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Is Grice the greatest philosopher that ever lived?

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Monday, June 7, 2021

NOME 10

 

 

Doctor Mysticus. Angelo Conti. Keywords: decadente, decadenza, divina decadenza, filosofia decadente, filosofo decadente, decadentismo, divinely decadent – d’annunzio, museo d’annunziano, il bello e il bizzarro, il bello bizzarro, estetica, sensatio, senso, sensum, sentior, sentitum, perceived, perceptum – sense and sensibilia, estetico/noetico (nihil est in intellectu qui prior non fuerit in sensu), propieta estetica, proprieta di secondo grado, secondary quality, Grice, Sibley, Scruton, Platone, Kant, Schopenhauer, Ruskin, Pater, Antichita, antico e moderno, il fascino dell’antico, from the antique, from life, Uffizi, Accademia Venezia, RegieAccademiadiVenezia, Capodemonti, Napoli, Antichita Roma, il fiume d’Eraclito, Ulisse e il canto delle sirene, Morelli, Francesco, Virgilio, dolcissimo padre, ascetismo, ascecis, zorzi, riva beata, Pater, Essay on Style by Pater, Da Vinci, Morelli. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Conti” – The Swimming-Pool Library.

 

Conti (Padova). Filosofo. Grice: “Conti is a good one; for one he is a ‘patrizio veneziano,’ for another he like Alexander Pope and detests Newton! (Italian temper there!) – My favourite are his “Dialoghi filosofici,’ full of implicata as they are!” Patrizio veneto, classicista, famoso per essere stato arbitro nella controversia tra Leibniz e Newton, circa l'invenzione del calcolo infinitesimale (keyword: infinito). Si lege in amicizia con  Fay, noto per gli esperimenti fisici che conduce all'Accademia delle Scienze. Di lui esiste una statua in Prato della Valle, fatta da Chiereghin. Scrive saggi riguardanti la struttura della tragedia, e nel “Trattato del fantasma poetico” discute la funzione del coro: monologo, dia-logo, coro (terza persona?). Tra le sue tragedie, la più significativa fu il “Giulio Cesare”. Ne scrive altre tre, tutte di soggetto romano: “Marco Bruto”, “Giunio Bruto”, e “Druso”. Altre opere: “Opere” (Venezia, presso Giambatista Pasquali); “Versioni poetiche” (Bari, Laterza). Dizionario biografico degli italiani. Della nascita del Conti sono r’ſuoi veri pu dj. Principio de’ suoi studi scritto da lui stero. Disputa col Nigrisoli e altre particolarità de’ suoi studi sono al primo viaggio di Francia. Primo viaggio in Francia. Primo viaggio in Inghilterra e prime conversazioni col Newtono. Mediazione tra il Newtono e il Leibnizio Studi e altre occupazioni di Conti a Londra. Suoi sudj di belle lettere. Viaggio d'Ollanda e d'Allemagna. Nuova dimora in Inghilterra. Ritorno in Francia nel 1718. e ſuoi pudi. Amicizie. e converſazioni in queſti anni in Francia. Querela col Newtono. Suo ritorno in Italia. Edizione del Cesare. Studi e commerzi. Edizione delle ſue Prose e Poesie. Sue Tragedie. Illustrazione del Parmenide di Velia di Platone; fima e onori di Conti. Traduzioni. Altri suoi fudi. Progetti di nuove opere. Ultimi ſtudi. Edizione del Druso ; ſua morte. Rifleli Jul carattere di Conti , e notizie particolari della ſua vita private. Relazione de’ Manoscritti lasciati da Conti. Dell' Imitazione. Del Fantasma Poetico. La Poesia Greca. Allegoria dell'Eneide di Virgilio. Illuſtrazione dello Scudo di Enea. Illustrazione del Poema di Catullo intitolato le Nozze di Teride e di Peleo. Dissertazione sopra la Tebaide di Stazio. Discorso ſopra la Italiana Poesia. Illustrazione del Dialogo di Fracastoro intitolato il Na. wagero, o fia della Poesia. Disertazione sopra la Ragion Poetica del Gravina. Della Potenza conoscitiva dell'Anima. Della Fantasia. Poesie Tradotte dall' Inglese. Al Sig. Marcheſe Manfredo Repeta sopra il Poema del Riccio Rapito. Il Riccio Rapito. Prose Franceſe Italiane a Monſieur Perel. Dialogue ſur la Nature de l' Amour. Lettre à Madame la Preſidente Ferrant. Lettera al Sig. Cavalier Vallisnieri. Al sig. Marcheſe Maffei. Al N. U. Sig. Benedetto Marcello. Al P. D. Bernardo Piſenti C. R. Somaſco.A Monſignor Cerarti. L’allegoria dell’Eneide di Virgilio propone una cosa per farne intender un'altra , che ſeco è in proporzione , se l’ “Eneide” per consenso di tutti i più abili commentatori é un panegirico *allegorico* d'Augusto, convien necessariamente che la cosa proposta sieno l’azione d’Enea (l’explicatura), e la cosa che deve intendersi ed è loro proporzionata, l’azione d'Augusto (implicatura) più memorabile e più degna di lode. Per çiò con una ſuccinca narrazione pone prima sotto gli occhi l’azione d'Enea, che e il primo termine (l’explicatura) su cui l’allegoria o metafora o implicatura (& fonda, o come l'originale del ritratto; indi fa il confronto dell’azione di Augusto . Nell'istoria d'Enea, basta quloſſervare l’oggetto dell’epica, e il carattere stoico dell'eroe. L'oggetto tutto tende alla nuova colonia di Roma o al Principato ch'Enea (via Ascanio e Romolo e Remo) ha da fondare nel Lazio e Italia. Questo gli predisse Creusa, Febo, i Penati; questo le Arpie, Eleno e la Sibilla; e perchè fi compisca l’oracolo della predeterminazione e del fatalismo stoico, Enea li salva dagl in incendi e dalla strage di Troja. Ettore lo dichiara Pontefice. I compagni lo eleggono Re. Avvisato o protetto schiva i tradimenti , gli scogli, i ciclopi; non è sommerso nelle tempeste, non trattenuto dall’africana Didone più pericolosa delle stesse tempeste. Finalmente arrivato in nel Lazio trova il re latino dispoſto a riceverlo per genero, Evandro e i toscani pronti a dargli soccorso; sebben abbia a fronte Torno, un nimico feroce e collegato coi vicini, lo vince e l'uccide. Gli oracoli fatalisti predeterminati stoichi dunque, i viaggi, e le guerre d’Enea non riguardano se non lo stabilimento d'un regno o principato. Il carattere poi d’Enea o dell'eroe si vede in tutta l'Eneide composto della *virtù* stoica convenevoli al capo e fondatore d'un regno. La virtu e pietà verso l’uomo e verso Diuspater, senno nel provvedere a’pericoli e prevederli, valore da soldato e da capitano. La pietà (o compasione) verso l’uomo e la carità – l’imperativo della carita conversazionale, verso Diuspater religione. Della carita o benevelonza o compasione, o compieta verso l’uomo Enea dà esempi illustri per tutto. Salva il padre Anchise dalle fiamme portandolo sulle spalle dirige sempre il viaggio secondo i di lui consigli, celebra il suo anniversario co'giochi conſiderati da’ pagani come una parte della eeligione, e per ubbidirlo discende fino all’inferno! Quanto è tenero per il figliuolo Ascanio, e sollecito e della salute e de gli avanzamenti di lui! E quando Creusa sua moglie si smarrisce, non va egli a ricercarla tra gl'incendi e le stragi? Che dirò della sua pietà, carita, compassione, compieta, benevolenza, verso il suo compagno (o d’Eurialo verso Niso), verso l’amico, e verso Torno, il nemico stesso? Nella tempesta più s’affligge della loro perdita che della propria, gli consola e gl’incoraggisce negli affanni, li provvede di cibo, li divertisce e premia co’giochi, fa l’esequie a Polidoro suo parente, a Miseno suo trombettiere, a Gaeta sua nutrice; piange la morte di Palinuro e più quella di Pallante (Patroclo), e ne manda il cadavere ad Evandro con magnificenza e con lutto degno di un re. Avendo ferito a morte Lauro che l’assalì, gli itende la destra, lo solleva, e lascia che a Mesenzio se ne porsi il corpo. Vuol perdonare a Turno, e non l’uccide *che* per vendicar suo amante Pallante; ciò ch'era un atto di carita. Verso Diuspater sempre fervida e pronta è la sua pietà. Come stoico perfetto e negatore del libre arbitrio, nulla intraprende senza consultare l’oracolo, e non comincia alcun’azione senza offrir un voto, una preghiera e sacri fizj, ch’egli offre egualmente al Diuspater propizio, che alle Diuspater nonpropizio o Giunone e Pallade. Per ubbidir Diuspater supera la passione che la strega Didone invoca, cede rispettoso alla sua collera nell'incendio di Troia; conosce Apollo per principal protettore; ascolta attento i cantici d'Ercole , e invoca Berecintia che l'allista nella nuova guerra. Alla sua pietà corrisponde il suo senno. Tosto ch'entra in un paese vuol conoscere i liti, i luoghi, e la gente che l'azbita; così fa in Affrica, e nel regno d'Evandro, e scoperto l'assaſlinio di Polinestore fugge il pericolo di cadervi: fa metter in aguato i soldati per lorprender l'Arpie; egli steſſo dirige la nave che manca di piloto; manda ambasciatori al re del Lazio; cerca soccorso nella guerra; ricevuto lo distribuisce in due corpi per più imbarazzare il nemico ciò ch'è una parte della virtu o prudenza militare, non meno che assediar la città mentre il nemico è sospeso. Questo o quello segno (manifestazione secondo Vitters) del valore poi non dà nell'attaccare i nimici, nel farne stragi di sua mano? uccide i più forti e tra gli altri Lauso, Mesenzio, lo stesso Turno. Più comparisce il valore d'Enea, se col P. Boſsù fi confronti con quello di Turno, antagonista, avversario, dell’epica, ardente, milantatore, prepotente e buono sol per la guerra che vuole giusta od ingiusta, ed in questa è incauto e senza direzione. Enea all'opposto grave – la gravita romana --, misurato e non peccatore o essecivo, parla poco, laconico, opera molto, sempre consigliato e forte colla gloria del consiglio e dell'esecuzione. Di questo o quello segno della virtu -- pietà, senno, e valore, c’e un intreccio mirabile, sicche comparisce Enea saggio e paziente capitano come Agamennone, valoroo vincitor del nimico come Achille, destro a maneggiar lo spirito ed a condur una negoziazione o consenso cooperative conversazionale come Nestore e Ulise: giugne a questa virtù una pietà sincera, una probità esatta che mai non ſi ſmente , una compassion tenera per il suo amico e il suo suddito. Enea è buon figlio, buon padre, buon amico, buon amante, e tutto ciò per motivi superiori di dovere e di ragione morale kantiana alla luce del stoicismo fatalism del predeterminismo. Sopra tutto pero domina la specie della virtù più convenevole d’ogni altra specie al fondatore della dinastia di Romolo, perchè per essa si merita la protezione di Deuspater, si rende l’amico o il popolo che deve ubbidire, l’alleato, ed il vicino con cui si deve patteggiare e con-federarsi in cooperazione conversazionale verso un fine comune. Vi sarebbero il carattere degli altri personaggi e dei dell'epica, ma essendo scritti di mano dell’autore sono come non scritti. Anche la seconda parte che riguarda le azione del primo imperatore romano, Ottavio detto l’augusto è molto imperfetta; eccone qualche confronto. Nella rovina di Troja li ravvisano la rovina della Roma repubblicana di Cesare ed Catone. Da questa rovina, Ottavio, come Enea era stato preservato dalla provvità, 1 videnza del fato, come dice Orazio nel Carmie Secolare. Enea porta in ispalla suo padre Anchiee; Ottavio prende la vendetta del suo padre addotivo Cesare. Enea e in Troja maricato a Creusa da cui ha Julo; Ottavio e maricato a Scribonia da cui ha Giulia. Ma Creusa per ordine de’ Fati è colia ad Enea, come Scribonia ad Ottavio; e nel dir che ad Enea si apparecchia moglie, da cui doveano discendere tanci Re, adula cacitamente Livia. Didone che s’oppone al disegno (de-segno – plannificazione) d’Enea magnifica e vana dell'impero ha del carattere superbo, impecuo lo, ed astuto di questa altra Africana, Cleopatra, che impiegò cutre l'arti femmini li per impegnar Ottavio. Ma v'è un tratto finissimo di lode nella comparazione che poteano i romani fare d’Enea e ďOttavio, perchè laddove Enea cesse alle lusinghe di Didone, e dopo averla posseduta l’abbandona scorteſemente in preda alla disperazione, biasmo da cui poco lo scusanu gli ordini degli Dei; quanto più dovea stimarli Ottavio che mai non si lasciò vincere dalle tante arti di Cleopatra? In Evandro, che accoglie Enea, si puo ravvisar Cicerone, che col suo credito e colla sua eloquenza reſe tanti servigj a Ottavio. L’epica, però per non rimproverargli la disgrazia di Cicerone, fa che non Evandro ma il figliuolo di lui resti ucciso da Turno, nel quale *senza dubbio* vien “simboleggiato” Marc’Antonio, valoroso bensì, ma imprudente, e che le in molte cose mostra fortezza d’animo chiaro ed eccellente, in molte altre, come Turno, li governa malissimo, e da quello o questo segno non meno di magnanimità che di pulsanimità. Nulla dimostra più la finezza cortigianesca di Orazio e di Virgilio come il loro non nominar mai Cicerone. S'astennero dal risvegliar in Ottavio un'idea che gli dava de’ rimorsi. All'incontro nominarono Giunio Bruto e Catone, per mostrare che Ottavio non ha usurpata la libertà, ma che anzi ne era il protettore, l’imperatore, come negli ultimi tempi lo volea Cromuvelo (Lord Protector) in Inghilterra. Antonio stesso molto si risparmia, esi può osservare in Orazio che mai non si parla d’Antonio senza congiungerlo a l’africana Cleopatra per far cadere in lei l’odio e la colpa; e cosi fa Virgilio fagacemente nella battaglia d’Azio , quando parla d’Antonio palesemente, e quando ne parla per allegoria, supprime quell vizio che avrebbero dispiaciuto ai suoi partigiani ch’erano molti, ed a’figliuoli elevati da Ottavio a sommi onori. Queſta è pur la ragione prammatica, per la qual Virgilio non dipinta le guerre che fece Ottavio con Bruto, Callio e cogli altri, che per modo di peregrinazioni, onde non offender quei ch’erano ancora del partito di questi ultimi difensori della pubblica libertà. Il re del Lazio, Latino, che ammonito dall’oracolo vuol dar la figliuola più ad Enea, che a Turno, è il vero ritratto del senato romano, che vecchio (senior, senatore) ed impotente non potendo più regolar la repubblica, benchè per ispirazione divina egl’inchini più a lasciarsi governare d’Ottavio che da Marc’Antonio, atterrito nondimeno dagli apparecchi di guerra, lascia disputar la vittoria a’ due rivali, come appunto il re Latino fuggendo lascia terminar la guerra a Turno ed Enea. In Mesenzio ed in Lauso si veggono Cassio e Giunio Bruto, e l'empietà data a Mezenzio e la virtù data a Lauso lo persuadono. Muore Laulo ed Enea lo compiagne, come Ottavio compianse Bruto, al dir di Plutarco. Quando Lauro combatceva, era Mesenzio con la persona appresso di un tronco per posarvi appoggiato, e gli stava intorno un cerchio de’ più eletti e de’ più fidi; e quando vide Lauso ucciso, comincia a disperarsi, e a lagnarsi, e andar incontro alla morte. Queſta deſcrizione concorda molto con quella che fa Plutarco di Cassio, allora che ritirato sul colle stava rimirando l’esercito di Bruto, e credendo ch’egli fosse rotto, disperato si confiſſe nel le reni la spade. Non occorre cercare rassomiglianza perfetta tra questo o quello accidente vero e questo o quello accidente finto. Baſta che uno si ravvif nell'altro. I ritratti della Poesia, e particolarmente epica, sono “simili” a quelli che i gran pittori introducono ne’ quadri istoriati; negli Dei, negli eroi , ne’ capitani ritengono le fattezze del volto de viventi che vogliono onorare ma variano le attitudini, o le velti per variare le imagini, e produr nello spettatore maggior maraviglia ed affetti più vivi. Con questa regola si pollono ritrovare molti altri confronti nelle cose dell'Eneide colla vita d’Ottavio. Nè par probabile che tanta corriſpondenza sia effetto del caso , attesa spezialmente la sagacità del poeta , e l'idea generale dell'opera. Parte di questa corriſpondenza fa vedere nello scudo d' Enea la seguente illuſtrazione, che si dà intera.   . g. v. 176 D. V.. ILLUSTRAZIONE DELLO SCUDO DI ENE A. . Ome nell'Iliade d'Omero Teti porge ad Achille unoScu do fabbricato da Vulcano così nell'Eneide di Virgilio Venere porge ad Enea uno Scudo fabbricato dallo ſteſſo Dio . Quì non s'intraprende d'illuſtrare ſe non ciò che appartie. ne allo Scudo d'Enea , oſſervando prima generalmente , qual ne foſſe la materia , la faldezza , la figura , l'intreccio e i colori , ed indi particolarmente l' ordine e' i fiti delle coſe ſcolpite, le loro ſtorie , cd allegorie . I'Ciclopi impiegarono nell'armatura d'Enea il rame, l'ac ciajo , l'oro , e l'argento , ma fecero che ivi abbondante più dell'uno o dell'altro metallo ove era biſogno di maggior die feſa , o di più raro ornamento . L'Elmo che dovea abbagliando minacciare i nimici , riſplen dea per la terſezza dell'acciajo , non altrimenti che ſe fiam . me ſpargeſſe . La Lorica era ſcabra per i rilievi del rame e del bronzo , che quanto più maſſicci'ſi fingono , ed incurva ii , tanto più le faette e le ſpade ſpuntavano . Ben è vero che per la miſtura degli altri metalli , i colori della Lorica ſi mi ſchiavano con quei del bronzo e dell'oro , ond'ella riſplende va come un Iride in faccia al Sole . Nell'aſta e nelle ſchinie re abbondava particolarmente l'elettro che è un compofto d ' oro e ' una quinta parte d'argento , ma purgato più volte da'Ciclopi ; l'oro nel foco avea ſvaporato l'argento, onde la compoſizione riuſciva più prezioſa , più denſa , ed impene. trabile . Nello Scudov'erano tutti e quattro i metalli tra loro op portunamente fuſi e temperati . I Ciclopi ne aveano appiana ta la maſſa in ſette piaſtre rotonde , che a guiſa dei ſette cuoi attorti dello Scudo d' Ajace implicarono l'une nell'altre , perchè lo Scudo refifteffe a tutte l'armi de' Latini . Miſterioſo era il numero di ſetre appreſſo gli Antichi per la relazione ch'egli avea al numero de Pianeti. Forſe credea no , che gli aſpetti di cucci e ſette influendo nella fabbrica d' uno Scudo gli deffero una tempra immortale . La figura dello Scudo d'Enea era ovale , nè a cid forſe an cora mancava il ſuo miſtero . Gli Scudi ancili chc fi fingea. no 177 no caduti dal Cielo a tempi di Numa , aveano la ſteſſa figura , Or lo Scudo d' Enea non era men celeſte di loro ; ed Enea , che doveva portarlo , non ſi fuppone men pio di Numa. I Ciclopi nel fabbricar lo Scudo avendo poſta in opera per comando di Vulcano tutta la loro arte maeſtra , collocarono , intrecciarono , limetrizzarono , e colorirono le figure ſcolpite in maniera , che lo Scudo emulava la reflicura di un arazzo . Nè queſta a mio credere è un'Iperbole poetica , ma un'imi tazione di quell'idee che Virgilio, avea vedute ne'baſi rilievi di Roma , ove ſoggiornava, ed in quelli delle Città della Gre cia , ove per profittarlı dello ſtudio delle bell'arti avea viag giato . A Roma nelle Biblioteche e ne' Tempj ſtavano appeli certi Scudi tutti ſtoriati , e tra gli altri Plinio racconta , che nel Tempio di Bellona Appio Claudio confacrò uno Scudo , ove in picciole figure era rappreſentata tutta la Genealogia dell'antica famiglia de' Claud) . Nel conveſſo dello Scudo di Minerva avea Fidia ſcolpita la battaglia delle Amazoni , e nel concavo la guerra degli Dei e de'Giganti . Offerva Plinio , che Fidia , volendo moſtrar l'arte nelle minimeparti , avea elpela ſo ne' Sandali della Dea la battaglia de' Lapiti e de'Centauri , e nella baſe della ſtatua la naſcita di Pandora con quella di trenia Dei. Ne'baſſi rilievi delle lamine che cingevano la ſe dia della fatura di Giove Olimpico , lo ſteſſo Fidia in oro ſcol pito avea , da una parte il sole che conduceva il cocchio , e dall'altra Giove e Giunone ; a lato di Giove v'era una delle Grazie , indi Mercurio e Veſta., Venere pareva, uſcir dal ma re , l'Amore l'accoglieva , e la Dea Pito la coronava . Nello ſteſſo baſſo rilievo li vedeva Apollo e Diana , Minerva ed Er; cole , e nel piedeſtallo da un canto Anfitrite e Nettuno , e dall'altro la Luna, che galoppaya ſopra un cavallo . Qual mol ticudine , qual varietà ed intreccio di figure in poco ſpazio ? Or è molto verifimile , che come lo Scudo d'Achille diede a Virgilio la prima idea dello Scudo d'Enea , così į baſli rilie vi da lui yeduti a Roma in Atene e in Olimpia gl'inſegnal ſero a perfezionarlo . Nella deſcrizione delle figure ben fi ſcor ge che l'artifizio dell'imitazione, non deriva dagli alerui fan tasmi , ma da un'acurata oſſervazione del ſenſo , che regold la fantaſia del Poeta fino · lo ſpingo oltre la conghiettura , e pretendo che alle figu. se veduce da Virgilio ſcolpite o nell’avorio , o nell'oro , od in altro metallo negli vi applicalle la forza e la leggiadrią Tomo II. 2 de' 3 178 ra 1 1 de colori da lui veduti nelle pitcure encauſtiche : Plioio ne annovera di tre fpezie , e non ſaprei fuggerirne una miglior idea che raſſomigliandole alle picture che vediamo, non dirò fulle porcellane di troppo fragil materia a confronto del me tallo , ma su fmali di più dura tempra , e su vaſi e ſulle cop pe antiche , ove la varietà del colore riſultò dal vario grado del foco , che lor fu dato nel fondere e nel tingere il metal lo. Difficile è proporzionare il grado del foco ad ogni colo re , ma difficiliſſimo ove i colori lieno per conſiſtenza e viva cità differenti , e ſi debba nello ſteſſo tempo abbrugiandoli laſciarli ſecondo il biſogno o floridi , od auſteri , ed a tutti imprimere quello fplendore che ſecondo Plinio non è lo ſtef To che il lume , ma di'mezzo tra il lume e l'ombra , ed è propriamente l'intenſione d'ogni colore nella ſua ſpezie. Il Sig. Abate Fraguier , la cui memoria mi ſarà ſempre ca. offerva , che nello Scudo d'Achille la terra fenduta in folco dall'aratro cangia in nero il color d'oro , che i grappo li d'uva ſono neri e la vigna d'oro , che le giovenche ſono rappreſentate al vivo col bianco e col giallo , cioè collo lta gno e con l'oro , e che veriſſimo è il langue trangugiato da due Leoni che lacerarono il bue. Da ciò inferiſce che l'arte encauſtica fioriva a'tempi d'Omero ; ma quando anche i Cro nologi che non convengono dell'età d'Omero glielo conce deffero , molto più debbono elli concedere , che nel tempo d' Omero quell'arte era molto imperfetta a paragone dell'eccel lenza a cui la portarono i Greci nel secolo d'Aleſſandro , e ne’ſuſſeguenti . Le picture de' più celebri artefici encauſtici e rano ſtate portate dalla Grecia a Roma da' Capitani Romani , é poſcia conſecrate ne! Tempi. Virgilio che avea ſotto gli oc chj de'modelli così perfecti , gli ha verifimilmente adombra ti ne ' colori del ſuo Scudo yine queſta ſpezie d'imitazione pud negarſi ad ua Poeta sì doito , e d'on guſto così eſquiſito in ogni genere d'arte • Per reftarne convinti bafta riflettere alla varietà ed armonia de? colori delle figure deſcritte j ai sfuma menti, 0 , come parla Plinio , alle commiſſure de culoriftel fi, ai fecreti più mirabili della perſpectiva introdotti negli ac» tidenti delle imagini, e finalmente all'efpreffione degli affec ti de coſtumidegli Uomini rappreſentation La varietà e larmonia de'colori appariſce nell'Oca d'ar gento che vola ne' portici d'oro , ne' flutti biancheggianti per lai fpuma ini un mare cerulco Larrei ſono i colli de'Galli , men. 1 1 179 mentre le loro chiome fon d'oro , e vergate d'oro le veſti ; il langue di Mezio è vermiglio e gocciola dalle ſpine che lo no verdi . Per gli sfumiamenti de colori , ed inſieme per l'eſpreſſione degli affetti e de' coſtumi , diverſi nell' arni e nelle veſti fo no i colori de' Barbari condotti in trionfo ; il limitar del Tem. pio d'Apollo è bianco come la neve , ma più bianco è lo ſteſſo Dio ; Cleopatra è pallida per la morte futura ; il Nilo al ſembiante ed al geſto moſtra la doglia che lo crucia e l' impazienza di ſalvare i fuggitivi ſuoi figli. Che dirò della forza della perſpectiva ? Parrafio dipinle , al dir di Plinio , il Demone degli Atenieſi vario , iracondo , in giuſto , incoſtante .. Virgilio rappreſenta Porſenna che nello Iteſſo tempo comanda , li ſdegna , e minaccia . Nel Portico a . vanti la Curia di Pompeo era dipinto , ſecondo lo ſteſſo Plinio , un Soldato che non ſi fapea ſe con lo Scudo aſcendeſſe o di Icenderſe . Virgilio fa che i bambini attaccati alle poppe del. la Lupa fieno da queſta alternaniente accarezzati ; ciò che il Tallo imirò nelle figure delle porte d'Armida ove Marcanto nio nel ſeguir Cleopatra che fugge , Mirava alternamente or la crudele Pugna ch'è in dubbio , or le fuggenti vele . Ma paſſando a coſe più particolari , io per far meglio in tender l'ordine , l'intreccio , ed i fici delle figure , divido in quattro parii lo Scudo . La prima contiene la diſcendenza d ' Enca fino alla Lupa incluſivamente . La copula o , cioè an cora dimoſtra che tutto era nello ſtello baſſo rilievo . La ſeconda parte contiene molte coſe memorabili fotto i Re e ſotto la Repubblica . La terza la battaglia d' Azio . La quarta i tre Trionfi d'Auguſto . Queſte parti, ſi fanno ſenſibili dividendo l'ovale in quattro altre ovali concentriche che io ſegnerò co'numeri 1. 2. 3. 4. Nello 1pazio ſegnato i . ch' è come l'orlo dello Scudo io pongo le figure che rappreſentano i diſcendenti d'Enea anno verati da Virgilio nel primo libro e nel ſeſto : queſti ſono A Scanio , Silvio padre di molci Re , Proca , Capi , Silvio , Enea, i due giovani coronati di quercia , Numitore , e la Lupa che allatra i due bambini . De quindici Re d'Alba , di cui parla 2 2 Dio 186 Dionigi d’Alicarnaſſo e Tito Livio , Virgilio non nomina che queſti , perchè, come egli accenna , furono fondatori di colo . nie , avendo edificato Nomento , Gabia , Fidene , Collazia full? állo d'una montagna , ed il caſtello d'Inuo o di Pane . Fon darono ancora Bola e Cora , e queſte ed altre nominate Cit rà eſſendo nel Paeſe de' Sabini e de' Volſci , avranno dato oc caſione alle guerre e battaglie nello Scudo eſpreſſe. Nel baf ſo rilievo d'Alcanio dev'egli rappreſentarſi a guiſa d’un Ca. pirano o d'un Re che comanda di fabbricare una Città qual era Alba lunga . Altri prendono gli ordini , ed altri gli eſegui ſcono, ed i Soldati ſtanno riguardando l'opra . La pittura d ' Aſcanio è ſulla cima dello Scudo ; nella parte oppofta , o nel ballo v'è la Lupa che allatta i bambini, e biſogna rappre ſentaría qual è in molte medaglie . Ne' lati dell'orlo dello Scudo toſto ſi vede un bambino in mano d'un paſtore ch' eſce da una ſelva ; lo ſiegue in Re circondato da molti bam bini coronati , indi un Ře che guida un eſercito , un altro che eſpugna una Città , un altro che è in mezzo a Sacerdo ti e a Veltali , molti giovani Re cinti il capo di quercia che combattono e fondano colonie , o su monti , o nelle pianu. se . Nè Tito Livio , nè Dionigi d'Alicarnaſſo parlano in par ticolare di queſte battaglie , onde ſi poſſono ſcolpire a fanta ſia , ma devono eſſer ſcolpice in medaglie appeſe a rami od alle foglie d'un albero genealogico che ſerpeggi nell'orlo. Nello ſpazio ſegnato 2. io pongo da una parte due baſſi ri lievi di forma ellittica , ma incaſtrati di varj fogliami che riempiono i vuoti . Elli rappreſentano il ratto delle Sabine , e la pace cra Romolo e Tazio . Pongo dall'altra parte altri rilievi della ſteſſa forma che rappreſentano Mezio ſquarciato da ' cavalli , e Porſenna che afledia Roma . Nel ſommo dell'ovale ſi vede nelle figure più rilevate il Campidoglio affalito da’Galli , e difeſo daManlio ; e nelle più lontane i Salj e le Matrone che eſulcano ; nella parte oppo. fta che è la più baſſa dello Scudo v'è il Tartaro con Catili na affiffo allo ſcoglio , e ſopra il ſotterraneo ( chiamato da Vir gilio la bocca profonda di Dite ) verdeggiano gli Elisj , ove Catone dà la legge all'anime pie . Le figure di queſto ſpazio ſono maggiori di quelle dell' orlo perchè le parti più vici ne al centro dello Scudo ove fi fogliono diriger i colpi, devo no eſſer più maſſiccie per più reliftere . Lo ſpazio è percid maggiore Nel i 81 5 Nello ſpazio ſegnato 3. v'è la battaglia d' Azio . Apollo ſaettante è ſul Promontorio , ove Auguſto gl’inalzò un Tem pio . Le navi d'Auguſto ſono alla deſtra ſchierate in arco ; nel deftro corno v'è Augufto colla ftella in fronte e co' Pe. nati in mano , nel finiftro Agrippa cinto le tempia della co rona roftrata . Dirimpetto vi fono le Navi torreggianti d'An tonio . Secondo Plutarco , Antonio con Publicola reggeva il corno deſtro , e Clelio il ſiniſtro . Cleopatra è nel mezzo in atto di percuotere il fiftro , ſtromento dedicato ad Ilide che Cleopatra voleva emulare in curto . Tra i due ſemicerchi del. le navi ve ne ſono alcune diſtaccate che tra loro combatto no . Soggiunge Plutarco , che Ceſare non ſolamente non or dina ferir le prode dure e ferrate d'Antonio , ma nè anco inveſtirle per fianco , perciò che gli ſproni facilmente ſi ve nivano a romper urtando nelle cravi quadre incaſtrate infie me col ferro : Era dunque queſta battaglia ( ſegue egli) mol to ſimile a una giornata per terra , anzi piuttoſto all'aſfalco d'una Cicà . Perciocchè tre o quattro navi di Ceſare com battevano intorno a una nave d'Antonio con partigiane , piche , e con fuoco . D'altra parte gli Antoniani ftando ſulle gabbie di legno traevano dardi e pietre contro i nimici . Così ap punto Virgilio rappreſenta le navi che combattono . Sulle navi di Cleopatra vi ſono i Dei moſtruoſi d'Egitto , in atto di ſaettar Neituno , Venere , Minerva , che ſtanno ſulle navi d'Auguſto , e contro alle quali egli diſſe al Senato che Antonio avea moſſo la guerra , non meno che contro al. la Patria . Marre è in  mezzo della batcaglia , la Diſcordia , e Bellona , ed in aria ſtanno le Furie . Tutto ciò è ſotto la fi. gura del Campidoglio o nella parte ſuperior dell'ovale , men tre a'lari ſono le navi ſchierate . Nella parte inferiore vi fo no le navi di Cleopatra che fuggono ſpinte dal vento Japiga , che ſoffia dal capo di Salentino ; non lungi è la figura del Nilo , che allargà la veſte , e chiama i vinci a ricovrarli ne? ſuoi naſcondigli : egli è d' una figura giganteſca appoggiato ſull'urna che verſa i ſette fiumi nel mediterraneo , nel reſto dello ſpazio ſi diffonde il mare coi delfini che ſcherzano . Le figure di quello ſpazio ſono maggiori per la ragione ſopraccen nata , ed è maggiore lo ſpazio ſteſſo . Nello ſpazio ſegnato 4. vi ſono eſpreſli i tre trionfi d'Au guſto . Egli trionfo , dice Svetonio , in tre giorni l'uno dietro all'alcro ; la prima volta per la vistoria Dalmacica , la ſecon da 4 182 1 da per l'Aziaca, e la terza per l'Aleſſandrina . Dione Caffio particolareggia i trionfi . Trionfo Ceſare , dic'egli , il primo giorno de' popoli Pannoni , Dalmatini , Japidi , ed altri loro circonvicini , e d'alcuni popoli della Gallia e della Germania ancora , perciocchè Cajo Carina avea già vinti e ſoggiogati i Morini e gli alıri popoli appreſſo , che nella ribellione da lo . Fo fatta gli erano ſtati compagni , ed oltre ciò avea dato una rolta a'Svevi , ed a quelli che aveano già paſſato il Reno ; laonde ed egli e Ceſare feco rappreſentò il Trionfo percioc chè la vittoria folevaſi attribuire ſempre all'Imperatore , e l' Imperatore era Ceſare , è teneva in mano il governo di tut, 10. Il ſecondo giorno Ceſare rappreſentò il Trionfo della bat taglia fatta al promontorio d' Azio nel mare . Il terzo poi dell'Egitto ſoggiogato . Le ſpoglie in queſte guerre acquiftare furono baſtanti ad ornar tutto l'apparato di que' Trionfi ; quel. Je però d'Egitto avvanzavano di gran lunga curti gli aliri ap parati d'ornamenti di ricchezza e di rarità ; tra l'altre coſe vi fi vedea Cleopatra fteſa ſopra una colore in alto di morire , onde in un cerio modo queſta Reina era condotta in trionfo cogli altri prigioni, tra'quali v'era Aleſſandro ſuo figliuolo , e Cleopatra fua figliuola chiamati da lei col nome del Sole e della Luna . Gl’interpreti fi vanno inutilmente affaricando a cercar le ragioni della qualità de'prigioni , e particolarmente perchè ne' cocchi ſi vedeſſe l'imagine dell' Eufrate e dell’A . raſſe fiumi dell'Armenia e della Meſopotamia non conquiſtati da Auguſto . Il P. Arduino nelle ſue rifleſioni fopra Virgilio non ritrovando queſte vittorie d'Auguſto ne trae degli argo menti diſavantaggioſi all'Eneide. Io non perderò inutilmente il tempo a riſpondergli in particolare . Ciò che poſſo dire a coloro che ammettono l'autorità di Dion Callio , è far loro oſſervare , che Antonio dopo aver chiamara Cleopatra Reina dei Re , Ceſarione Re dei Re , ed aggiunto alla loro giuriſdi. zione l’Egico , donò la Siria a Tolomeo , e lutte le Provin cie di quà dall'Eufrate fino all'Elleſponto ; donò l'Africa fino alla Cirenaica a Cleopatra , ed al fratello di coſtoro chiama to Aleflandro dond l'Armenia con tutto il rimanente del pae fe al di là dell'Eufrate Gno all'Indie . Or non è verifimile che Auguſto da cutti queſti Paeſi fcieglieſſe de' prigioni , che egli doveva aver fatti o nella battaglia d'Azio , o nella ſcon fiila data ad Antonio in Aleſſandria ? Quanto al Reno , Agrip pa l'avea paſſato nel 717. nė fi curò del Trionfo , ma egli è pro . 183 probabile che Auguſto voleſſe che Agrippa trionfare ſeco co me Cajo Carina . Non v'era. ſegno d'amicizia e d'onore che non gli deſſe , perciocchè oltre la corona roſtrata , con cui lo fregið dopo aver vinto Seſto Pompeo in Sicilia , volea ch'egli avelle una cenda e l'altre inſegne militari ſimili a quelle dell' Imperatore , e , come dall'Imperatore , da lui ſi prendeſſe il ſegno della milizia , ed egli era in forſe di dargli per moglie Giulia : canto grande , gli diſſe Mecenate , tu faceſti Agrippa , che o biſogna ucciderlo , o ch'egli ſia tuo Genero . Dopo il Trionfo Auguſto inalzò molti Tempj ; uno ad A. pollo ſecondo Svetonio ſul monte Palarino , al quale aggiun ſe una Loggia con una Biblioteca Greci e Latina ; un altro ne edificò a Marte vendicatore per il voto fatto nella guerra contro Bruto e Caſſio per vendicare il Padre , ed un altro a Giove Tonante nel Campidoglio . Secondo Dione egli ancora conſecrò il Tempio di Minerva , ornò il Tempio di Giulio ſuo Padre ſoſpendendovi molti e molti doni della preda por tata d'Egitco , e molti ne conſecrò ed offerſe a Giove Capi. tolino , a Giunone, a Minerva . Non è da traſcurare che po fe l'imagine della vittoria ſecondo Dione nel Tempio di Mi nerva , e ſecondo Plinio nel Tempio del Padre Celare , il qua le era nel Foro ; aggiunge Plinio , che vi poſe ancora i Ca ſtori che forſe ſimboleggiavano Auguſto ed Agrippa , nel pri mo libro aſſomigliati da Virgilio a Romolo ed a Remo , come interpreta Servio . Poſe ancora Augufto nel foro due quadri , uno della guerra , e l'altro del Trionfo ; e s’io non m'ingan doveano queſti rappreſentare coſe alluſive alla battaglia d' Azio , ed ai trionfi dello ſteſſo Ceſare . Comunque la coſa ſia , ove è il centro dello Scudo che è la parte più alta , io pongo la Cupola del Tempio d'Apollo , alle cui porte Augufto affig ge le corone d'oro che erano i doni offertigli da’ Popoli dalle Provincie confederate . Tutto all'intorno vi ſono le are e gl’incenſi colle vittime , e quindi la pompa e la lecizia del trionfo. In quel giorno che Auguſto entrò in Roma, dice Dio ne , gli fu conceduto un Arco nella Piazza di Roma , e in o nor di lui li celebrarono i giuochi quinquennali , e gli anda rono incontro le Vergini Veítali , il Senaco ed il Popolo , colle mogli , e il figliuoli: mi par ſoverchio ( ſoggiunge Dio. ne ) di raccontar i voti e le imagini ed altre coſe fatte per lui · La pompa del Trionfo conſiſte ne' prigioni Nomadi , o Numidi , Affricani , Lelegi , Cari popoli dell'Alia minore Ge no , e 184 Geloni ſpezie di Sciti , Morini popoli della Gallia Belgicà fi tuati verſo l' Oceano Britannico . Tra queſti vi ſono molti cocchi colle imagini dell'Eufrate, del Reno , e dell'Araffe col ponte che Auguſto vi fabbricò . Tali ſono i baſli rilievi e le figure di tutto lo Scudo ; elle s'ingrandiſcono a proporzione ch'egli ſi va rilevando , e le miniature devono render ſenſi bili i colori di cui ſono in Virgilio dipinte . I colori domi nanti ſono il giallo e il bianco che rappreſentano l' acciajo ed il rame . Marte però deve eſſer dipinto con un colore fer rigno , o fia di ferro , non raffinato in acciajo ; diverſi ſono i gradi de colori o floridi od auſteri che biſogna lumeggiare ed onibreggiare ; ma ſopra tutto convien dar alle figure lo ſplen dore , o ſia quel grado vigoroſo di colore di cui s'è parlato . Spiegato in queſta maniera ciò che concerne la parte ma teriale e ſtorica dello Scudo , egli è tempo di ragionare delle relazioni che le figure hanno ad Auguſto , al quale tutto il Poema è diretto , come a lungo eſpoſi nell'altra diſſertazione . Biſogna quì ricordarſi che l'adulazione , ingegnoſiſlima nelle fue compiacenze , or impiega le lodi dirette e manifeſte , or l'indirette ed occulte , ſecondo che l'une e l'altre per le cir coſtanze fono più grate a colui che fi loda . Lodar Augufto per la ſua ſtirpe , lodarlo per la vittoria che gli diede l'Imperio , e per i tre trionfi , ne' quali fece tanto riſplender la ſua pietà , erano lodi che Auguſto fonima mente defiderava che ſi pubblicaſſero , onde eſſo poteſſe ritrar: ne più venerazione ed ubbidienza . Conviene a parte a parte moſtrarlo . Giulio Ceſare nel far l'Orazione funebre in lode di Giulia ſua Zia: La firpe materna , diſſe , di Giulia mia Zia ha origi ne dai Re , é la paterna è congiunta cogli Dei immortali , im perciocchè da Anco Marzio derivano i Re Marxj del cui nom fu mia Madre , da Venere i Giulj della cui gente è la noſtra Fa miglia . Trovaſ dunque nel ceppo antico della caſa noſtra la fantità dei Re la quale appreſſo gli Uomini è di grandiflima autorità e la Religione degli Dii nella podeſtà de' quali ſono el Re . Sin quì Svetonio . Non potea dunque che molto pia. cere ad Augufto che Virgilio noftraſſe e nel primo enel ſe fto e nell'ottavo che nella ſua genealogia verano i Re , gli Dei , e gli Eroi . Virgilio dice nel primo libro: il giovine A ſcanio che porta oggidiil cognome di Giulio e che ſi chiamava Ilo, mentre Ilio era in piedi, governerà Lavinio per trent'anni 1 in. 185 intieri etraſporterà la sede del Regno in Alba lunga di cui faa rà una forte Città . Nel feſto egli dice: uſcirà dal ſangue Tro jano miſto all' Italico Silvio ſuo figlio poſtumo che perpetuerd in Alba il ſuo nome , e ſarà egli fello Re e padre di molti Re , . per lui la noſtra ftirpe dominerà in Alba . Virgilio ſcaltro nul la parla delle guerre che ſecondo Dionigi d'Alicarnaſſo vi fu rono tra Giulio figliuolo d'Aſcanio e Silvio , e molto meno che per i ſuffragj del popolo ſi deſſe a Silvio il Regno che apparteneva a ſua madre , ea Giulio per contentarlo la fo vranità ſulle coſe della Religione, per cui, ſoggiunge Dionigi , la Famiglia Giulia ha goduto fin al mio tempo del ſovrano Pontificato , e s'è chiamata Giulia a cagion d' Julo da cui u ſciva . Io non so accordar queſto paſſo di Dionigi d'Alicarnaſ ſo con quell'altro di Plutarco e di Svetonio , ove ſi vede che Giulio Ceſare non per dricco di ſangue , ma per i ſuffragidel popolo in competenza di Catulo ottenne il ſommo Pontifica to. Laſciando cid , baſta quì oſſervare , che Virgilio confonde Aſcanio con Silvio figliuolo di Lavinia e gli altri diſcendenci da lui, poichè dice , che v'era ſcolpita tutta la ftirpe d'Enea cominciando da Aſcanio . Io così interpreto quel Ab Aſcanio . Di tutti queſti Re e di queſti Eroi Virgilio nefa come del le imagini trionfali , che pone nell'orlo del ſuo Scudo , come negli atrj delle caſe de' Romani ſi poncano le imagini degli Avi loro, ſulle quali Giuvenale e Plinio fanno sì gravi riflet fioni intorno al biasmo ed alla lode de' diſcendenti . Ciò ba fi intorno la lode manifeſta della ftirpe d'Auguſto. Palliamo alle lodi indirette . Nelle medaglie , ove fi legge Reft. o reſtitui , ſi vede l'ima. gine o d'un Bruto, o d'un Coclite , o della libertà , o d'al tre coſe alluſive alle azioni celebri de' Romani antichi , che gl' Imperatori Romani aveano imitate o reftituite . Il P. Ar duino vuole che queſte allegorie nelle medaglie cominciaſſero ſotto Tito , di cui ſi contano fino 22. medaglie di queſta ſpe. zie e terminaſſero ſotto Trajano , di cui ſe ne contano 24. ma non , perchè queſte medaglie non ci reſtino , ſi può dedur che ſotto gli altri Imperatori e particolarmente ſottoAuguſto , che vantavafi d'effere il difenſore della libertà del Senato e dei popolo , l'adulazione non aveſſe inventate l'allegoric ; certo è almeno , che con queſt'ipoteſi ſi rileva il ſenſo del ratto del. le Sabine, e della pace ira Tazio e Romolo . Prima che Planco determinaffe il Senato a dar ad Occavio Tomo II. il 186 9 il nome d'Auguſto , molti volcano che ſi chiamafle Romolo . In fatti Auguſto l'imicava non ſolo nella fondazione d'un nuovo Impero , ma ancora in molte circoſtanze della ftella fon dazione . Come Romolo col ratto delle Sabine avea provvedu to al mantenimento della Città , così Auguito con la legge di maricar gli ordini che Orazio chiama legge Marita ; due ne fece Auguſto ., la prima nell' anno 736. e ſi chiamava legge Giulia , e l'altra dell'anno 762. e li chiamava legge Popea perchè fatta ſotto i Conſoli Sulpizio e Popeo. Con queſte leg. gi fi rinovarono l'antiche rammemorate da Cicerone e da Aulo Gellio , e Dion Caſſio merte in bocca d'Auguſto una lunga arringa su queſta materia al Senato , nella quale dopo d'aver cogli eſempj delle nozze degli Dei eſaltato il vantaggio e la giocondità de'figli , l'utile della Repubblica , e il biasmo di viver ſenza moglie , gli fa dire : Romolo autor noftro , e da cui diſcendiamo, non li ſdegnerà con tagione conſiderando il fuo naſcimento e i coftumi introdotti ? Orazio nel Carme ſecolare lodando per queſta legge il Se nato obliquamente loda Auguſto ; ma Virgilio nella lode obli. qua involge l'argomento del minore al maggiore come s'egli diceffe : fe tanta obbligazione hanno i Romani a Romolo che con una violenza provvide al mantenimento della Città , mol to maggior obbligazione i Romani hanno ad Auguſto che ſen . za danno de' vicini vi provvide con una legge si ſaggia. Romolo dopo le guerre con Tazio ai rapacificò ſolennemen. te con lui , e diviſe feco il Regno ; ed Auguſto dopo molte guerre con Marcantonio conciliatoſi ſeco per l'opera de' co muni amici diviſe l'Impero , del quale il termine ſecondo Plu tarco era il Mar Jonio . Tutta la parte , dic'egli , verfo Levan te fu conceſſa ad Antonio , e l'alira verſo Occidente a Ceſare . Pegno della pace fu Ottavia maritata ad Antonio , e certamente ella è rappreſeatata nella vittima che ſi ſcanna nella ceremo nia del giuramento tra Romolo e Tazio : ne deve far difficol tà il noine della vittima , poichè tutto ciò che li confacrava agli Dei era fanto , e la Scrofa è ſtata ad Enea d'indizio del paeſe che ricercava . La pittura di Mezio non è meno allegorica ; egli tradi Tul lo Oſtilio come Antonio tradì la Repubblica , e tradi Ottavio con la guerra che all'uno ed all'altra intimo per far piacere a Cleopatra . Mezio ne fu ſquarciato a viſta di Tullo; ed An. tonio fu coſtretto a darſi la morte quafi agli occhi d'Augufto. An 187 Antonio mentre s'incamminava al ſepolcro ove s'era rinchiuſa Cleopatra , andava verſando il ſangue per le Atrade come ap punto il corpo di Mezio per la ſelva . Non ſi potevano eſpri mer da Virgilio coſe sì delicate che in un quadro allegorico , Due volie , dice Svetonio , entrò Auguſto in Roma vitto rioſo e ſenza trionfare , una, poichè egli ebbe vinto Bruto e Caffio ne'campi Filippici, l'altra avendo vioto Seſto Pompeo in Sicilia ; il che moftra , qual foſſe la modeſtia politica d ' Auguſto ; queſta ſteſſa egli usò con Marcantonio del quale e gli non crionfo , ma di Cleopatra , come ſi può raccoglier dal Trionfo deſcrito da Dion Callio . Egli ſollevò i figliuoli d' Antonio alle prime dignità , nè col moſtrar odio e vendetta con Antonio dopo ch'egli era morto voleva offender Octavia a cui era ſempre grata la memoria del marito . Orazio e Vir gilio ben ſapendolo non mai parlarono di Marcantonio ſc non mettendolo in compagnia di Cleopatra su cui fecero ca der l'odio e la colpa ; ma nel tempo ſteſſo , conoſcendo forſe che Auguſto ſi compiaceva , che negli animi de' Romani non ſi ſmarriſſero l'idee di quanto avea fatto contra Marcantonio per la finta difeſa della libertà , eſli procurarono di maſcherar ne l'azioni con l'allegoria , della quale Auguſto poteva abba ſtanza intenderne il ſenſo , e non offenderſi i partigiani d'An tonio per le varie interpretazioni che poteano darle . Nelle mie note su l’Odi d'Orazio io ſpiego con ciò molte coſe in intelligibili ſenza queſta ſuppoſizione, nè ſarà diſcaro che ne moſtri l'uſo nelle ſtorie di Porſenna e di Manlio ſcolpite da Virgilio nella ſeconda ovale dello Scudo . Porſenna voleva riſtabilire in Roma la tirannia traſportan dovi i Tarquinj, e nonmeno Antonio voleva riſtabilirla tra ſportandovi Cleopatra . Se Antonio , dice Dione , foſſe ſtato ſuperiore e ſignore del tutto , era per dare a Cleopatra la Cit tà di Roma ; è poco dopo ſoggiunge , che Cleopatra era venu ta in ſperanza d'acquiſtar l'Impero Romano , e che quando al cuno le dimandava giuſtizia , ella riſpondeva che gliela fareb be in Campidoglio :al che pur allude Orazio nell'Ode 37. l . 1. dicendo ch'ella era ebbra di folli ſperanze non meno che di vino mareorico . Io non so ſe troppo raffini nel ritrovar in Clelia che ſi falva a nuoto , Ottavia che al dir di Plutarco eſce precipitoſamente dalla caſa d'Antonio ; ma certamente Coclite che rompe il ponte è un ſimbolo d'Agrippa che con la vittoria navale interrompe l'avvanzamento d'Antonio. AQ 2 Tito 188 Tito Manlio è difenſore della libertà del Campidoglio con tra i Galli , come Antonio fu difenſore della preteſa libertà contra Caſſio e Bruto e gli altri nimici di Giulio Ceſare. Non mancarono , dice Plinio , i fregi delle coſe militari in Manlio Capitolino , ſe non gli aveſſe perduti nell'eſito della vita ; e Tito Livio ſoggiunge , che lo ſteſſo luogo nell'Uomo ſteſſo fu un monumento e d'inſigne gloria e di ultima pena . Anto nio difeſe il popolo Romano ne' Campi Filippici , e il popo lo Romano in Azio ed in Aleſſandria l' inſeguì e fu cagione della ſua morte . I Salj ed i Luperci eſultano , e le matrone ne loro cocchi agiati conducono le coſe ſacre per la Città per dimoſtrare che non ſono ammeſſe in Roma le ſuperſtizio ni Egiziache , abborrite eſtremamente da' Romani ne'cempi d ' Auguſto e di Tiberio . Catilina tormentato nell' Inferno non moſtra egli le pene dovute a Marcantonio ? e per la ragion de contrarj quante lo di meritava Auguſto per la ſalvata libertà ? In grazia di que fta ſoffriva Augufto che fi lodaſſe Catone Uticenſe . Orazio nell’Ode 12. c. 1. lo mette tra gli Eroi di Roma . Loderò di Caton la nobil morte ? Il P. Catrou pretende , che il Catone che negli Elisj dello Scudo dà legge agli ſpiriti, non fia altrimenti Catune Uricen ſe , ch'era troppo odioſo a'Ceſari, ma Catone il Cenſore , di cui dice Seneca , che tanto giovo co'ſuoi coſtumi al popolo Romano , quanto Scipione colle ſue guerre . Il P. della Rue é per il Carone Uticenſe , ma non ne aſſegna la ragione , la quale è manifefta, ſe ſi riflette al paſſo di Taciro da me nell' alıra diſſertazione addotto e che qui ancora ſoggiongo , perchè cgli moſtra quanto Ottavio fi vantafle, come Cromuello fece a' noſtri tempi , di paſſar per difenſore della pubblica libertà . Tito Livio ( così fa dir Tacito a Cremuzio Cordo in Senato ) chiariffimo tra tutti gli Scrittori e per eloquenza e per fedel tà , celebrò con tante lodiGnco Pompeo che Auguſto lo chia mava Pompejano , nè perciò gli fu meno amico. Nelle Opere di Aſinio Pollione ( cui Virgilio dedicò l'Egloga terza ) li fa onoratiflima memoria di Callio e Bruto : Meffala Corvino pre dicava Caffio per ſuo Imperatore , e l'uno e l'altro viſſero lun. gamente pieni di ricchezze e d'onori, ed Auguſto , non ſi sa le con maggior lode di manſuetudine o di prudenza , laſciò 1 cor 189 correr le lettere d'Antonio , e l'orazioni di Bruto , che molto lo diſonoravano ; nel che forſe volle imitar Ceſare Dittatore che tollerò i verſi di Bibaculo e di Catullo , ed al libro di Marco Cicerone nel quale s' inalza Catone al Cielo , riſpoſe perorando come ſe foſse avanti i Giudici . Con queſto paſſo di Tacito ſi può dar la ragione per la quale Virgilio ed Ora zio non temerono , dedicando l'Opere loro ad Auguſto , di no. minar Giunio Bruto , Marco Bruto , e Callio , Catone, e Pom peo . Maquale ſcaltrezza cortigianeſca v'è in Virgilio nell' introdur Catone a dar legge agli ſpiriti ? Par, ch'egli accen ni , che Carone meritava ſolamente grado in quella Repubbli ca ideale di Platone , la quale ſecondo Cicerone egli cercava nella feccia di Romolo . Ed ecco ciò che dovea dirſi intorno alle lodi indirette ed allegoriche . Le figure del quarto e del quinto ſpazio contengono lodi di rette , perchè cuite ripiene delle coſe di cui si compiaceva Auguſto che i Romani continuamente acclamaffero . Egli ſteſ ſo , come ſi diffe , avea nel Foro di Ceſare conſecrata l'ima gine della battaglia , e del Trionfo , nè io dubito punto che Virgilio ne aveſſe eſpreſli i tratti della pittura nello Scudo in quella guila , che nel primo libro nel rappreſentar il Furore alliſo ſopra i trofei e con le mani annodate al tergo imita la pittura ch'era nel Tempio di Giano . Tutto poi nella deſcrizione e della battaglia , e del Trion fo , è diretto alla lode d'Auguſto. Nella battaglia , Auguſto è coi Padri , col Popolo , coi Penati , e co'magni Dei, ed ha in fronte la ſtella paterna ; ciò ſignifica , che la guerra era in trapreſa per la libertà del Popolo , del Senato e coll'alliſtenza di Giulio Ceſare già Deificato . All'incontro Antonio non ha ſeco che de' Barbari , ed un'effeminata Reina ; Auguſto è di feſo da Venere genitrice , da Minerva , e da Apollo , Dei del la prudenza e del conſiglio , e da Nettuno , che gli era ſtato favorevole nelle guerre in Sicilia contro Seſto . All'incontro Antonio non ha ſeco che Dei moſtruoſi ed odiati da' Romani . Quanto cgli deſcrive più feroce la pugna , tanto maggior mente eſalta il valore d'Auguſto e d' Agrippa , ch'egli ſempre accompagna per le ragioni di ſopra accennate . Le Furie e la Diſcordia con Bellona liriferiſcono a Cleo patra ; ma qual mai v'è ſagacità poetica nell'accennare la fu ga e la morte di queſta Reina ? Mentre ella ſuona il filtro non vede i due ſerpi che la minacciano alle ſpalle ; ella con fida iyo fida in vano nelle forze dell'Egitto , e in vano tenta di rifu . giarſi nelle più occulte ſpiagge delNilo . Tutto allude al .con higlio ed alle azioni di Cleopatra . Perchè poi Virgilio non nc introducefle nel Trionfo l'effigie , e tra i prigioni non poneſ ſe i figliuoli di lei , la cagione n'è forſe ſtata il timore d'ec citar nell'animo altrui con queſte imagini qualche grado di ammirazione e di compaffione , e perciò ſcemar in parte la lode d'Auguſto , e tra l'altre quella della pietà . Ne'gran Poe. ti biſogna egualmente riflettere e a quel che dicono e a quel che tacciono , onde molto male s'argomenta dalla Poeſia alla Storia , e dalla Storia alla Poeſia , quando non s'attende al fi ne a cui tutto vuol accomodare il Poeta . Il fine delle figure ſcolpite nei vari ſpazi dello Scudo ha relazione al fine gene rale dell'Eneide . Le figuredel ſecondo ſpazio riguardano il ſenno d'Auguſto , le figure del terzo il valore , le figure del quarto riguardano la ſua pierà . Queſte ſono le tre virtù do. minanti dell'Eneide . Dionigi d'Alicarnaſlo , che ſcriveva nel tempo d'Augufto , le ſtabiliſce come neceſſarie ai fondatori d ' un Impero , e Virgilio vi fabbrica ſovra l'Eneide . Molte altre coſe io potrei addurre intorno l'artifizio poeti. €0 , la chiarezza , e la brevità , colla quale Virgilio in sì po chi verſi eſprime tante coſe , nè mai per oftentazione o d’in. gegno o di dottrina o d'erudizione , maſempre relativamente al diſſegno del tutto e delle parti , ciò che deve ſervire a' Poe. ti moderni di precetto e d'eſempio. DISSERTAZIONE PRELIMINARE i ALL' ILLUSTRAZIONE DEL PARMENIDE DI PLATONE. atentat nesatentratata L A ſecca della Filoſofia Italica fondata da Pitcagora ebbe nome e ſede nella Magna Grecia , tra le cui Provincie fu per l'eccellenza de'Filoſofi, che vi fiorirono , celebre la Lucania , ed in queſta la Città di Velia , o d'Elea così denomi nata dal fiume che l'irrigava . Quivi Senofane di Colofone , Cit tà della Jonia nell'Alia minore , ſtabilì e perfezionò la fecta , che dalla Città d'Elea fi diffe Eleacica , e meritò d'avere tra gli al tri diſcepoli Parmenide nato di Pireto , e quel Filoſofo grave e venerabile , che con Zenone paſsò in Atene , ove tenne la con ferenza con Socrate eſpreſſa in queſto Dialogo . Ora avendomi propoſto io d'illuſtrarlo nella ſua parte ſtori ca e Filoſofica, credo diſoddisfar quanto baſta al mio impegno ſe prima tento d'accordar l'erà controverſa dei tre Filoſofi nomi nati, indi ſe della dottrina Eleatica ſpiego l'origine e l'effetto , o la Filoſofia Pittagorica , e la Platonica ; finalmente ſe mi fer punto che Platone in queſto Dialogo n'eſpoſe, e dichiaro l'artifizio filoſofico , e poetico dello ſteſſo Dialogo . lo difli , che Senofane ftabili , e perfezionò la ſecca Eleacica perchè Platone dice nel Sofiſta , la gente d ' Elea incomincia appref ſo di noi da Senofane, anzi da più antichi, i quali non poteano eller che Talete, o Pittagora , oi difcepoli loro ; non regnando, allora alıra Filoſofia nella Grecia , ſe non l'introdotta dai due fondatori, o profeſſata da i loro allievi . Alcuni però fecero Se nofane poſteriore a Talete , ma più antico di Pittagora, nè fo dove prendeſſero le loro congetture cronologiche , alle quali oltre l'autorità di Platone , s'oppongono le ſcoperte dei due Fi loſofi , e i viaggi loro . Taletecalcolo il primo l' eccliſli lunari , ma come poteva egli calcolarle ſenza conoſcere la propolizione , che Euclide poi fe ce la 47 del primo libro degli Elementi , e di cui s'aſcrive or dinariamente l'invenzione a Pitcagora ? I calcoli aſtronomici ſo mo ſul . no ( 4 ) no dedotti da trigonometrici, principio de' quali è il triangolo rettangolo miſura diſe ſteſſo , e de gli altri triangoli. Pittagora dunque, che l'invento , o fu contemporaneo di Talete , o fiori prima di lui . , Io credei , che queſta foſſe una dimoſtrazione in cronologia , finchè in Plutarco ( a ) ritrovai che gli Egizj ſimboleggiavano co ? tre lati del triangolo rettangolo miſurati da 3, 4 , e s le loro principali divinità Ilide, Oliride, ed Oro ; aſſegnando ad Oſiri de la perpendicolare, la baſe ad Ilide , e ad Oro l'ipotenuſa ; L'antichità del ſimbolo manifeſta quella della cognizione , tan to più che gli Egizi coltivarono l' aſtronomia da poi che eb bero inventato la geometria per miſurare i terreni, e non par veriſimile , che ſenza conoſcere il triangolo rettangolo , il pri mo e il più facile ad immaginarſi de gli altri, poteſſero riu ſcire nella pratica di queſte due ſcienze . V'aggiungo, che fe condo Platone ( 6.) noci erano, agli Egizi gl' incomenlurabili , la prima idea de' quali naſce dall' impoſſibilità di eſtrar la radice dal quadrato dell'ipotenuſa del triangolo ; I lati del retcangolo Pitta gorico ſono i numeri accennati , e queſta è la prova che dagli E giz lo toglieſſe Pittagora , e nello ſteſſo tempo o poco prima l' aveſſe colto Talete , benchè poi Talete ſi contentaffe di moſtrare all'Aſia minore l'ulo aſtronomico della propoſizione, e Pictagora ne deſſe alla Magna Grecia la dimoſtrazione Geometrica , ed è forſe quella regiſtrata da Euclide nel primo libro diverſa dalla 8 del libro 6 dedotta dalle proporzioni delle linee , e che nel progreſſo del tempo Eudoffo , che fiori nel tempo di Placone , portò dall' Egitto col s elemento . Or fe i gradi delle cognizioni dello fpirito umano ſono fema pre gli ftefli, dall'analogie dell' Epoche moderne ſi poſſono de durre le antiche , e particolarmente quelle che hanno relazione agl'inventori de' principjmatematici . Nel paſſato ſecolo ſi trova prima dal Toricelli la Cicloide , e l' Ugenio l'applicò a regola re il moto dell'orologio a pendulo ; il Newtono fi limitò all'altrace ta Teoria della luna , e l' Hallejo l'applico a correggere le Tavo le aſtronomiche . La ſeconda congettura della contemporaneità di Pitragora, e di Talete , ſi prende da coſe più facili . Vuol Jamblico , che Ta lete ſcriveſſe una lettera a Ferecide maeſtro di Pittagora, e gli legaſſe certi fcritti morendo , e par che Plinio convenga che i due Filoſofi foſſero ſtati in Egitto al tempo che regnava il Re Amaſi. La queſtione non cade più dunque ne ſu tutto il ſecolo , ne ( a) Trattato d'Ilide, ed Oſiride . ( 6 ) Nella Rep. e nelle leggi . ( 5 ) 1 4 ne ful mezzo ſecolo , ma su l'età dell'uno e dell'altro di pochi anni diſtante ; Talete par più vecchio ſe ſcriſſeuna lettera al maeſtro di Pittagora , machi sa poi ſe Pitragora non era allora in Egitto ? queſta lieve differenza non toglie però , che ſe Talete' fu più d'un ſecoloprima di Senofane, non lo foſſe ancora Pittagora : Io ritrovo bensì, che Senofane era contemporanco d'Epicar mo , e diEmpedocle. Secondo Timeo lo Storico , Senofane paſsò in Sicilia al tempo di Gerone , ſotto il cui Regno Epicarmo era illuſtre per le ſue commedie, e Plutarco (a) ci conſervò la memo ' ia d'una riſpoſta , che diede Senofane ad Empedocle . Non è facile il determinare , nè qui lo cerco , quanto Epicar mo , ed Empedocle foſſero diſtanti da Pittagora , e quindidà Ar chita Tarentino il vecchio , da Peritione , da Timeo di Locri , da Ocello Lucano , e da altri , che ſi dimandavano Piccagorei ( 6 ) perchè udirono Pittagora , a differenza deglialtri , che ſi chiamava no Pittagoriſti. Quando cominciò Senofane a ſtudiar la Filoſofia , quella di Ta lete era già diffuſa nella Jonia , e quella di Pittagora nella Magna Grecia ,e nella Sicilia ; su queſto fondamento altri fecero Seno fane diſcepolo di Anaſimandro , ed altri di Archelao diſcepolo di Anafagora , il quale avea il primo traſportata la Filoſofia dalla Jonia in Atene, ove paffato Senofane ftudiò ſotto ( c ) un certo Bottone Ateniere . Dalla povertà cacciato Senofane dalla Grecia , paſsò nella Sici lia e quà s'abbandono alle doctrine Pittagoriche , più delle Joniche conformi all'ingegno di lui acre , e profondo. Dalla Filoſofia Jo nica , e dall' Italica traſſe un nuovo liftema , è meritò ď' effer ca po della ſecta Eleatica primo fonte dell'Accademica , e della Pla tonica , delle quali poi furono rami lo ſcetticismo, e lo ſtoicismo, Nulla ancora s'è fatto , ſe non ſi dimoſtra accordarſi l'ecà di Senofane con quella di Parmenide , e queſta con quella di Socra te . Tralaſciare dunque molte epoche inverifimili, io m'arreſto a quella che aſſegna Timeo a Senofane , ed è che egli fiorille nell'olimpiade 76. Parmenide, ſecondo Laerzio ſeguito dallo Stan lejo , e da altri , fiorì nell' olimpiade 69 diſtante dalla 76 di 7 olimpiadi, che importano 28 anni, calcolando ogni olimpiade per 4 anni compiuti . La voce fiorire è molto vaga o ſteľa nel la Cronologia , perchè non ſempre moſtra , che un Filoſofo fof ſe nel punto più alto della ſua fama, ma che ſolo aveſſe un no meilluſtreacquiſtato . Il Newtono , che cosi rapidamente ſi per fezionò nelle matematiche, fioria del pari in Inghilterra nel 1662 quando ſcriſſe al Leibnizio la lettera in cui gli dichiarava lo ſvi luppo , ( a ) Plut. de vit.pud . ( 6) Patr. diſcuſs. prop . 1. 6. (c) Laerzio vit.di Sen. ( 6 ) 3 8 luppo , e l'uſo del Binomio eſaltato ad una potenza indetermi nata , e nell'anno 1716 in cui molte coſe aggiunſe al ſuo libro de' colori, e n'illuſtrò molte altre nei principj naturali della Fi loſofia matematica , Senofane, che lo Scaligero fa vivere 104 an ni , ed altri almeno fino a 100 , potea fiorire in olimpiadi mol to diftanti, perchè per la forza della ſua mente facilmente riu fcendo nelle fue applicazioni, in breve acquiſtava fama di lomme Filoſofo , e la ſua fama tanto più ſpargeali per le bocche degli Uomini , quanto egli abbelliva le ſue meditazioni filoſofiche con la Poelia per farle ricercare , e leggere con più d'avidità . Parmenide fece i ſuoi ftudi in Elea ( a ) ſotto Amenia , e Dio cheta Pictagorici , i quali lo riduſſero a laſciar le ricchezze , ecol tivar la vita privata, e darſi tutto alla Filoſofia . Biſogna dun que che in eſſa molto riuſciſſe , o la Filoſofia foſſe la paſſione , che più lo dominava, ſe nato de' più ricchi, e de’più nobili di Elea ebbe tale coraggio ; ma ciò molto applauſo dovea avergli acquiſtato appreſſo de'ſuoi Cittadini , ſe fin d'allora cominciarono a celebrarlo in guiſa , che al dir di Ermipo Empedocle l'emuld . Nulla vieta il ſupporre, che Empedocle avelTe molto ſoggiornato in Elea , e poi foſſe ritornato in Agrigento ſua Patria . In Elea era ſtato emulator di Parmenide doctiſſimo nelPittagoriſmo, e lo fu in Sicilia di Senofane , che lo profeſſava con qualche cangiamento', dopo gli anni 28 che è l'intervallo frappoſto tra l'olimpiade 69 e 76 . Paſso Senofane in Elea , ed ivi Parmenide conſecrato agli ſtudi corſe ad udir Senofane , come i giovani nobili , e ben educati ſo leano far nella Grecia , quando nelle loro Circà udiano entrar un Filoſofo illuſtre , e che potea inſtruirli in qualche nuovo liſte ma , del che chiari gli eſempi ne vediamo nel Protagora , nelGor gia , ed in altri Dialoghi di Platone . Quando Parmenide udi Se nofane, queſti poteva eſfer molto vecchio ; ma qualunque età dia ſi a Senofane, mi baſta , che nel pricipio dell' olimpiade 76Parme nide imparaſſe da lui il fiſtema dell'uno immobile , e non aveſſe allora che 36 , e ancor 40 anni , la ſteſſa età che avea Zenone quando diſputò con Socrate in Acene . Socrate nacque al fine dell'olimpiade 77 , ed avea 4 anni com piuti o 5 anni cominciati , quando nella noſtra ipoteſi Parmeni de ne avea 40. Se zo anni dopo ſi fuppone, che Parmenide con Ze none paſlaffe da Elea in Atene , come vuol Platone , non avea che 60 anni, e Socrate che 25 , onde era egli molto giovane relativa mente a Parmenide . Semplici, e al fommo veriſimili ſono queſte ipoteſi degli ſtudi, 1 e dei ( a ) Laerzio vita di Parmenide . 1 ( 7 ) e dei viaggi dei due Filoſofi , e ſe s'accordano facilmente con le olimpiadi , perchè oftinarſi a rigettarle , e rinunziare all'au corità di Platone , che potea molto meglio al fuo tempo cono fcere l'epoche dell'era filoſofica , che non ſi conobbero 6oo an ni dopo , e ben più ? Le circoſtanze , con cui Platone accompagna l'abboccamento di Socrate con Parmenide , accoppiano in guiſa alla verità del fatto la veriſimiglianza ſtorica del Dialogo , che pare non do ver laſciarſi alcun ſoſpetto . Io le eſtrarro dal Dialogo . Parmenide , e Zenone fuo diſcepolo favorito o fuo figlio a dottivo abitavano fuor delle mura di Atene in caſa di un cer to Pitidoro . Nelle ſolennità de grandi Panatenei , itofene So crate a ritrovar Parmenide , ritrovò folo in caſa Zenone , e comia cid a diſputar feco fu l'idee . Entrato poco dopo Parmenide in caſa con Pitidoro , ſi proſeguì la diſputa incominciata alla pre fenza di molti , tra' quali Ariſtotele non lo Stagirita , ma uno dei 30 Governatori , o Tiranni di Atene . Tali ſono le circo ftanze del luogo , del tempo , e dei teſtimoni della diſputa . Socrate non avea allora che 25 anni ; or eſſendo egli mor to nell'età di 72 anni, dall'abboccamento alla morte non vi fo no che 47 anni di diſtanza , e tanti appunto o pochi più dall' abboccamento al Dialogo , ſe Platone lo ſcriffe dopo la morte di Socrate : ma poniamo che l' aveſſe compoſto anche 20 anni dopo ; la memoria di un Uomo così illuſtre qual era Parmeni de non potea più ignorarli in Atene , di quel s'ignori ora a Parigi la dimora che vi fece il Leibnizio, e l'Ugenio , e le di fpute che ebbero nell' Accademia reale . Alle verilimiglianze ſtoriche s'aggiungono le poetiche necef ſarie all' ornamento del Dialogo , che è una ſpecie di Poeſia Dramatica : così lo teſse Platone. : Cefalo per bocca di Antifone ſuo fratello uterino , e figliuo lo di Pirilampo , racconta ad A dimanto , e Glaucone , tutto ciò che avea udito da Pitidoro fu la diſputa che ebbero Zenone pri ma , e poi Parmenide con Socrate . ' Antifone avea converſaco familiarmente con Pitidoro compagno di Zenone , ma poi laſcia ta la Filoſofia coltivava l'arte equeſtre , e quando Cefalo ad in ſtigazione de' compagni andd a ritrovarlo , egli dava certo fre no ad accomodare ad un fabro ; circoſtanza che io credo finta per dar rilievo al racconto , é fiffar la fantaſia del lettore con qualche coſa di ſtrano . Par toſto che Antifone occupato in un volgare eſercizio , non debba favellare ſe non di coſe volgari , nè mai s' aſpetta , che egli ſia per ſalire nell' ultime aſtrazio ni della metafiſica ; quindi il lettore reſta ſorpreſo dalla mera viglia ( 8 ) 1 > e di viglia , allora che egli racconta il principio della diſputa tra So crate e Zenone, e che poi s'interrompe alla venuta di Parme nide , che fattoſi pregar un poco la continua fino al fine. Quan te menzogne , ſe Socrate non parld mai con Parmenide ! All incontro qual arte fina di veriſimiglianza poetica , per dar or namento alla verità del fatto di cuiCefalo , Adimanto , e Glau cone vivendo poteano renderne teſtimonianza ? Come immagi narſi, che un Filoſofo il qual volea render accetta la lettura de ſuoi Dialoghi , cominciaſſe a diſguſtar il lettore con bugie le più sfacciate ? Ariſtotele, che calunnia il ſuo Maeſtro in tante parti dell'opere ſue fue , e che parld ſovente di Parmenide Socrate non attaccò mai Platone ſul loro abboccamento , e pur ne poteva trar degli argomenti, per renderne la dottrina ſoſpetta. Non ne parlano altri autori Greci più vicini a Platone , non gli autori Latini , che più ſtudiarono i Greci , e tra gli altri Cicerone e Plinio , che tante coſe ci conſervarono fu l' iſtoria ed Era Filoſofica . Non v'è che il ſolo Ateneo il qual viſſe a' tempi di Marco Aurelio , che vuol dir quaſi più di 600 anni dopo Platone . ( a ) Egli dice : Appena permette l' età che Socrate aveſe veduto , ed udito Parmenide , non dover però noi meravigliar ſene, perchè Platone ſuppoſe che Fedro vivere al tempo di Socrate ; che Paralo , e Zantippo figliuoli di Pericle , e morti nella peſtilenza , ragionaſſero nel Protagora , e che Gorgia diceſſe nel Dialogo del ſuo nome quel che mai s'era fognato di dire . Molte altre accuſe contro Platone vibra Ateneo , e s'affatica a dipingerlo tanto mordace , e maledico quanto bugiardo . Non so perchè i Cronologi attenti a peſare ogni minuzia de'te fti non oſfervino , che Ateneo nel dire vix ætas permittit dichiara , che poco intervallo di tempo v'era ſtato tra la morte di Parme nide, e l'età di Socrate , maqueſto vix qual ha poi forza cronologica poſto in bocca di Guriſconſulti, di Oratori, diPoeti , di Filologi, non di Cronologi, che avrebbono diminuito l'allegrezza del convito coi loro calcoli, e colle lor aſciutte illazioni ? Il Calaubono il qual nel ſuo comentario d'Ateneo in un'altro libro in foglio sfoga tanta eru dizione ſu l’erbe, ſu ipeſci, ſui coſtumidel convito , elu mille altre coſe inutiliffime a ſaperli nulla degna di dire ſu le accuſe colle qua li uno dei Dinnoſofiſti morde Platone . Io per me credo , che A teneo vedendoſi incapace d' emulare l'immenſità della dottrina Platonica , e l'arrificioſa maniera con cui l'eſpone Platone ne'ſuoi Dialoghi , teſſe lunga ſerie d'accuſe , e lo condanna di menzogne ro , e maledico per accreditar ſe non altro la veracità , e la mo deſtia colla quale caratterizza i ſuoi Dinnoſofiſti. Il buon Grama cico ( a ) Ateneo lib . 14. Sympt, 9 ) tico ne goda egli pure , e ſen ' applauda ; non per queſto io crede rò , che Parmenide non poteſſe ragionare con Socrate , e ſtard immobile nelle mie ipoteſi cronologiche , che a ben peſarle non vagliono meno di tante altre , che in queſto ſecolo fi ſpacciano, e fi difendono come i Teoremi diGeometria : Candidamente perd confeſſo , che io farò per ſacrificarle a colui , che all'autorità di Ateneo ne aggiungere qualchealtra più dimoſtrativa, e meno ſo fpecta ; finalmente malgrado le congetture eſpoſte io ſon perſua ſo , che ſe Platone tutto finſe , il Dialogo è più ammirabile per la menzogna poetica tutta opera della ſua fantaſia, che non è per la verità del fatto , di cui poteano farſi onore i men dotti . Platone fcriffe in Filoſofia più ditutti gli antichi che lo precede rono , e come da Eraclito le coſe fiſiche, da Socrate le morali , così tolle da' Pittagorici lemetafiſiche , le quali non ſi correffero che nel fecondo ſecolo della Religione , per le varie diſpuce che, nacquero tra iPlatonici , e tra i Criſtiani. Eſaminerò dunque prima d'ogni altra coſa la natura della difpu ta , dopo di cui proporrò generalmente l'antica Filoſofia , ed in di la particolareggierò in Pittagora , e ne'Pittagorici, tra'quali Se nofane e Parmenide, e la terminerò con Platone . A queſte due coſe io riduco l'origine, e l'effetto dell'Eleatiça Filoſofia .. Gli antichi Filoſofi , ſenza eccettuarne nè pur uno , convennero nel principio , che di nulla fi fa nulla , e ciò gl' impedì di poter conoſcere che Dio era un ente ſingolariſlimo, uno, onnipoten re , buono , e libero; in ſomma di tutte quelle perfezioni dotato le quali o per negazione , o per caſualità , o per eminenza gli at tribuirono i SS. Padri, e cuti'i Teologi . Era Dio ſtato ſempre con la materia ? Dunque altro non gli competea , che eſſer un modo di efla od un ente , che ſolo per preciſion di ragione dalla materia ſi diſtingueva ; era egli per metà uno , per metà onnipotente , fe dipendea da un principio , ſenza il quale operar non potea , non più che il Pitcore dalla tela e dai colori , e lo Scultore dal marmo. La diminuzione della potenza toglieva a Dio la bontà , perchè non poteva egli vincer in guiſa la contumacia della materia , che non regnaſſe a ſuo malgrado il male miſto col bene . Come dunque Mosè per opporſi al politeiſmo del ſuo tempo dalla creazione cominciò la ſtoria del mondo ; così per opporſi a tutti gli errori che derivarono dall'eternità della mate ria fi cominciò nel ſimbolo Apoftolico da Dio creatore , inſiſten do al dogma di S. Paolo , il quale nella Epiſtola agli Ebrei : In tendiamo ; ( a ) dice egli , per la fede eſſere ſtati connelli i ſecoli Tom . II. b dalla ( a ) Epiſt. agli Ebrei cap. 11. Fide intelligimus aptata eſſe ſecula ver bo Dei . ( 10 ) dalla parola di Dio . I Padri nelle loro diſpute co'Gentili lo dichia rarono. Noi , dice Atenagora ,Jepariam Diodalla materia , lamateria crediamo un ente diverſo ---- ( m ) Dio è uno , ed ingenito , ed eterno ; la materia è corruttibile ; e poi celebriamo tutti un Dio ſolo crea tore di tutte le coſe . - - .- la fua forza immenſa non poterono abbrac ciar coloro con l'animo, che la notizia di Dio non cercarono nello ſtef fo Dio, ma dentro fe fteſi . Taciano (6 ) pur dice : Dio non s'inſi nua nella materia e negli spiriti materiali e nelle forme , ma egli è artefice inviſibile ed intangibile di tutte le coſe . Teofilo d'Antiochia ( c) parlando ad Autolico, dice , ſe Dio è ingenito e la materia è pur tale , non è più Dio fabricatore e creatore di tutte le coſe . Queſti Pa dri viſfero tutti e tre nel ſecondo ſecolo non molto diftanti l' uno dall'altro . Gli errori de' Marcioniti , de' Valentiniani , de' Baſiliani , chefuronopur cutti e tre che in queſto ſecolo diedero occa fione a' Padri d'illuſtrare il lor zelo , dichiarando con la crea zione della materia il principio fondamentale della Religione Criſtiana . Anzi Taciano dimoſtro , che i Greci ne avevano ri cevute l'idee da'Barbari , ed i Barbari dagli Ebrei , benchè poi le aveſſero oſcurate e corrotse . Affaccendati gli altri Padri a purgarle , oſſervarono che Dio , autore del pari della Fede , che della ragione , non le avea ſeparate in un modo caliginoſo ed impenetrabile , ma le avea in maniera accordate , che dall'aurora dell'una fi potea paſſare al pieno giorno dell'altra , cogliendo però dalla ragione quanto e Platonici e Pittagorici e Stoici, ed Epicurei v aveano im preſſo col lor proprio carattere . Si compiacquero dunque della ſetta Eclerica , ed il primo che l'abbracciale fu Atenagora il primo de' Catechiſti d'Aleſſandria , poi S. Clemente ed Origene dal Veſcovo Uezio chiamato Pocamonico ( d ) anzichè Platoni ço , San Clemente ſpinſe tant'oltre la condiſcendenza , che pro poſe come poflibile un ſiſtema filoſofico, il quale raccoglieſſe tut te le verità ſcoperte dalla ragione umana fin dal principio del mondo , ed agevolaſſe il metodo di far ricever i dogmi della fede, e quello della creazione. Amonio Sacca conciliator di Ariſtotele e di Platone , ritrovando che in Ariſtotele l' eternità del mondo ſi conciliava con l'eter nità di Dio , ſe ben egli nulla ſcriveſſe , laſcid tuttavia a' ſuoi diſcepoli , onde ſtabilire tal dogma. Diſtinſe egli l' eternica in due gradi o in due ſegni , nell' uno dei quali poneva Dio, nell'altro le coſe bensì create , ma da lui dipendenti , come il raggio dalSole , o l'ombra dal corpo . S'accorſero i Padri, che iFi ( a ) Apologia pro Chriftianis . ( 6) Tat. allir, cont. Græc. ( c ) Teof. Aut, lib . 2. ( d ) Iftor. del Moeffenio nel finedelCuduortio . ( 11 ) e tras i Filoſofi mettendo con la creazione eterna una dipendenza tra la materia é tra Dio , coglievano a Dio la libertà , perché cacitamente fupponevano , che da Dio neceffariamente foſſe emanato il mondo come il raggio dal Sole e l'ombra dal corpo . Far di Dio un Agente neceſſario , è lo ſteſſo che farlo per metà Signore , per che ſe fi confeſſa da una parte , che da Dio dipenda la coſa che egli fa , fi nega dall' altra che da lui dipende il farla ed il non farla. La libertà è la maggiore delle perfezioni. Perchè dun que corla a un ente infinitamenteperfetto ? Lafcio S. Ireneo, S.Cirillo , ed altri, cheſoddisfarono ampia mente a tutte l' obbiezioni ; ma quello , che più degli altri le ſcDIonvolſe ed atterrò , è ſtato Lattanzio Firmiano , che con au reo ftile nel quarto ſecolo ſcriſe . In queſto ſecolo ancora ſcriffe ro Eufebio nella Preparazione evangelica , e poi S. Agoſtino nel la Città di Dio , l'uno ſegut l' ormeaccennace da Taziano , 1 alţro con erudizione più vigorofa , e più filoſofica ſcriffe contro l'eternità , l'animazione , la divinica del mondo , e l'immutabi lità del Fato . Apparve Proclo ( as nel príncípio del V1. fecolo fondendo nella ſua Teologia molto di quella de' nomiDivini at tribuita a S. Dionigi Areopagita , rinovd il fiſtema di Amonio Sacca riſtoro il Platoniſmo caduto . Nel fecolo dopo , Zac caria di Mitilene , ed Enea di Gaza , ſcriſſero' pure contro l'eter nità del Mondo. E da' loro fcritii ſi raccoglie , che l'idea di Dio, combinata col policeiſmo era un'idea nugatoria , non men di quel la del bilineo rettilineo , che rappreſenta alla mente una figura , é non è che una contraddizione . Il P. Balto , nel ſuo dotuiffimo libro contro il Platoniſmo ſvelato , lo dimoftra ; e dopo il Balto fe de fece dal Moeſfenio quella circoſtanziata iſtoria ſul Platonis la quale è nel fine dell' opere del Cuduortio , da lui tradotre dall' Ingleſe in Latino . lo nell’eſpor la doctrina de Filoſofi antichi non mi feryi rò dell'autorita de' Platonici recenti , non più , che fe non aveſ ſero mai ſcritto , ſalvo allora , che s'accordano cogli antichi, e ci confervano qualche circoſtanza ſtorica indifferente . Cercherò prima ne' teſti de' Filoſofi ftefli il ſenſo , che naturalmente preſen iano , e dove ſia queſto oſcuro , ed equivoco , ricorrerà all'in terpretazione o di Cicerone , o di Plutarco , o di Sefto Empirico , o di Laerzio Viſle Cicerone molti anni prima del Crifianeſimo , e Plutar co viffe a Roma ſotto Adriano, o Trajano , dopo d'aver ſtudiato in Egitto forro Amonio , diſcepolo di Potamone, e del quale egli b 2 par ( a ) Pachimero in Suida , Vedi Fabrizio Bibliot. art , Proclo . e mo , . ( 12 ) parla nella vita di Temiſtocle ed altrove. Laerzio e Seſto Empi rico , fiorirono in circa ſotto Severo , che vuol dire molto prima di Amonio Sacca , di Plotino , di Porfirio , e di molti alori nimici del nomeCriſtiano ; non rifiuterd dall'altro lato i ſoccorſi , che i Padri m'offrono allora particolarmente , che non hanno certa indulgenza alle opinioni filoſofiche , ſcrivendo agl’Imperatori, o non argomentano ad hominem contro coloro , che gl'inſultava no . La mecafiſica di Platone non è diverſa da quella de' Pittago rici , e ſe una volta io dimoſtro, che queſti e particolarmente Pitta gora , Senofane, e Parmenide conobbero bensì un principio intel ligente , ma non ſeparato dalla materia , anzi con effa non facen do che un tutto , avrò dimoſtrato , io mi perſuado, che queſto pur era il ſiſtema Platonico . Cominciero da Cicerone che in poche ma ſoſtanzioſe parole compendio tutto il ſiſtema de' primi Accademici o di Platone , e lo craſſe da' Pittagorici , come da Placone purtraſsero il loro gli Stoici, e i ſecondi e verzi Acca demici , poichè quanto a' Peripatetici ( a ) eli convenendo nelle cafe non differivano , che ne' nomi . Gli antichi , dice egli , divideano (b )lanatura in due coſe , l'una delle quali era efficiente, e l'altraad eſsa quafi preſtandoſi quella di cui ſi fa ceano le coſe.. Incid che facea riponevano la forza , in ciò di cui ſi fa cea , una certa materia , ma l'una e l'altra era nell' una e nell' altra perchè nè la materia può aver coerenza , ſe non ſia da qualche forza ritenuta , ne v'è la forza ſenza qualche materia , poichè nullo v'è che non fic in qualche luogo . . Se la forza e la materia erano indiviſibilmente unite , la fola mente le ſeparava , e perciò conſiderar l'una ſenza l'altra era un ?: aſtrazione , una preciſion della menee . Cid che riſulta ( c ) dall'uno e dall'altro , o ſia dall'accoppiamento , lo chiamavano corpo , e quafi certa qualità ...-- . Di queſte qualità al tre fono principali, ed altre derivate da queſte . Delle principali ſono ognuna ( a ) Cicer. Quæſt. Acad. 1. Peripateticos', & Academicos nominibus differentes , & re congruentes lib. 2. ( b ) De natura autem ita dicebant, ut eam dividerent in res duas , ut altera eſſet efficiens, altera autem quaſi huic fe præbens ea qua effi ceretur aliquid : in eo , quod efficeret vim eff: cenſebant ; in eo au tem quod efficeretur materiam quamdam : in utroque tamen utrum , que : neque enim materiam ipfam cohærere potuiſſe , ſi nulla vi contineretur ; neque vim line aliqua materia : nihil eft enim quod non alicubi eſſe cogatur. ( c ) Sed quod ex utroque id jam corpus , & quaſi q uandam qualitatem nominabanc Earum igitur qualitatum ſunt aliæ Principes , aliæ ex his ortæ . Principes ſunt uniuſmodi , & ſimplices , ex iis au tem ortæ variæ funt, & quafi multiformes : itaque aer quoque ( uti niur ( 13 ) ognuna della ſteſſa ſpecie , e ſemplici. Da queſte qualità , altre ne for no nate , e quaſi moltiformi. L'aere , il fuoco , l'acqua , ela terra for no primi , e da queſti nacquero le forme degli animali , e le altre coſe , che ſi generano dalla terra . Dunque que' principi , per tradurlo dal Greco, ſi dicono elementi , de' quali l' aria , il fuoco , banno la for za di muovere , e di fare , le altre parti di ricevere , e quaſi di pati re , l'acqua, dico , e la terra . La parola ſemplice quì non ſignifica indiviſibile , e Seſto ( a ) Em pirico pur la prende in queſto ſenſo . Vè un quinto genere , b )di cui ſono gli aſtri, e le menti ſingolari , ed Ariftotele lo pone diſimile dagli altri quattro . Se le menti ſono tratte dallo ſteſſo elemento , che gli altri , non ſon eſſe ſemplici nel ſenſo d'indiviſibile, ciò che Cicerone dice altrove . Teniamo noi che l'animo abbia tre parti , come piacque a Platone, o ſia ſemplice ed uno ; ſe ſemplice ſia egli come il foco , il fangue , l'anima , cioè il ſoffio . Queſte coſe conſtando di parti non ſono ſemplici. Continua Cicerone . ( c ) Ma penſano, che di tutte ſia ſoggetto una certa materia priva di ogni specie , e d ogni qualità , e da eui Butte le coſe ſono eſpreſſe e fatte , e che può ricever in sè tutte le coſe . Se la materia era prima d'ogni fpecie , d'ogni qualità , non cra corpo , e perciò conſiderata dalla mente , indipendentemen te dalla forza , ella era incorporea ; Selto Empirico chiama per . incorporei i punti, le linee , e le ſuperficie . .. Platone nel Timeo , la chiama difficile ed oſcura fpecie , e il recercacolo d'ogni generazione, e quali nutrice ; aggiunge , che ella non fi diparte mai dalla propria potenza , perciocchè tut te le coſe riceve , nè prende maiper alcun modo, alcuna forma a queſte fimile , e prova eller convenevole , che di tutte le ſpecie ſia privo quel. che ha in sè da ricever tisti'i generi, comequelli che hanno da fa re unguenti odorofi, l'umida materia , che vogliono di certo odore, cori dire di tal guiſa preparano ', che ella non abbia alcun proprio odore e colore eziandio , vogliono in materie molli imprimere alcune pgure , los niuna mur' n. pro latino ) ignis , & aqua , & terra prima ſunt. Ex iis au tem' orræ animantium formæ earumque rerum quæ gignantur è ter ras, ergo illa initia , ut è Greco vertam , elementa dicuntur ; è qui bus aer , & ignis movendi vim habent & efficiendi ; reliquæ par tes accipiendi & quafi patiendi, aquam dico & terram . a ) Contra Mathematicos. ( b ) Quintuin genus e quo eſſent aſtra mentesque ſingulares earum quatuor quæ ſupra dixi diſſimiles , Ariſtoteles quoddameſſe rebatur . ( 6 ) Sed Salicetam putant oinnibus fine ulla fpecie , atque carentem omni illa qualitate o ... materiam quandam ex qua omnia eſptela , atque effecta lipt qux'- tota omnia accipere pofito ( 14 ) 1 njuna figura affatto laſciano primieramente apparire in quelle , ma cer cano pria di renderle quantopoſſibil fra polite. Molte altre coſe aggiunge Placone , che Ariſtotele in una de finizione riduce , dicendo che la materia non è alcuna di quelle co fe , di cui l'ente fi determina , e tra l'altre coſe annovera la qua lica , e la quantità , che par Cicerone ridurre alla ſola qualità ; ma che l'idea del corpo , e della materia foffero diverſe ſecon do gli antichi , lo dimoſtrano le diverſe parole , con cui l'eſpri mevano , chiamando la materia ùns, ed il corpo owllde. Chi po ne un nome , dice Platone nel Sofiſta , dalla cofa diverſo , introdu ce veramente due coſe . La materia dunque, non eſſendo il corpo , ella era incorporea , ed incorporea la chiama in molti luoghi Sefto Empirico , e Plotino , la cui autorità qui è tanto più for te , quanto che egli ſteſo col nome d'incorporeo , non ſignifi cava la ſteſſa coſa che noi chiamšamo fpirituale . Stobeo ( a ) lo conferma col dire: Si nega effer corpo lamateria non tanto , perchè manchi degl'intervalli del corpo , o delle tre dimenſioni , quanto perchè ſia priva d'altre coſe appartenenti al corpo, figura, co lore , gravità , leggerezza, ed ogni altra qualità , e quantità . La materia pud ( b ) in tutti i modi mutarfi , ed in ogni parte non mai ridurſi al niente, ma ſolo in parti che poſsono all' infinito partir li, e dividerſi , nulla eſſendo di minimo in natura , che divider non fi pola. Le coſe poi che ſi movono tutte', moverſi con intervalli , che all'infinito ſi poſſono dividere , e cosi' movendoſi quella forza , cheab bian detta qualità ( cioè il corpo ) e di qud , e di là verſando per fano , che tutta affatto la materia fi muti , efi faccian le coſe, che chix miam quali, dalle cui nature coerenti, e continue in tutte le ſue parti è fatto il mondo , fuori di cui non v'è alcuna parte di materia , nè abas cun corpo . Quante coſe raduna Cicerone in poche parole ! Con la divi fibilità all'infinito della materia , eſclude gli atomi forſe ammeſ da Empedocle ne' minutiſſimi corpicelli , che componevano gli elementi, e da Eraclito nelle mondature piccioliflime , ed indivi fibi ( a ) Stobeo. I. 1. Egl. fil. cap . 14. 16 ) Omnibusque modismutare atque ex omni parte eoque etiam interi se non in nihilum ', ſed in ſuas partes quæ infinite lecari , atque di vidi pollint, cum ſit nihil omnino in rerum naturam minimum quod dividi nequeat : quæ autem moveantur omnia intervallis moveri; quzintervalla item infinite dividi poſfint, & cum ita moveatur il la vis , quam qualitatem effe diximus , & cum fic ultro citroque verfetur : & materiam ipfam totam penitus commutari putant , & ita effici quæ appellant qualia , e quibus in omninatura cohærente , & confirmata cum omnibus fuis partibus effectum elle mundunt, extra quem nulla pars materiæ fit nullumque corpus . ( 15 ) Ibili . Con la coerenza delle parti della materia , Cicerone eſclu de il vuoto negato da tutti , da Talece fino a Platone , onde dif ſe Empedocle: Nulla di vuoto vė , nulla che abbondi. Accenna pur Cicerone le leggi coſtanti che conſervano icore pi movendoſi, e nel dir che fi movono con certi intervalli , i quali all' infinito ſi poffon dividere , non applica egli le leggi del moto a' corpi minimi come a'fenfibili ? Le parti (a) del mondo effer tutte le coſe che fono in eso, e tutte occupate da una natura che ſente , e nella quale v'è una ragione per fetta , e la ſteſsa fempiterna , nulla effendovi di più forteche poſsa diſtruggerla , e la steſſadirfi mente , ſapienza perfetta , e chiamarfi Dio, ed eſer .quafi certaprudenza di tutte le coſe , cheprovede alle coſe celefti , ed a quelle che in terra appartengono agli uomini. Se queſto Dio degli antichi Filoſofi rifultava dalle nature coerenti e continue di tutte le parti del mondo , ſe egli era il ſenſo , la ragione perfetta, la ſapienza , la providenza che reg gea queſte parti , era egli altro che una modificazione della forza e della materia , giacchè non v'era forza ſenza materia , nè materia fenza forza , e non era egli ſeparatamente dalle co ſe conſiderato che un ente di ragione ? Qual relazione ha que fto Dio al noſtro , che è un ente ſingolariſtimo in sè, e fepa rato non per preciſion di ragione , ma realmente dalla forza e dalla materia , della quale egli è il Creatore ? Alle volte lochiamiamo ( b ) neceſſità , perchè null' altro pud farſi , ſe non ciò che da lei è coſtituito nella quafi fatale , e immutabile con tinuazione d'un ordine fempiterno ; alle volte poi lo chiamiamo fortu na , la qual fa molte coſe improvvife , nè da noi penſate per l'oſcuri. tà , ed ignoranza delle cagioni ; ed ecco Dio rappreſentato come agente neceſſario , o ſenza libertà ; ecco diſegnato l' ordine fa tale e ſempiterno delle coſe ; ecco come per la noſtra igno ranza non poſſiamo conoſcere la conneſſione , e le conſeguenze delle ( a ) Partes autem mundi effe omnia quæ infint in eo quæ natura ſentiente teneantur , in qua ratio perfecta inſit quæ fit eadem ſem piterna : nihil enim valentius eſſe a quo intereat , quam vim ani mam effe dicunt mundi eandemque effe mentem fapientiamque per fectam quem Deum appellant, omniumque rerum quæ ſunt ei fub jedtæ quafi prudentiam quandam procurantem cæleftia maxime dein de in terris , eaque pertinent ad homines . 16 ) Quam interdum neceſitatem appellant quia nihil aliter poſfit, at que ab ea conftitutum fit inter qual fatalem , &immutabilem conti nuationem ordinis fempiterni ; nonnunquam quidem eandem fortu nam , quod efficiat multa improviſa hæc nec optata nobis propter obſcuritatem ignorationemque cauſarum , ( 16 ) delle cagioni , e degli effetti loro . In ſomma l'antica Filoſofia aveva adotata l' eternità , l' animazione , la divinità del mondo , e l'immutabilità del Fato , le quattro coſe che Santo Agoſtino ha egregiamente combattute nella Città di Dio . Comparando il trattato d' Ilide , e d' Ogride di Plutarco col paſſo di Cicerone , non è difficile di raccogliere, che la Filoſo fia Egizia ne' principi eſſenziali non era diverſa dalla Greca , ſe non nella maniera di ſpiegarſi o ne' ſimboli . La materia , di cui parla Cicerone , era Ilide , la quale in ogni coſa potea tramu . tarſi, e di tutte le coſe eſer capace , della luce , delle tenebre , del giorno, della notte, della vita , della morte , del principio , e del fi ne . La forza è Oſiride , la cui veſte ſi facea ſenza ombra , e ſenza varietà , d'un color ſemplice , e rilucente ; perchè ella è il principio dalla noſtramente ſolo , intefo , puro, e ſincero, tutt' iſimbolicontrarj a quelli delle proprietà dipendenti dalle qualità de' corpi diſegnati per Oro . Riſultava queſti dall'accoppiamento d'Ilde , e d'Oſiride, e chiamavaſi parto o creatura , rappreſentandoſi per l'ipotenuſa del triangolo miſurata dal 5 ; per cui ſi chiamava con la voce Pente , da cui deriva Panta, o l'Univerſo , che gli Egizi penſavano eſſer la ſteſſa coſa con Dio , nel che, come egli dice , s'accordava Ma netone Sebenita con Ecateo Abderita . Diodoro di Sicilia nel principio della ſua Storia , ſcrive coſa pen {aſſero gli Egizj su la generazione del mondo , ſul principio del le coſe , ſul naſcimento dell'Uomo. Par che Euſebio afcriva a Tot , che è il Mercurio degli Egizj , quanto ſcriſſe Sanconiatone ſul caos, e ſulla formazione della Luna , delle Stelle , degli Elementi . La Teologia miſtica dei Fenici , che dagli Ebrei , ſecondo Euſebio ed altri Padri , ſi preſe , reftd in guila alterata e confuſa, che nel caos poſero prima i principj delle coſe, ed introduſſero poi l'arte fice o l'amore , per opra del quale ordinarono il caos , é fabbrica rono il mondo . Orfeo il primo la portò nella Grecia e L'Inno criſto canto del caos vetufto , E come agli elementi , e come al Cielo Origin deffe, ed alla vaſta terra , E alla profondità del mar Amore Antichiſſimo, e ſaggio . Il caos era la materia , l'amore , o la forma, ed i prodotti, i compoſti, ed i corpi, ed in queſte tre coſe conſiſtea la fiſica generale degli antichi . La ſcienza che n'eftraſſero o la metafi fica rappreſentandola in una maniera molto indeterminata , la ſciava infeparata la materia da Dio , e dai compoſti , ed era molto perciò differente dalla noſtra metafiſica, la quale nell' en te include eſſenzialmente le creature , nè s'eſtende che per un ' 9 1 5 ܗܳ ana ( 17 ) analogia molto lontana al Creatore . Io lo dimoſtrerò partita mente ne' liſtemi di Pittagora , di Senofane, e di Parmenide , e ſarà facile ad applicarne l'uſo a Platone . Pittagora e Platone ( a ) giudicano , che il mondo ſia ſtato fatto da Dio : dunque le Platone fece da Dio generar il mon do ordinando la materia fluctuante , egli imparò ciò da Pitta gora , che l'avea imparato dagli Egizi, da Orfeo , anzi dal pro prio maeſtro ( 6 ) Ferecide Sciro. Avea egli ſoſtenuto , che in tut ta l'eternità Giove , il tempo , e la terra erano ſtati. Facciali pur di Giove, la cagione di tutte le coſe , e gli ſi dia ſomma pruden za , e fomma ſapienza , egli non ſarà mai che la forza , e l'amore che eguaglieraffi al tempo , e alla terra ; vi ſi aggiunga , che poi chè Giove diede il premio alla terra ſi chiamò queſta Tellure, ( c ) non altro mai ſi concluderà , ſe non che prima la forza , e l'amo re temperaffe, digeriſſe , ed ornaſſe quella mole indigeſta , che chiamavali terra . Pittagora generò il mondo dal foco , e a guiſa di foco ſotti liſſimo ( d ) Iparſo, e rinchiuſo nel mondo , volea Placone , che foffe Dio . L'ornamento , ( e ) l'unione , l'ordine di tutte le coſe furono chiamate da Pittagora Coſmos, o il mondo, e diffe egli , che il mondo viſibile era Dio . Stimò il primo , dice Cicerone ( f) l'animo per tutta la natura delle coſe eſer diffuſo , e per la mente da cui gli animi noftri ſono tratti , ne vide per la detrazione di que fti diſtaccarſi , e ſquarciarſi Dio , e farſi miſera una parte di lui , mentre queſti ſoffrivano. Dio dunque era il mondo , e l'anime era no parti di Dio , effetto della Metempficoſi, ſe pur non era queſta una coſa affatto poetica, come Timeo di Locri lo dice . Virgilio eſpreſſe il ſentimento di Cicerone nelle Georgiche. * Della mente di Dio parci efſer l' api, E forfi eterei differo , che Dio Va per tutte le terre, e tutti i mari , E pel profondo Ciel ; quindi gli armenti, E le pecore , e gli Uomini, e ogni ftirpe Di fere, e ogni altra , che da se rimove La tenue vita allorchè naſce . Tomo II. E nell ( a ) Plut. de Ifid.& Ofir.car. 374. Franc. Edit. Vechel . ( 6 ) Laert. (C ) S. Clem . Aleſs. ( d ) San Giuſtino apolog. Ermia nel fine dell'opere di S. Giuſtino. ( e) Plut,plac.lib.2 . ( 1) De Natura Deor. I. 1 . Elle apibus partem divinæ mentis , & hauſtus Æthereos dixere : Deum namque iré per omnes Terrasque tractusque maris Columque profundum . Hinc pecudes , armenta , viros , genus omne ferarum Quemque fibi tenues naſcentem arceſſere vitas . 1.4. Georg. . C ( 18 ) E nell' Eneide , * Nel principio le terre , il Cielo , e i campi Liquidi, e della Luna lo fplendente Globo , e gli aſtri Titanj , interno fpirco Alimenta , ed infuſa in ogni membro Tutta la mole n'agica la mente E fi framiſchia nel gran corpo ; quindi E di pecore , e d'Uomini la ftirpe, De volanti la vita , e'l mar che i moftri Sorco la liſcia ſuperficie porta . no , Pittagora fu l'autor dell'idee ; (a ) oſervd il primo tra'Greci che la mente non potendo rappreſentarſi ſingolari, perchè ſono in numerabili nel compararli, ne traſfe igeneri, e le ſpecie , ne'qua li ſi ravviſano le coſe ſparſe . Così ravviſava tutti gli individui umani nell'animal ragionevole. Nel far queſti aſtratti ( 6 ) conſide rò , che la materia era mutabile , alterabile , Auflibile in ogni gui fa , ma che non vi ſono ſpecie , che s'accreſcano , o che perifca e perciò gli Uomini oſſervandole coſtantemente in tutti i tempi, e in tutti i Paeſi le credono eterne ed immutabili . La que ſtione era di rappreſentar queſt'idee. I numeri convengono all'Uomo , al cavallo , alla giuſtizia , al la caſa , e a che so io ; dunque i numeri ſono univerſali , perchè atti alla rappreſentazione de' molti. L'oſſervazione è d'Ariſtotele , ( c ) e molto più la ſtende Poſſidonio , riferito da Seſto Empirico , ( d ) il qual dimoſtra per i numeri aſſimigliarſi cutte le coſe , e ſen za queſti non poterſi intendere nè gli elementi, nè l'armonia , nè alcuna delle tre dimenſioni del corpo , nè ciò che riſulta da corpi uniti , coerenti , diftánti, nè tutti i calcoli delle quantità fùccef five, nè ciò che appartiene alla vita , ed all' arti fondate su propor zioni ſolo intelligibili per i numeri . Pitragora dunque ſi ſervì del numero , per dar un ſimbolo dei due principj delle coſe, la forza , e la materia , di cui chiamò l'una l'uno , e l'altra il due . L'unità , diceva egli , è Dio , ( e ) ed anche il bene che è di natura * Principio Coelum , ac terras camposque liquentes Lucentemque globum Lunæ Titaniaque altra Spiritus intus alit : totamque infuſa per artus Mens agitat molem , & magno ſe corpore miſcet. Inde hominum pecudumque genus vitæque volantum , Et quæ marmoreo fert monſtra ſub æquore pontus . ( a ) Plut. plac. Phil. l. 1. ( 6 ) Plut. ib . l. 1. c.9 . ( c ) Metaf . lib . 10. ( d ) Contra Logicos . ( e ) Plut. plac . Phil. lib. 2 . ( 19 ) un ſolo , e lo ſteſso intelletto , il due infinito , e genio triſto , d'inser torno il qual due ſi fa la quantità della materia . Chiamava uno la forza perchè noi la concepiamo a guiſa d'un non ſo che d'indi viſibile ; chiamava due la materia , perchè ella è fempre divil bile in due , Di queſti due principj, uno è quello del bene , e l'altro del male, già l'ha inſinuato Plutarco. Archelao Veſcovo ( a ) di Cara dice ; Širiano introduce la dualità contraria a ſe ſteffa , la quale egli preſe da Pittagora , ſiccome tutti gli altri ſettatori di tak dogma, ; quali difendono la dualità declinando dalla via retta della ſcrittura . Tutte in ſommal'ereſie , che vi ſono nel compendio della Filo fofia di Cicerone , che vuol dir l'eternità , l'animazione , la divis nità del mondo , Piccagora le raccolfe in un ſiſtema , ed in vano fi dice, che egli nulla fcriveſſe . Liſide diſcepolo ( b ) di Pittagora in una lettera fcnca ad Ip parco , dopo la morte del maeſtro ſignifica non voler comuni care ad alcuno i precetti, e dimoſtra che delle coſe , le quali di ceano i ſeguaci di Pitcagora , non ve n'era nè pur ombra. Por firio nella vita di Pittagora dice , che agli Uomini oppreſli da tale calamitat, ( cioè dalla morte di Piccagora ) : manca lo ſciens di lui , la quale arcana e recondita cuſtodida in petto , nè vi reftas fono che certe coſe difficili da intenderſi imparate a memoria dagli udi tori dell'eſterna Filoſofia, poichènon v'era alçun ſcritto di Pittagora ; ed aggiunge ,che dopo la morte di lui „ Lilide , Archippo ,ed altri furono folleciti , chei penſieridiPiccagora non ſi pubblicaffero , onde eutti gli arcani della ſua Filoſofia con lui perirono'. To dubito aſſai del la vericà della lettera di Liſide, la quale con quel che dice Porfirio pud eſſere ſtata finta ,perchè i Criſtiani nontraeſfero argomenti da quanto ci reſta diPitagora , in Cicerone, in Plutarco , in Laer zio : ma ſe non v'era coſa alcuna della Filoſofia di Pittagora ,.co me poi Jamblico poeea gloriarſi di riftabilirla ; e non è manifeſto che egli la riſtabili a fuo modo per combattere i Criſtiani de'quali fu accerbo' nimico ; lo ſteſſo Porfirio , che dice nulla aver fcric to Pittagora , come poi ebbe fronte d'afferire , che egli avea ſcrit to fu l'ente , il che Euſebio ( c ) riferiſce ? Diſcepoli di Pitcagora furono Archita Tarentino il vecchio , Pe ritione , Timeo di Locri, ed Epicarmo. Archita il vecchio ( d ) , che Simplicio confonde col giovine , fcriſſe delle dieci voci corriſpondenti ai dieci concetti dell'animo , i quali s'eſtendono a cutte le cole , potendoſi d' ognuna cercar la ( a ) Zaccagna collect. monumentorum veterum Eccleſiæ Græcæ , atque Latinæ . Archelai Epiſcopi acta . ( 6 ) Galeo . ( c ) Propof. Evang, lalg . (d ) Patrizia diſcuſ, Peripa,1 ( 20 ) la ſoſtanza , la quantità, la qualità , l'azione , e gli altri acciden ti regiſtrati a lungo da Ariſtotele nella ſua Logica , in cui copiò il trattato di Archita . Lo Stanlejo , che pretende di numerare tutte le donne Pitcago riche , omette Peritione, e pur eſser ella dovea la più celebre ,le da lei trafse Ariftotele ( a ) tutta l'idea della ſua metafiſica . Lo prova con molta erudizione il Patrizio , allegando la definizio ne della fapienza di Peritione , e comparandola con quella di Ariſtotele. Laſapienza , diceva ella , verſa in tutt'i generi degli en ti , perchè verſa intorno tutti gli enti , come la viſione intorno tutti i viſibili. Ariſtotele definì la metafiſica, per la ſcienza che contem pla l'ente , in quanto ente , e le coſe che per sè gli convengono . Peritione egregiamente ſpiegò gli accidenti dicendo : delle coſe che accadono agli enti , alcune univerſalmente accadono a tutti , alcu ne altre a molti di loro , e certe ad un ſolo , ma riguardar univerſal mente , e contemplar tutti gli accidenti appartiene alla ſcienza . Que. fte ed altre cole che ilPatrizio aggiunge, danno idea della preci fione , e nettezza di Peritione , e nel tempo ſtefso quanto tra' Pittagorici erano familiari l'idee Pittagoriche , ſe le donne ſtef ſe ne ſcriveano con tanta eleganza filoſofica · Non dobbiamo tuttavia meravigliarſene , di poi cheabbiam veduto ne’noftri gior ni Madama la Marcheſa di Chatelet , ſcrivere ſulla natura del. le monadi Leibniziane , queſtione molto più oſcura di quella dell'ente . Timeo di Locri nel ſuo ragionamento ſull'anima del mondo , in queſta univerlità di natura , dice egli , v'è un certo che, il qual rimane , ed è l intelligibile eſemplare delle coſe , che ſono in un fuſo perpetuo di mutazioni, e queſto nelle vicende delle coſe ſingolari , co ftante, e perpetuo eſemplare ſi chiama idea , ed è dalla mente compre fo . Nell'univerſità dunque delle coſe , che vuol dir dentro le coſe o in cutti i compoſti v'è quel non ſo che , che mai non cangia , e può dalla mente eſtrarli qual idolo . Le coſe ſenſibili eſser in un perpetuo fluſso lo diſsegnarono , al dir di Platone , nell'Omero , ed Eſiodo ſotto l'imagine dell'Oceano , e di Te ti , e di queſte non aſsegnarono fcienza i Pictagorici , ma ſolo di quelle , che nè col ſenſo , né coll' immaginazione ſi ravviſa no , e queſta fu la prima differenza tra la Filoſofia Jonica , e l'Italica . Epicarmo ſommo Poeta , come Omero al dir di Platone , so all' una grandezza d'un cubito ( diceva egli ) altra tu voglia aggiun gervi o ſottrarsi, non avrai mai certo la Nera miſura ; gli Uomini pa rimen ( a ) Patriz. l . 2. cap. 1. diſcuſ. Perip. ( 6) Ragion, ſu l'anima del Mondo . ( 21 ) rimente conſidera or accrefcere , ed or decreſcere , tutti ſoggiaciono ai cambiamenti del tempo . ( a ) Jeri tu fofti un altro , io pur vi fui, E un altro ſiamo in queſto tempo , e fieno Di nuovo gli altri , che non mai gli ſteſſi Noi ſiamo , come la ragion lo predica . Per l'Intelligibile così parlo : A. L'arte tibicinal è qualche coſa ? B. Perchè no . A. Forſe è l' Uom queſta tal arte ? B. Non mai A. Vediam , che coſa queſto ſia Tibicine B. Egli è un Uom ; non dico il vero ? A. Il ver ma ftimi che non debba diri Ciò pur del bene ? Io voglio dir che il bene Una coſa pur ſia , ma s'altri impari Ad effer buon ei già dirafli buono ; Il Tibicine è quegli che la tibia A ſuonar imparò. Quel che a ſaltare Salvatore , e ceſtor quegli che a teſſere Impararo , e così d'ogni altro l'arte Certamente non è , ma ben l'artefice . Nel dir Epicarmo , che il bene è una coſa come l'arte , e che nè il buono , nè l'arte ſono gli uomini che la partecipano, egli c ' inſegna a far le aſtrazioni della mente , la qual avendo comparato tra loro molti Uomini che fien buoni , molti tibicini , molti falcatori e teſtori , ne ha compoſto quell'idea , che poi convie ne a tutti . Queſt'idea reſtando ſempre la ſteſſa in tutti i tem pi , ed in tutti i caſi, per quanto variano i temperamenti, e le figure degli Uomini, li confidera ſempre nello Iteſſo modo , ed è principio del diſcorſo , o di ciò che nel Teeteto ſi chiamano analogie ſcoperte , le quali nel raccogliere le coſe col mezzo de' ſenli , le fanno comprendere la ragione. Epicarmo era contemporaneo di Senofane, come ſi diffe , ed eccoci a ' Filolofi più vicini a Socrate, ed indi a Platone , i qua li a poco preffo ſi trasfuſero le ſtelle idee non diverſificate , che dalla maniera d'eſporle, e di colorirle . Senofane, dice Euſebio , e quelli ( 6 ) che lo ſeguirono , moſfero così con ( a ) Laerzio Vita di Platone . ( 6 ) Lib. 11. cap. 1. Prep. Evang. ( 22 ) 1 . 1 contenzioſe ragioni , che piuttoſto arrecareno a' Filoſofanti confuſio ne , che ajuto . Pittagora volea che il mondo foffe eterno , benst come gli altri Filoſofi , quanto alla materia , ma non quanto alla forma, poichè credea che foſſe ſtato generato dal foco; Se nofane pofe il mondo non generato , ma eterno , 'aderendo ad Ocello Lucano , che fcriffe fu l'eternità del mondo prima d'A. riſtotele ; ecco la prima differenza tra Senofane, e Pittagora Un'altra più forte ve n' era ; Pittagora avea pofti per principj l'uno , e il due , Senofane riduſſe tutto all'uno , Senofane", dice Cicerone ( a ) , è più antico di Anafagora ; vuel che uno fieno tutte le coſe , nè queſto uno è mutabile , ed è Dio non mai nato , e ſempiter no , e di conglobata figura . Seſto Empirico ( b ) parlando per bocca di Timone foggiunge, che fecondo Senofane l' Univerſo era una fola coſa , che Dio eſiſteva in tutte le coſe , e che era di figura sfe rica , e di ragione dotato . Ad Empirico ſi conforma Laerzio ( c ) dicendo , che ſecondo Senofane , Dio nella materia tutto udiva tutto vedeva , ſebben non reſpirale, e che tutte le coſe inſieme erano la prudenza , la mente , l'eternità . Io dimando, ſe nel far Dio fparfo per tutte le coſe, e fen ſitivo, e prudente, e intelligente, differiva egli dall' opinione che Cicerone eſpoſe nel compendio della Filoſofia ? Non v'è che la figura sferica che gli aſſegna Senofane , e per cui non infinito , ma finito lo rende ; ma chi fa , fe nel concepir gli antichi la figu ra sferica , comela più ſemplice , intendeſſero ſimbolicamente d'ac tribuir a Dio tutte le perfezioni ? converrebbe faper fe Senofane fcriſſe ciò in profa, od in verſo , e ben eſaminare tutto il conte fto della fua dottrina . Non reſtandoci che conghietture , io m'at tengo a quella del ſimbolo per accordar Cicerone con ſe ſteſfo , il quale nella natura degli Dei combatte Senofane, che aggiunſe la mente all'infinito . Queſt'infinità era una conſeguenza del fuo ſiſtema , perchè ſup poſta l'eternità della materia cost argomentava : ( d ) Eterno è cid che è , se è eterno è infinito , fe infinito uno , ſe uno fimile a sèl . Di nuovo ſe l' uno è eterno e ſimile , egli è ancora immobile , fe immobile non ſi trasfigura per poſizioni, non ſi altera per forme, non ſi miſchia con altri . Ariſtocele elamina i ſoffiſmi contenuti in queſto ragio namento ; il principale è ; da ciò che il mondo è ecerno , infini to , uno , non ne fiegue che egli lia effettivamente immobile , per che le coſe eſiſtono nella maniera che poſfono eſiſtere, e la materia ſe ſteſſa il principio del moto non v'è contradizione a cont ( a ) Queſt. Acad. lib. 1 . ( 6 ) Lib . 1. dell'ipotipoſi . ( c ) Laert. lib. 9. idí Arift. contra Xenof, Zenon. & Gorgiam . eſſendo per i 2 ( 23 ) a concepire, che il moto ſia eterno come la materia . Coloro che ammettevano il caos eterno , davano eterno il moto , ſebben ſen za regola o forma . Non ſi cerca qui però , ſe concludeſſe l'argomento di Seno fane , ma ſolo qual foſſe la ſua ſentenza , e coſa egli ne dedu ceſse . Come poi accordarla colla ſua fifica? Ammetteva egli per principj ( a ) delle coſe naturali la terra , il foco , l'aria , e l' acqua , e dalle alterazioni di queſti elementi, rendea tutti i miſti a generazione, e corruzione ſoggetti. Grand uſo fece di quefte due coſe , perchè, ſecondo lui , conſiſteva il So le negl'ignicoli raccolti dall umida (6 ) eſalazione in una nuvola ignita , e la Luna in una nuvola coſtipata . Manon era poſſi bile decerminare il grado di verilimiglianza filoſofica ch'egli da va all'Ipoteli, poichè nelle ſentenze filiche di Senofane y' è mani. feſta contradizione . Poneva egli de' Soli innumerabili , e la Lu na abitata . I ſoli innumerabili erano quelli de' Pitcagorici , e di Orfeo ( C ) ; ma come abitar una nuvola ? La terra ( d ) la quale per immenſa profondicà fi ftendea di ſotto , era coſa ri pugnante alla sfera armillare che Anaſimandro forſe di lui, maeſtro avea inventata o propagata per cutta la Grecia . Cor revano allora tali dottrine, e Senofane , in Colofone, in Atene, in Sicilia , e in Elea le avea ſtudiate ; avea Talęce calcolate l'eccliffi del Sole, e della Luna , avea Pittagora applicare al liſtema celeſte le conſonanze Muſicali, e nella lira a lette corde determinato il pu mero , e le diſtanze de' Pianeti ; non è poſſibile , che Senofane in un tempo così illuminato voleſſe diſcredicare il ſuo ingegno con ipoteſi aſſurde e ad ogni ragione contrarie ; non erano dunque , che idoli fantaſtici, iperboli poetiche, o ſimiglianze groſſolane, in cui ſi deve più badare al color, che alla coſa . La grande difficoltà di Senofane era nel combinare il fiſico col metafiſico , o lo ſtato ideale con l'obiettivo . Avea già ſtabilito Pictagora , l'intelletto altro non eſſer che ( e ) mente , ſcienza , opi nione , ſenſo, da cui tutte l' arti, e le ſcienze nacquero. Egli diſse gnava la mente per l'uno , ciò che adeſſo noi chiamiamo lemplice intelligenza ; diſegnava la ſcienza pel due , poichè s'acquiſta la ſcienza deducendo una coſa da un'altra ; diſsegnava l'opinione per il tre , poichè nel trar la conſeguenza da un principio proba bile ſe ne riguarda nello ſteſſo tempo due , in uno de'quali v'èla ragion ſufficiente d'affermare, nell'altro di negar la coſa . I Pit 3 ta ( a ) Laert. vit. di Xen. Plut. plac. ( 6) Plutar. lib .... Origenes Philoſ. ( c ) Veggali Moefenio ſu l'eſiſtenza d'Orfee . Plutar. plac. de Fil. lib.i. ( d) Gregorii Aſtronomici Pref. ( c ) Plutar. lib. 1. de plac. ( 24 ) tagorici furono tutti dogmatici , o per dar credito alle ſentenze del ſuo maeſtro , o perchè pareſſe loro , che la fapienza non do veſſe mai eſſer miſtad'ignoranza , come accade nell' opinione milta dell' una , e dell' altra . Senofane fu il primo ad introdur il dubbio nella Filoſofia, e quindi l'opinione. ( a ) Chiaro l'Uomo non ſa , nè ſaprà mai Degli Dei coſa alcuna ed altre coſe Che da me dette fur , ſiaſi perfetto Pur quanto ei dice , tuttavia non fallo , E v'è opinion in tutte queſte coſe . Da queſti verſi Seſto Empirico inferiſce , che Senofane non to glica la comprenſione, ma ſolamente quella che dalla ſcienza de riva ; nel dire in tutte queſte coſe d'è opinione accenna il proba bile , e l'opinabile , onde conclude che Senofane deve porſi tra coloro , che negano darſi criterio della verità , e non tra gli ac cattalecici , che negavano alcuna coſa poterſi da noi compren dere . L'autorità di Selto Empirico è d'un gran peſo , ove ſi tratta di determinare i gradi della cognizione , ma non è da ſprezzar fi ciò che dice Cicerone ( b ) : Senofane e Parmenide quan tunque con non buoni verſi però con certi verſi accufano quaſi irati d'ignoranza coloro , che ofano dir di ſaper qualche coſa allo ra che nulla fanno . Chi dice nulla eſclude ogni ſcienza , ed ogni opinione . Senofane ſi diſtinſe per la Logica , ( c ) e ſecondo la Cro nologia di Euſebio , (d ) egli fu udito da Protagora , e da Nef ſa ; Metrodoro udi Nefra ; Diogene Metrodoro ; Anaſarco Diogene, e coſtui Pirro d' Elea , dal qual ebbero nome i Filo ſofi Scercici fino a Gorgia , il qual diceva : Non v'è nulla ; ,fe anche vi foſe qualche coſa , non ſi potrebbe comprendere , e ſe compren dere , non mai ſpiegare con le parole . Come inoltrarſi dopo tale raf finamento di dubbj ? Tra i diſcepoli però di Senofane il più illuſtre fu Parmeni de deſcritto da Platone nel Teeteto qual vecchio grave , e vene rabile e di una profondità al tutto generoſa , il che vuol dire, ſe mal non m'appoogo , che egli nella diſputa non era oſtinato , ſu perbo , rozzo ed agreſte, come Ariſtotele ( e ) dipinge Senofane è Meliſſo . Socrate in quel Dialogo , ed in altri s'aſtiene quanto pud ( a) Xenoph. ap . Seſt. Emp, adv. Matem. ( 6 ) Queſt. Acad. l . 2. ic ) Eufeb.1.6 . C. 19. ( d ) Id. l . 12, c . 7. ( c ) Metaf. lib. ... ( 25 ) può di ragionare contro le ſentenze di Parmenide per la rive renza che ad eſſo portava . Euſebio ( a ) caratterizza la dottrina di Parmenide , qual via contraria a quella di Senofane . Ermia però , dice Parmenide in bei verſi, c'inſegna che queſto Univerſo è eterno, immobile , e ſempre ſimile a ſe ſtero . Lo ſteſſo Euſebio credeva, che ſecondo Parmeni de l'univerſo foſſe ſempiterno , ed immobile . Stobeo riferiſce , che Senofane, Parmenide, e Meliſſo colſero affatto la generazio ne , e la corruzione. In che dunque diſconvenia Parmenide da Se nofane , ( 6 ) Ariſtotele chiaramente lo ſpiega nell' accennar la dif ferenza che v'era tra Parmenide e Meliſſo , dicendo : volea Par menide, che tutto foſe uno ſecondo la ragione , e Meliſo ſecondo la materia , e da queſti due differiva Senofane, che chiaramente non dif ſe nè l'uno , nè l'altro . Eſer uno ſecondo la materia , è il medeſimo che ritrovar nell eſſenza della materia la ragion ſufficiente dell'unità della ſteſſa . Ed in fatti una è la materia , fe in tutte le parti e nel tutco e nella medeſima fpecie è omogenea , qual Cicerone la deſcrit ſe nel compendio della filoſofia , e l'ammiſero Platone , ed Ariſto tele . Cicerone rammemora ancora la forza , utrumque in utroque , ma conſiderando forſe Meliſſo , che gli effetti della forza, o ſieno le forme, ed i modi aggiunti ſucceſſivamente alla materia , non mai erano continuamente cangiando , gli eſcluſe dall'eſſenza , e in con ſeguenza dall'unità della materia ; ma ſe una era eſſenzialmente la materia , uno era il mondo o l'univerſo , che da eſſa riſultava e ſe uno in ſe ſteſſo indiviſibile , eterno , ed immutabile . Malgrado dunque le continue aggregazioni delle parti ne' loro tutti , e le continue diſſoluzioni de'tutti nelle lor parti , malgrado le altera zioni , le generazioni, e le corruzioni, contemplando Meliſo l' univerſo nella parte effenziale lo credeva uno , e immutabile in quella guiſa che è ilmare, non oſtante le continue agitazioni che foffre da innumerabili flutti . Se tal era la ſentenza di Meliſo, ella non è men empia ri ſpetto a noi, che ridicola preſo i Pagani , perchè la materia , fe condo lo ſteſſo Cicerone , non può aver coerenza , e in conſeguen Tomo II. d za ( a ) Cap. 5. l. t. Præp. Evang. ( 6 ) Parmenides unum fecundum rationem attigiffe videtur , Meliſſus vero fecundum materiam , quare id & ille quidem finitum , hic ve ro infinitum ait effe , Xenophanes autem quando prior iſtis unum poſuerat ( nam Parmenides hujus auditor fuiffe dicitur ) nihil tamen clarum dixit , & neutrius eorum naturam attigiſſe videtur , ſed ad folum coelum refpiciens ille unum ait effe Deum . Metaf, Arift. l . 1 . cap . 5. ediz, Parigi ( 20 ) 1 1 1 4 > za unità , ſe non è ritenuta da qualche forza , e la continua ſuccef fione delle forme conſiderata affolutamente in ſe ſteſſa , non è me no eſſenziale al mondo , che alla materia . Ragionava dunque più ſottilmente Parmenide ; dalla materia , e dalla forza , dalla ſoſtanza , e dall'accidente , avea coll'aſtra zione della mente dedotta l'idea dell'ente e dell'uno, e preten dea che l'uno nel ſuo concetto aſtrattiflimo preſcindeffe da tutte le forme, e le differenze dell'ente ſteſſo . Il P. Maſtrio quali tre mille anni dopo ebbe una fimile idea , poichè egli vuole che l'en te in quanto tale preſcinda dal finito , e dall'infinito , da Dio , e dalle creature e la ſentenza è ſeguita da tutti gli Scotiſti . Qualunque ella fiali , certo è che come quella di Parmenide curta opera della ragione più raffinata , e che ben diſſe Arifto tele , che l'uno di Parmenide era tutto ſecondo la ragione, non che la ſentenza di Meliſſo ancor non lo foffe , ma egli nel fondarla tutta ſulla materia croppo s'accomodava ai pregiudizi del ſenſo . Da Parmenide , e da Meliſſo ſi diſtaccava Senofane, il quale ef ſendo il primo a ragionare dell'immobilità dell'ente e dell'uno , s'at tenne alla concluſione ſenza ſpiegar il metodo con cui la deduſſe. Ariſtotele ( a ) che avea diviſe le loro fentenze nella metafiſi ca , par che nella fiſica le confonda dove diffe', che altri di lo ro tolfero la generazione' , e la generazione , e la corruzione, i quali come ben dicano in altre coſe non ſi deve perd penſare che parlino da Fifici , poichè l'efervi alcuni enti immobili è più inſpezione di una ſcienza ſuperiore, che della Fiſica. Non condanna dunque Parme nide , e Meliffo , perchè aveſſero tratcato dell'unità , ed immo bilità dell'ente, ma perchè ne aveano fatto un punto di Fiſica , dalla quale egli eſclule il trattato delle coſe eterne , e immuta bili , onde credendo che il mondo , e il Cielo lo foffero , parte ne trattò nella ſteſſa metafiſica , e parte ne' libri del Cielo; na chi può credere che Parmenide non diſtingueffe queſte due ſcien ze , avendo aſſegnati due principi delle generazioni, il foco , e la terra ? e determinato che un foco ſottiliſſimo , o lia l'etere cingeſſe gli altri , e che movendoſi in vortice raffrenaffe colla ſua rotazione ſe ſteſſo , e le coſe contenute, ciò che è il principio de' più moderni Filoſofi. ( 6 ) Egli componeva il mondo di molte ghirlande tra loro teſſüste , una rara , e l'altra' denfa ; fra le ghirlan de ne poneva dell'altre meſcolate di tenebre , e di luce , e volea che la coſa la qual a guiſa di muro le circondava forje foda , e maliccia . Queſte ghirlande, e corone erano i vortici di Empedocle, dei qua li egli dice parlando de caſtighi de'genj. Quelli ( a ) Ariſt. Fiſic. lib. 1 , ( b ) Plut, lib. 2. cap. 7 . ( 17 ) ( * ) Quelli nel mar ſollicitante forza Dell' etere rifpinge , e fola ſpucali Ne’ſotterranei abimi, e nella lampada Dell'almo Sole dalla terra cacciali , E il Sole infaticabile tramandali Ne' wortici dell'etere . Accoppiando il paffo di Parmenide con quel di Empedocle, par che tutti due deſſero vortici alle Stelle , raffigurando Parinenide nella luce le fiffe , e nelle tenebre i Pianeti ; chi sa, che queſta coſa maf ſiccia non foſſe il moto del vortice tutto luminoſo , perchè tutto etereo , il quale impediffe con la ſua forza di rotazione lo sfaſcia mento del mondo viſibile ? il moto della Luna , dice Plutarco , ( a ) ol'impero con cui gira , l'impediſce di cadere in quella guiſa , che la fionda torta in giro dalbraccio impediſce la caduta del faffo . Vuol Favorino, che Parmenide primo ſcopriſſe, che la ſteſſa Stella pre cede il Sole la mattina , e lo fiegue la fera, o che il Veſpero è lo ſteſſo che il Fosforo . Plinio ne attribuiſce la ſcoperta a Piccago ra, il quale veriſimilmente la portò d'Egitto , col ſiſtema cele fte ; ma forſe Parmenide, nella Teoria di queſta ftella , più che gli altri Pittagorici ſi diſtinſe, come Filolao nel moto della ter ra . Filolao la facea gira r in cerchio intorno alSole , ed Ecfan to volea , che movendoſinon partiſſe dal proprio luogo , ma fer mata a guiſa di ruota , ſopra l'aſſe proprio intorno quello giraffe da Occidente in Oriente ; non (6 ) aderiva Parmenide , nè a Filo lao , nè ad Ecfanto , ma conſiderando la terra d'ogni intorno egualmente lontana dalCielo , la ponea in equilibrio , e voleva che ſenza eſſer fpinta da alcuna forza a queſto , o quell'altro verſo , ella fi ſquaſfaſe bensì , ma non ſi moveſſe . Parmenide feparò il primo le parti abitate della terra fuor de' cerchj fol ftiziali , indizio manifeſto , che egli avea proficcato delle teorie di Anaſimandro , di cui ſi ſuol far ignorante Senofane. Tal era : il ſiſtema aſtronomico di Parmenide : nel fiſico egli divinizzò la guerra , la difcordia , l'amore , e diffe : Di tutti gli altri Dei cauſa è l'amore . * Αιθέριον μεν γαρ σφεμένος πόντον δε διώκει , Πόντος δέσχθονος έδας απέπτυσε, γαία δ' εσαύθις Η'ελία ακαμαντος , ο δ αιθέρος εμβαλε δίνεις . Α'λος δ' εξ άλα δέχεται και συγένεσι δε πάντες . Plut. de Ifide , & Ofiride . ( a ) De facie Lunæ . 16 ) Plut,deplac . Phil. lib. 3. d 2 Cosi ( 28 ) 1 Così gli attribuiſce Simplizio , ed Ariſtofane colle da Par menide l'amore che ordina , e fabbrica le coſe nella commedia degli uccelli , gli altri Dei non erano, che gli elementi già di vinizzati da Parmenide. ( a ) Empedocle l' emulò , benchè egli quattro elementi poneſse , e due Parmenide , il foco , e la ter ra , principali architetti delle corruzioni, e delle generazioni, e che rarefatti, o condenſati , ſi cangiano in aria , ed in acqua . I principj, ſecondo Ariſtotele , devono eſser tra loro contrari , e nulla v'è di più contrario , che il caldo , e il freddo , a quali corriſpondono il raro , ee ilil denſo denſo,, ilil moto moto ,, e la quiete . Tutto queſto ſiſtema fiſico di Parmenide eſpreſse Platone nel Sofiſta . Le mu je Jadi, ele Siciliane, dice , a queſte poſterioriſtimaronocoſa più ſicura d'annodare le coſe inſieme , in modo che l'ente ſia molte coſe ed uno , e ſi tenga colla diſcordia , e colla concordia , perchè diſcordando ( 6 ) fem pre s'accoſta egli come dicono le più forti muſe , ma le più molli non hanno voluto , che ciò ſe ne ſia ſempre così, ma privatamente alcuna volta dicono che l'Univerſo ſia uno , ed amica per Venere, altra volta molte , e con sè per ſeco diſcordanſi con certa conteſa . S'io non m'in ganno , qui s'allude all'amicizia , e alla diſcordia , o all’amore , e alla lite, che Parmenide poſe come principj efficienti delle genera zioni , e corruzioni; molti Poeti ſtaccando ciò dalle Poeſie di Par menide, e di Empedocle , non ifpiegarono con la lite, e con l'ami cizia , ſe non alcunifenomeni particolari , come chi dalſiſtemadel Newtono , il quale poſe per principio univerſale l’ attrazione ; al tri ſolo la prendeſse per iſpiegare i fenomeni del magnetiſmo, e poi per iſpiegare l'eletricità , la gravità ec . fi valeſse d'altro prin cipio . Non può dirſi dunque , che Parmenide non foſse eccellente Fi fico , ſe egli allora penſava a ciò che il Newtono pensò tanti ſeco li dopo ; ſcriſſe in verſi il trattato della Natura , come Lucre zio , ma il Poema s'è perduto, e non ce ne reſta che il principio conſervatoci da Seſto Empirico . ( c ) Mi portano i deſtrier , e quant'io voglio Traſcorrono ; che già m'aveano tratto Nella celebre via del Genio ; via Di cui m'aveano ammaeſtrato appieno Gľ ( a ) Cicerone .... 6 ) Nel Gítema Newtoniano in tanto una parte di erta fugge da un' altra parte , in quanto ella è attratta con più forza da un altro corpo ; quindi dall'attrazione ſi deduce l'a repulfione. ( ) I verli ſono in Seſto Empirico contra Logicos. ( 29 ) 1 Gl'infigni coridori, e dalla fama. Correndo il cocchio ſquaſsano , cui Duce Le fanciulle precedono , ma l'aſſe Splende ſtridendo nell'eſtrema parce De' raggi tra due fiſso orbi torniti . Allorchè s'affrettaro le fanciulle Eliadi , e della notte abbandonando Le café tenebroſe oltrepaſsarle , Nella via della luce al fine entraro ; Da i ſpiragli rimoſsero le vele Con man robuſta dove ſon le porte Delle vie della notte , e della luce ; L'une e l'altre circonda un arco immenſo , E il pavimento tutto n'è di marmo ; Agiliffime corronvi, e s'appreſsano Colà dove tenea Dice le chiavi, L'ultrice Dea , che premj , e pene imparte . Con parole molcendola ottennero Le fanciulle , che all'uſcio ella fmoveſse L'interna leva . L'adattata chiave Spalancando le porte per immenſo Foro i chioſtri ſcoperfe , mentre l'affe Si rivolgeva , e l'orbita del cocchio , Facilmente reggean l'alme fanciulle , A cui ben pronti il cocchio , ed i cavalli Ubbidiro . La Dea liera m’accolfe , E per la deſtra preſomi usd meco Tali parole . Dio ti ſalvi , o figlio Dilecto figlio, che alla noſtra Řeggia Guidarono que' nobili deſtrieri Che hanno in forte di reggere il divino Cocchio , nè rea fortuna ti conduſse In tal via . Non è trita a paſſi umani Ma audacemente di pregare è d'uopo I Numi , onde ti laſcino le leggi Inveſtigar della natura , in grembo Di veritade , che a ubbidire è proſta , E de' mortali tu fuggir potrai Le opinion , di cui non vera fede , Ma tu rimovi il tuo penſier da queſta Via di ricerca , nè ti sforzi lunga Eſperienza delle coſe gli occhi Figgere accenti o pur aperte orecchie Ai ( 30 ) Ai dogmi che ragion non prova . Quello Che ti preſcrive eſperienza lunga La ſola mente dall'error corregge . Seſto Empirico , comentando queſti verſi oſſerva , che Parmeni de chiama gli appetiti dell'animo i cavalli , la ragione il genio , o demone , e gli occhi le fanciulle Eliadi ; tutto il reſto è fancaf ma poetico , e, comeSenofane , egli penſava intorno alla ricer ca del vero ; concludendo il giudizio appartener alla ragione , e non ai ſenſi , ſenza eccettuare i due delladifciplina , o l'udi to , e la viſta ; dogma che fu poi quello dell'accademia , come a lungo Cicerone lo prova . I verſi fe hanno per oggetto cofe fublimi, e leggiadramente accoppino l' allegoria all' imitazione , e all' armonia , foddisfanno in un tempo ſtesſo , al fenſo, alla fantaſia , e all'incellecco , ono de queſte potenze coſpirando inſieme a ben rappreſentarci le co fe cantase , a preſtano ſcambievolmente le loro cognizioni, affin chè troppo sfumando nelle aſtrazioni , non ſvaniſca l'idea , e le ſenſazioni, e i fantasmi non l'offuſchino , ma ſervino alla mente di ſpecchio per ben contemplarla. La grande arte è , che lo ſpec chio non abbia troppo d'aſprezze, le quali non diſpergano ſover chiamente , ed affortiglino il raggio , che turbaco non ci laſci diſcernere , dove è l'oggetto. Alla proſa dunque , ma proſa poe tica ricorre Platone volendo appagare tutte le potenze della anima . Ed eccoci finalmente a Platone, dopo d' aver eſaminato come Pittagora dall'eternità , divinità , animazione del mondo racco glieſe l'idee ; le divideſfero in certe claſſi generali i Pittagorici le diſtaccaſſero dal tutto , e ne faceſſero degli enti a parte ; come Senofane, il primo ricavaſſe la concluſione dell'ente uno ed im-. mobile , come Parmenide contemplaſse ſecondo la ragione queſt' idea , e nelle coſe fiſiche s'uniformaffe a Senofane , diſtinguendo ľ opinabile dal vero . Tutta queſta fabbrica era fondata ſu la maniera di penſar di Pictagora , maniera falla , e pienamente diſtrutta da Padri, che molto al di là del IV . fecolo non combatterono collo fteffo Pit tagora , ma con Platone , di cui ſi debbe adeſſo rintracciare qua li influenze aveſſero nel Dialogo la dottrina dell'idee , dell'uno immobile , e dello ſcetticismo , perchè egli vi parla , e dell'idee , e dell'uno , e tutto proponendo per iporeli nulla conclude. Prima però di ſviluppar queſte cofe l'ordine della doctrina ricerca , che favelliamo dello ſtile Platonico in generale . Profonda e delicata cognizione della lingua Greca ſi ricerca per ( 31 ) e per ben intendere la bellezza , la forza , e l'armonia dello ſti le poetico di Płacone ; l' Abbate Fraguier , che in tutto il cor ſo della ſua vita , l'avea con un ſpirito molto colto nella Poeſia Greca , e Latina , ed in ogni altro genere di belle lettere ſtu diato , ben eſaminando il ſuo ſtile , ritrovava che Platone avea trasfuſo ne' Dialoghi l' Epico , il Lirico , ed il Dramatico . Com parava egli la profopopea , colla quale Dio nel Timeo ra giona agli Dei inferiori 'all' ode più ſublime di Pindaro travedeva nelle narrazioni dello ſteíſo Timeo , e in alcune del la Repubblica , la magnificenza Epica dell'Iliade . Nel paſſo cita so di ' Ateneo ', Gorgia mal ſoddisfatto di quel Dialogo intito lato col ſuo nome , ci dice , che un giovane, e Lepido Archilo co regnava in Atene ; allude egli a Platone , che irritato con tro i Sofifti, non riſparmid le accucezze, ed i ſali contro di lo ro , ma i ſali di Platone non erano aſpri, ed ulcerofi , come quelli di Archiloco , e di Ariſtofane , ma eſtratti dallo ſteſſo mare , in cui nacque Venere. Così Plut arco dice di Menandro , e con non men di ragione io poſſo dirlo di Platone , che tut to comicamente condiſce con le grazie , e con le luſinghe della Poeſia di Omero , ed ingentiliſce in guiſa le accuſe de Sofiſti , che non mai gli affronta con quell' ingiurie , colle quali il Re de'Re alla preſenza dell'eſercito rinfaccia Achille . L' ironia di Socrate a ' è la chiave , ed ella è così ben maneggiata , che da alcuni ſi crede nel Menedemo ( a) lodarſi le orazioni funebri, e pure vi ſi condannano . L'allegoria è perpetua in tutti i Dialoghi; allegorici ſono i nu meri armonici, di cui teſſuta è l'anima del mondo ; allegoriche le Sirene degli orbi celeſti; allegorico il carro dell'anima, l'ali e il coc chiere; allegorici gli Androgini, la naſcita dell' amore, la gradazionedegli animali di Prometeo, e di Epimeteo, la guerra de gli Atenieſi contro i popoli del mar Atlantico , e quanto diſſe dell'Iſola Atlantica , e ſulle leggi, esu i coſtumidegli abitanti; tutto vi è finto per preparar l'idea della Repubblica , il cui modello cerca Platone nella fabbrica ſteſſa del mondo , ed ordiſce così la men zogna poetica, che molti s'affaticarono di ſpiegare ſtoricamente l'Iſola Atlantide, come il Ciro di Senofonte . Più s'occulta Pla tone in certe allegorie incluſe nelle frafi poetiche, per le qua li ſimboleggia molte coſe , e politiche, e morali, e metafiſiche, diſegnando l'ulcime con coſe colte , o dalla muſica, o dall'altro nomia, o dalla geometria ; tre ſcienze ( 6 ) nelle quali era fo mamente dorto al ſuo tempo . Certo è , che ſe giuſtamente non retro s'ap ( a ) Cicer, lib. 3. Acad. ( 6 ) Ab, Fleurì nella lode di Platone . ( 32 ) s'apprezzano le fraſi poetiche riducendole al ſenſo filoſofico , li corre riſchio di non intender mai , nè le parti , nè il tucco di un certo Dialogo , e ne vedremo nel Parmenide ſteſso gli eſempj. Ebbe dunque Platone comune la poeſia con Parmenide , ma molto egli l'accrebbe col Dialogo , modo più naturale per iftrui re , più comodo per illuminare , adoprato da Socrate , da Seno fonte , da Stilfone, daEuclide , da Glaucone , e al dire d'Ariſto tele da un certo Aleffamene inventato . S'imitano col Dialogo i ragionamenti degli Uomini , come ne? drami s'imitano le azioni . Platone che voleva emular in tutto la poeſia di Omero , ſi sforzo d'imitar le diſpute de Filoſofi , in quella guiſa che Omero avea imitate le azionidegli Eroi . Ciò che al Drama è la favola e l'epiſodio , è la queſtione al Dialogo , e la digreffione, e' nell'una , e nell'altra riuſcì egregiamente Plato ne . Non v'è Tragedia antica , che meglio eſprima il principio , la percurbazione, il ſcioglimento dell'azione, di quel che Platone proponga , diſcuta , termini la queſtione , in cui ſebben nulla concluda , però gli bafta d'aver conſumate le ragioni dall' una , e dall'altra parte. Nelle digreffioni comincia per lenti gradi ad allontanarſi dalla queſtione , poi ſpazia o nella Geometria nella muſica , od in altra ſcienza a fuo talento , e ſenza che il lettore fe ne accorga , il riconduce alla prima propoſizione non per ſalti , ma per gradi . Anche in cid imitd Omero , che al dir del Gravina ( a ) traſcorre tallora alſoverchio , tallora moſtra ď abbandonare , ma poi per altra ſtrada ſoccorre . Platone non imita meno Omero nel carattere degl'interlocu tori , e delle ſentenze ; io ravviſo in Alcibiade un non so che del carattere di Paride, l'uno e l'altro è milapcatore, fuperbo , e laſcivo ; il carattere di Neftore è trasfuſo in quella parte del carattere di Socrate , ove queſto conſiglia , ma Neſtore auto rizza i ſuoi diſcorſi con l'eſperienze acquiſtare nell'uſo della vita , e Socrate con l'impreſſioni del genio che il dominava . I caratteri de' Sofiſti ſono preli da quei dei Trojani, che ſenza ordine , e ſen za diſcipliita s'avanzano come le Gru ſchiamazzando , e poi reſta no ſconfitti da' Greci, il cui coraggio e valore era ſoſtenuto dalla ſapienza , e dal consiglio, e fino da Minerva . Molti . pretendono che Platone ſpieghi la ſua ſentenza nel far ragionare Socrate , Timeo , Parmenide, l'Oſpite Arepieſe , e l' Eleatico , due perſone anonime, e che gli faccia dire a Gorgia , a Traſimaco a Claride., a . Protagora , & Eucidemo , ciò che non approva e vuol rifiutare , ma coſtoro non avvertono , che nel ( 2 ) Ragion Poetica . ( 33 ) nel far Platone ſiſtematico lo fanno peſlimo Dialogiſta , e talor peffi moFiloſofo , perchè egli concraddice a ſe ſteſſo in diverſiDialoghi , o almeno le coſe vi ſono così ſconneſſe , che non ſi può raccoglierle , non più che le membra di Penteo ( a ) diſunite e sbranate. Tratto di cutte le parti della Filoſofia, or Logica , or Fiſica, or Metafiſica, accennomolte ſcoperte de' ſuoi tempiintorno alla mufica, all'aſtro nomia , all'ottica , ma imitando poi la ſetta Eleatica ne'dubbj, e nell'opinioni , tutto propoſe ſenza nulla concludere. Cicerone lo conſidera come il primo degli Accademici, o quel che diede ad Ar ceſilao , ed indi a Carneade il metodo di dubitare . Seſto Empirico ſenza altro lo pone tra' Pirronici nelle materie an cora più gravi , come in quelle dell'anima,del mondo , di Dio ; nè a ciò Cicerone ( 6) è contrario . Conveniamo dunque che Platone, co me nello ſtile poetico convenne colla ſcola Eleacica , così vi conven ne nel metodo di opinare,che egli col Dialogo reſe più problematico . Confideriamolo adeſſo nelle fentenze , e principalmente in quelle che riguardano l'idee ſulla Divinità , e ſulla materia. S'è già dimoſtrato , che i Pitcagorici riducevano tutto all'idee , ed ai numeri. Platone ſcielſe, e perfezionò ilmetodo dell'idee , econ duffe lo ſpirito alla cognizione del bene per l'idea del bene, della bellezza per l'idea della bellezza , e cosìfece del valore , della tem peranza, della ſcienza , e dell'altre virtù morali ed intellettuali , com ponendo tra loro l'idee n'eſtraffe l'idea della Repubblica , o l'idea del giuſto conſiderato nell'amminiſtrazione d'una Repubblicazimmagine di quella amminiſtrazione, che delle potenze dell'anima fa la ragione. Credevå egli , che ſpiegar le coſe particolari per le univerſali, fof ſe il metodo chela natura leguiva , allorchè procede dalle cagioniagli effecti. Parve ad Ariftotele, che foſſe più facile , e più ſendibile nelle inſegnar le ſcienze , ſeguir l'ordine dello ſpirito , chealla cagionevi per l'effetto. Non ſono più oppofti queſtimetoditra loro , che la ſin teſi, e l'analių , di cui l'una comincia dalle coſe generali , per difcen dere alle particolari, e l'altra dalle particolari, peraſcendere alle ge nerali ; l'uno e l'altro Filoſofo nell'inveſtigar l'idee delle coſe , adoprò il metodo ſteſſo di comparare i ſingolari,e di farnele aſtrazioni oppor. rune, e lo dimoſtrerd a lungo pel ragionamento dell'idee Placoniche. Cicerone riduce l'idea alla (c) terza parte della Filoſofia , che ver ſa nel difputare. Così l'idea trattavaſi dagli antichi , che ſebbene ac cordavano ella naſcer de ſenſi, però volevano che il giudizio nonfoſe ne fenſi , ma che la mente fore giudice delle coſe , ſtimandola ſola atta a di ſcopriril vero , perchèfola diſcopriva cid cheera ſemplice, della ſteſanas tura , o tal qual era , e queſto lo chiamavano idea già così nominata da Platone , e noi poſiamo ( conclude egli ) rettamente chiamarla la lpecie . Non erano perciò l'idee Platoniche , a ben comprenderle, che le fpe cie , eigeneri che noi facciamo , comparando ed altraendo , eche , Tom . II. ( a ) Eufeb.Prop.Evang. ( 6 ) De Natura Deorum . ( c ) Lib.1.Accad . 2 e come ( 34 ) 1 come ſi diffe , cappreſentavano i Pittagorici per l'unità, poichè la mente tutto va unificando per ſua natura . Una ſpiegazione sì facile , e breve dell'idee Platoniche, perfectamente s'accorda co' principi d'Ariſtotele. Egli tratta nella Merafilica l'idee Platoniche da metafc re poetiche , e queſto nome gli avrebbe pur dato Platone, se avelle dogmaticamente ſcritto come Ariſtotele', ma nel Dialogo ſpecie di Poelia Dramatica egli eguagliò la compoſizioneallo ſtile . Morco Platone, ed offeſo Ariſtocele di vederſi poſpoſto a Pfeufipo „ a lui tanto inferiore in ingegno , e in dotcrina vi oppoſe un'altra ſcuola di cui ſi fece capo , e per accreditarla cominciò a combattere le fentenze del ſuo antagoniſta , attaccandoſi alla parte più difficile , e più equivoca o alla quiſtionedell'idee , alle quali Preuſipo imitando .forſe il metodo di Platone dovea dar troppo di realità. Ariſtotele ſcriſe dunque contro l'idee ſeparate, ma Platone avendo già nel Par menide conſumato quanto potea dirli contro di loro , Ariftotele ne copiò gli argomenti dipeſo , ed al ſuo ſolito con brevica ed oſcurità di ſtile, fingendo di combatter Placone critico Preuſipo , ed i ſuoi di i fcepoli. Dital congettura è mallevadore il Patrizio nelle ſue diſcuſ fioni peripatetiche . S'elle ſon vere , non che verifimili , verifimile è pure che fin d'allora ſi ſpargeſſero i ſemi che prima Ammonio Sacca, ed indiPlotino , Porfirio coltivarono , e Jamblico , e Procloridul fero in regolato fiftema. S.Giuſtino , che avea più ſtudiatii Platoni ici , che Platone era perfuafo, che l'idee foſſero ſoſtanzeſeparate , collocate con Dio nella sfera più alta . S. Cirillo rifiuţa Giuliano A poſtaca, che credeva il Sole , la Luna, egli altrieller l'idee viſibili e comporre gli Dei. 11 P. Balto riferiſce a lungo ipaſſi di S. Ireneo , di S. Bafilio e d'altri , i quali impugnarono l'idee ſeparate , che introdu cendo il politeismo rovinavano ne'ſuoiprincipj la Religione Criſtia pa . Soſpetta il P. Balto , che Eufebio difendere l'idee Platoniche persè ſuffiftenţia pro dell'Arianismo da lui profeſfaco. Negli ultimi tempi il Clerico ne rinovd la ſentenza , e molto più l'anonimo Soci niano nel tuo Platonismo ſvelato , ove ſi confondono con l'idee di Platone , gli Eoni rami de'Seffirotii cabaliſtici adottati da' Valencia niani e da' Baſiliani, e de'quali nella concinuazione dell'iſtoria degli Ebrei parla a lungo il Basnage , I comentatori di Platone abbagliatidatante autorità , nè avendo forza di critica fufficiente per reliltervi, s'abbandonarono ai fantasmi di Proclo , e di Jamblico , anziche abbadarea'ceſti di Platone , ne s ' avviſarono di ben pelare le dottrine del Parmenide contro l'idee ſeparate aggiunte da Ariſtotele alla metafiſica. S. A goſtino è il primo de' Padri Latini, che non fepara l'idee Pla toniche da Dio ; dando a Dio la creazione del mondo non poteva egli non concepire nell' intelletto divino la ragione dell'ordine del le coſe create , e queſte appunto ſono l' idee su le quali poi San Tommaſo ſeguito da' Teologi , ne fece molti articoli , of. feryando che l'idee divine ſono univerſali, onon rappreſentano a Dio ( 35 ) 2 € Dio ſolo le ſpecie , ma ancora gl'individui , col rappreſentargli le coſe non quali noi per la limitazione della noſtra mente le veggiamo , ma quali ſono in fé ſteſſe. Il Padre Balco riprende a dritto su queſto punto il Dacier , che per difender malamen te Platone, cade non volendo in un errore . Ma fe Platone preſe da’ Pitragorici l' idee nel ſenſo , che le propoſero Pitcagora , ed Archira , pare che egli ancora come queſti ſentiſſe intorno la Divinità . S'è già dimoſtraco che dopo Pitcagora , Senofane e Parmenide conſideravano Dio non altrimenti, che l'anima del mondo. Lunga cofa , dice Ci cerone , ( a ) ſarebbe a dire dell'incoſtanza di Platone intorno a Dio ; nel Timeo nega , che porta nominarſi il Padre del mondo; nel libro delle leggi, ſtima non doverfa ricercar affatto coſa ſia Dio . Lo stesſo nel Timeo , e nelle leggi, dice eſſer Dio, il mondo , e gli altri e la terra , e gli animi , e gli altri Dei, che abbiamo ricevuti dagl' iftitu ti de' Maggiori . Il Padre Arduino raccolſe tutti i paffi , ove Pla tone parla degli Dei nel ſenſo ſtero . Dio nel Timeo ſi chiama bensì il Padre , e l'artefice del mondo , ma non mai il Signore , il Sovrano ; ſi chiamava il mondo un Dio generato , il quale ba una perfetta ſomiglianza con Dio ; figliuolo , e figliuolo unico di Dio ; un Dio completo , un Dio generato da un altro Dio , un Dio felice , im magine del Diointelligibile , perfetta copia d un originale perfetto Dio ottimo malimo, qual appunto i Romani doceano diGiove , per cui folo intendevano il deſtino inviſibile delle coſe . Molci alcri paſſi ſpiega l' Arduino , e da cutii ſi raccoglie , che Placone non co noſceva Dio , che come principio intelligente , qual lo conobbe Pittagora , Senofane, Parmenide, e cant alori , a' quali può ben applicarſi il pallo di S. Paolo , in un ſenſo filoſofico , che cono ſcendo Dio , non come Dio l'onorarono ( non ſeparandolo affacco dal la materia , o , ponendolo ad eſsa coeterno . ) Pitcagora avea generato il mondo , e lo generarono i Fenici, Orfeo , ed Eliodo . A queſt'idea poetica , Platone aggiunſe le Fi loſofiche accennate da Timeo di Locri nel fuo ragionamento della natura , e dell'anima del mondo , e ne compofe il Timeo , nel qual volea nell'ordine oſſervato dalla ſapienza nella fabbrica del mon do , dar un modello di quella Repubblica, che poſcia propoſe nel Dialogo del Giuſto . Ariſtocele pur comparava la coſtituzione del mondo ad una Repubblica, in queſta v'è il Principe , che comanda ai Magiſtrati militari , e civili , e nel mondo v'è Dio , che col miniſtero degli Dei inferiori, compie , conſerva, ed ordina cuc te le coſe . S'è © e di lo Lei li i e lo i e ( a ) D: Natura Deorum lib. I. 3 ( 36 ) s'è gia dimoſtrato , che i Platonici recenti nel divider in due punti, o ſegni, l'eternità , neaſſegnavano il primo ſegno a Dio , in quanto a Dio , ed il ſecondo a Dio creatore della materia la difficoltà è di ritrovare in Platone qualche coſa che s'av vicini a queſta dottrina . Teofilo ( a ) non ve la ritrovd altri menti dicendo , che Platone coi ſuoi ſeguaci poneva Dio , e la materia ingenita ; con che non venia a porre Dio , nè uno; nè ſolo . lo qui ſtenderò un lungo paſſo di Plutarco , perché fe 'ne giudichi . Il mondo , dice egli,è bensì ſtato fabbricato da Dio , perchè fra tutte le coſe è bellißimo il mondo e Dio fra le cagioni l'ottimo , ma la ſoſtanza , e la materia , della quale è ſtato formato , non eſſer mai nata , ma ſempre averſi trovata ſottopoſta ab Maeſtro , ed ubbidiente a ricever quell'ordine , e quella diſpoſizione , che fore in quanto ella potelle comportare a lui fimigliante , percbè il mondo non fu creato dinulla , ma di ciò che era privo , di bellezza , di leggiadria , e di perfezione , ſiccome la caſa , la veſte , la ſtatua, perciocchè tutte le cose , primache naſceſe il mondo , foffero confuſe , e diſordinate, nondimeno le coſe confuſe non erano ſenza corpo , ſenza fora ma , ſenza regola , moſle da movimento a caſo , e ſenza ragione. Que sto altro non era ; che la ſproporzione dell' anima, di ragione Spoglia ta , perciocchè Dio di coſa ſenza corpo non fece corpo , nè anima di coſa d'anima priva , nella maniera che noi vediamo , cbe il Maeſtro di muſica , e dell armonia , non fa egli la voce , bensì la voce acconcia , e il moto proporzionato ; così parimenti Dio non fece il corpo trattabile , e ſodo , nè l'anima atta a moverſi, ed in gannarſi, ma preſo l' uno , e l'altro principio , quello oſcuro e pienodi tenebre, queſto confuſo e pazzo, amendue più rozzi, e più difformidel convenevole ordinandoli ; e diſponendoli , e congiungendoli formd un animal beltiſſimo , e perfettiſſimo. Dunque la natura del corpo non è punto diverſa da quella natura , come dice Platone , che abbraccio il tutto , ed è fondamento e nutrice di tutte le coſe che naſcono ; non dimeno la natura delp anima fu da Platone nel Filebo nominata infini to , il quale non riceve numero , nè proporzione , nè vi ſi trova miſu ra, o termine alcuno di mancamento, di ſoverchio , di ſimiglianza, o di differenza. Così parla Plutarco ed è facile il dedurne , che ſecondo Pla tone eterna era bensì la materia del mondo , ma nuova la for ma , ( a ) Teophil. ad Autolicum 1.2 . Plato cum ſuis aſſeclis Deum quidem confitetur ingenitum , patrem præterea & conditorem hominum , at que deinde fubjicit , live ſupponit Deo materiam quoque ingenitam , quæ fimul cum Deo prodiderit five extiterit ; verum fi Deus cen ſetur ingenitus , & materia perhibetur ingenita , jam nec amplius Deus conditor & creator eſt hominum etiam fecundum Platonicos , nec quod unus & folus ſit ab his vere demonftratur . nè il moto , ma 1 1 ( 37 ) má , ed in queſto Platone differiva da Ariftotele, il quale , come s'accennd , fece ad un tempo eterne , e la materia , e la forma; Ariſtotele rimprovera perciò Platone , d' aver fuppofto , che la materia con cuiDio compoſe le coſe, foſſe in moto, e loda Anaf fagora, che la poſe in quiete . Vuole egli ignorare , che affatto poetico foſſe il Timeo ; pure non è credibile ,che egli non l'aveſſe udito dir più volte da Placone ſteſſo , che nel Dialogo finſe Socra te a favellar con Timeo di Locri contemporaneo forſe a Pittagora ; parla dell' abboccamento che Solone ebbe coi Sacerdoti d'Egitto , iutta ſpaccia la favola dell'Iſola Atlantide. , ſtempera in una taz za i numeri armonici dell'anima del mondo compoſta di cre ſo ftanze , ne ſparge le reliquie su le ſuperficie de glòbi', conſidera come coſa reale la mecemplicoſi , che Timem ( a ) nel ſuo ragiona. mento introduce come coſa politica . In ſomma ben eſaminan do tutte le frafi Platoniche e tutto il conteſto della dottrina Filoſofica poeticamente maſcherata , io ſon perſuaſo , che in Platone , comene Pictagorici , Dio vi s'introduca qual animadel mondo , o la ſteſſa mente , e ſapienza perfecta ſparſa per tutto ; allora perciò che dice Cicerone nella natura degli Dei, e quan do Platone fa Dio incorporeo ( b ) egli confonde Dio con la mate+ ria , la quale era incorporea , come ſi diffe , prima che da Dio ſe ne eſtraffero i corpi . Dall'alcra parte nell'ipateli, che Dio gli abbia eſtratti, fece Dio concepirſi" al di fuori della materia , co me l'architetto al Palagio , e lo ſcultore alla ſtatua . In vano dun que dall' opere di Platone, e degli altri Filoſofi antichi , i qua li ammifero la materia eterna , li cerca l'idea del Dio che ado. riamo ; egli è uno ſpirito infinito , nella di cui natura inviſibile ſono riunite cutte le perfezioni immaginabili , e poflibili ; onde gli ſcolaſtici lo chiamarono il cumulo delle perfezioni ; e i Cartuliani l'ente infinitamente perfecto . Sino a què l' ammet cevano gli ſtefli Pagani , ma la definizione non balta, ſe ad el fa non s? aggiunge , che Dio ha tratto dal niente l' Univerſo , e che è diltinto realmente , e ſoſtanzialmente da tutto ciò che ha creato . Tale definizione come ortodoſſa propoſe l' Abbate d'Oliveta ’ Filoſofi ( c ) dopo di aver eſpoſte tutte le loro fen tenze , tra le quali entra e Pittagora , é Senofane , e Parmeni de , e Platone Itello , Non (a . ) Nel fine. ( 6 ) Cicer. Natur. Deor. ( c ) Nel fine del Tomo 3. della traduzione della Natura degli Dei;. Par ce mot. Dieu , je veux dire un eſprit infini , dont la nature eſt indiviſible & incomunicable ; dans lequel font réunies toutes les perfections imaginables & poſsibles , ſans aucun mélange d' imperfe etion ; qui'a tiré du ndant l'univers, & qui eſt diſtinct réellement & ſubſtantiellement de tout ce qu'il a créé . 0 1 ( 38 ) o dell' Non è tuttavia , che debbano ſpregiarſi le dottrine di Placone , e rigettarle come inutili ; conobbe egli Dio ſotto un'idea con fuſa, come lo conobbe Ariſtotele , e in quella guiſa che S. Tom maſo da Ariſtotele tralle molti principi , e combinandoli coi rivelati propoſe molte concluſioni Teologiche , così può farſi di Platone ; S. Tommaſo dall' uno , e dall'altro traſfe l'eſiſtenza di Dio , impiegando i mori , le cagioni , l'ordine del mondo , i gra di più o meno perfetti delle coſe , ma non potè trarla dall' en te contingente e neceſſario , che Platone non conoſceva , ponen do ecerna la materia , e chiamandola neceſſità . Dimoſtrar il primo ente qual principio intelligente , per l'adequaca idea di Dio , non baſta le da eſſo non ti rimovono tutte le compoſizio ni , dimoſtrando , come fa S. Tommaſo , che in lui non ve n'ha nè di forma, nè di materia , e che non può ridurſi ad alcun genere , Nel Parmenide però non v'è biſogno d'alcuno di queſti ar tificj ; tutto vi fi' riduce all'idea metafiſica dellence uno . Convien dedurla da' ſuoi principj, od eſtrarla come fece Pittagora , e Peritione da tutti i compofti , ed eſaminarne le proprietà . Così San Tommaſo , ove tratta dell'unicà , e della bontà di Dio , prima ricerca , quanto la ragione, gli può per mettere , coſa ſia l' uno , e coſa ſia il buono , indi col princi pio rivelato cid combinando , dimoſtra la purità , e la bon tà di Dio. Io parimenti ricercherò con la ragione , fe si poſſa ben intendere l' uno del Parmenide , laſciando agli altri la fa rica di ſpiegarlo in un modo fublime , applicandovi le coſe Teologiche , delle quali non intendo d' attaccarne , o diftrug . gerne la minima . Io cratterò della dottrina del fine , indi del metodo del Dialogo. Gli antichi con ragione intitolarono queſto Dialogo , il Par menide o dell' idee , perchè Parmenide parla più degli altri , e tutti i ſuoi ragionamenti raggirano su l' idee , o per cercarle con le aſtrazioni della mente, o per diſtruggere le ſeparate , eſempli ficandone il caſo nell'idea dell' uno , la più ſemplice di tutte l'al tre , e a cutte l'altre comune . Supponevano i Pictagorici , che tutte le coſe imicaſſero , o par ticipaſſero l'idee , o le fpecie ; provacontro loro Parmenide , che le cofe non poſſono eſſer partecipi delle fpecie, nè ſecondo il tutto , nè ſecondo unaparte , indi col principio di contraddizione , col progreſſo all'infinito , e coll' ideaſteſſa delle perfezioni divine ; gli fteffi argomenti di cui ſono nel Parmenide i femi, fteſe Ariſto tele, ed è mirabile che i comentatori non abbiano penſato di con frontarlo nel ragionamento dell'idee con Placone , ciò che attri buiſco all'ipoceli da loro fiſsata , che in queſto Dialogo Parmenide, o Pla ( 39 ) o Platone confermi e non diſtrugga. l' idee ſeparate . Annullate tali idee in modo cheSocrate ne reſta convinto , Pare menide per non laſciarlo nell' imbarazzo gli moſtra la neceſſità che ha il Filoſofo d'ammettere certi principj fiſſi ed immutabili e tanto più difficili a comprendere , quanto che non fi poffono de terminare , nè co' ſenſi , nè colla fantaſia . Parmenide' nell'etem plificare il caſo del metodo propone l'idea dell'uno , e la con ūdera relativamente a ſe ſteſſa , indi all'ente , al fine , al non en te . Così un matematico trattando per eſempio del triangolo , lo conſidererebbe prima in ſe ſteſſo , poi per rapporto all'altre figure rettilinee o piane , ed al fine alle non rettilinee, od alcerchio . Definiſce Zenone l'uno per oppoſizione a molti , e chiama uno ciò che non è molti . Ariſtotele, nella metafiſica molto ap prova queſta definizione, perché i molti ſono più noti al ſenſo che l' uno ; prende Parmenide la definizione , e negando dellº uno tutto ciò che s'include in molti o li predica de' molti ; negà ch' egli fia cutro , parte , principio , mezzo , fine , figura moto , quiete , lo ſteſſo , diverſo , ſimile , diſſimile , eguale , mag giore , minore ; in oltre gli nega le differenze del tempo, pre lente , paſſato , futuro , l'eſſenza , la ſoſtanza , il nome, il ſen fo , la ſcienza , l'opinione. Parmenide prende ſempre l'uno nel ſuo concetto aſtrattiflimo, nè men volendo che l'uno â conſideri per rapporto a ſe ſteſſo , perchè nel riferir l'uno a sè li concepireb be come due o come molti. La ſeconda quiſtione è , ſe l'uno ſia che accada all' uno , ed all'altre coſe ; qui l'uno fi ſuppone inſeparabile dall'ente , come rente dall' uno, onde tutto ciò che s' include o li predica dell' , pud predicarſi dell' uno ; quindi ſe nell' ente's include o dell'ente fi predica , la parte , il tutto , il finito , l'infinito , il principio , mezzo , il fine , la figura , il luogo , il moto , la quiete, il fimile , il diffimile , lo iteſto , il diverſo , l'eguale , il maggiore, il minore, il tempo paffato , preſente , e futuro , 1 eſſenza, o la ſoſtanza , la ſcienza , l'opinione , il ſenſo , tutte queſte coſe ſi predicheranno ancora dell'uno . Non ſi predicano però queſte coſe oppoſte dell' uno , e dell'ente. nel medelimo tempo, e ſecondo lo ſteſſo riſpetto , ma in varj te m pi o ſecondo diverſi riſpetti , e ciò fa che le contraddizioni non ſieno , che apparenti , o del genere di quei meraviglioſi , che de generano ſpiegandoſi in puerilità. Cosi penſa lo ſtelfo Platone nel Teeteto , maParmenide nel cercar qui ſe ſia l'uno , quali altre co fe ne fieguano , non cela all'uſo de Sofiſti , ma ſpiega come vero Filoſofo in termini ſemplici i miſteri , e queſta iola credo una nuova prova del liftema Parmenideo da me ſtabilito . In ente ( 40 ) In queſte due prime nozioni dell' uno non vi ſi framiſchiano le immaginarie', o poetiche ; mabensì ve ne fono nella terza , ove fi rapportal'uno al non ente , o al nulla , di cui non s'ha nozionereale', ma ſolamente immaginaria come dell'impoffibile . V'è un affioma Logico , il qual diceche , dall' impoflibile ogni coſa ſe ne deduce , pera che in lui fi complicano i contraddicorj, anzi il criterio per co nofcerlo è per mezzo dei contradditorj, e poichè l'uno è inſe párabile dall'ente ; fia lo ſteſſo dir il non uno, che il non en te , ma del non ente o dell'impoffibile fi dice che ha effenza , o che non l'ha , che è lo ſteſſo e diverſo , che è ſimile , e non fi mile , eguale , non eguale , cheſe genera e fi diſtrugge ec. Dun que le ſteſſe coſe che ſi predicheranno del non ente conveniran no ancora al non uno . Nell'attribuire il non uno all'altre coſe , fi trasformeranno queſte in fantasmi, o sogni d'eſtenſione , di mal fa , di moto e di quiete , ciò che rende il mondo più poetico del cabbaliftico . Platone o Parmenide maneggiano queſto argo mento con ſomma ſagacità , e delicatezza , e ben ſi vede quanto foſſe la loro Filoſofia profonda , e quanto utiliffima eller poſla , non cangiando il grado dell' aſtrazione , nè inneſtandovi opinioni affatto encufiaftiche, come fece il Ficino . I celebri Pittori , attenti ad oſſervare in ogni luogo tutto ciò che loro ſomminiſtra idee nuove d'atteggiamenti , di ſcorcii , di lineamenti , difigure , ſe mai su i muri più affumicati ritro. yano quelle ſtriſcie fortuite impreſſevi dalla caligine , le vanno combinando con la loro immaginazione , e creano delle figure leggiadramente fimecrizzate , e canto ſi rifcaldano nel vagheggiar opera loro , che le additano agli altri , come fe ivi foffero ,e ſi cruciano e fremono , e ingiuriano , quando queſti ſemplicemen te riſpondono di non ravvifare , che orme irregolari di fumo . I Filofofi, e particolarmente i comentatori hanno lo ſteſſo coſtu me , fiffi in un fiftema l'addatano a tutto ciò che incontrano nell' autore da loro accarezzato , e dove egli ancora parla nel modo più ſemplice , e naturale , e conveniente a'ſuoi principj, par loro di fargli torto , ſe non l'abiſfano nelle loro profonde ſpeculazioni , e lo dimoſtrano tanto più ammirabile , quanto nyono l'intendono , c quanto dagli altri è meno intefo . In tutti i Dialoghi s'è prefiſſo il Ficino, di far di Placone ( a ) un Teologo Criſtiano, ma non so come ritorni in queſto Dialogo al ( a ) Prima ex quinque ſuperioribus de uno fupremoque Deo dixerint quomodo procreat diſponitque deorum ſequentium ordines . Secunda de fingulis Deorum ordinibus , quo pacto ab ipſo Deo proficiſcuntur ec. argum. Marſ. Ficini Parm . vel de uño rerum principio , & de 9 ideis . ( 41 ) al Paganeſimo, e vi traſporti tutte le idee fimboliche del Timeo , e del Fedro ſenza biſogno , e profitto ; e che coſa ſon queſti Dei che ſeguono Dio nell'ordine loro , ed in qual parte del Parmeni de li ritrovo ? Annullò il Serano gli Dei, e vi ſoſtituì due ſorti d'idee ; Dio è la prima e principal idea , le ſeconde ſono le va . rie idee delle coſe create ; ma ſe Parmenide non diſtingueva Dia dal mondo ; coſe affatto poeriche non ſono le idee divine ? Non bado il Serano , che Parmenide toglie all'ente ſino il tem po' preſente, e le toglie ancora l'eſſenza. Si , ma intende il Se rano l'eſſenza delle coſe ſingolari , e quando Parmenide dice , che l'uno è molte coſe, vuol dire, che egli dà la forza d'elfte re alle coſe ſingolari . Or come ſi può includere nell'idea dell' uno , in quanto tale la forza? E come poteva Parmenide inclu derla nell' uno , ſenza concepirvi l' eſſenza , e nell' accoppiare l' eliftenza alla forza , e non concepir l' uno come molti contro l? ipoteſi? La prima idea , dice il Serano , fi diffonde in maniera ſulle coſe create', alle quali Dio dà la forza , e facoltà d ' eſiſtere , che ad ogni modo circoſcrive ne' determinati cancelli dell' uno , la feffa moltiplici, tà , e quaſi infinità delle coſe ſingolari . Queſta è la luce tenebroſa del Flud , chi può ſpiegarla ? Va il Serano peſcando le affezioni dell' idee ſeconde , e ne ri trova ſei , dopo le quali la ſua vena metafiſica , e teologica , ſi conſuma, o perde , ed in tutto il reſto del Dialogo immobil mente fiſto , ed eſtatico ſul ceſto Platonico , par uno di que' Chineſi, che per molti anni guardandoſi la punta del naſo s'im maginano di veder l'eſſenza divina; non batte egli palpebra tutto concentrato in sè , nè degna abbaſſarſi a ſoſtener con note margina li l'imbarazzato lettore . Io ſon ben lontano dal condannare le al tre note di queſto autore , colle quali negli altri Dialoghi eſpone la conneſſione, e callora le ragioni ſemplici del teſto , ma nel Par menide ſpiegando alto il volo per emular il Ficino , li dimentica del ſuo coſtume, e laſcia in aſciutco il leccore ; ma come è poſſi. bile , che avendo egli canto ſtudiaco Platone, e confrontati i teſti, nonabbia atteſo ad unpaſſo delFilebo , in cui li ſpiega il fine , che Platone ſi prefiſſe in queſto Dialogo ? Nel Filebo , che non ſenza ragione gli antichi faceano ſeguir al Parmenide , cosi ſi parla da Socrate a Protarco . Tu , o Protar dice Socrate , intorno l' uno ed i molti ai dette le coſe pubbliche dei meraviglioſi, le quali, per dir cosi , ſono concedute da tutti, che non fieno punto da toccarli, ejendone alcune puerili , e facili da conoſcerſi, e per nuocere maſſimamente a ragionamenti, fe alcun le ammetteſſe ; nè è Tom. II. f de ( 42 ) - 1 1 tal uno , da ſtimarſi coſa meraviglioſa , ſe alcun dividendo rolla ragione le mem-, bra d'alcuna coſa , e tutte quelle parti , confeſſando quella eſerne una ; di poi la confutalle , e ne prendeſe beffe quaſi sforzato a con . feſare coſe moſtruoſe , cioè che una ſola coſa ſia molte ed infinite, ele molte quaſi una ſola , E' quì da notarli quel dividere con la ragione le membra di alcuna coſa , formula che egli repplica ſovente nel Parmenide , in cui dice , ſeparar le coſe con l'intelligenza , e fino sbranarle ; indizio manifeſto che qui non ſi tratta , che d'aftrazione di ra gione, per cui nelle coſe più ſemplici fi diſtinguono , non le par ii, ma gli attributi , e le relazioni che le fan molte per rapporto alla mente ; or tutto ciò che dice nel Parmenide dell'ente, e dell' uno , non divien egli un di que' meraviglioſi puerili, de' quali par la Socrate , fe non s'averte , che le contraddizioniſono apparen . ti , o che nel medeſimo tempo , e ſecondo lo ſteſſo non s'aſcrive all'uno , il fimile e diffimile? Siegue Socrate : quando alcuno giovane pone l'uno , non eſſer alcu na di quelle coſe , le quali naſcono , e muojono , perciocchè quì un co come poco fa dicemmo, ſi è conceduto , che non ſi debba con futare . Parla quà Socrate della prudenza , della ſcienza , e della men te , di loro natura une, immortali, ed eterne nel ſiſtema Piccagori co , e delle quali , come d'eſſere reali , parla nel Sofiſta . Conclude Socrate : Ma quando ad affermare è altretto un fol Uo mo , un ſol bue, una coſa bella , ed una coſa buona , allora veramen. te in queſte, ed in cotali unità ſi rende ſollecito lo ſtudio , ed anche ſi fa ambiguala divifione. Primieramente ſe ſieno da ammetterſi certe uni tà sì farte, che fieno veramente ; di poi, in qualguiſa ſia de penſarſi, che ciaſcuna di quelle coſe ſia una , e la medeſima ſempre, nè fi pren da generazione, nè morte , ma ſe ne ſtia fermiſima nell' unità di lei ; finalmente ſe ſia da porſi alcuna coſa nelle coſe generate , od infinite, o partita , ed oggimaifatta moite coſe, o tutta eſa in diſparte da ſe medeſima, il che più di tutte l'altre coſe parrebbe impoſibile che uno , e lo dello ſi facele parimente in uno , ed in molti. Quefto è l'uno, ed i molti che ſi trovano intorno a cotali coſe , ma non quelli , o Protarco che non conceduti bene ſono cagione d'ogni dubitanza , ed ogni facilità ben conceduti . Manifeftiffimo è , che quì Socrate ripete le difficoltà ſull' idee ſeparate fattegli da Parmenide , e ſu le quali confeffa , che impoſſi bile è di scioglierle, indi fa attenzione al metodo inſegnato da Par menide, di cercar l'idee per via dell' aſtrazioni, con le quali ſi to glie ogni difficoltà intorno a'molti, e all'uno . Da ( 43 ) Da queſti palli io deduco , che il fine di Platone in queſto Dialogo altro non fu , che d'allontanarſi da quel meravigliolo e puerile, in cui facilmente fi cade, quando non ben li diftingua no i concerci della mente , o s'amia irasformare i concetti in ido li , ed a realizzarli poeticamente , come faceano i Pittagorici . Per compir queſto diſegno fcelle Platone il Filoſofo più ſpeculativo dell'antichità , e deſcritto da Socrate qual Uomograve, evenerabile , e d'una profondità al tutto generoſa , il che vuol dire , ſe non erro , che egli nella ſua maniera d'argomentare franca , libera, ed inſie me profonda, nulla tenea del lopraciglio , e della vanità dei Sofi fi; Platone quimoſtra fin dove arrivar pud l'ultima analiſi , che i Pitcagorici faceano dell'idee , oltre le quali il procedere'era un eſporſi a pericolo di non più intender quello che ſi dicea , comepur trop ро è arrivato ad alcuni Scolaſtici , che fpingendo troppo , oltre le queſtioni oncologiche , ofarono ſin negare il principio di con traddizione , ed affermarono chel'infinito ſi raggruppaffe in un pun to . Nel Gorgia, nel Protagora , ed in altri Dialoghi contro iSo fifti , coll'arte dell'ironia Socratica , li dipinge a diritto Platone quali cacciatori mercenari d'uomini, mercatanti venditori, appal tatori di ſcienze , e diſcipline falſe ; ma chi può dire che Platone ebbe difegno di proporſi in queſto Dialogo Parmenide , qual mer catante venditore, ed appaltatore di bujo peſto , che così devono chiamarſi le quiſtioni tenebroſe , ed all'ambicate ; bujo peſto è quel lo di cui troppo liberalmente lo caricano il Ficino , ed il Sera no, non quel che combina la doctrina d' Ariſtotele , con quella di Platone ; dotcrina che curt " i Peripatetici , e gli Scolaſtici ab bracciarono e che ultimamente con tanta chiarezza e preci* fione , eſpoſe il Wolfio nella fua Ontologia . Queſto Dialogo è primieramente ontologico , e preſo in queſto ſenſo non ha in sè più di pericolo che la metafilica d' Ariſtocele , ma ridotta alla Dialeccica , L'antica Dialetica verſava fu i generi di tutte le coſe , attenca a compararli , a combinarli , per preparare' ed illuſtrare la quiſtio ne propoſta. S'ingegna lo Stanlejo di ridur a tre generi la Dialec tica de Piccagorici .1. Ai non ripugnanti , o ſia all'eſſenza delle coſe nelle quali ſi combinano, coſe tra loro non contradditcorie.. Così l'eſſenza del triangolo o del quadrato , è l'eſfer figure di cre o quattro linee , perchè non v'è ripugnanza , che il numero ter nario o quaternario , s'adatti o fi combini alle linee rette . 2. Ai differenti o alle coſe che tra loro ſi diverſificano nell'eſſenza , nc gli attributi , e ne' modi ; così il triangolo è differente dal qua drato , ed il quadrato dal cerchio . 3. Ai relativi a'quali ſi riduco if 2 no ( 44 ) no tutte le matematiche conſiderate dagli antichi , come il vero modello della diſciplina , ed a cui i moderni riduſſero l'arte dell' analogie filoſofiche, ed il calcolo de' probabili . Platone ſtabiliſce in molti luoghi non tre ma cinque generi del le coſe ; l'eſſenza o ciò che è , lo ſteſſo , il diverſo , il moto , e la quiere ; a queſte due ultime nozioni ſi riduceva tutta la fiſica antica , onde diſfe Ariſtotele , che ignorato il moto s'ignora la natura . Lo ſteſſo e il diverfo vaga per tutte le altre fcien ze ; onde Platone dello fteſſo , e del diverſo , compoſe l'anima del mondo , e la bellezza . Lo ſteſſo e il diverſo ſono relazioni dell' ente in genere , fi ſpargono ſulle relazioni dell'ente in ſpecie , il fimile, il diffi mile , Peguale , il maggiore, il minore , il nuovo , l'antico . Que fta era la ſcala de'generi ſuperiori, o quelle nozioni ontologi che aſtratte per l'acume della mente da' concreti , coſa ben di verſa dalla ſcala de' predicamenti d' Ariſtotele . Il Wolfio ( a ) fa propoſe per ultimo oggetto degli ſtudj fuoi, di perfezionar" la Icala de'generi , e con eſſa ſciogliere il problema dell' analiſ dell'idee , propoſta ma non trattata dal Leibnizio . I Pittagorici ne diedero i primi ſemi, e Placone più li ſviluppò , applican doli alla determinazione dell' idee , quindi è che nel Parmeni de tutti iſuoi argomenti ſi riducono alle relazioni dell'ente , in genere dell'ente , in ſpecie . Rinferrata ne' fuoi limiti la materia del Parmenide, il meto do che v’applica è quello del principio di contraddizione , che ci conduce all' aſſurdo ; metodo non tanto accetto a noi , per . chè ci dimoſtra la noftra impotenza , ma che ci sforza invin cibilmente all'faffenſo . In queſto metodo Platone ne aggruppa molti altri , il metodo d' eſcluſione è quello dell'analiſi geo metrica . Nel metodo d'eſclufione fi numerano tutti i caſi di una co ſa , e s'eſcludono o tutti per dinotare l'aſsurdità , o tutti men in cui fi cerca la ſoluzione del problema . Così Archi mede avendo dimoſtrato , che un dato poligono non è , nèmag giore , nè minore del cerchio , nel quale è inſcritto o circon Icritto , conclude che gli è eguale . Placone in molti caſi ado pra il metodo ſteſſo . Nel metodo dell'analili geometrica , fi aſſume ( 6 ) il quefito come conceffo , e per legitime conſeguenze s'inoltra fino ad un ve 1 uno , ro ( a ) Affumptio quæſiti tanquam conceſsi per ea quæ conſequentur ad verum conceffum . ( 6.) Wallis Il . dell’Algebra . ( 45 ) To conceſso , da cui riteſsendo il ragionamento ', li dimoſtra il quelito ; molti vogliono , che Platone ſia l'inventore di queſto metodo, e che abbia fatto il Parmenide per darne l'eſempio ; maqueſti attribuirono al tutto ciò che conviene adalcune parti, Utiliflime ſarebbono le metafiſiche de'moderni , fe i loro autori fi foſsero limitati all'ipoteſi, e ſi foſſero guardati di proporle in for ma di dogma , cagione d'eterni litigi non ſalvati , ne da ſtile elo quente , nè da calcoli algebraici. Il Carteſio ſegui nelle ſue medi tazioni ilmetodo analitico , ma diede occaſione a molti ſiſtemi più ſtrani de'ſogni, come quello degli Egoiſti, conſeguenza dello fpi nofismo fpirituale . Che dirò dell'arte del Dialogo , in cui s'è già dimoſtrato imi, tarſi i ragionamenti umani, come i Poeti Dramatici aveano imi tate le azioni umane . All'imitazione. ( a ) di queſte convien il palco , ed il verſo , non all'imitazione de' ragionamenti, la quale per ſua natura appartiene alla Dialettica : poco o nulla di leg giadria avrebbono i fillogismi, egli entimemi in verſo , e poco o nulla lor gioverebbe l'apparato della ſcena . Si è pur detto che la quiſtione, e la digreffione al Dialogo , è come la favola , e l' epiſodio al Drama . Nel Parmenide la quiſtione è intorno l'idee , ma non v'è digreſſione, ſe pur non fi voglia ridur a queſta , la preparazione alla diſputa con Par menide, incominciata tra Zenone, e Socrate . La differenza de' drami ſi prende dal diverſo modo dell'azio ne , la quale o è ſemplice, o compoſta, e la differenza de’ Dia loghi dal modo del ragionamento, nel quale , o s'inſegna, os inveſtiga da un ſolo , o s' inſegna , o s'inveſtiga da molti la quiftione propoſta . A quattro generi riduce il Taffo i Dialoghi , al dottrinale , al Dialettico , al tentativo , al contenzioſo . De’due primi generi è miſto il Parmenide, perchè dopo di aver egli diſputato con Socra te , quaſi ſolo favella, non contandoſi le riſpoſte d'Ariſtotele , approvazioni per lo più della concluſione , o preghiere d' eſpor più chiaramente la ragione accennata . Nel inlegnare qual fia la natura o l'idea dell'uno , qui non v'è tentativo , nè litigio , nè in queſto Dialogo v'è molto a ricercare , ſe ſia meglio adat cato all'inſegnamento che il maeſtro interroghi , od i diſcepo lo . , perchè appena termino la breve diſputa có Zenone , che Parmenide cominciò a interrogar Socrate , ed avendolo confu? lo , ed imbarazzato con una difficoltà cui non poteva riſpondere, Para ( a ). Torquato Taſſo diſc. ful Dialogo . ( 46 ) uno . Parmenide paſſa ſenza interrompimento alle tre poſizioni dell ' Vuol Torquato Tallo , che come una ſia l'azione nel Dra ma , così una fia la quiſtion nel Dialogo , la quale o è infini ta , per eſempio ſe deve apprezzarſi la virtù , o è finita , per eſempio che deggia far Socrate condannato a morte . La qui ftione del Parmenide è infinita , perchè fi tratta dell' idee di cui ſi cerca la natura e l'origine , la natura dimoſtrando che non ſono dalla noſtra mente feparate , l'origine dimoſtrando come per via delle ſuppoſizioni s'acquiſtano . Queſte due coſe ne fan no propriamente una , perché non ſi può intender la natura dell' idee ſenza prima determinarne l'origine . L'una e l' altra determina Parmenide , e rimove l' idee feparate per convertire il ragionamento al modo con cui la mente le acquiſta. Parme nide lo propone , non lo dimoſtra per non allontanarſi dal co ſtume della ſua fetta , che era di propor dubitando le coſe : Non è cutravia in ciò ſolamente che appariſce il coſtume di Par menide . Dimanda Socrate , che gli ſia dichiarata la quiſtione delle idee , ed intorno alle coſe che ſi veggono ,ed ancora intorno a quelle che ſi comprendono con la ragione . Parmenide , e Zenone attentamente lo aſcoltano , eſpero guardandoſi l'un l'altro fog ghignano quaſi di Socrate meravigliandofi . E queſta è quell'evi denza tanto neceſſaria al Dialogo , e di cui Platone diede si chiari eſempj neli' Ippia , e nel Fedone . Ella è qui ordinata a manife ſtare il coſtume d'un Filoſofo accento , e che colla triſtezza , e coi fogghigni accenna , ciò che nel diſcepolo non s'accorda con la ra gione . Un tratto poi del coſtume d'un Filoſofo attento , è do ve dice Parmenide o Socrate troppo per tempo , innanzi che tu ti eſerciti a parlare , ti sforzi di definire ciò che ſia il bello , il giu ſto, il buono , e qualunque dell' altre ſpecie . Perchè poco fa il con fiderai vedendoti diſputare con Ariſtotele . Per certo mi credi , que fto tuo fervore è bello è divino , il quale alla ragion ſi conduce , ma recati in ſe ſtello, ed eſercitati mentre ſei giovane in queſta fa coltà la quale a molti inutile , e ſi chiama dal volgo garruli tà , altrimenti ſi fuggiria da la veritade. Parmenide qui accenna la Dialectica in quanto vaga per cutti i generi , ſulla qual coſa poco dopo ſoggiunge conſervando il co ſtume divecchio venerabile . Sarebbe cofa ſconvenevole , cheſi trat tale maſſimamente da un vecchio certe coſe si fatte alla preſenza di molti , non ſapendo il volgo , che ſenza queſto vagare , e diſcerne re per tutte le coſeſia impoſſibile abbattendoſi nel vero acquiſtar men te . Ariſtotele e gli altri lo pregarono , e Parmenide riſpoſe con un apo 7 pare inutile ( 47 ) apologo : egli è neceſſario finalmente che s'ubbidiſca , tutto che mi è av viſo di tutto quello che patà il cavallo Ibico , cui Atleta e vecchio do vendo prendere la conteſa delle carrette , e per l'eſperienza iremando de' ſuccelli , alimigliando egli a ſe ſtello, dille cheegli già vecchio era coſtretto di ritornar agli amori . Nel medeſimo modo diſſe Parmeni. de , a me pare di temer malto , quando penſo in che guiſa cosè.d'età avanzata , io pola paſar a nuoto un mare cosi profondo di ragionda menti . Intorno la ſentenza , o ſia ciò che ſente il principale interlocu tore del Dialogo , ella è qual conveniva a un Dialettico eſperto , nel vagar per i generi delle coſe , e nell'argomentare , e ben de gno , che nelle coſe intellettuali Platone , Secondo il teſtimonio di Apulejo, lo preferiſſe agli altri Pitiagorici , e n'imitaſſe la ſotti gliezza , e nell' idee , e nel metodo di proporle . Nella Poelia. Epica , altro è che il Poeta imiti narrando un facto , altro che introduca un degli attori a narrarlo . Così nell' Odiſſea , aḥtre ſono le cofe che Omero direttamente narra accadute ad Uliffe , altre quelle che narra Ulife ſteſſo . S'in troducono ne' Poemi i racconti , per variar i modi dell' imita zione , ed ancora per accreſcerla ; ella è perciò doppia , quando nel Poema i perſonaggi imitati, imitano effi fteffi col loro rac conto . In queſto Dialogo , Pitidoro imita, narrando i diſcorſi che inteſe da Parmenide . I Dialoghi, benchè fpecie di Poeſia Dramatica , in ciò con vengono con l' Epica , e Platone , che nelle diſpute de'Filoſo fi volle imitare i combattimenti degli Eroi di Omero , emold anche queſto nel modo di rappreſentarli . Nel Filebo propone ſenza alcro la difputa chiaramente enunziata intorno la felici tà ed il piacere , nè premette alcuna circoſtanza ſtorica ai ra gionamenti dei tre interlocutori , Socrate , , Filebo e Protar co ; così fa nel Sofiſta , nell' Eutifrone nelle Leggi , e nella Repubblica , ma non cosi nel Convito , nel Fedone, e nel Par menide . Pitidoro vi narra ciò che ha udito da Antifone, e queſto è modo più artificioſo dell'altro , perchè vi ſi ricerca molta ſa gacità nel render neceffario il ragionamento, ed accompagnar lo di quelle circoſtanze che più mettano la coſa fotto gli oc chi , intereſſino il lettore ad aſcoltare i perſonaggi, e di tem po in tempo lo ricreino con opportune digreffioni , ma tutte convergenti alla quiſtione propoſta , ſenza che ſe ne accorga il lettore. Nel diſcorſo naturale noi pafliamo ſenza rifleſſo da una coſa all'altra , ma nel Dialogo , ſe ſi vuol imitando perfe zio ( 48 ) zionar la natura , nulla vi ſi deve introdurre ſenza ragion ſuf ficiente . La ſomma difficoltà dell' artificio del Dialogo è nell: interrogazioni, e nelle riſpoſte diftinte e preciſe , ma nel Par menide il dialettico s'accoppia col dottrinale e queſta è la parte dominante , perchè eſcluſe l' idee ſeparate , Parmenide ſem pre parla ſcorrendo per le ſuppoſizioni. ; 1 1 1 > ILLUSTRAZIONE D E L 1 PARMENIDE. . Tom . II. } , ( 51 ) ILLUSTRAZIONE D E L PARMENIDE. tertentanut Estates L A diſputa su l' idee fatta tra Parmenide, Zenone', Socra te , ed un certo Ariſtotele , viene a Glaucone , e ad Adi manto riferita da Cefalo per bocca d'Antifone, il quale avendo familiarmente converſato con Pitidoro compagno di Ze none', avea su queſta materia udito da lui le ragioni dei tre Fi loſofi. Reſtarono queſte cosi profondamente impreſſe nella me moria di Antifone allor giovanetto , che molti anni dopo ſeb ben diſtratto dagli eſercizi equeſtri , poté in tutte le loro cir coſtanze rappreſentarle nell' abboccamento , che egli ebbe con Cefalo , e coi compagni . Tofto Cefalo eſpone il motivo della diſpuca Parmenide ne Poemi avea detto che tutto è uno , e Zenone provato in uno ſcritto , che uno non è molti . Si comincia la Jercura dello ſcritto , e Socrate vi fa ſopra delle difficoltà a mi fura che ſi legge. Poco mancava' a' terminar la lettura , quan do Parmenide con Pitidoro , e Ariſtotele entrarono in caſa . Si leſſe di nuovo alla preſenza di Parmenide , e degli altri il pri moargomento , e fi difputò incidentemente su la differenza del le due definizioni parendo a Socrate , che il dire tutto è uno foffe lo ſteſſo che il dire , uno non è molti . Glielo concede Zenone , é lodaća la ſagacità di Socrate dichiara', che non per vanità o per 'arcano di Filoſofia egli ha' fcritto , ma per fo ftener l'orazion di Parmenide contro coloro che ſi sforzavano di ſchernirlo , perchè ſe molte contraddizioni degne di riſo pativa l' Orazion di Parmenide , molte altre di più ridicole ſe ne inferivano dalle ſuppoſizioni degli altri. Zenone ſcriſfe il : li bro nella ſua giovanezza , ma un certo avendoglielo rubato.fi pubblico . Si ricomincia la diſputa. Parmenide , e Zenone lafciano a So. crace eſpor tutta la ſua ſentenza su l'idee ſeparate, per le quali moſtrava la definizione dell'uno da Zenone affegnata non eſſer univerſale " . Accorcol Parmenide , che tutta la forza dell'argo mento ( 52 ) mento di Socrate fondavaſi su l’idee ſeparate , l'imbarazza co ftringendolo ad aſſegnarne alle coſe fiſiche. Non sa Socrate ri folvere la difficoltà. Parmenide fingendo di conceder l'idee ſe parate argomenta contro la loro participazione , contro il lo ro progreſo all' infinito , contro alla loro incomprenſibilità. So crate n'è molto curbato , credendo che annullate l ' idee ſepara te non vi fieno più principj per ben filoſofare . Ammira Par menide il fervor di Socrate , e lo conſiglia ad eſercitarſi nella Dialetica per ben inveſtigare l'idee . Pitidoro ed Ariftotele , pre gano Parmenide ad eſemplificar il metodo dell'inveſtigazione dell'Idee . Egli ſcieglie l'idea dell' uno , e col metodo delle ſup poſizioni la tratta. Orquattro ſono le quiſtioni che ſi poſſono eſtrar dal Parmeni de relativamente alla definizione di Zenone , che l'uno non è molti . La prima è quella dell'uno per rapporto all' idee feparate ; Ia ſeconda dell'uno per rapporto asé ; la terza dell'unc per rap porto all ' ente ; la quarta dell'uno per rapporto al non ente . Le tre ultime quiſtioni ſono propoſte per via d'ipoteſi : ſe l'uno ; ſe l ' uno è ; fe l'uno non è . Per non traſcurar nulla di ciò che agevola l'intelligenza del Dialogo , premetterò partitamente ad ogni quiſtione la Ipiegazio ne delle voci, e delle nozioni neceſſarie , ſtando più che mi ſia poſſibile attaccato alle parole del teſto quale Dardi Bembo il tra duffe ; mi par inutile di por tutto il Dialogo , perchè eſſendoſi ri ſtampato di freſco , tutti coloro i quali hanno vaghezza d inten derlo ſe ne faranno già proveduti ,per gli altri èinutile e vana ogni illuſtrazione . SEZIONE PRIM A. b. I. Enone defini l'uno ciò che non è molci . Approva Ariſto tele ( a ) queſta definizione, perchè in generale ogni defini zione , dovendoſi aſſegnare per le coſe più lenfibilia e più note, l'eſperienza di tutti i ſenſi ci moſtra , che i molti ci ſono più noti che l'uno ; i fanciulli più teneri nel coccare , nel vedere , e nell'udire pereepiſcono i molti , e la loro cognizione è imme là dove hanno biſogno , che la loro ragione fi maturi un poco per cominciare a dir uno , e quindi numerar su le I molti dunque eſſendo più noti dell' uno , negandoli di forma 6 ) Metaf. lib . 1o. diata ; dita . il ( 53 ) il concetto negativo dell'uno in quella guiſa , che negando le par ti ſi fa il concetto negativo del punto . Dall'uno G fa l'idea aſtratta dell'unità , come dall'idea dell'uomo l'idea aſtratta dell'umanità . Tre ſono le ſpecie dell'unità ; la Lo gica, la Matematica , la Metafifica. L'unità Logica ſono i generi , e le ſpecie, o certe idee univerſali atte a rappreſentar molti in uno; l'unità matematica è il principio compoſitivo de' numeri , o il prin cipio per cui fi numera ; principio differente dal zero , da cui ſi nuinera . L'unità metafiſica' è una proprietà traſcendentale dell' ente , o che conviene all'ente in quanto tale , poichè d'ogni ente fi predica l'uno , come fi predica il vero , e il buono , o ſia il perfetto , ma la verità , e la bontà , o la perfezione , inclu dendo ordine nella varietà ſuppone l' uno , onde tra le proprie tà dell'ente egli è la più univerſale ( a ). L'unità o l'uno nel ſuo concetto aſtrattiſſimo preſcinde da tutte le relazioni, potendoſi per l'aſtrazione della mente non riferire, nè alle coſe che rappreſenta , nè a' numeri che compone , nè a ciò cui conviene : In queſto ſenſo aftrattiflimo definiſce Zenone l' uno , opponendolo ai molti in genere . Contro queſta definizione cosi argomenta Socrate . Vi ſono idee ſeparate : dunque ogni idea eſſen do una in sè , e molti , nel participarſi a molti l'uno , eimolti poſſono accoppiarſi ; dunque non pud dirſi , che l'uno fia molti . Prima di ſviluppar l' argomento rifletterò su certe voci , e nozioni di Socrate. $. 2 . Suppone toſto Socrate, che vi fieno idee ſeparate. L'idea ſe condo l'etimologia della voce Greca , ſignifica propriamente com fa viſta , e per traslato ſignifica coſa inteſa , o ciò che s'inten de ; ma tallora ſignifica l'atto per cui s'intende , il qual però meglio ſi chiama nozione o concetto. Åleinoo defint l'idea , intelligenza per rapporto a Dio , pri mo intelligibile per rapporto anoi , miſura quanto alla mate ria , eſemplare quanto al mondo ſenſibile , effenza quanto a ſe ſteſſa . In tutti queſti ſenſi la prende or Socrate , ora Parmeni de ; ma la prima nozione dell' idea ſeparata è che ella fia il primo intelligibile . $. 3• ve ) Wolfo Metaf. ( 54 ) § . 3 . Socrate: oltre l' idee del bello , dell' oneſto , e del giufto , che Parmenide gli accorda , ammette ancora quelle del limile , del diffimile, del moto , della quiete , dell' uno , e de' molti . Queſte ultime idee ſono tra loro oppoſte e contrarie , come il caldo , il freddo , il bianco , ed il nero ; eſſendo contrarie , ciò che convie ne all'una , non conviene all' alira , e quindi ſecondo Socrate i ge neri, e le ſpecie , idee più o meno univerſali conſiderate in se non patiſcono paßioni contrarie , ma nulla vieta nell'ipoteſi di Socrate, che non poſſano participarſi dalle coſe. 1 S. 4 . Partecipare è propriamente ritener in sè una parte d'un cutto ;; così l'aria partecipa la luce ', poichè ogni particella d' aria ha in sè una particella di luce . In un ſenſo più ampio , la voce partici pare s'eſtende dalla quantità alla qualità , all'azione , all effenza Iteffa. ;. così ſi dice , che l'accidente partecipa della ſoſtanza', gli effetti delle cagioni, un figlio le virtù , eivizj.del padre : La par cipazione è quindi' più ampia della ſimiglianza limitata alla ſola convenienza delle qualità , e molto più dell'imitazione , che alla fimiglianza aggiunge la relazione tra il modello , e la copia ; due gemelli naſcendo saſlimigliano , e pur l'uno' non è la copia dell' altro . I Pittagorici' nel riferir le coſe all' idee ſeparate , come a loro modellidiceano', che participavano o imitavano l'idee , ma fecondo Ariſtotele ( a ) non mai filoſoficamente ſpiegarono le voci di participazione, e d'imitazione . S. 56 Cið fuppoſto , il primo argomento di Socrate tratto da queſti principj fi pud diſtinguer in due per maggior chiarezza . Ogni idea è una in sé , ed una in molti , dunque nel tempo ſteſſo , uno può efser molti . Cosi lo conferma , Benchè l' idee lieno tra loro con crarie , nondimeno poſsono eſserº nel tempo ſteſso participate da. molti , anzi dallo ſteſso ſecondo diverſi riguardi , ma in queſte participazioni ritengono la loro unità , dunque: ſon uno e molti. Così lo prova : oppoſte e contrarie ſono tra loro l’idee , del ſimile , del diſſimile', del moto', della quiete , dell’'uno; é dei molti ; dunque comenulla viera , che lo ſteſso poſsa aver more in ( a ) Metaf, lib. ( 55 ) in una parte , e quiete nell'altra ; eſfer fimile ad un altro in una parte, e diffimile nell'altra, così nulla vieta che ſia uno , e molti ; una Caſa ha molti legni , e molte pietre ; ogni . Uo mo è uno conſiderato in sè , ed è o ſeſto, o ſettimo conſide rato con altri . la un Uomo , altra è la deſtra , altra la fini ſtra , altre le parti dinanzi, altre di dietro , altre le ſupreme , al tre le infime. Nel Sofiſta egli dice ; noi chiamiamo un Uomo denominandolo con molti cognomi , mentre a lui attribuiamo i colori , le figure , le grandezze, le virtù , ed ivizi : nelle quali coſe tutte , ed in altre infinite , non ſolamente diciamo che egli fia Uomo, ma ancora buono , ed altre infinite coſe , e le altre fecondo la ſtella ragione . In cotal gui sa fupponendo noi qualunque coſa una , di nuovo l'appelliamo molte e con molti nomi ..... Onde ſi è da noi data occaſione di contraddi re , come jo penſo a' giovani , ed a ' vecchi di tardo ingegno : percioc che incontinente ci potrebbe chiunque far obbiezione che ſia coſa impos fibile, che molte sofe folero una , ed una molte . ( a ) Dunque uno può eſſer molti ; dunque non è generale la de finizione , che uno ſia non molti . La participazione dell' idea evidentemente lo manifeſta . 7 9. 6 . . Sciolto è l'argomento ſe fi nega l'ipoteſi dell' idee ſeparate perchè colte l'idee è colca la loro participazione. Parmenide ri gecta l'ipoteſi, come nè generale , nè chiara ; non generale .per chè non s'eſtende a cutti i cafi poflibili i ; non chiara . , 'perchè non pud fpiegarſi la participazione dell'idea. Cost :provo la pri ma parte non ſi debbonoaſſegnar idee delle coſe ſeparate, o aſſegnarſene di tutte le coſe '; che vuol dire , non baſta affe le .coſe morali , e matematiche , mabiſogna af. ſegnarne ancora per le fifiche : dunque non ſolamente vi ſono idee del giuſto , del bello , del buono , del grande , del fimile ec, ma dell'uomo, del foco, dell'acqua , e d' alcune coſe , che molti fimano per avventura ridicoloſe ; i peli, il fango, le macchie., ed altre coſe ignobili , e vili. Socrate toſto lo nega, perchè gli pare , che ammettere queſt' idee, ſarebbe coſa troppo diſconvenevole , poi can didamente confera, che alcuna volta queſto penſiero lo turbo , e che quando di là fi ferma ſe nefugge temendo di non corrompere la ſua mente , e fantaſia cadendo in ciancie ineſplicabili ., onde a quelle coſe ritornato ( cioè all'idee del giuſto , del bello , del buono, ed all idee 'matematiche ) verſa intorno a quelle . In ( a ) Sof, pag. 306 , ( 56.) In un caſo ſimile ſi ritrovò il P. Malebranchio ; ſentendo egli la difficoltà di ſpiegar chiaramente , come l'eſtenſione intelligibi- : le , eſſendo immobile in Dio , gli rappreſenti il moto , ove il luſtra queſto articolo dice nel fine : ( a ) Io non oso impegnarmi'. a trattar queſto ſoggetto a fondo , temendo di dir coſe, o troppo aftrat te , o troppo ſtravaganti, o ſe ſi vuole , per non azzardarmi a dir co ſe che non so , nè sono capace di diſcoprire. Queſto è il ripiego di Socrate . Ariſtotele ( do ) ove nella Metafiſica combatte l' idee ſeparate malamente attribuite a Platone , adduce tra l'altre coſe , che dandoſi idee ſeparate ſi dovrebbe darne de' ſingolari, de' corrut tibili ; egli non eſtendeche l'argomento da Parmenide eſemplifica to , e poida Alcinoo , che afferi non darſi nel fiſtema de' Platonici idee delle coſe arcifiziali ; uno ſcudo , una lira ec. ne delle co fe oltre natura la febbre , la bile non naturale ; non delle coſe ſingolari, Socrate , Placone; non delle vili, ed abbiecte ſozzure , paglie ec. donde traffero i Platonici dopo Ariſtotele, queſta di ſtinzione, ſe non dal Parmenide ? §. 7 . Propoſta che ha Parmenide un'obbiezione , che Socrate non può riſolvere , egli cangia l' argomento ad judicium in quello aid hominem , che vuol dire non argomenta più ſecondo i principi della ragione univerſale, ma ſecondo i principj del diſputante , e ne deduce la contraddizione . Suppone dunque che vi fieno idee ſeparate ", ma come poi date queſte idee lo ſpiegare che lieno participate dalle coſe Queſta participazione ſi fa , o ſecondo il tutto , o ſecondo la parte . Parmenide dimoſtra , che nèl'uno , nè l'altro può eſſere . Sia da una coſa participaca l'idea ſecondo il cutco , dunque tut ta l'idea è in ſe ſteſſa .; e tutta fuori di ſe ſteſſa ; dunque nel tempo ſteſſo eſiſte tutta in sè , e cutca fuori di sè . Siaľ idea conliderata in sè A , e participata fia B , C, D ec. generalmen te , o non A ; dunque nel tempo ſteſſo l'idea è A , e non A , ciò che è contraddittorio . Nè occor dire che un giorno è uno , e lo Steffo , ed inſieme in mola ti luoghi , e pur non è da ſesteso in diſparte . Il giorno non è che la luce del sole , diffuſa in tutto il noſtro emisfero . Or quel la parte di luce , che illumina me, non illumina il compagno ſebben mi lia vicino . Parmenide li ſerve dell'eſempio della ve la , ( a ) Ricerca della verità T. 4. pag. ... ( b ) Metaf. I. .... ( 57 ) la , la quale molti coprendo , non è perd una in molti , perchè la parte c he copre l'uno , non è la parte che copre l'altro . Reſta a dimoſtrare, che l'idea non è participata dalle coſe ſe condo una parte ; la dimoſtrazione è da se manifefta , perchè l'idea participata ſarebbe una , e non una ; una tutta in sè , e non una nelle coſe che ne hanno ſolo una parte . Queſto modo d'ar gomentare , è fondato ſul principio di contraddizione adoprato lovente da Platone, e ſtabilito da Ariſtotele , come il primo prin cipio in cui ſi riſolvono cutti gli altri . Eſperimentiamo noi cal eſſere la natura della noſtra mente , la qual mentre giudica che una coſa ſia , non può inſieme giudicare , che la ſteſſa non ſia . Parmenide eſemplifica l'impoſſibilità di queſta ipoteſi. 5. 8. La grandezza è ciò che è capace di più e di meno . Nel conce pir il più fi concepiſce il maggiore, nel concepir il meno fi conce piſce il minore , e nel concepir l'eguale non ſi concepiſce nè più , nè meno nelle quantità che ſi comparano. lo dico che li comparano , perchè nè il più , nè il meno, nè l' eguale concepir ſi poſſono ſenza riguardar una coſa nel tempo ſteſ to che l'altra o ſenza compararle , e in queſta comparazione pro priamente la grandezza confifte, la quale , come ben dice il Wol fio , non ſi può concepir ſenza un altro a differenza della quali tà . Tutto quindi l' effer della grandezza è relativo , od ha tut to l'eſſere in ordine ad un altro . Così Platone eſpreſſe la natu ra della relazione nel Politico , nel Simpoſio , nel Sofifta , e pri ma di lui Archita , ed Ocello , ( a ) i quali diviſero la relazio ne in quattro generi . Da queſti autori traſfe Ariſtotele ( 6 ) la definizione , che dà della relazione . Nulla perd vieta , come & proverà , che per compendiare i concetti non ſi concepiſca la gran dezza come qualche coſa di aſſoluto , a cui accade – eſſere mag giore , minore , ed eguale , e che di nuovo ſi concepiſcano il maggiore, o'l minore come aſſoluti, a' quali accada il più , o meno , o nè l'uno , nè l'altro . Suppoſto dunque , che fi dia l'idea della grandezza , e in conſeguenza del maggiore, del minore , dell' eguale, così argomenta Parmenide. Sia A l'idea del maggiore , B del minore , C dell' eguale ; ſi dividano tutte2 , e tre in parti ineguali : С poichè dunque una coſa in canto è maggiore , in quanto partecipa l'idea del maggiore , lia l'idea - B del maggiore A diviſa in parti ineguali, e la parte minore delmaggiore ſia participata, quello che la Tom . II. h par ( á ) Diſcuſ. Perip. Patriz ; T. 2. pag. 185. ( b ) Ad aliquid alia dicuntur quæcunque quod ipſa ſunt aliorum effe dicuntur. o il A ( 58 ) partecipa non ſarà egli nel tempo fefto , e maggiore , e mino re? Maggiore, perchè parcecipa l'idea del maggiore; minore per chè parcecipa la parte minor del maggiore. Così potrà dirli della participazione della parte più picciola dell'idea del minore, e dell' idea dell'eguale . Se'l idee dunque fi participano dalle coſe , ſe condo una parte loro non potrà mai effer quefta , una delle par ri ineguali. Parmenide non procede olore , maè facile l'aggiun-. gervi , che nè meno pud parcicipare delle parti eguali , perchè la parte .eguale del maggiore participata dalla coſa , la farebbe nel tempo ſteſſo eguale , e maggiore ; e così la parte eguale del mi nore , ſarebbe la coſa minore ed eguale. . 9. La noſtra mente , come per ſua natura non può concepiricon tradditrorj, così non pud frappaſſar l'infinito , biſogna che s'ar reſti ad un primo, o ad un ultimo , il qual è come Tuncino che ſoſtiene curri gli anelli della catena. Ariſtocele , e'ne'mori, e nel le cagioni, e ne'fini dimoſtra l' aſſurdità del progreſſo all' infini 10 , modo d' argomentare imparato dal Parmenide di Platone non men che l' altro del principio di contraddizione. Il Wolfo dimoſtròeffer impoſibile il progreſſo all'infinito rectilineo, e cir colare . g. 10 , . Poſta l'aſſurdità del progreſſo all'infinito , così argomenta Par menide : Tu ſtimi che qualunque ſpecie fia una , quando pare i te cbe certe , e molte coſe fieno grandi, parendoti per avventura in ris guardando a tutte le coſe , che ſia queſta una certa idea , onde tu penfi che il grande fia uno . Prima d'inoltrarſi è da oſſervare, che qui Platone inſegna, co me comparando le coſe , nel riflectere a quello in cui conven gono , ne riſulta un'altra idea , come prima avea inſegnato Epicarmo , Queſt' idea è ſempre una , perchè uno è l'atto della mente con cui ſi rifletre a ciò che le coſe hanno di commune . Continua Parmenide : Se'il grande, e l'altre coſe che ſono grandi nel medeſimo modo conſideralli per tutre le coſe , non apparirebbe egli da capo ceri' una coſa grande, onde farebbe neceſſario che queſte tutte pareffero grandi? Vuol dire che nel compararſi dalla mente di nuovo l'idea del grande con le grandezze participate , nè riſulta un'altra idea di grandezza , per la qual coſa concludeParmenide: apparirà di nuo po altra ſpecie di grandezza fuor do esſa grandezza , e di quelle che fono ! ( 59 ) fono partecipi di lei , e dopo tutte queſte , altra di nuovo con cui som rebbono queſte grandi, nè pide qualunqueſpecie fia una , ma piuttoſto di numero infinito . La ragione è , che l'idee della grandezza di nuovo aſtratte nella comparazione , eſſendo per loro natura re lative faranno fena pre di nuovo comparabili , e così all' infini to . Ariſtocele su queſto fondamento del Parmenide , e tutti i Platonici, e tra gli altri Alcinoo dillero , che non fu potea aver idee de relativi. $. 11. cioè per Dal modo con cui Parmenide comparando l'ideę , altre idee He deduffe , concluſe Socrate, che le ſpecie ſono' atti dell'intel fetto, i quali non riſiedono , che nell'animo . Gli concede Para menide, che ogni atto dell' intelletto è uno , ma gli fa confef fare , che queſt' acto ha un oggetto , ed è l' ente'; l'ente perd in quanto ſi concepiſce o s'intende', non s'immagina o ſente : prende egli qut l'idea , non per la nozione , o per il concetro' della mente 1 atto , ma per la relazione che ella ha ad un certo oggecto, e conſidera l'unità dell'idea' non relativa mente all'atto dell'intelletto , ma all' ente che la partecipa poichè ſecondo i principj di Socrate , ella è ſempre la ſteſa in tutte le coſe . Ne deduce per confeguenza , che ſe l'idee ſono' at: ti dell'intelletto , le coſe che partecipano della ſpezie', o deli? idea faranno tutte intellective, ed intelligibili . Vi riſponde So crace , che le coſe non partecipano' dell' idee , in quanto' queſte fono atti dell'intelletto , ma in quanto rappreſentano le coſe ; che vuol dire, in quanto l' idee Tono eſemplari , di cui le co fe fono limiglianze ; onde in tanto le coſe le partecipano', in quanto ad effe li fanno ſimili . Parmenide contro queſte fimi glianze dell' idee , argomenta coll' aſſurdità del progreſſo all' ip knito , come fece delle grandezze . $. 12 Supponiamo che' molte' coſé' fieno ſimili per la participazione dell' idee della ſimiglianza. Potendoſi dunque comparar dall'in telletto le ' fimiglianze' , e delle coſe , e dell' idee , Te' ne' eſtrar rà un'altra' idea di ſimiglianza , e queſta di nuovo comparando 1' idee con le coſe , darà un' altra idea di fimiglianza , e co sh all'infinito , cio' che è aſſurdo”. Cosi eſprime queſto argo mento Parmenide : non ſarebbe egli neceſſità grande , che' quel che è fimile al fimile' folle partecipe dell' uno , e della fleffa ſpecie ? Or hi 2 non ( 60 ) 5 non ſarà ciò la ſtessa ſpecie , di cui le fimili coſe rendendoſi partecipi fiano fimili ? Dunque non può alcuna coſa eller ſimile alla ſpecie, ne la ſpecie ad altrui, altrimenti oltre alla fpecie', altra ſpecie ſempre apparirebbe, che ſe ella folle fimile ad alcuna coſa altra dacapo' , ne cellerebbe mai queſto progreſo , che non ſi faceſſe ſempre nuova fpe cie , ſe ancora folle ſimile la ſpecie , a chi di lei ſi rendeſe partecipe : Ariſtotele propoſe lo ſteſſo argomento ſebben oſcuramente L'Uomo , dice , ſignifica non meno la ſoſtanza ſenſibile degli Uomini ſingolari, che la ſoſtanza intelligibile dell'Uomo per sè , o fia l'idea dell' Uomo . Or ſe queſt' idee convengono in una coſa comune , fi concepiſce comparandole un terzo Uomo, equin di un altro , e così all'infinit . Ariftotele creſce l'aſſurdità Socrate lingolare participando dell'Uomo univerſale partecipa , e dell'animale e dell'animale a due piedi , e d'altre coſe , ciod , quelle che ha comuni colle piance, colle pietre , ed altre innume rabili. Converrà dunque moltiplicare all'infinito l'idee, onde per una coſa ſenſibile converrà porne infinite; ſi può aggiungere che queſto numero di nuovo ſi moltiplicherà all'infinito am mettendoſi l' idee dei relativi, poichè ogni coſa che è nell'Uo mo , pud compararſi a turce l' idee delle coſe viſibili , ed invidia bili , o della ſteſſa, o di diverſa ſpecie. Ma l'Uomo ideale, diceano i Pittagorici , effendo incorrutti bile , ed univerſale non ſi può comparar a coſa ſingolare , e cor ruttibile , ed eſtrarne quindi nuova idea ? Ariſtotele vi riſponde : i binarj feparati ſono anche eſſi incorruttibili , e pur per conoſcer li biſogna dar un'idea comune di binario , in cui convenga il binario B , il binario C ec. In oltre l'idea di figura è comune al cerchio , al triangolo , ea tutte le figure piane e ſolide, onde ella , è propriamente ge nere relativamente alle ſpecie , ma chi può mai conoſcere una figura che non ſia , nè cerchio , nè triangolo , nè altra ſimile ? Intanto la concepiſce la figura in genere , in quanto la mente non s' applica , che ai limiti che circonſcrivono lo ſpazio , fen za far attenzione rifeffa , nè al modo , nè al numero , nè al fito dei limiti ſtelli . Spiegherd la coſa con un eſempio più fa cile . Egli è impoſſibile che io concepiſca un triangolo ſenza rappreſentarmi che egli fia , o Equilatero , o Iſollele , Sca leno ; altro è poi , che nel rappreſentarmi uno di queſti crian goli io non faccia determinata attenzione alle ſpecie dei tre lati . Noi non intendiamo le cofe , dice San Tommaſo , ſe non cona vertendoſi a' fantasmi loro . Ora a qual fantasma è anneſſa l' idea della figura ? Confuſamente a tutte le figure ; ma io non ne , con ( 01 ) conſidero diſtintamente alcuna , e ſolo attendo a ciò in cui cut te convengono , ed è d' eſſere uno ſpazio circonſcritto ; ma ſe nel concepire l' idee de' generi delle coſe matematiche v'è canta dif ficoltà ammettendo l' idee ſeparate , quale ve ne ſarà nell'idee metafiſiche ? Nell'ipoteſi Pitagorica ſi dovranno aſſegnar idee del poflibile , dell'ente , dell'atto , della potenza , della cagione , del principio , del modo , dell'attributo , del terminato , è dell ' indeterminato , del neceſſario , del contingente', del perfetto dell'imperfetto ec. nè ſolo di queſte coſe , ma del prima , del dopo , dell'inſieme , del ſeparato , e finalmente del genere in quanto genere, e della ſpecie in quanto ſpecie : coſe tuote af furdiffime nè abbaſtanza eſaminate da coloro che preteſero che noi vediamo le coſe in Dio , perchè ad ognuna di queſte coſe non men che all'eſtenſione , ed al numero dovrebbe aſſegnarſi un'idea , Ariſtotele con gran ragione v'aggiunſe, che neli ipo teſi dell' idee ſeparate, oltre l'idee de relativi converrebbe am mettere l'idee delle negazioni , e delle privazioni , o degli op pofti , cioè dei contraddittori dei contrarj ec. 9. 13. Dace l'idee , data la loro participazione, ed eſcluſa la compa razione a'ſenſibili, ricerca Parmenide fe debbonſi annoverare l'idee tra gli enti relativi; od aſfoluti . Vi fono delle coſe, di cui tutta l'eſſenza conſiſte nel riferir fi all'altre, e queſte ſono relative , ( 8. 8.) é ve ne ſon altre di cui l'eſſenza conliſte nella non ripugnanza dei predicari , che le coſtituiſcono , e queſte ſon le affolute ; Poichè tutto l'efferé de’ relativi è nel loro confronto , ( 5.8 . ) includono effi neceffaria. mente due termini tra loro oppoſti, il fondamento dei quali fo no le coſe affolute , che tra loro fi comparano ; quindi il fonda mento del relativo è sempre l' aſſoluto . Un Uomo fuffifte per sè , e ſe foſſe ſolo nel mondo , non farebbe nè Padrone , nè ſer-' vo , ma ſuppoſto che viva in una ſocietà , può eſſer l'uno , e l' altro, in guila però che non è ſervo in quanto Padrone, nè Pa drone in quanto ſervo , ma come Padrone ſi riferiſce a coloro cui comanda , come ſervo a coloro cui ubbidiſce, e l'uno , e l' altro gli accade in quanto è Uomo , ed a diverſi Uomini li ri . feriſce. Poichè dunque l'idee fi riferiſcono ai fimili che le par tecipano , biſogna che ſieno in ſe ſteſſe e parimenti perchè i ſimili che partecipano l'idee fi poffano riferir all’ idee, convie ne che fieno in ſe ſteſi. Biſogna in una parola , che l'idee, e le coſe che le partecipano abbiano un' eſſenza determinata . Con clude ( 62 ) 1 clude quindi Parmenide, che l'idee hanno tra loro, un ' eſſenza , ma che queſta non è un eſſenza tutta: relativa alle coſe che ſo no appreſſo di noi, o pure le coſe fi nominano ſimiglianze , o in altramaniera di cui facendoſi partecipi , noi la nominiamo con , qualunque di eſſe. ; . aggiunge parimenti, che le coſe che ſono in noi, non hanno la virtù ſua d'eſiſtere in verſo l' idee , ma fono quel che ſono relativamente a ſe ſteſſe . Parmenide quin di chiama le cofe. che ſono in . noi ,, e: in torno a noi: equivoche: all' idee .. Cagione equivoca: degli animali , delle piante , de metalli ec. diſero Ariſtocele , e gli Scolaſtici il Sole , perchè ſebben concorra alla loro generazione, non conviene con loro , 0 non gli aſſomi glia che nell'eſſere . Parmenide parlando ad bominem par che allu da all' opinione di Socrate , il quale nell' ammecter l' idee , come cagioni delle coſe , era sforzato ad ammetterle come cagioni equivoche ,, non potendo ammetterle, come cagioni eſemplari, il che: Ariſtotele così : dimoſtrò :-ſe quando l'Uomo fi genera da Socra te, eglis'alfomiglia all'idea , e non a Socrate , fi potrà generar: { mile all'idea , liavi o non ſiavi Socrate ;; ma ľ Uomo generandofia non s'aſſomiglia all'idea , ma a Socrate , come è manifeſto dall' eſperienza ; dunque Socrate , e non l'idea è l'eſemplare del generato: Poſto dunque che l' idee : influifcano nella generazion delle coſe, convien ſempre porle , come cagioni equivoche ; : ma da: chi Ariſtotile traffe cal idea , ſe non da Placone ? ' Or fe: l'idee non hanno relazioni alle coſe , o ſono diloro ca gioni equivoche, come poſſiamo conoſcerle? Se le piante , de pie tre ragionaſſero , . potrebbono mairappreſentarli ( rimirando ſe fteſ . ' fe , . ), che il Sole foſſe loro: tanto diſſimile ? che ebbe . tanta parte nella loro generazione . Le noſtre idee non ſono cagioniequivoche delle coſe , le quali noi produciamo affilandoſi ſul loro modello . Un Architeto uno Scultore, un Pitcore fanno la caſa , la ſtatua , . , l'immagine ſecondo l'idea che ne hanno formata , e perciò comparano l'effet to all' idea per miſurarla ,, e perfezionarla ; , nella combinazione dell'idée chiare , . e diſtinte conſiſtendo la ſcienza , l'oggetto del la noſtra ha ſempre proporzione all'idee che d'effo formiamo ;.. ma ſe l .idee : ſeparate come cagioni equivoche non hanno alcu na proporzione con le coſe che vediamo , non par poffibile di : riconoſcerle , e in conſeguenza aver- Scienza di loro . Delle co fe quindi rivelate , non abbiamo ſcienza ma fede; ſono certe , € infallibili , ma non a noi: chiare e diftinte .. g . 145. ( 63 ) S. 14 . Platone nel Filebo ſtabiliſce due generi di coſe; altre non 'han no avuto origine , nè finiranno giammai , perchè ſono immutabi li , e fempiterne ; altre non ſono perchè ſempre 'fi fanno ſono a generazione, & corruzzione ſoggette : À queſti due ge neri di coſe , ' fa corriſponder due generi di cognizione ; delle coſe immutabili , ed eterne ſi ha ſcienza , dell' altre non ſi ha che opinione. Le coſe di cui s' ha ſcienza ſono l'idee , perchè ſono ſempre nello ſteſſo ſtaro , nè ſi può ſapere ſe non ciò che è , ed è ſempre nel medeſimo modo ; le coſe di cui s' ha opinione fono le coſe ſenſibili, perchè continuamente fluendo , non ſono mai nello ſteſ fo ſtato . Come dunque Placone nel Tilebo , dà fcienza dell'idee , e nel Parmenide non la dà ? La riſpoſta generale è , che da cid che ſi dice in un Dialogo ,nulla deve inferirſi relativamente a cid che ſi dice nell'altro , perchè Platone non ragiona ſecondo la ſua ſentenza , come nelle lettere per eſempio , ma ſecondo le ſenten że altrui ; oltre a cid , Platone trattando nel Filebo della defini zione della ſcienza egli è manifeſto , che tratta ſolo della ſua pof fibilità relativamente all'oggetto ,ſenza poi procurarſi di cercare , ſe ſi dia o no tale ſcienza negli Uomini , I Matematici definiſco no il cerchio , e il triangolo in quanto è poffibile , nè fi curano ſe eſiſta o.no : quindi ben ' li definiſce la Filolofia , la Scienza dei poffibili in quanto tali ; nel Parmenide non della poſſibili tà , ma dell'attualità della ſcienza ſi tratta , e Parmenide mo ftra , che dandoſi l' idee ſeparate non poſſiamo aver 'ſcienza di effe , perchè non hanno alcuna proporzione con noi , e con le coſe .noſtre . 5. 15 . Ammettendo con S. Agoſtino , e S. Tommaſo , cheIddio ab bia idee , e molte idee , onde per eſſe conoſca i ſingolari , i fu turi , i contingenti, gli infiniti, non perciò poſſiamo dire , che abbiamo ſcienza dell' idee di Dio , o che poliamo conoſcere co me per queſt' ideeegli conoſca le coſe. Il Malebranchio , ed il Poiret, che lo tentarono , caderono ſecondo la fraſe di Socrate in ciancie ineſplicabili. 1 . 16 . ( 64 ) . S. '16. : s' inoltra Parmenide: La ſcienza in sè conliderata è un'idea , come la bontà , la bellezza ec. ma ſe queſt' idea della ſcienza , non ha alcuna proporzione alle ſcienze a noi note, non poßia mo conoſcerla , poichè le ſcienze intanto a noi ſono note in quanto verſano su noi , o su le coſe che ſono intorno a noi . Or non conoſcendo l'idea della ſcienza in quanto tale , nè men poſſiamo conoſcere ſcientificamente l'altre idee, perchè per aver ſcienza dell' altre idee convien participar dell'idea della ſcien za , ciò che è impoflibile : Parmenide par qui ſupporre che la noftra ſcienza paragonata all'idea della ſcienza ſia come il zero all' infinito ma ſe noi non participiamo dell'idea del la ſcienza , come potremo ſcientificamente , o chiaramente , e diſtintamente conoſcere il bello , l'oneſto , il giuſto , e l'altre idee ? Nulla a mio credere v'è di più acuto , e profondo che queſtº argomento , e quel d ' Ariſtotele non l'eguaglia , benchè per altro concluda contro l'ipoteſi dell' idee ſeparate . Oſservò egli che lº idee eſsendo immutabili per loro eſsenza , non ſi può per eſse ſpie gar il moto , dalla cui cognizione dipende quella della natura ; dunque l' idee ſono inutili alla ſcienza per cui furono introdotte . Coloro i quali amiſero con Eraclito , che le coſe ſenſibili ſono in un continuo fluſso , ricorſero all'idee ſeparate , le quali immutabili eſsendo , ſomminiſtravano a? Filoſofi dei principj immutabili del loro ſiſtema ; la difficoltà è come i Filolofi le conoſceſsero , ſe la lor mente , non nell' eſsere , ma nell operare dipende dagli organi del corpo umano , ſoggetto alle vicende dell'altre coſe fenfibili ? f. 17 . All' argomento tolto dal principio di contraddizione del pro greſſo all' infinito , Placone aggiunge l' altro tolto dalle perfer zioni Divine . Come il retto è la miſura di ſe ſteſſo , e del cur vo , così il cumulo di tutte le perfezioni che è in Dio ; ci ſer ve di miſura per giudicare, e delle perfezioni di Dio ſteſso , e di quelle dell'altre coſe . Per via del principio di contraddizio : ne del progreſso all'infinito ſi dimoſtra l'eſiſtenza di Dio , e per via , o di negazione , o di eminenza , o di caſualità , fi di moſtrano le infinite perfezioni di lui , onde ſe a qualche data ipoteſi conſegua l'annullazione di qualche perfezione divina , l'al ſur ( 65 ) ſurdo è maſſimo, perchè Dio nell' effer principio dell'eſiſtenza, è ancora principio di tale eſiſtenza , e nulla può eſiſtere ſe ri pugna alla natura Divina . Socrate non potea non conoſcer Dio comeprincipio intelli gente , dunque era neceſſario , che gli attribuiffè l' idee non me no convenevoli all'intelletto , che i tre lati ad un triangolo ; pur tace Socrate , quando Parmenide gli prova , che la perfec tiſſima ſcienza o P idea della ſcienza convenendo a Dio , egli per queſt' idea non poteva conoſcer le coſe , ciò che era con trario alla divina natura . Par dunque che Socrate ſupponeſſe l' idee ſeparate , ma dall'altra parte Ariſtocele dice chiaramen te , che Socrate noo ammetteva l' idee ſeparate ſe ben deffe gli univerſali . Non ſi ſoddisfarebbe in parte alla difficoltà , di cendoli che Platone , per bocca di Socrate , parlò dell' idee in fenfo poetico , per aver occaſione d'annullarle, e propor la doc trina che ha da lui copiato Ariſtotele , e della quale poi ſi ſervì contro que' diſcepoli di Platone , che realizzarono l' idee ſeparate . . 18. Annullate l' idee ſeparate , la voce idea nel progreſo del Dia logo , tutta fi riſtringe all' idee , che la mente aftrae comparan do le coſe . S'è già accennato ( $ . 8.) il modo, con cui deduſ fe Parmenide l'idea della grandezza , e de' ſimili , e li vedrà inoltrandoſi , che egli parlando dell' uno e dell'ente, proteſta di ſeparar le coſe con l'intelligenza , e con queſta fino sbra narle', che è quanto dire, diſtinguer i concetti o l' idee , ſecon do i rapporti delle coſe, foſſero ancora quefte ſempliciffime ; nulla v'è di più ſemplice dell'anima per ſua natura indiviſibi le , e pur in eſſa ſi diſtinguono varie potenze , ſecondo le rela zioni , che ai varj organi del corpo ella ha operando , onde fi dice che ella ſente , ë che ella immagina . Nella parte ancora intellettiva , ſi diſtinguono le facoltà che ella ha di comparare , e di aſtrarre , e di combinare e di , e di contemplare l' idee', onde ella dichiaraſi mente , e ingelletto, ( c ) voci non altrimenti fi nonime, poichè le loro etimologie di confrontano ai varj uffizj dell'anima ; tutte quindi le ſcienze ſono ſu l' aſtrazioni fonda te . La fiſica aftrae dalle coſe ſingolari, la matematica dalle ſen Tom . 11. i (a) Mens è detta a menfura , poichè l' anima compara , e miſura le coſe , Intellectus da intus legere , poichè intendendo ſcieglie , e deduce una cola da un' altra . fibili , ( 06 ) fibili , la metafiſica da ogni materia . Vuole il Patrizio , che come in una gran parte del Sofifta , čosi in tutto il Parmeni de non ſi tratti che di quella metafiſica , che Ariſtotele colſe da Placone , e di cui le prime idee ne diedero i Pitcagorici , e tra gli altri, Archira e Peritione; io v'aggiungo che la me cafifica avendo due parti , cioè l' ontologia , o la ſcienza , che tratta delle proprietà dell'ente , in quanto ente , e la Teolo gia naturale o la ſcienza , che tratta delle ſoſtanze ſeparate dal la materia , come Dio e l'anima , Parmenide ſi riſtringe in que ſto trattato all' ontologia , e manifefte ne faranno nel progreſo ſo le prove ; baſta accennar qui , che dovendofi dar un elem pio del modo con cui s acquiſtano l ' idee , ſcieglie Parmenide l'idea dell'uno , applicando ad efla il metodo delle fuppoſizio ni . Due coſe aggiunge alluſive all'analiſi , ed alla ſinteſi . La prima che ufficio e d' uomo ingegnoſo il poter apprendere , come ſi ritrovi il genere di qualunque coſa , ciò che ſi fa cominciando dall'analiſi , o dall'eſame delle coſe particolari , e per l'aſtra zione , elevandoſi agli univerſali ; la ſeconda , che ufficio è di uomo meraviglioſo inſegnar agli altri le coſe ritrovate , ciò che ſi fa per la ſinteſi , combinando l'idee generali, e quindi le lo ro combinazioni, da cui ſi deducono i problemi , e i teoremi , ed indi i corollari , e le annotazioni. Sommo acume di men te fi ricerca nel far le opportune aſtrazioni , e di nuovo da .quefte aftrarne altre, ſin che ” analiſi propoſta ſi riduca all' ul time idee , e ſomma fodezza , ritrovare l'idee , concatenarle in guifa che alcri con facilità , e prontezza le intendano, e l'uno , è l'altro dimoſtra Parmenide , o col luo nome Placone. SEZIONE SECONDA . Se l'uno che ne ſegua . b . I. Vuol Uole il Ficino , che queſta prima fuppoſizione debba inten derſi . Se l' uno , perchè il verbo è , o ſia la copula del predicato o del ſoggetto v'è pofta , non in grazia della coſa , ma dell' orazione . Nel legger la nota marginale del Ficino mi ricordai, che Licofrone ( a ) invecedi dire , il parete è bianco , di ceva il parete bianco , ed altri il parete biancheggia , quaſi che Platone non riprovaſſe nel Sofiſta l' orazion ſenza verbi , o che (a ) Ariſt. 1. Phil. 9 ( 07 ) che i verbi non foſſero ſtati inventati per compendiare i gius dizi ! Non è forſe lo ſteſſo il dire , io amo , che io ſono aman te é io biancheggio , che io fono biancheggiante ? La fuppofi zione dunque, je l' uno equivale all' orazione condizionata , ed implicità fé uno , nè così la propone Parmenide , ſe non per intimarci, che a null' altro fi deve badare nell'ipoteſi , che all uno preſo in un concetto aſtrattiflimo. Nella Geometria ſinteticamente ſi comincia dal punto prin cipio della linea ; nell'aritmetica, dall'uno principio del nume ro ; e nell' ontologia dall' uno traſcendentale , che conviene ad ogni noftra idea . Eſclude tutte le relazioni , perchè riferendofi l'uno per eſempio ad A , B , C ec. non è più uno , ma molti , in quanto in lui fi conſiderano le diverſe faccie che ſi riferi ſcono ai molti . Parmenide in queſta prima ipoteſi eſclude dall' uno cutte le relazioni, cioè quelle dell'ente in genere , e l'alore dell'ente in fpecie . Relazioni dell'ente in genere ſono l'identicà , e la di verſità , perchè non competono meno alla ſoſtanza , che alla quantità , qualità , ed agli altri predicamenti. Relazioni dell'en te in fpecie ſono , la limiglianza , la diſſimiglianza , Peguaglian za , l'ineguaglianza , l'antichità , la novità eco perchè competo no o alle fole qualità , o alle ſole quantità ec. * l une e l'altre intanto ſi dicono relazioni , in quanto non conſiderano le coſe in ſe ſtelle , ma relativamente tra loro : il diffimile , l'eguale ec. non li concepiſcono ſenza i due termini , che tra loro fi paragonano . Se l' uno in quanto tale non può compararſi ad alcuna coſa , biſogna eſcluder da lui tutte queſte relazioni , tan to più ſe nelle coſe riferite s'includono i molti. Parmenide comincia dall'eſcluſione delle relazioni più facili a conofcere', che ſono quelle della quantità ; paſſa alle relazioni della qualità , e ad alcre , e finalmente all'eſſenza ; nè di ciò con tento efclude le relazioni, che l'uno può aver all'opinione , al la ſcienza , é lino al nome. Se l'uno in queſto concetto aftrat tiſſimo fi nominalle , avendo ogni nome relazione al ſenſo , al la fantalia , od alla mente , e quindi a tutti gli uomini, che lo pronunziano o l'odono, l'uno con l'aggiunta di queſte relazio ni ſarebbe molti . Si ſente più che non s'eſprimequeſt' ultimo grado , ed abbiamo grande obbligazione a Platone , che in que Ro Dialogo , nel rappreſentarci la dottrina della fetta Eleatica , ci ha moſtrato l'uſo opportuno delle aſtrazioni. Egli di conten ta di non moltiplicarla , che fino ad un certo grado , a fine che l'idea coll' altrarla tanto non s'inlanguidifca , è sfumi; onde al fine la mente non poſſa più ravviſarla in quella guiſa , che i 2 l'im 708 ) l'immagine d'un oggetto riflettuta da uno ſpecchio ſucceflivamen te in molti altri , al fin diviene si ombratile , che ſvaniſce da. gli occhi . Frattanto era neceſſario dimoſtrare in un ſoggetto aſtrattiſſimo per sè , l'uſo dell'ultime aſtrazioni che può far la mente , non eſſendovi altro modo di accennare , come in ogni quiſtione s'arrivi a quell' ultima idea , in cui conviene che vi ci ripoſi , anco malgrado l'impeto innato , che inevitabilmente ci porta a ſempre più nelle cognizioni inoltrarci. Nell'inveſtigazione poi dell' idea vaga Parmenide per tutti i generi , come era in uſo nell'antica Dialetica, e fatta la ſuppoſizio ne determinata per via di comparazioni, ed eſcluſioni, egli ricava il punto preciſo della quiſtione propoſta. Con la chiarezza maggio re che io poſſa , procurerò deſprimer diſtintamente tutti i gra di tallor dell'analiſi, e callor della ſinteſi Parmenidea . Nel trat çar l'altra quiſtione meconvenne ſeguire le interrogazioni, e le riſpoſte degli Interlocutori ma quà folo Parmenide parla ; onde bafta ſolo ſeguendo l'ordine del Dialogo premetter le.co. ſe neceſſarie , eſtrar la propoſizione, e dimoſtrarla fe fi può cal metodo de' Geometri . L' uno non è molti . Abbiamo quanto baſta illuſtrata queſta definizione ; qui fo lo avverto , che come il Wolfio , dopo d'aver definito , che l'en te ſemplice è cid che non ha parti , da queſta definizione ne gativa egli deduſſe, che l'ente ſemplice non è ſteſo, non è diviſibi le , ſenza figura , ſenza grandezza, che non riempie ſpazio , che non ha moto inteſtino ec. Così Platone , da ciò che è l ' uno , dimoſtra le fteſſe coſe , e molt'altre che andremo partitamente, conſiderando , e deducendo dalle nozioni preme{le . g . 3 . 11 Wolfio defini il tutto ciò che è lo ſteſſo con molti ; per abbracciar in una definizione non ſolo il tutto integrale , che chiamaſi totum , ma ancora il potenziale che chiamali omne. Lo ſteſſo , come ſi vedrà fra poco , conviene non meno alle quantia tà , che alle qualità , ed alle ſoſtanze , e l'idea di molti è più univerſale , che quella delle parti , convenendo i molti e agli enti ſemplici, ed a' compoſti come a' quantitativi . Parmenide non definiſce qui , che il tutto integrale , raccogliendo inſieme le 1 ( 69 ) le parti , e limitandole in uno, a cui niente manca , ed è per fua natura indiviſibile; la nozione di molti è quindipiù aftratta della nozion delle parti , e in queſto ſenſo Ariſtotele diffe , che il tutto è prima delle parti, e non le parti del tutto , il che , ſe ſi crede al Patrizio , tolfe da Ippodamo Turio . ( a ) §. 4. L'uno non è nè tutto , nè parte di sè . Se l'uno è tutto non vi manca alcuna parte , ( $. 3. ) dunque ha parti ; dunque è molti contro la definizione dell' uno ( $. 2. ) Se l'uno è parte di sè , è un tutto riſpetto a sè , ma non pud eſser un tutto , come ſi dimoſtrò; dunque non è parte disè. COROLLARIO . L'uno non effendo nè tutto , né ſteſo , od è indiviſibile , o è ſemplice. parte , non è 8. S. Ogni cutto ha principio , mezzo , e fine . Cid vuol dire , che propoſtoſi un turco nel numerarne le parti fi comincia da quella che chiamaſi prima , e li progrediſce all' ultima paſſando per le intermedie . §. 6. L'uno non ha principio , nè mezzo , nè fine. ol, Se l'aveſse ſarebbe un tutto ( $ . 5. ) il che è impoſſibile ( 8.4. ) Α Ν Ν Ο Τ Α Ζ Ι Ο Ν Ε . Speſre volte inſegnò Ariſtotele, che l'infinito è ſenza principio, ſenza fine ; offerva il Patrizio, che lo preſe dal Parmenide, ove ſi dice , che l'infinito ( o piuttoſto come io crederei l'indefinito ) non ha ne principio , nè fine, cioè non ſi sa in eſſo , nè dove comin , ciar la numerazione , ne dove terminarla . In queſto ſenſo una li nea non è propriamente infinita , o indefinita , le comincia da un punto , nè una ſuperficie, nè un corpo , ſe la ſuperficie comincia da una linea , e il corpo daunaſuperficie. A queſti infiniti måtema rici , che cominciano da un termine , non compere la definizione, che Platone aſſegna dell'infinito , da cui eſclude il principio , ed il fine . ( a ) Diſcuſ. perip. T. 2. p. 280. ܐ S. 2 : ( 70 ) S. 7. L ' uno è infinito . L'uno non ha principio, nè fine ( S. 6. ) Dunque è infinito . ( An. Si 6: ) 9. 8 . La figura è una parte dello ſpazio , o dell'eſtenſione circonſcrit ca da cerci limiti , o è retta come il quadrato , il cubo ec. o ro tonda , come il cerchio , la sfera , Pelifli , l'eliffoide ec. o miſta dell'uno , e dell'altro . Il principio della figura è dove i moder ni pongono il vertice , il fine dove pongono la baſe" , il mez zodove la figura fi divide per mecà . 8. 9 . L'uno non ha figura . Ogni figura, o recta , o rotonda ha principio , mezzo , o fine ( 8. 8. ) ma l'uno non ha principio , nè mezzo , nè fine. ( $ . 6. ) Dunque non ha figura. COROLLAR10. L'uno è infigurabile. $. 10. Non lo può concepire' , che una coſa ſia in ſè ſteſſa ſenza il di 1 ſtinguere con la mente , che ella è comprendente e compreſa , cid che è concepirla due volte , o di uno far due . Non ſi può conce pire , che una coſa ſia in altrui , ſenza che ella ſia toccata in mol te parti. Il luogo abbraccia , o comprende la coſa in lui colloca ta · Eſer in alcrui , od effer in ſe ſtello ,, ſono due oppoſti ſenza. mezzo , come il moto , e la quiete . So IT . L'uno non è in luogo. O ſarebbe in sé , o in altrui ; ( $. 10. ) ſe in sè , egli ſarebbe a sè il ſuo luogo , onde abbracciando ſe ſteſſo ſarebbe nel tempo fteflo , e comprendente , e compreſo , cioè l' uno ſarebbe due co ſe o molti contro la definizione ( $. 2.) ſe foſſe in altrui, fareb be 1 1 1 1 ( 71 ) be toccato in molte parti, onde avrebbe molte parti contro la definizione. ( §. 2. COROL. L'unonon è circonſcritto da alcuna coſa , terra , Cielo , materia , ſpazio ec. ANNOT. Daqueſto argomento lice inferire , che Parmenide cob ſidera qui l'uno , in quanto è dalla mente aſtratto da corpi , che ſono in luogo ; s'è già oſſervato , che l'ontologia degli anti chi era fondata su l' idee aftratce dalla materia , dalla forma, dal compoſto, dagli accidenti ; onde queſt'uno aſtratto da corpi , e da loro dipendente non ha alcuna relazione a Dio , ch'è un ente per sè , in sè , infinito cc. . 12. Il moto alla ſoſtanza , ſecondo Ariſtotele , è quando una coſa , per eſempio una parte di terra ceſſa d'eſfer terra , e comincia ad eſſer pianta . Il moto alla quantità è quando una coſa , per eſempio un fanciullo creſce nella ſtatura , ed un vecchio decreſce . Il moto alla qualità è quando per eſempio la carne d unUomo fredda , dura , ed aſpra , li fa da sè calda , molle , liſcia . Preten deva Ariſtotele, che queſti tre moti dipendendo dalla forza in crinſeca , che facea cangiare alle coſe la ſoſtanza, e gli acciden ti loro , li diſtingueſſero dal moto locale , nel qual altro non ſi con ſidera , che il paſſaggio da un luogo all' altro : Parmenide , o Pla tone, benchè parli del moto di generazione, e d'alterazione, par ſolo far attenzione, ſecondo l'ulo de'moderni, all'accoppiamento delle parti , e quindi all aumento delle qualità , due coſe accom pagnate dal moto locale , o di traslazione. Lo conſidera egli in linea retta , oin cerchio , nel qual moto una parte della coſa & forma nel mezzo , e le altre parti fi rivolgono intorno al mezzo . Vuol poi , che tutto ciò che ſi genera ſi faccia in qualche luogo ſecondo il principio da lui in queſto Dialogo replicato più volte. Ciò che non è in alcun luogo è nulla . Platone nel Teeteto dice per bocca di Socrate : Se dimoſtran eli una ſpecie di moto , o due ſpecie , come a me pare , nondimeno io conſidero che cid non ſolamente appaja a me folo , mo ancora tu ne fii partecipe, acciocchè amendue parimenti patiamo qualunque coſa face cia meſtieri, ficchè mi di , cbiami tu forſe moverſi , quando alcune coſa fe mute da luogo a luogo, e nello steſo ſi raccoglie ? Teodoro glie lo concede. Socrate ſoggiugne : Dunque fiare una specie questa , ma quando fermandoſi alcuna coſa nello ſteffo luogo s'invecchia , o di bian , ca fi fa nera , o dara dimolle , e ſi altera da certa altra alterazione, son chiameremo noi meritamente queſt' altra ſpecie di movimenti ? ... Ora dico che fieno due le ſpecie del movimento cioè alterazione , la ( 72 ) la circonferenza. Egli dice circonferenza in luogo di traslazione in cerchio , per moſtrar che nel pieno ogni coſa va in giro. , Conſidera poi quì , che nel farſi una coſa vi la un accoppia mento , nel qual prima una parte fi congiunga a quella che li fa , mentre l'altra parte , che ſi deve aggiungere , è ancora fuori della coſa . 1 $. 13. L'uno non ha moto di alterazione , nè di generazione . Non di alterazione , perchè ſe ſi altera non è più uno , ac quiſtando nuove qualità ; ſe fi genera non è più uno, acquiſtan do nuove parti . Or nuove qualità , e nuove parti fanno molti ; dunque ſe l' uno o fi altera , o fi genera , è molti contro la de finizione . IN ALTRO MODO. Una coſa non può generarſi o farſi che in un' altra , perchè tutto ciò che è , o fi fa, è in qualche luogo , ma ſe l'uno non può effer in un altro ( S. 11. ) nè meno può farſi in eſſo . In ol tre ſe una coſa ſi fa in un altro , non ancora ella è ſe ſi fa . Or quando una coſa ſi fa, una parte è in lei , e una fuori di lei , perchè le parti fi vanno ſucceſſivamente aggiungendo , ma l'uno non avendo parti ( 5. 4. ) nè può eſſer nè tutto te in sè , nè tutto , nè parte fuori di sè . Dunque non può ge nerarſi . Corol. L' uno non è generabile , nè alterabile , nè par § . 14. L'uno non ha il moto di traslazione . L'uno non è in luogo ( 5. 11. ) ma la traslazione in linea ret . ta è una mutazione ſucceſſiva del luogo . Dunque l ' uno non eſſendo in luogo ( $ . 11. ) non può mutar il luogo , ſecondo la linea retta , ma nè meno pud mutarlo , ſecondo la linea circo lare, perchè deve raggirar nel mezzo , e tener fiffe le parti che fi rivolgono intorno al mezzo ; ma l'uno non ha nè mezzo , né parte , dunque non può rivolgerſi in cerchio'( . 13. ) Dunque le alluno non conviene nè l'uno , nè l'altro , non gli conviene il moto di traslazione . Q. 15 . 1 1 . 1 ( 73 ) g. isi Come ſi concepiſce il moto , nel concepire la traslazione fuc ceffiva del mobile , o ſia il rapporto continuamente vario della diſtanza del mobile a ' corpi contigui, così fi concepiſce la quie te nel concepir il rapporto coſtante di diſtanza a ' corpi conti gui ; quindi nel moto, il corpo va ſucceſſivamente occupan do diverſe parti dello ſpazio , e nella quiece occupa le ſteſſe par ti dello ſpazio . $. 16 . Luno non è nè in quiete , nè in moto . L'uno non è in sè , nè in altrui ( 9.11 . ) ma ciò che è in quiete , è ſempre nello ſteſſo , ciò che li move è ſempre in al trui . Dunque ſe l'uno non è in ſe ſteſſo , nè in altrui, non ſi ripoſa , nè ſi muove . $ 17 Platone ha ſin ora conſiderato l' uno per eſcluder da lui la ragion di tutto , di parte , di principio, di fine , di mezzo , di figura , di luogo , di moto , cioè per eſcluder dall' uno tutte le relazioni che appartengono alla quantità, come la più nota , e più facile. Senofane pur provava, che l' uno era infinito , im mobile , non ſi trasfigurava nella poſizione, non s'alterava nel la forma, non fi milchiava con alcri. Non è egli molto veri ſimile , che egli ne arecaffe le ſteſſe ragioni , che poi Parmeni de più fteſe , ed affottiglid ? Paſſa Parmenide ad eſcluder dall' uno le relazioni dell'ente che appartengono alla qualicà , di cui le prime ſono l'identità e la diverſità . Non premette Parmenide alcuna definizione dello ſteſſo , e del diverſo ; come fece del tutto ; dai Pittagorici ( a ) impard , al dir del Patrizio , che l'identità , e la diverſità non devono conſiderar fi come paſſioni dell' ente , ma come generi ſecondarj , i di cui primi ſono il moco e la quiere . Ariſtotele all'incontro riduce l' identità a una certa unità , e dichiara che ella come la diverſità appartiene alla ſuſtanza , poichè fteſse ſono quelle coſe che con vengono , o nella materia , o nella ſpecie , o nel numero , o nel Tomo II. k gene ( a ) Diſcuſ. Perip. T. 2. p. 207. ( 74.), genere di cui una è la ſoſtanza. Platone eſtende l'identità , e di verſità alle qualità , e da lui impårarono i matematici a dire , che le ragioni o proporzioni , che ſono le ſteſſe con una ſtella , ſo no le ſteſſe tra loro ; e non ſi dice pur tutto giorno lo lteſto grado di calore , di lume ec. e. parimente ragioni diverſe , di verſo grado di calore , di lume ec. Dunque non alla ſola fo ftanza , ma alla quantità , alla qualità , ed agli altri predicamen ti apparciene lo ſtello , e il diverſo . Inliftendo il Wolfio su le nozioni ſcolaſtiche , dà il criterio per diſtinguere lo ſteſſo dal diverſo . Quelle coſe , dice egli , fou no le stelle che ſi poſſono ſoftituire. ſcambievolmente ſalvo qua lunque predicato , che loro aſſolutamente , ſotto qualche con dizione convenga ; ſicchè fatta la fortituzione , la coſa reſta ta le , come ſe non foſſe ſtata ſoftituita . Se in una bilancia , in cui ſang equilibrati due peſi, in cambio di un peſo , d' una certa grandezza, io ne ſoſtituiſco un alıro, in modo che l'equilibrio Loro non lia tolto , queſti due peſi, in quanto peſi, nulla diſtin guendoli: ſi chiamano gli ſteſſi . Se nel peſo che è prima nella bilancia , vi foſſe una certa figura , ed un certo colore , eun cer to grado di calore , e di freddo , ed anche un certo odore , e tutto ciò appuntino ſi ritrovalle nel peſo che ſi ſoſtituiſce , que fti due peſi non diſtinguendoſi, e nel peſo , e nell' altre qualità li chiamano gli fteſi; Lo ſteffo in numero è ciò che ſi afferma di ſe ſteſſo , o cui ripugna d'efiftere due volte ; nel dirſi, queſto triangolo è que ſto triangoló , ' ſi predica lo ſteſſo triangolo di ſe ſteſſo , onde convenendo la ſtella eliſtenza al ſoggetto , e al predicato , egli è manifeſto , che il triangolo in quanto è nell' uno , e nell' altro non ha doppia eſiſtenza , mala ſteſſa, I diverſi poi ſono quelli , che ſcambievolinente non poſſono ſoſtituirfi , falvo ogni predicato che all' uno , o all' altro aſſo lacamente o condizionatamente convenga . Così nel caſo della ſoſtituzione de' peſi della bilancia, ſe un peſo nel ſoſtituirſi all' altro cangia d'equilibrio , il pelo ſofticuito è diverſo dal peſo , di cui preſe la vece ; egli è diverlo in ragion di peſo , benchè per altro poteſſe eller lo ſteſſo nella grandezza , nella figura nel calore , ed altre qualità . Poſſono dunque le coſe eſſer le ftel ſe in un predicato , e diverfe negli altri ; quindi ſi può diſtin guer lo ſteſſo , e il diverlo in affoluto , e in relativo ; ſono aſ loluti, ſe le coſe convengono in tutti i predicati, o diſconven gono falva però la loro eliſtenza ; ſono relativi le convengono in alcuni predicati, ma diſconvengono in altri . E'cid neceſſa rio di ben avvertire, perchè in queſto Dialogo fi prende lo ſteſ 1 1 ſo, 1 ( 75 ) fo , e. il diverſo in queſti due fenfi. Qul Parmenide perd pren de aſtrattamente la coſa , perchè a lui baſta, che l'identità , e la diverficà fiano affezioni, o generi delle coſe non preſe in sé , ma relativamente all'altre , baſtando queſta fola relazione per eſclu derle dall' uno ; quindi può facilmente dimoſtrarſi, che l'uno non è , nè a se , nd ad altrui lo ſteſſo , perchè nel ſuo concerto aſtrat tiffimo efclude ogni comparazione ; ma Parmenide in alcro modo lo dimoſtra , rappreſentandoſi alla mente per via d'una nozione immaginaria , che l' uno prima è uno, e poi per forza della com parazione egli è molti . Ciò ſi rende ſenſibile col diſegnar l'uno col ſimbolo aritmetico I , e poi aggiongendovi A , o qualche alera lettera , onde egli fia prima i , indi 1 + A. S. 78 L'uno non è lo ſteſſo , nè diverfo a sè , nè ad altri. Se l'uno foſſe da fé ſteffo diverfo , ſoſtituendoſi l'uno per l'uno dove prima della ſoſtituzione fi concepiva i , dopo della foftitu zione si concepirebbe 1 + A , dunque non più i contro l'ipoteſi. Se fia lo ſteſſo ad altrui egli farà quello , cioè 1 + A non cið che è , od uno , il che di nuovo è contro l'ipoteſi . . 19. L'uno non è diverſo , nè da altrui , ne da ſe ſteſſo . L'uno convenendo con tutte le coſe , perchè d'ogni coſa ſi dice , uno non è diverſo da effe , che in virtù di qualche predicato ; dun que in quanto non è più uno ; dunque non può eſſer diverſo dall' altre cofe . Non è la ſteſſa la natura dell' uno , e dello ſteſfo , perchè quando una coſa li fa la ſteſſa ad aleuna non ſi fa uno ; il colore di A per efempio ſia lo ſteſſo , che il colore di B , non perciò mai A è B , perchè le due coſe colorite comparandoſi, benchè con vengano nel colore , e in queſto fieno uno , non perd convengono nell ' çliſtenza , Se gli Itelli non ſi conofcono , che per la Toſti tuzione, gli ftelli convengono bene ne'predicati ; ma ſono fem pre due . Dunque quando una coſa ſi fa la ſteſſa con l'altra , di due non ſi få uno , ſe non inquanto ſi concepiſce, che con vengono , o nella quantità , o nella qualità ec. ma non perchè convengono non ſono due ; dunque o l' uno paragonato all' uno ſi fanno due , e cosi l'uno non è uno , o reſtando uno non k 2 ſi può ( 70 ) la pudfar ſoſtituzione . Dunque non pud dirſi , che l' uno fia lo ſteſſo a ſe ſteſſo . 20 . Parmenide paſſa a comparar l'uno coi fimili , e diffimili. Aris ftorele dice , che i ſimili ſono quelli che patiſcono lo ſteſſo , ei diffimili quei che pariſcono il diverſo ; de' primi una è la qualità, dei ſecondi è diverſa la qualità ,onde egli ripone i ſimili, e dilli mili ſotto l'identità , e diverſità , il che imparò da Platone nel Filebo ( a ) e più facilmente dal Parmenide , ove Platone defini ſce il ſimile, per ciò cui adiviene patir lo tego , il diffimile , ciò cui adiviene patir il diverſo. Conſidera quì Parmenide le.qualità , come attributi o modi che ſi ricevano nel ſoggetto , il quale nel riceverle in cerca guiſa paciſce; ſono queſte nozioni immaginarie, come quella della ſoſtanza . Su queſte orme Parmenidee , il Wol fio definiſce i fimili quelli , in cui le ſteſſe ſono le coſe, per le qua li doverebbono diſcernerſi , onde ſecondo lui , la fimiglianza è l' identità di quelle coſe per cui dovrebbono tra loro diftinguerli. Se in due volti per eſempio io ritrovo nelle parti gli ſteſſi linea menti , ne' lineamenti gli ſteſſi gradi de' colori ec. in fomma ſe io ritrovo , che le ftelle fieno tutte quelle qualità, per cui dovereb bono diſtinguerſi, i due volti ſono ſimili; diffimili all'incontro ſono quei volti , in cui diverſe ſi ricrovano le coſe per cui tra lo ro fi diſtinguono , che vuol dire i lineamenti delle parti, le figu la collocazione, le grandezze . Il Wolfio fi fece ſtrada con que ſta definizione a definir i ſimili matematici , ben oſſervando , che le loro proporzioni, benchè abbiano per fondamento ilquanto , fi riducono al quale . re , S. 21. L' uno non è fimile nè diffimile ad alcuno , o a se , o ad altrui. Simile a quello cui adivienelo feſto ( . 20. ) ma l' uno eſclu de lo ſteſſo ( S. 18. ) Dunque efclude il ſimile. L’uno ſe riceve alcuna coſa fuor di quello che è l' eſſer uno , pa tiſce d'eſſer più l'uno , perchè egli è l'uno , ed inſieme la coſa che pariſce , onde almeno egli è due o molti ; dunque non è più uno ; dunque ſe l’uno non paciſce d'effer lo ſteſſo , o loco , o con altri , non può eſſer a ſe ſteſſo , o ad alcri ſimile , ( a ) Patriz. Diſcuſ. perip. p.202. Il ( 77 ) Il dillimile è quel che pariſce diverſità ( 5. 20. ) ma l'uno non può parire diverſità , dunque non è , nè diverſo da lui, nèda altre coſe, altrimenti non ſarebbe più uno ; dunque l'uno non è diſli mile , nè a ſe ſteſſo , nè ad altrui . 1 l . 22 Concluſo che ha Parmenide non convenir all'uno , nè l'iden: tità, nè la diverſità, nè la ſimiglianza , nè la diffimiglianza, paſ fa a ricercare ſe gli convenga l'eguale o l'ineguale , due pro prietà delle grandezze comparate P une all' altre ; l'eguale im murabilmente ſta nel mezzo , da cui l' ineguale allontanandoſi per ecceſſo ſi chiama maggiore, e per difetto minore . L'egua le paragonato all'eguale ha le ſteſſe miſure , paragonato al mag giore ha meno miſure, e ne ha più paragonato al minore. Ra gionando Parmenide con Socrate ad bominem , fi ferve del ter mine di participare , che non è allegorico , ove ſi tratta di par ti . Offervo che non miſurandoli, ſecondo Platone, che con l'uni tà , e col numero, è manifeſto , che la miſura è ſecondo lui quan tità ; pur gli attribuiſce lo ſteſso , e il diverſo. g. 23 . L'uno non è , nè eguale , nè maggiore , nè minore . Non participando , nè dello ſteſso , nè del diverſo , non parte cipa mai, o le ſteſse , o le diverſe miſure , in conſeguenza non è nè eguale , nè maggiore , nè minore. 6. 24. Come ſi miſurano le grandezze permanenti , così ancora ſi mi ſurano le ſucceſſive , le quali paragonare l'une all' altre, compete loro lo ſteſso e il diverſo , cioè il più, e il meno . Si dice che due Uomini hanno la ſteſsa età , quando è miſurata per lo ſteſso nu mero di rivoluzioni ſolari, e che hanno maggiore o minor età le ella ſia miſurata per maggiori o minori rivoluzioni ſolari . L'antichità , la vetuftà , la novità ſono relazioni degli enti ſuc ceflivi per rapporto alla loro eſiſtenza fucceffiva ; antico ſi dice quello che da lungo intervallo di tempo e prima d'un altro ; nuo vo quel che ora è, e non fu che già poco tempo prima d'un al tro ; il giovane , il vecchio , ſono propriamente le differenze dell' età degli Uomini, mas'attribuiſcono per mecafora a curce le coſe . 9.25 . ( 78 ) f. 25. L'uno non è più vecchio , più giovane di ſe ſteſso , o dell' altre coſe . L ' uno non pud participare , oo delle ſteſse ,, o di maggiori o minori miſure degli enti ſucceflivi, perchè non può partici pare dello ſteſso , e del diverſo ; ma quel ch'è più vecchio , partecipa di maggiori miſure, quel che è più giovine di minori , dunque ec. g. 26 . Per ben intendere come uno nel farli più vecchio di fe fteſso o d'un altro ſi fa più giovane , mi è neceſsario trasferire alcu ne nozioni della ſeconda ipoteſi , ed aritmeticamente ſvilupparle . g . 27 6 3 5 4 Se il rapporto del maggiore al minore crefca per l'aggiun ta agli antecedenti, e a' conſeguenti d'una grandezza eguale , il rapporto ſempre decreſce . Sieno i numeri 1 , 2 , 3 , 4 , 5 , 6 , 7 , i quali ſucceſſivamen te creſcono per l'aggiunta dell'unità , èmanifeſto che ( a ) > 4 $ Si prendano i quozienti o valori delle ragioni . Il valore della ragione di = it ; il valore di = ito il valore di = i + . Or tal eſsendo la ragione qual è il fuo valore ſe I +1/2 > it it ec. come è mani 3 feſto fard > 5 ec. Or rappreſenti A C l' età d'un 3 fanciullo di 3 anni , e B D l'età d'un | fanciullo di due anni , s' aggiunga alla А С F prima età un anno , ciod ad " A C. s'ag giunga CF , e alla ſeconda età B D SA D G. aggiunga un altro anno o DG. Onde s' averà la ragione di } ; li vada aggiungendo ſucceſſivamente alle due età un'anno, ed indi un'anno, e li averanno le ragio ni di e di . Egli è manifeſto , che il fanciullo di tre anni è più vecchio di quello di due, ma nel creſcere all'uno , e all' al > 3 4 Ā 1 B tro ( a ) Il ſegno è quello del maggiore , Il ſegno di < del minore . Il ſegno è quello dell'eguale . ( 79 ) tro un' anno la ragione che ne riſulta di è minore dell'altra ; molto minore è quella di , e molto più minore quella di onde ſebben il primo fanciullo ſi faccia ſempre più vecchio dell'altro , contuttociò per l'accreſcimento dell'egual quantità ſi fa più gio vane relativamente , perché dove nella prima ragione la differen za era nella ſeconda è minore di 1 , e quindi , ſempre mi nore . Egli è vero dunque, che un fanciullo nel farli' più vecchio d'un altro li fa ancora più giovane. Se non ſi compari l'età di due fanciulli , ma ſi conſideri folo l' erà di uno , che ſempre riſpetto a ſe ſteſso creſce di un'anno , egli è manifeſto , che per queſto eguale accreſcimento , nel decreſcer ſempre le ragioni degli anni cra loro comparati , lo ſteſso fanciul lo nel farſi più vecchio di ſe ſtefso , fi fa ancora più giovane. Si vede quindi , che nel farſi il più vecchio dal più giovane , fi fa cid dal diverſo , e che non è diverſo , ma'ſi fa . Corol. Lo era , lo efser ſtato , il li faceva , ſignificano i modi del tempo paſsato ; il ſi farà , il ſarà , e ſarà per farſi, i modi del fucuro o dell'inanzi ; l'eſsere , il farſi, i modi del preſente. f. 28. L'uno non è in cempo . Se l'uno fofse in tempo participerebbe delle miſure del tempo ; dunque or ſarebbe più giovane, or più vecchio , ma queſto non pud eſsere , come s'è dimoſtrato ( 9. 25. Dunque ec, IN ALTRO MODO. Quel che è in tempo nel farſi più vecchio , ſi fa più giovane di ſe ſteſso , ( §. 27.) ma l'uno non può farſi più vecchio , nè più gio vane di ſe ſteſso , perchè non può farſi , nè una cola , nè l'altra ( 9.25. ) Dunque non è in tempo . Il più giovane che ſi fa dal più vecchio è diverſo da lui , e non è ma ſi fa , ma l'uno non può ricever il diverſo ( § . 18. ) Dunque non può farli dal più vecchio il più giovane ; dunque non è in tempo . Il più giovane non ſi fa dal più vecchio , nè in più lungo tem po , nè in più breve di fe fteſso, ma ſempre nell'egual tempo con le ſteſso , o fia , o ſia ſtato , o ſia per dover eſsere ; ( § . 27. ) mą l'uno non è ſuſcettibile dell'eguale ( § . 23. ) Dunque nè meno dell' egual tempo ; dunque non avendo le paſſioni del tempo non è in cempo . . 29. ( 80 ) S. 29. L'uno non partecipa , nè del preſente , ' nè del futuro nè del paſſato . L'uno non eſſendo in tempo non può partecipare del tem po , ma le paſſioni del tempo ſono , il preſente , il paſſato , il futuro . ( $ . 27. ) Dunque non le partecipa . Corol. Se l'uno non è partecipe di niun tempo , non fu mai , nè ſi faceva , nè era , nè ora è fatto , nè fi fa , nè farà . 8. 30. Ogni ente , o ciò che è partecipe di eſſenza , è , ſecondo Plato ne , o nel tempo preſente , o ſarà nel futuro , o fu nel paſſato . Nel Timeo egli dice , che Dio per far il tempo fluente nel numero , fece un'immagine dell'eternità . Dunque l'eternità fiſſa in ſe ſteſſa non contiene, che il preſente , e ciò pur dicono i Teolo gi nel diffinirla con Boezio , una poſſeſſione tutta inſieme di una vita interminabile . Negando dunque Parmenide, che il pre ſente competa all' uno , gli nega l'eternità , onde è egli evidente che non parla di Dio , ma ſolo d'un ente di ragione, dal quale per l' astrazion della mente eſclude tutto ciò che involve rela zione a qualche coſa , ed anche a lui ſteſo. Dall' altra parte , qui Parmenide non eſclude dall'uno , ſe non cid che appartie ne per lo più alle coſe corporee e viſibili, il tutto , le parti , il luogo , l'eguale , il maggiore , il minore, la generazione , la traslazione , le differenze del tempo ; e ciò che dice dello ſteſ. fo , e del diverſo , del fimile , e del diflimile , che pur conven gono alle coſe incorporee , lo ricava da ciò che ha negato ne' quanti. 1 . 31 . L'uno non è , o non ha eſſenza . L'uno non partecipa del preſente , del paſſato , del futuro ( 9.29. ) ma ciò che ha effenza partecipa dell'uno , o dell'altro ( $. 30. ) Dunque l'uno non ha eflenza . Annot. Dall'uno conſiderato preciſamente come uno , cioè a dire oppoſto amolti , ſi debbe eſcludere , oltre l'eſſenza attuale , an cor la poſſibile , perchè la poſſibilità come fonte, e principio del, la ( 81 ) la realità porta ſeco qualche relazione a cid che eſiſte , é dall' uno ogni relazione deve eſcluderſi.; molto più le relazioni dell' uno all'ente , di ragione che chiamali intellettuale qual è il Lo-. gico , il metafiſico , il matematico , e l'altre relazioni ancora ché aver poteſſe all'ente immaginario ancor chimerico . . §. 32 . tra coſa Primafi concepiſce la, non ripugnanza dei predicati delle co ſe , ed è l'eſſenza , e queſta non ſi dice d'altre coſe , o d'al tre eſſenze , ma bensì o gli attributi , i modi , e le relazioni fi dicono deſsa ; cal è la definizione logica , che Ariſtotele diede della ſoſtanza , chiamandola ciò che non ſi predica d'al ma che tutte le coſe ſi predicano d'eſsa . In que ſto ſenſo l'eſsenza nel ſuo concetto aſtratto , non differiſce dal la foſtanza , che in quanto queſta ſi riferiſce a ſe ſteſſa , ed agli aleri de' quali è ſoftegno , per il che ſi dice , che ella non ha contrario , e non è capace di più, e di meno . Se l' uno non può predicarſi dell'uno , o di le ſteſſo , per non radoppiarlo o farne due o molti , egli è manifeſto , che non è ſoſtanza to più ſe fi conſidera col Wolfio , che nella nozione della fo ſtanza, v'è qualche coſa d'immaginario, perchè ella fi rappre ſenca alla fantaſią , come un valo od altra coſa , che in sè ri. ceve gli accidenti . $. 33 L'uno non è ſoſtanza . L'uno non ha eſſenza . ( S. 31. ) Dunque non ha ſoſtanza ( $ . 32. ) ſ. 34. La ragione è propriamente quell'atto della mente , che da una coſa n'inferiſce un' alera , od è ancora ſe ſi vuole la con neſſione delle verità univerſali ; la ſcienza è la cognizione cer ta , ed evidente delle coſe, ed è tutta opera della ragione che deduce una coſa da un' altra . Nell' attribuire una coſa ad un altra , ſe li ha qualche cimore , che ad efla ſi poſſa attribuire l'op poſto, ſi ha della coſa opinione. Col ſenſo poi non ſi percepi Icono , che le coſe ſingolari , o determinate in ogni parte , e quindi compoſte di molti . Da queſte definizioni e manifeſto chenegli oggetti della ragione, della ſcienza, dell'opinione, del Tom . II. I fen ((82 ) . fénfo s } includono moki , çd - in oltre che ogni coſa , che .0.4 ſénte , o su cui di ragiona fcientificamente , od opinabilmente , ha un' eſſenza attuale o poflibile ; falfa o vera. 1 $. 356 Dell' uno non li ha ragione, ſcienza , opinione , ſenfo . Quefte coſe includono molti , e dipendono dall'ipoteſid' un eſſenza ( §. 34. ) ma l' uno non ha eſenza ( S. 31. ) e non in olude molti (.9.,2 . ) Dunque ec, g . 36 Non ſi dà nome ſe non alle coſe , della cui eſſenza , o per ragione, o per opinione, o per ſcienza , o per ſenſo ſi ha un ' idea o chiara , od ofcura, o diſtinta , o , confula , o miſta di que Ite differenze. S. 37 ... L'uno non ha nome. L'uno' non ha effetiza:( : 34:) Dunque l'uno non ha nome. 1 §. 38. Ragruppando in poco ciò che ſin ora ſi è detto , ſi può for mare tal fillogismo . Dal concetto aftrattiflimo dell' uno ſi de vono, eſcluder i molti di qualunque genere effi fieno ; ma cid che appatriene alla quantità , alla qualità ; alla refazione ec ? vi s'includono imolti ; dunque devono queſti eſcluderſi dal.concet to aſtrattilfino dell'uno , . ] Se fi diceffe , che così concludendo ſi confonde l'uno col nul la , manifeſto è l'inganno , poichè la definizione del nulla è , che egli non abbia nozione alcuna o poſitiva , o negativa , ciò che elclude dal nulla ogni realtà . Quando'io dico all'incontro, l'uno non é molti, non tolgo a lui ogni realtà , benchè eſplicitámen te io non vi rifletta. Io ſto più immobilmente che poſſo affil ſo su l'uno, in quanto s’oppone a molti , e in queſta conſide razione preſcindo più che poſſo dal conſiderar l' uno , o per rap porto all'ente, o per rapporto al mio penſiero ; noi poſſiamo, come accennai , più ſentire, che eſprimere queſte preciſionimen tali , e momentanoe, ma 'non laſciamo di fentirte, e le fencia ·mo ( 83 ) mo ſe poffiamo eſprimerle in qualche modo, e farle' intendered agli altri ; nè per altro la fcola Eleacica; ed indi Placone le pro poſe , che per addeſtrar la mente ad inveſtigar l'idee delle coſe. Era necelfario fciegliere per eſempio quell' idea , in cui la pre ciſione arriva all'ultimo grado , ove pofla mai giungere la men te umana. Non ſi conoſce mai bene la natura', ' ed'i precetti della arte , che l'imita , fe non ned maffimo . Io dimando al Lettore ; che legge attualmente il Parmenide di Platone, e lo confronta col mio comentario , fè altro faccio in effo , che ſviluppare il fenſo.ovvio det tefto : Abbia pur Pro clo , e gli altri Placonici , e Gentili , e Criſtiani confiderato queſto Dialogo , non come ontologico , ma come Teologico , io ril pettando , e la dottrina , e l'autorità loro', dirò che la mia Spiegazione ontologica non impediſce , che degli intelletti più fublimi del mio , teologicamente non l'inalzino a coſe maggio ri , come fece il Cardinal Befarione , applicando a queſto Dia logo la dotrrina del preceſo S. Dionigi Areopagita . Si può ri leggere avendo preſente tútra l'intiera ſeſſione , quanto ivi diſ fi appoggiandomi alla dottrina di S. Tommaſo : Dio'è un en te fingolariſfimo , e nell' applicarvi quel che conviene all' en te di ragione ; biſogna ftar attenti che non ſi confonda l' uno ton l'altro ; la merafíſica degli antichi è la ſteffa che la me tafifica dei moderni; mia nel riferir la prima ' alle coſe , queſte includevano Dio , che gli antichi non ſeparavano dalla mate ria , che per preciſionedi mente, là dove la ſeconda conſiderando fe coſe non ha a Dio , che un'analogia molco lontana, perchè fi diſtingue eſenzialmente , é realmente dalle ſteſſe . SEZIONE TERZA. Se l'uno è , quali coſe adivengono intorno ad eſſo . I. I. Nom On ſi ricerca ſe faecia meſtieri, che ſucceda- un cert' uno , ma ſe vi ſia l'uno ; o pure ſoſtituendo la nozione imma ginaria ſe l'uno partecipi l'eſfenza. Dall'ipoteſi così propoſta ne fiegue', che' l'uno non è la pro : pria 'eflenza , o che l' effenzà, e l' uno non ſono gli ſteſi con: cerci z chi dice elfenza , dice preciſamente la: non ripugnanza dei predicati, e chi dice uno , dice 'non molti . ; Nel cratcat queſta: ſuppoſizionë , Platone comincia a frami I 2 fchia ( 84 ) ſchiare all' aſtrazioni le nozioni immaginarie più che di ſopra Queſto fa ſovente l'oſcurità del teſto , perchè per intenderlo ci sforziamo toſto a concepire ciò , che non è che un' imaginazione ed imaginazione tallora falſa , da cui li deduce una contraddizio ne , nèſempre però vera , ma apparente , il che raddoppia l'ab baglio , ſe non vi s'attende; manifeſteranno gli eſempi ciò che io dico , in tanto mi ſia lecito di contraſegnare con due ſimboli diverſi , A , e B , i due concettidell'ente, e dell'uno . Nel farne il compleſſo A + B io rappreſento un tutto che ha due parti, che io tra loro ſeparo con la mente , per ragionarne più diſtintamente fi 2. Se l'uno è , ogni parte di queſto tutto ( uno è:) può dividerſi in infinite particelle . Si prenda la particella uno , e ſi concepiſca come ſeparata per un momento dall'altra particella ence , poichè per la fuppoſizio ne l'uno è , egli è manifeſto , che conſta di due particelle , uno ed ente . Di queſto nuovo compleffo ſi prenda la particella uno , e queſta per la ſteſſa ragione ſi dividerà in due altre , ente ed uno , e così all'infinito . Or ſi prenda l'altra particella ente, e poiché ogni ente è uno , ſi dividerà queſta particella in due altre, le quali di nuovo fi divideranno, e così all'infinito ; dunque ogni particel. la del cutto uno è , ovvero è l'uno , ſi divide in infinite particel le all' infinito . Così può ſenſibilmente rappreſentarſi . Ente uno А + B 1 Ente uno uno ente 2 a + 2b 2A + 2B ente uno uno | ente 3A ente , uno uno | ente 46 4A 4B 3. a 36 3B 1 uno , Come A + B rappreſenta il primo compleſſo immaginario della e dell'ente così 2a + 2b rappreſenta il ſecondo com pleſſo immaginario dell'uno , e dell'ence dedotto dall'ente , o da A , e parimenti 2A + 2B ſignifica il ſecondo compleſſo imma ginario dell'uno , e dell'ente dedotto da B. ANNOT. Qui Platone fuppone darli reciprocazione tra le due pror ( 85 ) propoſizioni l'uno è , è l'uno , nella prima delle quali l' uno è il loggetro , cliente è l'attributo , e nella ſeconda l'ente è il ſoggetto , e uno l'attributo. Perchè legitimamente ſia la reciprocazione del le propoſizioni, biſogna che il ſoggetto ſia tanto ampio , quanto l'attributo , onde può reciprocarſi la propoſizione . Il triangolo è una figura di tre lati; nell'altra ogni figura di tre lati è un trians golo , ma non già ſi reciproca la propoſizione, ogni ternario è nu. mero , perchè non ogni numero è ternario . Il non aver avvertita la legge della reciprocazione fece cader in molti parallogismi tallora i Geometri. Corol. Poichè ogni ente è uno , l'uno ſi moltiplicherà come l'ente , onde potrà dirſi, che l'uno è infinito, o che l'uno è mol ti . Queſta è la prima contraddizione di queſt' ipoteſi , ma è con traddizione immaginaria od apparente , perchè l'uno per sè non è molti , ma è molti per accidente , cioè perchè gli accade di mol tiplicarſi , ſecondo gli enti che lo partecipano , onde non predi candoſi dell'uno nel tempo ſteſſo , e ſecondo lo ſteſſo, gli oppoſti, non ha in sè vera contraddizione. g. 3 . Platone s'inoltra con le nozioni immaginarie . Conſiderando l? uno , in quanto partecipe di eſsenza , lo prende ſecondo ſe ſteſso con l'intelligenza , ſpartato da quello di cui diciamo che ſia par tecipe , cioè dell'eſsenza . Ciò vuol dire , che dell'ente , e dell'uno Platone fi fa quei due idoli caratterizzati per A , e per B. ANNOT. Nel dirli che li prende l'uno coll'intelligenza ſpar; tato dall'ente , s'allude manifeſtamente all'aſtrazioni della mente . $. 4. 1 L'eſsenza o l'ente , e l'uno ſono diverfi. Alcro è l'eſsenza , ed altro l'uno ( : 32. Sez. 2.) Dunque uno in quanto uno è dall'eſsenza diverſo , e l'eſsenza in quanto eſsenza è diverſa dall'ano ; dunque l'uno , e l'eſsenza ſono diverſi ; Co sì può illuſtrarſi tale ragionamento. L'ente o l'eſsenza in quanto eſsenza include la non ripugnan za dei predicati coſtitutivi ; l'uno in quanto uno include l'oppo Gizione ai molti , ma queſti due concetti tra loro non convengo no ; dunque ſono diverfi. 8. 5. ( 86 ) $ . s . L'eſsenza , l'uno , e il diverſo fanno tre concetti o tre coſe trx loro diverſe . S'è già dirnoftrato , che l'uno , el ente non termi nando lo ſteſso concetto ſono diverſi tra loro , ma il diverſo non includendo nel ſuo concetto , che la non convenienza , fa un concet to diverſo , ed in conſeguenza una coſa diverſa dall' altre due ; dunque l'eſsenza , l'uno , il diverſo fanno tre coſe diverſe. . 6 . Si rappreſenti l'uno per A , l'enre per B , e il diverſo per C ne riſultano quindi. Le combi- FA B7 In ogni combi-7 Tre poi eſsendo le combina nazioni di nazione vie zioni v'è ancora A , B ,CAC uno in due Erre volte uno? in ogni com uno in due tre volte due E binazione В С! uno in due tre volte tre Abbiamo dunque dedotto da A , B , C, o dall'ente , dall' uno e dal diverſo il 2.primo pari , il ' tre primo diſpari , dae volte 3 parimenti impari, 3 volce 3 imparimenti: impari. Sipuò an cora dedurre due volte due parimenti pari', e queſte ſono tutte le ſpecie dei numeri . Combinandoſi il 2 il 3 due volte, tre volte e fin quattro volte , ma non altre , ſi compongono tutti i numeri: fino al dieci . It 3* 2 + 2 = 4 2 + 3 2 + 6 = 3 ti 3 2 + 2 + 37 2 + 1 + 2 + 2 = 3 + 3 + 2 3 + 3 + = te : 2 + 2 + 2 +19 1 + 2 + 2 + + 3 = I + 2 + 3 + 4 = 10 II 10 è fatto dall'ı , e dal o , e ſignifica ', che il primo articolo dei numeri termina alla prima decina ; fe ſucceſſivamente alla de cina ſi aggiunge l'i , il 2 , il 3. ec. ſi arriva alla ſeconda decina , e collo ftelso metodo alla terza , alla quarta ec: fino al 100 , che è la decima decina da cui ſi va fino a 1000 , o 10 volte 1oo ec. I Pita ( 87 ) I Pittagorici chiamavanol yno il finito , come quello che li mitava l'infinito o l'indefinito ad una tal ſpecie o forma : dot trina , dice nel Eilebo Platone , la quale diſcende dagli Dei ; queſta è , the tutte le coſe tengono in loro fteſſe il termine, o l'infinito innato ; o piuctoſto l ' indefinito . Lo rappreſentavano nella materia i Pittagorici, e lo ſimboleggiavano nel 2 , o nel binario , poichè ogni coſa ſteſa è divit bile in due e ognuna delle parti in altre due , ; e così all'infinito . Quando a queſto infinito s'aggiungea luna , che vuol dir la forza o la forma ſe ne faceva il compoſto che era l'altro principio , di cui par la Platone; queſto compoſto dețerminato a una ſpecie dalla for ma componeva un tutto , in cui vera principio , mezzo , e fi në . Lo diffegnavano i Pictagorici per il 3 , e lo chiamavano numero perfecto , medio , e proporzione ; oſſervò S. Agoſtino che numerando fino al 3,, € rapportando prima il 2 all'1, ed indi al tre nel comporſi la proporzione continua , aritmetica fi forma per la replicazione del 2 il 4 , numero che immediata mente luccede al 3 , ciò che non ſi ha negli altri numeri, per chè cominciando la proporzione aritmetica dal.2 chi replica il 3 non fa il numero che immediatamente lo ſegue od il 5 ma il 6 ; nel continuare la proporzione con queſto metodo i numeri riſultanti ſempre più ſe n'allontanano . S. Agoſtino per ciò offerva co'.Pittagorici , che la perfezione dei numeri è ne quattro primi , in cui gli eftremi ſono intimamente uniti ai mezzi , e i mezzi agli eſtremi . Quindi le più perfecte conſo nanze muſicali, ſono fatte dei primi quattro numeri 2 3-4 , 1 ' 2'3 ? ſ. 7 . Se l'uno è , egli è ogni numero . Nella combinazione dell'uno , dell'ente , e del diverſo fi de ducono tutti i numeri ( 9. 6.), Dunque nell' uno , in quanto è , vi ſono tutti i numeri, ; Carol . Il numero eſſendo molti nell' uno , in quanto l'uno è . , egli contiene moltitudine, e perchè i numeri fono infiniti nell uno che è , vi farà una moltitudine infinita . COROL. 2. Il numero in moltitudine infinita , eſſendo inclu ſo nell'uno che è , farà egli partecipe d'eſſenza . Si prenda la ſerie naturale de numeri 1 , 2 , 3 , 4 , 5 , 6 , 7 ec. fino al oo unità eterogenea alla prima, e da cui fi comincia l'alcra ferie 200 , 30, 40 , fino 200 = 60 altra unità eterogenea , da cui comin ( 88 ) . cominciali, un' altra ſerie 2 co ' , 300'ec. ſino a o , e cosi all' infinito . Se di queſte tre ſerie ſe ne fa una ſola ſi ha 1.2.3.4.5 ec . co ' ... 00 ? ... oo ... , fino ad in cui ſi potrebbe cominciar di nuovo la numerazione . Cominciando da uno , li può con le frazioni continuar la ſe . rie decreſcente con lo ſteſſo ordine che l'altra , onde 1 I 1 ec . • • ec. fino 3 4 5 I 1 I I I wec . 4 Combinando la ſerie dei finiti intieri , rotti , e degli infiniti matematici , e immaginarj , fi ha tutta la ſerie . ec. 1.2.3.4 ec. co oo oo ' ec. 0° 5 4 3 2 In queſte eſpreſſioni non v'è errore , purchè non s' attenda , che alla proporzione delle quantità , nè ſi realizzino i ſimboli . Ma non biſogna credere , che la numerazione ſia terminata , po tendoſi concepire , e tra gli intieri, e tra rotti , e tra gli infi . niti dei mezzi proporzionali, i quali ſono , come ben prova il Ba rovio , veri numeri ( ſe ben noi non poſſiamo eſprimerli ) perchè ſimboli di vere quantità, come i numeri , ointieri, orotti , e gli infinitamente grandi, egli infinitamente piccioli. Platone , al dir d'Ariſtotele , poſe i due infiniti ( a ) magnum & parvum , e queſti, come ben ancora lo riconobbe il P. Grandi , ſono gli infinita mente grandi , e gli infinitamente piccioli dei moderni Geome tri ; infiniti replico immaginarj , de' quali con tanta chiarezza trattò il Wolfio nell'Ontologia , ſgombrando tutte le difficoltà' che v'oppoſero coloro, che non ben inteſero queſte due ſpecie d'infiniti Platonici , caratterizzati da profondi Geometri con tan to utile della Geomecria , della Mecanica , ed altre parti delle Matematiche . Queſti due infiniti di Platone non ſono diverſi dai grandiflimi, e menomiſlimi , di cui qui parla . 8. 8 . In quanti luoghi è l' ente , in tanti è l'uno . Se l' uno è egli accompagna ſempre l'ente , ma non v'è ente , che non ſia in qual che luogo ( 9.12. Sez, 2. ) Dunque in quanti luoghi è l'ente , in tanti è l'uno . a ) Plato vero duo infinita magnum & parvum . Arift. 3.Phiſ. c .4 . § . 9: ( 89 ) g. 9. Se l' uno è , non ſolo ' egli è l'uno , ma un certo uno. Ogni ente ſingolare partecipa dell'ente , dunque dell'uno ; dunque come ogni ente ſingolare è un certo ente , ogni ente ſingolare è un certo uno . ČOROL. Si compartiſce dunque l'uno , non ſolo con le coſe in genere , ma con le coſe ſingolari , onde v'è l'uno , e il tal uno, e a queſto compete , come all'altro , eſfer molti , perchè vi ſono molti enti ſingolari , e compete loro il luogo degli enti ſingolari. g. 10 . Se l'uno è , egli è un uno che è uno , e cert' uno , e mol ci , e parti, e finito , e in moltitudine infinito . Egli è uno , e cert'uno, ſe accompagnando gli enti è in ogni ente, ed in ogni cal ente ; egli è tutto ſe ogni ente , in quan to è , egli è un tutto ; egli è párte , ſe ogni parte dell'ente è jina ; egli è finito , ſe ogni tutto ha i ſuoi limiti, e infinito le contiene in sè tutti i numeri . Annot. Queſte contraddizioni non ſono che apparenti. D. II . Se l'uno è , egli ha principio , mezzo , e fine . L'uno è finito , e tutto, e parte ( S. 10. Sez. 3. ) Dunque ha in sè limiti , perchè ogni una di queſte coſe ne ha ; dunque ha principio , mezzo , e fine. Corol. Dunque l' uno è partecipe di figura retta o roton da , o d'amendue miſta . ANNOT. Come l'uno , di cui quì parla Parmenide , pud effer Dio , o qualche idea divina , fe egli è circonſcritto da tutti i luoghi degli enti, ſe s'individua cogli enti ſingolari, ſe è tutto , parte , finito , figurato ec . 5 Tom . II. m 6. 12 . ( 20 ) Do ? 127 ** Se. l'uno è , egli è in ſe ſtello , e iş altrui ., Ciò che è tutto , comprende tutte le ſue parti ; ma l'uno com prende tutte le ſue parti , dunque l' uno è un tutto ; ma il tutto contien ſe ſteſſo , è l' uno è un turco . Dunque l'uno contiene ſe fteffa . ANNOT. La propoſizione è identica , e vuol dire : un tutto è. un tutto ; o iltutto è nel tucta ; non ſi faccia più attenzione al tutto , mamaall all'uno , e li concluderà , che l'uno è nell'uno . Si com bini poi l'uno, e il cucco , e ſi concluderà, che come il cutto è in ſe ſtello , così l'uno è in fe fteflo . Quel che è in ſe ſteſſo , egli è in ogni ſua parte , ed in tutte le parti, ma il cutto non può eſſer in niuna parte, perchè il più au conterebbe pel manco , nè meno il tutto può eſſer in tutte le par ti , perchè ſe in cutie, farebbe ancora tutto in ciaſcuna, dunque il tutto non è in ſe ſteſſo , ma l'uno è il cutto ; dunque non è in fe fteflo . Ogni coſa è in qualche luogo, perchè ciò chenon è in qualche kuogo è nulla ( S.12. Sez.2.) e quel che è in qualche luogo è in fe felio , o in altrui, perché non li dà mezzo ; mas'è dimoſtrato che ſe è l'uno egli non è in ſe ſteſſo , dunque è in altrui ; ma di ſopra s'era pur dimoſtrato, che egli era in le ſtello ; dunque è in ſe ſteſſo , ed in alcrui . ANNOT. Non v'è quì che contraddizione apparente , perchè quando ſi dimoſtra, che l'uno è in ſe ſteſſo , ſi conlidera che l'uno è un tutto le cui parti fon tutte inſieme, quando all'incontro fi confidera , che l'uno è in altrui, non ſi concepiſce il tutto con le párti pret inleme, ma come quello che non è in niuna delle ſue parti . S. 13. Se P upo è , egli fta , e ſi muove . Quel che ſta è ſempre in ſe ſteſſo, perchè da lui non mai & di parte ; ' ma l'uno eſſendo nell' uno , non ſi diparte mai da fe ftef ſo ; dunque è ſempre nello ſteſſo ; dunque fta. Quel che è ſempre in altri non è mai nello ſteſſo , e non eſsendo nello ſteſso mai non fta , e non ſtando ſi move , ma l' uno non è in ſe ſteſso , ma ſempre in altrui ; dunque ſempre fi move . ANNOT. Non è pur queſta , che contraddizione apparente . . 14. ( 91 ) $. 14. 1 e il Una coſa comparata all'altra , o è la ſteſsa , o diverſa , o è par te di quella coſa conliderata come tutto , od è tutto , conſiderata 1a cofa come parte . Così dice Platone, e par conſiderar lo ſteſso , e il diverſo relativamente alle qualità ſolamente, e la parte , cutto relativamente alla quantità. Se dunque fi dimoſtraſse , che una coſa relativamente a un' altra non foſse, nè tutto , ne pare ce , nè la Ateſsa, ne ſeguirebbe per il metodo d' eſcluſione, che ella fofse diyerſa . g . 15. Se l'uno è , egli è a ſe ſteſso lo ſteſso , ed a ſe ſteſso diverſo . Se egli è in le ſteſso , e fta ſempre , egli è a ſe ſteſso lo ſteſso , ſe egli è in altrui, e ſempre lr move , è da ſe ſteſso diverſo . L'uno non è parte di ſe ſteſso , nè tutto rifpetto a ſe ſteſso , nè l'uno è diverſo dall'uno; or s'è luppoſto , che una coſa compara ta ad un'altra , fe d'eſsa non è tutto , nè parce , nè diverſa ſarà la ſteſsa ; dunque l'uno ſarà lo ſteſso con ſeco ; ma ſe l'uno è in al trui non è ſempre lo ſteſso a ſe ſteſso ; dunque per l' eſcluſione Platonica ſarà egli da ſe ſteſso diverſo'. §. 16 . ne Per eſpor: l'argomento ſeguente in tutta la ſua forza , convie. ne particamente illuftrare i principj da cui dipende . Si ſuppo 1. Che l' uno è da sè diverfo , come da ente nell'ipo teſi, che egli ſia. 2. Che il diverſo e lo ſteſſo , effendo contra rj , uno non può mai eſser dell' altro . Cost lo ſpiego · Molci enti potendo efiftere , od eſiſtendo nel tempo ſteſso , lo ſteſso farebbe nel diverſo , ciò che è impoſſibile , non potendo i con trarj , cioè A , e non A ſtar inleme . Ben ſi vede che qui parla Platone del diverſo , e dello ſteſso aſsoluto , e non relati. vo , quale abbiamo fpiegato nel G. 17. Sez. 2. perchè nulla vie ta , che due coſe non poffino eſser diverſe' nell'eſsenza , nelle quantità , nelle azioni ec. ed intanto eſiſtere nel tempo ſteſso mi Iura eſtrinfeca delle coſe . Non è cosi conſiderando il diverſo aſsoluto , o l'idea del diverſo , e conſiderando lo ſteſso aſſoluto o l'idea dello ſteſso . ; l'uno non può mai ſtar nell'altro , e in conſeguenza la ſteſsa coſa non può mai partecipare nello ſteſso tempo di queſte due idee contrarie . Allude qui tacitamente Par m 2 meni ( 92 ) menide a ciò che ha già dimoſtrato , parlando della participazio ne dell'idee. L'argomento ha tanto maggior forza , quando fi conſiderano gli enti ſeparati dall' uno , poichè ſe foſsero diverfi , per ragion del diverſo participerebbono dell' idea del diverſo che è Tempre una , dal che deduce Parmenide , che non poten do eſser diverſi per la participazione dell'uno nell'ipoteſi di Socrate , non ſono diverſi tra loro . 3. Suppone che le coſe che non ſon uno , non fieno partecipi dell'uno , perchè non ſarebbono uno , ma uno in certo modo. Quì pur Parmenide parla dell'idea dell' uno , che participandofi dalle coſe non è più uno , ma uno con certe circoſtanze, od in certo modo, ma ſe non ſon uno nor faranno eziandio numero , perchè ogni numero è uno . 4. Le coſe che uno non ſono , nè aſsolutamente uno , non poſsono eſser parti dell'uno , poichè l' uno non può eſser parte delle co ſe che non fon uno , nè può eſser tutto , quafi comparato a par ricella. Parmenide alludetacitamente a ciò che diſse di ſopra, che idea non pud eſser participata , nè ſecondo la parte , nè ſecon do il tutto , dal che deduce , che le coſe che non ſon uno ne fono particelle dell' uno , nè ſono all' uno quaſi a particella . Ciò ſuppoſto così argomenta Parmenide col metodo d' eſcluſione . g. 17 . Se l'uno è , egli è diverſo , e lo ſteſso con altre cofe ; all'uno convien il diverſo , aſsolutamente in quanto diverſo , e non all” altre coſe, cui non conviene , che relativamente ( §. 18. ) Dun que l'uno è diverſo dall'altre coſe .; le altre coſe non ſono diper fe dall'uno , nè ſono parci , nè tutto riſpetto all' uno ; dunque fono le Aeſse con l'uno . F. 18. Chi proferiſce lo ſteſso pome una , e più volte ſenza riferirlo a più coſe, come ſi riferiſce nei nomi equivoci, ed analoghi, eſprime fempre lo ſteſso concetto ; dunque nel proferire la voce, diverſo ; applicandola all'uno , confiderato relativamente agli altri , e un' altra volta agli altri conſiderati relativamente all'uno , nell'ado prar lo ſteſso nome s'eſprime lo ſteſso concetto . Quindi dice Par: menide : quando diciamo eſſer gli altri diverſi dall' uno , e l'uno ef ſer dagli altri diverſo , non mai introduciamo il diverſo a figuificar altra coſa , che la natura di cui è proprio nome . $ . 19. ( 93 ) S. 19. s'è gia oſſervato , che fimile è quel che patiſce lo ſteffo ; difts mile quel che patiſce il diverſo ( 9. 20.Sez. 2.) Se l'uno è , egli è ſimile, e diſſimile a ſe ſteſſo , ed agli al tri . L'uno è diverſo dagli altri ( 9. 17. Sez. 3. ) Dunque l'altre coſe ſono diverfe dall' uno , ma non fono diverſe nè più né meno dall'uno , che l'uno dall' altre coſe ( S. 18. Sez. 3. ) e ſe nè più , nè meno, rimane che egualmente fia uno . In quanto adiviene alle uno l'effer diverſo daglialtri, e gli altri dall'uno, egli patiſce la ſteſſo per rapporto agli altri, e gli altri per rapporto a lui; ma ciò che patiſce lo ſteſſo è fimile , dunque l'uno e limile agli altri , e gli altri per la ſteſſa ragione fon fimili a lui . Il diverſo è contrario allo ſteſſo ; ma fi dimoſtro , che l'uno agli altri è lo ſteſſo , e diverſo , ( S. 17. Sez. 3. ) ed è contraria paffione effer lo ſteſſo agli altri, ed effer diverſo dagli altri ma in quanto diverſo parve fimigliante ; dunque in quanto lo Steffo fia diflimigliante , ſecondo la paſſione contraria . ANNOT. E' da notarſi, che l'uno è ſimile agli altri, in quan to diverſo , e diſſimile in quanto lo ſteſſo . S. 20 . Due coſe che ſi toccano ſono preſenti l'una all ' altra , nè tra effe vi ſi frammette un terzo , perchè in queſto caſo non più toccherebbono ſe ſteſſe , ma il terzo frappoſto . Ove due coſe fi toccano , due ſono le coſe , ed uno il contatto , ove tre li toc chino , tre ſono le coſe , e due i contatti ; in ſomma creſcen do i termini creſcono a proporzione i contatti , ſecondo il nu mero dei termini meno uno . Si tocchino tra loro due punti matematici, ' poichè nulla fra loro s'interpone, un punto per ragion del contatto coinciderà con l'altro ; fi facciano toccare da un terzo punto , queſto pu . re coinciderà , e quindi infiniti punti matematici non fanno che un punto , onde de liegue , che la linea non è compoſta di punti , o che i punti ſovrapofti gli uni agli altri non fanno grandezze. Ciò naſce , perchè tutti i punti ſono omogenei ſen za parti , ma ſe vi foſféro degli enti tra loro eterogenei, ben chè non eſteſi, o ſenza parti , nulladimeno poſti gli uni appreſ so gli altri , benchè non componeſſero grandezza , tuttavia fa rebbono più , come ben offervò Ariſtotele . Ciò diede occaſio ne al Leibnizio di compor l'eſtenſione di enti ſemplici , ma ete ( 94 ) eterogenei , o diverſi di ſpecie, che eſiſtendo ſcambievolmente gli uni fuori degli altri coeſiſtano in uno ; quindi per la no zione dell' eſtenſione , convien conſiderare , e più enti che eſi Atano fuori di sè , e che tra loro s'unifcano , e formino uno . Non fanno però un eſteſo ;, perchè fe ben inſieme eſiſtano, non ſono tuttavia tra loro uniti , come allora che liquefatti più me talli ſi confondono in una maſſa . Le partipoi indeterminate dell'eſteſo , conſiderate in aftratto , cioè ſenza far attenzione alla loro fpecie , non diferiſcono tra lo ro , che nel numero . Non ſarà inutile quefta offervazione nel progreſſo. Intanto ſi oſfervi, che l'uno eſcludendo nel ſuo con cetto i più , oi molti, per quanto l'uno ſi moltiplichi per ſe ſteſ fo è ſempre uno , onde egliè il ſuo quadrato , il fuo cubo , ed ogni altra potenza, foſſe anche ella di dimenſioni infinite , e non folo avete un eſponente, ma molti , come le quantità che ſi dicono eſponenziali. $. 21 . Se l'uno è , egli tocca ſe ſteſſo , e l'altre coſe . L'uno è in fe fteſſo , ed in altrui ( 5. 12. Sez. 3. ) In quanto è in fe fteſſo vien impedito di toccar l'altre coſe , dunque tocca fe Hello ; in quanto è in altrui , è nell'altre coſe ; dunque le coccherà . I N A L TRO MODO Una coſa nel coccar l'altra giace appreffo quella che tocca , ed occupa la ſede vicina ; ma ſe l'uno tocca ſe ſteſſo , giace appreſſo ſe steſſo , ed è quindi due coſe , il che non potendo effere, mani feſto è che non pud toccarſi. Le coſe diverſe dall'uno , non potendo effer numero , perchè .non partecipano l'uno, non pociamo mai con l'uno far due , ma nel contatto v'è ſempre almeno due ( 9. 19. Sez.-3 .) Dunque l'uno non toccherà l'altre coſe . : ANNOT. La contraddizione pur è qut apparente, e ſi fa l'ano corporeo nel fupporre , che ei tocchi . Nozione immaginaria . 22. Parmenide ragionando ad hominem con Socrate fuppone la par ticipazione dell'idee, combattuta nella prima parte ; conſidera quindi la grandezza , e la piccolezza, come due ſpecie ſeparate , tra ( 95 ) tra loro contrarie ; ben a cid s'avverta , perchè in queſto conſiſte la deſtrezza del Filoſofo , e la forza del ſuo ragionamento , S. 23 2 os' Se l'uno e , egli non è ně eguale , nè maggiore , në mi nore degli altri enti . Sia l'ente minore degli altri enti , egli dunque participerà dell ' idea della piccolezza , la qual è contraria alla ſpecie della gran dezza . Si concepiſca, che la piccolezza ſia nell' uno , o farà in tutto l'uno , o in alcuna parte di eſso ; fe in tutto l' uno , eftenderà per l'intiero uno tutto al di dentro , che vuol dire lo compenetrerà con la ſua ſoſtanza , o l'abbraccierà con eſtremi li. miti al di fuori, che vuol dire lo comprenderà ; ma ſe la picco lezza s'eſtende al di dentro di tutto l' uno gli è eguale " , e fe lo comprende gli è maggiore , onde la piccolezza ſarebbe nello ſteſ ſo tempo grande, ed eguale contro l'idea di lei . Se la piccolezza è una parte dell'uno , ne ſeguirà , che ella lia di nuovo in tutta la parte , o al di fuori , o ál di dentro quindi che ella fia eguale , o maggiore per le coſe dimoſtrare ; dunque non potendo eſser la piccolezza , nè in tutto l' uno , nè in parte dell'uno , non ſarà nell'uno , onde l'uno non farà pic colo, o minore degli altri enti . Corol. In alcuno degli enti per la ſteſsa ragione non po irà ritrovarſi la piccolezza, onde in queſta ipoteſi non v'è al tra cofa piccola , che la piccolezza ftetsa , ma dove non v'è il piccolo , non v'è neppur il grande, perchè l' uno non è che per riſpetto all'altro ; dunque non vi faranno coſe grandi , trartone la grandezza , e quindi I uno , e altre coſe ſaranno prive di grandezza , e di piccolezza. e S. 24. Se l'uno è , le altre coſe non ſono di eſso nè maggiori, nè minori, nè eguali . Le altre coſe aſsolutamente parlando ſono prive di grandezza, e di piccolezza , dunque, rifpetto alla uno , non fono nè piccole, ne grandi , e per la ſteſsa ragione , l'uno non è nè maggiore , nè minore dell'altre coſe , eſsendo privo di grandezza , e dipiccolezza . 5.125 . ( 26 ) S. 25. Se è l'uno egli farà eguale a ſe ſteſſo , ed all'altre coſe . Non è maggiore , nè minore dell'altre coſe , ma ſe l'uno non è , nè maggiore , nè minore dell' altre coſe , egli per la forza dell'eſcluſione ſarà eguale . §. 26. Se l'uno è , egli è eguale a ſe ſteſſo , ed all'altre coſe. Non avendo in sè, nè grandezza , nè piccolezza , nè eccede rà ſe ſteſſo , nè da ſe ſteſo farà ecceduto , dunque farà eguale a ſe ſteſſo . S. 27 . L'uno è maggiore , e minore di fe ſteſſo . Egli è in ſeſteſſo , dunque li comprende ; dunque èmag giore di ſe ſtello ; eſſendo in ſe ſteſſo, egli è da ſe ſteſſo com preſo , dunque è minore ; dunque è maggiore, e minore di ſe ſteffo . S. 28, Se l'uno è , le altre coſe ſono maggiori , minori ed eguali all' uno . Null'altro v'è , che l'uno , e l'altre coſe , non dandoſi mez zo , ( $ . 12. Sez. 2. ) Quel che è in una coſa è minore di eſſa ( S. 10. Sezione 2. ) e ciò che la contiene è maggiore ; dun que , poi che ogni coſa è in un luogo , ( . 12. Sezione 2. ) e che altro non v'è che l' uno , è l' altre coſe neceſſariamente ſono nell' uno , o l' uno nell'altre coſe ; ma ſe l' uno è nell' altre coſe , queſte ſono maggiori dell' uno , perchè lo conten gono ; l'uno è minore, perchè è contenuto ; dunque l'altre co le ſono maggiori , e - minori dell’uno : ma s'è dimoſtrato , che l' uno non eſſendo nè maggiore , nè minore dell' altre coſe, all' al tre coſe farà eguale ( §. 24. Sez. 3.) Dunque egli è eguale , mag giore , minore dell'altre coſe. Corol. Egli dunque può eſſere di miſure eguali , maggiori, e minori , riſpetto a sè, ed all' altre coſe. Quindi Ha 1 1 ! ( 97 ) Ha più miſure riſpetto alle coſe delle quali è maggiore , me no miſure riſpetto a quelle delle quali è minore , e pari miſu re riſpetto a quelle delle quali egli è eguale . 6. 29. 9 Paſſa a dimoſtrare Parmenide , che ſe l'uno è , egli è parce cipe del tempo , ed è , e ſi fa più giovane , e più vecchio di ſe fteſto , e degli altri , ed in contrario , e che non è , nè ſi fa nè più giovane, nè più vecchio di ſe ſtello , e degli altri par cicipanti il tempo . Per intendere adequatamente queſte propoſizioni, in cui s'af follano varj principi i biſogna prima ripaffare ciò che fi diſle nel ſ . 3. Sez. 3. 9. 27. Sez. 2. ove fi dimoſtrò . 1. Che chi partecipa dell' eſſenza , partecipa delle differenze del tempo . 2. Che cið che ſi fa più vecchio di ſe ſteſſo , e dell'altre coſe, nel farſi più vecchio , li fa più giovane, e cið per eguali parti di tempo, ag giunte agli ineguali, il che abbiamo dimoſtrato coll' eſempio delle ragioni di e diſucceſſivamente accreſciute di 1. comparando percið le ragioni di į , e di abbiam veduto , che i loro va Iori i ti, eit ! + divengono ſempre minori . Altreſuppoſizioniegli fa ne' ſeguenti argomenti. 1. Il tempo è un fluſſo , da cui ſi fa progreſſo dal pallaco al preſente, e dal pre Tente al futuro , e dall'era all'è , è dall' è al ſarà . 2. Che una coſa che'ſi fa paſſa dal preſente ove è , nel futuro ove ſarà , e perciò nel farli è di mezzo cra l'uno , e l'altro , onde propria mente ciò che è nell' inftante , non ſi fa , ma è quello che è , o , come l'eſprime Platone , una coſa che ha fatto acquiſto del preſente cella di farſi , od è ciò che allora convien che fi faccia . 3. Il preſente è ſempre unito all'uno , perchè è ſempre unito all' ente, dal qual l'uno è inſeparabile . 4. Il diverſo , o l'idea del diverſo è la ſtella coſa ſecondo i principi di Socra te , e percid è ſempre uno, onde quello che non è uno , non può eſer il diverſo , o l'idea del diverſo, onde le coſe diverſe dall' uno , o che partecipano il diverſo, ſono più che l'uno , o hanno in sè moltitudine , e in conſeguenza numero o più . 5. Delle più ſono prima le poche , che le molte , e delle poche prima il pochiſſimo. 6. La coſa che prima li fa è la prima , e le dipoi ſono più giovani delle già fatte innanzi . 7. E' impof fibile', che una coſa ſi faccia oltre la natura , onde in una co ſa che ha principio , mezzo , e fine , prima li fa il principio , indi il mezzo, e poi il fine , che vuol dire , il fine ti fa i'ulti mo. 8. Quel che ſi fa ultimo è più giovane di quel che fi fa Tomo II. il a e ce I 21 S: i n ( 98 ) il primo . 9. Chi ſi fa con tutte le parti infieme d'un tutto ,, fi fa nello ſteſſo tempo inſieme col cutto .. 1 1 ſ. 30. Se l'uno è , egli è , e ſi fa , e non è , nè ſi fa più vecchio , e più giovane di ſe ſteſſo . Se l' uno è participando l'eſſenza , participa del tempo ( $. 3. Sez. 3. ) ma quel che è in tempo , è in un fluſſo continuo o pal ſa dal paſſato al preſente, o dal preſente al futuro ( S. 28. Sez: 3.) Dunque l'uno e continuamente in queſto paſſaggio . In quanto paſſadall'era all' è fi fa più vecchio di sè ;ma nel farſi più vec chio , ſi fa più giovane ( S. 26. Sez. 2. ) Dunque ſi fa più vec chio , e più giovane di ſe ſteſſo . Chi non oltrepaſſa il preſente , nel far progreſſo dal paſſato , nell'avvenire non ſi fa , ma è ciò che è ( $.22. Sez . 4. ) Dunque quando l ' uno tocca primieramente il preſente , non ſi fa allo ra vecchio , ma è vecchio oggimai, Nel toccar il preſente , co me ha prima di lui fatto acquiſto , cefla di farli , od è ancora ciò che avvien che ſi faccia i $. 28.Sez. 3.) Dunque l'uno , quan do fatto vecchio conſeguiſce il preſence , cella di farſi , od è allora più vecchio di ſe ſteſſo , di ciò che era toccando il pal fato ; ma l'uno è di quello più vecchio , onde fi faceva vec chio ; e facevali di ſe ſteſſo , ed il più vecchio è più vecchio del giovane ; dunque allora l' uno è più giovane di ſe ſteſſo quando fatto vecchio conſeguiſce il preſente , ma il preſente è fempre unito all'uno ; dunque l'uno, ed è ſempre, e li fa più vecchio , e più giovane di ſe ſteſſo ; ma facendoſi tale , od ef ſendo in tempo pari ritiene la ſteſſa età , e chi ritiene la ftel fa età , non è più vecchio , nè più giovane ; dunque l'uno eſ ſendo , e facendoli in tempo , non è più vecchio , nè più gio vane di ſe ſteſſo . g . 31 . Se l'uno è , egli è più vecchio dell'altre coſe , o l'altre coſe più giovani di lui . Nelle coſe diverſe , che hanno in sè moltitudine o numero , altre ſon fatte prima , altre dappoi ; ma il primo che ſi fa è pochifiimo, ( 9. 26. Sez. 3. ) e nei numeri l'uno è pochiſſimo , dunque l'uno è facco inanzi alle coſe che hanno numero , o che fono . 1 ( 99 ) fono diverſe dall'uno , o ſono gli altri ; ma il primo che ſi fa è più vecchio , le coſe che dipoi ſi fanno , ſono più giovani ; dunque l'uno è più vecchio dell'alcre coſe , e l'altre coſe più giovani. g . 32. Se l'uno è , egli è più giovane dell' altre coſe , e le altre coſe più vecchie dell' uno . L'uno non può farſi oltre la natura fua ( .9 .,26. Sez: 3. ) Dun que avendo parti, o principio , o mezzo, o fine, ſi fa ſecondo la natura del principio , del mezzo , e del fine , ma il princi pio fi fa il primo , è il fine ſi fa l'ultimo , ma l' ultimo fatto e più giovane dell' altre coſe , e l' altre coſe più vecchie dell' uno ( $. 26. Sez. 3. ) ; dunque l'uno è più giovane degli altri , e gli altri dell'uno . $. 33. Se l'uno è , egli non è più vecchio , nè più giovane dell' altre coſe.. Ogni parte dell' uno è una ; ogni parte del mezzo è una , ed uno è parimente il fine, od il tutto , onde fi farà l'uno , é colla prima coſa che fi fa , ed infieme colla ſeconda, colla ter za ec. onde percorrendo ſin all'eſtremo fi farà un tutto , o 1 uno non eſcluſo nella generazione dal mezzo , non dall' eftre mo , non dal primo, non da altro ; ma ſe l'uno ſi fa inſieme con tutte le parti d' un tutto ha la ſteſfa età con tutti gli al tri ; dunque ſe non è nato oltre la propria natura , non è fac to prima nè dopo l'altre coſe , ma inſieme e fecondo queſta ragione non è più vecchio , o più giovane degli altri , nè gli altri dell' uno . ſ. 34. Se l' uno è , egli ſi fa più giovane, più vecchio di ſe ſteſſo . Se alcuna coſa foſſe più vecchia d' altra , li farebbe ancora più vecchia di ſe ſteffa : A ſia più vecchio di B , nel creſcerfi gli anni ad A , egli & fa più vecchio di fe fteffo , e di B ; dun n 2 que ( 100 ) | 1 que l'uno nel farſi più vecchio dell' altre coſe ſi fa ancora più vecchio di sè ; manel farſi più vecchio , ſi fa ancora più gio vane per la ſteſſa ragione , che creſcendo tempi eguali, la ra gione decreſce ( 5.27. Sez. 2. ) Dunque l'uno li fa più giovane di ſe ſteſſo , ma s'era dimoſtrato , che ſi faceva più vecchio ( S. 30. Sezione 3. ) Dunque ſi fa più giovane , e più vecchio di ſe Iteffo . 1 f. 35 . Se l'uno è , egli non può farſi , nè più vecchio, nè più giovane dell'alere coſe . Ciò che fi fa più vecchio d'un altro , o più giovane, ſi fa più vecchio , e più giovane ancora riguardo a sè ( 1.37. Sez. 3.) ma l' uno non ſi fa , ma è , e più giovane , e più vecchio ri guardo a sè ; dunque non ſi fa , nè più giovane , nè più vec chio riguardo agli altri. Se l'uno è più vecchio , che le altre coſe , ha più lungo tem po dell'altre coſe, ma creſcendoſi il tempo, egli ſempre eccede meno, onde ſi fa più giovane riſpetto alle coſe, delle quali era innanzi più vecchio ; ma ſe egli ſi fa più giovane , quell' altre coſe ſi faranno più vecchie ; dunque le coſe che erano innanzi , e più giovani dell'uno , ſi fanno dell' uno più vecchie , cinè fi fanno più vecchie , riſpetto a quello che era più vecchio ; ma le coſe più vecchie non ſono , ma fi fanno ſempre , perchè la fanno più vecchie , mentre l'uno ſi fa più giovane ; dunque le coſe ſi fanno ſempre più vecchie dell'uno . Le coſe poi più vec chie , parimente ſi fanno più giovani dell' uno più giovane perchè l'uno , e l'altre coſe movendoli in contrario G fanno vi cendevolmente contrarie , cioè le coſe più giovani dell'uno , ſi fanno più vecchie dell'uno che è vecchio , ed all'incontro l'una più vecchio , li fa più giovane delle coſe più giovani ;, ma non, è poffibile che l' uno , e l' altre coſe fieno fatte nè più giova ni , nè più vecchie, perchè le cali foſſero , non più li farebbo no ; dunque le coſe , e l'uno tra loro ſi fanno più vecchie , e più giovani: l'uno li fa più giovane delle cofe , per quello che parve eſſer più vecchio , e prima fatto , l'altre coſe poi fi fanno più vecchie , per quello che ſono ſtate fatte dopo , e ſecondo la ſella ragione : l'altre coſe ancora ſe ne ſtanno riſpettivamente alla uno , come quelle che ſono ſtate più vecchie , e prima dell'uno . Dunque inquanto che nè l' uno , nè gli altri fi fanno , diſtan do 1 ( 101 ) $ do ſempre tra loro di un numero pari, non ſi farà nè l'uno più vecchio degli altri , nè gli altri dell' uno . Ma come decreſce ſempre la ragione dei tempi , o con minor particella ſempre tra loro differiſcono le coſe prime dall' ultime , e l'ultime dalle prime , così è neceſſario che l' altre coſe ſi facciano , e più vecchie più giovani dell'uno , e l'uno dell'altre coſe . Quinci aggruppando in uno tutte le propoſizioni, abbiamo di. moſtrato , che l'uno è , e li fa più vecchio , e più giovane degli altri, e di nuovo non è più vecchio , nè più giovane di ſe ſteſſo e degli altri . Corol. Perchè l' uno è partecipe del tempo , o ſi fa più vec chio , e più giovane , egli è partecipe del quando, del futuro , e del preſente . Dunque era l'uno, ed è , e ſarà , e ſi faceva , e fi fa , e li farà , e ſarà ancora alcuna coſa in lui , e di lui , ed è , ed era , e farà . COROL. 2. Perchè la ſcienza , l'opinione , il ſenſo , la defini zione , il nome , riguardando le coſe che ſono nelle differenze dei tempi , in quanto l'uno è capace di queſte differenze , è ancora fog getto di ſcienza , d'opinione , di fenſo , può definirli, e può no. minarſi . Annot. Qui Parmenide non dà ſcienza, e definizione, ſe non delle coſe ſoggette al tempo , il che biſogna accordare con ciò che diſke ( 9.16. Sez. 1. ) La ſcienza che appreſſo noi è ſcienza del le verità , che ſono a noi dintorno . 9. 36. Riſtringiamo adeſſo in poco , quanto Platone ha propoſto nella propoſizione condizionale, o ſia nell'ipoteſi ſe l'uno è . 1. Diftin le colla mente i due concetti dell'uno , e dell'ence ., 2. Ne com poſe un tutto intellectuale di due parti, o dei due concetçi dell' uno , e dell'ente. 3. Tra loro paragonandoli ne deduſſe il terzo concetto del diverlo . 4. Conclure che nell' uno o è una moltitu dine infinita di numeri , che dividono l' uno a proporzione dell' ente. 5. Che l'uno è tutto , e parte, e finiso , e infinito . 6. Da ciò che è un tutto finito , conſiderò in effo il principio , il mez-, 2o , il fine , e quindi la figura . 7. Da ciò che è un turto , e che il tutto è nel tutto , conclure che l'uno è nell' uno , ed in fe ftel 1o . 8. Da ciò che l'uno è comeparte nel tutto , conclure che è in altrui . 9. Che ſta , e ripoſa , ſe egli è in ſe ſteſſo . 10. Che ſi mo ve , le è in altrui . 11. Che è ſimile a sè in quanto l'uno , è lo ſteſſo che l'uno . 12. Simile agli altri , perchè paciſce d' eſſere co me gli altri . 13. Che è diffimile in quanto cert'uno , e certo ente . 14. ( 102 ) 14. Che è lo ſteſſo , poichè ekſte, ed eſiſtono glialtrienti nello ſteſſo tempo . 15. Che è diverſo , in quanto non ha in sè ciò che hanno gli altri enti. 16. Quindi fimile , e diffimile , perchè patiſce le ſteſſe cofe . 17. Che è maggiore , minore, ed ineguale , e non maggio re , minore, nè eguale dell'altre coſe . 18. Che è , e ſi fa più gio vane, e più vecchio di ſe ſteſſo , e dell'altre coſe , e non è , e non fi fa , nè più vecchio , nè più giovane dell'altre coſe , e l'altre co fe di lui . 19. Finalmente, che dell'uno in quanto è li ha ſcienza ,, ſenſo , opinione , e può denominarſi , e definirſi. Si potrebbe più compendioſamente ridur in poco l'argomento di Parmenide, conſiderando che reciproche ſono queſte due pro polizioni : l'unoid , è l ' uno , per il che ſi può predicar dell'ente ciò che ſi predica dell' uno, e dell' uno ciò che ſi predica dell' en per ragione dei diverſi concetti formali, predicandoſi dell' ente , la parte , il finito , l'infinito , il principio , il mezzo , il fine , la figura , lo ſteſſo , il diverſo , la quiete , il mo to , il limile , il diſſimile , e il maggiore , l'eguale , il minore, it giovane , il vecchio ec. cutti queſti predicaricompereranno pari mente all'uno . Ben ſi vede , che qui non ſi parla che dell' en te corporeo , e degli enti particolari , a cui or compete una co fa , ed or un'altra. il tutto , S. 37: Ma perchè i predicati oppoſti, come il fimile , il diffimile, it maggiore , e il minore non poſſono competere nel tempo ſteſſo all' uno , ed all'ente ſenza contraddizione , Parmenide moſtra che queſti attributi contrari non gli competono nello ſteſſo tem po , ma in diverſi tempi ; tal è la natura di ogni ente finito : gli attributi, imodi, le relazioni, delle quali è capace, non hanno luo go in lui, che ſucceſſivamente a differenza dell'ente infinito , in cui tutte le perfezioni poſſibili , che attribuir gli ſi poſſono , .ftan no in lui tutte inſieme , onde non male con due parole molto energiche , ſebben barbare , ſi chiamò Dio dal Bulfingero , omni tudo compoſibilitatis . Gli Scolaſtici lo chiamarono atto puro , cioè atto ſenza alcuna miſtura di potenza , e quindi diametralmen te oppoſto alla materia che è pura potenza , e talmente pura, che al cuni degli ſcolaſtici la ſpogliano dell'atto entitativo , edell'eſiſtenza . $. 38 ( 103 ) go 38. Se l'uno è ; egli prende diverfi ſtati ſecondo le :: differenza dei tempi . Nel tempo ſteſſo non ſi può participare , e non participare dell'eſſenza , e delle coſe che conſeguono al non participarla , ed al participarla ; or il farli è renderſi partecipe dell' ellenza ; il rovinarli e privarſi dell' effenza ; dunque l'uno non può ne! tempo ſteſſo , e prender , c laſciar l'eſſenza . Dunque la pren de , e la laſcia in diverſi tempi , Quando ſi fa uno , egli perde l' eſfer molte coſe ; quando ſi fa molte coſe ceffa d'effer uno; nel farfi uno , e molte , li fepara , e fi congiunge , qualora ſi fa ſimile , e diffimile , ſi affimiglia , e diffimiglia ; quando ſi fa maggiore, minore , ed eguale , creſce , decreſce, e li pareggia ; quallora movendoſi fi ferma, e quallo ra fermandoſi li move . Or tutte queſte coſe , eſſendo tra loro contrarie , l ' uno non può averle nel tempo ſteſſo , dunque l'ha in tempi diverfi . 9 . 39 Non fi pud paſſar dalla quiete al moto , e dal møto alla quie te , ſenza cangiamento di itato . Un corpo che cangia fuccelli vamente la relazione di diſtanza , che egli ha ad altri corpi vi cini , ha uno ſtato diverſo da quello d'un corpo , che conſerya ſempre a ' corpi vicini la ſteſſa diſtanza. Queſto cangiamento di uno ſtato all' altro ſi fa in tempo ; ma conſidera Platone, che nel paſſaggio dal moto alla quiete, e dalla quiere al moro, v'è un non so che d'improvviſo , e di momentaneo , che ſi conce piſce nell'iſtante del paſſaggio , e non più appartiene al moto , che alla quiete ; non al moto , perchè la coſa ſi concepirebbe ancora in ripoſo ; non al ripoſo , perchè la coſa fi concepiſce ancora in moto , Conclude dunque Placone , che queſta natu ra improvviſa è quaſi ſconvenevole tra il moto , e la quiete ; che ella non è in verun tempo , e a queſta da queſta paſſan do fi muta nello ftato ciò che li move, e nel moto ciò che ſi ri pola . 8. 40. ( 104 ) .. § . 40. Se l'uno è , nell'atto che cangia ſtato , non gli competono più i predicati dell'ente . Nel paſsar l'uno dal moto alla quiete fi muta momentaneamen te , e all'improvviſo , o mutandoli egli non è in alcun tempo ; dunque non ſta nè fi move . Così quando paſsa dall'eſsere alla ro vina, o dal non eſsere al farſi , non è , nè ſi fa , nè fi diſtrugge . Parimente quando paſsa dall' uno in molti , e da molti in uno, non è , nè uno, nè molti , nè ſi congiunge , nè fi ſcongiunge , e paf fando dal ſimile al diſſimile , od al contrario , non è , nè affimi gliato , nè diſlimigliato , e paſsando dal piccolo al grande , ed all' eguale non creſce , nè decreſce , nè ſi pareggia. Annot. Da queſta dottrina ſebben metaforicamente da ' Plato ne eſpreſsa , imparò Ariſtotele ad introdurre tra i principj delle generazioni, la privazione mal a propoſito ſchernità da coloro , che non ne inteſero nè la forza , nè l'uſo . Quando una coſa ha perdute tutte le diſpoſizioni o determinazioni, che la rendevano tale , ella ceſsa d' eſsere la tal coſa , cioè reſta priva di tutto ciò che la coſtituiva , e diſtingueva dall'altre coſe , ma nell'atto ſteſ fo , in cui ceſsa d'eſsere quel che era , comincia ad eſsere ciò che non era , o paſsa dalla privazione alla forma contraria ; queſto ſtato di mezzo che è tra la forma , e la non forma, Platone chia ma natura mirabile , e momentanea , ed è certo , che ella nel fifa far i gradi della noſtra cognizione ci moſtra quelli della natura che non opera mai per falti. Nel Timeo dice : Dovendo eſer l'ef figie delle coſe diſtinta da ogni verità di forma , non fia mai prepa rato quel medeſimo grembo di tal formazione, ſe egli non farà informe di tutte quelle ſpecie , le quali è per ricever da qualche parte , percid che ſe egli faravvi alcuna di quelle coſe che in sé riceve fimiglianza , quando riceverà una natura contraria di quella di cui è ſimile , ovve ro un' altra , affatto malagevolmente la ſimiglianza , e l'effigie di quel la eſprimerà quando moſtrerà la ſua, però egli è convenevole , che di tutte le ſpecie ſia privo quello che ha in sè da ricevere tutti i generi . Siccomequelli che hanno da fare unguenti odoriferi, l'umida materia , la quale vogliono di certo odore condire , di tal guiſa preparano , che * ella non abbia alcun proprio odore . E coloro che vogliono in materie molli imprimerealcune figure, niuna figura affatto laſciano primiera mente apparire in quella , ma quelle cercano in prima di render qan to poſibil fia polite . Ciò ſi rende ſenſibile nelle quantità algebraiche poſitive , e ne gative , nelle quali non ſi paſsa dall'une all'altre ſenza paſsar per 1 1 1 il ( 105. ) o il zero , che non è nè negativo , ne poſitivo , ed è il vero fim bolo della privazione. Nella Geometria il punto matematico equi vale al zero , che è il principio negativo dell'eſtenſione , e dal quale fi comincia la miſura , come l'unità è il principio poſitivo , per cui fi comincia la ſteſſa miſura . Il punto è comune alla linea , che ceſsa per eſempio di eſsere alla ſiniſtra , e comincia ad eſsere alla deſtra , o che termina d' eſser in alto , e comincia ad eſser a baſso ; così egli non è deſtro , nè finiſtro , nè alto , nè baſso . Tut te queſte ſono eſpreſſioni utiliNime, e ſebben noicele rappreſen ciamo per fpecie aliene , come il niente , o l' impoflibile, tuttavia molto fervono a reggere i noſtri ragionamenti. L'origine, e la natura del calcolo delle fuſioni dipende dall'uſo della natura momentanea , ed ammirabile di Platone . In queſto calcolo non ſi cercano , ſecondo il Newtono , le quantità infinita mente piccole , chemainon poſsono determinarſi,ma la ragione del le quantità naſcenti, od evaneſcenti, cioè di quelle , le cui fuffio ni, o velocità nel naſcere, o nel ſvanire equivagliono al zero , il qual ſimboleggia il termine del ripoſo , e il principio del moto il termine del moto , ed il principio del ripoſo . Sieno nel preſen te momento le fluenti quantità y, x ; nel momento ſeguente di verranno ſecondo l' eſpreſſione Newtoniana y toy , ed xtoy, ove o y , od ox eſprimono i momenti delle velocità . Softituite queſte eſpreſſioni in un'equazione propoſta, per eſempio in quel la della parabola yy. =ax , quefta fi caogierà nell' equazione . yy + 2 oyy tooyy = oaxtoax o cancellando gli eguali 2oyy tooyy = oax , e cancellando il comune o 2 yyt oyy = ax Sin che la quantità efpreſsa per o reſta finita , non può mai de terminarli la ragione delle quantità che fluivano, ma nella ſup poſizione che ella s' annulli , come nel caſo dell' ultima o della prima velocità delle grandezze , ove o s'eguaglia a zero , fi ha 2 yy = ax , e ponendo l'equazione in analogia 2 y.a:: x.y ragione determinata , con cui le qualità cominciano o termic nano di Auire. Il Newcono ſpiega più a lungo queſte coſe nel ſuo trattato delle Curve, e lo ſpiega non chiarezza il Ditton nell'inſtituzione delle Auſſioni ; baſta a me d'averlo quì accennato , per moſtrare che agli antichi non man cavano quell' idee , che i moderni hanno poi ſviluppato , carat £ erizzandole con canta utilità delle ſcienze , e delle bell'arri . Tomo II. 5. 41, ( 106 ) S.' 41, 1 Platone preſuppone nel ſeguente argomento , che la partenon è parte nè di molti , nè di tutti , ma di cert'una idea , e di cert'uno che chiamiamo tutto , ed è un cutto fatto da tutte le parti , e in sè perfetto , Dalla parola idea lice argomentare , che qui non fi craica che dei concetti, con cui fi concepiicono i molti, e il tutto , e le parti . L'idea dei molti è l'idea dei più aſſolutamente preſi, e com prende egualmente le parti, ed i tutti , dicendoſi molte, o più parti, molti o più molti. L'idea del tutto è l'idea dell'uno più riſtretto in un certo numero , o riſtretto in cerci limiti ; idea della parte è l'idea d'uno incluſo in queſti più già ridoc ti. Non ſi pud quindi rigoroſamente parlando dire , che la par te ſia parte di molti , perchè conſiderandoli ſecondo la loro propria idea, non fanno ancora il tutto a cui ha immediata re lazione la parte , Nel dir dunque Platone , che la parte non è parte di mol ti , allude ai modi , o ai più vagamente preli , e nel dir che la parte è parte del tutto , allude ai più riſtretti ; ne' più , come s'accennd , vi ſono incluſe indifferentemente le parti , ei tutti, onde ſe la parte foſſe parte dei più , potrebbe eſſer parte di ſe Iteffa . Aggiunge Platone , che ogni parte non è parte di qualun que uno ma d'un cert' uno , cioè di un certo tutto . La par te del triangolo non è la parte del quadrato , nè un ſoldato che è una parce d' un eſercito , è parte di una proceſſione di Frati . Il tutto poi che è fatto di tutte le parti , o a cui non man ca alcuna parte, è perfetto . , Si oſſervi in oltre eſſer lo ſteſſo , il dir molti, o più d'uno ; che ogni coſa quindi o è uno , o più , cioè molci ; che una parte dell' eſtenlione cratca fuori di efla , o feparata da eſſa , eſſendo fteſa , contiene più, e ſe dinuovo ſi ſepa ra in due , una di queſte parti eſſendo di nuovo fteſa , ritiene ipiù . In altri termini ciò vuol dire, che non v'è parte dell'eſtenſione che non ſia diviſibile all'infinito, e come la prima divifione fi fa per 2 , ed indi per 2 i Pittagorici aſſegnavano il 2 , come il fim bolo dell'infinito . Prima che una parte fi ſeparaſſe da una certa eſtenſione , ella riteneva il nome di parte , ma quando è ſeparata , e che di nuovo ſi divide , ella non è più parte , ma tutto . Queſti nomi di tutto , e di parte ſono ſempre relativi ; coloro per ciò che definiſcono l' eſtenſione , ciò che ha parti fuori" di ? par ( 107 ) parti , null' altro dicono ſe non che l' eſtenſione è l'eſtenſione , perchè non ha parti ſe non ciò che è eſteſo . Molto peggio fan no coloro , che ſuppongono , che l' eſtenſione eſſendo compoſta di una infinità di parti fteſe , ſia compoſta d'una infinità di ſo . ſtanze tra loro tutte ſeparate , perchè l'idea dell'eſtenſione null hache di relativo , e ſuppone la coſa aſſoluta ,' o la ſoſtanza , su cui la relazione ſi fonda . Il corpo fiſico , e mecanico non ſono pura eſtenſione , come il geometrico, ; perchè nel corpo fiſico v'è la forza , o la for ma, e nel mecanico il peſo , origine delle proprietà , e dei lo ro fenomeni. . 8. 42. Se l'uno è , le parti in quanto parti ſono parti dell' uno , o partecipano dell'uno . Le parti non poſſono eſſer parti di le ſteſſe , nè di molti ( $. 40. Sezione 3. ) dunque dell' uno, il che è dire , che partecipano dell' uno . §. 43, Se l'uno è , il tutto in quanto tutto partecipa dell' uno . Il tutto cui nulla manca delle tre parti è uno ; dunque par tecipa dell'uno . Corol. Il tutto dunque , e le parti partecipano dell' uno , e ciò ſignifica un non so che di ſeparato da gli altri , ma eſiſten; te per sè , ſia egli qualunque coſa. ANNOT. Non par egli, che Parmenide nel dir , che queſt' uno ſia ſeparato dagli altri , e per sè eſiſtente , alluda all'idee feparatę che ha combattute nella prima ſeſſione '? Se non vuol ciò dirſi , come contrario alla profonda Filoſofia d'un sì grande Uomo, non ne liegue egli , che parlando qui con Socrate , parla bensi col fuo linguaggio , ma nel tempo fteffo incende di favellare fecondo le attrazioni della mente . 0 2 9.44. ( 108 ) 8. 44. Se l'uno è , le cofe che partecipano dell' uno fono altra coſa che l'uno . Niuna coſa può effer alcun uno fuor che lo ſteſſo uno ; dunque ſe le coſe partecipano dell'uno , che vuol dire , non ſono lo ſtes fo uno , bifogna che fieno un'altra coſa . COROL. Dunque le coſe che partecipano dell' uno fono de verſe dall'uno . S. 4.5. Se l' uno è , le coſe che partecipano dell'uno , ſono in moltitudine infinite . Se le coſe che partecipano l'uno ſono diverſe dall' uno , non ef fendo uno nè più d'uno non faranno niente ; ma non fon l'uno , dunque più d'ano , dunque ogni parte d'uno , include in eſſa i più, e queſti altri più , e così in infinito , dunque le coſe clre parteci pano l'uno , ſono infinite in moltitudine . COROL. Poichè il più include per fua natura la moltitudine in finita , ogni parte che d'eſſo ſi tragga fuori con l'intelligenza le ben piccoliflima rifpetto all'altre , ſarà in moltitudine infinita . ANNOT. Platone dice da quelle ( cioè dei molti ) trar fuori con r* intelligenza alcuna cofa piccoliffima . In qual altro modo pud egli meglio indicar l'aſtrazione della mente .? nel dir Platone , che confiderando la diverſa natura della fpecie fecondo ſe ſteſſa quanto di lei vediamo, fia egli infinito , e in moltitudine , altro non ſignifica con la diverſa natura , ſe non che ogni parte dell' eftenfione include in sè più , e queſti altri più , e infiniti in . moltitudine . 1 g. 46. Se l'uno è , la parre in quanto parte è diverſa dell' uno , per chè l'uno è per sè indiviſibile , e la parte per sè divifibile . 8. 47 ( 109 ) S. 47. Se l'uno è , le parti ſono più che l' uno . Le parti diverſe dell'uno , ſe non ſono uno , o più d'uno , nulla ſaranno , ma ogni cofa è uno o più ; dunque ſe le parti diverſe dall uno non ſon uno , ſaranno più che uno . S. 48. Se l'uno è , le parti che lo partecipano hanno termine tra loro , e riſpetto al tutto , e il tutto riſpetto alle parti . Ogni parte è una, ogni tutto è uno ; ſe l'uno e l'altro parte cipa l'uno ; ma quello che è fatto uno ha un termine . Dunque ec. Corol. All' altre coſe , che all' uno , avviene che partecipan do dell'uno , e di loro ſteſſe, ſi fanno in loro cert'altra coſa, il che dà loro il termine , ma la natura loro che include i più , è per eſſenza infinita in moltitudine; dunque le altre coſe che l'uno tutte ſecondo le particelle loro , ſono infinite in numero , e par tecipi di termini. g . 49. Se l'uno è , le coſe che partecipano l'uno , fono fimili, e dil ſimili, ſi movono , e ſi fermano , od hanno altre paſſioni con trarie , Le altre coſe che l'uno , ſono tutte infinite , o indefinite , fe condo la loro natura , onde tutte patiſcono lo ſteſſo, ed aven do cermini , e diverſi termini, patiſcono il diverſo , ma il limi le è quel che patiſce il ſimile , il diſſimile quel che patiſce il diverſo . Dunquele coſe , altre che l'uno , ſono ſimili, e diffimi li . Maſe patiſcono le ſtelle coſe , e diverſe , pariranno anche il moverſi , ed il fermarſi, l'eſſer maggiori , minori , ed eguali , l' eſſer più vecchie , più giovani ec. e 3. 50 Riepilogando le coſe dette , abbiam dimoſtrato che ſe l'uno che in quanto lo partecipano ſon d'ello parti. Che il tutto dal le parti riſultante partecipa pur dell' uno ; che le parti parte cipanti del tutto , è dell' uno ſono infinite in moltitudine, che han ( 110 ) . hanno termine tra loro , e rifpetto al tutto, come il tutto l'ha riſpetto alle parci, onde nel patir le coſe ſteſſe , e diverſe ſono ſimili, e diffimili , ſi moyono, e fi fermano . Paſſa a confiderar Parmenide nella ſuppoſizione , che sia l'uno , coſa adiviene alle coſe che non partecipano l'uno . g. 58 . Se l'uno è , e le altre coſe che non partecipano l'uno, non ſono nè tutto , nè parii , nè fimili, nè diffimili , nè le ſteſſe nè diverſe, non ſi movono , non fi fermano , non ſi fanno , non ſi diſtruggono, non ſono , nè maggiori , nè minori , nè eguali , nè vecchie , nè giovani . Si concepiſca l'uno ſeparato dall'altre coſe , cioè fi concepi ſca che le altre coſe non lo partecipano , non vi ſaranno mol ti , perchè ognun de molti è uno ; non vi ſarà numero , o mol titudine ordinata che principia dall’uno, il quale ſucceſſivamen te li va aggiungendo a ſe ſteſſo , e fa ogni numero uno nella fua fpecie ; non vi ſarà tutto , che è una moltitudine riſtretta in uño ; non vi ſaranno parti , ognuna delle quali è uno ordi nata ad un altro uno ; non vi ſaranno coſe limili, nè diffimi li, nè le ſteſſe , nè diverſe con l' uno , perchè ſe teneffero in se -ſimigliznza , ediffimiglianza , comprenderebbono in sè due ſpecie tra loro contrarie , onde non eſſendo partecipi di due , nemme no lo ſarebbono di due contrarj ; non poſſono eſſer quindi le coſe nè ſteſſe, nè diverfe , nè moverſi , nè formarſi , nè diftrug. gerſi, nè effer maggiori, giovani , e vecchie , perchè eſſendo ſem pre partecipi di due coſe contrarie ſarebbono partecipi di nu mero . ANNOT. Queſto è lo ſteſſo che concludere che l' uno traſcen dentale , eſſendo inſeparabile dall' ente , è lo ſteſſo tor dalle coſe l' uno , che l'ente , od annullarlo . g. 52. 1 Parmenide ha ultimamente conſiderato , coſa accaderebbe alle coſe, ſe non vi foſſe l'uno , che per ipoteſi ſtabili . Or cangia ipoteſi, e cerca , coſa accaderebbe alle cofe fe non vi foſse l'uno . Queſte due ipoteſi ſembrano diverſe , ma ricadono poi nello ſteſso , perchè canto è annullar le cote ſeparando da loro l' uno che è , od eſsere ſi concepiſce , quanto annuliarle ponendo le co ſe , e negando l'uno . SE ( 111 ) 1 SEZIONE QUARTA. B. I. Uando per eſempio fi dice grandezza, e non grandezza, QI si dicono due coſe oppoſte , e tra loro contrarie , poichè la non grandezza diſtrugge ciò che la grandezza pone o in natu ra , o nella mente ; le fi fanno quindi le due propoſizioni, la grandezza è la non grandezza non è , tutte e due ſono nega tive, ma l'una è d' un ſoggetto finito , e determinato , l'altra d'un ſoggetro infinito , e indeterminato. La grandezza é il ſog getto di decerminata ſignificazione , la non grandezza di ſignifica zione indeterminara, perchè non grande è il piccolo , non grande il punto , non grande l'unità ec. Or il determinato è contrario all indeterminato ; dunque, come ben oſservò Marſilio Ficino , le due propoſizioni, la grandezza è , la non grandezza non è , ſono con trarie , ſebben l’una , e l'alcra fieno negative . Lo ſteſso debbe dirſi delle due propoſizioni, l'uno non è , il non uno non è , egeneral mente della propoſizione A non è ; non A non è : nella pri ma ſi nega ad A l'eſere , nella ſeconda ad A che fi nega , ga l'effere . Negar ſemplicemente una coſa , e negare la nega zione, ſono coſe tra loro contrarie . La propoſizione all'incon. tro A non è , e l'altra non A è , ſono equivalenti , perchè nel la prima di A fi nega l' eſſere , nella ſeconda fi afferma , che ad A fia negato l' eſſere. Affermare la negazione è lo ſteſſo che negar la cola ; dunque equivalenti propoſizioni ſaranno, l'uno non è , il non uno è . E' poi da oſſervarli, che le negazioni, e pri vazioni ſi conoſcono per le loro realtà oppofte , la cecità per la vi fione , le tenebre per la luce , non A per A. ſi ne B. 2 . Se l'uno non è , nel pronunziar la propoſizione ai concepiſce chiaramente e diſtintamente , che l'uno non fia , o li ha fcien za di ciò che s'eſprime, e s'eſprime qualche coſa diverſa dall' altra , l'uno è . Le privazioni , e negazioni ſi concepiſcono chia ramente , e diſtintamente per le loro realtà oppoſte , dunque il non uno per l' uno ( J. 1. ) ma la propoſizione il non uno è , è, equivalente all'altra l' uno non è , dunque queſta propoſizione l' uno non è , fi concepiſce chiaramente e diſtintamente , o li ha ſcienza di lei . La propoſizione l'uno non è , è diverſa dall' altra , 3 uno ( 112 ) ! $ 1 1 uno è , e chiaramente , e diſtintamente ſi concepiſce la loro diver ſità ; dunque nel dir l' uno non è , ſi concepiſce qualche coſa di diverſo . Platone così lo dice : eſprime primieramente alcuna coſa che ſi può conoſcere, poſcia differente dall'altra , colui che dice uno , aggiungendovi l'eſfere, oil non eſſere , perciocchè non ſi conoſce meno , ciò che fia quel che ſi dice non ellere, e come ſia certa co fa differente dall'altra . Corol. Può dunque predicarſi dell' uno la ſcienza , e la di yerſità . S. 3 . Se non è l'uno, o ſe il non uno è , il non uno partecipa delle coſe che di lui ſi predicano , e non le partecipa . Del non uno è , ſi predica la ſcienza , e la diverſità ( Cor. ant. ) dunque partecipa di queſte coſe, mapoichè egli non è , non aven do eflenza , non può participarle , perchè il non ente non ha pro prietà , dunque non le partecipa ; dunque le partecipa , e non le partecipa . COROL. Così s'eſprime Platone : Il non ente è partecipe di sé , e d'alcuna coſa , e di queſta , e con queſta , e di queſta , e di cut te le coſe sì fatte; concioliachè non li direbbe uno , nè le diverſe coſe dell'uno , ne avrebbe egli alcuna coſa , nè alcuna coſa fi chia merebbe , ſe non foſſe partecipe di alcuna , nè di queſte altre nondimeno è impoſſibile che ſia l'uno , ſe egli non é , ma niuna cofa vieta , che non ſia partecipe di molte coſe, ed è neceſſario ancora ſe è quello l'uno , e non altro , ma ſe non è , nè l'uno , nè quello non ſarà egli ; non ſi dirà nulla di lui , ed il ragionamento farà d'altra cofa , ma ſe fi ſuppone che quello uno non ſia , è ne ceſſario che ſia partecipe di lui , e di molte altre coſe , . 4 . Se il non uno è , il non uno è ſimile a ſe ſteſſo , e diffimile all'altre coſe, ed al contrario . Il non uno convien col non uno , dunque con ſe ſteſſo ; dunque è ſimile a ſe ſtello . Il non uno è diverſo dall'altre coſe che parte cipano l'uno , dunque è diffimile dall'altre coſe ; ma il non uno non eſſendo , non può aver proprietà d'effer ſimile , nè diffimi le , dunque ec. 8. S. 1 ( 113 ) § . 5 . Se il non uno d , egli è eguale, ed ineguale all' altre coſe , e nel tempo ſteſo eguale , ed ineguale . Gli eguali ſono fimili nella quantità; ma il non uno non ha ſimiglianza con l'altre coſe, dunque non ha egualita ; ma ſe egli non è eguale agli altri, gli altri non ſono eguali a lui , dunque è loro ineguale ; ma gl' ineguali partecipano dell' ineguaglianza , cioè di grandezza, edi piccolezza ; dunque l'uno che non è , egli è grande , e piccolo ; ma tra il grande, e il piccolo ſi frammetter eguale , e chi ha grandezza , e piccolezza , pud ancora aver egua glianza; dunque l'uno che non è può participare di queſte coſe; ma s'è dimoſtrato , che non le partecipa, dunque ec. 5. 6. Se l'uno non è , ha in certo modo l'eſſere , o s'attri buiſcono a lui coſe che l'hanno.. -. Nel dire che l'iuno non è , ſi ha ſcienza di cid che ſi dice ; nel dir che è , diverſo dall' uno , che è , e dall'alcre coſe ; che è fimile , non fimile ; diſſimile , non diſſimile dall' altre coſe ; eguale , no eguale, fi profeſſa di concepire, e di pronunziare il vero , ma eſprimendoſi , e pronunciandoli queſte coſe a guiſa di enti , all'uno che non è s' attribuiſcono in queſto modo, onde egli ha in un certo modo l'eſſere . B. 70 Queſta propoſizione : il nulla è nulla , il nulla non è nulla , equivale a queſte altre due : il non ente è non ' ente ; il non ente non è non ente . La prima di elle è affirmativa, ed iden , tica , perchè fi afferma il nulla di ſe ſteſo, la ſeconda è nega tiva , perchè ſi nega il nulla del nulla , che vuol dir , ſi affer. ma qualche coſa , perche una negazione diſtruggendo l' altra elleno affermano . Nel dire il non ente , non ente , il non en te vien a participare in un certo modo dell effere , affine di ef ſer non ente .. Nel dire all'incontro il non ente non è non en te, il non ente per non eſſere non ente che vuol dir per eſ ſere , vien a partecipar del non eſſere . Così intendo Platone , Tomo II. P allor ( 114 ) 1 allor che dice : il non ente ad eller non ente ba il legame dei non eſſere , fe dee non eſſere, come lente tiene nella ſtella guiſa il legame deli eſere , perchè ei non ſia non ente , affinchè di nuovo ei fia perfettamente, e non ſiapartecipe il non ente delléſenza , del non eſſer non ente , ma dell'eſenza dell'eſer non ente , ſe il non ento fia perfettamente. $ Se l'uno non è , egli partecipa ; e non partecipa dell' eflenza 1 L'ente è partecipe del non eſſere , ed il non .ente dell'eſſe re ( $. 7. Sez. 4. ) ma ſe non è , l'uno é neceffario che ſia par tecipe del non eſſere , affinchè ei non ſia ; dunque appariſce , che l'eſſenza ſia nell' uno , ſe egli non è , e la non effenza ſé egli è . ANNOT. Tutti queſti ſono ſcherzi metafiſici , per dar luogo alle nozioni immaginarie , e quindi alle contraddizioni , che mo ſtrano le coſe impoſſibili ; ben deve oſſervarſi , che facilmente con effe fi cade in quel mirabile , che degenera in puerilità . Platone ſobriamente l' adopra , per dimoſtrare in quali raffina menti sfumavano le dottrine della ſetta Elearica . 9. 9. Se l'uno non è , ha mutamento , e in conſeguenza moto , e non ha moto, Šisru ! L'uno parve ente , e non ente , onde fta così , e non così , dunque fi muta paſſando dall' eſfér al non effer ; dunque ha moto . Ma fe l'uno non è , non è in alcun luogo , perchè ogni en té è in qualche luogo, ma non eſſendo mai in luogo non pudo paſſare da un luogo all'altro , dunque non percid fi move , per che non ſi traſmuta . . io. ( 115 ) : $ . io . Y Se l'uno non è , non ſi altera , e non alterandoli ne ſi muta , nè ſi move . L'uno non eſſendo , non può mai verſare in quello che non è , dunque non alterarſi , poichè ſe l'uno da ſe stello li alceral fe in alcun luogo , non ſi ragionerebbe più deil' uno , ma di cer ta altra coſa ; ma ſe non li altera non ſi rivolge in fe fteffo nè fi muta , nè ſi altera ; dunque ec . ļ $. Se l'uno non è , fta e ſi moồe , e fi altera , Quel che non ſi move ſe ne ſta in quiete , e ſi ferma que gli che in quiete ne fta ; dunque l'ano non effendo, comeapo pariſce ſta egli e li move , anzi movendoſi è neceſſario che ſi alteri, perchè in quanto alcuna coſa ſi move , incanto ſe ne ſta ella non nello ſteſſo modo , ma altrimenti; dunque l'uno mentre fi move ſi altera , e nondimeno non movendoſi in niun luogo in niuna guiſa ſi può alterare ; dunque in quanto fi move" , ciò che non è uno ſi altera ; ma in quanto non ti move , non fi alce ra , dunque l'uno non eſſendo ſi altera , e non ſi altera . $. 12 Se l'uno non è , egli è diverſo da quel che era prima, non ſi altera ; non fi fa , non ci muore , e di nuovo ſi fa , emuore . Cid che ſi alcera è neceſſario che ſi faccia diverſo da quel che era prima , ma quel che non fi altera , non ſi fa në muore ; dunque l'uno , non eſſendo mentre fi altera , e ſi fa , e periſce, ma non alterandoſi , non fi fa , nè muore , nè periſce , ed in do tal guiſa l' uno 'non effendo , li fa , e muore e di nuovo non fi fa , nè muore . §. 13 : Sin ora ha dimoſtrato Platone , che ſe l' uno non è , egli dà di sè fcienza, ed ha in sè diverlicà, che è partecipe, e non par tecipe di altre cole ; quindi lo ſteilo-, e non lo ſteſſo con ſe ſtel р . 2 ( 116 ) ſi move fteffo , ſimile e diffimile nè ſimile , nè diffimile , eguale , ed ineguale, non eguale , nè ineguale , partecipe d'eſſenza , e non partecipe , ſi muta , e non ſi muta e non ſi mo ve , fi altera , e non fi altera , ft fa , c periſce , e fi fa , e non periſce . Tutte queſte concluſioni derivano dalla poſizione, l' uno non è ; l'uno eſſendo inſeparabile dall'ente , ſe non v'è l'uno , nè pur v'è l'ente . OrPente non è , che il poflibile . Annullato dunque il poſſibile reſta l' impoffibile, da cui ſecondo l' Aflioma ſegue coſa , ex impoſſibile ſequitur quolibet , perchè nell'idea aſtrat ta dell'impoſſibile s'includono tutte le contraddizioni . Platone dal conſiderare , che l'uno non ha eſſenza , e non n'è capace , nega tutte le altre relazioni che pud avere . Premetto a ciò che quando diciamo, che alcuna coſa non ſia , nel proferire , queſto non è , fi fignifica ſemplicemente, che non è al tutto in niun modo , e non eſſendo in niun modo , non è capace in alcun modo di eſſenza ; dunque non potrà eſſere il non ente , ne in alcun modo farſi partecipe di eſsenza . §. 14. Se l'uno non è , non può farſi in alcun modo par tecipe d'eſsenza . Quel che non è , ſignifica ſemplicemente , che non è al tur 10 , in niun modo , o non è ſemplicemente capace di eſsenza , dunque fe l'uno non è , non può mai eſser capace d'eſsenza . . 15 : ne la per Se l'uno non è , non pud farſit , nd morire. Chi non è partecipe di eſsenza , non la riceve , nè la de . Dunque fe. L'uno non è , non pud nè ricever , nè acqui ftar l'eſsenza , perchè non n ' è capace ; dunque non periſce , nè fi fa . $. 16. Se l'uno nonè , non fi altera , nè fi move , nè ſe ne ſta , non ha grandezza , nè piccolezza , nè parità, né limiglianza, e dia , verlin ( 11 ) 3 onde eſsenza , non può aver ne grandezza , nèpic marfi. Se verſità riſpetto all' altre coſe , e a ſe ſteſso , nè gli conviene ale cun altro attributo Se l'uno non è , non ſi altera , perchè fi farebbe già , je pe rirebbe potendo queſto ; ſe non ſi alcera , nè men fi move, ſe come non ente , non eſsendo in alcun luogo , non pud ſtar lo ſteſso in alcuna coſa, nè in alcuna coſa fermarſi. Se non ha nè piccolezza , nè parità, eſser ſimile, o diverſo , o rifpetto all'altre coſe , o a ſe ſteſso, nè le altre coſe potranno eſser in lui in alcun modo, gli ſono , nè fimili , nè diffimili , nèle ſteſse , nè diverſe , nè pud ſtar ſeco , non ha il di lui, o ciò che ſi dice di alcuna coſa , o queſto , o di queſto , o d'altrui, o ad altrui , o alcuna volta , o dopo , o al preſente , o ſcienza, o opinione , o ſenſo , o fer mone, o nome, o qualunque altro degli enti . Annot. Sebben ſi oſserva , Platone al non uno toglie tutto quello che ha dato all'uno , conſiderato in ſe ſteſso nella prima Sezione , argomento evidente, che, quando tutti gli altri man caſsero, quì non ſi trarca che delle aſtrazioni della mente , fra miſchiate tallora con le nozioni immaginarie , quali ſono in que fta Sezione , e nel rimanente . Non ci reſta che l'ultima quiſtione, in cui ſi cerca ſe non è l'uno , che accada all'altre coſe . SEZIONE QUINTA,. $ . 1 . S'orser Oſservi tolto. 1. Che ciò che è , o è l' uno , o l'altre co ſe • 2. Che ſe queſte non foſsero ( almeno nella noſtra im-. maginazione , o nella noſtra mente ) di loro non ſi diſputereb be, perchè il nulla non ha proprierà . 3. Che ſe dell' altre li fa vella, l'altre ſono il diverſo , poichè l'altro , e il diverſo ſono fi nonimi', onde diciamo altro non eſser l'altro , che l'altro d'al tri , ed efser del diverſo diverſo , e che per far le coſe altre dalla uno , vi ſi debbe aggiungere qualche altra coſa , onde fieno per eſser altre , di cui ſaranno altre . 3 Tesni f. 2. ( 118 ) S. 2 .. Se l'uno non è , le coſe altre o diverſe dall'uno , non ſono altre. o diverſe , che per ragion di ſe ſteſse .. Nelle coſe altre dall' uno o diverſe dall'uno , vi's include' qual che altra coſa , per cui fieno altre , ma queſta coſa non pud ef ſer l'uno , perchè per ipoteſi egli non v'è. Dunque , poiché non v'è , che l' uno , e l'altre coſe , eſcluſo che altre coſe non fieno . altre per luno ne liegue che ſieno altre per ſe. ftelse , COROL.. Dunque: per ſe ſteſse. ſono ciò che ſono tra se .. , S: 3 Se: l'uno non v'è , le coſe altre dall' uno ſono tali per una moltitudine infinita . Non v'è che uno o i più , dunque le coſe altre o diverſe 1 dall’uno , non potendo eſser altre che l'uno , il quale non v'è per ipoteſi, non ſaranno altre che per i più , cioè per la mol: titudine ; ma il più , o la moltitudine eſsendo per le ſteſsa in finita '; le coſe. altre dall uno ,. ſono alore per una: moltitudine infinita .. COROLLAR . Qualunque mala dunque di loro appariſce in molti-. tudine infinita, e ſe alcuno ſi prenderà ciò che menomilimo pare co. me. Sogno , incontinente in vece di quello che pare uno , ſi fa innangi una moltitudine infinita , e in vece di quella chemenomilimopar ve, apparirebbe grandiſſimo già , ſe il pareggialli ad altre coſe in die Sparte da lui . Cosi: parla Platone : fia prefa qualunque parte d'eſtenſione, el la è diviſibile in due , ed inoi in due , e così all'infinito . Della di viſione di cui è capace il tutto , ſono capaci reſpettivamente le parti , nè v'è particella si minima, che le noi nell' ipotefi che non v'è uno , poteſſimo vedere con un microſcopio miracolo fo ,, non ci pareſse diviſa in una moltitudine infinita di parti , ma tali che nell' iſtante ſteſso , che noi vedeſſimo la parte , la vedremmo attualmente diviſa in altre parti infinite , e cosi all'in finito ; non è che io dir voglia , che vedremmo l'infinito at tuale , perchè non poſſiamo intenderlo , non che vederlo , nè so come il Leibnizio abbia poruto concepir nella più minima par 1 ( 119 ) parte di ciò che egli chiama 'materia , un numero attualmente infinito di monadi" ; biſogna prima provare , che noi concepia mo l'infinito attuale - , ed indi che vi ſieno queſte monadi ; ma ſe vi foſsero , il che io non l' ammetto , che come principio di co gnizione , e non di natura, in eſse , come l'eſprime il nome loro , v è un'unità , che è il fondamento di concepir nella monade innumerabili proprietà ; ma quì nell' eſtenlione Platonica , biſo gna rappreſentarfi ogni parte deſsa ſeparata dall' uno ; ' v'è in ciò contraddizione , ma appunto Platone - la ſuppone per de dur dall'aſsurdo i , l'impoſſibilità di ſeparar l' uno dall'ente . § . 4. Se non è l'uno in ogni maſsa apparente apparirà il numero , e le proprietà dei numeri , l'eguale , il mag giore , il minore. Tolto l' uno dalla maſsa , ci ſi fa come nel ſogno innanzi una moltitudine infinita , in cui ſe ſi vuol ordinar colla mente la moltitudine , vi ſi trova il numero ; quindi il pari, e l' impari ; il picciolo , il grande , il piccioliſſimo , il grandiſſimo., compa rando tra loro le maſse , in cui s'è diviſa la maſsa maggiore , e quindi l'eguale , perchè non ſi può paſsar dal maggiore al mino re ſenza paſsar per l'eguale , ma queſti ſaranno tutti fantasmi d' egualità , di maggiore, di minore, di pari, d'impari ec, come di numero , §. 5. Se non v'è l' uno , ogni maſsa apparente avendo termine appa rente , riſpetto all' altra non ha nè principio, nè mezzo , nè fine riſpetto a fe ftefsa . Si prenda alcuna delle maſse apparenti coll intelligenza , in nanzi al principio , ſe le fa ſempre innanzi altro principio , e dopo il fine, ſegue ſempre un altro fine , e nel mezzo altre coſe ſem pre più interne del mezzo , e ſempre minori , perchè non ſi può ricever in queſta alcun uno , non eſsendo l'uno . Annot. E ' da oſservarſi, che qui Platone dice , prender alcu na coſa con l'intelligenza , cioè aſtrattamente conliderarla í vi ag ( 120 ) aggiunge poi che potendoſi prender la maſsa ſenza l' uno , cioè fenza far aftrazione dall'uno, ſi sbrana qualunque coſa così pre ſa con l'intelligenza , che è quanto a dire con la mente fi* di vide in più parti, e queſte in altre , e così all'infinito . S. 6. Se l'uno non è , preſa qualunque maſſa a chi da lungi la mira groſſamente par uno, ma chi da preffo l'in tende è un infinito in moltitudine . Non potendo noi nulla concepir ſenza l' uno a prima viſta , e da lungi mirato ci par uno , ma da preſſo , e acutamente vedendolo , tolto l'uno, ci rappreſenciamo infiniti . COROL . Se dunque non v'è l'uno , ma l'altre coſe dall' uno , qualunque di eſſe è infinita , e con termine ed uno , e molci . Se non v'è l'uno le altre coſe ci pareranno , e ſimili, e diffi mili , e le ſteſſe , e le diverſe , e unire , e ſeparate , e moverſi, fermarſi ; nè potendo noi concepir le coſe ſenza l'uno le ve dremo , come adombrate da lunge, e patir lo ſteſſo , ed eſſere fimiglianci , mada preſſo molte , e diverſe , e per il fantasma della diverſità diverſe , e diflimiglianti tra loro ſteſſe e pari mente ci pareranno le maſſe ſimili, e diffimili , e da loro ſteſ ſe , e tra di sè , e le ſteſſe , e diverſe tra loro , e che tocchi no, e fieno ſeparate da loro ſteſſe , e fi movano con tutti i mo ti, e ſi facciano , e periſcano , e nell' una , e nell' altra manie e tutte le coſe sì fatte che li poſſono dedurre dalle coſe 7 ra , già dette . S. 7 . Ha dimoſtrato fin ora Parmenide 3 che adiviene alle coſe ſe non è l' uno , cerca poi che fieno gli altri che non ſon uno . 1 § . 8. ( 121 ) $. 8. Se non è l'uno, le alere coſe non ſon uno , ne molti . Non ſono uno , perchè non v'è l' uno ; non ſono molti perchè i molti preſuppongono l'uno . ital 18. s. Se non v'è l'uno , non vi ſarà nè opinione , nè fantasma , ne ſcienza dell'altre coſe. Le altre coſe non hanno alcun concetto con niuna di quel le che non ſono , nè alcuna di quelle che non ſono è appreſso ad alcuna dell'altre che ſono ; dunque appreſſo ad altri non v'è opinione, non v'è fantasma dell'ente , e quindi dell uno ; ma ſe non v'è l'uno , non effendo poſſibile il penſar a molte coſe fen za r uno , neppur èpoſſibile che ſi penſi che fieno uno , o mol ti le coſe . . 10 . Se non vè l' uno , le coſe non fono nè fimili , nè diffi mili , nè le ſteſſe , nè diverſe , nè ſi toccano , ne & ſeparano Non ſi poſſono concepir le coſe ſenza l'uno ; dunque ſe non vi è l'uno , non ſi poſſono concepire , nè ſimili , nè diffimili nè le fteffe , nè diverſe , nè unite, nd ſeparate . COROL. Dunque ſe non v' è l' uno nulla v'è , onde o ſia l' uno , o non fia , ed egli e l'altre coſe ancora ſono , e non ſo no ad ogni modo riſpetto a fe ftelle , e tra di loro , e appajo no , e non appajono . II . Riftringendo in poco tutto ciò che negli ultimi paragrafi s'è eſpoſto , egli è manifefto , che l' uno efiendo inſeparabile dall' ente, ove non v'è più uno , non v'è più d'ente , cioè v'è nul. la , ol'impoſſibile", da cui ſeguono tutti i contraddittorj, qual Tomo II. q Pla ( 122 ) Platone ci eſpoſe per via di nozioni affatto immaginarie ; egli ne fa veder i uſo , e moſtra nel tempo ſteſſo , quanto la fan taſia ſia diverſa dall' intelletto , poichè ella ci rappreſenta una coſa , mentre la mente ragionando ce ne fa concepire un'altra . Si conclude dunque , che Placone in queſto Dialogo non fi af fiffa che a moſtrar ſuſo dell'aſtrazioni della mente , nell' inve ſtigazione dell' idee . 1. Con le negazioni, come fece nel primo capo. 2. Con le analogie dell'altre idee aſtratte; finalmente con le cognizioni dell' idee , del ſenſo , della fantaſia , combinate a quelle della mente. L E T T E R A ALS I G. ABBATE SALIER Primo Cuſtode della Biblioteca DEL RE CRISTIANISSIMO . On dubitate che io ſia mai per dimenticarmi di voi , co N°me alcuni venuti ultimamente di Francia m' accufaro no da voſtra parte ; troppo m'è rimaſta impreſſa l'idea della bontà , e gentilezza voftra , troppo è ſtato vivo il piacere e ſodo il profitto , che io ricavai dalle converſazioni letterarie , che abbiamo fpeſſo avute inſieme , e tra l'altre su l'opere di Platone ; ce ne porgevano il motivo le ſaggie rifleſſioni, che leggevaci l'Ab bate Fraguier , or su l'ironia di Socrate , or ful carattere de'So fifti , or su la Repubblica , ed or su le Leggi, tutti oggetti delle belle diſſertazioni , che egli diede alla voſtra Accademia . Solo la Iciò egli intatto il Parmenide , o non aveſſe il tempo , o la voglia d' applicarſi a ſviluppare un Dialogo , che è il più malagevole di Platone, o temeſſe dioffendere la ſoavità del ſuo genio con l'idee troppo auftere , e filoſofiche , delle quali il Dialogo abbonda . Voi ben ſapete, che per voſtro conſiglio m' applicai a leggerlo con attenzione fin dall'anno 1725. e ne concepii quel fiſtema, di cui állor vi parlai . Venuto in Italia , e diftratto da graviſſimi intereſſi dimeſtici , ne interruppi l'eſame già cominciato, ſebbene negli intervalli io leggeſſi continuamente Platone ; e l'avrete ve duto nel Sogno del Globo di Venere , che il Signor Conte di Cai lus v avrà forſe dimoſtrato in lingua Franceſe tradotto . Di tem po intempo io parlai del Parmenide con gli amici , e mi fi fue gliò il deſiderio di compierne il ſiſtema da me abbozzato all'occa lione del Platone di Dardi Bembo , che ſtampali in Venezia , con P aggiunta delle note e degli argomenti del Serano letteralmente tradotti . Dalla Differtazione preliminare ritrarrete l'idea generale del la Filoſofia Eleatica così celebre per l'acurezza , e per la profon dità de' Filoſofi, come la Jonica per la fodezza dell'eſperienze , e l'Ita ( 124 ) 1 1 ľ Italica per la felice combinazione della Geometria , e dell'A ſtronomia alla Fiſica. Non è difficile ſcoprire, che la metafiſica do Ariſtotele è tratta in granparte in queſto Dialogo , in cui Plato ne abbandona quaſi l' artificio poetico adoprato negli altri , e ſi ſpiega nella maniera più ſemplice, e più preciſa . Nella prima Sef fione io v'oſſervai i tre fonti delle allurdità degli argomenti me tafiſici; il principio di contraddizione, il progreſſo all'infinito , el' annullazione fuppofta di qualche perfezione divina. GliEleatici , che forſe gli inventarono, riconoſceano i limiti dell'intelligenza uma na , e pur era queſta la minor parte della Dialectica loro , la qual vaga va per tutti i lommi generi delle coſe. La quiſtione dell'origine e della natura dell' idee v'è più che abbozzata , e la riſpoſta che so crare diede a Parmenide , su la maggior difficolcà dell' idee , è la ſteſſa che uso il Padre Malebranchio nel medeſimo caſo . Nell'al tre opere s' accuſa il Commentatore di dar troppo ſpirito al ſuo Filoſofo ; in queſta è cutto il contrario , poichè per quanto ſi ſpieghi Platone, vi reſta fempre molto a medicare , e la compa razione del reſto fa ſempre vergogna al commento . Il Ficino , e il Serano , che aſſegnarono al Dialogo un grado di ſublimità Teologica non convenevole , l'hanno sfigurato , e colto agli altri il profitto , che avrebbono potuto ricavare da una ſpe colazione così ben dedocta e conforta nè punto inteſa dai due Commentatori , i quali preteſero che in queſto Dialogo chiama to dell'idee , voleſſe Platone diſputare a pro delle feparate , quan do egli manifeſtamente le rifiuto , tutto riducendo all' Ontolo gia che è la più bella , e la più utile parte della metafiſica In molci errori cadè miſeramente il Carcelio , per averla ab bandonata, eſpregiata ; e non furono dal Leibnizio , ed indi dal Wolfio ridotti al ſuo vero lume i dogmi filoſofici, ſe non dopo che effi s' affaticarono a dimoſtrare , le nozioni Ontologiche eſſer quelle alle quali convien avertire prima d' inoltrarſi nella combinazione dell'idee, e quindineiſiſtemi. Tutti gli uomini pre veggono gli aſtratti ne' concreci, pochi hanno la forza di ſepa rarli, pochiſſimi quella di ridurli in teoria , ed è ſolo riſerva to a' ſommi Filoſofi il farne ſiſtema. Voi molto più vedete in Platone , che io poſſa eſprimere ; in canto vi prego a conſer varmi il voſtro affetto , ed eſſer certo che il mio farà ſempre inviolabile. Antonio Schinella Conti. Antonio Conti. Keywords: Corti’s French letters – Corti’s Scritti Filosofici, Dialoghi Filosofichi, about whether corpori celesti are inhabited -- l’infinito, self-referential, recursion, anti-sneak, regress, infinite regress in the analysis of communication, calcolo finitesimale, calcolo infinitesimale, Enea stoico, Ottavio Stoico, Cicerone stoico – allegoria dell’Eneide, scudo di Enea, Il Parmenide di Platone – assiomatico dell’essere – L’essere e. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Conti” – The Swimming-Pool Library.

 

CONTI (San Miniato). Filosofo. Grice: “Conti is a good one – a historian of philosophy, or rather a philosophical historian – I never know! – his chapter on the Greek embassy that brought philosophy to Rome is stimulating!” Studia a Siena e Pisa. Si laurea a Lucca. Insegna a Lucca, Pisa, Firenze. Filosofo del bello, che define stare fra il vero e il buono, e li collega come il mezzo tra il principio e fine. Altre opere: “Cose di storia e d'arte; Evidenza, amore e fede, o i criteri della filosofia, discorsi e dialoghi. Famiglia, patria, Dio, o i tre amori”; “I discorsi del tempo in un viaggio in Italia”. In ogni città coglie occasione per un insegnamento civile; a Venezia isulla religione, a Milano sullo stato, ecc.; “Il bello nel vero, o estetica”; “Il buono nel vero, o morale e diritto naturale”. “Illustrazione delle sculture e dei mosaici sulla facciata del Duomo di Firenze”; “Il vero nell'ordine, o ontologia e logica”; “L'armonia delle cose, o antropologia”. Cerca di costruire una metafisica fondata sulla relazione, l'armonia, l'ordine; Studia l’educazione religiosa, civile e private; “Letteratura e patria, collana di ricordi nazionali”; “Nuovi discorsi del tempo, o famiglia, Patria, Dio Religione ed arte, collana di ricordi nazionali”; “Storia della filosofia”, molto accreditata. “Sveglie dell'anima. Il Messia redentore vaticinato, uomo dei dolori, re della gloria. La mia corona del rosario. Ai figli del popolo, consigli. Giovanni Duprè o Dell'arte, 2 dialoghi. Evidenza, amore e fede o i criteri della filosofia” -- lezioni e dialoghi sulla filosofia cristiana; lavoro scientifico e popolare, e discorsi sulla storia della filosofia, accordo della filosofia con la tradizione; discussione sulla filosofia e la fede. La filosofia di Dante. “Il bello qual mezzo”. Dizionario Biografico degli Italiani. Armonie ideali nell'opere belle. L'artista deve tendere al più alto se gno ideale. Ordine dell'idea chiaro che include giudizj e ragionamenti. 4. Dialettica dell'arte , o dialettica rappre sentativa . – 5. L'idea è universale , - 6. talchè i parti colari dell'arte non debbono mai ecclissare o escludere l'uni versalità del concetto ; 7. perché , altrimenti , arte bella non c'è . – 8. L ' ordine ideale porge alle immagini formo sità -- 9. eletta , che manifestasi o per cose straordinarie . 10. o per l'eccellenza de'modi , o per tutto ciò ad un tem po , ma ſuggendo le ampollosità . 11. L'ordine ideale si determina ne sezni . 12. onde s' origina l'armonia de'con trapposti. 13. Armonia dell'ordine ideale con la natura , 14. legge di corrispondenza e di contrapposto anche in ció. – 15. Armonia col divino per natura . 16. Conclu . sione. e - CAP. XXVII. Il gusto del Bello ... 19 1. Regola prossima è il gusto . - 2. Sentimento di verità , di bellezza , e di bene . - 3. Che cosa è il gusto ? . 4. Ana logie del gusto intellettivo col gusto sensitivo . – 5. Urficj del gusto ; sanità e infermità ; abiti buoni , o vizinsi . 6 . S'esamina gli ufficj del gusto intellettivo della bellezza . 7. Effetto del gusto . 8. Il gusto non può mancare a ' veri artisti , e avvertenze io giudicare il gusto loro dall' opere . 9. Quattro gradi del gusto . - 10. Aiuto che il gusto del bello riceve dal sentimento logico e dalla morale coscienza . 11. Stato di sanità o di malattia , cioè buona o rea edu cazione. 12 E empj. 13. Stato d' abiti buoni o vizio . si . 14. Esempj. - 15. Conclusione. 16. Come si può guarire o correggere il gusto falso . CAP. XXVIII. Le leggi del gusto ... 1. Argomento . 2. Che cosa presuppone l'esame ch'uno faccia del proprio gusto, 3. affinchè possa regolarci un gusto buono e rettificarsi un gusto cattivo , 4. e primiera mente il derivato da falsa educazione. 5. Studio perciò di buoni esemplari . 6. Esame degli abiti viziosi, e quanto alla verità – 7. e quanto a ' fini dell'arte . - 8. Il gusto deve 36 454 INDICE DEL VOLUME SECONDO . mostrarci il modo e il quando dell'operare . 9. Elevazione del sentimento. 10. Verosimiglianza . 11. Esempj. 12. Equazione di tutti gli elementi dell'arte con l'idea . 13. Gusto de' limiti . 14. Esempj. 15. I limiti massi. mamente ne segni esteriori . 16. Conclusione . CAP. XXIX . I Pedanti e i Licenziosi .... Pag. 53 1. Argomento . 2. Che sieno i Pedanti e i Licenziosi . 5. Significato più generale di questi vocaboli . 4. Si gnificato più proprio e stretto . 5. Errori contrarj e vizj comuni . - 6. La pedanteria va fuori di natura . 7. Esem pj. 8. Va fuor di natura la licenza . 9. Esempj. 10 . Non comprendono l'universalità i Pedanti . - 11. Esempj. 12. Nė la comprendono Licenziosi . 13. Esempj. 14. Non hanno vera nobiltà i Pedanti , 15. e la licenza è ignobilità . - 16. Talchè gli uni e gli altri non consegui scono fama durevole . CAP 70 . XXX. Estro . Leggi dell'ordine immaginato .. 1. Argomento . — 2. Immaginazione . Rinnovazione di fan tasmi , 3. e innovazione o invenzione. 4. Queste per tre modi , spontaneo. pensato , meditato . — 5. Legge univer sale della fantasia e sede di quella nell'intelletto . 6. Gradi dell'invenzione immaginativa . Primo ; mutamento di alcune cose percepite . 7. Secondo ; immagini di cose reali non percepite . Terzo ; novità d'imma.ini fra percezioni oscure . 8. Quarto ; un ordine di verosimiglianze relativo a un or dine di cose reali determinato . 9. Quinto ; relativo a no tizie vaghe. 10. Sesto ; relativo ad astratte generalità. 11. Settimo ; fantasmi di cose semplici, spirituali , divine. 12. Ultimo ; armonia universale di fantasmi e loro elevazione . 13. Perché l'estro abbia tal nome. - 14. Origini sue misteriose. 15. Estro fallace o vuoto , e vero o fecondo . 16. Conclusione . CAP. XXXI. Armonia interna delle Immagini....... 87 1. Argomento . — 2. Sceltezza e vita delle immagini , Scel. tezza rispetto all'arti diverse ; 3. e rispetto ai componi menti speciali d'un' arte ; e rispetto agli argomenti. 4 . Sceltezza per la qualità e per la quantità . 5. Vita delle immagini , 6. come le figure d'affetto nell'arte del dire. -7. Unione del sensibile con l'ideale . Allegoria , e 8 . allegorie speciali , 9. e vizj dell'allegoria . 10. L'im magine deve ritrarre l'idea intera ; e quindi bisogna imma ginar l'opera innanzi di farla . - 11. e che rispondano i par ticolari al lutto , 12. e l'e - trinseco venga dall'intrinseco , e gli accessorj dal principale . 13. Spiritualità delle im magini. 14. e vizj opposti . 15. Relazione specificata delle immagini co' segni . 16. Conclusione . INDICE DEL VOLUME SECONDO . 455 Cap. XXXII . Armonie di verosimiglianza in generale . Pag. 106 1. Argomento e legge universale di corrispondenza e di con trapposto , e come si rifletta nelle immagini dell'arte. 2 . Questa legge apparisce nella qualità, quantità , tempo e spa zio . 3. Relazioni. 4. Esempj antichi di letteratura . 5. Esempj dell'éra nostra , - 6. Drammatica e lirica 7 . Figure di confronto ne'linguaggi. – 8. Esempi del disegno e della musica . 9. Analogia del corporeo e dello spiritua le . 10. Loro diversità ; – 11. e contrapposto nella na tura e nell'arte . 12. Verosimile immaginoso , che differi sce dal reale , benchè gli somigli. 13. Quello trascende . Poesia e architettura . 14. Scultura , pittura , musica , e arti ausiliari . - 15. Com'accade ciò . 16. Conclusione . 124 10 , e Cap . XXXIII. Armonie con la natura corporea . 1. Argomento. -- 2. Legge naturale di simetria . 5. Vi sta e udito porgono immediati all'arte bella i sensibili rap presentati , - 4. Il lalto remotamente, il gusto e l'odorato indirettamente forniscono all'arte cose immaginabili, salvo la poesia ch'è universale. -- 5. Legge naturale di simetria ne ' visibili aspetti , - 6. e ne' suoni. - 7. Legge corrispon dente nell'arte bella . 8. Simetria di quantità nel grado. 9. Simetria di quantità nel numero de' suoni , delle cose visibili . 11. Simetria naturale dello spazio . 12. Simetria nell'arti , quanto a’limiti . 13. Simetria di limiti anche nell'unione di più cose . — 14. Simetria di luo ghi . 15. Simetria di tempo misuratore , e di tempo rap presentato. - 16. Conclusione . CAP. XXXIV. Armonie con la natura spirituale .... 1. Gli affetti . 2. Somiglianza loro ; 3. varietà ; 4 . contrapposto . 5. Personificazione immaginosa dell'unmo, 6. e della socievolezza ; - 7. che dall'arti non prò mai scompagnarsi . - 8. Personificazione immaginosa del mondo materiale per tre modi . 9. Idem . · 10. Il Materialismo non può spiegarla . 11. Person i ſicazione immaginosa del soprannaturale ; 12. presa sostanzialmente da simboli e miti di credenze religiose ; 13. ma trasformate dal . l'estro . 14. La personificazione , ritraendo l'uomo , ac cenna lo stato degli artisti e de' tempi loro . Grecia , Roma, 15. Italia ; suo scadimento ; letterature straniere . . 16 . Anche nell' altre arti avviene lo stesso . 141 Cap. XXXV. Immaginazioni tragiche e comiche 158 ....... 1. Argomento . 2. Può l'ottimo essere argomento del l'arte bella ? 3. Può il pessimo ? — 15. Immaginazioni tragiche e comiche . - 5. Quando mai nasce l'immagina zione tragica più specialmente ? 6. Quando la comica ? 7. Condizioni dell'una , - 8. e dell' altra . - 9. La morte immaginata nell'arte , 10. eidolori del senso , tragica mente ; - 11. 0 comicamente . 12. Deformità fisiche nel 456 INDICE DEL VOLUME SECONDO . rispetto tragico ; 13. e nel comico . - 14. Le mostruosità nell'un rispetto , · 15. e nell'altro , e come in ciò facilmente si trasmodi. 16. Conclusione . CAP. XXXVI. Ordine de' Segni . Stile . Pag. 176 1. Argomento. 2. Nozione generica dello stile . - 3. Nozione meno generica . - 4. Nozione determinata . 5. Ne cessità di meditare lo stile . 6. Idem . 7. Ordine dello stile . Unità . - 8. proprietà , evidenza , 9. vivezza , for . mosità . 10. verosimiglianza. Legge sua universale . - 11 . L'unione di dette qualità forma il decoro . 12. Esempio di essa , - 13. Esempio del contrario . 14. La misura nello stile . 15. Sunto. 16. Conclusione, 193 CAP. XXXVII. Armonia intrinseca dello stile e co ' propri segni .. 1. Argomento . - 2.Unità del bello stile . 3. Si riscon tra nell'arte del dire ; ne'proverbj e rispetti , · 4. nelle sentenze , 5. nel periodo , 6. nell'armonia e nell'unione del discorso . 7. Si riscontra nell' arti del disegno ; nel l'architettura , 8. ch'è un discorso anch'essa ; - 9. nella scultura e nella pittura, 10. simili pur esse al discorso ; - 11. e nella inusica ; 12. che ha disegno perfetto , o unione d'armonia e di melodia . - 13. Proprietà de' se gni ; e come segni adoperino l'arte del dire , la musica , 14. l'architettura , e l'arti figurative ; 15. onde viene la proprietà dello stile . 16. Conclusione. CAP. XXXVIII. Armonia dello stile col pensiero .. 1. Argomento . 2. In che consiste l'evidenza. -3. Dee rispondere lo stile a integrità del pensiero ; 4. e a varietà d'argomenti ; - 5. abbracciando l'universalità dell' argo mento , proprio , 6. e distinguendolo , per poi bene com porlo . 7. Mancamento d'arte o di volontà impedisce tal perfezione . 8. Vivezza di stile , o moto , 9. nell'arte del dire , 10. nella pittura e scultura , 11. nell'archi tettor3 , 12. nella musica . 13, Formosità , - 14. anche nello stile grande, e nel sublime. 15. Onde procede la deformità ? 10. Concrusione . 211 CAP. X.XXIX . Armonia dello stile con la natura ..... 228 1. Argomento . 2. Il bello stile corrisponde alla natura dell'artista e a quella degli oggetti . 3. Non si possono separare le due relazioni senz'errore e deformità . – 4. Avvi una parte relativa all'artista ; 5. e una parte relativa agli oggetti , e danno armonia . 6. La legge di corrispondenza e di contrapposto ſa nascere le diverso specie del bello stile in quei gradi che l'ordine ha varj nella natura. 7. Idem . 8. Nello stile tenue an prevalenza i simili, 9. Qua lità principale di esso è la venusià. 10. Nello stile mez. zano han prevalenza i diversi . 11. Qualità principale di INDICE DEL VOLUME SECONDO , 457 esso è la naluralezza , 12. Nello stile grande han preva lenza i contrarj. 13. Qualità principale di esso è la pe regrinità . 14. Nello stile sublime han prevalenza i contrapposli supremi. 15. Qualità principale di esso è l ' ammirabilità. 16. Conclusione . LIBRO QUARTO. Arti del Bello speciali. Cap. XL. Come si originarono le Arti speciali del Bello. Pag. 249 1. Argomento . — 2. Due generi supremi dell'arte bella , cioè arti di suono e arti di prospettiva. 3. Arte de' suoni parlati , e arte de' suoni armonizzati. 4. Arti prospettive di spazio , e arti prospettive di figura. -- 5. Arti prospettive distinte in arti di spazio imitato e di spazio naturale ; in arti di figure imitate e di figure naturali . 6. Onde l'arti del disegno son distinte dall'arti di naturale amenità e dalla mimica e danza , le quali sono arti secondarie . 7. Arti ansiliari dell'arti principali e delle secondarie. 8. Diver sità di segni sensibili determinò diversità del significato, quanto al mondo esteriore , 9. e quanto al mondo interio . re . 10. Stato implicito dell'arti : poesia ; 11. arti del disegno e musica. 12. Poi si distinsero l'arti del Bello fra loro ; e s'esamina per la poesia , per l'architettura , 13. per l'arti figurative , 14. e per l'arte musicale . Di stinzione di ogni specie in ispecie minori . 15. Conclu sione. 16. L'arte bella fa quasi un mondo novello. 266 Cap. XLI . Ordine fra l’ Arti speciali del Bello ...... 1. argomento . 2. Criterio per giudicare i gradi dell'arti belle . 3. Segni supremamente ideali della poesia . L'ordine loro è una invenzione distinta dall'altra delle im magini . 5. Perfezione suprema de' significati poetici . 6 Ma questa precedenza rende difficile al sommo il poetare buopo. 7. In che la poesia verso l'altre arti sia inferiore. 8. Architettạra , e perfezione ideale del suo disegno . 9. Perfezione del suo significato. -- 10. In che cosa l'archi tettura è vinta dall'altre due arti del disegno . 11. Pit tura e scultura ; disputa di quale fra loro primeggj, antica . - 12. S' esamina quanto a ' segni , 13. e quanto al signi ficato di queste arti . 14. Musica ; in che sta un suo sin golare pregio , 15. da cui procede la potenza musicale ; benche in altro rispetto la musica resti- superata . - 16. Con clusione . A. CONTI . II . 30 458 INDICE DEL VOLUME SECONDO . CAP. XLII. Della Poesia .... Pag. 283 1. Argomento ; definizione della poesia . -2. Come la poe sia somigli la filosofia . 3. Consentono tutti nel divario fra considerare direttamente i sensibili esterni e il conside rarne l'altinenza con l'anima . 4. Però l'idea che regola i poeti , si è l'idea dell'uomo interiore , avvivata d'immagibi . Si riscontra ciò ne' sensibili esterni , comuni alla musica e al segno e alla poesia ; – 5 , ne' sensibili esterni , propri solo alle rappresentazioni poetiche ; - 6. ne' sensibili inter ni , che la sola poesia può prendere per oggetto immediato ; - 7. e poi , nelle cose di pura intelligibilità . 8. Tanto è più alta la poesia , quanto più rende viva immagine del . l'uomo interiore ; - 9. e , inoltre , quanto più rende imma gine di ciò che l'uomo dev'essere ; 10. perchè il poeta tende alle più élette forme dell'anima ; 11. e indi cerca immaginativamente di risolvere in armonia le contraddizioni del mondo ; 12. come si riscontra ne' poeti veri del tempo antico e del nuovo , - 13. e anche ne' poeti scettici , ov'essi han vera poesia ; 14. talché , quest' arte rappresenta in immagini l'universalità dell'intelletto . 15. E ogni ge nere perciò di componimenti nell'arte del dire può parteci - pare di poesia . 16. Conclusione . CAP. XLIII . Le specie della Poesia ...... 1. Argomento . 2. Tre modi principali della poesia : espositivo , 3. narrativo , - 4. dialogico . sia par talora non essere imitativa nè inventiva, se cade in soggetto reale . 6. Si scioglie la difficoltà , distinguendo al . lora il soggetto reale dalla rappresentazione immaginosa. 7. Indi è varia l ' attinenza fra la poetica rappresentazione ed il soggetto. — 8. Idem . – 9. Indi anco è vario lo stile figu rato nella poesia espositiva , 10. o nella narrativa , - 11 . o nella dialogica . 12. Anche il numero musicale dello stile diversifica . 13. Idem . 14. Diversifica pure l'ori . gine de' tre modi principali di poesia , l'espositivo prece dendo a tutti, 15. e poi al drammatico il narrativo . • 16. Conclusione. 302 5. La poe 320 CAP. XLIV. Dell'idioma, 1. Argomento. - 2. Lingua , in significato generale , è unità parlata della morale unità d'un popolo ; 3. e che mai non manca di segni per cose antiche, 4. nè ha sino nimi perfetti. 5. Le Parlate . 6. I Dialetti . - 7. Le Lingue. 8. Scelta fra le tarlate. 9. Scelta fra' Dialetti . 10. Distinzione d'una lingua da ogni altra lingua . 11 . Uso di lingua parlata , e uso di lingua scritta ; 12. iden tici nell'essenza , e in che diversi, 13. Come uso di buoni scrittori giova , 14. e come giova uso di ben parlanti. 15. Realismo e Idealismo nell' usare l'idioma . 10. Con clusione . INDICE DEL VOLUME SECONDO . 459 CAP. XLV. Arti del disegno. Pag 338 . 1. Che cosa sono l'arti del disegno - 2. Il disegno è fon damento alle tre arti particolari. . 3. Doppia significazione del vocabolo disegno. -- 4. Ogni qualità sensibile de' corpi ha relazione con la lor forma ; 5. e può risguardarsi per natura , e per l'arti del disegno , quasi accessoria . - 6. La forma ci palesa l'unità ; 7. ch' esterna dipende dall ' in terno delle cose , si per natura e si per arte . 8. Esempj di ciò ; e in che dunque consiste l'ordine ideato comune al l ' arti del disegno. – 9. Per acquistare il disegno, ci oc corre abito astrallivo degli occhi, - 10. fantasia ferma e viva in ritenere la linea pura , 11. e intelletto esercitato a distinguere, paragonare , comprendere i contorni; 12. nè basta vedere , ma bisogna saper vedere o guardare ; 13. e in ciò sta il cosi detto giudizio degli occhi . - 14. Come si faccia l'esercizio nel disegnare. 15. Una regola princi . pale per l'arti secondarie . 16. Conclusione. CAP. XLVI. Architettura .... 1. Che cosa è l'architettura . 2. Si originò dal convi . vere umano. - 3. Si distinse dall'ingegneria per fine di bel lezza , 4. ritraendo l'immagine formosa del consorzio umano, 5. Questa idea perció la rende inventiva ; 6 . e indi l'architettura prende significato a ' suoi disegni , 7 . e anche la loro unità ; 8. ehe si palesa nelle proporzioni della massa , nel congiungimento delle linee , 9. e anche negli ornamenti. – 10. Com'espressione del consorzio uma no , quest' arte abbraccia le altre arti del disegno ; – 11 . s' accorda co' luoghi abitati dall ' uomo, e a sė li conforma; 12. imprime la bellezza sua nelle città intere, - 13. nel l'intera patria d'una nazione , — 14. per ogni luogo di es sa ; 15. e si distende a tutta la terra civile , com' efligie inica dell'incivilimento . 16. Conclusione. 357 CAP. XL I. S ulura ..... 376 1. Che cosa è la scultura . - 2. Principale soggetto al l'arti figurative si è l'aspetto umano. - 3. Più proprio della scultura è la relazione de' lineamenti con la vita interiore , anziché dell'uomo con la natura . -- 4. Indi all'arte sculto . ria il colorito e accidentale , ec . - 5. Nè la scultura di tutto rilievo ha paesaggj, che ristretti son' anche nel bassorilievo : - 6. è limitata nel figurare animali ; --- 7. e anche ne'gruppi di ligure umane. - 8. Soggetto più proprio alla scultura ė la bellezza umana del corpo, e in essa si comprende la fisio. logica e la fisica . 9. E perché si dica ciò della scultura piucchè della pittura , distinguendo tra figura e forma. - 10 . L'unità intera della immagine umana comparisce nella scule tura solamente. 11. Divario i'ra le due arti nel nudo e ne' panneggiamenti . 12. Limiti posti dal pudore. 13 . Qual sia -dunque l'idea esemplare dell'arte scultoria , 14 . E come bisogni evitare ia essa , piucché nella pittura , il freddo 460 INDICE DEL VOLUME SECONDO , ed il generico ; -- 15. ma senza cascare nei vizj opposti , 16. Conclusione . CAP. XLVIII. Pittura .... Pag. 395 1. Che cosa è la pittura. – 2. Idea che serve d' esemplare alle immagini ed a'segni di quest'arte, cioè armonia fra l'uomo e la natura esteriore , come rilevasi dal colorito ; 3. e perciò dalla figura colorata e dal prospetto aereo . - 4 . Magistero essenziale della pittura è il colorito ; – 5. ma non contraſfacendo i rilievi della scultura , 6. nè gareggiando con le cose reali pe' colorie per gli splendori , 7. nė pe' se goi di vitalità ; gareggiamento impossibile, - 8. e dannoso ; 9. bensi eleggendo que' segni che sveglino i sentimenti nell'anima nostra , come le cose di natura sogliono . 10. La pittura è visione di fantasia . 11. che splende in gen tilezze d' ornamenti , e in paesaggj . 12. e ne segni del con • versare umano , 13. e nell'unione verosimile di più tempi e luoghi , 14. e nel simboleggiare affetti sovrammondani . 15. Conclusione. 16. Utilità di tutte l' arti del dia segno . CAP. XLIX. Musica ...... 415 1. Che cosa è la musica . 2. Qual n'è l'idea regolatri ce . Relazione de' suoni col sentimento umano . 3. Ragione anche fisiologica di tale attinenza . 4. E indi attinenza principale di quest'arte con la voce umana . 5. Ma la relazione de' suoni col sentimento é indefinita , 6. e però la musica può indefinitamente significare ogni affetto . 7. Esprime e incita direttamente l' esaltazione degli af. fetti, 8. e viene usata per significare più vivo l'esalta. mento comune alla poesia ed all' arti del disegno . 9. Ciò apparisce altresi dal significato universale d'armonia . 10 . Però idea suprema e reggitrice della musica è , ch' essa renda immagine dell' esaltazione di ogni affetto umano. La quale idea si determina nel concetto de' componimenti varj. 11 . onde nasce la musicale unità , – 12. e l'invenzione di una frase principale, 13. che si svolge. - 14. Errori sulla na. tura della musica . Sensisti e Positivisti assoluti , - 15. Sen timentali , Aritmeticanti, Retoricanti . 16. Conclusione. CAP. L. Unione fra tutte l’ Arti del Bello ... 434 1. Danni del separare l' Arti, e argomento . 2. Unità d' obbietto , di soggetto e di potenza prevalente nell' Arti del Bello . 3. Perfezionamenti loro successivi , e legge di que sta successione. - 4. Si risolve una difficoltà . 5. Prima si perfezionò la poesia ; 6. indi l'architettura ; - 7. poi la scultura , e poi la pittura ; — 8. Apalmente la musica . 9. Aiuto che si porgono l'Arti ; quale la poesia ? – 10. quale l'architettura , 11. l'arti figurative, - 12. la musica ? 13. Si conferma l'unità essenziale dell'Arti fra loro . -- 14. Ri torno del pensiero alle cose ragionate ; 15 e 16. indi con clusione generale. DIALETTICA.  INDICE DEL VOLUME PRIMO.. INTRODUZIONE CUI SI RACCOMANDA DI LEGGERE ...... Pag . 1-881X LIBRO PRIMO . La Filosofia e i Concetti universali. Cap. I. Idea della Filosofia ...... Pag. 3 1. Che cosa è la Filosofia ? – 2. È scienza del pensiero ; 3. ma del pensiero in atto di vita , e non soltanto delle leggi lo giche astratte ; 4. e però è Scienza della coscienza e dello spirito . - 5. Scienza degli oggetti connaturali al pensiero , e però di Dio , dell'universo e dell'uomo ; - 6. Scienza, per tanto , delle somme cause , dell'ultime ragioni e de' primi prin cipj ; -- 7. Scienza , poi , della conoscenza , della scienza e della verità. – 8. Perciò nell'idea di relazione s ' appuntano i quesiti tutti della Filosofia ; - 9. e ivi troviamo la sua più alta verità . 10. Talchè la Filosofia e Scienza di Dio , del mondo e del l'uomo nell'ordine loro uoiversale ; o , più breve, Scienza delle relazioni upiversali; e siccome queste forman l' ordine , dunque altresì Scienza dell'ordine universale . - 11. Come in ogni altra Scienza , cosi nella Filosofia si ha perfezionamento, levandosi a un'idea superiore. - 12. Questa è l'idea di relazione. - 13 . Ciò richiede la tendenza e il bisogoo de' postri tempi . – 14.Im portanza della Filosofia ; danni d'una Filosofia separativa . — 15, Vantaggj d’una Filosofia comprensiva. 16. Sunto. CAP. II . La Verità .... 1. Perché dobbiamo esaminare l'idea universale di verità . 2. La verità è sempre entità conosciuta . – 5. La verità è ordine d'entità conosciuto. - 4. Si procede relazione in relazione. 5. L'unità dell'oggetto conosciuto si comprende , si distingue , 6. si riupisce di nuovo. - 7. Però gli Antichi dissero che la verità è pei giudizj. - 8. L'errore perciò sta nel vedere l'oggetto da una parte sola , e quindi nel travedere, 9. come si rileva degli errori metafisici ; - 10. nello Scet ticismo medesimo , e negli errori morali e delle Scienze fisiche . 11. Sicchè l'errore confonde, separa , nega. 12. Jadi spieghiamo il progresso della scienza e della civiltà, 13. o il regresso ; 14. le invenzioni e le scoperte. – 15 . esame dell'idea di verità ci mostra il costrutto semplice degli Univer sali , presupposto da ogni conoscenza . 16. Conclusione. 22 536 INDICE DEL VOLUME PRIMO. 42 - - 64 CAP. III . L'Entità . Pag. 1. Si comincia dalla nozione d'entità. — 2. Che cosa sono gli universali , - 3. Tre ordini d'universali: gli analogici , 4. gli attributi metafisici , e le condizioni universali del creato . - 5. L'uoiversale si è in ogni cosa e presentasi all'intelletto . - 6. L'idea d' entità primeggia fra gli universali. La esami Darono gli Antichi , – 7. i Padri, il Medioevo , e la Filosofia moderoa. 8. Non possono farne a meno anche gli Scettici e i Soggettivisti . 9. Questa idea non può pegarsi. 10. Ma esaminandola , bisogna evitare tre difetti. - 11. Si tripartisce : idea dell'essere comunissimo , - 12. idea d'essenza , - 13. idea d'esistenza ; – 14. com' apparisce anche da' linguaggi, 15. e dall'antica dottrina sull'essere e sulla possibilità , ch'è di tre specie . - 16. Conclusione. CAP. IV . L'Ordine dell'entità .... t . L'idea d'ordine si distingue nell'idea di relazione , d'atto della relazione e di correlazione . 2. Che cosa è la relazione ? L'esperienza ce la mostra ovunque. 3. Ogoi en tità è un tutto di relazioni , benchè, quando si tratta di cosa fioita , non essenziali . Ciò si rileva dal concetto d' essere , - 4 . d'essenza e d'esistenza . – 5. La relazione poi è , o intrinseca , - 6. od estrinseca ( cioè ad intra , o ad extra ). – 7. Ogni relazione si è atlo ; anche le attineoze ideali o di ragione. - 8 . Conie si procedè per giungere a questa universalità dell'idea d'allo . Gli Italioti , gl’lonici , Platone; 9. Aristotele ; 10. i Padri, gli Scolastici, e il Cartesio ; 11. il Leiboitz e la Fisica nioderna. 12. Correlazioni . Unità e triplicità in ogoi cosa . -- 13. Dottrine aptiche su ciò . - 14. Il Dogma cristiano della Trinità . - 15. Le correlazioni spiegano la legge universale de' simili e de' contrapposti, 16. Conclusione. CAP . V. Il conoscimento dell'Ordine .. 1. Nel conoscimento dell'ordine si distingue il Vero, il Bello ed il Buono , distinta la triplice relazione della Verità col l'intelletto , benchè io significato generalissimo ogoi relazione col nostro conoscimento sia Verità . 2. L'universalità del Vero corrisponde ai gradi dell' essere ; e come li notarono già i Filosofi . - 3. Cose non animate ; 4. cose animate ; 5 . gl'intelletti , ove la presenza dell'entità è manifesta . 6. La verità è relazione dell'entità con gl’intelletti , cioè intelligibi lità . – 7. Che cosa è la Bellezza , cioè l'ammirabilitd , con trapposta al Vero. Suoi gradi , 8. ne' corpi non animati , Degli animati e negl'intelletti. 9. Che cosa è il Bene , cioè l'amabilità . Suoi gradi , — 10. ne' corpi , negli animali e nella mente , 11. Assioma che deriva dall'esame degli universali , - 12. e loro convertibilità mutua ; – 13. la quale si manifesta nella scieoza, nell'arte e nella vita , perché il Buono conduce al Vero ed al Bello , - 14. e il Bello conduce al Vero e al Buono. -15. Nell'esame degli universali analogici abbiamo riscontrato le distinzioni già fatte dai Filosofi antichi e recenti . - 16 . Conclusione , e come il Bello morale sia l'accordo del Vero , del Bello e del Buono . 84 INDICE DEL VOLUME PRIMO. 537 CAP. VI. Attributi metafisici correlativi e Idea di Dio. Pag. 101 1. Esamedegli attributi metafisici , al quale ci porta l'esame degli universali analogici. — 2. Che cosa s'intende per attri buti correlativi metafisici. 3. Idee di questi attributi, tro vate nell'idea d'entitd ; 4. trovate nell'idea d'ordine dela Ľentità ; - 5. trovate nell'idea di conoscimento dell'ordine. - 6. L'idee degli attributi metafisici correlativi , e l'idea di Dio , non sono correlazioni astratte ; - 7. nè limiti soggettivi; - 8. nè un ideale soggettivo ; 9. nè , d'altra parte , sigoi ficano che Dio sia il grado supremo degli esseri ; – 10. nè la parte o il tutto ; 1. nè Pessenza o la sostanza delle cose contingenti . – 12. La correlazione degli attributi metafisici viene rappreseotata dall'idea del possibile fra l'idea d'Eote e l'idea d'esistente , o dall'idea d ' indefinito fra quelle d'Infinito e di finito. - 13. La correlazione stessa fu pure significata dal Gen tilesimo , 14. da' simboli suoi più notevoli , 15. e dalla simbologia naturale. - 16. Conclusione. Cap. VII . Idea di Creazione .... 121 1. Possibilità razionale della creazione. - 2. Vi ha nel pensiero umano questa idea dell'atto creativo , cioè di Causa prima. — 3. L'idea di causa si distingue dall'idea di sostanza ; 4. e si riferisce ad un che , il quale comincia dal nulla quanto all'esistenza , benchè non quanto alla potenza ; 5. si riferisce , poi , ad un termine distinto essenzialmente dalla cau sa , o ad extra . - 6. Più vera e più potente fra tutte le cagioni è l'intellettiva . 7. La Causa creatrice si distingue dalle cause naturali, perchè alla totalità delle cose preesiste la pos 8. perchè il soggetto , cioè la sostanza , si produce ad estra ; 9. e perchè avvi efficienza intellettuale assoluta : - 10. opde la Causa creatrice fu chiamata Verbo ia tutte le Tradizioni sacre , e il mondo è arte di Dio ; -11. la quale produce una somigliaoza divina nell'universo , mentre Dio non somiglia i finiti e li trascende . - 12. Gli errori e i dubbj sul dogma razionale di creazione nascono dalla fantasia , - 13 . e dallo sdegoare il mistero , comune ad ogni causalita ; 14 . sicchè gli errori provocarono lo svolgimento del Teismo nell'età de' Padri e de' Dottori , 15. e dell'età della Riforma e del Rinnovamento. - 16. L'idea di creazione ba tanta importanza , sibilità pura ; - perchè risguarda la Causa universale. CAP. VIII . Idee relative all'Entità della Natura ....... 143 1. Argomento ; le condizioni dell' entità : Prima condizione della natura , per l'essere suo , il quanto ; 2. che si distia . gue nell'unità , 3. nel numero 4. ( che non può essere infinito), 5. e pella unione delle unità . 6. Condizione seconda per l'essenza , il quale; - 7. che si distingue nella varietà , 8. nella contrarietà , 9. e nella somiglianza ; . 10. più notevoli dove la oatura è più alta . - 11. Terza condizione per l'esistenza , il quando ; 12. che si distingue nel momento , -13. nella successione, - 14. e nella durata ; - 15. non predicabili dell' Eternità . 16. Conclusione. C 538 INDICE DEL VOLUME PRIMO. 462 C il pine. - CAP. IX. Idee relative all'Ordine della Natura ....... Pag. 1. L'ordine della natura viene dall' attinenza della crea zione , 2. La relazione delle cose create ci dà la dipendenza, o derivazione; 3. ossia la sostanza , - 4. la causa , 5. e l'essenza reale . - 6. L'Atto delle cose ci dà il come (quomodo); – 7. ossia il principio , 8. il mezzo , 9. e 10. Le correlazioni delle cose ci dàono il dove , che può essere correlazione ancointellettiva , 11 , e correle zione materiale ; - 12. ossia il punto , - 13. Y estensione particolare, 14. e lo spazio , 15, che non può essere infinito , ma è nell'infinito ; 16. e il sublime si origina da cið . Cap. X. Condizioni naturali del conoscimento ...... 1. Criterio della conoscenza ; ove si riscontrado : l'oggetto ideale , – 3.6. l'idea, - 4. che ci fa conoscere il si mile per ilsimile , 5. (onde si spiega la formazione dell'idee universali , e la conoscenza delle cose esteriori , 6. di noi stessi , degli altri uomini , - 7. e di Dio) , - 8. c . il senti mento , in relazione del quale ogoi cosa dicesi un fatto , ed esso medesimo ha questo pome . 9. Forma del bellezza ; - 10. e qui si riscontrano : la cosa formata , 11. l'idea esem plare , 12. e il gusto . - 13. Legge del bene , ove si ri scontra il bene oggettivo , - 14. la felicità , - 15. e l'utilitd . - 16. Conclusione. 182 . 2. a. - LIBRO SECONDO. Divisione della Filosofia e Arte dialettica. 207 . CAP. XI. L'Enciclopedia .... 1. Per determinare i quesiti della Filosofia , bisogna ve. dere le sue parti e l'Enciclopedia o l'albero del sapere umano , 2. Ordine di formazione , ordine di logica dipendenza. 3. Criterio armonicamente oggettivo e soggettivo per trovare la distiozione dello scibile e l'ordinamento suo. 4. Quattro classi di conoscenze : - 5. onde vengono la Teologia positiva , la Filosofia , le Matematiche e la Fisica . 6. Parti della Fi losofia universale. - 7. Filosofie particolari e applicate . 8. Matematica. - 9. Fisica . - 10. Storia sacra , umana , na turale. – 11. Arti filosofiche , matematicofisiche e storiche. 12. Tradizione perenne dell' Eociclopedia . – 13. Errori che la guastano. 14. Pericolo dell'Enciclopedie a dizionario , le quali spezzano la continuità del sapere. - 15. Divisione della Filosofia in tre parti : la Dialettica , l' Estetica e la Morale. - 16. Conclusione. CAP. XII . La Dialettica. 1. Che cosa è la Dialettica . — 2. È quasi un dialogo. – 8. Esemplare unico dell'Arte logica è la natura , - 4. se no 229 INDICE DEL VOLUME PRIMO . 539 - 8. e s'op v'è ignoranza . – 5. L'Arte logica è osservazione di natura , - 6. se oo avvi leggerezza , impazienza e preoccupazione appas sionata . – 7. È imitazione di natura , 8. se no avvi artifi cio. – 9. È inveozione ordinativa , pop oggettiva , - 10. se no avvi l'assurdo. - 14 . È per fine di verità , - 12. se no si confondono l ' arti , che per altro s' accordano e s ' aiutano . 13. La Verità , com'oggetto dell'Arte logica , viene deter minata dalle operazioni di questa , - 14. e però è ordine d'en tità ripensato , 15. ragionato , — 16. e significato . CAP. XIII. La Critica interiore vera e la falsa ........ Pag. 251 1. La Critica suppose un Criterio , che paturale cono scenza porge alla riflessa. - 2. Il bisogno di Critica interiore viene dal bisogno di cercar l'origini dell'errore, e dall'altro di sceverare nelle cognizioni la parte oggettiva e la soggettiva ; - 3. e però è antichissima; benchè a questa si contrapponesse Ja Critica eccessiva . 4. Esempj dell'una e dell'altra nel Cartesio e nel Kant. 5. Principiare dal dubbio universale non si può ; e questa è critica smodata , o fuori di natura. 6. La riflessione filosofica deve cominciare dalla ignoranza filosofica, piuttostochè dal dubbio metodico . 7. Però la Critica eccessiva non può condurre alla scienza ; pone , qualunque sia l'intenzione de' Critici , alla virtù ; 9. è causa di desolazione , - 10. o di misera indifferenza . 11. Jovece per la Critica razionale s' afferma il oaturale co noscimento , 12. la forma di questo e la materia ; 15 . cioè la forma naturale in relazione con gli oggetti , - 14. e la realtà degli oggetti stessi , che costituiscono la materia necessa ria o coboaturale del pensiero . · 15. Postulati della Critica - 16. Ogni operosità viene impedita dal Criticismo. Cap. XIV . Verità connaturali al pensiero umano . 272 1. Tre requisiti delle verità connaturali . – 2. Esistenza di noi stessi . - 5. Errore del Kant e de' Positivisti , - 4. e loro confutazione . 5. Si riscontrano i requisiti della conoscenza naturale nella coscienza di noi stessi . – 6. Notizia del mondo esteriore , – 7. e dell'ordine suo. — 8. Opinione del Kant e de Positivisti , 9. e loro confutazione. - 10. I requisiti della conoscenza naturale si trovano nella notizia del mondo. 11. Idea di Dio . - 12. Opinione del Kapt e de' Positivisti . 13. Confutazione , 14. Si riscontrano nell'idea di Dio gli stessi requisiti o spontaneità , - 15.inconvertibililà e insepa rabilità . Da queste notizie di noi , del mondo e di Dio risulta la sostanziale totalità della coscienza . 16. La Filosofia non può disconoscere questa materia del pensiero e della scienza . CAP. XV. Armonia tra le forme della conoscenza e le cose . 294 1. Che cosa è la forma. – 2. L'armonia tra le forme del conoscimento e gli oggetti , onde provenga. 3. Apparenza sensibile , - 4. corrispondente agli oggetti percepiti ; – 5. e quindi si fece da Galileo e poi dagli altri la distinzione fra le qualità primarie de' corpi e le secondarie ; - 6. talchè verifi chiamo che l'apparenze sensibili son segoi reali , realmente vera . - 540 INDICE DEL VOLUME PRIMO. corrispondenti alla realtà delle cose. -7. Aoche le apparenze , che dano'occasione d'inganno , procedono da leggi di natura. - 8. La vista ci dà i segoi apparenti delle distanze. – 9. For me intellettuali , corrispondenti all'entità e verità delle cose , ue' concetti, - 10. ne giudizi , -11. e oei raziocioj. 12 . Armonia tra il conoscimento di ciò ch'è o avviene deotro di noi , e il conoscimento di ciò ch'è fuori di noi: per i segoi del l'anima del corpo ; – 13. per l'analogie fra l'anima l'uoj verso ; - 14. per l'intendimento delle qualità e delle condi zioni d'ogoi cosa esterna ; — 15. e per la conoscenza di Dio. 16. Conclusione. CAP. XVI. I Principj armonici della ragione ... Pag. 318 1. Che sono i principj universali della ragione. — 2. Na scono dalle idee universali, e s'ordipano com'esse. -3. Prima classe , corrispondente agli universali analogici . Per l'entitd si distinguono più principj , riflettendo all ' idee d' essere , 4. e all' idee d'essenza e d'esistenza. 5. Per l'ordine del l'entità , si distinguono , riflettendo all'idee di relazione , 6. di atto della relazione e di correlazione . - 7 . Per il cono. scimento dell'ordine, si distinguono , riflettendo all' idee del Vero, – 8. del Bello e del Buono . – 9. Seconda classe , cor rispondente agli attributi metafisici correlativi . – 10. Terza classe, corrispondente alle universali condizioni della Datora fioita . Si hanno : Per l'entità di questa , i priocipj di quantild, di qualità e di tempo ; 11. per l'ordine della natura , i principj di derivazione o dipendenza , - 12. di modalità e di confinazione o del dove ; – 13. per il conoscimento dell'or dine , com ' esso è negl' intelletti creati , i principj che risguar dano il criterio della verità , la forma della bellezza e la regola del bene. – 14. In che stia l'utilità de' principj uni versali. – 15. Due opinioni estreme ed erronee : l' una che li Dega , l'altra che li reputa generativi di tutto il conoscimento . - 16. Conclusione . CAP. XVII . L'Osservazione ...... 340 1. Materie da trattarsi . — 2. Atteozione. - 3. Osservazio ne. – 4. Riflessione. - 5. Si verifica ciò nelle verità d'espe rienza esteriore, cosi per Arte logica naturale , 6. come scientificamente. 7. Si verifica delle verità di esperieoza interiore , cosi per suggerimento di natura , 8. come per la Scienza . 9. Si verifica delle verità intellettuali pure , 10. cioè negli universali della Metafisica e delle Matematiche. 11. Si verifica nelle conoscenze ricevute dall'autorità , 12. e ipdi vien la Critica , 13. Lo stesso aodamiento si vede nel procedimento storico delle Scienze. -44. Idem ,-15. Anche nel procedimento della Letteratura . 16. E anche nell'Arte pedagogica. CAP . X III . Metodo che imita la Natura ...... 1. Che cosa è l'imitazione dialettica : parte sostanziale del metodo . 2. Sintesi primitiva. – 3. Analisi. - 4. Sintesi 361 INDICE DEL VOLUME PRIMO. 541 - secondaria . 5. Legge dialettica. 6. Il metodo allora è quasi un contrappuoto musicale. -7 . Però non può essere nè solameote analitico , nè solamente sintetico . 8. Difetti del Puno e dell'altro , - 9. Il metodo compreosivo gli uoisce. 10. Contrarie inclioazioni di ogni età verso l'analisi eccessiva o la sintesi eccessiva . 11. Esempio del Gioberti . - 12. Il vero metodo è propriamente dialetlico o dialogico. 13. Sua utilità nelle Scienze ; 14. nell' Arti del Bello , - 15. e nel ” Arti del vivere civile . . 16. Conclusione. CAP. XIX. L'invenzione dialettica ..... Pag. 381 1. Che cosa è l'invenzione scientifica , o che cosa è la Scienza com'ordine meditato di conosceoze, - 2. Si comincia dalla comprensione dell'oggetto per una definizione nominale ; - 3. poi si viene all'analisi con la divisione , – 4. con la tési e con l ' antitesi , con la prova dall'assurdo, e con l'elimina zione; - 5. fochè si giunge alla definizione dialettica , che può essere o intrinseca o per via disole relazioni. - 6. Poscia , passando alla sintesi , abbiamo l'ordine induttivo e il dedatti 7. Tutto questo mirabile ordinamento è una ricerca delle ragioni, e uno spiegare per esse ; oode gli Antichi dis . sero che saper vero è un sapere per le cagioni ; - 8. cioè per principj; - 9. e questo s'avveranella teorica degli universali , - 10. e nella Scienza dell'uomo, dell'universo e di Dio ; 11. s'avvera nelle Scieoze civili e storiche; 12. Delle Mate matiche, 13. e nella Fisica . 14. Indi si spiega l'inven zione degli stromenti e delle macchine ; 15. come altresi la ipotesi e l'intuizione dottrinale. 16. Supto. vo . - 403 - CAP . XX . Il fine dell' Arte dialettica .... 1. Argomento. 2. Connessione logica . - 3. Che stato der essere quello di chi cerca la verità , 4. e difetti che bisogna evitare . - 5. Si può errare io ciò per leggerezza , 6. o per una preoccupazione. 7. Chiarezza , - 8. e difetti da evitarsi , -9. Errori che procedopo da leggerezza , - 10. e da preoccupazione , prendendo per chiaro ciò che non è . - 14. Certezza ; 12. e difetti evitabili ; 13. badando anche ip ciò di non errare per leggerezza d' assensi -14. e per qual che preoccupazione, stimando che sia certo l'incerto , e vice 15. Connessione , chiarezza , certezza , non possono realmente trovarsi che pella verità . 16. Si concbiude : che fine d'ogoi Scienza , e perciò anche della Filosofia , non è di dare a noi , quasi mancanti d'ogni ragionevole conoscenza , un primo conoscimento della verità , si l' ordine riflesso della co gosceoza e della verità : e poi, che l'Arte dialettica è altresì un abito morale ; e ancora, che l'abito del parlare meditato giova molto all'ordine del pensare ragionato e retto . versa . - 542 INDICE DEL VOLUME PRIMO. LIBRO TERZO. I Criterj della Verità o Leggi universali della Dialettica. Cap. XXI. L'Evidenza , o il Criterio della Verità ..... Pag. 427 4. Argomento , e qual sia il disegno della Dialettica , e qual ragione v'abbia di trattare qui de Criterj ; e dottrina loro semplicissima. -2. Il Criterio è uoa regola , perch'è un segno della verità in relazione con l'intelletto . - 3. Non può negar si , fuorchè negando la conoscenza ; non può travisarsi , fuorchè da' sistemi sostanzialmente falsi ; e vi ha una dottrina costante sulla natura del Criterio . - 4. Il Criterio è un segno apparte nente all'ordine della verità , 5, ed è universale . - 6. II Criterio , perciò , è l ' evidenza dell' ordine di verild ; – 7 , è quindi uno e moltiplice , ossia è un ordine di Criterj; 8. perch'è l' evidenza dell'ordine di verild in sè stesso , e ne' suoi contrassegni universali ; cioè coutrassegni d'amore e di fede , perchè l'ordine della verità corrisponde all'ordine della nalura umana. 9. Il Criterio vale altresi nelle cogni. zioni anteriori alla Scienza , 10. nè la Scienza può disco noscerlo. 14. Nella Scienza, poi , l'evidenza precede il ragionamento , l'accompagna , e lo compisce. 12. Nella Filosofia, l'evideoza del Criterio naturale si converte in evi deoza scientifica ; non già perchè si comioci dal dubbio ; anzi non può cominciarsi da esso , perch'è un riconoscimento . – 13 . Criterio della Filosofia è l' evidenza dell'ordine universale ; . 14.senza di che quella è fuor di natura . - 15. Criterio delle altre Scienze è l' evideoza d'un ordine particolare ; ma in essa i Criterj sccondarj bao solo un ufficio indiretto e più ristretto . - 16. Conclusione. - 451 Cap. XXII . L'evidenza del Teismo, come di verità ordinatrice o di Criterio supremo .... 1. Perchè la verità di Dio creatore sia Criterio compren sivo alla riflessione. 2. La Scienza de' limiti è scienza ne cessaria ; e il Teismo ci avverte de' nostri limiti . 3. Questi sono la natura stessa dell'intelletto e delle cose. 4. Soprin telligibile , soprannaturale , 5. intelligibile : 6. la verità di creazione fa serbare questi limiti , e spiega il perchè del sovrintelligibile divino, –7. del sovriptelligibile naturale, 8. e ci rende liberi e sicuri nello studio delle cose intelligibili , che sono inesauste a mente umana. - 9. Quindi essa rende soddisfatto qualunque bisogno dell'uomo, e ordina le Scienze che si riferiscono a' bisogoi stessi . Teologia positiva, - 10. Filosofia , Matematica , — 11. Fisica , 12. Filosofia della Sto ria , Filologia e Critica. - 15. Quel Criterio spiega la legge del progresso in Filosofia e il regresso sofistico . – 14. I siste mi, opposti alla verità di creazione, ristringono la conoscenza riflessa , 15. e poi l'apoientano. - 16. Conclusione. - - INDICE DEL VOLUME PRIMO. 543 - Cap. XXIII. Sistemi opposti al Criterio della Verità , e pri mieramente il Panteismo.... Pag . 472 1. Argomento. - 2. Contradizioni del Panteismo , e pro posito di affermare le contradizioni.- 3. Panteismo orientale , 4. pitagorico , - 5. eleatico ed ionico ; - 6. degli Ales sandrini e Gnostici , - 7. che difendevano il Paganesimo ; 8. de' Reali nel medioevo , – 9. e dell'altre Sètte ; - 10. del Bruno e del Campanella 11. ( sterili , se paragonati al Car tesio ed a Galileo ) , · 12. dello Spinosa ( non paragonabile alla fecondità del Leiboitz), - 13. de' Panteisti tedeschi , 14. e de' loro discepoli. 15. Verità grandi , che balenano dal Panteismo ; 16. il quale , bensì , le travisa , e però nega i fatti più sublimi della coscienza. CAP. XXIV. II Dualismo . 493 1. Argomento. - 2. Io che il Dualismo è peggio , e in che meglio del Panteismo ? 5. Dualismo fra gl' Indiani. 4. D'Anassagora , - 5. di Platone , - 6. d'Aristotele, 7 . degli Stoici . - 8. Dualismo tra certi Filosofi maomettani . 9. Dualismo nella Cristianità del medioevo ; 10. e come le tracce del Dualismo antico si trovino anche ne' Dottori scola stici ; - 14. talchè se n'occasionava , ne' tempi della Riforma , up Dualismo nuovo , non antiteistico , macosmologico e antro pologico . – 12. Il Cartesio ; – 15. ed effetti delsuo Dualismo , segnatamente nel Malebranche , - 14. e nel Leibojtz ; 15. o anche nell'Idealismo , nel Sensismo e nello Scetticismo poste riori . 16. Il Dualismo riduce i contrarj a contradittorj , - talchè rompe ogoi armonia . CAP. XXV. L ' Idealismo e il Sensismo.... 515 1. Differenza fra l ' Idealismo e il Sensismo. 2. Cenno storico di questi sistemi . – 3. Io che propriamente consiste l ' Idealismo (e sbaglio d' alcuni moderni), e paragone con gli effetti del Sensismo. - 4. Vizio principale degl ' Idealisti . 5. Nel Sensismo la coscienza umana non riconosce sè stessa ; 6. non l'intelletto , essenzialmente diverso dal senso ; - 7. non - 8. non l'idealità ; 9. non la riflessione sopra di noi ; 10. non la religiosità ; 11. non la certezza nella cogoizione de' corpi ; 12. non la Filosofia ; si solamente la Fisica , - 13. ma falsata e con metodi non suoi . - 14. E sono alterate anco le Matematiche , - 15. com' altresi la Sto ria . - 16. Sunto .  INDICE DEL VOLUME SECONDO. - Cap. XXVI. Lo Scetticismo...... Pag . 1. Argomento. 2. Scetticismo nell'Asia e fra gl ' Italo greci ; - 3. nell'età Socratica e del medioevo ; 4. nell'età moderna . – 5. Eclettici e Mistici , che non riparano allo Scet ticismo , dacchè gli concedono di partire dal dubbio . – 6. Idea Jismo scettico e Sepsismo scettico. 7. Razionalismo , 8 . e Positivismo ; – 9. e quindi Scetticismo metafisico , antimetafisico , - 11. che bensi trova la Metafisica per tutto . – 12. Come la natura repugoi dallo Scetticismo . 13. Con seguenze principali di questo . Desolazionee scherno . - 14. Dif ficoltà pelle controversie , o Dommatismo scettico ; abito di giudicare de' fatti umani da sole circostanze esteriori. 16. Lo scetticismo riduce a nulla il pensiero. 10. e 15. e CAP . XXVII. L'Amore della Verità ... 22 4. Che cosa è nell'ordine suo pieno il Criterio ? Condizioni intrinseche ed estrivseche per la conoscenza della Verità . 2 . Sentimento e amore. 3. L' affetto è conoscenza e la cono scenza è affetto . -- 4. Bisogna secondare con la libera riflessione il naturale affetto . 5. Come l'affetto della Verità dia im pulso al ragionamento , l'accompagni e lo assicuri , e perciò bi sogna guardare a quell'impulso , 6. a quella compagnia e a quel riposo ; - 7. e sbagliarono tanto i Sentimentali , che di visero l'affetto dall'evideoza ; 8. quanto gli Astratteggian ti , che separarono l'evidenza dall'affetto . 9. Ufficio del l'amore di Verità nelle Matematiche ed io Fisica . - 10. Ufficio di quello in Filosofia , il quale altresì ci mostra gli affetti con naturali, che corrispondono agli oggetti della Filosofia stessa ; - 11. cioè l'amore di noi medesimi e degli altri uomioi , 12. l'ammirazione affettuosa per l'ordine della natura 13 . e gli affetti religiosi . – 14. Quello è anche Criterio degli Studj critici , storici e teologici . – 15. Nelle passioni l'affetto patu rale può facilmente riconoscersi . – 16. Per l'affetto la scienza si converte in sapienza. 500 INDICE DEL VOLUME SECONDO. 42 - - 63 - salità ; CAP. XXVIII. Il Senso Comune... Pag . 1. Quando la parola serve di Criterio ? - 2. Che cosa è il Seoso Comune ? Due sigoificati di esso , - 5. dal separare i quali vennero due opinioni false , · 4. Limiti del Senso Co mune : . 5. i principj , 6. le immediate percezioni , 7 . e le immediate conclusioni . 8. Ufficio diretto e generale del Senso Comune in Filosofia ; non cosi nell'altre Scienze , 9 . fuorchè dov'esse s' uniscono alla Filosofia stessa . - 10. Obie zioni sull'esistenza del Senso Comune , per la contrarietà delle opinioni . – 11. Obiezioni contro la testimonianza de' Lioguagej al Senso Comune , per la supposta indifferenza de' vocaboli al si e al no ; – 12. per il materiale significato primitivo di parole che ricevevano poi un sigoificato spirituale. 13. Obiczioni sulla ragionevolezza d'usare il Senso Comune a Criterio , qua sichè questo sia credenza , non evidenza ; - 14. quasichè vo gliamo reputarlo sapienza o scienza ; 15. quasichè occor resse interrogare tutti gli uomini . . 16. Sunto, e necessità di ricondurre le Scienze alla natura , come le Arti del Bello . CAP . XXIX. Tradizioni e progressi nelle Scienze ... 1. Criterio delle Tradizioni scientifiche . 2. Due siguifi. cati del vocabolo Scienza . – 3. Dobbiamo verificare l'univer 4. distinguendo i principj, i teoremi , i problemi, e gli errori. 5. L'unità del consentimento non toglie la libera varietà . -6. Consentimento e progresso pe' principj e ne' teo remi , -7. e ne' problemi . – 8. Le Sètte son dimezzatrici della Verità ; 99.. eppure confermano i teoremi , 10. e son’oc casione di progresso , mostrando i mancamenti della Filosofia , 11. perfezionandone la forma , 12. e alcune dottrine particolari , - 13. e le loro conseguenze nelle dottrine de'Fi losofi. – 14. Nascono due opinioni false : cioè i sosteoitori della sola evidenza privata ; – 15. e i sostenitori del solo criterio storico . - 16. Conclusione. CAP. XXX. Relazioni fra le Scienze e la Religione ..... 1. L'argomento, che ora si tratta , è Glosofico di sua na tura , – 2. Due significati della parola Religione. - 5. S'esclu de : che la Filosofia debba ricevere l'autorità senz' uo motivo evidente di ragione; – 4. che, per l'esame, debba sospendersi la Fede ; 5. che l'autorità del verbo religioso sia un Crite rio diretto per ogni Scienza ; - 6. che la Filosofia debba en trar pe' Misteri , o la Teologia nel ragionamento filosofico ; – 7 . che sia lo stesso metodo e lo stesso fioe a’ Filosofi e a' Teologi . - 8. Nel fatto , l'efficacia delle Religioni è universale sopra i sistemi filosofici ; 9. e sempre la Religione s’ è reputata upa Fede ; 10. Criterio è poi , se corrisponde alla coscienza ; 11. talchè sia un'evidenza e una credenza , cioè una credenza evidente. · 12. Fa quasi specchio all' uomo interiore , - 15 . che riconosce l'integrità dell'essere suo io quella. 14. Gra vissimo errore del negare validità razionale lenza non filosofica . 15. Il Criterio religioso sublima l'animo e lo ràs. serena, porgendo così le due condizioni necessarie d'ogni me . ditazione più alta . 16. Sunto. 84 INDICE DEL VOLUME SECONDO. 501 LIBRO QUARTO. Leggi speciali della Dialettica . oi . - - 6. e Cap. XXXI. Dell'Ordine , come suprema Legge razionale . Pag. 107 1. Legge suprema razionale . 2. Leggi concrete o datu rali , 5. Legge soprema è l'ordine . 4. Unione de' termi 5. Cercare questa unione, rispetto agli oggetti , pelle operazioni , cosi dell'Arte bella e dell' Arte buona , 7 . come dell'Arte dialettica . 8. Cercare la somiglianza de' ter mioi, – 9. le loro differenze , - 10. e le loro contrarietà , 11. escludendo i contradittorj. 12. Ksempio tolto dalla teo rica de' Criterj . – 15. Errore, deformità , male , sono disor dini . Ogni errore non altro è , che da una parte soltanto risguar dare la verità , segregandola dal resto che le appartiene , e senza cui non è più verità. - 14. Gli errori e il male cadono d'ec cesso jo eccesso . 15. Meraviglie della ragione umana, che imita l'ordine della natura interiore ed esteriore . 16. Coo clusione. Cap . XXXII. Ordine dell'idee 127 1. Ripensamento dell'idee. - 2. L'idea , del suo valore intimo , è sempre vera ; - 5. quantuoque altresi per idea s’in . tenda lutto ciò che con la riflessione s'afferma e nega ; e allora l'idea può essere falsa . — 4. Bisogna esaminare il positivo del l'idee ; - 5. nè può darsi un'idea negativa per sè medesima. 6. Poi bisogna esaminare l'ordine dell'idee con gli oggetti, e come non possiamo pegar l'idea d’un oggetto , se igooriamo la sua intima essenza , nè possiamo negare l'idea d'un fatto , se ignoriamo il comeavviene il fatto , ec .; -7. e bisogoa esa minare qual sia la natura dell'oggetto , coocepita per mezzo dell' idee . - 8. Idee a priori e a posteriori ? 9. L'idee hanno fra loro uo ordine cbe va riconosciuto ; 10. talcbè , riflettendo a quello , si formano idee distinle , adequale , chia -A1 . e ci leviamo all'idea perfetta . 12. Bisogna , in line, ch' esaminiamo la forma concettuale dell'idee , 13. la loro estensione e comprensione , 14. onde riconosciamo l'unità 15. per la quale l'idea è un esemplare unico di 16. Chi poo badi alla oatura dell' idee non può intendere alcuni fatti maravigliosi della patura umana . Cap. XXXIII. Ordine della Memoria .. 1. Argomento .– 2. La legge della Memoria è l'ordine stesso che regge l'idee . 3. Associazione dell'idee . 4 . Come possono in unità raccogliersi le varie associazioni , notate da' Filosofi. 5. Quella medesima legge si distende al richiamo de' fantasmi e de'segoi . - 6. E anzi , abbraccia tutte le facoltà , concorrenti nella Memoria , 7. e unità naturale del . 8. e l'unità morale del genere umano. — 9. Que st' ordine , ch'è legge della Memoria , diviene regola . È neces saria l'attenzivce sull’idee e il raccoglimento. 10. Bisogoa 32 * re , dell' idee , molte cose . ſaomo , 502 INDICE DEL VOLUME SECONDO, - considerare la coonessione dell'idee e i segni seosibili per facil . mente richiamarle. - 11. Inoltre , acquistar l'abito della ri flessione sull'ordine de' giudizj e de' raciocinj, per il pronto discorso scientifico . 12. Singolarmente quell'abito è neces sario per la Memoria delle parole. 15. Tadi procede la pa dronanza dell'esporre. 14. Per l'uoità coosapevole interna , occorre rammemorare il nostro passato . 15. Per unità morale del genere umano poi , occorre la Tradizione , ch'è me moria. – 16. Conclusione . Cap. XXXIV. Ordine de' giudizj.. Pag. 166 4. Argomento . 2. Co.ne dall'idee si svolgono i giudizj ; - 3. onde i giudizj possibili sono distinti da’ formati o reali. - 4. Categorie , 5. oggettive e soggettive. 6. Perfezio oamento di questa dottrina . - 7. Categorie oggettive , o se condo gli Universali ; 8. Categorie soggettive : 9. I. quanto alla forma concettuale dell'idee , giudizj universali , ge nerali , particolari , singolari ; - 10. II . quanto alle relazioni fra l'idee , categorici , ipotetici, disgiuntivi, 11. problema tici , assertori , apodittici, - 12. diretti e comparativi, astratti e concreti, a priori e a posteriori , - 13. analitici e sintetici ; - 44.III . quanto alla forma de'giudizj , affermativi , negativi , limitativi ; 15. IV . quanto alla relazione di più giudizj, equipollenti , convertibili , contradittorj , contrarj e subcontrarj. 16. Conclusione; e come sia necessario , giudicando , solle varsi all'idea distinta , chiara , adequata , e quindi perfetta , di ciò che meditiamo. Cap. XXXV . Ordine del ragionamento .. 186 1. Argomento. Regole. • 2. Legge dialettica . – 5. Idea media ; e come il raziocinio sia un giudizio complesso che si scioglie in tre giudizj. – 4. Priocipio formale del raziocinio . - 5. Deduzione e induzione. - 6. Deduzione dal simile al diverso . – 7. Induzione dal diverso al simile . - 8. La diffe reoza tra il ragionamento deduttivo e l'induttivo, in che non può consistere ? — 9. Qual'è duoque la differenza del ragiona mento deduttivo , 10. e dell'induttivo ? - 11. Da essa viene la regola . 12. E , per opposto , dal violarla vengono i sofi - 13. e si vedenel dedurre, - 14. e nell'indurre.: 15. Non deve mai separarsi la 'regala formale dalla materia del ragionamento ; - 16. oè la materia di questo dall'ordine suo . C .: P. XXXVI. Utilità del ragionamento . 206 1. Argomento. 2. Come deve intendersi che si procede dal noto all'ignoto ? 5. Che cosa troviamo di nuovo per via del ragionamento ? 4. Deduzione; 5. in Fisica , in Ma. tematica applicata ; – 6. altre scoperte , – 7. per equipollen za , conversione, opposizione, esclusione'; 8. deduzione per via di regole applicate . – 9. Induzione , é sua certezza . --40 . Induzioni fisiche. 11. Analogia . 12. Ipotesi. – 13. In duzione metafisica . – 14. Due erroriopposti : l'uso di coloro che immaginano la deduzione quasi generazione ; 15. l'al tro di coloro che negano il dedurre. 16. Conclusione . smi ; ISDICE DEL VOLUME SECONDO. 503 216 Car. XXXVII. Unione e varietà de'Metodi.......... Pag. 227 1. Argomento . 2. La verità , com ' ordine conosciuto , si trasforma in Metodo : può vedersi dalla Storia della filosolia , 3. e delle Scienze fisiche ; 4. talchè vana è la disputa se preceda l'importanza de'Metodi o de principj; - 5. e quindi ancora si vede che il Metodo risguarda il soggello e l'oggello , e ch'è psicologico ed ontologico insieme , 6. cioè critico . - 7. Faria il Metodo ; ma neile varietà c'è leggi comuoi . 8. Le varietà poi derivano dalla natura dell'argomento , 9 . taotoché riesce assurdo il coofondere tra loro i Metodi; 10 . e vba Scienze deduttive , 11. induttive , . 12 , miste ; 13. più sintetiche , o più analitiche . 14. I Metodi , variando secondo la varietà delle cose , diversificano pure secondo la mente di chi pensa la verità , 15. e secondo la mente di co loro , a cui la verità s ' espone. 16. Sunto. CAP. XXXVIII. Abiti necessarj al ragionamento 1. 11 Metodo è abito , e richiede: abito di virtù , abito in tellettuale che disponga l'intelletto all'Arte ragionativa, e abito dell'Arte. – 2. Abito morale , cioè amore della Verità . 5 . Bisogna essere preoccupati solo da questo amore ; 4. unito alle virtù morali , - 5. e come dagli abiti viziosi opposti s' of feoda il ragionaiento buono. — 6. Abito intellettuale del rac coglimento, – 7. donde nasce il diletto della meditazione , 8. e che porta con sè l'abito di badare all'armonia delle facoltà e delle dottrine , 9. e di ordinare i proprj studj . 10 . Abito intellettuale dell'Arte , cioè il possesso delle regole . 41. e dell'ordine loro ; 12 donde procede la necessità di tre atti razionali abitualmente, cioè l'esame del pensiero del principio de' ragionamenti, a mezzo e io fine ; 13. il quale ultimo è importantissimo ; 14. e indi viene il possesso della ragione ; 15. acquistato piucchè mai dall'esercizio della pewna e della disputa ; 16. purchè questa sia conveniente. Cap . XXXIX. L'Esposizione .... 264 1. Iinportanza dell'argomento , 2. Ufbej della parola : interpo e sociale . 5. La parola s’unisce strettamente al pen siero , ma non lo costituisce ; 4. bensi lo determina . 5 . Non bastano i fantasmi, ma ci vuole il segno dell'idea 6 . tanto più che il discorso esterno aiuta con la successione sua la riflessione discorsiva . – 7. Legge dell'Esposizione si è la legge dialettica ; 8. ossia determinare con la lingua l'ordine del pensiero ; il che apparisce anche da' nomi che si dànoo a'ter mioi della proposizione e del raziocinio , e al congiungimento de' termini ; - 9. e poi , la bellezza dello stile dottrinale ac corda il Vero col Buono . 10. Regola perciò è : determinare cop l'ordioe della parola l'ordine del pensiero ; -11 . in con formità dell'idee e dell'idioma , 12. donde si traggono le regole tutte grammaticali , 13. e dello stile . 14. Quindi è impossibile separare la bellezza dell ' Esposizione dalla pro fondità e dall'ordine del pensiero . – 15. Se non determiniamo con le parole il proprio concetto , - 16. in conformità dell'ig 2 504 INDICE DEL VOLUME SECONDO. 4. ma timo legame fra i concetti , e in couformità del linguaggic , ven gono gravi errori . Cap. XL. L'Interpretazione .. Pag . 283 1. Argomento. — 2. In quante maniere debba determinarsi l'ordine del pensiero altrui . 5. Relazioni del discorso con la Jingua ; e perciò la sappia , chi vuolesser critico ; tutti sapere ogni liogua , non si può pè giova ; 5. e allora valersi degl'interpreti migliori. – 6. Relazioni del discorso con la mente altrui; e perciò stare al senso letterale , quanto si puo ; – 7. oon interpretare alla leggiera né cop troppo di sot tigliezza : 8. non alterare né i difetti né i prenj ; – 9. ba dare ai fini che il testimone o lo scrittore si proponeva. 10 . Relazioni del discorso con l' animo altrui; e pero guardare alla capacità e alla veracità con argomenti intrinseci ed estrioseci ; : 11 . nè la capacità negare, preoccupati da un'idea ; 12 . nè , per la veracità , eccedere ne' due vizj opposti d'una Critica adulatrice o caluoniatrice. - 15. Relazioni con la Società uma na ; e però con l'incivilimento , 14. con la Religione , 15, con l ' uniune delle prove . 16. Sunto, LIBRO QUINTO . Metodi secondo le varie Discipline. 305 0 Cap . XLI. Metodi speciali ..... 1. Perchè i Metodi si distinguono secoudo le Discipline va rie ? - 2. Quanti sono i Metodi speciali , - 3. che procedono dalla relazione varia degli oggetti con la mente ? 4. Ogni errore sostanziale di Metodo procede da un errore su detta rela zione. - 5. Gli errori de' sistemi sul Metodo , esaminati , ren dono testimonianza tutti insieme alla vera dottrina. 6. La distinzione de' Metodi è necessaria pell'Arte del Vero , come si distinguono l'Aiti speciali nell'Arte del Bello ; – 7. e chi oega la differenza de' Metodi, pega implicitamente esplicitamente una qualche verità ; come nell'Arti Belle , 8. cosi nell'Arte dialettica . 9. Connessione de' Metodi ; . 10. e ciò si vede anco nell' Arti del Bello . Hl . Ma la connessione non toglie poi la distinzione , 12. secoudocbė il rispetto delle verità mediane o collegatrici diversifica ; 13. onde bisogna rispet tare la varia competenza nelle Scienze diverse ; 14. beocbe uno Scienziato possa partecipare di più Scieoze. 15. Sunto . - 16. La confusione de' Metodi è coutro il progresso della civiltà . Cap . XLII . Metodo degli Studj religiosi. 1. Argomento. 2. Proprietà del Metodo negli Studj re ligiosi . – 3. Metodo storico circa i fatti ; – 4. e guardare do v apparisca propriamente la loro Storia . 5 Metodo joterpre tativo circa i fatti , -6, e le dottrine, 7. Metodo filosolico circa la possibilità razionale de' fatti dividi , 8 , e come gli 324 INDICE DEL VOLUME SECONDO. 505 - Avversarj neghino irragionevolmente questa possibilità ; 9 . poi , circa la razionale convenienza in genere de ' fatti divini , ma esclusa sempre la necessità ; - 10. poi ancora , circa la ra zionale convenienza in ispecie, cosi de preliminari della Fe de , 11. come nelle Verità misteriose . 12. Unione del Metodo filosofico , dell'interpretativo e dello storico , per le origini del Culto e per la sua universalità nel tempo, 13 . per le sue relazioni universali con le Scienze e con l'Arti , 14. con la Civiltà intera , - 15. e con tutti gli altri Culti . 16. Cooclusione . Cap. XLIII . 11 Metodo teologico si distingue dagli altri Me . todi e vi s'accorda .. Pag . 342 1. Argomento. 2. Il Metodo teologico si distingue dal filosofico , perchè muove dall'autorità , – 3. perchè risguarda il soggetto medesimo in un rispetto differente , 4. perchè , quantunque abbia io sè una parte filosofica , non è meramente filosofico. 5. Si distingue dal Metodo critico e filologico , percbė storicameote e ioterpretativamente riconosciamo cause sovrunane, l' Intelletto sovrumano, tini soprannaturali. 6 . Si distingue dal Metodo matematico , perchè risguarda la libertà divina e l'umana ne' fatti religiosi. – 7. Si distingue dal Mo todo fisico ; e tal distinzione ha importanza eguale pe' Teologi , che non debbono considerare come il mondo è fatio , - 8.6 pe ' Fisici , che non debbono considerare come il moodó fu fatto . 9. Il Metodo teologico s'accorda poi col filosofico ; perchè il Teologo non deve separare mai l'attinenza fra Teologia e Filo sofia che porge a quella le verità prelimioari, l'analogie razio nali e l'ordinamento ; - 10. pè il Filosofo deve mai separare l'attinenza tra Filosofia e Teologia , che rende più autorevoli o efficaci le verità razionali . – 11. II Metodo teologico s'ac corda col critico, perchè il Teologo ha bisogno di guardare alla Storia universale e alla Linguistica ; — 12. il Filologo ba bi sogno diguardare alla Storia religiosa e ai monumenti sacri . 13. S'accorda col matematico , per la severità del ragiona mento , per molti esempj , per molte dottrine fisicomatematiche, per l'evidenza del concetto d'infinità . – 14. S'accorda col fisi co , perchè il Teologo non deve mai tenere la scoperta di cose na - 15. pė il fisico deve spregiare la verificazione delle ipotesi , secondo le narrazioni sacre . 16. Sunto . Cap. XLIV. Metodo della Filosofia.... 361 1. Argomento . — 2. Proprietà del Metodo filosofico. – 3 . Raccoglimento nella coscienza . 4. Esame de' fatti interni , delle loro leggi e cause . turali ; - - 5. Delle relazioni con gli oggetti ; 6. e però avvi una parte del Metodo , asceosiva da'fatti agli oggetti stessi , e una parte discensiya dagli oggetti a ' fatti. -7 . Si distingue dal Metodo teologico , e dal critico o filologico : 8. dal matematico , per la natura de' concetti , la natura degli oggetti ; – 10. dal fisico , per la natura de' fat ti , e per le relazioni loro con gli oggetti, 11. e quindi per la ricerca delle classi loro , e leggi e cause , e per i priocipi della ragione. - 12. Si accorda col Metodo teologico per l'esa 9. e per 506 INDICE DEL VOLUME SECONDO . - me della coscienza; 13. col critico o filologico , per lo stu . dio dell'umana natura pe' fatti umani esteriori e nelle lingue ; 14. col malematico , per la speculazione di verità con ma teriali ; – 15. col fisico , per l'altigenze fra le cose intellettuali e le corporee. 16, Sunto . CAP. XLV. Metodo della Filosofia Civile .... Pag. 381 1. Argomento . — 2. Proprietà del Metodo nella Filosofia Civile . Questa si fondi sopr'i fatti , – 3. badando alla notizia loro precisa e al collegamento loro . 4. Studio delle cagioni ; ma fuggendo di prendere l'analogie per identità . - 5. Esame delle cagioni esteriori ed interiori, non separabili , ma distinte . - 6. Le cagioni interiori hanno più importanza : 7. ma senza trascurare l' esteriori . - 8. Si ascende alle leggi o ragio ni . Leggi supreme della Scienza storica , della Politica , della Giurisprudenza , dell'Economia. - 9. Le dette leggi non tol gono la libertà , - 10. come la libertà non toglie alle conse guenze proprie la necessità ; 11. tantochè in ciò risplende l'ordine della Provvidenza . – 12. Dopo l'esame induttivo delle cagioni e leggi può farsi la deduzione, o probabile o necessa ria , di ciò ch' è avvenuto e che può avvenire. 13. Questa Filosofia delle ragioni o leggi , che governano le nazioni , non può trascurare il procedimento storico ; ma neppure si può, per questo , trascurare la teorica di quelle . - 14. Talchè la Scienza civile ha due presupposti , la Storia e la batura . –15. Però il Metodo suo si distingue da ogni altro , 16. e a tutti si upisce . Cap . XLVI . Metodo critico nella Storia . 401 t . Argomento. – 2. Esame de' fatti , — 5. Discipline che aiutano in ciò la Storia : Cronologia e Geografia , – 4. Archeo logia , Diplomatica , Statistica , Archeologia preistorica , Etno grafia. 5. Come si può andare in eccessi con queste disci pline . - 6. Ipercritica . – 7. Esame delle cagioni ; e iodi lo Storico rifà la Storia entro di sè . 8. Cause finali, 9. particolari, generali , 10. psicologiche , A1 . divine . 12. Oggettività della Storia ; 15. e come ciò la renda bel lissima e ammaestrativa . – 14. Come lo storico si distingua da ogoi altro Metodo ; 15, e vi si accordi . 16 Sunto, CAP. XLVII . Metodo critico nella Linguistica . 420 1. Proprietà del Metodo interpretativo delle Lingue. 2. Raccolta ed esame de' vocaboli . – 5. Come bisogna valersi dell ' uso proprio nelle Lingue parlate , e come giovino i testi moni dell'uso . A chi ricorrere per lo Lingue morte. Grammatica poi determina le classi e le leggi de' vocaboli , 5. Avvisi necessarj a far bene la Grammatica . – 6. Io che con siste la Filologia comparata. – 7. Utilità di essa , e da quali estremi bisogna fuggire. 8. Il fine dell'esame filologico è interpretativo principalmente ; – 9. e ciò ne determina i con fini , i modi , 10. e le relazioni ; che sono massimamente due : con la Letteratura , 11. e con la Storia , - 42. E iodi anche vediamo le indirelle relazioni della Linguistica ; cioè con 4. La INDICE DEL VOLUME SECONDO . 507 ca , la Teologia . 13. con la Filosofia , 14. cop la Matemati 15. e altresi con la Fisica , sempre distinguendosi da tutto ciò . 16. Sunto. CAP. XLVIII. Metodo matematico ... Pag. 440 1. Proprietà del Metodo matematico. – 2. Quantità pore, cioè astratte da ogni altra idea . – 5. Nel che , poi , bisogna di stinguere fra l'insegnamento elementare ed il superiore. 4 . Si cerchino le ragioni , sgombre da ogo' idea straniera . 5 . Idea dell'Infinito , distinto dall'indefinito matematico . - 6. Il Cavalieri . – 7. Distiozione dal Metodo teologico , - 8. e rela zioni con esso ; 9. dal Metodo filosofico : 10. e accordo con la Logica , 11. onde l'insegnamento della Matematica è razionale , 12. Distinzione dal Metodo critico , segnatamente dal letterario , 13. e accordo . - 14. Relazione col Metodo fisico . 15. Come le dimostrazioni matematiche abbian virtù di assestare gl'intelletti , e anche possano dissestarli . . 16 . Sunto. Car. XLIX . Metodo nelle Scienze fisiche..... 459 1. Argomento . Proprietà del Metodo nelle Scienze fisiche , - 2. Prinia d'indurre si comincia dall'Analogia ; 3. cbe talora non può giungere all' Induzione, 4. Può essere fonte di errori ; o del troppo generaleggiare , 5. o del poco. – 6 . Essa è di molta difficoltà . 7. Regola da tenersi. – 8. Indu zione. Uffioj del senso e dell'iotelletto . 9. Ci solleviamo alle 10. alle cause , - 11. alle leggi , 12. e però al . l'ordine . 13. Doppio errore de' Sensisti e degl ' Idealisti . 14. Frantendono allri la luduzione , ch'è legittima e necessa ria , 15. e da cui siamo condotti alla Deduziune . Suato . Cap. L. Segue del Metodo fisico ; e Ordine fra le Scienze .. 479 classi , 16. 1. Argomento. – 2. Abiti che prende la meote per gli Studi fisici. – 5. Idem . 4. Necessità di mantenere l'ordine fra le Scienze . - 5. Guai , se la Fisica è usurpativa. Confusione della Fisiologia con la Psicologia : – 6. de' fatti esteriori con fl'interiori. – 7. Confusione di linguaggio , e dogmatismo. 8. Si confondono i bruti con l'uomo ; – 9. la volontà con gli atti meccanicamente determinati. – 10. Si distingue il genere umano in più specie , poi si pongono le trasformazioni di tutte le specie ; -- 11. si confonde l'ordine de' fini col piacere • con la materiale utilità . - 12. Abiti cbe prende l'intelletto per gli Studj religiosi; Filosofia ; - 14. per le Matema. tiche ; - 15.per la Gritica . 16. Conclusione generale. STORIA DELLA FILOSOFIA ROMANA. - Epoca seconda dell' èra pagana. Ci. viltà degl' Italogreci ; successione dei loro sistemi . . 245 XIV. Scuole italogreche . Epoca quarta dell ' èra pagana. Si stemi grecolatini . - Cicerone . 366 XIX Giureconsulti romani.  EPOCA SECONDA DELL'ÈRA PAGANA. CIVILTÀ DEGL'ITALOGRECI; SUCCESSIONE DE'LORO SISTEMI. SOMMARIO . Tre tempi dell'incivilimento ilalogreco ; i l'elasghi, la trasfor mazione loro negli Elleni , le colonie . - Il terzo è più nolo ; quali sono i suoi termini . – Cinque cagioni più principali dell'unione fra la civiltà orientale e l'italogreca : colonie , commerci, viaggi , lingue , tradizioni. Tre opinioni sopr ' esse; tutto dall'oriente, nulla e opinione media . – Dj pendenza non generica nė volgare della filosofia italogreca daʼsistemi orien tali . – La civiltà jtalogreca fiori primamente dove più vive le comunica zioni con l’Asia e dove più ricco un anteriore incivilimento . l'ero quest'epoca si chiama orientalitalogreca , o più breve , italogreca . Questa è un'età di passaggio , fra le qualità orientali e il tempo socratico. Si veda le attinenze lia filosofia italogreca , religione e civiltà. Quanto alla religione sacerdotale, se n'ha indizi per le memorie de ' Pelasghi, de ' Mi steri e degli Orfici. Celebre passo di Erodoto sulla religione de ' Pelas ghi, e sul nome degli dèi posteriori ec ., e conseguenze di ciò . Somi ilianze tra la religione pelasgica e quella de' Bragmani. - Misteri : quelli di Samotracia istituiti da 'Pelasghi ; domma che s'insegnava segretamente e molto simile al panteismo dell'India. – Ciò pur anche ne ' Misteri eleu sini ; panteismo naturale, metempsicosi, immortalità, purificazione. - La teologia d’Eleusi non può interpretarsi solamente in senso fisico. Testi monianze di lode que' Misteri pel domma sull'immortalità . Le due anime; anch'in Omero ec . – Gli Orfici: qualcosa di storico v'è circa Orfeo , benché con mistura di simbolo.-- La dottrina che va sotto il nome d'Orfeo si raccoglie da tradizioni antiche e da'versi orlici. Le tradi zioni attribuiscono a Orfeo una religione collegata poi a'Misteri eleusini : cosmogonie orliche, somiglianti all'indiane . Quanto a'versi orlici , que sli non appartengono a Orfeo ; ma parecchi son certamente molto antichi. Da varj ioni (che si riferiscono qui, apparisce il panteismo naturale come ne ' Vedi. Passi che fece la religione tra l'Italogreci: panteismo natu rale con molte tracce del Dio unico ; adorazione degli astri , massime nel volgo ; teogonie , o emanazioni sempre più specificate e che prendono attri boti e nomi distinti ; individuazione ultima e volgare del politeismo, specie per opere degli artisti e de' poeti, abbandonando quasi ogni simbolo. Memorie sul combattimento fra le religiose tradizioni e il politeismo cre scente. - La filosofia , dunque, prima sacerdotale ; poi sacerdotale e laicale ad un tempo ; cedè inline al politeismo, rispettandolo, se non altro , come apparenza o credulità popolare. — Questo resistere al male, e poi cedergli, si vede ancora per l'altre parti della civiltà italogreca. La filosofia venne preparata da molte cagioni, e però dovè fiorirvi assai presto , anzi chè cominciare a' tempi di Talete molto dubbiosi. - La filosolia mosse da un ritorno sulla coscienza morale Questa filosofia morale e religiosa fiori, prima di Taleto, non solo in Italia ma tra gli Ionj pur anco ; e se n'ha prove non dubbie. La cuola pitagorica precedeva Talute ; ma va di . slinto Pitagora dal Pitagoresimo. - Molti argomenti di fatto e molte auto rità per mettere in saldo le antiche origini di tal filosofia . Anche la scuola di Xenofane antecedė Xenofane stesso ; e quindi abbiamo, prima il Pitagoresimo, poi la scuola cleatica e l'ionica , infine i sistemi negativi . L'epoca dell'incivilimento italogreco si può distin guere in tre tempi; de Pelasghi ( o con qual altro nome 246 PARTE PRIMA. si voglia chiamare que' popoli primitivi) ; della trasforma zione di essi negli Elleni ; delle colonie. L'età de' Pelasghi o degli antichi abitatori di Grecia e d'Italia si perde nella notte de' secoli , ignoto il principio e la durata . È certo bensì, che quegli abitatori vennero d'Oriente, come se n'ha prova in tutte le memorie e ne’linguaggi e nelle reliquie dell'arti ; e che i Pelasghi, quantunque paruti barbari a Ecateo e ad Erodoto e di barbaro dialetto, furono la più antica sorgente e più copiosa delle genti e lingue e religio ni elleniche. (Balbo, St. d'It.; Cantù, St. univ .; Guignaut, note al Lib. IV del Creuzer, Rel. de l'antiquité.) Sem braron barbari, perchè reliquie di popoli più segregati allora da'popoli nuovi, già molti passati avanti. Fatto è che di là, ove i Pelasghi abitarono, fan derivare i Greci la civiltà loro , dall' Elicona, dall'Olimpo e dal Pindo. Accadde poi e in Grecia e in Italia un cozzo di popoli : qual cozzo, e di che popoli, è molto incerto agli eruditi ; ma questo si sa, ed Erodoto l'afferma più volte, che al lora con trasformazione lunga e tempestosa i Pelasghi si convertirono in Elleni. Viene poi l'età delle colonie ; un rovesciarsi di genti greche le une sull'altre, un in vadere, un esulare, e indi un propagarsi di colonie, prima nell'Asia minore e nell'Isole, poi nella Calcide, nell'Eu bea , in Sicilia e sulle coste d'Italia, e infine (propag gini di colonie da colonie) in Asia , in Tracia, sul Da nubio e nel Mar Nero. Questa terza età è propriamente storica ; dell'altre due il più va ingombro di favole ; e la terza cominciò, secondo l'Hofler assai temperato nelle · cronologie, sul secolo undecimo avanti l'èra nostra. ( St. Univ .) In un'età così lunga e operosa, e ch’ebbe così lun ghe e ricche preparazioni, si formò la civiltà e filosofia degl'Italogreci; la quale, svolgendosi nelle colonie d’Ita lia e dell'Asia minore, cedè poi nel secolo quarto avanti Cristo al primato d' Atene; onde cominciò un'altra età di filosofia . Nell'epoca di che si parla ora, in ogni tempo del l'epoca stessa, cinque cagioni principalmente mantene LEZIONE DECIMATERZA . 247 vano unite la civiltà orientale e l'italogreca ; colonie , commerci, viaggi, lingue, tradizioni : Le colonie, nè dico solo l'egiziane di Lelege, Danao, Cecrope ed altri, ma le prime venute dalla terra degli Arii e de' Persiani, e l'ultime ellene che si spargevano per l'Asia minore ; i commerci, che com’appare in Omero, non cessarono mai tra Grecia e Italia e le coste dell'Asia ; i viaggi per l'Oriente, non possibili a negare in tutto, de filosofi d'allo ra, come il Ritter non nega quelli di Pitagora, il Ritter ne gatore sì voglioso ; le lingue, che certo prendevano gl'inizj degli Orientali, e con le lingue le tradizioni d'ogni maniera. Tra queste, principali le religiose, in torno a cui son tre le opinioni: da Erodoto fino al Creu zer le mitologie italogreche, la greca segnatamente, si reputarono di provenienza orientale e il più egiziana ; ma poi Ottofredo Müller, il Voss e altri riferirono tutto ad ori gine greca ; il Guignaut ( Note al Crcuzer) ed altri con lui tennero finalmente l'opinione media . E questa si è che i germi delle credenze religiose si trapiantassero d' Asia com'anco radici e forme generali delle lingue ; ne può pensarsi altrimenti, dacchè ivi coabitarono un tempo le genti ellene : ciò non impedì, nè mai l'im pedisce uno svolgimento di proprie fattezze così nelle lingue come nelle religioni: all'età poi delle colonie, quand' elle si sparsero sull' Asia minore, per l'Egeo e nel Ponto Eusino, dalle comunicazioni fra loro e i vi cini orientali scaturi la fonte più copiosa d'idee e di simboli asiani, manifesta già in Esiodo ed in Omero . ( N. 1 al Lib. V , Sez. 1. ) Talchè (ponete mente, o si gnori), se lo spargersi di colonie nell'Asia minore av venne dall’undecimo all'ottavo secolo incirca, e nel con tinente poi d'Italia e di Sicilia dall'ottavo al sesto , que st'ultimo fatto s'incontra per appunto col ritornare delle tradizioni orientali fra gli Elleni, e ne sorge in mezzo la filosofia nuova degl'Italogreci. Non istarò dunque a disputare com’essa derivi più o meno da’sistemi orien tali, bastandomi ch'ella dipenda per fermo da molte tradizioni d'Oriente o per le origini delle schiatte o pel 248 PARTE PRIMA. riaccostarsi loro all'Asia. Che tal dipendenza poi de' po poli d'Italia e di Grecia, nazioni antichissimamente ci vili e nella civiltà loro pertinaci, possa credersi affatto generica e volgare, cioè senz'efficacia sull'educazione spe culativa, giudicatene voi , o signori, che pur vedete gli effetti odierni del comunicare le nazioni fra loro. Dove fu egli il primo fiorire della civiltà italogreca ? nelle colonie d'Asia e di Magna Grecia ; non già in Gre cia propriamente detta. Perchè mai, o signori ? La ri sposta non par malagevole ; prima che in Grecia, fiori la civiltà negl'Ionj dell'Asia minore, appunto perchè più vicini all'Asia media, sorgente de' popoli e della civil . tà ; e prima pure che in Grecia fiorì nella Magna Gre cia , cioè in Italia, perchè ivi più forse ch ' altrove ra dicò la civiltà pelasga, e perchè le tradizioni che fanno ionio Pitagora e ionio Xenofane, venuti tra noi, dan se gno come frequenti e vive fossero le comunicazioni tra le coste italiane e l ' Asia minore. Dico poi, ad ogni modo, che le colonie greche trovarono in Italia grandi semenze di civiltà, nè però ebbero impedimento, anzi ebbero aiuto a presto incivilirsi e prosperare. Di fatto recatevi a mente, o signori, due cose molto importanti: prima, che le ta vole d'Eraclea , lette dal Mazzocchi, fan prova come i coloni greci prendessero dagl'Italioti misure e confina zioni agrarie : seconda, che i Lucani, i Bruzj, i Sanni ti , dopo essersi ritirati davanti alle colonie greche, e riparatisi a' monti, ne discesero poi , e le ributtarono ( Hofler ), talchè più non restò in Italia dialetti greci (in Puglia ve n'ha, ma di colonie recenti e fuggite dai Turchi); la qual cosa non poteva accadere, se que'popoli montanari non serbavano istituti civili . Ecco il perchè ho chiamato quest'epoca orientalita logreca (italogreca per più brevità) ; greca, perchè filo sofia di colonie greche; italiana, perchè sorse più splen dida in Italia e con tradizioni italiane ( italica chia marono pure i Greci, come Platone ed Aristotile, la scuola pitagorica e d'Elea) ; orientale, perchè con ori gini e comunicazioni asiatiche. Non si toglie a' Greci LEZIONE DECIMATERZA. 249 la loro eccellenza ' se notiamo quel ch ' essi appresero ; offenderebbe la verità e loro chi loro negasse la mira bile potenza di far proprio l'imparato e di dargli bel lezza e compimento ; essi il ricevuto per dieci lo ridus sero a mille e quel mille lo insegnarono al mondo; ecco la lor gloria vera e non superata. Quant' all'Ita lia nostra, o signori, principalmente sul terreno di lei sorse co' Pitagorici questa filosofia nuova che tanto potè su Platone e sopr’ Aristotile ; l'Italia ricevè dal 1 ° Oriente e da’Greci, l ' Italia poi restituì alla Grecia e alla civiltà de' secoli avvenire ; e potè dirsi allora quel che poi disse Plinio : Omnium terrarum alumna et parens, omnium terrarum electa, una cunctarum gentium in toto orbe patria. Ma le lodi antiche suonano vituperio a’tra lignati: avvaloriamoci , o signori, d'emulazione e di virtù, e non di lode . E quest'epoca, di fatto (come dissi altrove), è un'età di passaggio ; ritiene ancora le qualità orientali, ma che mostrano già di convertirsi nell'altre dell'età socratica . Così tra gl' Italogreci, come tra gli Asiatici, abbiamo un sistema religioso sacerdotale ; ma ora si nasconde ne' Mi steri , e si separa perciò interamente dalle credenze po polari che prevalgono. Tra gli uni e tra gli altri la filo sofia dipende dal sistema religioso ; ma ora si svolge in un modo più laicale e più da sè stesso, perchè così ri chiede la mobilità di quelle repubbliche, e perchè il sistema religioso si rimpiatta, e nè ha sull'invecchiare il vigore speculativo degl'inni e commentarj vedici ; par come un'eco de' tempi passati, più che voce vivente . E siccome la filosofia di quest'epoca pigliò i germi da'Mi steri ( Ritter ), che aveano del panteismo orientale, così ell'ebbe del panteistico a mo' degl'Indiani, ma con ten denze più manifeste alla dialettica che va per distinzioni anzichè per confusioni . Poi , qui come là s' unì la poe sia con la speculazione, ma più altresi se ne distinse ; perchè i poemi omerici non furon mai ravviluppati con una enciclopedia d'episodj; ed i poemi scientifici d'Elea e d'Agrigento s'accostano alla prosa. E qui come là v'è 250 PARTE PRIMA. incertezze storiche, meno per altro ; giacchè il più delle incertezze cadono su' Misteri e sulle origini pitagoriche, non già sulle scuole posteriori . Premesso ciò, si veda, o signori, qual fosse in atti nenza con la filosofia la religione e la civiltà degl' Ita logreci . Della religione, come sistema sacerdotale, me ne passerò più breve che non feci per l'India , giacchè (com ' ho detto) quel sistema era sul morire, e se n'ha meno ragguagli e meno certezza. La religione sacerdotale italogreca si può ricercare in tre modi : per le notizie assai oscure dei Pelasghi, i quali tennero idee religiose più primitive e più vicine alle orientali ; per le notizie scarsissime de' Misteri; per quelle degli Orfici. Essi e l'origine de' Misteri apparten gono, credo, all'età di combattimento e di trasforma zione. Quanto a’ Pelasghi, Erodoto scrive ( II, 51 , 52 , 53) che da loro non si metteva nome agli dèi ; aggiunge che i nomi vennero d'Egitto e che i Pelasghi non li volevano accettare, sì ne rimisero la decisione all'ora colo di Dodona, riuscito favorevole a que' nomi ; e dice infine che le nascite e le forme e gli aspetti degli dèi vennero cantati da Esiodo e da Omero ; tutte cose già ignote. Vuol notarsi com ' Erodoto accenni pure che un simbolo osceno gli Ateniesi lo presero da’ Pelasghi, i quali ne spiegavano il senso ne' Misteri ; e sappiamo di fatto che pure ne' Misteri eleusini e bacchici si mostrava i simboli femminili e maschili secondo i riti d'Oriente . Erodoto, uomo schietto, n'avvisa che il narrato da lui circ' a ' Pelasghi glie l'avevano appreso le sacerdotesse di Dodona, ma che il resto, circa le invenzioni d'Omero e d' Esiodo, lo diceva di suo. Che cosa si raccoglie, o signori, da questo luogo così famoso ? Primo, che la religione de' Pelasghi era più delle succedute lontana dal politeismo ; secondo, che quella si rappresentava co'sim boli orientali della generazione divina e però ne teneva i principali concetti; terzo , che il passaggio dalle divi nità innominate alle nominate, cioè da un che meno LEZIONE DECIMATERZA. 251 pagano ad un più, non accadde senza contrasto, e indi si ricorse agli oracoli ; quarto, che tenuto il simbolo antico ed esteriore, la sua spiegazione si fece nell'in terno de' Misteri ; quinto, che i nomi si suppongono venuti d'Egitto in età più recente, perchè all' Asia media non s'imputavano queste tradizioni ; infine che Erodoto reca l'antropomorfismo ad invenzione di poeti, non perchè già tal errore non fosse cominciato popolar mente, ma perchè que' poeti l'ordinarono ( più o men di proposito) in sistemi di mitologia, ed in modi specificati. Che poi la religione pelasgica somigliasse quella de Brag mani lo attestano Ferecide e Acusilao in Strabone ( Ed. Sturz ) ; dicendo che i Cabiri , divinità pelasgiche, son generati da Efesto e Cabira, e che sono tre Cabiri maschi e tre femmine. ( Creuzer, V , 2. ) Venendo a’ Misteri, abbiamo da Erodoto, non solo che i Misteri di Samotracia venissero istituiti da' Pela sghi ( II, 5) , ma (com’abbiamo sentito ) che altresì nel l'interno di quelli si spiegasse i simboli esterni . Come si spiegavano essi ? Apollonio di Rodi serbò del vecchio storico Mnasea un luogo prezioso circa i dommi primi tivi di Samotracia . ( Schol. Apoll. Rhod. ad 1, 917.) Che dommi, o signori ? Similissimi a quelli dell'India . S'in segnava, di fatto, un principio onnipotente, Azieros ; la materia fecondata , Aziokersa, o principio passivo ; e il principio attivo, fecondatore, Asiokersos. Vuol egli dir ciò che il principio attivo ed il passivo si distinguono dall'essenza universale, Azieros o Brahm ? 0 piuttosto ( giacchè l' interpretazione di que' nomi non è certa ), Aziokersa, Azieros, Aziokersos e Casmilo o Cammillo che da taluno s'aggiungeva secondo Apollonio , rispon dono a Maya, a Brahma, Visnù e Siva, taciuta l'essenza universale, il Dio neutro, come non si nomina il Dio supremo nel Rig Veda ? tanto più che Casmilo rispon derebbe, l'afferma Dionosidoro, ad Ermete cioè al Dio delle trasformazioni. Comunque, nell'incertezza de' docu menti tal cosa è certa, il domma samotracio mostrare analogie non poche col panteismo vedico e con la Tri 252 PARTE PRIMA . murti. ( Saint Croix, sur le Mystères du Paganisme ; Creuzer, V , 2. ) E risponde non meno a quel panteismo la dottrina samotracia dell'età varie mondane, o che il mondo si distrugga e rinnovi per forza di fuoco. Anche ne' Misteri eleusini s'esponeva la dottrina d’un principio passivo, d'uno attivo, dell'armonia mon diale che ne nasce, e di ciò che distrugge le forme senza intermissione. Bacco, Cerere, lacco e Mercurio, ossia grecamente Dionisio, Demeter, Iacco ed Ermete, non ritraggono forse, o signori, i sistemi dell'India, del l'Egitto e della Persia ? E forse su quelle divinità è , innominato, il Dio androgeno, o il Cronos e lo Zeus de' tempi remoti, divenuto poi un principio maschile, contrapposto a Giunone principio femminile. Di que' Mi steri non si sa i particolari, vietato rigorosamente il propalarli, come dice Pausania ( art. Beozia) e Apollo doro (Argon. I) , e come dimostra il Meursio ( De Festis Græcorum ). Pure, da'cenni dell'antichità si ritrae che insegnavasi nell' orgie il panteismo naturale ( com’ho detto di sopra) , e la metempsicosi, e l'immortalità del l'anima ( forse col ritorno all'essenza divina) , e la puri ficazione per mezzo della virtù. Il panteismo naturale viene indicato da Cicerone ( De Nat. Deor. I, 42), che diceva : come le dottrine de'Misteri eleusini, ridotte a termini di ragione, si conosce meglio per esse la natura delle cose che quella degli dèi . Che vuol egli dire ? Egli accusa di dottrina neramente fisica gli Eleusini, che la teogonia confondevano, in realtà con la cosmogonia, e ciò accade nel panteismo naturale. Prova, dunque, tale ac cusa , e viene confermato da molt' indizj, che la religione d' Eleusi somiglia il panteismo de' Vedi ; di fatto, che si trattasse d'una fisica soltanto, o senza vedervi dentro la divinità o un che superiore alla natura esterna ce lo vieta lo stesso Cicerone. Egli scrive nel II de Legibus, che i Misteri eleusini s ' hanno da riguardare come il massimo beneficio d'Atene, perch'insegnano a viver lieti e a morire tranquilli nella speranza di vita migliore ; cosa ripetuta da lui nelle Verrine, V. Dice Platone ( Fedone) LEZIONE DECIMATERZA. 253 che l'iniziarsi a' Misteri purifica i cattivi , e dà a'buoni felicità eterna, cioè un'abitazione comune con gli dèi dopo la morte. Isocrate afferma ( Panegirico) che i Mi steri mettono in cuore agl'iniziati le più dolci speranze quant'alla fine di questa vita e quant'all'altra che non finirà mai . Che poi gl'iniziati s'ammaestrassero alla virtù si ha da molti argomenti; e il Meursio (cap. 7 e 17) dimostra che quelli si preparavano a’ Misteri con gli esercizi di castità, e poi si credevano astretti, quasi da sacramento, a rendersi migliori. Così Aristofane ( Rane, v. 467-462) mette in bocca a un coro d'iniziati queste parole : « Il sole e una luce aggradevole sono per noi che onoriamo i Misteri e osserviamo le regole della pietà verso i forestieri e verso i cittadini. » Però que' Misteri si chiamavan teleti ( 7 : ) ett ) , giacchè da loro veniva la perfezione della vita . Va notato che la me tempsicosi s' univa col domma dell'immortalità in que sto modo : credevano gli antichi che il principio animale, principio di vita e di senso, distinguasi sostanzialmente dal principio intellettivo ; e che l'uno, cioè l'animale, passi di corpo in corpo, ma l'altro se ne sciolga dopo alquanti giri di secoli e in premio del vivere onesto, ritornando all'essenza universale o divina. Però si di stingueva in Persia il fervéro o genio dall' animazione, e in China Hoen da Pe, e tra gl’Indiani atma e pran, e in Grecia il démone ( dzepov) o anche logo ( 200795) da psi che, e tra'Romani animus da anima. Quindi l'anima sensitiva s'immaginò non altrimenti che come materia sottilissima, e che, divisa dal corpo, ne teneva le appa renze, erane lo spettro od il fantasma, vagante nelle notti e intorno a' sepolcri. Tal distinzione si vede pertino in Omero, allorchè Ulisse approdando a'Cimmerj inter roga i morti ( Odiss. II, c . 217 ) : « D'Ercole mi s'offerse alfin la possa , Anzi il fantasma ; però ch'ei de' numi Giocondasi alla mensa, e cara sposa Gli siede accanto la dal piè leggiadro Ebe, di Giove figlia e di Giunone. » 254 PARTE PRIMA. La terza fonte di notizie, cioè le memorie orfiche, non vanno soggette, o signori, a tanta perplessità, e può trarsene qualche costrutto ; purchè evitiamo così la co moda credulità come l'eccesso de critici. S'è giunti a du bitare d'ogni realtà storica ed antica rispetto ad Orfeo; ma, quantunque la parte storica si frammischi a' por tenti della favola, e un nome ( al solito) rappresenti le dottrine e i canti di più, nondimeno qualcosa di reale e d'antico vi ha ; perchè Ibico ( in Prisc. VI, 18, 92) che fiorì presso al 550 prima di Gesù Cristo, già ram menta Orfeo ; lo rammenta Pindaro ( Pith. IV , 315 ) , anzi lo chiama padre de canti apdov Tr UTEP ( Ott. Mül ler, St. della Lett. Gr. ) ; lo rammentano ancora gli an tichi Ellenico e Ferecide e le tragedie ateniesi. Da molti luoghi di Platone ( Leg. VIII ; Ione, Convito, Rep . 11) apparisce che a tempo di lui eran divulgati già molti carmi col nome di Museo e d’Orfeo ; questi è citato nel Filebo e nel Cratilo ; e si scorge che l ' espiazioni de’de litti appartenevano alle discipline orfiche. La dottrina che va sott' il nome d’Orfeo si racco glie da tradizioni antiche e da versi orfici. Quanto alle tradizioni antiche, elle attribuiscono tutte ad Orfeo una religione , che istituita da lui si collegò quindi a Misteri d'Eleusi ( Ott . Müller) : e ciò conferma il già detto sulla natura di quel sistema religioso. Si rileva poi dagli antichi scrittori un sistema orfico di cosmo gonia , benchè sotto più forme, e talora v'han messo la mano autori dell' èra cristiana. Il Creuzer ne dà cinque di tali cosmogonie ; rilevantissima quella di Ferecide Siro, pel quale son tre i principj Zeus o Giove o Cronos o l'etere, il Caos o massa inerte ch'egli vivifica, il Tempo o la durata senza limiti ( VII, 3) . E qui voi scorgete, o signori, l'indefinito ch'è concepito nell'astra zione del tempo (come tra’ Persiani ) , e dall'indefinito i due principj , l'attivo ed il passivo. Nella cosmogonia che viene riferita da Atanagora e da Damascio, v’ha l'idea indiana dell' uovo nell'acque, da cui esce Eros o Fa nete, amore o manifestazione dell'armonia universale ; e LEZIONE DECIMATERZA. 255 tal idea orfica viene rammentata negli Uccelli d'Ari stofane . Il mondo, poi, si rinnova per bruciamento (co me secondo Eraclito, gli stoici , gl'Indiani e l'orgie eleu sine) , in virtù di Dionisio corrispondente a Siva. (Creu zer, op . cit. , VII, 3. ) Mi pare che il Maury ottimamente riduca le teogonie o cosmonie orfiche a questo : Cronos genera i due principj , l'etere e il caos ; il caos in virtù dell' etere prende la forma d'uovo, avviluppato dal l'erebo o dalla notte, cioè dalle tenebre primitive, a cui segue la luce o l'amore, quando l'uovo si spacca , ossia quando il germe involuto si svolge nelle sue parti (Op. cit . Nota 12 al L. VII) : queste le idee più principali che risultano dal paragone de' più antichi testimoni . Ma i versi che ci restano sott'il nome d’Orfeo, son essi autentici ? Aristotile e Cicerone negarono già che i versi propalati fin d'allora come d'Orfeo gli apparte nessero ; e più n'è dubbio a' dì nostri, perchè nei primi secoli dell' èra volgare molti documenti si rimaneggia rono, e molti se ne invento. Ma dice il Mullachio ( Fragm . Phil. Græc., ed . Didot. Parisiis, 1860) : Plerique ver sus puroque et simplici sermone insignes sunt ; talchè, considerata la purità e il fare antico di molti versi, e il riscontro di varie testimonianze. ond' essi ci sono tramandati, e l'accordo loro con le tradizioni vetuste, possiamo affermare che quelli senz'essere forse d’un poeta che si chiamava Orfeo, sien per altro reliquie vere degli Orfici antichi . Udite l'inno insigne alla Natura, tradotto dal Cantù nella Storia universale (tomo I) e riferito negli Schiarimenti ( Ed. Tauchnitz, 1832) : « Natura , diva madre universale, in tante guise madre, celeste, venerabile, molto creante spirito ( o cuor ), regina che tutto domi indomata, tutto governi , in tutte parti splendi, onnipossente, ve nerata in eterno, divinità a tutte superiore, indistrutti bile, primonata, antichissima, ... comune a tutti , sola, incomunicabile, padre a te stessa senza padre, che per maschia forza tutto sai , tutto dài , nodrice e regina di tutto ; feconda operatrice di quanto cresce, di quanto è maturo dissolvitrice, delle cose tutte vero padre e ma 256 PARTE PRIMA. dre e nodrice e sostegno. » Le quali ultime parole già udimmo per Aditi nell'inno del Rig Veda. Or bene, che dottrina s’asconde, o signori , ne' versi orfici ? La stessa che ne' Vedi: la natura universale è padre e madre, ossia , principio attivo e passivo ; ell’è divina, perchè non è la materia, sì l'essenza universale, spirito divino primo e materia prima in unità ; è senza padre, cioè senza principio ; è primonata, cioè generata da sè stessa con uscire all'atto dall'indefinita potenza ; indi, ella è padre di sè stessa ; infine, si palesa con tre divine opera zioni , genera tutto, sostiene tutto, distrugge tutto. In Clemente Alessandrino ( Stro. V) , in san Giustino (Co hort. ad Græc.), in Eusebio, nell'egloghe di Stobeo , in Proclo, in Porfirio e in altri si ha varj altri frammenti più o meno antichi, ma che rendono lo stesso sistema. Un inno ch'Eusebio prese da Aristobulo peripatetico. insegna qual sia l'unico genitore del mondo, comie lo chiamano i prischi documenti degli uomini,contro l'er rore antico, cioè contro il politeismo ; e che Dio tiene in sè il principio, il mezzo e il fine. ( Pr. Ev. III, 12.) Riferirò un altro inno ch’Eusebio tolse da Porfirio ( Ivi, e Stobeo, Eclog. Phis. 1, 2, 23, e Bibliot. del Didot, Framm . ec. p.6 ) : « Primo e ultimo è Giove che splende col fulmine. Egli capo e mezzo, e a lui son create tutte le cose . Giove è nato maschio, Giove nato intatta ver gine. Egli sostiene la terra e l'aria stellata de 'cieli ; ed è insieme re e padre d'ogni cosa e autore della loro origine . Unica forza e unico demone che governa tutte le cose, quest' unico le chiude tutte nel suo corpo re gale, il fuoco, l'onda, la terra, l'etere, e la notte e il giorno, e il consiglio, e il primo genitore e nume del l'amore : contiene tutto ciò Giove nell'immenso corpo. E il capo esimio di lui e il volto maestoso irradia il cielo, intorno a cui sparge con molto lume la chioma pendente e aurea d'astri ; e gli sta sull'alta fronte, a somiglianza di toro, un doppio corno che l'accende di fulgido oro. Ivi sono l'oriente e l'occidente, giri noti a' supremi dèi . Son occhi di lui il sole e la luna che LEZIONE DECIMATERZA. 257 corre di contro al sole . In lui è mente verace, ed etere regale non sottoposto a morte, il quale col consiglio muove e regge ogni cosa ; e quella mente, perchè prole di Giove, non può essere nascosta da niuna voce o stre pito o suono o fama. Così, egli beato possiede e senso dell'animo e vita immortale, spandendo il corpo illu stre, immenso, immutabile e con valida forza di brac cio . A lui son omeri e petto e terga immani le ampiezze dell'aria ; e con veloci e native penue precipitando, egli vola intorno a tutte le cose. La terra , madre comune, ei monti che levano l' alte cime, formano il sacro ven tre di lui ne fanno la zona media i tumidi flutti del mare sonante. L'ultima base che sostiene il nume, sta nell' intime radici della terra e negli ampj spazi del l'erebo e negli ultimi confini che inaccessa ed immota spande la terra . Tutte le cose egli nasconde primamente nel mezzo del petto, e poi le manda fuori nell'alma luce con opera divina . » Tra le figure poetiche non si può non vedere in quest'inni l'opera della riflessione che affaticasi di scoprire e spiegare l'attinenza fra Dio e l'universo , confondendola, per abuso d'induzione, con l'attinenza tra l'unità delle sostanze e la moltiplicità c mutabilità de'fenomeni. Non fa dunque meraviglia se Pitagorici, Eleati ed Ionj che presero gli esordj dalle dottrine orfiche e de' Misteri e però dall'antiche tradi zioni pelasghe, cadessero nel panteismo. Ecco dunque i passi che sembrano fatti dalla reli gione fra gl’Italogreci . Prima è un tal panteismo natu rale, in cui le divinità sono le forze della naturu ; non le forze per altro simboleggiate, come interpretò poi la scuola de' Fisici (Plutarco la distinse sì bene dall'an tica scuola de' Teologi) , bensì le forze naturali confuse con gli attributi divini. In quel panteismo, come nel Rig Veda, gli dèi son poco determinati : differiscono poco gli uni dagli altri ; escono tutti e rientrano nel Dio unico ( Creuzer, V , 4) . Talche certi Padri pensarono ch'ei fosse un culto dell' unico Dio creatore , e tal culto contrapposero alla corruzione posteriore dell'idolatria ; Storia della F lofint. 17 258 PARTE PRIMA. ill 1 ma, veramente , non può chiamarsi un teismo , bensì un panteismo naturale, dove nondimeno le tracce del l'unità di Dio si conservano così spiccate da causare l'opinione ch'io vi diceva. Però le divinità pelasghe non avevano un nome , dice Erodoto ; e a dar loro un nome s ' opponevano le sacerdotali tradizioni ( Ispot 20091) . E come narra Platone nel Cratilo che prima si chiamò in genere 0 : 9 le divinità, così cabiri le dissero i Pelasghi, ossia ( forse) potenti; e ciò risponde agli dei complices o consentes degli Etruschi. Poi, questo panteismo naturale si ristrinse più par ticolarmente (e specie nel culto popolare) all'adorazione degli astri , dove più che in altro ci apparisce la po tenza di Dio : e che sia così l'attestano Platone ( Fileb. e Crat. ) ed Aristotile (Met. IV , VI, IX ). Allora Zeus o Giove fu proprio il cielo ; e si mantenne questo nel detto volgare : Giove che fa ? per dire : che tempo fa? Ma il panteismo naturale de' sacerdoti più e più si foggiò a sistema d'emanazioni, per ispiegare con modo determinato la dipendenza di tutto dalla causa prima ; e indi le teogonie e cosmogonie orfiche e quella d’Esio do. Le operazioni divine, allora, ebbero nome partico lare, e vennero simboleggiate con immagini esterne; come narrai che la triade pelasga prese il nome dall'onnipo tenza e dalla fecondazione; e si sa del Giove con tre occhi in Argo ( Pausania ), della Venere piramidale di Pafo, e co' due sessi ( statuina nella bibliot. naz. di Pa rigi), dell' Apollo a quattro mani, del Sileno a due te ste , di una dea a quattro teste nel Ceramico d' Atene, del Giano bifronte, della Diana mammellata d'Efeso e della Cibele come informe pietra. Tutti questi nomi e simboli, a poco a poco divennero nomi e attributi pro pri di certe divinità specificate; e la Trimurti, le cui vestigia restano fin anche negli dèi omerici, Giove, Net tuno e Plutone, s'individuò per modo che l'un Dio non più si confuse con gli altri, e questi si moltiplicarono all'infinito . Però, questa individuazione favoriva il politeismo LEZIONE DECIMATERZA. 259 a volgare e si mescolava con esso, e n'era eccitata e lo eccitava ; e ambedue si stabilirono più che mai con l'arti del disegno, che lasciati quasi del tutto i simboli, ri dusse gli dèi a forme umane, con alcune qualità pro prie di ciascuno. Un'ombra di simbolo restò, ma velata, nelle forme tra maschili e femminili di Bacco e d'altri dei , figura sacra dell'androgenia, quando s'abbandono la rozzezza dello scarabeo ( Winkelman , St. dell'arte ec. ) ; e tal simbolo (sia detto di passaggio ) alcuni artisti vo gliono imitare quasi perfezione di membra umane e le sono immaginarie! Fatto sta che la scuola d'Egina, Polignoto, Fidia, Prassitele, imitando i poeti ebbero più ch'altro efficacia nel fermare quel politeismo di dèi spicciolati . Vuolsi por mente adunque, o signori, che da un lato restava la tradizione sacerdotale, benchè più e più cor rotta, e cresceva dall'altro il politeismo. Come restava la tradizione ? Ne' Misteri ; già lo vedemmo. E perchè mai dovè occultarsi ? Dicono le memorie antiche , i primi re di Grecia e d'Italia fossero ad un tempo sa cerdoti , capitani e giudici; patriarcato ch'è origine d'ogni nazione. (Arist. Pol. III, 14. ) Le memorie stesse ci nar l'ano poi d'un contrasto lungo e sanguinoso tra le classi sacerdotali e le guerriere ; il che apparisce anco nell'In die ; ma se ivi le liti si composero stabilmente, fra gl'Ita logreci al contrario scapitò la classe sacerdotale che ( l'accennano i racconti circa Erettéo e gli Eumolpidi) si dovè segregare in alcuni luoghi, come Eleusi, lasciando a' re tutto il resto ; e così , a poco a poco, e tanto più quando sorsero i governi popolari, s'abbandonò l'inse gnamento religioso e restò solamente i riti esteriori del sacrifizio e delle feste. Quell'insegnamento , dunque, escluso da ' popoli, rifuggivasi nel mistero, in que'luoghi appunto che la classe sacerdotale abitò, com’Eleusi e i sacri querceti di Dorona. E che fa intanto la filosofia ? Ella è sacerdotale dap prima, o teologia, perchè tenute le tradizioni asiatiche, cresce nel sacerdozio pelasgo ed orfico ; poi, nell' età che 260 PARTE PRIMA . > il sacerdozio si separa e s’asconde, dalle semenze reli giose de' Misteri germogliano i primi sistemi come i pi tagorici, che han del sacerdotale e del laicale ad un tempo. Questa filosofia , perciò, combattè dapprima il politeismo, per esempio ne' frammenti di Xenofane che derideva il fingere dèi a somiglianza nostra . Poi, dac chè il concetto di Dio sempre più s' annebbiò, i poste riori consentirono a' tempi, e gl' Ionj, gli Eleati, e molto più i sofisti, menaron buona, se non altro come appa renza o come credulità popolare la mitologia. Nè altrimenti andò negli ordini tutti della civiltà . Di fatto ; quando i governi regi si mutarono in popola reschi, molta efficacia e salutare v'ebbe la filosofia mercè i Pitagorici, e segnatamente Zeleuco e Caronda , i cui frammenti di leggi muovono dal dimostrare che Dio è ; ma in progresso la filosofia non potè resistere alla li cenza , fu perseguitata, e però cadde in mano di sofisti che inventarono l'arte della parola per la parola, malvagi adulatori di plebe e mercanti di cavillo. Abbondando le ricchezze, nate da operosità, fiorirono scienza ed arte ; ma successe un abito d'ozio e di godimenti, e la Ma gna Grecia e l'Ionia caddero in mollezze di trista fama . Resisterono i primi sapienti, come dimostra l'istituto pitagorico ; ma cedè a poco a poco la loro austerezza, e già Xenofane canta « ch'è dolce nel verno stare al fuoco bevendo, e domándare all'ospite : quant'anni avevi tu quand' il Medo invase ? » il Medo, o signori, invasore della patria ! lei sofisti, all'ultimo, la filosofia diventò l'arte di godere. Nell'ordine morale s'arrivò a tal segno ch'Ate neo ( L. IX) rimprovera Platone, perch'e' disse nel Sofi sta come Parmenide amava Zenone d'Elea ; quasichè tal parola, detta di giovane, non ricevesse mai buon senso . E la filosofia , resistente dapprima co' Pitagorici, giunse co ' sofisti all'indifferenza tra bene e male ; indifferenza molto diversa e peggiore dell'indiana ; chè questa è non curanza del moltiplice e vario ch'apparisce, in grazia dell'unità sostanziale, ma quella è non curanza senz'al tro ; ivi è un'ombra di moralità, qui nessuna . LEZIONE DECIMATERZA . 261 Mostrate così l ' attinenze tra filosofia, religione e ci viltà degl'Italogreci, resta che vediamo il principio e la successione de' loro sistemi. Cominciamo da dire che in tutta questa età e per confessione di tutti, v'ha incer tezza sul tempo preciso de' varj filosofi ; e bisogna ri correre il più a Diogene Laerzio, autorità poco accet tata . Le congetture dunque son lecite ; e tutti ne fanno. Avvertirò inoltre che sul definire l'età de' tempi remoti variano le tendenze degli Orientali e de' Greci; que sti tirano al meno e quelli al più. Per che ragione ? I Greci amando la certezza de' fatti, li trasportano quanto più si può nel tempo storico, e lontani dal favoloso ; al contrario degli Orientali, che amano l'indefinito de se coli ; effetto del panteismo. Premesso ciò , rammentate , o signori, che prima dell'undecimo secolo avanti Cristo Pelasghi ed Elleni si mescolarono insieme; e allora co minciò l'età delle colonie ; e da esse la più nota civiltà italogreca. Quali preparazioni vi riscontriamo noi per la filosofia ? La civiltà pelasga, le dottrine orfiche, i Mi steri ; inoltre le comunicazioni più che mai frequenti per l'Asia minore ( dove prosperavano tante colonie) coll' Asia media. E che tempi erano quelli per l'Asia media ? Rammentiamocene, o signori ; erano i tempi di splendida civiltà, quando circa il mille avanti Cristo si compilavano i Vedi ed i poemi, e fiorivano le scuole di filosofia. Chi potrà dunque negare, che date tali prepa razioni e la civiltà delle colonie, e dato quell'impeto di vita civile ond' il pensiero s'agita tutto, e poste le sedi nuove in paesi non selvaggi come l' America , ma già inciviliti, sorgessero presto le speculazioni filosofi che ? Non farebb' egli un'ipotesi strana chi le credesse indugiate a tre o quattro secoli dopo, fino a Talete, anzichè colui che le dicesse più meno già in via circa il mille od al novecento prima dell' èra volgare ? A ogni modo, tempi precisi non se n'ha ; e poichè la critica devé supplire, parmi più ragionevole vi supplisca così, che stando ad indizi già riconosciuti per poco probabili . La filosofia mosse anc' allora da un ritorno sulla 262 PARTE PRIMA. coscienza morale ; ce ne assicura la moltitudine di sen tenze attribuite dagli antichi a ' Sette sapienti ; a uno de' quali, cioè a Chilone, si reca il detto : conosci te stesso . Abbiamo poi alcuni tra ' poeti gnomici, come le recide, della cui antichità non si dubita punto ; e chi, Foclide per esempio, lo fa contemporaneo, chi anteriore a Pitagora. Le sentenze di Mimnermo, Evano, Metrodo ro, Teognide e va' discorrendo, mostrano chiaramente la riflessione sulle verità morali , benchè nascosta in afori smi . Così queste di Foclide : « Non dire mendacio, ma parla sempre con verità. Primieramente venera Dio e quindi i tuoi genitori . Non disprezzare i poveri , nè voler giudicare alcuno ingiustamente, perchè se tu giudiche rai male, Dio poi ti giudicherà. Fu da Dio a’mortali dato in uso lo spirito ch'è immagine di lui. Il corpo abbiamo dalla terra e si scioglie in essa e siam polve re, ma lo spirito va in cielo . » Or bene, io dico, e mi sembra di poter essere sicuro, che codesta filosofia morale e religiosa sorse e fiori prima del panteismo materiale di Talete e d’Anassi mandro ; perchè n'ho prove storiche ( come dirò) , e per chè dalle tradizioni sacre orientali e orfiche non si poté saltare in un subito alla materialità . Dove fiorì ? Non in Italia soltanto co ' più antichi savj della scuola ita lica, ma nell' Asia minore altresì, fra gl ' Ionj, dovunque insomma germinò la civiltà ellena. Di fatto, che che vo glia credersi delle tradizioni circa Pitagora e del suo venire dall' Ionia, esse, unite alla certezza che Xeno fane pure ne derivasse, mostrano almeno che l'antichi tà non reputò straniere agl' Ionj 1 ' idee pitagoriche ed cleate. Aggiungete che Talete ha molti più segni di spiritualità che non i posteriori ; e tal peggioramento non si può negare . Perchè dunque, dimanderete, vien solo ricordata la scuola italica ? La risposta è facile e il caso è comune ; si ricorda i luoghi dove la scuola più crebbe e durò . y Ma la scuola pitagorica o italica, dimanderassi an cora, ell’è anteriore a Talete, cioè al panteismo mate LEZIONE DECIMATERZA . 263 riale degl' Ionj ? Mi sembra certo, purchè si distingua Pitagora dal Pitagoresimo ; questo è la totalità di dot trine comuni a tutta una scuola di filosofi ; quegli è un tal nome, parte storico, parte simbolico, che può essere prima o dopo, senzachè provi l'anteriorità o posteriorità della scuola nel suo nome rappresentata. E nondimeno anche sull'età di Pitagora son diverse l' opinioni. 1 ° Quanto a Pitagora, il Meiners lo crede nato al 584 avanti l'èra nostra ; lo crede nato il Lacher al 608 . Come si determina ciò ? Per autorità non salde, e per vie di congetture. Talete poi , secondo Apollodoro, sa rebbe nato il 640, anteriore perciò a Pitagora ; dáta non senza incertezze. ( Ritter, St. della fil. ant.) Ma ecco il Niebuhr ( St. Rom . I) che contrapponendo a Polibio ed a Cicerone l'autorità d'alcuni scrittori orientali, crede probabile la contemporaneità di Pitagora e di Numa ; talchè andremmo più oltre che la data di Talete ( 717-679 ) . - 2º Avanti alle dáte di Pitagora s'ha in Italia Zeleuco e Caronda, legislatori l'uno di Locri e l'altro di Cata nia ; e ne' frammenti di quelle leggi v'ha il segno delº pitagoresimo. Il Krug fa Caronda del 668 ; il Benteley, l'Heyne, il Saint Croix, il Centofanti, del 730. —3. Quando Pitagora venne in Italia , si dice che subito la scuola crescesse tanto di numero e di potenza, da bisognare feroci persecuzioni a spiantarli : il che umanamente non può accadere. La scuola dunque precedeva. — 4º Il perso naggio di Pitagora, l'istitutore insomma del Pitagore simo, diventò un simbolo in gran parte ; il che dà segno d'antichità molta, e di tradizioni orientali. — 5° Nella scuola pitagorica è mescolanza di culto e di specula zione ; e ciò indica il passaggio dall' età teologiche alle filosofiche o laicali , che in modo distinto vengono più tardi. — 6. Secondo la comune leggenda, tra l'istituzione della scuola italica , il suo prevalere anco negl' istituti civili, e la sua persecuzione, corsero pochi anni; il quale rovesciamento di favori popolari si dà presto a un uomo, tardi a un potente consorzio d'uomini. – 7. La storia di Pitagora, simbolico in gran parte, ha natura 264 PARTE PRIMA . di leggenda ; e sogliono le leggende avvicinare tempi lontani ; indi le confusioni dette di sopra. -8° Nella scuola pitagorica son chiare e molte le vestigia orfiche; talchè l'antichità di queste palesa l'antichità di quella che le raccoglie; com'elle poi diminuiscono in progresso, e ap pena si scorgono negl' lonj. – 9. I Pitagorici han forma di consorteria, e tra loro è comune e costante un corpo di dottrine. Ciò rammenta , o signori, gli usi orientali che sempre più si perdono nelle repubblichette popolari; e rammenta l'antichità più remota, dove più vale l'unione e l'autorità. Aristotile dà la filosofia de' Pitagorici come una, e vi scopre solo differenze accidentali. - 10. Le tavole d' Eraclea, lette dal Mazzocchi ( come accennai già) , mo strano un incivilimento anteriore, e quindi un'antica preparazione alla scienza . E delle prove d'antica civiltà nelle genti d'Italia recherò qui cosa che pare non fosse disputata fra' Greci , val a dire ch'essi, come dice Ta ziano (Or. contra Greci, § 1 ) prendessero da’ Toscani la plastica. — 41., Il Cousin dimostra con le autorità non ricusabili di Sozione, d' Apollodoro e di Sesto che Xe nofane nasceva il 620 avanti l'èra volgare, un 60 anni circa prima di Pitagora stando agli anni del Meiners. Ora , se la dottrina di Xenofane tenne del Pitagoresimo, come mai sarebb'egli tanto più vecchio del suo maestro ? 12° Se bisogni stare alle memorie greche talquali, i capi della scuola pitagorica e d'Elea vennero d'Ionia ; men frechè in lonia correva un tutt'altro pensare. Qui, pren dendo la cosa talquale, v'ha due inverisimiglianze, prima che ne luoghi de' capiscuola non ci avesse quell'indirizzo di speculazioni, come sarebbe assurdo che d'Alemagna venissero in Italia fondatori d'eghelismo e là non n'ap parisse il focolare ; seconda, che piuttosto que' filosofi cercasser favore in Italia, sé qui non preparato il ter reno. Ma tutto si concilia, quando il silenzio delle me te , in tanta oscurità di tempi dissero all'incirca il più rino mato, tacquero il meno, senza negarlo bensi, chè non lo conobbero forse. Dissero la scuola ionica, tacendo la . LEZIONE DECIMATERZA. 265 scuola religiosa comune là ed a' Magnogreci, perchè più celebre qui ; dissero i più famosi capi delle scuole itali che, tacendo le lontane e recondite preparazioni. – 13° E ch'elle ci fossero, mostra il celebre passo di Platone che fa dire a Zenone d'Elea : queste opinioni sull'uno co minciarono da Xenofane, anzi da più antichi di lui . ( S0 fista .) Il Brandis ed il Ritter crederono s'alludesse ad avere quella dottrina germe innato negl' intelletti. Al che ripugna il Cousin e con ragione. Prima, qui si parla storicamente e non teoreticamente ; poi, se volesse allu ( lere a germi naturali e senz' origine, come mai, anzi , parlerebbe Platone di cominciamento anteriore ? ( te 2.2.1 i te tepisºsv č.pčarevov) - 14. De primi Pitagorici non v'è scritti ; scrissero i più vicini al tempo di Socrate ; e ciò per l'uso degl'insegnamenti orali, per la costanza delle tradizioni e pel segreto delle dottrine religiose. Or tutto ciò è segno d'antichità e risponde agli usi orientali . Nella scuola ionica poi sembra che fino il primo, cioè Talete, scrivesse versi , probabilmente prose ( Diog. Laert. I, 34, Plut. de Pitiæ Orac. 18, Arist. Phys. ) ; il che mostra un fare più nuovo, e desiderio di stabilire la novità. 15. L'uso di non iscrivere, uso lasciato si tardi da ' Pita gorici, spiega ben anco il perchè sembrò più recente « lella scuola ionia il pitagoresimo : più recenti erano le scritture, non la loro filosofia. 16 ° Recherò infine ( lue singolari testimonianze di Padri greci , d'Ermia verso la fine del secondo secolo, e d' Eusebio dottissi mo ne' libri originali della greca filosofia . Ermia , dun que, nell'opera Derisione de' filosofi gentili enumera le contrarie opinioni loro sull'anima, sul bene, sull'im mortalità, sulla divinità e sui principj del mondo ; e poichè ha.rammentato varj filosofi, viene a Pitagora e lo distingue dagli altri così : egli d'antica nazione ( S 8) . Qui, segnalare tra gli altri Pitagora per antichità, è nota bile assai . Eusebio, poi, più espressamente nelle Prepa razioni evangeliche ( lib . X , cap. 4) dice : che Pitagora nacque a Samo o in Toscana o altrove, ma non greco, e ch' egli fu principe de filosofi, talchè alla filosofia ita 266 PARTE PRIMA. lica succedette la ionica e l'eleatica. Anzi anche Giu seppe Flavio ( Lib. VII) rammenta tre filosofi prischi con quest' ordine qui , Ferecide Siro, Pitagora e Talete. Questi argomenti, la cui tesi è convalidata pure dal l'autorità del Niebuhr, del Cousin, del Gioberti (nel Buono), del Poli (Appendice al Manuale del Tennemann, trad .) e del Centofanti ( Pitagora ), e che non hanno in contrario argomenti positivi di tradizione, o concordi autorità di storici antichi, mi fanno sicuro che il pita goresimo, come scuola religiosa e morale, anteceda l'altre scuole ; poi venga l'eleatica, e come più affine alla pri ma, e come precedente a Xenofane stesso per la dottrina dell'unità universale ; succeda loro l’ionica, quant'al suo cominciamento bensì, non quanto alla sua conti nuazione che s'accompagna ( com' accade) con l'altre ; e vengano infine, su che non ha dubbio, le gative. I quali sistemi darann ' argomento ad altra lezione. vole ne 267 LEZIONE DECIMAQUARTA. SCUOLE ITALOGRECHE. SOMMARIO . Causa interiore del Vilagoresimo è la necessità d'una riforma morale : da ciò l'esame di coscienza posto per principio di filosofia e di vita buona. Cause esteriori. Si volle la riforma religiosa e morale da cui la civile , per mezzo della filosofia . - Parti non dubbie nelle memorie degl'istituti pitagorici . Notizie su Pitagora e sugli altri più famosi . Quali documenti abbiamo certi sulla scuola italica . - Il Carme aureo i antico .- Le notizie che ci danno gli Alessandrini non vanno accettate senza esame, ma nemmeno rigettate con leggerezza. - Oggetto della filo sofia pitagorica , suo fine e metodo . — Quali cagioni dettero impulso a quel metodo che fu applicazione d'idee matematiche. Ma ciò non vuol dire che lal dottrina stia in un ideolismo matematico ; giacchè la monade si pensò come una forza. - Il numero rappresentava l'attinenze o l'armo. nia ; indi il simbolo musicale . Due furono i significati del numero , it simbolico ed il reale . Verità del metodo matematico ; suoi eccessi nel pro cedere dall'astratto al concreto : esempi varj . – Si cercò le leggi mentali della quantità effettuato nella realtà, per salire con esse a Dio, causa , ragione e legge. Dio è principio de'principj; e poichè i principj delle cose si dis ser numeri, Dio è il numero per eccellenza . -Questo è l'unità . – L'unità bensi presa , non come parte d’un tutto , ma in senso generale. - A Dio non si può applicare il concetto d'uniti nemmeno in quel senso ; Dio è sopruni tà ; ma l'errore precedė dalla induzione astrattiva . Si dimostra co ' do cumenti che il significato dell'unità pitagorica ė panteistico, ma ondeg giante tra il vero ed il falso . - L’unità , come per gl'Indiani, parve l'indefinito che si determina . — Grandi verità contenute nell'implicitezza di quelle dottrine. — Dio si pensó come unità suprema di tutti i contrarj; l'universo , come i contrarj in atto , e ridotti all'armonia da Dio . - L'uni tà generale o la monade che si distingue in monadi secondarie, spiega lo teoriche d'allora sugl'intervalli, sul vuoto, sull’intinito, sul finito ec . L'anima è numero , ed è nel corpo come Dio nel mondo ; è l'armonia del corpo . La verità è l'uno e il numero ; l'errore va fuori dell'armonia. -- Intelletto e senso . — Dio , ragione prima del conoscere, perché gl’intelletti si credettero divini. Poi, perchè Dio è il numero per eccellenza , e il nu mero è l'esemplare del mondo. Quanto alla scienza , si sbagliò cercando sempre l'assoluta necessità razionale. Numero e armonia il bene; disar monia il male. - Fine dell'anima intellettiva il ritorno all'essenza pri ma . --- Come si tentó fuggire le contraddizioni del panteismo naturale negando la cognizione diretta dell'essenza. - Xenofane tentó fuggirle col panteismo ideale. - Cinque concetti principali di Xenofane : Dio è uno ; sommo potere ; gli manca ogni contingenza e però non è nè finito nė infi nito né in quiete nè in moto ; Dio non può nascere, perchè il non ente non può dal nulla divenire qualcosa : Dio è il tulto . — Indi segui che il mondo è apparenza . – l'armenide stabilisce chiaro il doppio aforismo degli Eleati e degl ' Ionj, e condanna il secondo . Muove dall'idea generale d'essere ; Dio si fa più indefinito che in Xenofane. – Tutto è idea . Melisso fa Dio più indeterminato ancora, chiamandolo un qualcosa . -- Gli attributi della moralità non più appariscono . – Panteismo materiale de gl'Ionj : nasce in condizioni opportune. - Il moto delle cose vien conside rato nell’ente o nell'assoluto , ch'è la materia eterna divina , dotata di pensiero . – Diversità nel concepire tal moto fra ' dinamici e i meccanici. 268 PARTE PRIMA. E la causa prima del moto la posero diversamente in quella cosa che più parve trasmutabile in ogni altra cosa . – Talete ba dello spirituale anco ra ; la grossolanità materiale viene crescendo . Anassayora vide l'assur dità del panteismo , e prese il dualismo ; ma non détte troppo alla mente . — Idealismo ateo di Protagora ; materialismo di Democrito ; le due forme di scetticismo particolare . Scetticismo universale di Gorgia ec . Misticismo d'Empedocle ; e perché il suo sistema paia indeterminato ed ecclettico . — Due schiere d’uomini ; gli atei e i l'itagorici di quel tempo : interpreta zione storica , e interpretazione fisica della mitologia . Qual è mai, o signori, la causa interna del Pitago resimo ? La necessità d'una riforma morale; necessità pro fondamente sentita da uomini ornati, quanto la Gentilità comportava, di grandi virtù. Il conosci te stesso fu esame di coscienza morale negli istituti pitagorici, e fonda mento altresì di speculazione ; chè, nella coscienza e'tro varono il dovere e nel dovere Dio. Cagioni esterne furono il guasto crescente della religione, de costumi e della li bertà, al quale s'oppone il Pitagoresimo, e inoltre ( com’ho avvertito più volte) le tradizioni e i commerci d'Oriente, le dottrine orfiche ed i Misteri. Si volle, pertanto, una riforma religiosa e morale, da cui venisse la civile; e cri. terio a tutto ciò désse la Scienza . Il che spiega gl'isti tuti pitagorici su cui gli Alessandrini mescolaron favole, ma la natura di consorteria e un culto segreto ( Ritter ) e la sostanza dell'arti educative non cadono in dubbio. La riforma religiosa si tentò co’riti e dommi segreti ; la morale con l'opporsi a tre vizi , voluttà, superbia ed ava rizia , ed esercitando anima e corpo nella musica e nella ginnastica ; la civile , domando la licenza con abiti disci plinati ossia con l'autorità ( curos pz) e con la vita co mune. Il discepolato morale preparava così alle specu lazioni , e, preparato, s'elevava l'alunno a gradi più alti e più liberi. ( Centofanti, Pitagora ; Ill . del Giardino Puccini.) Circa Pitagora o di Samo nella lonia o di Samo nella Magna Grecia, poco v'ha di sicuro e con mescolanza di simboli ; pare tuttavia che un fondamento storico v’ab bia e ch'egli fosse uomo di molta dottrina e virtù. Per la dimenticanza in che vennero le colonie di Magna Gre cia e tutte le antichità italiche dopo le conquiste di Ro LEZIONE DECIMAQUARTA . 269 ma, e per la guerra feroce contro i Pitagorici, non ne sappiamo quasi nulla ; li sappiamo bensì a lor tempo in molta riverenza. Si rammentano con più certezza Liside, Clinia e Archita cittadini di Taranto in Magna Grecia, Eurite e Filolao o di Taranto o di Crotone. Archita , il più celebre di tutti, capitanò più volte gli eserciti , e non ebbe mai la peggio ; buon padrefamiglia e cittadino, domatore di sè stesso, famoso per invenzioni e scoperte in musica ed in matematica e per libri d'agricoltura . Sul finire del quinto secolo avanti G. Cristo, la scuola pitagorica venne atrocemente perseguitata ; molti fra gli scampati, o si rifuggirono in Grecia o si sbandarono in Italia. Sembra che l'odio movesse da opinioni politiche, parteggiando essi per gli ottimati ; ma chi badi alla se gretezza del culto attestata da Erodoto, e alla tradizione che un capopopolo attizzò le ire, invelenito dal non es sere accolto nell'adunanze, s'accorgerà che trattasi qui , come per Anassagora e per Socrate, del politeismo vol gare geloso e persecutore. Gli scritti col nome di Timeo, d'Archita e d'Ocello Lucano sono apocrifi, e i frammenti di Brontino e d'Euri famo; ma non quelli di Filolao (vedili nel libro d'Aug. Boecckh su Filolao, e nel Ritter) ; i quali col Carme aureo e con ciò che narra Platone ed Aristotile sulla scuola italica, ne dánno contezza . Nel sostanziale di essa gli storici vanno d'accordo. Quanto al Carme aureo , e's'attribuì a Filolao, a Epicarmo, a Liside, a Empedocle ; da Crisippo a'Pitagorici. Sta il Mullachio per Liside; e : mostra, comunque, che ne' versi aurei non v'ha nulla di non antico, e come un alemanno, secondo l'usanza di molti critici odierni , neghi l'autenticità pel dubbio di tre" sole parole, che a lui non paiono antiche ; e antiche le dimostra il Mullachio. ( Fragm . Phil. Græc. Didot, 1860. ) . Le relazioni che ci danno del pensar pitagorico gli Ales sandrini, non vogliono accettarsi senza discrezione ; chè in loro la critica è poca, molta la voglia d'interpretare a lor modo gli antichi; tuttavia dire come si dice) che il Pitagoresimo, quale dagli Alessandrini si descrive, non 270 PARTE PRIMA. i 2 7 > I meriti fede per le grandi somiglianze con Platone, è dir troppo, sapendosi negli Psilli di Timone Fliasio (3° secolo av. G. C. ) che quegli ebbe in gran pregio i Pitagorici : « E tu, o Platone, giacchè ti possedeva l'animo il desiderio di sapere, comprasti con gran pecunia un piccolo libro, da cui imparasti a scrivere tu pure il Timeo. » ( Fragm . Phil. etc. ) La filosofia de' Pitagorici, come tutta la filosofia an tica, come la filosofia d'ogni tempo, meditò i primi prin cipj dell'essere, del conoscere e dell'operare. Il pensiero della causa suprema ch'è ragione e legge, vediamo bene da tutte le loro memorie che occupò quegl'intelletti for temente. Fine della filosofia parve loro ed a tutti gli antichi, la liberazione degli errori e de' mali comuni, ma con tal divario dagl'Indiani , che la speculazione dovesse congiungersi all'operosità civile . Metodo di filosofare fu il matematico ; cioè l'applicazione d'idee matematiche alla natura universale, così esterna come interna, e al suo principio. Onde mai tal metodo ? quali cagioni gli dettero im pulso ? Già negli antichi v'ha inclinazione di filosofare a priori sul mondo (sebbene l'esperienza, anch'esterna, non s ' escludesse dai Pitagorici) , perchè mancavano gli stromenti; poi, premeva più lo speculare teologico, re cato altresì nella fisica ; e le lunghezze d'una fisica os servatrice non si comportavano in tempo, che i varj studj non erano scompartiti tra più dotti . Inoltre l'arimmetica e la geometria vennero d'Asia, nate tra le scienze più antiche, perchè non bisognose d'osservazione. Altresì di tali scienze s’aveva necessità tra popoli commercianti e tra colonie che dissodano terreni, asciugano paduli, e scavano canali . Più, la discordia tra' politeisti e il mono teismo - antico fece spiccare, quant'al concetto di Dio, le nozioni d'uno e di moltiplice, come anche si scorge nel vecchio Testamento . Infine, tempo é spazio ci danno la quantità, e sappiamo che l'induzione falsa indíava, come ne' Vedi, lo spazio e massime il cielo ( onde l'uranismo), e il tempo ( onde l’Aherene de' Persiani, il Crono de Greci , LEZIONE DECIMAQUARTA. 271 il Saturno de' Latini), talchè le tradizioni orientali e or fiche, cadendo in tali concetti, davano impulso a quel modo di filosofare . I Pitagorici, dunque, parlano dell'uno, del due, del tre, del dieci e delle combinazioni loro allorchè discor rono del mondo e di Dio. Ma si vuol credere forse che tal metodo li riducesse a vane astrazioni ? ossia, ch'e'sti massero Dio e il mondo idee matematiche e nulla più ? In altre parole, il Pitagoresimo fu egli un idealismo matematico ? No, sicuramente ; Aristotile lo spiega chiaro dicendo : ch'essi stimarono le cose una imitazione de'nu meri (μίμησιν είναι τα όντα των αριτμών. Μet. I , 6) . Ini tazione, dunque; a leggi di numero, cioè, rispondono le cose ; e la mente ritrova l'une nell'altre ; e in questo è la scienza. Anzi (e va notato accuratamente ), che mai restava pe' Pitagorici, levato il composto ? Restava la monade. E che cos'era la monade ? Forse un'astratta unità , o l'atomo indifferente inattivo di Democrito e di Leucippo ? No ; ma l'essenza ch'è una forza : il concetto di forza o d' attività prevale nel Pitagoresimo, così ri spetto a Dio come rispetto al mondo. Di fatti, e ch'è mai, secondo i Pitagorici, l'ordinamento universale se non la continua limitazione (o determinazione) dell'inde finito ? Ciò resulta da molti riscontri , ma singolarmente dallo specchio de contrarj ( di cui parleremo) . Inoltre, Dio per que’ filosofi è mente e causa o principio ; causa è l'anima ; e causa d'ogni armonia è l'unità. ( Frag. di Filolao ; Siriano, Com . Met. d ' Arist. XIII; Ritter St. Fil. ant. ; Bertini, Idea d'una Fil. della Vita, vol. 2. ) Quindi, pe' Pitagorici, le leggi del numero e della geo metria rappresentavano l'attinenze; cioè , significavano il rispetto d'una cosa all'altra, e d'uno all'altro con cetto, l'armonie particolari e l'universale ; da ciò i lor simboli musicali. Si dica pertanto, o signori , che per la scuola italica eran due i significati del numero ; significato simbolico e reale. È significato reale quando noi diciamo : Dio è uno e le creature sono moltiplici ; e così dicevano essi 272 PARTE PRIMA. che Dio è il numero per eccellenza, cioè l'unità e la totalità d'ogni perfezione. È significato simbolico quando s'astrae i numeri a significare gli oggetti ; come dicendo (per esempio) l'unità e il numero, e s'intendesse Dio e le creature ; così parlavano più spesso i Pitagorici . Al lora si fa come l'algebrista un linguaggio figurativo . assai comune agli Orientali ; e ciò toglie l'apparente stranezza delle parole. Il metodo matematico ha egli verità ? Certo non manca di buon fondamento, perchè tutto nel mondo si distingue o d'essenza o d'accidenti o di parti , di gradi o di potenza o di atti ; e tutto, dunque, è capace di numero e di misura . Per altro, le leggi matematiche non hanno da cercarsi a priori nella realtà, bensi con l'osservazione; come Galileo, osservato il cadere de corpi, vi scoperse la quantità del moto crescente. Trovata la legge matematica, s'applica poi a nuove scoperte, come dalla legge matematica delle oscillazioni s'inventò il pen dolo. Chi volesse procedere a priori, sbaglierebbe, perchè dalla idealità non si può concludere la realtà contingente ; per esempio, dall'idea d'un circolo non si può conclu dere ch'e' si dia in natura. Bensì, nella realtà si scopre ognora leggi ideali a cui essa risponde sempre (come le proporzioni tra spazio e velocità nella caduta son sempre le stesse ), ed anche, esemplando il reale all'ideale, quello vi combacia, come, facendo un circolo, i raggi gli ha sempre uguali. Ebbene la scuola italica non ignorò i buoni metodi della osservazione e delle matematiche applicate; già ho notato le dottrine fisiche d'Archita ; del metodo sperimentale di Polo ci ragguaglia Aristo tile (Met. I) ; le dottrine musicali d'allora fan supporre molti esperimenti ; Erodoto scrivche i medici italiani erano i più reputati ; e tutti sappiamo le meraviglie d'Archimede. Tuttavia il metodo astratto ebbe il diso pra . Così , rappresentando il principio, il mezzo ed il fine col numero tre, lo vedevano in ogni cosa ; però Filo lao divideva il mondo in tre parti. Il numero dieci è compiuto in sè stesso , perchè si compone sommando i LEZIONE DECIMAQUARTA. 273 suoi quattro numeri primi ? ebbene, dieci i pianeti . Cin que i corpi regolari nella geometria ? dunque altrettanti gli elementi, e ciascun d'essi n ' ha la figura ; la terra ha il cubo, il fuoco la piramide, l'aria l'ottaedro, l'ac qua l'icosaedro, l'etere il dodecaedro; e dunque, altresì cinque i sensi . Se i quattro numeri primi , sommati tra loro, fanno il dieci ; e se i quattro numeri pari ( 2, 4, 6, 8 ) e i quattro numeri dispari ( 1 , 3, 5 , 7) , sommati, fan tutt'insieme trentasei, la tetrattisi o quadernario dovrà riscontrarsi nelle cose ; e quattro, per esempio, sono i gradi della vita : minerale, pianta, animale e uomo ; e , ne' corpi, il punto è unità, la linea è qualità , la super ficie è triade, il solido è quadernario, si compone, cioè . di quattro punti. Questo metodo, applicato alle cose dell'esperienza, riuscì arbitrario non di rado, e se, inalzato a Dio, ne guastò il concetto per l'astrazione dell' indefinito ; pure, accompagnato come fu da tradizioni buone, da molte virtù morali , da preziose osservazioni interne ed anco esterne, ed eccitando la speculazione, fece sorgere tra gli errori belle e profonde verità . Quel metodo era (com’ac cennai) : trovare le leggi mentali della quantità geome trica e arimmetica effettuate nella realtà e salire con queste alla prima cagione, alla prima ragione ed alla prima legge. Però dice Filolao che l'intendimento mate matico è il criterio di verità. La prima cagione dell'essere, che è ella mai ? Sic come i Pitagorici voller trovare i principj delle cose e il principio de principj, così precede il quesito : che son mai tali principj ? Risponde Aristotile : « I Pitagorici , educati nelle matematiche, dissero i numeri esser prin cipj delle cose. » ( Met. I, 5) cioè tutte le cose si ridu cono a leggi supreme di numero, e queste leggi costi tuiscono la loro essenza . Or bene, che cos' è la prima cagione ? È il primo principio, per Filolao ; è la causa che antecede ogni altra causa, per Archita : « quam Are chytas causam ante causam esse dicebat, Philolaus rero omnium principium esse affirmabat. » ( Siriano, alla Met. Storia della Filosofi . - 1 . 18 274 PARTE PRIMA. l' Arist. XIII. Dunque se i principj delle cose son numeri, il primo principio è tale altresì; o, come diceva Hierocle nel commento al Carme aureo ( Fragm . Phil. Græc.): « Se tutto è numero, Dio è numero. » Che nu mero ? Il numero per eccellenza. Che cos' è il numero per eccellenza ? Vediamolo . Il moltiplice fa supporre l’unità ; e l'unità n'è sem pre il principio ; così abbiamo solido, superficie, linea, punto ; questo è il principio della linea, della superficie e del solido. Dunque Dio, ch' essendo il primo principio, è il numero per eccellenza, è altresì l'uno per eccellenza . ( Aless. Afrod . Comm . alla Met. d ' Arist.) Resta da ve dere che cosa sia l'uno per eccellenza . L'unità , idealmente, si può considerare e qual parte che compone la pluralità, e quale idea generica che abbracci la pluralità stessa. Diciamo: il venti è compo sto d'uno più uno, più uno ec.; ecco le unità che com pongono un tutto. Diciamo ancora : una ventina, un centinaio, un migliaio, un milione ; ecco l'unità gene rica che abbraccia ogni numero, considerato come unità . Nel primo caso, l'unità è l'elemento della pluralità ; nel secondo , è la forma mentale che fa capaci di compren dere in un concetto le moltiplicità sparpagliate. E in tal senso l'unità si può chiamare il numero per eccel lenza, giacchè abbraccia ogni numero. Or bene, o signori, si può egli applicare a Dio l'idea d'unità ne' detti significati ? No ; Dio non è il compo nente della moltiplicità ; nè Dio è un che generico e comune alle moltiplicità particolari. L'unità di Dio è, a dir così, una soprunità, come, secondo i Teologi, le rela zioni personali della Trinità son soprannumero. ( S. Aug. in Joann. Evang. ) Si dice uno per negare il moltiplice, nulla più ; e chi confonde l'analogia di tali concetti col significato proprio, o cade nel panteismo, o accusa erro neamente la filosofia e la teologia. Si domanda, per tanto : la scuola pitagorica usò que' concetti nel signi ficato vero ? Da’tre frammenti di Filolao apparisce che Dio per lui è imperatore sommo e duce, uno, eterno, LEZIONE DECIMAQUARTA. 275 permanente, immobile, simile a sè stesso, diverso dal l ' altre cose, potentissimo, supremo, e che solo conosce l'essenza eterna. Anzi, Siriano nel luogo già citato dice, che pe' Pitagorici Dio è una e singolare causa, astratta « la tutte le cose, e superiore alla dualità de' principi, la quale vedremo più qua : « Ante duo principia unam et singulam causam , et ab omni abstractam præponebat. Parrebb'egli, dunque, che l'unità de' Pitagorici sia nel senso buono ? Il Bertini ( Op.cit. , vol. II) va interpretando più benignamente che si può certe opinioni pitagoriche. le quali ne farebbero dubitare ; e tuttavia conclude: « Il sentimento religioso e morale gl'induceva a collocare Dio molto al disopra del mondo ; ma il fato della logica li forzava sovente ad immedesimarli in una sola sostanza e ricacciavali nel panteismo. » Che vuole dir mai fato della logica ? Vuol dire la necessità di certe conse guenze, dati certi principj . Or via, quali son dunque i principj che menavano al panteismo, non ostante l'alte verità frammischiate in abbondanza ? Era, appunto, il concepire Dio quasi unità generica, o numero per eccel lenza ; e questo in grazia della non buona induzione. Di fatto, poichè i numeri son pari ed impari, e l'unità, cioè il numero genericamente preso, s'estende ad en trambi; così la scuola pitagorica chiamò Dio pari ed impari, e diceva che l' uno è l'essenza di tutte le cose ( Arist. Met. I ) ; l'essenza delle cose chiamata eterna ( la Filolao ; che inoltre affermò, le cose diverse e con trarie non istarebbero senz'armonia , e tale armonia è il numero per eccellenza, cioè Dio ; aggiunse, che tal numero è legame all'eterna durata del mondo; anzi ( e questo val più ), esso legame produce sè stesso . (V.framm . i Filolao nel Ritter . St. della Fil. ant.) Finalmente. Dio pe' Pitagorici è limitato ed illimitato ad un tempong 11pTLOTES PITTOy, Arist. Met. 1. ) Par dunque certo ch ' essi concepivano Dio com'unità generica, in cui s 'uniscono potenzialmente i contrarj del mondo, pari e dispari, femmina e maschio, male e bene, e via discorrendo ; contrarj che si distinguono attualmente quando il poten 276 PARTE PRIMA. ziale viene all'atto, e l'illimitato si limita, e l'essenza universale ( conosciuta solo da Dio, cioè da sè stessa) si determina mano a mano ne' fenomeni . Dubitò il dotto Bertini che s'intendesse da' Pitagorici, non dimmedesi mare le cose in un' essenza, ma d'accennare che Dio la in sè i contrari perchè li supera. E non esito punto a dire che ciò e ' tenevano forse, ma in confuso, e la con fusione generava il panteismo . Di fatto, se quel concetto era limpido, essi non avrebber detto che Dio è pari ed impari ; giacchè i contrarj sono il modo finito delle per fezioni mondane, e però non si contengono in Dio. Si risponderà : noi n'abbiamo un'idea più chiara. Va bene ; se i Pitagorici avesser capito chiaro come Dio superi l'universo infinitamente, le parole chiare l'avrebber tro vate anch'essi. Anzi, l'infinito lo pigliavano per l'inde finito o potenziale ; e quindi, il finito sembrò a loro il perfetto, e l'infinito l ' imperfetto. Aristotile serbò lo specchio delle contrarietà in dieci antitesi (dispari e pari , finito e infinito, uno e più, quiete e moto, luce e tenebre, bene e male ec. ) , fatto da qualche Pitagorico ; e Simplicio notò come le contrarietà si comprendano si risolvano in Dio. ( Arist. Met. I, Simpl. Phys.) Inol tre , come il mondo era la decade, cioè la pienezza d'ogni grado d ' entità , e così Dio ; che riceveva nome d'ogni numero, unità , diade, triade, quadernario ( o solido), set tenario, decade. Dimodochè pe Pitagorici, come per tutta la filosofia pagana (avvertite, o signori ) , il quesito della causa pri venne a quest' altro : Come si limiti 1 illimitato ; ossia , pensarono gli antichi che la produzione del mondo consistesse nel determinare in atto la potenzialità prec sistente : talchè Filolao pone tre principj, l’illimitato. il confine, e la causa ( το απειρων, το πέρας, το αίτιον ). Il che parve in due modi : i Pitagorici , com’i pan teisti ionj e indiani, dissero che quel potenziale sta in Dio ; i dualisti, che e' sta fuori di Dio, ed è la mate ria informata da esso. Nella scuola italica , poi, la im plicitezza de' concetti adombrò alte verità ; Dio (per ma LEZIONE DECIMAQUARTA. 277 esempio) , legame del tempo e dello spazio, se non si prende com ' identità d'ogni essenza , vuol dire benissimo che l'unità divina con l'unico atto creatore e conser vatore fa l’unione del moltiplice disgregato : però Dio è l'armonia dell'armonie . Che cos'è dunque Iddio pe' Pitagorici? L'unità su prema di tutti i contrarj. Che cos'è l'universo ? I con trarj in atto, e ridotti da Dio all'armonia . Come l'unità generica non diviene numero se non si distingua in unità determinate o particolari, così la monade suprema non genera il mondo se non si distingua in monadi o so stanze particolari. Che si richiede, o signori, a formare il numero ? L'unità e la distinzione d'un'unità dall'al tra. Ma la distinzione, considerata mentalmente, non è forse un concetto negativo e indeterminato, dacchè si gnifichi che l'una cosa non è l ' altra ? Or bene ; e pen savano essi che a formare l'universo ci voglia le unità o monadi particolari, poi la loro distinzione; ossia, come ( lice Aristotile, elementi positivi da un lato, elementi nega tivi dall'altro. Da queste due maniere d'elementi si fa tempo e spazio ; nel tempoi momenti e la distinzione di un momento dall'altro, cioè gl'intervalli; nello spazio i punti e la distinzione d’un punto dall'altro cioè il vuoto. Tal cosa venne simboleggiata con l'ispirazione del vuoto ; ossia distinguendosi le monadi, il vuoto entra in loro com'aria ne’polmoni . I due elementi , il positivo ed il negativo, uniti tra loro, fanno la diade o il pari; l'ele mento positivo o l' unità, così sola come aggiunta al numero pari (per esempio il tre ), fa il dispari . Ed ecco, o signori, l' unità nell'altro senso ch'io spiegava di sopra , cioè nel senso non generico ma particolare di compo nente il composto. Talchè l'unità nel senso generico è Dio ; le unità nel senso particolare fanno il mondo. Ed ecco altresì perchè si diceva da’ Pitagorici che il pari è illimitato , illimitato perchè il vuoto e l'intervallo ( o la negazione) è in astratto un che potenziale, può ricevere distinzione da' punti e da’ momenti all' indefinito . Si diceva per contrapposto che il dispari è limitato, giac 278 PARTE PRIMA. chè chiude l'intervallo ed il vuoto tra due estremità positive o tra due monadi , riduce in atto la potenza, e si fa la triade, numero perfetto che ha principio, mezzo e fine. Voi capite, o signori, come per la teorica de’toni e degl' intervalli si vedesse analogia tra la musica e l'universo. Il quale, venendo dall'essenzá eterna come necessario svolgimento d'attività, non ha reale comin ciamento, è ab eterno ; comincia sì , ma quant' al nostro pensiero ( -o iniyocav) , ossia il pensiero nol può con cepire altrimenti . Nè s'avvidero essi che se il pensiero nol può concepire senza cominciamento, segno è che l'op posto è irrazionale . Che cos'è l'uomo nell'universo ? Un'anima razionale che sta nel corpo come in u sepolcro , diceva Filolao. L'anima è numero e armonia ( Plut. De plac. phil. IV , 2 ), o monade che riduce ad unione la moltiplicità del corpo e n'è principio di vita e causa motrice. Se Platone confutò nel Fedone la sentenza che l ' ani ma è armonia , combatte i materialisti che ponevano l'anima com'un risultamento dell'unione corporale, an zichè com’un principio di essa, a mo' de ' Pitagorici. Ma Platone invece s'accorda con Filolao dicendo, che l'ani ma è sepolta nel corpo. Se non che in Platone ha senso più dualistico ; ma ne’ Pitagorici significò (badando noi alla totalità delle lor opinioni), che come Dio è l'anima del mondo, e vien da essa immediatamente l'anima uma na ( V. Ritter e Bertini), così vien dalla terra, infima ne'gradi dell' entità e delle emanazioni tutte, il corpo . Derivano da tutto ciò le teoriche sulla ragione som må del conoscere e sulla legge dell'operare. Come l'en tità , così la verità è l'uno e il numero, e l'errore va fuori dell'armonia ; talchè come il numero fa la misura di ciascun ente o la specie loro, e fa l' attinenze del l'uno all'altro, così la verità è nell' attinenza dell'in telletto con le specie degli enti e con le loro attinenze. Ma come si conosce da noi ? Il simile col simile ; però distinse la scuola italica il senso dall' intelletto come in due parti ( Cic. Tusc. IV , 5 ) ; l'intelletto è di LEZIONE DECIMAQUARTA . 279 vino e si conosce per esso (benchè in modo relativo, dice Filolao) la divinità della natura ; il senso è terrestre, e si conosce per esso il fenomeno o l'apparenza sensibile. Ragion prima del conoscimento è dunque Dio ; ma com’es senza prima degl'intelletti. In Dio sta la ragione pri ma, non solo perchè raggiano da lui gl'intelletti , ma perche Dio è numero, e il numero è l' esemplare del mondo; esemplare riconosciuto dall' intelletto. ( V. il Cou sin e lo Stalbaum , ambedue nel commento al Timeo .) Però, avvertite, o signori, la scienza pe' Pitagorici, come per ognuno che n'abbia vero concetto, stette nel ritro vare la necessità razionale di ciò che conosciamo. Essi voller saper non solo ciò che è ed accade, ma perchè ciò dev'essere ed accadere. Tuttavia successe a loro quel che ad ogni panteista ; si credè di trarre a priori le cose dal conoscimento dell'essenza universale, come le pro prietà d'un triangolo. Ma invece, e lo dissi altrove, la necessità razionale ( eccetto la ontologia e la teologia naturale e le loro applicazioni e le matematiche) sta solo in vedere come, supposto un che, ne venga di neces sità un altro per attinenza ; ad esempio, data la per cezione, non può non essere il corpo, o data la volontà negli uomini che son razionali, non può non essere la libertà. L'assoluta necessità vedesi solo dove può trarsi l'illazioni da un'idea, anzichè sperimentare de' fatti; nel resto è necessità ipotetica, e non altro ; o anco è sola contingenza. ( V. Lez. I. ) Come l'entità e la verità sono numero, negazione la potenzialità indefinita e l'erro re, così è numero ed armonia il bene, disarmonia o ne gazione il male. ( Arist. Met. I.) Il bene è misura, il male è dismisura : da ciò quel detto pitagorico : « La misura è ottima, pétpov Žpustov . » E come Dio è l'ar monia universale, il numero per eccellenza, egli è il bene o misura o legge. Però, come l'intendimento va per armonie matematiche e musicali, così la volontà ; e indi nasce la virtù, ch'è numero dentro di noi, componente la discordia degli appetiti ( Carme aureo, 57-60 ); numero fuor di noi nell'educazione della famiglia e della città . . 280 PARTE PRIMA . - am - ( Fragm.di Luc. Ocello. ) Allora l'anima si va conformando a Dio (ov.02.09749. Tapos to delov ) ; la disforme da Dio passa in corpi diversi con la metempsicosi od è punita nel Tartaro ; la conforme a Dio ritorna nell'essenza ond'ella emanò. » Sarai, dice il Carme aureo, un Dio immorta le, incorrotto, non sottoposto a morte ( v. 71 : ETEL 0212. τος θεός, άμοροτος, ούκ έτι θνητος) . Signori, chi non mirerà, in mezzo a quell'ombre, la luce di sì alte dot trine ? Ma, tralignando i tempi, la filosofia traligno. Il sistema pitagorico è, quant'a'principj, un pantei smo naturale ; perchè l'unità per eccellenza vi comprende lo spirito e la materia, distinti poi come tutte l'altre contrarietà. Come voleva egli scappare il Pitagoresimo alla contraddizione suprema d'identificare tutte le contrad dizioni ? Dicendo che non conosciamo l'essenza in modo diretto : quasichè importi tal conoscenza per escludere l'assurdo. La scuola di Elea tentò fuggire la contrad . dizione, escludendo la materialità, il moltiplice ed ogni mutamento , e così creò un panteismo ideale. Xenofane, nato a Colofone d'Ionia il 620 av. G. Cri. sto, venne assai tardi ad Elea città di Magna Grecia . L'idealismo suo nasceva prima di lui; ma egli lo recò a sistema. E l'idealismo nasceva per più cagioni ; pri ma, com'ho detto, ad evitare le contraddizioni del pan teismo naturale ; poi, perchè il sistema idealistico ha dello scetticismo, a cui ora pendevano i Dorj non più austeri, e più gl'Ionj (ionica pure la colonia d'Elea); scetticismo voluttuoso e mesto che apparisce nel poeta Mimnermo, di Colofone anch'esso, e in alcuni versi di Xenofane; inoltre, già il sistema pitagorico, benchè com prensivo, faceva prevalere i concetti spirituali , però Xeno fane, vissuto a lungo in Ionia , venuto poi in Italia, mostra nell'ontologia l'idealismo italico , ma nella cosmologia la fisica degl'Ionj. Egli scrisse in versi , e ne resta frammenti, da cui , com'anche da Platone e da Aristotile, si rileva le sue opinioni . ( Fragm . Phil. Græc. Didot. ) Uscì di patria per le invasioni Lidie, viaggiò in Sicilia, si fermò in Elea o Velia ; e visse più che centenne. ( Censorino.) LEZIONE DECIMAQUARTA . 281 Xenofane ha di Dio un'idea sublime. Egli è uno, non simile all'uomo, immoto, è tutto vedere, intendere e udi re . Ma si deve, o signori, notare cinque concetti che formano il sostanziale del sistema. Dio è uno. Xenofane tolse il principio pitagorico che l'uno si converte con l'ente ; però Dio, entità suprema, è uno. L'unicità di Dio , Xenofane la provò benissimo per un secondo concetto ancora, ch'è la potenza. Voi sapete già, o signori, che per la scuola italica l'unità o la monade o l'entità ( vocaboli equivalenti) è forza, è un'energia . Ciò pure affermò Xenofane ; e però Dio, ch'è l'ente , è sommo po tere ( 20 % TELY ) : quindi se più dèi uguali, nessuno è po tentissimo per l'eguaglianza, se più dèi inferiori, nes suno è potentissimo per l'inferiorità. Talchè Xenofane, riprensore d’Esiodo e d'Omero, scherniva com’empie le superstizioni volgari, e, diceva, se i cavalli sapessero di segnare, fingerebbero gli dèi a loro sembianza. Traeva da ciò un terzo concetto ; che a Dio manca ogni contin genza, finità e infinità, moto e riposo. L'infinità ? In che senso la nega egli Xenofane , e contro chi ? Nel senso d'illimitato o indefinito che si determina con atti successivi ; contro i Pitagorici pe' quali Dio è infinito e finito ad un tempo, si distingue nell'universo e vi si muta perennemente, benchè immutato nell'essenza : for s'anche, dove Xenofane accenna il moto e il riposo, con futa le opinioni degl' Ionj già cominciate e già oppo ste all'italiche più antiche, ma pe' Pitagorici ancora Dio comprende in sè le contrarietà fra cui Aristotile notò ( come vedemmo) il moto e la quiete, ugualmente che il finito e l'infinito, il finito ch'è quiete, l'infinito (indefi nito ) ch'è moto. Crederemo noi dunque, o signori, che quest'altra verità , in Dio non essere contingenza, con ducesse gli Eleati al Dio creatore ? No ; e si scorge dal l'esame d'un quarto concetto, per sè vero, ma falso nell'applicazione : Dio non può nascere. Va bene ; ma per chè ? udiamolo, signori; il perchè ce lo dà il trattatello De Xenophane, Melisso et Gorgia, attribuito ad Aristo tile , non di lui forse, antico ad ogni modo. Si dice, adun 282 PARTE PRIMA. que : Dio non può nascere, perchè l'ente non può non essere, e il non ente non può dal nulla divenire qual cosa. L'ente, ch'è per essenza, certo non può non essere ; ma il non ente nel significato di Platone e pitagorico è il contingente ; che può non essere appunto, giacchè non è per essenza sua propria, bensì dall'ente. Xenofane, per altro (notate, vi prego, siguori), prese il non ente in significato di nulla, e il nulla è impossibile sia mai altro che nulla ; ma ciò che diventa, è nulla in sè, nulla non già nella potenza causatrice. Che ne conchiudeva Xenofane ? Non solo che non si dà creazione, ma che non si dà pure causalità nessuna ; non v'ha che l'es senza immobile, infeconda, inaccessibile. ( ch'è dun que il resto ? o quel che ci pare in continua mutazione ? Fenomeno, apparenza, illusione, e nulla più ; talchè la fisica che si fa con l'apparenze è illusoria, non è scien za . Però egli disse in un verso : « Queste cose (del mondo) non hanno altra vita che l'apparenza, e appartengono alla opinione. ( Plut. Symp. IX. ) De' dubbj di Xeno fane sul mondo parlo altresì Timone Fliasio ne' Psilli. ( Fragm . Phil. Græc.) E per provare ciò s'adoperava un quinto concetto : che Dio o l'ente è tutto, o intero . ( Fragm . di Xenoph.) Che vuol egli dire ? Cerchiamolo . Che idea vi dà, o signori, l'infinità ? Certo, pienezza d'es sere, cioè che ivi non ha mancamento . Ma tal pienezza significa forse il tutto ? No, chè tutto è idea relativa : tutto, implica parti ; e quindi ogni tutto può essere più o meno, come numero ch'egli è ; nè numero assoluto si dà ; mentre assoluto è l'infinito. Or bene, l'induzione astrattiva concepisce il mondo com'un tutto e confonde l'infinità ( come pienezza d'essere) con l'universo . Così accadde agli Eleati ; e però Aristotile scriveva di Xeno fane : « Contemplando egli il tutto del mondo, disse che l'unità è Dio. » Indi l'aforismo eleatico, uno è l'ente e il tutto (ey to y uzi có Tiv) . Che si concludeva mai da questo ? Poichè al tutto non manca nulla, e l'ente è il tutto, nulla può cominciare, perchè sarebbe aggiun gimento : quasichè, o signori, ciò che viene dall'efficienza LEZIONE DECIMAQUARTA. 283 creatrice aggiungasi all'infinità . E però vedete, che dove gli Eleati pareva negassero l ' indefinito pitago rico, van poi al medesimo vizio ; perchè si piglia Dio com'un tutto generico, che viene simboleggiato con lo sfero. Resta da sapere che foss'egli per Xenofane l'ente o Dio . È ragione assoluta, intelletto essenziale. (Fragm. di Xenoph .) Che v'ha dunque più di pitagorico negli Eleati ? Si lasciò la parte corporea ed ogni moto e restò la spirituale, divina ed immutabile ; quindi è un pan teismo ideale. Il qual sistema si continuò in Parmenide, in Zenone ed in Melisso. Parmenide d’Elea nacque probabilmente nella 65a Olimpiade, e fiorì nella 69 ", ossia 504 avanti Gesù Cristo. Dice Plutarco ( Adv. Colot.) ch'egli détte alla patria leggi avute in grande amore. Zenone d'Elea , scolare di Parmenide e nato verso l'Olimpiade 719 , amo di cuore la patria , e poichè un tiranno lo condannò a morire, sostenne da uomo il supplizio : Melisso di Samo fiori verso l'84a Olimpiade, seguì Parmenide, fu uomo di Stato, e capitano gl'Italioti contro Pericle. Questi gli Eleati più famosi. L'opinioni di Parmenide vi son date assai chiare ne' frammenti del suo poema. ( Fragm . Phil . Græc. Didot. ) E che si trova in quelli fin da princi pio ? I due aspetti, già separati da Xenofane : l'ente, che unico è ; e il non ente o l'apparenza, che non è : non è , o signori, in modo assoluto e non già perchè semplice contingenza. Ci ha due vie, scriveva Parmenide, di filo sofare : 0 porre che l'ente è e che il non ente non è (70 ury; vedi anche il Parm . di Plat.), e questa è la via retta, perchè s'afferma l'ente e si nega il non ente o l'apparenza ; o, al contrario, porre che l'ente non è c che sia di necessità il non ente, questa è via non retta. Si descrive così la via degli Eleati da un lato, e la via degl'Ionj dall'altro, i quali si fermavano a considerare il moto delle cose . Ebbene, che concetti ha egli Parmenide allorchè e' mostra che l’ente è e il non ente non è ? Gli stessi di Xenofane : l'ente è conosci 284 PARTE PRIMA . 1 bile con la sola ragione, ingenito, non mobile, tutto ( cudow ) unigeno, eterno ; non fu nè sarà, perchè ora è tutto insieme; non può esser nato , perch'è assurdo che l'ente non sia ; non divisibile, somigliante a sè stesso intera mente, riempie ogni cosa ; la dura necessità ( dir.n ) lo stringe in vincoli (ossia egli è necessario ; necessità di Dio trasferita da' panteisti al mondo ed alla volontà uma na ); egli non è infinito ( atedrventov ) , non bisogna di nulla, ed è lo stesso il pensare e ciò che si pensa. ( Framm . e segnatamente v. 66-94.) In che Parmenide differì da Xenofane ? Quegli ha forma più scientifica di speculare, perchè comincia dall'idea universale dell'essere, e la contrappone al non essere. ( Ritter, Bertini.) Ma crede reste voi che Parmenide s'avvantaggi su Xenofane, come nella severità dialettica, così nella perfezione dell'idea ili Dio ? Anzi, dove il maestro partì dall'idea di Dio, ragione pura, santità essenziale e provvidenza, lo sco lare poi con un vizio più rilevato d'induzione si fermò al concetto dell'essere generale, nè v'apparisce punto la personalità divina : sicchè Parmenide non avversa come Xenofane la mitologia , anzi l'accetta qual credenza po polare. In man di lui, perciò, il sistema eleatico si rese più ideale. E questa idealità condusse Parmenide (sem bra un paradosso ), come anco Xenofane alla confusione lel senso e dell'intelletto . Quanto a Xenofane apparisce da un verso di lui in Sesto Empirico ; e quanto a Parme nide, lo notò espresso Aristotile ( ppovaly usy tér vistn512) . Mentrechè il sensista dice : la sensazione è idea e tutto : l'idealista dice : l'idea è sensazione e tutto. Ma sorge contraddizione nuova : se intelligenza e senso son tut t'uno, come potrà egli il senso darci l'illusione ? Ep pure, Zenone d'Elea non pare ch'altro volesse co’suoi strani sofismi fuorchè mostrare : com’abbandonandoci all'apparenze del moto e del moltiplice, cadiamo sem pre in contraddizioni. E la parte negativa di tal sistema s'accrebbe in Melisso che ( notate, o signori) muove dal l'ente indeterminato come Parmenide, ma lo significa in modo più indeterminato ancora , chiamandolo un qual LEZIONE DECIMAQUARTA. 283 cosa. ( V. Fragm . Phil. Græc. Didot ; De Xenophau Melisso et Gorgia ; Arist. de Soph. Elenchis, e Plat. Thecet.) Se non che, Melisso torna co’ Pitagorici a dire che Dio è infinito, negando a loro ch'e'sia finito, per chè l'ente non ha principio nè fine . ( Fragm . 2. ) E ciò va bene ; ma pare che qui terminasse l'infinità nel concetto di Melisso ; egli non lo concepì come infinitu dine assoluta d'entità, e pero dotato d'efficienza crea trice e pensiero puro ; anzi l' indeterminatezza di quel l'astrazione fece sì ch'egli non parla dell'intelletto e della bontà di Dio, e l'idea ne vacilla dinnanzi com'om bra informe e vana. ( Ritter, Bertini.) Così da Xenofane in poi vi fu scadimento, come da ' Pitagorici agli Eleati . Questi bensì fecero progredire la dialettica tendendo a conciliare i contrari , e Aristotile fa inventore di quella Zenone, che si sa da Diogene Laerzio aver composto dialoghi. Se la scuola pitagorica seguitò, ma con forme più filosofiche, il panteismo orfico nella sua totalità , gli Eleati ne presero la parte ideale ; gl’Ionj la corporea e sensuale. Ell'è perciò la setta men filosofica . In che ci viltà ? Tra'costumi voluttuosi della Ionia , e in quelle città che presto soggiacquero alla servitù de’Lidj e de Persiani. E se voi mi domandate, o signori: Que' sistemi da che gente vennero professati ? Rispondo, che salvo i più antichi, cioè Talete e Anassimandro nati a Mileto nel l'Asia minore, delle virtù cittadine di tutti gli altri non si sa nulla ; o sappiamo d' Eraclito ch'era superbo, duro e solitario . Di Talete stesso, bench’ Erodoto ricordi un consiglio di lui agl' Ionj , Platone ( Teetete) dice ch' ei s'astenne da' pubblici negozj . Qual diversità dalla storia de Pitagorici ! non ci meravigli, pertanto, la diversità ne sistemi. ( Fragm . Philos. Græc. Didot, 1860.) Il moto delle cose lo crederono gli Ionj nell'asso luto. E che cos'è l'assoluto ? La materia del mondo. unica entità , eterna, divina, dotata di pensiero ch'è di vino attributo. Tutti gli Ionj. fuorchè Anassagora, ebber ciò di comune ; e s'assomigliano alla scuola degli Eghe 286 PARTE PRIMA. liani materiali che succedettero agl' ideali . Ma gl' Ionj diversificarono tra loro nel concepire il moto dell'uni verso ; chi, come Talete e Anassimene, Diogene d'Apol lonia ed Eraclito, ebbe un sistema dinamico ; chi, come Anassimandro e Archelao, un sistema meccanico. Ed ec cone il divario : cercaron tutti la prima cagione delle cose, ma pe' dinamici la produzione si fa con isvolgi mento di forze vive, come gli animali e le piante ; pe’miec canici la produzione non ha se non forme apparenti . mutandosi solo le particelle inerti come ne’minerali. La dottrina vera comprende le due opinioni ; perchè la cau salità modale trae sempre in atto le potenze, l'atto si produce (dinamica ) ; benchè quest'atto poi non ci dia sempre una specie o un individuo, come nella generazione degli animali, bensì talora un aggregamento come ne'mi nerali. A ogni modo, tal dottrina non s'applica punto alla causalità creatrice ; e gl’lonj, negando che dal nulla si faccia nulla, negando qualunque causalità che non operi sopr'un soggetto preesistente, non s'avvidero, che tal cau salità non può dirsi assoluta, ma condizionata . Questo in genere ; venendo poi a specificare la causa prima, gl’lonj la posero chi nell'una e chi nell'altra cosa che più parve trasmutabile in ogni altra o quasi un germe, secondo i dinamici, o quasi elemento univer sale, secondo i meccanici: Talete nell'acqua, Anassi mandro in una natura media ( udtaču puçev ) , e però lo chiama principio (apua) , Anassimene nell'aria, Eraclito nel fuoco, Diogene altresì nell'aria . Ma, badate, o si gnori , nè quell'acqua, nè quell' aria, nè quel fuoco, son proprio ciò che ne vediamo; è un che più intimo e uni versale, simboleggiato in cose visibili secondochè queste parevano più acconce a figurare l'universalità , come l'acqua che tutto abbraccia, l' aria per cui si vive, il fuoco che tutto vivifica e distrugge. E con questo pensare la causa prima, s'andò di male in peggio. Talete serba confuso al materiale un < he di spirituale ; però dice che tutto è pieno degli dèi e che in ogni cosa è la mente, e, secondo Cicerone LEZIONE DECIMAQUARTA. 287 ( Quest. Tusc. I), professò l'immortalità dell'anima. È un panteismo materiale, ma confuso ed implicato : vi si sente ancora le reliquie della filosofia teologica più antica , già comune (com' io dissi ) agl'Ioni, anzi a ogni gente ellenica ed agl' Italioti ; e però i Padri citano di Talete molti detti sapienti sulla natura di Dio. Anassi mandro svolgeva la parte materiale dicendo che il prin cipio, in cui tutto ritorna è infinito , perchè l'origine o il cominciare non termina mai ( tov © vo ) trn doury ENOL Ó žosipov . Fragm . Phil. Græc.; Didot) ; però gli dèi nascono e moiono, e son astri e mondi; e la specie umana venne da' pesci. Anassimene seguitò quella via ; nè altrimenti Eraclito, benchè questi , che cita Pitagora e Xenofane (Diog. Laert. IX , e Clem . Alex. Strom . I ), désse alla dottrina del fuoco le apparenze d' una misti cità orientale. Non si discostò dalla teorica degl'Ionj circa la causa lità l'altra teorica sulla ragione prima. Qual è la ragione del conoscere ? questa, che il principio conoscitore sia formato della materia universale, di cui si formano le cose conosciute, dacchè il simile si conosca pel simile. Sembra che di morale gl'Ionj ne parlassero poco ; e ciò sta col materialismo loro ; Eraclito bensì pone la legge nella ragione universale o divina, palese con le leggi della patria ; Achelao nega ogni legge necessaria ; e il giusto e l'ingiusto fa nascere dalle convenzioni umane. Tal panteismo ch ' è sempre a priori non détte, benchè materiale e salvo poche verità , una fisica buona. All'assurdità del panteismo volle rimediare Anas sagora da Clazomene, nato verso il 500 avanti l'èra nostra , però distinse la mente dal mondo. Ma non la stimò creatrice ; sicchè s'apprese al dualismo ; anzi, (lacchè spiega poi la formazione del mondo come gli al tri Ionj meccanici, non si sa bene che ufficio e' désse alla mente divina in ordinare, il mondo. ( Plat. Fodone.) Il suo libro cominciava : Tutte le cose erano insieme ; l'intelligenza le divise e le dispose. (Diog. Laert. II, 6.) E così distinse Dio, o la mente ( vojv) , dalla natura ; e 288 PARTE PRIMA . + 1 questa pose in particelle simili , omeomerie, che son semi delle cose o per la disposizione già ricevuta o che rice von poi di mano in mano ( 2.pay.tov otepusta.). Diogene di Apollonia in parte lo seguì , ma peggiorando ; chè fece l'aria dotata di mente, e quindi ordinatrice. Archelao pure, ultimo fra gl' Ionj, alla confusione primitiva sta bili ordinatrice la mente ; ma questa non va esente di materialità ( Fragm . Phil. Didot); talchè il dualismo di Anassagora isterili. Che tenne dietro, o signori, alla confusione del pan teismo ed alla separazione del dualismo ? La negazione degli scettici , particolare dapprima, universale poi. E di fatto, già svolte l'opinioni de' Pitagorici e d'Elea, ben chè non anco terminate ( come va sempre), e già comin ciato il sistema d' Anassagora, sorsero pressochè ad un tempo le sette degl'idealisti e de' materialisti. L'idea lismo ateo venne da Protagora (di cui nel dialogo con tal nome ed in più luoghi scrive Platone ); colui , non si sa quando nato, fiorì verso il 444 avanti l'èra nostra . Il principio d’un suo libro cominciava : Degli dèi non so nulla ; e Timone Fliasio scrive, che Protagora quantun que dicesse ignorarli , osservò la legge ossia le cerimo nie legali ( Fragm . Phil. Græc.) : nella osservanza della legge i sotisti posero moralità e religione. Diceva Pro tagora con gl' Ionj : tutto si muta ; e con gli Eleati : tutto apparisce. Questa proposizione viene dall'altra ; perchè se nulla r’ha di stabile, tutto è fenomeno od ap parenza . Vedete, o signori, come l'idealismo nascesse dall' opinioni anteriori. E sulle due proposizioni già dette si fonda il sistema di Protagora, che disse perciò : se tutto muta , nulla è in sè stesso ; e se tutto apparisce, l'apparenza solo è vera ; vere l'apparenze contrarie , veri i contradittorj, vero insomma tutto ciò che si pensa, e l'anima è la somma dei diversi pensieri ( Condillac, Kant), e il fine del discorso sta nel produrre l'appa renza : qui è il sostanziale dell'arte sofistica . Che vi pare, o signori, non lo dicono anch ' oggi : tutto è vero quel che si pensa ? Quasi contemporaneo, ma un po'dopo LEZIONE DECIMAQUARTA . 289 è Democrito d'Abdera, nato per Apollonio il 460, e per Trasillo il 470 ; talchè, se fiorito con Protagora il 444. ciò sarebbe avanti a' 16 od a'26 anni ; impossibile il primo caso, non verosimile il secondo, perchè Democrito dettò le cose sue dopo lunghi viaggi . Sa degl'Ionj, perchè materialista, tiene bensì degli Eleati , perchè muove dal concetto dell'ente ; e dice : unico ente il vuoto e lo spazio con gli atomi nel seno ; dalle loro congiunzioni e dalle figure matematiche conseguenti nascono le qualità ; e poiche il simile si conosce col simile ( τα όμοια ομοιών είναι apestira ), v'ha conoscimento nell'anima, essendo ella un atomo a cui vengono le figurette o immaginette dei corpi ; rozza fantasia che male s'attribui ad Aristotile. E Dio che cosa è per Democrito ? Compiacendo alle plebi , egli finse dèi come immagini enormi, ma sotto posti a morte ; vero ateismo. ( Fragm . Phil. Græc. Di dot .) Vuol notarsi che Leucippo fiori con Eraclito il 500 ; ma poichè il materialismo giungeva non opportuno. mancò allora il successo, in tal maniera che di Leucippo non si sa pressochè nulla. Se Protagora s'accostò allo scetticismo universale, non mi pare che vi giungesse : affermò che tutto si muta, e ch' è solo quale apparisce, non si sa per altro ch'e' ne gasse l'entità delle cose in questa loro perpetua muta bilità ed apparenza ; chi giunse a tal punto, risoluta mente, espressamente, ſu Gorgia di Leonzio ( V. Dial. di Platone col nome di lui, e altri dialoghi) ; perchè scrisse un libro sul non ente, cioè sulla natura, e volle provare che o nulla è, o se è non può conoscersi o se si conosce non può significarsi . Con Protagora e Gorgia v ' ha una schiera che la Grecia infamò col nome di So tisti, Prodico, Eutidemo e simiglianti. Chi erano costo ro ? L'antichità gli ebbe per uomini venali. In che ci viltà vennero ? In età di corruzione . Che frutto recarono ? Dicon gli antichi: pessimo nell'arte, nella scienza e nel l'educazione della gioventù ; benchè, come si vedrà, fossero occasione di qualche miglioramento. Ma ecco fiorire verso que' tempi ( V. Tavole del Storia della Filosofia . - I. 19 290 PARTE PRIMA. Krug) un uomo che vuol riparare a tanta dubbietà. Chi ? Empedocle. Con che ? col misticismo a cui s'ac compagna ( come accade sulla fine dei sistemi) un fare d'ecclettico. ( Fragm . Phil. Græc. Didot. ) Da'frammenti del suo poema ( népe ouro ) e da' detti d' Aristotile e d'altri si raccoglie che il sistema d'Empedocle non è già fisico solamente ; Dio per lui è mente santa incor porea : e nè un pretto dualismo, perchè il mondo è tutto, e c'è divinità mondane o fisiche : e nè un pretto pan teismo, perchè si distingue la mente divina e gli atomi : che cos'è dunque ? Parmi ch'e' non avesse un concetto nitido, com'accade agli ecclettici; e così di lui pensa rono gli antichi : alcuno lo fa di Parmenide, altri pita gorico, Platone lo mette con Eraclito, e Aristotile con Leucippo, con Democrito e con Anassagora. Ma prevale il misticismo; perchè ne' frammenti del poema, Empe docle si dà com’uomo miracoloso, e si crede un Dio immortale; e veste da sacerdote. In lui sentite lo scet ticismo e l'estasi ; egli pone la mente, umana in parte ed in parte divina; quella c' illude, questa ( come dice il Ritter) dà un santo delirio e sorge alla contemplazione mistica di Dio nella natura. Tal è l'Yoga indiano, tali gli Alessandrini. E questi, di fatto, ebbero in grande stima Empedocle ; ma Platone ed Aristotile, osservato ri, lo pregian poco. Tuttavia egli seppe dimolto, e valse in fisica, e fu ben altr'uomo dei sofisti ; onorato dai suoi cittadini ed in tutta Sicilia . Così terminò quest'epoca, ed ebbe strascico lungo in due schiere d'uomini; atei la cui morale era il piacere, Evemero, Ippone, Nicanore, Pelleo, Teodoro, Egesia e Diagora ; Pitagorici o dati anch'essi al materialismo, così Ecfante, o mistici la maggior parte. Questi atei com ' Evemero interpretarono storicamente la mitologia : gli dèi furono uomini indiati, non altro . La scuola fisica poi degl'Ionj, più tralignati, la interpretò fisicamente : gli dèi son le forze uniche della natura  EPOCA QUARTA DELL' ÈRA PAGANA. SISTEMI GRECOLATINI. CICERONE . 011 SCU pre SOMMARIO . Moltitudine di scuole tra la seconda metà del penultimo secolo avanti l'èra volgare fin al quarto secolo dell'era stessa , sullo spartimento delle quali non sono chiari gli storici. Criterio per la distinzione del . l'epoche , e quindi per l'assegnazione varia de ' sistemi. Con tal crite rio , le dette scuole si spartiscono in due classi. – La prima classe si sud distingue ; 1º negli eruditi ; 2 ' negli scettici ; 3 ne ' sistemi grecoasiatici : tutti formano la fine dell'epoca terza, cioè sono la conseguenza de ' sistemi anteriori . La seconda classe , o de' sistemi grecolatini, fa un'epoca da sė , cioè l'epoca quarta . È un'epoca nuova , per la tentata riforma, e per l'efficacia grande cosi di Cicerone come de' Giureconsulti. — Cagione del sorgere tardi la letteratura e la filosofia in Roma. Elle sorsero, quando i Romani non furono più con tutta la mente in fatti gravi e giornalieri . Allora può la riflessione volgersi alla coscienza e contemplarvi l'uomo , – Il pensiero de ' Romani si distese all'Italia e al genere umano. — Naziona lità naturale e politica degl' Italiani merce i Romani . Affetti domestici nel buon tempo di Roma. Come si vedano in Virgilio le qualità prin cipali della civiltà italica . I germi antichi di questa erano in Roma; si svolsero per impulso di Grecia. Durò poco in Roma la filosofia pura mente speculativa, perchè già la filosofia greca , declinando, avea lasciato salve ben poche verità , e perché Roma cadde in servitù . Cicerone e i Giureconsulti romani costituiscono la vera filosofia grecolatina . Cice rone si proponeva di sceverare dal falso e dall'incerto le parti vere e certe ile' sistemi greci , di comporle in ordine chiaro , d'applicurle praticamente, e che se n' aiutasse l'eloquenza. - Sue virtù e suoi difetti. Si prova ch'egli non fu copiatore de ' Greci , ma pensò di suo . Non pare da distinguere i suoi libri ( com ' alcuno pensa) in popolari e dottrinali . Libri logici , fisici e morali. Cicerone ripete il conosci te stesso come fondamento della filo sofia : la coscienza con tutte le due relazioni. Indi l'evidenza interio Uso degli altri criterj secondari , tenendo sempre in mente l'universi lità e dov'ella si manifesti. Cosi egli potė cansare gli eccessi de ' sistemi; e si prova quanto a ’ Platonici , a' Peripatetici, agli Stoici , agli Accademici : rigettato assolutamente l'Epicureismo. - Cicerone non elegyeva da ecclettico , ma per un ordine di principj ; vide cioè che la filosofia è da studiarsi entro di noi ; e da tale studio inferi tre verità , che gli furono regolatrici : 1º che l'uomo sta sopr' all ' altre cose ; 20 che la ragione dell'uomo prevale al senso e al corpo; 3º che questa ragione con le sue leggi ci fa palese Dio . Talche delini la filosofia : scienza delle cose divine e umane e delle cagioni di queste ( off .) : l'altra definizione de' Tuscolani è come racconto dell'opinioni pitigori che. Va seguito i principj spontanei , naturali , universali della ragione : ecco l'assioma di Tullio. — Ma, per la moltitudine de ' sistemi , ei potè co gliere poche verità ; queste affermò, nel resto sospende il giudizio . Esem pio, il finale de natura Deorum . Le dottrine certe di lui ne ' libri morali, o sulla legge e sulla libertà ; le opinioni verosimili ne'fisici, o sulla natura divina e dell'anima; ne'ljbri logici l'une e l'altre ; ossia , egli è certo su'prin cipj e sull' evidenza interiore, ha solo verosimiglianza sul criterio delle per cezioni esteriori. Dualismo . — Anche per la teorica del conoscimento. Teorica dell'operare bellissima ; legge naturale, eterna ; Dio n'è la fonte ; re . - . 0 LEZIONE DECIMOTTAVA. 367 chi non ammette Dio , non può ammettere la legge . — Il dovere. Gradi degli officj . Quel ch'è giusto in sè stesso . Utile apparente, e utile vero ; questo è conseguenza della virtù. — Onestå. Le leggi positive nascono dalla naturale ; Dio è il proemio di tutte le leggi. - Buoni eifetti della filosofia di Cicerone . Non anche terminata l' epoca terza cominciò la quarta, de' sistemi grecolatini. Dalla seconda metà del penultimo secolo avanti l'èra volgare fino al quarto secolo dell' era stessa , troviamo una moltitudine di scuole, lo spartimento delle quali dà qualche impaccio agli storici . Taluno le piglia tutte insieme (e vi com prende gli Alessandrini del terzo e quarto secolo) come una sequela de sistemigreci anteriori ; e così non pone ad esse un'epoca distinta . E per fermo se tutte le dette scuole non fosser altro che discepoli, o raccoglitori eruditi , mancherebbe la ragione del porle da sè , o del farne più classi . La ragione d'un'epoca, quando si parla di scienze, è solamente una grande verità scoperta, da cui dipende l'ordine universale d'una scienza qualunque, o il risorgimento di essa dopo un tempo di scadimento, e quindi l'efficacia su ' tempi avvenire. Insomma, v'ha un principio d'epoca, quando v’ha un principio di moto nuovo e potente : la continuazione di moto, è continua zione d'epoca e nulla più. Applicando tal criterio all' età sovraccennata , par chiaro che i sistemi vi si distinguano in due parti ; una sta nell'epoca terza precedente, ossia nella greca e come termine di essa ; la seconda costituisce un'epoca da se per qualità sue proprie, o un'epoca quarta , benchè i siste mi dell'epoca terza la precedano, l'accompagnino ed an che le sopravvivano : tanto è vero che la sola divisione per tempi non segue la realtà. La prima parte che ter minò l'epoca greca, si suddivide in tre, gli eruditi, gli scettici, i grecoasiatici. Da un lato v'ha le scuole di pretta erudizione ; le quali non iscopersero nulla , nè rinnovarono nulla ; gli Stoici eruditi ; i Platonici eruditi, com ' Areio Didimo, Trasillo, Albino, Alcinoo, Massimo di Tiro ; i Peripatetici eruditi o commentatori d'Aristo tile, come Alessandro d'Afrodisio ; i Medici, eruditi an 365 PARTE PRIMA. ch'essi, platonici e peripatetici, come Galeno. Poi da un altro lato v'ha lo scetticismo d'Enesidemo e di Sesto Empirico, i quali compivano, anzi riducevano a sistema il dubbio di Pirrone e di Timone, volgendosi specialmente contro la causalità, e negandola per la singolare ragione che il modo intimo del causare nol conosciamo; quasichè possa negarsi ciò ch'è ad evidenza, quando non si sa spiegarlo. Da un terzo lato ancora , mescolati i Greci con gli Asiatici per le conquiste d'Alessandro e poi per la vastità dell'impero di Roma, vediamo un congiungimento tra la sapienza orientale e i sistemi greci; onde si svolse la setta degli Alessandrini, che non fecero altro se non ridurre a forme greche il panteismo asiatico , già comin ciato in Filone ebreo, nella Kabbala, in Apollonio Tianeo e in Moderato , Nicomaco, Plutarco, Apuleio, Cronio, Numenio. Questi, benchè distinti dalla scuola d'Alessan dria (e fa male chi li confonde), in sostanza cominciaron l ' avvio di quella, che ne trasse i pensieri a compimento. Gli Alessandrini e i loro antecessori fanno essi dunque un'epoca nuova ? No, perchè i metodi sono affatto del: l'età socratica, e i principj gli stessi ; lo scetticismo poi che li conduce al misticismo, appartiene a quel medesimo tempo. L'unione dell' orientalità con l'atticità pare un che nuovo, ma scientificamente non è ; proviene dalle tendenze mistiche succedenti al dubbio, non già da'me todi scienziali ; piacque la misticità orientale, richiesta già dagli animi. Ebbi l'opinione anch'io che gli Ales sandrini facciano un'età da sè ; ma più attenta consi derazione m'ha condotto ad altro parere. La seconda parte sì che fa un'epoca da sè, l'epoca quarta o Latina . Introdotte le scuole di Grecia in Roma circa il mezzo del secondo secolo avanti l ' èra nostra, cominciò ivi un ordine proprio di concetti per efficacia delle tradizioni italiche e per la civiltà di Roma ; talchè, ripeto, avvi un'epoca quarta, o de sistemi grecolatini ; nuova per le riforme tentate da Cicerone e per la novità dei iureconsulti, ch'ebbero efficacia sì viva e univer sale nella civiltà europea ; e anco perchè Cicerone servi LEZIONE DECIMOTTAVA. 369 più che i Greci alla filosofia cristiana de' Padri latini e dei Dottori, i quali per via di lui , piucchè in modo im mediato, seppero l'antiche opinioni. Adunque in uno specchio generale di storia si dee lasciare i filosofi eruditi, che non aggiungono nulla ; degli scettici dissi già nella passata Lezione; de'sistemi grecorientali poi si dee trattare nella prim'epoca del l'èra cristiana , perch' essi combatterono la sapienza de Padri e n'eccitarono la opposizione. Resta che noi parliamo qui de' sistemi grecolatini, che soli ci danno un'epoca nuova. Non fa meraviglia che in Roma nascesse tardi la letteratura e la filosofia. Nascono l'una e l'altra, quando la riflessione si volge alla coscienza, e vi contempla l'uomo interiore per elevarsi all'ideale universalità. La filosofia vi s'eleva in modo astratto ; la letteratura rende concreto l'ideale con la fantasia e con gli affetti. Ma quando un popolo, come il romano, è tutto inteso a fatti gravi e giornalieri che lo attirano o a guerre este riori od a contese interne; allora ti daranno bensì canti popolari di guerra e d'illustri memorie ( come gli ac cennò Tito Livio ), ma non ti possono dare nè letteratura nè filosofia ; in que' tempi guardasi al fine politico ed aʼmezzi, non alla natura interiore dell'uomo qualità generali delle operazioni, come fanno il poeta ed il filosofo . Indi la rozzezza de’Romani; talchè narra Tito Livio, che lo storico più antico fu Fabio Pittore a' tempi d'Annibale. Ma quando Roma ebb’esteso la dominazione a tutta Italia e oltre, allora il Romano non vide più solo innanzi a sè le contese de' vicini , e le contese del Foro tra nobili e plebei, sì un'intera e grande nazione e il genere umano. Così l'idea di Roma si appresentò in relazione con tutta l'Italia e l ' Italia in relazione col mondo. Il pensiero de' Romani si dila tava ; si allargò fuori del cerchio de' fatti particolari; il Quirita si sentì più chiaramente e figlio di Roma, e italiano, e uomo ; tanto più che a poco a poco la cit tadinanza romana si estese a tutta Italia . A’tempi di Storia della Filosofia . – 1 . e alle 24 370 PARTE PRIMA. 2 as 2 Cicerone non rimaneva quasi più possedimento in Italia non assegnato a'cittadini per via di colonie ; il qual fatto, unito all'altro che già notai) de'primitivi abita tori ricaccianti le colonie greche, spiega com’in Magna Grecia ed in Sicilia i dialetti sieno italici puri (chè i pochi Greci di Puglia non sono gli antichi), non già ellenici come in Grecia moderna e in alcune parti del l'Asia minore. Le colonie romane, aiutate dall'affinità primitiva delle schiatte italiche, formarono così l'unità naturale, o la consanguinità della nostra nazione ; nazio , nalità naturale determinata da'naturali confini del no stro paese, e che si manifesta nell'unità formale de dia letti , o già contemporanei al romano, o nati da esso. Indi allora nacque la politica nazionalità benchè dopo cinque secoli di guerre ; ma lasciando a’municipj un'im magine di Roma, consoli, senato e popolo com'a Firenze ( R. Malespini e G. Villani) , e concedendo a que mu nicipj amministrazione lor propria ; indi vennero i no stri Comuni del medio evo. Roma e l'Italia , considerate in relazione col mondo , formarono nelle menti romane com'un archetipo di per fezione. Il vecchio Plinio ( giova ripeterlo qui) scrive dell' Italia : « Omnium terrarum alumna et parens, omnium terrarum electa ; una cunctarum gentium in toto orbe patria. » E Virgilio , lodando magnificamente l'Italia nel secondo delle Georgiche ( 135-136), non si ristringe a Roma, e dice : « Hæc genus acre virumi, Marsos pubemque Sabellam Adsuetumque malo Ligurem , Volcosque verutos Extulite .......... » M 22 14 e finisce con quell'alte parole : Salve, magna parens, Saturnia tellus Magna virum ..... » Giunto un popolo a questa larghezza di sentimento e di riflessione, possiede l'idealità necessaria per l'arte del bello e per la filosofia ; non lo stringono più le ne LEZIONE DECIMOTTAVA. 371 cessità de'fatti speciali, stende il pensiero alle attinenze , considera la natura dell'uomo e delle cose . Questo svol gimento di coscienza per la riflessione venne promosso da una causa tutta particolare a Roma ed all'Italia . Qui, più ch'altrove nell'antichità , fu sacro il connubio ; e gli affetti di famiglia v’ ebbero consistenza per molti secoli : la stessa mitologia nostra, come dice Polibio, rigettava le nefandezze de' simboli elleni . Or bene, gli affetti di famiglia tengono vivo il senso morale, che dipende dal l'idealità suprema della legge e del dovere. Non v'ha dunque da stupire, se Virgilio, benchè imiti Omero, si distingua tanto da lui ne' principali concetti che gover nano il poema ; ossia, nel concetto che ordina il poema stesso e ch'è una disposizione di provvidenza rispetto a ' Romani; poi , nel concetto di patria ch' è Roma ; in quello altresì di nazione (non di schiatta soltanto , come la Grecia ), cioè di tutte le genti italiane, non solo con sanguinee ( schiatta italica) , ma dimoranti pure in unico paese (nazionalità naturale) e poi congiunte da Roma ( nazionalità politica ): nell'altro di famiglia onde ri fulge l’Eneide dal principio alla fine ; per ultimo, nel l'intima e soave descrizione degli affetti, con la quale il poeta mantovano preparò la poesia cristiana. Sicché, quand' io leggo in alcuni libri ch'a Virgilio mancò un'idealità propria, prego da Dio la fine di certe pas sioni che impediscono la equità de' giudizj. Però, mentre allargavasi il dominio romano, cresce vano le ragioni d'intima civiltà ; le quali, per altro , s'acchiudevano già in Roma ab antico. La prisca gente romana che ch'ella fosse e in qualunque modo si ra gunasse da prima, certo è, che s'ella fu rozza per le necessità di continue guerre, sorse tuttavia tra popoli molto civili ; ebbe accanto la Magna Grecia e l'Etruria, e le tante città de' Sabini e del Lazio. Ora chi non sa quanto valgano mai le tradizioni civili anco tra popoli rozzi ? Numa vien detto alunno di Pitagora ; ' e l'ante riorità di quello è spiegata dall'antichità delle scuole pitagoriche, com'altrove narrai, Dice Cicerone : « Romuli 372 PARTE PRIMA . autem ætatem jam inveteratis literis atque doctrinis fuisse cernimus » ( De rep .) : e sant'Agostino scrive nella Città di Dio che Romolo era venuto non « redibus atque indoctis temporibus, sed jam eruditis et expolitis. » Plinio cita le belle pitture d'Ardea più antiche di Roma ; i Romani predarono dalla sola Volsinia 2,000 statue ; Bolsena in Fenicio significa città degli Artisti . ( Cantù, St. Univ . III, 24. ) Se a ciò aggiungo la tradizione, che le leggi de cemvirali si prendessero di Grecia ( tradizione falsa per le leggi che s'attengono a' costumi di Roma, vera pro babilmente quant'al modo d'ordinarle ), e se aggiungo altresì la perfezione che graduatamente il gius positivo ebbe dal gius onorario, mi capacito che nel seno di Roma cresceva un germe di civiltà e però di lettere e di filosofia, da venire a compimento, quando se ne offe risse la occasione. E questa occasione ( testimonio la storia ) è sempre qualcosa d' esterno. L'occasione a Ro mani venne da Greci conquistati; ed ha il proprio segnale nell'ambasceria di Critolao, Carneade e Diogene babilo nese al sesto secolo di Roma, 155 anni avanti Gesù Cri sto . Catone si sforzò di cacciare le sette greche ; invano, il terreno era preparato, e la pianta fiorì. Ben è vero che la speculazione puramente filosofica non durò a lungo, ma proseguì a fecondare il diritto : la qual brevità ebbe due cagioni principali. I sistemi greci, che aveano menato tant' oltre la forma logicale della filosofia , quant'alla materia poi l'aveano lasciata in dubbiezze infinite, come vedemmo ; talchè si richie deva uno sforzo più che umano a rilevarla : poche verità si conservavano intatte da ordirvi la scienza . Quindi, o rimaneva solo a far opera d'eruditi e d'accoz zatori, come gli ecclettici d'allora ; o bisognara trar fuori quel poco di certo, che non dava soggetto a co piose speculazioni. In secondo luogo, allorchè Roma venn'a maturità di pensiero, cadde in servitù che iste rili la letteratura e la scienza. Quindi i sistemi greco latini si riducono il più alla filosofia di Cicerone, e alle LEZIONE DECIMOTTAVA . 373 scuole de' Giureconsulti. I filosofi anteriori a Cicerone seguirono i Greci pressochè interamente ; Lucrezio, per esempio, ripetè quasi le dottrine d'Epicuro ; ma nondi meno egli mostrò la coscienza di romano, allorchè, facendo materiale l'anima, pur contò fra gli elementi co stitutivi di essa un elemento innominato, quasi animo dell'anima : nobilis illa Vis, initum motus ab se que dividit ollis, Sensifer unde oritur primum per viscera motus. » ( De Nat. III, 273.) e quando stabilì negli elementi un moto spontaneo per ispiegare la libertà ; e quando celebrò la divinità della natura con versi stupendi e la santità del matrimonio . Seneca non si partì dagli Stoici , benchè faccia profes sione di non ispregiare nessuna scuola ; Marco Aurelio, com ' Epitetto, ha lasciato aurei precetti, ma senza ordi namento di scienza . Cicerone, al contrario, istituì spe culazioni proprie, che certo ebbero forza nell'universa lità de' Romani culti e nella giurisprudenza. Io dunque parlerò di Cicerone oggi ; de' Giureconsulti in altra Le zione. Fin d'ora io dico , che Cicerone si proponeva di sceverare (con un principio superiore) le parti vere e certe de sistemi greci dalle false od incerte, di comporle in ordine chiaro, d'applicarle alla vita privata e pub blica, e ch'elle conferissero all'eloquenza . Questa filosofia di Cicerone suol chiamarsi ecclettica ; e chi la intenda per metodo compositivo e logicamente ordinato, passi; ma direbbe male chi la pigliasse per una scelta a caso, senz’un principio interiore e ordinatore. Nessuno po trà negare, che ciò distingua le speculazioni di Tullio dall' ecclettismo de' Greci mentovati poco fa, i quali ra gunavano nella memoria, ma non componevano nel pen siero ; e lè distingue pure da’migliori sistemi dell'epoca antecedente, perchè Cicerone li giudica con libertà e li trasceglie. Nè si può mettere in dubbio l'efficacia di lui 374 PARTE PRIMA. II 11 10 su'secoli avvenire. I Padri e i Dottori lo studiarono molto ; e sant'Agostino, da uomo grande che riconosce il vero ed il bene onde che venga, scrive nel libro terzo delle Confessioni ( cap . 4) : « Hic liber ( cioè la lettura dell'Or tensio ) mutuvit affectum meum , et ad te ipsum , Domine, mutavit preces meas, et vota ac desideria mea fecit alia . » Pare che Cicerone traesse la schiatta da quel Tullo Azio, che regnò gloriosamente su'Volsci ( Plut. in Cic .); e quegli se lo teneva per certo , sicchè dice ne' libri Tu scolani, che Ferecide era antico, fuit cnim meo regnante gentili ( 1, 12) : indi la smania di comparire tra gli otti mati . Lasciate le scuole de' giovinetti, udì Filone acca demico ; ma insieme praticava Mucio, personaggio assai versato nella politica, e principale tra’senatori, impa rando da lui scienza di leggi ; e militò con Silla tra ' Marsi. ( Plut.) Sentì anche Fedro epicureo e Diodoro stoico. In Atene seguitò Antioco accademico, e non trascurò Ze none l'epicureo. Andò poi in Asia, e si fermò a Rodi , per esser ammaestrato dallo stoico Posidonio. Giovine, favellava con tal passione e con voce si concitata, che gli recava danno alla salute. In Sicilia fu pretore giusto, umano, amatissimo. Dopo la congiura di Catilina, Catone stesso chiamò Cicerone Padre della Patria dinanzi al popolo. Esiliato da Roma per le mene di Clodio, vi rien trò poi come in trionfo ; gli furon trionfo tutte le vie d'Italia , per le quali egli passò. Stette fedele alla re pubblica contro la signoria di Cesare e la tirannia d’An tonio. Questi lo mandò a trucidare, e Cicerone porse il collo alla spada. ( Plut.) Amò la famiglia con tenerezza . Esule, scrive a Terenzia sua e alla figliuola lettere d'amore sconsolato. Com'egl' intendesse la santità dei pubblici ufficj, lo mostra la famosa lettera a Quinto fra tello . Le sue lettere, scritte da lui senz'intenzione di pubblicità , e che formano uno de' più bei libri del mondo, lo mostrano sempre d'animo schietto e buono. Vicino a morire, scrisse a Peto : « Sii persuaso, che giorno e notte non altro cerco, non altro penso , se non che i miei cit I. 14 LEZIONE DECIMOTTAVA. - 375 tadini sien salvi e liberi . Non lascio opportunità d'am monire, di fare, di provvedere. Infine io son fisso qui , che se in tanta cura e amministrazione ho da porre la vita , stimerò di aver finito preclaramente. » ( Ad fam . IX, 24.) Non peccò d'orgoglio, ma di vanità ; si lodava spes so, e questo aizzava gl'invidiosi, e a lui diminuiva ri spetto . Faceto, mordeva non di rado altrui, e, senza vo lere, s'accattava nemici ; ma in lodare i meriti veri abbondava con allegrezza e con liberalità d'uomo sin cero e benevolo. Parve talora incerto ne' propositi, e troppo addolorato nelle sventure. Prese due mogli, ripu diando la prima. Volle dedicare un tempio alla figliuola morta ; lodò e invidiò gli uccisori di Cesare ; lodò prima Cesare troppo, ma non l'opere mai. Dice il Capponi ( Archivio Storico, tomo IX, parte 2) : « Ma chi fosse più di me severo a Tullio, pensi com'egli animosamente cominciasse la sua vita d'oratore e la compiesse glorio samente. Giovane, assalse nella difesa di Roscio d'Ame lia un Crisogono liberto di Silla ch'era affrontare Silla medesimo; vecchio e principe nella città e guida e anima del Senato, combattè Antonio e incontrò la morte. » Oratore, accusò sempre gli scellerati , difese qualche volta i non innocenti . Filosofo, stette per lo più dalla parte del vero ; bensì approvò il suicidio, l'assassinio de' ti ranni, la vendetta, un certo sfogo di carnalità ne' gio vani, e la schiavitù . Scrittore e uomo di stato , cercò troppo la lode, ma insieme la grandezza e il bene della patria . Scrisse d'eloquenza, e fu oratore sommo : scrisse di filosofia morale, e fu uomo dabbene; scrisse di cose civili , e fu gran cittadino . Ecco i fatti principali e virtù e difetti che spiegano la filosofia di Cicerone. È impossibile non vedere in lui tre forti amori, di gloria, di patria e di famiglia ; e' reca in tutto ciò un'ardenza di cuore, la quale ha talvolta del molle , ma la tenerezza è temperata da un senso vivo d'onestà e di decoro . ( V. le Lettere scritte in esilio. ) Udì tutte le scuole, e però raccoglieva il meglio ; ma con iscelta libera e ordinata, perchè uomo libero ed 376 PARTE PRIMA. , T 11 tro operoso, e ingegno forte. Romano e uomo di stato, se guì , più che non facessero le scuole greche, il precetto so cratico di badare nella scienza al fine del bene; e tal qualità pratica non diminuisce il valore delle dottrine, anzi lo cresce, purchè la scienza si pregi anco per sè, come faceva Cicerone. Badando al bene, odiò la parte ipotetica e vana de sistemi anteriori, e ne prese il poco, ma certo e buono. Però, indulgente ad ogni setta, con gli Epicurei non volle mai pace. Un po' vano, pompeggiò assai nelle parole ; il che gli scema vigore qua e là ; ma nelle lettere e negli scritti filosofici va semplice e spe dito . Uomo universale, senatore e console di Roma, cercò l'universalità negli scritti ; e questi dettero a 'Romani l'idea di tutto il sapere greco. Pieghevole alla opinione altrui per bontà di cuore e per bramosía di favori po polari, combatte nel libro della Divinazione le falsità pa gane, le rispetta in altri luoghi; ammira il suicidio degli Stoici, non se l'attenta per sè, timido, dicon taluni , ri morso da coscienza non confessata, dirò io , e lo credo. Taluno da quelle parole di Cicerone ad Attico : ATÓMp492 sunt ; minore labore fiunt, verba tantum affero, quibus abundo ( Ad Att. , XII, 52) ; ha dedotto ch'esso i libri filosofici traducesse dal greco, non li facesse di suo. Ma quando poi sentiamo che Cicerone stesso , in tempi che gli autori greci erano familiari, e molti a Roma i maestri greci, e in opere dedicate a dotti di greco, quali At tico e Bruto, o a studenti in Grecia, come il figliuolo, dice (De fin . 1, 3) : « Noi non facciamo ufficio d'interpreti, ma sosteniamo le dottrine di coloro che approviamo, e aggiungiamo ad essi il nostro giudizio e un ordine no stro di scrivere ; e che dice altrove ( De off. I, 2) : « Ora seguiremo e in tal soggetto gli Stoici principal mente, non come interpreti (non ut interpretes ); bensì, al solito nostro, berremo a’lor fonti quanto per giudi zio e arbitrio nostro ci parrà : » allora, io affermo, che Cicerone non poteva dire una bugia così sfacciata ed inutile. Narra egregiamente Plutarco : « Eragli studio comporre dialoghi di filosofia e tradurre dal greco » an 10 1 :. bi lice . li 1 tes LEZIONE DECIMOTTAVA . 377 ( In Cic. ) ; e così un greco antico, più che i moderni non greci, distingueva bene i libri tradotti come il Ti meo) da'propri di Cicerone. L ' opere di lui distingue il Ritter in filosofiche o riposte ed in popolari. A me non sembra ; sì scorgo chiara la distinzione de’dialoghi spe culativi , come i libri accademici , dagli scritti che hanno un fine pratico, ad esempio gli Offici, dell'Amicizia, e simili. Negli Officj chi mai non vede un ordinamento scienziale ? E s'egli rispetta gli dèi più qui che altrove, pensiamo che ciò s'usava da tutti i filosofi, quando essi non ispeculavano direttamente sulla divinità. Mi pare, poi , manifesta la distinzione, e più princi pale : tra i libri fisici ( De natura Deorum , De divina tione ), i logici Academicorum , Topica, De inventione, De oratore etc. ), i morali ( Tusculanorum , De officiis, De finibus, De senectute, De amicitia, De legibus, De republica , De fato); quantunque in ciascuna classe si trovino mescolate più o meno le dottrine, non già di vise assolutamente. L' Ortensio poi è perduto, d'altri libri restano frammenti. Or dunque Cicerone, imitando Socrate, tornò a'prin cipj e al fondamento del sapere. Quegli , come questi, si trovò in mezzo a una confusione di sistemi, e, come So crate, chiamò i suoi al conosci te stesso, affinchè nella coscienza di noi prendiamo il rimedio alle superbie d'ipo tesi vane e il principio della sapienza vera . Quand' io dico che Cicerone imito Socrate, già non lo paragono a lui , nè come filosofo glielo fo uguale, sì discepolo ; dico bensì , che il tornare a'principj è in tutte le cose rinnovamento unico e condizione di nuovo cammino ; e chi rinnova, è istitutore novello e cominciatore d'un'epo ca propria. E se Cicerone non riuscì a tanto come So crate, ne chiarii altrove le cagioni; e a lui non s'ha da imputare. La scienza e la civiltà del Paganesimo ca devano, e sempre più Cicerone le trovò quasi in fondo, nè potè nè sperò ritirarle in cima. Fatto è, che Cicerone, come Socrate, capi la stranezza delle sette pagane. Amò con grand' amore la filosofia, 2 378 PARTE PRIMA 1 . ! la pre 18 MA Tha U. >> TH e ne scriveva lodi magnifiche in ogni suo libro ; anzi l' Ortensio fu composto da lui per esortazione a filoso fare; e nondimeno quand' ei volgevasi attorno, e sentiva le strane opinioni di tante sette, esclamava : « Niente si può dire di tanto assurdo, che non sia stato detto da qualche filosofo. » ( De div . II, 38. ) Ammoniva per ciò a rientrare nella propria coscienza, a ripigliare il conoscimento di noi, a seguire così una filosofia meno sicura de' propri sistemi, non presuntuosa (minime arro gans : De div. II, 1 ) . Ripeteva il precetto che stava sul tempio d'Apollo, nosce te ipsum , e diceva : « Essendo tante e sì grandi cose che si scorgono nell ' uomo inte riore da quelli che voglion conoscere sè stessi , madre loro e educatrice è la sapienza. (De off. I, 23, 24.) Egli invitava a fermar l'occhio in questa evidenza in teriore, dove tante verità si veggono chiare ( quæ inesse in homine perspiciuntur.) In questa coscienza di noi stessi , Cicerone come So crate, più di Socrate forse perchè romano, sentiva l'uni versalità del vero, distinta dalle opinioni particolari, e l'amore che tende al vero, e l'essere nostro sociale e religioso, relazioni universali anch'esse ; e però egli in culcava sempre di fermar l'occhio in ciò ch'è proprio dell'uomo, ossia nella retta ragione (De off. I e II, passim ); e contro gli Epicurei fa valere gli affetti più generosi dell'animo ( ivi, e negli Acc. e ne Tuscul. e quasi per tutto ); e chiama in sostegno il senso comune e le tradizioni umane e divine. Così ne' libri Tuscolani ( I, 12) adopera l'autorità del senso comune a dimostrare l'esistenza di Dio e l'immortalità dell'anima umana ; e dice ne'Paradossi contro gli Stoici : « Noi più adope riamo quella filosofia che partorisce copia di dire, e dove si dicono cose non molto discordi dal pensar della gente. >> ( Proem .) E nelle seguenti parole del Tuscolani si vede com'ei raccogliesse, di mezzo alle opinioni varie, le tra dizioni universali de filosofi e le divine : « Inoltre, d'ot time autorità intorno a tal sentenza ( cioè l'immortalità dell'anima) possiamo far uso ; il che in tutte le que HIE ale Di D. 4 LEZIONE DECIMOTTAVA. 379 stioni e dee e suole valere moltissimo (in omnibus cau sis et debet et solet valere plurimum ): e prima, di tutta l'antichità (omni antiquitate ); la quale, quanto più era presso all'origine divina ( ab ortu et divina progenie ), tanto più forse discerneva la verità. » ( Tusc . I, 12. ) E tra filosofi, ch'egli cita, preferisce appunto Ferecide, co me antico, antiquus sane ; e indi ne conferma l'autorità con quella di Pitagora e de' Pitagorici ; il nome de'quali , egli dice, ebbe per tanti secoli tanta virtù che niun al tro paresse dotto (S 16) . E dice più oltre che, secondo Platone, la filosofia fu un dono, ma quanto a sè, una invenzione degli dèi : « Philosophia vero omnium mater artium , quid est aliud, nisi, ut Plato ait, donum , ut ego , inventio deorum ? » ( $ 26. ) Nel che s'accenna il prin cipio divino della sapienza e della tradizione. Condotto da questo filo tra i ravvolgimenti delle sette cansò gli eccessi d'ogni maniera. Gli Stoici , per esempio, la cui morale severità egli approva e segue, dicevano, che nessun uomo è buono fuorchè il sapiente. Ma di questo sapiente ne facevano un'idea sì alta. che confessavano poi, e' non darsi quaggiù ; e però gli Stoici , se consentanei a sè, dovevan dire impossibile umanamente la loro superba virtù e disperarne come Bruto morente. Cicerone al contrario riconosceva una più umile sapienza e virtù , che può essere di tutti, e che ci abbisogna nel vivere comune. ( De amic., 5. ) Lo Stoico credeva , indiando la natura, di poter trarre le superstizioni volgari a senso ragionevole (come tentò Varrone per testimonianza di sant'Agostino, Città di Dio ) ; ma Cicerone le derideva . ( De nat. Deor . III, 15. ) Menava buono a Platone, a' Pe ripatetici e agli Stoici , che la più alta felicità dell'in tellettuale natura sia la contemplazione ( Hort. in S. Agost. De Trinit. XIV, 9) ; ma in questa vita, ei dice, la con templazione senza la pratica delle virtù private e pub bliche è nulla ( De off. I, 43) ; e quindi censura Platone che scrisse : Il savio non essere obbligato a civili negozi . ( De off. I, 9. ) Gli Stoici , per alterezza di ragione, spre giavano il corpo e i beni corporei ; ma Cicerone diceva : 380 PARTE PRIMA . 11 he COL iti be 111 15 :-11 19 Poichè s'ha da seguire la natura e noi siam anima e corpo, non possiamo spregiarlo, nè si dee imitare que'fi losofi , che accorti d'un che superiore a'sensi ne spre giano la testimonianza . Con che l'accoccava pure agli Accademici. ( De fin . IV, 15.) Gli Stoici , negavano l'ef ficacia del dolore sull'uomo sapiente, e svilivano ogni piacere ; Tullio invece mostra che il dolore eccessivo è impedimento agli officj, e che le temperate giocondità son utili e buone. (De sen . 14, De fin . V , 26. ) Gli Stoici, concependo la virtù con altezzosa rigidità , stimavano uguali tutti i malvagi e tutti uguali i peccati, perchè tutti contrarj al bene ; Cicerone confuta in più luoghi tale uguaglianza e mostra, per esempio, ch'altro è man care a posta, altro è nell'impeto di passione. ( De off. I, 8 e altrove.) Se nella morale ei tenne dagli Stoici, rigettate le loro esagerazioni, in logica stette per gli Accademici, giacchè, come dissi altrove, la riforma del filosofare pa gano cominciò sempre da un dubbio temperato. Ma qui è il divario, la temperanza ; perchè, dove gli Accade mici ( a quello che ne sappiamo) negavano ogni verità e certezza nel percepire le cose e ammettevano solo una verosimiglianza, uguale per tutte le opinioni ; M. Tullio invece ne' fondamentali principj e nelle verità più alte non poneva dubbio, e quanto a' casi particolari li sti mava probabili , non ugualmente, sì con varietà di gradi ; e al probabile opponeva quel ch ' è improbabile affatto. Ecco le sue parole : « Vorrei che fosse ben chiaro il no stro pensare ; chè noi non siamo già di quelli il cui animo si crede aggirato sempre in errori , e senz' alcun che da tenere: che sarebbe mai questa mente, o questa vita piuttosto, negata ogni ragione, non solo del dispu tare , ma del vivere altresì ? Noi invece, come dagli altri si dicono certe alcune cose e alcune incerte, così noi, dissenziendo da essi , diciamo probabili alcune e alcune improbabili. ( De off. II, 2. ) Qui si scorge, che il dub bio di Cicerone non cadeva punto sulla ragione umana e sulla vita, o sull' essere proprio, ma sul dommatismo EL LE 11. ki LEZIONE DECIMOTTAVA . 381 fisico e morale degli Stoici . E nel libro delle Leggi dice ( 1, 13) : « Preghiamo poi , che questa Accademia nuova di Arcesilao e di Carneade, perturbatrice di tutto, si cheti; perchè se darà dentro a tali dottrine, che ci sem brano ordinate e composte con assai aggiustatezza, re cherà troppo rovina. Io bensì desidero placarla, ma cacciarla non oso . » La qual conclusione mostra, ch'ei non rigettava in tutto i dubbj accademici, ma dov'essi erano cattivi. E più si discosta dagli Accademici allor chè dice : « Quasi in tutte le cose, ma nelle fisiche più che mai, saprei dire piuttosto quel che non è , che quel che è . » ( De nat. Deor. I, 21.) Nel vivere nostro, e mas sime a quei tempi fra tanto diluvio d'opinioni e senza il lume del Cristianesimo, non monta già poco il sapere quel ch’una cosa non è ; significa sapere che Dio non è come noi, che Dio e l'animo nostro non sono corpi, che il fine dell'uomo non è la voluttà ; negazioni pregne d'af fermazione, implicita si ma certa . E chi vuole stimare quanto merita il ritegno di Cicerone, anc' allora ch ' ei parla di probabilità negli officj particolari (non mai nella legge suprema), pensi l'assurdità del panteismo e del dualismo antichi, le finzioni rozze di quella fisica , l'incertezza della morale, anche in Platone e Aristotile ; e s'accorgerà, che se Socrate meritò lode dicendo, contro Parroganza de' sofisti : io so di non sapere, merita pur lode il nostro Cicerone d'averlo imitato in tanta corru zione di filosofia e di costumi . E quindi ei non ha dubbiezze contro gli Epicurei. Dice a loro : che la voluttà sia il nostro fine, voi non lo direste in Senato ; nè la voluttà va messa tra le virtù com'una meretrice in un'assemblea di matrone. (De fin . II, 4, e passim .) La natura ci ha fatti per qualcosa di meglio che non i piaceri del senso ; il piacere stesso non cato per sè, ma per noi ( De fin . V , 11 ) : il dovere ha da cercarsi per sè stesso ( ivi, II, 22) ; e la dottrina degli Epicurei, se consentanea a sè , non lascia luogo al dorere. ( De off. I, 2. ) Ma questo sceverare il vero dal falso, con che 01 382 PARTE PRIMA . Jo ( dine interno di principj si faceva ? Già ho detto, che Ci cerone ritornò al conosci te stesso di Socrate, cioè al fondamento della coscienza. E ho accennato , che ivi egli trovava l'uomo non solitario, ma in relazione con Dio, con gli altri uomini e col mondo; però esclama : « In questa magnificenza di cose, in questo cospetto e cono scimento della natura, o dèi immortali, oh quanto co noscerà sè stesso l ' uomo ; il che c'impose Apollo Pizio ! » ( De off. I, 23.) Per via della coscienza, s'accorse Cice rone in modo chiarissimo di tre verità : prima, che l'u0 mo sta sopra l'altre cose ; poi , che la ragione dell'uomo prevale al senso e al corpo di lui; infine, che questa ragione ci mostra Dio con le sue leggi . Viene da ciò la definizione della sapienza o della filosofia nel II libro degli Officj (S2) : scienza delle cose divine ed umane e delle cagioni di queste ; definizione più determinata che non l'altra ne' libri Tuscolani ( V. 3) , dov'ei parla storicamente. E s'arguisce però, che Cicerone stringeva la scienza prima, secondo la universalità di essa, nel conoscimento ragionato di Dio e dell'uomo e de’sommi principj. Egli capiva, come nella scienza si désse un ordinamento necessario; e diceva : « È malagevole sapere alcun che in filosofia, chi non ne sappia o il più o il tutto . » ( Tusc. II, 1. ) Cicerone, come Socrate, ebbe una profonda coscienza della ragione. Bisogna riflettere a noi stessi ; in noi tro viamo la ragione, che ci distingue da' bruti e dalle al tre cose ; nella ragione troviamo i giudizj spontanei, na turali, evidenti, universali ; questi fa d'uopo seguire ; ecco il principio ordinatore della scienza e della virtù . « Il tempo, scrive Cicerone, cancella i capricci delle 110 stre opinioni, ma conferma i giudizj della natura. » (Opi nionum enim commenta delet dies, naturæ judicia con firmat ; De nat. Deor .) Ma questi giudizi erano avvi luppati in una moltitudine di sistemi; però, quanto alla teorica dell'essere, Cicerone sta contento a poco . Chi potrebbe mai condannarlo d'insipienza ? Egli non si dà pensiero nella fisica nè de quattro elementi, nè del ch 1 7 LEZIONE DECIMOTTAVA. 383 1 quinto d'Aristotile, nè della materia o della forma; le sue indagini hanno per fine la esistenza e natura della divinità, le relazioni di questa col mondo e l'immorta lità dell'anima umana . ( Ritter .) Quanto alla divinità , egli non ne dubitava punto, perchè sentiva nella ragione propria un che divino, la eterna legge della giustizia (De leg. II, 7 ) ; ma intorno alla natura di Dio non af fermò gran cosa. Del metodo di lui , su tali materie, porg' esempio il libro De natura Deorum . Ivi disputano insieme un epicureo, uno stoico e un accademico. L'ac cademico nega il dio animale degli Stoici, e termina di cendo : « Questo io diceva, non perchè voglia negare la natura divina, ma per mostrare quant'ella sia oscura e piena d'intrigate difficoltà . » Lo stoico poi combatte l ' epicureo . Cicerone, che si tiene da parte e non entra nel dialogo, che cosa conclude ? E' dice : la disputazione di Cotta ( Accademico) sembrò a Velleio ( Epicureo) più vera ; a me l'altra di Balbo ( Stoico), più verosimile. Ci cerone, adunque, mostra con singolare finezza quanto i dubbj dell'Accademia piacessero agli Epicurei; e però com’egli, che s'allontana da questi, s'allontani pure da quella ragionando di Dio. Pur tuttavia non sa nulla giu dicare assolutamente sulla natura di Dio stesso e solo ammette verosimiglianze. Insomma, le dottrine certe di lui le abbiamo ne' libri morali, dove si afferma l'esistenza della divinità (fonte ll'ogni giustizia e d'ogni diritto ) , la legge morale e il libero arbitrio, e dove perciò s'approva il detto di Cri sippo, ch'ogni proposizione è vera o falsa necessariamente ( De fato) ; le opinioni verosimili si hanno ne' libri fisici, dove apparisce dubbj sulla natura di Dio e dell'ani ma, e sulle relazioni di Dio con l'universo, e quindi sulla prova fisica della divinità provvidente ; ne' libri logici, finalmente, su ' principj della ragione e sull'evi denza interiore non v'ha dubbio di sorta , beusì v'ha dubbio sul criterio per giudicare la natura delle cose esteriori percepite da ' sensi. Anche il Kant pose superio re la certezza dell'argomento morale ad ogni altra cer 384 PARTE PRIMA. tezza ; ma il Kant celebrò quell'argomento dopo aver negata la validità della ragione; Cicerone, al contrario, non la negò mai, anzi la magnifico, e solo crede ristretta di molto la possibilità de' giudizj accertati. Dunque Ci cerone, quant'alle dottrine supreme, e ch'egli poteva conoscere fra l'ombre del Paganesimo sempre più fitte, ammette la verità e la certezza ; ma nel determinare più specificamente quelle verità pone la verisimiglian za. In ciò solo fu accademico ; e non pienamente nem men qui, come avvertii già innanzi. Pare ch'egli cadesse nel dualismo, opponendo la ne cessità della materia alla libertà divina ; e che cadesse nel semipanteismo, facendo divina la nostra ragione. Il qual ultimo punto si raccoglie da più luoghi; ma più da queste parole : « Le altre parti, onde si compone l'uomo, fragili e caduche, le prese da generazione mor tale ; ma l'animo è generato da Dio » ( De off. I, 8) , e ammonisce di rammentare nel giuramento, che chiamiamo in testimone Dio, « cioè, com'io penso (dice Cicerone) la mente propria, di cui non détte Dio all ' uomo nulla di più divino. » Se non che, si vede la temperanza dell'af fermare in quello ut opinor ; tant'era l' ecclissamento delle principali verità sul finire del Paganesimo ! Quant'alla teorica del conoscimento, egli distingueva l'intelletto dal senso ; lo distingueva tanto, che come Platone e Aristotile, trovando un'immagine di Dio nella mente nostra, la identificava con esso . Anzi nel testimo nio de' sensi non poneva più autorità ch ' una verisimi glianza, il che procedeva dal dualismo, secondo il quale Dio e la mente son divisi dal resto . E per la logica si valse d'Aristotile, come si ha dal libretto de' Topici. È stupenda la teorica dell'operare ; perchè ivi recò Cicerone più che altrove le verità universali raccolte dal testimonio della coscienza ; e vi recò quel suo modo di escludere l'esagerazioni e di comporre le spat se verità con un principio più alto. Qual principio ? Il rispetto della ragione, che, in quanto conosce la ve rità , è retta ed è regola delle nostre operazioni. Bisogna LEZIONE DECIMOTTAVA. 385 seguire, ei dice con gli Stoici , la natura, non l ' arbitrio delle passioni; ma la natura nostra è ragionevole ; dun que ogni atto nostro dee farsi con ragione e sottomet terle l' appetito. ( De off. I, 28, 29. ) E questa ragione ha potestà di comandare, perchè sta in essa una legge naturale ed eterna del bene . « La legge (così Cicerone) è la ragione somma, insita nella natura, e che comanda ciò ch'è da fare, proibisce il contrario . (De leg. I, 6. ) Questa legge è nata da tutti i secoli , primache fosse scritta legge alcuna, o che qualche città fosse istitui ta . » ( 1, 6. ) Questa legge viene da Dio, perch' ell ' è di vina ; e chi non ammette Dio, non può ammettere la legge eterna e naturale. ( 1, 7.) La legge è la ragione divina partecipata a noi ; e poich' è comune la retta ragione, e la comunanza di questa è società, però noi siamo primamente consociati con Dio. E poich' ell' è comune a tutti gli uomini , noi in secondo luogo formiamo la società del genere umano « e tutti obbediamo a que st' ordine celeste, e alla mente divina, e a Dio sovrap potente » ( parent huic celesti descriptioni, mentique divinæ et præpotenti Deo. I, 7) . Avendo questa legge divina nell'anima « tutti gli uomini (soli essi fra gli altri animali) han qualche notizia di Dio, nè v'ha gente sì fiera che, ignorando qual Dio adorare, pur non sappia che ve n'è uno . ( I, 8. ) Noi dunque siam nati alla giu stizia ; e il gius non è costituito per opinione, ma per natura. » Sì, per natura, giacchè siam tutti simili per la ragione, e ciascun di noi si definisce com’uomo, e la mente di ciascuno « è diversa in dottrina, ma nella facoltà del sapere è uguale . » ( I, 10. ) Dalla legge si genera il dovere, che va quindi cer cato per sè stesso, come sudditi alla retta ragione, ne vi può essere alcuna virtù se non si cerchi per sè, ma per la voluttà o per l'utilità. (De off. III, 33. ) Come la ragione guida ogni atto umano, così la retta ragione reca in ogni atto un officio. Talchè, dice il grand’uomo, « nè in cose pubbliche, nè in private, nè in forensi , nè in domestiche, nè se tu operi teco stesso alcun che, nè Storia della Filosofia . 25 386 PARTE PRIMA. se pattuisci con altrui ; non v ' ha momento di vita che possa mancare di qualch 'officio ; e nell'adempirlo è tutta l'onestà, nel trascurarlo la turpitudine. » ( De off. 1, 2.) Nell'adempire gli officj stanno le virtù, cioè la prudenza, la giustizia, la temperanza e la fortezza. La virtù , se guendo la retta ragione che ci fa conoscere l'ordinamento naturale delle cose, non è altro che l'osservanza dell'or dine stesso ( De off. I, 4) ; sicchè « nella universale so cietà son varj i gradi degli officj ; onde si può sapere ciò che si conviene a ciascuno ; e quello che si dee prima agli dèi immortali, poi alla patria, poi a' congiunti, infine di grado in grado agli altri. » ( De off. I, 45. ) Ma tant'è vero, che tutto ciò si vuol fare per l'autorità della legge eterna in sè, e per la bellezza del dovere, che certe cose turpi non le giustifica nemmeno l'amore di patria . ( De off. I, 45. ) Egli distingueva poi l'utile apparente dalla virtù : ma l'utile vero, diceva star sempre insieme con l'onestà ; e quand' apparisce che vi sia contrasto, è turpe eziandio di star a pensare sulla scelta . (De off. II, 4 ; 111, 7 e passim .) L'utilità è l'effet to, non il fine della virtù . ( De amicitia, 9.) E dalla virtù nasce l'onestà (che in latino ha senso d'onorabilità ), anche se niuno la conoscesse : « etiam si a nullo lauda retur, natura esset laudabile. » (De off. I, 4.) Giacchè la virtù reca con sè il decoro, ch'è come la bellezza : « l'uno viene dall' animo onesto, l'altra dalla sanità del corpo ( De off. I, 27) ; e come il decoro de' poeti è la convenienza delle parole col significato, così il decoro della onestà è la convenienza con la natura . » ( Ib . 28. ) Però, come i Greci dicevano o" te uovoy (yóv to 2026 , il solo buono è bello, così Cicerone ( come romano) muta il bello nel concetto d'onorabile, e dice : quod honestum sit, id solum bonum esse : onorabile è solamente ciò ch ' è buono. ( Paradox. I, Osservazione del Ritter. ) Dalla legge eterna, che genera il dovere e la virtù . nascono le leggi positive ; talchè l'esistenza di Dio è il proemio di tutte le leggi ( habes legis proemium , De leg. 11, 4-7 ) . « È stoltissima cosa (segue Cicerone contro gli LEZIONE DECIMOTTAVA . 387 1 Epicurei) che credasi giusto tutto ciò ch'è negl'istituti e nelle leggi de' popoli. E che ? dunque, anco le leggi de'tiranni ? ... Ma v'ha un unico gius, da cui è unita la società degli uomini, e cui stabilì un'unica legge ch'è la retta ragione di comandare e di proibire : e chi la ignora, è ingiusto, o ch'ella sia scritta o no. Che se la giustizia è solo l'obbedienza a leggi scritte e agl'istituti de' popoli; e se, come dicono coloro, tutto è da misurare con la utilità , trascurerà le leggi e le infrangerà se può chi lo creda fruttuoso. Così non v'ha più giustizia se non v'ha legge naturale, e ciò che per utilità è stabilito , da un'altra utilità vien tolto via. Anzi, se da natura non si conferma il giure, cessano tutte le virtù. » (De leg. I, 15. ) La legge naturale ha da regolare il diritto pub blico , quello delle genti e il privato ; e il filosofo nostro dà precetti santi sulle pene, sulla guerra , sui trattati . sui contratti e va' discorrendo. Così, dovrebb' essergli più mite il giudizio degli stranieri, a legger ciò ch'ei dice della Repubblica romana : dopo averne narrato l'umanità ne’secoli primi , aggiunge che questa diminuì a poco a poco, e dopo le vittorie Sillane cessò ; e quindi esclama : jure igitur plectimur « a ragione dunque siamo puniti. » De off. II, 8. ) E quella pena noi abbiamo scontata per se coli . De' pubblici reggimenti loda il misto, per gli stessi argomenti d'Aristotile e con l'esempio di Roma. (De rep. ) Che fece adunque la filosofia di Cicerone ? Essa gli donò (com’ei ripete più volte) copia e splendore e, col crescere degli anni, efficace brevità d'eloquenza ; gli dettò que' Dialoghi di metafisica, dov'hai il fiore de sistemi greci , eletti e temperati; que' libri rettorici , che sono un codice dell'arte per comune giudizio ; e que' libri morali degli Officj, delle Leggi e della Repubblica, dove al me todo sperimentale dello Stagirita è unita la contempla zione platonica e la severità stoica, senza i loro eccessi . Però, quand' io sento uno storico illustre' scusarsi del l'aver troppo parlato di Cicerone perchè in lui non v'ha troppo di nuovo, prego Dio che la scienza ritorni alla natura, e, più che dell'insolito, sia desiderosa del vero . 388 PARTE PRIMA. LEZIONE DECIMANONA. GIURECONSULTI ROMANI. SOMMARIO . La giurisprudenza è scienza filosofica , perché riguarda gli alti umani o personali. - La giurisprudenza positiva non altro fa se non appli care il diritto naturale . Si cerca , quindi, lo svolgimento della giurispru denza romana e quanto alle forme logiche , e quanto alla materia. - Quattro età del gius romano . Prima età : consuetudini . È difficile deter minare qual parte avesse la civiltà , e quindi la scienza , in que'primi germi del diritto ; ma vestigi di sapienza ve n'ba . Che cosa abbia di vero e di falso la tradizione sulle dodici tavole . La materia di esse certo è romana ; probabilmente la forma logica loro è di Ermodoro Efesio . Seconda età : si pubblica il segreto delle azioni . – La giurisprudenza , perciò, viene alla gioventù dalla puerizia ; ma crebbe in modo segnalato allorché , sul cadere del sesto secolo di Roma, si propagò ivi la filosofia greca . — Il settimo se colo è quello di Cicerone : si prova con l'autorità di lui, che allora si lero a grande stato la giurisprudenza per lo studio della filosofia . — Allora si concepi l'idea d'un codice ; idea che vuol abito filosofico delle universali tå. Terza età : la signoria de ' Romani , dilatandosi a tutta Italia , fa pos sibili le scienze. - Cittadinanza romana a tutti gl ' Italiani ; gius italico che då il dominio quiritario , e il diritto de ' comizj anche per deputati ec .; co lonie romane per tutta Italia ; si determina bene il concetto del paese ita lico . – Gius equo e buono . Altra cagione della fiorente giurisprudenza ; giureconsulti , per lo più , non sono causidici. - Un'altra ; l'emulazione in filosofia e in lettere con gli oratori . Cenno su'principali giureconsul ti ; loro virtù . - Com'apparisca dagli autori , ch ' essi citado ne' frammenti, lo studio loro ne ' poeti , negli oratori e ne ' filosofi. Si paragona que ' giure consulti a'matematici per tre ragioni ; vigore delle conseguenze , cura nel l'evitare contraddizioni , metodo induttivo e deduttivo. – L'efficacia della filosofia non si ristrinse alla forma logica, passò alla materia . – Tale influs so non apparisce solo da prove particolari, ma più ancora dalla universale conformità di quelle dottrine alle leggi del pensiero e ( salvo qualch'errore di tempi ) alla natura umana. Nozioni della giurisprudenza, e perchè i giureconsulti la definissero come la filosofia morale . – Distinguevano la scienza del diritto dall'arte . – Però s'elevarono al concetto della filosofia vera , rigettando gli eccessi : la speculazione de ' giureconsulti è contenuta nel vero da' dettami di senso comune e dal fine pratico. – Distinzione del diritto in jus naturale , gentium et civile : si mostra ch'a torto i giureconsulti vennero ripresi sul concetto de ' diritti naturali . Non accettabile, quanto alla servitù , la nozione del gius civile ; ma i giureconsulti dissero la servitù non secondo il gius naturale , e riconobbero un fatto. Come la parola Jus non esclude l'idea d'un diritto eterno ; e si distingue da legge ; poi , si ha ne ' giureconsulti l'idea precisa del diritto eterno e del diritto natura le . - L'efficacia della filosofia si mostrò nella giurisprudenza per via del diritto onorario. E per via del diritto ricevuto . – E per l'interpreta zione de ' giureconsulti . — Molte novilà introdotte dal gius ricevuto . La virtù e la vera filosofia de'giureconsulti si fa sentire per fino nel loro stile . – Si reca un saggio della loro sapienza e brevità elegante. — Dalla esposizione delle dottrine di Tullio e de' giureconsulti romani apparisce che l'epoca quarta cercò la comprensione finale . Parlato di Cicerone, è da parlare de' Giureconsulti romani. La giurisprudenza, come dissi già nella prima LEZIONE DECIMANONA. 389 Lezione, è una scienza filosofica : perchè risguarda gli atti umani o personali. Procede dalla morale, che ab braccia la scienza de' doveri e quella de' diritti naturali ; e la giurisprudenza positiva non altro fa che determi nare nella varietà de' casi particolari le immutabili ge neralità del diritto eterno. Però, se la filosofia entra in tutte le scienze com'ordinamento di concetti e di giu dizj, entra poi nella giurisprudenza, non solo com'or dine logicale, ma eziandio come scienza dell'uomo e delle ragioni supreme. Avrò dunque a cercare lo svol gimento della giurisprudenza romana, per l'impulso della filosofia, nel doppio aspetto delle forme logiche e della materia. La storia di quella fu distinta bene dall' Hugo in quattro età ( Hist. du Droit Rom ., Intr .); la prima dall'origine di Roma fino alle dodici tavole, cioè fino al terzo secolo della città ; l'altra fino a Cicerone, o alla metà del settimo secolo ; la terza fino ad Alessandro Se vero, oltre i due secoli dell'èra volgare ; la quarta fino a Giustiniano : età di fanciullezza, di gioventù , di virilità e di vecchiaia. Il giureconsulto Pomponio c'insegna ( Fr. 2. D. De Or. Juris) che Roma ne' primi tempi si reggeva senza leggi nè diritti stabiliti; cioè per consuetudini. La con suetudine formò , dice il Forti ( Ist. Civili, 1, 3, $ 3 ), il diritto privato con l'autorità degli esempi , cioè de' fatti ripetuti , e formò con gli accordi de'potenti il diritto pubblico. Così il potere assoluto de padri , de' mariti e de' padroni è da' giureconsulti risguardato sempre per consuetudinario, ed anche l'uso delle clientele ( ivi, $ 4) . Quanta parte avesse la civiltà , e con la civiltà la scien za, in que'primi rudimenti del diritto romano è difficile a definire in antichità si remota e perduti dalle guerre i documenti etruschi. Della Magna Grecia restano scrit ture, perchè le serbò con la lingua loro la stirpe greca ; ma de ' Latini prischi e dell'Etruria non abbiamo più se non epigrafi tuttora ignote, perchè ogni lingua e schiatta si confusero nell'unità romana. Certo è , tuttavia, che 390 PARTE PRIMA. almeno gli Etruschi erano molto civili ; e sembra non si possa dubitare che il sangue loro si mescolasse nel popolo di Roma; benchè l'Hugo lo neghi. Ma Lucio Floro. parlando della guerra sociale, dice chiaro : « Quantunque la chiamiamo guerra sociale a diminuirne l'odiosità . pure, se stiamo al vero, quella fu guerra civile ; giacche il popolo romano, avendo mescolato insieme gli Etru schi, i Latini e i Sabini, e traendo da tutti un sangue solo (unum ex omnibus sanguinem ducat), è di più mem bri un corpo e di tutti è una unità. » ( Rer. Rom . III, 18. ) Il Lerminier ( Phil. du Droit, III, 1 ) riscontra con molto acume in Virgilio la prima origine de' tre po poli, in Virgilio studiosissimo delle memorie antiche ; dov'egli, lodando l'agricoltura, dice : « Questa vita ten nero i vecchi Sabini, questa Remo e il fratello ; così crebbe la forte Etruria. In tal modo si fece la bellis sima di tutti gl'imperi Roma ; e una, si circondò d'un muro i sette colli . » (Georg. 11, 532.) Fatto è che a taluno par vedere i tre popoli nelle tre tribù del primo popolo romano, rammentate da Livio, i Rannesi o Latini, i Tarsi o Sabini, i Luceri o Etruschi. ( Warnkoenig, Hist. du Droit Rom .) Il Monsen ( St. Romana ), recentemente ha negato tal mescolanza, ma non ha detto le prove. Pro babile, a ogni modo, che quel nuovo Comune di Roma. sorto fra ’Comuni vicini , si mescolasse pure di genti vi cine. O si conceda dunque col Niebuhr la preminenza agli Etruschi, o concedasi a' Latini con l’Hugo, un in dirizzo nelle cose romane lo dettero i primi ; e ciò spie ga, come in tanta rozzezza di popolo guerriero e racco gliticcio si possedesse un gius pontificio, e formule sacerdotali e simboli segreti. Questo io diceva per mo strare che le prime consuetudini ed istituzioni ebbero qualche ragione di civiltà , e riuscirono buon fonda mento alla giurisprudenza perfetta. Però, fin dalla prima età, si scorge in Roma la mirabile distinzione da’magi strati (magistratus populi romani) che stabilivano il di ritto, da' giudici ( judex, arbiter ) che giudicavano del fatto ( Hugo, 1, § 146) ; distinzione che a poco a poco LEZIONE DECIMANONA. 391 détte occasione al gius onorario, di cui parlerò in breve . È noto che il reggimento di Roma sott'i re e più ne' principj della repubblica era degli ottimati, cioè aristocratico. Indi la opposizione civile della plebe co’pa trizi per avere un gius equo ; opposizione che, divenuta incivile o violenta nel settimo secolo, rovinò la repub blica, come la prima ne formò la grandezza. Il popolo dimandò leggi scritte per contenere l'arbitrio de' patrizi , e si promulgò la legge delle dodici tavole. Narra il giu reconsulto Pomponio, che queste si raccolsero in Grecia, interprete d' esse l'efesio Ermodoro. ( Fr. 4, D. De Orig. Juris.) Certamente Plinio il vecchio (Hist. Nat.) ram mentò come serbata fino a lui la statua fatta per de creto ad Ermodoro ; talchè la tradizione non pare fa volosa in tutto : ma è certo altresì che nelle dodici tavole ( per quanto ne conosciamo) non si ha traccia del diritto greco : l'essenziale, giudizj, patria potestà e connu bio, eredità e tutele, dominio e possesso, diritto pubblico e diritto sacro, son cosa tutta romana, come diceva già il Vico, e ormai ripetono i più dotti stranieri . (Warn koenig, $ 10, 11.) Ma io credo abbisognasse l'opera di quel Greco erudito per meditare le vecchie consuetudini, e ridurle a concetti determinati ed a’lor capi principali, ufficio di riflessione addestrata ; nè ciò avrebber saputo i Romani, dati all'armi , anzichè agli studj. Ecco il per chè quella primitiva sapienza, logicamente specificata e distinta da Ermodoro, traeva in ammirazione Tullio. Egli scriveva ne' libri De Oratore : « Se ne adirino pur tutti , io dirò quel che sento : a me, il solo libricciuolo delle dodici tavole, par superi ( se tu guardi a' fonti e a'capi delle leggi) le biblioteche de' filosofi tutti nel peso del l'autorità e nella copia dell'utilità . Quanto prevalessero in prudenza i nostri maggiori a ogni altra gente, inten derà facile chi le nostre leggi paragoni a quelle di Li curgo, di Dracone e di Solone. È incredibile, di fatto, quant' ogni altro diritto civile, salvo il nostro , sia in colto e quasi ridicolo . » ( De Or. I, 44. ) Le quali parole 392 PARTE PRIMA. attestano tre cose ; l'antichissima civiltà di quelle genti che formarono Roma, e che vi recarono le proprie tra dizioni, benchè si dessero poi a vita guerriera ed agre ste ; la falsità che il gius civile romano procedesse ài Grecia ne' suoi particolari; e come la perfezione della giurisprudenza si svolgesse da principj non rozzi ne poco pensati. I Romani dettero la sostanza, i Greci pro babilmente la forma, cioè ordinamento di codice. Dalle dodici tavole nacque la necessità d'interpretarle per di sputare in giudizio, e di avere azioni utili a domandare la loro applicazione. Di qui, come dice Pomponio ( loc. cit. 4, 5, 6) , vennero il diritto civile non scritto o l'au torità dei prudenti, e le azioni delle leggi ( legis actio nes); ma tutto ciò era un segreto de' pontefici. Pubblicato il segreto nella seconda età, la libera giu risprudenza passò dallo stato infantile alla gioventù. Ma quando mai, o signori , accadde tal cosa in modo più segnalato ? Voi sapete che sul cadere del sesto se colo di Roma si propagò là il filosofare greco, e che il secolo posteriore è appunto il secolo di Cicerone. Or bene, la giurisprudenza, cresciuta lentamente nel se colo sesto, crebbe nel settimo rapidamente ; e allora proprio noi riscontriamo i giureconsulti studiosi della filosofia e quant'alle leggi del pensiero e quanto alla natura degli atti umani in sè e nell' esteriori atti nenze . Scriveva Cicerone la Topica, o logica inventrice degli argomenti a preghiera di Trebazio, come si ha dal proemio di quel libro, ov'è scritto : « Non potrei, adunque, con te , che me ne pregavi spesso , benchè timoroso di noiarmi (come scorgevo facile), stare in debito più a lungo, senza parer d'offendere lo stesso interprete del diritto.... Sicchè queste cose, non avendo libri con me, scrissi a memoria nella mia navigazione, e dopo il viag gio ti ho mandate. » Il qual libro è notevole molto, perchè ogni precetto è confortato da esempi di giuri sprudenza. E di Servio Sulpicio ( primo in autorità tra' giureconsulti di que' tempi e solo studiato da' giure consulti posteriori ) , ecco che scrive Cicerone, amico di LEZIONE DECIMANONA. 393 >> lui : « Si stima, o Bruto, che grand'uso del gius civile s'avesse da Scevola e da molt' altri , ma l'arte da que st' unico ( cioè da Sulpizio) ; al che non sarebbe giunta in lui la scienza del giure, s'e' non avesse imparato quell'arte che insegna spartire le materie composte, esplicare con le definizioni l'ascose, chiarire con le in terpretazioni l'oscure ; e così a veder prima ben chiaro le cose ambigue, poi a distinguerle, e ad avere in fine la regola per separare il vero dal falso, le conseguenze diritte dalle contrarie. Questi adunque recò tal arte (mas sima di tutte l'arti ) , quasi luce in tutto ciò che dagli altri si rispondeva o si faceva confusamente. ( De CI. Orat. 41. ) Con le quali parole mostrò Cicerone la forma di scienza che si prese dal Diritto in virtù della logica . E la forma scientifica, ch'è abito di riflessione interiore, levò le menti alle generalità, senza cui, come non istà scienza nessuna, così nemmeno la scienza del diritto. E il segnale n'è questo ; che al termine dell'età seconda , cioè sul fiorire della filosofia e delle lettere a Roma, Cesare e Pompeo ebber disegno d'un codice ; disegno, che mostra l ' uso e la stima degli universali astratti da ogni caso particolare, ordinati poi secondo generi e spe cie ; giacchè un codice val quanto in istoria naturale un ordinamento per classi . Pare che Servio Sulpicio ef fettuasse un alcun che di somigliante a impulso di Ci cerone, il quale alla sua volta ne' libri delle leggi ( 111 ) mostrò un saggio di codice pel diritto pubblico, e al trettanto promise pel diritto privato . Nè qui entrerò in disputa fra due scuole alemanne, l'una che col Savigny sostiene il danno de' codici, l'altra che ne difende l'uti lità ; dirò a ogni modo ( nè si contrasta ) che un codice non si fa senz'abito di speculazioni filosofiche ; però l'averlo pensato in Roma e tentato a quel tempo, chia risce la efficacia loro nella giurisprudenza. Essa pervenne a compimento nella terza età, cioè ne' primi due secoli e mezzo dell'impero . Il dilatarsi del dominio romano a tutta Italia preparò il campo alle lettere ed alla filosofia ; perchè i Romani, senten 394 PARTE PRIMA. dosi non più solo Romani, ma Italiani e uomini, la loro coscienza si chiarì e s'arricchì, e l'intelletto loro medito le verità universali. Di questo fatto non v' ha dubbio di sorta . Dopo la guerra sociale, per le leggi Plauzia e Giulia de civitate sociorum ( anno 664 e 65 di Ro ma) , fu data , come notò l'Haubold ( Tav . cronol. per servire alla St. del Dir .), a tutte le città italiche citta dinanza romana, eccetto i Lucani e i Sanniti ; e nel l'anno 705 conseguirono la cittadinanza i Galli oltrepò, conseguíta prima da'Galli cispadani ; la ottenne tutta perciò la Gallia cisalpina . ( Framm . L. de Gallia Cisal pina .) In tal modo, come scrive il Savigny, dopo la guerra italica i cittadini d'Italia divennero parte del popolo sovrano. ( St. del Dir. rom : I, 2.) E il gius italico dava dominio quiritario, o dominio solennemente e pie namente assicurato, immunità da tutte l'imposte dirette, libero governo municipale delle città italiane (ivi ), diritto d'intervenire a'comizj o di mandarvi deputati ; talchè l'Italia , a ' tempi romani, con l'unità politica suprema serbò le unità politiche secondarie, che si chiamavano soci o confederati. E questo accadde perchè i Romani aveano già fatto l'unità naturale della nazione col mescolamento de' sangui, spargendo ovunque le colonie (com'osserva il Forti ) , nè per sei secoli ne mandaron mai fuori d'Ita lia . ( Ist. Civ . 1, 3, § 25. ) L'Italia, dice l’Hugo, non si considerò mai una provincia ; chè le provincie furono soggette a magistrati non propri, non compagne ma suddite. ( Hist. du Dr. Rom. , § 164.) I Romani, allora. si levarono con la mente all'unità naturale del territo rio, come vediamo ne' Digesti . Al Fr. 99, $ 1 de Verborum significatione è scritto : « Dobbiam credere provincie continue le unite all'Italia, come la Gallia ( cisalpina ) ; ma e la provincia di Sicilia più si ha da tenere per continua, essendo separata d'Italia da piccolo stretto : Continentes provincias accipere debemus eas, quæ Ita liæ junctæ sunt, ut puta Galliam : sed et provinciam Siciliam magis inter continentes accipere eas oportet, quæ modico freto Italia dividitur » ( Ulpiano). E al Fr. 9 , D. de LEZIONE DECIMANONA . 395 Judiciis et ubi etc. , si dice : « Le isole d'Italia son parte d'Italia e di ciascuna provincia : Insulæ Italiæ pars Italiæ sunt et cuiusque provincie . » A questo concetto sì pieno vennero i Romani tra gli ultimi tempi della re pubblica e i primi dell'impero, cioè tra la prima e la seconda età. Ecco il perchè la giurisprudenza romana, con l'aiuto della filosofia, potè sorgere a tant'altezza . Si aggiunga poi, che le sevizie de' Cesari cadevano in Roma su'patrizi più sospetti , ma quel reggimento tem peravano istituti repubblicani e ordini civili equi ; se no, come dice il Romagnosi, non si capirebbe il perchè in un governo da turchi uscissero mai tanto insigni se natusconsulti e le belle costituzioni de' principi; e come Alessandro Severo avesse un consiglio di XVI sapienti, tra cui i più chiari giureconsulti, Fabio cioè, Sabino, Ulpiano, Paolo, Pomponio, Modestino e altri . ( Ind. e Fattori dell'incivilimento. P. 2, C. 1 , § 1-5 . ) E tanto è vero , che la notizia del Gius equo e buono splendesse viva nelle menti romane, che lo strapazzo delle provin cie ( finita la guerra civile) non era punto legale, anzi contr' alle leggi ; perchè, secondo le costituzioni come dice il Warnkoenig ), le provincie stavano bene, le impo ste erano lievi , lo Stato pacifico, molto dell'amministra zione in mano di quelle ( il che scusa in parte il popolo romano); ma infierivano i governatori. Popolo e Senato li minacciavano con le leggi repetundarum , tornate vane per corruzione de'giudizj. (Hist. du Dr. Rom. , $ 16.) Tali cagioni principalmente formarono la sapienza de' giureconsulti romani. Inoltre, essi per lo più non eran causidici, ma scioglievano questioni di diritto in generale; e ciò indica sempre più e la natura scientifica del ministero loro, e perchè la scienza, libera da inte ressi particolari, progredisse continuamente. ( Cic . , De CI. Orat.). Poi, l'emulazione degli oratori che piegavano il gius alla varietà de’lor fini, co' giureconsulti che ne volevano serbare la severità, incitò questi a gareggiare in isplendore di lettere e di filosofia, e ad interpretare il diritto co' placiti del senso comune. Così da una di 396 PARTE PRIMA. sputa tra l'oratore Crasso (contemporaneo al padre di Cicerone) e Muzio Scevola giureconsulto sull'interpre tare i testamenti o a rigore di parola, o secondo la probabile volontà del testatore, nacque la giurisprudenza in quest'ultimo senso , ripresa dal Forti, ma (e forse meglio ) approvata dal Cuiacio. Infine, l'esercitarsi tale ufficio da’giureconsulti senz'ombra di lucro, la illustre loro condizione e l'affetto all'antiche leggi e consuetu dini di Roma, indica il perchè tennero essi per lo più l'austerità della morale stoica, che ci chiarisce alla sua volta il decoro, l’equità e sottilità della loro scienza ; e tutto insieme poi spiega la nobiltà di vita de' più tra loro, e n'è spiegato. Le poche notizie che n’abbiamo ce li fanno apparire la più parte uomini onorandi. Nominerò dapprima Quin to Muzio Scevola assassinato a’tempi di Mario . Dice Pomponio che Muzio costituì primo il decreto civile , disponendolo per capi di materie ( generatim ) in diciotto libri . Servio Sulpizio ridusse il diritto a stato di scienza ; fu prima oratore grande, poi giureconsulto per un rim provero che gli fece Muzio Scevola d'ignorare le leggi del proprio paese, egli oratore e patrizio ; sostenne la repubblica ; avversò i Triumviri ; la repubblica gli alzò una statua. Abbiamo di que' tempi Alfeno Varo e Ofelio disce poli di Servio, e Trebazio (a cui la Logica di Cicerone) e un altro Muzio Scevola e Cascellio . Muzio non accettava da Ottaviano il consolato ; Cascellio non volle mai comporre una formola secondo le leggi de' Triumviri ; e a chi lo consi gliava si temperasse rispondeva : son vecchio e senza figliuoli. Labeone, il cui padre era morto a Filippi, ri fiutò il consolato da Ottaviano anch'egli, e serbò spiriti antichi. Dice Pomponio : « Egli si détte moltissimo agli studj, e divise l'anno in modo che stava sei mesi a Ro ma co' discepoli (cum studiosis), e sei mesi lontano per iscrivere libri. Così lasciò quaranta volumi, che i più s'usano ancora. Ateio Capitone ( segue Pomponio) per severava nell'antico ; ma Labeone, che molto aveva me ditato nell'altre parti della sapienza ( qui et in cæteris LEZIONE DECIMANONA. 397 sapientiæ operam dederat), per valore d'ingegno e per fidanza di dottrina cominciò a innovare molto. » ( Fr. 39-47, D. De Or. Jur. ) I cinque giureconsulti più cele bri e più recenti ( lasciando gli altri) sono Emilio Papi niano, Paolo, Gaio, Ulpiano e Modestino . Papiniano, fami liare di Settimio Severo e principale nel governo, stette per Geta contro Caracalla ; e volendo costui una difesa legale del fratricidio , Papiniano la negò e venne ucciso. Scriveva : « i fatti che ledono la pietà, il buon nome e il pudore nostro, e che, a dirlo in genere, son contro al costume, si dee tenere che noi uomini dabbene non possiamo farli. » ( Fr. 15, D. De servis exportandis etc.) Gli altri quattro illustravano, come dissi , il consiglio di Alessandro Severo . I giureconsulti, massime della terza età, levarono (com' avvertii) a stato di scienza le loro discipline ; e ciò nacque dalla molta erudizione loro, non solo in filoso fia, ma eziandio in lettere ; e se n'ha prova ne' lor libri per le citazioni da' Greci ; com'a dire Omero, Ippocrate, Platone, Demostene e Crisippo. E il primo effetto fu , come notai de' tempi di Cicerone, che la giurisprudenza prese forma logica tanto sicura e stringente, ch'è una meraviglia. Si sa da molti e ab antico (dice l' Hugo) la filosofia de' giureconsulti, ma si sa da pochi, che nes suno più di quelli sta in confronto de’matematici per tre ragioni ; cioè per vigore di conseguenze da prin cipj fissi, per diligenza nell'evitare contraddizioni, che Gaio dimandava inelegantia juris, e pel metodo di stintivo e compositivo, induttivo e deduttivo ad un tem po ; distintivo e induttivo salendo alle specie generali del diritto ; compositivo e deduttivo traendone con bre vità ed evidenza le illazioni . Il gran Leibnitz, insigne così giureconsulto come filosofo e matematico, scriveva nell' Epist, 119 : « Io ammiro l'opera de Digesti , o me glio i lavori de' giureconsulti, ond' ell' è presa : ne vidi mai nulla che più s'accosti al pregio de matematici : 0 che tu guardi all'acume degli argomenti, o a'nervi del dire . » 398 PARTE PRIMA. Ma questa efficacia della filosofia non potè fermarsi all'ordine de' pensieri, dovè penetrare nell'interno, giac chè, com'avvertii , materia della giurisprudenza son gli atti umani o personali, soggetto filosofico. Tal efficacia non si creda particolare ma generale ; quindi , coloro che cercano ne'giureconsulti le traccie minute o degli Stoici o d'altri sistemi, errano forte se non passano inoltre a considerare l'opera generale della riflessione interna. È certissimo, com'avvertono gli eruditi, che i più de'giureconsulti tolsero dagli Stoici l'argomentare per analogia, l'amore dell' etimologie, la spartizione delle materie, la sottile dialettica che conviene al Foro , e molte dottrine sulla ragione dell'onesto, applicate da essi egregiamente al gius civile : ma l'essenziale sta in quel gran corpo, così disposto bene secondo le leggi del pensiero, e (salvo qualch'errore de' tempi) così con formato alla natura umana nelle regole eterne di lei e nelle relazioni esteriori. Sicchè il gius romano serve di lume al gius de’ popoli più civili , come si ha dal codice Napoleone : e gli Alemanni, dimenticata noi tanta gloria, vi fanno su studj esimj e perseveranti . E perchè si chiarisca il filosofare intimo de' giure consulti, guardiamo la nozione, ch'e'si facevano della giurisprudenza e della filosofia . Ulpiano nel Tit. 1 dei Digesti scrive (pr. e fr. 1 ) : « Dand' opera al gius, oc corre prima sapere onde ne venga il nome. Gius è chia mato da giustizia; perchè ( come Celso lo definì elegan temente) il gius è l'arte del buono e dell'equo. Però siamo chiamati con ragione sacerdoti della giustizia. Di fatto, professiamo la giustizia e manifestiamo la scienza del buono e dell'equo ; separando l'equo dall' iniquo, e discernendo le cose lecite dalle contrarie ; desiderosi di far buoni gli uomini , non solo per timore delle pene, ma eziandio per l'incitamento de'premj; ricercatori (se non m'inganno) di vera e non simulata filosofia. » Se la definizione della giurisprudenza si prenda qui a ri gore, ella non regge, perchè si stende a tutta la filoso fia morale : ma se badiamo al concetto che avevano di LEZIONE DECIMANONA. 399 questa gli antichi, e al generarsi la scienza del Diritto dall'altra del Dovere, ci formeremo idea chiara del co me intimamente fosse filosofica la giurisprudenza romana. Ho mostrato altrove ( Lez. XVII) che, secondo i sistemi greci, sommità di perfezione umana è lo Stato ; talchè la morale s' ordinò alla politica ; concetto vero per l'attinen ze esteriori, falso e pagano quant' all'ultimo fine. Non faccia dunque meraviglia, o signori, se i giureconsulti romani definivano il gius civile come la morale ; lo de finivano così, perchè, a sentimento di tutti gli antichi, le due scienze si mescolavano in una . Noi con più ra gione le distinguiamo, ma s'erra da chi ne dimentica l'unità superiore, ch'è la scienza de' primi principj e dell' uomo ; dimenticanza ignota agli antichi, che però svolgevano razionalmente il diritto e non lo maneggia vano materialmente. Notate ancora che nel passo citato si distingue la scienza dall'arte. Se nelle Istituzioni poi la giustizia è definita : « Costante e perpetua volontà di rendere a ciascuno il suo diritto : » e se la giurispru denza è definita ; « Notizia delle cose umane e divine e scienza del giusto e dell'ingiusto, pr. e S 1 , Inst. De just. et jure), » si vuol fare la stessa osservazione detta di sopra ; e noterò col Cuiacio, che in tal luogo la giu risprudenza è indicata bene com' abito dell'intelletto o scienza, e com ' abito della volontà, secondo l'antica filo sofia . E la filosofia la pensavano essi , non senz'alta spe culazione, ma contenuta nel vero da' dettami del senso comune e dal fine pratico. Di fatto s' inalzarono all'e ternità del diritto (come osserva il Vico, Sc. Nuova, IV) allorchè dissero : Il tempo non muta nè scioglie i di ritti (tempus non est modus costituendi vel dissolvendi juris ) ; e quando discernevano il diritto naturale dal positivo : ma nello stesso tempo rigettarono gli eccessi dello stoicismo, come l'eguaglianza della imputazione; finalmente derisero le stranezze , l' ipocrisie, l'avarizia di quelle sette in età di scadimento. Così abbiam sen tito Ulpiano, che distingue filosofia schietta dalla ma scherata ; e nel Fr. 6 , § 7 , D. al Tit. De his quæ in 400 PARTE PRIMA . testamento delentur, è schernito il suicidio de' filosofi per ostentazione, e nel Fr. 1 , § 4, D. de extraordinariis cognitionibus etc. , dove si stabilisce gli onorarj delle professioni, li nega il giureconsulto a' filosofi che, van tando di spregiare le mercedi, n'andavano a caccia. I giureconsulti poi mostrarono tre specie di diritti : jus naturale, gentium, et civile ; distinzione che non si vuol confondere con l'altra più pratica in jus gentium vel naturale e in jus civile ; e chi non vi badi, tassa i giureconsulti d'errori, ch'e'non hanno. La distinzione pratica mette divario tra leggi proprie di Roma ( jus ci vile) e istituzioni comuni a ogni popolo non selvatico ( jus gentium vel naturale) ; l'altra è distinzione più specula tiva e fondamentale. Ulpiano nel Tit. De just. et jure, D. dal Fr. 2 al 6, distingue diritto pubblico da privato; e distingue il privato in diritto naturale, che natura in segnò a tutti gli animali, come la procreazione de'fi gliuoli ; in diritto delle genti, del quale tra gli animali hann' uso gli uomini soli , come la religione verso Dio, l ' obbedire a' genitori e alla patria : in diritto civile ch'è proprio d'un popolo. Ora, s'è accusato Ulpiano d'aver confuso il diritto naturale con gl' istinti del l'animalità ; ' e sì che il Piccolomini da qualche secolo fa , come il Warnkoenig oggi , notava che qui , se condo le dottrine vere d' Aristotile, son distinti nel l'uomo i diritti che vengono dalla natura animale , quelli che vengono dalla razionale, e gli altri che pone la comunanza civile. Non s'intende già che le bestie ( dette da' giureconsulti cose, non persone) abbian di ritto, ma che le potenze animali dell'uomo, in quanto appartengono all'uomo, generan diritti , come li gene rano le potenze razionali . Talchè in Ulpiano si trova benissimo sceverata l'animalità dalla razionalità . È da confessare invece, che il diritto civile si definisce per quello che toglie o aggiunge al diritto naturale e delle genti ; e s'allude alla servitù ch'è contro alla natura, come si dice nel Tit. De regulis juris. Ma tut tavia meritan lode i giureconsulti, che se non condan · LEZIONE DECIMANONA. 401 narono la servitù, la dissero contraria bensì al diritto naturale, migliori di Platone e di Aristotile . Anzi nelle Istituzioni è detto, che il gius naturale viene istituito dalla divina Provvidenza, come insegnavan gli Stoici ( De Jur. Nat. Gen. et Cir ., fr. 2 , § ult. ); nel qual testo il gius naturale abbraccia pur l'altro delle genti . Poi, essi definiscono il gius civile qual era in fatto allora . Osserverò di passaggio, che il chiarissimo Conforti nel l'annotazioni allo Stahl ( St. della Filosofia del Diritto, Torino 1855) opina con altri , che i Romani non avessero idea del diritto eterno, perchè jus viene da jubeo, co mandare ; dove la parola diritto, e le simili del francese, tedesco e inglese, hanno il concetto di rettitudine, o di rittura alla legge eterna. Ma quel valentuomo non pensò forse al come definisce la parola Jus il Forcellini ( Voc. ad V.) : « Gius è tutto ciò che in generale vien costi tuito da leggi o naturali , o divine, o delle genti o ci vili ( jus est autem universim id, quod legibus constitutum est etc.). Si nomina con altro nome equità comune, equo universale, legittimo, cioè adequato alle leggi, quasi norma e regola degli atti umani. » Sicchè i Romani chiamavano Jus un che costituito da una legge qua lunque ; così distinguevano la legge da ciò che ne pro cede, e ch ' è l'effetto del suo comando : e Cicerone ( Rep. et De Leg. passim ) adopera legge e gius in tal significato. Ma la risposta migliore si è in quell'assioma de Romani già citato : « il tempo non muta nè scioglie i diritti ; conobbero, dunque, i Romani la santità del diritto fuori del tempo, cioè nell'eternità, o nel suo fondamento as soluto. Inoltre vedemmo che il gius civile si distingueva dal naturale. Ma tornando a'giureconsulti, la loro scienza originò il diritto onorario, di cui parla il Forti se non con molta novità, certo con più chiarezza di tutti gli altri da me esaminati . E io ritrarrò in breve la sentenza di lui , e n'uscirà la prova del quanto potè la scienza dell'uomo e la filosofia morale in tanta perfezione di gius. Ma prima dirò; che il gius onorario conteneva gli editti del Storia della Filosofia . – I. 26 402 PARTE PRIMA. pretore urbano e del peregrino, e quelli degli edili e proconsoli e propretori delle provincie (edictum provin ciale). Pare che il gius predetto, almeno in modo se gnalato, principiasse verso la metà del secolo VII, per chè Cicerone nella seconda Verrina dice : « postea quam jus prætorium constitutum est . » L'Hugo dimostra, con tro l’Heinneccio, che tal diritto ebbe forza di legge ; poichè ( tra gli altri argomenti ) Cicerone non contrasta nelle Verrine che l' Editto di Verre sia legge da te nere, ma lo accusa di averlo infranto egli stesso, o con formato non secondo ragione. ( Hugo, Hist. etc. , $ 178, 179. ) Or dunque, i pretori rendevano giustizia ne'civili ne gozi , gli edili per le convenzioni de' mercati e per la po lizia della città ; e tanto gli uni che gli altri, quando pi gliavano i magistrati, mandavan fuori un editto , ove stabilivano le forme del giudizio e le massime: ottimo istituto in repubblica popolare. Non mutavano il gius, ne determinavano l'applicazione. Eccone gli esempi : In primo luogo, salva la forma legale, si supponga che i contraenti abbiano pattuito o per inganno, o per er rore, o per timore, o per forza. Mancando la moralità dell'atto, la legge non conservavasi uguale per tutti . Quindi i pretori statuiron massime per l'efficacia civile della moralità negli atti , scuse legittime per negare agl'ingiusti la sanzione della legge e i mezzi legali, perchè queste massime d'equità si recassero ad effetto . I codici moderni han composto di tali massime le lor leggi universali . Allora, dice il Forti, gli editti de' magi strati « erano uno de' principali modi, per cui la filosofia venne applicata gradatamente ai bisogni civili . » Sicchè (quant'alla moralità degli atti) trovarono i magistrati l'eccezioni perpetue contro le obbligazioni per dolo, per timore, per errore, per violenza ; la restituzione in intero, i modi legali a sciogliere le dette obbligazioni, od a ri petere ciò che pel tenore loro fosse stato pagato. In se condo luogo, le leggi , definito il diritto e ordinatane la sanzione, lasciavano a'magistrati ilmodo d'effettuarli. Per esempio, le leggi stabilivano i modi d'acquistare la pro LEZIONE DECIMANONA . 403 prietà, ma non i modi della sua difesa ; che più tornò necessaria, quanto più divise le possessioni, e distinta la varietà de'godimenti e diritti che si comprendono nella mozione del dominio ; onde nacquero nuovi contratti e bisogni di nuove difese. Quind'i pretori differenziavano a capello il dominio e il possesso, e gl'interdetti che lo proteggono, e va' discorrendo. ( Ist. Civ., L. I. S. 1 , € . 3, § 31.) Le dottrine de'giureconsulti poi vennero a formare un'altra maniera di gius, cioè il diritto ricevuto ljus receptum ). Essi, introducendo ne'contratti clausule, con cui si stipulava l'osservanza della buona fede, costrin sero i magistrati a giudicare di que'contratti, non se condo le nude parole della legge, sì a lume di naturale onestà ; come le clausale, si lodate da Cicerone, uti ne propter te , fidemre tuam captus, fraudatusne sim ; e ut inter bonos bene agier oportet et sine fraudatione. ( De Off. III, 17. ) I giureconsulti si davano all'interpretazione; e poi chè questa o considera la legge in sè, o gli atti della volontà umana , così la filosofia di que'sapienti gli aiuto all’un five con le spiegazioni delle parole e con la de. finizione de'termini astratti, e col mirare alla ragione della legge stessa : gli aiutò all ' altro fine co giudizi sulla moralità degli atti , e con le regole per interpre tare l'altrui volontà. Il Gravina così accenna le novità del gius ricevuto : * Dalle interpretazioni de' giureconsulti passate in uso, e mitiganti a poco a poco e come di soppiatto l'asprez za delle leggi, son venute le regole di diritto, temperate dalla ragione d'equità. Nacquero da essi , l'uso dei codicilli, l'azione del dolo, le azioni quasi tutte che chiamaron utili , perchè procedono dall’equa e utile in terpretazione, le stipulazioni aquiliane, autore Aquilio giureconsulto, le varie differenze delle successioni. la re gola catoniana , la sostituzione pupillare, il divieto della donazione tra marito e moglie, e l'altro che i pupilli s'obblighino senza l'autorità del tutore. Da essi ver 404 PARTE PRIMA. nero i giudizi di buona fede, le azioni rei uxorie, la querela dell'inofficioso testamento, e infine tutto ciò che si trova citato sotto nome di costumi, di consuetudini e di gius ricevuto. ( De ortu et progr. I, Civ. , C. 43. ) Tale acume di riflessione disciplinata recò i giurecon sulti per fino ad un computo di probabilità sulla vita umana quant'all' usufrutto ed agli alimenti (come si vede Fr. 68 D. Ad Legem Falcidiam ); cosa notabile molto, perchè fa supporre grand'abito d'osservazione e di giudizi astratti . La virtù e la vera filosofia de' giureconsulti le sen tiamo pur anche nel loro stile, che in mezzo alle ampol losità di Seneca e degli altri si tien semplice e puro .. Nelle Pandette v' ha errori di lingua, per vizio de' com pilatori greci e de' copisti ; ma specie i frammenti di Gaio e d'Ulpiano son gioielli, ammirati da' principali maestri di latinità . Terminerò, o signori, recando un saggio di tal sa pienza ed elegante brevità, in alcune regole di gius. dall' ultimo titolo de' Digesti : « I diritti del sangue non posson finire per niuna legge civile ( Fr. 8) . Sempre nelle cose oscure s' ha da tenere il meno ( 2) . Sta in na tura che le comodità d'una cosa seguan colui che ne sente gl' incomodi. Ciò che dapprima è vizioso non si può col tempo sanare ( 29) . Nulla è più naturale che sciogliersi a quel modo ch' uno s ' è legato : però l ' ob bligazione di parole sciogliesi con parole, e quella di nudo consenso con altro consenso ( 35) . Che si fa o si dice nel caldo dell'ira, non si stima . vi sia consenso d'animo, se non v' ha perseveranza ( 48) . Nessuno può trasferire altrui più diritti che non ha ( 54) . Sempre nel dubbio son da preferire le sentenze più benigne ( 57) . L'erede si stima di quelle facoltà e di que' diritti che il defunto ( 59) . È proprio di quel sofisma che i Greci chiamano sorite, o ammucchiato sillogismo, di trar la disputa, con lievissime mutazioni, da cose evidentemente vere a evidentemente false (65 ). Quante volte un di scorso rende due sensi, prendasi quello ch'è più adatto LEZIONE DECIMANONA. 405 al da fare ( 69) . Non si dà benefizio per forza ( 69) . Nes suno può mutare il proposito suo in altrui danno ( 75) . In ogni cosa, ma più nel gius, è da guardare all’equi tà (90 ). Ne’discorsi ambigui è il più da guardare all'in tendimento di chi li fa (96) . Nelle cose oscure si badi al più verosimile, e a ciò che accade più spesso ( 114) . Il timore vano non è buona scusa ( 184) . Per l'impossi bile non c'è obbligo che tenga ( 185) . Le cose proibite da natura, non sono convalidate da legge nessuna ( 188, § 1 ) . Per gius di natura nessuno dee farsi più ricco a danno altrui (206) . Per gius civile i servi si sti mano nulla ; non per diritto naturale, secondo cui tutti gli uomini sono uguali » ( 32) . Quando l'impero si foggiò all'orientale, la giurispru denza cadde in vano eccletticismo; come n'è segno « La indigesta mole de' Digesti >> e ciò accadde alla quarta età, o di vecchiezza. Poichè abbiamo con qualche sufficienza esposto la filosofia grecolatina di Cicerone e de' giureconsulti, e abbiam veduto come proposito di questi e di quello apparisca sempre l'armonia tra le speculazioni e la pratica, e, nelle speculazioni, fuggire tutti gli eccessi delle sette, componendone, guidati dalla coscienza e dal senso comune, un'unità, siam chiari (mi sembra) che veramente dopo la dialettica distintiva de' greci, tende vano i Romani alla comprensione finale, e che tal è proprio la qualità prevalente in quest'epoca quarta del tempo pagano e della filosofia . Or noi passeremo al l'èra cristiana ..

 

Augusto Conti. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Conti” – The Swimming-Pool Library.

 

CONTRI (Cazzano di Tramigna). Filosofo. Grice: “I like Contri – he reminds me of my days at Rossall! Of course Contri is interested in Hegel – “a la ricerca del segreto sofisma di Hegel” – and attempts to reveal it as Stirling never could! But Contri is also interested in ‘il bello’ – being an Italian! – The interesting thing is that he goes back to Italy – Aquino! He has a good exploration on ‘verum’ in Aquino, too, which reminds me of Bristol, Revisited!” Allievo di Zamboni, elabora una minuziosa critica alla logica di Hegel di cui mise in rilievo le incongruenze gnoseologiche e metodologiche che portano alla errata concezione hegeliana della realtà come vita dell'idea. Rovesciando l'immanentismo hegeliano, scopre un mondo di realtà sviluppando una concezione di filosofia della storia che denomina “storiosofia”.  Studia a Verona. Si laureò a Padova. Discepolo fervente di Zamboni, di cui accolse e sostenne la dottrina della gnoseologia pura. In alcune occasioni si descrisse come elaboratore in contemporanea al suo maestro Zamboni di alcune teorie, collegate all’estetica ma non solo. Insegna a Bologna. Zamboni fu espulso dall'Università Cattolica con la motivazione di allontanamento dalla ortodossia tomistica e con accusa di non conformità al Magistero della Dottrina Cattolica Romana. Contrì definì la posizione della Cattolica con il termine da lui coniato di “archeo-scolastica”. La posizione “archeo-scolastica” della Cattolica di Milano, di una conoscenza indimostrata, a priori, dell’essere e degl’esseri era bersaglio di critiche da parte di filosofi cristiani e non che la ritenevano inadeguata nell’ambito del pensiero moderno. Contri sostenne che la dimostrazione della conoscenza dell’essere e degl’esseri data dalla Gnoseologia Pura di Zamboni superava definitivamente tali critiche e ridava certezza dimostrata della conoscenza e dell’esistenza di Dio. Accusa di plagio Gemelli per aver pubblicato nella monografia Il mio contributo alla filosofia neoscolastica (Milano) pagine già scritte da Desiré Mercier e da Morice De Wulf, senza indicare le citazioni. Gemelli diede le dimissioni da Rettore della Università Cattolica ma rimase in carica. Insegna Bologna. Il prof. Ferdinando Napoli, Generale dei Barnabiti, cultore di scienze naturali, venne depennato dalla Pontificia Accademia delle Scienze, allora presieduta dal Gemelli. Venne dato ordine di non pubblicare articoli a firma di Contri. Continuando la difesa della dottrina di Zamboni, fondò la rivista quadrimestrale di polemica e di dottrina neoscolastica “Criterion”. Il confronto con l’Università Cattolica di Milano continuò negli anni successivi con relazioni a numerosi congressi di cui Contri diede resoconto sulla rivista. Insegna a Ivrea. Sulla rivista Criterion apparvero intanto i primi Saggi del Contri sui suoi studi hegeliani che prelusero all'opera definitiva dLa Genesi fenomenologica della Logica hegeliana. Partecipa attivamente agli organi culturali del fascismo. Sscrisse su giornali quali Il Secolo Fascista, Quadrivio, Il Regime Fascista, Il meridiano di Roma e La Crociata Italica. Contri si avvalse della tribuna offerta da queste testate per promuovere i suoi studi filosofici e critica filosoficamente l’ ebraismo di Spinoza, di Durkheim e di Bergson. Insegna a Milano e tenne conferenze su studi hegeliani. Sorse una disputa con Zamboni in seguito all'articolo Il campo della gnoseologia, il campo della storiosofia, in risposta alla pubblicazione del Contri Dallo storicismo alla storiosofia.  Prese parte attiva a congressi tomistici internazionali e a congressi rosminiani.  Partecipa attivamente alla “Missione di Milano”, lanciata dall’allora Arcivescovo di Milano, Giovanni Battista Montini.  Come riconoscimenti ai suoi studi conseguì alcuni premi fra i quali uno indetto dall'Angelicum sul tema “Quid est veritas”, e una segnalazione all'Accademia dei Lincei per l'opera: Punti di trascendenza nell'immanentismo hegeliano, Milano, LSU. Fu discepolo e geniale continuatore di Zamboni. Così potrebbe definire la situazione filosofica di oggi. Il mondo del pensiero, perduta la bussola non teologica d'orientamento, è costituito da una miriade di metafisiche che cozzano le une contro le altre tanto da definirsi che heghelianicamente come il divenire in sè, che è puro fenomenismo. A tale fenomenismo corrispondono molteplici fenomenologie. Per esempio quella di  Heidegger, afferma che il reale è un solo, una totalità onniafferrante (Hegel direbbe begriff), tanto come essere quanto come niente. Anche Hidegger poi tenta la via della salvezza ammettendo la realtà del mondo esterno come di un che, che resiste al soggetto, ponendosi nel solco del pensiero di Zamboni. In questo modo Hidegger tocca il problema che si volle e che si vuole eludere: la realtà del mondo esterno. Esistono queste realtà, come la mia realtà, indipendentemente dal pensarle? Per dare risposta a questo interrogativo cruciale, è necessaria la gnoseologia pura. La gnoseologia secondo Contri, scoprì la risoluzione definitiva del problema della certezza della conoscenza umana. Essa permise di risolvere il problema dell'esistenza di Dio, riavvalorando criticamente le cinque vie della dimostrazione Aquino. Sono meriti del metodo filosofico di Zamboni il poter affermare la sostanzialità del mio “io” personale, la mia realtà individua e dimostrare l'esistenza di Dio, trascendente, personale. Il metodo zamboniano distingue gli elementi della conoscenza umana tra la sensazione, che e sempre oggettiva, e lo stato d'animo e tra questi "quello stato d'animo che è anche atto: l'attenzione". Ogno stato d'animo e sempre soggettivo. La gnoseology riesce a cogliere la realtà del proprio “io”, nei suoi atti e stati. Essi sono reali, per­ché immediatamente presenti all'”io”, e se sono reali gli accidenti dell'io, perché essi sono modo di essere dell'io, reale è l'io, come sostanza, cui essi ineriscono. Perciò dall'immediata certezza della realtà degli accidenti di un ente si giunge alla certezza della realtà sostanziale dell'io." La critica alla posizione della neoscolastica di Gemelli, Olgiati e Masnovo sulla conoscenza indimostrata dell'ente e la soluzione tramite la gnoseologia pura. Rispetto alla dimostrazione della realtà dell'ente, si fonda così nell'esperienza immediata ed integrale il concetto di essere e ‘esseri’ che non è più necessario assumere acriticamente, come qualcosa di razionalmente immediato, pena l'impossibilità di una logica razionale. L'assunzione acritica del concetto di essere ed esseri è propria del neotomismo dell'Università Cattolica, che in un suo autore, Masnovo, perviene alla sua massima teorizzazione nel "mio hic et nunc diveniente atto di pensiero". Ma con questo l'essere e gli esseri è solo pensato e ammesso acriticamente come pensiero, è un presupposto, mentre nella gnoseologia zamboniana è il risultato di un processo di astrazione, che deriva da una realtà immediatamente presente all'autocoscienza dell'io, che non ha la natura del pensiero, non è pensiero essa stessa, ma qualcosa di diverso. Si può pertanto uscire dalla formula logica della ragion sufficiente, che è sempre e comunque razionalista e riduce al razionalismo anche il neotomismo. Nell'ambito dell'esperienza immediata ed integrale si scopre invece non la ragion sufficiente, ma la sufficienza ad esistere o no. E la fondazione ed il ripensamento delle prove dell'esistenza di Dio, e in particolare della terza via tomistica, diventano inoppugnabili. Nessuno più può dubitare dell'esistenza del sufficiente ad esistere, che è Dio."  Secondo Peretti la fondazione gnoseologica della metafisica è il più grande merito di Zamboni.  L'ambiente filosofico dell'Università Cattolica non accetta la gnoseologia zamboniana e fonda la metafisica sul concetto di ente, assunto acriticamente, come un presupposto indimostrabile. Esso finì per identificarsi con l'ente di ragione (ens rationis), non sfuggendo all'insidia hegeliana, che lo aveva dialettizzato sia come essenza che come esistenza. La dialettica negativa di Hegel produsse ben presto nella corrente neotomista di Milano (ma anche in altre università cattoliche) i suoi effetti devastanti. Aveva messo in guardia i neotomisti dalla fraus hegeliana, che si svela nell'antitesi (contra-posizione) come negazione. Seguendo la metodologia gnoseologica, Contri affronta Hegel, il "padre del fenomenismo" compiendo una minuziosa e sistematica analisi della fenomenologia hegeliana. Dopo averle individuate ha messo in rilievo le incongruenze gnoseologiche e perciò metodologiche che sfocia nella concezione della realtà come vita dell'idea, presentandola come uno svolgimento dialettico del ‘begriff’, come qualche cosa che non mai in sé, ma diviene eternamente in sé e per sé. Contri resa evidente questa impostazione, anima del fenomenismo, e scoperta nella deficienza gnoseologica e pertanto metodologica, derivata dall'impostazione razionalista ed empirista che al fondo dello stesso criticismo, rovescia l'immanentismo hegeliano, che si gli scopre non più come mondo di idee, ma di realtà, di cui ognuna è altro del suo altro, in un ordito cosmologico, di cui la storia dell'uomo rappresenta l'essenza. Ed ecco la storiosofia, che reclama, al posto dell'immanentismo gnoseologicamente insostenibile, la trascendenza della trama di questo ordito, che a questo punto in sé e per sé non può più essere spiegato (si ricordi che l'anima della spiegazione hegeliana è la "negazione"!). Tale trascendenza prova l'esistenza di un Dio trascendente, che ha concepito la trama creando le realtà ordito di questa trama, di realtà in reciproca relazione, in cui non c'è membro che sia fermo. In questo ordine si risolvono in modo nuovo i rapporti tra le realtà, che per esempio tra l'anima e il corpo, superando così gli scogli di una spinosa questione di eredità aristotelica, di grande importanza anche oggi, in cui le realtà terrene e spirituali non trovano la sintesi equilibratrice.  La storiosofia rappresenta uno sviluppo del metodo di Zamboni, considerandolo la via per rinnovare tutta la filosofia poiché esso non è storicismo filosofico, non è naturalismo, è avanti positivistico, non è speculazione, ma metodo appunto, (metodo) che da secoli la filosofia europea ha cercato, perdendolo oggi nella disperazione del momento." Opere: “Il concetto aristotelico della verità in Aquino” (Torino, SEI); “Gnoseologia” (Bologna, L.Cappelli); “Il concetto d’armonia” (Bologna); “Il tomismo e il pensiero moderno secondo le recenti parole del Pontefice, Bologna, Coop. tipografica Azzoguidi): “Del bello” (Firenze, Libreria Editrice Fiorentina); “La filosofia scolastica in Italia nell' era presente” (Bologna, Cuppini); “L’essere e gl’esseri” (Bologna, C. Galleri); Un confronto istruttivo: Mercier, Gemelli, De Wulf ed altri ancora, Bologna, C. Galleri); “Pane al pane: riassunto d'una situazione, Bologna, Costantino Gallera. “Neo-scolastici e archeo-scolastici” (palaeo-scholastici) sulla rivista Italia letteraria; “Il segreto sofisma di Hegel” (Bologna, La Grafolita), “Mussoliniana: il discorso del duce” (Bologna, La Diana scolastica); “Gnoseologia pura di A. Hilckmann; Il segreto di Hegel di S. Contri, Bologna, Stabilimento Tipografico Felsineo); “Hegel, Ivrea, ed. Criterion); “La genesi fenomenologica della logica hegeliana” (Bologna, ed.Criterion; Ambrogino o della neoscolastica, dialogo filosofico,  Bologna); “La soluzione del nodo centrale della filosofia della storia, Bologna, Criterion); “Complementi di storiosofia, Bologna, Criterion); “Punti di storiosofia, Bologna, Criterion; Lettera a S.S. Pio XII sulla filosofia della storia, Bologna, Criterion; Il Reiner Begriff (=concetto puro) hegeliano ed una recensione gesuitica, Bologna, Criterion; Dallo storicismo alla storiosofia. Lettura prima, Verona, Albarelli; I tre chiasmi della storia del pensiero filosofico.  Inquadratura unitotale della controversia sulla storiosofia, Milano, ed. Criterion); “Rosmini” (Domodossola, La cartografica C. Antonioli); Ispirazione da dei” divina della S. Scrittura secondo l'interpretazione storiosofica” (Milano, Criterion); “La sapienza di Salomone, Milano, ed. Criterion; “La riforma della metafisica” (Milano, ed. Criterion); Filosofia medioevale.  Raggiungere la forma nuova, Fiera Letteraria; Punti di trascendenza nell'immanentismo hegeliano, alla luce della momentalità storiosofica” (Milano, Libreria Editrice Scientifico Universitaria); “Rosmini” (Milano, Centro di cultura religiosa); “Posizioni dello spiritualismo Cristiano: La dottrina della poieticita in un quadro rosminiano” (Domodossola, Tip. La cartografica C. Antonioli); “Assiologia ed estetica”, Theorein; Posizione dello spiritualismo cristiano. La dottrina della poieticità, in un quadro rosminiano, Rivista rosminiana; Heidegger in una luce rosminiana: la favola di Igino e il sentimento fondamentale, Domodossola, La cartografica); Missione di Milano. Chiosa storico-filosofica, Ragguaglio); “Heidegger in una luce rosminiana, Rivista rosminiana); La coscienza infelice nella filosofia hegeliana” (Palermo, Manfredi); “Husserl edito e Husserl inedito” (Palermo, Manfredi); “Kierkegaard: profeta laico dell'interiorità umana”; “Saggio di una poetica vichiana” (Milano, Il ragguaglio librario); La fenomenologia dello spirito di G. Hegel, Rivista rosminiana; L'unità del pensiero filosofico, Sapienza; Il pluralismo filosofico nell'ambito di una concezione cristiana, Sapienza; In margine al centenario dantesco, Sapienza; La negazione come principio metodologico di unificazione speculativa, Theorein; Vita e pensiero di Hegel, Rivista rosminiana; Possibilità di un accordo tra la dottrina rosminiana del sentimento fondamentale e le concezioni moderne  sull'inconscio, Rivista  rosminiana; Morale e religione nella Fenomenologia dello spirito di G. Hegel, Palermo); “Parallelo tra Hegel e Rosmini, Palermo, Mori); “Metafisica e storia, Palermo, Mori); “Il sofisma di Hegel” (Milano, Jaca book). “Il caso Contri”; “Gnoseologia”; noseologia, storiosofia; Contri, Note mazziane; La propedeutica metafisica hegeliana al problema del pensare e la lettura rosminiana di S. Contri, Contri tra gnoseologia e storiosofia, Punti di trascendenza in S. Contri, in Sophia, Crociata Italica, Fascismo e religione nella Repubblica di Salò, L'Estetica di Benedetto Croce. Certi gestiscriveva la Vanni Rovighiche gli furono rimproverati come acquiescenza al potere politico fascista (e furono ben pochi in confronto a quelli di molti altri) furono dettati dalla preoccupazione di difendere la sua Università dalla minaccia di chiusura da parte del potere politico, minaccia tutt’altro che immaginaria. E forse fu il timore di fronte alle obiezioni di un’altra autorità, quella ecclesiastica, che gli premeva ben più di quella politica, a indurlo ad allontanare dall’Università un uomo di grande ingegno e di purezza adamantina: Zamboni, un gesto che non può non essergli rimproverato e che lasciò anche a noi allora studenti dell’amaro in bocca. Contri, (Circa il volume di Croce 'La storia come pensiero e come azione. Siro Contri Presidente dell' Istituto di Cultura Fascista...».  Siro Contri, «Il regime fascista» Siro Contri. Keywords: del bello, il bello, assiologia, poetica vichiana, Mussolini, discorso, duce, logica di Hegel, filosofia dell’essere, l’essere e gli esseri, Hegel contraddetto, il bello, pulchrum, archeo-scolastici, paleo-scolastici, Aquino, aristotele, il vero, l’errore di Croce, l’equivoco di Croce, percezione del bello, l’armonia e il bello, del storicismo alla storiosofia, storiosofia o filosofia della storia, interpretazione dommatica di Aquino, la negazione di hegel, il concetto puro di Hegel, la negazione come metodo in Hegel, nihilismo e negazione in Hegel, l’errore di Hegel, il sofisma di Hegel, Gentile e il bello. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Contri” – The Swimming-Pool Library.

 

CORBELLINI (Cadeo). Filosofo. Grice: “I like Corbellini; of course he has to defend science versus what he calls – alla Popper? – ‘pseudoscenza’ in Italy, which he calls ‘il paese della pseudoscenza’ – I thought that was Oxford!” I sui interessi riguardano la grammatical del vivente, la storia della medicina e la bioetica. Insegna Roma. Si laurea con “L’epistemologia evoluzionistica”.I suoi interessi di studio hanno riguardato la storia e la filosofia della biologia evoluzionistica, delle immunoscienze e delle neuroscienze, per includere poi anche lo studio della storia della malaria e della malariologia in Italia, delle ricadute della genetica molecolare, delle implicazioni dell’evoluzione e l'evoluzione. L'approccio storico-epistemologico all'evoluzione trovato una sintesi nella ricostruzione della storia delle idee di “salute” e malattia e delle trasformazioni metodologiche a cui è andata incontro la ricerca delle spiegazione causale della salute. La sua ricerca si è orientata anche verso l'esame delle radici delle controversie bioetiche. Difende un'idea non confessionale della bioetica, che ha radici filosofiche in uno scetticismo morale radicale, naturalistico e non relativista (Bioetica per perplessi. Una guida ragionata, Mondadori).  Coltiva anche un interesse per la percezione sociale e il ruolo della scienza nella costruzione del valore civile. Sostiene che l'invenzione e l'espansione del metodo scientifico hanno consentito e favorito l'evoluzione del libero mercato e della stato di diritto, ovvero che la scienza ha funzionano come catalizzatore nella costruzione e manutenzione dei valori critico-cognitivi e morali che rendono possibile il funzionamento del sistema liberal-democratico.  Altre opere: “Nel Paese della Pseudoscienza. Perché i pregiudizi minacciano la nostra libertà” (Milano, Feltrinelli); “Cavie? Sperimentazione e diritti animali” (Bologna, Il Mulino); “Tutta colpa del cervello: un'introduzione alla neuro-etica” (Milano, Mondadori Università, ; Scienza, Torino, Bollati Boringhieri); “Dalla cura alla scienza” (Milano, Encyclomedia Publishers); “Scienza, quindi democrazia, Torino, Einaudi); “Perché gli scienziati non sono pericolosi” (Milano, Longanesi); “La razionalità negata. Psichiatria e antipsichiatria in Italia (con Giovanni Jervis), Torino, Bollati Boringhieri, EBM); “Medicina basata sull'evoluzione” (Roma-Bari, Laterza); “Bi(blio)etica” (Torino, Einaudi); “Breve storia delle idee di salute e malattia” (Roma, Carocci); “La grammatica del vivente. Storia della biologia e della medicina molecolare” (Roma-Bari, Laterza); “L'evoluzione del pensiero immunologico” (Bollati Boringhieri, Torino). L’errore di Darwin. Introduzione; 1. Dall’etica medica alla bioetica; 2. Il senso morale umano e le controversie bioetiche; 3. Sperimentazione sull’uomo e consenso informato; 4. Scelte di fine vita; 5. Scelte di inizio vita; 6. Medicina genetica; 7. Sperimentazione animale; 8. Medicina dei trapianti e definizione di morte; 9. Etica della ricerca responsabile; 10. Medicina rigenerativa e staminali; 11. Neuroetica; 12. Etica ambientale e OGM; 13. Etica della comunicazione scientifica, della percezione della scienza e del «gender»; Indice dei box; Indice analitico; Indice dei nomi. Come nota Gilberto Corbellini nella prefazione all’edizione italiana del libro di Ru- bin, il tentativo di applicare l’approccio evoluzionistico alla (filosofia) politica spesso rischia di venire frainteso. Il frain- tendimento più comune e pericoloso deriva dalla mancata distinzione tra il “darwinismo politicizzato” e la “politica darwiniana”: il primo è costituito, come è accaduto nel caso del socialdarwinismo di fine Ottocento, dall’«interpretazio- ne strumentale e priva di coerenza logica o di basi scientifi- che delle idee darwiniane per difendere qualche particolare ideologia politica»; la seconda, invece, consiste nell’«uso delle conoscenze evoluzionistiche sulla natura umana per meglio comprendere le origini delle preferenze politiche in- dividuali, la loro distribuzione sociale e le dissonanze tra gli adattamenti ancestrali e l’ambiente attuale».58 Ridley si mostra ben consapevole del rischio di trasformare la politi- ca darwiniana in ideologia. Questo, tuttavia, non gli impe- disce di avanzare alcuni suggerimenti di politica economica 54. Cfr. Skyrms, The Evolution of Social Contract, pp. 108-109 e Festa “Teoria dei giochi, metodo delle scienze sociali e filosofia della politica”, Prefazione a de Jasay, Scelta, contratto, consenso, pp. 8-9). Alcune immani tragedie che hanno segnato la storia degli ultimi due secoli sembrano dovute, almeno in parte, all’ignoranza – e, talvolta, alla ne- gazione – di alcune caratteristiche essenziali della natura umana. Per esempio, Ridley (p. 322) osserva che «Karl Marx vagheggiava un sistema sociale che avrebbe funzionato solo se fossimo stati degli angeli, ed è fallito perché siamo invece degli animali». 55. Peter Singer, Una sinistra dawiniana. Politica, evoluzione e cooperazione, Torino, Edizioni di Comunità, 2000 (1999). 56. Larry Arnhart, Darwinian Conservatism, Exeter (UK), Imprint Academic, 2005. 57. Rubin, La politica secondo Darwin. 58. Gilberto Corbellini, “Politica darwiniana vs darwinismo politicizzato”, prefazione a Rubin, La politica secondo Darwin, p. 9. 31 Ridley.Origini.Virtu.indd 31 27/08/12 13:57          Le origini della virtù – si vedano soprattutto gli ultimi tre capitoli del libro – che gli sembrano compatibili con le nostre tendenze evolutive. La prospettiva filosofico-politica che ne emerge è un libe- ralismo con tendenze anarchiche, che non sarebbe inappro- priato chiamare “anarco-liberalismo”.59 Tale prospettiva, ispirata dalla grande fiducia di Ridley negli istinti coopera- tivi e altruistici degli esseri umani, sfocia infatti nella difesa di un ordine politico-economico nel quale il ruolo del gover- no e dell’intervento pubblico è ridotto ai minimi termini: Recuperiamo la visione di Kropotkin, che immaginava un mondo di liberi individui. [...] Non sono così ingenuo da pensare che ciò possa accadere da un giorno all’altro, o che qualche forma di governo non sia necessaria. Ma metto se- riamente in dubbio la necessità di uno Stato che decide ogni minimo dettaglio della nostra vita e si attacca come una gigantesca pulce alla schiena della nazione.60 D’altra parte, Ridley si rende conto che, mentre le solu- zioni politico-economiche da lui favorite si accordano con alcune tendenze evolutive umane, confliggono però con al- tre. Per esempio, egli osserva che certe istituzioni economi- camente adeguate nella società moderna, come la proprietà privata, possono entrare in tensione con le tendenze primi- tive all’egualitarismo, alla redistribuzione e al rifiuto dell’accumulazione di ricchezza.61 L’analisi dei conflitti tra le moderne istituzioni politico-economiche e le nostre ten- denze primitive è uno degli argomenti centrali del già citato libro di Rubin.Le “Imperfezioni umane” di Pani e Corbellini Di Valeria Covato | 06/06/2016 - Mailing Le “Imperfezioni umane” di Pani e Corbellini Fornire un punto di vista innovativo, cioè evoluzionistico, di tutto quello che riguarda la salute e le disfunzioni comportamentali, e suggerire qualche punto di vista originale sul perché nonostante le dissonanze evolutive, la condizione umana è globalmente migliorata. È questo l’obiettivo del libro dal titolo “Imperfezioni umane. Cervello e dissonanze evolutive: malattie e salute tra biologia e cultura” (Rubbettino), scritto da Luca Pani e Gilberto Corbellini, che sarà presentato domani, martedì 7 giugno, alle ore 16.30 a Roma presso il Centro studi americani (Via Caetani, 32).  CHI CI SARÀ  Dopo i saluti di Paolo Messa, direttore Centro studi americani, interverranno alla presentazione moderata da Micaela Palmieri (Tg1) monsignor Lorenzo Leuzzi, Vescovo ausiliare di Roma, Alberto Mingardi, direttore generale Istituto Bruno Leoni, Benedetto Ippolito, professore di storia della Filosofia presso l’università Roma tre.  IL VOLUME  “Negli ultimi vent’anni una nuova ipotesi di lavoro si è fatta strada in ambito medico sanitario, definita nel mondo anglosassone «evolutionary mismatch» (dissonanza evoluzionistica) – raccontano gli autori -. Questa teoria assume, in pratica, che l’ambiente nel quale la nostra specie ha acquisito i suoi tratti adattativi sia drammaticamente cambiato in un tempo troppo breve perché predisposizioni o tratti genetici e fenotipici dell’organismo fossero in grado di adeguarsi, per selezione naturale, alle novità”. Le conseguenze di queste dissonanze? “Disfunzioni o disturbi o rischi che richiedono un approccio medico”.  “Il libro è diviso in tre parti – spiegano Pani e Corbellini – Si inizia con un’illustrazione dei presupposti di qualunque strategia motivazionale, cioè dei meccanismi che sono alla base del piacere e delle ricompense, e da cui deriva – in ultima istanza – la possibilità di acquisire nuove conoscenze che consentono di affrontare le incertezze psicologiche che si accompagnano a qualunque comportamento esplorativo. La riflessione prosegue con esemplificazioni di risposte comportamentali che in particolari (o mutate) condizioni si manifestano come malattie. Il terzo capitolo è dedicato in modo specifico al comportamento alimentare e discute l’esempio più eclatante di dissonanza evoluzionistica: il mismatch metabolico. Gli ultimi due capitoli affrontano una serie d’imperfezioni e predisposizioni comportamentali umane che scaturiscono da compromessi evolutivi, e che risultavano vantaggiose o meno nel contesto dell’adattamento evolutivo, mentre i cambiamenti ambientali determinati dall’evoluzione culturale hanno generato, a loro volta, ulteriori fenomeni disadattativi”.   QUALI DISSONANZE  Nel dettaglio gli autori descrivono le dissonanze create dai nuovi contesti di vita per quanto riguarda cicli del sonno, accesso al cibo, comunicazione, cooperazione ovvero isolamento sociale, oppure di comportamenti più complessi come la rabbia aggressiva o l’altruismo; ma anche le preferenze politiche o l’intelligenza. Negli ultimi capitoli del volume emergono anche idee e ipotesi relative a scoperte cognitive e innovazioni che hanno migliorato la condizione umana, o reso possibili cambiamenti comportamentali incredibili.Il concetto di libero arbitrio implica che sussista nelle persone, dato un certo grado di sviluppo cognitivo e morale, la capacità di decidere e di agire, scegliendo tra diverse alternative disponibili, senza essere condizionati da fattori fisici o biologici di qualunque genere. Si assume, in altri termini, che le persone maturino una cosiddetta “agenticità”, cioè una capacità di agire e decidere in un quadro di consapevolezza degli effetti prodotti, che non è riducibile o spiegabile sulla base dei processi neurobiologici che hanno luogo nel cervello e/o alle leggi fisiche che li governano. Di libero arbitrio si può parlare, comunque, in molti modi e da diverse prospettive: filosofica, metafisica, giuridica, psicologica, etc.   Nel corso dell’evoluzione della specie, abbiamo sviluppato strutture cerebrali che ci fanno appunto “credere” di essere liberi e poter decidere in completa autonomia, e su questa finzione abbiamo costruito il nostro straordinario successo di animali sociali  Negli ultimi decenni le neuroscienze cognitive e comportamentali hanno profondamente messo in dubbio, con una quantità crescente di prove, la visione classica di “libero arbitrio”, aprendo un dibattito scientifico ancora in corso.  Qual è la sua posizione all’interno del dibattito?  La mia posizione è che il libero arbitrio è una credenza senza senso, come aveva spiegato bene, molto prima delle neuroscienze, il filosofo Spinoza. Se ci fosse qualcosa come il “libero arbitrio”, allora davvero potrebbe esserci qualsiasi cosa ci possiamo immaginare.  Tuttavia, è vero che,nel corso dell’evoluzione della specie,abbiamo sviluppato strutture cerebrali che ci fanno appunto “credere” di essere liberi e poter decidere in completa autonomia, e su questa finzione abbiamo costruito il nostro straordinario successo di animali sociali. Il libero arbitrio è un’illusione, ma un’illusione molto produttiva.  L’intuizione di ritenersi liberi, in un senso vago o indefinito, è una forma di autoinganno, come tante altre che sono prodotte dalla nostra coscienza, che nel tempo è stata socialmente addomesticata per inventare un altro autoinganno, cioè un senso individuale di responsabilità, con tutte le conseguenze che ne derivano anche per l’organizzazione di un ordine sociale efficiente sulla base di un sistema di obblighi.  Ovviamente questa strategia è modulata da specifiche condizioni ecologiche e sociali, per cui in alcuni contesti questa illusione si può espandere e diventare la base di sistemi anche molto progrediti per qualità di vita, come quelli occidentali, mentre in altri ambienti di vita sarà più adattativo che tale intuizione e illusione non maturi neppure, o maturi in forme che sono funzionali a all’accettazione di un comportamento consapevolmente eterodiretto.   L’intuizione di ritenersi liberi è una forma di autoinganno che nel tempo è stata socialmente addomesticata per inventare un altro autoinganno, cioè un senso individuale di responsabilità  Quali sono i rapporti fra emozioni e pensiero razionale? Con quali modalità le due componenti guidano il comportamento umano?  In che misura siamo (o possiamo essere) consapevoli di queste influenze?   Non è del tutto chiaro nei dettagli come interagiscano le strutture del cervello che controllano le emozioni o le reazioni impulsive, e quelle che controllano la pianificazione di azioni calcolate. Quello che si sa è che alcune condizioni, come trovarsi di fronte un’altra persona preferibilmente con le proprie stesse caratteristiche somatiche o un parente, induca l’inibizione di un comportamento utilitaristico, cioè volto a massimizzare qualche beneficio in generale a prescindere dai danni che si possono arrecare alle persone; ovvero che induca un comportamento di accudimento o altruistico, di carattere parentale o reciproco.  Mentre situazioni contrarie all’ordine morale appreso socialmente e attraverso l’educazione scatenano quasi automaticamente reazioni di disgusto o qualche altra avversione emotiva (ad esempio, rabbia o disprezzo).  Se non ci sono di mezzo contatti fisici, o rapporti parentali con altre persone, o impulsi emotivi avversi, le persone possono applicare un calcolo razionale e quindi scegliere un’azione in base all’utilità percepita o calcolata.  Comunque esistono diverse teorie su come emozioni e ragione entrano in gioco nelle scelte in generale, e in quelle morali in particolare. Quello che si sta sottovalutando, penso, è il ruolo che le emozioni, che mediano i valori morali, possono giocare nell’apprendimento di comportamenti, che a loro volta retroagiscono sui valori, cioè che possono cambiare nel tempo le predisposizioni delle persone nel rispondere a situazioni identiche o diverse. In altre parole, le emozioni servono direttamente alla sopravvivenza ed entrano in azione quando è minacciata l’omeostasi funzionale a qualche livello, e quindi servono a premiare o punire i comportamenti appresi sulla base della funzionalità che manifestano. Ma questi nuovi comportamenti possono far scoprire nuovi valori, cioè trovare premianti strategie diverse da quelle prevalenti nella società, e quindi modulare le emozioni originarie, evitando che gli impulsi emotivi inducano risposte non calcolate e che potrebbero essere deleterie.  In fondo, dato che noi occidentali sul piano genetico siamo praticamente uguali agli altri gruppi umani, qualcosa del genere potrebbe spiegare come ci siamo affrancati moralmente e politicamente da schemi decisionali tribali od oppressivi.   Credits to Unsplash.com Parliamo del legame tra violenza ed evoluzione: qual è il ruolo ricoperto dall’aggressività nell’evoluzione della specie, e quali sono le possibili determinanti genetiche del comportamento aggressivo?   L’aggressività, come la cooperazione, è stata un fattore chiave per la sopravvivenza e l’evoluzione della nostra specie. Come tutti i tratti, l’aggressività è polimorfica e quindi ci sono persone geneticamente più predispostedi altre all’aggressività.  È verosimile che la selezione sociale abbia col tempo reso più vantaggiosi i geni della cooperazione in alcuni contesti ecologici, e quindi favorito il processo socio-culturale che nell’età moderna ha ridotto drammaticamente la violenza sul pianeta, e soprattutto nel mondo che ha inventato la scienza e ha abbracciato lo stato di diritto. I governi occidentali continuano giustamente la lotta contro la criminalità e la violenza, ma nella storia del pianeta non c’è mai stata così poca violenza e aggressività, non solo in occidente ma nel mondo in generale, rispetto a oggi. Steven Pinker ha dimostrato questo fatto in un dettagliatissimo e acuto libro, “Il declino della violenza”.   Nella storia del pianeta non c’è mai stata così poca violenza e aggressività, non solo in occidente ma nel mondo in generale, rispetto a oggi  E per quanto riguarda la differenza di genere? Cosa sappiamo dei rapporti tra cervello maschile, cervello femminile e comportamento aggressivo?     Le differenze di genere nel comportamento aggressivo esistono. Studiando complessivamente l’aggressività di bambini e bambine si è visto che i due generi sono egualmente aggressivi verbalmente, mentre i bambini lo sono di più fisicamente rispetto alle bambine. Nel complesso i bambini sono più aggressivi delle bambine sul piano dell’aggressione diretta. Mentre le bambine sono indirettamente aggressive anche più dei bambini.     Queste differenze, come altre, dipendono verosimilmente da stimoli ormonali nel corso dello sviluppo e rispondono a strategie adattative selettivamente vantaggiose nell’ambiente dell’evoluzione. Il modo in cui maturano il cervello maschile e femminile dipende molto dai contesti e si conoscono diversi fattori ambientali e culturali che influenzano, ad esempio, la violenza a carico delle donne. Ci sono prove concrete del fatto che il patriarcato e la sua istituzione giuridica sono fattori importanti per la persistenza della violenza maschile ai danni delle donne, e del fatto che ridurre il dominio maschile attraverso delle adeguate politiche sociali riduce la violenza maschile e che la cooperazione tra donne riduce la violenza maschile sia contro le donne sia contro altri uomini.        Parliamo ora delle differenze individuali nel controllo degli impulsi…     Non ci sono moltissimi dati, ma uno studio di qualche anno fa ha esaminato cosa avviene nel cervello quando si fanno scelte impulsive, che svalutano una ricompensa ritardata, ovvero come viene rappresentata dinamicamente nel cervello la svalutazione del ritardo quando si sta aspettando e anticipando una ricompensapossibile che è stata desiderata e scelta.     La corteccia prefrontale ventromedialemanifesta uno schema caratteristico di attività durante il periodo di ritardo nel ricevere la ricompensa, oltre a esercitare un’attività modulatoria durante la scelta, che è coerente con la codificazione del tempo durante il quale avviene una svalutazione del valore soggettivo. Lostriato ventrale esibisce a sua volta uno schema di attività simile, ma preferenzialmente negli individui impulsivi. Un profilo contrastante di attività collegata al ritardo e alla scelta è stata osservata nella corteccia prefrontale anteriore, ma selettivamente in persone pazienti, cioè non impulsive. Quindi corteccia prefrontale ventromediale e corteccia prefrontale anteriore esercitano – sebbene ciò sia ancora da chiarire come – influenze modulatorie ma opposte rispetto all’attivazione dello striato ventrale. Ovvero quell’esperimento ci dice che il comportamento impulsivo e l’autocontrollo sono collegati a rappresentazioni neurali del valore di future ricompense, non solo durante la scelta, ma anche nelle fasi di ritardo post-scelta.  Cosa può voler dire tutto questo per il nostro discorso? Mi lasci citare ancora Spinoza, per il quale è «libera quella cosa che esiste e agisce unicamente in virtù della necessità della sua natura». La vera libertà, è autonomia e indipendenza, non arbitrio o scelta indeterminata. Quindi si è tanto più liberi e non soggetti a impulsi, quanto più alcune strutture del nostro cervello, altamente connesse e addestrate dall’esperienza, lo rendono autonomo e meno soggetto o costrizioni esterne.   Credits to Unsplash.com Quali sono le possibili influenze delle disfunzioni cognitive e dei fattori ambientali sulla capacità decisionale (anche ai fini dell’imputazione penale)? Può condividere con noi qualche caso di studio?   Casi di studio ce ne sono diversi, ma quelli al momento più esemplari riguardano gli effetti delle varianti alleliche del gene della monoaminossidasi A (MAOA), detto anche “gene del guerriero”, in quanto collegato all’aggressività su basi osservazionali mirate. In sostanza le persone con la variante che produce meno MAOA rispondono in modi più aggressivi e violenti, rispetto a chi esprime livelli più alti.  Il fatto interessante è che se queste persone predisposte all’aggressività sono state allevate in ambienti accoglienti, esprimono un’aggressività minore rispetto a omologhi genetici cresciuti in famiglie disagiate. Anche dati sperimentali in ambito psicologico e di economia comportamentale dimostrano che le aggressioni hanno luogo con maggiore intensità e frequenza, quando provocate in un contesto sperimentale, soprattutto in soggetti con una bassa attività di MAOA (MAOA-L). Gli studi sperimentali mostrano anche che il MAOA è meno associato con la comparsa dell’aggressione in una condizione di bassa provocazione, ma predice più significativamente il comportamento aggressivo in una situazione molto provocatoria.  Esiste ormai una letteratura sterminata anche sui casi di persone con anomalie morfologiche e funzionali dell’amigdala che regolarmente esprimono un profilo sociopatico, ovvero che non provano emozioni negative quando provocano sofferenze in altri individui. Si conoscono inoltre casi di tumori cerebrali o lesioni neurologiche che alterano la personalità individuale, e non poche persone hanno commesso crimini in quanto un tumore cerebrale ha alterato le loro capacità decisionali.     La memoria del testimone: in particolare, come si accerta l’attendibilità della testimonianza e quali sono i principali metodi di verifica?  Il sistema giudiziario si fonda sulla memoria: interrogatorio/confronto, testimonianze, ricordo dei giurati al momento di discutere il verdetto. Ma la memoria umana è falsata: il cervello non è una videocamera né un computer. Siamo suscettibili a false memorie.  Gli stati emotivi influenzano la qualità della memoria. La nostra storia personale influenza il modo in cui ricordiamo. Gli psicologi e gli esperti studiano soprattutto il problema della testimonianza oculare, perché in ben tre casi su cinque le identificazioni si rivelano sbagliate.  Esistono diversi metodi di controllo/verifica e volti a ridurre gli errori nelle testimonianze. Uno di questi analizza per esempio l’accuratezzadella testimonianza oculare e delle modalità di interrogatorio del testimone, per arrivare a una probabilità relativa al caso.   Il sistema giudiziario si fonda sulla memoria. Ma la memoria umana è falsata: il cervello non è una videocamera né un computer. Siamo suscettibili a false memorie.  Esiste anche un diritto alla riservatezza per i nostri ricordi. Nel senso che se io non intendo comunicare a qualcuno un ricordo, ho diritto a tenerlo per me. Un giudice deve avere forti ragioni per forzare l’accesso alla mia memoria, ed è comunque tenuto a rispettare i miei diritti fondamentali se ci prova. Se davvero si riuscirà a costruire affidabili brain lie detector, macchine della verità con accesso alle memorie cerebrali, si configurerà un problema sul fronte di normare i limiti del diritto di un giudice far rilevare impronte mnestiche del nostro cervello, i ai fini di un’indagine processuale. Non tanto per la riservatezza del dato di interesse, cioè se un imputato o un testimone mentono o dico la verità nel caso in specie, ma per il fatto che quell’accesso può rendere noti dei fatti che non hanno rilevanza con l’indagine e che potrebbero danneggiare la persona.  Inoltre, alcuni farmaci e tecnologie possono potenziare la memoria individuale. Ebbene, sarebbe lecito consentire a o incentivare alcuni attori del procedimento giudiziario (giudici e giurati) a potenziare le loro memorie ai fini di un più efficiente funzionamento del sistema?     La morale ha, o potrebbe avere, un fondamento biologico?  La morale ha un fondamento biologico. La morale serve a tenere insieme i gruppi umani sociali, e ha creato le premesse sociobiologiche per l’affermarsi della religiosità quale sistema di controllo incorporato nelle persone e alimentato socialmente per garantire che i valori morali adattativi in società meno complesse delle nostre siano mantenuti e trasmessi.     In prospettiva: quali sono a suo avviso i possibili intrecci tra acquisizioni neuroscientifiche e diritto penale? Quale impatto potrebbero avere sugli attuali meccanismi di attribuzione della responsabilità e di applicazione della pena?  Su questo punto la penso come chi ha detto che con l’arrivo delle neuroscienze, nel diritto, “cambia tutto e non cambia niente”[1].  Vale a dire che il concetto di libero arbitrio e quello intuitivo di giustizia come retribuzione (caratteristico del diritto naturale) sono destinati a essere abbandonati, perché privi di basi teorico-fattuali. Mentre si potrebbe affermare un concetto consequenzialista(utilitarista) della concezione della pena, più vicino al diritto positivo.   Il concetto di libero arbitrio e quello intuitivo di giustizia come retribuzione (caratteristico del diritto naturale) sono destinati a essere abbandonati, perché privi di basi teorico-fattuali  In Italia, come vengono accolte dalla magistratura le evidenze neuroscientifiche? E a livello internazionale?      L’Italia è all’avanguardia, se così si può dire, nell’uso di prove neuroscientifiche in tribunale. Due sentenze in particolare, Trieste 2009 e Como 2011, riconobbero il ruolo causale di tratti neurogenetici nel comportamento delittuoso, e di conseguenza attribuirono uno sconto di pena.  Le sentenze italiane sono state accolte con allarme in diversi contesti internazionali. Ma c’è poco da fare: se queste conoscenze e tecnologie acquisiranno una base sperimentalmente solida e consentiranno di prevedere con buona attendibilità le predisposizioni a commettere reati, è inevitabile che entreranno a far parte dello strumentario di lavoro dei giudici.  Tuttavia, esiste un’ambivalenza in Italia, come in altri paesi, verso l’uso delle prove neuroscientifiche. Intanto in Italia non tutti i giudici hanno ancora chiaro cosa sia una perizia neuroscientifica e ignorano criteriepistemologicamente validi e formalmente definiti per scegliere periti che apportino davvero prove scientifiche e controllate nel contesto di un dibattimento processuale. Ciò sebbene la Cassazione abbia in sentenze recenti fatto proprio lo Standard Daubert, che elenca regole di ammissibilità delle prove nei processi statunitensi.  Inoltre, si tratta comunque di definire cosa implica una diminuita imputabilità per colui che commette un reato, in quanto le sue azioni e decisioni dipendevano dal modo di funzionare del cervello e dalla sua dotazione genetica. Questo individuo è meno libero di altri e quindi anche meno responsabile, e quindi le sanzioni dovrebbero essere volte a ridurre al minimo le probabilità di reiterazione del o dei reati.  [1] Il riferimento è al noto scritto di J. Greene, J. Cohen, For the law, neuroscience changes nothing and everything, in Philos Trans R Soc Lond B Biol Sci, 359, 2004, pp. 1775 ss. Gilberto Corbellini. Keywords: Dawkins’ selfish gene – read selfish gene – medicina in Roma antica -- evoluzione, emergentismo, biologia filosofica, grammatical del vivente, cooperazione, altruismo, razionalita, utilitarismo, darwinismo sociale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Corbellini” – The Swimming-Pool Library.

 

CORDESCHI (L’Aquila). Filosofo. Grice: “Cordeschi is fine if you are into how we can model a pirot from an automaton – Descartes’s old idea!” -- Roberto Cordeschi (L'Aquila) filosofo.  Si laurea a Roma sotto Somenzi. Si appassiona subito alla storia della cibernetica, di cui Somenzi fu tra i primi studiosi e contributori in Italia. Con la co-supervisione di Radice discute una tesi sui Teoremi di incompletezza di Gödel. Insegna a Morino, Avezzano, Torino, Roma, e Saerno. Altre opere: “Turing” – homo mechanicus (Alan Mathison); “Turing’s homo mechanicus” (Pisa: Edizioni della Normale); “La cibernetica in Italia” (Roma: Scienze, Istituto della Enciclopedia Italiana); “Un padrino per l’Intelligenza Artificiale. Sapere; “L’intelligenza meccanica”; Alfabeta; “Dalla cibernetica a internet: etica e politica tra mondo reale e mondo virtuale; “Dal corpo bionico al corpo sintetico. Roma: Carocci); “Somenzi. testimonianze. Mantova: Fondazione Banca Agricola Mantovana); “Natura, machina, cervello e conoscenza”; “Autonomia delle macchine: dalla cibernetica alla robotica bellica” (Roma: Armando); “Rap-resentare il concetto: filosofia e modello computazionale”. Sistemi Intelligenti, “Fare a meno delle metafore: il metodo sintetico e la scienza cognitive” (Milano: Franco Angeli). Nuove prospettive nell’Intelligenza Artificiale, XXI SecoloNorme e idee. Roma: Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani), “Quale coscienza artificiale? Sistemi intelligenti, “Adattamento” e “selezione” nel mondo della natura” (Milano: Franco Angeli); “Computazionalismo sotto attacco” (Padova: CLEUP); Premessa al Documento di Dartmouth, Sistemi Intelligenti, “Psicologia, fisicalismo e Intelligenza Artificiale. Teorie e Modelli; “Forme e strutture della comunicazione linguistica. Intersezioni. Filosofia dell’intelligenza artificiale. In Floridi L., a cura di. Linee di ricerca, SWIF. Una lezione per la scienza cognitiva. Sistemi Intelligenti, Funzionalismo e modelli nella Scienza Cognitiva. Forum SWIF. CVecchi problemi filosofici per la nuova Intelligenza Artificiale. Networks. Rivista di Filosofia dell’Intelligenza Artificiale e Scienze Cognitive, In ricordo di Vittorio Somenzi Quaderno Filosofi e Classici SWIF; Intelligenza artificiale. Manuale per le discipline della comunicazione. Roma: Carocci. L’intelligenza Artificiale: la storia e le idee. Roma: Carocci); “Naturale e artificiale” (Bari: Edizioni Laterza); La scoperta dell’artificiale. Psicologia, filosofia e macchine intorno alla cibernetica. Milano-Bologna: Dunod-Zanichelli); “Pensiero meccanico” e giochi dell’imitazione. Sistemi Intelligenti; Prospettive della Logica e della Filosofia della scienza. Atti del Convegno SILFS. Pisa: ETS. I modelli della vita mentale, oggi e domani. Giornale Italiano di Psicologia, Filosofia della mente. Quaderni di Le Scienze, L’intelligenza artificiale. In: Bellone, E., Mangione, C., a cura di. Geymonat L., Storia del pensiero scientifico. Il Novecento,  3, Milano: Garzanti); Somenzi, V., La filosofia degli automi. Origini dell’intelligenza artificiale. Torino: Bollati Boringhieri); Indagini meccanicistiche sulla mente: la cibernetica e l’intelligenza artificiale. In: Somenzi, V., Cordeschi, R., a cura di. La filosofia degli automi. Origini dell’intelligenza artificiale. Torino: Bollati Boringhieri: Qualche problema per l’IA classica e connessionista. Lettera matematica PRISTEM, Una macchina protoconnessionista. Pisa: ETS: Le radici moderne del recupero scientifico della teologia. Nuova Civiltà Delle Macchine); Scienza e filosofia della scienza; La mente nuova dell’imperatore. La mente, i computer, le leggi della fisica. Milano. Wiener. In: Negri, A., a cura di. Novecento Filosofico e Scientifico. Protagonisti,  5, Milano: Marzorati, Turing. In: Negri, A., a cura di. Novecento Filosofico e Scientifico. Protagonisti,  5, Milano: Marzorati: Significato e creatività: un problema per l’intelligenza artificiale. L’Automa spirituale: Menti, Cervelli e Computer, Cervello, mente e calcolatori: précis storico dell’intelligenza artificiale. In: Corsi, P., a cura di. La fabbrica del pensiero. Dall’arte della memoria alle neuroscienze, Milano: Electa: L’intelligenza artificiale tra psicologia e filosofia. Nuova Civiltà delle Macchine, Mente, linguaggio e realtà. Milano: Adelphi. Linguaggio mentalistico e modelli meccanici della mente. Osservazioni sulla relazione di Margaret Boden. L’evoluzione dei calcolatori e l’intelligenza artificiale. Manuscript; La psicologia meccanicistica, Storia e critica della psicologia, La teoria dell’elaborazione umana dell’informazione. Aspetti critici e problemi metodologici. Roma: Editori Riuniti); Dal comportamentismo alla simulazione del comportamento. Storia e Critica della Psicologia, I sillogismi di Lullo. Atti del Convegno Internazionale di Storia della Logica. San Gimignano: Il duro lavoro del concetto: il neoidealismo e la razionalità scientifica. Giornale critico della Filosofia Italiana; La psicologia come scienza autonoma: Croce, De Sarlo e gli “sperimentalisti”. Per un’analisi storica e critica della Psicologia, 2Dietro una recensione crociana di Couturat. Quaderni di Matematica, Metodi per la risoluzione dei problemi nell’intelligenza artificiale, Per un’analisi storica e critica della psicologia, 2. Manuscript. La psicologia tra scienze della natura e scienze dello spirito: Croce e De Sarlo. In: Cimino G., Dazzi N. (1980), a cura di. Gli studi di psicologia in Italia: Aspetti teorici scientifici e ideologici, Quaderni di storia critica della scienza. Nuova serie. 9, Pisa: Domus Galileana); Una critica del naturalismo: note sulla concezione crociana delle scienze. Critica marxista; Introduzione alla logica. Roma: Editori Riuniti. Predicati. In: CIntroduzione alla logica. Roma: Editori Riuniti. Elementi di logica matematica. Roma: Editori Riuniti); Bilancio dell’empirismo contemporaneo. Scientia; La filosofia di Leibniz: esposizione critica con un’appendice antologica. Roma: Newton Compton Italiana); Filosofia e informazione. Padova: La Cultura; Validità e reiezione nella logica aristotelica. Il problema della decisione. Report: Storia della Filosofia Antica. Istituto di Filosofia, Roma. Manuscript. In generale, nella implicatura robotica c’è la tendenza a ricorrere al vocabolario delle rappresentazioni solo quando, per così dire, non se ne può fare a meno, ovvero, più precisamente, quando si lascia il livello puramente reattivo nel quale il lessico delle rappresentazioni sarebbe banale, per passare a quello topologico e, a maggior ragione, a quello metrico o delle mappe cognitive. Due robot puramente reattivi sono capaci di risolvere alcuni compiti per i quali, nella ricerca su animali (la squarrel Toby di Grice), si erano invocate rappresentazioni complesse come le mappe cognitive. Questi stessi robot reattivi, man mano che si riducono le restrizioni sull’ambiente, diventano sempre meno abili nell’affrontare quegli stessi compiti, che possono essere risolti solo da agenti dotati di stati interni (attitudine psicologica) ai quali essi riconoscono lo status di rappresentazioni. La massima sarebbe in questi casi quella di esaminare tutti i modi possibili di spremere l’ultima goccia di informazione dal livello reattivo prima di parlare dell’influenza della rappresentazione, modello del mondo o mappa sul comportamento intelligente. Circa la natura delle rappresentazioni, una volta ammesse, le opinioni sono contrastanti, e riflettono la varietà dei punti di vista ormai usuale in intelligenza artifiziale e intelligenza naturale, classica o nouvelle che sia. Si può parlare di rappresentazione anche per i pattern connessionisti, a patto di distinguere la relativa computazione. La rappresentazione e solo simbolica, quale che sia la loro complessità, e un pattern connessionista, non essendo considerato simbolico, non e una rappresentazione. Si parla di una rappresentazione che possono essere di diversa complessità e accuratezza, esplicita (spliegatura) o implicita (impiegatura), metrica o topologica, centralizzata o distribuita. E in generale si parla di ra-presentazione simbolica quando si è in presenza di un costrutto dotato di proprietà ritenuta analoga a quella del segno. Ricorrenti valutazioni polemiche da parte di alcune tendenze dell’IA nouvelle identificano nell’Ipotesi del Sistema Fisico di Simboli il paradigma linguistico per eccellenza dell’IA classica. Tuttavia, un confronto di qualche anno fa tra sostenitori e critici di questa ipotesi mostra come questa interpretazione sia quanto meno opinabile. Sarebbe opportuno tenerne conto, per evitare di porre in un modo troppo sbrigativo l’identificazione tra simbolo e  il concetto piu generale di segno in IA classica e per affrontare senza pregiudizi i difficili problemi che stanno alla base della costruzione di un modello di conversazione, tra i quali quello della natura della rappresentazione. Mi riferisco all’interpretazione in termini di un sistema di elaborazione simbolica dell’informazione (dunque in termini di un sistema fisico materiale di simboli) di sistemi tradizionalmente non considerati tali, come quelli proposti dai teorici dell’azione situata. L’idea di simbolo che sta alla base di questa ipotesi è che un simbolo è un pattern che denota, e la nozione di denotazione è quella che dà al simbolo la sua capacità rappresentazionale. Il pattern puo denotare altro pattern, sia interni al Si veda per una formulazione particolarmente esplicita (Gallistel 1999). 12 Detto in breve, tali proprietà riguardano, tra l’altro, la produttività, ovvero la capacità di generare e capire un insieme illimitato di frasi, e la sistematicità, ovvero la capacità di capire ad esempio tanto aRb quanto bRa. Fodor ne ha fatto la base per la sua controversa ipotesi del “linguaggio del pensiero” Per una introduzione all’argomento, si veda (Di Francesco 2002). 13 Per pattern si intende, come sarà più chiaro nel seguito, una struttura fisica, biologica o inor- ganica, che può essere oggetto di processi computazionali—codifica, decodifica, registrazione, cancellazione, cambiamento, confronto—i quali occorrono in sistemi diversi, in un calcolatore e nel sistema nervoso, anche se in quest’ultimo caso non sappiamo nei dettagli come. Questa tesi provocò diverse reazioni (si vedano i volumi 17 e 18 di Cognitive Science). Si noti che nelle intenzioni di Simon e Vera la tesi non comporta che ogni pattern sia dotato di meccanismo  sistema che esterni ad esso (nel mondo reale), e anche stimoli sensoriali e azioni motorie. Processi tanto biologici quanto inorganici possono essere simbolici in questo senso e, dal punto di vista sostenuto da Simon e Vera, i relativi sistemi sono sempre sistemi fisici di simboli, ma a diversi livelli di complessità. Per esempio, nel caso più semplice che riguarda gli organismi, anche l’azione riflessa (subcorticale) è un processo simbolico: la codifica di un simbolo provocata da un ingresso sensoriale, poniamo la bruciatura di una mano, dà luogo alla codifica di un simbolo motorio, con la conseguente rapida effettuazione dell’azione, in questo caso il ritirare la mano. Più precisamente, l’idea è che “il sistema nervoso non trasmette certo la bruciatura, ma ne comunica l’occorrenza. Il simbolo che denota l’evento [la brucia- tura] viene trasmesso al midollo spinale, che a sua volta trasmette un simbolo ai mu- scoli, i quali esercitano la contrazione che consente di ritirare la mano.” Nel caso degli artefatti, già il solito termostato è un sistema fisico di sim- boli, sebbene particolarmente semplice: il suo livello di tensione è un simbolo che denota uno stato del mondo esterno. Come ho ricordato, anche Brooks ha finito per riconoscere alle rappresentazioni un loro ruolo nel comportamento dei suoi robot, se non altro alle rappresentazioni “relati- ve al particolare compito per il quale sono usate” (i “modelli parziali del mondo”), quali potrebbero essere, a diversi livelli di complessità, quelle usate da agenti naturali come Cataglyphis o da agenti artificiali come Toto o il solutore di labirinti sopra ri- cordato. Simon e Vera considererebbero senz’altro agenti del genere come sistemi fisici di simboli, dotati di un’attività rappresentazionale molto sofisticata, anche se specializzata a un compito particolare. Ma essi includono tra i sistemi fisici di simboli anche artefatti molto più semplici, come il ricordato termostato, e agenti robotici pu- ramente reattivi o collocabili al livello del taxon system (che, seguendo Prescott, era stato definito come una catena di associazioni consistenti in coppie <stimolo, risponsa>). Secondo i due autori, i primi robot alla Brooks sono (un tipo relativamente sem- plice di) sistemi fisici di simboli: anche l’interazione senso-motoria diretta di un agen- te con l’ambiente nella misura in cui dà luogo a un comportamento coerente alle rego- larità dell’ambiente, non può essere considerata se non come manipolazione simboli- ca. Ho ricordato sopra il semplice comportamento reattivo di Allen, che tramite sonar evita ostacoli presenti in un ambiente reale. In questo caso, i suoi ingressi sensoriali danno luogo a un processo di codifica, e i costrutti in gioco (i simboli, secondo la definizione sopra ricordata) che risultano da tale interazione sensoriale, e poi motoria, dell’agente con l’ambiente sono rappresentazioni interne (degli ostacoli esterni da evitare) in un senso non banale: l’informazione sensoriale captata dal robot è converti- ta in simboli, i quali sono manipolati al fine di determinare gli appropriati simboli motori che evocano o modificano un certo comportamento. L’assenza di memoria in questo tipo di agente comporta che l’azione sia eseguita senza una rappresentazione esplicita del piano e dell’obiettivo che orienta l’azione stessa (senza pianificazione), ma non che non ci sia attività rappresentazionale simbolica. Qual è la natura di questi simboli, di queste rappresentazioni simboliche? denotazionale, cosa che evidentemente renderebbe banale questa definizione di simbolo: ci sono pattern che non denotano, tanto naturali quanto artificiali. Sulla sufficienza della denotazione per caratterizzare la nozione di simbolo (come di rappresen- tazione) si è molto discusso. Nel caso degli artefatti più semplici si tratta di rappresentazioni analogiche che stabiliscono e mantengono la relazione funzionale del sistema con l’ambiente. Questo, si è visto, è già vero per il solito termostato. Nel caso di (come pure di certi sistemi connessionisti, o che includono sistemi connessioni- sti), tali rappresentazioni (analogiche) hanno carattere temporaneo (senza intervento di memoria) e distribuito (non sono sottoposte a controllo centralizzato). In questi casi, una rappresentazione certo imprecisa ma sufficientemente efficace è fornita da un sonar sotto forma di un pattern interno fisico (un pattern di nodi della rete, nel caso di un sistema connessionista): essa denota o rappresenta per il robot un ostacolo o una certa curvatura di una parete o di un percorso. Una volta che tale pattern venga comu- nicato a uno sterzo, esso determina l’angolo della ruota sterzante del carrello del ro- bot. Per quanto diversa a seconda dei casi, è sempre presente un processo di codifica- elaborazione-decodifica non banale, che stabilisce una ben precisa relazione funziona- le tra il sistema e l’ambiente, e spiega il comportamento coerente dell’agente nell’interazione con il mondo. Non parlare di rappresentazioni interne, e limitarsi a dire che un agente “intrattiene certe relazioni causali con il mondo, non spiega come tali relazioni vengano mantenute. E’ del tutto ragionevole sostenere che un agente mantiene l’orientamento verso un oggetto tramite una relazione causale (Grice, “La teoria causale della percezione”) con esso e che tale relazione è un pattern di interazione, ma non ha senso pensare che tale pattern venga prodotto per magia, senza un corrispondente cambiamento di stato rappresenta- zionale dell’agente, ovvero che esso possa aver luogo senza una rappresentazione interna fosse pur minima.” Rappresentazioni più complesse, che sono alla base di un’attività non semplicemente percettiva diretta, sono presenti in altri casi, quando entrano in gioco la me- moria, l’apprendimento, il riconoscimento di oggetti e l’elaborazione di concetti, la formulazione esplicita di una mappa o di piani alternativi, sotto forma di rappresentazioni off-line, e ancora. In molte di queste attività “alte” intervengono rappresentazioni esplicite, linguistiche e metriche, ma se si riconosce che la cognizione richiede questo tipo di rappresentazioni, è difficile mettere in dubbio che tali attività non condividono con attività più “basse” come la percezione, sulle quali esse vengono elaborate, il meccanismo denotazionale, sia pure in una forma minimale. A meno di restringere arbitrariamente la nozione di rappresentazione e di simbolo, non c’è ragione di riservarla esclusivamente a pattern linguistici, o ai costrutti della semantica denotazionale (variabili da vincolare ecc.). Penso si possa sottoscrivere questa conclusione di Bechtel: “la nozione base [di rappresentazione] è effettivamente minimale, tale da rende- re le rappresentazioni più o meno ubique. Esse sono presenti in ogni sistema organiz- zato che si è evoluto o è stato progettato in modo da coordinare il suo comportamento con le caratteristiche dell’ambiente. Ci sono dunque rappresentazioni nel regolatore, nei sistemi biochimici e nei sistemi cognitivi”. Il riferimento di Bechtel al regolatore di Watt è polemico nei confronti di van Gelder, che ne faceva il prototipo della sua concezione non computazionale e non simbolica della co- gnizione. In realtà questo tipo di artefatti analogici (sistemi a feedback negativo e servomecca- nismi) erano stati interpretati come sistemi rappresentazionali già all’epoca della cibernetica, in primo luogo da Craik, che ne aveva fatto la base per una “teoria simbolica del pensie- ro”, come egli la chiamava, per la quale “il sistema nervoso è visto come una macchina calcola- trice capace di costruire un modello o un parallelo della realtà”. Non entriamo in questa sede sui diversi problemi relativi al contenuto delle  Simon e Vera distinguono il livello della modellizzazione simbolica da quello della realizzazione fisica (sia biologica che inorganica) di un agente. Nell’interazione con l’ambiente, un agente ha un’attività rappresentazionale che è data dalle caratteri- stiche specifiche del suo apparato fisico di codifica-elaborazione-decodifica di simboli. Si pensi ancora alla codifica, molto approssimativa ma generalmente efficace, at- traverso sonar degli ostacoli da parte di un robot reattivo, e alla relativa decodifica che si conclude in un ben determinato movimento. La modellizzazione simbolica di questa capacità non appare in linea di principio diversa da quella “alta” sopra ricordata. L’idea è che tutti questi tipi o livelli di rappresentazioni, da quelli legati alla percezio- ne a quelli più alti della “ricognizione”, possono essere opportunamente modellizzati attraverso regole di produzione, come livello di descrizione di un sistema fisico di simboli. Un robot basato sull’architettura della sussunzione non fa eccezione. Ad esempio, il funzionamento di un modulo reattivo al livello più basso dell’architettura, che con- trolla la reazione di evitamento di ostacoli, potrebbe essere reso da un’unica regola di produzione del tipo “se c’è un ostacolo rilevato attraverso sonar e bussola allora fermati”. Questa possibilità sembra essere stata presa in considerazione dallo stesso Brooks, che però la respingeva in questi termini: “Un sistema di produzione standard in realtà è qualcosa di più [di un robot behavior-based], perché ha una base di regole dalla quale se ne seleziona una attraverso il confronto tra la precondizione di ogni regola e una certa base di dati. Le precondizioni possono contenere variabili che de- vono essere confrontate con costanti nella base di dati. I livelli dell’architettura della sussunzione funzionano in parallelo e non ci sono variabili né c’è bisogno di tale confronto. Piuttosto, vengono estratti aspetti del mondo, che evocano o modificano direttamente certi comportamenti a quel livello. Tuttavia, se distinguiamo il livello della realizzazione fisica da quello della sua modellizzazione, quella che Brooks chiama l’estrazione degli “aspetti del mondo” rilevanti per l’azione è descritta in modo adeguato da un opportuno sistema di regole di produzione, e tramite tale sistema un certo comportamento di una sua creatura può essere evocato o modificato nell’interazione con l’ambiente. E questo modello (a regole di produzione) delle regolarità comportamentali di diversi livelli dell’architettura della sussunzione può essere implementata in un dispositivo che, grazie all’elevato grado di parallelismo, presenta doti di adattività, robustezza e rispo- sta in tempo reale paragonabili a quelle di un dispositivo behavior-based. In questo senso, le regole di descrizione danno una modellizza- zione adeguata del comportamento di un agente situato. Oltre alle risposte automatiche, che nel caso dell’azione riflessa o “innata” e di quella reattiva possono essere rese attraverso un’unica regola di produzione (qualcosa che corrisponda a una relazione comportamentista S→R), esistono le azioni automa- rappresentazioni, al ruolo dell’utente degli artefatti e alla natura della spiegazione cognitiva. L’articolo di Bechtel contiene una disanima efficace di questi problemi, rispetto a posizioni diverse come quella sostenuta da Clancey contro la tesi di Vera e Simon. In breve, le regole di produzione hanno la forma “se... allora”, o CONDIZIONE → AZIONE. La memoria a lungo termine di un sistema fisico di simboli è costituita da tali regole: gli antecendenti CONDIZIONE permettono l’accesso ai dati in memoria, codificati dai conseguenti AZIONE. tizzate a seguito dell’apprendimento, quando cioè le regolarità relative a un certo comportamento sono state memorizzate, o quelle che comportano una relazione “di- retta” con il mondo tramite le affordance alla Gibson. Un esempio sono le risposte immediate che fanno seguito a sollecitazioni improvvise o impreviste provenienti dall’ambiente Ora i teorici dell’azione situata (e, come si è visto, i nuovi robotici) insistono sul fatto che questi casi di interazione diretta con l’ambiente si svolgono in tempo reale, senza cioè che sia possibile quella presa di decisione, diciamo così, meditata che ri- chiede la manipolazione di rappresentazioni e la pianificazione dell’azione. Si pensi all’esempio di Winograd e Flores dell’automobilista che, guidando, affronta una curva a sinistra. In primo luogo, secondo i due autori, non è necessario che egli faccia continuamente riferimento a conoscenze codificate sotto forma di regole di produzione—non è necessario riconoscere una strada per accorgersi che è “percorribi- le” (la “percorribilità”, questa è la tesi, è colta nella relazione diretta agente- ambiente). In secondo luogo, la decisione è presa dall’agente, per così dire, senza pensarci (senza pensare di posizionare le mani, di contrarre i muscoli, di girare lo sterzo in modo che le ruote vadano a sinistra ecc.). Tutto ciò avviene automaticamente e immediatamente, dunque senza applicare qualcosa come una successione di regole di produzione “se p, q”. In conclusione, la tesi è che non è possibile modellizzare questo aspetto della presa di decisione istantanea, o in tempo reale, attraverso un dispositivo che comporta codifica-elaborazione-decodifica di simboli, dunque computazioni, regole di produzione e così via. L’obiettivo della critica di Winograd e Flores è la teoria della presa di decisione nello spazio del problema, con il quale ha a che fare l’agente a razionalità limitata di Simon. Ora, se prendiamo sul serio la teoria di Simon, va detto che alla base del carat- tere limitato della razionalità dell’agente sta la complessità dell’ambiente non meno dei limiti interni dell’agente stesso (limiti di memoria, di conoscenza della situazione ecc.). Nel prendere la decisione, quest’ultimo, secondo la teoria di Simon, in generale non è in grado di considerare, come spazio delle alternative pertinenti, lo spazio di tutte le possibilità, ma solo una parte più o meno piccola di esso, e questa selezione avviene sulla base delle sue conoscenze, aspettative ed esperienze precedenti. Ora una presa di decisione istantanea, non meno di una presa di decisione meditata, è condi- zionata da questi elementi, i quali, una volta che abbiano indotto, poniamo attraverso l’apprendimento, la formazione di schemi automatici di comportamento (di risposte motorie, nell’esempio di sopra), finiscono per determinare l’esclusione immediata di certe alternative possibili (come, nell’esempio della guida, innestare la marcia indietro) a vantaggio di altre (come scalare marcia, frenare ecc.), e tra queste altre quelle suggerite dalla conoscenza dell’ambiente stesso (fondo strada bagnato ecc.) e dalle Le affordance, nella terminologia di Gibson (1986) sono invarianti dell’ambiente che vengo- no “colte” (picked up) dall’agente “direttamente” nella sua interazione con l’ambiente stesso, e “direttamente” viene interpretato come: senza la mediazione di rappresentazioni e di computa- zioni su esse. Un esempio sono i movimenti dell’agente in un ambiente nel quale deve evitare oggetti o seguirne la sagomatura e così via: un po’ quello che fanno i robot reattivi di cui ho parlato. L’esempio del termostato è ricorrente in scienza cognitiva e in filosofia della mente dai tempi della cibernetica. E’ evidente che definire sistemi fisici di simboli artefatti di questo tipo (e del tipo dei robot di Brooks, come vedremo) comporta rinunciare al requisito dell’universalità per tali sistemi (sul quale si veda Newell 1980).  aspettative pertinenti.17 Secondo le stesse parole di Simon “il solutore di problemi non percepisce mai Dinge an sich, ma solo stimoli esterni filtrati attraverso i propri pre- concetti” (Simon 1973: 199). Di norma, dunque, l’informazione considerata dall’agente non è collocata in uno spazio bene ordinato di alternative, generato dalla formulazione del problema: tale informazione è generalmente incompleta, ma è pur sempre sostenuta dalla conoscenza della situazione da parte dell’agente. La proposta è, dunque, che la modellizzazione a regole di produzione di un’azione del genere, e in generale di una affordance, è un simbolo che, via il sistema percettivo di codifica, raggiunge la memoria del sistema per soddisfare la CONDIZIONE di una regola di produzione esplicita. In questo modo, soddisfatta la CONDIZIONE, si attiva la regola, e la produzione (la decodifica) del simbolo di AZIONE avvia la risposta motoria. Da questo punto di vista, le affordance sono rappresentazioni di pattern del mondo esterno, ma con una particolarità: quella di essere codificate in un modo particolar- mente semplice. Nell’esempio di sopra, una volta che si sia imparato a guidare, la regola è qualcosa come: “se la curva è a sinistra allora gira a sinistra”. Questa regola rappresenta la situazione al livello funzionale più alto nel quale la rappresentazione che entra in gioco è “minima”. Un termine del genere, a proposito delle rappresentazioni, lo abbiamo visto usato da Gallistel, ma per Simon e Vera il termine rimanda alla forma della regola indicata, che può essere rapidamente applicata: in questo caso, cioè, non c’è bisogno di evocare i livelli “bassi” o soggiacenti, quelli coinvolti con l’analisi dettagliata dello spazio del problema e con l’applicazione delle opportune strategie di soluzione, che comportano computazioni generalmente complesse, sotto forma di successioni di regole di produzione. Questi livelli intervengono nelle fasi dell’apprendimento (quando si impara come affrontare le curve), e possono essere evocati dall’agente quando la situazione si fa complicata (si pensi a una curva a raggio variabile, che rivela la complessità dell’interazione codi- fica percettiva-decodifica motoria). E tanto un apprendimento imperfetto quanto una carenza, per i più svariati motivi, dell’informazione percettiva rilevante possono anche ostacolare l’accesso ai livelli soggiacenti che potrebbero dare luogo alla risposta cor- retta (non tutti coloro che hanno imparato a guidare riescono ad affrontare tutte le curve con pieno successo in ogni situazione possibile). Insomma, in questa interpretazione di Simon e Vera l’interazione in tempo reale dell’agente con l’ambiente è data non dal fatto di essere non simbolica e di non poter essere modellizzata mediante regole di produzione, ma dal fatto di non dover accede- re, per dare la risposta corretta, alla complessità delle procedure di elaborazione sim- bolica dei livelli soggiacenti a quello alto. E’ nell’attività cognitiva ai livelli soggiacenti, allorché si elaborano piani e strategie di soluzione di problemi, che viene evidenziata la consapevolezza dell’agente. Simon e Vera ponevano infine un problema che riguarda i limiti degli approcci reattivi, sul quale mi sono già soffermato, e che mi sembra condivisibile: “E’ tuttora dubbio se questo approccio behavior-based si possa estendere alla soluzione di pro- blemi più complessi. Le rappresentazioni non centralizzate e le azioni non pianificate possono funzionare bene nel caso di creature insettoidi, ma possono risultare insuffi- cienti per la soluzione di problemi più complessi. Certo, la formica di Simon non ha 17 Su questo tipo di comportamento, che può essere visto in termini di “percezione attesa”, si veda bisogno di una rappresentazione centralizzata e stabile del suo ambiente. Per tornare al nido zigzagando essa non usa una rappresentazione della collocazione di ciascun gra- nello di sabbia in relazione alla meta. Ma gli organismi superiori sembrano lavo- rare su una rappresentazione del mondo più robusta, [...] una rappresentazione più complessa di quella di una formica, più stabile e tale da poter essere manipolata per astrarre nuova informazione”. La successiva evoluzione della robotica sembra confermare questa osservazione.

 

 

Roberto Cordeschi. Keywords: Croce, sperimentalismo italiano, mente, homo mechanicus, Turing, Craik, artificiale e naturale, filosofia, rappresentare il concetto, logica matematica, reiezione in Aristotele, predicate, significato, communicazione, creativita, informazione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cordeschi” – The Swimming-Pool Library.

 

CORLEO (Salemi). Filosofo. Grice: “Corleo is a genius --  His keyword is identity, the Hegelian type, and that’s why he attracted Gentile’s attention! But my favourite is his excursus on language! He talks like a veritable Griceian – about ‘intenzione’ and ‘pre-convezione’ – and the spontaneous cry to seek attention, Romolo from Remo, say – He very much elaborates on the subject and the predicate and the copula, and the other parts of speech – But he retains an empiricist, evolutionary viewpoint with which I wholly agree!” Studia nel Seminario vescovile di Mazara del Vallo, laureandose a Palermo. Crea un seminario di psicologia filosofica. Liberale, aderì alla rivoluzione siciliana. Su saggio, “Progetto per una adeguata costituzione siciliana”.  Durante la spedizione dei mille, fu nominato da Garibaldi governatore di Salemi – Saggio: “Garibaldi e i Mille”. Saggio: “Storia dell’enfiteusi dei terreni ecclesiastici in Sicilia”. Diviene conte di Salemi.  Altre opere: “Meditazioni filosofiche”; “Il sistema della filosofia universale; ovvero, la filosofia dell’identità”; “Per la filosofia morale”; “Lezioni di filosofia morale”. Dizionario biografico degli italiani. La regola d'identità, dipendente dall’esperienza e dal concetto appartene a qualunque specie di giudizio, giudizio affermativo (S e P) o giudizio negativo (S non e P), giudizio condizionale (Si p, q), giudizio tetico (S e P), giudizio ipotetico (Si p, q), giudizio disgiuntivo (p o q), e via via ; poichè ,ogni proposizione o giudizio, semplice or complessa, debbe congiungere un predicate ad un soggetto (S e P) o negare un predicato ad un soggetto (S non e P), e ciò non può farsi altrimenti che in forza della identità parziale o totale del predicato stesso col soggetto, ovvero del contrario o contrapposto del predicato in caso di giudizio negativo, sia cotesta identità assoluta, o sperimentale, sotto condizione, problematica, o in forma disgiuntiva. Il raciocinio è un complesso di giudizi che serve a scoprire una verità incognita per mezzo di una verità nota, o a dimostrare il nesso ignoto tra due verità conosciute. Onde il raciocinio deve esser fodato sulla medesima legge d'identità, che costituisce l'essenza dei giudizi di cui è composto. Ogni passaggio da una verità ad un'altra, da un giudizio ad un altro, è giustificato dalla connessione che deve esistere tra loro. Se connessione non vi è, non si può dall'uno inferir l'altro, non vi è passaggio legittimo o accettabile dal noto all'ignoto, e molto meno si può scoprire il nesso incognito tra due veri conosciuti. Or, questa stessa connessione non è che effetto d'identità. Parrà strano che la connessione si debba risolvere anch'essa in identità; ma riflettendo con attenzione, si scorge chiaro che in fondo è così, nè può essere altrimenti. Se S è connesso con P, ciò non importa che S sia identico con P, ma importa invece che ambidue sieno identici con S-P, cioè, che sieno parti integranti del tutto S-P, di guisa che la loro connessione non *significa* o signa altro, che il loro legame necessario per la formazione di quel tutto complesso proposizionale (S e P); onde se essi non fossero con nessi a comporre il tutto S-P, quel tutto non sarebbe mai quello che è, non sarebbe identico alla somma delle parti che lo costituiscono. Due o più giudizi, tra loro connessi, sono parti integranti di un giudizio di maggiore estensione che tutti li abbraccia, ed è identico con essi come il tutto è identico con la somma delle sue parti. Laonde non può esser vero l'uno senza che sia vero l'altro, perocchè in diverso non sarebbe vero quel giudizio maggiore che risulta dalla verità di tutti i giudizi subalterni dai quali è costituito. Se, per cagion d'esempio, prendiamo ad esaminare ogni teorema geometrico intorno alle proprietà del “triangolo” in genere e delle varie sue specie, scorgiamo tosto che vi ha una continua connessione tra cotesti teoremi, nè puo uno esser vero se non sieno veri tutti gli altri di seguito; onde essi si dimo strano a vicenda. La ragione di ciò è semplicissima. Essi non sono che le parti necessarie di un solo tutto, del concetto di “triangolo” e delle sue specie subalterne, e tutti più o meno mediatamente in quel concetto complessivo sono compresi. Pertanto non vi ha che un identico totale (talora nemmeno avvertito ), il quale, per esser quello che è, ha bisogno che ciascuna delle sue parti sia quella che è, e che tutte insieme concorrano con unità di nesso a costituirlo, come le parti si debbon legare fra loro per unirsi nella identità di un sol tutto. Metto una grande importanza in queste osservazioni sul raziocinio e sulla connessione (consequenza logica) de' suoi membri; poichè l'unica che sembrerebbe scappare dalla rigorosa legge della identità sarebbe la connessione tra i giudizi diversi (premessa e conclusion), di cui consta un ragionamento. Eppure, quella connessione non è altro che il frutto dell'identità totale di un giudizio maggiore e più esteso, il quale abbraccia come sue parti necessarie ogni giudizio subalterno; e quelli sono per l'appunto connessi, perchè tutti in sieme formano un solo e identico giudizio di più larga estensione. Nè fa d'uopo che nel ragionare si abbia presente quel giudizio maggiore, nel quale si congiungono con identità totale i giudizi connessi. Esso opera senza che il ragionatore lo sappia, poichè è virtù dell'identico totale riunire per necessità le parti fra di lor , senza di cui egli non potrebbe esser quello che è. Ciò sapendo, chi ragiona può benissimo salire dai veri connessi a quel vero più ampio che tutti li abbraccia e nella sua unità totale li identifica. Sarà questo un sistema più completo di ragionare, perocchè non ci contenteremo di scorgere il nesso tra parecchi giudizi, di procedere per mezzo di tal nesso alla scoperta di un giudizio novella e di dire che uno essendo vero, tutti gli altri debbono pure esser veri; ma cercheremo ancora in qual giudizio plenario e più esteso essi tutti vadano a connettersi per la identità di unico comune risultato. In ciò consiste l'analiticita logica. Il raciocinio analitico ercano la dimostrazione dei teoremi singoli o la risoluzione dei singoli problemi nella proprietà, o nella funzioni e simili, che sono appunto i giudizii più ampli e plenary, nei quali tutti quei singoli s'identificano come parti di un sol tutto. Nella parte logica la connessione non è che l'identità del tutto più ampio con le sue parti subalterne, senza il cui necessario legame egli non risulterebbe quello che è. Il ragionamento è dimostrativo, quando serve a chiarire il nesso tra verità e verità. Dimostrare niente altro è che legare tra loro i giudizi come connessi, e la connessione pertanto vi è, perchè i loro rispettivi subbietti, quand'anco non si sappia, si raggruppano in unico e identico subbietto più esteso che tutti li abbraccia come tante sue parti: onde vi ha passaggio, dalla identità parziale di un predicato P col suo soggetto S, all'identità parziale dell'altro predicato P2 con l'altro suo soggetto S2, e così di seguito; perocchè essi tutti costituiscono un solo subbietto più esteso, che di tutti quei predicati si compone, e che perciò è identico con la loro somma. Un subbietto subalterno non potrebbe concorrere alla costituzione del subbietto totale, se non possedesse quel tale predicato e se gli altri subalterni non possedessero quelli altri predicati; onde la connessione fra tutti, se è vero l'uno, debbono esser veri gli altri, ed *implicitamente* deve esser vero il giudizio totale, con cui tutti s'identificano. È inventivo e non dimostrativo il raziocinio, quando, dalla verità che si conosce, si passa a quella che s'ignora; ed anco in tal caso la ragion del passaggio è fondata sulla connessione, e perciò sulla legge d'identità, in quanto che dalla identità parziale che si conosce, si sospetta prima e poi si scopre la identità totale. Per causa di alcuni punti d'identità o di parziali somiglianze tra un fenomeno ed un altro, si concepisce la *possibile* identità dei loro elementi in un sol tutto, e delle leggi che li governano. In questo caso vi ha l'*ipotesi* o supposizione, che annunzia come *possibile* identico totale quello che tuttora non è che un identico parziale. La conoscenza dei punti, della cui identità bisogna ancora certificarsi, conduce a cercare la medesima identità con quei mezzi, coi quali essa ordinariamente si osserva in altri simili. Ed allora uno dei due, o si giunge all'accertamento della identità di tutti gli elementi essenziali tra un fenomeno e l'altro, tra una legge e l'altra, e si ha perciò l'identità totale, si ha la tesi o posizione; o non si giunge ad accertarla per ostacoli presentemente insuperabili, di cui però dobbiamo renderci conto, e si resta in tal caso nella identità parziale, nella ipotesi o supposizione, pur sapendo quello che manca e perchè manchi, per poterla trasformare in tesi o posizione quando che sia. Tanto il raziocinio dimostrativo, quanto l'inventivo si valgono dell’esperienza concetto; poichè la *testificazione* della identità parziale tra predicato e soggetto di ogni giudizio, che compone un raziocinio, deve esser data dall’esperienza. Se è composto di giudizi sperimentali, risulta pur esso sperimentale; e la connessione dipende dalla loro parziale identità con un giudizio sperimentale di ordine superiore, il quale talvolta nemmeno è conosciuto, ma vi si deve giungere in forza di altre esperienze, come per lo più accade nel raziocinio inventivo. Siccome pero il giudizio sperimentale e tale temporaneamente, cioè fino a tanto che l'identità del predicato P col soggetto S sia solo testificata dall'esperienza, perchè ancora tutti gli elementi di essa non sono conosciuti, nè si ha l'identico concettuale che dovrebbe trasformare in concettuale il giudizio em pirico, così i raziocinî sperimentali, o anco misti, potranno divenire quando che sia raziocinî concettuali, fondati sull'identità assoluta dei concetti, quando cioè l'esperienza, per la perfetta analisi e sintesi delle parti col tutto, si eleva a concetto fisso ed assoluto con la conoscenza degli elementi proporzionali che costituiscono l'identico totale.Vi ha dunque passaggio dalle verità empiriche e dai ragionamenti empirici alle verità assolute ed ai raziocinî concettuali, a misura che la scienza progredisce nel conoscimento delle parti integranti che costituiscono i subbietti dei giudizi sperimentali, ed a misura che essa discopre il nesso tra quei subbietti parziali ed il subbietto più esteso che tutti l'identifica in un complesso solo. È questo il doppio scopo finale dell’uomo: la cognizione concettuale e necessaria dei fatti sperimentali per mezzo degli elementi proporzionali che li costitui scono, e lo svolgimento dei concetti più complessi nei loro con cetti subalterni, che sono del pari i loro elementi costitutivi. Pertanto l'essenza del raziocinio non può essere collocata in una forma piuttosto che in un'altra; essa consiste nel passaggio dalla identità totale alle identità sparziali che la costituiscono, o dalle identità parziali alla totale per mezzo della scoperta di quelle altre identità parziali che sono con loro connesse per compiere l'identità totale. Bisogna dunque assi curarsi, per mezzo dei concetti, della doppia identità delle parti e del tutto per avere ragionamenti rigorosi; e non potendo giungervi per mezzo dei concetti, assicurarsene per mezzo della esperienza. In questi due soli modi è possibile il raziocinio. Chi cura soltanto la forma esteriore del ragionamento e ripone la logica nello studio delle leggi della FORMA LOGICA, non prende di mira lo scopo vero del raziocinio, che è l'accertamento della identità de' giudizi connessi col tutto di cui sono parti; e perciò corre l'aringo di un VUOTO FORMALISMO alla Hilbert, che non è mai garanzia sicura di esatti ragionamenti. Or, perchè mai i subbietti di tali giudizi son dive nuti concettuali e perciò includono necessariamente i loro pre. Tre sono state le più grandi logiche formali. La prima e l’induzione primitiva: quella che argomenta dal particolare al particolare per mezzo di un generale appoggiato ad altri particolari. La seconda, quella che argomenta il generale dai particolari (necessario se i particolari si presentano con caratteri di necessità , empirico se si presentano soltanto come fatti di esperienza) per poter poi discendere dal generale ad altri particolari: il sillogismo di Aristotele preceduto dalla classificazione dei necessari e degli empirici, predicabili e predicamenti, che costituiscono le sue categorie. Terza legge formale: la induzione di Bacone, e quella che ascende dai particolari empirici ai generali pure empirici, adottata da ogni naturalista sensista e positivista. Il sillogismo di Aristotele fu scompagnato dalla sua precedente classificazione categorica per opera dei neoplatonici come Porfirio e Boezio, che vollero così conciliare a forza Aristotele con Platone, e poi per opera degli scolastici e dei moderni idealisti. Essi hanno adottato la sola argomentazione dal generale al particolare ponendo il generale come idea, che si afferma da sè per la sua evidenza e pei caratteri di necessità, di universalità e di assolutezza che la distinguono, senza indurre le categorie dalla classificazione dei fatti, come fa Aristotele. Niuna pero di queste argomentazioni formali costituisce da sè un esatto ragionamento: esse sono o inutili allo scoprimento del vero, o pericolose di errore, o tali almeno che non posson menare al concetto scientifico e necessario, perchè non conducono al vero identico totale. Difatti la induzione primitiva argomenta da un particolare all'altro in forza d'identità parziali; e peggio, da un certo numero di particolari, che si somigliano in taluni punti, argomenta il generale. Perchè questa casa fuma, perciò si brucia! E perchè il legno delle nostre cucine fumando si brucia, perciò: OGNI cosa che fuma si brucia! Da somiglianze o identità parziali si vuole argomentare l'identità totale di un fatto con un altro, o anche più, l'identità totale di tutti i fatti che parzialmente si assomigliano. Il sillogismo dei neoplatonici e degli scolastici , conchiudendo dal generale al particolare e ponendo il generale in virtù della luce dell'idea, non trova mai verità nuove. Poichè, s'io dico, che il tutto é maggiore della parte, e percið ne deduco che il libro dicati, mentre altri rimangono soltanto empirici e perciò la identità tra predicato e subbietto dev'essere soltanto attestata dal l'esperienza? Chi fa che taluni giudizi siano concettuali ed altri non? D'altra parte, è poi sicuro che le idee che noi abbiamo siano tutte esatte, e non può accadere che vi si contengano predicati che loro non appartengano veramente, in modo che apparisca una identità necessaria tra predicato e subbietto, mentre essa non è che l'effetto di una inclusione di predicato che veramente nel concetto non deve entrare? Quanto alla formazione di un concetto si deve notare, che essa avviene per opera di astrazione, la quale procede in due modi, o spontaneamente, per effetto d'identica presentazione dei punti identici delle percezioni e di separazione dei diversi, ovvero riflessivamente e volontariamente, cioè per deve esser maggiore di ciascuna pagina, non affermo in conclusione una verità nuova; ma dico due proposizioni, di cui l'una è tanto vera e tanto evidente, quanto è vera ed evidente l'altra, nè vi è affatto ragionamento. Se però il generale è posto in forza di un cumulo di esperienze o di fatti (sia quanto si voglia lungo ed esteso quel cumulo) si corre pericolo di errare; poichè allora dalla similitudine, o dalla identità par ziale che hanno fra loro alcuni fatti, si vuol provare che tutti gli altri, i quali abbiano identità parziali conformi, debbano somigliarli in tutto il resto. È allora una induzione mascherata sotto le forme assolute di un sillogismo. Poichè, una delle due: o il particolare, di cui si cerca, si ebbe già presente nella formazione del generale, o il generale fu formato per gli altri particolari simili, ma senza di lui. Nel primo caso, lungi che il particolare, di cui si cerca, acquisti luce dal generale, è desso che con corre a formarle. Nel second , si ha il solito vizio di argomentare da alcune identità parziali, tra un fatto particolare e gli altri dello stesso genere , alla loro totale identità. Perchè moltissimi esseri che hanno la figura umana hanno la ragione, percio qua lunque selvaggio che presenta la figura umana, deve avere la ragione? La induzione baconiana ha lo stesso difetto, perocchè non potendo raccogliere che un certo numero di fatti particolari, grande quanto pur si voglia, da’ essi soli suo generale, e poi ne argomenta agli altri casi particolari per ragione di parziali somiglianze. Essa inoltre non perviene mai al necessario ed all'assoluto, perchè non giunge alla identità concettuale del tutto cogli elementi che lo costituiscono. Tutto al più, vi giunge come la categorizzazione di Aristotele (che per lui deve precedere il sillogismo), cioè ritiene l'assoluto ed il necessario nel generale, perchè i particolari si presentano anch’essi con tali caratteri di necessità e di assolutezza. Il tutto è necessariamente maggiore della parte, o è assolutamente identico alla somma delle parti, perchè con tale necessità ed assolutezza nei fatti singoli il tutto si presenta in tali rapporti con le sue parti. Non si perviene mai all'identico, si rimane sempre nell'empirico, in tutte coteste forme di ragionare. Come la necessità ed assolutezza dell'idea si accetta empiricamente, perchè essa con tali caratteri si presenta alla coscienza, cosi nelle varie suddette forme di ragionare si rimane pur sempre nel passaggio empirico da identità parziali ad altre parziali, o peggio, ad altre total , senza assicurarne la totale identità . rea analisi che l'uomo fa di proposito sui complessi ancora inde composti delle percezioni, e sugli stessi primi astratti tuttavia decomponibili. Seguendo sempre la regola dell'identico e del di verso, con la quale si forma idee tipiche e concettuali delle parti più salienti delle percezioni, e di quelle altre che, pur connettendosi con le percezioni stesse, non potranno mai divenire oggetto immediato di percezione. Nasce da ciò un doppio ordine di concetti ben distinti, cioè di quelli che si formano spontaneamente e primitivamente per l'identica presentazione dei punti identici delle percezioni e per la spontanea separazione dei diversi, e di quelli altri che da sè non si offrono, ma è neces sario l'uomo se li procuri colla propria riflessione e col proprio studio, cioè con l'applicazione della legge dell'identità nelle analisi ulteriori, e se li trasmetta tradizionalmente per non per derli. Nel primo caso, l'identico tipico del concetto si costituisce da sè spontaneamente, e perciò il predicato si trova tosto incluso nel soggetto concettuale di cui fa parte. Nel secondo, l'identico tipico del concetto riflesso si costituisce mediante la voro mentale, e per lungo tempo, in mancanza dell'idea, è d'uopo ricorrere all'esperienza, affinchè essa testifichi l'identità del predi cato col soggetto, non potendo nel soggetto trovarsi il predicato a prima fronte, sino a tanto che non sorga netta e chiara l'idea in tutte le sue parti costitutive. Nei concetti spontanei e primitivi, formati dalla identificazione tipica dei punti più chiaramente identici delle percezioni, non può esservi pericolo di errore, logicamente parlando; poichè identicamente si presenta e si presenterà sempre ciò che identicamente si presenta, e diversamente il diverso. Onde i concetti fissi, fondati sulla identità logica, e perciò as loluti e necessarî. All'incontro, le idee (concetti riflessi) ela borate dall'uomo, ben vero con la stessa regola della identità, ma composte di elementi ch'egli astrae da gruppi diversi e che egli poi mette insieme, possono per avventura non es sere logicamente esatte; poichè per un momento si fallisca o per disattenzione, o per precipitanza, o per pregiudizi, alla rigorosa regola della identità nel condurre l'analisi riflessa, o nel mettere insieme gli elementi astratti dai gruppi diversi, potrà uscirne un'idea monca ed imperfetta nel primo caso, erronea nel secondo. E quel ch'è peggio, divenuta tipica tale idea che contiene o non contiene il predicato, l'operazione del giudizio o del raziocinio, che verrà a cercarlo in essa, riuscirà difettiva oppure erronea, come difettosa o erronea era l'idea. Difettiva o erronea l'idea (cioè, mancante di elementi necessari, o intrusi in essa elementi che non le convengono), sarà sempre causa di errore nel giudizio ideale che su di essa si fonderà per legge logica d'identità, e conseguentemente nel raziocinio . Nello stesso modo, un'esperienza mal condotta o per difetto o per syista e confusione di una cosa con un'altra, sarà fonte d'errore nel giudizio empirico, e quindi nel ragionamento che da esso prenderà le mosse. Gli errori di esperimento si correggono con la ripetizione e col controllo di tutti quelli che se ne occupano. Gli errori però dell'idea debbonsi correggere con un buono ed accurato esame ideologico, al quale debbono collaborare tutti gli studiosi delle rispettive materie. Ma qual sarà la regola, con la quale si potrà fare l'esame delle idee, o di quei concetti riflessi che l'uomo si è formati col proprio lavoro, per conoscere se elementi vi man chino, o se vi siano intrusi degli elementi che non possono en trarvi? La regola dell'esame non può essere che quella stessa la quale deve presiedere alla loro formazione, cioè quella del l'identità totale dell'idea con l'identità parziale dei singoli ele menti che la costituiscono. L'idea deve essere decomposta nei suoi elementi, e deve essere osservato se tra essi e l'idea vi sia perfetta e totale identità : così soltanto potranno includersi quelli che difettano e potranno escludersi quelli che non convengono ; poichè nell'uno e nell'altro caso l'identico totale mostra quello che gli manca, o quello che gli conviene, per essere quel che è. In tal modo è possibile l'esame, e la rettificazione delle idee, occorrendo ; ed in ciò consiste un buon trattato d'Ideologia. La scuola empirica , duce il Locke, aveva già compreso la necessità dell'esame delle idee , all'oggetto di non ammetterle soltanto in forza dei loro caratteri este riori di evidenza , necessità , universalità ed assolutezza , con cui s'impongono. La disposizione che si dà al complesso de' giudizi ed ai ragionamenti, sia per esporre, sia per dimostrare, sia per avviare alla ricerca, costituisce il metodo, il quale non può avero altro scopo, che quello di condurre all'identico totale per mezzo di tutti i suoi parziali, o ai parziali per la decomposizione del loro totale. Il metodo sta ai ragionamenti, come il ragionamento sta ai giudizi: egli ha lo scopo di fare un ragionamento com plessivo di tutti i ragionamenti subalterni mediante la regola della doppia identità parziale e totale . Onde il vero metodo scientifico è certamente analitico e sintetico insieme, man è l'ana lisi sola, nè la sola sintesi, nè entrambe unite, potrebbero con durre a risultati scientifici, se non avessero per rigorosa regola l'identità , e se non mirassero al suo conseguimento finale in tutti i giudizi e raziocinî, sperimentali, concettuali, o misti. Parlo del vero metodo scientifico; poichè per comunicare alle masse i risultati della scienza, o per indurre in loro la persua sione necessaria all'adempimento dei proprî doveri, una esatta analisi degli elementi delle idee o dell'esperienze, ed una esatta loro sintesi, all'oggetto di condurle a rigorosa identità totale, Perd essa voleva rimontare , senza alcuna ragione nè possibilità di riuscita, alla ori gine cronologica delle idee . Voleva inoltre, far provenire le idee dai sensi. Onde , in vece della vera origine cronologica, ben difficile a trovarsi per le singole idee , diede spesso supposizioni romanzesche sulla prima nascita delle medesime , e sopra tutto delle idee morali , col preteso stato naturale e col contratto sociale . Tutte quelle idee che non potè giustificare coi sensi , le rigetto, o le ammise alla credenza pubblica come necessità indemostrabili della nostra natura. Onde i posteriori idealisti , visto l'inte lice esito dell'esame , son tornati ad ammettere le idee in virtù della loro evidenza e dei loro caratteri che s'impongono alla nostra ragione , sia ritenendole verità prime indiscutibili ed indispensabili ad ogni ragionare (scuola del senso comune) ; sia supponendole forme assolute del pensiero  quidquid recipitur ad formam recipientis recipitur (scuola kantiana ) ; sia riputandole innate e facienti parte del nostro intel letto , almeno in una prima idea fondamentale , quella dell'essere (*scuola rosminiana*) ; sia ammettendole come frutto d'interne azioni e reazioni dello spirito (scuola di Herbart) ; sia credendole comunicazioni della mente medesima di Dio, intuizioni, tocchi misteriosi (*scuole giobertiane*) , o anche evoluzioni della stessa idea divina, assumente caratteri di progressiva attuazione per la legge dialettica de contrari (scuola hegeliana ), attuazione dell'idea in forza di volontà preordinante e producente (scuola di Schopenauher ), o attuazione inconscia ( scuola di Hartmann ). Tutti supposti, appoggiati a me tafore, a superficiali osservazioni , o a dogmi , per dare una spiegazione dei caratteri delle idee senza volerle esaminare in sè stesse , nei loro attuali elementi costitutivi , adducendo a prova della impossibilità dello esame l'infelice risultato ottenuto dagli empirici , i quali ebbero bensì il buon volere , ed anche la presunzione dell'esame , senza mai averne studiato i mezzi convenienti non sono punto possibili, nè anche utili. Laonde è d'uopo r correre ad esperienze ovvie, a idee evidenti e generalment ammesse, per inferirne le bramate conseguenze . Or se è vero che percepire distintamente, sintetizzare, analizzare, ricordare, astrarre, concettuare, ideare, giudicare, connettere e ragionare, non sono altro che più o men largamente identificare le parti ed il tutto, spontaneamente o riflessivamente, in forma sperimentale o in forma tipica assoluta, se cid è vero, diviene pur troppo evidente che, per potere scorgere l'identità più prontamente e con maggiore chiarezza, sarebbero assai utili due cose. Primo, abbreviare e ravvicinare tra loro con SEGNI le percezioni ed i loro elementi, le idee ed i loro elementi. Secondo indicare con segni le successive operazioni che vengon fatte spontaneamente o riflessivmente sui detti complessi e loro elementi. L'algebra ed il *calcolo* per sè non sono scienza, ma sono potenti mezzi di scienza, in quanto abbracciano e ravvicinano le idee e le operazioni su di esse fatte rendendo più facile e più sicuro il colpo d'occhio su di loro per scorgerne le identità e le differenze. Or, perchè non sarà possibile una logica aritmetica o matematica per agevolare la conoscenza delle identità parziali e totali, dalle quali dipende tutto l'eser cizio della intelligenza? Non vale il dire che nell’aritmetica e la geometria si tratta di rapporti tra sole quantità, e perciò e possibile un segno abbre viativi e le operazioni identiche. Mentre invece nella logica generale si dovrebbero trattare molti altri rapporti di QUALITà, che variano tra loro indefinitamente, e perciò l'aritmetica non si potrebbe applicare alla logica. Non vale il dire questo; poichè tutti i rapporti tra le QUANTITà hanno unico fondamento comune, l'identità costante di ogni unità con sè stessa, in guisa che non possa crescere nè decrescere in alcun modo, e che ogni unità valga quanto un'altra. Onde il fondamento vero dell’aritmetica e dei loro processi è tutto nella identità, come in generale il fondamento di tutte le operazioni dell'intelletto; e la loro unica regola consiste nella IDENTIFICAZIONE. Non vi ha dunque difficoltà vera contro la formazione di un'aritmetica logica; il cui scopo non dev'essere altro che quello di fissare, abbreviare, e con un segno, costante e certo, ravvicinare fra loro le idee ed i loro elementi, e le operazioni che su di esse si fanno. Nella scelta del segno per tale oggetto, non occorre far tutto a nuovo. Come nell'aritmetica, si posson prendere le lettere alfabetiche per indicare i complessi della percezione e dell'idea, non che i loro elementi, cioè le lettere maiuscole (A, B, C…) pei complessi, e le lettere minuscole (a, b, c, …) per gli elementi, se fossero gli uni e gli altri conosciuti e categorizzati. Se ancora non fossero conosciuti distintamente, potrebbero adoperarsi i soli punti. Ogni segno dell’aritmetica, più, meno, eguale, maggiore, minore, hanno posto nella logica o semiotica matematica o aritmetica. Il dubbio ha un segno nella scrittura ordinaria, l’interrogativo – la quesserzione --. Un segno pure abbiamo nella stessa scrittura per indicare un seguito di cose simili, che corrisponde all' &. Soltanto resterebbero a stabilirsi un segno per quell’operazione che nell'aritmetica e nel linguaggio ordinario non esiste. Questo segno si riducono a distinguere lo stato spontaneo dal stato riflesso, che sono i due stati del nostro animo, ed ambidue i detti stati dal di fuori di essa. Per tale scopo descrivo due spazi, uno spazio inferiore e l'altro spazio superiore, chiusi da tre linee parallele orizzontali. Il di fuori è tutto quello ch'è al disotto dello spazio inferiore e lo spazio superior. Lo spazio inferiore indica lo *spontaneo*. Lo spazio superiore indica il *riflesso*. Indico con quadrati di linee, di punti, o di lettere, i complessi e le loro parti, sia percepito, sia non percepito, o sia salito allo stato di riflessione. Un punto e una lettera minuscola indicano i loro elementi. Il punto indica che l’elemento non e conosciuto. La lettere indica che l’elemento e conosciuto. Denoto il simile con due parallele verticali. Rappresento l'identico con la convergenza di due linee in un angolo verticale. Se l’identità non è completa, ma sol tanto parziale, una delle due linee sarà più corta dell'altra, quasi per indicare la mancanza. Due quadrilateri che convergono e si toccano con un lato rispettivo in un angolo vertical rappresentano la sintesi dei punti identici. Se i due lati divergono, le quadrilateri rappresentano l'analisi dei diversi. Indico il connesso con una serie di anelli di una catena. Esprimo il negativo col segno 3 del meno sovrapposto a quello che voglio negare, il non identico, il non simile, il non dubbio, ecc. $ 54. Ecco così la serie dei segni principali: + più, meno, =  uguale, <: maggiore; ‘>’: minore; ‘ll’ simile, 1 identico, ^ identico parziale, ? dubbio, 000 connesso, (II) in contatto, & etcetera, -1-- non simile, ^ non identico, ?- non dubbio cioè riflesso spontaneo, [ ] non percepito, I percepito in comcerto, plesso, percepito distintamente senza categorizzazione di TAI parti, 71 percepito e sintetizzato, !! percepito e analizzato, DU U IV / TAL sintesi ed analisi spontanea e riflessa, |A| astratto com Ul Tala plessivo, Tala astratto con la parte a. | A la S 55. Quando non occorre distinguere lo stato di spontaneità da quello di riflessione, cioè quando si è nei concetti riflessi (idee), nei giudizii e nei raziocinii nei quali non entrino l'esperienze e le percezioni, i due spazî, che segnano lo spontaneo ed il riflesso, si trascurano. L'idea ed i suoi elementi si rappresentano così ovvero al ovvero A :, ovvero secondo chè sieno più o meno distinte e conosciute le sue parti elementari. Il giudizio ha una delle due formole: 10 AA ? Bİ, il concetto o la percezione A è identica a B ? A A ? Bİ, non è identica certamente, oppure la risposta contraria: è iden tica certamente, 1 -?- ; 2º Aja ?, l'elemento a fa parte dell'idea a _ ?. o della percezione A? La risposta si dà col negare il dubbio (A) а h g bAt a b A. cde ? с a hg an. Or, dire che a fa parte di A è lo stesso che dire 1A | {4} +/ biali, с de cioè l'elemento a è identico ad uno degli elementi di A, essendo OOO gli altri elementi b c d e f g h. Il raziocinio in generale ha la formola della connessione logica, cioè della connessione nello stato riflesso, che è l'identità de’ suoi membri in un tutto mag giore, di cui sono parti; onde è necessario che sieno veri i membri con reciproca connessione, affinchè sia vero il loro tutto. Onde la formola del raziocinio in generale sarebbe: ^( )( )( ). Con le parentesi esprimo i membri di versi del raziocinio che fanno da premesse (e possono essere parecchi) e quello che fa da conclusione, indicando la loro connessione e l'identità di essi in un sol tutto più ampio con quel segno intermedio di connessione riflessa e d'identità, che qui equivale al dunque. Il ragionamento erroneo si esprimerebbe con l'identico non identico Â, con la contraddizione. $ 56. Il raciocinio è o dimostrativo, o inventivo; ed in ogni caso esso passa dalla identità parziale di una idea con un'altra, o di un esperimento con un altro, alla identità totale (S 43). Onde la formola generale di ogni raziocinio ne' suoi passaggi è i sempre questa: (a"B') (a000bcdefghh), a h g с de b h g ovvero OOO d e (a), (^Bİ). Quanto a dire: A e B contengono a, sono parzialmente identici. Come si farà per sapere se sieno totalmente identici? Bisogna dalla parziale identità a riconoscere se pur vi sieno le altre parziali identità b c d e f g h. Ciò si può sapere in due modi: o che vi sia connessione tra a e tutti quegli altri, o che a li contenga. Bisogna accertare uno dei due, o decomponendo i rispettivi concetti, o sperimentalmente. Accertato uno dei due, o per connessione 000 che signa l’identità dei membri col loro tutto, o per continenza che signa lo stesso (il tutto che contiene le parti), si ha passaggio logico legittimo 000 al dunque, alla conclusione; e pongo il segno d'identità 1 sul dunque, perchè ogni connessione di membri esprime la loro identità col tutto che li contiene $57. Lo scopo di cotesti segni non deve esser quello di sostituirli al linguaggio ordinario; poichè in tal caso ogni ragionamento prenderebbe l'aspetto della matematica e del convenzionalismo di Poincare e il formalism di Hilbert; onde sarebbero ben pochi coloro che avrebbero la forza di mente e l'abitudine necessaria per condurre così i loro raziocinî. Io mi son limitato nella mia semiotica (significa) universale a servirmene come mezzi di reddiconto e di controllo, a ragionamenti finiti; poichè giova il riassumerli con segni e presentare la forma logica della percezione, dell’idea e del concetto, i loro rispettivi elementi, e le varie serie di operazioni su di loro eseguite, per potere a colpo d'occhio discernere il cammino della identità in tutti i giudizi e ragionamenti. Nella cennata mia opera ne ho fatto largo uso in questo modo, nè domando per ora che sieno adoperati altrimenti. Qui pero, in questo lavoro sintetico e riassuntivo del sistema, non renderebbero più facile la comprensione delle idee, alla quale aspiro; onde io non me ne servirò, lasciando che i leggitori di mente più ferma ne prendano esperimento nelle singole dimostrazioni, alle quali già li ho applicati nella suddetta semiotica universale. Sotto il generico vocabolo “parola” (cf. Grice, ‘to utter’) si può intendere qualunque segno communicativo che serve a rappresentare una percezione o un'idea o concetto. Pur nondimeno questa voce “parola” – cf. Grice “to utter” -- nell'uso ordinario è ristretta a signare un suono articolato, con cui l’uomo esprime e communica la pércezione o la idea o concetto ad altro uomo; e siccome il suono articolato e stato legato ad altro segno, così la parola, oltre di esser pronunziata (pro-nuntiatum), è anche scritta. Orche cosa è mai questa *communicazione* da un'uomo all'altro? Questa communicazione propriamente è un mezzo di suscitare nell’altro uomo, al quale si dirigge, una percezione o una idea o concetto consimile a quelle che ha e che vuol *communicare* (o signare) colui che ‘signa’. Perciò la communicazione consiste nel far sorgere nell’altro quella stessa percezione o quella stessa idea. Ciò in due modi può succedere, cioè: o mediante una convenzione, arbitrio, concordo, patto, sul segno, sia volontariamente fatta, sia abitualmente seguita, cosicchè ogni segno per ragion di associazione convenzionale desti una percezione o un'idea corrispondente; o pure mediante una naturale (iconica, assoziativa) associazione o meglio co-relazione che si stabilisce tra un segno e una percezione o idea o concetto, cosicchè non abbisogni altro che imitare (proffere) appositamente questo segno per suscitare nell’altro la percezione o idea o concetto naturalmente (iconico, assoziativo) annessa o co-relata. È del primo modo – il modo di correlazione convenzionale -- la maggior parte dei segni; poichè una convenzion prima espressamente o tacitamente fatta, e l'uso che ciascun trova del sistema di communicazione del suo popolo, fan sì che appena si manipula un determinato segno, tosto si destino in coloro che ascoltano le percezioni e le idee co-rispondenti. Sono del secondo modo ogni segno che per lo più imitano una proprieta naturale, come la voce del cane (“Daddy wouldn’t buy me a bow-wow”), il romore del vento, lo scorrer del fiume il rimbombo del tuono, della esplosione, ed altri simili. Ancorchè l'uomo non sa per antecedente convenzione il ‘signato’ di tale ‘segno,’ egli tosto si fa l'idea del ‘segnato’ che s'indica, perchè la imitazione – iconicita, assoziativita – della proprieta naturale sveglia la percezione socia. Sentendo “bac-buc” dei tedeschi, quantunque non sa l'alemanno, mi debbo far tosto l'idea del vuotarsi di un vaso a bocca stretta. In questa categoria va pure il vocativo “o”, perchè la pronunzia molto spontanea di questa vocale fa volgere la persona verso il punto donde “o” vien pronunziato: e quindi da per sè stesso il vocativo “o” serve a chiamare, perchè ottiene spontaneamente questo effetto o risponsa nell’recipiente. Intanto il segno, oltre che serve a mettere in communicazione due uomini fra loro ed a far nascere in essi la ri-produzione (o trasferenza psicologica) di una percezione e di una idea secondo la volontà del ‘signante,’ è al tresi utile ad un'uomo solo, allorchè egli si racchiude in se stesso e si va rappresentando le cose per meditarvi. Difatti è un'osservazione ben comune che noi parliamo dentro noi stessi, allorquando pensiamo le diverse cose, e principalmente allor quando ci rappresentiamo una idea astratta. La influenza del segno sull’astrazione comincia ad esser guardata con attenzione quando i filosofi della scuola sensista credettero che l'unica differenza tra l'uomo ed il bruto consistesse nel segno communicativo. In verità è ben facile rilevare che senza gl'innumerevoli segni articolati l’uomo non puo mai formarsi e ritenere l'immensa serie d'idee astratte, e per dirla più esattamente, non puo egli nè sintetizzare ne analizzare in sì gran copia, posciachè l’astrazione è figlia dei grandi incrociamenti delle sintesi e delle analisi. Certamente i punti simili delle percezioni rappresentandosi similmente si sintetizzano, ed i dissimili si analizzano rappresentandosi dissimilmente. Ma se per ciascuno di quei punti simili e dissimili non vi fosse un segno associato, non e mica possibile riprodurre e ritenere la immensità delle similitudini e delle differenze che offrono da un momento all’altro la percezione. Imperciocchè tra moltissimi punti simili, che fra loro si differenziano in picciola cosa, sarebbe più fa eile la confusione, anzichè la distinta rappresentazione di ciascun grado minimo di somiglianza e di differenza per mezzo delle percezioni medesime. Al contrario, il segno articolati e diversissimi d’altro segno articolato; e perciò attaccando un segno a ciascuna di quelle minute sintesi ed analisi, si ha di già quanto basta per poterle esattamente richiamare, senza poterle mai confondere un segno per altro. Per esempio, quante gradazioni diverse non offre un colore solo, il concetto di “bianco” (o “bianca”)? Or si potrebbero mai ritenere senza confonderle tutte queste gradazioni? Ma l’uomo vi adatta un segno diverso per signarle, e la confusione è evitata. Egli dice “bianco chiaro”, “bianco sbiadito”, “bianco lordo”, “bianco latte”, ec . Vi sono poi delle parti di percezioni che si isolano dal complesso mediante l’astrazione, e se non vi fosse un segno per risvegliarne l'idea, non puo esser pensate giammai. Per esempio, l'idea o il concetto astratto o generale o universale di “colore” – il nero non e un colore; il bianco no e un colore --, siccome abbraccia ogni colore, con qual di essi partitamente o complessivamente si puo rappresentare, se non vi fosse un segno distinto (gaelico glas: verde o blu?) da tutti i co fori singoli per richiamarla? Vi e pure un gruppo d'idee astratte che con maggior ragione han bisogno di un segno per essere pensate, come la “gloria”, la “virtù”, l’ “onore”,  il “dovere”, ec . Cosi anche e il concetto meta-fisico dell’essere sopra-sensibile, Iddio, la sostanza, ec . É in forza dell'unità del segno, che sorge l'unica idea astratta; poichè, se vogliam provarci a idear (o mentare) la cosa senza segno alcuno, particolarmente in una nozione astratta che non ra-presentano o signa un essere reale, ma soli rapporti fra gli esseri, non sappiamo veramente come farcene l'idea. Oltre a tutto ciò il segno ha una virtù speciale, che fa vedere il legame di una idea coll’altra; perciocchè, messo un segno radicale o di radice (“amare”), ogni variazione di desinenza e e ogni derivativo indica o signa, come un gruppo che costituisce un'azione risultante venga variandosi in mille modi: il che importa una sintesi mista all'analisi, perchè la radicale ferma indica il punto fondamentale della somiglianza, mentre ogni desinenza e ogni derivato fa vedere ogni categoria: quantita, qualita, relazione, modalita – per citare la funzione kantiana della categoria d’Aristotele -- tempo, luogo. Questo vantaggio non si puo altrimenti ottenere, che coll’articolazione del segno sub-segmentale (prima e seconda articolazione), poichè rimanendo fermo un segno come segno radicale sub-segmentale (articolazione prima e seconda) (“am-”), il segno articolato (mutato della radice) indica la differenza (“amans”, “amatus”, “amiamo” “ambi due amiemo”) fine a formare una proposizione compieta: il mittente con il signans signa al recipient *che* il mittente crede che ama al recipiente. Siegue da tutto ciò che il segno articolato ha un'influenza grandissima nella operazione della sintesi, dell'analisi e dell'astrazione; e siccome senza del segno articolato l'uomo non può nè giudicare (operare con una proposizione) nè ragionare (inferire una proposizione d’altra), cosi il segno articolato ha un'influenza suprema nel giudizio e la volizione e nel raziocinio (di giudizio e di volizione). Infatti il sordo-muto ha un limite strettissimo nella sintesi,  nell’analisi e nell’astrazione; ed a misura che si allarga in loro la sfera dei segni per mezzo della gesticolazione, e più anche per mezzo di un sistema alternativo, il sordo-muto inoltransi nell'astrazione, il suo giudizio, la sua volunta, ed il suo ragionamento – di giudizio o di volonta -- divene più estesi e più esatti. Dopo che si disse che l'uomo non puo mai dare origine al segno articolato o communicativo, la scuola di Bonald si valse di questa stessa dottrina per fondarvi sopra l'edificio della divina rivelazione, che dovette communicarsi al primo uomo coll'insegnamento diretto del segno communicativo, e che dovette tradizionalmente discendere col segno medesimo in tutta l'umana generazione, fino a che colla dispersion babeliana delle lingue venne a guastarsi la forma genuina primitiva del segno soppranaturale, praeternaturale rivelato, e varii innesti di origine umana si attaccarono al primitivo tronco, cosicchè insiem col segno furono anche travisate le idee della rivelazione prima. Questa stessa dottrina è stata abbracciata con molta facilità da Gioberti, quantunque in tutt'altro alla scuola di Bonald egli non appartenesse. Non entro in questa questione dal lato teologico (o genitoriale), molto più che non veggo nella antica religione romana nessuna espressione che alluda all'insegnamento primitivo del segno per mezzo di un dio. Veggo per altro che le anzidette scuole han preso a dimostrare filosoficamente che l'uomo da sè stesso non può dare origine al linguaggio , e con questa dimostrazione negativa credono dare il più saldo appoggio alla necessità della primitiva rivelazione della parola. Guarderò adunque le loro ragioni da questo stesso lato filosofico , e porrò così il quesito: È egli vero che per poter ‘signare’ comunicativamente in qualunque guisa bisogna l’uso preventivo dell’astrazione, e viceversa per potere astrarre bisogna l'uso antecedente del ‘signare communicativo? Se ciò fosse vero, sarebbe questo un circolo vizioso (“a Schifferian loop”), da cui non potrebbe mai uscire l'origine puramente umana del ‘signare communicativamente’; e perciò , essendo un fatto che l'uomo signa communicativamente, ed ammesso che egli sia stato *creato* da un dio (Prometeo), re sterebbe come una ipotesi interamente consona alla divina bontà di Prometeo che egli stesso gli abbia insegnato o signato a signare communicativamente fin dalla origine o dalla genesi alle rivelazioni! Resterebbero cosi giustificati gli argomenti della scuola teologica o genitoriale di Gioberti. Ma a me pare che, posto a quel modo il quesito, la necessità del circolo vizioso venga tutta dal non voler discendere nella minuta analisi di un tutto complessivo – un complesso proposizionale --, e dal volere la spiegazione sintetica di un fatto che costa d'innumerevoli elementi, senza volere esaminare come nascano gli elementi medesimi, e come gradatamente si combinino fra loro per costituire il fatto totale nel modo che oggi si presenta. Uno dei difetti delle scuole dell'età nostra è questo precisamente, che i nodi voglionsi tagliare invece di scioglierli; e cosi mi pare sia accaduto al problema che riguarda l'origine del signare communicativamente. Infatti, se si domaada: l'uomo può esercitare quella vastità di astrazione che attualmente esercita senza fare uso del signare communicativamente? La risposta è facile: nol può: perchè il segno communicativo, siccome testé abbiam veduto, influisce grandemente nell'esercizio dell’astrazione. Parimente se si domanda: l'uomo può signare communicativamente (con “o”) senza l’esercizio dell’astrazione? è anche facile ugualmente la risposta che nol può: perchè la convenzione implica la conoscenza dell'utilità del signare communicativamnte, ed implica nel tempo stesso l'attaccamento di un'idea (“presta attenzione”) ad un segno articolato (“o”), il che è un'effetto di astrazione. Ma il problema non è ben presentato col porre le due anzidette domande; perocchè non si vuol sapere se l'esercizio completo del signare communicativamente, qual'è attualmente, può stare senza l’uso dell'astrazione, nè anche si vuol sapere se lo sviluppo immenso che ha preso l’astrazione nelle molte successive generazioni del popolo italiano possa mai stare senza l'uso del segno articulato. Invece il problema vero è quest'altro. Vi può essere un atto di signare communicativamente primitivo, un primo uso di un segno articolato (“o – o – o”), colla sola influenza di un'astrazione (o articolazione) di primo grado, la quale per compiersi non ha bisogno dell'uso del atto di signare communicativo. Quando due cose s’influiscono a vicenda, in modo che non può crescer l’una senza che cresca l’altra, se si guardano *sinteticamente* dopo un lunghissimo periodo di mutuo accrescimento, non pajono più naturalmente spiegabili, e comparisce quella specie di circolo vizioso, di cui si parla inpanzi, perchè lo sviluppo pieno del l’una suppone lo sviluppo pieno dell’altra, ed amendue si suppongono talmente a vicenda, che non si sa più qual delle due debba esser prima. Per isciogliere un problema di tal fatto bisogna incominciare dal periodo o fase o stadio primo, cioè dal momento men complicato e meno sviluppato. Allora soltanto si può scorgere la influenza mutua, e come mano mano vengano accrescendosi l’una coll’altra. Qui trovo un’obbiezione ben facile. Mi si dirà: avete voi elementi storici ben certi per poter determinare qual sia stato il periodo primo dell’atto di signare communicamente in Romolo e Remo. Anzi taluni credono trovare nell'etnografia una base sufficiente per poter sostenere che il segno communicativo più antico e più elevato e più ricco di forza plastica. Onde da quelli si crede che l’atto del signare comunicativamente e andati mano mano deteriorando. Veramente, se debbo esaminare il mio problema sull’appoggio del solo dato storicio  non mi credo autorizzato a dare una soluzione diffinitiva. Imperciocchè io non son’ uso a sciogliere un problema a posteriori, e viceversa, so che la *ragione* necessaria delle cose governa la storia. Non entro ad esaminare se l’uomo e creato adulto o no; o se, dimenticato il primitivo atto del signare communicativamente, sia stata possibile la nascita di un atto *nuovo* di signare communicativemente. Non entro in un esame storico, dal quale la mia semiotica non puo sempre ricavare un risultato filosoficamente rigoroso. Invece, domando se e possibile, senza precedente arbitrio alcuno, stabilirsi una communicazione di un segnato tra due uomini per mezzo di un segno (“o”) anche *involontariamente* (spontaneamente, naturalemnte) adoperati, e, se trovata l'utilità pratica o prammatica di un arbitrio mutuo di tal fatto. Si puo fare avvertitamente e per mutuo arbitrio ciò che prima si è fatto *spontaneamente*. Posta così la questione, non ha bisogno più della ricerca storica. Si attacca alla natura comune – la ragione -- di due uomini – una diada conversazionale, Romolo e Remo, Niso ed Eurialo --, quantunque anche la storia puo venire in conferma di ciò che la cosa deve essere per natura sua propria – uomo animale razionale. Distingo due specie del genero segno: ma non e necessario moltiplicare i sensi di ‘segno’ sine necessita. Primo e un segno naturale, spontaneo, imitative, mimetico, iconico, assoziativo. Secondo, e a posteriori altro segno – un segno devenuto segno dopo un mutuo arbitrario. Or sebbene il mittente che usa un specimen particolare di segno “o” che imita una proprieta naturale spontanea, il segno “o”, sieno per sè stesso assai ristretto, pure ha questo di particolare. Senza bisogno di arbitrio mutuo alcuno, e senza anchie aver lo scopo di *conimunicare* (transfere il segnato) all’altro un qualunque segnato (sensum, percipito), puo essere adoperati, e producono l’effetto della communicazione (communicato, segnato) che non e primariamente nell' *intenzione* di nessuna delle due parti. Nessuno più di un bambino italiano è da natura inclinato ad imitare (‘bow wow’) i romori che sente o perceve. Non è necessario supporre che questa imitazione (‘bow wow’) ha uno scopo, fine, volizione, o intenzione (volutum). Il bambino italiano imita spontaneamente, e signa che e in relazione con un cane, è come la ri-petizione naturale della cadenza che si esieguono non dall'uomo solo, ma anche dai bruti. Comincio da questo caso semplicissimo, non perchè io creda che l’atto del signare communicativamente sia nato in questo preciso modo, ma quando si cerca la possibilità di una cosa, bisogna ricercarla tra le possibilità più semplici e più comuni. Imperciocchè, pria che si dice che una cosa non può essere, è mestieri osservare in quante maniere ben semplici ella può avvenire. Or vediamo, allorchè un’uomo imita spontaneamente un suono qualunque naturale (“o-o-o”), che cosa accade nell’altr’uomo che lo interpreta (l’interprete). Il segno imitato per ragione di semplice associazione o iconicita richiama naturalmente la percezione della causa che suole ordinariamente emettere cotal segno. Per esempio, se un bạmbino italiano, senza la menoma intenzione communicativa, e solo per il puro piacere imitare, esiegue il belato (‘bah bah’) della sua pecora, chiunque lo sente si rappresenta in quel momento l'animale che fa quel belạto. Senza *voler* o avere l’intenzione di communicare, i. e. d’informare ad altro, vi è di già tutto quello – il principio razionale --  che costituisee la communicazione e la conversazionale. Un segno, a cui è attaccato una percezione, adoperato la prima volta, ‘one-off’, spontaneamente, per caso, per imitazione, per qualunque altra causa, desta la percezione socia, e senza arbitrio mutuo alcuno divien segno della medesima causa (‘bah bah’ = pecora). Infatti, se il bambino italiano che imitava poc' anzi il belato della sua pecora, non conosce punto il segno articolato ‘pecora’, e se io voglio più tardi rinnovare in lui la percezione della pecora, che altro dovrei se non che imitare il belato medesimo? Nè ciò dipende da che io conosco l'utilità del segno. Giacchè potrei supporre all'inverso che il bambino italiano il quale, imitando spontaneamente il belato della pecora (“bah bah”), si accorse o da un segno (“bah bah”), o dallo sguardo ch’io do alla pecora, che già mi feci ricordanza della pecora, più tardi il bambino stesso potrebbe servirsi a ragion veduta di quel belato per riprodurre in me or di proposito la stessa percezione. Immagino un’altro caso. Se alla vista (visum) di un pericolo (leone) l'uomo (Eurialo) gitta un grido – “o-o-o” --, un suono qualunque, quand’anche non sapesse che vi fossero altr’ uomo (Niso), dal che potrebbe essere soccorso, il grido spontaneo che suole uscire per lo più involontariamente, spontaneamente, naturalmente - sotto il dominio della paura o pena, e se a quel grido si ve dessero accorrere altr’uomo, il quale, scorgendo la posizione pericolosa, viene in aiuto, non sarebbe tosto quel grido spontaneo “o-o-o” un segno della “chiamata” in aiuto, segno non devenuto da mutuo arbitrio in principio, nia che per l’effetto ottenuto o la risponsa ottentua divene base di un mutuo arbitrio in avvenire? Immagino anche un’altro caso più semplice. Se un'uomo spontaneamente, e senza *intenzione* communicative alcuna, signa “o-o-o”, il segno più facile ad articolare, e se altr’uomo (Remo, Niso) e presente e sente o perceve che Romo ha profferito un specimen di un segno, che cosa mai dovrà avvenire? Non si voltera verso colui che signa? Non è naturale il rivolgersi verso il punto donde parte il segno? Ebbene, un'effetto si è ottenuto. Questo segno profferito senza intento alcuno o intenzione comunicativa alcuna richiama l’attenzione dell’altra parte della diada conversazionale. Ciò che si è dapprima, one-off, ottenuto senza intento communicativo o intenzione communicativa, può la seconda volta esser voluto *di proposito*, voluntariamente, -- def. di verbum in Aquino -- per la utilità che se n’è ricavata: ripetendosi dunque avvedutamente lo stesso segno, quello è divenuto un vocativo naturale. E noi osservammo che appunto questa vocale “o” è il vocative nella Roma di Remo (o tempora o mores) e nella Roma di oggi. L’arbitrio mutuo o duale dunque non nasce dapprima a ragion veduta, ma nasce per mezzo di un'effetto o risponsa, che un segno, EMESSO per accidente (“o”) o per imitazione, consigue. Volendo di nuovo ottenere avvedutamente lo stesso effetto o la stessa risponsa, non ci vuol’altro che ripetere un altro specimen del stesso genero di segno (“o”). L’arbitrio mutuo dual è bello e fatto. Or quando vi sono tante possibilità d'incominciare l'uso di un segno articolato e di dar luogo spontaneamente a un arbitrio mutuo e duale, come si può dire in tuono assoluto che sia impossibile l'uso del segno senza aver la preventiva conoscenza della utilità del segno medesimo? Non dico che l’atto del signare communicativamente nacque in questo o in quell’altro modo. Dico che vi sono moltissime possibilità tutte *naturali*, nelle quali l'uomo può avvertire l'utilità dell'uso di un segno articolato per l’effetto o la risponsa spontanea, no intenzionata, che ne ottiene , e senza il bisogno di un preventivo arbitrio duale. Basta questo per distruggere a rigor di logica le basi tutte di quell'edificio che si vuol fondare sull’impossibilità assoluta che l’uomo signa senza prima aver conosciuto l'uso e l'utilità dell segno. Ma invero il brutto ebbero forse insegnato da Dio l'uso del atto di signare communicativamente, con che communica (o transferre) il suo bisogni , la sua gioia, il suo pericolo, la domanda del soccorso? Forse non vediamo fin dal loro nascere i varii animali communicarsi per mezzo di un segno, per lo più *istintivo* -- che causa una risponsa istintiva, i diversi loro stati? Non puo il brutto perfezionare il suo atto di signare communicativamente, perchè non ha facoltà di sintetizzare e di analizzare gli elementi della percezioni, e molto meno ha facoltà astrarre, siccome vedremo a suo luogo. Ma la co-rispondenza o co-relazione dell’effetto o stimolo, in esito al suo primo segno istintivo fa si che il brutto lo ripeta volontariamente; e tutti conosciamo come un animale domnanda il cibo o la libertà del movimento per mezzo di segni speciali, nel che dalla sua parte vi ha una specie di “tacito” arbitrio duale (Androcle e il leone), perché l’effetto ottenuto o la risponsa ottenuta una volta, per ragion di associazione o co-relazione iconica istintiva associativa, fa appunto le veci di un arbitrio duale. Se dunque questo segno inferiore è possibile nel bruto, il quale non astragge, perchè lo stesso principio di spontaneo tacito arbitrio duale non è possibile fra due uomini! Un uomo, che ha la piena capacità di astrarre, riconosce più facilmente l'utilità dell’effetti ottenuto o della risponsa ottenuta dall’altra parte della diada conversazionale, e si crea l'idea generica del arbitrio duale del segno, dalla quale discende poi come conseguenza la necessità di *variare*, fare piu ricco, illimitato, creativo, e di fine aperto, in ragione di questo o quello bisogne, in ragion di questa o quella percezione, o in ragione di questo o quello concetto astratta. Concepita una volta l’utilità dell’uso del atto di signare communicativemente, del segno articolato (terza articolazione), non ci vuol’altro che possedere in fatto la capacità di variare e combinare *indefinitamente* in modo aperto e illimitato, l'articolazione e la operazione di questo o quello segno primitivo, e l'uomo possiede già questa capacità meravigliosa. L’uomo adunque può, da un certo numero di fatti spontanei in cui il segno è riuscito a *stabilire* un arbitrio duale, elevarsi all'idea astratta dell’arbitrio duale del segno, poichè da un fatto singole si forma la sintesi, l'astrazione, e l'idea generica; e possedendo in fatto la varietà indefinita, componibile, di questo o quello segno articulato primitivo, è già nel caso di far da sè tutto il resto. Quantunque il segno che compone l’atto del signare communicativo e per arbitrio muto, pure siccome debbono *signare* una percezione (S e P), gli tre elementi delle medesime (S, e, P) ed i concetti astratti , debbono quindi ritrarre le proprietà fondamentali dell’uomo, cioè la relazione costanti che debbono avere fra ogni percezione, e ogni operazione o combinazione. Perciò, sebbene e diverso il segno che si adoperano ne' varii paese dell’Italia per signare il medesimo segnato, pure in ogni dia-letto vi sono parti fisse del discorso o dell’orazione, vi è una sintassi necessaria, vi sono in somma una relazione che e comuni a ogni segno. In primo luogo, siccome ogni percezione rappresenta un risultamento esteriore ed e anch' esso del risultamento organico subbiettivo, perciò vi ha un fondo comune in ogni percezione ed è l'azione risultante, che equivale alla somma di ogni azione sostanziale aggregate insieme. L’azione sostantiva e la aggregazione di questa o quella azione sostantiva, ecco ciò che è comune a ogni reale ed a ogni percezione. Quindi in ogni atto del signare communicativamente debbe esistere un segno addetto ad indicare l’azione risultante in tutta la loro immensa varietà. Questo e il segno del “verbo” – Varrone, verbum, greco rheo --, cioè il segno per eccellenza, per chè in verità, tutto quello che si può rappresentare, ad azione sostanziale si riduce, e perciò il segno del verbo (la copula) è il fondamento di ogni segno. Ogni proposizione si aggira intorno al segno del verbo (il S e P), e se vuol farsene un'analisi, la mossa si dee sempre prendere dal segno del verbo, perchè un segno che non e un verbo non puo indicare, se non che un rapporto dell’azione risultante signata dal segno verbo. Inoltre, per questo stesso che ogni azione *risultante* e non basica, e composte della combinazione di questa o quella azione sostanziali intransitive ed immutabili, è necessario che ogni verbo ha il loro fondamento in un solo segno di verbo, e che quel segno del verbo e *intransitivo* (la copula e intransitiva), siccome e questa o quella azione sostanziale, dalla che nasce ogni azione risultante, la quale e ra-presentata dal resto della classe del segno del verbo. Infatti abbiam notato già da molto tempo che in ogni atto di signare communicavemente vi è un verbo sostantivo intransitivo, il verbo “essere”, al quale si possono facilmente ridurre ogni altro verbo, decomponendoli in “copula e predicato”. Io amo è lo stesso che io sono amante. Ed è notevole che ogni segno di verbo chiamati attivo, o meglio transitivi, perchè denota un’azione che passa dal soggetto all'oggetto, si sciolgono tutti in un segno di verbo fondamentale che è intransitivo, o come i modisti dicono neutro – epiceno, mezza voce --, cioè nè attivo nè passivo. Poichè ciò che è veramente transitivo é la forma del risultato, ma ognuna delle azioni sostanziali componenti è intransitiva. La sintesi e necessaria e l'analisi e necessaria, perchè una percezioni e complessiva e costa di questo o quello elemento, che colla riproduzione, sovrapponendosi gli uni agli altri, si sintetizzano nel punto simile e si analizzano nel punto dissimile. Bisogna dunque che ogni segno indica un composto o complesso proposizionale, e che ogni segno articulato composito e de-compo nibili. Però, siccome gli elementi di ogni risultato e una azioni sostantiva, perciò è necessario che ogni segno si puosciogliere in un segno solo che indica l’azione sostantiva, non come occulta (sub-stantia), ma come realtà, cioè come essere, onde il *nome* (nomen, onoma – nomen substantivum, nomen adjectivum) non meno che il segno del verbo, si sciolgono tutti nell'essere , il quale è verbo e nome allo stesso tempo, ed è appunto verbo sostantivo, perchè indica un’azione che sta per sè stessa, e che non ha bisogno dell'altrui appoggio. Un nomine addiettivo e ogni altro segno sin-categorematico che indica quantita, qualita, relazione, o modalità o relazione, ra-presentano la composizione, il risultato, la combinzione di questa o quella azione sostanziale, e perciò non e mai da sè sole, ma ha bisogno di un segno di verbo o di un segno di nomine (S e P), su cui debbono appoggiarsi. Conciossiachè in verità la consposizione e qualunque suo modo di essere non può stare senza questo o quello componenti, anzi non è altro che la somma medesima di questo o quello componento. Però, siccome la composizione è una forma complessa, e come tale si distingue da cia scun componente , quindi è che tutte le parole indicanti modd lità , quantità e relazi ni, conie gli avverbii , le preposizioni , le congiunzioni, gli aggettivi , ec . non sono riduttibili al solo verbo essere , nè al solo nume essere, a differenza del segno del verbo e del segno del nome che ogni segno si reduce al verbo sostantivo “essere”. Nel tempo stesso non possono sussistere per sè , ed han continuo bisogno di questo o quello essere (il S, il P), perchè la composizione non può stare senza di questo o quello singolo componento. Sotto tai riguardo la differenza che passa tra ogni segno che indicano la quantita, la qualita, la relazione, e la modalità dell’azione sostanziale e quella che indica l'azione medesima, e quella stessa differenza che esiste tra il tutto e la collezione di questa o quella parte che lo compone; imperocchè il segno del verbo, e principalmente il verbo “essere”, nel quale ogni segno di verbo si sciolgono, indica la collezione di questa o quella azione, mentrechè il segno del nome aggettivo, il segno del avverbo (ad-verbium, come la particola “non”), la preposzione (in latino, i casi), il signo di congiunzione (copulativa, e, adversative, ma), ec. indica come questa o quella azione e disposte, e che relazione ha fra loro, in ogni vario gruppo che compone. Siccome ogni gruppo di azioni è un *risultato* che subisce questa o quella modificazione (declinazione, congiuggazione) secondo i cangiamenti parziali del numero (singolare, duale, plurale) e della posizione di questo o quello componento, cosi vi ha una sintesi fondamentale in ogni parte simile che nel risultato e ferma, e vi ha una continua analisi di ogni parte variabile ed accessoria. Per questa ragione e necessario il segno radicale che esprimono la parte *sintetica* fondamentale, cioè, il fondo permanente dell’azione: il radicale poi si va cangiando nella sua desinenza (uomo, uomni, pater e familia, paterfamilias), o in suo articolo definito (il – ille, la -- illa) o indefinito, “segna-caso”, ed ausiliare, per indicare ogni variazione e accessorio che in torno a quel gruppo fondamentale di questa o quella aziona si effettua. Il atto di signare monosillabica dei cinesi supplisce a ciò coll’accozzare diverse sillabe, cioè diverse segni, di cui ognuna esprime una idea, e tutte unite esprimono un complesso. Una idea fissa si esprime con un signo fisso. Una segnato variabile si esprime con un segno variantie. Sorge da ciò la necessità del segno derivativo, del segno della desinenza e del segno del prefisso, infisso, e suffisso, come anche la necessità di trasformare in maniera avverbiale un nome e un verbo, e di operare ogni cangiamento di preposizione in verbo ed in nome, dell’aggettivo in sostantivi e viceversa. Poichè, fissa la forma fondamentale, ogni mutamento di forma debbe esprimersi con cangiarli secondo il bisogno e secondo la relazione che vuolsi esprimere tra un gruppo di azioni ed un'altra. Finalmente vi ha un'altra forma obbligata in ogni costruzioni del discorso, ed è quella del giudizio, poichè ogni proposizione – in ogni modo – indicativo, imperative -- in giudizio o volizione si risolvono, e come si va da un giudizio all'altro per mezzo di una connessione, così la proposizione prende forma concatenata e compone un period (protasi, apodosis), e questo periodo s'incatena con quello periodo e forman un discorso. Però è no ievole che l’operazione dell'analisi e l’operazione della sintesi spontanea non puo altrimenti annunziarsi che sotto forma di “proposizione”, cioè di giudizio o volizione; quantunque agli occhi perspicaci del filosofo anche un segno solo, considerata nella sua radicale o nella sua derivazione, indica benissimo l’operazione analitica che vi è dentro. La ragione, per cui non si può annunziare ad altri, che sotto forma di giudizio, una completa operazione di sintesi e di analisi, si è appunto questa , che quando si annunziano ad altri cotali operazione di sintesi o analisi, vi è di già il concorso della riflessione, e perciò non si annunzia altro che il risultato ultimo della sintesi e dell'analisi riflessa, il qual risultato e il giudizio e la volizione, ambe due con contenuto proposizionale. Onde si ha che nello singolo signo si rappresenta le sintesi e le analisi spontaneamente fatte, e nel complesso si rappresenta il risultato totale, che perciò appunto veste la forma di giudizio o volizione con contenuto proposizionale. Da tutte queste osservazioni emerge che il segno e la sua costruzione (sintassi) in ogni popolo – o paese d’Italia -- debbe avere una forma fissa (semiotica agglutinativa) e una forme variabile (semiotica componenziale), siccome il risultamento organico subbiettivo ed il risultamento esteriori obbiettivo ha una forma fissa e una forme variabile, poiché il segno debbe necessariamente prendere lo stesso aspetto del segnato. In ogni segno possono riguardarsi due parti distinte, cioè il segno e la costruzione del segno. Ogni segno è segno di una percezione, o di una parte di percezione, o di un'idea o concetto (signato). La costruzione del segno ra-presenta ogni relazione che ha questa o quella percezione, questa o quella idea, questo o quello segnato. Onde il signo è lo specchio più sicuro del grado delle conoscenze di un emittente del segno. Poiché la povertà o la ricchezza del repertorio semiotico e di questa o quella forma di costruzione indica quante percezioni, quante idee, esistano presso il medesimo emittente, ed in quante maniere sa  metterle in relazione fra di loro. Però è notevole una cosa, che forse non è stata abbastanza studiata sino al presente. C’e un segno (“colletivo”) che non esprime una percezione sola o una idea sola, ma serve ad esprimerne più di una. Per sapere se mai una di tale segno esprima una idea piuttosto che un'altra, fa d'uopo stare attento alla *forma* del discorso, dall' insieme del medesimo, come anche dalla forma della costruzione, si ricava ciò che precisamente si vuol signare col segno che si adopera. Questo fatto è ben noto ai filosofi sensista; ma forse la causa del fatto non è da loro cercata con rigore semiotico. Acciocchè un segno sia adoperato a signare un segnato diverso d’altro segnato (equivocazione) , è necessario che il segno in origine appartenga ad un segnato solo; poichè non è presumibile che siasi voluta fare un arbitrio dual anfi-bologico (equivocazione – para-bologica – il rasaio di Occam), cioè un arbitrio duale di usare un segno solo per rappresentare un segnato e altro segnato, appunto per far nascere la dubbietà di sapere il segnato che propriamente vuolsi indicare. Allorchè dunque si presenta un segnato nuovo, che perciò non ha ancora segno proprio, il segnato stesso fa sperimentare il bisogno di trovare o inventare o concevire un segno per indicarlo, ed in pari tempo il segnato (es. spirito) fa svegliare l'idea socia di un segnato simile avente un segno proprio (spirare). Allora l'uomo prende quel segno, e se ne serve per indicare il segnabile novello ch' è ancora propriamente IN-segnato. Questo bisogno si sperimenta più di tutto nell'esprimere una idee astratta (‘implicatura’) , a cui mano mano un emittente si eleva; e perciò si serve del segno che indica un segnato, quanto più è possibile, somigliante a quella idea (im-piegare). Nasce cosi l'uso del traslato: un segno, che propriamente è servito ad indicare una segnato (lo spirare), è adoperata a signare un'altra (lo spirito) che solo ha con essa qualche somiglianza. Il traslato di tal fatta e una necessità, perchè la presentazione di un segnabile IN-signato conduce al bisogno di signarlo, e non potendo formarsi sul momento un segno apposito per l'impossibilità di fare un pronto arbitrio duale, si ricorre più prestamente al segno del segnato simile, lasciando pure al resto del discorso l’incarico di mostrare la diversità e la novità del signabile previamente IN-segnato, pel quale si adopera una segno. Ma oltre a ciò vi ha pure una necessità di usare un segno da traslati o metaforicamente, quantunque il signato che vuolsi esprimere ha segno suo proprio. L’esattezza del segno appartiene sopra tutto a quel filosofo oxoniense che e avvezzo alla precisione del segnato e del segnabile non segnato, e che valutano ciò che propriamente esprima ciascuno dei segni , che essi adoperano per indicarle . Ma il numero maggiore degli uomini non può mai aver fatto queste esatte meditazioni , e molto meno può aver l'abitudine del linguaggio preciso . Inoltre gli uomini, spinti dal momentaneo bisogno di communicare il segnato, e molto più quando sono sotto il dominio delle passioni che maggiormente l'incalzano, non han tempo a ricercare il segno che esattamente corrisponde al segnabile IN-segnato. Allora succede un'effetto ch' è tutto proprio dell'associazione delle idee. Si presenta un segnabile che non richiama prontamente alla memoria il suo segno, ed invece richiama per ragion di similitudine un'altra percezione segnata che ha pronto il segno. Allora l’emittente, senza metter tempo ir mezzo, si approfitta di questo segno cognosciuto per indicare, non il segnato proprio, ma un segnabile simile; e cosi si la un'altro genere di traslato, cioè il traslato metaforico. L’interprete o recipiente e pur'essi obbligato da quel segno a passare dal segnato simile non propria al segnato propri; e ciò, quando la similitudine calza bene, riesce a proccurare una maggior persuasione, come pure riesce a rappresentare lo stato di esaltamento dell'animo del emittente, quando lo si vede correre rapidamente di segnato in segnato, senza aspettare la corrispondenza esatta del segno, é con servirsi di un segno che indicano un segnato simile. Quest'altro genere di trasláti è anch'esso una necessità, perchè la maggioranza degli uomini non può sempre misurare il segno, e molto meno lo può, quando è sotto l' ardore delle passioni, o nel momento di una pubblica arringa, in cui il segno naturalmente si eleva colla metafora per l’imperioso bisogno di esprimersi con qualunque segno si presenti più adatta. Con questi criterii è ben facile giudicare, perchè vi sieno emittente di repertorio ricco ed emittente di repertorio povero, perchè vi sieno emittente di repertorio riccho e emittente di repertorio povere di forme, ed in qual rapporto stieno tra loro l'abbondanza e la povertà degli uni e delle altre. Il emittente men civilizzato e meno avvezz alla riflessione filosofica, avendo un minor numero di segnati, debbono esseri poveri di segni; ed a misura che son poveri di sengi, più abbondano di traslati, perocchè ad ogni nuovo sengabile che ai medesimi si presenta debbono adattare per similitudine un segno. Queste emittente però diventa di un repertorio ricchissime di forme, ed inclinano quasi sempre alle circonlocuzioni (perifrasi) ed al figurato (metafora). Ciò è ben naturale, perché la forma stessa del discorso deve dare a comprendere che el sengo non venga adoperata nel uso suo ordinario, ma in un uso di somiglianza, in un uso figurato o allegorico. Questo emittente si presta anche facilmente alla nascita di un segno composto (bi-cicletta), perchè sentono il bisogno di accoppiare due segni indicanti oggetti proprii, per segnare un segnabie che ha una somiglianza con ambidue uniti insieme (portmanteau). Perciò questo emittente contiene un signo radicale che si prestano ad inflessioni molto diverse, e per quanto son povere di radice originaei, tanto son ricche di composti e derivati. Per ciò sogliono chiamarsi il più anticho emittente. Non vuolsi confondere un ricco repertorio delle forma con un ricco repertorio di segni, nè si deve credere che la ricchezza delle forme sia indice della perfezione maggiore dell’emittente, molto più quando non è congiunta a - ricchezza vera di signo. Al contrario, i segni di più avanzati nella riflessione e nella civiltà hanno un più esteso numero di vocaboli proprii, e fanno molto conto della purità e della proprietà del segno: onde esse sono più aliene dalla sinonimia, scansano le figure, e adoperano al bisogno strettissimo i traslati. Queste linyne si prestano meglio all’esattezza scientifica , ma quanto sono rigorose , tanto son più fredde , poichè non si confanno collo stato dell'uomo appassionato, il quale afferra qualunque segno avente somiglianza col segnable che vuole signare. Un emittente i di tal sorta non e nato con quella esattezza fin dalla loro origine; perciò porta l' impronta di molte radicali, di molti decivativi e di traslati che appartennero all'epoca più antica. Tutti questi però coll'andare del tempo hanno acquistato segnati loro proprie; cosicché non si ha più l’idea di un traslato o di una metafora in ciascun segno, ma vi si scorge un segnato tutto proprio (By uttering ‘You’re the cream in my coffee’ I sign that you are my pride and joy). Ciò prova che questo fenomeno e recente, e figli, anzichè padre. L’emittente e ricchissimo nel repertorio di segni, ma molto povero nel repertorio di forme poichè ogni segnato ha segno proprio che esattamente lo segna, e perciò le relazioni delle proposizioni sono meno intralciate, son più semplici, e sempre più si avvicinano alla forma fondamentale di ogni giudizio o proposizione: soggetto copula e predicato. Un'altra osservazione debbesi pur fare intorno a queste due specie di emittente. Quello che e più antico, più abbondante di figure e di traslati, meno ricchi di segni che di forme, segna il segnato per come si presenta in forza del l'associazione, e perciò nella loro costruzione-riescono sempre più intralciati; cosicchè il soggetto dell'azione sostanziale, l'azione sostanziale stessa , ed il suo oggetto, non van sempre in ordine progressivo, ma per come si associano tumultuosamente un signato coll’altro, cosi l'esprime: quindi la necessità di molti incisi e di molte trasposizioni del signo. Al contrario, l’emittente più riflessivo, più abbondanti di segni e men ricche di forme, abitua ad un'associazione d'idee più ordinata, e perciò la proposizione conserva la fisonomia ordinaria del giudizio, senza il tumulto d'idee bruscamente congiunte. Per questo un emittente antico (Catone) non e più intelligibili a noi, se prima non mutiamo la sua costruzione, da noi chiamata “indiretta”, in un’altra costruzione più conforme all'ordine logico delle idee che diciamo “diretta” e che a noi è divenuta più abituale. Se si interpreta an pezzo di Catone colla costruzione stessa che ha nell'originale, non sarebbe mica intelligibile. Intanto si scorye da ciò che al linguaggio appassionato ed oratorio, a quel linguaggio, che ha bisogno di esprimere le idee per come si presentano nel tumulto delle passioni o nel calore della perorazione, l’emittente antico e meglio adatto, e quella stessa costruzione intralciata rileva vie maggiormente l'originalità e la spontaneità dell'associazione delle idee. Al contrario, l’emittente nuovo si presta meglio alle opere scientifiche, e per sostenersi nella poesia e nell'oratoria ha bisogno di pensieri per sé stessi clevati, non potendo sperare il loro effetto dalla varietà della forma e dallo stile figurato. Io non scendo a particolari confronti tra stile e stile, poi che qui m'intrattengo dell'alta semiotica generale. Lascio al non-filosofo lo applicare questo principio che nascono dalla natura stessa del segno, dallo stato più o meno amplo delle idee e dal corso delle loro associazioni. Solamente debbo notare che il migliore emittente debbe esser quello, il quale accoppi i due diversi vantaggi, dello stile figurato e dei traslati quando abbisognano, e della precisione rigorosa quando è necessaria. L’emittente antico non puo riunire questi due vantaggi insieme, se non che in un caso solo, quando cioè il popolo italiano è passato colla medesima lingua dal primo periodo della spontaneità a quello della riflessione, dall'epoca della poesia (mythos) a quello della filosofia (logos). Bisogna però in tal caso che il popolo italiano mantenga i due registry in un solo sistema: l'ordinario o basso ed il sublime o alto, il rigoroso ed il figurato. Questo emittente e ricco di segni e di forme allo stesso tempo, ma pecca di molta sinonimia, ed in generale offre un'esempio rilevante, che coloro , i quali adoperano il rigistro esatto, non sa più riuscire nell'altro registro. Simone Corleo. Keywords: filosofia morale, filosofia dell’identita, filosofia universale, meditazione filosofica, logica, antropologia, sofologia, noologia, linguaggio ordinario, principio dell’identita, Aristotele, la sostanza, l’universale ontologico, la categoria come universale ontologico, segno, signare communicativamente, segnabile, segnato, emettente, repertorio di segni, repertorio di forme, composizionalita, communicazione primitive, pre-arbitrio mutuo, spontaneita, naturalita, associazione, iconicita, bah-bah, peccora, conversazione adulto-bambino, il vocative “o” emesso sense intent communicative – signa naturalmente che e necessaria l’attenzione spontanea, scenario ii. Romolo e Remo, Eurialo e Niso. Le parti dell’orazione, il verbo e le categorie agruppatta in quattro funzione: quantita, qualita, relazione, modalita. Il nome sostantivo, il nome addgietivo, il avverbo, le particelle, la congiunzione, il vocative “o” – la forma del giudizio e la proposizione semplice “S e P” – modelo filosofico dello svilupo del signare communicativamente – dello spontaneo (arbitrio duale tacito) al arbitrio duale.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Corleo” – The Swimming-Pool Library.

 

CORNELIO (Rovito). Filosofo. Grice: “I love Cornelio – he has a gift for titling his treatises: gyymnasma!” “My favourite of his gymnasmata is the one on what he calls the ‘generation’ of ‘man’ – in Roman, ‘homo’ is said to come from mud, humus – and this is strange because Prometeo created man out of mud – In Rome, the more Catholic your philosophy is, the more ‘Aquinate’, as it were, the less Hegelian and Platonic – so trust an Italian philosopher to believe in the Graeco-Roman myth of the ‘generation of man’ than the story of Adam’s spare rib, etc.!” Si forma alla scuola cosentina sulle teorie anti-aristoteliche diTelesio, molto studiato nei salotti. Studia a Roma, approfondendo e facendo proprie molte tesi galileiane. Conobbe il naturalismo telesiano e campanelliano, di cui fu erede il suo tutore Severino. Insegna a Napoli, portando la filosofia di Cartesio e di Gassendi. Nel “Pro-gymnasmata physica” sono esposte la sua teoria filosofiche. Altre opere: “Pro-gymnasmata physica”; “Epistola ad illustriss. marchionem Marcellum Crescentium”; “De cognatione aëris et aquae”; “Epistola Ad Marcum Aurelium Severinum”. Dizionario biografico degli italiani. INDEX EORVM, Quæ in hoc volumine continentur animalium conformatio ex inspectione er ex aque, ac terre expira ouorum percipi facile patest  tionibus ætheri permiftis con animalium ex semine conformatio de stituitur scribitur aer ob vsum respirationis recentari de animalium pars primigenia non iecur neque cor, neque fanguis ter præter modum diſtraktus aut com animantes exſectis teftibus quandoque preffus vite animalium & ignis con filios generant. fernationi inutilis antiquorum varix de.rerum initijs opi aer nisi vaporibus aqueis permiſtus re niones spiritioni inutilis apoplecticorum & ftrangulatorum aer infra aquam demerſus à fuperftan mitis est exitus tis aqua pondere comprimitur Aqua frigore concreta rarefcit, & in ma. Aeris in reſpiratione quis vſus. iorem molem ampliatur. aeris per neceſitas tum ad vitam ani aqua quomodo in vapores foluatur malium tum ad ignem conferuan in glaciem concreſcat dum Aqua fenfu iudice neque contrahi,neque Aeris grauitas diftrahi potest Aeris color caeruleus onde aqua triformis Arris , Aquarum pondus fub eifdem Aquis ineſſe non poteſtnotabilis quanti demerſi curnon ſentiamus. tas aeris Akris compreffio ,ea diſtractio nifi æthere Archimedes ingenj doctrinæque prin admiſſo nequit explicari ceps Aeris ex aqua generatio Ariſtoteles animaduertit in generatione Aztheris ſubſtantia omnino admitten diuiparorum fieri .conceptus ouifor da Alibilis fuccusad cor confluit Aristoteles ab attico platonico philo animalia amphibia cur sub aquis distid fopho notatus si le ſine spiritu viuant Aristoteles cur priuationem inter prin Animalia pulmonibus prædita cur niſi cipia numerauerit reſpiraverint citiffimemoriuntur Aristotelis de loco fententia improba animalia , quæ interclufo fpiritu fiiffa 46 cantur dexterum cordis ventriculum , Ariſtotelis principia diffentanea . pulmones babent multo fanguine Ariftotelis quàm galena doctrina de ge refertos. neratione animalium fanior ar mes tur arteriæin vteros prezrintinm perti mentuan mentes frequentiores , “ ampliores Calor omnis animalium eflà Janguine fiunt Aiteris non moventur à ri pulſifica eiſ- calor nonnunquam diſſimilis nature cor dem à corde communicata, fid ab im pore congregat pulfu fanguinis Calore corpora non femperrarefiunt, Arteriæ omnes eoderntemporis puncto Calore cur omnia diffoluantur, atque li. ab impulſu fanguinis mouentur , tam queſcant que cordis proximefunt, quam quæ à Caloris naturaex Platone explicatur corde longiſſimèabfunt . 129 Cauernæ in quibushomines fuffocantur , arteriarum venarumqueplexus, atque ignisextinguithi' implicatio ibi eße folet vbi fit aliqua Chyli in ſanguinem mutatio quomodo ſecretio fiat. Aſtrologia conieéturalis vanitas Cloylus ad inteſtina de aplies duobus li quoribuspermiſcetur attractioni vulgo tributi motus re vera chylum ounem per lacteas venas trana. pendent à circumpulſione refulſo prodideruntiuniorcs Auftifichs ſuccusper membranas, a Chymix cognitio ad Thyſiologiam illis neruos in partes diffunditur ſirandam perutilis Auftificus fuccus ab Arabibus obfer- chymici magnam cladem galenicæ fa Uatus,fedperperam iudicatus. &tioni attulere cibaria non eo quo ingeruntur ordine Ilis à fanguine in iecinore fecerni B permanentin ventriculo tur cibi pars e ventriculo fiatim elabitur Bilis nõ eſt fanguinisexcrementun antequam integra maſa confefta fue Bilis nutritiumfuccum diluit, & fluxum reddit ciborum concoétionem auctores diuerſa Bilis vtilitas rationeexplicant Brahaus illuftris Aftronomus à predi- cibus in ventriculo quomodo conficia Etionibus aftrologicis abstinuit  Bruni de mundanorum innumerabilitate cibus non à folo calore conficitur sententia refellitur cibus in ventriculo fermentarur Brunus voluminibus ſuis nugas inferuit . Cibus in ventriculo coctus non femper albicat Cibus non detinetur in ventriculo donec Alidorum halituum magna vis in totusfuerit confectus exterendis duris corporibus Cola piſcis cur amphibiorum more diu Calor cæleftis est eiufdem nature , atque tule fub aquis viuere potuerit elemenearis Conceptus omnes viviparorum ouifor culor innatus eftmedicorum inane com mes ſunt Con rit . tur . с Copernicus ab Italis mundani systematis FFelleus, Gʻaqueus humor cuit Condenſatio, et rarefaétiofine tenuiſſima quod ob defluxum bydrargyri inane ætheris fubftantia explicari non po videtur teft F Elle nullum animal caret . notitiam arripuit quibus Copernicus maximus astronomus prædi. chylus diluitur,iterato fæpius circuitu &tiones aſtrologicas improbauit ad inteftina reuoluuntur cor motum non habet à cerebro, fed inſe Fermentatio quid ſit ex Platone, ip, o cietur, cpalpitat Fermenti vis à calore excitatur . ibid . Cordis motus fit ab balitibusin eiuſdem Firmicus reprehenditur lofibras influentibus flamma cur fine pastu permanere ne Cordis motus nõ excitatur àferuorefan queat guinis , vt Ariftoteli, Carteſio pla- Flamma cur faſtigietur in conum , ibid. Fæmina ſubminiſtrat materiam omnem Corpora je inuicem propellere poffunt , ex qua fætuscorporatur non autem attrahere Fæminæ genitura non carent D Feminarumgenitura an aliquid conferat Ifferentis inter conceptus ouip.rros, adgenerationem Fætus vita non pendet à vita matris Dɔny Volumen de natura hominis fætus cum propria tum parentis vi ab utero excluditur E Frigore nonnunquam diſſimilis nature Lectrum quomodofeſtucasattrahat. corpora ſegregantur experimenta ludicra quatuor primum Alenus ab Ariſtotele maximis de orbiculorum in aqua alternatim a rebus diſſentit frendentium , defcendentium Galenus Platonis fententiam de circum secundum orbiculorum in tubo dque pulſione non eſt affecutus pleno fuerfum deorſumque recurrena Galeni experimentum de fistula in arte. - tium ad nutum eius , qui tubi oftium riam immiſa oſtendit arterias ab im digito obturat pulſie fanguinis moueri tertium orbiculorum in tubo retorto Galeni Secta cæpit deficere aſcendentium defcendentium pro Galenice fattioni magna clades d chy paria tubi inclinatione micis eſt illata quartum orbiculorum ex imo furfum galenice medicine summa aſcendentium propter diſtractionein Galilæus de atomis, inani aliter vidé aeris in eiſdem conclufi tur decernere, ac Democritus & Epi Experimentum quo Verulamius probat curus aquam comprimipole eſt fallax Galileus omnium primus physiologiam experimentum Torricelli de spario, com Geometria iugauie Ga Gevens ifotelemaximisde Galilcus aſtronomicarum rerum peritif Hippocratimulta tribuuntur, quecom . fimus improbauit aſtrologicas prædi mentitia funt ctiones" Hobbes fententia de ſubſtantia inter al Galilei Carteſi aliorumque iuniorum rem & aquam media. doctrina phyſicapræftantior quam homo à teneris annisita potefl educari, antiquorum vt amphibiorum more ſub aquisdiu Genituraquid ,vnde prodeato tius viuat Genitura non fit in teftibus Homo incerto gignitur fpatio Genitura in procreatione animalium ef- Hominis genitura non est eiufdem ratio ficientis tantum caufa vim habet. nis cum femine ſtirpium Genitura non eſt pars , feu materia con Hornunculorum generatio à Paracelſo fituendi conceptus : propoſita commentitia eft Genituræ craffamentum oua, & conte Humanusfætus recens formatusmaiu ptus minimè ingreditur Sculæ formica magnitudinem vix fum Geniturepars, quæ efficiendi vim habet , perat oculorum fugit aciem Geniture vis per occultum agit corpora quantumuis denfa penetrat Sanguinefecernere. Ecinorisprecipuum munusest bilen Geometrie Paradoxa nonſemper plyſInanenihil eft . cis diſquiſitionibus aptantur so Ingenia ad philofophandum idonea que Glandulg cur maiores & frequentiores nam fint. in tenellis , & pinguibusanimalibus, Initia rerum naturalium abftrufa. quam in ſenioribus , &macilentis, in omni motu fit reciproca corporum  dla translatio Glandule fecernunt auctificum ſuccum Iuniores multa fulicius inuenere quam à reliquo fanguine Priſci . 4 Glandularum vtilitas . ibid . K Græci curdoctrine ſudijs cæteris natio nibuspræcelluerint probauit aftrologicas predi&tio Grauiora corpora etiam à leuioribus ju . perftantibus premuntur L Grauitas quid L Ac quibus vis feratur' ad mam H mas Hanimalium accuratiſſima. Aruei obſeruationes degeneratione lacervberibus virorum , &virginum frequenti fuetu prolicitur Harueius in obferuando diligētior, qaam Lace papillisrecens natorum extillans .. in iudicando Hippocratis de calore Paradoxum . lac in ventriculo pueri coagulatur Hippocratesanimaduertitfetum in man ' Latte columbs-nutriunt pullos ſuosprin tris vtero alimentum exfugere mis diebus Laa nes Luuleirum venarum nonnulla cum me. Saraicis coniunguntur medicina praua quadam conſuetudina Lamine complanatæ mutuo contactu co . hominibus infimæfortis tractanda re hærentes cur niſi magno conatu diuelli linquitur nequeant Medicina rationalis ſuper falſis hypothe. Lansbergius' excellens Aftronomus à fibus hactenus fuit ſuperstructa predi& tionibus aſtrologicis abſtinuit . Medicina Græcorum continet inanes conie turas & fallaces præceptiones , Lien per flexuojam arteriam craffioren fanguinem excipit Medicina inconftantia, Seftarum va Lien craffiorē & impuriorem ſuccum ex rietas. cibireliquisſecretum ſuſcipit Medicinam pauciffimi Romanorum fa Lienis vtilitas, Arụctura Etitarunt Lumennon eft in rebus, fed fit in ipfo  Membranarum vtilitas, dentis oculo Motus ad fugam vacui vulgo relati pen Luminis naturaexplicatur dent à circumpulſionefuperftantis ae. ris maseratica vis diſimilis elektrick : Mund for printeriplexdifferentia mini . Men Maßarias iuniorum gloriæ infenſus  Mundi magnitudo incomprehenſa. ibid. Materia exqua fætus corporatur eſt al N bugineus lentor ſinailis ouorum albus Aturæ ratio ex ipſa potiusrerum Mathematicæ diſciplinæ fummam inge paranda stü aciem defiderant Naturalis historie cognitio ad Phyſiolo Mathematicarum disciplinarum notabile giam malde necellaria incrementum O Medici latina verba importunèeffutiunt, Bferuatio noua deforaminibus in vt imperitorum plaaſum aucupen . interiorem pentriculi tunicam . : tur biantibus . Medici periculofus, &ancipites morbo- obſeruatio noua de pensatorum ventri. rum curationes inftituunt , culis. Medici perperam diuidunt partes in ſper. Obferuatio noua lenti humoris in ventri maticas,atque fanguineas', culo exiſtentis Medici rationales quam profitentur' , Obſeruatio viarum, que nouum alimentū. ſcientiam omnino ignorant ex ventricnli fundo excipient Medicis familiare eft mutuainter fe ia . Oetimestris partus non minus pitalis Etare conuicia quam ſeptimeſtris Medicorum improbitas Ouiformis conceptus in viviparis habet Medicorum inſcitia reprehenditur, vcram ſeminis rationem Ouum gr Pusega Perguedus nouisobfervationibusfretus R Frisvarijoeleis queriamlitar $ Strguis I i Ouum fæcundum b.abet rationem femi- Ptolemai Copernici, &Brahei mundan nis in ouiparis Systematis pofitiones manca im perfecte Ancreatis ductus vtilitas Pueri cur facilius mathematici effe pof fant,quàm phyſici ,aut politici. 36 Paracelſus d plerifque propter obſcurita- Pulli ex quo generatio defcribitur tem deſertus R opinion Erum natura vix alibi quàm in li Pecquetus obferuationibus quæriſolita bematofin tribuit cordi, non iecinori. Refpiratione cordis æſlum temperari fal sò creditum est Pestilentix confideratio philosophandi ratio inſtituta à noftri fæ Anguis non eſt ſuceus ſimplex , nec culi auctoribus laudatur . tamen continet quatuor decantatos Philoſophia noftris temporibus in liber humores tatem vindicata eft Sanguis in omne corpus per arterias dif Philosophia Cartesii quails funditur Ploilofophiæ ftudium à pleriſque peruer- Sanguis per arterias in membra influen's titur vitalitatem magis , quam nutrimen Philoſoplrorum in definiendis rerum ini. tum infert tijs conſenſus sanguis non calore, motuue liquefcit, fed Phyſiologia parum hactenus adoleuit permiftione tenaifimihalitus pbyſiologia plurimarum rerum cognitio nem , & experientiam requirit Sanguis non fuapte natura caliduseſt , Phyſiologia onde ordienda nec calorem accipit à corde, fed motu, Phyſiologia poteft ex falfis hypotheſibus atque agitatione incalefcit veras naturalium rerumaffectiones Sanguis non in iecinore, nec in corde, vel concludere alio certo viſcere conficitur Phyſiologie obſcuritas onde proficifca . Sanguinis duapartes altera viuifica tera auctifica Phyſiologiæ perfetta cognitio cur defpe- Sanguinis natura admirabilis Eius randa potior pars aciem fugit Phyſiologiam noftre etatis fcriptores Sanguinis motusà corde a præclaris inuentis illuſtrarunt Sanguinis circulationem ab Harueio de Phyſiologiam nemo Geometriæ ignarus fcriptam indicauerant,ante Pizulus Mis aſequitur Sarpa , &Anstress Cefalpinus. Planetarum corpora ad ætheris liquidif- Sanguinem fal coire, &denfere noir par ſui motum circumferripoflunt titur Plato materiam voluit eſſe locum Sapientia illa quam in ætatibus habet ſe weêtus nostræ potius cetati, quins pria e feq . tør . ſeis fcis temporibus debetur Vacuipropugnatores corporis naturam à Semen animalium quidnam fit cx Aris tałtu determinant Stotele P'ene lactea non deferuntomnem fuc Senfus non ea omnia percipit, qua in na. cum alibilem jura exiſtunt Venis la &teis animantesquædam carere Senſu quæcumquepercipiuntur falsò ta videntur lia iudicantur qualia videntur. ibid . Venarum lymphaticarum progreffus, ego Soli nibilſimiliusquamflamma vſus leg. Solem igneum esſe tactus & oculorum Vene meſaraica fuccum nutritium ex teftimonio probat Cleanthes inteſtinis ad iecur Stelliole Encyclopedia Vens meſaraicæ non ſunt deſtinate nú Stelliola nouitate verborum abſtruſe do . tricationi inteftinorum & alui Etrina caliginem offudit Vene vmbilicales maiores ampliorefque Stirpium ex ſemine propagatio compre funt coniugibusarterijs. 88 hendi facile poteſi Ventriculi,& inteftinorum motus  Stoicis materia corpuseffe videtur Vermes in iecinorè, liene,corde,pulmoni Sympathia Antipathiæ & Antiperiſia bus & cerebro animaliū fis inania commenta Verulamius opes ætatemque inter expe rimenta conſumpſit Elefius putauit poße ſpatiumma Vix quibus humores d corpore per aluum gna vi conatuque pacuum fieri . expurgantur Vita hominis in continuata fanguinis Telefiusveteresphilofophos, é precipuè. motione conſiſtit Ariſtotelem exercuit Vitalis halitus in ſanguine existensquo Testes priuerfo corpori robur conferunt . modo percipiatur Vitri denſitatem penetrat hydrargyrus Theologi Hegyptü Deos omnes ex ouo prognatos eſetradiderunt Vniuerſum vnum indiuiduum , atque im Tyndaridæ ex ouo editi mobile Torricelli Paradoxum geometricum Vrina per quas vias in renes, &veficam profunditur . Acuum experimento Torricelli Vvirjungiani ductus vtilitas Vacuum neque mouere corpora poteſt ne Enonis de natura geniture fenten que ne moueantur inbibere Ztia. Grice: “It’s best to represent Cornelio as representing Cartesio – yes, the Cartesio that Ryle attacked! But Italy never had a Ryle, so that’s good!” Tommaso Cornelio. Keywords: pro-gymnasmaton, gymnasmaton, gymnasta, gymnasium, ginnasio, ginnasiale, nudo romano, nudita romana, corpo nudo, snudare, atleta, atletismo, lotta ginnastica, competizione ginnastica, implicatura ginnastica, l’implicatura ginnastica di Socrate, Socrate al ginnasio, implicatura ginnasiale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cornelio” – The Swimming-Pool Library.

 

CORRADO (Oria). Filosofo. Grice: “I like Corrado; of course we have the beefsteak, the English do; but Corrado philosophised on the near ‘cibo pitagorico’ a Crotone and produced a philosophical cookbook for the noblemen!” --  Uomo di grande cultura, fu soprattutto grande gastronomo e uno dei maggiori cuochi che si distinsero tra il '700 e l'800 nelle corti nobiliari di Napoli, simbolo del suo tempo nella variegata realtà partenopea. Fu il primo cuoco che mette per iscritto la "cucina mediterranea", il primo, a valorizzare la grande cucina regionale italiana.  Scrisse “Il cuoco galante”, definito all'epoca un libro di alta cucina, testo richiesto in tutto il mondo dalle principali autorità dell'epoca, e ristampato per ordini del principe per ben 6 volte.  Preparava elegantissimi banchetti in principio alla corte di Don Michele Imperiali Principe di Francavilla presso il palazzo Cellamare di Napoli, dove coordinava un piccolo esercito di maggiordomi, domestici, volanti e paggi e preparava i pranzi o le cene con particolare assortimento di vivande accoppiandole con tanta fantasia e particolari accorgimenti architettonici ed artistici al fine di formare una coreografia sontuosa e raffinata.  Figlio di Domenico e di Maddalena Carbone. Rimasto orfano per la morte del padre, ancora adolescente, divenne paggio alla corte di Michele Imperiali che era Principe di Modena e Francavilla Fontana, Marchese di Oria e Gentiluomo di camera di S.M. il Re delle due Sicilie, che lo condusse a Napoli dove risedette per diversi anni. Appena maggiorenne, entrò a far parte della Congregazione dei Padri Celestini nel convento di Oria.  Dopo l'anno di noviziato, fu chiamato dal Superiore Generale De Leo nella residenza napoletana di San Piero in Maiella, dove si specializzò negli studi di filosofia. Dallo stesso padre generale fu avviato, anche, allo studio delle scienze naturali e dell'arte culinaria, per la quale divenne famoso. Non diventò mai sacerdote per cui, dopo la soppressione degli ordini religiosi si stabilì a Napoli, ove risedette per oltre cinquant'anni, insegnando la lingua francese ai figli delle famiglie aristocratiche della città, pubblicando contemporaneamente molte sue opere che gli diedero successo e notorietà. Per i molti impegni che ebbe a Napoli, non tornò più ad Oria, anche se non mancarono momenti di nostalgia per la lontananza dalla sua famiglia e dalla sua città natale.  Il Principe di Francavilla gli attribuì la mansione di "Capo dei Servizi di Bocca" (antica mansione con cui veniva chiamato colui che era preposto a sovrintendere alla cucina, alla preparazione delle vivande e all'organizzazione dei banchetti) di Palazzo Cellamare, sito sulla collina delle Mortelle prospiciente il golfo di Napoli e della famiglia del Principe, poiché molti illustri personaggi di un certo livello e rango, che venivano a Napoli, invitati a mensa poterono constatare la fama di questa opulenta ospitalità più spagnolesca e tipicamente partenopea che era in uso al tempo.  Parlando del suo lavoro Vincenzo Corrado così si esprimeva:  «L'abbondanza, la varietà, la delicatezza delle vivande, la splendidezza e la sontuosiotà delle tavole richiedevano una schiera di uomini d'arte, saggi e probi. Questa mastodontica organizzazione, era guidata proprio da lui. Alle sue dipendenze lavoravano un maestro di casa, un maestro di cucina ed un maestro di scalco che aveva il compito di acquistare, di cucinare, di dissodare e di trinciare ogni tipo di animale, mentre una schiera di cuochi, rispettando la gerarchia allora in uso, lavorava secondo la propria specializzazione (oggi le grandi cucine dei Ristoranti hanno i cuochi di rango) : vi era il cuoco friggitorie, quello per le insalate, il pasticciere, il bottigliere e il ripostiere. Tutti questi erano aiutati da una serie di sguatteri e di serventi che avevano il compito di girare intorno al tavolo per esibire lo spettacolo fantasioso delle portate prima ancora di servirle. Tutta questa organizzazione era coadiuvata da un piccolo esercito di maggiordomi, domestici, volanti e paggi che interveniva non appena il servizio di cucina consegnava le varie portate artisticamente decorate. Vincenzo Corrado, a seconda degli ospiti del Principe preparava i pranzi o le cene con particolare assortimento di vivande accoppiandole con tanta fantasia e particolari accorgimenti architettonici ed artistici al fine di formare una coreografia sontuosa e raffinata. Egli stesso ci descrive queste splendide composizioni con pregevole gusto e raffinatezza, lasciando, anche, delle visioni grafiche. Gli elementi decorativi della tavola erano affidati al maestro ripostiere che usava gusto artistico e genialità: grandi vasi in porcellana ricolmi di fiori variopinti, alzate di cristallo e argento a tre o quattro piani colmi di dessert o frutta o fiori o ortaggi, bianchi gruppi di porcellana raffiguranti scene arcadiche o bucoliche; puttini d'argento; gabbiette dorate con piccoli uccellini cinguettanti; coppe di cristallo di varie fogge in cui guizzavano pesciolini tra foglie di rose ed altri fiori. Il centro veniva racchiuso da una cornice di frutta, di fiori freschi e di ortaggi, secondo la stagione variante, disposti, intervallati da piccole spalliere di agrumi in porcellana con ortolani nell'atto di raccoglierli. La composizione era la sintesi di un artista di provata esperienza, di raffinata fantasia e di vivace estro, capace di accoppiare tanti svariati elementi fondendoli insieme a formare uno spettacolo di gran gusto e di particolare gradevolezza. Il valore del tavolo di gala completato dal vasellame, cristalleria e argenteria di grande pregio era inestimabile. Questo senso artistico, anche, nell'arte culinaria Corrado lo aveva ereditato da un suo antenato letterato di mestiere. Ma per quanto dotato di una cultura autodidatta, di vivacità d'ingegno, di originalità e di una particolare facilità nell'insegnamento, se non avesse avuto la fortuna di conoscere Don Michele Imperiali, che ne coltivò le particolari doti incoraggiandolo a scrivere della sua specifica arte per tramandarla ai posteri, probabilmente sarebbe rimasto un ottimo organizzatore, un appassionato gastronomo, ma la sua fama si sarebbe estinta con lui.  Le opere “Il cuoco galante’. Il primo libro vegetariano della nostra storia. il credenziere: colui che si prendeva cura della credenza. L'opera fu sottoposta a ben 7 ristampe. Prodotta in 7500 copie, Dalla dedica si ricava il leitmotiv dello scritto nonché la filosofia in cui credeva l'autore, che è di questo tenore: il “buon gusto nella tavola” inteso come “sano pensare”. Di questo trattato di gastronomia, il successo fu istantaneo e inaspettato, in quanto la precedente opera gastronomica, La lucerna dei cortigiani, stampata presso Napoli e dedicata a Ferdinando II duca di Toscana, non era riuscita ad attirare l'interesse del pubblico che la trascurò ignorandola.  Invece grande successo ottenne la prima edizione del "Cuoco Galante" che si esaurì rapidamente, tanto che il Principe ne ordinò una seconda edizione che ebbe eguale successo. Intanto Vincenzo Corrado migliorò e ampliò il testo di questa opera e ne preparò una terza edizione.  La fama del libro superò i confini del Regno di Napoli e dell'Italia; infatti dall'estero giunsero richieste da tutti quegli stranieri che avevano conosciuto ed apprezzato il Corrado alla corte degli Imperiali, per cui si pervenne ad una quarta edizione, seguita dalla quinta e infine la sesta pubblicata. Assolute novità introdotte dall'autore erano allora la patata, il pomodoro, il caffè e la cioccolata.  Altre opere Incoraggiato dal successo del Cuoco Galante, il Principe spinse l'autore a pubblicare nel 1778 un Credenziere del buon gusto, del bello, del soave e del dilettevole per soddisfare gli uomini di sapere e di gusto. Egli scrisse e pubblicò inoltre “Il cibo Pitagorico”, “Trattato sulle patate”, “Manovre del cioccolato” e “Manovra del caffè”; “Trattato sull'agricoltura e la pastorizia ed infine, “Poesie baccanali per commensali”. -- è il faro della cucina moderna della nobiltà a cavallo del periodo della rivoluzione francese. Egli privilegia i personaggi di rango in visita alla mensa del principe con opulenta ospitalità. Orbene in questo contesto di sfarzo godereccio, di lusso e di differenze sociali abissali, rimase fin abbagliato dalla nobiltà, la gente ricca e potente, verso la quale nutre sempre sentimenti di grande reverenza se non addirittura di venerazione. Proprio per riconoscenza al Principe, dando alle stampe i suoi due libri, confessa. “Questi due libri che del buon gusto trattano, con la guida e norma scrissi, e pur mercé la tua generosità mandai alle stampe, e tu di propria mano ne *segnasti* il titolo “Il Cuoco Galante” -- l'uno e “Il credenziere del buon gusto” l'altro, tutti e due a te li porgo come frutto di un albero dalla mano piantato. Mio Scopo egli è di richiamare alla memoria dei nobili uomini dei quali tu fosti la gloria l'ornamento alla memoria e la lode. Ah? Ma qual Tu fosti non basterebbe di dire di cento e mille lingue, per cui io stimo meglio il tacere e con il silenzio benedire gli anni che ti fu appresso.  L'organizzazione dei magnifici banchetti e delle cene lussuose gli diedero l'appellativo di “il cuoco galante”. La cosa straordinaria è che dietro gli scenari di un favoloso pranzo o cena vi era una preparazione, quasi orchestrale della quale il direttore era il filosofo. Alle sue dipendenze vi era una vera e propria squadra di addetti alle cucine formata da precettori cuochi e servienti. La presentazione estetica, oltre al gusto, acquista la sua importanza in cucina, ed dedica grande spazio alle decorazioni e al modo di imbandire le tavole dei banchetti. Nell'opera sono anche presentati i sorbetti, in vari gusti, ed il caffè, che, a differenza dall'attuale espresso, veniva bollito in apposite caffettiere.  Precettori un precettore di alloggio e sistemazione posti per gli invitati, un precettore di preparazione dei cibi, un precettore abile con utensili domestici, che aveva la mansione di far provviste e comperare il necessario al mercato per le mense, di dissodare e di affettare ogni tipo di carne o pesce. Chef e Cuochi “Il cuoco friggitore”, il cuoco per le insalate, il pasticciere, il bottigliere, il ripostiere. Serventi lavapiatti, camerieri, maggiordomi, domestici, volteggianti e giullari che intervenivano non appena il servizio di cucina consegnava le varie portate artisticamente decorate.  Non era solo una semplice cena, era un vero e proprio spettacolo, fuori dall'immaginato. A volte comprendeva l'utilizzo di 100 persone per altrettanti o più invitati.  I banchetti o le cene con caratteristiche e assortimenti di piatti erano accoppiate con tanta inventiva e particolari astuzie architettoniche ed eleganti al fine di plasmare una scenografia sfarzosa e affinata.  Egli stesso nelle sue opere e nei suoi diari ci descrive queste splendide composizioni culinarie come opere d'arte, quasi uno spreco consumarle. Bicchieri e coppe di cristallo, posate in argento intagliate, tovaglie di pizzo fiorentino, buche e composizioni floreali, piatti in porcellana di Capodimonte  Termini culinari "Il Cuoco Galante", proprio nella terza edizione, alfine di una maggiore comprensione, spiega alcuni termini "cucinarj" usati per la preparazione delle varie pietanze, ne riportiamo un esempio:  Bianchire: Far per poco bollire in acqua quel che si vuole; Passare: Far soffriggere cosa in qualsiasi grasso; Barda: Fetta di lardo; Inviluppare: Involgere cosa in quel che si dirà; Arrossare: Ungere con uova sbattute cosa; Stagionare: Far ben soffrigere le carni o altro; Piccare: Trapassar esteriormente con fini lardelli carne; Farsa: Pastume di carne, uova, grasso ecc.; Farcire: Riempire cosa con la sarsa; Adobare: Condire con sughi acidi, erbette, ed aromi; Bucché: Mazzetto d'erbe aromatiche che si fa bollire nelle vivande; Salza: Brodo alterato con aromi, con erbe, o con sughi acidi; Colì: Denso brodo estratto dalla sostanza delle carni; Purè: Condimento che si estrae dai legumi, o d'altro; Sapore: La polpa della frutta condita, e ridotta in un denso liquido; Entrées: Vivande di primo servizio; Hors-dœuvres: Vivande di tramezzo a quelle di primo servizio; Entremets: Vivande di secondo servizio; Rilevé: Vivande di muta alle zuppe, potaggi, o d'altro.  Pitagora nell’atto, che dalla cattedra nella nostra italica scuola dettava sistemi, che riguardavano quanto mai fosse fuori di esso lui, e di noi per pascere l’animo e l'intelletto, non trascure di sistemare peranche ciò che meglio, e piu opportunamente al nutrimento ed alla conservazione del meccanico nostro vivere conducesse. E però dettando il canone o la legge, come dir si voglia, per la cucina delli suoi mentati, non di *carni* di animali ei ditte quadrupedi, o volatili, o di pelei imbandite vengano le mente di quanti han voglia di più lungamente, e più lanamente vivere, ma soltanto di vegetabili erbe, di radici, di foglie, di fiori. Ebbe cotesso filosofante la somma disgrazia di non essere da ogni filosofo inteso, come sovente la savia donna stobeo sua moglie e espose li g luf'J\ l&- r menti: e com’egli la tras-migrazione dell’anime avesse ingegnata, così dalli silenziari scolari suoi, e da parecchi altri prevenuti da quel di lui fatto sistema si divieta del cibo animalesco, e la preferizione del solo cibo erbaceo furon pref nel sinistro senso di una supertiziosa venerazione , cK egli aveffe per l’animale, nella macchina del quale l’anima dell’uomo dopo la morte fojfcro tras-migrate. Ma ’ che chefané di ciò, egli è indubitata cosa , che il cibo erbaceo fallo più confacenti all’verno, per cui vedef la più parte dei Naturalifi a quella opinione indicimata, che l'uomo naturalmente non è carnivoro. E se noi ponghiamo mente al parlare dell’antica filosofia, rilevaremo con tutta chiarezza che le frutta della terra defluiate vennero al nutrimento dell'uomo, e che sopra del pesce, dell’animale terrestre, e del volatile n eh he lo fie[fio uomo soltanto il domini ; Jlcchè l efifierfii poi dati alcuni uomini ad alimentarsi di animali j'offe fiata una necessità di alcuni luoghi, oppure un lusso! Non senza ragione quindi la italiana gente, ansi avvedutamente oggi più che in altro tempo la legge pitagorica ha ripigliata ad oficrvare con tutto impegno nella cucina del filosofo galante, e nelle mensa: e le nazioni anche più culte, che da Italia sono lontane, han preso il gufo di dare al corpo nutrimento più sano, gusiosso, e facile per mezzo dell’erba. Ed ecco perciò tutta la scuola cucinaria pofia in movimento per inventar un nuovo modo a poter preparare e condire l’erba per mezzo di altri fingili vegetabili, onde non solamente grato al palato si renda il semplice pitagorico cibo, ma eziandio pofia sioddisfarsii al lusso nell' imbandire laute Menfie da filmili siempìicità compofie. E quesio è il fine della mia filosofia, difiefio , ed a comune uso e utilità. Vero egli è, che non tutti li vegetabili dei quali ferie preferìve qui la preparazione filano li più perfetti, e giovevoli ai nutrimento nostro. Ma ciò ha dovuto farsi per accomodarsì af gufo comune, ed alla moda presiente della tavola fu ,di che qualunque Aristarco non avrà che opporre. Nella mia filosofia volendosi imitare la filmile semplicittà della materia del soggetto, con sempiice e chiaro discorso si da la pratica come ogni erba italiana dando il suo proporzionato condimento con fughi di carne, con latte Animali, e di fórni, con butirro, con olio, con uova , e con altr’erbe odorifere e gusiofe debano preparar f . E intanto per a et tare, ad ogni articolo alcuna cosa verrà premefi , che rifguarda la natura, e le virtù del vegetabile di cui fe ne voglidn preparare la vivanda. E già qui fiegue in prima, la maniera di far i brodi, i  coli e le buri neceJTarj pel condimento: ed in secondo luogo h nòta del vegetabile del quale nella mia filosofia fe ne preferivo il modo di prepararli: avendo io in ciò fare procurato di mettere in J'alvo anche il Injjo nell' imbandire con simili generi una mensa di formalità e gala, e nel tempo Jìeffo di soddisfare il gusto delicato dei nobili, e di provvedere alla conservazione dell’utterato . INDICE: Velli Brodi, Coli , e Purè p. I Velli Coli a Velie Purè i tutta la c minarla prepa- ragione de’ vegetabili, Lattuca, Spinaci, Cavolo Cappuccio , Selleri, Zucca, Zucca lunga ia Delle Zucche Vernine ivi Cavai fiore Finocchi Iudivia Cardoni Cavoli Torgi Carciofi Broccoli Boraggine Senape Cipolle ivi Rape Ravanelli CicoriaPetronciane Pafiinacbe Pomidoro Cedriuoli Peparoli Pifelli Sparaci Raperortzpli Velli Ceci Fave Faggioli 3^ De//** I-enfe 39 Funghi Tartufi Erba per condiment, Maggiorana, Targone, Pimpinella, Santa Maria Crefcione Origano Timo Acetofa Salvia Menta Cerfoglio Porcellana Bafiltco Ruta Sambuco Rosmarino Tralci Vite Zafferano Anafi Cappari Scalogne Dettagli Rafano o Ramolaccio Bettonica Idea dell'ufo delle frutta ivi. Grice: “My favourite chapter from ‘Il cuoco galante’ is the philosophical one, on Pythagoras! I vitto pitagorico consiste l’erba fresca, la radice, il fiore, la frutta, il seme, e tutto cid che dalla terra produce per nostro nutrimento. Vien detto pittagorico poiche Pitagora, com’ è tradizione, di questi prodotti della terra soltanto fece uso. Pitagora mangia l’erba semplice e naturale, ma gli uomini de’ nostri di li vogliono conditi, e manovrari; ed io nel voler conversare con distinzione dell’erba procuro eseguire l’uno, e soddisfare l’altro, con escludere le carni, e di servirmi del condimento, anche pitagorico, com'è il ſugo di carne, il lasase, le uova, l’olio , ed il burirro per compiacere qualche particolar palato, servirmi pure delle parti più delicate degli animali. Grice: “Oddly, my mother was keen on Mrs. Beeton, I’m keen on Signore Corrado!”  La cucina e la credenza, ad esami parlando, son sorelle gemelle, poichè le due appartengono al buon gusto del cibo, e le due nacquero, cresceron , e s’ingrandirono nello stesso temp , e nella nostra Italia che in altri luoghi, sotto i fastosi e dominanti romani, e divennero tutte e due arti d’ingegno, di piacere, e di utile; ed il cuoco ed il credenziere debbono esser d'accordo nel loro, quantunque dissimile, lavoro. Della estesa ed elevata cucina se n’è discorso abbastanza. Dico abbastanza ma non già al fine; e compimento, poichè ciò accade quando non vi saranno più uomini al mondo. Ora vengo a trattare di quanto la credenza include, e di quanto un credenziere dee esser fornito. E se nel dar l’istruzione per la cucina pensai e scrissi da cuoco, ura collo stesso metodo filosofo da credenziere. Come tale intendo ragionare al dilettante. Procuro di aggiugnere quanto di bello, di buono, e di dilettevole mi ha potuto suggerire la fantasia. Gradisci dunque , o cortese mentato, questa mia fatica, e sappi, ch’io resto soprabondevolmente pagato col piacere di avervi servito. Vivi felice. Vincenzo Corrado. Keywords: il cibo pitagorico, il concetto di conversazione galante, gala --.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Corrado” – The Swimming-Pool Library.

 

CORSINI (Fellicarolo). Filosofo. Grice: “I like Corsii; if we at Oxford had a sublime history as they do in Italy, we surely would be philosophising about it! Corsini taught philosophy at Pisa and spent most of his efforts in deciphering what the Romans felt interesting about Greek philosophy!” Grice: “Corsini also explored the roots of Roman philosophy from the earliest times – ab urbe condita,’ as the Italians put it!” Studia nel Collegio dei padri scolopi fananesi, dove in seguito entra quale novizio e  si trasferì nel Noviziato di Firenze.  Le sue capacità lo portarono a diventare docente di filosofia a soli vent'anni presso la stessa scuola. Si trasferì quindi a Pisa dove insegna. Eletto Superiore Generale e dovette trasferirsi a Roma.  I principali campi di studio ai quali si applica furono: la filosofia, la cronologia, l'epigrafia, la filologia e la numismatica ma si interessò anche di matematica, di logica, di fisica, di idraulica, di didattica, di storia e di lettere antiche e moderne. Altre opere: “Illustrazione relativa alle recensioni su De Minnisari e Dubia de Minnisari pubblicate ne gli Acta Eruditorum; “Illustrazione relativa all'Epistola ad Paulum M. Paciaudum, pubblicata negli Acta Eruditorum”; “Ragionamento istorico sopra la Valdichiana” (Firenze); “Index notarum Graecarum quae in aereis ac marmoreis Graecorum tabulis observantur” (Firenze); “De Minnisari aliorumque Armeniae regum nummis et Arsacidarum epocha dissertation” (Firenze); A. Fabbroni, Vitae Italorum...,  Pisis  E. de Tipaldo, Biografie degli italiani illustri,  X, Venezia); Dizionario biografico degli italiani. Elogio di Corsini (con lettere di Fananese a Rondelli). Fanani nianae, quod in ditione est oppidum Ducum provinciae AteftinorumFri, III. Non . Octobris anno MDCCII. natus eft Eduardus Corsinius (Silvestro Corsini) optimis quidem parentibus, honestissimaque familia, quippe quae jamdiu civitate Mutinensi donata fuerat. Is ubi primum adolevit Sodalitatem hominum Scholarum Piarum, quos praeceptores puer in patria habuerat, ingressus est. Multa diligentia, multoque labore in humaniorum litterarum [cf. Grice, Lit. Hum.], philosophiae ac theologiae studiis Florentiae se exercuit apud suos; & cum omnes condiscipulos gloria anteiret, ab omnibus tamen in deliciis habebatur. Erat enim bonitate suavitateque morum prope singulari; & cum plurimuin faceret non solum in excolendis studiis, sed etiam in officiis omnibus religiosi hominis obeundis, minimum tamen ipse de se loquebatur. Vix ferre poterat Eduardus peripateticos quofadam horridos, durosque oratione & moribus, quibuscum versari cogebatur; intelle xeratque jam falsos hujusmodi sapientiae magistros de veritate jugulanda potius, quam de fendenda assidue certantes, philosophiam artem fecisse subtiliter & laboriose infaniendi. Relictis igitur disputandi spinis, ad Academiam se convertit, cujus ratio inquirendi verum libero folutoque judicio, & fine ulla contentio ne & pertinacia non poterat non magnope re probari homini natura leniſſimo. Nec forum in philosophorum libris corum dogmata, quae disputationibus huc & illuc trahuntur, ut ipse per se perpenderet, inveſtigavit Corsii, sed etiam philosophiae adminicula & an ſas, qualem Xenocrates geometriam appellabat, in Euclide, Apollonio & Archimede quae sivit. Quo in itinere felicem adeo habuit exitum, ut fervore quodam aetatis impulsus, břevi condere potuerit libellum de circulo quadrando, quem ad Guidam Grandium mi fit. Novit in eo Grandius eximium & admirabile adolescentis ingenium, eumdemque hortatus est, ut pergeret porro in eo studio, quod ceteris & studiis & artibus antecede ret, & in quo ipse futurus effet excellens. At Corsini praeſertim trahebatur ad humaniores litteras, quibus a puero mirifice dedicus fuerat, quaſque vel in sublimiorum disciplinarum occupationibus, ne obsoleſcerent, legendo renovaverat. Itaque moleste tulit demandatam fibi a majoribus fuisse an MDCCXXIII provinciam tradendi publice Florentiae philosophiam, quasi ad ea detru deretur, quae sui non essent ingenii. Principio sequi coactus est Goudinium, cui brėvi substituit Hamelium. Atque hos auctores sic interpretatus est, ut facile intelligeretur non eſſe ex illorum doctorum numero , pud quos tantuin opinio praejudicata poteſt, ut etiam fine ratione valeat auctoritas eo rum , quos ſequi ſe profitentur . Poftremo · ad ſcholae fuae utilitatem & ornamentum maxime pertinere exiſtimavit , fi e multis , quae ſunt in philoſophia & gravia & utilia a recentioribus praefertiin philoſophis tracta ta , quantum quoque modo videretur deli geret, in quo adoleſcentes exerceret . Sa pienter etiam faciebat, quod ipſos non ſolum quibus luminibus ab illa omnium laudanda rum artium procreatrice Philoſophia petitis a mentem illuſtrare , fed etiam quibus virtuti bus omnem vitam tueri deberent fedulo e rudiebat . Quare minime eſt mirandum fi in tantam claritudinem brevi pervenerit, ut fuis & Florentinis vehementer carus , quibuſdam vero hominibus nudari ſubfellia ſua , & cor nicum oculos configi dolentibus eſſet invim diofifſimus. Fuerunt & nonnulli ( tantum in vidia , aut inſcitia potuit ) qui apud eos , quorum munus eſt providere , ne quid er roris in religionem moreſque irrepat , Corſi nium accufarunt , multa illum tradere , in exponendis praeſertim Gaffendi & Cartefii ſententiis , a recta religione abhorrentia . Stomachatus eft homo religiofiflimus , caftif fimuſque obtrectatorum temeritatem . Hos ve ro ut falſae & iniquae inſimulationis publi ce convinceret , utque ab omni metu diſci pulos fuos liberaret , ftatuit in lucem profer re , quae in ſchola & domi iiſdem expoſue rat . Quod cum praeftitiffet , id evenit, ut alteros reprehendiſſe poeniteret , alteri fe di diciſſe gauderent . Inſcripfit opus : Inſtitutio nes philoſophicae ad ufum Scholarum Piarum , & illud in quinque volumina diſtribuit si ma mum continet hiſtoriam philoſophiae & lo gicam ; ſecundum verfatur in indagandis prin cipiis , & tanquam feminibus unde corpora funt orta & concreta , horumque proprieta tibus & qualitatibus ; agit tertium de cor poribus inanimatis , quae caelo , aere , ri & terra continentur ; examinat quartum animata corpora , multipliceſque eorum fpe cies, & elementa metaphyſicae tradit ; quia tum denique morum doctrinam complectitur. Nec folum in conficiendis his libris res no vas inveſtigavit Corfinius , fed etiam eas , quae funt ab antiquis traditae , quarum co gnitionem eo utiliorem putavit , quod faepe. philoſophos nova proferre judicamus , cum pervetera proferant . Praeter quam quod in ea erat opinione Corſinius, illi , fitum eſt veritatem invenire , fingulas nofcen das effe diſciplinas , ut ex omnibus , quod probabile videri poſſit , eliciat , praeſertim cum doceamur a ſapientiffimis viris , nullam fectam fuiffe tam deviam , neque philoſopho rum quemquam tam delirantem , qui non vi derit aliquid ex vero . Nec modo quid fibi probaretur , fed aliorum etiam fententias , & quid cui propo quid in quamque ſententiam dici poſſet, pera fecutus eſt, quod ea modeſtia praeſtitit , ut : non vincere maluiſſe , quam vinci oſtende- . rid . Hanc opinionum varietatem ex fuis fone tibus fincere deductam , ut potentius in die fcipuloruin animos influeret, non modo ora , vine diſpoſuit ., ſed etiam claritate & nitore, Latini ſermonis illuſtravit . Praeclare enjin , Cicero : mandare quemquam litteris cogitationes fitas , qui eas nec difponere poffit , nec illuftra-: re , nec delectationé. aliqua lectorem allicere , hominis est. intemperanter abitentis otio & like cris . Sunt nonnulli qui in hiſce. Insitus, rionibus dum pleniflimo ore laudant ima menſam prope eruditionis copiam ,, politio remque elegantiam , quibus ornantur, defide; rare videntur abditiorem 'reconditioremque tractationem earum rerum, quae primum ii) phyſica tenent locum , quales ex. gr. ſunt Trotus., Newtoniana' attractia , harumque lo ges, non tam .ut ceteros, quam ut ſe ipſum , qui nunquam adduci potuit , ut Newtoni fententiae affentiretur, convinceret . Sed ii meminiſſe debent quibus ſcripſerit:Corfiniusi, hribuſque temporibus ſcripferit. Quoniam ve Tom . VIII to plurima ſunt in phyfica , quae fine 'gea metriae ope tractari non poffunt , hoc quo que adjumențum a fe afferri oportere diſci pulis ſuis putavit . Itaque Philoſophicis Ma thematicas Institutiones adjecit , in quibus fi ordinem excipias ( initium enim facit a pro portionibus , quas nemo ignorat difficillimam effe geometriae partem ) cetera ſatis belle procedunt. Neque multo poft retexuit hoe ipſum opus , in quo eo elaboravit attentius , quod fperabat aditum fibi facturum ad mu nus tradendi mathematicas diſciplinas in Ly ceo Florentino . Acceptum illud cum plauſu fuit propter dilucidam brevitatem atque ele gantiam , licet in eo acutiores peritioreſque geometrae pauca quaedam jure ac merito teprehenderint. Praeſtantiam , quam conſe cutus fuerat Corſinius in rebus geometricis, yoluit ad hydroſtaticam transferre; cumque fedulo evolviffet quae in ea facultate ſcris ptis mandaverant poft Galilaeum Torricellius, Michelinius , Guglielminius , Grandius , alii. que pauci , in ſcenam prodire non dubitavie fuftinens perſonam non modo conſiliarii & arbitri de dirigendis avertendiſque aquis , ſed etiam ſcriptoris. Etenim ex ejus officina prow diit liber , qui infcriptus eft : Ragionamenti intorno allo stato del Fiume Arno e dell' acque della Valdinievole , quique editus fuit fum ptibus. Marchionis Ferronii , cujus cauffam praeſertim defendebat . Spe dejectus Eduar dus perveniendi in Lycei Florentini docto rum numerum , qui praeter modum iis tem- . poribus. creverat , animum ad Academiam Piſanam convertit , petiitque dari ſibi va cuum eo tempore logicae interpretis locum . Celeriter quod optabat impetravit , propte rea quod Joannes Gaſto Magnus Etruriae Dux eximiam illius ſcientiam in omni re philo ſophica cognoverat .. Vir non tam doctrina praeſtans, quam docendo prudens ( etenim quaedam etiam ars , eſt docendi ) magno erat emolumento ſtudiofis adoleſcentibus , qui non uſitata frequentia fcholam illius celebrabant . Cum vero de fchola in otium folitudinem que ſe conferret , tempus potiffimum conſu mebat in augendis . perficiendiſque ſuis Phi lofophicis Institutionibus , abſolvendoque , quod inſtituerat , opere de Practica Geometria . Ins ter haec magna fuit amnis Arni inundatio , F 2 84 EDUARD US ut fi inundationes excipias , quae annis MCCCXXXIII. & MDLVII. acciderunt, nul lam unquam majorem fuiſſe conſtaret . Pere vaſerat opinio per animos Florentinorum huic luctuofae calamitati cauſſam praefertim dediffe Clanis aquas in Arnum deductas , & quae ad eaſdem moderandas aquas facta fue rant opera . Hunc errorem ut eriperet Edu. ardus , utque perſuaderet eadem opera fuiſſe utiliffima ac faluberrima , libro expoſuit qua lis fuiſſet , & quis eſſet ſtatus Claniae val lis , quidque conſultum & actum ab anno MDXXV. ad fua uſque tempora , ut peſti lentiſſima regio convaleſcere aliquando & fa nari poſſeti, utque controverſiae inter finia timos Principes de dirigendis aquis ejuſdem regionis tollerentur . Piſis erat Corfinio con tubernium cum Alexandro Polito , qui hum maniores litteras profitebatur , cujuſque vi tam ſupra explicavimus . Hominis Graecis & Latinis litteris eruditiffimi exemplum & vo . ces , ſelectiſſimorumque librorum copia , qua is abundabat , Corſinium per fe jam flagran tem vehementiffime incenderunt ad eas ar tes , quibus ab ineunte aetate deditus fuer GO RS IN I UŚ. 85 rat , celebrandas . Sciebat Graece , cujus ſermonis elementa juvenis Florentiae acce perat a ſodali ſuo Franciſco Maria Baleſtrio , fed non luculenter . Itaque multo ſudore ac labore in arte grammatica primum ſe exer euit , poftea Graeca multa convertit in La tinum , Graecorumque libros & eos pracſer tim , qui res geſtas & orationes ſcripſe runt , utilitatem aliquam ad dicendum aucu- | pans, ftudiofiffime legebat . Cum vero ei eſſet perſuaſum ingentes ac prope immenſos cam pos illi proponi , qui eloquentiae ceterife que humanioribus litteris vacare cupit , acom mico hac de re aliquando ſciſcitanti reſpon dit: percipiendam ei effe omnem antiquitatem , co gnoſcendam hiſtoriam , omnium bonarum artium ſcriptores & doctores & legendos & pervolu tandos , & exercitationis cauſa laudan.los , in terpretandos, corrigendos , refellendos ; diſputan dumque de omni re in contrarias partes, & quid quid erit in quaque re , quod probabile videre poffit , eliciendum atque dicendum . Hujuſmodi exercitationes, quas diu incluſas habuit, Core finius in veritatis lucem tandem proferre ſe poffe putavit , cum Faſtos Atticos illustrandos fuſcepiſſet ; magnum ſane opus & prae clarum , quod omnem fere Athenienfium hi ftoriam complecti debebat , cum qua philo fophiae , omniumque laudatarum artium hi ſtoria arctiſfime eſt conjuncta . Diviſit illud ipſum opus in partes duas , quarum prio rem veluti apparatum Faftorum effe voluit, quod in illa fuſe lateque ea exponerentur , quae commode in ipfis Faftis , ad quos ta men pertinebant , 'exponi haud poffe vide bantur . Agit itaque de Archontum inſtitu tione , numero , varietate , muneribus & re rie , de Archontico anno , atque ordine men fium Athenienfium . Cum vero Archontigiis annus non in menſes ſolum , ſed in Pryta nias etiam diviſus eſſet , ac Tribuum Athe nienfium fingulae aequali temporis , annique parte Prytaniae munere fungerentur , de ie pſarum Tribuum ac Prytaniarum numero , ordine ac ſerie , deque Atticae populis , ex quibus illae conſtabant , eruditiſſime differit . Neque ab his ſeparandam putavit tractatio nem de Athenienſium Senatu & Ecclefiis , dcque Proedrorum , ac Epiſtatum numero , diſtinctione & officiis. Tranſit inde ad contexendam Archontum ſeriem diſtinguens eponymos a pseudeponymis . Quam diſtinctio nem licet nonnulli agnoverint , nemo tamen exſtitit , qui Pſeudeponymorum Archontum feriem illuftrandae Atticae hiſtoriae maxime neceffariam recenſere tentaverit . Agit de mum de civilibus Graecarum gentium annis, ipfarumque menfibus, cyclis atque periodo, cum antea declaraſſet tempus , verumque di em , quo varia Athenienſium feſta peragi & redire confueverant . Id facere neceſſe fuit propterea quod eadem fefta , veluti perſpi cuae certaeque temporis notae, rerum gefta rum memoriaé ſaepiffimè a ſcriptoribus adji ciuntur . Haec quidem in priori operis par te . In fecunda vero Fafti exponuntur a pri ma Olympiade , qua Coroebus palman retus lit , uſque ad Olympiadein cccxvi. Cauffa fuit juſta Corſinio praetereundi antiquiora tempora , quod iſta laterent craſſis occultata tenebris , & circumfuſa fabulis . Ne tamen primam Athenienfis imperii formam deſpice. re videretur (nam Athenis initio Reges , inde perpetui Archontes, mox decennales , tandemque annui imperarunt) qui Reges & Archontes perpetui , & qua aetate fuerint in Prolegomenis perſecutus eft. Ceterum Fa. ftos fic contexuit Corfinius, ut nullum ad nos pervenerit nomen Archontum , Olympioni čarum & Pythionicarum , nulla lex , neque pax , neque bellum , neque caſus neque res illuſtris & memoranda populi Athenien fis , quae in iis ſuo tempore non fit notata . Interdum etiam attigit Spartanorum , Phoceli fium , Thebañoruin , aliorumque Graecorum gefta , conſilia , pugnas , diſcrimina , quod ca maxime ſint Atticae hiſtoriae conjuncta . Grae Cos vero philoſophos , poetas, oratores , cete roſque tum pacis, tum inilitiae artibus claros viros ita commemoravit, ut quibus Olympicis annis, & quo loco in lucem fint editi , vitam que ' finierin't intelligi poffit. Atque haec o Innia capitulatim ſunt dicta . Etenim nimis lon gus effem fi praecipua, & nova vellem deſcri bere , quae in his Faftis continentur . Nihil poſuit in iis Corſinius fine locuplete auctori täte & teſte, aut faltem ſine probabili conje: ctura ; quodque difficillimum fuit, fcriptorum Graecoruin loca aut vitiata aut minime intel lecta, aut mutilata'ſic reſtituit , illuſtravit, fupplevitque, ut dubitari poffe videatur plus ne jis reddiderit luminis , quam ab iiſdem aco ceperit . Neque minori perſpicientia Athe nienfium nummos vidit , ex quibus non pau . ca quidem in rein ſuam hauſit ; ſed multo plura e marmoreis monumentis fumpfit, ta li modo dirimens controverſiam , quae ex fufcitata fuerat a ſummis viris Spanhemio , & Gudio , nummis ne , an inſcriptionibus princeps locus dandus effet in explicandis ri tibus , feſtis , Numinibus , ludis, magiſtrati bus , rebuſque geſtis Athenienfium . Inter nobiliores inſcriptiones , quas refert Corfi nius , & miro prorſus acumine atque eru ditione explicat , & interdum etiam fupplet, eft Florentina quaedam apud Riccardios ile luſtrandis Athenienfium Tribubus maxime idonea. Sed haec mirifice corrupta erat , au gebatque corruptelam collocatio . Etenim cum ex tribus fragmentis conſtaret , imperi tus artifex fic illa in pariete diſpoſuerat, ut media pars primae , finiſtra mediae , dextera vero omnium poftremae partis locum Occu paret. Vidit haec mala Corſinius , qui 2 tutiſſime indagabat omcia , iifque remedia goadhibuit . At puduit Joannem Lamium ſe non adeo lynceum fuiffe , cum ufus effet sadem inſcriptione in ſuis ad Meurfium Scholiis , & ex pudore orta eſt invidia . Ex quo intelligi poteſt quare is debitas mun quam tribuerit laudes operi , quod omnium judicio longe multumque ſuperat quidquid in hoc rerum Atticarum genere ſcripſerunt Sigonius , Scaliger , Petavius , Petitus , Spo nius , & vel ipfi Meurfius , & Dodwellus , quorum errorés dum faepe corrigit Corfini, us, & dum minime ab iis animadverſa pro fert , fatis declarat iiſdem detrahere voluiffe Haerentem capiti multa cum laude coro nam . Rumor erat ea parare Lamium , quibus fpe rabat hominibus fe probaturum , Corfinium in emendanda illuſtrandaque Riccardiana in fcriptione ſurripuiffe fibi fegetem & mate riem gloriae ſuae . Porro Lamius poft edi tas Corſinii emendationes fupponere cogita verat in locum impreſſae jam paginae in I. Meurſii operum volumine , quae prae fe fe rebat inſcriptionem corruptam , aliam pagi nam , in qua emendatior inſcriptio legebatur ; CORSINIUS: 1 bancque mutationem , omnibus occultari pof ſe putaverat , quod Meurſii liber nondum efe ſet in vulgus editus . Non latuit certe Core finium , in cujus manus pervenit etiam pria mum impreffa pagina , qua omnem a fe prow pulſare poterat injuriam . Id ut audivit Lami mius aliam rationem iniit perficiendi confi lii ſui . Dedit ad Angelum Bandiniun litte ras plenas iracundiae ac minarum, ſpecie qui dem ut ea, quae jamdiu ſepoſuerat ad Ric cardianum marmor explanandum , aliquando proferret ; re autem ipſa ut quae a Corſinio didicerat , perpaucis additis aut mutatis , le ctori aut occupato aut indiligenti vendita Yet pro ſuis . Atque id utrumque ſcriptorem conferenti luce clarius eft . Quare mirari ſa tis non poffum hominis frontem , qui furti Corfinium infimulet in eo loco, in quo ipfo cum re aliena , atque etiam cum telo eſt de prehenſus. Atque haec an. MDCCXLv. ſunt geſta , cum Fafti Attici anno ſuperiori lu cem vidiſſent . Sed tamen res defenſionem apud multitudinem potuit habere uſque ad cum annum , quo Meurſii opera cum Lamii animadverſionibus vulgata funt fimul universa . Is fuit an . MDCCLXIII. Tum enini primum jejuna illa marmoris interpretatio, quam ante annos xxII . Lamius in l . operum volumen intulerat , lecta eft pag . 258. : ad calcem vero ejus voluminis ſecundae Aucto ris curae in eum lapidem , & quaſi retra Statio quaedam ante dictorum edita eſt . Qua in mantiſſa bina extant indicia Corſinii cauffam mire tuentia , alterum quod nihil hoc in loco proponatur , ' quod non ille in Faſtorum libro occupaverit ; alterum quod mantiſſae characteres ab ejuſdem voluminis characteribus forma et figura longe abſunt , teſtanturque non niſi poſt annos multos quam liber fuerat impreſſus , diſtractis jam aut obſoletis formis illis prioribus , additam eſſe appendicem , de qua meminimus . Sed jam fatis multa de homine meo quidem judicio paucis comparando , niſi regnum in litteris, quod Florentiae perdiu tenuit , malis inter dum artibus & clarorum virorum vexatione confirmandum putaſſet. Quamvis in Fa. Hujus rei narrationen pluribus etiam verbis exa pofitam vide in libello cujus eſt infcriptio : Paffatem po Autuntile , quo in libcllo Si quis est qui dictum in se ir clemencius Exis. Atis Articis elaborare Corfinio maxime glorio fum fuerit , non minorem tamen laudem rea portavit ex Agoniſticis Differtationibus, de qui bus Ludovicus Muratorius , intelligens ſane. judex , dicere folebat , poſſe eas per ſe ſo las aeternum nomen Auctori comparare . His Diſſertationibus oftendere voluit Eduardus, quo tempore Graeci celebrare conſueverunt ludos Olympicos , Pythicos , Nemeaeos , & Iſthmiacos, quod tempus eatenus fuerat vel incompertum , vel faltem obſcurum . In hoc autem non mediocrem utilitatem chronolo giae & hiſtoriae ſe allaturum putavit , quod iiſdem ludis fcriptores uterentur ad notanda deſignandaque rerum geſtarum tempora . Ab Olympicis exordiens , qui ceteros fplendore & frequentia ſuperabant , breviter cos percurrit, quos ab Hercule primum inſti tutos Trojano bello deſiiſſe , moxque ab . Iphito reftitutos iterum intermiffos fuiffe fcriptores narrant . Etenim illud caput eſſe videbatur , ut de Olympiade illa quaereret , qua Coroe bus palmam accepit , & quae prima dicitur , omnes Exiflimayit ele , fit exiſtimet Reſponſum , 11011 d.ctum effe, qu'a lacris prior , 6 94 EDUARD V $ quod ab illa ceterarum Olympiadum ordo & feries incipiat . Hanc celebratam fuiſſe putat an . periodi Julianae MMMDCCCCXXXVIII. circiter folftitium aeſtivum , plenilunii tempo re , qui mos ſemper manſit non folum anti quioribus , quibus civiles Graecorum anni lunares erant , fed recentioribus etiam , qui bus ſolares anni a Romanis ad Graecos tran . fierunt . Primus is erat anni menſis , in quem incidiffent Olympici ludi . Quinque diebus eorum certamina abſolvebantur , inter quae curſus , quo, uno certatum eſt ad Olympia dein uſque XVIII, primas tenebat . Neque. in Aelide folum , fed & in aliis Graeciae ur bibus fumma cum populi frequentia ac faca. crorum caeremonia Olympici celebraba ntur, donec v . ineunte reparatae falutis faeculo , jidem cum Pyticis. ſublati fuerunt . , Pyticos primum inftituit Apollo , eofque jamdiu in-. termiffos, confecto. Criſſenfi bello , Olympiade. XXXXVIH . Amphictyones revocarunt. Ii- . dem Olympicorum inſtar pentaéterici erant ; neque ſecundis annis, aut quartis , ut Peta vius & Dodwellus, exiſtimarunt , ſed tertiis , hiſque exeuntibus circa Elaphebalionis menfis finem , tum Delphis , tum in aliis Grae- : ciae urbibus peragi confueverunt , Proxime poft Pythia Olympiade ſcilicet Lill. inſtaura ta fuerunt Nemea , quorum origo reperitur a ſeptem Argivis ducibus , qui ad lenien dum defiderium pueruli Archemori a ſerpen te occiſi funebres hoſcę agones CCCCLXXV. annis ante Olympiadem primam prope Ne meaeum nemus inftituerunt . At Nemeadem illam , ex qua veluti cardine ceterae infe quentes numerari coeperunt , in annum IV. Olympiadis LxxII . poft Marathoniam pu gnam incidiffe fatis probabiliter Eduardus af firmat . Nemeades aeſtivae aliae, aliae hibere nae , omnes vero trietericae fuerunt; eaeque alternis annis ita peragebantur , ut hibernae quidem in medios ſecundos , aeſtivae vero in quartos ineuntes Olympiadum annos in currerent . Cum Nemeis ludis quaedam erat Iſthmicis a Theſeo , ut ferțur , conſtitutis fia militudo . Funebres erant ambo , ambo trie terici , & qui utrolibet in certamine viciſſent apio coronabantur , Ithmici quoque alii em rant aeſtivi, non tamen alii hiberni , ut qui dem Dodyellus putabat , fed verni brabantur illi primis Olympiadum annis Hea catombeone menſe , hi Thargelione , exeun te fere tertio Olympico anno . Sic definivit Corſinius tempora quatuor illuſtrium Graea ciae ludorum , patefaciens obſcura & ignota vel ipſis chronologiae luminibus Scaligero Petavio , & Dodwello , quorum auctoritate abreptus ipfe in primo Faſtorum Atticorum libro Pythiades ſecundis Olympicis annis cona cefferat . Agoniſticis hiſce Differtationibus , veluti faftigium operis , idem adjecit feriem Hieronicarum alphabetico , ut dicitur , ordi ne diſpoſitam , & Dodwelliana longe ube riorem accuratioremque . Nam feptuaginta. ſupra centum vitores recenſuit , qui Dod weilum prorſus fugerant ; fonteſque indic cavit ( in quo Dodwelli diligentia ſaepiffi , me deſiderabatur ) unde uniuſcujufque vin ctoris nomen , aud patria , aut aetas , aut tertaminis genus , quo viciffet, hauriebatur . Hoc opus vehementer adeo Auctori fuo pro batum erat , ut vir modeftiffimus in eo quo daininodo gloriari videretur . Etenim , ut At rico fcripfit Cicero , fua cuique Sponfa ,fuus quiqua 2007. Quoniam autein tumuin his Agoniſticis Diſſertationibus , tum in Faltis ſcribendis faepe uſus eſt Corſinius ſubſidio marmoreorum monumentorum , in quibus multae occurrunt notae , quarum neque fa cilis, neque prompta fuit explicatio , fepara tum opus. a ſe expectare putavit Graecarum antiquitatum ftudiofos , quo in opere non ſolum ex marmoreis , fed etiam ex aereis Graecorum tabulis: varias eorum notas colli geret , haſque explicaret atque illuſtraret . Quae dum animo verſaret , fcriptionique jam manum admoviffet , ecce in lucem prodit Scipionis Maffeii liber de Graecorum figlis l.z pidariis, in quo trecenta fere vocum com pendia ingeniofe: feliciterque enodantur.. Cum Eduardus ab amico librum accepiſſet , ei epi ſtolam fcripfit ( relata haec fuit in IV. vo lumen . diarii Litteratorum . Florentiae editi ) in qua ſummas tribuit Maffejo laudes , quod primus ex omnibus materiem hanc ſeorſim tractandam füfceperit ,, magnam in illam con ferens.eruditionis copiam , & acre: prudenſ que judicium .. Non, propterea tamen: ſpar tam , quam fibi ſumpſerat , ille deſeruit , quia , ut ait Auſonius, is crat campus , in quo alius alio plura invenire poteft , nemo om. nia . Et plura certe Corſinius invenit , cum mille fere notas , aut numerorum vocum que compendia uno volumine colligere po tuerit & explicare illo ſuo acutiffimo inge nio , cui inquirenti & contemplanti omnia occurrere ſe ſeque oftendere videbantur . Ut vero delectatione aliqua alliceret adoleſcen tes , quibus inſuavis fortaſſe & aſperior via deri poterat ſiglarum inveſtigatio , poftquam multa eruditiſſime praefatus effet de notarum origine , vi , utilitateque , opportune ſparſit in toto libro non pauca ad hiftoriam , geos graphiam , chronologiam , ac mythologiam ſpectantia . Ex quibus aliiſque diſciplinis ube riora etiam hauſit , ut ornaret Diſſertatio nes ſex , quas , abſoluta univerſa notarum ſerie , confecit, ut eſſent operis corollarium . Explicant illae inſignes quaſdam Chriſtianac & profanae antiquitatis inſcriptiones , ficque explicant , ut facile exiſtimari queat , eum qui non comprehenderit rerum plurimarum ſci entiam , quique judicio certo & ſubtili non fit praeditus , in his antiquitatis ftudiis ſatis callide verſari & perite non poſſe . Inſcriptit Corfinius hoc ſuum opus : Norse Graecorum five vocum & numerorum compendia , quae in gereis atque marmoreis Graecorum, tabulis obſer vantur , dedicavitque Cardinali Quirinio , a quo pecuniam ad illud ipſum evulgandum dono accepit . Etenim his temporibus haud illi magna res erat, quae vix fatis efle vide batur ad vitam ſuſtentandam , neceſſarioſque. libros emendos . Praepoſitus an MDCCXXXV. dialecticae ſcholae, nihil aliud annui ſtipendii obtinuit nifi octingentos denarios . Hoc eſia fatum videtur nobiliilimae. quidein diſcipli nae , ut pote quae per omnes diſciplinas ma: nat ac funditur , ut qui illam profitentur me: diocribus afficiantur praemiis . Vel ipſi Grae. ci , quamvis ellent aequi liberalium artium aeftimatores , minam , eſſe voluerunt inerce dem Dialecticorum. Coin.nodiori in ftatu res Corſinii eſſe coeperunt cum traductus fuit (id accidit an. MDCCXLVI.) ad metaphyſi cam atque ethicam docendam .. Tunc eniin ipfius ftipendium erat bis millenorum & am plius denariorum , poſteaque illud ipſum ad quatuor. mille ducentos quinquaginta uſque pervenit , cum proſperae. res multae confecutae fuiſſent . Satis ſuperque id erat homi ni temperato ad vitam beatiſſimam ; videba turque libi ſuperare Craffum divitiis . Quan tum vero ſorte ſua contentụs , quantiſque a moris vinculis Academiae Piſanae obftrictus effet , ex eo conjici poteſt, quod mortuo Lu dovico Muratorio Mutinenfis Ducis bibliothe cae praefecto in illius locum fuccedere recu favit, quamvis liberaliſſime ipfius Ducis ver bis invitaretur . Quo cognito ab Emmanue le Comite Richecourtio , qui Franciſci I. Cae faris nomine res Etruriae adminiſtrabat, ipſe fingularibus verbis ei gratias agendas cenſuit, eidemque prolixe de ſua non modo , fed & Cae aris voluntate pollicitus eſt . Id non potuit Corfinio non fumme eſſe jucundum ; utque viro de fe & de Sodalitate ſua bene ſemper merito gratum fe oftenderet dedica vit illi Plutarchi opus de Placitis Philoſopho. tum a ſe Latinum factum , vitaque Scripto ris , fcholiis , & diſſertationibus ornatum . Cauſſam ſuſcipiendae novae interpretationis ei dem dederunt naevi quidam , quibus maçı lantur Budaei , Xylandri , & Crụſerii honi num ceteroquin doctiſſimorum interpretationes ; ſuſceptam vero ita perfecit , ut ver bu pro verbo reddiderit , multaque etiam attulerit de fuo , quae funt diverfo chara ctere notata , ne attenuata nimis diligentia perſpicuitati officeret , & ne res ipfa omni Latinae orationis dignitate cultuque deſtitu ta ſordeſceret . In limine operis Plutarchi vi tam ex illius aliorumque veterum ſcriptis a ſe diligentiſſime colletam , & feriem philo ſophorum , quorum placita a Plutarcho pro feruntur , aetatemque , in qua vixerunt , ex . poſuit . Singulis vero operis capitibus brevia adjecit commentaria , quae aut mutilos & hiulcos Plutarchi locos ſupplent , aut de pravatos emendant , aut obſcuros atque per plexos , opportune allatis aliorum philoſo phorum ſententiis , illuſtrant . Siquando au tem longioris eſſe orationis putavit Corſi nius lucem aliquam afferre rebus obſcuriſſi mis , cum non Heraclitus ſolum , ſed & quiſ que fere antiquitatis philofophorum , quo rum ſententias coarctavit & peranguſte re ferſit Plutarchus , Exotélv8 cognomen me reatur , hujuſmodi illuſtrationes ad finem li bri rejecit . Quo in loco voluit etiam recenfere illuſtriores ſententias , quae propriae di cuntur recentiorum philoſophorum , cum ea rum tamen manifeſta appareant veſtigia in Plutarchi libro , quod profecto ad veterum gioriam amplificandam plurimum valet . Ta les ſunt attractionis leges , vireſque , ut di cuntur , centripeta & centrifuga, Charteſia ni vortices , lunae phaſes , maculae , quod que haec fit terra multarum urbium & mone tium , converfio folis , planetarum , fiderum que certa quadam celeritate ac periodo cir ca axes ſuos , natura , coſtans motus , rever lioque cometarum , telluris motus , quodque ex eo cauſſa ' maris aelus repetenda fit jegew’ewe explicatio , aliaque hujuſmodi mul ta tum ad corporum , tum ad animi na turam pertinentia . Profecto nihil dulcius erat Corfinio quam per abdita remotioris antiqui• tatis permeare , & inde nova & inexpecta ta deferre , quae hominibus contemplanda bono in lumine exhiberet . Nam , ut Ari ſtoteles inquit, fuo quiſque artifex ftudio atque opera impenſius delectatur . Cum igi tur accepiffet ab Antonio Franciſco Gorio amiciſſimo ſuo graphidem eximii cujųſdam anaglyphi , quod Romae viſitur in Aedibus Farneſianis , non magnopere hortandus fuit, ut in illo exponendo elaboraret . Exhibet hoc ſuperiori in parte Herculem cuin Eų. ropa , Hebe , Satyriſque quieri , voluptati que poſt exantlatos labores indulgentem, in inferiori vero tripodem Apollini ſacrum , Ar givae Junonis Sacerdotem , atque alatam Virginem , & Herculem demum ipſum ſe ſe expiantem , ut purus ad Deorum conci lium afcenderet . Hinc & illinc anaglyphum ornant binae columnae cum Graeca inſcrie ptione, quae multis verſuum decadibus Her culis geſta commemorat : in ſupremo tan dein anaglyphi loco octodecim hexametra car mina exculpta ſunt, quibus Herculis labores & certamina declarantur . Praeclariſſimi hujus monumenti explicationem Eduardus libello quem ad Scipionem Maffejum inſtituit, com plexus eſt ; ex eoque judicari poteft , vehe mens afiiduumque ftudium ipfi copiam eru ditionis dediſſe , naturam vero tribuiſſe in genium ad conjiciendum divinandumque fa ctum . Et fane divinationis cujuſdam vide illum potuiſſe laceras ac depravatas multorum verſuum lacinias feliciſſime corri gere atque ſupplere. Magnae antiquitatis ar gumentum praebere ſuſpicatus eſt Doricam dialectum , qua exarata eſt inſcriptio , ne- ! que ipfe affirmare. dubitat opus paullo poſt Alexandri tempora' , antequam Q. Flaminius priſtinam Graecis libertatem redderet, perfe &um fuiſſe . Sed aliter alii ſentiunt ( 1) qui bus nunc plerique affentiri videntur . Hoc ipſo ferme tempore Corſinius ejuſdem Gorii poſtulationibus Diſſertationes quatuor con ceſſit , quae impreſſae funt ab illo in vi. vo lumine Symbolarum litterariarum . Extricat pri ma epigraphen ſculptam in labro interiori cujuſdam crateris ahenei Mithridatis Eupa toris, qui crater in muſeo Capitolino, Vide Winkelman, Monumenti antichi inediti Trel. Prelim . p . LXXIX . Idem quaedam alia notat in quibus deceptum fuiſſe Corfinium arbitratur p. 39. (2 ) Sic interpretatur Corfinius mire involutam in. ſcriptionem : Regis Mithridatis Eupatoris Regni anno 54. Eupatoriftts Gymnaſii ( hoc eft civibus Eupatoriae , qui in Gymnafio certarunt ) ſenectutem conſeival , quod erat ad laudem vini , quo plenus crater vi &ori con cedebatur . Alii aliter interpretanda extrema pracſertim inſcriptionis verba exiſtimarunt , quorum fententiam plerique nunc fequuntur affervatur . Secunda patefacit obſcuros igno ratoſque dies natalem & fupremum Plato nis , qua occafione aliorum etiam virorum illuſtrium Archytae , Philolai, Iſocratis , Ly fiae, Dionis , & Socratis aetates & tempora perſequitur . Explicat tertia adverſam par tem numiſmatis Antonini Caeſaris , in qua Prometheus humanum corpus ex luto fin gens , & Pallas capiti mentem , papilionis imagine expreſſam , inſerens confpiciuntur . Curioſa ſunt quae excogitavit Corfinius , ut perſuaderet hominibus morem repraeſentandi humanam mentem ſub papilionis imagine non ex miris hujus volucris affectionibus & natura , non ex ipſa animi immortalitate , circuitu , aut tranſmigratione, non ex Chal daicae , Graecaeque fapientiae fontibus , non ex arcanis amoris myſteriis, fed ex fola ar tificum imperitia profluxiſſe . Cum enim unum idemque nomen pſyches papilionem & ani nium deſignet, rudis artifex , qui primus ani mum exprimendum ſuſcepit , non putavit hu jus ideam poffe melius excitari , quam obje eta imagine illius rei , quacum is commune nomen habet . Quarta Diſſertatio demum in 106 EDUARDUS eo verſatur , ut oftendat mentitam & falfam effe Latinam quamdam inſcriptionem , quae Piſis vilitur in Scortianis aedibus . Summi labores , quos Corſinius impendit in conficien dis , quos retulimus , libris , magna compen ſati fuerunt gloria , ut unus e multis , qui illuſtrandae Graecae praefertim antiquitati ſe ſe dederunt , excellere judicaretur . Cujus de praeſtanti in hoc rerum genere doctrina tan ta etiam judicia fecit Scipio Maffejus , quan ta de nullo ; cujus teſtimonii auctoritas ma xima reputari debet non folum quod ab hox mine prudentiſſimo proficifcitur , fed etiam quia figulus invidens figulo , faber fabro , ut eſt Heſiodi dictum , alterius laudi & gloriae | minime favere ſoleat . Ex mutua opinione doctrinae , fimilitudineque ftudiorum orta eft inter cos jucundiffima amicitia , cujus tanta vis fuit , ut Corſinius aeſtate an. MDCCLI. quamvis non bene valens, Veronam venerit aliquot menſes commoraturus apud amicum . Quo tempore inter eos fuit familiariſſima focietas , & communicatio ftudiorum . Dono accepit Corſinius a Maffejo tercentum fere Graecas inſcriptiones ( has Edmundus Chici1 shullius collegerat, & fecundae Afiaticarum antiquitatum parti reſervaverat ) ea conditio ; ne , ut eas Latine redderet atque illuſtraret , Satisfecit ille aliqua ex parte promiffo ſuo , cum anno inſequenti edidiſſet eas inſcriptio . nes , quae ad Athenas ſpectabant ; eaſdem que iterum cum commentariis edidit quam driennio poft , ut eſſent ornamento quarto Faftorum volumini . Nono menſe poftquam in Etruriam rediit Eduardus , moritur Ale- ' xander Politus , quocum ille ita vixit , uit. quem pauci ferre poterant propter difficilli mam naturam , hujus fine offenfione ad fum . mam fenectutem retinuerit benevolentiam . Mortuo autem Polito neque inquirendum neque conſultandum fuit quis illi ſucceſſor in Academia Piſana daretur , cum omnium oculi ftatim in Corſinium conjecti fuiſſent . Ita hic exeuntė anno MDCCLII . poftquam octodecim fere annos philoſophiam tradidif ſet , munus docendi humaniores litteras li bentiſſimo animo ſuſcepit . Initio propoſuit fibi (nam muneris ratio , & adolefcentium utilitas ab eo poftulabant, ut cum Graecis Latina conjungeret ) explanare Plutarchi parallelas Graecorum , Romanorumque vitas , ut inde occaſionem ſumeret utriuſque populi leges inter ſe conferendi . Memoriter dicebat e ſuperiori loco , quod ad praeceptoris & ſcholae dignitatem plurimum tum conferre putabatur ; & quae tradebat inſignita e rant luminibus ingenii , & conſperſa erudi tionis ſententiarumque flore . Genus dicen di erat quiétum & lene, purum & elegans, ut maxime teneret eos qui audiebant , & non folum delectaret, fed etiam fine fatieta te delectaret. Nulli diſcipulorum aditum ſermonem , congreſſumque fuum denegabat , quin immo eos bis in hebdomada domum ſuam invitabat , ut in ftudiis exerceret Grae carum , Romanarumque antiquitatum . Domi etiam tradebat metaphyſicam , quo onere non placuit Academiae Moderatoribus illum libe rare niſi anno MDCCLIV. quo quidem tem pore Venetiis evulgavit ſuas Inſtitutiones Me taphyficas. In his adornandis illud unum pro pofitum fibi fuit , ut in animis adoleſcentium rectas de animae immortalitate , arbitrii li bertate , Dei exiſtentia , ceteriſque naturalis theologiae dogmatibus notiones infereret, quibus in gravioribus aliis diſciplinis veluti praeſidiis uti pofſent , quibuſque caverent a peſte quadam hominum non tam religioni , quam reipublicae infeſta , quae rationem per vertendo ubique venenatas opiniones diffe minare non veretur . Subaccuſent aliqui, fi lubet, Corſinium , quod nimis, parcus fuerit in pertractandis quibuſdam rebus , quae in ca , in qua nunc ſumus , luce ignorari mi nime poſſe videntur ; omnes profecto uno ore fateri debent tales effe hafce Inſtitutio nes , ut cupidi metaphyſicae nullibi poffint refrigerari ſalubrius atque jucundius. Poftre mum hoc operum fuit , quae Corfinius Phi loſophiae dicavit , nifi dicere velimus , eti am cum minime videretur tum maxime ila lum philofophari conſueviſſe, Quod declarant ejus Latinae orationes ad Academicos Piſanos refertae Philoſophorum fententiis , faluberri ma praecepta , quibus adoleſcentes ad omne officii munus inftruebat , doctiflimoruin Phi loſophorum familiaritates , quibus ſemper flo ruit , & ars illa diſtinguendi vera a falſis , colligendi ſparſa , eaque inter ſe conferendi, diligenter examinandi omnium rerum verbocum rumque pondera, nihilque afferendi fine evi denti ratione , aut faltein probabili conjectu ra in qua arte quantum inter omnes un Aus excelleret , praeſertim oftendebat , in vetuftatis monumenta inquireret . Hujus inquiſitionis uber fane fructus fuit Diſſertatia illa de Minniſari, aliorumque. Armeniae Regim nummis , Et. Arſacidarum epocha , quam idem in lucem extulit an . MDCCLIV. Difficulta tis maximae fuit oftendere Minniſari num mum , quem praecipue illuſtrandum Corſi nius ſuſceperat , ad illum fpectare Maniſarum Armeniae & Meſopotamiae. Regem , de quo Dio Caffius in libro Romanae hiftoriae LXVIII. mentionem fecit, & Arſacidarum epocham uon in Parthiae. folum , fed etiam in: Arme niae regum nummis inſcriptam fuiffe , eam . que ab anno Urbis conditae Dxxv. initium duxiſſe . Antea quidem doctiſſimorum viro rum Uſſerii, Petavii , Noriſii , Spanhemii , Vaillantii, & Froelichij fententia fuerat , ſe rius. Arſacidarum imperium incepiſſe , adver ſus quam ſententiam Eduardus ita pugnavit, ut veritas non minus quam modeſtia eluxe rit . Quoniam vero in antiquitatis ftudio multae res inter fe ita nexae & jugatae funt , ut , inventa una , aliae , quae prius latebant , ſe ſe contemplandas offerant, ean ob rem Corfinius in Minniſari regis num mo explicando varia ſcriptorum loca corri gere & ſupplere , verum Darii genus expo nere , Tiridatem alterum , Arfamem , aliof que Armeniae Reges Vaillantio prorſus in cognitos proferre potuit . Res in hac Differ tatione contentae , non fine laude oppugnatae fuerunt a Jeſuitis Froelichio & Zacharia , reſponditque ad ea , quae objecta fuerunt , ſine iracundia Corfinius . Eteniin veritatis unice amans alios a fe diffentire haud ini quo ferebat animo, ſemperque deteſtatus eſt eos , qui ſuis ſententiis quaſi addicti & con . fecrati etiam ea , quae plane probare non poſſent , conſtantiae, non veritatis cauſſa de. fenderent . Propugnationem quoque Corſinii libello (*) ſuſcepit ejus convictor & fodalis (*) Huic titulus eſt . Lettere critiche di un Pafton r Arcade ad un Accademico Erruſco nelle quali ſi ſciola gono le difficoltà fane contro un'opera del Reverendiſſia mo Padre Corſini nel Tom . IX. della Storia leveraria of lialia &e, in Pisa 1957. in Carolus Antoniolius , qui quidem non me . diocria adjumenta illi praebuit , cum pluri mum valeret in omni genere ftudiorum quae ipſe excolebat . Magni quoque Acade miae fuit Antoniolii opera in Graecis littea ris tradendis toto illo ſexennio , quo Corfi nius , coactus capeſſere, ſummum Sodalitatis fuae magiſtratum , bona Principis cum ve nia , & fine ulla ſtipendiorum jactura Piſis abfuit . Hic Romam venit menſe. Aprili an. MDCCLIV, ardens. defiderio indicia veteris memoriae , quibus mirabiliter urbs. illa abun dat ( quacumque enim quis ingreditur in aliquam hiſtoriam veftigium ponit ) cogno ſcendi . Sed raro ei poteſtas dabatur huic ſuo . deſiderio, fatisfaciendi, cum podagrae dolori bus ſaepiſſime vexaretur , & munus ſuum diligentiſſime exequi vellet . Quanta vero pru dentia ac dexteritate fuerit in tractandis ne. gotiis , quanta aequitate in conſtituendis , temperandiſque, ſi res pofcebat, conſtitutis jam legibus , quanta humanitate erga omnes , quantaque vigilantia ac providentia in con fulendo rebus. praeſentibus , praecavendoque futuras , fatis praedicari non poteft . Cum autem nihil ſine aliorum conſilio agere ei mos eſſet , & facilitate ſumma uteretur in füos adjutores procuratoreſque , inde norza nulli materiem ſumpſerunt falſae criminatio nis , quod ad aliorum magis quam ad ſuun arbitrium res Familiae adminiftraret . Omnino totum fe tradidit Eduardus Sodalitati , to tamque fic rexit , ut oblitus commodorum ſuorum omnibus proſpexerit . Non eſt credi bile quanto animi dolore angeretur , fi ali quis ſuorum in crimen vocabatur . Horrebar enim homo innocentiſſimus vel ipfam pecca ti ſuſpicionem . Sed non propterea fontibus iraſcebatur, hofque clementia magis atque manſuetudine , quam animadverſione & ca ftigatione ad frugem revocare ſtudebat . Cum vero feveritatem , fine qua reſpublica adıni niftrari non poteſt , adhibere cogebatur, similis, ut praeclare admonet Cicero , legum erat , quae ad puniendum non iracundia , fed aequitate ducuntur . In his occupationi bus muneris ſui, ne plane ceſſäre a fcriben do videretur , extare voluit explicationem đuarum Graecarum inſcriptionum , quae mus ſeum ornant Bernardi Nanii Veneti Senatoris.quam feliciter id praeftiterit , perſcrutata prius litterarum priſcarum , quibus illae con fcriptae ſunt , forma atque vi , facile judica bunt ii , qui ſunt harum deliciarum amato Tes . Tentaverat eamdem rem Franciſcus Za nettus, ſed longiſſime aberravit a vero ejus interpretatio . Ipſe Eduardus cum Anconae effet ineunte anno MDCCLVI. eoque prae ſente cum multis aliis detecta fuiſſent atque agnita corpora Sanctorum Cyriaci , Marcelli ni & Liberii, quos ſingulari obfequio ea dem civitas venerațur, incitatus fuit, ut ali quid laboris impertiret illorum Sanctorum illuſtrandae hiſtoriae , definiendoque praeſer tim tempori , quo tranſata eorumdem cor pora fuerunt in eum , ubi nunc jacent , lo cum , & quo Anconae coli coeperunt . Haec Corfinius , edito commentariolo , accidiffe - ftendit exeunte faeculo XI. , & ex ipfis an tiquitatis monumentis quibus ſententiam ſuam confirmavit , quatuor Anconitanorum Epiſcoporum nomina in lucem protulit , quaç uſque ad id tempus fuerant incognita , Per pauca in hoc commentariolo attigit de S, Liberio , quod ejus hiſtoriam involutam tenebris & fabulis exiſtimabat , Mox cum ei aliquid luminis affulfiſſet , & monumentorum ope , & mirabili illa ſua conjiciendi arte pa tefacere potuit Liberium fuiſſe unum ex fo ciis S. Gaudentii Abfarenſis Epiſcopi , qui circiter an. MxXxx. Anconam venit , fo litariam vitam acturus in ſuburbano mona ſterio Portus Novi . Harum rerum inventio multis laudibus. celebrata fuit a Scriptoribus annalium Camaldulenſium (*) : pergrata quo que fuit. Benedicto XIV. pro ejus. fingulari ftudio in Anconitanam Ecclefiam . Hic cum ſaepe ad congreffum colloquiumque ſuum invitaret Eduardum , quod ejus ſummum in genium , fuaviffimos. mores , atque eximiam probitatem & nofſet & diligeret , ſaepe quo que ipſum hortabatur ,, ut ea pergeret man dare litteris , quae abdita Chriſtianae anti quitatis patefacerent . Sed fuerunt juftae ca uffae quare. Corſinius amantiffimis. Pontificis M. conſiliis minime obtemperavit ; & quid quid fubciſivorum temporum incurrebat, quae perire non patiebatur, libentiffime concede-. ( * Vid . Tom . III ., bat ſuis priſtinis ftudiis . Ruſticabar cum eo in Tuſculano, quando epiſtolam ſcripſit ad Paullum Mariam Paciaudium , in qua plura de Gotarzis eximio nummo , ejuſque , Bar danis , & Artabani Parthiae Regum hiſtoria perſecutus eſt, & pro jure noftrae amicitiae ab ipſo poftulabam , ut in otio , quod raro da batur , & peroptato illi dabatur, ceffaret a libris & a ftilo . Verum cuin is eſſet ut fi ne his ftudiis vitam inſuavem duceret, di cere folebat hujuſmodi ſcriptiones non pre mere , ſed relaxare animum . Et relaxatione certę aliqua ille indigebat , cui grave adeo erat , quod multi appetunt , ceteros regendi munus , ut onus Aetna majus ſibi ſụſtinere videretur . Poterat quidein illi eſſe lovaniens to recordatio multorum benefactorum , inas ter quae maximum illud reputari debet quod eo ſexennio , quo ad Sodalitatis gum . bernaculum ſedit , viginti domus , five cole legia conſtituta ſunt . Interim advenit tem pus , quo magiſtratu fe abdicare , & extre mos auctoritatis fuae fructus capere debe bat in provehendo digno viro , qui fibi fuc cederet . Verum minime illi : contigit , ut funt ancipites variique caſus comitiorum , quem optabat, exitus. Peractis comitiis, fine mora rediit ad Academiam Piſanam & ad il lamºquietam in rerum contemplatione & co gnitione maxime poſitam degendae vitae rae tionem, qua qui frueretur, negabat ei aliquid deeffe ad beatė vivenduin . Liber de Praefe . ctis Urbis ei erat in manibus ; Graecas in fcriptiones in Aſia repertas , quas , ut ſupra retulimus , a Scipione Maffejo dono accepe rat , quafque jampridem Latinas fecerat, co pioſis commentariis explicabat ; aderat diſci pulis ſuis ; veniebat frequens in Academiam , afferebat res multum & diu cogitatas, facie batque fibi audientiam hominis erudita, com pta & mitis oratio . Idem efflagitatu & coae tu amicorum inftituta. hoc tempore opera abrupit , ut explicationem lucubraret cujuf dam nummi recens in Auſtria reperti , in quo erat nomen & imago Sulpiciae Dryan tillae Auguſtae. Conjecit ille feminam hanc libertam fuiſſe, libertatémque accepiffe a Sul picio quodam , ab eoque in Sulpiciam ģen tem receptam ; nupfiffe demum Carinó fcea leftiffimo Imperatori. Haec porro incerta. Illud unuin ſine ulla dubitatione colligi pof fe videtur ex nummi fabrica, characterum forma, feminaeque ornatu , illum ipſum num mum cuſum fuiſſe inter Elagabali & Diocle tiani imperium , proptereaque Dryantillam ad aliquem Imperatorum , qui illo intervallo re gnarunt, pertinere. Neque his contentus Edu ardus voluit etiam excutere hiſtoricorum & rei nummariae interpretum mire inter fe dif ſidentes opiniones de Aureliani ac Vaballa thi imperio atque aetate , ac poftremo ſuam ſententiam proferre . Fuit haec , Aurelianum exeunte Julio , vel ineunte Auguſto anno CCLXX. imperium ſuſcepiſſe , eaque multis & gravibus confirmatur argumentis . Ad ex vero diluenda , quae contra dici poterant ex illorum ſententia , qui praeſertim niti vide bantur lege quadam data a Claudio VII. Kal. Novembris Antiochiano & Orfito Con ſulibus , ut ſerius Aurelianum inchoaffe im perium perſuaderent, diſtinguit Conſules or dinarios a ſuffectis . Hac autem conſtabilita diſtinctione , quae maxime apta erat non fo lum ad id , quod requirebat , ſed etiam ad expediendos alios , quos vel ipſe Scaliger in diffolubiles in Chronologia exiſtimaverat now dos , concludit eamdem legem editam fuiffe anno cclxix. vel CCLXVIII. quando An tiochianus & Orfitus ſuffecti Conſules erant, minime vero anno cclxx. iiſdem Confuli bus ordinariis . Nec minor difficultas erat o ſtendere , qui fieri potuerit , ut Aurelianus ad vil. Imperii annum perveniffe dicatur , & explicare locum Euſebii , qui tradit in ejuſdem tempora incidiffe in . Antiochenam Synodum : exploratnm eft enim hanc Sya nodum anno cclxix. incoeptam & abſolu tam fuiſſe . Feliciter haec praeftitit Corſi nius , cum probaſſet Aurelianum anno & ultra antequam a legionibus poft mortem Claudii Imperator fieret , ab ipfo Claudio deſtinatum ſibi fuiſſe ſucceſſoreni , adeoque ampla poteſtate donatum ut ab hoc tema pore nonnulli ejus Imperii initium ſumere potuerint . Quae vero de Vaballatho diſream ruit Corſinius haec ferme ſunt . Illum Ze nobia procreavit ex Athena priori viro , ejuf demque nomine ab anno ccLXXVI. uſque dum Claudius in Gothicum bellum uni ce intentus vixit , Orientis imperium te H4 ut nuit . Ex quo factum eſt , ut quae hoc tem pore cuſa funt Vaballathi numiſmata , Impe. satorem Caefarem Auguftum illum nominent . Poftquam vero ille deſciviſſet a matre , Aureliano adhaereret, huic quidem conjun octus in nummis repraefentari voluit, minime vero paludamento , radiata corona , fplendi doque Augufti nomine decoratus, ſolo Im peratoris contentus . Praetereo alia multa Scitu digniſſima in hac Diſſertatione conten ta , ne , cum nimis longus in recenfendis ſcriptis operibus fuerim , videar oblitus con ſuetudinis & inſtituti mei . Hujus libelli ( cil ra liberatus Corfinius totus in eo fuit, ut ab Solveret ſeriem Praefectorum Urbis ab Urbe con dita ad annum afque MCCCLIII. five a Chri fto nato DC. Etenim poſteriora tempora mi nime inquirenda putavit , quibus , penitus fere exſtincto Urbanae Praefecturae fplendo re ac dignitate , nonniſi tenue nomen , ac leviſſima priſtinae majeſtatis umbra ſuperfuit ; ex quo fiebat, ut nihil inde lucis facra & profana ſperare poffet hiſtoria , cum contra uberrimam fplendidiffimamque utraque acci. peret ex veterum Praefectorum ferie , horumque aetate rite conſtituta . Ut vero non utilitate ſolum , ſed etiam jucunditate lecto res invitaret Corſinius , operi varia opportu ne admifcuit , quae marmora & ſcriptores , quorum teftimoniis ubique fere utitur , cor rigunt & illuſtrant , interpretumque falſas opiniones atque errores emendant . Non ego ſum neſcius multos anteceſſiſſe Corſinium in hujuſmodi pertractando argumento ; ex qui bus omnibus , ac praefertim Jacobo Gotho fredo ac Tillemontio plurima in rem ſuam tranftulit . Sed ii exiguis finibus operam fuam continuerunt , fi unum excipias Feli cem Contelorium , qui contextam a Panvi . nio Praefectorum ſeriem ad annum uſque MDCXXXI. traduxit . Tale tamen non fuit Contelorii opus , quin eadem de re aliquid politius , copiofius , perfectiuſque proferri a Corſinio potuerit . Et protuliffe certe ipſum oportet , cum magna fuorum laborum prac conia ab intelligentibus viris reportaverit . Mi rari hi tantummodo viſi ſunt quod aut is in gnoraverit hac ipſa in re plurimum quoque elaboraſſe Almeloveenium , aut quod hujus fcripta conſulere praetermiſerit. Id profecto & praeſtitiſfet abundantius & copiofius pro poſitae fibi rei ſatisfacere potuiſſet , neque poftea ventofiffimi homines triftem fuftinuif fent notam calumniatorum , qui nullo in pre tio ob pauca quaedam a Corſinio praetermif ſa hujus opus habendum inflatis buccis clamitarunt . Ne hi verbofis fibi famam ad quirerent ſtrophis vel apud imperitam mul titudinem, factum eſt diligentia Cajetani Mari nii, qui librum Bononiae an. MDCCLXXII. edidit, quo non folum eorum obftitit injuriis, verum etiam nova a ſe inſcriptionum ope detecta Praefectorum Urbis nomina in lucem protulit . Sed ad Corſinium revertor , qui dum fine intermiſſione obſequebatur ftudiis ſuis & adoleſcentium utilitati, oblitus vide batur fe jam fenem factum ( quando enim typis mandavit librum de Praefectis Urbanis ſexageſimum primum aetatis annum agebat ) & infirma aegraque valetudine effe . Sed ac Hujus eſt inſcriptio : Difefa per la ſerie de' Pree fetti di Roma del Ch . P. Corfini contro la cenſura farie . le nelle offervazioni ſul Giornale Piſano , in cui le della Serie si suppliſce anche in affai luoghi e le emenda . In Bon logna e S. Tommaſo d'Aquino in 4. Vide Pilanas Ephcm meridcs vol. VIII. p. 179 eidit miſerabilis caſus , qui repente ipſi onga nem ſpem non folum litteris , ſed etiam na : turae vivendi praecidit . Erat haec conſuetu . do Academiae Piſanae, ut qui humaniores lite teras profitebantur , Kalendis Novembris , quo tempore inftaurari ftudia folebant, Latinam om rationem haberent ad vehementius inflamman dam cupidam doctrinarum juventutem . Di cebat eo ipſo die Eduardus ( vertebat tunc annus tertius fupra fexageſimum hujus fae tuli ) de viris , qui & ſcriptis editis , in ventiſque rebus in Academia maxime florue runt , eaque erat oratio , ut nunquam is di xiſſe melius judicaretur . Cum eo pervenirſet, ut exultaret in immenſo Galilaei laudum campo , repente apoplexis ipſum perculit , ac ſemivivum reliquit . Dolore hujus caſus o ſtenſum eft quantum ille Academiae eſſet ac ceptus . Aegre domum deductus , ibi quatri duo cum morte conflictatus eſt. Quinto die, multis adhibitis remediis , levari coepit , ac praeter ſpem paullatim convaluit . Ut arden ter deſideraret priſtinas recuperare vires , efficiebat ille fuus ſingularis amor in Aca demiam , cui majus ſe non poſſe munus afferre videbat , quam fi inſtitutum juſſu Prin cipis biennio fere ante opus de ejuſdem Academiae ortu , progreſſu ac vicibus ad umbilicum perduceret . Plurima collegerat at que vulgaverat ad hanc hiſtoriam pertinen tia vir diligentiſſimus Stephanus Maria Fa bruccius Juris civilis in eadem Academia do ctor , quae quidem ampla & bella materies effe poterant ad novum aedificandum opus . Hoc igitur ſubſidio inſtructus Eduardus , ala cer ſe ſe ad rem accinxit . Et primo qui dem illuftrium Italicorum Gymnafiorum ori ginem ſubtexuit , diſſerenfque quatuor prio ribus capitibus de prima Gymnaſii Piſani in- : ſtitutione, neque ab xi. neque a xiv. Chris fti faeculo , ut multi ſcripſerunt , fed ab ine unte XIII. vel exeunte xii . illam repeten dam effe exiſtimavit . Ex hoc tempore ad annum uſque MCCCXXXIX. , quo anno Fa bruccius contendit coepiſſe Academiam Piſa nam , hanc fi nullam dicere nolumus , mi nimain certe fuiſſe oportet . Conſecutae des inceps yices multae , ut ipſa modo langues ſcere , modo ad interitum properare , vires vitamque modo recuperare , ac faepe etiam veluti extorris ſedem mutare viſa fuerit , Quae omnia octo conſeqılentibus capitibus perſecutus eft Eduardus . Cum vero Acade miae res , imperante Coſmo I. ceteriſque.non solum Mediceis, sed etiam Lotharingis Principibus , feliciflime proceſſiſſent , quibus ab his beneficiis, ſplendore atque gloria aucta, quibuſque gubernata legibus consuetudinibusque, variis interdum pro temporum varietate, exposuit in quatuordecim capitibus , quo rum nonnulla adumbrata magis quam de fçripta videntur . Haec omnia primam ope ris partem conficere debebant , cum refer vafſet alteram, quam tamen minime attigit, Doctorum vitis. Dum haec scripta legebam videbatur mihi pofſe ab Auctore defiderari major rerum copia , magiſque apta ac preſ fa oratio. Inest quidem in omnibus Corsinii scriptis luxuries quaedam , quae , ut in herbis ruſtici ſolent , depaſcenda erat; quod fi eft vitium in omni oratione , maximum tamen eſt in hiſtoria , in qua pura & illu fțris brevitas expetitur . Eodem tempore, quo Eduardus in Academiae historiam incumbebat, ne plane superioris aetatis Audia de servisse videretur, epistolam fcripfit ad ami cum & collegam fuum Franciſcum Albi zium , in qua de Auſonii Burdigalensi consulatu egit, Desperaverant vel ipsi chronologiae Patres Panvinius & Pagius, computationem quamdam annorum ah. Auſonio factam in e pigrammate, ad Proculum , in quo, ab Urbe condita ad consulatum suum CXVIII. an nos enumeravit, conciliari posse, cum Varroniana epocha , ideoque, novam excogitarunt epocham XIII. annis Varroniana pofte riorem , qua non solum Ausonium, sed etiam Arnobium usos fuisse scripserunt. Horum aliorumque Auſonii interpretum errorem ut corrigeret Eduardus, probare debuit. Auſonium non Romanum, modo, fed & Bur digalenſem geffiffe consulatum, & Romanorum & Burdigalenfium Consulum fastos conscripsisse . Qua distinctione constabilita , facile fuit oftendere eumdem Aufonium in ea pigrammate , quod ad Heſperium filium ini fit cum Romanis faſtis, de Romano, a ſe ges: ſto consulatu, in epigrammate autem illo, quod est ad Proculum, de patrio, municipali, quinquennali (etenim in municipis omnibus majores magiſtratus quinquennales eſſe ſolebant) de Burdigalenſi nimirum con. ſulatu locutum fuisse. Hanc epistolam secuata est altera ad Joannem Chrysostomum Trom . bellium Canonicum Regularem , in qua do nummo quodam ab Athenienſibus Livia Augustae dicato, illiuſque aetate differens, feminam illam non ſupremis tabulis , ſed matrimonii jure a marito nomen Auguſtae accepiſſe pluribus monumentis comprobat. Quae quidem aliaque ex abditiſſima antiqui. tate deprompta , quae fparfit Corfinius in hac epiſtola , ut jucunda lectoribus , ita iif dem plena moeroris fore arbitror , quae in extrema pagina ejuſdem epifolae Trombel lius adnotavit. Scribit enim ille : Dum extre mam hujus epiſtolae partem edimus , monemur , eodem fere tempore , quo Brixiae egregius Maza zuchellius , inclytum Corfinium noftrum Pisis apoplexi repente ereptum . Eheu litterae aflicłae ! o amicos incomparabiles ! o annum vere calami 10fum & peffimum ! Dies , quo illum apople xis iterum invafit , fuit v. ante Kal. De cemb. anno MDCCLXV. poft quem caſum tribus ferme diebus vixit fine ſenſu , Sepultanta tus eft in Aede S. Euphraſiae totius Acade miae luctu , quae hanc calamitatem acerbif fime doluit , doletque adhuc reminiſcens ſe orbatam homine, in quo plurimae erant lit terae eaeque interiores , divinum ingenium , ac induſtria fumma ; fruebatur vero nominis celebritate, ut hac fola muneris fui fplendorem tueri potuiſſet. Atque haec vi tae decorabat dignitas & integritas . Quan tả gravitas mixta comitati in yultu & moribus ! quantum pondus in verbis ! ut nihil inconſideratum exibat ex ore ! quam diligen ter inquirebat in fè ſe, atque ipſe ſe ſe ob Servabat I Oinnino tantus erat in ipso ordo, conſtantia, & moderatio dictorum omnium atque factorum , ut probitatem & religio nem prae se ferret , & ad omne virtutis de cits natus videretur. Quidquid come loquens, & omnia dulcia dicens mirabiliter ad se diligendum omnium ani mos alliciebat; si vero in familiari sermo ne a quopiam dissentiret , contentiones disputationesque vitabat, quod non tam na turae quam virtutis erat. Etenim iracun diae aculeos aliquando sentiebat, sed hos perpetuus cupiditatum domitor frangebat, pla neque occultabat . Secum ipſe vivens animi triftitiam frequenter patiebatur , praeſertim si contemplaretur misera, in quae incidimus, tempora, quibus corrumpere, & corrumpi saeculum vocatur. Quod vero nonnulli per verſe adeo abuterentur philofophia, ac prae ſertim metaphyſica , ut ea animos a religio ne avocarent , tanto illum perfundebat horrore , ut vehementer poenitere eum non nunquam videretur industriae suae , quam in erudienda juventute ad recentiorum philoſo phorum dogmata inſumpſerat . Quae quidem poenitentia injurioſa mihi videtur; omnium artium parenti philosophiae, quasi ejus culpa, quae deflebat mala Eduardus, accidif ſent. Etenim ſunt unicuique ſcientiae : certi fines ac termini ab omnium rerum modera tore Deo constituti, quos qui tranfilit, nae ille devius in praecipitem locum ruat necese est . Sed ad Corfinium revertor, de cujus laudibus non eft tacendum ſummae illum bonitati ingenuitatique ſummam dexterita tem , ſi oportuiſſet, conjűxisse. Liberalis minimeque cupidus pecuniae hanc facile a se extorqueri patiebatur. Virorum litteris illus ftrium amicitias ftudiofillime coluit, amavitque in primis Trombellium & Paciaudium , quo rum mentionem fupra fecimus, quorumque conſuetudinis magnum cepit fructum eo prae sertim tempore, quo Romae fuit. Dolui in pſum combufliffe, quas ab amicis accipere solebat, epistolas , quia ſciebam in iis erudita multa contineri: eae quidem mihi non me diocri subsidio futurae fuiſſent huic explican dae vitae . De qua fatis erit dictum , fi hoc unum addam , eumdem ineditas reliquiffe bi nas Dissertationes de S. Petro Igneo , & B. Joanne delle Celle; librum de civitatibus, quarum mentio sit in graecis nummis , ſex que Latinas orationes habitas in Academia Piſana , ex quibus lenitas ejus fine nervis cognoſci potest. Opere: “Instıutiones philosophicae, ac Mathemaricae ad ufum Scholarum Piarum : Tomus I. Florentiae typis Bernardi Paperini, continens physicam generalem, continens libros de coelo Es mundo, continens tractarum de anima, E metaphysicam  continens ethicam vel moralem continens institutiones mathematicas Editae iterum fucrunt hae institutiones in V. mos diſtributae Bononiac ex ty pograghia Laclii a Vulpe cum hoc titulo Cl. Reg: Scholarum Piarum, & in Pisana Academia Philosophiae Professoris Institutiones Philosophicae ad un fum scholarum Piarum edirio altera auctior & emendarior; Ragionamenti intorno allo fato del fiume Arno, dell acque della Valdinievole, In Colania appresso Heng Werergroot, in 4. “Elementi di Matiemasica, ne' quali sono con migliori ardine e nikovo metodo dimostrare le più nobili e necesaria proposizioni di Euclide, Apollonio, e Archimede, Ch . Reg. delle Scuole Pie : in Firenze . nella Stamperia di S. A. R. per li Tartini, e Frasa ahi in 8 . Hace elementa mathematica edita secundo fuerunt Year I 2 1 netiis apud Antonium Perlinum , in qua edie tione quaedam mutata ſunt , emendatufque error, quo cao ptus fuerat Auctor, dum in priori editione exposuit propoíitionem XXXV. Libri XI. Venetae huic editioni a djc&us est ejusdem Auctoris liber della Geometria Pranica; Ragionamento Istorico Sopra la Valdichiana, in cui si descrive la antica e presente suo stato” (Firenze nella Stamperia di Franceſco Moucke in 4); “Faſii Anici in quibus Archonium Athenienfium sea ries , Philosophorum, aliorumque illustrium Virorum deras arque praecipua Acicae historiae capita per Olympicos annos disposita describuntur, novisque observationibus illustrantur: ACl. Reg. Scholarum Piarum in Pisana Academia Philosophiae Professore, Florentiae, ex typographia. Jo . Pauli Giovannelli ad insigne Palmae in Platea S. Eliſabeth . Tom .II. prodiic. ex eadem typo graphia . Tom . III. prodiit anno 1751. ex eadem typographia . Tom . IV . prodiit ex Imperiali typographia Cl. Reg. Scholarum Piarum in Acadeo mia Pisana Philosophiae Profeſoris Differtationes. IV Agonisticae, quibus Olympiorum, Phychiorum, Nemeurum, ale que Isthmorum lempus inquiriiur ac demonftrarur: Aco redit Hieronicarum catalogus eduis longe uberior Es accurarior. Florenciae ex typographia Imperiali. In cxtrema pagina hujus libri öxhibetur integra feries menfium Macedonicorum, Atticorum , & Romanorum ad de mondirandun veruna corum ficum ac connexionem ; quam ſeriem hoc quoque in loco nos exponemus , quia rem gratam antiquitatis ſtudioſis facturos arbitramur. Series enim a Corfinio contexta differt nonnullis in nienſibus ab ca quam Scaliger, Uſterius, Petavius, Dodwellus, aliique descripferunt, i Macedonici Atrici Romani Lous Gorpiaeus Hyperbercraeus Dlus Apellaeus Audynaeus Peritius Dystrus Xanthicus Artemisius Daiſius Panemus Hecatombeeon Meragirnion Boedromion Pyanepſion Maemacterion Pofideon Gamelion Anthefterion Elaphebolion Murychion Thargelion Scirrhophorion Julius Augustus September October November December Januarius Februarius Marrius Aprilis Majus Junius Lettere intorno all' opera del Marchese Scipione Maffei intitolata: Graecorum Siglae lapidariae. Extat in tom. 4 . par. 3. del Giornale de’ Letterati pubblicaro in Firenze notae graecorum , five vocum Ex numerorum compen dia , quae in aereis atque marmoreis Graecoruin rabulis ob. fervantur . Collegii, recenſuit, explicavit, eaſdemque cabu las opportune riluftravia Eduardus Corſinus Cl. Reg. Scholas) rum Piarum in academik Piſina Philoſophiae Profesor . Accedunt Differtationes ſex , quibus marmora quaedam rum facra cum profana exponuntur ac emendantur. Florentine Tographio Imperiali in fol. Plutarchi de Placitis Philofophorum libri V. Larine reddidit , recenſuir , adnotationibus , variantibus lectionibus , diferrationibus illuſtravit Eduardus Corfinius Cl. Reg. Schoe laruan Piarum in Pisana Acad. Philosophia Professor Flo. seniige ex Imp. Typographio, Disertationes IV quibus antiqua quaedam insignia moc sumente illuſtrantur . Vide eas, Symbolarara litercriarum Antonii Francisci Gorii. Herculis quies & expiatio in eximio Farnesiano mere more expresa : in fol. Inscriptiones Articae nunc primum ex Cl. Maffeii Schea dis in lucem editae latina interpretatione brevibusque observationibus illuſtratae Cler. Regul. Schole sunr Puarum in Academia Pisana Philosophiae Professore. Florenciae ansio ex typographio Jo. Pauli Giovannel li in 4 . Solecta ex Graeciae Scriptoribus in usum ſtudiosae Juvent. sutis , Florentiae ex Imperiali rypographio ir 8 . Inſtitutiones Metaphyſicae in ufus Academicos auctore Eduardo Corfi:n0 Clericorum Regularium Scholarum Piaruz in Academia Pifana . Philoſophiae Profeſore . Vesieriis ex Typographia Balleoniana in 12 Eduardi Corſini Cl. Reg. Scholarum Piarum in Acco demia Piſana humaniorum litterarum Profeſſoris de Minni fari aliorumque Armeniac Regum nummis , & Arſacidarum Epocha Differtario Liburni typis Antonii Santini & Sociorum in 4. Spiegazione di due antichiſſime inſcriçroni Greche indie ricare al Reverendiffimo Padre Anton Franceſco Vezzofi, Prepoſto Generale de Cherici Regolari , Lettore nella Seo pienza Romana , ed Eſaminatore de' Vefcovi da Edoardo Corfini Ch . Reg. delle Scuole Pie. In Roma, nella Stamperia di Giovanni Zempel in 4 . Relazione dello scuoprimento e ricognizione fatta in Ancona dei Sacri Corpi di S. Ciriaco , Marcellino, e Lia berio Proiettori della Circà ; e Riflefroni ſopra la translazione, ed il culto di queſte Sanci . In Roma, nellu Stampe ria di Giovanni Zempel in 4. Eduardi Corfini Cler. Regul. Scholarum Piarum, En in Academia Piſana humaniorum literarum Profeffuris Dis Seseario , in qua dubia adverſus Minniſari Regis nummum , & novam Arſacidarum epocham a Cl. Erasmo Froelichio s. J. proposita diluuntur. Romae ex typographio Palla dis in 4. Eduardi Corſini Cler. Regul. Scholarum Piarum & in Academia Pisana humaniorum lirerarum Profeſoris ad Cles riflimam virum Paulum Mariam Paciaudium Epiſtola , ir qua Gotarzis Parthiae Regis nummus hactenus ineditos expli Catur , & plura Parthicae hiſtoriae capita illustrantur . Romae, in Typographio Palladis . Excudebant Nicolaus & Marcus Palearini ir 4 .Cl. Reg. Scholarum Piarum in Pifar:& Academia humaniorum litterarum Profeſoris Epiftolae rres , quibus Sulpiciae. Dryantillae, Aureliani ac Vaballathi Avea guſtorum nummi explicantur & illuſtrantur. Liburni apud Jo. Paullus Fanthechiam ad fignum Verit. in 4 . Series Praefeciorum Urbis ab Urbe condira ad annum uſque MCCCLIII. sive a Chriſto naro DC. collegit , rem cenſuit , illuſtravir Eduardus Corſinus Cler. Reg. Scholarum Piarum in Academia Piſana humaniorum liuerarum Professor Pisis excudebar Joh . Paulus Giovane nelius Academiae Pifunae Typographus cum Sociis in 4. Notizie Iſtoriche intorno a S. Liberio ſepolto e venera 10 nella Cattedrale della città di Ancona all' Eminentiffimo Signor Cardinale Acciajuoli Veſcovo di detta città . In Are cona nella Sramperia Bellelli in 4.  Cl. Reg. Scholarum Piarum , in Academia Piſana humaniorum litterarum Profeſoris Epiſtola de Burdigalenfi Aufonii Confulatu . Piſis Exe cudehar Joh. Paulus Giovannellius Academiae Pifanae inyo pographus cum Sociis in 4. Clericor. Regular. Scholarum Pia rum Ex- generalis , & in Pifana Univerſitare Primarii Les coris ed Joannem Chryſostomum Trombellium canonicorum Regularium Congregationis S. Salvatoris Ex-generalem & S. Salvatoris Bononiae Abbatem Epistola, Bunoniae,  ex typographia Longhi in 4; Disertazione sopra S. Pietro Ignes, sopra il B. Giovanni delle Celle; De Civitatibus, quarum mentio sit in Graecis nummis, Pars I. Historiae Academiae Pisenae, Latinae Orationes VI, Ad Academicos Pisanes. Odoardo Corsini. Edoardo Corsini. Silvestro Corsini. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Corsini” – The Swimming-Pool Library.

 

CORTESE (Milano). Filosofo e alpinista. Grice: “I love Cortese; first he wrote on Frege, whose views on ‘aber’ are very much like mine on ‘but’! – But then he also wrote on ‘irony,’ alla Socrates – as per Kierkegaard’s example, “He’s a fine fellow! => He’s a scouncrel --, and most ‘theoretically,’ as the Italians put it – on the ‘principle of meaning’ – significato – which had me thinking – I very freely speak of the principle of conversational helpfulness, but somehow, principle of ‘signification’ sounds obtuse! Signification seems too natural to require a principle! If helpfulness and benevolence are evolutionary traits, they are certainly NOT ‘instituted’ as principles, even if they are requirements for trust and the ‘institution of decisions’!” “I am anything but a contractualist, and principle has to be taken with a pinch of salt!” If I speak of a rational constraint, the idea of a principle evaporates: it’s conversation as rational cooperation – as I put it – as different from and stronger than ‘conversation as mere cooperation’ – but this slogan frees us from a commitment to the existence of a ‘principle’ to which we might want later to provide with some sort of ‘psycho-logical’ validation!” Di una famiglia originaria di Sant’Angelo Lodigiano. Si laurea a Trieste e Milano sotto Bontadini e Noce. Insegna a Trieste. Studia Kierkegaard, Gioberti. Italianismi in Kierkegaard. Altre opere: “Kirkegaardiana” (Milano); “Esistenzialismo e fenomenologia” SEI, Torino); “Protologia e temporalità, Gregoriana, Roma); “Kierkegaard” (Milan); “Del principio di creazione o del significato” Liviana, Padova, Kierkegaard” (La scuola, Brescia); “Ironia” (Marietti, Genova); La Creazione: Un'apologia accidentale della filosofia” (Marietti, Genova); “Il negozio del sapone, Liviana, Padova); “Enten-Eller ([Victor Eremita” (Adelphi, Milano); “L'attrice” (Antilia, Treviso); “Un discorso edificante” (Marietti, Genova); Il naturale e il sovra-naturale (Padova); Ermeneutica” (Lint, Trieste), “Il responsabile” – “Eden” – “Introduzione all’introduzione” del Gioberti – “Frege: signare il concetto”; “Liberalismo” -- Grice: Can a sign have a different meaning for utterer and recipient? – If so, why do we keep calling communication – signare seems to be still good enough! -- Alessandro Cortese. Keywords: Kierkegaard, soap, sapone, actress, attrice, edifying discourse, discorso edificante, naturale/sopra-naturale/preter-naturale, Paul Carus, hyperphysical. Those spots means she has the devil inside her. Praeter-natural implicatura, supra-natural implicature, non-natural implicature, natural implicature. “Del significato”, ironia socratica, sapone, Savona, signare il concetto, sovrannaturale, liberalismo, il responsabile. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cortese” – The Swimming-Pool Library.

 

CORVAGLIA. (Melissano). Filosofo. Grice: “I love Corvaglia – or corvus in diluvio, as he called himself! – a very Italian philosopher and thus interested in the history of Italian philosophy, especially Vannini – the fact that he wrote plays on philosophical subjects – La casa di Seneca – helps!”  Opera nel campo della filosofia del rinascimento. Tra gli studi filosofico-scientifici si distinguono per vastità e profondità i volumi Le opere di Vanini e le loro fonti, e Vanini Edizioni e plagi, risposta polemica condotta contro le veementi critiche ricevute Porzio.  Pubblica il romanzo Finibusterre, trasfigurazione quasi sacra della sua amata terra e del popolo del Basso Salento, ch'egli incitava con ogni mezzo, anche se spesso travisato e intralciato e persino calunniato a crescere, per migliorare materialmente e moralmente. Il romanzo fu ben accolto dalla critica. Benedetto Croce, a cui Corvaglia lo aveva dedicato, rimarcò "lo sfondo storico rappresentato in modo assai vigoroso" e il "trattamento dei caratteri e degli effetti". Con maggiore puntualità Annibale Pastore (già suo professore all'Torino) gli confidava di sentire emergere nella sua mente, attraverso figure e temi del romanzo, ricordi sepolti, "struggente malinconia", un mondo molto simile a quello del Manzoni, "anch'esso celato alla superficie, soffuso d'ironia-limite", e tuttavia turbato da altri affascinanti caratteri, quali: "il sorprendente realismo, la perfetta armonia, l'effusione poetica, l'occhio acuto e sicuro, che scruta l'animo umano fin nelle più remote pieghe".  Si dedica totalmente alla filosofia del Rinascimento, animato dal bisogno di trarre alla luce obliterate sorgive  e percorrendo il movimento spesso alquanto sconosciuto della filosofia, che dal Rinascimento risale fino al Medio Evo.  S'apre nella sua vita uno spiraglio di fiducia verso gli uomini impegnati, e si prestadoverosamente secondo la sua fede politica all'attività politica, accogliendo e votandosi alla cultura mazziniana, cui rimane Fedele.. È di questo periodo la pubblicazione, tra l'altro, dei Quaderni Mazziniani: “Noi Mazziniani”, “Mazzini ed il Partito di Azione”, “L'Acherontico retaggio”, “Il Partito Repubblicano italiano”, il discorso Ai giovani, la conferenza (edita da Laterza) su Giuseppe Mazzini. Dopo la proclamazione della Repubblica, però, si allontana da ogni azione politica, ritenendola del tutto estranea e lontana dall'ideale da lui vagheggiato e sperato. Si trasferisce a Roma, nell'ambiente culturale a lui più consono, ritornando agli studi tra i suoi libri, dove soltanto sente di vivere senza alcun compromesso, in assoluta libertà.  Cascata di S.M. di Leuca. Scaligero, un saggio di "speleologia". Saggio su Cardano. Su iniziativa del comune di Melissano, è stato avviato un "Biennio di Studio su Corvaglia", al fine di approfondirne e divulgarne la conoscenza. Alla realizzazione del progetto collaborano, come protagonisti, anche l'Amministrazione Provinciale di Lecce, l'Università degli Studi del Salento e l'Istituto Comprensivo Statale di Melissano, che chiuderanno il biennio dei lavori, organizzando un Convegno su Corvaglia", al fine di dibattere argomenti di particolare interesse presenti nella sua opera. A tale riguardo si sta già operando non solo sul piano della ricerca specialistica e accademica, ma anche sulla promozione d'iniziative, che coinvolgano biblioteche e settori culturali degli enti locali, creando opportunità per sviluppare in maniera articolata e organica la ricognizione e la valorizzazione del patrimonio culturale salentino in generale e melissanese in particolare, lasciato in eredità da Corvaglia.   La casa di Seneca- Commedia di L. Corvaglia. Altre opere: “La casa di Seneca” (Tipografia Fratelli Carra, Matino (Lecce); “Rondini (dedicata "Al mio povero innocente Nova, fuggevole visione di un Infinito", che avvampa e dilegua in vicenda amara di avventi senza natale"; Tipografia Fratelli Carra, Matino (Lecce); “Tantalo” Tipografia Fratelli Carra, Matino (Lecce), Santa Teresa e Aldonzo (L. Cappelli Editore, Bologna); Rondini- Commedia; “Romanzo Finibusterre, Editrice Dante Alighieri, Milano); “Le fonti della filosofia di Vanini” (Anphitheatrum Aeternae Providentiae, Società Dante Alighieri, Milano); “Introduzione semi-seria dialogata per il lettore Vanini” (Edizioni e plagi, Tipografia Carra di Casarano); “Ricognizione delle opere di G.C. Vanini, in "Giornale Critico della Filosofia Italiana”; La poetica di Scaligero nella sua genesi e nel suo sviluppo, in "Giornale Critico della Filosofia Italiana", Quaderni Mazziniani; “Noi Mazziniani” Tipografica di Matino (Lecce), “Mazzini e il partito d' azione (critica), Tipografica di Matino (Lecce), “ L'acherontico retaggio (con l'elogio della vita comune), Tipografica di Matino (Lecce), Quaderni Mazziniani n° 4. Il partito repubblicano italiano, Tipografica di Matino (Lecce). Discorso tenuto a Lecce nel Teatro Paisiello il 21 gennaio 1945. Giuseppe Mazzini, Discorso commemorativo tenuto a Lecce nel Teatro Apollo, Laterza, Bari,"Rinascenza salentina", Un Paese del Sud. Melissano. Storia e tradizioni popolari, Tipografia di Matino. Meridionalista e Polemista, La Poetica di Giulio Cesare Scaligero nella sua genesi e nel suo sviluppo, Musicaos Editore, Sulla Poetica di G.C. Scaligero. Convegno sy Corvaglia. Il pensiero politico di Corvaglia. Popolo Sacralità ReligiositàLuigi Corvaglia. Keywords. Refs.: Vanini, Bordon, poetica, Mazzini, Pomponazzi, Cardano --. Luigi Speranza, “Grice e Corvaglia” – The Swimming-Pool Library.

 

COSI. (Firenze). Filosofo. Grice: “I love Cosi; my favourite of his philosophical essays on justice is the one on ‘l’accordo,’ for this is what my principle of conversational helpfulness or co-operation is all about!”  Giovanni Cosi. Si laurea a Firenze. Insegna a Firenza, Sassari, Siena. Altre opere: “La liberazione artificiale: l’uomo e il diritto di fronte a la droga” (Milano: Giuffrè); "Religiosità e teoria critica" (Giuffre); "Secolarizzazione e ri-sacralizzazioni" (Giuffre); "Il sacro e giusto: itinerario di archetipologia” (FrancoAngeli). Dopo aver compiuto ricerche sull'espressione del dissenso in forma non rivoluzionaria negli ordinamenti liberal-democratici, pubblica per la Giuffrè Editore il volume "Saggio sulla disobbedienza civile"; "Il traviato”, “il filosofo traviato: il filosofo come gentiluomo (Giuntina); “La  obbedienza civile, la disobbedienza civile: il consenso, il dissenso, la aristocracia, la plutocracia, la democrazia, la repubblica (Milano: Giuffrè). Il giurista perduto: avvocati e identità professionale” (Giuntina), “Logos e dialettica” (Giappichelli, Torino); “Il filosofo risponsabile” (Giappichelli,Torino); “Lo spazio della mediazione, -- il terzo escluso – chi media nella diada? (Giuffrè). “Invece di giudicare” (Giuffrè); “Il spazio della mediazione nel conflitto della diada conversazionale” (Giappichelli Torino); “Legge, Diritto, Giustizia” (Giappichelli, Torino). “Giudicare, o Fare giustizia. – vendetta – il concetto filosofico” (Giuffré Editore, Milano). La liberazione artificiale: l'uomo e il diritto di fronte alla droga, Giuffrè, Milano; Saggio sulla disobbedienza civile: storia e critica del dissenso in democrazia, Giuffrè, Milano; Il giurista perduto: avvocati e identità professionale, Giuntina, Firenze; Il sacro e il giusto: itinerari di archetipologia giuridica, Franco Angeli, Milano; Il Logos del diritto, Giappichelli, Torino; La responsabilità del giurista: etica e professione legale, Giappichelli, Torino; Società, diritto, culture: introduzione all'esperienza giuridica, dispense di Sociologia del Diritto, Firenze); La professione legale tra patologia e prevenzione: materiali di etica professionale, dispense di Sociologia del Diritto, Firenze; Per una politica del diritto del fenomeno droga: problemi e prospettive", Archivio Giuridico; Il diritto e la droga" e "Per una comprensione culturale dell'uso di droghe", Testimonianze; "Religiosità e Teoria Critica: la teologia negativa di Max Horkheimer", Rivista di Filosofia Neo-scolastica, "Secolarizzazione e risacralizzazioni: le sopravalutazioni post-illuministiche dell'immanentismo", in L. Lombardi Vallauri - G. Dilcher (eds.), Cristianesimo, secolarizzazione e diritto moderno, Giuffrè - Nomos Verlag, Milano - Baden-Baden);  "Sulla 'naturalità' dei diritti civili", Testimonianze; "L'Uno o i Molti? Il 'nuovo politeismo' di Miller e Hillman", Testimonianze; "Ordine e dissenso. La disobbedienza civile nella società liberale", Jus; "Iniziazione e tossicomania: intorno a un libro di Luigi Zoja", Testimonianze; "Le aporie del pacifismo: critica della pace come ideologia", Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto; "L'immagine sofferente della legge", L'Immaginale; "Diritto e morale in tema di aborto", Testimonianze; "Professionalità e personalità: riflessioni sul ruolo dell'avvocato nella società", Sociologia del Diritto; "L'avvocato e il suo cliente: appunti storici e sociologici sulla professione legale", Materiali per una storia della cultura giuridica; "La coscienza, gli dei, la legge", Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto;  "Il diritto del mondo I", Anima; "Un anniversario dimenticato: Il Bill del 1689 e la sua eredità", Sociologia del Diritto; "Vecchio e nuovo nelle crisi di identità degli avvocati", in Storia del diritto e teoria politica, Annali della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Macerata; "Verso il paese di Inanna", Anima;"Avvocato o giurista?", comunicazione al VI Convegno nazionale di studio dell'Unione Giuristi Cattolici Italiani, Firenze, Iustitia, "Tutela del mondo e normatività naturale", in L. Lombardi Vallauri (ed.), Il meritevole di tutela, Giuffrè, Milano); "Tutela del mondo e strumenti giuridici", Testimonianze; "La professione legale tra etica e deontologia", Etica degli Affari e delle professione; "Diritto e realizzazione: un'introduzione alla fenomenologia del logos giuridico", Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto; "La legge e le origini della coscienza", Per  la filosofia; "Naturalità del diritto e universali giuridici", Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto,"Naturalità del diritto e universali giuridici", in F. D'AGOSTINO (ed.), Pluralità delle culture e universalità dei diritti, Giappichelli, Torino); "Etica secondo il ruolo", Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto; "Purezza e olocausto: un'interpretazione psicologico-culturale", Per  la Filosofia; "Logos giuridico e archetipi normativi", in L. LOMBARDI VALLAURI (ed.), Logos dell'essere, Logos della norma, Adriatica, Bari); “Giustizia senza giudizio. Limiti del diritto e tecniche di mediazione”, in F. MOLINARI e A. AMOROSO (ed.), Teoria e pratica della mediazione, FrancoAngeli, Milano); “Le forme dell’informale”, comunicazione al XXI Congresso Nazionale della Società di Filosofia Giuridica e Politica, Trieste, Ora in Giustizia e procedure, Atti del suddetto Convegno, Giuffrè, Milano); “L’idea di professione”, Dirigenti Scuola, “Controllare la professione”, Dirigenti Scuola, “Professione, patologia e prevenzione”, Dirigenti Scuola. Grice: “Italians are afraid of the ‘sacro’ because since the fall of the Roman Empire, it means the evil Pope! – unless otherwise stated by people like Evola, etc.” – Grice: “Hart should have spent more time analysing the implicatures of ‘disobey,’ as Cosi does -- to realise how wrong his theory is!” Grice: “Austin, who taught morals at Oxford, should have examined, as Cosi does, what we mean by ‘responsible philosopher’ before opening his mouth!” – Grice: “My idea of helpfulness does not quite include that of ‘mediation’ but it should – the space of mediation in the conflict in the conversational dyad! I owe this to Cosi.” Grice: “I decided to use ‘judicative’ versus ‘volitive’ after Cosi. – His ‘giudicare’ is a gem!” -- Giovanni Cosi. Keywords: il secolare/il sacro; profane/sacro – secolare; archetipo, il filosofo come gentiluomo, l’obbediente, il disobbediente, il consensus, il disensus, to obey, conflitto, mediazione, diritto (right), giure, giurato – legatum, vendetta, giudicare, fare giustizia, vendetta conversazionale, natura, naturalita, non-naturale, legge naturale gius naturale, giusnaturalismo, fenomenologia del giurato; normato naturale? Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cosi” – The Swimming-Pool Library.

 

COSMACINI (Milano). Filosofo. Grice: “I like Cosmacini; for one he wrote on THREE areas of my concern: ‘cuore’, as when we say that two conversationalists reach an ‘accord’! – on ‘empatia’ – a Hellenism, and most importantly, on ‘compassione,’ which is at the root of my principle of conversational benevolence. -- Giorgio Cosmacini (Milano), filosofo. Studia a Milano e Pavia.la “convenzione della mutua” o INAM(Istituto nazionale per l'assicurazione contro le malattie) e apre un ambulatorio mutualistico Fare bene il mestiere di “medico della mutua” non significa gestire un certo numero di “mutuanti”; voleva inoltre dire aver cura di una comunità di persone, ciascuna delle quali con esigenze proprie. raggiungendo in quel periodo circa trecento mutuanti. Quando i suoi mutuanti erano circa millecinquecento, decise di realizzare un suo sogno: la libera docenza. è autore di numerose opere d'argomento filosofico-medico. Altre opere: la mutua, medico della mutua, mutuante, mutuanti, ambulatorio mutualistico. “Scienza medica e giacobinismo in Italia: l'impresa politico-culturale di Rasori (Collana La società, Milano, Franco Angeli); Röntgen. Il "fotografo dell'invisibile", lo scienziato che scoprì i raggi x, Collana Biografie, Milano, Rizzoli); “Gemelli. Il Machiavelli di Dio, Collana Biografie, Milano, Rizzoli); “Storia della medicina e della sanità in Italia. Dalla peste europea alla guerra mondiale. Gius. Laterza & Figli); “Medicina e Sanità in Italia nel Ventesimo secolo. Dalla 'Spagnola' alla 2ª Guerra Mondiale, Roma-Bari, Laterza); “La medicina e la sua storia. Da Carlo V al Re Sole, Collana Osservatorio italiano, Milano, Rizzoli); “Una dinastia di medici. La saga dei Cavacciuti-Moruzzi, Collana Saggi italiani, Milano, Rizzoli); Storia della medicina e della Sanità nell'Italia contemporanea, Roma-Bari, Laterza, G. Cosmacini-Cristina Cenedella, I vecchi e la cura. Storia del Pio Albergo Trivulzio, Roma-Bari, Laterza); “La qualità del tuo medico. Per una filosofia della medicina, Roma-Bari, Laterza); “Medici nella storia d'Italia, Roma-Bari, Laterza, L'arte lunga. Storia della medicina dall'antichità a oggi, Roma-Bari, Laterza); “Il medico ciarlatano. Vita inimitabile di un europeo del Seicento, Laterza); “Ciarlataneria e medicina. Cure, maschere, ciarle, Milano, Raffaello Cortina, La Ca' Granda dei milanesi. Storia dell'Ospedale Maggiore, Roma-Bari, Laterza); “Il mestiere di medico. Storia di una professione, Collana Scienze e Idee, Milano, Raffaello Cortina); “Introduzione alla medicina, Roma-Bari, Laterza, Biografia della Ca' Granda. Uomini e idee dell'Ospedale Maggiore di Milano, Laterza, Medicina e mondo ebraico. Dalla Bibbia al secolo dei ghetti, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza, Il male del secolo. Per una storia del cancro, Roma-Bari, Laterza); “La stagione di una fine, Terziaria); “Il medico giacobino. La vita e i tempi di Giovanni Rasori, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza); “Salute e bioetica, Torino, Einaudi, G. Cosmacini-Roberto Satolli, Lettera a un medico sulla cura degli uomini, Roma-Bari, Laterza, La vita nelle mani. Storia della chirurgia, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza, Una vita qualunque, viennepierre edizioni, Il medico materialista. Vita e pensiero di Jakob Moleschott, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza «La mia baracca». Storia della fondazione Don Gnocchi, Presentazione del Cardinale Dionigi Tettamanzi, Laterza); “La peste bianca. Milano e la lotta antitubercolare, Milano, Franco Angeli); “L'arte lunga. Storia della medicina dall'antichità a oggi, Roma-Bari, Laterza); “Il romanzo di un medico, viennepierre edizioni, L'Islam a La Thuile nel Medioevo. Un «tuillèn» alla terza crociata: andata, ritorno, morte misteriosa, KC Edizioni, Le spade di Damocle. Paure e malattie nella storia, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza); “La religiosità della medicina. Dall'antichità a oggi, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza); “L'anello di Asclepio. L'età dell'oro”; “La peste, passato e presente, Milano, Editrice San Raffaele); “La medicina non è una scienza. Breve storia delle sue scienze di base” (Collana Scienze e Idee, Milano, Raffaello Cortina); “Il medico saltimbanco. Vita e avventure di Buonafede Vitali, giramondo instancabile, chimico di talento, istrione di buona creanza” (Roma-Bari, Laterza); “Prima lezione di medicina, Collana Universale.Prime lezioni, Roma-Bari, Laterza); “Il medico e il cardinale, Milano, Editrice San Raffaele); “Testamento biologico. Idee ed esperienze per una morte giusta” (Bologna, Il Mulino); “Politica per amore” (Milano, Franco Angeli); “Guerra e medicina. Dall'antichità a oggi, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza); “Compassione” (Bologna, Il Mulino); “La scomparsa del dottore. Storia e cronaca di un'estinzione, Milano, Raffaello Cortina); “Camillo De Lellis. Il santo dei malati, Roma-Bari, Laterza); “Il medico delle mummie. Vita e avventure di Augustus Bozzi Granville, Collana Percorsi, Roma-Bari, Laterza); “Como, il lago, la montagna, NodoLibri); “Tanatologia della vita e stetoscopio. Bichat, Laënnec e la "nascita della clinica", AlboVersorio, . Medicina e rivoluzione. La rivoluzione francese della medicina e il nostro tempo” (Collana Scienza e Idee, Milano, Raffaello Cortina); “Un triennio cruciale. Como, il lago, la montagna, NodoLibri); “La forza dell'idea. Medici socialisti e compagni di strada a Milano. L'Ornitorinco,  Per una scienza medica non neutrale. Tre maestri della medicina tra Ottocento e Novecento, L'Ornitorinco,  Medicina Narrata, Sedizioni); “Galeno e il galenismo. Scienza e idee della salute” (Milano, Franco Angeli); “La chimica della vita” -- e microscopio. Pasteur e la microbiologia, AlboVersorio); “Per una scienza medica non neutrale. Tre maestri della medicina in Italia fra Ottocento e Novecento, L'Ornitorinco); “Il tempo della cura. Malati, medici, medicine, NodoLibri); “Elogio della Materia” -- Per una storia ideologica della medicina, Edra edizioni); “L'Infinito di Leopardi. Un impossibile congedo” (Sedizioni, . Memorie dal lago e ricordi dal confine. Como, il lago, la montagna, NodoLibri,  Salute e medicina a Milano. Sette secoli all'avanguardia, L'Ornitorinco); “La medicina dei papi, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza); “Medici e medicina durante il fascismo” (Pantarei); “Il viaggio di un ragazzo attraverso il fascismo, Pantarei); Historia cordis, Ass. Gianmario Beretta, . Curatele Dizionario di storia della salute, G. Cosmacini, Giuseppe Gaudenzi, Roberto Satolli, Collana Saggi, Torino, Einaudi.  “mutua gratia” - Practicis nostris , Muri LAPIDES , sine inscriptione , apud nus, gadinca, vel Hnoc . Non liquet, “don mutual” – mutual gift -- Charta ann . 1326. in Chartul . Hygenum de Limitibus constituendis. inquit Somnerus. (Mutinæ carnes , in Con thesaur. S. Germ. Prat. fol. 12. rº.: Dicta. mutuum, Exactio nomine mului, Charta suet. MSS. Eccl . Colon . e Bibl . Eccl. Atre- Ysabellis exhibuit dicto thesaurario quasdam Rogerii 1. Reg. Sicil. ann. 1129. apud Mu bat, eædem quæ vervecinæ. Vide Multo, litteras mutuæ gratiæ dudum confectas inter ralor. tom . 6. col. 623 Nulla angaria , par I mutio , id est, Patuus. Vocabul . dictam Ysabellam et prædictum defunctum angaria, echioma, gabella,Muruum, extorsio utriusque Juris . dum vivebat , et constante legitimo matrimo- jaciatur, imponatur. Chron. Parmense ad mutis, Truncus, stirps . Pactum inter nio inter ipsos. ann. 1996. apud eumdem tom . 9. col . 834 : Humb. dalph. et episc. Gratianopol. ann. “mutuare”, Mutuum, seu exactionem ec impositum fuit per commune Parma 1343. in Reg: 134. Chartoph. reg. ch. 34 : nomine mutui impositam solvere. Vide unum mutuum octo millium librarum impe recte tendendo ad pedem cujusdam margassii mutuum . rialium per episcopatum , et quinque millium seu claperii in quo margassio seu cleppe. Mutuatim, pro mutuo, in Vita Anti- per civitatem . Et mutuum clericis fuit im rio sunt duæ mutes arborum . dii Archiep. Bisonticensis cap. 5 : Bene- positum duo millium librarum, etc. Chron . Åwwvíz , in Gloss . Græc. Lat. dictionis ergo dono mutuatim dato , etc. Mutin . ibid . tom. II. col. 122 : Tria Mu [Mirac. S. Bernhardi Episc. tom. 5. Julii (mutuatio, pro mutatio, in Consuet. tua extorsit.] Historia Cortusiorum lib. 3 . p.112, Eoque quippiam petere volente, MSS. Auscior. art. 3 : Fiat autem mutua cap. 14, Teutonici cruciabant Paduanos verbis in ore reclusis, subito mulus effectus tio consulum annuatim in festo S. Joan. *mutuis* el daciis. Infra: *mutual* imposuit et est; qui a plerisque tentatus, an videlicet Baptistæ. datias. Lib. 7. cap. 1 : V'exabantur Muluis astu Muritatem simularet , et tandem certa ex Ital . Mutola , Muta . Oc- et daliis. Albertinus Mussalus lib. 12. de loquendi impotentia comprobatur. Occurrit currit in Vita B. Justinæ de Aretio n. 9 . Reb . gest. Italic . pag. 86 : Communes da præterea toin . 2.Sanctorum Apr. pag. 429.] , Idem quod Expeditatus, riæ , exactionesque et Mutua publica el priMuronagium . Vide in Charta Forestæ cap. 9. forte pro múti- vata etc. Charta R. Abbatis Monasterii Ka Mullo . latus. Locum vide in Mastinus. roffensis in Pictonib . ann. 1308. ex ( Ovis, Massiliensibus Mous, Nudus , glaber. Regesto Philippi Pulcri Regis Franc. Tabu tonfede. Charta ann . 1390 : Quilibet Mu- Gloss. Lat . Græc. MSS. Sangerman . larii Regii n . 11 : Non recipiemus ibi Mu tofeda solvat xvi. denarios. * Castigat . in utrumque Glossar. forte tuum, nisi gratis mutuare voluerint habitan Lugdunensibus , Feye. Vide supra Menlulosus, ead'ns , ex Vulc. tes. Ita in Liberlatib. Novæ Bastidæ in Oc Lex Ripuar. lit. 6o. S 4: Si citania ann. 1298. in alio Regesto ejusdem xudovicv, Malum colo- autem ibidem infra terminationem aliqua in- Regis ann. 1299. n. 16. Vide Credentia , neum . Supplem . Antiquarii et Gloss. MSS. dicia sua arte , vel butinæ ,aut Lat. Græc. Sangerm . Aliud itidem Gloss. : extiterint, ad sacramentum non admittatur, *mutuum coactum* exactio , quæ a Mutonium , Tepábeuo , Additio. etc. Ubi mutuli, videntur esse aggeres ter- dominis in urgentibus negotiis suis ac ne 1., quos Motes nostri vocant : aut forte cessitatibus fiebat super subditos, vassallos, equilatus , quod sic describit Jovius Hist. lapides ii quosMuros vocant Agrimensores,ac tenentes cum restitutionis conditione ac lib . 14: Mutpharachæ admirabili virtute i. sine inscriptione, vice terminorum po- pollicitatione : a qua quidem exactione præstantes , toto orbe conquisiti, ea condi- siti. Vide Bonna 2 . exempta pleraque oppida, quibus concessæ tione militant, ut quos velint Deos , impune KF Errat Cangius , si fides Eccardo , libertates , leguntur. Charla libertatum colant, præsentique tantum Imperatori ope- in Notis ad Legem citatam , quam ad cal- Aquarum Mortuarum ann . 1246 : Omnes ram navent. Hæc post Carolum de Aquino cem Legis Salicæ edidit . Mútuli enim sunt habitatores loci illius sint liberi et immunes in Lex. milit . machinaliones clandestinæ , vel seditiones ab omnibus questis , talliis , et toltis , et clam excitatæ , a veteri German .Meulen , tuo coucto , et omni ademptu coacto. Con capitis tegumentum , quod monachi cap. | clandestine agere , unde Meutmacher, Fla- suetudines Monspelienses MSS. cap. 56: paronem vocabant. Gall . Christ. tom. 4. bellum seditionis, Gall. Mutin. Hæc vir Toltam nec quistam , vel Mutuum coactum , col uti. Mutrellis 782 : Statuimus in dormitorio , quod liceat fratribus eruditus ; quæ tameninmeam fidem reci. vel aliquam exactionem coactam non habet ; . Vide Mitræ . necunquam habuit dominus Montispessulani I Vide Morth . I Gall . Mouton . in hominibus Montispessulani. Eædem ver *, ut supra Muramen. Charta ann. 1307. exArchivis Massil. : naculæ , totas inquistas , ni prest forsat , o Terrear.villæ de Busseul ex Cod . reg. 6017. Item super co quod petebantdicti parerii alcuna action destrecha , etc. Libertates fol. 47. vº. : Item unum Pariziensem Mut -I quartam partem Murunorum , astorium et concessæ oppidis Castelli Amorosi et Va CANGII CLOSS. – T. IV. 2 . Feda 2 . pere nolim. 75 594 etc. lentiæ, in diæcesiAginnepsi, ab Edwardo I Eodem significatu , De S. 6 : L. FURPANIO L. Lib. PuILOSTORGO Mr. I. Rege Angliæ ex Regesto Constabulariæ Juvenate Episc. tom . 1. Maii pag. 399 : ROBRECHARIO VIX ann. LIJTI. Purpuria L. Burdegalensis fol. 55. 140 : Nec recipiemus Episcopus Narniensis ex suo palatio , ialari L. OLYMPUSA PECIT.  in ibi Muruum , nisi gratis nobis mutuare velint reste indutus , racheto et Muzzeta. Vide Inscript. ccxcix . 3. Vide Martin Lex. in habitantes. Eadem habent libertales Rio. Mozzetta. hac voce . magi in Arvernis. vocatur letri rudoris in . Fantasia , miratores. Pa Mutuum VIOLENTUM , in Charta liberta- quietudo terrena. Ita Apuleius de Muudo. pias. tum Jasseropis, apud Guicheponum in A Græco nimium púxw , Mugio , reboo. Vide Ma Histor. Bressensi pag. 106. Roga coacta , in I Piscis genus, qui alius zer. Charta Ludovici Comitis Blesensis et Cla- videtur ab eo quem Spelmannus piscem. in Statutis Mon romontens. ann. 1197. pro Creduliensi viridem vocat . Computus ann. 1425. apud tis Regal. fol. 318 : Debeat solvere emptori villa : Omnes homines Credulio marentes Kennett. in Antiquit. Ambrosden. pag. gabellæ piscium , solidos quatuor pro quoli taliam mihi debentes , el eorum hæredes, a 575 : Et in 111. copulis viridis piscis ... Et bet rubo piscium , et intelligatur detracta talia , ablatione, impruntato et Roga coacta inxv. copulisde Myllewellminorissortisx: Myrta et cestis ac funibus. de cælero penitus quilos et immunes esse sol. vi. d . et in xx. Myllewell majoris sortis Eadem notione, usurpant Cat concedo. Exslat Statutum Philippi VI. Re- Xit, sol. ( * Vide Mulsellus.] lius Aurelianus , Celsus, et Apicius. Vide gis Frane. 3. Febr. ann. 1343. quo vMoniales, ex Anglo -Sa- Murta. in posterum fieri ullum Mutuum coactum xop. myn'e'cen'e , vel minicene, hodie Graviter, com super subditos suos : quod scilicet paulo Anglis Minneken et minnekenlasse. Copeil. posite ambulare. Chron. Ditm . Mersburz. anie exegisse docet Diploma anni 1342. Ænbamiense in Anglia ann. 1009. cap. 1 : l'episc. tom . 10. Collect. Histor. Frane. pag. 28. Junii, sed et Philippum Pulerum Re- Episcopi et abbates , monachi et Mynecenæ , 131 : Henricus Dei gratia res inclytus à se. gem aliud ann . 1309. in 12. Regesto Char- canonici et nonne , natoribus duodecim vallatus , quorum ser tophyl. Reg. Ch. 15. et in 36. Regest. apud Ausonium in rasi barba ,alii prolixa Mystace incedebant Ch. 48. lemmate Epigrammatis 30. Cantharus po- cum buculis , etc. Laudatum Philippi VI. Statutum torius Scaligero , qui a similitudine muris I Sacerdotum præposi frustra quæsitum in Regestis publicis testa- et barbæ , quæ in conum desinit, Myobar- tus; titulus honorarius Archiep. Toletani , tur D. de Lauriere tom . 2. Ordinat. Reg. bum voce ibrida dietum existimat . Turne- ex Hierolex. Macri. Franc. prg. 234. Undeexistimat D. Cangium bus vero Advers. lib. 3. cap. 19. putat ver- lapsum memoria art. 4. et 5. Statuti ejusd . | bum compositum mure et barbo, quod |  , Mysteriorum per. Regis ann. 1345. 15. non3. Febr.spectasse, mensuram , liquidorum sescunciam penitus , vel princeps. Prudent. Peristeph. 2. quo vetat Philippus Rex in posterum a dentem sonat, ut sit tamquam muris cya- 349 : Bene est , quod ipse ex omnibus My subditis suis exigi equos, currus, ele. nisi thus. Quidam le ; emendat Lil . Gyraldus  Epist, *mutuum violatum* Exactio nomine xobarbaru , quod non placet. Vide Cupe. Zachariæ PP. ann.748. tom. 1. Rer. Mo *mutui*, quæ a subditis exigitur. Charta rum in Harpocrate pag . 78. gunt. pag . 255, Officium , sacra Li mutuum violatum, velmessionem bajuli vel turgia . Pelagius Episcop. Ovetensis in Fer servientum . [** Leg. Violentum ut, supra.) ctum ... Si autem Myocepha aur ypopius fuerit,dinando Rege Hispan.: Tunc Alfonsus Rez mutuum ebraldum. Charta Henrici Co- post inunctionem ligabis oculos aut linteo in velociter Romam nuntios misi ad Papam mitis Portugalliæ tom . 3. Monarchiæ Lusi- aqua infuso frigida , aut spongia in ipsa Aldebrandum cognomento septimus Grego tanæ p.282, Non introducam *mutuum* aqua infusa. rius. Ideo hoc fecit , quia Romanum Vyste Ebraldum Colimbriam . 9piratici genus arium habere voluit in omni Regno. Infra : mutuum, stipendium datum in ante- , ut placet Tur Confirmarit itaque Romanum Mysterium in cessum . Lit. ann . 1408. tom . 9. Ordinat. nebo lib . 3. Adversar. cap. 1 . nomen omne regnum Regis Adefonsi æra 1113. ( Chr. reg . Franc. pag. 363, art. 1 : Ordinamus adepti . Melius Scaliger, a forma qevūves, 1088. ) per senescallos, receptores, thesaurarios, ... hoc est , angusta et oblonga, dictum ira- Missæ sacrifi tum nobilibus quam innobilibus, cum ex dit. cium. Acta S. Gratil. tom. 3. Aug. pag. parte nostra mandati fuerint ut ad guerras Hist. Franc. Sfortiæ ad ann. 1427. 1728. col. 2 : Indutus est ( Gratilianus ) ve nostras accedant, *mutuum* fieri priusquam apud Murator. tom . 31. Script. Ital.col.stimentis a. Grice: “The grammar of ‘mutuality’ can be extraordinarily complicated. But I’m sure Schiffer’s ‘A and B mutually know that p’ doesn’t make sense as an analysandum.” Grice: “You can trade (L mutate both ways) or exchange *information* -- The grammar is: A and B are in love – implicated: ‘mutual’ --  A and B are friends – implicated: mutual. Dickens, who never attended Oxford, would never catch the subtlety of his biggest solecism, “Our mutual friend”! – Grice: “But I’m surprised from Schiffer, who did attend the varsity!” -- Giorgio Cosmacini. Keywords: compassione, salute, mens sana in corpore sano, storia della medicina, Foucault, l’anello di Asclepio, la medicina nella Roma antica, giacobinismo, fascismo, giacobinismo in Italia, medici fascisti, medicina fascista, la medicina non e una scienza, tanatologia, bio-chemica, la chemical della vita, bio-chemistry –Grice on life, the philosophy of life, cooperation and compassion. Imperativo conversazionale, compassione conversazionale, imperative della mutualita conversazionale – mutualita conversazionale – imperative of conversational mutuality, mutuality, mutual, the depth grammar of mutuality – Grice against Schiffer – Grice scared by ‘mutual knowledge’ – and using it in scare quotes (“Such monsters as Schiffer’s ‘mutual knowledge’ have been proposed to replace my regress when there’s nothing wrong with stopping it elsewise!”  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cosmacini” – The Swimming-Pool Library.

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