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Tuesday, June 22, 2021

Grice e Casati: l'ipotesi conversazionalista

 La teoria che Grice e Casati propongono può chiamarsi teoria meta-cognitiva dello spunto per la conversazione -- ma ‘conversazione’ è qui un segna-posto per candidati alternativi.

La teoria di Grice e Casati sostiene che un artefatto (segno artificiale, non-naturale -- 'che p') e un oggetto prodotto con lo scopo precipuo essere ri-conosciuto come emesso in base all’intenzione di profferire una espressione che... – dove si può immaginare vari modi di riempire lo spazio lasciato vuoto dai puntini di sospensione. 

Un modo di riempire lo spazio vuoto è il seguente. 

Una emissione conversazionale è un oggetto con lo scopo precipuo di essere riconosciuti come creati in base all’intenzione di creare un oggetto che servisse a suscitare una qualche conversazione sulla loro produzione. 

Cominciamo con lo sgombrare il campo da possibili equivoci. Un’obiezione semplice è che “molte cose vengono create con lo scopo di suscitare una conversazione, e queste non sono opere d’arte, come per esempio la produzione di gesti che conducono alla disseminazione di pettegolezzi, o affermazioni roboanti sulla stampa”. L’obiezione non coglie nel segno in quanto la teoria metacognitiva dello spunto conversazionale non dice che le opere d’arte vengono create con l’intenzione di suscitare una conversazione. Di fatto la teoria è compatibile con l’ipotesi che le opere d’arte non vengano create con l’intenzione di suscitare una conversazione. L’intenzione pertinente è un’altra: è l’intenzione di creare oggetti che vengano riconosciuti (per esempio, in virtù di certe caratteristiche fisiche) come creati allo scopo di suscitare una conversazione. È irrilevante per la soddisfazione di questa intenzione se vi sia un’intenzione di suscitare una conversazione, o se una conversazione venga poi effettivamente suscitata 4 . Vediamo subito anche alcune conseguenze immediate, tenendo presente il fatto che i due competitori diretti della teoria sono la teoria della comunicazione e quella dell’intenzione artistica, laddove la prima compete sull’aspetto sociale, e la seconda in quanto teoria intenzionale. Secondo la teoria metacognitiva dello spunto conversazionale i prodotti artistici non servono per una “comunicazione” semplice tra l’artista e il pubblico – non sono latori di “messaggi” nel senso della teoria della comunicazione. Sono piuttosto oggetti che hanno un legame preciso con l’attenzione, che devono attrarre (quindi, anche se sono oggetti utilitari, devono far coesistere questo fatto con una sovrapposizione di altri elementi che vanno al di là dell’uso), il tutto all’interno di un contesto sociale in cui potrebbero venir usati come oggetto di discussione in quanto sono riconosciuti come tali. Questa ipotesi permette di inquadrare alcuni dei fatti poc’anzi elencati. Va notato che la teoria non dice che l’artista debba creare l’opera sulla base della formulazione di un’intenzione di inserirsi in una conversazione specifica (che è molto probabilmente quella comune nella sua epoca), ma dice piuttosto che l’opera deve essere in grado di esser vista come creata allo scopo di inserirsi in una conversazione qualsiasi. Questo fatto impone dei vincoli importanti sulla struttura delle opere d’arte. Si tratta di oggetti che devono portare dei segni chiari dell’intenzione che li ha animati. 4  La teoria metacognitiva sembra tagliata su misura per performances artistiche come le opere di Duchamp. In realtà se la teoria è vera certe opere d’arte sono particolarmente interessanti proprio perché rendono espliciti gli aspetti impliciti di tutte le opere d’arte. 17 La teoria spiega perché i prodotti artistici riescono a sopravvivere al tempo (se ci si pensa bene, questa sopravvivenza è un fatto molto strano, e comunque poco compatibile con l’idea che i prodotti artistici contengano un messaggio.)5 Passano il test del tempo perché la capacità di essere riconosciuti come creati allo scopo di suscitare una conversazione non dipende dalle contingenze specifiche di questa o quella conversazione, ma dai parametri generici che regolano la nostra capacità di inserirci in una conversazione, di generarla, di mantenerla. Anche quando non è più possibile conoscere i termini della conversazione in cui il prodotto avrebbe inizialmente dovuto inserirsi come stimolo, resta comunque la possibilità di recuperare il prodotto all’interno di una nuova conversazione. In modo simile, le teoria spiega perché le opere d’arte passano il test dello spazio, ovvero possono venir apprezzate da comunità che sono distanti dalla comunità originale del creatore. La teoria spiega perché i prodotti artistici hanno l’aspetto che hanno. I prodotti artistici devono risolvere svariati problemi - massimizzare la novità - attrarre l’attenzione (essere sufficientemente differenti da artefatti utilitari) - essere sufficientemente complessi (per via della loro forma apparente, o per via della storia della loro origine) da massimizzare la possibilità di venir utilizzati come spunti di conversazione in quanto li si è riconosciuti come tali. La teoria spiega le fluttuazioni di valore estetico ed economico dei prodotti artistici. Non basta avere delle buone qualità per essere un buono spunto di conversazione: deve anche esserci una conversazione per cui tale qualità può venir rilevata. La teoria spiega perché i prodotti artistici sopravvivono, sono soggetti a effetti di moda, e muoiono (laddove la maggior parte delle latre teorie impone cesure irriconciliabili tra grande arte e arte demotica). La teoria conversazionale spiega l'origine dell'arte e degli artefatti artistici. L’arte non è stata inventata. Le opere d'arte sono state scoperte, nel senso che si è visto che certi artefatti erano produttori di interazioni sociali e davano al loro autore un credito che questi poteva riutilizzare in altre produzioni. Solo in seguito si è cristallizzata l’intenzione di produrre oggetti che soddisfassero certi requisiti. La teoria spiega perché gli oggetti utilitari possano essere opere d'arte (come nel caso dell'architettura, che alcune estetiche puriste cercano di espungere dal novero dell'arte.) 5  Riprendo nel seguito ed espando alcuni elementi da Casati 2002. 18 Spiega l'esistenza di gradi di artisticità, e del perché certe cose siano considerate arte da alcuni, non arte da altri (sono predicati estrinseci con un fondamento nel lavoro che l'artista ha profuso per rendere un certo oggetto massimalmente “conversazionabile”). La teoria spiega perché gli artisti amano parlare del loro lavoro e corredarlo di spiegazioni (questo è particolarmente arduo da spiegare in una teoria della comunicazione o dell’espressione). La teoria spiega perché i quadri hanno le etichette e i pezzi di musica dei titoli. La teoria spiega perché le opere d’arte vengono acquistate senza alcun riguardo per l’autore, come inviti alla conversazione scollegati dalla persona dell’autore. La teoria è compatibile con svariate strategie che possono venir messe in atto dagli artisti perché l’intenzioe che è alla base dell’opera vada a buon fine: sospensione delle routines (Bullot 2002), esposizione in spazi privilegiati, ecc. Per finire, dato che la teoria ipotizza che gli artisti producano con un occhio di riguardo alle possibili conversazioni sulla loro opera, questo permette di risolvere, in modo del tutto immediato, il problema dell’unità del genere opera d’arte. Le opere d’arte sono oggetti creati con lo scopo precipuo di rendere possibile una conversazione. La clausola principale è metarappresentazionale: l’autore deve avere un’intenzione appropriata di creare un’opera che sia riconoscibile come... La clausola esclude casi in cui certi artefatti siano di fatto moneta per lo scambio conversazionale, come le teorie matematiche, senza essere opere d’arte. Dove interviene lo studio della cognizione nella teoria conversazionale? Nel fatto che non tutti i soggetti sono riconoscibili come creati allo scopo di fornire spunti per la conversazione. Studiare i vincoli normativi sul successo dell’intenzione meta-conversazionale permetterà di fare interessanti predizioni empiriche sul contentuto e la forma degli artefatti astistici. Un progetto di ricerca, una antropologia della visita museale, potrebbe essere un primo passo in questa direzione. Che cosa dice chi passa davanti a un quadro in un museo? Conclusione La teoria metacognitiva dello spunto conversazionale rappresenta un’ipotesi che cerca di rendere giustizia dell’unità delle nostre intuizioni su che cosa è un’oggetto artistico di fronte all’estrema varietà degli oggetti artistici e all’estrema varietà delle risposte che tali oggetti suscitano. Anche se è una teoria che si situa nella regione della dipendenza della risposta, non non è una teoria della riposta estetica – le risposte estetiche sono un tipo di risposte agli oggetti artistici, e si applicano anche a oggetti non artistici. Non è quindi una teoria del bello, come del resto ci si dovrebbe aspettare di fronte al fatto che i giudizi estetici possono variare a fronte del 19 riconoscimento che quello che alcuni giudicano bello e altri brutto resta un’opera d’arte. Un altro fattore importante di questa teoria è che considera le opere d’arte come oggetti creati con una funzione specifica, e la cui forma dipende da questa funzione; una funzione che richiede un’intuizione di controllo il cui contenuto è sociale e metacognitivo. Anche se la teoria metacognitiva non non è certamente l’ultima parola su che cosa fa di un certo oggetto un’opera d’arte, si tratta di un’ipotesi che mi sembra sufficientemente articolata per fare predizioni empiriche precise (per esempio, riconoscere un oggetto come opera d’arte attiverebbe aree cerebrali deputate alla cognizione sociale). Queste predizioni non sono però al momento inquadrate in un’ipotesi comprensiva dei meccanismi soggiacenti: si potrebbe certo sostenere che esiste uno pseudo-modulo per le intuizioni artistiche che recluta componenti sociali e componenti percettive. Tuttavia la struttura e la natura degli pseudo-moduli richiede una considerazione metodologica a sé stante. Casati, R.,“L'unità del genere opera d'arte. Rivista di Estetica. Formaggio, D. 1990 L'arte come idea e come esperienza. Milano: Mondadori. Zeri, F., intervistato su La repubblica. Luigi Speranza, "Gilbert Proebsch e George Passmore", Luigi Speranza, "Kosuth" -- Luigi Speranza, "Keith Arnatt" -- Luigi Speranza, "Unità etica ed unità emica" -- Luigi Speranza, "Fenomenologia" -- Luigi Speranza, "Concettualismo". 

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