub-segmentale (prima e seconda articolazione), poichè rimanendo fermo un segno
come segno radicale sub-segmentale (articolazione prima e seconda) (“am-”), il
segno articolato (mutato della radice) indica la differenza (“amans”, “amatus”,
“amiamo” “ambi due amiemo”) fine a formare una proposizione compieta: il
mittente con il signans signa al recipient *che* il mittente crede che ama al
recipiente. Siegue da tutto ciò che il segno articolato ha un'influenza
grandissima nella operazione della sintesi, dell'analisi e dell'astrazione; e
siccome senza del segno articolato l'uomo non può nè giudicare (operare con una
proposizione) nè ragionare (inferire una proposizione d’altra), cosi il segno
articolato ha un'influenza suprema nel giudizio e la volizione e nel raziocinio
(di giudizio e di volizione). Infatti il sordo-muto ha un limite strettissimo
nella sintesi, nell’analisi e
nell’astrazione; ed a misura che si allarga in loro la sfera dei segni per
mezzo della gesticolazione, e più anche per mezzo di un sistema alternativo, il
sordo-muto inoltransi nell'astrazione, il suo giudizio, la sua volunta, ed il
suo ragionamento – di giudizio o di volonta -- divene più estesi e più esatti.
Dopo che si disse che l'uomo non puo mai dare origine al segno articolato o
communicativo, la scuola di Bonald si valse di questa stessa dottrina per
fondarvi sopra l'edificio della divina rivelazione, che dovette communicarsi al
primo uomo coll'insegnamento diretto del segno communicativo, e che dovette
tradizionalmente discendere col segno medesimo in tutta l'umana generazione,
fino a che colla dispersion babeliana delle lingue venne a guastarsi la forma
genuina primitiva del segno soppranaturale, praeternaturale rivelato, e varii
innesti di origine umana si attaccarono al primitivo tronco, cosicchè insiem
col segno furono anche travisate le idee della rivelazione prima. Questa stessa
dottrina è stata abbracciata con molta facilità da Gioberti, quantunque in
tutt'altro alla scuola di Bonald egli non appartenesse. Non entro in questa questione
dal lato teologico (o genitoriale), molto più che non veggo nella antica
religione romana nessuna espressione che alluda all'insegnamento primitivo del
segno per mezzo di un dio. Veggo per altro che le anzidette scuole han preso a
dimostrare filosoficamente che l'uomo da sè stesso non può dare origine al
linguaggio , e con questa dimostrazione negativa credono dare il più saldo
appoggio alla necessità della primitiva rivelazione della parola. Guarderò
adunque le loro ragioni da questo stesso lato filosofico , e porrò così il
quesito: È egli vero che per poter ‘signare’ comunicativamente in qualunque
guisa bisogna l’uso preventivo dell’astrazione, e viceversa per potere astrarre
bisogna l'uso antecedente del ‘signare communicativo? Se ciò fosse vero, sarebbe
questo un circolo vizioso (“a Schifferian loop”), da cui non potrebbe mai
uscire l'origine puramente umana del ‘signare communicativamente’; e perciò ,
essendo un fatto che l'uomo signa communicativamente, ed ammesso che egli sia
stato *creato* da un dio (Prometeo), re sterebbe come una ipotesi interamente
consona alla divina bontà di Prometeo che egli stesso gli abbia insegnato o
signato a signare communicativamente fin dalla origine o dalla genesi alle
rivelazioni! Resterebbero cosi giustificati gli argomenti della scuola teologica
o genitoriale di Gioberti. Ma a me pare che, posto a quel modo il quesito, la
necessità del circolo vizioso venga tutta dal non voler discendere nella minuta
analisi di un tutto complessivo – un complesso proposizionale --, e dal volere
la spiegazione sintetica di un fatto che costa d'innumerevoli elementi, senza
volere esaminare come nascano gli elementi medesimi, e come gradatamente si
combinino fra loro per costituire il fatto totale nel modo che oggi si presenta.
Uno dei difetti delle scuole dell'età nostra è questo precisamente, che i nodi
voglionsi tagliare invece di scioglierli; e cosi mi pare sia accaduto al
problema che riguarda l'origine del signare communicativamente. Infatti, se si
domaada: l'uomo può esercitare quella vastità di astrazione che attualmente
esercita senza fare uso del signare communicativamente? La risposta è facile:
nol può: perchè il segno communicativo, siccome testé abbiam veduto, influisce
grandemente nell'esercizio dell’astrazione. Parimente se si domanda: l'uomo può
signare communicativamente (con “o”) senza l’esercizio dell’astrazione? è anche
facile ugualmente la risposta che nol può: perchè la convenzione implica la conoscenza
dell'utilità del signare communicativamnte, ed implica nel tempo stesso
l'attaccamento di un'idea (“presta attenzione”) ad un segno articolato (“o”),
il che è un'effetto di astrazione. Ma il problema non è ben presentato col
porre le due anzidette domande; perocchè non si vuol sapere se l'esercizio
completo del signare communicativamente, qual'è attualmente, può stare senza
l’uso dell'astrazione, nè anche si vuol sapere se lo sviluppo immenso che ha
preso l’astrazione nelle molte successive generazioni del popolo italiano possa
mai stare senza l'uso del segno articulato. Invece il problema vero è
quest'altro. Vi può essere un atto di signare communicativamente primitivo, un
primo uso di un segno articolato (“o – o – o”), colla sola influenza di
un'astrazione (o articolazione) di primo grado, la quale per compiersi non ha
bisogno dell'uso del atto di signare communicativo. Quando due cose s’influiscono
a vicenda, in modo che non può crescer l’una senza che cresca l’altra, se si
guardano *sinteticamente* dopo un lunghissimo periodo di mutuo accrescimento,
non pajono più naturalmente spiegabili, e comparisce quella specie di circolo
vizioso, di cui si parla inpanzi, perchè lo sviluppo pieno del l’una suppone lo
sviluppo pieno dell’altra, ed amendue si suppongono talmente a vicenda, che non
si sa più qual delle due debba esser prima. Per isciogliere un problema di tal
fatto bisogna incominciare dal periodo o fase o stadio primo, cioè dal momento
men complicato e meno sviluppato. Allora soltanto si può scorgere la influenza
mutua, e come mano mano vengano accrescendosi l’una coll’altra. Qui trovo
un’obbiezione ben facile. Mi si dirà: avete voi elementi storici ben certi per
poter determinare qual sia stato il periodo primo dell’atto di signare
communicamente in Romolo e Remo. Anzi taluni credono trovare nell'etnografia
una base sufficiente per poter sostenere che il segno communicativo più antico
e più elevato e più ricco di forza plastica. Onde da quelli si crede che l’atto
del signare comunicativamente e andati mano mano deteriorando. Veramente, se debbo
esaminare il mio problema sull’appoggio del solo dato storicio non mi credo autorizzato a dare una soluzione
diffinitiva. Imperciocchè io non son’ uso a sciogliere un problema a posteriori,
e viceversa, so che la *ragione* necessaria delle cose governa la storia. Non
entro ad esaminare se l’uomo e creato adulto o no; o se, dimenticato il
primitivo atto del signare communicativamente, sia stata possibile la nascita
di un atto *nuovo* di signare communicativemente. Non entro in un esame
storico, dal quale la mia semiotica non puo sempre ricavare un risultato
filosoficamente rigoroso. Invece, domando se e possibile, senza precedente
arbitrio alcuno, stabilirsi una communicazione di un segnato tra due uomini per
mezzo di un segno (“o”) anche *involontariamente* (spontaneamente,
naturalemnte) adoperati, e, se trovata l'utilità pratica o prammatica di un
arbitrio mutuo di tal fatto. Si puo fare avvertitamente e per mutuo arbitrio ciò
che prima si è fatto *spontaneamente*. Posta così la questione, non ha bisogno
più della ricerca storica. Si attacca alla natura comune – la ragione -- di due
uomini – una diada conversazionale, Romolo e Remo, Niso ed Eurialo --,
quantunque anche la storia puo venire in conferma di ciò che la cosa deve essere
per natura sua propria – uomo animale razionale. Distingo due specie del genero
segno: ma non e necessario moltiplicare i sensi di ‘segno’ sine necessita.
Primo e un segno naturale, spontaneo, imitative, mimetico, iconico,
assoziativo. Secondo, e a posteriori altro segno – un segno devenuto segno dopo
un mutuo arbitrario. Or sebbene il mittente che usa un specimen particolare di
segno “o” che imita una proprieta naturale spontanea, il segno “o”, sieno per sè
stesso assai ristretto, pure ha questo di particolare. Senza bisogno di
arbitrio mutuo alcuno, e senza anchie aver lo scopo di *conimunicare*
(transfere il segnato) all’altro un qualunque segnato (sensum, percipito), puo
essere adoperati, e producono l’effetto della communicazione (communicato,
segnato) che non e primariamente nell' *intenzione* di nessuna delle due parti.
Nessuno più di un bambino italiano è da natura inclinato ad imitare (‘bow wow’)
i romori che sente o perceve. Non è necessario supporre che questa imitazione (‘bow
wow’) ha uno scopo, fine, volizione, o intenzione (volutum). Il bambino
italiano imita spontaneamente, e signa che e in relazione con un cane, è come
la ri-petizione naturale della cadenza che si esieguono non dall'uomo solo, ma
anche dai bruti. Comincio da questo caso semplicissimo, non perchè io creda che
l’atto del signare communicativamente sia nato in questo preciso modo, ma
quando si cerca la possibilità di una cosa, bisogna ricercarla tra le
possibilità più semplici e più comuni. Imperciocchè, pria che si dice che una
cosa non può essere, è mestieri osservare in quante maniere ben semplici ella
può avvenire. Or vediamo, allorchè un’uomo imita spontaneamente un suono
qualunque naturale (“o-o-o”), che cosa accade nell’altr’uomo che lo interpreta
(l’interprete). Il segno imitato per ragione di semplice associazione o
iconicita richiama naturalmente la percezione della causa che suole ordinariamente
emettere cotal segno. Per esempio, se un bạmbino italiano, senza la menoma
intenzione communicativa, e solo per il puro piacere imitare, esiegue il belato
(‘bah bah’) della sua pecora, chiunque lo sente si rappresenta in quel momento
l'animale che fa quel belạto. Senza *voler* o avere l’intenzione di communicare,
i. e. d’informare ad altro, vi è di già tutto quello – il principio razionale
-- che costituisee la communicazione e
la conversazionale. Un segno, a cui è attaccato una percezione, adoperato la
prima volta, ‘one-off’, spontaneamente, per caso, per imitazione, per qualunque
altra causa, desta la percezione socia, e senza arbitrio mutuo alcuno divien
segno della medesima causa (‘bah bah’ = pecora). Infatti, se il bambino italiano
che imitava poc' anzi il belato della sua pecora, non conosce punto il segno
articolato ‘pecora’, e se io voglio più tardi rinnovare in lui la percezione della
pecora, che altro dovrei se non che imitare il belato medesimo? Nè ciò dipende
da che io conosco l'utilità del segno. Giacchè potrei supporre all'inverso che
il bambino italiano il quale, imitando spontaneamente il belato della pecora
(“bah bah”), si accorse o da un segno (“bah bah”), o dallo sguardo ch’io do
alla pecora, che già mi feci ricordanza della pecora, più tardi il bambino stesso
potrebbe servirsi a ragion veduta di quel belato per riprodurre in me or di proposito
la stessa percezione. Immagino un’altro caso. Se alla vista (visum) di un
pericolo (leone) l'uomo (Eurialo) gitta un grido – “o-o-o” --, un suono
qualunque, quand’anche non sapesse che vi fossero altr’ uomo (Niso), dal che
potrebbe essere soccorso, il grido spontaneo che suole uscire per lo più
involontariamente, spontaneamente, naturalmente - sotto il dominio della paura o
pena, e se a quel grido si ve dessero accorrere altr’uomo, il quale, scorgendo
la posizione pericolosa, viene in aiuto, non sarebbe tosto quel grido spontaneo
“o-o-o” un segno della “chiamata” in aiuto, segno non devenuto da mutuo
arbitrio in principio, nia che per l’effetto ottenuto o la risponsa ottentua
divene base di un mutuo arbitrio in avvenire? Immagino anche un’altro caso più
semplice. Se un'uomo spontaneamente, e senza *intenzione* communicative alcuna,
signa “o-o-o”, il segno più facile ad articolare, e se altr’uomo (Remo, Niso) e
presente e sente o perceve che Romo ha profferito un specimen di un segno, che
cosa mai dovrà avvenire? Non si voltera verso colui che signa? Non è naturale
il rivolgersi verso il punto donde parte il segno? Ebbene, un'effetto si è
ottenuto. Questo segno profferito senza intento alcuno o intenzione
comunicativa alcuna richiama l’attenzione dell’altra parte della diada
conversazionale. Ciò che si è dapprima, one-off, ottenuto senza intento
communicativo o intenzione communicativa, può la seconda volta esser voluto *di
proposito*, voluntariamente, -- def. di verbum in Aquino -- per la utilità che
se n’è ricavata: ripetendosi dunque avvedutamente lo stesso segno, quello è
divenuto un vocativo naturale. E noi osservammo che appunto questa vocale “o” è
il vocative nella Roma di Remo (o tempora o mores) e nella Roma di oggi. L’arbitrio
mutuo o duale dunque non nasce dapprima a ragion veduta, ma nasce per mezzo di
un'effetto o risponsa, che un segno, EMESSO per accidente (“o”) o per
imitazione, consigue. Volendo di nuovo ottenere avvedutamente lo stesso effetto
o la stessa risponsa, non ci vuol’altro che ripetere un altro specimen del
stesso genero di segno (“o”). L’arbitrio mutuo dual è bello e fatto. Or quando
vi sono tante possibilità d'incominciare l'uso di un segno articolato e di dar
luogo spontaneamente a un arbitrio mutuo e duale, come si può dire in tuono
assoluto che sia impossibile l'uso del segno senza aver la preventiva conoscenza
della utilità del segno medesimo? Non dico che l’atto del signare
communicativamente nacque in questo o in quell’altro modo. Dico che vi sono
moltissime possibilità tutte *naturali*, nelle quali l'uomo può avvertire
l'utilità dell'uso di un segno articolato per l’effetto o la risponsa
spontanea, no intenzionata, che ne ottiene , e senza il bisogno di un
preventivo arbitrio duale. Basta questo per distruggere a rigor di logica le
basi tutte di quell'edificio che si vuol fondare sull’impossibilità assoluta
che l’uomo signa senza prima aver conosciuto l'uso e l'utilità dell segno. Ma
invero il brutto ebbero forse insegnato da Dio l'uso del atto di signare
communicativamente, con che communica (o transferre) il suo bisogni , la sua
gioia, il suo pericolo, la domanda del soccorso? Forse non vediamo fin dal loro
nascere i varii animali communicarsi per mezzo di un segno, per lo più *istintivo*
-- che causa una risponsa istintiva, i diversi loro stati? Non puo il brutto
perfezionare il suo atto di signare communicativamente, perchè non ha facoltà
di sintetizzare e di analizzare gli elementi della percezioni, e molto meno ha
facoltà astrarre, siccome vedremo a suo luogo. Ma la co-rispondenza o
co-relazione dell’effetto o stimolo, in esito al suo primo segno istintivo fa
si che il brutto lo ripeta volontariamente; e tutti conosciamo come un animale
domnanda il cibo o la libertà del movimento per mezzo di segni speciali, nel
che dalla sua parte vi ha una specie di “tacito” arbitrio duale (Androcle e il
leone), perché l’effetto ottenuto o la risponsa ottenuta una volta, per ragion
di associazione o co-relazione iconica istintiva associativa, fa appunto le
veci di un arbitrio duale. Se dunque questo segno inferiore è possibile nel
bruto, il quale non astragge, perchè lo stesso principio di spontaneo tacito
arbitrio duale non è possibile fra due uomini! Un uomo, che ha la piena
capacità di astrarre, riconosce più facilmente l'utilità dell’effetti ottenuto
o della risponsa ottenuta dall’altra parte della diada conversazionale, e si
crea l'idea generica del arbitrio duale del segno, dalla quale discende poi
come conseguenza la necessità di *variare*, fare piu ricco, illimitato,
creativo, e di fine aperto, in ragione di questo o quello bisogne, in ragion di
questa o quella percezione, o in ragione di questo o quello concetto astratta.
Concepita una volta l’utilità dell’uso del atto di signare communicativemente,
del segno articolato (terza articolazione), non ci vuol’altro che possedere in
fatto la capacità di variare e combinare *indefinitamente* in modo aperto e
illimitato, l'articolazione e la operazione di questo o quello segno primitivo,
e l'uomo possiede già questa capacità meravigliosa. L’uomo adunque può, da un
certo numero di fatti spontanei in cui il segno è riuscito a *stabilire* un
arbitrio duale, elevarsi all'idea astratta dell’arbitrio duale del segno,
poichè da un fatto singole si forma la sintesi, l'astrazione, e l'idea generica;
e possedendo in fatto la varietà indefinita, componibile, di questo o quello
segno articulato primitivo, è già nel caso di far da sè tutto il resto. Quantunque
il segno che compone l’atto del signare communicativo e per arbitrio muto, pure
siccome debbono *signare* una percezione (S e P), gli tre elementi delle
medesime (S, e, P) ed i concetti astratti , debbono quindi ritrarre le proprietà
fondamentali dell’uomo, cioè la relazione costanti che debbono avere fra ogni
percezione, e ogni operazione o combinazione. Perciò, sebbene e diverso il
segno che si adoperano ne' varii paese dell’Italia per signare il medesimo
segnato, pure in ogni dia-letto vi sono parti fisse del discorso o
dell’orazione, vi è una sintassi necessaria, vi sono in somma una relazione che
e comuni a ogni segno. In primo luogo, siccome ogni percezione rappresenta un
risultamento esteriore ed e anch' esso del risultamento organico subbiettivo,
perciò vi ha un fondo comune in ogni percezione ed è l'azione risultante, che
equivale alla somma di ogni azione sostanziale aggregate insieme. L’azione
sostantiva e la aggregazione di questa o quella azione sostantiva, ecco ciò che
è comune a ogni reale ed a ogni percezione. Quindi in ogni atto del signare
communicativamente debbe esistere un segno addetto ad indicare l’azione
risultante in tutta la loro immensa varietà. Questo e il segno del “verbo” –
Varrone, verbum, greco rheo --, cioè il segno per eccellenza, per chè in
verità, tutto quello che si può rappresentare, ad azione sostanziale si riduce,
e perciò il segno del verbo (la copula) è il fondamento di ogni segno. Ogni
proposizione si aggira intorno al segno del verbo (il S e P), e se vuol farsene
un'analisi, la mossa si dee sempre prendere dal segno del verbo, perchè un
segno che non e un verbo non puo indicare, se non che un rapporto dell’azione
risultante signata dal segno verbo. Inoltre, per questo stesso che ogni azione *risultante*
e non basica, e composte della combinazione di questa o quella azione
sostanziali intransitive ed immutabili, è necessario che ogni verbo ha il loro
fondamento in un solo segno di verbo, e che quel segno del verbo e *intransitivo*
(la copula e intransitiva), siccome e questa o quella azione sostanziale, dalla
che nasce ogni azione risultante, la quale e ra-presentata dal resto della
classe del segno del verbo. Infatti abbiam notato già da molto tempo che in
ogni atto di signare communicavemente vi è un verbo sostantivo intransitivo, il
verbo “essere”, al quale si possono facilmente ridurre ogni altro verbo,
decomponendoli in “copula e predicato”. Io amo è lo stesso che io sono amante.
Ed è notevole che ogni segno di verbo chiamati attivo, o meglio transitivi, perchè
denota un’azione che passa dal soggetto all'oggetto, si sciolgono tutti in un segno
di verbo fondamentale che è intransitivo, o come i modisti dicono neutro –
epiceno, mezza voce --, cioè nè attivo nè passivo. Poichè ciò che è veramente
transitivo é la forma del risultato, ma ognuna delle azioni sostanziali
componenti è intransitiva. La sintesi e necessaria e l'analisi e necessaria,
perchè una percezioni e complessiva e costa di questo o quello elemento, che
colla riproduzione, sovrapponendosi gli uni agli altri, si sintetizzano nel
punto simile e si analizzano nel punto dissimile. Bisogna dunque che ogni segno
indica un composto o complesso proposizionale, e che ogni segno articulato
composito e de-compo nibili. Però, siccome gli elementi di ogni risultato e una
azioni sostantiva, perciò è necessario che ogni segno si puosciogliere in un
segno solo che indica l’azione sostantiva, non come occulta (sub-stantia), ma
come realtà, cioè come essere, onde il *nome* (nomen, onoma – nomen
substantivum, nomen adjectivum) non meno che il segno del verbo, si sciolgono
tutti nell'essere , il quale è verbo e nome allo stesso tempo, ed è appunto
verbo sostantivo, perchè indica un’azione che sta per sè stessa, e che non ha
bisogno dell'altrui appoggio. Un nomine addiettivo e ogni altro segno
sin-categorematico che indica quantita, qualita, relazione, o modalità o
relazione, ra-presentano la composizione, il risultato, la combinzione di
questa o quella azione sostanziale, e perciò non e mai da sè sole, ma ha
bisogno di un segno di verbo o di un segno di nomine (S e P), su cui debbono
appoggiarsi. Conciossiachè in verità la consposizione e qualunque suo modo di essere
non può stare senza questo o quello componenti, anzi non è altro che la somma
medesima di questo o quello componento. Però, siccome la composizione è una
forma complessa, e come tale si distingue da cia scun componente , quindi è che
tutte le parole indicanti modd lità , quantità e relazi ni, conie gli avverbii
, le preposizioni , le congiunzioni, gli aggettivi , ec . non sono riduttibili
al solo verbo essere , nè al solo nume essere, a differenza del segno del verbo
e del segno del nome che ogni segno si reduce al verbo sostantivo “essere”. Nel
tempo stesso non possono sussistere per sè , ed han continuo bisogno di questo
o quello essere (il S, il P), perchè la composizione non può stare senza di
questo o quello singolo componento. Sotto tai riguardo la differenza che passa
tra ogni segno che indicano la quantita, la qualita, la relazione, e la
modalità dell’azione sostanziale e quella che indica l'azione medesima, e
quella stessa differenza che esiste tra il tutto e la collezione di questa o
quella parte che lo compone; imperocchè il segno del verbo, e principalmente il
verbo “essere”, nel quale ogni segno di verbo si sciolgono, indica la
collezione di questa o quella azione, mentrechè il segno del nome aggettivo, il
segno del avverbo (ad-verbium, come la particola “non”), la preposzione (in
latino, i casi), il signo di congiunzione (copulativa, e, adversative, ma), ec.
indica come questa o quella azione e disposte, e che relazione ha fra loro, in
ogni vario gruppo che compone. Siccome ogni gruppo di azioni è un *risultato*
che subisce questa o quella modificazione (declinazione, congiuggazione) secondo
i cangiamenti parziali del numero (singolare, duale, plurale) e della posizione
di questo o quello componento, cosi vi ha una sintesi fondamentale in ogni
parte simile che nel risultato e ferma, e vi ha una continua analisi di ogni
parte variabile ed accessoria. Per questa ragione e necessario il segno radicale
che esprimono la parte *sintetica* fondamentale, cioè, il fondo permanente
dell’azione: il radicale poi si va cangiando nella sua desinenza (uomo, uomni,
pater e familia, paterfamilias), o in suo articolo definito (il – ille, la --
illa) o indefinito, “segna-caso”, ed ausiliare, per indicare ogni variazione e
accessorio che in torno a quel gruppo fondamentale di questa o quella aziona si
effettua. Il atto di signare monosillabica dei cinesi supplisce a ciò coll’accozzare
diverse sillabe, cioè diverse segni, di cui ognuna esprime una idea, e tutte unite
esprimono un complesso. Una idea fissa si esprime con un signo fisso. Una
segnato variabile si esprime con un segno variantie. Sorge da ciò la necessità
del segno derivativo, del segno della desinenza e del segno del prefisso,
infisso, e suffisso, come anche la necessità di trasformare in maniera
avverbiale un nome e un verbo, e di operare ogni cangiamento di preposizione in
verbo ed in nome, dell’aggettivo in sostantivi e viceversa. Poichè, fissa la
forma fondamentale, ogni mutamento di forma debbe esprimersi con cangiarli secondo
il bisogno e secondo la relazione che vuolsi esprimere tra un gruppo di azioni
ed un'altra. Finalmente vi ha un'altra forma obbligata in ogni costruzioni del
discorso, ed è quella del giudizio, poichè ogni proposizione – in ogni modo –
indicativo, imperative -- in giudizio o volizione si risolvono, e come si va da
un giudizio all'altro per mezzo di una connessione, così la proposizione prende
forma concatenata e compone un period (protasi, apodosis), e questo periodo
s'incatena con quello periodo e forman un discorso. Però è no ievole che
l’operazione dell'analisi e l’operazione della sintesi spontanea non puo
altrimenti annunziarsi che sotto forma di “proposizione”, cioè di giudizio o
volizione; quantunque agli occhi perspicaci del filosofo anche un segno solo,
considerata nella sua radicale o nella sua derivazione, indica benissimo l’operazione
analitica che vi è dentro. La ragione, per cui non si può annunziare ad altri,
che sotto forma di giudizio, una completa operazione di sintesi e di analisi,
si è appunto questa , che quando si annunziano ad altri cotali operazione di
sintesi o analisi, vi è di già il concorso della riflessione, e perciò non si
annunzia altro che il risultato ultimo della sintesi e dell'analisi riflessa, il
qual risultato e il giudizio e la volizione, ambe due con contenuto
proposizionale. Onde si ha che nello singolo signo si rappresenta le sintesi e
le analisi spontaneamente fatte, e nel complesso si rappresenta il risultato
totale, che perciò appunto veste la forma di giudizio o volizione con contenuto
proposizionale. Da tutte queste osservazioni emerge che il segno e la sua
costruzione (sintassi) in ogni popolo – o paese d’Italia -- debbe avere una
forma fissa (semiotica agglutinativa) e una forme variabile (semiotica
componenziale), siccome il risultamento organico subbiettivo ed il risultamento
esteriori obbiettivo ha una forma fissa e una forme variabile, poiché il segno
debbe necessariamente prendere lo stesso aspetto del segnato. In ogni segno
possono riguardarsi due parti distinte, cioè il segno e la costruzione del segno.
Ogni segno è segno di una percezione, o di una parte di percezione, o di
un'idea o concetto (signato). La costruzione del segno ra-presenta ogni
relazione che ha questa o quella percezione, questa o quella idea, questo o
quello segnato. Onde il signo è lo specchio più sicuro del grado delle
conoscenze di un emittente del segno. Poiché la povertà o la ricchezza del
repertorio semiotico e di questa o quella forma di costruzione indica quante
percezioni, quante idee, esistano presso il medesimo emittente, ed in quante
maniere sa metterle in relazione fra di
loro. Però è notevole una cosa, che forse non è stata abbastanza studiata sino
al presente. C’e un segno (“colletivo”) che non esprime una percezione sola o
una idea sola, ma serve ad esprimerne più di una. Per sapere se mai una di tale
segno esprima una idea piuttosto che un'altra, fa d'uopo stare attento alla *forma*
del discorso, dall' insieme del medesimo, come anche dalla forma della
costruzione, si ricava ciò che precisamente si vuol signare col segno che si
adopera. Questo fatto è ben noto ai filosofi sensista; ma forse la causa del
fatto non è da loro cercata con rigore semiotico. Acciocchè un segno sia
adoperato a signare un segnato diverso d’altro segnato (equivocazione) , è
necessario che il segno in origine appartenga ad un segnato solo; poichè non è
presumibile che siasi voluta fare un arbitrio dual anfi-bologico (equivocazione
– para-bologica – il rasaio di Occam), cioè un arbitrio duale di usare un segno
solo per rappresentare un segnato e altro segnato, appunto per far nascere la
dubbietà di sapere il segnato che propriamente vuolsi indicare. Allorchè dunque
si presenta un segnato nuovo, che perciò non ha ancora segno proprio, il
segnato stesso fa sperimentare il bisogno di trovare o inventare o concevire un
segno per indicarlo, ed in pari tempo il segnato (es. spirito) fa svegliare
l'idea socia di un segnato simile avente un segno proprio (spirare). Allora
l'uomo prende quel segno, e se ne serve per indicare il segnabile novello ch' è
ancora propriamente IN-segnato. Questo bisogno si sperimenta più di tutto
nell'esprimere una idee astratta (‘implicatura’) , a cui mano mano un emittente
si eleva; e perciò si serve del segno che indica un segnato, quanto più è possibile,
somigliante a quella idea (im-piegare). Nasce cosi l'uso del traslato: un
segno, che propriamente è servito ad indicare una segnato (lo spirare), è
adoperata a signare un'altra (lo spirito) che solo ha con essa qualche
somiglianza. Il traslato di tal fatta e una necessità, perchè la presentazione
di un segnabile IN-signato conduce al bisogno di signarlo, e non potendo formarsi
sul momento un segno apposito per l'impossibilità di fare un pronto arbitrio
duale, si ricorre più prestamente al segno del segnato simile, lasciando pure
al resto del discorso l’incarico di mostrare la diversità e la novità del
signabile previamente IN-segnato, pel quale si adopera una segno. Ma oltre a
ciò vi ha pure una necessità di usare un segno da traslati o metaforicamente,
quantunque il signato che vuolsi esprimere ha segno suo proprio. L’esattezza
del segno appartiene sopra tutto a quel filosofo oxoniense che e avvezzo alla
precisione del segnato e del segnabile non segnato, e che valutano ciò che
propriamente esprima ciascuno dei segni , che essi adoperano per indicarle . Ma
il numero maggiore degli uomini non può mai aver fatto queste esatte
meditazioni , e molto meno può aver l'abitudine del linguaggio preciso .
Inoltre gli uomini, spinti dal momentaneo bisogno di communicare il segnato, e
molto più quando sono sotto il dominio delle passioni che maggiormente
l'incalzano, non han tempo a ricercare il segno che esattamente corrisponde al
segnabile IN-segnato. Allora succede un'effetto ch' è tutto proprio dell'associazione
delle idee. Si presenta un segnabile che non richiama prontamente alla memoria
il suo segno, ed invece richiama per ragion di similitudine un'altra percezione
segnata che ha pronto il segno. Allora l’emittente, senza metter tempo ir mezzo,
si approfitta di questo segno cognosciuto per indicare, non il segnato proprio,
ma un segnabile simile; e cosi si la un'altro genere di traslato, cioè il
traslato metaforico. L’interprete o recipiente e pur'essi obbligato da quel
segno a passare dal segnato simile non propria al segnato propri; e ciò, quando
la similitudine calza bene, riesce a proccurare una maggior persuasione, come
pure riesce a rappresentare lo stato di esaltamento dell'animo del emittente,
quando lo si vede correre rapidamente di segnato in segnato, senza aspettare la
corrispondenza esatta del segno, é con servirsi di un segno che indicano un
segnato simile. Quest'altro genere di trasláti è anch'esso una necessità,
perchè la maggioranza degli uomini non può sempre misurare il segno, e molto
meno lo può, quando è sotto l' ardore delle passioni, o nel momento di una
pubblica arringa, in cui il segno naturalmente si eleva colla metafora per l’imperioso
bisogno di esprimersi con qualunque segno si presenti più adatta. Con questi criterii
è ben facile giudicare, perchè vi sieno emittente di repertorio ricco ed
emittente di repertorio povero, perchè vi sieno emittente di repertorio riccho
e emittente di repertorio povere di forme, ed in qual rapporto stieno tra loro
l'abbondanza e la povertà degli uni e delle altre. Il emittente men civilizzato
e meno avvezz alla riflessione filosofica, avendo un minor numero di segnati, debbono
esseri poveri di segni; ed a misura che son poveri di sengi, più abbondano di
traslati, perocchè ad ogni nuovo sengabile che ai medesimi si presenta debbono
adattare per similitudine un segno. Queste emittente però diventa di un
repertorio ricchissime di forme, ed inclinano quasi sempre alle circonlocuzioni
(perifrasi) ed al figurato (metafora). Ciò è ben naturale, perché la forma
stessa del discorso deve dare a comprendere che el sengo non venga adoperata
nel uso suo ordinario, ma in un uso di somiglianza, in un uso figurato o
allegorico. Questo emittente si presta anche facilmente alla nascita di un
segno composto (bi-cicletta), perchè sentono il bisogno di accoppiare due segni
indicanti oggetti proprii, per segnare un segnabie che ha una somiglianza con
ambidue uniti insieme (portmanteau). Perciò questo emittente contiene un signo
radicale che si prestano ad inflessioni molto diverse, e per quanto son povere
di radice originaei, tanto son ricche di composti e derivati. Per ciò sogliono
chiamarsi il più anticho emittente. Non vuolsi confondere un ricco repertorio
delle forma con un ricco repertorio di segni, nè si deve credere che la
ricchezza delle forme sia indice della perfezione maggiore dell’emittente,
molto più quando non è congiunta a - ricchezza vera di signo. Al contrario, i
segni di più avanzati nella riflessione e nella civiltà hanno un più esteso
numero di vocaboli proprii, e fanno molto conto della purità e della proprietà
del segno: onde esse sono più aliene dalla sinonimia, scansano le figure, e
adoperano al bisogno strettissimo i traslati. Queste linyne si prestano meglio
all’esattezza scientifica , ma quanto sono rigorose , tanto son più fredde ,
poichè non si confanno collo stato dell'uomo appassionato, il quale afferra
qualunque segno avente somiglianza col segnable che vuole signare. Un emittente
i di tal sorta non e nato con quella esattezza fin dalla loro origine; perciò
porta l' impronta di molte radicali, di molti decivativi e di traslati che
appartennero all'epoca più antica. Tutti questi però coll'andare del tempo
hanno acquistato segnati loro proprie; cosicché non si ha più l’idea di un
traslato o di una metafora in ciascun segno, ma vi si scorge un segnato tutto
proprio (By uttering ‘You’re the cream in my coffee’ I sign that you are my
pride and joy). Ciò prova che questo fenomeno e recente, e figli, anzichè padre.
L’emittente e ricchissimo nel repertorio di segni, ma molto povero nel
repertorio di forme poichè ogni segnato ha segno proprio che esattamente lo
segna, e perciò le relazioni delle proposizioni sono meno intralciate, son più
semplici, e sempre più si avvicinano alla forma fondamentale di ogni giudizio o
proposizione: soggetto copula e predicato. Un'altra osservazione debbesi pur
fare intorno a queste due specie di emittente. Quello che e più antico, più
abbondante di figure e di traslati, meno ricchi di segni che di forme, segna il
segnato per come si presenta in forza del l'associazione, e perciò nella loro
costruzione-riescono sempre più intralciati; cosicchè il soggetto dell'azione
sostanziale, l'azione sostanziale stessa , ed il suo oggetto, non van sempre in
ordine progressivo, ma per come si associano tumultuosamente un signato
coll’altro, cosi l'esprime: quindi la necessità di molti incisi e di molte
trasposizioni del signo. Al contrario, l’emittente più riflessivo, più
abbondanti di segni e men ricche di forme, abitua ad un'associazione d'idee più
ordinata, e perciò la proposizione conserva la fisonomia ordinaria del
giudizio, senza il tumulto d'idee bruscamente congiunte. Per questo un
emittente antico (Catone) non e più intelligibili a noi, se prima non mutiamo
la sua costruzione, da noi chiamata “indiretta”, in un’altra costruzione più
conforme all'ordine logico delle idee che diciamo “diretta” e che a noi è
divenuta più abituale. Se si interpreta an pezzo di Catone colla costruzione
stessa che ha nell'originale, non sarebbe mica intelligibile. Intanto si scorye
da ciò che al linguaggio appassionato ed oratorio, a quel linguaggio, che ha
bisogno di esprimere le idee per come si presentano nel tumulto delle passioni
o nel calore della perorazione, l’emittente antico e meglio adatto, e quella
stessa costruzione intralciata rileva vie maggiormente l'originalità e la
spontaneità dell'associazione delle idee. Al contrario, l’emittente nuovo si
presta meglio alle opere scientifiche, e per sostenersi nella poesia e
nell'oratoria ha bisogno di pensieri per sé stessi clevati, non potendo sperare
il loro effetto dalla varietà della forma e dallo stile figurato. Io non scendo
a particolari confronti tra stile e stile, poi che qui m'intrattengo dell'alta
semiotica generale. Lascio al non-filosofo lo applicare questo principio che nascono
dalla natura stessa del segno, dallo stato più o meno amplo delle idee e dal
corso delle loro associazioni. Solamente debbo notare che il migliore emittente
debbe esser quello, il quale accoppi i due diversi vantaggi, dello stile
figurato e dei traslati quando abbisognano, e della precisione rigorosa quando
è necessaria. L’emittente antico non puo riunire questi due vantaggi insieme,
se non che in un caso solo, quando cioè il popolo italiano è passato colla
medesima lingua dal primo periodo della spontaneità a quello della riflessione,
dall'epoca della poesia (mythos) a quello della filosofia (logos). Bisogna però
in tal caso che il popolo italiano mantenga i due registry in un solo sistema:
l'ordinario o basso ed il sublime o alto, il rigoroso ed il figurato. Questo
emittente e ricco di segni e di forme allo stesso tempo, ma pecca di molta
sinonimia, ed in generale offre un'esempio rilevante, che coloro , i quali
adoperano il rigistro esatto, non sa più riuscire nell'altro registro. Simone
Corleo. Keywords: filosofia morale, filosofia dell’identita, filosofia universale,
meditazione filosofica, logica, antropologia, sofologia, noologia, linguaggio
ordinario, principio dell’identita, Aristotele, la sostanza, l’universale
ontologico, la categoria come universale ontologico, segno, signare
communicativamente, segnabile, segnato, emettente, repertorio di segni,
repertorio di forme, composizionalita, communicazione primitive, pre-arbitrio
mutuo, spontaneita, naturalita, associazione, iconicita, bah-bah, peccora,
conversazione adulto-bambino, il vocative “o” emesso sense intent communicative
– signa naturalmente che e necessaria l’attenzione spontanea, scenario ii.
Romolo e Remo, Eurialo e Niso. Le parti dell’orazione, il verbo e le categorie
agruppatta in quattro funzione: quantita, qualita, relazione, modalita. Il nome
sostantivo, il nome addgietivo, il avverbo, le particelle, la congiunzione, il
vocative “o” – la forma del giudizio e la proposizione semplice “S e P” –
modelo filosofico dello svilupo del signare communicativamente – dello
spontaneo (arbitrio duale tacito) al arbitrio duale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Corleo” – The
Swimming-Pool Library.
CORNELIO (Rovito). Filosofo.
Grice: “I love Cornelio – he has a gift for titling his treatises: gyymnasma!”
“My favourite of his gymnasmata is the one on what he calls the ‘generation’ of
‘man’ – in Roman, ‘homo’ is said to come from mud, humus – and this is strange
because Prometeo created man out of mud – In Rome, the more Catholic your
philosophy is, the more ‘Aquinate’, as it were, the less Hegelian and Platonic
– so trust an Italian philosopher to believe in the Graeco-Roman myth of the
‘generation of man’ than the story of Adam’s spare rib, etc.!” Si forma alla
scuola cosentina sulle teorie anti-aristoteliche diTelesio, molto studiato nei
salotti. Studia a Roma, approfondendo e facendo proprie molte tesi galileiane.
Conobbe il naturalismo telesiano e campanelliano, di cui fu erede il suo tutore
Severino. Insegna a Napoli, portando la filosofia di Cartesio e di Gassendi.
Nel “Pro-gymnasmata physica” sono esposte la sua teoria filosofiche. Altre
opere: “Pro-gymnasmata physica”; “Epistola ad illustriss. marchionem Marcellum
Crescentium”; “De cognatione aëris et aquae”; “Epistola Ad Marcum Aurelium
Severinum”. Dizionario biografico degli italiani. INDEX
EORVM, Quæ in hoc volumine continentur animalium conformatio ex inspectione er
ex aque, ac terre expira ouorum percipi facile patest tionibus ætheri permiftis con animalium ex
semine conformatio de stituitur scribitur aer ob vsum respirationis recentari
de animalium pars primigenia non iecur neque cor, neque fanguis ter præter
modum diſtraktus aut com animantes exſectis teftibus quandoque preffus vite
animalium & ignis con filios generant. fernationi inutilis antiquorum varix
de.rerum initijs opi aer nisi vaporibus aqueis permiſtus re niones spiritioni
inutilis apoplecticorum & ftrangulatorum aer infra aquam demerſus à fuperftan
mitis est exitus tis aqua pondere comprimitur Aqua frigore concreta rarefcit,
& in ma. Aeris in reſpiratione quis vſus. iorem molem ampliatur. aeris per
neceſitas tum ad vitam ani aqua quomodo in vapores foluatur malium tum ad ignem
conferuan in glaciem concreſcat dum Aqua fenfu iudice neque contrahi,neque
Aeris grauitas diftrahi potest Aeris color caeruleus onde aqua triformis Arris
, Aquarum pondus fub eifdem Aquis ineſſe non poteſtnotabilis quanti demerſi
curnon ſentiamus. tas aeris Akris compreffio ,ea diſtractio nifi æthere
Archimedes ingenj doctrinæque prin admiſſo nequit explicari ceps Aeris ex aqua
generatio Ariſtoteles animaduertit in generatione Aztheris ſubſtantia omnino
admitten diuiparorum fieri .conceptus ouifor da Alibilis fuccusad cor confluit Aristoteles
ab attico platonico philo animalia amphibia cur sub aquis distid fopho notatus
si le ſine spiritu viuant Aristoteles cur priuationem inter prin Animalia
pulmonibus prædita cur niſi cipia numerauerit reſpiraverint citiffimemoriuntur Aristotelis
de loco fententia improba animalia , quæ interclufo fpiritu fiiffa 46 cantur
dexterum cordis ventriculum , Ariſtotelis principia diffentanea . pulmones
babent multo fanguine Ariftotelis quàm galena doctrina de ge refertos.
neratione animalium fanior ar mes tur arteriæin vteros prezrintinm perti
mentuan mentes frequentiores , “ ampliores Calor omnis animalium eflà Janguine fiunt
Aiteris non moventur à ri pulſifica eiſ- calor nonnunquam diſſimilis nature cor
dem à corde communicata, fid ab im pore congregat pulfu fanguinis Calore corpora
non femperrarefiunt, Arteriæ omnes eoderntemporis puncto Calore cur omnia diffoluantur,
atque li. ab impulſu fanguinis mouentur , tam queſcant que cordis proximefunt,
quam quæ à Caloris naturaex Platone explicatur corde longiſſimèabfunt . 129
Cauernæ in quibushomines fuffocantur , arteriarum venarumqueplexus, atque ignisextinguithi'
implicatio ibi eße folet vbi fit aliqua Chyli in ſanguinem mutatio quomodo
ſecretio fiat. Aſtrologia conieéturalis vanitas Cloylus ad inteſtina de aplies
duobus li quoribuspermiſcetur attractioni vulgo tributi motus re vera chylum
ounem per lacteas venas trana. pendent à circumpulſione refulſo
prodideruntiuniorcs Auftifichs ſuccusper membranas, a Chymix cognitio ad
Thyſiologiam illis neruos in partes diffunditur ſirandam perutilis Auftificus
fuccus ab Arabibus obfer- chymici magnam cladem galenicæ fa Uatus,fedperperam iudicatus.
&tioni attulere cibaria non eo quo ingeruntur ordine Ilis à fanguine in
iecinore fecerni B permanentin ventriculo tur cibi pars e ventriculo fiatim
elabitur Bilis nõ eſt fanguinisexcrementun antequam integra maſa confefta fue
Bilis nutritiumfuccum diluit, & fluxum reddit ciborum concoétionem auctores
diuerſa Bilis vtilitas rationeexplicant Brahaus illuftris Aftronomus à predi-
cibus in ventriculo quomodo conficia Etionibus aftrologicis abstinuit Bruni de mundanorum innumerabilitate cibus non
à folo calore conficitur sententia refellitur cibus in ventriculo fermentarur
Brunus voluminibus ſuis nugas inferuit . Cibus in ventriculo coctus non femper
albicat Cibus non detinetur in ventriculo donec Alidorum halituum magna vis in totusfuerit
confectus exterendis duris corporibus Cola piſcis cur amphibiorum more diu
Calor cæleftis est eiufdem nature , atque tule fub aquis viuere potuerit
elemenearis Conceptus omnes viviparorum ouifor culor innatus eftmedicorum inane
com mes ſunt Con rit . tur . с Copernicus ab Italis mundani systematis FFelleus,
Gʻaqueus humor cuit Condenſatio, et rarefaétiofine tenuiſſima quod ob defluxum
bydrargyri inane ætheris fubftantia explicari non po videtur teft F Elle nullum
animal caret . notitiam arripuit quibus Copernicus maximus astronomus prædi.
chylus diluitur,iterato fæpius circuitu &tiones aſtrologicas improbauit ad
inteftina reuoluuntur cor motum non habet à cerebro, fed inſe Fermentatio quid
ſit ex Platone, ip, o cietur, cpalpitat Fermenti vis à calore excitatur . ibid
. Cordis motus fit ab balitibusin eiuſdem Firmicus reprehenditur lofibras
influentibus flamma cur fine pastu permanere ne Cordis motus nõ excitatur
àferuorefan queat guinis , vt Ariftoteli, Carteſio pla- Flamma cur faſtigietur
in conum , ibid. Fæmina ſubminiſtrat materiam omnem Corpora je inuicem
propellere poffunt , ex qua fætuscorporatur non autem attrahere Fæminæ genitura
non carent D Feminarumgenitura an aliquid conferat Ifferentis inter conceptus
ouip.rros, adgenerationem Fætus vita non pendet à vita matris Dɔny Volumen de
natura hominis fætus cum propria tum parentis vi ab utero excluditur E Frigore
nonnunquam diſſimilis nature Lectrum quomodofeſtucasattrahat. corpora
ſegregantur experimenta ludicra quatuor primum Alenus ab Ariſtotele maximis de
orbiculorum in aqua alternatim a rebus diſſentit frendentium , defcendentium Galenus
Platonis fententiam de circum secundum orbiculorum in tubo dque pulſione non
eſt affecutus pleno fuerfum deorſumque recurrena Galeni experimentum de fistula
in arte. - tium ad nutum eius , qui tubi oftium riam immiſa oſtendit arterias
ab im digito obturat pulſie fanguinis moueri tertium orbiculorum in tubo
retorto Galeni Secta cæpit deficere aſcendentium defcendentium pro Galenice
fattioni magna clades d chy paria tubi inclinatione micis eſt illata quartum
orbiculorum ex imo furfum galenice medicine summa aſcendentium propter
diſtractionein Galilæus de atomis, inani aliter vidé aeris in eiſdem conclufi
tur decernere, ac Democritus & Epi Experimentum quo Verulamius probat curus
aquam comprimipole eſt fallax Galileus omnium primus physiologiam experimentum
Torricelli de spario, com Geometria iugauie Ga Gevens ifotelemaximisde Galilcus
aſtronomicarum rerum peritif Hippocratimulta tribuuntur, quecom . fimus improbauit
aſtrologicas prædi mentitia funt ctiones" Hobbes fententia de ſubſtantia
inter al Galilei Carteſi aliorumque iuniorum rem & aquam media. doctrina
phyſicapræftantior quam homo à teneris annisita potefl educari, antiquorum vt
amphibiorum more ſub aquisdiu Genituraquid ,vnde prodeato tius viuat Genitura
non fit in teftibus Homo incerto gignitur fpatio Genitura in procreatione
animalium ef- Hominis genitura non est eiufdem ratio ficientis tantum caufa vim
habet. nis cum femine ſtirpium Genitura non eſt pars , feu materia con
Hornunculorum generatio à Paracelſo fituendi conceptus : propoſita commentitia
eft Genituræ craffamentum oua, & conte Humanusfætus recens formatusmaiu
ptus minimè ingreditur Sculæ formica magnitudinem vix fum Geniturepars, quæ
efficiendi vim habet , perat oculorum fugit aciem Geniture vis per occultum
agit corpora quantumuis denfa penetrat Sanguinefecernere. Ecinorisprecipuum
munusest bilen Geometrie Paradoxa nonſemper plyſInanenihil eft . cis
diſquiſitionibus aptantur so Ingenia ad philofophandum idonea que Glandulg cur
maiores & frequentiores nam fint. in tenellis , & pinguibusanimalibus,
Initia rerum naturalium abftrufa. quam in ſenioribus , &macilentis, in omni
motu fit reciproca corporum dla translatio
Glandule fecernunt auctificum ſuccum Iuniores multa fulicius inuenere quam à
reliquo fanguine Priſci . 4 Glandularum vtilitas . ibid . K Græci curdoctrine
ſudijs cæteris natio nibuspræcelluerint probauit aftrologicas predi&tio
Grauiora corpora etiam à leuioribus ju . perftantibus premuntur L Grauitas quid
L Ac quibus vis feratur' ad mam H mas Hanimalium accuratiſſima. Aruei
obſeruationes degeneratione lacervberibus virorum , &virginum frequenti
fuetu prolicitur Harueius in obferuando diligētior, qaam Lace papillisrecens
natorum extillans .. in iudicando Hippocratis de calore Paradoxum . lac in ventriculo
pueri coagulatur Hippocratesanimaduertitfetum in man ' Latte columbs-nutriunt
pullos ſuosprin tris vtero alimentum exfugere mis diebus Laa nes Luuleirum
venarum nonnulla cum me. Saraicis coniunguntur medicina praua quadam
conſuetudina Lamine complanatæ mutuo contactu co . hominibus infimæfortis
tractanda re hærentes cur niſi magno conatu diuelli linquitur nequeant Medicina
rationalis ſuper falſis hypothe. Lansbergius' excellens Aftronomus à fibus hactenus
fuit ſuperstructa predi& tionibus aſtrologicis abſtinuit . Medicina
Græcorum continet inanes conie turas & fallaces præceptiones , Lien per flexuojam
arteriam craffioren fanguinem excipit Medicina inconftantia, Seftarum va Lien
craffiorē & impuriorem ſuccum ex rietas. cibireliquisſecretum ſuſcipit Medicinam
pauciffimi Romanorum fa Lienis vtilitas, Arụctura Etitarunt Lumennon eft in
rebus, fed fit in ipfo Membranarum
vtilitas, dentis oculo Motus ad fugam vacui vulgo relati pen Luminis naturaexplicatur
dent à circumpulſionefuperftantis ae. ris maseratica vis diſimilis elektrick :
Mund for printeriplexdifferentia mini . Men Maßarias iuniorum gloriæ infenſus Mundi magnitudo incomprehenſa. ibid. Materia
exqua fætus corporatur eſt al N bugineus lentor ſinailis ouorum albus Aturæ
ratio ex ipſa potiusrerum Mathematicæ diſciplinæ fummam inge paranda stü aciem
defiderant Naturalis historie cognitio ad Phyſiolo Mathematicarum disciplinarum
notabile giam malde necellaria incrementum O Medici latina verba
importunèeffutiunt, Bferuatio noua deforaminibus in vt imperitorum plaaſum
aucupen . interiorem pentriculi tunicam . : tur biantibus . Medici periculofus,
&ancipites morbo- obſeruatio noua de pensatorum ventri. rum curationes
inftituunt , culis. Medici perperam diuidunt partes in ſper. Obferuatio noua
lenti humoris in ventri maticas,atque fanguineas', culo exiſtentis Medici
rationales quam profitentur' , Obſeruatio viarum, que nouum alimentū. ſcientiam
omnino ignorant ex ventricnli fundo excipient Medicis familiare eft mutuainter
fe ia . Oetimestris partus non minus pitalis Etare conuicia quam ſeptimeſtris
Medicorum improbitas Ouiformis conceptus in viviparis habet Medicorum inſcitia
reprehenditur, vcram ſeminis rationem Ouum gr Pusega Perguedus
nouisobfervationibusfretus R Frisvarijoeleis queriamlitar $ Strguis I i Ouum
fæcundum b.abet rationem femi- Ptolemai Copernici, &Brahei mundan nis in
ouiparis Systematis pofitiones manca im perfecte Ancreatis ductus vtilitas Pueri
cur facilius mathematici effe pof fant,quàm phyſici ,aut politici. 36
Paracelſus d plerifque propter obſcurita- Pulli ex quo generatio defcribitur tem
deſertus R opinion Erum natura vix alibi quàm in li Pecquetus obferuationibus
quæriſolita bematofin tribuit cordi, non iecinori. Refpiratione cordis æſlum
temperari fal sò creditum est Pestilentix confideratio philosophandi ratio
inſtituta à noftri fæ Anguis non eſt ſuceus ſimplex , nec culi auctoribus laudatur
. tamen continet quatuor decantatos Philoſophia noftris temporibus in liber
humores tatem vindicata eft Sanguis in omne corpus per arterias dif Philosophia
Cartesii quails funditur Ploilofophiæ ftudium à pleriſque peruer- Sanguis per
arterias in membra influen's titur vitalitatem magis , quam nutrimen
Philoſoplrorum in definiendis rerum ini. tum infert tijs conſenſus sanguis non
calore, motuue liquefcit, fed Phyſiologia parum hactenus adoleuit permiftione
tenaifimihalitus pbyſiologia plurimarum rerum cognitio nem , & experientiam
requirit Sanguis non fuapte natura caliduseſt , Phyſiologia onde ordienda nec
calorem accipit à corde, fed motu, Phyſiologia poteft ex falfis hypotheſibus atque
agitatione incalefcit veras naturalium rerumaffectiones Sanguis non in
iecinore, nec in corde, vel concludere alio certo viſcere conficitur Phyſiologie
obſcuritas onde proficifca . Sanguinis duapartes altera viuifica tera auctifica
Phyſiologiæ perfetta cognitio cur defpe- Sanguinis natura admirabilis Eius
randa potior pars aciem fugit Phyſiologiam noftre etatis fcriptores Sanguinis
motusà corde a præclaris inuentis illuſtrarunt Sanguinis circulationem ab
Harueio de Phyſiologiam nemo Geometriæ ignarus fcriptam indicauerant,ante Pizulus
Mis aſequitur Sarpa , &Anstress Cefalpinus. Planetarum corpora ad ætheris
liquidif- Sanguinem fal coire, &denfere noir par ſui motum
circumferripoflunt titur Plato materiam voluit eſſe locum Sapientia illa quam
in ætatibus habet ſe weêtus nostræ potius cetati, quins pria e feq . tør . ſeis
fcis temporibus debetur Vacuipropugnatores corporis naturam à Semen animalium
quidnam fit cx Aris tałtu determinant Stotele P'ene lactea non deferuntomnem
fuc Senfus non ea omnia percipit, qua in na. cum alibilem jura exiſtunt Venis
la &teis animantesquædam carere Senſu quæcumquepercipiuntur falsò ta
videntur lia iudicantur qualia videntur. ibid . Venarum lymphaticarum
progreffus, ego Soli nibilſimiliusquamflamma vſus leg. Solem igneum esſe tactus
& oculorum Vene meſaraica fuccum nutritium ex teftimonio probat Cleanthes inteſtinis
ad iecur Stelliole Encyclopedia Vens meſaraicæ non ſunt deſtinate nú Stelliola
nouitate verborum abſtruſe do . tricationi inteftinorum & alui Etrina
caliginem offudit Vene vmbilicales maiores ampliorefque Stirpium ex ſemine
propagatio compre funt coniugibusarterijs. 88 hendi facile poteſi Ventriculi,&
inteftinorum motus Stoicis materia
corpuseffe videtur Vermes in iecinorè, liene,corde,pulmoni Sympathia Antipathiæ
& Antiperiſia bus & cerebro animaliū fis inania commenta Verulamius
opes ætatemque inter expe rimenta conſumpſit Elefius putauit poße ſpatiumma Vix
quibus humores d corpore per aluum gna vi conatuque pacuum fieri . expurgantur Vita
hominis in continuata fanguinis Telefiusveteresphilofophos, é precipuè. motione
conſiſtit Ariſtotelem exercuit Vitalis halitus in ſanguine existensquo Testes
priuerfo corpori robur conferunt . modo percipiatur Vitri denſitatem penetrat
hydrargyrus Theologi Hegyptü Deos omnes ex ouo prognatos eſetradiderunt Vniuerſum
vnum indiuiduum , atque im Tyndaridæ ex ouo editi mobile Torricelli Paradoxum
geometricum Vrina per quas vias in renes, &veficam profunditur . Acuum
experimento Torricelli Vvirjungiani ductus vtilitas Vacuum neque mouere corpora
poteſt ne Enonis de natura geniture fenten que ne moueantur inbibere
Ztia. Grice: “It’s best to represent Cornelio as representing Cartesio –
yes, the Cartesio that Ryle attacked! But Italy never had a Ryle, so that’s
good!” Tommaso Cornelio. Keywords: pro-gymnasmaton, gymnasmaton,
gymnasta, gymnasium, ginnasio, ginnasiale, nudo romano, nudita romana, corpo
nudo, snudare, atleta, atletismo, lotta ginnastica, competizione ginnastica,
implicatura ginnastica, l’implicatura ginnastica di Socrate, Socrate al
ginnasio, implicatura ginnasiale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cornelio” –
The Swimming-Pool Library.
CORRADO (Oria).
Filosofo. Grice: “I like Corrado; of course we have the beefsteak, the English
do; but Corrado philosophised on the near ‘cibo pitagorico’ a Crotone and
produced a philosophical cookbook for the noblemen!” -- Uomo di grande cultura, fu soprattutto grande
gastronomo e uno dei maggiori cuochi che si distinsero tra il '700 e l'800
nelle corti nobiliari di Napoli, simbolo del suo tempo nella variegata realtà
partenopea. Fu il primo cuoco che mette per iscritto la "cucina
mediterranea", il primo, a valorizzare la grande cucina regionale
italiana. Scrisse “Il cuoco galante”, definito all'epoca un libro di alta
cucina, testo richiesto in tutto il mondo dalle principali autorità dell'epoca,
e ristampato per ordini del principe per ben 6 volte. Preparava
elegantissimi banchetti in principio alla corte di Don Michele Imperiali Principe
di Francavilla presso il palazzo Cellamare di Napoli, dove coordinava un
piccolo esercito di maggiordomi, domestici, volanti e paggi e preparava i
pranzi o le cene con particolare assortimento di vivande accoppiandole con
tanta fantasia e particolari accorgimenti architettonici ed artistici al fine
di formare una coreografia sontuosa e raffinata. Figlio di Domenico e di
Maddalena Carbone. Rimasto orfano per la morte del padre, ancora adolescente, divenne
paggio alla corte di Michele Imperiali che era Principe di Modena e Francavilla
Fontana, Marchese di Oria e Gentiluomo di camera di S.M. il Re delle due
Sicilie, che lo condusse a Napoli dove risedette per diversi anni. Appena
maggiorenne, entrò a far parte della Congregazione dei Padri Celestini nel
convento di Oria. Dopo l'anno di noviziato, fu chiamato dal Superiore
Generale De Leo nella residenza napoletana di San Piero in Maiella, dove si
specializzò negli studi di filosofia. Dallo stesso padre generale fu avviato,
anche, allo studio delle scienze naturali e dell'arte culinaria, per la quale
divenne famoso. Non diventò mai sacerdote per cui, dopo la soppressione degli
ordini religiosi si stabilì a Napoli, ove risedette per oltre cinquant'anni,
insegnando la lingua francese ai figli delle famiglie aristocratiche della
città, pubblicando contemporaneamente molte sue opere che gli diedero successo
e notorietà. Per i molti impegni che ebbe a Napoli, non tornò più ad Oria,
anche se non mancarono momenti di nostalgia per la lontananza dalla sua famiglia
e dalla sua città natale. Il Principe di Francavilla gli attribuì la
mansione di "Capo dei Servizi di Bocca" (antica mansione con cui
veniva chiamato colui che era preposto a sovrintendere alla cucina, alla
preparazione delle vivande e all'organizzazione dei banchetti) di Palazzo
Cellamare, sito sulla collina delle Mortelle prospiciente il golfo di Napoli e
della famiglia del Principe, poiché molti illustri personaggi di un certo
livello e rango, che venivano a Napoli, invitati a mensa poterono constatare la
fama di questa opulenta ospitalità più spagnolesca e tipicamente partenopea che
era in uso al tempo. Parlando del suo lavoro Vincenzo Corrado così si
esprimeva: «L'abbondanza, la varietà, la delicatezza delle vivande, la
splendidezza e la sontuosiotà delle tavole richiedevano una schiera di uomini
d'arte, saggi e probi. Questa mastodontica organizzazione, era guidata proprio
da lui. Alle sue dipendenze lavoravano un maestro di casa, un maestro di cucina
ed un maestro di scalco che aveva il compito di acquistare, di cucinare, di
dissodare e di trinciare ogni tipo di animale, mentre una schiera di cuochi,
rispettando la gerarchia allora in uso, lavorava secondo la propria
specializzazione (oggi le grandi cucine dei Ristoranti hanno i cuochi di rango)
: vi era il cuoco friggitorie, quello per le insalate, il pasticciere, il
bottigliere e il ripostiere. Tutti questi erano aiutati da una serie di
sguatteri e di serventi che avevano il compito di girare intorno al tavolo per
esibire lo spettacolo fantasioso delle portate prima ancora di servirle. Tutta
questa organizzazione era coadiuvata da un piccolo esercito di maggiordomi,
domestici, volanti e paggi che interveniva non appena il servizio di cucina
consegnava le varie portate artisticamente decorate. Vincenzo Corrado, a
seconda degli ospiti del Principe preparava i pranzi o le cene con particolare
assortimento di vivande accoppiandole con tanta fantasia e particolari
accorgimenti architettonici ed artistici al fine di formare una coreografia
sontuosa e raffinata. Egli stesso ci descrive queste splendide composizioni con
pregevole gusto e raffinatezza, lasciando, anche, delle visioni grafiche. Gli
elementi decorativi della tavola erano affidati al maestro ripostiere che usava
gusto artistico e genialità: grandi vasi in porcellana ricolmi di fiori
variopinti, alzate di cristallo e argento a tre o quattro piani colmi di
dessert o frutta o fiori o ortaggi, bianchi gruppi di porcellana raffiguranti
scene arcadiche o bucoliche; puttini d'argento; gabbiette dorate con piccoli
uccellini cinguettanti; coppe di cristallo di varie fogge in cui guizzavano
pesciolini tra foglie di rose ed altri fiori. Il centro veniva racchiuso da una
cornice di frutta, di fiori freschi e di ortaggi, secondo la stagione variante,
disposti, intervallati da piccole spalliere di agrumi in porcellana con
ortolani nell'atto di raccoglierli. La composizione era la sintesi di un
artista di provata esperienza, di raffinata fantasia e di vivace estro, capace
di accoppiare tanti svariati elementi fondendoli insieme a formare uno
spettacolo di gran gusto e di particolare gradevolezza. Il valore del tavolo di
gala completato dal vasellame, cristalleria e argenteria di grande pregio era
inestimabile. Questo senso artistico, anche, nell'arte culinaria Corrado
lo aveva ereditato da un suo antenato letterato di mestiere. Ma per quanto
dotato di una cultura autodidatta, di vivacità d'ingegno, di originalità e di
una particolare facilità nell'insegnamento, se non avesse avuto la fortuna di
conoscere Don Michele Imperiali, che ne coltivò le particolari doti
incoraggiandolo a scrivere della sua specifica arte per tramandarla ai posteri,
probabilmente sarebbe rimasto un ottimo organizzatore, un appassionato
gastronomo, ma la sua fama si sarebbe estinta con lui. Le opere “Il cuoco
galante’. Il primo libro vegetariano della nostra storia. il credenziere: colui
che si prendeva cura della credenza. L'opera fu sottoposta a ben 7 ristampe.
Prodotta in 7500 copie, Dalla dedica si ricava il leitmotiv dello scritto
nonché la filosofia in cui credeva l'autore, che è di questo tenore: il “buon
gusto nella tavola” inteso come “sano pensare”. Di questo trattato di
gastronomia, il successo fu istantaneo e inaspettato, in quanto la precedente
opera gastronomica, La lucerna dei cortigiani, stampata presso Napoli e
dedicata a Ferdinando II duca di Toscana, non era riuscita ad attirare
l'interesse del pubblico che la trascurò ignorandola. Invece grande
successo ottenne la prima edizione del "Cuoco Galante" che si esaurì
rapidamente, tanto che il Principe ne ordinò una seconda edizione che ebbe
eguale successo. Intanto Vincenzo Corrado migliorò e ampliò il testo di questa
opera e ne preparò una terza edizione. La fama del libro superò i confini
del Regno di Napoli e dell'Italia; infatti dall'estero giunsero richieste da
tutti quegli stranieri che avevano conosciuto ed apprezzato il Corrado alla
corte degli Imperiali, per cui si pervenne ad una quarta edizione, seguita dalla
quinta e infine la sesta pubblicata. Assolute novità introdotte dall'autore
erano allora la patata, il pomodoro, il caffè e la cioccolata. Altre
opere Incoraggiato dal successo del Cuoco Galante, il Principe spinse l'autore
a pubblicare nel 1778 un Credenziere del buon gusto, del bello, del soave e del
dilettevole per soddisfare gli uomini di sapere e di gusto. Egli scrisse e
pubblicò inoltre “Il cibo Pitagorico”, “Trattato sulle patate”, “Manovre del
cioccolato” e “Manovra del caffè”; “Trattato sull'agricoltura e la pastorizia
ed infine, “Poesie baccanali per commensali”. -- è il faro della cucina moderna
della nobiltà a cavallo del periodo della rivoluzione francese. Egli privilegia
i personaggi di rango in visita alla mensa del principe con opulenta
ospitalità. Orbene in questo contesto di sfarzo godereccio, di lusso e di
differenze sociali abissali, rimase fin abbagliato dalla nobiltà, la gente
ricca e potente, verso la quale nutre sempre sentimenti di grande reverenza se
non addirittura di venerazione. Proprio per riconoscenza al Principe, dando
alle stampe i suoi due libri, confessa. “Questi due libri che del buon gusto
trattano, con la guida e norma scrissi, e pur mercé la tua generosità mandai
alle stampe, e tu di propria mano ne *segnasti* il titolo “Il Cuoco Galante” --
l'uno e “Il credenziere del buon gusto” l'altro, tutti e due a te li porgo come
frutto di un albero dalla mano piantato. Mio Scopo egli è di richiamare alla
memoria dei nobili uomini dei quali tu fosti la gloria l'ornamento alla memoria
e la lode. Ah? Ma qual Tu fosti non basterebbe di dire di cento e mille lingue,
per cui io stimo meglio il tacere e con il silenzio benedire gli anni che ti fu
appresso. L'organizzazione dei magnifici
banchetti e delle cene lussuose gli diedero l'appellativo di “il cuoco
galante”. La cosa straordinaria è che dietro gli scenari di un favoloso pranzo
o cena vi era una preparazione, quasi orchestrale della quale il direttore era
il filosofo. Alle sue dipendenze vi era una vera e propria squadra di addetti
alle cucine formata da precettori cuochi e servienti. La presentazione
estetica, oltre al gusto, acquista la sua importanza in cucina, ed dedica
grande spazio alle decorazioni e al modo di imbandire le tavole dei banchetti.
Nell'opera sono anche presentati i sorbetti, in vari gusti, ed il caffè, che, a
differenza dall'attuale espresso, veniva bollito in apposite caffettiere.
Precettori un precettore di alloggio e sistemazione posti per gli invitati, un
precettore di preparazione dei cibi, un precettore abile con utensili
domestici, che aveva la mansione di far provviste e comperare il necessario al
mercato per le mense, di dissodare e di affettare ogni tipo di carne o pesce.
Chef e Cuochi “Il cuoco friggitore”, il cuoco per le insalate, il pasticciere,
il bottigliere, il ripostiere. Serventi lavapiatti,
camerieri, maggiordomi, domestici, volteggianti e giullari che
intervenivano non appena il servizio di cucina consegnava le varie portate
artisticamente decorate. Non era solo una semplice cena, era un vero e
proprio spettacolo, fuori dall'immaginato. A volte comprendeva l'utilizzo di
100 persone per altrettanti o più invitati. I banchetti o le cene con
caratteristiche e assortimenti di piatti erano accoppiate con tanta inventiva e
particolari astuzie architettoniche ed eleganti al fine di plasmare una
scenografia sfarzosa e affinata. Egli stesso nelle sue opere e nei suoi
diari ci descrive queste splendide composizioni culinarie come opere d'arte,
quasi uno spreco consumarle. Bicchieri e coppe di cristallo, posate in argento
intagliate, tovaglie di pizzo fiorentino, buche e composizioni floreali, piatti
in porcellana di Capodimonte Termini culinari "Il Cuoco
Galante", proprio nella terza edizione, alfine di una maggiore comprensione,
spiega alcuni termini "cucinarj" usati per la preparazione delle
varie pietanze, ne riportiamo un esempio: Bianchire: Far per poco bollire
in acqua quel che si vuole; Passare: Far soffriggere cosa in qualsiasi grasso;
Barda: Fetta di lardo; Inviluppare: Involgere cosa in quel che si dirà;
Arrossare: Ungere con uova sbattute cosa; Stagionare: Far ben soffrigere le
carni o altro; Piccare: Trapassar esteriormente con fini lardelli carne; Farsa:
Pastume di carne, uova, grasso ecc.; Farcire: Riempire cosa con la sarsa;
Adobare: Condire con sughi acidi, erbette, ed aromi; Bucché: Mazzetto d'erbe
aromatiche che si fa bollire nelle vivande; Salza: Brodo alterato con aromi,
con erbe, o con sughi acidi; Colì: Denso brodo estratto dalla sostanza delle
carni; Purè: Condimento che si estrae dai legumi, o d'altro; Sapore: La polpa
della frutta condita, e ridotta in un denso liquido; Entrées: Vivande di primo
servizio; Hors-dœuvres: Vivande di tramezzo a quelle di primo servizio;
Entremets: Vivande di secondo servizio; Rilevé: Vivande di muta alle zuppe, potaggi,
o d'altro. Pitagora nell’atto, che dalla
cattedra nella nostra italica scuola dettava sistemi, che riguardavano quanto
mai fosse fuori di esso lui, e di noi per pascere l’animo e l'intelletto, non
trascure di sistemare peranche ciò che meglio, e piu opportunamente al nutrimento
ed alla conservazione del meccanico nostro vivere conducesse. E però dettando
il canone o la legge, come dir si voglia, per la cucina delli suoi mentati, non
di *carni* di animali ei ditte quadrupedi, o volatili, o di pelei imbandite
vengano le mente di quanti han voglia di più lungamente, e più lanamente
vivere, ma soltanto di vegetabili erbe, di radici, di foglie, di fiori. Ebbe
cotesso filosofante la somma disgrazia di non essere da ogni filosofo inteso,
come sovente la savia donna stobeo sua moglie e espose li g luf'J\ l&- r
menti: e com’egli la tras-migrazione dell’anime avesse ingegnata, così dalli
silenziari scolari suoi, e da parecchi altri prevenuti da quel di lui fatto
sistema si divieta del cibo animalesco, e la preferizione del solo cibo erbaceo
furon pref nel sinistro senso di una supertiziosa venerazione , cK egli aveffe
per l’animale, nella macchina del quale l’anima dell’uomo dopo la morte fojfcro
tras-migrate. Ma ’ che chefané di ciò, egli è indubitata cosa , che il cibo
erbaceo fallo più confacenti all’verno, per cui vedef la più parte dei
Naturalifi a quella opinione indicimata, che l'uomo naturalmente non è
carnivoro. E se noi ponghiamo mente al parlare dell’antica filosofia, rilevaremo
con tutta chiarezza che le frutta della terra defluiate vennero al nutrimento
dell'uomo, e che sopra del pesce, dell’animale terrestre, e del volatile n eh
he lo fie[fio uomo soltanto il domini ; Jlcchè l efifierfii poi dati alcuni
uomini ad alimentarsi di animali j'offe fiata una necessità di alcuni luoghi,
oppure un lusso! Non senza ragione quindi la italiana gente, ansi avvedutamente
oggi più che in altro tempo la legge pitagorica ha ripigliata ad oficrvare con
tutto impegno nella cucina del filosofo galante, e nelle mensa: e le nazioni
anche più culte, che da Italia sono lontane, han preso il gufo di dare al corpo
nutrimento più sano, gusiosso, e facile per mezzo dell’erba. Ed ecco perciò
tutta la scuola cucinaria pofia in movimento per inventar un nuovo modo a poter
preparare e condire l’erba per mezzo di altri fingili vegetabili, onde non
solamente grato al palato si renda il semplice pitagorico cibo, ma eziandio
pofia sioddisfarsii al lusso nell' imbandire laute Menfie da filmili
siempìicità compofie. E quesio è il fine della mia filosofia, difiefio , ed a
comune uso e utilità. Vero egli è, che non tutti li vegetabili dei quali ferie
preferìve qui la preparazione filano li più perfetti, e giovevoli ai nutrimento
nostro. Ma ciò ha dovuto farsi per accomodarsì af gufo comune, ed alla moda
presiente della tavola fu ,di che qualunque Aristarco non avrà che opporre.
Nella mia filosofia volendosi imitare la filmile semplicittà della materia del
soggetto, con sempiice e chiaro discorso si da la pratica come ogni erba
italiana dando il suo proporzionato condimento con fughi di carne, con latte
Animali, e di fórni, con butirro, con olio, con uova , e con altr’erbe
odorifere e gusiofe debano preparar f . E intanto per a et tare, ad ogni
articolo alcuna cosa verrà premefi , che rifguarda la natura, e le virtù del vegetabile
di cui fe ne voglidn preparare la vivanda. E già qui fiegue in prima, la
maniera di far i brodi, i coli e le buri
neceJTarj pel condimento: ed in secondo luogo h nòta del vegetabile del quale
nella mia filosofia fe ne preferivo il modo di prepararli: avendo io in ciò
fare procurato di mettere in J'alvo anche il Injjo nell' imbandire con simili
generi una mensa di formalità e gala, e nel tempo Jìeffo di soddisfare il gusto
delicato dei nobili, e di provvedere alla conservazione dell’utterato . INDICE:
Velli Brodi, Coli , e Purè p. I Velli Coli a Velie Purè i tutta la c minarla
prepa- ragione de’ vegetabili, Lattuca, Spinaci, Cavolo Cappuccio , Selleri,
Zucca, Zucca lunga ia Delle Zucche Vernine ivi Cavai fiore Finocchi Iudivia
Cardoni Cavoli Torgi Carciofi Broccoli Boraggine Senape Cipolle ivi Rape
Ravanelli CicoriaPetronciane Pafiinacbe Pomidoro Cedriuoli Peparoli Pifelli
Sparaci Raperortzpli Velli Ceci Fave Faggioli 3^ De//** I-enfe 39 Funghi
Tartufi Erba per condiment, Maggiorana, Targone, Pimpinella, Santa Maria
Crefcione Origano Timo Acetofa Salvia Menta Cerfoglio Porcellana Bafiltco Ruta
Sambuco Rosmarino Tralci Vite Zafferano Anafi Cappari Scalogne Dettagli Rafano
o Ramolaccio Bettonica Idea dell'ufo delle frutta ivi. Grice: “My favourite
chapter from ‘Il cuoco galante’ is the philosophical one, on Pythagoras! I
vitto pitagorico consiste l’erba fresca, la radice, il fiore, la frutta, il
seme, e tutto cid che dalla terra produce per nostro nutrimento. Vien detto
pittagorico poiche Pitagora, com’ è tradizione, di questi prodotti della terra
soltanto fece uso. Pitagora mangia l’erba semplice e naturale, ma gli uomini
de’ nostri di li vogliono conditi, e manovrari; ed io nel voler conversare con
distinzione dell’erba procuro eseguire l’uno, e soddisfare l’altro, con
escludere le carni, e di servirmi del condimento, anche pitagorico, com'è il
ſugo di carne, il lasase, le uova, l’olio , ed il burirro per compiacere
qualche particolar palato, servirmi pure delle parti più delicate degli animali.
Grice: “Oddly, my mother was keen on Mrs. Beeton, I’m keen on Signore Corrado!”
La cucina e la credenza, ad esami parlando, son sorelle gemelle, poichè
le due appartengono al buon gusto del cibo, e le due nacquero, cresceron , e
s’ingrandirono nello stesso temp , e nella nostra Italia che in altri luoghi,
sotto i fastosi e dominanti romani, e divennero tutte e due arti d’ingegno, di
piacere, e di utile; ed il cuoco ed il credenziere debbono esser d'accordo nel
loro, quantunque dissimile, lavoro. Della estesa ed elevata cucina se n’è
discorso abbastanza. Dico abbastanza ma non già al fine; e compimento, poichè
ciò accade quando non vi saranno più uomini al mondo. Ora vengo a trattare di
quanto la credenza include, e di quanto un credenziere dee esser fornito. E se nel
dar l’istruzione per la cucina pensai e scrissi da cuoco, ura collo stesso
metodo filosofo da credenziere. Come tale intendo ragionare al dilettante.
Procuro di aggiugnere quanto di bello, di buono, e di dilettevole mi ha potuto
suggerire la fantasia. Gradisci dunque , o cortese mentato, questa mia fatica,
e sappi, ch’io resto soprabondevolmente pagato col piacere di avervi servito.
Vivi felice. Vincenzo Corrado. Keywords: il cibo pitagorico, il concetto di
conversazione galante, gala --. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Corrado” – The Swimming-Pool Library.
CORSINI (Fellicarolo).
Filosofo. Grice: “I like Corsii; if we at Oxford had a sublime history as they
do in Italy, we surely would be philosophising about it! Corsini taught
philosophy at Pisa and spent most of his efforts in deciphering what the Romans
felt interesting about Greek philosophy!” Grice: “Corsini also explored the
roots of Roman philosophy from the earliest times – ab urbe condita,’ as the
Italians put it!” Studia nel Collegio dei padri scolopi fananesi, dove in
seguito entra quale novizio e si
trasferì nel Noviziato di Firenze. Le sue capacità lo portarono a
diventare docente di filosofia a soli vent'anni presso la stessa scuola. Si
trasferì quindi a Pisa dove insegna. Eletto Superiore Generale e dovette
trasferirsi a Roma. I principali campi di studio ai quali si applica
furono: la filosofia, la cronologia, l'epigrafia, la filologia e la numismatica
ma si interessò anche di matematica, di logica, di fisica, di idraulica, di
didattica, di storia e di lettere antiche e moderne. Altre opere: “Illustrazione
relativa alle recensioni su De Minnisari e Dubia de Minnisari pubblicate ne gli
Acta Eruditorum; “Illustrazione relativa all'Epistola ad Paulum M. Paciaudum, pubblicata
negli Acta Eruditorum”; “Ragionamento istorico sopra la Valdichiana” (Firenze);
“Index notarum Graecarum quae in aereis ac marmoreis Graecorum tabulis observantur”
(Firenze); “De Minnisari aliorumque Armeniae regum nummis et Arsacidarum epocha
dissertation” (Firenze); A. Fabbroni, Vitae Italorum..., Pisis E. de Tipaldo, Biografie degli italiani
illustri, X, Venezia); Dizionario
biografico degli italiani. Elogio di Corsini (con lettere di Fananese a
Rondelli). Fanani nianae, quod in ditione est oppidum Ducum provinciae
AteftinorumFri, III. Non . Octobris anno MDCCII. natus eft Eduardus Corsinius (Silvestro
Corsini) optimis quidem parentibus, honestissimaque familia, quippe quae jamdiu
civitate Mutinensi donata fuerat. Is ubi primum adolevit Sodalitatem hominum
Scholarum Piarum, quos praeceptores puer in patria habuerat, ingressus est.
Multa diligentia, multoque labore in humaniorum litterarum [cf. Grice, Lit.
Hum.], philosophiae ac theologiae studiis Florentiae se exercuit apud suos;
& cum omnes condiscipulos gloria anteiret, ab omnibus tamen in deliciis
habebatur. Erat enim bonitate suavitateque morum prope singulari; & cum
plurimuin faceret non solum in excolendis studiis, sed etiam in officiis
omnibus religiosi hominis obeundis, minimum tamen ipse de se loquebatur. Vix
ferre poterat Eduardus peripateticos quofadam horridos, durosque oratione &
moribus, quibuscum versari cogebatur; intelle xeratque jam falsos hujusmodi
sapientiae magistros de veritate jugulanda potius, quam de fendenda assidue
certantes, philosophiam artem fecisse subtiliter & laboriose infaniendi.
Relictis igitur disputandi spinis, ad Academiam se convertit, cujus ratio
inquirendi verum libero folutoque judicio, & fine ulla contentio ne &
pertinacia non poterat non magnope re probari homini natura leniſſimo. Nec
forum in philosophorum libris corum dogmata, quae disputationibus huc &
illuc trahuntur, ut ipse per se perpenderet, inveſtigavit Corsii, sed etiam
philosophiae adminicula & an ſas, qualem Xenocrates geometriam appellabat,
in Euclide, Apollonio & Archimede quae sivit. Quo in itinere felicem adeo
habuit exitum, ut fervore quodam aetatis impulsus, břevi condere potuerit
libellum de circulo quadrando, quem ad Guidam Grandium mi fit. Novit in eo
Grandius eximium & admirabile adolescentis ingenium, eumdemque hortatus
est, ut pergeret porro in eo studio, quod ceteris & studiis & artibus
antecede ret, & in quo ipse futurus effet excellens. At Corsini praeſertim
trahebatur ad humaniores litteras, quibus a puero mirifice dedicus fuerat,
quaſque vel in sublimiorum disciplinarum occupationibus, ne obsoleſcerent,
legendo renovaverat. Itaque moleste tulit demandatam fibi a majoribus fuisse an
MDCCXXIII provinciam tradendi publice Florentiae philosophiam, quasi ad ea
detru deretur, quae sui non essent ingenii. Principio sequi coactus est
Goudinium, cui brėvi substituit Hamelium. Atque hos auctores sic interpretatus est,
ut facile intelligeretur non eſſe ex illorum doctorum numero , pud quos tantuin
opinio praejudicata poteſt, ut etiam fine ratione valeat auctoritas eo rum ,
quos ſequi ſe profitentur . Poftremo · ad ſcholae fuae utilitatem &
ornamentum maxime pertinere exiſtimavit , fi e multis , quae ſunt in
philoſophia & gravia & utilia a recentioribus praefertiin philoſophis
tracta ta , quantum quoque modo videretur deli geret, in quo adoleſcentes
exerceret . Sa pienter etiam faciebat, quod ipſos non ſolum quibus luminibus ab
illa omnium laudanda rum artium procreatrice Philoſophia petitis a mentem
illuſtrare , fed etiam quibus virtuti bus omnem vitam tueri deberent fedulo e
rudiebat . Quare minime eſt mirandum fi in tantam claritudinem brevi
pervenerit, ut fuis & Florentinis vehementer carus , quibuſdam vero
hominibus nudari ſubfellia ſua , & cor nicum oculos configi dolentibus
eſſet invim diofifſimus. Fuerunt & nonnulli ( tantum in vidia , aut
inſcitia potuit ) qui apud eos , quorum munus eſt providere , ne quid er roris
in religionem moreſque irrepat , Corſi nium accufarunt , multa illum tradere ,
in exponendis praeſertim Gaffendi & Cartefii ſententiis , a recta religione
abhorrentia . Stomachatus eft homo religiofiflimus , caftif fimuſque
obtrectatorum temeritatem . Hos ve ro ut falſae & iniquae inſimulationis
publi ce convinceret , utque ab omni metu diſci pulos fuos liberaret , ftatuit
in lucem profer re , quae in ſchola & domi iiſdem expoſue rat . Quod cum
praeftitiffet , id evenit, ut alteros reprehendiſſe poeniteret , alteri fe di
diciſſe gauderent . Inſcripfit opus : Inſtitutio nes philoſophicae ad ufum
Scholarum Piarum , & illud in quinque volumina diſtribuit si ma mum
continet hiſtoriam philoſophiae & lo gicam ; ſecundum verfatur in
indagandis prin cipiis , & tanquam feminibus unde corpora funt orta &
concreta , horumque proprieta tibus & qualitatibus ; agit tertium de cor
poribus inanimatis , quae caelo , aere , ri & terra continentur ; examinat
quartum animata corpora , multipliceſque eorum fpe cies, & elementa
metaphyſicae tradit ; quia tum denique morum doctrinam complectitur. Nec folum
in conficiendis his libris res no vas inveſtigavit Corfinius , fed etiam eas ,
quae funt ab antiquis traditae , quarum co gnitionem eo utiliorem putavit ,
quod faepe. philoſophos nova proferre judicamus , cum pervetera proferant .
Praeter quam quod in ea erat opinione Corſinius, illi , fitum eſt veritatem
invenire , fingulas nofcen das effe diſciplinas , ut ex omnibus , quod
probabile videri poſſit , eliciat , praeſertim cum doceamur a ſapientiffimis
viris , nullam fectam fuiffe tam deviam , neque philoſopho rum quemquam tam
delirantem , qui non vi derit aliquid ex vero . Nec modo quid fibi probaretur ,
fed aliorum etiam fententias , & quid cui propo quid in quamque ſententiam
dici poſſet, pera fecutus eſt, quod ea modeſtia praeſtitit , ut : non vincere
maluiſſe , quam vinci oſtende- . rid . Hanc opinionum varietatem ex fuis fone
tibus fincere deductam , ut potentius in die fcipuloruin animos influeret, non
modo ora , vine diſpoſuit ., ſed etiam claritate & nitore, Latini ſermonis
illuſtravit . Praeclare enjin , Cicero : mandare quemquam litteris cogitationes
fitas , qui eas nec difponere poffit , nec illuftra-: re , nec delectationé.
aliqua lectorem allicere , hominis est. intemperanter abitentis otio & like
cris . Sunt nonnulli qui in hiſce. Insitus, rionibus dum pleniflimo ore laudant
ima menſam prope eruditionis copiam ,, politio remque elegantiam , quibus
ornantur, defide; rare videntur abditiorem 'reconditioremque tractationem earum
rerum, quae primum ii) phyſica tenent locum , quales ex. gr. ſunt Trotus.,
Newtoniana' attractia , harumque lo ges, non tam .ut ceteros, quam ut ſe ipſum
, qui nunquam adduci potuit , ut Newtoni fententiae affentiretur, convinceret .
Sed ii meminiſſe debent quibus ſcripſerit:Corfiniusi, hribuſque temporibus
ſcripferit. Quoniam ve Tom . VIII to plurima ſunt in phyfica , quae fine 'gea
metriae ope tractari non poffunt , hoc quo que adjumențum a fe afferri oportere
diſci pulis ſuis putavit . Itaque Philoſophicis Ma thematicas Institutiones
adjecit , in quibus fi ordinem excipias ( initium enim facit a pro portionibus
, quas nemo ignorat difficillimam effe geometriae partem ) cetera ſatis belle
procedunt. Neque multo poft retexuit hoe ipſum opus , in quo eo elaboravit
attentius , quod fperabat aditum fibi facturum ad mu nus tradendi mathematicas
diſciplinas in Ly ceo Florentino . Acceptum illud cum plauſu fuit propter
dilucidam brevitatem atque ele gantiam , licet in eo acutiores peritioreſque
geometrae pauca quaedam jure ac merito teprehenderint. Praeſtantiam , quam
conſe cutus fuerat Corſinius in rebus geometricis, yoluit ad hydroſtaticam
transferre; cumque fedulo evolviffet quae in ea facultate ſcris ptis
mandaverant poft Galilaeum Torricellius, Michelinius , Guglielminius , Grandius
, alii. que pauci , in ſcenam prodire non dubitavie fuftinens perſonam non modo
conſiliarii & arbitri de dirigendis avertendiſque aquis , ſed etiam
ſcriptoris. Etenim ex ejus officina prow diit liber , qui infcriptus eft :
Ragionamenti intorno allo stato del Fiume Arno e dell' acque della Valdinievole
, quique editus fuit fum ptibus. Marchionis Ferronii , cujus cauffam praeſertim
defendebat . Spe dejectus Eduar dus perveniendi in Lycei Florentini docto rum
numerum , qui praeter modum iis tem- . poribus. creverat , animum ad Academiam
Piſanam convertit , petiitque dari ſibi va cuum eo tempore logicae interpretis
locum . Celeriter quod optabat impetravit , propte rea quod Joannes Gaſto
Magnus Etruriae Dux eximiam illius ſcientiam in omni re philo ſophica
cognoverat .. Vir non tam doctrina praeſtans, quam docendo prudens ( etenim
quaedam etiam ars , eſt docendi ) magno erat emolumento ſtudiofis
adoleſcentibus , qui non uſitata frequentia fcholam illius celebrabant . Cum
vero de fchola in otium folitudinem que ſe conferret , tempus potiffimum conſu
mebat in augendis . perficiendiſque ſuis Phi lofophicis Institutionibus ,
abſolvendoque , quod inſtituerat , opere de Practica Geometria . Ins ter haec
magna fuit amnis Arni inundatio , F 2 84 EDUARD US ut fi inundationes excipias
, quae annis MCCCXXXIII. & MDLVII. acciderunt, nul lam unquam majorem
fuiſſe conſtaret . Pere vaſerat opinio per animos Florentinorum huic luctuofae
calamitati cauſſam praefertim dediffe Clanis aquas in Arnum deductas , &
quae ad eaſdem moderandas aquas facta fue rant opera . Hunc errorem ut eriperet
Edu. ardus , utque perſuaderet eadem opera fuiſſe utiliffima ac faluberrima ,
libro expoſuit qua lis fuiſſet , & quis eſſet ſtatus Claniae val lis ,
quidque conſultum & actum ab anno MDXXV. ad fua uſque tempora , ut peſti
lentiſſima regio convaleſcere aliquando & fa nari poſſeti, utque
controverſiae inter finia timos Principes de dirigendis aquis ejuſdem regionis
tollerentur . Piſis erat Corfinio con tubernium cum Alexandro Polito , qui hum
maniores litteras profitebatur , cujuſque vi tam ſupra explicavimus . Hominis
Graecis & Latinis litteris eruditiffimi exemplum & vo . ces ,
ſelectiſſimorumque librorum copia , qua is abundabat , Corſinium per fe jam
flagran tem vehementiffime incenderunt ad eas ar tes , quibus ab ineunte aetate
deditus fuer GO RS IN I UŚ. 85 rat , celebrandas . Sciebat Graece , cujus
ſermonis elementa juvenis Florentiae acce perat a ſodali ſuo Franciſco Maria
Baleſtrio , fed non luculenter . Itaque multo ſudore ac labore in arte
grammatica primum ſe exer euit , poftea Graeca multa convertit in La tinum ,
Graecorumque libros & eos pracſer tim , qui res geſtas & orationes
ſcripſe runt , utilitatem aliquam ad dicendum aucu- | pans, ftudiofiffime
legebat . Cum vero ei eſſet perſuaſum ingentes ac prope immenſos cam pos illi
proponi , qui eloquentiae ceterife que humanioribus litteris vacare cupit ,
acom mico hac de re aliquando ſciſcitanti reſpon dit: percipiendam ei effe
omnem antiquitatem , co gnoſcendam hiſtoriam , omnium bonarum artium ſcriptores
& doctores & legendos & pervolu tandos , & exercitationis cauſa
laudan.los , in terpretandos, corrigendos , refellendos ; diſputan dumque de
omni re in contrarias partes, & quid quid erit in quaque re , quod probabile
videre poffit , eliciendum atque dicendum . Hujuſmodi exercitationes, quas diu
incluſas habuit, Core finius in veritatis lucem tandem proferre ſe poffe
putavit , cum Faſtos Atticos illustrandos fuſcepiſſet ; magnum ſane opus &
prae clarum , quod omnem fere Athenienfium hi ftoriam complecti debebat , cum
qua philo fophiae , omniumque laudatarum artium hi ſtoria arctiſfime eſt
conjuncta . Diviſit illud ipſum opus in partes duas , quarum prio rem veluti
apparatum Faftorum effe voluit, quod in illa fuſe lateque ea exponerentur ,
quae commode in ipfis Faftis , ad quos ta men pertinebant , 'exponi haud poffe
vide bantur . Agit itaque de Archontum inſtitu tione , numero , varietate ,
muneribus & re rie , de Archontico anno , atque ordine men fium Athenienfium
. Cum vero Archontigiis annus non in menſes ſolum , ſed in Pryta nias etiam
diviſus eſſet , ac Tribuum Athe nienfium fingulae aequali temporis , annique
parte Prytaniae munere fungerentur , de ie pſarum Tribuum ac Prytaniarum numero
, ordine ac ſerie , deque Atticae populis , ex quibus illae conſtabant ,
eruditiſſime differit . Neque ab his ſeparandam putavit tractatio nem de
Athenienſium Senatu & Ecclefiis , dcque Proedrorum , ac Epiſtatum numero ,
diſtinctione & officiis. Tranſit inde ad contexendam Archontum ſeriem
diſtinguens eponymos a pseudeponymis . Quam diſtinctio nem licet nonnulli
agnoverint , nemo tamen exſtitit , qui Pſeudeponymorum Archontum feriem
illuftrandae Atticae hiſtoriae maxime neceffariam recenſere tentaverit . Agit
de mum de civilibus Graecarum gentium annis, ipfarumque menfibus, cyclis atque
periodo, cum antea declaraſſet tempus , verumque di em , quo varia Athenienſium
feſta peragi & redire confueverant . Id facere neceſſe fuit propterea quod
eadem fefta , veluti perſpi cuae certaeque temporis notae, rerum gefta rum
memoriaé ſaepiffimè a ſcriptoribus adji ciuntur . Haec quidem in priori operis
par te . In fecunda vero Fafti exponuntur a pri ma Olympiade , qua Coroebus
palman retus lit , uſque ad Olympiadein cccxvi. Cauffa fuit juſta Corſinio
praetereundi antiquiora tempora , quod iſta laterent craſſis occultata tenebris
, & circumfuſa fabulis . Ne tamen primam Athenienfis imperii formam deſpice.
re videretur (nam Athenis initio Reges , inde perpetui Archontes, mox
decennales , tandemque annui imperarunt) qui Reges & Archontes perpetui ,
& qua aetate fuerint in Prolegomenis perſecutus eft. Ceterum Fa. ftos fic
contexuit Corfinius, ut nullum ad nos pervenerit nomen Archontum , Olympioni
čarum & Pythionicarum , nulla lex , neque pax , neque bellum , neque caſus
neque res illuſtris & memoranda populi Athenien fis , quae in iis ſuo
tempore non fit notata . Interdum etiam attigit Spartanorum , Phoceli fium ,
Thebañoruin , aliorumque Graecorum gefta , conſilia , pugnas , diſcrimina , quod
ca maxime ſint Atticae hiſtoriae conjuncta . Grae Cos vero philoſophos ,
poetas, oratores , cete roſque tum pacis, tum inilitiae artibus claros viros
ita commemoravit, ut quibus Olympicis annis, & quo loco in lucem fint editi
, vitam que ' finierin't intelligi poffit. Atque haec o Innia capitulatim ſunt
dicta . Etenim nimis lon gus effem fi praecipua, & nova vellem deſcri bere
, quae in his Faftis continentur . Nihil poſuit in iis Corſinius fine locuplete
auctori täte & teſte, aut faltem ſine probabili conje: ctura ; quodque
difficillimum fuit, fcriptorum Graecoruin loca aut vitiata aut minime intel
lecta, aut mutilata'ſic reſtituit , illuſtravit, fupplevitque, ut dubitari
poffe videatur plus ne jis reddiderit luminis , quam ab iiſdem aco ceperit .
Neque minori perſpicientia Athe nienfium nummos vidit , ex quibus non pau . ca
quidem in rein ſuam hauſit ; ſed multo plura e marmoreis monumentis fumpfit, ta
li modo dirimens controverſiam , quae ex fufcitata fuerat a ſummis viris
Spanhemio , & Gudio , nummis ne , an inſcriptionibus princeps locus dandus
effet in explicandis ri tibus , feſtis , Numinibus , ludis, magiſtrati bus ,
rebuſque geſtis Athenienfium . Inter nobiliores inſcriptiones , quas refert
Corfi nius , & miro prorſus acumine atque eru ditione explicat , &
interdum etiam fupplet, eft Florentina quaedam apud Riccardios ile luſtrandis
Athenienfium Tribubus maxime idonea. Sed haec mirifice corrupta erat , au
gebatque corruptelam collocatio . Etenim cum ex tribus fragmentis conſtaret ,
imperi tus artifex fic illa in pariete diſpoſuerat, ut media pars primae ,
finiſtra mediae , dextera vero omnium poftremae partis locum Occu paret. Vidit
haec mala Corſinius , qui 2 tutiſſime indagabat omcia , iifque remedia goadhibuit
. At puduit Joannem Lamium ſe non adeo lynceum fuiffe , cum ufus effet sadem
inſcriptione in ſuis ad Meurfium Scholiis , & ex pudore orta eſt invidia .
Ex quo intelligi poteſt quare is debitas mun quam tribuerit laudes operi , quod
omnium judicio longe multumque ſuperat quidquid in hoc rerum Atticarum genere
ſcripſerunt Sigonius , Scaliger , Petavius , Petitus , Spo nius , & vel
ipfi Meurfius , & Dodwellus , quorum errorés dum faepe corrigit Corfini,
us, & dum minime ab iis animadverſa pro fert , fatis declarat iiſdem
detrahere voluiffe Haerentem capiti multa cum laude coro nam . Rumor erat ea
parare Lamium , quibus fpe rabat hominibus fe probaturum , Corfinium in
emendanda illuſtrandaque Riccardiana in fcriptione ſurripuiffe fibi fegetem
& mate riem gloriae ſuae . Porro Lamius poft edi tas Corſinii emendationes
fupponere cogita verat in locum impreſſae jam paginae in I. Meurſii operum
volumine , quae prae fe fe rebat inſcriptionem corruptam , aliam pagi nam , in
qua emendatior inſcriptio legebatur ; CORSINIUS: 1 bancque mutationem , omnibus
occultari pof ſe putaverat , quod Meurſii liber nondum efe ſet in vulgus editus
. Non latuit certe Core finium , in cujus manus pervenit etiam pria mum
impreffa pagina , qua omnem a fe prow pulſare poterat injuriam . Id ut audivit
Lami mius aliam rationem iniit perficiendi confi lii ſui . Dedit ad Angelum
Bandiniun litte ras plenas iracundiae ac minarum, ſpecie qui dem ut ea, quae
jamdiu ſepoſuerat ad Ric cardianum marmor explanandum , aliquando proferret ;
re autem ipſa ut quae a Corſinio didicerat , perpaucis additis aut mutatis , le
ctori aut occupato aut indiligenti vendita Yet pro ſuis . Atque id utrumque
ſcriptorem conferenti luce clarius eft . Quare mirari ſa tis non poffum hominis
frontem , qui furti Corfinium infimulet in eo loco, in quo ipfo cum re aliena ,
atque etiam cum telo eſt de prehenſus. Atque haec an. MDCCXLv. ſunt geſta , cum
Fafti Attici anno ſuperiori lu cem vidiſſent . Sed tamen res defenſionem apud
multitudinem potuit habere uſque ad cum annum , quo Meurſii opera cum Lamii
animadverſionibus vulgata funt fimul universa . Is fuit an . MDCCLXIII. Tum
enini primum jejuna illa marmoris interpretatio, quam ante annos xxII . Lamius
in l . operum volumen intulerat , lecta eft pag . 258. : ad calcem vero ejus
voluminis ſecundae Aucto ris curae in eum lapidem , & quaſi retra Statio
quaedam ante dictorum edita eſt . Qua in mantiſſa bina extant indicia Corſinii
cauffam mire tuentia , alterum quod nihil hoc in loco proponatur , ' quod non
ille in Faſtorum libro occupaverit ; alterum quod mantiſſae characteres ab
ejuſdem voluminis characteribus forma et figura longe abſunt , teſtanturque non
niſi poſt annos multos quam liber fuerat impreſſus , diſtractis jam aut
obſoletis formis illis prioribus , additam eſſe appendicem , de qua meminimus .
Sed jam fatis multa de homine meo quidem judicio paucis comparando , niſi
regnum in litteris, quod Florentiae perdiu tenuit , malis inter dum artibus
& clarorum virorum vexatione confirmandum putaſſet. Quamvis in Fa. Hujus
rei narrationen pluribus etiam verbis exa pofitam vide in libello cujus eſt
infcriptio : Paffatem po Autuntile , quo in libcllo Si quis est qui dictum in
se ir clemencius Exis. Atis Articis elaborare Corfinio maxime glorio fum fuerit
, non minorem tamen laudem rea portavit ex Agoniſticis Differtationibus, de qui
bus Ludovicus Muratorius , intelligens ſane. judex , dicere folebat , poſſe eas
per ſe ſo las aeternum nomen Auctori comparare . His Diſſertationibus oftendere
voluit Eduardus, quo tempore Graeci celebrare conſueverunt ludos Olympicos ,
Pythicos , Nemeaeos , & Iſthmiacos, quod tempus eatenus fuerat vel
incompertum , vel faltem obſcurum . In hoc autem non mediocrem utilitatem
chronolo giae & hiſtoriae ſe allaturum putavit , quod iiſdem ludis
fcriptores uterentur ad notanda deſignandaque rerum geſtarum tempora . Ab
Olympicis exordiens , qui ceteros fplendore & frequentia ſuperabant ,
breviter cos percurrit, quos ab Hercule primum inſti tutos Trojano bello
deſiiſſe , moxque ab . Iphito reftitutos iterum intermiffos fuiffe fcriptores
narrant . Etenim illud caput eſſe videbatur , ut de Olympiade illa quaereret ,
qua Coroe bus palmam accepit , & quae prima dicitur , omnes Exiflimayit ele
, fit exiſtimet Reſponſum , 11011 d.ctum effe, qu'a lacris prior , 6 94 EDUARD
V $ quod ab illa ceterarum Olympiadum ordo & feries incipiat . Hanc
celebratam fuiſſe putat an . periodi Julianae MMMDCCCCXXXVIII. circiter
folftitium aeſtivum , plenilunii tempo re , qui mos ſemper manſit non folum
anti quioribus , quibus civiles Graecorum anni lunares erant , fed recentioribus
etiam , qui bus ſolares anni a Romanis ad Graecos tran . fierunt . Primus is
erat anni menſis , in quem incidiffent Olympici ludi . Quinque diebus eorum
certamina abſolvebantur , inter quae curſus , quo, uno certatum eſt ad Olympia
dein uſque XVIII, primas tenebat . Neque. in Aelide folum , fed & in aliis
Graeciae ur bibus fumma cum populi frequentia ac faca. crorum caeremonia
Olympici celebraba ntur, donec v . ineunte reparatae falutis faeculo , jidem
cum Pyticis. ſublati fuerunt . , Pyticos primum inftituit Apollo , eofque
jamdiu in-. termiffos, confecto. Criſſenfi bello , Olympiade. XXXXVIH .
Amphictyones revocarunt. Ii- . dem Olympicorum inſtar pentaéterici erant ;
neque ſecundis annis, aut quartis , ut Peta vius & Dodwellus, exiſtimarunt
, ſed tertiis , hiſque exeuntibus circa Elaphebalionis menfis finem , tum
Delphis , tum in aliis Grae- : ciae urbibus peragi confueverunt , Proxime poft
Pythia Olympiade ſcilicet Lill. inſtaura ta fuerunt Nemea , quorum origo
reperitur a ſeptem Argivis ducibus , qui ad lenien dum defiderium pueruli
Archemori a ſerpen te occiſi funebres hoſcę agones CCCCLXXV. annis ante
Olympiadem primam prope Ne meaeum nemus inftituerunt . At Nemeadem illam , ex
qua veluti cardine ceterae infe quentes numerari coeperunt , in annum IV. Olympiadis
LxxII . poft Marathoniam pu gnam incidiffe fatis probabiliter Eduardus af
firmat . Nemeades aeſtivae aliae, aliae hibere nae , omnes vero trietericae
fuerunt; eaeque alternis annis ita peragebantur , ut hibernae quidem in medios
ſecundos , aeſtivae vero in quartos ineuntes Olympiadum annos in currerent .
Cum Nemeis ludis quaedam erat Iſthmicis a Theſeo , ut ferțur , conſtitutis fia
militudo . Funebres erant ambo , ambo trie terici , & qui utrolibet in
certamine viciſſent apio coronabantur , Ithmici quoque alii em rant aeſtivi,
non tamen alii hiberni , ut qui dem Dodyellus putabat , fed verni brabantur
illi primis Olympiadum annis Hea catombeone menſe , hi Thargelione , exeun te
fere tertio Olympico anno . Sic definivit Corſinius tempora quatuor illuſtrium
Graea ciae ludorum , patefaciens obſcura & ignota vel ipſis chronologiae
luminibus Scaligero Petavio , & Dodwello , quorum auctoritate abreptus ipfe
in primo Faſtorum Atticorum libro Pythiades ſecundis Olympicis annis cona
cefferat . Agoniſticis hiſce Differtationibus , veluti faftigium operis , idem
adjecit feriem Hieronicarum alphabetico , ut dicitur , ordi ne diſpoſitam ,
& Dodwelliana longe ube riorem accuratioremque . Nam feptuaginta. ſupra
centum vitores recenſuit , qui Dod weilum prorſus fugerant ; fonteſque indic
cavit ( in quo Dodwelli diligentia ſaepiffi , me deſiderabatur ) unde
uniuſcujufque vin ctoris nomen , aud patria , aut aetas , aut tertaminis genus
, quo viciffet, hauriebatur . Hoc opus vehementer adeo Auctori fuo pro batum
erat , ut vir modeftiffimus in eo quo daininodo gloriari videretur . Etenim ,
ut At rico fcripfit Cicero , fua cuique Sponfa ,fuus quiqua 2007. Quoniam
autein tumuin his Agoniſticis Diſſertationibus , tum in Faltis ſcribendis faepe
uſus eſt Corſinius ſubſidio marmoreorum monumentorum , in quibus multae
occurrunt notae , quarum neque fa cilis, neque prompta fuit explicatio , fepara
tum opus. a ſe expectare putavit Graecarum antiquitatum ftudiofos , quo in
opere non ſolum ex marmoreis , fed etiam ex aereis Graecorum tabulis: varias
eorum notas colli geret , haſque explicaret atque illuſtraret . Quae dum animo
verſaret , fcriptionique jam manum admoviffet , ecce in lucem prodit Scipionis
Maffeii liber de Graecorum figlis l.z pidariis, in quo trecenta fere vocum com
pendia ingeniofe: feliciterque enodantur.. Cum Eduardus ab amico librum
accepiſſet , ei epi ſtolam fcripfit ( relata haec fuit in IV. vo lumen . diarii
Litteratorum . Florentiae editi ) in qua ſummas tribuit Maffejo laudes , quod
primus ex omnibus materiem hanc ſeorſim tractandam füfceperit ,, magnam in
illam con ferens.eruditionis copiam , & acre: prudenſ que judicium .. Non,
propterea tamen: ſpar tam , quam fibi ſumpſerat , ille deſeruit , quia , ut ait
Auſonius, is crat campus , in quo alius alio plura invenire poteft , nemo om.
nia . Et plura certe Corſinius invenit , cum mille fere notas , aut numerorum
vocum que compendia uno volumine colligere po tuerit & explicare illo ſuo
acutiffimo inge nio , cui inquirenti & contemplanti omnia occurrere ſe ſeque
oftendere videbantur . Ut vero delectatione aliqua alliceret adoleſcen tes ,
quibus inſuavis fortaſſe & aſperior via deri poterat ſiglarum inveſtigatio
, poftquam multa eruditiſſime praefatus effet de notarum origine , vi ,
utilitateque , opportune ſparſit in toto libro non pauca ad hiftoriam , geos
graphiam , chronologiam , ac mythologiam ſpectantia . Ex quibus aliiſque
diſciplinis ube riora etiam hauſit , ut ornaret Diſſertatio nes ſex , quas ,
abſoluta univerſa notarum ſerie , confecit, ut eſſent operis corollarium .
Explicant illae inſignes quaſdam Chriſtianac & profanae antiquitatis
inſcriptiones , ficque explicant , ut facile exiſtimari queat , eum qui non
comprehenderit rerum plurimarum ſci entiam , quique judicio certo & ſubtili
non fit praeditus , in his antiquitatis ftudiis ſatis callide verſari &
perite non poſſe . Inſcriptit Corfinius hoc ſuum opus : Norse Graecorum five
vocum & numerorum compendia , quae in gereis atque marmoreis Graecorum,
tabulis obſer vantur , dedicavitque Cardinali Quirinio , a quo pecuniam ad
illud ipſum evulgandum dono accepit . Etenim his temporibus haud illi magna res
erat, quae vix fatis efle vide batur ad vitam ſuſtentandam , neceſſarioſque. libros
emendos . Praepoſitus an MDCCXXXV. dialecticae ſcholae, nihil aliud annui ſtipendii
obtinuit nifi octingentos denarios . Hoc eſia fatum videtur nobiliilimae.
quidein diſcipli nae , ut pote quae per omnes diſciplinas ma: nat ac funditur ,
ut qui illam profitentur me: diocribus afficiantur praemiis . Vel ipſi Grae. ci
, quamvis ellent aequi liberalium artium aeftimatores , minam , eſſe voluerunt
inerce dem Dialecticorum. Coin.nodiori in ftatu res Corſinii eſſe coeperunt cum
traductus fuit (id accidit an. MDCCXLVI.) ad metaphyſi cam atque ethicam
docendam .. Tunc eniin ipfius ftipendium erat bis millenorum & am plius
denariorum , poſteaque illud ipſum ad quatuor. mille ducentos quinquaginta
uſque pervenit , cum proſperae. res multae confecutae fuiſſent . Satis ſuperque
id erat homi ni temperato ad vitam beatiſſimam ; videba turque libi ſuperare
Craffum divitiis . Quan tum vero ſorte ſua contentụs , quantiſque a moris
vinculis Academiae Piſanae obftrictus effet , ex eo conjici poteſt, quod mortuo
Lu dovico Muratorio Mutinenfis Ducis bibliothe cae praefecto in illius locum
fuccedere recu favit, quamvis liberaliſſime ipfius Ducis ver bis invitaretur .
Quo cognito ab Emmanue le Comite Richecourtio , qui Franciſci I. Cae faris
nomine res Etruriae adminiſtrabat, ipſe fingularibus verbis ei gratias agendas
cenſuit, eidemque prolixe de ſua non modo , fed & Cae aris voluntate
pollicitus eſt . Id non potuit Corfinio non fumme eſſe jucundum ; utque viro de
fe & de Sodalitate ſua bene ſemper merito gratum fe oftenderet dedica vit
illi Plutarchi opus de Placitis Philoſopho. tum a ſe Latinum factum , vitaque
Scripto ris , fcholiis , & diſſertationibus ornatum . Cauſſam ſuſcipiendae
novae interpretationis ei dem dederunt naevi quidam , quibus maçı lantur Budaei
, Xylandri , & Crụſerii honi num ceteroquin doctiſſimorum interpretationes
; ſuſceptam vero ita perfecit , ut ver bu pro verbo reddiderit , multaque etiam
attulerit de fuo , quae funt diverfo chara ctere notata , ne attenuata nimis
diligentia perſpicuitati officeret , & ne res ipfa omni Latinae orationis
dignitate cultuque deſtitu ta ſordeſceret . In limine operis Plutarchi vi tam
ex illius aliorumque veterum ſcriptis a ſe diligentiſſime colletam , &
feriem philo ſophorum , quorum placita a Plutarcho pro feruntur , aetatemque ,
in qua vixerunt , ex . poſuit . Singulis vero operis capitibus brevia adjecit
commentaria , quae aut mutilos & hiulcos Plutarchi locos ſupplent , aut de
pravatos emendant , aut obſcuros atque per plexos , opportune allatis aliorum
philoſo phorum ſententiis , illuſtrant . Siquando au tem longioris eſſe
orationis putavit Corſi nius lucem aliquam afferre rebus obſcuriſſi mis , cum
non Heraclitus ſolum , ſed & quiſ que fere antiquitatis philofophorum , quo
rum ſententias coarctavit & peranguſte re ferſit Plutarchus , Exotélv8
cognomen me reatur , hujuſmodi illuſtrationes ad finem li bri rejecit . Quo in
loco voluit etiam recenfere illuſtriores ſententias , quae propriae di cuntur
recentiorum philoſophorum , cum ea rum tamen manifeſta appareant veſtigia in
Plutarchi libro , quod profecto ad veterum gioriam amplificandam plurimum valet
. Ta les ſunt attractionis leges , vireſque , ut di cuntur , centripeta &
centrifuga, Charteſia ni vortices , lunae phaſes , maculae , quod que haec fit
terra multarum urbium & mone tium , converfio folis , planetarum , fiderum
que certa quadam celeritate ac periodo cir ca axes ſuos , natura , coſtans
motus , rever lioque cometarum , telluris motus , quodque ex eo cauſſa ' maris
aelus repetenda fit jegew’ewe explicatio , aliaque hujuſmodi mul ta tum ad
corporum , tum ad animi na turam pertinentia . Profecto nihil dulcius erat
Corfinio quam per abdita remotioris antiqui• tatis permeare , & inde nova
& inexpecta ta deferre , quae hominibus contemplanda bono in lumine
exhiberet . Nam , ut Ari ſtoteles inquit, fuo quiſque artifex ftudio atque
opera impenſius delectatur . Cum igi tur accepiffet ab Antonio Franciſco Gorio
amiciſſimo ſuo graphidem eximii cujųſdam anaglyphi , quod Romae viſitur in
Aedibus Farneſianis , non magnopere hortandus fuit, ut in illo exponendo
elaboraret . Exhibet hoc ſuperiori in parte Herculem cuin Eų. ropa , Hebe ,
Satyriſque quieri , voluptati que poſt exantlatos labores indulgentem, in
inferiori vero tripodem Apollini ſacrum , Ar givae Junonis Sacerdotem , atque
alatam Virginem , & Herculem demum ipſum ſe ſe expiantem , ut purus ad
Deorum conci lium afcenderet . Hinc & illinc anaglyphum ornant binae
columnae cum Graeca inſcrie ptione, quae multis verſuum decadibus Her culis
geſta commemorat : in ſupremo tan dein anaglyphi loco octodecim hexametra car
mina exculpta ſunt, quibus Herculis labores & certamina declarantur .
Praeclariſſimi hujus monumenti explicationem Eduardus libello quem ad Scipionem
Maffejum inſtituit, com plexus eſt ; ex eoque judicari poteft , vehe mens
afiiduumque ftudium ipfi copiam eru ditionis dediſſe , naturam vero tribuiſſe
in genium ad conjiciendum divinandumque fa ctum . Et fane divinationis cujuſdam
vide illum potuiſſe laceras ac depravatas multorum verſuum lacinias feliciſſime
corri gere atque ſupplere. Magnae antiquitatis ar gumentum praebere ſuſpicatus
eſt Doricam dialectum , qua exarata eſt inſcriptio , ne- ! que ipfe affirmare.
dubitat opus paullo poſt Alexandri tempora' , antequam Q. Flaminius priſtinam
Graecis libertatem redderet, perfe &um fuiſſe . Sed aliter alii ſentiunt (
1) qui bus nunc plerique affentiri videntur . Hoc ipſo ferme tempore Corſinius
ejuſdem Gorii poſtulationibus Diſſertationes quatuor con ceſſit , quae
impreſſae funt ab illo in vi. vo lumine Symbolarum litterariarum . Extricat pri
ma epigraphen ſculptam in labro interiori cujuſdam crateris ahenei Mithridatis
Eupa toris, qui crater in muſeo Capitolino, Vide Winkelman, Monumenti antichi
inediti Trel. Prelim . p . LXXIX . Idem quaedam alia notat in quibus deceptum
fuiſſe Corfinium arbitratur p. 39. (2 ) Sic interpretatur Corfinius mire
involutam in. ſcriptionem : Regis Mithridatis Eupatoris Regni anno 54.
Eupatoriftts Gymnaſii ( hoc eft civibus Eupatoriae , qui in Gymnafio certarunt
) ſenectutem conſeival , quod erat ad laudem vini , quo plenus crater vi
&ori con cedebatur . Alii aliter interpretanda extrema pracſertim
inſcriptionis verba exiſtimarunt , quorum fententiam plerique nunc fequuntur affervatur
. Secunda patefacit obſcuros igno ratoſque dies natalem & fupremum Plato
nis , qua occafione aliorum etiam virorum illuſtrium Archytae , Philolai,
Iſocratis , Ly fiae, Dionis , & Socratis aetates & tempora perſequitur
. Explicat tertia adverſam par tem numiſmatis Antonini Caeſaris , in qua
Prometheus humanum corpus ex luto fin gens , & Pallas capiti mentem ,
papilionis imagine expreſſam , inſerens confpiciuntur . Curioſa ſunt quae
excogitavit Corfinius , ut perſuaderet hominibus morem repraeſentandi humanam
mentem ſub papilionis imagine non ex miris hujus volucris affectionibus &
natura , non ex ipſa animi immortalitate , circuitu , aut tranſmigratione, non
ex Chal daicae , Graecaeque fapientiae fontibus , non ex arcanis amoris
myſteriis, fed ex fola ar tificum imperitia profluxiſſe . Cum enim unum idemque
nomen pſyches papilionem & ani nium deſignet, rudis artifex , qui primus
ani mum exprimendum ſuſcepit , non putavit hu jus ideam poffe melius excitari ,
quam obje eta imagine illius rei , quacum is commune nomen habet . Quarta
Diſſertatio demum in 106 EDUARDUS eo verſatur , ut oftendat mentitam &
falfam effe Latinam quamdam inſcriptionem , quae Piſis vilitur in Scortianis
aedibus . Summi labores , quos Corſinius impendit in conficien dis , quos
retulimus , libris , magna compen ſati fuerunt gloria , ut unus e multis , qui
illuſtrandae Graecae praefertim antiquitati ſe ſe dederunt , excellere judicaretur
. Cujus de praeſtanti in hoc rerum genere doctrina tan ta etiam judicia fecit
Scipio Maffejus , quan ta de nullo ; cujus teſtimonii auctoritas ma xima
reputari debet non folum quod ab hox mine prudentiſſimo proficifcitur , fed
etiam quia figulus invidens figulo , faber fabro , ut eſt Heſiodi dictum ,
alterius laudi & gloriae | minime favere ſoleat . Ex mutua opinione
doctrinae , fimilitudineque ftudiorum orta eft inter cos jucundiffima amicitia
, cujus tanta vis fuit , ut Corſinius aeſtate an. MDCCLI. quamvis non bene
valens, Veronam venerit aliquot menſes commoraturus apud amicum . Quo tempore
inter eos fuit familiariſſima focietas , & communicatio ftudiorum . Dono
accepit Corſinius a Maffejo tercentum fere Graecas inſcriptiones ( has Edmundus
Chici1 shullius collegerat, & fecundae Afiaticarum antiquitatum parti
reſervaverat ) ea conditio ; ne , ut eas Latine redderet atque illuſtraret ,
Satisfecit ille aliqua ex parte promiffo ſuo , cum anno inſequenti edidiſſet
eas inſcriptio . nes , quae ad Athenas ſpectabant ; eaſdem que iterum cum
commentariis edidit quam driennio poft , ut eſſent ornamento quarto Faftorum
volumini . Nono menſe poftquam in Etruriam rediit Eduardus , moritur Ale- '
xander Politus , quocum ille ita vixit , uit. quem pauci ferre poterant propter
difficilli mam naturam , hujus fine offenfione ad fum . mam fenectutem
retinuerit benevolentiam . Mortuo autem Polito neque inquirendum neque
conſultandum fuit quis illi ſucceſſor in Academia Piſana daretur , cum omnium
oculi ftatim in Corſinium conjecti fuiſſent . Ita hic exeuntė anno MDCCLII .
poftquam octodecim fere annos philoſophiam tradidif ſet , munus docendi
humaniores litteras li bentiſſimo animo ſuſcepit . Initio propoſuit fibi (nam
muneris ratio , & adolefcentium utilitas ab eo poftulabant, ut cum Graecis
Latina conjungeret ) explanare Plutarchi parallelas Graecorum , Romanorumque
vitas , ut inde occaſionem ſumeret utriuſque populi leges inter ſe conferendi .
Memoriter dicebat e ſuperiori loco , quod ad praeceptoris & ſcholae
dignitatem plurimum tum conferre putabatur ; & quae tradebat inſignita e
rant luminibus ingenii , & conſperſa erudi tionis ſententiarumque flore .
Genus dicen di erat quiétum & lene, purum & elegans, ut maxime teneret
eos qui audiebant , & non folum delectaret, fed etiam fine fatieta te
delectaret. Nulli diſcipulorum aditum ſermonem , congreſſumque fuum denegabat ,
quin immo eos bis in hebdomada domum ſuam invitabat , ut in ftudiis exerceret
Grae carum , Romanarumque antiquitatum . Domi etiam tradebat metaphyſicam , quo
onere non placuit Academiae Moderatoribus illum libe rare niſi anno MDCCLIV.
quo quidem tem pore Venetiis evulgavit ſuas Inſtitutiones Me taphyficas. In his
adornandis illud unum pro pofitum fibi fuit , ut in animis adoleſcentium rectas
de animae immortalitate , arbitrii li bertate , Dei exiſtentia , ceteriſque
naturalis theologiae dogmatibus notiones infereret, quibus in gravioribus aliis
diſciplinis veluti praeſidiis uti pofſent , quibuſque caverent a peſte quadam
hominum non tam religioni , quam reipublicae infeſta , quae rationem per
vertendo ubique venenatas opiniones diffe minare non veretur . Subaccuſent
aliqui, fi lubet, Corſinium , quod nimis, parcus fuerit in pertractandis
quibuſdam rebus , quae in ca , in qua nunc ſumus , luce ignorari mi nime poſſe
videntur ; omnes profecto uno ore fateri debent tales effe hafce Inſtitutio nes
, ut cupidi metaphyſicae nullibi poffint refrigerari ſalubrius atque jucundius.
Poftre mum hoc operum fuit , quae Corfinius Phi loſophiae dicavit , nifi dicere
velimus , eti am cum minime videretur tum maxime ila lum philofophari
conſueviſſe, Quod declarant ejus Latinae orationes ad Academicos Piſanos
refertae Philoſophorum fententiis , faluberri ma praecepta , quibus
adoleſcentes ad omne officii munus inftruebat , doctiflimoruin Phi loſophorum
familiaritates , quibus ſemper flo ruit , & ars illa diſtinguendi vera a
falſis , colligendi ſparſa , eaque inter ſe conferendi, diligenter examinandi
omnium rerum verbocum rumque pondera, nihilque afferendi fine evi denti ratione
, aut faltein probabili conjectu ra in qua arte quantum inter omnes un Aus
excelleret , praeſertim oftendebat , in vetuftatis monumenta inquireret . Hujus
inquiſitionis uber fane fructus fuit Diſſertatia illa de Minniſari, aliorumque.
Armeniae Regim nummis , Et. Arſacidarum epocha , quam idem in lucem extulit an
. MDCCLIV. Difficulta tis maximae fuit oftendere Minniſari num mum , quem
praecipue illuſtrandum Corſi nius ſuſceperat , ad illum fpectare Maniſarum
Armeniae & Meſopotamiae. Regem , de quo Dio Caffius in libro Romanae
hiftoriae LXVIII. mentionem fecit, & Arſacidarum epocham uon in Parthiae.
folum , fed etiam in: Arme niae regum nummis inſcriptam fuiffe , eam . que ab
anno Urbis conditae Dxxv. initium duxiſſe . Antea quidem doctiſſimorum viro rum
Uſſerii, Petavii , Noriſii , Spanhemii , Vaillantii, & Froelichij fententia
fuerat , ſe rius. Arſacidarum imperium incepiſſe , adver ſus quam ſententiam
Eduardus ita pugnavit, ut veritas non minus quam modeſtia eluxe rit . Quoniam
vero in antiquitatis ftudio multae res inter fe ita nexae & jugatae funt ,
ut , inventa una , aliae , quae prius latebant , ſe ſe contemplandas offerant,
ean ob rem Corfinius in Minniſari regis num mo explicando varia ſcriptorum loca
corri gere & ſupplere , verum Darii genus expo nere , Tiridatem alterum ,
Arfamem , aliof que Armeniae Reges Vaillantio prorſus in cognitos proferre
potuit . Res in hac Differ tatione contentae , non fine laude oppugnatae
fuerunt a Jeſuitis Froelichio & Zacharia , reſponditque ad ea , quae
objecta fuerunt , ſine iracundia Corfinius . Eteniin veritatis unice amans
alios a fe diffentire haud ini quo ferebat animo, ſemperque deteſtatus eſt eos
, qui ſuis ſententiis quaſi addicti & con . fecrati etiam ea , quae plane
probare non poſſent , conſtantiae, non veritatis cauſſa de. fenderent .
Propugnationem quoque Corſinii libello (*) ſuſcepit ejus convictor &
fodalis (*) Huic titulus eſt . Lettere critiche di un Pafton r Arcade ad un
Accademico Erruſco nelle quali ſi ſciola gono le difficoltà fane contro un'opera
del Reverendiſſia mo Padre Corſini nel Tom . IX. della Storia leveraria of
lialia &e, in Pisa 1957. in Carolus Antoniolius , qui quidem non me .
diocria adjumenta illi praebuit , cum pluri mum valeret in omni genere
ftudiorum quae ipſe excolebat . Magni quoque Acade miae fuit Antoniolii opera
in Graecis littea ris tradendis toto illo ſexennio , quo Corfi nius , coactus
capeſſere, ſummum Sodalitatis fuae magiſtratum , bona Principis cum ve nia ,
& fine ulla ſtipendiorum jactura Piſis abfuit . Hic Romam venit menſe.
Aprili an. MDCCLIV, ardens. defiderio indicia veteris memoriae , quibus
mirabiliter urbs. illa abun dat ( quacumque enim quis ingreditur in aliquam
hiſtoriam veftigium ponit ) cogno ſcendi . Sed raro ei poteſtas dabatur huic
ſuo . deſiderio, fatisfaciendi, cum podagrae dolori bus ſaepiſſime vexaretur ,
& munus ſuum diligentiſſime exequi vellet . Quanta vero pru dentia ac
dexteritate fuerit in tractandis ne. gotiis , quanta aequitate in conſtituendis
, temperandiſque, ſi res pofcebat, conſtitutis jam legibus , quanta humanitate
erga omnes , quantaque vigilantia ac providentia in con fulendo rebus.
praeſentibus , praecavendoque futuras , fatis praedicari non poteft . Cum autem
nihil ſine aliorum conſilio agere ei mos eſſet , & facilitate ſumma
uteretur in füos adjutores procuratoreſque , inde norza nulli materiem
ſumpſerunt falſae criminatio nis , quod ad aliorum magis quam ad ſuun arbitrium
res Familiae adminiftraret . Omnino totum fe tradidit Eduardus Sodalitati , to
tamque fic rexit , ut oblitus commodorum ſuorum omnibus proſpexerit . Non eſt
credi bile quanto animi dolore angeretur , fi ali quis ſuorum in crimen
vocabatur . Horrebar enim homo innocentiſſimus vel ipfam pecca ti ſuſpicionem .
Sed non propterea fontibus iraſcebatur, hofque clementia magis atque
manſuetudine , quam animadverſione & ca ftigatione ad frugem revocare
ſtudebat . Cum vero feveritatem , fine qua reſpublica adıni niftrari non poteſt
, adhibere cogebatur, similis, ut praeclare admonet Cicero , legum erat , quae
ad puniendum non iracundia , fed aequitate ducuntur . In his occupationi bus
muneris ſui, ne plane ceſſäre a fcriben do videretur , extare voluit
explicationem đuarum Graecarum inſcriptionum , quae mus ſeum ornant Bernardi
Nanii Veneti Senatoris.quam feliciter id praeftiterit , perſcrutata prius
litterarum priſcarum , quibus illae con fcriptae ſunt , forma atque vi , facile
judica bunt ii , qui ſunt harum deliciarum amato Tes . Tentaverat eamdem rem
Franciſcus Za nettus, ſed longiſſime aberravit a vero ejus interpretatio . Ipſe
Eduardus cum Anconae effet ineunte anno MDCCLVI. eoque prae ſente cum multis
aliis detecta fuiſſent atque agnita corpora Sanctorum Cyriaci , Marcelli ni
& Liberii, quos ſingulari obfequio ea dem civitas venerațur, incitatus
fuit, ut ali quid laboris impertiret illorum Sanctorum illuſtrandae hiſtoriae ,
definiendoque praeſer tim tempori , quo tranſata eorumdem cor pora fuerunt in
eum , ubi nunc jacent , lo cum , & quo Anconae coli coeperunt . Haec
Corfinius , edito commentariolo , accidiffe - ftendit exeunte faeculo XI. ,
& ex ipfis an tiquitatis monumentis quibus ſententiam ſuam confirmavit ,
quatuor Anconitanorum Epiſcoporum nomina in lucem protulit , quaç uſque ad id
tempus fuerant incognita , Per pauca in hoc commentariolo attigit de S, Liberio
, quod ejus hiſtoriam involutam tenebris & fabulis exiſtimabat , Mox cum ei
aliquid luminis affulfiſſet , & monumentorum ope , & mirabili illa ſua
conjiciendi arte pa tefacere potuit Liberium fuiſſe unum ex fo ciis S.
Gaudentii Abfarenſis Epiſcopi , qui circiter an. MxXxx. Anconam venit , fo
litariam vitam acturus in ſuburbano mona ſterio Portus Novi . Harum rerum
inventio multis laudibus. celebrata fuit a Scriptoribus annalium Camaldulenſium
(*) : pergrata quo que fuit. Benedicto XIV. pro ejus. fingulari ftudio in
Anconitanam Ecclefiam . Hic cum ſaepe ad congreffum colloquiumque ſuum
invitaret Eduardum , quod ejus ſummum in genium , fuaviffimos. mores , atque
eximiam probitatem & nofſet & diligeret , ſaepe quo que ipſum
hortabatur ,, ut ea pergeret man dare litteris , quae abdita Chriſtianae anti
quitatis patefacerent . Sed fuerunt juftae ca uffae quare. Corſinius
amantiffimis. Pontificis M. conſiliis minime obtemperavit ; & quid quid
fubciſivorum temporum incurrebat, quae perire non patiebatur, libentiffime concede-.
( * Vid . Tom . III ., bat ſuis priſtinis ftudiis . Ruſticabar cum eo in
Tuſculano, quando epiſtolam ſcripſit ad Paullum Mariam Paciaudium , in qua
plura de Gotarzis eximio nummo , ejuſque , Bar danis , & Artabani Parthiae
Regum hiſtoria perſecutus eſt, & pro jure noftrae amicitiae ab ipſo
poftulabam , ut in otio , quod raro da batur , & peroptato illi dabatur,
ceffaret a libris & a ftilo . Verum cuin is eſſet ut fi ne his ftudiis
vitam inſuavem duceret, di cere folebat hujuſmodi ſcriptiones non pre mere ,
ſed relaxare animum . Et relaxatione certę aliqua ille indigebat , cui grave
adeo erat , quod multi appetunt , ceteros regendi munus , ut onus Aetna majus
ſibi ſụſtinere videretur . Poterat quidein illi eſſe lovaniens to recordatio
multorum benefactorum , inas ter quae maximum illud reputari debet quod eo
ſexennio , quo ad Sodalitatis gum . bernaculum ſedit , viginti domus , five
cole legia conſtituta ſunt . Interim advenit tem pus , quo magiſtratu fe
abdicare , & extre mos auctoritatis fuae fructus capere debe bat in
provehendo digno viro , qui fibi fuc cederet . Verum minime illi : contigit ,
ut funt ancipites variique caſus comitiorum , quem optabat, exitus. Peractis
comitiis, fine mora rediit ad Academiam Piſanam & ad il lamºquietam in
rerum contemplatione & co gnitione maxime poſitam degendae vitae rae
tionem, qua qui frueretur, negabat ei aliquid deeffe ad beatė vivenduin . Liber
de Praefe . ctis Urbis ei erat in manibus ; Graecas in fcriptiones in Aſia
repertas , quas , ut ſupra retulimus , a Scipione Maffejo dono accepe rat ,
quafque jampridem Latinas fecerat, co pioſis commentariis explicabat ; aderat
diſci pulis ſuis ; veniebat frequens in Academiam , afferebat res multum &
diu cogitatas, facie batque fibi audientiam hominis erudita, com pta & mitis
oratio . Idem efflagitatu & coae tu amicorum inftituta. hoc tempore opera
abrupit , ut explicationem lucubraret cujuf dam nummi recens in Auſtria reperti
, in quo erat nomen & imago Sulpiciae Dryan tillae Auguſtae. Conjecit ille
feminam hanc libertam fuiſſe, libertatémque accepiffe a Sul picio quodam , ab
eoque in Sulpiciam ģen tem receptam ; nupfiffe demum Carinó fcea leftiffimo
Imperatori. Haec porro incerta. Illud unuin ſine ulla dubitatione colligi pof
fe videtur ex nummi fabrica, characterum forma, feminaeque ornatu , illum ipſum
num mum cuſum fuiſſe inter Elagabali & Diocle tiani imperium , proptereaque
Dryantillam ad aliquem Imperatorum , qui illo intervallo re gnarunt, pertinere.
Neque his contentus Edu ardus voluit etiam excutere hiſtoricorum & rei
nummariae interpretum mire inter fe dif ſidentes opiniones de Aureliani ac
Vaballa thi imperio atque aetate , ac poftremo ſuam ſententiam proferre . Fuit
haec , Aurelianum exeunte Julio , vel ineunte Auguſto anno CCLXX. imperium
ſuſcepiſſe , eaque multis & gravibus confirmatur argumentis . Ad ex vero
diluenda , quae contra dici poterant ex illorum ſententia , qui praeſertim niti
vide bantur lege quadam data a Claudio VII. Kal. Novembris Antiochiano &
Orfito Con ſulibus , ut ſerius Aurelianum inchoaffe im perium perſuaderent,
diſtinguit Conſules or dinarios a ſuffectis . Hac autem conſtabilita
diſtinctione , quae maxime apta erat non fo lum ad id , quod requirebat , ſed
etiam ad expediendos alios , quos vel ipſe Scaliger in diffolubiles in
Chronologia exiſtimaverat now dos , concludit eamdem legem editam fuiffe anno
cclxix. vel CCLXVIII. quando An tiochianus & Orfitus ſuffecti Conſules
erant, minime vero anno cclxx. iiſdem Confuli bus ordinariis . Nec minor
difficultas erat o ſtendere , qui fieri potuerit , ut Aurelianus ad vil.
Imperii annum perveniffe dicatur , & explicare locum Euſebii , qui tradit
in ejuſdem tempora incidiffe in . Antiochenam Synodum : exploratnm eft enim
hanc Sya nodum anno cclxix. incoeptam & abſolu tam fuiſſe . Feliciter haec
praeftitit Corſi nius , cum probaſſet Aurelianum anno & ultra antequam a
legionibus poft mortem Claudii Imperator fieret , ab ipfo Claudio deſtinatum
ſibi fuiſſe ſucceſſoreni , adeoque ampla poteſtate donatum ut ab hoc tema pore
nonnulli ejus Imperii initium ſumere potuerint . Quae vero de Vaballatho
diſream ruit Corſinius haec ferme ſunt . Illum Ze nobia procreavit ex Athena
priori viro , ejuf demque nomine ab anno ccLXXVI. uſque dum Claudius in
Gothicum bellum uni ce intentus vixit , Orientis imperium te H4 ut nuit . Ex
quo factum eſt , ut quae hoc tem pore cuſa funt Vaballathi numiſmata , Impe.
satorem Caefarem Auguftum illum nominent . Poftquam vero ille deſciviſſet a
matre , Aureliano adhaereret, huic quidem conjun octus in nummis repraefentari
voluit, minime vero paludamento , radiata corona , fplendi doque Augufti nomine
decoratus, ſolo Im peratoris contentus . Praetereo alia multa Scitu digniſſima
in hac Diſſertatione conten ta , ne , cum nimis longus in recenfendis ſcriptis
operibus fuerim , videar oblitus con ſuetudinis & inſtituti mei . Hujus
libelli ( cil ra liberatus Corfinius totus in eo fuit, ut ab Solveret ſeriem
Praefectorum Urbis ab Urbe con dita ad annum afque MCCCLIII. five a Chri fto
nato DC. Etenim poſteriora tempora mi nime inquirenda putavit , quibus ,
penitus fere exſtincto Urbanae Praefecturae fplendo re ac dignitate , nonniſi
tenue nomen , ac leviſſima priſtinae majeſtatis umbra ſuperfuit ; ex quo
fiebat, ut nihil inde lucis facra & profana ſperare poffet hiſtoria , cum
contra uberrimam fplendidiffimamque utraque acci. peret ex veterum Praefectorum
ferie , horumque aetate rite conſtituta . Ut vero non utilitate ſolum , ſed
etiam jucunditate lecto res invitaret Corſinius , operi varia opportu ne
admifcuit , quae marmora & ſcriptores , quorum teftimoniis ubique fere
utitur , cor rigunt & illuſtrant , interpretumque falſas opiniones atque
errores emendant . Non ego ſum neſcius multos anteceſſiſſe Corſinium in
hujuſmodi pertractando argumento ; ex qui bus omnibus , ac praefertim Jacobo
Gotho fredo ac Tillemontio plurima in rem ſuam tranftulit . Sed ii exiguis
finibus operam fuam continuerunt , fi unum excipias Feli cem Contelorium , qui
contextam a Panvi . nio Praefectorum ſeriem ad annum uſque MDCXXXI. traduxit .
Tale tamen non fuit Contelorii opus , quin eadem de re aliquid politius ,
copiofius , perfectiuſque proferri a Corſinio potuerit . Et protuliffe certe
ipſum oportet , cum magna fuorum laborum prac conia ab intelligentibus viris
reportaverit . Mi rari hi tantummodo viſi ſunt quod aut is in gnoraverit hac
ipſa in re plurimum quoque elaboraſſe Almeloveenium , aut quod hujus fcripta
conſulere praetermiſerit. Id profecto & praeſtitiſfet abundantius &
copiofius pro poſitae fibi rei ſatisfacere potuiſſet , neque poftea
ventofiffimi homines triftem fuftinuif fent notam calumniatorum , qui nullo in
pre tio ob pauca quaedam a Corſinio praetermif ſa hujus opus habendum inflatis
buccis clamitarunt . Ne hi verbofis fibi famam ad quirerent ſtrophis vel apud
imperitam mul titudinem, factum eſt diligentia Cajetani Mari nii, qui librum Bononiae
an. MDCCLXXII. edidit, quo non folum eorum obftitit injuriis, verum etiam nova
a ſe inſcriptionum ope detecta Praefectorum Urbis nomina in lucem protulit .
Sed ad Corſinium revertor , qui dum fine intermiſſione obſequebatur ftudiis
ſuis & adoleſcentium utilitati, oblitus vide batur fe jam fenem factum (
quando enim typis mandavit librum de Praefectis Urbanis ſexageſimum primum
aetatis annum agebat ) & infirma aegraque valetudine effe . Sed ac Hujus
eſt inſcriptio : Difefa per la ſerie de' Pree fetti di Roma del Ch . P. Corfini
contro la cenſura farie . le nelle offervazioni ſul Giornale Piſano , in cui le
della Serie si suppliſce anche in affai luoghi e le emenda . In Bon logna e S.
Tommaſo d'Aquino in 4. Vide Pilanas Ephcm meridcs vol. VIII. p. 179 eidit
miſerabilis caſus , qui repente ipſi onga nem ſpem non folum litteris , ſed
etiam na : turae vivendi praecidit . Erat haec conſuetu . do Academiae Piſanae,
ut qui humaniores lite teras profitebantur , Kalendis Novembris , quo tempore
inftaurari ftudia folebant, Latinam om rationem haberent ad vehementius
inflamman dam cupidam doctrinarum juventutem . Di cebat eo ipſo die Eduardus (
vertebat tunc annus tertius fupra fexageſimum hujus fae tuli ) de viris , qui
& ſcriptis editis , in ventiſque rebus in Academia maxime florue runt ,
eaque erat oratio , ut nunquam is di xiſſe melius judicaretur . Cum eo
pervenirſet, ut exultaret in immenſo Galilaei laudum campo , repente apoplexis
ipſum perculit , ac ſemivivum reliquit . Dolore hujus caſus o ſtenſum eft
quantum ille Academiae eſſet ac ceptus . Aegre domum deductus , ibi quatri duo
cum morte conflictatus eſt. Quinto die, multis adhibitis remediis , levari
coepit , ac praeter ſpem paullatim convaluit . Ut arden ter deſideraret priſtinas
recuperare vires , efficiebat ille fuus ſingularis amor in Aca demiam , cui
majus ſe non poſſe munus afferre videbat , quam fi inſtitutum juſſu Prin cipis
biennio fere ante opus de ejuſdem Academiae ortu , progreſſu ac vicibus ad
umbilicum perduceret . Plurima collegerat at que vulgaverat ad hanc hiſtoriam
pertinen tia vir diligentiſſimus Stephanus Maria Fa bruccius Juris civilis in
eadem Academia do ctor , quae quidem ampla & bella materies effe poterant
ad novum aedificandum opus . Hoc igitur ſubſidio inſtructus Eduardus , ala cer
ſe ſe ad rem accinxit . Et primo qui dem illuftrium Italicorum Gymnafiorum ori
ginem ſubtexuit , diſſerenfque quatuor prio ribus capitibus de prima Gymnaſii
Piſani in- : ſtitutione, neque ab xi. neque a xiv. Chris fti faeculo , ut multi
ſcripſerunt , fed ab ine unte XIII. vel exeunte xii . illam repeten dam effe
exiſtimavit . Ex hoc tempore ad annum uſque MCCCXXXIX. , quo anno Fa bruccius
contendit coepiſſe Academiam Piſa nam , hanc fi nullam dicere nolumus , mi
nimain certe fuiſſe oportet . Conſecutae des inceps yices multae , ut ipſa modo
langues ſcere , modo ad interitum properare , vires vitamque modo recuperare ,
ac faepe etiam veluti extorris ſedem mutare viſa fuerit , Quae omnia octo
conſeqılentibus capitibus perſecutus eft Eduardus . Cum vero Acade miae res ,
imperante Coſmo I. ceteriſque.non solum Mediceis, sed etiam Lotharingis Principibus
, feliciflime proceſſiſſent , quibus ab his beneficiis, ſplendore atque gloria
aucta, quibuſque gubernata legibus consuetudinibusque, variis interdum pro
temporum varietate, exposuit in quatuordecim capitibus , quo rum nonnulla
adumbrata magis quam de fçripta videntur . Haec omnia primam ope ris partem
conficere debebant , cum refer vafſet alteram, quam tamen minime attigit,
Doctorum vitis. Dum haec scripta legebam videbatur mihi pofſe ab Auctore
defiderari major rerum copia , magiſque apta ac preſ fa oratio. Inest quidem in
omnibus Corsinii scriptis luxuries quaedam , quae , ut in herbis ruſtici ſolent
, depaſcenda erat; quod fi eft vitium in omni oratione , maximum tamen eſt in
hiſtoria , in qua pura & illu fțris brevitas expetitur . Eodem tempore, quo
Eduardus in Academiae historiam incumbebat, ne plane superioris aetatis Audia
de servisse videretur, epistolam fcripfit ad ami cum & collegam fuum
Franciſcum Albi zium , in qua de Auſonii Burdigalensi consulatu egit,
Desperaverant vel ipsi chronologiae Patres Panvinius & Pagius,
computationem quamdam annorum ah. Auſonio factam in e pigrammate, ad Proculum ,
in quo, ab Urbe condita ad consulatum suum CXVIII. an nos enumeravit,
conciliari posse, cum Varroniana epocha , ideoque, novam excogitarunt epocham
XIII. annis Varroniana pofte riorem , qua non solum Ausonium, sed etiam
Arnobium usos fuisse scripserunt. Horum aliorumque Auſonii interpretum errorem
ut corrigeret Eduardus, probare debuit. Auſonium non Romanum, modo, fed &
Bur digalenſem geffiffe consulatum, & Romanorum & Burdigalenfium Consulum
fastos conscripsisse . Qua distinctione constabilita , facile fuit oftendere
eumdem Aufonium in ea pigrammate , quod ad Heſperium filium ini fit cum Romanis
faſtis, de Romano, a ſe ges: ſto consulatu, in epigrammate autem illo, quod est
ad Proculum, de patrio, municipali, quinquennali (etenim in municipis omnibus
majores magiſtratus quinquennales eſſe ſolebant) de Burdigalenſi nimirum con. ſulatu
locutum fuisse. Hanc epistolam secuata est altera ad Joannem Chrysostomum Trom
. bellium Canonicum Regularem , in qua do nummo quodam ab Athenienſibus Livia
Augustae dicato, illiuſque aetate differens, feminam illam non ſupremis tabulis
, ſed matrimonii jure a marito nomen Auguſtae accepiſſe pluribus monumentis
comprobat. Quae quidem aliaque ex abditiſſima antiqui. tate deprompta , quae
fparfit Corfinius in hac epiſtola , ut jucunda lectoribus , ita iif dem plena
moeroris fore arbitror , quae in extrema pagina ejuſdem epifolae Trombel lius
adnotavit. Scribit enim ille : Dum extre mam hujus epiſtolae partem edimus ,
monemur , eodem fere tempore , quo Brixiae egregius Maza zuchellius , inclytum
Corfinium noftrum Pisis apoplexi repente ereptum . Eheu litterae aflicłae ! o
amicos incomparabiles ! o annum vere calami 10fum & peffimum ! Dies , quo
illum apople xis iterum invafit , fuit v. ante Kal. De cemb. anno MDCCLXV. poft
quem caſum tribus ferme diebus vixit fine ſenſu , Sepultanta tus eft in Aede S.
Euphraſiae totius Acade miae luctu , quae hanc calamitatem acerbif fime doluit
, doletque adhuc reminiſcens ſe orbatam homine, in quo plurimae erant lit terae
eaeque interiores , divinum ingenium , ac induſtria fumma ; fruebatur vero
nominis celebritate, ut hac fola muneris fui fplendorem tueri potuiſſet. Atque
haec vi tae decorabat dignitas & integritas . Quan tả gravitas mixta
comitati in yultu & moribus ! quantum pondus in verbis ! ut nihil
inconſideratum exibat ex ore ! quam diligen ter inquirebat in fè ſe, atque ipſe
ſe ſe ob Servabat I Oinnino tantus erat in ipso ordo, conſtantia, &
moderatio dictorum omnium atque factorum , ut probitatem & religio nem prae
se ferret , & ad omne virtutis de cits natus videretur. Quidquid come
loquens, & omnia dulcia dicens mirabiliter ad se diligendum omnium ani mos
alliciebat; si vero in familiari sermo ne a quopiam dissentiret , contentiones
disputationesque vitabat, quod non tam na turae quam virtutis erat. Etenim
iracun diae aculeos aliquando sentiebat, sed hos perpetuus cupiditatum domitor
frangebat, pla neque occultabat . Secum ipſe vivens animi triftitiam frequenter
patiebatur , praeſertim si contemplaretur misera, in quae incidimus, tempora,
quibus corrumpere, & corrumpi saeculum vocatur. Quod vero nonnulli per
verſe adeo abuterentur philofophia, ac prae ſertim metaphyſica , ut ea animos a
religio ne avocarent , tanto illum perfundebat horrore , ut vehementer
poenitere eum non nunquam videretur industriae suae , quam in erudienda
juventute ad recentiorum philoſo phorum dogmata inſumpſerat . Quae quidem poenitentia
injurioſa mihi videtur; omnium artium parenti philosophiae, quasi ejus culpa,
quae deflebat mala Eduardus, accidif ſent. Etenim ſunt unicuique ſcientiae :
certi fines ac termini ab omnium rerum modera tore Deo constituti, quos qui
tranfilit, nae ille devius in praecipitem locum ruat necese est . Sed ad
Corfinium revertor, de cujus laudibus non eft tacendum ſummae illum bonitati
ingenuitatique ſummam dexterita tem , ſi oportuiſſet, conjűxisse. Liberalis minimeque
cupidus pecuniae hanc facile a se extorqueri patiebatur. Virorum litteris illus
ftrium amicitias ftudiofillime coluit, amavitque in primis Trombellium &
Paciaudium , quo rum mentionem fupra fecimus, quorumque conſuetudinis magnum
cepit fructum eo prae sertim tempore, quo Romae fuit. Dolui in pſum
combufliffe, quas ab amicis accipere solebat, epistolas , quia ſciebam in iis
erudita multa contineri: eae quidem mihi non me diocri subsidio futurae
fuiſſent huic explican dae vitae . De qua fatis erit dictum , fi hoc unum addam
, eumdem ineditas reliquiffe bi nas Dissertationes de S. Petro Igneo , & B.
Joanne delle Celle; librum de civitatibus, quarum mentio sit in graecis nummis
, ſex que Latinas orationes habitas in Academia Piſana , ex quibus lenitas ejus
fine nervis cognoſci potest. Opere: “Instıutiones philosophicae, ac
Mathemaricae ad ufum Scholarum Piarum : Tomus I. Florentiae typis Bernardi
Paperini, continens physicam generalem, continens libros de coelo Es mundo, continens
tractarum de anima, E metaphysicam
continens ethicam vel moralem continens institutiones mathematicas
Editae iterum fucrunt hae institutiones in V. mos diſtributae Bononiac ex ty
pograghia Laclii a Vulpe cum hoc titulo Cl. Reg: Scholarum Piarum, & in
Pisana Academia Philosophiae Professoris Institutiones Philosophicae ad un fum
scholarum Piarum edirio altera auctior & emendarior; Ragionamenti intorno
allo fato del fiume Arno, dell acque della Valdinievole, In Colania appresso
Heng Werergroot, in 4. “Elementi di Matiemasica, ne' quali sono con migliori
ardine e nikovo metodo dimostrare le più nobili e necesaria proposizioni di
Euclide, Apollonio, e Archimede, Ch . Reg. delle Scuole Pie : in Firenze .
nella Stamperia di S. A. R. per li Tartini, e Frasa ahi in 8 . Hace elementa
mathematica edita secundo fuerunt Year I 2 1 netiis apud Antonium Perlinum , in
qua edie tione quaedam mutata ſunt , emendatufque error, quo cao ptus fuerat
Auctor, dum in priori editione exposuit propoíitionem XXXV. Libri XI. Venetae
huic editioni a djc&us est ejusdem Auctoris liber della Geometria Pranica; Ragionamento
Istorico Sopra la Valdichiana, in cui si descrive la antica e presente suo
stato” (Firenze nella Stamperia di Franceſco Moucke in 4); “Faſii Anici in
quibus Archonium Athenienfium sea ries , Philosophorum, aliorumque illustrium
Virorum deras arque praecipua Acicae historiae capita per Olympicos annos
disposita describuntur, novisque observationibus illustrantur: ACl. Reg.
Scholarum Piarum in Pisana Academia Philosophiae Professore, Florentiae, ex
typographia. Jo . Pauli Giovannelli ad insigne Palmae in Platea S. Eliſabeth .
Tom .II. prodiic. ex eadem typo graphia . Tom . III. prodiit anno 1751. ex
eadem typographia . Tom . IV . prodiit ex Imperiali typographia Cl. Reg. Scholarum
Piarum in Acadeo mia Pisana Philosophiae Profeſoris Differtationes. IV
Agonisticae, quibus Olympiorum, Phychiorum, Nemeurum, ale que Isthmorum lempus
inquiriiur ac demonftrarur: Aco redit Hieronicarum catalogus eduis longe
uberior Es accurarior. Florenciae ex typographia Imperiali. In cxtrema pagina
hujus libri öxhibetur integra feries menfium Macedonicorum, Atticorum , &
Romanorum ad de mondirandun veruna corum ficum ac connexionem ; quam ſeriem hoc
quoque in loco nos exponemus , quia rem gratam antiquitatis ſtudioſis facturos
arbitramur. Series enim a Corfinio contexta differt nonnullis in nienſibus ab
ca quam Scaliger, Uſterius, Petavius, Dodwellus, aliique descripferunt, i Macedonici
Atrici Romani Lous Gorpiaeus Hyperbercraeus Dlus Apellaeus Audynaeus Peritius
Dystrus Xanthicus Artemisius Daiſius Panemus Hecatombeeon Meragirnion
Boedromion Pyanepſion Maemacterion Pofideon Gamelion Anthefterion Elaphebolion
Murychion Thargelion Scirrhophorion Julius Augustus September October November
December Januarius Februarius Marrius Aprilis Majus Junius Lettere intorno all'
opera del Marchese Scipione Maffei intitolata: Graecorum Siglae lapidariae.
Extat in tom. 4 . par. 3. del Giornale de’ Letterati pubblicaro in Firenze
notae graecorum , five vocum Ex numerorum compen dia , quae in aereis atque
marmoreis Graecoruin rabulis ob. fervantur . Collegii, recenſuit, explicavit,
eaſdemque cabu las opportune riluftravia Eduardus Corſinus Cl. Reg. Scholas)
rum Piarum in academik Piſina Philoſophiae Profesor . Accedunt Differtationes
ſex , quibus marmora quaedam rum facra cum profana exponuntur ac emendantur.
Florentine Tographio Imperiali in fol. Plutarchi de Placitis Philofophorum
libri V. Larine reddidit , recenſuir , adnotationibus , variantibus lectionibus
, diferrationibus illuſtravit Eduardus Corfinius Cl. Reg. Schoe laruan Piarum
in Pisana Acad. Philosophia Professor Flo. seniige ex Imp. Typographio, Disertationes
IV quibus antiqua quaedam insignia moc sumente illuſtrantur . Vide eas, Symbolarara
litercriarum Antonii Francisci Gorii. Herculis quies & expiatio in eximio
Farnesiano mere more expresa : in fol. Inscriptiones Articae nunc primum ex Cl.
Maffeii Schea dis in lucem editae latina interpretatione brevibusque
observationibus illuſtratae Cler. Regul. Schole sunr Puarum in Academia Pisana
Philosophiae Professore. Florenciae ansio ex typographio Jo. Pauli Giovannel li
in 4 . Solecta ex Graeciae Scriptoribus in usum ſtudiosae Juvent. sutis ,
Florentiae ex Imperiali rypographio ir 8 . Inſtitutiones Metaphyſicae in ufus
Academicos auctore Eduardo Corfi:n0 Clericorum Regularium Scholarum Piaruz in
Academia Pifana . Philoſophiae Profeſore . Vesieriis ex Typographia Balleoniana
in 12 Eduardi Corſini Cl. Reg. Scholarum Piarum in Acco demia Piſana humaniorum
litterarum Profeſſoris de Minni fari aliorumque Armeniac Regum nummis , &
Arſacidarum Epocha Differtario Liburni typis Antonii Santini & Sociorum in
4. Spiegazione di due antichiſſime inſcriçroni Greche indie ricare al
Reverendiffimo Padre Anton Franceſco Vezzofi, Prepoſto Generale de Cherici
Regolari , Lettore nella Seo pienza Romana , ed Eſaminatore de' Vefcovi da Edoardo
Corfini Ch . Reg. delle Scuole Pie. In Roma, nella Stamperia di Giovanni Zempel
in 4 . Relazione dello scuoprimento e ricognizione fatta in Ancona dei Sacri Corpi
di S. Ciriaco , Marcellino, e Lia berio Proiettori della Circà ; e Riflefroni
ſopra la translazione, ed il culto di queſte Sanci . In Roma, nellu Stampe ria
di Giovanni Zempel in 4. Eduardi Corfini Cler. Regul. Scholarum Piarum, En in
Academia Piſana humaniorum literarum Profeffuris Dis Seseario , in qua dubia
adverſus Minniſari Regis nummum , & novam Arſacidarum epocham a Cl. Erasmo
Froelichio s. J. proposita diluuntur. Romae ex typographio Palla dis in 4.
Eduardi Corſini Cler. Regul. Scholarum Piarum & in Academia Pisana
humaniorum lirerarum Profeſoris ad Cles riflimam virum Paulum Mariam Paciaudium
Epiſtola , ir qua Gotarzis Parthiae Regis nummus hactenus ineditos expli Catur
, & plura Parthicae hiſtoriae capita illustrantur . Romae, in Typographio
Palladis . Excudebant Nicolaus & Marcus Palearini ir 4 .Cl. Reg. Scholarum
Piarum in Pifar:& Academia humaniorum litterarum Profeſoris Epiftolae rres ,
quibus Sulpiciae. Dryantillae, Aureliani ac Vaballathi Avea guſtorum nummi
explicantur & illuſtrantur. Liburni apud Jo. Paullus Fanthechiam ad fignum
Verit. in 4 . Series Praefeciorum Urbis ab Urbe condira ad annum uſque
MCCCLIII. sive a Chriſto naro DC. collegit , rem cenſuit , illuſtravir Eduardus
Corſinus Cler. Reg. Scholarum Piarum in Academia Piſana humaniorum liuerarum
Professor Pisis excudebar Joh . Paulus Giovane nelius Academiae Pifunae Typographus
cum Sociis in 4. Notizie Iſtoriche intorno a S. Liberio ſepolto e venera 10
nella Cattedrale della città di Ancona all' Eminentiffimo Signor Cardinale
Acciajuoli Veſcovo di detta città . In Are cona nella Sramperia Bellelli in 4. Cl. Reg. Scholarum Piarum , in Academia Piſana
humaniorum litterarum Profeſoris Epiſtola de Burdigalenfi Aufonii Confulatu .
Piſis Exe cudehar Joh. Paulus Giovannellius Academiae Pifanae inyo pographus cum
Sociis in 4. Clericor. Regular. Scholarum Pia rum Ex- generalis , & in
Pifana Univerſitare Primarii Les coris ed Joannem Chryſostomum Trombellium canonicorum
Regularium Congregationis S. Salvatoris Ex-generalem & S. Salvatoris
Bononiae Abbatem Epistola, Bunoniae, ex
typographia Longhi in 4; Disertazione sopra S. Pietro Ignes, sopra il B.
Giovanni delle Celle; De Civitatibus, quarum mentio sit in Graecis nummis, Pars
I. Historiae Academiae Pisenae, Latinae Orationes VI, Ad Academicos Pisanes. Odoardo
Corsini. Edoardo Corsini. Silvestro Corsini. Keywords. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Corsini” – The Swimming-Pool Library.
CORTESE (Milano). Filosofo
e alpinista. Grice: “I love Cortese; first he wrote on Frege, whose views on
‘aber’ are very much like mine on ‘but’! – But then he also wrote on ‘irony,’
alla Socrates – as per Kierkegaard’s example, “He’s a fine fellow! => He’s a
scouncrel --, and most ‘theoretically,’ as the Italians put it – on the
‘principle of meaning’ – significato – which had me thinking – I very freely
speak of the principle of conversational helpfulness, but somehow, principle of
‘signification’ sounds obtuse! Signification seems too natural to require a
principle! If helpfulness and benevolence are evolutionary traits, they are
certainly NOT ‘instituted’ as principles, even if they are requirements for
trust and the ‘institution of decisions’!” “I am anything but a contractualist,
and principle has to be taken with a pinch of salt!” If I speak of a rational
constraint, the idea of a principle evaporates: it’s conversation as rational
cooperation – as I put it – as different from and stronger than ‘conversation
as mere cooperation’ – but this slogan frees us from a commitment to the
existence of a ‘principle’ to which we might want later to provide with some
sort of ‘psycho-logical’ validation!” Di una famiglia originaria di Sant’Angelo
Lodigiano. Si laurea a Trieste e Milano sotto Bontadini e Noce. Insegna a
Trieste. Studia Kierkegaard, Gioberti. Italianismi in Kierkegaard. Altre opere:
“Kirkegaardiana” (Milano); “Esistenzialismo e fenomenologia” SEI, Torino); “Protologia
e temporalità, Gregoriana, Roma); “Kierkegaard” (Milan); “Del principio di
creazione o del significato” Liviana, Padova, Kierkegaard” (La scuola,
Brescia); “Ironia” (Marietti, Genova); La Creazione: Un'apologia accidentale
della filosofia” (Marietti, Genova); “Il negozio del sapone, Liviana, Padova);
“Enten-Eller ([Victor Eremita” (Adelphi, Milano); “L'attrice” (Antilia,
Treviso); “Un discorso edificante” (Marietti, Genova); Il naturale e il
sovra-naturale (Padova); Ermeneutica” (Lint, Trieste), “Il responsabile” –
“Eden” – “Introduzione all’introduzione” del Gioberti – “Frege: signare il
concetto”; “Liberalismo” -- Grice: Can a sign have a different meaning for
utterer and recipient? – If so, why do we keep calling communication – signare
seems to be still good enough! -- Alessandro Cortese. Keywords: Kierkegaard,
soap, sapone, actress, attrice, edifying discourse, discorso edificante,
naturale/sopra-naturale/preter-naturale, Paul Carus, hyperphysical. Those spots
means she has the devil inside her. Praeter-natural implicatura, supra-natural
implicature, non-natural implicature, natural implicature. “Del significato”,
ironia socratica, sapone, Savona, signare il concetto, sovrannaturale,
liberalismo, il responsabile. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cortese” – The
Swimming-Pool Library.
CORVAGLIA. (Melissano).
Filosofo. Grice: “I love Corvaglia – or corvus in diluvio, as he called
himself! – a very Italian philosopher and thus interested in the history of
Italian philosophy, especially Vannini – the fact that he wrote plays on
philosophical subjects – La casa di Seneca – helps!” Opera nel campo della filosofia del rinascimento.
Tra gli studi filosofico-scientifici si distinguono per vastità e profondità i
volumi Le opere di Vanini e le loro fonti, e Vanini Edizioni e plagi, risposta
polemica condotta contro le veementi critiche ricevute Porzio. Pubblica
il romanzo Finibusterre, trasfigurazione quasi sacra della sua amata terra e
del popolo del Basso Salento, ch'egli incitava con ogni mezzo, anche se spesso
travisato e intralciato e persino calunniato a crescere, per migliorare
materialmente e moralmente. Il romanzo fu ben accolto dalla critica. Benedetto
Croce, a cui Corvaglia lo aveva dedicato, rimarcò "lo sfondo storico
rappresentato in modo assai vigoroso" e il "trattamento dei caratteri
e degli effetti". Con maggiore puntualità Annibale Pastore (già suo
professore all'Torino) gli confidava di sentire emergere nella sua mente,
attraverso figure e temi del romanzo, ricordi sepolti, "struggente
malinconia", un mondo molto simile a quello del Manzoni, "anch'esso
celato alla superficie, soffuso d'ironia-limite", e tuttavia turbato da
altri affascinanti caratteri, quali: "il sorprendente realismo, la
perfetta armonia, l'effusione poetica, l'occhio acuto e sicuro, che scruta
l'animo umano fin nelle più remote pieghe". Si dedica totalmente
alla filosofia del Rinascimento, animato dal bisogno di trarre alla luce
obliterate sorgive e percorrendo il
movimento spesso alquanto sconosciuto della filosofia, che dal Rinascimento
risale fino al Medio Evo. S'apre nella sua vita uno spiraglio di fiducia
verso gli uomini impegnati, e si prestadoverosamente secondo la sua fede
politica all'attività politica, accogliendo e votandosi alla cultura mazziniana,
cui rimane Fedele.. È di questo periodo la pubblicazione, tra l'altro, dei
Quaderni Mazziniani: “Noi Mazziniani”, “Mazzini ed il Partito di Azione”, “L'Acherontico
retaggio”, “Il Partito Repubblicano italiano”, il discorso Ai giovani, la
conferenza (edita da Laterza) su Giuseppe Mazzini. Dopo la proclamazione
della Repubblica, però, si allontana da ogni azione politica, ritenendola del
tutto estranea e lontana dall'ideale da lui vagheggiato e sperato. Si
trasferisce a Roma, nell'ambiente culturale a lui più consono, ritornando agli
studi tra i suoi libri, dove soltanto sente di vivere senza alcun compromesso,
in assoluta libertà. Cascata di S.M. di Leuca. Scaligero, un saggio di
"speleologia". Saggio su Cardano. Su iniziativa del comune di Melissano,
è stato avviato un "Biennio di Studio su Corvaglia", al fine di
approfondirne e divulgarne la conoscenza. Alla realizzazione del progetto
collaborano, come protagonisti, anche l'Amministrazione Provinciale di Lecce,
l'Università degli Studi del Salento e l'Istituto Comprensivo Statale di
Melissano, che chiuderanno il biennio dei lavori, organizzando un Convegno su Corvaglia",
al fine di dibattere argomenti di particolare interesse presenti nella sua
opera. A tale riguardo si sta già operando non solo sul piano della ricerca
specialistica e accademica, ma anche sulla promozione d'iniziative, che
coinvolgano biblioteche e settori culturali degli enti locali, creando
opportunità per sviluppare in maniera articolata e organica la ricognizione e
la valorizzazione del patrimonio culturale salentino in generale e melissanese
in particolare, lasciato in eredità da Corvaglia. La casa di
Seneca- Commedia di L. Corvaglia. Altre opere: “La casa di Seneca” (Tipografia
Fratelli Carra, Matino (Lecce); “Rondini (dedicata "Al mio povero
innocente Nova, fuggevole visione di un Infinito", che avvampa e dilegua
in vicenda amara di avventi senza natale"; Tipografia Fratelli Carra,
Matino (Lecce); “Tantalo” Tipografia Fratelli Carra, Matino (Lecce), Santa
Teresa e Aldonzo (L. Cappelli Editore, Bologna); Rondini- Commedia; “Romanzo
Finibusterre, Editrice Dante Alighieri, Milano); “Le fonti della filosofia di
Vanini” (Anphitheatrum Aeternae Providentiae, Società Dante Alighieri, Milano);
“Introduzione semi-seria dialogata per il lettore Vanini” (Edizioni e plagi,
Tipografia Carra di Casarano); “Ricognizione delle opere di G.C. Vanini, in
"Giornale Critico della Filosofia Italiana”; La poetica di Scaligero nella
sua genesi e nel suo sviluppo, in "Giornale Critico della Filosofia
Italiana", Quaderni Mazziniani; “Noi Mazziniani” Tipografica di Matino
(Lecce), “Mazzini e il partito d' azione (critica), Tipografica di Matino
(Lecce), “ L'acherontico retaggio (con l'elogio della vita comune), Tipografica
di Matino (Lecce), Quaderni Mazziniani n° 4. Il partito repubblicano italiano,
Tipografica di Matino (Lecce). Discorso tenuto a Lecce nel Teatro Paisiello il
21 gennaio 1945. Giuseppe Mazzini, Discorso commemorativo tenuto a Lecce nel
Teatro Apollo, Laterza, Bari,"Rinascenza salentina", Un Paese del
Sud. Melissano. Storia e tradizioni popolari, Tipografia di Matino. Meridionalista
e Polemista, La Poetica di Giulio Cesare Scaligero nella sua genesi e nel suo
sviluppo, Musicaos Editore, Sulla Poetica di G.C. Scaligero. Convegno sy
Corvaglia. Il pensiero politico di Corvaglia. Popolo Sacralità ReligiositàLuigi
Corvaglia. Keywords. Refs.: Vanini, Bordon, poetica, Mazzini, Pomponazzi,
Cardano --. Luigi Speranza, “Grice e Corvaglia” – The Swimming-Pool Library.
COSI. (Firenze).
Filosofo. Grice: “I love Cosi; my favourite of his philosophical essays on
justice is the one on ‘l’accordo,’ for this is what my principle of conversational
helpfulness or co-operation is all about!”
Giovanni Cosi. Si laurea a Firenze. Insegna a Firenza, Sassari, Siena. Altre
opere: “La liberazione artificiale: l’uomo e il diritto di fronte a la droga” (Milano:
Giuffrè); "Religiosità e teoria critica" (Giuffre); "Secolarizzazione
e ri-sacralizzazioni" (Giuffre); "Il sacro e giusto: itinerario di
archetipologia” (FrancoAngeli). Dopo aver compiuto ricerche sull'espressione
del dissenso in forma non rivoluzionaria negli ordinamenti liberal-democratici,
pubblica per la Giuffrè Editore il volume "Saggio sulla disobbedienza
civile"; "Il traviato”, “il filosofo traviato: il filosofo come
gentiluomo (Giuntina); “La obbedienza
civile, la disobbedienza civile: il consenso, il dissenso, la aristocracia, la
plutocracia, la democrazia, la repubblica (Milano: Giuffrè). Il giurista
perduto: avvocati e identità professionale” (Giuntina), “Logos e dialettica”
(Giappichelli, Torino); “Il filosofo risponsabile” (Giappichelli,Torino); “Lo
spazio della mediazione, -- il terzo escluso – chi media nella diada? (Giuffrè).
“Invece di giudicare” (Giuffrè); “Il spazio della mediazione nel conflitto
della diada conversazionale” (Giappichelli Torino); “Legge, Diritto, Giustizia”
(Giappichelli, Torino). “Giudicare, o Fare giustizia. – vendetta – il concetto
filosofico” (Giuffré Editore, Milano). La liberazione
artificiale: l'uomo e il diritto di fronte alla droga, Giuffrè, Milano; Saggio
sulla disobbedienza civile: storia e critica del dissenso in democrazia,
Giuffrè, Milano; Il giurista perduto: avvocati e identità professionale, Giuntina,
Firenze; Il sacro e il giusto: itinerari di archetipologia giuridica, Franco
Angeli, Milano; Il Logos del diritto, Giappichelli, Torino; La responsabilità
del giurista: etica e professione legale, Giappichelli, Torino; Società,
diritto, culture: introduzione all'esperienza giuridica, dispense di Sociologia
del Diritto, Firenze); La professione legale tra patologia e prevenzione:
materiali di etica professionale, dispense di Sociologia del Diritto, Firenze; Per
una politica del diritto del fenomeno droga: problemi e prospettive",
Archivio Giuridico; Il diritto e la droga" e "Per una comprensione
culturale dell'uso di droghe", Testimonianze; "Religiosità e Teoria
Critica: la teologia negativa di Max Horkheimer", Rivista di Filosofia
Neo-scolastica, "Secolarizzazione e risacralizzazioni: le
sopravalutazioni post-illuministiche dell'immanentismo", in L. Lombardi
Vallauri - G. Dilcher (eds.), Cristianesimo, secolarizzazione e diritto
moderno, Giuffrè - Nomos Verlag, Milano - Baden-Baden); "Sulla
'naturalità' dei diritti civili", Testimonianze; "L'Uno o i Molti? Il
'nuovo politeismo' di Miller e Hillman", Testimonianze; "Ordine e
dissenso. La disobbedienza civile nella società liberale", Jus; "Iniziazione
e tossicomania: intorno a un libro di Luigi Zoja", Testimonianze; "Le
aporie del pacifismo: critica della pace come ideologia", Rivista
Internazionale di Filosofia del Diritto; "L'immagine sofferente della legge",
L'Immaginale; "Diritto e morale in tema di aborto", Testimonianze; "Professionalità
e personalità: riflessioni sul ruolo dell'avvocato nella società", Sociologia
del Diritto; "L'avvocato e il suo cliente: appunti storici e sociologici
sulla professione legale", Materiali per una storia della cultura
giuridica; "La coscienza, gli dei, la legge", Rivista Internazionale
di Filosofia del Diritto; "Il diritto del mondo I", Anima; "Un
anniversario dimenticato: Il Bill del 1689 e la sua eredità", Sociologia
del Diritto; "Vecchio e nuovo nelle crisi di identità degli
avvocati", in Storia del diritto e teoria politica, Annali della Facoltà
di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Macerata; "Verso il paese
di Inanna", Anima;"Avvocato o giurista?", comunicazione al VI
Convegno nazionale di studio dell'Unione Giuristi Cattolici Italiani, Firenze,
Iustitia, "Tutela del mondo e normatività naturale", in L. Lombardi
Vallauri (ed.), Il meritevole di tutela, Giuffrè, Milano); "Tutela del
mondo e strumenti giuridici", Testimonianze; "La professione legale
tra etica e deontologia", Etica degli Affari e delle professione; "Diritto
e realizzazione: un'introduzione alla fenomenologia del logos giuridico",
Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto; "La legge e le origini
della coscienza", Per la filosofia; "Naturalità del diritto e
universali giuridici", Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto,"Naturalità
del diritto e universali giuridici", in F. D'AGOSTINO (ed.), Pluralità
delle culture e universalità dei diritti, Giappichelli, Torino); "Etica
secondo il ruolo", Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto; "Purezza
e olocausto: un'interpretazione psicologico-culturale", Per la
Filosofia; "Logos giuridico e archetipi normativi", in L. LOMBARDI
VALLAURI (ed.), Logos dell'essere, Logos della norma, Adriatica, Bari); “Giustizia
senza giudizio. Limiti del diritto e tecniche di mediazione”, in F. MOLINARI e
A. AMOROSO (ed.), Teoria e pratica della mediazione, FrancoAngeli, Milano); “Le
forme dell’informale”, comunicazione al XXI Congresso Nazionale della Società
di Filosofia Giuridica e Politica, Trieste, Ora in Giustizia e procedure, Atti
del suddetto Convegno, Giuffrè, Milano); “L’idea di professione”, Dirigenti
Scuola, “Controllare la professione”, Dirigenti Scuola, “Professione, patologia
e prevenzione”, Dirigenti Scuola. Grice: “Italians are afraid of the
‘sacro’ because since the fall of the Roman Empire, it means the evil Pope! –
unless otherwise stated by people like Evola, etc.” – Grice: “Hart should have
spent more time analysing the implicatures of ‘disobey,’ as Cosi does -- to
realise how wrong his theory is!” Grice: “Austin, who taught morals at Oxford,
should have examined, as Cosi does, what we mean by ‘responsible philosopher’
before opening his mouth!” – Grice: “My idea of helpfulness does not quite
include that of ‘mediation’ but it should – the space of mediation in the
conflict in the conversational dyad! I owe this to Cosi.” Grice: “I decided to
use ‘judicative’ versus ‘volitive’ after Cosi. – His ‘giudicare’ is a gem!” -- Giovanni
Cosi. Keywords: il secolare/il sacro; profane/sacro – secolare; archetipo, il
filosofo come gentiluomo, l’obbediente, il disobbediente, il consensus, il
disensus, to obey, conflitto, mediazione, diritto (right), giure, giurato –
legatum, vendetta, giudicare, fare giustizia, vendetta conversazionale, natura,
naturalita, non-naturale, legge naturale gius naturale, giusnaturalismo,
fenomenologia del giurato; normato naturale? Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Cosi” – The Swimming-Pool Library.
COSMACINI (Milano).
Filosofo. Grice: “I like Cosmacini; for one he wrote on THREE areas of my
concern: ‘cuore’, as when we say that two conversationalists reach an ‘accord’!
– on ‘empatia’ – a Hellenism, and most importantly, on ‘compassione,’ which is
at the root of my principle of conversational benevolence. -- Giorgio Cosmacini
(Milano), filosofo. Studia a Milano e Pavia.la “convenzione della mutua” o
INAM(Istituto nazionale per l'assicurazione contro le malattie) e apre un
ambulatorio mutualistico Fare bene il mestiere di “medico della mutua” non
significa gestire un certo numero di “mutuanti”; voleva inoltre dire aver cura
di una comunità di persone, ciascuna delle quali con esigenze proprie.
raggiungendo in quel periodo circa trecento mutuanti. Quando i suoi mutuanti
erano circa millecinquecento, decise di realizzare un suo sogno: la libera
docenza. è autore di numerose opere d'argomento filosofico-medico. Altre opere:
la mutua, medico della mutua, mutuante, mutuanti, ambulatorio mutualistico. “Scienza
medica e giacobinismo in Italia: l'impresa politico-culturale di Rasori (Collana
La società, Milano, Franco Angeli); Röntgen. Il "fotografo
dell'invisibile", lo scienziato che scoprì i raggi x, Collana Biografie,
Milano, Rizzoli); “Gemelli. Il Machiavelli di Dio, Collana Biografie, Milano,
Rizzoli); “Storia della medicina e della sanità in Italia. Dalla peste europea
alla guerra mondiale. Gius. Laterza & Figli); “Medicina e Sanità in Italia
nel Ventesimo secolo. Dalla 'Spagnola' alla 2ª Guerra Mondiale, Roma-Bari, Laterza);
“La medicina e la sua storia. Da Carlo V al Re Sole, Collana Osservatorio italiano,
Milano, Rizzoli); “Una dinastia di medici. La saga dei Cavacciuti-Moruzzi,
Collana Saggi italiani, Milano, Rizzoli); Storia della medicina e della Sanità
nell'Italia contemporanea, Roma-Bari, Laterza, G. Cosmacini-Cristina Cenedella,
I vecchi e la cura. Storia del Pio Albergo Trivulzio, Roma-Bari, Laterza); “La
qualità del tuo medico. Per una filosofia della medicina, Roma-Bari, Laterza);
“Medici nella storia d'Italia, Roma-Bari, Laterza, L'arte lunga. Storia della
medicina dall'antichità a oggi, Roma-Bari, Laterza); “Il medico ciarlatano.
Vita inimitabile di un europeo del Seicento, Laterza); “Ciarlataneria e
medicina. Cure, maschere, ciarle, Milano, Raffaello Cortina, La Ca' Granda dei
milanesi. Storia dell'Ospedale Maggiore, Roma-Bari, Laterza); “Il mestiere di
medico. Storia di una professione, Collana Scienze e Idee, Milano, Raffaello
Cortina); “Introduzione alla medicina, Roma-Bari, Laterza, Biografia della Ca'
Granda. Uomini e idee dell'Ospedale Maggiore di Milano, Laterza, Medicina e
mondo ebraico. Dalla Bibbia al secolo dei ghetti, Collana Storia e Società,
Roma-Bari, Laterza, Il male del secolo. Per una storia del cancro, Roma-Bari,
Laterza); “La stagione di una fine, Terziaria); “Il medico giacobino. La vita e
i tempi di Giovanni Rasori, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza); “Salute
e bioetica, Torino, Einaudi, G. Cosmacini-Roberto Satolli, Lettera a un medico
sulla cura degli uomini, Roma-Bari, Laterza, La vita nelle mani. Storia della
chirurgia, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza, Una vita qualunque, viennepierre
edizioni, Il medico materialista. Vita e pensiero di Jakob Moleschott, Collana
Storia e Società, Roma-Bari, Laterza «La mia baracca». Storia della fondazione
Don Gnocchi, Presentazione del Cardinale Dionigi Tettamanzi, Laterza); “La
peste bianca. Milano e la lotta antitubercolare, Milano, Franco Angeli); “L'arte
lunga. Storia della medicina dall'antichità a oggi, Roma-Bari, Laterza); “Il
romanzo di un medico, viennepierre edizioni, L'Islam a La Thuile nel Medioevo.
Un «tuillèn» alla terza crociata: andata, ritorno, morte misteriosa, KC
Edizioni, Le spade di Damocle. Paure e malattie nella storia, Collana Storia e
Società, Roma-Bari, Laterza); “La religiosità della medicina. Dall'antichità a
oggi, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza); “L'anello di Asclepio. L'età
dell'oro”; “La peste, passato e presente, Milano, Editrice San Raffaele); “La
medicina non è una scienza. Breve storia delle sue scienze di base” (Collana
Scienze e Idee, Milano, Raffaello Cortina); “Il medico saltimbanco. Vita e
avventure di Buonafede Vitali, giramondo instancabile, chimico di talento,
istrione di buona creanza” (Roma-Bari, Laterza); “Prima lezione di medicina,
Collana Universale.Prime lezioni, Roma-Bari, Laterza); “Il medico e il
cardinale, Milano, Editrice San Raffaele); “Testamento biologico. Idee ed esperienze
per una morte giusta” (Bologna, Il Mulino); “Politica per amore” (Milano,
Franco Angeli); “Guerra e medicina. Dall'antichità a oggi, Collana Storia e
Società, Roma-Bari, Laterza); “Compassione” (Bologna, Il Mulino); “La scomparsa
del dottore. Storia e cronaca di un'estinzione, Milano, Raffaello Cortina); “Camillo
De Lellis. Il santo dei malati, Roma-Bari, Laterza); “Il medico delle mummie.
Vita e avventure di Augustus Bozzi Granville, Collana Percorsi, Roma-Bari,
Laterza); “Como, il lago, la montagna, NodoLibri); “Tanatologia della vita e
stetoscopio. Bichat, Laënnec e la "nascita della clinica",
AlboVersorio, . Medicina e rivoluzione. La rivoluzione francese della medicina
e il nostro tempo” (Collana Scienza e Idee, Milano, Raffaello Cortina); “Un
triennio cruciale. Como, il lago, la montagna, NodoLibri); “La forza dell'idea.
Medici socialisti e compagni di strada a Milano. L'Ornitorinco, Per una scienza medica non neutrale. Tre
maestri della medicina tra Ottocento e Novecento, L'Ornitorinco, Medicina Narrata, Sedizioni); “Galeno e il
galenismo. Scienza e idee della salute” (Milano, Franco Angeli); “La chimica
della vita” -- e microscopio. Pasteur e la microbiologia, AlboVersorio); “Per
una scienza medica non neutrale. Tre maestri della medicina in Italia fra
Ottocento e Novecento, L'Ornitorinco); “Il tempo della cura. Malati, medici,
medicine, NodoLibri); “Elogio della Materia” -- Per una storia ideologica della
medicina, Edra edizioni); “L'Infinito di Leopardi. Un impossibile congedo” (Sedizioni,
. Memorie dal lago e ricordi dal confine. Como, il lago, la montagna,
NodoLibri, Salute e medicina a Milano.
Sette secoli all'avanguardia, L'Ornitorinco); “La medicina dei papi, Collana
Storia e Società, Roma-Bari, Laterza); “Medici e medicina durante il fascismo”
(Pantarei); “Il viaggio di un ragazzo attraverso il fascismo, Pantarei); Historia
cordis, Ass. Gianmario Beretta, . Curatele Dizionario di storia della salute,
G. Cosmacini, Giuseppe Gaudenzi, Roberto Satolli, Collana Saggi, Torino,
Einaudi. “mutua gratia” - Practicis
nostris , Muri LAPIDES , sine inscriptione , apud nus, gadinca, vel Hnoc . Non
liquet, “don mutual” – mutual gift -- Charta ann . 1326. in Chartul . Hygenum
de Limitibus constituendis. inquit Somnerus. (Mutinæ carnes , in Con thesaur.
S. Germ. Prat. fol. 12. rº.: Dicta. mutuum, Exactio nomine mului, Charta suet.
MSS. Eccl . Colon . e Bibl . Eccl. Atre- Ysabellis exhibuit dicto thesaurario
quasdam Rogerii 1. Reg. Sicil. ann. 1129. apud Mu bat, eædem quæ vervecinæ.
Vide Multo, litteras mutuæ gratiæ dudum confectas inter ralor. tom . 6. col. 623
Nulla angaria , par I mutio , id est, Patuus. Vocabul . dictam Ysabellam et
prædictum defunctum angaria, echioma, gabella,Muruum, extorsio utriusque Juris
. dum vivebat , et constante legitimo matrimo- jaciatur, imponatur. Chron. Parmense
ad mutis, Truncus, stirps . Pactum inter nio inter ipsos. ann. 1996. apud
eumdem tom . 9. col . 834 : Humb. dalph. et episc. Gratianopol. ann. “mutuare”,
Mutuum, seu exactionem ec impositum fuit per commune Parma 1343. in Reg: 134.
Chartoph. reg. ch. 34 : nomine mutui impositam solvere. Vide unum mutuum octo
millium librarum impe recte tendendo ad pedem cujusdam margassii mutuum .
rialium per episcopatum , et quinque millium seu claperii in quo margassio seu
cleppe. Mutuatim, pro mutuo, in Vita Anti- per civitatem . Et mutuum clericis
fuit im rio sunt duæ mutes arborum . dii Archiep. Bisonticensis cap. 5 : Bene-
positum duo millium librarum, etc. Chron . Åwwvíz , in Gloss . Græc. Lat.
dictionis ergo dono mutuatim dato , etc. Mutin . ibid . tom. II. col. 122 :
Tria Mu [Mirac. S. Bernhardi Episc. tom. 5. Julii (mutuatio, pro mutatio, in
Consuet. tua extorsit.] Historia Cortusiorum lib. 3 . p.112, Eoque quippiam
petere volente, MSS. Auscior. art. 3 : Fiat autem mutua cap. 14, Teutonici
cruciabant Paduanos verbis in ore reclusis, subito mulus effectus tio consulum
annuatim in festo S. Joan. *mutuis* el daciis. Infra: *mutual* imposuit et est;
qui a plerisque tentatus, an videlicet Baptistæ. datias. Lib. 7. cap. 1 :
V'exabantur Muluis astu Muritatem simularet , et tandem certa ex Ital . Mutola
, Muta . Oc- et daliis. Albertinus Mussalus lib. 12. de loquendi impotentia
comprobatur. Occurrit currit in Vita B. Justinæ de Aretio n. 9 . Reb . gest.
Italic . pag. 86 : Communes da præterea toin . 2.Sanctorum Apr. pag. 429.] ,
Idem quod Expeditatus, riæ , exactionesque et Mutua publica el priMuronagium .
Vide in Charta Forestæ cap. 9. forte pro múti- vata etc. Charta R. Abbatis
Monasterii Ka Mullo . latus. Locum vide in Mastinus. roffensis in Pictonib .
ann. 1308. ex ( Ovis, Massiliensibus Mous, Nudus , glaber. Regesto Philippi
Pulcri Regis Franc. Tabu tonfede. Charta ann . 1390 : Quilibet Mu- Gloss. Lat .
Græc. MSS. Sangerman . larii Regii n . 11 : Non recipiemus ibi Mu tofeda solvat
xvi. denarios. * Castigat . in utrumque Glossar. forte tuum, nisi gratis
mutuare voluerint habitan Lugdunensibus , Feye. Vide supra Menlulosus, ead'ns ,
ex Vulc. tes. Ita in Liberlatib. Novæ Bastidæ in Oc Lex Ripuar. lit. 6o. S 4:
Si citania ann. 1298. in alio Regesto ejusdem xudovicv, Malum colo- autem
ibidem infra terminationem aliqua in- Regis ann. 1299. n. 16. Vide Credentia ,
neum . Supplem . Antiquarii et Gloss. MSS. dicia sua arte , vel butinæ ,aut
Lat. Græc. Sangerm . Aliud itidem Gloss. : extiterint, ad sacramentum non admittatur,
*mutuum coactum* exactio , quæ a Mutonium , Tepábeuo , Additio. etc. Ubi
mutuli, videntur esse aggeres ter- dominis in urgentibus negotiis suis ac ne
1., quos Motes nostri vocant : aut forte cessitatibus fiebat super subditos,
vassallos, equilatus , quod sic describit Jovius Hist. lapides ii quosMuros
vocant Agrimensores,ac tenentes cum restitutionis conditione ac lib . 14:
Mutpharachæ admirabili virtute i. sine inscriptione, vice terminorum po-
pollicitatione : a qua quidem exactione præstantes , toto orbe conquisiti, ea
condi- siti. Vide Bonna 2 . exempta pleraque oppida, quibus concessæ tione
militant, ut quos velint Deos , impune KF Errat Cangius , si fides Eccardo ,
libertates , leguntur. Charla libertatum colant, præsentique tantum Imperatori
ope- in Notis ad Legem citatam , quam ad cal- Aquarum Mortuarum ann . 1246 :
Omnes ram navent. Hæc post Carolum de Aquino cem Legis Salicæ edidit . Mútuli
enim sunt habitatores loci illius sint liberi et immunes in Lex. milit .
machinaliones clandestinæ , vel seditiones ab omnibus questis , talliis , et
toltis , et clam excitatæ , a veteri German .Meulen , tuo coucto , et omni
ademptu coacto. Con capitis tegumentum , quod monachi cap. | clandestine agere
, unde Meutmacher, Fla- suetudines Monspelienses MSS. cap. 56: paronem
vocabant. Gall . Christ. tom. 4. bellum seditionis, Gall. Mutin. Hæc vir Toltam
nec quistam , vel Mutuum coactum , col uti. Mutrellis 782 : Statuimus in
dormitorio , quod liceat fratribus eruditus ; quæ tameninmeam fidem reci. vel
aliquam exactionem coactam non habet ; . Vide Mitræ . necunquam habuit dominus
Montispessulani I Vide Morth . I Gall . Mouton . in hominibus Montispessulani.
Eædem ver *, ut supra Muramen. Charta ann. 1307. exArchivis Massil. : naculæ ,
totas inquistas , ni prest forsat , o Terrear.villæ de Busseul ex Cod . reg.
6017. Item super co quod petebantdicti parerii alcuna action destrecha , etc.
Libertates fol. 47. vº. : Item unum Pariziensem Mut -I quartam partem Murunorum
, astorium et concessæ oppidis Castelli Amorosi et Va CANGII CLOSS. – T. IV. 2
. Feda 2 . pere nolim. 75 594 etc. lentiæ, in diæcesiAginnepsi, ab Edwardo I Eodem
significatu , De S. 6 : L. FURPANIO L. Lib. PuILOSTORGO Mr. I. Rege Angliæ ex
Regesto Constabulariæ Juvenate Episc. tom . 1. Maii pag. 399 : ROBRECHARIO VIX
ann. LIJTI. Purpuria L. Burdegalensis fol. 55. 140 : Nec recipiemus Episcopus
Narniensis ex suo palatio , ialari L. OLYMPUSA PECIT. in ibi Muruum , nisi gratis nobis mutuare
velint reste indutus , racheto et Muzzeta. Vide Inscript. ccxcix . 3. Vide
Martin Lex. in habitantes. Eadem habent libertales Rio. Mozzetta. hac voce .
magi in Arvernis. vocatur letri rudoris in . Fantasia , miratores. Pa Mutuum
VIOLENTUM , in Charta liberta- quietudo terrena. Ita Apuleius de Muudo. pias.
tum Jasseropis, apud Guicheponum in A Græco nimium púxw , Mugio , reboo. Vide
Ma Histor. Bressensi pag. 106. Roga coacta , in I Piscis genus, qui alius zer.
Charta Ludovici Comitis Blesensis et Cla- videtur ab eo quem Spelmannus piscem.
in Statutis Mon romontens. ann. 1197. pro Creduliensi viridem vocat . Computus
ann. 1425. apud tis Regal. fol. 318 : Debeat solvere emptori villa : Omnes
homines Credulio marentes Kennett. in Antiquit. Ambrosden. pag. gabellæ piscium
, solidos quatuor pro quoli taliam mihi debentes , el eorum hæredes, a 575 : Et
in 111. copulis viridis piscis ... Et bet rubo piscium , et intelligatur
detracta talia , ablatione, impruntato et Roga coacta inxv. copulisde
Myllewellminorissortisx: Myrta et cestis ac funibus. de cælero penitus quilos
et immunes esse sol. vi. d . et in xx. Myllewell majoris sortis Eadem notione,
usurpant Cat concedo. Exslat Statutum Philippi VI. Re- Xit, sol. ( * Vide
Mulsellus.] lius Aurelianus , Celsus, et Apicius. Vide gis Frane. 3. Febr. ann.
1343. quo vMoniales, ex Anglo -Sa- Murta. in posterum fieri ullum Mutuum
coactum xop. myn'e'cen'e , vel minicene, hodie Graviter, com super subditos
suos : quod scilicet paulo Anglis Minneken et minnekenlasse. Copeil. posite
ambulare. Chron. Ditm . Mersburz. anie exegisse docet Diploma anni 1342.
Ænbamiense in Anglia ann. 1009. cap. 1 : l'episc. tom . 10. Collect. Histor.
Frane. pag. 28. Junii, sed et Philippum Pulerum Re- Episcopi et abbates ,
monachi et Mynecenæ , 131 : Henricus Dei gratia res inclytus à se. gem aliud
ann . 1309. in 12. Regesto Char- canonici et nonne , natoribus duodecim
vallatus , quorum ser tophyl. Reg. Ch. 15. et in 36. Regest. apud Ausonium in
rasi barba ,alii prolixa Mystace incedebant Ch. 48. lemmate Epigrammatis 30.
Cantharus po- cum buculis , etc. Laudatum Philippi VI. Statutum torius
Scaligero , qui a similitudine muris I Sacerdotum præposi frustra quæsitum in
Regestis publicis testa- et barbæ , quæ in conum desinit, Myobar- tus; titulus
honorarius Archiep. Toletani , tur D. de Lauriere tom . 2. Ordinat. Reg. bum
voce ibrida dietum existimat . Turne- ex Hierolex. Macri. Franc. prg. 234.
Undeexistimat D. Cangium bus vero Advers. lib. 3. cap. 19. putat ver- lapsum
memoria art. 4. et 5. Statuti ejusd . | bum compositum mure et barbo, quod | , Mysteriorum per. Regis ann. 1345. 15. non3.
Febr.spectasse, mensuram , liquidorum sescunciam penitus , vel princeps.
Prudent. Peristeph. 2. quo vetat Philippus Rex in posterum a dentem sonat, ut
sit tamquam muris cya- 349 : Bene est , quod ipse ex omnibus My subditis suis
exigi equos, currus, ele. nisi thus. Quidam le ; emendat Lil . Gyraldus Epist, *mutuum violatum* Exactio nomine
xobarbaru , quod non placet. Vide Cupe. Zachariæ PP. ann.748. tom. 1. Rer. Mo
*mutui*, quæ a subditis exigitur. Charta rum in Harpocrate pag . 78. gunt. pag
. 255, Officium , sacra Li mutuum violatum, velmessionem bajuli vel turgia .
Pelagius Episcop. Ovetensis in Fer servientum . [** Leg. Violentum ut, supra.)
ctum ... Si autem Myocepha aur ypopius fuerit,dinando Rege Hispan.: Tunc
Alfonsus Rez mutuum ebraldum. Charta Henrici Co- post inunctionem ligabis
oculos aut linteo in velociter Romam nuntios misi ad Papam mitis Portugalliæ
tom . 3. Monarchiæ Lusi- aqua infuso frigida , aut spongia in ipsa Aldebrandum
cognomento septimus Grego tanæ p.282, Non introducam *mutuum* aqua infusa.
rius. Ideo hoc fecit , quia Romanum Vyste Ebraldum Colimbriam . 9piratici genus
arium habere voluit in omni Regno. Infra : mutuum, stipendium datum in ante- ,
ut placet Tur Confirmarit itaque Romanum Mysterium in cessum . Lit. ann . 1408.
tom . 9. Ordinat. nebo lib . 3. Adversar. cap. 1 . nomen omne regnum Regis
Adefonsi æra 1113. ( Chr. reg . Franc. pag. 363, art. 1 : Ordinamus adepti .
Melius Scaliger, a forma qevūves, 1088. ) per senescallos, receptores,
thesaurarios, ... hoc est , angusta et oblonga, dictum ira- Missæ sacrifi tum
nobilibus quam innobilibus, cum ex dit. cium. Acta S. Gratil. tom. 3. Aug. pag.
parte nostra mandati fuerint ut ad guerras Hist. Franc. Sfortiæ ad ann. 1427.
1728. col. 2 : Indutus est ( Gratilianus ) ve nostras accedant, *mutuum* fieri
priusquam apud Murator. tom . 31. Script. Ital.col.stimentis a. Grice: “The
grammar of ‘mutuality’ can be extraordinarily complicated. But I’m sure
Schiffer’s ‘A and B mutually know that p’ doesn’t make sense as an
analysandum.” Grice: “You can trade (L mutate both ways) or exchange
*information* -- The grammar is: A and B are in love – implicated: ‘mutual’
-- A and B are friends – implicated: mutual.
Dickens, who never attended Oxford, would never catch the subtlety of his
biggest solecism, “Our mutual friend”! – Grice: “But I’m surprised from
Schiffer, who did attend the varsity!” -- Giorgio Cosmacini. Keywords:
compassione, salute, mens sana in corpore sano, storia della medicina, Foucault,
l’anello di Asclepio, la medicina nella Roma antica, giacobinismo, fascismo,
giacobinismo in Italia, medici fascisti, medicina fascista, la medicina non e
una scienza, tanatologia, bio-chemica, la chemical della vita, bio-chemistry
–Grice on life, the philosophy of life, cooperation and compassion. Imperativo
conversazionale, compassione conversazionale, imperative della mutualita
conversazionale – mutualita conversazionale – imperative of conversational
mutuality, mutuality, mutual, the depth grammar of mutuality – Grice against
Schiffer – Grice scared by ‘mutual knowledge’ – and using it in scare quotes
(“Such monsters as Schiffer’s ‘mutual knowledge’ have been proposed to replace
my regress when there’s nothing wrong with stopping it elsewise!” Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cosmacini” –
The Swimming-Pool Library.
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