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Thursday, June 17, 2021

Grice e Cattaneo

 Linguaggio e ideologia: la posizione di Carlo Cattaneo Pubblicato il 1 novembre 2020 da Comitato di Redazione matania_edoardo_-_ritratto_giovanile_di_carlo_cattaneo_-_xilografia_-_1887-2_imagefullwide Edoardo Matania, Ritratto giovanile di Carlo Cattaneo, xilografia, 1887  di Alessandro Prato  La centralità della figura di Carlo Cattaneo (1801-1869) nell’ambito della cultura italiana della prima metà dell’Ottocento è giustamente ricollegata al suo pensiero liberale e laico, agli studi giuridici che hanno contrassegnato l’intera sua formazione, all’interesse verso l’etnografia e la psicologia sociale [1]. La sua personalità di studioso poliedrico e sfaccettato, fortemente influenzata dalla cultura classicista e dalla filosofia dell’illuminismo, si è concretizzata in varie forme tutte di grande rilevanza: il filosofo, l’economista, il critico, lo storico, lo scrittore politico, il fondatore della rivista Il Politecnico (1839-44) e, non da ultimo, il linguista.  Nel quadro di questa ricerca intellettuale così ricca e variegata un posto rilevante assumono i suoi studi etnico-linguistici di impianto storico-positivo e i suoi progetti politici orientati sul concetto di “nazionalità”. Con questo termine egli si riferiva allo stesso tempo sia alla più alta e unitaria aggregazione culturale, sia alla diretta partecipazione popolare allo sviluppo della società civile.  Proprio sugli interessi linguistici di Cattaneo [2] concentreremo la nostra attenzione mettendo in evidenza l’impulso che egli ha dato alla costruzione dell’italiano come lingua comune che riflette il nesso tra la vitalità della lingua e la vitalità culturale della nazione di cui la lingua stessa è «il vincolo unitario in senso geografico e sociale» (Vitale 1984: 457), perché è da essa che dipende la possibilità per gli italiani di partecipare al progresso della cultura del proprio Paese. La forte coscienza del carattere comune della lingua faceva sì che Cattaneo potesse prescrivere la rinnovabilità della lingua – rifiutando quindi le angustie del purismo, i grecismi e i particolarismi provinciali – e sostenere anche un’opposizione recisa, basata su una coerente visione culturale di impronta europea, sia al neotoscanismo e al fiorentinismo manzoniano, sia all’accademismo della Crusca, in nome di un principio di unità di cultura e di vita civile nazionale.  Questa impostazione spiega poi la sua duplice posizione rispetto ai dialetti: da una parte riproponeva in termini nuovi, non antitetici,  i rapporti fra i dialetti e la lingua, riconoscendo la validità dei dialetti in quanto depositari di un patrimonio storico da preservare, apprezzando i valori riposti nelle culture popolari e sottolineando anche il valore della letteratura dialettale; dall’altra però considerava i dialetti come elementi superabili nel processo dialettico fondativo della lingua comune, essendo consapevole che il coinvolgimento dei parlanti nella lingua comune poteva avvenire nella misura in cui essi riuscivano progressivamente ad abbandonare l’uso esclusivo del dialetto.  Il primo scritto di linguistica di Cattaneo è quello sul Nesso della nazione e della lingua Valacca coll’italiana, pubblicato nel 1837 [3], come parte di un lavoro più generale che riguardava l’influenza delle invasioni barbariche sulla lingua italiana e che non venne mai condotto a termine. Si tratta di uno studio sul passaggio dalla società tardo romana a quella feudale e poi comunale, condotto sulla scia dell’insegnamento di Romagnosi ma con una sostanziale differenza: mentre Romagnosi tendeva a ridurre la storia della civiltà in storia degli istituti giuridici e solo marginalmente si interessava di questioni linguistiche, Cattaneo già in questo primo scritto – il cui carattere storico generale è evidente – metteva al centro della sua trattazione il problema linguistico, considerando la lingua come espressione della nazionalità e testimonianza delle vicende della storia dei popoli.   La funzione sociale e in senso lato politica della lingua viene così enfatizzata con la finalità di studiare le interconnessioni tra le cose, cioè gli anelli che compongono le catene sociali che tengono uniti gli individui in quanto membri di una comunità: le parole, che sono ricche di sottili significati, possono essere comprese pienamente solo se situate in un contesto sociale più ampio di quello del loro svolgersi immediato (Lewis 1987:17). Il nucleo che tiene insieme le memorie individuali e collettive è insomma costituito dalla lingua e l’esercizio della lingua rafforza tale nucleo dal quale poi dipende in buona parte l’identità di un popolo, la sua coscienza storica. In questo caso Cattaneo non si riferiva alla lingua solo come insieme di regole sintattiche e di etichette fonologiche, ma anche come modalità socialmente e regionalmente differenziata, dunque non la lingua come sistema, bensì come norma e istituzione: «è nelle parole della lingua che si condensano i path, i “sentieri” della memoria propri di ciascuna comunità» (De Mauro 2008: 67).  poliCattaneo mostrò fin dagli anni giovanili grande interesse per l’opera di Vico, anche grazie all’influenza che ebbero su di lui le opere di Romagnosi e Ferrari che la interpretavano alla luce dell’antropologia laica dell’illuminismo. Proprio dal libro di Ferrari, Vico e l’Italie uscito a Parigi nel 1839, egli prese spunto per un saggio Sulla scienza nuova che pubblicò sul Politecnico nello stesso anno [4]. L’interesse per le età primitive e per la vita collettiva dei popoli, il rapporto tra lingua e nazione [5] denotano la presenza di motivi vichiani, con i quali Cattaneo corresse certi eccessi del razionalismo settecentesco, senza mai però rinunciare all’idea di progresso, e allo stesso tempo senza farsi influenzare dagli aspetti teologici della filosofia di Vico. La sua formazione illuminista lo portò a non condividere nessun mito del Risorgimento romantico e spiritualista, a celebrare come maestro Locke contrapponendolo alle fumosità dell’idealismo, ad avversare le posizioni di Rosmini, Gioberti e anche Mazzini.  L’illuminismo nella sua opera «si rivela sotto il carattere di una radicale antimitologia» (Alessio 1957: XIX). Rispetto al Romanticismo la posizione di Cattaneo è contrassegnata da una sostanziale estraneità: giustamente Timpanaro (1969: 233-34) osserva che parlare – come spesso si è fatto – di un romanticismo di Cattaneo può essere giusto se ci riferiamo al romanticismo come una categoria spirituale generale, definendo romantico ogni forma di interesse per le età primitive, per le tradizioni popolari e per il nesso lingua\nazione. Ma questo non ci deve far dimenticare che per il Romanticismo inteso come movimento culturale storicamente definito Cattaneo – come del resto anche Leopardi – mostrò sempre un atteggiamento critico e distante motivato dalla sua avversione al medievalismo, a quella concezione religiosa della vita che i romantici – sia pure con sfumature diverse – condividevano e al modo ambiguo con cui veniva da loro esaltato lo spirito popolare, inteso più come attaccamento alle tradizioni locali e forma di ingenuità, che come aspirazione democratica.  Sui rapporti tra romani e barbari e sulle origini della lingua italiana Cattaneo tornò diverse volte in altri scritti successivi quel primo saggio del 1837 [6], sostenendo la derivazione dell’italiano dal latino volgare e limitando al massimo l’influsso delle lingue dei barbari sulla formazione dell’italiano, tanto più che secondo lui il numero dei barbari dominatori era stato assai esiguo contrariamente a quanto pensavano molti storici. Per valutare al meglio questa continuazione dell’italiano dal latino volgare per Cattaneo era necessario tener conto anche dell’influsso esercitato dalle antiche lingue dei popoli italici conquistati dai romani (etrusco, umbro, celtico ecc..).  Questa è l’importante teoria del sostrato senza la quale è difficile ad esempio spiegare la varietà dei dialetti italiani e che coinvolge soprattutto la fonetica piuttosto che il lessico: non si tratta quindi di una generale mescolanza di lingue, ma della stessa nuova lingua pronunciata in modo diverso in base ad abitudini fonetiche precedenti che rimanevano vive perché radicate dall’uso dei parlanti [7].      Gli studi sull’origine dell’italiano sono importanti anche per spiegare la posizione che Cattaneo ha assunto nel dibattito sulla questione della lingua, che ha avuto del resto una grande rilevanza nella cultura italiana del tempo. Cattaneo, infatti, non vedeva una scissione tra il suo impegno di linguista militante e i suoi studi di linguistica storica, al contrario riteneva lo studio storico delle lingue come la base, e dunque il fondamento, della linguistica normativa [8]. Di fronte al problema di come la lingua italiana avrebbe dovuto essere formata e regolarizzata, egli sosteneva una rigorosa battaglia antitoscana, svolta su due fronti essenziali. Il primo era diretto – riprendendo una polemica che era stata inaugurata dagli illuministi lombardi del Caffè – contro il modello arcaico e passatista dell’Accademia della Crusca, che sosteneva una concezione immobilistica della lingua, estranea a ogni innovazione e fondata sulla netta scissione tra lingua e cultura. Il secondo fronte riguardava il modello certamente più moderno e funzionale del Manzoni, ma che ai suoi occhi risultava troppo accentrato e basato su un concetto di popolarità che egli non condivideva:  «la dottrina della popolarità da cui primamente si presero le mosse, oramai non significa più che si debba agevolare l’intendimento e l’arte della lingua agli indotti: ma bensì che si debbano raccogliere presso uno dei popoli d’Italia le forme che, più domestiche a quello, riescono più oscure a tutti li altri. Si intende un’angusta e inutile popolarità d’origine, non la vasta e benefica popolarità dell’uso e dei frutti» (Cattaneo 1948: I, 8). 2560350164442_0_0_0_696_75In alternativa, Cattaneo opponeva una forma di lingua che costituisse un punto d’incontro delle varie tradizioni dialettali italiane in maniera da poter svolgere veramente una funzione unificatrice della nazione. Una lingua, allo stesso tempo illustre [9], «insieme austera e moderna» (Timpanaro 1969: 237), adeguata non solo alla cultura letteraria, ma anche a quella scientifica e filosofica.     Fin da quel primo articolo, cui abbiamo già fatto riferimento, Cattaneo ha dimostrato inoltre di avere due maggiori capacità rispetto ad altri autori italiani suoi contemporanei. La prima era quella di saper andare al di là dei ristretti confini nazionali, interessandosi ad esempio delle lingue germaniche e del romeno. La seconda consisteva nell’avere ben presente il principio che la comunanza di origine tra due lingue è dimostrata dalla somiglianza delle strutture grammaticali, più che dei vocaboli – principio che ricavava dalla nuova linguistica comparata di Bopp e dei fratelli Schlegel [10] che, proprio in quegli anni, erano diventati per lui importanti interlocutori anche polemici e avevano impresso nuovi sviluppi alle sue idee linguistiche. Nel 1839 Bernardino Biondelli [11] cominciò a pubblicare sul Politecnico una serie di articoli sulla linguistica indeuropea, recensendo anche importanti opere dei comparatisti [12], informando così il pubblico italiano sui risultati scientifici da loro raggiunti. Questi articoli hanno indotto Cattaneo a prendere una posizione critica di fronte a questa corrente di studi e a scrivere il saggio Sul principio istorico delle lingue europee [13].  In questo saggio Cattaneo criticava l’idea che dall’affinità delle lingue fosse possibile ricavare una comunanza d’origine dei popoli, perché era invece convinto che non ci fosse una connessione essenziale tra affinità linguistica e affinità razziale e che la linguistica e l’antropologia andassero attentamente distinte; inoltre credeva che si fosse troppo insistito sull’unità dell’indoeuropeo, trascurando le differenze tra le varie lingue dovute al sostrato. Guardava con sospetto l’esaltazione orientalizzante che costituiva forse la conseguenza più effimera e fuorviante del comparatismo indoeuropeo (Marazzini 1988: 406). Per Friedrich Schlegel [14] il sostrato svolgeva soprattutto una funzione negativa corrompendo la perfetta forma del sanscrito; per Cattaneo, al contrario, la commistione del sanscrito con le lingue europee primitive ha dato luogo a un innesto fecondo perché il sostrato «rappresentava appunto il principio della varietà linguistica, non cancellata dall’azione unificatrice esercitata dal popolo colonizzatore» (Timpanaro 1969: 266). La parentela linguistica non è quindi nel sistema di Cattaneo identità di origine, bensì il risultato di un lento e progressivo avvicinamento delle popolazioni, dovuto all’istaurarsi fra di esse di rapporti politici, economici e culturali. Non si tratta, quindi, di un punto di partenza, ma di arrivo:  «Le lingue vive d’Europa non sono le divergenti emanazioni d’una primitiva lingua comune, che tende alla pluralità e alla dissoluzione; ma sono bensì l’innesto d’una lingua commune sopra i selvatici arbusti delle lingue aborigene, e tende all’associazione e all’unità. Se una volta in diverse parti d’Italia e delle isole si parlò il fenicio, il greco, l’osco, l’umbro, l’etrusco, il celtico, il carnico, e Dio sa quanti altri strani linguaggi, come tuttora avviene nella Caucasia, la sovraposizione d’una lingua commune avvicinò tanto tra loro i nostri vulghi, che ora agevolmente s’intendono tra loro. Il tempo che cangiò le lingue discordandi in dialetti d’una lingua, corrode ora sempre più le differenze dei dialetti; e lo sviluppo delle strade e la generale educazione promovono sempre più l’unificazione dei popoli.  Non è che una lingua madre si scomponga in molte figlie; ma bensì più lingue affatto diverse, assimilandosi ad una sola, divengono affini con essa e fra loro; e per poco che l’opera si continui, o a più riprese si rinovi, divengono suoi dialetti e infine mettono foce commune in lei» (Cattaneo 1957: 450). Sulla base di queste considerazioni, Cattaneo, nell’ambito dell’acceso dibattito sulla monogenesi o poligenesi del linguaggio, sosteneva una posizione particolare: rifiutava evidentemente il primo, ma allo stesso tempo era anche distante da quel particolare tipo di poligenismo sostenuto da Schlegel, che consisteva nel separare nettamente pochi tipi linguistici originali dai quali sarebbero derivate tante lingue cosiddette “figlie”. Per lui invece esistevano tante lingue primitive originarie che si erano ridotte di numero, via via che le tribù avevano cominciato a unirsi in aggregati più ampi. Non esistevano quindi – come per Schlegel – delle lingue perfette fin dall’inizio (le lingue flessive); tutte le lingue avevano origini umili o, come scriveva lui stesso, “ferine”. I modelli di questo modo di intendere il poligenismo linguistico sono Epicuro, Vico e Cesarotti [15]. Sempre contro Schlegel, rivendicava la giustezza della teoria agglutinante secondo la quale anche le forme flessionali più perfette e sofisticate derivavano dall’agglutinazione di monosillabi che all’origine avevano una funzione autonoma. E in quel primo articolo del 1837 osservava infatti che le declinazioni della lingua latina e greca potevano derivare da semplici nomi con un articolo affisso (Cattaneo 1948: I, 228).  psicologiadellementiassociatecarlocattaneoeditoririuniti_1024x1024-1La polemica con Schlegel riguardava anche la questione dell’origine del linguaggio: mentre per il primo la flessione indoeuropea era dovuta sostanzialmente a un intervento divino, per Cattaneo, l’origine del linguaggio non poteva che essere umana, e su questo avrebbe mantenuto una posizione coerente anche negli scritti successivi come le Lezioni di ideologia del 1862, dove, ad esempio, confutava il sofisma di Bonald che negava all’uomo la facoltà di costruirsi un linguaggio. Su questo tema come per tanti altri Cattaneo è vicino alla grande tradizione della linguistica illuminista che con Locke e Herder aveva respinto recisamente la concezione delle idee innate e l’origine divina del linguaggio (Prato 2012: 17-22) ed è del tutto immune dalla concezione misticheggiante della linguistica tanto cara ai romantici.  Proprio nel Saggio sul principio istorico delle lingue europee, Cattaneo si proponeva di verificare il rapporto tra fenomeni linguistici e tradizioni culturali, considerando la ricerca linguistica in stretta correlazione con una riflessione propriamente filosofica. L’analisi dei fenomeni linguistici non si riduceva per lui solo a una raccolta estemporanea di dati ma si traduceva in una vera e propria scienza sociale. Alla filosofia analitica degli Idèologues – che era rappresentata per gli scrittori italiani soprattutto da Condillac e Tracy – egli riconosceva senz’altro il merito di aver esaminato con acume e precisione i problemi del linguaggio, inserendoli in una prospettiva il più possibile concreta e razionale. Allo stesso tempo era tuttavia consapevole anche dei suoi limiti, che consistono nell’aver indicato come proprio oggetto di riflessione una figura di uomo dai caratteri astratti e indipendente dal rapporto con i suoi simili. Proprio «la famosa ipotesi della ‘statua’ condillachiana gli appariva emblematica di un concetto destorificato della natura umana» (Gensini 1993: 238). Non a caso alle conferenze tenute a partire dal 1859 presso l’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Cattaneo volle dare il titolo di Psicologia delle menti associate [16], dove il termine di “psicologia sociale” è inteso appunto in senso antropologico sia come riflessione sull’uomo a partire dai rapporti che lo legano agli altri suoi simili, sia come ricostruzione delle mentalità e dei sistemi simbolici quale risultato di mediazioni sociali. In queste lezioni Cattaneo osservava che il lievito che fa fermentare le idee non si svolge in una mente sola perché «la corrente del pensiero vuole una pila elettrica di più cuori e di più intelletti» (Cattaneo 1957: 277-78).  La genesi delle idee, che Locke aveva dimostrato scaturire dal linguaggio, in questa nuova prospettiva aperta da Cattaneo, non può che radicarsi nella pratica sociale: «Nel commercio degli intelletti, promosso da felici condizioni, si svolgono le idee, come nel mondo materiale, al contatto delli elementi, si svolgono le correnti elettriche e le chimiche affinità» (Cattaneo 1960: II, 16). Il linguaggio stesso è la società (Cattaneo 1957: 316), ed è proprio su questo terreno che l’ideologia – ovvero l’analisi delle idee – iincontra la linguistica. Ideologia è del resto il titolo di una parte del corso di Filosofia che Cattaneo aveva tenuto presso il liceo di Lugano.  Non a caso aveva scelto questo titolo se consideriamo che per la sua chiara derivazione illuminista, l’ideologia [17] rappresentava la sola reale forma di opposizione al conformismo della cultura del suo tempo perché l’ideologia era «un’arma efficace per una filosofia democratica, atta ad opporsi alla marea montante della filosofia restaurata, allo spiritualismo eclettico in Francia, all’ontologismo cattolico in Italia» (Formigari 1990: 153). I principi che contrassegnano l’intera ricerca di Cattaneo e che spaziano dal riconoscimento del valore del pensiero scientifico, alla negazione della metafisica e alla difesa della laicità, la rendono insomma pienamente aderente ai problemi e alle esigenze del nostro tempo, oltre che aperta a ulteriori forme di sviluppo e approfondimento.    Dialoghi Mediterranei, n. 46, novembre 2020  Note [1] Per un ritratto complessivo di Cattaneo e dei rapporti con i suoi contemporanei rimandiamo a Alessio (1957) e Mazzali (1990). [2] Studiati in particolare da Timpanaro (1969: 229-83). Si veda anche Gensini (1993: 237-40), Benincà (1994: 576-80), Geymonat (2018). [3] Negli Annali universali di statistica, si leggono ora in Cattaneo (1948: I, 209-37). [4] Si trova in Cattaneo (1957: 39-75).  [5] Anche per Giordani la lingua è il vincolo di una comunità che si identifica con la nazione (Cecioni 1977: 59), [6] Per esempio nella recensione alla Vita di Dante di Balbo pubblicata sempre sul Politecnico del 1839 (ora in Cattaneo 1957: 380-395) di cui viene criticato il contenuto religioso e metafisico e la difesa del neo-guelfismo. [7] Questa teoria del sostrato come è noto verrà ripresa da Ascoli nei suoi celebri scritti linguistici. Sul rapporto tra Cattaneo e Ascoli rimandiamo alle dense pagine di Timpanaro (1969: 284 sgg) e Timpanaro (2005: 237-51). [8] Qui lo scrittore lombardo riprendeva un’idea ben radicata nella cultura italiana e che risaliva al De vulgari eloquentia di Dante. [9] Su questo si può cogliere l’eco della Proposta di alcune correzioni ed aggiunte al Vocabolario della Crusca (1817-1822) del Monti che Cattaneo del resto aveva letto fin da giovanissimo con passione e interesse. [10] Sulla linguistica dei comparatisti si veda Morpurgo Davies (1994). [11] Sulla funzione positiva svolta da Biondelli per lo sviluppo degli studi linguistici in Italia vedi De Mauro (1980: 49-52). [12] Per esempio la Deutsche Grammatik di Jacob Grimm. [13] Pubblicato sul Politecnico nel 1841 è certamente il suo scritto linguistico-etnografico più ampio e originale. [14] Qui Cattaneo fa riferimento al libro: Uber die Sprache und Weisheit der Indier del 1808. Sulle idee filosofico-linguistiche di Schlegel vedi Timpanaro (2005: 17-56). [15] In particolare su Cesarotti e sul suo Saggio sulla filosofia delle lingue (1800) che è stato per Cattaneo una lettura importante vedi Gensini (2020). [16] Pubblicate postume da Bertani nella raccolta di Opere edite e inedite in 7 volumi usciti tra il 1881 e il 1892, si leggono ora in Cattaneo (1957: 270-326). [17] Ideologia è del resto il titolo stesso di una parte del corso di Filosofia che aveva tenuto presso il liceo di Lugano: si trova ora in Cattaneo (1960: III, 3-204). Riferimenti bibliografici Alessio, F. (1957), “Cattaneo illuminista”, in Cattaneo (1957): XI-LI. Benincà, P. (1994), “Linguistica e dialettologia italiana”, in Lepschy (1994): 525-625. Bobbio, N. (1960), “Introduzione”, in C. Cattaneo, Scritti filosofici, Firenze, La Monnier, I: V-LXIX. Cattaneo, C. (1948), Scritti letterari, artistici, linguistici e vari, a cura di A. Bertani, Firenze, Le Monnier. Cattaneo, C. (1957), Scritti filosofici, letterari e vari, a cura di F. Alessio, Firenze, Sansoni. Cattaneo, C. (1960), Scritti filosofici, a cura di N. Bobbio, Firenze, Le Monnier. Cattaneo, C. (1990), Scritti su Milano e la Lombardia, a cura di E. Mazzali, Milano, Rizzoli. Cecioni, G. (1977), Lingua e cultura nel pensiero di Pietro Giordani, Roma, Bulzoni. De Mauro, T. (1980), Idee e ricerche linguistiche nella cultura italiana, Bologna, Il Mulino. De Mauro, T. (2008), Il linguaggio tra natura e storia, Milano, Mondadori Università. Formigari, L. (1990), L’esperienza e il segno. La filosofia del linguaggio tra Illuminismo e Restaurazione, Roma, Editori Riuniti. Formigari, L. e Lo Piparo, F. (1988), a cura di, Prospettive di storia della linguistica. Lingua linguaggio comunicazione sociale, Roma, Editori Riuniti. Gensini, S. (1993), Volgar favella. Percorsi del pensiero linguistico leopardiano da Robortello a Manzoni, Firenze, La Nuova Italia. Gensini, S. (2020), “Cesarotti nei dibattiti linguistici del suo tempo”, in Roggia (2020): 75-100. Geymonat, F. (2018), Carlo Cattaneo linguista. Dal “Politecnico” milanese alle lezioni svizzere, Roma, Carocci. Lepschy, G.C. (1994), a cura di, Storia della linguistica, Bologna, Il Mulino, vol. III. Lepschy, G.C. (2005), “Presentazione”, in Timpanaro (2005): 7-14. Lewis, I.M. 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