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Wednesday, June 16, 2021

Grice e Cavalcanti

 CAVALCANTI (Firenze). Filosofo. Grice: “I like Cavalcanti; he thinks he is an Aristotelian, but he is surely Platonic – therefore, obsessed with ‘eros,’ or ‘amore,’ as the Italians call it – Like Alighieri’s, his philosophy of ‘eros’ is confused, but interesting!” Come del corpo fu bello e leggiadro, come di sangue gentilissimo, così ne’ suo fiosofare non so che più degli altri bello, gentile e peregrino rassembra, e nell’invenzione acutissimo, magnifico, ammirabile, gravissimo nelle sentenze, copioso e rilevato nell’ordine, composto, saggio e avveduto, le quali tutte sue beate virtù d'un vago, dolce stile, come di preziosa veste, sono adorne. Lorenzo il Magnifico, Opere). Alighieri e Virgilio incontrano all'Inferno. Ritratto di Cavalcanti, in Rime. Figlio di Cavalcante dei Cavalcanti, nacque in una nobile famiglia guelfa di parte bianca, che ha la sua villa vicina a Orsanmichele e che e tra le più potenti della regione. Il padre fu mandato in esilio in seguito alla sconfitta di Montaperti. In seguito alla disfatta dei ghibellini nella battaglia di Benevento, padre e figlio riacquistarono la preminente posizione sociale a Firenze. A lui e promessa in sposa la figlia di Farinata degli Uberti, capo della fazione ghibellina, dalla quale Guido ha i figli Andrea e Tancia. E tra i firmatari della pace tra guelfi e ghibellini nel Consiglio generale al Comune di Firenze insieme a Latini e Compagni. A questo punto avrebbe intrapreso un pellegrinaggio -- alquanto misterioso, se si considera la sua infamia di ateo e miscredente! Muscia, comunque, ne dà un'importante testimonianza attraverso un sonetto.  Alighieri, priore di Firenze, fu costretto a mandare in esilio l'amico, nonché maestro, con i capi delle fazioni bianca e nera in seguito a nuovi scontri. Si reca allora a Sarzana. “Perch'i' no spero di tornar giammai” e composto durante l'esilio. La condanna e revocata per l'aggravarsi delle sue condizioni di salute. Muore a causa della malaria contratta durante l'esilio forzato d’Alighieri.È ricordato oltre che per i suoi componimentiper essere stato citato da Dante (del quale fu amico assieme a Gianni) nel celebre nono sonetto delle Rime Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io (al quale Guido rispose con un altro, mirabile, ancorché meno conosciuto, sonetto, che ben esprime l'intenso e difficile rapporto tra i due amici, “S’io fosse quelli che d'amor fu degno”. Alighieri, remmorso, lo ricorda anche nella Divina Commedia (Inferno, canto X e Purgatorio, canto XI) e nel De vulgari eloquentia, mentre Boccaccio lo cita nel Commento alla Divina Commedia e in una novella del Decameron.  La sua personalità, aristocraticamente sdegnosa, emerge dal ricordo che ne hanno lasciato gli filosofi contemporanei, Compagni, Villani, Boccaccio e Sacchetti. Il gentile figlio di Cavalcante Cavalcanti, nobile cavaliere e cortese e ardito, ma sdegnoso e solitario, e intento alla filosofia. La sua personalità è paragonabile a quella di Alighieri, con la importante differenza del carattere laico.  Noto per il suo ateismo, Alighieri l’incontra nell’Inferno (Inf. X, 63). Boccaccio (Decameron VI, 9: si dice tralla gente volgare che questa sua speculazione filosofica sull’amore e solo in cercare se puo trovarse che Iddio non e. Villani (De civitatis Florentie famosis civibus). La sua eterodossia è stata tra l'altro rilevata nella grande canzone dottrinale o manifesto “Me prega” -- certamente il testo più arduo e impegnato, anche sul piano filosofico -- di tutta la poesia stilnovistica, in cui s i rinvenge il carattere di correnti radicali dell'aristotelismo. Famoso e significativo l'episodio narrato dal Boccaccio di una specie di scherzoso assalto al filosofo da parte di due fiorentini a cavallo, di cui schivava la compagnia. L’episodio e ripreso da Italo Calvino in una lezione in cui il filosofo con l'agile salto da lui compiuto, diventa un emblema della leggerezza.  L'episodio figura anche nell'omonimo testo di France ne "Santa Chiara" dove, peraltro, i fatti risalienti della sua vita vengono riportati sotto una veste quasi mistica.  La opera di Cavalcanti consta di cinquantadue componimenti, di cui due canzoni, undici ballate, trentasei sonetti, un mottetto e due frammenti composti da una stanza ciascuno. Le forme maggiormente utilizzate sono la ballata ed il sonetto, seguite dalla canzone. La ballata appare congeniale alla sua poetica, poiché incarna la musicalità sfumata e il lessico delicato, che si risolvono poi in una costruzione armoniosa. Peculiare di Cavalcanti è, nei sonetti, la presenza di rime retrogradate nelle terzine. Temi  Quadro di Johann Heinrich Füssli. Teodoro incontra nella foresta lo spettro del suo antenato Guido Cavalcanti. I temi della sua opera sono quelli cari al stilnovista; in particolare la sua canzone manifesto “Me prega” è incentrata sull’effetto prodotti dall'amato sull’amante. La concezione filosofica su cui si basa è l'aristotelismo radicale che sostene l’eternità e l'incorruttibilità dell'anima separata dal corpo e l'anima sensitiva come entelechia o perfezione del corpo. Va da sé che, avendo le varie parti dell'anima funzioni differenti, solo collaborando esse potevano raggiungere il sinolo, l’armonia perfetta – anima/corpo entelechia. Si deduce che, quando l'amore colpisce l’anima, la squarcia a e la devasta, compromettendo il sinolo e ne risente molto l’anima inferiore vegetativa – L’amante non mangia o non dorme). Da qui la sofferenza dell'animo che, destatasi per questa rottura del sinolo, rimane impotente spettatore della devastazione. È così che l'amante giunge alla morte. L’amato, avvolto come da un alone mistico, rimane così irraggiungibile. Il dramma si consuma nell'animo dell'amante.  Questa complessissima concezione filosofica permea la poesia ma senza comprometterne la raffinatezza o superfizialita letteraria. Uno dei temi fondamentali è l'incontro dell’amante e l’amato che conduce sempre, ed al contrario che in Guinizzelli, al dolore, all'angoscia kierkegaardiana, e al desiderio di morire. La opera dell’amore di Cavalcanti possiede un accento di vivo dolore riferio spesso al corpo dell’amante.  Cavalcanti e un fine filosofo –  scrive Boccaccio: lo miglior loico che il mondo avesse -- ma non ci resta nulla di sue saggistica filosofica, ammesso che ne abbia effettivamente scritte.  Il poetare di Cavalcanti, dal ritmo soave e leggero è di una grande sapienza retorica.  I versi di Cavalcanti possiedono una fluidità melodica, che nasce dal ritmo degli accenti, dai tratti fonici del lessico impiegato, dall'assenza di spezzettature, pause, inversioni sintattiche.  Cavalcanti: la poetica e lo Stilnovo, L’amico di Dante” (Roma-Bari: Laterza).  “Species intelligibilis”, Cavalcanti laico e le origini della poesia italiana, Alessandria: Edizioni dell'Orso); Cavalcanti auctoritas”; Cavalcanti laico; La felicità: Nuove prospettive per Cavalcanti (Torino, Einaudi); Cavalcanti (Torino, Einaudi); Cavalcanti: poesia e filosofia, Alessandria, Edizioni Dell'Orso); Cavalcanti: uno studio sul lessico lirico, Roma, Nuova Cultura); Per altezza d'ingegno: saggio su Cavalcanti, Napoli, Liguori); L'ombra di Cavalcanti; Roma, L'Asino d'Oro, . Guido Cavalcanti, Rime, Firenze, presso Niccolò Carli). Dizionario biografico degli italiani; Il controverso pellegrinaggio Cavalcanti”; “La Divina Commedia. Inferno, Mondadori, Milano); La società letteraria italiana. Dalla Magna Curia al primo Novecento. La fama o, meglio, l’habitus di filosofo Cavalcanti lo deve essenzialmente ad una sua poesia: la canzone celeberrima e alquanto complessa, sia per la metrica che per i contenuti, Donna me prega. In essa il poeta parlerà di “amore” con gli strumenti della filosofia naturale (“natural dimostramento”), conducendo un’analisi razionale volta a spiegarne la natura e le cause. Una prima importante informazione circa l’essere dell’amore Cavalcanti ce l’ha già fornita nell’incipit della canzone: egli, infatti, ci ha detto che l’amore è un accidente e che, di conseguenza, non è una sostanza. Questa definizione, tuttavia, ha un significato tecnico preciso, che il poeta mutua dalla filosofia di Aristotele. Occorre, pertanto, fare una premessa. La sostanza, secondo il grande filosofo greco, è ciò che ha vita propria, ciò che cioè esiste autonomamente, mentre gli accidenti esistono solo come qualità di essa; in altre parole, l’accidente si aggiunge alla sostanza esprimendone una caratteristica casuale o fortuita. Ad esempio, un certo uomo è una sostanza, mentre l’insieme delle qualità che esso può avere (alto, basso, pallido, paonazzo, ecc…) sono gli accidenti. Tornando dunque a Cavalcanti, egli afferma che l’amore non è una sostanza poiché non possiede un’esistenza autonoma come, ad esempio, gli uomini (l’amore, infatti, non ha né corpo né figura); esso esiste piuttosto come qualità della sostanza, ovvero come sentimento (qualità) dell’uomo (sostanza). Innanzitutto, Cavalcanti ci dice che l’amore si insedia nella memoria. Anche qui, però, occorre richiamare per sommi capi la psicologia di Aristotele, poiché essa è indispensabile per intendere i versi del poeta. Nel De anima, Aristotele definisce l’anima forma del corpo; egli, tuttavia, per forma non intende l’aspetto esteriore di una cosa, ma la sua natura propria, la struttura che rende quella tale cosa ciò che è. L’anima, dunque, vivifica e dà al corpo la sua struttura essenziale. Essa, inoltre, secondo Aristotele, pur essendo unica, può essere divisa, a seconda delle funzioni che svolge, in tre parti: anima vegetativa, anima sensitiva e anima intellettiva. La prima riguarda le funzioni vitali minime (come, ad esempio, la nutrizione e la riproduzione) degli esseri viventi a cominciare dalle piante; la seconda, invece, comprende i sensi e il movimento ed è propria solamente degli animali e dell’uomo; la terza, infine, riguarda il pensiero, le funzioni intellettuali, ed propria solo dell’uomo. La memoria, per Aristotele e, quindi, anche per Cavalcanti, appartiene all’anima sensitiva; essa, cioè, è un prolungamento o estensione della sensazione. In altre parole, l’anima sensitiva non solo permette all’uomo di vedere, sentire, gustare gli altri corpi, ma gli permette anche di avere di questi ultimi delle immagini. La passione amorosa, dunque, è creata da una sensazione: il diletto per la vista della donna fa si che l’immagine di essa si imprima nella memoria; l’amore è il nome che si dà ad una operazione dell’anima sensitiva, poiché ad essa, come abbiamo visto, appartengono sia la funzione della vista che quella della memoria. Il poeta, tuttavia, ci dice che questa immagine trova “loco e dimoranza” anche nell’intelletto possibile. Che cosa intende con questi versi? Bisogna ritornare brevemente alla psicologia aristotelica. Abbiamo visto che l’anima, a seconda delle sue funzioni, può essere vegetativa, sensitiva e intellettiva. L’ultima delle tre riguarda il pensiero, le operazioni intellettuali proprie dell’uomo. Secondo Aristotele, dopo che un oggetto è stato percepito dai sensi e che l’immagine di esso si è impressa nella memoria, esso viene pensato dall’intelletto. In che modo? Una parte dell’anima sensitiva, che egli chiama intelletto possibile, riceve l’immagine dell’oggetto percepito dai sensi grazie all’azione di un’altra componente della stessa anima, che egli chiama intelletto agente. Per fare un esempio, si potrebbero paragonare l’intelletto possibile ad un quaderno ancora intonso e l’intelletto agente all’azione dello scrivere. Dunque, mentre i sensi producono nella memoria l’immagine della donna, l’intelletto agente imprime nell’intelletto possibile la forma astratta di questa immagine. Ricapitolando, nell’anima sensitiva si sviluppa la passione amorosa attraverso la vista della donna e la memoria della sua immagine, mentre niente di tutto questo avviene nell’anima intellettiva, la quale ha dell’amata soltanto un concetto astratto e disincarnato. L’amore non è una virtù morale (queste, infatti, sono un prodotto della ragione, dell’anima intellettiva), ma è una virtù sensibile, appartiene all’anima sensitiva. Cavalcanti ci dice che non l’anima intellettiva, ma bensì l’anima sensitiva è perfezione dell’uomo, poiché essa attua tutte le potenzialità insite nell’individuo umano. Il poeta, infatti, seguendo l’interpretazione che di Aristotele aveva dato il filosofo arabo Averroè, ritiene che esista un unico intelletto sempre in atto ed eterno separato dagli uomini, con il quale le facoltà superiori dell’anima sensitiva di ciascun essere umano entrano in contatto ogni qual volta si sviluppa il pensiero. In altre parole, egli, affermando l’esistenza di un intelletto unico ed eterno, separa l’anima intellettiva, unica ed eterna, dalle anime sensitive concrete e mortali di ciascun uomo. Questa complessa psicologia che Cavalcanti mutua da Averroè è la base del suo celebre pessimismo amoroso. La passione amorosa ottunde la capacità di giudizio poiché l’immagine della donna amata, ormai insediata nella memoria e desiderata dai sensi, determina il netto prevalere dell’anima sensitiva su quella intellettiva. Questo non vuol dire, però, che l’amore ottenebra l’intelletto; come abbiamo poc’anzi visto, infatti, le facoltà intellettuali sviluppano la conoscenza, non il desiderio; inoltre, il poeta, seguendo Averroè, ha appena sostenuto che l’anima intellettiva è separata dalle anime sensitive degli uomini. Quello che Cavalcanti intende, dunque, è questo: la passione amorosa, “se forte”, impedisce all’uomo, dominato totalmente dai bisogni dell’anima sensitiva, di stabilire un contatto con l’intelletto e quindi di avere raziocinio. In questo senso egli parla dell’amore come di un vizio, che porta chi ne è colpito a non saper più distinguere il bene dal male (“discerne male”). Ciononostante, Cavalcanti ci dice che l’amore non è cosa contraria alla natura (“non perché oppost’a naturale sia”); anzi, al pari degli altri bisogni naturali, la passione amorosa sviluppa una potenzialità propria dell’anima sensitiva e, pertanto, rinunciarvi sarebbe deleterio e controproducente. Come interpretare questa affermazione apparentemente contraddittoria? È necessario, anche in questo caso, richiamare Aristotele. Nell’Etica Nicomachea, il filosofo greco afferma che ognuno è felice quando realizza bene il proprio compito (ad esempio, il costruttore sarà felice quando realizzerà oggetti perfetti). Il compito dell’uomo, però, non potrà certo essere quello di assecondare l’anima vegetativa o quella sensitiva; egli dovrà piuttosto vivere secondo ragione; pertanto, secondo il filosofo greco, la felicità per l’uomo consiste nell’attività razionale, nella vita secondo ragione. Cavalcanti, dunque, seguendo Aristotele, ci dice che l’amore è deleterio e mortale solo quando ci allontana violentemente da questo tipo di vita; poiché una vita vissuta in preda ai bisogni a agli istinti dell’anima sensitiva è una non-vita, più adatta agli animali che agli uomini. Viceversa, l’amore che riesce ad essere temperante, e che cioè non allontana l’uomo dalla vita razionale, è espressione di un naturale bisogno della nostra sensualità. Guido Cavalcanti. Keywords: lo sviluppo della teoria dell’amore in Aristotele – amore e morte, amore e anima vegetativa (l’amante non mangia, l’amante non dorme) – l’animo e il corpo come entelechia, sinolo perfetto – l’amore come incontro disastroso di due entellechie. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cavalcanti” – The Swimming-Pool Library. 

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